L'italiano e le sue varietà 9788876676697

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L'italiano e le sue varietà
 9788876676697

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L’italiano e le sue varietà Sergio Lubello, Claudio Nobili

Franco Cesati Editore

Conoscere bene una lingua significa sapersi destreggiare tra i vari stili collettivi che hanno cittadinanza tra chi la usa. Non lasciarsene dominare, ma tenerne conto nel costruire i discorsi che ci serve fare. Tullio De Mauro ISBN 978-88-7667-669-7 © 2018 proprietà letteraria riservata Franco Cesati Editore via Guasti, 2 - 50134 Firenze www.fiancocesatieditore.com e-mail: [email protected]

Cover design: ufficio grafico Franco Cesati Editore.

Indice Prefazione I

Introduzione

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1.1 Le varietà dell’italiano e modelli di rappresentazione

11

1.2 Varietà diacroniche: l’italiano nel tempo

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1.3 Varietà di apprendimento: nuovi italiani, nuovo italiano

17

II

21

Varietà diatopiche

2.1 Gli italiani regionali

21

2.2 Dialetto, dialetti (e italiano)

29

III

Varietà diastratiche

43

3.1

L’italiano popolare

43

3.2 Una testualità oralizzante 3.3

Le occasioni della scrittura: testi, epoche, scriventi

45

50

3.4 I nuovi semicolti

58

3.5 Altre varietà diastratiche

61

IV Varietà diafasiche 4.1

Comunicare in molti modi

65 65

4.2 I colori della lingua: registri, stili, livelli

66

4.3 I linguaggi settoriali 4.4 Testi specialistici per tutti? La dimensione verticale

70

4.4.1 La lingua oscura del diritto e della burocrazia 4.4.2 Divulgare la medicina: la salute alla portata di tutti

V

Prefazione

73

73 79

4.4.3 Linguaggi specialistici e ibridazioni: la dimensione trasversale

82

Varietà diamesiche

87

5.1 Una definizione problematica 5.2 Il parlato fonico

87

5.3 Lo scritto grafico 5.4 Il trasmesso fra tradizione e innovazione

95 102

Bibliografia

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89

La collana delle “Pillole”, che l ’editore Cesati stampa da qualche anno, ha l’intento meritevole di divulgare, in volumetti agili ed econo­ mici, tem i spesso trattati nei corsi universitari; tem i che perciò vanno affrontati, pur pensando a un pubblico largo, tenendo conto dello stato attuale e aggiornato della ricerca. Abbiamo ritenuto utile far riferim ento il più possibile a un ricco apparato di testi, recenti e spesso di prim a mano, dando conto così - anno 2017 - di quel quadro dell’italiano variazionale che Gaetano Berruto, orm ai un trentennio fa, aveva brillantem ente delineato, e che nel tempo ha subito spostam enti, assestam enti, cam biam enti nella sua architettura, come è inevitabile per ogni lingua viva. È utile ricordare l ’im portanza che la riflessione e lo studio dell’ita­ liano variazionale rivestono in contesto formativo, in un momento in cui soprattutto i più giovani, i cosiddetti nativi digitali, pur scrivendo moltissim o, non hanno però sempre chiari i confini e le peculiarità dei diversi usi, contesti e scopi com unicativi. Per com odità di esposizione, oltre che di efficacia a fini didattici, in questo volume abbiam o scelto di dedicare un capitolo a ciascuna dimensione di variazione, m a senza rinunciare a evidenziarne gli in ­ trecci, oggi sempre più frequenti, com e si noterà via via scorrendo i testi. Per m otivi di spazio, infine, due paragrafi, ancorché brevi, danno conto della variabile diacronica (1.2) e dell’italiano degli im m igrati in Italia (1.3), a cui va assegnato uno spazio sempre più im portante: i di­ versi m ilioni di stranieri presenti oggi in Italia, infatti, interagiscono e apprendono l ’italiano, e a loro volta colorano il paesaggio sociolin­ guistico soprattutto dei centri urbani m aggiori, im m ettendo un fatto­ re nuovo di neoplurilinguism o entro il tradizionale spazio linguistico italiano.

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L’italiano e le sue varietà

I testi citati (e num erati progressivamente in ogni capitolo) sono trascritti fedelmente (dagli originali o dalle fonti da cui sono attinti); omissioni di testo sono segnalate da tre puntini racchiusi tra parentesi quadre. La data di ultim a consultazione dei siti web citati coincide con quella di invio della prim a versione del dattiloscritto alla casa editrice (30/11/2017). Infine, ringraziam o sinceram ente C arolina Stromboli, che ha letto i capitoli in anteprim a; la responsabilità degli eventuali errori restanti è tuttavia solo nostra. Al puro fine di attribuzione form ale, sono responsabilità: di Ser­ gio Lubello il paragrafo 1.2 e i capitoli III e IV; di Claudio N obili il paragrafo 1.3 e i capitoli II e V; fru tto di riflessioni in com une è il paragrafo 1.1. Gli au tori

I Introduzione

1.1 Le varietà dell’italiano e modelli di rappresentazione Come tutte le lingue storico-naturali, anche ritalian o si articola in un repertorio ampio di varietà. È utile, intanto, partire dalla definizione: una varietà di lingua si può definire come un insieme coerente di elementi (forme, strutture, tratti, ecc.) di un sistema linguistico che tendono a presen­ tarsi in concomitanza con determinati caratteri extralinguistici, sociali [...]. È quindi sempre un’entità che presuppone una correlazione tra fatti lingui­ stici e fatti non linguistici, e deve essere caratterizzata sulla base di entrambi (Berruto 2011a: 1551). Il m odello di classificazione delle varietà di una lingua si deve a Eugenio C oseriu, il cui schem a contem pla le dim ensioni di varia­ zione linguistica (in sincronia) secondo lo spazio o area geografica (variazione diatopica), lo strato o classe o fascia sociale (variazione diastratica), la situazione com unicativa in cui si usa la lingua (varia­ zione diafasica), m entre si deve a una successiva aggiunta di M ioni, nel 1983, un quarto param etro fondato sul m ezzo, sul canale attra­ verso cui la lingua è usata (variazione diam esica). Riprendendo quello schem a (e la relativa term inologia), G aeta­ no Berru to ha rappresentato l ’arch itettu ra d ell’italian o variazionale, in sincronia, lungo un con tin u u m m ultidim ensionale (cfr. Berruto 1987, 1993a e 1993b) attraverso un m odello fondato su tre premesse (figura 1):

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11

L’italiano e le sue varietà

(una parola com e via è entrata nella locuzione preposizionale p e r via di) e di lessicalizzazione (una locuzione com e a fr e s c o è diventata un sostantivo, a ffresco; il suffisso -etto di alcuni nom i alterati ha perso il valore dim inutivo lessicalizzandosi: fio r e tto , rossetto ecc.). Vediam o solo alcuni tratti m orfosintattici attraverso esempi da te­ sti antichi (cfr. Salvi 2016): L eo n e g u a r d a m olto a ll’u o m o (M ilion e volg., 126,12): oggi una frase com e quella del M ilion e richiede l ’articolo, ciò che non è necessario nell’italiano antico; io il vi d a r ò via p eg g io re ‘io ve lo darò ancora peggiore’ (Bono G iam ­ boni, L ib r o , cap. 6, par. 15), m a d irolloti ‘m a te lo d irò ’ (Bono G iam ­ boni, L ibro, cap. 4, par. 5): nell’ordine dei pronom i atoni (clitici) la differenza più rilevante rispetto all’italiano m oderno riguarda la posizione dei clitici accusativi di terza persona rispetto alle forme m i/ti/ci/v i: m entre in italiano m oderno abbiamo m e lo, te la, ce li, ve le ecc., in italiano antico l ’ordine era quello inverso (lo/il m i, la ti, li/i ci, le vi, ecc.). Questo ordine, oltre che a Firenze, era diffuso nella Toscana orientale, n ell’Italia m ediana e in Corsica (e forse più anticam ente anche in Toscana occidentale; m entre il resto dei volgari italiani aveva l’ordine dell’italiano m oderno); Vuoisi così colà ciò che si v u ole: nella nota espressione usata da Dante n e ll’In fern o il pronome atono riflessivo si colloca dopo il verbo (enclitico), mentre oggi avremmo si vuole; in italiano antico un periodo non poteva iniziare con un pronome atono che quindi andava posposto (enclisi obbligatoria; tale condizione è nota come legge Tobler-Mussafia); la d o n n a ch e [...] ci s’h a e m ostrata ‘ci si è m ostrata’ (Dante, Vita n u ova, cap. 38, par. 3): la scelta dell’ausiliare essere o av ere nei tem ­ pi com posti corrisponde in gran parte a quella dell’italiano m o ­ derno, m a con i verbi accom pagnati da un pronome riflessivo con interpretazione propria (cioè quando il pronome vale ‘(a) sé stesso’) era possibile l’uso di av ere (come oggi in m olti dialetti italiani);

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i

Introduzione

uscito il m a rito d'una p a r te d ella ca sa , e ella uscì dalValtra (D ecam eron, IX.7.11): nella prosa antica è frequente una congiunzione e che collega la principale alla subordinata che la precede (tale strut­ tura si chiam a paraipotassi). Ci sono, si è detto, fattori diversi che influenzano l ’uso e il cam ­ biamento linguistico, non ultim o la tradizione gram m aticale che può relegare a form a erronea (censurata, quindi substandard) una forma invece viva e usata nel parlato e in alcuni tipi di testo (in tal caso 1 uso scritto tarda a recepirla perché stigmatizzata). Un esempio è la storia del pronome lui in funzione di soggetto: lui come soggetto non era pos­ sibile all’epoca di Dante, m a già nel ’400 veniva considerato gram m a­ ticale da Leon Battista A lberti (quindi certam ente nell’uso di Firenze), m entre, poco dopo, nelle P rose d ella volgar lingua di Bem bo (1525), ve­ niva definitivamente censurato e lo sarà fino al ’90 0 (nonostante 1 uso di m olti autori, antichi e m oderni, fino a M anzoni che nelle correzioni dei P rom essi Sposi sostituì sistematicamente egli con lui). Per tale tra­ dizione norm ativa la gram m atica scolastica fino a pochi decenni fa ha indicato come errore l’uso di lui in funzione di soggetto.

1.3 Varietà di apprendimento: nuovi italiani, nuovo italiano La descrizione del panoram a sociolinguistico italiano odierno nei term ini di un “plurilinguism o endogeno” (cioè di origine interna al Pa­ ese; ci si riferisce in particolare alla coesistenza di impiego dell’italiano com e orm ai lingua com une e rivitalizzazione dei dialetti, su cui cfr. 2.2), per quanto certam ente corretta, si dim ostra tuttavia insufficiente. Essa va integrata, infatti, con i concetti di “neoplurilinguism o (Bagna et al. 2007) o “plurilinguism o esogeno”, prodotto dai recenti flussi m i­ gratori verso l ’Italia, che «aggiunge [...] un nuovo asse di variazione al complesso quadro di convivenza tra lingue e varietà di lingua che ha storicam ente contraddistinto lo spazio linguistico italiano» (Palermo 2016). Stando a ll’ultimo report dell’Istat sul bilancio demografico na­ 17

L’italiano e le sue varietà

zionale, riferito all’anno 2016, e pubblicato il 13 giugno 2017, i cittadini stranieri (di lingua madre o LI diversa, più o meno tipologicamente e geneticam ente distante d all’italiano) e residenti in Italia risultano essere 5.047.028, pari a ll’8,3% del totale dei residenti a livello nazio­ nale. In relazione a questi cittadini, vanno evidenziate l ’eterogeneità tanto dei paesi di provenienza (in una graduatoria dei prim i cinque si trovano: Rom ania = 1.168.552 unità; A lbania = 448.407; M arocco = 420.651; C ina = 281.972; U craina = 234.354; somm ando le unità, si ot­ tiene la m età, 50,6%, dei residenti stranieri stessi), quanto della loro di­ stribuzione sul territorio italiano (N ord-Ovest = 1.704.918 unità, pari al 33,8% del totale dei residenti stranieri; Centro = 1.295.431; NordEst = 1.212.340; Sud = 594.824, questa volta l ’ll,8 % del totale; Isole = 239.515, il 4,7%). E indubbio che i “nuovi italian i” (etichetta orm ai ampiamente usa­ ta in letteratura; vedi da ultim o Vedovelli 2017) hanno mutato non sol­ tanto lo scenario demografico, ma anche quello linguistico, dando vita a un “nuovo italiano”, appreso spontaneam ente come lingua seconda o L2 (si parla a proposito di “varietà di apprendimento” o “interlingua”), che tendenzialm ente (ma non necessariam ente) evolve col tempo, in misura maggiore o m inore, «verso l ’italiano» (per riprendere il titolo di Giacalone Ram ai 2003). Diverso è il caso dei figli degli im m igrati adulti, nati in Italia o arrivati nei prim i anni di vita (italiani di secon­ da generazione), che im parano l ’italiano nelle scuole come parlanti bilingui (la lingua d ’origine convive con l ’italiano), sebbene si tratti di un bilinguism o, che viene definito sottrattivo, cioè che tende a ri­ durre progressivamente l ’uso della lingua originaria a vantaggio dell’i­ taliano. Secondo quanto riportato dal N otiziario pubblicato dal M iur (M inistero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca) nel mese di marzo 2017, gli studenti stranieri con cittadinanza non italiana pre­ senti in Italia nel dicembre 2016 erano circa 815.000, ovvero il 9,2% dell’intera popolazione studentesca. M a tornando al nuovo italiano, inteso com e nuova varietà nello spazio linguistico dell’italiano di oggi, osserviam one alcuni tratti, che prescindono dalla LI dell apprendente, seguendo l’elenco proposto da Palermo (2015: 316, da cui quasi tutti gli esempi sono tratti): 18

I

Introduzione

1.

sovraestensione delle regole: applicazione di una regola anche in contesti in cui non è richiesta (a p rito per ‘aperto’, nessun logica per ‘nessuna logica’, m io p o lm o n e p u lito per ‘mio polm one pulito’, io h o arriv ato per ‘io sono arrivato’ ecc.);

2.

evitamento di elementi strutturalm ente difficili (io arriv ato per ‘io ci sono arrivato’);

3.

lessicalizzazione di un’inform azione che non si è ancora in grado di esprimere m orfologicamente (an n o p a ssa to fa c c io lavoro risto­ rante per ‘ho lavorato in un ristorante’);

4.

elaborazione creativa di forme inesistenti (p ren d èro per ‘prendevo’, son o a n d a tia m o per ‘siamo andati’).

Un indicatore molto positivo della riuscita del percorso di appren­ dim ento verso l ’italiano è la progressiva padronanza dell’uso scritto espressivo della lingua (al polo diam etralm ente opposto di un ideale continuu m si colloca la “fossilizzazione”, cioè l ’arresto del percorso). Un esempio è dato dagli usi letterari dell’italiano da parti di scrittori stranieri im m igrati in Italia, che «stanno creando un nuovo capitolo della storia dell’eteroglossia letteraria italiana, cioè l ’uso della lingua per scelta consapevole di non madrelingua» (Palerm o 2016). Leggia­ mo, per concludere, il passo che segue, tratto dal rom anzo L’essen ziale è in visibile agli occh i (1997) di Jarm ila Ockayovà, scrittrice slovacca trasferitasi ancora diciannovenne in Italia (dove tuttora vive). Nel bra­ no a rispondere a Elia è la protagonista del rom anzo, la quarantenne Agata, di origine slovacca, stabilitasi in Italia dall’adolescenza. «Che significa, per te, parlare una lingua non tua?» Guardai il piatto davanti a me, avevamo ordinato due crèpes con miele e noci e la cameriera le aveva appena posate sul tavolo. «Parlare la lingua materna è come trovarsi la tavola già apparecchiata, il cibo belle pronto che ti portano dalla cucina di un ri­ storante. Adottare una lingua nuova, invece, è come doversi cucinare quella stessa pietanza da soli. Fai la spesa, imbratti la cucina, stai attento a ogni in­ grediente. Poi, quando mangi, sei più consapevole di quello che hai sul piat­ to». «È difficile far convivere due lingue?» Risi: «Sai, qualche volta fai fatica a masticare e deglutire, con due lingue nella bocca. Per non soffermarsi sulla 19

L’italiano e le sue varietà

corretta articolazione delle parole. Al mattino ti guardi allo specchio e ti fai delle linguacce, proprio linguacce, al plurale: nel senso che accanto alla prima lingua nella cavità orale ti ritrovi una seconda protuberanza che ha la stessa grandezza, forma e sensibilità. Qualche volta ti chiedi se non sarebbe meglio, per semplificarsi la vita, amputare la vecchia lingua... ma poi ti abitui». «Una metafora efficace... ma non è così per tutti?» domandò Elia. «Non siamo tutti costretti a coltivare due o più lingue anche all’interno dello stesso lessico? Ogni volta che cambi l’ambiente, gli interlocutori, sembra tu debba cambiare la lingua, per farti capire...» Lo guardai con gratitudine (Ockayovà 1997: 54). Le parole di Elia ci insegnano che siamo tutti “nuovi italiani” ogni volta che usiamo un “nuovo italiano” adatto alle necessità del momento.

II Varietà diatopiche

2.1 Gli italiani regionali Se un parlante nativo italiano (cioè di m adrelingua italiana), ma non napoletano, fosse chiam ato ad ascoltare per la prim a volta un fram m ento di parlato (recitato) del fam osissim o attore M assim o Troisi (per esempio quello in cui dialoga sulle metafore con Pablo Neruda, interpretato da Philippe Noiret, nel film II p ostin o del 1994)1, valutereb­ be subito Troisi come parlante italiano, ma con un accento diverso dal suo. Chissà se il nostro parlante riuscirebbe a identificare tale accento come napoletano sulla base di alcune spie linguistiche presenti nella scena citata ad esempio. Si pensi a Troisi, che si rivolge a “don” Pablo con il “voi”, o che pronuncia la fricativa alveodentale sorda [s] iniziale in scritto come una prepalatale [J] - la stessa di lascio per intederci, op­ pure il dittongo uò- con la vocale tonica chiusa - u òm o anziché uòm o, o ancora p ec c h é al posto di p erch é, in cui l ’occlusiva velare sorda [k] rende uguale a sé la vibrante [r], diventando doppia (sulla lingua di Troisi vedi Strom boli 2000). Le domande da porsi sono: il nostro parlante e Troisi parlano due lingue diverse, pur essendo entram bi nativi italiani? Oppure parlano due dialetti diversi? La risposta è negativa per entram be le domande: parlano, infatti, due varietà diverse di italiano in accordo con la loro diversa area geografica di provenienza (quale che sia quella del nostro parlante). Tali varietà prendono il nome di varietà diatopiche (dal greco 1

20

www.youtube.com/watch?v=FEwWhoERAyg. 21

II

L’italiano e le sue varietà

d ia attraverso’ e topos ‘luogo’), in cui si collocano gli italiani regionali (vedi De Blasi 2014). Poggi Salani (2010: 726; il corsivo è dell’autrice) chiarisce che: si intende per italiano regionale un italiano che varia su base geografica. Nella formula si riassume perciò il variare dell’aspetto dell’italiano e insieme il suo differente organizzarsi sul territorio nazionale [...] con l’aggettivo regionale non ci si riferisce propriamente alle regioni amministrative, ma a regioni lin­ guistiche di varia estensione, e [...] quindi regionale vale «di una certa zona» ed equivale a locale. In questo quadro si collocano dunque le tante forme della nostra lingua che qualifichiamo con qualche determinazione geografica, l’i­ taliano di Torino o di Catania, di una qualsiasi piccola città o invece di una più vasta area (con le sue similarità e variazioni interne). In parole ancora più semplici, l’italiano regionale è concretamente il nostro corrente italiano parlato e [...] della sua vitalità si trovano poi le tracce anche nella pagina scritta. Natural­ mente, nel suo vivere quotidiano, esso si modula variamente e si intreccia con le altre forme di variazione [...]. Sappiamo tutti infatti che l’elemento regiona­ le, differente, dell’italiano è normalmente più accentuato a livello popolare e che, d’altra parte, in situazioni di massima formalità chiunque, impegnandosi per innalzare il registro, cerca di allontanarsi il più possibile anche dal regio­ nalismo (ibidem). Telmon (1993) aveva chiam ato in gioco l’interferenza fra italiano (“senza aggettivi” o standard) e il dialetto, nella sua più complessa definizione degli italiani regionali quali: «sistemi dialettali intermedi (interlingue), autonomi, coerenti, dinam ici e relativamente strutturati, nei quali l ’interferenza di com pletam ento è costituita dal sostrato dia­ lettale “prim ario”» (ivi: 100; l’originale è in corsivo). In sostanza, per lo studioso, gli italiani regionali finiscono per coincidere con quelli che chiam a “nuovi d ialetti” (ivi: 99) («dialetti secondari» in D ’Achille 2011: 1545), frutto per l’appunto di una nuova e seconda dialettizzazione, che «consiste [...] nella m odalità differenziata con la quale le popolazioni italiane parlanti ciascuna il proprio dialetto hanno nel secolo e mezzo successivo all’unificazione politica (1861) appreso a parlare la lingua 22

Varietà diatopiche

italiana, secondo procedure non diverse da quelle deirapprendimento di una lingua straniera» (Telm on 2016: 302; cfr. sotto). Riform ula chiaram ente Poggi Salani (2010: 727) con la m etafora dell’innesto. L’italiano regionale storicamente è l’esito dell’adattarsi alle singole realtà dialettali preesistenti - e che normalmente erano l’unico modo di comunicare - di una lingua ‘piovuta dall’alto’: dalla scuola, dalle scritture, dallamministrazione, poi in tempi più re­ centi anche dal cinema, dalla radio, dalla TV. Si può dire che in tutta Italia - ec­ cettuata l’area centrale di quei dialetti che si differenziano solo moderatamente dalla lingua nazionale - l’arrivo dell’italiano, altra lingua benché sorella, è stato un innesto inatteso nella storia ininterrotta dell’evoluzione linguistica locale (in linea generale dal latino ai dialetti), divaricando per la prima volta le possibilità di comunicazione. E come ogni innesto la nuova lingua che veniva da fuori si è dovuta adattare al preesistente. Indicherem o ora alcuni dei principali tratti delle varietà regionali dell’italiano (in molti studi così ripartite: settentrionale, centrale con la sottovarietà toscana, rom ana, meridionale, m eridionale estrema e sarda) per quattro livelli di analisi linguistica: fonetico; morfosintattico; lessicale; non verbale (un repertorio molto ricco è consultabile in Telmon 1993: 101-sgg.; per i prim i due livelli si tiene conto di M arcato 2002: 97-sgg. e per i tratti fonetici cfr. anche il più recente C rocco 2017) (il simbolo > adoperato nelle tabelle 1 e 2 significa ‘realizzato com e’):

Alcuni tratti fonetici degli italiani regionali 1.

