L'Epistola di Paolo ai Romani 8839911332, 9788839911339

Spesso definita come «il testamento spirituale» di Paolo, l'Epistola ai Romani è in ogni caso l'opera magistra

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L'Epistola di Paolo ai Romani
 8839911332, 9788839911339

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Simon

Légasse

L'EPISTOlA DI PAOLO AI ROMANI

QUERINIANA

Titolo originale

L 'épftre de Pau/ aux Romains.

© ©

2002 by Les Éditions du Ce rf Paris 2004 by Editrice Queriniana, Brescia via Ferri, 75- 25123 Brescia Otalia/UE) tel. 030 2306925- fax 030 2306932 internet: www.queriniana.it e-mail: direzione@queriniana .it ,

Tutti i diritti sono riservati. È pertanto vietata la riproduzione, l'archiviazione o la trasmissione, in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo, comprese la fotocopia e la digitalizzazione, senza l'autorizza­ zione scritta dell'Editrice Queriniana. ISBN 88-399-1133-2 Traduzione dal francese di PIETRO CRESPI Edizione italiana a cura di GIANNI F'RANCESCONI Stampato dalla Tipolitografia Queriniana, Brescia

Premessa

Questo commentario della lettera di Paolo ai Romani segue quello dell'epistola al Galati che ho pubblicato precedentemente. Data l'evidente parentela delle due let­ tere e la bibliografia in parte comune, era ovvio che al primo commentario succe· desse il secondo. Nell'epistola ai Romani, che è una vera e propria lettera missiva, Paolo si serve delle sue prerogative di apostolo rivolgendo dei consigli e delle rimostranze ad una comunità presso la quale non ha ancora soggiornato e che non ha fondato. Egli prepara in tal modo la sua venuta nella capitale dell'impero, dove ha previsto di passare un po' di tempo prima di recarsi in Spagna. Queste caratteristiche e queste ragioni di circostanza sono comunque di importanza secondaria se si considera il contenuto dello scritto, la maggior parte del quale si presenta come un'apologia. Difesa di Dio perché, fondandosi sulla teologia di Paolo, lo si potrebbe incriminare di aver rotto la sua alleanza con Israele e di aver abrogato le promesse fatte un tempo ai patriarchi, padri della nazione ebraica. Ma anche, e di conseguenza, difesa di Paolo e delle sue vedute molto nette circa il dilemma che oppone la Legge di Mosè, data da Dio, e la redenzione, operata da Dio in Gesù Cristo. Considerata talvolta come il 'testamento spirituale' di Paolo, questa lettera è in tutta verosimiglianza l'ultima scritta sotto sua dettatura. Senza essere una esposizio­ ne teologica completa, è certamente l'ultima parola che ci è giunta di Paolo. Questo ebreo, convinto di essere stato oggetto di una rivelazione divina, ha fatto di tutto perché la nuova via, sulla quale egli si sapeva portato, apparisse come la successio­ ne e l'approdo dell'antica alleanza conclusa da Dio con Israele. La teologia di Mar­ cione, che pure si rifaceva a Paolo, con ciò viene neutralizzata in anticipo. Senza dubbio, l'ispirato che, sicuro del suo buon diritto, scrive qui, ricorre a delle argo­ mentazioni datate, alcune delle quali hanno cessato di essere convincenti, in parti­ colare per un uso altamente arbitrario dei testi della Scrittura. Resta l'intuizione fon-

Premessa

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damentale, che è stata trasmessa ai secoli cristiani e non ha cessato di influenzare il pensiero e la condotta di correnti alle quali ha dato origine la chiesa. Ne sono sca­ turite delle controversie durante le quali a volte ci si è dimenticati, da una parte, che Paolo non è l'unico teologo delle origini cristiane e, dall'altra, che alcune delle sue vedute si trovano soltanto in lui (è il solo nel Nuovo Testamento a parlare delle conseguenze del peccato di Adamo), e infine che il suo pensiero non è né immobi­ le né al riparo da certe tensioni. L'autore di questo commentario non ha cercato di stabilizzare ciò che è in movimento, e nemmeno di conciliare ad ogni costo ciò che può essere tenuto insieme solo a fatica. Cercare di comprendere Paolo, il suo lin­ guaggio spesso difficile, seguirlo nei meandri e nei contrasti del suo pensiero: sono state queste le intenzioni che hanno guidato il lavoro di cui si ha qui il risultato. Ta­ le lavoro ha tratto un grande profitto dagli studi di cui è stata oggetto l'epistola ai Romani, che nessuno oggi può vantarsi di possedere perfettamente. Aggiungendosi ad essi, possa questo contributo aiutare i lettori a meglio penetrare i progetti e il pensiero di Paolo, a valutare il suo genio senza ignorare le sue debolezze. Questo commentario segue gli stessi principi che ho già applicato alle epistole ai Tessalonicesi e all'epistola ai Galati. Oltre alla bibliografia generale posta alla fine, ciascuna pericope è munita di una bibliografia specifica, i cui riferimenti vengono dati mediante il nome dell'autore munito di un asterisco. I commentari sono indicati con il solo nome del loro autore.

Tolosa, 15/uglio 2001

Introduzione

Gll ebrei di Roma nel primo secolo della nostra era

Prima di trattare dell'origine della comunità cristiana di Roma alla quale Paolo in­ dirizza l'epistola ai Romani, è utile dedicare qualche riga agli ebrei della capitale, perché è tra loro che il cristianesimo romano ha reclutato i suoi primi fedeli. La presenza degli ebrei a Roma si inscrive nel grande movimento della diaspora (in ebraico, galut) che ha portato gli ebrei a diffondersi sia in Oriente che in Occi­ dente a partire dalla Palestina . Mentre le deportazioni successive spiegano la nascita delle comunità ebraiche in Oriente, solo in parte fu così per quelle dell'Occidente, in particolare per Roma dove, come vedremo, bisogna tenere conto anche dello spostamento spontaneo. Per conoscere la storia degli ebrei di Roma alla svolta delle due ere, disponiamo di un certo numero di fonti sia ebraiche sia romane1• Tra le prime, vanno segnalate le iscrizioni delle sette catacombe ebraiche. Tuttavia, questa documentazione di prima mano non può, a giudizio degli epigrafisti, pretendere di essere contemporanea alle origini cristiane2• Di conseguenza si possono usare solo con prudenza. A proposito dell'arrivo degli ebrei nella capitale dell'impero, la noti­ zia del primo libro dei Maccabei (8,1 7-32) sull'ambasciata inviata a Roma da Giuda Maccabeo, non ci dice nulla, essendo tra l'altro di un valore storico discutibile, co­ me è discutibile l'interpretazione che ne dà il libro in cui si trova3• L'indicazione più

• Cfr. la loro classificazione in R. PENNA, Lesjuifs à Rome, 324-326.

Cfr. R. PENNA, Lesjuifs à Rome, 326 e le note. ' Cfr. J.-G. GAUGER, Beitrage zurjadiscben Apologetlk. Untersucbungen zur Autbenttzitat von Urkun­ den bei Flaviusjosepbus und im l. Makkabderbucb, BBB 49, Bonn 1977, 1 55-328.335-339 (il documento citato in 1 Mac 8,23-30 è un'opera di propaganda, composita e interpolata); S.R. MANDELL, Was Rome's Early Diplomattc Interactton tbe Maccabees Legai?, in CB 64 (1988) 87-89; Did tbe Maccabees Believe 1

Introduzione

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antica ci viene fornita, nella . prima parte ·del 1 secolo nella nostra era, da Valerio Massimo4 dal quale sappiamo che F. Cneius Cornelius (Scipio) Hispalus (Hispanus), praetor peregrinus (139 a.C.), espulse da Roma, insieme agli astrologi colpevoli di aver commesso un errore nel loro calcolo del tempo, gli ebrei, perché «Cercavano di infettare i costumi romani con il culto di Jupiter Sabazios•. Quest'ultima notizia, stra­ na e non confermata da altre fonti, dipende da una confusione, all'origine della quale si trova, a quanto pare, un'accusa di proselitismo5• Si può essere sicuri, ad ogni modo, che nel 1 secolo avanti la nostra era gli ebrei costitu ivano una parte notevole della popolazione romana. Ce lo fa capire Cicerone6 nella sua arringa Pro Fiacco (ottobre del 59 a.C.). L'uomo, Lucio Valeria Fiacco, mentre era proconsole d'Asia, aveva proibito agli ebrei della sua provincia di mandare oro a Gerusalemme, cosa che verosimilmente facevano per pagare l'im­ posta del Tempio, oro del quale Fiacco aveva fatto man bassa. Rivolgendosi all'ac­ cusatore Lelio, Cicerone dichiara: «Tu sai bene che grande folla (gli ebrei) costitui­ scano, quanto facciano corpo insieme, quanto peso abbiano nelle assemblee popo­ lari•7. Senza fissare gli ebrei a Roma in particolare, questa notizia proviene senza possibilità di dubbio da una conoscenza della comunità ebraica locale e del suo comportamento, segno di una presenza piuttosto numerosa e quindi di un insedia­ mento che risale a molto tempo prima. Se si vuole precisare il tempo dell'arrivo degli ebrei a Roma, si può per lo meno dire che esso è in parte legato alla conquista della Palestina da parte di Pompeo nel 53 a.C.8, conquista alla quale si può aggiungere la presa di Tarichee sul lago di Ti­ beriade, da parte del questore Cassio nel 53. Nella prima circostanza, Appiano9 con­ ta trecentoventiquattro personaggi di alto rango fatti prigionieri10, cosa che implica un seguito più numeroso di persone oscure. La presa di Tarichee, secondo Flavio Giuseppe11, avrebbe fatto «trentamila schiavi��. Che queste persone siano state trasfe-

tbat 7bey Had a Valid Treaty wttb Rome?, in CBQ 53 (1991) 202-220 (da parte romana, soltanto un patto di amicizia: cfr. FlAVIO GIUSEPPE, 8]1,35). 4 Facta et dieta memorabilia 1,3. Cfr. il testo e la sua traduzione inglese in M. STERN, Greek and Lattn Autbors, t. I, 358-360. Vedi E.M. SMALLWOOD, 1be jews, 1 28-130; E.N. LANE, Sabazius and the jews in Valerius Maximus. A Re-Exa mination, in]RS69 (1979) 35-38. 6 Sull'atteggiamento relativamente moderato di Cicerone nei confronti degli ebrei, anche se essi do­ vettero far parte dei populares, nemici del personaggio nelle assemblee del popolo (contiones), cfr. M. STERN, Greek and Latin A uthors, t. l, 192-195. �

' ·Scts quanta sit manus, quanta concordia, qua ntum valeat conttontbw.. Cfr. Sal. Sa/om. 2,6; 17,13-14; FLAVIO GIUSEPPE, A}XIV,79. 9 Mitridate, 1 16-1 17.

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10 Tra questi, Fu.VIo GIUSEPPE, B]I,157-158, nomina l'asmoneo Aristobulo II e i suoi quattro figli (due maschi e due femmine), uno dei quali evase durante il viaggio. 11 8]1,180; A]XIV,120.

Introduzione

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rite almeno in parte a Roma, viene confermato da Filone che si esprime così sugli ebrei di Roma: ·per la maggior parte[. .] condotti in Italia come prigionieri di guer­ ra•12. Ma non bisogna escludere che gli scambi commerciali abbiano contribuito per la loro parte ad attirare a Roma un certo numero di ebrei d'Oriente. L'esempio di A­ quila e Priscilla, i fabbricanti di tende di cui parlano gli Atti degli Apostoli (18,2-3), non dovette essere che un caso di questo genere. Ciò che suggerisce Cicerone già per il suo tempo continua sotto l'impero. Secon­ do Flavio Giuseppe1\ più di ottomila ehrei sostenevano a Roma la delegazione dei cinquanta membri dell'aristocrazia ebraica e samaritana venuti dalla Giudea a la­ mentarsi con Augusto della tirannide di Archelao (destituito l'anno 6 della nostra e­ ra). Nel 19 Tiberio ordinò a tutti gli ebrei di abbandonare Roma; i consoli ne arruo­ larono quattromila nell'esercito e li inviarono in Sardegna14• Per il 1 secolo possiamo contare un minimo di ventimila ebrei a Roma15• Questa popolazione era suddivisa in più comunità o 'sinagoghe'16• Ne conoscia­ mo almeno undicP', ciascuna con un nome particolare. È quanto ci dicono le iscri­ zioni delle catacombe, la cui datazione relativamente tardiva non impedisce che al­ cuni di questi nomi siano stati attribuiti prima della nostra era: ad essi rimandano, senza dubbio alcuno, certi personaggi o 'patroni', tra i quali troviamo l'imperatore Augusto18, di cui Filone, da parte sua, vanta i favori accordati agli ebreP9• Lo stesso Filone20 segnala una concentrazione di ebrei a Trastevere, senza comunque che si debba vedere in questo quartiere della città qualcosa di simile ad un ghetto. .

u 13

Leg. ad Caium, 156; secondo la trad. di A. Pelletier. 4JXVII, 300.

FLAVIO GIUSEPPE, A] XVIII,83-84. Cfr. anche SVETONIO , Tiberio, 36; DIONE CASSIO, LVII,18,5; TACITO, Ann. 11,85. Secondo Dione Cassio, il motivo di questa espulsione era il proselitismo degli ebrei. 15 Cfr. la discussione in R. PENNA, Lesjuifs à Rome, 341 , n. 53. Dopo la presa di Gerusalemme nel 70, questo numero si accrebbe a causa degli ebrei fatti prigionieri in questa occasione (97.000 secondo FlA­ VIO GIUSEPPE, B] VI,420-421), un buon numero dei quali furono portati a Roma come schiavi. 16 Qui il termine synag6ghé non ha il senso di edificio (proseuché, latinizzato in proseucha), bensì di comunità. l'assenza di vestigia archeologiche delle sinagoghe (costruzioni) romane è notevole. 1" Cfr. lo studio particolareggiato di ciascuna di esse in H.j. LEON, 1be jews ofAncient Rome, 140-166; dr. anche R. PENNA, Les juifs à Rome, 327-328; P. R.ICHARDSON, in K.P. DoNFRIED- P. RICHARDSON (edd.), judaism and Christian ity, 1-29. 18 Sei di queste sinagoghe erano denominate Augustenses. Se si ammette il rapporto, come pare na­ 14

turale fare, se ne dedurrà che la comunità in questione era una delle più antiche di Roma, visto che il regno di Augusto va dal 27 a.C. al 14 d.C. Cfr. H.J. LEON, 1bejews ofAncient Rome, 142. 1 9 fiLONE, Leg. ad Caium, 153-158. Livia, moglie di Augusto, aveva una schiava ebrea di nome Akme (FLAVIO GIUSEPPE, N XVII, 134-141). Su questo punto Augusto aveva un predecessore nella persona di Giulio Cesare, il cui rogo funebre fu onorato dal pianto degli ebrei di Roma (secondo SVETONIO, Cesare,

84,5). 20

FILONE,

Leg. ad Caium, 155.

Introduzione

lO

Incontestabilmente, ossetva André Pelletier•, la testimonianza delle iscrizioni fatte nei di­ versi cimiteri ebraici, aggiunta a quella dei satirici latini, ci mostra ebrei che esercitano le attività più svariate nel quartiere del circo, nei pressi del Macellum Magnum, dell'Agger, attorno a Septa Julia e fin nel cuore della città, nella Suburra... Per quanto riguarda la di­ spersione dei cimiteri, essa è dovuta al fatto che gli antichi, e i romani come gli altri, non ammettevano le tombe all'interno della città. Quando i cimiteri di Trastevere furono total­ mente occupati, fu necessario trovare nei dintorni di Roma altri posti che rispondessero alle condizioni materiali, legali e religiose di un cimitero ebraico.

L'organizzazione di queste comunità prevedeva per ciascuna di esse una ghern­ sfa22, consiglio di anziani presieduto da un gberusiarcbJs. Un'altra funzione era quella del pbrontistJs, amministratore dei beni della comunità e incaricato della di­ stribuzione delle elemosine23• Tra i notabili (arcbontes), si annoveravano alcuni sa­ cerdoti (hiereis) e persino una 'sacerdotessa' (bierisa), semplici titoli onorifici dovuti ad una discendenza !evitica, ma senza incidenza cultuale, data l'assenza del tempio. Dal punto di vista sociologico, si nota la presenza di ebrei nei quartieri popolari di Roma, come la Suburra, cosa confermata dalla modestia della maggior parte delle sepolture (con una ortografia parecchio fantasiosa e una grammatica a volte poco chiara nelle iscrizioni)24, ma soprattutto dalle fonti letterarie. Numerosi schiavi, non tutti affrancati2S, artigiani come Aquila e Priscilla. Flavio Giuseppe segnala un attore26• Ne conosciamo un altro, di nome Menofilo, che Marziale27 motteggia per la sua circoncisione che un incidente offrì allo sguardo del popolo. Un •poeta circon­ ciso· ( verpus poeta) anonimo, ..figlio di Solimau, è accusato dallo stesso autorel" non sol­ tanto di saccheggiare i suoi versi, ma anche di pederastia verso il suo schiavo. Ci vengo­ no indicati anche altri mestieri. È probabile che si tratti di ebrei nel quadretto del mercan­ te ambulante di Trastevere che ·baratta zolfanelli giallastri con vasi di vetro rotti•29• È sicu­ ramente un ebreo quello che, secondo Giovenale31\ se ne sta sulla strada e .. per due soldi

21 Pbilon d'A/exandrle. Legatlo ad Caium, Éd. André Pelletier (Les 1 Ts 2,13; Eh 4,2 (bo /6gos tes akoes). Cfr. anche Rom 10,1 6. 81 Confronta ·la vostra fede· (Rom 1,8) e ·la vostra obbedienza· (Rom 16,19). Si veda anche Rom 15,18 ('obbedienza' per 'fede'). 82 Cfr. R. BuLTMANN, 7beologie, 31 5-320 [trad. it., 298-302] ('atto di fede' come 'atto di obbedienza', p. 315). È la fede di Abramo che, stando a Eb 1 1 ,8, ha come effetto la sottomissione del patriarca: pistet [. . . ] bypekusen. L'idea, complessa, è sulla linea deU'emundb biblica e giudaica (cfr. D. B. GARLINGToN•, in Wl] 52 [1990] 209, che cita E. Perry). 72

73 HUBY,

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Il genitivo pfsteòs, quindi, va inteso come genitivo epesegetico o di apposizione&'. Va e­ sclusa l'interpretazione di pistis nel senso di oggetto da credere (fides quae creditur), co­ me è, invece, in At 6,7, con hypakUein te pistei (si confronti, con il 'vangelo' come com­ plemento, Rom 10,16; 2 Ts 1 ,8). Allo stesso modo, qui non si può trattare della 'fedeltà' di Dio84, come in Rom 3,3, ma con una precisione che qui manca. Originale, ma non meno contestabile, è l'esegesi di Gerhard Friedrich*, il quale pensava di potersi appoggiare sul­ l'unica ricorrenza di hypakoi nei Settanta (2 Sam 22,36), su un passo del Vangelo di Pie­ tro e su alcuni altri testimoni dell'epoca patristica per tradurre hypakoe piste6s con 'predi­ cazione della fede'. Ma gli argomenti esterni allegati in questo senso provano piuttosto il contrario di ciò che se ne è voluto dedurre. In tutti questi testi, infatti, hypakoe vuol dire 'risposta'w; ed è solo con un'acrobazia arbitraria che le si può dare il senso di 'comunica­ zione (orale)' o di 'messaggio'. Questi testi, invece di contraddirla, sostengono in realtà l'interpretazione corrente che intende hypakoè piste6s come adesione credente alla predi­ cazione del vangelo.

L'apostolato di Paolo è destinato a suscitare la risposta credente, in altri termini, l'obbedienza, •tra tutte le nazioni•86• Nel piano di Dio, come lo concepisce Paolo, il 'mistero' comprende, prima della fine prossima del mondo attuale, due stadi: l'in­ gresso della •pienezza delle nazioni· nella comunità dei salvati, poi, una volta realiz­ zato questo, la salvezza di tutto Israele (Rom 1 1 ,26). Qui non si dice che •tutti i pa­ gani·, presi individualmente, risponderanno con la fede alla predicazione apostoli­ ca, ma soltanto che il numero degli eletti che la loro fede avrà prelevato di tra i gentili sarà completo87• Resta che tutte le nazioni pagane del mondo dovranno esse­ re oggetto della evangelizzazione, che Paolo si sa personalmente investito di una missione in questo senso (Rom l , 1 3) e che egli è convinto di avervi ampiamente contribuito (15,19). Così facendo, egli agiva e continua ad agire non per la propria 83 Così per la maggior parte dei commentatori, con D.B. GARLINGTON*, il quale, tuttavia, vede nell'·ob­ bedienza della fede· un concetto ·deliberatamente ambiguo , in quanto all'idea di una fede consistente nell'obbedienza, aggiunge quella di una obbedienza che ha la sua fonte nella fede. Si veda a questo proposito la critica di j. MURPHY-O'CoNNOR, in RB 100 0993) 306-307. 84 È questa l'esegesi di L. GASTON, Paul and tbe Torab, Vancouver 1 969 ss Così 2 Sam 22,36, dove bypakoé su sta per 'andkfi, compreso (contro l'ebraico) nel senso di 'la tua risposta'. Lo stesso nel Vangelo di Pietro (X/42), dove il medesimo termine greco è applicato alla ri­ sposta affermativa, proferita dalla croce, alla domanda posta dalla voce celeste a proposito della predi­ cazione del Cristo ai defunti. Il senso di 'risposta' è parzialmente sostenuto dal Simposio di Metodio di Olimpia dove, all'interno di un contesto liturgico, bypakOO e hypakUein significano 'risposta' e 'rispon­ dere', al che si possono aggiungere altri esempi nello stesso senso a proposito del verbo in questione (cfr. G. FRIEDRJCJf, p. 122, n. 43). 116 Tà étbné, come nei Settanta (Dt 4,19.27; 6, 14; 14,29; 2 &d 9,7. 1 l ; 15 (Ne 5t17[18l; Ger 1 0,2 3 , ecc. ) e nel Nuovo Testamento, specialmente in Paolo (Rom 1,5.13; 2,14.24 {Is 52,5]; 3,29, ecc.), nel senso di popolazioni non ebree. - En, qui nel senso di 'tra' (cfr. BAUER, col. 522,4). - L'espressione pilnta tà étbné si legge in Rom 15,10 (Dt 32,43); 16,20; Gal 3,8 (Gen 12,3); Mt 25,32; 28,19; Mc 1 1 17 (ls 56,7); 13,10; Le 24,47; At 14,16; 15,17 (Am 9,12); Ap 15,4; 18,3.; si veda anche Le 21,24 (tà étbnépilnta) 87 Cfr. pp. 569-570. -

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Indirizzo e saluti (1, 1-7)

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gloria e la propria promozione, bensì per l'onore del nome del Cristo88, per la sua gloria e la gloria di Dio (Rom 1 5,9; Fi/ 2,1 1). Una seconda relativa (v. 6)89 ci dice in forma esplicita che la comunità di Roma si trovava tra i gentili90• Ma è anche un modo per incontrare i destinatari, fin qui un po­ co trascurati, e di preparare l'indirizzo propriamente detto del versetto 7. Anche loro, per il fatto di trovarsi a Roma, fanno parte di quei 'gentili' che sono stati oggetto di una chiamata che mirava a far di loro dei ufedeli di Gesù Cristo•91• Questa chiamata si è manifestata per la mediazione umana degli apostoli; ma non per questo essa cessa di essere assoluta, come l'atto creatore, ed è come questo eftìcace (Rom 4, 17), pur­ ché il chiamato vi risponda in un atto di fede con l'aiuto di Dio (l Ts 5,24). La lettera (infine!) è indirizzata ai suoi 'destinatari' (v. 7) come al solito considera­ ti collettivamente, qui tuttavia, con una insistenza particolare sulla loro totalità (pd­ sin, come a proposito dei gentili al versetto 5). Il caso è unico nelle epistole. Nel darne una spiegazione, i commentatori, quando lo notano, sono a volte lacunosi92• Non può essere, tuttavia, un caso se Paolo, qui e poi in 1,8, infine in 15,33, sottoli­ nea che egli si rivolge •a tutti• i cristiani di Roma. Il motivo più verosimile, anche se non evidente, proviene dalla stessa epistola, la quale tradisce l'esistenza, nella co­ munità, di certe tensioni e divisioni (14,1-5; 16,17-20)93: Paolo, abbracciando tutti quei cristiani in un medesimo sguardo e una medesima benevolenza, avrà voluto far capire che non si schierava con nessun partito. L'assenza del termine 'chiesa' (compare in 1 Cor 1 , 2; 2 Cor 1 , 1) non dimostra che i cristiani di Roma fossero divisi in più comunità94 al modo delle sinagoghe della città9S, perché Paolo, come mostra 88 Autu ha per antecedente Iesu ChristU tu kyriu hem6n, alla fine del versetto 4. La preposizione bypér con il genitivo di persona vuoi dire 'per', 'a favore di' e il senso è lo stesso di quello che si ha quando si tratta di soffrire ·per it nome (bypèr tu on6matos) di Gesù· (At 5,4 1 ; 9,16; 21, 13). Il 'nome', qui, è più che uno strumento grammaticale di ispirazione semitica (contro BARRETI, p. 21) e si avvicina all'uso del termine 6noma in Rom 2,24; 9,17 (Es 1 1 , 16); 10,13 ( G/ 2,32); l Cor 1,2, ecc., per designare, secondo l'uso biblico, la persona in quanto conosciuta, manifesta, operante, il che vale per Dio (per e­ sempio, Mt 6,9c, par. Le 1 1 ,2c) e per il Cristo ( Gv 1, 12; 2,23; At 16,18, con 8,24) di cui Paolo vuole e­ stendere il 'nome' là dove esso ·non è ancora stato pronunciato• (Rom 1 5,20). In en hois, la preposizione ha, come nel versetto precedente, il significato di 'tra'. 90 Ciò è confermato in l, 13c, senza che se ne debba dedurre che questa comunità fosse composta u­ nicamente di cristiani provenienti dal paganesimo (cfr. p. 12). 91 I..AGRANGE, p. 1 1 , che interpreta Iesu Cbristu come un genitivo di possesso. Klet6i, in opposizione a bymeis, è sostantivato, a differenza di k/et6s del versetto l e di klet6i del versetto 7a, e il genitivo è og­ gettivo. Da escludere: ·chiamati da Gesù Cristo• (genitivo di agente); in Paolo è sempre Dio che chiama (Rom 8,30; 1 1 ,20; 1 Cor 1 ,9, ecc.). DuNN, p. 19, assimila l'appartenenza in questione a quella dei 'clienti' della Roma imperiale. yz ScHLIER, pp. 30-31 , si limita ad escludere due spiegazioni senza fornirne una alternativa. CRANFIELD, p. 68, fa osservare l'enfasi che si manifesta in 1,8 e in 15,33, ma non la spiega. 9l Cfr. Ot.;NN, p. 19. 94 Contro DUNN , p. 19. 9S ar. p. 9. 119

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l'epistola ai Galati (1,2), quando è così sa usare il tennine ekk/esia al plurale. L'im­ precisione all'inizio del versetto 7 potrebbe lasciar credere che Paolo si rivolga alla popolazione di Roma96 nel suo insieme. Ma già il versetto 6 ci fa capire chi sono in realtà i destinatari. Il seguito del versetto 7a dà loro dei titoli benevoli97: ·amati (agapetois) da Dio•98, i cristiani lo sono, non per i loro meriti e le buone azioni, bensì perché Dio, prima di qualsiasi azione umana, fa atto di amore salvando l'umanità per mezzo di Gesù Cristo (8,37-39). Questo amore produce come effetto una scelta. Qui ritroviamo, per la terza volta, il termine klet6s99, in una funzione grammaticale analoga a quella che gli viene assegnata al versetto 1100 nonché in 1 Cor 1 ,2. È la chiamata di Dio, che fa i 'santi'101• Israele, secondo l'Antico Testamento, è un popolo santo consacrato a Dio, ed è tale per chiamata divina102• La comunità di Qumran è anch'essa consapevole 96 Il nome di 'Roma' ricorre 8 volte nel Nuovo Testamento: due volte nell'epistola ai Romani (1,7. 15), un volta in 2 Tm ( l , 17) e cinque volte negli Atti. Eccetto Gv 1 1 ,48, Rh6maios è strettamente limitato agli Atti (11 volte). - Nella frase pasin t6is U.Sin en R6me, le parole en R6mé mancano nell'onciale interlinea­ re greco-latino G (X secolo) e in alcuni altri testimoni secondari. Una medesima omissione si è verifica.;. ta in 1,14. A questo proposito e sulla situazione di queste parole in Origene, cfr. HUBY, p. 49, n. l; MErzGER, p. 446 . L'interpretazione che vede in questo caso una soppressione intenzionale (allo scopo di generalizzare la destinazione della lettera) non è molto verosimile, perché i suoi testimoni conservano il titolo dell'epistola 'ai Romani'. Comunque stiano le cose, c'è accordo unanime sull'appartenenza di en Romè al testo originale. 97 Le due frasi k/et6is baghiois e agapét6ts theù, e non solamente la prima di esse, vanno intese co­ me facenti corpo con ciò che precede: •a tutti gli amati da Dio, chiamati [ad essere] santi che sono a Roma•. Questa lettura è suggerita in Fil 1 , 1 e Co/ 1 , 1 (cfr. WILCKENS I, 64). Invece di agapet6is tbetl, G ed alcuni manoscritti della Vetus Latina hanno en agape tbf!U, o il suo equivalente latino, in caritate (ovve­ ro: in dilectione) Dei, lezione generalmente rigettata e spesso considerata come conseguenza della o­ missione di en R6me: cfr. CRANFIEW, p. 68, n. 4. L'autore preferisce questa spiegazione a quella che ve­ de qui una assimilazione a Gd 21. 911 L'aggettivo agapét6s ricorre 22 volte nei Settanta, tra cui 6 volte per ydl;ld (unico, figlio unico). Sulle implicazioni cristologiche di questo aggettivo, cfr. S. LÉGASSE, Mare I, n. 90-91 . Paolo applica in maniera più generale agapét6s ai suoi corrispondenti, per manifestare loro il suo affetto (Rom 12,19; 1 6,5.8.9.12; l Cor 4,14; 10,14; 15,58; 2 Cor 7,1; 12, 19; Fi/ 2,12; 4,1; 1 Ts 2,8; Fm 1 . 1 6), a volte anche ai suoi collaboratori ( l Cor 4,17; Fm l; vedi anche Co/ 1,7; 4,7.9.14; E/ 6,21). L'unico uso autentico di que­ sto aggettivo in Paolo (vedi anche E/5,1), per esprimere l'amore che ha per soggetto Dio, oltre a Rom 1 7a , si trova in Rom 1 1 ,28, a proposito degli Israeliti •amati [agapét6i] a causa dei loro padri•. Per defi­ nire gli eletti come ·amati da Dio·, Paolo usa anche il participio passivo di agapan: l Ts 1,4; Co/ 3,12. Cfr. anche, per l'idea, Rom 8,37; 9,25; l Cor 2,9. 99 CRISOSTOMO (PG 60,399) fa il seguente commento: •Vedi come egli usi con frequenza il tennine klèt6s [. . . ]. Questo egli non lo fa per semplice ridondanza, bensì (volendo) ricordare loro il beneficio (che è stato loro accordato)•. Cfr. p. 28. 101 AGOsnNo, Ep. ad Rom. inchoata exposttio (PL 35,2093), crede utile commentare le parole latine vocatis sanctis scartando innanzitutto l'idea inversa secondo la quale la chiamata sarebbe fondata sulla santità dei chiamati. Essi sono resi santi dal fatto di essere stati chiamati (·sed ideo sancti effecti, quia vocati sunt•). Più sinteticamente, PELAGIO (PL 30, 647): ·Sancti vocatione Dei, non meritisfactt•. 102 Dt 7, 1 . 6 ; si veda anche Es 19,6 ; Dt 26 ,19; Ger 2,3. Non è sicuro che Paolo sia stato influenzato ,

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della sua chiamata a fare dei suoi membri una ·casa di santità•103• Tale è anche la s� cietà dei cristiani, tutti eletti potenziali, ma non senza condizioni né conseguenze: se vogliono realizzare la loro vocazione, questi 'santi' sono chiamati alla 'santità' (baghiasm6s), a realizzare nella loro vita la consacrazione che essi devono alla libe­ rnlità di Dio104• A quelli tra loro · che sono a Roma Paolo rivolge gli auguri che nelle sue lettere occupano il posto delle formule della corrispondenza profana del tempo: chairein in greco (At 23,26), salus in latino. In questa funzione Paolo usa regolarmente *gra­ zia e pace•105• Non si tratta di vuote formule di una pia gentilezza, perché a ispirarsi al contesto paolino in queste formule si coglie una densità religiosa tutta particola­ re. La grazia (charis)106, che Paolo augura e chiede a Dio - la fine del versetto fa di questo augurio una preghiera -, è il 'favore' divino. Già i Settanta lo esprimono, al bisogno, con questo termine107• Paolo ne fa una delle sue nozioni favorite per defi­ nire il nuovo statuto dei rapporti di Dio con l'umanità. Questo statuto, inaugurato dal Cristo, si oppone al regime della legge mosaica (Rom 6, 14) e traduce la gratuità radicale di una salvezza che nulla ha a che fare con le 'opere' umane108• La 'pace' (eiréne} qui conserva la sfumatura fondamentale dello shalom ebraico109• Associata alla 'grazia', questa pace ne scaturisce come da fonte propria. Più avanti (5,1), Pao-

dall'espressione dei Settanta, kleti hagbfa, in Es 12,16; 10 volte in Lv 23; Nm 28,25. Si ritiene che il gre­ co renda l'ebraico miqra ' qodesh, 'convocazione santa'. Su questa traduzione (in cui klet� nel significa­ ro di ·chiamata', è proprio dei Settanta), si veda SANDAY-HEADLAM, pp. 12-13; A. LE BouuuEc - P. SANDE­ VOIR, La Bible d'Aiexandrie II, L 'Exode, Paris 1989, 148. In 2 Tm 1 ,9, l'espressione klesis hagbfa, benché influenzata dal Pentateuco, designa non la società dei cristiani, bensì l'atto della chiamata che, in quan­ lo effettuata da Dio, deve essere detta 'santa'. ' 03 1Q 8,5; cfr. anche 8,8-9 e /s 64,10; 1 Cr 29,3.

1 Ts 4,3. IO'i 1 Ts 1 , 1 ; Ga/ 1,3; Fi/ 1 ,2; 1 Cor 1 ,3; 2 Cor 1 ,2; Fm 3. - La frase è senza verbo (confronta con Dn 4,1, Teod.; 1 Pt 1,2; 2 Pt 1,2; Gd 2). Si deve supporre piuttosto ést6 che éie, data la rarità dell'ottativo •o. Rom 6,19.22;

nella koiné (cfr. B. RIGAUX, 7bessaloniciens, 352). '06 È possibile che questa forma di augurio, senza pregiudizio del suo contenuto particolare, sia stata suggerita dal cbdirein profano. 10' A differenza dell'uso paolino, chdrls (il più delle volte per l'ebraico /;Jen) nei Settanta non è un tenn ine teologico, anche se, quando è il caso, viene applicato al rapporto di Dio con gli uomini: Gen 6,8; Es 3,21; Sa/ 83 (ebr. 84), 12; Pr 30,7; Sap 3,9. 14; 8,21. - Sul significato più formale del termine cbdrls per esprimere la gratitudine verso Dio, cfr. p. 322, n. 23. Su questo tema paolino, cfr. D. ZELLER, Charis bei Philon und Paulus, SBS 142, Stuttgart 1990, 129200. Si tenga tuttavia presente che, per Paolo, cbdris è suscettibile di applicazioni diverse a seconda dei contesti, come ha sottolineato M. WINGER, From Grace to Sin: Names and Abstractions in Paul's Letter, in NT41 (1999) 145-175 053-157), l'interpretazione del quale può essere messa a confronto con i punti di vista più sistematici di altri autori, quali H. BoERS, Agape and cbaris in Paul's 7bought, in CBQ 59 1111

(1997) 693-713. ' 09 Eiréne per shdlom nell'Antico Testamento: Lv 26,36; Nm 6,26; Is 45,7; Ger 36 (ebr. 29),1 1 ; Sal 84(85),9; 1 18(119),165.

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lo ci dice: il credente sfugge ad uno stato di guerra quando Dio lo perdona e lo giustifica, il che è pura 'grazia'. Questo augurio è in realtà una préghiera e una invocazione, perché 'grazia' e 'pa­ ce' provengono da ·Dio nostro Padre e dal Signore Gesù Cristo•. Menzionato come primo in Paolo110, il Padre è quello dei cristiani, ·nostro Padre· non per semplice imi­ tazione della formula giudaica corrispondente (abinu)m, ma perché il Padre ha un Figlio, il «Signore Gesù Cristo•112, e, per mezzo del Figlio, egli si è acquistata una fa­ miglia adottiva composta da tutti coloro che credono nel Cristo per essere salvati113•

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113 Rom 8,15-17; Ga/ 4,5; E/ 1 ,5.

Indirizzo e saluti (1, 1-7)

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Azione di grazie e progetto di visita (1,8-15)

'Anzitutto rendo grazie al mio Dio per mezzo di Gesù Cristo riguardo a tutti voi, perché la vostra fede è proclamata nel mondo intero. 9Mi è testimone Dio, al quale rendo culto nel mio spirito annunziando il vangelo del Figlio suo, che io senza posa faccio memoria di voi, 10chiedendo sempre nelle mie preghiere che, in qualche modo, un giorno, per vo­ lontà di Dio, io abbia l'opportunità di venire da voi. 11Desidero infatti ardentemente ve­ dervi per comunicarvi qualche dono spirituale perché ne siate fortificati, 120 meglio, per essere in mezzo a voi confortato mediante la fede che abbiamo in comune, voi e io. 13Non voglio che ignoriate, fratelli, che più volte mi sono proposto di venire fino a voi ­ ma finora ne sono stato impedito - per raccogliere qualche frutto anche tra voi, come tra le altre nazioni. 14Sono in debito verso i Greci come verso i barbari, verso i sapienti come verso gli ignoranti: 15sono quindi pronto, per quanto sta in me, ad annunziare il vangelo anche a voi che siete a Roma.

L'azione di grazie, a parte due eccezionP , nelle lettere di Paolo normalmente vie­ ne dopo l'indirizzo. Senza essere estraneo alla corrispondenza greca profana2, l'uso di Paolo è tutto penetrato da temi cristiani e paolini. Nel caso presente, si pone la questione dell'estensione di questa azione di grazie. Bisogna !imitarla al solo verset­ to 8 o prolungarla includendo il versetto 9? Questo inizia una frase che continua nel versetto l O. Senza misconoscere il passaggio che si verifica dal versetto 9 al versetto 10, non si può separare quest'ultimo da ciò che precede, perché la frase che esso contiene non è autonoma. Così, di l ,8-15 noi facciamo una sola pericope. 1 In 2 Cor 1 ,3-7, leggiamo una benedizione che si trasforma in conforto, all'inizio di una lettera di ri­ conciliazione. Nella lettera ai Galati né benedizione né azione di grazie: Paolo (Ga/ 1,6) passa diretta­ mente al registro del rimprovero. In Co/ l ,3-8; Ef l, 15-23, l'azione di grazie è seguita da una preghiera di intercessione. 2 Cfr. ). MURPHY-O'CoNNOR, Pau/ et l'art épistolatre, 87-90.

Azione di grazie e progetto di visita (1,8-15)

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Qui Paolo ci offre una forma di anacoluto, perché scrive un ·innanzitutto• o ·in primo luogo.. (pr6ton mèn)3 del quale si cerca invano la correlazione nel seguito del testo. Anche se a volte si suggerisce di scusare Paolo di una negligenza4, in lui i casi di questo genere sono sufficientemente numerosi5, perché tra essi si annoveri anche questo esempio. Il verbo 'ringraziare' (eucbarist6), con Dio come complemento, mostra, qui come in altre lettere di Paolo6, che si tratta in realtà di una preghiera. Con ciò Paolo si allinea sull'uso religioso di questo medesimo verho nei Setta n ta7 e negli scritti dell'epoca ellenistica11• La precisazione ·mio Dio»Y è anch'essa un'eredità dei Settanta, soprattutto dei Salmi10, e contrassegna l'intensità del legame personale tra il credente e Dio, ma senza alcunché di esclusivo, cosa che va estesa a Paolo perché egli sa dire che questo Dio è anche il Dio dei suoi fratelli cristianiu. L'azione di grazie è subito collocata sulla sua traiettoria normale nella preghiera cristiana: la mediazione del Cristo12 come intercessore nel cielo viene enunciata a tut­ te lettere in Rom 8,34 da cui riceve luce la presente forrnula13• Questo ruolo è l'appli­ cazione cristologica di un tema chiaramente attestato nell'antico giudaismo, con gli angeli intercessori14• Il Cristo risorto esercita questo ruolo ad un titolo particolare e trascendente, pur conservando la posizione che salvaguarda il monoteismo15• Egli re-

3 Anche nel greco classico accade, per lo meno in determinate condizioni, che mén non sia seguito da dé (vedi BDR, p. 377 § 447, 2c, n. 14). Un altro esempio di pr6ton mén senza dé in 1 Cor 1 1 , 18. Altro mén senza dé in Rom 10,1; 1 Cor 6,7; 2 Cor 1 1,4; 12,12, ecc. Confronta pr6ton [. . . ] épeita in 1 Ts 4,16; 1 Cor 15,46; proton [. . . ] déuteron [. . . ] épeita in 1 Cor 12,28. 4 Viene allegata l'espressione prò mèn pant6n (senza de) o espressioni similari trovate nei papiri e il cui senso è 'innanzitutto', vale a dire principalmente (cfr. CRANFIELD, p. 74 , n. 1). Ma queste espressioni differiscono da quella che leggiamo qui. � Cfr. N. TURNER, in J.H. MOULTON, A Grammar of New Testament Greek N, Style, Edinburgh 1976 (ri­

86. 6 Con Paolo (e i suoi compagni) come soggetto e Dio come complemento esplicito: Rom 7 , 2 5 (v.l.);

st. 1980),

l Cor 1,4.14; 14, 18; Fi/ 1 ,3; Fm 4; Co/ 1 ,3; si veda anche 2 Ts 1,3; 2,13; con Dio come complemento im­ plicito: 1 Cor 10,30. - Gdt 8,25; 2 Mac 1 , 1 1 ; 10, 7 (v.l.); 3 Mac 7,16. Uso non religioso del verbo in Sap 18,2; 2 Mac 12,31 (v .l.). 8 Cfr. i riferimenti in B. RIGAUX, 7bessaloniciens, 35. 9 Fi/ 1 ,3; 4, 19; 2 Cor 12,1; Fm 4. In Paolo, sempre con l'articolo. Circa l'uso - irregolare - dell'articolo con the6s e kjrios nel Nuovo Testamento, cfr. N. TURNER, Syntax, 174; BDR, p. 203 § 354, l . 10 Sa/ 3,7; 5,2; 7,1 .3.6; 12(13),3; 15(16),2 (v.l.); 17(18),2, ecc. 11 Rom 1 ,7; 8,15; 15,6; 1 Cor 1,3; Gal 1,4, ecc. 12 Sul titolo Christ6s, cfr. pp. 27-28. 13 La ritroviamo in termini equivalenti in Rom 2,16; 5 , 1 . 1 1.21; 7,2; 1 5,30; 16,27; 1 Cor 15,57; Co/ 3,17, ecc. La preposizione diii è l'espressione stessa di questa mediazione. Cfr. in FITZMYER, p. 244, la critica dell'interpretazione riduttiva di IO.sEMANN , p. 17. 14 1b 12,12.15; 1 En 9,3; 99,3; 104,1 ; Test. Levi 3,5; 5,6-7; Test. Dan 6,2; Giuseppe e Asenet 1 7 ,7 . Un ruolo identico viene attribuito ai patriarchi in FILONE, Praem., 166. Il tema, applicato alla cristologia, è centrale nell'epistola agli Ebrei (cfr. in particolare 7,25). ·� Cfr. DUNN , p. 28.

