L’etica del metodo. Saggio su Ludwig Wittgenstein
 9788884830449

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ANDREAZHOK

L'ETICA DEL METODO Saggio su Ludwig Wittgenstein

MIMESIS morfologie

Volume pubblicato con il contributo dei fondi di ricerca ex 40% Murst della catte­ dra di Filosofia della Storia del Dipartimento di Filosofia dell'Università di Milano.

© 2001

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INDICE

INTRODUZIONE

I. L'ORIZZONTE DEL

p

7

p. p. p. p. p. p. p. p. p.

9 14 18 29 42 53 53 60 65

TRACTATUS LOGICO- PHILOSOPHJCUS

Indice del Tractatus L' immagine l. 2. La proposizione 3. Oggetti e stati di cose 4. La logica della verità L' etica della verità 5. 5. 1 . Logica ed esperienza Soggetto e mondo 5.2. Revisione e sintesi 6.

APPENDICI

l. Il.

Alcune osservazioni sulla forma logica L' interno dell'etica

p. 71 p. 74

II. L'AUTONOMIA DELLA GRAMMATICA 1.

2. 3. 4. 5. 6.

7. 8.

La critica delle proposizioni elementari e le sue conseguenze immediate L'unità grammaticale di segno e simbolo Immagine e moltepli cità logica Ostensione Nomi e oggetti: revisione del concetto di analisi L'ampliamento dell'i mmagine di grammatica Dalla convenzione al gioco linguistico Giochi li nguistici e somiglianze di famiglia

p. p. p. p.

82 87 89 92

p . 96 p. 101 p. 1 04 p. 1 1 0

9.

IO. 1 1.

Fi losofia come malattia e terapia Forme di vita e storia naturale umana Revisione e sintesi

p. 1 1 9 p. 123 p. 130

III. J LIMITI ALL'AUTONOMIA DELLA GRAMMATICA 1. 2. 3. 3. 1 . 3.2. 4.

Di mostrazione ed esperimento La contraddizione e la regola Inferenze e regole Probabi lità e causalità Seguire una regola Revisione e sintesi

p. p. p. p. p. p.

1 33 141 1 46 147 1 50 162

IV. METODO FILOSOFICO ED ETICA l.

l . l. 1.2. 1 .3. 1.4. 2. 2. 1. 2.2. 2 .3 . 3.

Certezza e sistema La sistematicità circoscritta del gioco li nguistico Giochi linguistici e linguaggi primitivi completi Giochi linguistici come possibilità reali Grammatica ed antologia Metodo ed etica La priorità della descrizione Lineamenti del metodo descrittivo L'intero e l'etica Revisioni e sintesi. Conclusion i

p . 166 p. 166 p. p. p. p. p. p. p. p.

1 67 170 176 185 185 1 91 201 212

OPERE DI WITTGENSTEIN

p. 2 1 8

BIBLIOGRAFIA

p. 219

INTRODUZIONE

Il nostro intento nelle pagine seguenti è quello di cogliere un'essenziale linea di svi luppo interna all' intero percorso di pensiero wittgensteiniano, e di ill ustrarla in particolare con riferimento ai due momenti estremi rappre­ sentati dal Tractarus logico-philosophicus e dalle note sulla Certezza. L'in­ treccio teoretico cui vogliamo dedicarci è quello intercorrente tra 'metodo filosofico' ed 'etica' In particolare due sono le questioni esegetiche che muovono la nostra indagine: l) È possibile attribuire un senso unitario al­ l ' operazione filosofica wittgensteiniana, senza invali dare la molteplicità apparentemente irrelata delle analisi, lo stile frammentario, i mutamenti nel tempo dell 'orientamento speculativo? O, visto altrimenti: cosa fa, cosa può, e cosa deve fare, secondo Wittgenstein, la filosofia? Tale questione bicipi­ te, rivolta ad un tempo allo svolgimento effettivo e all'intenzione dichiarata del compito filosofico, è mossa in profondità dal disagio che coglie di fron­ te al contrasto tra la modestia e circoscrizione costantemente attribuite dal filosofo austriaco al filosofare e la portata delle conclusioni che dalle ope­ razioni teoriche wittgensteiniane sono deducibili. In diretta dipendenza dalla prima questione emerge la seconda, in quanto le ripercussioni più massicce del 'metodo' filosofico wittgensteiniano, del suo modo di affrontare le operazioni teoriche, hanno un carattere esplicita­ mente liberatorio, emancipativo, 'etico'; ma allora 2) perché le argomenta­ zioni di natura etica scompaiono dal lavoro filosofico di Wittgenstein para­ dossalmente proprio quando, a partire dal superamento delle tesi del Trac­ tatus, era legittimo tematizzarle? Perché, nonostante l ' i nteresse per la spe­ culazione da parte di Wittgenstein sia stata sempre mossa da istanze e que­ stioni morali, e nonostante la sua stessa biografia testimoni della centralità dei problemi etici per il suo pensiero, tutto il lavoro svolto a partire dai pri­ mi anni Trenta manca di ogni esplicito 'filosofema morale' ? Questa, come ogni interpretazione, avrà poi i l problema finale di giusti­ ficare l ' integrazione esegetica del nudo testo di cui essa consta, e dunque di intendere in quale misura l'interpretazione proposta si a concepibile come 'intenzione profonda' dell'autore, come 'verità' del suo pensiero non espii-

citamente intesa, o magari come uti lizzazione personale di argomentazioni wittgensteiniane a suffragio di tesi proprie. Va subito premesso che adotte­ remo lo stesso modo di fruizione del testo che Wittgenstein propone al suo lettore, cioè quello di

usare

gli argomenti esposti come strumenti per la ri­

soluzione di problemi determinati e mantenendo però al tempo stesso una continua tensione

sintetica tra riflessioni

apparentemente distanti.

Il lavoro si articola in due sezi oni principali, che seguono sostanzial men­

te la scansione, la cui almeno approssimativa legittimità non intendiamo contestare, tra 'primo' e 'secondo' Wittgenstein. Della prima sezione fanno

parte oltre all'interpretazione del Tractatus due appendici relative ad Alcune osservazioni sullaforma logica, e alla Conferenza sull'erica la cui diretta di­ pendenza dalle tesi del Tractatus è evidente. La seconda sezione è divisa in

due parti principali (cap. II e III, e cap. IV rispettivamente): entrambe tratta­ no in ottiche diverse, parzialmente dipendenti dall'ordine cronologico, i rap­

porti tra linguaggio, significazione e senso. La seconda tuttavia rimarcherà gli approdi degli ultimi testi, le

Osservazioni sui colori

e

Della cenezza,

considerandoli come apportatori di elementi innovativi e di talune correzio­ ni determinanti rispetto alla prospettiva delle Ricerchefilosofiche. La linea di sviluppo profonda che crediamo di poter rintracciare prende le mosse dal problema della 'proposizione elementare', come minima unità semantica, così come si configura nel

Tractatus,

e, alla luce delle conse­

guenze antologiche (ed etiche) di questa concezione del significato, si la­ scia scorgere nelle prime critiche degli anni Trenta, laddove l'idea di pro­ posizione elementare si dissolve nell'idea di 'sistemi proposi zionali' del linguaggio quotidiano, fino a ritrovarsi nel concetto di 'gioco linguistico' Nell'ultima parte cercheremo poi di mostrare come i lineamenti attribuiti dapprima all'entità 'gioco linguistico' non siano tutti stabili e come alcuni di essi appaiano superati nella prospettiva aperta dalla nozione di 'sistema' presente in Della cenezza. II presente lavoro ha il carattere di un'esegesi storico-filosofica e si rivol­ ge ad un lettore già familiare con l'opera di Wittgenstein ed i suoi problemi interpretativi; esso però rivendica anche un valore teoretico generale, nella misura in cui condivide e sostiene il quadro ultimo che il percorso wittgen­ steiniano deli nea. Riteniamo che il principale interesse teoretico del presente

lavoro risieda nella risposta al la questione circa l'identità, il metodo ed il valore del filosofare, risposta che emerge al termine dell'analisi del percorso di pensiero wittgensteiniano: qui verità, metodo filosofico ed etica emerge­ ranno come fattori interdipendenti e necessariamente coappartenentisi.

8

I L'ORIZZONTE, DEL

TRACTATUS LOGICO-PHILOSOPHICUS

II Tractatus Logico-Philosophicus1 è un testo radicalmente criticato, ma mai superato completamente nella riflessione di Wittgenstein.

È

nostra tesi

che in tutto il lavoro successivo, che occupa la parte di gran lunga più am­ pia della riflessione wittgensteiniana si ripresentino non solo temi partico­ lari, ma anche un 'problema dominante' derivati dal

Tractatus,

e che tale

lavoro più tardo possa essere inteso nel modo più proficuo sullo sfondo della prima opera. Quanto alle singole tesi poco di quanto scritto nel

tatus verrà

Trac­

mantenuto in seguito, tuttavia quanto ai temi e alla loro connes­

sione, la prima opera dà un impianto cui il lavoro successivo ritornerà sem­ pre, come ad un metro imprescindibile.

È nostra intenzione condurre l'analisi del trattato nella forma più concisa

e schematica possibile, in modo da mettere in risalto l'ordinamento siste­

matico del lavoro preso come intero. Nel corso di questa breve analisi con­ tiamo di mostrare come il

Tractatus

sia un'esposizione non solo altamente

sistematica in tutte le sue articolazioni, ma anche di rara coerenza, con al­ cune relativamente trascurabili inesattezze espressive ed un unico errore di fondo, le cui conseguenze però non sono emendabili conservando la strut­ tura argomentativa. Tra le innumerevoli difficoltà che il

TLP ci pone la pi ù rilevante,

cui for­

se tutte le altre sono da ricondurre, è la questione del punto di vista corretto sull'unità dell'opera, con particolare riferimento al rapporto tra le istanze e­ tiche, quelle logiche e gnoseologiche, e quelle antologiche.

