L'idea rovesciata. Schelling e l'ontoteologia
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biblioteca filosofica di Quaestio

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© 2004, Pagina srl, Bari

Prima ristampa 2007

Questo volume è pubblicato con un contributo del Dipartimento di Scienze Filosofiche dell'Università degli Studi di Bari (Fondi di Ateneo per la Ricerca)

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Giusi Strummiello

~idea rovesciata Schelling e l'ontoteologia

edizioni di pairìa

Proprietà letteraria riservata Pagina soc. coop. - Bari Finito di stampare nel settembre 2007 da Arti Grafiche Favia s.r.l. - Modugno (Ba) per conto di Pagina soc. coop. - Bari ISBN 88-7470-008-3

Nota editoriale

Le opere di Schelling verranno di norma citate con il doppio riferimento ai 14 volumi dei Sammtliche Werke. hrsg. v. K.F.A. Schelling. Cotta, Stuttgart und Augsburg 1856-1861 [d'ora in poi SW] e ai 12 volumi (6 Hauptbande + 6 Erganzungsbande) della loro riedizione. in ordine differente. negli Schellings Werke. hrsg. v. M. Schroter. Beck. Miinchen 1927-1959 e successive ristampe [d'ora in poi: Schroter; gli Erganzungsbande sono contraddistinti dalla sigla E]. Il Nachlaflband pubblicato da Schroter nel 1946 (Biederstein und Leibniz. Miinchen; Beck. Miinchen 19934) e contenente le Urfassungen del 1811 e 1813 dei Weltalter, sarà indicato con la sigla NB. La nuova Historisch-kritische Ausgabe. im Auftrag der Schelling-Kommission der Bayerischen Akademie der Wissenschaften hrsg. v. H.M. Baumgartner. W.G. Jacobs und H. Krings. Frommann-Holzboog. Stuttgart-Bad Cannstatt. 1976-.... sarà indicata con la sigla HKA: l'edizione non include tuttavia ancora le opere del tardo Schelling che saranno qui prese maggiormente in considerazione. I riferimenti completi alle altre opere schellinghiane apparse separatamente saranno forniti per esteso nella loro prima occorrenza e nella bibliografia conclusiva. Cercheremo sempre di rinviare alle traduzioni italiane disponibili: in assenza di indicazioni. la traduzione dei passi schellinghiani citati si dovrà intendere come nostra. La Gesamtausgabe delle opere heideggeriane sarà infine indicata con la sigla GA.

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~idea rovesciata

Introduzione

Questo lavoro trae in realtà origine da un progetto inizialmente diverso, quello di considerare la presenza, nella filosofia, di un atteggiamento di tipo "messianico": la tentazione cioè di decretare la fine di un intero regime di pensiero (o anche dell'intera filosofia in quanto tale) in nome di un'istanza presentata come radicalmente nuova e diversa. Che i filosofi tendano in generale a considerare se stessi come il superamento o l'inveramento della tradizione precedente è un fatto piuttosto usuale e noto; ma non tutti si spingono fino al punto di sancire o auspicare (a seconda dei casi) la fine della filosofia così come essa è stata praticata fino a quel momento, e di annunciare l'avvento (messianico, appunto) di nuove figure ultra-filosofiche o post-filosofiche, di cui essi stessi sarebbero in qualche modo i precursori: si pensi ad esempio, con tutte le dovute differenze, ai "furiosi" di Giordano Bruno, ai "venturi" o "futuri" di Heidegger, o ancora, in senso più debole, ai " beat1.,, d.1 M ana / Zambrano. All'interno di questa ricognizione sui modelli di superamento della filosofia in corso o "vigente", poteva di primo acchito sembrare plausibile riservare un certo spazio alla celebre distinzione schellinghiana tra filosofia positiva e filosofia negativa. Qualche affermazione di Schelling 3

sull'opportunità di confinare la filosofia razionale o negativa alle scuole poteva ad esempio suggerire la persistenza, nelle sue pagine, del topos della contrapposizione tra la filosofia come mero e irrigidito esercizio accademico e la filosofia come rinnovato sapere esistenziale1 . Tuttavia, Schelling stesso non sembra aver mai veramente proposto un prototipo di "filosofo positivo" in totale contrapposizione al filosofo tradizionale, e, soprattutto, non sembra aver mai postulato la sostituzione integrale di una filosofia con l'altra2 : sia perché, come avremo modo di vedere, la filosofia positiva può comunque per Schelling iniziare da sola, e non ha dunque bisogno di quella razionale come base

Cfr. ad es. Philosophie der Offenbarung, SW XIII (= Schroter VIE), 155: «Ich habe schon gesagt, die negative werde vorzugsweise die Philosophie fiir die Schule bleiben, die positive die Philosophie fiir das Leben»[il corsivo, qui come in seguito, corrisponde allo spaziato del testo tedesco]; trad. it. Filosofia della rivelazione, a cura di A. Bausola, Rusconi, Milano 1997, 257: «Ho già detto che la negati va rimarrà come la filosofia per le scuole, la positiva come la filosofia per la vita» . Cfr. anche Erlanger Vortrage, SW IX, 246; Schroter V, 40; trad. it. Conferenze di Erlangen, in Scritti sulla filosofia, la religione, la libertà, a cura cli L. Pareyson, Mursia, Milano 1990 [ed. orig. 1974], 225: «Camore per la sapienza non si manifesta solo in ciò che la scuola definisce tale» . 2 Basteràripo1tare qualche passo inequivocabile: Philosophie der Offenbarung, SW XIII(= Schroter VIE), 81; trad. it. 135: «Accade ancor oggi di frequente che persone cli mezza cultura (Halbunterrichtete) credano che io abbia presentato la filosofia di prima come negativa per mettere al suo posto la positiva (ich habe die friihere Philosophie als negative erklart, uni die positive an ihre Stelle zu setzen)»; SW XIII(= Schroter VIE), 89; trad. it. 149 (modificata): «Ritorno ora all'opinione che alcuni abbracciarono quando sentirono da lontano parlare della filosofia positiva, e cioè al punto cli vista secondo cui questa dovrebbe mettersi completamente al posto della negativa (daj3 sie namlich ganz an die Stelle der negativen treten), scacciando dunque quest'ultima e superandola. Ma così non fu pensato mai, e non fu mai escogitata tanto facilmente una bugia come a proposito di quella filosofia che nel frattempo mi si era venuta precisando come negati va» . 1