2.

Esempi

Neutralizzazione della pertinenza dell’apertura delle vocali intermedie al di fuori dell’Italia centrale

[’peska] e [’peska] > [peska];

Realizzazione sempre sonora di [s] intervocalica in tutta l’Italia settentrionale

[’ka:sa] > [’karza]

[’bot:te] e [’botite] > [’bot:te]

23

L’italiano e le sue varietà

C oncentriam oci sul tratto in tabella 2 “pronome personale oggetto te usato con funzione di soggetto” con D ’Addario (2017), che di recente ha indagato la percezione di parlanti [...] tarantini, riguardo ad alcune strut­ ture, presenti nel loro italiano regionale e nell’italiano regionale di altre aree linguistiche, che possono essere descritte come fenomeni di interferenza morfosintattica fra dialetto e italiano [...] nella loro [delle strutture] area di perti­ nenza, sono usate nella conversazione quotidiana e marcate verso il basso in diastratia e/o diafasia (ivi: 67). L’autrice rileva che la m aggior parte degli intervistati (60 equa­ mente ripartiti per sesso, età e scolarizzazione) percepisce il tratto in questione come m arcato diatopicam ente (settentrionale), ma corretto in italiano standard, e tollerabile in contesti di form alità maggiore ri­ spetto al parlato ordinario (cioè non diafasicam ente m arcati), risultato che lascerebbe (pre)vedere un’espansione del fenomeno a livello pani­ taliano. In Puglia avremo com unque modo di sostare a due riprese nel paragrafo successivo. Passando al lessico, gli esempi attingono al ricco serbatoio della geosinonim ia. I geosinonim i sono parole che hanno, com e i sinonim i, form a diversa e significato uguale, ma hanno anche, a differenza dei sinonim i, com unem ente registrati nei dizionari, una diffusione areale lim itata in alcuni casi a una singola città o poco più (cfr. Telmon 1993: 132). Com e riporta Poggi Salani (2010: 727): una recente indagine sull’italiano contemporaneo condotta mediante que­ stionario in diciotto città (Milano, Verona, Genova, Carrara, Prato, Firen­ ze, Arezzo, Livorno, Siena, Roma, Latina, Sassari, Nuoro, Oristano, Cagliari, L’Aquila, Lecce, Catania) dà indicazioni interessanti sulla persistenza della frammentazione, ossia sulla capacità di resistere alla tendenza unitaria da parte dell’elemento localmente radicato. Ora si tratta di tipi lessicali diversi, ora la differenza è morfologica.

II

Varietà diatopiche

m an i e d om an (i) l ’altro; l ’a ltro ieri, ieri l ’altro e a v a n tieri), gli am bienti di studio e/o di lavoro (c a n c ellin o , sp u g n etta o cim o sa per cancellare i segni di gesso dalla lavagna in ardesia? - cfr. Giovinazzo 2017; colore a p a s te llo o m a tita (c o lo ra ta )7. E non è forse quest’u ltim a il là p is7), la cultura m ateriale, tra cui spicca la cu cina (una ricca raccolta di casi a m o’ di enciclopedia è in A rcangeli 2015). A proposito del lessico gastronom ico: Rosetta e m ichetta, per esempio, sono due geosinonimi che designano una ‘pagnottina di forma rotonda, incisa nella parte superiore’: il primo pro­ viene dal Centro Italia e ha raggiunto una buona diffusione in ambito na­ zionale, mentre il secondo si mantiene in uso nell’area settentrionale. Una situazione più articolata si trova nel caso di anguria, di uso settentrionale, e dei geosinonimi pasteca, forma ligure di origine francese, portoghese e araba, cocom ero, usato più frequentemente nelle regioni centrali, e mellone o m elone d ’acqua, più tipico dell’uso meridionale (Adamo, Della Valle 2008: 61; il corsivo è degli autori). Si potrebbe naturalm ente continuare a lungo l ’elenco dei geosi­ nonim i, così com e delle am biguità e incom prensioni derivanti da usi lessicali impropri. Nel febbraio 2016 gli abitanti di Loano (Liguria, provincia di Savona) divulgarono su Facebook il seguente appello, tra il serio e il faceto: «Lanciam o un appello a tu tti i panificatori e produt­ tori di pizza e focaccia. Promuovete un doppio tariffario: ch i chiede ‘un pezzo di focaccia’ pagherà la cifra standard di un pezzo/etto/chilo; chi chiede ‘un pezzo di pizza bianca’ intendendo focaccia pagherà il doppio o il triplo. C hissà se intaccando il loro portafogli capiranno l ’im portanza di dare il giusto nome alle cose» (vedi figura 2).

Si tratta di alcune delle trentuno città censite nel progetto LinC i, L a L ingua d elle C ittà (per cui cfr. Nesi, Poggi Salani 2013). I geosinonim i afferiscono per lo più a sfere sem antiche della vita quotidiana come il tem po (ora e a d esso - eventualmente m o ’; d o p o d o ­ 26

27

II

L’italiano e le sue varietà

La seconda differenza attiene al num ero dei parlanti: secondo il report Istat 2014 relativo all’indagine compiuta nel 2012 sui com por­ tam enti degli adulti nel cam po dell’istruzione e formazione, con que­ siti riguardanti l’uso di italiano e dialetto, in quasi venti anni sarebbe aumentato il num ero di coloro che dichiarano di usare solo o preva­ lentemente l’italiano (53,1% in fam iglia; 56,4% con am ici; 84,8% con estranei), mentre sarebbe dim inuito l ’uso esclusivo del dialetto (9% in fam iglia e con am ici; 1,8% con estranei). Entram be le batterie di cifre rivelano quanto significativa sia stata, in diacronia, la conquista relativamente recente dell’italiano, se confrontate con le percentuali di italofoni (circa il 2,5%) e di analfabeti (oltre il 78%), all’indom ani dell’unificazione politica nazionale del 1861 (per i dettagli si rim anda a De M auro 1991 [1963], e al suo insostituibile e sempre valido lavoro, nonostante tutti i diversi correttivi proposti per calcolare l’italofonia al momento dell’U nità; sulla questione si veda il quadro aggiornato in Trifone 2017: 100-108). Ragioniam o, a incrocio, sulle due differenze appena richiamate. Come tutte le semplificazioni, quanto riportato nella citazione sopra è vero fino a un certo punto. Farebbe, infatti, grave torto alla realtà ri­ durre il panoram a sociolinguistico italiano odierno a una situazione di diglossia (Ferguson 1959), ossia di compresenza di lingue, l ’italiano e il dialetto, socio-funzionalm ente differenziate “con l ’accetta”, usate dai parlanti, rispettivam ente, per funzioni alte (prevalentemente form ali e dello scritto) e basse (inform ali e del parlato, dalle quali la lingua più di prestigio, cioè l’italiano, sarebbe esclusa). Per questo motivo, Berruto (1993a: 5-6; 2003 [1995]: 204-211) ha introdotto la categoria di dilalia in sostituzione di quella di diglossia (nella citazione seguente, si riferisca A all’italiano e B al dialetto): La dilalia si differenzia fondamentalmente dalla diglossia perché il codice A è usato, almeno da una parte della comunità, anche nel parlato conversazionale usuale, e perché, pur essendo chiara la distinzione funzionale di ambiti di spet­ tanza di A e di B rispettivamente, vi sono impieghi e domini in cui vengono usati di fatto, ed è normale usare, sia l’un[o] che l’altr[o] [...], alternativamente o congiuntamente (Berruto 2003: 207).

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Varietà diatopiche

Basti osservare da un lato il numero di parlanti oggi l ’italiano an ­ che nella conversazione orale quotidiana (su cui cfr. poco più sopra), e dall’altro gli usi dilalici odierni di italiano e dialetto in alcuni dom ini, incoraggiati dal possesso della lingua nazionale, e nonostante, stando ai dati Istat, l’uso del dialetto sia comunque in calo. Vediamo di riassu­ merne i principali considerando, nell’ordine, i seguenti quattro ambiti: la canzone; il cinem a; i nuovi media digitali usati dai giovani; le attività com m erciali (nella fattispecie le insegne). Una precisazione doverosa da fare è che: «se il dialetto è presente in nuovi dom ini com unicativi, spesso gli utenti sono però parlanti evanescenti o parlanti semiattivi, in grado di produrre fram m enti di conversazione in dialetto m a rara­ mente veri dialettofoni, o dialettofoni fluenti» (M arcato 2014: 57). Il prim o am bito è quello della canzone. Tra gli altri, Bitonti (2015), per esempio, ha indagato in sincronia la produzione musicale in area salentina, osservando che: «il ruolo del dialetto è, insiem e a ll’uso fre­ quente di cam bi di codice, quello di trasm ettere contenuti ideologici e identitari nel modo più espressivo possibile» (ivi: 303). Secondo l ’auto­ re, un esempio rappresentativo di questa attualissim a tendenza è quel­ lo costituito dal gruppo Boomdabash. Seguendo questo suggerimento, riportiam o in (3) una porzione del testo della canzone II solito italian o (interpretata con J-Ax; settem bre 2015), e appartenente al sotto-genere del rocksteady, che denuncia il fanatism o dell’italiano per la fuga all’e­ stero, e la sua presa di distanza dallo straniero, n ell’apparente atteg­ giam ento contrario di rispetto, messaggio sintetizzato in particolare nella parte in dialetto. Trova conferm a che «la novità di questo gruppo sta nella forte m escolanza dei sistemi: il contatto linguistico si realizza attraverso cam bi di codice» (ivi: 310) grazie a ll’uso di italiano, dialetto e inglese all’interno del medesimo evento com unicativo (per una di­ scussione del concetto di com m utazione di codice o code-sw itchin g si rim anda a Berruto (2003 [1995]: 216-224). (3) Passa il tempo pensavo di andare molto lontano e invece resterò per sempre il solito italiano ho una canzone in testa e i sogni chiusi in una mano e invece resterò per sempre il solito italiano Comu a tie nu lu su statu mai 33

Il

L’italiano e le sue varietà

e unu comu a mie si unu comu a mie cu sinti comu a mie tie tocca cu rispetti la gente diversa de tie ulia scappu de qquai puru ca è bellu qquai si ma quandu te nn ai ede megghiu de qquai diversi se nasce oppuru se denta 2015 non anni 30. Don t cali me white Don’t cali me black I’m singing this poor man blues Playin’ “Lalala” Don’t cali me white Don’t cali me black I’m singing this poor man blues Playin “Lalala”. Al cantare in dialetto viene oggi assegnato, dunque, un valore ide­ ologico e di denuncia sociale. Il dialetto è tuttavia presente, natural­ mente, anche nelle canzoni del passato (allora era lingua quotidiana), come ci ricorda da ultim o Còveri (2017) che, sulla base di un corpu s di nomi di donna nei titoli delle canzoni italiane del Novecento, ha o s­ servato per esempio la cospicua frequenza con cui ricorre il nom e M a­ ria (e i suoi derivati), anche nelle varianti dialettali. Proviam o allora a canticchiare la canzoncina del 1955 M a rieta [m on ta in g o n d o la ] in (4), già cantata da Nilla Pizzi e G ino Lattila, che rinvia al dialetto veneto, e che racconta un delizioso battibecco am oroso centrato sul fatto che a Venezia l’amore se f a in g o n d o eta . 4 (4) Marieta, monta in gondoa che mi te porto al Lido. Mi no, che no’ me fido, ti è massa un impostor. Cossa te disi cocoa? Perchè, se in quel boscheto... ...Ti m’ha scroca’ un baseto per pissegarme el cuor. E tiche-tiche-ti, ti ghe disi “no” 34

Varietà diatopiche

ma mi so’ che te bate el cuore, tiche-tiche-tà, anca lu lo sa che a Venessia l’amor se fa in gondoeta. Sulla questione del dialetto nella canzone italiana, inoltre, qualcu­ no ricorderà che per l ’edizione 2010 di S an rem o (la óOesima), che reca il sottotitolo di Festival d ella can zon e italian a, fu persino modificato (sebbene infelicemente) per la prima volta il regolamento della com pe­ tizione (articolo 6), am m ettendo canzoni in dialetto: «le canzoni do­ vranno essere in lingua italiana; si considerano appartenenti alla lin ­ gua italiana, quali espressione di cultura popolare, canzoni in lingua dialettale italiana e non fa venir meno il requisito dell’appartenenza alla lingua italiana la presenza di parole e/o locuzioni in lingua stra­ niera, purché tali da non snaturare il complessivo carattere italiano del testo» (il sottolineato è mio). In quell’edizione (vinta da Valerio Scanu con P er tutte le volte che), N ino D ’Angelo presentò con M aria Naziona­ le la canzone Ja m m o jà , interam ente in napoletano, sulla bellezza del M eridione, in contrasto con le im m agini negative continuam ente tra­ smesse dai mezzi di com unicazione (“due destini”; “le rose e le spine”). In (5) la strofa di apertura: (5) Jammo jà guadagnammace ’o pane Nuie tenimmo 'o sudore inf e mane E sapimmo cagnà Jammo jà e facimmo ampresso Sott'a st'Italia d"o smog e d"o stress Nuie simmo 'e furbe ca s'hann' 'a fa' fess Simmo nate cù duie destine, Simm' 'a notte e simmo a matina simme rose e simmo mspine Ma simmo ramo d"o stesso ciardino. Il secondo contesto è quello del cinem a (cfr. anche 5.4). Rossi (2017) focalizza la sua attenzione su ll’impiego dei dialetti, nell’ottica dell’at­ tuale plurilinguism o italiano, soprattutto in film e correnti dell’ulti­ m o decennio. Prendiam o dall’autore l ’esempio di T erraferm a (2011), diretto da Emanuele Crialese, inquadrabile nella corrente del realismo 35

L’italiano e le sue varietà

critico, «film nel quale l’aspetto deteriore dell’italianizzazione (m eta­ fora della globalizzazione) è rappresentato dallo zio del protagonista, interpretato da Beppe Fiorello, che infatti parla italiano. Il dialetto, in ­ vece, ha un duplice valore nel film: strum ento identitario e lim ite» (ivi: 27). Infatti, il protagonista del film, il giovane Filippo (interpretato da Filippo Pucillo), parla dialetto sia per m arcare la propria appartenenza, ereditata dal nonno, alla com unità dei pescatori dell’isola di Lampedu­ sa, dalla quale non intende distaccarsi (il lo ca le come lim ite geografico, oltre che linguistico), sia per esprim ere la propria iniziale ostilità nei confronti dell’“altro da sé”, ovvero i m igranti africani sbarcati sull’iso ­ la (lim ite sociale). In una scena del film [min. 13.49-16.13], la madre di Filippo, Giulietta (interpretata da Donatella Finocchiaro), per stim ola­ re il figlio a superare tali lim iti, e nella prospettiva di un cam biam ento di vita, gli dice (in italiano; trascriviam o utilizzando i tradizionali se­ gni grafici di interpunzione): GIULIETTA: E Filippo deve imparare a fare altre cose adesso! [...] Io vo­ glio che tu vedi altre cose, cose nuove, cose diverse, voglio che parli con gente diversa, non ti piacerebbe? [...] Manco l’italiano sai parlare! Filippo risponde puntualm ente nel suo dialetto, definendo più vol­ te sua madre una p ic c ir id d a (‘una bam bina’), e abbandonando alla fine della scena la conversazione. Conclude Rossi (ibidem ): Le scelte linguistiche di Terraferma rappresentano in modo esemplare, anche se pressoché inedito, il rapporto non soltanto tra generazioni, ma anche tra prospettiva globale e prospettiva locale. Il nipote, Filippo, è molto più vicino alla prospettiva locale del nonno che a quella globale dello zio, mentre la madre di Filippo si trova in certo qual modo nel mezzo e con funzione di mediatrice. D allo scherm o cinem atografico la scena “M anco l ’italiano sai par­ lare!” entra direttam ente in classe (corsi di lingua italiana), grazie alle attività offerte dal dossier pedagogico realizzato dal Centre Régional de D ocum entation Pédagogique-Académie de Strasbourg (CRDP)3. A

3 36

www.crdp-strasbourg.fr/main2/arts_culture/cinema/documents/terraferma.pdf.

II

Varietà diatopiche

un riassunto dei contenuti della scena seguono queste domande aperte poste agli studenti: Che lingua parlano Filippo e suo nonno? Perché Giulietta vuole cominciare un’altra vita? Perché il nonno si oppone? L’esercizio è completato dalla traccia di approfondimento: «Fai una ricerca sui dialetti d’Italia. Quante varianti regionali della lingua ita­ liana esistono?», che risulta non trasparente poiché non distingue, ma m escola e pone sullo stesso piano dialetti e varietà regionali dell’italia­ no (par. 2.1). Il terzo ambito che tratterem o è quello digitale (cfr. 5.4). Tempesta (2017) ha di recente preso in considerazione un corpu s di post trasm es­ si su Facebook che, nel paragone con il chiacchiericcio delle piazze re­ ali, comprendono uno o più proverbi, e sono stati scritti in italiano o in dialetto oppure in un codice misto da un campione di studenti univer sitari o che si sono diplomati (in maggioranza donne), di età compresa fra i 20 e i 28 an n i (una chiara definizione dell’enunciazione m istilin ­ gue o cod e-m ix in g intrafrasale è in Berruto (2003 [1995]: 220-222). Si osservi l ’esempio in (6), appartenente al gruppo di post riguardanti la critica (ovvero disapprovazione, rabbia, risentim ento), la cui «interpre­ tazione negativa emerge dal com m ento che ha un valore antifrastico» (Tempesta 2017: 295), ed è in dialetto rispetto al proverbio che è in italiano con funzione di introduzione: (6) Se il buongiorno si vede dal mattino osci stamu verament nguaiat oggi siamo veramente inguaiate Il post in (7) presenta, invece, il proverbio interam ente in dialet­ to (ivi: 299), ed è ascrivibile alla categoria dei post con chiave seria, m arcata dal maiuscolo e d all’uso di tre punti esclam ativi (su cui cfr. Arcangeli 2017): (7) PURU LE PURICI TENANU LA TOSSE! !! Anche le pulci hanno la tosse

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L’italiano e le sue varietà

Guardando a ll’oggi, negli ultim i anni un intenso dibattito è stato alimentato da voci favorevoli o contrarie a ll’introduzione del dialetto a scuola («Va bene far studiare ai nostri ragazzi le lingue straniere, va bene m andarli a ll’estero ma è giusto che conoscano il dialetto della loro città, la lingua dei loro nonni. Solo così possono davvero essere consapevoli delle loro radici e non dim enticare le proprie origini» a f­ fermava, per esempio, l ’Assessora alle Culture, Identità e Autonomie della regione Lom bardia C ristina Cappellini - Lega Nord - , alla fine di settembre 2016, alla vigilia della discussione di una legge sulla prom o­ zione del dialetto a scuola attraverso canali diversi; allo stanziam ento di fondi per l ’insegnam ento del dialetto deciso dalla Giunta regionale ligure, lo scrittore genovese Bru no M orchio, nell’ottobre 2015, replicò invece così: «In quanto scrittore che ha giocato con il dialetto nei suoi romanzi, am bisco a dire la m ia [...] sarebbe più utile e saggio investire su altre discipline e magari provare a insegnare sul serio ai nostri figli una lingua straniera [...] il dialetto, al pari del basto degli asini, del forcone e della vaporiera, appartiene a una cultura m orta che è bene salvaguardare aprendo musei e aree archeologiche, m a senza illudersi di restituirla alla vita e al quotidiano»). Se da un lato, com e scrive De Blasi (2011: 1297), «nel nuovo secolo, [...] appare sempre più necessario afferm are e difendere la centralità dell’italiano nella didattica», a maggior ragione in classi sempre più plurilingui, dall’altro, coerentem ente, il dialetto è «variamente utiliz­ zato, a seconda degli orientam enti pedagogici dei program m i e degli insegnanti, seguendo un percorso «dal noto a ll’ignoto», sfruttando le differenze e som iglianze con l ’italiano per l ’insegnamento/apprendimento di quest’ultim o» (M arcato 2002: 140). Da quando l’italiano ha raggiunto piena diffusione nel nostro paese, i testi letterari in dialetto hanno com inciato a trovare spazio nelle an­ tologie d ’italiano a uso scolastico. Un esempio si trova in alcune pagi­ ne estratte dal volume N a rrazion e e testi non letterari (sezione IL L a n arrazion e breve) dell’antologia per il biennio della scuola superiore T ram e& tem i (Jacomuzzi et al. 2011). Le pagine5 riportano l’intero rac­ 5 40