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sta 'Figlio' e agente divino nell'opera redentrice che continua16 nell'intercessione. Questa viene effettuata ·per17 noi tutti•, -noilt, cioè i cristiani di Roma, Paolo e gli altri cristiani che, a motivo della loro fede, hanno avuto accesso alla comunità dei salvati e beneficiano della potenza di intercessione del Cristo, nel cielo. L'insistenza sulla to-­ talità, qui come nel versetto 7, pare dipendere da una necessità concreta 18: informato delle divisioni latenti o aperte tra i Romani (14,1-6; 16, 17-20), Paolo rifiuta da parte sua qualsiasi distinzione quando si trana dei doni spirituali del Cristo mediatore. L'azione di grazie ha un motivo che viene enunciato al versetto 8b: è la 'fede' dei cristiani di Roma19• Il termine pistis qui ha il significato che ha dappertutto in Paolo: è un tutt'uno con l'adesione obbediente all'opera di Dio in Cristo per la salvezza degli uomini; se ne ha la prova in Rom 16, 19 quando Paolo scrive che r·obbedien­ za· dei Romani è ·conosciuta da tutti•, offrendo a quanto si dice qui un parallelo che lo esplicita, per cui ci si ricollega all'espressione bypakoè piste6s di 1 ,520• Men­ tre, però, in 16,19 la frase scorre senza difficoltà, risulta meno naturale leggere qui che la fede dei Romani ·è proclamata, nel mondo intero. Quello che sorprende non è tanto l'iperbole manifesta e oratoria, •nel mondo intero· (en h616 to k6smo) 2 1 , quanto il verbo che la regge. Il verbo katanghéllein (qui al passivo) significa 'pro­ clamare', annunciare solennemente: esso implica l'azione positiva di un agente e, nel Nuovo Testamento, si applica quasi sempre alla predicazione cristiana22• Si fa fa­ tica a vedere come la fede dei Romani possa essere oggetto di un tale verbo e le versioni non danno sempre esempio di un grande rigore a questo proposito23• Se non si vuole imputare a Paolo una improprietà lessicale, si è indotti a intendere la frase nel senso che la fede dei cristiani di Roma, per il fatto che essi si trovano nella capitale dell'impero, è universalmente conosciuta e, per questo fatto, ·è diventata vangelo per il mondo intero��24• •

16

Sul ruolo del Cristo nell'ultimo giudizio, cfr. p. 142. Qui peri ha lo stesso significato di bypér al versetto 5 (cfr. LAGRANGE, p. 1 3). Cfr. p. 39. 19 Cfr. 1 Ts 1 ,2-3; Co/ 1,3-4; 2 Ts 1 ,3-4, dove c'è la triade teologale che viene allegata. 20 Vedi pp. 37-38. 21 Come in 1 Ts l ,8 (enpanti t6pO) e in Col 1,6 (enpantì t6 k6sm6). 22 In Paolo: proclamare il ·mistero di Dio· (1 Cor 1,1), il ·Cristo· (Fi/ 1 , 17.18 v .l; Co/ 1,28), il ·vangel()o (1 Cor 8,9.14); aggiungi: ·proclamare la morte del Signore• nell'eucaristia (1 Cor 11,26). Negli Atti: •pro­ clamare il Cristo• (17,3), la •parola di Dio· o ·del Signore• ( 13,5; 15,36; 17 , 13) , il ·perdono dei peccati• (1 3,38), la ·risurrezione dei morti· (4,2), ·una via di salvezza. (16, 17), la ·luce• (26,23; cfr. anche 17,23); equivalentemente, in At 16,21, Paolo e Sila vengono rimproverati di predicare delle •usanze• non conformi a quelle dei Romani. Eccezione: At 3,24 (annunci profetici). 23 Per esempio, l.AGRANGE, pp. 12-13: •Si celebra la vostra fede- (id. HUBY, p. 53; l.EENHARDT , p. 26) e •se ne è diffusa la fama••; CRANFIELD, p. 75: •as being publisbed·. In compenso, ZELLER, p. 39: ·verkilndet wird-; FITZMYER, p. 3: ·is proclaimed- e già la Volgata (annunciatur) hanno la traduzione giusta. 24 ScHLJER, p. 36, il quale conferma questa lettura con 1 Ts l ,8 dove ·la parola del Signore• e ·la vostra fede- sono in parallelo. 17 18

Azione di grazie e progetto di visita (1,8-15)

47

Paolo non si limita a ringraziare Dio per la fede dei Romani: aggiunge la pré­ ghiera di domanda a loro vantaggio25• Il pensiero evolve dunque per sfociare nel progetto di una visita a Roma. Riguardo soprattutto alla preghiera, si rimane colpiti dall'insistenza di Paolo a questo proposito e dalla solennità che qui la circonda (v. 9). Si tratta innanzitutto di un giuramento, uno di quelli che Paolo si compiace di formulare26 quando lo ritiene utile, e che dimostra come egli ignori la consegna e­ vangelica che proibisce questa pratica (Mt 5,33-37; cfr. anche Gc 5,12) nonché le metonimie rabbini che evocate in Mt 23, 16. In compenso, Paolo è nella linea del­ l'Antico Testamento dove Dio viene chiamato a testimone quando se ne fa sentire la necessità27• Ma questo giuramento è ancora troppo poco, e nominare semplicemente Dio non basta a Paolo: Dio è in qualche modo commentato da un riferimento personale più originale di quello che leggiamo nel versetto precedente. Il verbo latréuein, u­ sato nel greco profano per il servizio a una divinità28, si ritrova regolarmente nei Settanta per il culto del Dio d'Israele29, uso che il Nuovo Testamento30 e Paolo31 stes­ so continuano. Quanto a Paolo, non bisogna dimenticare che egli considera il pro­ prio ministero apostolico come una forma di culto32, come verremo a sapere in se­ guito (Rom 15,15-16) e come già qui viene precisato: questo 'servizio' cultuale si compie di fatto ��nel vangelo del Figlio [di Dio)33., vangelo predicato a cura di Paolo e dei suoi collaboratori. Esso ha per oggetto o contenuto il «Figlio di Dio· (Gal 1 , 1 6), vale a dire il Cristo e la sua opera di salvezza34• Questo 'servizio', o culto di un tipo particolare, Paolo ci dice di compierlo nel suo «Spirito,. (en t6 pnéumatf mu), precisazione piuttosto inaspettata e che ha dato Qui il gar è semplicemente coordinativo (cfr. BAUER, col. 305,4); contro ScHUER, p. 36. Questa formula, martys gar mu estìn ho the6s, ha i suoi parenti vicini in 1 Ts 2,5 (the6s martys); Ftl 1 ,8 (martys gar mu o tbe6s). Cfr. anche 2 Cor 1 ,23 (eg6 dè ma rtyra tòn tbeòn eptkalumat); diversamente formulato: 2 Cor 1 1 ,31. Cfr. anche Ap 3, 1 4 . L'espressione ha le sue radici veterotestamentarie e giudai­ che: 1 Sam 12,6 (mdrtys kjrios); Test. Levi 1 9, 1 2 (martys éstin bo kjrios kài martyres hoi angheloi a utu); Or. Sib. , fr. Il, 1,4 (tbeòn martyra pdntòn). In particolare nei contratti: Gen 3 1,44-54; 1 Sam 20,23; Ger49 (ebr. 42), 5; Gb 16,19. Dio che si of· fre come testimone: Ger 31 (29),23; Ma/ 3,5. ·Il cielo e la terra chiamati a testimoniare•: 1 Mac 2,37. Sul­ l'uso del giuramento nell'antichità pagana, cfr. B. RIGAUX, 7bessaloniciens, 415. 18 PLATONE, Apol. 9,23b; EURIPIDE, Ione, 1 52; PUITARCO, Mor., 405c-407e, ecc. 19 Es 3,12; 4,23; 7, 16; 8, 1 (7,26).20 (16); 9,1. 13; 10,3, ecc. Dt 6,13; 1 0 , 1 2 . 20, ecc. Ma vedi anche Dt 4,19. 28; 12,2, ecc. (idolatria). 30 Mt 4,10, par. Le 4,8 (Dt 6,13); Le 1,73; At 7,7 (Gen 15, 14); 24,14; 16,7; 27,23 (per i culti idolatrici: At 7,42); Eb 9 14 ; 12,28 (per il culto ebraico: Eb 8,5; 9,9; 1 0 , 2 ; 13,10); Ap 7,15; 22,3 . .\J Qui e in Fi/ 3,3; vedi anche 2 Tm 1,3. Per il culto degli idoli, Rom 1 ,25. JZ A.·M. DENIS*; S. LYONN�; J. COISON*. H Qui: ·il Figlio suo·. Sul titolo, cfr. p. 31. - Sul termine euanghélion, cfr. pp 29-30 - La preposizione en seguita da t6 euangheli6 ha la sfumatura 'con', come in Rom 1 ,17; 1 Cor 9,18 ; 2 Cor 10,14; Fi/ 4,3; 1 Ts 3,2 (cfr. BAUER, col. 522); confronta dià tu euangbeliu (1 Cor 4 15) e dià tòn euanghélion (1 Cor 9,23). � Cfr. pp. 724-725. zs

26

2•

,

.

,

Preliminari (1, 1-15)

48

luogo a diverse interpretazioni�5 che è stato possibile dividere in due categorie, a seconda che questo 'spirito' venga inteso come lo spirito di Dio che dimora in Pao­ lo36 o come lo spirito umano di Paolo. Questa seconda opzione è soggetta a sua volta a delle varianti: ora si dà a en pnéumati un valore avverbiale ('di tutto cuore' o 'sinceramente')37, ora vi si vede l'espressione de l'•uomo tutto intero-38; per alcuni esegeti, infine, si tratta della vita interiore dell'Apostolo in contrasto con la sua atti­ vità esteriore e missionaria39• Si può scartare senza difficoltà l'interpretazione che ri­ conosce qui lo Spirito divino, a causa del pronome possessivo che accompagna il termine pneuma, cosa confermata in Rom 8,16 dove ((nostro spirito, si distingue dal­ lo Spirito (di Dio). Qui abbiamo uno dei casi relativamente rari in cui Paolo dà al termine pneuma il senso di spirito umano40• Pur ammettendo che, per Paolo, questo spirito è l'aspetto o la 'dimensione' della persona individuale in cui si stabilisce la comunicazione con Dio41, qui come in altri passi delle sue epistole, Paolo si limita all'ambito antropologico. È meno facile pre­ cisare che cosa egli intenda in questo ambito e perché lo dica. L'interiorità di que­ sto 'servizio' nella predicazione del vangelo, }"investimento' intimo che essa implica da parte sua, sono cose di cui si resta convinti alla semplice lettura delle lettere di Paolo42• Ma perché insistervi qui? Il contesto non indica un tocco di ispirazione po­ lemica che confronta il culto 'spirituale', che Paolo rende a Dio evangelizzando, e il ritualismo esteriore imputato ai giudei43• Resta che non era inutile precisare, nei confronti dei lettori, la natura particolare di questo culto, come Paolo farà più avan­ ti (12, 1), utilizzando un'altra espressione, per la condotta morale dei cristiani. Dopo questo inciso (v. 9b), Paolo viene (v. 9c) all'argomento introdotto dal giu­ ramento dell'inizio del versetto44: esso riguarda la preghiera di Paolo e si prolunga

Js CRANFIELD, pp.

76-n, ha approntato una lista di otto interpretazioni.

36 Così W.G. KOMMEL, R6mer 7 und die Bekehrung des Paulus, Leipzig 1929, 33; sotto forma di do­ manda in H . STRATHMANN , art. Latréuo, latréia, in Th WNT IV, 64 [trad. it., in GLNT VI, 184s.J; E. SCHWEIZER, art. Pneuma, pneumatik6s, in ThWNfVI, 433-434 [trad. it., in GLNI'X, 1054-1057). J' G ià PELAGIO (PL 30,648): ·in toto corde meo et prompta devotione mea.; CALVINO (Tholuck, p. 20);

MAILLOT, p. 49. :��� MICHEL, p.

47: •pensiero, volere e agire•. p. 10; CRANFIELD, p. 77; WILCKENS, t. I, 78. Questa era una delle due interpretazioni di 'n:>mmaso d'Aquino per la quale opta LAGRANGE, p. 12. Rom 8,16 (·il nostro sp irito�) ; 1 Cor, 5,3.4.5; 16,18 (·il mio spirito•); 2 Cor 2,13 (·il mio spirito•); Gal 6,18 (·il vostro spirito�); Fi/ 4,23 (·il vostro spirito•); 1 Ts 5,23; Fm 25. 41 DuNN, p. 29. 42 Cfr. in particolare 1 Cor 9,16. 43 Così tuttavia DUNN, p. 29, il quale rimanda a Rom 2,28-29; 12,1; 15,16; Ftl 3,3. Di questi testi, solo Rom 2,28-29 e Fi/ 3,3 sono di stampo polemico, in quanto se la prendono con la circoncisione. La spiri­ tualizzazione del culto in Rom 12,1 e 15,16 non implica alcuna critica nei confronti del giudaismo. Con­ fronta Gv 4,23. 44 La congiunzione b6s (come in 1 Ts 2,10; Fi/ 1 ,8) qui è l'equivalente di h6tt (cfr. BAUER, col. 1793,4). 39

40

ALTHAus,

Azione di grazie e progetto di visita (1,8-15)

49

al versetto 1Q45• Paolo lo indica prima di tutto in una espressione più generale che si può applicare, però, alla preghiera in cui l'arante 'fa memoria'46 di determinate per­ sone. È quanto accade qui, come in 1 Ts 1 ,2; Fm 4; E/ 1 , 16, dove l'espressione o­ scilla tra 'ricordarsi di' e 'menzionare' nella preghiera. Ciò avviene •senza posa· (a­ dialéipt6s)47, perché ogni preghiera dell'Apostolo fa sempre posto48 ai cristiani di Ro­ ma (bymon). La preghiera come tale appare al versetto 10, con il participio de6menos49 al qua­ le si ricollegano le parole ·nelle mie preghiere"50• Si tratta , a motivo del verbo usato, di preghiere di domanda51, il cui oggetto è 'sempre' (pantote)'i2 centrato sulla venuta di Paolo a Roma. Abbiamo notato poco fa53 lo spostamento progressivo del pensie­ ro verso quest'ultimo progetto, progetto per il momento compreso nella preghiera. La doppia congiunzione éi p6s54 non è molto naturale dopo un verbo di domanda, perché implica nel contempo una incertezza e una speranza. Ma il seguito permette di comprendere questa riserva. Senza dubbio si tratta di un desiderio che Paolo nu­ tre da molto tempo e che non vede l'ora che si realizzi55• Questo desiderio rimane, tuttavia, sottomesso alla «Volontà di Dio"56, di fronte alla quale Paolo lascia nascere p. 44. Mnéian poieisthai, con il verbo al medio, come nel greco classico quando il verbo forma una pe• rifrasi, equivalente ad un verbo semplice: vedi BG, pp. 227-228 § 227. L'espressione è essa stessa classi­ ca ( per esempio, PLATONE, Fedro, 254a), ma ricorre anche nei Settanta (Dt 7,18; Gb 14,13; Sa/ 1 10,4; fs 38,10). Per gli esempi religiosi non biblici, cfr. B. RIGAUX, Thessaloniciens, 360 . Nel Nuovo Testamento !"espressione ricorre solo all'interno del corpus paolina: qui e in 1 Ts 1,2: Fm 4; E/ 1,16. Adialéipt6s (da dialéipein, con alpha privativa), 'senza interruzione', in greco ellenistico: vedi C. SPICQ, Lexique, 44-46. 4 volte nel Nuovo Testamento, unicamente in Paolo (Rom 1 , 9; l Ts 1,3; 2,13; 5,17), sempre in rapporto con la preghiera, come in 1 Mac 12, 1 1 ; IGNAZIO, E/ 10, 1; ERMA, Sim. IX, l 1 ,7. 411 L'avverbio adialéipt6s indica che nella preghiera (vedi il versetto successivo) Paolo non cessa di fare memoria dei Romani, non che Paolo ne faccia memoria continuamente, quali che siano le circo­ stanze. Participio in funzione di apposizione (parlicipium coniunctum) il cui soggetto è Paolo (soggetot del verbo latréuO al versetto 9b) e che indica le circostanze in cui vengono effettuati il 'ricordo' e la ·menzione'. 'iO Ept' ton proseucbon mu: come in 1 Ts 1,2, dove Paolo include i suoi collaboratori; cfr. anche Ef 1,16 (m néian poiumenos epì ton proseuch6n mu). - Proseucbe, anche se di portata più generale di déests (i due termini formano una associazione pleonastica in 1 Re 8, 4 5 ; 2 Ts 6,29; Fi/ 4,6; E/ 6 , 1 8 ; 1 Tm 2.1), si distingue male da quest'ultimo termine in Paolo: Fi/ 1,4 (déesis); Co/ 4,1-2. Qui proseucbon vie­ ne reso esplicito da de6menos . Allo stesso modo, proséuchestbai può includere la domanda: Mc 1 4,32.35 . 36 . 39 par. ; 1 Ts 5.25; Co/ 1 ,3; 2 Ts 1,11. 5 1 Epì ton proseucbon mu deve essere collegato a de6menos piuttosto che a mnéian bymon poiumai, perché altrimenti pantote sarebbe un doppione di adialéipt6s. 52 L'avverbio si riferisce alla preghiera di domanda e al suo oggetto. Esso non vuoi dire che Paolo non cessi mai di pregare in questo senso. bensì che quando prega per i Romani include quello che segue. �3 P. 47. S4 Nel Nuovo Testamento, qui e in Rom 1 1 , 14; Fil 3, 11; At 27, 12. ss Notare l'insistenza. grazie ai due avverbi ide poté, ·infine, una buona volta•; vedi anche Fi/ 4.10. 56 Nel Nuovo Testamento l'espressione è in modo particolare paolina: Rom 1 , 1 0; 12,2; 13,32; 1 Cor 4S 46

�-

�9

Cfr.

50

Preliminari (1, 1-15)

in sé un certo grado di ansietà57, perché sa che tra Roma e lui si trova Gerusalemme dove dovrà recarsi senza sapere bene ciò che gli accadrà (Rom 1 5,25.28.31). Egli ha per lo meno la speranza che questa volontà di Dio gli dia il successo� del suo pro­ getto che è quello di 'recarsi presso' dei cristiani della capitale59• Tale è in effetti (gar) il suo ardente desiderio di vederfil10 (v. 1 1). Non si tratta di una pia curiosità che spingerebbe l'Apostolo a rendere visita ad una comunità già celebre, ma non ancora incontrata. Il suo scopo, a quanto ci dice lui, è decisamente apostolico: comunicare61 ai Romani «qualche dono spirituale��. L'espressione è gene­ rale, usata per significare dei benefici mediante i quali si esercita e si manifesta l'a­ zione dello Spirito Santo62• Paolo usa le parole che convengono. Non si tratta di

1 ,1; 2 Cor 1 , 1 ; 8,5; Ga/ 1,4; 1 7S 4 , 3; 5,18; Co/ 1 , 1; 4,12; E/ 1 , 1.5.9. 1 1; 6,6. Aggiungi Mc 3,35; Eb 10,36; 13,31; 1 Gv 2,17. Vedi anche Mt 7,21; 12,50; 21,31; Gv 4,34; 6,38; 7, 17; 9,31. Tale e quale, l'espressione non è né biblica né ebraica. Nel giudaismo rabbinico, tuttavia, essa ha degli equivalenti pronominal i (resono, ·la Sua volontà·) o metonimici (�ono shel Mdqom, ·la volontà del Luogo·). DUNN, p. 30. � Il verbo euodun, sempre al passivo nel Nuovo Testamento, qui come in 1 Cor 16,2; 3 Gv 2, ha il senso derivato di 'riuscire'. In senso letterale l'attivo vuol dire 'procurare un buon viaggio', 'mettere sul­ la buona strada'; al passivo: 'fare un buon viaggio'. In senso derivato lo stesso passivo significa avere successo, un esito felice, riuscire. Così sempre nei Settanta (Gs 1,8; Pr 28, 13; 2 Cr 18, 1 1 ; 32,30; Sir 41,1 ; Ger 2,37; Dn 6,4) e nel Nuovo Testamento. Seguito da un infinito, come qui e in 1 Mac 16,2, significa 'riuscire a'. In questo caso l'idea di 'messa in strada' è praticamente perduta. Per cui non è per nulla ap­ propriato citare qui, con BILLERBECK, t. I, 410, e WILCKENS, t. l, 79, n. l, l' itinerarium giudaico: ·Che la tua volontà, o YHWH, mio Dio, sia di condurmi in pace•, ecc. 59 Letteralmente, presso 'di voi'. Il pronome (allo stesso modo che nei versetti 6.7b.8ab.9c) ha come antecedente pdsin tois t2sin en R6me, e non è il caso di servirsene per elaborare l'idea di una lettera dapprima polivalente indirizzata a delle comunità pagano-cristiane, allo scopo di mettersi in contatto con loro, poi in seguito adattata alla comunità di Roma, secondo la teoria di J. KNox, A Note on tbe Text of Romans, in NIS 2 (1955-1956) 191-193. Tbe Epistle to the Romans, lntB, t. IX, New York - Nashville 1954, 353-368 (365-368), che dà peso in questo senso all'omissione della Spagna nel nostro passo (con­ fronta 15,23-24). 60 Epipothetn: vedi in particolare C. SPICQ, li!xique, 568-570. Questo verbo ricorre nei Settanta per u­ na grande varietà di termini ebraici. Lo troviamo 9 volte nel Nuovo Testamento, di cui 7 nelle lettere paoline (Rom 1,11; 2 Cor 5,2; 9,14; Fi/ 1 ,8; 2,26; 1 Ts 2,6; 1 Tm 1 ,4), con sfumature diverse: cfr. 2 Cor 9,14; Fi/ 1,8 ('avere affetto per'), con il nostro passo in cui il senso è 'desiderare ardentemente'. - 'Vede­ re' (idein) qui ha il senso di 'incontrare', 'rendere visita a', come in Eb 13,23 (vedi anche 1 Sam 20,29;

Giuseppe e Asenet 22,3). 61 Metadid6nai, seguito dal dativo, implica in sé l'idea di 'condividere con' qualcuno ciò di cui si conserva una parte (Le 3,11; Rom 12,8; E/ 4,28: a proposito dell'elemosina). Non è più così quando si tratta di cose spirituali, qui e in 1 Ts 2,8, dove il senso è semplicemente 'comunicare'. 62 Charisma non ha qui il senso particolare che Paolo dà a questo termine in 1 2,6 e 15,27 (cfr. anche 1 Cor 12,4.9.28.30.31). L'uso profano del termine è tardivo. L'antico giudaismo (Str 7,33 [v.l.J; 38,30 [v.l.J; Sal 30[31],22, Teod. ; FILONE, Leg. ali. III, 78 [bis] conosce soltanto l'uso religioso. Così anche il Nuovo Testamento dove charisma è quasi limitato a Paolo (ai testi già citati, vanno aggiunti 1 Tm 4, 14; 2 Tm 1,6; 1 Pt 4,10), al quale si può attribuire la responsabilità principale dell'uso cristiano successivo. Una interferenza con charis (cfr. p. 41) che fa del charisma divino una manifestazione della 'grazia' o una forma nella quale essa è vissuta dal credente (cfr. DUNN , p. 30) permetterebbe di spiegare la frequenza

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predicazione, perché i Romani sono già. evangelizzati. E non si tratta nemmeno di

rettificare una fede che, come quella dei Galati, lascia a desiderare o è minacciata. Questa fede esiste, è ortodossa ed è la stessa fede che professa Paolo. Ma egli conta di contribuire da parte sua a consolidarla nei Romani6;,. A dire il vero, è Dio che sot­ to il ve rbo sterizein al passivo viene indicato, Dio che, tramite il ministero di Paolo, darà forza e perseveranza: in questo modo Paolo si scagiona saggiamente da qual­ siasi forma di presunzione nei confronti dei destinatari. Il versetto 12 si presenta come una messa a punto()q di ciò che è stato detto e che è già pieno dei riguardi dell'Apostolo. Egli non pensa solo di dare, spera anche di ricevere. Il verbo doppiamente composto symparaklethenai6\ in una frase essa stes­ sa piuttosto pesante, evoca il conforto66 che Paolo spera di godere in compagnia dei cristiani di Roma durante il suo soggiorno tra loro67• Questo conforto e questo inco­ raggiamento che lui si aspetta avranno come causa - così prevede Paolo - l'incon­ tro della sua fede con quella dei Romani: lui ed essi si incoraggeranno in uno scam­ bio vicendevoleOtl, e non soltanto loro trarranno profitto da questo incontro, ma an­ che lui69• Non è assente da queste dichiarazioni una forma di captatio benevolentiae, senza che ci sia bisogno di mettere in dubbio la sincerità di Paolo nel dettarle, e di vedervi in esse nient'altro che diplomazia e falsa umiltà�0• Né c'è esagerazione quando Paolo, al versetto 13, comunica ai suoi 'fratelli' cridel termine in Paolo in particolare. - L'aggettivo pneumatik6s è quasi unicamente paolina nel Nuovo Testamento: Rom 1 , 1 1 ; 7,14; 15,27; 1 Cor 2,13. 1 5; 3,1; 9, 1 1 ; 10,3.4; 12,1; 14,1 .37; 15,44 (bis). Per l'avver­ bio pneumatik&: 1 Cor 2,13 (v.l.); Ap 1 1 ,8. 63 Su sterizein, vedi B. RIGAUX, Tbessaloniciens, 468-469; C. SPICQ, Lexique, 1428-1432. Il senso fon­ damentale è 'appoggiare', 'sostenere'. In senso religioso e morale (con Dio o il Signore come soggetto): Sir 6,37: Sal. Salom. 16. 12: Rom 16.15: 1 Ts 3.2.13; 2 Ts 2 1 7 ; 1 Pt 5,10. Per un'azione pastorale: qui e in Le 22,32; At 14,22; 15,32.41. Per un'azione da intraprendere su se stessi: Al 5,8; Ap 3,2; forse 2 Pt 1,12 (passivo). Altri usi: Le 9,5 1 ; 16 ,25. 64 Tuto dé estin (·vale a dire·; vedi tut'estin in 7,18; 9,8; 10,6.7.8; Fm 12) parlando propriamente qui non introduce una correzione (contro FrrzMvER, p. 248) bensì una esplicitazione e un complemento. 6� Questo verbo è un hapax del Nuovo Testamento. A Paolo piacciono i composti con �-. dalle in­ cidenze a volte cristologiche (cfr. p. 306, n. 62). L'infinito symparak/etbenai, più che parallelo a stéri­ cbtbenai, è •Un infinito finale debolmente collegato all'insieme del versetto 1 1 · (FITZMYER, p. 248). Su parakalein e paraklesis, vedi p. 596. Symparakaliistbai: essere confortati, incoraggiati insieme. 67 En nel senso di 'tra' (cfr. BAL'ER, col. 522.4 .a), da preferire a 'da voi' (en strumentale), sinonimo di dt'bym6n. 68 Si può così COIIIpleldere l la frase fatirosa del versetto 12. Il senso di pistis è quello che Paolo dà sempre a questa parola (cfr. p. 46): è l'adesione a Dio che salva in Gesù Cristo (non la 'fedeltà'). Il gruppo be en allélois pistis non è esattamente sinonimo di be allél6n pistis, ·la fede gli uni degli altri•: è ·la fede gli uni negli altri· (l.AGRANGE, p. 15), quella che gli uni constatano negli altri e che per questo di­ venta fonte di conforto vicendevole. 69 L'associazione copulativa te ktli (in Paolo aggiungi Rom 1 , 1 4 [bi.\i.l6.27; 2,9. 10; 3,9; 10, 12; 1 Car 1,24.30; 2 Cor 12,12) è più forte che un semplice kdi e include la sfumatura •non soltanto... ma an­ che . Cfr. N. TURNER, Syntax, 339 . 70 Cfr. CALVINO (Tholuck, p. 22). ,

00

. . •.

Preliminari (1, 1-15)

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stiani di Roma71 che egli ha 'spesso' (pollakis) fatto il progetto72 di recarsi presso di loro. Ma73 questo progetto fino ad ora74 non ha potuto realizzarsi, senza che Paolo ce ne dia il motivo né che veda in questo caso, come in 1 Ts 2, 18, l'azione di Sata­ na. Ma è un rischio forte riconoscere l'azione di Dio nel verbo k6ljein al passivo75: come avrebbe potuto, Dio, impedire a Paolo di realizzare ciò che subito dopo indi­ ca come lo scopo della sua venuta? Dopo la parentesi del versetto 13b, la finale che conclude il versetto è nello stes­ so registro del versetto 1 1 , anzi lo accentua perché, qui, non si tratta più di scambi di benefici spirituali, bensì di un vantaggio che Paolo soltanto conta di trarre dal suo contatto con i Romani. La gradazione verso una cancellazione completa dell'au­ torità è dunque visibile in questo preambolo. La metafora agricola del 'frutto' è fa­ miliare al pensiero stoico'6, ma anche biblico e giudaicon. La usa il Nuovo Testa­ mento78 e in particolare Paolo79• Qui, il 'frutto' è della stessa natura del ·dono spiri­ tuale· menzionato al versetto 1 180• È possibile che Paolo, aggiungendo qui l'aggetti71 La frase paolina u thé/6 (thélomen) [ . . . ] bymds agnoétn, sempre seguita da adelpb6i (Rom 1 1 ,25; 1 Cor 10, 1 ; 1 2 , 1 ; 2 Cor 1 ,8; 1 Ts 4,13), anche se stereotipa (soprattutto all'inizio di una lettera, nei papiri: cfr. B. RIGAUX, Tbessaloniciens, 328-329), sottolinea l'importanza di ciò che seguirà. Il dé qui è copulati­

vo. Il titolo di 'fratelli' dato ai membri delle comunità cristiane, pur avendo dei paralleli nel mondo pa­ gano, essenzialmente è dovuto all'Antico Testamento e al giudaismo. In Paolo, che lo riceve dagli altri cristiani, esso designa i membri del popolo di Dio, la discendenza internazionale di Abramo, senza però che si possa misconoscere l'incidenza cristologica di un simile titolo, alla luce di testi quali Rom 8,29 (cfr. qui p. 417): questi 'fratelli' sono tali anche e soprattutto grazie a colui che li innalza al rango di figli adottivi mediante il legame che stabilisce tra loro e Gesù 'Figlio di Dio'. Su questo motivo e i suoi antecedenti, si veda la bibliografia in S. LÉGASSE, Tbessaloniciens, 83, n. 3. Aggiungi FITZMYER, p. 249. - Le varianti uk 6iomat e uk 6ismai, che attenuano u tbé/6, non possono prevalere sulla massa de­ gli altri testimoni, tanto più che la formula di questi ultimi porta l'impronta molto netta di Paolo. 72 Protithesthai, al medio (nel Nuovo Testamento, qui e in Rom 3,25; E/ 1,9) ha qui, come in E/ 1,9, un senso volitivo della medesima forza che tbélein (confronta ethelesamen in 1 Ts 2, 18) e bU/estbai. Si­ gnifica 'proporsi', 'decidere', come già nel greco classico (come qui seguito da un infinito in PLATONE, Repu bblica, 352d; Leggi, 638c ; PouBIO, VI I I , 13 3 ; Xl,7,3; FLAVIO GIUSEPPE, C. Ap. 11,287; A] XVIII, 286; XIX,37). Un ulteriore uso del medesimo verbo è attestato in Rom 3,25 (cfr. p. 197). 73 Il kai che apre la parentesi al versetto 13b ha una sfumatura esplicativa e nel contempo avversati­ va: cfr. BAUER, col. 797 ; BDR, p. 367 § 442, 1,a; p. 393 § 465, l . 74 Acbri tu deuro (qui temporale); unico esempio nel Nuovo Testamento. Per l'uso di questa espres­ sione e del suo sinonimo méchri tu deuro nella letteratura profana, cfr. BAUER, col. 353. 7� Confronta CRANFIELD, p. 82, e FrrZMYER, p. 250, i quali comunque rimangono riservati. 76 Nello stoicismo: MARCO AUREUO, IV,23,2; Vl,30,4; IX, 10 1 ; EPIITETO, Dissertazioni (Diss. ) {Diatrtbai} IV, 8,36. P er un esempio preso dal buddismo, cfr. W.D. DAVIF.S - D.C. ALusoN, Mattbew I, 305. 77 Pr 1,31; 31,31 (v.l.); 10,22; 12, 14; Am 6,12; Os 10,13; Ger 17,10; Sa/ 103 (ebr. 104),13; FILONE, Fug. 176; FLAVIo GIUSEPPE, A] XX,48; b. Qiddushin, 40a; Tos.Pea, 1 ,2-4 (immagine del capitale e degli interes­ si). Cfr. F. HAucK, art. Karp6s, ktl., in Th WNT III, 617 [trad. it. , in G/NfV, 216s.1. 78 Karp6s nel Nuovo Testamento a volte viene usato da solo (Mt 3,8, par. Le 3,8); a volte in una me­ tafora vegetale o agricola più generale (Mt 3,10, par. Le 3,9; Mt 1 2,33, par. Le 6,43-44; Mc 4,7.8, par. 1 2 2 , ecc.). 79 Con échetn come qui: Rom 6,21 .22; aggiungi Ga/ 5,22; Ft/ 1 , 1 1 . 22; 4,13; E/5,9. IK) Non si tratta della colletta, contro M.A. KRucER•. ,

,

,

Azione di grazie e progetto di t;isita (1,8-15)

53

vo indefinito tind, abbia avuto l'intenzione di attenuare quella che poteva essere in­

terpretata come una rivendicazione da parte sua'n . Resta che la comunità di Roma viene messa sullo stesso piano delle -altre nazioni,.82 - qui va inteso come 'le altre comunità' comprendenti dei cristiani convertiti dal paganesimo, alcune delle quali fondate da Paolo. Senza che si debba ammettere che tutta la cristianità romana fos­ se di origine pagana, qui abbiamo la conferma di quanto ci dice l'epistola: questi cristiani, situati al centro della gentilità, contano una buona parte di convertiti dal paganesimoH3• Anche se senza la pur minima particella indicativa, il versetto 14 spiega perché Paolo ha tanto desiderato di recarsi a Roma, presso una comunità di cui ha evocato la situazione. Il fatto è che, per volontà di Dio, egli ha contratto un obbligo84 verso le popolazioni pagane. Essendo ·Apostolo dei gentili,., è questa la sua vocazione (Ga/ 1 , 16). Questi gentili sono qui ripartiti in due coppie85• La prima è composta dai ·greci' e dai 'barbari'. I 'greci' (héllenes) non si oppongono ai giudei, come più a­ ,·anti nell'epistola e in altri passi delle lettere di Paolo"\ bensì ai barbari. Il termine barbaros87 e il verbo derivato barbarizein sono, all'origine, una onomatopea per designare dei suoni (per esempio il cinguettio degli uccelli) o un linguaggio inintelli­ gibile. Per derivazione, barbaros si applica a colui che parla una lingua straniera incom­ prensibile ai greci"'\ sì da designare il non-greco, colui che sfugge alla cultura greca, dal che, per xenofobia, si aggiunge a volte una nota peggiorativa: i 'barbari' sono incolti, sel­ vaggi89. Talvolta sono anche nemici della nazione90• I Settanta insistono in questo senso91• •• Così I.EENHARDT, p. 45. L'interpretazione è considerata con favore in CRANFIELD, p. 83, il quale pro­ pone, come alternativa, l'idea di non far torto all'azione essenziale di Dio in questa operazione (è Dio che dà la crescita: l Cor 3,6). az Su tà étbne per le popolazioni non ebraiche, cfr. p. 38, n. 86. - En tutte e due le volte ha il signifi­ cato di 'tra', piuttosto che quello strumentale di 'per mezzo di': cfr. p. 38, n. 86. - In katbos kili, il kili è pleonastico, come in 15.7, in quanto l'idea di kdi è già contenuta i n katb&s. Lo stesso vale per but6s kai (Rom 5,18. 19; 6,1 1 ; 1 1 ,31), h6s kai (9,25), basaut6s kdi (8,26): cfr. BAUER, col. 798, II, 3. 8� Cfr. pp. 12-17. opbeilétes, nel Nuovo Testamento, assume diversi significati: debitore (Mt 18,24), in senso deriva­ to: obbligato verso qualcuno (Rom 1,14; 8,12 dativo; 15,27 genitivo) o qualche cosa (Rom 8,12 [dativo]; Ga/ 5,3 [infinito]), colpevole (Mt 6, 12), od anche decisamente peccatore (Le 13,4). 85 Su te kai che unisce qui ciascuna delle due coppie, cfr. p. 5 1 , n. 69. 86 Cfr. p. 63. lP Cfr. H . WINDISCH, art. Barbaros, in TbWNf I, 544-551 (trad. it. , in GLNT Il, 89]; W. SPEYER - l . 0PLELT, art. Barbar, in]ACX, col. 251-290. 88 Il barbaros è agl6ssos (SOFOCLE, Tracbinie, 1060). 89 ARISTOFANE, Le nuvole, 492 (con amathJs, 'incolto'); DEMoSTENE, 26,17 (con skai6s, 'grossolano'); CI­ CERONE, Pro Milone, 30 (opposto a doctz), ecc. 90 Medi e Persiani (ESCHILO, l Persiani, passim ; ERODOTO, VIII, 142, e passim). 91 Con il substrato ebraico: Sa/ 113 (ebr. 1 14),1 (per lo'ez, 'straniero'); Ez 21,31(36) (per bo'anm, 'in­ sensati', riferito agli Ammoniti). Altri esempi: 2 Mac 2,21 (22): •una moltitudine di barbari•, per l'esercito seleucida; 4,25 (il -furore di una bestia selvaggia· del re seleucida); 10,4 (•popoli barbari e bestemmiato114

Preliminari (1, 1-15)

54

In Col 3, 1 1 i barbari

sono in coppia con gli sciti e designano delle popolazioni che, come questi ultimi, non parlano greco e sono estranei alla cultura greca, più ampiamente, alla cultura greco-romana. Lo stesso senso ricorre quando gli Atti degli Apostoli (28,2.4) quali­ ficano come 'barbari' gli abitanti di Malta. Ma in 1 Cor 14, 1 1 'barbaro' torna al significato primitivo del termine per evocare i balbettamenti incomprensibili della glossolalia.

Nel nostro ·passo, a questi 'barbari'92, diversi dai 'greci', non appartengono i 'ro­ mani', perché Paolo scrive loro in greco come scriveva in greco alle popolazioni più o meno ellenizzate della Galazia93• È dunque per illustrare la sua missione uni­ versale che egli nomina qui i due gruppi. A questa prima coppia ne succede un'al­ tra, quella dei soph6i e degli an6étoi. Il primo termine, proprio della lingua legale nell'antico giudaismo94, qui ha il suo significato greco di 'istruito', di 'dotto'95, senza il valore ironico che Paolo gli dà in 1 Cor 1,19-27. Il termine si oppone ad an6étoi (da nUs, 'mente' con l'alpha privativa) che designa gli 'ignoranti', gli 'inesperti'96, gli aphr6nes dei Settanta9'. Che rapporto c'è tra le due coppie giustapposte? Le combinazioni possibili sono molteplici98• Semplificando, riconosciamo innanzitutto che si tratta di due coppie pa­ rallele, il che esclude che soph6i e an6etoi siano un commento a barbaroi, volto a distinguere in seno ai non-greci delle persone istruite e delle persone incolte. Ma bisogna ammettere che le categorie che compongono queste coppie sono sinonimi o equivalenti da una coppia all'altra, nel senso che i greci si identificano con i soph6i e i barbari con gli anoetoi? La costruzione dei versetti autorizza questa scelta, la quale tuttavia può apparire eccessivamente rigorosa e poco conforme alla menta­ lità di Paolo per il quale la sapienza dei greci non è affatto evidente ( 1 Cor 1 , 19-25). ri·); 3 Mac 3,24 (·un popolo empio [...] popoli barbari e traditori•). Aggiungi barban2n (2 Mac 13,9 R: a­ vere pensieri barbari, vale a dire crudeli); e barbaros (2 Mac 5,22; l 5,2).

92 Secondo un'altra interpretazione, i barbaroi qui sarebbero gli abitanti della Barbaria, che designa le coste somale e una parte dell'Etiopia. Ma l'uso paolino abituale nonché la presenza di greci e di e­

brei in testa alla lista ci sconsigliano questa esegesi, tutto sommato artificiosa.

93 Secondo A t 14, 1 1 , la gente di Listra si esprime in licaonio. Quale che sia il valore storico di questo

tratto di colore locale, il contesto lascia intendere che la popolazione capisce il greco di Paolo e di Bar­ naba. Non esiste nessun testo che ci dica che Paolo, nel corso delle sue missioni, abbia incontrato l'o­ stacolo deJla lingua. �

Sopb6s: Sir 33,2; sopbia: Sir 19,20; 24,1.23; 34,8. A Qumran, dove si segue l'osservanza scrupolosa Die Verstockung 1-

della Torah, il vocabolario tradizionale di sapienza trova ampio uso. Cfr. G. GNILKA, sraels. Isaias 6, 9-10 in der 1beologie der Synoptiker, SANT 2, Mi.inchen 1961, 175-177. 95

96

Tra gli altri, cfr. FLAVIO GIUSEPPE,

BJVI,313; 0RIGENE, C. Ce/s. 111,48,8, con pepaidéumenos e pbr6ntmos.

Nell'uso di anoetos in Gal 3,1 .3, l'ignoranza in materia religiosa è accompagnata da un profondo smarrimento. Questi ignoranti sono degli insensati. Cfr. anche Le 24,25; 1 Tm 6,9; Tt 3,5.

ti.phr6n, nei Settanta, traduce l'ebrai­ Jzesfl. Anoetos, in compenso, nei Settanta è piuttosto raro (9 volte); 2 volte soltanto con una corri­ spondenza ebraica (Pr 15,21; 17,28) rispettivamente per 'eUJif e 'iwwelet. 98 CRANFIEID, pp. 83-84, ne conta cinque. "' Frequente, anche se limitato praticamente ai libri sapienziali,

co

Azione di grazie e progetto di visita (1,8-15)

55

È meglio, quindi, considerare ciascuna coppia come riferita all'umanità intera sòtto due aspetti diversi99, l'uno etnico e linguistico, l'altro invece riguardante l'istruzione. Il dovere sacro che incombe all'Apostolo non ammette alcuna eccezione. Per terminare questo preambolo, Paolo (v. 1 5) torna al suo progetto di viaggio a Roma nei termini in cui lo aveva espresso nel versetto 13. La sintassi del versetto 1 5

è difficile e la sua esegesi varia a seconda dei commentatori, sia che essi considerino tò kat'emé come il soggetto del verbo éstin sottinteso e pr6thymon come attributo o predicato, sia che diano a tò kat'emé un senso avverbiale ("per ciò che mi riguarda·)'00• Una terza lettura prende l'insieme tò kat'emé pr6tbymon come il soggetto del verbo éstin sottinteso, mentre il resto del versetto fa da attributo. La prima interpreta­ zione, in cui tò kat'emé è una perifrasi per la prima persona singolare, dà questo senso: •Quanto a me (io sono) desideroso di portare il vangelo, anche a voi che siete a Roma•, ma la circonlocuzione per eg6 come soggetto non ha nessun parallelo101• La seconda pro­ posta soffre di una difficoltà grammaticale: essendo normalmente einai il verbo sottinteso, ci si aspetterebbe pr6thymos al nominativo102• Resta la terza lettura che dal punto di vista grammaticale e filologico è di gran lunga la più soddisfacente. L'uso dell'aggettivo neutro

pr6tbymon per

il sostantivo protbymia è chiaramente auestato103•

anch'esso documentato, di

A ciò si aggiunge l'uso, kata seguito dal pronome all'accusativo al posto del solo pr�

nome al genitivo104• La frase, allora, andrà tradotta al meglio in questo modo: ·È per questo motivo•� che il mio desiderio106(è) di portarvi il vangelo, anche a voi che siete a Roma•107•

99 Per questo stesso fatto viene scartata la supposizione che attribuisce a Paolo la volontà di distin­ guersi dai filosofi greci che ricercavano un uditorio dotto e disprezzavano gli ignoranti (così, tuttavia,

MICHEL, p. 56; CRANFIELD, p. 100 l.AGRANGE, p. 16.

85, n. 1).

101 Confronta At 17,28 (ton kath 'hymas poieton); 18, 1 5 ( n6mu tu kath 'hymas); E/ 1 , 1 5 (tin ltath 'hymas pistin), dove il pronome preceduto da katd equivale allo stesso pronome al genitivo (cfr. BOR, p. 181 § 224, 1). 102 l.A GRANGE, p. 16, risponde all'obiezione sottintendendo il verbo ésti. Vedi Vg: •ita (quod tn me) promptum est [ . . ] Il che dà a pr6tbymon un senso impersonale che non è sostenuto da nessun paralle­ . •.

e,

d'altra parte, non corrisponde alla versione della frase data dallo stesso LAGRANGE (·così - per quanto mi riguarda - di buon cuore io andrò a portare il vangelo•, ecc.). C.F.D. MouLE, An Idiom-Book lo

of New Testament Greek, Cambridge 195 e eucharistein76, senza es­ sere sinonimi, sono uniti nel descrivere un medesimo comportamento, perché glori­ ficare Dio, se ci si ispira alla Bibbia, implica necessariamente il rendimento di grazie per i suoi benefici: ·Poiché Dio manifesta la sua gloria in Israele e glorifica i suoi, va da sé che il suo popolo lo esalterà e lo loderà. Questa gratitudine è la ragion d'essere del popolo eletto•77• È così anche nel Nuovo Testamento, per i miracoli78, ma anche per i doni della grazia redentrice accordati ai pagani (At 1 1 , 18). Qui si tratta dei benefici di ordine naturale79 che negli uomini esigono l'espressione della gratitudine al divino benefattore. È in questa ingratitudine, più che nell'ignoranza presa in se stessa, che consiste la colpa degli uomini. Resta che l'ingratitudine è fondata su un tragico fraintendimento e uno smarrimento radicale senza i quali Dio avrebbe ricevuto onore e ringraziamenti. In luogo di tutto questo (alla), tra gli uo­ mini si è introdotta la volgare idolatria. Prima di descriverla (v. 23), Paolo intende stigmatizzarla (vv. 21b-22). Il risultato dell'ignoranza del vero Dio consiste prima di tutto in pensieri vani. Il verbo ma­ taiun, al passivo80, richiama Ger 2,5, dove Dio si lamenta con il suo popolo del fatto che malgrado i benefici, i padri della nazione si sono allontanati di lui, •camminaro­ no dietro a ciò che è vano, diventarono essi stessi vanità· (eporéutbesan opis6 ton

74 È da escludere l'interpretazione di CORNELY, p. 86 (vedi anche D.M. CoFFEY*, p. 675) il quale, ba­ sandosi sugli aoristi del versetto 21 e distinguendoli dai versetti 18-20, pensava che Paolo, nei versetti 21-23, si riferisse ai pagani del passato in una seconda tappa della loro evoluzione dal monoteismo al paganesimo. In realtà, gli aoristi del versetto 21 vanno intesi piuttosto come aoristi 'gnomici' (cfr. BDR, pp. 372-373 § 333), che dicono ciò che i pagani hanno fatto e fanno ancora (cfr. FITZMYER, p. 25). ,� Doxtizein, nei Settanta e nel Nuovo Testamento, ha sempre il significato di 'onorare', 'lodare', 'ce­ lebrare', mai quello di 'pensare', 'avere una opinione', come nel greco classico. In Paolo il verbo ricorre qui e in Rom 8,30; 1 1,13; 15,6.9; 1 Cor 6,20; 12,26; 2 Cor 3,10; 9,13; Ga/ 1 , 24; 2 Ts 3, 1 . Con Dio per og­ getto: qui e in Rom 15,6.9; 1 Cor 6,20; 2 Cor 9,13; Ga/ 1,24; vedi anche 2 Ts 3, 1 (·la parola del Signore-). Per il composto endoxazein: 2 Ts 1, 10. 12; per syndoxdzein: Rom 8,17. 76 Questo è l'unico testo di Paolo in cui eucbari..�tein, per ringraziare Dio, è costruito con l'accusativo (confronta il dativo in Rom 1,8.14 [v.l.); 14,18; Fi/ 1,3; Co/ 1,3.12 [to patn1; 3,17; 1 Ts 1,2; 2,13; 2 Ts 1,3; 2,13; Fm 4). Qui possiamo supporre un'ellissi sottintendendo to tbe6, ma si conoscono almeno due casi non classici in cui eucbaristein è costruito con l'accusativo (cfr. BAlJER, col. 663-664). C. SPJCQ, Lexique, 388. Vedi Sal 49 (ebr. 50), 15: kai exélumài se, kài doxaseis me, ce io ti libererò e tu mi onorerai•. 77

78 Le 7,16;

13,13; 17,15; 18,3.