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negativa contro cui edificarsi; sia perché egli non invoca affatto, neppure negli auspici, l'abolizione della filosofia negativa, o il congedo definitivo da essa. La filosofia razionale conserva, nel progetto schellinghiano di costruzione di una filosofia positiva, piena cittadinanza, e non solo relativamente al quid iuris - dal momento che alla ragione resa attonita dall'esperienza estatica, dall'essere stata collocata fuori di sé, vengono subito restituiti i suoi diritti (secondo la celebre espressione schellinghiana) - ma anche relativamente al quidfacti, perché è un fatto che nei suoi ultimi anni di vita Schelling stesse lavorando a un testo di filosofia negativa - e per altro a uno dei testi sicuramente più ricchi e affascinanti, nonostante lo stato incompleto in cui fu lasciato e i successivi massicci interventi redazionali, della sua intera produzione (la Philosophische Einleitung in die Philosophie der Mythologie o, come recita il ben più significativo sottotitolo, Darstellung der reinrationalen Philosophie). Certo, non è detto che l'ultimo punto di vista di un autore sia in sé quello privilegiato per leggere retrospettivamente tutta la sua opera; ma non tener conto di esso sarebbe comunque almeno altrettanto arbitrario e ingiustificato. Non si potrà perciò trascurare che, dopo aver elaborato già da alcuni decenni la distinzione tra le due filosofie (o tra le due scienze della filosofia: il senso di queste differenti espressioni schellinghiane è da sempre oggetto di discussione), Schelling non abbia dismesso l'una per l'altra, ma abbia continuato a praticare anche la filosofia negativa. Sospesa così la possibilità di includere la tarda filosofia schellinghiana nel progetto iniziale (che nel frattempo aveva intrapreso altre vie), ci si poteva però chiedere, dalla parte opposta, se la persistenza del negativo o del razionale non potesse essere interpretata come un indice del5

l'impossibilità di fuoriuscire dall'ambito della filosofia tradizionale, ovvero, come si direbbe oggi, di eccedere il "testo" della metafisica occidentale. Il fatto che la filosofia positiva non possa in definitiva essere considerata come l'unica filosofia non rischia in ultima istanza di rovesciarsi nell'ammissione implicita dell'insuperabilità dell'orizzonte della filosofia negativa? Ma anche questo interrogativo appare fuorviante; ciò che Schelling propone è forse proprio di rinunciare allo schema di un testo filosofico unico (positivo o negativo) a vantaggio di una doppia partitura in cui una filosofia non succede all'altra: piuttosto entrambe si danno storicamente, anzi si sono già date e continuano a darsi - l'una sul piano dello sviluppo storico della filosofia, l'altro sul piano dello sviluppo storico della religione (nelle diverse forme della mitologia e della rivelazione). Solo, questi due piani non sono né perfettamente paralleli né intrecciati in un medesimo processo a spirale (in cui uno ingloba e invera l'altro)- e questa rimane probabilmente la vera cesura nei confronti del panlogismo hegeliano. Ciò che differenzia l'approccio positivo da quello negativo, come Schelling stesso precisa in più occasioni, è piuttosto la direzione del movimento, ciò che in un caso e nell'altro viene assunto come prius e ciò che viene ritenuto posterius. Se si considerano tuttavia i termini che si scambiano di posto, ovvero i protagonisti di questo epocale hysteron-proteron, si vede che essi sono, nella fattispecie, Dio e l'ente o essente3 • La posta in gioco dell'articolazione tra filosofia negativa e positiva sembra così essere in definitiva - o

D'ora in poi, per coerenza lessicale con l'uso invalso nella maggior parte delle traduzioni italiane delle opere schellinghiane, adopereremo prevalentemente questa seconda forma. 3

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almeno questa è la convinzione su cui si regge la nostra lettura - la questione dell'ontoteologia. Ora, tale questione può essere intesa in due sensi, costituitisi rispettivamente prima e dopo l'esperienza di pensiero schellinghiana: il primo è quello relativo al rapporto tra Dio e l'essere che si dà nella tradizione classica dell'argomento ontologico (nel modo in cui viene formulato da Descartes e criticato da Kant); il secondo ha a che fare con il nome adoperato più in generale da Heidegger (e dopo Heidegger, da parte della filosofia continentale contemporanea) per indicare la costituzione intrinseca dell'intera tradizione della metafisica occidentale - una costituzione fondata per Heidegger sull'indebita sovrapposizione tra l'ente come universale e l'ente supremo, e in cui rimane impensato il ritrarsi dell'essere. Ora, non è affatto necessario assumere qui le tesi di Heidegger come filo conduttore privilegiato per la ricostruzione dell'intera storia della filosofia, né circoscrivere il problema alla valutazione del noto giudizio heideggeriano secondo cui Schelling avrebbe fatto qualche passo decisivo per uscire dalla costituzione ontoteologica della metafisica, rimanendovi infine intrappolato (e segnandone anzi, con Nietzsche, il necessario compimento). Al di là di questa griglia interpretativa, alla quale faremo soltanto cenno, resta la questione in sé, quella relativa al modo in cui il tardo Schelling cerca incessantemente di ridefinire il rapporto tra Dio, l'essere e l'essente. Il termine 'ontoteologia' è così preso in senso sufficientemente ampio da includere comunque i due aspetti prima citati. Analogamente, lo stesso sintagma schellinghiano scelto per il titolo - quello di "idea rovesciata" - fa riferimento sia al celebre capovolgimento dell'argomento ontologico proposto da Schelling, sia al processo di espulsione/ affrancamento di Dio dall'essente (dal concetto di essen7

te) che definisce il punto stesso di contiguità e transizione tra filosofia positiva e filosofia negativa. L'intento di questo contributo non è così quello di offrire una nuova ricostruzione storiografica delle vicende complessive del rapporto tra le due filosofie - esistono già in proposito numerosi studi ormai imprescindibili4 - ma di provare a considerare solo un aspetto teorico particolare, che di quelle vicende potrebbe tuttavia essere alla base. In effetti - questa è almeno l'ipotesi che vorremmo qui cercare di verificare - per i 40 anni e più in cui non ha pubblicato quasi nulla (dopo le Ricerche filosofiche del 1809), Schelling sembra impegnato continuamente a rielaborare quello che è certamente uno dei problemi di fondo non solo della filosofia della religione, ma forse della filosofia in generale, a partire dalla doppia polarità già presente nella filosofia prima aristotelica: come si pone Dio rispetto alla scienza dell'ente in quanto ente? Ovvero: come entra Dio nella filosofia? Nel cercare di rispondere a questa domanda, e indipendentemente da come si possano valutare tali tentativi, Schelling ha poi forse fatto anche di più: ha mostrato che il modo in cui Dio entra nella filosofia è in ogni caso indissociabile dal modo in cui entra nella storia (si dà come storia) e si affaccia nella coscienza e nell'esistenza dei singoli.

