L’età di Silla. Atti del convegno Istituto italiano per la storia antica. 9788891316967, 9788891316998

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L’età di Silla. Atti del convegno Istituto italiano per la storia antica.
 9788891316967, 9788891316998

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Dai contributi di questo volume emergono importanti indicazioni per la ricostruzione di una nuova immagine di Silla: egli non voleva affermare il proprio potere personale o riaffermare il potere della nobilitas, ma piuttosto voleva e credeva di aver realizzato una nuova unità di tutti gli elementi costitutivi del popolo romano: coerente con questa volontà è l’ampliamento / ridimensionamento del senato, la centralità della potestas dei magistrati elettivi, la legislazione sul debito, l’attenzione alle esigenze dei militari attraverso la fondazione di colonie, il mantenimento dell’immissione degli Italici nelle 35 tribù.

MONOGRAFIE

C.E.R.D.A.C.

Centro Ricerche e Documentazione sull’Antichità Classica

ISBN 978-88-913-1696-7

Schettino SILLA MONCERDAC 44_A.indd 1

«L’ERMA» di BRETSCHNEIDER

M. T. SCHETTINO - G. ZECCHINI L’ETÀ DI SILLA

A cura di Maria Teresa Schettino e Giuseppe Zecchini

26. Chausson F., Stemmata aurea: Constantin, Justine, Théodose. 27. Colonnese C., Le scelte di Plutarco. Le vite non scritte di greci illustri. 28. G  alimberti A., Adriano e l’ideologia del principato. 29. Bearzot C., Vivere da democratici. Studi su Lisia e la democrazia ateniese. 30. Carsana C.-Schettino M.T. (a cura di), Utopia e Utopie nel pensiero storico antico. 31. Rohr Vio F., Publio Ventidio Basso. Fautor Caesaris, tra storia e memoria. 32. Lo Cascio E., Crescita e declino. Studi di storia dell’economia romana. 33. Migliaro E.-Troiani L.-Zecchini G. (a cura di), Società indigene e cultura greco-romana. Atti del Convegno Internazionale Trento, 7-8 giugno 2007. 34. Zecchini G., Ricerche di storiografia latina tardoantica II. Dall’Historia Augusta a Paolo Diacono. 35. R  aimondi M., Imerio e il suo tempo. 36. C  ristofoli R.-Galimberti A.-Rohr Vio F. (a cura di), Lo spazio del non-allineamento a Roma fra tarda Repubblica e primo principato. 37. Z  ecchini G. (a cura di), L’Augusteum di Narona. 38. H  ölkeskamp K.-J., Modelli per una Repubblica. 39. Bearzot C. Landucci F. (a cura di), Alexader’s Legacy. 40. Bianchi E., Vulci. Storia della città e dei suoi rapporti con Greci e Romani. 41. Cristofoli R.- Galimberti A.- Rohr Vio F., Costruire la memoria. Uso e abuso della storia fra tarda repubblica e primo principato. Venezia, 14-15 gennaio 2016. 42. Pellizzari A., Maestro di retorica, maestro di vita: le lettere teodosiane di Libanio di Antiochia. 43. C  asella M., Galerio. Il tetrarca infine tollerante. 44. Schettino M.T. - Zecchini G. (a cura di), L’età di Silla. Atti del Convegno Istituto italiano per la storia antica.

L’ETÀ DI SILLA

1. Piana Agostinetti P., Documenti per la protostoria della Val d’Ossola S. Bernardo di Ornavasso e le altre necropoli preromane. 2. Ianovitz O., Il culto solare nella «X Regio Augustea». 3. Letta C., I Marsi e il Fucino nell’antichità. 4. Cebeillac M., Les «quaestores principis et candidati» aux Ier et IIeme siècle de l’empire. 5. Poggio T., Ceramica e vernice nera di Spina: le oinochoi trilobate. 6. Gambetti C., I coperchi di urne con figurazioni femminili nel Museo Archeologico di Volterra. 7. Letta  C.-D’Amato S., Epigrafia della regione dei Marsi. 8. Zecchini G., Aezio: l’ultima difesa dell’Occidente Romano. 9. Gillis D., Eros and Death in the Aeneid. 10. Gallotta B., Germanico. 11. Traina G., Paludi e Bonifiche nel mondo antico. Saggio di archeologia geografica. 12. R  occhi G.D., Frontiera e confini nella Grecia Antica. 13. L  evi M.A., I Nomadi alla frontiera. 14. Z  ecchini G., Ricerche di storiografia latina tardoantica. 15. Agostinetti A.S., Flavio Arriano. Gli eventi dopo Alessandro. 16. L  evi M.A., Adriano Augusto. 17. L  evi M.A., Ercole e Roma. 18. L  anducci Gattinoni F., Duride di Samo. 19. AA.VV., L’Ecumenismo politico nella coscienza dell’Occidente. Alle radici della casa comune europea. 20. AA.VV., L’ultimo Cesare. Scritti riforme progetti poteri congiure. 21. AA.VV., Identità e valori. Fattori di aggregazione e fattori di crisi nell’esperienza politica antica. 22. AA.VV., Integrazione mescolanza rifiuto. Incontri di popoli, lingue e culture in Europa dall’Antichità all’Umanesimo. 23. AA.VV., Modelli eroici dall’antichità alla cultura europea. 24. AA.VV., La cultura storica nei primi due secoli dell’Impero Romano. 25. Prandi L., Memorie storiche dei Greci in Claudio Eliano.

ATTI DEL CONVEGNO ISTITUTO ITALIANO PER LA STORIA ANTICA

Monografie 44

MARIA TERESA SCHETTINO è Professore ordinario di Storia romana presso l’Université de Haute-Alsace, membro del centro di ricerca UMR 7044 Archimède (Unistra, UHA, CNRS), presidente del Collegium Beatus Rhenanus (2017-2018), vicepresidente e responsabile delle relazioni internazionali della SoPHAU, cosegretario degli États Généraux de l’Antiquité (2018). Dirige attualmente il programma di ricerca La ‘culture politique’ d’une République finissante : les optimates de la mort de Sylla à la mort de Crassus. La ������������������������ sua attività scientifica verte principalmente sui rapporti istituzionali nella tarda repubblica e nell’alto impero, sulle relazioni diplomatiche in epoca repubblicana, sulla storiografia di lingua greca di età imperiale.

L’ETÀ DI SILLA ATTI DEL CONVEGNO ISTITUTO ITALIANO PER LA STORIA ANTICA

GIUSEPPE ZECCHINI è Professore ordinario di Storia romana presso l’Università Cattolica di Milano e membro del Consiglio direttivo dell’ Istituto Italiano per la Storia antica e dell’Accademia Ambrosiana – Classe di Studi Ambrosiani. È in uscita presso L’ERMA di BRETSCHNEIDER il suo volume su Polibio. La solitudine dello storico.

A cura di Maria Teresa Schettino e Giuseppe Zecchini

In copertina:

«L’ERMA» di BRETSCHNEIDER

Francesco Bartolozzi (1728-1815), “Ritratto di Silla”, incisione.

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CENTRO RICERCHE E DOCUMENTAZIONE SULL’ANTICHITÀ CLASSICA MONOGRAFIE 44

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Istituto Italiano per la Storia Antica

UMR 7044 Archimède

L’età di Silla Atti del convegno Istituto italiano per la storia antica Roma, 23-24 marzo 2017 a cura di

MARIA TERESA SCHETTINO e GIUSEPPE ZECCHINI

«L’ERMA» di BRETSCHNEIDER

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MARIA TERESA SCHETTINO e GIUSEPPE ZECCHINI (a cura di) L’età di Silla Atti del convegno Istituto italiano per la storia antica Roma, 23-24 marzo 2017

© Copyright 2018 «L’ERMA» di BRETSCHNEIDER Via Marianna Dionigi, 57 ‒ Roma Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione di testi e illustrazioni senza il permesso scritto dell’Editore Il volume è stato sottoposto a procedura di Peer-Review

Maria Teresa Schettino e Giuseppe Zecchini (a cura di) L’età di Silla. Atti del convegno Istituto italiano per la storia antica. Roma, 23-24 marzo 2017 - Roma: L’ERMA» di BRETSCHNEIDER, 2018 - 268 p. cm. ISBN (CARTACEO) 978-88-913-1696-7 ISBN (DIGITALE) 978-88-913-1699-8 CDD 930 1. Silla, Lucio Cornelio

Volume stampato con il contributo dell’Istituto italiano per la Storia antica

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SOMMARIO

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Presentazione .....................................................................................

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EDWARD H. BISPHAM Sulla and the Populi Italici ................................................................

1

GIOVANNI BRIZZI Silla comandante................................................................................

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MARIANNE COUDRY La réforme syllanienne du sénat: une réévaluation? .........................

73

JEAN-MICHEL DAVID Sylla nomothète ..................................................................................

91

MICHEL HUMM De l’usage de l’histoire romaine par Sylla : inventions ou réélaborations ? ..........................................................

105

ELIO LO CASCIO Silla, la moneta e il credito ................................................................

133

SYLVIE PITTIA Solidarités et conflits de générations dans la vie politique romaine au temps de Sylla ..............................................................................

149

KAJ SANDBERG Sulla’s Reform of the Legislative Process ..........................................

167

FEDERICO SANTANGELO La marcia su Roma dell’88 a.C. ........................................................

191

MARIA TERESA SCHETTINO Un magistrato senza eloquenza: Silla e l’oratoria comiziale............

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VI

SOMMARIO

CATHERINE STEEL Past and present in Sulla’s dictatorship .............................................

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UWE WALTER Die Dictatur Sullas – ein Wendepunkt für die römische Historiographie? .....................................................................................

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GIUSEPPE ZECCHINI Per una nuova immagine di Silla .......................................................

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PRESENTAZIONE

Si presentano in questo volume gli Atti della giornata di studi dedicata a Silla e al suo tempo, che è stata promossa dall’Istituto Italiano per la storia antica e dall’UMR 7044 Archimède (Universités de Strasbourg et de Haute-Alsace, CNRS) il 23-24 marzo 2017: questa iniziativa è il primo frutto della collaborazione tra l’Istituto e il prestigioso Centro di Ricerca francese in seguito alla firma di un accordo per sviluppare progetti scientifici in comune avvenuta il 18 marzo 2016 da parte del Direttore dell’UMR 7044 prof. Frédéric Colin e del Presidente dell’Istituto prof. Andrea Giardina. Alla giornata di studi sono intervenuti, su invito dell’Istituto, dodici studiosi di atenei italiani (Giovanni Brizzi - Bologna, Elio Lo Cascio – Roma ‘La Sapienza’), francesi (Marianne Coudry, Michel Humm e Maria Teresa Schettino – UMR Archimède, Jean-Michel David e Sylvie Pittia – Paris I Sorbonne), britannici (Edward Bispham – Oxford, Federico Santangelo – Newcastle upon Tyne, Catherine Steel – Glasgow), finlandesi (Kaj Sandberg – Helsinki) e tedeschi (Uwe Walter – Bielefeld). Il loro impegno nel presentare le rispettive relazioni ha permesso che si sviluppasse già in quella circostanza un vivace dibattito; a poco più di un anno di distanza la comparsa di questo volume testimonia che quell’impegno non è stato episodico: dai testi emerge una rinnovata immagine di Silla, di cui si è cercato di dar conto nelle ‘Conclusioni’. I nostri ringraziamenti sono rivolti certamente ai relatori e a tutti i partecipanti a quell’incontro di studio, ma in particolare al prof. Andrea Giardina per l’ospitalità concessa e alla dr. Anna Sabbi per l’impeccabile organizzazione della giornata. M.T.S.- G.Z.

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LA RÉFORME SYLLANIENNE DU SÉNAT: UNE RÉÉVALUATION?

Après les travaux fondamentaux d’Emilio Gabba, qui dans les années 1950 et 1960, ont fait remarquablement progresser les études syllaniennes, en particulier pour ce qui concerne la réforme du Sénat, rien de nouveau ne semblait à découvrir. Par son commentaire du livre I des Guerres civiles d’Appien1, qui constitue notre source documentaire la plus complète sur le sujet, il avait, en identifiant les difficultés soulevées par le texte, dressé un bilan critique des interprétations modernes des décisions prises par Sylla, qu’il s’agisse de leur chronologie, de leur contenu, ou de leurs sources d’inspiration. La rigueur de sa méthode critique rend ce travail quasiment insurpassable encore aujourd’hui. Complété par des articles qui touchaient notamment à la composition du Sénat syllanien2, il forme la base d’une interprétation générale des réformes de Sylla qui a fait consensus jusqu’à ces dernières années: des réformes de grande ampleur, «indubitablement organiques», qui constituent «un plan de réorganisation de l’État», et donnent au Sénat une place prééminente grâce à un ensemble cohérent de mesures. L’autorité de l’assemblée se trouvait renforcée par le doublement de son effectif, qui élargissait la classe dirigeante, par le monopole du recrutement des juges des tribunaux criminels, par la limitation des pouvoirs des tribuns de la plèbe en matière d’initiative législative, et par la réorganisation rigoureuse des magistratures3. Pourtant, les premières années du XXIe siècle ont vu paraître des études nouvelles remettant en cause ce consensus et proposant des interprétations inédites, qui à des degrés divers ont «déconstruit» l’interprétation traditionnelle des réformes syllaniennes et invitent à reconsidérer en particulier celles qui concernent le Sénat. La première est due à Federico Santangelo

GABBA 1967 [1958]. GABBA 1973 [1951] et GABBA 1973 [1956]. 3 Cette analyse est synthétisée dans GABBA 1972, pp. 795-796; 801-805. La seule étude systématique des réformes syllaniennes parue depuis, la dissertation de THEODORA HANTOS 1988, se place à part, par sa perspective d’analyse qui consiste à les interpréter comme instaurant un contrôle sur la classe dirigeante. Voir les réserves exprimées par JEHNE 1990. 1 2

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qui, en complément de sa monographie consacrée à l’impact de l’action politique de Sylla sur les élites de l’Italie et de l’Orient grec4, a repris la question de la composition du Sénat syllanien et post-syllanien dans un article au titre suggestif, «Sulla and the Senate: a Reconsideration», paru en 20085. La seconde de ces études est celle d’Harriet Flower: réfléchissant sur la discontinuité et le changement dans l’histoire du régime républicain et sur sa désintégration finale, elle propose, dans sa synthèse de 2010, Roman Republics, une nouvelle périodisation, et isole «la nouvelle République de Sylla»6. L’idée principale du chapitre qu’elle lui consacre est que l’entreprise de Sylla ne doit pas se comprendre, ainsi qu’on le fait d’ordinaire, comme la restauration d’un ordre ancien, mais bien davantage comme une modification en profondeur de la vie politique, organisée sur de nouvelles bases. Enfin, plus récemment Catherine Steel a proposé, dans deux articles complémentaires parus en 2014 et 2015 et centrés sur le Sénat de Sylla7, de «repenser Sylla», comme l’annonce clairement le titre du second. Son ambition est de réévaluer l’impact des changements introduits par le dictateur – dont elle met en doute la cohérence générale –, en particulier par l’élargissement de l’assemblée et le renouvellement de ses membres: la position du Sénat dans le système politique, loin d’en sortir renforcée, aurait été amoindrie car il serait devenu «structurellement faible, divisé et inefficace» face aux magistrats à imperium, consuls et préteurs. Et l’intention de Sylla aurait été, précisément, d’en faire seulement le consilium de ces magistrats. À l’opposé de ces travaux, qui remettent en cause les interprétations qui semblaient acquises depuis une quarantaine d’années quant aux visées des réformes syllaniennes, à leur portée, et à leur cohérence d’ensemble, François Hinard, dans une des études regroupées dans son recueil paru en 2008, Sullana varia8, a réaffirmé leur caractère organique. En partant d’une réflexion sur l’extension du pomerium et la transformation du paysage urbain par Sylla, il insiste sur la nécessité d’une explication d’ensemble de ses réformes, et y voit une transformation profonde des structures politiques et administratives de la cité visant à les adapter aux nouvelles conditions résultant de la guerre sociale.

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SANTANGELO 2007. SANTANGELO 2006. FLOWER 2010, pp. 117-134. STEEL 2014; STEEL 2015. HINARD 2008.

