Libro delle relazioni e delle grazie
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Table of contents :
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Una corrente di letteratura a lo divino attraversa la Spagna del secolo XVI. La sorgente ne è il Cantico dei cantici. Un secolo dopo, Voltaire definirà il Cantico dei cantici « una canzone degna di un corpo di guardia di granatieri » (non finemente, bisogna ammettere); ma per Juan de la Cruz e Teresa d'Avila, la divinizzazione del Cantico è un processo esegetico del tutto ovvio e diventa punto di partenza per una ·conversione a lo divino di ogni elemento letterario profano, e specialmente della poesia amorosa di ascendenza petrarchista. Questi due grandi spiriti, dice Damaso Alonso, nella loro operazione di trasformazione della letteratura spagnola da profana ·in religiosa, dovrebbero indurci all'ipotesi di una « storia della letteratura spagnola a lo divino ». E sintesi e simbolo di una tale ipotesi potrebbe anche essere la Santa Teresa in estasi del Bernini.

In copertina: Vergine dei sette dolori, legno policromo, XVIII secolo. Italia meridionale.

La memona

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Teresa d'Avila

Libro delle relazioni e delle grazie

Traduzione e nota di Angelo Marino

Selleria editore Palermo

1982

© Sellerio editore via Siracusa 50 Palermo

Titolo originale: Relaciones y Mercedes

Libro delle relazioni e delle grazie

1.

[Avila, 1560 ca.]

È così che ultimamente procedo nell'orazione.

Quando ne sono presa, di rado posso discorrere con l'intelletto. L'anima comincia subito a raccogliersi nella quiete o nel rapimento. Allora, io non posso servirmi delle potenze dei sensi, sicché - a parte l'udito, ma non per intendere ciò che odo - non mi giovano a nulla. Mi accade spesso - senza che io voglia pensare a cose di Dio, mentre mi occupo d'altro e mi sembra che, facessi pure ogni sforzo per entrare in orazione, non ci riuscirei per via di una grande aridità cui contribuiscono le sofferenze corporali - di essere colta all'improvviso da questo raccoglimento e da questa elevazione dello spirito e di provare in un istante tutti gli effetti e i profitti che ne vengono. E senza avere avuto visioni o avere udito nulla e senza nemmeno sapere dove mi trovo. È come se la mia anima si smarrisse, ma poi la vedo così av9

vantaggiata, che, dovessi pure adoperarmi un anno intero per ottenere un risultato simile, non ci riuscirei, tanti sono i vantaggi che mi ritrovo. Altre volte mi prendono impeti grandissimi, con un desiderio di Dio cosl forte, che non so più che cosa fare. È come se fossi in fìn di vita. Allora, mi metto a gridare e a invocare il Signore, perché sono trasporti molto violenti. Certe volte non riesco a stare seduta mentre ho questi accessi. È una pena che mi prende, senza che io l'abbia ricercata, ed è tale che l'anima non vorrebbe liberarsene per tutta la vita. L'angoscia viene dal mio desiderio di non vivere e dall'intendere che questo desiderio è un male senza rimedio. Il rimedio per vedere Dio è la morte, ma io non posso darmela. E cosl all'anima sembra che tutti siano colmi di consolazioni tranne lei, e che tutti trovino rimedio ai loro travagli tranne lei. Ciò assilla tanto, che, se il Signore non la soccorresse con qualche rapimento, dove tutto è pace e grande quiete - sia facendole intravedere quanto desidera, sia facendole intendere altre cose -, mai potrebbe uscire da questa pena. Altre volte mi vengono desideri di servire Dio con impeti cosl forti, che non so darne un'idea, e soffro al vedere quanto poco utile io sia. Mi sembra allora che non ci siano ostacoli o prove, neppure la morte e il martirio, che non affronterei di buon grado. E tutto ciò sempre senza riflettervi, obbedendo a un moto improvviso che mi sconvolge tutta. Non so da dove mi viene tanta forza. Mi sembra di 10

voler gridare per far intendere a tutti quanto è importante non accontentarsi di poco servendo Dio e quanto bene lui ci può fare se noi siamo nella disposizione giusta. Ripeto che questi desideri mi annientano dentro, perché mi trovo a desiderare ciò che non posso ottenere. È come se fossi legata a questo corpo, incapace di servire Dio e il mio Ordine, mentre, se fossi libera, farei cose importanti, se pure nei limiti delle mie forze. Così, vedendomi tanto incapace di servire il Signore, soffro molto e non riesco a dire quanto. Tutto finisce poi nella gioia, nel raccoglimento e nelle consolazioni di Dio. Altre volte mi accade che, presa da quest'ansia di servirlo, vorrei fare penitenze, ma non ci riesco. Eppure mi solleverebbero molto, così come mi sollevano quelle che faccio, le quali, comunque, sono poca cosa, per via della debolezza del mio corpo. Ma credo che, se mi lasciassi prendere da questi desideri, ne farei troppe. Certe volte mi dà molta pena avere a che fare con la gente. La cosa mi affligge assai e piango a lungo, perché desidero unicamente starmene sola. Anche quando non prego né leggo, la solitudine mi conforta, mentre dover conversare, soprattutto con parenti e gente simile, mi molesta. Vi acconsento con una certa contrarietà, a parte le persone con cui parlo di orazione e di cose dell'anima, perché queste mi dànno conforto e gioia. Ma talvolta mi stanco pure di loro. Vorrei non vederle e allontanarmi in solitudine, sebbene ciò mi accada di rado. Infatti, 11

soprattutto coloro con cui parlo della mia coscienza mi confortano sempre. Altre volte mi dà molta pena dover mangiare e dormire e vedere che io, più di tutti gli altri, non posso farne a meno. Lo faccio solo per servire Dio, cui offro la mia sofferenza. Mi sembra che il tempo sia breve e che non me ne rimanga abbastanza per pregare. Per questo non mi stancherei mai di stare sola. Desidero sempre avere tempo per leggere, perché mi piace molto. Tuttavia leggo pochissimo: non appena prendo un libro, entro in grande raccoglimento e la lettura diventa orazione. Ma mi accade di rado, perché ho molte occupazioni da sbrigare, che, pur essendo buone, non mi dànno la stessa soddisfazione che la lettura. Sicché mi ritrovo sempre a desiderare del tempo e, a farmi apparire tutto sgradevole, è vedere che non so fare ciò che voglio e desidero. Tutti questi desideri e altre virtù me le ha date nostro Signore, dopo avermi concesso questa orazione di quiete con questi rapimenti. E mi trovo tanto migliorata, che il mio stato di prima mi sembra ben miserando. Rapimenti e visioni mi lasciano con i profitti che ora dirò, e posso ben dire che, se in me c'è qualcosa di buono, mi .è venuto da qui. Mi è venuta una grandissima risoluzione di non offendere Dio, neppure in forma veniale. Preferirei patire mille morti piuttosto che farlo con consapevolezza. Credo che non ci sia nulla di più perfetto e di più utile a nostro Signore che io non farei. 12

Non mi curerei di tutti i tesori del mondo e di qualsiasi mia ripugnanza, pur di sentirmi approvata da chi bada alla mia anima e la guida. Se agissi altrimenti, non oserei chiedere niente al Signore, né fare orazione, anche se in questo molti sono i miei errori e molte le mie imperfezioni. Obbedisco a chi mi confessa, se pure imperfettamente. Tuttavia, quando vedo che il mio confessore vuole da me una cosa o me la ordina, credo che in nessun caso non la farei e, se non vi badassi, mi riterrei in grande inganno. Desidero la povertà, ma sempre imperfettamente. Mi sembra, però, che, possedessi pure grandi tesori, non vorrei una rendita personale né denaro per mio uso. Mi interessa soltanto lo stretto necessario. Eppure mi sento molto manchevole in questa virtù, perché, pur non desiderando nulla per me, vorrei avere di che dare agli altri. Ma, per me, ripeto che non desidero niente: né rendita, né altro. Quasi tutte le visioni che ho avuto mi hanno lasciata con profitti, a meno che non sia inganno del demonio. In questo mi rimetto ai miei confessori. Quando vedo cose belle, leggiadre, come acqua, campi, fiori, o sento musiche e profumi, mi sembra che non le vorrei vedere o udire, tanto grande è la differenza fra questo e quanto sono solita vedere. Sicché non mi risvegliano più alcun desiderio. Sono arrivata a badarvi cosl poco, che, se non per un primo moto, non mi fanno alcun effetto e mi sembrano solo pattume. 13

Se parlo o discuto con persone profane - cosa che non posso evitare -, anche se si tratta di orazione, quando il discorso si protrae a lungo e lo si fa solo per passare il tempo, debbo sforzarmi. A meno che sia necessario, mi riesce assai penoso. Gli svaghi che prima amavo e le cose del mondo mi irritano e non riesco a sopportarle. Questi desideri di amare e di servire Dio, di cui ho detto, non sono frutto di riflessione, come quando mi sembrava di essere presa da grande devozione e versavo molte lacrime. Sono una fiamma e un ardore cosl intensi, che, se Dio, ripeto, non mi soccorresse con qualche rapimento, credo che ci rimetterei presto la vita. Quando vedo persone più perfette, disinteressate e risolute, le amo molto. È con loro che vorrei aver a che fare, perché penso che mi sarebbero di aiuto. Ma, se ne vedo di timide, che mi sembrano avanzare con cautela in cose che ragionevolmente qui si possono fare, mi aflliggo e invoco Dio e i santi che hanno compiuto le stesse azioni che ora ci spaventano. Non perché io mi creda capace di simili cose, ma perché credo che Dio assista chi rischia molto per lui e mai venga meno a chi confida in lui solo. Vorrei incontrare persone che mi incoraggino a non badare al cibo e alle vesti, lasciando che se ne occupi Dio. Con questo, non intendo evitare di procurarmi quanto mi è necessario, ma solo, ripeto, non farlo in modo che sia per me una preoccupazione. E da quando il Signore mi ha dato questa libertà, 14

me ne trovo bene e cerco di dimenticare me stessa il più possibile. Credo che da neanche un anno il Signore me l'abbia concesso. Quanto alla vanagloria, sia resa gloria a Dio, da ciò che posso intendere non ho alcun motivo di averne. Vedo chiaramente che io non c'entro affatto in questi doni divini. Anzi, tramite loro, Dio mi fa sentire meglio le mie miserie: per quanto io possa pensare, non riuscirei mai a vedere tante verità quante ne colgo in un solo attimo di rapimento. Quando parlo di queste cose, da qualche giorno in qua, è come se riguardassero un'altra persona. Prima, mi sembrava talvolta una vergogna che altri le sapessero di me. Ora vedo che non per questo sono migliore, bensl più miseranda, se approfitto tanto poco di simili grazie. E, in verità, penso che non ci sia una persona peggiore di me in tutto il mondo. Sicché le virtù degli altri mi sembrano ben più meritevoli. Se io non faccio che ricevere grazie, loro riceveranno poi, in una sola volta, ciò che Dio si compiace di dare qui a me. Lo supplico quindi di non volermi pagare in questa vita e, se mi ha condotta lungo questo cammino, è stato per la mia debolezza e la mia miseria. Quando sono in orazione e quasi sempre quando posso riflettere un poco, neppure sforzandomi riesco a chiedere a Dio sollievo né a desiderarlo, perché lui è sempre vissuto fra travagli. Allora, lo supplico di darne pure a me, insieme alla grazia di riuscire a sopportarli. 15

Tutte queste cose, e anche quelle di altissima perfezione, si imprimono in me a tal punto durante l'orazione, che mi sbigottisco al vedere tante verità e con tale chiarezza, e le cose del mondo mi sembrano solo follia. Debbo anche sforzarmi per ricordare come mi comportavo prima, perché ora mi sembra sciocchezza soffrire per una morte o un'avversità, a meno che il dolore duri a lungo, o desiderare l'amore dei parenti, degli amici, ecc. Intendo dire che procedo con prudenza e rifletto su ciò che sono stata e su ciò che provavo. Se vedo in certe persone certe cose che sono chiaramente peccati, non riesco a credere che stiano offendendo il Signore e, se mi soffermo su questo pensiero - per un attimo o meno -, non mi risolvo mai ad ammetterlo, perché mi sembra che tutti abbiano il mio stesso impegno nel servire Dio. Sicché queste cose non mi affliggono mai. Sono i mali pubblici, le eresie, ad addolorarmi. Ogni volta che ci penso, questa mi sembra la sola pena per cui si deve soffrire. Ma mi affliggo pure quando vedo indietreggiare chi si dedica all'orazione, anche se non troppo, perché cerco di non indugiarvi col pensiero. Mi trovo migliorata anche nelle curiosità che avevo, sebbene solo in parte. Debbo sempre mortificarmi per via di queste cose, ma per fortuna solo qualche volta. Tutto ciò che ho detto è quanto accade abitualmente nella mia anima, da ciò che riesco a intendere, perché ho sempre il pensiero fisso in Dio. Quan-

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do debbo occuparmi di altre cose, è come se qualcuno - non so chi - mi risvegliasse. Ma è cosa che non mi accade sempre, e solo quando si tratta di cose importanti. Grazie a Dio, queste cose mi occupano ogni tanto, mai di continuo. Certi giorni, ma non spesso, mi accade di vedere che svaniscono dalla mia memoria tutti i buoni sentimenti, i fervori, le visioni. E questo anche per tre, quattro o cinque giorni. Allora, pur sforzandomi, non so se ci sia mai stato qualcosa di buono in me. Mi sembra tutto un sogno e non riesco a ricordare niente. I mali corporali mi serrano da vicino, tutti insieme. L'intelletto si turba, sicché non riesco ad applicarmi alle cose di Dio, né so sotto quale legge vivo. Se leggo, non intendo ciò che leggo. Mi sembra di essere piena di colpe e priva di ogni forza per la virtù. Il grande coraggio che in genere ho finisce cosl: facendomi sentire incapace di resistere alla minima tentazione e mormorazione del mondo. Allora, penso di non servire a nulla e mi chiedo perché mai voglio uscire dalla via comune. Sono triste e mi sembra di ingannare chi mi stima. Vorrei nascondermi dove nessuno possa vedermi, ma questa solitudine non la desidero per virtù, bensi per pusillanimità. Mi sembra pure di essere pronta a lottare contro chiunque intenda contraddirmi. È questo un grande turbamento, ma Dio mi fa la grazia di non offenderlo più del consueto. E io non gli chiedo di allontanarmi da tutto ciò, ma di lasciarmici per sempre se è la sua volontà, pur17

ché mi sorregga con la sua mano e mi eviti di offenderlo. Mi chino dinanzi a lui con tutto il cuore e mi rendo conto che è una grandissima grazia se non mi farà vivere sempre così. Una cosa mi stupisce: che, cosl vivendo, una sola parola di quelle che sono solita udire, o una visione, o un po' di raccoglimento che duri il tempo di un'Ave Maria, o la comunione, bastano per rendere pace all'anima, salute al corpo, luce all'intelletto, e per ridarmi forza e desideri consueti. Ne ho esperienza, perché mi è accaduto spesso. Da oltre sei mesi, quando mi comunico, sento una chiara salute fisica, il che può accadere anche con i rapimenti per più di tre ore certe volte. Certe altre passo l'intera giornata in buone condizioni e, a mio avviso, non si tratta di illusione: è cosa che ho osservato e meditato bene. Sicché, entrando in questo raccoglimento, non temo alcuna malattia. È pur vero che, se l'orazione è come prima, questo miglioramento non lo provo. Tutte queste cose che ho detto mi fanno credere che vengano da Dio. Prima io ero molto vicina alla perdizione e in breve tempo, grazie ai favori ricevuti, non mi riconoscevo già più. La mia anima era piena di meraviglia e non capiva da dove le venissero queste virtù. Io vedevo bene che erano un dono e non il frutto dei miei sforzi. Mi rendo conto, con assoluta verità e chiarezza, e so che non mi inganno, che questo è stato, grazie a Dio, non solo il mezzo per attrarmi a servirlo, ma anche per 18

sottrarmi all'inferno. E lo sanno pure i sacerdoti con cui mi sono in genere confessata. E quando vedo una persona che sa qualcosa di me, vorrei farle intendere la mia vita, perché mi sembra -~nore mio se Dio viene lodato. Null'altro ha importanza per me. Lui lo sa bene. A meno che io sia del tutto cieca, non c'è onore, né vita, né gloria, né alcun bene del corpo o dell'anima capace di fermarmi. Io non voglio né desidero niente, se non la gloria del Signore. E non posso credere che il demonio sia ricorso a tanti mezzi per conquistare la mia anima e poi perderla. Non è tanto stupido. Non riesco neppure a pensare che Dio, meritassi anche di essere ingannata per i miei peccati, non abbia accolto tutte le preghiere che tante anime buone gli rivolgono da due anni, visto che supplico di continuo tutti di chiedere al Signore o che mi manifesti se tutto ciò è per la sua gloria, o che mi guidi lungo un altro cammino. Non credo che la divina Maestà permetterebbe che queste cose vadano sempre aumentando, se non foss~ro sue., Queste cose, insieme agli esempi di tanti santi, mi incoraggiano quando la mia miseria mi fa temere che non si tratti di Dio. Ma allorché sono in orazione, o nei giorni in cui mi sento in pace e ho il pensiero volto al Signore, se anche tutti i sapienti e i santi del mondo si riunissero e mi dessero tutti i tormenti immaginabili e io volessi credere loro, non riuscirebbero a convincermi che qui opera il demonio. Mi è assolutamente impossibile. Quando han19

no voluto farmelo credere, dubitavo. Riflettevo sui meriti di chi mi· parlava cosl e pensavo che doveva dire il vero e che io, essendo quella che ero, dovevo essermi ingannata. Ma, alla prima parola, al primo raccoglimento o alla prima vmone, quanto mi era stato detto svaniva: non potevo impedirmi di credere che fosse Dio. Anche se posso pensare che il demonio potrebbe talvolta intervenire - cosa possibile, come io stessa ho visto e detto -, gli effetti sono comunque diversi. A mio avviso, chi ne ha qualche esperienza non si lascerà ingannare. Tuttavia, dico che, se pure fermamente convinta che si tratta di Dio, per nessun motivo farei cose non giudicate a maggior servizio di nostro Signore da parte di chi mi dirige. Ho sempre udito che debbo obbedire e non nascondere nulla, perché questo è il mio bene. Molto spesso vengo ripresa per le mie mancanze, e in modo che mi penetra fino alle viscere. Quando c'è o può esserci pericolo in ciò che faccio, mi vengono dati avvisi di grande utilità, perché spesso mi richiamano alla memoria le mie passate colpe, di cui provo grande pena. Mi sono dilungata molto, ma mi sembra sempre di non dire mai abbastanza dei beni di cui godo al termine dell'orazione. Ciò non toglie che mi rimangano molte imperfezioni, perché io sono inutile e fin troppo miseranda. Può anche darsi che non sappia riconoscere le cose buone e che mi inganni, ma la differenza della mia vita presente è nota e mi fa

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pensare quanto ho detto. In tutto, mi sono attenuta a_ ciò che credo cli avere veramente provato. Queste sono le perfezioni che sento-operate dal Signore in me, miseranda e imperfetta quale sono. Rimetto tutto al giudizio della Signoria Vostra,1 che conosce bene la mia anima.

2.

