L'empatia creatrice. Potere, autorità e formazione umana
 9788860816959

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MODERNITÀ E SOCIETÀ a cura di Roberto Cipriani

Franco Ferrarotti

L'EMPATIA CREATRICE Potere, autorità e formazione umana

ARMANDO EDITORE

FERRAROm, Franco L'empatia creatrice. Potere, autorità e formazione Roma : Armando, © 2011 224 p. ; 20 cm. (Modernità e società)

umana

;

ISBN: 978-88-6081-695-9 l. Il concetto di empatia creatrice 2. Conoscenza sociologica 3. Democrazia/Potere/Autorità

CDD300

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Sommario

Avvertenza per il lettore incauto

7

l.

Prologo

2.

Prolegomeni

47

3.

La conoscenza sociologica come conoscenza partecipata

97

4.

La traduzione: mediazione e strumento dell 'identità dialogica 1 2 1

5.

La democrazia: sostanza e procedura

141

6.

Potere, autorità, formazione umana

151

7.

Il neo-misticismo nella società massificata

171

9

APPENDICI

191

I. On the way to "Creative Empathy ": the concept oftruth as a social community enterprise in G.B. Vico s New Science

1 93

II. Nota sul concetto di libertà in Franco Lombardi

215

Ricordando con an imo grato la Ch icago così com 'era quan do l 'autore era giovane Chicago,

1951-

Roma,

2011

Avvertenza per il lettore incauto

L 'empatia creatrice è il sequitur di L 'identità dialogica, una sorta di carburazione interiore dal Fedro a Edith Stein. Ossia: l' altro come problema e come soluzione. So che muoversi verso l'altro vuoi dire entrare in terra ignota, incontrare (o sfidare?) il mistero. Ma è il ri­ schio da correre per chi intenda approssimarsi alla verità. Nasco solo. Muoio solo. Posso vivere da solo? Vivere : cioè svi­ lupparmi, crescere. Intanto, espulso dali 'utero materno, ho subito bisogno che qualche anima buona mi tagli il cordone ombelicale. Nasco solo. Ma non sono indipendente. Non sono né autonomo né autarchico. Dipendo da fattori esterni. Ho bisogno di cure, di essere intanto lavato. Ma gli altri, che cosa sono? Sono solo un' assenza? O una presenza scomoda? O addirittura un inferno (come riteneva Jean-Paul Sartre)? O possono invece essere il tramite verso l' empatia creatrice, gli inter­ locutori privilegiati, i compagni con cui rompere insieme il pane? Su un punto non ho dubbi: ci si può sentire «estranei» a se stessi. Che cosa significa? Chi è questo silenzioso ospite che sta dentro di me senza mai esattamente coincidere con me? È la domanda, il questionario, da quaerere. Cerco l 'interlocutore, il salvatore, l 'inceneritore? Ancora la domanda. Cos'è? Il senso della meraviglia ingenua, gli occhi stralunati del fanciullo. Mi si consenta, senza intenti dissacranti, di parafrasare il Vangelo : «Se non divente­ rete come bambini non entrerete nel regno della conoscenza». Il presupposto dell ' identità dialogica, contro l ' identità fissa, dog­ matica, è la rinuncia al monopolio esclusivo della verità. Nessuno potrà più dire: «extra ecclesiam (meam) nulla salus». 7

Il presupposto dell ' empatia creatrice, contro le chiusure dell' ego intellettualistico, è la partecipazione dell ' umano all 'umano, l 'accet­ tazione della conoscenza impura, il carattere slabbrato, incompiuto della verità intersoggettiva, fondata sul solo sapere concesso agli umani che è il sapere di non sapere. L' empatia non è abbandono (la Gelassenheit heideggeriana) né generica benevolenza. È l' accettazione dell 'altro in vista di uno sco­ po al di là dei singoli, di un autentico télos. Si dice: «Warten Sie einen AugenbliclO> (a spetti un istante). Ma l ' attimo non aspetta. Strano destino, il mio (ma tutti i destini posso­ no dirsi, almeno in parte, strani, cioè imprevedibili). Sono cresciuto, nei primi anni di vita, nella Bassa vercellese a T. , ma, anche a causa dei polmoni deboli e gualciti, ho goduto nello stesso tempo dell' aria secca di Sanremo e di Nizza, e degli alti colli liguri, da Badalucco a Ciabaudo, ad Argallo e ai Vignai sulla strada per Baj ardo. Sono nato, però, a Palazzolo, lungo il Po e le colline del Monferrato. Ma il luogo non c ' è più. Il cascinale detto La Fornace se l ' è portato via il Po, in una notte di malumore, straripando. Forse è di lì che comin­ cia il mio intermittente interesse per le radici, ma anche la mia vita raminga, errabonda, tipicamente sradicata. Sono senza patria, e non ho mai avuto il tempo per rimpianti e nostalgie. Il luogo dove sono nato non c ' è più. La comunità, sta bene. Non è il Blut und Boden. È il legame interpersonale, l ' accettazione del rapporto a faccia a fac­ cia, contro ogni illusione della «realtà virtuale». Un autore, anche il più francescano e il più oblativo degli autori, non è un consolatore. I titoli non dovrebbero ingannare il lettore. Caveat emptor. F.