È noto che l'or­

dinamento delle proposizioni non rispecchia l'ordine in cui l'autore ha ela­ borato il proprio pensiero: le proposizioni d'argomento 'antologico' ap­ paiono a vari livelli come un prodotto tardo della riflessione 'logica'2•

È

poi parimenti noto che, a dispetto dei rapporti d'estensione tra le parti, il

D'ora in poi abbreviamo "TractaJus Logico-Phiwsophicus" in TLP. Introdurremo d'o­ ra in avanti le citazioni dal Tractatus semplicemente con l'indicazione del numero del­ la proposizione posto in parentesi tonda.

2 "8oth, historically and logically rhe theses about the worldfollow rhose abouc langua­ ge, b;a cheir dependence is masked by their presentation at che beginning of che book" [A. Kenny, Wittgensrein, Penguin Press, London I 973. p. 72.] Una lettura anche sommaria dei Quaderni 1914-1916 può facilmente convincere di ciò.

senso del testo è detto dal l'autore medesimo essere un senso etico3• Si deve allora forse invertire l' ordine di trattazione del TLP, ponendo le istanze eti­ che come fondanti rispetto alle altre? Una tale disposizione rischierebbe di vedere nella riflessione logico-epistemologica sol tanto uno strumento d 'e­ sposizione di tesi etiche precostituite, il che certamente non è. Dobbiamo allora forse porre come origi naria e prioritaria la riflessione sul linguaggio e la logica? Ciò va contro le intenzioni esplicite di Wittgenstein e contro tutto ciò che sappiamo dal punto di vista biografico circa i suoi interessi4, che non ebbero, né prima del TLP, né in seguito il carattere di un'indagine linguistica o fonnale fine a se stessa. Se vogliamo assegnare una qualche priorità alla problematica logico-linguistica dobbiamo poterlo fare soltanto in quanto tale problematica è già caratterizzata come portatrice leg ittim a delle questioni sull'essere ed il valore, non dunque come indagine settoria­ le amp l i atasi accidentalmente i n corso d' opera fino ad assumere ri lievo fi­ losofico generale. Un possibile approccio può esserci fornito dalle rare pro­ posizioni per così dire 'panoramiche' sul proprio lavoro che Wittgenstein si lascia sfuggire nel TLP e nei Quaderni I 914-16. Cerchiamo di dare una rappresentazione sinottica di quelle più significative, a cominciare ovvia­ mente dalla Prefazione del TLP, dove Wittgenstein scrive, riecheggiando la proposizione conclusi va: Si potrebbe q u as i riassumere l'intero senso del libro nelle parole: ciò che si lascia in generale dire, si lascia dire chiaramente; e di ciò di cui non si può parlare si deve tacere. Il libro vuole dunque tracciare un limite al pensiero. o piuttosto- non al pen­ siero, bensì all'espressione dei pensieri: infatti per tracciare un limite al pensiero, dovremmo poter pensare entrambe le pani di questo limite (dovremmo allora poter pensare ciò che non si lascia pensare). Il limite potrà allora venir tracciato soltanto 5 nel linguaggio e ciò che giace al di là de1limite sarà semplicemente non-senso •

II limite in questione è dunque un limite tra senso e non-senso, tra pensie­ ro dotato di senso e 'pensiero' insensato, e la sua determinazione implica

3 4

5

Cfr. 1:� famosa letter:� di Wi ttgenstei n :1 Ludwig von Ficker ri port:�ta in P. Engelma nn, Lettere di Ludwig Wìttgenstein con ricordi. Nuova Italia, Firenze 1970, p. 1 1 5. Per qualunque conferma circa il c:�raltere di Wi ttgenst ei n e la natura dei suoi interessi negli anni dal 1 9 1 1 , anno del suo arrivo a Cambridge e della conoscenza con Russell, al 1 9 1 8, anno in cui la scrittura del T ractatus è pona t:� a compimento, rinviamo a Ludwig Wittgenstein di R. Mo nk , Jonathan Cape. London 1 990. e a Il giovane Wiu­ genstein di B. McGuinness. Saggi:�tore, Milano 1 99 1 . Nonostante la traduzione italiana del Tracrarus [Eina ud i . Torino 1 968. tr. it. di A.G. Conte] sia assolutamente adeguata abbiamo prefe rito qui e nel prosieguo del testo n­ tradurre tutti i passi citati, e questo non solo per il Tractarus, ma per t utt i i lavori di Wittgenstein (con poche eccezioni che espliciteremo). Tale scelt:� è dovuta ad un in­ tento di uniformità linguistica, il cui perseguimento avrebbe altrimenti richiesto conti­ nue specific:�zioni comparative, con un inutile appesantimento della lettura.

IO

un' esposizione delle possibilità di esprimere senso da parte del linguaggio. La questione che ora si pone è da un lato quella tecnica di una determinazio­ ne chiara del significato da attribuire al termine 'senso' ed ai suoi composti, dall' altro, e soprattutto, quella di intendere perché mai la determinazi one del confine tra espressione sensata ed insensata abbia rilevanza non solo logica, ma anche etica. Nei QULJdenzi troviamo alcune annotazioni utili: Il grande problema intorno al quale ruota tutto ciò che scrivo è: c'è a priori un ordine del mondo, e se sì, di cosa consta? (Q 1.6.15) Il mio intero compito consiste in ciò: spiegare l'essenza della proposizione. Cioè indicare l'essenza di tutti i fatti la cui immagine è la proposizione. (Q

22.1.15)6

La prima proposi zione è ill uminante in quanto ci indica una via d'acces­ so al ceppo comune di etica e logica: Wittgenstein si chiede se vi è un ordi­ ne del mondo, e precisamente un ordine a priori, cioè un ordine che non solo non è tratto dagli eventi accidentali , ma che da questi medesimi non può venir messo in discussione. Un tale ordine, laddove, come qui Witt­ genstei n è incline a credere, sussista, può costituire una base regolativa i­ deale, un ancoraggio ontologico, anche per l'orientamento comportamenta­ le e dunque per l 'etica. Qualunque ordine a priori, infatti, per il fatto stesso di essere a priori, tocca il terreno etico, anche quando in concreto vengano indagati apriori soltanto gnoseologici; un apri ori è un limite circa ciò che potrebbe venir modificato, e dun que è anche già sempre un limite ed una guida per la volizione soggettiva. È rilevante notare come Wittgenstein non sembri dubitare mai nel corso dei Quaderni, fi no al l'u ltima annotazione del 10.1.17, del fatto che un ordine del mondo, quale che sia, sussista. Vi sono tracce per intendere donde provenga questa convinzione? Leggendo la se­ conda delle proposizioni citate nello spirito della prima potremmo dire che il problema capitale dell'ordine a priori del mondo si rispecchia nel compi­ to capitale di intendere l'essenza della proposizione, cioè, come vedremo, dell'immagine del mondo. Ma allora, di nuovo, in che senso l'essenza della proposizione può incarnare l'ordine del mondo? Perché poi ci dovrebbe es­ sere un' essenza della proposizione, così come c'è un ordine del mondo? A queste domande Wittgenstein dà invero una risposta chiara: Se il mondo non avesse una sostanza, allora, che una proposizione abbia senso, dipenderebbe dall'essere un'altra proposizione vera (2.0211) Sarebbe allora impossibile progettare un'immagine del mondo (vera o falsa).

(2.0212) 6

Introduciamo d'ora in poi le citazioni tratte dai Quaderni 1914-16 con l'indicazione tra parent esi (Q) seguita dalla data della registrazione.

Il

Teniamo fermo che nel punto iniziale del TLP, dove queste proposizioni compaiono, la nozione di 'senso' non è stata ancora introdotta come termi­ ne tecnico, e che dunque il suo signifi cato può essere senz' altro i nteso sen­ za ulteriori precisazioni come pensiero (immagine mentale) di un fatto. Il ragionamento che Wittgenstein qui ci propone è un tipico ragionamento trascendentale: il mondo deve avere una sostanza (un ordine a priori) i n quanto condizione di possibilità d i un fatto, e precisamente del fatto che vi sono proposizioni vere e proposi zioni false. La proposi zione 'la neve è bianca' ha senso anche in assenza di neve, e tuttavia può essere confrontata con la neve eventualmente presente, dunque vi è qualcosa di comune tra proposizione e fatto che consente il confronto; se il senso della proposizio­ ne non partecipasse immedi atamente di questo fattore comune con la real tà, questo, dice Wittgenstein, dovrebbe venirgli conferito mediatamente da un'altra proposizione vera, cioè, se non vogliamo rin viare il problema all ' i nfi nito, da una proposizione intrinsecamente legata alla realtà. Questo procedimento renderebbe tuttavia impossibile il sussi stere di proposizioni sensate in assenza della realtà che rappresentano , che è quanto a dire: non si potrebbe progettare un'immagine (vera o falsa) della realtà. Si può allora dire che il 'fatto ' della verità garantisce da un lato il sussistere di espressioni dotate di senso e dall 'altro un qualche ordine del mondo. A par­ tire da questo luogo teorico si possono sviluppare legittimamente ed unitaria­ mente le questioni capitali della logica e del l' etica, e precisamente seguendo le articolazioni interrogative dettate da tale impostazione, ovvero: come si co­ stituisce il senso delle espressioni? come è da intendere, parallelamente, il mondo (o la realtà)? cosa può essere inteso come 'senso del mondo'? Di fatto anche un esame esteriore rivela come pochi siano i termini chia­ ve ri ntracciabili per l' intera estensione del testo; essi sono proprio 'mondo' (Welt), 'senso' (Sinn), e ' proposizione' (Satz). Il TLP è un testo sistematico , che quindi non si presta molto ad una trattazione per parti e concetti-chiave che riorganizzi in unità trasversali l' ordine d'esposizione. Riteniamo tutta­ via che un tale genere di trattazione, tenendo fermo il momento sintetico, possa risultare estremamente chiarificatore, soprattutto in quanto una delle difficoltà maggiori del TLP è costituita proprio, come detto, dal l ' assenza quasi totale di osservazioni sinottiche che riassumano la miriade di processi argomentati vi di una scrittura quasi priva di ridondanza e consentano al let­ tore un'organizzazione concettuale del testo in un numero limitato ed ispe­ zionabile di parti costitutive. Il carattere non introduttivo del presente testo ci esime da riassunti parafrastici che suppliscano ad una prima lettura di ret­ ta del TLP. Diamo tuttavia, prima di addentrarci nell'analisi, una rappre­ sentazione preliminare della struttura del lavoro wittgensteiniano, al fine di richiamare rapidamente alla mente del lettore l' impalcatura generale degli argomenti trattati .