[Avila o Toledo, 1562]

Mi sembra che sia passato più di un anno da quando scrissi la relazione precedente. In tutto questo tempo Dio mi ha sorretta con la sua mano, perché non sono andata peggio. Vedo, anzi, un grande miglioramento in quanto ora dirò. Sempre sia lodato! Le visioni e le rivelazioni non sono cessate, bensì elevate assai di più. Il Signore mi ha insegnato una maniera di orazione in cui trovo maggiore profitto e maggiore distacco dalle cose di questa vita, e anche più coraggio e libertà. I rapimenti sono aumentati: talvolta mi prendono con impeto e si manifestano anche esteriormente. Io non posso evitarlo, anche se mi trovo con altri, perché sono così forti, che è impossibile dissimularli. A meno di far credere - visto che sono malata di cuore - che siano svenimenti. Ma, anche se all'inizio mi sforzo per far loro resistenza, non sempre ci riesco. In quanto alla povertà, mi sembra che Dio mi abbia favorita molto. Io non vorrei neppure il ne21

cessario, se non per l'elemosina, sicché desidero con ardore stare dove non si viva d'altro. Credo che, trovandosi in un convento dove si abbia la certezza che non mancherà di che nutrirsi e di che vestirsi, non si adempia il voto e il consiglio di Cristo con la stessa perfezione che dove non ci sia una rendita e manchi talvolta il necessario. I beni che si acquistano con la vera povertà mi sembrano molti e non vorrei perderli. Certe volte ho cosl tanta fede che Dio non può venire meno a chi lo serve, da non riuscire - convinta come sono che è impossibile non seguire ora e sempre le sue parole - a credere il contrario, né a temere. Sicché soffro molto quando mi consigliano di avere una rendita e mi volgo a Dio. Mi sembra di avere più pietà per i poveri di quanto ero solita. La compassione e il desiderio di soccorrerli sono tali, che, se obbedissi al mio volere, darei loro l'abito che ho addosso. Non mi fanno alcuna ripugnanza, anche a parlare con loro e a prenderli per mano. Ora vedo che questo è un dono di Dio, petché prima, anche se per amor suo facevo l'elemosina, non sentivo una pietà naturale. Lo sentÒ come un grande miglioramento. Anche in quanto alle mormorazioni sul mio conto - sono molte e a mio danno - mi sento assai migliorata. Mi sembra che non mi facciano più impressione che a un idiota e talvolta, se non quasi sempre, mi sembrano giuste. Ne risento cosl poco, che penso di non avere in ciò niente da offrire a

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Dio. Ho esperienza del grande profitto che la mia anima ne trae e direi piuttosto che mi sono di giovamento. Non ho alcun rancore, quando riprendo l'orazione, verso costoro, anche se, sulle prime, all'udire ciò che dicevano di me, provavo qualche contrarietà, ma mai inquietudine né alterazione. Anzi, vedendo talvolta altre persone compatirmi, ne rido fra di me: tutte le offese di questa vita mi sembrano di così poco conto, che non è il caso di dolersene. È come se io camminassi in un sogno e sapessi che, al risveglio, tutto ciò sarà nulla. Dio mi dà più vivi desideri, un più forte anelito di solitudine e, come ho detto, un distacco ben maggiore. Grazie alle visioni ho inteso che tutto è nulla. Dovessi pure abbandonare amici, amiche e parenti, sarebbe il meno. In particolare questi ultimi, perché i parenti mi stancano molto. Pur di servire un po' di più Dio, li abbandono in tutta libertà e contentezza. Così ovunque trovo pace. Certe cose che mi sono state consigliate durante l'orazione, si sono rivelate assai vere. Sicché, in quanto alle grazie di Dio, io sono sempre più avvantaggiata, ma, in quanto al suo servizio, mi vedo molto più miseranda, perché le circostanze mi fanno vivere in un benessere maggiore. Comunque, spesso ne soffro molto. Faccio poche penitenze e mi blandiscono fin troppo, il più delle volte contro la mia volontà.2

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3.

[Avila, 1563]

Quanto qui scritto di mia mano risale a nove mesi fa, poco più o poco meno. D'allora in poi, non sono tornata indietro nelle grazie che Dio mi ha fatto. Credo, anzi, da quanto posso intendere, di avere spesso ricevuto una libertà molto maggiore. Finora mi sembrava di avere bisogno degli altri ed ero più fiduciosa negli aiuti del mondo. Adesso, invece, mi rendo conto chiaramente che siamo tutti dei rametti di rosmarino secco, cui non ci si può appoggiare con sicurezza, perché si spezzano al minimo peso di contraddizioni e critiche. Ora so per esperienza che il vero rimedio per non cadere è aggrapparsi alla croce e confidare in colui che vi fu posto. È lui il vero amico e ciò mi dà una sicurezza tale, che credo di poter resistere a chiunque mi si metta contro, purché Dio mi assista. Prima di intendere questa chiara verità, desideravo molto che mi amassero. Ora non me ne importa niente. Mi sembra, anzi, che-in un certo senso ciò mi stanchi. Fanno eccezione le persone con cui parlo dell'anima mia e quelle cui credo di essere utile: le une perché mi sopportano, le altre perché credano di più quanto dico loro della vanità di tutto. Nei grandissimi travagli, nelle persecuzioni e controversie che ho avuto in questi mesi, Dio mi ha dato molto coraggio. Quanto maggiori erano, tanto più cresceva la forza della mia anima, senza che mai mi stancassi di soffrire. E non solo non ero ri24

sentita con chi diceva male di me, ma mi sembra che avessi per loro più affetto. Non so come mai così fosse. Di certo era un dono del Signore. Per mia natura, quando desidero qualcosa, mi mostro impetuosa. Ora i miei desideri sono così quieti, che, al vederli soddisfatti, non capisco se ne traggo gioia. Se non in cose di orazione, tutto è così moderato, che sembro rinstupidita e tale rimango per alcuni giorni. Gli impeti che talvolta mi prendono e mi hanno presa di fare penitenza sono molto forti, ma, se ne faccio, la sento assai poco per via di quel grande desiderio. Certe volte - anzi, quasi sempre - mi sembra che ciò mi sia di particolare sollievo, pur facendone poca, perché sono molto malata. Ora più che mai, è per me grandissima pena dover mangiare, soprattutto se sono in orazione. E lo è a tal punto, che piango molto e dico parole di dolore quasi senza accorgermene, cosa che non sono solita fare. Per quanto io abbia avuto nella mia vita travagli grandissimi, non ricordo di essermene mai lagnata. In questo non sono affatto donna: ho il cuore duro. Sento in me un desiderio grandissimo, più del solito, che Dio sia servito da persone che si dedichino a lui con completo distacco da tutto, senza che indugino in nessuna delle cose di quaggiù - sono tutte inganni -, specialmente gli uomini dotti. Vedo le grandi necessità della Chiesa e ne sono così addolorata, che mi sembra ridicolo soffrire per altri

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mot1v1. Sicché raccomando sempre a Dio i dotti, perché so che uno solo di loro, perfetto e acceso da vero amore di Dio, può fare più bene che molti altri dall'animo tiepido. Nelle cose della fede ho, a mio avviso, maggiore forza. Mi sembra di essere pronta ad affrontare da sola tutti i luterani, per far loro intendere l'errore in cui vivono. La perdita di tante anime è per me grande dolore. Tuttavia, ne vedo pure molte che avanzano nella perfezione e riconosco chiaramente che Dio ha voluto servirsi di me a tal fine e che, grazie alla sua bontà, la mia anima cresce ogni giorno di più nel suo amore. Mi sembra che, volessi anche sforzarmi per peccare di vanagloria, non ci riuscirei. Non vedo come potrei considerare mia una sola di queste virtù, se per tanti anni me ne sono vista priva. Ora non faccio che ricevere grazie, senza per questo servire Dio, comportandomi come la creatura più inetta del mondo. Sicché talvolta penso che tutti progrediscono tranne me, che a nulla servo. Questa non è certamente umiltà, bensl la pura verità. Il sentirmi tanto inetta mi riempie ogni tanto di paure e temo di essere in inganno. Vedo con chiarezza che io non c'entro per nulla in queste rivelazioni e in questi rapimenti e che sono solo un pezzo di legno. Ciò mi rassicura e mi tranquillizza. Mi rimetto fra le braccia di Dio e confido nei miei desideri, che sono - lo sono senza dubbio alcuno - di morire per lui e di perdere ogni quiete, accada pure qualsiasi cosa.

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Ci sono giorni m cui ricordo infinite volte ciò che dice san Paolo. Anche se non è il mio caso, mi sembra di non essere io a vivere, a parlare, a volere, ma che ci sia in me qualcuno che mi guida e che mi dà forza. Sicché mi sento quasi fuori di me e la vita è una pena estrema. Siccome mi riesce tanto difficile stare separata da Dio, il maggiore sacrificio che gli offro è accettare di vivere per amor suo. Vorrei farlo affrontando grandi travagli e persecuzioni: se non sono capace di progredire, vorrei almeno saper soffrire. Sopporterei volentieri tutte le pene del mondo pur di acquistare qualche merito in più, intendo dire per compiere i voleri di Dio. Non ho udito nulla durante l'orazione che, pur essendomi stata detta diversi anni prima, io non abbia visto compiersi. Sono tante le rivelazioni che ne traggo sulla grandezza di Dio e sul modo che usa per indirizzarle al loro fine, che quasi mai riesco a pensarci senza che il mio intelletto si smarrisca. È come chi vede cose molto superiori a ciò che può intendere. Allora, entro in raccoglimento. Dio mi preserva tanto dall'offenderlo, che talvolta ne sono proprio stupita. Vedo quali cure si prende di me, che non faccio nulla - si può dire per meritarlo. Ero un mare di peccati e di nequizie prima di ricevere queste grazie, incapace di controllarmi per non commettere altre colpe. E se desidero che queste cose siano note, è per far intendere il grande potere di Dio. Sempre sia lodato. Amen. JHS

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La prima parte di questa relazione non è scritta di mia mano. Ciò è dovuto al fatto che l'ho consegnata al mio confessore e lui l'ha ricopiata, senza tuttavia togliere né aggiungere nulla. Era un uomo molto spirituale, grande teologo, con cui parlavo della mia anima. Lui ne aveva discusso con altri dotti, fra cui Padre Mando. Non hanno trovato niente che non fosse in tutto conforme alla Sacra Scrittura. Ciò mi rende ora più tranquilla, pur rendendomi conto che, finché Dio mi condurrà lungo questo cammino, non debbo fidarmi mai di me stessa. Ho sempre fatto così, anche se mi è costato molto. La Signoria Vostra rammenti che tutto questo va sotto il segreto della confessione, come l'ho già supplicato.3 4.

[Siviglia, 1575-1576]

Questa monaca porta l'abito da quarant'anni e, fin dal primo, ha cominciato a meditare sulla Passione di nostro Signore, in tutti i suoi misteri, e sui propri peccati, senza mai pensare a nulla di soprannaturale, ma solo alle creature o a cose che servivano a farle intendere quanto presto tutto finisce. A ciò si dedicava in alcuni momenti della giornata, senza che le passasse per la mente di desiderare di più. Non si riteneva degna neppure di pensare a Dio. Così passò circa ventidue anni, con grandi aridità, e lesse anche qualche buon libro. Dopo quasi

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diciotto anni, quando si cominciò a parlare del primo convento di Carmelitane Scalze che aveva fondato ad Avila - circa tre anni prima - le sembrò di udire talvolta che le parlavano interiormente e di avere visioni e rivelazioni. Mai vide tutto ciò con gli occhi del corpo. Erano immagini rapide come un lampo, ma le rimanevano impresse e producevano grandi effetti, quasi le avesse viste con gli occhi del corpo e più ancora. Era cosl paurosa, che certe volte non osava rimanere sola nemmeno di giorno. Per quanto facesse, non riusciva a evitare queste visioni, sicché ne era molto afflitta e temeva fossero inganno del demonio. Cominciò a parlarne con uomini spirituali della Compagnia di Gesù, fra cui Padre Araoz, commissario della Compagnia, che era passato di là; poi Padre Francisco - che era stato duca di Gandfa -, con cui parlò due volte; poi un provinciale della Compagnia, che ora si trova a Roma in qualità di uno dei quattro assistenti e che si chiama Egidio Gonzalez; poi l'attuale provinciale, con cui ebbe però pochi rapporti; poi Baltasar Alvarez, ora rettore a Salamanca, che la confessò per sei anni; poi Padre Salazar, rettore di Cuenca; poi Padre Santander, rettore di Segovia, che tuttavia frequentò per poco; poi Padre Ripalda, rettore di Burgos, che le era stato molto avverso prima di conoscerla; poi il dottor Pablo Hernandez di Toledo, consultore dell'Inquisizione, e un altro ancora, il Padre Ord6fiez, che è stato rettore ad Avila. Ovunque si trovas-

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se, cercava sempre quelli che, fra loro, più erano stimati. Frequentò molto anche fra' Pedro de Alcantara, il quale fece molto per lei. Passarono cosl più di sei anni, durante i quali la sottoposero a moltissime prove. Lei piangeva ed era sempre afilitta. Ma più erano le prove cui la sottoponevano e più le visioni aumentavano con frequenti sospensioni, sia durante l'orazione sia fuori da questa. Si facevano molte preghiere e si dicevano messe affinché Dio la guidasse lungo un altro cammino. Il suo timore era grandissimo quando non stava in orazione, anche se in tutte le cose del servizio di Dio si notavano chiari miglioramenti e nessuna vanagloria o superbia. Si vergognava, anzi, davanti a chi sapeva di queste grazie e le dispiaceva parlarne, più che se fossero state gravi colpe. Le sembrava che si sarebbero beffati di lei e avrebbero detto che erano cose da donnicciole. Saranno tredici anni, poco più o poco meno, che passò di Il il vescovo di Salamanca, il quale - credo era inquisitore a Toledo, come già lo era stato qui. Lei fece in modo di parlargli, per rassicurarsi di più, e gli riferl tutto. Il vescovo le disse che non erano cose che riguardavano il suo uffizio, perché quanto vedeva e udiva non faceva che confermarla nella fede cattolica, in cui lei si tenne sempre salda. Aveva grandissimi desideri dell'onore di Dio e del bene delle anime e, per salvarne anche solo una, si lascerebbe uccidere più volte. Vedendola cosl

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travagliata, il vescovo le disse di scrivere una lunga relazione di tutto al Maestro Avila, che allora era vivo e aveva molta esperienza in fatto di orazione, e poi, secondo la sua risposta, di tranquillizzarsi. Lei obbedl e il Maestro le rispose rassicurandola molto. Questa relazione fu di tal sorta, che tutti gli uomini dotti che l'hanno vista - i quali erano suoi confessori - dissero che racchiudeva avvisi di grande utilità sulle cose spirituali e le ordinarono di trascriverla e di fare anche un libriccino per le sue figlie, perché era priora, in cui desse loro qualche consiglio.4 Ciò malgrado, in taluni momenti non le mancavano timori e le sembrava che anche persone spirituali potessero ingannarsi come lei. Sicché desiderava parlare con uomini molto dotti, se pure non molto dediti all'orazione, perché voleva sapere se quanto le accadeva era conforme alla Sacra Scrittura. Talvolta si consolava pensando che, se per i suoi peccati meritava di essere ingannata, Dio non avrebbe comunque potuto permettere che si ingannassero tante persone buone che desideravano illuminarla. Con questo intento cominciò a parlare con i padri di San Domenico, dai quali si era spesso confessata prima che le fossero accadute le cose di cui si è detto. Costoro sono: fra' Vicente Barron, che la confessò per un anno e mezzo a Toledo, quando lei vi era andata per quella fondazione, consultore dell'Inquisizione e molto dotto, il quale la rassicurò 31

assai e le disse, come tutti gli altri, che non aveva di che temere, perché non offendeva Dio e riconosceva la propria miseria; il Maestro fra' Domingo Bafiez, ora consultore del Santo Uffizio a Valladolid, da cui si confessò per sei anni e che adesso interroga ancora per lettera quando le accade qualcosa di nuovo; il Maestro Chaves; Pedro Ibafiez, che era allora lettore ad Avila ed è uomo dottissimo; un altro domenicano che si chiama fra' Garda de Toledo; il Padre Maestro fra' Bartolomé de Medina, professore a Salamanca, che sapeva ostile a lei per via di quanto aveva udito delle sue visioni. Proprio per tal motivo pensò che costui, meglio di ogni altro, avrebbe potuto dirle se si ingannava - era poco più di due anni fa - e fece in modo di confessarsi da lui durante il suo soggiorno in quella città. Gli fece una lunga relazione di tutto e gli diede da leggere ciò che aveva scritto, affinché si rendesse meglio conto della sua vita. Lui la rassicurò quanto e più degli altri e le rimase molto amico. Per qualche tempo si confessò anche col Padre Maestro fra' Felipe de Meneses, al tempo della fondazione di Valladolid, dove costui era priore o rettore del collegio di San Gregorio. Avendo udito queste cose, era andato a parlarle ad Avila, mosso da grande carità, per vedere se lei si ingannava, perché, altrimenti, non era giusto che la criticassero tanto, e se ne andò pienamente soddisfatto. Parlò anche in privato con un provinciale domenicano, che si chiamava Salinas, uomo molto spirituale e gran servo di Dio, e con un 32

altro lettore che ora sta a Segovia, il cui nome è Diego de Yanguas, di ingegno molto acuto. E poi qualche altro, perché ne ha ben avuto modo in tanti anni e con tanti timori, soprattutto viaggiando molto per le fondazioni. Tutti l'hanno sottoposta a numerose prove, col desiderio di illuminarla e, cosl, rassicurare lei e loro stessi. Sempre è stata ed è sottomessa a tutto quanto vuole la santa fede cattolica. Le sue orazioni, come quelle nei conventi che ha fondato, mirano soltanto alla crescita della Chiesa. Diceva che, se qualcosa di quanto le accadeva l'avesse indotta ad agire contro la fede cattolica e la legge di Dio, non sarebbe stato necessario ricercare altre prove. Avrebbe subito visto che si trattava del demonio. Non fece mai nulla in base a quanto intendeva durante l'orazione. Anzi, se i suoi confessori le dicevano di fare il contrario, lo faceva subito e li informava sempre di tutto. Mai credette con assoluta certezza che si trattava di Dio - malgrado le dicessero di sl - a tal punto da poterlo giurare, anche se dagli effetti e dalle grandi grazie che riceveva le sembrava che certe cose fossero proprio opera dello spirito buono. Desiderava sempre la virtù e in ciò ha impegnato le sue monache, dicendo loro che la più umile e la più mortificata sarebbe stata la più spirituale. Questo che ha scritto lo consegnò al Padre Maestro fra' Domingo Bafiez, ora a Valladolid, con cui più ha parlato e parla. Crede che costui abbia pre33

sentato la relazione al Santo Uffizio di Madrid. In tutto ciò che vi è contenuto si sottomette alla correzione della fede cattolica e della Chiesa. Finora nessuno l'ha dichiarata colpevole: queste cose non sono in mano di nessuno e nostro Signore non chiede l'impossibile. Poiché ha riferito tutto ciò a molte persone, per via del grande timore in cui sempre viveva, queste cose si sono assai divulgate. Per lei è stato un grandissimo tormento e una vera croce, non per umiltà, lei dice, ma perché ha sempre aborrito quelle che chiamano fantasie di donne. Si guardava soprattutto dal non sottomettersi a confessori che le sembrassero inclini ad attribuire tutto a Dio, nel timore che il demonio ingannasse pure loro come lei. Parlava più volentieri della sua anima con chi vedeva diffidente, anche se al tempo stesso, quando a provarla c'era chi manifestava grande disprezzo per queste cose, se ne rattristava. Le sembrava, infatti, con certezza che talune venissero da Dio e non avrebbe voluto che le condannassero per partito preso. Del pari, non voleva che attribuissero tutto a Dio, rendendosi conto che poteva esserci un inganno. Sicché non è mai riuscita a sentirsi completamente sicura per quanto poteva esserci di pericolo. Si adoperava il più possibile per non offendere Dio e sempre obbedire. Con questi due mezzi sperava di sottrarsi ai pericoli, si fosse anche trattato del demonio. Da quando ha sperimentato cose soprannaturali, il suo spirito ha sempre ricercato quanto c'è di più

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perfetto e, quasi senza tregua, ha avuto grandi desideri di soffrire. Nelle persecuzioni - che sono state molte - si sentiva consolata e nutriva particolare affetto per chi la perseguitava. Aveva un grande desiderio di povertà, di solitudine e di uscire da questo esilio per vedere Dio. A causa di questi effetti e di altri simili, ha cominciato a tranquillizzarsi. Pensava che, se uno spirito la lasciava con tali virtù, non poteva essere malvagio. Altrettanto le dicevano coloro con cui ne parlava, non perché cessasse di temere, ma perché fosse meno oppressa. Il suo spirito non la spingeva mai a nascondere nulla e la guidava a obbedire sempre. Come si è detto, non vide mai niente con gli occhi del corpo, ma in modo cosl delicato e intellettuale, che talvolta, agli inizi, pensava di esserselo inventato e, talaltra, non riusciva a crederci. E non udl mai nulla con le orecchie del corpo, tranne due volte, in cui non riuscl comunque a intendere niente di quanto le veniva detto, né seppe mai di che cosa si fosse trattato. Queste cose non erano continue, ma accadevano ogni tanto, allorché se ne presentava la necessità. Come una volta in cui aveva passato diversi giorni afflitta da insopportabili tormenti interiori e con un grande turbamento per timore di essere ingannata dal demonio. Tutto ciò è detto più in dettaglio in quella relazione dove si parla anche dei suoi peccati, i quali sono cosl stati resi pubblici al pari del resto, perché il timore in cui viveva le faceva dimen35

ticare la sua reputazione. 5 Ebbene, mentre soffriva di questa angoscia impossibile da spiegare, soltanto all'udire interiormente queste parole: « Sono io, non avere paura », la sua anima si ritrovò così calma, piena di coraggio e di fiducia, che non riusciva a intendere da dove le fosse venuto un bene simile. Non era bastato il confessore, né sarebbero bastati molti uomini dotti con tutti i loro discorsi, a darle la pace e la quiete che questa sola frase le diede. Anche altre volte le accadde di ritrovarsi fortificata da una visione. Se così non fosse stato, mai avrebbe potuto sopportare i grandi travagli, i contrasti e le innumeri malattie che ha patito e che ancora patisce, perché non è mai libera da una qualche sofferenza. Talvolta è più forte, talaltra meno, ma in genere sono sempre dolori acuti, con l'aggiunta di molte altre infermità che si sono aggravate da quando è monaca. Se fa qualcosa per il Signore e per i favori che ne riceve, le passa presto dalla mente. Pur ricordandosi spesso delle grazie, non può indugiare a lungo in questo pensiero, com'è invece il caso dei suoi peccati, che la tormentano sempre e sono per lei fango fetido. L'averne fatti tanti e l'avere servito Dio così poco sono la causa per cui non è tentata dalla vanagloria. Nulla di quanto ha provato l'ha mai persuasa di cose che non fossero solo purezza e castità. Soprattutto, glien'è venuto un grande timore di offendere Dio nostro Signore e di non seguire in tutto