II

Varietà diatopiche

conto di Cam illeri L a p ro v a g en erale in Gli aran cin i di M on talban o (1999), e ci consentono quindi di muovere verso l ’im m aginaria cittadi­ na siciliana di Vigata, dove il racconto è ambientato, nel viaggio virtuale che stiamo compiendo in questo paragrafo. Leggiamo la parte iniziale del racconto in (8), prima di vedere quali attività di analisi del testo ven­ gono suggerite nel volume prim a menzionato: (8) La nottata era proprio tinta, botte di vento arraggiate si alternavano a rapide passate d’acqua tanto malintenzionate che parevano volessero in­ filzare i tetti. Montalbano era tornato a casa da poco, stanco perché il travaglio della jornata era stato duro e soprattutto faticante per la testa. Raprì la porta-finestra che dava sulla verandina: il mare si era mangiato la spiaggia e quasi toccava la casa. No, non era proprio cosa, l’unica era farsi una doccia e andarsi a corcare con un libro. Sì, ma quale? A eleggere il libro col quale avrebbe passato la notte condividendo il letto e gli ultimi pinsèri era macari capace di perderci un’orata. Per prima cosa, c’era la scelta del genere, il più adatto all’umore della serata. Un saggio storico sui fatti del secolo? Andiamoci piano: con tutti i revisionismi di moda, capitava che t’imbattevi in uno che ti veniva a contare che Hitler era stato in realtà uno pagato dagli ebrei per farli diventare delle vittime compatite in tutto il mondo. Allora ti pigliava il nirbùso e non chiudevi occhio. Un giallo? Sì, ma di che tipo? Forse era indicato per l’occasione uno di quelli inglesi, preferibilmente scritti da una fimmina, tutto fatto di intrecciati stati d’animo che però dopo tre pagine ti fanno stuffare. Allungò la mano per pigliarne uno che non aveva ancora letto e in quel momento il tele­ fono sonò. Cristo! Si era scordato di telefonare a Livia, certamente era lei che chiamava, preoccupata. Sollevò il ricevitore (Camilleri 1999: 7). A llo studente vengono prim a offerti degli strum enti di lettura in specchietti esplicativi sintetici, suddivisi in “I personaggi”; “Le tecni­ che espressive”; “La lingua e lo stile”. In quest’ultim o si dice quanto riportiam o in (9) (nell’originale si usa il colore rosso per le parole qui in grassetto): (9) L’aspetto più vistoso della prosa di Camilleri è certamente l’impasto lingui­ stico di dialetto e italiano, niente affatto folcloristico ma profondamente originale e che non riguarda soltanto i personaggi “siculi” ma diventa in primo luogo la lingua del narratore stesso. L’uso del dialetto in Camilleri

Non numerate in seieditrice.com/trame-e-temi/fìles/201 l/06/TT_NBreve_Camilleri.pdf. 41

L’italiano e le sue varietà

ha principalmente due funzioni: da un lato, quella di identificare concre­ tamente i luoghi delle azioni, perché lo scrittore non parla di avvenimenti generali, universali, bensì di eventi che, sebbene immaginari, sono calati in luoghi e tempi ben precisi; dall’altro, quella di far sentire al lettore certe circostanze comiche, ironiche, umoristiche. Un’apposita scheda di lavoro propone poi un’attività di analisi les­ sicale, con l’obiettivo di sviluppare nello studente, tenendo fermo l’ita­ liano e in prospettiva com parativa, la consapevolezza della gamma di risorse linguistiche sfruttate nel testo preso a riferim ento. L’istruzione è la seguente: «Cerca nel testo e riporta nella tabella sottostante alcuni esempi di dialetto, di m iscuglio dialetto-italiano, di lingua m acchero­ nica». Lo schema da seguire è quello in tabella 3: Dialetto

Dialetto-italiano

Lingua maccheronica

Tabella 3 - Modello di tabella per un’attività di analisi lessicale sul dialetto (da Jacomuzzi et al. 2011, volume A N arra zion e e testi non letterari).

Concludiam o dicendo che, con l ’andirivieni geografico e lingui­ stico che abbiamo tentato di percorrere in questo paragrafo, eviden­ ziando soltanto alcune delle nuove funzioni del dialetto (di denuncia sociale, affermazione identitaria, espressiva, ludica), ci siamo proposti di illustrare, per dirla con C erruti (2011) quanto segue: il dialetto [...] non mostra segnali evidenti di imminente estinzione, si mantie­ ne anzi stabilmente [...]; resiste all’influsso strutturale dell’italiano; e, benché non più indispensabile per i bisogni comunicativi della contemporaneità, risul­ ta funzionale e vitale [...]. Anche in virtù del mutato atteggiamento sociale nei suoi confronti, il dialetto, specie se alternato o frammisto all’italiano, compare anche in ambiti d’uso per i quali fino a qualche tempo fa ne era difficilmente prevedibile l’impiego. Proprio l’uso alternato con l’italiano nello stesso evento comunicativo rappresenta una delle principali tendenze della situazione socio­ linguistica contemporanea e pare configurarsi quale la principale forma di vita futura del dialetto.

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III Varietà diastratiche

3.1 L’italiano popolare La variazione diastratica (dal greco d ià ‘attraverso’ e la radice stra­ to) riguarda la classe sociale dei parlanti (e scriventi), il livello di istru­ zione, la provenienza (città, campagna ecc.), la classe generazionale (linguaggio dei giovani vs degli anziani) e il sesso (per cui si parla di una varietà linguistica peculiare delle donne). Im portante varietà dipendente dal grado di istruzione è l’italiano popolare, ossia quella varietà individuata da De M auro e Cortelazzo negli anni ’70 (dopo il lavoro pionieristico e ancora fondamentale di Spitzer 1921, ed. it. 1976, sulle lettere di prigionieri italiani della Prim a guerra mondiale), tipica di strati sociali bassi e caratterizzata da forti interferenze con il dialetto (si vedano D ’Achille 1994 e, aggiornato alla ricerca recente, Fresu 2016a). Per tale varietà, che con l ’oralità fa i conti solo in quanto si riverbera nella scrittura (la docum entazione princi­ pale è fornita da testi scritti), Francesco Bruni (1978) propose di sosti­ tuire la denominazione di italiano popolare con quella di italiano dei sem icolti, ovvero di individui appartenenti «a gruppi sottratti all’area dell’analfabetism o ma neppure del tutto partecipi della cultura eleva­ ta» (ivi: 230). Più recentemente con il term ine di semicolto Fresu (2014: 195) designa «lo scrivente che si serve dello strum ento linguistico in modo deviante rispetto alla norm a corrente, condivisa e accettata, e il cui com portam ento linguistico per tale motivo è soggetto a forte stig­ matizzazione sociale».

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III

L’italiano e le sue varietà

I sem icolti hanno un livello di espressione che dipende dalla pro­ pria istruzione (il m inim o, spesso solo elementare) e quindi da una scarsa e saltuaria pratica di scrittura: nello sforzo di scrivere in una varietà il più possibile vicina a ll’italiano standard, i semicolti cercano di evitare per com e possono gli elementi sentiti come popolari e diatopicamente m arcati. Il fatto perciò che nello scritto il sottofondo locale abbia riflessi contenuti ha fatto pensare inizialm ente a una sostanziale indipendenza di questa varietà dai sostrati dialettali, ovvero a un ca­ rattere sovraregionale; tale “u nitarietà” (con riferim ento soprattutto alla scelta dell’italiano anziché del dialetto) è stata ridim ensionata da­ gli studi successivi che hanno ribadito l ’im portanza della com ponen­ te locale. Ciò ha favorito, più di recente, l’interpretazione dell’italiano popolare come interlingua o varietà di apprendimento, nata dal con­ tatto tra dialetto (LI) e lingua (L2), quindi con fenom eni di interfe­ renza (specialm ente in ambito fonetico e, in m inor m isura, in quello lessicale) sim ili a quelli che caratterizzano p id g in s e lingue creole (cfr. Bcrruto 1983). Se l ’italiano popolare emerge com e varietà tra O tto- e Novecento in correlazione con il processo di italianizzazione dell’Italia unita, è vero anche che esempi di testi sem icolti, devianti rispetto alla norm a e intenzionalm ente non dialettali, si ritrovano lungo tutta la storia lin ­ guistica dell’italiano (cfr. il ricco quadro fornito da D ’Achille 1994). Resta il fatto che questa varietà, pur se dal prestigio basso e dalla diffusione relativamente contenuta, è stata ed è im portante per indi­ viduare i processi di acquisizione dell’italiano nei circu iti tradizionali (scuola) e in quelli non ufficiali, il rapporto dei sem icolti con varie­ tà prestigiose e generi testuali m odellizzanti, le m odalità e i canali di penetrazione per esempio di varietà di italiano circolanti (non solo quello letterario; nel periodo postunitario l’italiano burocratico ha svolto la funzione di norm a rassicurante di riferim ento), il grado di accostam ento da parte degli illetterati ai modelli norm ativi coevi (si veda l ’ampio affresco, cronologico e geografico, fornito da Testa 2014: 19-111). Proprio per questo le ultim e ricerche, invece di fissarsi su ll’op­ posizione troppo rigida standard (letterario) vs italiano popolare, pun­ tano piuttosto a evidenziare il con tin u u m di com petenze scrittorie (del 44

Varietà diastratiche

resto già Bruni 1984: 216 suggeriva di pensare alle «infinite gradazioni intermedie» esistenti tra i due poli delle categorie di colto e semicolto). A lcuni studiosi ritengono che l ’italiano popolare sia oggi poco si­ gnificativo nell’architettura variazionale dell’italiano, quindi se non scomparso del tutto, orm ai in via di estinzione. Secondo Berruto (20122 [1987]: 158-159), invece, il fatto che l’italiano dei parlanti poco istruiti sembri oggi meno m arcatam ente substandard e meno deviante rispetto ad alcuni decenni fa non vuol dire che non esista un nucleo di tratti condizionati dall’estrazione bassa dei parlanti: un italiano po­ polare certam ente meno visibile, ma non estinto; esso inoltre è ancora vivo in contesti di migrazione. È chiaro che la dim inuzione di parlanti che lo avevano come varietà principale, quindi la dim inuzione della fascia dei sem icolti, la diffusione capillare dell’istruzione e la risalita di alcuni tratti tipici dell’italiano popolare in altre varietà del repertorio collocano oggi questa varietà di lingua ai m argini, quasi fuori dal re­ pertorio; del resto l ’assenza di testi contem poranei si spiega anche con la riduzione drastica della corrispondenza epistolare, fonte principale negli studi. Va aggiunto, inoltre, che negli ultim i decenni i semicolti sono diventati spesso produttori di docum enti di tipo burocratico-am m inistrativo (cfr. Lubello 2015) e hanno un altro identikit se a loro, ov­ viam ente con prudenza, vanno ricondotte varie tracce e indizi lingui­ stici che emergono dalle nuove scritture sul web (cfr. M alagnini 2007; Fresu 2016b e il par. 3.4 sui nuovi semicolti).

3 .2

Una testualità oralizzante6

I fenom eni che caratterizzano la scrittura dei sem icolti vanno ri­ condotti principalmente a due ordini di m eccanism i (D ’Achille 1994: 66): il contatto con la realtà dialettale sottostante che provoca vari fe­

6 I testi di questo paragrafo e del successivo, quando non contengono l’indicazione della fonte, fanno parte del corpus Me.Tr.O.Polis in allestimento presso il Laboratorio LeGIt dell’Università di Salerno (diretto da Sergio Lubello) a cui hanno contribuito tesisti e corsisti di storia della lingua italiana degli anni 2013-2017. 45

III

L’italiano e le sue varietà

nom eni di interferenza, soprattutto nella fonetica e nel lessico, e la ri­ strutturazione, specialm ente in term ini di semplificazione linguistica (per esempio, attraverso l ’analogia e per reazione l ’ipercorrettismo). Accanto a tali fenom eni si registra una tendenza a ll’ipercaratterizzazione attraverso elem enti rafforzativi, enfatici e ridondanti. Va tuttavia precisato che tale tendenza pertiene anche al registro colloquiale e in ­ formale, e più in generale rientra nella questione della sovrapposizione tra italiano popolare e italiano parlato colloquiale (cfr. Berruto 20122 [1987]: 131-132, 139-142); inoltre alcuni fenom eni non possono consi­ derarsi esclusivi ma soltanto più frequenti nei testi dei semicolti. La scrittura dei sem icolti si caratterizza per l ’incapacità di astra­ zione sufficiente a form are un testo scritto autonomo dalle condizioni della com unicazione orale: la testualità pertanto, che proponiam o di definire com e oralizzante, corrisponde quasi a una messa per iscritto di un testo che, com e nel parlato, procede per blocchi separati da vuoti com unicativi, ellitticam ente, con rinvìi spesso assenti, con coesione e coerenza vacillanti, senza un progetto testuale (nella maggioranza dei casi) e con il frequente ricorso a pezzi prefabbricati, prelevati da m o­ delli alti e prestigiosi o che sono sedim entati nella m em oria (degli anni di scuola, per esempio). Per la cosiddetta “sgram m atica” dei sem icolti si rim anda al pro­ spetto esaustivo dei fenom eni fornito da Fresu (2014: 209-217), mentre in (1) osserviam o alcu ni dei tratti tipici che emergono da una lettera del 1967 (la scrivente, Tattella, nata il 28 dicembre del 1930, originaria di Forino, Avellino, frequentò la scuola fino alla terza elementare e si trasferì a ll’età di vent’anni a Torino per lavoro): (1) Torino 8-8-67 Cara sorella appena che miegiunta la tua lettera subito ti sono scrito asentire che stato tutto bene solo ci dispiace tanto di nostro patro che non e stato tanto bene spere che adesso sta bene nel medessimo tempo ti poso asicurare anche 46

Varietà diastratiche

dime uniti a mio marito e la piccola Rita e Orlandino e a sieme Antonietta colla sua famiglia Cara sorella a riquardo ai soldi tu non mele può dare questanno mele da i lanno che viene tanto io non mi servano io lidoveve metere alla banca celai tu e lo steso cherdo che ai capito Cara sorella ti faccio sapere che e portato apesare la bambina ne anche un mese e umentato un chilo e mezzo il Dottore quando la pesato che giavevo anche la roba adosso era 5. e settecento cinquanto e poi Cara sorella vi ringrazio tanto dei salami che ciavetto mandato e anche le nociole avoi e nostro patre io non ho piu che dirvi mirimetti ai piu Cari saluti uniti amio marito e tanti saluti a tuo marito e tanti baci alla piccola Celardina e digli che far poco i serpe non escano piu piccolo perche cele fate vedere i serpe e sicura che in campagna non civuol venire e tanti saluti da mio marito e tanti saluti a vostro patro e tanti baci da Orlandino ioti saluti e ti baci tua Antonietta Livello grafo-fo n etico. Si possono osservare: la totale m ancanza di interpunzione (ad eccezione di un punto dopo un numerale: era 5. e settecen to cin qu an to); l ’assenza di segni paragrafem atici (accenti: m ieg iu n ta, p u ò, p iu p erch e, e apostrofi); l ’uso della m aiuscola, corretto con 47

L’italiano e le sue varietà

i nomi propri, reverenziale in D ottore, è erroneo in C ara sorella e C ari saluti (che non si trovano a inizio frase, ma fanno parte di formule iniziali o finali solitam ente perciò in maiuscolo, com e evidentemente è impresso nella m em oria di lettura della scrivente). Sono spesso om es­ si grafem i con valore diacritico come [h] nelle forme del verbo avere {ai capito, celai ‘ce l ’h a i’, la ‘l ’ha’), mentre è erroneam ente presente in una form a con m etatesi (spostamento di lettere, suoni ecc.) ch erd o ‘cre­ do’ (un’altra m etatesi in f a r p o c o ‘fra poco’; entram be sembrerebbero piuttosto dei lapsu s c a la m i); confusione nell’uso di grafem i anche in riq u a rd o ‘riguardo’. Tipica dei sem icolti è l ’incertezza nella separazione delle parole e quindi n ell’individuazione dei confini di parola, per cui spesso gli ar­ ticoli, i pronomi, le preposizioni sono trascritti senza separazione dal nome (concrezione): m iegiu n ta; a sen tire; d im e; m ele; qu estan n o e tan­ no; lidoveve; celai; a p esa re; la ‘l ’ha’ e g iavevo; cia v etto ‘ci avete’; avoi; m irim etti; a m io ; cele ‘se le’; civuol; ioti; parallelam ente sono diffuse anche le segmentazioni im proprie: a siem e; d a i; ne an ch e; settecen to cin q u a n ­ ta. Affioram enti del sostrato dialettale sono: l ’oscillazione nell’uso del­ le consonanti doppie (data la tendenza dei dialetti cam pani a ll’uso di consonanti intense): s cr ito ;p o s o ; asicu rare; m etere; steso; ad osso; n ociole; e lo speculare raddoppiamento indebito delle consonanti scempie, talvolta per ipercorrettism o o per interferenze dialettali (m ed essim o); da sostrato sono spiegabili le form e e u m en tato ‘è aumentata; è cresciu­ ta’ (con aferesi da a u m en tata); g ia v ev o ‘aveva’ (con la sonora, invece di ciavevo, probabilm ente perché Tattella avrebbe pronunciato, com e an­ cora si pronuncia, la parola con la nasale ngiavevo, e quindi con sono­ rizzazione postnasale); in p a tr o e p a t r e si ha il m antenim ento dialettale della dentale sorda (che non sonorizza); in alcuni casi il m orfem a finale -e {spere ‘spero’; lid ov ev e Ti dovevo’; i serpe) è traccia dell’indebolim en­ to tipico cam pano della vocale finale atona. Livello m o rfo sin tattico . Frequente per analogia la regolarizzazio­ ne di paradigm i nom inali e aggettivali attraverso l ’adozione di m aschi­ li singolari in -o (il tipo cap oralo) e fem m inili in -a (il tipo m oglia); set­ tecento cin qu an to; p a tr o (ma anche p a tr e ); l’uso di aggettivi invariabili 48

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Varietà diastratiche

in funzione avverbiale e assenza del suffisso -m en te (anche nel parlato e nell’uso medio: solo ci dispiace). Incertezze nel sistema pronominale: gli anziché le {digli riferito a C elardin a); ricorrenti i casi di pleonasmo o ridondanza pronom inale, diffusissima nell’italiano colloquiale: a voi e nostro p a tre io non h o p iu ch e dirvi. N ell’ambito della m orfologia ver­ bale varie le oscillazioni anche per influssi dialettali {pu ò ‘puoi’; stato tutto b en e ‘state tutti bene’; g iavevo ‘aveva’; ciavetto m a n d a to ‘ci avete m andato’; io ti salu ti e ti b a c i ‘io ti saluto e ti bacio’). Un altro cam po m inato per i sem icolti è rappresentato d all’uso ir­ regolare delle preposizioni, omesse {vi ringrazio tanto d ei sa la m i che ciav etto m a n d a to e an ch e le nociole), sovrabbondanti {C ara sorella a riq u a rd o ai soldi) o sostituite da altre locuzioni {uniti a m io m arito ‘insieme a..’); tra le om issioni anche la congiunzione subordinativa se nella protasi di un periodo ipotetico ( 0 tu non m ele p u ò d a re q u estan ­ no); dialettale il ch e dopo a p p en a . N ell’uso degli ausiliari si registrano scam bi tra essere e avere in sintonia con i dialetti locali, specie m eri­ dionali: ti son o scrito; e p o r ta to ; m ancanza di concordanza: è u m en tato (riferito a donna). Livello sin tattico -testu ale. La poca padronanza con la con secu tio tem p oru m {m ele d a i lan n o ch e viene) è tipica del parlato, cosi come il sistema verbale con riduzione di tempi e modi: nella lettera compaiono principalm ente verbi all’indicativo presente e passato prossimo, talvol­ ta all’im perfetto {lidoveve; giav ev o; era); m ancano invece i congiuntivi anche con verbi come sp erare {spere ch e ad esso sta bene). Tipica è 1 an­ ticipazione o la ripresa clitica di costituenti dislocati a destra o a sini­ stra (dislocazioni): a riq u a rd o a i soldi tu non m ele p u ò d a re qu estan n o m ele d a i lan n o che viene. Diffuso negli scritti dei semicolti è l ’ana­ coluto o tema sospeso: io non m i serv an o; il D ottore q u a n d o la p esa to ch e giavevo... e r a 5. e settecen to. Netta è la prevalenza della paratassi, con preferenza per l ’uso della congiunzione e; la subordinazione, poco frequente, supera raram ente il primo grado. Nel complesso il registro della lettera resta sempre legato al livello dell’inform alità, com e è nor­ male nelle lettere private fam iliari; a maggior ragione stridono con tale colloquialità le espressioni di tipo burocratico (sentito com e modello 49

L’italiano e le sue varietà

prestigioso e forse unica norm a di riferim ento) e di tono formale: nel m ed essim o tem po; m irim etti a i p iu C ari saluti. Livello lessicale. Di influsso dialettale i serp e per ‘i serpenti’. R i­ sente del generale processo di semplificazione l ’impiego, come nel par­ lato, di genericism i (ro b a qui per ‘vestiti’). D i sapore dialettale lan n o ch e vien e ‘l ’anno prossim o’; tipica perifrasi di parlato, con ricorso a verbi tuttofare, m etere a lla b a n c a per ‘depositare’.