12

(l- 1.21)

Il mondo ed i fatti Stati di cose ed oggetti

(2- 2.0201) (2.02 l - 2.032) (2.033- 2.034) (2.04-2.063) (2.1-2. 151 l) (2.1512-2.151) (2.16 - 2.174) (2.18- 2.225)

Sostanza del mondo ed oggetti Forma e struttura Mondo e realtà Immagini e fatti Il rappono di raffigurazione La forma di raffigurazione Forma logica e realtà Pensiero e pensabile Coerenza dell'immagine

(3- 3.03) (3.03 l 3.0321) (3.04- 3.05) (3.1-3.12) (3. l 3 - 3.142) (3.143- 3.144) (3.2-3.23) (3. 24 - 3.25) (3.251- 3.263) (3.3- 3.314) (3.315- 3.318) (3.32- 3.325) (3.326- 3.328) (3.33 - 3.334) (3.34- 3.3442) (3.4- 3.42) -

Pensiero e verità a priori Il segno proposizionale Senso proposizionale e fatto Struttura del segno proposizionale Nomi ed oggetti L'indeterminatezza del complesso Espressione dell'anicolazione dei segni primitivi Senso ed espressione Variabili Esigenze del linguaggio simbolico Uso e significato dei segni Critica alla ..teoria dei tipi" (sintassi versus semantica) Essenza del segno (simbolo) Lo spazio logico Pensiero e segno Il linguaggio umano Critica della filosofia La proposizione come immagine La logica della raffigurazione La molteplicità logica Verità e falsità Filosofia e scienza

(3.5- 4) (4.001 - 4.002) (4.003- 4.003 l) (4.01- 4.0141) (4.015- 4.023) (4.04- 4.0412) (4.05- 4.0641) (4. l 4. l 16) (4.12- 4.1213) (4.122-4.1252) (4.05- 4.0641) (4. l - 4.116) (4.12-4. 1213) (4. l 22-4. l 252) (4. 126- 4.128) (4.2-4.24) (4.241 - 4.243) (4.25- 4.43) (4.43 l - 4.45) (4.46-4.4661) -

Rispecchiamento proposizione-realtà Relazioni (qualità) interne ed esterne Verità e falsità Filosofia e scienza Rispecchiamento proposizione-realtà Relazioni (qualità) interne ed esterne Concetti formali Stato di cose e proposizione elementare Nozione di identità Combinatoria degli stati di cose e teoria della probabilità Condizioni di verità Tautologia e contraddizione

13

(4.5- 4.53)

Forma proposizionale generale Proposizioni come funzioni di verità Fondamenti di verità ed inferenza (logica e causale) Teoria della probabilit à Operazioni e relazioni interne Operazioni di verità Operazioni versus relazioni Logica dei segni (simbolismo) e costanti logiche apparenti Introduzione del simbolismo necessario a (6) La negazione L'universalità L'identità Ordinamento proposizionale e soggetto Logica ed esperienza Linguaggio e mondo Soggetto e mondo

(5.5- 5.503) (5.51- 5.5151) (5.52- 5.5262) (5.53 - 5.5352) (5.54- 5.5423) (5.55 - 5.5571) (5.6-5.61) (5.62-5.641) (6-6.002) (6.01-6.031) (6.1- 6.13) (6.2 - 6.241) (6.3- 6.3751)

Forma proposizionale generale Concetto di numero Natura delle proposizioni logiche Logica e matematica Logica e fisica

(6.4-7)

Etica

l.

(5-5.1) (5.101- 5.143) (5.15 - 5.156) (5.2- 5.254) (5.3- 5.41) (5.42- 5.43) (5.44- 5.476)

L'immagine

Assumendo come prospettiva per la lettura del TLP quella data dalla no­ zione di verità e dalle sue condizioni di possibilità possiamo procedere nel­ l ' interpretazione a partire dal l' esposizione esplicita che ne dà Wittgenstein. La prima nozione, in ordine logico, ad esigere l' i ntrod uzione come condi­ zione di verità è quella di 'immagine': "Una proposizione può essere vera o falsa solo in quanto è un ' immagine della realtà" (4.06). L' introduzione del concetto di 'immagine' è argomentato essenzialmente in due modi: a) il concetto di 'immagine' ha la funzione di illu strare una commensu­ rabilità immediata tra proposizione e realtà: la proposizione, come un' im­ magine, deve poter rappresentare immediatamente la realtà, altrimenti s'in­ trodurrebbe necessariamente un regresso infinito, giacché l'i ntroduzione di un elemento mediatore tra proposizione e realtà porrebbe l ' ulteriore proble­ ma del rapporto tra tale elemento ed i due fattori che esso media, e così a­ vanti all'infinito7 Se il rapporto immedi ato tra proposizione e realtà è pro­ blematico, nessun rapporto mediato lo sarà di meno. 7

Questo argomento ripercorre. per quanto ne sappiamo inconsapevolmente, l'argomen-

14

b) In secondo luogo, osserva Wittgenstein, bisogna tener ferma l' in es­ senzialità di una somiglianza prima facie tra la proposizione e la realtà rap­ presentata; nei Quaderni egli si chiede: "Su cosa si basa la nostra fiducia sicuramente ben fondata -che potremo esprimere qualsivoglia senso nella nostra scrittura bidimensionale?" pare nel

TLP,

(Q 26.9.14),

e la risposta, così come com­

nelle proposizioni da 4.011 a 4.01 41, ci mostra che l) espres­

sioni formali come "aRb" (a

è

in relazione con b) vengono manifestamente

esperite come immagini del loro significato;

2) la scrittura alfabetica ripro­

duce e rievoca immediatamente i suoni senza avere alcuna somiglianza con essi;

3) analoghe fonne dì riproduzione prive di ogni visibile somiglianza

sono facilmente rintracciabilì, ad esempio tra il microsolco dei dischi, il pensiero musicale, la scrittura delle note, le onde sonore. La proposizione dunque deve essere intesa come un'immagine per esi­ genze logiche, in quanto la 'rappresentazione immediata'

è

l'ultimo oriz­

zonte, necessariamente vigente, della significazione; l'eterogeneità sensibile tra proposizione e realtà non costituisce un'obiezione a tale concezione, ma introduce una nozione di iconicità differente dalla somiglianza sensibile. Prima di discutere più dappresso la nozione di 'immagine' introduciamo un breve sunto di tutti i riferimenti informativi sull'immagine presenti nel testo. Introdurremo questa forma di rappresentazione ancora in seguito co­ me strumento volto a consentire quella sinossi di cui si avverte insistente­ mente la mancanza nella lettura del lavoro wittgensteìnìano. (Va tenuto fer­ mo nella lettura delle prossime pagine, che, per la sua concisione, l'analisi del testo che tentiamo dì fornire può essere efficacemente seguita gendo in parallelo il

solo

leg­

Tractatus.)

flmmagine fBi[dJ: noi ci facciamo immagini dei fatti (2.1)/l'immagine rnppre­ senta il sussistere e non sussistere di stati di cose (2.11)/l'immagine i': un modello della realtà (2.12)/ agli oggetti corrispondono nell'immagine gli elementi dell'im­ magine (2.13)/l'immagine è un fatto (2.141)/l'immagine i': come un metro apposto alla realtà (2.1512), soltanto i punti estremi del metro toccano la realtà (2.15121)/al­ l'immagine appartiene anche la relazione rappresentativa che la rende un'immagine (2.1513)/l'immagine ha in comune con la realtà per poterla rappresentare la forma di raffigurazione (2.17)/ l'immagine spaziale può rappresentare tutto lo spaziale, l'immagine cromatica tutto ciò che i': colornto, ecc. (2.171)/l'immagine non può però raffigurare la sua forma di rappresentazione, la mostra (2.172)/ se la forma di raffigurazione è la forma logica, allora l'immagine si dice immagine logica (2.181)/ ogni immagine i': anche un'immagine logica (2.182)/l'immagine logica può raffigu­ rare il mondo (2.19)/l'immagine raffigura la realtà in quanto rappresenta una possi­ bilità del sussistere e non-sussistere di stati di cose (2.201)/l'immagine concorda con la realtà o meno, è corretta o meno, vera o falsa (2.21)/ non vi i': un'immagine to del 'terzo uomo di Aristotele e, forse più consapevolmente, la critica delle relazio­ ni da parte di Bradley. '

15

vera a priori (2.225)/ l'immagine logica dei fatti è il pensiero (3)/ la totalità dei pen­ sieri veri sono un immagine del mondo {3.01)/ la proposizione è un'immagine della realtà (4.01)/ una proposizione può essere un'immagine incompleta di una certa si­ tuazione, ma essa è pur sempre un'immagine completa (5.156).] Che 'noi' ci si faccia im magini dei fatti

(2.1) sembra essere un'espres­

sione prossima al senso comune di c i ò che ci passa per la mente: vi è un mondo di fatti e noi ce ne facciamo immagini, ce lo dipingiamo atti vamen­ te come potrebbe essere e lo riproduc iamo passivamente così come esso ci si presenta. Tanto nel caso produttivo che in quello riproduttivo l ' im magine rappresenta la possibilità di ciò che accade, essa è un m odello di come le cose stanno o potrebbero stare, e tale possibilità di rappresentazione è data dall'esistenza di 'oggetti'

(2.1 3), sulla cui natura torneremo, e che comun­

que sin d'ora si presentano come di pertinenza del piano del possibile e non del fattuale. L'i mmagine, ci dice poi Wittgenstein, è un fatto

(2. 141), il che

può essere inteso in prima battuta in modo semplice: la scrittura bidimen­ sionale delle proposizioni, così come i suoni verbali, o le note mu sicali so­ no fani e rappresentano ciò che devono rappresentare senza bisogno di me­ diazioni, non è dunque necessario introdurre una differenza specifica nella natura dei segni tra segni 'mentali' (es.: il pensiero musicale) e segni mate­ riali: se un'immagine esterna può rappresentare non vi è motivo di renderla in qualche modo 'interna' per conferirle virtù rappresentative. Il funziona­ mento dell'immagine è esemplificato con l'apposizi one di un metro alla realtà