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Ce réveil des études syllaniennes est une incitation à reprendre la question du Sénat syllanien pour faire le point sur les évolutions de la recherche dont témoignent ces travaux récents, qui ont tiré parti de nouvelles approches méthodologiques, et pour tenter d’évaluer leurs bénéfices et leurs limites. Car ce n’est pas d’un enrichissement de la documentation qu’est venu cet effort de réévaluation, mais d’un changement des points de vue, en particulier d’une attention sinon nouvelle, du moins accrue, pour la pratique politique, et d’une approche plus pragmatique que juridique des institutions, dans le sillage, par exemple, des travaux de Francisco Pina Polo sur le consulat qui seront évoqués plus loin. De quels horizons viennent les nouveaux sénateurs recrutés par Sylla, comment assument-ils leur rôle, voici quelques unes des questions qui ont inspiré les recherches qui nous intéressent. Pour la clarté de l’exposé, et bien que tous les aspects des réformes politiques de Sylla soient liés – accroissement de l’effectif du Sénat et recrutement des juges pour les tribunaux criminels; accroissement du rôle du Sénat dans le processus législatif et amputation des pouvoirs des tribuns –, nous envisagerons séparément les points suivants: le recrutement des nouveaux sénateurs, ses conséquences pour le fonctionnement de l’assemblée, puis le rôle du Sénat dans l’élaboration des lois. QUI SONT LES SÉNATEURS SYLLANIENS? Le recrutement des nouveaux sénateurs destinés à peupler les rangs d’une assemblée brusquement élargie est un processus qui comporte des incertitudes sur plusieurs points: l’origine et la forme de la décision, les effectifs, la mise en œuvre. Ces incertitudes, qui tiennent aux imprécisions du récit d’Appien et à la difficulté de le croiser avec d’autres sources, elles aussi souvent elliptiques, ont été bien identifiées par les travaux de Gabba: un rapide rappel suffira. La première incertitude concerne la date de cette lectio. Appien évoque deux mesures successives, d’abord une loi de 88, qu’auraient fait voter Sylla et Pompeius Rufus, en tant que consuls, après la prise de Rome9, pour introduire trois cents nouveaux membres dans un Sénat dépeuplé et amoindri10. Mais Appien est le seul

App. BC 1, 59, 265. «Ils firent entrer d’un coup (κατέλεξαν ἐς τὸ βουλευτήριον) 300 citoyens les plus distingués (ἐκ τῶν ἀρίστων ἀνδρῶν) au Sénat: celui-ci comptait précisément alors peu de membres (ὀλιγανθρωπότατον) et était de ce fait exposé au mépris (εὐκαταφρόνητον)» (1, 59, 267). La 9

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à mentionner cette mesure de 88, et certains considèrent que dans ce passage il anticipe la mesure à peu près identique qu’il décrit pour 81, au moment de la dictature de Sylla11. La nature de la mesure, une opération ponctuelle à distinguer du processus qui permet, avec l’accroissement du nombre des questeurs que la loi de Sylla porte à vingt, le maintien de l’effectif; la procédure en deux temps, lectio puis adlectio, et validation du choix par les tribus; le modèle probable que constituait le projet de Livius Drusus en 9112, tous ces points ont été traités de façon approfondie par Gabba et par Nicolet13. La seconde incertitude concerne les effectifs concernés. Partant de ce qu’était, selon toute probabilité, l’effectif habituel du Sénat depuis le début de la République, 300 membres14, et tenant compte des pertes occasionnées par la guerre civile, 200 sénateurs tués15, ainsi que des indications que donnent de temps à autre les sources sur le nombre de sénateurs présents à telle ou telle séance particulière16, ou sur le quorum parfois exigé17, les spécialistes étaient parvenus à un consensus sur le nombre de six cents à partir de la dictature de Sylla18. Cependant cette conclusion simple – Sylla aurait décidé le doubler l’effectif habituel du Sénat – repose sur des bases fragiles: Federico Santangelo l’a bien montré dans son article récent19, et a proposé, en s’appuyant notamment sur les travaux des années 1980 qui tentaient des évaluations démographiques, de ramener l’effectif du Sénat post-syllanien à un chiffre compris entre 450, au lendemain de la lectio, et 510-520 plus tard. Cette réévaluation a été traduction utilisée dans cet article est celle de P. GOUKOWSKY (éd. CUF, 2008). Pour tous les autres auteurs, traduction personnelle. 11 Comme, en dernier lieu, F. HINARD dans l’édition de la CUF, n. 372, p. 168. Gabba considérait au contraire cette notice comme fiable (GABBA 1967, p. 173; 344). Appien écrit: «Pour ce qui est du Sénat, comme les séditions et les guerres avaient beaucoup réduit son effectif (πάμπαν ὀλιγανδρούσῆι), il recruta pour le compléter (προσκατέλεξεν) environ 300 chevaliers choisis parmi les plus distingués (ἐκ τῶν ἀρίστων ἱππέων), en laissant aux comices tributes le soin de voter sur chaque cas» (1, 100, 468). 12 «Comme, en raison des troubles civils, le Sénat comptait à peine 300 membres, il proposait de recruter par adlection (προσκαταλεγῆναι) un nombre égal de chevaliers choisis pour leur mérite (ἀριστίνδην), et que cet ensemble fournisse à l’avenir les jurés des tribunaux» (App. BC 1, 35, 158). 13 NICOLET 1966, pp. 575-578. 14 Liv. 2, 1, 10; D.H. 5, 13, 2 et 7, 55, 5; Fest. 304 L. 15 Eutr. 5, 9, 2; Oros. 5, 22, 4. 16 415 en 61, quand on débat du sacrilège de Clodius (Cic. Att. 1, 14, 5); 417, sans compter les magistrats, en 57, quand on débat du rappel de Cicéron (Red. sen. 26); 392 en 50, à propos de la succession de César en Gaule (App. BC 2, 30, 119). 17 Le seul cas précis pour la période est celui des 200 présents nécessaires pour le vote de priuilegia depuis le plébiscite de Cornelius en 67 (Asc. 59 [CLARK]; 73 [CLARK]). 18 Voir les calculs présentés par WILLEMS 1878, pp. 401-407 19 SANTANGELO 2006, pp. 8-11, avec la bibliographie antérieure.

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acceptée, avec quelques nuances, par Catherine Steel, et paraît tout à fait fondée20. La troisième incertitude concerne l’origine sociale des nouveaux sénateurs, que par commodité, mais non sans ambiguïté, on appelle syllaniens. Elle découle des contradictions entre les sources et de leurs imprécisions: Appien écrit que Sylla recruta, en 81, «environ 300 chevaliers choisis parmi les plus distingués», alors que pour 88 il parle de «300 citoyens choisis parmi les plus distingués»21. Et si l’abréviateur de Tite-Live indique bien qu’il «compléta le Sénat en puisant dans l’ordre équestre»22, d’autres auteurs se font l’écho de polémiques dénigrant l’origine des sénateurs syllaniens: «le premier venu», lit-on chez Denys; «de simples soldats», chez Salluste23, jugements que paraissent confirmer les exclusions massives – 64 sénateurs – prononcées par les censeurs de 70 lorsqu’ils firent la lectio senatus24. Le moyen envisagé par les spécialistes pour parvenir à une appréciation cohérente et plus précise de la composition de ce nouveau Sénat a été de recourir à l’analyse prosopographique, en partant essentiellement des cursus de magistrats des années 80-70. C’est ainsi qu’une série de tentatives de reconstitution du Sénat syllanien25 se sont succédé, depuis les années 1930. Mais l’espoir qu’on pouvait placer dans cette méthode a finalement été déçu26: le nombre de sénateurs identifiables est faible, une centaine au plus, et avec des degrés de fiabilité très variables, en sorte que les conclusions générales qu’on peut tirer d’une telle enquête restent fragiles et très générales. Les voici en quelques mots: un grand nombre de ces nouveaux sénateurs, issus de l’ordre équestre, appartenaient déjà à des familles sénatoriales, et la plupart restèrent confinés aux rangs inférieurs du Sénat. Cette relative impasse de la recherche prosopographique tient aux lacunes la documentation disponible: les informations sur les trajectoires individuelles des sénateurs de l’époque post-syllanienne ne sont pas assez précises pour qu’on puisse distinguer ceux qui ont été recrutés par Sylla en 81 de ceux qui sont entrés au Sénat ensuite, par l’exercice de la questure. Santangelo, après avoir brassé à nouveau la documentation proSTEEL 2015, pp. 664-665. GABBA 1973, pp. 159-174, n’avait cependant pas exclu cette possibilité. BC 1, 100, 468: ἐκ τῶν ἀρίστων ἱππέων; 1, 59, 267: ἐκ τῶν ἀρίστων ἀνδρῶν. 22 Per. Liv. 89: senatum ex ordine equestro suppleuit. 23 D.H. 5, 77, 5: ἐκτῶν ἐπιτυχόντων ἀνθρώπων; Sall. Cat. 37, 6: ex gregariis militibus alios senatores uidebant. 24 Per. Liv. 94. VOIR WILLEMS 1878, pp. 417-419. 25 NOTAMMENT HILL 1932, SYME 1938, GABBA 1973 [1951] et GABBA 1973 [1956], NICOLET 1966, pp. 581-591. 26 DÉJÀ GRUEN 1974, p. 191 en avait souligné les limites. 20 21

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sopographique, et buté sur ces limites27, finit même par se demander si le concept de Sénat syllanien a un sens28. Signalons pour clore ce point que les informations d’origine tant littéraire qu’archéologique dont nous disposons à propos des travaux d’agrandissement de la curie que Sylla fit effectuer29, et dont le lien avec l’accroissement de l’effectif de l’assemblée est difficilement discutable, sont bien trop pauvres pour apporter des éclairages complémentaires, sinon sur le plan symbolique.

UN NOUVEAU FONCTIONNEMENT DE L’ASSEMBLÉE? L’accroissement de l’effectif du Sénat, à la fois ponctuellement, par la lectio de 81 et durablement, par l’effet de l’augmentation du nombre des questeurs qu’imposait la lex Cornelia de XX quaestoribus, dont Tacite indique, dans son rapide excursus sur les étapes de l’accroissement du collège des questeurs, qu’elle visait à «compléter le Sénat, auquel il avait transféré les jugements»30, eut deux effets. Le premier fut de modifier l’équilibre numérique entre les rangs: les anciens consuls et les anciens préteurs constituaient désormais, à l’échelle de l’ensemble de l’assemblée, un groupe relativement moins nombreux qu’autrefois, tandis que les anciens questeurs31 et les sénateurs qui n’avaient pas encore revêtu de magistrature occupaient désormais une place plus importante. C’est une donnée établie depuis longtemps, mais sur laquelle les travaux récents, attentifs aux conditions concrètes de l’exercice des fonctions politiques, insistent particulièrement, en postulant une coupure entre les premiers, dont l’effectif 27 Même en partant des cursus de magistrats des années 70 et 60 pour évaluer rétrospectivement les intégrations au Sénat en 81, on se heurte à trop d’incertitudes, et cela vaut aussi pour les données onomastiques suggérant des appartenances familiales et un éventuel enracinement italien. 28 SANTANGELO 2006, p. 15. 29 Cic. Fin. 5, 2; Plin. NH 34, 26; D.C. 40, 50, 2. Cf. BONNEFOND-COUDRY 1989, pp. 59-60 pour les aspects archéologiques. 30 Tac. Ann. 11,22, 8: lege Sullae viginti creati supplendo senatui cui iudicia tradiderat. On considère généralement que la loi visait à assurer le recrutement régulier de nouveaux sénateurs (vingt par an) pour que le nouvel effectif du Sénat se maintienne de lui-même et que les juges soient toujours en nombre suffisant. Cette idée a été remise en cause récemment (JAHN 2014), sur la base d’un cas de questeur qui serait demeuré chevalier au lieu de devenir sénateur: tous les questeurs sortis de charge n’entreraient pas au Sénat. La fragilité de l’argumentation a été justement soulignée par Santangelo à paraître. 31 Les anciens questeurs se répartissaient en deux groupes, ceux qui étaient effectivement considérés comme sénateurs, et ceux qui, en attendant de le devenir, disposaient seulement, depuis qu’ils étaient sortis de charge et en attendant la prochaine révision de l’album sénatorial, du droit d’exprimer leur opinion -ils font partie de ceux qui sont désignés comme qui in senatu sententiam dicunt (Cic. Cluent. 148). Cf. RYAN 1998, p. 72.

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avait en outre été dramatiquement réduit à cause des violences des guerres civiles et de la proscription syllanienne32, et la masse des seconds, qui seraient accaparés par leur fonction de juges, peu désireux d’affronter la rude compétition nécessaire pour parcourir un cursus, et peu investis dans leur rôle de sénateur33. C’est ce groupe qu’on a pris l’habitude de désigner par le terme de pedarii, employé par Cicéron pour nommer des sénateurs dont il s’indigne qu’ils aient fait basculer un vote de façon imprévue en profitant de leur nombre34. Que le mot renvoie à une catégorie juridiquement définie comme le pense Ryan35, ou simplement à un type de comportement jugé méprisable parce qu’à l’opposé de l’éloquence attendue du sénateur36, il est clair que le groupe qu’il stigmatise est assez important. Est-ce à dire que ce changement – second effet de l’accroissement de l’effectif du Sénat par Sylla – a eu un impact sur le fonctionnement de l’assemblée, en ôtant aux débats leur efficacité37? L’analyse du déroulement des séances sur lesquelles nous sommes bien renseignés, et qui se limitent malheureusement à celles de l’époque cicéronienne, sans qu’on puisse donc mener de comparaison précise avec la période pré-syllanienne, montre cependant que le débat n’est nullement le monopole des consulaires, et que les interventions des sénateurs des rangs inférieurs au rang prétorien ne sont ni rares, ni sans portée sur le processus décisionnel38. Un autre changement apparu à l’époque post-syllanienne dans le fonctionnement du Sénat – sans qu’on sache s’il résulte d’une décision expresse de Sylla, ou de l’affaiblissement de la censure dans les années qui suivent, ou du rôle accru des consuls dans la vie politique est la disparition du titre de princeps senatus qui désignait le sénateur inscrit en tête de l’album

STEEL 2014, pp. 325-327; STEEL 2015, pp. 660-661. FLOWER 2010, p. 121-122; STEEL 2014, pp. 327-328; STEEL 2015, p. 666. Une telle analyse se fonde sur le passage de la 2ème Lettre à César qui suggère d’introduire le vote secret au Sénat pour créer les conditions favorables à une réelle participation de ces sénateurs aux délibérations (Ep. Ad Caes. 2, 11,6). 34 «Car ce sénatus-consulte a été le résultat de la volonté énergique des pedarii (summa pedariorum uoluntate), sans qu’aucun des nôtres ait apporté son autorité (nullius nostrum auctoritate)» (Att. 1, 19, 9); cf. Att. 1, 20, 4. 35 Il désignerait les sénateurs recrutés par Sylla en 81 et qui n’ont jamais été élus à la questure, ce qui leur aurait valu d’être stigmatisés comme moins respectables que les questeurs sortis de charge et disposant du ius sententiae dicendae, eux-mêmes moins respectables que les sénateurs de rang questorien (Ryan 1998, pp. 5287). 36 Sachant que ce terme est probablement issu du vocabulaire de la comédie et évoque le fait de voter «avec ses pieds», sans prendre la parole (BONNEFOND-COUDRY 1989, pp. 655-682). 37 C’est ce qu’avance STEEL 2015, p. 668, comme un des éléments de l’affaiblissement politique du Sénat postsyllanien qu’elle diagnostique. L’étude précise effectuée par GRUEN 1974, pp. 191-208, sur la composition sociale de ce groupe pour les trente années qui suivent la dictature de Sylle, reste fondamentale. 38 BONNEFOND-COUDRY 1989, pp. 633-643. 32 33

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sénatorial par les censeurs quand ils effectuaient sa révision, et interrogé en premier lors des délibérations. Aulu-Gelle indique la façon dont Varron évoque cette innovation en 70: «À l’époque où il composa cet écrit, il rapporte qu’un nouvel usage s’était introduit (nouum morem institutum), par le jeu de la recherche de l’influence (per ambitionem gratiamque): celui qui présidait interrogeait en premier le sénateur de son choix, à condition qu’il fût de rang consulaire (ex gradu consulari)»39. Les exemples attestés par la correspondance de Cicéron confirment que le choix par les consuls en exercice du consulaire qui serait appelé le premier à exprimer son opinion n’était pas neutre, mais faisait partie des échanges de services consubstantiels à l’amicitia. L’observation générale qu’il énonce dans une lettre du début de 61, où il déplore que le choix fait par les nouveaux consuls ne se soit pas porté sur lui, est révélatrice: «Celui qui parle en second a presque l’autorité (auctoritas) du premier, et sa volonté (uoluntas) n’est pas entravée par la faveur du consul»40. Il serait logique d’en conclure que les magistrats jouent désormais un rôle déterminant dans les délibérations, et que, de ce fait, sur le plan plus général de l’équilibre politique entre les magistrats supérieurs et le Sénat, la position de ce dernier s’est trouvée affaiblie. C’est ce qu’on lit dans certaines études récentes41, où cet argument est étayé par un autre: la présence à Rome, pour une période beaucoup plus longue qu’autrefois, des consuls et des préteurs, phénomène qu’on observe très nettement depuis l’époque syllanienne sans qu’on puisse en établir fermement les raisons42. Pourtant, l’analyse fine du processus de prise de décision au Sénat dans cette période43 infirme nettement cette hypothèse d’un rôle accru et plus décisif des consuls: on remarque au contraire que les interventions du magistrat qui consulte le Sénat sont, à toutes les étapes de la séance, respectueuses de l’initiative des sénateurs. Celle-ci est au cœur des délibérations dans toute la phase d’interrogation, et l’initiative du

39 Gell. 14, 7, 9. La même idée est exprimée dans un autre passage: «Certains consuls, par sympathie politique ou à cause de liens particuliers (studio aut necessitudine aliqua adducti) interrogeaient en premier, en dehors du tour, celui à qui ils voulaient faire honneur (honoris gratia)» (4, 10, 3). 40 Att. 1, 13, 2. 41 FLOWER 2010, p. 122-123; STEEL 2014, p. 332; STEEL 2015, p. 659. 42 L’hypothèse mommsénienne d’une lex de provinciis ordinandis syllanienne qui aurait empêché les magistrats à imperium de quitter Rome pour se rendre dans leur province avant la fin de l’année ayant finalement été éradiquée, non sans mal, les spécialistes restent prudents sur les causes possibles du changement d’usage que l’on constate. Cf. PINA POLO 2011, chap. 12, en particulier pp. 242-248. 43 VOIR BONNEFOND-COUDRY 1989, pp. 453-573.

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magistrat, qui prend le pas ensuite – sélection des avis pour le vote final, vote lui-même –, est plus technique que politique. Dans ces conditions, l’idée selon laquelle la fonction du Sénat se serait dorénavant limitée à celle de consilium des magistrats supérieurs ne paraît pas recevable: loin d’apparaître comme un organe consultatif, que les consuls réuniraient seulement pour éclairer leur jugement – une «aide à la décision», comme on le dirait à présent, il continue manifestement d’assumer le rôle que Cicéron désignait comme «conseil permanent placé à la tête de l’État» dont les magistrats sont les «exécutants»44. Comme on le voit, le recours à une approche tournée vers les formes de la vie politique et les processus de décision, même si elle conduit à des conclusions divergentes, permet d’approfondir les interprétations des réformes de Sylla. Un pas de plus peut être tenté, en explorant une voie qui n’a guère suscité d’intérêt jusqu’à ces dernières années, celle du rôle du Sénat dans le processus législatif.

LE RÔLE DU SÉNAT DANS L’ÉLABORATION DES LOIS Dissipons d’emblée un malentendu: il ne s’agit pas ici de traiter de ce que les romanistes ont nommé le «pouvoir législatif du Sénat», entendu comme sa capacité à produire des décisions qui ont force de loi, dans une perspective très particulière, qui consiste à guetter les indices de l’émergence à la fin de la République de sénatus-consultes conçus comme sources de droit à l’époque impériale. L’objectif est tout à fait différent, et consiste à se demander si la documentation dont nous disposons sur le processus d’élaboration de telle ou telle loi de la période post-syllanienne permet de mesurer le rôle qu’a pu y jouer le Sénat, d’évaluer notamment sa part dans l’initiative politique dont la loi est l’aboutissement. En d’autres termes, que sait-on de la pratique législative de la fin de la République, et peuton découvrir par ce biais si les réformes de Sylla, puis leur abolition, ont eu un effet sur cet aspect du rôle politique du Sénat. C’est un domaine de recherche récemment ouvert, qui a connu un premier développement depuis le début de ce siècle, en relation avec l’entreprise de refonte du

44 Cic. Sest. 137. Le débat qui voit s’affronter, en 91, le consul L. MARCIUS PHILIPPUS, dénonçant l’attitude du Sénat dans une contio, et réclamant «un autre conseil», et L. LICINIUS CRASSUS, le grand orateur, qui lui reproche d’avoir voulu en priver la République (Cic. De or. 3, 2-3; cf. 2, 165), met bien en évidence le consensus dont le rôle dirigeant du Sénat fait l’objet. Cf. BONNEFOND-COUDRY 1989, pp. 11-15.