3.3

Le occasioni della scrittura: testi, epoche, scriventi

La docum entazione di scritti sem icolti si concentra nei periodi di codificazione linguistica (’500 e ’8 0 0 -’900) in cui si registra un avan­ zamento degli strati sociali bassi, e nei periodi di eventi dram m atici (guerre, emigrazioni) che determ inano un ricorso più frequente alla scrittura. Le tipologie testuali più utilizzate dai sem icolti appartengo­ no alle form e prim arie della scrittura (lettere, diari, agendine) e inol­ tre: scritture esposte com e cartelli, m anifesti, tavolette ex-voto, graffiti e scritte m urali (D ’A chille 1994: 54-55); docum enti burocratico-am m inistrativi; testi di carattere storico (memorie locali, libri di famiglia); testi di ambito religioso (scritture m istiche, cronache m onastiche, ve­ stizioni); più raram ente testi con velleità letterarie. D iam o conto, attra­ verso alcuni estratti di testi, di alcune tipologie significative. A. La confessione d i una strega. A ll’àmbito giuridico attiene la testi­ m onianza-confessione esibita nel processo, in cui i semicolti for­ niscono esempi spesso di seconda mano, cioè filtrati più o meno variamente da chi registrava le testim onianze o da un mediatore o da uno scrivano pubblico o da un avvocato o dal notaio. Im portan­ te, oltre che nota, testim onianza di parlato trascritto, è quella della laziale Bellezze U rsini da Collevecchio processata per stregoneria intorno al 1527-1528. La confessione è conservata nella versione ori­ ginaria vergata di suo pugno e nella relativa trascrizione eseguita dal notaio Luca Antonio nel corso del processo del 1527-1528: da 50

III

Varietà diastratiche

una parte la versione popolare, genuina, nel rom anesco dell’epoca nella sua varietà più bassa, dall’altra quella colta, toscanizzata, nel­ la varietà più alta del rom anesco dell’epoca. Un brevissim o stralcio in (2) con le due versioni a confronto (cit. da Trifone 2006 [1988]: 200 - 201): (2)______________________________________

Bellezze Ursini

Trascrizione del notaio

Io aio qumenzato a scioiere lu sacco, de che semo vetate dale nostre patro­ ne, e nollo possemo dire se non a chi imparamo, pure io ve Ilo dirrò corno se fa e come facemo a streare onne ien-te, che me è stato imparato e òlo fatto imparare ad altre femene

Io ho comenziato ad sciogliere el sac­ co, benché siamo vetate dalle nostre patrone, che non lo habiamo mai a dire, se non ad chi el volesse inpara­ re, e nollo possemo dire, pure io ve Ila dirrò ad punto corno se fa e facemo, e che me è stato insegnato e òlo facto e inparatolo ad altri, e se fa con grande ordine, e bisogna stare ad obedientia

Inconfondibile il rom anesco di Bellezze, mentre nella ripulitura del notaio si nota, accanto al toscaneggiam ento evidente (per tutti l ’arti­ colo el), la filigrana dei grafism i latineggianti e soprattutto burocratici. B. La le ttera alTautorità. In (3) una richiesta di sussidio al M inistero dell’interno (del 15 ottobre 1912) (cit. da Trifone 1992: 192): (3) A Sua Eccellenza II Ministro delflnterno Coppetti Ottavia [...] Essendo una povera vecchia abandonata dal marito da vario tempo non sapendo mai più notizie di lui, malata cronaca che la rende inabile in qualsiasi la­ voro, trovasi a dormire in un coritoio, priva del più necessario la povera donna nonà di che nutrirsi poiché esola e nona alcuno che provede al suo sostendamento. Perciò prega il magninimo cuore della S.V. IU.ma onde voglia degnarsi di essere esaudita dalla S.E. Inticipa ringraziamenti e Conossequio si firma Coppetti Ottavia

51

L’italiano e le sue varietà

Tra i tratti tipici della scrittura semicolta spicca il malapropismo cro n a ca per cro n ic a ; si noterà anche il ricorso a forme alte, come impone il genere testuale: la form a enclitica trovasi, inoltre l ’ab­ breviazione S.V III.m a, l ’attributo aulico m ag n in im o ‘m agnanim o’ (cuore), l’anteposizione del cognom e al nom e nella firma. Del resto anche l ’attacco della richiesta attraverso una subordinata gerundi­ vaie attiene allo stile ufficiale di richiesta a ll’autorità che la scriven­ te si sforza di raggiungere. C. Il testam en to olog rafo. Il testam ento olografo risponde a una pratica di uso antico e diffuso, quella di la scia r scritto (espressione ricorrente anche nel parlato). È una form a ordinaria di testamento (come il testam ento per atto di notaio, che può essere pubblico o segreto) ed è scritto direttam ente dal testatore che lo conserva presso di sé e può m odificarlo fino alla m orte. Nel testo in (4), un testam ento novecentesco di area cam pana (cit. da Lubello in corso di stampa), l ’elem ento giuridico è affidato alla scansione testuale con ricorso al form ulario tipico: n ell’incipit il modulo testa m en ­ to log rafo d a m e con fez io n a to , la partitura del testo con latinism i, non sempre corretti nella grafia e in parte inusuali (in p rim is, in secu n dis, in terzis e, per analogia, in fu n d is per in fu n d o ), e l ’im pie­ go di deissi tipica burocratica (so p ra sta n te, c o m e sop ra 4 ecc.); al registro giuridico attiene anche il ricorso alla stru ttu ra più im per­ sonale (la scia re la leg ittim a a) M ich ele fig lio invece di a m io fig lio M ichele. (4) Testamento lografo da me confezionato secondo consiglio legale di Peppe ’a paglietta che se ha sbagliato làffogo dall’aldilà morto e ’bbuono. Dice che, essendo moribondo, la mia volontà, scritta a mano con la data e la firma, vale pure cogli errori e sparambio il notaro. Perciò io mi fido e scrivo come posso. In primis. Tutto ai miei figli e niente a mia moglie diciamola così, che mai la voletti sposare e feci bene. Madre disamorata. Chi sa dove sta. In secundis. Leggittima a Michele figlio, leggittima a Elena figlia, leggittima a Gaetano figlio dal loro caro padre estinto qui presente che li ha riconosciuti al tribunale e li vuole bene come sanno. In terzis. Superchio a sorema e al soprastante Peppe suo marito, con onere di cura fino a morte 52

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Varietà diastratiche

fatta e esequie. Se muore Peppe prima di me, che mi pare possibbile datosi che sta scassato buono per vizzi di gioventù, il superchio va tutto a sorema con onere di cura e di esequie come sopra. In fundis. Mi arracomando le esequie. Non facciamo le solite figure di pezzente. Grafia-fonetica: tipica incertezza dei confini di parola (lografo); re­ gistrazione di consonanti intense (’bbu on o); geminazione consonan­ tica in leggittim a, p ossibb ile, vizzi, m i a rra c o m a n d o (con a prostetica). Nella m orfosintassi: suffisso m eridionale per nom i di mestiere -a ro (in notaro); regionale il pronome atono plur. li con valore di accusativo (li vuole ben e, con voler b en e costruito transitivam ente); desinenza del passato remoto di tipo m eridionale voletti; uso dell’aggettivo per 1 av­ verbio in (scassato) bu on o per bene; posposizione del possessivo con nom i di fam iglia (sorem a ‘m ia sorella’); frasi colloquiali e di parlato po­ polare anche espressivo (m orto e ’bbu on o, se h a sbag liato l ’afitogo, dato che sta scassato); inciso colloquiale (d iciam ola così) con ridondanza pronom inale (la) del ch e relativo (che m a i la voletti sposare). Nel lessico: ricorso a soprannom i e ipocoristici (’a p ag lietta); dialettali su perchio ‘ciò che resta, soverchio’ e sorem a ; giuridici sop rastan te, in prim is... in secundis... in terzis (con grafia italiana per tertiis), con on ere di cura; colloquiali scassato ‘distrutto fisicamente, m alridotto, m alconcio’; sp a­ ram bio ‘risparm io’ è ipercorrettism o del dial. sp arag n o (dato l ’esito na­ sale palatale dialettale di -m b -, per esempio cagn are ‘cam biare’). D. L ettere da con testi m ig rato ri, di gu erra, d i esilio. Raffaele De Ste­ fano scrive dal fronte di guerra alla moglie M aria Gioiella la lettera in (5). Nato nel 1914 a Solofra, in provincia di Avellino, Raffaele non conseguì neppure la licenza di quinta elementare, costretto da bam bino a lavorare nei campi. Nel 1942 viene inviato al fronte nei territori croati dove probabilmente perse la vita nei vari com batti­ m enti che si svolsero dal 15 al 17 febbraio 1943 nella località di Prozor (resta un solo verbale del m inistero di guerra che ne attestava l ’irreperibilità).

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III

L’italiano e le sue varietà

(5) Croazia 19/11/1942 Carissima moglia subito vi vengo a risposta sulla tua amata e desiderata lettera e mi sono molto consolato di sentire le tue buone notizie e nel metesimo tempo a sicurare di mè. Cara tu mi dici che ai ricevuto la lettera di quello di Avellino e ci sei andata a casa sua [...] Poi ti farò présente che ho ricevuto la lettera di nostro patre della data del 25/9 che caro il tuo biglietto dentro che mi parlavo di mio fratello che non avevo partito più, poi per le carte eia ve lo mandato a dire unaltra lettera che non e possibile che il mio comandante di compagnia mi a risposto che andavano solo quelli che avevano qualche telecramma imminente di vita e non altro... Pensaci bene poi ancora non preoccuparti di preghare a Ciro che questi sono santi che non fanno miracoli non vi incinnocchiate davanti che lascio che faccio il soldato [...] Io non ho più che dirti che mi dai tanti saluti a sorella nipoti e nipote zie e zio tanti baci alla cara mamma e tanti saluti a mio patre e tanti saluti alla sorella Michelina tanti baci ai cari nostri figli e a te tanti cari baci che par­ tono dal mio povero cuore tuo per sempre tuo caro marito I tratti sono quelli tipici della sgram m atica sem icolta (fin d all’incipit, come la forma analogica classica della scrittura popolare: m oglia), compreso il m eridionalism o, oggi ancora ben vivo, dell’accusativo pre­ posizionale (p reg h a re a Ciro). D ell’espressività emotiva tipica di que­ ste corrispondenze private fa fede l ’im m agine finale d ei cari b a c i che p a rto n o d a l m io p o v e r o cuore, insiem e alla ripetizione, in chiusa, del possessivo tuo p e r sem p re tuo ca ro m arito. E. D iari, autobiografie, rico rd i di fam iglia. A ntonio De M ita, nato a Nusco nel 1922 (e m orto nel 1991), Γ8 maggio del 1939 salpa da Genova con il transatlantico Conte Grande diretto in Argentina. N ell’ottobre del 1940 ebbe l ’idea di annotare su un quaderno una sorta di autobiografia. In (6) d all’incipit: (6) Buenos Aires 12 Ottombre 1940 EA XVIII Scrivo pagine di grande storia; storia da voi tutti ricordata; ed e quella di un giovane Italiano in America, che narra i successi della sua vita, Sono Antonio De Mita figlio di Amato

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Varietà diastratiche

e Mongelluzzo Rosa Nato a Nusco provincia di Avellino, Italia il 1922 il 27 Aprile, Sono figlio di una famiglia no molto ricca e ne molto povera viveva in campagna poco lontano dal paese, il mio paese era sopra di una grande roccia, della quale si osservano i dintorni, i monti, le campagne, e Comuni vicini. Qui racconto i miei anni passati in Italia la terra mia nativa, che tan­ to amo, perché della terra nativa miei cari non ci dovemo dimenticare mai, specialmente noi Italiani, che siamo della terra che porto la civiltà, larte, scrittura al mondo intero. Si noti la solennità che lo scrivente cerca di dare al dettato: p ag in e di g ra n d e storia, con rem iniscenze di scuola (l’aggettivo n ativa con ter­ ra) ed espressioni, forse anche legate a ricordi scolastici, dell Italia che portò la civiltà, l ’arte, la scrittu ra al m o n d o intero. Più avanti, n ell’au­ tobiografia, compaiono peraltro tracce di interferenza con lo spagnolo (,bu en , bu en a, a p rov ad o, istorico, espresare ‘esprimere’). F.

T esti di b rigan ti. Tra i testi crim inali quelli dei briganti sono signi­ ficativi dato il diffuso analfabetism o dei produttori. Del resto è sta­ to ricordato che alcune raccolte di questi docum enti, pur rivelando le gravi carenze dell’alfabetizzazione, dim ostrano anche la spin­ ta alla pratica della scrittura, quindi all’alfabetizzazione (Trifone 2017: 168), com e sul fronte avveniva tra m olti giovani analfabeti che nelle scuole m ilitari iniziavano ad apprendere i rudim enti dello scrivere e leggere. Il testo è un sottogenere di quello epistolare, la lettera di ricatto. Il testo in (7) è un messaggio dell’8 giugno 1861 della mano del brigante Chiavone (nato a Sora nel 1825) indirizzato a D on Francesco Palerm o di Castelluccio, oggi C astilliri, Prosino­ ne (ivi: 170-172):

(7) Signore, Siete precato alle stando di mandarmi la somma di ducato centi che ser­ veranno i miei omme della suddetta massa per pacamento che sarete re­ lasciate uno firmato da me che vi saranno reborsate dalla fondiaria subito nella mia transito nel Regnio e meglio che non sia necabele la mia doman­ da che per ordine di superiore comando che avevate da me uno bone da me della suddetta somma e subito per il porgitore. Chiavone Capitano 55

L’italiano e le sue varietà

Accanto ai tratti dipendenti dal sostrato dialettale come le sorde intervocaliche (precetto, p a c a m e n to , n ecab elé), la e protonica (serve­ ranno, relasciate), la vocale finale indistinta (ripristinata in a lle stan d o ‘a ll’istante’ con sonorizzazione dopo nasale), si notano: o m m e ‘uom i­ n i’, m assa ‘banda’, u n o bo n e ‘buono, ricevuta’; burocratici il numerale posposto (d u cato cen to), il deittico su d d etta (m assa, som m a), l ’anteposizione d ell’aggettivo (su p eriore com an d o). G. T accu in i, appu nti, ric e tta ri. Tra le scritture private, di tipo semi­ colto, raccolte anche per tram andare tradizioni, rientrano libri di ricette, perlopiù di m ano fem m inile, allestiti con una chiara orga­ nizzazione m icrotestuale (la sequenza ingredienti-operazioni). Da quello di M ichelina Prudente (campana, del 1920, in possesso della quinta elementare) è tratta la ricetta in (8) dei M astacciu oli d olci (m ostaccioli): (8) Kg 1 di farina gm 500 di zucchero gm 50 di cacao, gm 15 bicarbonata ammonieca. e. impastare con accqua a pasta di maccheroni. Poi p er il naspro gm 500 di zucchero gm 50 di cacao infornarli 3 volte I cuocere i mastacciuoli II infornarli due volte ha forn o moderato. Si noteranno: il passaggio al fem m inile di b ic a rb o n a ta (sentito com e aggettivo da concordare con a m m o n ieca ); le solite incertezze grafiche (a c c q u a ; h a fo r n o ) e segm entazioni improprie (in fo r n a r li); in ­ solita l’abbreviazione di g ra m m o con gm . Term ine di diffusione soprat­ tutto regionale (oggi nel sud) è il n asp ro ‘glassa zuccherina variamente arom atizzata e talora colorata, usata per ricoprire biscotti, dolci, ecc.’. 56

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Varietà diastratiche

H. Scrittu re esposte. Tra le scritture esposte semicolte rientrano an­ che le tavolette ex voto che presentano il m iracolo corredato da una scritta che lo racconta, testim oniando la cultura e la religiosità po­ polare. In (9) un esempio seicentesco proveniente dal Santuario del­ la Madonna del Bagno presso Deruta (cit. da D ’Achille 2017: 371): (9) 1667 || Christofono merciaro di Casalina |messe sopra la cerqua la ssa im(m)agine e |raccomandandoli la sua moglie agoniza(n)|te retornato a Casalina trovò la moglie |fuora di letto con perfetta sanità e che |scopava la casa Si osservi alm eno il suffisso meridionale di mestiere, al posto del toscano -aio, m erciaro. I.

Q uaderni d i scuola. Gli errori di C hecchina. Nel percorso di ap­ prendimento della scrittura e quindi dell’italiano nel cinquanten­ nio successivo all’U nità ci furono m olti canali non istituzionali, tra i quali quelli dell’insegnamento privato. È il caso di Checchina Ferri di Sulmona affidata alle cure di un precettore (cfr. Trifone 2007: 81-93, da cui è tratto il fram m ento in 10, ivi: 84-85) e di cui si conservano una trentina di quaderni con i com piti svolti negli anni intorno al 1876-1878. È evidente che attraverso gli errori di Chec­ china si rintraccia il percorso di apprendimento tra italiano come norm a che si cerca di conquistare, italiano regionale d’Abruzzo e italiano popolare; nell’esercizio che segue si riportano le successive correzioni di Checchina, da cui emerge il progressivo e non facile percorso verso l’italiano:

(10) Se noi saressimo più operosi faressimo meglio i nostri interessi > > Se noi saressimo più operosi faremmo meglio i nostri interessi > > Se noi saremmo più operosi faremmo meglio i nostri interessi Si osserverà nella costruzione del periodo ipotetico, nella terza fra­ se, quindi alla fine del processo correttorio, l ’uso del condizionale al posto del congiuntivo nella protasi, fenomeno tipico dell’italiano po­ polare, che in questo caso fa da ponte verso la lingua standard rispetto alle form e dialettali di partenza (saressim o, faressim o). 57

L’italiano e le sue varietà

3 . 4 1 nuovi

semicolti

Per inquadrare il profilo diverso dei semicolti di oggi (o nuovi se­ micolti; cfr. Fresu 2016b) è bene richiam are il fatto che al nuovo assetto dell’italiano ha contribuito in m odo determ inante quel processo di «de­ sacralizzazione» della scrittura (Antonelli 2014: 547) dovuto alla mas­ siccia diffusione dei m ed ia telematici (cfr. 5.4). La pratica della scrittura di massa ha favorito l ’abbassamento dei m eccanism i di controllo e l ’in ­ nalzamento della soglia di tolleranza verso tratti delle varietà inform ali e colloquiali che sono risaliti verso la norm a. D ’altra parte una novità è che l’italiano popolare (la cosiddetta lingua “selvaggia”) non sia più «frutto di una precoce emarginazione scolastica, ma [...] prodotto della stessa istituzione scolastica» (Bruni 1984: 184), come documenterebbe la presenza di alcuni suoi tratti in elaborati scolastici (dai tem i delle medie alle tesi universitarie; e si legga la e-m ail in 12). Diam o in (11) un estratto di un elaborato di uno studente universi­ tario (corpus di C atania, 2007-2011, cit. da Giuliano 2017: 278): (11) Indipendentemente dalla nascita della televisione, la trasmissione della comunicazione tramite supporto cartaceo permane, ma anch’essa presto subirà innovazioni grottesche. Le mie conoscenze infatti preludono l’uso del libro cartaceo, poiché a pa­ rer mio è il modo migliore per toccare per mano la cultura e per comuni­ care il proprio pensiero. Si notino: l ’attributo improprio (malapropismo) in n ov azion i g rot­ tesche, forse frutto di una sovrapposizione assonante con la forma p a z ­ zesche, che lo scrivente avrà sentito com e enfatica, l ’uso transitivo inac­ cettabile del verbo p r e lu d e r e e la frase idiom atica toccare con m a n o che diventa p e r m an o, forse per influsso di p r e n d e r e p e r m an o. Com e già aveva sottolineato D ’A chille (1994: 75), i sem icolti di ieri e i nuovi sem icolti sono accom unati dalla incapacità di dom inare la dimensione diafasica che determ ina il riversam ento di tratti non adeguati a ll’interno di produzioni che richiederebbero un altro re­ gistro. D ’altra parte il cosiddetto e -ta lia n o (come A ntonelli definisce tale varietà) rappresenta per alcune categorie di scriventi l ’unica scelta 58

III

Varietà diastratiche

possibile, ossia la sola varietà a disposizione di coloro che non hanno consuetudine con la scrittura; il che significa che il sem icolto di oggi è colui che ha una sola scelta possibile «ghettizzante e socialm ente defi­ citaria» (A ntonelli 2014: 551). La scrittu ra sul web consente, quindi, di osservare produzioni scritte di nuovi sem icolti, ma con m olta pruden­ za perché è necessario distinguere - anche se non sempre è possibile - tra devianze consapevoli, usi “allegri” (veloci, quindi trasandati) e l ’indigenza scritturale dello scrivente. Si guardi il caso di situazioni com unicative asim m etriche, com e l’interazione per posta elettronica tra docente e studente in am bito universitario. N onostante il livello di form alità della e-m ail in (12), che richiederebbe attenzione, control­ lo e rilettura, si incontrano errori vistosi, sconcordanze, usi im propri lessicali, incertezze nell’uso degli allocutivi (cit. da Lubello 2017: 92): (12) Gentile Professoressa, La qui presente *, studentessa della Facoltà di Lingue e Letterature Stra­ niere di *, desidera richiedervi di sostenere l’esame di Letteratura Tede­ sca, in data 14/06/15, per prima, causa visita di controllo per problemi di salute nel medesimo giorno: vi invito pertanto ad accettare le mie giusti­ ficazioni. Porgo cordiali saluti e rimango in attesa di un riscontro. * Si notino: il tratto più marcato in diastratia, cioè l ’oscillazione dell’allocutivo (lei/voi), inoltre il ricorso a formule burocratiche inges­ sate e inadatte (la qui p resen te, rich ied erv i come se fosse un certificato, nel m ed esim o g iorn o), la cancellazione di articoli e preposizioni (causa visita), usi impropri (g iu stificazion i al plurale, forse per influsso di ac­ cettare le mie scuse’). Tra i sem icolti del passato e quelli di oggi diversa è la condizio­ ne di scolarizzazione, oggi diffusa e capillare, m aggiori le occasioni di produzione e consum o di testi scritti, eterogenea la categoria degli scriventi che sono per lo più italofoni, giovani, in possesso di un titolo di studio m edio-alto, diverse anche le tipologie testuali: non più forme prim arie della scrittura, m a relazioni, corrispondenza epistolare elet­ tron ica e professionale, tesi di laurea, testi form ali anche di fruizione pubblica, spesso a carattere professionale e/o burocratico-aziendale (cfr. Lubello 2015). Si veda in (13), com e esempio, la perizia tecnica 59

III

L’italiano e le sue varietà

del 2011 su un incidente richiesta da uno studio legale (fonte: Lubello 2014b: 79-81): (13) Per traversie forzate,dovute all’indisposizione dell’Esimio Magistrato,che hanno dato avversità della fase accerta mentale,non dipeso da nessun in­ teressato alla questione,ma addebitabile al fato,che domina sugli uomini e cose,fino ad oggi il Ctu non ha potuto proseguire e portar al soddisfo il mandato conferitogli. Premesso ciò;Vi invita a pervenire presso il suo Studio il giorno 23/06/2011,alle ore 16:00,alfine di ricostruire in toto la dinamica che ha determinato la creatività del sinistro per cui è cau­ sa. Come primordio:condurre gli autoveicoli coinvolti nel fatto storico o quanto meno similari,onde eseguire un esame di simulazione vettoriale e geometrico,sul luogo teatro del sinistro. Nell’attesa del prossimo incontro, distintamente saluta. * Emerge un italiano im proponibile, a volte grottesco, condito con term ini inappropriati o storpiati o non pertinenti (p r im o r d io ), trasan­ dato dal punto di vista grafico-form ale, con errori di punteggiatura e di accapo, con ardite coniazioni (la form a a suffissazione zero so d ­ disfo), g iri di parole inutili o ricercate e spettacolari (sul luogo teatro d el sin istro > su l lu ogo d e ll’in ciden te) e circonlocuzioni ridicole (h a d eterm in a to la crea tiv ità d el sin istro > ch e h a ca u sa to l ’in ciden te; con ­ du rre g li au to v eico li coin volti n el f a t t o storico o q u a n to m en o sim ila ­ ri per dire gli a u to v eico li in cid en tati/coin v olti n e ll’in cid en te o sim ili), sconcordanze verbali e sintassi sospesa, m ancanza di controllo del soggetto/allocutivi nel testo, infrazione vistosa del prontuario di for­ mule cristallizzate (com e in chiusura l ’avverbio che precede il verbo: d istin tam en te salu ta) con elem enti estranei per vivacizzare il testo (le riflessioni personali nella frase: im p u ta b ile a l ca so ch e d o m in a sugli u om in i e cose). Lo schem a di Fresu (2016b: 114) in figura 1 riassume bene il quadro dei semicolti di ieri e di oggi:

Ieri

Varietà diastratiche

Oggi

> °

contesto diastratico: analfabetismo

> 0

contesto diastratico: scolarizzazione diffusa

> ° ° °

estensori: dialettofoni anziani privi di titolo di studio

> ° 0 0

estensori: italofoni giovani con titolo di studio medio-alto

>

tipologie testuali: private/familiari (lettere, diari, autobiografie, memorie ecc.)