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Cfr. in primo luogo, per non citare che tre delle ricostruzioni più esaustive (e non soltanto sotto il profilo strettamente storiografico), X. TILLIETIE, Schelling. Une philosophie en devenir, Vrin, Paris 19922, 2 voll. (in part. il vol. II), da integrare soprattutto con Une philosophie en deux, in J.-F. CouRTINE I J.-F. MARQUET (sous la direction de), Le demier Schelling. Raison et positivité, Vrin, Paris 1994, 55-69; F. ToMATIS, Kenosis del Logos. Ragione e rivelazione nell'ultimo Schelling, Città Nuova, Roma 1994; M.-C. CHALLIOLGILLET, Schelling, une philosophie de l'extase, PuF, Paris 1998.

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1. Esistenza e metafisica

Il posto che l'essere (inteso come effettività, esistenza) occupa nella speculazione schellinghiana è da tempo oggetto di interpretazioni divergenti. Ne ricorderemo, in via preliminare, due, per il loro autonomo spessore filosofico, e non solo ermeneuti col. In un breve ma influente articolo del 19552 - intitolato significativamente Schelling und die Anfange des existentialistichen Protestes - Paul Tillich sceglieva di identificare nella progressiva centralità accordata all'esistenza (o all'"esistenziale") il tratto unitario dell' intera filosofia schellinghiana nei suoi vari sviluppi: a partire Ci siamo soffermati sulla questione specifica dell'esistenza in Schelling in G. STRUMMIELLO, «Das, was das Seyende lst». L'esistenza e l'essente nel tardo Schelling, in corso di pubblicazione in C. ESPOSITO/ V. CARRAUD (a cura di), L'esistenza, «Quaestio» 3 (2003), di cui sviluppiamo qui alcuni dei passaggi principali. 2 Cfr. P. Trr.LICH, Schelling und die Anfèinge des existentialistischen Protestes, «Zeitschrift for philosophische Forschung», 9 (1955), 197-207 (poi anche in Gesammelte Werke, hrsg. v. R. Albrecht, Evangelisches Verlagswerk, Stuttgart 1959-1975, IV, 133-144). A Schelling, in realtà, Tillich si era già interessato a partire dalla sua dissertazione (Die religionsgeschichtliche Konstruktion in Schellings positiver Philosophie, ihre Voraussetzungen und Prinzipien, Fleischmann, Breslau 1910) e dai suoi primi lavori (ad es. Mystik und Schuldbewufltsein in Schellings philosophischer Entwicklung, Bertelsmann, Giitersloh 1912, poi in Gesammelte Werke cit., I, 13-108). 1

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dalle Ricerche.filosofiche del 1809, gli elementi esistenziali ancora per così dire racchiusi, nella produzione precedente, in un guscio essenziale, avrebbero man mano guadagnato uno spazio sempre maggiore fino alle lezioni sulla Filosofia della rivelazione destinate a raccogliere il favore (e poi, com'è noto, la delusione) di Kierkegaard3 • Proprio in queste lezioni, e più in particolare nella sezione dedicata alla distinzione tra filosofia negativa e filosofia positiva, la complessiva connotazione esistenziale (existentiale Haltung) del pensiero schellinghiano avrebbe raggiunto la sua più piena e matura espressione, così da configurare questo stesso scritto come l'autentico Urdokument dell'esistenzialismo, ovvero il primo manifesto della " protesta" contro le pretese onnicomprensive del sistema in nome dell' irriducibilità dell'esistenza rispetto al logico o all'essenziale4 • Appena qualche anno più tardi (se si guarda almeno alla data di pubblicazione, e non evidentemente alla precedente elaborazione del materiale), nel secondo volume del suo Nietzsche (e più precisamente negli EntwUrfe zur Geschichte des Seins als Metaphysik) anche Heidegger attribuiva a Schelling un ruolo-chiave nella storia dell'essere in riferimento alla nozione di esistenza - un ruolo determina to soprattutto dalla nuova caratterizzazione dell'essere come volontà. l?esistenza sarebbe così venuta a definire, in Schelling, «l'incondizionata certezza della volontà che sa Cfr. in proposito A.M. KoKTANEK, Schellings Seinslehre und Kierkegaard, Oldenbourg, Mtinchen 1962, che contiene anche la versione tedesca (98-179) degli appunti di Kierkegaard relati vi alle lezioni schellinghiane sulla Filosofia della rivelazione del 1841-42. 4 Di una «costante esistenziale» in Schelling, a cui riportare «le più remote origini della tradizione esistenzialistica europea», parlava, per n on citare che un solo altro esempio, anche Semerari: cfr. G. SEMERARI, Introduzione a Schelling, Laterza, Roma-Bari 19952 , 87. 3

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se stessa, come la realtà assoluta (spirito, amore)»S. Come già nel corso del 19366, Heidegger sembra riferirsi soprattutto, se non esclusivamente, alle Ricerche filosofiche del 1809. La riprova è data dal fatto che l'esistenza è fin dall'inizio messa in rapporto al fondamento: essa indica essenzialmente «il diventare manifesto, il portar-si-a-se-stesso, l'essere-sé nel diventare-sé di fronte e contro il fondamento» («Existenz: das Offenbarwerden, Sich-zu-sich-selbstbringen, das Selbstsein im Selbstwerden gegen und wider den Grund» )7. In quanto poi è appunto la volontà a costituire l'essenza originaria dell'essere, tale distinzione potrebbe M. HEIDEGGER, Nietzsche, Neske, Pfullingen 1961 (poi anche in GA Bel. 6/1-2, hrsg. v. B. Schillbach, Klostermann, Frankfurt am Main 1996-1997; faremo tuttavia qui riferimento sempre all'edizione originaria), II, 475; trad. it. Nietzsche, a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano 1994, 925. 6 Cfr. M. HEIDEGGER, Schelling: Von Wesen dermenschlichen Freiheit (1809), GA Bd. 42, hrsg. v. I. Schu.Bler, Klostermann, Frankfurt am Main 1988; trad. it. Schelling, a cura di E. Mazzarella e C. Tatasciore, Guida, Napoli 1994. Per un'analisi del corso rinviamo a C. ESPOSITO, Libertà dell'iwmo e necessità dell'essere. HeideggerinterpretaSchelling, Ecumenica, Bari 1988 e, più di recente, Heidegger, Schelling e il volere dell'estasi, in A. ARDOVINO (a cura di), Heidegger e gli orizzonti dellafilosofia pratica, Guerini e Associati, Milano 2003, 87-109. Masi vedano anche V. VERRA,Heidegger, Schellinge l'idealismo tedesco, in Lafilosofia della storia della filosofia. I suoi nuovi aspetti, «Archivio di filosofia» ,42 (1974), 51-71; P. EMAD,HeideggeronSchelling's Concept ofFreedom, «Man and "\Vorld», 8 (1975), 157-174; J.-F. CouRTINE, Anthropologie et anthropomorphisme (Heidegger lecteur de Schelling), in U. GuzzoNI (Hrsg.), Nachdenken ilber Heidegger, Gerstenberg, Hildesheim 1980, 9-35; F. CosTA, Fondamento, ragione, abisso. Heidegger e Schelling, Franco Angeli, Milano 1985; "\VJ. FROMAN, Schelling's Treatise on the Essence ofHuman Freedom and Heidegger's Thought, «lnternational Philosophical Quarterly», 30 (1990), 465-480; C.-A. ScHEIER, Die Zeit der Seynsfuge. Zu Heideggers Interesse an Schellings Freiheitsschrift, in H.M. BAUMGARTNERI WG. JACOBS (Hrsg.), Schellings Weg zur Freiheitsschrift: Legende und Wirklichkeit. Akten der Fachtagung der lnternationalen Schelling-Gesellschaft 1992, Frommann-Holzboog, Stuttgait-Bad Cannstatt 1996 («Schellingiana», 5), 28-39. 7 HEIDEGGER, Nietzsche cit., II, 4 75; trad. it. 925. 5

