Leonardo filosofo
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CARTE D'ARTISTI

Karl

JASPERS LEONARDO FILOSOFO A cura di Ferruccio Masini

A

ABSCONDITA

Titolo originale: Lionardo als Philoroph

Edizione

su

licenza deU'editore SE

© 2001 ABSCONDITA SRL VIA MANIN IJ- 20121 MILANO

INDICE

LEONARDO FILOSOFO INTRODUZIONE

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LA MODALITÀ DEL CONOSCERE

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Note

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II IL CONTENUTO DEL CONOSCERE (METAFISICA DEL MONDO) Note

III L'ESISTERE DEL PITTORE COME FORMA DI VITA DEL CONOSCERE Note

IV CARATTERIZZAZIONE DI LEONARDO Note

UN ITINERARIO NEL VISIBILE di fe"uccio Masini Note Indice delle illustrazioni

H 75 81 95 97 117 123 137 139

LEONARDO FILOSOFO

Lionardo als Philosoph (Francke Verlag, Bern1953) risale a una conferen­ za tenuta nel Kunsthistorisches Seminar dell'Università di Basilea_ Il testo, curato nel 1959 da Ferruccio Masini (unitamente alle note di commento) e apparso l'anno seguente per i tipi della editrice Philosophia di Firenze, fu poi riveduto per l'edizione SE del1988 e viene qui riproposto corredato da immagini tratte dalle opere di Leonardo_ Le traduzioni dei passi leonarde­ schi liberamente citati o parafrasati da J aspers si trovano prevalentemente in Leonardo da Vinci, Tagebucher und Au/zeichnungen, traduzione di Theodor Liicke, Leipzig 1940 e nel libro di Marie Herzfeld, Leonardo da Vinci, der Denker, Forscher und Poet, Leipzig1904. Le citazioni dal Trattato della Pit­ tura sono ricavate da H. Ludwig (Jena 1909). Poiché J aspers non dà alcuna referenza relativa all'originale dei passi citati, si è reso necessario ritrovare questi ultimi con le rispettive indicazioni bibliografiche riponate in nota. Tali indicazioni sono riferite prevalentemente ai codici secondo le varie tra­ scrizioni (Ch. Ravaisson-Mollien, Commissione Vinciana, Piumati, ecc.), se­ guendo le lievi modifiche di grafia, ecc. proposte da G. Fumagalli (Leonardo. Omo sanza lettere, Firenze1943) e altri.

INTRODUZIONE

Possediamo di Leonardo solo pochi, mirabili dipinti in un cattivo stato di conservazione, soprattutto la Monna Lisa e l'Ultima cena, nonché un autoritratto d'incerta attribuzione, il volto indimenticabile di uno dei Grandi ineguagliabili, e infine un poderoso retag­ gio di appunti e disegni in migliaia di fogli. Vi si ag­ giungano le testimonianze di contemporanei e l'in­ fluenza esercitata su pittori nelle cui opere è avvertibile una risonanza delle sue idee. In questi resti e frammen­ ti, nelle annotazioni giornaliere, in questa eco Leonar­ do è ancora percepibile. La fama lo celebra come l'uomo universale, sapiente in ogni cosa, l'artista che ha aperto la strada all'arte classica italiana, ma la cui fatalità è stata quella di non aver portato a compimento molti dei suoi grandiosi progetti. A partire dal Vasari si è asserito che egli avreb­ be dissipato il proprio talento. È questo il motivo per il quale viene collocato dopo Raffaello e Michelangelo che erano interamente artisti e realizzarono compiuta­ mente numerose grandi opere. La fama lo celebra anche come scienziato. Leonardo dovrebbe essere annoverato tra i fondatori della mo­ derna scienza della natura. Ma questo non è pacifica­ mente ammesso. Giacché egli non avrebbe sviluppato le sue ricerche secondo i metodi delle scienze matema­ tiche della natura. Le analogie di molte sue formulazio­ ni con i principi fondamentali della scienza più tarda sarebbero da considerarsi illusorie. Le macchine da lui disegnate nella sua visualizzazione fantastica non sa­ rebbero, in gran parte, realizzabili. Il suo effettivo ope­ rare con la matematica avrebbe precisi confini e sotto nessun aspetto avrebbe il senso dell'indagine galileiana. Che egli sia stato un filosofo lo si è detto più di rado e generalmente, in modo tanto più risoluto, lo si è ne­ gato. Gli farebbe difetto la strutturazione dei concetti

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in forma sistematica, non si collocherebbe nella conti­ nuità della tradizione filosofica se non con acquisizioni disperse benché numerose. Il problema è questo: fu Leonardo essenzialmente artista o scienziato o filosofo oppure qualcosa che non si lascia sussumere sotto le specificazioni usuali della creazione? Leonardo è divenuto il mito di un mistero. Storici dell'arte, delle scienze, della filosofia hanno fatto delle loro feconde ricerche l'oggetto delle loro co­ municazioni. Da Goethe a Jacob Burckhardt, fino ai nostri contemporanei, discendono entusiastiche for­ mulazioni sulla personalità leonardesca. L'obliato do­ vette essere richiamato alla memoria, il perduto dovet­ te essere ricuperato. Ciò che restava nascosto dovette mostrarsi. Il mio tentativo è quello di presentare Leonardo co­ me filosofo: in primo luogo la modalità, secondaria­ mente il contenuto del suo conoscere, in terzo luogo l'esistenza del pittore come forma vitale di questo co­ noscere. C'è infine da porsi il problema della peculiare grandezza di Leonardo, di fronte alla quale viene a ca­ dere la separazione tra l'artista, lo scienziato e il filo­ sofo.

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1. Ciò che caratterizza il conoscere di Leonardo, è questo: egli è tutto occhio e mano: ciò che per lui è, de­ ve essere visibile, e ciò che egli conosce, deve essere prodotto con la mano.1 Leonardo esalta l'occhio. Inganna meno di ogni al­ tro senso. Rispecchia tutte le opere della natura. Sol­ tanto mediante l'occhio può essere goduta la bellezza del mondo. E poiché si diletta nel contemplarla, l'ani­ ma è paga di permanere nel suo carcere umano. La per­ dita degli occhi lascia l'anima in una cupa prigione, senza speranza di tornar mai a contemplare di nuovo il sole, la luce del mondo intero. Non esiste dunque nes­ suno che non preferisca perdere udito e olfatto piutto­ sto che la vista.2 Goethe attesta le conseguenze di questo essere-oc­ chio. Poiché Leonardo «intendeva la natura immedia­ tamente contemplandola e pensava al fenomeno stesso, colse senz'altro nel segno ». «Come la facoltà di com­ prendere e la lucidità proprie dell'occhio competono all'intelletto, così chiarezza e intelligenza erano piena­ mente convenienti al nostro artista ».3 Ma quanto l'occhio vede, diviene chiaro solo quando la mano, ritraendo, lo produce. Come la mano, nei set­ tori sezionati di un organismo, attraverso i movimenti pensa senza parola, altrettanto essa fa nel disegnare un modello e nel visibilizzantesi progetto della fantasia, che crea ciò che non si poteva trovare per l'innanzi in alcuna natura. Questo pensare non per concetti, ma in significazioni di linee, forme e figure, è un conoscere contemplativamente attivo. E se i pittori erano sprez­ zantemente posti tra gli artigiani, Leonardo rovescia il giudizio. Niente di tutto ciò che esiste nello spirito gra­ zie alla contemplazione può giungere, senza operazione manuale, al suo compimento.4 Dalla «scienza della pit­ tura » procede la «effettuazione operativa » e questa è

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più nobile della pura scienza. Il conoscere di Leonardo, di cui egli è consapevole, è pertanto vedere e fare a un tempo, è contemplare pensante, è contemplazione pro­ dotta nell'opera della mano. Ma occhio e mano non pervengono a conoscenza, né nella passiva visualizzazione, né nel cieco manipolare la cosa in un senso o nell'altro. Soltanto nell'agire pen­ sante, il visibile diventa propriamente visibile. Questo agire pensante esige due condizioni: esso si realizza e si struttura, nel fluido caos della sensibilità, attraverso la matematica. Questa soltanto rende le cose esattamente visibili. «Nissuna umana investigazione si pò dimandare vera scienzia, s'essa non passa per le ma­ tematiche dimostrazioni [ ... ] ».'Leonardo ha in mente un'assolutamente evidente matematica del visibile. Egli intende per matematica ogni regolarità e normatività accessibili all'occhio. Ma in nessun modo, per lui, la cognizione matematica delle regolari disposizioni è una vera e propria cono­ scenza del reale. A essa deve associarsi la penetrazione nel particolare, nell'infinito dettaglio della effettuale contemplazione. Per questo Leonardo si volge contro l'impazienza e la lode della brevità.6 La gente vuole- co­ sì lamenta - abbracciare lo spirito di Dio che chiude in sé l'universo e comportarsi come se non le restasse ab­ bastanza tempo per procurarsi la piena cognizione di un solo dettaglio, qual è un corpo umano. Quanto a lui, laddove riesce a coglierlo, penetra in questo detta­ glio, «con una quasi pedante esattezza», come dice Hegel.7 Soltanto nella tensione di una struttura ordinatrice e di una infinita particolarità il Visibile diventa, per Leo­ nardo, il Conosciuto. In nessun punto si abbandona al­ le bizzarrie della fantasia. Sempre, nella contemplazio­ ne, mostra ciò che pensa; sempre la sua contemplazione è pensata. In tutta la pienezza delle sue visioni fondate sui sensi, resta sobriamente disciplinato. Non si rivol­ ge alle forze particolari per scorgervi il soprasensibile, ma vive invece interamente nel mondo reale e rimane

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in esso, comprensibile all'uomo come uomo, in umana misura. Leonardo si tiene coerentemente saldo all'evidenza come alla condizione della certezza. Senza occhio e ma­ no non esisterebbe niente per lui. Ciò che esiste per lui, deve essere a portata d'occhi e di mani. «E se noi dubi­ tiamo della certezza di ciascuna cosa che passa per li sensi, quanto maggiormente dobiamo noi dubitare del­ le cose ribelli a essi sensi, come dell'assenzia di Dio e dell'anima e simili, per le quali sempre si disputa e con­ tende [. ..] ».8 2. Ma Leonardo ha qualcosa di pm m mente. Il prendere e il vedere come tali non sono per lui suffi­ cienti. Il suo filosofare è infinitamente distante dall'em­ pirismo e dal sensualismo comuni. Tutto ciò che può essere per noi, egli lo vede, in un certo senso, come raf­ figurabile: non solo ciò che gli sta dinanzi della natura esternamente data, bensì anche, e soprattutto, ciò che si mostra allo spirito e originariamente si produce in es­ so. Conoscere non è un qualsivoglia ritrarre (quel che oggi diremmo fotografare), ma l'oggettivarsi di ciò che è veduto dallo spirito. Così la progressione va dal dise­ gno delle possibili macchine, scorte nella fantasia tecni­ ca, al dipingere che consente all'Invisibile di rivelarsi nel visibile, fino alla consapevolezza del carattere sim­ bolico di tutto il visibile. La fantasia dello spirito ha ac­ cessi all'Essere, per il quale l'artista crea le sue figure nel visibile, quell'Essere che acquista verità unicamente attraverso la verità di questo visibile.9 Leonardo parla della visione delle superfici. Ciò che non diventa superficie, non esiste. Ma l'importante è appunto che si veda nella superficie il fondo, si riesca a guardare entro il sensibile fino alla sua non sensibile origine che parla nella superficie ed è, per così dire, af­ ferrabile, e tuttavia del tutto inafferrabile per i semplici sens1. Ecco il punto metodologicamente decisivo. Tutto ciò che è reale passa attraverso i sensi. Ma ciò che occhio e orecchio percepiscono, questo è in sé spirituale, se è il

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giusto sguardo a vederlo. Nel mondo sensibile si mani­ festa un continuo slancio oltre il mondo sensibile, ma non in un al di là dei sensi. E inversamente: tutto lo spi­ rituale deve, perché esista per noi, divenir superficie. Ciò che Leonardo mostra, nel Trattato della Pittura, come scienza della pittura, è ovunque lo Spirituale nel sensibile, il numero, la forma, la ragione nei sensi. Così tratta la prospettiva, le proporzioni, quindi la normatività dei movimenti elementari, l'organizzazio­ ne del Vivente, l'espressione di costanti disposizioni del carattere nelle conformazioni del volto e nei cor­ pi, quella delle passioni del momento nella mimica, e così via. Ciò che in questo modo si discopre al sapere e di­ venta dottrina, non è per nulla l'ultimo segreto dello Spirituale. Leonardo fa ancora più di quanto egli non dica e se ne rende consapevole in proposizioni occasio­ nali, senza esprimerlo sistematicamente. Se è vero che i suoi pochi quadri tanto singolarmen­ te agiscono su di noi, in che consiste questa singolarità? E il sorriso, la grazia, il paesaggio come sfondo del­ l'essere umano, già l'essenziale? O consiste forse nel fatto che si tratta di quadri non soltanto intuitivamente creati in ogni tratto, ma anche pensati? Oppure la sua efficacia è riposta nel loro maturare, nella chiarezza della consapevolezza filosofica? Oppure nel contenuto del quadro si manifesta il modo in cui il pittore è giun­ to, con la sua ricerca nell'universo, ad accertarsi del­ l'Essere? Sono forse indicativi due famosi caratteri fon­ damentali della sua pittura: la/orma dell'immagine, che ha fatto di lui il primo creatore della cosiddetta arte classica, e il chiaroscuro. L'unità della configurazione immaginativa, compiu­ tamente strutturata nella vivente pulsazione di ogni sin­ golo elemento, senza che una qualsiasi cosa resti inci­ dentalmente soltanto a sé: questa che per i contempo­ ranei è stata come una rivelazione e ha aperto un nuovo mondo dell'arte, si realizza per la prima volta e con un segno irripetibile in Leonardo. Egli trova una cifra del­ l'unitario ordinamento della totalità del mondo. In que-

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sto classico compimento niente è ancora divenuto for­ mula o schema, manca ancora il sublime o il celebrativo, è ancora del tutto assente il decorativo e il pomposo. Per Leonardo questa cifra della compiutezza è soltanto un momento nella sua opera, un passo, non già la con­ clusione. Il chiaroscuro appare l'esatto contrario di quella for­ matività. Hegel ha chiamato questo chiaroscuro una magia del cromatismo nella quale gli oggetti si dissol­ vono. Le più profonde ombre restano impregnate di luminosità e progrediscono per impercettibili trapassi fino alla luce più chiara; in nessun punto appare una durezza e un confine. Gli oggetti si sciolgono in un gio­ co svincolato dall'oggettività, fatto dal lume dei riflessi che trapassano in altri chiarori e diventano così spiri­ tuali da cominciare a travalicare nel regno della musi­ ca.10 Ciò che Hegel delinea con le sue parole fu trovato per la prima volta da Leonardo. Agisce come la cifra di un qualcosa che rende tutti gli oggetti trasparenti, e con la pura superficie della più fuggevole tra le appa­ renze apre una dimensione che resterebbe occultata dalla salda forma figurale. Ciò che il Correggio prose­ guì e lasciò scivolare come sensualità incantatrice, ciò che Rembrandt realizzò come un'altra incomparabile metafisica, ha il suo inizio in Leonardo ed è insieme, ancora una volta, pensato come una nuova forma del visibilizzarsi dell'Invisibile. Il carattere della spiritualità di ciò che è stato pensa­ to da Leonardo nel suo creare si mostra inoltre nel suo atteggiamento di fronte all'opera. Pur essendo il com­ pimento di questa una meta intrinseca al suo produrre, non è in alcun modo l'ultima e non costituisce il crite­ rio di misura del suo restante operare. Il significato del suo conoscere contemplante travalica tutto questo. In primo luogo le stesse opere compiute. Non è un caso che Leonardo non si sentisse definitivamente sod­ disfatto di nessuna di queste. Non poteva dare compi­ mento a nessuna opera, perché era il senso stesso di questa a infrangerla. Nell'Ultima cena- si è detto- né Giuda né Cristo furono portati a termine. Una spiega-

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zione è stata formulata da Goethe: «Non poteva giun­ gere a una conclusione né per il traditore né per l'uo­ mo-dio proprio perché entrambi sono soltanto concet­ ti che non possono essere offerti allo sguardo ». Un si­ gnificato sovraordinato urge alla visibilizzazione, ma la visibilità effettivamente compiuta non è poi conforme al significato a cui Leonardo tende. Nell'infrangersi della visibilità e nel restare aperto dell'incompiuta visi­ bilità si rende presente ciò che conta. Nel visibile, che è fatto progredire fino all'indeterminabile, l'Invisibile si fa in realtà linguaggio, ma non più visione.11 È il visi­ bilizzarsi della trascendenza che pertanto resta nasco­ sta, è l'esprimersi di ciò che nella corporeità non è cor­ poreo. Il compiuto dice più di questo compimento.12 Anche nell'apparente compimento di Leonardo vi è un indice che lo travalica. Per la verità questa spiega­ zione non è da lui espressa. Tuttavia essa sembra ren­ dere evidente la ragione per la quale egli non era sod­ disfatto di alcun compimento. Rende inoltre compren­ sibili tutte quelle altre figurazioni e sperimentazioni nelle quali non era stato perseguito alcun compimen­ to. Egli oggettivava anche il brutto, disegnava l'orrido, l'abnorme come reale e possibile. Disegnava poi irrap­ presentabili processi cosmici, dissoluzioni di mondi, immagini di pioggia. Costui ha chimere in capo, dice­ va il Castiglione, quando il vecchio Leonardo era a Roma. È difficile parlare dei singoli quadri. Di quello di Monna Lisa diceva un francese: fa perdere la testa a tut­ ti quelli che ne parlano. Gli occhi dischiusi sotto l'alta fronte, il sorriso appena accennato, la compostezza del portamento, le mani posate l'una sull'altra in indolente signorilità hanno reso visibile la spiritualità nelle sem­ bianze fisiche di questa donna. Si potrebbe pensare che in questa figura storica Leonardo abbia colto l'eterna nobiltà dell'uomo come sua ragione vivente. Non civet­ teria, non seduzione, niente della socievolezza della maschera, ma piuttosto la imperturbata distanza dell'a­ nima. La natura di questa donna è in grado di armoniz­ zare, in chiara consapevolezza, tensione di cuore e ra-