>

tipologie testuali: (semi)pubbliche/professionali (relazioni, posta elettronica, tesi di laurea, circolari ecc.)

Figura 1 - I sem icolti di ieri e di oggi.

3.5

Altre varietà diastratiche

Alle varietà diastratiche appartengono i gerghi, che indicano un modo di esprimersi non com prensibile a chi ascolti, e sono usati da gruppi sociali o socioprofessionali al fine di escludere dalla com unica­ zione i non appartenenti al gruppo o a fini fatici (come nel gergo gio­ vanile). Il gergo si produce in diverse situazioni, am bienti e categorie (come il gergo di caserma, il gergo m edico ecc.), o in gruppi ristretti caratterizzati da determinate professioni o socialm ente connotati (per un profilo recente si veda M arcato 2013). I m eccanism i attraverso cui il gergo si rende incomprensibile per gli estranei sono alcuni proce­ dim enti di occultam ento, di mascheram ento e di prelievo lessicale da ambiti disparati: i caratteri linguistici si accompagnano alla volontà di non farsi comprendere (animus occultandi), la quale, sfruttata o meno che sia è in ogni caso una fun­ zione importante - della quale i gerganti sono ben consci - che si combina con una funzione sociopsicologica del gergo in quanto lingua segreta di un gruppo

60

61

L’italiano e le sue varietà

con specifiche connotazioni sociali quali la marginalità socioeconomica, il vagabondaggio (Marcato 2016: 352; il corsivo è dell’autrice). Per quanto riguarda i gerganti, inoltre, si classificano due grandi macrogruppi: i gerghi della m alavita e i gerghi di m estiere o di am ­ bulanti. Nel tempo i gerghi cam biano o si estinguono (per esempio, quelli antichi della m alavita, d etti fu r b e s ch i) o si form ano a ll’interno di nuovi gruppi e am bienti (quelli della m afia, della tossicodipenden­ za, ecc.). Il linguaggio giovanile è una varietà di lingua sociolinguisticamente complessa, ascritta di solito alle varietà diafasiche e diastratiche, «utilizzata, in m aniera più o m eno ampia e costante, m a quasi esclusi­ vamente nelle relazioni dei p e e r g r o u p , da adolescenti e postadolescenti (teenagers)» (Còveri 1988: 231). Oggi peraltro è la dimensione diamesica (lo scritto digitato, il trasm esso fonico) a essere particolarm ente interessante per le produzioni di gruppi giovanili. Rispetto ai linguaggi giovanili studiati nella letteratura degli anni ’90 (si veda Còveri 1988), quelli successivi sono m olto cam biati, stret­ tam ente legati com e sono non solo a mode, tendenze, ambienti, ma anche ad abitudini e m odalità com unicative (si pensi oggi a gruppi W hatsApp, a com unicazioni in chat, nei social network); la fascia d ’età che si etichetta com e “giovani” spesso riguarda più lo stile di vita che l ’età. Proprio per la continua evoluzione e lo stretto collegamento con mode transitorie e mezzi di com unicazione in continua trasform azio­ ne, il linguaggio giovanile «è caratterizzato da una veloce dinam ica, che porta a una continua variabilità e, di converso, al carattere forte­ mente effimero di m olte sue espressioni» (Cortelazzo 2010: 584). È ancora valida l ’osservazione di Còveri (1988: 233) secondo cui m anca «a quanto sem bra, un nucleo che sia specifico del linguaggio giovanile, rispetto ad altre varietà»; tuttavia nel linguaggio giovani­ le si possono individuare, con Cortelazzo (2010), alcune com ponenti costanti:

III

Varietà diastratiche

il suffisso -aro come in casinaro, discotecaro ecc., aggettivi in -oso com e palloso, p izzoso ‘noioso’, frequenza di prefissi come m ega- (m e­ gagalattico, m egaparty) e super- (superecon om ico); alla colloquialità rimandano anche gli ampi usi di lessico sessuale e coprolalico; uno strato dialettale: quello parlato nel territorio (in tal caso di­ ventando fattore di rinforzo dell’identità di gruppo e legame con il luogo) o anche di altre zone, in funzione prevalentemente ludicoespressiva; uno strato derivato da lingue straniere, sia internazionalismi sia pseudoforestierismi; uno strato costituito da parole tratte da lingue speciali o da gerghi; uno strato proveniente dalla lingua dei mass-media; uno strato gergale tradizionale; uno strato gergale innovante ed effimero. Al lessico - che è il livello certam ente più caratterizzante (cfr. Tri­ fone 2007: 135-153) - si affiancano anche vari tratti m orfosintattici, testuali, pragmatici; per esempio, l ’uso di fraseologia come ti prego! ‘è assurdo, non può essere’, non esiste p ro p rio ! ‘assolutamente n o!’, non ci p osso credere! ‘che bello!’ (si vedano per un breve quadro aggiornato Cortelazzo 2010 e M arcato 2016: 356-363).

una base di italiano colloquiale, informale, scherzoso: espressioni informali com e essere fu o r i (d i testa), alla grande!, formazioni con 62

63

IV Varietà diafasiche

4.1

Comunicare in molti modi

Le varietà diafasiche (dal greco did ‘attraverso’ e p h é m i ‘dire’) sono determ inate da vari fattori che influenzano le scelte linguistiche del parlante (o scrivente), quali per esempio il contesto, l ’interlocutore, lo scopo, il tema ecc.; esse vengono di solito divise in registri (o varietà situazionali) «dipendenti prim ariam ente dal carattere dell’interazione e dal ruolo reciproco assunto da parlante (o scrivente) e destinatario» (Berruto 1993b: 70) e sottocodici o linguaggi speciali dipendenti «pri­ m ariam ente d all’argomento del discorso e dall’ambito esperienziale di riferimento» (ibidem ). M entre le variazioni diatopica e diastratica riguardano complessivamente la com unità che parla una certa lingua, quella diafasica risiede nel singolo parlante. Ricorrendo alla schematizzazione di Halliday (1978), i fattori che entrano in gioco nelle varietà diafasiche appartengono a tre categorie fondamentali: il campo (fie ld ), il tenore (tenor) e il modo (m ode): 12 1.

il campo è dato dall’argomento di cui si parla o si scrive e dal tipo di attività svolta nella situazione e dall’insieme delle esperienze, delle azioni e dei contenuti semantici che questa implica e a cui fa riferi­ mento: chiamare un medico, discutere in un gruppo di amici, tenere una conferenza in un convegno, sono situazioni comunicative ben diverse che richiedono scelte linguistiche adeguate;

2.

il tenore è costituito dal rapporto in cui si pongono i partecipan­ ti all’interazione comunicativa e dai ruoli sociali reciproci che essi 65

L’italiano e le sue varietà

rivestono o assumono nella situazione: in famiglia o in ambiente di lavoro ci si esprime diversamente, perché diversa è la distanza sociale e comunicativa fra i partecipanti; 3.

il m odo è dato dal mezzo o canale fìsico attraverso cui passa la co ­ municazione e dal tipo di contatto interazionale che vi si realizza.

I tre fattori ovviamente interagiscono dando «luogo alle differenti opzioni che si attualizzano in ogni concreta situazione com unicati­ va: dare del “tu” (opzione di tenore) scrivendo una lettera (opzione di modo) di felicitazione per la laurea (opzione di cam po); dare del “lei” (tenore) chiedendo in classe (modo) una spiegazione a ll’insegnante di matem atica (campo), e via dicendo, in tutta una gam m a di possibilità di impiego della lingua nella illim itata differenziazione delle singole situazioni com unicative» (Berruto 201 lb: 1538).

4.2 I colori della lingua: registri, stili, livelli Il registro linguistico è legato al grado relativo di form alità o infor­ malità della situazione com unicativa e al grado di controllo e di atten­ zione del parlante. Possiamo avere, quindi, un registro formale, aulico, solenne oppure, al contrario, un registro inform ale, fam iliare, collo­ quiale, con una molteplicità di gradi interm edi e anche di com m istioni. 1 registri cam biano in base a ll’ambiente sociale in cui avviene la com unicazione; al tipo di relazione tra em ittente e destinatario che va­ ria a seconda del ruolo sociale e professionale dell’uno e dell’altro (vedi dopo), del grado di conoscenza (superficiale, intim a, formale), dell’età; a ll’oggetto della com unicazione: il tema di cui si parla può essere un tema noto a entram bi, della vita quotidiana o professionale, può essere un tema complesso o specialistico o può essere un tem a com pletamen­ te oscuro per uno dei due soggetti. In italiano il registro più form ale tende a coincidere con lo scritto e con le varietà standard o dell’italiano dell’uso medio, mentre il regi­ stro inform ale è più frequentem ente orale (cfr. Berruto 20122 [1987]:

66

IV

Varietà diafasiche

163-177 per un’analisi dettagliata dei registri e dell’italiano colloquia­ le cosiddetto “superregistro”). Una scala differenziata in otto registri è quella proposta da D ardano (1996: 199): aulico o ricercato; colto; form ale o ufficiale; medio; colloquiale; inform ale; popolare; fam iliare. Per registro, inoltre, si differenziano m olti sinonim i, com e le coppie secca torelrom p isca to le, vettu ralau to, red arg u irei rim p rov erare ecc. Un esempio lessicale noto in letteratura (fornito da Berruto 1993b: 72) il­ lustra bene i diversi modi di esprimere il concetto di m orire, in rela­ zione ai tre assi che definiscono il registro. L’asse orizzontale, relativo alle caratteristiche della situazione, ha com e poli form ale-inform ale; quello trasversale, relativo alle connotazioni della parola nelle diverse situazioni, ha com e poli solenne-volgare; infine l ’asse verticale, rela­ tivo a ll’uso di attenuazioni o giri di parole al posto di un’espressione cruda o volgare, ha come poli eufem istico-disfem istico. Nel punto di intersezione dei tre assi si collocano i term ini m orire e m a n ca re che sono neutri, indicano il concetto di m orire senza particolari sfum atu­ re o significati secondari o figurati, sono cioè non m arcati; ai poli dei tre assi troviam o da una parte, come espressioni form ali, eufem istiche e solenni, parole o locuzioni com e ren d ere l ’a n im a a D io, essere tolto ai p r o p r i ca ri, esa la re l ’ultim o respiro, d all’altra invece, sui poli opposti, crep are e tirare le cu oia, lasciarci, spegnersi, d efu n gere, estinguersi, a n ­ d a re a ll’altro m on d o, a n d a re a l C reatore. Per restare al lessico, sono caratteristiche salienti dei registri bassi: la scarsa varietà lessicale (e ricorso a parole p a sse-p artou t: cosa, fa c c e n ­ d a, fa tto ), l’uso frequente di genericism i, di forme espressive (disfemismi, epiteti ingiuriosi ecc.), di abbreviazioni (tele per television e, frig o p e r frig orifero), di gergaliSmi, di sinonim i colloquiali o bassi (crep are o sch iattare per m orire). Sono propri dei registri alti, più tipici dello scritto: l ’ampia varietà lessicale, l ’uso di term ini specifici e ben connotati semanticam ente, la frequenza di significati astratti, il ricorso a parole m orfologicamente complesse, a term ini desueti, arcaism i, tecnicism i, parole letterarie. La lista delle varianti lessicali ovviamente è aperta; inoltre la posi­ zione di ogni term ine nel diagram m a non è fissa: ciò vuol dire che una parola “bassa” usata in una conversazione tra due am ici può essere sen­ 67

L’italiano e le sue varietà

tita com e colloquiale, mentre la stessa parola in un contesto ufficiale e in una sede solenne può risultare volgare e rappresentare una caduta di stile, uno scivolamento nel turpiloquio. Nel breve estratto riportato in (1) sono sottolineate forme, espres­ sioni e strutture dell’italiano colloquiale presenti in un rom anzo de­ gli anni ’90 (Rossana Campo, M ai sen tita così b en e del 1995; cit. da Còveri et al. 1998: 205-206); si noteranno term ini colloquiali e gergali come p o lla , anche rafforzati espressivamente (bisteccon e), modi di dire, fraseologism i e strutture tipiche del parlato, soprattutto nella sintassi prevalentemente segmentata: (1) CHE COSA!!?? Fa la Ale, molli quel bisteccone di Hervé? A te ti ha dato di volta il cervello! Fa la Valeria anche se non ha mai visto nemmeno in fotografia EHervé. Io dico che fai bene, faccio io che conosco la mia polla, e anche il fidan­ zato della polla. Ou, ma che vi è preso? Vi ha dato di volta il cervello a tutte? fa la Monica. [...] C’è un altro bisteccone. sento odore di un altro bisteccone nei pressi. Se­ condo me ci dev’essere. Di contro si veda in (2) lo stile brillante, tipico di un corsivo di giornale, di un B u on g iorn o del 13 maggio 2 0 0 4 di M assim o G ram ellini (cit. da Gualdo 20172: 102): (2) Contro le immagini Mi dissocio dal convincimento diffuso che mostrare immagini di violenza sia giusto o addirittura necessario per accrescere la consapevolezza dei cittadini. Le foto delle torture e dell’ostaggio sgozzato contengono un inganno. Dicono a chi le guarda: siamo documenti auten­ tici che ti permettono di formarti un’opinione sui fatti. Ma mentono, per­ ché a diffonderle nel tritacarne mediatico è stato e sarà sempre un potere di parte, interessato a produrre certi effetti (le dimissioni di un ministro, la sollevazione di una massa). Quindi l’immagine non libera lo spettato­ re, lo usa. Ma c’è un’altra ragione ancora più importante che mi spinge a diffidarne. A differenza di un testo scritto, l’immagine di un orrore non stimola la riflessione, ma solo un’emozione momentanea e prevedibile, che si limita a ribadire ciò che sappiamo già: in questo caso che le guerre

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IV

Varietà diatesiche

di ogni epoca tendono a estrarre dall’uomo le pulsioni più estreme. Ma nella civiltà dell’immagine esiste solo ciò che vedi, sfringuellano i guru della modernità acritica per giustificare il loro voyeurismo. Un’altra tradizione di studi adopera, al posto di registro, il term ine più ambiguo di stile contestuale; in (3) si presenta lo stesso enunciato con form alità decrescente: (3) stile gelido ifrozen): I visitatori sono invitati a recarsi immediatamente al piano superiore, servendosi della scala. stile formale (form ai): I visitatori sono pregati di salire le scale im m edia­ tamente. stile colloquiale (consultative): Vi dispiacerebbe andare di sopra subito, per piacere? stile disinvolto (casual): È ora che andiate tutti di sopra, adesso. stile confidenziale (intimate): Dai, andate su, ragazzi. Si è detto che nella diafasia entra in gioco la relazione tra i parte­ cipanti a ll’atto com unicativo, quindi il ruolo e lo status. In base all’in­ tim ità e al rapporto di rango che lo lega all’interlocutore, il locutore adeguerà la propria strategia comunicativa al grado opportuno di form alità-inform alità. Prendono il nome di livelli le varietà tra le quali si sceglie a seconda della fam iliarità e del rapporto di rango tra il parlante, l’interlocuto­ re e chiunque altro partecipi, sia pure indirettam ente, all’interazione com unicativa (può, infatti, influire con la sola sua presenza su ciò che viene detto anche chi ascolta passivamente, se è diverso per età, status o sesso da coloro che stanno parlando e che sono invece omogenei in rapporto a questi parametri). In base all’interlocutore, dunque, tendiam o ad innalzare o ad ab­ bassare il livello dei nostri enunciati secondo uno spostam ento ver­ ticale che corrisponde in larga misura alla stratificazione sociale. La scala prevede dunque: livelli più bassi (con interlocutori più giovani o dipendenti); livelli paritari (con am ici, colleghi, coetanei); livelli più alti (con interlocutori più anziani, o che abbiano uno status sociale più elevato o con cui non ci sia alcun rapporto). U n esempio di accurata 69

L’italiano e le sue varietà

form alità vs inform ale colloquialità si può osservare nelle e-m ail che un impiegato scrive al dirigente (4) e a un collega (5) per com unicare la stessa inform azione (xx non potrà andare a lavorare il giorno dopo perché ammalato): (4) Preg.mo Direttore, con la presente La informo che a causa malattia domani non potrò recarmi in ufficio e dovrò restare a casa per tre giorni, come prescrittomi dal medi­ co. Pertanto chiederò la cortesia al collega * di poter completare la pratica che ho lasciato ieri in sospeso sulla mia scrivania. Le porgo i miei saluti più cordiali, xx (5) Caro Mario, sono ammalato e ho un certificato medico per starmene a casa fino a dopodomani. Puoi vedere tu di chiudere la pratica che ieri non sono riuscito a finire? La trovi sul mio tavolo. Avverto subito il capo. Grazie mille, ciao xx La variazione diafasica opera all’interno delle altre dimensioni di variazione: «ogni parlante di italiano parla una varietà diatopica di italiano nella form a della varietà diastratica della sua fascia sociale di appartenenza, e a ll’interno di questa ha a disposizione più scelte diafasiche» (Berruto 201 lb: 1539). Infine, condizionati d all’interlocutore sono anche i cosiddetti b ab y talk (ingl. m otherese) e fo r e ig n e r talk (detto anche xenoletto), cioè quel­ le varietà semplificate che si usano quando si parla ai bam bini piccoli o a uno straniero per facilitare la com unicazione.

4 .3

I linguaggi settoriali

I linguaggi settoriali o lingue speciali o linguaggi specialistici (come nella term inologia adottata da Gualdo, Telve 2011; a cui si ri­ manda per approfondimenti) hanno una circolazione più o m eno ri­ stretta, rivolta prevalentemente alla cerchia degli specialisti (è im pro­ babile che un convegno sulle ultim e scoperte nelle terapie oncologiche possa essere seguito da chi non ha buone conoscenze di medicina).