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essere radicata, ancora più a monte, entro la volontà stessa, in cui diventerebbe in tal modo possibile distinguere la volontà del fondamento da quella dell'intelletto (la volontà cieca del f andamento, secondo le indicazioni schellinghiane, tende in effetti a farsi, nell'esistenza, parola e intelletto). Questa stessa cesura o contrapposizione originaria attraverserebbe e definirebbe tutto l'essere presente, ovvero l'insieme dell'ente nella sua enticità. Successivamente, Kierkegaard avrebbe limitato questa concezione dell'esistenza al caso del solo ente che «è» nella contraddizione di temporalità e eternità, e cioè dell'uomo, restringendone così il concetto alla sfera della fede e alla «cristianità del1'essere cristiano». In opposizione a questa tendenza, Essere e tempo - nell'autointerpretazione di Heidegger- avrebbe invece tentato di ripensare l'esistenza in riferimento all'estaticità del Dasein, e cioè al rapporto di quest'ultimo con la verità dell'essere. Ma al di là di queste indicazioni per così dire genealogiche, Heidegger introduceva anche un altro elemento, che a suo dire poteva e anzi doveva emergere per la prima volta solo in Schelling: l'esistenziale (das Existentielle). Quest'ultimo concetto starebbe ad indicare inSchellingproprio l'ente in quanto esistente, ovvero pensato a partire dal suo esistere, visto nella sua stessa esistenza. Ma poiché qui l'esistenza diventa ciò in base a cui interpretare ciò che esiste (l'esistente: Existierendes ), essa tende a slittare a ritroso in direzione del fondamento e a sovrapporsi ad esso. l?esistenza verrebbe così a trovarsi, negli sviluppi della riflessione schellinghiana, al centro di una specie di chiasma o di un processo di sostituzione: dalla coppia Grund-Existenz si passerebbe a quella Existenz-Existierendes. Heidegger stesso ammoniva esplicitamente a prestare attenzione al cambiamento terminologico introdotto da Schelling (dopo le

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Ricerche.filosofiche, come si dovrebbe presumere: è probabile che Heidegger pensi ai Weltalter)B, ma senza ulteriori delucidazioni: «ora "esistenza" sta per "fondamento" e l'es istenza di prima viene concepita come l'"esistente"»9. Ciò c he a Heidegger invece premeva maggiormente era evidenziare la deriva antropologica insita in questo passaggio. L' es istenziale veniva infatti così spiegato: «L'uomo, nel s uo essere uomo, è non solo rapportato, mediante modi di comportamento, al reale, ma in quanto esistente (als Existierender) si prende cura di sé, e cioè di questi rapporti e del reale»lO. Il complesso dei «rapporti al reale» a cui si fa qui riferimento è determinato dall'orizzonte storico-metafisico in c ui l'essere si presenta ormai appunto come volontà e l'uomo «come fattore ed effettuante» (als Wirker und Wirkenden), e insieme «come cofattore ed effettuato» (als Mitwirker und Bewirkten); in altri termini, l'esistenziale definirebbe la posizione o meglio a ncora la ponibilità, l' «insediabilità dell'uomo come effettivo realizzatore del reale effettivo (Erwirker des Wirklichen) ». Schelling si troverebbe così a preparare l'accoppiamento, a prima vista poco plausibile e anzi 8

Un'indicazione in tal senso si ricava ad esempio dai manoscritti preparatori del seminario su Schelling del Sommersemester 1941, in cui Hei. t enz1. ale " come " essere-l' en te " , e l' en t e come c10 . ' che degger d escn.ve l"'es1s correlativamente assume su di sé tale essere-l'ente, e rimanda appunto ai Weltalter, SW VIII, 210 e 212; Schroter IV, 586 e 588 (in cui tuttavia il termine das Existentielle come tale non compare); trad. it. Le età del mondo, a cura di C. Tatasciore, Guida, Napoli 1991, 52 e 54. Cfr. M. HEIDEGGER, Die Metaphysik des deutschen l dealismus. Zur erneuten Auslegung van Schelling: Philosophische Untersuchungen ilber das Wesen der menschlichen Freiheit und die damit zusammenhiingenden Gegenstiinde (1809), GA Bd. 49, hrsg. v. G. Seubold, Klostermann, Frankfurt am Main 1991, 88, 93. 9 HEIDEGGER, Nietzsche cit., II, 480; trad. it. 929. i o HEIDEGGER, Nietzsche cit., II, 478-479; trad. it. 928 (qui leggermente modificata).