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ziocinio, l'amore e il pensiero. Leonardo ha visto la di­ gnità della donna nella quale il sesso è fatto retrocedere a semplice momento. Questa spiritualità nel corporeo è inconcepibile. Essa trascende tutto ciò che è stato inse­ gnato nel Trattato della Pittura. In Leonardo il visibile è divenuto, in chiarissima visi­ bilità, sognante, poiché mostra la vera realtà. Egli non offre l'apparenza di un indeterminato, bensì la deter­ minatezza delle cose nella loro trasparenza. Non cono­ sce gradi di realtà, come il cosmo gerarchizzato del Me­ dioevo, ma la realtà, che è tutt'uno con l'Avvolgente, come ciò che essa è e in cui sta.IJ Egli conosce soltanto la differenza tra il vedere, come cieco vedere, per cui tutto è una realtà priva di trasparenza, e il verace vede­ re, per cui tutto il sensibile diviene spirituale, come se l'invisibile fosse la realtà. 3. Da secoli è questo il problema. Poiché l'arte è sensibile e può essere spirituale, il mondo dell'arte è at­ traversato da una cesura che lo divide profondamente: tra l'arte, che è una tecnica artistica, seppur splendida quanto si voglia, nella magnificenza del sensibile, e l'ar­ te, che è linguaggio della trascendenza. L'arte di ciò che è soltanto visibile diventa, nel rifulgere del suo splendo­ re, come disancorata dinanzi alla visibilità dell'invisibi­ le, così come avviene per l'impulso alla pienezza vitale, di fronte alla forza attrattiva dell'essere dell'eternità, e per la vitalizzazione dello spirituale di fronte alla spiri­ tualizzazione del vivente. È per questo che da Platone, passando per Agostino fino a Kierkegaard, si ha una rivendicazione della filo­ sofia come istanza del giudizio sul ben� e sul male nel­ l'arte, nella musica e nella letteratura. E l'istanza della filosofia presente nell'artista e nel poeta medesimo a non restare inavvertita a chi si esprime, sulle opere del­ l'arte, nella sua semplice qualità di pensatore, con gli assaggi, le domande, i sondaggi esplorativi della critica. Non ha parlato Leonardo, nelle sue riflessioni, con la chiarezza di quei grandi filosofi. Ma sta al loro fianco nella stessa lotta per la spiritualizzazione del sensibile.

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Il sensibile è l'indispensabile, non deve volatizzarsi: non resterebbe allora che vuota astrazione. Lo spiritua­ le è l'essenziale, non deve andar perduto nel vitale, nel­ l'agitazione degli affetti, nelle figure sensibili in cui esso si manifesta, al punto che resti soltanto, da un lato, l'in­ trasparente realtà, dall'altro, l'ebbrezza. Niente è reale, se non trova accesso nel sensibile. Ma il sensibile come tale, solo in quanto sensibile, è un nulla. L'opera di Leonardo può essere considerata come una delle più mirabili realizzazioni della corporeità del­ lo spirituale e della spiritualità del corporeo.14 Sull'attuazione di questo suo cammino egli ha espres­ so alcune memorabili osservazioni: «Quando l'opera sta pari col giudizio, quello è tristo segno in tal giudizio; e quando l'opera supera il giudizio, questo è pessimo, com'accade a chi si meraviglia d'avere sì benoperato: e quando il giudicio supera l'opera questo è perfetto se­ 15 gno [ .. ] ». Questo giudizio che è di guida nel creare ha, secondo Leonardo, due gradi. In primo luogo è il giudizio che illude inconsapevolmente se stesso. In se­ condo luogo è il giudizio di questo giudizio. Leonardo descrive il primo giudizio. La vera e pro­ pria physis crea spontaneamente nelle forme, negli at­ teggiamenti, nei movimenti dell'opera, se stessa ancora una volta. «Mi pare che sia da giudicare che quell'ani­ ma che regge e governa ciascun corpo sia quella che fa sì che il nostro giudizio innanzi sia il proprio giudizio nostro. Adunque essa ha condotto tutta la figura del­ l'Uomo, come essa ha giudicato quello star bene, o col naso lungo, o corto, o camuso, e così gli affermò la sua altezza o figura. Ed è di tanta potenzia questo tal giudi­ zio ch'egli muove le braccia al pittore e gli fa replicare .16 se medesimo » Ma quest'anima vivente che nella stessa guisa co­ struisce la sua carne e dirige l'opera, è nella creazione dell'opera il giudizio-guida soltanto finché esso non di­ venta il giudizio nostro che scruta nel profondo quel­ l'altro giudizio inconsapevole. Esso si forma con il por­ gere incessantemente ascolto al giudizio degli altri, at­ traverso un esercizio svolto in molteplici maniere per .

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porsi in accordo con ogni giudizio e al contempo pro­ cedere oltre. Laddove la physis penetra ciecamente attraverso il suo giudizio e rimane poi inviluppata nell'essere vital­ mente individuale, si hanno solo opere determinate dal­ la caratteristica del pittore. Se questo pittore è del tutto «pazzo [ .. ] nelle sue !storie si dimostra largamente, le quali sono nimiche di conclusione, e non stanno atten­ te alle loro operazioni, anzi chi guarda in qua chi in là come se sognassino, e così segue ciascun accidente in pittura il proprio accidente del pittore ».17 Ma se il giu­ dizio del pittore presiede alla sua opera e al giudizio della physis, allora costui diventa un retto artista. La qual cosa significa: l'artista è signore dell'opera sua come il pensatore dei suoi pensieri. La verifica ha luogo nella riflessione. Il giudizio penetra in ogni rami­ ficazione di ciò che lo spirito creativo produce e che la mano esegue. Di qui il lungo lavorare di Leonardo alle sue opere. Un tale giudizio non paralizza il suo creare, ma lo promuove e lo purifica. Non è la rovina dell'ope­ ra (come il pensiero del pittore nella storia balzachiana del capolavoro sconosciuto), bensì il suo elemento. Il rigore, in Leonardo, della capacità creatrice cresce con la forza della riflessione. Il suo fare è il contrario del cieco creare. Forse l'inesauribile efficacia delle immagi­ ni leonardesche si fonda su questa unità di potenza creativa e di pensiero, sulla loro sostanza che le fa esse­ re interamente arte e più che arte, su questo fondamen­ tale atteggiamento leonardesco consistente nel porsi al di sopra della propria opera: è attraverso questa che egli lascia venire a espressione, in virtù della sua poten­ za immaginativa, ciò che non può essere detto con pa­ role, né costruito col pensiero, né percepito in un passi­ vo vedere, ma che attinge la sua cosciente presenzialità nella contemplazione pensante.18 .

4· Prendendo le mosse da questo vedere leonarde­ sco, da questo percepire lo spirituale nel corporeo, è dato comprendere le modalità con cui si configurano le scienze in Leonardo e la disposizione mentale che lo di-

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rige come scienziato. A buon diritto si è visto in lui uno di coloro che hanno contribuito a creare la scienza mo­ derna. Ma in quale senso? I. Conoscere è per lui raffigurare. L'opera della mano e dell'occhio nel disegnare e nel dipingere, nella fabbri­ cazione dello strumento e nell'esecuzione di intraprese tecniche, nell'esperimento dello scienziato, è legata in ogni stadio all'immagine o si perfeziona in essa. Come anatomista, dice per esempio Leonardo che la figura di un uomo non può essere restituita soltanto con parole: « [. . ] e quanto più lungamente scriverrai alla minuta, tanto più confonderai la mente dello aldi­ tore e sempre arai bisogno di sponitori e di ritornare al­ la sperienzia [ ... ] ».19 Negli studi anatomici il disegno quasi soppianta il testo . Disegnando egli analizza, determina la chiara comprensione. In tutte le scienze che hanno per scopo la cognizione delle figure, nelle scienze morfologiche della natura, Leonardo ha fondato il metodo conosciti­ vo del raffigurare. Anatomisti, botanici, geologi onora­ no in lui un maestro della loro scienza. Egli creò la visi­ bilità che è pensata nel disegnare. Viene avanzata questa obiezione: sapere e visualizza­ re sarebbero di specie diversa. Contemplare non è co­ noscere. Una forma perspicua riguarda l'apprezzamen­ to estetico, non costituisce un risultato scientifico. Questo non è esatto. In ogni morfologia il disegnatore lavora sotto la guida dello scienziato, lo stesso scienzia­ to lavora come disegnatore. In questa rappresentazione grafica non si perviene invero a conoscere alcuna legge di natura a cui occorre la misurazione, l'esperimento e la formula. Si realizza però una specifica conoscenza che, come tutte le scienze, esige in realtà anche il lin­ guaggio per spiegare la raffigurazione, pur divenendo, questo conoscere, originariamente evidente nell'imma­ gine stessa. Un'altra obiezione è rivolta contro il convergere uni­ tario di raffigurazione e arte in Leonardo. Il disegno scientifico illustra uno stato di fatto, l'arte crea una vi­ sione. Il disegno scientifico è legato alla realtà, quello .

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artistico alla forza persuasiva di un significato. La diffe­ renza è colta dallo stesso Leonardo, allorché egli rawi­ sa la potenza della pittura nel fatto che in principio si segue la natura, poi si va oltre la natura stessa sorpas­ sandola creativamente. In entrambi i casi la realizzazio­ ne della conoscenza è ottenuta mediante l'attività del dar forma. Il disegnatore dell'illustrazione anatomica non fotografa, ma realizza un'astrazione e una costru­ zione dell'essenziale. E però, così facendo, egli non in­ venta, ma si limita a scoprire ciò che gli sta davanti. L'artista, al contrario, acquista nell'invenzione, lavo­ rando sul già scoperto, un qualcosa di nuovo. Il confine non è in alcun modo rigido: si pensi ai disegni di Leo­ nardo, che evidenziano i movimenti dei cavalli in ine­ sauribili variazioni, oppure alla rappresentazione fisio­ gnomica. 11. Il conoscere si fonda sulla percezione sensibile. «Ma a me pare che quelle scienzie sieno vane e piene di errori, le quali non sono nate dall'esperienzia, madre di ogni certezza, o che non terminano in nota esperienzia, cioè che la loro origine, o mezzo, o fine non passa per 20 nessuno dei cinque sensi ». « [ ...] e se tu dirai che le scienzie, che principiano o finiscono nella mente, abbiano verità, questo non si concede, ma si niega, per molte ragioni, e prima, che in tali discorsi mentali non accade esperienzia, senza la quale nulla dà di sé certezza ».2 1 Dunque la conoscenza non consiste in un passivo es­ ser spettatore, ma nell'attività. Il passivo è un ripetito­ re, l'attivo è uno scopritore. Lo scopritore è l'interme­ diario tra la natura e l'uomo. 111. Leonardo, come moderno investigatore, esige certezza.22 La provata conoscenza, che abbia saldi fon­ damenti, possiede in quanto tale un valore insostituibi­ le. « È di tanto vilipendio la bugia che s'ella dicesse be' gran cose di Dio, ella to' di grazia a sua deità: ed è di tanta eccellenzia la verità che s'ella laldassi cose mini­ me elle si fanno nobili. Sanza dubbio tal proporzione è dalla verità alla bugia quale dalla luce alle tenebre, ed è essa verità in sé di tanta eccellenzia che ancora ch'ella

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s'astenda sopra umili e basse materie, sanza compara­ zione ell'(e)ccede le incertezze e bugie estese sopra li magni e altissimi discorsi, perché la mente nostra [ ] ».23 IV. La scienza moderna è universale. In Leonardo è questo l'impulso dominante. Non vi è niente di reale, la cui conoscenza non sia colma di valore. Il suo interesse è illimitato. Ciò che sempre è, deve essere veduto e co­ nosciuto. v. N ella consapevolezza del suo progredire la scienza moderna è su una via all'infinito, pronta al nuovo nella sua volontà di scoprire, indipendente dalle opinioni tra­ mandate. Interamente pervaso da una tale aspirazione, Leonardo è in verità uscito da un fantastico, sia pur an­ cora grandioso, mondo chiuso, e ha fatto il suo ingresso in un mondo reale e, al tempo stesso, aperto. Le realtà non sono più per lui esempi destinati a confermare il già noto nella sua totalità, bensì postulazioni affinché si in­ vestighi e si conosca con la massima precisione. Egli non vive in un autoritario sapere enciclopedico, ma in un progredire problematizzante ed euristico. Tutte le astrattezze delle primitive, conchiuse metafi­ siche del mondo sono fatte retrocedere da lui a stru­ mento dell'espressione, utilizzate a piacimento, come pensieri che non sono validi in se stessi, ma di cui si può disporre. Figurazione, vincolo con la percezione sensibile, cer­ tezza costringente, universalità, coscienza del progredi­ re all'infinito, questi cinque momenti caratterizzano Leonardo come scienziato moderno. Gli aspetti con­ creti di questa indagine devono tuttavia essere descritti più da vicino. E così si mostrerà il loro limite. I) Le scoperte di Leonardo, soprattutto in anato­ mia, botanica e geologia, non stanno sotto la guida di una teoria costruttiva nel senso moderno, ma corri­ spondono a una considerazione ottica delle cose, sotto la guida di una onnicomprensiva coscienza cosmica. Così egli vorrebbe, quando descrive la figura umana, « disvelare la natura degli uomini e le sue proprietà».24 Negli abbozzi dell'opera sull'anatomia devono essere . . •

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visualizzare le conformazioni del corpo a partire dal concepimento, passando per la crescita nell'utero e quindi per le proporzioni di un bambino di un anno, fi­ no all'uomo e alla donna adulti. Bisogna inoltre che gli stati fondamentali dell'esistenza siano fisicamente rap­ presentati: la gioia, nell'espressione del riso; il dolore, in quella del pianto; la battaglia «con vari movimenti di uccisioni, fughe, paure, ferocità, ardimenti, omicidi, e tutte le cose appartenenti a simili cose»: la fatica del tirare, dell'urtare, del portare, del tenere, del sostene­ re.25 L'anatomista moderno che ammira l'esattezza, l'at­ tendibilità e la chiarezza dei suoi disegni anatomici, è deluso dalla mancanza di tutti i concetti dell'anatomia moderna, della riflessione propria all'anatomia compa­ rata, dell'idea di un sistema degli animali e delle piante, delle sezioni orizzontali nella costruzione degli organi­ smi, delle funzioni basilari della vita. Si stupisce che Leonardo sappia esattamente disegnare la struttura del cuore fin nei dettagli, pur serbandosi ancora fedele alla vecchia rappresentazione galenica della circolazione sanguigna, che non si accorda con questo stato ana­ tomico. È come se egli si arrestasse laddove la visione esige il concetto per condurre a nuove visioni mediante un tutto concettualmente pensato. La visione è di nuo­ vo compresa dalla visione e non è afferrata da un'astra­ zione motrice. Utilizza, invero, molti concetti tradizio­ nali come«movimento naturale»,«punto mediano del mondo», tuttavia questi non sono metodologicamente approfonditi, bensì contraddittoriamente utilizzati per esprimere quanto si è veduto, non già a cagione del si­ gnificato loro proprio. n) Leonardo scrive: «Non mi legga chi non è mate­ matico, nelli mia principi»; 26 e ancora: «La Meccanica è il paradiso delle scienze matematiche[ ...] ».27 Egli di­ ce: «La scienza strumentale over machinale è nobilissi­ ma e sopra tutte l'altre utilissima». Perché? Perché «mediante quella tutti li corpi animati che hanno moto 8 fanno tutte le loro operazioni [ ..] ».2 Sulla base di queste proposizioni si è affermata l'im­ portanza di Leonardo come uno dei creatori della mo.