70

IV

Varietà diafasiche

Si possono grosso modo distinguere linguaggi settoriali s t r id o sensu (dell’inform atica, dell’econom ia, della m edicina, della fisica, ecc.) che presuppongono un alto livello di specializzazione, con un lessico spes­ so ostico e difficile e comprensibile solo agli addetti ai lavori, creato e organizzato secondo norm e ben precise, da quelli lato sensu che sono varietà di lingua utilizzate nell’ainbito di alcuni settori particolari, senza essere fortemente specialistici (per esempio, la lingua della poli­ tica, della pubblicità ecc.), e che attingono spesso alla lingua comune o ad altri linguaggi specialistici. I linguaggi specialistici riflettono conoscenze e saperi propri di un gruppo di esperti, dispongono perciò di un proprio lessico, tenden­ zialm ente m onosem ico (necessario per evitare am biguità e oscurità e per fornire la maggiore precisione possibile) e si caratterizzano per alcuni tratti tipici nella m orfosintassi e nell’organizzazione testuale; in particolare: nominalizzazione: il peso dell’informazione è sul nome, che viene potenziato rispetto al verbo (ilp ag am en to si effettua allo sportello al posto del più semplice si p a g a allo sportello); deagentificazione: si tratta della spersonalizzazione realizzata facen­ do ricorso a forme passive e a strutture impersonali (si p rev ed on o aree di alta pressione; la diagnosi verrà fo rn ita ); altissima coesione testuale, con numerosi richiam i interni (e ripeti­ zioni), come gli elementi deittici anaforici e cataforici (il suindicato giudice, il sopradetto avviso, il seguente teorem a), anafore, ecc.; alto livello di formalizzazione (si tratta di testi molto vincolanti, se­ condo la classificazione proposta da Sabatini 1999 che si basa sul vincolo comunicativo tra emittente e destinatario). Per ciò che riguarda il lessico, le parole proprie usate nelle lingue speciali si chiam ano tecnicism i, che possono essere specifici (esempi della linguistica: diatesi, m eta fo n ia , an a fo n esi, fo n e m a ecc.) oppure collaterali, quelli cioè non legati a effettive necessità denotative, ma adoperati per conferire uno stile più elevato e adeguato (per esempio so d d isfa re in m atematica: v alore di x ch e so d d isfa un’equ azion e). 71

L’italiano e le sue varietà

Schem atizzando, il lessico tecnico dei linguaggi specialistici è co ­ stituito da: parole comuni risemantizzate e specializzate (processo di tecnificazione), per esempio navigare (sul web) e fr e q u en z a che in fisica indica il ‘numero di volte in cui un fenomeno periodico si verifi­ ca nell’unità di tempo’. Tra l’accezione comune e il valore tecnico ci sono, dal punto di vista semantico, rapporti scalari che Rovere (2010: 805) distingue in tre tipi: a. affinità semantica molto alta (si pensi alla parola distanza, per esempio in geometria); b. condivi­ sione di un tratto semantico (connesso in matematica); c. comple­ ta assenza di tratti semantici condivisi (p erfetto in botanica che ha tu tt’altro significato); parole di altri linguaggi specialistici (processo di transfert): si trat­ ta della cosiddetta dimensione orizzontale, cioè il passaggio di un termine da un linguaggio specialistico all’altro; per esempio, vettore dalla matematica è passato nell’ingegneria aerospaziale a indicare ‘dispositivo per la messa in orbita di strumenti e veicoli’; neologismi, creati ricorrendo allaffissazione e alla composizione; in particolare si distingue l’alta presenza di confissi (detti anche prefissoidi e suffissoidi, di origine greca e latina: p irom an e, agorafobia, m esosfera); per la ricchezza (e denotatività) dellaffissazione si pensi alla nomenclatura della chim ica (an id rid e solforosa, solforica, ipoclo­ rosa, perclorica ecc.); prestiti: a parte il latino nel linguaggio giuridico, la gran parte dei forestierismi viene dall’inglese (da alcuni settori in particolare, com e l’inform atica); un esempio del linguaggio econom ico è spending review ‘revisione della spesa pubblica; sigle, acronimi e abbreviazioni: TAC ‘tomografia assiale compute­ rizzata, che rappresenta il caso molto frequente nei linguaggi tecnici di una sigla usata com e sostantivo (fare una tac, ecc.). D ell’im portanza sempre maggiore dei linguaggi settoriali nella lingua d ’uso è prova il costante passaggio di term ini alla lingua co ­

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IV

Varietà diafasiche

mune, secondo il processo di detecnificazione: per esempio, il term ine allerg ia dal linguaggio m edico è passato anche nella lingua d ’uso co­ mune a indicare ‘avversione per qualcosa’. È ovvio che anche un linguaggio specialistico può avere variazioni di registro a seconda dei destinatari e del contesto com unicativo: in un piano basso si colloca il linguaggio settoriale applicativo e pratico (per esempio, una guida o un manuale di istruzioni; nell’oralità una conversazione in un laboratorio), mentre in un piano alto si collocano testi com prensibili solo per gli addetti ai lavori. Su tale dimensione, detta verticale (cfr. Cortelazzo 1994), ci soffermiamo nei paragrafi che seguono.

4.4 Testi specialistici per tutti? La dimensione verticale 4.4.1 La lingua oscura del diritto e della burocrazia Il linguaggio giuridico ha una forte im pronta tradizionale (fitta su­ bordinazione, latinism i non adattati, predilezione per forme im perso­ nali, costrutti assoluti e m odi nom inali del verbo) ed è molto variegato nei testi che lo veicolano: dai testi norm ativi (statuti, leggi, decreti) a quelli applicativi in diversi ambiti, per esempio am m inistrativo (or­ dinanze), processuale (sentenze), ai testi interpretativi (sulla giuri­ sprudenza ecc.) fino ai testi in tribunale (deposizioni, arringhe ecc.). Si tratta di un linguaggio m olto variegato orizzontalm ente (nei suoi diversi sottosettori) e verticalm ente in base ai diversi am biti di uso e applicazione (si rinvia per un profilo d ’insieme a Gualdo, Telve 2011: 411-477 e per un’analisi in diacronia a Lubello 2017). N onostante si caratterizzi per la sua concisione e precisione (le leg­ gi dovrebbero essere scritte in modo non ambiguo), il linguaggio giu­ ridico spesso esclude il destinatario (non esperto) da una im m ediata comprensione; in aggiunta va detto che non tutti i testi legislativi ita­ liani (specie applicativi) sono scritti in modo chiaro. Si veda in (6) uno stralcio della legge 107 del 13 luglio 2015, detta della B u on a scu o la : un

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L’italiano e le sue varietà

periodo (fino ai due punti) lunghissim o, di ben 86 parole, faticoso, con strutture nom inali e formule stereotipate (tenuto con to di, n on ché, in relazion e a, n el risp etto di, vigente), con aggettivazione e lessico tipico {raggiungim ento, a ttiv ità p ro g ettu a li) e inutili allungam enti (sp azi di flessibilità): (6) Le istituzioni scolastiche, nei limiti delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, individuano il fabbisogno di posti dell’organico deH’autonomia, in relazione all’offerta formativa che intendono realizzare, nel rispetto del monte orario degli insegnamenti e tenuto conto della quota di autonomia dei curricoli e degli spazi di fles­ sibilità, nonché in riferimento a iniziative di potenziamento dell’offerta formativa e delle attività progettuali, per il raggiungimento degli obietti­ vi formativi individuati come prioritari tra i seguenti: [...] Si veda in (7), per contro, un articolo della nostra Costituzione, testo del diritto esemplare per chiarezza, costituito da 1.357 lem m i di cui 1.002 (il 74% del totale) appartengono al vocabolario di base dell’italiano, cioè a quelle 7.000 parole che ogni italiano usa abitualmente. Per un testo normativo italiano si tratta indubbiamente di «una prestazione eccezio­ nale» (De Mauro 2015: 24). L’alta leggibilità del testo è provata non solo dalle scelte lessicali, ma anche dalla brevità dei periodi (480 periodi con una media di 19,6 parole per frase). Se si considera l ’epoca in cui la C osti­ tuzione fu scritta (il censimento del 1951 indicava il 59,2% di ultraquat­ tordicenni sprovvisto di qualunque titolo di studio, anche elementare), sorprende il fatto che, proprio grazie alle sue caratteristiche linguistiche, essa potesse raggiungere, anche con l’aiuto di una lettura guidata, tutta la popolazione con licenza elementare: «non vi è testo legislativo italiano che possa vantare una caratteristica di così larga accessibilità» (ivi: 29): rispetto al corpus di leggi italiane, mediamente difficili e incomprensibi­ li, la C ostituzione m ostra la sua eccezionalità linguistica.7 (7) Articolo 4 della Costituzione della Repubblica italiana: La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuo­ ve le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha 74

IV

Varietà diafasiche

il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società. Del linguaggio giuridico il linguaggio burocratico rappresenta una variante particolarm ente estesa, dal momento che quella giuridica è la fonte prim aria della normativa burocratica: i testi burocratici, anche se prodotti per situazioni e scopi com unicativi diversi, im itano l’im po­ stazione e la lingua dei testi giuridico-legislativi spesso degradandone l ’assetto testuale. Il linguaggio burocratico conosce un ampio spettro di realizzazio­ ni testuali, di contesti d ’uso e di destinazioni, applicandosi a un ambito molto vasto di com unicazione (cfr. Serianni 20123: 139). Ad accom una­ re testi molto eterogenei non è né l ’em ittente e neppure il destinatario, ma un insieme di scelte linguistiche che delineano un codice scritto alto, tendenzialmente conservativo nelle sue strutture; la sua precoce trasform azione in un linguaggio ipertrofico e oscuro è com unem en­ te stigmatizzata con il term ine di burocratese, che è quel linguaggio usato negli usi pubblici e istituzionali, spesso oscuro e talvolta anche ambiguo. Una frase come quella che segue, in perfetto burocratese, C redo ch e si add iv en g a a lla realizzazion e di u n a solu zion e con cord ata, dovrebbe preferibilmente essere riscritta cosi: C redo ch e si a rriv i a un a cco rd o ; un esempio eclatante proviene da un cartello esposto qualche anno fa nel posteggio delle carrozze a Roma, in piazza di Spagna, che recita: S tazion am en to p e r au to p u b b lich e a trazion e ippica (l’episodio è ricordato da Beccaria 2010: 140). Pur trattandosi di una parodia del burocratese (detto anche a n ti­ lingua), il brano in (8), fam osissim o, scritto da Italo Calvino nel 1965, è significativo della differenza tra un testo semplice, chiaro, che cerca di descrivere l ’accaduto con esattezza e senza ricorrere a term in i tec­ nici, e la trascrizione burocratica: un brigadiere si trova davanti alla m acchina da scrivere e, seduto davanti a lui, l’interrogato risponde alle domande un po’ balbettando, m a attento a dire tutto quello che ha da dire nel modo più preciso e senza una parola di troppo; il brano in stile burocratico è m olto meno chiaro e ambiguo rispetto a ll’altro: 75

L’italiano e le sue varietà

(8) Stamattina presto andavo in cantina ad accendere la stufa e ho trovato tutti quei fiaschi di vino dietro la cassa del carbone. Ne ho preso uno per bermelo a cena. Non ne sapevo niente che la bottiglieria di sopra era stata scassinata. La trascrizione: «Il sottoscritto essendosi recato nelle prime ore antime­ ridiane nei locali dello scantinato per eseguire ravviamento dell’impian­ to termico, dichiara d’essere casualmente incorso nel rinvenimento di un quantitativo di prodotti vinicoli, situati in posizione retrostante al recipiente adibito al contenimento del combustibile, di aver effettuato l’a­ sportazione di uno dei detti articoli nell’intento di consumarlo durante il pasto pomeridiano, non essendo a conoscenza dell’avvenuta effrazione dell’esercizio soprastante» (Calvino 1980 [1965]: 122). Nella secondo testo, che è una verbalizzazione, cioè la trasposizio­ ne ufficiale per iscritto della ricostruzione dei fatti esposta oralm ente dall’interrogato, i contenuti sono gli stessi, m a le differenze lingui­ stiche e testuali sono notevoli: il prim o testo, in prim a persona, è più breve e organizzato in una struttura sintattica semplice, contiene pa­ role d’uso com une (ca n tin a , stu fa, fia s c h i d i vino, cassa d el ca rb on e); il discorso parlato ovviam ente fa ricorso a strutture di tipo colloquiale {non ne sap ev o n ien te che), m entre l ’impiego del pronome personale in n e ho p r e s o uno p e r b erm elo e d ell’aggettivo dim ostrativo in tutti q u ei fia s c h i crea un rapporto ravvicinato tra discorso e realtà, tra chi parla e le cose di cui parla. Nella traduzione in burocratese fatta dal brigadiere, il discorso vie­ ne trascritto in terza persona {il sottoscritto), il testo è molto più lungo e costituito da un solo periodo (con sette frasi subordinate e un largo ricorso a gerundi e a participi); alle parole concrete, com prensibili e semplici, vengono sostituite parole o perifrasi complesse (la locuzione tem porale sta m a ttin a p resto diventa un inusuale n elle p r im e ore a n ti­ m erid ian e), in qualche caso con am biguità (stu fa > im p ian to term ico; fia s c h i d i vino > qu an titativ o d i p r o d o tti v in icoli; bottig lieria di sopra > esercizio sop rastan te ecc.). Inoltre, dove nel prim o testo ceran o verbi com uni e concreti, nel secondo si trovano perifrasi con verbi più ri­ cercati e astratti accom pagnati da sostantivi (a cce n d ere la > eseguire

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IV

Varietà diafasiche

l ’av v iam en to del; trovare > in correre nel rin v en im en to ;p ren d ern e uno > effettu are l ’a sp o rta z io n e di uno ecc.). Tirando le som m e, anche se il significato non cam bia, il prim o testo risulta chiaro ed efficace, il secondo risulta contorto, difficile, d all’espressione non sempre appropriata, talvolta vaga, generica e am bigua. I testi burocratici circolan ti tra gli addetti ai lavori sono di norm a più tecn ici e non solo sono redatti in burocratese (nel senso dell’ipercaratterizzazione dei tratti), m a sono spesso anche gram m aticalm ente problem atici, com e si può agilm ente notare nel testo in (9), una lettera (tratta da Lubello 2014b: 85) che nel febbraio 2006 un dirigente sco­ lastico inviò agli insegnanti e al personale ATA della sua scuola: si notino un ridicolo ricorso a perifrasi astruse e circonlocuzioni grot­ tesche (coralità lu d ico-esp ressiv a per festeg g ia m en ti d i ca rn ev a le; nella g io rn a ta in p a r o la , precisazione ridondante e superflua rispetto alla chiara indicazione dell’oggetto; p restera n n o serv izio in turno a n tim e­ rid ia n o in situ azion e di co n tem p o ra n eità operativa), eccesso di deissi anaforica, form e astratte e im precise, locuzioni sinonim iche inefficaci o ridicole {an tim erid ia n o ricorda il passo celebre di Calvino prim a ci­ tato), anche scorrettezze gram m aticali e sintattiche {le SS.LL. fa r a n n o con oscere... in ciascu n o d elle Vostre classi e sezion i) o form e inutili di precisionism o e di innalzam ento del registro (come il plurale inglese p er fo r m a n ce s): (9) Oggetto: Organizzazione momenti di coralità ludico-espressiva nella gior­ nata del martedì grasso (28/2). Come previsto con delibera del Consiglio di Circolo del 26/10/2005, in data 28/02/2006 {martedì grasso) le attività didattiche avranno conclusione alle ore 11.30 presso tutte le scuole primarie e dell’infanzia del Circolo. Poiché, come di consueto, in tale giornata le attività tendono ad as­ sumere aspetti e si sviluppano secondo modalità tali da risultare in con­ sonanza con le dimensioni ludico-espressive che caratterizzano la relativa dimensione tradizionalmente festiva e festosa e al fine di agevolare il tem­ pestivo ripristino della vivibilità ed agibilità dei locali scolastici, si dispone quanto segue: 77

L’italiano e le sue varietà

1. Le SS.LL. faranno conoscere allo scrivente, per il tramite delTins. mediante consegna di specifica, schematica progettazione, le determina­ zioni che si assumeranno circa le modalità e i contenuti (organizzativi e didattici) dei percorsi ludico-formativi che attiveranno nella giornata su riferita in ciascuno delle Vostre classi e sezioni; [.·.] 4. non si darà avvio a performances ludiche di alcun genere prima delle ore 10.00. Gli insegnanti del turno pomeridiano, nella giornata in parola, preste­ ranno servizio in turno antimeridiano in situazione di contemporaneità operativa. Ugualmente in orario antimeridiano troverà sviluppo, nella me­ desima giornata, il servizio di istituto del personale ATA. Come ricorda Palermo (2015: 216), il cambiamento culturale della fine del ’900, che ha mutato a livello globale i rapporti di forza tra econo­ mia e politica a vantaggio della prima, ha avuto dal punto di vista lingui­ stico lo slittamento della comunicazione pubblica dal burocratese verso un linguaggio aziendale, zeppo di anglicismi, tecnicismi economici e del marketing (che Antonelli 2007: 76 ha chiamato aziendalese). Si legga re ­ mali di servizio in (10), inviata da un’impiegata dell’ufficio per i rapporti con la clientela (o cu stom er care) di una grande azienda italiana al re­ sponsabile del proprio settore, con le tipiche caratteristiche di uno stile più informale (si usa il tu , anche se è un dirigente), molti anglicismi e non sempre necessari (ma lo è Gantt che prende il nome da un ingegnere e indica un tipo di grafico) e insieme burocratismi stereotipati (relativo a, essere in attesa di, d a p a r te di per ‘da’, per qu an to con cern e ecc.). (10) In allegato troverai il primo draft del Gantt delle attività relative al “crisis management”. Le date di scadenza sono state individuate (in rosso) solo per le attività più urgenti su cui il gdl si era impegnato nel corso del mee­ ting di kickoff del 14 u.s. In particolare si prevede il rilascio del primo draft del “Prepardness pian” revisionato ed integrato per la fine di febbraio 2004. Sono in attesa di un feedback, da parte della dirigente per quanto concerne la disponibilità di un corso di formazione da far seguire al crisis team che dovremo a breve costituire.

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IV

Varietà diafasiche

4.4.2 Divulgare la medicina: la salute alla portata di tutti Pur avendo un lessico estremam ente tecnico e specializzato, il linguaggio della m edicina è il più presente nella lingua d’uso, anche perché la m edicina interessa tutti da vicino (si rinvia a Serianni 20123 per una breve sintesi e a Serianni 2005 per aspetti diversi anche sulla divulgazione del linguaggio medico). Nella term inologia m edica sono numerosi, più che in altri linguag­ gi scientifici, i com posti neoclassici (n efrolog o, a d en o p a tia , o to rin o la ­ rin goiatra, g astroen terolog ia ecc.), m entre gli affissi, a cui si ricorre per la formazione di tecnicism i, denotano significati precisi, per es. -ite un processo infiam m atorio {gastrite), -osi u n’affezione non infiam m atoria a carattere degenerativo (artrosi), -orna form azioni neoplastiche (m e­ la n o m a , carcin om a) ma anche altre patologie (g ra n u lo m a , em atom a). Ecco alcune delle caratteristiche principali (cfr. Serianni, Antonelli 20172: 120): forte presenza di tecnicism i collaterali: apprezzare ‘rilevare’; accu sa­ re (dolore); forme tratte dalla lingua comune (sofferen za), a volte per scelte eufemistiche (esito infausto ‘m orte’); uso diffuso di aggettivi di relazione (tifo esantem atico); frequenza del passivo e di strutture impersonali (si riscontra nel p a ­ ziente; l’infezione viene p rov ocata d a); nominalizzazione ( l’assorb im en to di tale m olecola determ in a la p ro ­ du zion e di anticorpi); ricorso ad eponimi (m orbo di P arkinson, sindrom e di M enière); abbondanza di sigle (DNA, Sars, T B C , Aids, VES ecc.). Un testo m edico scritto e rivolto a specialisti è molto diverso ri­ spetto a un testo medico divulgativo com e quelli presenti nelle rubri­ che di alcuni quotidiani o negli speciali di alcuni telegiornali; nelle stesse istruzioni che accom pagnano i m edicinali si trova una m istio­ ne tra term ini tecnici e spiegazioni per utenti non sempre in grado di comprendere tutti i term ini. 79

L’italiano e le sue varietà

iv

Varietà diafasiche

Passiamo a osservare, nella prospettiva verticale di cui si è detto, alcuni tipi di testo: risultano m olto tecnici tanto il fogliettino illustra­ tivo che accom pagna i m edicinali (11) quanto il referto medico (12). Entram bi non esitano a ricorrere a tecnicism i stretti, certam ente in ­ com prensibili ai più se non con l’aiuto di un dizionario o di uno spe­ cialista; del resto il nom e scherzoso di bugiardino, con cui si denom i­ na comunemente il foglietto illustrativo, sta a segnalare il fallim ento dell obiettivo com unicativo perché il testo risulta comprensibile solo a chi ha buone conoscenze di m edicina; nel secondo si noterà la sintassi tipica del referto con la form a impersonale (si con ferm a), la cancella­ zione di articoli (a ssottig liam en to ecc.), di verbi (reg olare il leg am en to interasseo; d a lesion i per d ov u te a lesioni):

(13) L’Universale. La Grande Enciclopedia Tematica, Medicina, Milano, Garzan­ ti, 2005,1: 355

(11) dal foglietto illustrativo del Diseon lmcg capsule molli:

(14) Dal mensile Come stai (luglio 2017, 7: 12):

Precauzioni per 1uso. Poiché 1 iperdosaggio di Diseon può provocare ipercalcemia ed in certi casi ipercalciuria, la calcemia va dosata almeno due volte la settimana nella fase di aggiustamento della posologia. [...] Du­ rante il trattamento con 1-alfa-idrossicolecalciferolo, le concentrazioni piasmatiche di fosfato devono essere controllate, per ridurre il rischio di calcificazioni ectopiche. (12) da un referto medico del 28 marzo 2017 (RM caviglia dx): Al controllo attuale si conferma assottigliamento e disomogeneità del le­ gamento peroneo-astralgico anteriore e del fascio profondo del legamento deltoideo da lesioni parziali. Regolare il legamento interosseo; minuta formazione similcistica da soffe­ renza dell’osso subcondrale al profilo calcaneale. Falda di versamento articolare tibio-astralgica anteriore. Regolari le restanti principali strutture tendinee e legamentose della caviglia. Com e esempi di divulgazione m edica possiam o leggere in sequen­ za, a decrescere di tecnicità, un estratto da un’enciclopedia medica per non specialisti (una garzantina) e tuttavia im prontata a scientificità (13) , e due estratti da rubriche di m edicina contenute in giornali, il prim o di tema m edico, ma per il grande pubblico (14), il secondo di intrattenim ento (15): 80

Come si cura il pneumotorace spontaneo? A causa dell’improwiso shock e della gravità della sintomatologia, è so­ vente necessario l’immediato ricovero in ospedale del paziente. Se l’esten­ sione del collasso polmonare supera la misura del 25-30%, o la lacerazione prodottasi nel polmone non si rimargina - per cui l’aria continua a entrare nella cavità pleurica, provocando un «pneumotorace iperteso» - è neces­ sario introdurre nella cavità toracica, attraverso una piccola incisione ap­ positamente praticata nella parete del torace, una cannula per far defluire l’aria e consentire così al polmone, una volta rimarginata la rottura, di dila­ tarsi nuovamente grazie al riassorbimento dell’aria del pneumotorace [...].