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«storicamente impossibile», di Kierkegaard e Nietzsche: l'esistenziale, che lascia pensare l'esistente come effettuatore/realizzatore, risponde all'essenza della realtà effettiva in quanto volontà di potenza, e deve pertanto essere interpretato come «la radicalizzazione del ruolo dell'antropologia entro la metafisica nel suo compimento» 11 . Sono certo passati molti anni da queste valutazioni, e tanto gli studi apparsi nel frattempo quanto la pubblicazione delle Nachschriften ci hanno permesso di avere un quadro molto più preciso e accurato della tarda filosofia schellinghianal2; tuttavia le proposte interpretative di Tillich e Heidegger definiscono forse in modo esemplare due tra i principali atteggiamenti possibili nei confronti del modo in cui si configura in Schelling la questione dell'esistenza e del1'effettività. Per Tillich, Schelling rappresenta, con il passaggio alla filosofia positiva, la rivendicazione dei diritti degli elementi esistenziali contro ogni pretesa sistematica, e in particolare contro il panlogismo hegeliano, e in questo senso egli si colloca già "oltre" l' idealismo tedesco 13 . Heidegger pone invece Schelling nel momento stesso del com11 HEIDEGGER,

Nietzsche cit., II, 479; trad. it. 928. L'accusa di antropo-

centrismo e antropomo1fismo costituiva già l'asse portante delle conclusioni del corso del 1936; cfr. HEIDEGGER, Schelling cit., 204; trad. it. (leggermente modificata) 201: «[ ... ] tutto questo progetto dell'essere divino e del1'essere in generale è realizzato a partire dall'uomo; Dio è qui soltanto una figura sublimata dell'uomo. La µopcp~ clell'dv0ponos viene modificata, e il risultato cli questa modificazione viene spacciato per qualcos'altro». 12 Per una ricostruzione del quadro complessivo dei testi, dei corsi e delle Nachschriften del tardo Schelling, nonché per un'introduzione alle tematiche fondamentali qui sviluppate, rimangono fondamentali i già citati lavori di Tilliette e Tomatis (cfr. supra, Introduzione, nota 4). Più in particolare sulle Nachschriften cfr. anche F. Mmso, Temporalità e filosofia positiva in Schelling, «Annuario filosofico», 6 (1990), 273-342. 13 L'idea secondo cui Schelling è il punto di superamento dell'idealismo tedesco è la nota tesi sostenuta, ancora in quegli stessi anni, da Schulz. Ma,

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pimento della metafisica, e dunque entro l'ambito dell'onto-teologial4, sia pure in quel punto liminare in cui essa cerca di sporgersi in massimo grado al di là di sé. Ma proprio nella loro giustapposizione, le due proposte permettono forse di portare alla luce alcune delle tens ioni intrinseche dell'itinerario schellinghiano, e anche i limiti di ogni interpretazione puramente unilaterale. Notando, sia pure di sfuggita, che l'esistenza tende progressivamente ad occupare lo spazio del fondamento, Heidegger solleva implicitamente l'annoso problema della persistenza dell'essenziale anche quando Schelling tenta di muovere in direzione dell'indubitabilmente esistente, dell'essere che precede l'essente quella persistenza del negativo o del puramente razionale a differenza di Tillich, si tratta per Schulz di un superamento dall'interno, ottenuto in virtù della p osizione dell'uomo come "automediazione mediata", ovvero come il luogo O amediazione) del processo dell'autoconoscenza di Dio. Cfr. W ScmJLZ, Die Vollendung des Deutschen /dealismus in der Spiitphilosophie Schellings, Kohlhammer, Stuttga1t 1955; Neske, Pfullingen 19752 • 14 Per Heidegger, Schelling è in effetti pervenuto a porre in questione il plesso dell'onto-teologia; cfr. HEIDEGGER, Schelling cit., 130; trad. it. 137: « [ ... ] appare evidente che è proprio qui, nell'"è", che si deve cercare la sede della vera questione. Infatti in questo "è" non si esprime altro che il legame tra Dio, il Tutto e le cose singole, tra il 0Éos- e il TTav,e nella misura in cui questo legame caratterizza la compagine fondamentale dell'ente nella su a totalità, esso determina anche il modo della compaginazione della compagine dell'essere in generale, del sistema» . Ma pur rinunciando alla perfetta coincidenza di essere e Assoluto, Schelling non è riuscito a trame la conseguenza fondamentale, il ricon oscimento dell'inevitabile finitezza dell'essere stesso; cfr. 280; trad. it. (leggermente modificata) 267: «Anche qui Schelling non vede la necessità di compiere un passo essenziale. Se l'essere non si può dire in verità dell'Assoluto, ciò implica che l'essenza di tutto l'essere è la finitezza, e che solo l'esistente finito ha il privilegio e il dolore di stare come tale nell'essere e di fare esperienza del vero in quanto ente» . L'intrametafisicità dell'impresa schellinghiana è ribadita da Heidegger nella Vorlesung e nel seminario estivo del 1941 (cfr. supra, nota 8) e in altri luoghi (cfr. ad es. Beitriige zur Philosophie - Vom Ereignis, GA Bd. 65, hrsg. v. F.-W. von Herrmann, Klostermann, Frankfurt am Main 1989, 204).

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che avrebbe appunto irritato Kierkegaard e che impedisce in ultima analisi di fare di Schelling un semplice fautore o precursore della "protesta" esistenzialistica. D'altra parte, attribuendo programmaticamente poca attenzione alle vicende della distinzione tra filosofia negativa e filosofia positiva, e limitandosi sostanzialmente a rileggere tutta la tarda riflessione di Schelling entro i limiti del quadro concettuale stabilito nelle Philosophische Untersuchungen, Heidegger stesso sembra precludersi la possibilità di scorgere come la posta in gioco di tale distinzione sia il tentativo schellinghiano di riconfigurare proprio la questione del1'ontoteologia. È invece su quest'ultima che, come detto, cercheremo di concentrare qui l'attenzione. Ma ancora qualche piccola osservazione preliminare, rispetto all'impostazione del problema che abbiamo proposto, sarà forse opportuna: a) la determinazione dell'effettività (dell'esistenza indipendente dal concetto) possiede in Schelling un'immediata rilevanza ontoteologica proprio perché essa non si applica soprattutto e in prima istanza all'uomo, ma a Dio: è pur sempre Dio, per Schelling, colui che puramente e assolutamente è, anche nella filosofia negativa. Anzi, è questo l'essere che la filosofia razionale si prefigge di raggiungere, affrancandolo da ogni elemento essenziale o ideale (in gioco non è mai dunque, come avremo modo di ricordare, neppure la dimostrazione dell'esistenza di Dio, ma al contrario l'individuazione dell'esistenza come prius anteriore all'idea e a qualsiasi dimostrazione). b) Per quanto sia Tillich che Heidegger (e non solo essi, evidentemente) considerino giustamente le Ricerche del 1809 come l'autentico punto di svolta del pensiero schellinghiano, occorre forse ricordare che Schelling tende invece - già a partire dalle Stuttgarter Privatvorlesungen e dal 16