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derna scienza matematica della natura. Ma questo non è sostenibile o per lo meno non lo è in alcun altro senso se non in quello per il quale i generali interessi del Ri­ nascimento per la matematica, il gusto della tecnica, l'operare nei laboratori, fornirono le condizioni favore­ voli alla successiva scienza matematica della natura. In Leonardo il discorso matematico è in verità fre­ quente. Ci sono rimasti di lui molti schizzi matematici. Ma sorprende quale limitata funzione eserciti la mate­ matica nelle sue effettive conoscenze naturali. Se si di­ stingue la matematica pura, come un mondo dello spi­ rito costruttivo a null'altro vincolato se non alla sua propria evidenza, la scienza matematica della natura, nella quale la formulazione matematica si associa all' os­ servazione, e infine la tecnica, in cui l'aspetto matema­ tico si risolve nell'utile operazione di calcolo, in nessu­ no di questi campi Leonardo ha prodotto qualcosa di originale. Ci si può domandare: sa in generale Leonardo cosa sia la matematica? In ogni caso essa non è per lui nien­ te di più dell'immagine stessa visualizzata che, nella geometria, giunge alla rappresentazione soltanto in modo più chiaro ed esatto; ed essa è per lui il computa­ re, che è utile. Leonardo pensava, se possibile, geome­ tricamente, meno volentieri aritmeticamente, poiché in questo caso la non evidenza è maggiore. Per quanto riguarda la scienza matematica della na­ tura, lo spirito di essa non vive in Leonardo. Egli igno­ ra il metodo rigoroso dell'attenersi a una ipotesi mate­ matica, di chiarirla fino in fondo nelle conseguenze e di verificarla sperimentalmente. Soltanto in questo modo sarebbe giunto sulla strada del progresso delle scienze propriamente matematiche, strada che attraverso i gra­ di scientificamente stabiliti nella comunità dei ricerca­ tori esperti in materia giunge al non più calcolabile. Per lui la matematica è soltanto lo strumento di un'esatta configurazione della visione, mai il mezzo per perveni­ re, nello spingersi oltre la visione riducendola al mini­ mo misurabile, a quel mondo che si è aperto alle scien­ ze matematiche della natura. Se per Leonardo i mode!-

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li restassero l'essenziale, non avrebbero mai potuto di­ ventare per lui indifferenti come meri punti di appog­ gio. Egli cercava nel visibile quell'invisibile che parla proprio nella pienezza figurale del qualitativo. Non cer­ cava quella non evidenza dell' accadimento fisico che non è afferrabile se non nelle diversità quantitative o formali-matematiche. Tutto il suo conoscere sembra piuttosto come un dar di piglio di breve respiro, che in verità fa scoperte su scoperte nella visione e nella rap­ presentazione evidente, ma poi, subitamente, si tronca. Non oltrepassa il visibile per rilevare, alla lettura delle misurazioni, il processo dell'invisibile e così verificarne la teoria. Leonardo esige la visione in un senso radicale e rimane legato alla visione. Se anche troviamo in lui proposizioni che nel loro carattere generale sembrano anticipare i principi delle scienze matematico-naturali, occorre dire tuttavia che in lui i mondi di Newton e Goethe non si sono ancora scissi. In Leonardo ha pote­ re e preminenza non lo spirito di Galilei o di Newton, ma quello di Goethe. Matematica e meccanica restano per Leonardo un mondo dell 'evidenza, di ciò che si può disporre nello spazio con le mani e che si può mandare a effetto diret­ tamente oppure con macchine predisposte. Egli studia la meccanica del corpo come quella dell'operare tecni­ co. Entrambi sono funzioni nella vita onniavvolgente. Dal punto di vista della posteriore scissione del mecca­ nico dal vivente, la concezione di Leonardo risulta am ­ bigua. Se si considera la supremazia, in Leonardo, del visi­ bile e del vivente, è lecito affermare che egli non è un moderno scienziato della natura. Se invece si considera ciò che, stando ai fatti, è nel pensiero della meccanica del vivente e che a partire da Descartes si esprime nella concezione del vivente come macchina corporea, una volta soppresse la cognizione e l'indagine propriamen­ te biologiche, allora bisogna respingere il pensiero di Leonardo come precursore di questo errore.29 Leonar­ do non conosceva ancora l'antitesi di meccanicismo e vitalismo. Egli intese il meccanicismo come evidenza

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nella configurazione del movimento, non già come teo­ ria degli accadimenti nel tutto. È senz' altro giusto valersi di Leonardo riguardo allo spirito della scienza moderna, ma è viceversa errato ri­ correre a lui per ciò che concerne lo spirito della scien­ za matematico-naturale. Questo dato di fatto ci ricorda che la scienza matematica della natura è soltanto un momento e non ciò che in generale è concretamente decisivo nel grandioso edificio della scienza moderna. 30 La moderna riflessione scientifica di Leonardo è te­ stimoniata dalla sua avversione alla magia, alle creden­ ze negli spiriti, alle incantagioni e a tutte le opinioni che s'impongono all'immaginazione senza esperienza critica. Egli vuole realtà. Tutto ciò che è reale, deve passare attraverso i sensi, l'occhio, la comprovata espe­ rienza. Leonardo censura la credenza negli spiriti. Nature disincarnate non possono esistere nello spazio. Niente è incorporeo nel regno degli elementi. « Lo spirito non ha voce [ . . .] ». « Non può essere voce dove non è movi­ mento o percussione d'aria, non può essere percussio­ ne d'essa aria dove non è strumento, non può essere strumento incorporeo. Essendo così, uno spirito non può avere né voce, né forma, né forza e, se piglierà cor­ po, non potrà penetrare, né entrare dove li usci sono serrati[. ..] » . 31 Non possono esistere gli spiriti. Tali spi­ riti o anche uomini-maghi che sollevano ingentissimi pesi, suscitano bufere e pioggia, hanno il potere di tra­ sformare altri esseri umani in gatti e lupi, non possono essere mai esistiti. 32 Ove infatti esistessero, sarebbero più potenti di ogni macchina da guerra, potrebbero, per mezzo di furiosi fortunali, distruggere ogni flotta, diventerebbero im­ mancabilmente signori di tutti i popoli. I tesori nasco­ sti e le pietre preziose sarebbero loro visibili. Potreb­ bero lasciarsi trasportare dall'aria in lungo e in largo per l'universo. Se si fosse data una tale arte, perché mai non sarebbe restata agli uomini? E se fosse stata possi­ bile, ci sarebbe da aspettarsi che il mondo più non esi-

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stesse. Poiché ci sono molti che annienterebbero Dio e l'universo pur di soddisfare una sola delle loro brame. Leonardo disapprova i fabbricatori d'oro. Loda gli alchimisti33 per le cose utili da essi inventate. Costoro tuttavia errano per insensata smania di guadagno, quando vogliono fabbricare l'oro. Solo la natura pro­ duce le cose semplici. L'uomo, dalle semplici, produce un infinito numero di cose composte. L'originariamen­ te naturale34 egli non lo può produrre. Non è ancora mai riuscito agli alchimisti di generare artificiosamente la benché minima cosa, ciò che solo dalla natura può essere operato, e non certo poi l'oro, che oltre tutto è progenie solare. Leonardo si oppone alle speculazioni visionarie, alle capziose sottigliezze e tortuose tele di ragno di coloro che cianciano di cose sublimi ed enigmatiche. 3' « E vòi poi scorrere ne' miracoli e scrivere e dar notizia di quelle cose di che la mente umana non è capace e non si posson dimostrare per nessun esempio naturale? ». Contro maghi, alchimisti e filosofastri Leonardo con­ siglia di attenersi a ciò che è accessibile. Non bisogna disperdersi in ciò che non esiste, perdendo di vista il possibile. Ci si deve tener saldi alla verità delle cose na­ turali, invece di ricercare inutilmente il sopraumano; l'oro bisogna guadagnarselo col lavoro nelle miniere in­ vece che sprecarlo nell'alchimia.36 « [ . . . ] perché pare che la natura si vendichi con quelli che voglian far miraculi, abbin meno che li altri omini più quieti, e quelli che voliano arricchire 'n un dì, vivino lungo tempo in gran povertà, come intervie­ ne e interverrà in eterno alli archimisti, cercatori di creare oro e argento, e all'ingegneri che voglian che l'acqua morta dia vita motiva a se medesima con conti­ nuo moto, e al sommo stolto, negromante e incanta­ tore ».}7 In conclusione: la scienza di Leonardo porta a una gran quantità di effettive scoperte nel mondo visibile , ma egli le accumula senza raccoglierle sotto la guida di una qualsiasi teoria scientifica. Le sue scoperte hanno buon gioco sulle vie della meccanica descrittiva, della

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concezione morfologica delle figure, delle pratiche operazioni manuali. Ma l'atteggiamento fondamentale è, più che una teoria, un accertamento onnipe�etrante della totalità della natura come vita universa. E ormai giunto il momento di parlarne.

NOTE

' Scrive Leonardo a proposito della pittura che essa (Codice Urbinate 1270 della Vaticano, raccogliente di mano d'un discepolo del Vinci appunti sul Trattato della Pittura, a cura di H. Ludwig, Wien 1882, 33). Quella della pittura è una virtù visiva (o visua­ le), una virtù sinottica, grazie alla quale viene a comporsi una > (Cod. Urb., 33). Molto opportunamente osservava a que­ sto proposito Valéry come Leonardo è «un ancetre authentique et immédiat de la science toute moderne>> (Léonord et les philosophes, in Voriété III, Pa­ ris 1 936, p. r6J), che consiste «à faire dépendre le savoir du pouvoir>> nel senso che l'intelligibile è subordinato al verificabile: «Tout savoir ne vaut que pour etre la description ou la recette d'un pouvoir vérifiable». La Werkbetiitigung di cui parla Jaspers equivale alla « formule d'acte>> cui fa cenno Valéry (op. cit. , p. r6s), con la differenza però che, per il primo, l'effettuazione operativa, anziché costituire un limite alla scienza vera e pro­ pria, è la condizione di un sapere che è senz'altro filosofia o meglio ontolo­ gia: «La fantasia dello spirito ha accessi all'essere, per il quale l'artista crea le sue figure nel visibile e che soltanto acquista verità attraverso la verità di questo visibile>> . Le due interpretazioni sono radicalmente divergenti. ' Cod. Urb. , r. La matematica dunque costituisce la possibilità stessa del­ la comprensione in termini di visualità, perché soltanto attraverso la mate­ matica il mondo acquista la sua necessaria evidenza, quella che Wittgenstein chiamerebbe «anschauliche Darstellung>> . Infatti essa esprime quei nessi regolari, quella armonica proportio nella quale la realtà visibile trova la sua conformità alle leggi. «La proporzione non solamente nelli numeri e misure ha ritrovata, ma etiam nelli suoni, pesi, tempi e siti e 'n qualunque potenza fia>> (Rav.-Mollien, m, 49 r.; cfr. Luca Pacioli, Divino proportione, Vienna [rsoS]). Quindi solo nella matematica il mondo si apre all'occhio del contemplan­ te. La concretezza della sensazione, del dettaglio, dell'orizzonte visibile ri­ porta nel valore della sintesi poietico occhio-mano i termini reali di una comprensione artistico-matematica del molteplice. Come risulta da quel che segue, J aspers tende a svalutare, in Leonardo, la portata metodologica della matematica, in ordine a quelli che saranno gli sviluppi galileiani della scien­ za della natura: secondo Jaspers, Leonardo non intende in alcun modo per­ venire, per il tramite della matematica, a una elaborazione di determinate leggi teoriche e, considerando la matematica soltanto come lo strumento più adeguato di una esatta configurazione del visibile, non mira a risolvere in un sistema di equazioni quantitative la trama organica del mondo stesso della visione. Ma, come osserva Cassirer, c'è già in Leonardo «una nuova posizione di problemi, un nuovo concetto della necessità che costituisce il temo delle scienze esatte» (Individuo e cosmo nello filosofia del Rinascimento, trad. it. di F. Federici, Firenze 1950, p. 246). In Leonardo si realizza infatti il supe­ ramento della contrapposizione regnum noturoe, come dominio delle neces­ sità, e regnum hominis, come dimensione della libertà e dello spirito, supe­ ramento reso possibile dal concetto cusaniano, matematico ed estetico, di

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proportio, in cui l'intima regolarità dell'oggetto è la manifestazione della

stessa libertà spirituale divenuta necessaria conformità a un fine. E. Garin, (L'umanesimo italiano, Bari 1 9 52, pp. 2 32 sgg.) spiega implicitamente que­ sto accordo sottolineando il carattere simbolico-pitagorico-platonico della matematica, quale veniva intesa da Ficino, come il medio di una corrispon­ denza tra mente umana e realtà. Il demiurgo, infatti, ha geometrizzato le forme della materia e l'uomo è un secondo demiurgo in possesso della chia­ ve di questa mathesis universalis. Ma comunque possa essere inteso storica­ mente il presupposto di questa «prestabilita armonia >> operata dalla mate­ matica, è certo che la sostanza della posizione metodologica di Leonardo ri­ guarda assai da vicino la complementarietà esperienza-ragione quale verrà utilizzata nella scienza galileiana come sintesi di verifica sperimentale e di dimostrazione matematica. Jaspers sembra ricollegarsi a Cassirer quando dirà che in Leonardo «i mon­ di di Newton e di Goethe non si sono ancora scissi >> e mostrerà la vicinanza dell'universo leonardesco a quello goethiano. In verità in Leonardo questi due aspetti, che rinviano da Galilei a Goethe e viceversa , sono come fusi tra loro perché per essi si pone, accanto alla matematica, come relazione logico-for­ male individuante le «ragioni >> della natura, l'arte o meglio la fantasia sensibi­ le esatta (Goethe), diretta a trascrivere nel visibile il fondamento armonico di una regolarità o immanente Zweckmiifiigkeit. Jaspers accentua l'aspetto goethiano limitando l'ideale scientifico di Leo­ nardo a un artistico «saper vedere >>, ma tutto questo non esclude che anche l'atteggiamento della visione o della percezione formale costituisca una mar­ cata introduzione alla edificazione delle scienze matematiche della natura su base sperimentale. La sutura di questi due aspetti sta nella originale traduzione operata da Leonardo di una teoreticità, non più posta in termini pitagorico-platonico­ ficiniani, nel contesto di una morfologia dell'esperienza in cui la visione co­ stituisce un totum simul comprensivo tanto delle determinazioni estetico­ qualitative quanto di quelle scientifico-quantitative. A questa considerazione sembra ricollegarsi quanto dirà in seguito Ja­ spers sul carattere vivente della meccanica dei corpi presso Leonardo e quindi sulla non ancora avvenuta frattura tra meccanicismo e vitalismo, an­ che se non è poi chiaro, per lo stesso Jaspers, il significato di questa indi­ stinzione; egli infatti non ha saputo cogliere quello storico trapasso, di cui Leonardo è un punto centrale, che segna l'affrancarsi della metodologia scientifica dalla pura «speculazione >> e quindi la caratteristica «globalità >> scientifico-artistica di Leonardo. Molto più addentro invece ci sembra sia andato Cassirer, allorché spiega che alla crisi dell'esperienza, come «experimentorum multorum coacerva­ tio >> (Campanella), concorse l'alleanza della matematica e dell'arte nell'edi­ ficazione della natura, come nuovo compito comune alla teoria dell'arte e alla scienza medesima (op. cit. , p. 241). '

  • > medesima. Il riflesso della costruzione esistenziale della cifra, a questo proposito, si individua nel fatto che, al pari della cifra, l'opera artistica acquista il signifi­ cato di una frattura del visibile, per cui si lascia aperto l'invisibile, e si pre­ senta al tempo stesso come indeterminazione progressiva del visibile fino a lasciar dischiudere nella modalità del linguaggio (e non in quella della visio­ ne) l'invisibile. In questa modalità la Trascendenza diviene visibile pur rima12

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    nendo tuttavia nascosta e lasciando quindi il compiuto (das Vo//endete) di là dal compimento (Vo//endung). Poiché nel corporeo si va dunque rendendo trasparente quel che non è corporeo, la cifra si manifesta nella sua caratteristica non convertibilità e ir­ relatività nell'apparenza; la cifra vale così come signum e non già come si­ gnatum, come quel medium in cui non si distrugge il mistero ipostatizzando­ lo intellettualisticamente in una presunta verità oggettiva. Nella cifra sta quel punto di intersezione in cui esistenza e Trascendenza si rapportano l'una al­ l'altra. L'interpolazione del discorso jaspersiano è resa manifesta, a questo pun­ to, dal parallelismo con la dottrina della Chi/freschri/t che può ulteriormen­ te spiegare a che cosa miri Jaspers nella sua analisi sul significato dell'opera artistica di Leonardo. Ma se questo può costituire il limite dell'interpretazione, non va tuttavia troppo sottovalutato il fatto che, indipendentemente dalla stretta correla­ zione con la metafisica jaspersiana, il concetto di aiuta in qualche modo a cogliere la caratteristica ambiguità - che è immaterialità e al tempo stesso non assoluta rarefazione spirituale - presente nei capolavori leonar­ deschi. La cifra, infatti, dischiude quella regione ermetica e carica di una sugge­ stione infinita in cui si colloca la presenza terrestre e tuttavia inafferrabile delle creature leonardesche: su essa si sostiene il tentativo di individuare quel medium in cui la forma naufraga nel regno della musica facendo illan­ guidire le proporzioni definite nel chiaroscuro e nello sfumato. Umbratile li­ nea di confine nata dalla trasligurazione lirica del pensiero nella sua incar­ nazione estremamente ricca e complessa, la cifra pittorica di Leonardo ap­ pare come la visibilizzazione in aenigmate di una divina immanenza del Deus absconditus nelle cose, o, se vogliamo, della pienezza stessa della di­ mensione umana rinascimentale, proposta come immagine di Dio. La mente del pittore - che è «similitu dine di mente divina>> - fa della sua scienza una scienza «divina» e della sua arte una contraffazione di «tutte le qualità delle forme che produce la Natura (Rav.-Mollien, VI, 1.2. r.) e questa sua contraffazione non è già «imitazione delle cose>> , «senza cognizion di esse>> (Codice Atlantico ripr. e trascr. dalla Accademia dei Lincei [trascrizione di G. Piumati], Milano 1894-1 904, 76 r.a.), ma intendimento divino delle «ragioni>> , per cui nell'atto del pittore la restituzione artistica equivale a creazione originaria. La pittura equivale a un «grande specchio>> (Rav.-Mol­ lien, I, 24 v.) in cui «la cosa naturale>> si colloca magicamente trasfigurata da «ombre e lumi>> , cosicché la cosa ritratta stia a quella naturale come cosa vi­ va a cosa viva. Queste considerazioni possono spiegare come per Leonardo il pittore, questo «universale maestro», dispiega nel suo «discorso menta­ le» una possibilità demiurgica che fa della sua arte «nipote di essa natura e parente d'Iddio>> (ivi, 1.20. r.), in quanto «discorre alla generazione di di­ verse essenzie>> (Cod. Urb., 68), una vera e propria ripetizione della creazio­ ne: per questo, sulla trama di un'armonia nuovamente cosmica il discorso polifonico della pittura esprime l'estasi di una contemplazione divinamente compenetrata con il suo intimo creare e quindi consonante con le divine ra­ gioni della Natura. Ma, ciò facendo, il pittore non fa altro che l'esegesi del mistero: per que­ sto tutta la sua «sapienza>> , anche nei suoi rilievi tecnici, manterrà nel corpo e nelle figure ritratte quella fascinazione segreta del non-più-visibile, che si esprime come «gran dolcezza di ombre>> (Cod. Urb., 1 6 1). È questo uno dei luoghi in cui la riflessione jaspersiana su Leonardo riesce a creare la suggestione di quella cosmicità nella quale si struttura la sostanza della visione leonardesca. È tuttavia un concetto tipicamente jaIl