8

F.

l. Prologo

Dall' e1an

vita[ al rapporto interpersonale

Già nel titolo questo libro evoca, per il lettore attento e informato, un altro titolo: quello, famoso, di Henri Bergson, L 'évolution créa­ trice. Una ripresa? O una ripetizione? Non credo. So bene che mol­ te citazioni, anche le più appropriate, sono solo recitazioni. D 'altro canto, non si dà tentativo, per quanto originale, che possa trascurare o semplicemente cancellare l 'antefatto. Ci si propone di andare ol­ tre. Il teorico della «durata», cioè dell' identità nel cambiamento, il sottile elaboratore delle differenze fra intelligenza e istinto, è anco­ ra figlio del suo tempo. Se non proprio come san Paolo ai piedi di Gamaliele, è ancora immerso nel clima mentale dell ' evoluzionismo quale impersonale, cieco processo cumulativo, efficacemente propa­ gandato da quell ' «anima di latta>> o da quell ' «eunuco della filosofia» che, secondo Friedrich Nietzsche e Antonio Labriola, rispondeva al nome di Herbert Spencer. L' evoluzionismo darwiniano, nelle scien­ ze della natura, e quello spenceriano, per le scienze sociali, più che una communis opinio, costituiva all'epoca una vulgata da cui non era agevole né districarsi né tanto meno liberarsi. Si viveva e si pen­ sava al suo interno. Il critico acerrimo del meccanicismo, Henri Bergson, nonostante il proclamato élan vita!, è ancora prigioniero o quanto meno tribu­ tario del clima dell ' evoluzionismo scientistico e biologistico impe­ rante, così pervasivo da contagiare persino l ' iconoclasta Friedrich Nietzsche. La coscienza, riteneva il teorico dell' «oltre-uomo», è un 9

organo a sviluppo evolutivo ritardato, quindi incompleto, imperfet­ to. Per questo non ci si può fidare degli altri. Il livello etico non è uniforme né può dirsi raggiunto in egual misura da tutti. L' etica come tecnica di convivenza civile è un concetto altamente proble­ matico, irregolarmente sviluppato. In La gaia scienza, al paragrafo 3 52, Nietzsche annota puntigliosamente che la coscienza in generale si è sviluppata soltanto «sotto la pressione del bisogno di comunica­ zione»; inoltre, che essa è stata all ' inizio «necessaria e utile soltanto tra uomo e uomo (in particolare tra colui che comanda e colui che obbedisce), e che soltanto in rapporto al grado di questa utilità si sia inoltre sviluppata. Coscienza è propriamente soltanto una rete di col­ legamento tra uomo e uomo - solo in quanto tale è stata costretta a svilupparsi: l'uomo solitario, l'uomo bestia da preda non ne avrebbe avuto bisogno» 1 . È appena il caso di osservare che il paleopositivismo evoluzio­ nistico visse dapprima una sua stagione fiorente in Europa e spe­ cialmente in Italia, nella sua forma giuridica con Enrico Ferri e medico-psichiatrica con Cesare Lombroso, per tornare poi, in tempi recenti, con la sociobiologia di Edmund Beecher Wilson, che ha, inaspettatamente, reclutato fra i suoi zeloti, per così dire, studiosi di tutt' altra provenienza (in Italia, fra gli altri, agguerriti analisti sociali come Luciano Gallino e Sabino Acquaviva). Là dove Henri Bergson ancora paga un pesante tributo all 'evoluzionismo a sfondo biologi­ stico, che permeava il clima mentale dell' epoca, il dialogo socratico­ senofonteo offre invece, a mio parere, la chiave e il mezzo ideale per l' incontro intersoggettivo, premessa essenziale per lo scambio dialogico e l ' eventuale accendersi dell' empatia creatrice, a sicura distanza dalle confusioni concettuali di quei socio-biologi cui non risulta chiara la differenza fra mutazione genetica e cambiamento sociale. Nel linguaggio politico quotidiano - quell' incomprensibile, ini­ ziatico linguaggio che si è convenuto di chiamare «politichese» - la parola «dialogo» si è consumata fino al limite del banale. Qualcuno 1 Cfr. F. Nietzsche, La gaia scienza, tr. it. , Milano, Adelphi, 1 9 86, p. 22 1 .