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la sua volontà. Di questo lo supplica sempre e, a parer suo, è così decisa a non discostarsene, che coloro i quali la frequentano - confessori e superiori non potrebbero ordinarle cosa alcuna con cui lei reputasse di rendere maggiore servizio a Dio, che rinuncerebbe a fare. Ha fiducia nell'aiuto dato dal Signore a chi si impegna a servirlo e a glorificarlo. Non si ricorda più di sé né del suo profitto quando bisogna risolversi a tali cose, come se non esistesse, a giudizio suo e dei suoi confessori. Tutto quanto è scritto su questi fogli è pura verità e la Signoria Vostra, se così vuole, può averne conferma dai suoi confessori e da tutte le persone che da vent'anni in qua hanno avuto a che fare con lei. In genere è il suo spirito a spingerla a lodare Dio e vorrebbe che tutti facessero altrettanto, qualunque sia la pena che ne può venire. Di qui nasce il suo desiderio del bene delle anime. Vedere quale pattume sono le cose esteriori di questo mondo e quanto preziose quelle interiori - che a nulla possono essere paragonate -, l'ha condotta a tenere in poco conto le prime. La forma di visione su cui la Signoria Vostra mi ha interrogata, è che non si vede nulla, né interiormente né esteriormente. Eppure, senza vedere nulla, l'anima capisce chi è presente e da dove le si presenta, con maggiore chiarezza che se lo vedesse. Tuttavia non le si mostra nulla di particolare. È come se una persona sentisse che un'altra le sta accanto e, presa dall'orazione, non la vedesse,

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pur sapendo con certezza che è IL Ma non è un paragone esatto, perché chi sta al buio riesce sempre ad accorgersi se c'è qualcun'altro: o perché sente un rumore o perché ha visto prima la persona o perché la conosce. Qui non c'è niente di tutto ciò, ma l'anima, senza parola interiore o esteriore alcuna, intende con assoluta chiarezza chi c'è fi:, da che parte sta e, talvolta, ciò che vuol fare intendere. Da dove o come lo intenda, non lo sa, ma è cosl e, finché la visione dura, non può ignorarlo. Quando finisce, per quanto voglia immaginarsela come prima, non ci riesce: ora si accorge che è tutta immaginazione e non una presenza reale. Non è in suo potere procurarsela, come del resto succede con tutte le cose soprannaturali. È questo il motivo per cui chi riceve da Dio tali grazie non si tiene in nessun conto. Si sa che sono un dono divino cui non si può togliere né aggiungere nulla. E questo ci rende più umili e desiderosi di servire sempre un Dio cosl potente, di fare cose che noi, quaggiù, non possiamo intendere. È cosl che, pur essendo molto dotti, ci sono cose che non potremo mai capire. Sempre sia benedetto colui che ci dà questo dono. Amen.

5.

[Siviglia, 1576]

Queste cose interiori dello spirito sono molto difficili da dire, soprattutto in modo da farle inten-

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dere, perché accadono molto rapidamente. Se l'obbedienza non mi aiuta, solo per caso riuscirò a spiegare cose tanto difficili. Ma poco importa se dirò spropositi: questo scritto andrà a finire tra le mani di chi ne ha udito dire ben maggiori su di me. In tutto ciò che dirò la Signoria Vostra 6 tenga presente, la supplico, che il mio intento non è pensare di riuscirci. È anche possibile che io mi inganni, ma posso assicurare che non dirò nulla che non ho sperimentato alcune e molte volte. Se è bene o male, la Signoria Vostra giudicherà e me lo farà sapere. Credo che la Signoria Vostra gradirà che io cominci a parlare dal principio delle cose soprannaturali. In quanto a devozioni, tenerezze, lacrime e meditazioni che possiamo provare quaggiù con l'aiuto del Signore, ne ha già conoscenza. La prima orazione che, a mio avviso, ho sentito come soprannaturale - e io chiamo soprannaturali le cose che non si possono acquisire né con accorgimenti né con diligenza, anche se ci si può disporre a riceverle e, anzi, bisogna farlo - è un raccoglimento interiore che si sente nell'anima. Allora, si crede, che l'anima abbia in sé altri sensi oltre a quelli esterni e che, volendosi chiudere in sé per allontanarsi dal trambusto esteriore, talvolta se li porti dietro. Sicché sente il bisogno di chiudere gli occhi per poter vedere e udire soltanto ciò che la occupa in quel momento, cioè potersi occupare di Dio da sola a solo. Qui non si perdono i sensi né le potenze, che

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rimangono desti, ma per servire Dio. È una cosa facile da intendere per chi l'ha ricevuta da Dio. Chi, invece, non l'ha ricevuta, avrà bisogno di molte parole e di molti paragoni. Da questo raccoglimento vengono talvolta una quiete e una pace interiore molto piacevoli e, allora, all'anima sembra di avere tutto. Le è di peso persino parlare, intendo pregare e meditare, perché vorrebbe solo amare. Dura abbastanza, anche a lungo. In genere da questa orazione viene un sonno che chiamano sonno delle potenze, durante il quale non sono né assorte né sospese a tal punto che si possa parlare di rapimento. Pur non essendo esattamente un'unione, talvolta - ma anche spesso - l'anima sente che la volontà è unita da sola a Dio e lo vede molto chiaramente. Dico chiaramente da ciò che mi sembra. È tutta presa da Dio, incapace di soffermarsi o applicarsi ad altro, mentre le due altre potenze sono libere e possono badare ad affari o a opere al servizio di Dio. Insomma, Marta e Maria procedono insieme. Io chiesi a Padre Francisco se questo era un inganno, perché me ne rimanevo at.tonita, e lui mi rispose che accadeva molto spesso. Quando c'è l'unione di tutte le potenze, è molto diverso, perché nessuna può agire. L'intelletto è come sbigottito, la volontà ama più che non intenda, ma non sa se ama né che cosa faccia, almeno in modo da poterlo dire: non c'è più né memoria né pensiero. Nemmeno i sensi esteriori sono desti, bensl come smarriti, affinché l'anima approfitti di più di 40

ciò per cui gode, a mio avviso. Allora, in quel breve spazio si smarriscono. Ciò accade in fretta. Dalla ricchezza di umiltà e altre virtù e desideri che rimangono nell'anima, si intende il grande bene che fa questa grazia, ma non si può dire in che cosa consiste. Anche se l'anima volesse spiegarlo, non sa come lo intende e non riesce a spiegarsi. A mio avviso, se vera, è la maggiore grazia che il Signore fa in questo cammino spirituale o, almeno, una delle più grandi. Rapimenti e sospensione sono, a parer mio, la stessa cosa, ma io dico sospensione per non dire rapimento, che fa paura. In realtà, l'unione di cui ho parlato può anche essere chiamata sospensione. La differenza fra questa e il rapimento è solo che il rapimento dura di più e si fa sentire di più esteriormente, perché il respiro diminuisce a tal punto che non si può parlare né si possono aprire gli occhi. Anche se nell'unione accade lo stesso, nel rapimento ha più forza e il calore naturale se ne va non so dove. Quando il rapimento è grande - in tutte queste forme di orazione c'è intensità maggiore o minore -, quando, dico, è grande, le mani diventano gelide e talvolta rigide come bastoni. E il corpo rimane così come è stato colto dal rapimento, in piedi o in ginocchio. L'anima è tanto presa dal godimento di quanto Dio le fa vedere, che sembra dimenticarsi di animare il corpo e lo abbandona tutto. Se questo stato si protrae, i nervi restano doloranti. 41

Mi sembra che il Signore voglia qui fare intendere all'anima ciò di cui gode meglio che non nell'unione. In genere, durante il rapimento, le vengono svelate talune cose di sua Maestà e gli effetti che le rimangono sono grandissimi, soprattutto l'oblio di sé, per desiderare con ardore soltanto che un cosl grande Dio e Signore sia conosciuto e lodato. A mio avviso, se il rapimento viene da Dio, l'anima non può non trarre chiara consapevolezza della propria miseria e della propria ingratitudine per non aver servito chi, solo per sua bontà, le fa una grazia simile. La dolcezza della sensazione che prova è cosl eccessiva e supera talmente ogni possibile paragone di quaggiù, che, se non ne perdesse il ricordo, avrebbe sempre nausea dei piaceri terreni. Sicché finisce col tenere in poco conto tutte le cose del mondo. La differenza che c'è fra rapimento e ratto è che nel rapimento si muore a poco a poco alle cose esteriori, si perdono i sensi e si vive in Dio. Il ratto sopravviene a una sola notizia che sua Maestà invia nel più intimo dell'anima ed è talmente rapido, che all'anima sembra di essere trasportata nella parte superiore di se stessa e di separarsi dal corpo. All'inizio ha quindi bisogno di coraggio per abbandonarsi fra le braccia del Signore e farsi portare dove lui vuole. Finché sua Maestà non l'acquieta là dove vuole portarla - dico portarla per dire che intende rivelarle alte cose -, è necessario che all'inizio sia fermamente risoluta a morire per lui, per42

ché la povera anima non sa che cosa le accadrà. Ma questo, ripeto, agli inizi. A mio avviso, le virtù diventano qui più forti, i desideri aumentano e si intende meglio il potere di questo grande Dio. E questo aiuta a temerlo e ad amarlo, perché, senza che gli possiamo fare resistenza, rapisce l'anima come se ne fosse il padrone. Rimane un profondo pentimento per averlo offeso, lo stupore per aver osato oltraggiare una cosl grande Maestà e un'ansia grandissima di non vederlo offeso da nessuno, ma lodato da tutti. Credo che vengano di qui questi fortissimi desideri di salvezza delle anime, di contribuirvi in qualche modo e di vedere questo nostro Dio lodato come merita. II volo dello spirito è cosa che non so spiegare: sale dal più intimo dell'anima. La mia mente dimentica molto, ricordo soltanto quel paragone da me fatto dove la Signoria Vostra sa che sono ampiamente esposte queste e altre forme di orazione.7 Mi sembra che l'anima e lo spirito debbano essere una sola cosa. Ma, come un fuoco che - se grande sta per ardere, questa è la disposizione dell'anima verso Dio: lancia una fiamma che arriva in alto, alla stregua del fuoco che subito si accende, ma la fiamma è della stessa natura del fuoco che rimane in basso e, non perché sale, cessa di essere fuoco. Del pari accade qui: l'anima sembra sprigionare subito da sé qualcosa di molto delicato, che sale nella parte superiore e va dove vuole il Signore. Non si può spiegare oltre: è come un volo e io non so a che 43

cos'altro paragonarlo. So che lo si sente con grande chiarezza e non lo si può impedire. Sembrerebbe che quell'uccellino dello spirito sia fuggito dalla miseria di questa carne e dal carcere di questo corpo e possa cosl dedicarsi meglio a ciò che il Signore gli dà. È cosa tanto delicata e preziosa, da ciò che ne intende l'anima, che non è possibile che sia illusione. Del pari accade con tutte ]e grazie di questo genere, quando le si riceve. I timori vengono dopo, perché, è il caso di chi parla, la persona che le riceve si sente cosl miseranda, da aver ragione di temere. Tuttavia nell'intimo dell'anima rimane una sicurezza che le permette di vivere, ma non di tralasciare le precauzioni per non essere ingannata. Impeto chiamo un desiderio che prende talvolta l'anima senza che abbia prima proceduto nell'orazione. Ciò può anche accadere spesso. Viene da un improvviso pensiero dell'assenza di Dio o dall'udire una parola che a ciò si riferisca. Questo pensiero può essere cosl forte e intenso, che in un istante sembra far perdere il senno. È come quando d'improvviso si viene colti da una notizia molto penosa e inattesa o da uno spavento: l'intelletto non sa più trovare conforto e si rimane come intontiti. Cosl succede qui, ma la pena viene da una causa tale, che l'anima capisce benissimo che sarebbe giusto morirne. Sembra proprio che quanto l'anima allora intende serva solo ad accrescere la sua pena e che il

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Signore voglia che solo di questo sia capace. Non sa neppure ricordare che è la volontà di Dio a tenerla in vita. Le sembra, anzi, di essere in una solitudine e in un abbandono che non si possono descrivere. Perché il mondo e le sue cose le dànno tormento e nessuna cosa creata riesce a farle compagnia. L'anima vuole solo il suo Creatore e vede che le è impossibile, se non morendo. E siccome non deve uccidersi, muore dal desiderio di morire, a tal punto da essere veramente in pericolo di morte. Si vede come sospesa fra cielo e terra e non sa che fare. Di tanto in tanto Dio, per mostrarle ciò che perde, le dà qualche notizia di sé, in modo cosl straordinario che non si può dire. Non c'è alcuna pena sulla terra, almeno fra quante io ho patito, che uguagli queste. Basta che duri mezz'ora e il corpo ne rimane cosl slogato e le braccia cosl tese, che le mani non sanno nemmeno più scrivere e soffrono grandissimi dolori. Di tutto questo non si sente nulla finché l'impeto non è passato. L'anima è troppo presa dentro di sé e credo che non sentirebbe neppure gravi tormenti. Conserva l'uso dei sensi, può parlare e anche guardare, ma non camminare: il colpo violento dell'amore la prostra. E questo impeto, morisse pure dal desiderio di averlo, non serve a nulla se non è Dio a darlo. Lascia nell'anima grandissimi effetti e preziosi vantaggi. Taluni dotti ne parlano in un modo, talaltri in un altro, ma nessuno lo condanna. Il Maestro Avila mi scrisse che era cosa buona e

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cosl tutti dicono. L'anima intende chiaramente che è una grande grazia del Signore. Se accadesse spesso, poco durerebbe la vita. L'impeto comune è quando si sente desiderio di servire Dio con grande tenerezza e lacrime. Si vorrebbe lasciare questo esilio, ma, poiché l'anima rimane abbastanza libera per intendere che la volontà di Dio è che continui a vivere, se ne consola e gli offre la sua vita, supplicandolo che sia solo per la sua gloria. Sicché la pena passa. Un altro modo molto comune di orazione è una sorta di ferita, quando all'anima sembra quasi che le si trafigga il cuore e tutta se stessa con una freccia. Si sente un dolore grande che fa gemere, eppure cosl piacevole, che l'anima vorrebbe non cessasse mai. Non è dolore dei sensi, né piaga materiale: sta nell'anima e non compare sul corpo. Tutto questo non lo si può spiegare se non ricorrendo a paragoni. Io mi servo di confronti grossolani, è vero, per simili cose, ma non so esprimermi altrimenti. Ecco perché non sono cose da scrivere né da dire. Riesce a capirle solo chi ne ha avuto esperienza. Intendo dire che si riesce a capire fin dove arriva questa pena, perché le pene dello spirito sono diversissime dalle altre. Da ciò deduco come debbano soffrire le anime dell'inferno e del purgatorio, più di quanto noi possiamo qui immaginare con le nostre pene corporali. Altre volte mi sembra che questa ferita d'amore venga dall'intimo dell'anima. Gli effetti sono gran46

di, ma, per quanto si faccia, se il Signore non dà questa grazia, è impossibile averla, come è impossibile sottrarvisi se si compiace di darla. Sono desideri di Dio cosi vivi e delicati, che non li si può esprimere e l'anima, vedendosi impedita di godere Dio come vorrebbe, è presa da odio forte per il corpo, che le appare come una grande parete d'intralcio a godere del bene di cui crede già di godere nell'intimo di se stessa. Allora, si rende conto del grande male che ci è venuto dal peccato di Adamo con la perdita di questa libertà. Questa orazione, prima dei rapimenti e dei grandi impeti di cui ho detto, io l'ho avuta. Ho dimenticato di dire che quasi sempre questi grandi impeti non cessano se non con un rapimento o con qualche grande dono del Signore, con cui consola l'anima e la incoraggia a vivere per lui. Tutto questo che si è detto non può essere immaginazione, per diversi motivi che sarebbe lungo dire. Se sia cosa buona o meno, lo sa il Signore. Gli effetti e i profitti che lascia nell'anima non possono, a parer mio, non essere avvertiti. Vedo chiaramente che le tre Persone sono diverse fra loro, come vedevo ieri fra la Signoria Vostra e il Provinciale mentre parlavano, salvo che, come ho già detto, non vedo né odo niente. Ma ne ho una straordinaria certezza, anche se neppure gli occhi dell'anima vedono qualcosa. Quando la loro presenza cessa, me ne accorgo subito. Come, io non lo so, ma so benissimo che non è immaginazio-

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ne. Se poi mi affanno per rivedere queste cose, non ci riesco: ne ho fatto la prova. Del pari è per tutto ciò che qui è detto, da quanto io posso capire. Sono passati molti anni e c'è stato modo di controllare tutto, sì da poterne parlare con questa sicurezza. È vero - e la Signoria Vostra badi a ciò - che io posso indicare quale mi sembra che sia la Persona che sempre mi parla. Per le altre non potrei farlo con uguale certezza. Di una so bene che non mi ha mai rivolto la parola. Mai ne ho inteso il motivo, né voglio chiedere più di quanto Dio mi dà. Altrimenti mi sembra subito di poter essere ingannata dal demonio e, per via di questo timore, non chiederò nulla neppure adesso. La prima Persona mi ha parlato, credo, qualche volta. Ma, poiché non me ne ricordo bene, come non ricordo ciò che mi avrebbe detto, non oserei affermarlo. Tutto questo è scritto dove la Signoria Vostra sa, e molto più in dettaglio che non qui, se pure forse in termini diversi. Anche se queste Persone si mostrano, in modo assai straordinario, diverse, l'anima capisce che sono un Dio solo. Non ricordo che mi sia mai sembrato che il Signore mi avesse parlato se non attraverso la sua Umanità e, ripeto, posso assicurare che non è illusione. Quanto la Signoria Vostra mi dice dell'acqua, io non so. E non sono neppure venuta a conoscenza di dove sia il Paradiso terrestre. Ripeto che so quanto il Signore mi fa conoscere senza che io possa evi-

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tarlo: non mi è lecito fare altrimenti. Ma chiedere a sua Maestà di rivelarmi qualcosa, io non l'ho mai fatto, perché mi sarebbe sembrato di immaginarmelo o di essere ingannata dal demonio. E mai, grazie a Dio, sono stata cosi curiosa da desiderare di sapere cose, né mi importa affatto sapere più di quanto so. Ciò che ho appreso senza volerlo mi è costato grande travaglio, vedendomi cosi miseranda. I buoni non hanno bisogno di tanto per servire sua Maestà. Di un'altra orazione mi ricordo, che precede quella di cui ho parlato per prima. È una presenza di Dio e non è affatto una visione. Quando ci si vuole raccomandare a sua Maestà - a meno che ci sia aridità - sia pure pregando vocalmente, sembra di trovarlo presente. Piaccia a Dio che io non perda tante grazie per mia colpa e abbia misericordia di me.

6.