Viene in mente il discorso di Paolo a Listra (At 14,17), cfr. anche Mt 5,45. � Questo verbo è un hapax del Nuovo Testamento. - I due passivi ematai6tbesan e eskotistbe (e lo stesso vale per em6rantbesan del versetto 23) non esprimono l'azione di Dio giudice che punisce i col­ pevoli (contro D. MICHEL, p. 65). Questo tipo di azione viene espresso solo a partire dal versetto 24. 79

I crimini (1, 18-23)

87

matai6n kài ematai&tbesan). L'allusione all'idolatria, dato il lessico utilizzato81, è qui patente. Lo stesso avviene nel nostro passo, con la conferma del contesto. Paolo rimprovera all'umanità non solo gli atti rituali del culto idolatrico, ma an­ che ciò che li provoca e li condiziona. Se gli uomini hanno preso lo stesso carattere dei loro idoli, se sono -diventati vani•, è innanzitutto e fondamentalmente •nei loro pensieri·. Il termine dialogbism6s82 assume qui un significato peggiorativo (sarebbe tradotto bene con 'elucubrazioni') stando al contesto, specialmente la frase che chiude il versetto 21 e che costituisce la spiegazione della precedente: se l'umanità si è smarrita in considerazioni insensate"·\ è perché il 'cuore' degli uomini si è riem­ pito di tenebrelk. Il ·cuore', nell'antropologia biblica, è il principio della vita sensibi­ le, intellettuale e morale&S. Così è per Paolo86, il quale vede nell'idolatria l'effetto di un 'cuore' che invece di irradiare l'uomo della sua luce rendendolo saggio e intelli­ gente, lo immerge nella stupidità, perché il cuore è esso stesso stupido87, intenden­ do ciò sul piano religioso. Ma a spiegare la corruzione idolatrica c'è qualcosa di più che la mancanza di in-

81 Nei Settanta il gruppo matai- (che esprime l idea di inutilità, di futilità, non di orgoglio, come è nel greco profano) . rende diverse radici ebraiche (cfr. O. BAttERNFEIND, art. Mataios, in 1b WNT IV, 526, n. 4 [trad. it. . in GINf VI. 1409]), il più delle volte bb/, che evoca l'idea di vento, di ciò che è effimero '

.

Questo lessico viene applicato agli idoli, i quali vengono così caratterizzati come vani, inutili, senza po­ tere (non come inesistenti). in Os S.1 1 (poréuestbai opis6 ton mataion): Js 2,20; 30, 1 ; ; Ger 2,5; Ez 8, 1 0 - Nell'Antico e nel Nuovo Testamento il verbo mataiiin viene usato una sola volta all'attivo: in Ger 23,16 (per l'azione dei falsi profet i ) Al passivo. oltre a Ger 2,5, già citato, vedi 1 Sam 13,13. 82 Il termine ha il significato di ·pensiero·, 'riflessione' nel greco classico (PSEUDO-PLATONE, Anxiocbos, 367a) ed ellen ist ico (cfr. G. ScHREt-;K. art. DialoRhism6s. in 7b WNT II! 97 [trad. it., in GLNT II, 992s.]) e nei Settanta: Sa/ 1 38 (ebr. 1 39).2: Sap 7 20: Sir 13.2;; Dn 2.29: 4, 16. L'idea di 'discussione', che appare in Rom 14, l, qui non è presente: in compenso al term ine si aggiunge la sfumatura peggiorativa che gli viene dal contesto: vedi Sa/ 55 (ebr. 56),6: 93 (94). 1 1 ; /s 59,7; Ger 4. 14; Test. Giuda 14,3; nel Nuovo Te· stamento : :Wc ".2 1 : .Wt 1 5 . 19: Le 2 35 : 5,22: 6.8: 9,47: l Cor 3.20 ( Sa/ 93, 1 1). "·\ Va ne nel senso di sprovviste di contenuto valido, e qu indi false, in questo caso dal punto di vista rel igioso. Il passivo skopizestbai qui ha il senso figurato, cioè religioso e morale, che ha in Rom 1 1 , 10 (Sal 68,24); Test. Ruben 3,8; Test. levi 14,4; Test. Gad 6,2. Confronta il senso fisico in Mc 13,24, par. Mt 24,29; Le 23.45 (v.l.); Ap 8 1 2 : e nei Settanta: Sal 68 (ebr. 69),23(24); 138 039),12 (v.l.); 73 (74),20 (?); Qo 1 2 , 2 : Sap 1 7 3 (v.U: /s 13. 10: 3 Mac 4. 10. 85 Già per i greci il · cuore · ( kardia) è la sede della vita spiritu ale: sentimento , pensie ro , volontà (per la documentazione cfr. J. BEHM. art . Kardia. in 7bWNJIII, 6 1 1 -612 [trad. it. , GLNTV, 198-204)). Il termi­ ne dunque non fa fatica ad adattarsi. nei Settanta. all'ebraico leb o lebab. perché per un ebreo, ·il prin­ cipio della vita sensibile, intellettuale e morale non è altro che questo organo invisibi le che Dio solo è in grado di con o scere· (P. DHORME. L 'emploi métapbortque des parties du corps en hébreu et en akkadien. Paris 1923. 128 (pubblicato prima in RB 31 [1922): per il passo citato, p. 508). 86 Cfr. R. JEWEIT, Antbropology. 305-333. 87 Asjnetos (letteralmente, 'privo di comprensione') nel Nuovo Testamento, qui e in Rom 10,19 (Dt 32,21); Mc 7 , 1 8. par. Mt 15. 16. Nei Settanta. as_"Vnetos rende l'ebraico ndbal, 'insensato', 'folle' (Dt 32,2 1 ; Gb 1 3, 2) e kesil, sciocco (Sa/ 91 [ebr. 92),7). ll termine è praticamente sinonimo di aphr6n. .

.

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Il vangelo potenza di salvezza per i giudei e i gentili

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telligenza ·religiosa: c'è anche l'orgoglio. Perché questi insensati pretendono88 di es­ sere 'saggi' (soph6t). La stupidità degli idolatri è schernita da Geremia (1, 14) che rimprovera ai pagani di adorare delle statue senza vita. Paolo critica altrove ( 1 Cor 1 , 1 9-25) la falsa saggezza dei sapienti, incapaci di riconoscere l'opera della sapienza di Dio nell'esercizio stesso della loro saggezza. Donde l'intervento 'irragionevole' di Dio che infligge loro una umiliazione con la follia della croce. Si tratta dei filosofi greci e romani? Di questa riduzione si può già dubitare osservando che Paolo, nel contesto, abbraccia tutti i 'greci', cioè il mondo non giudaicoK9 senza distinzione, ag­ giungendovi i potenti e i nobili ( 1 Cor 1 , 26-28). È ancora più chiaro che nell'episto­ la ai Romani Paolo non pensa in modo speciale alla classe dei filosofi: non sono i filosofi che egli tratteggia al versetto 13 come praticanti del culto delle divinità sotto forme umane o animali. In realtà, questi 'sapienti', condannati dalla loro illusione e dal loro orgoglio, sono un'eredità della Bibbia90 che abbraccia, sotto l'ironia del ter­ mine, tutti coloro che intendono rivaleggiare con Dio o fare a meno di lui nella va­ lutazione delle cose di questo mondo e nella loro condotta personale. Queste per­ sone, prese in blocco, sono diventate di fatto degli idioti. Il verbo m6rdinein91 si allinea qui sul suo valore biblico e giudaico in cui, con m6r6s e m6ria92, acquista una connotazione religiosa per definire il non-saggio co­ me colui che sfugge o si sottrae alla sapienza, dono di Dio93• Il Siracide greco molti­ plica l'uso di questo lessico, soprattutto dell'aggettivo m6r6s. Nel Nuovo Testamen­ to, oltre ad un uso particolare nella sentenza evangelica sul sale94, bisogna conser­ vare il suo senso religioso, in tutta la sua crudezza. Non che si tratti di follia metafo-

118 Phdskein, 'affermare', 'sostenere', 'pretendere'. Nei Settanta lo si trova per 'amar in Gen 26,30; in altro modo: Be/ 8; 2 Mac 14,27.32; 3 Mac 3,7. Nel Nuovo Testamento vanno aggiunti At 24,9; 25,19. Il participio phaskontes ha la sfumatura concessiva (cfr. BDR, pp. 346-347 § 418, 3). Cfr. pp. 63-64. 90 Is 29, 14 (citato in 1 Cor 1 , 19); 40, 12-14; Gb 38-42. In compenso, non è il caso di cogliere al verset­ to 22 un'eco del racconto della caduta nella Genesi, come suggerisce DUNN, pp. 60-6 1 , perché nessun termine di questo versetto richiama il versetto biblico. Ancora meno si può vedere qui un'allusione alla decadenza iniziale dell'umanità nella persona dei progenitori, nonostante l'aoristo em6ranthésan (cfr. qui, p. 85). 91 Vedi G. BERTRAM, art. M6r6s, ktl., in 1bWNT IV, 837-852 [trad. it., in GLNfVII, 723-766]; C. SPICQ, Lexique, 1060-1065. - Il verbo al passivo suppone l'uso transitivo dell'attivo ('rendere stupido'). Il senso è 'diventare' o 'mostrarsi stolto' (come in Sir 23 , 14) . L'azione di Dio ('passivo divino') è da escludere: cfr. p. 86, n. 80. 91 M6rainein: Js 19 , 1 1 ; Ger 10,14; 28 (ebr. 51),17 (v.l.) [per ba 'ar, nifal]; 2 Sam 24,10 (per sabal, ni­ fal); ls 44,25 (v.l.) [per sabal, piel]; Sir 33 , 14 ; m6r6s: ls 19, 1 1 (per 'ewf(): 32,5; Dt 32,5-6 (per ndbd(); fs 22,6 (per ndbdl e ff'bdldh); Ger 5,21 (per saba() ; Sa/ 93 (ebr. 94),8 (per sakba/, hifil); 28 volte in Ben Sira; moria: Sir 20,3 1 ; 4 1 , 1 5 . 93 Gb 3 2 , 8 ; Pr 2 , 6 ; Sap 8,21; Dn 2 , 2 1 ; Ne 9,20. 94 Su m6ranthe in Mt 5,13, dove si sospetta un eventuale gioco di parole aramaico, cfr. M. BLACK, An Aramaic Approach to the Gospels and Act5, Oxford 195'P, 122-123; J. ]EREMIAS, 1béologie, 38-39. IN

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rica, bensì piuttosto di inettitudine, di stupidità95• Paolo lo espri me altrove nel para­ dosso sulla vera sapienza rivelata dalla croce del Cristo96• Qui nessuna formulazione di questo genere, bensì un giudizio implacabile sui sapienti di questo mondo, con­ vinti di stupidità. Veniamo immediatamente a sapere il perché di ciò, ed è ancora la Bibbia che, per l'essenziale. detta a Paolo ciò in cui97 consiste o si manifesta la stupidità di que­ sti falsi saggi. Notiamo innanzitutto che la frase è costruita su Sa/ 105 (ebr. 106), 20, che ricorda repisodio del vitello d'oro durante l'Esodo (Es 32, 1 -34). Mettiamo a con­ fronto le due frasi greche:

Sa/ 105,20

Rom 1,22

kài ellaxan to tin d6.xan auto n en homoi&mati m6scbu éstbontos cb6rton

kài illaxan tèn d6xan tu aphthartu theU. en hom oiomati eik6nos pbthartu anthropu, ktl.

scambiarono la loro gloria con (la) figura di un toro che mangia fieno

hanno scambiato la gloria del Dio incorruttibile con Oa) somiglianza d'immagine di uomo corruttibile, ecc.

In tutte e due le parti, il verbo allassetn98 implica uno scambio colpevole del ve­ ro Dio con l'idolo, rappresentato, questo, da un animale. Il termine 'gloria', nel sal­ mo, è accompagnato da un pronome: Dio è la 'gloria' d'Israele99• Paolo scrive: ·la gloria del Dio incorruttibile•. La ·gloria· di Dio è la manifestazione visibile e lumino­ sa di D io100, ma anche la sua presenza invisibile nel Tempio101, addirittura la sua es­ senza, Dio stesso102• È quanto si deve intendere qui, con l'attributo che precisa sono quale aspetto Dio viene considerato. Dio è 'incorruttibile' e viene subito opposto a ciò che è 'corruttibile'. Il lessico è un prestito giudeo-ellenistico103 e deriva in ultima

9'i Cfr. C. SPJCQ, Lexique, 1064, n. l . 96 1 Cor 1, 18-27: aggiungi 1 Cor 2,14; 3,18-20; 4, 10, e , nelle deuteropaoline, 2 Tm 2,23; n 3,9. Al tri e­ sempi nel Nuovo Testamento: Mt 5 . 22 ; 7,26; 23. 17. 19; 25,2.3.8; Mc 7, 13. 9- Il kai all'inizio del verseno 23, senza negare una influenza di Sal 105,20, LXX, ha una sfumatura

consecutiva (cfr. BOR, p. 367 § 442, 2), perché la frase vuole mostrare ciò che scaturisce dalla stupidità che esprime il verbo em6rantbésan, ciò in cui questa stupidità si manifesta. l)K A i versetti 2; e 26 tro\'eremo il suo composto metalltlssei n, usato in modo del tutto diverso. 99 Nel senso del tesoro più prezioso: Sa/ 3 ,4 ; 62,8; Ger 2,1 1 . Cfr. anche Os 10,5 (il vitello di Samaria!). 100 Es 16,7-10; 24.16-17: 4 1 .34-35; Lv 9,6.23-24, ecc.; Ez 1,28; 3,12s.?; 8,4, ecc. 101 Sa/ 24,7- 1 1 ; 26,8: 63,3; Ag 2,7 . 102 Es 33,18.22; Sal 1 13,4; Sir 42,17. 103 Nei Settanta appare solo nelle opere di questa provenienza, tiphtbartos in Sap 12,1; 18,4; apbtbar-

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istanza dallo stoicismo. L' apbtbarsia, qualità di ciò che non può perire, distruggersi, corrompersi (verbo phthéirein), è un attributo di Dio che Filone oppone alla natura 'corruttibile', 'distruttibile', delle statue fabbricate dagli uominP04• Si tratta anche di rappresentazioni che Paolo enumera secondo le pratiche religiose del suo tempo. La formula en bomoidmati eik6nos indica l 'oggetto con il quale avviene lo 'scambio'105• L'insieme forma un'associazione che ha creato qualche difficoltà ai tra­ duttori, a causa della tautologia che sembra esprimere (·somiglianza dell'immagi­ ne·). Si cerca di evitare la tautologia dando al secondo termine il valore di un parti­ cipio o di una relativa106, il che fa di eik6nos un genitivo di apposizione107• Una simi­ le lettura è inaccettabile, perché hom6i6ma seguito da un genitivo esige che il geni­ tivo esprima l'oggetto rappresentato108• È preferibile riconoscere a Paolo il diritto di una certa sovrabbondanza, tanto più perdonabile in quanto i due termini appariva­ no nella fonte scritturate alla quale egli attinge. Prima di allegare la principale di tali fonti, notiamo come la frase di Paolo abbia ricevuto l'impronta del Sal 105 (ebr. 1 06),20, già citato, con la formula en homoiomati m6schu, ktl. , collegata al verbo allassein. L'insieme, tuttavia, evoca gli ammonimenti di Mosè in Dt 4,16-18, con i quali egli mette in guardia Israele dalla zoolatria (prima di passare al culto degli astri): ·non commettete iniquità e non fate­ vi nessuna figura scolpita (glfpton bom6i6ma)109, di una qualsiasi immagine, figura di maschio o di femmina, figura di una qualsiasi bestia, di quelle che sono sulla ter­ ra, figura di un uccello alato che vola sotto il cielo, figura di un rettile che striscia

sia, in Sap 2,23; 6,19; 4 Mac 9,22; 17,12. I n Sap 12,1; 18,4, questo lessico viene applicato a Dio. Sull'e­

quivalente ebraico (radice sba�al), cfr. G. HARDER, art. Phthéir6, ktl., in 7bWNf IX, 97-99 [trad. it., in GLNTXN, 1076-1081]. 1 04 Leg. ali. III,36; vedi anche 11,3. Resta che per Filone l'apbtbarsia è anche qualità umana (Somn. 11,258; Sacr., 5, te.); FlAVIO GmsEPPE, B] II, 163, vede in essa il privilegio dell"anima· (psych�). Vedi G. HARDER, art. Pbthéir6, ktl., in 7bWNTIX, 97 e 101-103 [trad. it., in GLNTXVI, 1076ss.]. 105 La preposizione en (confronta eis al versetto 27), per introdurre l'oggetto dello scambio (in italia­ no 'con'), corrisponde allo stesso uso della preposizione ebraica be (beth pretii: Gen 29, 18; Dt 2,6; 2 Re 7,1, ecc.). Un uso analogo si trova a volte anche nel greco classico: SoFocLE, Antigone, 945: uranion phos allaxei en cbalkoletois auldis, -cambiare la luce del cielo con dimore ornate di bronzo-. Ma nota opportunamente LAGRANGE, p. 26: ·questo giro di frase è pregnante: 'lasciare per essere rinchiuso in'•. L'uso della preposizione en è diverso in 8,3 (cfr. p. 376, n. 43). 106 L'uno e l'altra si trovano in HUBY, pp. 74 e 91. LAGRANGE, p. 26, e la TOB optano per una partici­ piale, MAILLOT, p. 61, per una relativa. 107 Reso come tale nella Bibbia di Gerusalemme (1998): ·Con una rappresentazione semplice imma­ gine di uomini corruttibili [. .. ]•. ·� Così secondo i Settanta (Dt 4,16.18; Gs 22,28; Gdc 8, 1 8; 1 Sam 6,5, ecc.) e il Nuovo Testamento, compreso Paolo (Rom 5,14; 6,5; 8,3; Fi/ 2,7; Ap 9,7). 109 Qui con l'idea di 'rappresentazione', come in Sal 105,20; Dt 4,16-18 (per tabnit), mentre in Dt 4,12.15, hom6i6ma (per temundh) designa la forma esterna. Su un altro uso, non propriamente teologi­ co, di bom6i6ma e l'uso del tennine nei Settanta, cfr. anche p. 304.

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sul suolo, figura di un qualsiasi pesce, di nulla di quanto vive nelle acque sotto la terra,. 1 10 •

Allineando uomo, uccelli, quadrupedi e serpenti, Paolo non copia il Deuterono­ mio, si ispira bensì al racconto della creazione nella Genesi111 per descrivere le for­ me di culto praticate nell'antichità pagana112, forme verso le quali, a suo tempo, I­ sraele aveva avuto riprovevoli debolezze: culto del vitello sacro istituito da Gero­ boamo a Betel e Dan11\ idolatria nel tempio di Gerusalemme guardata con orrore da Ezechiele11\ sacrifici sulle alture cananeem e, se dobbiamo credere ai Settanta, culti di Moloch e di Raifan nei quali Israele s'era lasciato trascinare al tetnpo del suo insediamento nella terra di canaan116• Come si vede, lungi dal potersi limitare ai soli pagani, l'argomentazione critica sviluppata finora dà un posto anche ad Israele, in­ cluso nell'umanità infedele e colpevole. Non si può fare a meno di mettere a confronto l'insegnàmento di Paolo in que­ sto passo con quello del libro della Sapienza11-, confronto tanto più suggestivo in quanto Paolo elabora la sua dottrina in legame con la polemica antipoliteistica del giudaismo ellenistico. Secondo la Sapienza (capp. 13-14), il politeismo è un errore, una 'follia' congenita all'umanità, per la quale essa, che poteva conoscere il Dio u­ nico, di fatto lo ha ignorato per volgersi agli idoli e alle statue che li rappresentano. Errore colpevole e passibile di punizione. Secondo Paolo, i pagani hanno conosciu­ to Dio, il vero Dio, che essi hanno abbandonato. Sono apostati dal monoteismo, a-

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Dt 4, 16-18; secondo la trad. di C. Dogniez e M. Harl.

1 ,20: serpenti (berpeta}, uccelli (peteina}; 1 ,24: quadrupedi (tetrapoda) e serpenti (berpeta}; 1 ,26: uomo (antbtqJD5). I ·serpenti' (berpeta} sono nominati in Dt 4,18, ma gli 'uccelli' figurano in Dt 4,17 sotto un nome diverso ( 6rneon> da quello di Gen 1 . 20 e Rom 1 ,23. Questa reminiscenza, peraltro non esclusiva, della Genesi, non comporta affatto l'idea che Paolo rediga questo passo avendo in mente A­ damo e la sua caduta (contro M.D. HooKER, Adam in Romans l, in NfS6 [ 1959-60) 297-306 [300]). 112 Cfr. ANET. p. 1 29 (·Padre Toro El· onorato a Ugarit): AlVEP. pp. 185- 189 (sciacallo, falcone, ser­ pente, in Egitto). 113 1 Re 12.22-32. 114 Ez 8,10. L'ebraico parla di •rettili e di animali immondi·. l Settanta attenuano generalizzando, con •Vane abominazioni• ( mataia bde(igmata). 115 1 Re 3,2; 2 Re 18.4; 22-23: Os 10.8; Am 7,9; Ger 3,2; Ez 6,3-4. 13; 20, 27-29. 116 Am 5.25-27. Nell'originale il profeta. polemizzando contro gli abusi del culto esteriore, evoca il tempo ideale del deserto. senza né sacrifici né processioni. L'ebraico è stato corretto con l'introduzione di due divinità astrali assire. Sakkut e Kayyawan (diventate per cacofemia, Sikkut e Kiyyun). I Settanta, disponendo del testo corretto, hanno sostituito Sikkut con il dio cananeo Moloch (Raifan è una altera­ zione di Kaifan .. Kaywan). Si finisce così per fissare l'inizio dell'idolatria d'Israele al tempo del suo in­ gresso in Canaan. L'autore del discorso di Stefano negli Atti va ancora più lontano: mentre per i Settan­ ta il tempo del deserto, senza sacrifici, conserva il carattere esemplare che ha in Amos, Stefano sostiene che Israele è colpevole non soltanto per non aver offerto sacrifici nel deserto, ma anche per avervi pra­ ticato il culto degli idoli. Cfr. S. li:GASSE, Stépbanos. Histoire et discours d 'Étienne dans /es Actes des ApO­ tres, LeDiv 147, Paris 1992, 55-57. 11 7 Lo ha conosciuto e utilizzato? A. PEuii.Jm-, p. 70, lascia la questione aperta. l

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postasia da cui i discendenti devono convertirsi per tornare al Dio unico rinnegato dai loro antenati. Paolo è il primo a fornire questa versione che, insieme alla sua ri­ vale, si ritrova nei Padri della chiesa 11 8 • Si fa fatica ad armonizzare questi due modi di spiegare l'idolatria pagana nelle sue radici, perché l'ignoranza di cui parla la pri­ ma spiegazione, per quanto colpevole sia, non può essere messa sullo stesso piano dell'apostasia di cui parla la seconda1 19• Paolo ha il suo modo personale (per quanto ispirato alla Bibbia) di procedere, modo che possiamo capire in base all'obiettivo che egli si propone: mettere in caricatura il mondo pagano per far meglio risaltare la ricchezza e i benefici della redenzione concessa nel Cristo120•

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Cfr. gli esempi in K.L. GACA•, pp. 177-198. Lo può invece, secondo C. l.ARCHER, Le Livre de la Sagesse ou la Sagesse de Salomon, t. III, EtB, nuova serie 5, Paris 1985, 762: •agn6sfa deve significare un 'misconoscimento' deliberato e colpevole 1 19

(l'idea di semplice 'ignoranza' viene resa con agnoia in XVII,13b)•. Lo sforzo di LAGRANGE, p. 25, è visi­ bile quando egli diminuisce la percezione primitiva del vero Dio nei pagani in modo da farla somigliare il più possibile all'ignoranza di cui parla la Sapienza: ·E non è necessario considerare questa conoscen­ za come molto esplicita [. . . ] (i pagani) ne hanno visto abbastanza perché l'ignoranza che egli rimprove­ rerà loro possa servire loro da scusante-. 120 Cfr. pp. 90-91.

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n castigo (1. 24-32)

IL

CASTIGO

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(1.24-32)

24Perciò Dio li ha consegnati aWimpurità secondo i cattivi desideri del loro cuore, tanto da disonorare in se stessi il proprio corpo, 1�perché hanno scambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno adorato e servito le creature anziché il Creatore, che è benedetto nei secoli. Amen. 26Per questo Dio li ha abbandonati a passioni vergognse; le loro donne hanno scambiato i rapporti naturali con (rapporti) contro natura . rEgualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di desiderio gli uni per gli altri, commet­ tendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la retribuzione do­ vuta al loro traviamento. 28E poiché non ritennero Dio degno di essere conosciuto, Dio li ha abbandonati alla (lo­ ro) intelligenza depra\'ata ed essi hanno commesso azioni indegne, 29colmi di ogni ingiu­ stizia, di malvagità, di cupidigia� di malizia; pieni d'invidia, di omicidio, di lite, frode, ma­ lignità; diffamatori, 30maldicenti, nemici di Dio, oltraggiosi, superbi, presuntuosi, ingegnosi nel male. ribelli ai (loro) genitori, _u insensati� sleali, senza cuore, senza misericordia. 32E pur conoscendo il comandamento di Dio. che cioè gli autori di tali cose meritano la mor­ te, non solo le commettono. ma anche approvano chi (le) fa.

Disposto in un crescendo oratorio, l'insieme l ,24-32 è composto di tre parti1• La prima (1,24-25) espone un primo stadio del castigo inflitto da Dio agli uomini che lo hanno trascurato per darsi alle pratiche idolatriche. Queste pratiche, che Paolo ha appena descritto, sono il motivo (di6) di una prima azione punitiva di cui Dio è esplicitamente rautore, visto che è chiarissimamente il soggetto della frase del ver­ setto 24. È Dio stesso che ha 'consegnato' gli idolatri2 all"impurità', qui presa dap­ prima in tennini generali, per passare poi ad una fonna considerata come più per­ ,·ersa (vv. 26-27). Qui r'impurità' (akatbarsia) è di carattere sessuale, come il più delle volte in Paolo� e come preciserà il seguito. In questo caso si può allegare la regola che vuole che si sia puniti con ciò con cui si è peccato, se facciamo attenzio­ ne all'uso del medesimo verbo (alldssein, katallassein, 'scambiare') per descrivere

1 Cfr. p. 77. 2 AutU.s rimanda agli uomini (antb�) del versetto 18, come tutti gli altri pronomi nell'intervallo. Si noterà il riferimento generale. senza distinzione etnica (cfr pp. 74-75). ;l 2 Cor 12.21 (con pornéia>: Ga/ 5.19 (con pornéia e asé/gbeia); Co/ 3,5 (con pornéia); E/ 4, 19 (con asélgbeia); vedi anche Rom 1.24: 6,19; 1 Ts 4,7: idem per akatbartos in E/5,5. La connotazione sessuale è da escludere in 1 Ts 2,3. Sul tema dell'impurità e la sua evoluzione nella Bibbia, cfr. H. HAucK, art. Akatbartos. akatbarsia. in Th w:\T III. 430-431 ltrad. it. , in GINf IV, 1291-1293); S. LÉGASSE, art. Pureté­ Purification-Écriture sainte, in DS XII/2, col. 2627-2630. A QuJ'Ilcin (tame', tum 'db) nel senso generale di infedeltà ai precetti divini: l QS 3,5; 4,10.23-24. '

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qui l'idolatria e le sue conseguenze immorali4• L'azione divina, di cui bisognerà va­ lutare il tenore, opera su un terreno già disposto e si serve di una psicologia già in­ cline all'impurità5• Sono i 'desideri' che animano il 'cuore'6 degli uomini. Il termine epithymfa, qui come nella maggior parte dei casi in Paolo7, e nel giudaismo elleni­ sticoH, ha un significato peggiorativo, e lo stesso vale per il verbo epithymein 9• Si tratta della 'concupiscenza' sessuale10; inscritta negli istinti profondi e nativi dell'uo­ mo, essa offre all'azione punitiva di Dio le disposizioni alle quali egli potrà 'conse­ gnare' gli idolatri. La formula è di una grande durezza, ma è conforme al linguaggio biblico in cui il verbo 'consegnare' (paradid6na t} 1 1 viene usato per esprimere il castigo divino: Dio 'consegna'12 i nemici del suo popolo al potere di quest'ultimo13 e, allo stesso modo, questo popolo al potere dei suoi nemicP\ come accadde in seguito alla vi­ cenda del vitello d'oro: •L'ira del Signore si accese contro il suo popolo [...] e li die­ de in balia (paréd6ken) dei popoli· (Sa/ 105,40-41, LXX) . Là, tuttavia, si trattava di castighi che risultavano da sconfitte in guerra e da razzie. Diversa è la prospettiva qui, e ben più inquietante, perché Dio 'consegna' i colpevoli al dominio di pulsioni che li conducono al peccato. Non è impunemente, infatti, che quanti cedono a tali pulsioni si riducono a ·disonorare in se stessP5 il proprio corpo•.

4 Cfr. qui, p. 102. Si noti tuttavia che in Sap 1 1 , 1 5-18, dove già si trova l'assioma in questione, la cor­ rispondenza è molto più stretta: il castigo della zoolatria, sono delle belve feroci. Così anche in Ez 23,28-30 (Oolibà lasciata nuda e scoperta in punizione delle sue prostituzioni); Test. Ruben 1,7 (male di reni come castigo della lussuria); Test. Gad 5,10 (malattia di fegato castigo dell'odio e della gelosia, pro­ dotti del fegato, con citazione dell'assioma); Giub. 4,31 (Caino, colpevole di aver ucciso Abele con una pietra, muore sotto le macerie della sua casa). Il rapporto tra colpa e castigo è meno chiaro in Test. Si­ meone 2,13, In At 7,42 l'idolatria del vitello d'oro viene castigata con un'altra idolatria, sotto forma di culto degli astri. In Rom 1 ,23.25 non si dice che l'idolatria abbia implicato dei riti erotici. 5 Nell'espressione en tais epitbymiais la preposizione fondamentalmente è locale (non strumentale), ma è tale in senso derivato che implica una situazione, come in Rom 5,10 (en te zoe autU); 8,3 (en bo­ moi6mati sark6s); Fm 13 (en tois desmoi.s). Confronta in particolare Str 5,2: poréuestbai en epitbymiais kardfas su. 6 Cfr. p. 87. Eccezioni: 1 Ts 2, 17; Fi/ 1 ,23 (vedi anche Le 22,15; Ap 18, 14). Su questo tema paolina, cfr. in particolare H. IWsooN•. 8 Cfr. FILONE, Spec. leg. 1,148; 4 Mac 1 ,3.22.31; 2,1.4.6; 3,2. 1 1 . 12. 16; Test. Giuseppe 7,8. 9 Vedi pp. 345-346.658-659. 10 La prospettiva è dunque più ridotta e specificata che nell' eptthymia (tatJwah) degli ebrei nel de­ serto dell'Esodo (Nm 1 1,4.34.35 ecc.): vedi S. LÉGASSE. 7bessaloniciens, 221, n. 4. VIARD, p. 60, vede troppo in ampio estendendo )"impurità' alla •Vita pagana nel suo insieme•: il contesto invita ad una maggiore precisione. 11 Sull'uso soteriologico di questo verbo, cfr. p. 250. 1 2 Nei Settanta, paradid6nai sta il più delle volte per il piel di 'nh. 13 Gen 14,20; Es 23,31; Nm 21 ,2.3.34; 32,4; Dt 1,8.21; 2,24.30.36, ecc.; Gdc 1 ,4; 2,23, ecc. 14 Lv 26,25; Dt 1 ,27; Gs 7,7; Gdc 2,24; 6,1. 13; 13,1; 1 Sam 17,47, ecc. 15 Le parole en autois vanno conservate, essendo bene attestate nella tradizione manoscritta (Sin A B .

7

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Le parole che abbiamo tradotto con •in se stessi· ( en autois) non sono di facile interpretazione e la loro esegesi è flunuante'6: ·fra di loro��, ·da l oro stessi•, ·in loro stessi· sono rutti significati grammaticalmente possibili ed hanno dei difensori Il si· .

gn ificato strumentale ha tutta l'aria di una ridondanza , perché il contributo umano all'operazione lo si suppone. La sfumatura ·fra di loro-17 la si può comprendere se si

tiene presente che questa operazione viene effettuata in seno ad una società e la deprava Tuttavia è più conforme al contesto attribuire all'espressione un valore lo-­ cale: le parole en autois si collegano in effetti alla menzione del 'cuore' come fonte interiore della depravazione'K. Ma questa ha come effetto19 il disonore del corpo. Il \·erbo atimazestbai si comprende p iù facilmente nel significato passivo20, il solo che esso esprima nel greco classico, ma i commentatori greci, nonché la Volgata (•Ut contumeliis afftciant corpora sua in semetipsis») e alcuni moderni, lo intendono nel· la forma media, attribuendo così agli individui umani la responsabilità diretta del­ l'oltraggio inflitto al loro corpo. Quest'ultimo significato si accorda bene con il sen­ so riflessivo di en autois, ma non può imporsF1 • L'uso del verbo in questione22 lascia intendere che il corpo umano deve essere oggetto di un rispetto particolare e che Io si può oltraggiare come si oltraggia Dio trasgredendo la Legge (2,23). Più avanti ( 1 ,26), questo 'disonore' (atimia) è messo in rapporto con le pass ioni il cui conte­ sto indica l'effetto preciso. Tale effetto interessa il 'corpo' degli umani, in altre parole l'uomo individuale nel suo ·aspetto visibile, tangibile, biologico· 23, una nozione che, nell'epistola ai Roma­ ni, entra nel dramma teologico che Paolo descrive ai suoi lettori. Imparentato, a .

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C o•), mentre la lezione rivale en beaul6ls (gruppo koiné G a/) viene da una correzione inutile, perché nel greco ellenistico il pronome personale può avere il senso del riflessivo: cfr. N. TtJRNER, Syntax, 41-tl; BG, pp. 66-67 § 208-2 1 1 . La \'ariante inversa si è introdotta al versetto 27 (cfr. p. 104, n. 79). 16 Cfr. la presentazione delle opinioni in CRANFIELD, pp. 1 22-123. 17 Su en nel senso di ·fra', cfr. p. 38, n. 86. Vedi p. 87. 19 L'infinito con tJl ha valore consecutivo (cfr. BDR, p. 330 i 400 , 2), piuttosto che fmale (contro LA­ GRANGE, p. 28), come ammettono la maggior parte dei commentatori attuali. Il senso finale, tuttavia, non può essere escluso in modo assoluto, benché esso aumenti, in questo caso, il peso della responsabilità divina (cfr. bina e mJ{XJte in .Mc 4.12) . . lD Confronta l'attivo in 3,23 (vedi p. 155, n. 65). 21 Se lo si ammette. bisogna dare a tU atimazestbat! ktl., un valore consecutivo molto attenuato, vale a dire, di fatto. esplicativo o epesegetico, come equivalente di una participiale con atimaz6menoi ( cfr. BDR p. 331 § 400,8). u Atimazein: nel Nuovo Testamento, vanno aggiunti Rom 2,23; Mc 1 2,4; Le 20, 1 1 ; Gv 8,49; At 5,41; Gc 2 ,6 ; atimos. Mc 6.4, par. Mt 13.57; 1 Cor 4, 10; 12,23; atimia: Rom 1.26; 9,21 ; 1 Cor 1 1 , 14; 15,43; 2 Cor 6,8; 1 1 ,21; 2 Tm 2 , 20 Nei Settanta il verbo ha delle corrispondenze ebraiche diversificate. B FJTZMYER, p. 127. Per una visione globale della nozione di 'corpo' in Paolo. cfr. J. )EWETT, A nthropo­ logica/ Terms. 200-304.456-45R. �otare tuttavia. contro questo autore, che non abbiamo alcuna prova che Paolo si ponga contro le idee gnostiche prendendo in prestito da esse alcune loro espressioni. 111

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volte, alla 'carne' e quasi suo succedane­ 1 01

me la conseguenza dell'idolatria. 103 I n sie me in 1 Cor ;.8. Cfr. G. HARDFR, art. Poneria, in 7bWNTVI, 565 [trad. it., in GLNrX, 14o6s.J. 104 Cfr. p. 108. 105 Su questo vizio, cfr. C. SPICQ, lR:Jcique, 1 250-1252. Ritroviamo la sua menzione in Paolo in 2 Cor 9,5; Co/ 3.5: 1 Ts 2.5: E/4,19; 5,3: vedi anche pleonéktes in l Cor 5,10. l l ; 6,10; Ef5.15; pleonektein, in 2 Gbr 2, 1 1 : 7,2; 12,17. 18; 1 Ts 4,6.

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Il fano, però, che altrove essa sia associata all' adikiti06, e alla kakiti07, non incita a in­ sistere troppo su tale particolarità e suggerisce di percepire in questo primo gruppo un effetto di accumulo per esprimere la perversione morale in tutte le sue forme. Il che è confermato dall'enfasi introdotta dai due primi termini del versetto 291� nonché dalla costruzione molto formale dell'insieme, costruzione circolare per assonanza (a­ dikia corrisponde a kakia) e allitterazione (ponéria-pleonexia)109• Nettamente specificato, al contrario, è il secondo gruppo (v. 29b) in cui vengQ110 enumerati cinque vizi governati come prima da un termine che ne rafforza il peso: questi uomini dati al culto degli idoli sono, in conseguenza di ciò, ·pieni di110 invi­ dia, di omicidio, di lite, frode, malignità��. I primi due vizi non sono estranei l'uno all'altro, in quanto l'invidia111 genera facilmente l'omicidio1 12, ma l'associazione di­ pende anche dall'assonanza oratoria (phtb6nu-ph6nu). L'érls è la disputa o la lite, vizio che le Pastorali attribuiscono ai falsi dottori ( 1 Tm 6,4) e di cui è noto come esso degeneri in scisma in seno alle comunità (Ga/ 5,20). La nostra epistola (13, 13) distoglie da tale vizio i cristiani in attesa della parusia. La 'frode' o 'inganno' (d6los)113 figura in una lista simile in Mc 7,22. Il termine kakoetbéia114 ha una portata piuttosto generale, ma i termini vicini lo mettono in rapporto con la malizia nei confronti degli altri, quali che ne siano le manifestazioni115• Il gruppo successivo è di gran lunga il più importante del catalogo116• Delle dodici categorie di persone che esso comprende, le prime sette ricevono una qualificazione che non contiene alcuna negazione. Sono dapprima due categorie vicine che possia­ mo unire sotto un'unica etichetta: gli psithyristai sono coloro che mormorano parole 106

PsEUOO-Alusn:A, 277; FILONE, Praem. 15; Vita cont. 70; Sac. 32; FLAVIO GruSEPPE, AJVI,86; STRABON!,

VI I,4, 6.

107 FILONE, Spec. leg. 1,278; 11, 52 ; Vita cont. 2 . 108 Il perfetto peplér6ménus ha come parallelo e sinonimo mestUs che apre la seconda parte del ver­

setto.

109 Vedi BDR,

p. 420 § 488, n. 7. L'allitterazione si verifica anche con pepler6ménuspdse. Mest6s è usato in senso positivo in Rom 1 5, 1 4; Gc 3,17. In senso inverso: Mt 23,28; Gc 3,8; 2 Pt 2 ,1 4 In senso materiale: Gv 19,29 (bis); 2 1 , 2 1 . 1 11 Pbtb6nos figura nella lista delle -opere della carne• in Ga/ 5,1 . Vedi anche Fi/ 1 ,25 (con éris); 1 Tm 6,4; n 3,3; Gc 4,5; 1 Pt 2,1; Mc 1 5 1 0 , par. 27, 18. m Così nel caso di Gesù (Mc 1 5,10, par. Mt 27, 18), ma anche, senza il termine, neJI'episodio di Caino e Ab ele ( Gen 4). Secondo Sap 2,24, ·la morte è entrata nel mondo per invidia (pbtb6n6) del diavolo·. CRANFIELD, p. 1 30, suggerisce di interpretare i quattro vizi che seguono phtb6nu come frutti dell'invidia. 113 Il termine d6/u manca in A, omissione senza alcun dubbio accidentale. 114 D a kak6s, 'cattivo', ed étbos, 'costumi', 'carattere'. Nei Settanta: Est 16,6; 3 Mac 3,22; 7,3; 4 Mac 1 ,4; 3,4. Su questo termine, cfr. C. SPICQ, Lexique, 748-749. u; CRANFIELD, p. 130, ha ragione a non identificare qui il fatto di prendere tutto in mala parte, ispiran­ dosi ad ARISTOTELE, Retorica 11,13, 1 389b, perché, osserva C. SPJCQ, Lexique, 748, ·il volgare lo intendeva in senso più ampio•. La vicinanza di d6los (contro il medesimo autore) non favorisce in particolare il si­ gnificato di 'doppiezza'. 1 16 Cfr p. 107. lw .

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malevole117, e i llataldlot sono i calunniatori in generalen11• La categoria successiva sor­ prende un poco perché non designa un difetto o un vizio; inoltre si rimane incerti sul significato da dare al tennine tbeostygbes (un hapax del Nuovo Testamento): senso at­ tivo (colui che odia Dio) o senso passivo (odiato da Dio)119• Contro il primo senso, viene allegato il fano che, nel greco profano, -questo tennine non ha mai questo signi­ ficato•120, e soprattutto ·non si vede perché Paolo dovrebbe mettere un crimine tanto e­ norme nella serie dei castighi della ragione; esso sarebbe piuttosto causa della degra­ dazione.. 1 2 1 . Ma l'esegesi cristiana dell'antichità, specialmente quella dei greci, mostra che il senso attivo non poneva alcun problema filologico. Del resto, se ci si interroga sulla funzione di questa categoria nel contesto, il significato attivo vi trova un suo po­ sto allo stesso modo che il suo rivale. Infatti, invece di inserire i theostygheis allo stes­ so livello delle altre categorie che li circondano, vi si può vedere ·meno un difetto che un epiteto che accompagna certi difetti, quasi una parentesi•122 • Ora, se è vero che Dio odia questi difetti e (almeno teoricamente e secondo il fonnulario biblico)123 coloro che li praticano, è anche vero che questi ultimi sono dei nemici di Dio e si comporta­ no praticamente da empi. In tal modo Dio castiga creandosi degli avversari. Con le tre categorie successive incontriamo l'orgoglio umano e le sue manifesta­ zioni: l'orgoglioso insolente e addirittura violento124, qui come in altri scritti, si avvi­ cina all'arrogante125 e al presuntuoso126• Seguono due categorie spesso associate per 117 Il termine deriva da psitbyros, 'che cinguetta', parlando di uccelli, donde 'che mormora', 'che bi­ sbiglia (psitbyrizein: cinguettare, mormorare piano piano, in particolare discorsi malevoli: PurrARco, :Wor., 1 4 3e ) 118 I termini astratti katalalidi e psitbyrlsm6s si ritrovano insieme in 2 Cor 12 20. Vedi a nche 1 Clem 30,3; 35,5 (eco di Rom 1 .29-31). 1 19 La Peshi��o (sni 'in l'aloho) e la Volgata (Deo odibiles) optano per il secondo significato Lo stesso equivoco interessa theostyghia in 1 Clem 35,3. In compenso , Thooomo (PG 82, 65) commenta theosty­ gheis con apechthos peri tòn the6n diakeiménus, -animati da sentimenti ostili verso DioIl termine ha il significato di ·odiato dagli dèi· in EL'RIPIDE, Le Troiane, 1 2 1 3 ; Ciclope, 336.602. 121 l.A GRANGE, pp. 32-33, ripreso in HUBY, p. 98. 122 l.A GRANGE, p. 33. 113 Cfr. Pr 6.16-19. �� L' hybristis mette in opera l' by1wis che non si accontenta di sentimenti di superiorità, ma si affer­ ma come disprezzo ostentato, come vessazioni e ani di violenza. Su questo termine da ll eti mologia in­ certa, e sul suo ruolo nella tragedia greca. cfr. G. BERTRAM, art. Hjbris, ktl , in 7b WWT V111, 295-297 [trad. it. , in GLNf XIV, S-12]. In questo ultimo contesto, l hjmis ha come eroe Prometeo e caratterizza l'uomo che intende fare a meno degli dèi. I n 1 Tm 1 . 1 3. lo Pseudo-Paolo si definisce, prima della conversione, come hybristés. Al di fuori di questo passo e di Rom 1 ,30, il termine non appare nel Nuovo Testamento. :"'ei Settanta bybristis si legge i n Gb 40,6 (1 1); Pr 6,17; 15,25; 16,19; 27, 1 3; Sir 8, 1 1 ; 22 (35), 18; /s 2,12; 16,6; Ger 28 (ebr. ;1 ),2. 125 H yperépbanos con hybristis. ERAOlDE PONTICO, Geogr. 1,14; DIODORO SICULO, V, 55,6. Hyperépha­ nos nel Nuovo Testamento: qui e in Le 1 , 5 1 ; 2 Tm 3 2 ; Gc 4,6 (Pr 3.34); 1 Pt 5,5 (Pr 3,34). Nei Settanta byperépbanos e byperepbania sono relativameme frequenti ed hanno come corrispondenti ebraici i ter­ mini di radice zd e soprattutto g '. 126 A/azoo: per i riferimenti, dr. C. SPICQ, Lexique, 75-78; /.es Épitres pastorales, t. II, EtB, Paris 19694, '

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la loro duplice composizioneu7• Innanzitutto quella degli ·inventori di mali•, per ren­ dere alla lettera l'espressione greca•28, la quale, pur senza parallelo propriamente detto, ha in greco e in latino dei parenti vicinP29• I mali in questione, secondo il contesto, riguardano gli umani e non Dio, e vedremo qui l'·inventore di odiose macchinazioni, piuttosto che colui che inventa per raffinatezza nuove maniere di peccare•130• Senza rapporto particolare con la categoria precedente, i ·ribelli ai (loro) genitori .. aprono una serie di vizi accompagnati da una negazionem. Il rispetto dei genitori fa parte dei canoni della morale giudaica132, senza niente togliere a quella proposta dai greci e dai romani133• Qui il rispetto è visto come manifestato dall'obbedienza. L'at­ teggiamento contrario è condannato, e il suo castigo è codificato in Dt 21, 18-21134• La rivolta dei figli contro i loro genitori fa parte degli sconvolgimenti dell'ordine morale che preludono alla fine dell'era attuale135• Le ultime quattro categorie comprendono dapprima due tipi più uniti dall'assonan­ za che non dal difetto che li caratterizza. L' asjnetos è !"insensato', compreso qui, co­ me nell'Antico Testamento, nel senso di colui che si smarrisce sul piano religioso•-'16 . Il termine asjntbetos richiama l'idea di essere semplice, non composto, ma anche mal regolato137• In senso morale tale termine qualifica l'incostante, il volubile, ma in con-

774. Con hyperipbanos, in Sap 5,8; ST�BEO , Fior. 85,6. Il termine designa spesso più che il semplice fanfarone. I n Sap 2,16, 1'alaz6n si considera un dio e si vanta di avere Dio per padre; 2 Mac 9,8: Antio­ co ·credeva di comandare ai flutti del mare, nella sua iattanza sovrumana (dià t�n hypèr antbropon a­ laonéian)•. Nel nostro contesto, tuttavia, si lascerà questo difetto sul piano dei rapporti umani. Il' Cfr. pp. 108-109. 128 Epbeuretés, 'inventore', da epbeuriskein. 129 2 Mac 7,31 (kakias beuretés); FILONE, In Flac., 20: kakon heuretat; VIRGIUO, Eneide II, 164: sce/entm inventor, TACITO, Ann. IV, l 1 ,2, di Seiano: {acinorom omnium reperto,.. 130 LAGRANGE, p. 33, che si oppone a CoRNELY e allega il kakomechanos di FILONE, Sac., 32. 131 Cfr. p. 107. 132 Q uesto 'rispetto' o questo 'onore' , quale viene prescritto nel Decalogo (Es 20, 12; Dt 5,16), implica l'assistenza materiale e finanziaria (cfr. Pr 14,31; Mc 7, 10-12, par. Mt 1;,3-6; 1 Tm 5,3. 16). Vedi C. SPICQ, Les Épitres pastorales, t. I, EtB, Paris 19694, 525; J. ScHNEIDER, art. Timi, tima6, in Th W7VT VIII, 172-181 [trad. it. , in GLNJ' XIII, 1276-1 298]. Lo PsEuoo-FocruoE (8) colloca il precetto del Decalogo sui doveri verso i genitori subito dopo quello che concerne l'onore dovuto a Dio. Vedi inoltre Or. sib. 111,593-594; Giub. 7,20; FILONE, Spec. leg., 235; FLAVIO GIUSEPPE, C. Ap. 11,206. 1 33 Esempi in l.AGRANGE, p. 33. ·� Con la medesima qualificazione di apeithis che si ha qui. Il termine è piuttosto raro nei Settanta:

Nm 20, 10; ls 7,16; 30,9; Ger 5,23; Zc 7,12; Sir 16,6; 47,21. m Mi 7,6; 2 Tm 3,2; cfr. anche Mc 13,12(?), par. Mt 10,21 (secondo Mi 7,6), adattato a l contesto delle persecuzioni. Confronta M/ 3,24; Le 1, 17. '36 Cfr. p. 87, n. 87. 1 '7 Da syntithénai, con alpha privativa. Vedi la traduzione tncompositos della Volgata, secondo il si­ gnificato che danno a questo termine PLATONE, Fedro, 78c; Teeteto, 205c, e ARISTOTELE, Politica 1,1,3,1252a.