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«Rotondi»45, mais dont on ne peut espérer de résultats spectaculaires tant la documentation appropriée doit être traquée avec minutie. Les études antérieures portant sur cet aspect des réformes de Sylla s’inscrivaient dans une perspective strictement institutionnelle, et tentaient d’établir quelles limites exactement les réformes syllaniennes avaient imposées aux pouvoirs des tribuns, en l’occurrence celui de faire voter des projets de lois, afin d’éviter les violences qu’avait déchaînées depuis l’époque des Gracques le vote de plébiscites élaborés sans concertation avec le Sénat, ou contre sa volonté. Un bref rappel de ces travaux est nécessaire, le rôle effectif des sénateurs dans l’élaboration des lois s’appréciant pour partie sur ces bases. Ils se fondent sur ce qu’Appien et quelques autres auteurs font connaître des réformes de Sylla en la matière. Le principal texte d’Appien, assez dense, se place dans le récit des premières décisions prises par Sylla et Pompeius Rufus comme consuls en 88. Il convient de le citer en entier: «Ils proposèrent une loi établissant qu’à l’avenir aucun projet ne serait présenté au peuple avant d’avoir été examiné par le Sénat (μηδὲν ἔτι ἀπροβούλευτον ἐς τὸν δῆμον ἐσφέρεσθαι) – cela avait été la règle autrefois déjà (νενομισμένονμὲνοὓτωκαὶ πάλαι), mais elle était abandonnée depuis longtemps – et que les votes (τὰς χειροτονίας) auraient lieu non point par tribus, mais par centuries, comme le roi Servius Tullius l’avait établi. Ils estimaient que, grâce à ces deux mesures, aucun projet de loi ne serait plus présenté au peuple avant que le Sénat n’en eût pris connaissance (οὔτε νόμον οὐδένα πρὸ τῆς βουλῆς ἐς τὸ πλῆθος ἐσφερόμενον), et que les scrutins (τὰς χειροτονίας) ne provoqueraient plus d’émeutes, eux dont auparavant l’issue dépendait des pauvres et des citoyens les plus audacieux et non point des gens riches et de bon conseil»46. Le sens général de la réforme ne fait pas difficulté, malgré des divergences d’interprétation entre les modernes: désormais les propositions de lois devraient recueillir l’approbation des sénateurs avant d’être soumises au vote du peuple. S’agissant des propositions soumises par les tribuns de la plèbe, on rétablissait ainsi un usage ancien, qui remontait aux derniers épisodes de la lutte entre patriciens et plébéiens, à la fin du IVe siècle et au début du IIIe, celui de la patrum auctoritas préalable, condition nécessaire pour que les 45 Ses Leges publicae populi Romani, ouvrage publié en 1912, et qui fait l’objet d’un travail collectif de rédaction de nouvelles notices, disponibles en ligne sur le site dédié LEPOR (LEges POpuli Romani). Des travaux très minutieux sur les aspects techniques et institutionnels de l’élaboration des lois, dus essentiellement aux responsables du projet, JEAN-LOUIS FERRARY et PHILIPPE MOREAU, en sont issus. Sur les perspectives ouvertes par cette nouvelle approche, voir WALTER 2014. 46 BC 1, 59, 266.

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tribuns puissent porter une rogatio devant les comices tributes, et établie par la lex Publilia de 339, puis abolie par la lex Hortensia de 28747. La partie suivante du passage d’Appien, qui concerne les formes du vote et les types de comices soulève beaucoup de questions et a donné lieu à des interprétations diverses qu’il n’est pas nécessaire de rappeler ici48. Mais son intérêt pour notre propos est d’insister sur la volonté qu’aurait eue Sylla d’éviter les situations de conflit violent autour des votes populaires. Ces réformes de 88 ont été suivies de nouvelles mesures prises par Sylla en 81 pour affaiblir le tribunat de la plèbe, notamment en privant les tribuns du droit de présenter des rogationes. C’est essentiellement sur une phrase de l’abréviateur de Tite-Live que repose cette affirmation – «il ôta complètement aux tribuns le droit de porter des lois»49 –, et elle a été questionnée par les modernes50, qui hésitent encore entre une interprétation littérale, la suppression totale des plébiscites, et une autre, qui considère que la mesure de 81 ne faisait en réalité que répéter celle de 88, et rendait possible le vote de plébiscites à condition qu’ils aient reçu l’approbation préalable du Sénat. Trancher entre ces deux interprétations serait aisé si l’on était certain qu’aucun plébiscite n’a été voté entre 81 et 70, date de la loi de Pompée et Crassus qui rétablit l’intégralité des pouvoirs des tribuns. Mais même si des incertitudes demeurent, l’idée d’une interdiction totale en 81 semble la plus probable51. Remarquons que, quelle que soit l’alternative, la conséquence pour le Sénat est qu’il dispose en pratique, pendant cette décennie, du contrôle de tous les projets de lois, d’un côté ceux des tribuns, s’ils subsistent, par l’obligation de son autorisation préalable, de l’autre ceux des magistrats supérieurs, les consuls, pour lesquels l’usage imposait qu’ils soient discutés en son sein avant d’être promulgués. De fait, on connaît pour ces années-là plusieurs lois consulaires, notamment dans des domaines qui relevaient habituellement de l’initiative des tribuns, comme la législation frumentaire52, ce qui conduit à penser que l’initiative législative fut alors

47 Sur les difficultés d’interprétation et les incertitudes qui demeurent, voir le commentaire de GABBA 1967, pp. 171-173, et plus récemment ZAMORANI 1998, qui part de la réforme de Sylla pour réinterpréter la lex Publilia, ainsi que FERRARY 2012, pp. 36-37 et LANFRANCHI 2017, pp. 40-44. 48 Signalons seulement NICOLET 1959. 49 Per. Liv. 89: omne ius legum ferendum ademit. 50 Voir le commentaire de GABBA 1967, pp. 273-275. 51 Cf. la démonstration de FERRARY 1985, pp. 440-441, à propos de la lex Antonia de Termessibus, qu’il propose de dater de 68. Il a réaffirmé ses conclusions récemment: FERRARY 2012, pp. 35-36. 52 En 78, la lex Lutatia de ui (Cic., Cael. 70); la lex Aemilia frumentaria (GRAN. LICIN. p. 34 [FLEMISCH]); en 75 la loi sur l’adjudication des dîmes de Sicile (Cic. Verr. 2, 3, 18-19); en 73 la lex frumentaria

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entièrement entre les mains des consuls. Il est logique, dans ces conditions, que le rôle du Sénat dans l’élaboration de ces lois soit évoqué à plusieurs reprises, sous la forme d’un sénatus-consulte dont les dispositions sont reprises ensuite dans une loi53. Un passage du pro Cluentio permet de cerner ce rôle de plus près: il y est question de la création d’une quaestio pour juger le président du tribunal qui avait condamné Oppianicus, réclamée par un tribun dans des contiones, et pour laquelle le Sénat demande (sans succès, cependant) au consul de 74, puis à ceux de 73, de porter une rogatio54. C’est le signe que les sénateurs s’arrogent – ou du moins jugent légitime de s’arroger – une véritable initiative en matière législative. Il est plus remarquable que, même après le rétablissement des droits des tribuns en 70, et l’essor de la législation tribunicienne, particulièrement abondante notamment en 67 et 66, le nombre des lois consulaires reste important, et qu’on voie régulièrement le Sénat associé à leur élaboration. C’est un fait que Pina Polo a souligné, en l’interprétant comme l’un des signes de la plus grande implication des consuls dans les affaires de Rome dans les années 80 à 5055. À ce stade se pose une question de fond: faut-il voir dans ce phénomène le signe que le rôle politique des consuls s’est accru au point qu’ils imposent leurs projets et envisagent le Sénat comme une simple caution pour leur action? C’est la question soulevée dans la partie précédente à propos de la prise de décision lors des délibérations: le Sénat serait-il devenu le simple consilium des magistrats supérieurs56? Bien que les sources soient rarement assez explicites pour permettre d’observer de près le mode d’élaboration de la plupart des lois que nous connaissons, plusieurs exemples attestent que l’initiative vient fréquemment des sénateurs et non des consuls, et, plus important, que ce processus n’est pas considéré comme exceptionnel57. Trois cas de lois éma-

Terentia Cassia (Cic. Verr. 2, 3, 163); en 72 la lex Gellia Cornelia sur la confirmation de la citoyenneté octroyée par Pompée aux Hispani (Cic. Balb. 19); la lex Cornelia sur la vente des biens des proscrits (Cic. Verr. 2, 3, 81-82 avec Sall. Hist. 4, 1 [Maurenbrecher]). 53 Loi de 75 sur l’adjudication des dîmes, loi frumentaire de 73, loi sur la citoyenneté de 72, loi sur la vente des biens des proscrits de 72. 54 Cluent. 137. Ce passage est utilisé par FERRARY 1985, p. 441, pour établir que Sylla a totalement privé les tribuns du droit de porter des rogationes. 55 PINA POLO 2011, pp. 290-307. 56 Cf. note 41. Pina Polo ne défend pas un tel point de vue. Le fait qu’à la même époque les consuls désignés, habituellement élus dès l’été, soient plus étroitement associés aux travaux du Sénat (cf. PINA POLO 2013, pp. 434-447), ne paraît pas non plus se traduire par un poids plus important dans la prise de décision. 57 Ces points sont abordés dans FERRARY 2012, pp. 8-12, dont nous suivons tout à fait les analyses.

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nant de la volonté du Sénat, qui en élabore les dispositions et oblige les consuls à soumettre la proposition au peuple, sont bien attestés. Le premier, particulièrement intéressant parce qu’il montre une situation de concurrence avec un projet de plébiscite, est celui de la loi sur la brigue de 67, la lex Acilia Calpurnia de ambitu: parce que le projet tribunicien leur semblait trop rigoureux, les sénateurs poussèrent les consuls (qui avaient eux-mêmes acheté les suffrages pour se faire élire, et n’étaient donc sans doute guère enclins à la sévérité) à en élaborer un autre, qui fut soumis au peuple et adopté58. Le second cas est également une loi sur la brigue, celle que Cicéron soumit au peuple comme consul avec son collègue: dès l’année précédente, en 64, un sénatus-consulte, qui fut bloqué par l’intercession d’un tribun, avait prescrit que soit portée une loi aggravant les peines, et la proposition de 63, qui devint la lex Tullia de ambitu, est issu des débats menés au Sénat autour du projet élaboré par le juriste Ser. Sulpicius Rufus59. Le troisième cas est celui de la loi consulaire qui instaura le tribunal chargé de juger le sacrilège de Clodius en 61: un sénatus-consulte en définit avec précision les dispositions, forçant la main de l’un des consuls qui était favorable à l’accusé60. D’autres lois consulaires, pour lesquelles on ne connaît pas aussi précisément le rôle préparatoire joué par le Sénat, sont sans doute à rapprocher de ces trois cas: la lex Licinia de sodaliciis portée par Crassus en 55 fut précédée par un sénatus-consulte de même teneur en 5661, comme la loi de Pompée de 52 sur les gouvernements de provinces reprit un sénatus-consulte de l’année précédente62. Il est difficile de déterminer, en revanche, les rôles respectifs du Sénat et de Pompée dans l’élaboration des deux lois, de ui et de ambitu, qu’il promulgua ex senatus consulto dès son entrée en fonction comme consul unique en 5263. La situation la plus courante en tout cas est que le Sénat soit consulté sur les propositions de lois, même si elles résultent de l’initiative d’un magistrat, et même si celui-ci est un tribun: le cas de la rogatio agraire du

58 D.C. 36, 38, 3-5 insiste sur le fait que les consuls «subissaient en réalité la pression du Sénat», et détaille les raisons qui poussèrent les sénateurs à faire présenter par les consuls une proposition moins sévère. VOIR FERRARY 2001, pp. 164-167. 59 Un savoureux passage du pro Murena (46-47) donne d’intéressantes informations sur les efforts de Cicéron pour amender le projet. VOIR FERRARY 2001, pp. 172-178. 60 Cic. Att. 1, 13, 3. VOIR MOREAU 1982, pp. 92-98. 61 Cic. QF 2, 3, 5. VOIR FERRARY 2001, pp. 180-189. 62 D.C. 40, 56, 1. 63 Asc. 36 [Clark]. Voir la discussion dans BONNEFOND-COUDRY 1989, pp. 527-530, et, sur les lois ellesmêmes, FERRARY 2001, pp. 189-198.

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tribun Servilius en 63 le montre clairement, puisque c’est le consul, Cicéron, qui combat le projet, le discute en détail devant le Sénat64 (et devant le peuple) et le fait échouer. L’attitude des sénateurs au début du consulat de César, en 59, est tout aussi révélatrice: hostiles à son projet de loi agraire, ils refusent obstinément de le discuter, jusqu’à provoquer une rupture politique dont César leur impute la responsabilité, ce qui lui permet de justifier qu’il ne soumette aucun de ses autres projets à l’examen du Sénat65. Toutes ces observations n’invitent pas à considérer que le Sénat post-syllanien soit affaibli et inefficace, du moins pour ce qui concerne les affaires «intérieures»; que la conduite des affaires de l’empire lui échappe de plus en plus est incontestable, mais ne suffit pas pour conclure à son effacement66. L’approche pragmatique du fonctionnement du Sénat tel qu’il a été recomposé par Sylla ne conduit donc pas à remettre en cause les interprétations traditionnelles de ses réformes, du moins sur le plan général de son rôle dans le système politique. BILAN Mais on ne peut dissimuler la fragilité de ce bilan, conséquence inéluctable des lacunes et des biais de la documentation. Il demeure difficile, par exemple, d’évaluer les effets que l’accroissement brutal de l’effectif sénatorial en 81 a pu avoir sur les délibérations dans les années qui ont suivi immédiatement, et où les rangs supérieurs étaient peu étoffés. Doit-on imaginer que ces nouveaux venus étaient peu impliqués dans leur fonction de sénateurs, parce qu’ils auraient été absorbés par leur activité de juges, et peu désireux d’entamer un cursus dans lequel leur progression serait lente, difficile, voire impossible en raison de la compétition entre de trop nombreux candidats, une fois franchie l’étape de la questure? Leur imputer en quelque sorte la passivité que l’on croit observer chez les domi nobiles de l’époque impériale, satisfaits d’afficher – épigraphiquement du moins – leur appartenance à l’ordre sénatorial sans ambitionner une participation politique soutenue? Ou doit-on considérer au contraire que leur origine équestre, et leur proximité sociale et familiale avec l’aristocratie sénatoriale les prédisposait à adhérer à l’habitus et à la culture politique sénato-

C’est la teneur du premier discours De lege agraria. D.C. 38, 2-3. 66 Voir Coudry à paraître. 64 65

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riale, et donc à se comporter en sénateurs actifs? Étant donné qu’ils sont quasiment absents de la documentation, il demeure impossible de trancher entre ces deux options. Une autre question difficilement soluble est celle des intentions de Sylla. Si sa volonté de procéder à une réorganisation d’ensemble du système politique ne fait pas de doute, comme en témoignent d’un côté la façon dont Cicéron présente les discussions entre Sylla et le consul marianiste Scipion en 83, «sur l’autorité du Sénat, les suffrages du peuple, et le droit de cité (de auctoritate senatus, de suffragiis populi, de iure ciuitatis leges)»67, de l’autre l’intitulé de sa dictature68, que savons-nous de précis, en revanche, sur ce qui l’a inspirée, sur son expérience politique, sa formation intellectuelle, et sur ses modèles théoriques, que l’évocation du retour à l’organisation centuriate de Servius Tullius dans le récit d’Appien laisse seulement deviner? Beaucoup d’hypothèses séduisantes ont été avancées, mais elles restent de l’ordre de l’incertain69. Concernant sa réforme du Sénat, cette aporie est particulièrement criante, et continue de rendre aléatoires les reconstructions modernes. Pourtant, nous disposons d’un indice précieux, et généralement négligé70, du rôle qu’il entendait lui assigner: le fait que lui-même, pendant sa dictature, a fait valider par les sénateurs des décisions qu’il avait prises pendant sa campagne en Orient contre Mithridate. C’est ainsi que les privilèges accordés à la cité de Stratonikè de Carie, au collège des technites dionysiaques d’Ionie et d’Hellespont, ainsi que les dons de terres qu’il avait faits au sanctuaire attique d’Amphiaraos, ont été confirmés par des sénatusconsultes votés à la suite de délibérations qu’il avait présidées comme dictateur ou consul71. Ces informations sont d’autant plus précieuses qu’elles ne nous sont pas parvenues par le biais de la tradition littéraire, mais par des sénatus-consultes épigraphiques. Elles sont de nature à confirmer la

67 Cic. Phil. 12, 27. GABBA 1967, p. 224, commentant le passage d’Appien qui rapporte l’entrevue (BC 1, 85) insiste sur la correspondance entre ces points et les mesures prises par Sulla en 88 (BC 59, 266). 68 Encore que sur ce point la discussion ne soit pas close: cf. BARONI 2007. 69 Voir dans ce volume les articles de JEAN-MICHEL DAVID et de MICHEL HUMM. Ces questions ont donné lieu depuis longtemps à une riche littérature secondaire, qui s’est efforcée d’identifier à partir d’éléments épars, repérés en particulier chez Denys d’Halicarnasse, certains des modèles dont Sylla s’est vraisemblablement revendiqué pour légitimer ses réformes, Romulus, Camille, Coriolan notamment. 70 Il a été rappelé par VERVAET 2004, pp. 49-51, reprenant des observations de HURLET 1993, pp. 149157. 71 C’est explicitement indiqué dans l’inscription de Lagina concernant Stratonikè (RDGE 18, ll. 1820), et sousentendu dans celle de Cos concernant les technites dionysiaques (RDGE 49, A , ll. 4-17) et dans celle d’Oropos concernant le sanctuaire d’Amphiaraos (RDGE 23, ll. 52-59).

