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ERODOTO

LE S T O R I E INTRODUZIONE, TRADUZIONE E NOTE DI

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STAMPATO IN ITALIA S.T.E.B. - Società Tipografica Editrice Bolognese - II-1951

Raccogliendo le notìzie attendibili di varie fo n ti1 che ci sono giunte riguardo ad Erodoto è possibile tracciare un quadro, necessariamente piuttosto schematico, della sua vita. Erodoto nacque ad AlwarnassoJ da famiglia forse appar­ tenente aWaristocrazia,z in ogni modo di preminente importanza nella città; sicuro sembra il nome del padre, ^Ljxes^.che è di origine caria,, mentre incerto resta quello della madre, dato da alcune fonti nella forma Dryo, da altre in quella Roto, Sembra inoltre non siano da m efm fin dubbio le notizie che Erodoto abbia avuto un fratello, di nome Teodoro, e sia stato legato da 1 Oltre alle notizie desumibili dall’opera stessa di Erodoto e a quelle tramandate da altri scrittori, la fonte principale antica delle nostre informazioni è costituita da due articoli della Suda, s. v. « Herodotus » e s. v. « Panyassis ». 2 Che la patria di Erodoto sia Alicarnasso e non Thurii, come apparirebbe dalle parole iniziali del proemio in una serie di codici, è oggi generalmente accettato. L a questione è stata più volte ampiamente discussa e si è variamente tentato di spiegare l’esistenza di una doppia tradizione, cercando di ristabilire l’ori­ ginaria. .O ltre allo studio fondamentale di F. Jacoby, s .v . Herodotos, in Pauly-Wissowa R . Enc. II Suppl. BaTiä'Xfgiä), col. 205 segg., si possono vedere sull’argomento gli studi più recenti del L egra n d (Hérodote, Introduction, Paris «les belles lettres »ä 193a, p. 12 segg.) e, a sostegno della tesi contraria, A. C o l o n n a Tfì&izione manoscritta e crìtica congetturale in Erodoto, in « Athenaeum » N . S. X V I I I (1940), p. 13 segg. 3 Che la famiglia di Erodoto appartenesse all’aristocrazia di Alicarnasso non sembra probabile al Legrand, op. cit., p. 89, e dubbio pare allo Schmid, in Schm id-Staehlin, Gesch. der griech. Literatur, I 2, München 1934, p. 551.

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rapporti di parentela, che non appaiono nelle nostre fonti molto chiari, con il poeta epico Parnassi. La data tradizionale della sua nascita è posta nel 484 a. C .: tale apparente precisione è dovuta solo ad un artificioso sincro­ nismo, che faceva coincidere ràx/j.rj dello storico con la sua par­ tecipazione alla colonizzazione di Thurii (444), ma in ogni modo, fondandoci su elementi intrinseci della sua opera* pos­ siamo ritenere che la nascita di Erodoto vada effettivamente posta fra il 490 e il 480, nelFintervallo fra la prima e la seconda m ena persiana. . In questo periodo Alicarnasso era governata da tiranni sotto Valta sovranità dei Persiani.6 L ’ esser nato, suddito deU’impero persiano, da una famiglia in cui sangue greco si mescolava a sangue cario, in una città largamente aperta agli influssi provenienti dalla Ionia, che nei secoli V III-V I era stata il centro della vita culturale ed economica del mondo greco, e contemporaneamente in agevole contatto con le regioni interne deWAsia Minore; Vaver assistito nella sua prima giovinezza al tramonto della potenza persiana, vivendo in un ambiente che alle lotte foriere di questo tramonto aveva partecipato, e non sempre contro voglia, a fianco dei Persiani, sono circostanze che ebbero indubbiamente una influenza di prirn’ordine nella for­ mazione spirituale di Erodoto, ed è necessario tenerle presenti per comprendere alcuni aspetti della sua opera. Secondo le notizie tradizionali, che sembrano nel complesso accettabili, Erodoto per sfuggire alla persecuzione del tiranno Lygdamis I I si sarebbe trovato nella necessità di fuggire da Alicarnasso, trasferendosi a Samo. La datazione di questo av­ venimento resta assai incerta; può darsi che esso abbia avuto

luogo quando Erodoto era ancora fanciullo e che il bando abbia riguardato non Erodoto personalmente, ma la suafamiglia, particolarmente suo padre e il suo parente Parnassi, il quale, se­ condo la tradizione, trovò la morte per opera del tiranno, forse ,· in un fallito tentativo di ritorno in patria con le armi. Ma que­ st’ultimo avvenimento potrebbe anche essere anteriore, e nelV esilio della famìglia di Erodoto potrebbe vedersi una conseguenza di un tentativo, rimasto per altro vano, di abbattere il tiranno. In ogni modo Vesilio a Samo, che, come vedremo, lasciò notevoli tracce nella vita e neWopera di Erodoto, è da datare fra questo anno incerto, ma comunque posteriore al 479, anno della insurrezione contro la Persia, e il 454, anno in cui nelle liste ateniesi dei tributi vediamo comparire Alicarnasso come città libera.e La cacciata dei tiranni sembra sia avvenuta in tempo im­ mediatamente precedente al 454 a. C. e ad essa, anche se non vi ebbe la parte preminente che vuole la tradizione, è probabile partecipasse anche Erodoto. M a i lunghi anni di esilio non erano trascorsi invano. Anche se nettamente da respingere è la tradizione che a Samo Erodoto abbia appreso la lingua ionica ed abbia composto la sua opera,1 è certo che in questo periodo egli ampliò e consolidò la sua formazione culturale, e forse iniziò anche la serie dei suoi viaggi, compiendo probabilmente già durante questi anni un viaggio nel Ponto e nelle regioni vicine. Quantò tempo Erodoto si sia fermato ad Alicarnasso dopo esservi rientrato con gli esuli non è possibile stabilire, ma vero­ similmente poco se, come vedremo, fra il 454. e il 444, anno della partenza per Thurii, vanno posti i grandi viaggi, uh soggiorno piuttosto lungo ad Atene e viaggi vari, di imprecisabile ampiezza e durata, nella Grecia. Su questo punto le fonti tradizionali tacciono, passando senz'altro, dal ritorno in Alicarnasso alla partenza, per la Magna Grecia. Fra il 454 e il 448 a. C. è probabile che Erodoto abbia per laprima volta soggiornàto ad Atene, centro dell’impero marittimo di cui anche Alicarnasso faceva parte, e centro ormai anche della

4 Erodoto sopravvisse certamente all’ inizio della guerra del Peloponneso e sentì solo superficialmente l’influsso della retorica. Si può notare ancora che egli parlando di Eschilo lo chiama « poe­ ta della precedente generazione » (II, 156). 5 In Alicarnasso, colonia di Trezene, già fin dalle origini un forte elemento ionico si era costituito accanto al dorico. Lo pro­ vano iscrizioni del V sec. provenienti dalla città e redatte in dia­ letto ionico. La città fece per lungo tempo parte della esapoli do­ rica, da cui fu più tardi esclusa. La monarchia, fondata verosi­ milmente da Lygdamis I padre di Artemisia, all’ inizio del V sec. riconobbe, al pari degli altri piccoli regni locali, l’alta supremazia del Gran Re.

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6 I. G. I1 226 col. III, 8. 7 Testimonianze epigrafiche (Ditt. Syll.s 1, 45 e 46) mostrano che in Alicarnasso nel V sec. si parlava e si conosceva il dialetto ionico.

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vita culturale ed intellettuale greca, ed a questo periodoforse rìsale la composizione di alcune delle parti più antiche della sua opera. I due anni successivi furono verosimilmente dedicati (v.più avanti, p. X V I) ai viaggi di più lunga durata ed estensione, quello in Egitto e quello nell’ impero persiano. Questi fornirono ad Erodoto una grande quantità di materiale, che probabil­ mente egli già nel 446 elaborò almeno in parte ad Atene, com­ ponendo il logos egiziano. Megli anni fra il 446 e il 444 Erodoto, pur compiendo viaggi di minore importanza nella Grecia, assai probabilmente fissò nella Atene periclea la sua residenza. Ad Atene egli tenne pubbliche letture, 8 che dovettero suscitare nella capitale culturale deir Eliade il massimo interesse e lasciarono la loro eco in opere di un poeta che ci è lecito supporre legato ad Erodoto da tenace amicizia: Sofocle,9 8 La tradizione ci dà notizie di pubbliche letture tenute da Erodoto in varie città. Luciano (Herod. I) e Suda j. v. BnvxvSiàrg parlano di una lettura ad Olim pia ; da Plutarco (de Herodoti mal. 31 p. 864 d), dallo Pseudo Dione Chrysostomos (or. 37,7) e da Marcellino (v. Thucid. 27) si ha notizia di letture a T ebe e a Co­ rinto. La Cronaca di Eusebio pone nell’anno 446-5 (Vers. Arm.) o 445-4 (Vers. Lat.) una pubblica lettura ad Atene, in seguito alla quale Erodoto sarebbe stato onorato dalla Buie. A questa o ad un’a,ltra pubblica lettura va probabilmente riferita la notizia di Diillo riportata da Plutarco (de Her. mal. 26) relativa ad una ricompensa in danaro ottenuta su proposta di Anito dal popolo ateniese. La notizia è probabilmente esatta, anche se la cifra tramandata (dieci talenti) è certo corrotta o volutamente esagerata, e se desta sospetti il nome del proponente Anito, che dovrebbe identificarsi col ben noto accusatore di Socrate. Comunque, che Erodoto tenesse pubbliche letture è assai pro­ babile, oltre che per quella che vedremo essere stata la genesi dell’opera erodotea, anche per la indiretta testimonianza di T u ­ cidide, che ad esse evidentemente allude, qualificando un àymvwjxa èg rò magaxQ-fj/xa àxoésiv (I, 22) l’opera del suo predecessore cui egli, pur senza nominarlo esplicitamente, chiaramente si riferisce. E soprattutto in base alla notizia di Tucidide sembra arbitrario ed eccessivamente semplicistico scartare, considerandole tutte ugual­ mente inattendibili, le notizie relative a pubbliche letture tenute da Erodoto, come fa ad es. il Powell (The Hìstory o f Herodotus, Cambridge 1939, p. 33 con n. 1). 9 Più volte sono stati rilevati, traendone le più disparate con­ clusioni, i principali punti di contatto fra l’opera di Erodoto e tragedie di Sofocle. In ogni modo sembra innegabile che il tratto

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I l soggiorno in Atene costituì, dopo i viaggi, Vavvenimento di maggiore importanza nella vita di Erodoto. Anche se la sua prima e più decisiva formazione spirituale si era già compiuta, il contatto col mondo intellettuale della Atene periclea non ri­ mase privo di influenza su di lui, e dalla suggestione delVam­ biente, pervaso di orgogliosi sentimenti nazionali e tanto diverso da quello delle città greche d’Asia, gli derivò verosimilmente V impulso che dalle sue esperienze di viaggiatore e di etnografo lo indusse a farsi consapevolmente lo storico delle guerre per­ siane.10 Atene diventa così per Erodoto una seconda patria; egli su­ bisce profondamente il fascino dellapersonalità di Pericle, nonpuò non ammirarne gli ampi e audaci disegni, si lega ad Atene di un profondo amore che sentiremo più volte riecheggiare nel corso deiropera sua.11 E nella devozione a Pericle, oltre che nell'en­ tusiasmo per la politica di lui e nell’inesausto desiderio di viaggiare e conoscere il mondo, va cercato il motivo della sua partecipazione nel 4 ^ alla colonizzazione di Thurii, che sor­ geva per volere di Pericle come colonia panellenica in luogo dell’antica Sibari, distrutta dai Crotoniati12 dell’Edipo a Colono relativo alle usanze degli uomini egiziani

(v. 337 segg.) e il ragionamento assai strano e ben poco logico di Antigone (Ant. v. 906 segg.) siano derivati rispettivamente da Erodoto II, 35 e dall’episodio della moglie di Intaferne (III, 118 segg.). Queste parti, non essendo ancora l’opera erodotea pubblicata, erano evidentemente note attraverso pubbliche letture. Parimenti non vedo alcuna seria ragione per respingerò la notizia che Sofocle avrebbe dedicata ad Erodoto una poesia (Plut., an sen. ger. resp. 3, p. 785 b). L ’interesse di Sofocle per l’opera di Erodoto è dimostrato anche da varie altre analogie; i riscontri più evidenti sono possibili fra E l. v. 62 e Herod. IV , 95; Oed. R. v. 981 e Herod. V I, 107; Phil. v. 1207 e Herod. V I , 75. Per un elenco più completo cfr. Schmid, op. cit-, p. 318, n. 3. 10 Intorno all’influsso esercitato dal soggiorno in Atene sulla formazione spirituale, intellettuale ed artistica di Erodoto cfr. L. A. Stella, Erodoto e Atene, in «Atene e Roma », N . S. I l i e i y (1936), P- 88 segg. 11 La concezione di un Erodoto filoateniese e ammiratore di Pericle è attaccata da F. Focke, Herodot als Historiker, in Tubinger Beitr. z. Altertumswissenschaft I, Stuttgart 1927), ma con argo­ menti poco convincenti. 12 Alla colonizzazione di Thurii parteciparono insigni perso­ nalità dell’epoca, in prima linea Protagora, che aveva scritto un

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Da questo momento più oscura diventa la vita di Erodoto; le notizie tradizionali, come saltavano dalla partenza da Alicarnasso alla colonizzazione di Thurii, così presentano una lacuna fra la partecipazione alla fondazione della colonia e la notizia della morte, che sarebbe avvenuta appunto a Thurii. Probabile è invece che, dopo essersi fermato dal 444 al 440 circa a Thurii, compiendo di là brevi viaggi nelle città greche di Sicilia e d'Italia e tenendovi letture e conferenze, Erodoto verso 1 il 440 abbia fatto ritorno ad Atene, il che a rigore non esclude la possibilità che egli sia tornato nell’ ultimissimo periodo della sua vita a Thurii e vi sia morto, come vorrebbero le notizie che parlano della sua tomba nell’agorà della città e riferiscono Vepitafio che vi sarebbe stato apposto, del resto non bello e assai probabilmente opera assai tarda, forse di età ellenistica. L ’ipotesi del ritorno in Atene, anche se non accettata con­ cordemente da tutti i critici, è oggi in complesso la prevalente. Non pare infatti verisimile che Erodoto, ammiratore e sosteni­ tore della politica periclea, sia rimasto a Thurii dopo i disor­ dini interni ed il progressivo allontanamento della colonia dalla madre patria, e particolarmente dopo le discordie avvenute nel 434 di cui ci dà notizia Diodoro (X II,34) . 13 È probabile dunque che egli si sia ad un certo momento allontanato da Thurii, così come se ne allontanarono più tardi — nota acuta­ mente il Meyer14 — Eutidemo e Dionisodoro.1B Altri indizi inoltre, desumibili dall’ opera sua, inducono a

supporre che Erodoto sia effettivamente tornato ad Atene: così un passo in cui si accenna (V, 77) ai propilei, la cui costruzione terminò solo nel 432, e le informazioni che egli dimostra di avere anche relativamente ad avvenimenti di secondaria impor­ tanza della guerra del Peloponneso16, che si ritiene avrebbe potu·? to difficilmente conoscere se fosse vissuto lontano dalla Grecia. A l pari del luogo17, incerta e assai dibattuta resta anche la data della mortei È stato più volte rilevato che nell’ opera di Erodoto appaiono ricordati eventi dei primi anni della guerra del Peloponneso, mentre appaiono ignorati eventi del 424.18 Oltre a ciò, il fatto che l'opera di Erodoto, e precisamente il proemio, ossia la parte che non poteva esser nota da letture ma solo dalla pubblicazione dell’ opera, appaia utilizzata da Aristofane che ne f a la parodia negli A carnesi, rappresentati nel 425, f a ritenere che l’ opera sia stata pubblicata in tale anno 0 poco prima, e che immediatamente prima, probabil­ mente intorno al 426, Erodoto sia morto senza aver potuto dare all’opera sua l ’ultima e definitiva elaborazione.19

progetto di costituzione per la colonia, Empedocle, Ippodamo di Mileto, che della nuova colonia doveva essere l’architetto, il sofista Eutidemo di Chio. Si può supporre che con tutti costoro Erodoto abbia avuto occasione di stringere personali rapporti. 13 Ritiene probabile la morte a T hurii il Jacoby nel svio arti­ colo già citato, che resta tuttora fondamentale per l’ impostazione dei vari problemi riguardanti la vita e l’opera di Erodoto. La ritengono certa l’How ed il Wells (How-Wells, A commentary on Herodotus, Oxford 1912), ma la testimonianza addotta (p. 3) dell’epitafio non è convincente, dato che esso sembra piuttosto tardo. A quanto pare, favorevole all’ipotesi della morte in Magna Grecia è anche il Legrand, il quale però non si pronuncia troppo esplicitamente sul problema (op. cit., p. 18 seg.). 14 E. Meyer, Forschungen zur alteri Geschichte I, Halle 1892, P- x9916 Plat. Euthid., 271.

16 Per un elenco di tutti i passi dell’opera che inducono a ri­ tenere che Erodoto sia tornato da Thurii in Atene cfr. HowWells, op. cit., pp. 8-9 con n. 1. Non accettabili mi sembrano le affermazioni di J. Wells, Herodot and Athen, in « Classical Philology » X X I I I (1928), p. 317 segg. Il ritorno in Atene è negato anche dal Legrand, op. cit, p. 33 segg., ma con argomenti poco convincenti. L. A. Stella, art. cit., pensa a ripetuti ritorni ad Atene, cercando cosi di conciliare le due tesi in contrasto. 17 L a Suda riferisce anche la notizia che secondo alcuni Ero­ doto sarebbe morto a Pella in Macedonia. M a tale notizia sembra assai dubbia, e da mettere insieme a tutte le altre tendenti a porre in rapporto con la corte macedone tutte le maggiori personalità letterarie greche. 18 L ’ultimo avvenimento sicuramente databile ricordato nelle Storie è l’uccisione degli ambasciatori spartani (V II, 137), rife­ ribile alla fine dell’estate del 430 (cfr. Thuc., II, 67). Erodoto sembra invece non conoscere Dario II (cfr. I, 130; V I , 98; V II, 106) né la presa di Citerà da parte di N icia (V II, 235). 19 È questa l’opinione del De Sanctis, La composizione della Storia di Erodoto, in «Riv. Filol. e Istr. Class.», L IV (1926), p. 289 segg. Il Powell, op. cit., p. 79, accetta l’ipotesi che l’opera sia ap­ parsa postuma intorno al 426, e pensa che assai probabilmente Erodoto sia morto vittima della peste che desolò Atene nel 430-29. A l contrario il Wells, Studies in Herodotus, Oxford 1923, fondan­ dosi sulla parodia dell’opera erodotea che appare negli Uccelli

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V IA G G I D I E R O D O T O Come si è visto dallo schematico disegno che della vita di Erodoto è stato possibile tracciare, egli non ebbe importanza politica o militare nella vita pubblica, come ne ebbero.ad esempio Sofocle e più tardi Tucidide, anzi non ebbe infondo realmente neppure una patria cui dedicare la sua attività di cittadino. A differenza della maggior parte degli altri scrittori, Ero­ doto non ci appare come un cittadino sullo sfondo di una πόλις, ossequente ai suoi costumi e in armonia col suo patrimonio ideale e con le sue concezioni politiche, o magari in acre polemica con esse, ma come un cittadino del mondo, spinto dalla curiosità e dallo spirito di ricerca fino alle terre più lontane. Avvenimenti di capitale importanza nella sua vita sono appunto i viaggi. Le circostanze agevolarono in Erodoto Γesplicarsi di quel naturale desiderio di novità, di quella vivace curiosità propria della gente ionica. L ’esilio a Samo, la vita in un ambiente nuovo ed interessante acuirono queste innate tendenze, e d’altra parte il trovarsi in qualità di straniero in una terra estranea anche se amica e ospitale non poteva che favorire lo spirito di ricerca e di avventura. Si è supposto che Erodoto abbia compiuto i suoi viaggi in qualità di mercante;1 non si può respingere tale ipotesi a priori, di Aristofane, rappresentati nel 414, pensa che lo storico fosse in quel tempo ancora in vita e avesse anzi attirato in quel periodo l’attenzione del pubblico, forse — egli pensa — con il suo ritorno dall’Egitto e la composizione del logos egiziano. Anche il Legrand è incline ad abbassare notevolmente la data della morte di Ero­ doto, ritenendo' possibile che la sua vita si sia prolungata fino al 420 e ponendo come sicuro terminus ante quern il 413 (op. cit., p. 10 seg.). Egli nega inoltre ogni importanza agli spunti erodotei contenuti negli Acarnesi di Aristofane, che mi sembrano invece innegabili (cfr. p. 22 seg.). 1 Per questa opinione cfr. particolarmente How-Wells, op. cit., p. 17. Ivi stesso viene però riconosciuto che le ragioni addotte « m ay be merely accidental », ed effettivamente alcune, come la particolare cura di Erodoto nel descrivere i mezzi di trasporto, e soprattutto' quelli marittimi e fluviali, si spiegano agevolmente ricordando la sua stessa qualità di Greco.e di Ionico. Lo Schmid,

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ma si può nel complesso notare che Γ Ιστορία, la «ricerca » erodotea, mostra generalmente caratteri talmente disinteressati2 e spesso uno spirito tanto lontano da quello di un viaggiatore di commercio da rendere almeno dubbia tale supposizione. In ogni modo, quello che interessa è qui non il movente, ma l ’estensione e possibilmente la determinazione cronologica d i questi viaggi. Premetto che vanno a mio parere — come a parere generale della critica più moderna — completamente scartate le conclu­ sioni eccessivamente scettiche del Sayce? Non si può, in base a qualche inesattezza di racconto 0 anche ad alcune notizie di seconda mano, affermare che i viaggi di Erodoto siano stati puramente immaginari e che egli si sia limitato a viaggiare con la fantasia, leggendo e ricamando sui libri dei periegeti pre­ cedenti e particolarmente di Ecateo. o Erodoto ha certamente viaggiato e credo che nessun lettore non prevenuto possa esitare ad ammetterlo, tanta è l ’immedia­ tezza della sua rappresentazione e la generale sensazione di ve­ ridicità del suo racconto. E i suoi viaggi ¡tónno raggiunto, dati i tempi e le circostanze, una estensione veramente considerevole.4 I viaggi furono numerosi e compiuti in tempi diversi. Una ricostruzione precisa di e h i .non è certo possibile; ritengo però op. cit., p. 573, osserva che lo scopo commerciale dei viaggi di

Erodoto è verisimile, ma, per lo studio dello storico e della sua opera, « unwesentlic-h ». 2 Caratteristico è, p. es., il fatto che Erodoto, il quale, al pari degli altri antichi scrittori, parla assai raramente di sé, sottolinei di essere andato a T iro con la precisa intenzione di informarsi colà sull’origine del culto di Eracle (II, 44). 3 Sayce, The ancient Embires o f thè East, Herodotus I-III, Lon­ don 1883. f, 4 Per i viaggi di Erodoto, la loro realtà ed estensione cfr. (oltre l ’opera, ormai sotto molti rispetti antiquata, di A. Hauvette, Hérodot historìen des guerres Médiques, Paris 1894, p. 16 segg.) Jacoby, art. cit., col. 247 segg., del quale condivido sostanzialmente le conclusioni, e Legrand, op. cit., p. 24 segg. M i scosto però in qualche punto dalle conclusioni da essi raggiunte, fondandomi particolarmente, per la determinazione della successione crono­ logica dei viaggi, sulla ricostruzione che ne fa G. De Sanctis {Appunti delle lezioni dì Storia Greca tenute nell’ Università di Roma,

anno accad. 1944-45, P· 3®segg.) che mi sembra la più verisimile e la più facilmente armonizzabile con le poche date sicure della biografia erodotea e con gli avvenimenti storici del tempo.

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che, in base agli elementi in nostro possesso, Vimpresa non si presenti disperata come appare p. es. al Legrand.5 Probabilmente già durante il soggiorno ad Alicarnasso e a Samo Erodoto ebbe modo di visitare le città della costa occi­ dentale deWAsia Minore e località della Licia, Frigia, Caria, Lidia nonché le isole vicine (p. es. Rodi). Probabilmente isolato dagli altri, primo dei viaggi di magr, giare ampiezza, f u quello nel Ponto. Erodoto lo intraprese forse durante il soggiorno a Samo, anteriormente quindi al 454. Egli seguì naturalmente le normali vie commerciali: per VEl­ lesponto, la Propontide, il Bosforo visitò la costa meridionale del Ponto Eusino, compresa la Colchide, mentre sulla costa occidentale e nord-occidentale raggiunse Vestuario dell’Hypanis (Bug), ove remporio di Olbia f u il centro principale delle sue informazioni sulla regione e sulla spedizione scitica. Durante il viaggio di andata 0 di ritorno visitò le isole settentrionali delVEgeo, probabilmente la Calcidica e qualche località costiera della Macedonia e della Tracia. M a questo viaggio, già in sé notevole, nonf u che il preludio della attività, possiamo ben dire turistica, di Erodoto. Punto di partenza dei viaggi successivi f u quasi certamente Atene. Molto è stato scritto sui viaggi in Egitto e in Oriente. L'ipotesi più verisimile è che essi abbiano avuto luogo dopo la conclusione fra Atene e la Persia della pace di Callia (448). La durata di questi viaggi non f u eccessiva; essi ebbero probabilmente luogo entrambi nel 447-446, ed è probabile che, date le difficoltà e i disagi presentati da viaggi di tale esten­ sione, essi siano stati collegati Vuno alValtro. La supposizione più verisimile è che primo si sia svolto il viaggio in Egitto; 6 esso ebbe la durata di pochi mesi, dato che ®Dalle conclusioni del Legrand mi sembra sia lecito dissen­ tire in più punti. Pare ad esempio assai poco probabile che Erodoto potesse intraprendere un viaggio in Persia prima della conclusione della pace di Callia (Legrand, op. cit., p. 24), e che il viaggio a Ba­ bilonia abbia preceduto quello in Egitto (ibid., p. 27), e non si comprende bene il viaggio dall’Egitto a T iro considerandolo, come fa il Legrand, a sé, isolato dal viaggio in Oriente. 6 J. E. Powell (op. cit., p. 25 segg.) suppone che Erodoto abbia compiuto due viaggi in Egitto, l ’uno precedente, l’altro successivo al viaggio in Scìzia. L a possibilità di due viaggi di Erodoto in Egitto, dei quali il secondo nel decennio successivo al 425, era

Erodoto, come è stato osservato,1 ha assistito alla fase culmi­ nante della piena del Milo e al suo declinare; quindi il sog­ giorno in Egitto va limitato ai mesi fra luglio e novembre. Egli si è spinto in questo viaggio sino a Siene ed Elefantina. Probabilmente a questo va collegato il viaggio nellTmpero Persiano. Forse Erodoto si imbarcò a Pelusio diretto a Tiro (cfr. I l, cap. 44), costeggiando il litorale della Palestina e della Fenicia.8 D a Tiro era agevole raggiungere VEufrate e, lungo il fiume, Babilonia. Questa città, malgrado varie incon­ gruenze ed inesattezze del racconto erodoteo,fu certo da Erodoto visitata, mentre incerte restano le visite ad Ecbatana e a Susa. A questi viaggi maggiori vanno naturalmente aggiunti quelli nelle varie città della Grecia, non esattamente databili e com­ piuti probabilmente in più riprese durante i soggiorni di Erodoto ad Atene. I l suo primo interesse di ricercatore si rivolge in Grecia ai santuari, che potevano offrirgli, attraverso la visione dei doni votivi e i racconti dei sacerdoti, ampio materiale per la sua opera. Erodoto visita e mostra dì conoscere assai partico­ lareggiatamente Delfi, poi ancora Dodona, Tebe, Abe, Tegea. Certamente conobbe anche Sparta, Olimpia, i campi di batta­ glia delle guerre persiane, e probabilmente ancora molle altre località della Grecia, che non è possibile enumerare con sicurezza. Mei corso del viaggio verso Thurii è da porre una visita alle isole Ionie, dal momento che Erodoto parla certamente di j a ­ cinto in base a ricordi personali. Durante il soggiorno a Thurii Erodoto non abbandonò completamente i suoi viaggi, ma essi si limitarono a città vi­ stata. già affacciata dal Wells (op. cit., p. 180, con n. 2), ma tale

ipotesi, che manca di sufficiente fondamento, credo non serva che a complicare il complesso, già tutt’altro che soddisfacente, delle notizie, e vada quindi senz’altro scartata. A parte altre con­ siderazioni, bisognerebbe ammettere che i due viaggi si siano svolti entrambi nella stessa stagione, dato che, come avrò subito occasione di notare, Erodoto mostra con i suoi racconti di conoscere l’Egitto soltanto in un determinato periodo stagionale, relativa­ mente piuttosto ristretto. 7 L ’osservazione è del Sourdille, le cui ricerche restano ancora fondamentali per il viaggio di Erodoto in Egitto (C. Sourdille La durée et l ’étendue du voyage d’Hérodote en Egypte, Paris 1910). Sullo stesso argomento cfr. anche il più recente studio di J. Vogt, Herodot in Aegypten, Stuttgart 1929. 8 È questa anche l’opinione dello Schmid, op. cit., p. 562. 2

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cine della Magna Grecia e della Sicilia ( Crotone, Metaponto, Taranto, e in Sicilia Siracusa, Gela, Egesta). È certo co­ munque che manca nel quadro delle cognizioni erodotee un viaggio nell’ Occidente parallelo a quelli nell’ Oriente. Da Thurii forse potè essere intrapreso il viaggio a Cirene, che resta fra ì grandi viaggi quello meno facilmente databile, 9 Questa l’ estensione approssimativamente raggiunta dai viaggi di Erodoto su cui non pare sia lecito dubitare. Ma, a spiegare le inesattezze e i veri e propri errori contenuti nella narrazione, a comprendere l’ origine delle confusioni e delle incongruenze che hanno spinto a dubitare della sostanziale veridicità dello sto­ rico ed a sollevare la questione della sua autopsia, vanno tenuti presenti vari elementi. Erodoto viaggia sì, ma integra i dati delle sue personali osservazioni con le notizie fornitegli da scrittori precedenti, che egli, secondo l ’ uso classico, general­ mente non cita. Possono così sorgere errori grossolani, come quello di I, 183, dove, descrivendo il santuario di Bel in Babilonia, Erodoto menziona per due volte una statua, che è evidentemente sempre la stessa, ma che egli cita una volta in base alla sua esperienza personale, affermando di non averla vista, un’altra descrivendola in base alla lettura delle notizie che ne dava Ecateo.10 A questa tacita utilizzazione di fonti preesistenti e alla confusione derivante dalla inserzione di notizie di seconda mano fra quelle frutto della sua personale visione è da aggiungere la necessaria limitatezza dell’ autonomia di Erodoto come ricer­ catore ed investigatore. Erodoto è un finissimo, acuto ed attento 9 L ’How e il Wells, fondandosi sulle intense relazioni di commercio esistenti fra Samo e Cirene, pensano che sia stato intrapreso da Erodoto durante il soggiorno a Samo, prima quindi dei grandi viaggi d’Egitto e d’Oriente. Pur lasciandone incerta la datazione, anche il Legrand inclina a considerare questo viaggio precedente a quello in Egitto (op. cit., p. 27seg.). Effettivamente esso, ricollegandosi ad avvenimenti storici non sicuramente data­ bili (così, p. es., la fine della dinastia dei Battiadi), resta cronologi­ camente incerto e può essere datato indifferentemente prima o dopo dei viaggi in Egitto e in Oriente. 10 Sull’uso che Erodoto fa di Ecateo fondamentale è un passo di Porfirio riportato da Eusebio (Praep. Evang., X 3, p. i66 B ), il quale afferma che Erodoto trasferì alla lettera nel suo II libro molti passi della Periegesi di Ecateo.

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osservatore delle cose che può vedere e spiegarsi da solo: così descrive con chiarezza i vari tipi di imbarcazioni e di abitazioni che conosce nei suoi viaggi, gli animali, le piante, i doni votivi esposti nei santuari, ecc. Ma quando l ’ esame oculare personale deve cedere il posto alle informazioni orali, le cose cambiano. Va sempre, tenuto presente che Erodoto ignorava le lingue dei paesi da lui visitati, ed era quindi costretto a servirsi di inter­ preti, che certo assai spesso lasciavano molto a desiderare per attendibilità ed esattezza di informazione. Erodoto non era in grado di leggere le iscrizioni, questi documenti fondamentali per la storia in generale e per quella deW Oriente in particolare; egli non poteva che riportare un riassunto di quanto gli veniva riferito, e tutti sappiamo quanto poco valore scientifico, e spesso addirittura quanto poca verisimiglianza, abbiano ancor oggi, a più di ventitré secoli di distanza da Erodoto, le notizie fornite dalle varie guide e dai vari « ciceroni », e quanto esse si fo n ­ dino su aneddoti di scarsissimo valore storico più che sulla ef­ fettiva realtà. A questo è ancora da aggiungere che anche le osservazioni di carattere generale Erodoto non potè attingerle — come è stalo più volte notato ■ — che fra il popolo, col quale era più facile entrare a contatto. Tutto questo, unito alla tendenza erodotea alla generalizza­ zione dei fenomeni e ai principi di ordine metafisico e sovran­ naturale che spesso lo allontanano dalla retta interpretazione umana e naturalistica degli eventi, spiega l ’ origine di tante notizie che sono sostanzialmente errate, anche se fondate su osservazioni in sé esatte. Solo tenendo presenti gli ostacoli incontrati da Ero'doto nei suoi viaggi e. le difficoltà che hanno ampiamente limitato le sue possibilità di cognizione e di ricerca è possibile formarsi un esatto concetto della importanza rivestita da questi viaggi. Essi portarono Erodoto dall’ una all’altra estremità del mondo greco, dalle colonie del Mar Mero a Cirene, dalle coste asiatiche alla Sicilia, e ancora nei paesi barbari, culla delle più antiche ci­ viltà, quali l’Egitto, e la Persia. Lucido, imparziale osserva­ tore, privo, per le vicende stesse della sua esistenza, di quello spirito nazionalistico, di quel sentimento della superiorità dei Greci sui Barbari che avrebbe potuto fa r velo ai suoi occhi ed impedirgli una imparziale valutazione degli uomini e delle cose straniere, da questi viaggi egli ritrasse la grande quantità di

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notizie e di osservazioni che dovevano servirgli quale primo fondamento dell’ opera sua.

dilungandosi in digressioni apparentemente estranee a quello che è indicato nel proemio come l ’ argomento principale, negli ultimi cinque libri il racconto^ f a più serrato, e dai precedenti delle guerre persiane, costituiti dalla insurrezione ionica, si giunge fino alla conquista di Sesto sull’Ellesponto per opera degli Ateniesi nella primavera del 478 a. C La poca importanza di questo avvenimento, insieme ad al­ cune promesse di successivi racconti che Erodoto f a nel corso dell’opera sua senza poi mantenerle, ha sollevato un’altra que­ stione; si è cioè dubitato della compiutezza dell’opera di Ero­ doto.3 Questo problema si collega con quello composizionale; in ogni modo possiamo dire fin d’ora che le obiezioni e i dubbi sollevati non hanno ragione di essere: anche se la vera pace fra Grecia e Persia f u conclusa solo 30 anni più tardi, nel 448,

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L ’ OPERA E sono certo i viaggi che hanno dato ad Erodoto la spinta ideale alla creazione della sua opera e gli elementi materiali per compierla. Per sua dichiarazione, autopsia, riflessione propria e rac­ conti altrui sono alla base della sua opera, la quale è operastorica soprattutto nel significato etimologico della parola, in quanto opera di « ricerca ». Come è noto, essa è giunta a noi divisa dai grammatici alessandrini in nove libri, distinti ciascuno col nome di una delle Muse.1 È ovvio che tale divisione è artificiosa e non risale ad Erodoto, così come è chiaro che manca all’ opera un’ ultima definitiva rielaborazione. Ma che almeno a grandi linee essa dovesse essere ormai pronta per la pubblicazione lo dimostra l ’esistenza stessa del proemio: esso è concepibile soltanto in un’ opera destinata ad essere conosciuta attraverso la lettura, e vuol costituire una almeno apparente unità fra i vari elementi che compongono l ’ opera stessa. Come vedremo, il proemio rap­ presenta appunto le ultime convinzioni di Erodoto come storico e come uomo. Dopo essersi pigramente snodata nei primi quattro libri 2 1 Per la prima volta la divisione in nove libri appare menzio­ nata da Diod. X I, 37, 6; il nome delle Muse si trova attribuito ai singoli libri per la prima volta in Luciano {de hist. conscr., 42 e Herod., 1). Sebbene presenti difficoltà è questa ormai la divisione tradizionale, e ad essa ci atterremo. U n tentativo di nuova suddivisione dell’opera in base a cri­ teri intrinseci è stata tentata dal Legrand nella sua edizione di Erodoto tuttora in corso. M a in un’ opera composita e itomiXr) come è quella erodotea non è facile tracciare suddivisioni razionali, e credo non sia neppure legittimo introdurre un criterio di razionalità che l’autore mostra chiaramente in tanti casi di non tenere in alcun conto. L ’unica unità composizionale veramente indipendente e a sé stante è costituita dal logos egiziano. 2 Non è facile tentare di riassumere brevemente il contenuto, (tranne naturalmente per il II libro, interamente dedicato al-

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l’Egitto), perché è tale l’ intrecciarsi dei motivi, delle digressioni, delle annotazioni più o meno ampie ed estranee al racconto prin­ cipale che rintracciare un filo conduttore è impresa ardua. In ogni modo potremo notare che, dopo il proemio e un accenno alle antiche origini delle ostilità fra Asia e Europa, il I libro comprende il racconto della conquista dell’Asia da parte dei M edi e dei Persiani, e precisamente le successive sottomissioni della Lidia e dell’Asia minore e superiore, con digressioni su Babilonia e sui Massageti, fino alla morte di Giro. Il II libro è dedicato all’Egitto, di cui Erodoto espone i costumi e narra la storia fino ad Amasi, ed ha come spunto la conquista dell’Egitto da parte di Cambise, il successore di Ciro. Nel libro III, dopo le spedizioni di Cambise contro l’Egitto e gli Etiopi e digressioni sui contemporanei fatti di Grecia, l ’interesse si appunta particolarmente sulla Persia : ribellione del falso Smerdi, morte di Cambise, congiura dei sette contro il falso Smerdi; salita al trono di Dario e ordinamento dell’impero. Seguono digressioni sull’india, sull’Arabia e sui paesi del settentrione, e quindi l ’esposizione delle imprese di Dario fino alla spedizione scitica. A questa è dedicato il I V libro, e insieme alla spedizione del satrapo Ariande contro Cirene, con relative digressioni sulla Scizia e sulla Libia. 3 II problema, accennato una prima volta dal Meyer {Forsckungen zur alteri Geschichte, I, p. 189), ha occupato naturalmente tutti i successivi studiosi. Fra i principali sostenitori dell’ipstesi che l’opera sia incompiuta citerò lo Jacoby, il quale dedica però al problema solo un brevissimo accenno. Per la tesi della comple­ tezza stanno il Meyer,* il Gomperz, il Geffcken, l’ Aly, l’ Howald, il Focke e con acute e convincenti argomentazioni essa è sostenuta dal De Sanctis. Lo Schadewalt {art. cit., «Neue Jahrbuch. », 1933), sostiene una tesi di compromesso, riconoscendo la compiutezza dal punto di vista del racconto, ma l’incompiutezza artistica.

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la presa di Sesto segna effettivamente la fine della lotta offen­ siva condotta da parte della Persia. Dopo la conquista di Sesto e Γ annientamento delle ultime resistenze persiane in territorio europeo la flotta Ateniese ritorna in patria, e questo segna la fine sostanziale delle ostilità. Anche per Tucidide del resto (I, 18, 3; 2 3 ,1 ) i Περσικά sono gli eventi degli anni 480-'/^, e vengono nettamente distinti dagli avvenimenti successivi, Pro­ cedere oltre la presa di Sesto avrebbe significato parlare della fondazione della lega delio-attica; ma qui non si trattava più di guerre persiane, ma della formazione dell'impero ateniese, di avvenimenti cioè di cui Erodoto mostra chiaramente ( V il i , 3 ) di non volersi occupare, considerandoli estranei all'argomento propostosi. Credo si possa concludere che Erodoto intendeva effettiva­ mente giungere nella sua esposizione proprio al 4j8.i Quanto alla questione delle promesse fatte e non mantenute, il problema principale è quello degli Άσσύριοι λόγοι: per ben due volte (I, 106 e 184) Erodoto promette una più ampia trat­ tazione riguardo agli avvenimenti babilonesi, ma essa non com­ pare nella redazione definitiva dell'opera. I tentativi di spiega­ zione sono stati vari; si è anche cercato, ma senza alcun suc­ cesso, di annullare la questione,6 asserendo che Erodoto non intendeva accennare ad altra parte dell'opera, ma a quella precisamente che stava scrivendo, e che quindi gli ’ Ασσύριοι λόγοι sono proprio quelli che abbiamo davanti leggendo i passi in cui appaiono menzionati. A prescindere da questa, la soluzione più convincente sembra a me quella del De Sanctis, il quale, in base alla sua ricostruzione della genesi dell'opera erodotea, pensa che la trattazione riguardante i fa tti di Babilonia non sia stata da Erodoto inclusa nell' opera per motivi di ordine artistico, che gli impedivano di accogliere nell'economia della sua opera un'altra lunga digressione continua a poca distanza da quella sull'Egitto, e ritiene che tale rinunzia potè essere più agevole, in quanto forse gli Άσσύριοι λόγοι non avevano ancora rice-

vuto una elaborazione definitiva. Unica sopravvivenza nell'opera attuale ne sarebbero 6 i capp. igs-200 del I libro, relativi ai costumi della popolazione di Babilonia. Tutto induce dunque a credere che l'opera di Erodoto sia completa; quello che si può ammettere manchi è una rielabo­ razione degli ultimissimi capitoli dell'opera, che non avrebbe dovuto concludersi con un aneddoto assai poco adatto ad un racconto delle guerre persiane, quale per Erodoto avrebbe ormai dovuto essere la sua opera: 7 con una brusca digressione, dalla uccisione di Artaicte governatore del Chersoneso Tracico Ero­ doto passa infatti a raccontare un aneddoto, secondo il quale, contro il consiglio di un antenato di Artaicte che li esortava a trasferirsi in località più fertile ed ospitale, i Persiani avreb­ bero seguito l'ammonimento di Ciro, preferendo essere domina­ tori abitando in un paese sterile ed ingrato anziché servi vi­ vendo in un paese fertile e ricco. M a per spiegare questa difficoltà converrà affrontare il pro­ blema relativo alla composizione dell’ opera, problema che si è. prestato alle più varie discussioni. La questione è stata amplìs­ simamente trattata; mi limiterò a riassumerla assai breve­ mente, indicando quelle che sono a mìo parere le conclusioni più attendibili. Che l 'opera erodotea non costituisca un tutto unitario, an­ che se vogliamo intendere questa unità in maniera assai relativa, riportandoci col pensiero alle esigenze di un tempo e di un am­ biente assai diversi e lontani dai nostri, è constatazione imme­ diata e indubitabile. Osservando da una parte l'esistenza delle digressioni, dal­ l'altra il loro carattere in un certo senso unitario, lo Scholl avanzò la teoria dei logoi,8 ripresa e difesa ampiarhente dal

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4 Da questa stessa data Tucidide inizia la storia della pentecontaet.ia, considerandola implicitamente come la fine di un’e­ poca e l’inizio di una nuova. 5 F. Focke, Herodot als Historiker, in Tübinger Beitr. zur Altertumswiss., I, Stuttgart 1927, p. 14 segg.

6 Cfr. J. Powell, op. cìt., p. 19 segg. 7 Seducente, ma a mio parere non eccessivamente persuasiva, è l’ interpretazione che dell’aneddoto finale dà lo Schmidt, op. cit., p. 597: esso sarebbe perfettamente al suo posto e assai signi­ ficativo, perché rappresenterebbe il rinnegamento da parte del fondatore della potenza persiana delPimperialismo proprio e dei suoi successori. Per una critica a questa supposizione v. Focke, op. cìt., p. 22 segg. 8 Schoell, in « Philologus » IX , 1854, P· 203 segg·

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Batter.9 Secondo questa teoria Erodoto avrebbe composto in- , dipendentemente l’una dall’ altra le varie parti (dette con parola erodotea λόγοι) della sua storia, parti che avrebbe poi unite in maniera più o meno arbitraria e superficiale per comporre l'opera quale attualmente si presenta. In sostanza, tale teoria ha il merito di aver messo in chiaro l'esistenza nell’ opera erodotea di singoli organismi composizio­ nali a. sé stanti, con una propria definita fisionomia, ma a tale giusta osservazione ha nuociuto il criterio eccessivamente mecca­ nico seguito nella suddivisione, basata esclusivamente su parti­ colarità esteriori che non riescono a penetrare nella mentalità dell'autore e a riviverne l'attività creatrice. Inoltre anche in questo caso, come per la questione omerica, si è esagerato, as­ serendo la assoluta indipendenza originaria dei logoi fra loro. Tale indipendenza è invece soltanto relativa, ed essi erano pro­ babilmente già composti per essere collegati fra loro ed inseriti in m'opera di carattere organico. M a qual'era quest'opera? quali i suoi caratteri e le sue esigenze? Per giungere ad una conclusione attendibile non dobbiamo guardare la figura di Erodoto isolatamente. E gli e la sua opera vanno inseriti nella tradizione letteraria e storica precedente, e vanno su questo sfondo guardati. Prima di Erodoto l'attività storiografica greca si era espli­ cata in opere dì interesse esclusivamente locale, in monografie di carattere etnografico ed in genealogie di carattere prevalente­ mente mitico. Erodoto abbandona risolutamente la via delle genealogie, ma si accinge, sulla traccia segnatagli dalla tradizione, ad un’ o­ pera etnografica di carattere insieme storico e geografico. Qual’era quest’ opera? Secondo il Jacoby, cui si deve il fondamentale studio più volte citato, doveva trattarsi di una περίοδος τής γης sul tipo 9 A . Bauer, D ie EntstehuTig des Herodoteischen Geschichtswerke, Wien 1878. Dello stesso anno è la seconda ediz. dell’opera, del K irchhoff che, pur partendo da un punto di vista diverso, tende anch’essa. a spezzare meccanicamente in tronconi indipendenti l’opera erodotea (A. Kirchhoff, Ueber die Entstehungszeit des herodotischen Geschichtswerk, Berlin 1868).

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di quella di Ecateo, che probabilmente Erodoto voleva emulare e superare. Ma anche questa supposizione incontra, applicata ad un esame dell'opera, difficoltà: il Jacoby stesso notava, senza in fondo darne una spiegazione sufficiente, la differenza innega­ bile fra logoi a carattere prevalentemente geografico e logoi in cui predominante appare l'interesse storico, ed urtava in alcuni casi, ad esempio in quello del logos di Creso, in evidenti diffi­ coltà. La teoria dei logoi è stata quindi ripresa e portata a nuove e più coerenti conclusioni dal De > Sanctis10 il quale, facendo centro sul proemio dell'opera e sul logos lidio, esamina il sor­ gere e lo svilupparsi dell'opera erodotea, insieme con l'evolu­ zione spirituale dell'autore che ne sta alla base. I l D e Sanctis come è noto arriva alla conclusione che Ero­ doto sia partito con l'intenzione di scrivere un’ ampia opera etnografica riguardante la Persia, dei «Persikà » del tipo di quelli di Dionisio di Mileto, anche se con interessi più ampi e vari. Questa « storia dei Persiani » doveva contenere, sulla linea tra­ dizionale e in base alle esperienze che ad Erodoto avevano for­ nito i suoi viaggi, digressioni sui vari popoli con cui i Persiani erano venuti successivamente a contatto. D i personale Erodoto aggiungeva al quadro tradizionale il suo particolare vivo in­ teresse per la storia e per la politica dei popoli di cui veniva a parlare. M a, arrivato alla narrazione delle guerre persiane, che an­ cora nessuno aveva trattato a fondo e che naturalmente costi­ tuivano per un pubblico greco la parte più interessante e più vivamente 'sentita,11 il piano erodoteo dovette subire un radicale

10 L e idee del D e Sanctis sono ampiamente e chiaramente esposte in La composizione della Storia di Erodoto, in «Riv. Filol. e Istr. Class.», L I V (1926), p. 289 segg.; riprese quindi nella Storia dei Greci, II, Firenze 1940, p. 207 segg. Cfr.. anche dello stesso au­ tore l’art. Erodoto, in Enc. Ital., voi. X I V , col. 257 segg. 11 L e prove dell’attaccamento particolare che lo spirito naziona. listico e l’orgoglio greco nutrivano per le guerre persiane sono nu­ merosissime. L a grandiosa epopea, che aveva trovato il primo esaltatore in un suo stesso attore, Eschilo, restò agli occhi dei Greci come un simbolo delle virtù patrie. E fra i lazzi di Aristo­ fane compare solenne e maestosa, con valore d i nostalgico rim-

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mutamento. La mentalità dell’ autore, sotto l’ influsso esercitato dal soggiorno in Grecia e particolarmente ad Atene, dovette andare evolvendosi da una posizione di ingenuo cosmopolitismo, che in parte giustifica l’ epiteto di (piXofiaQpaQOQ ( ne è testi­ monio tutto il l. I I sull’Egitto) , verso una comprensione sempre maggiore dell’ ideale ellenico che contrapponeva orgogliosa­ mente i Greci ai Barbari. In Erodoto le due concezioni si so­ vrapposero; la prima, più universalistica e già profondamente radicata nell’ animo dello scrittore, rimase sempre operante, ma innegabile è la prevalenza del punto di vista ellenico nella nar­ razione delle guerre persiane, e particolarmente delle loro gesta più gloriose. L ’ interesse dell’ autore viene allora a spostarsi in modo de­ cisivo dal polo etnografico a quello storico. La narrazione delle vicende delle guerre persiane viene ad assumere una tale am­ piezza ed un posto talmente preponderante nell’economia del­ l ’opera di Erodoto che egli muta piano, trasformando l’ origi­ naria storia della Persia nella storia delle lotte fra Greci e Barbari. I l nuovo piano composizionale avrebbe richiesto una elabo­ razione ed una revisione complessiva che Erodoto non potè, e probabilmente almeno in parte non volle compiere. Perché la nuova opera risultasse equilibrata egli avrebbe dovuto rinun­ ciare a molti excursus, particolarmente ai più ampi, come quello sull’Egitto. Ma poteva Erodoto fa r ciò? Il viaggiatore e il ri­ cercatore che aveva sostenuto disagi e difficoltà per visitare i più lontani paesi non poteva rinunciare ad una delle parti più belle e più maliose dell’ opera sua. Così gli excursus in buona parte rimasero, adattati al nuovo piano qua e là con un po’ di tessuto connettivo, sovente chiaramente visibile. Mutamenti re­ dazionali som chiaramente riconoscibili nel primo libro, nel

pianto e di severo ammonimento, la figura del maratonomaco « duro come quercia ». Certo almeno alcuni episodi salienti della prima guerra per­ siana furono da Erodoto resi noti in Atene attraverso pubbliche letture, e probabilmente il successo da esse riportato non sarà stato l ’ultimo elemento nel convincere Erodoto ad abbandonare il primitivo piano dell’opera sua ed a considerare come centro ideale di essa la guerra contro i barbari, anche se il tentativo di modificazione non riuscì in pieno.

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proemio, nello spostamento del logos di Creso e nel suo adat­ tamento, esteriore e riuscito solo in parte, al nuovo piano. Ma una rielaborazioñe generale si fermò probabilmente al primo libro; negli altri si tratta generalmente solo di correzioni, inser­ zioni e aggiunte che rimangono chiaramente riconoscibili nel contesto deU’qpera. D ’altra fiarte non credo si debba esagerare insistendo sulla esigenza unitaria di Erodoto. Egli doveva certo sentirla, ma assai meno di quanto in genere si creda, se poteva asserire esplicitamente ( IV, 30) che la sua opera non « ammette » 0 « è costretta ad accogliere », ma « ricerca » ( èòlCrjto) le digres­ sioni. Unici suoi precedenti nell’ arte narrativa erano da una parte l ’epopea, dall’altra la novellistica, che non erano certo le forme d’arte più adatte ad infondere nell’ autore l’esigenza di una ser­ rata unità, di una rigorosa omogeneità nella composizione (cfr. Legrand, Introd., p. 233). Quella di Erodoto come vedremo è un’arte tutta particolare, che bisogna accettare così com’è, paghi di goderne le bellezze, che stanno assai spesso proprio nella apparente trascuratezza e irrazionalità.. La teoria del De Sanctis, contemperando la innegabile fram­ mentarietà dell’ opera erodotea con l ’unità reclamata dal proemio, risolve tutte le maggiori difficoltà 12 che le precedenti teorie la­ sciavano sussistere in misura più 0 meno grande ed è effettiva­ mente — per quanto in questioni riguardanti la genesi di un’o­ pera, particolarmente di un’ opera come quella erodotea, è possibile raggiungere la certezza — la più verisimile e convincente,13 12 Per un esame particolareggiato di queste difficoltà cfr. De Sanctis, art. cìt., in « Riv. Filol. Class. ». Esse riguardano partico­ larmente la questione del logos lidio e delle incongruenze' innega­ bili che si riscontrano nella narrazione, la questione degli Ά σ σ νρ ιοι λόγοι, ecc. E con l’ipotesi del De Sanctis si spiega anche lo stesso aneddoto finale, adattissimo ad una storia della Persia, ma del tutto fuor di luogo in una storia delle guerre persiane condotta da un punto di vista greco. L ’ipotesi più verisimile è che l’aneddoto sia rimasto al suo posto in seguito alla mancata elaborazione finale del lavoro sulla base del nuovo piano compositivo. 13 Essa è sostanzialmente accettata e seguita dal Powell nel suo recente studio citato sulla struttura dell’opera erodotea, P· 39 segg.

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Così, attraverso una evoluzione graduale, sì compì il mi­ racolo per cui Erodoto, che aveva inizialo come logografo la sua opera, seppe svincolarsi dai limiti della concezione logografica per elevarsi ad una visione almeno fondamentalmente storica. I l proemio mi sembra rispecchi il processo del suo svol­ gimento spirituale: dalla storia universale (rà yevó/ueva è£ dv&Qcóncov) si passa gradualmente alle imprese dei Greci e dei Barbari, ed infine la dipendente liberamente collegata alla principale ( rà re àXXa %aì di’ fjv ahlrjv ènoM/Àrioav aAÀrjAoioiv) restringe ancora di più il concetto, riferendosi ai motivi determinanti della loro ostilità. L ’opera f u dunque indubbiamente composta in un periodo di tempo piuttosto ampio, 14 e non è difficile riconoscervi tracce di successive evoluzioni nel contenuto, nella struttura, nello stile, nelle idee etiche e religiose. Ma anche queste constatazioni non servono a molto, in quanto, come vedremo, nella personalità di Erodoto non è possibile riconoscere uno sviluppo continuo, ma sovente non si può che constatare Vincrociarsi e il sovrapporsi delle convinzioni e delle idee più disparate e contrastanti. In ogni modo la composizione delle parti più antiche può forse risalire a quel primo soggiorno in Atene che abbiamo in via di ipotesi supposto negli anni fra il 454 e il 448. In queste parti più antiche è compreso indubbiamente il logos di Creso. Immediatamente dopo il viaggio in Egitto possiamo verosimil­ mente porre la composizione 0 almeno l ’abbozzo del logos egi­ ziano, che f u certo subito noto in Atene attraverso pubbliche letture, per le quali un sicuro terminus ante quem è il 441, 14 A l KirchhofF risale l ’ipotesi, seguita dal M acao, dall’How e dal Wells, che la composizione dei libri V I I - I X relativi alle guerre persiane sia da considerare cronologicamente precedente a quella dei rimanenti, mentre ultimo ad essere composto sarebbe stato il II libro sull’Egitto: cfr. Wells, op. cìt., p. 179 segg. Tale teoria è stata confutata e respinta con validi argomenti dal Jacoby, col. 360 segg. I rimandi erodòtei ad altre parti della sua opera (che sono stati accuratamente elencati dall’Ebert, Z ur Frage nach der Beendigung des herodotischen Geschichtswerkes, Diss. Berlin, 1911, p. 20 segg.) fanno pensare, per quanto ne è possibile una ragionevole utiliz­ zazione, che i primi quattro libri fossero già in uno stato press’a poco simile all’attuale quando venivano composti gli ultimi cinque.

anno della rappresentazione dell’A n tigon e sofoclea, in cui ap­ paiono reminiscenze dei racconti di Erodoto. E all’opera sua Erodoto continuò a lavorare per tutto il resto della sua vita. I l cambiamento di piano, per il quale, in via del tutto congetturale, possiamo all’incirca indicare un anno intorno al 435, avrebbe richiesto un nuovo, ampio lavoro di àdattamento. Erodoto lo compì, almeno in parte e per i primi libri, in una maniera che, se oggi sembra alla nostra critica assai ingenua, doveva probabilmente apparire sufficiente alle sue esigenze e a quelle del tempo. L ’elaborazione artistica finale manca, ma nel complesso, ad onta delle contraddizioni, delle incongruenze, delle ineguaglianze di pensiero e di stile, possiamo a buon diritto ritenere di posse­ dere una redazione assai vicina a quella che doveva essere la definitiva.

LE FO N TI * Un’opera estesa e varia quale è quella erodotea presuppone necessariamente un amplissimo materiale, costituito dagli ele­ menti più diversi. duali fonti dell’ opera sua Erodoto indica più volte espli­ citamente la propria visione diretta delle cose ( δ-ψις) , le opi­ nioni che ha potuto formarsi su di esse (γνώμη), la tradizione, rappresentata dai racconti uditi da altri e che egli ha appreso attraverso le . sue ricerche ( ίστορίη) . * Il problema delle fonti ha naturalmente in un’ opera come quella di Erodoto una importanza, una ampiezza ed una comples­ sità agevolmente intuibili. Rimandando per una trattazione par­ ticolareggiata, e scientifica a ll’analisi del Jacoby (art. cit., col. 407467) e, per i primi cinque libri, alle introduzioni alle singole se­ zioni dei' volumi del Legrand (le cui conclusioni vanno però attentamente vagliate caso per caso, e non sono sempre comple­ tamente accettabili), nonché alle trattazioni specifiche che ..sa­ ranno eventualmente indicate, ci limiteremo qui ad uno sguardo sintetico al complesso della questione, a scopo di prima infor­ mazione e di orientamento. Aggiungo che sulla questione delle fonti si può ancora consul­ tare con. profitto lo studio di A. von Gutschmid, Index fontium in Kteine Schriften, IV , Leipzig 1893, p. 145 segg.