[Palencia, 1581]

Oh, chi potrebbe spiegare alla Signoria Vostra 8 in quale pace e tranquillità si trova la mia anima! Ha tale certezza di poter un giorno godere di Dio, che le sembra di averne già il possesso, se non la gioia. È come se una persona avesse assegnato una rendita cospicua a un'altra con regolare scrittura notarile affinché ne goda dopo qualche tempo insieme agli interessi. Sicché questi fino ad allora gode solo del possesso che sa di avere e di cui un giorno go-

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drà la rendita. Nella sua gratitudine, la mia anima non vorrebbe neanche goderne subito, perché le sembra di non averlo meritato. Vuole solo servire Dio, anche al prezzo di molti patimenti. Talvolta le sembra che servire sino alla fine del mondo chi le ha fatto un dono simile sarebbe ancora poco. Perché, a dire il vero, in parte non è più soggetta come prima alle miserie del mondo. Pur soffrendo di più, sembra che i travagli si limitino a sfiorarle la veste. Se ne sta in una sorta di castello di cui è signora e non perde la pace, anche se questa sicurezza non le toglie un grande timore di offendere Dio e la cura di evitare tutto quanto può essere di ostacolo al suo servizio. Procede, anzi, con maggiori precauzioni di prima ed è cosl dimentica di se stessa, che non pensa al proprio interesse, quasi avesse in parte smarrito il proprio essere. Qualsiasi cosa faccia è in onore di Dio e alla ricerca di come meglio seguire la sua volontà e rendergli gloria. Pur stando cosl le cose, mi sembra che abbia più cura per ciò che riguarda la sua salute e il suo corpo. Si mortifica di meno nel mangiare e non ha più i desideri di un tempo di fare penitenza. Ma credo che sia per servire meglio Dio in altre cose, perché spesso gli offre come grande sacrificio la cura del corpo, che le pesa molto. Talvolta cerca di fare qualche penitenza, ma, da quanto può giudicare, non riesce a sottoporvisi senza danno della sua salute e tiene presenti gli ordini dei superiori. In questo, come nel desiderio di badare alla sua salute, deve 50

anche entrarci l'amor proprio. Eppure io credo che avrei molto più piacere se potessi fare grandi penitenze, come ne avevo quando ciò mi era possibile. Allora, mi sembrava di potere almeno far qualcosa, di dare il buon esempio, e vivevo senza questo tormento di non servire in nulla Dio. La Signoria Vostra consideri che cosa sarà meglio fare in merito. Le visioni immaginarie hanno cessato, ma ho sempre, mi pare, la visione intellettuale delle tre Persone e dell'Umanità di nostro Signore, che è, a mio avviso, cosa ben più alta. Ora credo di intendere che le altre visioni venivano da Dio, perché disponevano l'anima allo stato in cui ora si trova. Conoscendo la miseria e la debolezza dell'anima mia, il Signore mi guidava come riteneva opportuno. Comunque sia, a parer mio, sono cose da apprezzare molto quando vengono da Dio. Le parole interiori non mi hanno abbandonata. Quando è il caso, nostro Signore mi dà qualche avviso. Anche adesso, a Palencia, se non fosse stato per questo aiuto, avremmo fatto un bel pasticcio, pur senza colpa. Atti e desideri non sembrano avere la forza di prima. Pur essendo intensi, molto più forte è il desiderio di seguire la volontà di Dio. Ciò serva a sua maggior gloria. L'anima sa benissimo che il Signore conosce quanto è bene a tal fine ed è distaccata da ogni interesse personale. Sicché quegli atti e quei desideri finiscono in fretta: a parer mio, non hanno più forza. Di qui nasce la paura che io talvolta sen-

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to, anche se non con l'angoscia e la pena di prima, per il fatto che la mia anima è come intontita e io non faccio niente, visto che la penitenza mi è impossibile. Gli atti ispirati dalla sofferenza, dal martirio e dal desiderio di vedere Dio non hanno forza e, in genere, non ne concepisco. Mi sembra di vivere solo per mangiare, dormire e non angosciarmi di nulla e neppure questo stato mi angoscia. È vero che talvolta, ripeto, temo un inganno, ma, di fatto, non posso crederlo. Sono convinta di non essere dominata da alcun saldo legame con qualsiasi creatura e di essere distaccata anche dalla gloria del cielo. Intendo solo amare questo nostro Dio - cosa che non si indebolisce, anzi, a mio avviso, aumenta - e desiderare che tutti lo servano. Ciò malgrado, una cosa mi stupisce: non poter nemmeno più provare come prima quella grandissima pena interiore al vedere le anime perdersi e al pensare che viene fatta qualche offesa a Dio. Comunque, a quanto mi pare, non è diminuito il desiderio che non venga mai offeso. La Signoria Vostra deve badare che in tutto ciò che mi accade ora - o mi è accaduto prima - io non posso assolutamente fare di più. Servire meglio Dio, in verità, potrei farlo se non fossi tanto miseranda. Ma quanto voglio dire è che, se ora mi sforzassi di desiderare la morte, non ci riuscirei. Del pari, non potrei fare gli atti di prima, né sentire le sofferenze che mi causavano le offese recate a Dio e nemmeno quei grandissimi timori che ho avuto per anni di es-

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sere ingannata. Ormai non ho bisogno di ricorrere a uomini dotti, né di dire nulla a nessuno. Mi basta convincermi di essere sul giusto cammino e sperare di poter fare qualcosa. Ne ho discusso con alcuni confessori che avevo già interrogato sul resto, cioè con Padre Domingo, col Maestro Medina e con alcuni Padri della Compagnia. Dopo quanto mi dirà la Signoria Vostra, l'argomento sarà chiuso, per la grande stima che io le nutro. Sicché, per amor di Dio, esamini con attenzione quanto ho scritto. Non ho neppure cessato di intendere se certe anime che muoiono vanno in cielo. Ma solo quelle che mi interessano, le altre no. La solitudine mi fa pensare che non si può darle il senso delle parole « Colui che succhia le mammelle di mia madre ».9 La fuga in Egitto ... La pace interiore e la poca forza che hanno piaceri e dispiaceri per allontanarla in modo durevole ... Questa presenza delle tre Persone è cosl indubbia, che si sperimenta con chiarezza - mi sembra quanto dice san Giovanni a proposito della dimora divina dell'anima, non solo in virtù della grazia, ma anche della sensazione di questa presenza. Se ne traggono cosl grandi beni, che non li si può dire, e soprattutto non c'è bisogno di cercare particolari considerazioni per sapere che Dio è là. Questa è una cosa quasi comune, salvo quando la malattia pesa con la sua intensità. Talvolta è volere di Dio - sembra - che si soffra senza un conforto interiore, ma la volontà dell'anima non si di-

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scosta mai, neanche per un primo moto, dal desiderio che in lei si compia quella di Dio. Ha tanta forza questa sottomissione, che non si desidera né la morte né la vita, se non per brevi attimi, quando nell'anima si riaccende l'ansia di vedere Dio. Ma allora la presenza delle tre Persone le si manifesta subito con forza tale, che rimedia al dolore di questa assenza e rinnova il desiderio di vivere, se cosl Dio vuole, per servirlo di più. Se io potessi far sl che, per mia intercessione, anche solo un'anima e per breve tempo lo amasse e lodasse meglio, mi sembrerebbe molto più importante che essere già nella gloria.

7.

[Toledo, 17 novembre 1569]

A giorni diciassette del mese di novembre, ottava di San Martino, anno 1569, vidi di aver passato, riguardo a quanto so io, dodici anni. Per arrivare ai trentatre, che sono gli anni del Signore, ne mancano ventuno. Questo a Toledo, nel convento del glorioso San Giuseppe del Carmine. Io per te e tu per me. Vita. Dodici per me e non per mia volontà vissuti.

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8.

[Toledo, 1569-1570]

Mi trovavo nel convento di Toledo e alcune persone mi consigliavano di non darvi sepoltura a chi non fosse nobile. E il Signore mi disse: « Ti ingannerai molto, figlia, se baderai alle leggi del mondo. Fissa lo sguardo su di me, povero e disprezzato dagli uomini. I grandi del mondo sono forse grandi dinanzi a me? E voi dovete essere stimate per il vostro lignaggio o per le vostre virtù? ».

9.

[Malag6n, 9 febbraio 1570 ca.]

Il secondo giorno di quaresima, nel convento di San Giuseppe di Malag6n, mi ero appena comunicata quando mi apparve nostro Signore Gesù Cristo in visione immaginaria, come di solito. Guardandolo, vidi che in testa, invece della corona di spine, ll dove avrebbe dovuto lasciargli le piaghe, aveva un corona di grande splendore. Siccome sono molto devota di questo mistero, mi consolai molto. Mi misi poi a considerare quanto doveva aver sofferto per tutte quelle ferite e ne ebbi grande pena. Ma il Signore mi disse di non compiangerlo per quelle ferite, ma per le molte altre che gli facevano in quel momento. Gli chiesi che cosa potevo fare per rimediarvi e mi dichiarai disposta a tutto. Mi disse che non era tempo di riposare, ma di affrettarmi a fondare questi monasteri, perché lui trovava quiete nelle anime lì accolte. Dovevo quindi

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accettare tutte le fondazioni che mi venissero offerte, poiché molte persone, in quanto prive del luogo adatto, non lo servivano. I conventi che avrei fondato nei piccoli paesi avrebbero dovuto essere come questo. Ll, col desiderio di fare le stesse cose, si sarebbero potuti guadagnare gli stessi meriti che negli altri. Dovevo adoperarmi affinché fossero tutti sotto l'autorità di uno stesso superiore e badare che le preoccupazioni per il sostentamento materiale non prevalessero sulla pace interiore. Lui avrebbe fatto sì che non mi mancasse mai nulla. Particolare riguardo bisognava avere per le malate. La priora che non le provvedesse del necessario e non le accudisse sarebbe stata come gli amici di Giobbe, perché il Signore le colpiva per il bene delle loro anime e, invece, avrebbero rischiato di perdere la pazienza. Infine, dovevo scrivere la storia di queste fondazioni.10 Io pensavo che in quella di Medina non avevo trovato niente che meritasse di essere scritto. Allora, lui mi chiese che cos'altro volevo per intendere che quella fondazione era stata miracolosa. Voleva dire che era stata portata a termine solo per opera sua, se proprio sembrava cosa impossibile. Sicché decisi di cominciare l'impresa.

10.

[?]

Un giorno, stavo pensando a un avviso che il Signore mi aveva incaricata di comunicare. Poiché

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non ci capivo niente, pur avendolo supplicato di spiegarsi, e temevo fosse opera del demonio, il Signore mi disse che non lo era e che, al momento opportuno, mi avrebbe istruita in merito.

[1570 ?]

Una volta, stavo pensando con quanta maggior purezza si vive lontano dagli affari e come, quando ne sono presa, vivo male e compio errori. Allora udii: « Non può essere altrimenti, figlia. Cerca di avere sempre retta intenzione e distacco in tutto. Guarda me e, così, ciò che farai sarà conforme a ciò che ho fatto io ».

12.

[1570 ?]

Stavo pensando a quale poteva essere la causa per cui non avevo più rapimenti in pubblico, quando udii: « Ora non è bene. Tu godi di sufficiente credito per quanto io voglio. Dobbiamo badare alla debolezza di chi è maligno nell'interpretare le cose ».

13.

[1570-1571]

Un giorno, ero m grande pena per la riforma dell'Ordine, quando il Signore mi disse: « Fa' ciò che puoi, abbandonati a me e non preoccuparti di

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nulla. Godi del bene che ti è stato dato, che è molto grande. Mio padre si compiace di te e lo Spirito Santo ti ama».

14.

[Salamanca o Alba, febbraio 1571]

Un giorno, il Signore mi disse: « Tu desideri sempre i travagli e poi li respingi. Io dispongo le cose secondo quanto so del tuo volere e non secondo la tua umana debolezza. Fatti animo, vedi che ti soccorro. Ho voluto che meritassi tu questa corona. Finché vivrai, vedrai progredire molto l'Ordine della Vergine ». Questo udii che mi diceva il Signore, a metà febbraio, anno 1571.

15.

[Salamanca, 15-16 aprile 1571]

Per tutto 1en mi sono sentita in grande solitudine e, a parte quando mi sono comunicata, non mi ha fatto alcun effetto che fosse il giorno della resurrezione. Ieri sera, mentre stavamo tutte insieme, fu cantata una canzoncina su come si soffre vivendo lontano da Dio. Mi sentivo già afflitta e la canzone mi ha fatto un effetto tale, che mi si sono intorpidite le mani e non ho potuto resistere. Se i rapimenti mi fanno uscire di me per la gioia, la mia anima viene colta da sospensione anche per un dolore mol-

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to forte e rimango priva di sensi. Finora io non l'avevo inteso, mi sembrava anzi, da qualche giorno in qua, di non avere più quei grandi impeti di una volta. Ora credo che la causa sia quanto ho detto, ma forse mi inganno. Prima il dolore non mi faceva uscire di me, anche se, intollerabile com'è, conservando l'uso dei sensi, mi faceva urlare forte e non riuscivo a dominarmi. Ora che è aumentato, è come una trafittura, sicché intendo meglio quello di Nostra Signora, mentre prima non capivo che cosa fosse una trafittura. Il mio corpo ne è rimasto schiantato. Ancora oggi, scrivo molto a stento, con le mani come slogate e doloranti. La Signoria Vostra 11 mi dirà, quando ci incontreremo, se esiste questa estasi di dolore e se io la sento com'è o se mi inganno. Sono rimasto con questo dolore fìno a stamani, quando, durante l'orazione, ho avuto un grande rapimento. Mi sembrava che nostro Signore mi avesse portata in ispirito da suo Padre e gli dicesse: « Questa che tu mi hai dato io te la do ». Mi sembrava anche che il Padre mi avvicinasse a sé. Non è immaginazione, ma una grande certezza e una delicatezza cosl spirituale, che è difficile spiegarla. Mi disse diverse cose che non ricordo: alcune erano promesse di grazie. Mi tenne presso di sé per qualche tempo. Ieri la Signoria Vostra se n'è andato via presto. Io mi rendo conto che le sue molte occupazioni impediscono che io ne riceva conforto anche quando

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più mi è necessario, ma sono rimasta per un po' afflitta e triste. Vi contribuiva anche la solitudine di cui ho detto. Siccome mi sembra di non essere legata ad alcuna creatura della terra, sono stata presa da qualche scrupolo e dal timore di perdere questa libertà. Ciò accadeva ieri sera. Oggi nostro Signore ha risposto ai miei dubbi e mi ha detto di non stupirmi. Cosl come i mortali desiderano amici con cui parlare dei loro piaceri materiali, l'anima, quando c'è chi la intende, desidera comunicare le sue gioie e le sue pene e si affiigge se non può farlo. E ha detto: « Ora sei sul giusto cammino e le tue opere mi sono grate». Essendo rimasto con me un poco, mi sono ricordata che avevo detto alla Signoria Vostra che tali visioni passano presto. Il Signore mi ha allora spiegato che c'è una differenza fra queste visioni e quelle immaginarie e che, nelle grazie che ci fa, non possono esserci regole fisse. Talvolta è bene che vengano fatte in un modo e talaltra in un altro. Un giorno, dopo essermi comunicata, mi sembrò che assai chiaramente nostro Signore si fosse seduto accanto a me e mi avesse consolata con grande tenerezza, dicendomi fra l'altro: « Eccomi qui, figlia, sono io. Mostra le tue mani». E mi sembrava che me le prendesse e le avvicinasse al suo costato, dicendo ancora: « Guarda le mie piaghe. Tu non sei senza di me. Passa la brevità della vita ». Da alcune cose che mi disse intesi che, dopo essere salito in cielo, non è più disceso sulla terra 60

per comunicare con nessuno, se non nel santissimo Sacramento. Mi disse che, risorto, si era mostrato a nostra Signora, perché lei aveva molto bisogno di vederlo. Era sopraffatta e trafìtta dal dolore a tal punto, che dapprima non riusciva a riprendersi e a godere di una gioia simile. Da ciò mi resi conto della mia trafittura, ben diversa dalla sua, ma uguale a quella per cui soffrì la Vergine! Disse ancora che era rimasto a lungo con lei, quanto necessario per consolarla.

16.

[Avila, 29 maggio 1571]

Il martedl dopo l'Ascensione, stavo pregando un po' dopo essermi comunicata con una certa pena. Ero cosl distratta che non riuscivo a soffermarmi su nulla, e mi lamentavo col Signore della nostra misera natura. La mia anima cominciò a infiammarsi e mi sembrava di sentire con chiarezza in me tutta la santissima Trinità in visione intellettuale. Era una sorta di rappresentazione, come un'immagine della verità. Sicché, pur essendo io ottusa, la mia anima riusci a intendere come Dio sia uno e trino. Tutt'e tre queste Persone viste nitidamente dentro di me sembravano dirmi che, a partire da quel giorno, avrei avvertito in me un miglioramento delle tre virtù di cui ognuna di loro mi avrebbe favorita: la carità, la gioia nella sofferenza e l'ardore che dà all'anima la carità stessa. Allora, compresi le parole

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del Signore, quando dice che le tre Persone abiteranno l'anima che è in stato di grazia. Poi, mentre ringraziavo il Signore di un favore tanto grande e me ne professavo indegna, chiesi a sua Maestà con pena perché, pur facendomi simili grazie, aveva smesso di sorreggermi con la sua mano e aveva permesso che peccassi. Il giorno prima, solo al ricordo delle mie colpe, ero stata presa da una forte angoscia. Vedevo con chiarezza quanto il Signore aveva fatto, sin dalla mia prima infanzia, per attrarmi a sé con mezzi molto efficaci e come io non avessi saputo giovarmene. In questo vidi lo smisurato amore che Dio nutre per noi e fa sl che ci perdoni tutto allorché vogliamo tornare da lui. E questo amore si manifesta più verso di me che verso chiunque altro, per molti motivi. La visione di quelle tre Persone, che pure sono un solo Dio, mi rimase cosi impressa nell'anima, che, se continuasse, non potrei non essere sempre in raccoglimento con tale divina compagnia. Non c'è ragione di scrivere qui altre cose che mi sono accadute, né altre parole.

17.

[Avila, maggio 1571 ca.]

Poco prima di questo, mentre stavo per comunicarmi e l'Ostia, che ancora non avevo ricevuto, era nel ciborio, vidi una sorta di colomba che agitava le ali con rumore. Ebbi un turbamento e una sospensione tali, che dovetti sforzarmi molto per 62

ricevere l'ostia. Tutto ciò accadeva nel convento di San Giuseppe d'Avila. A darmi il santissimo Sacramento era Padre Francisco de Salcedo. Un altro giorno, mentre ascoltavo messa, vidi nell'ostia il Signore glorificato, il quale mi disse che quel sacrificio gli era gradito.

18.

[Avila, 30 giugno 1571)

Questa presenza delle tre Persone di cui ho già detto, è rimasta nella mia anima fino a oggi, giorno della commemorazione di san Paolo, quasi costantemente. Mi sembra che la vista di tre Persone, essendo io abituata solo a quella di Gesù Cristo, mi fosse di qualche impedimento, per quanto sapessi che sono un solo Dio. Oggi, mentre ci stavo pensando, il Signore mi ha detto che sbagliavo nel raffigurarmi le cose dell'anima come quelle del corpo. Dovevo intendere che erano assai diverse e che l'anima era capace di godere molto. Mi sembrò allora che fosse come una spugna quando si imbeve e si impregna d'acqua. Del pari, la mia anima sembrava riempirsi di quella divinità e, in qualche modo, godere delle tre Persone che conteneva. E udii pure: « Non cercare di chiudere me in te, ma cerca di chiudere te in me ». Mi sembrava che nella mia anima, dove c'erano queste tre Persone e dove io le vedevo, si comunicassero a tutto il creato, senza escludere nessuno e senza allontanarsi da me. 63

19.

[Avila, luglio 1571 ca.]

Pochi giorni dopo quanto ho scritto, stavo pensando se avevano ragione coloro che disapprovavano che uscissi dal convento per le fondazioni, e se non sarebbe stato meglio che continuassi ad applicarmi nell'orazione. Allora udii: « Finché si vive, il profitto non sta nel tentare di godere di più, ma nel seguire i miei voleri». Mi sembrava che, siccome san Paolo parla del ritiro in cui debbono vivere le donne - me l'avevano ricordato poco tempo prima e io stessa l'avevo già udito -, tale doveva essere la volontà di Dio. Ma mi disse: « Di' loro che non seguano solo una parte delle Scritture, ma che badino pure al resto e vedano se così potranno legarmi le mani ».

20.

[Avila, 10 luglio 1571]

Il giorno dopo l'ottava della Visitazione, mi trovavo in un romitorio del Monte Carmelo per raccomandare a Dio un mio fratello e dissi, non so se soltanto col pensiero: « Perché questo mio fratello deve stare dove è in pericolo la sua salvezza? Se io vedessi, o Signore, un fratello vostro in simile frangente, che cosa non farei per rimediarvi! ». Mi sembrava, infatti, che non avrei tralasciato di fare nulla. E mi disse il Signore: « Oh, figlia, figlia, queste monache dell'Incarnazione sono mie sorelle, e tu indugi? Suvvia, coraggio, bada a ciò che io desidero! Non è cosa tanto difficile quanto sembra a te. Pro-

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prio in ciò che tu riterrai dannoso per questi altri conventi, sta il guadagno da entrambe le parti. Non resistere più, ché grande è il mio potere ».

21.

[ Salamanca, aprile-maggio 1571 ? ]

Il desiderio e i grandi impeti di morire mi hanno abbandonata, specialmente dal giorno della Maddalena, quando decisi di vivere di buon grado, per servire molto Dio. Tuttavia, ogni tanto, il desiderio di vederlo mi prende a tal punto, che, pur volendomene liberare, non ci riesco. 22.

[Avila, 1571]

Una volta, udii dire: « Tempo verrà che, in questa chiesa, saranno fatti molti miracoli. Dovranno chiamarla la chiesa santa». Era San Giuseppe d'Avila, anno 1571. 23.

[?]