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    spersiano, I'Umgreifende, quello chiamato a costituire l'essenza del nuovo universo leonardesco rispetto al cosmo gerarchizzato del Medioevo. > . Realtà è dunque questo orizzonte che contiene in sé tutti i possibili orizzon· ti, e questa «visibilità sognante>> di Leonardo è appunto la determinazione di tutti gli orizzonti, rendendo trasparente, entro questi stessi, l'orizzonte che li abbraccia e che, attraverso di essi, si annunzia. È inevitabile che Ja· spers si renda conto di come una spiritualità del visibile, così intesa, tra­ scenda tutto quanto è stato insegnato nel Trattato della Pittura, dove la pre· cettistica è sempre così puntuale, così legata al problema tecnico concreto, al dettaglio dell'operazione espressiva. E tuttavia è in questa «visibilità so­ gnante>> che si risolve, come in una trasfigurazione, l'arti/ixiosa mediazione. Si direbbe che Jaspers sovrapponga alla «artifiziosa natura>> il tema del­ l'Avvolgente, ma la Grundoperation filosofica, per cui viene liberata dalla co­ gnizione specifica la nostra consapevolezza deii ' Umgrez/ende, corrisponde in Leonardo a quella operazione pittorica fondamentale che discende dalla posizione stessa del pittore come «interprete>> «infra essa natura e l'arte>> . Questo convertirsi, questo tramutarsi nella propria mente di natura è, in un certo senso, capovolgere il rapporto e fare della stessa possibilità visuale il conglobante di tutte le realtà. Il tema della cognizione è troppo importante per Leonardo perché possa essere trascurato, ma la prospettiva jaspersiana deii ' Umgrez/ende elimina quella «coscienza in generale>> nella quale il sapere si articola come deter­ minazione oggettivante e quindi come cognizione della necessità nella quale si struttura il mondo intimo delle cose. Per questo l'accento viene significa­ tivamente spostato sull'operazione della pittura nella quale la totalità possi­ bile diventa una totalità manifesta, eccedente anche i confini della natura perché in essa la natura trova una sua umana, consapevole reduplicazione: «la pittura nonché alle opere di natura, ma a infinite attende che la natura mai creÒ>> . Va tuttavia sottolineato che il tema inventivo-interpretativo-demiurgico dell'operazione pittorica non si modalizza in una teoresi dell'ignoto e in una iniziazione della ragione alla esistenziale coscienza dell'Essere attraverso le cifre, bensì si accampa nell'ambito di una scientificità che per effetto stesso della sua possibilità astraente circoscrive in un solo sguardo, in una propor­ zionata armonia, tutto ciò che «è nell'universo per essenza, presenzia o im­ maginazione>> . L'infinitudine di questa visibilità sognante riposa sulla stessa infinitudine del produrre da parte dell'uomo ed è a questo punto che si rendono eviden­ ti i motivi rinascimentali ficino-pichiani che ne costituiscono lo sfondo: «in effetto l'uomo non si varia dalli animali se non nell'accidentale, col quale esso si dimostra essere cosa divina perché, dove la natura finisce il produrre le sue spezie, l'orno quivi comincia colle cose naturali a fare, coll'autorio d'essa natura, infinite spezie>> (Fogli di Anatomia della Royal Library di Windsor, trascritti e annotati da G. Piuma ti, Torino t9or, B. I 3 v.). È la coincidenza di determinazioni geometrico-matematiche con la visibi­ lizzazione pittorico-disegnativa il fulcro della sintesi operativa e della stessa possibilità umana di mediare universo naturale e universo artistico, inscri· vendo nella ragione immanente al primo la ragione poietica del secondo. Tale ragione poietica innalza la divinità dell'uomo al rapporto analogico con il suo creatore: e su questo punto non v'è dubbio che Leonardo concepiva

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    l'ordine stesso dell'universo come il risultato di una disposizione divina: «O mirabile giustizia di te, Primo Motore, tu non hai voluto mancare a nessuna potenzia l'ordini e qualità de' sua necessari effetti» ( Rav.-Mollien, 1, 24 r.); e proprio il riferimento a questa «necessità» ci fa pensare che l'invocazione di Leonardo non sia dettata da un esteriore conformismo. Accanto a questo Primo Motore, d'ispirazione aristotelico-tomista, si può citare il motivo agostiniano della illuminazione a conferma del nesso tra­ scendente - non già nella guisa jaspersiana, ma in quella teologica - artico­ lante il rapporto tra creatura e creatore: «si degnerà il Signore, luce di ogni cosa, illustrare me, tradatore della luce >> (Cod. Ati., 203 r.a.; cfr. in Ficino la distinzione tra Dio come «agens primum et commune > , e l'uomo come >, Theol. plat., xn, 4, 272). Vedi ancora, per l'intima teleologia dello stesso organismo corporeo ispi­ rata al disegno divino: Qu. Anat., n, 5 v. " Allo scopo di vedere in Leonardo pittore il Leonardo filosofo, paralle­ lamente alla riduzione dell'arte a filosofia, Jaspers distingue, a questo punto, l'arte come tecnica artistica dall'arte come linguaggio della Trascendenza. Dirà infatti, in seguito, che l'arte è «organo della filosofia>> . A differenza di Schelling, questa possibilità dell'arte non viene fatta emergere da una deduzione trascendentale, bensì è colta nel quadro di un merodo del comprendere (Verstehen) in virtù del quale, «per il tramite del­ le connessioni sensibili che rinviano continuamente a qualcosa di più profondo» (K. Jaspers - R. Bultmann, Die Frage der Entmythologisierung, Miinchen I 9 5 4· p. 29), «si penetra, attraverso il materialmente sensibile, nell'irripetibile storicità della cifra. E la cifra si colloca appunto là dove l'ar­ te come tale esprime una possibilità d'ingresso nella mia coscienza di ciò che altrimenti, in nessun'altra guisa, diventerebbe linguaggio» (ivi, p. 9 I). È chiaro dunque come l'istanza dell'arte, così intesa, abbia la sua radi­ ce in un «comprendere originario» in cui è attinto l'incomprensibile («In jedem urspriinglichen Verstehen wird das Unverstiindliche beriihrt >>, ivi, p. 29) e quindi come nell'opera debba manifestarsi questa ambiguità del rapporto del sensibile con il sovrasensibile in una vera e propria strumenta­ zione metafisica del fatto creativo. Jaspers insiste sulla necessaria presenza dell'Essere attraverso l'immagine artistica, così come awiene per il mito in cui è in gioco una realtà «nella rappresentazione della quale realtà empirica e realtà sovrasensibile originariamente non sono disgiunte per la coscienza >> (ivi, p. 8 9). Su questo piano, che è quello dell'esistenzialità, l'incomprensibile stesso si manifesta nel suo nesso oscurità-chiarore ed è per questo necessario che la corporeità non vada avulsa dalla sua essenzialità spirituale. Il sensibile co­ me tale sarebbe nullo, il soprasensibile, nella sua astrattezza, non avrebbe base nella realtà. Jaspers costruisce così una metafisica oggettività (Philo­ sophie, 3 voli., Berlin I 9 32, n, p. I29) posta, per così dire, in sospensione, in cui l' empiricità si arricchisce interiormente del suo simbolico contenuto e quindi si riempie di quella fede nella quale il filosofare si realizza come il movimento stesso dell'Esistenza . È l'esistenza, infatti, che legge le cifre, co­ me osserva P. Ricoeur (Philosophie und Religion bei Karl Jaspers, in Karl Ja­ spers, cit., p. 6 I 4), quindi anche nell'arte il tema etico della libertà, del ri­ schio, della comunicazione esistenziale appare come un «orientarsi nel mondo delle cifre» (« Sich in den Chiffren orientieren >>). La compenetrazione dello spirituale col sensibile è chiarita dal concetto di trasparenza che costituisce la sintesi di trascendenza e immanenza o, più esattamente, «una immanente trascendenza > (Philosophie, ci t., II I, p. I 37). La «trasparenza >> garantisce il fatto che d < 'oltre il mondo» non sia «un al di là del mondo >>.

    LEONARDO FILOSOFO

    (Philosophie, cit., n, 2 72). (Ogni relazione con Dio che non si realizza subito come comunicazio­ ne esistenziale, attraverso la quale soltanto essa può inverarsi, non solo è in sé problematica, ma costituisce anche un tradimento dell'esistenza.) " Cod. Urb. , 406. Cod. Urb., ro8. " Trattato della Pittura di Leonardo da Vinci, tratto da un codice della Biblioteca Vaticana, a cura di S. Manzi, Roma MDcccxvn, p. 77· " L'acuta analisi jaspersiana della struttura interna del chiari­ sce la complessa importanza di questo fondamentale momento della filosofia dell'arte presso Leonardo. La polivalenza critico-scientifica, da un lato, lilo­ solico·artistica, dall'altro, del «giudizio>> è spiegata dal fatto che questo è, per Leonardo, quel progetto o schema inventivo in cui è tematizzata la pro· "

    duzione artistica.

    In rapporto al giudizio l'opera si può considerare sotto tre distinti angoli visuali: come coincidente con quello ( d < 'opera sta pari col giudizio>> ) o co­ me discordante, sia perché lo supera, in quanto trascende la cosciente fina­ lità della sua attuazione, sia perché invece ne è superata. Non già quando l'opera supera il giudizio, bensì quando awiene il con­ trario si ha un > (Sistema dell'idealismo trascendentale, trad. it. di M. Losacco, Bari 1 926, p. 307); in altre parole il carattere di «infinità inconscia>> dell'o­ pera d'arte discende dal fatto che - a differenza di quanto si verifica per il prodotto naturale - in quello artistico l'attività conscia è riflessa come in­ consapevole; cosciente è la forma soggettiva della produzione, ma incoscien­ te il prodotto che ne consegue. Si direbbe invece che in Leonardo il risultato artistico debba rimanere sempre al di qua della progettazione creativa e che l'infinita intenzionalità cosciente del progettare non si debba mai esaurire nella perfezione dell'ope· ra d'arte. Jaspers interpreta tutto questo dicendo che sulla via della realizza­ zione dello spirituale nel corporeo, si hanno queste tre distinte possibilità di rapporto del giudizio con l'opera, e che proprio la Trascendenza presente all'opera sia riflessa in quel giudizio che fa l'opera, senza risolversi mai com­ pletamente in essa. Nel giudizio medesimo Jaspers vede una doppia gradualità: il primo gra­ do di questo è descritto da Leonardo allorché egli parla della cpumç che crea se stessa ancora una volta nell'opera artistica «Ed è di tanta potenzia questo tal giudizio ch'egli muove le braccia al pittore e gli fa replicare se mede­ simo». Parrebbe dunque che l'attività inconscia della Natura operi attraverso quella cosciente lino a identificarsi in essa: e questo per l'appunto ricorda ancora Schelling, laddove afferma che «obiettivo>> è soltanto ciò che nasce inconsapevolmente. Ma per quest'ultimo la coincidenza di attività conscia e inconscia si realizzava nel prodotto attraverso un sentimento d'infinita sod­ disfazione, essendo tolto il contrasto tra le due attività nell'autointuizione completa della identità di queste, obiettiva/a nel prodotto.

    LA MODALITÀ DEL CONOSCERE

    p

    Infatti è la contraddizione tra le due attività a imporre la necessità del produrre e solo quando questa contraddizione è soppressa nella conciliazio­ ne di entrambe, l'intelligenza considera come «volontario favore di una na­ tura più alta» questa unificazione medesima. «Ogni tendenza a produrre>> dice Schelling «si acquieta col compimen· to del prodotto; ogni contraddizione è rimossa, ogni enigma svelato>> (op. cit. , p. 302); ma in Leonardo accade esattamente il contrario, perché nel fat· to che il giudizio debba precedere sempre l'attuazione artistica si manifesta una insoddisfazione infinita. Correttamente quindiJaspers osserva che il giu­ dizio-guida della qn)m.ç diventa il nostro proprio giudizio, nel senso che que­ st'ultimo si fa giudizio del primo, un giudizio alla seconda potenza; se il giu­ dizio del pittore presiede alla sua opera e al giudizio della qn)m.ç, allora egli diventa un retto facitor d'opere. Potremmo dire, invertendo i termini dell'analisi schellinghiana, che si ha nell'opera d'arte una riduzione sempre più intenzionale e cosciente della spinta originaria al proprio giudizio nostro, all'autonomia più completa cioè dell'iniziativa riflessa, mediata, di quest'atto intellettuale che è la pittura, co· me articolazione di un linguaggio universale non affidato alla logica della parola, bensì a quella «muta>> delle figurazioni visibili. Giustamente scriveva Valéry a questo proposito « On voit se constituer peu à peu une sorte d'idéographie des relations figurées entre qualités et quantités, language qui a pour grammaire un ensemble de conventions pré­ liminaires (échelles, axes, réseaux, etc.): pour logique, la dépendance des fi. gures ou d es portions de figures, leurs propriétés de situation, etc.» ( Variété III, cit., I 82). Ma Jaspers è voluto andare oltre e ritrovare proprio in questa sintesi di potenza immaginativa e di pensiero il risultato dell'intervento della riflessio­ ne che «purifica>> e controlla il processo creativo. Il YÉÀ.oç di tutto ciò è quanto nell'opera viene espresso senza poter essere detto con parole, né co­ struito col pensiero, «ma che attinge la sua presenzialità nella contempla­ zione pensante>> . Tutto questo è certamente giusto, ma sono le strutture di questa contem­ plazione pensante, che allaccia la pittura come fatto mentale ( > ) alla sua , a interessare Leonardo; e non tanto la realizzazione in sé e per sé di questa presenza dello spirituale nel sensibile, quanto «la deità» propria del­ la «scienza del pittore>> è l'indice storicamente più concreto e accertabile della di Leonardo. Su questo piano egli si muove nell'ambito del platonismo in cui l'Eros costruisce quel circuitus spiritualis nel quale il sensi· bile è riscattato per il fatto che può incarnare il soprasensibile ( Theol. plat. , XVI, 7, J82). All'Eros ficiniano Leonardo sostituisce il pittore-scienziato la cui mente è similitudine di mente divina e i cui strumenti sono la totalità delle cono­ scenze tecniche, dalla dinamica alla fisiologia, alla meccanica, alla geome· tria, alla geologia: questi strumenti realizzano obiettivamente, con quella os­ sessione della lucidità intellettuale che Valéry ha così ben compreso, questa spiritualità del sensibile o meglio una consapevole veggenza delle sue deter­ minazioni spirituali e quindi della trama divina in cui è inscritto: la natura cioè, concepita non come caotica negazione di ogni forma, bensì come l'of­ ficina marmorea in cui si attua e si invera la pienezza della forma medesima. " Qu. Anat. , n, I r.: «perché quanto più minutamente descriverai, tanto più confonderai la mente del lectore, e più lo removerai dalla cognizione della cosa descritta; adunque è necessario figurare e descrivere>> . 20

    Cod. Urb., 33· " Cod. Urb., 1.