(2.15 1 2): il metro può dare della realtà soltanto informazioni la cui

possibilità è già predisposta nella struttura del metro stesso: il metro non dice cosa è la realtà che esso misura, non dice se essa è vivente o come è colorata, ma dice soltanto come essa corrisponde alle scansioni che sul me­ tro sono predi sposte. Così l 'immagine che ci facciamo dei fatti è come una misurazione, una rilevazione determinata dell'alterità reale, che con la rea ltà è essenzialmente connessa, ma che non ne è senz'altro copia. Che all'immagine appartenga anche la relazione rappresentativa che la rende un' immagine

(2. 1 513) è un'esplicitazione di quanto già detto intorno

all 'introduzione della nozione d'immagine: la relazione rappresentativa de­ ve i neri re ali'immagine (alla proposizione) altrimenti dovrebbe esservi asso­ ciata dall'esterno con rinvio infinito del problema. Ciò che lega l'immagine alla realtà, la relazione rappresentativa, non può avere il carattere di un ele­ mento dotato di un proprio contenuto, non è cioè qualcosa che potremmo 'vedere' e riconoscere indipendentemente dali'attual ità rappresentativa, è piuttosto una forma di raffigurazione. Neli 'ambito di una

di rappresentazione

medesima forma

l'immagine può rappresentare il proprio raffigurato in

maniera immediata, per 'somiglianza ' : così un'immagine spaziale piccola ne può rappresentare una grande, una bidimensionale un'altra tridimensio-

16

naie, una caricatura o una stilizzazione possono rappresentare iconicamente la realtà, un'immagine in bianco e nero può riprodurre le differenze di colo­ re, un motivo musicale può essere riconosciuto su un'ottava differente, o con strumenti diversi, ecc. È qui evidente che l'immagine non può mostrare la propria forma di rappresentazione (2.172): l'immagine colorata mostra colori e rapporti tra colori, ma non può rappresentare iconicamente il colore in sé, giacché per farlo dovrebbe essere posta una differenza della qualità cromatica come tale, ad esempio dal suono. La fanna di raffigurazione non esce da se stessa. E tuttavia è chiaro che vi sono immagini (immaginazioni) che rappresentano la realtà nella complessità delle diverse fanne di raffigu­ razione: se descrivo un paesaggio di campagna con il vento, lo stonnire del­ le fronde, il giallo dell'erba secca ed il blu del cielo, e poi il rapido accumu­ larsi di nubi scure ed un improvviso rovescio temporalesco, con questi po­ chi tratti ho composto nella mente del lettore un'immagine della realtà che unisce sinteticamente più fanne di raffigurazione. Come è possibile una co­ sa del genere? La risposta di Wittgenstein è: quel che con questa descrizione è stato fatto è di utilizzare proposizioni come immagini; chiamiamo questo tipo di immagine 'immagine logica' e la sua fanna di raffigurazione 'fanna logica'. Dobbiamo allora dire che la fanna logica è l'unica fanna di raffigu­ razione che può rappresentame un'altra? Quest'eccezione viene esclusa da Wittgenstein; egli ci dice che ogni immagine è anche un'immagine logica (2.182), dunque che ogni immagine ha già sempre anche una natura propo­ sizionale, e che su questa base ogni- forma di raffigurazione può comporsi con ogni altra (senza per ciò raffigurar/a come forma). Due questioni ci s' impongono ora, e precisamente: a) come può accade­ re che l'immagine logica dica le altre fanne di raffigurazione? e b) come dobbiamo 'raffigurarci' la forma logica nel suo inerire ad ogni altra forma di raffigurazione? a) Innanzitutto è chiaro che bisogna escludere una concezione della for­ ma logica come 'metaforma' La forma di rappresentazione non è infatti mai un fatto, una realtà, mentre l'immagine è sempre essenzialmente un modello della realtà, un'immagine di fatti: non ci può essere immagine di una forma di rappresentazione. Non bisogna poi dimenticare che è il sussi­ stere della verità che ci conduce a postulare la proposi zione-immagine, e che soltanto in quanto possibile espressione di verità la proposizione-im­ magine ha ragione di esistere. Dunque, se l'immagine logica fosse rappre­ sentazione delle altre forme di raffigurazione, non essendo queste fatti, non potrebbe comunque essere una rappresentazione adeguata od inadeguata, vera o falsa, e ciò renderebbe l'immagine logica (cioè come vedremo: il pensiero, ovvero la proposizione dotata di senso) priva di rilievo antologi­ co, priva di senso. E tuttavia immagini logiche (proposizioni) vere e false vi sono, dunque la forma logica non può essere una 'metaforma' 17

b) Ma, allora, come può una qualunque immagine essere, a priori, in quan­ È chiaro che in una prospettiva tra­

to immagine, anche un'immagine logica?

dizionale nulla sarebbe più semplice di una tale risposta: nessuna immagine rappresenta se non in quanto pensata da un soggetto (il pensiero è in effetti l'immagine logica dei fatti

(3)), 'l'anima è in certo modo tutte le cose', quin­

di ogni immagine è anche logica (cioè universalmente significante). Tale ri­ sposta tuttavia non può essere accettabile in quanto, come visto, sposta il pro­ blema della relazione di verità nell'oscurità della mente soggettiva togliendo di fatto ogni perspicuità al rapporto di verificazione. In tal caso si verrebbe ad asserire che la verità dell'immagine consta della sua adeguatezza al fatto, solo per poi relegare l' immagine in un luogo che toglie di principio ogni pos­ sibile perspicuità all'adeguazione: se nell'immagine concreta, esterna, non riesco a riconoscere ciò che ne fa un'immagine è inutile rifugiarsi nell'antro mentale, solo per rendere poco visibile la poca visibilità del rapporto di raffi­ gurazione. Il compito che allora attende Wittgenstein è quello di vedere nel­ l'immagine logica, nella proposizione, (e non in qualche presunta facoltà del­ la mente) quel fattore che, a prescindere dall'aspetto esteriore della proposi­ zione e dal suo significato particolare, la accomuna ad ogni altra immagine: questo è ciò che viene chiamato la 'forma proposizionale generale'

2. La proposizione Sinossi dei luoghi informativi:

[Proposizione (Satz): Le proprietà materiali del mondo vengono rappresentate attraverso proposizioni (2.0231 )/ nella proposizione il pensiero si esprime sensi­ bilmente (3.1 )/la proposizione è il segno proposizionale nella sua relazione proiettiva al mondo (3.12)/nel la proposizione è contenuta la forma del suo senso, ma non il contenuto di esso (3.13)/la proposizione non è un miscuglio di parole, essa è articolata (3.141)/i nomi somigliano a punti, le proposizioni a frecce, esse hanno senso (3.144)/ la proposizione che tratta di un complesso sta in relazione i nterna con quella che tratta della sua parte costitutiva, - la proposizione che tratta di un complesso non è, se questo non esiste, insensata, ma falsa (3.24)/c'è una ed una sola analisi completa della proposizione (3. 25)/ogni parte del la proposizione che caratterizza il suo senso la chiamo u n'espressione (la proposizione stessa è un'espressione) (3.31 )/io concepisco la proposizione come funzione delle espres­ sioni in essa contenute (3.318)/ nessuna proposizione può esprimere qualcosa su se stessa, perché il segno proposizionale non può essere contenuto in se stesso (3.332)/la proposizione determina un luogo nello spazio logico,- l'esistenza dita­ le luogo è garantita soltanto dall'esistenza della proposizione dotata di senso (3.4)/ il pensiero è la proposizione dotata di senso (4)/la proposizione è un'immagine della realtà (4.01 )/l a proposizione si intende, come un'immagine, senza che il suo senso ci sia stato spiegato (4.021)/la proposizione mostra il suo senso (4. 022)/la proposizione è la descrizione di uno stato di cose (4.023)/appartiene all'essenza della proposizione che essa ci possa comunicare un senso nuovo (4.027)/proposi-

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zione e stato di cose rappresentato devono avere la medesima molteplicità l ogica (4.04)/ la proposizione non può rappresentare la forma logica, essa la rispecchia (4.121)/la proposizione più semplice, la proposizione elementare affenna il sussi­ stere di uno stato di cose (4.21 )/ che vi sia una forma proposizionale generale è di ­ mostrato dal fatto che non si può dare alcuna proposizione la cui fonna non si sa­ rebbe potuta prevedere (4.5)/la proposizione è una funzione di verità delle propo­ sizioni elementari (5)/ una proposizione può essere un'immagine incompleta di una certa situazione, ma essa è pur sempre un'immagine completa (5.156)/tutte le proposizioni sono risultati di operazioni di verità con le proposizioni elementari (5.3)/la forma proposizionale generale è l'essenza della proposizione (5.471)/ in­ dicare l'essenza della proposizione, cioè l'essenza di ogni descrizione, significa indicare l'essenza del mondo (5.4711)/ ogni proposizione possibile è formata le­ gittimamente, e se non ha senso ciò dipende dal non aver dato significato ad alcu­ ne sue parti costitutive (5.4733)/ la forma proposizionale generale è data dall'ap­ plicazione successiva dell'operazione di negazione contemporanea alle proposi ­ zioni elementari (6.001 )/tutte le proposizioni hanno egual valore, cioè in quanto fatti nessun valore (6.4)(6.41).)