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manière dont Sylla concevait la fonction du Sénat, et dans un domaine où sa direction politique avait été essentielle depuis la deuxième guerre punique, celui de la gestion de l’empire. MARIANNE COUDRY BIBLIOGRAPHIE BARONI 2007

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LA RÉFORME SYLLANIENNE DU SÉNAT: UNE RÉÉVALUATION?

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La politique romaine était affaire de figures. Qu’entendons-nous par là? Le fait qu’un homme politique romain faisait généralement référence par ses paroles, ses gestes, ses actes et son comportement, à de grands personnages du passé dont l’imitation et l’identification qu’il réussissait éventuellement à produire dans l’esprit des citoyens, fondaient ou confortaient la légitimité de son action. Sylla n’échappait pas à la règle. Et ce d’autant plus qu’il était sinon responsable ou à tout le moins acteur de la guerre civile qui l’opposait à Marius et qu’il avait véritablement besoin de justifier sa conduite pour mobiliser ses partisans. Parmi les grands modèles dont il est probable qu’il rappela à son profit la définition historique et les valeurs, il en est un sur lequel je voudrais insister: celui de nomothète1. Cette figure était un classique de la représentation antique de la supériorité et de l’autorité politique. Elle définissait le législateur qui résolvait une situation de conflit interne et pacifiait une cité en lui donnant les lois qui rétablissaient l’équilibre entre les partis. Sylla était amené à mobiliser pour son propre compte les exemples passés de ce modèle reconnu et célébré de comportement civique, particulièrement quand il s’apprêta à revenir en Italie après sa victoire sur Mithridate, puis au cours de sa reconquête de la péninsule et enfin au moment de l’exercice de cette dictature que l’Histoire a retenue sous ce titre de legibus scribundis et rei publicae constituendae qui correspondait à la définition d’un nomothète. Les modèles concrets étaient multiples et leurs poids, inégaux. Ils n’occupaient pas la même place dans l’horizon des références des citoyens romains. Mais je voudrais m’arrêter sur deux personnages qui correspondaient à cette définition, dont Sylla a été rapproché et dont il a peut-être utilisé l’image à son profit. Le premier est Solon, sans doute le législateur par excellence. Sa place dans la galerie des précédents qui ont pu légitimer l’action du dictateur

1

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texte.

Voir d’une façon générale, LIOU-GILLE 2000 et plus précisément sur celle du nomothète grec, HÖLKES1999. Je remercie ici Marianne Coudry de ses remarques judicieuses qui m’ont permis d’améliorer ce

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a échappé aux auteurs qui se sont occupé du sujet2. Certes les indications qui permettent de le repérer sont peu nombreuses et plutôt indirectes, mais elles sont suffisamment présentes pour qu’à mon sens, on puisse penser que l’image de ce grand sage a été utilisée au profit de Sylla. Le second est Romulus. Les efforts d’identification entre le fondateur et le refondateur de Rome ont déjà fait l’objet d’analyses pertinentes3 et je ne reviendrai que sur certains points. Par ailleurs, la place qu’a occupée chacune de ces deux figures dans la construction de la personnalité publique de Sylla, est évidemment très différente l’une de l’autre. Cela apparaît notamment dans les conditions de leur mise en place qui relèvent de contextes différents mais dont l’examen permet d’apprécier la façon dont ces modèles étaient construits. Cela apparaît aussi dans les effets qu’elles produisaient. Certes ces représentations relevaient fondamentalement de la culture et de la sémantique politiques mais elles créaient aussi des situations institutionnelles qu’il faut apprécier comme telles. On cherche trop souvent à rendre compte des modes romains d’exercice du pouvoir en termes de règles juridiques et à justifier de ce point de vue les incohérences apparentes. Or les comportements politiques répondaient aussi à des normes relevant du mos et des exempla du passé; c’etait le cas de la figure de Romulus qui inspira certaines initiatives que Sylla prit en sa qualité de législateur. C’est la question de la titulature de Sylla qui conduit à suggérer un rapprochement avec la figure de Solon. Comme on le sait, les sources définissaient de deux façons différentes les objectifs assignés à la dictature qu’il revêtit. La formule la plus détaillée était celle que citait Appien: δικτάτωρ ἐπὶ θέσει νόμων, ὧν αὐτὸς ἐφ᾿ ἑαυτοῦ δοκιμάσειε, καὶ καταστάσει τῆς πολιτείας4. On pense qu’elle traduisait le titre de dictator legibus scribundis et rei publicae constituendae et c’est elle que l’on retient généralement pour la définition officielle5. Mais il ne faut pas oublier que celle qui était inscrite dans les

2 A l’exception de Flower 2010, pp. 133-134, qui minimise cependant les conséquences de ce rapprochement qu’elle propose avec raison. 3 V. en part. POUCET 1984, pp. 1-11; VON UNGERN-STERNBERG [1993] 2006, pp. 30-50; GABBA 1960; ID. 1996, pp. 143-145; VER EECKE 2008, pp. 123-191. 4 App. BC, 1, 99, 462. Cf. les autres sources plus imprécises, Cic. Att. 9, 15, 2; Liv. perioch. 89, 3-4; Vell. 2, 28, 2-3; Plu. Sull., 33, 1. 5 NICOLET 1964, pp. 213-215; HINARD 1985, pp. 225-226; HURLET 1993, p. 95; KEAVENEY2 2005, p. 136. Sur la procédure de nomination de Sylla comme dictateur et les questions de conformité juridique qui ont retenu les auteurs modernes, v. surtout VALGIGLIO 1956, pp. 63-76; BELLEN 1975; HURLET 1993, pp. 30-50; SORDI 1993a; KUNKEL-WITTMANN 1995, pp. 702-711; VERVAET 2004; VER EECKE 2008; HINARD 2008, pp. 43-60.

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fastes était dictator rei publicae constituendae6. On ne tranchera pas ici le point de savoir quel était le titre qu’avait reçu effectivement sa dictature. Mais peut-être cet écart témoigne-t-il d’un débat dont Appien se serait fait l’écho et dans lequel la figure de Solon aurait pu servir de référence. La formule en effet qu’Aristote employait dans sa constitution d’Athènes pour définir l’action de Solon était exactement celle-ci: Πολιτείαν δὲ κατέστησε καὶ νόμους ἔθηκεν ἄλλους7. Le rapprochement est frappant. Il l’est d’autant plus qu’on ne peut relever dans toute la littérature grecque que fort peu de cas d’emplois associés des lexèmes qui constituaient ces deux membres de phrase8. L’expression n’était sans doute pas banale et même si elle a probablement été employée dans des textes que nous n’avons pas conservés à propos de quelques autres fondateurs ou législateurs, il convient de considérer ce parallèlisme avec sérieux. D’autant plus qu’Aristote dans un autre passage de la Politique, introduisait un commentaire à propos de cette association des deux fonctions. Il soulignait la différence qu’il pouvait y avoir entre les nomothètes qui se contentaient de composer des lois pour les cités et ceux qui, comme Lycurgue et Solon, les établissaient aussi c’est à dire leur donnaient une constitution: ἔνιοι δὲ νομοθέται γεγόνασιν, οἱ μὲν ταῖς οἰκείαις πόλεσιν οἱ δὲ καὶ τῶν ὀθνείων τισί, πολιτευθέντες αὐτοί· καὶ τούτων οἱ μὲν νόμων ἐγένοντο δημιουργοὶ μόνον, οἱ δὲ καὶ πολιτείας, οἷον καὶ Λυκοῦργος καὶ Σόλων· οὗτοι γὰρ καὶ νόμους καὶ πολιτείας κατέστησαν9. Sans doute cela signifiait-il que les seconds, à la différence des premiers restructuraient la cité selon un modèle cohérent. Il y avait donc deux catégories de législateurs, ceux qui intervenaient ponctuellement et les constituants qui refondaient et rétablissaient la paix civile et l’équilibre d’une cité. Et de fait, les autres emplois de cette double formule10 confirment qu’elle définissait une position véritablement supérieure qui qualifiait le nomothète comme fondateur11. En l’appliquant à Sylla, on l’inscrivait dans cette deuxième catégorie.

6 Inscr. Ital., 13, 1, ad loc. BARONI 2007 distingue entre définition de la magistrature, ici simplement dictator, et son «étiquette» qui aurait renvoyé à l’occasion qui la justifiait et aurait donc été objet de discussions. En tout état de cause cependant, l’indication avait valeur programmatique. 7 Ath. 7, 1. 8 En usant du moteur de recherche de Perseus, j’ai pu identifier les références suivantes: Isoc. Pan., 4, 39: Athènes; DH, 5, 45: les Sabins susceptibles d’imposer leur domination à Rome après une victoire; Paus. 8, 30: Polybe sur l’avis des Romains pour la confédération achéenne; Plut. Per. 3: Clisthène après le meurtre des tyrans; Aristid. Or. 45, 17: Sarapis. 9 Arist. Pol., 2, 12, 1 (1273 b). 10 V. n. 8 11 HÖLKESKAMP 1999, pp. 42-44; LEWIS 2007, pp. 46-47.

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Cette indication prenait place après la description de la constitution de Carthage et précédait un rappel de l’action de Solon. Or, on considère souvent que ce passage aurait été interpolé et même qu’il ne serait pas l’oeuvre d’Aristote12. Il n’est guère possible d’identifier les auteurs, ni même l’époque de cette modification du texte. Mais elle est le signe que le sujet était discuté, que la constitution solonienne était une référence vivante dans la philosophie politique antique et que cette qualité de constituant qui était attribuée à Solon, dépassant celle de simple législateur, apportait à celui qui en était gratifié une réelle supériorité. Dans quelle mesure alors, cette image qu’Aristote (ou ses successeurs) donnait de Solon pouvait-elle avoir eu quelque influence sur celle que Sylla pouvait chercher à se donner ou qui lui était attribuée? Les indications concrètes manquent pour pouvoir répondre à cette question. Mais on ne peut nier que lors du séjour qu’il fit à Athènes après sa victoire sur Mithridate et au moment où il préparait son débarquement en Italie, Sylla n’ait manifesté un intérêt certain pour Aristote puisqu’il s’empara de sa bibliothèque. L’épisode est connu13. C’était le seul acte que Plutarque retenait de cette période de la guerre civile. Il avait marqué les esprits. Peut-on imaginer que Sylla n’ait cherché qu’à mettre la main sur les ouvrages sans au moins prendre connaissance de leur contenu? Il est vrai qu’à ce moment l’activité philosophique était très réduite à Athènes. L’école péripatéticienne en particulier dont certains membres avaient adhéré à la cause de Mithridate n’y comptait plus de représentant actif14. Mais l’influence d’Aristote en particulier, de son œuvre en matière de science politique, dépassait celle de la secte des gardiens de sa doctrine. Surtout, les Romains qui séjournaient à Athènes avaient suffisamment de goût et de compétence philosophique pour s’intéresser à sa pensée et à son oeuvre. Une indication que fournissait Cornelius Nepos dans sa biographie de Pomponius Atticus en témoigne. Le jeune homme qui, à ce moment là, avait rencontré Sylla à Athènes, avait séduit le général vainqueur par son humanitas et sa doctrina15. Ce dernier terme avait un sens précis. Il faisait

V. NEWMAN 1887, pp. 372-377; PEZZOLI-CURTIS 2012, pp. 382-384. Str. 13, 1, 54; Plu. Sull., 26, 1; v. MORAUX 1973, pp. 33-44; BARNES 1997, pp. 2-3; 16-17; TUTRONE 2013, pp. 160-164. 14 FERRARY 1988, pp. 465-469; 473-475. 15 Nep. Att., 4: Huc ex Asia Sulla decedens cum venisset, quamdiu ibi fuit secum habuit Pomponium, captus adulescentis humanitate et doctrina. (...) Quibus rebus factum est ut Sulla nusquam ab se dimitteret cuperetque secum deducere (sur cette rencontre avec Sylla, v. R. FEGER, T. POMPONIUS ATTICUS, RE, Sup. 8, 1956, col. 506). Au même moment, Cicéron s’entraînait à Rome (Br. 309-312). 12 13

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allusion à ses compétences intellectuelles et sans doute parmi elles à sa connaissance de la philosophie et de la science politique. La séduction avait aussi pour contrepartie que Sylla avait cherché à enrôler Atticus dans sa campagne contre les Marianistes. Celui-ci avait refusé pour ne pas participer à la guerre civile. Il est ainsi vraisemblable que dans ce contexte de préparation de l’expédition à venir, de constitution des alliances, de mobilisation des partisans et des ralliés, le débat politique entre aristocrates romains résidant à Athènes ait porté sur la légitimité de l’action que Sylla allait entreprendre. Privé et non public, fait de conversations de banquet, de dialogues savants16 ou de déclamations17, – ces types d’échanges précisément où la doctrina trouvait à s’exprimer – il conduisait à évoquer le rôle de nomothète que le général vainqueur allait jouer à Rome en refondant une cité en crise et sans doute aussi de mobiliser au passage la figure de Solon. Les débats sur la définition des pouvoirs que Sylla allait prendre ne se sont certes pas limités à ces discussions privées. D’autres les ont poursuivies, publics et privés, en Grèce, en Italie et à Rome au moment de son arrivée. Un fragment de Cornelius Sisenna qui était contemporain des événements faisait état de plusieurs contiones qui avaient permis de mobiliser les esprits en faveur de la dictature18. Des précédents y étaient nécessairement évoqués. Parmi eux, ceux certainement des dictateurs de 498 (ou 501), ou de 482, ou encore des évocations de situations qui justifiaient que l’on eût recours à eux19. On retrouve en effet dans la description que les historiens postérieurs firent d’eux, particulièrement Denys d’Halicarnasse, des projets politiques qui s’inscrivaient dans l’Histoire comme autant d’anticipations du pouvoir de Sylla. Bien entendu, il s’agissait de projections rétrospectives et c’était à partir de la définition de la magistrature syllanienne que les leurs étaient construites et non l’inverse. Mais ils témoignent de l’im-

16 Cicéron bien que par une mise en scène fictive, fournissait un témoignage. Il construisait son cinquième livre du de finibus dans un débat qui était supposé s’être déroulé à Athènes en 79 et qui réunissait de jeunes Romains qui y séjournaient alors, Pupius Piso Calpurnianus, Atticus, son frère Quintus, son cousin Lucius et lui-même. Le thème que l’orateur vieillissant faisait évoquer à la jeune troupe savante de ses années de formation était le souverain bien. Mais c’était par une discussion qui s’appuyait sur Aristote et les péripatéticiens que la réflexion se construisait, v. Cic., Fin., 5, en part. 7, sur l’importance du rôle de ces philosophes pour la formation des dirigeants de la cité: ab his oratores, ab his imperatores ac rerum publicarum principes exstiterunt. 17 Sur les déclamations comme lieu de débat politique, v. DAVID 2017 en part. pp. 147-148. 18 CORNELIUS SISENNA, fgt. 132 P. = 134 W.; Ch.; 135 Corn.: Multi populi, plurimae contionis dictaturam omnibus animis et studiis suffragaverunt. V. BARONI 2007, p. 785. 19 V. en part. DH. 5, 61-77; 7, 56; 8, 90; GABBA 1996, pp. 122-130; HINARD 2008, pp. 51-52.

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portance du débat politique et de sa vitalité. Les références aux précédents déterminaient la légitimité de l’action présente, mais celle-ci déterminait la recomposition du passé. Un ensemble de précédents se constituait ainsi qui visait à installer la légitimité de l’action qu’entreprenait Sylla. Pourquoi Solon, dans ces conditions? Il faut se souvenir que dans une tradition bien établie dont Tite-Live se faisait l’écho, la législation des douze tables dont les decemvirs legibus scribundis étaient les auteurs avait été préparée par une ambassade à Athènes qui avait consulté ses lois20. Il s’agissait certes d’une légende et son origine reste inconnue. Par ailleurs, il est hautement probable que le précédent de ces decemvirs était revendiqué par Sylla21. Cette succession de références de Solon aux decemvirs et des decemvirs à Sylla avait donc aussi sans doute joué un rôle dans la définition du pouvoir du dictateur. Elle témoignait en tout cas du fait que la figure de Solon était porteuse de légitimité pour la définition d’un nomothète romain et elle contribue à rendre crédible le fait qu’elle ait pu être employée dans les débats qui précédèrent la collation de la dictature à Sylla. Une allusion de Cicéron enfin, pratiquement contemporaine, confirme le fait que la personne de Solon s’imposait dans l’opinion publique romaine comme une figure déterminante du nomothète. Dans le discours qu’il prononçait en 80 pour défendre Sex. Roscius d’Amerie de l’accusation de parricide que des Syllaniens portaient contre cet individu pour entériner la spoliation dont il était victime, l’orateur se permettait une digression22 qui visait à établir que le parricide était un crime d’une telle atrocité que les attitudes des juges et des législateurs à son égard étaient tout à fait particulières. Il précisait qu’ainsi Solon n’avait pas jugé bon de l’introduire dans sa législation car il lui paraissait être d’une telle gravité qu’il semblait ne jamais devoir être commis. L’argument était inutile car la plaidoirie de Cicéron consistait à démontrer l’innocence de Roscius, pas le caractère insupportable du crime dont il était accusé. On peut donc s’interroger sur sa pertinence. Peut-être y avait-il de la part de Cicéron quelque malice à solliciter la figure du nomothète pour l’opposer à l’accusation qui était portée par des Syllaniens. L’allusion cependant reste incertaine. 20 Liv. 3, 31, 8: missi legati Athenas (...); iussique inclitas leges Solonis describere et aliarum Graeciae civitatium instituta, mores iuraque noscere; 33, 5 ; DH 10, 57, 5 ; Flor. epit. 1, 17, 24; Pompon. dig. 1, 2, 2, 4 ; D. C. 5 = Zonar., 7, 18; Vir. ill. 21 : eas (leges) ex libris Solonis translatas duodecim tabulis posuerunt. Sur ce point v. DUCOS 1978, en part. pp. 13-23; SIEWERT 1978. 21 BELLEN 1975. 22 Sur les critiques de Cicéron à l’égard de Sylla, v. BUCHHEIT 1975.