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Cercare di sceverare volta per volta le notizie provenienti dalle varie fónti è impresa tutf altro che facile, oltre che per la enorme varietà e quantità di elementi che Erodoto incorpora nell’’ opera sua, anche per il mutamento dì interessi e di piano compositivo, che lo spinse più 'volte ad ampliamenti, cambia­ menti, inserzioni, compiute spesso in più riprese e a notevole distanza dal tempo della originaria stesurain complesso possiamo con certezza ritenere che, oltre alla sua autopsia, Erodoto abbia avuto presenti fonti di tre diverse specie: scritte, orali ed archeologiche. Quanto alle fonti scritte, Erodoto ebbe una notevole conoscenza di tutta la produzione poe­ tica a lui precedente. Particolare familiarità dimostra di avere con Omero.1 M a in linea di massima le opere poetiche non co­ stituiscono vere e proprie fonti di informazione, ma solo testi­ monianze addotte per confermare o respingere una opinione. In un caso almeno però un'opera poetica serve ad Erodoto da vera e propria fonte: si tratta precisamente dei « Persiani » dì Eschilo, che Erodoto utilizza nella descrizione della battaglia di Salamina, desumendone particolarmente (v. 339 segg.) il numero delle navi persiane che parteciparono alla battaglia (V II, 8g). Era questo indubbiamente un dato sicuro e proba­ bilmente divenuto tradizionale, ed è istruttivo vedere a quali ar­ tifici ed, ingenue elaborazioni Erodoto debba ricorrere per non scostarsi da esso e per non entrare d’altro canto in contraddizióne con notizie diverse da lui fornite in precedenza. Alle opere poetiche vanno aggiunte le raccolte dì oracoli, in parte autentici in parte apocrifi, cui Erodoto ampiamente at­ tinse, 2 e qualche epigramma. Assai più importante sarebbe per noi conoscere di quali opere in prosa Erodoto si è servito. Qui Vimpresa diventa assai difficile, dato che la più antica letteratura corografica ed etnografica è andata perduta e spesso non siamo neppure in grado di conoscerne con certezza il contenuto. D ’altra

1 In Omero Erodoto mostra una fede senza discussioni, a dif­ ferenza di quanto farà con maggiore senso storico Tucidide (I, 9’ 4)· . ' . . . . . . 2 D i una collezione di oracoli messa insieme dai Pisistratidi parla Erodoto stesso (V, 90, 2); una raccolta doveva certamente esistere dei responsi delfici, che vengono assai spesso riferiti da Erodoto per intero (I 47, 55, 85, ecc.).

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parte Erodoto, iniziando quella che sarà la regola seguita da tutti gli antichi scrittori, è assai parco di citazioni.3 Egli co­ nosce indubbiamente gli storiografi e gli etnografi che lo hanno preceduto e li indica complessivamente col termine di λογογράφοι, ma esplicitamente cita solo Ecateo, e lo cita generalmente per criticarlo e confutarlo. Ma in questo non è da vedere, secondo i criteri moderni, un atto di disonestà e di malignità letteraria. Erodoto, al pari di quel che fecero i suoi successori, ripetendo notìzie già date da altri non sente la necessità di attribuire loro la rispettiva paternità, che doveva essere ben nota, mentre, quando sì allontana dalle idee generalmente sostenute ed accet­ tate, sente il bisogno dì accentuare polemicamente la propria personalità, in contrapposizione a quella del precedente autore che aveva affermato cose diverse. È probabile che la maggioranza dei passi desunti da fonti scritte sia da ricercare nelle parti etnografiche e geografiche: cosa a prima vista strana, in quanto sono queste le parti che dovrebbero a nostro avviso fondarsi esclusivamente sull’auto­ psia. M a si comprende tale fenomeno solo che si rifletta che le opere etnografiche e geografiche erano le uniche esistenti in forma letteraria e che avevano già una loro tradizione, a dif­ ferenza della parte narrativa cui f u Erodoto stesso a dare forma letteraria. La letteratura etnografica era sorta con intenti pratici; essa, in conformità all’attività marinara degli Ioni, era costi­ tuita essenzialmente da indicazioni utili per la navigazione costiera, con notizie sommarie sulle popolazioni delle coste e dell’ immediato retroterra. Con gli stessi intenti Anassimandro pensò per primo dì unire a questi «peripli » una figurazione della terra abitata. Questa prima rudimentale carta geogra- . fica venne resa più esatta da Ecateo, il quale probabilmente a commento di essa-scrìsse, sulla base delle notìzie desunte dai suoi viaggi, un’opera, Περίοδος τής γης, divisa in due partì, dedicate rispettivamente all’Asia e all’Europa. Essa, per quanto possiamo desumere dagli scarsi frammenti, doveva consistere in un elenco di località, cui si collegavano informa di digressione brevi notizie storiche ed etnografiche. Tale opera f u certo uti­ lizzata da Erodoto-4 3 Puoi confrontare in proposito Legrand, Introd., p. 58 segg. 4 Sulle relazioni fra Ecateo ed Erodoto, cfr. Diels, Herodot und

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INTRODUZIONI·:

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Ecateo è ricordato ed esplicitamente nominato, oltre che come .saggio uomo di stato in V, 36 e 125, come viaggiatore e scrittore in II, 143 e VI, 137. Più volte appaiono criticate idee che sappiamo essere state sue senza che egli venga menzionato per nome: così riguardo al fiume Oceano (II, 21; IV , 36), agli Iperborei (IV , 36 ), probabilmente al Delta del Nilo (II, 15-16). Altrove sono riprese sue affermazioni (II, 5 e 156), mentre la notizia di Porfirio che avemmo già occasione di ci­ tare f a risalire ad Ecateo le notizie erodotee relative alla f e ­ nice, all’ippopotamo e alla caccia dei coccodrilli, sempre nel libro secondo. A prescindere da Ecateo Vutilizzazione da parte di Erodoto di altri logografi non è documentabile.5 Ellanico, del cui uso fa cenno Dionisio d’Alicarnasso,% sembra da escludere in quanto posteriore ad Erodoto, ed assai arbitrario rimane quanto si è detto sull’ uso di Dionisio di MiletoJ7 Per Xanto di Sardi, 8 della cui opera sulla Lidia possediamo estratti di Nicola D a­ masceno, possiamo notare che Erodoto è ampiamente indipen­ dente da lui, sembra anzi che rappresenti una tradizione molto diversa. Da fonti scritte devono dipendere le brevi notizie sui re lidi precedenti a Creso e varie notizie sulle guerre sostenute da Ciro. Da documenti ufficiali, non è chiaro in qual modo, Erodoto deve aver derivato le sue informazioni sulle satrapie persiane (III, 89-97), sulla strada reale (V , 52 seg.), sull’esercito per­ siano nonché le liste dei re Persiani e Spartani (V II, 204; VIII, J3 I ) .

Hekataios, in «Hermes» X X I I (1887), p. 411 segg., che non mi

sembra possa essere però seguito nelle conclusioni: in Erodoto (cfr. Meyer, op. cìt., p. 183, n. 1) non si può parlare, come egli fa, di plagio. 5 L ’ipotesi che i framm. di Ecateo siano una falsificazione poste­ riore ad Erodoto e da lui derivante non sembra persuasiva, anche se l’How e il Wells inclinano implicitamente ad accoglierla: cfr. «Journ·. Hell. Studies», X X I X , 1939, p. 41 segg. 6 D i sua imitazione da parte di Erodoto parla Dion. Hai. de praec. hist., V I , 769. 7 Cfr. Jacoby, art. cit. col. 405. 8 A « spunti » da lui dati ad Erodoto fa cenno Eforo (fr. ioa). M a v. anche E, iAeyer, Forsch. z. alt. Gesch. I (Halle 1892), p. 167 segg.

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Va tenuto presente che, quando Erodoto raccoglieva il ma­ teriale per la sua storia, non esistevano ancora in Grecia le cronache locali che si erano appena iniziate nelle città greche d’Asia, e verisímilmente mancavano anche liste di magistrati, di sacerdoti, di vincitori dì giochi. 9 C i induce a crederlo la cronologia seguita da Erodoto, sempre imprecisa e indetermi­ nata e chiaramente mancante di punti fermi, riguardo agli av­ venimenti greci, mentre una cronologia più esatta compare per ì tempi eroici (il computo degli anni è fatto per generazioni, in base alle varie Genealogie mitiche) e per V Oriente, in cui esi­ stevano documenti ordinati cronologicamente. A queste fonti scritte va aggiunta la novellistica popolare ionica, che aveva compiuto una prima elaborazione letteraria di racconti, concernenti particolarmente l ’Asia e la Lidia. Per la parte più propriamente storica poi, ossìa per il rac­ conto delle guerre persiane, le fonti scritte mancano quasi com­ pletamente. È assai verisimile che una tradizione narrativa già formata non. esistesse (cfr. Jacoby, col. 409): si aveva una serie di tradizioni storiche orali locali, diverse Vuna dall’ altra e in genere di caràttere sostanzialmente aneddotico. D a fonti scritte pare certo derivino ì capitoli del l. V II relativi alla marcia di Serse da Celene a Terme, e la lista dei popoli componenti Vesercito persiano e dei loro comandanti. Queste notìzie derivano verisímilmente dal diario di marcia dell’eser­ cito di Serse, che probabilmente fornì pure ad Erodoto le infor­ mazioni relative ai movimenti dell’armata terrestre e dì quella navale fino alle battaglie delle Termopile e dell’ Artemisio. Altra fonte scritta utilizzata da Erodoto per la storia delle guerre persiane — oltre, come vedemmo, ai «Persiani » di Eschilo — f u il tripode dedicato a Delfi dai Greci dopo la vittoria. Da esso Erodoto ha desunto ì nomi delle città greche che partecipa­ rono con i loro contingenti alla battaglia di Platea (IX , 28 segg.), ma lo ha fatto incorrendo in un errore di lettura, ed introducendo quindi nella sua lista ì Palei, ossia gli abitanti 9 Tutto quel che si è detto a proposito di Diceo fuoruscito Ate­ niese menzionato da Erodoto nel libro V I I I , 65, alle cui memorie si vorrebbero far risalire ampi brani del racconto erodoteo, non si basa che su supposizioni. In ogni caso, come sostiene il Jacoby, egli può essere considerato eventualmente come fonte orale, non certo scritta. 3 '

E r o d o to

- Le

S to r ie .

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di un oscuro borgo dell'isola di Cefallenia, al posto degli Elei. E , quel che è più grave per un giudizio sulla sua attendibilità, alla strana mancanza degli Elei egli rimedia con un fanta­ sioso racconto, nel quale spiega il motivo per cui essi sarebbero giunti troppo tardi sul campo di battaglia. Ma anche per le guerre persiane il maggior numero dì no­ tizie dovè derivare ad Erodoto da fonte orale. E d è evidente che egli si attiene in generale alla versione ateniese dei fatti, pur accogliendo qua e là varianti di diversa provenienza. Alla tradizione orale risale dunque per la massima parte la somma delle informazioni erodotee.10 Solo tre persone sono da Erodoto espressamente nominate in qualità di suoi informatori: Archia Spartano (III, 5 5 ); Timne ad Olbia (IV , 76) e Tersandro di Orcomeno (IX , 16). Probabile sembra dal contesto un colloquio con le tre sacerdotesse di Dodona (II, 55). In tutti gli altri casi gli informatori restano anonimi, e le notizie da loro desunte vengono introdotte con un λέγεται, λέγουσιν. A volte li conosciamo·, almeno come classe di persone: sono i sa­ cerdoti del tempio di Phta in Egitto, la classe degli « inter­ preti » egiziani, i coloni greci delle città costiere del Ponto Eusino, i λόγιοι, persone colte dei vari paesi che conoscevano il greco 0 si prestavano a lasciarsi interrogare per mezzo di in­ terpreti. A questi λόγιοι in ultima analisi sembrano da attri­ buirsi le affermazioni che Erodoto riferisce ascrivendole ai vari popoli.u Almeno per alcune di queste fonti orali abbiamo però la certezza che si tratta di citazioni indirette: così tutte le opinioni attribuite agli Etiopi saranno da ascrivere a racconti di fonte egiziana, dato che Erodoto non è mai stato in Etiopia12 M a anche tutte queste notizie orali di varia origine non si ritrovano nell'opera erodotea così semplicemente, come mate­ riale grezzo. Erodoto integra le notizie una con Γ altra, amplia, le amalgama con dati derivantigli dalle sue personali 10 Su questo la critica erodotea sembra oggi aver raggiunto un accordo. Per una' confutazione delle idee contrarie sostenute dal Panofsky (Quaestiones de historiae Herodoteae fontibus Berlin, 1885), cfr. Jacoby, col. 403 seg. 11 Sulla probabile fonte delle informazioni di Erodoto sulla Persia cfr. J. Wells, Studies, cit., p. 94 segg. 12 Per un elenco dei luoghi ove Erodoto dice espressamente di ' aver compiuto inchieste ed investigazioni, cfr. Jacoby, col. 398 segg.

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convinzioni 0 da altre fonti. A l termine di questo lavoro di ela­ borazione sì può solo presumere ed indovinare la fonte originaria, ma non si riesce poi ad individuarne con precisione la reale portata e l'importanza nel contesto erodoteo. Più facile la determinazione delle fonti archeologiche che Erodoto ha avuto a sua disposizione, e che a rigore rientrano nella sua autopsia. Erodoto è un osservatore acuto e perspicace, ma la sua ignoranza delle lingue non gli permette di trarre dai monumenti, particolarmente da quelli epigrafici, Vutilità che avrebbe potuto.13 Anche qui non mancano confusioni e sovrap­ posizioni di ricordi personali di viaggio a notizie desunte da geografi e logografi ionici, come abbiamo visto per la descrizione del tempio di Bel a Babilonia. Ancora, Erodoto e per sua personale tendenza e sulla scorta degli informatori locali è generalmente portato ad esagerare le sue notizie, marcando sensibilmente il carattere meraviglioso e straordinario di lavori e di monumenti. In definitiva, riguardo al problema delle fonti credo si debba affermare col Jacoby che le fonti scritte hanno nel com­ plesso delVopera erodotea una parte assolutamente secondaria e, salvo rari casi, si limitano alle parti descrittive. La parte nar­ rativa deriva in misura ampia, ma non esattamente delimita­ bile, da racconti oralf della più varia origine. Tuttavia la fonte più importante resta sempre costituita dalla personale riceica,, che, oltre a procurare notizie, serve a completare e rielaborare quelle derivanti da altre fonti, orali e letterarie. D el materiale a sua disposizione Erodoto usa in maniera assai discorde. Ma per f interesse continuo e vigile che egli dimostra per la sua nar­ razione, per ' la cura con cui procede all’elaborazione del suo materiale, si può tranquillamente affermare che nel suo com­ plesso la composizione è di Erodoto e solo di Erodoto, il quale, derivando dalle fonti esclusivamente materiale grezzo ed isolato, sa fonderlo in un'opera organica ed originale. E , come con profonda sensibilità ha notato il D e Sanctis, è proprio la sua « curiosità viva e vigile, il suo interesse profondo per tutto ciò che è umano e particolarmente per ciò che è grande e sotto qualche

13 Sulla ignoranza che quasi certamente Erodoto ebbe anche del persiano, cfr. Legrand, Introd., p. 75 e n. 1.

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aspetto meraviglioso » che « dà all'opera erodotea il suo carattere spiccato, nel quale sta la vera unità artistica delVopera ».14

è con ingenuo gusto per « il primato in qualunque campo » che egli va in cerca delle cose più grandi 0 più costose 0 più im­ ponenti di tutte: tutto egli guarda davvero, secondo la poetica trasfigurazione del D'Annunzio, «con occhi d'intento fanciullo·». Le descrizioni di Erodoto sono quelle di un viaggiatore in­ telligente, che viaggia con gli occhi ben spalancati, aperto ad ogni sensazione e pronto ad accoglierla e a farne tesoro. E la sua curiosità si rivolge agli oggetti più diversi, superando sotto questo aspetto quella dei ricercatori che lo avevano preceduto. Alla curiosità geo-etnografica dei logografi precedenti, e soprat­ tutto di Ecateo, Erodoto aggiunge uno spiccatissimo interesse per la storia dei popoli, greci e barbari — il che costituiva per i suoi tempi una novità, speciàlmente per 'quanto riguardava la storia greca. E in questa sua curiosità per gli avvenimenti oltre che per i costumi delle più varie genti Erodoto, anche se nel narrare le orìgini di un popolo gli capita spesso di risalire fino alle, età più remote e mitiche, generalmente, in netto contrasto con le precedenti « Genealogie », limita il suo racconto alle « ge­ nerazioni cosiddette umane », intuendo almeno confusamente che ad esse deve arrestarsi la ricerca propriamente storica. L'interesse geo-étnografico e quello storico sono fondamentali nella personalità di Erodoto, ma ad essi me Iti altri di secondo piano se ne aggiungono. Dalla sua formazione culturale — ri­ cordiamo anche a questo proposito la sua parentela con Pa­ rnassi, uno dei migliori poeti epici del tempo — derivò ad Erodoto un notevole interesse per la letteratura e la storia let­ teraria, attestatoj oltre che dalle numerose citazioni di opere poetiche e da notizie biografiche sui loro autori, particolarmente da alcuni passi in cui egli viene di proposito ad occuparsi di crìtica letteraria, e soprattutto di critica omerica (II, 53, 116, 177 ; I V > 32, ecc.). Erodoto intuì l'importanza fondamentale della compara­ zione glottologica negli studi etnografici, dimostrando un inte­ resse linguistico eccezionale per la sua epoca. Più volte mette in rilievo concordanze 0 discordanze linguistiche fra i vari po­ poli alfine di stabilirne 0 negarne la comune origine; trascrive nomi stranieri 1 dandone traduzioni non sempre esatte$ e ri­

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P E R S O N A L IT À D I E R O D O T O Formulare un giudizio sintetico sulla personalità di Erodoto non è certo compito facile, perché essa consta dei più vari ele­ menti, e questi non sempre sono fu si fra loro, anzi si trovano in genere giustapposti l ’ uno all'altro, dando in tal modo origine ad incongruenze e contraddizioni. La caratteristicafondamentale dellafigura di Erodoto, quella da cui in un certo senso tutte le altre derivano, è costituita dalla sua curiosità. Egli è un vero figlio della Ionia nel suo desiderio · di viaggiare e di apprendere attraverso la personale visione dei luoghi e degli avvenimenti usi e costumi di popoli diversi, così come proprio degli Ioni — e particolarmente dì quelli d'Asia — è quel gusto per il meraviglioso, per lo straordinario che attra­ versa tutta l'opera sua. I d'éjuara rappresentano agli occhi di Erodoto l'unica cosa che renda degno di menzione un terri­ torio: se « meraviglie » mancano egli sorvola con pochissime parole e con un tal quale sprezzante disappunto, mentre dinanzi a ‘d'oj/iàoia indugia nella descrizione con ingenuo ed aperto stu­ pore. Il suo criterio di giudìzio appare in questi casi piuttosto puerile e primitivo: la sua attenzione si rivolge alla preziosità della materia, all'imponenza complessiva, e soprattutto alla grandezza delle dimensioni: gli edifici d'Egitto, in particolare il Labirinto e le Piramidi, le sette cìnte di mura dì Babilonia, l'acquedotto sotterraneo dì Samo lo riempiono dì ammirazione; ed 14 Cfr. G . D e Sanctis, art. cit. in «R iv. Fi]. Istr. Class.» N . S. IV (1926). I tentativi di trovare in altri motivi l’unità dell’opera ri­ mangono a m io parere, anche se spesso assai acuti e sotto alcuni aspetti notevoli e suggestivi, privi di successo. Cfr. l’opera, del resto notevolissima, di M . Pohlenz, Herodot der erste Geschuhtschreiber desAbendlands,m «NeueWege zur Antike» II R ., H . 7-8, Berlin 1937, che vuol trovare il filo conduttore nel pensiero politico. Cfr. anche per le stesse idee, meno chiaramente e decisamente enunciate, il Legrand, Introd. particolarm. p. 227 segg. A ltri (K . A . Pagel, D ie Bedeutung des aitiologischen Momentes filr Herodots Geschichtsschreibung, Leipzig, 1927) hanno creduto d i trovarla in un principio

etico ordinatore, ma anche questa teoria non sembra, come ve­ dremo, accettabile.

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1 U n elenco dei termini stranieri riportati da Erodoto è stato compilato da W . A ly, Herodots Sprache, in «Gioita», X V (1927), p. 92 segg., con parecchie interessanti osservazioni. E non sarà

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volge la sua curiosità alla etimologia delle parole in modo assai meno ridicolo ed arbitrario di molti autori più tardi.2 È stato detto «pioniere iñlla scienza filologica ».3 M a, anche se in questa definizione c'è molta esagerazione, in quanto le sue os­ servazioni si fiondano soltanto su una curiosità non specifica e su una primitiva sensibilità linguistica, è innegabile però che Erodoto comprese /’ importanza delle sue osservazioni filolo­ giche, giungendo anche a intuire confusamente la necessità di leggi, tendenti a riunire in gruppi la molteplicità dei fenomeni linguistici. Da questa intuizione derivano osservazioni come quelle di I, i$g e I, 148, relative alle desinenze dei nomi per­ siani e delle denominazioni delle feste greche, notevoli anche se inesatte e talvolta magari causa di errori, come nel caso di Mitra, considerato, in base alla sua desinenza in -a, una divi­ nità femminile. Qua e là Erodoto mostra nella sua opera conoscenze filoso­ fiche: ammette la metempsicosi, e ritiene che tale credenza sia derivata ai Greci dagli Egiziani; ha nozioni sulle dottrine or­ fiche e si riaccosta talvolta in espressioni e sentenze ad Eraclito, a Senofane, ad Anassagora, ad Empedocle, ad Ippocrate,4 In particolare, da Eraclito sembra derivare il concetto (I, 8) che gli occhi sono migliori testimoni delle orecchie; da Empedocle, e forse anche da Ippocrate, la spiegazione razionalistica del sogno fornita in VII, 16; da Ippocrate ( n. òAqojv) le osser­ vazioni relative alV influenza del clima sulle popolazioni. A fuor di luogo notare per la precisione almeno relativa delle notizie erodotee che, mentre nella lista dei congiurati persiani contro il falso Smerdi (III, 70, 9) Erodoto indica esattamente 6 dei 7 nomi, Gtesia fornisce nomi completamente fantastici. 2 Anche se, come nota il Legrand, op. cit., p. 154 seg., non sappiamo fino a che punto Erodoto esprima osservazioni personali e fino a che punto egli derivi invece da altri, resta però sempre notevole che si limiti a casi generalmente piuttosto plausibili. 3 D a H . Diels, D ie Anfänge der Philologie bei den Griechen, in «Neue Jahrbücher f. klass. Altertum», X X V (1910), p. 1 segg., e particolarmente p. 13 segg. Qiti si può vedere un elenco dei tentativi di Erodoto nel campo etimologico (p. 19 segg.) e degli autori ricordati da lui nel corso dell’opera (p. 21 segg.). 4 Per l’interesse di Erodoto per la medicina cfr. Wells, op. cit., p. 188 seg. In particolare per le relazioni con le dottrine ippo­ cratiche puoi vedere W . Nestle, Hippocratica, in «Hermes», L X X lI I (1938), p. 25 segg.

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Empedocle rìsale anche, seppure indirettamente, la dottrina espo­ sta in III, 54 sulle relazioni fra anima e corpo. Ma si tratta di singole notazioni sparse, che a mio parere non rivelano altro che le cognizioni generiche e superficiali che un uomo colto, vis­ suto in un ambiente intellettualmente evoluto, non poteva fare a meno di assimilare. Varietà d'interessi dunque, ma interessi nel complesso superficiali. Non è questo un rimprovero che muoviamo ad Erodoto, ma una semplice constatazione di fatto, perfettamente spiegabile e comprensibile. E se fosse stato altri­ menti non avremmo certo posseduto un’ opera agile, lieve, sotto ogni aspetto ποικίλη come è quella di Erodoto. Dinanzi alla somma di informazioni offertegli dalle sue ricerche e dalle sue esperienze intellettuali Erodoto assume un atteggiamento assai caratteristico. Per giudicarlo e comprenderlo meglio giova confrontarlo con gli storici precedenti e con i suc­ cessivi, collocandolo al posto che gli spetta nello sviluppo della storiografia greca. La vera storia, intesa come critica della tradizione mediante la ragione, compare per la prima volta in Ecateo, il quale nella famosissima frase che apriva le « Genealogie » affermava re­ cisamente che, di fronte ai risibili e vari racconti dei Greci, egli avrebbe narrato le cose secondo quanto gli sembravan vere. La solenne affermazione dei diritti della ragione, che inaugurava la critica storica, non trovò poi il dovuto sviluppo in Ecateo, la cui critica era costituita da un ingenuo ed orgoglioso raziona­ lismo, che si limitava a sfrondare la tradizione dei particolari inverosimili e fantastici sostituendoli con altri ragionevoli — procedimento^ ai nostri occhi ridicolo almeno quanto ad Ecateo pareva ridicola la tradizione greca leggendaria. Erodoto rappresenta in un certo senso un regresso di fronte alla netta posizione razionalistica di Ecateo. I l suo atteggia­ mento di fronte alla tradizione è generalmente passivo. Egli assai spesso riporta di uno stesso avvenimento due — 0 magari più — versioni diverse, e solo qualche volta esprime la sua per­ sonale opinione e la preferenza per Vuna 0 per Γaltra.5 Ma questo, se rappresenta un regresso nei confronti del5 I casi sono assai numerosi e riguardano avvenimenti della più varia importanza. Per un elenco, notevole anche se incompleto, cfr. Legrand, op. cit., p. 79 e n. 1.

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l ’ attività soggettiva dello storico, che deve necessariamente eser­ citarsi sul suo materiale per la creazione dell’ opera storica, co­ stituisce nello stesso tempo un progresso. Erodoto, più ade­ rente di Ecateo alla realtà concreta, comprende, o almeno in­ tuisce, che non è possibile fare la storia razionalizzando arbi­ trariamente la tradizione, ma che primo punto di partenza del­ l ’attività storica devono essere le testimonianze. Tale principio Erodoto afferma e ribadisce più volte: III, g: « questo è il racconto più credibile, ma si deve ricordare anche quello meno credibile, dal momento che viene riferito »; II, 123 «per me in ogni racconto vale la regola che scrivo quel che sento dire da ciascuno », e tale principio è affermato con particolare energia e con una certa solennità in VII, 152: «io devo'dire quello che viene riferito, ma non devo in tutto prestar fede, e queste parole valgano in ogni racconto ». Erodoto ritiene dunque di dover ri­ ferire con la massima fedeltà quanto gli è stato detto e le infor­ mazióni che ha potuto raccogliere, lasciando poi a ciascuno f a ­ coltà di scegliere fra le versioni presentate (cfr. p. es. I l i , 122; V, 45; ecc.): Se viene in tal modo ristretta l’ attività soggettiva dello sto­ rico, è però posta la prima pietra del futuro edificio — e questo sarà l ’ opera di Tucidide, il quale, superando insieme l’ ingenuo e astratto razionalismo di Ecateo e la passività crìtica di Erodoto, giunge, sulla base delle testimonianze, alla prima vera sintesi storica. Ma, come giustamente nota il Perrotta ('Storia della letteratu ra greca, I I 2, Milano-Messìna 1942, p. 225) «male hanno fatto, i moderni... rimproverando in sostanza ad Ero­ doto di non essere Tucidide », ché anzi (Jacoby, art. cit., col. 485) l ’ opera stessa dì Tucidide sarebbe inconcepìbile senza il precedente erodoteo. D el resto, seppure con metodi assai meno scientifici e si­ stematici, anche Erodoto esercita sulla tradizione una qualche critica, che si esplica sia nella scelta sia nella combinazione delle varie tradizioni. Essa è però discontinua e poggia su cri­ teri mutevoli nei singoli casi invece che su un principio fisso, e per di più su tale critica influiscono assai spesso e assai note­ volmente convinzioni religiose ed etiche da cui più volte Erodoto si lascia fuorviare nell’esprimere il suo giudizio sugli avvenimenti. Anche in Erodoto resta poi operante il razionalismo ionico. Esso però non investe più, come in Ecateo, tutta l ’ opera sua e il

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suo pensiero, ma si limita a singoli casi determinati. Questo mutamento credo vada considerato come una evoluzione del pensiero di Erodoto: egli, partito sulle orme di Ecateo da un assoluto astratto razionalismo, se ne è andato man mano liberan­ do, con lo svilupparsi della sua esperienza di uomo e di storico. Non a caso il centro del razionalismo erodoteo si ri­ trova in quel libro secondo, in cui, come vedemmo, l ’autore ebbe largamente presenti l ’opera di Ecateo, e che d’altra parte deriva da uno dei primi, anzi probabilmente dal primo dei grandi viaggi.6 In esso Erodoto assume atteggiamenti assai spregiudi­ cati: il racconto omerico diventa un μάταιος λόγος (il che ri­ corda anche nella forma l ’espressione di Ecateo), che Erodoto si sforza di rendere verisimile con puerili ragionamenti, fondati su un ingenuo razionalismo, mentre nel proemio, che rappre­ senta indubbiamente l ’espressione ultima del pensiero erodoteo, egli ha ormai compreso Γ impossibilità di ricostruire criticamente eventi così fantastici e. remoti e la conseguente necessità di limitarsi nelle ricerche all’epoca storicamente accertabile. Sempre nel logos egiziano le genealogie divine e le carat­ teristiche attribuite dai Greci alle singole divinità vengono, in base ad un ragionamento per noi assai singolare, considerate come una invenzione poetica (II, 50 e § 3 ), e ad una serrata critica vengono sottoposti i miti relativi a Pan e Dionisiì (II, 145); del pari una spiegazione razionalistica, che sembra da attribuirsi proprio ad Erodoto, viene data al racconto dei sacerdoti egiziani sugli oracoli di Dodona e Ammone (II, 55 segg.) e, verosimilmente seguendo Ecateo, vengono chiarite ra­ zionalisticamente anche le leggende di Eracle (II, 44). Anche altrove ricompare un atteggiamento analogo, di spre­ giudicata critica alle tradizioni e ai miti (cfr. p. es. VII, i2g, sulla origine dei terremoti, e, nel proemio, la razionalizzazione dei miti di Io e Europa)1. Ma la posizione di Erodoto non è 6 Che il secondo libro vada considerato come la parte più re­ cente dell’opera erodotea credo sia congettura assolutamente infondata. Essa era ancora sostenuta da H ow e Wells (op.. cit., p. 14), ma cade per considerazioni di ordine artistico e com­ posizionale, oltre che per l’ innegabile rapporto che avemmo già occasione di notare fra alcuni passi del logos egiziano e tratti di tragedie sofoclee. 7 Interessante a tale riguardo il recente studio di H . j . Rose, Some herodotean rationalisms, in «Classical Quarterly » 1940, p. 78 segg.

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coerente; si tratta soto di atteggiamenti sporadici, e sintomatica per la mentalità erodotea è Vaffermazione conclusiva del rac­ conto razionalizzato su Eracle (II, 45): «.E a noi che tanto abbiamo detto intorno a questi argomenti, possa toccare bene­ vola tolleranza sia da parte degli dei che degli eroi ». Questo è tutto Erodoto, con le sue incongruenze e contraddizioni. Ché, accanto al razionalismo appreso dagli Ionici, c’ è in lui una ingenua e ferma religiosità. Così, condividendo le credenze tradizionali e i pregiudizi del popolo, Erodoto mostra d’avere la massima fede negli oracoli. Egli ne riferisce con la più grande credulità i responsi e ne difende con energia la veridicità, sìa nelle parti più antiche sia nelle più recenti dell’opera sua. L ’esaltazione dell’oracolo di Delfi è evidente, particolar­ mente nel logos di Creso; ma anche in difesa di altre predizioni, e precisamente di quelle di Bakis, Erodoto si lancia con un ca­ lore ed una asprezza insoliti in lui ( V i li , j j ) . Ed oltre che agli oracoli egli crede ai sogni, alle visioni pro­ fetiche; si può dire che nessun avvenimento importante si compia senza essere preceduto e preannunziato da un sogno, da una vi­ sione 0 da un oracolo. Per mezzo di queste estrinsecazioni il piano divino che, sottinteso, è nello sfondo di ogni avvenimento, diviene visibile, intersecandosi con l ’umano ( v. p. es. I, 34, i o j , 168; II, 139, 141; III, 64, ecc.). Nella storia di Erodoto ha infatti importanza grandissima l ’azione, più 0 meno indiretta, della « divinità », il fìelov, come spesso Erodoto dice, sostituendo con questo termine generico il nome di singoli dèi, in una innegabile vaga, e forse inconsape­ vole, tendenza al monoteismo. Ma anche in questo campo dominano in lui indecisione e in­ certezze. Una sola volta (III, 108) e assai fuggevolmente egli accenna all’ idea di una provvidenza divina benevola verso i mor­ tali> ma questo concetto resta isolato e senza seguito. 8 General­ mente invece moventi dell’ azione divina sono 0 un criterio di giu-

8 A questo passo si può raccostare, per la credenza in una di­ vinità tutelatrice della giustizia e del diritto, il passo in cui Ero­ doto afferma che la tempesta che diminuì grandemente il poten­ ziale numerico della flotta persiana fu voluta dal dio per rendere meno grave la sproporzione fra l’armata barbara e la greca ( V i l i , 13).

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stizio primitiva, e crudele, legata alla pura materialità del fatto e ncn ad ma superiore norma etica, 0, ancor più spesso, l ’invidia e. il risentimento. Si oscilla così fra il concetto di una divinità giustiziera implacabile che persegue i colpevoli fino alle più tarde generazioni e quello di una divinità gretta ed invidiosa. Evidentemente per Erodoto queste idee noh rappresentano una conquista, cui egli sia giunto mediante uno sforzo di pensiero e di meditazione. Egli trova delle idee già bell’e pronte e ne accoglie di volta in volta l ’una 0 l ’altra, così come sono e a se­ conda che meglio si adattino al suo caso, senza sottoporle ad approfondito esame e senza troppo curarsi della loro concordanza nel complesso dell’ opera sua. Esempio chiaro ne è il logos di Creso, dove si mescolano senza naturalmente riuscire a fondersi i due diversi motivi teologici dell’ invidia divina e della divina giustizia punitrice.9 Sono questi i due poli fra cui più di fre­ quente oscilla il pensiero erodoteo, e prova della sua coscienza religiosa poco progredita è che l’ idea predominante è in complesso quella popolare e tradizionale della divinità « invidiosa e tur­ bolenta », che s’ingelosisce della potenza e della felicità umane. Questa idea, che già in Omero troviamo operante, esercitò un influsso assai profondo su tutta la religiosità greca, ma al tempo di Erodoto essa era stata già superata dai maggiori pen­ satori greci che, dotati di più vivo senso morale, tentarono di porre a base dell’ azione divina una norma etica in luogo del crudele e malevolo arbitrio.10 Erodoto invece si riporta all’an­ tica credenza popolare, ribadendo più volte la sua fede in una divinità invidiosa, che abbatte chi tenta di innalzarsi e non permette grandi aspirazioni a nessuno, all’infuori di' sé stessa. E questa è un’altra prova dello scarso influsso esercitato su Ero­ doto sia dalla filosofia eleatica e pitagorica, sia dall’illumini­ smo sofistico. A l concetto dell’invidia divina è strettamente le­ gato quello di un incessante alternarsi di fortuna e sfortuna,

9 Cfr. sull’argomento la chiara analisi di G. De Sanctis, Il logos di Creso e il proemio della storia erodotea, in « Riv. fìlol. class. » N. S. X I V (1936), p. 1 segg. 10 T ale progressivo distacco dall’opinione volgare, che riteneva che la divinità invidiosa colpisse la felicità umana in quanto tale, si nota, gradatamente, in Solone, in Pindaro, più esplicita­ mente e recisamente in Eschilo, tutti anteriori quindi ad Erodoto.

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che porta or· l'uno or l'altro personaggio, or l'uno or l'altro popolo in alto, per poi successivamente deprimerlo. Il concetto di questo « ciclo delle vicende umane », in cui Erodoto ha ferma fede, è fondamentale per la comprensione delle sue idee relativamente alla vita e al divenire storico. Si è pen­ sato che potesse es’sergli derivato da Eraclito, e gli si è voluto attribuire un significato e una importanza eccessiva,11 vedendo in esso il principio metafisico unificatore ed ordinatore dell'opera erodotea. Tale affermazione è già stata e in maniera assai con­ vincente respinta: 12 di un tale principio ispiratore ed unificatore Erodoto assai probabilmente non sentiva il bisogno; siamo noi che, avvezzi « trovarlo nelle opere storiche, prestiamo ad Ero­ doto questa nostra esigenza. Come ho già avuto occasione di notare, Erodoto non è uno spirito filosofico e, anche se ha intuito l'esistenza di un prin­ cipio unificatore della molteplicità degli eventi, non è riuscito a trarne le dovute conseguenze, e si è limitato a dare ai problemi che di volta in volta gli si sono presentati soluzioni unilaterali, non guidate da un rigoroso criterio di giudizio; non ci è consentito quindi di inquadrarle sistematicamente e di astrarne una concezione erodotea unitaria e coerente. Quello del « ciclo delle vicende umane » è del resto un con­ cetto assai diffuso sin dalla più remota antichità, ed è tuttora vivo e popolare. Erodoto ebbe più dei suoi contemporanei agio di con­ statare con la sua esperienza di viaggiatore e di ricercatore la verità di questa asserzione, che ripetè più volte nel corso dell'o­ pera sua (p. es. II, 161 segg.; VII, 190; I 207), accentuan­ dola volutamente nel proemio stesso dell'opera. Anche per que­ sta idea, come per quella dello (pd-óvoQ divino, cui credo si sia 11 Cfr., soprattutto, L . A. Pagel, D ie Bedeutung des aìtìologìschen Momentes fuer Herodots Geschichtsschreibung, Diss. Berlin, 1927; F· H ellm ann, HerodotsKroisoslogos, in «Neue Philol. Untersusch.», IX , Berlin, 1934. Quanto alla derivazione da Eraclito del concetto dell’eterno ricorso delle cose umane e dell’alterna vicenda delle umane_ for­ tune, anche se in esso si vuol trovare una punta di relativismo eracliteo va, però tenuto presente che l’idea ha in Erodoto uno sfondo e una motivazione teologica, che la differenziano comple­ tamente dalla visione del filosofo ionico. 12 Cfr. G. De Sanctis, Recens. dell’ opera del Wüst, in « Riv. Filol. Class. » N . S., X V (1937), p. 181 segg.

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giunti appunto teologizzando l'osservazione empirica dell'esi­ stenza di un κύκλος των άν&ρωπηίων πρηγμάτων, il pensiero erodoteo si mostra nettamente conservatore e tradizionalista. Alieno da problemi filosofici e metafisici, egli si è adagiato negli schemi di soluzione che trovava già pronti, tanto più che i due concetti lo attraevano sia come scrittore di storia sia come poeta, poiché da un lato gli offrivano un reale interesse storico e lo aiutavano per di più ad ordinare il suo vastissimo materiale, dall'altro gli permettevano di dare una più intensa drammaticità al suo raccónto. Veri e propri drammi sono infatti, per non citarne altri, i logoi di Creso e di Policrate. Le idee fondamentali di Erodoto ondeggiano dunque tra il razionalismo e la religiosità, che diventa talora puerile credulità, senza che sia possibile ridurre ad unità il pensiero dello scrittore. È naturale che dalle idee suesposte, di una divinità invidiosa e.di un'eterna vicenda che domina le cose umane, derivi talvolta ad Erodoto una visione pessimistica della vita. È , seppure meno serena e ragionata, una posizione sostanzialmente analoga a quella di Sofocle, che si può riassumere nelle parole di Artabano e di Solone: « la vita è infelice, e meglio è peri'uomo essere morto che vivere ». Chiesta malinconia si insinua qua e là anche nei momenti'in cui meno la si attenderebbe, e l'autore laf a espri­ mere dalle persone pity diverse: ora è Creso che riconosce involon­ taria la colpa di Atys, ora Artabano che, dinanzi allo spettacolo di potenza offerto dall'esercito Persiano che passa in Europa, fa intravedere a Serse quanto vana ed effimera sia la vita dei mor­ tali, e quanto, pur nella sua brevità, piena di affanni. E d è anche da questa consapevolezza della miseria umana e degli angusti limiti che rinserrano i mortali che Erodoto deriva quella specie di agnosticismo etico che gli è stato più volte rim­ proverato.13 Con freddezza di spassionato osservatore egli ri­ ferisce azioni crudeli 0 malvage 0 sleali, senza aggiungere al racconto alcun personale rimprovero, anzi spesso — soprattutto quando si tratti di furbi raggiri — ■con una certa evidente am­ mirazione. Evidentemente la lunga e varia esperienza della vita e degli uomini lo ha indotto a formarsi un concetto tutt'altro che roseo 13 D al notissimo libello di Plutarco « de Herodoti malignitate » fino allo Howald, art. cit. in « Hermes ».

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dei suoi simili, dei quali assai spesso tende a svalutare i meriti, attribuendo alle loro azioni, anche buone, il movente meno no­ bile,14 Questo «.pessimismo morale » è aspramente rimproverato ad Erodoto da Plutarco; ma non si deve certo metter troppo Γac­ cento su di esso. Anzitutto Erodoto è — per sua e per nostrafor­ tuna — ben lontano dai pregiudizi moralistici di Plutarco, e poi Vatteggiamento fondamentale che egli deriva dalla sua esperiefiza è infondo solo quello assai bonario espresso in V II,152: tutti hanno le proprie colpe e i propri difetti e, se li si riunisse tutti insieme per scambiarseli, ciascuno, dopo aver ben bene esa­ minato quelli degli altri, si riprenderebbe i propri: saggia e bo­ naria filosofia spicciola, piena di quel tollerante senso di uma­ nità che ben si conviene a chi, novello Ulisse, « vide molte terre e di molti uomini conobbe la mente ». In questa sua ampia umanità — conseguenza senza dubbio dei suoi vasti viaggi ed in parte forse ereditata da Ecateo ■ — ha trovato origine una accusa più volte ripetuta contro di lui: quella di essere φιλοβάρβαρος. Il fondamento dell'accusa è reale, anche se essa costituisce oggi ai nostri occhi più un merito che un demerito. Erodoto era certo ben lontano, e per temperamento e per educazione, dallo spirito campanilistico proprio delle città gre­ che. Nato suddito dell’Impero Persiano, aveva ben presto cono­ sciuto varie città e popoli diversi — e conoscere significa sempre comprendere. Egli è ben lontano dal nutrire per gli stranieri, e per i Persiani in particolare, il disprezzo tradizionale che an­ cora molto tempo dopo di lui nutriranno i Greci per i « Bar­ bari ». D i fronte all’ Oriente e all’Egitto poi la sua compren­ sione si muta in ammirazione, spesso incondizionata: ΓEgitto è la culla di tutte le più antiche istituzioni, del nome stesso delle divinità, degli oracoli, dei misteri, al pari che della filosofia, dell’ astronomia, del calendario e di molti oggetti di uso comu­ ne; 15 i pareri dei λόγιοι Περσέων τε καί Φοινίκων ven­

14 Su questo puoi vedere Legrand, op. cit., p. 126 segg. 15 E così ai L id i viene attribuita l’invenzione delle monete e della maggior parte dei giuochi in uso presso i G reci (I, 94), ai Libi l’invenzione dell’egida di Atena e le acute grida che si levavano nelle feste religiose (IV , 189), nonché il culto e la de­ nominazione di Posidone (II, 50).

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gono da Erodoto anteposti alle invenzioni mitiche e alle creazioni poetiche degli "Ελληνες, ed in generale egli si dimostra assai meno cauto nell’accogliere informazioni fornitegli da fonti stra­ niere che notizie derivanti da fonti greche (cfr. p. es. II, 2, 118 seg.; IV , y j) . Ma, se prescindiamo da queste esagera­ zioni, comprensibili e scusabili in una natura entusiasta quale quella di Erodoto, che scriveva sotto la profonda immediata impressione delle straordinarie cose viste e udite, mista forse anche ad una punta di ingenuo orgoglio e di consapevole supe­ riorità dinanzi agli altri, che tali cose non avevano viste, in genere l ’atteggiamento e i giudizi di Erodoto sono equanimi ed equilibrati. E'questa sua imparzialità egli volle espressamente accentuare nel proemio, dove con assoluta uguaglianza nomina le une accanto alle altre, senza alcuna distinzione, le « gesta grandi e meravigliose compiute dai Greci e dai Barbari » quale argomento dell’ opera sua. Tuttavia si nota talvolta qualche eccezione a questa neutra­ lità e imparzialità, e questo è umano e naturale. Una lode e una menzionò particolare sono p : es. dedicati ad Artemisia, la sovrana di Alicarnasso che partecipò alle guerre persiane afianco del Gran Re. Erodoto là ricorda con termini particolarmente ono­ revoli, il che si spiega con l ’ orgoglio nazionalistico, non solo e non tanto di Erodoto, quanto della tradizione patria che ricor­ dava le gloriose imprese dell’ antica regina e a cui Erodoto at­ tingeva. Una speciale sfumatura di benevolo interesse è dedi­ cata anche a Samo e ai suoi cittadini; Erodoto s’ affanna a di­ fenderli da ogni accusa ed a mettere nella miglior luce le loro azioni, anche quelle meno facilmente giustificabili ( cfr. p. es. I li , 26, 47; IV , 152; v i l i , 85; IX , 90, 92, ecc.). Sulla posizione politica e sulle preferenze di Erodoto in que­ sto campo ebbe una importanza decisiva il soggiorno ad Atene. Qui Erodoto accoglie idee più nazionalistiche, diventa esalta­ tole convinto della politica periclea ed ardente filoateniese. Ma anche ΓAtene di Pericle che, chiusa con la pace di Callia la guerra contro i Persiani, non mirava ora che al consolidamento del suo impero e alla egemonia sul resto della Grecia, non era certo l ’ ambiente più adatto per infondere nello storico di Alicar­ nasso, nato suddito dell’ impero persiano, quel profondo senti­ mento nazionale, religiosamente sentito e vissuto, che aveva ani­ mato l ’opera di Eschilo.

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Così anche in questo campo persìste quella dualità di at­ teggiamenti che abbiamo notata nei riguardi dei problemi etici e religiosi: Erodoto esalta sì gli Ateniesi e il loro valore, la lotta della Grecia per la libertà, ma contemporaneamente ha parole di aperto biasimo per la rivolta della Ionia, che di tale lotta fu il preludio, così come le venti navi mandate dagli Ate­ niesi in soccorso dei rivoltosi furono a suo parere solo «prin­ cipio dì sventure » per i Greci (V , gg). E se esalta con parole commosse il sacrificio di Leonida alle Termopile e descrive con accesi colori la battaglia di Salamina, afferma però che nel corso delle tre generazioni vissute sotto Dario, Serse e Artaserse i Greci soffrirono più che in venti generazioni precedenti ( VI, g8). In fondo le guerre persiane, di cui celebra episodi e pro­ tagonisti, non sono per lui la grandiosa impresa eroica dettata da imprescindibili ragioni ideali che esse rappresentavano agli oc- ■ chi di Eschilo, ma una grave sventura che sarebbe stato preferibile fosse stata risparmiata alla Grecia. Sintomatica è a questo pro­ posito anche la poca simpatia, per non dire V avversione, con cui sono tratteggiate le figure di ' Temistocle e di altri protagonisti della lotta per la libertà. Fondamentale per la comprensione del giudizio politico di Erodoto sulle guerre persiane e della sua posizione riguardo alle controversie politiche che s'agitavano al suo tempo è il passo VII, i$g. Erodoto fa una chiara analisi della bilancia delle forze nel perìodo immediatamente precedente all'inizio delle guerre persiane, e conclude il suo ragionamento con una motivata glorificazione della parte preminente e decisiva avuta da Atene nelle guerre e nella vittoria. Atene appare nelle sue parole quale ardito baluardo della libertà della Grecia, e an­ cora più avanti ( V i li , 3 ) Erodoto mette in particolare rilievi) l'amore di patria, che indusse gli Ateniesi a cedere agli Spar­ tani la direzione della guerra. Se pensiamo alla ostilità che era sorta nel mondo greco con­ tro Atene dopo la conclusione della pace di Callia e all'avver­ sione con cui si guardava al suo nascente impero, si comprende quale importanza potesse avere un simile riconoscimento dei me­ riti e delle glorie di Atene, che costituiva uria giustificazione ideale delle sue pretese egemoniche. Ed Erodoto, anche se evita accu­ ratamente di prendere apertamente posizione in favore della po­ litica periclea d'impero, prende altrove le parti di Pericle, per

esempio nella difesa degli Alcmeonidi, accusati di sacrilegio per l'eccidio dei Ciloniani (V , 71) e di medismo nella battaglia di Maratona. Della predilezione per Atene sono chiara prova l'aperta av­ versione che Erodoto mostra per coloro che all'inizio della guerra del Peloponneso si schierarono contro Atene, dopo essersi dati particolarmente da fare per provocare lo scoppio del conflitto: i Corìnzi e i Tebani.18 Erodoto non esita a questo punto a sco­ starsi da quella che dobbiamo ritenere l'autentica tradizione, la quale celebrava il valore dei Corinzi e del loro comandante Adimanto a Salamina, denigrando l'intero contingente ed Adimanto in particolare con odiose.calunnie. A discolpa almeno parziale dello storico sta però il fatto di aver riferito, sia pure in se­ condo piano e quasi in sordina, anche la tradizione generale f a ­ vorevole ai Corinzi. Parimenti in cattiva luce sono messi i Tebani, cui Erodoto rimprovera aspramente,quel medismo che in altri (p. es„ nei Tessali e negli Argivi, amici di Atene) giustifica e scusa; 17 così egli accoglie senza discutere la invenzione calunniosa af­ fermante che i Persiani stessi, disgustati del tradimento dai Tebani perpetrato contro i loro fratelli greci, li avrebbero ricompensati marchiandoli a ferro rovente come schiavi. Più equanime Erodoto si mostra invece nei riguardi di Spar­ ta, pur accogliendo qua e là tradizioni almeno copertamente av­ verse agli Spartani, e miranti soprattutto a mettere in luce la loro riluttanza ad esporsi eccessivamente in favore degli altri Greci, la loro lentezza nel deliberare, la mancanza di spirito d'iniziativa e di ampie vedute, militari al pari che politiche.

16 D i questa avversione gli antichi dettero spiegazioni aned­ dotiche: Plutarco {de Her. mal., 31) dice che l’ostilità ai Tebani sarebbe derivata dal loro rifiuto ad una richiesta di denari fatta loro da Erodoto; lo Pseudo Dione Gris. (Corinth., 7) afferma che la versione della storia originariamente favorevole ai Corinzi sa­ rebbe stàta mutata in seguito da Erodoto, indispettito per il mancato conferimento di premi in denaro. 17 Anche questa evidente tendenziosità è però almeno in parte riscattata dal fatto che anche questa volta Erodoto ripòrta, con un certo imbarazzo, una versione differente e assai avversa agli Argivi, i quali venivano accusati di aver chiamato i Persiani contro la Grecia. 4

* E ro d o to

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1-e^ S to r ie .

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Quanto, ad idee politiche generali ed astratte, Erodoto si dimostra piuttosto eclettico. D al complesso dell1opera sua egli appare certo quale esaltatore e difensore della libertà. Dalla sua biografia sappiamo che f u avversato dal tiranno di Alicarnctsso e lo combattè con le armi: pure con notevole obiettività, oltre ad esaltare Artemisia, egli riconosce il governo saggio di alcuni . tiranni, e ammette lealmente i vantaggi che ne ritrassero i sud­ diti, che dal governo tirannico ebbero spesso pace e prosperità. È questo il caso dì Palterate e di Pìsistrato (I, 60), dei quali Erodoto parla con aperta simpatia ed ammirazione. E gli è contrario a coloro cui piace esser schiavi piuttosto che liberi (I, 62), ma insieme nota con malizioso candore che «è più facile ingannate 30000 persone che una sola » (V, g j) . Se esalta più di una volta l ’ isonomia, nei discorsi intorno alla mi­ gliore forma di governo che, secondo la moda sofistica, attri­ buisce ai sette nobili Persiani che hanno ucciso il falso Smerdi, Erodoto f a JÌ che l ’ idea prevalente sia quella di una monarchia retta da un re saggio e. buono, con velate allusioni alle condizioni della Grecia, e soprattutto di Atene, del suo tempo, e con precise critiche sia ai regimi oligarchici sìa particolarmente ai demo­ cratici, cui vengono rimproverate la stoltezza, V insolenza, la sfrenatezza, la mancanza dì criterio, l ’ ignoranza caratteristi­ che del demo. Anche da questo punto dì vista Erodoto si rivela dunque un equilibrato osservatore, un uomo di buon senso che in tutte le cose e le istituzioni umane sa vedere il bene e il male.16 Sono, questi che abbiamo accennati, ì tratti più caratteri­ stici della personalità di Erodoto, Vari essi sono, e complessi, come varia e complessa è la natura umana, e difficile è inqua­ drarli in uno schema preordinato, perché essi ci appaiono incoe­ renti, a volta a volta diversi, privi di rigore scientifico. 18 Dedurre però da questa constatazione, come fa il Legrand, op. cit., p. 106, che la predilezione di Erodoto per Atene sia stata

determinata, più che da comunanza di idee fra lui e i capi della città, dal gradimento e dalle buone accoglienze che la società ateniese gli riservò, m i pare significhi sminuire eccessivamente la personalità di Erodoto, abbassandolo al grado di un piccolo op­ portunista. G li aperti elogi tributati ad Atene e il riconoscimento dei suoi meriti mi sembra parlino a sufficienza contro tale sup­ posizione.

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Come manca di un principio, sia metafisico che storico, or­ dinatore del mondo e del suo divenire, così Erodoto manca di una normafissa nel giudicare degli uomini e delle cose, mostran­ dosi sempre aperto e sensibilissimo alle più varie e contrastanti impressioni. E questo, se da un lato costituisce una deficienza dell’ opera sua, ne forma d’ altra parte uno dei lati più affasci­ nanti, una delle ragioni della sua perenne freschezza e vivacità.

V A L O R E S T O R IG O D E L L ’O P E R A D I E R O D O T O Assai vari sono stati nel corso dei secoli ì giudizi espressi sul valore storico dell’ opera erodotea. Se gli antichi lo hanno ri­ petutamente accusato di parzialità, di « malignità » 0 di leg­ gerezza,1 i moderni non gli hanno risparmiato accuse che le­ dono ancor più gravemente la sua personalità di storico, rim­ proverandogli di aver inventato di sana pianta molte parti della sua opera, che essi finiscono in ultima analisi per privare dì ogni valore, considerandola un ammasso di fiabe e di fantasti­ che invenzioni. M a un giudizio talmente grave va per la massima parte completamente riveduto. Anzitutto non bisogna richiedere ad Erodoto quello che egli non voleva e non poteva dare; non bisogna pretendere da lui una storia prammatica, una serrata e lucida analisi ed esposi­ zione degli avvenimenti e delle loro càuse, insomma una rigo­ rosa unità di indirizzo e di pensiero. La storia di Erodoto è un’opera eminentemente composita, e la sua stessa orìgine e la sua posizione nella storia della letteratura greca ce ne danno le ragioni. Erodoto per primo si è accinto a passare dalla ricerca dei logografi e degli etnografi alla vera e propria storia, ma a questofondamentale trapasso è giunto in buona parte senza rendersene perfettamente conto; egli è ben lontano ¿M/’habitus scientifico

1 Per questi, giudizi su Erodoto, degli antichi come dei moderni, rimando al cap. sulla fortuna di Erodoto p. l x x v segg.

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di Tucidide ed è invece ancora assai vicino ai suoi immediati predecessori, ad Ecateo e ai Xoyonoioi ionici, dei quali condi­ vide gli interessi, pur accanto alle nuove esigenze che egli per primo intuisce. I l materiale, rappresentato soprattutto da tradizioni orali, che egli ha a sua disposizione è — come vedremo— immenso. Buona parte del valore storico delPopera erodotm deriva natu­ ralmente dal valore e dall'attendibilità delle fonti. Erodoto riconosce la necessità della critica delle fonti, ma non si può tuttavia fare a meno di ripetere che la critica che egli esercita su di esse è assai elementare e discontinua; nei casi migliori il criterio che lo guida è quello dettato dal più co­ mune buon senso, ossia il criterio della verosimiglianza. Ma esso non è sempre sufficiente ad una ricerca storica. E se talvolta lo induce giustamente a respingere racconti apertamente in­ verosimili ed innaturali — · l'esistenza ad esempio di uomini senza testa e con un occhio sul petto (IV , 25, 19 1), la storia della Fenice ( li, j$ ) 0 (II, 156) di Chemmi, l ’isola egiziana ritenuta galleggiante — può indurlo però anche in errori, spin­ gendolo p. es. a rifiutare, sulla base della verosimiglianza, la notizia di un periplo dell’Africa compiuto dai Cartaginesi, dato che egli non riesce a credere che, secondo quanto asserivano, essi avrebbero avuto ad un certo punto del loro viaggio il sole a de­ stra, cosa che, nell'emisfero boreale noto ai navigatori greci, non si era mai verificata.2 E ad altri errori lo induce la sua spiccata tendenza a generalizzare, che con procedimento razionalistico assai sommario e sbrigativo lo spinge a giudicare in base alle sue osservazioni, necessariamente molto limitate e spesso super­ ficiali, i fenomeni che gli sembrano analoghi, giungendo a con­ clusionifallaci, e talvolta in contraddizione con asserzioni fatte altrove da lui stesso.3 L'amore per il fiabesco e il fantastico lo spinge poi ad al­ ternare nell'ambito dello stesso racconto fiaba e storia, leggenda 2 Per altri esempi, cfr. Legrand, op. cit., p. go seg. 3 Su alcune affermazioni di questo genere, quale, ad esempio, la assoluta mancanza in Egitto di viti (II, 77) e la loro confuta­ zione, cfr. Legrand, op. cit., p. 71, con nn. 2-4. Sulla posizione che Erodoto assume di fronte alla tradizione, interessante Farticolo di L . Pearson, Credulity and scepticism in Herodotus, in # T ran ­ sactions and Proceedings o f Amer. Philol. Assoc. » 1941, p. 335 segg.