La proposizione, in quanto descrizione, può rappresentare le proprietà materiali del mondo (2.0231) (ad esempio come nella descri zione paesag­ gistica di cui sopra), essendo peraltro essa stessa, in quanto immagine, un'espressione materiale sensibile del pensiero (3.1). La proposizione non può però essere semplicemente un fatto cui il pensiero viene associato e­ strinsecamente: infatti all' immagine (alla proposizione) appartiene anche la relazione rappresentativa che ne fa u n'immagine, ovvero, la proposizione è il segno proposi zionale nella sua relazione proiettiva al mondo (3. 12). Che il mondo corrisponda o meno alle scansioni dell'immagine-metro non è co­ sa che la proposizione possa decidere in se stessa, ma viene deciso dal con­ fronto con la realtà, e questo definisce il 'contenuto del senso' (=fattualità del rappresentato), tuttavia la possibilità di questo contenuto, cioè la 'forma del senso' appartiene già alla proposizione i n sé (3. 1 3); la distinzione che Wittgenstein fa tra contenuto e forma del senso, pur essendo del tutto chia­ ra, è terminologicamente piuttosto infelice, giacché la forma del senso non è altra cosa dal senso stesso, dalla possibilità di essere vero o falso, ed il ra­ soio di Occam dovrebbe qui fare giustizia. Questo imbarazzo termi nologi­ c6 non è tuttavia da sottovalutare, essendo l ' indice significativo di un' im­ possibilità espressiva: il contenuto del senso non è infatti, a sua volta, alcun contenuto, ma è l'esistenza, cioè la fattualità dei fatti, dunque qualcosa che il linguaggio-immagine dice di non poter dire legittimamente. Riproponiamo ora la domanda che ci guida nell'analisi della proposizione: qual è la caratteristica della proposizione (immagine logica) che ne palesa la comunanza con le altre forme di raffigurazione, quali quella spaziale, quella cromatica, ecc.? Si tratta innanzitutto di scorgere l' immagine logica in ogni immagine, ovvero di vedere un' immagine in senso proprio nelle immagini lo19

giche. E questo è precisamente ciò che Wiugenstein fa, notando come le pro­ posizioni del nostro linguaggio, fatta astrazione dal significato attribuito alle varie parole, si presentano innanzi tutto e perlopiù nella forma raffigurativa

sonora: "La proposizione non è un miscuglio di parole . (Come il tema musi­ cale non

è un

miscuglio di suoni). La proposizione è articolata."

ne osservazioni dei

Quaderni

(3.141) Talu­

risul tano particolarmente illuminanti in questa

prospettiva, che souolinea il ruolo dell' articolazione; egli scrive ad esempio: I temi musicali sono in certo senso proposizioni. La conoscenza dell'essenza della logica condurrà perciò alla conoscenza dell 'essenza della musica (Q 7.2.15) - La melodia è una sorta di tautologia, essa è conchiusa in se stessa; essa appaga se stessa (Q 14.2.15)

È proprio

l ' articolazione, la scansione i nterna ad ogni particolare forma

di raffigurazione, che mostra sé ad esempio nella comunanza tra forma so­ nora e linguaggio, a consentire l'espressione di sensi diversi; così, come una nota isolata non dice nulla, mentre inserita nella frase musicale diviene portatrice di un'espressione, parimenti un nome, che possiamo qui intende­

re, prima di discuterne il senso tecnico, semplicemente come 'parola' , è co­ me un punto inarticolato, mentre una proposizione è come una freccia, essa sola ha senso

(3. 1 44) (dunque può essere vera o falsa). La proposizione,

come l'immagine, si intende senza che il suo senso ci sia stato spiegato;

con le proposizioni ci intendiamo, dice Wittgenstein, mentre il significato delle singole parole deve esserci insegnato (4.026). Questo intendersi im­

mediato delle proposizioni rinvia alla loro natura 'gestuale' e 'musicale'

La musica si lascia scorgere nella proposizione se ci immaginiamo di pri­ vare le parole del loro significato, come può accadere ascoltando una lin­ gua straniera. Inoltre noi possiamo i ntendere e produrre proposi zioni nuo­ ve, di cui non abbiamo mai fatto esperienza in quella forma, e queste nuove strutture ci sono immediatamente chiare, mentre i l significato di una nuova parola isolata non può in alcun modo essere intuito o costruito; questo ci mostra l'esistenza di una dimensione articolativa, di una sintassi, indipen­ dente dal contenuto. Tale sintassi potrebbe esser resa visibile trasformando tutte le parti costitutive di una proposizione in variabili: otteniamo così una classe di proposi zioni che non dipende da convenzione e che corrisponde ad un ' immagine logica originaria

(3.3 15). Ovviamente le variabili i ntrodot­

te, come le note musicali, dovrebbero rispettare i rapporti intern i , e qui nd i non sarebbe sufficiente la sostituzione meccanica con variabi li generiche, ma bisognerebbe anche trovare una qualche forma di simbolizzazione ca­ ratteristica o di interpunzione che dia conto di tali rapporti8. In sostanza: i n

8

Le operazioni logiche che costruiscono le articolazioni tra proposizioni verranno dette i n (5.461 l) 'interpunzioni'

20

ogni immagine ciò che le consente sensibilmente di significare è primaria­ mente l'art icolazione interna, l'organizzazione in intero delle sue parti. Approssimiamoci ora all'analisi delle condizioni di senso della proposi­ zione. Il problema è qui rappresentato dall'identificazione di quelle parti co­ stitutive che devono necessariamente occorrere in ogni immagine, e dunque nell' immagine logica come tale. Tale identificazione si dà, per Wittgenstei n, in un processo d 'analisi, in cui le componenti proposizionali che trattano di realtà complesse devono essere ridotte ad elementi semplici (vedremo in se­ guito perché). La proposizione si presenta sempre come una tra le innume­ revoli combinazioni possibili degli elementi semplici disponibili, essa dun­ que determ ina un luogo nello spazio logico (3.4), cioè nello spazio definito dalla (quantomeno supposta) totalità combi natoria degli elementi. Pensando al li nguaggio naturale possiamo intendere ogni proposizione come una scel­ ta tra le possibili combinazioni verbali grammaticalmente consentite9. Que­ sto luogo nello spazio logico viene indicato da Wittgenstein con l' espressio­ ne 'stato di cose' (Sachverhalt) o con quella di significato meno rigido 'si­ tuazione' (Sachlage) . Queste due espressioni sembrano suggerire che lo spazio logico determinato dalla proposizione si dia come una realtà descrit9

Stenius svolge u n ' interessante critica all ' apriorità dello spazio logico: "We should

no­

tice that the wor/d is surrounded by a logica[ space only as an analysed fact, and thar the structure 1!( the logica{ space is dependent on how the world as a fact is analysed. That this is so is of particular sign(ficance in view of the following point: the con­ strucrion 1!( the logical space inro which the worUl as a whole is jitted is based on an analysis only 1!{ a grearer or smaller part 1!{ the world as a fac·r. {... ]Substance. which forms the framework of the descriprion 11{ rhe world. is in so far prior ro experience. as a question abour experience can be srated rmly within a certa in framework. Ne­ vertheless the choice of a framework is noi independent of e.xperience. Ho w the fra­ mework is ro be chosen is a quesrion about the application of logic. {. . ] Sinee rhe fra­ mework of a wor/d description determines rhe form empirica/ questions wili rake, and rherefore is in one way a priori, rhe fact that the framework can conflict with expe­ rience is o.f overwhelming significance." [E. Stenius. Wìugensrein 's Tractatus. Basi l Blackwell, Oxford 1 960, p. 86.] - Stenius anticipa qui una questione che potrà essere .

trattata nel migl iore dei modi solt:lnto alla luce della successiva opera wiugensteinia­ nu. È tuttavia chiuro che il Wittgenstein del Tractatus non potrebbe in alcun modo ac­ cogliere una simile critica, giacché il '1ramework", lo spazio logico, non può mai en­ trare in conflitto con l'esperienza, proprio perché, come dice Stenius, esso determina la forma che prenderanno le questioni empiriche. e di questa forma fanno parte anche i modi per correggere eventualmente la 'visione del mondo' Lo spazio logico non è una teoria del mondo. ma la possibilità di ogni teoria. E tuttavia l' osservazione iniziale di Stenius ì: perfettamente calzante: lo spazio logico è un presupposto per il luogo lo­ gico; ma esso emerge come spazio logico qualificato soltanto dall' analisi del luogo lo­ gico, cioè dall' analisi della proposizione dotata di senso. Quali siano i limiti da porre qui all' apriorità dello spazio logico non è chiaro: 'spazio logico' è il nome di una con­ dizione di possibilità, ed è legittimo parlarne. ma solo fin tanto che il suo carattere non viene ipostatizzato come datità donde trarre conclusioni ulteriori, come i nvece accadrà con l ' esito contingentistu e le sue conseguenze etiche.

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ta, come l' oggetto di un giudizio, e ciò sembrerebbe escludere dalla relazio­ ne di raffigurazione casi come quelli delle proposizioni non apofantiche, co­ me domande od ordini. Questa parzialità è tuttavia solo apparente. Le pro­ posizioni nello spazio logico non hanno infatti il carattere di asserzioni, pi uttosto che quello di preghiere o altro. Le asserzioni, proprio come pre­ ghiere, ordini, ipotesi, ecc. sono considerate fatti psicologici, quali ficazioni che pertengono ad un intervento del soggetto (di cui più tardi ), mentre la proposizione in sé presa ha sl valenza ontologica, è legata alla realtà e predi­ spone la verità o falsità, ma lo fa senza predecidere un modo di rappresenra­ bilità: la domanda da parte di f\.: "Che tempo fa?" è il fatto rappresentabile dicendo: "A. chiede che tempo faccia" In altri termini le diverse caratteriz­ zazioni della proposizione non appartengono alla proposizione stessa e sono sempre contenuti possibili di descrizione. Tutto ciò che conta è che la pro­ posizione e lo stato di cose descritto contengano la medesi ma quantità d'informazione, possiedano la medesima molteplicità logica (4.04), le stesse articolazioni 10• Se seguiamo la rappresentazione del linguaggio come spazio logico in cui, quanto alla sua valenza ontologica di rappresentazione del mondo, il contenuto dei suoi elementi primi è irrilevante rispetto alle rela­ zioni interne tra di essi, è chiaro sin d'ora che la forma generale della propo­ sizione non potrà che essere il semplice rapporto disgiuntivo tra le parti. La forma di ogni forma. Un problema resta però da sciogliere, ed è o almeno sembra, il più importante: si tratta cioè di intendere la natura delle parti co­ stitutive, e con ciò di giungere alla determinazione dell'ordine a priori del mondo e del suo senso. Ciò che finora sappiamo è che la verità esige il sus­ si stere di immagini (proposizioni) articolate, la cui rego la di articolazione è IO

La proposizione, i n quanto immagine della realtà. deve possederne l a stessa molteplicità logica e tale molteplicità deve essere sufficiente all' identificazione univoca della situa­ zione descritta Tutto il peso di questa possibilità pesa sull'analisi ultima della proposi­ zione. le cui potenzialità sollevano numerosi dubbi. W. Moore ad esempio nota che non è chiaro come debba essere determinata la molteplicità logica a partire dalle 'parti costi· tutive' della proposizione, e che inoltre il fatto rappresentato, ad esempio dalla proposi­ zione ·so,·rates drank the hemlock' è più complesso di quanto la molteplicità della pro­ posizione possa lasciar vedere: "The scene l imagine as a result ofreading thi.s sentence is much more complex rhan rhe senrence. For example, l cannot im agin e ir wirhout rhinking some sort of containerfor rhe hemlock. [. . ] The senrence is always che result of a narrow selecrion from a complex fact." (W. Moore, "Structure in a Sentence and in a Fact", in Philo.wphy of Science, vol. 5, no l . January 1938. p. 86). Tuttavia almeno una cosa è chiara, e cioè che l'analisi della proposizione non consta semplicemente di un e­ lenco delle parti costitutive intese come parole occorrenti. ma almeno come "morfemi': l'analisi consta di diverse proposizioni che descrivono le possibilità significative delle parti costitutive, e solo a questo livello può emergere la corretta molteplicità logica. Nel­ l'esempio poruto da Moore se vi fosse una necessità logica che lega la cicuta al conteni­ tore, allora l'analisi dovrebbe esplicitarla. ma la cicuta poteva anche essere, per dire, at­ tinta nell'incavo delle mani, e quindi l'immagine di un contenitore appartiene alla mera psicologia, e non rientra nel giudizio di verità o falsità della proposizione. .