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Que peut-on retenir de ces rapprochements? Sans doute pas que le personnage de Solon ait inspiré Sylla pour la définition de son pouvoir et la mise en œuvre de son action. Rien ne permet d’aller jusque là. Mais il est probable que dans le contexte des débats qui ont précédé en Grèce son débarquement en Italie, ce nomothète reconnu ait constitué un précédent, une référence d’autant plus valorisante qu’il apparaissait sous cette double définition de législateur et de constituant dans les traités de science politique d’Aristote dont s’emparaient alors ces aristocrates romains syllaniens qui y trouvaient une justification23. Peut-être alors une trace de cette référence aristotélicienne à Solon, se serait-elle maintenue dans la double définition de Sylla, dictator legibus scribundis et rei publicae constituendae et n’aurait pas été reprise dans la formule synthétique inscrite dans les fastes. Indépendamment de la définition du nomothète que portait la philosophie politique grecque, les deux formules leges scribere et rem publicam constituere avaient, au moment de la prise de pouvoir de Sylla, un sens précis dans le contexte romain. La première – on vient de le rappeler – définissait le pouvoir qu’avaient reçu les decemvirs et qui leur avait permis d’établir le code des douze tables. Mais c’est surtout dans le contexte de la colonisation et de la municipalisation que ces deux formules prenaient leur sens24. ll faut en effet rapprocher la première de l’inscription en l’honneur de Titus Annius Luscus, le triumvir qui participa en 169 à l’installation d’un contingent de colons supplémentaires à Aquilée et en fait donna à la cité la nouvelle constitution que cet apport avait rendu nécessaire: Is hance aedem faciundam dedit dedicavitque, legesque composuit deditque, senatum ter cooptavit 25. On retrouve cette expression leges dare dans des passages du traité d’arpentage d’Hygin où celui-ci évoquait les mesures que prenaient les fondateurs des colonies au moment de l’établissement des cadastres. Toujours dans le cas des colonies, le rédacteur de la loi agraire de 111 employait le terme de constituere coloniam ou constituere oppidum pour désigner l’acte de fondation26.

23 GABBA 1960 a bien identifié dans la constitution romaine attribuée par Denys d’Halicarnasse à Romulus, un modèle syllanien qu’il réintroduit aussi dans le contexte d’une réflexion sur les constitutions s’appuyant sur les œuvres de Théophraste (pp. 194-195); contra cependant SORDI 1993b. 24 Je me permets de renvoyer sur ce point à DAVID 2006. MALGRÉ BARONI 2007, ces parallèles épigraphiques conduisent à attribuer à Sylla les tâches de scribere ou dare leges, plutôt que ferre. 25 AE, 1996, 685. Sur cette inscription v. ZACCARIA 2014. 26 CRAWFORD 1996, 1, n° 2, pp. 113-180, l. 22: id oppidum coloniamve ex lege plebeive sc(ito) constituit deduxitve conlocavitve (...).

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Ces deux expressions qui définissaient le pouvoir de Sylla étaient tout autant employées pour définir le processus de municipalisation qui consistait à transformer des cités italiennes alliées en cités romaines. La loi Iulia agraria faisait allusion à côté des colonies qui étaient déduites, aux autres cités et particulièrement aux municipes qui recevaient une constitution: quae colonia hac lege deducta quodve municipium praefectura forum conciliabulum constitutum erit (…)27. César rappelait au moment de la prise de Cingulum que ce municipe avait reçu sa constitution de Labienus (quod Labienus constituerat)28. La formule leges dare apparaissait aussi à propos des municipes dans la table d’Héraclée29 et surtout Plutarque indiquait que Sylla lui-même avait écrit les lois de Pouzzoles pour y calmer des conflits internes30. Leges scribere ou dare, rem publicam ou oppidum ou municipium constituere étaient donc en latin, au début du premier siècle avant notre ère, des formules normalement employées31 pour définir l’action des fondateurs ou refondateurs des colonies et des municipes. Il y a donc tout lieu de penser que lorsque Sylla faisait définir les objectifs de sa dictature en ces termes, c’était cette position de fondateur ou de refondateur de Rome qu’il entendait occuper. Or localement quelle était-elle? Ces individus qui créaient des cités romaines nouvelles, qu’elles aient été le produit d’une fondation ex nihilo ou de la concession d’une nouvelle constitution, occupaient une place particulière. Ils exerçaient deux fonctions à la fois, l’une comme détenteurs d’un pouvoir romain, et l’autre comme premiers magistrats de la cité dont ils avaient la responsabilité. La première position correspondait à la tâche que leur avait confiée la loi votée par le Peuple qui décidait d’une fondation – c’était le cas des IIIviri coloniae deducendae – ou la délégation qu’ils avaient reçue d’un personnage plus important qu’eux et qui avait la responsabilité d’une opération de colonisation d’envergure comme ce fut le cas de Sylla, de Pompée et de César. La seconde faisait d’eux les premiers magistrats de la cité et leur donnait localement le pouvoir d’organiser la cité, précisément de leges scribere et dare et de rem publicam constituere, c’est à dire concrètement

CRAWFORD 1996, 2, n°54, pp. 763-767, k. l. 3; cf. 5. Caes. civ., 1, 15. 29 CRAWFORD 1996, 1, n° 24, pp. 355-391, l. 159. 30 Plu. Sull., 37, 4. 31 Malgré tout, les emplois du terme constituere appliqué à une cité sont rares avant Cicéron. Outre la loi agraire de 111, on le rencontre dans la citation que fait Cicéron de Caton rep., 2, 2; cf. Cornell, Fgts. Rom. Hist., Cato, fgt. 131. 27 28

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d’organiser l’espace en prenant les premiers auspices et en traçant le pomerium par le sulcus primigenius, de réserver la place des dieux en procédant à la dédicace des temples et en fixant le calendrier, d’édicter les lois et de nommer les premiers prêtres, les premiers magistrats et les premiers sénateurs. Une fois que la cité avait été fondée, ils en devenaient ainsi les premiers dirigeants et géraient les magistratures qu’ils avaient instaurées32. Elle se dédoublait ainsi à son tour dans la définition du législateur d’une part, et dans celle de premier magistrat d’autre part. Or, c’était ce pouvoir de fondateur-refondateur que Sylla envisageait d’exercer à Rome en reprenant pour lui-même la figure de Romulus. Cette référence au premier roi de Rome a déjà été bien identifiée et il n’est pas nécessaire d’y revenir. Mais, elle avait des effets institutionnels. Elle donnait à celui qui s’en parait une position tout à fait particulière. La même en quelque sorte que les fondateurs de cités et les constituants de municipes occupaient dans les petites cités d’Italie dont ils avaient la responsabilité: à la fois celle du créateur souverain qui, comme Romulus, mettait en place les institutions et nommait les premiers magistrats, et celle du premier responsable qui gouvernait la cité en se conformant aux règles constitutionnelles qu’il avait instituées. Dans ce même discours qu’il prononça en faveur de Roscius d’Amérie, Cicéron faisait allusion à cette dualité du pouvoir de Sylla. Il y distinguait en effet les deux sources législatives qui étaient à l’origine de son action: soit la loi Valeria, soit la loi Cornelia33. Et cette présentation était éclairée par le commentaire d’un scholiaste qui venait confirmer cette dualité de capacité juridique: si quid ergo ad populum tulisset Sulla, valebat lege Cornelia; si quid voluisset facere et non tulisset ad populum hoc valebat lege Valeria34. Les leges Corneliae étaient ainsi celles que comme magistrat romain, il faisait voter par le peuple, la lex Valeria était celle qui l’avait fait nommer dictateur rei publicae constituendae, et donc qui lui donnait ce pouvoir constituant par lequel il établissait de sa propre autorité des lois ou nommait des magistrats35. C’était précisément ce que disait Cicéron en un autre passage

Sur tous ces points, je me permets de renvoyer à DAVID 2006. Cic. S. Rosc. 125: qui potuerunt ista ipsa lege quae de proscriptione est, sive Valeria est sive Cornelia (...); v. aussi Cic. leg. agr., 3, 6: Nam Valeria lege Corneliisque legibus eripitur cui datur, (...).V. MOMMSEN, 1894 [18873], 4, pp 451-453 (= Staatsrecht, 2, pp. 725-727) qui reste fondamentalement juste malgré les réserves juridiques de Bringmann 1988. 34 Schol. Gron. p. 314 St. 35 Ce qui d’une certaine façon aboutissait à lui donner les pleins pouvoirs. Sur les interrogations qui ne manquent pas de surgir dès que la question du pouvoir de Sylla est posée en termes juridiques, v. VER32 33

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de ce même discours: dum necesse erat resque ipsa cogebat unus omnia poterat; qui postea quam magistratus creavit legesque constituit 36. On aimerait évidemment pouvoir identifier parmi les mesures syllaniennes celles qui relevaient de son pouvoir souverain de dictateur reipublicae constituendae et celles que, comme consul mais aussi comme dictateur37, il fit voter par le Peuple. L’impression domine que les mesures énoncées par Appien pour la période antérieure au consulat de 8038, suivaient une séquence comparable à celle d’une fondation ou d’une municipalisation ou encore à la fondation de Rome par Romulus: établissement du pouvoir du fondateur, choix des magistrats (mais dans ce cas laissé au Peuple), législation en la matière, nomination du Sénat, recomposition du Peuple, colonisation de l’Italie. Appien qui était très bien renseigné a pu emprunter ces informations à l’autobiographie que rédigea Sylla. Le dictateur aurait-il suivi ce plan pour présenter son action et renforcer ainsi l’identification avec l’image du fondateur? Il est probable en tout cas que le choix qu’il faisait de l’une ou l’autre procédure lui permettait de définir sa position comme l’expression de l’une ou de l’autre légitimité. Les informations manquent pour entrer dans le détail. Mais on peut relever que les lois judiciaires étaient des leges Corneliae. Il est probable en revanche que les nominations qu’il fit de sénateurs alors qu’il n’était évidemment pas censeur, relevaient de son pouvoir de fondateur. Les inscriptions en l’honneur d’Annius Luscus à Aquilée et du fondateur anonyme de Brindisi39 leur attribuaient en effet cette responsabilité40. Alla-t-il jusqu’à nommer des magistrats? Rien ne l’indique. Appien laisse entendre qu’il aurait pu le faire41. Le contrôle qu’il exerçait toutefois 2004, en part. pp. 38-51. Sur cette puissance qu’il acquérait ainsi, v. HURLET 1993, pp. 35-36. Sur les réformes qu’il intoduisit et pour un bilan d’ensemble voir LANZANI 1936; LAFFI 1967; HINARD 1985; KEAVENEY2 2005 et surtout HANTOS 1988. 36 Cic. S. Rosc., 139. 37 V. App. BC,1, 100, en part. 465; 103, 478-479; cf. Cic. dom. 79; HURLET 1993, pp. 102-105; VER EECKE 2008, pp. 50-51; contra KUNKEL-WITTMANN 1995, pp. 703-704. 38 App. BC, 1, 100 (v. DH 2, 3-29; Liv. 1, 8; Plu. Rom. 13; 20-22; GARGOLA 1995, pp. 72-98). Je laisse de côté la question de la date de l’abdication de Sylla. À mon sens la dualité des pouvoirs de Sylla (sur ce point, v. Mommsen, 1894 [18873], 2, pp. 165-168 = Staatsrecht, 1, pp. 514-516; HURLET 1993, pp. 143-149) rend imaginable le fait qu’il les ait exercés conjointement et donc que l’on accepte l’information donnée par Appien (103, 478). Sur ce point, v. en part. HINARD 2008; GABBA, Comm. App. BC, 1, ad § 480, p 282; HURLET 1993, p. 168. 39 GABBA 1958. 40 Qui au demeurant était tout à fait compatible avec la dictature, v. le cas de Fabius Buteo en 216 (Liv. 23, 23). 41 BC, 1, 100, 465.; la nomination des consuls de 79 telle qu’elle était décrite par Appien (ibid. 480) relevait certainement de la commendatio; v. GABBA, Comm. App. BC, 1, ad § 465, p. 272. VAET

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sur les comices devait lui épargner cette responsabilité qui sinon serait sans doute apparue comme tyrannique42. Mais on comprend mieux par cette capacité qu’il avait, le cynisme dont il fit preuve au moment de l’assassinat sur son ordre de Lucretius Ofella qui prétendait être candidat malgré son opposition43. Enfin, certaines manifestations symboliques de son pouvoir s’expliquent par cette position romuléenne. C’est le cas de l’élargissement du pomerium qui lui donna l’occasion de procéder au rituel de fondation44. C’est peut-être aussi le cas de l’exercice du droit d’auspices que la figuration d’une jarre et d’un lituus sur un denier de 84 semble lui attribuer. Ces pièces furent sans doute frappées en vue de la reconquête de l’Italie, à un moment où il est difficile de lui attribuer une fonction ou une prêtrise qui justifierait ce pouvoir45. L’annonce de l’exercice à venir de son rôle romuléen pourrait peut-être apporter une explication. Ces figures auxquelles Sylla s’est en partie identifié et dont il a utilisé les références valorisantes, ne permettent évidemment pas de rendre compte ni de son pouvoir ni de son action. Pour plusieurs raisons. D’abord parce qu’elles ne sont pas exclusives d’autres qui ont certainement joué un rôle important. Il faut songer à Thésée en Grèce dont les Theseia servirent peut-être de modèle à la fondation des jeux syllaniens46. Il faut aussi et surtout songer à Servius Tullius, un autre nomothète romain47. Sylla, comme les autres hommes politiques romains, mobilisait à son profit les exemples du passé auxquels il empruntait les traits civiques et moraux qui lui permettaient de justifier son action. Ces références restaient malléables et permettaient ainsi la construction d’une sémantique politique ouverte et adaptable aux circonstances. Les deux cas que nous avons donc relevés, de Solon et de Romulus, prirent leur sens à des moments et dans des contextes différents. Même s’ils étaient issus d’un ensemble largement unifié de références morales et politiques grecques et romaines, ils s’adressaient à des publics différents et eurent aussi un impact inégal. La figure de Solon ne semble pas avoir été autre chose qu’une référence qui prenait sens dans le débat qui agitait sans

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App. ibid. Sur l’image tyrannique de Sylla, v. HINARD 1988. V. aussi VER EECKE 2008, pp. 47-48. HURLET 1993, pp. 120; 129-130. ASSENMAKER 2013. V. SANTANGELO 2007, pp 216-217; 220-222. V. en part. App. BC, 1, 59, 266.

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doute les milieux aristocratiques. Celle de Romulus en revanche justifiait l’exercice de pouvoirs concrets en apportant la garantie d’une conformité aux actes fondateurs qui avaient permis l’existence de la ville de Rome. Dans ce dernier cas, la légitimité qu’elle offrait en revenant à un mos radical et fondateur, justifiait l’exercice de pouvoirs souverains, antérieurs et supérieurs, aux magistratures régulières. Sylla en quelque sorte rétablissait Rome dans son essence primitive. D’autres eurent après lui la même prétention. Lui, cependant fut le premier, dans le contexte de crise de la fin de la République, à offrir à sa cité l’ambition d’un retour aux origines. JEAN-MICHEL DAVID BIBLIOGRAPHIE ASSENMAKER 2013 BARNES 1997 BARONI 2007 BELLEN 1975 BRINGMANN 1988

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SULLA’S REFORM OF THE LEGISLATIVE PROCESS

It is only very appropriate that I should finally contribute to a publication dedicated expressly to The Age of Sulla as I for a long time, for methodological reasons, have been in the habit of juxtaposing pre-Sullan and post-Sullan conditions. Here, taking a new look at Sulla’s constitutional reforms, I will be concerned with the transition between the political system of the Classical Republic and that of the last decades of the Republic. Focusing on his legislation on the tribunicia potestas and on the use of the legislative assemblies, I will revisit problems that I have considered at some length in my monograph on legislative practices in republican Rome1. I have also touched upon these problems in several other studies whenever I have been dealing with the formal interaction, in legislative contexts, between the magistrates and the popular assemblies2. In the present paper I will not add much in terms of new empirical observations, and I will largely be referring to my earlier studies, but by contextualizing the problems in question in an entirely new way and, in particular, by engaging with several recent contributions to an ongoing discussion in which some of my ideas have featured prominently, I hope that I will provide useful suggestions for further research. Edward Bispham, in his contribution to this volume, acutely points out how unique the overall political situation was that had arisen in 88 BCE, in the aftermath of the Social War. A Roman consul was besieging the Campanian city of Nola, which had fallen to the Samnites in the war, and therefore – quite exceptionally – had the command of a large military force only a short distance from Rome3. As the consul in question encountered fierce political opposition at home, losing (characteristically, by tribuni-

* I gratefully thank professor Jyri Vaahtera (University of Turku) for providing useful critical comments and suggestions on an early draft of this paper. 1 SANDBERG 2001. For reviews of this work, see TUORI 2001; HOWARTH 2002; CHRIST 2003; DE LIBERO 2003; MAROTTA 2003; BAUMAN 2004; CRAWFORD 2004; LINKE 2004; DENIAUX 2005; TORRENS 2005; DE BRUYN 2006. 2 SANDBERG 1993; ID. 2000; ID. 2004; ID. 2005. 3 This volume, pp. 1-43.