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e realtà, avvenimenti reali e miti; e fra l'uno e l'altro elemento il passaggio è continuo ed assolutamente naturale, tanto da rendere necessaria una assai accurata analisi per non cadere nel pericolo di finire per considerare 0 tutto storia reale 0 tutto pura fiaba. Altro elemento che opera su di lui ritardandolo e più volte ren­ dendogli impossibile una vera rappresentazione storica è costi­ tuito dalle sue idee etiche e religiose. Esse agiscono in vari modi sull'opera sua, ma sempre distraendolo dagli interessi realmente storici: a volte lo inducono a divagare fuori dalla realtà storica con l'unico fine dì dimostrare 0 confermare una delle idee fcndamentali della sua W eltan sch au un g; a volte lo spingono ad inserire particolari fantastici nel corso della nar­ razione di fa tti reali (p. es. il prodigio di Epizelo che segue con perfetta naturalezza e tono di verità la descrizione della battaglia di Maratona, VI, 117), e ancor più spesso lo indu­ cono a semplificare le cose, falsandole col conferir loro motivi teologici 0 moralistici ben lontani dalla realtà. E assai inte­ ressante ed istruttivo per il modo che Erodoto ha di concepire la storia è che anche quando conosce i singoli motivi prammatici degli eventi egli non tenta di penetrare in essi, di unirli in un sal­ do complesso logico, appunto perché si lascia facilmente influen­ zare e dominare dalle sue idee generali, dal suo mondo etico­ religioso, e la soluzione teologica che tali idee gli presentano bell'e pronta gli impedisce di vedere e di porre nella dovuta luce il vere motivo degli eventi, che viene magari addotto in un se­ condo tempo, in luogo assai meno appropriato e talora solo di sfuggita.4 Con questa si ricollega la tendenza, caratteristica di Erodoto come di tutta la letteratura novellistica popolare, a concentrare le varie azioni intorno alla figura di un solo personaggio, che viene così a campeggiare quale protagonista, ed a riportare a motivi novellistici, che prescindono completamente da motivi sto­ rici di ordine politico-militare, e ad attività personali avveni­ menti sociali e bellici di notevole, e talvolta della massima, im­ portanza. 4 È il caso della storia di Creso, ove solo nel cap. 77 vengono enunciati in due incisi parentetici i presupposti politico-diplomatici dell’azione di Creso contro la Persia, il cui racconto si era iniziato nel cap. 46.

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Così motivo della decisione di Dario a marciare contro la Grecia sarebbero stati i consigli datigli da sua moglie Atossa per suggerimento dì Democede, medico dì corte; nella rivolta ionica un posto eccessivamente preminente è fatto agli intrighi dì Aristagora e di Istieo; la guerra di Cambise contro l’ Egitto è riportata ai subdoli maneggi di persone che nutrivano rancore contro Amasi e la caduta di Policrate a motivi chiaramente novellistici; le riforme di distene sarebbero state dovute solo al suo desiderio di imitare il nonno materno. D el pari tutte le più importanti deliberazioni prese dai consigli di corte o dalle assemblee nazionali vengono generalmente riportate, per il consue­ to gusto dell’ individuale concreto, allo scontro di due personaggi rappresentativi delle tendenze in contrasto: Artabano e Mardonio (V II, g e io ) , Temistocle e Adimanto ( V i li , §g seg.) ecc. Questo, se contribuisce a dare al racconto erodoteo un co­ lorito altamente drammatico, non parla certo a favore della sen­ sibilità storica dell’autore. M a bisogna anche qui tener pre­ sente che Erodoto segna il passaggio fra l’ unica forma di storia che fino allora il mondo greco aveva conosciuto, il poema epico, e la nuova, vera storiografia. Erodoto in fondo dà quel che promette: egli stesso espone nel proemio lo scopo dell’ opera, di­ chiarando di scrivere aperché le gesta grandi e meravigliose, così dei Greci come dei Barbari, non rimangano senza gloria ». La sua posizione spirituale è ancora assai, vicina a quella del­ l ’ aedo che celebrava i kMcl àvòq & v , «le glorie degli eroi », ren­ dendole col suo canto immortali: egli non ha ancora una con­ cezione salda della storia, sebbene intraveda saltuariamente le linee di sviluppo del vero racconto storico, e quindi la sua storia, malgrado i ripetuti tentativi esteriori dì unificazione, viene a spezzarsi in ma serie di avvenimenti staccati, visti ciascuno dal di fuori con occhio di osservatore curioso, pieno di interesse e pronto all’ammirazione. Così la sua narrazione si risolve troppo spesso nel semplice accostamento di racconti di importanza assai diversa, dove Vessenziale finisce per confondersi o almeno per esser messo un po’ in ombra dalla massa dei particolari insi­ gnificanti e generalmente di carattere aneddotico. Così al rac­ conto della battaglia di Platea f a seguito una serie di notìzie aneddotiche: la concubina di un Persiano che si rifugia presso i Greci; Lampone che tenta invano di spingere Pausanict a stra­ ziare il cadavere di Mardonio; la descrizione del festino per­

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siano, tanto diverso dal sobrio pasto spartano; curiosità rela­ tive a rinvenimenti sul campo di battaglia; onori funebri resi ai caduti, ecc., che finiscono col soverchiare la narrazione principale. D a questo spiccato gusto dell’individuale deriva la trascu­ ratezza di Erodoto per gli avvenimenti e i rivolgimenti econo­ mici e sociali: nel suo racconto i vari tiranni salgono al potere in seguito a furbi colpi di mano (Policrate), ad inimicizie e ad accordi personali (Pìsìstrato), mentre completamente trascurato resta lo sfondo reale delle mutate condizioni politiche ed econo­ miche che avevano portato al tramonto i governi oligarchici, .· mettendo in primo piano l ’importanza delle classi popolari.5 Anche per le cose militari Erodoto ha assai scarsa compren­ sione: gli f a difetto la capacità sintetica di ricostruzione dei piani strategici e dei movimenti delle forze. Le scene delle bat­ taglie vengono a dissolversi in una serie dì combattimenti isolati e di particolari pittoreschi, fra i quali non mancano di regola quelli di carattere soprannaturale. La mancanza di una vera mentalità scientifica è rivelata anche dal fatto che Erodoto non tenta di adottare una cronologia unitaria. La determinazione cronologica presentava partico­ lari difficoltà nel mondo greco, ove ogni città aveva il suo calen­ dario. Tucidide sentì immediatamente la necessità di un criterio fisso e si creò un suo proprio calendario ìndipendente da quelli delle varie città e fondato sulle variazioni stagionali, il quale, malgrado alcune manchevolezze, risponde pienamente ai suoi bi­ sogni di storico. Erodoto non fece niente di simile, e non lo fece soprattutto perché non ne sentì il bisogno. Per l ’età divina ed eroica seguì il calcolo tradizionale basato sulle generazioni, che era già stato usato nell’ epica genealogica di Esiodo e più re­ centemente da Ecateo, cui verosimilmente Erodoto si riallaccia, non senza confusioni ed incongruenze.6

5 Sebbene questo difetto sia nell’opera di Erodoto particolar­ mente visibile e notevole, non credo se ne possa però fare ad Ero­ doto colpa particolare. Esso è un portato caratteristico di tutta la mentalità greca, e antica in generale, che non conosce il concetto di evoluzione, ma di tutte le cose e di tutti gli avvenimenti cerca l ’evQeziji·

6 Cfr. per questa e per altre interessanti osservazioni sulla

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Per l’ Egitto e per Γ Oriente la cronologia erodotea si fonda sul calcolo degli anni di governo dei singoli re, che egli si f a ' cura di 'indicare e che derivano probabilmente dalla sua fonte. Ma in complesso Erodoto non ha per i problemi cronologici in­ teresse né comprensione. L ’ importanza dell’ elemento temporale per la concezione storica gli sfugge; il suo racconto si snoda lento e tortuoso, con riprese, digressioni retrospettive, accenni ad av­ venimentifuturi, muovendosi, soprattutto nei primi quattro libri, con la massima libertà nello spazio e nel tempo. Non sono rari i casi in cui, durante il racconto di avvenimenti, magari assai importanti, l ’autore apre con olimpica calma una parentesi, non solo su personaggi che gli avviene di nominare, ma anche su loro antenati e parenti (così IX , 92-95; V, 25, ecc.). Per una siffatta mentalità si comprende come l ’esigenza di un sistema cronologico ben determinato non dovesse essere vivamente sen­ tita, e come gli fossero in generale sufficienti indicazioni gene­ riche di anteriorità 0 di posteriorità (πριν ....ύστερον) e dei vaghi sincronismi (κατά τον αυτόν χρόνον, e simili). Per gli stessi motivi che gli impediscono di comprendere l ’ im­ portanza dell’ esattezza cronologica Erodoto dimostra una^ as­ soluta incomprensione dei dati statistici. Le sue valutazioni nu­ meriche dell’ esercito e della flotta persiana sono prova evidente della sua completa indifferenza, che lo spinge ad accettare sen­ z ’altro le notizie più assurde 0 a creare egli stesso cifre che, ad un elementare ragionamento, dovevano apparire necessaria­ mente prive di verisimiglianza. E se spesso ad Erodoto si può rimproverare solo di aver accettato notizie indegne di fede, in parte dobbiamo tuttavia ritenerlo personalmente responsabile di queste alterazioni numeriche, 0 per aver preferito notizie aned­ dotiche a fonti fededegne 0 per aver egli stesso aumentato le cifre fornitegli dalla tradizione. Questo possiamo vederlo a pro­ posito delle notizie che egli dà sullaflotta persiana. Mentre Eschilo parlava — sembra — di un migliaio di navi, fra cui 20J triremi, Erodoto parla di 120J triremi, cui si sarebbero aggiunte ben 3000 navi da carico, attribuendo così all’armata navale persiana. una forza che, come nota il De Sanctis, 7 «.essa cronologia erodotea E. Meyer, Forschungen z· alt. Gesch., I, Halle, 1892, p. 167 segg. 7 G. De Sanctis, art. Erodoto, in Enc. Ital., cit.

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non raggiunse neppur lontanamente nei secoli seguenti, e da cui sono state lontanissime pur le armate delle due maggiori potenze navali antiche, Cartagine e Roma ». Malgrado tutti questi innegabili difetti non si può tuttavia non riconoscere ad Erodoto un valore storico, talvolta assai no­ tevole. Ma, ripetiamo, non bisogna pretendere da lui quello che non può darci: il valore storico va ricercato non nell’ opera com­ plessiva considerata come unità, ma isolatamente nelle singole parti. Troppo si è insistito su un antistorico paragone fra Ero­ doto e Tucidide, che non ha alcuna ragione di sussistere. Noterò solo che, oltre alle differenze di form a mentis e di interessi specifici fra i due scrittori, diversissimo è il campo a cui essi rivolgono la loro attività. Tucidide narrava fa tti contemporanei, di cui egli stesso era stato in parte attore, e che, anche se s’ erano svolti in teatri lontani, in Atene avevano avuto il loro centro ideale. Lo stesso non si può dire per Erodoto, il quale dirige le proprie indagini su paesi e popoli lontani, di cui assai difficile era attingere una esatta conoscenza, 0, anche quando tratta delle cose di Grecia, si occupa di avvenimenti dei quali cominciavano ormai a scarseggiare i testimoni oculari e su cui s’era già venuta formando, per la loro stessa eccezionalità e fin dal momento in cui s’erano compiuti, un alone mitico e leggendario, che Erodoto non poteva certo riuscire a diradare ■ — pur ammettendo che avesse voluto farlo. Ma abbandoniamo questo assurdo confronto e vediamo quale sia obiettivamente l ’ importanza storica di Erodoto e dell’ opera sua. Per giudicarne rettamente converrà riportarci non al suo successore, ma ai suoi predecessori. Fra essi ed Erodoto, malgrado i numerosi punti di contatto su cui ci siamo già intrattenuti, la differenza è enorme, quasi potremmo dire che un confronto è impossibile. D i questa diffe­ renza Erodoto ha netta consapevolezza, e alla letteratura ge­ nealogica precedente egli contrappone decisamente nel proemio l ’ opera sua, che è effettivamente la prima opera realmente sto­ rica. Da un punto di vista generale Erodoto, come abbiamo visto, f u il primo ad intuire l ’importanza storica delle testimonianze, che egli rivalutò contro l ’eccessivo razionalismo di Ecateo. E queste testimonianze egli tenta per quanto è possibile di con­ trollare, dì verificare (cfr. I l, 3 ), e quando non riesce a rag­ giungere una conclusione attendibile confessa con onestà di uo­

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mo e di storico la propria ignoranza (cfr. p. es. II, 18, ig, 2g; IV, 16; ecc.). Allo stesso modo egli si dà spesso cura dì distinguere accu­ ratamente fra ciò che ha visto personalmente e ciò che conosce per sentito dire ( I 183; II, 73; IV , 81; ecc.), fra ciò che conosce con sicurezza e ciò che non si sente in grado di affer­ mare con certezza (p. es. I, 140). Inoltre Erodoto è il primo a comprendere chiaramente la profonda differenza fra età mitica ed età storica. Le opere pseudo-storiche a lui precedenti, le « Genealogie », limitavano la loro esposizione al passato mitico ed eroico. Erodoto invece proprio da questo dichiara nettamente di volersi astenere (I, j ) , ■ rinunziando alla ricostruzione critica di eventi lontani e favo­ losi per limitarsi alle età più recenti, in cui la linea dei fa tti è sicuramente nota e possono sussistere dubbi solo intorno ai particolari.8 E d in questo si mostra più rigoroso, almeno in un caso, dello stesso Tucidide: è a proposito di Minos, che Erodoto respinge risolutamente fra le generazioni mitiche (III, 122), mentre Tucidide lo accoglie senz'altro come personaggio storico. La imparzialità che già abbiamo avuto occasione di rilevare in luì f a sì che pregiudizi ed orgogli nazionalistici facciano ra­ ramente velo ai suoi occhi. E ciò gli permette di giungere ad una serena ed obiettiva valutazione dei popoli stranieri: riconosce le virtù fondamentali del popolo persiano (I, 137 seg.), l'abilità marinara dei Fenici (V II, 23, 44, gg), esalta la potenza e Vorganizzazione perfetta dell'impero persiano e con obiettività di osservatore sincero e perspicace riconosce nell'inferiorità dell'ar­ mamento dell'esercito persiano una delle cause della sua sconfitta (IX , 62 seg.). < Qua e là non mancano tratti di profonda sensibilità sto. rica: Erodoto ha giustamente individuato la causa di tutte le guerre sostenute dai Persiani nel desiderio di conquista, nella necessità di espansione propria di un impero militare che nella guerra aveva l'unica possibilità di vita e di sopravvivenza, così 8 Questa è almeno la concezione che si ricava dal proemio, che rappresenta la somma delle sue esperienze umane e storiche. Altrove però Erodoto mette ancora la guerra di Troia insieme con i maggiori conflitti del tem po storico (V II, 20), cosa che del resto farà ancora Tucidide (I, 3 segg.).

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come con notevole intuito di politico e di storico ha compreso che le due forze che costituiscono il fondamento della vita degli stati liberi ed il presupposto dei loro successi sono la libertà e la legge, i due principi che egli vede giustamente personificati in Atene e Sparta. E così (I, 46) le ragioni della guerra di Creso contro Ciro vengono indicate nel timore che la crescente potenza persiana incuteva al re di Lìdia e nel desiderio di ten­ tare di soffocarla prima che assumesse proporzioni troppo al­ larmanti, anche se più tardi (I, 73) questo motivo viene mutato nel duplice movente del desiderio di conquista (desiderio che qui come in altri casi conduce, secondo la concezione etico-reli­ giosa erodotea, a triste fine) e del desiderio di vendicare Astiage. Anche se non sempre riesce a realizzarla, Erodoto fu il primo a sentire almeno in qualche caso e in qualche campo la necessità di una esattezza scientifica nella osservazione e nel­ l'esposizione degli avvenimenti. Egli comprende, probabil­ mente dopo esser venuto a contatto con la cultura scientifica egi­ ziana e persiana, l'importanza delle misure di estensione, e dà accuratamente notizia della lunghezza di strade, dell'altezza di monumenti, della distanza fra località, spesso riducendo a unità greche di uso comune le misure espresse in unità di lunghezza persiane 0 egiziane. Anche nella misura del tempo Erodoto, pur non riuscendo, come abbiamo visto, a formarsi una cronologia unitaria indipendente, mostra ogni tanto qualche tentativo di dare una ossatura cronologica più salda agli avvenimenti sto­ rici 9 Così le determinazioni temporali tentano di diventare più rigorose per il periodo della rivolta ionica e delle guerre persiane ; compaiono due volte in questo periodo notazioni di carattere annalistico (V I, 42; IX , 121), e notizie di esattezza insolita

9 Queste osservazioni non hanno alcun valore per le parti novellistiche e aneddotiche. In queste siamo su un piano com­ pletamente diverso, in cui la precisione e l’esattezza non solo non sono ricercate, ma vengono anzi coscientemente respinte ai m argini della narrazione. Anche se le leggende riguardano personaggi reali, in esse Erodoto prescinde completamente dal­ l ’interesse storico; in questi casi anche le notizie di ordine tem­ porale— spesso in apparenza estremamente precise, conforme­ mente alla tendenza della narrativa popolare al plastico e al concreto— sono completamente fantastiche (cfr., p. es., I, 30; III, 42; III, 52; III, 65; ecc.).

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si incontrano soprattutto nel corso della seconda guerra persiana,10 e particolarmente nella narrazione della battaglia dì Platea. Qua e là sono fornite datazioni greche locali, basate su magi­ strati o su feste, 11 ma, mancando un sistema unitario e scien­ tifico, le sìngole indicazioni non permettono generalmente una utilizzazione precisa, ed errori e confusioni non mancano. M a non per questo lo sforzo, almeno saltuario, compiuto da Erodoto in questo senso è meno notevole. Il valore dell’ opera di Erodoto come testimonianza storica va inoltre ricercato in buona parte nelle sue osservazioni su popoli e costumi stranieri; molte di esse furono messe in dubbio, sulla base di un ingiustificato scetticismo a priori, mentre gli scavi archeologici si sono più di una volta incaricati di dar ra­ gione ad Erodoto e torto ai suoi detrattori per partito preso. Ricorderò solo a titolo di esempio la dimostrazione data dal Rostovtzeff12 della meravigliosa diligenza e accuratezza delle osservazioni di Erodoto relative alla Scizia (in alcuni casi — egli nota — le scene rappresentate sui vasi e sui lavori in me­ tallo sembrano illustrazioni delie descrizioni erodotee) e l’ im­ portanza sempre maggiore che si va riconoscendo alle notizie di Erodoto relative alla storia persiana del tempo di Dario.13 A questi casi si accennerà, sia pure di necessità assai breve­ mente, nelle singole note. Per quanto riguarda la parte più propriamente storica del­ l ’ opera sua, le guerre persiane, per le quali poteva più fa cil­ mente e più ampiamente informarsi, Erodoto è, malgrado tutti i suoi difetti, fonte preziosa. Anche se non dà egli stesso un giu. dizio definitivo, col riferire le varie testimonianze ne permette a noi una valutazione ed una discussione. E se incertezze, talora assai gravi, si riscontrano, soprattutto riguardo al numero delle forze impiegate, le esagerazioni sono state create dall’ orgoglio nazionale greco, e non è da stupirsi che Erodoto le riferisca 10 Sulla cronologia erodotea della II guerra persiana v. R . W. M acan, Herodotus, V II- I X , London 1906, p. 398 segg. 11 L a data arcontale in V i l i , 5 1; la data delle Olimpie e C arnee in V I I I , 72. 12 M . Rostovtzeff, Iranians and Greeks, O xford 1922, passim e partie., p. 4.5 segg., p. 106, tav. X X I Ì I . 13 Cfr. P. J. Junge, Dareios I Koenig der Perser, Leipzig, 1944, p. 176.

senza discutere, in perfetta buona fe d e 14 D ’altra parte, se, nella descrizione delle battaglie, manca generalmente in Erodoto ogni tentativo di interpretazione dal punto di vista militare, questa deficienza è in parte compensata dalle descrizioni precise, ed in alcuni casi veramente ottime, che egli dà dei campi di battaglia, p. es. di. quello delle Termopile (V II, 76) . 15 E proprio la descrizione di questa battaglia è un chiaro esempio di quanto l ’opera di Erodoto vada apprezzata anche da un punto di vista storico di fronte a quella dì altri più tardi scrit­ tori, che riducono il racconto della battaglia stessa ad una sem­ plice esercitazione retorica (Diod. X I, 5 -11) 0 ad una illogica e contradittoria fantasticheria ( Ctesia) . Con tutti i suoi pregi ed i suoi difetti Erodoto è innegabil­ mente il primo storico degno di questo nome. Egli rifugge da prese di posizione teoriche, non espone quali saranno i suoi cri­ teri, e probabilmente mancò di criteri storici. Ma pur senza af­ fermazioni teoriche egli riesce nel suo intento praticamente. Se le conclusioni a cui giunge sono talvolta errate, le sue osserva­ zioni sono però in genere giuste in sé e naturali: citerò solo la intuizione geniale che lo spinse ad usare osservazioni lingui­ stiche per stabilire relazioni d’ origine fra i popoli, principio che anche se lo induce talvolta in errori costituisce ugualmente una notevolissima conquista. Erodoto è il primo che ci abbia dato una storia universale basata sull’ osservazione della realtà dei fatti e, come sottoli­ neava Dionisio d’Alicarnasso fEpist. ad Pom p.3; VI, 774), è il primo che abbia concepito l ’idea di una lunga ed elaborata costruzione narrativa sostanzialmente unitaria e che, almeno nel­ l ’ultimo stadio della sua evoluzione spirituale ed artistica rap­ 41 Sul valore da attribuire alle cifre erodotee cfr. Jacoby, art. cit., col. 467. È da notare inoltre che, malgrado le loro esagera­ zioni, queste cifre non vanno ridotte in modo eccessivo, come fa il Delbrück nell’ultima edizione della Geschichte der Kriegskunst, I3, Berlin 1920. U n esame particolareggiato delle notizie erodotee sulle forze numeriche terrestri e navali e sulla loro attendibilità ha compiuto il De Sanctis in Appunti delle lezioni di Storia Greca, cit., pp. 80-92. 16 Per l’ illustrazione della topografia dei campi delle varie battaglie cfr. Grundy, The Great Persian War, London 1901, e L. e F. Harmening, in Antike Schlachtfelder di Kromayer-Veith, IV , 1 e 2, Berlin 1924 e 1926.

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presentato dal proemio, abbia sentito il bisogno dì subordinare la sua ricerca ad un fine e ad un pensiero storico determinato. La realizzazione di questo disegno non gli è riuscita che in parte e per spiegare e giustificare le innegabili diseguaglianze van tenute sempre presenti la genesi probabile dell’ opera e la moMcata elaborazione artistica finale. Ma Velemento fondamentale che caratterizza la mova po­ sizione -spirituale rappresentata da Erodoto è la « ricerca delle cause ». È la prima volta che questo princìpio eminentemente ionico passa dal campo fisico e naturale a quello umano e sto­ rico. Spesso, come abbiamo visto, la concezione prammatica puramente umana resta ancora in penombra per il contemporaneo concorrere di elementi metafisici e soprannaturali, ma giusta­ mente è stato di recente messo in rilievo 18 come in un caso di particolare importanza, nella decisione presa dagli Ateniesi di schierarsi contro i Persiani (V II, 139) la divinità passa in se­ condo piano e la responsabilità della decisione viene assunta in pieno dagli Ateniesi (avroi), i quali dovettero anche opporsi al consiglio di una autorità religiosa quale l ’ oracolo di Delfi, che li aveva invitati con i suoi responsi a fuggire dinanzi ai barbari invasori. E d anche se non sempre questa ricerca delle cause umane degli eventi viene perseguita con tanta coerenza, essa rappresenta tut­ tavia ugualmente una conquista di inestimabile valore nella storia dello spirito umano e, come a ragione osserva il Regenbogen,11 è. questo sforzo etiologico della interpretazione del passato che f a realmente di Erodoto il primo storico del mondo occiden­ tale: l ’ opera sua, pur peccando per la parte scientifica e siste­ matica, rappresenta la nascita della storia ed errando ha aperto .vie per le quali l ’indagine storica procede tuttora. ■

16 H. Klei'nknecht, Herodot und Athen, in «Hermes» L X X V , 3 (1940), p. 249 segg. 17 O. Regenbogen, Herodot und sein Werk m .«D ie Antike» V I (1930) p. 248.

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V A L O R E A R T IS T IC O D E L L ’O P E R A D I E R O D O T O Se Erodoto storico può avere bisogno di qualche difesa, non ■ è certo questo il caso di Erodoto scrittore ed artista. Una sem­ plice lettura, senza particolare preparazione, è sufficiente a com­ prenderne la grandezza; è sifficiente assumere, per così dire, di fronte all’opera un atteggiamento passivo e lasciare che essa agisca su di noi per ritrarne. una impressione indimenticabile. M a una analisi più particolareggiata degli elementi che danno vita all’opera stessa come unità artistica renderà più cosciente, e di conseguenza ancora più grande, la nostra ammi­ razione. Erodoto con mezzi tecnici ancora primitivi e rudimentali e con un atteggiamento spirituale ancora assai ingenuo è un gran­ de artista, « uno dei più grandi scrittori della letteratura mon­ diale », come l ’ha giustamente definito il Pernotta nella sua storia della letteratura greca.1 Oltre che il primo storico, egli è anche il creatore della prima grande opera di prosa letteraria greca. Nata, al pari dell’epica, dell’elegia e del giambo, in Asia Minore, nella Ionia, la prosa letteraria era ancora' ai suoi primi tentativi, rappresentati da una parte dalle opere dei logografi, cui abbiamo avuto ripetutamente occasione di accennare, dall’altra da quelle dei «fisiologi », ossia dei presocratici che furono in­ sieme scienziati e filosofi della natura. 3 A queste forme si af­ fiancavano, importantissime come preparazione all’opera erodoteaj la favolistica e la novellistica popolare, che però vero­ similmente solo in minima parte #avevano già ricevuto una sia pur primitiva elaborazione letteraria. Per quanto possiamo intuire dai frammenti che ce ne re­ stano, l ’opera dei primi logografi dovette essere di carattere es­ senzialmente descrittivo nelle opere etnografiche, anche se brevi notizie storiche venivano occasionalmente incluse nella cornice 1 G. Perrotta, Storia della letteratura greca, I I 1, Milano 1942, P· a25 · 2 Lascio di proposito da parte Eraclito, il cui stile immaginoso e profondamente poetico è completamente personale e resta isolato.

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geografica, di carattere aridamente genealogico nelle altre, men­ tre i Presocratici in generale miravano, senza alcuna pretesa artistica, esclusivamente alla chiarezza e alla precisione espres­ siva, riuscendo, come più tardi Anassagora, ad opere formal­ mente fredde ed impersonali. D a questo quadro complessivo si .staccavano probabilmente almeno in parte le opere di Xanto e di Dionisio di Mileto, nelle quali accanto a quello descrittivo doveva trovar posto anche un notevole elemento narrativo. L'elemento narrativo è appunto quello che prevale assolutamente in Erodoto. Ma, a differenza dei suoi predecessori, egli esercita la sua attività di ricerca su un campo di ampiezza ster­ minata, da cui gli deriva un materiale vastissimo e vario. D a­ vanti al compito di ordinare questi diversissimi elementi, com­ pito in cui nessuno prima di lui si era cimentato, Erodoto dimostra una abilità compositiva non comune. Egli ha dovuto crearsi da sé una tecnica, e con essa riesce in complesso a dominare la sua materia. Nell'opera elemento dì sostanziale importanza costituiscono le digressioni, diversissime fra loro per contenuto, per estensione, per relazione col disegno complessivo. Non si può non ammirare la straordinaria abilità di Erodoto nel reggere le varie fila, la tempestività e la disinvoltura con cui sa al momento oppor­ tuno prenderle o abbandonarle, la sua potenza di spìrito e di pensiero, il suo talento artistico organizzativo. Digressioni, ag­ giunte parentetiche, incisi più o meno lunghi non si accavallano farraginosamente, ma si snodano con notevole naturalezza. Certo secondo ì nostri criteri troppe cose Erodoto ha voluto introdurre nel suo lavoro, a troppe notizie, magari di secondario interesse, non ha voluto rinunziare. Tuttavia bisogna riconoscere che, an­ che se qua e là l'inserzione di qualche tratto resta piuttosto palese e presenta qualche difficoltà,1 6 se spesso si scoprono agevolmente 3 Cfr. G. D e Sanctis, L a composizione della Storia d ’Erodoto, in «Riv, Filol. e Istr. Class.» N. S., IV (1926), p. 309. 4 Particolarmente sgradevoli riescono alcune inserzioni di ben scarso interesse, che interrompono una narrazione importante, spezzando l’azione proprio in un momento di massima tensione e concentrazione artistica. È questo il caso, p. es., di V I I I , 44 e 73. M a va in questi casi tenuto sempre presente che l ’opera manca, soprattutto negli ultim i libri, dell’ultima definitiva elaborazione artistica.

gli ingenui artifici composizionali che dovrebbero giustificare le digressioni più varie, Erodoto sa disporre nel complesso la sua materia con abilità di artista consumato. E da questa difficoltà di composizione e dal modo in cui Erodoto la risolve deriva anzi uno dei maggiori pregi artistici dell'opera, quella sua andatura lenta, svagata, capricciosa: è un'ampia corrente che a tratti si indugia in meandri, in tortuosi andirivieni, senza perdere però mai la sua, cristallina purezza e avendo sempre di mira, pur attraverso ritardi e deviazioni, la mèta. N ell' inserire le varie digressioni Erodoto è evidentemente dominato da motivi di ordine artistico.5 Egli cerca di variare la sua tecnica; spesso approfitta della prima volta in cui ha occa­ sione di menzionare un popolo 0 una persona per riconnettervi lunghi excursus retrospettivi, spesso anticipa notizie riferentisi ad avvenimenti più tardi; spesso, se le notizie che ha a sua di­ sposizione e che vuole introdurre nell'opera sono troppo estese, egli le divide e inserisce i tronconi qua e là, sovente con abilità notevole, rivelando costanti preoccupazioni di ordine artistico.6 Ma Erodoto uomo e scrittore dimostra di avere una debolez­ za: la predilezione invincibile per la novella, felice debolezza, che conferisce alla sua storia il fascino più particolare ed in­ confondibile. La novella ionica, sorta con una sua forma particolare nel V I e forse già nel V II set. a. C., assecondava ma innata ten­ denza dello spirito ionico; sue caratteristiche erano da un lato l'inclinazione verso l'eccezionale, l ’interessante, lo straordinario, dall'altro lo sforzo cosciente di razionalizzare ed umanizzare tutto quanto di favoloso e di soprannaturale vi comparisse. Le narrazioni, diversissime fra loro per argomento, avevano in co­ mune la semplicità dello sviluppo, la lingua agile e sciolta, non priva di qualche sentenziosità, e si legavano spesso al nome di personaggi famosi per la loro potenza 0 per la loro crudeltà? 5 Sulla tecnica seguita da Erodoto nelle inserzioni di materiale, cfr. l’accurata analisi del Jacoby, art. c it, col. 379 segg. 6 Riportandola a tali motivi di ordine artistico il De Sanctis risolve, come vedemmo p. 16 seg., in modo assai convincente la vexata quaestio degli « assirioi logoi ». 7 T a li caratteristiche derivano da deduzioni e dall’analisi comparata della novellistica greca con quella d i altri paesi e 5

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i n t r o d u z i o n e

Erodotoj che f u certo un appassionato ascoltatore di novelle, ne è un insuperabile narratore, e spesso rielaboratore. In lui la novella si insinua dovunque, a volte identificandosi con l ’amore per il meraviglioso, a volte nel valore di pura e semplice fiaba. Egli le introduce da per tutto, con le più varie motivazioni: ora a giustificarle serve una etiologia (p. es. I l i , 61; V, 82), ora un sincronismo, che può ridursi alla semplice menzione di una persona, il cui ricordo basta a dare lo spunto per l ’inserzione: così la novella di Ärione (I, 23 seg.) si ricollega esclusivamente al nome di Periandro. Erodoto è maestro nell’ arte di narrare. I racconti sono ge­ neralmente riferiti a personaggi reali, che entrano in qualche modo nelle vicende storiche, e spesso vi entrano come protago­ nisti. Ma quando la novella si inizia è come se un sipario ca­ lasse sul mondo e sugli eventi reali, e dietro di esso si apre uno scenario di favola, con ma sua propria atmosfera, una sua propria vita, fuori dallo spazio e dal tempo. Erodoto rivive in­ timamente questa vita di sogno, la riempie di notazioni minime, con la diligente ricerca di particolari concreti propria della nar­ rativa popolare. A questa amorosa ricerca del particolare egli unisce spesso un’ arte potente di caratterizzazione: con poche parole, con una semplice breve osservazione, una figura viene delineata sculto­ riamente, in modo indimenticabile. Così dopo il racconto delle prodezze di Dario e della sua ascesa al trono la figura del do­ minatore appare sintetizzata in una sola lapidaria espressione: πάντα oi δυνάμεως έπιμττλέατο. Sono però, queste, notazioni incidentali, che illuminano di splendida luce un quadro. In genere invece Erodoto preferisce mostrare i suoi personaggi in azione, ponendoli dinanzi agli occhi nel loro modo di agire ed astenendosi dal formulare egli stesso ungiudizio 0 dal trarre una conclusione. Gli è stata per questo ripetutamente rivolta Γ osservazione, talora di aperto rim­ provero,8 di non essere riuscito a riunire in un quadro sintetico popoli. Seppure non sempre convincente nelle conclusioni parti­ colari, interessante e ricco di materiale resta sempre lo studio di W. Aly, Volksmärchen, Sagen und Novelle bei Herodot und seinen Zeitgenossen, Göttingen 1921. 8 Cfr., p. es., I. Bruns, D as Literarische Porträt der Griechen, Berlin 1896, pp. 71 seg., 92 segg., 95-104, 107, 110. Cfr. anche Schmid-Staehlin, op. eit. p. 165 e note.

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le caratteristiche di un personaggio, ma di presentarlo ogni volta sotto aspetti diversi, e talvolta contradittori. Ma questa molte­ plicità di aspetti e di atteggiamenti è la varietà stessa della vita umana, ed è essa che dà vivacità e naturalezza all’opera di Erodoto. I caratteri-macigno non erano fa tti per lui, non tro­ vavano eco nel suo spinto aperto e multiforme, che si attiene alla realtà e rifugge sistematicamente dall’astrazione. I ca­ ratteri implacabilmente unitari potevano trovare i l loro cantore in Sofocle, ma anche nella tragedia sofoclea è solo la profonda umanità che lì pervade, nel contrasto tragico con la sventura inevitabile, che forma la loro vera grandezza. Tutti i toni della novella sono parimente cari ad Erodoto, ed egli in tutti riesce ugualmente felice. I racconti meravigliosi trovano in lui un attonito ascoltatore, pieno di ingenuo stupore, che egli talvolta, nel riferire quanto ha udito, tenta di cambiare in cauto scetticismo. M a la riflessione appartiene sempre ad un secon­ do tempo, così come ad un secondo momento piò, razionale e ra­ zionalistico vanno riportati quei piccoli incisi che qua e là nel corso di una novella tentano di giustificare logicamente lo svolgi­ mento fiabesco dell’ azione.9 Ma se l ’atmosfera si presta, Erodoto rinuncia volentieri anche a queste riserve e così nell’atmosfera eroica e prodigiosa della battaglia di Maratona trova il suo posto fra gli avvenimenti reali la storia miracolosa dì Epizelo, divenuto improvvisamente cieco dopo una meravigliosa visione. I libri più ricchi di elemento novellistico sono naturalmente i primi quattro, e particolarmente i primi due, nei quali la storia della Lidia e dei più antichifaraoni viene ad essere costituita per la massima parte da novelle e da aneddoti. M a anche nei libri successivi abbondano, soprattutto, come è naturale, nelle digres­ sioni, brevi narrazioni di carattere novellistico; basti ricordare solo gli aneddoti che di regola accompagnano 0 seguono la de­ scrizione delle battaglie. Nel libro sull’Egitto troviamo un vero racconto da M ille e Una Notte nella lunga novella di Rampsinito, che forma una vera e propria unità in sé conclusa, slegata com’é dal complesso dell’esposizione. Ancora più affascinante nella sua contenuta ma­ linconia, nella sua incantata e incantevole semplicità la novella

9 Esempio caratteristico quello dell’arco'di Eracle, cfr. IV , 10,1.

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di Periandro e suo figlio Licofrone, la più bella forse delle novelle erodotee. Erodoto raggiunge il culmine dell'arte di narratore quando la novella non resta isolata, come una parentesi di gioia disin­ teressata e leggera, ma l'autore riesce ad inquadrarla nei prin­ cipi etici e religiosi che lo guidano altrove nel giudicare le cose umane. Allora si hanno composizioni stupende, in cui rifulge la personalità di Erodoto, il quale, pur muovendo da elementi preesistenti, sa plasmarli e ricrearli sì da trarne creazioni com­ pletamente originali. Abbiamo allora la lunga novella dì Creso e Solone, o la novella di Polìcrate, in cui elementi fantastici e reali concorrono alla creazione di due capolavori, animati da profonda tragicità. Anche■ così come ora sì presentano, spezzati in vari tronconi separati l'uno dall'altro, esse nulla perdono della loro potenza emotiva e della loro intima unità artistica; le varie parti sono quasi i vari atti di un grande dramma, nel quale campeggiano, a mezzo fra la storia e il mito, esposte al­ l'azione capricciosa della divinità, le figure dei due protagonisti Innegabili sono nell’ opera dì Erodoto e nelle sue concezioni gli influssi esercitati dalla tragedia attica, e in particolar modo da Sofocle, cui spesso Erodoto sì raccosta anche nella formula­ zione dei suoi princìpi morali e religiosi. M a questa influenza non poté che approfondire e rendere più chiara e consapevole la sua innata fantasia tragica, che non si limita a singoli tratti, ma riesce a improntare di sé tutta l ’ opera sua, anche se la con■ temporanea presenza dì altri elementi la attenua e qua e là si sostituisce ad essa: Tutte le novelle appaiono presentate in un tono fresco, im­ mediato, schiettamente e saporosamente popolaresco. Abbondano i discorsi diretti, e particolarmente i brevi e vivaci dialoghi, che danno alla narrazione un tono di maggiore immediatezza e drammaticità. Nella calma ampiezza della narrazione che si sofferma su circostanze accessorie, nelle riprese, nelle ripetizioni, 'nella lentezza del movimento, che suddivide spesso una azione spezzandola nei suoi successivi momenti, nei reiterati « ed egli disse... e quello rispose », si sente quel gusto della narrazione che costituisce uno dei maggiori fascini dell’ opera erodotea e che induce il lettore ad abbandonarsi all’ onda poetica del racconto. E il Jacoby osserva giustamente che, anche se è vero, almeno in parte, che il fascino della novella erodotea risale alle sue fonti,

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bisogna tuttavia sempre ricordare che Erodoto è il primo ad usare con interessi e fini letterari questo stile, ed è il primo, ed in certo senso l’ unico, che da brevi narrazioni in sé concluse abbia sa­ puto creare una più ampia composizione.10 Questo stile duttile, pieno di naturalezza, che non indie­ treggia dinanzi a un anacoluto, che, incurante dì rispondenze stilistiche, insofferente di periodi lunghi ed artisticamente co­ struiti, corre agile in proposizioni brevi o liberamente coordi­ nate, si rivela il più adatto alla forma novellistica. La forma espressiva aderisce perfettamente al contenuto, e l ’uno riceve dall’altra rilievo e potenza. Una sì precisa rispondenza- non ricomparirà più nella letteratura. La prosa greca stessa, che è pur tanto più libera dalle costrizioni di quella latina e, sotto qualche aspetto, anche di quelle moderne, nella sua progressiva evoluzione e particolarmente sotto l ’influsso esercitato dalla sofistica non saprà mai più ritrovare la incantevole semplicità erodotea. E ancor più apprezzeremo la perfetta unità artìstica dell’o­ pera narrativa erodotea riportandoci ad un altro classico esempio dì novellatore: il Boccaccio-11 Anch'egli, al pari di Erodoto, sentì profonda e incitatrice la L ust zum fabulieren, an­ ch'egli f u aperto e sensìbile alle tonalità più disparate; ma la forma delle sue novelle pare più d'una volta estranea al conte­ nuto, e con esso contrasta, spesso sgradevolmente. Questo per­ ché la forma stilistica risente il peso dell’ampio periodare latino, e, nel desiderio di riprodurne la grave e solenne maestosità e di rendere nel nuovo volgare le formule sintattiche e ritmiche della , prosa latina, sì pone in stridente, insanabile contrasto con il contenuto lieve e spumeggiante della novella. Dallo stesso inconveniente originario è appesantita tutta la nostra novellistica letteraria. Uniche espressioni che possano riac­ costarsi a quelle erodotee sono a mìo parere alcune pagine del N ovellino, in cui il novellatore, con la sua prosa ancora rude 10 L ’originalità di Erodoto è difesa, contro l’eccessivo valore attribuito alle sue fonti dal Bruns, op. cit., anche dallo Schmid, p. 641 e n. 4. 11 Sia ben chiaro che non penso affatto ad una analogia di posizione spirituale e di interessi fra Erodoto e il Boccaccio, quale è sostenuta da E. Howald, lonische Geschichtsschreibung, in «Hermes» L V III (1923), p. 113 segg., il quale travisa completamente la personalità e le caratteristiche psicologiche erodotee.

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e sintetica, a grandi scorci, con la sua lingua agile e schietta, riesce talvolta a raggiungere una potenza espressiva non comune. Ho in mente particolarmente la novella del favolatore■di Messer Azzolino da Romano, con le sue pause e le sue riprese, che creano una indefinibile atmosfera dì silenzio e di stanchezza. A ll’ arte scarna, ma spesso efficace, del N ovellino i rac­ conti dì Erodoto si possono confrontare anche per lo stile breve e spezzato, per la mancanza dì rilievo al nesso logico delle frasi, pel ritmo musicale, per la grazia e la delicatezza esile di al­ cuni quadri. Ma Erodoto. è assai meno primitivo dell’ ignoto raccoglitore duecentesco, la cui opera potrebbe forse assai più utilmente raccostarsi, se ci fossero note, alle novelle ioniche preerodotee. L ’arte di Erodoto non è tanto ingenua quanto sembra. Anche se non ritengo accettabile l ’ ipotesi dell’ Howald, che considera completamente artificiosa l ’apparente semplicità erodotea, credo non si possa mettere in dubbio che più volte Erodoto mostra di tendere coscientemente ad una espressione artisticamente elabo­ rata, diversa dalla semplice lingua comune di tutti i giorni. Sono per questo d’accordo col Jacoby, il quale afferma che Erodoto sentì per la sua opera, che costituiva una novità, il bisogno di una lingua particolare e di un suo proprio stile e, grazie al suo tem­ peramento straordinariamente ricettivo ed assimilatore, riuscì a crearselo, utilizzando i più vari elementi. D ell’ epos egli imitò la semplicità e la scioltezza, ripren­ dendone inoltre singoli atteggiamenti12 e derivando dalla tecnica epica i suoi discorsi liberamente costruiti. D ai tragici gli venne un influsso spirituale più che formale, ché assai più importante del riecheggiamento di qualche espressione13 è la concezione generale della vita e del divenire umano, improntata alle idee tragiche. E dalla tecnica drammatica Erodoto derivò anche — 12 Le reminiscenze omeriche più notevoli sono fra Her. V I i l e II. A 173; V I I 169 e II. H 125; V 106 e II. A 552; II I 82 e II. H 217; III 14 e · II. Q 487. Ma in genere si tratta più di colorito e d i tono generico che di vera e propria ripresa o imitazione. 13 Per un elenco degli echi formali cfr. Diels, in «Hermes» X X I I (1887), p. 411 segg. Sulle relazioni coi tragici un recente studio di J. Casseur, Hérodote et les tragìques du V siècle, in «Rev. Belg. Phifologie » 1942, p. 535.

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per citare alcuni esempi — la sapiente costruzione artistica del logos di Creso, l ’abile inserzione dei colloqui di Serse con Artabano e Demarato nei momenti di pausa dell’azione e di pas­ saggio ad una azione successiva, la composizione della descri­ zione della battaglia delle Termopile, artisticamente inquadrata fra un prologo (V II, 208 seg.) e un epilogo (VII, 234).14·. Anche della sofistica Erodoto sentì gli influssi,15 ma essa operò solo occasionalmente e superficialmente su di lui, non in profondità. Le derivazioni dalle dottrine sofistiche restano a sé nell’opera erodotea, come curiosità cui l ’autore stesso guarda con ingenuo e compiaciuto stupore: sono i discorsi dei tre Persiani sulla migliore forma di governo (III, 80 segg.), la giustifica­ zione della menzogna (III, 72, cfr. VII, io. e),, la constata­ zione della relatività delle cose umane, con le annesse osserva­ zioni sulla potenza e sulla diversità dei νόμοι (III, 38), ed altre notazioni sparse e tutt’altro che essenziali nella economia complessiva dèli’opera,16 così come assolutamente insignificanti 14 Se ne è occupato K . Gross, Thermopylai in künstlerischen Ge­ staltung bei Herodot, in «Neue Jahrbücher » 1940 p. 87 segg. 15 A lungo dibattuta è stata la questione relativa all’origine degli influssi sofistici su Erodoto. Per primo ne scoprì l’esistenza il Diels, art. cit; il Meyer (Forschungen zur alten Geschichte, I, cit., p. 202), volle negarla ma con poco successo. Si oscilla fra l’opinione (E. Schwartz, Quaestiones Ionicae, Index Lect. Rostock, Sommersem. 1891), che considera di origine ionica, e quindi precedenti al soggiorno di Erodoto in Atene, gli influssi su di lui delle idee sofistiche,— e recentemente il più auto­ revole sostenitore di questa tesi è stato, seppure cautamente, il Jaco­ by, art. cit., col. 500, — e l ’opinione, sostenuta soprattutto da W. Nestle (Gab es eine ionische Sophistik?, in «Philologus » N. F., X X I I I (1911), p. 242 segg.), la quale fa derivare dal soggiorno in Atene tutte le sfumature sofistiche che compaiono nell’opera di Erodoto: cfr. Aly, op. cit., p. 268 segg. M a, anche ammettendo con lo Schmid {op. cit. p. 572, n. 11) che non sia da escludere la possibilità che almeno alcune idee della suc­ cessiva sofistica attica fossero già state preparate dall’empirismo dell’antica etnografia ionica e dal razionalismo teologico dell’Oriente, mi sembra che una concordanza quale quella fra Herod. I I I 108 e il mito di Protagora (in Plat., Prot., 321 B) autorizzi a pen­ sare ad una dipendenza diretta e immediata dalla sofistica attica. 16 In alcuni casi poi m i sembra si possa dubitare della deriva­ zione sofistica; così dubbi mi sembrano i rapporti con Ippia asseriti dal Nestle {art. cit., p. 264) per l ’intonazione dei discorsi di Creso e Solone e per la storia di Cleobi e Bitone.

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sono in complesso gli artifici stilistici tanto cari ai sofisti di cui talvolta Erodoto si è servito (cfr.Legrand, op. à i., p. 172 segg.). Oltre che la sofistica, l’eloquenza politica non rimase estra­ nea alla formazione spirituale di Erodoto, ma ancKessa do­ vette restare solo come esperienza generica, senza avere particolare influenza sulla composizione dell’ opera in generale e dei discorsi in particolare,17 Erodoto inaugurò la consuetudine, se­ guita poi, a cominciare da Tucidide, da tutti i successivi scrit­ tori di storia, di inserire nella narrazione discorsi pronunciati da vari personaggi,18 Ma, a differenza di quanto accade in Tuci­ dide, i veri e propri discorsi costituiscono in Erodoto parte in­ tegrante del racconto, mentre la particolare forma di discorso^ costituita da ampi colloqui mi sembra possa raccostarsi ai cori della tragedia, che rispecchiano le idee generali dell’ autore e co­ stituiscono pausa nell’azione, pur essendo ad essa intimamente^ legati. In complesso i discorsi di Erodoto ricordano ancora quelli di Omero più che quelli di Tucidide; fra essi particolarmente notevoli sono i colloqui di Serse con Demarato e Artabano, che rappresentano il culmine supremo raggiunto da Erodoto in psi­ cologia drammatica. Dalla sintesi di tutti questi svariati elementi Erodoto trasse il suo particolarissimo stile, nel quale s’ accostano armoniosa­ mente i toni più vari, dalla scarna aridità da periegeta nelle parti geografiche all’ampiezza e alla ridondanza della parte narrativa, al colorito popolaresco delle parti novellistiche. E dei vari toni Erodoto sa servirsi magistralmente, ritraendone effetti di straordinaria potenza. Se nelle novelle s’indugia in descrizioni, riprese, spiegazioni, che rallentano il procedere dell’ azione accrescendo insieme l ’ interesse e la chiarezza del­ 11 M algrado il rapporto sia stato recentemente considerato assai dubbio (Powell, op. cit., p, 73) o anche completamente ne­ gato (J. Wells, Studies in Herodotus, p. 201), sembra probabile che la metafora usata da Gelone (V II, 162) sia imitazione dell’espres­ sione periclea nell’orazione funebre ricordata da Arist. Rhet., I, 7, tanto più che essa nel contesto erodoteo è assai meno appro­ priata che in quello originale. 18 Sui discorsi di Erodoto in generale cfr. Jacoby, art. cit., col. 491 segg. L a differenza fra i discorsi di Erodoto e quelli di Tucidide è fondamentale, ed in fondo è non da Erodoto ma da Tucidide che gli storici fino a C . Botta derivano, degenerandone l’alto

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l’esposizione, altrove le vette dell’arte sono raggiunte con m ezzi diametralmente opposti. Così il racconto della battaglia delle Termopile e della morte gloriosa di Leonida e dei suoi Trecento raggiunge nella sua disadorna semplicità piena di compostezza e di contenuto pathos una efficacia emotiva che nessuna ampia descrizione e nessun commento elogiativo avrebbero potuto dare. Uno studio esatto e minuzioso della lingua 19 di Erodoto è ancora agli inizi, ma è in ogni modo chiaro che, secondo quello che f u già il giudizio concorde degli antichi critici, anch’ essa è contraddistinta dalla massima varietà (ποικίλοτης). Non è, quello di Erodoto, il ionico comune, la lingua delle iscrizioni del tempo, né il πεζός λόγος degli scrittori suoi predecessori e contemporanei, ma è qualcosa di più complicato, in cui ele­ menti ionici si uniscono ad elementi non ionici, forme della lingua comune e popolare a forme letterarie e poetiche. Il suo periodare, come giustamente osservò Aristotele, 20 rap­ presenta il culmine della λ έξις είρομενη, che, con assoluta prevalenza della paratassi sull’ipotassi, procede attraverso un susseguirsi di proposizioni coordinate di varia ampiezza, inter­ rotte spesso da incisi parentetici, con l’ uso frequentissimo di pro­ nomi che servono a riprendere un concetto già espresso 0 ad anti­ ciparne uno seguente, con la ripresa e la ripetizione di parole e di cose già dette, con il prevalere della connessione psicologica su quella logica, che. dà luogo a frequenti e disinvolti anacoluti. Ma in Erodoto questa forma di espressione, che è propria di tutte le letterature allo stadio primitivo, ha perduto la sche­ maticità e la monotonia che scorgiamo nei frammenti di scrit­ tori precedenti, per esempio di Ecateo. Dalla λέξις είρομενη Erodoto sa trarre raffinati ef­ fetti artistici (che, se spesso sono probabilmente inconsci, sono valore di chiarificatori della natura e del significato degli eventi in prediche moralistiche o concioni retoriche. In Erodoto invece i discorsi sono sullo stesso piano della narrazione e, come nota il De Sanctis (Appunti delle lezioni di storia Greca, cit., p. 173) « in fondo tra i discorsi e i racconti non c’è più differenza di quella che presso un novellista vi sia tra il racconto e il dialogo». 10 In generale cfr. Jacoby, col. 486 segg. e Schmid, p. 648 segg. Qualche interessante osservazione sulla costruzione del periodo in T . B. L. Webster, A study o f greek sentence construction, « Amer. Journ. of Philology » 1941, p. 385 segg. 20 Arist., Rhet., I l i , 9, p. 1409 a 24.

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però a volte voluti e sapientemente ricercati), alternando abil­ mente riflessioni e descrizioni, usando talvolta— ma con parsi­ monia — artifici retorici21 per animare e ravvivare Vespressione, e soprattutto su ogni cosa imprimendo il segno del suo personale sempre vigile interesse di uomo e di scrittore. I vari elementi che contribuirono alla sua formazione arti- . stica e spirituale Ercdoto li assorbì in periodi ed ambienti di­ versi. In gran parte almeno li derivò' dalla Ionia, donde trasse anche lo spregiudicato spìrito di ricerca e di critica e l ’infantile curiosità che lo spinge con vivace interesse verso tutto ciò che esce dalVordinario; ad Atene dovè probabilmente in modo parti­ colare la fissazione teoretica dei suoi principi generali, e ad Atene la superficiale infarinatura sofistica, che potè continuare, attraverso personali relazioni con Protagora, anche negli anni di soggiorno in Occidente. Insomma fino ai suoi ultimi anni Erodoto rimase aperto e sensibile ai nuovi orientamenti spi­ rituali, anche se se ne lasciò influenzare esteriormente più che intimamente. Ma tutte queste esperienze culturali non entrano nell’opera di Erodoto che come elementi strutturali, e non solo vengono con la loro unione a formare un insieme ricco e complicato, ma cia­ scuno di essi viene ad assumere un aspetto nuovo, una maggiore ricchezza, ampiezza e profondità: si possono analizzare i sin­ goli elementi compositivi, ma nella sintesi essi risultano modi­ ficati, rivissuti genialmente da un vero artista. Le leggende erano certamente preesistenti, ma possiamo noi essere sicuri che lo fo s­ sero come Erodoto ce le presenta? L ’ improvvisa rovina di mo­ narchi come Creso e Policrate con il contrasto fra il primitivo splendore e la susseguente miseria aveva certo eccitato la fa n ­ tasia popolare ed aveva favorito la formazione organica di leg­ gende; ma avevano esse lo sviluppo altamente drammatico che Erodoto conferisce loro? È lecito dubitarne, soprattutto per l’ introduzione nel racconto di una motivazione metafisica, lon21 U n elenco delle figure retoriche usate è in Jacoby, col. 500· Particolarmente notevoli le antitesi, piuttosto frequenti. Esse possono in alcuni casi essere di origine popolare; non priva di valore resta tuttavia l’osservazione del Norden (Kunstprosa, p. 27) che esse costituiscono un artificio stilistico derivato dai so­ fisti e pienamente consapevole, dato che compaiono solo nei di­ scorsi e nelle parti più elevate della narrazione.

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tana dalla mentalità popolare P· E in un caso almeno abbiamo quasi la certezza che Erodoto rielabora liberamente le novelle da cui prende lo spunto: mi riferisco a quella deliziosa di Gige e Candaule, in cui originariamente aveva importanza fondamentale il motivo erotico,23 che Erodoto invece tace com­ pletamente, sebbene qua e là qualche accenno tradisca la primitiva versione.24 E come per le novelle così per tutto il resto Erodoto sotto­ pone il suo materiale ad un processo di revisione, annoda, ab­ bellisce, in una parola rivive poeticamente la sua materia, ani­ mato sempre da una curiosità viva, attenta, da uno spirito di umanità profondo e sincero, da un interesse inesausto per gli uomini e per le loro cose. Così nasce come perfetta unità arti­ stica la sua opera meravigliosa, che non è certo, secondo l ’acre giudizio tucidideo, destinata alla effimera vittoria in una gara, ma segna un progresso inestimabile nella storia dell’umanità e della letteratura universale ed è anch’essa, seppure in modo e per ragioni diverse, uno κτήμα είς αεί.

LA FORTU N A D I ERO D O TO Più che l ’ inizio di un nuovo periodo, Erodoto segna la fine di un’epoca. Con lui sì conclude la storiografia ionica, e con essa un’età che ora con fanciullesca ammirazione e credulità, ora con primitivo razionalismo, ma sempre con fresca ingenuità aveva guardato il mondo, gli uomini e le loro imprese. M a mentre Erodoto era ancora in vita e in attività si era venuta facendo strada una mentalità nuova, imbevuta di un nuovo spirito di riflessione, di critica acuta e spietata, di scet­ ticismo. Pensiamo che Euripide, pur sovravvivendogli di circa 20 anni, nasce all’ incirca insieme ad Erodoto, eppure le loro ’ 22 Cfr. Aly, op. cit., p. 279 segg. 23 Lo vediamo da Nic. Damasc. 49, il quale derivando da X anto narra, ma con colorito completamente diverso e particolari probabilmente più verisimili, la stessa storia. 24 Ge lo dicono le parole della regina « prenditi me e il regno » (I, 11) e la frase conclusiva : « Gige ebbe la donna e il regno » (I, 12), nonché forse l’accenno a visite che già in precedenza Gige era solito fare alla regina (I, 11).