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la più semplice concepibile, cioè la disgiunzione: una cosa è ciò che è in quanto non è un'altra. L'analisi delle immagini logiche, nella misura in cui ad ogni elemento dell' immagine deve corrispondere a priori la possibilità di un elemento della realtà, ci deve poter condurre al l'identificazione degli ele­ menti antologici e del loro possibile concorrere in unità sensate. Adottare un procedimento di analisi significa tuttavia presupporre almeno una cosa, sen­ za la quale il procedimento può risultare futi le oltre che sviante, e cioè che parti ultime cui l'analisi deve approdare vi siano. Tali parti devono possede­ re almeno due caratteri logici indispensabili: a) devono possedere una certa stabilità o costanza, cioè non devono scomparire o cangiare nel corso temporale dell'analisi, ma devono con ser­ vare il proprio significato, la propria identità; b) devono possedere una determ inatezza i ndividuale; non è infatti suffi­ ciente possedere un fattore di sign ificato stabile, ma questo significato deve possedere informazione sufficiente a determinare ogni molteplicità logica in cui può occorrere. Così, proposi zioni uni versali come 'tutti gli uomini sona mortali' hanno un signi ficato stabile (possono essere tradotti), ma non possono raggiungere la molteplicità logica di 'Socrate' e 'Platone' , mentre nomi propri come questi ultimi, avendo una referenza, ma (almeno appa­ rentemente) nessun significato, non garantiscono alcuna costanza: nessuno conosce la prima tetrade dei dialoghi di 'Aristocle' Ora la questione è: come e in che misura Wittgenstein sa che vi sono e­ lementi con queste caratteristiche? Quanto al punto a) egli sa, in linea con la nozione elaborata da Russe! l di 'descrizione definita'. che esistono pro­ posizioni, le quali pur mantenendo l a general ità di signi ficato delle propo­ sizioni possono esprimere l ' i ndiv idualità. Espressioni come 'l' autore di Waverley' o 'l'attuale re di Francia' determinano univocamente un indivi­ duo (anche se questo non esiste), pur essendo analizzabili in proposizioni di contenuto generale determinato, del tipo: 'Esiste almeno un x , tale che x scrisse Waverley' e 'Esiste al più un x, tale che x scrisse Waverley' . Questa sorta di analisi è ancora inadeguata a mostrare il livello fondamentale del­ l ' espressione, ma è sufficiente a mostrare come la determinatezza del nome proprio 'Scott' possa essere ottenuta di principio con il concorso di propo­ sizioni, cioè attraverso una descrizione priva di termini i ndividuali: la por­ tata esistenziale dell' articolo determinativo 'il' è ottenuta con due partizio­ ni ('al più e almeno') dell'articolo indeterminativo 'un' Sarà poi compito ulteriore quello di trovare una descrizione definita di 'Waverley ', ecc. Quanto alla questione b) ciò che Wittgenstein sa è ciò che Io muove sin dall' inizio: egli sa che una proposi zione, un'immagine, può essere vera o falsa, adeguata o inadeguata, e ciò a qualunque livello di specificità. Egli cioè sa che un' immagine può sì essere un 'immagine incompleta di una cer­ ta situazione, ma che essa è pur sempre un' immagine completa (5. 1 56), al23

trimenti anche il confronto con la realtà sarebbe indecidibile rispeno alla vero-falsità. L' indecidibilità, come vedremo meglio, laddove si presenti, deve lasciarsi denunciare, cioè deve lasciarsi determinare come immagine insensata, ai cui elementi non è stata attribuita una relazione raffigurativa. Dunque l'esi stenza di rappresentazioni vere (o verificabili) esige il sussi­ stere di parti semplici, di determinazioni individuali che consentano il con­ fronto con la datità reale. Come Wittgenstein afferma esplicitamente: "L'e­ sigenza (Forderung) della possibilità dei segni semplici è l'esigenza della determinatezza di senso" (3.23). Da tutto ciò di scende che vi possa essere una ed una sola analisi comple­ ta della proposizione (3.25), cioè che si debba giungere nell'analisi ai segni semplici, ovvero a portatori stabili di significato capaci di determinazione individuale. Per linee logiche interne possiamo ora introdurre le definizioni di alcune necessarie parti costitutive dell' essenza proposizionale sottoposta ad analisi. Viene detta 'espressione' ogni parte della proposizione che ne caratteriz­ za il senso (3.3 1), cioè la capacità di rappresentare una situazione: sono dunque 'espressioni' tanto la proposizione stessa che ogni sua parte costitu­ tiva, purché proposizionale, sono cioè espressioni le proposizioni più ele­ mentari di quella originaria, fino alle proposizioni assol utamente elementa­ ri; non sono invece espressioni i segni semplici (nomi), che hanno signifi­ cato soltanto nella struttura della proposizione. Da ciò consegue che l'e­ spressione ha valore principalmente formale, i n quanto esprime la struttura della proposizi one a prescindere dal significato delle sue parti semplici (3.3 11 ). Perciò Wittgenstein considera il termine 'espressione' i n ultima i­ stanza equivalente a quello di 'simbolo' Viene detto 'simbolo' il segno più il suo modo di designazione (3.322), dunque il segno più il metodo di proiezione che porta dal segno sensibile alla situazione possibile rappresentata. Il simbolo è dunque da pensarsi co­ me espressione formalizzata, tenendo presente che tale espressione, pur es­ sendo rappresentata da artifici segnici ( 'x', '(TMx)' , 'v', ecc.) non ha qui ca­ rattere di accidente segnico sensibile, ma è da intendersi insieme al proprio specifico senso raffigurativo. [Un quadro completo delle occorrenze di 'espressione' e 'simbolo' utili a determi narne il signifi cato è dato dalle proposizioni: 3.3 11 3.3 1 Il 3.3 1 3/ 3 . 3 1 4/ 3.3 1 7/ 3. 321 3.3 2 21 4.431/ 5.22/ 6 . 1 1 3] Viene detto 'segno' la componente sensibile nel simbolo (3.32). Tale componente ha tuttavia una propria costanza; il segno è il medesimo nelle varie repliche, non è dunque, nei termini di Peirce, un token, ma un type: ' A' , dice Wittgen stein, è lo stesso segno che 'A' (3.203)1 1 • Il segno è cioè il Il

Non ci sembra corretto il rimprovero di Max Black a questo proposito: "The word 'si·

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sen sibile nel simbolo, ma non è la sua occorrenza indi viduale, spazio-tem­ poralmente singola: segno è 'A' in quanto esistenza sensibile della lettera 'A' , fonna sensibile, non in quanto inchi ostro particolare su di un foglio particolare. Ciò comporta che il segno sia già sempre simbolo, anche se privo della particolare detenninazione esp("essiva che ne fa un particolare simbolo: un segno possibi le deve anche poter designare (5.473). Il segno è chiaramente arbitrario (3.322), giacché non possiede detenninazioni pro­ prie che Io leghino ad un simbolo. Questo sembra però porre un problema: si è detto che i l simbolo (l' espressione dotata di senso) non esiste in assen­ za del segno, ma allora, se il segno non è naturalmente legato ad un simbo­ lo e se il simbolo si dà solo in un segno, come va inteso il rapporto segno­ simbolo? È innanzitutto chiaro che non è possibile appellarsi immediata­ mente al simbolo per comprendere e far comprendere un significato: ogni significato è qualcosa che accade nel l ' ambito incarnato del funzionamento dei segni. Dunque la correzione di un segno in quanto 'improprio' non può accadere mai sulla base di un' evidenza diretta del simbolo, ma solo sulla base di un' impossibilità immanente ai segni di rappresentare (come in tau­ tologia e contraddizione) (3.328). Si deve dunque dire che è la natura dei segni a significare, e non noi attraverso i segni concepiti come meri mezzi (6. 1 24): l' arbitrarietà da attribuirsi ai segni è semplicemente la sostituibilità di segni particolari con altri segni, non la sospendibilità dei segni dalla fun­ zione segnica, giacché la stessa operazione di sostituzione avviene tenendo fenno i l simbolo tramite segni. Ciò pone di fronte a due casi: può accadere che due o più segni abbiano i l medesimo modo di proiezione, ed in tal caso deve i ntervenire il rasoio di Ockham con la soppressione dei tennini super­ flui (3.328), oppure può accadere che due o più simboli vengano richiamati nel medesimo segno, il che comporta confusione ed insensatezza nei pen­ sieri (3 .324), e richiama l ' intervento della logica con l ' introduzione di una simbolizzazione univoca. Va qui osservato che l ' uso del segno garantisce per il proprio significato, cioè che ogni segno che si comporta come un se­ gno ha anche un significato, tuttavia soltanto colui il quale usa il segno gn ' he uses with type-token ambiguity: sometimes to mean a token, as when he speaks of the 'sensibly perceptible sign (sound or written sign) ', or says that "the sign is rhe parr of the symbol perceptible by rhe senses ', sometimes to mean a type, as when he says ' "A " is the same sign as "A'"." [M. Black, "Some Problems Connected with Language", in Proceedings of the Aristotelian Society, vol. 39, 1 939, p. 47 .] Il fatto di appartenere alla rilevazione percettiva non è ancora sufficiente a porre il segno sul piano del 'token '. Tra l' altro tradurre '(Laur- oder Schriftz.eichen)' con '(sound or w­ ritten sign)' introduce una ambiguità testuale che può fondare questa denuncia di ' am­ biguità' nel TLP, ma 'token' è il suono, non il segno sonoro. Il segno è il sensibile del simbolo, nel senso che è ciò che è soltanto in quanto portatore del simbolo, e dunque -

vengono solo escluse 'particolarità iniducibili' proprie del sensibile.