progetto dei Weltalter, e poi soprattutto nei periodi di Monaco e di Berlino - a sfumare l'idea di una dialettica bipolare tra fondamento e esistenza a favore della dinamica assai più complessa delle potenze. In modo sempre più evidente, l'impegno di Schelling diventa quello di isolare l'esistenza dall'essente, e cioè dal concetto di ente che si ottiene e si svi1uppa proprio nella dialettica delle potenze. Tuttavia, la filosofia razionale non potrà comunque fare a meno di partire dall'essente e dalle potenze per pervenire infine a ciò che, nella sua esistenza, è (transitivamente) quell'essente; sarà invece la religione filosofica o filosofia positiva a seguire il cammino opposto, quello cioè di assumere «ciò che È l'essente» (secondo la stessa grafia schellinghiana: das, was das Seyende 1st), l'effettivamente esistente, come autentico inizio, sia pure per tornare subito, come si è già anticipato, a restituire alla ragione i suoi diritti. c) Infine, proprio le ultime riflessioni di Schelling - e cioè le pagine conclusive della Darstellung des reinrationalen Philosophie, l'opera che a sua volta rappresenta probabilmente l'ultima fase del suo pensiero prima della morte - suggeriscono un approccio all'essere e all'esistenza che non riguarda più semplicemente il problema del principio o del nesso con l'idea, ma ben più concretamente la situazione di angoscia esistenziale in cui i singoli uomini vengono a trovarsi, e il desiderio di sottrarsi ad essa. Non potremo qui ripercorrere tutte le valenze che la questione dell'essere, e dell'essere di Dio in particolare, assume nell'intera produzione schellinghiana. Ma alla luce di quanto appena osservato, si potrà forse provare a suggerire un percorso selettivo che consideri principalmente le tappe successive alla svolta già ricordata, e cioè le Ricerche filosofiche del 1809. Più in particolare, dopo aver richiamato solo l'essenziale di queste ultime, seguiremo il tentativo

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schellinghiano, tra Stoccarda, Erlangen e Monaco, di affermare l'assoluta libertà di Dio rispetto all'essere e, contemporaneamente, di dedurre in qualche modo l'effettività dal movimento (e dal rovesciamento) delle potenze. Cercheremo poi di dar conto della diversa configurazione che Dio e essere assumono nella distinzione di filosofia negativa e filosofia positiva (soprattutto nel ciclo delle lezioni sulla Filosofia della rivelazione) e, infine, di esaminare la dinamica in cui la stessa filosofia razionale o negativa, nella Darstellung der reinrationalen Philosophie, sembra aprirsi un nuovo varco all'esistenza effettiva a partire non solo dalla liberazione di Dio dalla sua idea, ma dallo stesso bisogno umano di un Dio personale. Un'ultima cautela, forse non del tutto superflua: l'intero plesso lessicale dispiegato da Schelling a proposito del1'essere e dell'esistenza merita molta attenzione, e non solo perché in esso ai lemmi propriamente germanici (Seyn, Seyendes, Daseyn, Wirklichkeit) si sovrappongono, in modo non sempre coerente, quelli di derivazione latina (ad es. existieren, das Existierende), ma anche e soprattutto perché, se lo scopo ultimo è quello di affrancare l'esistenza dall'ente/essente, occorrerà distinguere sempre accuratamente tra il puramente essente e ciò che lo «è»; e inoltre tra l'ente actu che costituisce la seconda figura o il secondo momento del gioco delle potenze (e che è pertanto pur sempre una possibilità) e ciò che precede attualmente le potenze stesse; o ancora tra l'esistenza ideale a cui mette capo l'estroversione delle potenze e quella effettiva che risulta invece dall'azione dello spirito (o dell'anima umana, a seconda delle differenti versioni), ma che a sua volta non va neppure essa confusa con l'essere o esistenza indubitabile e effettiva che precede appunto le potenze e la creazione. 18

2. Esistenza e fondamento

Per quanto, come detto, ci occuperemo qui soprattutto della tarda filosofia schellinghiana, la tematica dell'esistenza effettiva è tutt'altro che assente negli scritti anteriori, e in particolare in quelli sulla filosofia della natura e sulla filosofia dell' identità. Anzi: Schelling si spinge qui fino al punto di affermare che l'a utentico compito della filosofia è quello di descrivere la realtà, l'esistenza, o il positivo1 . Ma s i tratta già qui più precisamente di scorgere l'es istenza divina, il Daseyn Gottes, nell'esistenza del tutto e delle singole cose finite: «il fine della scienza più sublime non può c he essere questo: descrivere l'effettività (Wirklichkeit), nel senso più rigoroso del termine, l'effettività, la presenza, l'esistenza [l' esser-ci: Da-seyn] vivente di un Dio nel tutto delle cose e nel particolare»2 • E questa è appunto la preoccu1

Darlegung des wahren Verhiiltnisses der Naturphilosophie zu der verbesserten Fichteschen Lehre, SvV VII, 101; Schroter III, 695: «ebenso ist die Absicht des Naturphilosophen keineswegs, die Natur zu iiberfliegen, sondern das Positive, ocler was in ihr eigentlich ist, rein darzustellen und zu erkennen ». 2 Ueber das Verhiiltnis des Reakn und l dealen in der Natur, SW Il, 376; Schroter I, 444: «Der Zweck der erhabensten Wissenschaft kann nur dieser seyn: die Wirklichkeit, im strengsten Sirme die "\Virklichkeit, die

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pazione principale negli anni della filosofia dell' identità: l'articolazione del rapporto tra l'essere di Dio (dell' Assolu to) e l'essere delle cose, la ricerca di un difficile e talora precario equilibrio tra la pienezza d'essere del Tutto e la consistenza e la libertà del finito. Se da una parte Schellingripropone infatti la formula s pinoziana secondo cui « tutto l'essere è essere di una sosta nza infinita»3, dall'altra è sempre molto attento a difendere le prerogative e i diritti del particolare: «Solo nel particolare c'è vita» («Nur im Besonderen ist Leben» ), «Noi esigiamo per ogni cosa una vita particolare e libera» (« Wir fordern ftir jedes Ding ein besonderes und freies Leben»)4. Anzi, a testimonianza di una diffidenza di fondo verso le forme sistematiche onnicomprensive c he emerge già paradossalmente nella stessa proposta di un sistema dell' identità, è proprio il secondo aspetto ad essere s pesso sottolineato con particolare enfasi: la pe1fezione è pur sempre nella singolarità5, e l'autentica forza creatrice Gegenwart, das lebendige Da-seyn eines Gottes im Ganzen der Dinge und im Einzelnen darzuthun».