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opere sono separate spiritualmente da un abisso. Ciò spiega come gli immediati posteri, educati dalle nuove dottrine sofistiche ad un più severo spirito scientìfico e ad una maggiore raffinatezza sti­ listica, non abbiano potuto apprezzare nel suo vero valore l ’ o­ pera erodotea, che ben presto dovette apparire da un punto di vista scientifico superata e sia per forma sia per contenuto ec­ cessivamente primitiva. D el malcelato disprezzo nutrito dalla nuova cultura per la vecchia opera erodotea si f a eco Tucidide, che pure di essa si fece continuatore, cominciando la sua storia, attraverso V excur­ sus della pentecantaetia (478-431), al punto stesso in cui quella di Erodoto terminava. Più volte, presentandoglisi l ’occasione, Tucidide corregge tacitamente errori e disattenzioni in cut era incorso il suo meno accurato predecessore,1 0 ne ìntegra notizie incomplete.2 E particolarmente con Erodoto si mette in acre po­ lemica nel proemio della sua storia,3 opponendo V opera propria, fondata su una rigorosa ed attenta critica della più attendibile tradizione, alla leggerezza con cui altri aveva attinto le sue in­ formazioni dal primo che capitava, ed escludendo di proposito dalla sua narrazione l ’elemento favoloso, tanto gradito ai let­ tori. L ’ esaltazione consapevole, e del resto umana e comprensi­ bile, del suo metodo di ricerca storica termina con parole famose, particolarmente aspre, che suonano strane e poco comprensibili in uno storico che è pure un grande artista quale Tucidide: è la notissima frase in cui la propria opera, considerata giusta­ mente un « acquisto per l ’ eternità », viene contrapposta al­ l ’opera « composta per il trionfo nella gara dì un giorno »4. 1 Così il passo di Erodoto (I, 59) riguardante i xoQvvrjqÓQOt d i Pisistrato viene corretto da Thuc. V I , 54, 5, 6; 55, 3; 57, 2; le affermazioni di Herod., V , 46 e V , 53 da Thuc., II, 97, 6; Herod., V I , 57 e IX , 53 in Thuc., I, 20; Herod., I l i , 44 (rela­ tivo alle 40 triremi inviate da Policrate a Cambise) è implicita-, mente corretto da Thuc., I, 14, 2, ecc, 2 Così Herod., V I I , 170 è integrato e rettificato da Thuc., V I I , 85; Herod., IX , 75 da T hu c., I, 100, 3 e IV , 102; viene mo­ dificato il giudizio sfavorevole espresso da Herod., V I I I , 57 segg. su Temistocle in Thuc., I, 138, 3. E altri casi analoghi non man­ cano. 3- Thuc., I, 22. 4 Per un esame particolareggiato della polemica condotta da Tucidide contro Erodoto, cfr. F . Rosanelli, Erodoto e Tucidide, in «Àtene e Rom a», N . S. X I (1930), p. 115-141. e 151-170, il

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Sul giudizio di Tucidide, oltre alla sua personale ostilità al tipo di storiografia rappresentato da Erodoto, dovette influire anche quella sorta di tradizione letteraria che abbiamo già vista operante in Ecateo e poi in Erodoto stesso e che spingeva ad attaccare polemicamente i predecessori. Comunque, questo stesso giudizio di Tucidide, nella sua durezza e neU’implicito biasimo per gli ammiratori di chi andava in cerca del dilettevole anziché del vero, ci fa certi che Erodoto trovò negli ambienti più vasti e meno raffinati quel favore che le sfere più intellettuali e più aperte agli influssi del pensiero sofistico gli negavano 0 almeno ostentavano di negargli: dal momento che su Tucidide stesso, come rileva il Jacoby fart. cit., col. 506), indiscutibile è l ’in­ fluenza profonda, probabilmente decisiva, esercitata da Erodoto e dalla sua opera, influenza che gli antichi vollero tangibilmente espressa nell’aneddoto secondo il quale Erodoto avrebbe elogiato il giovanetto Tucidide che, da una lettera della sua storia, era rimasto tanto impressionato da piangere copiosamente. Oltre che dalle notizie su pubbliche letture tenute dall’autore stesso in varie città della Grecia,5 cui già accennammo, la popo­ larità di Erodoto è provata anche dai ripetuti accenni scherzosi che dell’ opera sua si trovano nelle commedie di Aristofane.6 Essi presuppongono una conoscenza diffusa ed ampia dell’ opera da cui erano tratti, senza la quale non avrebbero avuto alcun senso né alcuna efficacia comica. Gli accenni sono tratti esclusivamente dalle parti etnografiche e novellistiche, che erano indubbiamente le più vive e popolari, appunto per quell’amore del favoloso che Tucidide rimproverava al pubblico ateniese. E d a questo gusto si deve se ai racconti di Erodoto poterono talvolta esser prefe­ rite lefantasticherie dì Ctesia,7 il medico di corte del re di Persia originario di Cnido che, pur chiamando sdegnosamente Erodoto quale mette in rilievo anche la stima che indubbiamente per il suo predecessore ebbe, malgrado tutte le critiche, Tucidide. 5 Cfr. pag. 4 e n. 8. 6 II massimo numero delle parodie compare negli Acarnesi: v. 523 segg., cfr. Herod., I, 4; v. 92, cfr. I, 114; v. 85, cfr. I, 133; v. 80 seg. cfr. I, 192; v. 89 cfr. II, 73; alcune negli Uccelli: v. 552, 1125 segg. da Herod., I, 173; v. 510 da I, 105; v. 1130 da II, 127; v. 1142 da II, 136; v. 486 da V I I , 14. Cfr. sull’argomento Wells, Studies cit., p. 169 segg. 7 Originario di Cnido, medico alla corte persiana fra il 415 e il 399 circa. Dei suoi ÙsQOixà ci restano estratti sulla s Bìbita-

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« mentitore » e « cantafavole »,fa nei suoi Περσικά una vera storia romanzata, assai inferiore per valore storico aWopera erodotea. Basti dire che egli pone la battaglia di Salamina dopo quella di Platea! L ’opera di Tucidide con la sua potenza di sintesi e la sua lucida tensione di pensiero resta effettivamente isolata nella storia della letteratura greca. Già Senofonte sia come narratore che come storico guarda come a suo modello Erodoto più che Tu­ cidide, pur senza riuscire a raggiungerne la freschezza e la vivacità.8 D all’ opera erodotea e dal desiderio di rettificarne le asserzioni, improntate ad un punto di vista troppo strettamente ateniese, derivarono impulso gli scrittori di storie locali (cfr. Jacoby, col. 506). Anche sui maggiori storici del I V sec., Eforo e Teopompo, operò, più che il pensiero e l ’esempio di Tucidide, quello di Erodoto. Se Polibio 9 celebra Eforo quale primo autore di una storia universale, egli dimentica evidentemente Erodoto e l ’opera sua, che Eforo non solo ebbe presente nella scelta del piano, ma utilizzò ampiamente nella narrazione delle guerre persiane, cui egli, filoateniese, si accingeva con impostazione spirituale ana­ loga a quella di Erodoto: la narrazione erodotea viene natural­ mente, conforme ai gusti dello scrittore e del tempo, sottoposta ad un processo di razionalizzazione e di retoricizzazione, ma essa resta sostanzialmente alla base del racconto di Eforo che, anche quando se ne allontana, tiene a mettere in rilievo il suo riguardo e la sua considerazione per l ’ antico storico (Diod., X , * 4 > * )· . . „ Per l’ interesse che l ’ opera di Erodoto esercitava ancora m questo periodo è notevole la notizia della Suda, secondo la quale dell’ opera avrebbe composto una epitome in due libri Teopom­ po.10 E il fatto che, a differenza di quanto è capitato in casi

analoghi, non sia stata l ’opera completa ma l ’epitome ad andar perduta è sintomatico per la notorietà e la almeno relativa popo­ larità goduta dall’opera di Erodoto. E ad Erodoto Teopompo si ispira nelle Filippiche per la tecnica della composizióne, che perde però in lui quell’ almeno relativo equilibrio ed armonia che Erodoto era riuscito in complesso a conservare. Anche nelle opere dì Isocrate 11 e Platone 12 si trova qualche singolo passo di derivazione erodotea. Più esteso forse, anche se meno importante per le sue conseguenze, dovette essere l ’ influsso esercitato dall’opera di Erodoto su raccoglitori di curiosità etno­ grafiche e di meraviglie, sugli etnografi e sui geografi. Riscontri sono possibili con le opere di Enea Tattico e con la «Storia m eravigliosa » dì Antigono.13 Gli etnografi lo ebbero presente come fonte, particolarmente per gli Αιγυπτιακά, e sull’ opera di Erodoto si fondò prevalentemente la storia di Ecateo di Abdera e, in parte almeno, da essa attinse anche Manetone, lo sto­ rico egiziano del I I I sec. E se anche questi, come in genere tutti coloro che lo utilizzano, non risparmia ad Erodoto l’accusa di mentitore, 14 si tenga presente quel che Erodoto stesso aveva fatto nei riguardi di Ecateo, e che, come nota il Jacoby, « man polemisiert gebràuchlicherweise namentliche, und entlehnt anonym ». Delle notizie di Erodoto si servì, talvolta direttamente, più spesso indirettamente, anche Strabene, in particolare nella di­ scussione sulla geografia omerica.16 Molto da lui aveva derivato anche Aristotele, soprattutto per notizie riferentesi all’Egitto e all’Africa, ma anche in parti storiche, quali la storia di Pisistrato e Clistene nella sΑϋηναίων πολιτεία, pur guardandosi bene anch’egli dal citarlo quando è d’ accordo con lui, e gratifi­ candolo invece altrove — del resto spesso a ragione — della qualifica di μυϋολόγος.16 Più volte Aristotele polemizza con

theca » di Fozio e da essi si nota che, sebbene contrapponesse la sua opera a quella di Erodoto, l’autore si limitava in realtà a una raccolta di curiosità e di versioni insolite di avvenimenti noti. 8 Dion. H ai. ad Pomp., 4, 1, p. 241, ed. Usener-Radermacher e π. μιμ. B III, p. 208 dice Senofonte emulo d i Erodoto. Che Senofonte restò assai inferiore ad Erodoto notava già Ermogene, de id., p. 421, Waltz. 9 Polyb. V , 33,2. 10 Suid. s. v. Θεόπομπος. Cfr. Jacoby, col. 510, 14.

11 Isocr., or., 15, 172 da Herod., I l l , 8j (xeifidgQovg). 12 Plat., Phaedr., 89, 3 da Herod., I, 22. Per altri incerti pa­ ralleli, cfr. F. A . Spencer, in «Trans, and Proceed, o f Americ. Philolog. Association» L V (1924), p. X X X I . 13 Aen. Tact., 31; Antig., hist, mìr., 21 (cfr. Herod., III, 108). 14 Maneth. ap. Ios. Flav., c. Apion., I, 14. 15 Strab., I, 2, 23, 29; X II, 3, 21. 16 Arist-, de gen. an., I l i , 5, p. 756 b 5; fr. 248, p. 196 Rose, ecc. Cfr. per le citazioni e per la bibliografia relativa, Schmid, op, cit., p. 605, n. 7 e 8.

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Erodoto senza nominarlo11 e questo prova che lo riteneva sufJìcientemente noto ai lettori. N el periodo ellenistico Erodoto entra quale classico. I l suo nome viene compreso nel canone degli storici, e vi resterà senza discussioni anche quando da dieci essi si ridussero, a tre, lafamosa triade Erodoto-Tucidide-Senofonte, la cui vita continua ancora in vecchi manuali scolastici. La sua fama e la sua influenza tro­ vavano così pieno riconoscimento, e Vopera sua fu certo ben nota nel periodo ellenistico, che per i suoi svariati e spesso super­ ficiali interessi veniva ad essere un po’ congeniale all’ antico sto­ rico.18 Tale interesse è provato dall’ attività, che intorno all’opera erodotea spiegarono gli eruditi alessandrini. Aristarco ne scrisse un commento di cui unframmento ci è stato restituito da papiri10 e ne avrà probabilmente curata una edizione; Ellanico secondo una antica testimonianza20 leggeva ai suoi scolari l ’opera di Erodoto. E degno di nota (come giustamente fa rilevare lo Schmid, op. cit. p. 666) è che, per quanto noi sappiamo, Erodoto è insieme a Platone — e forse a Tucidide — l ’unico prosatore, oltre gli oratori, d,piui i grandifilologi alessandrini sì interessarono, trattandone l ’opera criticamente ed esegeticamente. Non ci è possibile seguire l’ influsso di Erodoto sulla storio-· grafia ellenistica, data la perdita delle opere storiche di questo periodo, md è assai probabile che almeno nella forma della com­ posizione egli non sia rimasto senza eco sugli storici, e in par­ ticolare su quelli di Alessandro. Anche nel periodo successivo Erodoto mantenne la sua posi­ zione indiscussa di classico, la cui conoscenza rientrava nella generale formazione culturale: questo è attestato anche dal busto che nel I I sec. gli venne eretto nella biblioteca di Pergamo. Della sua opera si giovano i retori traendone materiale per le loro esercitazioni, e i filosofi, che utilizzano le sue narrazioni per le loro discussioni moralistiche. 17 Arist., hist, an., II, 31, p. 573 b. 18 Per i singoli casi cfr. Jacoby, art. cit., col. 508; Schmid, p. 665 seg. con note relative. U n parallelo fra Erodoto e C alli­ maco, del resto solo in parte convincente, istituisce l’Howald nell’arf. cit. in «Hermes», L V I I I (1923), p. 133 segg. 19 Ameherst pap., II, 1901, n. 12, ripubbl., in H. G. Viljoen, Herodoti fragm. in papyris servata, Diss. Groningen, 1915, p. 17 segg. 20 Schol. Soph., Phil. v. 201.

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Anche la prima storiografia romana ne risentì gli influssi: la rappresentazione di eventi analoghi ad alcuni narrati da Erodoto viene trattata in maniera analoga: così la cacciata dei Superbi viene'modellata su Herod. V, 56-57, dal racconto delle accoglienze fatte da Ciro a Creso (I, 87) deriva la rappresenta­ zione analoga di Celio Antipatro fa p . A p p . L yb . 27) delle accoglienze fatte da Scipione al re Siface prigioniero, ecc.21 Spunti tratti da Erodoto sono stati rintracciati anche in au­ tori da lui sotto ogni rispetto assai lontani, il che prova l ’effi­ cacia che la storia erodotea continuava ad esercitare sulla fo r­ mazione culturale. Così il Bignone 22 ha notato che nel proemio del I I libro di Lucrezio,29 ove con tragica ironia è contrapposta alle visioni di potenza guerresca la miseria della vita umana> dominata incessantemente dagli affanni e dal terrore della morte, lo spunto e la situazione drammatica ricordano quelli di un f a ­ moso episodio erodcteo ( V I I 44): Serse che ad Abido contem­ pla la sua sterminata armata e quindi, distolto lo sguardo da quella immagine di terrena effimera grandezza, piange con Artabano il triste destino dell’ uomo, cui l’ invida divinità ha dato in sorte vita, brevissima e pure tanto piena di affanni da render più volte desiderabile la morte. E, nella varietà di toni e di colori dell’ opera erodotea, da essa potè trarre uno spunto anche Petronio (v. 126 segg., in cui è riecheggiato il motivo novellistico di Amasi e Ladike).2i N ell’età dell’ atticismo l ’interesse per Erodoto aumenta e l ’imitazione si f a più ampia; dell’ opera sua risentono gli Indikà di Amano e ancora più tardi Pausania. Fra i latini Frontone riprende in una esercitazione retorica la storia mera­ vigliosa di Arione, mentre nel D e bello Parthico (fr. 219 Naber) era inserito il racconto della storia dì Policrate. Anche Gellio (INT. A ., X V I, 19) rielabora sulla base di Erodoto la storia di Arione. 21 Sull’ influsso di Erodoto sulla prima storiografia Romana puoi vedere, per quanto non sempre convincente, W. Soltau, D ie Anfänge der roemischen Geschichtschreibung, Leipzig, 1909, pp. 78, 88, 89 seg. 22 E. Bignone, Lucrezio ed Erodoto, in «Boll. Filol. Class. », X V I (1909-10), p. 5 7 'segg. 23 Lucr., de rer. nat., II, v. 37 segg. 24 A . Giusti, Motivo erodotto nel romanzo di Petronio, in « Athenaeum», N. S., V I I I (1930), p. 88.

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Alla utilizzazione di motivi e notizie tratte dall'opera di Erodoto si accompagnano di regola rimproveri, ma generalmente assai bonari, di leggerezza più che di voluta falsità, e rivolti a singole affermazioni più che al complesso dell'opera. Qiiel che si biasima in Erodoto è soprattutto la sua cpdkoproMa, troppo in contrasto col nuovo atteggiamento spirituale che si ostentava av­ verso a narrazioni fantastiche e soprannaturali. Simili lievi bia­ simi si trovano in Strabone,25 Diodoro,26 Fozio, 27 ecc., ma non escludono, ad esempio. in Diodoro,28 il contemporaneo riconosci­ mento detia cura esplicata da Erodoto nella ricerca della verità. L'untèa vera e propria stroncatura, acida ed esagerata, è quella di Plutarco, che all'opera erodotea e alla sua demolizione dedica un intero opuscoletto, il cui titolo è tutto un programma: nEQivrjg’ H qoòóxòv xaHorj'd'slag, «De H erodoti malignitate». JVon è più solo l'attendibilità di Erodoto che è messa in discus­ sione, ma tutta la sua posizione etico-politica ed i suoi principi morali e storici. Animato da acceso fervore campanilistico— che su questo più che sull'amore della verità va posto il reale accento dell'operetta 29 — · lo storico di Cheronea, con l'intento di rintuzzare le affermazioni di Erodoto, che s'era mostrato par­ ticolarmente duro verso i Beoti e aveva stigmatizzato il contegno ostile e sostanzialmente antigreco da essi tenuto durante le guerre persiane, accusa Erodoto di mendacio, estendendo la sua critica a molti altri aspetti dell'opera erodotea. Ma, anche se, qua e là, fra le tante accuse, cen'è qualcuna fondata, la posizione assunta da Plutarco è sostanzialmentefalsa ed errata. Si tratta, oltre che di patriottismo locale, di una spe­ cie di filisteismo che lo porta a incondizionata esaltazione del passato che, pei i suoi scrupoli moralistici, deve essere sotto ogni aspetto considerato perfetto. Le fonti che tanto volentieri egli menziona e che dovrebbero servire a sostegno delle sue opinioni sono in complesso destituite di valore, in quanto in esse dobbiamo riconoscere proprio quella storiografia locale di cui parla il Jacoby, sorta appunto con l'esplicito scopo di contestare le affer­ mazioni di Erodoto. E l'attacco è condotto da. Plutarco con 26 Strab., X I , 62, 3.

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Phot., B ibl., 72, p. 35 b. » Diod., I, 37, 4. 29 Plut., de Her. mal., I, p. 854 seg.

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tale grettezza e meschinità, con tanta acredine a stento masche­ rata da amore per la verità, con tanta pedante sottigliezza di argomentazioni da conseguire quasi l'effetto contrario e da far passare inosservati anche i casi in cui egli ha realmente ragione. E l'operetta rimase infatti praticamente senza alcun seguito,30 e Plutarco stesso ad Erodoto — direttamente 0 indirettamente — attinge nelle due vite che hanno riferimento alle guerre persiane, . quelle di Temistocle e di Aristide. E si può dire in complesso che quel che egli aggiunge alla tradizione erodotea delle guerre persiane è ben poco, e di assai scarso valore. Lo scritto di Plutarco si limita esclusivamente alla crìtica del contenuto dell'opera erodotea. Interessanti sono, invece, anche se, come tutta la critica estetica antica, legati esclusivamente al­ l'esteriorità e nell'impossibilità quindi di comprendere real­ mente la personalità di un autore, i giudizi che l'antichità ha formulato su Erodoto artista e scrittore. Per Aristotele 81 egli è. il rappresentante tipico.degli storici, e soprattutto il tipico esponente della eÌQofj,évrj.S2 Da Teofrasto deriva nel suo giudizio Cicerone,33 considerando Ero­ doto l'iniziatore della storiografia. Egli vede chiaramente al­ cune delle principali caratteristiche dello stile erodoteo: l'ampia calma della narrazione aliena da ricercata artificiosità, che egli paragona all'andatura di un « sedatus amnis », e con la sua fine sensibilità ne apprezzò anche l'andatura mossa della frase, pur riconoscendo, al contrario di quanto era stato esageratamente affermato da Ermogene, che. il ritmo è però in Erodoto fortuito e non ricercato?11 D a Cicerone deriva direttamente Quin­ tiliano, il quale ne ricalca ■ le osservazioni stilistiche.35 Una consapevole esaltazione dello stile erodoteo si ebbe nella letteratura greca dell'età imperiale. L'atticismo imperante tro-

30 L ’unica eco registrata dallo Schmid, op. cit., p. 669, è quella di Favorino (Ps. Dio Chr., or;, X X X V I I , 7, 18 Emp.). 31 Aristot. poet., IX , p. 145 b, 2. 32 Aristot. Rhet,, 111, 9, 1409 a, 24.. ) 33 Cic. Or. 39. E proprio uno stile simile a quello erodoteo, ciò è fusum atque tractum et cum lenitale quadam aequabiliprofluens, sine.... iudiciali asperitate et sine sententiarum forensibus aculeis, egli giudica il più adatto alla storiografia in de or., II, 64. 34 Cic., Or. 186, 219. s6 Quint., Inst. or. X , 1, 73; IX , 4, 16.

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vava nella semplicità e nella freschezza degli antichi logografi motivo di ammirazione. M a alle qualità riconosciute generica­ mente a tutti i logografi (purezza, chiarezza, brevità) molte altre lodi particolari sono aggiunte per. Erodoto nel giudizio che di lui dà Dionisio d’Alicarnasso,36 il principale ispiratore e sostenitore deWatticismo dopo Apollodoro di Pergamo. Orgoglio nazionalistico contribuì certo ad indurlo ad una benevola par­ zialità verso il suo illustre concittadino, ma la sapiente scelta delle parolè\A’abilità nella composizione, la varietà data al­ l’ espressione m ll’ uso delle figure retoriche e tutte le altre qualità che Dionisio enumera, osservando che esse mancavano a tutti i prosatori precedenti, sono pregi effettivi della prosa erodotea, efelice è il giudizio finale di Dionisio, in cui egli riassume le sue impressioni affermando che con la sua grazia e il diletto che infonde nei lettori Erodoto è stato il primo a rendere la dizione prosastica pari alla più alta poesia.31 E giustamente egli poteva ribadire 38 che l ’ opera di Erodoto è tale che, una volta preso in mano il libro, lo leggiamo fino all’ ultima sillaba, e desidere­ remmo che continuasse ancora. Erodoto è per il suo concittadino il prosatore sovrano, , insieme con Platone 39 e con Demostene.40 A Dionisio e alla sua predilezione per Erodoto si deve anche l ’introduzione a scopo polemico di un confronto fra Erodoto e Tucidide 41 che, se in Dionisio era risolto a favore del primo, contribuì più tardi ad una falsa valutazione dell’ opera erodotea, erroneamente giudicata alla luce di criteri ad essa estranei. Esa­ gerata è certo l ’esaltazione che di Erodoto fa , ai danni di Tuci­ dide, Dionisio: punto di partenza oltre che il desiderio di esal­ tare l ’ antico concittadino è la tendenza dominante retorico-mo-

36 Dion. H ai .-de Thuc., 23, p. 360, U s.-Rad. Sulla utilizzazione di Erodoto nell’opera di Dionisio, cfr. S. Ek, Herodotismen in der Archäologie des Dionys von Halikarnass, Lund 1942. 37 Dion. Hal., I. c. .... χαρεακεύασε τη κρατίστη ποιήσει την πεζήν φράσιν όμοίαν γενέσ 9·αι ηειΰονς τε και χαρίτων κα'ι τής ε ις ακρον ήκονσης ηδονής ενεκα. 38 Dion. H al., ad Pomp., 3, x i, p. 236. 39 Dion. Hai., de Demosth., 1083, p. 220. 40 Dion. Hai., %. ΰυνϋ·. δνομ., I 9, p.. 137. 41 Dion. H ai. ad Pomp., 3, 2 segg., p. 233 segg.; de imit., III,

p. 207 segg.

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falistica, che vedeva nella storia non una serie di avvenimenti reali da esporre e da giudicare secondo il loro effettivo svolgi­ mento, ma un’ opera di creazione fantastica, il cui scopo era essenzialmente quello di soddisfare il gusto dei lettori e indiriz­ zarli a considerazioni moralistiche. Fondandosi su tali criteri è facile comprendere come Dionisio sia potuto giungere a rim­ proverare a Tucidide d’aver scelto come argomento della sua storia un avvenimento disgraziato e torbido quale la guerra, del Peloponneso, che, secondo il suo giudizio, sarebbe stato meglio rimanesse ai posteri completamente sconosciuto! _ Prescindendo però da questi traviamenti di giudizio, Dio­ nisio identifica rettamente alcune caratteristiche dello spirito e dell’ opera erodotea. Dello storico suo concittadino egli loda Γ am­ pia, composizione, la scelta della materia, l ’interesse che sa su­ scitare nel lettore interrompendo e variando la lunga narrazione, i criteri seguiti nel disporre la sua vastissima materia (parti­ colarmente esagerata è però la lode di essere riuscito a fare d i.. molti argomenti una unità organica, risultato che Tucidide non avrebbe saputo conseguire!) . Erodoto a giudizio di Dionisio ha il merito di non essersi disanimato per la consapevolezza di aver avuto predecessori, ma di aver confidato di fare più e meglio di loro, e di averlo fatto. D i lui Dionisio ammira la partecipazione calda e commossa agli avvenimenti che narra, in contrasto con la freddezza di Tuci­ dide. In definitiva a quest’ultimo viene riconosciuto come unico pregio la composizione dei discorsi e la brevità — sebbene Dio­ nisio insinui che possa non esser da tutti considerata un pregio — , pur concludendo che le prose di entrambi gli storici racchiudono indiscutibili bellezze, più Ιλαράν la bellezza di Erodoto, più φοβερόν quella di Tucidide. Questa polemica fra Erodotei e Tucididei dovette essere assai attuale, se ne troviamo un’eco anche in un papiro del I I sec.i2 contenente un commento a Tucidide. Essa va probabilmente considerata (cfr. Schmid, p. 66y) come reazione alla imita­ zione tucididea che si era diffusa nella I I metà del I sec. a. C. Tucidide non poteva certo trovare gradimento presso critici dominati dall’amore per il τέρπος, la χάρις, la γλνκντης, le qualità cioè che egli aveva consapevolmente respinto. 42 O xyrh. Pap., V I , 853.

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La soavità è la dote più comunemente attribuita ad Erodoto, anche dal suo detrattore Plutarco,iS e poi da Luciano,44 da Ateneo,45 da Fozio;46 da Dione Crisostomo.47 Luciano, dopo una lunga enumerazione di suoi singoli pregi stilistici, conclude che tutte queste caratteristiche pongono lo stile di Erodoto « al di là di ogni speranza di imitazione ».48 « Omericissimo », « emulo di Omero » lo dissero anche con­ cordi gli antichi critici, da Dionisio di Alicarnasso49 alVau­ tore del I I sqì vyjovg,50 ed il giudizio andrà verosimilmente ri­ ferito, oltre che a singoli prestiti dalla lingua di Omero, parti­ colarmente all’andàtma ampia, calma, alla freschezza e al co­ lorito della narrazione. Ad Omero lo raccosta anche per l ’an­ damento dattilico della sua prosa Ermogene, cui dobbiamo il migliore e il più completo dei giudizi antichi sullo stile di Erodoto:B1 egli di Erodoto loda la piacevolezza e insieme la solennità, l ’abilità nella rappresentazione psicologica, per la quale porta ad esempio il discorso di Serse con Artabano, la dolcezza dello stile, la chiarezza, la lingua varia e poetica. Il gusto dominante per l ’ àrrò, -cr dì qualehe altra cosa simile a questa, "allora sì sarebbe giusto che tu facessi quello che fai, ma ha.detto per .una punta !j|| di ferro. Poiché ^dunque-la-nostrar-lotta-: non e contro U1 uomini, IasC:iami andare ». 1

40 . Creso risponde : « O figlio, in questo punto m ’hai vinto esponendomi il tuo pensiero sul sogno. Vinto dunque da te, cambio la mia opinione e ti lascio andare alla caccia. » 41 . Ciò detto, Creso manda a chiamare il frigio Adrasto, e quando fu giunto così gli parla: «Adrasto, io ho purificalo te, colpito da spiacevole sciagura, che io certo non ti rimprovero, e. t’ho accolto e ti ospito nella 2 mia casa, provvedendo a ogni tua spesa. Orbene, poi­ ché, avendoti per primo io fatto del bene, con benefici tu devi ora ricambiarmi, io ti prego d’esser custode del figlio mio che va ad una caccia, che per via briganti malfattori non vi si presentino con cattive intenzioni. 3 Inoltre è giusto-che anche tu vada dove possa acquistarti fama con le tue impresi·., ché questa è per te consuetu­ dine avita e p erU i più' la forza non ti manca ». 1

42 . Risponde Adrasto : « O re, in altra circostanza io non sarei certo andato a tale impresa, perché non è lecito che uno afflitto da simile sciagura vada as­ sieme a coetanei che sono felici, né posso desiderarlo e 2 per molte ragioni me ne astenni. M a ora, poiché tu 1

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mi inciti e conviene che io ti faccia cosa gradita — è doveroso infatti ricambiare i tuoi benefici — son pronto a far questo; e tuo figlio che tu mi inviti a custodire, per quanto dipende dal custode attenditi pure di ve­ derlo tornare incolume ».

43 . Poi, come egli così ebbe risposto a Creso, prepa- 1 ratisi, partivano con giovani scelti e coi cani. Giunti al monte Olimpo andavano in cerca della fiera, e scovatala e standole attorno in cerchio le lan­ ciavano giavellotti. E, allora l’ospite, quello che era 2 stato purificato dall’omicidio e aveva nome Adrasto, lanciando un giavellotto- contm.iL£Ìnghiale Jo manca, c raggiunge invece il figlio di Creso. ■ Questi, colpito dalla punta, compì la predizione del 3 sogno. E qualcuno 'correva ad annunciare a Creso l’accaduto, e giunto a Sardi gli dava notizia della caccia e della sorte del figlio. 44 . E Creso, sconvolto dalla morte del figlio, 1 ancor più gravemente si dole v a in quanttO oZaveva... ucciso colui che egli stesso aveva purificato dall’omicidio. " Afflitto per la disgrazia, invocava Zeus Purificatore, 2 chiamandolo a testimone di cosa egli aveva avuto a soffrire ad opera di un ospite, e ancora lo invocava quale protettore del focolare e dell’amicizia, chiamando con questi nomi la stessa divinità, invocandolo come protettore del focolare 74 perché, avendo accolto nella sua casa uno straniero, senza saperlo aveva nutrito l’uccisore di suo figlio, e come protettore dell’amicizia perché, mentre lo aveva mandato come custode, aveva trovato in lui il peggiore nemicò. 74 Zeus è invocato n el. suo. triplice carattere di purificatore, protettore-dell’amicizia e protettore del focolare-perché ~in queste sue prerogative lira stato offeso-datazione-di-Ad-ra-stoHEvCreso lo invoca^ non solo per chieder vendetta, m a per rimproverare la diviiìììicrtìessa^-responsabrle—delle " sventure che io “ colpivano~T_""................ ~................. (cfr. I, 45 e 90 seg.)........

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_ 45 . D opo giunsero i L id i portando il cadavere, e dietro lo seguiva l ’uccisore. Q uesti, postosi dinanzi al morto, si consegnava a Creso tendendo le m ani, in vi­ tandolo ad im m olarlo in onore del morto, ricordando la sua precedente sciagura e come, avendo dopo questa ucciso colui che l ’aveva p urificato,75 non gli era più possibile vivere. 2 M a Creso udito ciò si impietosisce di A drasto, pur trovandosi in sì grave lutto personale, e gli dice : « O spi­ te, ho avuto da te ogni soddisfazione, dal m omento che tu stesso ti condanni a morte. M a per ine non tu sei il responsabile di questa scingim i, se non in quanto contro tua voglia ne fosti l ’esecutore, m a qualcuno degli dei, che già da tem po mi aveva preannunciato ciò che sarebbe accaduto ». 3 Creso com e si conveniva diede sepoltura a suo figlio. E A drasto figlio di G ordio figlio di M ida, colui che era stato l ’om icida di suo fratello e om icida del suo p u ri­ ficatore, quando fu quiete da p arte degli uom ini attorno al tum ulo, riconoscendo d’ essere il più carico di sven­ ture di quanti uom ini egli conosceva, si uccide sulla __ to m b a .__ 1

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46 . Creso dunque per due anni stette in gran lutto p er la perdita del figlio ; m a p o i 76 il fatto che il regno di A stiage figlio di Classare era stato conquistato da C iro 77 figlio di Cam bise e che la potenza persiana cresceva posero fine al lutto di Creso, e lo portarono a 75 In realtà non del suo purificatore, ma del figlio di questi. M a il figlio si identifica fisicamente e sentimentalmente coi ge­ nitori; per un esempio analogo cfr. I, 214. 76 II logos inclina ora verso elementi storici: la potenza per­ siana costituiva una minaccia per tutte le potenze di secondo piano (cfr. I, 77), e procurava inoltre gravi danni al commercio lidio (I, 71).. 77 Per le imprese di Ciro v. Pràsek, Gesch. der Meder und Perser, cit. I, p. 215. Dopo aver abbattuto il regno medo di Astiage, Ciro aveva subito pensato a sottomettere tutti i territori prece­ dentemente soggetti ai Medi, creandosi un vasto e solido impero, assai minaccioso per Creso.

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pensare se mai potesse, prima che i Persiani divenis­ sero grandi, frenare la loro crescente potenza. Dopo aver concepito tale disegno metteva subito alla 2 prova gli oracoli, quelli di Grecia e quello di Libia, inviando messi chi qua e chi là, gli uni a Delfi, altri ad Abe 78 di Focide, altri a D o d o n a;79 alcuni furono mandati ad Anfiarao 80 e a Trofonio,81 altri ai Branchidi 82 nel territorio di Mileto. Questi gli oracoli Greci 3 che Creso mandò a consultare; altri mandò in Libia ad Ammone 83 per interrogarlo. Mandava dunque per mettere alla prova gli ora­ coli e vedere cosa inai pensassero, affinché, se li trovava veritieri, potesse una seconda volta mandare a chiedere se doveva intraprendere la guerra contro i Persiani.

47 . Mandava a mettere alla prova gli oracoli questo 1 ordinando ai Lidi che, dal giorno in cui s’erano mossi da Sardi, da questo contando il tempo successivo, al centesimo giorno interrogassero gli oracoli, chiedendo cosa stesse facendo il re dei Lidi Creso figlio di Aliatte; e quel che ciascuno degli oracoli avesse vaticinato lo trascrivessero e lo riportassero a lui. Quello che gli altri oracoli risposero non è traman- 2 dato Ha nessuno ; ma a Delfi, appena i Lidi entrarono nel penetrale per interrogare il dio e gli chiedevano ciò che era stato loro ordinato, la Pizia così rispose in versi esametri: «Io conosco il numero delle arene e 3 le dimensioni del mare e il muto comprendo e chi non parla io odo. A i sensi mi venne odor di testuggine dalla dura conchiglia, cotta nel bronzo con carni d’agnella, cui bronzo è sotto e di bronzo sopra è vestita ». 78 Nella Focide orientale, possedeva il più antico e il più fa­ moso — dopo quello di Delfi — degli oracoli di Apollo. 79 In Epiro. Sul santuario e l’oracolo cfr· II, 52 segg. 80 A Tebe. Cfr. I, 52. Il responso dell’oracolo veniva dato nel sonno; per le pratiche di incubazione nel tempio v. V i l i , 134. 81 L ’ oracolo si trovava in un antro presso Lebedea, in Beozia. ' 82 Stirpe di sacerdoti che possedeva il tempio e l’oracolo di Apollo a Didima presso Mileto. Da essi il nome passò a designare la località stessa: qui, I, 92, 157; II, 159, ecc. ,¿5*^ 83 Su questo oracolo cfr. II, 52, 55; IV , 181. io - Enonoxo - L e Storie.

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48 . A ven do la P izia così vaticinato, i L id i trascris­ sero questa risposta e se ne partirono per tornare a Sardi. Q u an d o poi anche g li altri messi com parvero por­ tando i responsi, allora Creso svolgendo ciascun plico ne esam inava lo scritto. E nessuno lo soddisfaceva; m a, come udì la risposta di D elfi, subito invocava il dio e ne accettava l ’auspicio, ritenendo che ru n ico oracolo fosse quello di D elfi, poiché gli aveva indovinato cosa faceva .84 Infatti, dopo aver inviato i messi agli oracoli, at­ teso il giorno stabilito, questo aveva ineditato : pensata una cosa che fosse difficile a scoprire e ad esprimere, fatta a p ezzi una tartaru ga e un agnello egli' stesso li cuoceva insieme in un lebete di bronzo, ponendovi sopra un coperchio di bronzo.

49 . L ’oracolo di D elfi dunque tale responso diede a Creso; riguardo a ll’oracolo di A nfiarao non sono in grado di dire altro sulla risposta che esso diede ai L id i dopo che ebbero com piute le cerim onie di rito presso la cella — neppur questa risposta infatti è rife­ rita — , se non che Creso ritenne che anche quello possedesse un oracolo veridico. 50 . D opo di ciò con grand i sacrifici si p ropiziava il dio di D elfi : im m olò 3000 capi di ogni sorta di anim ali adatti al sacrificio e, eretto un grande rogo, bruciò letti do­ rati è argentati e coppe d ’oro e vesti di porpora e tu­ niche, sperando di conciliarsi m aggiorm ente con questi sacrifici la benevolenza del dio. E a tu tti i L id i impose che ciascuno di loro sacri­ ficasse quel che poteva. C om e ebbe term inato il sacrificio, facendo fondere una grande quantità d’oro ne foggiò dei m ezzi m at84 Se la storia non è solo una invenzione delfica vorrà dire che Creso avrà addomesticato l’oracolo per ottenere alleanze in Grecia. Sull’importanza politica dell’oracolo cfr. J. E. Fontenrose Parke, A history o f the Delphic oracle, Oxford 1939.

ton i,85 facendoli di sei palm i 86 dal lato più lungo e di tre dal lato più breve e di un palm o di-spessore, in nu­ mero di 117, e fra questi quattro d ’oro raffinato, del peso ciascuno di due talenti e m ezzo, e gli altri d ’oro b ian co,87 del peso di due talenti. Fece erigere anche una statua di un leone d ’oro 88 purissimo, avente un peso di 10 talenti. Q uesto leone, quando si incendiò 89 il tem pio di Delfi, cadde dagli em iplinti — ché su questi era posto — ed ora giace nel tesoro dei C orinzi ed h a un peso di sei talenti e m ezzo, perché tre talenti e m ezzo andarono fusi.

51 . F atti apprestare questi doni, Creso m andava insieme con essi anche queste altre o ffe r te :90 due crateri di notevole grandezza, uno d ’oro l’altro d’argento, dei quali quello d ’oro stava a destra di chi entri nel tem pio, quello d’argento a sinistra. A n ch e questi furono ri­ mossi quando il tem pio bruciò, e quello d ’oro è r i­ posto nel tesoro dei C lazom enii ed h a un peso di 8 talenti e m ezzo e 12 m ine, quello d ’argento n ell’angolo del pronao 91 ed h a una cap acità di 600 · anfore : i 86 II itkvv&o s (mattone) era quadrato. Su tutta la questione relativa alla denominazione degli oggetti e sulla difficoltà di conciliare le indicazioni riguardanti il peso con quelle relative al volume cfr. Pearson, The ingots o f Croesus, in «Class. Rev. » 1931, p. 118 seg. 86 Che, come sostengono How e Wells, tutte le misure de­ rivino certamente dagli inventari del tesoro di Delfi, e siano quindi calcolate secondo le misure greche mi pare verisimile. La «palaiste » (palmo) è la sesta parte del cubito e vale quattro dita. 87 È l’elettro, ossia lega di oro e d ’ argento, che s i . trovava nelle miniere del Tm olo e nel Pattolo allo stato naturale, e si ottenne più tardi artificialmente. Cfr. Plin. n. h., X X X I I I , 80. 88 Era l’animale sacro a Cibele e a Sandon, e appare sulle antiche monete di Lidia. Per il posto notevole che occupava nella mitologia locale, cfr. anche I, 84. 89 L ’incendio avvenne nel 548, due anni prima della caduta di Creso (cfr. I l i , 180 e V , 62). 90 Assai notevole questo capitolo perché mostra quanta fa­ miliarità avesse Erodoto con Delfi e le cose di Delfi. 01 Lo Stein spiega trattarsi di una delle due ante con le quali si prolungavano fino al pronao le pareti della cella.

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Delfi se ne servono per mescere nelle feste Teofanie.92 I Delfi mi dicono che è opera di Teodoro di Samo,93 ed anch’io lo credo, perché non mi sembra sia opera dozzinale. Inoltre mandò quattro orci d’argento, che si trovano nel tesoro dei Corinzi, e dedicò due urne per acqua lustrale, una d ’oro l’altra d’argento, delle quali su quella d’oro c’ è un’iscrizione che dice che è un dono dei Lacedemoni, dicendo cosa non vera; ché anche questa offerta è di Creso, e l’iscrizione la pose qualcuno dei Delfi, volendo far cosa gradita ai Lacedemoni. Di costui io pur conoscendo il nome non lo menzionerò. È invece dei Lacedemoni la statua di fanciullo dalla cui mano scorre l’acqua, ma delle urne per acqua lu­ strale nessuna delle due. Altri doni votivi senza contrassegni mandò in­ sieme con questi Creso, e fra gli altri brocche rotonde 1 d’argento e anche una statuetta di donna d’oro di 3 1 cubiti, che i Delfi dicono sia l’immagine della fornaia 94 di Creso. Inoltre anche di sua moglie Creso dedicò collane e cinture.

52 . Questi doni dunque inviò a Delfi; all’oracolo di Anfiarao 95 invece, conoscendone il valore e le sven­ ture, dedicò uno scudo tutto d ’oro e parimenti una lancia tutta d’oro massiccio, di cui l’asta era d’oro 92 Feste con cui in primavera si celebrava il ricomparire della divinità (il Sole). . 93 Teodoro di Samo, figlio di Telecle, fu rinomato per la sua attività di cesellatore, scultore ed architetto. A lui ed a Reco si deve l’Ereo di Samo; opera sua era il famoso anello di Policrate (III, 41). Fu probabilmente contemporaneo di Aliatte. 94 Secondo una novella ricordata da Plut., de Pyth. orac.,. 16, la matrigna avrebbe tentato di avvelenare Creso, ma la fedele fornaia avrebbe sventato l’insidia. In segno di riconoscenza Creso le avrebbe dedicato questo monumento. 96 Figlio di Oicle, della stirpe dei Melampodidi, è nella leg­ genda e nella poesia eroe pio e valoroso e saggio veggente. Par­ tecipò per istigazione di Erifile sua moglie alla spedizione dei Sette contro Tebe e nella fuga fu inghiottito dalla terra, spalan­ catisi sotto il fulmine di Zeus, e in seguito onorato come eroe e come divinità profetica. Aveva templi, oltre che a Tebe, ad Orópo e ad Harma in Attica.

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al pari delle punte. Entrambi questi doni ancora al mio tempo erano a Tebe e precisamente nel tempio di Apollo Ismenio.

53 . A i Lidi che s’apprestavano a portare ai santuari questi doni Creso imponeva di chiedere agli oracoli se dovesse fare una spedizione contro la Persia e se dovesse unirsi come alleato qualche altro esercito. Come, giunti ove erano stati inviati, i Lidi ebbero dedicato le offerte, interrogavano gli oracoli dicendo: « Creso, re dei Lidi e di altre genti, ritenendo che questo oracolo è unico fra gli uomini, vi offre doni degni dei responsi^ ricevuti, ed ora vi chiedé se debba marciare contro i Persiani e se debba unirsi qualche esercito come alleato ». Essi questo chiedevano, e i pareri di entrambi gli oracoli concordarono, predicendo a Creso che, se avesse marciato contro i Persiani, avrebbe distrutto un grande impero; 96 inoltre gli consigliavano di cercare i più valorosi fra i Greci e di unirseli come alleati. 54 . Quando Creso fu informato dei responsi rice­ vuti assai si rallegrò dei vaticini e, fermamente spe­ rando di distruggere il regno di Ciro, inviati di nuovo messi a Pito, fa donare a ciascuno dei Delfi, dopo es­ sersi informato del loro numero, due stateri d’oro. I Delfi in cambio di questo diedero a Creso e ai Lidi il diritto di precedenza nell’interrogare l’oracolo, l’esenzione dai tributi e 97 il diritto a occupare i primi posti negli spettacoli, e che fosse lecito a chiunque di loro lo volesse di divenire cittadini di Delfi in perpetuo. 55 . Fatti ai Delfi tali doni, per la terza volta Creso consultava l’oracolo; ché, dopo aver conosciuto la ve­ ridicità dell’oracolo, ne faceva uso eccessivo. 96 Le parole della Pizia in Arist. Reth., I l i , 5. 97 Si tratta della|«proedria», diritto, concesso in segno di onore, di occupare durante lo svolgimento dei giochi i primi posti. Il ricordo della concessione di simili privilegi è comune nelle iscri­ zioni onorarie (alcune anche di Delfi, Ditt. Syll., 484, 662).

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Questo dunque chiedeva, se di lunga durata sa­ rebbe stato il suo regno. E la Pizia gli risponde: «M a quando un mulo diventa re dei M edi,98 allora, o Lido dai piedi delicati,99 lungo l’Ermo ghiaioso fuggi e non fermarti e non vergognarti d’ esser vile ».

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56 . Come gli pervennero queste parole Creso ancor

molto di più che per tutto il resto si rallegrò, ritenendo che mai un mulo in luogo d’un uomo avrebbe regnato sui Medi, e che quindi né lui né i suoi discendenti sa­ rebbero mai stati deposti dal potere. Dopo di ciò at­ tendeva a ricercare quali dei Greci fossero i più forti e dovesse farsi amici. 2 E cercando trovava che i Lacedemoni e gli Ateniesi eccellevano fra tutti, gli uni della stirpe dorica, gli altri della ionica. Queste erano infatti le stirpi preminenti, ed erano originariamente l’una pelasgica, l’altra ellenica. E l’una 100 non s’era mai allontanata dalle sue sedi, 3 l’altra 101. invece aveva molto vagato. AlTem po del re Deucalione infatti abitava la terra Ftiotide,102 al tempo di Doro figlio di Elleno 103 la regione ai piedi dell’Ossa e dell’Olimpo, chiamata Istieotide.104 Quando poi fu 98 Per la spiegazione di questo oracolo v. I, 91. 99 L ’ effeminatezza lidia sarebbe stata successiva alla per­ dita dell’ indipendenza (cfr. I, 79, 155; App. I, 4) e divenne ben presto proverbiale j ma già in precedenza i Lidi avevano raggiunto una raffinata civiltà. 100 G li Ioni. 101 I Dori. L a divisione che Erodoto fa in due razze, ellenica e pelasgica, si avvicina assai, come è stato notato — cfr. p. es. P. Wade-Gery, in Camb. Anc, Hist. II (1931), p. 526 — alla di­ visione moderna fra linguaggi dei conquistatori e linguaggi an­ teriori alla conquista, ossia fra popoli già stanziati nel paese, di cui prototipo sarebbero gli Ioni (Pelasgi di Erodoto) e popoli immigrati, rappresentati particolarmente dai Dori (Elleni di Erodoto). Poi però nel racconto dell’invasione Erodoto passa dall’os­ servazione al racconto tradizionale, assai oscuro e in complesso privo di basi fedefegne. 102 Nella parte sud-est della Tessaglia. 103 Considerato dalla leggenda greca figlio di Deucalione. 104 Era più propriamente la regione che si estende ai piedi del Pindo.

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dai C adm ei scacciàta dalla Istieotide ab itava sul Pindo col nom e di M acedno. D i qui passò ancora nella D riopide 105 e dalla D riopide giunta nel Peloponneso prese il nom e di D orica.

57 . Q,uale lin gu a parlassero i Pelasgi, non sono in grado di dirlo con esattezza; m a, se è lecito esprimere un parere congetturando da quelli dei Pelasgi che an­ cora sopravvivono ed abitano al di là dei T ir r e n i106 la città di C ortona,107 i quali erano un tem po confinanti con quelli ora chiam ati D ori (ed abitavano allora la regione detta Tessaliotide), e da quelli che abitano P lacia e Scilace sull’Ellesponto, i q uali furono vicini degli Ateniesi, e da tutte le altre città che, essendo prim a pelasgiche, cam biarono in seguito denom inazione — se da questo dunque congetturando è lecito esprimere un parere, i Pelasgi parlavan o una lingua barbara. Se tale dunque era tu tta la stirpe pelasgica, il p o­ polo attico, che era pelasgico, col passare fra gli Elleni m utò anche la lingua. E infatti né gli abitanti di C o r­ tona né quelli di P lacia hanno lin gu a simile ad alcuna delle popolazioni che abitano loro intorno, m entre hanno fra loro uguale lingua, e dim ostrano in ta l modo che quel tipo di lin gu a che portarono em igrando in questi paesi lo conservano ancora. 58 . L a stirpe ellenica invece da quando sorse ha usato sempre la stessa lingua, per quanto a me pare. E, divisasi ancor debole d alla stirpe pelasgica, m uo­ vendo agli inizi da um ile origine, si è accresciuta finora divenire una m oltitudine di popoli, poiché le si unirono soprattutto Pelasgi e m olti altri popoli barbari. A suo Fu tardi una regione della Doride; cfr. V I I , 31, 43. 106 Sono gli Etruschi. 107 È uno dei punti delle Storie che hanno sollevato più di­ scussioni. Credo si possa ritenere provato dalla chiara dimostra­ zione del Meyer (Forsch. zur alteri Gesch., I, Halle i8g2, p. 24segg.) che la lettura esatta è K qotwvoi, forma corrente greca per Cortona, e non, come accetta nella sua edizione lo Hude, Kgrjarmva. Erodoto è però in errore separando Cortonà dalle altre città etrusche. 105

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confronto, per quanto almeno a me sembra, neppure il popolo dei Pelasgi, che era barbaro, si accrebbe mai grandemente.

59 . Orbene, di queste stirpi .Creso seppe che quella attica era oppressa è lacerata da discordie sotto il domitiio di Pisistrato figlio di Ippocrate, il quale in questo tempo era tiranno degli Ateniesi. Ippocrate infatti, mentre era semplice privato e assisteva ai giochi olimpici, accadde un grande pro­ digio . Allorché ebbe compiuto i sacrifici i lebeti si rizza­ rono e, pieni com’erano di carni e d’ acqua, bollirono 2 senza fuoco e traboccarono. Lo spartano C hilone108 che si trovava lì per caso e vide il prodigio consigliava ad Ippocrate in primo luogo di non sposare una donna feconda; secondariamente, se già l’aveva, di mandar via la donna e, se per caso aveva qualche figlio, ripu3 diario. M a si narra che Ippocrate non volesse obbedire a tali consigli di Chilone; e gli nacque dopo di ciò questo Pisistrato,109 il quale, mentre gli Ateniesi della costa e quelli della pianura 110 erano in lotta, e dei primi era a capo Megaclè figlio di Alcmeone, di quelli della pianura Licurgo figlio di Aristolaide, aspirando 1

108 U no dei Sette Saggi, eforo a Sparta intorno al 560 a. C. 109 Per un giudizio generale sui Pisistratidi cfr. V , 78. È questo uno dei più importanti contributi di Erodoto alla storia del V I sec. Per la valutazione critica di questo periodo in cui si gettarono le basi della successiva potenza ateniese, cfr. G. Eie Sanctis, ’ Arflig, storia della repubblica ateAiese, Torino 1912, p. 291 segg. _ _ , 1^° Dalla riforma di Solone, che aveva spezzato la potenza degli Eupatridi, avevano avuto origine queste fazioni, basate su divisioni locali e, conseguentemente, economiche e sociali. L a Arizanti, Budii, Magi. Queste sono le tribù dei Medi.

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102 Figlio di Deioce è Fraorte che, morto Deioce χ dopo aver regnato 53 anni, ne ricevette il potere. R i­ cevutolo, non si accontentò di comandare soltanto sui Medi ma, fatta una spedizione contro i ‘Persiani, questi per primi assalì e li rese per primi sudditi dei Medi.202 Poi, avendo sotto di sé questi due popoli entrambi forti, 2 assoggettava l’Asia passando dall’uno all’altro popolo finché, fatta una spedizione contro gli Assiri, e precisamente contro quelli degli Assiri che abitavano Ninive 203 e che dominavano prima su tutti — e allora in­

201 Sulla formazione della nazione meda e sui nomi delle tribù cfr. Pràsek, op. cit., p. 121 e 109 seg. .202 Queste notizie di conquista della Persia rappresentano per il Pràsek (op. cit., I, p. 137) una invenzione, così come la lotta contro gli Assiri andrebbe attribuita non a Fraorte, ma ad un re precedente, ignoto ad Ex'odoto (i b i d p. 134). 203 I veri Assiri, mentre Erodoto chiama con questo nome altrove anche i Babilonesi (p. es,, I, 106 e 178).

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vece erano soli, perché gli alleati 204 li avevano a b ­ bandonati, m a erano tu ttavia ancora in buone condi­ zioni — avendo dunque mosso contro di questi Fraorte trovò la m orte, dopo aver regnato 22 anni, e con lui peri la m aggior p arte del suo esercito./

103. Morto Fraorte gli successe Classare figlio di Fraorte figlio di Deioce. Questi si dice sia stato ancora molto più valoroso dei suoi antenati, e per primo ordinò in corpi regolari gli abitanti dell’Asia e per primo schierò separatamente gli uni dagli altri i lancieri, gli arcieri e i cavalieri. Prima invece erano tutti mescolati insieme 2 alla rinfusa. Questi è colui che combattè con i Lidi quando il giorno divenne notte durante la battaglia,206 e colui che si sottomise tutta l’Asia al di là del fiume Halys.206 Raccolti tutti i suoi sudditi marciò contro Nìnive per vendicare il padre e con l’intenzione di distrug3 gere quella città. M a come, scontratisi, ebbe vinto gli Assiri, mentre assediava Ninive gli piombò addosso un grosso esercito di Sciti,207 e li guidava il re degli Sciti Madis figlio di Protothicos. Questi invasero l’Asia dopo aver scacciato dall’Europa i Cimmeri, e inse­ guendo i Cimmeri in fuga giunsero in tal mòdo nel territorio medo. 1

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104. Dalla palude Meotide 208 fino al fiume Fasis 209 e alla Colchide ci sono, per chi viaggia spedita204 Sono i Babilonesi, i Siriaci, i Giudei, ecc. che erano ancora soggetti agli Assiri. 205 Gfr. cap. 74. 206 A l di là verso oriente. 207 Su questi avvenimenti che, sebbene confusi, hanno però un fondo di realtà, cfr. Cam br. Anc. Hist,, III, p. 128 segg., 189 segg. Non sembrava che gli Sciti avessero fatto immedig.tamente seguito all’invasione dei Cimmeri, ma la notizia di Ero­ doto è stata invece confermata dalla tavola di Assurbanipal X C V I nel tempio di Istar 1. 146 (Thompson é Mallowan, Annuali Archeol. and Antrop., Liverpool, X X (1933), p. 71 segg.; cfr. P. J. Junge, Dareìos I, Koenig der Perser, Leipzig 1944, p. 1 e 13). 208 21 M ar d’Azov, donde sarebbero venuti i Cimmeri. 209 L ’attuale fiume Rion.

1111 nte, 30 giorni di cammino e dalla Colchide non c’è multo per passare nella Media, ma fra i due paesi c’è un soto popolo, quello dei Saspiri,210 e oltrepassati questi si è nella Media. M a veramente gli Sciti non fecero irruzione per 2 questa via, ma deviando per la strada più a nord,211 di molto_più lunga, avendo a destra il monte Caucaso. Q u i i Medi scontratisi con gli Sciti e sconfitti in battaglia furono privati del regno, e gli Sciti occupa­ rono tutta l'Asia.

105. D i qui mossero contro l’Egitto. M a quando 1 giunsero nella Siria Palestina 212 Psammetico re d’ E ­ gitto, andato loro incontro con doni e con preghiere, li distoglie dall’avanzare più oltre. Essi allora quando, 2 ritirandosi, giunsero in Siria nella città di Ascalona, mentre la maggior parte degli Sciti passarono oltre senza fare alcun danno alcuni pochi di essi, rimasti indietro, saccheggiarono il santuario di Afrodite Ura­ nia. Questo santuario è, per quanto io ho trovato nelle 3 mie ricerche, il più antico di tutti i santuari di questa dea, perché e il santuario di Cipro 213 è derivato da questo, come affermano gli stessi Ciprioti, e anche il santuario di Citerà.lo eressero alcuni Fenici, che prò- . vengono da questa stessa parte della Siria. A quelli degli Sciti che saccheggiarono il tempio di 4 Ascalona e a tutti i loro discendenti la divinità inflisse il morbo femmineo; 214 cosicché gli Sciti dicono di essere per questa ragione ammalati, e coloro che giun-

210 A nord-ovest della Media e a sud dell’ odierna Georgia cfr. I l i , 94. 211 Strada assai più lunga, a nord del Caucaso. 212 Cfr. I l i , 91. Il territorio da Erodoto compreso sotto questa denominazione varia di volta in volta di estensione, compren­ dendo parti più o meno estese della costa siriaca. 213 Precisamente a Pafo, dove secondo Pausania (I, 14, 7) il culto risaliva ad epoca anteriore che ad Ascalona. 214 Si tratterebbe di una forma degenerativa per cui gli uo­ mini assumevano caratteri femminei; cfr. IV , 67, dove gli Enarei sono detti appunto « androgini ».

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gono presso di loro nel paese degli Sciti possono vedere in quali condizioni si trovano quelli che gli Sciti chia­ mano Enarei.