Il castigo (1,24-32)

111

seguenza di questi difetti, a volte s i è infedeli agli impegni presi, o s i agisce a tradi­ mento. Così nei Settanta138• Gli astorgoiu9 sono persone senza storgbé, senza amore né affetto, all'opposto dei pbil6storgoi (Rom 12,10)140• Dello stesso carattere che espli­ cita la categoria precedente sono i ·senza cuore' o 'senza misericordia' (anelebno­ nes), persone insensibili e crudeli di fronte ai bisogni e alle sofferenze altruP41• Dopo aver incorporato questo catalogo nella propria lettera, Paolo lo prolunga (v. 32) con un commentario personale che conclude l'esposizione del castigo inflit­ to da Dio a coloro che si allontanano da lui per onorare gli idoW.. 2• Il versetto 32 si collega al versetto 28 con il quale costituisce una inclusione della lista di vizi, con· dividendo con esso un lessico comune143, ma non l'idea generale. Là è il rifiuto della vera conoscenza di Dio, che viene presentato come il motivo per cui Dio ha conse­ gnato coloro che se ne sono resi colpevoli ai vizi che sono stati enumerati. Qui, in­ vece, si parla di una conoscenza posseduta di fatto da parte di questi prevaricatorP"'"': se essi non hanno riconosciuto il vero Dio per volgersi verso gli ido­ li, hanno comunque conosciuto il 'decreto'14s che Dio ha emanato contro quanti si abbandonano ai vizi di cui Paolo ha presentato la lista. Ma sappiamo anche che questi uomini si sono distolti dalla conoscenza che era stata loro offerta, conoscen­ za che essi hanno rigettato per abbracciare le tenebre dell'idolatria (l ,21)146• A que­ sta conoscenza del vero Dio, era unita quella del suo 'decreto', della sanzione che puniva i trasgressori della sua volontà. È quanto possiamo dedurre dall'uso paralle­ lo dei verbi gn6ntes (v. 2 1 ) ed epign6ntes 1i"' (v. 32), situandosi ambedue i verbi (al-

'� Asjntbetos (infedele): Ger 3,7.8. 10. 1 1 (radice bgd); asyntbetéln: Sa/ 72 (ebr. 73),15; 77(78),57; 1 18(1 19), 1 S8: asyntbesia: 2 Esd 9,2.4; 1 0.6 ; Ger 3, 7 (v .l.). 1 w Questi ultimi. in una serie di varianti, sono seguiti o preceduti dagli aspondoi (implacabili), vero­ similmente sono l'influsso di 2 Tm 3,3. Sul primo termine (nel Nuovo Testamento: qui e in 2 Tm 3.3: assente nei Settanta), cfr. C. SPICQ, l.Rs Épftres pastorales. t. Il, EtB. Paris 196�. 775. Invano si cercherebbe qui un'alJusione alla pratica di e­ sporre i bambini o all'infanticidio. contro CRAt-."FIELO. pp. 132- 1 33. che si basa su BARCLAY, pp. 32-33. 1�1 Il termine (una negazione di ele&n6n. compassionevole, misericordioso) ricorre solo qui nel Nuo­ vo Testamento (cfr. tuttavia anéleos in Gc 2,13). Nei Settanta, esso rende il più delle volte i termini poe· tici 'akzar, 'akzari, 'akzdn)')'Ut. Cfr. p. 1 08. 143 Epign6ntes rimanda a epignOsei, poiUsin (prtissusin) rimanda a potetn, tà toiduta riprende tà mi katbékonta. Il relativo b6itines qui va preso nel significato proprio e qualificativo ('simili persone') piuttosto che come l'equivalente ellenistico di boi (dr. BDR, p. 1 4 1 § 293, 2, be). 145 Dikdi6ma. nei Settanta. ha il significato corrente di 'precetto' o 'regola' (il più delle volte per J.?oq, f?uqqab: a volte. e quasi sempre in Ezechiele. per rfb): Gen 26.5; Dt 4.1 .5.6.8, ecc.; l Re 2.3; Sa/ 1 18 (e­ br. 1 19),5, ecc. Benché il finale in · ma indichi teoricamente l'effetto dell'azione posta, qui e in Rom 2,26, il significato è confonne al greco dei Settanta e la parola significa ·ciò che Dio ha prescritto- (dr. C . SPICQ, Lexique. 352-354). Sul medesimo termine in Rom 5.16. 1 8: 8,4, cfr. p. 285, n. 86. 146 Cfr. p. 105. 147 Qui il prefisso appare accesri so o, come accade per epigndsis (cfr. p. 105, n. 87). L'accostamento l

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112

R vangelo potenza di salvezza per i giudei e i gentili

l'aoristo) in un passato lontano e- riferendosi ad una situazione che l'umanità ha perduto per propria colpa. Subito dopo viene indicato il contenuto preciso della sentenza148: è la morte149• Si tratta prima di tutto della morte fisica'50, della quale si sa, in base al racconto della Genesi (3,3), che essa è il castigo del peccato. Paolo, da parte sua, ne è convinto (Rom 5, 12), non senza includervi la "morte totale· che, per i peccatori, comprende la perdita della "vita eterna" che essi avrebbero potuto godere nel regno di Dio151 • Questa morte minaccia dunque coloro che commettono il peccato, quale che sia la forma che assume la loro trasgressionem. Se ci chiediamo in che modo l'umanità, u­ na volta avuto accesso alla conoscenza del vero Dio, ha saputo anche che egli era il remuneratore della trasgressione per mezzo della morte, ed anche in che modo Paolo ha saputo che l'umanità sapeva tutto questo, da lui non riceviamo risposta. Di fano, Paolo a questo proposito non ha altra fonte di informazione che la Genesi. Questa gli fa conoscere la corrispondenza peccato-morte, il che vale, al di là della colpa originale, per l'empietà dei rinnegati idolatri. La seconda parte del versetto 32 ci dice che gli uomini, informati del castigo in questione, •non solo (tali cose) le commettono, ma anche approvano chi le fa·153•

dei due participi pennette di dire, ispirandosi al contesto, come l'umanità abbia potuto conoscere la sanzione divina. Nell'uno e nell'altro caso, non risulta una grande chiarezza quanto alle circostanze di questo dramma (cfr. p. 85). 1 "" La frase introdotta da b6ti si collega a dikai6ma ed esprime il suo contenuto (b6ti epesegetico, senza pronome, come in Ap 2,4: cfr. Gv 3,19; 1 Gv 1 ,5). 149 Axion thanatu: nel Nuovo Testamento, vanno aggiunti Le 23,15; At 23,29; 25, 1 1 . 25; 26,31 . 1 � Non d i u n modo d i parlare, come propone l.AGRANGE, p. 3 4 . Vedi anche HVBY, p . 101.

151 Rom 2,7-8; Ga/ 5,21; 1 Cor 6,10.

152 Il catalogo che precede non enumera i delitti che, secondo un determinato codice, sarebbero pas­ sibili di morte. È solo l'illustrazione del peccato, per mezzo di una serie di esempi. L'indefinito toiduta ('di tali atti', se ne possono supporre altri della medesima natura) al quale rimanda auta che segue, lo indica se lo si prende, come pare giusto fare, in senso proprio (cfr. BDR, p. 152 § 304,2). ·�� La differenza tra poiein e prattein, qui (come in 2,3: cfr. p. 1 18, n. 1 5) è evidentemente una que­ stione di stile - Syneudokein: in Paolo, aggiungi 1 Cor 7,12.13; per il resto del Nuovo Testamento: le 1 1 ,48; At 8,1 ; 22,20. Nei Settanta: 1 Mac 1,57; 4,28 (v.l.); 2 Mac 1 1,24.35. Aggiungi Test. Aser 6,2 (syneu­ dokUst) e, per il tema, SENECA, Ep. 39,6. - Una variante sostituisce i due verbi finiti con dei participi. Ri­ cordiamo la lezione scelta e che si impone: ·E pur conoscendo il decreto di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo le commettono, ma anche approvano chi le fa·. La correzione ha costretto il copista a rimaneggiare l'insieme del versetto trasformando il participio epign6ntes in verbo fi­ nito e a negarlo (uk enoesan in o•; uk egnosan in G; non intellexernnt in Vgctm'), da cui viene: ·l quali non banno conosciuto il decreto di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non soltanto facendole (poiuntes) (oppure: coloro che le fanno: boi poiuntes) ma anche approvando (syneudokUntes) (oppure: coloro che approvano: boi syneudokUntes) chi le fa•. Il testo originale del versetto non è affatto scorrevole e può prestarsi ad equivoci (vedi il seguito). Per questo fatto, esso ha provocato una corre­ zione che, purtroppo, ne falsa il significato. L'antichità di questa correzione sbagliata è dimostrata nella parafrasi di 1 Clem 35,6: ·facendo tali cose, essi diventano nemici di Dio: non soltanto coloro che le fanno (boi prtissontes auta) , ma anche coloro che le approvano (boi syneudokUntes autois)•.

Il castigo (1,24-32)

1 13

Benché questo abbia potuto contribuire a produrre deUe varianti, solo in apparenza il testo lascia intendere che approvare le cattive azioni degli altri è peggio che com­ pierle personalmente. In realtà il testo incrimina i colpevoli soltanto di aggiungere alle loro proprie colpe l'approvazione di quelle degli altri'54• Un supplemento di cui la Bibbia fornisce alcuni esempi'5S, con Aronne e il suo consenso alla installazione del vitello d'oro (Es 32), nonché tutte le altre connivenze e incoraggiamenti dei capi nel corso della storia d'Israele. quando il popolo si sviava allontanandosi dalla fe­ deltà al suo Dio'"''. Certamente i pagani non sono esclusi da queste colpe: qui ab­ biamo una conferma del carattere generale del quadro che Paolo espone ai suoi let­ tori157. Egli dipinge un'umanità completamente pervertita al punto di non limitarsi ad offendere Dio, ma di arrivare fino ad approvare, per non dire incoraggiare, coloro che lo fanno•ss.

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·

I S4 Contro una

interpretazione piuttosto comune fin dall'antichità patristica (vedi i riferimenti in CRAN­

RELD, p. 135). Il testo. nella sua forma non corretta, è comunque abbastanza chiaro. m Cfr. VIARD. p. 65. In compenso, è dubbio che Paolo, in queste righe, miri direttamente alla comu-

nità di Roma, come propone lo stesso autore (pp. 65-66). · � Ger 5,4-S; Ez 22.25-28; Os 4,4-6; .M/ 2,1-9. 157 Cfr. pp. 74-75. ';s Non è questo l'oggetto deUa critica di fD.oNE, Ebr., 25, tuttavia dtato in LAGRANGE, p. 35: Filone se la prende con colui che si propone non solamente di fare il male lui stesso, ma anche di farlo con altri 1 u m6non adikein, allà synadikein), collaborando alla malignità collettiva.

114

n vangelo potenza di salvezza per t giudei e i gentili

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Giudei e pagani (2, 1-16)

115

Applicazione alle clae parti dell'alllanità:

2 1Perciò chiunque tu

giudei e plp.Di (2, 1-16)

sia, o uomo che giudichi, non ha i alcun motivo di

scusa perché,

mentre giudichi gli altri, condanni te stesso; infatti, tu che giudichi, fai le medesime cose. 2Eppure noi sa ppia mo che il g iu dizio di Dio contro quelli che fanno tali cose è secondo (la) verità. 'Tu che gi udich i quelli che fanno tali cose e intanto le fai tu stesso, pensi forse di sfuggire al giudizio di Dio? "'0 disprezzi la ricchezza della sua bontà, della sua tolleran­ za e della sua pazienza, senza riconoscere che la bontà di Dio ti spinge alla conversione? 5'fu, però, con il tuo cuore duro e ostinato, accumuli collera su di te per il giorno dell'ira e della rivelazione del giusto giudizio di Dio, t'iche renderà a ciascuno secondo le sue o­

pere: 'la vita eterna a coloro che cerca no la gloria, l'onore e l'incorruttibilità nella (prati­ ca) perseverante delle opere buone; Bira e sdegno contro coloro che, per ribellione, di­ sobbediscono alla verità e obbediscono all ' in iquità . 9'fribolazione e angoscia su ogni uo­ mo che opera il male, prima sul giudeo e poi sul greco; 10gloria invece, onore e pace per chi opera il bene. prima per il giudeo e poi per il greco: 11Dio infatti non fa preferenze di persone. 12Tutti quell i che hanno peccato senza la Legge , senza la Legge perira nno ; quel l i invece che hanno peccato sono la Legge, con la Legge saranno giudicati. ulnfani, non quelli che ascoltano la Legge sono giusti davanti a Dio, ma quelli che mettono in pratica la Legge saranno giustificati. HQuando i pagani, che non hanno la Legge, fanno per natura le (co­ se) della Legge, essi, pur non avendo Legge, sono legge a se stessi. 15Essi dimostrano che quanto la Legge esige è scritto nei loro cuori, come risulta dalla testimonianza della loro coscienza e dai loro stessi ra gio na menti , che ora li accusano ora li difendono. 1f>Così av­ verrà nel giorno in cui Dio giudicherà i segreti degli uomini secondo il mio vangelo, per mezzo di Cristo Gesù.

Paolo continua con la sua argomentazione 1 mostrando come il quadro disastroso e drammatico dell'umanità senza vangelo valga sia per i giudei sia per i pagani. Il discorso dunque progredisce e si fa più esplicito. Con ciò non è lontano dal suo momento culminante (3, 1-20). Questo comunque rimane ancora ad una certa di­ stanza, perché dobbiamo ancora venire a sapere (2,10) che giudei e pagani sono anche capaci di fare il bene e di esserne ricompensati (in 3, 1-20, invece, Paolo non vedrà nelruna e nell'altra società altro che dei prevaricatori). La sezione si divide in due parti. La prima (2, 1-11) si segnala innanzi tutto per il suo stile, quello della diatribe: Paolo si rivolge direttamente ad un interlocutore fitti-

1 Cfr. pp. 74-75.

1 16

Il vangelo potenza di salvezza per i giudei e i gentili

zio. Questo genere, comunque, al versetto 6 termina. Ma oltre a ciò, nell'insieme si nota, come fattore di unità, la prospettiva insistente del giudizio2 (umano e divino). La seconda parte è di tipo espositivo. È dominata dal tema della 'legge'3• E così, al versetto 12 e, infine, al versetto 16, la presenza del verbo 'giudicare' (krinein) man­ tiene e ingloba tutta la sezione 2,1-16 sotto il segno del giudizio di Dio, suggellando in tal modo la sua coesione interna. La prima parte si sviluppa in quattro tappe. La prima interpella l'individuo uma­ no che giudica e commette le stesse colpe di coloro che egli giudica e condanna (vv. 1-3). La seconda tappa è centrata sul giudizio-castigo di Dio che incombe sul­ l'impenitente (vv. 4-6). Viene poi (vv. 7-9) una distinzione che permette di prevede­ re una duplice retribuzione escatologica: ricompensa e castigo secondo il comporta­ mento di ciascuno, cosa che, in un'ultima tappa, viene applicata alle due porzioni dell'umanità: giudei e pagani. Un legame con il contesto precedente viene stabilito tramite una congiunzione (di6), il cui peso e valore non risultano evidenti e che viene interpretata in modi di­ versi4. Se non si pretende di facilitare il compito vedendo qui una semplice particel­ la di transizione\ si farà di 2,1 la conseguenza dell'insieme 1 , 1 8-32. La cosa risulta difficile solo se si vede in questa sezione una evocazione dei peccati dei soli pagani e in 2,1 1s. un discorso rivolto ai giudei. In questo caso non si capirebbe come l'im­ putazione di 2, l possa scaturire da quanto precede: come dedurre dal fatto che i gentili sono votati allo smarrimento morale a causa della loro idolatria, un'accusa ri­ volta ai giudei, che li dichiara senza scusante se condannano i trasgressori? Se, inve­ ce, l , 18-32 abbraccia in un medesimo sguardo l'umanità intera e si tiene presente che 2,1-16 fa lo stesso6, si può capire che, una volta evocata questa perversione ge-

z In questi versetti si rileva quattro volte il verbo krinein (2, l ter.3), una volta katakrinein (2, 1), due volte krima (2,2.3), una volta dikaiokrisfa (2, 5). 3 Il termine n6mos vi figura nove volte: 1 , 1 2 (bis-).13 (bis).14 (quattro volte).15. Aggiungi due volte an6m6s al versetto 12 . .j Vedi la presentazione delle opinioni in CRANFIELD , pp. 140-141. La difficoltà di stabilire un legame logico tra 2,1 e quanto precede e di dare a di6 il suo valore causale, ha provocato la spiegazione di R. BULTMANN•, p. 281 , seguito da KAsEMANN, p. 49, spiegazione che suggerirebbe di vedere in Rom 2,1 una glossa marginale del versetto 3, introdotta qui nel testo, mentre 2,2 sarebbe il seguito di l ,32 e 2,3, con dé, segnerebbe un nuovo inizio. In realtà, però, 2,3 suppone 2, l che, quindi, non può essere eliminato dal testo autentico (cfr. WILCKENS, t. I, 1 23). � Così O. MICHEL, p. 73. Per degli esempi di un uso debole di di6, vedi Rom 1 5 7.22 Lo stesso dicasi di dià tuto in 5,12 (cfr. qui, p. 272). 6 Cfr. pp. 74-75. A. NYGREN, pp. 87-88, nonostante 6 anthr6pe dell'inizio, considera l'insieme 2,1-16 come riferito ai giudei. Per spiegare la conseguenza percepita in 2, l, egli prende luce dai capitoli del li­ bro della Sapienza da 1 1 a 15, nei quali l'autore incita gli israeliti, quando condannano i pagani idolatri, ad ispirarsi alla tolleranza divina, dato che essi stessi sono peccatori ed hanno bisogno dell'indulgenza ,

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nerale, Paolo ne deduce, come cortseguema, che quanti vi sono immersi non han­ no il diritto di giudicare gli altri per queste colpe, visto che l'autore del giudizio le commette anche lui. Come al versetto 3, colui che qui viene interpellato porta il nome più generale che si possa immaginare (confrontare •tu che ti fai chiamare giudeo•, al versetto 17)7. L'apostrofe ·o uomo· (o antbrcpe) non mira però a definire il carattere propria­ mente e semplicemente umano dell'interlocutore fittizio a cui Paolo si rivolge e che dovrebbe essere distinto dal giudeo. La formula è uno stereotipo della diatribJ8• Ciò non toglie che. esprimendosi in questo modo, mentre poco dopo (v. 17) si ri­ volgerà espressamente al 'giudeo', Paolo non incoraggi affatto i suoi lettori a com­ prendere quanto seguirà come riferito particolarmente, o addirittura unicamente, ai giudei. Ciò è confermato dalla generalizzazione espressa dall'indefinito pas che si riferisce al participio sostantivato ho krin6n9• Il giudeo è evidentemente compreso nel numero, ma egli non è il solo a incorrere in biasimo e minaccia di castigo (2,9) e, se è incontestabile che Paolo si lascia qui influenzare dalla polemica contro i giu­ dei e si ispira alle rimostranze che profeti e saggi non risparmiavano a Israele (vedi infra), egli estende la portata delle sue parole al di là del proprio popolo10• La critica, dunque, è rivolta in generale a chiunque giudica, cioè condanna11, si arroga il diritto di un giudice che emette una sentenza negativa contro un accusato. Il tema, in quanto tale, non è comune e si è tentati di riconoscere qui l'eco dell'av­ vertimento di Gesù raccolto nella Fonte dei L6ghia e incorporato nei vangeli di Lu­ ca (6,37) e di Matteo (7, 1-2)1.!. Rimane il fatto che qui il tono non è quello di una e­ sortazione accompagnata da una minaccia per i recalcitranti, perché Paolo attacca e

di Dio ( 1 1 .23; "12,19-22). Senza dover supporre una dipendenza diretta di Paolo dal libro alessandrino, egli qui si ispirerebbe ad uno schema comune del giu deo-el len ismo , facendo il seguente ragionamento: ammesso tutto ciò che è stato detto dei pagani, il giudeo che li giudica (e li condanna) è senza scusa: egli si condanna da se stesso. perché anche lui pecca. La fraseologia perentoria di Nygren non i mpedi­ sce che si possa trovare aggirato l'argomento logico e la funzione di di6 così indiv iduati . Ma prima di tutto, è cosa vana pretendere di ricondurre tutto ai pagani in 1 , 1 8-32, e ai giudei in 2,1-16. 7 Cfr. p. 146. 8 EPrnTIO. Diss. 11,21 , 1 1 ; 23,37; IV,9,6; 13, 10, dove tuttavia manca l'interiezione o. Per l'uso di essa in Paolo, vedi Rom 9,20; 1 1 ,33; Gal 3, 1 ; vedi anche 1 Tm 6, 1 t .20. Sull'uso della seconda persona in questo genere di discorsi. vedi anche Rom 2.17: 8,2; 1 1 . 17; 14,4, e BDR, p. 231 § 281 . 9 Non è facile una traduzione letterale d i questa formula nella nostra lingua. 1 0 Tuttavia si eviterà di precisare di più, come se Paolo mirasse ad una qualche categoria del mondo pagano, filosofi. moralisti o capi civili (cfr. CRISOSTOMO, PG 60,423). ORIGENE (PG 14,873-874) pensava ai ministri della chiesa. 11 Il significato del verbo semplice qui è quello del composto katakrinein, come è dimostrato dall'u­ so di questo verbo nel seguito del versetto. Per lo stesso valore del verbo semplice, vedi Rom 14, 13a; 1 Cor 5, 1 2; Gv 75 l : le 19.22. Vedi anche le 6,37 ( in parallelo con katadikazein! condannare). 12 L'eredità è probabile secondo DuNN, p. 80. Cfr. anche pp. 622-623.

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acdtsa. Colui a cui egli mira è l'uomo che condanna gli altri13 per le loro cattive a­ zioni, quando lui stesso agisce nel medesimo modo. Ne risulta che, condannando gli altri, egli si condanna 14 da se stesso indirettamente senza saperlo e senza volerlo, perché la sua condotta è identica1; a quella di coloro che egli condanna16• Non è detto che egli commetta esattamente le loro stesse colpe; come indica un altro pro­ nome, tà toiauta, al versetto 2, a tà auta non può essere dato questo valore se non anticipando indebitamente quanto verrà più avanti rimproverato al giudeo (2,2123). Per il momento Paolo, che qui considera l'umanità intera, non entra in simili particolari. Per adesso è bene ispirarsi al quadro che precede (1 ,29-3 1 ) dove non si ha che l'imbarazzo della scelta, senza essere costretti a concentrare su uno o più in­ dividui una simile collezione. Il versetto 2, nonostante il dé17 dell'inizio, non costituisce un'obiezione che Paolo mette in bocca ai suoi interlocutori fittizP8, bensì un commento e un complemento di ciò che è stato appena detto: l'uomo che giudica gli altri per le loro colpe, mentre lui stesso pecca, sarà giudicato da Dio. La 'scienza' qui rivendicata è in parte formale: l'espressione retorica 6idamen}9 non ha altro scopo che introdurre un'affermazione ritenuta condivisa dall'interlocutore o dal lettore, un modo per aumentarne il peso20 impegnando anche loro. Ciò che viene supposto che essi ammettano insieme a Pao­ lo, è che ·il giudizio (tò krima) di Dio•, in altre parole la sua sentenza di condanna21, 13 Tòn héteron, ellenistico per tòn allon, più corretto perché si tratta di più di due (cfr. N. TURNER, Syntax, 197-198). 1 4 Katakrinein, come In Rom 8,5.34; 14,23; in Paolo, aggiungi 1 Cor 1 1 ,32. - In en ho, la preposizio­ ne è strumentale con sfumatura causale ('perché', come in 8,3; cfr. BDR, p. 178 § 219,2), piuttosto che locale o temporale (nel senso di ·nell'atto stesso di giudicare•). •; Tà auta (o tò auto) poiein o prassein, 'fare la stessa cosa;, 'agire allo stesso modo': Mt 5,46; Le 6,33; Ef6,9; FLAVIO GIUSEPPE, A} V,l29; IX,27 1 . 16 Non perché, giudicando, egli si mette al posto di Dio, praticando una sorta di idolatria a proprio vantaggio, come propone BARRETI, pp. 43-44. Una tale esegesi, pur rimandando a Rom 1,18-23, forza manifestamente il testo di Paolo. 17 La variante con gar (Sin C, ecc., Vg: scimus entm) fa a torto di questo versetto la conseguenza di ciò che precede, forse per influsso di 6idamen gar di 7,14; 8,22; 2 Cor 5,1. Paolo, però, scrive anche 6i­ damen dé, in Rom 3,19; 8,28; vedi anche 1 Tm 1 ,8. Il dé qui introduce un'opposizione tra il giudizio e­ messo dagli uomini e quello di Dio che Io punisce. 111 Contro BARRETI, p. 44. 19 Il verbo 6idamen, seguito da h6ti, è senza particella in 1 Cor 8,1.4, ma il procedimento è lo stesso che si ha negli altri casi. Altri esempi di 6idamen h6tt: Mt 22,16; Le 20,21; Gv 3 , 2 ; 9 , 32 ; 1 Gv 3, 2 ; 5, 18,20 . 20 Circa alcune inutili speculazioni su questa formula, cfr. V.P. FURNISH, II Corinthians, AB 32A, Gar­ den City, New York 1984, 263-264. Soltanto i contesti permettono di valutare la dose di 'conoscenza' che questo verbo suppone nell'interlocutore o nel destinatario. Lo stesso dicasi del participio eid6tes. cfr. p. 258, n. 31. 21 Krima, come krinetn nel contesto (cfr. p. 1 17, n. 1 1), esprime il giudizio punitivo, come in Rom 2,3; 3,8; 13,2; 1 Cor 1 1 , 29.34; Ga/ 5,10. Altri riferimenti in BAllER, col. 9,19. Cfr. la distinzione tra krima e katakrima in 5,16; cfr. p. 284, n. 83.

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sentenza eminentemente giustazz, raggiungeU colui che commette le colpe di cui in­ crimina gli altri. La frase al presente ( estin) non toglie nulla all'aspetto futuro della re­ tribuzione escatologica, ma annuncia una verità teologica, una 'regola' divinal4 la cui applicazione avverrà al momento del prossimo giudizio (vedi il futuro ekphéuxe al versetto 3). Questo giudizio incombe già su coloro che «fanno25 simili cose•. Il prono­ me tà toiduta - da prendere in senso proprioZ6 - rimanda a tà aura del versetto l per annunciarne la retribuzione divina. Una prima domanda (v. 3) è confonne allo stile della diatribJ2', come appello alla riflessione dell'interlocutore. Ciò, allo scopo di togliergli qualsiasi illusione, qua­ lora egli immaginasse28 di poter sfuggire29, condannando coloro che commettono «tali cose- pur facendole anche lui, alla condanna divina. Il che equivale, positiva­ mente, a dirgli che anche lui la subirà. Il pronome sj insiste sull'identità tra colui che giudica e colui che incorrerà nel castigo30• Una seconda domanda (v. 4), nonostante la congiunzione i dell'inizio3t, non e­ sprime una condotta diversa da quella descritta nella domanda del versetto 3: si tratta dello stesso atteggiamento considerato sotto un altro aspetto, anche se questo 12 .KJ#à alétbeian (sull'assenza dell'articolo, dr. BDR, pp. 207-208 § 258) ha più che un valore avverbiale alitb&, · veramente '), significa bensì 'confonnemente alla verità', vale a dire ai fatti che Dio

(nel senso di

condanna, essendo egli giusto (vedi v. 1 1 , con l'assenza di prosfpolempsia in Dio), degno di fiducia: vedi i riferimenti alla leneraturd giudaica. specialmente agli scritti di QumrJn. in ScHUER, p. 69; Der-..� . pp. 80-81.

23 Epi, con l a sfumatura ·contro', come in 2,9. 24 Piuttosto che vedervi un presente profetico (cfr. BDR, pp. 266-267 § 323), di stile biblico ma non paol ino . - Qui il verbo ·essere· ha la sfumatura di 'accadere', ·verificarsi', ·avere luogo', come in 1 Cor 1 ,

10-1 1 ; 1 1 , 19; 1 2,25; MI 24,7; Ap 21 ,4. � Qui pranein: cfr. p. 1 1 2, n. 153. Il contatto, sotto forma di chiasmo, tra prassontas e poion confer­

ma la sinonimia dei due verbi. 26 Come i n 1,32 (cfr. p. 1 1 2, n. 1 52). Così compreso, questo pronome pennette di non dare a là auta, nel versetto l, un valore strettamente limitato (cfr. p. 1 1 8). Lo stesso per l'apostrofe 6 amhrcipe (cfr. p. 1 17). 28 Logbizestbai: 19 volte in Rom e 31 volte nelle lettere autentiche di Paolo, contro le sole 7 volte nel r

resto del Nuovo Testamento. Nei Settanta, quasi sempre per

1!dshab nelle

diverse coniugazioni. Nella

nostra epistola, il senso è o medio ( 'misurare·, 'valutare') o passivo ('essere valutato'). Qui la sfumatura è ·rit enere , ·credere', ·opinare' (come anche in Rom 3,28; 6, 1 1 ; 8,18). In compenso, nelle citazioni di Gen 15,16 e la sua utilizzazione in Rom 4 (cfr. pp. 219-220), nonché nel Sal 43,22(23) citato in Rom H,36, va tenuto il significato passivo (con Dio come soggetto implicito). - Tuto . . . b6ti ha la stessa co­ struzione che ha in Rom 5.8; cfr. BAUER, col. 1 192.c. Ekphéugbein: nel Nuovo Testamento, la prospettiva è escatologica in 1 Ts 5,3; Le 21 .36 (sfuggire al cataclisma finale); Eb 2,3; 1 2,25 (sfuggire al castigo di Dio). Altri usi del verbo: 2 Cor 1 1 ,33; At 19,16 (sfuggire ad un pericolo umano o demoniaco); At 16,27 (evadere dalla prigione). In Rom 2,3 la formula è p a re nte prossima di quanto si legge in Sal. Salom. 19,8: kài uk ekpbéu.xontai b6t poiuntes anomian tò krima kyriu, •e coloro che compiono l'iniquità non sfuggiranno al gi udizio del Signore-. ·10 Non per contrastare la certezza del giudeo, in quanto discendente di Abramo (cfr. Mt 3,9 par. ) , a proposito della sua salvezza, contro FITZMYER, p. 300. Cfr. qui pp. 74-75. 31 Per un uso analogo, cfr. l Cor 9,6. Lo stesso uso lo troviamo nella diatribi (cfr. EPrrmo, Diss. I, 6.32). '

�)

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n vangelo potenza di salvezza per i giudei e i gentili

nuovo aspetto segna una notevole gradazione. Non si tratta, infatti, soltanto di pre­ venire l'illusione di chi pensasse di poter sottrarsi alla sanzione divina: il trasgresso­ re che si fa giudice, 'disprezza'32, vale a dire tratta alla leggera, o meglio, non tiene in alcun conto la pazienza sovrabbondant�3 di Dio nei confronti del peccatore, pa­ zienza che è accompagnata da un incitamento alla 'conversione'. In realtà è proprio la conversione , alla fine della frase, l ' oggetto diretto del 'disprezzo ' , ma ignorandola34, è l'infinita bontà di Dio che viene ferita. Vengono qui allegati in serie tre attributi divini che, nella participiale, l'aggettivo sostantivato tò chrést6w" riassu­ me, essendo, il tutto, destinato a produrre la 'conversione' nel peccatore36. La chrest6tés37 qui è riferita a Dio, come in Rom 1 1 ,223fl. Gli altri due attributi, an­ ch'essi complementi di plutu, 'ricchezza'39, ne sono la manifestazione40• L' anoche 41, qui nel senso morale, è la 'tolleranza' o la 'pazienza' di Dio, quasi un sinonimo del­ la makrothymia42 • Questa, nei Settanta, è soprattutto una virtù di Dio43, Dio ·diviso 32 Il verbo kataphronetn, 'disprezzare' (così in 1 Cor 1 1 , 22 , con kataischjnein, 'umiliare'; vedi anche 1 Tm 6,2) qui deve intendersi non di un sentimento di disdegno, bensì di un atteggiamento pratico consistente nel considerare qualcuno o qualcosa come quantità trascurabile, o nel non fame alcun con­ to (cfr. S. LÉGASSE, ]ésus et l 'enfant, EtB, Paris 1969, 68; C. SPICQ, Lexique, 794-798). �3 Plutos, seguito da un genitivo, per esprimere l'abbondanza di qualche cosa, si ritrova in Rom 9,23; 2 Cor 8,2; Col 1 ,27; E/ 1 ,7. 18; 2,7; 3, 16; già PLATONE, Eutifrone, 1 2a (plutos tes sophias). Con la 'bontà' come complemento: SIMPLICIO (VI sec. d.C.), Sul Manuale di Epitteto, 1 2 .7: plutos tes autu (tbetl)

agath6tetos . '-1 Agnoein è più o meno sinonimo di kataphronein, in quanto non si tratta semplicemente di non sapere: come in 10,3, viene imputata una negligenza cosciente colpevole. ·15 Cfr. FILONE, Virt., 160; FLAVIO GIUSF.PPE, A} Vlll, 214; ATENEO, 10,3. 36 Confronta Sal. Salom. 9,7: be cbrest6tes su epì hamartanontas en metameléia, oe la tua bontà cir­ •

conderà i peccatori pentiti•, che suppone che il pentimento preceda la manifestazione della bontà di Dio. 57 Cfr. C. SPICQ, Lexique, 1654-1659. 38 Cfr. anche E/2,7; Tt 3,4; 1 Pt 2,3 (Sa/ 33,9) (cbrest6s). Già nei Settanta: chrest6tes (per !ob, !C)bdh): 1 Esd 5,61; Sal 25,7; 3 1,19; 65,1 1 ; 68, 10, ecc.; cbrest6�� 1 Sam 24, 1 1 A; Sal 24,8; 33,9; ecc.; FILONE , Leg. ali. 111,73.215 (cbrest6s); Det. , 46 (cbrest6s); FLAVIO GIUSEPPE, A]XX,90; Sal. Salom. 9,7. L'aggettivo sostan­ tivato tò cbrest6n (vedi tò pr6thymon, in Rom 1,15; tò perlss6n, in Rom 3,2) è l'equivalente dell'astratto be chrest6tes: cfr. p. 55, n. 106. 3 9 Dato che sono sulla stessa linea d i pensiero della cbrest6tes, non possono esserne separati per far­ ne due complementi di kataphroniis, paralleli a plutu. 40 Per cui, con CRANFIEID, p. 144, qui possiamo vedere un semplice accumulo di sinonimi o quasi si­ nonimi, come si trova nelle preghiere o nelle esortazioni solenni. 4 1 Nel Nuovo Testamento, qui e in Rom 3,26 (anche lì riferito a Dio). Il tennine nei Settanta appare soltanto in 1 Mac 1 2.25 (did6nat anochin, nel senso di 'dare il tempo' di fare qualcosa). Nel greco pro­ fano il tennine (da anécbein, 'cessare') significa 'sosta', 'tregua' (id. in 1 Enoc 13; PsEuoo-.ARISTEA, 194), in particolare delle battaglie (armistizio), 'respiro' (EPITIETO, Diss. 1,29,62). -Il In Paolo, aggiungi, con riferimento a Dio, Rom 9,22; come virtù umana: 2 Cor 6,6; Gal 5,22; Col

1 , 1 1 ; 3,12; E/4,2. H Es 34,6-7; Nm 14, 18; Sa/ 7 , 1 1 , LXX ; 85 (ebr. 86),15; 144(145),8; Sllp 15,1 ; G/ 2,1 .3; Gn 4,2; Na 1,3; 2 Mac 2,14, ecc. Nell'Antico Testamento, l'ebraico corrispondente a questo lessico è quasi unicamente 'o­ rek o 'erek bappayim.

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tra il castigo e la gmzia

121

[...] che sopporta il

peccato deJI'uomo

[ .] e aspetta la con­ ..

versione·+�. È ciò a cui sono ordinate, ci dice Paolo, queste qualità divine: se Dio so­ prassiede al castigo, lo fa rimanendo in attesa, attesa che è li m i ta ta nel tempo, dato che la pazienza di Dio non è infinita se non nel suo contenuto, non nella sua dura­ ta. Dio, temporeggiando, non fa altro che permettere e incoraggiare45 la metanoia: ·Tu hai compassione di tutti, perché tutto tu puoi, non guardi ai peccati degli uomi­ ni, in vista del pentimento (eis metanoian)•46• Il termine metanoia, con il verbo cor­ rispondente metanoein. è comune nel Nuovo Testamento,., per esprimere un'espe­ rienza che è una eredità del profetismo48 e comprende una duplice operazione: che il colpevole si allontani dal peccato al quale si è dato, per 'tornare' al punto di par­ tenza e stabilire, con un nuovo inizio, il rapporto giusto con Dio. In tutto ciò Paolo si esprime da giudeo, il che non implica che egli si rivolga ai soli giudei49: il ricorso ai motivi tradizionali lasciati in eredità dalla Bibbia e dal giudaismo ellenistico è a­ datto, secondo lui, a convincere qualsiasi essere umano di dover mettere il suo pensiero e la sua vita in armonia con l'ordine divino. Invece (dé) di una risposta positiva all'appello implicito alla conversione, ecco l'indurimento del peccatore, atteggiamento che provoca il castigo divino50. La 'sclero-

44 45

M.S. PANNEUr, art. Patience. in DS XII/l , col 439. Agbein non esprime ta nto un impulso quanto l'idea di favorire la conversione, di dare al peccato­ .

re l'occasione e la possibilità di convertirsi: cfr. Sap 1 1 ,23; 1 2,10, e l'uso del medesimo verbo in Rom H . 1 4 ; Ga/ 5,18. L'apostrofe individuale (se) è nella linea della diatribi in iziata al versetto l . '!() Sap 1 1 , 23; vedi anche 12, 10. 19. C . I.ARCHER, Le Livre de la Sagesse o u la Sagesse de Salomon, t. III, EtB nuova serie 5. Paris 1985, 692. osserva che ·i paral leli più precisi (di questo pensiero) con una ana­ loga apertura universalista. si trovano nel NT (Rom 11.4; 2 Pt 111,9; A t XV11,20).. 47 A differenza dei Settanta, dove peraltro metanoia non ha mai un corrispondente semitico e meta­ noein tradu ce solo due volte sbub (fs 46.8: Sir 48 1 5 ) . In ogni altra parte, metanoein sta per n�m t ra mm ar ic a rsi ) Per rendere sbub e l "idea di conversione, i Settanta usano (epi)strépbein ed apo­ strépbein. L'uso neotestamentario di metanoein-metanoia proviene dalla lingua rel igiosa del giudeo-el­ lenismo: al libro della Sapienza (vedi nota precedente) aggiungi Test. di Aser 1 ,6; Gad 6,3.6; 5,6; 7,5; Ruben 1 ,9 ecc.: FILO�"F. Leg. al/. 11 .60-6 1 : Deus imm., 33: Virt 179-180, ecc.; FLAVIO GIUSEPPE, A} V, 1 5 1 ; XII, 273, ecc. Per maggiori dettagli, cfr. J. BEHM, art. Metanoé6-metanoia, ktl., i n 1bWNJIV, 975 -976 .987 ,

,

·

'

.

..

-

991 [trad. it., in GL\T VII, 1 1 16- 1 1 20. 1 148-1 1 61).

ili Js 6 , 1 0 ; Ger 2 3 , 2 2 ; 26 (LXX, 33),3; 3 1 (LXX, 38) , 1 8 . 2 1 ; Ez 3,19; 1 3 ,22; 14,6, sempre co n ( ept)strépbein o apostréphein per l'ebraico shub. Cfr. W. L. HoLLADAY, 7be Root Shubh in the 0/d Testa­ meni witb Particular Reference to its l!sage in the Covenantal Contexts, Leyden 1958; L. ALvARFz VERDE, ·.uetanoia-metanoein ' en el griego biblico, in Homenaje ]uan Prado. Madrid 1955, 503-S25; S. LÉGASSE, Jésus et l "enfant. EtB, Pa ri s 1969, 2 1 8-219; J. MILGROM, 1be Priestly Doctrine of Repentance, in RB 82 ( 1975) 186-205. o Studies in Cultic 7beology and Terminology, SJLA 36, Leyden 1983, 47-66; Religious Conversion and tbe Revo/t Mode/ for tbe Formation of /srael, in JBL 101 0982) 1 69- 176; TH. M . RAirr, Tbe Propbetic Summons to Repentance, in ZAW83 097 1 ) 30-49. 4"' L ' a rg oment a zione di DP\N, pp. 8 1- 83 , è qui molto discutibile. Per rendersene conto , basta ricor­ darsi come Paolo polemizzi contro l'idolatria in Rom 1,18-23. � Kata, con l'accusativo all'inizio del versetto, significa 'a causa di'; aDa fine del versetto la stessa

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Il vangelo potenza di salvezza per i giudei e i gentili

si' volontaria e colpevole di colui che chiude le orecchie alla voce di Dio è un tema

ben radicato nella Bibbia, come il lessico che lo esprime. Riferito soprattutto ad I ­ sraele nell'Antico51 e nel Nuovo Testamento (Mc 10,5 par. ; Mt 18,9), esso si estende, nella sfera cristiana, a contesti diversi da quello della polemica antigiudaica (Mc 16,14). Questa ostinazione profonda nel male, espressa dapprima con una fonnula a­ stratta, viene qui completata'.z mediante l'idea del 'cuore impenitente' (ametanoetos)5j, quello che rifiuta la 'penitenza' o la 'conversione' (metanoia), in altre parole, il 'cuo­ re indurito' che profeti e saggi stigmatizzano)4. Il giusto 'tesaurizza' fin dal momento presente le ricchezze che saranno date per le sue buone azioni il giorno della retri­ buzione divina55• La metafora, però, vale anche per il trasgressore che, fin da adesso, può essere sicuro del suo castigo se non si converte. Ciò che egli immagazzina pres­ so Dio è 'l'ira'56, la quale si traduce in castigo il 'giomo'57 fissato da Dio e che, secon­ do Paolo, non può tardare. Il giudizio, che promana dalla giustizia divina�, sarà og­ getto di una 'rivelazione' (apokdlypsis)59, perché è proprio nel momento in cui esso

preposizione ha la sfumatura di 'secondo', 'in conformità a'. Su questi due usi, vicini quanto al significa­ to, cfr. BAUER, col. 826-827. �� Per il sostantivo skler6tes (hapax del Nuovo Testamento): Dt 9,27 (per qeshi); 2 Sam 22 6 (per mO­ ,

qesh); fs 28,27 (per 1Jan1sh); 4,6. Vedi anche sklerokardia: Dt 10,16; Sir 16,10; Ger 4,4; 1 Enoc 16,3; Test. Simeone 6,2; FILONE, Spec. leg. I, 305; Mc 10,5 par.; Mt 19,8; Mc 16,14; sk/erokdrdios. Pr 17,20; Sir 16,9; Ez 3,7; l Enoc 5,4; 100,8; sklerotrdchelos: ES 33,3.5; 34,9; Dt 9,6. 13; Pr 9, 1 . 1 9 (v.l.); Sir 16, 1 1 ; Bar 2j0; At 7 ,51 . Su questo tema, cfr. J. OUPONT, Mariage et divorce dans l 'Évangile. Matthieu 19,3-12 et parai/è­ /es, Bruges 1959, 19, e le note. - Sulla nozione vicina di pOr6sis, cfr. qui, p. 536, e n. 50. Una specie di endiadi, secondo J. BEHM, art. Ametanoetos, in TbWNJ IV, 1004, n. 3 [trad. it., in GLNTVII, 1 197, n. 3). s3 L'aggettivo (un hapax del Nuovo Testamento), nel greco ellenistico significa 'irrevocabile' (vedi i riferimenti in ]. BF.HM, art. cit., n. 52). L'uso in Rom 2,5, deriva , come l'idea di metdnoia in senso mora­ le, dal giudeo-ellenismo: vedi Test. Gad 7,5: ·Egli perdona a colui che si è pentito (metanoesantt), ma riserva l'impenitente (ametanoetos) per un cast igo eterno-. È la slt'rirnt leb in Dt 29, 18; Ger 3,17; 7,24, ecc.; Sa/ 8 1 , 1 3 ; CDC 2,17-18; 3,5.1 1-12; 8,8.19; 20, 9- 1 0; l QS 1 ,6; 2,14; 3,3; 5,4, ecc. In Dt 10,16, i Settanta hanno reso ·il prepuzio dei vostri cuori• ('orlat Jebabkem) con t�n sklérokardian hymon. - Sulla concezione ebraica del 'cuore', cfr. p. 87 - Il pronome su è trascurato dopo kardian, a causa del suo uso precedente dopo skler6téta. s� 7b 4,9-10 (dove la prospettiva è escatol ogica); Sal. Salom. 9,5; 2 Bar 14,12; 24, 1; 4 Esd 6,5; 7,77; 8,33; Mt 6,19-2 1 ; Mc 10,21 , par. Le 12, 33-34; 18,22. 56 Cfr. pp. 78 e 127s. - Sul l ' assen za dell'articolo con gl i astratti, cfr. BDR, p p . 207-208 § 258. 57 Il 'dies iraè (héméra orghes, y6m 'ebrah) Paolo lo prende, in ultima analisi, da Sofonia (1,15-18). 58 Il termine dikaiokrisia (unica ricorrenza, questa, nel Nuovo Testamento; assente nei Settanta; nella Quinta : Os 6,5, per mishpli_t) fa la sua prima apparizione nella letteratura giude o-el l eni stica : Test. Levi 3,2; 15,2 (ogni volta in una prospettiva escatologica). Aggiungi dikaiokrltis in 2 Mac 1 2,41; Or. Sib. III, 704. Per le altre attestazioni, cfr. G . ScHRENK, art. Dikaiokrisia, in 1b WNJ II, 229 [trad. it., in GLNT II, 1 326s . ) . w A differenza del verbo apokaljptein, il so stan tivo apokdlypsis è raro nei Settanta, dove ha sempre un significato profano: 1 Sam 20,30 (per l'ebraico 'erwah, ·nudità', 'parti vergognose'); Sir 1 1 ,27; 22,22; 42,1 B A. Si noterà la differenza tra 1 , 17, dove la 'giustizia' che viene manifestata, è manifestata per la salvezza, mentre la dikaiokrlsia divina, secondo 2,5, deve essere rivelata sono forma di castigo. �2

'H

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avrà luogo che apparirà in tutta chiarezza la giustizia in questione, giustizia retributi­ va ed anche punitiva. secondo la concezione più tradizionale60• Tradizionale è anche l'idea che ·Dio renderà61 a ciascuno secondo le sue opere... Più ancora che la nozione di giustizia come viene espressa qui, quella di retribuzio­ ne secondo le 'opere' (v. 6'Jù può stupire chi si è impregnato dei temi più profonda­ mente inscrini nel pensiero e nella dottrina di Paolo; Fm 13 (en tois desmois), ecc. Cfr. BAtJER, col. 522-523. Sull'as­ senza frequente dell'articolo davanti a n6mos in Paolo, vedi BDR, p. 207 § 258,2. - Sulla distinzione tra en (to) n6m6 e hypò n6mon, cfr: p. 317. 1 33 Contro SANDAY-HEADLAM, p. 58. Ma già 0RIGENE latino, su 3,21 (PG 14 ,944), il quale mette in risalto che, dato l'uso greco, quando Paolo omette l'articolo davanti a n6mos, intende designare non la legge

di Mosè, bensì la legge naturale. ·� Rom 2,25; 3.20(bis).21(!).28.31; 4,17, ecc. dove, pur senza articolo, n6mas designa con evidenza la legge mosaica. Cfr. BDR, pp. 207-208 § 258,2 e n. 3. 135 Dià n6mu, con dia nel senso strumentale (come in 3,20.27; 4,13; 7,5): benché sia Dio a giudicare, egli lo fa passando, per cosi dire, attraverso la Legge che gli serve da criterio (cfr. ScHuER, p. 76). Sulla Legge come strumento o criterio di giudizio, cfr. Ps.-FILONE, 1 1 ,2 (·è con essa che io giudicherò il mon­ do intero•); 2 Bar48,47 (·e la Legge, che essi hanno trasgredito, li punirà nel Tuo giorno•). 136 W. WFsrHERLHOLM, /sraels Law, 106-109. 137 Così in Rom 2,14-15; 7,2 1-23. In Rom 7,2, n6mos designa un regime di diritto (coniugale). A pro­ posito di Rom 3,27, cfr. p. 207; su 4,15 (dove lo stesso tennine slitta da un senso all'altro), cfr. p. 237; su 7,21 , cfr. pp. 361-362. 138 1 Cor 14,21 (ampia citazione di fs 28,11-12); Rom 3,10-19 (con una citazione variegata dei salmi, più fs 59,7). 1.w Cfr. pp. 123-124. 14° Cfr. CRANFIELD, p. 1 53.