    LEONARDO FILOSOFO

    " «Chi biasima la somma certezza delle matematiche si pasce di confu­ sione, e mai porrà silenzio alle contraddizioni delle sofistiche scienze colle quali s'impara un eterno gridore» (Qu. Anat. n, I4 r.). " Codice sul volo degli uccelli, della Biblioteca di Torino, pubbl. da T. Sa­ bachnikoff, trascritto e annotato da G. Piumati, Parigi I893, I2 r.; ma cfr. anche Fogli staccati nella Royal Library di Windsor, pubbl. in fac-simile da E. Rouveyre, Feuillets inédits etc., Paris I904, in 24 voli., I2700 v.: «Verità: il sole - Bugia: maschera>> . 24 Più precisamente Leonardo dice: « Le figure de li omini abbino atto proprio alla loro operazione, in modo che, vedendoli, tu intendi quel che per loro si pensa e dice [ . . . ]>> , Cod. urb. I r s . ' " Cfr. Cod. Urb., 3 8 5 ; per le figurazioni di battaglia cfr. Rav.-Mollien, VI, 3 1 r., 30 v. e Cod. Atlantico, 74 v.; per la descrizione della battaglia di An­ ghiari - Fogli di Anatomia, B. 20. " Qu. Anat. , IV, I4 c. Rav.-Mollien, 111, 8 r. A questo proposito osserva Cassirer come lo sforzo di inserire la mate­ matica pura nella teoria del moto rappresenti un reale momento evolutivo delle scienze che sarà concluso, poi, da Galileo (op. cit. , p. 272). Codice sul volo degli uccelli, 3 r. " Non sarà forse inutile ricordare quanto osserva a questo proposito Valéry, in maniera antitetica al giudizio di Jaspers: «Je ne sais si personne avant lui avait songé à considérer les vivants d'un ceil de mécanicien. La su­ stentation, la propulsion, la respiration, tout lui est occasion mécanique. Il était plus anatomiste et plus ingénieur que Descartes. L'ambition de l'auto­ mate, de la connaissance par la construction, était souveraine en lui>> (Va­ riété III, cit., p. 1 70). Si potrebbe chiedere a Jaspers per quale ragione mec­ canicismo e vitalismo non siano ancora disgiunti in Leonardo e la risposta potrebbe essere ritrovata nella circostanza che anche il meccanicismo come tale è in funzione di una conoscenza intesa costruttivamente e quindi non già come «intentio cognoscentis in cognoscibile>> , bensì come realizzazione normativa della forma nella materia. La connaissance par la construction, appunto, implica una nuova coscien­ za in cui il noLEi:v come tale costituisce una struttura indissociabile dalle sue funzioni cooriginarie, artistiche e scientifiche. Ma su questo punto si veda alla nota seguente. '" Queste osservazioni di Jaspers costituiscono una forzatura della verità storica secondo la quale invece Leonardo ha una posizione preminente nel­ lo sviluppo della scienza. «Tra l'attività artistica di Leonardo > osserva E. Cassirer > (op. cit. , p. 2 54). Secondo Cassirer Leonardo si muove, al di là del neoplatonismo fiorenti­ no, sul terreno autenticamente platonico nel quale l'abbandono della M!;a si realizza attraverso un lìtutEQOç nÀoiiç verso la matematica, che è necessa­ rio vestibolo alla regione ideale. E sulla base di questo rapporto con il Pla­ tone storico si comprende in che modo Leonardo preceda e condizioni l'au­ tonomia dell'apriori e della ragione. teoretica in Galileo, per il quale > (ivi, p. 265). Matematica e meccanica restano invece, perJ aspers, > . Ivz, 370 v.a. " lvi, 370 v.a. cfr.: > che «fa a similitudine della farfalla a lume, dell'uomo, che con conti­ nui desideri sempre con festa aspetta la nova primavera, sempre la nova sta­ te, sempre e novi mesi, e novi anni, parendogli che le desiderate cose, ve­ nendo, sieno troppo tarde, e non s'avede che desidera la sua disfazione, ma questo desiderio ene in quella quintessenza spirito delli elementi, che tro­ vandosi rinchiusa per anima dello umano corpo, desidera sempre ritornare al suo mandatario» (Cod. Arundel, 156). Questo «ripatriarsi>> , diffuso al­ l'intero universo, perché «l'orno è modello del mondo>> , è ancora il segno di un platonismo cristiano armonizzantesi con il tema rinascimentale della concordanza uomo-mondo e dell'ars che media maior e minus mundus. •• Rav.-Mollien, IV, 18 r. " Fogli di Anatomia, B. 13 v. " Rav.-Mollien, VI, 119 v. " Qu. Anat., Il, 14 r. " Cod. Atlantico, 202 v. a. " Fogli di Anatomia, B. 21 v. " Cfr. Cod. Forster III, a cura della Commissione Vinciana, Roma 193019?4• 74 v. e Cod. Atlantico, 76 v.a. 7 Qu. Anat., 11, 14 r. " «Facciamo nostra vita coll'altrui morte>> , Rav.-Mollien, 1, 89 v. •• Cod. Arundel, 156 v. 40 Ibidem. " Cfr. Cod. Atlantico, 76 v. a. " Rav.-Mollien, I, s6 r. " Jvi, IV, 33 V. •• Cod. Atlantico, 252 r.a. " Cod. Triv., 27 r. •• Cod. Atlantico, 370 r.a. 47 lvi, 91 v.a. 48 , diceva Leonardo e non sarà forse inutile indicare in questa assimilazione analogica della mente del pit­ tore a quella divina il principio del capovolgimento del dogma classico del­ l'arte come imitazione della natura. Anche il motivo ficiniano per cui «hu­ manae artes fabricant per se ipsas quaecumque fabrica! ipsa natura, quasi non servi simus naturae, sed aemuli>> (Theol. plat., XIII, J, 295) cospira, in

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    Leonardo («e tale scienza [la pittura] ha tale proporzione con la divina na­ tura, quale hanno le sue opere con le opere di essa natura, e per questo è adorata>> , Cod. Urb., 29), a questa delineazione prometeica dell'uomo, pa­ dre e figlio delle proprie opere, e della sua priorità spirituale. In questo sen­ so potremmo dire che già in Leonardo si nota un primo passo verso la riso­ luzione schellinghiana dell'Assoluto nel prodotto artistico. Nel suo Discorso sul rapporto tra le arti figurative e la natura Schelling parlava infatti di una «imitazione originaria» in cui l'atto artistico è fuso con la forza creatrice dell'intero universo. In Schelling tuttavia il presupposto di una fisica trascendentale fa sì che l'arte debba essere considerata l'esemplare della scienza (Sistema dell'ideali­ smo trascendentale, cit., p. 3II). Ma in Leonardo accade precisamente il contrario e la visione artistica è talora solo il preludio all'investigazione scientifica, come nota Cassirer: «Leonardo ci racconta che avrebbe osserva­ to il contrarsi e il dilatarsi della pupilla, proporzionato alla quantità di luce che la colpisce, prima come pittore e solo più tardi avrebbe trattato questa questione come teoretico>> (op. cit., p. 250; cfr. E. Solmi, Nuovi studi sul/a fi­ losofia naturale di L. da Vinci, Mantova 1905, p. 39). La polivalenza del di­ scorso disegnativo implica appunto la sua assoluta concettualizzazione e quindi la possibilità di integrare nel processo operativo le componenti del­ l'osservazione scientifica e dell'ispirazione artistica. " L'occasionalità del soggetto cristiano, in Leonardo, non ci sembra del tutto accettabile anche perché non v'è traccia di un conflitto a questo speci­ fico riguardo, e l'ipotesi del conformismo, in un'epoca dominata dallo spiri­ to cristiano dell'Accademia Platonica fiorentina, ci sembra una soluzione troppo affrettata.

    III

    L'ESISTERE DEL PITTORE COME FORMA DI VITA DEL CONOSCERE

    Leonardo ha coscienza del suo esistere come di una grandiosa forma di vita. r. È necessario risalire alla condizione sociologica dell'artista nel Rinascimento. Tutti gli uomini erano sud­ diti, compreso l'artista, essendo egli assegnato al servi­ zio dei potenti, come prìncipi, città e chiese. Tuttavia l'artista dotato di qualche talento era ricercato e corteg­ giato. Lui soltanto non era suddito, ma uomo libero, es­ sendo ovunque a casa sua, sempre pronto a mettersi in cammino. Non aveva importanza la sua origine, nel suo talento stava la sua patente di nobiltà. Era in suo pote­ re imparare a conoscere tutto quanto esisteva al mondo. Si impadroniva di tutte le accortezze dell'indagare, del­ l'inventare, del costruire e delle arti, nonché di quelle della sua valentia personale, dal cavalcare al suonare l'arpa. Era l'ingegnere che progettava canalizzazioni e macchine da guerra, il fantasioso artefice delle feste, il creatore di quelle opere d'arte da cui derivava al luogo e a lui stesso grande fama. Era l'uomo universale.* Nel­ le sue massime espressioni la vita di un tale artista era quella di un principe tra i prìncipi. Così fu pure Leonardo. Nelle sue richieste d'impiego dovette esaltare le proprie capacità, come nella famosa offerta a Ludovico il Moro nel 1482. 1 Tra i nove punti hanno la più grande importanza le sue prestazioni co­ me tecnico di guerra; soltanto in un punto egli vanta le sue capacità in tempo di pace, come architetto, tecnico idraulico, scultore e pittore. Eppure anch'egli ebbe le sue grandi delusioni. Un appunto dice: «Lli Medici mi crearono e distrussono». 2 Servì Ludovico il Moro per sedici anni. Quando questo principe fu annientato dai Francesi, scrisse Leonardo nel suo libro: «il duca perse *

    In italiano nel testo.

    II

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    lo Stato e la roba e la libertà e nessuna sua opera si finì per lui ».3 Pochi anni dopo sarà al servizio dell'avversa­ rio di Ludovico, il re di Francia; nel frattempo, alle di­ pendenze di Cesare Borgia e della sua città natale, Fi­ renze. Leonardo seppe sempre conquistare e mantene­ re la sua libertà. In lui l'ideale di questa sovrana forma di vita dell'ar­ tista trova la sua manifestazione e realizzazione. I suoi progetti letterari si riferivano a libri il cui scopo era co­ municare ai pittori il sapere del quale dovevano entrare in possesso. Questo sapere è, stando alla natura della cosa, enciclopedico. Se questi libri fossero stati portati a compimento, sarebbero divenuti una nuova forma degli specula medievali a lui ben noti. Egli aveva invero pensato l'enciclopedia in un senso nuovo, interamente diverso: in primo luogo, come strumento del pittore quale conoscitore del mondo, secondariamente, come investigazione originaria, sulla cui strada egli voleva av­ viare il pittore. La forma di vita di costui è il suo gran­ de tema. 2. Il vero pittore è universale: «Quello non fia uni­ versale, che non ama egualmente tutte le cose che si contengono nella Pittura[...] ».4 «L'ingegno del pittore vol essere a similitudine dello specchio, il quale sempre si trasmuta nel colore di quel­ la cosa ch'egli ha per obbietto, e di tante similitudini s'empie, quante sono le cose che li sono contraposte. Adunque, conoscendo tu, pittore, no' poter essere bo­ no, se non se' universale maestro di contraffare co' la tua arte tutte le qualità delle forme che produce la Na­ tura[...] ».' «Certo non è gran fatto che studiando una sola cosa tutto il tempo della sua vita che[il pittore] non ne ven­ ghi a qualche perfezione; ma conoscendo noi che la pit­ tura abbraccia e contiene in sé tutte le cose, che produ­ ce la natura, e che conduce l'accidentale operazione degli uomini: e in ultimo ciò che si può comprendere cogli occhi, mi pare un tristo maestro quello, che solo

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    una figura fa bene[...] »,6 «un ignudo, testa, panni, o animali, o paesi[...] ».7 Una tale universale conoscenza pittorica è fondata sul sapere. Esercitare«pratica senza scienza è come na­ vigare senza timone o compasso».8 Perciò «sempre la pratica debbe essere edificata sopra la bona teorica» e il pittore deve studiare con regola e ordine. «Facile cosa è a l'orno farsi universale».9 Leonardo esalta l'attività come tale.«Sì come il fer­ ro s'arrugginisce senza esercizio, e l'acqua si putrefà o nel freddo s'addiaccia, così lo 'ngegnio senza esercizio si guasta».10 La fortuna aiuta colui che opera. Ma que­ sta attività deve avere nell'uomo la sua misura.«L'uo­ mo è degno di lode e di vituperio solo in quelle cose che sono in sua potestà di fare e di non fare».11«Non si 1 debba desiderare l'impossibile». 2 L'attività supera ogni cosa. «Prima morte che stan­ chezza».u «La vita bene spesa lunga è».14 «No' si vol­ ta chi a stella è fisso».1' Non già una vuota laboriosità né un semplice adempi­ mento del dovere produce lo slancio nel fare, ma l'amo­ re. Imparare a conoscere le mirabili cose della natura è la via per giungere ad amare l'artefice, questo tanto grande inventore.«Muovesi l'amante per la cos'amata come il senso e la sensibile e con seco s'unisce e fassi una cosa medesima». «Se la cosa è vile, l'amante si fa vile».16 Il falso amore fuorvia in basso.«Più facilmente si contasta al principio che al fine».17 «La passione del­ l'animo caccia via la lussuria».18 Né il sapere, né l'abile mano, né la laboriosità, né l'u­ niversalità, né l'amore sono in grado, come tali, di pro­ durre qualcosa. Decisiva è la potenza immaginativa, che in ogni momento è originaria.«Cosa voglio dire di que­ ste cose matematiche, che quegli, che solamente studia­ no gli altari e non l'apre di natura, son per arte nipoti, non figlioli d'essa natura, maestra de' boni altori».19 Leonardo osserva come, in singolari fenomeni, l'im­ maginazione possa essere stimolata.«E questo è: se tu riguarderai in alcuni muri imbrattati di varie macchie o pietre di vari misti, se arai a invenzionare qualche sito,

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    potrai lì vedere similitudini de' diversi paesi, ornati di montagnie, fiumi, sassi, albori, pianuri, grandi valli e colli in diversi modi; anche vi potrai vedere diverse bat­ taglie e atti pronti di figure, strane arie di volti e abiti e infinite cose, le quali tu potrai ridurre in integra e bona forma». Ma subito ammonisce che questo vedere non è in sé ancora niente: «E interviene in simili muri e misti, come del sono di campane, che ne' loro tocchi vi trove­ 0 rai ogni nome e vocabulo che tu imaginerai».2 Il lavoro sul fondamento del sapere e il giudizio che precede ogni opera e criticamente la decide, entrambi questi elementi rendono possibile la via del pittore cui, nell'immaginazione, sono donate le forme. 3· Come vive il pittore con gli altri uomini? Egli de­ ve inevitabilmente sopportarli, poiché non v'è alcun perfetto dono di natura senza gran dolore. Egli deve apprendere la pazienza« contro alle 'ngiurie ».«La pa­ zienzia fa contro alle 'ngiurie non altrementi che si fac­ cino i panni contro del freddo; imperò che se ti multipli­ cherai di panni secondo la multiplicazione del freddo, esso freddo noce non ti potrà: similmente alle grandi ingiurie cresci la pazienza, esse ingiurie offendere non ti potranno la tua mente».21 Il pittore ha bisogno di solitudine.22 In tal modo egli può indisturbato prendere in esame ciò che vede e met­ tersi in dialogo con se stesso. Egli diventa così «a simi­ litudine dello specchio».2l «E se tu sarai solo, tu sarai tutto tuo, e se sarai accompagnato da uno solo compa­ gnia, sarai mezzo tuo[. ] ».24 Tale solitudine, tuttavia, è pensata come tempora­ nea, come propiziatrice della riflessione e dell'ispira­ zione. Leonardo è sensibile all'esigenza dei rapporti sociali: è meglio disegnare in compagnia che da soli. La gara sprona. Si impara da quelli che fanno meglio. La lode rinfranca. Poiché ci inganniamo tanto spesso sulle nostre opere, «tu, o pittore sii vago de no' sentire men voluntiri quello che li tuoi adversari dicano dalle tue opere, che del sentire quello che dico' gli amici; perch'è più potente l'odio che l'amore [ ... ] ».25 Non . .

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    dobbiamo perciò ricusare di prestare ascolto al giudi­ zio altrui. Nell'amicizia Leonardo vuole nobiltà: «Reprende l'a­ mico tuo in segreto e laldalo in paleso».26 Pure l'emula­ zione non deve mai cessare: «Tristo è quel discepolo che non avanza il maestro».27 4· L'alto ideale rappresentato per Leonardo dall'esi­ stenza del pittore si fonda sull'importanza della pittura nel mondo della conoscenza. Nella maniera tradiziona­ le delle contese sul primato tra vita attiva e contempla­ tiva, tra umanisti e medici, è discussa da Leonardo la differenza di rango della pittura e della poesia. La pit­ tura ha il primo posto. La poesia è una pittura che si ode e non si vede; la pit­ tura è una poesia che si vede. La poesia è una pittura cieca, la pittura una poesia muta.28 La poesia si estende alla filosofia morale, la pittura alla filosofia della natura. La poesia descrive le attività dello spirito, la pittura mo­ stra lo spirito nei moti che divengono visibili. Evidente è, per Leonardo, il primato della pittura. Tra pittura e poesia vi è una distanza come tra il corpo e la sua ombra. 29 La pittura possiede la cosa stessa, rap­ presenta con chiarezza all'intelletto e alla sensibilità le opere della natura, la poesia ha soltanto parole. Perciò quest'ultima esige di essere integrata dall'immaginazio­ ne, al fine di produrre l'impressione della vita. Soltanto la pittura può restituire la piena realtà. «La Pittura rappresenta al senso con più verità e certezza le opere di_ natura, che non fanno le parole o le lettere [. ..] ». Jo E indubbiamente vero che il pensiero s'interna nell'intimo dei corpi, pensa le forze peculiari. Ma non può giungere ad appagarsi di una verità quale è quella prodotta dal pittore. Questi, infatti, coglie la prima ve­ rità dei corpi nella loro propria essenza. L'occhio si in­ ganna meno dell'intelletto. La pittura è scienza, dà origine a scienze, trascende la scienza. Essa si fonda sulla geometria e sull'aritmetica. Ha in­ ventato la prospettiva. Istruisce, mediante la prospetti-

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    va, l'astronomo; insegna alla geometria le immagini del­ le figure; ammaestra il costruttore di macchine e l'inge­ gnere. Studia i corpi secondo la loro struttura e movimen­ to, diventa anatomia, zoologia, botanica, geologia. Essa prende in considerazione le opere umane e divine, tut­ te quelle che sono delimitate in superfici loro proprie, vale a dire nelle linee di contorno dei corpi. {la inventato i segni grafici. E più che dottrina; è arte. Non studia soltanto, pro­ duce. L'orizzonte di ciò che il pittore porta alla cono­ scenza attraverso la visibilità, ingloba tutto in sé. Il pittore è signore del mondo della realtà e del sogno. «l semplici naturali sono finiti e le opere che l'occhio comanda alle mani sono infinite, come dimostra il pit­ tore nelle finzioni d'infinite forme di animali ed erbe piante e siti ».«Se 'l pittore voi vedere bellezze che lo innamorino, egli n'è signore di generarle, e se voi vede­ re cose mostruose, che spaventino, o che siano buffo­ nesche e risibili, o veramente compassionevoli, ei n'è signore e dio. E se voi generare siti e deserti, boschi ombrosi o foschi ne' tempi caldi, esso li figura, e così lochi caldi ne' tempi freddi. Se voi valli, se vole dalle al­ te cime de' monti scoprire gran campagna, e se vole do­ po quelle vedere l'orizzonte del mare, egli n'è signore, e se dalle basse valli voi vedere gli alti monti, o dagli al­ ti monti le basse valli e spiagge. O in effetto ciò ch'è nell'universo per essenzia, presenzia o immaginazione, 11 esso lo ha prima nella mente e poi nelle mani [...] ». La superiorità spetta al pittore: proprio perché nella stessa immagine da lui prodotta mostra l'oggetto ama­ to, egli eccita i sensi più facilmente della poesia. La pittura è universalmente comunicabile, il suo lin­ guaggio è parimenti comprensibile ai Greci, ai Latini, ai Tedeschi: la poesia è di volta in volta legata a una lin­ gua particolare. La pittura è più aristocratica, l'attitudine a essa non è acquisibile da tutti. Le sue opere non sono riproduci­ bili come i libri. La poesia, in fondo, combina i prodot­ ti elaborati da altri fabbriceri. Se il poeta vuole discor-