“Quei taglietti agli angoli della bocca” (risposta alla domanda di una lettri­ ce da parte di un medico). La chelite angolare è il termine medico per indicare i fastidiosi tagli agli angoli della bocca. Può interessare adulti e bambini, in particolar modo quando hanno un abbassamento delle difese immunitarie, in caso di stress psicofisico o carenza di vitamine. Tipicamente compaiono dopo cure an­ tibiotiche lunghe se la flora intestinale non è adeguatamente tutelata con l’assunzione di fermenti lattici probiotici. Sono facilitate inoltre dall’abitu­ dine di leccarsi le labbra e gli angoli della bocca [...]. (15) 11 medico spiega come curare la congestione d’estate in una rubrica del settimanale Di Più (agosto 2017, 33: 53): La congestione è uno dei disturbi tipici dell’estate. Può capitare dopo aver bevuto una bibita ghiacciata oppure per un colpo di aria condizionata geli­ da o, ancora, per un brusco passaggio dal freddo al caldo, ma anche tuffan­ dosi in piscina o in mare, sempre dopo un pasto molto abbondante. [...] Professore, che cos’è la congestione? “Tecnicamente la congestione è uno squilibrio serio tra l’afflusso di sangue più abbondante del solito nell’inte­ stino e la richiesta di sangue di altri organi periferici come gli arti inferiori e il cervello”. In (13) oltre alla precisione denotativa, che tuttavia non arriva a quella di un’enciclopedia m edica per specialisti, si noterà un italiano 81

L’italiano e le sue varietà

alto, di tipo letterario (sov en te, deflu ire; l ’ordine delle parole con ante­ posizione dell’aggettivo o dell’avverbio: im m ed ia to ricov ero, a p p o sita ­ m ente p r a tic a ta ; l ’opzione per i modi indefiniti: p ro d o tta si, p ra tic a ta , una volta rim argin ata). In (14) si noti nel titolo il dim inutivo eufem istico (i taglietti), un ag­ gettivo di coinvolgim ento che non attiene alla neutralità della descri­ zione m edica (fa stid io si tagli) e inoltre la tendenza a glossare (la chelite è il term in e p e r in dicare), anche attraverso piccoli riquadri esplicativi a parte (qui non è riportato quello sui p ro bio tici). In (15) la nota m edica, che evita tecnicism i e passaggi difficili, viene trattata come un tem a di conversazione con il pubblico in gran parte fem m inile, salvo l ’inserto, appena più tecnico e in stile più sostenuto, del m edico specialista intervistato.

4.4.3 Linguaggi specialistici e ibridazioni: la dimensione trasversale Linguaggi settoriali ibridi, in quanto attingono ad altri m esco­ lando i codici, sono per esempio quello pubblicitario (cfr. 5.4), quello sportivo, che ricorre spesso a stilem i e m etafore letterarie e ha un tasso basso di tecnicità ed è molto vicino alla lingua com une, e quello della politica, che scegliam o com e esempio su cui sofferm arci (e per il quale cfr. brevemente Desideri 2011). Da Beccaria (1973) in poi gli studi concordano nel considerare il linguaggio politico com e una varietà diafasica ibrida a ll’incontro tra linguaggi diversi e caratterizzato da più fattori: la situazione com uni­ cativa, i soggetti coinvolti nello scam bio com unicativo, il contesto in cui questo si verifica. Del passaggio dal linguaggio politico tradizionale al politichese del dopo-Tangentopoli (lo scandalo degli anni ’9 0 che portò alla crisi dei partiti della Prim a Repubblica) sono stati evidenziati: il paradigma del rispecchiam ento al posto del paradigm a della superiorità nel rapporto (in particolare linguistico) tra i personaggi politici e i destinatari dei loro messaggi; il crollo delle antinom ie ideologiche tipiche degli scon­ tri nei partiti tradizionali (comunismo/democrazia, fascismo/antifa82

IV

Varietà diafasiche

seismo ecc.) e la nuova logica, un po’ vaga, vecchio/nuovo; il fenom e­ no nuovo della personalizzazione e del leaderismo nella com petizione elettorale e quello, strettam ente correlato, della forte mediatizzazione che delinea un tipo nuovo di com unicazione politica (cfr. Gualdo, D ell’A nna 2004). Le strategie retoriche e oratorie di Berlusconi sono state am piam en­ te studiate (cfr. D ell’Anna 2010: 83-86): dall’uso ossessivo del pronome di prim a persona, narcisistico e autocelebrativo, alla costruzione delle frasi con strutture sintattiche semplici (frasi brevi, paratassi, quasi te­ legrafiche), all’impiego di lessico affettivo («l’Italia è il paese che amo»; «partito dell’amore» ecc.) e concreto, in coerenza con la cosiddetta «politica del fare» e contro la vecchia politica dei m assim i sistemi. Difensore dei valori etnico-autonom istici della cosiddetta P a d a ­ n ia, il fondatore della Lega Nord, Um berto Bossi, ricorre a un linguag­ gio dell’aggregazione e della m obilitazione, attraverso l’uso massiccio di m otti, massime, slogan coloriti e di forte im patto (il più noto «Roma ladrona/la Lega non perdona»), di semplici dicotom ie sem antiche (noi/ loro, sch iav i/p ad ron i, a u ton om ia/statalism o, produ ttiv ità/p arassitism o) e di un lessico trasgressivo e irriverente che sfocia facilm ente nel tur­ piloquio, nella denigrazione degli avversari. A nche se Bossi nel tempo, divenuta la Lega partito di governo, ha attenuato alcune asperità del suo linguaggio, restano tuttavia, come caratterizzanti di m olti espo­ nenti della Lega, stili e linguaggi im prontati a ll’offesa, al p o litic a i incorrect, alla xenofobia. La scena politica degli ultim i anni ha visto l ’emergere di nuovi leader e di linguaggi che rivelano, m u tatis m utandis, ampi richiam i a strutture e strategie com unicative di Bossi e di Berlusconi: Beppe G ril­ lo che parla, com e si suol dire, di pancia e alla pancia, e M atteo Renzi, abile e arguto com unicatore che conosce molto bene i media. Illum i­ nante è un agile, ma caustico p a m p h le t di Claudio Giunta (2015) su aspetti più generali, non solo linguistici, della com unicazione politica di Renzi, mentre sullo sdoganamento definitivo del turpiloquio con Beppe G rillo e sul ricorso a ll’aggressività delle «male parole» entrate sistem aticam ente e con piena cittadinanza nel discorso politico abbas­ sandone il livello cfr. A ntonelli (2017). 83

L’italiano e le sue varietà

Un esempio di ibridazione è la presenza del linguaggio sportivo in quello politico, m escolanza già presente prim a della Seconda Repub­ blica, m a intensificata forse dalla personalizzazione del confronto po­ litico che assume la fisionomia dello scontro quasi agonistico e in linea con la politica-spettacolo (D ell’Anna 2010: 105); com e si può notare in (16) non si tratta di singole parole, m a dell’intero periodo costruito com e se si trattasse di una cronaca sportiva:

IV

Varietà diafasiche

(17) Che bello sarebbe un giorno scoprire che esiste un pianeta davvero simile alla terra non solo abitabile ma abitato. È un sogno antico che ci farebbe sentire meno soli in questo universo e sarebbe anche un segnale che la vita non è un fenomeno così raro nel cosmo. Gli astrofisici grazie a strumenti sempre più potenti stanno oggi scoprendo molti nuovi sistemi solari con dei pianeti a volte con caratteristiche un po’ di tipo terrestre; ed è una ri­ cerca molto stimolante.

(16) Mettiamola così: nel primo tempo della nostra legislatura siamo stati costretti, da tanti eventi negativi e imprevedibili, a giocare in difesa. No­ nostante questo la nostra squadra ha creato azioni importanti e segnato qualche gol. Ora comincia il secondo tempo sul quale dobbiamo passare all’attacco e vincere la partita con un grane scarto di reti (Berlusconi, inter­ vista a Liberal, 20 ottobre 2003). Varietà di lingua e di genere testuale possono anche intersecarsi, trasversalm ente, nei testi specialistici: la divulgazione d all’idea tradi­ zionale di una trasm issione lineare dall’alto verso il basso è passata alla più moderna com unicazione pubblica della scienza, che coinvolge tutta la società, prevedendo l ’adozione di form e di espressione e di testualità m ultim odali (si pensi ai festival scientifici), l ’uso delle nuove tecnologie e l ’apertura a generi m eno form ali e accadem ici (d o cu -fiction , giochi e quiz ecc.) per avvicinare il pubblico ai risultati della ricerca scientifica (cfr. Gualdo, Telve 2011: 181-205). Del resto è il caso di segnalare che proprio grazie ai m edia sempre più num erosi sono i tecnicism i com ­ presi dai non addetti ai lavori, si pensi a: A lz h eim er (m o rb o di), incen ti­ vo, bon d, input, virus, ra d ica li liberi, virus ecc. Concludiam o con un fram m ento in (17) di divulgazione scientifica in T V in cui si parla della possibilità di scoprire pianeti sim ili alla terra (da una puntata del 2017 di S u p erqu ark presentata da Piero Angela)7: si noteranno la chiarezza, la linearità sintattica e la presenza di strategie retoriche della com unicazione rivolta al grande pubblico:

7 Siam o soli nell’universo del 28 giugno 2017, www.youtube.com/watchtvM3Yk kXZqWc. 84

85

V Varietà diamesiche

5.1

Una definizione problematica

La variazione diamesica (il term ine dal greco d ia - ‘attraverso’ e m esos ‘m ezzo’) è stata proposta da M ioni (1983) in riferim ento ai diversi usi della lingua dipendenti dal mezzo fisico o canale di com unicazio­ ne adoperato (fonico-acustico nel caso del parlato, grafico-visivo nello scritto). In realtà, questa definizione è tu tt’altro che pacifica, com e di­ m ostra il dibattito dalla sua introduzione a oggi, tracciato da Pistoiesi (2015, 2016). I principali problem i, al centro di tale dibattito, sono la collocazione della diamesia rispetto alle altre dim ensioni di variazione linguistica, in particolare alla diafasia, e la sua relativa autonomia. Berruto (20122 [1987]: 25) afferma, infatti, che: il riconoscimento dell’autonomia della dimensione diamesica non è del tutto chiarito in sede teorica. Indubbiamente, uso scritto e uso parlato rappresen­ tano due grandi classi di situazioni d’impiego della lingua: e questo è un buon argomento per ritenere la diamesia una sottocategoria della diafasia. D’altra parte, è anche vero che l’opposizione scritto-parlato taglia trasversalmente la diafasia e le altre dimensioni, e non è riconducibile completamente all’oppo­ sizione formale-informale. La debolezza del contenere la diamesia entro i confini della diafasia era stata già espressa da Berruto (1993a) (ancor prim a, in verità, da De M auro 1980: 118-sgg. nella modellazione dello spazio linguistico italiano), il quale, considerando la variazione diam esica a pieno titolo uno dei tre assi o dim ensioni dell’architettura dell’italiano, scriveva: 87

l’accoglimento di tale [...] dimensione fondamentale di variabilità, ancorché discutibile da più di un punto di vista, in quanto l’attivazione del canale orale 0 scritto d’uso della lingua avviene pur sempre in dipendenza dal costrutto «situazione di comunicazione», appare tuttavia utile e anche plausibile, giac­ ché, pur essendo naturalmente in sovrapposizione e intersecazione con le al­ tre dimensioni di variazione e in particolare appunto con la differenziazione diafasica, le modalità d’uso parlato e scritto sono troppo nette e caratteriz­ zanti e, in parte, preliminari alla situazione, perché ci si possa limitare ad una loro trattazione in termini di mere varietà situazionali (Berruto 1993a: 9).

Concezione/ Mezzo Fonico

Grafico

Com e spiega lo stesso Berruto: la differenziazione fra parlato e scritto, pur realizzandosi in concrete condi­ zioni d’uso, è [...] preliminare e indipendente rispetto all’utente (e allo strato sociale di appartenenza) e alla stessa diafasia, in quanto almeno per una certa parte è determinata dalle caratteristiche generali del canale di comunicazio­ ne (Berruto 1993b: 38). Proviam o a fare un esempio. È possibile enfatizzare una parola o ripetendola una o più volte (m agari scandendola bene con l ’indice di una m ano alzato), se ci si serve del canale fonico-uditivo, oppure sot­ tolineandola m aterialm ente o indicandola in carattere grassetto, se si decide di sfruttare le potenziali risorse offerte dal canale grafico-visivo. 1 due messaggi, parlato e scritto (anche mediato dal computer), che rea­ lizzeranno la m edesim a funzione di enfatizzazione, saranno concepiti e veicolati in m odi naturalm ente ed evidentemente diversi, adeguati alle caratteristiche del mezzo usato. Più di recente, Berruto (20122 [1987], 2017) ha rivisto la sua posi­ zione sulla questione della diamesia, individuando due variabili o pa­ ram etri, quello della concezione del messaggio (parlato e scritto come poli estrem i di un continuu m ) e quello del mezzo di trasm issione (fo­ nico e grafico), la cui com binazione aiuta a differenziare significativa­ mente a ll’interno d ell’asse diam esico quattro possibili categorie (parla­ to fonico; scritto fonico; parlato grafico; scritto grafico), come si evince dalla tabella 1:

88

Varietà diamesiche

V

L’italiano e le sue varietà

Scritto

Parlato parlato fonico

scritto fonico

(parlato conversazionale spontaneo o parlato tipico)

(lettura di testi scritti; recitazione)

parlato grafico

scritto grafico

(trascrizione di testi orali; comunicazione mediata dal computer)

(comunicazione scritta tradizionale o scritto tipico)

Tabella 1 - Param etri e categorie a ll’interno della diamesia.

Ci si lim iterà in questa sede a richiamare alcuni tratti essenziali del parlato fonico (o “parlato-parlato”, nella term inologia di Nencioni 1976) e dello scritto grafico (o “scritto-scritto” in Lavinio 1986). Tralasceremo, pertanto, lo scritto fonico (o “parlato recitato”), mentre faremo alcune considerazioni circa il parlato grafico (o “parlato scritto”), trattando della categoria del trasmesso (parlato e scritto) che, proposta da Saba­ tini (2011 [1982]) in relazione ai media tradizionali, è oggi certam ente estensibile anche a quelli digitali (un altro esempio di parlato grafico, sul quale non ci soffermeremo, sebbene interessante, è quello degli ap­ punti scritti degli studenti universitari frequentanti un dato corso, che riproducono o dovrebbero riprodurre le lezioni orali degli insegnanti, ed essere perciò funzionali allo studio; su questo argomento si rimanda a Lavinio (1991: 14-16), che, basandosi sui risultati di un piccolo esperi­ mento, già rilevava in un campione di studenti l ’assenza di qualunque «piano di registrazione» durante la stesura degli appunti).

5.2

II parlato fonico

Data la sua natura sem iotica, un prim o tratto caratterizzante del parlato fonico o spontaneo è il basso grado di specificazione del segna­ le verbale, ossia la scarsa accuratezza che il parlante pone nella produ­

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zione fonica di un enunciato, preoccupato più di ciò che deve dire che di co m e lo dice (Voghera 2010). A lcuni degli esiti norm ali di questo fenomeno detto di allegro sono: l’aferesi (in so m m a realizzato come ’n so m m a ; questo, aggettivo, diventa sto); l ’elisione (q u a n d o è uscito realizzato com e q u a n d ’è uscito); la tendenza a trasform are lo iato in dittongo (geog rafia realizzato com e g io g ra fia ); la riduzione della parola (bu on giorn o realizzato come 'giorno)·, il mutam ento e/o allungamento di tim bro delle vocali {sì realizzato com e see! con il valore di falso as­ senso); la semplificazione di nessi vocalici o consonantici difficili da pronunciare {a ero p o rto realizzato com e a reo p o rto ; in terp retare diventa interpetrare). A livello testuale si riscontra un grado basso di pianificazione del discorso prodotto, che risulta quindi fram m entato e scarsamente co­ eso, con continue correzioni e aggiustamenti, cam biam enti nella pro­ gettazione, pause, ripetizioni; in parole semplici, a prevalere sulla sin­ tassi è la semantica. Tutto questo accade perché, differentemente dallo scritto, nel parlato si ha poco tempo per pensare a ciò che si vuole dire (cfr. Palerm o 2015: 200). Si osservino a questo proposito gli esempi fe­ delmente riportati in (1) e (2), tratti, com e gli altri in questo paragra­ fo, dal corpus di parlato spontaneo BA D IP (BA nca Dati dell’Italiano Parlato)8, predisposto dalla K arl-Franzens-U niversitàt di Graz, che aiutano a chiarire l ’im m agine di D ’Achille (20103: 201), secondo il qua­ le «il testo parlato procede in m odo epicicloidale, riavvolgendosi con­ tinuam ente su se stesso» (il sim bolo # corrisponde a una pausa breve): ( 1) eh sempre gli stessi poi quando tutta la classe e' a posto comincia la lezione tra parentesi si fa per dire dopo poco ci sono c e gente vuole che chiede di andare in bagno i professori a un certo eh fino a un certo punto dicon di si' poi quando quelli che vogliono quando quelli che quando la gente vuole uscire diventa troppa cominciano a # a dire di no perche' pensano si vada a fare giratine per la scuola # poi # ahah # poi suona la campanella della ricreazione e tutti escono come alla alla alla carica di centouno.

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badip.uni-graz.at/it/.

V

Varietà diamesiche

(2) * ahah si' che non il concetto non riesce proprio a tirar fuori quello che e' il concetto un pochino di quello che si e' letto con un po' di pero' parlan­ done poi se gli gli viene anche fuori # eh si stanca molto molto facilmente diciamo che lui dopo un' ora e' in tilt anche se lo nega questo cioè' gli dico Antonio sei stanco * no no no andiamo pure avanti pero' sbadiglia continuamente che se se lo vedo che se se mi fermo s' addormenta in­ somma ecco. Un altro carattere del parlato è lo stretto legame con il contesto (li­ vello pragmatico), dal quale deriva l’uso sia di segnali discorsivi fatici (ivi: 202), svuotati spesso del loro significato originario, che servono a stabilire e mantenere il contatto con l ’ascoltatore, compresente con il parlante (vanno distinti dai segnali demarcativi dell’inizio e della fine del discorso com e in som m a, ecco, che in 2 compaiono a cumulo), sia di elementi deittici personali, spaziali e temporali. Si noti, in particolare, l’uso di m a g u ard a, questo, io, p rim a e capito in (3), m a senti, io e m ia, l ’an n o scorso, lì in (4) (il simbolo $ vuol dire parola non compresa): (3) * ma guarda * comunque con questo non e' che io volevo dire che sono cioè' sono contraria no io sarei favorevole a questo discorso riconoscimen­ to alla eh allo stipendio insomma alle casalinghe ma non vorrei che la cosa come dice Mario come diceva Mario prima fosse presa da tutti uguale capi­ to ci dovrebbe essere una legge che diversifica veramente chi ne ha bisogno e chi non ne ha bisogno il discorso sta tutto li'. (4) ma senti io a mia figlia che ha avuto bisogno Γ anno scorso eh gli ho trovato li' c1e' la ragazza di un tecnico di laboratorio eh che e' francese e lei loro abitano a Figline pero' viene a Firenze praticamente tutti i giorni per fare queste lezioni e lavori vari allora io a mia figlia gli ho fatto fare conversa­ zione $ tutto quello che aveva bisogno e lei s' e' trovata bene infatti e' molto migliorata. A l livello del lessico, nel parlato spontaneo si possono riscon trare p a r o le p a s s e -p a r to u t (B erru to 1993b: 53) o ip eron im i m olto generici (Tem pesta 2005: 85), che tendono a lim itare e ridurre la variazione lessem atica, cio è l ’uso di parole diverse: si tratta di casi com e co sa (già in 3), coso (riferito anche a persone in 5), ro b a (in 6), e così via: 91

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(5) signor giudice scusi quando io ho chiesto a coso a Angelino se mi poteva far mettere la salma della mia povera moglie dentro il suo loculo non mi non gli ho detto per quanto tempo dice dato che ci ho il coso vuoto eh il fornetto $ ce lo metto la' dentro. (6) * non e' che te la toglie pero' eh per esempio con questa dieta qui uno non ha fame pero' gli resta lo sfizio perciò' a fine pasto che tu ti sei mangiato la verdura la frutta e che ne so un piatto di legumi magari avresti voglia di qualcos' altro se ti spifferi quella roba li' la mattina. Infine il parlato, appoggiandosi, com e è stato già evidenziato, al concreto contesto in cu i avviene lo scam bio com unicativo, si contrad­ distingue per il ricorso a ll’«im plicitezza nello sviluppo tem atico che porta a u n ’econom ia conversazionale basata sulla condivisione im ­ plicita di conoscenze» (ibidem ). Rileggiam o con attenzione il brano in (3): il parlante non avverte il bisogno di ripetere né le sue parole né quelle di M ario, perché sa che il suo interlocutore le conosce (o meglio sono nella sua m em oria a breve term ine), avendole da poco ascoltate. Per tale m otivo, può affidarsi al dim ostrativo qu esto e all’e­ spressione co m e d icev a M a rio p r im a per riferirsi a esse, senza tim ore che la com unicazione fallisca (chi scrive questo capitolo e chi lo sta leggendo —si presum e —non possono invece sapere a quali esatte pa­ role q u esto vada ricondotto e che cosa M ario abbia precisam ente detto perché non partecipi di quella situazione, a m eno che non chiedano al parlante e a M ario di ripetersi, dal m om ento che del loro discorso non resta traccia). I tratti fin qui elencati (ai piani fonetico, testuale, pragm atico, les­ sicale e genericam ente sem iotico, dove si verificano i fenom eni più rap­ presentativi; per una visione d’insiem e più approfondita cfr. la prima parte dell’ancora im prescindibile lavoro di Bazzanella 1994), e i relativi esempi, hanno messo in evidenza che «la lingua parlata, esattam en­ te come quella scritta, ha convenzioni proprie, che di solito seguiamo spontaneam ente, m a che vanno com unque rispettate se vogliamo co­ m unicare in m aniera efficace» (Berruto 2017; 56); a scanso di equivoci, è bene tuttavia chiarire sin da subito, com e più volte ha precisato M i­ riam Voghera (da ultim o Voghera 2017b), che questo non significa dire 92

v

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che parlato e scritto dipendano da “gram m atiche” proprie e diverse. Dello scritto ci occuperem o nel paragrafo successivo. Una trattazione sul parlato, seppur breve, non può non accennare alle risorse del repertorio della com unicazione non verbale, alm eno ai gesti. Osserva infatti Sabatini (2011 [1982]: 55): «tutti si rendono conto che il parlare si associa inevitabilm ente a una qualche azione m im ica e gestuale, più o meno accentuata, che arricchisce o com pleta la produ­ zione di parole». Si tratta allora di m ettere in cam po un approccio di analisi al parlato m ultim odale e integrato (Voghera 2017a), che tenga insiem e parlato e gesti concom itanti, e che fa ancora fatica a essere adottato negli studi linguistici. Prim a di dare un esempio del m odo in cui tale approccio può es­ sere applicato a ll’analisi di un fram m ento di parlato, occorre precisare che esistono gesti (una particolare form a e un particolare m ovim ento delle m ani e delle braccia a cui è collegato un significato) che possono persino sostituire com pletamente il parlato (gesti em blem atici o sim ­ bolici; se provate a m ostrare in silenzio a un vostro interlocutore ita­ liano l ’in dice d i una m a n o teso p u n ta to o rizzon talm en te a l cen tro d ella g u a n c ia e ru o ta to p e r 90° p r im a in sen so o ra rio e p o i a n tio ra rio con espression e so d d isfa tta , l ’interlocutore capirà che state esprimendo il vostro “gradimento per un cib o”). D a ll’altro lato, vi sono gesti che ac­ compagnano e illustrano il parlato, e che quindi, per definizione, non vengono prodotti in assenza di parole (proprio per questo, Poggi 2006: 58 li ha chiam ati “coverbali”). È quest’ultim o tipo di gesti che qui ci interessa analizzare.