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1 33

setto 13 che viene a sostenere il versetto 1 2b ed ha una prospettiva piuttosto chiara. Questi ·uditori'"' della Legge· non sono i pagani, bensì i giudei, loro che ascoltano la lettura della Torah soprattutto nella sinagoga (At 1 5 , 2 1) . Semplice ascolto, che e­ sclude l'idea di obbedienza che la lingua biblica collega con il verbo 'ascoltare' (shdma ''"2 e che si distingue dal 'fare', come nella parenesi giudeo-cristiana succes­ siva'"\ L'opposizione non è giudaica144: nel giudaismo un uditore della Legge è un giusto perché ad essa sottomette la propria volontà e la propria vitaw>. In compen­ so, l'idea di 'fare'146 ciò che la Legge prescrive ha le sue radici nella Bibbia e non manca di attestazioni nell'antico giudaismo147• Ad ogni modo è a questo prezzo che si sarà riconosciuti giusti davanti a Dio148 al momento del giudizio finale. Il verbo dikai6thesontai, al futuro, orienta il lettore verso la conclusione del tem­ po di questo mondo, quando Dio (il passivo suppone la sua azione) autentificherà la condotta di alcuni come condotta che è stata conforme ai suoi comandamenti. Il significato del verbo, dunque, qui è diverso da quello che ha negli altri passi paoli­ ni, dove esprime l'atto mediante il quale Dio ·giustifica l'empio· (Rom 4,5) con una remissione senza presupposti umani, concessa in Gesù Cristo149• Qui la sentenza del giudice suppone, al contrario, un'operazione positiva in alcuni di coloro che com­ pariranno davanti al suo tribunale. È questa per lo meno la teoria già espressa al versetto 6 e che vale per i pagani come per i giudei. Ma di fatto, che ne sarebbe di questa giustificazione 'forense' al momento dell'ultimo giudizio, se la redenzione concessa nel Cristo non avesse avuto luogo? Il seguito del testo ci introdurrà subito in una requisitoria secondo la quale la giustizia è assente da questo mondo a meno di sottomettersi al verdetto assolutorio di Dio nella croce del Cristo (3, 10.23-24). Per il momento Paolo ragiona secondo le regole abituali ricevute dalla sua religione na­ tiva. La rivelazione di cui egli è stato favorito dà a queste regole un colpo fatale al quale egli non tarderà ad associarsi.

141 .Akroatls ( da altroastba#., 'ascoltare'); nel Nuovo Testamento, qui e in Gc 1,22.23.25. Nei Settanta: Is 8,3 (per laJ?ash); Sir 3,29. 14l Es 15.26: Dt 4.30; 6,4 (Mc 12.29); Gs 1 , 18; Js 1,1 9; Ger 1 1 ,3; 12,1 7 ; Mi 5,15(14). t-8 Gc 1.22-23.2;; J1t 7,24-27, par. Le 6.47-49. 144 Cfr. DuNN , p. 97. a•s FLAVIO GIUSEPPE, NV.107 (essere uditori. akroatal, delle leggi divine è come fare l'esperienza inte­ riore della volontà. gn6me. divina ). 132: to n n6mon . . . akribéis akroatai, ·gli uditori scrupolosi delle leg­ gi•, che gli Israeliti avevano cessato di essere al tempo dei Giudici. 146 Il sostantivo poietis ricorre nel Nuovo Testamento qui e in At 17,28 ('poeti'); Gc 1,22-23.25 (oppo­ sto ad akroatt!s): 4 . 1 1 (poietes n6mu). Nei Settanta, il tennine ricorre unicamente in 1 Mac 2,67. 1 47 Vedi l'uso di poietn in Lv 18,5 (Ga/ 3,12); Dt 4,�. 13-14; 1 Mac 13,48; vedi anche 2,67 (poietés), nonché l'espressione 'fare la legge' ( 'asdb ba-tordh) in 1QpH 7,1 1; 8,1; 12,4-5. 148 L a rt ico lo davanti a the6 è omesso in G m. Sull'assenza occasionale dell'articolo con the6s dopo u­ na preposizione nel Nuovo Testamento, cfr. BDR, pp. 204-205 § 254, 1 . 1-19 Cfr. pp. 204-205. '

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I versetti 14 e 1 5 sono un'applicazione150 ai pagani della 'tesi' enunciata ai versetti 1 2-13. Paolo ha momentaneamente ammesso (cosa che in seguito contesterà) l'esi­ stenza di una giustizia motivata dall'obbedienza alla Legge. In questo caso è il giu­ daismo che serve da modello, anche se il contesto ci mantiene nell'ordine dell'uma­ nità in generale composta di pagani, 'senza legge', e di giudei 'nella Legge', sicuri gli uni e gli altri della retribuzione divina al giudizio finale. Ora, Paolo si attarda sul caso particolare dei 'gentili' (éthné)Is1• Non è accettabile l'esegesi, già patristica e ripetuta in seguito152, che vede qui i pagano­

cristiani. Questa esegesi è motivata dallo scrupolo che non accetta di attribuire ai pagani la conoscenza e la pratica morali qui presentate, a causa della descrizione che Paolo pri­ ma ha fatto dei loro costumi depravati. Senza contestare la tensione che regna all'interno di questa sezione dell'epistola15\ non si può attribuire a Paolo l'idea che i cristiani venuti dal paganesimo compiono la Legge 'per natura' (v. 14). È lo 'Spirito' che guida il cristia­ no, rigenerato, nel compimento della volontà di Dio (Rom 8,13-14; Ga/ 5,16.18.25).

I pagani vengono descritti dapprima come coloro che ·non hanno legge.. (l'assen­ za dell'articolo davanti a n6mu è un fenomeno ben attestato in Paolo)1:;4• Qui si trat­ ta dei gentilP5S, dei quali è detto che ·fanno per natura le (cose) della Legge· (il dati­ vo phjsei va collegato con il verbo poiosin)156• Benché si possa ammettere che qui Paolo rifletta degli elementi di filosofia popolare presenti alla mente dei suoi con-

150 Il gdr, al versetto 14, ha una sfumatura deduttiva ('dunque'), per introdurre l'applicazione.

•s• Cfr. p. 38, n. 86 . La presenza o l'assenza dell'articolo davanti ad un sostantivo seguito da un parti­ cipio è irregolare (cfr. BDR, pp. 340-341 § 2 3) . Qui, di conseguenza, non si può utilizzare l'assenza del­ l'articolo per dare a étbne un significato indefinito e limitato ('alcuni gentili'): contro I..AGRANGE, p. 77; ScHLIER, p. 77; FITZMYER, p. 310. m Già l'AMBROSIASTER (PL 17,68): ·Gentes cbristianas•. Altri riferimenti antichi e moderni in FrrZMYER, p. 310. 153 Alcuni tentativi per ridurla a volte fanno appello a delle considerazioni estranee a Paolo, a volte attenuano la portata del suo testo commentando tà tu n6mu poiosin in un senso occasionale (capita che i pagani osservino le prescrizioni della Legge). Per questo genere di commento, cfr. LEENHARDT, p. 49,3; MAILLOT, p. 79. 154 Vedi 2,25 (bis); 3,31(bis); 10,4; 13 1 0, senza preposizione come qui. Sull'uso dell'articolo con n6mos in Paolo, cfr. BDR, pp. 207-208 § 258. 2 e n. 3. •ss Non è detto che questo comportamento sia quello di tuttt i gentili, ma neanche che si tratti sol­ tanto di alcuni di essi (cfr. supra). Qui si vuoi dire che un tale comportamento esiste tra i gentili. La fra­ se: •Quando i pagani [ . .] fanno le (cose) della Legge (. . . ]. non esprime una semplice possibilità o even­ tualità, scartando la realtà dei fatti: h6tan con il congiuntivo presente traduce altrettanto bene l'idea di una realtà che si ripete ('ogni volta che .. .'): cfr. BAUER, col. 1 190,1 ,a. ·� Non a ciò che precede, conformemente al greco che, per sostenere l'opinione contraria, dovreb­ be collocare phjsei all'interno della participiale tà mi n6mon écbonta: vedi 2,27 (ek phjse6s), nonché Gal 2,15; Ef 2 ,3. Questa comunque non è l'opinione generale. Per uno sguardo sulle opinioni, cfr. FITZMYER, p. 3 1 0 ; 0UNN, p. 98. -

,

.

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135

temporanei, bisogna escludere da questa frase l'idea di 'legge naturale'157, il cui con­ tenuto sarebbe da distinguere dalle prescrizioni della Torah. Infatti, stando al conte­

sto , sono proprio ·le (cose) della Legge- di Mosè, che i pagani compiono158• Essi lo fanno 'per natura'. Come in altri passi delle epistole159, questa espressione non deve essere forzata in un senso filosofico. Qui viene espressa l'idea che il compimento in questione si verifica, come noi diremmo, 'naturalmente', senza altro incitamento che quello proveniente dalla persona interessata160• Il seguito lo conferma osservando che agendo in tale modo, questi pagani, che non hanno la Legge, •sono legge a se stessi•. Non la 'loro propria legge', come se si comportassero quali legislatori arbitrari della loro condotta. Infatti ciò che i pagani praticano è in realtà quanto prescritto proprio dalla legge di Mosè. L'idea non è e­ stranea al giudaismo ellenistico nel quale si può rilevare che Abramo, prima della Legge scritta, «Spinto dalla natura (te pbisei spudasas) [ . . . ] mise il suo zelo a seguire da vicino slanci santi e senza difetto•, conducendo una vita non soltanto «Conforme alla Legge·, ma anche ·legge essa stessa e codice non scritto• (n6mos aut6s [ . . .] kài thesm6s agrapbos)i61• Ma Abramo è il padre d'Israele. Qui, Paolo parla dei pagani e non si chiede in che modo e in che forma si avveri tra loro questa osservanza dei precetti della Torah. A questa domanda Paolo non risponde162• Gli basta affermare la cosa e, con ciò, di infliggere indirettamente una nota di biasimo ai giudei: la Legge è praticata anche dai gentili, sicché i giudei avrebbero torto di valersene come di un privilegio. Che non sia cosa facile armonizzare quanto si legge qui con l'elogio ap­ passionato delle prerogative d'Israele in Rom 9,4, è evidente. Altri contesti, altre ne­ cessità e argomenti diversi. Che i gentili siano ·legge a se stessi· viene spiegato al versetto 1 5. Grazie alla lo-

157 Vedi la discussione dell'interpretazione contraria di G. BoRNKAMbf, in MICHEL, pp. 80-81. Lungi dal­ l'entrare nella prospettiva che identifica natura e Legge, Paolo, come giudeo, parte da Dio, non dalla

·natura', da Dio la cui norma determina tanto l'agire quanto il destino dei pagani. ISII L'espressione tà tu n6 m u è sinonimo di tà dikaidmata tu n6mu (2,26). 1�9 Ga/ 2.15: 4,8; E/2.3. Vedi anche ek ph_vse6s in Rom 2,27. e qui. p. l 59. 160 Paolo, è evidente, qui non oppone ·natura· e ·grazia·, sollevando problemi che solo in seguito ap­ pariranno nella teologia cristiana. È chiaro che, per lui, è Dio che permette ai pagani di obbedire ai precett i della Legge e che, se essi lo fanno. non lo fanno sono l'effetto di una energia indipendente dal Dio unico e creatore. Colui che si fa conoscere come tale è anche all'origine di una vita confonne con il suo piano sul mondo. 16 1 A br. , 278; secondo la trad. di J. Gorez, L'idea che Abramo osservava già la Torah è inscrina nella tradizione giudaica: 2 Bar 57.2: Jf. Qiddushin 4 , 1 4 : b. Yoma, 28b , ecc. Cfr. BTLLERBECK, t. III, 186-204. 162 In assenza di indizi in questo senso in Paolo, non gli si può attribuire la concezione giudaica dei comandamenti 'adamitici' o 'noachici' estrani dalla Torah per essere praticati dai pagani : cfr. BILLERBECK, t. III. 36-38; D. NovAK, Tbe Image of tbe Non-jew inJudaism: An Historical and Constrnctive Study of tbe Noacbite Laws, New York - Toronto 1983; K. MOUER, Tora fur die V6lker. Die noach idiscben Gebote und

Ansiitze zu ibrer Rezeption im Christentum, SKI, Berlin 1994.

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ro pratica delle 'cose della Legge' i gentili fanno risaltare163 l'origine di questa prati­ ca: essa si colloca 'nel loro cuore', là dove si trova scritta l'opera che la Legge pre­ scrive164 e da dove vengono loro gli imperativi corrispondenti. L'eredità dell'oracolo di Geremia (38 [ebr. 31],33) che enunciava le condizioni della nuova alleanza, ben­ ché a volte venga contestata 165, non presenta dubbi, date, da una parte, le somi­ glianze verbali tra i due testP66 e, dall'altra, le allusioni a questo medesimo passo profetico nel resto delle epistole167• Un'obiezione accampa il fatto che qui Paolo par­ la della situazione attuale dei pagani in questo mondo, mentre Geremia fa una pro­ messa per l'avvenire escatologico d'Israele168• In realtà, Paolo dimostra abbastanza che quando ricorre alla Scrittura fa poco caso dei contesti e del senso letterale che ne deriva per un determinato passo169. Essendo il 'cuore', tra i giudei, il centro della vita spirituale170, l'immagine che consiste nel vedere inscritti in esso i precetti della Legge171 si rifà alle tavole sinaitiche incise da Dio172 per tradurre l'impronta definitiva della legge divina sulla persona umana, qui sul pagano che, con la sua condotta, la manifesta all'esterno173• A ciò si aggiunge la testimonianza della coscienza.

163

Endéiknynai (cfr. anche 9,17; Es 9,16.22; 2 Cor 8,24; altre sette volte nel Nuovo Testamento): mo­ strare, provare (a partire da Omero). - H6itines qui introduce, come in 1 ,25, una relativa con sfumatura causale (cfr. p. 99, n. 32). 164 Il singolare érgon (confronta il plurale concreto in Rom 3,20.28; Ga/ 2,16 [ter]; �2.5. 10) raccoglie in sé le prescrizioni della Legge. Il genitivo tu n6mu è soggettivo (l'opera prescritta dalla legge). 16� MICHEL, p. 83. 166 Cfr. Ger 38,33, LXX, e Rom 2,1 5 167 1 Cor 1 1 ,25; 2 Cor 3,2.3.6. .

168

169

MICHEL, p. 83.

Non si può giustificare l'allusione all'oracolo di Geremia partendo, con CRANFIELD, p. 159, dall'idea che coloro dei quali parla Paolo in questo passo sono dei cristiani convertiti dal paganesimo per i quali si realizza la promessa escatologica in questione: cfr. pp. 134-135. 17° Cfr. p. 87. 171 Oltre a Ger 38,33, LXX, vedi, senza l'immagine dell'iscrizione, fs 51,7 (bo n6mos mu en tA kardfa bymon).

172 Es 24, 1 2; 3 1 , 18; 34, 1.28. Confronta 2 Cor 3,1-3, dove Paolo combina la scrittura di una lettera con l'inchiostro e l'iscrizione sulle tavole della Legge. 173 Nella frase del versetto 15 le parole graptòn en tais kardiais auton (con l'aggettivo grapt6s, hapax del Nuovo Testamento) formano un'apposizione a tò érgon tu n6mu, e il senso è: •l'opera della Legge (in quanto) scritta nei loro cuori·.

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1 37

Excursus: la 'coscienza ' (synéidésis) in Paolo Il termine synéidesis1'\ attestato tre volte nei Settanta17\ è di origine popolare, non filosofica176• Con il participio sostantivato tò synéidos che lo duplica, è l'equiva­ lente dell'espressione verbale auto syneidénai e significa fondamentalmente la co­ noscenza che si ha di se stessi e delle proprie azioni. Questa conoscenza assume u­ na connotazione morale quando nell'individuo si unisce all'impressione sgradevole di aver agito male177, ma spesso anche al sentimento della propria innocenza178 (è in questi casi che viene designata come buona o cattiva coscienza). Il termine entra nel cristianesimo con Paolo che lo usa con sensibili sfumature, prova che egli non ha mai pensato di elaborare un'antropologia . Anzi, ogni contesto chiarisce il termi­ ne e gli dà il significato che Paolo intende attribuirgli. · Su quattordici occorrenze di synéidesis nei suoi scritti, ono si riferiscono alla que­ stione degli idolotiti a Corinto179• In questo quadro, nonostante alcune oscurità, si può attribuire al termine il significato cognitivo di percezione che riguarda la mora­ lità di un atto. In alcuni cristiani la coscienza è 'debole' , nel senso che, pur sapendo teoricamente che gli idoli non hanno alcuna realtà divina, essi non hanno però li­ quidato i loro sentimenti nei confronti di questi culti : indotti a consumare le carni i­ dolatriche vendute al mercato, essi rischiano di ricadere nell'idolatria e, con ciò, di ·macchiare' la loro coscienza smarrendola con il farsene una concezione falsa ed empia ( 1 Cor 8,7-12). La stessa forza di argomentazione scaturisce dalla catechesi di Paolo a proposito dei banchetti nei templi pagani, catechesi in cui l'espressione, a dire il vero piuttosto oscura, ·a causa della coscienza· (dià te'n synéidesin), sembra

174 Per la storia, movimentata, dell'interpretazione del termine, cfr. in particolare R. jEWETr, Anthropo­ /ogica/ Terms, 402-420. Per un'analisi particolareggiata di questo lessico e relative nozioni, cfr. C. SPICQ , La Conscience dans le Nouveau Testament, in RB 47 ( 1938) 50-80; Les Épitres pastorales, t. I, EtB, Paris 1969, 326-328; Lexique. pp. 1469-1473; ]. DL'POW; CH. MAt:RER, art. S,vnoida, kt/., in 7b WNTVII, 897-912 [trad. it. , in GL"vT XIII, 270-3 1 1]; C.A. PIERCE•; WILCKENS, t. l, 138-142; J. SELTZENBERGER•; M.R. THRALL•; Kuss, t. I, 76-82; B. RElc�. 175 Una volta (Qo 10, 20) con una corrispondenza ebraica ( madda '). Aggiungi Sap 17, 1 1 ; Sir 42, 18 < v.l.: éidesis. per la scienza divina). Negli apocrifi giudeo-ellenistici, vedi Test. Ruben 4,3 (coscienza del peccato). Il termine synéidesis non ha un vero e proprio equivalente nell'ebraico dell'Antico Testamento e di Qumran. 176 Contro la teoria di una proven ienza stoica, oggi generalmente respinta. Non senza q ual che ecces­ �o. A. BoNHòFFER, Epiktet und das Neue Testament, RVV 10, Giessen 1 9 1 1 , 156-157, arriva addirittura a negare che l a synéidesis abbia una qualche analogia nello stoicismo. 1-:Così in Sap 17. 1 1 : Test . Ruben 4.3: FILO�E. Det. prob., 146; Pap. {hyr., 532.23, ecc.; cfr. C. SPICQ, Lexique; CH. MAURER, art. Sjnoida, ktl., in 7bW7VTVII, 909-912 [trad. it., in GINI'Xlll, 302-3 1 11. Ps È la 'coscienza pura' di cui parla, per esempi o, FILONE, Spec. leg., 1,204; Rer. div. , 6; FLAVIO GIUSEPPE, Bj 1 ,453.

179 1 Cor 8,7.10.12; 10,25.27.28.29 (bis).

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esortare sia i deboli che i forti a non fare ricerche sull'origine delle carni consumate (10,25-27), poi (10,28-29) incitare i forti al rispetto della coscienza dei fratelli deboli che vedrebbero nella libertà dei forti un compromesso con l'idolatria e ne trarreb­ bero motivo di scandalo. Un'altra serie di testi paolinP80 allega la synéidésis a proposito di altri argomenti, diversi da quello degli idolotiti. Dovremo esaminare due passi della nostra epistola (9, 1 ; 13,5) in cui il termine figura in contesti completamente diversi l'uno dall'altro. In 2 Corinzi, Paolo si appella di volta in volta alla propria coscienza ( 1 , 1 2) e a quel­ la degli altri (4,2; 5,1 1) quando fa l'apologia del proprio apostolato. Paolo sa, e lo può testimoniare, che il suo ministero è stato guidato dalla sola grazia di Dio, e non da motivi basati sulla sapienza umana ( l Cor 1 , 17). All'opposto dei procedimenti u­ sati dai suoi avversari, Paolo si limita ad esporre la verità del vangelo. Questa verità può essere percepita, a meno di un accecamento volontario, dalle persone che lo a­ scoltano e alle quali Paolo può raccomandarsi 'davanti a Dio', perché egli suppone che ciascuna di esse può intellettualmente trovarsi d'accordo con il giudizio di Dio sulla rettitudine delle intenzioni dell'Apostolo. È ai suoi corrispondenti che egli si appella in 2 Cor 5,1 1 , per lo meno sotto forma di auspicio, nella speranza che i Co­ rinzi saranno convinti, come è convinto Dio, della sincerità del suo apostolato. Il seguito di Rom 2 , 1 5 presenta grandi difficoltà. Abbiamo appena saputo che i pagani, per la loro condotta, mostrano come le prescrizioni della legge mosaica sia­ no inscritte nel più profondo di essi, come principi direttivi della loro azione. Se­ guono due frasi al genitivo assoluto: l'una si riferisce alla testimonianza della co­ scienza, l'altra ai pensieri che accusano e difendono. A proposito della testimonianza della coscienza di questi pagani, si pongono nu­ merose domande la cui risposta dipende in buona parte dal senso e dal ruolo che si attribuiscono alla frase che segue. È sensato quindi cominciare da quest'ultima. A prescindere da ogni altra considerazione, essa dice che i pensieri dei pagani si scontrano181 tra loro a motivo delle loro prospettive diverse, in quanto a volte accu­ sano•Hz, altre volte difendono1H3• Ci chiediamo: chi è oggetto di questa accusa e di la� Rom 2, 15; 9,1; 13,5; 2 Cor 1 , 1 2; 4,2; 5,11. Il termine ricorre in altri scritti nel Nuovo Testamento: nelle Pastorali ( l Tm 1,5. 19; 3,9; 4,2; 2 Tm 1 ,3; n 1 , 15) e nell'epistola agli Ebrei (9,9. 14; 10,2). I l loro studio non rientra in un commento dell'epistola ai Romani. Per i particolari, vedi il commento a queste epistole, nonché i lavori di C. SPICQ*, C.A. PIERCE*, CH. MAURER, art. Sjnoida, kt/., in ThWNTVII, 917-91R [trad. it. , in GLNTXlii, 322-326]. 1111 La parola metaxj è a volte avverbio, come in Gv 4,31 ('nel frattempo') e A t 13,42 ('dopo'), a volte preposizione, come in Mt 23,35, par. Le 1 1 ,51; 16,26 ('tra', in senso locale); At 15,9 ('tra', a proposito di una differenza). L'espressione metaxj alle/6n è ridondante ed è propria prevalentemente del linguaggio parlato, così come lo si trova nei papiri (Pap Genf., 48, 1 1 : metaxj hemon allé/6n). 1112 Kategorein: qui soltanto in Paolo; apologhein: un'altra volta in Paolo, in 2 Cor 12,19. ltl.i La doppia congiunzione e kdi ('o anche') non indica necessa riamente un'eccezione nel secondo

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questa difesa? I due verbi al participio non hanno complemento e la miglior cosa da fare è di non dargliene uno: l'azione che si suppone avvenga, e la cui espressio­ ne è presa in prestito dal linguaggio giuridico, si dispensa di fatto dalla presenza di un imputato e traduce la riflessione che avviene nei pensieri184 dei pagani: all'inter­ no di ciascuno di loro si svolge un dibattito interiore in cui si scontrano argomenti pro e contro, circa posizioni morali e comportamenti da tenere da una medesima persona 185• Qual è il rapporto tra questa riflessione e la testimonianza della coscienza di cui s�è appena parlato? Una risposta che pretendesse di essere definitiva sarebbe pura presunzione. Le opinioni sono diverse e divergenti, ma possono essere divise in due categorie a seconda che la frase kài metaxj, ktl., venga compresa come la spie­ gazione di ciò che precede o come espressione di un'aggiunta. Nel primo caso186, il dibattito interiore del pagano è il modo in cui si verifica la testimonianza della sua· coscienza. Ciò implica che questa testimonianza si rivolga non a terzi, bensì alla medesima persona che sta riflettendo. Secondo l'altra interpretazione, questa rifles­ sione si aggiunge alla testimonianza della coscienza, apportandovi un comple­ mento187. Se a questo punto bisogna proprio fare una scelta, si noterà che la prima opinione, grammaticalmente corretta188, ha a proprio favore il fatto che la seconda frase kài metaxj, kt/., esprime un'idea che si colloca nel medesimo registro interiore e psicologico della testimonianza della coscienza e, per questo, forma con quest'ul­ tima un gruppo compatto che decide sulla manifestazione esteriore (endéiknyntat)

caso, contro il suggerimento di DuNN, p. 192, come se la frase prolungasse qui l'accusa formulata nei confronti dei pagani in 1 . 18-32. In realtà, la congiunzione qui non ha un tale peso e non fa altro che in­ dicare un'altra possibil ità: cfr. Rom 4.9: 14, 10; Le 1 1 . 12; 12,4 1 ; 18, l ls. 184 Logbism6s, ·pensiero', 'ragionamento', in Paolo qui e in 2 Cor 10,15. Confronta l'uso del medesi­ mo termine in Sap 1 1 , 15; 12,10. con una connotazione negativa. 181 Non a proposito di azioni che altri potrebbero compiere (contro SANDAY-HEADLAM, p. 6 1 ; ScHLATIER, p . 95; VIARD, p. 79). Può darsi che sia stata questa lettura a provocare l a sostituzione d i logbi­ smon con dialogbismon in G: dr. WILCKENS, t. l, 136, n. 326. Qui viene in mente la lotta di cui parla Rom 7,14-15. ma si deve tenere presente che qui si tratta di ·pensieri' che si scontrano in un ragiona ­ mento dialettico, non di una opposizione irridudbile tra la volontà e gli atti di una medesima persona. Il confronto fatto da Dt�'N. p. 102. va dunque ridotto, come va ridotta l ' assimil a zione, da parte dello �tesso autore. del caso presente con la lotta tra la buona e la cattiva tendenza all'interno del gi udaismo. 1116 Viene adottato da I..AGRANGE, p. 50; San.IER, pp. 79-80; CRANFIELD, p. 161; FITZMYER, p. 311. Va re­ spinta l'esegesi di B. REJc�, p. 1 58, che fa di t6n logbismcm un genitivo oggettivo dipendente da synm­ d�se6s. Il prefisso i n symmartyroses non costringe a vedere qui l'aggiunta di un secondo testimone: cfr. infra, n. 189. 1,., Così DUNN, p. 102 (·le due frasi [. . .) sono com plementari•) . Per WILCKENS, t. I, 136, sulla linea di al ­ tri autori, i ' pensie ri ' vengono aggiunti come terzo testimone. dopo l''opera della Legge' e la 'coscienza', secondo la regol a definita in Dt 19, 15 e nella linea ·forense' del contesto, un riferimento che si fa molta fatica a supporre qui nella mente di Paolo. 188 In quanto il kili prima di metaxj viene legittimamente inteso come esplicativo (cfr. BDR, p. 268 § -i42,6,a).

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delle prescrizioni legali inscritte nel 'cuore' dei gentili. Qui, dunque, si avrebbe la esplicitazione del modo in cui awiene la testimonianza della coscienza 189 per di­ mostrare che queste prescrizioni sono proprio ciò che determina l'agire morale dei pagani. Essi possono orientarsi prendendo atto di quanto accade dentro di loro, di quello scambio contraddittorio del pro e del contro circa il comportamento da te­ nere. Il versetto 16 apre alla mente del lettore la prospettiva finale del giudizio e, con questo, si collega alla prima parte della pericope, dominata da questo tema190• L'autenticità del versetto 16 è stata messa in discussione da Rudolph Bultmann•191 per il fatto che questo versetto appare come una reminiscenza di 1 Cor 4,5 e come un corpo e­ straneo nel testo. Collegato grammaticalmente al versetto 15, esso apre sulla prospettiva escatologica del giudizio, mentre il versetto 15 rimane nel quadro dell'era presente. Le parole ·secondo il mio vangelo" introducono una nota personale e paolina in un contesto che non lo richiede, ma che un glossatore poteva ritenere opportuna. Quando la menzio­ nano, gli esegeti a questa opinione di Bultmann in genere oppongono un rifiuto192• Essi sottolineano al contrario che, lungi dall'essere estraneo al contesto, questo versetto pro­ lunga il tema del giudizio già presente in forma esplicita ai versetti 2-8193, e implicita nei versetti seguentP94• Aggiungiamo che l'espressione che completa con un genitivo il neutro plurale tà krypta ('le cose nascoste') si trova anche altrove in Paolo•9S. Infine, l'idea del giudizio ultimo presieduto dal Cristo è netta in 2 Cor 5,10. Senza dubbio, l'espressione ·secondo il mio vangelo· non si legge in quanto tale196 nelle lettere paoline se non nel fi­ nale, non autentico19', della nostra epistola (16,25) e in 2 Tm 2,8. Ma l'autore dell'aggiunta e lo pseudoepigrafo delle Pastorali hanno potuto utilizzare una formula che forniva loro il passo di cui ci stiamo occupando. Che essa vi sia particolarmente richiesta non è certo

una evidenza, e il testo ne farebbe a meno senza difficoltà198• Ma a che scopo un glossato-

189 Il prefisso in symmartymses non implica necessariamente l'aggiunta di un secondo testimone al primo, che sarebbe l"opera della Legge'. Questo composto, in effetti, può essere l'equivalente del verbo semplice, come accade in Rom 8,16; 9, 1 . Vedi già PLATONE, Ippia maggiore, 282b: symmartjresai dè soi éch6 b6ti alethi légbeis, ·Posso testimoniare a tuo favore che dici il vero•; SENOFONTE, Elleniche VII, 1 ,35: symmartjrei auto tàuta pdnta, ·gli attestava tutte queste cose•; FLAVIO GIUSEPPE, A] XIX, 1 54: dikaio� nen teprtixei symmartyr6n, •testimoniando a favore della giustizia dell'azione•. 190 Cfr. p. 1 1 6. 191

192

Exegetica, 282-283.

Per una confutazione sistematica del punto di vista di Bultmann, vedi H. SAAKE'. Tra gli altri argo­ menti, l'autore mette in risalto la pratica paolina della 'peripezia', del passaggio improvviso da uno stato al suo contrario (qui dalla condizione attuale a quella che risulterà dal giudizio escatologico). 1!B Con krima (vv. 2-3), il 'giorno della collera' e della dikaiokrisia di Dio (v. 5), con 'collera e furore' (v. 8).

194 1 Cor 4,5; 14,25; 2 Cor 4,2.

1 9S

Notare i futuri apoluntai e krltb�sontai (v. 1 2), dtkai6tb�sontai (v. 13). 196 Vedi tuttavia 'il nostro vangelo' in 2 Cor 4,3; 1 Ts 1 , 5; 2 Ts 2,14. 197 Cfr. pp. 769-770. 198 Cfr. pp. 142-143.

l�

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re l'avrebbe introdotta, dal momento che essa non aggiunge nulla che corrobori l'inse­ gnamento del passo•W? Si ha nn o dunque buone ragioni per stare alla testimonianza docu­ mentaria, unanime nel mantenere questo versetto nel testo dettato da Paolo.

A che cosa bisogna collegare il riferimento cronologico dell'inizio? Il 'giorno' qui è quello dell'ultimo giudizio e non si vede come i fatti psicologici che sono stati de­ scritti abbiano un loro posto in questo quadro. La prospettiva sulla quale sfocia la pericope starebbe meglio dopo il versett� 13.!():1• Nello stato del testo, così come lo ha dettato Paolo, si è indotti a ·supporre una piccola pausa•201 tra il versetto 1 5 e il versetto 16, nonché un'idea intermedia implicita, del genere 'si vedrà'202, oppure 'è quanto si vedrà'203 o ancora 'come apparirà'204• Qui la scadenza è il giomo205 del giu­ dizio di Dio. Questo 'giorno' porta l'impronta escatologica che esso riceve dal suo uso biblico nel quale designa il tempo dell'ultimo intervento di Dio, signore della storia, nel mondo degli uomini, generalmente per il giudizio206• È così anche nel no­ stro passo nel quale il giudizio viene attribuito a Dio che si ritiene, tuttavia, che lo eserciti per mezzo del 'Cristo Gesù'207• Le parole dià Christu lesa vanno collegate al verbo krineiD, il che fa del Cristo un giudice delegato nelle grandi assise finali209• Altrove, in questa stessa epistola (14,10), si parla unicamente del 'tribunale di Dio', nella medesima prospettiva di 1 Ts 3 , 1 3, mentre in 2 Cor 5,10 Paolo scrive che ·do-

., ScHuER, p. 80, pone la stessa domanda a proposito di tutto il versetto 16. Donde l'opinione che considera i versetti 14-15 (o 13-15) come una parentesi, o vede uno sposta­ mento nel testo il cui ordine autentico disporrebbe i versetti in questo modo: 12.13. 16.14-15. Vedi WILCKENS, t. l, 136, n. 1 37, n. 33 1 . Avventurosa va considerata l'opinione di H. SAiiuN, pp. 92-93, per il quale il testo autentico sarebbe stato symmartyrUses aut6n tes syneidise6s, en be heméra krinei ho the6s, in quanto le parole kài metaxf. . . apologumén6n sarebbero state inserite da un glossatore per spiegare synéidesis. Vedi la critica dì j . RIEot• , p. 279, n. l . zut LAGRANGE. p. 50. La stessa espressione è riprodotta da SoruER, p. 81, che rimanda ad una serie di commentatori che optano per questa soluzione. Essa è certamente preferibile alla congettura di M. PoH­ LEN�, il quale propone una correzione del testo scrivendo kài dikai6thesontai en be heméra (vedi infra, n. 205). •

20l l.AGRANGE, p. 50. � iEENHARDT, p. SO; vedi inoltre MAiu.oT, p. 77: ·Tutto questo si vedrà i l giorno in cui.. .•.

HUBY, p. 103. Alla scelta del l 'esegeta si offrono, in questo punto, numerose varianti grammaticali: en beméra b6te, en beméra be, en be beméra. Il senso non ne viene influenzato . .!06 Cfr. soprattutto ls 34,8 ( héméra kriseds); 61,2; Gdt 16,17 (20) (beméra antapod6se6s); Sa/ 109 (ebr. 1 10),5; Ez 22.24: So/ 2,3; Lam 1 , 1 2; 2.21-22. Sul tema del 'giorno del Signore' nell'Antico Testamento e in Paolo, cfr. S. LÉGASSE, 1bessaloniciens, 283-284. 20- Sul titolo di Christ6s, cfr. p. 27. Le varianti oscillano tra 'Cristo Gesù' e 'Gesù Cristo'. • Contro ScHUER, p. 80. il quale vede nel testo l'idea che ·Paolo è, nel suo vangelo, la voce di Gesù liM

zos

Cristo-. m Le apocalissi giudaiche attestano questo tipo di mediazione: 1 Enoc 45,3-6 (giudizio finale da par­ te dell''Eietto'): 1QMelch 9-11 (giudizio da parte di Melchisedech); Test. Abramo (ree . lunga) 13,2-5

(giudizio da parte di Abele).

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vremo comparire davanti al tribunale del Cristo•. A limitarsi alle epistole autenti­ che210, ci si rende conto che su questo punto il pensiero di Paolo rimane fluttuante, cosa che non accadrà in scrittori più recenti del Nuovo Testamento211• Il giudizio nel nostro passo ha questo di particolare: sarà212 un giudizio sulle •(co­ se) nascoste degli uomini•. Dio, lo sappiamo, penetra i segreti dei cuori213• Ma qui si tratta unicamente di pensieri, come in Eh 4, 1 2? Il neutro plurale tà krypta è vago. In Mt 6,4.6. 18 quelle che Dio, grazie alla sua scienza illimitata, percepisce 'nel segreto' (en to krypto, en to kryphaio) sono delle azioni - elemosine, preghiere, digiuno. Tuttavia, il contesto immediato (v. 1 5)214 ci orienta nettamente verso ciò che accade nel fondo del 'cuore' dei gentili e che spetterà al Cristo di conoscere e di giudicare. Da ciò risulta che questo giudizio, infinitamente equo, si differenzia da quello degli uomini che è un giudizio sulle azioni esterne, senza tenere conto delle intenzioni. Da ciò non segue che gli atti concreti e posti visibilmente siano all'occorrenza di poco conto: ma la valutazione divina va oltre ciò che si osserva, ed è capace di ap­ prezzare gli atti nel loro giusto valore perché nel suo giudizio include l'intenzione che li guida . A che cosa bisogna collegare, nella frase, le parole ·secondo il mio vangelo•215? La loro posizione ne fa normalmente un'appendice che viene a completare ciò che è stato appena detto, e cioè che Dio ··giudicherà le (cose) nascoste degli uomini,216• Ma questo fa parte della predicazione di Paolo? Senza dubbio, Paolo nelle sue lette­ re offre, all'occasione, una prospettiva analoga217, ma non pare proprio che ne abbia fatto una caratteristica del suo 'vangelo'. Tuttavia, questo non è richiesto per stabili­ re il legame in questione: basta che l'annuncio del giudizio faccia parte di questa predicazione218, senza che ci sia bisogno necessariamente di includervi quanto viene qui aggiunto: che il giudizio riguarderà in particolare le 'cose nascoste'. Il fatto che :no

In 2 Ts 1,8, la 'vendetta' viene attribuita solo al Cristo. In 2 Tm 4,1, la frase -che deve giudicare i

vivi e i morti• va collegata a ·Cristo Gesù•.

2 11 Secondo Mt 7,22-23; 13,41-42; 16,27; 25,31-46; At 10,42; 17,31; Gv 5,22.27, è il Cristo a presiedere il giudizio ultimo. Lo possiamo anche dedurre implicitamente da Le 21,36 (per confronto con i passi ci­ tati degli Atti); Mt 13, 12, par. Le 3,17. Tuttavia la delega è esplicita in Gv 5,22.27 (vedi anche Mt 16,27). m Il verbo krinei, a seconda di come è accentuato, è al presente o al futuro (gli accenti greci non appaiono nei manoscritti del Nuovo Testamento prima del quarto secolo d.C.: cfr. BDR, p. 13 § 13). Quale che sia la scelta che si fa, l'idea è sicuramente futura (su questo uso del presente, cfr. BDR, pp. 267-268 § 323,2; N. TtJRNER, Syntax, 63). 213 1 Sam 16,7; 1 Cr 28,9; Sa/ 138 (ebr. 139),1-4.23; Ger 17,10. 2 14 Cfr. anche pp. 160-161. 2 15 Sulla nozione di vangelo, cfr. pp . 29-30. 21 6 Piuttosto che un riferimento a tutto il resto, come pensa I..AGRANGE, p. 50, il quale relega la frase alla fine del versetto. 217 l Cor 4,5 (rivelazione, alla parusia, di ciò che è nascosto, tà leryptd, e delle ·intenzioni dei cuori·): cfr. anche l Cor 3,13. In 1 Cor 14,25, la prospettiva è quella attuale. 2111 Cfr. 2 Cor 5,10; Rom 14, 10; cfr. anche Rom 3,6; 12,19.

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Paolo si sia preoccupato di precisare, con un inciso, che bisogn a mettere in conto questo giudizio nel suo ·vangelo'219, si può spiegare tenendo presente chi sono colo­ ro d ei qu al i è questione qui. In effeni, dalle lenere di Paolo non risulta che i pagani dovranno in modo panicola re comparire davanti al trihunale del Cristo per essere giudicati (in 2 Cor 5,10 e Rom 14,10, Paolo si include con i crist ia ni nel gruppo), e il vangelo di Paolo ha come oggetto essenziale la salvezza degli uomini operata dalla morte e dalla risurrezione del Cristo, salvezza alla quale gli uomini partecipa­ no mediante la fede220, non il giudizio finale dei gentili. Ma appunto, siccome ciò non viene continuamente ripetuto nelle lettere, non era inutile dire che questo giu­ dizio fa anch'esso parte del 'vangelo' affidato all'Apostolo.

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0UNN, p. 103 .

.Q) Così per ·il vangelo che io vi ho predicato- (Ga/ 1 , 1 1), letto nel contesto. Vedi anche 1 Cor 15,1, dove una formula quasi identica introduce l'enunciato del kérygma.

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Applicazione al giudeo (2, 1 7-3,8)

145

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AppUcazione al giudeo (2,17-3,8)

'7Ma se tu, che ti fai chiamare Giudeo e. ti riposi sicuro su(lla) Legge e ti glori di Dio, 18co­ nosci la volontà (di Dio) e, istruito dalla Legge, sai discernere ciò che è meglio, 19e sei convinto di essere guida d(e)i ciechi, luce ne(lle) tenebre, 20educatore degli ignoranti, maestro dei semplici, perché nella Legge possiedi l'espressione della conoscenza e della verità . . . 21ebbene, (tu) che insegni agli altri, non insegni a te stesso. (Tu) che predichi di non rubare, rubi. 1l(Tu) che proibisci l'adulterio, sei adultero. (Tu) che detesti gli idoli , ne derubi i templi. 2'(Tu) che ti glori de(lla) Legge, offendi Dio trasgredendo la Legge. 24lnfat­ ti sta scritto: n nome di Dio è bestemmiato per causa vostra tra i pagani. 25Certo. (la) circoncisione è utile se osservi la Legge; ma se trasgredisci la Legge, la tua circoncisione è diventata incirconcisione . .!t•Se dunque chi non è circonciso osserva le pre­ scrizioni della Legge, la sua non circoncisione non sarà forse considerata come circonci­ sione? Z7f: così, chi non è circonciso fisicamente, ma osseiVa la Legge, giudicherà te che, con (la) Legge scritta e con la circoncisione, sei trasgressore della Legge. �:!Giudeo, infatti, non è chi appare tale all'esterno, e la circoncisione non è quella visibile nel corpo;

29ma

Giudeo (è) colui che lo è interiormente e la circoncisione è quella del cuore, nello Spiri­ to, non nella lettera; la sua lode non (viene) da(gli) uomini, ma da Dio.

3 1Qual (è) dunque la superiorità del Giudeo? E qual (è) l'utilità della circoncisione? 2Grande, sotto ogni aspetto. Anzitutto perché a loro sono state affidate le parole di Dio. -�che dunque? Se alcuni sono stati increduli� la loro incredulità non renderà vana la fedeltà di Dio? •Impossibile! Sia chiaro invece che Dio (è) veritiero, mentre ogni uomo è menti­ tore, come sta scritto: Affinché tu sia riconosciuto giusto nelle tue parole e vinca quando giudichi. 'Se però la nostra ingiustizia mette in risalto (la) giustizia di Dio, che diremo� Dio è forse ingiusto quando riversa su di noi la sua ira? Sto parlando da uomo. "Impossibile! Altrimenti. come potrà Dio giudicare il mondo? .,Se a causa della mia menzo­ gna la verità di Dio risplende di più per la sua gloria, perché dunque sono giudicato co­ me peccatore? 8E non è come alcuni ci fanno dire: ·Facciamo il male perché ne venga il bene•; essi ci calunniano ed è giusto che siano condannati.