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cian intervention) his command in the upcoming Mithridatic War to his worst political foe, he had entirely new means not only to deal with the immediate situation, but also to address more underlying issues. Sulla, who perceived the radicalized tribunate as the root of the evils that had beset Rome since the days of the Gracchi, had the unprecedented opportunity to elevate himself above the rules that normally applied in politics and change these very rules – that is, the forms and structures of political life. In an unparalleled series of moves, having persuaded his fellow consul Q. Pompeius Rufus as well as his soldiers to do the unthinkable and march on Rome, Sulla took the city by force4. For the first time in Roman history, the political authority embodied in the institutions of the res publica had to acquiesce to the power of arms. Sulla entered Rome, as Appian puts it, «in appearance and in fact an enemy»5, and immediately set out to do what no magistrate ever had done – dictate constitutional changes sword in hand6. Aiming at strengthening the role of the Senate in the state machinery, the leader of the optimates ultimately reshaped the political system of the Roman state and regulated it in a number of novel ways7. The chronology of Sulla’s constitutional provisions is not always fully clear. Some of the changes in question were introduced already during his consulship in 88 BCE, after his military coup d’état, and a second set of measures followed after his second march on Rome in 82 when he, famously in his capacity as dictator legibus scribendis et rei publicae constituendae (that is, having taken on the dictatorship in a form it had never had before)8, enacted the majority of his reforms, in many cases re-enacting such provisions that had been abolished by the popularis regime that had

4 For Sulla’s first consulship and his capture of Rome in 88, see KATZ 1975, pp. 100-125; KEAVENEY 1982, 56-77; LEVICK 1982, pp. 503-508; KEAVENEY 1983b, pp. 53-86; HINARD 1985, pp. 57-77; SEAGER 1994, 165-173. 5 App. civ. 1.58: Σύλλας ἐς τὴν πόλιν ἐχώρει δόξῃ καὶ ἔργῳ πολεμίου. 6 It is, strictly speaking, an anachronism to use the term ‘constitution’ in a Roman context as Rome itself, unlike Roman coloniae and municipia, had no written code regulating the operation of its political system. However, political life in republican Rome was, as Adalberto Giovannini puts it (GIOVANNINI 1990, p. 406), «durch eine Anzahl von unantastbaren Grundsätzen bestimmt, die teils aus der Tradition geerbt, teils in Gesetzen ausdrücklich festgelegt waren. Diese unabänderlichen Grundsätze bildeten in ihrer Gesamtheit ein festes System, das man doch als ‘Verfassung’ in heutigen Sinne des Vortes bezeichnen darf». 7 Important studies and discussions of the Sullan constitution include HANTOS 1988; THOMMEN 2006; FLOWER 2010, 117-134. 8 App. civ. 1.99: δικτάτορα ἐπὶ θέσει νόμων, ὧν αὐτὸς ἐφ᾽ ἑαυτοῦ δοκιμάσειε, καὶ καταστάσει τῆς πολιτείας; Fasti consulares Capitolini (Degrassi, Inscr. It. XIII.1, p. 130): rei publ(icae) constit(uendae) caussa. Important discussions of the nature of Sulla’s dictatorship include HURLET 1993; KUNKEL-WITTMANN 1995, pp. 702-711; INGRISH 2004; VERVAET 2004; BARONI 2007.

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been in power at Rome during his absence in the East; he also passed some laws after he had laid down the dictatorship and entered his second consulship9. Whatever the specific dates of the individual measures, it is fully clear that, after the ascendancy of Sulla, «previous republican rules no longer held»10. Flower goes as far as to term the result of the reforms «Sulla’s New Republic», seeing it as representing «a radical departure from what had come before»11. Sulla’s amendments of the constitution involved several rather drastic provisions to check the potestas of the tribunes of the plebs, in particular their power to legislate independently12. Exactly how the formal powers of the tribunes were altered has been much discussed and will continue to be, because the testimony of the ancient sources is vague and inconclusive. However, it is interesting to note that a law on the modalities of legislation, a measure which Rotondi designated Lex Cornelia Pompeia de comitiis centuriatis13, was the very first one he passed when he first attained a position to amend the political system in any way he saw fit. This reform was directed against the tribunes, who for a long time had been the principal law-makers of the Roman state, but it also effected a major change in the sphere of action of the consuls. I will go on to argue here that it was one of the most radical changes of political practice ever undertaken in the republican period. Curiously, though Flower in her overview of Sulla’s reforms sets out to demonstrate how radical they were14, she does not say a word about Sulla’s first recorded reform – probably because the measure in question was allegedly a restoration of an older practice. Clearly, to change the way the Roman people created their comitial 9 The evidence for Sulla’s legislation in his first consulship, his dictatorship and his second consulship is listed in Broughton, MRR II, pp. 39-40, 74-76, and 79-80. Flower, citing time constraints and the relative weakness of Sulla’s political position in Rome in 88, argues that Sulla passed his legislation after his return from the East and that there really was «a single Sullan reform moment» and «a political revolution» in 81, see FLOWER 2010, p. 120. As we shall see, this view is at odds with the explicit testimony of Appian, whose account of the civil wars is the single most important source for Sulla’s measures; this should always be consulted together with GABBA 1958. 10 STRAUMANN 2016, p. 33. 11 FLOWER 2010, p. 120. 12 A very clear and concise treatise of Sulla’s reform of the tribunate is provided in KUNKEL-WITTMANN 1995, pp. 654-659. 13 Rotondi, LPPR, p. 343. Cf. WILLIAMSON 2005, p. 360. On the designations of Roman laws in classical sources and modern scholarship, see SANDBERG 2001, pp. 64-66. For a full inventory of law titles attested for in classical sources, showing that the vast majority of the conventional designations are modern inventions, see ID., pp. 152-173. 14 FLOWER 2010, p. 121: «Sulla’s reforms will now be sketched out and evaluated, with a special emphasis on their novelty».

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laws was not only a top priority of the leader of the optimates, but the top priority. Indeed, the first thing Sulla did, having taken Rome by force after the first battle ever fought between Roman citizens in full military fashion, was to compel the citizenry to accept a law that changed the procedures of legislation; obviously, the presence of armed forces in the city gave the citizens no real choice in the matter15. At daybreak on the day following their capture of the city, Sulla and his consular colleague made what amounted to nothing less than their first amendment of the republican constitution. However, they were careful not to pose as reformers and claimed that they were re-introducing long neglected practices16. As Catherine Steel observes in her contribution to this volume, Sulla «claimed to offer not innovation, but restoration»17. According to Appian’s account, Sulla and Pompeius justified their military intervention by reference to the overall political situation in the city: At daybreak they summoned the people to an assembly and lamented the condition of the republic, which had been so long given over to demagogues, and said that they had done what they had done as a matter of necessity. They proposed that no question should ever again be brought before the people which had not been previously considered by the Senate, an ancient practice which had been abandoned long ago. Also that the voting should not be by tribes, but by centuries, as King Servius Tullius had ordained. They thought that by these two measures – namely, that no law should be brought before the people unless it had been previously before the Senate, and that the voting should be controlled by the well-to-do and sober-minded rather than by the pauper and reckless classes – there would no longer be any starting-point for civil discord18.

SEAGER 1994, p. 172. Against this view, Flower argues that the reforms that created Sulla’s New Republic were also «presented in Rome as a coherent and new system, with Sulla as its primary author», see FLOWER 2010, p. 120. For Sulla’s propaganda and self-representation, see FRIER 1971, pp. 585-604; LEWIS 1991, pp. 509-519; RAMAGE 1991, pp. 93-121; BEHR 1993; MACKAY 2000, pp. 161-210; THEIN 2002; SCHOLZ 2003, pp. 172-195. Cf. MARASTONI 2009. 17 This volume, pp. 225-238. Cf. SANDBERG 2001, p. 130: «it is certainly reasonable to assume that Sulla did not want to appear as a radical reformer introducing something entirely new. The conservative leader of the optimates would rather emphasize that he restored an older, neglected constitution, thus giving his actions the justification of ancestral practice». 18 App. civ. 1.59: ἅμα δ’ ἡμέρᾳ τὸν δῆμον ἐς ἐκκλησίαν συναγαγόντες ὠδύροντο περὶ τῆς πολιτείας ὡς ἐκ πολλοῦ τοῖς δημοκοποῦσιν ἐκδεδομένης, καὶ αὐτοὶ τάδε πράξαντες ὑπ’ ἀνάγκης. εἰσηγοῦντό τε μηδὲν ἔτι ἀπροβούλευτον ἐς τὸν δῆμον ἐσφέρεσθαι, νενομισμένον μὲν οὕτω καὶ πάλαι, παραλελυμένον δ᾽ ἐκ πολλοῦ, καὶ τὰς χειροτονίας μὴ κατὰ φυλάς, ἀλλὰ κατὰ λόχους, ὡς Τύλλιος βασιλεὺς ἔταξε, γίνεσθαι, νομίσαντες διὰ δυοῖν τοῖνδε οὔτε νόμον οὐδένα πρὸ τῆς βουλῆς ἐς τὸ πλῆθος ἐσφερόμενον οὔτε τὰς 15 16

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Already at this point, Sulla and his colleague also introduced «many other measures for curtailing the power of the tribunes, which had become extremely tyrannical», but, regrettably, Appian gives no details19. Dealing with Sulla’s legislation after his return to Rome in 82, he states that the tribunician power was reduced to such an extent that «it seemed to be destroyed». However, he provides no information whatever as to how ἡ τῶν δημάρχων ἀρχή was reduced, merely reporting that Sulla made the office less attractive for ambitious men of plebeian families as he «curtailed it by a law which provided that one holding the office of tribune should never afterward hold any other office; for which reason all men of reputation or family, who formerly contended for this office, shunned it thereafter»20. The other sources for the reforms of the tribunate do not add much to our knowledge. According to Velleius Paterculus, Sulla left the tribunicia potestas «a mere form without substance»21, whereas the author of the De viris illustribus only reports that he «diminished it»22. Only two authors give more specific information on the nature of Sulla’s reforms of the tribunate. In his De bello civili, Caesar reports that Sulla, though he had stripped the tribunicia potestas of «all things», had nevertheless left the (right of) intercessio free23. Livy, or his epitomator, reports that Sulla reduced the tribunorum plebis potestas and deprived the tribunes altogether of the ius legum ferendarum, the right of introducing legislation24. This would mean that the tribunate retained its most ancient prerogative, the ius intercessionis (by virtue of which the champions of the plebs were able to invalidate any decision made by the Senate, the popular assemblies or any state magistrate), but that it lost its right to create new laws in the concilium plebis25. Obviously, as the involvement of the people in the decision-making process was essential for the operation of the state, the suppression of the

χειροτονίας ἐν τοῖς πένησι καὶ θρασυτάτοις ἀντὶ τῶν ἐν περιουσίᾳ καὶ εὐβουλίᾳ γιγνομένας δώσειν ἔτι στάσεων ἀφορμάς. 19 App. civ. 1.59: πολλά τε ἄλλα τῆς τῶν δημάρχων ἀρχῆς, τυραννικῆς μάλιστα γεγενημένης. 20 App. civ. 1.100: τὴν δὲ τῶν δημάρχων ἀρχὴν ἴσα καὶ ἀνεῖλεν, ἀσθενεστάτην ἀποφήνας καὶ νόμῳ κωλύσας μηδεμίαν ἄλλην τὸν δήμαρχον ἀρχὴν ἔτι ἄρχειν: διὸ καὶ πάντες οἱ δόξης ἢ γένους ἀντιποιούμενοι τὴν ἀρχὴν ἐς τὸ μέλλον ἐξετρέποντο. 21 Vell. Pat. 2.30.4: Pompeius tribuniciam potestatem restituit, cuius Sulla imaginem sine re reliquerat. 22 Vir. ill. 75.11: tribuniciam potestatem minuit. 23 Caes. civ. 1.7.3: Sullam nudata omnibus rebus tribunicia potestate tamen intercessionem liberam reliquisse. Cf. 1.5.1. 24 Liv. per. 89: legibus novis rei publicae statumconfirmavit, tribunorum plebis potestatem minuit et omne ius legum ferendarum ademit. 25 KUNKEL-WITTMANN 1995, p. 654: «Das Kernstück der Reform des Volkstribunats war die Einschränkung des tribunizischen Rogationsrechts».

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tribunes’ right to legislate called for other constitutional changes26. Some of these are explicitly attested for in our sources, other changes can be inferred. The tribunes had for a long time been key figures in the political process at Rome as the consuls, nominally the chief magistrates of the Roman state, spent most of their year in office away from the capital. Through the actions of Sulla, who repealed laws and enacted others27, the presence of curule magistrates in the city of Rome was increased. The number of the praetors was raised from six to eight, and they were all assigned duties pertaining to jurisdiction and the running of the courts in the capital. In the pre-Sullan system only the praetor urbanus and the praetor peregrinus had been based at Rome, whereas the subsequent praetorships – those that had been added after 228 BCE – had been created for the needs of the provincial administration and were based in the provinces28. After Sulla the provinces were administered by promagistrates, whereas, typically, all the curule magistrates remained in Rome for the whole duration of their term. A most important change concerned the consulship. It can be observed that the consuls, who in the preceding centuries normally had left Rome at the very beginning of their tenure of office, after Sulla tended to stay in the city. Whether there actually was a formal law requiring the supreme magistrates to stay in Rome for the major part of the year is uncertain, but, clearly, the consuls of the post-Sullan period were playing new roles in the political arena29. It is evident that, after Sulla’s reforms, the consulship was first and foremost a civil office. Instead of leading military and naval operations overseas the consuls normally occupied themselves with domestic affairs in Rome. Theodora Hantos observes that «[d]urch den Fortfall der militärischen Aufgaben und der Leitung von Feldzügen wurde das Consulat zu einem städtischen Amt, und die Inhaber dieses Amtes standen das gesamte Jahr über für innenpolitische Aufgaben zur Verfügung»30. She also acutely points out that Sulla «brachte [...] das Consulat in eine Konkur-

26 FLOWER is oblivious of the fact that Appian attributes a reform of the legislative process to Sulla, see FLOWER 2010, p. 125: «It remains unclear how Sulla thought that most everyday laws would be passed without tribunician legislation». 27 App. civ. 1.100. 28 Dig. 1.2.2.32. Discussion in HANTOS 1988, p. 73. The fundamental study of the praetorship is BRENNAN 2000. 29 For a thorough discussion of the supposed Lex Cornelia de provinciis ordinandis, hypothesized by Mommsen but rejected by Giovannini (GIOVANNINI 1983, pp. 73-101), and of the presence of consuls in Rome in the post-Sullan period, see PINA POLO 2011, pp. 225-248. See also Beck et al. 2011, pp. 7-8. 30 HANTOS 1988, p. 73.

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renzsituation zum Volkstribunat, wie sie in dieser Art zuvor noch nicht existiert hatte»31. I will now turn to this new situation, which also entails the use of the legislative assemblies. That Sulla’s provisions regulating the modalities of legislation constitute one of the most radical changes of political practice ever undertaken in the republican period is something that becomes evident when we contrast pre-Sullan and post-Sullan conditions. Moreover, a comparison between legislative practices in the Classical Republic and in the last decades of the Republic and the Early Empire also strongly suggests that Appian, in his description of Sulla’s reform of the legislative procedure, fails to provide all the essential details about the measures in question. Now, did the change Appian described take effect? Did the Romans cease to vote by tribes when they were summoned to approve law proposals? And did the comitia centuriata become the chief legislative assembly? Clearly, neither development came to pass. Lintott notes that Sulla’s own law on the quaestorship was passed in a tribal assembly32. However, the intended changes, for whatever reason, materialized in other forms. That Sulla’s intention was to transfer the task of passing legislation from the tribunician college to the curule magistrates is quite evident, since the comitia centuriata could be convened solely in the Campus Martius by magistrates with imperium. However, it seems that he eventually found it more convenient to have them use the tribes in the Forum, a location that had a long association with legislation. At this point it is important to stress that several of the political practices documented in the closing years of the Republic, and in the beginning of the Principate, are unparalleled in the source material for the Classical Republic. One such practice is consular legislation before the tribes, which is well-attested after Sulla. The so-called Lex Gabinia Calpurnia de insula

31 HANTOS 1988, pp. 79-80. See also BECK et al. 2011, p. 8: «The consuls’ growing participation in the politics of Rome can be observed in the contiones, and in the presentation of rogationes, in the debates of the senate. It could be asserted that this new and active leading role brought them closer to the tribunes of the plebs in their political leadership in the city. This change fits well within the overall contents of the Sullan reform, in that it limited the leadership of tribunes in the political arena. Nevertheless, whatever the cause, this was another substantial change in the traditional distribution of political roles in the ‘constitution’ of the Roman republic.» 32 LINTOTT 1999, p. 210. A significant part of the law in question, mentioned also by Tacitus (ann. 11.22.6), survives in the form of a bronze inscription. Conventionally known as Lex Cornelia de XX quaestoribus (CIL I2 587 = RS 14), it was discovered in the early 16th century below the Capitoline Hill near the church of S. Omobono.

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Delo was, according to the prescript of this epigraphically preserved statute, passed by the consuls of 58 BCE: A. Gabinius and L. Calpurnius Piso Caesoninus33. There is no mention of the voting units in the extant parts of this inscription. The references to tribes are found only in the reconstructions by the modern editors of the text, but as the law was passed in foro pro aede C]astor(is) the legislating body must have been a tribal assembly; the comitia curiata is out of the question in this late period, and so is the comitia centuriata, which could be summoned only extra pomerium. The Forum is also the scene for the passage of the Lex Quinctia, carried in 9 BCE by the consul T. Quinctius Crispinus; this law was carried in foro pro rostris aedis divi Iulii. And in this case there is an explicit reference to the tribes; it is reported that the tribe Sergia was the principium, meaning that this unit commenced the voting in the assembly34. Of course, the two instances of consular legislation before the tribes do constitute evidence for how statutes were passed in the post-Sullan Republic and in the reign of Augustus, but they do not have any bearing on earlier periods if we recognize that the many constitutional changes brought about by Sulla had altered the very structures of political life at Rome. I have repeatedly warned against using data attested only in the last decades of the Republic when we study earlier periods35. Moreover, the rich documentary evidence we have for the last decades of the Republic also reflects the operation of a political system in severe distress and not the pre-Sullan constitution at work. Therefore, when we study periods before Sulla’s reforms we must keep the evidence for those specific periods in the centre of our attention36. Though I have always made fully clear that I consistently dismiss data documented solely in the last decades of the Republic as evidence for political and constitutional conditions in the pre-Sullan Republic (this being

33 CIL I2 2500 = RS 22, lines 1-4: [A. Gab]ịṇịụ[s A. f. L. Calpurnius L. f. Piso co(n)s(ules) vacat | populum] iuure r[ogaverunt populusq(ue) iuure sceivit in foro pro | aede C]astor(is) a(nte) d(iem) (sextum) ḳ[(alendas) --- tribus --- principium fuit, pro | tribu] A. Gabinius A. f. Capito pr[eimus sceivit; lines 37-40: [Αὖλoς] Γαβείvιο̣ς Αὖλoυ υ̣[ἱὸς καὶ] Λ[ε]ύκ̣[ιoς Καλπoύρvιoς Λευκί|oυ υἱὸ]ς Πείσωv ὕπατο̣[ι τὸv δῆμov δικαίως ἠρώτησαv καὶ ὁ δῆμoς δικαί]ως ἐκύρω[σε πρὸ --- πρὸ ἡμερ]ῶ̣v ἓξ καλ̣[αvδῶv ---]. 34 Frontin. aq. 129: T. Quintius Crispinus consul populum iure rogavit populusque iure scivit in foro pro rostris aedis divi Iulii p. K. Iulias. Tribus Sergia principium fuit. Pro tribu{s} Sex. --- L. f. Virro . 35 See, in particular, SANDBERG 2001, pp. 20-22; ID. 2004, 135-139. 36 Cf. BEARD-CRAWFORD 1985, p. 40: «It is difficult to comprehend political life at Rome in the late Republic. Not only are its structures and institutions alien to us; they were also in a state of disruption and change.»