Cfr. System des gesamten Philosophie und der Naturphilosophie insbesondere, S\V VI, 281-282; Schroter IIE, 211-212: «Da nun alles nur 3

dadurch ist, daB die unendliche Substanz ist, alles Seyn also nur das Seyn der unendlichen Substanz ist, so muB auch alles, was ist, z.B. jeder Theil der Materie zum Seyn der unendlichen Substanz gehoren, indem er ohnedieB iiberall nicht seyn konnte»; cfr. anche SW VI, 157; Schroter IIE, 87: «[ ... ] alles, was ist, ist, insofem es ist, Gott. Alles Seyn also, das nicht das Seyn Gottes ist, ist kein Seyn, sondem vielmehr Negation des Seyns [ ... ]». 4 Philosophie der Kunst, S~TV, 393; Schroter III, 413; trad. it. Filosofia dell'arte, a cura di A. Klein, Prismi, Napoli 1986, 93. 5 Aphorismen zur Einleitung indie Naturphilosophie, in Aus den ]ahrbuchern der Medicin als Wissenschafi, SW VII, 163; Schroter IV, 97: «In diesem Sinn ist der Grad der Pe1fektion jedes ~Tesens gleich dem Grad seiner Besonderheit»; trad. it. Aforismi introduttivi alla filosofia della natura, in Aforismi sulla filosofia della natura, a cura di G. Moretti e L. Rustichelli, EGEA, Milano 1992, 52: «In questo senso, il grado di perfezione di ogni essere è uguale al grado della sua particolarità» .

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prorompe e s i manifesta nell' individuazione6. La " meraviglia" (Wunder) del Daseyn, a cui Schelling fa più volte riferimento in questo periodo7, sta proprio nell' impulso incoerc ibile dell'esistenza a rendersi determinata e individuale; perfino nelle pietre e nei metalli s i può cogliere, «nel seno della potenza smisurata di c ui tutta l'esistenza è espressione, la spinta violenta verso la determinazione, verso l'individualità dell'esistenza»8 • In questa prospettiva, l'affermazione del Tutto non implica affatto l'annic hilamento delle parti: al contrario, è proprio l'esistenza del Tutto, nella sua tensione verso la determinazione, ad assicurare l'esistenza (e la consistenza) del finito. Già nell'Introduzione alle idee per una.filosofia della natura Schelling aveva in effetti notato che l'Assoluto «si espande nel particolare [ ... ] per potere, nell'assoluta conformazione della sua infinità nel finito, riportare questo a sé»9. Il Tutto si configura così, secondo Philosophie der Kunst, S\V V, 386; Schroter III, 406; trad. it. 87. 7 Darlegung des wahren Verhaltnisses der Naturphilosophie zu der verbesserten Fichteschen Lehre, SW VII, 59; Schroter III, 653. Cfr. inoltre Aphorismen uber die Naturphilosophie, inAus den ]ahrbuchem der Medicin als Wissenschaft, S~TVII, 198; Schroter IV, 132; trad. it. Aforismi sulla filosofia della natura cit., 105: «A chiunque la consideri a prescindere dal suo modo e dalla sua forma, la pura e semplice esistenza [Daseyn] dovrebbe apparire come un miracolo [Wunder], e riempire l'animo di stupore [Staunen]: ed era innegabilmente proprio questa considerazione della pura esi6

stenza che nei presentimenti più antichi inorridiva gli animi, suscitando una sorta di sacro terrore [Schrecken]». 8 Ueber das Verhaltnis des Realen und l dealen in der Natur, SW II, 378; Schroter I, 446: «[ ... ] aber auch hier, in Metallen, Steinen, ist in der ungemessenen Macht, von der alles Daseyn ein Ausdruck ist, der gewaltige Trieb zur Bestimmtheit, ja zur Individualitat des Daseyns unverkennbar».

[Einleitung zu den} l deenzu einer Philosophie der Natur. Als- Einleitung in das Studium dieser Wissenschaft (ZufajJ), S~TII, 65; Schroter I, 715; trad. it. lntroduzione alle Idee per una filosofia della natura (Aggiunta), in L'empirismo filosofico e altri scritti, a cura di G. Preti, La Nuova Italia, Firenze 1967, 57. 9

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un'efficace espressione di TilliettelO, come esistenza nel1'esistenza, e inversamente ogni concrezione corporea o materiale partecipa solo per un istante dell'esistenza vera e completa, anzi riluce in essa solo per un barlume, come l' argento fusoll. Questo stesso problema del rapporto tra finito e infinito sta in realtà alla base anc he delle Ricerche filosofiche sull'essenza della libertà umana, in c ui tuttavia, com'è ben noto, l'accento si s posta sulla consistenza e la libertà di un ente finito particolare - l'uomo. Già nel Vorbericht, Schelling avverte che quella tra pensiero e natura (tra soggettiTILLIETIE, Schelling. Une philosophie en devenir cit., I, 469. Sul rapporto tra l'essere infinito e quello finito si vedano anche le pagine dedicate a Schelling in F. ToccAFONDI, L'essere e i sooi signifìcati, il Mulino, Bologna 2000, 46-63 (in part. 52-58). 11 Aphorismen uber die Naturphilosophie, SW VII, 217; Schroter IV, 151; trad. it. 129: «Come la fiamma non arde costantemente, perché ha bisogno per il suo nutrimento dell'aria che a sua volta è determinata da altre cose, e queste da altre ancora, così il fenomen o del corpo, per la stessa ragione, non può essere persistente, e si direbbe più correttamente che ogni essere corporeo n on ha che un istante della vera e compiuta esistenza, allo stesso modo in cui la potenza dell'argento, fuso e diviso, si presenta un'unica volta». In questa fase della sua produzione, Schelling utilizza già la coppia concettuale prius-posterius, in riferimento però al rapporto tra ideale e reale; cfr. Aphorismen zu,r Einleitung indie Naturphilosophie, S\V VII, 168; Schroter IV, 102; trad. it. 58: «L'idea è incorporata in ogni p arte della materia, anche nella sua vita relativa, che si sforza dunque di accogliere la forma che le spetta; e le semplici relazioni non possono presentare ntùla che non sia conforme ad una idea e non abbia il su o prius assoluto nell'eterna unità»; Propiideutik der Philosophie, S"v\TVI, 97; Schroter IIE, 27; traci. it. Propedeutica della filosofia, a cura di F. Palchetti, ETS, Pisa 1990, 61: «Il realismo nasce da un rovesciamento del vero rapporto originario secondo cui l'ideale è sempre il prius assoluto - dove tale priorità non ha carattere temporale, ma sostanziale - del reale [ ... ]». In questo stesso testo (che risale al 1804, ancora qualche anno prima delle Ricerche) compare già per altro un primo riferimento all' Urgrund come assoluta identità di Wesen e Forni, essenza e forma (S"v\TVI, 86; Schroter IIE, 16; trad. it. 47). 10