Il vangelo potenza di salvezza per i giudei e i gentili

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La grande anta negativa del dittico, la quale si estende da l , 18 a 3,20, continua il suo sviluppo retorico restringendo la polemica al solo giudeo, prima di inglobare, per finire (3,9-20), giudei e pagani in una medesima colpevolezza1• Questa sezione si divide in tre parti secondo lo stile che le caratterizza. La prima (2,17-24) e la terza (3, 1-8)2 sono redatte nello stile della diatribi3: Paolo si rivolge ad un interlocutore fittizio. Tra l'una e l'altra Paolo utilizza la forma dell'esposizione (2,25-29). La prima parte denuncia la trasgressione della Legge da parte dei. giudei. La seconda precisa (prevenendo una possibile obiezione) che la circoncisione non fa il vero giudeo. Nella terza Paolo risponde ad una obiezione teologica e difende Dio che potrebbe essere incriminato a causa della infedeltà di alcuni giudei. La prima parte (2,17-24) si sviluppa in due stadi. Nel primo (vv. 17-20) Paolo de­ scrive la 'vanteria' religiosa d'Israele; nel secondo (vv. 21-24), passa all'attacco ridu­ cendo a nulla, con una serie di accuse, i motivi di questa 'vanteria'. La costruzione grammaticale del complesso comprende subito all'inizio la protasi di una condizio­ nale (vv. 17-20) che non ha apodosi. L'anacoluto è quindi sensibile4 a partire dal versetto 2 1 , dove inizia una serie di frasi indipendenti (vv. 21-22) coronate da una relativa (v. 23) seguita, per finire, da una citazione scritturale (v. 24). La 'vanteria' o 'autoglorificazione' del giudeo è presentata sotto due aspetti. Se­ condo il primo, essa si basa sui rapporti che il giudeo intrattiene con Dio (vv. 1718); il secondo aspetto mette in risalto il ruolo che il giudeo si attribuisce nei con­ fronti dei gentili (v. 19). L'interlocutore che Paolo pone davanti a sé, secondo il procedimento artificiale della diatribé, è il 'giudeo'S, intendendo il giudeo tipo, senza che si debba vedere qui una limitazione che anticiperebbe i 'certi' o 'alcuni' (tines) del versetto 3a6• Ben­ ché Paolo qui eviti l'espressione di una totalità tale da inglobare tutti i giudei senza distinzione (confrontare pantas del versetto 9), il giudeo che egli interpella è consi­ derato come caratterizzato da quanto è stato detto poco prima 7• Il tono oratorio ci

1

2

Cfr. p. 74. Sulla conclusione deUa sezione a 3,8 piuttosto che a 3,9, cfr. p. 162.

3 Cfr. R. BULTMANN, Der Stil der paulinischen

Predigt und die kynisch-stoische Diatribe, FRLANT 13, Gottingen 1910; ristampato con una prefazione di H. Hubner, Gottingen 1984; TH. ScHMELLER, Paulus und die "Diatribe... Eine vergleichenden Stilinte1pretation, NTA N.F. 19, Mtinster 1987; S.K. STOWERS, Dia­ tribe an d Paul's Letter to the Romans, SBL.DS 57, Chico 1981. - Sull'uso della seconda persona, cfr. p. 1 17, n. 8. 4 A meno che non si seguano i correttori del testo (gruppo koiné 33 al) i quali hanno scritto, all'inizio del versetto 17, idé in luogo di ei dé. Cfr. LAGRANGE, p. 5 1 . 5 Su ll a designazione iuddios, cfr. p. 63, n. 21. 6 Così. tuttavia, J.-N. ALErn, /srael et la Loi, 64. ' Il caso è diverso con 6 dnthrope in 2,1-3, un'apostrofe formale che non si basa sulla natura umana dell'interpellato. Cfr. però p. 1 17.

Applicazione al giudeo (2, 1 7-3,8)

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avverte di non prendere questo quadro accusatore come oro colato. Ma è comun­ que vero che un giudeo che si presenta con fierezza ed è riconosciuto come tale'\ è per definizione, così per dire, lo stesso che ·riposa sicuro9 sulla Legge10 e si gloria di Dio-. Il primo atteggiamento fa della Torah il sostegno della vita del giudeo individua­ le, nonché ·il fondamento sul quale riposa l'edificio sociale-11• Il secondo atteggia­ mento è la conseguenza normale del primo. -Gloriarsi di Dio· significa trarre la pro­ pria fierezza non da sé, bensì da Dio di cui si riconoscono i benefici nel dono della Legge al suo popolo. Qui incontriamo, per la prima volta nella nostra epistola, un lessico caratteristico di Paolo: il verbo kaucbastbai, nonché i sostantivi imparentati kaucbèsis e kau­ cbema sono, nel Nuovo Testamento, quasi unicamente limitati alle sue lettere12• L'u­ so dei Settanta13 annuncia, con la sua equivocità, quello di Paolo. Ci si può gloriare della propria ricchezza (Sal 48 [ebr. 49],7), o semplicemente facendo l'arrogante nei discorsi ( l Sam 2,3). Ma il medesimo sentimento può anche sollevare colui che ri­ pone tutta la propria fiducia in Dio: ·Si glorieranno (in altre parole, esulteranno di gioia) in te (kaucbésontai en s6t), tutti coloro che amano il tuo nome• (Sal 5,12). Così è anche in Paolo il quale conosce e auspica un 'vanto' legittimo; il credente ha tutti i diritti di ·vantarsi nel Cristo- (Rom 5,11; Fil 3,3), di gloriarsi ·della speranza della gloria di Dio· (Rom 5,2), della ·croce del Cristo• fonte di ogni redenzione (Gal 6,14). L'Apostolo si gloria anche ·nelle prove· (Rom 5,3) donde nasce la speranza. La kaucbesis, in questo caso, è lodevole per il fatto che ha come motivo ciò che non è altro, alla partenza come all'arrivo, che pura grazia e corrisponde quindi al-

• I l composto eponomazein (hapax del Nuovo Testamento), benché si possa tradurre di per sé con 'soprannominare'. qui è sinonimo del verbo semplice: vedi per esempio Test. Gi uda l ,3: be metb mu epon6masèn (v.l.: 6n6masen) me Iudan. Il verbo è al passivo con la sfumatura 'farsi nominare' (cfr. BDR, p. 260 S 314). Per la stessa sfumatura con altri verbi, vedi Rom 12,2 (suschematizestha•); 1 Cor 6,7b (apostereistbe); 7,18 (bis); Ga/ 2,3: 5.2; 6.12.13 (peritémnestbai). Qui il verbo, a motivo del conte­ sto, assume anche l'idea di vantarsi del nome di giudeo. 9 Il medio epanapauestbai (nel Nuovo Testamento, aggiungi Le 10,6), 'riposare su', si legge nei Settanta in Nm 11 ,25.26; Gdc 1 6,26; 2 Re 2,15; 5,18; 7.2.17; Mi 3 1 1 ; Is 1 1 ,2, v.l.; Ez 29,7; 1 Mac 8,12. 10 Su n6mos senza articolo. cfr. p. 132, n. 134. 11 LAGRANGE, p. 51, che rimanda a FLAVIO GIUSEPPE, C. Ap. Il, 151. 12 Kauchdstbai: 34 volte nel corpus pa olina , per due volte nel resto del Nuovo Testamento (Gc 1,9; 4, 16); kauchesi..'-: dieci volte in Paolo. una volta in Gc 4,16; kaucbema: dieci volte in Paolo, una volta in Eb 3,6. Aggiungi il composto katakaucbdstbai in Rom 1 1 , 18 (e Gc 2,13; 3,14). Su questo lessico, dr. R. BuLTMANN, art. Kaucbaomai, ktl., in 7b W7VT III, 646-654 [trad. it., in GINfV, 290-312]; B.A. Dowov, Tbe Meaning of Kaucbastbai in tbe New Testament, Nashville 1955; J . SANCHEZ BoscH, ·Gioriarse.. segun San Pablo: sentido y teologia de 'kaucbaomai', AnB 40, Roma 1970; C. SPICQ, I.exique, 809 8 1 7 . Vedi anche ,

,

,

-

infra, pp. 205-206. •:1 Il lessico ebraico corrispondente è vario, con il significato di 'vantarsi' ed 'esultare': dr. R. �NN, p. 646; c. SPJCQ, li!xique, 810-812.

BuLT­

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Il vangelo potenza di salvezza per i giudei e i gentili

l'invito di Geremia (9,24) citato da Paolo (1 Cor 1,31; 2 Cor 10, 17)14: «Chi si gloria, si glori nel Signore��. Ma un tale atteggiamento lo si può anche corrompere dandogli come motivo una realtà umana, a detrimento di Dio e dei suoi doni gratuiti. Si ha torto quando ci si gloria «negli uomini.. ( 1 Cor 3 , 2 1), traendo da essi motivo di orgoglio e di prestigio, ma anche quando ci si gloria delle proprie prestazioni, fossero anche conformi alla legge di Dio, come il farsi circoncidere: vanto «nella carne·· (Gal 6, 13)1s e, più gene­ ralmente, ·nella Legge•. Qui, però, ci si deve guardare dal leggere un puro rimpro­ vero sotto la forma dell'ironia. Se è vero che Paolo in seguito condanna il fatto di gloriarsi «davanti a Dio· (Rom 4,2), il giudeo non può essere incriminato né dileg­ giato (per la sua illusione)16 per il fatto di trovare gioia e soddisfazione in Dio che dà la Legge17• Il suo errore e la sua colpa cominciano nel momento in cui da questo attaccamento alla Legge non scaturisce l'obbedienza a quella medesima Legge, e non rimane altro che una falsa ed empia sicurezza, credendosi il giudeo al riparo dal castigo divino per il semplice fatto di appartenere al popolo al quale è stata da­ ta la Legge, che vive sotto il regime dell'alleanza divina e che, per questo motivo, si distingue radicalmente dai gentili, essendo questi esclusi da simili privilegP8• È quanto viene messo in rilievo dal contesto che segue. Da una parte, infatti (v. 18), è senz'altro vero che il giudeo è in grado di cono­ scere la 'volontà (di Dio)'19• Questa conoscenza avviene in modo concreto nella for­ ma20 di un 'discemimento'2t, che permette al giudeo di cogliere ciò che c'è di me­ glio, di più importante (tà diaphéronta) come comportamento da tenere nella pro­ pria vita, in opposizione non a ciò che è cattivo22, bensì a ciò che è indifferente (tà 14

Vedi anche Sal. Salom. 17, 1 : •In te, Dio nostro, si glorierà (kauchesetat) la nostra anima•.

15 Il tennine 'carne', pur includendo un'allusione alla circoncisione, assume un valore più vasto: cfr. p.

161.

16 Così H. HOBNER, Law, 1 13. 17 Il parallelo tra i due membri della frase fa sì che riposare sulla Legge e gloriarsi in Dio fonnino un

concetto unico. Confronta 2 Bar. 48, 22-24 , dove l'autore, pur facendo valere questo privilegio e questa distinzione, con la sicurezza che ne deriva, non manca di ricordare che l'obbedienza alla Torah è la condizione del­ la protezione unica di cui Israele è fatto oggetto da parte di Dio. '9 7bélema, qui e forse anche in 1 Cor 16,12, va completato con un tu thet2 (vedi Ga/ 1 ,4) secondo un uso di cui si trovano numerosi esempi presso i rabbini, con le fonnule yebf rd$6n (ebraico) e yebe· ra 'awab (aramaico), ·che la volontà (di Dio) sia . . . •: b. Ber., 28b; Taanit, Sb; Nidda, 33bs., secondo la tendenza ad evitare il nome di Dio. zo Il kai prima di dokimazeis è esplicativo (cfr. BDR, p. 368 § 442, 6 , a). 21 Sul verbo dokimazein, cfr. p. 105, n. 86. La medesima formula dokimazein tà dtaphéronta la leg­ giamo in Fi/ 1 ,10. Diapbérein, 'differire', si differenzia con il significato di ·eccellere', 'importare', 'essere essenziale' (cfr. SANDAY-HEADLAM, p. 65). 22 ORIGENE latino (PG 14,896) rende bene la sfumatura del participio sostantivato con · quae sint me­ liora et utilioraw. Sulle diverse interpretazioni a partire dai Padri, cfr. G. THERRJEN, Le Discernement dans /es écrits pauliniens, EtB, Paris 1973, 136-138.178-179. JR

Applicazione al gtud6o (2, 1 7-3,8)

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adiilphora), secondario e accessorio. Tutto questo, il giudeo lo deve alla Legge che lo istruisce-n nelle diverse circostanze, sulla volontà di Dio da compiere2" mediante una scelta dettata dalla saggezza. Non è senza motivo, quindi, che questo stesso giudeo è convinto di avere un ruolo eminente da svolgere nell'umanità. Senza dubbio, la scelta del verbo pépoitbas� dà uno spazio alla soggettività, in quanto mette più in rilievo la persua­ sione dell'uomo che la volontà di Dio. Ma qui non si può vedere solo dell'ironia, perché in certe condizioni (purtroppo non realizzate), Israele sarebbe ancora in gra­ do di esercitare il ruolo di cui sono stati enumerati gli aspetti. È, ad ogni modo, ciò che gli attribuivano le Scritture: ·Guida di ciechi· (bodegòn typhl6n)26, di quei gentili immersi nelle tenebre dell'ignoranza e dell'idolatria, Israele lo è in base a fs 42,7 che lo definisce come la ·luce delle nazioni per aprire gli occhi ai ciechi (typblon)•. Il III libro degli Oracoli sibillini lo annuncia anche per l'avvento del regno messiani­ co quando gli lsraeliti saranno ·per tutti i mortal i delle guide di vita (bfu katbodeg6t)•z-. Ma essi sono anche, fin dal presente, ��luce di coloro che (sono) nelle tenebre· (phos ton en sk6tei)l8, come dichiara Paolo, e come annunciava il Deutero­ Isaia: ·Ti ho stabilito come alleanza del popolo e luce delle nazioni (pbos ethnon), [. .] perché tu faccia uscire dal carcere i prigionieri, dalla reclusione coloro che abi­ tano nelle tenebre (en sk6tet)• (Js 42,6-7)29• Questa luce viene dalla Legge che illumi.

25 Katecbein ha il significato sia di 'infonnare' (At 21,21.24), sia di 'isbui.re'. Questo secondo signifi­ cato è attestato in 1 Cor 1 4 1 9 ; Ga/ 6,6; A t 18,25, dove il medesimo verbo è riferito all'insegnamento del messaggio cristiano. La participiale katecbumenos ek tu n6mu viene collegata di preferenza alle due fra­ si precedenti. La preposizione, in ek tu n6mu, è più che strumentale ed indica la fonte da cui deriva l'i­ struzione (cfr. BAUER, col. 473,3,c). L'istruzione in questione veniva prodigata al giovane ebreo fin dal­ l'infanzia; era completata dalla lettura della Torah e dai commentari che ad essa venivano aggiunti nella sinagoga (cfr. Dt:�l'\. p. 1 1 1 ) . 24 Sul legame tra l a Legge e l a volontà d i Dio, vedi Sa/ 39 (ebr. 40),9; Bar. 4,1 .4; 2 Mac 1,3-4; lQS 9,23-24. x Il perfetto con significato di presente pépoithas (cfr. BDR, pp. 279-280 § 341), da péithein, governa una proposizione completiva all'infinito (éinaJ) il cui soggetto è seaut6n e i cui predicati sono successi­ vamente enumerati ai versetti 1 9b- 20a La particella te è copulativa, e sottolinea il legame stretto con quanto precede (cfr. BDR, p. 372 § 443, l ) . }i:, L'assenza di articolo in una espressione genitivale non impone il senso indefinito (cfr. BDR, pp. 208-210 § 259). 2' Or. sib. II1,194-195. Vedi anche 1 Enoc 105, 1 , dove i giusti d'Israele sono invitati a farsi 'guide' dei ·figli della terra'. 28 Sull'assenza di articolo dopo preposizioni. cfr. BDR, pp. 205 206 § 255. 2'J Vedi anche /s 49,6 (pbos ethnon): 60.3; lQSb 4,27. In Sap 18,4, il contrasto luce-tenebre è applica­ to alla nona piaga d'Egitto (dove non è in nessun modo questione di una funzione illuminatrice degli i­ sraeliti). In Mt 5,14, la stessa immagine indica il ruolo dei cristiani nel mondo, mentre i rabbini farisei vengono qualificati come 'guide cieche' (bodégòi typb/6t) in Mt 23,16.24 (vedi anche Mt 15, 14; Gv 9,394 1 ) . In Gv 8,12, è Gesù, che si definisce come la 'luce del mondo'. ,

. -

-

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Il vangelo potenza di salvezza.per i giudei e i gentili

na il cammino dell'israelita (Sal 1 18 [ebr: 1 19],5)'0 e gli pennette di illuminare il cammino dei pagani. Non che Israele si sappia investito di una missione di propa­ ganda31, perché quale che fosse l'ampiezza di quest'ultima al tempo di Gesù e degli apostoli (la cosa è discussa), Israele, anche senza proselitismo, ha sempre avuto co­ scienza del suo ruolo di luce delle nazioni (nero sbel 10ldm) per il semplice fatto di proiettare la conoscenza del vero Dio�.!. È così che il giudeo può valersi dei titoli e delle funzioni che Paolo enumera al versetto 20a: ��educatore degli ignoranti, maestro dei semplici». Le due funzioni sono parallele, ma non propriamente sinonime. Il paideutJs33 si distingue in effetti dal didaskalos in quanto si riferisce meno di questo all'istruzione ed abbraccia l'educa­ zione in generale34• Se è vero che la Legge svolge in Israele il ruolo di educatrice3S, ciò non implica che il giudeo la debba insegnare ai pagani: salvo il caso dei proseli­ ti, i gentili dovranno contentarsi di ricevere dai giudei, seguaci della Legge ex pro­ fesso, ciò che essi sono in diritto di dare loro. Lo stesso vale per la funzione più specifica del 'didascalo' . Ma i giudei sono rispetto ai pagani in una posizione analoga a quella dei saggi della Bibbia di fronte a coloro che non hanno ancora avuto accesso a questa scien­ za superiore36. I pagani, come questi ultimi, sono degli 'insensati' (apbrones), dei 'semplici' ( népiot) . Secondo il libro della Sapienza, gli idolatri si lasciano ingannare ��come bambini privi di intelligenza (nepi6n [. . . ] aphr6n6n),., e così Dio li ha trattati ·come fanciulli irragionevoli (b6s paidf6n apbr6n6n)» (12,24-25). Allo stesso modo, gli oppressori pagani d'Israele erano ��completamente insensati (apbronéstatot) e più miserabili di un bambino (nepiu),. ( 1 5 , 14). In questi testi, il termine népios è preso nel senso proprio di bambino in tenera età37• Non è così, invece, nell'uso che fanno del termine altri testi sapienziali dell'Antico Testamento, e nel nostro testo dove, al

30 31

150.

Vedi anche Ps.-FILONE, 23, 10 (·io ho dato loro la mia legge e li ho illuminati•). Contro J.M. BASSLER, Divine Impartiality: Pau/ and a Tbeological Axiom, SBL.DS 59, Chico 1982,

jl Midr. Cant. 1,3 (85a); 1,15 (94a ) ; applicato alla Torah: b.B.B., 4a, citando Pr 6,23. Cfr. BlllERBECK, t. I, 237. 33 Solo un'altra ricorrenza nel Nuovo Testamento ( Eb 12,9). 3-1 Non in particolare sotto l'aspetto della 'correzione' o del 'castigo' che paidéia e il verbo paidéuein rivestono in 1 Cor 1 1 ,32; 2 Cor 6,9; Eb 12,5.6.7 (Pr 3,1 1).8.10. 1 1 , seguendo l'Antico Testamento: Ger 2,19: 10,24: 26 (ebr. 46),28; 37 (30),14; 38 (31), 18; Os 7,12.15; 10,10 (bis); Sa/ 1 17 (ebr. 1 18),18; Pr 3,12: 19,18, ecc. 35 Sa/ 93 (ebr. 94), 12; FILONE, Ebr., 143: n6mos esplicitato da paidéia. 36 Aphr6n: Pr 1 ,22; 7,7; 9,4, ecc.; il termine può giungere persino a designare l'empio: Sal 13 (ebr. 14),1 ; 52 (53), 1 ; Pr 6,12; 14,7-9; Nepioi� nepia: Sa/ 19 (ebr. 20),8; 1 18 (1 19), 139; Pr 1,4.22.32; 7,7, ecc. (14 volte in Pr). j' Così anche in fs 1 1 ,8 (per yoneq); Est 8, 1 1 SZ; Ger 50 (43),6 A R; Ez 9,6 (per ta/J. Su questo lessico nel greco profano, nei Settanta e nel Nuovo Testamento, cfr. S. LÉGASsE•, jésus et l'enfant, 168-176; art. Nipios, in EWNTII, col. 1 142-1 143.

Applicazionttal giudeo (2, 1 7-3,8)

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contrario dei privilegi e riferimenti attribuiti altrove ai 'semplici'38, la denominazione è nettamente peggiorativa-�9• Come gli ' insensati ' (aphrones), questi 'semplici' sono sprovvisti dell'intelligenza che permetterebbe loro di abbandonare le ' tene h re ' che oscurano la loro percezione religiosa e di acquistare la 'scienza' (gnosis): que l la che dà loro l'accesso alla verità di Dio. È precisamente questa 'scienza' che il giudeo possiede, come ci dice la fine del versetto 2Qi0. ' Ave re ' la scienza (gnosts) è privilegio dei cristiani, cosa di cui possono abusare gonfiandosi in una sufficienza senza carità ( l Cor 8, 1. 1 0). Qui il medesimo possesso è prerogativa del giudeo tipo, che Paolo si impegna a descrivere. Più esat­ tam ente , ciò che questo giudeo possiede, è la ·formulazione ( m6rpb6sis)41 della scienza e della verità• . Il termine m6rpb6sis implica la messa in 'forma', vale a dire, l'·esp ressione definita•�. La 'scienza' o la 'conoscenza' (gnosis) qui è presa nel senso di oggetto da conoscere43, il quale si identifica con la 'verità' grazie ad una forma di endiadi in cui si trova l 'espressione solenne di ciò a cui aspiravano gli uomini del­ l'antichità, verso cui tendevano filosofie e religioni44• Il giudeo, da parte sua, lo tro­ va 'nella Legge'. Egli ne è convinto e Paolo non lo dissuade4S, lui che, in seguito, at­ tribuirà a questa stessa Legge i titoli più prestigiosi (Rom 7,12.14)46• Resta il fatto che, attribuite qui al giu deo, queste convinzioni non arrivano isolatamente, bensì 311 Il niptos (ebraico peti) è un uomo giusto che, per umiltà, si qualifica come ·semplice', nel Sal 118 (ebr. 1 19); allo stesso modo nel Sa/ 1 1 4 (ebr. 1 16) e nell'uso qumranico del vocabolario ebraico corri­ spondente . Ce se ne ricorderà leggendo ·l"inno di giubilo-, in Mt 1 1 , 25, par. le 10,21. Su tutto questo, cfr. S. LÉGAs..ç,E•, jésus et / 'enfant. 168- 195.231-246. 311 Lo stesso in 1 Cor 3, 1 1 ; 13, 1 1 ; Ef 4,14. Il termine è preso in senso proprio e come immagine in Ga/ 4,1 .3; Eb 5.13. Sulla variante népioi in 1 Ts 2,7, cfr. S. LÉGASSE, 7bessaloniciens, 124. 10 La participiale governata da échonta si coll ega ai du e sostantivi precedenti, paideutin e diddska� lon, piuttosto che al solo diddskalon. in quanto i due termini formano un tutto per segnal are due fun­ zioni a nal oghe e complementari. Il termine qui non ha il significato di affettazione esteriore come in 2 Tm 2,5. Sull'uso profano del tennine (m6rph6sis manca nei Settanta), cfr. G . BEHM, art. M6rpbasis, in 1b WNT IV, 761-762 [trad. it., in GLNFVJI. 5 1 2-5 18). 41 La ·regola'. secondo IAGRANGE, p. 20; l"espressione', chiosata come ·incarnazione- in HUBY, pp. 103.130; 1'-essenza stessa•, secondo VIARD, pp. 82-83; •tutte le forme della conoscenza della verità·, se­ condo MAruor. p. 83 (traduzione discutibile). Megl io LEENHARDT, p. 50: ·ru possiedi la conoscenza e la •l

verità messe in forma nella legge·. 43 Come in 1 Cor 2,14; 4,6; 10,5; Co/ 2,3. .. Cfr. MrCHEL, p. 88. Secondo FrrzMYER, p. 317, è possibi le che la convinzione qui attribuita al giudeo risen ta del l'influenza ellenistica sul gi udais mo , con l'associazione della conoscenza e della virtù attribui­ te all ' istruzione nella Torah (vedi Gv 7 ,49 e il giudizio dei farisei sugli 'a mme ba 'ares, nonché gli esem­ pi rabbinici successivi; cfr. BlLLERBECK, t. III. 1 17). �s Contro J . BEHM, art. M6rph6sis. in 7b WNT IV, 762 [trad. it., in G/NfVII, 515 ss.], per il quale Paolo qui userebbe l'ironia non esprimendo il proprio punto di vista, a dispetto di altri passi in cui egli dà della Legge un giudizio positivo. Vedi anche LEENHARDT, p. 5 1 : a partire dal versetto 21, -s'è capito che Paolo parlava ironicamente-. � Vedi anche 2,13; 3,31; 9,4 ; 1 3 ,8.

1 52

Il vangelo potenza di salvezza per i giltdei e i gentili

inserite in un periodo retorico nel quale servono a respingere una serie di accuse di rara durezza. Infatti, questo giudeo che, a motivo della Legge, pretende di avere un ruolo unico nei confronti dei gentili, questo giudeo trasgredisce la Legge. I versetti 21-23 presen­ tano la contropartita dei versetti 19-20 nella fonna di proposizioni indipendenti in se­ rie47. Spesso queste proposizioni vengono considerate interrogative. In questo genere di discorso l'assillo sotto forma di domande non è fuori posto, ma se il testo in que­ sto modo ci guadagna in effetto oratorio, la sua portata non viene modificata, perché pur rimanendo aperte, queste domande suppongono delle risposte affennative48• In tal modo si può, in mancanza di indizi grafici (la punteggiatura non appartiene al te­ sto originale), attenersi al testo così come si presenta e comprenderlo come una se­ rie di accuse senza altro tono che quello che deriva naturalmente dalle frasi. La prima di queste accuse (v. 21a) è globale: "(Tu) che insegni agli altri, non in­ segni a te stessol). La funzione didattica d'Israele è affermata al versetto 20. Lungi dall'essere contestata, essa qui è soggetta a rimprovero. Il tema non è specificamen­ te cristiano. Anche se di data posteriore, i documenti rabbinici mostrano che aveva corso nella parenesi ebraica. Testimone, questa sentenza attribuita al tannaita Abba Shaul ben Nannas, il quale enumera quattro tipi di legisti: «Uno istruisce se stesso, ma non istruisce gli altri; un altro istruisce gli altri ma non istruisce se stesso; un al­ tro istruisce se stesso e gli altri; un altro non istruisce né se stesso né gli altri·49• In Paolo, tuttavia, il tema non ha a che fare con l'insegnamento accademico all'interno di Israele, bensì con la missione d'Israele presso i gentili. Esso annuncia ciò che sarà specificato subito dopo e che fa capire come qui .. istruire se stessi· sia inteso in senso analogico, a partire dal senso proprio che l'espressione ha quando si tratta del ruolo d'Israele nei confronti di coloro che sono al di fuori. Nella fattispecie si tratta per il giudeo di non imporsi la pratica di ciò che, in quanto giudeo, è ritenuto insegnare ai gentili. Ai versetti 21b-22 vengono dati alcuni esempi di questa illogicità. Sono tre in tut­ to. Questo numero, possiamo supporlo nel pensiero di Paolo, non è esclusivo. I due primi esempi sono presi nominalmente dal Decalogo che proibisce il furto e l'adulterio. Il giudeo aderisce al Decalogo50, quindi fa suoi i precetti ��tu non ruberai· (u klépseis) e ··tu non commetterai adulterio» (u moichéuseis). Nelle due versioni del 47

Sull'anacoluto che ne risulta, cfr. p. 146. Nella prima domanda (v. 21a), la negazione u non darebbe a questa il senso di •non insegni a te stesso?.., il che supporrebbe la risposta: ·sì, il giudeo insegna a se stesso·, mentre invece Paolo intende dire il contrario. Il senso è proprio che il giudeo non insegna a se stesso, mentre pretende di istruire gli altri. La risposta affermativa supposta (·sì, è vero, il giudeo non insegna a se stesso•) confermerebbe la negazione della domanda. 49 Abot de R. Natan, 29(8a). 50 Es 20, 1 3-17; Dt 5,17. 19. 411

Applicazione al giudeo (2, 1 7-3,8)

1 53

Decalogo queste interdizioni si presentano in ordine inverso rispetto a quello della nostra epistola. Nulla fa pensare che Paolo volesse stabilire tra essi una gradazione. Piuttosto, la loro scelta può essere spiegata per il fatto che si tratta di ·colpe univer­ salmente riprovate, tanto più sorprendenti in un uomo che ha discernimento e d� vrebbe praticare tà dtaphéronta-" 1 (v. 18). Ma si fa notare che Filone'2 enumera fur­ to, adulterio, omicidio, saccheggio dei templi, come esempi tipici dell'iniquità. Se­ condo Paolo, il giudeo, non contento di fare sue queste interdizioni, dà loro un'e­ spressione verbale: il verbo neutro 'dire' (/ég6n: v. 22a) è preceduto, a proposito del furto, dal verbo ·proclamare' (kerjssein), il verbo che nel Nuovo Testamento e in Paolo stesso5-' è usato per la predicazione del vangelo. In che modo e in che circostanze il giudeo manifesta le proprie convinzioni in pubblico54? Dove e in che modo dice, anzi proclama alto e forte i precetti del Deca­ logo? Qui, come nell'insieme del contesto, bisogna dare la sua parte all'enfasi retori­ ca in collegamento con la ·vanteria' del giudeo fiero della sua Legge (v. 17) e dei principi che essa inculca a lui e al mondo. Tutti gli ebrei saranno d'accordo nel rico­ noscere che tra loro si trovano ladri ed adulteri. Nessuno, giudeo o no, farà del furto e dell'adulterio delle caratteristiche del giudeo in quanto tale. E così, fin dall'antichità patristica, ci si è sforzati di aggirare questa difficoltà dando a tali accuse una portata simbolica. Pelagio riferisce che, secondo alcuni, il furto deve essere inteso nel senso che gli ebrei trafugano il Cristo nascondendolo agli uomini, e segnala, ispirandosi al simbolo coniugale dell'Antico Testamento, che c'è una forma di adulterio che consi­ ste nel sottrarre a Dio ciò che gli è dovuto per darlo ad altri55• Ma nulla nel testo in­ dica che Paolo non prenda questi sarcasmi in senso rigoroso. La cosa sorprende tan­ to più, in quanto egli non doveva ignorare che, al suo tempo, la moralità degli ebrei era nettamente superiore a quella delle popolazioni pagane circostanti. E neanche era tipico degli ebrei saccheggiare i templi pagani56• Certo, qualche

53. Con/ ling 163. 53 Rom 10,8. 14.15: 1 Cor 1 ,23; 9.1:1; 15!1 1-12; 2 Cor 1 , 19; 1 1 ,4; Ga/ 2,2; Fi/ 1 ,15; Co/ 1 ,23; 1 Ts 2,8. Vedi l'uso di kérjssein con questo significato in EPITETIO, Diss. 1,29,64 (/eérjssein dii tautà pròs pantas). Vedi anche Ap 5.2; Marl. Poi. 12,1 (azione dell'araldo). s; ·Quidam dicunt. abscondendo ab bominibus furaris Christum [...) Non est una moecbia. Nam om­ ,ze quod Deo debet anima. si aliquid praeterque Deo reddiderit, moechatu,.. (PL 30, 656). Per una a ppli­ cazione simile a proposito del saccheggio dei templi, cfr. qui p. 1 54. Il verbo hierosyletn, nella sua unica ricorrenza nei Settanta, si riferisce, in senso proprio, al sac­ cheggio del tempio di Persepoli (in realtà di Elimaide: l 1Wac 6, l) da parte di Antioco Epifane. Vedi an­ che 2 Mac 1 , 13-17. FLAVIO GIUSEPPE, ..V XVII, t63. fa del verbo un sinonimo di commettere sacrilegio; u­ �ualmente in At 19.37: altri riferimenti in BAUER. col. 758. s. v. Hier6sylos. CRISOSTOMO (PG 60,434) inter­ preta il rimprovero di Paolo alla lettera , attribuendo questi furti alla •tirannia della cupidigia·. Sulla prati ca della ierosulia nell'antichità e sull'uso del lessico in questione, cfr. G. ScHRENK, art. Hierosylé6, Hier6sylos, in 7bWNflll, 254-256 [trad. it., in GINfiV, 831-836). Una accusa analoga viene rivolta ai sacerdcr �1

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lAGRANGE. p. .,

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154

O vangelo potenza di salvezza per i giudei e i gentili

cosa del genere la possiamo supporre. Il Deuteronomio (7,25), quando proibisce al­ l'israelita di appropriarsi dell'argento e dell'oro di cui sono rivestiti gli idoli, non parla a caso. Più tardi la casistica dei rabbini lascia intendere che accadeva che de­ gli ebrei, direttamente o indirettamente, partecipassero a questi furti sacrileghi57• Ma qui, di nuovo, Paolo procede ad una generalizzazione che non può essere scusata con il sottolineare che ·l'importante ai suoi occhi era la contraddizione che rovinava tutto il positivo e dimostrava che non si può far valere di fronte a Dio alcuna prete­ sa seria··ss. Il fine non giustifica i mezzi e la polemica non giustifica le descrizioni non veritiere. Prendiamo per buona soltanto la logica dell'argomentazione. Essa si basa su una contraddizione tra le certezze intime e la condotta. Nel terzo esempio l'illogicità consiste nell'avere l'idolatria in orrore59 e, d'altra parte, nel far caso agli oggetti che servono alla sua pratica. Argomento sorprenden­ te quanto quello che troviamo in Le 12,47-486U: come non ci è evidente la contraddi­ zione tra l'uccisione dei profeti effettuata nel passato e la costruzione attuale di mausolei in loro onore (cosa che mostrerebbe che i costruttori approvano l'azione degli omicidi), allo stesso modo il furto o la ricettazione di oggetti di culto idolatri­ co mostrano piuttosto il disprezzo nel quale tale culto è tenuto. Non è così per Pao­ lo, il quale suppone che i suoi lettori lo seguiranno. A questa lista delle contraddizioni di cui il giudeo si rende colpevole succede (v. 23) l'accusa fondamentale61 che riassume e conclude tutto il resto. Qui ritroviamo il rimprovero formulato al versetto 17, con lo stesso verbo kaucbasthai, qui riferito al­ la Legge61• Non per condannare l'atteggiamento in questione63, perché è legittimo ti del tempio di Gerusalemme in Test. Levi 14,5 (ma non in Sal. Salom. 8,12). FLAVIO GIUSEPPE, A] XVIII,81-84, segnala il caso di un giudeo di Roma che cercava di approfittare a proprio vantaggio del­ l'offerta di un proselito al tempio di Gerusalemme. I n Lett. Ger. (Bar., 6),9-10, la ierosulia è quella prati­ cata dai sacerdoti pagani. Secondo FLAvio GH.!SEPPE , C. Ap. I,3 1 1 , l'antisemita Lisimaco di Alessandria (probabilmente I sec. a.C.) giocava sul termine Hieros6lyma, che faceva derivare da bier6syla. ;; Cfr. BILLERBECK, t. III, 1 13-1 1 4; FLAvlo Gn.:SEPPE, A] IV,207: ·Che nessuno pronunci bestemmie contro gli dèi venerati da altre città, né rubi nei templi delle altre genti, né prenda un tesoro consacrato al no­ me di qualche dio· (cfr. Es 22,27; Dt 7,25). 58 LEENHARDT, p. 5 1 . 59 I n Mt 23,29-31 , l'argomentazione è un poc o diversa ma non meno strana . per u na inente moderna e occidentale. 60 I l verbo bdeljssestbai (nel Nuovo Testamento, qui e in Ap 21 ,8), qui è in forma media, con il si­ gnificato di ·avere in abominazione (bdélygma)', come in Gen 26,29; Es 5 , 1 1 ; Lv 1 1 , 1 1 . 13. 14.44, ecc. In rapporto con l'idolatria: Dt 7,26. Sull'etimologia e l'uso del verbo e dei termini imparentati nell'Antico e nel Nuovo Testamento, vedi W. FoERSTER, art. Bdeljssomai, ktl., in 7bWNTI, 598-600 [trad. it in GLNI' I, .,

221-226]. 61 La- frase, una relativa, non va intesa come una domanda (cfr. qui, p. 1 52): vedi l.AGRANGE, p. 54: SANDAY-HEADLAM, p. 66; CRANFIELD, p. 170, ecc. 62 Cfr. p. 147. L'espressione si legge in Sir 39,8, in una forma più completa, che include il ricongiun­

gimento all'alleanza: en n6m6 diatbekes ltyriu kaucbesetai. 6� Qui kaucbastbai non ha il significato negativo che Paolo gli dà altre volte che lo usa: contro R.

Applicazione al giudeo (2. 1 7-3,8)

155

per il giudeo trarre la sua felicità dalla legge di Dio che egli mette in pratica, ma per far risaltare l illogicità riprovevole che con siste nel mettere insieme l'esaltazione reli­ giosa fondata sul possesso della Legge, e la trasgressione64 di quella stessa Legge. A ciò che poteva essere una lode riconoscente a Dio si sostituisce la col pa che lo 'di-· sonora'M. Una citazione della Scritt ura si noterà come la formula di rito la segua66 invece di precederlan- viene a sostenere (gar) la con clu sio ne precedente. Si tratta in real­ tà di una reminiscenza piuttosto vaga di ls 52,5b6H, secondo i Settanta di cui ecco la traduzione: .Così parla il Signore: da v oi (di'hymds) in ogn i tempo il mio nome è bestemmiato tra i popoli·. Secondo il testo ebraico, il nome di Dio è o lt raggiato tra i gentil i perché il popolo è portato in esilio e Dio pare lo abbia abban donato : ·i suoi dominatori elevano grida [. . .] il mio nome è continuamente, tutto il giorno oltraggia­ to". I Settanta fanno in modo che l'oltraggio in qu estione sia attribuito al popolo esi­ liato (le parole di 'bymds en tois éthnesin sono aggiunte). Paolo segue i Settanta pur modificando la portata del loro testo, perché secondo lui le parole di'hymas non vogliono dire 'da voi' e l 'ol traggio non è più att ribuito al popolo: qui, di 'hymas si­ gnifica 'a causa vostra'69, vale a dire, a causa della trasgressione della Legge mosaica da pa rte dei giudei e dello scandalo che ne risulta tra i pagani'0 che lo constatano. È possi bile che qui Paolo abbia avuto in mente il passo a na l ogo di Ez 36,17-2371, do­ ve i crim in i d'Israele sono presentati come una causa di scandalo tra i popoli paga '

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GINTV, 298s.1 che identifica indebitamente ·gloriarsi nella Legge· e ·gloriarsi nella carne-. A questo proposito, cfr. il commentario di DuNN, p. 115. 64 Parabasis (etimologicamente l'atto di oltrepassare, sia in senso locale che nel senso derivato m� rale) è raro nei Settanta: 2 Re 2.24; Sa/ 100 (ebr. 101),3; Sap 14.31; 2 Mac 15, 10. FILONE, Spec. leg. II,242; Somn. 11 , 1 23 applica il tennine ai comandamenti della Legge. Lo stesso fa FLAVIO GIUSEPPE: A] VIII,129; XIII.69; XVIII,263.340. Il tennine ricorre in Rom 4,15; 5,14. Su questo lessico, cfr. M. BACHMANN, Sunder oder Obertreter. Studien zum Argumentation in Ga/ 16/f, WUNT 59. Tubingen 1992. (,s Atimazein (al passivo in 1 ,24: cfr. p. 97), 'disonorare', 'oltraggiare', ma anche 'disprezzare'. Questo è l'unico caso del Nuovo Testamento in cui il verbo è riferito a Dio. Vedi tuttavia Gv 8, 49 , dove il me­ desimo verbo ha il Cristo come oggetto. I Settanta lo usano abbastanza frequentemente con delle corri­ spondenze ebraiche diversificate. due volte ( 1 Sam 2,30; Pr 1 4 2) riferendolo a Dio (vedi anche Euo A­ RISTIDE, 53.62 0d : tà ton tbe6n atimazein). Confronta l'uso di bebelun (per l?dlal) nei Settanta: Lv 18;21; 19,8. 12; 2 1 ,6.12, ecc.; Ez 36,20 (vedi qui, p. 156). 66 Su lzatb6s gbégraptai. cfr. p. 69. n. 59. 67 I l caso è unico nel Nuovo Testamento. Secondo Pelagio (PL 30,656-657), Paolo ha preso coscienza a cose fatte del riferimento scritturate di quanto egli scriveva da sé. Anche SANDAY-HEADLAM, p. 67, van­ no in questo senso, cosa che l.AGRANGE, p. 55, interpreta vedendo qui l'indizio di una citazione libera. Ma è l'unica in Paolo? 68 Un'eco di questo stesso testo si legge in 2 Pt 2,2. 69 Medesimo uso di did in Rom 4.24.25, ma cfr. p. 251. 70 Su étbne nel senso di nazioni pagane. cfr. p. 38, n. 86. 71 Questo passo viene utilizzato dai rabbini in un senso analogo a quello che Paolo fa emergere qui (cfr. BILLERBECK, t. III, 1 1 8).

BUI.TMANN, art. Kaucbaomai, in 7bWNf lll, 649 (trad. it. , in

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n vangelo potenza di salvezza per i giudei e i gentili

156

ni che fanno ricadere sul Dio d'Israele le abominazioni commesse da quest'ultimo. Là i Settanta usano il verbo bebelun, 'profanare'72• Qui, come in Is 52,5b, LXX, Paolo usa blasphèmEin73 che implica l'oltraggio fatto al 'nome' di Dio, in altre parole, a Dio rivelato e conosciuto7

n vangelo potenza di salvezza per i giudei e i gentili

1 58

e i pagani incirconcisi, il tutto in termini lapidari: ·la tua circoncisione è diventata incirconcisione 87• Da tutto questo si può dedurre che il gentile incirconciso, se osserva i ·comanda­ menti della Legge•88, ha gli stessi vantaggi che ha il circonciso, cosa che Paolo espri­ me in forma interrogativa89 nella stessa lingua vigorosa dicendo che, per un simile uomo, davanti al tribunale di Dio, l'incirconcisione sarà considerata90 come circonci­ sione. Il che equivale a dire, da una parte, che il circonciso non ha più interesse ad essere membro del popolo d'Israele quando si tratta della salvezza; dall'altra, che un pagano è capace di osservare i comandamenti della Torah e, se lo fa, sarà ri­ compensato al momento del giudizio. Una tale umiliazione al suo giudaismo nativo, nell'Apostolo è stata possibile solo grazie alla rivelazione di cui egli ha beneficiato e che continua ad esercitare in lui i suoi effetti. Non si tratta di ridare uno spazio alla circoncisione nell'ordine della salvezza nella forma di un surrogato per i gentili, do­ po averne mostrato l'inutilità per i giudei. Per lui circoncisione e incirconcisione so­ no 'nulla' in quell'ordine e non si dà altra salvezza che quella fondata su Gesù Cri­ sto91. Ma come si può dire che dei pagani osservano i •comandamenti della Legge·? Paolo non risponde qui e non risponderà neanche dopo92. Là come qui egli si limi­ ta, continuando la sua dimostrazione polemica, a togliere al giudeo qualsiasi ragio­ ne di credersi superiore al pagano e meglio garantito di lui di fronte al giudizio di Dio. ..

ff1 Letteralmente 'prepuzio'. Il tennine akrobystia - verosimilmente una cacofemia giudaica (da bo­ sbet, 'vergogna') di akropostbia (p6stbé, postbia, p6stbion, prepuzio o pene) - appare unicamente nella lingua biblica ed ecclesiastica. I Settanta lo usano per 'orldb (Gen 17, 1 1 . 23.24.25; Es 4,25). Nel Nuovo Testamento (venti volte), il suo significato (cfr. peritorrW, qui p. 157) è a volte lo stato di incirconciso (Rom 2,25; 4,10. 1 1 . 1 2; 1 Cor 7,18. 19; Ga/ 5,6; 6,15; Co/ 2, 13), a volte i(l) gentile(i) incirconciso(i) (qui e in Rom 2,26.27; 4,9; Ga/ 2,7; Co/ 3,1 1 ; E/ 2,11), a volte il prepuzio (At 1 1 ,3). Ispirandosi ad E/ 2, 1 1 (boi leg6menoi akrobystia), J. MARcus•, pp. 77-80, ha reso verosimile l'idea di una designazione collettiva ol­ traggiosa di un gruppo da parte dell'altro, nel che i giudei avrebbero reagito con il fare della 'circonci­ sione' un titolo di onore. 811 L'espressione è biblica: Es 15,26; Dt 4,40; 6,2; Sa/ 1 18 (ebr. 1 19),8; Mt 6, 16; Ez 1 1 ,20; 18,9; 20, 13 (v.l . ) . 18 . 1 9 21. Su dikiii6ma (in greco profano, azione o decisione di giustizia) nei Settanta, cfr. p. 1 1 1. n. 145. - Pbyldssein, nel senso di mettere in pratica una legge o un comandamento, è usuale nel greco classico (per esempio, SoFOCLE, Tracbinie, 616, con n6mon; cfr. BAUER, col. 1731, O. Nei Settanta, que­ sto verbo sta il più delle volte per l'ebraico sbdmar nelle sue diverse coniugazioni. Nel Nuovo Testa­ mento, in rapporto con la legge mosaica, aggiungi Ga/ 6,13; Mt 19,20, par. Mc 10,20; Le 18,21; At 7,53: 21,24. Su dikiii6ma (al singolare!) tu n6mu, in Rom 8,4, dr. p. 376. "' Si suppone una risposta affermativa. 90 Logbizestbai: cfr. p. 1 19, n. 28. Qui al futuro e al 'passivo divino', nella prospettiva escatologica del giudizio, senza escludere il futuro di conseguenza. La costruzione con eis (vedi Rom 4,3; Gen 15.6: 9,8; Ga/ 3,6; Gc 2,23) è una fonnula dei Settanta, ma non può passare per un ebraismo caratteristico (c­ fr. S. LÉGASSE, Galates, 222, n.3). 91 1 Cor 7,19; Ga/ 5,6; 6, 1 5. 92 Cfr. p. 135. .

Applicaz1one al giudeo (2, 1 '1-3,8)

159

Ma c'è un altro giudizio, questa volta non divino, bensì umano. La frase del ver­ setto 27 è collegata a quella precedente, più esattamente alla risposta affermativa che essa sottintende, mediante un kai la cui sfumatura è consecutiva�, nel senso che Paolo •spinge le cose più avanti·94 nella linea di quanto precede. Qui ritroviamo · dapprima l'appellativo di connotazione peggiorativa9S, 'l'incirconcisione' (letteral­ mente, il 'prepuzio') per designare i gentili, con una precisazione: costoro sono in­ circoncisi 'per natura' (ek pbjse6s)96, da intendere come se fosse 'per nascita'97, come pbjsei in Gal 2 , 1 598, il che sorprende un po', ·perché il prepuzio è naturale per tutti•99, tuttavia permette di sottolineare la differenza con il giudeo che, nato incir­ conciso, ha cessato di esserlo otto giorni dopo la nascita100• Paolo annuncia che il pagano101 che osserva102 la Legge 'giudicherà', in altre parole, 'condannerà'103 il giu­ deo che la trasgredisce1a.. Non è necessario ritenere che questi giusti tra i gentili avranno mansioni attive o comporranno il jury al giudizio finalews. Qui basta riconoscere l'espressione scenica del vantaggio del pagano che ha osservato i comandamenti di Dio rispetto al giu­ deo che li avrà trascurati. Questi, a differenza dei gentili, era in possesso della Leg-

� Cfr. BDR, p. 367 § 94 I.AGRANGE, p. 56

442,2.