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my very method), my considerations about the use of the popular assemblies before Sulla’s reforms have been countered by reference to such data37. True to my method, I persist in my contention that the tribal assembly, which for a long time had been responsible for all legislation on civil matters at Rome, before the Sullan reforms was summoned exclusively by the tribunes of the plebs. The procedures documented in the aforementioned prescripts are demonstrably at variance with normal practices in the preSullan period. The only evidence we have for curule magistrates putting a bill before a tribal assembly in earlier periods is found in a passage of Livy pertaining to most irregular circumstances – at a military camp at Sutrium in 357 BCE (Livy also notes that it was done novo exemplo)38. As has been observed by several scholars in the last few decades, the prevailing view (originating in the mind of Mommsen) that there before the Late Republic was another tribal assembly than the concilium plebis is merely an assumption39. It largely rests on the very existence of the alternative designation comitia tributa, which, in accordance with Laelius Felix’s well-known definition, would denote a tribal assembly of the universus populus40. This was, of course, a perfectly reasonable construal prior to the recognition that there is, in fact, a discrepancy between the aforementioned definition and the actual usage of these terms in our sources. This state of affairs was noted already by George Botsford more than one hundred years ago41, and three decades ago Joseph Farrell demonstrated that the designation comitia was used of an assembly to indicate its specific structure (curiata, centuriata, tributa) or purpose (e.g. comitia consulum, an assembly electing consuls) and that the term concilium was used in order to identify the participants in the assembly (e.g. concilium plebis, concilium deorum)42. Farrell’s rigorous philological analysis stands out as

For instance, JEHNE 2001, p. 91 n. 8. Liv. 7.16.7-8: Ab altero consule nihil memorabile gestum, nisi quod legem novo exemplo ad Sutrium in castris tributim de vicensima eorum qui manumitterentur tulit. [...] tribuni plebis, non tam lege quam exemplo moti, ne quis postea populum sevocaret, capite sanxerunt. Users of Rotondi, LPPR will find a number of additional examples, but a control of the primary sources reveals that these are based on unwarranted assumptions. 39 See, above all, DEVELIN 1975, p. 305: «the existence of two tribal bodies rests [...] upon an assumption». The notion of a single tribal assembly has assumed an entirely novel form in the works of RICHARD MITCHELL, see esp. MITCHELL 1990, p. 229. 40 Gell. 15.27.4: Is qui non universum populum, sed partem aliquam adesse iubet, non ‘comitia’, sed ‘concilium’ edicere debet. 41 BOTSFORD 1904. 42 FARRELL 1986. 37 38

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a major contribution to the scholarship on the political institutions and the constitutional history of the Roman Republic, as it has eliminated the chief argument for the notion that there was, before Sulla’s reforms, a legislative tribal assembly of the whole people. That this is the obvious conclusion does not occur to Callie Williamson, who believes that Farrell has confirmed Mommsen’s view43. My own principal contribution to the debate on the use of the popular assemblies consists of a demonstration that the curule magistrates of the pre-Sullan period cannot be connected with procedure in the legislative assemblies, unless we deal with legislation concerning war and peace or foreign relations – ‘extrapomerial matters’ as I have termed them (as the legislative assembly in such cases, the comitia centuriata, only convened outside the pomerium). While we have abundant evidence for tribunes of the plebs performing promulgatio and rogatio of all sorts of laws, consuls and praetors are attested for only in connection with declarations of war passed in the centuriate assembly, that is, leges de bello indicendo44. Michael Crawford has contested my interpretation of the evidence. He does not deny that consular legislation was rare before the late second century BCE, but in his mind this state of affairs only explains why «the complete apparatus of ‘promulgare’ and ‘rogare’ happens not to be attested for»45. But this argument can be easily refuted. Both terms are actually attested for in connection with curule magistrates in the pre-Sullan Republic, but exclusively in contexts pertaining to elections and to declaration of war46. Moreover, the possibility that the mere scarcity of consular legi-

43 WILLIAMSON 2005, p. 22: «In 1986, however, Farrell established a clear distinction between the terms concilium and comitia, as used by Livy and Cicero, thus ruling out any possibility of viewing the concilium plebis and comitia tributa as one and the same assembly of the plebs Romana. Whether Rome’s comitia tributa and concilium plebis were two distinct assemblies of the populus Romanus and the plebs Romana, respectively, as Mommsen supposed, or one and the same assembly of the plebs Romana convened by different magistrates has been settled conclusively on the side of Mommsen.» We note here that there are instances in the classical sources where both terms occur in the very same sentence in order to designate the same assembly, e.g. Liv. 3.13.9: Verginio comitia habente, conlegae appellati dimisere concilium. 44 See, especially, SANDBERG 2001, pp. 45-63. 45 CRAWFORD 2004, p. 171. Just a few years earlier, commenting on SANDBERG 2000, he does note that I have «identified an interesting phenomenon, namely that the sources for the middle Republic talk of curule magistrates generally as passing statutes, whereas tribunes go through the processes reasonably well known from the late Republic of promulgating and proposing», see CRAWFORD 2001, p. 332. 46 Curule magistrates of the pre-Sullan period are represented as performing promulgatio or rogatio in the following passages: 1) Liv. 6.42.14 (the election of duumviri aediles, i.e. curule aediles, in 367 BCE); 2) Liv. 27.5.16-17 (the appointment of Q. Fulvius Flaccus as dictator in 210); 3) Liv. 31.6.12 (the passage of a lex de bello indicendo in 200) and 4) Liv. 45.21.1-3 (the passage of another lex de bello indicendo in 167). There is possibly a fifth instance in the epigraphic record, in a Greek transla-

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slation accounts for the complete lack of evidence linking curule magistrates to procedure in assemblies legislating on civil matters is diminished drastically by the fact that we even run into legislation outside the Roman World when we look for technical terminology indicating the direct involvement of a magistrate in legislation. The only individuals connected to legislative procedure by the terms promulgare or rogare, apart from tribunes of the plebs, are rulers and magistrates of foreign states. The instances we find pertain to Syracuse in the late third century BCE and to Argos and Carthage a few years later47. Given the extreme rarity in Roman sources of references to non-Roman legislation, it must be considered utterly remarkable that while we do have evidence for foreign magistrates and rulers performing promulgatio of laws – there is not a single attestation of a Roman consul performing either promulgatio or rogatio of a comitial law in the pre-Sullan Republic. And it is not a matter of the consuls being away from Rome, which has been another standard explanation for explaining the scarcity of consular laws. We have evidence that the consuls, being present at Rome, were sometimes ordered by the Senate to ask the tribunes to put some matter before the people48. There is also other evidence suggesting that curule magistrates passed laws with the assistance of tribunes49. The conclusion must be that consuls did not carry laws themselves in any other assembly than the comitia centuriata, which only legislated on extrapomerial matters. I have also demonstrated that evidence for legislation passed by curule

tion of the so-called Lex de provinciis praetoriis (formerly known as Lex de piratis persequendis) of c. 100 BCE (RS 12). In this inscription (Cnidos copy, col. iii, lines 4-5) there is a reference to an earlier law on the powers of provincial governors. This law, which dealt with an extrapomerial matter, had been passed by a certain M. Porcius Cato in his capacity as praetor in or before 121 BCE (RS I, p. 260): ἐv τῶι vόμωι ὃv Μᾶαρκoς Πόρκιoς Κάτωv στ̣ρ̣α̣τ̣η̣γο̣ς̣ ἐκ̣ύ̣ρ̣ω̣σε. As indicated by the dotted letters, the last two words are not clearly legible. Lintott, observing that the word κυροῦν is not normally used of a person obtaining the approval of a measure, and that ἐρωτᾶν is used for rogare elsewhere in the text of the inscription, concludes that the Latin original was tulit, see LINTOTT 1976, p. 81. 47 Liv. 24.25.10: Local magistrates (praetores) of Syracuse rogationem promulgarunt (214 BCE), 32.38.92: King Nabis of Sparta rogationes promulgavit at ARGOS (197), 33.46.5-6: Hannibal legem [...] promulgavit pertulitque at Carthage (195). 48 Liv. 30.27.3 (202 BCE): Consules iussi cum tribunis plebis agere ut, si iis videretur, populum rogarent, 31.50.8 (200): senatus decrevit ut [...] consules si iis videretur cum tribunis plebis agerent uti ad plebem ferrent, 39.19.4 (186): senatus consultum factum est ut [...] consul cum tribunis plebis ageret ut ad plebem primo quoque tempore ferrent, 45.35.4 (167): mandatumque Q. Cassio praetori cum tribunis plebis ageret ex auctoritate patrum rogationem ad plebem ferrent. For discussion, see SANDBERG 2001, pp. 98-99. 49 Richard Mitchell has pointed out that, according to a scholiast (Schol. Gron., p. 328), L. AURELIUS COTTA, the praetor of 70 BCE, carried his judicial law assistente Quintio tribuno plebis, vel Palicano, see MITCHELL 1990, p. 200.

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magistrates before the last century BCE is all but non-existent50. A very large proportion of the republican laws that are usually held to be consular – and included as such in the catalogues of Giovanni Rotondi, Dieter Flach and Marianne Elster (Rotondi, LPPR; Flach, GFRR and Elster, GMRR) are actually of uncertain attribution. To give but one single example, but one that very clearly illustrates how freely inconclusive evidence has been interpreted – in the Epitome of Livy, for the year 159 BCE (Liv. per. 47), we find a very laconic reference to the passage of a law on electoral bribery: Lex de ambitu lata. A reference to such a law could not possibly contain fewer words. And yet, though there is absolutely no clue whatever as to the authorship of the law, undisciplined scholarship has called into existence a statute called Lex Cornelia Fulvia de ambitu and attributed it to the consuls of the year, Cn. Cornelius Dolabella and M. Fulvius Nobilior51. And I note that once a law has been hypothesized or fabricated, and subsequently referred to a couple of times in scholarly publications, it qualifies as a wellestablished historical fact. In Callie Williamson’s monograph on the laws of the Roman People there is an appendix entitled «List of Reliable Laws and Proposals by Year, Latin Name, and Subject, 350-25 BCE»52; this is essentially a completely uncritical reproduction of the law titles contained in the canon of Rotondi. And yes, included is also Lex Cornelia Fulvia de ambitu53, which in the meantime also had found its way into Broughton’s entry for the consulship of Cn. Cornelius Dolabella and M. Fulvius Nobilior54. It is also important to observe that many of the supposed consular laws that have gone into circulation have been created totally e nihilo. Pliny the Elder’s report that the coining of silver commenced at Rome in the consulship of Q. Ogulnius and C. Fabius (269 BCE) has called into existence an altogether hypothetical Lex Fabia Ogulnia, ascribed to this consular pair55. Pliny’s reference to the consuls in question is, of course, nothing else than the normal Roman way of dating by eponyms; a consular law is not implied56.

SANDBERG 2001, esp. pp. 41-44. ROTONDI, LPPR, p. 288. 52 WILLIAMSON 2005, pp. 451-473. 53 WILLIAMSON 2005, p. 458. 54 BROUGHTON, MRR I, p. 445: «both consuls carried a bribery law (Liv. Per. 47)». 55 Plin. nat. 33.44: Argentum signatum anno urbis CCCCLXXXV, Q. Ogulnio C. Fabio cos., quinque annis ante primum Punicum bellum. The Lex Fabia Ogulnia is accompanied by a question mark in Rotondi, LPPR, p. 243. Michael Crawford, in his work on Roman republican coinage (RRC II, 615.), asserts that «A Lex Ogulnia Fabia de aere argento (?auro) flando feriundo should be postulated». 56 SANDBERG 2004, p. 141. 50 51

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My demonstrations that there is a conspicuous dearth of evidence for comitial laws passed by consuls in the pre-Sullan republic have been received much like acts of iconoclasm by some scholars. Stephen Oakley, referring to my view that before Sulla practically all comitial legislation (except legislation dealing with military matters and declarations of war) was promulgated and rogated by tribunes, calls it an «extreme thesis»57. To his credit, though he is sceptical he concedes that the evidence does not allow a refutation of my ideas58. In the immediate aftermath of the publication of my monograph on legislative practice one scholar did credit me with having «systematically demolished the assumption that it was normal practice in the Roman Republic for curule officials to initiate civil legislation»59, but the prevailing reaction was one of perplexion. Now the situation has changed: the idea that the consuls routinely engaged in legislation before Sulla’s reforms has become increasingly untenable. The validity of my demonstrations of how the evidence for republican legislation has been used, or rather misused, has recently been fully recognized by a scholar who has taken the trouble to go through the primary sources for the legislation of the Roman Republic. Francisco Pina Polo, in his monograph on the Roman consulship, dedicates an entire chapter to «Consuls as Legislators»60. This chapter is essentially a dialogue with my monograph on legislation. Pina Polo fully confirms my observation (a): that consular legislation on civil matters was very rare in the pre-Sullan Republic; (b) that many of the consular laws that have been circulating in the scholarly literature since the 19th century are actually hypothetical creations of modern research; and (c) that modern scholarship has been apt to overlook the fact that the inventories of republican laws we have been using are full of conjecture: Whereas the involvement of consuls in the process of declaring war on an enemy state is obvious …, their intervention in civil legislation during the pre-Sullan period is more questionable. In fact, as Sandberg rightly states, there is no certainty of their participation in many laws that Rotondi attributed to consuls. On the contrary, in many cases consular participation is only a

57 OAKLEY 2005, p. 470. He presents and discusses my thesis in a separate appendix on «Legislation by Curule Magistrates, 366-c. 287 BC», pp. 270-272. 58 OAKLEY 2005, p. 471: «[T]he evidence does not allow a decisive refutation of Sandberg’s ideas, but it is possible to interpret it in a manner very different from his». 59 HOWARTH 2002. He goes on stating that «[o]nly the most stubborn will maintain to the contrary». 60 PINA POLO 2011, pp. 99-121.

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hypothesis, if not mere speculation, formulated by modern scholarship. The use of Rotondi’s compilation and the lack of alternative general studies have for decades resulted in the mechanical repetition of these hypotheses without consideration of the need for further verification. The reality is that ancient sources only attribute to consuls the promulgation of a few laws during this whole period [scil. the pre-Sullan period] and that, even in those cases, the circumstances are not always clear61.

However, Pina Polo does not share my view that the paucity of consular laws in the pre-Sullan Republic reflects institutional conditions. He believes that «[t]he main reason for the lack of consular legislation was the absence of consuls from Rome during most of their time in office, which made it very difficult for them to promote bills»62. Though he concludes that consular legislation in the pre-Sullan period was very rare, he argues that consuls occasionally did legislate themselves. As an example of a consular law he cites the Lex Fannia cibaria of 161 BCE63. I have myself identified this measure as a consular law, but argued that it was not a comitial one64. Macrobius suggests, in very explicit terms, that this statute was in fact a lex data65,which would mean that it was not rogated in any popular assembly. There are also other indications in our sources that there were early consular laws that were not comitial measures, but rather some kind of edicta66. Pina Polo does not note that I deal with this consular measure. As for my demonstration that the lator legis and the rogator legis is not necessarily the same person67, and that the verbs promulgare and rogare

61 PINA POLO 2011, p. 110. My observations as to the large amount of conjecture in the lists and inventories of republican laws have been validated also by other scholars, see e.g. MANTOVANI 2012, p. 709 with n. 10 (a reference to SANDBERG 2001): «A mano a mano che si è presa consapevolezza di quanto sia labile e squarciato il tessuto delle notizie, si sono moltiplicati gli avvertimenti a non fare acritico affidamento su elenchi e ricostruzioni moderne, per evitare il rischio, ad esempio, di considerare genuine molte denominazioni di leges che sono, invece, escogitazioni convenzionali degli studiosi oppure di assegnare la rogatio all’una o all’altra assemblea senza valida prova.» 62 PINA POLO 2011, p. 118. 63 PINA POLO 2011, p. 113. 64 WATSON 1974, p. 17; PAANANEN 1993, p. 70 (cf. p. 68 with note 271); SANDBERG 2001, pp. 102-103. 65 Macr. Sat. 3.17.3: post annum vicesimum secundum legis Orchiae Fannia lex data est, anno post Romam conditam secundum Gelli opinionem quingentesimo nonagesimo secundo. De hac lege Sammonicus Serenus ita refert: Lex Fannia ... ingenti omnium ordinum consensu pervenit ad populum: neque eam praetores aut tribuni, ut plerasque alias, sed ex omnium bonorum consilio et sententia ipsi consules pertulerunt. It is also interesting to note, as Pina Polo does (Pina Polo 2011, p. 113), that «the antiquarian bestows a somewhat exceptional character on the fact that the law was promoted by a consul». 66 SANDBERG 2001, p. 103. 67 SANDBERG 2001, pp. 97-104, 111-113.

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are the only unequivocal indicators of the authorship of a law, binding as they obviously do the acting magistrate to specific and clearly identifiable stages in the legislative procedure)68, Pina Polo contends that my conclusions are mistaken: Sandberg is absolutely right when he claims that most of the abundant laws that were attributed to consuls by Rotondi have no grounds in ancient sources, but are hypothetical attributions or mere speculation, and in most cases the very existence of some laws is but a supposition. He is also unquestionably correct when arguing that the main promoters of civil laws in the pre-Sullan age were the tribunes of the plebs, who were responsible for the vast majority of them. However, his statement that the expression legem or rogationem ferre ad populum did not necessarily imply that the magistrates who were the subjects of this action were the promulgatores and rogatores of the corresponding law is mistaken: the expression rogationem ferre must identify the rogator, the proposer of a law69.