Una volta, stavo pensando alla grande penitenza che faceva donna Catalina de Cardona e a come io avrei potuto fare di più, per seguire i desideri che talvolta Dio mi dava, se non fossi stata impedita dall'obbedienza ai miei confessori. Mi chiedevo se non sarebbe stato meglio, d'allora in poi, non obbedire loro. E il Signore mi disse: « Questo no, figlia.

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La via che segui è sicura e buona. Vedi tutte le penitenze che quella donna fa? Io preferisco la tua obbedienza ».

24.

[1571 ?]

Una volta, mentre ero in orazione, Dio mi mostrò in visione intellettuale com'è un'anima in grazia e insieme, sempre in visione intellettuale, vidi la santissima Trinità, da cui veniva all'anima un potere capace di farla dominare sul mondo intero. Intesi allora quelle parole dei Cantici che dicono: Veniat dilectus meus in hortum suum et comedat. 12 Mi mostrò anche com'è un'anima in peccato, ridotta senza alcun potere, simile a una persona tutta legata e immobilizzata, con gli occhi bendati, sicché, pur volendo, non può vedere nulla, né camminare, né udire, tanto è immersa in un buio fitto. Mi fecero così pietà le anime in questo stato che, per liberarne una sola, qualsiasi travaglio mi sembrerebbe lieve. Credo che chiunque l'abbia inteso come me ed è cosa difficile da spiegare con parole - si adopererebbe per non perdere tanto bene e cadere in un male tanto grande.

25.

[Avila, 19 gennaio 1572]

La vigilia di San Sebastiano del primo anno in cui fui priora all'Incarnazione, mentre stavo comin-

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dando il Salve Regina, vidi la Madre di Dio scendere con una moltitudine di angeli verso il seggio della priora, lì dove c'è la statua della Madonna, e posarvisi. Mi sembra di non aver visto l'immagine, ma questa Signora che dico. Somigliava un po' al quadro donatomi dalla contessa di Osorno, ma fu uno spettacolo troppo rapido per poter essere precisa, anche perché ebbi subito una lunga sospensione. Mi sembrava di vedere angeli sopra la cornice dei seggi e sugli appoggiatoi lì davanti, ma non in forma corporea, perché era una visione intellettuale. La Vergine rimase lì per tutto il tempo del Salve Regina e mi disse: « Hai fatto bene a mettermi qui. Potrò cosi essere presente alle lodi che verranno rese a mio Figlio e gliele presenterò ». Poi rimasi nella mia solita orazione, quando l'anima gode di stare con la santissima Trinità. Mi sembrava che la persona del Padre mi avvicinasse a sé e mi dicesse parole assai grate. Fra le altre, disse· mostrandomi quanto mi amava: « Io ti ho dato mio Figlio, lo Spirito Santo e questa Vergine. E tu, che cosa puoi darmi? ».

26.

[Salamanca, 8 aprile 1571 o Avila, 30 marzo 1572]

Il giorno delle Palme, dopo essermi comunicata, fui presa da una grande sospensione e non riuscivo neppure a inghiottire l'ostia. Mentre la tenevo in bocca e stavo riprendendomi un poco, mi sembrò 67

che la mia bocca si fosse tutta riempita di sangue e che pure il viso e tutto il mio corpo ne fossero completamente ricoperti, come se il Signore l'avesse appena sparso. Mi sembrava che fosse caldo e, in quel momento, la dolcezza che sentivo era grandissima, allorché il Signore mi disse: « Figlia, voglio che il mio sangue ti sia di profitto. Non aver paura che ti manchi la mia misericordia. L'ho sparso fra molti dolori e tu ne godi con grande diletto, come puoi vedere. Ti pago bene il convito cui oggi mi hai chiamato ». Disse ciò perché, da più di trent'anni, in questo stesso giorno, se potevo mi comunicavo e preparavo la mia anima ad accoglierlo. E mi sembrava molta la crudeltà degli ebrei quando, dopo cosi buona accoglienza, avevano lasciato che andasse a mangiare tanto lontano. Sicché immaginavo di tenerlo con me, ma, come ora vedo, gli offrivo ben misera dimora. Facevo allora qualche sciocca considerazione e il Signore doveva gradirlo, io penso, perché questa è una delle visioni che io ritenevo più sicure e che mi ha giovato molto per la comunione. Prima di ciò, era stata - credo per tre giorni in preda a quella grande pena che provo, ora più ora meno, per essere lontana da Dio. Ma, in quei giorni, la pena era stata cosi forte, che non pensavo di poterla sopportare. E dopo un lungo travaglio, vidi che era ormai tardi per prendere del cibo. Del resto, non ci sarei riuscita, ma, poiché i miei vomiti mi dànno una grande fiacchezza se non mi sono pri-

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ma cibata un poco, sforzandomi molto mi son messa davanti del pane, per costringermi a mangiarlo. Allora mi si è subito presentato Cristo e mi sembrava che spezzasse un po' di pane e me lo portasse alla bocca. E mi disse: « Mangia, figlia, e resisti come puoi. Soffro al vederti soffrire, ma ora questo è bene per te». Rimasi libera da quella pena e riconfortata. Mi sembrò che il Signore stesse veramente con me anche per tutto il giorno seguente. Sicché il mio desiderio fu, per allora, soddisfatto. Quella parola « soffro » mi colpi, perché mi sembra che ormai non possa soffrire per nulla.

27.

[ 1572 ?]

« Di che ti affliggi, piccola peccatrice? Non sono io il tuo Dio? Non vedi quanto male io vengo ll trattato? Se mi ami, perché non soffri per me? ».

28.

[Avila, 1572 ?]

Sul timore che viene al pensare di non essere in grazia: « Figlia, molto diversa dalle tenebre è la luce. Io sono fedele. Nessuno si perderà senza accorgersene. Si ingannerà chi si rassicura con consolazioni spirituali. La vera sicurezza sta nella testimonianza della buona coscienza, ma nessuno deve

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pensare di poter vivere nella luce con le sue sole forze, così come non si potrebbe evitare il calar della notte, perché dipende da me la grazia. Il miglior mezzo per fermare la luce è intendere che l'anima da sola non può nulla e che tutto le viene da me. Io posso anche stare in lei, ma basta che mi allontani e subito si fa notte. Questa è la vera umiltà: sapere ciò che può lei e ciò che posso io. « Non mancare di scrivere gli avvisi che ti do, affinché non li dimentichi. Se desideri avere per iscritto quelli degli uomini, perché pensi di sprecare tempo a scrivere quelli che ti do io? Tempo verrà che avrai bisogno sia degli uni, sia degli altri ».

29.

[Avila, 1572 ? ]

Su come mi fece intendere che cos'è l'unione: « Non pensare, :figlia, che unione è stare strettamente congiunti a me, perché lo sono anche quelli che, loro malgrado, mi offendono. Non si tratta neppure dei doni e dei diletti dell'orazione, se pure di grado molto alto e vengono da me. Sono spesso mezzi di cui mi servo per attrarre le anime che non sono in grazia ». Mentre udivo ciò, sentivo il mio spirito come in una elevazione. Il Signore mi fece intendere che cos'era lo spirito, com'era allora la mia anima e come si debbono intendere le parole del Magnificat: Exultavit spiritus meus.13 Non saprei dirlo: mi sem70

bra che mi sia stato fatto intendere che lo spirito è la parte superiore della volontà. Tornando all'unione, intesi che questo spirito era netto e discosto da tutte le cose della terra, senza nulla che contraddicesse la volontà di Dio, bensì in tutto conforme a questa, sì da formare insieme un solo spirito e un solo volere, da tutto distaccato, preso solo da Dio. E non si ha più memoria dell'amore per se stessi, né di alcuna cosa creata. Io ho pensato: se questa è unione, possiamo ben dire che un'anima così risoluta è sempre in orazione di unione, per quanto sia molto breve. Allora, mi è venuto in mente che forse questa unione c'è quando si agisce rettamente, si acquistano meriti e si progredisce nel bene. Ma non si può dire che l'anima, ciò facendo, sia unita a Dio come durante la contemplazione. Mi sembra di avere inteso, ma non con parole, che è tanta la polvere della nostra miseria, degli errori e degli ostacoli in cui continuiamo a invischiarci, che non sarebbe possibile conservare la purezza di cui gode lo spirito unendosi a Dio e librandosi ormai fuori e al di sopra della nostra miseranda miseria. E mi sembra pure che, se questa è unione, il nostro spirito e la nostra volontà sono una sola cosa con Dio e, quindi, è impossibile che le anime che non godono della grazia l'abbiano, mentre mi avevano detto il contrario. Sicché mi sembra assai difficile intendere, senza una particolare grazia di Dio, quando c'è unione, visto 71

che non si può sapere se siamo o no in stato di grazia. La Signoria Vostra 14 mi scriva il suo parere, mi dica in che cosa sbaglio e poi mi restituisca questo foglio.

30.

[Avila, 1572 ?]

Avevo letto in un libro che è imperfezione tenere immagini ricercate, sicché volevo disfarmi di una che tenevo in cella. Anche prima mi sembrava povertà averne solo di carta. Ma, dopo aver letto ciò un giorno di questi, non avrei mai più voluto averne se non cosl. E mentre non ci stavo pensando, udii che la mia non era una buona mortificazione e mi fu chiesto se era migliore la povertà o la carità. Poiché l'amore era la cosa migliore, non dovevo privare me né le mie consorelle di nulla che potesse ravvivarlo nei nostri cuori. Il libro parlava dei molti addobbi e abbellimenti delle immagini, non delle immagini stesse. L'astuzia del demonio, con i luterani, stava proprio nel togliere loro i mezzi per risvegliarne la pietà, sicché si perdevano. « I miei cristiani, figlia, ora più che mai debbono fare il contrario di quanto gli altri fanno ». Intesi che era mio obbligo servire nostra Signora e san Giuseppe. Spesso, quando mi ero già perduta quasi del tutto, Dio mi aveva reso la salvezza grazie alle loro preghiere. 72

31.

[Avila, 1 giugno 1572 ca.]

Nell'ottava della Pentecoste, il Signore mi fece una grazia e mi diede la speranza che questo convento sarebbe migliorato. Parlo delle anime che ci abitano. 32.

[Avila, 22 luglio 1572 ca.]

Il giorno della Maddalena, il Signore mi confermò di nuovo una grazia che mi aveva fatto a Toledo, scegliendomi - in assenza di una persona - a prenderne il posto. 33.

[Avila, 22 settembre 1572 ca.]

Il giorno dopo San Matteo, mentre ero come sempre da quando ho avuto la visione della santissima Trinità ne1l'anima in stato di grazia, intesi con grande chiarezza che l'avevo vista in visione immaginaria mediante certe rappresentazioni e certi paragoni. Anche se altre volte la santissima Trinità mi si era manifestata in visione intellettuale, dopo pochi giorni la verità non mi era rimasta impressa come ora, sl da potervi fissare il pensiero e trarne conforto. Adesso mi accorgo che ho udito uomini dotti parlare allo stesso modo, ma non l'avevo inteso come ora. Tuttavia ci avevo sempre creduto senza esitare, perché non ho mai avuto tentazioni di fede.

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Noi, che siamo ignoranti, immaginiamo le Persone della santissima Trinità in una sola - come le vediamo dipinte -, alla stregua di un corpo con tre volti, e questo ci spaventa, perché sembra cosa impossibile. Nessuno osa pensarci e l'intelletto si turba e teme di dubitare di questa verità, il che fa perdere grandi profitti. Ciò che mi è apparso sono tre Persone distinte, che si possono vedere e con le quali si può parlare separatamente. Ho poi pensato che solo il Figlio prese carne umana, dalla qual cosa si vede questa verità. Queste Persone si conoscono, si amano e comunicano fra loro. Ma, se ognuna sta a sé, come facciamo a dire che tutt'e tre sono una sola essenza e a crederci con convinzione, perché è veramente una grande verità, per cui patirei mille morti? In tutt'e tre le Persone c'è un solo volere, un solo potere, una sola sovranità. Ciascuna nulla può senza le altre ed esiste un solo Creatore di tutto ciò che è stato creato. Potrebbe il Figlio creare una formica senza il Padre? No, perché il loro è un solo potere e del pari è per lo Spirito Santo. C'è un solo Dio onnipotente e tutt'e tre le Persone formano una sola Maestà. Chi potrebbe amare il Padre senza amare il Figlio e lo Spirito Santo? Nessuno. Chi serve una di queste tre Persone, serve tutt'e tre. Chi ne offende una, le offende tutte. Il Padre potrebbe stare senza il Figlio e senza lo Spirito Santo? No, perché hanno una sola essenza e, dove c'è una di queste Persone, ci sono tutt'e tre. Non possono 74

separarsi. Allora, come mai vediamo queste tre Persone distinte e come ha potuto prendere carne umana solo il Figlio e non il Padre e lo Spirito Santo? Non sono riuscita a intenderlo, ma i teologi lo sanno. Io posso dire che tutt'e tre le Persone erano presenti in quell'opera meravigliosa e non sto tanto a pensare al resto. Il mio pensiero conclude subito che Dio è onnipotente, che ha potuto fare quanto ha voluto e che sempre potrà fare quanto vorrà. Meno ne capisco e più ci credo e più devozione mi ispirano. Sia sempre benedetto. Amen.

34.

[?]

Se nostro Signore non mi avesse fatto le grazie che mi ha fatto, non credo che avrei avuto il coraggio di compiere le opere che ho compiuto, né la forza di sopportare tutti i travagli, i contrasti e le critiche che ho sofferto. Fu cosl che, cominciate le fondazioni, svanirono i miei timori di prima circa il dubbio di essermi ingannata ed ebbi certezza che era Dio a ispirarmi. Mi avventuravo in imprese molto ardue, pur badando sempre ai consigli e all'obbedienza. Da ciò intendo che nostro Signore, volendo avviare la riforma di questo Ordine e, per sua misericordia, servirsi di me a tal fine, dovette darmi quanto mi mancava, cioè tutto, affinché il suo disegno si compisse e meglio si mostrasse la sua grandezza in cosa miseranda quale io sono.

75

35.

[Avila, 18 novembre 1572 ca.]

Mi trovavo nel convento dell'Incarnazione, il secondo anno del mio priorato. Era l'ottava di San Martino. Stavo per comunicarmi, quando Padre Juan de la Cruz, che mi dava il santissimo Sacramento, divise l'ostia per darne metà a una mia consorella. Pensai che non lo faceva per mancanza di ostie, ma per mortificarmi. Io gli avevo detto che mi piacevano molto quelle grandi, pur sapendo che ciò non importa, perché il Signore sta tutt'intero anche in un piccolissimo frammento. E sua Maestà mi disse: « Non avere paura, figlia, che qualcuno possa separarmi da te ». Mi fece cosl intendere che era cosa senza importanza. Allora, mi apparve in visione immaginaria come altre volte, molto dentro di me, mi porse la mano destra e mi disse: « Guarda questo chiodo: è segno che da oggi sarai mia sposa. Finora non l'avevi meritato, ma, d'ora innanzi, dovrai badare al mio onore, non solo perché sono il tuo Creatore, il tuo Re e il tuo Dio, ma anche perché invero tu sei mia sposa. Ormai, il mio onore è il tuo e il tuo è il mio ». Questa grazia mi fece un effetto tale, che non stavo più in me. Mi ritrovai come insensata e pregai il Signore o di ingrandire la mia piccolezza o di non farmi più simili grazie. Mi sembrava che la mia natura proprio non ce la facesse a sopportarle. Passai il resto della giornata completamente assorta. Ho poi sentito di averne tratto grande vantaggio e dolore e turbamento sono aumen-

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tati nel constatare che a nulla servo pur godendo di grazie simili.

36.

[Avila, 1572 ?]

Questo mi disse il Signore, un altro giorno: « Tu pensi, figlia, che il merito stia nel godere? Bada che sta solo nell'agire, nel soffrire e nell'amare. Mai avrai udito che san Paolo ha goduto più di una volta le gioie celesti, mentre spesso ha dovuto soffrirne. Tu vedi come la mia stessa vita sia piena di travagli e sai che la mia unica gioia fu quella del monte T abor. Quando vedi mia Madre tenermi fra le braccia, non devi pensare che stia godendo senza grande pena. Non appena ebbe udito quelle parole di Simeone, mio Padre la illuminò affinché sapesse quanto io avrei patito. I grandi santi che vissero nei deserti, sotto la guida di Dio, oltre a sostenere dure lotte contro il demonio e contro se stessi, facevano grandi penitenze e restavano a lungo senza conforti spirituali. Bada, figlia, che mio Padre ama di più coloro cui dà maggiori travagli, i quali sono in misura dell'amore. In che cosa io ti posso dimostrare il mio se non volendo per te ciò che ho voluto per me? Guarda queste piaghe: le tue sofferenze non sono mai arrivate a tanto. È questo il cammino della verità. Quando ne sarai convinta, mi aiuterai a piangere sulla perdizione che minaccia il mondo, i

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cui desideri, le cure e i pensieri mirano tutti a ottenere il contrario ». Quando cominciai l'orazione, avevo un mal di testa cosl forte, che mi sembrava impossibile applicarmici. E il Signore mi disse: « Di qui vedrai il premio della sofferenza. Tu non eri in condizioni di parlare con me e sono venuto io a parlare con te e a rallegrarti ». Rimasi in questo raccoglimento per circa un'ora e mezza e lui mi disse le parole riferite e altre ancora. Non mi distraevo, né sapevo dove mi trovavo, cosl piena di gioia, che mi è impossibile dirlo. Il mal di testa, con mio grande stupore, scomparve e mi venne molto desiderio di soffrire. È vero che il Signore non ha avuto altra gioia nella vita, tranne quella volta, e del pari san Paolo. O almeno io non ho mai udito dire diversamente. Mi disse pure di tenere bene a mente le sue parole agli apostoli: che il servo non deve essere più del padrone.

37.

[ 1572-1573]

Vidi una grande tempesta di tribolazioni: come i figli d'Israele furono perseguitati dagli egiziani, cosl noi dovevamo essere perseguitati. Ma Dio ci avrebbe fatto passare il mare a piedi asciutti e i nostri nemici sarebbero stati travolti dalle onde.

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38.

[Beas, febbraio-maggio 1575]

Mi trovavo un giorno nel convento di Beas, allorché nostro Signore mi disse che, in quanto sua sposa, potevo chiedergli ciò che volevo e mi promise che mi avrebbe concesso qualsiasi cosa. In pegno mi diede un bell'anello, con una pietra che sembrava ametista, ma il cui splendore era molto diverso da quello delle pietre di quaggiù e me lo mise al dito. Scrivo ciò con vergogna, perché, se da un lato vedo la bontà di Dio, dall'altro vedo la mia miseranda vita, che ben meriterebbe l'inferno. Ahimé, figlie, raccomandatemi a Dio e siate devote a san Giuseppe, che può molto. Questa sciocchezza • scrivo ...15

39.

[1576-1577]

Il giorno di Pentecoste, a Ecija, una persona, ricordatasi di una grande grazia che aveva ricevuto da nostro Signore in una vigilia di questa festa, desiderava fare qualcosa di molto particolare in ringraziamento. Pensò che sarebbe stato bene promettere di non nascondere, a partire da quel momento e per tutta la vita, la pur minima mancanza o peccato a un confessore che le facesse le veci di Dio. Ed è un impegno cui non si è tenuti con gli altri superiori. Anche se questa persona aveva già fatto voto di obbedienza, le sembrava che ciò fosse qualcosa di più. Si impegnava anche a fare tutto quanto il 79

confessore le avrebbe ordinato, purché non contrario all'obbedienza che aveva già promesso, si intende per cose gravi. Sebbene all'inizio la promessa le riuscisse un po' dura, cosl promise. La prima cosa che la risolse fu intendere che stava rendendo un servigio allo Spirito Santo. La seconda, considerare la persona scelta per confessore cosl gran servo di Dio e cosl dotto, che non avrebbe potuto non illuminarle l'anima e non aiutarla a meglio servire nostro Signore. Di questo il confessore non seppe nulla fino a pochi giorni dopo che la promessa era stata fatta. Costui è Padre fra' Jer6nimo Gracian de la Madre de Dios.

40.