95

Vedi supra, n. 87. Queste parole vanno collegate ad akrobystia, a causa dell'articolo che precede, non a te/Usa. - Le parole bé ek pb_Vse6s akrobystia mancano in G. ma ciò non modifica il senso del testo, perché il sogget­ to di krinei è n aturalmente bé akrobystia dell'inizio del v. 26. 97 Non nel significato di 'corporalmente' (leiblicb), come traduce O. MICHEL, p. 85, ma si confronti il commento del versetto a p. 92: ·nella sua incirconcisione naturale· 911 Non. però, come ph_vsei in 2.14. dove il significato è 'naturalmente', per il gioco naturale delle fa­ coltà personali del soggetto (cfr. p. 135). Per pbysei nel senso di 'per nascita', vedi i riferimenti alla let­ 96

teratura greca in BAL:ER, col. 1733. 'i46 C G L pm) al congiuntivo aoristo zés6men (con sfumatura condizionale 'eventua­ le'), è un futuro logico o di conseguenza. 15 Così in Rom 8,12-13 (dove Paolo passa da un significato all'altro: cfr. p. 383); Gal 2,14.20d; Col 3,7; 2 Tm 3,12; n 2,12; le 15,13. Cfr. BAUER, col. 681,3. 16 5,17.21; 6,4. 17 La particella di per sé disgiuntiva qui non ha altra funzione che di introdurre una domanda retori­ ca, come in Rom 3,29; 7,1; 9,21; 10,7; l 1,2.34.35; 14,10. Cfr. BAUER, col. 693-694. 18 Quale che sia la scelta critica circa l'autenticità dell'epistola ai Colossesi, il passo indicato si colloca sul prolungamento manifesto di Rom 6,14, che Co/ 2,12-13 rimaneggia e completa (cfr. S. LÉGASSE., Etre baptisé, 557-559). 19 Vedi i particolari in S. U:GASSE•, Naissa nce, 128-130. 20 Per esempio, le verità che riguardano realtà profane, o addirittura quotidiane (Rom 6,16; 1 Cor 5,6; 6,16; 9,24), o anche verità religiose owie (1 Cor 5 9) ,

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Il vangelo potenza di salvezza per i giudei e i gentili

300

sicuro che i cristiani ai quali Paolo si rivolge sapessero di essere il tempio di Dio o dello Spirito Santo ( 1 Cor 3,16; 6,19), che ,,i santi giudicheranno il mondo· ( 1 Cor 6,2) e che i cristiani ·giudicheranno gli angeli» ( 1 Cor 6,3). Quando, inoltre, questo tipo di formula viene usata, come capita qui, per una verità che Paolo è l'unico ad insegnare nel Nuovo Testamento e che insegna ad una comunità come quella di Roma, che non ha fondato lui e con la quale è in corrispondenza per la prima vol­ ta, si può benissimo dubitare che questa comunità conoscesse o avrebbe dovuto conoscere la verità in questione21• Non solo: più avanti in questa introduzione in­ contreremo una formula retorica che non ha altro scopo che di stimolare l'attenzio­ ne del lettore, senza che sia necessario concludere che questi fosse a conoscenza della verità enunciata dopo. Passiamo ora a questa verità. Paolo dichiara e intende che i suoi lettori sappiano che «quanti siamo stati battezzati nel Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte•. A proposito di questo testo facciamo innanzitutto un'osservazione fondamentale: il verbo baptizein v. qui designa il rito cristiano, l'abluzione mediante la quale il can­ didato segnava il suo ingresso nella comunità cristiana, come accade sempre in Paolo23• Dicendo 'noi', Paolo include se stesso nel numero dei battezzati e conferma quanto veniamo a sapere dagli Atti degli Apostoli (9, 18; 22,16). L'inizio della frase si legge quasi parola per parola in Gal 3,27, con la stessa formula «essere battezzati nel Cristo• (eis Christ6n). Questa formula, che è propria di Paolo, è più verosimil­ mente una derivazione e una abbreviazione della formula più antica, conosciuta an­ che da Paolo2", abattezzare,. o ·essere battezzato nel nome (eis tò 6noma) di Gesù��2'\ formula per la quale, all'origine, il battesimo cristiano si differenziava dal battesimo di Giovanni, senza pregiudizio del legame specifico che il candidato contraeva con la persona del Cristo. In Rom 6,3 Paolo porta una precisazione rispetto a Gal 3,27. Osserviamo la costruzione della frase in Rom 6,3:

21

Questo va detto contro un certo numero di autori dei quali si troveranno i riferimenti in S.

U:GASSE*, Naissance, 130 e le note.

22 Sull'origine di questo lessico, cfr. S. LÉGASSE* , Natssance, 1 5-25. Usato al passivo, il verbo suppone l'intervento di un 'ufficiante', come il battesimo di Giovanni da cui esso deriva e a differenza delle ablu­ zioni giudaiche. Come tale, e al modo del battesimo di Giovanni, esso è segno dell'intervento divino nell'atto di purificazione e di perdono. 23 Anche in l Cor 12,13, dove •essere battezzato in un solo Spirito• indica che al battesimo il candi­ dato è consacrato dallo Spirito membro del popolo di Dio. In l Cor 10,2, il 'battesimo in Mosè' è rical­ cato sul battesimo cristiano. In compenso, il valore di un tale lessico è puramente metaforico in Mc 1 0,38-39, par. Le 12,50; Gv 1,33; At 1 ,5; 1 1 , 16. z4 Respingendo l'ipotesi di un battesimo 'nel nome di Paolo', egli offre la caricatu14 del battesimo 'nel nome di Gesù'. 2� At 2,38; 8,16; 10,48; 19,5; vedi anche 19,3.

La grazia

non autorizza il peccato (6, 1-14)

301

A noi

A'

siamo stati battezzati

B

B'

nella sua

tutti che siamo stati battezzati nel Cristo Gesù

morte

Le corrispondenze tra le due parti di questa citazione ci garantiscono, da una parte, che il battesimo 'nella morte' del Cristo è proprio il battesimo d'acqua, rito di ingresso nel cristianesimo; dall'altra, che essere battezzati in questa morte fa tutt'u­ no con il rapporto stabilito dal battesimo con la persona del Cristo, nòn con la sua morte, in quanto evento impersonale, bensì con il Cristo in quanto ha subito la morte26• Come concepire la còsa? La risposta propriamente detta ci verrà data al versetto S. Nel frattempo (v. 4) Paolo trae le conseguenze17 dell'enunciato che precede. Mor­ te completa normalmente implica sepoltura, con ciò che ebbe luogo per il Cristo, secondo il kérygma pasquale ( l Cor 15,3). Si deve quindi concludere che il candi­ dato che è unito alla morte del Cristo partecipa anche alla sua sepoltura2R. Ciò av­ viene al battesimo e ·per mezzo del battesimo, (dià tu baptismatos). Ma viene da chiedersi: a che pro questa precisazione sulla sepoltura? Non bastava dire che al battesimo il credente è unito all'atto redentore compiuto una volta per tutte dal Cri­ sto che muore sul Calvario e che abolisce l'era del peccato e della condanna per in­ trodurre quella del perdono e della salvezza? La menzione addizionale della sepol­ tura fa nascere una teoria che s'è creduto di poter confermare con il versetto 5 e che esporremo più avanti. Ma possiamo già giustificare questa menzione della se­ poltura con il semplice fatto che essa appartiene espressamente al kérygma e inol­ tre prepara, nel kérygma come qui, il richiamo della risurrezione. Limitarsi alla sola morte omettendo la deposizione nella tomba fa risaltare meno il contrasto che op­ pone morte e risurrezione. Riproducendo qui la formula tradizionale, secondo la quale "Cristo è stato risuscitato dai morti 29, Paolo intende dire che un cadavere è stato ·sollevato" dalla posizione che aveva nella tomba. Ma se il credente, al battesimo, partecipa alla morte e alla sepoltura di Gesù, è in vista di essere associato alla sua risurrezione per partecipare all'integrità dell'opera redentrice. In realtà questo non viene detto espressamente. A differenza di quanto si legge in Co/ 2,13 (vedi anche E/ 2,6), qui non si tratta che della vita, più esatta..

26 Per cui viene esclusa l'idea di una 'immersione' nella morte del Cristo, immersione di cui il bagno battesimale sarebbe la rappresentazione (così, comunque, LIETZMANN, p. 65; WILCKENS, t. II, 1 1-12). Que­ sta lettura ha provocato una variante al versetto 4 (gar in luogo di un: vedi nota seguente). 27 Un qui è da preferirsi alla sua variante gar, dalle implicazioni cerimoniali (cfr. S. LÉGASS� , àre baptisé, 553-554). 28 Il verbo syntbaptestbai, uno di quei composti cari a Paolo, corona, se così possiamo dire, ciò che è stato detto nel versetto precedente e che sarà ripreso, senza allusione sacramentale, al versetto 6: vedi infra, n. 62. 29 Il verbo egbéirein, al passivo, implica razione di Dio. Ek nekr6n rimanda al luogo ove risiedono i morti (cfr. p. 250, n. 12).

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mente si dice che ·noi camminiamo in novità di vita•30, cosa che implica tìna ton­ dotta31 rinnovata conformemente alla grazia battesimale. La risurrezione del Cristo qui non è che l'oggetto di un confronto (basper), tra l'altro çlaudicante, a meno di dedurne legittimamente che da questa risurrezione scaturisce una 'vita', anche se poi l'aspetto etico di questa vita vale solo dalla parte dei riscattati, non da quella del Redentore. L'associazione 'novità32 di vita' è la deduzione normale e obbligatoria della 'nu� va33 creazione' realizzata dal Cristo; essa è ciò che succede e si oppone all"uomo vecchio' (6,6) al quale il Cristo, con la sua morte, ha messo fine e che, secondo Ef 2, 15; 4,24, l''uomo nuovo' viene a sostituire. Qui Paolo si attiene agli obblighi mora­ li che scaturiscono da questo rinnovamento fondamentale. Questo rinnovamento, tuttavia, è il risultato di un atto che non termina alla mor­ te, ma trova il suo ultimo compimento alla risurrezione del Cristo34• La frase che e­ sprime la risurrezione e la spiegazione che ne dà non sono molto chiare: che cosa significa essere "risuscitato per mezzo della gloria del Padre (dià tes d6xes tu pa­ tr6s)·? Sarebbe più facilmente comprensibile una finale in base alla quale la signoria del Cristo è ordinata «alla gloria del Padre�� (Fil 2, 1 1). Che la risurrezione del Cristo sia opera del Padre è una verità ben attestata nel Nuovo Testamento35 e, insieme, comprensibile senza difficoltà. Ma perché introdurre qui il termine intermedio ·la gloria·? Il fatto è che Paolo dipende dalle concezioni e dalle formule dell'Antico Te­ stamento dove i miracoli e le teofanie dell'Esodo36 vengono attribuiti alla 'gloria' (d6xa, kab6d) di Dio, in altre parole, all'irradiamento efficace e infallibile della sua autorità e del suo potere37• La risposta alla domanda sollevata a proposito dei versetti 3 e 4 viene data vera­ mente al versetto 5: come avviene, mediante il battesimo, questa partecipazione alla morte del Cristo, sepoltura compresa? La frase, con un giir all'inizio, si presenta co­ me la spiegazione di quanto precede. Essa è costruita come un ragionamento sotto forma di una condizionale. Vediamone innanzitutto la protasi. Paolo scrive: ·Se in­ fatti siamo stati completamente uniti a lui a somiglianza della sua morte . . .... La paro­ le sjmpbytoi gbeg6namen, con il verbo al perfetto, rimanda ad un fatto passato il 30 Su l la doppia assenza di articolo in en kain6tett zOis, cfr. BDR, p. 205 § 255: p. 207 § 258; pp. 2()8.. 209 § 259. 31 Sul biblismo peripatein, nel senso di 'comportarsi', vedi S. LÉGASSE, 1bessalonictens, 134-135. 32 L'astratto kain6tes in tutto il Nuovo Testamento si legge solo qui e in Rom 7,6. 33 2 Cor 5,17; Ga/ 6,15. � Cfr. pp. 251-252. 35 Cfr. p. 250. 36 Es 15,7. 1 1 ; 16,7.10. 37 Sul legame stretto tra la 'gloria' e la 'potenza' di Dio, cfr. J.A. FrrzMYER, ·To Know Him and tbe Power of His Resun-ection· (Fi/ 3, 10), in To Advance the Gospel, BRS, Grand Rapids - Cambridge 19982, 202-217.

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cui risultato dura ancora in Paolo e negli altri cristiani. L'espressione non deve ne­ cessariamente essere interpretata secondo l'etimologiaiH, conservando a sjmphytos il senso vegetale di 'cresciuto insieme':w. Nel greco profano il termine40, con un com­ plemento al dativo, si è generalizzato con il semplice significato di 'naturale a', 'pro­ prio a', 'caratteristico di'41 ed anche 'unito a'42• Quindi, è ancora l'idea di partecipa­ zione, comune a tutto il contesto, che si è indotti a ritrovare qui. Mentre, però, in questo medesimo contesto, l 'unione alla morte del Cristo avviene senza intermedia­ ri, come va intesa questa unione Ka somiglianza (bom6i6ma) della sua morte��? Tra le esegesi di questo versetto43 va per lo meno scartata quella secondo la quale il termine bom6i6ma avrebbe un significato liturgico44: il rito battesimale, con l'im­ mersione che lo compone, offrirebbe la 'somiglianza', la rappresentazione attualiz­ zante della morte del Cristo, rappresentazione mediante la quale il candidato parteci­ pa a questa morte. Questa lettura pare sostenuta dalla corrispondenza, nei versetti 4 e 5, tra le parole 'per mezzo del battesimo' (dià tu baptismatos) e 'a somiglianza' (to homoi6matt). Se, d'altra parte, si considera to homoi6mati come dativo strumentale, se ne fa un sinonimo di 'per mezzo del battesimo' . Il tutto, quindi, non esprimerebbe che una sola e medesima idea, e cioè che noi siamo stati uniti alla morte del Cristo dal battesimo in quanto rappresentazione sacramentale di quella morte. Ma questa è una lettura impossibile. Infatti, se si intende t6 homoi&mati nel senso di 'per mezzo del battesimo', la frase risulta vuota di contenuto: a che cosa siamo uniti? Manca un elemento, sicché siamo costretti a considerare to homoi&mati come il complemento di sjmphytoi gheg6namen: 'uniti a somiglianza' (non dalla somiglianza). Il termine hom6i6ma ha il significato generale di 'somiglianza', ma la questione che esso solleva secondo i casi è quella del grado di questa somiglianza45• In Paolo

:��� Così, comunque, LAGRANGE, p. 145, il quale sottintendendo il pronome auto, parafrasava: •noi sia­ mo stati uniti a lui per crescere con lui ad immagine della sua morte•. Stesso genere di traduzione in HUBY, pp. 203.209; lEENHARDT, p. 92; C. SPICQ, Lexique, 1 461 (seguendo Leenhardt); FITZMYER, p. 435 (immagine dell'innesto). 39 ARISTOTELE, Topici 14Sb; Generazione degli animali, SS7b; PLATONE, Pedone, 8 1c Il suo significato più comune è 'naturale', 'innato', 'congeniale'. Vedi, per esempio, PLATONE, Pedo­ ne, 81c; FILONE, Vita Mos. 1, 198; Abr., 160; Rer. div., 272; FLAVIO GIUSEPPE, C. Ap. 1,42; J Mac 3,22. 41 LisiA, 10,28: sjmphytos autois deilia, ·una viltà che è per loro naturale·; PLATONE, Leggi, 844b: ay­ dria ... lisi t6pois sjmphytos. . w: ·l'aridità tipica di certi luoghi·; ARISTOTELE, Generazione degli animali, 551 b: là hygrt L . sjmphyta tOis zoois, -i liquidi... naturali agli animali·. 42 PLATONE, Fedro, 246a; ESCHILO, Agamennone, 107. 43 Segnaliamo, tanto per ricordarla, l'opinione di W. ScHRAGE•, per il quale la 'somiglianza' si identifi­ cherebbe con la Chiesa, una concezione senza il minimo appiglio nelle lettere paoline. Questa interpretazione fa corpo con le teorie liturgiche e teologiche di O. Casei e del suo discepo­ lo V. Wamach, nella scuola del monastero di Maria-Laach. Per la bibliografia, cfr. La Maison Dieu, n. 14, 1948; TH. FILTiiAliT, La 1béologie des mystères. Exposé de la controverse, Paris 1954. Numerose opere di O. Casei sono state pubblicate in traduzione francese nella collana ·Lex Orandi·, Paris, Éd. du Cerf. 45 DUNN, p. 31. ,

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40

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l'uso del termine non è unifo�·. Anche nella nostra �pistola il sensò oscilla tra la riproduzione plastica di un modello (1 ,23) e l'imitazione di un comportamento (quello di Adamo, escluso in 5,14). In Rom 8,3 e Fi/ 2,7, il termine hom6i6ma serve ad esprimere il fatto dell'incarnazione: Gesù, dotato di una umanità completa, com­ presa la morte, con la differenza, però, che se Gesù condivide con l'umanità comu­ ne la morte conseguenza del peccato, il peccato stesso gli è risparmiato46• Non c'è quindi identità assoluta tra il Cristo e gli altri uomini. Nel nostro passo il ricorso ad hom6i6ma svolge chiaramente il medesimo ruolo. Grazie al battesimo, il candidato è, sì, unito alla morte del Cristo e vi partecipa, ma non al punto che per questo debba morire fisicamente. C'è somiglianza, ma non identità quanto alla sorte. Può darci lume uno sguardo sull'uso di hom6i6ma47 nei Settanta. A volta i traduttori usa­ no il termine per una rappresentazione in forma plastica, in particolare per delle statue o riproduzioni idolatriche, in linea con quanto troviamo in Rom 1,23iA; altre volte si tratta della 'forma' di un oggetto (un altare, secondo Gs 22,28; 2 Re 16,10), altre ancora dell''a­ spetto' di una cosa49 o dell"andatura' di persone50• Più suggestivo per il nostro scopo è il ruolo di intermediario'H che i Settanta attribuiscono all' hom6i6ma specialmente quando si tratta di visioni soprannaturali che il visionario si arrischia a descrivere. Caratteristico di questa prudenza è l'esempio di Ezechiele. Quello che il profeta contempla non è altro che la •somiglianza (hom6i6ma) dei quattro viventi• (1,5)s2• Il trono di Dio non è altro che ·hom6i6ma di trono• (l ,26; 10, 1), la mano di Dio non è altro che ·hom6i6ma di mano· (8,3), e quanto a Dio stesso, il profeta gode solo della ·visione della somiglianza della glo­ ria del Signore· (be h6rasis homoiomatos d6xes kyriu) (1,28 [2,1]). Questi ultimi esempi pennettpno di meglio comprendere come bom6i6ma sia potuto venire sotto la dettatura di un frequentatore dei Settanta, nella posizione che questo termine occupa in Rom 6,5.

L'unione del cristiano, la sua partecipazione - salve tutte le proporzioni - alla morte del Cristo sul Calvario, è una realtà che dura ancora, come indica il perfetto gheg6namen. Il suo inizio, secondo il versetto 5, ha avuto luogo al battesimo. Ma, come abbiamo notato prima, questo rapporto sacramentale non è più menzionato

Cfr. p. 374. 47 Il termine ha parecchie corrispondenze ebraiche, soprattutto temunah e tabnft: in Ezechiele, bom6i6ma sta soprattutto per tJemut. 411 Es 20,4; Dt 4,16.17(bis).18(bis).23.25; 5,8; Sa/ 105 (ebr. 106),20 (cfr. qui, pp. 90-91); /s 40,18.19; 1 Mac 3,48. Altri casi analoghi: l Sam 6,5; 2 Cr 4,3; Sa/ 143 (ebr. 144),12; Ct 1,11; Sir 38,28. 49 Ct 1, 1 1 ; Ez 1,4. 16.26; 8,2. 'iO Gdc 8,18; Ez 23, 1 5; Dn 3,92(25), LXX. 51 È quanto non ha ben compreso U. VANNf, per non aver prestato sufficiente attenzione alla diver­ sità dei contesti e per aver ricondotto tutti gli usi di bom6i6ma nei Settanta al significato unico di -e­ spressione percepibile della realtà•. Vanni su questo punto è seguito da V.P. BRANNICK*, pp. 248-250. �2 Vedi anche l'uso di bom6i6ma a proposito del firmamento al di sopra delle loro teste (Ez 1 ,22). Altri esempi a proposito dei cherubini: Ez 10,8.10.21.22. i6 A DG, ecc. La sua presenza o assenza non modifica il significato. 101 Cfr. p. 1 19, n. 28.

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non ·sono stàti convertiti da ·tui: ma egli conta di còtnunlcare loro "qualche dono spirituale�� (1, 11). Quello che essi devono pensare di se stessi non è illusorio102, ma potrebbero dubitarne o trascurarlo. Questi cristiani sono ormai 'morti al peccato' . L'aggettivo nekr6s indica lo stato attuale che risulta dalla morte che hanno sperimentato insieme con il Cristo. Que­ sta, Paolo lo ha detto (v. 2), è stata una morte al peccato e resta tale se il rigenerato non vi frappone ostacoli e se si lascia guidare dal medesimo Spirito che ha risusci­ tato Gesù (Rom 8,11)1°3. Questo Spirito è anche 'vita' per il credente (8,2) e così gli dà la contropartita104 della morte subita insieme con il Cristo. Come per il Cristo, questa vita è una vita 'per Dio'10S, vissuta fin dal presente106, nella speranza della 'vi­ ta eterna'. Non si tratta solo di condotta morale, anche se questa, come vedremo, è implicata, bensì di una animazione nuova, radicale, al 'cuore' della persona umana, che la muove e la inclina verso Dio e la sua volontà (6, 17). Questa vita per Dio si realizza, e si può realizzare, solo "in Cristo Gesù•107, nel quale risiede e si compie o­ gni potenza di redenzione e di salvezza 108• Per chiudere questo paragrafo, ecco ora (6, 12-14) un'applicazione diretta che Paolo rivolge ai cristiani di Roma in tono di parenesi. Questa si sviluppa in un gio­ co di opposizioni (si noti mé[. ..] medé [. . .] aliti. . , ai versetti 12-13) e riceve, per fini­ re (v. 14), la ragione che la fonda, introdotta da un gar. L'applicazione, segnalata subito da un 'dunque' (un), si innesta su uno stato di fatto, oggetto dell'esortazione che Paolo rivolge ai suoi lettori:_ essi sono 'morti al peccato' e 'vivono per Dio'. Si considerino, dunque, come tali. Ma non si tratta uni­ camente di una certezza teorica, come si aderisce ad un dogma senza che esso mo­ difichi la condotta . La condotta non può né deve essere quella che questi convertiti seguivano prima di incontrare il Cristo attraverso l'annuncio del vangelo. Ma questo non può avvenire senza lotta da parte dei giustificati. Certo, essi hanno la garanzia degli effetti della redenzione: per loro il peccato ha ceduto il suo 'regno' a quello della giustizia (5,21). Ma questo dominio sul peccato è stabilito come fatto perma­ nente solo se le sue vittime di una volta combattono quotidianamente109 una lotta .

102 103

Cfr. l'uso del medesimo verbo in Rom 2,3.

Vedi Rom 8, 1 1 . Sulla costruzione classica mèn [ . .] dé . , cfr. p . 124, e n. 71. tos Cfr. p. 312. 106 Il participio presente zontas si allinea sull'aggettivo nekrUs per indicare una situazione attuale del credente. Questo participio, come parallelo a nekrns, ha valore di aggettivo (cfr. BDR, pp. 339-341 § 412) e nelle traduzioni deve prendere il plurale. 107 Sin C koiné, ecc. aggiungono qui 'nostro Signore'. �� Cfr. p. 197. Sul nome di Cbrist6s, cfr. p. 27. 109 Si noti l'imperativo presente me basileuét6 (cfr. BDR, p. 274 § 336), ne ll a stessa linea di médè pa­ ristanete e a differenza dell'aoristo ingressivo parastisate al versetto successivo. Su questo uso di ba­ siléuein, vedi p. 279, n. 49. 104

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contro i suoi a ssalti Paolo, infatti, ·istruito dall'esperienzà, non nutre ·su questo pun• to alcuna illusione: ciò che è ormai reso possibile non è acquisito in maniera auto­ matica. Il peccato (anche qui personificato) è sempre incombente e potrebbe eser­ citare il suo potere sul 'corpo mortale' dei credenti. L'espressione stupisce per due motivi: perché parlare qui di 'corpo' e perché qua­ lificarlo con quell'aggettivo? Con il primo termine Paolo intende le membra della persona umana, e non soltanto il suo essere organico110• Questa persona, se si sottrae alla redenzione, è votata al peccato e, per questo fatto, alla morte: il 'corpo di pecca­ to' (6,6,) è, per via di conseguenza, un 'corpo mortale'm, votato alla morte (vedi an­ che 7,24). Il riscattato che non combatte costantemente una lotta difensiva si vede trascinato ad «Obbedire alle brame•112 di questo corpo113, non solo a quelle che nasco­ no dagli istinti propriamente fisici (come in Rom 1 ,24.27), ma anche le aspirazioni disordinate della persona: •ogni sorta di desideri (7,8), tra i quali vanno annoverati quelli che trascinano l'uomo ai litigi, alle gelosie (13,13)114 e a molti altri vizi che Pao­ lo enumera in Ga/ 5,19-21 come prodotto del «desiderio della carne· (Ga/ 5,16). L'ammonimento si prolunga al versetto 1 3m dove, invece del 'corpo', sono le -membra" (méle) ad essere, nella parte negativa del versetto, oggetto dell'ammoni­ zione. Le 'membra' come strumento del peccato sono senz'altro di ispirazione giu­ daica116. A conferma citiamo il secondo Baruch (49,3), il quale parla, nella prospetti.

..

no Cfr. p. 307. CRANFIEI.o, p. 317, fa opportunamente ossetvare che 'mortale' è, per Paolo, proprietà dell'uomo tutto intero, in conseguenza della trasgressione di Adamo. 111 7bnét6s a proposito del corpo: vedi Rom 8,11 (thnetà somata hyman). Nel Nuovo Testamento, questo aggettivo è risetvato a Paolo. Aggiungi 1 Cor15,53.54; 2 Cor4,11; 5,4. 112 Su epithymia, cfr. p. 96. Il verbo hypakUetn, con complemento di cosa, come in Rom 6,17; 10,16: 2 Ts 1,8; 3,14, ha il significato di 'sottomettersi a', 'lasciarsi guidare da'. Già nel greco classico e profano: EscHINE, 1,49 (byp. tois n6mois, 'alle leggi'); FLAVIO GIUSEPPE, A} 111,207 (byp. tois /eg6menois), 'alle istru­ zioni date'; V, 198 (t6is n6mois). 113 Una variante, soprattutto 'occidentale' (� D G) in luogo di tais epithymiais autu (con s6ma come antecedente del pronome) porta tais epithymiais aute, con bamartia come antecedente del pronome, il che modifica la logica della frase (·obbedire al peccato per mezzo delle brame•), conferendole, però. un andamento goffo. Un'altra variante (raccolta nel Textus receptus) fonde le due lezioni per ottenere un testo senza difetti, con eis tò hypakUein aute en tais epithymiais autu (l'omissione di tais epithJmfais autu nel minuscolo 618 non può che essere accidentale). La sostituzione di aute ad autu si può spiega­ re con l'idea simile, confermata al versetto seguente, di mettersi al servizio del peccato (paristimein té hamartia). La lezione con autu, sostenuta da dei testimoni alessandrini e da alcuni 'occidentali', è indi. scutibilmente la più sicura. 114 Cfr. anche pp. 345-346. us Secondo H. HAGEN• (cfr. anche qui, p. 326, n. 49) il versetto 13 sarebbe una glossa, visto che se­ para maldestramente i versetti 12 e 14 (che hanno in comune il tema del regno o dominio del peccato) e introduce un cambiamento di persona. Ma lo stile di Paolo è abbastanza mutevole perché una simile spiegazione venga evitata. Del resto, l'imperativo alla seconda persona è già presente al versetto 11. I­ noltre, il versetto 13 si legge nel Papirus Chester Beatty (ca. 200): vedi H. MICHEL•. 116 Vedi in particolare E. SCHWEIZER•, presso il quale si troverà una documentazione più sviluppata.

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va della risurrezione, di ·quelle membra cariche di vincoli che Ora ·sOno nei mali e nelle qua li si compiono i mali,.m. Paolo qui si allinea su questa concezione che ri-­ troviamo più avanti (Rom 7,23) con la legge del peccato nelle tnembra111\ per espor­ re nei pàrticolari le virtualità del 'corpo'119, portato al peccato e, di conseguenza, vo­ tato alla morte110• I cristiani, prosegue Paolo, non devono mettere queste membra o questo corpo a disposizione121 del peccato, come delle 'armi' o 'stru me nti' a s uo servizio. Il termine h6plon è preso ora in senso militare, ora in senso generale di 'strumento', di 'attrez­ zo'm. Se ci si ispira sia all'uso di Paolo in Rom 13,12 e 2Cor6,7; 10,4, sia al contesto immediato che esorta alla difesa contro il potere del peccato, si opterà con maggio­ re sicurezza per il primo significato123• Le anni possono essere usate per il bene o per il male124• Paolo utilizza la metafora 125 per esortare i suoi lettori, in primo luogo a non offrirsi al peccato (qui di nuovo personificato) perché si serva di loro per com­ mettere }''iniquità' (adikia) sotto tutte le sue forme, e in secondo luogo, positiva­ mente, a mettersi al servizio di Dio126 come 'armi di giustizia'. Quest'ultima espres­ sione risente forse di certe immagini del libro di Isaia127• Essa significa che, per quan-

111 se cond o la trad. di}. Hadot. Sulle membra a servizio della 'cattiva tendenza' �erba-ra,, vedi la documentazione in BILLERBECK, t. III, 470; t. IV/l, 95 ; J. HORST, art. Mé/os, in 7bWNTIV, 563 (trad. it., in GINfVI, 15 12s.]. 11" Diversa è la concezione in 1 Cor 6,15a, con il corpo dei cristiani come membra del Cristo. 119 Si eviti di lasciarsi qui influenzare dall'allegoria delle membra presentata in 12,14-27, la qua le è di ispirazione diversa. 120 Cfr. Rom 7,20 e 7,24. 121 Paristanein, forma ellenistica, e paristana i si ritrovano nella medesima funzione in 6, 16.19 (bis). In questo stesso versetto 14 si trovano successivamente la forma ellenistica (a partire da PoLIBIO, 111,96,3; vedi EPJ1TI.To, Diss. III, 22,87, ecc.) e la forma classica (all'aoristo l, parastisate). Questo verbo, lo stesso significato che ha qui lo ha anche in Mt 26,53; At 23,24. Altri esempi del medesimo verbo in Paolo: Rom 12,1; 14,10; 16,2; 1 Cor8,8; 4,14; 1 1, 12; Co/ 1,22.28; E/5,27; 2 Tm 2,15; 4,17. 122 H6plon ha innanzituno questo significato generale, mentre l'applicazione alle 'armi' è soltanto de­ rivata. Omero usa il termine per gli strumenti del contadino (Iliade, 18,409.412; Odissea, 3,433). Pe r quanto riguarda l'uso, si può paragonare questo termine greco all'ebraico kelfe all'aramaico md'na. m Cfr. p. 79. 124 Ved i CRISOSTOMO (PG 60,487), il quale sottolinea l'ambivalenza delle armi, a seconda che siano nelle mani di un soldato a difesa della patria, o in quelle di un ladro. m I n questo senso CRISOSTOMO ( PG 60,487), CALVINO (Tholuck, p. 100) e, tra i moderni, SANDAY-HfAO. LAM, p. 16 1; l.AGRANGE, pp. 153-154; HUBY, p. 2 16, n. l; MICHEL, p. 157; I..EENHARDT, p. 97; ScHUER, p. 203; WILCKENS, t. Il, 20; FITZMYER, pp. 446-447, ecc. (vedi ScHUER, p. 203, n. 25). CRANFIELD, p. 318, osserva che il significato di 'strumento' o di 'attrezzo' è adatto al contesto anche a causa dell'idea di schiavo e­ spressa in 6,6.16.17.18. 19.20.22 e del motivo antico che fa dello schiavo come lo strumento del padrone (ARISTOTELE, Et. a Nicomaco, 1161b: émpsycbon 6rganon, 'uno strumento animato'). Tuttavia l'uso paoli­ no costante di b6plon pare prevalere nell'interpretazione di questa metafora. u6 Cfr. p. 339. 127 Cfr. /s 9 ,3 -4 ; 1 1,4-5; 59 ,17 .

316

/

Il vangelo potenza di salvezza per i giudei e i gentili

to giustificato sia, il credente è indotto a. combattere in vista della giustizia128, perché la giustizia non è stabilita in lui senza che egli contribuisca alla sua salvaguardia e alla sua crescita. Essa può quindi perdersi se il credente cessa di lasciarsi guidare dallo Spirito. Ma questa è una anomalia e una distorsione dell'ordine divino. Nella parte positiva dell'esortazione Paolo inserisce un confronto che fissa il nu� vo statuto dal quale scaturisce l'impegno. L''uomo vecchio' (v. 6) riceve da Adamo la morte come sorte (5, 12). Il cristiano riceve dal Cristo risorto una vita che deve continuare nell'eternità (Rom 8, 1 1). Legittimamente, quindi, Paolo riprende, appli­ candolo ai cristiani, quanto ha detto altrove del Cristo, pur evitando l'uso del verbo 'risorgere' (confronta 6,9), perché ciò che è vero del Cristo non è ancora vero dei cristianP29: essi sono soltanto ..viventi (ritornati) dai morti•. Curiosa questa espressio­ ne che prende le ultime parole (ek nekrOn) dalla formula stereotipata per designare la risurrezione130 a partire dal soggiorno sotterraneo dei morti, mentre si tratta di persone ancora in vita. Ma questa vita naturale, se è vissuta sotto il potere del pec­ cato, è anche una 'morte', essendo priva del contributo divino che del 'corpo mor­ tale' fa un candidato virtuale all'immortalità. Così Paolo può scrivere che colui che si offre a Dio per la battaglia della giustizia è veramente sopravvissuto ad una morte131, morte garantita, quindi prolettica (e non soltanto metaforica) nell'uomo sottratto alla grazia redentrice. La prima frase del versetto 14 viene intesa in modi diversi a seconda dei com­ mentatori : si tratta di una promessa o di u n ordine (con futuro di valore imperativo)132? L'ordine non manca di presentare difficoltà, perché in questo caso il versetto 14 non sarebbe altro che la ripetizione di quanto è stato già detto ai verset­ ti 12-13a. D'altra parte non si capisce bene come il versetto 1 4a, così compreso, possa essere, come indica il gar, la giustificazione di quanto Paolo ha appena detto. Una promessa o l'enunciato di uno stato si prestano, al contrario, a dare fondamen­ to alle consegne imperative che precedono. Ma bisogna sempre stare attenti a non fraintendere la promessa. Paolo non può voler dire che una persona, una volta impegnata nel cristianesi­ mo, è ormai al riparo dal peccato: egli ha visto abbastanza i cristiani all'opera (in particolare a Corinto) per non farsi simili illusioni. In compenso, egli può assicurare ai suoi lettori che, per loro, il potere del peccato - inteso nel senso personificato Il genitivo dikaiosjnés indica la destinazione. Js 1 1 ,5 (la giustizia come cintura); 59, 17 (la giustizia come corazza: vedi E/6,14). 130 Come il primo t6 the6, il secondo è complemento di parastesate. 131 H6séi non vuoi dire 'come se': cfr. BAUER, col. 1 794; LAGRANGE, p. 153, rende bene il pensiero: -co­ J:zs

129

me viventi, da morti che eravate-. Cfr. anche HUBY, p. 216; lEENHARDT, p. 94; TOB; Bj. VIARD, p. 148, con •viventi strappati alla morte• non traduce h6séi. m In questo caso il versetto si allinea sull'uso ebraico, in particolare quello della lingua legale del­ l'Antico Testamento (cfr. BAUER, p. 292 § 362,1).

La grazia non autorizza il peccato (6, 1-14)

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che ha al versetto 13a - non si eserciterà su loro come si esercita sull'umanità non riscattata, cioè in modo ineluttabile. Questa interpretazione, da una parte, è in linea con il contesto che precede: l'esortazione positiva del versetto 1 3b riceve in questo caso una garanzia che incoraggia i lettori a fare di tutto per realizzare ciò che onnai è reso possibile. D'altra parte, questa garanzia è essa stessa immediatamente giusti­ ficata dalla seconda parte del versetto 14 (introdotta anch'essa da un gar). Il pecca­ to non sarà più ormai il padrone del cristiano, il quale potrà resistere al suo potere, perché ormai ha scambiato un dominio con un altro. Ci si aspetterebbe di leggere, al versetto 14b, una frase del tipo: ·perché voi non siete sotto il peccato (hyph 'bamartian), ma sotto la grazia". Ma ecco che fa la sua comparsa la 'Legge'. Questa Legge, qui e al versetto successivo, non può essere al­ tro che la legge di Mosè. Malgrado la mobilità del concetto di 'legge' ( n6mos) in Paolo133, visto che qui il tennine e la nozione si oppongono alla 'grazia' (chtirisY}4, non è possibile dubitare: si tratta di due regimi, il secondo dei quali subentra al pri­ mo, l'uno caratterizzato dalle 'opere', l'altro dalla gratuità di un intervento divino al quale l'uomo risponde con la fede. L'uno produce la trasgressione e il castigo, l'al­ tro dà la giustizia e il suo coronamento nella vita eterna. Ecco allora la domanda che si presenta: come può Paolo scrivere ài cristiani di Roma che essi non sono soggetti alla Legge (e per questo stesso fatto sottomessi al peccato): lo sono mai stati? Sappiamo dallo stesso Paolo che la comunità romana, pur comprendendo dei giudeo-cristiani, allora era formata anche da cristiani venuti dal paganesimo (Rom 1,6. 13)135, i quali, stando alla testimonianza dei testi, non pro­ vavano l'attrattiva dei loro omologhi di Galazia per il giudaismo e le sue osservan­ ze. Eppure è proprio a loro che Paolo si rivolge in 6, 1 4b. Di fatto, ciò che conta pri­ ma di tutto, tenuto conto dei destinatari, è la seconda parte, quella positiva, di que­ sta frase contratta. Siccome sono 'sotto la grazia', i cristiani sono liberi dal dominio del peccato, ma anche dal regime della Legge, regime, secondo Paolo, alleato del peccato. La Legge, di cui qui Paolo poteva benissimo fare a meno di parlare, torna quasi istintivamente sotto il suo dettato, tanto essa è presente sullo sfondo della sua riflessione.

1�3

Cfr. pp. 132. 185. Cfr. p. 41. Sull'assenza dell'articolo davanti a n6mos e a cbarls, cfr. BDR, pp. 205-206 § 255 (omis­ sione dell'articolo dopo una preposizione) e pp. 206-208 § 258,2 (omissione dell'articolo davanti agli a­ l}4

stratti, in particolare n6mos). m Cfr. pp. 15-16.

318

Il vangelo potenza di salvezza per t giudei e i gentili

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Secondo stadio (6, 15-23)

·�che mai? Ci metteremo a peccare perché non siamo sotto (la) Legge, ma sotto (la) gra­ zia? È assurdo! '6Non sapete che, se vi mettete a servizio di qualcuno come schiavi per obbedirgli, siete schiavi di colui al quale obbedite: sia del peccato che porta alla morte.

La grazia non autorizza il peccato (6, 15-23)

3 19

sia dell'obbedienza che conduce alla giustizia? 17(Rendiamo) grazie a DiÒ, 'perché eravate schiavi del peccato, ma avete obbedito di (tutto) cuore al modello di dottrina al quale sie­ te stati affidati. 'HC:osì, liberati dal peccato, siete stati resi servi della giustizia. '9f>arlo un linguaggio umano a causa della debolezza della vostra carne. Come infatti ave­ te messo le vostre membra a servizio dell'impurità e dell'iniquità, per l'iniquità, così ora mettete le vostre membra a servizio della giustizia, per la santificazione. ZOQuando infatti eravate schiavi del peccato, eravate liberi nei riguardi della giustizia. 21Ma quale frutto raccoglievate allora da cose di cui ora vi vergognate? Il loro termine infatti (è) la morte! 220ra, invece, liberati dal peccato e fatti servi di Dio, raccogliete il frutto che vi porta alla santificazione e come fine (avete) la vita eterna. 23Perché il salario del peccato (è) la morte; ma il dono di Dio (è) la vita eterna in Cristo Gesù nostro Signore.

In 6, l S Paolo rilancia la risposta alla prima obiezione fonnulata in 6, l , prova del­ la gravità che essa riveste ai suoi occhi, in quanto corruzione del suo messaggio più essenziale. L'insieme che occupa i versetti da 6,15 a 6,23, dopo la ripresa dell'obiezione e del suo rifiuto formale (v. 1 5), espone la risposta propriamente detta. Non c'è da stupirsi se si troveranno in ciò che segue alcune ripetizioni su un argomento già af­ frontato. Ma Paolo non si ripete mai interamente e, come vedremo, nozioni e me­ tafore nuove chiariscono e completano la difesa precedente. Qui il tema centrale che contribuisce all'unità della pericope è duplice e antitetico: schiavitù e libertà•. Un altro contrasto2 si stabilisce tra 'un tempo passato' e il 'presente'3, che non coin­ cide con l'articolazione precedente, perché, lo vedremo, la schiavitù si estende sia sull'attualità del credente che sul suo passato precristiano: il convertito vive para­ dossalmente la sua libertà come schiavo di Dio (v. 22). La comparsa di un altro mo­ tivo a partire dal versetto 20, anche se senza rottura con quanto precede, segnala u­ na seconda tappa nella pericope: Paolo argomenta allegando il risultato dell'uno e dell'altro statuto, con i temi e le metafore del 'frutto' e del 'salario'. L'obiezione rimbalza al versetto 15. La domanda retorica dell'inizio (ti un, 'che dunque'?)'' suppone l'ellissi del verbo che si trova nella formula completa in 4,1 e 6, 1 . Il rifiuto me gbénoito è lo stesso che in 6,2a ed in altri passi delle epistole5• Tra 1 Qui troviamo, da una parte, sei volte dulos (v. 1 6 [bi.si.l7.19[bis).20); due volte dulun (vv. 18 e 22); dall'altra, una volta eléutheros (v. 20) e due volte eleuthen2n (vv. 18 e 22) 2 Cfr. Dt:NN, p. 335. 3 Cfr. p. 327. 4 Su un nelle domande, cfr. p. 163, n . 129. ; Cfr. p. 167. n. 148. Altri esempi della formula ellittica in SENOFONTE, Memorabili IV,2,17; FLAVIo Gru­ .

SEPPE,

Bj 11,264.

Il vangelo potenza di salvezza per i giudei e l gentt/1

320

i due, l'obiezione viene formulata dallo stesso Paolo nella forma di una conclusione falsa che si sarebbe tentàti di trarre dalla sua dottrina. La conclusione è in sostanza la medesima che in 6,1b: essa consiste nel lasciarsi andare al peccato6, benché qui Paolo faccia astrazione da una eventuale permanenza del cristiano in una situazione superata'. La ragione allegata differisce un poco nelle due parti. In 6, l Paolo consi­ dera il caso di un cristiano che continua a condurre la vita di peccato che conduce­ va prima della sua conversione, con il pretesto che così facendo dà a Dio l'occasio­ ne di esercitare la sua grazia redentrice. L'argomento è che il cristiano non è più ..sotto la Legge, ma sotto la grazia•8• La 'grazia'9 è di nuovo menzionata come prete­ sto, .rappresentata anche qui come un'autorità10 alla quale sono sottomessi i rigene­ rati. A questa autorità, come al versetto precedente, si oppone quella della Legge (n6mos). Dal fatto di essere stati sottratti al potere di questa legge per essere trasfe­ riti sotto il potere della 'grazia', si potrebbe dedurre che Dio ha tutto il vantaggio a vedere i cristiani offrirgli più occasioni possibili di esercitare il suo favore e il suo perdono. Il ritorno della Legge (qui certamente la legge mosaica)1 1 nell'argomenta­ zione di Paolo, già avvenuto al versetto 14, delinea il rifiuto e il contrasto per così dire ossessivo dell'Apostolo quando si tratta di chiarire i nuovi rapporti di Dio con l'umanità. Che si sia ebrei, come Paolo, o ex pagani (quindi mai stati soggetti alla Torah), si avrebbe torto se si adducesse questa novità a pretesto per offendere Dio. Nella risposta che Paolo sviluppa a partire dal versetto 16 si nota una prima tap­ pa che comprende i versetti da 16 a 1912• Subito Paolo mette in gioco una immagine che porterà avanti fino al tennine della pericope. Per mostrare l'incompatibilità tra il peccato e la nuova situazione dei cristiani 'sotto la grazia', egli adduce13 la sorte del­ lo schiavo sottomesso ad un padrone. È una situazione alla quale quella dei cristia-

6 Il congiuntivo deliberativo bamartis6men (cfr. RAGON-RENAULD, p. 254 S 3 1 1 ; BDR, p. 295 § 366) è parallelo al futuro deliberativo epiménumen (se lo si mantiene) in 6,1b. La variante all'aoristo indicativo hémartésamen (G, ecc.) è da rifiutare come aberrante. Deve essersi introdotta per influsso del latino il cui futuro peccabimus è stato confuso con peccavimus. Alcuni minuscoli qui hanno il futuro indicativo bamartisomen, senza cambiamento di significato rispetto al congiuntivo bamartis6men (vedi supra). L'assenza dell'articolo davanti a n6mos e cbarin è normale dopo una preposizione e davanti a nomi astratti (cfr. BDR, pp. 205-206 § 255; pp. 207-208 § 258). Cfr. p. 297. 9 Cfr. p. 41. 10 Su questo sfumatura di hyp6, cfr. p. 178, n. 23. 11 Cfr. p. 31 7 . 12 Cfr. p . 322 . u L'espressione uk 6idate (vedi anche 1 1,2), come J agnoeite (6,3; 7 , 1) ha solo valore retorico (cfr. p. 299). Si noti il passaggio dalla prima alla seconda persona del plurale. Per un fenomeno analogo, ve­ di 7 4 8 ; 8, 1 1-13. 1 5-16; 13, 1 1 . 13-14. - La variante (D G) che pone un i davanti ad uk avrà subito l'in­ fluenza della formula � uk 6idate in 1 Cor 6,2.9. 16 (v.l.).19 (vedi anche i agnoeite in Rom 6,3; 7 1) . Il si­ gnificato non ne viene modificato. 7

11

,

-

,

La grazia

non autorizza ilpeccato (6, 15-23)

321

ni è simile, somiglianza che vale sia che essi si sottomettano al peccato, sia che ob­ bediscano a Dio. Ma non si �può essere schiavi dell'uno e dell'altro. •Nessuno può servire due padroni,/'. I cristiani, quindi, devono assolutamente sottrarsi all'asservi­ mento del peccato, liberazione già avvenuta per effetto della redenzione, ma che resta ancora da portare a termine con l'aiuto dello Spirito. Si può così riassumere l'argomentazione di Paolo in questo passo, argomentazione con la quale continua a difendersi: come osano alterare il suo pensiero vedendovi un incoraggiamento a peccare? È il contrario che egli qui espone! Se è. possibile riassumere il contenuto dei versetti da 16 a 1 9, si fa più fatica a trovare in essi una logica senza inciampi. Ci si aspetterebbe un vero e proprio con­ fronto, come quello che si trova in Mt 6,24, con due membri distinti. Qui non è co­ sì: i due elementi si compenetrano, perché è ai destinatari che Paolo pensa fin dal­ l'inizio del versetto 16, e non al caso astratto di uno schiavo sottomesso ad un pa­ drone, al quale si potrebbe poi paragonare il caso dei cristiani. Ma è proprio vero e proprio leale pensare che i cristiani di Roma si dividevano tra due servitù e, di con­ seguenza, tra due obbedienze? È quanto lascerebbe supporre il versetto 16, che il

versetto 17 viene subito a censurare. È patente l'imperizia con la quale Paolo antici­ pa al versetto 16 un discorso alla seconda persona, che dovrebbe apparire solo al versetto 17. Ma consideriamo più da vicino il versetto 16. L'idea di mettersi al servizio15 di qualcuno come schiavo, in vista di obbedirgli, fa di colui che si impegna in questo modo lo schiavo di colui al cui servizio egli si è messo. È questo il primo enunciato di cui è fin troppo facile notare le stranezze. In effetti, la frase si presenta come una tautologia. Il caso supposto è quello che si presentava nel mondo mediterraneo dell'epoca, quando delle persone si davano ad un padrone come schiavi per necessità economiche, ed anche per elevarsi social­ mente16. Ma serve aggiungere che il caso implica, allora, che si sia schiavi del pa­ drone al quale si obbedisce•J? No, e la logica dell'insieme farebbe a meno del termi­ ne dulos nella prima frase. Se Paolo lo introduce, è per insistere su un asservimento tutt'altro che sociologico, asservimento che egli ha già in mente e che, lo abbiamo •• Mt 6,24. Per i paralleli, cfr. DAVIES-AlliSON, Mattbew, t. I, 641-642.