However, he does not set out to explain in what way I am mistaken and why the verb ferre «must identify the rogator». What Pina Polo does is that he dismisses a carefully argued conclusion without duly countering the arguments on which it stands. Considering that Pina Polo’s important discussion of the legislation of the pre-Sullan Republic validates many of the conclusions I have reached, including several ones that used to stir controversy, it is somewhat odd to note that it has been cited by scholars as a study essentially contradicting my findings. Callie Williamson, in her review of his book, claims that Pina Polo «puts to rest the arguments (100–10) by K. Sandberg» – and so misleads anyone who has not read the book into believing that its author enters into a lengthy and minute examination of my argumentation70. As we have just seen, he does not counter any of my arguments. Also Christer Bruun has been careless in his reading of

68 Other verbs may well indicate the magistrate on whose initiative a law was carried, but the problem with these words is that we cannot know their exact implications with regard to the actual proceedings in the legislative assemblies. This is true also of ferre, in constructions such as consul/tribunus plebis legem/ rogationem tulit, see SANDBERG 2001, pp. 45-46. 69 PINA POLO 2011, p. 101. 70 WILLIAMSON 2013, p. 642: «There is no doubt that consuls presented rogationes about ‘civil matters’ to the Roman people in hopes that the people would enact them as leges (100). Pina Polo reminds us of the volume of testimony to this legislative function of Roman consuls as he puts to rest the arguments to the contrary by K. SANDBERG.»

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Pina Polo’s work. Commenting on its relevance for my views on legislation, he incorrectly asserts that one of its conclusions is that the consuls had the right to pass rogationes in the comitia tributa71. Nowhere does Pina Polo make such a claim. In fact, he does not deal with the institutional aspects of legislation in any way whatever. Not at any point does he consider the co-existence of several popular assemblies. He altogether avoids the corollary, that is, the question as to which assembly the consuls used on the rare occasions when they wanted to pass a law; he merely refers to «the people»72. I persist in my contention that, for most of the Middle Republic and right down to Sulla’s coup, curule magistrates normally did not legislate on civil matters, because 1) the comitia centuriata, which could be convened solely extra pomerium, was not employed for ‘intrapomerial’ legislation; 2) the comitia curiata, an assembly which had been used for civil legislation in the Early Republic, had become defunct and 3) the concilium plebis (or comitia tributa) was convened only by the tribunes of the plebs73. These are nothing less than the inescapable conclusions if we base our considerations on empirical data. However, scholars do not hesitate to explain away such data, and notions that have gone into circulation die hard. Also Pina Polo, commenting on another of Mommsen’s constructions, observes that he has «cast a long shadow» and that «it is difficult to uproot opinions which have been repeated for decades»74. We note that, in much of the scholarly discussion, a number of preconceived notions have tended to take precedence over empirical data. Loretana De Libero cannot accept a politico-institutional situation in which the patricians were dependent on the tribunes of the plebs: Die Frage nach der praktischen Durchführbarkeit der vorgelegten Überlegungen, die den Patriziern keine Möglichkeit unabhängiger Gesetzesinitiativen vor dem Volk zugestehen und damit trotz auctoritas patrum eine gefährliche Abhängigkeit von den Volkstribunen kreieren, wird nicht gestellt75.

71 BRUUN 2012, p. 705: «Mit dieser unselbständigen Rolle der Konsuln im innenpolitischen Bereich ist Humm nicht einverstanden, und seiner Kritik kann aus neuester Zeit ein Kapitel der Monographie von Francisco Pina Polo hinzugefûgt werden, der in seiner sachlichen Erörterung der Sandberg’sche These darauf besteht, daß die Konsuln das Recht hatten, rogationes den comitia tributa vorzulegen.» 72 For my assessments of Pina Polo’s excellent book, which fills a major void in the scholarly literature on Roman political institutions, see Sandberg 2011. 73 SANDBERG 2001, pp. 105-110. 74 PINA POLO 2011, p. 228. 75 DE LIBERO 1995, pp. 161-162.

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Stephen Oakley makes an argument along similar lines. He finds it «scarcely credible that the Romans evolved a constitutional practice in which the chief magistrates of the state could command armies but not legislate on civil matters» and that «even if tribunes were the prime instrument for introducing legislation, the potential inconvenience was huge»76: That tribunes of the plebs normally presided over the tribes is uncontroversial; but that dictators, consuls, and praetors were debarred from doing so seems an odd restriction to have imposed on the chief magistrates of the state77.

In my opinion, there is little force in the kinds of arguments brought forth by De Libero and Oakley78. We should not be oblivious of the fact that already the old patriciate had been compelled to accept the gradual emergence of a political system in which they were totally dependent on the co-operation of the tribunes79. And why should we assume, a priori, that legislation was even a normal activity for consuls and other curule magistrates in their political functions? Instead of arguing back-and-forth infinitely, scholars should try to find common ground with regard to the methodological approach. Why should we not refrain from making unwarranted assumption and make every effort to assign prime importance to empirical data? Why should we not abandon scholarly doctrine if it can be shown that it is not compatible with the evidence of the primary sources? Using Hitchens’ razor, recognizing that what has been asserted without evidence can be dismissed without evidence, we should obviously be free to dismiss political institutions and practices that are not attested for in our reconstructions of the political system of the Roman republic. The «comitia tributa populi» (the very designation, in this particular form, is a modern creation), which supposedly legislated under the preOAKLEY 2005, p. 471. OAKLEY 2005, p. 555. 78 See also HUMM 2005, pp. 420-421 and BRUUN 2012, p. 705. 79 SANDBERG 2004, p. 160: «It is, after all, an undeniable fact that it was the plebeians who prevailed in the Conflict of the Orders, as the patricians were forced to accept all the demands of the tribunes. Effectively entrusting most of the legislation to the tribunes might well have been but a small concession compared with the recognition of the ius intercessionis. No scholar has ever cast into doubt that the obstructive powers of the tribunes from a very early date, at least de facto, were a key factor in Roman political life. By virtue of these powers any member of the tribunician college was able to make void any action or decision, by any political agent. If the patricians – and the nobiles who inherite d their position – were able to tolerate such a dependence on the tribunes, they may as well have accepted the fact that legislation became a tribunician realm of public life.» 76 77

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sidency of consuls and praetors, is one of the best examples of a modern scholarly construction that has taken on a life of its own. Though there is no evidence supporting the view that there existed a regular legislating body of this kind before the end of the Republic, the notion is hard to kill. Michael Rainer, at odds with my views on the use of the tribes in the pre-Sullan period, believes that the existence of a tribal assembly of the whole populus is a well-established fact, and cannot understand why the existence of such a «durchaus nützliche Versammlung» should be rejected «a priori» (sic!)80. Moreover, he postulates that also the centuriate assembly was used for legislation: Dass die comitia centuriata als eigentliche und ursprüngliche Versammlung des Gesamtvolkes galten und bis zum Ausgang der Republik als solche bestehen sollten, darüber gibt es für mich keinen Zweifel. Es ist ganz allgemein davon auszugehen, dass alle Gesetze, die vor 367/366 und wahrscheinlich vor der lex Hortensia 287 v.Chr. beschlossen wurden, entweder in den comitia tributa oder in den comitia centuriata beschlossen wurden. Als wesentliches Beispiel nenne ich hier die Zwölf Tafeln81.

Scholars who have been steeped in Mommsenian doctrine are advised to take the trouble to systematically go through the primary sources. Also the view that the centuriate assembly was a regular legislative body in any period between the early Republic and the age of Sulla cannot be sustained. It is symptomatic that Rainer has to go all the way to the decemviral period in order to find the evidence he so badly needs to justify his position. It is an irrefutable fact that, for the period between 445 BCE and the age of Sulla, the only attested functions of the comitia centuriata were to elect the magistrates with imperium, to pass judgements in judicial cases de capite civis and to make decisions on matters concerning war and peace. Not a single law on civil matters is known from this period82. Our perceptions of political conditions in the pre-Sullan Republic have

80 RAINER 2002, p. 643: «Zu diesen ausserordentlich anregenden Ausführungen doch einige kritische Bemerkungen. Diese betreffen zuerst die Existenz von comitia tributa. Es ist nicht einsichtig, warum diese durchaus nützliche Versammlung, die sehr wohl aus Patriziern und Plebeiern bestand, a priori geleugnet werden soll». 81 RAINER 2002, p. 643. 82 SANDBERG 2001, p. 105. Ernst Meyer (MEYER 1961, p. 192), noting that we do not know of any legislation passed in the comitia centuriata during the period between the lex Hortensia and Sulla, gives the impression that this assembly was used for legislative purposes down to the early third century BCE, but this is not the case.

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been heavily influenced by what we know of the Ciceronian age, which happens to be a very well-documented period. Though it has been fully recognized that Sulla reshaped the political system of the Roman republic, notions about pre-Sullan conditions based on data documented solely in the post-Sullan period have continued to thrive. I believe that comparing such data with information on earlier practices is a means to clarify and supplement the evidence we have for the constitutional reforms of Sulla. We have seen that the very first constitutional reform of Sulla concerned the modalities of comitial legislation. According to Appian this measure entailed a transfer of legislation from the tribal assembly to the centuriate one. Allegedly a restoration of a practice that had fallen into disuse, this was in fact a radical new scheme. However, that this change did not become permanent is clear from the evidence we have, as legislation before the tribes is attested for in the last decades of the Republic and the Early Principate. At some point, Sulla seems to have modified his original scheme by retaining the tribal assembly but putting its legislative activity under the control of the consuls. It is only in the period following the reforms of Sulla that we find evidence for consuls legislating before the tribes, which thitherto had been used for legislative purposes exclusively by the tribunes of the plebs. As the ius legum ferendarum of these plebeian officials was reduced, or even abolished for some time, the curule magistrates had to take care of the legislation that was needed. The role Sulla wanted them to play is evident from the fact that his original idea was to start using the comitia centuriata, which could be summoned solely by magistrates cum imperio. However, in the end it was more convenient to have them use the tribes. We cannot know exactly when this radical reform of the legislative process took place, but a major change of the modalities of comitial legislation change can be inferred and dated to the Age of Sulla. KAJ SANDBERG

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KAJ SANDBERG

J. VAAHTERA (ed.), SENATVS POPVLVSQVE ROMANVS. Studies in Roman Republican Legislation (Acta Instituti Romani Finlandiae 13), Helsinki 1993. C. STEEL, Rethinking Sulla: The case of the Roman Senate, «Classical Quarterly» 64, 2014, pp. 657-668. B. STRAUMANN, Crisis and Constitutionalism. Roman Political Thought from the Fall of Rome to the Age of Revolution, Oxford 2016. A. G. THEIN, Sulla’s Public Image and the Politics of Civic Renewal, Diss. University of Pennsylvania 2002. L. THOMMEN, Res publica constituenda: Die Verfassung Sullas und ihre Aufhebung’, «Gymnasium» 113, 2006, pp. 1-13. P. TORRENS, Review of SANDBERG 2001, «L’Antiquité Classique» 74, 2005, pp. 525-527. K. TUORI, Review of SANDBERG 2001, «Oikeus» 30, 2001, pp. 526-531. F. VERVAET, The lex Valeria and Sulla’s empowerment as dictator (82-79 BCE), «Cahiers du Centre Gustave Glotz» 15, 2004, pp. 37-84. A. WATSON, Law Making in the Later Roman Republic, Oxford 1974. C. Williamson, The Laws of the Roman People. Public Law in the Expansion and Decline of the Roman Republic, Ann Arbor 2005. C. WILLIAMSON, Review of PINA POLO 2011, «JRA» 26, 2013, pp. 642-644. R. WITTMANN, Res publica recuperata. Grundlagen und Zielsetzung der Alleinherrschaft des L. Cornelius Sulla, in D. NÖRR, D. SIMON (Hrsgg.), Gedächtnisschrift für W. Kunkel, Frankfurt am Main 1984, pp. 563-582.

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Dai contributi di questo volume emergono importanti indicazioni per la ricostruzione di una nuova immagine di Silla: egli non voleva affermare il proprio potere personale o riaffermare il potere della nobilitas, ma piuttosto voleva e credeva di aver realizzato una nuova unità di tutti gli elementi costitutivi del popolo romano: coerente con questa volontà è l’ampliamento / ridimensionamento del senato, la centralità della potestas dei magistrati elettivi, la legislazione sul debito, l’attenzione alle esigenze dei militari attraverso la fondazione di colonie, il mantenimento dell’immissione degli Italici nelle 35 tribù.

MONOGRAFIE

C.E.R.D.A.C.

Centro Ricerche e Documentazione sull’Antichità Classica

ISBN 978-88-913-1696-7

Schettino SILLA MONCERDAC 44_A.indd 1

«L’ERMA» di BRETSCHNEIDER

M. T. SCHETTINO - G. ZECCHINI L’ETÀ DI SILLA

A cura di Maria Teresa Schettino e Giuseppe Zecchini

26. Chausson F., Stemmata aurea: Constantin, Justine, Théodose. 27. Colonnese C., Le scelte di Plutarco. Le vite non scritte di greci illustri. 28. G  alimberti A., Adriano e l’ideologia del principato. 29. Bearzot C., Vivere da democratici. Studi su Lisia e la democrazia ateniese. 30. Carsana C.-Schettino M.T. (a cura di), Utopia e Utopie nel pensiero storico antico. 31. Rohr Vio F., Publio Ventidio Basso. Fautor Caesaris, tra storia e memoria. 32. Lo Cascio E., Crescita e declino. Studi di storia dell’economia romana. 33. Migliaro E.-Troiani L.-Zecchini G. (a cura di), Società indigene e cultura greco-romana. Atti del Convegno Internazionale Trento, 7-8 giugno 2007. 34. Zecchini G., Ricerche di storiografia latina tardoantica II. Dall’Historia Augusta a Paolo Diacono. 35. R  aimondi M., Imerio e il suo tempo. 36. C  ristofoli R.-Galimberti A.-Rohr Vio F. (a cura di), Lo spazio del non-allineamento a Roma fra tarda Repubblica e primo principato. 37. Z  ecchini G. (a cura di), L’Augusteum di Narona. 38. H  ölkeskamp K.-J., Modelli per una Repubblica. 39. Bearzot C. Landucci F. (a cura di), Alexader’s Legacy. 40. Bianchi E., Vulci. Storia della città e dei suoi rapporti con Greci e Romani. 41. Cristofoli R.- Galimberti A.- Rohr Vio F., Costruire la memoria. Uso e abuso della storia fra tarda repubblica e primo principato. Venezia, 14-15 gennaio 2016. 42. Pellizzari A., Maestro di retorica, maestro di vita: le lettere teodosiane di Libanio di Antiochia. 43. C  asella M., Galerio. Il tetrarca infine tollerante. 44. Schettino M.T. - Zecchini G. (a cura di), L’età di Silla. Atti del Convegno Istituto italiano per la storia antica.

L’ETÀ DI SILLA

1. Piana Agostinetti P., Documenti per la protostoria della Val d’Ossola S. Bernardo di Ornavasso e le altre necropoli preromane. 2. Ianovitz O., Il culto solare nella «X Regio Augustea». 3. Letta C., I Marsi e il Fucino nell’antichità. 4. Cebeillac M., Les «quaestores principis et candidati» aux Ier et IIeme siècle de l’empire. 5. Poggio T., Ceramica e vernice nera di Spina: le oinochoi trilobate. 6. Gambetti C., I coperchi di urne con figurazioni femminili nel Museo Archeologico di Volterra. 7. Letta  C.-D’Amato S., Epigrafia della regione dei Marsi. 8. Zecchini G., Aezio: l’ultima difesa dell’Occidente Romano. 9. Gillis D., Eros and Death in the Aeneid. 10. Gallotta B., Germanico. 11. Traina G., Paludi e Bonifiche nel mondo antico. Saggio di archeologia geografica. 12. R  occhi G.D., Frontiera e confini nella Grecia Antica. 13. L  evi M.A., I Nomadi alla frontiera. 14. Z  ecchini G., Ricerche di storiografia latina tardoantica. 15. Agostinetti A.S., Flavio Arriano. Gli eventi dopo Alessandro. 16. L  evi M.A., Adriano Augusto. 17. L  evi M.A., Ercole e Roma. 18. L  anducci Gattinoni F., Duride di Samo. 19. AA.VV., L’Ecumenismo politico nella coscienza dell’Occidente. Alle radici della casa comune europea. 20. AA.VV., L’ultimo Cesare. Scritti riforme progetti poteri congiure. 21. AA.VV., Identità e valori. Fattori di aggregazione e fattori di crisi nell’esperienza politica antica. 22. AA.VV., Integrazione mescolanza rifiuto. Incontri di popoli, lingue e culture in Europa dall’Antichità all’Umanesimo. 23. AA.VV., Modelli eroici dall’antichità alla cultura europea. 24. AA.VV., La cultura storica nei primi due secoli dell’Impero Romano. 25. Prandi L., Memorie storiche dei Greci in Claudio Eliano.

ATTI DEL CONVEGNO ISTITUTO ITALIANO PER LA STORIA ANTICA

Monografie 44

MARIA TERESA SCHETTINO è Professore ordinario di Storia romana presso l’Université de Haute-Alsace, membro del centro di ricerca UMR 7044 Archimède (Unistra, UHA, CNRS), presidente del Collegium Beatus Rhenanus (2017-2018), vicepresidente e responsabile delle relazioni internazionali della SoPHAU, cosegretario degli États Généraux de l’Antiquité (2018). Dirige attualmente il programma di ricerca La ‘culture politique’ d’une République finissante : les optimates de la mort de Sylla à la mort de Crassus. La ������������������������ sua attività scientifica verte principalmente sui rapporti istituzionali nella tarda repubblica e nell’alto impero, sulle relazioni diplomatiche in epoca repubblicana, sulla storiografia di lingua greca di età imperiale.

L’ETÀ DI SILLA ATTI DEL CONVEGNO ISTITUTO ITALIANO PER LA STORIA ANTICA

GIUSEPPE ZECCHINI è Professore ordinario di Storia romana presso l’Università Cattolica di Milano e membro del Consiglio direttivo dell’ Istituto Italiano per la Storia antica e dell’Accademia Ambrosiana – Classe di Studi Ambrosiani. È in uscita presso L’ERMA di BRETSCHNEIDER il suo volume su Polibio. La solitudine dello storico.

A cura di Maria Teresa Schettino e Giuseppe Zecchini

In copertina:

«L’ERMA» di BRETSCHNEIDER

Francesco Bartolozzi (1728-1815), “Ritratto di Silla”, incisione.

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