106. Per 28 anni gli Sciti dominarono l’Asia e tutto fu da loro messo a soqquadro con la violenza e l’in­ curia. Da una parte infatti riscuotevano da ciascuno il tributo che a ognuno imponevano, e poi oltre al tri­ buto rapinavano, andando in giro a cavallo, tutto quello che ciascuno possedeva. M a la maggior parte di essi Classare e i Medi, in­ vitatili e ubriacatili, li uccisero,216 e così i Medi ricuperarono il regno e dominarono sui territori che avevano già prima,, e inoltre conquistarono Ninive — come la conquistarono lo esporrò in un altro rac­ conto 216 — e si assoggettarono gli Assiri, tranne la re­ gione di Babilonia. ì Dopo di questi avvenimenti Classare, avendo re­ gnato per 40 anni, compresi quelli in cui dominarono gli Sciti, muore. :

107 . Astiage figlio di Classare succede nel regno.217 Egli aveva una figlia cui aveva posto il nome di M an­ dane, e nel sogno parve ad Astiage che essa orinasse così abbondantemente da riempire non solo la sua città, ma da sommergere anche tutta l’Asia. Esposta la 215 II Pràsek {op. cit., I, p. 146 segg.) collega giustamente queste notizie con quelle del cap. 73 : trattare bene gli Sciti rap­ presentava per G assare un necessario stratagemma, al fine di guadagnare tempo per prepararsi alla riscossa. Infine, dopo lunghe lotte, Classare non solo riuscì a scacciare gli Sciti, ma ad impadronirsi di tutto il territorio situato fra la Media, la Cappadocia e la Colchide, stringendo così da due lati l’Assiria. Sul regno di Classare e sulle guerre da lui sostenute, che fecero della Media la maggiore potenza asiatica, cfr. Pràsek, op. cit., I, pag. 152 segg. 216 Si tratta certamente degli « Ά σ σύριοι λόγοι » che Erodoto promette anche nel cap. 184 ma non scrisse mai, o almeno non introdusse nell’economia definitiva della sua opera. 217 Su Astiage, intorno al quale si sbizzarrì la leggenda, cfr. Pràsek, op. cit., I, p. 165 segg.

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visione a quelli dei magi che interpretavano i sogni, si spaventò ad apprendere da loro ogni cosa. Più tardi questa Mandane, quando fu ormai ma- 2 tura per il matrimonio, non la dà in sposa a nessuno dei Medi degni di lui, per timore del sogno; la concede invece ad un Persiano che aveva nome Cambise, che trovò essere di buona famiglia e di temperamento tran­ quillo, stimandolo di molto/inferiore ad un uomo medo di mediocre condizione. /

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108. Nel primo anno del matrimonio di Mandane 1 con Cambise Astiage ebbe un’altra visione: gli pa­ reva che dai genitali di questa sua figlia nascesse una vite, e che la vite coprisse tutta l’Asia. " Avuta questa visione e confidatala agli interpreti dei 2 sogni, mandò a chiamare dalla Persia la figlia che era incinta, e quando fu giunta la sorvegliava, volendo uccidere la creatura che sarebbe nata da lei, poiché in seguito al sogno gli interpreti gli avevano predetto che il figlio della sua figlia avrebbe regnato invece di lui. Astiage dunque per guardarsi da ciò appena nacque 3 Ciro chiamava Arpago, suo familiare, il più fido dei Medi, cui confidava ogni iùo^affare, e così gli~parlat?aT «‘Arpago, J ’incarico che ti affiderò non prenderlo af- 4 fatto" alla leggera e non ingannarmi e non ■ volere in seguito esser causa della tua rovina per aver pre­ ferito altri a me. Prendi il bimbo che Mandane ha partorito, portalo a casa tua c uccidilo; poi seppelli­ scilo come vuoi ». Quello risponde: « Mai altra volta 5 tu potesti scorgere in quest’uomo alcuna cosa che ti spiacesse, ed io mi do cura di non commettere alcun fallo verso di te neppure per il futuro. Se dunque a te piace che questo sia fatto, conviene che per quanto sta in me tu sia servito a dovere »,

109. Dopo aver così risposto Arpago, come gli fu 1 affidato il bimbo con abbigliamento funebre, se ne andava piangendo a casa. E giuntovi narrava a sua moglie tutto il discorso pronunziato da Astiage. E 2

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quella gli dice : « Ora dunque cosa hai intenzione di fare? », e quello risponde: «Non certo quel che ordina Astiage; neppure se vaneggiasse e delirasse peggio di quanto ora delira, neppure allora io per parte mia mi assoderei al suo parere, e non lo servirei in un simile 3 delitto. Per molte ragioni non lo ucciderò, e perché è mio parente e perché Astiage è vecchio e privo di 4 figli maschi. Se poi egli quando questo sia morto vorrà che il regno passi a questa sua figlia di cui ora vuole uccidere per mia mano il figlio, cosa altro allora mi attende se non l’estremo di tutti i mali ? D ’altra parte per la mia sicurezza è necessario che questo bambino muoia, ma bisogna che qualcuno dei servi di Astiage,, e non dei miei, ne sia l’uccisore »,

110 . Questo disse, e subito mandava un messaggero a quello dei bovari di Astiage che sapeva abitante nei pascoli più adatti e sui monti più popolati di fiere, il quale aveva nome Mitridate. Viveva con lui una sua compagna di servitù, e la donna con cui viveva si chiamava Kyno secondo la lingua greca, Spako in lingua meda, ché i Medi chia2 mano il cane « Spax ». Le pendici dei monti dovè questo mandriano aveva i pascoli dei buoi sono a nord di Ecbatana e verso il Ponto Eusino. Q ui infatti la Media verso il paese dei Saspiri è molto montuosa ed alta e coperta di fitte selve, mentre tutto il resto del territorio medo è piano. 3 Quando dunque il bovaro mandato a chiamare fu giunto con grande premura, Arpago gli diceva : « A stiage ti ordina di prendere questo bambino e di esporlo sul più deserto dei monti, perché perisca al più presto. E questo m’ordinò di dirti, che se tu non lo fai morire, ma lo salvi in qualche modo, perirai della peggiore delle morti: io ho ricevuto l’ordine di controllare che sia stato esposto ».

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111 . Udito ciò e preso il bambino, il bovaro se ne torna indietro per la stessa strada e giunge alle stalle. Ed ecco che anche sua moglie, che stava di

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giorno in giorno per partorire, per volere divino partorisce proprio allora, quando il bovaro era andato in città. Erano dunque entrambi in pensiero l’uno per l’altro, l ’uno preoccupato per il parto della moglie, l’altra perché Arpago contro ogni sua consuetudine aveva mandato a chiamare suo marito. E quando, tor- 2 nato, si presentò, la donna rivedendolo all’ improvviso gli chiese per prima perché Arpago l’avesse mandato a chiamare con tanta premura. E quello ' disse : « O donna, giunto in città ho visto e udito cose che magari non avessi visto e non fossero mai accadute ai nostri signori! Tutta la casa di Arpago era piena di pianti; io turbato entrai dentro. Appena entrai, vidi un bimbo esposto, che sgambettava e gridava, adorno d’oro e di vesti ricamate. Arpago come mi vide mi ordinò di prendere al più presto il bambino e di andarmene portandòlo con me e di esporlo ove il monte è più popo­ lato di fiere, dicendo che Astiage era colui che mi dava questo ordine, molto minacciandomi nel caso che io non lo eseguissi. E io lo prendevo e me lo portavo via, credendo che 4 fosse di qualcuno dei servi; ché certo non immaginavo mai di chi realmente era. M i stupivo tuttavia vedendolo adorno d’oro e di begli abiti, e mi stupivo inoltre anche dei pianti che si levavano alti nella casa di Arpago. M a 5 ben presto strada facendo vengo a sapere tutto il fatto da un servo il quale accompagnandomi fuori di città mi consegnò il neonato, e cioè che era figlio di Mandane figlia di A stiage e di Cambise figlio di Ciro, e che Astiage comanda di ucciderlo. Ed ora eccolo qui ».

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112 . Il bovaro diceva questo, e insieme scoprendolo 1



lo mostrava. L a donna, come vide il bimbo che era grande e bello, piangendo e abbracciando le ginocchia del marito lo supplicava di non esporlo in nessun modo. M a quello diceva che non ·era in grado di fare altrimenti, perché sarebbero venute guardie mandate da Arpago per ispezionare, ed egli sarebbe morto della peggiore delle morti se non avesse eseguito l’ordine. Poiché non riusciva a persuadere il marito, la donna 2

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fa questa seconda proposta : « Dal momento che non riesco a convincerti di non esporlo, fa dunque così, se è assolutamente necessario che sia visto esposto. Siccome anch’io ho partorito, ma ho partorito un 3 bimbo morto, quésto prendilo ed esponilo, e il figlio della figlia di Astiage alleviamolo come se fosse nostro. Così né tu sarai colto a compiere un fallo verso il padrone né avremo preso una cattiva decisione, poiché il morto avrà tomba regale e il vivo non perderà la vita ».

113 . A l bovaro parve che assai saggiamente la donna parlasse in tale circostanza, e faceva quel che s’è detto. Il bimbo che aveva portato per farlo morire lo conse­ gna a sua moglie, e preso il suo che era morto lo pone 2 nel cesto in cui portava l’altro ; e adornatolo con. tutto il corredo dell’altro bimbo e, portatolo nel punto più deserto della montagna ve lo espone. Quando fu il terzo giorno da che il bimbo era stàto esposto, il bovaro andò in città lasciando lì a guardia uno dei suoi pastori e, andato a casa di Arpago, disse di 3 esser pronto a mostrargli il cadavere del bimbo. E Arpago, mandata la più fida delle sue guardie, per mezzo loro vide e seppellì il figlio del bovaro. Questo dunque veniva sepolto, mentre quello che più tardi fu chiamato Ciro lo prese e lo allévò la moglie del feòvaro, ponendogli un qualche altro nome e non quello di Ciro.218

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114 . M a quando il bambino era ormai decenne il seguente fatto che gli capitò lo fece riconoscere. Gio­ cava nel villaggio in cui erano anche le stalle del bo­ varo, e giocava nella strada con altri compagni. E i fanciulli giocando elessero ad essere loro re proprio 2 lui, che era chiamato figlio del bovaro. Ed egli dispose gli uni a costruire case, altri ad essergli guardie del

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218 Questo nome, che insieme con quello di Cambise si al­ ternava nella linea maschile degli Achemenidi (cfr. I, i i i ), gli fu posto quando venne riconosciuto come figlio di Cambise.

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(rpo ed un altro anche ad essere l’occhio del re; 219 ad uno poi dava l’incarico di portare i messaggi, a ciascuno imponendo il proprio compito. Uno di questi bambini che giocavano con lui e che 3 era figlio di Artambare, uomo illustre fra i Medi, poiché non aveva eseguito il comando ricevuto da Ciro questi ordinò agli altri fanciulli di prenderlo e, come i fan­ ciulli ebbero obbedito, Ciro conciò assai male il fan­ ciullo fustigandolo. Questi allora appena fu lasciato, ritenendo d ’aver 4 patito un castigo indegno di lui, ancor più si sdegnava, e, andato in città, si lamentava col padre del tratta­ mento che aveva ricevuto da Ciro — ma dicendo non da Ciro, ché non aveva ancora questo nome, ma dal figlio del bovaro di Astiage. Artambare, irato com’era, presentatosi davanti ad 5 Astiage conducendo con sé il figlio, diceva che aveva avuto a soffrire intollerabile ingiuria, aggiungendo: « O re, da un tuo schiavo, dal figlio di un bovaro, così fummo ingiuriati» — e mostrava le spalle del figlio.

115 . Astiage, dopo aver visto e udito ciò, volendo 1 per riguardo ad Artambare punire il fanciullo, man­ dava a chiamare il bovaro e il figlio. Quando entrambi comparvero, volgendo lo sguardo verso Ciro Astiage diceva: « T u dunque, che sei figlio di cotesto uomo, 2\ hai osato trattare così indegnamente il figlio di questi, ! che ha presso di me il primo posto ? ». E quello rispon­ deva così: « O re, io gli feci questo giustamente. I fanciulli del villaggio, fra i quali era anche costui, giocando mi elessero loro re, poiché sembrava loro che io fòssi il più adatto a ciò. M a poi gli altri fanciulli 3 eseguivano i miei ordini, questi invece non mi dava ascolto e non ne teneva alcun conto, finché si ebbe la 219 Era la denominazione ufficiale degli uomini di fiducia del re, che avevano incarichi ispettivi (cfr. I, 100 è Sen. Cyr., V i l i , 2, io; Aesch. Pers., 980). Sulla carica v. Junge, in « K lio », X X X I I I (1940), p. 33 segg. 13

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S to r ie .

Erodoto giusta punizione. Se dunque per questo sono degno di qualche pena, eccomi qua ».

116. Mentre il fanciullo così parlava Astiage co­ minciò piano piano a riconoscerlo,220 e gli sembrava che i tratti dei volto fossero simili ai.suoi e che la ri­ sposta fosse troppo franca, e il tempo dell’esposizione 2 gli pareva concordare con l ’età del fanciullo. Colpito da tali pensieri, per un certo tempo se ne stava senza parola; e a stento infine ripresosi disse, volendo allon­ tanare Artambare, per poter mettere alla prova il bovaro prendendolo da solo a solo : « Artambare, io farò si che tu e tuo figlio di nulla abbiate a lamentarvi ». 3 Congedò così Artambare, e Ciro i servi lo condussero per ordine di Astiage nell’interno del palazzo. Poiché il pastore fu rimasto solo con lui, Astiage gli rivolgeva queste domande, dove aveva preso il bambino 4 e chi era che glielo aveva dato. Quello disse che era nato da lui e che la madre viveva ancora a casa sua. M a Astiage gli diceva che non era ben consigliato, se desiderava esporsi a tremende torture, e nel dir ciò ordinava alle guardie di prenderlo. 5 E quello portato alla tortura alla fine rivelava la verità. Cominciando fin dal principio raccontava at­ tenendosi al vero e finiva col pregarlo e supplicava di perdonarlo. 1

117 . M a quando il bovaro ebbe rivelato la verità poco ormai di lui si occupava Astiage, ma gravemente sdegnato contro Arpago ordinava alle sue guardie del 2 corpo di chiamarlo. Appena Arpago gli si presentò, Astiage gli chiese : « Arpago, in qual modo facesti mo­ rire il bambino nato da mia figlia che io ti affidai? ». Arpago, poiché vide il bovaro presente, non si mise per la via delle menzogne, per non essere colto in 3 flagrante mendacio, ma così disse: « O re, dopo che 1

22° p er ¡1 riconoscimento di principi, tema comune alla nar­ rativa orientale, cfr. W. A ly, Volksmärchen, Sagen und Novelle bei Herodot und seinen Z e^Senossen! “ *·> P· 5°·

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ebbi ricevuto il bambino mi consigliavo riflettendo in qual modo potessi agire secondo il tuo volere e come d ’altra parte io stesso, restando privo di colpe verso di te, non mi rendessi colpevole né nei confronti di tua figlia né di te stesso. Infine questo faccio: chiamato 4 questo bovaro qui gli consegno il bimbo, dicendo che eri tu che comandavi di ucciderlo. E dicendo questo certo non mentivo, poiché tu così mi avevi ordinato. Lo affido dunque a costui con queste raccomandazioni, imponendogli di esporlo su un monte deserto e di fer­ marsi a sorvegliarlo finché fosse morto, facendogli ogni sorta di minacce se non avesse eseguito questi ordini. Dopo che, avendo costui adempiuti i comandi, il bimbo 5 fu morto, mandati i più fidi degli eunuchi 221 io stesso per mezzo loro lo vidi e lo seppellii. Così stanno le cose, o re, nei riguardi di questa faccenda, e tal sorte ebbe il bimbo ».

118. Arpago gli rivelava il vero, ma Astiage, celan- 1 dogli il risentimento che nutriva verso di lui in seguito all’accaduto, dapprima a sua volta narrava ad A r­ pago i fatti come li aveva uditi egli stesso dal bovaro, poi, come glieli ebbe ripetuti, concludeva col dire che il bambino era vivo e che quel che era accaduto era ben fatto. « D i quel che era stato fatto a questo bimbo 2 — diceva — assai m ’addoloravo, e non prendevo alla leggera il fatto di essere odioso a mia figlia. Dal mo­ mento dunque che la sorte si è felicemente mutata, manda tuo figlio presso il fanciullo che è qui giunto or ora e, poiché voglio offrire un sacrificio di ringra­ ziamento per la salvezza del bimbo a quelli degli dei cui tale onore è dovuto, vieni da me a pranzo ». 119. Arpago come udì ciò, prosternatosi e conside- 1 rando gran fortuna il fatto che il suo fallo s’ era volto in bene e che come auspicio di buona fortuna era stato invitato a pranzo, se ne andava a casa. Appena entrato — aveva un solo figlio di circa 2 221 Erano considerati i più fedeli servitori,· cfr. V i l i , 105.

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tredici anni — lo fa chiamare, ordinandogli di andare a casa di Astiage e di fare quel che egli gli comandasse. Egli stesso assai lieto narra alla moglie l’accaduto. 3 M a Astiage, come giunse a lui il figlio di Arpago, fattolo sgozzare e tagliare a pezzi, parte delle carni le fece arrostire parte lessare e, dopo averle fatte bene 4 apparecchiare, le teneva pronte. Quando poi, giunta l’ora dell a cena, comparvero i convitati e fra gli altri Arpago, agli altri e a sé Astiage imbandiva tavole piene di carni di montone e ad Arpago quelle di suo figlio, tutte ad eccezione della testa e delle estremità delle mani e dei piedi. Queste stavano a parte in un canestro coperto. 5 Quando ad Arpago parve d’esser sazio di cibo, Astiage gli chiedeva se il pranzo glierapiaciuto. Quando Arpago ebbe detto che molto gli era piaciuto, quelli cui era stato ordinato portarono la testa del figlio coperta e le mani e i piedi, e fermatisi davanti ad A r­ pago lo invitavano a scoprire e a prenderne quel che 6 voleva. Ubbidendo Arpago e scoprendo vede i resti del figlio; pure a Tal vista non si abbatté, ma rimase padrone di sé. Astiage allora gli chiedeva se riconosceva 7 di che bestia aveva mangiato le carni. Ed egli ri­ sponde che lo riconosceva e che a lui era gradito tutto ciò che il re faceva. Dopo aver così risposto, presi i resti delle carni se ne andava a casa e li, a quanto io credo, raccolti tutti i resti attendeva a seppellirli.

120. Ad Arpago dunque Astiage inflisse questa pena; poi, riflettendo nei riguardi di Ciro, faceva chiamare gli stessi magi che gli avevano spiegato il sogno. E quelli parlavano allo stesso modo, dicendo che era destino che il bambino regnasse, se ancora viveva è se non era morto prima. 2 Ed egli rispondeva loro così: « Esiste il bambino ed è in vita, e mentre viveva in campagna i bambini del villaggio lo elessero re. Ed egli fece tutto quello che fanno i veri re, e regnava, dopo aver istituito guardie del corpo e guardie delle porte e messaggeri

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e tutto il resto. O r dunque, a che conclusione vi sembra che ciò porti ? ». Risposero i magi : « Se è 3 vivo il bambino ed ha regnato senza alcuna premedi­ tazione, rassicurati a questo riguardo e sta di buon animo, ché non regnerà ormai una seconda volta. Del resto perfino alcuni degli oracoli,222 a quanto noi sap­ piamo, si sono risolti in avvenimenti di poco conto, e certo anche i sogni avviene che si risolvano in cose del tutto insignificanti ». Astiage così riponde : « Anch’io, o magi, sono assai 4 incline a questo parere, che avendo il bimbo già avuto il nome di re il sogno si è già avverato e questo bam­ bino non è più affatto temibile per me. Tuttavia dopo aver ben riflettuto consigliatemi quale sarà la condotta più sicura per me, per la mia casa e per voi ». A queste 5 parole i magi risposero : « O re, anche a noi sta assai a cuore che il tuo potere rimanga saldo. Altrimenti esso cade in mano straniera, passando a questo fanciullo che è Persiano, e noi che siamo Medi diveniamo schiavi e, es­ sendo stranieri, non siamo tenuti in nessun conto dai Persiani. Se invece sei re tu, che sei nostro concittadino, anche noi partecipiamo al governo e riceviamo da te grandi onori. Perciò noi dobbiamo in ogni modo aver 6 cura di te e del tuo regno. E se ora avessimo visto qual­ che cosa di preoccupante, tutto t’avremmo preannun­ ciato. M a adesso, dal momento che il sogno si è risolto in uria cosa da nulla, noi siamo tranquilli e consigliamo a te di fare lo stesso. Tuttavia questo bambino toglitelo dalla vista e rimandalo in Persia presso i suoi genitori ».

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121. Udito ciò Astiage si rallegrò e, chiamato Ciro, gli disse: « Figlio mio, 10 a causa di una visione avuta in sogno e che non si è realizzata sono stato ingiusto verso di te, e per tuo proprio destino sei rimasto in vita. O r dunque vattene lieto in Persia, e manderò con te

222 Gli oracoli possono essere male interpretati, ma sono però sempre m sé veritieri; i sogni invece possono essere anche di pro­ posito ingannatori.

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una scorta. L ì giunto troverai un padre e una madre ben diversi da. Mitridate iì bovaro c da sua moglie ».

122. Così detto, Astiage congeda Ciro. D i ritorno nella casa di Cambise lo ricevettero i genitori e quando, ricevutolo, si furono da lui informati, assai lietamente 10 accolsero, poiché credevano che subito allora fosse morto, e gli chiedevano in che maniera fosse sopravvis­ suto. E quello raccontava loro, dicendo che prima non sapeva nulla ed era vissuto nel più completo errore, ma che durante il viaggio era venuto a conoscenza di tutte le sue avventure; egli sapeva infatti di_ esser figlio del bovaro di Astiage, mentre dopo il viaggio fin là aveva appreso da quelli che lo accompagnavano tutta la storia. E narrava di essere stato allevato dalla moglie del bovaro, e andava continuamente lodandola, e dovunque nel suo racconto c’era _Kyno. I suoi geni­ tori, appreso questo nome, perché ai Persiani sembrasse che in modo più miracoloso fosse sopravvissuto il loro figlio, sparsero la voce che una cagna aveva nutrito Ciro quando era stato esposto. D a questo dunque derivò tale leggenda.223

123. A Ciro, che era ormai divenuto uomo ed era 11 più valoroso e il più amabile dei coetanei, cercava di accostarsi Arpago inviandogli doni, poiché deside­ rava vendicarsi di Astiage. D a parte sua che era un semplice privato non vedeva possibilità di vendetta nei confronti di Astiage, ma, vedendo Ciro adulto, cercava 223 per una analoga razionalizzazione del mito cfr. la leg­ genda di Romolo e Remo. Il cane era inoltre animale sacro ad Ahuramazda (cfr. I, 140). Su tutta la storia di Giro cfr. R . Schubert, Herodots Darstellung

der Kyrossage.

Della figura di Giro si impadronì la leggenda popolare; già a Erodoto ne erano note varie versioni, tutte basate sul comune presupposto di considerarlo un uomo inviato dalla divinità, allo scopo di conquistare il regno medo e di unificare in un impero universale tutto il mondo fino allora noto. Su Giro, la sua genea­ logia, le questioni concernenti la sua nascita, ecc., cfr. Pràsek, op. cit., I, p. 178 segg.

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di T.irselo amico, confrontando le sventure di Ciro alle Già prima di ciò questo egli aveva fatto: essendo 2 A-'iiage aspro verso i Medi Arpago, accostandosi a eiasi mio dei primi fra i Medi, cercava di persuaderli che bisognava che eleggessero loro capo Ciro e deponessero dal potere Astiage. Fatto ciò, quando tutto fu pronto allora Arpago, 3 \oli ado svelare il suo piano a Ciro che viveva in Persia, 11011 ne aveva altrimenti in alcun modo la possibilità (■•.M-ndo le strade sorvegliatele allora ricorse a questo i'sjx diente: preparata una lepre e apertole il ventre 4 senza spellarla, così come stava, vi pose dentro una lcilc-ra, scrivendovi quel che pensava. Poi, ricucito il ventre della lepre e date delle reti come se fosse un cac­ ciatore al più fidato dei servi, lo mandava in Persia, ordinandogli di consegnare la lepre a Ciro e di aggiun­ ge) c a voce che l’aprisse di sua mano e che nessuno fosse ]i k ' ente a questa operazione.

124 . Questi ordini furono eseguiti, e Ciro, ricevuta 1 la Ii-pre, la aprì, e trovata in essa la lettera che c’era (li-mro la prese e la lesse. Lo scritto diceva così: « O filili" di Cambise, poiché gli dei ti proteggono — non saresti altrimenti mai giunto a tal grado di fortu­ na - vendicati ora_ di Astiage, il tuo uccisore. Ché 2 ’[)< 1a di Astiage perché non ti uccisi ma ti consegnai al bovaro. Tu dunque, se vuoi dar retta a me, della terra mi 1 ni Astiage regna, di tutta quella sarai re. Persuadi i l\ isiani a ribellarsi e marcia contro i Medi. È se io 3 stesso sarà nominato da Astiage comandante contro di te, tu otterrai quel che vorrai, e parimenti se sarà no­ minato qualche altro dei più illustri Medi, perché questi i24 Dato che delle sventure d’entrambi uno era l’autore, Astiage.

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per primi, ribellandosi a lui e passando dalla tua parte, procureranno di abbattere Àstiage. Poiché dunque qui tutto è pronto, fa questo che ti ho detto, e fallo in fretta».

125 . Udito ciò, Ciro rifletteva quale fosse il modo più saggio per persuadere i Persiani a ribellarsi, e riflet­ tendo trovava che il più adatto era il seguente, e quindi 2 lo metteva in atto. Dopo aver scritto in una lettera quel che voleva, convocò l’assemblea dei Persiani e poi, spiegato il plico e leggendolo, diceva che Astiage lo nominava comandante dei Persiani : 225 « Ó r dunque — diceva continuando — o Persiani, io vi ordino di presentarvi tutti con una falce». Ciro questo ordinava. 3 Numerose sono le tribù dei Persiani. Alcunildi esse Ciro riunì e persuase a ribellarsi ai Medi; 226 sono le seguenti, dalle quali dipendono tutti gli altri Per­ siani: Pasargadi, Marafi, Maspi. D i questi i Pasargadi 227 sono i più nobili, e dì essi costituiscono una stirpe gli Achemenidi, donde derivano i re discendenti 4 da Perseo.228 G li altri Persiani sono i seguenti: Pantialei, Derusiei, Germani; questi sono tutti agricoltori,

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225 Erodoto considera erroneamente la Persia, che formava un regno almeno nominalmente autonomo, come una qualunque provincia dell’impero medo. 236 La prima impresa di Ciro, presupposto di tutte le successive e particolarmente della lotta contro la Media, fu proprio l'unificazione delle varie tribù persiane. I principi delle varie stirpi (cfr. Pràsek, ofi. c it, I, p. 203) cedono una parte dei loro diritti, ricevendone in cambio privilegi. Hanno così origine i Sette di cui parla già Eschilo {Pers., 956 segg.) e che Erodoto, pur accennando già in III, 68 a particolari privilegi goduti da Otane, riporta solo al periodo di Dario. Bisogna supporre che, almeno per un primo periodo, il re venisse a trovarsi dinanzi a questi capi a lui inferióri in una posizione di primus inter pares. 227 Nell’alta Siria, dove sorge, a sud-est di Persepoli, la capitale di Ciro. Sulla ubicazione, in buona parte incerta, delle altre tribù, cfr. Pràsek, op. cit., I, p. 201 seg. 228 Basandosi sulla omofonia delle parole, si pretendeva che esistesse un legame di parentela fra Perseo e la Persia; da Perseo sarebbero discesi i re Persiani.

i seguenti altri invece sono nomadi: Dai, Mardi, Dropici, Sagarti.

126. Come dunque tutti si presentarono con lo stru- 1 mento indicato, allora Ciro, siccome c’era una località della Persia coperta di pruneti ed estesa da ogni lato circa 18 stadi, comandava loro di dissodare quella lo­ calità in una giornata. Quando i Persiani ebbero eseguito il compito loro 2 imposto, in secondo luogo ordinava loro di presentarsi il giorno seguente dopo essersi lavati. Frattanto, ra­ dunati in quello stesso luogo branchi di capre e greggi e tutte le mandre di buoi del paese, li faceva sgozzare e faceva apparecchiare per ricevere la folla dei Per­ siani, e vi aggiungeva ancora vino e le vivande più squisite. Giunti nel giorno seguente i Persiani, li fece sdraiare 3 nel prato e offriva loro un lauto banchetto. Quando poi ebbero terminato il pranzo, Ciro chiedeva loro se il trattamento che avevano avuto il giorno prima o quello del giorno presente era loro più gradito. Quelli 4 risposero che grande era la differenza fra l’uno e l’al­ tro, ché nel giorno precedente avevano avuto tutte cose cattive, nel presente invece tutte cose buone. A p ­ pigliatosi a queste parole, Ciro svelò tutto il piano di­ cendo: « Uomini Persiani, così stanno per voi le cose: 5 se volete ubbidirmi ci sono per voi questi e infiniti altri beni, senza che abbiate alcuna fatica servile; se invece non volete obbedirmi ci sono per voi travagli simili a quelli di ieri, in numero infinito. O r dunque datemi 6 ascolto e rendetevi liberi. Io stesso invero credo di essere nato per divina sorte a prendere nelle mie mani questa impresa e ritengo che voi siate uomini non da meno dei M edi né nelle cose dì guerra né in tutto il resto. Stando dunque così le cose, ribellatevi al più presto ad Astiage ».

127. 1 Persiani, avendo trovato un capo, ben volen- 1 tieri tentavano di rendersi liberi, e già da tempo mal sopportavano di essere governati dai Mèdi.

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Astiage, come seppe che Ciro faceva ciò, mandatogli 2 un messaggero lo faceva chiamare. E Ciro comandava al messo di rispondere che sarebbe giunto presso di lui più presto di quanto Astiage stesso non desiderasse. Udito ciò, Astiage armò tutti i Medi e, accecato com’era dagli dei, nominò loro comandante Arpago;dim enti3 cando ciò che gli aveva fatto. M a quando i Medi mos­ sisi contro i Persiani vennero a scontrarsi con essi, al­ cuni di loro combattevano, quanti cioè non erano a parte del piano, altri disertavano passando dalla parte dei Persiani, i più poi si mostravano deliberatamente vili e si davano alla fuga. z

128. Dissoltosi in modo vergognoso l ’esercito dei

Medi, Astiage appena lo seppe disse, minacciando Ciro : « M a neppure così Ciro avrà di che rallegrarsi ». 2 Ciò detto, prima di tutto fece impalare fra i magi gli interpreti dei sogni che lo avevano persuaso a lasciar andare Ciro, quindi armò tutti i Medi rimasti in città, 3 giovani e vecchi. Condottili in campo e scontratosi coi Persiani fu vinto, ed Astiage stesso fu fatto prigioniero e rovinò i Medi che aveva condotti in campo.229

129. Mentre Astiage era prigioniero Arpago, avvicinatoglisi, godeva della sua sventura e lo scherniva, e fra le altre parole pungenti che gli rivolgeva gli chie­ deva come gli pareva la schiavitù in luogo del regno, in cambio del suo pranzi), quello che gli aveva imbandito 2 con le carni del figlio. E quello guatandolo gli chiedeva se considerava opera sua quel che Ciro aveva fatto. Arpago diceva di sì, che lui aveva scritto a Ciro, e che 3 a ragione l’opera era sua. Astiage allora ragionando gli dimostrò che era il più maldestro e il più iniquo di tutti gli uomini, il più maldestro perché, mentre aveva

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229 j j racconto va lentamente, quasi faticosamente, uscendo dal campo leggendario per entrare in quello storico. Storica la lotta con Astiage, che si trova riferita brevemente nella « Cro­ naca di Babilonia ». Cfr. G. Buchanam Gray, Camb. Ano. Hist.s I V (1930), p. 7, e anche Pràsek, op. cit., I, p. 206 segg.

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la possibilità di divenire egli stesso re, se davvero per causa sua s’erano compiuti tutti quegli avvenimenti, aveva dato ad un altro il regno, e il più iniquo perché a causa del pranzo aveva reso schiavi i Medi : se infatti 4 doveva assolutamente conferire a qualche altro il regno e non tenerlo lui stesso, sarebbe stato più giusto che tale beneficio lo assegnasse a qualcuno dei Medi piuttosto che dei Persiani. Ora invece i Medi che di tutto ciò non avevano alcuna colpa erano divenuti schiavi invece che padroni, mentre i Persiani che prima erano schiavi dei Medi erano ora divenuti padroni.

130. Astiage dunque dopo aver regnato per 35 anni 1 lù in tal modo deposto dal trono, e a causa della sua crudeltà i Medi dovettero piegarsi a.1 dominio dei Per­ siani, essi che avevano dominato l ’Asia al di là del fiume Halys per 128 anni,230 eccetto il periodo in cui regnarono gli Sciti. Più tardi però si pentirono d’aver 2 agito così e si ribellarono a Dario; 231 ma dopo essersi ribellati furono di nuovo sottomessi, essendo stati vinti in battaglia. I Persiani e Ciro sollevatisi allora, al tempo di Astia­ ge, contro i Medi, dominarono da quel momento l’Asia. Astiage poi Ciro se lo tenne presso di sé, senza fargli 3 alcun male, finché morì.232 Ciro dunque, dopo esser così nato ed esser stato così allevato, divenne re e successivamente assoggettò Creso 230 II Legrand risolve abilmente la difficoltà cronologica che deriverebbe dall’attribuire a Deioce 53 anni di regno, 22 a Fraorte, 40 a Classare e 35 ad Astiage, invertendo i numeri riferentisi ai primi due re. In tal modo la somma degli anni di regno degli ultimi tre, i soli che abbiano effettivamente «dominato l ’A sia», è, come dice Erodoto, di 128. 231 Questa rivolta, ignota da altre fonti letterarie, è stata con­ fermata dall’iscrizione di Behistun, ed ebbe luogo all’inizio del regno di Dario. Cfr. Junge, op. cit., p. 49 segg. e già Pràsek, op. cit., II, p. 33 segg. 232 Secondo il costume di umana generosità che, in op­ posizione a tutti i precedenti conquistatori Assiri, Babilonesi, Giudei e Fenici, Ciro inaugurò nei confronti dei vinti. Così — come vedremo — ■sarà più tardi risparmiata la vita a Creso.

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che per primo aveva dato inizio alle offese, secondo quanto è stato prima da me narrato. E così, assoggettato questi, regnava su tutta l’Asia.

131 . I Persiani io so che osservano i seguenti costu­ mi: non hanno l’ abitudine di innalzare statue e templi e altari, anzi rimproverano di stoltezza quelli che fanno ciò, a quanto io credo perché essi non credono come gli Elleni che gli dei abbiano figura umana. Sono invece soliti fare sacrifici a Zeus salendo sui monti più alti, e chiamano Zeus 233 tutta la volta del cielo. Sacrificano al Sole e alla Luna, e alla Terra e al fuoco e all’acqua e ai venti. A queste sole divinità sacrificano fin dalle origini, mentre hanno inoltre imparato a offrire sacri­ fici anche ad Urania, avendolo appreso dagli Assiri e dagli Arabi. G li Assiri chiamano Afrodite Militta, gli Arabi Alilat, i Persiani M itra.234 132. Il modo seguito dai Persiani per il sacrificio ai suddetti dei è il seguente: non erigono altari né ac­ cendono fuochi quando vogliono sacrificare, non usano libagioni né flauto né bende né grani d’orzo. Quando uno di essi vuole fare un sacrificio all’uno o all’ altro degli dei, condotta la vittima in un luogo puro invoca il dio, dopo essersi incoronata la tiara, a preferenza di mirto. A colui che offre un sacrificio non è lecito di invocare favori soltanto per sé in particolare, ma egli prega che tutti i Persiani ed il re abbiano buona for­ tuna, dato che fra i Persiani è compreso anche lui. Dopo che, sminuzzate a brani le carni della vittima, le ha bollite, vi stende sotto dell’erba, la più tenera pos­ sibile e preferibilmente trifoglio, e su questa pone tutte le carni. Quando egli le ha deposte un mago 235 che 233 Con esso Erodoto identifica il dio supremo dei Persiani Ahura M azda. La identificazione con la volta celeste non pare però esatta. 2M Sembra che Erodoto abbia scambiato, probabilmente a causa della sua desinenza in -a, il nome del dio solare M itra con un nome femminile. 236 Con tale nome, che indicava originariamente una tribù dei Medi,, i Greci chiamavano i sacerdoti persiani.

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«•li sta accanto canta una teogonia 236 — tale appunto essi affermano sia il carattere del canto. Senza un mago non è loro lecito compiere sacrifici. Dopò aver atteso per un po’ di tempo, il sacrificante porta via le i arni e le usa come vuole.

133. Fra tutte le giornate usano celebrare particolar- i intente quella in cui ciascuno è nato. In questa giornata i ssi ritengono giusto imbandire un pranzo più abboni lante che negli altri giorni; in questo giorno i ricchi si fanno imbandire un bue e un cavallo e un cammello e un asino interi arrostiti al forno; i poveri imbandi­ scono capi di bestiame minuto. Usano pochi piatti 2 sostanziosi ma molti piatti di delicatezze e non tutti insieme; i Persiani dicono che i Greci cessano di man­ giare mentre hanno ancora fame per questa ragione, die dopo il pasto non viene più servito loro alcun cibo di pregio, e che, se qualcosa di buono fosse servita, non cesserebbero di mangiare. A l vino sono molto dediti, ma non è loro lecito 3 \ omitare né orinare dinanzi ad un’altra persona. Queste norme essi osservano. Hanno poi l’abitudine di deliberare sugli affari più importanti mentre sono ebbri. La decisione che piacque 4 loro di prendere, il giorno successivo la propone mentre sono a digiuno il padrone della casa nella quale si tro­ vano a discutere; e se aggrada loro anche quando sono a digiuno se ne valgono, se non aggrada la abbandonano; c le decisioni che abbiano prima preso a digiuno le riesaminano quando sono ebbri.· 134. Quando si incontrano fra loro per strada, da 1 questo si può riconoscere se duelli che si incontrano sono di pari grado: invece di rivolgersi l’un l’altro parole di saluto si baciano sulla bo 1 Se invece l’uno è di poco inferiore si baciano sulle guance; se poi uno è di molto 236 Formule di preghiere, in cui venivano nominate ed invo­ cate varie divinità con i loro particolari attributi, non quindi vera e propria teogonia sul tipo di quella esiodea.

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meno nobile inginocchiandosi si prosterna dinanzi al­ l’ altro. 2 Tengono in pregio, sopra tutti ma dopo sé stessi, quelli che abitano loro più vicino, in secondo luogo quelli che sono per distanza al secondo posto, e poi continuando secondo questo ordine stimano gli altri; meno di tutti tengono in considerazione quelli che abitarió più lontano da loro, ritenendo di essere essi stessi di gran lunga 1 migliori degli uomini in tutte le cose e che gli altri partecipino delle virtù secondo la propor­ zione suddetta, e che quindi quelli che abitano più 3 lontano da loro siano i più spregevoli. Allo stesso modo anche sotto il dominio dei Medi un popolo dominava sull’altro, i Medi su tutti e su quelli che abitavano loro più vicino, questi a loro volta sui loro confinanti, questi su quelli loro più vicini. Secondo questo stesso criterio anche i Persiani accordano la loro stima ; ógni popolo gradatamente comandava ed esercitava sugli altri la sua tutela.

135. I Persiani accolgono costumi stranieri più di tutti gli altri uomini.237 Usano infatti vesti mede, ri­ tenendo che siano più belle delle loro, e in guerra corazze egiziane ; una volta che li abbiano appresi si abbandonano ad ogni sorta di piaceri, e fra l’altro praticano anche la pederastia, avendola appresa dai Greci. Ciascuno di essi sposa molte mogli legittime e si acquista concubine in numero ancora molto maggiore. 136. È considerato come merito, dopo l’esser valo­ rosi in battaglia, il poter mostrare più figli; è a chi di loro ne può mostrare di più il re invia ogni anno doni. Il numero è considerato potenza. 2 Insegnano ai figli cominciando dall’età di 5 anni fino a 20 anni tre cose sole: cavalcare, tirar d’ arco e dire Ja_ verità. Prima che sia cinquenne il bambino non viene al cospetto del padre ma vive presso le donne.

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237

Su questa facilità nel mutare costumi cfr. P. J. Junge,

Völker des altpers. Weltreiches, cit., pass.

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Per questa ragione fanno così, perché se durante l’alle­ vamento muore non procuri al padre alcun dolore.

137 . Io approvo questo loro costume, e anche il se- 1 guente approvo, che per una sola colpa neppure il re stesso può uccidere alcuno, né alcuno degli altri Per­ siani può infliggere pena irrimediabile ad alcuno dei suoi servi per una colpa sola; ma, considerate bene le cose, se trova che le colpe sono più numerose e più grandi dei servigi resi, allora sfoga la sua ira. Dicono poi che nessuno ha mai ucciso il proprio 2 padre né la madre; sostengono anzi che tutte le volte che simili delitti avvengono è assolutamente certo che, facendo ricerche, si trovi che erano figli o supposti o adulterini, poiché affermano che non è possibile che il vero genitore muoia per mano del suo proprio figlio.

138 . Delle cose che non è loro lecito fare non è le- 1 cito neppure parlare. I,a.cosa più turpe è da loro consi­ dera ta il mentire, e in secondo luogo l’ayer debiti, anche per molte altre ragioni, ma soprattutto perché dicono che al debitore è necessario dire anche bugie. Quello dei cittadini che abbia la lebbra o la « malattia bianca » 238 non può entrare in città né accostarsi agli altri Persiani. Dicono che ha questi mali per aver commesso qualche fallo contro il Sole. Ogni straniero 2 colpito da questa malattia lo scacciano dal paese, e molti scacciano anche le colombe bianche, attribuendo loro la stessa colpa. Nel fiume non orinano, non spu­ tano e non si lavano le mani né permettono che alcun altro lo faccia, ma venerano moltissimo i fiumi. 139. E quest’altra particolarità si trovano ad avere, che ai Persiani stessi sfugge, ma a noi no: i loro nomi,239 238 M alattia della pelle, che probabilmente ne risultava-seolorita o squamata. 239 Erodoto si riferisce verosimilmente alla trascrizione greca dei nomi maschili persiani. Nel persiano antico invece la sibilante finale si conserva solo dopo i oppure u.

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che sono tutti corrispondenti a qualità fisiche e alla loro imponenza, terminano tutti con la stessa lettera, che i Dori chiamano «san»,240 gli Ioni «sigma». Se su questo farai ricerche, troverai che i nomi dei Persiani finiscono nello stesso modo, non gli uni sì gli altri no, ma tutti.

140 . Tutte queste notizie su di loro posso affermarle con sicurezza, beri conoscendole. L e seguenti invece, che riguardano i defunti, vengono narrate come cose misteriose e non con certezza, che cioè il cadavere di un Persiano non viene seppellito prima che sia stato 2 straziato da uccelli o da cani.241 I magi so con certezza che fanno questo; lo Tanno infatti pubblicamente.. In ogni modo i Persiani pongono sotterra il cadavere dopo averlo spalmato di cera. I magi differiscono di molto 3 sia dagli altri uomini, sia dai sacerdoti d’Egitto: questi infatti si astengono per purezza dall’uccidere alcun essere vivente, all’infuori di quelli che sacrificano; i magi invece uccidono di propria mano qualunque es­ sere vivente, tranne il cane e l’uomo, e considerano questo una grande prodezza, uccidendo ugualmente formiche e serpenti e gli altri animali che strisciano e che volano. M a riguardo a questo costume stiano pure le cose come già da principio venne stabilito, e io torno alla precedente narrazione. 1

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141. Gli Ioni e gli Eoli, appena i Lidi furono sotto­ messi dai Persiani, mandavano ambasciatori a Sardi presso Giro, desiderando essere suoi sudditi alle stesse condizioni con cui lo erano stati di Creso. M a egli, udite le loro proposte, narrava loro una favola, dicendo che un suonatore di flauto, avendo visto dei pesci nel 24° p resso i Dori rimase a lungo questo nome di una delle due sibilanti dell’alfabeto fenicio, di cui i Greci adottarono una sola, per la quale la denominazione generalmente accettata divenne quella ionica (sigma). 241 p e r non contaminare, secondo le prescrizioni di Ahura M azda, nessuno dei tre elementi (fuoco, acqua, terra).

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mare, si mise a suonare il flauto, credendo che sarebbero usciti e venuti a riva ; ma, siccome fu deluso nella sua 2 speranza, prese una rete e catturò una grande massa di pesci e la trasse a riva, e vedendoli dibattersi disse an­ cora ai pesci: « Smettete di danzare, dal momento che quando io suonavo il flauto non voleste uscire a ballare ». Ciro raccontava questa storiella agli Ioni e agli 3 Eoli per questa ragione, perché gli . Ioni precedentemerite, quando Ciro stesso li aveva pregati per mezzo di ambasciatóri di staccarsi da Creso, non gli avevano dato ascolto, e allora invece, a cose fatte, erano pronti ad obbedire a Ciro. Egli dunque, preso dall’ira, quésto 4 diceva loro; e gli Ioni, come udirono questa risposta quando fu riportata nelle loro città, si cingevano cia­ scuno di mura e si radunavano nel Panionio,242 tutti meno i Milesi. Con questi soli infatti Ciro aveva con­ cluso un patto alle stesse condizioni a cui l’aveva con­ cluso il Lido. Gli altri Ioni decisero di comune accordo di mandare ambasciatori a Sparta, per chiedere di soccorrere gli Ioni.

142. Questi Ioni cui appartiene anche il Panionio 1 fra tutti gli uomini che io conosco ebbero in sorte di aver fondato le loro città nel luogo più felice per cielo e per clima. Infatti né le regioni a nord di queste né 2 quelle a sud si trovano nelle stesse condizioni della Ionia, né quelle verso oriente né quelle verso occidente, ma le une sono oppresse dal freddo e dall’umidità, le altre dal caldo e dalla siccità. Essi non usano la stessa lingua ma quattro varietà 3 di dialetti. Mileto è la loro prima città verso mezzo­ giorno; seguono Miunte e Priene; queste sono poste nella Caria e parlano nello stesso modo, le seguenti invece sono nella Lidia: Efeso, Colofone, Lebedo, Teo, Clazomene, Focea. Queste ultime città non con- 4 cordano affatto rispetto alla lingua con quelle nominate prima, ma hanno lingua comune fra loro. Rimangono 242 Tempio centro delPanfizionia cui aderivano tutti gli Ioni d’Asia, nel territorio di Paiene. 14

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ancora tre città ioniche delle quali due sono poste su isole, Samo e Chio, una invece è situata sul continente, Eri tre. I Ghii e gli abitanti di Eri tre hanno la stessa lingua, i Sami invece soli hanno una lingua a sé. Queste sono le quattro varietà di lingue.

143. Dunque, di questi Ioni i Milesi erano al sicuro da timore, avendo concluso il patto, e così pure fra essi gli abitanti delle isole non avevano nulla da temere, ché i Fenici non erano ancora in quel tempo sudditi dei Persiani né i Persiani erano marinai. 2 Si separarono questi Ioni dagli altri per nessun’altra ragione se non perché, pur essendo allora debole tutta la stirpe greca, quello degli Ioni era di gran lunga il più debole di tutti i popoli e quello di minor conto; tranne Atene infatti non c’ era nessun’altra città note3 vole. Perciò gli altri Ioni 243 e anche gli Ateniesi rifug­ givano da tale nome, non volendo esser chiamati Ioni, ed anche ora mi pare che la maggior parte di essi si vergogni di tale denominazione. Invece queste dodici città si gloriavano di tal nome ed eressero un santuario per sé sole cui posero il nome di Panionio, e decisero di non farne partecipe alcun altro degli Ioni — del resto veramente nessuno richiese loro di esserne partecipe, ad eccezione degli abitanti di Smirne.

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144. Similmente i Dori del territorio detto ora Pentapoli, lo stesso che era detto prima esapoli, si guar­ dano bene dall’accogliere alcuno dei Dori loro vicini 243 Nel V sec. dominava effettivamente un certo disprezzo, in tutta la Grecia e soprattutto in Atene, per gli Ioni, in quanto soggetti ai barbari e sempre più aperti al loro influsso ed a me­ scolanze di sangue. Come dal concetto di «Ioni = Greci» si sia passati a questo disprezzo degli Ateniesi per la vecchia denomi­ nazione è chiaramente e acutamente esposto, con disamina dei vari tentativi di soluzione precedenti, da S. M azzarino, op. cit. p. 77 segg. L ’ipotesi, in sè plausibile ed accettabile, è che il mutamento dei sentimenti dei Greci nei confronti della grecità d ’Asia Minore sia stato dovuto a motivi politici, particolarmente alla mancata partecipazione degli Ioni d ’Asia alla lotta dei Greci d ’ Europa contro Serse.

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nel tempio Triopico; 244 anzi anche di loro stessi hanno escluso dalla partecipazione quelli che commisero una azione contraria alle leggi del tempio. Infatti nei giochi in onore di Apollo Triopio antica­ mente ponevano come premio per i vincitori tripodi di bronzo, e questi era prescritto- che chi li riceveva non }i portasse fuori dal tempio ma li consacrasse al dio. Ora, un uomo di Alicarnasso di nome Agesicle, avendo vinto trascurò la legge e, portatosi via il tri­ pode, lo appese con un chiodo nella sua casa. Per questo motivo le cinque città Lindo, Ialiso, Gamiro, Gos e Cnido esclusero dalla partecipazione la sesta città, A li­ carnasso. A d essa dunque esse inflissero questa punizione.

145 . Io ritengo che gli Ioni abbiano formato dodici città e non abbiano voluto accoglierne di più per questa ragione, che anche quando abitavano nel Pelopon­ neso 245 dodici erano i loro distretti, come ora dodici sono i distretti degli Achei che hanno scacciato gli Ioni; il primo è Pallene verso Sicione, e poi Egira e Ege, in cui c’è il fiume Cratis,246 fiume perenne, dal quale prese nome il fiume d’ Italia,247 e Bure e Elike, in cui si rifu­ giarono gli Ioni vinti in battaglia dagli Achei, e Egio e Ripe e Patre e Fare e Oleno in cui si trova il Piro, grande fiume, e Dime e Tritea, unico centro abitato dell’interno. Questi dodici distretti sono ora degli Achei ed erano allora degli Ioni. 146 . Proprio per questo dunque gli Ioni formarono dodici città, ché dire che questi Ioni siano per qualche 244 Posto sul promontorio Triopico, nella penisola di Cnido. Il nome deriva dal mitico fondatore Triopos; costituiva il paral­ lelo del Panionio, era cioè il centro religioso e nazionale delle città doriche. 245 Sugli Ioni nel Peloponneso cfr. V I I , 94. Nel Peloponneso essi avrebbero avuta la loro sede; di là, incalzati dagli Achei in seguito alla invasione dorica, sarebbero passati in Attica e nel­ l’Asia Minore. 246 Scende dalle montagne arcadiche ed è, al contrario degli altri analoghi corsi d’acqua, perenne. 247 Presso Turii, là seconda patria di Erodoto.

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Cosa superiori agli altri o siano di più nobile origine, dire questo sarebbe grande stoltezza : di essi infatti costi­ tuiscono non piccola parte gli Abanti 248 dell’Eubea, i quali non hanno nulla in comune con la Ionia, neppure il nome, e sono mescolati con loro Minii 249 e Orcomenii e Cadmei e Driopi 250 e Focesi dissidenti e M o­ lossi 251 e Arcadi Pelasgi e Dori di Epidauro e molti 2 altri popoli. Ed anche quelli di loro che mossero dal Pritaneo 252 di Atene e ritengono di essere i più nobili degli Ioni non condussero seco le mogli nella colonia, - ma presero donne carie, delle quali uccisero i genitori. 3 In seguito a tale strage queste donne si imposero una legge e si obbligarono con giuramenti ad osservarla e la tramandarono alle figlie, di non prendere cioè mai cibo insieme ai mariti e di non chiamare mai per nome i propri mariti per questo, perché avevano uc­ ciso loro padri, mariti, figli, e dopo aver fatto ciò le avevano sposate. Questi erano gli avvenimenti a Mileto.

147 . Come re gli uni elessero· dei Liei, discendenti da Glauco 253 figlio di Ippoloco, altri dei C au con i234 di Pilo, discendenti da Codro figlio di Melanto, e altri anche di entrambe le stirpi. Dunque, essi sono attaccati al loro nome più degli altri Ioni, anzi ammettiamo pure che siano Ioni di razza pura. Tuttavia tutti sono Ioni, quanti sono oriundi da Atene e celebrano le feste Apaturie.255 E tutti le cele­ 248 D i origine Tracia, sarebbero passati da Abe, città della Focide, nell’isola di Eubea e di là avrebbero in parte emigrato a Chio. 249 G li abitanti di Orcomeno in Beozia. 250 Cfr. V i l i , 43, 46. 251 Nella parte orientale dell’Epiro. 252 È il focolare della città, donde i coloni ricevono il fuoco sacro da trasportare nella nuova patria, quale segno della co­ munità di origine e d i culto cori la metropoli. 263 È l’eroe troiano di II., H, 252 segg. 264 Abitavano nella Trifilia, regione del Peloponneso. 265 Feste della durata di tre giorni, celebrate dai membri delle singole fratrie (suddivisioni delle tribù) nel mese di Pianepsio-

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brano ad eccezione degli Efesi e dei Colofoni; questi, soli fra gli Ioni, non celebrano le Apaturie e lo fanno àdducendo a pretesto un certo delitto di sangue.

148. Il Panionio è un luogo sacro di Micale volto verso settentrione, dedicato per comune deliberazione dagli Ioni a Posidone Eliconio. Micale è un promontorio del continente che si stende verso occidente in direzione di Samo, dove raccogliendosi dalle varie città gli Ioni son soliti celebrare le feste cui posero il nome di Pa­ nionie: hanno questa particolarità, non solo le feste degli Ioni ma anche parimenti tutte quelle di tutti i Greci, che i loro nomi terminano con la stessa lettera,253 così come con una stessa lettera terminano i nomi dei Persiani. 149. Qjuelle citate sono le città ioniche, le seguenti invece sono eoliche: Cuma detta Friconide,257 Lerisa, Neontico, Temno, Cilla, Notion, Egiroessa, Pitane, Egee, Mirina, Grinea. Queste le undici città antiche degli Eoli; una, Smirne, fu da essi staccata per opera degli foni. Anche queste infatti erano dodici, tutte sul conti­ nente. Questi Eoli ebbero in sorte una regione più ferace di quella degli Ioni, ma che non è nelle stesse felici condizioni quanto a clima. 150 . Gli Eoli persero Smirne nel modo seguente: essi accolsero alcuni abitanti di Colofone vinti in lotte di partito e esiliati dal loro paese. Più tardi gli esuli di Colofone, atteso che gli Smirnei celebrassero una festa in onore di Dioniso fuori dalle mura, chiusero le porte e occuparono la città. Ma, essendo accorsi in aiuto tutti gli Eoli, conclusero un accordo, che, consegnando loro tutti i beni mobili, gli Eoli avrebbero lasciato ne (ottobre-novembre) in onore particolarmente di Zeus e Atena Pratrii. N el corso di queste feste si compiva la cerimonia della iscrizione nelle fratrie dei figli dei cittadini godenti pieni diritti. 256 Cioè in -a.

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Smirne. Avendo gli Smirnei fatto questo, le undici città se li divisero fra loro e li fecero loro cittadini.

151. Queste sono le città eoliche sul continente, ad eccezione di quelle poste sull’Ida,258 che sono a parte. 2 Quanto alle città situate nelle isole, cinque 259 si trovano ai Lesbo -— ché la sesta situata in Lesbo, Arisba, lo as­ soggettarono i Metimnesi, benché fosse del loro stesso sangue — ; in Tenedo c’è uria sola città e nelle cosid­ dette Cento Isole 280 un’altra. 3 Gli abitanti di Lesbo e di Tenedo, al pari degli Ioni che abitano le isole, non avevano nulla da temere. Le rimanenti città invece decisero di comune accordo di seguire gli Ioni dovunque essi li guidassero. 1

152 . Appena i messi degli Ioni e degli Eoli giunsero a Sparta — ché la cosa era stata compiuta in gran fret­ ta — scelsero fra tutti per parlare l’inviato di Focea che aveva nome Pitermo. E questi si ammantò di una veste di porpora perché, sentendone parlare, un mag­ gior numero di Spartani si radunasse e, presentatosi loro innanzi, teneva un lungo discorso, pregandoli di portar loro soccorso. M a i Lacedemoni non gli presta­ vano punto ascolto, anzi decisero di non soccorrerti gli Ioni. Questi allora se ne andarono. 2 I Lacedemoni, pur avendo respinto gli inviati degli Ioni, mandarono tuttavia con una penteconterè 261 al­ cuni uomini, a quanto io credo, per indagare le fac3 cende di Ciro*'e della Ionia. Questi, giunti a Focea, mandavano a Sardi il più illustre di loro, che aveva nome Lacrine, a notificare a Ciro la ingiunzione degli Spartani di non far danno ad alcuna città della terra dell’Ellade, perché essi non l’avrebbero permesso. 1

258 È la regione dal golfo di Adramitto alla Propontide. 259 Mitilene, Anfissa, Pyrra, Ereso, Metimna. 260 Isolotti posti fra Lesbo e il continente. 261 Nave da guerra leggera, con 50 rematori disposti in un sol ordine. Fu, fino al tempo della guerra del Peloponneso, il tipo di nave più diffuso (cfr. Thuc., I, 14).

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153. Quando l’araldo ebbe annunziato ciò, si narra 1 che Ciro chiedesse a sua volta ad alcuni Greci che erano presso di lui che uomini mai fossero e quanti di numero questi Spartani che gli rivolgevano una tale ingiunzione. E saputolo disse all’araldo spartano: « Io non ho mai temuto finora uomini di tal fatta, che hanno un luogo apposito in mezzo alla città dove si riuniscono e si im­ brogliano l’un l’altro con giuramenti. A costoro, se io sono in senno, non i mali degli Ioni saranno argomento di chiacchiere, ma i loro propri ». Queste parole Ciro le pronunciò contro tutti i Greci, 2 i quali costruendo piazze se ne servono per comprare e per vendere. I Persiani infatti non sono soliti servirsi di mercati e non ne hanno affatto. Dopo di ciò, affidata Sardi a Tabalo, uomo per- 3 siano, e l’oro 262 da trasportare, sia quello di Creso che degli altri Lidi, al lidio Pactyes, se ne andò ad Ecbatana conducendo con sé Creso e non tenendo per il momento in alcun conto gli Ioni. Babilonia, il popolo della Bat- 4 triana, i Saci 263 e l’Egitto gli creavano infatti difficoltà e contro questi aveva in animo di marciare egli stesso, e di mandare invece contro gli Ioni un altro comandante. 154. M a come Ciro fu partito da Sardi Pactyes fece sollevare i Lidi contro Tabalo e Ciro; quindi, sceso verso la costa, con tutto l’oro portato da Sardi assol­ dava ausiliari e persuadeva gli abitanti della costa a marciare con lui. Spintosi fino a Sardi assediava Tabalo chiuso nel­ l’acropoli. 155. Informato durante il viaggio di tali avveni- 1 menti, Ciro così disse a Creso : « Creso, quale sarà 262 È il bottino di guerra, che sarà stato trasportato in una delle due residenze reali, a Susa o a Ecbatana. 263 Questo accenno e quello che Erodoto farà più tardi al cap. 177 devono probabilmente riferirsi (cfr. Pràsek, op. cit., I, p. 224 seg.) a conquiste svoltesi, dopo la campagna di Lidia, fra il 546 e il 540, nel lontano Oriente, particolarmente nei terri­ tori dei Battriani e dei Saci.