    L'ESISTERE DEL PITIORE COME FORMA DI VITA DEL CONOSCERE

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    rere e persuadere, è vinto dall'oratore; se parla di astro­ logia, ha rubato all'astrologo; se tratta di filosofia, il de­ predato è il filosofo. La possibilità che le espressioni di Leonardo incappi­ no nell'assurdo è dovuta al fatto che nella pienezza del suo mondo visivo, in cui conosce operosamente con­ templando, egli ha lasciato languire il senso dell'Altro. Ne consegue l'incapacità di comprendersi nel suo fa­ re, allorché scriveva, ma così facendo, senza averne l'intenzione, raggiungeva la più chiara comunicazione e splendide pagine poetiche. Goethe ha esaltato Leonar­ do: alla sua acuta, sagace concezione del mondo, fon­ data sull'occhio, dobbiamo anche ciò che egli sa rap­ presentare con parole, quasi potessero divenire pittura: il movimento più impetuoso di complessi avvenimenti tellurici, scontri d'arme e tempeste. È difficile trovare raffigurazioni più precise. Ma da ciò derivava anche, come conseguenza, che egli si rifiutava di elaborare la scrittura del testo, lascia­ va che sulla pagina si accumulassero, con diversa gra­ dualità, locuzioni insignificanti sino a realizzare una prodigiosa strutturazione: in nessun punto si dava cura di raggiungere un compimento; non cercava alcuna re­ golarità e disciplina di costrutto rappresentativo, ma restava fermo alla immediatezza del dettato. La poesia non è disprezzata da Leonardo, bensì sol­ tanto gerarchicamente subordinata alla pittura. Un ac­ cento radicalmente diverso è invece avvertibile nel suo irato attacco ai grammatici. La loro superiore pretesa è ridicola, la loro critica suscita l'indignazione. Scendono in campo contro gli autori, poiché non ce la fanno a di­ venire essi stessi dei creatori. Discorrono facendo ap­ pello all'autorità degli scrittori, ma non usano tanto l'intelletto quanto piuttosto la memoria. Si pavoneggia­ no con le altrui imprese. Chiamano la pittura un me­ stiere e sono molto abili a lodare le opere attraverso ciò che è stato scritto. Spregiano il pittore poiché non sa­ rebbe un dotto. Ma chi disprezza la pittura, non ama né la filosofia né la natura.J2 Leonardo ingaggia una battaglia memorabile. Il mon

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    do muto dell'occhio, la pittura come linguaggio del visi­ bile si volge contro il mondo della parola intellettuale, in quanto linguaggio non visibile dello scrivere e del dire. L'esperienza è contrapposta al sapere libresco. La con­ sapevolezza del creativo produrre nell'opera vede la sua antitesi nel carattere derivato del linguaggio verbale. La totalità di una vita originaria attivamente conoscitiva, che con l'opera della mano costruisce le sue realtà, di­ sprezza quell'esistenza particolare che scrive, estraniata dalla vita. La maggior parte dei pittori non scrive. La loro vita non basta a compiere ciò che propriamente le compete. E la stessa pittura non trova nel discorso la rivelazione della sua meta finale. «E veramente non senza cagione non l'hanno nobilitata, perché per se medesima si nobi­ lita senza l'ajuto delle altrui lingue, non altrimenti che H si facciano l'eccellenti opere di natura ». Ma Leonardo si è appropriato anche dell'arte dello scrivere. Gli scrittori di solito non sono capaci di pene­ trare conoscitivamente la scienza della pittura. Le teo­ rie di Leonardo sono invece qualcosa di diverso, «sono più da esser tratte dalla sperienza che d'altrui parola [ ...] ».34

    NOTE

    1 Cod. Atlantico, 391 r.a. Ma la data è controversa, 1483? lvi, r 59 r.c. 1 Rav.-Mollien, v, 1° verso della copenina. ' Cod. Urb., 19 v. ' Rav.-Mollien, 1, 2 r. • Trattato della Pittura, cit., p. 65. 7 lvi, p. p. Qui Jaspers collega insieme due luoghi diversi. ' Rav.-Mollien, v, 8 r. ' The literary works o/ L. da Vinci, 2 voli., a cura di J. P. Richter, Londra 1939 1, l, G. 5b in 505, p. 310. Cod. Atlantico, 289 v.e. lvz, 289 v.c. " Rav.-Mollien, m, J1 v.; cfr. Atl., 119 v.a. " Fogli staccati Windsor, 12700 r. " Cod. Triv., 34 r. " Fogli staccati Windsor, 1 2282 r. 16 Cod. Triv., 6 r. Cfr. Ficino, Theol. plat., lib. XVI, c. vu, p. 381, ma è da intendersi anche in senso gnoseologico; cfr. F. Patrizi, Panarchias, lib. xv; De lntellectu, Nova de Universis Philosophia, Ferrara 1591, fo. 31. " Rav.-Mollien, VI, 119 r. " Cod. Atlantico, 358 v. a. " lvi, 141 r.b. " Rav.-Mollien, 1, 22 v. «Egli è ben vero che in tale macchie si vedono va­ rie invenzioni di ciò che l'uomo vuole cercare in quelle cioè teste d'uomini, diversi animali, battaglie, scogli, mari, nuvoli, e boschi, e altre simili cose; e fa come il suono delle campane, nelle quali si può intendere quelle dire che a te pare», Trattato della Pittura, cit., p. 57· Entrambi questi testi non corri­ spondono perfettamente alla lezione citata da Jaspers. Leonardo chiama l'immaginazione «ingegnio »: e sarà, questa, la propria sciendi /acultas di Vi­ co, allorché egli ricollega alla vinù dell'ingegno quell'ars inveniendi che dà al sapere una sua funzionalità sintetica e inventiva fondamentale non solo nella poesia e nell'eloquenza, ma anche nelle scienze elaborabili sperimen­ talmente. " Cod. Atlantico, 117 v.b. " Cod. Urb., 28 a. " Rav.-Mollien, I, 2 r. " lvi, I, 27 v. " Cod. Urb., 65 a . " Rav.-Mollien, VI, 1 6 v. " lvi, 66 v. " Rav.-Mollien, v, 21. "' lvi, 2. '" Cod. Urb., 2. " Cod. Urb., 13. " Cfr. Rav.-Mollien, 1, 20 r. " Trattato della Pittura, ci t., p. 33; «Adunque questa [la pittura] non ha bisogno d'interpreti di diverse lingue, come hanno le lettere, e subito ha sa'

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    LEONARDO FILOSOFO

    tisfatto all'umana specie, non altrimenti che si facciano le cose prodotte del­ la natura», ivi, p. 47· " Cod. Atlantico, 119 v.a.

    IV

    CARATTERIZZAZIONE DI LEONARDO

    Abbiamo presentato il metodo di Leonardo (pren­ der coscienza, mediante occhio e mano, della spiritua­ lità del sensibile), il suo contenuto cosmico (la totalità delle forze) e la sua forma esistenziale (la vita contem­ plativo-conoscitiva del pittore). Torniamo al problema dell'inizio, per stabilire in che senso Leonardo è stato filosofo. 1. Ove si ritenga Leonardo un fondatore, tra gli al­ tri, della moderna scienza matematica della natura, questo può essere agevolmente confutato ed è pertanto facile, almeno in apparenza, screditare tutta la sua scienza. Se si vede in lui uno scienziato moderno in senso universale, pur essendo invero ben evidenti le sue numerose e ammirevoli scoperte anatomiche, geologi­ che e botaniche, tuttavia esse restano oggettivamente superate e dunque ancora interessanti soltanto dal punto di vista storico. Se si pensa a Leonardo come al grande pittore, questa grandezza è inattaccabile, ma in confronto ad altri grandi pittori, essa risulta ancora ri­ conoscibile solo attraverso un'opera frammentaria, va­ lida più per la sua fama che per essere ancor oggi un at­ tivo elemento vitale. Cosicché Leonardo è maggior­ mente conosciuto, sotto il riguardo storico, come il precursore dell'arte classica; è uno tra molti altri gran­ di e forse più grandi artisti. In una cosa però la sua incomparabile grandezza ap­ pare manifesta e sovrastorica: nella sostanza di quella totalità da cui discendevano tutte queste ricerche e questa creatività artistica a cui tutto ciò doveva servire: nella cognizione del mondo, espressa in forma persona­ le, da parte di un'esistenza filosofica. È qui che lo scienziato, il tecnico e l'artista sono una realtà unica. Tale unità non è condizionata dal prevale­ re di uno di questi momenti. Non già la volontà di Leo-

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    nardo, ma l'interesse dei po� teri ne hanno isolato uno come l'elemento sostanziale, e il più delle volte è stato l'artista. Questa unità la si può chiamare il filosofo Leo­ nardo, ave s'intenda la filosofia non già come un ramo delle scienze, non già come dottrina, bensì come un co­ noscere universale che va prendendo coscienza di sé come di un tutto e se stesso riconduce sotto la sua pro­ pria guida: come una forma vitale, quindi, di questa umana esistenza che assume in sé il conoscere. Insieme e al disopra dell'arte, della scienza, del dipingere, del costruire, vi è l'unificante spazio spirituale a cui tutte queste cose tendono: esse non sono autosufficienti. Ta­ le filosofia acquista un peso storico qualora, come tota­ lità, sia divenuta comunicabile nell'esistenza, nell' ope­ ra, nel pensiero. Leonardo è filosofo come lo era Goethe.1 Vi sono molti poeti-filosofi. Leonardo è l'unico arti­ sta-filosofo in grande stile. In lui l'arte divenne l'orga­ non della filosofia, giacché in lui l'agire dell'artista, in quanto conoscitivo, venne realizzato e al tempo stesso assunto nella riflessione.2 È questo che distingue radi­ calmente Leonardo da grandi artisti metafisici come Michelangelo e Rembrandt. D'altro canto, il modo con cui si attua la filosofia lo differenzia dai filosofi pro­ priamente detti. Poiché l'arte diviene per lui l' organon della filosofia, in misura minore di quelli si rapporta Leonardo alle costruzioni sistematico-concettuali e a una logica razionale, riconnettendosi invece a una con­ creta logica filosofica e a una cosciente plasmazione di . l vita. Quel che egli è stato e ha fatto, ci ha mostrato, in pri­ mo luogo, come la filosofia resti povera e incompiuta senza ciò che è più del pensiero, ciò che unicamente in­ vera il pensiero, ciò che nell'arte e nella poesia è creato: questo deve diventare l'organon della conoscenza filo­ sofica. In secondo luogo, ci ha indicato dove sta l'istan­ za che ovunque e anche nell'arte vede l'aut aut e decide tra bene e male, vero e falso, sostanziale e vuoto, saluta­ -re e dannoso. Infatti, come momento dell'esistenza in­ vestita di una fede, al pari di tutte le realizzazioni l'arte

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    si pone sotto il giudizio platonico. In questa decisione è in gioco qualcosa di fondamentalmente altro da ciò che gli intenditori d'arte chiamano qualità. Giacché la crea­ zione spirituale può essere luciferina, sovrana nella sua «qualità», vana nella sua magia, mentre seduce a im­ mergersi in uno sfrenato godimento estetico, prodigio­ so e terrifico. 2. Laddove esiste l'unitotalità della realtà spirituale e questa è, come tale, cosciente di sé, lì è filosofia. La partizione dello spirito in provincie come arte, lettera­ tura, scienza, religione, appare compiutamente elabora­ ta, quale struttura fondamentale, dai grandi filosofi del secolo XIX; la sua forza di convincimento sta nella tan­ gibilità di cose come opere d'arte, scritti letterari, risul­ tati scientifici, realtà culturale, ed è tanto profonda­ mente compenetrata dalla consuetudine dominante che è ben difficile sottrarci a essa. Per comprendere Leonardo tutto ciò assume un suo preciso significato: egli è famoso per le sue opere, mol­ to meno per la sua pressoché sconosciuta attività lette­ raria, ancor meno per i suoi risultati scientifici che col­ mano di meraviglie soltanto a causa del loro carattere anticipatore, come una curiosità. Dunque egli è artista. Da questo punto di vista la sua scienza ha valore come opera collaterale, senza un vero e proprio collegamento con l'arte. Si ha interesse per l'una, non si ha bisogno di averlo per l'altra. La poliedricità di Leonardo non è la multilateralità di un'unità che è posta nella natura della cosa, bensì la deplorevole dispersività di un ingegno anche troppo versatile. Tutto ciò è decisivo per intendere la natura di Leo­ nardo. Essa diventa chiara solo quando quelle scissioni delle sfere spirituali, arte, letteratura, scienza, tecnica, sono colte concettualmente nel loro limitato significa­ to. Pittura, scrittura, indagine dell'uomo rinviano allo­ ra a una totalità che precede tutte le separazioni e che non è essa stessa sussumibile sotto di esse. In una siffat­ ta esistenza tutto, nella vastità del suo manifestarsi, è indirizzato da mezzo a fine. È un modo di attraversare

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    il mondo, di vedere, di amare, di essere tristi o lieti, di accertarsi dell'Essere e di rendere obiettivamente co­ municabile questo accertamento. È l'unità che l'uomo persegue come realtà di vita, che egli stesso diviene e che porta a rappresentazione. Se si volesse cogliere tale unità, ci si imbatterebbe nella realtà storica, che è presente in quest'uomo unico unitamente al problema concreto destinato a essere ri­ schiarato nel concetto universale. Non si può compren­ dere l'uomo storico a partire da un universale. Ma si vorrebbe conoscere la cosa secondo il principio univer­ sale. In ordine al principio universale è da dire soltanto questo: tutti gli ambiti separati finiscono per condurre all'assenza di contenuti, ove siano isolati, ove la specia­ lizzazione diventi scissione, ove gli ordinamenti norma­ tivi dei vari ambiti, nella loro rispettiva legittimità, sia­ no presi per la verità, ove ogni ambito conferisca inol­ tre a se stesso un primato e nella sua assolutizzazione pretenda l'egemonia. Intervengono a questo punto le autonome legislazioni della scienza, dell'arte, della reli­ gione, della politica, dell'economia, dell'erotica, come se ognuna di esse costituisse una inappellabile ultima istanza. Ma ciò che costituisce l'istanza più alta, ciò che stabilisce a ogni regione la sua misura sulla base del­ l'Avvolgente e con ciò la mantiene in relazione al fon­ damento e la fa insieme sussistere nella pienezza di contenuto, questo non è ancora un particolare, qualco­ sa che si possa afferrare in modo direttamente obietti­ vo, ma soltanto strada facendo oltre quelle ragioni par­ ticolari. Tutto il suo contenuto procede dall'origine che è unica. Tuttavia l'attuazione di questa Totalità è per l'uomo impossibile. Quanto più grandemente e profondamen­ te in un uomo questa Totalità incalza verso la sua affer­ mazione, tanto più manifestamente deve naufragare, poiché è questo stesso scacco a dare un linguaggio alla verità.4 Ma ciò non si presenta mai univocamente, non è mai indicabile in maniera vincolante.