[1576-1577]

Riguarda la mia anima e la mia coscienza. Nessuno legga quanto qui scritto, dovessi anche morire, ma lo si dia al Padre Maestro Gracian. JHS

Era l'anno 1575, mese di aprile. Mi trovavo nella fondazione di Beas e capitò Il il Maestro fra' Jer6nimo de la Madre de Dios, dal quale mi confessavo qualche volta, anche se non aveva il posto che altri confessori avevano avuto, sl da lasciarmi guidare in tutto da lui. Un giorno, mentre stavo mangiando, senza alcun raccoglimento interiore, la

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mia anima venne presa da una sospensione e da un raccoglimento tali, che pensai che stesse per cogliermi un rapimento. Allora, mi si presentò questa visione con la solita brevità, che è quella di un lampo. Mi sembrò che mi stesse vicino nostro Signore Gesù Cristo, nella forma in cui sua Maestà è solito apparirmi. Alla sua destra c'era il Maestro Gracian e alla sinistra io. Il Signore prese la sua mano e la mia, le unl e mi disse che voleva che io prendessi questo padre al suo posto, per tutta la mia vita e sempre d'accordo, perché cosl doveva essere. Mi sentii tanto sicura che ciò mi veniva da Dio, che, pur pensando ai due confessori che avevo avuto a lungo, di cui avevo seguito i consigli e cui ero molto debitrice - soprattutto a uno pensavo e temevo di offenderlo, perché gli nutrivo molto rispetto e grande amore -, fui convinta che cosl dovevo fare. Da questa decisione trassi il conforto di aver finito, a quanto mi sembrava, di vagare da un posto all'altro, come facevo, ascoltando persone di diversi pareri. Alcune di queste mi causavano grande dolore perché non mi capivano. Non per questo motivo, comunque, avevo mai abbandonato un confessore - persuasa com'ero che mia fosse la colpa finché non si allontanava da quel luogo lui oppure io. Il Signore mi ripeté due volte, con parole diverse, di non temere: tale era la sua volontà. Mi risolsi a seguirla e decisi in cuor mio di procedere per tutta la vita sotto la guida di questo padre. Sempre avrei seguito i suoi consigli, purché non fossero

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manifestamente contrari alla legge di Dio. Questo, ne sono certa, non accadrà mai. Io credo che Padre Gracian intenda come me seguire in tutto la via più perfetta, per quanto ho potuto capire da talune cose: Sono rimasta con una pace e un sollievo cosl grandi, da esserne molto stupita. In ciò mi si è dimostrata la volontà del Signore. Non credo che il demonio potrebbe dare all'anima tanta pace e tanto conforto. È come se fossi rimasta fuori di me, in un modo che non so dire. Ma, ogni volta che ci penso, lodo nostro Signore, ricordo quel verso che dice: Qui posuit fines suos in pace 16 e vorrei consumarmi in lodi di Dio. Credo che questo sia a gloria sua, sicché rinnovo ora il proposito di non cambiare più. Il secondo giorno di Pentecoste, dopo avere preso questa decisione, mentre mi recavo a Siviglia, ascoltammo messa in un romitorio di Ecija, dove ci fermammo per la siesta. Le mie compagne stavano nel romitorio e io ero sola in una sacrestia, quando cominciai a pensare alla grande grazia che lo Spirito Santo mi aveva fatto una vigilia di Pentecoste. Mi venne un vivo desiderio di rendergli qualche importante servigio, ma non trovai nulla che non avessi già fatto. Allora, pensai che il mio voto di obbedienza poteva essere compiuto meglio e mi sembrò che lo Spirito Santo avrebbe gradito se io mi fossi impegnata nella promessa di obbedienza già formulata riguardo Padre fra' Jer6nimo. Da una parte mi sembrava che ciò sarebbe stata poca cosa, dal-

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l'altra mi appariva una prova ben dura, se si considera che ai nostri superiori non scopriamo il nostro intimo. In fin dei conti, cambiano e, se non ci troviamo bene con uno, ne viene un altro. Invece, il mio proposito significava rimanere per tutta la vita senza alcuna libertà interiore o esteriore. Sicché mi sentivo spinta un po', anzi molto, a non farlo. Proprio questa resistenza della mia volontà mi causò vergogna. Mi sembrava che, pur avendone l'occasione, c'era qualcosa che io non facevo per Dio, dal che sono sempre rifuggita. È certo che questa pena fu così assillante, che io credo di non avere fatto nulla in vita mia - a parte quando abbandonai la casa di mio padre per farmi monaca - che mi sia costato tanto. La causa fu che non tenevo presente il mio amore per Dio, né le sue virtù. Lo consideravo come un estraneo e mi chiedevo soltanto se sarebbe stato bene fare questo voto per lo Spirito Santo. Credo che la mia esitazione venisse dal dubbio che fosse o meno un servigio reso a Dio. Ma, dopo qualche tempo di lotta, il Signore mi diede una grande fiducia. Facendo quella promessa per lo Spirito Santo, mi sembrava che questi fosse obbligato a illuminare il mio confessore, il quale, a sua volta, avrebbe illuminato me. Ricordai anche che me l'aveva dato per guida lo stesso nostro Signore Gesù Cristo. Allora, subito mi inginocchiai e promisi di seguire per tutta la vita quanto mi avrebbe detto, purché non fossero cose contrarie a Dio e ai miei superiori, cui dovevo obbedienza. A scanso di scrupoli, mi im83

pegnai solo per cose gravi, non per sciocchezze in cui, senza volerlo, si trascura di obbedire, come, per esempio, se, a una mia insistenza, mi avesse ordinato di non parlargli più di un certo argomento, o qualora si fosse trattato di piccole cose riguardanti il mio profitto o il suo. Promisi di non nascondergli consapevolmente nulla delle mie mancanze e dei miei peccati. Ed è più di quanto si fa con i superiori. Infine, l'avrei considerato al posto di Dio, per cose sia interiori, sia esteriori. Non so se ciò mi abbia valso qualche merito, ma a me sembrava di avere fatto molto per lo Spirito Santo, almeno tutto ciò che potevo. Sicché rimasi molto soddisfatta e serena e, da allora, lo sono sempre stata. Credevo di sentirmi più oppressa e, invece, mi ritrovo con maggiore libertà e con una grande fiducia che nostro Signore, per il servigio che gli ho reso, concederà nuove grazie a questo padre, affinché me ne tocchi una parte e lui mi illumini in tutto. Benedetto sia chi ha creato una persona tanto capace di soddisfarmi, da farmi osare quanto detto.

41.

[?]

Il giorno della Maddalena, pensavo all'amicizia che mi lega a nostro Signore in base alle parole che mi ha detto su questa santa. Avevo molto desiderio di imitarla e il Signore mi fece una grande grazia

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dicendomi che, in avvenire, avrei dovuto impegnarmi assai, perché dovevo servirlo più di prima. Mi ispirò quindi il desiderio di non morire troppo presto, affinché potessi avere il tempo di dedicarmi a ciò. Rimasi fermamente risoluta a soffrire.

42.

[ Siviglia, 1575]

Un giorno, ero molto raccolta e raccomandavo Eliseo 17 a Dio. E udii: « È il mio vero figlio. Non mancherò di aiutarlo». O qualcosa di simile, non ricordo bene.

43.

[Siviglia, 9 agosto 1575]

La vigilia di San Lorenzo, subito dopo la comunione, avevo la mente cosl distratta e sviata, da non riuscire a riprendermi. Cominciai, allora, a invidiare coloro che se ne stanno nei deserti. Mi sembrava che, non vedendo né sentendo nulla, fossero liberi da queste distrazioni. E udii: « Ti inganni molto, figlia. U, le tentazioni del demonio sono più forti che altrove. Pazienta: finché si vive, non c'è scampo». In quel mentre, d'improvviso fui presa da un rapimento con una luce interiore cosl grande, che mi sembrava di essere in un altro mondo. Il mio spirito si trovò, dentro se stesso, in un boschetto o in un giardino assai delizioso. Mi venne in mente ciò 85

che si dice nei Cantici: V eniat dilectus meus in hortum suum. 18 Lì, vidi il mio Eliseo, per nulla scuro, ma di rara bellezza. Sul capo aveva una sorta di ghirlanda di pietre preziose e, davanti a lui, camminavano molte fanciulle che reggevano in mano fronde e cantavano a Dio cantici di lode. Io non facevo che aprire gli occhi per distrarmi, ma non riuscivo ad allontanare di 11 la mia attenzione. Mi sembrava che ci fosse una musica di uccellini e angeli, di cui, se pure le mie orecchie non la udivano, la mia anima godeva immersa in quel diletto. Io vedevo che non c'era nessun altro uomo. Mi fu detto: ·« Questi ha meritato di stare fra voi e tutta la festa che vedi avrà luogo il giorno in cui la istituirà in lode di mia Madre. Affrettati, se vuoi arrivare dove sta lui ». Ciò durò più di un'ora e mezza, con grande gioia, senza che riuscissi a distrarmi, a differenza da altre visioni. Ne ebbi un amore per Eliseo, che poi vidi sempre in quella bellezza. Ho avuto paura che fosse una tentazione, perché immaginazione non è stata.

44.

[?]

Una volta intesi come il Signore sia in tutte le cose e come nell'anima. Mi venne in mente il paragone con una spugna che si imbeve d'acqua.

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45.

[Siviglia, 1575]

Erano arrivati i miei fratelli e io sono molto debitrice nei confronti di uno di loro, sicché rimasi a lungo con lui e parlammo di quanto poteva giovare alla sua anima e alla sua sistemazione.19 Tutto ciò mi causava stanchezza e pena e, mentre offrivo queste cose al Signore e mi sembrava di fare quanto ero tenuta a fare, mi ricordai delle nostre Costituzioni, che ci dicono di stare lontane dai parenti. Mi chiesi quindi se non fossi tenuta a comportarmi cosl. E il Signore mi disse: « No, figlia. Le vostre regole vi insegnano unicamente ad agire secondo la mia legge ». In realtà, l'intenzione delle Costituzioni è impedire che ci attacchiamo troppo ai parenti. Quanto a me, frequentarli è cosa che mi stanca e mi spossa.

46.

[Siviglia, 28 agosto 1575 ca.]

Il giorno di Sant'Agostino, subito dopo la comunione, non saprei dire come, riuscii a intendere e quasi vedere - ma fu visione intellettuale e passò in fretta - come le tre Persone della santissima Trinità, che io ho impresse nell'anima, siano una sola cosa. Mi fu dato di intenderlo per mezzo di una rappresentazione tanto straordinaria e di una luce tanto chiara, che gli effetti sono stati assai diversi da quelli della sola fede. Da allora non posso pensare a nessuna delle tre Persone senza vedere subito che sono 87

tre. Sicché oggi stavo pensando perché mai, con questa unità, si fosse incarnato solo il Figlio. E il Signore mi ha fatto intendere come, pur essendo una sola cosa, siano divise. Sono verità cosl grandi, che l'anima desidera liberarsi dall'intralcio del corpo che le impedisce di godere. Anche se sembra impossibile che la nostra bassezza intenda simili cose, all'anima rimane, per quanto tutto accada in fretta, un profitto incomparabilmente maggiore di quello che potrebbe trarre da anni di meditazione, e senza sapere come. 47.

[ Siviglia, 8 settembre 1575 ? ]

Il giorno della Natività della Vergine, è per me una gioia particolare. Quando arriva questo giorno, mi sembra che farei bene a rinnovare i voti. Una volta, mentre mi disponevo a farlo, mi apparve la Vergine in visione illuminativa e mi sembrò di rinnovare i voti fra le sue mani e cosl, di farle cosa gradita. Questa visione mi rimase per qualche giorno. La Vergine stava accanto a me, dalla parte sinistra. 48.

[Siviglia, 1575 ? ]

Un giorno, subito dopo la comunione, mi sembrò proprio che la mia anima diventasse una cosa sola col corpo sacratissimo del Signore, la cui presenza mi fu manifestata e operò in me grandi effetti e profitti.

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49.

[Siviglia, 1575]

Una volta, stavo pensando se mi avrebbero ordinato di recarmi a riformare un certo convento e, all'idea, provavo pena. E udii: « Di che cosa temete? Che altro potete perdere se non la vita, che tante vohe mi avete offerto. Io vi aiuterò». Ciò fu in un'occasione che servl a rinvigorire molto la mia amma.

50.

[Siviglia, 1575]

Un giorno, mi ero intrattenuta con una persona che aveva abbandonato molto per Dio. Ricordai, allora, come io non avessi mai abbandonato nulla per lui, né lo avessi mai servito come avrei voluto. Considerando le molte grazie di cui ha favorito la mia anima, cominciai a rattristarmi molto. E il Signore mi disse: « Tu ormai conosci il vincolo nuziale che esiste fra te e me. In sua virtù, ciò che io posseggo è tuo, sicché ti do tutti i travagli e i dolori che ho sofferto, in nome dei quali puoi pregare mio Padre come se fossero tuoi». Io avevo già udito dire che partecipiamo a ciò. Ma allora lo intesi in modo cosl diverso, che mi sembrò di possedere un bene grandissimo. Non riesco a spiegare qui l'amore con cui Dio mi fece questa grazia. Mi sembrò che il Padre vi acconsentisse e, da quella volta, guardo in modo assai diverso i patimenti del Signore. Sono una cosa mia e ne traggo grande sollievo.

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51.

[Siviglia, 1575 ca.]

Una volta, desiderando fare qualcosa per servire nostro Signore, pensai che ben miseramente potevo servirlo e dissi fra me: « Perché, Signore, volete le mie opere? ». E lui mi disse: « Per vedere la tua volontà, figlia ». 52.

[Siviglia, 1575 ?]

Una volta, il Signore mi illuminò a proposito di una cosa che fui felice di intendere. Ma, di lì a poco, la dimenticai, e non sono più riuscita a ricordare di che cosa si trattava. E mentre cercavo di farmelo tornare in mente, udii: « Sai bene che talvolta ti parlo. Non mancare di trascrivere le mie parole, perché dovessero anche non giovare a te, potranno giovare ad altri ». Pensai allora se, per via dei miei peccati, non dovessi essere utile agli altri e perdermi io. E il Signore mi disse: « Non temere ». 53.

[Siviglia, 1575 ca.]

Una volta, me ne stavo raccolta con la presenza che porto sempre nell'anima e mi sembrò che Dio ci fosse a tal punto, che mi vennero in mente le parole di san Pietro: « Tu sei il Cristo, figlio del Dio vivente», perché realmente Dio mi stava vivo nell'anima. Non è come nelle altre visioni, rafforza la fede in modo tale da non poter dubitare che la

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Trinità sia nelle nostre anime per presenza, potenza ed essenza. È di grandissimo profitto intendere questa verità. E siccome ero costernata al vedere tanta Maestà in cosa tanto vile quanto l'anima mia, udii: « Non è vile, figlia, perché è fatta a mia immagine ». Intesi anche talune cose per cui Dio si diletta delle nostre anime più che di altre creature. Ma sono cose tanto sottili, che, sebbene l'intelletto le abbia subito intese, non saprei dirle.

54.

[1575-1576]

La grande pena in cui ero per la malattia del nostro Padre Gracian non mi dava requie. Un giorno in cui supplicavo ardentemente il Signore, dopo la comunione che lui stesso mi aveva dato, di non farmi ritrovare senza di lui, mi disse: « Non avere paura».

55.

[Siviglia, 1575]

Una volta, ero con questa presenza delle tre Persone che ho nell'anima e la luce era tale, che non potevo dubitare di avere in me Dio vivo e vero. Allora, mi furono fatte intendere cose che adesso non saprei dire: fra queste, come avesse preso carne umana la Persona del Figlio e non le altre. Ripeto che non saprei spiegare nulla di tutto ciò. Certe cose accadono nell'anima in segreto tale, che l'intel91

letto sembra coglierle come una persona addormentata o semisveglia crede di udire ciò che le si dice. Io riflettevo su quanto è dura la vita, che ci priva dallo stare sempre con quella meravigliosa compagnia, e dissi fra me: « Signore, datemi qualche rimedio per poter sopportare questa vita». E lui mi disse: « Pensa, figlia, che dopo morta non potrai più fare, per servirmi, ciò che fai ora. Mangia per me, dormi per me e tutto ciò che farai, fallo per me, come se non lo vivessi più tu, ma io. È quanto diceva san Paolo ».

56.

[Siviglia, 1575 ca.]

Una volta, dopo la comunione, mi fu dato di intendere come questo santissimo corpo di Cristo sia ricevuto da suo Padre dentro la nostra anima. Cosl come avevo visto e inteso che le tre Persone stanno dentro di noi, vidi quanto è grata al Padre questa offerta di suo Figlio, perché ha modo di dilettarsi e godere di lui - per cosl dire - quaggiù sulla terra. Non è la sua Umanità a stare con noi, nell'anima, ma la Divinità. Per questo l'offerta gli è cosl cara e gradita e ci procura grandi favori. E intesi che accoglie questo sacrificio anche se il sacerdote è in peccato. All'anima di costui non si comunicano, però, i favori come a coloro che sono in stato di grazia. E non perché queste influenze perdano forza, venendo da questa comunicazione con cui il

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Padre riceve il sacrificio, ma per difetto di chi lo deve ricevere. Del pari, non dipende dal sole se, battendo su un pezzo di pece, non rifulge come quando batte sul cristallo. Se io avessi detto ciò sul momento, mi sarei spiegata meglio. Importa sapere come stanno le cose, perché nel nostro intimo ci sono grandi segreti quando ci si comunica. È un peccato che il nostro corpo non ci permetta di goderne!

57.

[Siviglia, 1575]

Nell'ottava di Ognissanti, ebbi due o tre giorni assai penosi per il ricordo dei miei grandi peccati e per la paura di persecuzioni, il cui solo fondamento erano certe calunnie contro di me. Tutto il coraggio che in genere ho quando si tratta di soffrire per Dio, mi veniva meno. Sebbene io cercassi di rincuorarmi e di fare atti buoni, conoscendo i grandi vantaggi che la mia anima ne avrebbe tratto, mi serviva a poco. La paura non mi abbandonava ed era una lotta ardua. Trovai per caso una lettera del mio buon Padre, in cui mi ricordava come san Paolo dice che Dio non permette che veniamo tentati al di là delle nostre forze. Ciò mi diede grande sollievo, ma non bastava. Anzi, il giorno dopo ebbi una grande angoscia al vedermi priva di lui. Non avevo nessuno cui ricorrere in questa tribolazione e mi sembrava di vivere in grande solitudine. Mi angosciavo anche perché vedevo che solo lui era capace 93

di consolarmi e, poiché doveva stare lontano, provavo un grandissimo tormento. La sera dopo, mentre leggevo in un libro altre parole di san Paolo che mi consolarono un poco, ricordavo quanto avessi avuto presente in me, tempo addietro, nostro Signore, sì che mi sembrava proprio il Dio vivo. Pensando a ciò, egli mi apparve nel più intimo di me stessa, come dalla parte del cuore, in visione intellettuale, e mi disse: « Sono qui, ma voglio che tu veda di quanto poco sei capace senza di me ». Subito mi rassicurai e svanirono tutti i miei timori. Quella stessa notte a mattutino, il Signore, con una visione intellettuale così grande che sembrava quasi immaginaria, si mise fra le mie braccia, così come viene dipinto nel « Quinto dolore». Questa visione mi diede un grande timore: era così chiara e vicina, che mi chiedevo se non fosse illusione. E il Signore mi disse: « Non meravigliarti, perché mio Padre è unito alla tua anima in una unione incomparabilmente maggiore ». Questa visione mi è rimasta presente fino a oggi. Ciò che ho detto di nostro Signore mi è durato più di un mese. Ora mi ha abbandonata.

58.

[Siviglia, novembre 1575 ca.]

Una sera, ero in gran pena perché da molto non sapevo nulla del mio Padre,20 il quale non stava be-

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ne l'ultima volta che mi aveva scritto. Questo dolore non era forte come quando avevo saputo della sua malattia, perché avevo ripreso fiducia e non ne ha mai più sofferto come allora. Tuttavia il pensiero mi era d'impedimento nell'orazione. E d'improvviso mi sembrò di vedere nel mio intimo, in modo che non poteva essere immaginazione, una luce. Allora vidi il Padre avanzare per la strada con sembiante lieto e viso splendente. Era sicuramente la luce a rendere il suo volto luminoso, perché mi sembra che sia cosl per tutti in cielo, e mi chiesi se questa luminosità venisse dallo splendore e dalla luce che emana nostro Signore. E udii: « Digli che senza paura cominci subito, perché sua è la vittoria ». Un giorno, dopo il ritorno del Padre, mentre stavo lodando il Signore per tutte le grazie che mi aveva fatto, udii: « Che cosa mi chiedi tu, figlia, che io non faccia? ».

59.

[Siviglia, 21 novembre 1575]

Il giorno che fu presentato il Breve,21 mentre io ero in grandissimo turbamento e mi sentivo cosl sconvolta da non poter neppure pregare, vennero a dirmi che Padre Gracian era in un grave frangente. Non lo lasciavano uscire e il tumulto era grande. Allora udii queste parole: « Oh, donna di poca fede! Tranquillizzati, perché tutto procede bene ». Era il giorno della Presentazione di nostra Si95

gnora, anno 1575. Mi proposi che, se la Vergine avesse ottenuto da suo Figlio che noi vedessimo Padre Gracian libero da quei frati e fra noi, gli avrei chiesto di ordinare che, ovunque, nei conventi di Carmelitane Scalze, questa festa venisse celebrata con solennità. Quando feci questo proponimento, non ricordavo di avere udito, in un'altra visione, che il Padre doveva istituire una festa. Ora, rileggendo questo quadernetto, mi sono chiesta se la festa non fosse questa. 60.