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porta la garanzia che il segno è realmente utilizzato: chi davvero usa il se­ gno intende con esso qualcosa, e quindi pone con certezza un simbolo. Può tuttav ia accadere che l ' uso indi viduale non corri sponda a quello pubblico, o che l' uso di un segno complesso, in teso, celi l 'assenza di un'attribuzione simbolica ad un segno semplice interno ad esso. Questo è l'ambito dove in­ terviene la logica. Viene detto ' segno proposizionale' il segno attraverso il quale esprimia­ mo il pensiero (3. 1 2), il pensiero è infatti determinato come il segno propo­ sizionale applicato, che è quanto a d i re pensato (3.5), e come l' immagine logica dei fatti (3): vi è un perfetto parallelismo tra quanto Wi ttgenstein di­ ce in (2. 1 4 1 ) e (2. 1 5) sull ' i mmagine e quanto dice in (3. 1 4) sul segno pro­ posizionate: di entrambi si dice che sono fatti e che constano dello stare le proprie parti costitutive i n un rapporto reciproco determinato 1 2• Il fatto che il paral lelismo venga posto con l ' immagine in generale non pone ovvia­ mente problemi, se rammentiamo che ogni immagine è anche un'immagine logica. Possiamo dunque figurarci i segni proposizionali tanto come i segni sonori del li nguaggio, quanto come i segni del li nguaggio scriuo comune o i segni del linguaggio simbolico della logica formale. Il segno proposizio­ nale, in quanto immagine, rappresenta la realtà facendo corrispondere gli e­ lementi dell' immagine alle parti della realtà. Gli elementi del segno propo­ sizionale, tuttavia, per il medesimo ragi onamento già più volte ripetuto, non devono anche rappresen tare le relazioni tra le parti del raffigurato,

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I l parallelismo tra il rapporto articolatorio interno alla proposizione e quello ontologi­ co pone enormi problemi se non si imbocca il trattato dalla medesima prospettiva in cui lo affronta Wittgenstein (il che ovviamente può anche essere fecondo). Un esem­ pio di tale problematizzazione si può rintracciare in F. Wallner. là dove scrive: "Da die gegenseitige Beziehung von Dingen (bzw. Namen) sowohl die Tarsache a/s auch das Satu.eichen charakrerisiert, ist diese Beziehun s der Sprache als Gemeinsamkeit mit der Welt bereits vorausgeserzt. [. .. } Aus diesen U berlegungen ergibt sich, daj3 Tat­ sache als Satz und Tarsache in der Welt aneinander zirkuliir bestimmt sind. Das heiflt, unter 'Wesen ' ist in der Formulierungen von Trakr. 5.47Il nicht eìne inhaltliche Be· srimmtheit, sondern die Anwendung dieses Zirkels zu verstehen. Dieser Zirkel ist aber nicht bloj3 e in Rahmen for dìe Beziehung von Sprache und Welt, sondem kommt in je­ der Sprachhandlung zum Ausdruck." [F. Wallner, Die Grenzen der Sprache und der Erkenntnis, Braumiiller, Wien 1 983, p. 6.] ..., Nel momento in cui l ' assunzione della

sussistenza di verità, nel senso di proposizioni adeguate ai fatti, non venga accolta. la comunanza strutturale tra proposizione e realtà diventa immediatamente un enigma, a­ perto ad affinità trascendentali di sapore kantiano, ad armonie prestabilite, a circoli er­ meneutici, ecc. Questo mostra come in certo modo Wittgenstein sia partito da ciò che nella storia della filosofia è stato quasi sempre soltanto un agognato punto d'arrivo. Wittgenstein non ammetterebbe in nessun caso, nell'ottica del Tractatus, determina­ zioni circolari tra proposizioni e fatti, che disintegrerebbero tanto la verità di fatto che l'eliminazione dei paradossi logici ottenuta, come vedremo. con la delegillimazione di ogni forma di metalinguaggio e dunque d i autoreferenzialità.

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giacché, se questo fosse necessario, dovrebbero essere anche rappresentate le relazioni tra le prime relazioni e quelle parti e così

ad infinitum.

Ciò

sembrerebbe comportare una netta differenza tra il segno proposizionale e la parola del linguaggio quotidiano, dove sembra di poter riconoscere paro­ le che designano cose, e parole che designano relazioni, qualità ecc. Questa relazione tuttavia va presa molto più da lontano. Infatti le parti del raffigu­ rato non sono caratterizzate a priori piuttosto come 'cose' che come rela­ zioni, qualità e così via; ciò che

è

a priori chiaro

è

anzi l'opposto, cioè che

le parti del raffigurato debbono essere qualcosa in cui occorrono tutti questi caratteri insieme: si deve trattare di parti , che sono cose, relazioni e qualità i nsieme.

È

questo l ' i ntero significato della molto discussa proposizione

(3. 1 432): "Non il segno complesso 'aRb' dice che a sta nella relazione R a b, bensì che 'a' sta in una certa relazione con 'b' dice che aRb," che va pa­ rafrasata dicendo che non il segno complesso (proposizi onale)

afferma

la

relazione tra le parti del raffigurato, ma che gli elementi del segno proposi­ zionale, con l' essere i n una determinata relazione reciproca, rappresentano

la struttura del raffigurato 1 3 •

Dalla definizione di 'segno' e 'segno proposizionale' si evince immedia­ tamente la soluzione che Wittgenstein dà d d paradossi logici dovuti all'au­ toreferenza e la critica che egli svolge nei confronti della 'teoria dei tipi' di Russell : "nessuna proposizione può enunciare qualcosa su se stessa, perchè i l segno proposi zionale non può essere contenuto in se stesso" (3.332). In altri termi n i i l segno proposizionale

è

ciò che è in quanto applicazione

proietti va dal segno ai fatti , ed il comparire del segno proposizionale come

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"An icon needs no mark for what it shows by likeness. A drawing of one thing adjoi­ ning anorher needs a markfor one thing and a markfor the other, but no markfor tlre relation of adjoining. This it shows by the spatial placing of the marks for the two things. A sentence needs a mark wlrere a picture does not: it cannot show thar this adjoins that, but must say so." [E. O'Shaughnessy (Dietz). "The Picture Theory of Meaning", in Mind, vol. 62, n. 246. 4. 1 953, p. 196.] - Questa critica. che ha poi dato le mosse ad un ampio dibattito, è piena di buon senso, ma scorreua nel contesto del Tractatus. È palese che il linguaggio quotidiano ha espressioni che indicano relazioni, ed è altrettanto palese che la separazione tra espressioni che indicano soggetti, predi­ cati e relazioni è considerata nel tranato, per i motivi sopra addotti. incompatibile con la sintassi logica. Come questo linguaggio adeguato alla logica della rappresentazione debba in pratica essere costruito è questione che notoriamente Wittgenstein non risol­ ve nei particolari, e che sarà oggetto di successiva autocritica. Si potrebbe tuttavia ri­ battere di primo acchito che i nomi. per ottenere la molteplicità logica adeguata, do­ vrebbero essere, piuttosto che nomi di cose, eventualmente proprio nomi di relazioni: tramite più relazioni, o più predicati possiamo specificare una 'cosa', un sostrato, non invece tramite entità cosali una relazione. - Sulle interpretazioni della proposizione (3. 1432) confronta: E. Evans, "Tractatus 3 . 1 432", in Mind, vol. 64, n. 254, 4, 1 955; f.M. Copi, "Objects, Properties, and Relations in the 'Tractatus"', in Mind. vol. 67, n. 266, 4, 1 958, p. 1 55; B. McGuinness, "Pictures and Form in Wittgenstein' s 'Tracta­ tus'", in Archivio difilosofia, Fratelli Bocca, Roma 1 956, p. 227.

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proi ettato di se stesso, cioè il comparire di una funzione come proprio ar­ gomento, significherebbe l 'applicazione di un segno ad un'applicazione 1 4, la quale però non può comparire come fatto: le relazioni non hanno rappre­ sentanti , non sono elementi autonomi , non sono oggetti a sé. Viene detto 'nome' il segno semplice impiegato nella proposizione (nel segno proposizionale) (3 .202). I nomi non hanno senso, giacché non pos­ siedono articolazioni e solo le strutture articolate com unicano senso: i nomi sono come punti privi di forma e dimensione. Dunque il nome non può es­ sere ulteriormente scomposto tramite definizioni, ma è un segno origi nario (3.26), un puro rimando privo di ogni connotazione che non sia conferita dalla propria collocazione, dalla connessione con altri nomi all ' interno del­ la proposizione (3 .3) . La natura di puro rimando, cioè di segno nel senso più originario, del nome è riaffermato a più riprese: il nome autentico, dice Wittgenstei n, è ciò che tutti i simboli che designano l' oggetto hanno in co­ mune, il che è quanto a dire che il nome autentico è il simbolo della desi­ gnazione in sé, qualcosa che potrebbe essere incarnato in un'espressione come 'q uesto' in un contesto ostensivo (non però come fosse un 'battesi­ mo' 15.) Ciò comporta che il nome in sé sia nome variabile, sia cioè il mero rimando al l' oggetto, e sia di fatto rappresentato in simboli con le lettere che i ndicano le variab ili (come ' x' , 'y' , ' z' ). Nella proposizione (4.24) Wittgenstein si lascia sfuggire un 'apparente i ncoerenza il cui significato, al