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    3. Sono stati mossi molti rimproveri a Leonardo. La sua intera vita sarebbe stata casuale soggettività. Egli non avrebbe mantenuto le sue promesse, deludendo così i propri committenti. Il suo lavoro sarebbe stato guidato dal capriccio. Sempre nuove attività lo attira­ vano, ma finiva sempre per abbandonarle, senza mai portare a compimento cosa alcuna. I suoi metodi scien­ tifici sarebbero privi di struttura logica, altrettanto sog­ gettivi e casuali come tutto il resto. I dati di fatto esteriori, che sono alla base di tali rim­ proveri, non possono essere contestati. Pur tuttavia la loro formulazione e la loro interpretazione sembrano alquanto erronee se si considera la natura di Leonardo. Un dato di fatto è evidente: Leonardo era un fram­ mentario. In esiguo numero ci restano di lui opere con­ dotte a termine e per lui stesso anche queste non hanno valore di cose compiute. La congerie dei manoscritti e dei disegni testimonia invero il suo enorme lavoro. Ma nessuno scritto fu portato a compimento: né la già este­ samente sviluppata Anatomia con le sue centinaia di di­ segni, né i piani dei suoi scritti geologico-cosmografici, né l'enciclopedia del sapere per gli artisti, forse già ab­ bozzata. Il Trattato della Pittura è stato messo insieme dopo la sua morte, con un titolo che non è di Leonar­ do. Quanto ai molti abbozzi edilizi, piani regolatori, progetti di canali, di macchine militari e d'altri innu­ merevoli ordigni, ignoriamo quanto di tutto questo sia stato messo in atto; in ogni modo, se anche qualche co­ sa venne realizzata, non fu molto. Il problema è dunque: perché Leonardo rimase un frammentario? L'opinione secondo la quale egli si sarebbe disperso, perché lunatico, è contraddetta dall'ostinazione e dal­ l'estrema esattezza del suo effettivo lavoro. Se nono­ stante tutto questo si arrestò e lasciò a mezzo le sue opere, ciò dovette significare che egli sentiva la neces­ sità di abbracciare altri compiti materialmente connes­ si con quelli, solo in via provvisoria, messi da parte. C'era una totalità cui ogni cosa doveva servire. Questa

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    totalità, tuttavia, era tanto imponente da superare la misura di ciò che può rientrare in una vita umana. Questa totalità era la conoscenza del mondo. Il fatto che essa non potesse essere compiuta, dipendeva dalla novità di questa specie di conoscenza cosmica: dal fat­ to, cioè, che non costituiva un progetto, nel pensiero, della totalità, bensì una conoscenza ricavata dalla per­ cezione reale. Era il moderno atteggiamento scientifico distinto da quello dogmatico. Era per questo che in ogni campo si rendeva necessaria la specializzazione. Leonardo fu, in tutto ciò cui poneva mano, uno specia­ lista. Ma le forze di un uomo non potevano esaurire ciò che fu un lavoro dell'Europa per secoli e che ancor og­ gi non è giunto a compimento. Poiché nessuno specia­ lismo poteva bastargli - giacché si trattava della totalità del mondo - e poiché questa totalità è veramente ac­ cessibile solo se lo specialistico venga superato, la natu­ ra stessa dell'impresa comportava il suo fallimento, se doveva essa essere portata a termine in una singola esi­ stenza, per così dire col piglio poderoso di un lavoro so­ vrumano. Il perseguire questa totalità si consumava nel­ l'intensità dell'intervento, in un completo abbandono alla cosa particolare, e infine nel non occuparsene più. Era un andare oltre con l'intenzione di farvi ritorno. Per l'atteggiamento conoscitivo di Leonardo, non poteva essere portata a compimento, pur nella pienezza delle ricerche specialistiche, la cognizione del mondo nella sua totalità, anche perché non era sufficiente la comprensione del dato. Leonardo era rapito dal conte­ nuto spirituale di ogni realtà. Per renderlo visibile, era necessario progettare immagini nello spirito, immagini che la mano traduce in realtà nell'opera d'arte. Ma poi­ ché la spiritualità non giunge mai compiutamente alla sua espressione, ed è invece sempre il giudizio ad anti­ cipare ogni opera, nessuna creazione artistica può esse­ re sufficiente. Compenetrato dalla totalità, era dunque Leonardo come aggredito da nuove immagini-visioni che lo incal­ zavano per venir rappresentate e da ispirazioni improv­ vise che lo spingevano dall'osservazione alla formula-

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    zione. Quasi sempre unite alla totalità della conoscenza cosmica attraverso un nascosto legame, esse dovevano essere afferrate, non potevano essere tralasciate. Così l'opera di Leonardo, che in pochi e relativi compimen­ ti si è acquistata fama mondiale, sta con tutto l'insieme del suo pensiero contemplante sul vasto terreno dei progetti, dei tentativi privi di una meta determinata. È questo un lavorare per prefigurazioni, come ha detto Gantner, delineando in maniera convincente l'ambito di questo mondo creativo. Queste prefigurazioni sono soltanto in piccola parte abbozzi che potrebbero attin­ gere la loro meta solo se ricevessero forma compiuta in un'opera d'arte. Non sono, come gli schizzi di altri grandi artisti, imbrigliati da obiettivi di questo genere. Rappresentano piuttosto, nel loro insieme, il continuo cominciare a farsi immagine di tutte le cose esistenti. Di qui la congerie di progetti fondamentalmente irrea­ lizzabili, le anticipazioni, per involgere ogni modalità dell'invisibile nel visibile, anche a costo di naufragare, in primo luogo, con la stessa forma visibile. Ma non po­ teva darsi per lui un vero fallimento, convinto com'era che tutto potesse diventare visibile. La frammentarietà, la pienezza in statu nascendi è a un tempo la conseguenza dell'universalità che scorge in ogni compimento l'insufficienza.5 Infatti, di fronte al tutto, di fronte alla conoscenza realizzantesi per così dire in anticipo nelle prefigurazioni, ogni elaborazione in via di compimento è, nel suo stesso appagarsi, anche limitazione. Leonardo ha la volontà del compimento poiché, senza questa volontà, tutto si estinguerebbe. Per questo le sue energie si sono sempre mantenute fe­ deli, nella creazione, a una costantemente sperimenta­ trice volontà di compimento in alcune opere, mentre nella ricerca si sono sempre concentrate, con trivellan­ te precisione, sul minimo dettaglio. Ma non a lungo. Egli non può e non vuole restare prigioniero della limi­ tazione. Vuole fondamentalmente ovunque la compiu­ tezza nel particolare, senza tuttavia perdersi in essa. Fu un grande artista, in poche opere d'arte, allo stesso mo­ do in cui fu, come scienziato, uno specialista. Ma ogni

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    cosa doveva servire a quell'unica totalità che era pre­ sente alla sua coscienza e che faceva di ogni suo inap­ pagamento una felice insoddisfazione. Chi, al pari di Leonardo, avesse voluto erigere una costruzione di proporzioni sovrumane nel suo insieme, di proporzioni umane nelle sue singole parti, avrebbe dovuto lasciare in eredità una catasta di pietre raccolte e riconosciute, ma soltanto qua e là splendide sculture per chiunque altro fuorché per Leonardo da conside­ rarsi compiute, alcune scoperte scientifiche perfetta­ mente realizzate. Inoltre Leonardo non poteva in alcun modo, nello sbozzare, nel migliorare, nel muovere verso una più pura verità, restar fedele al suo stile personale (come ad esempio Rembrandt, in ogni foglio dei suoi disegni e incisioni): non poteva in ogni pensiero toccare la vetta (allo stesso modo con cui la raggiungono, in ogni anno­ tazione, Pascal, Leibniz o Kant). Dove riuscì a raggiungere l'ottimo, fu inimitabile. Nelle copie, nella eco di altri, l'essenziale è dissolto con­ tinuamente a vantaggio di una bellezza, di una forma forse ancora affascinante, di una apparente perfezione, alla quale però manca quella singolarità, l'acerbità stes­ sa del sorriso, la mediazione nella trasparenza. 4· Altre pesanti critiche si fanno a Leonardo. La sua esistenza non poggerebbe su alcun terreno. Figlio ille­ gittimo, non avrebbe conosciuto alcun vincolo nazio­ nale, patrio, familiare; sarebbe stato cittadino del mon­ do, ma come individuo che vive là dove lo si paga, sen­ za appartenere a nessuno e senza alcuna fedeltà. Non si sarebbe sposato, non avrebbe avuto amici, soltanto protettori e scolari e alcuni uomini che lo veneravano. Le istituzioni umane, il diritto, la politica, la storia non lo interessavano. Non c'era alcuno stato che gli impor­ tasse. Ignorava dunque ogni responsabilità. Mai avrebbe svolto una determinata attività, ma si sarebbe soltanto incessantemente dedicato alla creazione di una qualche opera. Invece della responsabilità, conosceva soltanto

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    l'irresponsabile contemplazione nel creare immagini di tutto quanto il mondo gli mostrava. Il mondo mai avrebbe voluto trasformarlo, mai avrebbe sentito l'im­ pulso a intervenire. Gli si è inoltre rimproverato di non aver avuto alcun interesse non solo per i problemi politici, ma anche per quelli etici e religiosi. La sua occasionale ironia sugli errori della Sacra Scrittura, sulla sterilità della sillogi­ stica, sui monaci, sarebbe la tipica maldicenza dello scettico che con ciò maschera la sua carenza di fede e di volontà, il suo difetto di forza, per chiamare male il male e ribellarsi a esso. Questi biasimi non sono minimamente fondati su chiari dati di fatto. La vita errabonda di Leonardo, il suo consumarsi nel lavoro, la sua noncuranza per la po­ litica non sono fatti univoci nel loro significato. Non si è inserito nel mondo.6 A procurarsi una posi­ zione dominante nel mondo egli non ha alcuna inclina­ zione. Estranee gli appaiono ambizione, gelosia, brama di successo. La pubblica opinione gli è indifferente. Quanto ci è stato tramandato sulla sua vita privata rive­ la probità, nobiltà e semplicità. Nonostante molta inclinazione alla socievolezza, no­ nostante la cerchia dei suoi estimatori, nonostante gli uomini che si prendono cura di lui e lo amano, egli ri­ mane per tutta la vita un isolato senza che si sia mai sentita una parola da lui sulle sue sofferenze nella soli­ tudine. Leonardo fa parte per se stesso/ senza alcuna sicurezza e senza mai aspirarvi. La coscienza ch'egli ha di sé è incrollabile. La chiarezza della sua natura non ammette che alcu­ ne delle forze in lui celate esercitino la loro potenza suo malgrado. A onta di questa sua indole fuori del comu­ ne, non vi è in lui alcuna eccentricità; malgrado la sua profondità, non si ha in lui alcun erompere incontrolla­ to di forze. In tutto ciò che da lui procede, egli agisce con misura e razionalità. Non alimenta la sua vita un sommovimento alle radici dell'esistenza o una strug­ gente aspirazione. Si avverte piuttosto la costante pre-

    IIO

    LEONARDO FILOSOFO

    senza del suo modo di essere nell'amore per le magnifi­ cenze del mondo, nella pazienza e pacatezza. Ma la sua pacatezza è quella di un'attività enorme e incessante. Parlare a suo riguardo della rassegnata tri­ stezza di un abulico non avrebbe alcun senso. Leonardo realizza un'universalità, l'amore della qua­ le, al pari del sole, splende su ogni cosa. E tale univer­ salità ha un solo confine: quello del contemplare attivo. La sua portata sta nel fatto che pur immergendosi nella storicità dell'agire non si lascia chiudere in alcuna limi­ tazione. Quella di Leonardo non è, dal punto di vista della concezione del mondo, una battaglia contro la chiesa o contro potenze politiche o contro una fede. Egli stesso non si sente legato ad alcun sistema del pen­ siero filosofico, ma vive con uno sguardo sconfinata­ mente aperto a tutto quanto possa sopraggiungere. Della superiorità di una tale contemplazione di tutte le cose Leonardo è consapevole. Con l'aiuto del pensie­ ro noi diveniamo universali e dimoriamo in tutti i luo­ ghi simultaneamente; il volere, invece, ci trasferisce e ci ferma in un sol luogo. 8 Nietzsche ha ammirato la grandiosità di questa uni­ versale lungimiranza. A suo giudizio Leonardo «è stato forse il solo di questi artisti [Michelangelo, Raffaello] ad aver avuto uno sguardo veramente sovracristiano. Egli conosce "l'oriente", quello interno altrettanto be­ ne di quello esterno. C'è in lui qualcosa di sovraeuro­ peo e di taciuto, qualcosa che è tipico di chiunque ab­ bia contemplato una cerchia troppo vasta di cose buo9 ne e cattive». Quando Nietzsche lo annovera tra«quegli esseri ma­ gicamente inafferrabili e impenetrabili, quegli uomini 0 enigmatici, predestinati alla vittoria e alla seduzione», 1 •

    queste prodigiose caratteristiche potrebbero avere una loro validità soltanto qualora la ragione stessa, il puro amore dell'uomo libero, la chiarezza come tale dovesse­ ro chiamarsi enigmatiche. Di fronte al Cristianesimo Leonardo si è posto nel­ l'atteggiamento non aggressivo dell'agnostico, che è impassibile.11 Non è questo un problema per lui. Ne

    CARATIERIZZAZIONE DI LEONARDO

    III

    parla raramente, confuta per esempio la narrazione del diluvio universale, pur tuttavia una volta scrive: «La­ scia le lettere incoronate [la Bibbia] , perché son somma 2 vertta». 1 Al momento della morte consentì che avessero luogo i riti ecclesiastici, nel testamento dispose legati per i po­ veri degli ospedali e offrì ceri alle chiese. Le testimo­ nianze sono dubbie, respirano lo spirito del ministro di Dio, non quello di Leonardo. Egli ha vissuto della tra­ scendenza dello spirituale, parla di Dio, ma questo Dio non è il Dio rivelato della Bibbia. Leonardo non ci fa sapere se e quando abbia pregato. Non costituisce al­ cun segno di cristianità il fatto che abbia dipinto sog­ getti cristiani. Egli visse nella piena libertà dell'indiffe­ renza per tutto ciò, nei limiti in cui questa era possibile nell'epoca anteriore alla Riforma. Nella noncuranza di Leonardo per bramosie umane, passioni e conforti di fede, vi è soltanto una cosa che fa eccezione. Pur non travagliandosi, privo com'è di am­ bizione, per procacciarsi fama, esprime tuttavia qualco­ �a di tanto più risolutivo: ambisce alla gloria postuma. E questa uno sprone alla sua incessante attività per at­ tingere l'ottimo. «Non ci manca modi né vie di com­ partire e misurare questi nostri miseri giorni, i quali ci debba ancor piacere di non ispenderli e trapassargli in­ darno e senza alcuna loda e senza lasciare di sé alcuna memoria nelle menti de' mortali. Acciò che questo no­ stro misero corso non trapassi in d arno». 13 « [ . . . ] o per­ ché non fai adunque tale opra che dopo la morte tu ab­ bi similitudine di perfetto vivo, che vivendo farsi col sonno simile ai tristi morti? ». 14 Per quanto lo riguarda ne ha la certezza, allorché annota: «Io resterò». Sta qui la sua enorme lontananza dalla religione bi­ blica e la sua affinità col mondo antico e germanico. L'assoluta caducità, anche della fama postuma, è di­ menticata. Questa prende il posto dell'eternità di cui si può avere coscienza soltanto in una dimensione radi­ calmente altra, quella della trascendenza. La fama tra­ sforma l'incessante attività in qualcosa di assoluto e fa dimenticare che per quanto grandiosa sia, essa è nulla •

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    di fronte alla trascendenza. Sta qui, forse, un celato ce­ dere a una sublime disumanità. Nasce forse da qui ciò che malgrado il più grande entusiasmo per Leonardo può suscitare un improvviso senso di stupore e rende impossibile una definitiva consonanza con lui? 5. Come ha influito Leonardo sul suo ambiente? Abbiamo testimonianze della sua forza fisica, del suo volto bellissimo come nessun altro, della dolcezza del suo carattere, del soggiogante potere della sua compa­ gnia, della sua personalità grandiosamente libera. Sap­ piamo dell'affascinante influsso delle sue opere che già al loro primo apparire fecero epoca nella pittura. Ma si ha la sensazione, da alcune notizie, come se egli riuscisse ad agire in un modo anche personalmente estraniante, quasi senza calore, giacché viveva sine ira et studio e senza difetto di misura: cose, queste, che proprio nella comune debolezza stabiliscono una soli­ darietà umana e un motivo di apprezzamento nel fatto che si è superati. Ancora oggi, nell'insieme del fenomeno Leonardo spira un'aria di freddo disincanto. Quest'uomo, che di nessuno aveva bisogno, gravita, tutto preso nel suo co­ noscere, soltanto su se stesso; in sé conchiuso attraver­ sa il mondo, senza nessuna comunicazione di quella specie che lascia approdare l'uomo a se stesso solo in­ sieme al «Sé» dell'altro; all'altro egli impone rispetto, ma non lo attira a sé. Si è parlato del fascino della sua personalità. Ma si direbbe che non sia stata tanto gran­ de l'influenza da lui esercitata, mancandogli forse la magia di una vera umanità, la debolezza dell'uomo grandissimo che ha ancora bisogno del suo simile. Si è avuta un'idolatrica adorazione per Michelangelo e Raffaello, mentre Leonardo, per il quale tuttavia sma­ niavano il re di Francia e numerosi aristocratici, non ebbe in generale molti ammiratori. A Firenze, quando vi comparvero Leonardo e Mi­ chelangelo, la gioventù delirava per il molto più giova­ ne Michelangelo. Quando una volta Michelangelo, in una cerchia di pittori, gridò a Leonardo: «Tu non fosti

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    mai capace di fondere una statua equestre al tempo in cui quegli stupidi Milanesi ti prestavano fede», Leo­ nardo arrossì e tacque. Sempre conservava la sua nobi­ le compostezza, a differenza di Michelangelo che nei suoi moti passionali smarriva ogni controllo. Michelangelo ha creato figure che per grandiosità di costruzione, per il forte sentire della loro interiorità su­ peravano quelle di Leonardo; in esse, infatti, il mondo appariva come lacerato, la disperazione incalzava verso superiori altezze, l'inflessione biblica della fede diveni­ va una nuova realtà. Leonardo e Michelangelo sono due mondi che a ma­ lapena si toccano. Leonardo cittadino del mondo, Mi­ chelangelo patriota. Leonardo equanime nella pacatez­ za di una ragione sempre misurata nel suo movimento, Michelangelo nei grovigli delle incalzanti passioni da cui prodigiosamente s'innalza. Leonardo, l'uomo che mantiene il suo equilibrio, imperturbabile in ogni pas­ sione, distante dalle cose e da se stesso, Michelangelo, l'uomo dirompente, smisurato nella disperazione, diva­ gante nell'impetuoso sentire. Leonardo ha certamente creato inobliabili figure nella chiarezza della ragione: egli indica il mistero della ragione stessa che ordinariamente a malapena può ve­ nir colta nella sua immediatezza, e che nel profondo della sua chiarità è difficile a comprendersi. Le forme di Michelangelo grandeggiano erompendo dallo scon­ volgimento, portano verità infinita, sanno afferrare in un modo del tutto diverso, più tormentante e struggen­ te, più inquietante e memorante. Si direbbe che Leonardo viva tetragono in una di­ mensione di quiete, in chiarità e mestizia. Michelange­ lo, invece, sembra riconquistare se stesso in uno spazio continuamente attraversato da aspre vicissitudini di inabissamenti e di slanci supremi. Leonardo pare contemplare il mondo delle estreme possibilità umane intese alla fine soltanto come feno­ meni naturali, Michelangelo, al contrario, sembra con­ sistere egli stesso in quelle.