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vità e oggettività) è in realtà solo una falsa opposizione, una volta che si sia riconosciuto (e proprio grazie ai progressi e ai risultati della filosofia della natura) che né lo s pirito può essere considerato puramente soggettivo né la natura puramente oggettival2. La questione viene così riconfigurata nei termini della contrapposizione di necessità e libertà - una contrapposizione " trasversale", si potrebbe osservare, perché attraversa tanto l'ambito spirituale quanto quello naturale, e perciò ancora più originaria e profonda. Si tratterà allora in primo luogo di definire i termini di questo contrasto. La cosa appare particola rmente difficile nel caso della libertà, perché ad essa potrebbe applicarsi ciò che Agostino diceva del tempo: tutti possiedono un sentimento immediato della libertà, mal' essere effettivo di essa è ben più a rduo da stabilire e da enunciare. Come ogni altro concetto, anche quello di libertà dovrebbe poter esistere solo in connessione con gli altri, e dunque in un «sistema». Ma l' idea stessa di un «sistema della libertà» appare contraddittoria: il «sistema» sembra di per sé segnare il trionfo della necessità sulla libertà, come risulta evidente nel «sistema» per antonomasia, quello del panteismo spinoziano. Il tentativo di Schelling è allora quello di mostrare come non ogni sistema, ovvero non ogni forma di panteismo, si ponga in un conflitto insanabile con la libertà, ma solo quella variante fatalistica e inerte c he identificando una volta per tutte la Philosophische Untersuchungen iiber das Wesen der menschlichen Freiheit und die damit zusammenhéingenden Gegenstéinde, SW VII, 333; Schroter IV, 225; traci. it. Ricerche filosofiche sull'essenza della libertà umana e gli oggetti ad essa connessi, a cura di G. Strummiello, Rusconi, Milano 1996, 71. Per una presentazione d'insieme della struttura dello scritto (e del suo pa1ticolare contesto) ci permettiamo di rinviare all'Introduzione all'edizione italiana appena citata, 5-61. 12

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sostanza con le cose fa anche di essa una cosa, sacrificando interamente ogni movimento e ogni traccia di vita. Ma il vero problema di fondo di ogni panteismo è quello di conciliare Dio e il male: la via di uscita che Schelling propone consiste allora in una modifica essenziale del concetto di Dio, che non riduca più quest'ultimo al semplice ordine morale del mondo, ma lo descriva come una realtà vivente in cui sia possibile scorgere l'attività se non addirittura il conflitto di forze diverse. A questa modifica Schelling giunge proponendo la distinzione che qui più ci interessa, quella tra l'essenza in quanto fondamento (Grund) e l'essenza in quanto esistente (in quanto sostrato di esistenza: Existenz): «La filosofia della natura del nostro tempo ha introdotto per la prima volta nella scienza la distinzione tra l'essenza, in quanto esiste, e l'essenza in quanto è semplice fondamento di esistenza (zwischen dem Wesen, sofern es existirt, und dem Wesen, sofern es blofi Grund van Existenz ist)» 13 • È subito degno di nota il fatto che Schelling non si richiama qui alla secolare tradizione scolastica della distinzione tra essentia e esse (o existentia), ma alle sue stesse precedenti ricerche di filosofia naturale (si dovrà per altro ricordare che le Ricerche, nell'originaria intenzione sch ellinghiana, dovevano servire a rafforzare il lato "ideale" del sistema in parallelo a quello "reale" sviluppato negli scritti sulla filosofia della natura, ma senza affatto rinnegare quest'ultima). !Jesempio adoperato da Schelling è in effetti quello del rapporto tra la forza di gravità e la luce: la prima precede la seconda come il suo fondamento eterno e oscuro, e si ritrae quando la luce stessa sorge e perviene a esiPhilosophische Untersuchungen iiber das Wesen der menschlichen Freiheit, S\V VII, 357; Schroter IV, 249; trad. it. 115. 13

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stenza. Ma il sorgere della luce non è la semplice negazione del fondamento; è invece ciò c he permette a quest'ultimo di essere tale, di costituirsi cioè come natura da cui altro può originarsi 14 . Il fondamento è sempre fondamento di qualcosa, e si costituisce pertanto come tale solo in funzione (e in ragione) di questo qualcosa15 : incontriamo già qui quella determinazione strettamente intenzionale della potenzialità (in qualche modo di chiara ascenPhilosophische Untersuchungen iiber das Wesen der menschlichen Freiheit, S"\V VII, 358; Schroter IV, 250; trad. it. 117. A questa stessa dia14

lettica tra forza di gravità e luce si fa riferimento anche in altri scritti precedenti: cfr. Darstellung meines Systems der Philosophie, SW IV, 146-147, 163 e 203-204; Schroter III, 42-43, 59 e 99-100; tracl. it. Esposizione del mio sistema filosofico, a cura cli E. De Ferri, Laterza, Bari 1923, 50-51, 7071, 117-118; Aphorismen zur Einleitung indie Naturphilosophie, S"\V VII, 177; Schroter IV, 111; tracl. it. 70-71. L'espressione Grund van Existenz compare più in generale in altri luoghi: cfr. ad es. ldeen zu einer Philosophie de Natur, S"\V II, 109; Schroter IE, 116; Philosophie der Kunst, SW V, 630; Schroter IIIE, 281; trad. it. 276, e Bnmo oder iiber das gottliche und natiirliche Prinzip der Dinge. Ein Gespriich, S\V lV, 278; Schroter III, 174; trad. it. Bnmo o del principio divino e naturale delle cose. Un dialogo, a cura di E. Guglielminetti, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1994, 142 (nello stesso dialogo si trova anche Grund van Seyn: SW IV, 318; Schroter III, 214; trad. it. 178). Grund van Realitat è usato invece nelle Fernere Darstellungen aus dem System der Philosophie, S\V IV, 416; Schroter IE, 468; trad. it. Ulteriori esposizioni tratte dal sistema della filosofia, in Filosofia della natura e dell'identità. Scritti del 1802, a cura di C. Tatasciore, Guerini e Associati, Milano 2002, 93. Cfr. in proposito le interessanti osservazioni di T. GRIFFERO, Grund ed Existenz. Classicità e melanconia alla luce della «teoria dei principf» di Schelling, in C. TATASCIORE (a cura di), Dalla

materia alla coscienza. Studi su Schelling in ricordo di Giuseppe Semerari, Guerini e Associati, Milano 2000, 239-272, in part. 253-259. Sulla n ozione di "fondamento" nell'itinerario schellinghiano rimane fondamentale M. VETO, Le fondement selon Schelling, Beauchesne, Paris 1977. 15 Tale dinamica è ben espressa da D. KoRSCH, Der Gnmd der Freiheit.

Eine Untersuchung zur Problemgeschichte der positiven Philosophie und zur Systemfunktion des Christentums im Spatwerk F.W.J. Schellings, Kaiser, Miinchen 1980, in part. 131.

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