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Sulla natura del segno proposizionale si esprime correttamente Schwyzer: "The Satz is rhe use of rhe Satzzeichen; ir is the Satzzeichen being used as a pmjecrion of the sen· se, the Satzzeichen wùh the sense tlwughr into it. From this poim on, when Wittgen­ Jtein speaks of the S:�tzzeichen he often rnean.f not just the sign. not just rhe written or spoken sentence, bur the sign in use." [H.R.G. Schwyzer, "Wittgenstein's Picture­ Theory of Langu:�ge", in lnquiry, vol. 5, n. l , 1962, p. 5 8 .1 Questo tutt:�via non è assolutamente da intendere come una sorta di 'definizione o­ stensiva' Tale errore è presente (tra molti altri) nel noto testo di J. Hintikka J., e M. Hintikka, Indagine su WittgenJtein, Bologna, Mulino 1990, là dove si sèri ve: "un og­ getto semplice può essere introdotto nel linguaggio postulato da Wittgenstein nel Tractatus solo mostrandolo, in un senso quasi letterale, ed indicandolo. [ ... ] Ovvia­ mente, si tratta precisamente di quella che è nota come definizione osrensiva. Ed infat­ ti, le definizioni ostensive hanno un ruolo importante negli scritti del periodo interme­ dio di Wittgenstein: un ruolo che è chiaramente un'eredità del ruolo che aveva il mo­ strare nel Tractatus.'' [p. 23 1 ] Ovviamente non si tratta per nulla di definizioni osten­ sive. l nomi non vengono introdotti, nella logica del TLP, da un soggetto esterno che battezza oggetti disponibili. Nel trattato vi sono definizioni e vi sono relazioni ostensi­ ve. ma non vi sono definizioni ostensive, tantomeno degli oggetti semplici. L'idea di 'definizione ostensiva' concerne un proced imento antropologico di apprendimento, lo studio delle cui condizioni di possibilità getta sicuramente luce sulla natura delle rela­ zioni estensive presenti nel linguaggio; in questo senso è cenamente legittimo rintrac­ ciare un legame tra il problema del modo di designazione dei nomi e delle proposizio­ ni elementari e la successiva critica alla teoria della definizione ostensiva. Di defini­ zione ostensiva però non si può parlare all'interno della logica del Tractatus. -

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di là dell'irrilevanza per la comprensione del testo, è un ind ice problemati­ co interessante: egli scrive, immediatamente prima di introdurre la scriltura della variabili, che "i nomi sono i simboli semplici", e non i segni semplici, come da definizione originaria. Questa incoerenza, moti vata evidentemente dal fatto che le variabili sono dette consuetamente simboli, ha però anche una possibile giustificazione teorica, infatti ciascun nome singolo è un se­ gno semplice, cioè può essere separato dal simbolo, ma dicendo "i nomi" Wittgenstein dice qualcosa che equivale anche a tutti i nomi, a ''il nome in sé", all' essenza del nome, che, come il segno in sé, è già sempre simbolo, ha già in sé la relazione proietti va, non può essere astratto dal simbolo. Al l'ultimo carattere distintivo del nome lasciamo aprire quella problema­ tica più ampia che dalla teoria della raffigurazione linguistica sfocia nell' an­ tologia. Wittgenstein scrive che "il nome occorre nella proposizione solo nella connessione della proposizione elementare" (4.23). Ora, che vi doves­ sero essere proposizioni elementari, cioè strutture proposizionali minime una cui ulteriore analisi conduce ai segni semplici, era prevedibile a priori, ma che tra le proposizioni elementari e le proposizioni in generale ci doves­ se essere uno iato (''solo nella connessione della proposizione elementare"), non è affatto chiaro in prima battuta. Avendo visto come i nomi, in quanto segni semplici, possono designare le parti del raffigurato e, tramite la loro configurazione reciproca, anche le relazioni tra queste parti , ci saremmo a­ spettati che sotto il termine di 'nome' potesse essere anche sussunto ciò che correla le proposizioni elementari tra di loro, unendole in proposizioni co­ muni. Wittgenstein invece ci dice che i nomi designano gli oggetti (3.203), che le proposizioni elementari sono concatenazioni di nomi (4.22), e che i nomi sono tali solo nella connessione della proposizione elementare (3.3) + (4.23). Da ciò discende che gli oggetti, qualunque cosa essi siano, non con­ catenano le proposizioni elementari le une con le altre. Si inserisce quindi, nel quadro della proposizione-immagine come definita generalmente ed es­ senzialmente dalla di sgiunzione interna delle proprie parti, un elemento nuovo: le disgiunzioni sono di natura differente, a seconda che riguardino l' interno delle proposizioni elementari o i rapporti esterni tra di esse. Non essendo esigenze proprie del raffigurante, del segno, a porre questa specifi­ cazione, siamo indotti a cercare risposta dalla parte del raffigurato.

3. Oggetti e stati di cose Sinossi dei luoghi informativi circa gli oggetti: [Q�:gerto (Ge�:enstandl:

gli oggetti sono parti costitutive essenziali degli stati di

cose (2.01 1 )/ conoscere l 'oggetto implica conoscere tutte le sue possi bilità di oc­ correre in stati di cose (2.0 1 23)/ conoscere un oggetto implica conoscere tutte le

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sue qualità i nterne (2.01 23 1 )/ gli oggetti contengono l a possibilità di tutte le situa­ zioni (2.0 1 4), così come un oggetto spaziale implica l o spazio infinito (2.0 1 3 1 )/ la possi bilità del suo occorrere in stati di cose è la forma del l 'oggetto (2.0 1 4 1 )/ l ' og­ getto è semplice (2.02)/ gli oggetti formano la sostanza del mondo (2.02 1 )/ gli og­ getti sono incolori (2.0232)/ due oggetti della stessa forma logica sono reciproca­ mente caratterizzati soltanto dalla loro distinzione (2.0233)/ spazio, tempo e colore sono forme degli oggetti (2.025 1 )/ gli oggetti sono ciò che è fisso, persistente al mutare delle loro configurazioni (2.027 1 ), che sono gli stati di cose (2.0272)/ gli oggetti si connettono reciprocamente senza mediazione, come anelli in una catena (2.03)/ agli oggetti corrispondono nell ' immagine gli elementi del l ' i mmagine (2. 1 3)/ il nome significa l'oggetto (3.203), e gli oggetti possono dunque solo essere nominati, non espressi, non esplicati (3 .221 }/ il nome variabile 'x' è il segno pro­ prio del concetto apparente 'oggetto', è insensato inoltre parlare del numero degli oggetti (4. 1 272)/ non vi sono 'oggetti logici' (4.441 )/ se ci sono dati oggetti, allora ci sono anche dati tutti gli oggetti, ovvero anche l' espressione universale dell'og­ getto (5.524)/ la realtà empirica è delimitata dalla totalità degli oggetti (5.5561 ).] -

Gli oggetti sono ciò che i nomi (i segni semplici, originari) designano. Gli oggetti devono dunque essere semplici: essi compaiono infatti al punto ter­ minale dell'analisi, e dunque devono essere in-dividui, a-tomici. Gli oggetti sono dunque proprio ciò che sin dall' inizio era supposto come garanzia mini­ ma nella ricerca di un ordine a priori del mondo: essi sono la sostanza del mondo che garantisce la possibi lità della verità, sono ciò che è fisso e persi­ stente, che consente l'espressione di tutto ciò che può accadere, i ndipenden­ temente dal suo accadere effettivo. Gli oggetti devono essere, come abbiamo visto sopra, portatori stabi li di 'signi ficato' che consentono la determinazione individuale, altrimenti il senso delle proposizioni non potrebbe mai essere un senso determinato. Gli oggetti contengono, come potenzialità di combinazi. con un inedito di Merleau-Ponty sulla natura. 1996, n. O. Interventi di A. Buttarelli, G. Carissimi. P. Dalla Vigna. :E 12.000 - E. Bazzane! la. Spazio e potere. Heidegger, Foucault. la televisione, :E 26.000 - A. Marro ni. Filosofie dell 'intensità. Quattro maestri occulti del pensiero italiano con· temporaneo, f 20.000 - , Intorno a Mer­ leau-Ponry. 1998, n. l . Interventi di R. Barbaras. P. Burke. D. Calabro, M. Carbone, G. Ca­ rissimi, L. Feroldi, E. Franzini. N. Grillo, F. Moiso. f 26.000 - M. Fortunato, /l monck giudicato. L'immediato e la dist�a nel pensiero di Rensi e Kierke· gaard, Prefazione di C. Sini, :E 22.000 - AA. VV . Immagine e realtà, Annuario di «IF>> I 998, n. 2. Interventi di G. Carchia. F. Carmagnola, F.S. Chesi, E. Fagiuoli, M. Fortunato. P. Gambazzi, G. Giorello, R. Mus­ sapi, �.. Natali, R. Ronchi, G. Scaramuzza, M. Senaldi, C. Sini, C. Sinigaglia. V. Vitiel­ lo, s. Zizek, ! 26.000 - G.B. Vaccaro, La ragione sobria. Modelli di razionalità minore nel Novecento, f 26.000 - AA. VV., L'etica dell'idealismo. La filosofia morale italiana tra neohegelismo, attualismo e spiritualismo (a c. di G. Chimirri), f. 28.000 - AA. VV,. Struttura dell 'esperienza l. Identità, responsabilità. progetto, Annuario di «IF» ! 999, n. 3, f. 28.000 - AA. VV., Percorsi dell 'etica contemporanea. Scritti di Di Marco, Casini, Brezzi, !annotta, Ne­ pi, Pansera, Pedace, Giovagnoli, Ceccobelli. Dovolich. Cipolletta, Pansera, Tortolici, Limenta­ ni (a c. di C. Di Marco), i 30.000 - S. Mancini, La sfera infinita. ldeiUità e differenza nel pensiero di Giordano Bruno, f. 35.000 - L. Bonesio - C. Resta. Passaggi al Bosco. Ernst Jiinger nell 'era dei Titani, f. 30.000 - AA. VV .. Me1noria e scriccura della filosofia. Studi offerti a F. Papi in occasione del .

.

suo settantesimo compleanno, f. 40.000.