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per me l’esito di questi fatti? A quanto pare, i Lidi non cesseranno dal procurarmi fastidi e dall’avcrne essi stessi. Sto pensando sé la miglior cosa non sia di ridurli schiavi. Ché ora così mi pare d’aver agito, 2 come se uno, dopo aver ucciso il padre, ne risparmiasse i figli; te infatti, che sei per i Lidi più che un padre, ti ho preso e ti conduco via, e ho affidato la città ai Lidi, e poi mi meraviglio se essi mi si ribellano ». Egli diceva quel che pensava, e l’altro così gli ri­ spondeva, temendo che non avesse a distruggere Sardi : 3 « 0 re, cose giuste tu hai dette, ma non cedere assolu­ tamente alla tua collera e non distruggere una città antica che di nulla è colpevole, sia delle precedenti che delle attuali vicende. Ché le precedenti io le ho compiute e io le ho scontate e ne sopporto le conse­ guenze ; quanto alle attuali poi Pactyes ne è il Colpevole, colui cui tu affidasti Sardi, ed egli te ne paghi il fio. 4 Perdona dunque ai Lidi e questo ordina loro perché non ti si ribellino e non ti procurino timore: manda a proibire loro di possedere armi da guerra, e ordina invece che indossino sotto le vesti tuniche e che calzino coturni, e imponi loro di insegnare ai figli a suonar la cetra e a danzare e a fare i merciaioli. E ben presto, o re, li vedrai divenuti donne invece che uomini, in modo che non ti procureranno alcun timore che ab­ biano a ribellarsi ».

156. Creso questo gli consigliava, trovando ciò pre­ feribile per i Lidi all’esser venduti schiavi, ben sa­ pendo che,~se non avesse offerto un pretesto plausibile, non sarebbe riuscito a persuadere Ciro a mutare pro­ posito e temendo che i Lidi, anche se stavolta l’aves­ sero scampata, non avessero anche in seguito a ribel­ larsi ai Persiani, causando la propria rovina. 2 Ciro,, contento del consiglio e deposta l’ira, disse che gli avrebbe dato ascolto. E, chiamato il Medo Mazare, gli ordina di annunziare ai Lidi quello che Creso aveva proposto, e inoltre-dì ridurre in schiavitù tutti gli altri che insieme ai Lidi avevano marciato 1

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contro Sardi e di condurgli vivo in qualunque modo Pactyes in persona. / ■

/ 157. Ciro dunque, dopo aver impartito durante il viaggio questi ordini, proseguiva verso il paese dei Persiani. M a Pactyes, venuto a sapere che era vicino un esercito che muoveva contro di lui, atterrito se ne fuggiva a Cuma. Il Medo Mazare, mandata contro Sardi una parte dell’esercito di Ciro — quella cioè che allora aveva a disposizione — come non trovò più a Sardi i seguaci di Pactyes, prima di tutto costrinse i Lidi ad eseguire gli ordini di Ciro, e in seguito a questo comando i Lidi mutarono tutte le loro abitudini di vita. Dopo di ciò Mazare inviava messi a Cuma or­ dinando di consegnare Pactyes. I Cumei decisero di rivolgersi per consiglio al dio dei Branchidi. C ’era difatti un oracolo fondato da lungo tempo, che tutti gli Ioni ed Eoli solevano inter­ rogare. Questa località è nella regione di Mileto, al di là del porto di Panormo.

158 . I Cumei dunque, inviando nel territorio dei Branchidi messaggeri per interrogare l’oracolo, chie­ devano riguardo a Pactyes cosa mai dovevano fare per far cosa gradita al dio. A d essi che questo chiedevano fu risposto di consegnare Pactyes ai Persiani. Come i Cumei udirono questo responso quando venne loro ri­ ferito, si preparavano a consegnarlo. Mentre i più si apprestavano a ciò, Aristodico figlio di Eraclide, uomo illustre fra i cittadini, non prestando fede al responso e credendo che i messi non dicessero il vero, tratteneva i Cumei dal far· ciò finché altri delegati fossero mandati ad interrogare una seconda volta sul caso di Pactyes, e fra essi c’era anche Aristodico. 159 . Giunti ai Branchidi, in nome di tutti Aristodico interrogava l’oracolo, rivolgendogli queste domande: « O signore, venne presso di noi come supplice il lido Pactyes, fuggendo morte violenta da parte dei Persiani; e questi lo richiedono, ingiungendo ai Cumei di conse-

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2 gnarlo. M a noi, pur temendo la potenza dei Persiani, non avemmo finora animo di consegnare il supplice, prima che non ci sia da te esattamente rivelato cosa dobbiamo fare ». Egli questo chiedeva, e di nuovo veniva loro lo stesso responso che ingiungeva di conse­ gnare Pactyes ai Persiani. 3 Allora Aristodico a bella posta faceva quanto segue : girando intorno al tempio scacciava i passeri e quante altre specie di uccelli avevano fatto il nido nel tempio. Mentre egli faceva questo si dice che venisse dalla cella rivolta ad Aristodico una voce che diceva così : « O il più empio degli uomini, perché osi far ciò ? i 4 supplici del mio tempio tu distruggi ? ». E Aristodico senza esitare replicò : « O signore, tu così soccorri i tuoi supplici e poi ordini ai Gumei di consegnare un loro supplice ?» E di nuovo il dio così avrebbe risposto : « Sì, 10 ordino, affinché commettendo una empietà più pre­ sto andiate in rovina, in modo che per il futuro non veniate più ad interrogare l ’oracolo riguardo alla consegna dei supplici ».

160 . Come i Gumei ebbero udito questa risposta quando venne loro riferita, non volendo né rovinarsi consegnandolo né essere assediati tenendolo presso di 2 sé lo mandano a Mitilene,, M a i Mitilenesi, poiché Mazare mandava ambascerie perché consegnassero Pactyes, si preparavano a farlo ad un certo prezzo: quale, non sono in grado di dirlo con sicurezza, poiché 11 mercato non fu compiuto. 3 Infatti i Gumei, appena seppero che questo veniva fatto dai Mitilenesi, mandata a Lesbo una nave tra­ sportano Pactyes a Ghio. D i qui, strappato dai Chii 4 dal tempio di Atèna Poliuca,261 fu consegnato. I Chii lo consegnarono ricevendo come compenso il territorio di Atarneo. Questo Atarneo è una località della Misia, di fronte a Lesbo. Così, ...ricevuto Pactyes, i Persiani lo tenevano sotto custodia, volendo consegnarlo a Ciro. 1

264 Attributo delia divinità in quanto considerata signora e protettrice della città.

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C ’è stato un tem po non breve in cui dei C h ii nes- 5 suno faceva offerte ad alcuno degli dei di grani d ’orzo provenienti' da questa località di A tarn eo, né im p a­ stava focacce col grano di là proveniente e venivano esclusi d a tu tti i riti sacri tu tti i prodotti di quella terra.

161. I C h i i dunque consegnarono P actyes,,-^ dopo di ciò M azare m arciava contro coloro che insieme con lui avevano assediato T a b a lo , e non solo ridusse in s c h ia v itù g li abitanti di Priene, m a fece scorrerie per tu tta la pian ura del M eandro, dando facoltà di sac­ cheggio a ll’esercito, e lo stesso fece p er M agnesia.265 M a subito dopo m oriva per m alattia. 162. L u i m orto, venne com e successore nel com ando 1 A rp a g o ) che era ¡in di’ egli Mcdt> di stirpe, quello che il re dei M edi A stlage aveva convitato a ll’em pio banchétto e c h o ltv e v a aiutato C iro nella conquista del regno. Q uesti allora, eletto da C iro com andante, com e giun- 2 se nella Ionia conquistava le città p er m ezzo di terra­ p ieni: dopo averle cinte d’assedio poi, elevando terra­ pieni contro le m ura, le assaltava. 163. P er prim a nella Ion ia assalì Focea. Q uesti 1 Focesi per prim i fra i G reci fecero lunghi viaggi per . m are; essi sono che hanno scoperto l ’A d riatico e la T irren ia e l’ Ib eria e Tartesso.266 N avigavan o non su 2 n avi d a carico, m a su penteconteri.267 265 È naturalmente Magnesia al Meandro, non quella presso il Sipilo nella valle delPErmo. 276 Questo paese, su cui gli antichi davano notizie in gran parte fantastiche, era posto al di là delle colonne d’ Èrcole (stretto di Gibilterra) presso l’odierna Cadice, lungo la sponda del fiume Batis (Guadalquivir). Secondo il M azzarino (ofi. cit. p. 117 e relative note) la notizia di colonizzazione greca in questa regione sarebbe confermata dalla «tavola dei popoli» della Genesi, e ad essa si accorderebbero anche recenti ritrovamenti archeologici. 367 Usavano nei loro viaggi navi da guerra e non da carico per­ ché, cosa del resto comune in quel tempo, erano, oltre che mer­ canti, corsari.

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Giunti a Tartesso divennero molto amici del re di Tartesso che aveva nome Argantonio; questi fu re di Tartesso per 80 anni, e visse in tutto 120· anni. 3 A costui i Focesi divennero tanto cari che dapprima egli invitava i Focesi ad abbandonare il loro paese e a stanziarsi nella sua terra dove volessero, e poi, poiché a questo non riusciva a persuadere i Focesi, avendo da loro saputo che i Medi crescevano in potenza, dava loro 4 denari per cingere di mura la città. E né dava senza risparmio; il circuito delle mura di Focea misura in­ fatti non pochi stadi, ed è tutto di pietre grandi e ben connesse.

164. In tale maniera dunque furono costruite le mura dei Focesi, e Arpago, messo in movimento l’eser­ cito, li assediava, dopo aver prima fatto questa pro­ posta, che si sarebbe accontentato se i Focesi avessero abbattuto un solo 268 baluardo delle mura e consacrata z una sola abitazione. M a i Focesi sdegnando la schiavitù dissero che volevano un giorno per deliberare e che poi avrebbero risposto, ma mentre deliberavano li invita­ vano a ritirare l’esercito dalle mura. Arpago allora ri­ spose che sapeva bene ciò che èssi avevano intenzione di fare, ma che tuttavia permetteva loro di consigliarsi. 3 Mentre adunque Arpago allontanava l’esercito dalle mura, allora i Focesi, tratte in mare le penteconteri, postivi su i figli e le donne e tutti i beni trasportabili e inoltre anche le stàtue degli dei dai templi e gli altri oggetti votivi, ad eccezione di quelli che erano bronzi o pietre o dipinti, tutti gli altri caricatili e imbarcatisi anch’essi salpavano alla volta di Chio. Così i Persiani occuparono Focea deserta d’abitanti.

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1 6 5 .1 Focesi, poiché, mentre essi desideravano com­ prarle, i Chii non vollero vendere loro le isole chiamate Enusse,269 per timore che divenissero un centro di commercio e che la loro isola ne fosse per questa ra268 Come segno simbolico di sottomissione. 269 Isole poste fra Chio e il continente.

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gione esclusa, in seguito a ciò i Focesi se ne andavano a C im o.270 In Cirno infatti venti anni prima di questi avvenimenti avevano fondato, in seguito ad un ora­ colo, una città che si chiamava Alalia.271 Argantonio 2 in quel tempo era già morto. Mentre dunque si dirigevano a Cirno dapprima, sbarcati a Focea, uccisero le guardie persiane che pre­ sidiavano la città avendola ricevuta in consegna da Arpago e poi, dopo aver fatto questo, pronunziarono solenni imprecazioni contro quelli di loro che avessero abbandonato la spedizione. È oltre a ciò gettarono in 3 mare anche un massello di ferro rovente 272 e giurarono di non tornare a Focea prima che quel massello fosse ritornato a galla. Ma, mentre erano in viaggio alla volta di Cirno, oltre la metà dei cittadini fu presa da nostalgia e rimpianto della città e dei costumi della patria e, divenuti spergiuri, navigarono indietro verso Focea. Quelli invece di loro che osservarono il giura­ mento salpati dalle Enusse prendevano il mare.

166. Come giunsero a Cirno, abitavano per un pe- 1 riodo di cinque anni insieme a quelli giunti in precedenza e costruivano templi. Ma, poiché saccheggiavano e de­ predavano tutti i vicini, si accordarono e fecero una spezione contro di loro i Tirreni 273 e i Cartaginesi,274 entrambi con 60 navi. I Focesi allora, equipaggiate 2 anch’essi le loro navi che erano in numero di 60, andavano loro incontro nel mare chiamato Sardonio.275 Scontratisi in battaglia navale, i Focesi ottennero una 270 È la Corsica, dal nome di Kyrnos figlio di Eracle. 271 Aleria, sulla costa orientale corsa. 272 Più volte si trova ricordato un rito simile; esso voleva san­ cire l’inviolabilità del giuramento, che sarebbe stato rotto solo quando il massello fosse riemerso dalle acque: cioè in effetti mai. 273 Sono gli Etruschi, danneggiati, al pari degli altri popoli costieri, oltre che dalla pirateria anche dalla concorrenza com­ merciale focese ai loro traffici. 274 Che avevano colonie commerciali (empori) in Corsica e , Sardegna. 275 D i Sardegna. *

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vittoria cadmea.276 Quaranta loro navi furono distrutte, e le rimanenti venti erano inservibili, ché s’eran loro 3 spezzati i rostri. Tornati allora ad Alalia prendevano a bordo i figli e le donne e gli altri beni quanti le loro navi erano in grado di trasportare e poi, abbandonata Cirno, navigavano alla volta di Reggio.

167.277 Delle navi distrutte i Cartaginesi e i Tirreni si divisero gli equipaggi. Fra i Tirreni gli Agillei ebbero un numero di uomini molto superióre agli altri e con­ dottili via li lapidarono. Più tardi agli abitanti di Agilla 278 tutti gli esseri che passavano per il luogo in cui giacevano i Focesi lapidati divennero storpi e mon­ chi e invalidi, ugualmente le greggi, gli animali da 2 tiro e gli uomini. Gli Agillei allora mandarono a Delfi, volendo riparare il fallo. E la Pizia ordinò loro di far compiere quelle cerimonie che gli Agillei compiono ancor oggi: essi infatti offrono sacrifici funebri gran­ diosi e celebrano in onore dei morti un agóne ginnico ed equestre. 3 Qjuesti dei Focesi ebbero dunque tal sorte, quelli invece che s’erano rifugiati a Reggio muovendo di là conquistarono una città della terra d’Enotria 279 che è 4 chiamata oggi Hyela.280L a fondarono dopo aver appreso da un uomo di Posidonia 281 che il Cirno che là Pizia aveva ordinato loro di edificare era un santuario in onore dell’eroe e non l’isola. Così andarono dunque le cose riguardo a Focea di Ionia.

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276 È all’incirca per i Greci quella che era per i Romani una « vittoria di Pirro ». L a denominazione deriva dal duello fra i due fratelli Tebani Eteocle e Polinice, morti entrambi combattendo in duello. 277 Lacuna iniziale, nel testo. 278 G li abitanti della città che sarà detta più tardi Cere, nell’Etraria meridionale. 279 Indica la parte più meridionale della penisola italica. 280 Elia o V elia in Lucania, fra i capi Enipeo e Palinuro. 821 Pesto, sulla costa tirrenica della Lucania.

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IH

168. Vicende simili ad essi ebbero anche i Tei. Dopo che Arpago ebbe preso per mezzo di un terra­ pieno le loro mura, imbarcatisi tutti sulle navi se ne andarono per mare verso la Tracia e là colonizzarono la città di Abdera, che prima di loro aveva fondata Timesio di Clazomene senza trarne alcun vantaggio. Ora invece egli, che era stato scacciato dai Traci, riceve dai T ei di Abdera onori come se fosse un eroe. 169. Questi dunque soli fra gli Ioni non sopportando la schiavitù lasciarono la patria; gli altri Ioni invece, tranne i Milesi, vennero, al pari di quelli che emigra­ rono, a battaglia con Arpago e si mostrarono uomini valorosi nel combattere ciascuno per la propria terra; ma, vinti e conquistati, rimanevano ognuno nel proprio paese ed eseguivano gli ordini che venivano loro dati. I Milesi invece, come anche prima ho detto, avendo concluso un patto giurato con lo stesso Ciro, se ne sta­ vano tranquilli. , In tal modo la Ionia fu per la seconda volta ridotta in schiavitù. Come Arpago ebbe assoggettato gli Ioni del conti­ nente, quelli degli Ioni che abitavano le isole, intimoriti da ciò, si consegnarono spontaneamente a Giro. 170 . Mentre gli Ioni, sebbene abbattuti, si riunivano nel Panionio, Biante 282 di Priene, a quanto ho sentito dire, fece agli Ioni una proposta assai vantaggiosa, che, se l’avessero ascoltata, avrebbe permesso loro di essere i più fortunati di tutti i Greci. Consigliava che con una flotta comune gli Ioni salpassero e navigassero verso la Sardegna e poi fondassero una sola città di tutti gli Ioni e così, liberatisi dalla schiavitù, avrebbero avuto una vita felice, abitando la più grande di tutte le isole e comandando ad altri uomini. Se invece fossero rimasti nella Ionia diceva che non vedeva affatto che ci sarebbe più stata libertà. Questo il consiglio dato da 282 È, come Talete nominato poco più oltre, uno dei Sette Sapienti.

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Biante quando gli Ioni erano già andati in rovina. U n altro consiglio utile, anche prima che la Ionia fosse andata in rovina, era stato dato da Talete di Mileto, che era per origine di stirpe fenicia; egli consigliava agli Ioni di avere un solo consiglio e che questo fosse a Teo — poiché Teo si trova al centro della Ionia e che le altre città, pur rimanendo ugualmente abitate, venissero considerate come se fossero demi.

171 . Questi esponevano loro tali consigli, ed Arpago dopo aver assoggettato la Ionia faceva una spedizione controlrTIan 7 l^ aon rè~ rL ici, conducmdo insieme con z sé anche Ioni ed "Eoli. DT~ questi popoli, i C a r i283 sono giunti'nella'terra ferma dalle isole·, ché in tempi antichissimi abitavano le isole ed erano sudditi di Minosse e si chiamavano Lelegi 284 e non pagavano alcun tributo, fino ai tempi almeno a cui io sono in grado di giungere con le mie informazioni ; in cambio ogni volta che Minosse ne aveva bisogno gli fornivano equipaggi per le navi. 3 Qjuindi, avendo Minosse assoggettato un ampio ter­ ritorio ed essendo fortunato in guerra, il popolo Cario era di gran lunga il più considerato di tutti i popoli durante questo periodo. 4 Essi fecero tre invenzioni di cui Greci si servono: ché i Cari sono quelli che hanno insegnato a legare ci­ mieri sugli elmi ed a porre emblemi sugli scudi, ed essi sono che per primi hanno applicato corregge in­ terne agli scudi; fino allora invece tutti quelli che sole­ vano seryirsi di scudi portavano gli scudi senza cor­ reggia, maneggiandoli per mezzo di cinghie di cuoio che passavano intorno al collo e alla spalla sinistra.285 5 In seguito, molto tempo più tardi, i Dori e gli’ Ioni i

233 Sui Cari e sulla loro talassocrazia cfr. Myres in «Journ. Hell. St.», X V I (1926), p. 264 segg. 284 Sembra però fossero separati dai Cari, già in Omero. Secondo alcuni (e già secondo Filippo di Theangela, in F.H .G . I V 475) i Lelegi sarebbero stati resti dell’antica popolazione, ridotta in schiavitù dai Cari. 285 E Io scudo degli eroi omerici, che poggia sulla spalla destra.

scacciarono i Cari dalle isole, e così essi vennero sul continente. Riguardo ai Cari i Cretesi dicono che le cose siano andate così; essi stessi invece, i Cari, non sono d ’accordo con loro, e credono di essere autoctoni del continente e di aver sempre avuto lo stesso nome che hanno ora. Essi mostrano come prova di ciò a Milase 286 un 6 antico santuario di Zeus Cario, cui partecipano Misi e Lidi, poiché sono fratelli dei Cari. Dicono infatti che Lido e Miso siano fratelli di Caros. Costoro ne sono dunque partecipi, mentre quanti, pur avendo la stessa lingua dei Cari, sono di altra stirpe, non ne sono parte­ cipi.

172 . I Cauni invece a me sembra siano autoctoni, 1 mentre essi dicono di essere provenienti da Creta. Si sono accostati per lingua al popolo Cario, o i Cari ai Cauni 287 — questo non sono in grado di giudicarlo con esattezza — , ma hanno usi molto differenti sia dagli altri popoli che dai Cari. Per essi infatti è cosa perfettamente conveniente, sia per gli uomini sia per le donne e i fanciulli, riunirsi per bere a gruppi, secondo le età e le amicizie. Avendo essi eretto templi a divinità 2 straniere, in seguito, poiché cambiarono parere e de­ cisero di avere solo le divinità dei loro padri, indossate le armi tutti i Cauni adulti andavano in corteo, per­ cuotendo con le lance l’aria fino ai confini dei Calindichi,288 e dicevano che così scacciavano gli dei stranieri. 173. Questi hanno tali costumi. I Liei 289 invece 1 vennero originariamente da Creta. Creta infatti in tempcTantico la possedevano tutta i barbari. Essendo 2 in lotta per il regno di Creta i figli di Europa Sarpedone e Minosse, quando Minosse riuscì vinci­ 286 Cfr. V , 287 A bitanti 288 Abitanti 289 Sui Liei, sima oscurità. 1 5 - E ro d o to

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121. di Caunos, ai confini con la Licia. di Calinda, città caria , al confine con la Licia. sulla loro origine, lingua e costumi regna la mas­

S to r ie .

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tore nella lotta scacciò lo stesso Sarpedone e i suoi compagni di partito; e questi, scacciati, giunsero in Asia nel territorio detto Miliade. La terra che ora abi­ tano i Liei era infatti anticamente la Miliade,290 e gli abitanti della Miliade si chiamavano allora Solimi. 3 Finché fu lo ro re Sarpedone essi si chiamavano con lo stesso nome che avevano portato e che anche ora i Liei hanno dai loro vicini, cioè Termili. M a quando Lieo figlio di Pandione, espulso anch’egli dal fratello Egeo, giunse da Atene presso i Termili e presso Sarpe­ done, allora dal nome di Lieo col tempo furono chia­ mati Liei. Essi hanno costumi_in parte Cretesi. in:_ parte 4 Carii. Ma il seguente uso è loro particolare e non as­ somigliano in esso ad alcuno degli altri popoli: pren5 dono il nome dalle madri e non dai padri. Se uno chiede al vicino chi è, questi esporrà la propria genealogia secondo la linea materna e menzionerà, le antenate della madre, e inoltre, se una donna cittadina sposa uno schiavo, i figli sono considerati legittimi, se invece un cittadino, e anche il primo fra essi, ha una moglie stra­ niera o una concubina, i figli sono privi di ogni diritto.

174 . I Cari furono--dunG][ue ridotti.in.schiavitù da Arpago senza aver compiuto alcuna azione brillante, senza che ne i Cari stessi ne compissero, né quanti dei 2 Greci abitano questa regione, E la abitano fra gli altri anche gli Cnidi, coloni degli Spartani, i quali, essendo volta verso il mare la loro regione che si chiama Triopio e si inizia dal Chersoneso di Bibassi291 ed essendo tutto il territorio di Cnido, tranne piccola parte, cinto dalle 3 acque {poiché verso settentrione lo chiude il golfo Ce­ ramico e verso sud il mare di Syttie e di Rodi), in questo piccolo tratto dunque, che è di circa 5 stadi, gli Cnidi mentre Arpago sottometteva la Ionia scavarono un canale, volendo fare del paese un’isola. In effetti il 1

290 Così si chiamò nei tempi storici il territorio montuoso a nord-est dello Xanto. 291 Città della Caria, alla base della penisola di Cnido.

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paese era tutto al di qua,292 e dóve la regione di Cnido termina nel continente, lì è l ’istmo che essi scavarono. M a mentre gli Cnidi lavoravano con grandi schiere, poiché appariva che gli operai riportavano più ferite di quanto sarebbe stato naturale, e certo per opera di­ vina, in tutte le parti del corpo, ma particolarmente agli occhi, per lo scheggiarsi della roccia, mandarono le­ gati a Delfi per chiedere cosa era loro avverso. E la Pizia, a quanto narrano gli stessi Cnidi, così rispondeva in versi trimetri : « Non fortificate e non scavate l’istmo, perché Zeus l’avrebbe fatta isola se l’avesse voluto ». Gli Cnidi allora, avendo così la Pizia vaticinato, desistevano dallo scavo e si consegnarono senza com­ battere ad Arpago quando sopraggiunse con l’esercito.

175. Nel retroterra al di là di Alicarnasso abitavano i Pedasei, e quando stava per sopraggiungere una ca­ lamità, sia a loro stessi che ai vicini, alla loro sacer­ dotessa di Atena cresceva una grande barba. Questo avvenne loro tre volte. Costoro, soli fra gli uomini della Caria, opposero per un certo tempo resistenza ad Arpago e gli dettero molto da fare, avendo fortificato il monte che si chiama Lide. 176 . Infine dopo un certo tempo i Pedasei vennero fatti sloggiare, mentre i Liei, quando, Arpago ebbe fatto avanzare il suo esercito nella pianura dello Xanto, muovendo contro di lui e combattendo in pochi contro molti fecero mostra del loro valore, ma poi, vinti e rin­ serratisi nella rocca, riunirono sull’acropoli le donne e i figli e le ricchezze e i servi e poi appiccarono fuoco a tutta l’acropoli perché bruciasse. Dopo aver fatto questo e aver pronunciato tremendi giuramenti, fatta una sortita morirono tutti gli Xantii in combattimento. Degli attuali abitanti di Xanto che dicono di essere Liei i più, tranne 80 famiglie, sono im292 Cioè verso il Chersoneso di Bibasso, come è stato prima più chiaramente spiegato.

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m igrati. Q ueste 80 fam iglie si trovavano allora per caso lontano dalla p a tria e così rim asero superstiti. X a n to dunque A rp ag o la prese nel m odo suddetto, e analogam ente conquistò anche C au n o; i C au n i in ­ fanti im itarono per lo più i L iei.

177 . L e regioni inferiori d e ll’A sia le devastava dunque ArpagoOe^sùperiori^_C iro in persona, sottom ettendo ogni popolo e senza tralasciarne nessuno. D i essi la m aggior p arte li trascurerem o, m a di quelli che gli procurarono m aggiore difficoltà e che sono più degni di ricordo, di questi farem o m enzione. 1

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178 . C iro, dopo che si fu assoggettate tu tte le re­ gioni del continente,293 si volgeva contro gli Assiri. D e ll’A ssiria 294 esistono bensì anche m oìte altxe -eitlà, m a la più fam osa e più forte, quella dove, dopo la d i­ struzione di N inive, si stabilì la reggia, è B abilonia. che è una città dalle seguenti caratteristiche: giace in un’am pia pian ura che h a una estensione su ogni lato d i 120 stadi ed è a form a di quadrato ; questi stadi del circuito della città sono tu tti insiem e 480.295 Q uesta dunque è l’estensione della città di B abilonia, ed inoltre essa è adorna quanto nessun’altra città che io conosca. P rim a di tutto la circonda un fossato profondo e largo e pieno d ’acqua, quindi un m uro ch e h a una largh ezza di 50 cubiti regi e un’ altezza di 200 cubiti. I l cubito regio 296 è di tre d ita più grande del cubito norm ale. 179 . M a oltre a ciò bisogna che io dica dove fu u tilizzata la terra rica va ta dallo scavo del fossato, e 293 Pare indichi qui l’Asia minore. 294 Come vedemmo, Erodoto abbraccia sotto il nome di As­ siria un territorio comprendente a un dipresso tutto l’impero assiro e babilonese. 296 Valutazione eccessiva; cfr. Legrand, op. cit., I, p. 115 con n. i. 296 II cùbito normale usato comunemente dai Greci equiva­ leva a 24 « dita ». Il cubito attico era di cm. 45,2, quello persiano era quindi di cm. 52,5. Cfr. Hultsch, Metrologie-, p. 46 e 388.

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in che m odo il m uro fu costruito. M en tre scavavano il fossato, contem poraneam ente con la terra p ortata fuori dallo scavo foggiavano m attoni, e dopo aver foggiato m attoni in num ero sufficiente li cuocevano in fornaci. Poi, servendosi com e creta di asfalto caldo e ogni 30 a righe di m attoni stipando in m ezzo dei graticci di canne, costruirono prim a le scarpate del fossato e quindi il m uro stesso n ella stessa m aniera. Sopra al m uro poi lungo i m argini eressero delle co- 3 struzioni di un sol vano, rivolte l’una verso l’ altra, e in m ezzo a queste costruzioni lasciarono spazio suffi­ ciente perché potesse g ira rvi u n a q uadriga. Intorn o al m uro ci sono 100 porte, tutte di bronzo, e stipiti e a r­ ch itravi uguali. C ’è poi un’ altra città che dista 8 giorni 297 di strada da B abilonia : questa h a nom e Is. 4 L ì c ’ è un fium e non gran d e, e anche il fium e si chiam a Is. Esso sbocca nell’ Eufrate. E questo fium e Is 298 in^ sieme con l ’ acqua porta m olti grani di asfalto, e di q ui fu portato l ’asfalto p er il m uro di Babilonia.

180 . In ta l modo dunque B abilonia fu cinta di m u ra ; 1 due sono poi le p a rti d ella città. In m ezzo la divide un fium e, che si chiam a E ufrate e scorre dal paese degli A rm eni ed è grande e profondo e rapido: esso sbocca nel m ar299 Rosso. Il m uro da entram be le p a rti si spinge 2 con le sue b raccia fino al fiu m e; d a questo punto le m ura si curvano e in form a di m u raglia di m attoni cotti si stendono lungo entram be le rive del fium e. L a città vera e propria, che è p ien a d i case a tre e 3 quattro piani, è divisa da strade diritte, e p articolar­ m ente d a strade trasversali che vanno verso il fiume. In corrispondenza d i ogni strada nella m uraglia d alla 4 parte del fium e ci sono delle p orticine, q uante sono le

297 Erodoto considera che in una giornata di marcia si po­ tessero coprire in pianura 200 stadi (IV , 101), in montagna 150 (v > 53). 298 O ggi Hito Alt, allo sbocco dell’Eufrate nella pianura. 299 La denominazione comprende, come già vedemmo in n. 2, anche il Golfo Persico.

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viuzze, altrettante di num ero. E anche queste sono d i bronzo e portano anch ’esse allo stesso fiume.

tram be queste donne si dice non abbiano relazione con alcun uom o), e così pure a P a t a r a 303 in L ic ia la p ro­ fetessa, quando l’oracolo è in funzione (poiché non sempre c’è lì un oracolo) ; m a quando c ’è allora la profetessa si chiude d i notte nelPinterno del tem pio insieme col dio.

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181. Qjuesto m uro dunque costituisce una corazza p er la c ittà ; a ll’interno p o i corre u n altro m uro, non di m olto più debole d ell’altro, m a più stretto. ' 2 In ciascuna d elle du e p a rti della città 300 sorgono nel centro nell’una la reggia circond ata da un recinto grand e e m unito, n e ll’a ltra il tem pio di Zeus Belo 301 d alle porte di bronzo, che esisteva ancora al m io tempo e che, essendo quadrato, m isura due stadi da ogni 3 lato. In m ezzo al tem pio si erge u n a torre massiccia, che m isura uno stadio sia d i lun gh ezza che d i larghezza, e su questa torre è posta u n ’altra torre e su questa u n’ altra, fino a otto torri. 4 L a strada che vi sale è costruita a ll’ esterno a spirale, e circonda tutte le torri. Per chi sia circa a m ezzo della salita c ’è una stazione e dei sedili p er riposarsi, e se­ dendosi su questi si riposano q u elli che salgono. 5 N ell’u ltim a torre poi c ’è un grand e tem pio, e nel tem pio è posto un grande letto fornito di belle coperte e g li è accanto u n a ta vo la d ’oro. N on c ’è lì a lcu n si­ m ulacro di divin ità e di notte nessuno degli uom ini v i dim ora, ad eccezione d i u n a sola donna d el paese, q uella che il dio a b b ia scelta fra tutte, a quanto di­ cono i C a ld e i 802 che sono i sacerdoti di questo dio. 1

182. Q u esti stessi narran o poi —- dicendo cose a m e incredibili — che il dio stesso frequenta il tem pio e si riposa sul letto, nello stesso m odo che a T e b e d ’Egitto, 2 secondo quanto dicono g li E gizian i (anche lì infatti nel tem pio d i Zeus T eb a n o dorm e una donna, ecì en­ 1

300 Sono le due parti l’una al di qua, l’altra al di là del fiume. 301 È il santuario di Bel Marduk. Quella che Erodoto descrive è la « torre di Babele ». Cfr. T h. Dombart, Der Stand des Babelsturm-Problems, «Klio», X X I (1927), p. 135 e segg. 302 Come per i M agi (cap. 101) il nome, che designava prima una tribù, fu usato più tardi dai Greci per indicare la classe dei sacerdoti. I Caldei furono famosi nell’antichità soprattutto per le loro cognizioni di astronomia e astrologia.

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183. C ’è poi nel santuario di B abilon ia anche un 1 altro tem pio più in basso, dove c ’è u n a grand e statua d’oro di Zeus seduto e accanto g li sta una grande ta ­ vola d ’oro, e sia lo sgabello che il trono sono d ’oro. E, a quanto dicono i C aldei, sono stati costruiti con 800 talen ti d ’oro. F uori del tem pio p oi c ’è un altare d ’oro. C ’è anche 2 un altro altare, su cui si sacrificano le bestie adu lte; sull’altare d ’oro infatti non è permesso sacrificare altro che bestie lattan ti, m entre sull’altàre più grand e i C aldei bruciano anche 1000 talenti di incenso ogni anno quando celebrano la festa in onore del dio. C ’era in oltre in questo santuario ancora al m io tem po anche una stàtua di 12 cu b iti, d ’oro massiccio.304 Io veram en te non la 3 vidi, m a q uel che si n arra dai C aldei, quello io riferisco. D ario figlio d i Istaspe, p u r avendo concepito piani intorno a questo sim ulacro, non osò im padronirsene; se ne im padronì invece Serse figlio di D a rio ed uccise il sacerdote che voleva im p edirgli di rim uovere la: statua. Q uesto tem pio ha dunque ta li ornam enti, e ci sono anche m olti doìii vo tiv i d i p rivati. 184 . D i questa B abilonia m olti certo furono i re, dei q uali farò m enzione nella trattazion e sUgli Assiri, i q uali eressero le m ura e i tem pli, e fra gli altri anche 303 Sulla costa licia ad est di Xanto. L à si supponeva che Apollo dimorasse durante i sei mesi d’inverno, abbandonando Delfi. Naturalmente solo durante questo periodo l’oracolo poteva fun­ zionare. 304 La statua pare sia la stessa menzionata prima. Questo punto (cfr. Introd., p. X V I II) è stato base di molte discussioni in­ torno alla veridicità dì Erodoto e ai limiti della sua autopsia.

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due donne. Q u e lla che per p r im a regnò, vissuta 5 generazioni prim a della seconda, aveva nom e Sem ira­ m id e ,,e d . eresse nella p ian ura argini ctegni d i esser v isti; prim a invece il fium e soleva inondare tu tta la pianura.

com piva questi lav o ri in q u ella p arte del paese in cui c ’erano i passi d ’ accesso e la più breve delle vie p rove­ nienti d a lla M edia,306 perché i M ed i non venissero a contatto con g li A ssiri, apprendendo così i suoi af­ fari.

185. C olei che fu regin a dopo d i questa e che aveva nom e N itocris,305 questa, più avved uta di quella che prim a aveva regnato, lasciò i m onum enti d i cui ora parlerò, od inoltre, vedendo che, l ’im pero dei M ed i era grande e non m anteneva la pace, dopo aver con­ quistato m olte loro città e fra esse perfino N inive, pren2 deva precauzioni quanto p iù le e ra possibile. P rim a d i tutto il fium e Eufrate, che prim a scorreva diritto e a t­ traversava nel m ezzo la città, scavando can ali a m onte d i B abilonia lo rese tortuoso, in m odo tale che n el suo corso tocca per tre volte uno dei villaggi dell’Assiria. Q uesto villaggio che l ’E ufrate tocca si chiam a A rdericca. E d oggi q u elli ch e d a questo nostro m are vanno a Babilonia discendendo lungo l’E ufrate giungono per tre volte a questo stesso villaggio e in 3 giorni diversi. 3 T a le lavoro dunque essa com pì, ed inoltre innalzò un argine lungo entram be le rive del fiume, degno di 4 am m irazione per quanto è gran d e ed alto. Assai a m onte d i B abilonia fece p oi scavare un bacino p er un lago, di poco scostandosi dal fium e, quanto a profondità facendolo scavare profondo sempre fino al livello del­ l’acqua, e quanto a lla larghezza facendone il circuito di 420 stadi. L a terra estratta da questo scavo la usò 5 spargendola lungo le rive del fium e. D op o che ebbe com piuto lo scavo, fece p ortare p ietre e fece condurre 6 tutto intorno in cerchio un parapetto. C om piva en­ tram bi questi lavori, quello di rendere cioè il fium e to r­ tuoso e. t u t t ^ o ?cavo della paKHle,’p e fc h é il fium rom pedosi in m olte c u rve, divenisse più lento, e la n aviga­ zione fimo a Babilonia fosse tortuosa,~è alla fine della 7 navigazione seguisse la -g ra n d e distesa del lago. Essa 1

305 È ignorata dalla storia. Pare che in essa Erodoto abbia trasformato il re Nabukednezar. Cfr. Pràsek, op. cit., I, p. 168,

186 . C osì scavando cin geva la città d i tali opere 1 di difesa, e a seguito di queste com pì anche un lavorò accessorio. Essendo la città form ata da due p a rti ed occupando il fium e il centro, al tem po d ei re precedenti quando qualcuno voleva passare da una p arte a ll’altra doveva fare la traversata in b arca, e ciò era, a quanto io ritengo, fastidioso. Essa allora p rovvide anche a que­ sto. D opo aver fatto scavare il bacino per il lago, la ­ sciava da questo stesso lavoro quest’altro m onum ento: fece tagliare pietre assai grandi, e quando le pietre furono 2 p ronte e il luogo scavato, fatta deviare tu tta la corrente del fium e verso il luogo che aveva scavato, quando questo si fu riem pito allora, disseccatosi l’antico letto, fece costruire con m attoni cotti allo stesso m odo delle m ura le rive del fium e lungo la città e le uscite che portavano dalle porticine al fiu m e; e inoltre, quasi esattam ente nel centro d ella città, fece costruire con le p ietre che aveva fatto estrarre un ponte, legando le pietre con ferro e piom bo. Su d i esso quando era giorno faceva distendere tra v i 3 quadrate, sulle quali i Babilonesi com pivano il pas­ saggio; di notte invece queste tavole le ritiravano per questo, perché non andassero in giro d i notte a d eru ­ barsi l ’un l’altro. Q u an d o poi il luogo scavato fu tra - 4 sformato in uno stagno pieno delle acque del fium e e furono com piuti i lavo ri rigu ard an ti il ponte, fece ricondurre il fium e E ufrate dallo stagno nel suo antico letto ; e così l a trasform azione dello stagno in palude p arve essere stata com piuta opportunam ente e -per i cittad in i ci fu u n ponte costruito. 306 II paese dei M edi comprendeva allora anche tutta l ’Assiria propriamente detta. È contro possibili attacchi da questa parte che Nitocris vuole difendersi.

LIBRO PRIMO j / ' 187. Q uesta stessa regina m acchinò anche il se­ guente tranello: sopra le porte più frequentate della città aveva fatto costruire una tom ba per se stessa ele­ v a ta al d i sopra delle p orte stesse, e sulla tom ba fece 2 scolpire una iscrizione che diceva : « Se qualcuno di coloro che diverranno dopo di m e re di B abilonia sarà a corto di denari, ap ra la tom ba e prenda quanti de­ n ari vu o le; m a se non ne avrà bisogno non apra per altro m otivo, perch é non sarebbe bene per lui ». Q uesta tom ba rim ase in tatta fino a che il potere 3 pervenne a D ario. A D ario sem brava duro non servirsi affatto di quelle porte e non im padronirsi delle ric­ chezze, dal m om ento che c ’erano e che l’iscrizione stessa 4 invitava. D i quelle porte non si serviva per questo m otivo, perché se le attraversava gli stava sulla testa 5 il cadavere.307 M a, aperta la tom ba, trovò non i d e ­ nari, m a il cadavere, e uno scritto che diceva così: « Se fu'nón~fóssi^ insaziabile di ricchezze e am ante d i tu rp i guadagni non avresti aperto le tom be dei .......... m orti ». ~ '· T a l e dunque si n arra sia stata questa regina.

188. C iro m uoveva in guerra contro il figlio di questa donna, il q u ale p o rtava il nom e d i suo padre, L ab in eto,308 e dom inava il regno degli Assiri. Il G ran R e parte per le sue cam pagne ben provvisto di viveri e di bestiam e della sua p atria, e perfino l’acqu a 309 porta con sé dal fium e Goàspe che scorre presso Susa, d al q u ale solo b eve il re e da nessun altro 2 fiume. D ovunque egli vada, moltissimi carri m ulari a quattro ruote lo seguono, portando in vasi d ’argento quest’acqu a del C o a sp e 310 bollita.

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189. Qjuando C iro m arciando verso B abilonia giun- 1 se al fium e G indo 311 (le cui sorgenti sono nei m onti Ma tieni,312 ed esso scorre attraverso la D a r d a n ia 313 e sbocca in un altro fium e, il T ig ri, e questi scorrendo presso la città di O p i sfocia nel M a r Rosso) dunque quando C iro tentò d i traversare questo fium e G indo, che è navigabile, uno dei suoi sacri cavalli bianchi,314 e n t r a t o baldanzosam ente nel fium e, tentava d i tra ver­ sarlo, m a il fium e inghiottitolo lo trascinava portandolo a fondo. Assai allora si sdegnò C iro contro il fium e 2 che gli aveva fatto questo affronto, e gli m inacciò di renderlo tanto debole che per l ’avvenire anche le donne l ’ avrebbero attraversato facilm ente senza b a ­ gnarsi le ginocchia. D opo tale m inaccia, trascurando 3 la spedizione contro B abilonia, divise in due p arti l’esercito e dopo averlo diviso fece segnare indicandoli con funi tese 180 can ali lungo ciascuna delle du e riv e del G indo, v o lti in tutte le direzioni e, dopo aver di­ sposto l ’esercito, g li ordinava d i com piere lo scavo. Poiché una grande m oltitudine di uom ini lavorava, 4 l’opera ven iva si com piuta, m a passarono là sul posto lavorando tu tta la stagione estiva.

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307 Considerato impuro dàlia religione persiana. 308 È Nabonido, ultimo re di Babilonia. Le notizie sui suoi genitori non sono storicamente vere. 309 Su quest’acqua e l’uso che se ne faceva, cultuale più che di bevanda, cfr. V . Bequignon, in «Rev. Ét. Anc.,» X L I I (1940), p. 20 segg. 310 L ’odierno Kerkha.

190. D opo che C iro ebbe punito il fium e G in do 1 suddividendolo in 360 can ali e fu spuntata la seconda prim avera, allora finalm ente si mise in m arcia verso B abilonia. I Babilonesi dal canto loro usciti in cam po lo attendevano a p iè ferm o. C om e n ella sua m arcia giunse vicino alla città, i Babilonesi si scontrarono con lui e, v in ti in b attaglia, si rinchiusero nelia città. M a poiché sapevano bene già da prim a che C iro 2 non sarebbe rim asto tranquillo, m a lo vedevano dar l ’assalto ugualm ente ad ogni popolo, avevano accu ­ O ggi D iala, nasce ad ovest di Ecbatana. { “s &,* ' 312 Fra l’ Armenia e la Susiana, cfr. V , 5 2 .5* 313 I Dardanii sono ignoti da altre fonti. Verosimilmente erano una piccola popolazione montana alle pendici meridionali dei monti Zagros. 314 U no degli otto cavalli bianchi addetti al trasporto del carro di Zeus nelle campagne d i guerra (cfr. V II, 40 e 55). 311

,1 2 4

ERODOTO

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m ulato viveri per m olti anni. Perciò non si davano alcun pensiero dell’assedio, m entre C iro si trovava in diffi­ coltà 316 poich é m olto tem po trascorreva e l ’im presa non p rogrediva affatto.

191. Infine, sia ch e q ualch e altro lo consigliasse in tale difficoltà, sia che egli stesso intuisse ciò che doveva 2 fare, questo faceva : schierato tu tto l ’esercito a ll’im ­ b occatu ra del fium e, là dove esso entra nella città, e schierati poi altri soldati alle spalle della città dove il fium e esce dalla città, ordinava a ll’esercito che, quando vedessero il fium e divenuto guadabile, entrassero da q uella p arte nella città. D opo aver dato questi ordini e queste istruzioni si allontanava insieme con la p arte m eno valid a dell’eser3 cito. G iunto allo stagno, lo stesso lavoro che la regina d i B abilon ia aveva fatto nei rigu ard i del fium e e dello' stagno lo rifaceva anche C iro : deviando per m ezzo di u n canale il fium e nello stagno trasform ato in palude, rese l ’antico letto guadabile, essendosi il livello del 4 fium e abbassato. Q u an d o ciò fu avvenuto i Persiani che erano stati a questo scopo disposti, seguendo il corso dell’ Eufrate che era decresciuto fino a giungere come altezza m assima a circa m età coscia d ’uomo, seguendo questo entrarono a Babilonia. 5 Se i Babilonesi l ’avessero previsto, o si fossero accorti di quel che C iro faceva, avrebbero lasciato entrare i Persiani in città e li avrebbero poi m alam ente distrutti ; infatti, chiuse tutte le porticine verso il fium e e saliti essi stessi sui m uraglioni elevati lungo le rive del fiume, 6 li avrebbero presi com e in una nassa. O r a invece i Persiani com parvero loro innanzi inaspettatam ente. A causa della grand ezza della città — a quanto si n arra d a i suoi ab itan ti — m entre q u elli alla p eriferia della città erano già stati presi, quelli dei Babilonesi che abitavan o al centro non sapevano che g li a ltri erano stati presi, anzi (poiché p er caso si trovavano ,a cele1

315 Secondo documenti cuneiformi ciò non corrisponderebbe a verità e la conquista sarebbe stata assai agevole.

*25

brare una festa) proprio in q uel m om ento danzavano e banchettavano, fino a che finalm ente lo seppero — e fin troppo bene. In tal m odo dunque B ab ilon ia fu allora conquistata per la prim a volta..316 i 192. L a ricch ezza d ella B abilonia, anche con m olti i altri argom enti dim ostrerò quanto sia grande, e fra gli altri anche con questo: il G ra n R e, oltre alla riscos­ sione del tributo, ha diviso in tre regioni p er il v e tto ­ vagliam ento suo e d ell’esercito tu tta la terra di cui è sovrano. O ra , essendo dodici i m esi n ell’ anno, per quattro provvede al suo m antenim ento la regione di Babilonia, e per otto mesi tu tto il resto d ell’A sia. In 2 tal m odo la terra assira costituisce per ricch ezza la terza parte d i tu tta l ’A sia. Il governo di questa regione, che i Persiani chiam ano satrapía, è di gran lunga il p iù potente di tu tti i governi, dal m om ento che T ritan taicm e figlio di A rtab a zo che ha ricevuto dal re questa p rovincia aveva un’entrata giorn aliera di u n ’artabe piena di argento (l’artabe è 3 una m isura persiana e contiene tre c h e n ic i317 attici più di un m edim no 318 attico), ed egli aveva inoltre di cavalli p rivati, oltre quelli d a guerra, 800 stalloni e 16000 gium ente, poiché ognuno di questi m aschi m onta 20 cavalle. D i cani indiani poi se ne allevava 4 un num ero tale che quattro grandi v illa g gi della p ia­ nura, esenti da altri tributi, avevano l’incarico di for­ nire cibo per i cani. T a li erano le entrate del governatore di Babilonia.

193 . L a terrà degli A ssiri riceve p oca pioggia, ed è 1 questa- che nutre la radice del grano, m entre le messi si m aturano e il grano spunta perché irrig ati dal fium e, non allo stesso m odo che in Egitto, cioè perch é il fium e stesso 316 In rapporto alla seconda conquista operata da Dario

(III, 158).

,~

317 E la quarantottesima parte del medimno; era il grano necessario al sostentamento giornaliero di un uomo. 318 II -medimno attico equivaleva circa a 52 litri (1. 52,53).

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straripa nei campi, ma irrigati a mano o con pózzi. 2 Tutta la regione babilonese al pari di quella egiziana è infatti intersecata da canali; il più grande319 dei canali è navigabile, volto verso il punto dove d’inverno sorge il sole,320 e, venendo dall’Eufrate, sfocia in un altro fiume, nel Tigri, sul quale è posta la città di Ninive, Questa è, di tutte le regioni che io conosco, di gran lunga la più adatta a produrre il frutto di De3 metra. Altri alberi non tenta neppure di produrli, né fichi né vite né ulivo. I cereali invece è talmente adatta a produrli che rende generalmente fino a duecento per uno e, quando la produzione è ottima, rende fino a trecento per uno. In questo paese le foglie del frumento e dell’orzo 4 hanno facilmente una larghezza di 4 dita. D i qual grandezza sia l’albero che nasce dal sesamo e dal pa­ nico pur sapendolo non lo ricorderò, poiché so bene che a coloro che non sono andati nella regione di Babilonia anche quanto ho già detto riguardo ai suoi prodotti riesce assai incredibile. Non fanno affatto uso di olio d ’oliva, ma ricavano olio dal sesamo. Hanno piantagioni di palme per tutta la pianura, per la massima parte fruttifere, e da esse 5 ritraggono cibo, vino e miele. Questi alberi li curano a mo’ dei fichi, e in particolare di quelle palm e321 che i Greci chiamano maschili legano il frutto alle palme dattilifere, affinché il moscerino, entrando nel dattero, lo faccia maturare e il frutto della palma non cada. I moscerini le palme maschili li portano nel frutto, al pari degli olinti.322 318 II «canale reale», che collega Eufrate e Tigri, opera di Nabukednazar. 820 A sud-est, dove appunto sorge d’ inverno il sole. 331 Erodoto confonde due operazioni diverse: 1) l’accostamento dei fiori (non dei frutti) delle palme per facilitare la fecondazione; 2) F « erinasmos » (Arist., Hist. Art. V , 32), ossia l’accostamento dei fichi comuni a quelli selvatici, portatori di un insetto la cui puntura accelera il processo di maturazione del frutto. L ’operazione era compiuta allo scopo d i evitare la caduta dei fichi prima della maturazione. 323 Fichi selvatici precoci.

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194. M a la cosa che fra tutte q uelle che son lì co- 1 stituisce a m io parere, dopo la c ittà stessa, la più grande m eraviglia, questa vengo ora ad esporre: le im barcazioni che scendono lungo il fium e a B abilonia sono rotonde e tutte di cuoio. - Dopo aver costruito nel territorio degli A rm en i 2 che abitano a nord degli A ssiri i fianchi delle navi tagliando salici, tendono intorno a questi come coper­ tura delle p elli d alla p arte esterna a guisa di p a v i­ m ento, senza differenziare la p rua e senza dar form a più stretta alla prora ; m a, fattele rotonde a m o5 di scudo e riem pita di canne tutta l ’im barcazione, la la ­ sciano così trasportare lungo la corrente del fium e, dopo averla riem pita di m ercanzie. -E soprattutto trasportano recipienti di palm a pieni di vino. L ’im barcazione viene 3 diretta d a due p ali e d a due uom ini che stanno ritti, e l’uno tira dentro il palo, l’altro lo spinge fuori. Q ueste im barcazioni vengono costruite sia m olto grandi, sia p iù p iccole; le p iù gran d i portano un peso di 5000 talenti. In ciascuna b a rca p oi c ’è un asino, vivo, ed in q uelle più grand i anche più d ’uno. Q u a n d o navigando sono giu n ti a B abilonia ed 4 espongono le loro m erci, son soliti m ettere all’ asta le fiancate della nave e tu tte le can ne; le p elli invece le caricano sugli asini e se ne tornano in A rm enia. Contro corrente infatti non è possibile in nessun 5 modo navigare a causa della rap id ità del fiu m e; per questo anche le b arch e non sono fatte di legno m a di pelli. Q uan do spingendo g li asini sono di ritorno in A r ­ m enia si costruiscono altre b arch e nella stessa m aniera. 195 . T a li sono dunque le loro im b arcazion i; com e 1 a b iti invece si servono dei seguenti, di una tunica di lino lunga fino ai piedi, e su questa indossano un’ altra tu nica di lana, cingendosi di un leggero m antello bianco, ed hanno calzature locali, sim ili ai calzari beoti.328 Portano il capo chiom ato e si cingono di m itre 323 Calzare descritto da Dicearch. Perieg. 19, molto aperto in modo da lasciare il piede quasi completamente nudo.

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2 e si spalm ano di unguenti per tu tto il corpo. Ciascuno ha un suggello e un bastone lavorato a m an o; su ogni bastone c ’è scolpita o una m ela o una rosa o un giglio o un’aquila o qualche altra figura, perché non hanno F abitudine di avere un bastone senza em blem a. Q uesta è la loro accon ciatu ra riguardo al corpo, le loro leggi sono invece le seguenti.

196. L a più avved uta è a m io parere la seguente, di cui ho sentito dire che fanno uso anche i V e n eti d ’Illiria: 324 in ogni villaggio una vo lta l ’anno si fa questo: quando le fanciulle sono m ature per le nozze le riu ­ niscono tutte, le raccolgono tutte insieme in un luogo 2 e intorno ad esse si pone una folla di uomini. U n araldo, fattele alzare una dopo l ’altra, le m ette in vendita, p rim a di tutte la p iù bella di tutte e poi, quando questa, trovato un com pratore, sia stata venduta a caro prezzo, ne bandisce un’ altra, q uella che è la più b ella dopo la prim a. V engono messe in ven d ita per essere sposate. Q u a n ti Babilonesi in età di. am m ogliarsi erano ricchi, superandosi l ’un l ’altro acquistavano le più belle; quanti invece erano popolani, non si curavano affatto di un b e ll’aspetto, m a prendevano d an ari e insieme le 3 fanciulle p iù brutte. Infatti, quando l ’araldo aveva term inato di vendere le fanciulle p iù belle, faceva alzare la più brutta o qualcuna storpia se c ’era e la m etteva in vendita, chi volesse sposarla ricevendo la più p ic­ cola somm a d i denaro, fin tanto ch e la donna rim aneva aggiudicata a colui che si im pegnava a prenderla col m inim o compenso. Il denaro veniva dato dalle fanciulle belle, e così le belle accasavano le b ru tte e le deformi. N on era p er­ messo dare in isposa la p ropria figlia a ch i si voleva, né che uno dopo averla com prata conducesse v ia la 4 fan ciulla senza dare una garanzia, m a bisognava che, dopo aver forn ito garanzie che l ’avrebbe sposata, solo a llo ra se la portasse via. Se p o i non erano ad atti l ’uno 1

Abitavano ad est dell’Adige, sono ricordati in V , 9.

per l’altra, la legge era di restituire il denaro. E ra per­ messo com prare a chiunque lo voleva, anche se p rove­ niva da un altro villaggio. Q u esta era dunque la loro costum anza p iù bella, m a ora non è p iù in vigore, e ne hanno invece recentem ente escogitata un’altra. D opo che, essendo stati conquistati, caddero in disgrazia e in rovina, tu tti g li uom ini del popolo che m ancano di m ezzi di sussistenza prostitui­ scono le figlie femmine.

197. Q uest’altra loro legge è per avved utezza al se­ condo posto : i m alati li trasportano in p iazza. N on usano m edici, m a accostandosi al m alato danno consigli sulla m alattia quelli che abbiano sofferto essi stessi il m ale che h a il m alato o abbiano visto un altro che ne soffriva. Q uesti consigli li danno accostandoglisi e gli consigliano quelle cure seguendo le q u ali essi stessi scam parono da simile m alattia o videro scam parne altri. Passare in silenzio davanti ad un m alato senza chiedergli che m alattia h a non è loro permesso. 198. Seppelliscono i m orti nel m iele, e le loro la ­ m entazioni sono sim ili a quelle d ’E gitto. T u tte le volte che un Babilonese si sia unito alla sua donna, si pone a sedere circond ato da profum i che bruciano, e da un’a ltra p arte la donna fa lo stesso. A l sopraggiungere d ell’alb a p oi si lavano entram bi, e nessun vaso toccano prim a di essersi lavati. L o stesso fanno anche g li A rab i. 199. Infine, la p iù turpe delle costum anze babilonesi è la seguente: ogni donna 325 del paese deve andare nel santuario di A frod ite una vo lta n ella sua v ita e unirsi ad un uomo straniero. M olte, sdegnando di m escolarsi con le altre, superbe com e sono delle loro ricchezze, si fanno portare al tem pio su ca rri cop erti e si pongono lì, seguite da num erosa servitù. L e p iù invece fanno così : 326 È più probabile si trattasse esclusivamente di ierodule. 16 ·· Erodoto - L e Storie.