lO

ha detto che è una parola «malata». È straordinario come i termini della salvezza, in un momento di estremo pericolo, possano presen­ tarsi sotto le mentite spoglie di uno scherzo giullaresco. L' essenzia­ le si nasconde dietro il sipario del ridicolo, procede con l 'andatura sghemba dello sciancato. Ciò che è più drammaticamente necessario appare come un' opzione improbabile, forse assurda, comunque non urgente. Il dialogo non ha nulla di dolciastro né di improvvisata appros­ simazione, malgrado la sua caratteristica casualità. Il dialogo è un duello, un corpo a corpo. Ego e alter sono presenti, si guardano ne­ gli occhi. C ' è la fisicità, la realtà . Il dià-logos è un «passarsi attraver­ so», alla lettera un «trapassarsi». Non c ' è solo l ' idea, il segno. C'è la parola viva, enunciata. C ' è la vocalità, la voce, il tono, la «grana della voce». Non è dunque solo un 'inter-vista; è un 'inter-voce. Na­ turalmente, è necessario un terreno comune. È il contesto, il quadro in cui l ' incontro ha luogo, da cui non è dato fuggire. Ma si comunica anche con il silenzio, con il misterioso, eppure a suo modo esplicito, linguaggio del corpo. Nel linguaggio comune e nei discorsi quotidiani, quando si dice intervista, si pensa all ' intervista giornalistica, o radiofonica o tele­ visiva, che per lo più riporta le opinioni di un personaggio a vario titolo ritenuto una sorta di opinion leader, o «opinionista», e come tale degno di venire ascoltato. Ma si tratta, ovviamente, di un' in­ tervista che non presume di attingere il livello critico - di passare, in altre parole, e per usare i concetti classici, dalla doxa all' episté­ me. Da questo tipo, assai comune, di intervista «impressionistica» si passa poi all ' intervista sociologica, soprattutto quando si intende la conoscenza sociologica come conoscenza partecipata, nel quadro di un concetto di verità intersoggettiva, e la sociologia stessa come scienza di osservazione, quindi tenuta alla scoperta di evidenze em­ piriche, ma nello stesso tempo concettualmente orientata, a sicura distanza dal paleo-positivismo a-critico, convinto che i fatti parlino da soli, e dai filosofemi apriorici che approdano regolarmente al de­ lirio solipsistico. 11

In questa prospettiva, che cos ' è dunque un' intervista? Ho scritto e pubblicato abbondantemente intorno all 'intervista, a cominciare da Sociologia - storia, concetti e metodi ( 1 96 1 ) fino al Trattato di sociologia ( 1 968) e al Manuale di sociologia ( 1 986). Ma solo recen­ temente, riflettendo sulle esperienze di ricerca sul campo, sono stato colpito dal fatto che un' intervista non è mai solo una , così come nelle lingue romanze o neolatine si notano l ' assonanza e forse la comune radice fra cor, cordis, che è il «cuore», e chorda, o corda di uno strumento musicale, ricordando che la cetra dei Greci veniva suonata abbracciandola, e ancora si impone, con la voce, il suo strumento fisico, la bocca (in latino os, oris), come bacio o , in latino osculum. «Concordare» significa, alla lettera, essere «cuore a cuore», ossia essere of generai principles, a modest «two plus two», without pretensions of arriving at the difficulty of larger calculation. F or example, Vico formulated the elements, the axioms, the principles, the corollaries of the new science, and also speculated that, for example, religion, marriage and burial were the three principles of the «beginning of the civilized world». Yet from what «mental categories», and what structures of the