[ Siviglia, 1575]

Un giorno, ero in orazione quando mi sentii l'anima tanto dentro di Dio, che il mondo non mi sembrava più esistere. Tutta assorta in lui, riuscii allora a intendere quel verso del Magnificat: Et exultavit spiritus,22 in modo tale che non posso dimenticarlo.

61.

[Siviglia, primavera 1576]

Una volta, stavo pensando al progetto secondo cui volevano sopprimere questo convento di Scalze e mi chiedevo se l'intenzione non era di farli sparire tutti a poco a poco. Allora udii: « È quanto vogliono, ma non lo vedranno. Anzi, sarà tutto il contrario ».

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62.

[Toledo, agosto-settembre 1576]

Avevo cominciato a confessarmi da un sacerdote della città in cui ora mi trovo, il quale, però, non veniva più da me, nonostante mi avesse mostrato grande affetto da quando aveva accettato il governo della mia anima. Una sera, mentre ero in orazione e pensavo a quanto mi mancava, mi fu detto che era Dio a trattenerlo dal venire e che avrei dovuto parlare della mia anima con un'altra persona della città. Me ne dolsi, sia perché avrei dovuto conoscere un'altra persona e forse non ne sarei stata intesa e ne avrei tratto turbamento, sia perché ero affezionata a colui che mi faceva questa carità. Tuttavia, ogni volta che vedevo o udivo predicare l'altra persona, ne provavo una gioia spirituale. Ma, oltre al resto, le sue molte occupazioni presentavano la cosa in modo non facilmente realizzabile. E il Signore mi disse: « Io farò sl che ti ascolti e ti intenda. Apriti con lui, perché ciò ti sarà di aiuto nei tuoi travagli! ». Queste ultime parole furono dovute, io credo, al fatto che allora vivevo in grande pena perché lontana da Dio. Sua Maestà mi disse anche che vedeva bene la mia pena, ma che non poteva essere altrimenti finché avessi vissuto in questo esilio. Tutto sarebbe servito a mio maggior bene. Ne rimasi assai rincuorata. Cosl è stato: questo confessore mi ascolta con grande piacere, cerca di trovare il tempo per farlo, mi ha intesa e sollevata molto. È assai dotto e santo.

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63.

[Toledo, 1576-1577]

Un giorno della Presentazione, stavo raccomandando molto a Dio una persona e mi sembrava che possedere rendite e godere della libertà che aveva potevano essere di ostacolo alla grande santità che io gli auguravo. Pensai anche alla sua poca salute e a tutta la luce che dava alle anime. E udii: « Egli fa molto per me, ma è grande cosa seguirmi nudi di tutto, come lo sono stato io sulla croce. Digli di avere fiducia in me». Queste ultime parole mi furono dette perché avevo pensato che, per via della sua poca salute, non potesse raggiungere tanta perfezione.

64.

[Toledo, 1577 ca.]

Un giorno, stavo riflettendo sulla pena che provavo mangiando carne e non facendo penitenza. Allora udii che talvolta la pena era più amor proprio che desiderio di penitenza.

65.

[Toledo, 1577 ca.]

Un giorno, ero in grande pena per avere offeso Dio ed egli mi disse: « Dinanzi a me, è come se tutti i tuoi peccati non fossero mai stati. In avvenire fatti animo: il tuo travaglio non è ancora finito ». 98

66.

[Avila, 6 giugno 1579]

Mi trovavo a San Giuseppe d'Avila, la vigilia di Pentecoste, nel romitaggio di Nazareth, e pensavo a una grandissima grazia che il Signore mi aveva fatto in un giorno come questo, circa vent'anni prima. Allora, fui presa da un impeto e da un fervore di spirito tali, che ebbi una sospensione. In questo grande raccoglimento, udii nostro Signore dire ciò che ora dirò. Dovevo riferire ai padri Carmelitani Scalzi che badassero a osservare quattro cose: finché l'avessero fatto, il nostro Ordine sarebbe cresciuto sempre di più. Ma, se vi avessero mancato, si sarebbero accorti che il loro fervore stava calando. La prima era che i capi fossero sempre d'accordo. La seconda, che, pur avendo molti conventi, in ciascuno ci fossero pochi frati. La terza, che mantenessero pochi rapporti con i secolari e soltanto per il bene delle anime di costoro. La quarta, che insegnassero più con le opere che con le parole. Fu nell'anno 1579. E poiché è grande la verità, lo firmo col mio nome. Teresa di Gesù

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Note

1 Destinatario di questa relazione è il domenicano Pedro Ibafiez, il quale ne trascrisse letteralmente il testo e lo diffuse fra altri teologi e confessori di Teresa. 2 Probabilmente, anche questa relazione è indirizzata a Padre Pedro Ibafiez. 3 II probabile destinatario è Padre Garda de Toledo. 4 Si tratta del Cammino di perfezione, la cui prima stesura fu iniziata nel dicembre del 1562. 5 Si allude al Libro della vita, la cui ultima redazione risale al 1565. 6 È probabile che il destinatario sia lo stesso della relazione precedente: Padre Rodrigo Alvarez. 7 Si tratta del capitolo XVIII del Libro della vita. 8 Questa relazione è indirizzata al vescovo di Osma. 9 È una citazione dal Cantico dei cantici. In questo periodo e in quello successivo si allude probabilmente a qualche grazia o evento noto al destinatario, che a noi risulta incomprensibile. 10 La prima redazione del Libro delle fondazioni sarebbe stata iniziata il 25 agosto 1573 . 11 Probabilmente, il destinatario è Padre Martin Gutiérrez. 12 « Venga il mio diletto nel suo giardino e ne mangi i frutti». 13 « Esultò il mio spirito ». 14 Si tratta, probabilmente, di Padre Martin Gutiérrez. 15 Sul manoscritto originale seguono parole indecifrabili.

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16 « 17

Mise pace nei suoi confini».

È pseudonimo di Padre Jer6nimo Gracian de la Madre

de Dios. 18 « Venga il mio diletto nel suo giardino». 19 I fratelli Pedro de Ahumada e Lorenzo de Cepeda erano tornati nel 1575 dall'America. Teresa si riferisce soprattutto a Lorenzo. 20 Si tratta, naturalmente, di Padre Gracian. 21 Qui il Breve è il documento del nunzio pontificio che nominava Padre Gracian visitatore dei Calzati di Andalusia. 22 « Ed esultò lo spirito ».

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... andare a Roma ... di

Angelo Marino

Accanto alla fontana Felice, c'è la piccola chiesa dei carmelitani detta della Madonna della Vittoria. Questa chiesa è fra le più ricche e le più decorate di Roma. Tutto è marmo e oro. Nessun muro nudo compare. Nella cappella a sinistra, appartenente alla famiglia Cornaro, originaria di Venezia, c'è la famosa statua di santa Teresa languente che l' angelo si accinge a ferire. È un capolavoro del Bernini. Si tratta di un'opera sublime, tale è l'aria di verità che la caratterizza, ma, vedendola, bisogna dirselo che è una santa, perché dall'espressione estatica di Teresa, dal fuoco che le arroventa i tratti, sarebbe facile ingannarsi (Marchese de Sade, Voyage d'Italie). ... non avete che da andare a Roma a vedere la statua del Bernini per capire subito che gode, non ci sono dubbi. E di che cosa gode? È chiaro che la testimonianza essenziale dei mistici, è appunto di dire che lo provano, ma che non ne sanno nulla (Jacques Lacan, Encore). Non c'è bisogno di andare a Roma a vedere la Teresa in estasi del Bernini, esanime fra pieghe di marmo. A meno che non inten-

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diamo protrarre un malinteso di vecchia data, un desiderio caparbio di assistere allo spettacolo del godimento di cui Teresa ha lasciato testimonianza. Da Sade a Lacan - e nella lunga lista di nomi maschili che si inseriscono fra questi estremi - un equivoco è andato maturando: che la statua conservata nella chiesa della Madonna della Vittoria permetta di scorgere una duplicazione del corpo originario di Teresa, miracolosamente riprodotto nel momento del mistero. Alla radice di questo atteggiamento c'è comunque una consapevolezza. Se il nostro impulso si piega a credere nella ricostituzione di un corpo annientato dal tempo, è perché intuiamo che proprio quel corpo è stato trafitto da un messaggio oscuro, da un godimento strano che in qualche modo vorremmo comprendere. Ma andando a Roma - cedendo all'abbaglio che il tempo possa regredire e ignorare la tabe della morte - non ci avvicineremo a un disvelamento. A Roma, nella cappella della Madonna della Vittoria, non ci aspetta la duplicazione del corpo di Teresa, ma la rappresentazione del nostro desiderio.

Non è un segno di benedizione essere stati ossessionati dall'esistenza dei santi. A quest'ossessione si mescola un gusto per le malattie e un'avidità di • depravazioni. Ci inquietiamo per la santità soltanto se siamo delusi dai paradossi terrestri: ne cerchiamo allora degli altri, di un tenore più strano, saturi di profumi e di verità sconosciute: speriamo 108

in follie introvabili nei brividi quotidiani, in follie grevi di un esotismo celeste; - ci scontriamo così con i santi, con i loro gesti, con la loro temerarietà, col loro universo (Emile M. Cioran, Précis de décomposition). C'è un prima, rispetto alla rappresentazione che il Bernini ha dato del nostro desiderio: un episodio da immaginare consumato in povertà di parole, fra un orrore di gesti scarni e una frenesia raggelata di lentezza. Ll è nata la nostra ansia di interrogare il corpo di Teresa, di scrutarne le membra alla ricerca di misteriosi segni. È il novembre del 1585, a tre anni dalla morte, quando le spoglie vengono riesumate dalla tomba di Alba de Tormes per essere trasferite ad Avila. A riferire lo spettacolo con dovizia di dettagli oscillanti tra raccapriccio e fascinazione, è Padre Jer6nimo Gracian de la Madre de Dios, il confessore amatissimo, l'Eliseo visto in estasi fra bagliori di luce fulgida. Il legno della bara è marcio, intaccato da una fioritura di muffe, e tutt'intorno grava un odore denso di umidità. Anche gli abiti che ricoprono il cadavere sono marciti, fracidi della terra e delle muffe penetrate nel feretro. Eppure il corpo di Teresa emerge da questa marcescenza sano e integro come se fosse stato sepolto il giorno prima. Mentre le monache lo liberano dagli ultimi brandelli delle vesti e lo detergono da ogni impurità, Padre Gracian e gli altri uomini di Dio si ritirano per sottrarsi alla vista di quelle carni nude e troppo vive. Quando si ripresentano, il corpo è pietosamente co109

perto da un lenzuolo. Allora Padre Gracian ne scosta un lembo e vede che i seni di Teresa sono pieni e dritti, « quasi non fossero fatti di materia corruttibile ». Poi, prima della partenza per Avila, ha inizio la spartizione: la mano sinistra viene amputata e avvolta in un foglio di carta. Poco dopo, da questa stessa mano verrà reciso il mignolo, che Padre Gracian porterà sempre su di sé. Poi ancora, è la volta dell'intero braccio, che, sotto la lama, si distacca subito, « senza sforzo maggiore che per tagliare un melone o del formaggio fresco». Da allora, da questa scena ritratta nei Dialoghi della morte di Santa Teresa, quel corpo è stato conteso e disperso per il mondo nel corso dei secoli. Il cuore è conservato in un reliquiario ad Alba de Tormes quasi a segnare il centro da cui è esplosa la diaspora delle membra -, un pezzo di mascella e il piede destro a Roma, la mano sinistra a Lisbona, un occhio, qualche dito e altri frammenti un po' ovunque in Spagna. Se questo è un destino comune a molti uomini e a molte donne che hanno avuto accesso alla santità, nel caso di Teresa spartizione e dispersione sembrano già preludere a quell'esigenza di scrutare e possedere un corpo visitato dal mistero che si nasconde dietro gli inviti a recarsi a contemplare la statua del Bernini. Perché, allora come adesso, in questa febbre di scrutare agisce sempre e soltanto il nostro desiderio di Teresa. Quando parliamo di Teresa d'Avila, non sap-

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piamo mai bene di quale Teresa stiamo parlando: di quella che visse ad Avila, di quella che rappresentò le proprie estasi in straordinarie meditazioni romanzesche, o di quella raffigurata da tanti artisti, dal Bernini a Klossowski. Questo equivoco che, ben a ragione, ce la rende equivoca, fa comunque sì che noi l'amiamo - certamente non di un amore molto puro né molto virtuoso ma almeno di quello che noi possiamo nutrire (Jean-Noel Vuarnet, Extases féminines ). Sul viso arrovesciato della statua del Bernini - o sulla pagina dissacrante del Baphomet di Klossowski - non decifreremo il desiderio di Teresa, la natura del suo godimento supremo. Potremo solo :fissare, come dinanzi a uno specchio, l'intensità del nostro desiderio di Teresa. Il Bernini e tutti gli altri non hanno ricostituito, per qualche magia dell'arte, un corpo schiantato dalla morte e dissolto dagli uomini: hanno tradotto in un simulacro il nostro desiderio di quel corpo, la nostra ansia di interrogare l'enigma di cui Teresa è stata detentrice. Allora, dove andare se non a Ro~ ma? Dove reperire le prove della testimonianza secondo cui qualcosa esiste e non lo si può spiegare? Se di quel corpo, prima frammentato in macabra cerimonia e poi abusivamente, fatalmente ricreato sul modello del nostro desiderio, nulla sussiste, dove individuare la traccia del suo passaggio nel tempo umano? La domanda è retorica, certo ... Tuttavia, sembriamo spesso dimenticare che, se Teresa ci ha raggiunti, è stato attraverso una scrittura, non

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una statua. È qui che il suo corpo si è consumato in traccia persistente, con un tenace lavoro di registrazione della sua trafittura inesplicabile. Ciò malgrado, questi segni sono stati respinti dal proliferare dì interpretazioni sino ad appannarsi come in un remoto punto d'origine di cui si sia smarrita la memoria. La strada che porta a Roma è facile, ignora le zone chiaroscure tra l'angoscia e il godimento, la lentezza più che lenta della parola in lotta con l'indicibile: è l'urgenza con cui il nostro desiderio si vuole soddisfatto. Meno agevole, la scrittura di Teresa guida lungo percorsi che sentiamo instabili, suggerisce il progresso di un arduo apprendistato: è l'indugio sfibrante di un'ansia di sapere sempre differita. L'ideologia classica pratica a livello culturale la stessa economia della democrazia borghese a livello politico: una separazione e un equilibrio dei poteri; alla letteratura è concesso un territorio comodo, ma sorvegliato, a condizione che sia isolato, gerarchicamente contrapposto ad altri domint: è così che la letteratura, avente una funzione mondana, non è compatibile con la spiritualità: l'una è tergiversazione, ornamento, velo, l'altra è immediazione, nudità: ecco perché non si può essere contemporaneamente santo e scrittore (Roland Barthes, Sade, Fourier, Loyola). Opaca, scevra dalle seduzioni della bella forma, poco articolata, la scrittura di Teresa sembra spesso avere un'unica funzione: registrare

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piattamente un'esperienza di vita. Sulle prime, saremmo quasi tentati dal catalogarla come balbettio del linguaggio, sorta di scrittura primitiva che precede i fasti della scrittura artistica, l'oculato drappeggio dello stile. Ma quella di Teresa, proprio nella sua essenzialità dimessa, nel suo dosaggio elementare, è scrittura fondatrice: fissa una verità che esiste nel tempo, trasforma l'atto caduco in testimonianza duratura. Cosl ricomposta, l'esperienza che leggendo percorriamo può essere variamente interpretata: mai messa in dubbio. In quanto riferita senza scialo verbale, in ristrettezza di elementi, si sottrae agli artifici della forma e, con questi, all'immaginosità dei processi affabulativi. Si può essere contetpporaneamente santo e scrittore, se per scrittore non intendiamo solo un soggetto preposto a trasformare il linguaggio in decorazione, in un effetto di reale. Con Teresa, è un'altra idea di scrittura che emerge: una pratica severa attraverso cui l'individuo, parlando di sé a se stesso, si organizza un itinerario nella storia, fonda la verità del suo passaggio con un minuzioso lavoro di scavo sulle reazioni del proprio corpo. L'esperienza di Teresa può essere variamente inventariata - e quindi in qualche modo esorcizzata in quanto di troppo straordinario, di impenetrabile testimonia -, ma non può essere confinata nello spazio conciliante dell'immaginario. Proprio perché rivestita di umili attributi, disadorna, ai limiti della nudità, la traiettoria di Teresa giunge sino a noi in una limpidezza di contor113

ni che la impone al nostro sguardo attonito: è frammento di una realtà venuta da un altrove di cui vorremmo conoscere la via d'accesso, sorretta da una forza desueta che ha saputo vincere le usure del tempo. Estasi, visioni, dialoghi con Dio: è un'esperienza interiore che ad alcune donne basta. Altre provano il bisogno di comunicarla al mondo attraverso l' azione. Il legame dall'azione alla contemplazione assume due forme molto diverse. Vi sono donne d'azione come santa Caterina, santa Teresa, Giovanna d'Arco, che sanno molto bene quali scopi si propongono e che trovano con chiarezza i mezzi per raggiungerli: le loro rivelazioni non fanno che dare un aspetto oggettivo alle loro convinzioni; le incoraggiano a seguire la strada che si sono tracciate con precisione. Vi sono donne narcisiste come Madame Guyon, Madame Krudener, che, a corto di silenzioso fervore, si sentono improvvisamente « in uno stato apostolico ». Non sono molto precise nei loro compiti; e - come le donne volenterose in vena di trambusti - si preoccupano poco di quello che fanno purché sia qualcosa (Simone de Beauvoir, Le deuxième sexe ). Il monito divino raggiunge Teresa probabilmente a Malag6n, il 9 febbraio del 1570: « Mi disse che non era tempo di riposare, ma di affrettarmi a fondare questi monasteri, perché lui trovava quiete nelle anime n accolte. Dovevo quindi accettare tutte le fondazioni che mi venissero of-

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ferte, poiché molte persone, in quanto prive del luogo adatto, non lo servivano. I conventi che avrei fondato nei piccoli paesi avrebbero dovuto essere come questo. Ll, col desiderio di fare le stesse cose, si sarebbero potuti guadagnare gli stessi meriti che negli altri... ». E ancora: « Infine, dovevo scrivere la storia di queste fondazioni ... ». Fissato in uno dei frammenti del Libro delle relazioni e delle grazie, l'ordine è produttore di due effetti: la fondazione di numerosi conventi sparsi attraverso la Spagna - a Medina, a Valladolid, a Toledo, a Salamanca, ad Alba de Tormes, a Siviglia, a Beas, a Palencia, a Soria, a Granada, a Burgos ... - e, successivamente, la registrazione delle varie imprese fondatrici. Il testo che renderà minuzioso conto di questo intervento sulla storia sarà il Libro delle fondazioni. Grande estatica, smarrita dinanzi alla vista del mistero che le si è rivelato, Teresa possiede una seconda personalità, forse meno nota. Noi preferiamo immaginarla da sempre in preda a rapimenti intensi, penetrata da un amore riboccante: cosl il nostro desiderio ha voluto immobilizzarla nel tempo. Ma, se questo atteggiamento di innamorata si presta facilmente a un'idea di passività, ne consegue invece un operato attivissimo. Il godimento del1'estasi è, allora, meccanismo che, estraneo a ogni sterile abbandono, ricolma Teresa di un'energia destinata a lasciare traccia anche nel mondo. Lunghi viaggi in precarietà di mezzi, dispute con avversari accorti, estenuanti trattative, laboriose stipulazioni 115

di contratti, cedimenti di un corpo spesso debilitato da malattie: nulla riesce ad allontanarla dalla strada intrapresa. Quando, il 25 agosto 1573, comincerà a redigere il resoconto delle sue opere, Teresa non avrà più bisogno di fondare nella scrittura la sua esperienza. Qui, si tratta ormai solo di ripercorrere con la memoria le azioni portate a termine e di tradurle sulla pagina. Scrivere, adesso, non è più un atto fondatore di verità: è traccia di una verità che è già stata fondata altrove. Il lavoro di scrittura si è sicuramente fatto meno avventuroso per Teresa, e sicuramente meno stimoli offre al nostro desiderio. Pur essendo il testo che ci consegna la realizzazione di un'esperienza, il Libro delle fondazioni è per noi parentesi bianca, assai poco frequentata. Una statua, un quadro, una pagina che ritraggano Teresa peregrinante lungo strade polverose della Spagna sono estranee a ogni possibile forma del nostro desiderio. La solitudine di una cella in penombra, lo sfondo discreto di una cerchia di sole donne, i silenzi tesi del raccoglimento di preparazione: è questo il contorno che le abbiamo assegnato. Ciò che di Teresa desideriamo non è la sua presenza nel nostro mondo di gesti esatti, ma la sua fuga negli spazi di cui la storia non sa riferirci nulla. Per la sua stessa natura l'esperienza mzsttca è troppo esposta al pericolo di deviare dall'autorità tradizionale, in modo incontrollato e incontrollabile.