13°

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nel santuario di A frod ite si m ettono sedute m olte donne con una corona d i co rd a attorno al ca p o ; le une vengono, le altre vanno. In tutte le direzioni corsie diritte passano attraverso le donne e passando attra3 verso queste corsie g li stranieri scelgono. Q u an d o una donna è giu n ta lì non torna a casa p rim a che uno degli stranieri, gettatole in grem bo del denaro, non si sia unito a lei fuori del tem pio. G ettando il denaro egli deve dire queste parole : « Io invoco la dea M ilitta ». 4 G li A ssiri chiam ano infatti M ilitta A frodite. _L a som m a di denaro è q uella che ciascuno vuole, poiché certo la donna non la respingerà— e non è lecito — perch é questo denaro diven ta sacro. L a donna segue il prim o che le ab bia gettato del danaro e non respinge nessuno. D opo essersi unita a ll’uomo e aver così adem ­ piuto l ’obbligo verso la dea torna a casa, e da allora in 5 poi non daresti m ai tanto da poterla possedere. Q uelle che sono belle di aspetto e di complessione presto se ne vanno, m entre quelle di loro che sono b rutte rim an ­ gono per m olto tem po, non potendo soddisfare la legge ; e alcune fra loro rim angono anche per un periodo di tre e quattro anni. A n ch e in alcune città di C ip ro 326 c ’è una usanza sim ile a questa. 200. Q ueste sono le usanze dei Babilonesi; fra loro ci sono p oi tre trib ù che non m angiano altro che sol­ tanto pesci e dopo averli pescati e p oi seccati al sole fanno così: li gettano in un m ortaio e dopo averli tr i­ ta ti coi pestelli li passano attraverso una tela; chi di loro vuole li m angia im pastati com e pane d ’orzo, a ltri invece li m angiano cotti al forno com e p ani di fru ­ m ento.

201 . A llorch é anche questo popolo fu d a C iro sotto­ messo, egli desiderò assoggettarsi i M assageti. Questo popolo si dice sia grande e forte, ed ab ita verso oriente 326 A Pafo e Amatunte nei santuari di Afrodite si verificavano altri casi di prostituzione sacra, usanza introdottasi forse dalla Fenicia.

ERODOTO c il levar del sole, al di là del fium e A rasse ,327 di fronte t,gli Issedoni .328 C i sono alcuni i q u ali dicono che anche questo popolo è scitico.

202 . L ’Arasse, alcun i dicono sia più grande, a ltri i più piccolo d ell’ Istro .329 D icono che ci siano in esso numerose isole sim ili per gran d ezza a Lesbo, e che in i-sse abitino uom ini che si cibano di rad ici d ’ogni genere scavandole durante l’estate, m entre i fru tti degli alberi ih e hanno trovati li ripongono, una vo lta maturi,^ per servirsene com e cibo e di essi si nutrono nella stagione i nvernale ; inoltre essi avrebbero scoperto altri alberi a che producono certi fru tti di ta l sorta che essi, dopo essersi riu niti in gru p p i in uno stesso luogo ed aver acceso il fuoco, postisi seduti in circolo li gettano sul fuoco e aspirando m entre il frutto gettato brucia si inebriano con l’odore allo stesso m odo che i G reci i o! vino, e gettando sul fuoco p iù fru tti si inebriano di più, finché si levano per danzare e si m ettono a can ­ tare. T a le si dice sia il loro genere di vita. Il fium e Arasse 330 scorre provenendo d al paese dei 3 M atieni ,331 donde viene anche il G in do, quello che C iro divise in 360 canali, e sfocia con 40 bracci, dei quali tu tti tranne uno finiscono in p alu di e stagni, nei q uali si dice abitino uom ini che m angiano pesci crudi e che usano servirsi com e vesti di pelli di foche. Q u e ll’uno invece dei b racci d ell’Arasse scorre senza 4 im pedim ento fino al m ar Caspio. Il m ar Caspio sta a sé, senza m escolarsi con l’altro m are (poiché tutto

327 È l’odierno Jaxarte o Sir Daria. 328 Abitavano ad est degli U rali ed Erodoto non ne aveva, come vedremo (IV , 13 segg.), che notizie leggendarie. 329 II Danubio. 33° Erodoto ha confuso tre fiumi diversi riunendone le carat­ teristiche in uno solo; cfr. sulla questione Westberg, Z ur Topographie des Herodots, in «Klio», IV (1904) p. 187 e Hennig, Der Àraxes des Herodots, in «Mittel. Pertemann», 1929, p. 169. Si tratta della combinazione di varie notizie di diverse fonti. 331 Che abitano presso i Saspiri (III, 94) e non sono da con­ fondere, come fa invece Erodoto, con quelli di I, 189 e V , 49 e 52.

quel mare che i Greci navigano 33a e quello fuori dalle colonne d ’Eràcle chiamato Atlantide e il mar Rosso 333 sono un mare solo). x

203 . Il Caspio 334 invece è un altro mare a sé stante ed ha una lunghezza di 15 giorni di navigazione per chi vada a remi e una larghezza, nel punto dov’è più largo, di 8 giorni di navigazione. E dalla parte di questo mare rivolta verso occidente si stende il Caucaso, che è di tutti i monti il più grande per ampiezza e il più alto per grandezza. Molte e varie popolazioni umane contiene in sé il Caucaso, che per lo più vivono

2 tutte d i fru tti selvatici. N el paese di costoro si dice ci siano anche delle foglie d ’albero di una specie tale che pestan­ dole e m escolandole con acqu a dipingono con esse figure sulle loro vesti, e queste figure non si cancellano con la lavatu ra, anzi invecchiano insiem e con la stoffa com e se v i fossero state intessute originariam ente. G li accop p iam enti d i questi uom ini avvengono dinanzi a tu tti com e per le bestie. 1

204 . L a parte di questo mare chiamato Caspio ri­ volta verso occidente la chiude dunque il Caucaso, mentre verso oriente e il levar del sole segue una pia­ nura che si stende a perdita d’occhio. D i questa grande pianura parte non piccola hanno i Massageti, contro i quali Ciro ebbe desiderio di marciare.

2

M o lte e rilevan ti erano le ragio n i che lo spingevano e lo incitavano, p rim a di tutto la nascita e il credere d i essere p iù ch e uom o, in secondo luogo la fortuna a vu ta nelle guerre: ché dovunque C iro si volgesse a guerreggiare, im possibile era per quel popolo scam pare.

332 È il Mediterraneo con i m ari dipendenti. 333 £.ebennitica e vanno al mare, le quali hanno i seguenti nomi, l’una di esse si chiama Saitica, l’altra Mendesia. La bocca Bolbinitica invece e la Bucolica non sono bocche naturali ma scavate artificialmente.

3

18. U na conferma poi alla mia opinione, che cioè 1 l’Egitto è grande tanto quanto appunto io affermo nella m ia esposizione, la fornisce anche il responso dato dall’oracolo di Ammone, responso che io venni a conoscere dopo essermi formato il mio parere ri­ guardo all’Egitto. I cittadini delle città di M area e di A pi che abi- 2 tavano la regione di confine fra l’Egitto e la Libia, poiché credevano di essere libici e non egiziani e con­ sideravano un peso l’osservanza dei riti religiosi con­ cernenti i sacrifici, non volendo astenersi dalla carne di vacca ,33 mandarono ad interrogare l’oracolo di Am33 Sull’astinenza degli Egiziani da questo cibo cfr. cap. 41.

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mone, dicendo che essi non avevano nulla in comune con gli Egiziani: abitavano infatti fuori dal Delta e non concordavano con quelli in nulla, e volevano fosse 3 loro lecito gustare tutti i cibi. M a il dio non permetteva loro di far ciò, dicendo che Egitto è questa terra che il Nilo nelle sue inondazioni irriga, e che Egiziani sono coloro che, abitando a nord della città di Elefantina, bevono attingendo a questo fiume. Così fu loro risposto dall’oracolo. 1

19. Il Nilo ogni volta che è in piena inonda non solo il Delta, ma anche qualche parte del territorio che si dice sia libico e di quello arabico, e dall’una parte c dall’altra per l’estensione di due giorni di cammino, e più ancora di questo e meno. Intorno alla natura del fiume nulla né dai sacerdoti 2 né da alcun altro potei apprendere. Ero certo ben desi­ deroso di sapere da loro questo, perché il Nilo scorre in piena cominciando dal solstizio d’estate per cento giorni, e dopo esser giunto a un tal numero di giorni si ritiri abbassando le sue acque, in modo tale che trascorre tutto l’inverno in proporzioni modeste, fino a giungere di nuovo al solstizio d’estate. 3 Su questi argomenti da nessuno degli Egiziani potei apprendere nulla, per quanto chiedessi loro qual mai forza ha il Nilo per avere una natura contraria a quella degli altri fiumi. Io facevo dunque ricerche volendo sapere queste cose che ho detto, e ancora perché, solo fra tutti i fiumi, non offra brezze spiranti. i

20 . Alcuni dei Greci,84 volendo divenire illustri per sapienza, esposero nei riguardi di quest’acqua tre di­ verse spiegazioni, delle quali due non le ritengo nem­ meno degne d’esser ricordate, se non tanto da menzio­ narle soltanto.

34 È, come quelli immediatamente successivi, un capitolo in­ teramente polemico.

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Di queste una 85 dice che i venti etesii36 sono quelli 2 che causano la piena del fiume, impedendo al N ilo di sfociare nel mare. M a spesso le etesie non spirano aff’.uto, eppure il Nilo si comporta nella stessa maniera. Per di più, se le etesie fossero la causa, bisognerebbe 3 che anche agli altri fiumi, quanti scorrono in direzione opposta alle etesie, fossero soggetti allo stesso fenomeno del Nilo, e anche in proporzioni di tanto più grandi di quanto essi, essendo più piccoli, presentano una cor1ente più debole. C i sono invece molti fiumi nella Siria, e molti in Libia, i quali non subiscono affatto ciò che subisce il Nilo.

21 . La seconda spiegazione3’ poi è ancora meno scientifica di quella già riferita, e a dirla ancora più straordinaria, poiché afferma che il Nilo produce questi Huomeni derivando dall’Oceano, e che l’ Oceano scorre attorno a tutta la terra. 22 . L a terza delle spiegazioni,38 pur essendo di gran 1 lunga la più speciosa, è la più falsa. Neppure essa ha infatti alcun valore, dicendo che il Nilo proviene da neve disciolta, e che scorre dalla ì.ibia attraverso il paese degli Etiopi e che sbocca in i.” itto. M a come mai potrebbe provenire da neve, esso 2 1 he scorre da paesi caldissimi verso altri che sono per !.i maggior parte più freddi? Per un uomo almeno che sia in grado di ragionare su tali argomenti, molte pròve ( i sono che non è verisimile che provenga da neve: la prima e più importante testimonianza la forniscono i venti, che soffiano caldi da questi paesi; secondaria-3 35 È, secondo Diod., I, 38, l’opinione di Talete di Mileto. 36 V enti che spiravano regolarmente in estate con direzione nord-ovest - sud-est. 37 Sembra che questa seconda opinione risalga a Euthymenes di Massilia, il quale avrebbe compiuto i suoi viaggi d’esplorazione verso la fine del V I sec. Cfr. Legrand, op. cit., II, p. 79. 38 È l’opinione di Anassagora (Diod., I, 38) e pare sia stata anche quella di Eschilo (fr. 300 Wecklein), ed è la più esatta, anche se Erodoto non è dello stesso parere.

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mente, il fatto che la regione è sempre priva di piogge e di ghiacci, mentre sulla neve caduta è assolutamente necessario che piova entro cinque giorni, cosicché, se nevicasse, in questi paesi pioverebbe anche. In terzo luogo poi gli uomini che sono neri per il calore. 4 Inoltre i nibbi e le rondini durante tutto l’anno non cessano di stare lì, mentre le gru, fuggendo l’inverno che sopraggiunge nella Scizia, vengono in questi luoghi per svernare. Se dunque nevicasse, anche tanto così, in que­ sta regione attraverso la quale scorre e in quella donde comincia a scorrere il Nilo, nulla avverrebbe di tutto questo, come la logica dimostra necessariamente.

23 . Colui poi che parlò dell’Oceano,39 avendo por­ tato il suo discorso su cose oscure non può essere nep­ pure preso in esame; ché io per parte mia non so affatto che ci sia un qualche fiume Oceano, ma Om ero o qualcuno dei poeti vissuti prima di lui credo abbiano inventato il nome e l’abbiano introdotto nella poesia. 1

24 . Se poi, dopo aver biasimato le opinioni proposte, conviene che io stesso esponga il mio parere intorno a questi oscuri argomenti, dirò per quale ragione a me sembra che il Nilo si rigonfi d ’estate. Durante la stagione invernale il sole, allontanandosi dall’antico corso 40 per opera delle tempeste invernali, 2 va nelle regioni superiori della Libia.41 A voler spie­ gare nel modo più breve, con questo è detto tutto. Infatti quella terra cui questo dio si trova più vicino e che egli percorre, questa è naturale che abbia la mas­ sima penuria d ’acque e che i fiumi che scorrono in quei luoghi inaridiscano. 39 Deve trattarsi di Ecateo (cfr. fr. 302 c in F . G. H . Jacoby). È uno dei tratti più razionalistici di Erodoto, che del resto Ab­ bonda in questo libro di opinioni più o meno ingenuamente ra­ zionalistiche (cfr. Introd., p. X L I), 40 Erodoto concepisce la terra come una superficie piatta su cui il sole si muove seguendo una traiettoria curva; traiettoria normale è considerata quella seguita nel solstizio d ’estate, da est a ovest. 41 Ossia le regioni più lontane dal mare, quindi più meridionali.

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25 . Per spiegare invece con più ampio discorso, le , ose è impervio, ché a .questo punto l’imbarcazione avanza come un bue, legata da tutte e due le parti: se la corda si spezza l’imbarcazione se ne va, trascinata dalla violenza della corrente. Q uesta regione com porta una navigazione di quat- 3 110 giorni, e per questo tratto il N ilo è tortuoso al p ari di I M eandro. D odici sono gli scheni che bisogna com ­ piere navigando in tal modo, e poi si giungerà ad una pianura unita, in cui il N ilo scorre intorno ad un’isola: qui sta si chiam a T acom p o.48 La regione di E lefantina verso l ’interno la abitano 4 m inai gli E tiopi, e anche m età d ell’isola, l’a ltra m età inM Ce la abitano gli E giziani. Si stende accanto a ll’isola un grande lago, intorno al quale pascolano gli E tiopi nom adi; attraversato questo giungerai al corso del Nilo, iln sbocca in questo lag o ; e poi, sbarcato, com pirai 5 intimo il fium e una m arcia di q u aran ta giorn i; nel N ilo ci sono in fatti m olti scogli e m olte rocce a fior d ’acqua, a causa delle q u ali non è possibile navigare.

Attraversata in 40 giorni questa regione e imbarca- 6 uni di nuovo su un’altra nave, navigherai per dodici giorni, e poi giungerai ad una grande città, che si chiama

48 Località non identificata con sicurezza.

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Meroe.49 Si dice che questa città sia la metropoli degli altri Etiopi. G li abitanti di questa città venerano fra gli dei soltanto Zeus e Dioniso, e questi grandemente li onorano e c ’è presso di loro un oracolo di Zeus. Fanno guerra quando questa divinità lo comanda attra­ verso gli oracoli, e là dove essa ordina.

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30 . D a questa città, navigando per un altro periodo di tempo uguale a quello in cui pervenisti da Elefan­ tina alla metropoli degli Etiopi, giungerai agli Auto­ moli (disertori). Questi Automoli si chiamano Asmach, e questa parola in lingua greca significa «quelli che stanno alla mano sinistra del re ». 2 Queste ventiquattro miriadi di guerrieri egiziani disertarono passando agli Etiopi per la seguente ragione: al tempo del re Psammetico furono stabiliti posti di guardia e nella città di Elefantina verso gli Etiopi e a Dafni pelusiaca verso gli A rabi e gli Assiri, e un altro a 3 M area verso la Libia. Ancora al mio tempo anche i presidi dei Persiani erano sistemati nelle stesse località in cui erano quelli di Psammetico, ché infatti anche a Elefantina i Persiani hanno presidi e a Dafne.60 Dun­ que, gli Egiziani che da tre anni compivano servizio di guardia, nessuno li congedava dalla guardia; allora essi, consigliatisi e tutti di comune accordo, disertarono da Psammetico e passarono in Etiopia.81 4 Psammetico venutolo a sapere li inseguiva, e come li raggiunse li supplicava dicendo molte cose, e cercava di dissuaderli dall’abbandonare gli dèi dei loro padri e i figli e le donne. M a si dice che uno di essi mostran­ dogli la sua virilità gli dicesse che dovunque c’era quella là ci sarebbero stati per loro e figli e mogli. 49 Antica capitale degli Etiopi, forse a sud della confluenza del Nilo con l’Atbara. 50 Presso Pelusio, al confine orientale dell’Egitto, fra il Delta e il canale di Suez; oggi Tell-Defenneh, Il racconto è nel complesso accettabile, contro l’eccessivo scetticismo del Wiedemann. 51 Diodoro (I 67, 3) spiega la diserzione degli Asmach con la loro gelosia per i mercenari greci. A questo si può forse aggiungere l’effetto di qualche successo locale etiopico nel basso Egitto (cfr. H. R . Hall, Cambr. Anc. Hist., I l i , (1929), p. 290).

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Come giungono in Etiopia si consegnano al re degli 5 I-jliopi e questi li ricambia con i seguenti doni: poiché ,ilt uni degli Etiopi gli si erano ribellati li invitava a scacciare quelli e ad abitare la loro terra. Dopo che costoro si furono trasferiti fra gli Etiopi, più civili divennero gli Etiopi avendo appreso i costumi {'¡■iziani.

31 . Dunque, fino a un tragitto di quattro mesi per n.we e per terra il Nilo è conosciuto, oltre al corso che si -volge in Egitto: infatti facendo la somma si troverà t lu: tanti mesi sono necessari per chi vada da Elefantina () questi Automoli. Esso scorre da occidente e dalla p.n te ove tramonta il sole. D a questo punto in poi nessuno può dire niente ( ou certezza, poiché deserta è questa regione a causa del calore bruciante. 32 . D a uomini di Cirene che dicevano di essere and.ui all’oracolo di Ammone 62 e di essere venuti a col­ loquio con Etearco re degli Ammonii udii però il rac­ conto che segue. Dopo altri discorsi vennero a parlare d e l Nilo, del fatto che nessuno ne conosce le sorgenti, cd Etearco disse che erano venuti un tempo presso di lui degli uomini Nasamoni. Questa stirpe è libica e abita la Sirte, e precisamente la regione della Sirte volta verso oriente, per 11 >n ampio tratto. Giunti dunque i Nasamoni e richiesti se fossero in grado di dire qualcosa intorno ai deserti della Libia, dissero che presso di loro erano vissuti dei giovani teme­ rari, figli di uomini potenti, e che questi, divenuti adulti, avevano ideato molte imprese straordinarie, e fra le altre avevano persino tratto a sorte cinque di loro per andare ad esplorare i deserti della Libia, se

62 L ’oracolo di Ammone era uno dei più famosi; come ve­ demmo (I, 46) anche Creso l’avrebbe consultato. Era posto nel­ l’odierna oasi di Siwah. 18 - Erodoto - Le Storie.

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mai potessero vedere qualcosa più di quelli che erano giunti a vedere più lontano. 4 Nella Libia infatti nella parte lungo il mare set­ tentrionale, a cominciare dall’Egitto fino al promontorio di Soloe 53 che segna il confine della Libia, si stendono per tutta la regione i Libici, e dei Libici molti popoli, all’infuori della parte che occupano Greci e Fenici. Invece nelle regioni a sud del mare e dei popoli che si stendono lungo il mare la Libia è popolata da fiere. Nella regione a sud di quella popolata da fiere poi c’è sàbbia e la regione è terribilmente priva d ’acqua e completamente deserta. 5 Diceva dunque che giovani mandati dai coetanei, ben provvisti d’acqua e di vettovaglie, andarono dap­ prima attraverso la regione abitata; poi, attraversata questa, giunsero a quella popolata da fiere, e dopo questa andarono attraverso il deserto camminando verso 6 il vento zefiro; e dopo aver attraversato un ampio territorio sabbioso, in capo a molti giorni videro infine alberi che si levavano in una pianura, e accostatisi col­ sero i frutti che erano sugli alberi. M a mentre li co­ glievano li assalirono degli uomini piccoli, più bassi di uomini normali, e questi, presili, li condussero via; e né i Nasamoni comprendevano alcunché della lingua di quelli, né coloro che li conducevano di quella dei 7 Nasamoni. E li condussero attraverso amplissime paludi e, attraversate queste, giunsero ad una città nella quale tutti erano uguali per altezza a quelli che li conduce­ vano, e neri di colore. Lungo la città scorreva un gran fiume,61 e scorreva da occidente verso il· levar del sole, e in esso apparivano coccodrilli. 5

33 . Basti dunque d ’aver esposto fino a questo punto il racconto di Etearco di Ammone ; aggiungerò solo che 53 Probabilmente l’odierno Capo Spartel sulla costa del M a­ rocco presso Tangeri; 'secondo altri Capo Cantin (all’altezza di M adera). 64 Sembra dèbba trattarsi del Niger; cfr. Gsell, Textes relatifs à l ’hist. de l ’Afr. du Nord, I (Alger 1915), p. 207 segg.; Hennig in «Rhein. Mus.», 1934, p. 206).

ERODOTO ,-oli diceva che i Nasamoni erano tornati al loro paese, a qiunto narravano i Cirenaici, e che gli uomini pressò j qi tali erano giunti erano tutti stregoni. Quel fiume poi 2 c l i c scorreva presso la città anche Etearco congetturava fo-...e il Nilo, e certo anche il ragionamento lo esige. Dalla Libia infatti proviene il Nilo e tagliando a ni, /zo la Libia, e — a quanto io ritengo congettur.mdo dalle cose note le ignote — muove da una lonniiudine uguale a quella da cui muove l’Istro. Il fiume 3 fs 11 o infatti, cominciando dal paese dei Celti e dalla tilià di Pirene,55 scorre tagliando a mezzo l’Europa. I C e lti 66 stanno fuori dalle colonne d’Eracle e iciifinano con i Cinesii,57 che sono gli ultimi verso 1m idente degli abitanti dell’Europa. L ’Istro, sco r-4 rendo attraverso tutta l’Europa, sbocca nel mare detto Punto Eusino, dove coloni di Mileto abitano l’Istria .68

34 . Dunque, l’Istro ,69 poiché scorre attraverso ter- 1 ri lori abitati, è conosciuto da molti, mentre intorno alle sorgenti del Nilo nessuno è in grado di parlare, perché la Libia che esso attraversa è disabitata e deserta. Del suo corso, per quanto più lontano potei giungere nelle mie indagini, ho già parlato: esso finisce nell’E ­ gitto. L ’Egitto è posto quasi di fronte alla Cilicia mon­ tuosa. D a questa a Sinope sul Ponto Eusino ci sono 2 cinque giorni di strada diretta per un uomo spedito, e Sinope è posta di fronte all’ Istro che sfocia nel mare. 55 Antica città da cui presero il nome i Pirenei, ai cui piedi essa era posta. Sull’origine del nome cfr. Hopfner, in »Philol. Woch.», 1934, p. 368. 56 II loro paese corrisponde, in base alle notizie erodotee, alla Francia di sud-ovest e alla regione più settentrionale della Spagna. 57 Posti nella parte sud-occidentale della penisola iberica, nell’odierna Algarbia. A l pari dei Celti sono considerati come abi­ tanti fuori delle colonne d’Eracle perché i Greci ne avevano no­ tizia soltanto da coloro — particolarmente Fènici — che avevano oltrepassato le colonne stesse. 58 Nell’odierna Dobrugia, presso la foce dell’Istro. È l’odierna Istere. 59 L ’artificioso parallelismo fra l’Istro e il Nilo è dovuto alla consueta ricerca di simmetria e si basa su presupposti erronei (sia la Cilicia che Sinope sono assai più a est del Delta).

ERODOTO Così io ritengo che il Nilo attraversando tutta la Libia possa considerarsi uguale all’Istro. E tanto basti in­ torno al Nile*·.

35 . Vengo ora a dilungare il mio discorso intorno all’Egitto,60 poiché molte cose meravigliose esso pos­ siede e offre opere superiori ad ogni racconto, in con­ fronto a ogni altro paese; per questo di esso più a lungo si parlerà. z Gli Egiziani, conformemente al clima che è presso di loro diverso e al fiume che presenta una natura dif­ ferente dagli altri fiumi, in molte cose hanno costumi e leggi contrarie a quelle degli altri uomini; presso di loro le donne vanno al mercato e commerciano, gli uomini invece standosene in casa tessono ; 61 e, mentre gli altri tessono spingendo la trama all’insù, gli Egi­ ziani la spingono all’ingiù. I pesi, gli uomini li portano 3 sulla testa, le donne sulle spalle. L e donne orinano stando diritte, gli uomini curvati. Soddisfano i loro bisogni dentro le case e mangiano fuori nelle strade, dicendo che le cose necessarie e indecenti conviene farle in segreto, quelle non .indecenti pubblicamente. 4 Nessuna donna è sacerdotessa né di divinità maschile nc femminile, gli uomini invece di tutti gli dei e di tutte le dee.62 D i mantenere i genitori non c’è alcun obbligo per i figli che non lo vogliono, mentre per le figlie c’è obbligo assoluto anche se non lo vogliono.

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36 . I sacerdoti degli dei negli altri paesi portano i capelli lunghi, in Egitto invece si radono. Gli altri uomini hanno la consuetudine in occasione di un lutto 60 Per questo e per i successivi capitoli si tenga presente che Erodoto, cosa del resto naturale per un osservatore, presta at­ tenzione soprattutto alle usanze più strane, contrastanti con quelle greche, e spesso generalizza le singole impressioni riportate. 61 È il famoso passo imitato da Sofocle (Oed. Col. 337 segg.). Non sembra possibile ritenere col Legrand che Sofocle fosse in tale asserzione indipendente da Erodoto. 62 Che questo vada inteso in senso non assoluto lo prova Ero­ doto stesso, I, 182; II 54 e 55.

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( he le persone maggiormente colpite si radono la testa; uli Egiziani invece, in occasione delle morti, lasciano r, escere i capelli e la barba, mentre prima erano rasati. Per gli altri uomini la vita si svolge separatamente z (1,1 gii animali, per gli Egiziani invece la vita si svolge in comune con gli animali. Gli altri vivono d’orzo e di frumento; fra gli Egiziani invece chi si nutre di (|iiesti prodotti si attira la massima onta; fanno invece il pane di olirà,63 che alcuni chiamano zeia. Impastano 3 |,i pasta coi piedi e l ’argilla con le mani [e raccolgono il letame]. Le parti sessuali gli altri le lasciano come nacquero, tranne quanti hanno appreso da loro, gli l'iiiziani invece le circoncidono. Quanto ai vestiti, degli uomini ciascuno ne porta due, delle donne invece ciascuno uno. Gli anelli e le 4 Inni delle vele gli altri le legano fuori, gli Egiziani (I ntro. I Greci scrivono le lettere e contano portando l.i mano da sinistra verso destra,64 gli Egiziani da destra a sinistra; e facendo così essi dicono di fare a destra < che i Greci fanno a sinistra. Due specie di caratteri. (■--i hanno, e l’una si chiama sacra, l’ altra demotica.65

37 . Essendo straordinariamente religiosi, assai più 1 di tutti gli altri uomini, osservano le seguenti regole: 1u vono da tazze di bronzo, pulendole accuratamente o'^ni giorno, non chi sì chi no, ma tutti. Portano vesti 2 di lino sempre di bucato, curando ciò al massimo grado. J j i : parti sessuali le circoncidono per ragioni di pulizia, preferendo essere puliti piuttosto che di più bell’aspetto. I sacerdoti si radono tutto il capo ogni due giorni, af­ finché né pidocchio né alcuna altra sozzura venga su di loro mentre attendono al culto degli dei. Portano, i sacerdoti, una sola veste di lino e calzari 3 di papiro; altre vesti non è loro lecito prendere, né altri calzari. Si lavano due volte ogni giorno con acqua 63 Sorta di dura o spelta. 64 M a anche le più antiche iscrizioni greche, che Erodoto certo non conosceva, erario scritte da destra a sinistra. 66 Le scritture geroglifica e demotica.

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fredda e due volte ogni notte. A ltri riti poi compiono, 4 innumerevoli per così dire. Essi godono però anche non pochi privilegi, poiché niente consumano né spendono del loro patrimonio, ma per essi vengono cotti cibi sacri, e di carne di bue e di oca ciascuno ne riceve una grande quantità ogni giorno, e viene dato loro anche vino di vite. D i pesci invece non possono cibarsi. 5 Fave non ne seminano affatto gli Egiziani nel loro paese, e quelle che nascono non le mangiano crude né se ne cibano cuocendole; 66 i sacerdoti poi non ne sopportano neppure la vista, ritenendo siano un legume impuro. Esercita il sacerdozio non uno solo per ciascuno degli dei ma molti, dei quali uno è il sommo sacerdote, e quando questi muore ne prende il posto il figlio.

38.1 tori credono siano sacri ad Epafo 67 e per questo li esaminano nel modo seguente: se il sacerdote vede che c’è su di esso un pelo, anche uno solo, nero, non 2 lo considera adatto ad essere sacrificato. Fa questa indagine uno dei sacerdoti addetto a ciò, stando, l’ani­ male dritto e supino e tirandogli egli fuori la lingua,68 per vedere se è priva dei contrassegni stabiliti, che espor­ rò in un altro racconto. Esamina anche i peli della coda, se sono cresciuti secondo il modo naturale. 3 Se è privo di tutti questi segni lo contrassegna con un papiro, avvolgendoglielo attorno alle corna e poi, applicatagli della terra sigillare, vi imprime il sigillo. E così lo portano via ; e per chi ne sacrifichi uno privo di contrassegni c’è la pena di morte. L a bestia dunque si esamina nel modo suddetto, e il loro sacrificio si svolge nel modo seguente: i

39 . Condotto l’animale contrassegnato presso l’al­ tare dove sacrificano, accendono un fuoco, e poi, dopo 66 Secondo il Legrand, op. cit., II, p. 92, n. 2, questa asser­ zione sarebbe contraddetta da documenti archeologici. 67 Con Epafo, il mitico figlio di Zeus e Io, i Greci identifi­ cavano il bue Api. 68 II bue Api aveva sotto la lingua una escrescenza raffigu­ rante uno scarabeo.

ERODOTO aver fatto sulla vittim a libagioni di vino e invocato ¡1 dio, lo sgozzano sull’altare, e dopo averlo sgozzato gli tagliano la testa. Il corpo dell’animale lo scuoiano, la testa invece, di 'po aver pronunciato su di essa molte imprecazioni, |,i portano, quelli che hanno un mercato e mercanti ( ; rcc.i nel paese, la portano al mercato e la vendono, quelli invece che non hanno Greci nel paese la gettano nel fiume. Fanno imprecazioni sulle teste pronunciando 3 queste parole, che se mai sta per sopravvenire qualche ni ale a quelli stessi che sacrificano o a tutto l’Egitto, ricada su quella testa. Riguardo alle teste degli animali sacrificati e alla 4 libagione di vino tutti gli Egiziani osservano queste norme ugualmente per tutti i sacrifici, e in conseguenza di questa norma neppure della testa di alcun altro animale vivente nessuno degli Egiziani si ciberebbe.

40 . Invece lo sventramento delle vittime e l’abbrucia- 1 mento è per loro differente in ciascun sacrificio. I riti che r^i seguono nei riguardi di quella che ritengono sia la divinità più grande 69 e in onore della quale celebrano la più grande festa, questi vengo a narrare. Dopo aver scuoiato il bue e pronunciato preghiere 2 estraggono tutti gli intestini, ma gli lasciano nel corpo i visceri e il grasso, mentre gli tagliano le gambe e la punta dell’anca e la spalla e il collo. Fatto ciò, il 3 11'to del corpo del bue lo riempiono di pani puri e di miele e di uva passita e di fichi e di incenso e di mirra e di altri aromi, e dopo averlo riempito di questi ingredienti lo pongono sul fuoco per il sacrificio, ver­ sando olio senza risparmio. Celebrano il sacrificio dopo aver in precedenza di- 4 giunato, e mentre le vittime bruciano tutti si percuo­ tono il petto, e dopo essersi percossi si imbandiscono come banchetto quel che delle vittim e è rimasto. ■69 È Iside; la festa in suo onore si celebrava nella città di Busiride e viene descritta al cap. 61.

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1 41 . I buoi privi dei contrassegni e i vitelli tutti gli ' Egiziani li sacrificano, le vacche invece non è loro 2 lecito sacrificarle, ma sono sacre ad Iside. Infatti il simulacro di Iside, pur essendo femminile, ha corna di vacca, così come i Greci rappresentano Io, e le vacche tutti gli Egiziani ugualmente le venerano di-gran lunga 3 più di tutti gli altri animali. Per questo né un uomo egiziano né una donna bacerebbe mai sulle labbra un Greco, né userebbe la spada di un uomo greco, né uno spiedo né un lebete, né assaggerebbe la carne di un bue anche puro tagliata con coltello greco. 4 Seppelliscono i buoi che muoiono nel modo se­ guente: le femmine 'le gettano nel fiume, i maschi li sotterrano nei sobborghi, in modo che l’una delle corna o entrambe sporgano per segnale. Quando si è impu­ tridito ed è trascorso il tempo stabilito, viene a ciascuna 5 città una barca dall’isola chiamata Prosopitide.70 Q ue­ sta è nel D elta e il suo perimetro è di nove scheni. In quest’isola di Prosopitide dunque fra le molte altre città c’è quella dalla quale vengono le barche per cari­ care le ossa dei buoi, e la città ha nome A ta rb e ch i71 e 6 in essa sorge un tempio sacro ad Afrodite. D a questa città molti si recano chi in una città chi in un’altra e, dissotterrate le ossa, le portano via e le seppelli­ scono tutti in un solo luogo ; nello stesso modo dei buoi seppelliscono anche tutti gli altri animali quando siano morti. Per loro infatti riguardo a ciò così è stabilito per legge, poiché non uccidono affatto neppure gli altri animali. 1

42 . Q uanti invece hanno eretto il tempio di Zeus

Tebano 72 o sono del nomo di Tebe, tutti costoro aste­ nendosi dalle pecore sacrificano capre. 2 Infatti non tutti gli Egiziani venerano gli stessi 70 Nel Delta, fra il ramo canopico^e il sebennitico, formava un distretto a sé. 71 La città sacra ad Athar, dai Greci identificata con Afrodite. . 72 È Ammone, che da divinità locale con l’accrescersi della potenza tebana divenne divinità della massima importanza e fu idflltificata col Sole (Ammone Ra).

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all’infuori di Iside e di Osiride, che dicono corri­ a Dioniso; questi li venerano tutti ugualmente. Quanti invece possiedono il tempio di Mendes 73 o s o n o del nomo Mendesio, questi, astenendosi dalle ca­ pre, sacrificano pecore. I Tebani e quanti a causa loro si astengono dalle 3 pecore dicono che tale legge fu posta loro per il seguente motivo: E ra c le 74 voleva assolutamente vedere Zeus, e questi non voleva esser visto da lui; ma alla fine, poiché Eracle insisteva, Zeus questo architettò: dopo 4 aver tolta la pelle ad un ariete, tagliata la testa del­ f i n e te se la. mise innanzi e, indossato il vello, si pre­ s e n t ò a lui in questo aspetto. In seguito a ciò gli Egiziani rappresentano la statua di Zeus con testa di montone, e sull’esempio degli Egiziani l'.inno lo stesso gli Ammonii, che sono coloni degli Egi­ zi.ini e degli Etiopi e usano una lingua di mezzo tra gli imi e gli altri. A quanto a me pare, anche per quanto 5 riguarda il nome gli Ammonii si denominarono da ciò; gli Egiziani infatti chiamano Zeus Amun. G li arieti dunque i Tebani non li sacrificano, anzi s o n o loro sacri per questo motivo. M a in un sol giorno 6 dell’anno, durante la festa di Zeus, uccidono un ariete, l o scuoiano, rivestono nella stessa maniera la statua di Zeus, e poi gli accostano un’altra statua rappresen­ tante Eracle. Fatto ciò, tutti coloro che sono addetti .il tempio si percuotono, in segno di lutto, compiangendo r.iriete, e poi lo seppelliscono in una tomba sacra. ile i,

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43 . Attorno ad Eracle udii questo racconto, che egli 1 appartiene ai dodici dei.75 Riguardo invece all’altro Eracle, quello che cono­ scono i Greci, in nessun luogo dell’Egitto potei udire alcuna notizia. M a certo del fatto almeno che non gli 2 Egiziani presero il nome di Eracle dai Greci, ma piut­ tosto i Greci dagli Egiziani, e dei Greci in particolare 73 Nella parte nord-orientale del Delta. 74 Identificato da alcuni con Shun, da altri con Chunsu. 76 Gfr. cap. 145.

LIBRO SECONDO quelli che posero al figlio di A nfitrione il nom e di E racle, m o lte altre prove io ho che le cose stiano real­ mente così; e fra le altre questa soprattutto, che i geni­ tori di questo E racle, A nfitrione e A lcm ena, erano en­ tram bi anticam ente originari d a ll’E g it t o ;76 e inoltre, che gli E giziani dicono di non conoscere i nom i né di Posidone né dei D ioscuri, né questi sono stati da loro accolti fra gli altri dei. 3 O r dunque, se g li E gizian i avessero preso dai G reci il nom e di qualch e divinità, avrebbero conservato il ricordo anche di queste ultim e divinità non in misura m inore, m a anzi m aggiore, se già allora alcuni G reci esercitavano la navigazione ed erano m arinai, com e io ritengo e come la logica richiede. Sicché di queste di­ vinità piuttosto che di E racle gli E giziani avrebbero 4 appreso il nome. In vece per gli E giziani E ra cle è una divinità antica ; a quanto essi stessi dicono, sono, fino al regno di A m asi,77 17000 anni da quando gli dei di­ vennero da otto dodici, e di questi uno ritengo sia E racle. 1 . 44 . E volendo sapere qualcosa di chiaro su questi argom enti da quelli che potevano saperlo, navigai anche fino a T iro in Fenicia, poiché sapevo che lì

2 c’era un tempio sacro ad Eracle. E lo vidi, riccamente adorno di molti doni votivi, e fra gli altri c ’erano in esso due colonne, l’una d’oro fino, l’altra di smeraldo, che brillava per la sua grandezza nella notte.

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V en u to a colloquio con i sacerdoti del dio, chiedevo quanto tem po fosse passato da quando sorgeva quel loro tem pio. E trovai che neppure essi s’accordavano con i G reci. Risposero infatti che contem poraneam ente alla fondazione di T iro era stato eretto anche il tem pio del dio, e, da quando abitano T iro , erano 2300 anni. V id i poi a T iro anche un altro tem pio di E racle, che h a il nom e di Tasio. 76 Erano entrambi nipoti di Perseo, discendente a sua volta da Egitto. 77 L ’ultimo re indipendente prima della conquista persiana (570-526).

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Andai anche a Taso, dove trovai un tempio di 4 l'racle eretto dai Fenici che navigando alla ricerca di l'.uropa fondarono Taso; e questi avvenimenti risalm ino.a cinque generazioni di u o m in i7? prima della u.uscita di Eracle figlio di Anfitrione in Grecia. Queste ricerche dunque dimostrano chiaramente 5 . Iie Eracle è una divinità antica. E a me sembra che l.i cosa più giusta la facciano quelli dei Greci 79 che li.inno elevato due templi ad Eracle, e all’uno sacri­ li! ano come a immortale, col nome di Olimpio, al]\iltro invece rendono onori come a un eroe.

45 . Anche molte altre cose i Greci raccontano sconsi- 1 di-ratamente, e fra gli. altri ingenuo è questo loro Tac­ c ia to 80 attorno ad Eracle, che cioè, essendo egli venuto in Egitto, gli Egiziani dopo averlo incoronato lo con­ dussero in processione per sacrificarlo a Zeus; e che egli per un certo tempo rimase tranquillo, ma, quando furono iniziati presso l’altare i preparativi del suo sacri­ ficio, ricorso alla forza fece strage di tutti. A me certo sembra che narrando questo i Greci si 2 mostrino assolutamente ignari dell’indole degli Egiziani e dei loro costumi, ché persone per le quali è legge sacra non sacrificare neppure degli animali, alPinfuori delle pecore e dei buoi e dei vitelli che siano privi di contrassegni, e delle oche, come potrebbero sacrificare degli uomini ? E poi Eracle che era uno solo e per giunta ancora 3 uomo — a quanto essi dicono — come può aver avuto la forza naturale di uccidere molte decine di migliaia di uomini ? E a noi che tali cose dicemmo intorno a questi argomenti _possa toccare benevola tolleranza sia da parte degli dei che degli eroi. 78 L ’ Eracle greco era contemporaneo di Eteocle e Polinice, i quali erano i quinti discendenti di Cadm o, fratello di Taso e di Europa (V , 59). 79 Per es., quelli di Sicione. 80 Era stato narrato da l'erecidc (ir. 33 F. G. H. ; cfr. ApolL, II, 5).

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46 . L e capre e i m ontoni q u elli degli E gizian i che dicem m o noi# li sacrificano per le seguenti ragion i: i M endesii considerano che Pan sia uno degli otto dei, e questi otto dei dicono che siano esistiti anteriorm ente 2 ai dodici dei. I p itto ri e gli scultori dipingono e scolpi­ scono l’im m agine di P an al p a ri dei G reci, con volto di cap ra e zam pe di m ontone, p u r non ritenendolo tale, m a sim ile agli a ltri dei. Per quale ragione poi lo dipingano in siffatta m aniera, non m i piace dirlo. 3 I M endesii 81 poi venerano tutte le capre, e i maschi p iù delle femm ine, e i pastori d i questi ricevono onori m aggiori; fra questi caproni uno 82 soprattutto ne ve­ nerano, e quando m uore grande lutto viene imposto 4 a tutto il nom o mendesio. Il capro e Pan si chiam ano in egiziano M endes. In questo nomo ai m iei tem pi avvenne il seguente fatto straordinario: un caprone si u niva p u b b lica­ m ente ad una donna, e questo era arrivato a costituire un pub b lico spettacolo. i

47 . I l m aiale invece g li E gizian i lo considerano un anim ale im pu ro: se uno di essi tocca un m aiale, suole andare ad im m ergersi con tu tti i vestiti nel fiume, e i porcari, pur essendo n ativi dell’E gitto, soli fra tu tti non possono entrare in nessun tempio dell’Egitto, né alcuno vu o l dare loro in m oglie una figlia né prender m oglie da loro, m a i p o rcari danno e prendono m oglie fra loro. a A g li altri dei gli E gizian i non considerano lecito sacrificare un m aiale; solo a Selene e D ioniso 83 nello stesso periodo e nel medesimo plenilunio sacrificano porci e ne m angiano le carni. Per q uali ragioni poi i m aiali li aborriscano nelle cerim onie religiose e li sacrifichino invece in questa, 81 C ’è una confusione fra il dio di Mendes Osiride e il dio di Chemmis Min, che aveva testa di capro ed era comunemente iden­ tificato dai Greci con Pan. 82 Era considerato come l’immagine del dio, che era elargitore di fecondità. 83 È certamente Osiride. Selene è invece identificata da alcuni con la dea Nekheb, da altri con Iside.

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sii questo argom ento viene narrato dagli E giziani un racconto, m a a m e, sebbene lo conosca, non è troppo conveniente dirlo. Il sacrificio dei m aiali a Selene si com pie nel m odo 3 seguente: dopo averlo sacrificato, riu niti insieme la punta della coda e la m ilza e l ’om ento li coprono con tutto il grasso d ell’anim ale che sta attorno al ventre e poi li bruciano col fuoco. D elle carni rim anenti se ne cibano nel" plenilunio in cui sacrifi­ cano le vittim e, m entre in un altro giorno non ne as­ saggerebbero neppure. Q u e lli poi fra loro che sono poveri per indigenza di patrim onio, foggiati dei m aiali di pasta e cottili al forno, offrono in sacrificio questi.

48 . Invece in onore d i Dioniso, alla vigilia della 1 festa 84 ognuno, im m olato dinanzi alle porte un p orcel­ lino, lo dà d a p o rtar via a quello stesso dei porcari che glielo h a venduto. Il resto della festa in onore di Dioniso gli E gizian i 2 la celebrano — alPinfuori dei cori — quasi com pietamente allo stesso modo dei G reci, m a invece di falli altre im m agini essi hanno escogitato, e precisam ente figure alte circa un cubito mosse da fili, che le donne portano in giro per i villaggi, e m obile ne è il m em bro virile, che non è di m olto più piccolo del resto del corpo. Precede la processione un flauto, e quelle vengono dietro can ­ tando inni in onore di Dioniso. R igu ard o alla ragione 3 per cui h a un m em bro virile sproporzionato e m uove solo questa p arte del corpo, viene n arrato su ciò un racconto sacro. 49 . C erto io ritengo che M elam po 85 figlio di A m i- 1 teone non fosse ignaro di questo rito m a lo conoscesse. È infatti M elam po colui che h a fatto conoscere ai G reci la persona di D ioniso e il sacrificio e la processione del 84 Col termine greco « dorpia » si indicava il primo giorno della festa ionica delle Apaturie, ih cui membri i delle fratrie si riunivano a cena (« dorpos »). Il termine venne poi usato per estensione ad indicare il primo giorno o la vigilia di una festa. 85 Famoso indovino e taumaturgo, cfr. IX , 34.

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fallo ; egli veram ente rivelò il procedim ento senza aver compreso tutto esattam ente, e p iù am piam ente lo il­ lustrarono invece i saggi che vennero dopo di lu i; m a il fallo che viene portato in processione in onore di D ioniso è M elam po che lo introdusse, e i G reci fanno ciò che fanno avendolo appreso da lui. 2 Io dunque afferm o che M elam po, mostrandosi uomo avveduto, s’acquistò l’ arte divin atoria e che, avendoli appresi d all’Egitto, m olti riti introdusse presso i G reci, e fra gli altri anche quelli relativi a Dioniso, m utandone poche cose: ché io non dirò certo che i riti com piuti in E gitto in onore del dio coincidano casualm ente con quelli che si com piono in G recia; altrim enti èssi sa­ rebbero in arm onia col carattere dei G reci 86 e non sa3 rebbero introdotti di recente. E certo non dirò neppure che gli E giziani hanno preso dai G reci questa o qualche a ltra consuetudine ; ritengo invece piuttosto che M elam ­ po ab bia appreso i riti relativi a Dioniso d a C adm o di T iro e da quelli che vennero dalla Fenicia nella re­ gione detta ora Beozia.

50 . E d anche le denom inazioni di quasi tutte le altre divinità sono venute in G recia dall’ Egitto. C h e siano venute dai b arb ari, ho trovato nelle mie ricerche che è realm ente così. E io ritengo ch e soprattutto d a ll’Egitto siano venute. 2 Infatti, se si escludono quelle di Posidone e dei D ioscuri, com e già prim a ho detto, e di H era e di H estia e di Them is e delle C a riti e delle N ereidi, i nom i degli altri dei g li E gizian i li avevano in ogni tempo nel loro paese. Io non faccio che afferm are quel che dicono g li E gizian i stessi. Q uan to poi a quelle divinità delle q uali dicono di non conoscere il nom e, queste a m e sem bra abbiano ricevuto il nom e dai Pelasgi, a ll’infuori di Posidone, ché questa 3 divin ità la appresero dai L ib ici. Nessun popolo infatti conobbe fino dai tem pi p iù rem oti il nom e d i Posidone

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86 II carattere orgiastico delle feste dionisiache è ritenuto da Erodoto non consono ai costumi greci.

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' tranne i L ib ici, ed essi venerano sempre questa divinità. G li E giziani poi non hanno affatto l ’abitudine di \ t aerare g li eroi.

51 . Q uesti usi dunque, ed altri ancora oltre questi i che io esporrò, i G reci hanno accolto dagli Egiziani. M a nel rappresentare le statue di Erm ete col m em bro \irile eretto non hanno appreso dagli E gizian i m a dai |\ lasgi, e p rim i fra tu tti i G reci accolsero l ’uso gli A leniesi,87 e d a questi g li a ltri G reci. Infatti, m entre 2 gli Ateniesi erano già, annoverati fra i G reci vennero ad abitare insiem e con loro n el paese alcuni P elasgi, e da allora anche questi com inciarono ad essere consi­ derati G reci. E chi è iniziato ai m isteri dei C a b ir i,88 che i Sam otraci celebrano per averli appresi dai Pel.i-gi, questi sa quel che io voglio dire. Infatti questi 3 IV lasgi, che abitarono insieme agli Ateniesi, abitavano in un periodo precedente Sam otracia, e dagli A teniesi i Sam otraci hanno appreso i m isteri e ne conservano l’uso. G li Ateniesi dunque prim i fra i G reci fecero le statue 4 di Erm es con il m em bro virile eretto, avendolo appreso dai Pelasgi. I Pelasgi riguardo a questo argom ento tram andarono u n certo raccon to sacro che viene sve­ lato nei m isteri di Sam otracia. 52 . In un prim o tem po i Pelasgi com pivano tu tti 1 i sacrifìci invocando « g li dei », a quanto so per averlo udito a D odona, e non davano né epiteti né nom e ad alcuno di essi, poiché non li avevano ancora m ai uditi. L i denom inarono « dei » (&sovg) per questo fatto, che essi avevano posto (■ &évzsg) in ordine ogni cosa e p re­ siedevano anche a tu tte le ripartizion i. M a poi, trascorso m olto tem po, appresero i nom i 2 ven u ti d a ll’E gitto d i tu tti g li a ltri dei, solo quello d i 87 In I, 16 seg. anche gli Ateniesi erano invece considerati Pelasgi. 88 Queste divinità, la cui origine è assai oscura, venivano ve­ nerate in vari luoghi (Lemno, Tebe, ecc.) come geni locali, su­ bordinati agli dei celesti, mentre a Samotracia erano rimasti come divinità della massima importanza.

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Dioniso lo appresero m olto più ta rd i; e dopo un certo tem po consultarono sui nom i l’ oracolo di D odona (questo oracolo è ritenuto il più antico degli oracoli di G recia ed era allora l ’unico). 3 Q uan do dunque i Pelasgi chiesero a ll’oracolo di D odona se dovessero adottare i nom i che provenivano dai b arb ari, l ’oracolo rispose di usarli. E da questo m om ento sacrificarono usando i nom i degli d ei; e dai Pelasgi li accolsero p iù ta rd i i G reci.

53 . M a donde sia nato ciascuno degli dei, o se erano esistiti tutti eternam ente, e q u ali m ai fossero d ’aspetto, non lo si sapeva fino a poco tempo fa, fino a ieri per 2 così dire. Esiodo e O m ero infatti io credo che fossero di 400 anni più vecch i di m e e non di più. Ed essi proprio sono quelli che hanno composto per i G reci una teogonia e hanno dato i nom i agli dei, dividendo gli onori e le prerogative e indicando il loro aspetto. 3 I poeti che si dice siano vissuti prim a di questi uom ini 89 vissero invece più tardi, a quanto alm eno io credo. D i queste cose che ho detto le prim e le afferm ano le sacerdotesse di D odona, le seconde rigu ard an ti Esiodo e O m ero sono io che le affermo. 1

54 . R iguardo agli oracoli, quello di G recia e quello di L ib ia ,90 gli E gizian i fanno questo racconto. M i dis­ sero due sacerdoti di Zeus T eb an o che due donne con­ sacrate al dio furono rapite d a T e b e dai Fenici, e che essi avevano saputo che una di esse era stata ven du ta in L ib ia, l’altra in G recia; e queste donne furono quelle che fondarono per prim e g li oracoli fra i due popoli 2 suddetti. E poiché io chiedevo da q ual fonte traessero le loro inform azioni per p arlare con tan ta precisione m i risposero che grandi ricerche essi avevano fatto di queste donne, e che non erano bensì stati cap aci di tro ­ varle, m a avevano in seguito appreso su di esse quelle notizie che m i riferivano. 1

89 P. es. Orfeo, Lino, Museo. 90 Quello di Dodona e quello di Ammone.

55. C iò dunque udii dai sacerdoti di T e b e ; questo 1 invece dicono le profetesse di D od on a: due colom be, nere volate v ia da T e b e d’ E gitto sarebbero giunte l ’una in L ib ia l ’altra presso di loro. E questa postasi su un 2 faggio ordinava con voce u m ana che doveva lì sor­ gere un oracolo di Zeus, ed essi, i D odonei, ritennero che tale ordine provenisse da un dio e agirono in conse­ guenza. L a colom ba andata in L ib ia dicono poi che 3 abbia ordinato ai L ib ic i di fondare l ’oracolo di A m ­ mone, e anch ’esso è di Zeus. D un qu e le sacerdotesse, (delle q u ali la più anziana ha nom e Prom eneia, q u ella che vien dopo T im arete e la più giovane N icandre), questo m i narravano, e con esse concordavano anche gli a ltri D odon ei addetti al tempio. M a io su queste cose ho la seguente opinione :

56 . Se realm ente i Fenici rapirono le donne consa- 1 crate al dio e ne vendettero l ’una in L ib ia l ’a ltra in G recia, io ritengo che nella a ttu ale G recia, in quella stessa regione che era prim a ch iam ata Pelasgia, quella donna sia stato ven d u ta nel paese dei T esp rozi; 91 e che poi, vivendo là come schiava, innalzasse un tem pio 2 di Zeus sotto un faggio cresciuto spontaneam ente, poiché era naturale che essa, che era stata in T eb e m inistra nel tem pio di Zeus, si ricordasse di lui là d o v ’era giunta. In seguito fondò un oracolo, dopo che ebbe appresa la lingua greca. E ritengo che sia stata essa a n arrare che 3 sua sorella era stata ven du ta in L ib ia dagli stessi Fenici dai q u ali lei stessa era stata venduta. 57 . « Colom be» p oi io credo siano state chiam ate dai 1 D odonei le donne per questo, perché erano b a rb a re,92 c sem brava loro che emettessero voci sim ili a quelle degli uccelli. 91 È la regione di Dodona, che è anch’essa chiamata talvolta dai poeti col nome di Tesprotide. 92 Espressione comune ai Greci era paragonare al cinguettio degli uccelli il suono di una lingua per loro inintelligibile (Aesch. Ag. 1050; Aristoph. Ran. 681, ecc.). 19

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D icono poi che dopo qualch e tem po la colom ba p a r­ lasse con voce um ana, alludendo a quando la donna p arlò una lingua a loro com prensibile; invece finché p arlava in lingua straniera sem brava loro che emettesse suoni a m o’ d ’un uccello. Infatti, in qual m aniera una colom ba avrebbe potuto p arlare con voce um ana? D icendo poi che la colom ba era nera indicano che la donna era egiziana. I m etodi della divinazione, sia quello di T eb e sia quello di D odona, sono analoghi fra loro. E anche l’arte d i trarre presagi dalle vittim e è ven uta dalPEgitto.

58 . Com unque, grandi solennità religiose nazionali e processioni e cortei sacri gli E gizian i sono quelli che prim i fra gli uom ini li celebrarono, e d a loro hanno appreso i G reci. P ro va di questo è per me il fatto se­ guente: le feste egiziane appaiono celebrate da molto tem po, m entre quelle greche sono state iniziate di recente. 59 . G li E gizian i celebrano solenni feste religiose na­ zionali non una v o lta sola a ll’anno, m a m olte ne cele­ brano, e soprattutto e con grande fervore nella città di Bubasti 93 in onore di A rtem id e,94 e poi nella città di Busiris 95 in onore di Iside. In questa città c ’è un tem pio di Iside grandissim o, e la città si tro va in Egitto al centro del D e lta ; Iside in lin gu a greca è Dem eter. Com e terza celebrano u n a grande festa in onore di A ten a n ella città di Sais, com e q uarta ad E liopoli in onore di H elios, una quinta n ella città di Buto 96 in onore di L a to n a ,97 una sesta nella città di Paprem is 98 in onore d i A r e s ." 93 O ggi Teli-Basta sul Nilo pelusiaco, nella parte orientale del Delta. 94 Bastit, la dea dalla testa di gatto; è forse da identificare piuttosto con Afrodite. 95 Nel Delta, sulla riva sinistra del ramo sebennitico. 96 Fra Sais e il lago di Burlos nel Delta sul ramo sebennitico del Nilo. 97 È la dea U at. 98 Da alcuni identificata con Pelusio. 99 Incerta l’identificazione.

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60 . Q u an do vanno alla città dì Bubasti com piono 1 le se g u e n ti cerim onie : navigano insieme uom ini e donne, c gran folla di persone di entram bi i sessi in ciascuna lu r c a ; alcune delle donne portano i crotali e li fanno 1 ¡suonare, altri suonano il flauto duran te tu tta la naviga­ zione. Il rim anente delle donne e degli uom ini cantano ,· battono le m ani. E ogni vo lta che nel corso della na- 2 \ inazione giungono a ll’altezza di qualche altra città, ,id ostando la b arca alla terra fanno questo: alcune donne fanno quello che ho detto prim a, altre invece gridando m otteggiano le donne d i q u ella città, altre danzano, altre si sollevano g li ab iti alzandosi in piedi, l ’.inno questo ad ogni città lungo il fiume. Q u an d o poi sono giu n ti a B ubasti celebrano la 3 Jt sta com piendo gran d i sacrifici, e viene consum ato più vino di vite duran te questa festa che in tutto il resto dt ll’anno. Frequentano tu tti insieme la festa sia uom ini du: donne, ad eccezione dei fan ciu lli, anche fino a 700000, a quanto dicono gli ab ita n ti del luogo. 61 . Q u esta festa si svolge dunque così; com e cele- 1 brano invece la festa in onore di Iside nella città di Busiride è stato già da m e narrato. Si percuotono dopo il ■'acrificio tu tti e tutte, m olte decine di m igliaia di 1>( rsone. In onore di chi si percuotono non mi è lecito dirlo. T u tti i C a r i 100 che abitano in E gitto fanno ciò 2 .incora con tanto m aggior zelo degli a ltri in quanto si feriscono anche il viso con le spade, e con questi :m i rivelano di essere stra n ie ri'e non egiziani. 62 . D opo essersi raccolti nella città di Sais per la 1 festa, in una certa notte tutti accendono m olte lucerne a ll’aperto intorno alla casa in circolo. L e lucerne sono costituite da vasi pieni d ’olio e di sale, e a lla superficie c ’è sopra il lucignolo stesso, ed esso arde per tu tta la notte, e la festa h a il nom e di « accensione delle lu­ cerne ». Q u e lli degli E gizian i che non vanno a questa 2 100 Presenti nel paese come mercenari di Psammetico (cfr. II,

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festa, aspettando la notte accendono an ch ’essi tu tti le lucerne, e così non solo in Sais si accendono lucerne, m a anche in tutto l’Egitto. Q u a n to alla ragione per cui questa notte h a ottenuto luce e onoranze, viene narrato a tale rigu ardo un racconto sacro.