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    LEONARDO FILOSOFO

    6. A colui nel cui orizzonte Leonardo è entrato, s'impone il compito di porgere ascolto alla sua istanza. La mera fama di Leonardo è convenzionale. Sin quan­ do consideriamo gli artisti come un grande consesso in cui tutti hanno portato, alla loro maniera, quel che ave­ vano di buono, abbiamo forse un rapporto con l'arte, ma non con ciò che per suo tramite parla o non parla. Soltanto se intuiamo la differenziazione radicale tra pu­ ra arte e arte come organon, siamo in grado di ascoltare quella istanza e possiamo nel nostro intimo rispondere a partire da quell'Avvolgente da cui ci giungono lin­ guaggio e immagine soltanto nella misura in cui noi stessi stiamo diventando qualcosa. Che cosa ascoltiamo attraverso Leonardo? Il mondo vuole essere conosciuto e amato, questo mondo muto che non risponde. L'incessante attività di Leonardo consiste nel non avere altro scopo che non sia quello di contemplare il mondo e rispecchiarlo nel­ lo spirito in virtù della fantasia. Raramente nascono uomini che nel corso della loro vita errano nel mondo separati dai loro simili, col pro­ posito di vedere questo mondo e di comunicare ciò che hanno veduto. Questi uomini fanno per noi ciò che noi soltanto debolmente riusciamo a fare. Essi realizzano con la loro intera sostanza, nel continuo discoprire e mostrare, ciò che noi successivamente impariamo a ve­ dere attraverso di essi. Il fatto che costoro, per così di­ re, ci rappresentino e ci pongano in grado di vedere in­ sieme a essi, nella misura in cui ci è possibile, conferisce loro il privilegio di starsene in disparte dai luoghi dove ci si affaccenda, si combatte, si trasforma il mondo del­ le condizioni umane. La loro battaglia è un'altra, una spirituale battaglia per la visione delle eterne essenze nella superficie dell'apparire del mondo. Ma v'è ancora dell'altro. È una gioia vedere un uomo indipendente come Leonardo che, sollevandosi sulla società e sulla storia, trascurando l'una e l'altra, vive in accordo con l'infinita natura attraverso la visione delle sue rivelazioni. Lasciarsi donare da lui ciò che del suo vedere, del

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    suo ricercare, del suo esistere ci allieta intimamente, non significa tuttavia che si debba noi stessi interamen­ te seguirlo nella modalità del suo cammino di vita e del suo filosofare.

    NOTE

    ' Questo avvicinamento di Leonardo a Goethe, cui abbiamo fatto già cen­ no, non è ingiustificato: basti pensare alla molteplicità dei temi che ricondu­ cono l'uno all'altro: dalla relazione microcosmo-macrocosmo alla idea di polarità, che ricorda la dialettica leonardesca della , dall'armonia di arte e scienza all'unitario fondamento di natura e spirito, al fenomenizzarsi dell'idea come normatività immanente a tutte le realtà sensibili ecc. Jaspers pone nella stessa identità del filosofare la base di questa . L'unità che trascende, in Leonardo, articolandole dall'interno dell'esserci filosofico, tutte le molteplici forme della sua attività, è la totalità stessa dell'orizzonte in cui si dispiega la filosofica orientazione nel mondo. Alla luce di questa in­ tenzionalità del conoscere si manifesta pertanto il senso unitario della ricer­ ca medesima. Non deve però dimenticarsi che in Goethe il prevalere di un intuizionismo antropocentrico proiettato verso un fenomeno originario ave­ va, come suo cardine, un dinamismo qualitativo-genetico di forma e idea che lo discosta da quel metodo scientifico del rapporto causa-effetto e quindi da quell'ambire il nel quale Leonardo vede il dispiegarsi visibile di una . Il platonismo di Goethe rispetto alla matematica, , è certo più decisivo in lui di quanto non lo sia in Leonardo, e se anche si tratta per l'uno e per l'altro di una comprensione visiva, per quest'ultimo l'evidenza è disegno, formula, ricostruzione ideale, è linguag­ gio, è sapere espresso ed espressione di ragione diversamente da Goethe, per il quale la comprensione visiva implica il superamento di una visione astraente. 2 Religione, arte e poesia sono per J aspers , > (visioni originarie) attraverso le quali è dato scrutare nel fondamento della verità, sia pure in una modalità ancora non problematizzata, e per le quali si dà una risposta a quelle interrogazioni di fondo (Grundfragen) culminanti nel: > . A questo punto J aspers distingue l'arte co­ me (ivi, pp. I 2-I 3) dall'arte come : quest'ultima sarebbe la > , poiché attraverso di essa si disvela l'Essere stesso. L'arte è dunque fonda­ mentalmente un momento della metafisica. Alle stesse conclusioni giungeva apparentemente, sia pure per la via di una deduzione trascendentale, l'idea­ lismo schellinghiano: > . Organo è qui equivalente a un potenziamento dello stesso filosofare nel superamento del­ la pura rappresentazione subiettiva che è propria della filosofia, mentre per J aspers il filosofare, concepito come sintesi di ragione ed esistenza, è un po­ tenziamento stesso dell'arte. Diversamente da Jaspers, Valéry rovescia il rapporto dell'artista-filosofo in Leonardo affermando che «il a la peinture pour philosophie>> (Variété III, cit., p. 171). Leonardo ha infatti concepito la pittura come il punto di convergenza di ogni possibile rapporto e realizzandola attraverso un atto in­ tellettuale ha scorto nell'operazione pittorica «une fin dernière de l' effort d'un esprit universel>> . Tutta l'universalità del conoscere è dunque in fun­ zione di questa operazione, per la quale la sintesi teoretica si invera in quel­ la espressiva dell'arte. Più precisamente si potrebbe dire che in Leonardo la sintesi di un vedere pensante si ripropone essenzialmente quale sintesi pitto­ rica, specchio della natura, in cui l'ambivalenza qualitativo-quantitativa, la dialettica dell'«anima mundi» combinata con il tema della necessità matema­ tica, mettono capo al /rutto pittorico come opera magica, come trasfigurazione del finito espressa in un'invenzione signoreggiante i suoi elementi composi­ tivi per l'assoluto possesso delle metalìsiche ragioni della loro armonia. L'in­ fallibilità del vedere e la modulazione timbrica cromatica e musicale di que­ sto progetto di un mondo effusivo di divinità hanno determinato quella spe­ cie di«monstre>> o« centaure>> o« chimère>> che è Leonardo. La «volupté de voir>> e la «volupté de pouvoir>> stabiliscono tra di loro, nota Valéry, una serie di scambi infiniti (Variété III, cit., p. t86), ma se vo­ gliamo andare più a fondo dovremo dire che la cellula di questa perenne tra­ smutazione sta nella pittura come magia universale in cui si oggettiva il di­ scorso intimo alle cose stesse, per una mediazione (intellettuale) dell'artista copula mundi appunto perché scienziato. Opportunamente Cassirer (Indivi­ duo e cosmo nella filosofia del Rinascimento, cit . , p. 268) nota che nel Tratta­ to della Pittura Leonardo assegna a questa quel rango eccelso che Pico inve­ ce attribuiva alla magia,«apex et fastigium totius philosophiae>> . Singolare è l'argomentazione con cui Valéry nega a Leonardo la qualità del filosofo, «quoiqu'il en porte la plupart cles caractères >> : infatti, essendo la filosofia in­ separabile dal linguaggio della parola e non essendo questo ancora tutto per Leonardo, resta in lui una attitudine intima indeterminata e per cui il filosofo e l'artista non si disgiungono: si produce in tal mo­ do, fuori da una elaborazione puramente mentale, la concretezza di un filo­ sofare in atto che è appunto creare. Leonardo disegna, calcola, combina, in­ venta, sperimenta, costruisce, usando quei tramiti materiali per cui le idee si misurano con le cose e quindi, indipendentemente da ogni presupposizione cognitiva, s'intrinsecano alle cose stesse o vi rimbalzano, facendosi pregnan­ ti di realtà, naturaliuandosi nel ritmo stesso delle cose. Poeticamente dirà Valéry: > (ivi, p. 256), così -a proposito di Leonardo-Jaspers dice: «Quanto più grandemente e profondamente questo Tutto vuole in un uomo divenire determinante, tanto più manifestamente deve naufragare questa realizzazione del Tutto poiché è questo scacco a dare un linguaggio alla ve­ rità». Più precisamente, il naufragio indicato con queste parole non riguar­ da il rischiaramento dell'esistenza, bensì l'orientazione del mondo, la Welt­ orientierung. «Naufraga,>> dirà Jaspers «per l'orientazione del mondo, il mondo stesso in quanto esserci, per la ragione che non può essere compreso per se stesso e in base a se stesso>> (ivi, p. 253). Avviene, a questo punto, il naufragio, non semplicemente come scacco di quel« che era valido nella sfe­ ra del relativo>> in quanto inserito negli «schemi della logica>> (ibidem), bensì come vanilicazione del mondo nel tentativo di abbracciarne l'orizzon­ te quale totalità omnicomprendente. Il mondo come tale «non può essere compreso per se stesso e in base a se stesso>> (ibidem) proprio perché non v'è nel mondo una verità immanente che lo consacri e anzi il mondo stesso, come Horizont, rinvia a un Umgrei/ende comprensivo di ogni altro orizzon­ te. Questo Umgrei/ende designa la modalità non verticale ma orizzontale della Trascendenza medesima e non sarebbe concepibile questo scacco se già nel sapere non si rivelasse, attraverso questa cifra del naufragio, l'Essere stesso che sia come essere in sé, sia come essere per noi, ha nell'Umgrei/ende la ragione fondante e conglobante ogni essere possibile e reale. In questo senso l'Umgret/ende coincide con la Trascendenza definita:«Das Umgreifen alles Umgreifenden >> . All'Umgret/ende si richiama, per Jaspers, quella tota­ lità trasparente a Leonardo nella Grundoperation della pittura. Già in quell'atto ogni determinazione specifica dell'essere si apre al suo fondamento rischiarandolo attraverso una sorta di sospensione «magica>> . Tutto il sapere di Leonardo naufraga in questo ascolto, in quest'essere, con­ tinuamente in cammino, nel progetto di una conoscenza cosmica non intel­ lettuale ma esistenziale, destinato quindi alla delineazione di un concetto di Verità come Grenzbegri// nei termini di un perpetuo scacco di fronte alla ve­ rità stessa. Jaspers tematizza così la sfiducia nella ragione in antitesi a Hegel per il quale sostenere l'impossibilità di conoscere Dio significa negare ciò che nel­ la Sacra Scrittura viene affermato e cioè che è proprio lo spirito che guida alle verità, conosce tutte le cose e penetra anche le profondità del divino (cfr. G.W. F. Hegel, Lezioni sulla filosofia della storia, a cura di Calogero e Fatta, Firenze I94 I, I, p. 2 I). Di fronte alla hegeliana riduzione speculativa

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    del Cristianesimo, v'è in Jaspers il tentativo di evocare, attraverso il platoni­ smo pseudocristiano della cifra, il fantasma della Trascenden:za, una troppo «pura>> trascendenza perché l'aspirazione di restituirne la religiosa autenti­ cità non sia condannata a uno stato di perenne sospensione e quindi allo scacco. Si potrebbe osservare che è la stessa storicità esistenziale rivendicata da Jaspers a configurare il rapporto con la Trascendenza come la contem­ plazione sub specie aeternitatis di un enigma. ' L'universalità di Leonardo è intesa giustamente da Jaspers non in senso enciclopedico, ma come la ragione stessa di quella illimitata ampiezza di in­ teressi e di attitudini in cui si dispiega la ricerca, contraddicentesi in se stes­ sa a causa delle sue molteplici direzioni. Lo stesso Leonardo è convinto del­ la necessità di un fondamento unitario: «Sì come ogni regno in sé diviso è disfatto, così ogni ingegno diviso in diversi studi si confonde e indebolisce >> (Cod. Arund., I8o v.). La sua frammentarietà, che non è inettitudine al compimento, preserva la possibilità totale di un compimento ancora e sempre da perseguire. Ogni compimento rappresenterebbe, per Jaspers, la aggettivazione di un Weltbild in cui non può restare chiusa la philosophische Weltorientierung e quindi lo stesso essere-frammento implica una spinta verso ciò che ancora è scono­ sciuto nella sua totalità (cfr. Philosophie, ci t., III, p. I). Potremmo dire che proprio l'espressione di Valéry: «Le philosophe est en somme une sorte de spécialiste de l'universel» (Variété III, cit., p. 539) può illuminarci su questo problema. Infatti se l'universale è l'esclusione di qualunque attitudine specialistica, voler considerare l'universale come og­ getto ·di un superiore «specialismo», comporta l'interruzione e la ripresa continua di un atto che è, a ogni istante, sull'orlo del fallimento o di un mi­ sterioso possesso. Questo . 2

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    MASINI 22 « Die Philosophie des Umgreifenden ist der logische Grund der Exi­ stenzphilosophie [_ .. ]. Sie will lehren, im Denken Selbst zu sein, das Sein im Denken si eh entfalten zu lassen. Sie dringt zugleich in die auBerste Objekti­ vitat des Wissens und die auBerste Subjektivitat des hellwerdenden Selbst­ seins und weill daB beides aneinander gebunden, das eine ohne das andere nicht zu gewinnen ist >>, Von der Wahrheit, cit., p. 209. " Si veda K. Hoffman, Die Grundbegri//e der Philosophie Karl faspers, in AA.VV., Karl Jaspers, cit., p. 9 1 . 24 L . Pareyson, op. cit., pp. 248-249. " K. Jaspers, Antwort, in op. cit. , p. 73 1. " Ibidem. 27 P. Valéry, lntroduction à la méthode de Léonard de Vinci, in Variété, Paris 1948, p. 209. " Von der Wahrheit, cit., p. I045· " lntroduction à la méthode . . . , cit., p. 226. " lvi, p. 202. " Si veda W. Benjamin, Ursprung des deutschen Trauerspiels, in Gesam­ melte Schrz/ten, a cura di R. Tiedemann e H. Schweppenhauser, Frankfurt a. M. I972 sgg., I, I, pp. 209-2Io. " Léonard et les philosophes, cit., pp. I7I-I72" lvi, p. I 39lvi, pp. I59· I6o. " Trattato della Pittura, cit., 68. '" lvi, p. I3 " Mn. de L. d. V, cit., VI, 24 v. 14

    INDICE DELLE ILLUSTRAZIONI

    1. Disegno per un meccanismo di accensione, 1 5 1 3 circa. Codice Atlantico, I58 r. (ex 56 v.b.), Biblioteca Ambrosiana, Milano. 2. Disegno difilatoio meccanico, 1495 circa. Codice Atlantico, 1 090 v. (ex 393 v.a.), Biblioteca Ambrosiana, Milano. 3· Macchine idrauliche ispirate da Archimede, 1480 circa. Codice Atlantico, Io69 r. (ex 386 r.b.), Biblioteca Ambrosiana, Milano. 4 · Studio d i gambe posteriori d i cavallo, 1 508 circa. Biblioteca Reale, Torino ( 1 5579 r.). 5 · Profili d i u n vecchio e d i u n giovane uomo, 1495 circa. Galleria degli Uffìzi, Firenze (GDS 423 E r.) . 6. Descrizione anatomica del concepimento, 15 IO circa. Keele/Pedretti 35 r., Royal Library, Windsor (RL 19097 v.). 7· Studi anatomici dello sviluppo embrionale, I5 1 0- 1 3 circa. Keele/Pedretti 198 r. , Royal Library, Windsor (RL 19 1 02 r.). 8. Studi di forze distruttive provenienti dal cielo, con annotazioni, 1 5 1 7 circa. Pedretti 70 r., Royal Library, Windsor (RL 12388). 9- Studi di correnti e cadute d'acqua, I 508-09 circa. Pedretti 42 r., Royal Library, Windsor (RL 1 2669 v.). 1 0. Disegno di balestra gigante, 1485 circa. Codice Atlantico, 149 r.b. (ex 53 v.b.), Biblioteca Ambrosiana, Milano. 1 r. Disegno di macchina da guerra composta da sedici balestre, 148 5 circa. Codice Atlantico, I82 r.b. (ex 64 v.b.), Biblioteca Ambrosiana, Milano. 1 2. Disegno di catapulta, 1485 circa. Codice Atlantico, 182 b. (ex 64 v.a.), Biblioteca Ambrosiana, Milano. 1 3· Rametto di pùmta con grappolo di bacche, 1508 circa. Pedretti 21 r., Royal Library, Windsor (RL 12421 ). 14. Studio di due piante: « Caltha palustri » a sinistra e «Anemone nemorosa » a destra, 1 506 circa. Pedretti 21 r., Royal Library, Windsor (RL 1 2423). 15. Studio d'albero, con annotazione, 1 498- 1500 circa. Pedretti 8 v., Royal Library, Windsor (RL I243 1 v.). 1 6. Lo scheletro del tronco e delle gambe, 1 5 1 0 circa. Keele/Pedretti I42 r., Royal Library, Windsor (RL 19012 r.). 1 7- Dissezione dei principali organi e del sistema nervoso della donna, 1 507 circa. Keele/Pedretti 122 r., Royal Library, Windsor (RL r 228r r.).

    2o-2I 20 21 30 31 34 35 62 63 84-85 84 85 92 92 93 1 04

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