15 Sulla fanna ellenistica paristanein, cfr. p. 3 1 5 , n. 121. Vedi, tra gli altri, S.S. BARTCH�, p. 46. L'autore cita DIONE CRISOSTOMO (15,23): ·Un grande numero di uomini, lo si può supporre, persone nate libere, si vendono come schiavi, in modo da essere schiavi per contratto (katà syngrapbén)• . Si trattava, osserva Bartchy, verosimilmente di un contratto limitato nel tempo. La Bibbia conosce il caso dell'israelita che si è venduto come schiavo (Lv 25,29-53; Dt 15, 12-18). Cfr. R. DE VAux, Les Institutions de l'Ancien Testament I, Paris 1956, 128-1 29. 17 Dal punto di vista della sintassi, le due relative che si susseguono sono fuori posto. In luogo della prima, ci si aspetterebbe una temporale-condizionale con b6tan seguito dal congiuntivo paristanéte e dal dativo tini (vedi la traduzione in LAGRANGE, p. 125: ·Se vi siete dati a qualcuno come schiavi•). A proposito della seconda relativa, il dativo dopo bypakUein (in luogo del genitivo) è ben attestato nel greco classico ed ellenistico (vedi i riferimenti in BAUER, col. 1 668, 1 ; BDR, p. 142 § 173,3). 16

n vangelo potenza di salvezza per i giudei e i gentili

322

detto, penetra nella frase alla seconda persona. Nella stessa linea, le parole eis hy­ pakoén ('in vista dell'obbedienza')!8 risultano ridondanti, perché è ovvio che ven­ dersi come schiavi non può avere altro effetto né altro scopo. Ma aggiungendo que­ sta precisazione, Paolo anticipa una nozione che, in ciò che seguirà, viene trasposta ad un altro ambito. La seconda frase del versetto non manca, a sua volta, di incuriosire il lettore at­ tento. Essa si presenta come un'alternativa: la schiavitù alla quale ci si è votati lega lo schiavo o al peccato o all'obbedienza. Nel primo caso, lo schiavo è destinato alla morte; nel secondo, il risultato è la giustizia. Qui si abbandona ogni idea generale sulla schiavitù, per non vedere altro che un modo immaginifico di esprimere dei te­ mi paolini. Ma non senza qualche sorpresa. Paolo ci ha appena detto che sottomet­ tersi alla schiavitù di un padrone ha come scopo o come conseguenza l'obbedienza nei confronti di questo padrone (eis bypakoén). Ma ecco che nel seguito del testo, l'obbedienza (bypakoé) si presenta soltanto come una delle alternative19: la schia­ vitù può anche asservire al peccato, contrario dell'obbedienza. Continuando l'esa­ me, si osserva che se 'peccato' e 'obbedienza' si corrispondono facilmente come due nozioni antitetiche, lo stesso non si può dire dei loro effetti o conseguenze. Il peccato porta la morte, e si sa già che è a causa di Adamo (5, 12). Proseguendo, ci si aspetterebbe di leggere che l'obbedienza porta la vita, cosa che peraltro ci viene detta altrove, quando Paolo presenta l'opera del Cristo (5, 17. 19). Menzionando qui la 'giustizia' (dikaiosjne)2°, Paolo sbilancia l'alternativa. È vero che la giustizia - lo stato dell'uomo rinnovato dalla grazia di Dio che perdona - è il cammino che porta alla vita (Rom 5, 18) e si capisce come Paolo ci tenga a dire già qui ciò che costitui­ sce un tema maggiore nel seguito (6, 18.19.20). Resta comunque che uno scrittore all'opera in una situazione di calma riposante avrebbe prodotto un testo meno cao­ tico di quello che Paolo ci offre in questo versetto. La situazione descritta al versetto 16, nonostante certe apparenz&t, non è quella dei cristiani di Roma, o piuttosto si tratta, per loro, di una situazione passata22• An­ che qui l'espressione non è perfetta. A prendere la prima frase del versetto 17 alla lettera, si ha l'impressione che Paolo ringrazi Dio23 per il fatto che i suoi corrispon-

n.

18 Sull'assenza di articolo, qui per due motivi (dopo una preposizione e con un astratto), vedi

7.

supra.

19 Espressa con itoi [. .) i. . , unica ricorrenza della prima particella nel Nuovo Testamento. La troviamo nel greco classico e nei papiri. Vedi anche Sap 1 1 ,8. lO Cfr. pp. 65.194-195. 2' Cfr. p. 320. 22 Il dé, qui ha tutta la sua forza avversativa. Confronta nynì dé in 3,21. 23 Nell'espressione chdris [. .] to the6, che ritroviamo tale e quale o in forma equivalente in Rom 7,25; l Cor 15,57; 2 Cor 2,14; 8, 16; 9,15, il termine chdrls qui non ha il significato teologico che gli è proprio all'interno della tematica paolina (cfr. p. 41). L'espressione (ellittica: cfr. BDR, pp. 105-107 § 128; si sup­ pone éie o ésto} è nota al greco classico ed ellenistico (cfr. BAUER, col. 1752,5). .

.

.

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denti sono stati un tempo «schiavi del peccato•. Certamente Paolo utilizza un artifi­ cio oratorio quando si felicita del fatto che gli uomini sono stati immersi nel pecca­ to, vedendo in questo disordine colpevole il 'terreno' favorevole sul quale Dio ha potuto esercitare con splendore la sua grazia misericordiosa24• Ma da ciò a ringrazia­ re Dio di un tale fallimento del suo piano, come un dono da parte sua, ne corre! In realtà, il ringraziamento non si riferisce alla prima parte del versetto, la quale non è altro che un semplice contrasto per far risaltare la seconda parte che esprime la si­ tuazione attuale e reale di coloro ai quali Paolo si rivolge. Costoro furono un tempo schiavi del peccato (qui, come già sopra, nel senso di potenza personificata che de­ termina l'umanità da Adamo e per la sua colpa)2S, ma ormai, poiché hanno dato la loro fede a Dio che perdona e salva nel Cristo, il loro stato è cambiato completa­ mente (il dé dopo hypèkUsate sottolinea questo cambiamento): queste persone han­ no ·obbedito di (tutto) cuorel6 al modello di dottrina al quale• esse sono •state affi­ date•. Quest'ultima frase presenta una certa difficoltà. Introdotta da Rudolf Bultmannr-, l'idea di una glossa molto antica in Rom 6, 17b si basa su li� osservazione della rottura che questa metà del versetto provoca in una suc­ cessione eccellente tra il versetto 17 e il versetto 18. A ciò si aggiunge, in questa metà versetto, la presenza di due espressioni non paoline (ek kardias e tjpos dida­ cbes). Infine, si fa notare la genericità e la banalità di questa ultima fonnula. Data 1'�­ nanimità della tradizione manoscritta, questo genere di obiezione deve essere tratta­ to con prudenza28• Ma l'insieme rimane in realtà di poco peso. Paolo non si preoccu­ pa dello stile e la congestione del discorso non è uno dei suoi difetti minori di scrit­ tore. Contro l'origine paolina non è un argomento valido l'eccezione costituita dalle parole ek kardias nelle epistole di Paolo29• Più strana è l'espressione tjpos didaches, di difficile interpretazione e soggetta ad esegesi notevolmente divergenti30• Possiamo, sommariamente, dividerle in tre categorie. l . Tjpos didacbes è sinonimo di di­ dacbé. Così tjpos (a causa di tjpos tu méllontos in Rom 5, 14) contrassegna la 'dottrina' (didacbé) con un tocco prefigurativo che ne fa come l"ombra' della verità che il credente

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Gal 3,22; Rom 1 1,32. Rom 5,12.18-19.

26 L'espressione greca ek kardfas non presenta altre ricorrenze nel Nuovo Testamento, salvo 1 Pt 1 ,22 Vedi ARisTOFANE, Le nuvole, 86. Il significato è 'sinceramente' come per apò kardias (TEocRITO, 29,4; EURIPIDE, Ifigenia in Aulide, 475; PLtrrARCO, Mor., 63a ) . - Sul 'cuore' nella lingua biblica, cfr. p. 87. -n Exegetica, 283 (pubblicato prima in Tb/2 72 [1947] 202). Sarebbero orientati nello stesso senso MI­ CHEL, p. 160; LEENHARDT, p. 99, n. l. 28 Cfr. a pp. 75-76, l e osservazioni a questo proposito. 19 Nel Nuovo Testamento si ritrovano solo in 1 Pt 1 ,22. L'espressione elt katbaras kardfas, in 1 Tm 1,5; 2 Tm 2,22, è diversa. 30 Se ne troverà una esposizione abbastanza dettagliata in U. BoRSE•, pp. 96-98.

n vangelo potenza di salvezza per i giudei e i gentili

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contemplerà nell'eternità (vedi Col 2, 16-17}n. Tuttavia, questo ricorso alla tipologia non quadra con il contesto; di più : a supporre che ci si possa ispirare a testi come Rom 5 , 1 4 e Col 2,17, in questi testi la tipologia considera la prefigurazione del Cristo e della sua ope­ ra nell'Antico Testamento con l'esclusione di una tipologia 'anagogica', nella prospettiva dell'aldilà. - 2. Di un punto di vista analogo, benché diverso, è la tesi di Udo Borse•, ispi­ rata anch'essa a Rom 5,14, che vede qui la 'dottrina del peccato' alla quale i destinatari sono stati essi stessi consegnati e che, come Adamo, e la sua opera in rapporto al Cristo e alla redenzione, sarebbe il 'tipo' autentico della 'dottrina della giustizia'. Una simile spie­ gazione è 'insostenibile'32 a causa della frase stessa in cui si trova l'espressione: Paolo rin­ grazierebbe Dio del fatto che i cristiani di Roma hanno obbedito con sollecitudine ( ek kardias) al male al quale sono stati 'consegnati'. - 3. Il tjpos didaches si riferisce all'inse­ gnamento cristiano. Ma qui, quante varianti! Innanzitutto, che senso bisogna dare alla pa­ rola tjpos, il cui valore non è costante nello stesso Paolo33? Per alcuni autori tjpos esprime l'idea di 'contrassegno', di 'impronta'34, e con essa, quella di 'modello' al quale i Romani si sono conformati nel loro accesso al cristianesimo e che ha segnato tutta la loro esistenza35• Più specificamente, Rudolf Bultmann qui riconosce la dottrina tipicamente paolina, cosa che pare difficile, visto che Paolo non ha evangelizzato i Romani. Per altri autori tjpos qui ha il significato di 'sommario', di compendium dottrinale o di 'insegna­ mento comune'36• Il legame con il battesimo, riconosciuto volentieri nel caso specifico. viene precisato quando, con alcuni esegeti'', qui si vede un modo di trasmissione in cui il candidato passa, come lo schiavo, da un padrone ad un altro, dal servizio del peccato al servizio della giustizia.

Consideriamo come la più attendibile l'esegesi che dà al tennine tjpos il significa­ to di 'condensato' , di compendiurrz38. Paolo è tutt'altro che avverso ad una concezio­ ne didattica della fede cristiana. In Rom 16,17 egli mette in guardia i suoi lettori con­ tro le reazioni critiche in seno alla comunità, reazioni che si opporrebbero alla ·dot­ trina che voi avete appreso· (tèn didacben ben bymeis ematbete). Altrove }"insegna­ mento' (didacbi) viene presentato come una delle funzioni dell'apostolo e come

31 È l'esegesi di 0RIGENE (PG 14,1061). 32 M . BoumER•, p. 142, n. 19.

'' Cfr. p. 280. � Così L. GOPPELT, art. Tjpos, ktl., in 7bWNfVIII, 250-251 (priigendes Bild). In questo senso R.A. GA­ GNO�, che si appella a Filone. 3� Nel medesimo senso, F.W. B�, · p. 209. 36 Così la TOB. H. ScHuER•, p. 64. precisa: ·il 'tipo' di insegnamento . . . che si può già concepire come primo gradino di un successivo simbolo di fede· {trad. it., 831. F lTZMYER, p. 449, pensa a a succint bapti­

smal summary offaitb to wbicb converts freely entrusted after tbey bad renounced ali enslavement to sin. 37

J. KDRzlNGER•;

F.W. B�.

Et. a Nicomaco Il, 2: tjp6 kài epf kepbaldi6i léghein, 'dire sommariamente e in sintesi': TEoFRAsTo, Ricerche sulle piante II, 5,12: b6s tjp6 parelabein, 'per dirlo in una parola'; PLUTARCo. Romolo, 3: tjp6 eipein; PLATONE, Repubblica, 414a: ba en tjp6, ecc. ·

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ARISTOTELE,

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una delle forme che assumono le manifestazioni carismatiche della Chiesa ( 1 Cor 14,6. 26). Ma qui è preferibile pensare che Paolo si esprima a questo proposito in termini diversi da quelli che egli usa: la frase suona strana, facendo di questo inse­ gnamento lo scopo dell'azione39 espressa dal verbo paradid6nai40• Ora, questo ver­ bo, quando si tratta di dottrina o qualcosa di simile, esprime la sua trasmissione a qualcunou, mai l'idea secondo la quale qualcuno sarebbe stato 'consegnato' o 'tra­ smesso' ad un corpo di dottrina. Se tuttavia ci si ispira al contesto, il medesimo ver­ bo può essere compreso senza eccessive difficottà·u. Paolo ci ha detto che i suoi corrispondenti hanno cambiato una servitù con un'altra: avendo abbandonato la schiavitù del peccato, eccoli ora sottomessi alla giustizia. Ma si può anche dire che essi sono stati 'consegnati' ad un tjpos didaches, se si dà alla parola tjpos il senso di 'modello' che ha in certi passi paolini43• 'Model­ lo' al quale i Romani si ritiene che si conformino e che è anche un insegnamento4\ quello che Paolo dispensa, sicuro con ciò di essere un fedele •amministratore dei misteri di Dio, (l Cor 4,1-3), quello inoltre che i Romani hanno ricevuto e di cui Paolo riconosce l'ortodossia (1,12). Questa sottomissione, però, esclude radicalmen­ te quella che lega i Giudei alla Torah4S, e Paolo non dimentica mai una antinomia che lo ossessiona e che fa un'apparizione al versetto 15 per tornare con forza a par­ tire dal capitolo 7. Questa sottomissione è anche una schiavitù che mantiene nella schiavitù del peccato da cui la fede nel Cristo libera coloro che l'hanno subita. È questo scambio di servitù che il versetto 18 esprime46• Infatti poiché sono stati li­ berati dal peccato47 mediante l'atto redentore del Cristo, i cristiani sono stati asserviti48

� Nella frase eis bòn pared6tbete tjpon dtdacbes, l'antecedente è stato trasferito nella relativa ( eis tòn tjpon [ . . . ] eis hòn pared6tbete). 10 Sul suo uso in 1,24.26.28, nonché a proposito della redenzione in 4,25; 8,32; 1 Cor 1 1,23b; Gal 2,20; E/5,2.25, cfr. p. 250. �� 1 Cor 11 ,2.23a; 15,3. �2 Vedi F.W. BEARE•. 43 Fi/ 3,17; l Ts 1,7, cfr. anche p. 280, n. 55 . ... In questo caso il genitivo didacbes è epesegetico o di apposizione. - Va esclusa l'idea del Cristo come modello (la sostiene, invece, DUNN, p. 344, basandosi su Co/ 2,6), perché qui didacbi ha sicura­ =

mente un valore diverso da quello semplicemente etico. 45 M. TRIMAILLE•, pp. 276-280, ha chiaramente mostrato l'antinomia implicita sottesa a questo passo. Vedi anche GRELO,.. , pp. 404-407. 46 Il dé dell'inizio ha valore di congiunzione ( kd1), non è avversativo. La sua sostituzione con un (Sin• C, ecc.) è un miglioramento motivato dalla lettura avversativa del dé. 47 La participiale e/euther6tbéntes, ktl., ha una sfumatura causale in rapporto alla principale (cfr. BDR, p. 346 § 418, l) e non esprime, rispetto ad essa, alcuna anteriorità. - Il verbo eleutherlln, a parte Gv 8,32.36, non si legge nel Nuovo Testamento se non in Rom 6,18.22; 8,2.21; Ga/ 5,1. Nel suo signifi­ cato proprio, il verbo eleutberlln viene usato per l'affrancamento degli schiavi (vedi i riferimenti in S. LÉGASSE, Galates, 367). Nel Nuovo Testamento il suo uso è unicamente metaforico. 48 Dulun si ritrova in Paolo in Rom 6,22; l Cor 7,15; 9,19; Ga/ 4,3; aggiungere n 2,3; 2 Pt 2,19. Il suo =

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Il vangelo potenza di salvezza per i giudei e i gentili

alla giustizia. Le due azioni contrarie sono simultanee e si completano. Ma il lessico esige qualche spiegazione: si tratta di un servizio dello stesso tipo da una parte e dall'altra? Certamente no, e Paolo ha chiara la coscienza dell'arditezza del suo discor­ so che usa lo stesso lessico per tradurre due situazioni che si escludono a vicenda. Donde una scusa sotto forma di inciso (v. 19a)49 in cui Paolo non risparmia i suoi lettori, perché è proprio a causa della loro debolezza che egli si esprime in questo modo. Si rimane tanto più impressionati, in quanto Paolo conosce poco i cristiani di Roma e sembra fuori luogo trattarli come ha fatto con quelli di Corinto. L'espressio­ ne ·la debolezza della vostra carne, caratterizza questi cristiani, che pur sono stati n­ generati dallo Spirito di Dio, come persone che partecipano ancora alla 'carne', all'u­ manità fragile e mortale50• Donde tutte queste precauzioni. Eppure un passo decisivo è stato compiuto dai cristiani ai quali si rivolge Paolo. Al versetto 19bc51 viene fatto un confronto che lo sottolinea con perfetta chiarezza. Si ritrova qui lo stesso tipo antitetico di Rom 5,18. 19, ma questa volta applicato alla condotta degli uomini secondo le due ere che si sono succedute. Le due ere vengo­ no presentate in termini vicini a quelli che si leggono in 6, 13, tuttavia con delle dif­ ferenze significative. Nella protasi, Paolo scrive che i suoi corrispondenti un tempo avevano preso una brutta strada mettendo le loro 'membra' al servizio52 dell"impu­ rità' e dell"iniquità'53• L'aoristo parest�sate è di tipo 'complessivo'54 e considera come significato non è 'servire' (come schiavo, significato di duléuein: cfr. p. 308, n. 69), bensì 'asservire', o 'mettere al proprio servizio'. Il passivo è 'divino', come per eleutber6tbéntes che precede. I due atti di­ pendono dall'operazione redentrice che ha Dio come autore. 49 Per altri casi simili e in termini analoghi, cfr. p. 169, n. 163. Secondo W.H. HAGEN•, Rom 6,19, co­ me Rom 6,13 (cfr. qui, p. 314, n. 1 1 5), sarebbe una glossa proveniente da un editore preoccupato di da­ re al testo una dimensione etica, secondo i suoi gusti troppo poco sottolineata. Ma perché mai Paolo. peraltro così incline al1a parenesi, non avrebbe potuto introdurre lui stesso questa nota qui, dove, d'al­ tra parte, si riconoscono le sue espressioni e il suo lessico? In realtà, il versetto 19 continua senza pro­ blemi !"indicativo' del contesto precedente. - Sull'eventualità di un costrutto cilicio nell'espressione anthropinon lég6, vedi S. LÉGASSE, Pau/ ap6tre e 41 e n. 2 [tra d. it., 36 e n. 2]. � Cfr. p. 186, n. 75. Ma qui non si è obbligati a dare alla parola 'carne' il significato moralmente nega­ tivo che Paolo le dà in altre occasioni. Sulla 'carne' e le sue variazioni in Paolo, vedi S. LÉGASSE, Galates. 4 1 2-4 1 5 . - La asthéneia, come in 8,26, qui è di carattere morale, a differenza di Ga/ 4,13, dove la stessa espressione 'debolezza della carne' esprime il cattivo stato di salute di Paolo al suo arrivo tra i Galati. �· Il gar dopo hOsper si collega a quanto precede l'inciso del versetto 19a e introduce la spiegazione del versetto 18. � 2 Qui ritroviamo il verbo paristanai del versetto 13a (cfr. p. 315, n. 121). Il tennine dilla qui è ag­ gettivo (l'unico caso di dulos come aggettivo nel Nuovo Testamento). In compenso, vedi Sal 1 1 8, 18: Sap 1 5,7; FLAVIO GIUSEPPE, A] XVI,156, ecc. È attestato l'uso anche nel greco classico. - Sulle 'membra'. cfr. p. 314. - La variante (G, ecc. ) che, invece di dula, ha l'infinito duléuein, è secondaria e non può prevalere sulla massa delle attestazioni manoscritte. - Altra variante (A): b6pla, invece di dula davanti a té dikaiosjné, per influenza del versetto 13. 5 ' Su l l' akatha �ia cfr. p. 95; sull anomia, dr. p. 225. Le parole eis tin anomian mancano in B, ecc.: saranno state giudicate ridondanti. 54 Cfr. BDR, p. 272 § 332 , l. .

'

la grazia

non

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un rutto la condotta precedente, la quale viene presentata come passata. A questa situazione si oppone un 'adesso' (njn)ss che è anche l'ultima fase della storia di Dio con l'umanità in questo mondo. Qui, però, Paolo cambia l'indicativo con un impe­ rativo parastésatec;,, il quale scaturisce dal primo, nel senso che l'azione di Dio, per ottenere l'effetto cui mira, richiede la risposta dell'uomo. Il suo scopo è fare in mo­ do che l'uomo metta la propria condotta in armonia con la •novità di vita" (6,4) or­ mai resa possibile grazie all'atto redentore. Questa condotta è anch'essa assoggettamento (si noti l'uso del medesimo aggetti­ vo duta·n nell'apodosi) e la vita cristiana non ha nulla di anarchico. Invece, però, di un servizio e di una tirannia che allontanano da Dio ed esprimono una rivolta con­ tro Dio, qui lo scopo è di sottomettersi alla 'giustizia'. Questa designa, come al ver­ setto 16, lo stato · degli uomini che hanno beneficiato, per la loro fede, degli effetti della redenzione. Sottomettersi alla giustizia significa impegnarsi nella linea di que­ sto rinnovamento con un'esistenza che sia ad essa conforme. Ma come la condotta perversa descritta nella protasi ha come scopo }"iniquità' (eis t�n anomian), i termi­ ni paralleli dell'apodosi (eis bagbiasm6ri)58 indicano la destinazione contraria della nuova servitù: è la santificazione (hagbiasm6s)19• Il termine, a differenza della 'giu­ stizia', ha una sfumatura attiva ed esprime il processo il cui risultato è la 'santità' (baghi6sjné). L'operazione ha Dio come agente principale60, ma collaborando quo­ tidianamente all'azione divina, l'uomo 'si consacra' o 'si santifica' (Ap 22, 1 1). Questa collaborazione è esplicita nel nostro passo al termine di una frase all'imperativo. Al versetto 20 fa la sua apparizione un altro tema che delimita l'ultima tappa del­ la pericope61 • Per suffragare l'esortazione formulata al versetto 19b, Paolo invita i suoi lettori a riflettere sulla differenza tra la situazione anteriore alla loro conversio­ ne e quella di cui beneficiano oggi, a riflettere in particolare sui risultati dei due sta­ tuti, risultati designati con la duplice metafora del 'frutto' e del 'salario'. Già sottoli­ neata nel contesto precedente, l'articolazione antitetica tra le due fasi vissute dai de­ stinatari viene qui affermata a due riprese. Dapprima ai versetti 20-22, dove l'oppo-

ss Confronta la presente antinomia sul piano etico (vedi anche 6,21) con quella che caratterizza le frasi contrastate della storia della salvezza in Rom 3,21 (vedi anche 3,26; 6,5.10. 1 1 . Nei due casi, comun­ que, )"adesso' è escatologico. 56 L'imperativo aoristo, come l'indicativo che precede, va considerato come 'com plessivo': cfr. BDR, p. 276 § 337 ,2. 5� Cfr. p. 27. ss Sull'assenza di articolo (confronta tin anomfan) dopo una preposizione e con gli astratti, cfr. BDR p. 205 § 255, e pp. 207-208 § 337. 59 N el Nuovo Testamento il termine è limitato al cotpus epistolare: Rom 6,20.22; 1 Cor 1 ,30; 1 Ts 4,3.4.7; 2 Ts 2,13; l Tm 2,15; Eb 12,17; 1 Pt 1,2. Sul suo uso nei Settanta·e nella letteratura giudeo-greca, cfr. S. LÉGASSE , 7bessaloniciens, 267. 60 Vedi l'uso di bagbiazein in 1 Ts 5,23; ma anche in Rom 15,16; 1 Cor 1,2; 6, 1 1 ; 2 Ts 2,13. 61 Cfr. p. 319. ·

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O vangelo potenza di salvezza per i giudei e i genti/t

sizione del passato e del presente è chiarainente· ·segnalata dal tempo def verbi, se si confrontano gli imperfetti ete ( bis) ed éicbete, nei versetti 20 e 2 1 , con il presente écbete del versetto 22, e dalle parole h6te, t6te, da una parte (vv. 20-21) e nynt' dé (v. 22), dall'altra61• La medesima opposizione appare, in forma più nervosa e con u­ na immagine diversa, nella conclusione del versetto 23. La sutura tra quest'ultima tappa e ciò che precede63 viene stabilita dal fatto che. per descrivere la situazione passata dei destinatari, Paolo ai versetti 20 e 22 riprende il tema della schiavitù. Ma ora è per mostrarne i risultati e, quindi, far apprezzare la situazione presente. Il passato 'servile' è menzionato in una temporale all'imperfetto che dice chiaramente come la situazione in questione sia ormai superata. Per de­ scriverla, Paolo ricorre di nuovo al paradosso che gioca sui registri di servitù e li­ bertà. Egli ha già menzionato la schiavitù che lega al peccato l'uomo non riscattato (vv. 16. 17). Era proprio questo lo stato dei Romani prima della loro adesione al cri­ stianesimo. Ma, a causa di questa schiavitù, essi erano ·liberi nei riguardi della giu­ stizia•64. Falsa libertà, a dire il vero, perché non si può servire ai due padroni con­ temporaneamente. La conseguenza65 che scaturisce da questa situazione viene e­ spressa con la metafora del 'frutto'66• Paolo generalizza includendo i suoi lettori sen­ za distinzione nella massa pervertita che aveva già prima descritto (1 ,26-32). Sotto la domanda retorica viene espressa un'affermazione senza sfumature: prima di di­ ventare cristiani, i destinatari conducevano una vita di disordine di cui oggi si ver­ gognano davanti a Dio. La relativa eph ' bois njn epaischjnesthe67, dalla quale viene

62 La costruzione è un poco danneggiata dall'inciso del versetto 21: epb'bois njn epaiscbjnestbe cht' anticipa il presente. 6j Il gar regge tutta l'argomentazione che seguirà (vv. 2 0 28) e che viene a sostenere l'esortazione del versetto 19. 64 Il dativo te dtkaiosjne è di relazione (cfr. BDR, p. 159 § 197). 6� Su un in una domanda, cfr. p. 163, .n. 129. 61> Cfr. p. 52. 67 Sul verbo epaiscbjnestbai, cfr. p. 61, n. 2. La 'vergogna' qui è la confusione dell'ex colpevole che considera il suo passato sotto lo sguardo di Dio.- Nella frase eph 'bois epaiscbjnestbe il pronome neutro plurale non ha antecedente visibile. L'esegesi grammaticale si divide tra due punteggiature. a seconda che si prolunghi la domanda retorica fino a epaischjnestbe o la si interrompa dopo t6te (vedi la discus­ sione in SANDAY-HEADLAM, pp. 169-170). Nel primo caso si è indotti o a colmare un'ellissi inserendo il genitivo neutro plurale ekéin6n (riferito al nome karp6n) con epb 'bois, oppure a intendere la relativa ad sensum, collegando epb 'bois a katp6n (così BDR, p. 245 § 296 , 1 ) . Nel secondo caso epb 'bots epaiscbjnestbe fa parte della risposta alla domanda e il senso è il seguente: ·ciò di cui adesso avete ver­ gogna· (epb 'bois per tautà epb 'bois: cfr. BDR, 243 § 5, n. 6). TEODORO D1 MOPSUESTIA (PG 66, 804) opta per la seconda lettura (eita katà ap6krisin, eph 'b6is, ktl.). Benché, in linea di principio, una relativa si colleghi naturalmente a quanto precede (così sottolineano SANDAY-HEADLAM, pp. 169-170), qui proponia­ mo di interrompere la domanda prima di epb 'bois, ktl., in quanto l'opzione rivale esige troppo di impli­ cito per imporsi. J.T. REEo•, invece di intendere la frase tina un karp6n, ktl., come un'interrogativa, vi vede un'affermazione con tina (senza accento) inteso come un aggettivo indefinito (-you bave a certain kind offruit-). Ma l'un (cfr. p. 163, n. 1 29) impone la domanda. -

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anticipata l'evocazione del presente che inizia propriamente al versetto 22, è utile all'argomentazione, in quanto concorre a stigmatizzare la falsa libertà che i lettori si attribuivano al tempo della loro servitù sotto il peccato. In una sezione precedente (1,18-3,21) Paolo aveva parlato in termini generali e alla terza persona. Qui si rivolge ad una comunità concreta che egli designa, in blocco, come composta da persone già traviate. Il giudizio è tanto più sorprenden­ te, addirittura stupefacente, in quanto Paolo non aveva mai frequentato i Romani e conosceva la loro comunità solo per sentito dire. L'arte retorica permette l'iperbole e la riduzione della realtà in tratti sommari. È quanto accade qui, dove Paolo si guarda bene dal dare i particolari che aveva enumerato nella parte precedente del­ l'epistola. Alcuni lettori potranno riconoscersi in queste cose, altri meno. Tutti rice­ veranno comunque la 'sferzata' che deve mantenerli sulla via nella quale si sono impegnati. In caso contrario, ciò che li attende è la 'morte'68 come 'scopo' o 'conse­ guenza'69 di un'esistenza sottratta alla redenzione. Ma ecco l'inverso (v. 23), che è anche successione nello svolgimento del piano di Dio. Qui ritroviamo lo stesso avverbio di 3,2F0, seguito da un dé di opposizione: ma in luogo dell'ordine oggettivo di questo piano e degli effetti di natura identica prodotti dalla redenzione, Paolo ci introduce nella soggettività dell'uomo riscattato. Questo uomo è stato 'liberato dal peccato' e, per questo fatto, asservito a Dio. Tali sono i presuppostF1 di una situazione ormai presente e che Paolo esprime ricorren­ do alla stessa metafora del 'frutto'. Il parallelo antitetico che unisce i versetti 21 e 22 è eloquente per la sua precisione: da una parte, come effetto e scopo della vita di­ sordinata vissuta senza il Cristo, la 'morte'; dall'altra, come risultato di un'esistenza di riscattati, la 'vita etema'72• Lo stesso gioco di parole continua qui, dove l'idea di asservimento (verbo dulun) è applicata ai rapporti con Dio come prima lo era a proposito della 'giustizia' (v. 18), ma ora è il risultato di una liberazione dal potere del peccato. Il paradosso è sensibile in un'operazione grazie alla quale l'uomo, !un­ gi dall'essere lasciato a se stesso e alla sua fantasia (come accadeva nella 'servitù'

68

Cfr p. 1 12. Il significato oscilla tra le due sfumature (vedi 2 Cor 1 1 ,15; Fil 3, 19; 1 Pt 1 ,9), le quali, nel caso presente, non hanno alcuna influenza sul significato, perché nell'un caso come nell'altro la sorte dei colpevoli si inscrive nell'ordine e nel piano di Dio. Qui è da escludere il significato di 'fine', 'termine', 'cessazione': cfr. pp. 500-501 . - Una variante (8 o• G, ecc.) sostituisce il gdrdavanti a télos con un mén, verosimilmente erroneo, perché privo di a ccord o con il contesto. Sarà stato provocato, come correlati­ vo, dal dé all'inizio del versetto 22 (cfr. CRANFIELD, p. 327, n. 5). 70 Nynf dé, espressione paolina: cfr. p. 1 9 1 , n. 2. '1 I due participi opposti eleuther6théntes e (con dé di opposizione) dul6théntes hanno tra loro un rapporto di causa ed effetto, e i due insieme hanno il medesimo rapporto causale con il verbo principa­ le échete. 72 Tò dè télos zoJn ai&nton, alla fine del versetto 22, corrisponde quasi alla lettera a tò gàr télos ekéin6n thdnatos alla fine del versetto 21. Sulla 'vita eterna', cfr. p. 126. 69

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Il vangelo potenza di salvezza per i giudet e i gentili

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precedente), passa ad un altro servizio: quello di Dio. Tale è lo stato presente (é� chete) del cristiano, una generalizzazione che, come il suo opposto al versetto 2 1 , è un appello a mantenere in se stessi ciò che si è grazie allo Spirito. Il 'frutto' è certo dei credenti, 'il vostro frutto', ma non perché lo abbiano prodotto loro, bensì per­ ché ne sono in possesso e ne godono. Questo frutto è una metafora per designare l'effetto permanente della liberazione e dell'assetvimento che sono stati effettuati dalla grazia redentrice. Prima di sfociare alla 'vita eterna', questo 'frutto' assicura nel credente la 'santificazione' (haghiasm6s)73 o la 'consacrazione' che si realizza con il suo concorso, nel tempo e fin da questa vita terrena, in seguito alla giustificazione (v. 19). Per chiudere la pericope, ecco un'altra immagine (v. 23): dopo il 'frutto', preso in prestito dall'agricoltura, ecco il 'salario' (opsonia). In realtà, il termine opsonion74 de­ signa innanzitutto un acquisto di cibo, donde 'provvigioni' (così nei papiri). Il più delle volte, però, si tratta della remunerazione di un lavoro, di un 'salario' o di una 'paga' (così in 2 Cor 1 1 ,8, a proposito del mantenimento che Paolo ha ricevuto dal­ le Chiese), ma anche del 'soldo' di un militare (così in Le 3,14; 1 Cor 9,7). In molti passi il termine è pura metafora75 per tradurre la conseguenza del peccato: nel caso, la 'morte', come sappiamo da 5, 1 2 . Queste nozioni sono personificate. Il termine 'salario' non viene scelto arbitrariamente: ce se ne rende conto se si confronta que­ sta parola con ciò che vi si oppone nella seconda metà della frase. Si può agevol­ mente capire che l'effetto per così dire automatico o per lo meno inevitabile del peccato è la morte (anche se si tratta di un castigo di Dio); non si può dire che Dio agisca allo stesso modo quando dà la vita eterna . Nel termine 'salario' è contenuta l'idea di qualcosa di dovuto. Dio non deve nulla agli uomini, donde la scelta di un altro termine, charisma'6, 'dono' o 'regalo'. Questo dono consiste nella 'vita eterna177 • Essa viene data 'in Cristo Gesù nostro Signore'78• La formula cristologica paolina segna una pausa79 nella risposa di Paolo all'obiezione formulata in 6, 1 , in modo analogo a quanto si legge in 5,2 1 . Ma, a differenza di questo ultimo passo,

'' Cfr. '4

p. 327.

Il termine deriva da 6pson (pesce cotto, più genericamente, alimento cotto o preparato) e da Onei­

stbai, 'comperare'. L'idea principale è 'acquisto di cibo'. Su questo termine e la sua storia, cfr. CH. C. CARAGOUNis•; C. SPICQ, Lexique, 1 1 25-1 128. Qui il termine si trova al plurale, come in Le 3,14; 1 Cor 9,7; IGNAZIO, Poi., 6,2. In quanto tale, esso non implica salari distinti e successivi. Il senso è globale (con­ fronta 'gages in francese). 75 Cosa che non ha visto CH. C. CARAGOUNis•, p. 54, il quale respinge l'idea di 'paga', con il pretesto che nessun lavoratore accetterebbe di essere pagato con la morte come salario (l'autore opta per il sen­ so di 'provviste' che estende alle altre ricorrenze nel Nuovo Testamento, eccetto Le 3, 14). 76 Cfr. p. 50, n. 62 " Cfr. p. 1 26. 78 Su Cbrist6s e kfrios riferiti a Gesù, cfr. pp. 27.34-35. 79 ar. p. 297.

lA grazia

non autorizza il peccato (6, 15-23)

331

qui la formula esprime più che una semplice mediazione (dia) nel dono della vita eterna: al di là della funzione, è nella persona stessa di Gesù che risiede ogni po­ tenza di grazia e di vita.

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Srsn,

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Argomentazione supplementare: I cristiani liberati dalla Legge per servire Dio (7, 1-6)

ignorate forse, fratelli - parlo a gente esperta di Legge - che la Legge domina l'uomo per il tempo che egli vive? 2La donna sposata, infatti, per legge è legata al marito finché egli vive; ma se il marito muore, è liberata dalla legge che la lega al marito. 3Essa sarà dunque considerata adultera se passa ad un altro uomo, mentre il marito vive; ma se il marito muore, essa è libera dalla legge, tanto che non è più adultera se passa a un altro uomo. 4Alla stessa maniera, fratelli miei, anche voi, mediante il corpo di Cristo, siete stati messi a morte quanto alla Legge, per appartenere ad un altro (cioè a colui che fu) risusci­ tato dai morti, affinché noi portiamo frutto per Dio. sQuando infatti eravamo nella debo­ lezza della carne, le passioni peccaminose, (stimolate) dalla Legge, si scatenavano nelle nostre membra al fine di portare frutti per la morte. 60ra invece, morti a ciò che ci teneva prigionieri, siamo stati liberati dalla Legge per servire (Dio) nella novità dello Spirito, e non (secondo) (la) lettera, che è antiquata. 7 •o

Questo paragrafo si colloca sul prolungamento dell'argomentazione che Paolo sviluppa in risposta ad una prima obiezione (6, 1 5 ; la seconda seguirà in 7,7a)1. Con 7, 1-6 si ha l'impressione di un elemento aggiunto dopo, di un allungamento che Paolo ha creduto opportuno apportare al testo della sua lettera, dato che in 6,23 si può vedere una forma di conclusione con la «Vita eterna in Cristo nostro Signore,.2• Il testo inizia con l'enunciazione di un principio legale (v. l) che un esempio

(vv. 2-3) viene ad illustrare e a suffragare. Segue l'applicazione ai destinatari (v. 4) e, per finire (vv. 5-6, con cambiamento della persona dei verbi), il fondamento sto­ rico-teologico degli obblighi che il versetto 4 rammenta ai lettori. L'appartenenza di 7,1-6 a ciò che precede è chiaramente messa in evidenza da E. GIENIUsz• (soprat­ tutto, pp. 395-396), malgrado una classificazione retorica piuttosto artificiosa. Questo autore mette an­ che in rilievo il fatto che il paragrafo costituisce una •Conclusione aperta• all'interno dell'insieme Rom 68. Un punto di vista analogo presenta l'analisi di D. HElLHoLM•. 2 Cfr. p. 330. •

I cristiani

liberati dalla Legge (7, 1-6)

333

Introdotto da una formula puramente retorica3 e seguito dall'apostrofe 'fratelli'\ per insistere in modo affettuoso su ciò che verrà detto, fa qui la sua apparizione un assioma giuridico che ricorda ciò che Paolo ha scritto in 6, 7. Qui come là, tuttavia, il principio, lungi dall'essere puramente generale, è penetrato di nozioni che Paolo prende dal proprio contesto e dalle teorie che sviluppa in questa parte della lettera5• In effetti, qui la 'Legge'6 non è la legge in generale7, tanto meno la legge romana8, bensì, senza alcun dubbio, la legge di Mosè, come quasi sempre quando Paolo usa il termine n6mos9 e come scaturisce dal contesto immediato10• Questa affermazione potrebbe essere contestata, visto che Paolo si rivolge ad una Chiesa composta in buona parte di cristiani di origine pagana. Ma in una specie di captatio benevolen­ tiae, si può ammettere che Paolo si compiace di considerare i cristiani di Roma una comunità nata dal giudaismo11, in possesso, più di altri, di una conoscenza delle Scritture giudaiche (nella loro versione greca)12, e in particolare della Legge. È a lo­ ro, in quanto tali, che Paolo si rivolge per ricordare loro che ��la Legge domina 13 l'uomo per il tempo che egli vive•. Questo principio, del resto, è registrato nella le­ gislazione rabbinica in rapporto con la Torah14• Lo stesso principio è accompagnato nei versetti 2-3 da un esempio15 preso dal caso della donna maritata che diventa vedova. L'aggettivo bjpandros6 è significati­ vo dello stato di subordinazione della donna al marito17, anzi, della sua appartenen­ za a lui come sua proprietà, se teniamo conto di altre formule e passi della Bibbia: una donna sposata è ��donna di uomo• (esbet fsb, gbyne andron)18• Questa donna,

3

Su i agnoeite, cfr. pp. 299-300.

" Cfr. p. 52, n. 7 1 . 5 Cfr p . 308. .

6 Senza articolo come spesso in Paolo: cfr. BDR, p. 207 § 258,2. Non si può quindi arguire da questa

assenza dell'articolo, per generalizzare il concetto di Legge. ' Così SANDAY-HEADLAM, p. 172 (a torto argomentano dall'assenza dell'articolo: vedi nota prec.). 8 J. WEISS, p. 262, vede qui un appello ·quasi umoristico• alla ·cultura giuridica· dei suoi destinatari e alla rinomanza universale del ·diritto roman(}>t. 9 Cfr. pp. 132. 185. 10 6 , 15; 7,4. 5-6.7 ecc. 11 Cfr. pp. 12-17. 12 Alla fine del secolo, poi durante il secondo secolo, autori romani come Clemente ed Enna scrive­ vano in greco servendosi della Bibbia dei Settanta. 13 Su kyriéuein, cfr. p. 310, n. 89. 1� R. Yo�anan (morto nel 279), in una baraita di b. Sbabbat 151 b, che si ispira a Sa/ 88,6: vedi BILLER­ BECK, t. III, 232. 1s I l gar all'inizio del versetto 2 è esplicativo. 16 Questo aggettivo, un hapax del Nuovo Testamento, ricorre tre volte nei Settanta (Pr 6,24.29; Str 9,9; vedi anche Nm 5,20.29: byp'andr6s einat). Nel greco profano: PoUBIO, X, 26 , 3, ecc.: cfr. BAUER, col.

1669. 17 18

Vedi l'espressione ebraica ta�at isbek, letteralmente •sotto tuo marito', in Nm 5,20.29. Pr 6,26; vedi anche Gen 20,3; Es 20,17; Dt 5, 18.

334 .

Il vangelo potenza di salvezza per i giudei e i genti/t

finché vive suo marito, rimane legata alla Legge19, sottomessa alle

S\)e prescrizioni

che riguardano il suo statuto di sposa. Solo alla morte del marito20 questa donna è sciolta21 dalla 'legge del marito'. Questa ultima espressione è soggetta a discussione. C'è chi vede in essa i regola­ menti della Torah relativi ai diritti e doveri del marito22, e chi vi legge la condizione legale secondo la quale la donna è legata al marito23• Notiamo infine l'opinione24 che considera tu andr6s un genitivo di apposizione che identifica il marito con la Legge, facendo di lui il rappresentante della Legge per la sua donna. Quest'ultima interpretazione viene generalmente respinta25, con buoni motivi, visto che fa violen­ za al testo26• La seconda esegesi menzionata, che è la più comunemente ammessa. ha a proprio vantaggio il contesto in cui l'aggettivo bjpandros, all'inizio del verset­ to, chiarisce la fine del medesimo versetto: la 'legge del marito' non è altro che il le­ game obbligatorio e stabilito da Dio che lega e sottomette la donna al marito. Questo legame è permanente e inalienabile finché vive il marito. Per cui

(ara un)27 la donna che ha rapporti sessuali� con un altro uomo viene ·considerata adul­

tera,.29. Tutto questo si trova nella legge di Mosè. Ma anche il seguito, in base al

19 Il perfetto passivo di déein indica la permanenza di una situazione contratta al momento del ma­ trimonio. Il medesimo verbo si legge in un contesto analogo in 1 Cor 7,27 39 (per il legame coniugale) .!o La condizionale eàn [ . . . ] apothdné ho anér è una C