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non ammetta deleghe e rimpalli di responsabilità e competenza (Piemontese 2014: 9).

conclusive. In (7) si riporta la parte iniziale della Premessa, scandita in tre capoversi.

Prim a si inizia a parlare spontaneam ente in contesti di socializ­ zazione prim aria (fam iliari e inform ali), e dopo si im para a scrivere a scuola; tale abilità, una volta appresa, viene via via perfezionata e ap­ profondita in tipi di testo differenti. In questo paragrafo cercheremo di descrivere i tratti che caratterizzano la lingua scritta, seguendo i livelli di analisi già tenuti in considerazione per il parlato, e facendo alcune incursioni in una selezione di testi di genere diverso. Il tempo di produzione, di solito maggiore di quello a disposizione di un parlante, consente (o dovrebbe consentire) a uno scrivente una maggiore pianificazione del testo, che appare articolato in parti sempre più ridotte (capitoli, paragrafi, capoversi), che restituiscono l ’organiz­ zazione e la progressione del discorso per tem i, e ricco di connettivi, che collegano i diversi capoversi o i diversi punti di uno stesso capo­ verso, assicurando al testo una struttura coesa. Vediamone un esempio dalla saggistica scientifica in (7), dal saggio di M atilde Bini e Bruno Chiandotto, L a v alu tazion e d el sistem a u n iversitario italian o a lla luce d ella rifo rm a d ei cicli e degli o rd in a m en ti d id attici, pubblicato nel 2003 nel secondo numero della rivista «Studi e note di econom ia», edita da N ardini10. Il testo è diviso in 8 paragrafi, che evidenziano quali argo­ m enti sono stati affrontati, e in quale ordine: Premessa; 1. Il sistema universitario italiano; 2. L’evoluzione del sistema di valutazione delle università: la recente norm ativa italiana; 3. L’attività di valutazione del sistema universitario: contenuti ed obiettivi; 4. Un sistema informativo per la valutazione del sistema universitario; 5. La necessità di un insie­ m e adeguato di indicatori per la valutazione; 6. Gli indicatori propo­ sti dalla Conferenza dei Rettori (CRUI) e dal C om itato Nazionale per la Valutazione del Sistem a Universitario (CN VSU ); 7. Considerazioni

(7) Premessa La valutazione del sistema universitario ha assunto in questi ultimi anni, sia a livello nazionale che internazionale, importanza fondamentale per le sue vaste implicazioni nei diversi contesti: politico, economico e sociale. Valutazioni e giudizi con riferimento a persone, imprese e istituzio­ ni, a processi e a risultati, costituiscono un’attività che è sempre stata svolta anche se con modalità spesso informali e non basate su «elementi oggettivi»; l’attività di valutazione formalizzata, cioè basata su approcci sistematici, si è invece molto sviluppata solo negli ultimi decenni - e ciò è spesso dovuto alle molte leggi e normative che la impongono - divenen­ do un strumento irrinunciabile del management anche delle attività, dei programmi e delle politiche di intervento in campo economico e sociale delle amministrazioni pubbliche, soprattutto laddove si producono ser­ vizi alla persona di pubblica utilità (Gori, Vittadini, 1999). In termini del tutto generali due possibili definizioni di valutazione sono quelle proposte da Ramsden (1988): «un giudizio sistematico del va­ lore o del merito di un qualche oggetto»; e da Feldman (1999): «un’acqui­ sizione sistematica e una valorizzazione delle informazioni atte a fornire un utile feedback circa un determinato oggetto». Entrambe le definizioni descrivono la valutazione come uno sforzo sistematico ed entrambe usa­ no in maniera deliberatamente ambigua il termine «oggetto» che potreb­ be fare riferimento ad un programma, ad un’azione, ad una metodologia, così come ad un oggetto in senso stretto, o ad un servizio; la seconda definizione, comunque, rispetto alla prima, enfatizza l’acquisizione e la valutazione finalizzata delle informazioni raccolte piuttosto che limitarsi ad una semplice espressione di valore o di merito. Una definizione più articolata di valutazione è quella proposta da Biggeri (2000): «un’attività di studio e di analisi dei risultati potenziali o effettivi di un program­ ma (o progetto), di una politica d’intervento o di specifiche attività, che si conclude con un atto o documento, più o meno formale, contenente un giudizio di rispondenza o meno dei risultati ad obiettivi o standard determinati a priori e l’indicazione degli eventuali cambiamenti nel pro­ gramma che si ritengono opportuni».

10 w w w .research g ate.n et/ p ro file/ M atild e_B in i/ p u b licatio n / 237356510_L a_ valutazione_del_sistem a_universitario_italiano_alla_luce_della_riform a_dei_cicli_e_ degli_ordinam enti_didattici/links/00463530ccc73d91ad000000/La-valutazione-delsistem a-universitario-italiano-alla-luce-della-riform a-dei-cicli-e-degli-ordinam entididattici.pdf. 96

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I testi in (7) e (8) hanno com e tratto in com une la suddivisione in paragrafi (sebbene in 8 non siano num erati progressivamente), con il titolo in carattere grassetto. La lettura di (8) porta a fare una considera­ zione su una caratteristica dello scritto a livello lessicale: non soltanto 10 scritto, rispetto al parlato, presenta una maggiore densità lessica­ le, vale a dire una maggiore variazione nelle scelte lessicali, ma rende possibili usi enfatici delle parole, m arcati generalm ente dalle virgolette alte doppie Si prenda ad esempio “terapeutico”/”terapeutica”, che in (8) occorre tre volte, per m ettere in rilievo il principale contenuto inform ativo del testo, spiegato n ell’ultim o paragrafo, ovvero il calcio procura giovamento perché consente la condivisione delle emozioni. Oltre a ciò, si possono individuare alm eno quattro elementi pecu­ liari del discorso giornalistico divulgativo scritto (seguiamo in parte Gualdo 20172: 33-sgg.): un titolo accattivante; un som m ario che, po­ sto al di sotto del titolo, serve a fornire una breve sintesi della notizia nell’articolo; una fotografia che invece la riassume visivamente (vi è ritratto un uomo avvolto nella bandiera d ’Italia, che sta per il calcio, e in un atto di sconforto); il richiam o della figura dell’esperto per dare credibilità ai dati m enzionati (dal terzo e ultim o paragrafo si può in ­ ferire che Andrew M cC ulloch sia in qualche modo a capo del Mental H ealth Foundation nom inato nel prim o paragrafo). Per rim anere n ell’am bito giornalistico, e per fare solo un esempio di intersezione della diam esia con la diafasia (vd. 5.1), va ricordato il caso del mensile di facile lettura D u e p a r o le , pubblicato in forma carta­ cea dal 1989 al 1997, e pensato per giovani e adulti con ritardo mentale lieve e problemi di lettura e com prensione di testi scritti (Piemontese in Carrada 2003). In un’intervista del febbraio 201711 Emanuela Piemontese propone un esempio di riscrittura per D u e p a r o le dell’articolo (uno stralcio in 9), 11 v ad em ecu m d ei n u ovi T days. C osa ca m b ia p e r bus, taxi, negozi, ap­ parso il 5 maggio 2012 nella sezione cronaca de la R ep u bblica Bologna.

11 100

www.youtube.com/watch?v=KwZyJtQecl A.

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(9) Sabato 12 maggio parte la nuova edizione permanente della pedonaliz­ zazione del cuore di Bologna. Linee deviate, parcheggi, le soluzioni per i disabili: ecco tutte le risposte del Comune SCARICA II pieghevole del Comune (pdf) Parte da lunedì la campagna di comunicazione per l’edizione permanen­ te dei T days, che vede il debutto il prossimo fine settimana, sabato 12 e domenica 13 maggio. Il Comune distribuirà 20mila pieghevoli nei quali si illustra come raggiungere il centro e le modifiche alla circolazione dei bus. Quando. A partire dal 12 maggio dalle 8 di ogni sabato alle 22 della do­ menica la zona T (Ugo Bassi, Rizzoli, Indipendenza) sarà chiusa comple­ tamente al traffico: accesso riservato a pedoni e biciclette. La studiosa sottolinea che una delle inform azioni principali dell’ar­ ticolo, cioè cosa sono i T days, non è presentata in prim a posizione, ma in terza, e non è neppure riportata esplicitamente. Infatti, dal terzo ca­ poverso in (9) sembrerebbe (non ne siamo certi, se non dopo aver con­ sultato un’altra fonte) che “T ” si riferisca alla forma dell’incrocio delle tre vie Ugo Bassi, Rizzoli, Indipendenza. L’articolo potrebbe dunque essere riscritto in modo semplice, chiaro ed efficace alm eno come in (10) (il grassetto è nostro): (10) Il Comune di Bologna ha deciso di pedonalizzare, cioè rendere pedona­ li, alcune zone della città in giorni stabiliti. Ha cominciato da una zona centrale che coinvolge via Ugo Bassi, Rizzoli e Indipendenza. L’incontro di queste tre strade forma una specie di T, per cui l’iniziativa è stata battezzata T days. D i recente, è stato condotto un altro esperim ento di riscrittura, sebbene di diversa natura e finalità, durante il quale è stato chiesto a due gruppi di studenti universitari, uno di m adrelingua italiana e l ’altro di m adrelingua slovacca e italiano lingua straniera (LS), di rias­ sumere l ’articolo in (8) in un tweet (cfr. N obili, Meluzzi 2016; sul rias­ sunto vd. Serianni 20123: 69-78; Cardinale 2015). In (11) e (12) si citano due esempi, il prim o per il caso di italiano L I e il secondo per quello di italiano LS (i simboli ITA e SLO significano “italiano” e “slovacco”, m entre G “articolo giornalistico”; i num eri corrispondono ai soggetti 101

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del campione intervistati). Il lettore potrà dilettarsi nel continuare lo stesso esercizio. (11) #itinbreve #ITA13G Football, tutti insieme per la gloria e il successo #emozioni #lacrime (12) #itinbreve #SLO08G Uomini giocate e guardate il calcio! Donne vogliono vedere le vostre emozioni! #calcio #uomini #donnefelice #emozioni Q uest’ultim a considerazione segna il passaggio al paragrafo suc­ cessivo, in cui ci occuperem o dell’italiano trasmesso.

5 .4

II trasmesso fra tradizione e innovazione

Con l ’introduzione della categoria del trasm esso, Sabatini (2011 [1982]) intendeva porre l ’attenzione su un terzo tipo di com unicazione verbale attraverso i mezzi di com unicazione di massa e a distanza, «che è una specie di incrocio tra il canale del parlato diretto e il canale della scrittura» (ivi: 74), poiché tali mezzi sfruttano entram bi i canali fonico e (grafico-)visivo (anche in com binazione), m a hanno peculiari carat­ teristiche intrinseche che li contraddistinguono. Scrive Alfieri (2 0 0 9 2: 218): «Tra le form e della “lingua trasmessa” [...], l ’italiano televisivo è forse la più tipica, in quanto, combinando il parlato con le im m agini, conserva intatta la pienezza della com uni­ cazione reale e m anifesta il potente condizionam ento del mezzo che la produce e diffonde». Per riflettere su alcuni tratti dell’italiano televisivo, torniam o al genere della divulgazione culturale, che ne rappresenta il polo più alto (da ultim o Bonom i 2016: 412). Esam iniam o un fram m ento tratto dal­ la puntata del 09 febbraio 2012 di L e S to rie-D ia rio ita lia n o 12, trasm is­ sione condotta da Corrado Augias, e andata in onda ogni giorno per m eno di mezz’ora sul canale Rai 3 dal 2003 al 2013. Il fram m ento ri12 www.rai.it/dl/RaiTV/programmi/m ed ia/C ontentItem -c38a22d a-987d -4d a88 lbd-Ocb 134bd4e9a.html. 102

Varietà diamesiche

guarda l ’illustrazione da parte di V ittorio Sgarbi di alcuni dipinti (le cui riproduzioni sono presenti in studio), raffiguranti celebri soggetti fem m inili. Il noto critico d ’arte, esortato dal conduttore (e ci raccon ti / p e r esem p io / q u ell A n n u n ciazion e / di / A ntonello), ricorre da subito a m oduli didascalici semplici, chiari, concisi e convincenti, che servono in questo caso a orientare il pubblico indistinto dei telespettatori nel tema a cui il dipinto VAnnunciata di P a lerm o di Antonello da M essina (1476) si lega (ch e è qu ello d ellA n n u n ciazion e in cui gli elem en ti fo n d a m en tali sono l A ngelo e la Vergine; il contenuto del dipinto è ridotto a Tu sei la M ad re di Dio). Augias, nella veste di conduttore, sembrerebbe assumere il ruolo di telespettatore, rivolgendo a Sgarbi, quasi si trat­ tasse di un dialogo reale (l’ambientazione del salotto televisivo aiuta), un’ipotesi incompleta (e q u ella m an o fo r s e ...; si riferisce alla m ano del­ la Vergine, nel dipinto aperta e con il palmo in verticale verso l ’esterno tesa in avanti), che probabilmente anche il telespettatore avrebbe volu­ to rivolgere al critico, ma non può farlo, perché non condivide con r e ­ m ittente del mom ento lo stesso contesto comunicativo. Ciò ha l ’effetto di accorciare la distanza con il pubblico, ottenuto pure grazie all’uso di analogie prese dalla vita di tutti i giorni (la Vergine con quel gesto della m ano è com e se all’Angelo: gli d ice qu ella bru tta p a r o la ch e si usa spesso un attim in o / f a così un attim in o), o al riferim ento a cose dette da persone realm ente esistenti e note (e qui m i vien e in m en te M ichela M arzan o). Le espressioni non in italiano, inoltre, vengono tradotte, sebbene orm ai ampiamente consolidate nell’uso, per essere sicuri che il messaggio del quadro sia compreso da tutti gli spettatori e com unicato efficacemente (Ave M a ria / il saluto / gratta p ien a / p ie n a di g ra z ia / dom in u s tecum / il D io ch e è den tro di Lei). L’interazione con il destinatario è invece prevista dalla radio, i cui program m i riservano spesso appositi spazi di dialogo con gli ascolta­ tori, com e le telefonate in diretta (se ne trascrive una in 13 ripresa da Atzori 2017: 52-53): (13) COI: pronto con chi parliamo? pronto? C 02: come ti chiami? pronto? TEL: salve buongiorno 103

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battute di un testo m olto più ampio costituito dall’insiem e del dialogo a distanza» (Antonelli 2016: 14; su tale caratteristica, già individuata da Arcangeli 2011 che parla di discontinuità, concorda Palermo 2017: 92-95). Facciam o due esempi relativi a questi due caratteri di brevità e fram m entarietà àelV e-talian o. Leggiamo com e prim o il testo in (14), tratto da Bitonti (2016: 58; il corsivo è dell’autore), che raccoglie un corpus di messaggi di posta elet­ tronica (e-m ail) tra studenti e docenti universitari. L’esempio è calzan­ te per verificare l ’im possibilità di decodificare il testo senza conoscere l ’intero contesto linguistico ed extralinguistico in cui è stato prodotto: (14) innanzitutto grazie per i suggerimenti, sistemerò quella parte che lei mi ha “cor­ retto”. è stata una svista!!!... in merito alla task invece, l’idea di partenza, cioè la reading e l ’esercizio iniziale con le immagini sono prese dal testo ma la struttu­ razione, la sequenza e tutte le altre attività ideate da me. Si può ora andare a guardare di nuovo la coppia di esempi (11) e (12) com e paradigm atica di testi digitati brevi. Abbiamo già detto che si tratta di tweet: «Un m assim o di 140 caratteri di testo per un tw eet (‘cinguettio’) [...] la chiocciola per designare il ‘parlante’ (@ accou n t), m ittente o destinatario del tw eet, e Y h ash tag #, il can cellerò , indica­ tore dell’argomento o com m ento» (Chiusaroli 2017: 67-68) (in 11 e 12 #itinbreve equivale a “italiano in forma breve”). In realtà, il lim ite m as­ sim o di 140 caratteri im posto a un tweet è stato superato e raddoppiato a ll’inizio di novembre 2017 (ma ancora poco sfruttato); ciò non intac­ ca, tuttavia, la brevità del messaggio. Un altro esempio di tweet reale è in (15): chi è il soggetto di p o trà d ir e i Tutti o solo uno dei destinatari a cui l ’emittente rivolge il tweet? Oppure si tratta di un soggetto esterno al testo?

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Varietà diamesiche

Se riflettiam o ancora ritornando allo scritto (5.3), ci rendiam o conto che «saper digitare non equivale a saper scrivere» (Antonelli 2016: 14). M a c’è di più, una complessità a intreccio: quando digitiam o, scri­ viam o come se stessimo parlando (quasi un parlato grafico digitato), a cui segue quella che Prada (2017) definisce come «deproblematizza­ zione dell’atto scrittorio». Chiusaroli (in corso di stampa) propone un repertorio delle espressioni in italiano che riproducono o simulano la dimensione della com unicazione orale in Twitter, con punte di ironia. Vediamone due esempi in (16) e (17): (16) Che bella Parigi, ma che casino #perdire (17) E niente, oggi se non hai una laurea falsa non sei nessuno La rete favorisce, infine, il sorgere spontaneo di nuove tipologie testuali: valgano per tutte i «veri e propri com pendi gram m aticali di alcune delle regole dell’italiano, scelte sulla base degli errori ricono­ sciuti oggi com e più frequenti» (Nobili 2016: 274, a cui si rim anda per Tanalisi di una selezione di questi testi; altri tipi testuali, reperibili sul web, a m o’ di interventi a difesa delle norm e ortografiche dell’italiano, sono trattati da Fiorentino 2014). Un esempio tratto dalla rete (senza indicazione della fonte originaria) è riportato nella figura 3 (a pagina successiva). Per concludere: in questo capitolo abbiamo voluto m ostrare che sebbene le varietà diamesiche, come tutte le [...] varietà di una lingua, vadano sempre interpretate come un continuum e non separate rigidamente le une dal­ le altre, e nonostante la riconoscibilità, in tutte, del medesimo codice linguisti­ co, le differenze tra testi parlati, scritti, [... ] trasmessi, elettronici, ecc. risultano più spiccate di quanto non possa sembrare a prima vista (Rossi 2011: 1542).

(15) @account 28 lug In risposta a @accountl, @account2 e altri 2 Solo se i partiti metteranno in atto il programma elettorale potrà dire che sono tutti uguali ora no #M5S è coerente sempre #fattinonparole

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L’italiano e le sue varietà

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Finito di stampare nel mese di febbraio 2018 presso Area Grafica 47 srls - Città di Castello (PG)