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L'educazione religiosa del gruppo lascia ancor sempre spazio per molte avventure dello spirito che contrastano alle idee e dottrine riconosciute e sono atte a produrre uno scontro fra il mistico e l'autorità religiosa costituita. Certamente questo è uno dei numerosi fattori decisivi che hanno contribuito al formarsi della convinzione che nel misticismo sia assolutamente necessaria una guida spirituale, un guru, come dicono gli indiani. È vero che a una prima considerazione il guru sembra assolvere anzitutto a una funzione psicologica. Impedisce che il discepolo che si accinge a esplorare il mondo del misticismo si smarrisca e si metta in situazioni pericolose. Dopotutto colui che cerca la sua strada da solo può facilmente confondersi e persino cadere vittima della follia, poiché il sentiero mistico è lastricato di pericoli e circondato di pericoli. Corre sull'orlo degli abissi della coscienza e richiede un passo misurato e sicuro. Gli yogin, i sufi e i cabbalisti affermano la necessità di questa guida spirituale, non meno dei manuali del misticismo cattolico. Senza una guida si rischia di smarrirsi nel deserto dell'avventura mistica (Gershom Scholem, Zur Kabbala und ihrer Symbolik ). In apertura di ogni testo, ritroviamo sempre la stessa situazione: un rappresentante dell'autorità ecclesiastica ha imposto a Teresa di riferire per iscritto le sue vicende. L'inizio del Libro della vita si piega subito a questa costrizione che, formulata dall'esterno, sembra legittimare l'esistenza della scrittura: « Vorrei che, sic117

come mi hanno ordinato e dato ampia facoltà di parlare del mio modo d'orazione e delle grazie che il Signore mi ha fatto, mi avessero dato anche la libertà di parlare molto in dettaglio dei miei grandi peccati e della mia vita miseranda. Mi sarebbe stato di grande conforto, ma non l'hanno voluto e, anzi, mi hanno imposto molte restrizioni in merito ... ». E lo stesso atto di ossequio al direttore spirituale di turno si ripete, in modo ancora più esplicito, nelle prime pagine del Castello interiore: « Sicché comincio questa obbedienza, oggi, giorno della santissima Trinità, anno 1577, in questo convento di San Giuseppe del Carmine, a Toledo, dove presentemente vivo. In tutto quanto dirò mi sottometto al giudizio di coloro che mi hanno ordinato di scrivere, i quali sono tutte persone di grande dottrina ... ». Considerata nel contesto della Spagna cinquecentesca, questa costrizione alla scrittura si rivela alla base di ogni forma di racconto autobiografico. Anche talune cronache delle Indie, dove si riferiva l'avventura di individui trasferiti nelle nuove terre americane, prendono l'avvio dichiarandosi scritte in obbedienza al volere dell'autorità. Se il mondo epico era strutturato sull'osservanza della tradizione e sull'esempio di un indiscusso passato nazionale, il Cinquecento vede emergere un'ideologia fondata sull'esperienza mutevole dell'individuo e su un presente sempre in fieri. Eppure sembrerebbe che chi riferisce il proprio percorso in zone che si sottraggono - anche solo parzialmente - alla tutela 118

dell'autorità, possa agire soltanto a patto di rendere conto della propria avventura imbrigliandola nei confini ben delimitati di un testo scritto. Questa dipendenza da un'istanza superiore eccede il caso del misticismo per inglobare qualsiasi traiettoria si discosti da tracciati previsti. A tal punto che definisce un modello di comunicazione letteraria ineludibile nell'ambito del Cinquecento spagnolo: anche una delle prime forme di romanzo moderno, il Lazarillo de T ormes, è stata articolata nel rispetto di tale vincolo di sudditanza. Anche Lazaro de Tormes, creatura di finzione e agente di parodia, organizza il racconto in prima persona della propria vita sotto le spoglie di una lunga epistola indirizzata a un protettore innominato - e, nelle finalità parodiche, emblematico - che gli ha chiesto di venire a conoscenza della sua pittoresca traversia: « Visto che la Signoria Vostra mi scrive che le si scriva e le si racconti la storia molto per esteso, mi è parso bene non cominciare dal mezzo ma dal principio, cosl si avrà completa notizia della mia persona ». Se testi che riferiscono percorsi cosl diversi si collocano tutti all'ombra di un'autorità che ne giustifica l'esistenza, ciò non dipende tanto da un'insicurezza dell'individuo che si racconta, quanto da un controllo dell'istituzione nei confronti dell'individuo sospettato di seguire itinerari attraverso luoghi non tutelati. L'avventura può svolgersi sui confini labili di una cultura diversa - nelle contrade emerse oltre l'oceano -, o negli spazi degradati di un inframondo 119

periferico - nella Spagna parassitaria dei pitocchi e dei derelitti -, o nelle zone incontrollabili dell'anima - nell'intimo desiderio di unione col divino dei mistici -. Si tratta sempre di esplorazioni che si spingono ai margini del noto, in quelle terre di nessuno dove l'individuo può trarre stimolo per il dissenso. Allora, la costrizione alla scrittura rivela la propria funzionalità: imponendo che l'esperienza solitaria venga organizzata in un testo, si rende possibile l'intervento alla ricerca delle prove di un eventuale scarto dalla norma su cui l'autorità vigila. Ho voluto che l'esperienza conducesse là dove si dirigeva, ma non dirigerla verso qualche meta imposta in anticipo. E dirò subito che non conduce ad alcun ormeggio (ma in un luogo di smarrimento, di non-senso). Ho voluto che il non-sapere ne fosse il principio - in questo ho seguito con un rigore più aspro un metodo in cui i cristiani eccelsero (si spinsero in questa direzione il più lontano possibile permesso dal dogma). Ma questa esperienza nata dal non-sapere per nulla se ne discosta. Non è ineffabile, non la si tradisce a parlarne, ma alle domande del sapere sottrae persino allo spirito le risposte che questo aveva ancora. L'esperienza non rivela nulla e non può fondare il credo né partirne (Georges Bataille, L' experience intérieure). Teresa si mostra spesso incerta nell'attribuire a Dio le grazie straordinarie che discendono nel suo corpo: sa per espe-

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rienza diretta che un'antica tradizione inquisitoriale considera sottili i confini fra presenza divina e presenza diabolica. Se non è Dio a manifestarsi nelle visioni e nelle voci da cui sgorga il godimento, è affare del demonio e, allora, la santità muta subito di segno, diventa stregoneria. Nessun personaggio meglio di Giovanna d'Arco incarna quest'ambiguità: santa per i francesi, strega per gli inglesi che in quanto tale la condannarono al rogo - e infine ufficialmente riabilitata nel 1920. Ma, seppure esitante nell'enunciare la sua vicenda, seppure remissiva al giudizio dell'autorità da cui dipende la salvezza o il biasimo dell'esperienza trascritta, Teresa è intimamente convinta di seguire il giusto cammino. Anche se tempera la sicurezza della propria scrittura con formule dubitative - « mi sembra », « credo », « a mio avviso », « da quanto mi è dato di intendere » ... - e si rimette al verdetto di chi deve esaminare il suo testo, Teresa scrive per contagiare la sua convinzione. Gli eterogenei materiali raccolti sotto il titolo Libro delle relazioni e delle grazie manifestano la fermezza di una volontà che vuole imporre il proprio percorso come un chiaro esempio. Nei primi sei scritti, dove viene allacciato un rapporto di vassallaggio col direttore spirituale cui ci si rivolge, il demonio è potenza sempre respinta, sopraffatta dalla forza di Teresa: « ... allorché sono in orazione, o nei giorni in cui mi sento in pace e ho il pensiero volto al Signore, se anche tutti i sapienti e i santi del mondo si riu121

nissero e mi dessero tutti i tormenti immaginabili e io volessi credere loro, non riuscirebbero a convincermi che qui opera il demonio ... ». Se le relazioni propriamente dette descrivono un'accorta opera di convincimento condotta di sbieco, gli altri frammenti - le varie grazie - ci restituiscono un previo gesto di autocomunicazione, attraverso cui Teresa si è voluta ispirata dal cielo. Qui, non si tratta di riferire ad altri una vicenda che sfugge alla norma, ma di fissare la luce improvvisa di un evento interiore per impedire che se ne perda la memoria. Così, proprio nel suo tessersi solitario, questa scrittura rapida, spezzata nelle folgorazioni in cui Teresa comunica a se stessa i suoi casi eccezionali e, comunicandoseli, scrivendoli, li inserisce nella realtà della storia, sembra quasi costituirsi la materia prima, allo stato bruto, da cui procede la forza per condurre a termine la successiva opera di convincimento. E il demonio? Qual è la sua funzione nel gioco che si tende fra l'individuo che vuole affermare la propria avventura e l'autorità che osserva con sospetto? È soltanto il segno di una convenzione antica, ereditata dagli esempi più canonici della mistica cristiana, più che un dubbio reale? ... Dalla parte di Teresa, il demonio è un agente trascurabile, sentito estraneo al proprio corpo, una minaccia remota di interventi terreni che spezzerebbero l'infinitudine del godimento: è la sozzura da cui la carne si è ormai depurata nella disciplina dell'estasi. Dalla parte dell'autorità, il demonio traduce una paura: è

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l'eventuale dissenso cui può condurre l'ingresso di Teresa nello smarrimento del non-sapere. Tutti i mistici, e santa Teresa per prima, si dolgono di non aver parole nuove (nuevas palabras) per lodare le opere di Dio così come essi le vivono nell'anima loro. E i loro silenzi furono più reali delle loro parole. Da parte nostra accontentiamoci dunque esclusivamente di tener conto degli elementi ereditati del loro linguaggio letterario. Occorrendo pertanto limitarsi a un esempio che è insieme il più famoso, il più conosciuto, e quello che ha maggiormente disorientato i nostri eruditi, basiamoci sul fatto che santa Teresa si serve costantemente, spesso raffinandola, della retorica cortese (Denis de Rougemont, L'amour et l'Occident). Ripercorrendo la scrittura di Teresa, l'impressione che tende a sovrastarci è che ci stiamo avventurando in un'indugiosa esplorazione dell'indicibile, del mistero che sfugge alle capacità espressive del verbo. Teresa lo ripete spesso, anche nel Libro delle relazioni e delle grazie: « Queste cose dello spirito sono molto difficili da dire in modo da farle intendere ... », « Non si può spiegare oltre: è come un volo e io non so a che cos'altro paragonarlo. So che lo si sente con grande chiarezza e non lo si può impedire ... », « ... sono cose tanto sottili, che, sebbene l'intelletto le abbia subito intese, non saprei dirle ... ». Sino a denunciare consapevolmente il margine di approssimazione in cui la sua scrittura si logora: « Tutto questo non

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lo si può spiegare se non ricorrendo a paragoni. Io mi servo di confronti grossolani, è vero, per simili cose, ma non so esprimermi altrimenti. Ecco perché non sono cose da scrivere né da dire. Riesce a capirle solo chi ne ha avuto esperienza ». Il tentativo è di registrare un passaggio rapidissimo: dalla tenebra alla luce, dall'assenza alla presenza, dal tormento all'estasi ... Ma, contro la fulmineità del passaggio, c'è la lentezza di Teresa, la ricerca metodica nelle sue fibre, lì dove il dardo angelico transverberante penetra d'improvviso. Nessun sapere può intervenire a illuminarci sulle modalità di percorso o della meta da raggiungere. Teresa non sa spiegare: dice di sentire e di non poterlo tradurre in parole. Tuttavia, la sua scrittura ci parla un linguaggio noto, rivisita una simbologia familiare al nostro orecchio. La morte bramata per sciogliersi dalle catene del corpo, l'angoscia preferita a ogni diletto terreno, l'impotenza della lingua nel comunicare quanto percepisce lo spirito, l'inatteso offuscarsi dell'intelletto, la ferita che si apre nell'intimo per dissanguare e mai uccidere, il distacco dalla materia: sono tutti temi individuabili nella tradizione del discorso erotico occidentale, nella retorica dell'amor cortese. Ma nel caso di Teresa - e dei mistici in genere - questi elementi non convergono verso il nome di un essere amato. Lì dove l'amante colloca una presenza familiare, l'idea di un corpo che, pur mutando, ha nome in ogni tempo e in ogni spazio, Teresa tocca una strana assenza, un vuoto ai nostri occhi inquietante. 124

Perché, in qualche modo e paradossalmente, lo intuiamo pieno di qualcosa che ci elude. In bilico fra un pieno e un vuoto di significato, questa scrittura rivela almeno lo specifico della sua opacità: rivestita di forme note si tende sino a raggiungere un obiettivo che per noi si vuole ignoto. O anche: nata all'interno di un sapere, si avventura e si smarrisce nello spazio di un non-sapere. Le motivazioni che erano alla base dell'ascesi monastica, e che si incentravano tutte sulla rinuncia ai beni del mondo, al godimento del sesso e della carne, visti come ostacolo fondamentale al contatto con Dio e ad una vera metanoia, non trovano riscontro nella realtà della vita della donna. Il rifiuto del « mondo » non poteva essere sentito dalla donna come rinuncia al godimento, al piacere, ai beni del mondo, in quanto il mondo aveva ben pochi beni da offrirle. E prima di tutto sul piano dell'esercizio della sessualità. In base alla documentazione (del resto piuttosto scarna) che a tutt'oggi abbiamo sulla vita della donna nella tarda antichità e nel!'alto Medioevo, possiamo essere certi che la vita della donna era estremamente dura, soprattutto sul piano psicologico e morale ( anche se con notevoli variazioni da una classe alt' altra). Di una sessualità propria della donna non sembra ci si sia mai occupati, se non per quanto ineriva alla sua funzione di attrazione per il maschio. E del resto una prova della profonda traumatizzazione della donna nei confronti

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dello sviluppo sessuale, la possiamo dedurre proprio dal fascino che ha esercitato la verginità, fin dai primi secoli del cristianesimo, e dal gran numero di donne che ha aderito alla proposta delle nozze con Cristo (Ida Magli, La donna. Un problema aperto). Sottratta alle funzioni subalterne che la cultura dei padri destina al soggetto femminile, Teresa si allontana da ogni forma di sapere, sfrutta tutte le possibilità che la sua fuga obliqua dal mondo le offre. Lo statuto monacale, se trova la sua giustificazione agli occhi dell'autorità in quanto sublimazione della figura materna, permette comunque l'accesso a un'esperienza fisica altrimenti interdetta alla donna. Rivestito l'abito religioso, Teresa ha aggirato la finalità prevista per il suo corpo: né carne produttrice di piaceri altrui, né carne riproduttrice di carne altrui. Compiuta nel quadro della storia, la scelta di Teresa opera una rapida deriva verso un territorio franco, verso un tempo interiore che ignora il computo esatto e previdente. Le forme note - il pieno, il sapere - di una scrittura che riferisca un itinerario simile appartengono alla storia, ma la sua meta ignota - il vuoto, il non-sapere - si colloca in qualche punto al di là della storia. È dall'intuizione di questa sintesi ossimorica, di questo mistero vivido, che nasce il nostro sconcerto e, soprattutto, il nostro desiderio. Sconcerto, perché ci diviene inevitabile pensare che, forse, proprio in quanto lontana dal nostro mondo, chiusa in uno spazio su cui la cultura degli uomini grava con minore saldezza, Te126

resa ha saputo immaginare e, con la forza dell'immaginazione, nella quiete e nella distanza della solitudine, ricreare l'uomo che altrove non avrebbe potuto farsi oggetto dell'intensità del suo discorso d'amore. Desiderio, perché oscuramente a quest'uomo nuovo, immaginato e ricreato dalla donna, vorremmo tutti sostituirci, per apprendere cosl, nella nostra carne, che il godimento non è soltanto ciò che risponde all'ansia e ce ne libera, ma anche ciò che coglie d'improvviso e, naufragando nel non-sapere, trabocca. Ma, ancora una volta e quasi a chiudere in cerchio ineludibile la linea del pensiero che sa e non sente, è del nostro desiderio che si tratta. Quello di Teresa permane riposto in una scrittura opaca, in cui tutto - anche la parola di Dio - rinvia alla differenza di una femminilità lontana, che ci è difficile vivere. Allora, forse, dopo aver preso atto dei rigori con cui la storia ha raggelato primitive morbidezze del nostro corpo d'uomo, non ci rimane che differire questo desiderio nella contemplazione dei simulacri frapposti tra noi e Teresa ... Allora, forse, non ci rimane che ... andare a Roma ... Febbraio 1982. Le Relaciones y Mercedes sono opera in cui vanno tradizionalmente riuniti materiali eterogenei. Le relazioni propriamente dette - inviate da Teresa d'Avila ai suoi direttori spirituali - sono soltanto le prime sei. Gli altri scritti costituiscono una serie di testi in genere molto brevi: appunti, rapidi resoconti, registra-

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zioni di avvisi profetici ... Per questa traduzione, ho seguito l'edizione delle Obras completas a cura di fra' Tomas de la Cruz (Editoria! Monte Carmelo, Burgos 19772). Rispetto all'originale, ho escluso un testo e, di conseguenza, ridotto la numerazione complessiva da 67 a 66. Il testo soppresso è il quarantunesimo, che presenta minime varianti nei confronti del precedente « voto di obbedienza». In quanto al tono della traduzione, ho privilegiato un registro lessicalmente e sintatticamente scarno, talvolta ai limiti della scorrettezza, per ripercorrere più fedelmente l'originale. Questa scelta, tuttavia, non è in ossequio a un'abusata tradizione critica che vede in Teresa d'Avila una scrittrice dedita all'improvvisazione, inconsapevolmente dominata dalla spontaneità del linguaggio quotidiano. La sua scrittura mi sembra piuttosto obbedire a un attento calcolo secondo cui la trascuratezza nello stile e nella disposizione dei materiali narrativi è un effetto sapientemente ricercato. A questo proposito, mi hanno aiutato certe osservazioni di Rosa Rossi nella sua Esperienza interiore e storia nell'Autobiografia di Teresa d'Avila (Adriatica Editrice, Bari 1977).

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Indice

Libro delle relazioni e delle grazie

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Note

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... andare a Roma ... di Angelo Morino

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Stampato presso la tipografia Luxograph Palermo, maggio 1982

La memoria

1 Leonardo Sciascia. Dalle parti degli infedeli 2 R. L. Stevenson. Il diamante del Rajà 3 Lidia Storoni Mazzolani. Il ragionamento del principe di Biscari a Madama N.N. 4 Anatole France. Il procuratore della Giudea 5 Voltaire. Memorie 6 Ivàn Turghèniev. Lo spadaccino 7 Il romanzo della volpe 8 Alberto Moravia. Cosma e i briganti 9 Napoleone Bonaparte. Clisson ed Eugénie 10 Leonardo Sciascia. Atti relativi alla morte di Raymond Roussel 11 Daniel Defoe. La vera storia di Jonathan Wild 12 Joseph S. Le Fanu. Carmilla 13 Héctor Bianciotti. La ricerca del giardino 14 Le avventure di Giuseppe Pignata fuggito dalle carceri dell'Inquisizione di Roma 15 Edmondo De Amicis. Il "Re delle bambole" 16 John M. Synge. Le isole Aran 17 Jean Giraudoux. Susanna e il Pacifico 18 Augusto Monterroso. La pecora nera e altre favole 19 André Gide. Il viaggio d'Urien 20 Madame de La Fayette. L'amor geloso

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Rex Stout. Due rampe per l'abisso Fjòdor Dostojevskij. Il villaggio di Stepàncikovo Gesualdo Bufalino. Diceria dell'untore Laurence Sterne. Per Eliza Wolfgang Goethe. Incomincia la novella storia Arrigo Boito. Il pugno chiuso Alessandro Manzoni. Storia della Colonna Infame Max Aub. Delitti esemplari Irene Brin. Usi e costumi 1920 - 1940 Maria Messina. Casa paterna Nikolàj Gògol. Il Vij Andrzej Kusniewicz. Il Re delle due Sicilie Francisco Vasquez. La veridica istoria di Lope de Aguirre Neera. L'indomani Sofia Guglielmina margravia di Bareith. Il rosso e il rosa Giuseppe Vannicola. Il veleno Marco Ramperti. L'alfabeto delle stelle Massimo Bontempelli. La scacchiera davanti allo specchio Leonardo Sciascia. Kermesse Gesualdo Bufalino. Museo d'ombre Max Beerbohm. Storie fantastiche per uomini stanchi Anonimo ateniese. La democrazia come violenza Michele Amari. Racconto popolare del Vespro siciliano Vernon Lee. Possessioni

CL 17-0167-3

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