63 . A ndan do ad E liopoli e a Buto offrono soltanto sacrifìci. A Pam prem is invece com piono bensì sacri­ fici e riti sacri com e altro ve nel paese, m a quand o il sole è giunto al tram onto si danno d a fare attorno alla statua del dio, m entre la m aggior p arte dei presenti con clave di legno stanno ritti all’ingresso del tem pio ; altri poi che pregano, in num ero di p iù di m ille uom ini, te­ nendo ciascuno un bastone stanno anch ’essi ritti tutti insieme d all’a ltra parte. 2 L a statua, che è in un piccolo tem pio di legno do­ rato, la portano il giorno precedente in un altro edi­ ficio, sacro. I pochi rim asti intorno a lla statua tirano un carro a quattro ruote che p orta il tem pietto e la statua· che sta nel tem pietto, m entre gli altri ritti a l­ l ’ingresso non perm ettono di entrare, e quelli che pre­ gano, venendo in soccorso dèi dio, li percuotono sebbene 3 essi si difendano. A llo ra s’ accende una violenta battaglia a -colpi di bastone, si fracassano le teste e, a quanto io credo, m olti m uoiono anche in seguito alle ferite; gli E gizian i afferm avano però ch e nessuno m uore. 4 Q uesta festa gli ab itan ti del luogo dicono d ’averla introdotta in uso per il seguente m otivo: ab itava in quel santuario la m adre di Àres, ed Ares, essendo stato allevato lontano, divenuto adulto giunse, volendo in ­ trattenersi con la m adre; m a i servi della m adre, non avendolo m ai visto prim a, non gli perm ettevano di accostarsi, anzi lo respingevano ; egli allora, conducendo d a un’altra città uom ini, trattò duram ente i servi ed entrò presso la m adre. In seguito a ciò dicono di aver introdotto questa zuffa nella festa in onore di Ares. 1

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64 . G li E gizian i sono anche i p rim i che osservano com e legge religiosa il divieto d i unirsi con donne nei tem pli e di entrare in luoghi sacri venendo da una donna

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senza essersi lavati. Infatti quasi tutti g li a ltri uom ini, ir.inne gli E giziani e i G reci, si uniscono con donne nei l< tnpli e levandosi dal fianco delle donne entrano nel i ( inpio senza lavarsi, ritenendo che gli uom ini siano ugua|i alle altre bestie, dato che le altre bestie e tutte le specie 2 di uccelli le vedono accoppiarsi nei tem pli degli dei e dt ntro i recinti sacri, e se ciò non fosse gradito a l dio neppure le bestie lo farebbero. A ddu cendo tali ragioni 1 svi fanno dunque cosa che a m e alm eno non piace.

65 . G li E gizian i invece osservano scrupolosam ente 1 (ì.i le altre prescrizioni sacre anche questa. L ’Egitto, p u r essendo contiguo a lla L ib ia, non è 2 nitilto popolato di fiere. Q u elle ch e ci sono poi sono t u tte 101 considerate d a loro sacre, e alcune vivono insieme con g li uom ini, altre no. .Se io volessi dire le ragioni per cui sono considerate sacre, verrei a p arlare di cose divine, che io rifuggo sopra ogni cosa d a ll’esporre. E anche quel che ho detto su" questo argom ento solo sfiorandolo, l’ho detto perché costretto d alla necessità. C ’è una legge rigu ardo agli anim ali che così di- 3 spone: m aschi e fem m ine egiziani vengono designati, come custodi addetti all’alim entazione di ciascuna specie, di anim ali separatam ente; e d i essi il figlio riceve dal padre tale carica onorifica. I singoli cittad in i poi cóm- 4 piono in loro onore i seguenti riti, r iv o le n d o preghiere al dio cui è sacro l’anim ale: rasa ai figli o tu tta la testa o m età o la terza p arte d ella testa, pongono su una b ilan cia i capelli, contrappesandoli con argento ; quanto la b ilan cia ne solleva lo danno alla persona che custodisce le bestie, e questa in cam bio dell’argento taglia dei pesci e li d à in pasto alle b estie.-T ale è infatti 5 il nutrim ento stabilito per queste bestie; e se qualcuno uccide uno di questi anim ali, se lo h a fatto volontaria-, m ente la pena è la m orte,'se involontariam ente p aga quella m ulta che i sacerdoti gli im pongono. M a chi 101 Da intendere naturalmente che alcune erano sacre in un luogo, altre in un altro.

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uccide uno sparviero o un i b i s 102 o un avvo l­ toio, 103 sia volontariam ente sia involontariam ente, deve m orire.

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66 P ur essendo m olte le bestie che vivono insieme agli uom ini, sarebbero ancora m olte di p iù se ai gatti non capitassero i seguenti fenom eni: dopo che hanno partorito, le fem m ine non s’accostano p iù ai m aschi, e questi, pur desiderando accoppiarsi con esse, non 2 possono farlo. A llo ra ricorrono a questo espediente: r a ­ piti dalle femm ine i p iccoli e strap p atili loro li uccidono, m a, p u r dopo averli uccisi, non li divorano. Q u elle allora, p rivate dei figli e desiderandone altri, finalm ente s’ac­ costano ai m aschi, poich é l ’anim ale am a la sua prole. 3 Q u an d o poi scoppia un incendio, cose portentose suc­ cedono ai gatti. G li E gizian i, postisi l ’uno a distanza d a ll’altro, fanno la gu ardia ai gatti, senza curarsi, di spegnere l’incend io; m a i gatti, sgusciando in m ezzo a loro e saltando oltre gli uom ini, si gettano nel fuoco. 4 Q u a n d o ciò accade grave lutto colpisce gli Egiziani. N elle case poi dove sia m orto d i m orte n atu rale un gatto, tutti g li abitanti si radono 104 solo le ciglia ; quelli in ­ vece nelle cui case sia m orto un cane, si radono tutto il corpo e la testa. 1

67 . 1 gatti m orti vengono trasportati in tom be sacre, dove vengono sepolti dopo esser stati im balsam ati, nella città di B ubasti; i cani invece ciascuno li seppel­ lisce n ella sua città in u rn e sacre. In m odo ugu ale ai cani vengono sepolti gli icneum oni. I topiragno e gli sparvieri li trasportano nella città di B uti, le ibis ad 2 E rm opoli.105 G li orsi invece, che sono rari, e i lupi, che non sono m olto più gran d i di volp i, li seppelliscono là dove siano tro vati m orti. 1

102 Sacro a Thoth (Hermes). 103 Sacro a Horo. 104 In contraddizione con l’affermazione del cap. 36. 105 C ’erano varie città di questo nome; qui si indica proba­ bilmente la maggiore, posta nel medio Egitto.

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68 D ei coccodrilli questa è la n a t u r a :106 du ran te i 1 quattro mesi invernali il coccodrillo non m angia nulla, (d è un quadrupede terrestre e p alustre; depone infatti uova in terra e le fa schiudere e passa la m aggior parte del giorno all’asciutto e tu tta la notte nel fiume, poiché l’ .icqua è più calda d ell’a ria serena e della rugiada. Di tutti g li anim ali viventi che noi conosciam o questo 2 (■quello che dalle dim ensioni p iù piccole diven ta più »i.tnde: depone infatti uova non di m olto più grandi di quelle delle oche e il piccino nasce in proporzione ,1!l'uovo, m a crescendo giunge fino a 17 cu b iti ed anche più. H a occhi di porco, den ti gran d i e sporgenti [m 3 proporzione al corpo]. L a lin gua invece, unico fra gli anim ali, non l’ha. ■Nnn m uove la m ascella inferiore, m a, anche in questo unico fra gli anim ali, accosta la m ascella superiore alia inferiore. H a pure unghie forti e p elle a squam e im - 4 penetrabili sul dorso. C ieco n ell’acqua, nell’a ria ha invece vista acutissim a. Inoltre poiché vive dentro l’acqua, p orta fuori la bocca tu tta piena internam ente di sanguisughe. T u tti g li a ltri u ccelli e fiere lo fuggono, il trochilo 107 invece vive in p ace con lui, poiché ne riceve giovam ento; infatti quando il coccodrillo esce 5 d all’acqu a a terra e p oi sta a b occa spalancata — ed è solito per lo più far ciò stando rivolto verso lo zeffiro — allora il trochilo, penetrandogli nella bocca, ingoia le sanguisughe. Q u ello allora si com piace di essere aiu tato e non fa m ale al trochilo. 69 . A d alcun i degli E gizian i i coccod rilli sono sa- 1 cri,108 ad altri no, e li trattano anzi com e nem ici. Q u elli che abitano attorno a T eb e e al lago di M eri in m odo particolare li ritengono^ sacri. G li ab itan ti di entram be 2 queste regioni allevano fra tu tti un coccodrillo, am m ae­ strato ad essere dom estico, e gli pongono pendenti di piei°6 Molte di queste notizie sono naturalmente fantastiche. 107 Piccolo uccello identificato con VHyas aegyptiacus. 108 A l dio Sebak, di cui era considerato incarnazione.

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tre fuse e d ’oro agli orecchi e b raccialetti d ’oro attorno ai piedi anteriori e gli danno determ inati cibi e vittim e, trattandoli nel m odo m igliore finché sono in v ita ; m orti poi li seppelliscono dopo averli im balsam ati in tom be sacre. 3 Q u e lli invece che abitano nella regione della città di E lefantina li m angiano persino, non considerandoli sacri. Sono ch iam ati non coccodrilli m a «campse. » C o c­ codrilli li chiam arono gli Ioni, paragonando il loro aspetto a quello dei « coccod rilli » 109 che ci sono presso di loro nelle m uraglie.

70 . M o lti e va ri sono i m odi di cacciare il cocco­ drillo. Q u e llo che a m e alm eno pare sia il p iù degno di esposizione, quello descrivo. D opo che il cacciato re h a attaccato com e esca ad u n uncino una schiena di porco, la lan cia in m ezzo al fium e, ed egli sulla riv a del fium e tenendo un por2 cellino vivo lo percuote. U d ito il grido, il coccodrillo si lan cia verso la voce e, in co n trata la schiena, la in ­ goia; quelli allora lo tiran o a terra. Q uan do è stato tratto a terra, prim a di tutto il cacciatore gli spalm a gli occhi di fango ; fatto ciò assai facilm ente lo riduce in se­ guito in suo potere, non facendo questo invece con fatica. x

71 . G li ippopotam i nel nomo d i Pam prem is sono sacri, per g li altri E gizian i invece non sono sacri. Esso presenta una figu ra di tale aspetto : è un quadrupede, con l ’unghia fessa, con le unghie d a bue, col naso schiacciato, con crin iera di cavallo, e m ostra zanne sporgenti, coda e voce d i c av a llo ; quanto alle dim en­ sioni, il p iù grande di essi è grand e quanto un bue' L a sua p elle p oi è così spessa che, una vo lta disseccata, se ne fanno gia ve llo tti le v ig a ti., 72 . G i sono p oi anche lontre nel fium e, che sono r i­ tenute sacre. Sono soliti considerare com e anim ali sacri

109 L e lucertole.

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aiu he, l’i .1 i pesci, quello chiam ato lepidoto e l ’anguilla. Questi dicono che sono sacri al N ilo, e fra gli anim ali l’ocavolpe. 73. C ’è anche un altro uccello sacro, che h a nome fenice. Io p er p arte m ia non l ’ho vista se non dipinta, che assai raram ente appare fra loro, a quanto dicono gli E lio p o lita n i110 ogni 500 anni. D icono che allora appare, quando le sia m orto il padre. O rben e, se è somigliante al dipinto, è d i queste dim ensioni ed aspetto: alcune delle penne sono dorate, altre rosse; in complesso per sagom a e per gran d ezza è assai simile ad un’aquila. Q uesta fenice dicono che abbia escogitato la se­ guente trovata, (però a m io parere dicono cose certo non degne di fede) : partendo d a ll’A rab ia, essa trasporte­ rebbe nel tem pio di Helios il padre dopo averlo spal­ m ato di m irra e lo seppellirebbe nel tem pio di H elios, e lo trasporterebbe nel m odo seguente: dapprim a foggia un uovo di m irra grand e quanto è in grado di portare, poi si p rova a p ortarlo, e dopo essersi p rovata allora finalm ente, svuotato l’interno dell’uovo, vi pone dentro il padre, e con a ltra m irra spalm a quella parte dell’uovo dove, dopo averlo svuotato, h a posto il p adre; trovandovisi dentro il padre l’uovo raggiunge lo stesso peso. D opo averlo così avvolto lo trasporta in E gitto nel santuario di Helios. Q uesto afferm ano faccia questo uccello.

74 . C i sono poi nei dintorn i di T e b e dei serpenti sacri,111 per nulla dannosi agli uom ini, i quali, pur essendo piccoli di dimensioni, portano due corna sulla somm ità della testa. M orti, li seppelliscono nel san110 A Eliopolis naturalmente la fenice godeva culto parti­ colare. Essa era il simbolo del sole nascente e anche della resur­ rezione. Le notizie di Erodoto deriverebbero come vedemmo (cfr. Intr., p. X V I I I e X X X II ) da Ecateo. 111 Si tratta delle ceraste, vipere cornute, velenosissime. Sulla ragione dell’errore in cui incorre Erodoto ritenendole innocue cfr. Sourdille, op. cit., p. 174 seg.

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tuario di Zeus, perché a questa divin ità dicono che sono sacri.

75 . C ’è poi una località d ell’A ra b ia situata press’a poco di fronte alla città di B uto,112 e a questa località io andai per inform arm i sui serpenti alati. L ì giunto vid i ossa di serpenti e spine dorsali in quan tità impossibile a descriversi ; erano cum uli di spine dorsali grandi e m eno grandi e ancora più piccole, ed 2 erano m olte. L a lo ca lità in cui sono accum ulate le spine è di tal fatta : è il punto di sbocco da stretti m onti in una vasta p ian ura, e questa p ian ura è contigua alla p ian ura egiziana. 3 Si n arra che all’inizio della p rim avera serpenti alati volino d all’A ra b ia in E gitto, _e che gli u ccelli ibis facen­ dosi loro incontro al punto di ingresso di questa regione 4 non lascino entrare i serpenti m a li uccidano. E gli A rab i dicono che per questa sua azione l’ibis è tenuto in grande onore d a p arte degli E gizian i; ed anche g li E giziani am m ettono di onorare per questa ragione ta li uccelli. r

76 . -L’ aspetto d ell’ibis è il seguente: straordinaria­ m ente nera tu tta ,113 h a gam be di gru e becco adunco al massimo grado, di grandezza è quanto una gallinella. D i quelle nere, che sono quelle che lottano contro i serpenti, questo è l ’aspetto; invece d i q uelle che più frequentem ente si aggirano fra g li uom ini ·— ché di 2 due specie sono le ibis — l ’aspetto è ils e g u e n te : è nuda per la testa e per tutto il collo, h a pium e bianche, all’infuori della testa e del collo e d ella p u n ta delle ali e d ell’estrem ità della coda — queste p a rti che ho nom i­ nato sono tutte straordinariam ente nere — ; nelle gam be e nel becco invece è sim ile a ll’altra. 3 L ’ aspetto dei serpenti è sim ile a quello dei serpenti d ’acqua. Portano ali non pennute, m a somigliantissime alle ali del pipistrello. T a n to basti attorno agli anim ali sacri. i

112 Non è la stessa città menzionata al cap. 59. La sua ubica­ zione resta incerta. 113 Erodoto fa confusione; l’ibis sacra è quella bianca.

77 . F ra g li E gizian i stessi, q u elli che abitano nella 1 parte d ell’E gitto che viene sem inata sono nel curare il ricordo del passato di gran lunga i p iù dotti fra tutti gli uom ini di ,cui io giunsi a fare esperienza. T a le tenore di v ita essi osservano: si purgano tre 2 giorni di seguito ogni mese, andando a caccia della salute con em etici e clisteri, poiché ritengono che dai cibi di cui ci si nutre vengano agli uom ini tutte le m alattie. D el resto anche per altre ragioni g li E gizian i 3 sono, dopo i L ib ici, i più sani di tu tti g li uom ini, a quanto io credo a causa del clim a, poich é le stagioni non subiscono m utam enti : ché agli uom ini le m alattie vengono soprattutto per i cam biam enti, sia di tutte le altre cose, sia particolarm ente delle stagioni. M angiano pane facendo con o lirà p ani che essi 4 chiam ano cillesti. U sano vino tratto d a ll’orzo, perché non hanno nel paese v iti.114 D i pesci si cibano, alcuni crudi seccandoli al sole, altri disseccati sotto sale. F ra 5 gli uccelli m angiano le quaglie e le anitre; q u elli p ic­ coli fra gli u ccelli poi li m angiano crudi, dopo averli prim a salati. Q u an to agli a ltri anim ali che hanno, sia pesci sia uccelli, a ll’infuori d i q u elli che vengono consi­ derati sacri, tu tti g li altri li m angiano b olliti e arro­ stiti. 78 . N ei banchetti di quelli fra loro che son ricchi, quando hanno term inato il pranzo, un uomo porta attorno un cadavere d i legno scolpito posto in una bara, im itato alla perfezione e per colori e per lavoro, di gran d ezza tutto insiem e di uno o due cub iti, e, m ostrandolo a ciascuno dei com m ensali, dice: «G uar­ dando questo b evi e godi : ch é m orto tale sarai ». Q uesto fanno du ran te i banchetti. 79 . O sservando i costumi aviti, non ne accolgono nes­ sun altro oltre quelli. H anno fra le altre istituzioni degne di ricordo anche q uella di avere un solo can to, il 114 La notizia non è esatta.

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« lino »,116 che è cantato anche in Fenicia, a C ipro 2 e altrove, ed h a nom e diverso secondo i p o p o li: m a si è d ’accordo che è lo stesso che i G reci cantano chia­ m andolo « lino », sicché fra le m olte cose che am m i­ ravo rigu ardo a ll’ E gitto m i chiedevo anche con me­ rav iglia donde avessero preso il « lino ». Sem bra che essi lo cantino da tem po im m em orabile, e in egiziano il «lino» è chiam ato «M añeros». 3 A lcu n i E gizian i dicevano che questi fu il figlio unico del prim o re d ’E gitto ,116 e che, essendo egli im ­ m aturam ente m orto, con queste lam entazioni fu dagli E gizian i onorato, e che questo è il loro prim o ed unico can to .117

80 . In quest’altra usanza gli E gizian i s’ accordano dei G reci coi soli S p artan i: i p iù giovani di essi in ­ contrandosi con i più vecch i cedono il passo e si sco­ stano e al loro sopraggiungere si levano dai loro seggi. 2 In quest’a ltra cosa invece non concordano con nessuno dei G reci : invece di salutarsi rivolgendosi recip roca­ m ente la parola per strada, si inchinano abbassando la m ano fino al ginocchio.

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81 . Indossano tu nich e di lino ornate di frange in­ torno alle gam be, che essi chiam ano calasiri; su queste portano m an telli bianchi di lana gettati sopra. N ei santuari però non si portano vesti d i lan a né vengono con questi sepolti, poiché non è permesso dalle leggi 2 sacre. S ’accordano in ciò con i precetti ch e sono chia­ m ati o r fic i118 e bacch ici m entre sono in realtà cgi-

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115 II « linos » era una lamentazione in morte di Lino (Adone). 116 Si tratta non del re M in (cap. 99) ma d i uno dei re divini che precedettero le dinastie umane. 117 L ’impressione deve esser stata destata in Erodoto dal ca­ rattere monotono e uniforme delle melodie egiziane, che per il loro carattere triste ha assimilate al « lino » greco. 118 I riti orfici erano assai diffusi nel V I sec. Avevano carat­ tere cosmologico e religioso. U n a delle loro principali dottrine era quella della metempsicosi.

/i.ini, e con quelli p itagorici.119 In fatti neppure a co|. irò che partecipano a questi m isteri è lecito venir -, polto in vesti di lana. R igu ard o a ciò viene narrato un racconto sacro.

82 . E anche queste altre cose sono state scoperte dagli E gizian i, a q uale degli dei è sacro ciascun mese , ciascun giorno, e q u ale destino ciascuno avrà, se­ condo ch e sia nato in un giorn o o n ell’altro, e c,ome m orirà e di quale n atu ra sarà. E di queste scoperte si \,il;ero anche i G reci che si occuparono di poesia.120 l’ icsagi poi essi ne hanno scoperti più di tu tti gli altri pi.mini. Q uan do avviene un prodigio si danno cura di annotare p er iscritto ciò che accade, e se m ai p iù tardi accade qualche cosa di simile, ritengono che a v­ verrà nella stessa m aniera. 83 . L a divinazione si svolge fra loro nel m odo seguente: a nessuno d egli uom ini è riconosciuto il possesso dell’ arte della divinazione, m a solo ad alcuni degli dei. C i sono infatti presso di loro oracoli di E racle e di A p ollo e di A ten a e di A rtem ide e di A res e di Zeus; quello che tengono particolarm ente in onore fra tu tti g li oracoli, quello d i L ato n a, è n ella città di Buto. M a il procedim ento d ella divinazione non si svolge p er loro dappertutto nello stesso m odo m a è differente. 84 . L ’ arte d ella m edicina è d a loro divisa nel m odo seguente : ognuno è m edico di una sola m alattia e non di più. O g n i luogo p erciò è pieno d i m edici,121 perché ci sono i m edici degli occhi, e quelli della testa e dei

119 Anche Pitagora era considerato dalla tradizione come di­ scepolo dei saggi Egiziani. 120 Erodoto più che ad Esiodo si riferisce forse a tutte le poesie apocrife attribuite a Orfeo, Melampo, ecc. 121 G li Egiziani già nell’Odissea ($, 22J segg.) erano consi­ derati medici valentissimi e famosi.

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denti, e quelli delle m alattie intestinali e quelli delle m alattie nascoste.

85 . L e loro lam entazioni funebri e le sepolture sono le seguenti : a coloro cui si dip arta da casa un congiunto, che goda anche una certa considerazione, tu tte le donne di queste case sogliono im brattarsi di fango la testa e perfino il volto, e, lasciato in casa il m orto, aggirandosi per la città si percuotono, in vesti succinte e scoprendosi 2 il seno, e con esse tutte le parenti. D a ll’ a ltra p arte si percuotono gli uom ini, anch’essi in vesti succinte. D opo aver com piuto questi riti, allora portano la salm a aU’im balsam azione.

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86. C i sono alcu n i che sono addetti proprio a questo ed hanno questo mestiere. 2 Costoro, quando viene portato loro un cadavere, mostrano a quelli che l’hanno portato dei m odelli in legno di cadaveri, dipinti, e spiegano che la p iù ac­ cu rata form a d i im balsam azione è q u ella d i colui del quale 122 non ritengo lecito fare il nom e parlando d i tale argom ento; m ostrano p oi la seconda, inferiore a questa e m eno costosa, e p oi la terza, ancor più a buon m ercato: e dopo aver dato queste spiegazioni chiedono loro secondo quale tipo vogliono sia loro pre3 p arato il cadavere. Q jie lli, accordatisi sul prezzo, se ne vanno, ed essi, rim anendo nei loro lab oratori, così im balsam ano nel m odo p iù accu rato : p rim a d i tutto con un ferro ricu rvo attraverso le n arici estraggono il cervello, alcune p a rti estraendole così, altre versando 4 dentro droghe. Q u in d i con una p ietra etiopica aguzza, dopo aver p raticato un taglio lungo il fianco, estrag­ gono tu tti gli intestini e, dopo averli purificati e lavati con vino d i palm a, li lavan o d i nuovo con arom i pe-

122 L ’imbalsamazione di Osiride da parte di Anubi, al qtiale si attribuiva l’invenzione dei sistemi di imbalsamazione. Erodoto ne omette il nome per reverenza religiosa, non perché, come sup­ pose il Wiedemann, op. cit., p. 352, non avesse idee chiare in pro­ posito.

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stati· Poi, riem pita la cavità del ven tre di m irra 5 -pura tritata e di cannella e degli a ltri arom i, tranne incenso, lo ricuciono. F atto questo, lo m ettono sotto sale coprendolo con n itro ,,p er settanta giorn i; per un numero m aggiore di giorn i non si può tenerlo sotto sale. Q uando sono trascorsi i 70 giorni, lavato il cadavere 6 ne avvolgono tutto il capo con striscie tagliate di un lenzuolo d i bisso, spalm andole a l d i sotto di gom m a, che gli E gizian i usano generalm ente in luogo della colla. Q u in d i i parenti, dopo averlo ricevuto, fanno fare 7 una b a ra di legno di figura um ana, e fattala fare v i rinchiudono il cadavere e dopo averla così chiusa la depongono in una cam era sepolcrale ponendola diritta contro u n a parete. $ 7 . C osì dunque preparano i cad averi n ella m aniera 1 più costosa; invece quelli che vogliono Pim balsam atura m edia, evitando una eccessiva spesa, li preparano nel m odo seguente: riem piti clisteri con olio estratto 2 dal cedro ne riem piono il ven tre del cadavere senza tagliarlo e senza estrarre gli intestini, m a introducendo l ’olio d al deretano e, im pedendo al clistere d i tornare in­ dietro, lo tengono sotto sale per i giorni stabiliti, e all’ultim o giorno estraggono dal ven tre l ’olio di cedro che prim a v i avevano introdotto. Q u esto 123 h a tale 3 forza da tirar fuori insiem e con sé g li intestini e i v i­ sceri dissolti; le carni invece le consum a il nitro, e alla fine del m orto resta solo la p elle e le ossa. D opo aver fatto questo, restituiscono così il m orto, senza p iù affaticarsi. 88. Il terzo genere di im balsam azione che prepara i più p overi è il seguente : dopo aver lavato il ven tre con un purgan te tengono il cad avere sotto sale p er i 70 giorni e poi lo restituiscono d a p ortar via.

123 Non è esatto. È il natron che dissolve,' l’olio di cedro aveva solo lo scopo di ritardare la putrefazione.

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89 . L e m ogli dei personaggi ragguardevoli, quando m uoiono, non le danno subito ad im balsam are, e nep­ pure tutte le dpnne che sono di assai b ell’aspetto e di m aggior conto; m a quando sono cad averi di 3 o 4 giorni, 2 solo allora le consegnano agli im balsam atori. Per questo m otivo agiscono così, perché gli im balsam atori non si uniscano carnalm ente a queste donne; dicono infatti che uno fu sorpreso ad unirsi al cadavere ancor fresco d i una donna, e che lo denunciò un suo collega. 1

90 . C h i poi o degli E gizian i stessi o anche degli stranieri riappare cadavere dopo esser stato rapito da un coccodrillo o dal fium e stesso, in quella città dove sia stato gettato a riv a i cittadini, dopo averlo im balsa­ m ato e preparato p er la sepoltura nel m odo m igliore, hanno l’assoluto dovere d i seppellirlo in tom be sacre: 2 non è neppur lecito che alcuno né dei paren ti né degli am ici lo tocchi, m a i sacerdoti del N ilo in persona lo seppelliscono toccandolo con le loro m ani, perché esso è considerato qualcosa di più di un cadavere um ano. 1

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91 . R ifuggono d a ll’adottare i costum i greci, anzi

per d irla in una parola, anche quelli di qualunque altro popolo. T u tti gli altri E gizian i osservano questa re­ gola ; vi è però C hem m i,124 una grande città del nomo di T eb e, vicino a Neapolis. 2 In questa città c ’è un santuario di Perseo, figlio di D anae, d i form a q u adrata, e attorno ad esso sono cre­ sciute delle palm e. I propilei del tem pio sono di pie­ tra, assai gran d i; accanto ad essi sono poste due statue gran d i d i pietra. In questo recinto c ’è un tem pio, e in esso sorge la statua di Perseo. ' 3 I C hem m iti stessi afferm ano che Perseo spesso appare loro nella regione e spesso dentro al tem pio, e che si tro va un sandalo calzato da lui, il quale h a una lun-

124 Neapolis.

O ggi Achmine. Incerta resta invece l’identificazione di

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ghezza di due cubiti, e che quando egli appare tutto l’Egitto gode prosperità. Q uesto essi narrano, e rendono a Perseo le seguenti onoranze, a lla m aniera dei G reci: indicono un agone ginnico che rigu arda ogni specie di gare, offrendo com e premi capi di bestiam e e m antelli e pelli. C hiedendo io loro p erch é ad essi soli Perseo solesse apparire e perché essi si differenzino d a g li a ltri E g i­ ziani nell’indire un agone gin n ico,125 risposero che Perseo è originario della loro città, p oich é D anao 126 e Linceo andarono per m are in G recia, ed erano c itta ­ dini d i Chem m i. A p artire d a questi esponevano la genealogia giungendo fino a Perseo. N arravano inoltre che Perseo, giunto in E gitto per quel m otivo che dicono anche i G reci, cioè per rip or­ tare d alla L ib ia la testa della G orgone, venne anche presso di loro e riconobbe tu tti i suoi parenti, e che giunse in E gitto conoscendo g ià il nom e di C hem m i per averlo appreso d a lla m ad re; l ’agone ginnico poi 10 celebrano in suo onore per ordine di lui.

92 . T u tti questi costum i hanno g li E gizian i che a b i­ tano al di sopra delle paludi. Q u elli invece che abitano nelle p alu di p ratican o bensì g li stessi usi degli altri E gizian i, e particolarm ente ciascuno di essi con vive con u n a sola donna al p a ri dei G reci, m a, per procurarsi v iv eri a buon m ercato, sono stati d a loro ritrovati questi espedienti. Q u an d o 11 fium e è in piena e la pian ura si è trasform ata in m are, nascono nell’acqu a m olti g ig li che gli E gizian i chiam ano loti. C oltili, li seccano al sole e poi, pestata la p arte di m ezzo del loto,127 che è sim ile al papavero, ne fanno p ani cotti al fuoco. A n ch e la rad ice d i questo 126 M a si trattava di giochi di carattere affatto diverso da quelli greci. 126 Secondo la leggenda greca Linceo era nipote e genero di Danao, e precedeva di quattro generazioni Perseo. 127 È la nimphea lotus, diverso dal loto cirenaico che è quello di cui parla Omero. Ne esistevano due varietà, bianca e bleu. 20

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loto è com m estibile, ed è abbastanza dolce, rotonda e di grandezza simile ad una m ela. 4 C i sono p oi anche a ltri g ig li simili a rose, che na­ scono anch’essi nel fium e, il cui frutto nasce su un altro stelo che, uscendo d a lla radice, cresce, accanto a quello prin cipale, ed è assai simile per aspetto ad un favo di vespe. In essi ci sono numerosi noccioli, grandi quanto u n nocciolo d ’oliva, e anche questi si m angiano, freschi e secchi, 5 Q u a n to poi al papiro ch e nasce ogni anno, dopo averlo tratto fuori dalle paludi, la parte superiore la taglian o e la volgono ad altri usi, quella invece che resta al di sotto, lunga circa un cubito, la m angiano [e la vendono]. Q,uelli p o i che vogliono consum are del papiro veram ente gustoso, dopo averlo im m erso in un tegam e rovente lo m angiano così. A lcu n i di loro poi vivono di soli pesci che, dopo averli presi e vuotati delle interiora, disseccano al sole e poi m angiano secchi. 1

93. I pesci ch e vann o a frotte non si trovano in gran num ero nei fium i, m a, alim entati nelle paludi, si com portano n el m odo seguente : 128 quando invade le fem m ine la sm ania di concepire, le frotte escono nel m are ; precedono i m aschi spargendo il seme, le femm ine seguendo lo ingoiano e per opera d i esso diventano 2 gravide. D op o che in m are sono divenute gravid e tornano indietro ciascuno alle p roprie sedi; m a non sono p iù g li stessi che precedono, e la- gu id a passa alle fem m ine. E andando innanzi a frotta esse fanno quello che facevano i m aschi: spargono a pochi a pochi i g ran i delle uova, e i m aschi che vengono dietro li 3 ingoiano. Q uesti gran i sono pesci. D ei gran i ch e restano superstiti e non vengono inghiottiti quelli che riescono a nu trirsi diventano pesci. Q u e lli di questi pesci che vengono presi quando vanno verso il m are appaiono schiacciati nella parte

128 Aristotele (de gen. an. I l i , 5) considera sciocco il racconto e biasima Erodoto per averlo accolto.

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ministra d ella testa, q u elli presi m entre tornano indietro M>iio invece schiacciati a destra. Subiscono questo per 4 In ragione seguente: scendono al m are tenendosi vicin i ,illa terra dalla p arte sinistra, m entre tornando indietro .si tengono ugualm ente accosto a lla terra, rasentan­ ti· >la e sfiorandola quan to p iù è possibile per non f a g li a r e strada a causa della corrente. Q u an do il N ilo com incia a gonfiarsi,129 le p a rti 5 c.ive della terra e i pantani lungo il fium e com inciano per prim i a riem pirsi, perch é v i si infiltra l ’acqua del [inme; e subito tu tti si colm ano e im m ediatam ente si i-iempiono tu tti di pesciolini. D onde è verosim ile che 6 essi provengono, m i p are d i com prenderlo: quando le acque del N ilo d ell’anno precedente si ritirano, i pesci, dopo aver deposto u o va nel fango, si ritirano in-ienie con l ’u ltim a acqua. Q u a n d o poi, trascorso il tempo, l ’acq u a sopraggiunge di nuovo, subito d a queste uova nascono questi pesci. E rigu ard o ai pesci le cose stanno così.

94 . Q u e lli degli E gizian i ch e abitano nella regione 1 delle p a lu d i fanno uso di u n olio estratto dal frutto del ricino, che g li E gizian i chiam ano kiki e preparano nel m odo seguente: lungo le sponde dei fium i e delle palu di seminano questi ricini, che in G recia nascono spontaneam ente; questi sem inati in E gitto producono 2 un fru tto grande così, m a d i cattivo odore. D opo averlo raccolto alcuni lo spremono pestandolo, a ltri lo fanno bollire dopo averlo arrostito e raccolgon o il liquido che ne cola. Q uesto è grasso e non m eno adatto d ell’olio d ’oliva per le lucerne, m a em ana uri odore sgradevole. 95 . C ontro le zanzare, che sono numerosissime, essi 1 hanno adottato questi espedienti: q u elli ch e abitano 129 T utte queste osservazioni — inesatte perché le parti che si inondano per prime sono le più basse, cui l’acqua arriva per mezzo dei canali— sono servite giustamente di base alla asserzione che Erodoto non si trovava in Egitto all’inizio della piena e non ha quindi potuto seguirne i prim i sviluppi.

LIBRO SECONDO al di sopra delle palu di li proteggono le torri su cui ì salgono per dojm ire ; le zanzare infatti a causa dei venti non sono capaci d i vo lare alto. 2 D a quelli invece che abitano nelle p alu d i sono stati ideati questi altri espedienti in luogo delle torri : ognuno di essi possiede una rete, con la q uale di giorno v a in cerca di p esci; d i notte invece se ne serve a questo scopo : pone la rete intorno al letto nel q uale riposa, e 3 poi, entrato sotto di essa, si pone a dorm ire. L e zanzare, se uno dorm e avvolto in un m antello o in un lenzuolo, pungono anche attraverso q u elli; attraverso la rete invece non lo tentano nem m eno. 1

96 . Q u elli di loro che trasportano carichi m ercantili hanno im barcazioni fatte d i legno d ’acacia, il cui aspetto è assai simile a quello d el loto d i C irene, e le lacrim e ch e ne colano sono gom m a. T a g lia te dunque d a questa a ca cia assi di due cu b iti le m ettono insiem e a guisa di m attoni, costruendo l ’im barcazione nel m odo seguente: 2 attorno a cavicch i grossi e lungh i conficcano le assi di due cu b iti; poi, form ata in ta l m odo l ’ossatura della nave, stendono sulla loro superfìcie dei banchi. N on si servono affatto di fiancate per le n a v i; internam ente poi le connessure sono soliti ottu rarle con papiro. 3 S i costruiscono un solo tim one,130 e questo passa a t­ traverso la carena. U sano u n albero di acacia e vele di papiro. Q ueste n avi però non possono navigare contro corrente se non dom ina un vento gagliardo, m a vengono trascinate da te rra ; nel senso della corrente invece navi4 gano così : c ’è u n a specie di p o rta fatta d i tam erischi, le­ gata con giunchi di canne, e u n a p ietra forata del peso massimo di due talen ti. D i questi arnesi, la p orta legata con una fune la lasciano andare davan ti a ll’im b arca­ zione alla superficie d ell’acqu a, perch é la trascini; la 5 p ietra la calano dietro con un’ altra fune. L a porta, irrom pendo la corrente, procede rapidam ente e tra ­ scina la « baris », ch é questo è il nom e d i ta li im barca-

130 Le imbarcazioni greche ne avevano due.

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! zioni, m entre la p ietra trascinata dietro stando nel fondo m antiene d iritta la navigazione. Essi hanno m olte di queste im barcazioni e talune portano m olte m igliaia di talenti.

97 . Q u a n d o il N ilo inonda il paese, solo le città appaiono em ergenti, assai sim ili alle isole d el m are Egeo. T u tto il resto d ell’E gitto diven ta un m are, e le città sole em ergono. N avigan o allora, quando accade questo, non più lungo le corren ti del fiume, m a in mezzo 131 alla pianura. Per chi risale da N au crati verso M enfi la n a vig a ­ zione si svolge accanto alle piram idi stesse, m a la via giusta non è questa, m a lungo la pun ta del D elta e la città di Cercasoro. À N a u c r a t i131 dal m are e da C anobo 133 giungerai navigando attraverso la pianura, passando presso la città di A n tilla 134 e quella detta di A rcan d ro. 98 . D i queste A n tilla , che è una città ragguardevole, è stata prescelta per fornire i calzari alla consorte di colui che di vo lta in vo lta regna sull’ E gitto. Q uesto avviene da quando l’E gitto è sottomesso ai Persiani. L ’altra città io credo prenda il nom e dal genero di D anao, A rca n d ro figlio di F tio figlio di A ch eo ; si chiam a infatti città di A rca n d ro . Potrebbe però es­ serci anche un qualche altro A rca n d ro , com unque il nom e non è egiziano. 99 . Fino a questo punto sono la m ia personale os­ servazione, il m io ragionam ento e le m ie ricerche quelle che han detto queste cose; d a questo punto invece vengo a riferire i racconti degli E gizian i secondo come li u d ii; m a si aggiungerà ad essi anche qualcosa pro­ veniente d a lla m ia personale visione. 131 132 133 134

Impressione di Erodoto. Si tratta invece di canali. Era a sinistra del ramo canobico del Nilo. Sulla foce ddl'omonimo ramo del Nilo. Come la successiva città, non esattamente identificata.

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| M en, il prim o re d ’E gitto ,135 i sa ce rd o ti136 dicevano che protesse con argini M enfì. N arrano infatti che il fiume scorrevi' interam ente lungo la m ontagna sab­ biosa posta dalla p arte d ella L ib ia , e ch e M en, dopo aver m unito di argini, circa 100 stadi a m onte di M enfi, il gom ito del fium e rivolto verso sud, prosciugò l’ antico letto e incanalò il fium e in m odo che scorresse in m ezzo ai m onti. A n cor oggi questo gom ito del N ilo, che scorre se­ parato dal resto, è tenuto dai Persiani sotto grande sorveglianza e assiepato ogni anno: infatti se, rotti gli argini, il fium e volesse straripare da questa parte, ci sarebbe pericolo per tutta M enfi di essere sommersa. D un qu e così per opera d i questo M en, che fu ii prim o re, sarebbe divenuto terra ferm a lo spazio p re­ cluso al fium e e inoltre egli avrebbe ivi fondata questa città che si chiam a ora M enfi — anche M enfi infatti è nella p arte stretta d ell’E g itto 137 — , e fuori di essa avrebbe scavato, un lago 138 in derivazione dal fium e che la circonda verso settentrione e occidente (la parte verso oriente la chiude il N ilo stesso), e avrebbe poi eretto il tem pio di Efesto, che è grand e e degno di ricordo.

100. D opo di questi i sacerdoti enum eravano d a un loro lib ro i nom i di a ltri 330 re.139 In tante generazioni di uom ini 18 furono etiopi, una sola una donna indigena, e g li altri uom ini egiziani. 135 Questo faraone, ritenuto per lungo tempo leggendario e il cui nome viene vocalizzato in varie forme dalla tradizione greca, fu verosimilmente il primo re della dinastia tinita, unificatori dell’Alto e Basso Egitto. 136 Verosimilmente del tempio di Ptah (Efesto) di cui Erodoto parla subito dopo. 137 Naturalmente Erodoto dimentica completamente tutti i ragionamenti fatti al cap. 4. 138 Deve essersi trattato di uno specchio d’acqua in cui il Nilo allargava il suo letto, particolarmente nel periodo dell’inon­ dazione, durante il quale Erodoto visitò l’Egitto. 139 Base dei calcoli erodotei è il sincronismo dei re con le re­ lative generazioni. Gfr. I, 7.

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Q u ella donna che regnò ebbe lo stesso nom e ch e 2 ebbe quella di Babilonia, N itocris.140 R accontavano che questa per ven dicare il fratello, che alcuni E gizian i ave­ vano ucciso m entre era loro re — e dopo averlo così ucciso diedero a lei il regno — , narrano dunque che per vendicare questo ab bia ucciso con un inganno m olti E gi­ z i a n i . Fattosi costruire un edificio sotterraneo assai ampio, 3 fingeva d i volerlo inaugurare, m a ben altro m editava nella sua m ente : in vitati degli E gizian i q u elli che sapeva essere m aggiorm ente responsabili delPassassinio, li invitò ad un gran d e banchetto, e m entre banchettavano fece irrom pere il fium e attraverso un grand e canale segreto. R igu ard o a costei solo questo narravano, e inoltre 4 che ella stessa, dopo aver fatto ciò, si gettò in una ca­ mera piena d i cenere, per rim anere im punita.

101. G li a ltri re, poich é — a quanto dicevano — 1 non c ’era alcun ricordo d i alcun a grand e opera da loro com piuta, non erano affatto illustri, tranne uno solo, l’ultim o di essi, M eri.141 D icevan o dunque che 2 questi fece erigere com e ricordo i p r o p ile i142 del tem pio di Efesi) rivolti verso settentrione, e che fece scavare un lago, il cui perim etro q u an ti stadi m isura lo narrerò più tardi,143 e che in questo fece costruire piram idi, d ella cui grandezza farò m enzione insieme al lago stesso. E gli com pì dunque costruzioni così grandi, m entre degli altri nessuno com pì niente. 102 . T ralascian d o dunque costoro, quello che dopo 1 140 II nome ricorre in papiri contenenti liste di faraoni. Una regina omonima è posta da Manetone alla fine della sesta dinastia, ma l’ identificazione resta molto incerta. Per H . R . H all si trat­ terebbe di un uomo, Neterkere, con cui terminò la II dinastia (cfr. Carni. Anc. Hist., I (1928), p. 296 seg.). 141 Si tratta probabilmente di Amenemhat III della X I I dinastia. Erodoto qui come altrove incorre in varie confusioni. 142 Costituiti da una porta fiancheggiata da torri a forma di piramide tronca e da un cortile interno ornato di colonne. 143 A l cap. 149.

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di essi divenne re, il q uale si ch iam ava Sesostri,144 quello ricorderò. 2 N arravano i sacerdoti che egli per prim o, mossosi con n avi d a guerra dal golfo A rab ico , sottomise i popoli che abitavano lungo il m ar Rosso, finché, procedendo oltre nella navigazione, giunse in un m are che non 3 era più navigabile a causa dei bassifondi. Q u a n to alla m an iera in cui d a qui tornò in E gitto, secondo il racconto dei sacerdoti si sarebbe spinto, con il grande esercito che com andava, attraverso il continente, assog­ gettando tu tti i popoli che gli si paravano contro. 4 A quelli di loro che incontrava com battivi e che fieram ente lottavano per la lib ertà pose nei v a ri terri­ tori stele ch e dicevano per m ezzo di iscrizioni il nome di lui e della sua p a tria , e com e con la sua potenza li 5 aveva assoggettati; a quelli invece le cui città aveva conquistato senza com battere e con facilità, a questi faceva incidere sulle stele le stesse iscrizioni che a quei popoli che s’erano m ostrati valorosi, m a in aggiunta v i faceva scolpire anche le p a rti sessuali di una donna, volendo con ciò rendere manifesto che erano im belli.

stanchi del suo vagabondare, siano rim asti nelle regioni attorno al fium e Fasi.

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103. C om piendo queste gesta attraversava il conti­ nente finché, passato d a ll’A sia in E urop a,145 sottomise gli S citi e i T ra c i. Io credo ch e fino a questi nella m as­ sima avanzata sia giunto l ’esercito egiziano. Infatti nei paesi di costoro si vedono poste le stele, m a p iù in là di questi non più. 2 D i qua, voltosi indietro, ritorn ava sui suoi passi, e dopo che fu giunto al fium e F a s i146 di là non so più dire con esattezza se il re Sesostri in persona, staccata dal suo esercito una certa parte, l’ abbia lasciati lì com e abitanti della regione o se alcuni dei soldati,

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144 Variamente identificato, più spesso con Ramses II. La sua figura finì per assumere carattere almeno in parte mitico e gli si attribuirono imprese e glorie di altri faraoni, oltre che azioni leg­ gendarie, come sono in gran parte quelle riferite da Erodoto. 145 In realtà gli Egiziani nelle loro conquiste non giunsero mai più a nord della Siria. 146 N eiia Colchide.

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104. È ch iaro infatti che i C olch i sono di razza egi­ ziana, e io lo afferm o per averlo com preso d a me prim a di averlo udito da altri. E dopo che m i fu venuto in mente interrogai sia g li uni che gli altri, e i Colchi ser­ bavano ricordo degli E gizian i più che gli E giziani dei Colchi, m a anche gli E giziani dicevano di ritenere che i C olchi fossero derivati d all’esercito di Sesostri. E io stesso lo congetturai in base a questi fatti : e p er­ ché sono neri di colorito e perché hanno i capelli crespi. M a questo invero non approda a nulla, ché anche altri ce ne sono di simili. D a i seguenti indizi invece lo arguii ancora di più, che cioè, soli fra tu tti g li uom ini, C olchi, E giziani e E tiopi si circoncidono fin d a tem pi assai antichi. I Fenici e i Siri di Palestina riconoscono anch’essi concordem ente di aver appreso tale uso dagli E giziani, e i Siri che abitano nella regione del Term odonte 147 e del fium e Partenio 148 e i M a c r o n i149 che sono |oro confinanti afferm ano d ’averlo appreso di re­ cente dai C olch i: questi sono infatti gli unici fra gli uomini che praticano la circoncisione e m ostrano di agire nello stesso m odo degli E giziani. Q u a n to agli E giziani stessi e agli E tiopi, non sono in grado di dire quale dei due popoli ab b ia appreso d al­ l’altro ; certo pare sia una istituzione assai antica, m a del fatto che i C olchi l ’abbiano appresa dopo essere ven uti a contatto con l ’Egitto, anche questo costituisce per m e una grande prova, che tu tti i F enici che sono ven uti a contatto con la G recia non im itano più gli E giziani riguardo al trattam ento dei genitali e non circoncidono i loro figli n a ti p iù tardi. 105. M a anche u n ’a ltra cosa dirò intorno ai Colchi e al fatto che sono sim ili agli E gizian i. Il lino, essi soli 147 II fiume delle Amazzoni, nella Cappadocia. 148 Fiume nella parte più occidentale della Paflagonia. 149 A sud est del mar Nero; cfr. I l i , 94.

e gli E gizian i lo lavorano nella stessa m aniera, e ogni sistema d i vita e la lin gu a sono som iglianti fra loro. Il lino colchico è chiam ato dai G reci sardonico,150 m entre quello che proviene d a ll’E gitto è chiam ato egiziano.

106. L e stele che erigeva nei va ri paesi il re d ’ Egitto Sesostri per la m aggior p arte non si vedono più sussi­ stere, m a nella S iria Palestina io stesso le vid i esistenti, e vidi su di esse le iscrizioni suddette e i genitali femminili. C i sono 151 poi anche nella Ionia due im m agini di quest’uomo scolpite nella roccia sulla strada per cui si v a da Efeso a Focea e su q uella da Sardi a Sm irne. In entram bi i luoghi è scolpito un uomo della grand ezza d i quattro cu b iti e m ezzo,152 che tiene nella m ano destra una lancia, nella sinistra delle frecce, e simile è tutto il resto dell’ abbigliam ento, poiché lo h a in p arte egi­ ziano, in parte etiopico. D a ll’una spalla a ll’altra attra­ verso il petto si stende una iscrizione incisa in caratteri sacri egiziani, che dice questo: « Io questa terra la conquistai con le m ie spalle ». C h i egli sia e di dove, qui non lo dice m a lo h a indicato altrove. E proprio per questo alcuni di q u elli che hanno visto il m onum ento pensano che sia l’im m agine di M em none,153 allon ta­ nandosi però di m olto d al vero. 160 Non ha nulla a che fare con la Sardegna; deve trattarsi della corruzione locale di una forma straniera, assimilata per ana­ logia fonetica col termine più noto e comune. 151 Esistono effettivamente presso il passo di K arabel sulla · strada da Efeso a Focea due bassorilievi rupestri, ma sembra si tratti di monumenti ittiti rappresentanti una divinità guerriera o un monarca ittita (cfr. Garstang, Hittite Empire, p. 177; Cpnteneau, Civìlisation des Hittites, p. 208 e più recentemente con ripro­ duzione del monumento, Bossert, Altanatol. 1942, p. 557-segg·)· Probabilmente il rilievo era già stato ritenuto egiziano da Ecateo e attribuito a Sesostri, la cui figura aveva raggiunto agli occhi dei Greci una grandezza leggendaria. 162 La « spithame » è la spanna, metà di un cubito (il cubito misurava mm. 462,4). 163 Non il famoso faraone egiziano, ma il mitico re Etiope figlio dell’Aurora, noto già dall’epopea, che è forse da identificare nei suoi tratti reali con un sovrano ittita, nel qual caso l’asser­ zione che Erodoto respinge sarebbe invece esatta.

107. R itornando dunque in p atria questo Sesostri 1 c: consegnate ai m ariti tutte le vesti che avevano, presem esse stesse q uelle dei m ariti. E i M in i vestiti d i a b ili 1

201 II racconto di Erodoto, naturalmente nel complesso asso­ lutamente leggendario, ha fatto pensare (cfr. p. es. P. WadeGery, Camb. Arie. Hist., II (1931), p. 539) che si trattasse dei resti di una popolazione indigena predorica, che i Dori avrebbero pii 1 tardi incorporato accogliendola nelle loro tribù. Scopo della leg­ genda è per lo Stein collegare le colonie minie di T era e Cirene con la dorica Sparta. 202 Castore e Polluce, figli di Tindaro, re di Sparta.

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d a donna uscirono com e se fossero donne e, sfuggiti in tal m odo, andarono di nuovo ad accam parsi sul T aigeto.

147. In questo stesso tem po T e r a figlio di A u te- 1 sione figlio di. Tisam eno figlio d i T ersandro figlio di P olinice si p rep arava a lla p arten za d a S p arta per an­ dare a fondare una colonia. Q uesto T e ra ,203 che era per 2 stirpe Gadm eo, era fratello della m adre dei figli di A ristodem o Euristene e P ro d e , ed essendo questi an­ cora bam bini T e r a aveva retto com e tutore il regno di Sparta. M a quando il nipote fu cresciuto e ebbe assunto il 3 potere, allora T e ra , m al sopportando di esser com an­ dato da altri dopo aver assaporato il potere, disse che non sarebbe rim asto a Sparta, m a sarebbe partito per m are alla volta dei suoi consanguinei. V iveva n o infatti 4 n ell’isola che ora è chiam ata T e ra , m a prim a era ch ia­ m ata Calliste, discendenti di M em bliare figlio di Pecilo, fenicio. C adm o figlio di A gen ore infatti, andando in cer­ ca di E uropa, approdò in quest’isola ora chiam ata T era , e una volta approdato, sia che il paese gli p iacque sia anche che per qualche altro m otivo volle farlo, lasciò in quest’isola insiem e ad altri Fenici anche il suo p a ­ rente M em bliare. E costoro abitarono l ’isola ch iam ata 5 C alliste per otto generazioni, prim a che T e ra venisse d a S p arta, per otto generazioni u m an e.204 148. A lla volta di questi si apprestava dunque a 1 partire T era , con gente tratta dalle tribù , p er abitare insiem e con loro e non certo p er scacciarli, m a anzi per farseli saldam ente am ici. E poich é anche i M in i 2 fuggiti d alla prigione stavano sul T a ig e to e g li Spar303 Tera sarebbe dunque discendente in quinta generazione da Cadmo. Argeia, figlia di Autesione, trasferitasi a Sparta in se­ guito ad un oracolo, vi avrebbe sposato l’Eraclide Aristodemo. L a leggenda veniva così a collegare strettamente l’ecista della colonia con la casa regnante dorica. 204 D a un confronto fra queste e le notizie date in V , 59 sembrerebbe trattarsi d i nove generazioni.

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tani decidevano di u cciderli, T e r a si interpose ( l e ­ dendo che non avvenisse una strage e si assunse l'im ­ pegno di condurli fuori dal paese. A vendo gli Spartani acconsentito a questa proposta, egli salpò con tre trieconteri diretto verso i discendenti di M em bliaro, conducendo con sé non tu tti i M ini, m,i solo alcuni pochi, perché la m aggior parte si diresse] verso i Paroreati e i C auconi 205 e, scacciati costo m dal loro paese, si divisero in sei gruppi, e in seguilo fondarono nel proprio territorio le seguenti cilut: Lepreo, M acisto, Frissa, Pirgeo, Epio, N udio. D i qu< ■ ,!1 giovinetto il nom e di O iolico , e non so com e quello nom e finì per prevalere. D a O iolico nacque Egeo, d;d quale prendono nom e gli E gidi, grande tribù di Spai i.i. Poiché agli uom ini di questa tribù i figli non restavano in vita, innalzarono per consiglio di un oracolo un santuario alle E rinni di L aio e di Edipo. E dopo di ciò i bam bini rim asero in vita. L o stesso accadde am he a T e ra da parte dei discendenti di questi u om ini.208 150. Fino a questo punto del racconto gli Sp art.mi narrano in m odo uguale ai T erei, da questo punto in 305 Abitavano la Trifilia, fra Elide e Messenia, ai piedi dei monti d’Arcadia. Da questa posizione del loro paese essi, o parte di essi, avrebbero tratto il nome di Paroreati. 206 Probabilmente dopo la terza guerra messenica, intorno al 460 a .G . Le città nominate sono da porre tutte in Trifilia, solo l’ultima non è stata identificata con precisione. 207 Fondamentale per la discussione dei dati erodotei, assieme a quelli di Pindaro, sulla storia di Tera è Hiller v. Gaertrinpi n. A lt Thera vor der Gründung von Kyrene, in «Klio» X X X I I I (1940) P· 57 segg. ■ _ ' ' 208 A l contrario dello Hude, accetto a questo punto il testo quale è stato corretto dallo Stein, e la successiva integrazione del Rei'.ki.

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poi invece i T erei soli raccontano che le c o se andarono nel m odo seguente: G rinno figlio di Esanio, che era 2 discendente di questo T e r a e regn ava n ell’isola di T e ra , andò dalla sua città a D elfi guidando una eca­ tom be; lo seguivano altri cittadini, e fra essi anche Batto figlio di Polim nesto, che era per stirpe un discen­ dente di Eufemo, uno dei M ini. E m entre G rinno re dei T erei la consultava su altri 3 argom enti, la P izia gli rispondeva di fondare in L ib ia una città. E quello replicava dicendo: « Io, o sire, sono orm ai troppo vecchio e grave d ’anni per m uoverm i; m a tu ordina a qualcuno di costoro, più giovani, di farlo ». Così diceva, e insiem e accen nava a Batto. P er allora questo soltanto avven iva ; m a poi, tor- 4 nandosene indietro, tenevano in non cale l’oracolo, non sapendo né la L ib ia in q u al p arte della terra fosse, né osando inviare una colonia verso l ’ignoto.

151. M a per sette anni dopo di ciò il dio non m an- 1 dava p ioggia a T e ra , e in questo tem po tu tti g li alberi dell’isola tranne uno solo si inaridirono. E andando i T erei ad interrogare l ’oracolo, la P izia li rim proverava, ricordando loro la colonia in L ib ia. E 2 poiché non avevano alcun rim edio per il m ale, m an­ darono am basciatori a C reta p er chiedere se qualcuno dei Cretesi 209 o dei forestieri lì residenti fosse m ai arrivato in L ib ia. Facendo il giro dell’isola essi giunsero anche alla città di Itano, e qui vennero a colloquio con un pesca­ tore di m urici che aveva nom e C orobio, il quale disse che trascinato dai ven ti era giunto in L ib ia , e precisam ente nell’isola di P latea.210 A llo ra, persuasolo con de- 3 naro, lo condussero a T era , e da T e ra partirono per m are esploratori, dapprim a non numerosi. E avendoli C orobio guid ati a quest’isola d i P latea, v i lasciarono C orobio, lasciando con lui v iv eri per un certo num ero 209 Famosi navigatori e pirati, fin dai tempi omerici. 210 L ’odierna isola di Bomba, nel golfo omonimo, al confine fra Marmarica e Cirenaica.

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di mesi, ed essi ritornarono al più presto per dare ai T erei notizie dell’isola.

154. Q u esto lo narran o i T erei, e per il resto del racconto orm ai i T erei concordano con i C iren èi; i Cirenei invece per quanto rig u ard a B atto non sono affatto d ’accordo coi T erei. Essi narran o infatti così: c ’è in C re ta una città di Oasso, in cui divenne re E tearco, che per una sua figlia rim asta p riv a di m adre, che aveva nome Fronim e, sposò u n ’a ltra donna. M a questa, en­ trata in casa, credette bene di essere anche di fatto m atrigna a Fronim e, procurandole m ali e tram ando ogni sorta di m acchinazioni contro di lei. Infine accu­ sandola di im pudicizia riuscì a persuadere il m arito che le cose stavano realm ente così com e lei diceva. E questi persuaso d alla m oglie m editava in danno della fig lia u n ’em pia azione : c ’era in Oasso 213 T em isone, m ercante di T era . E tearco, accoltolo in casa ospi­ talm ente, gli fece giurare di Compiere qualunque cosa di cui lo richiedesse. E com e l ’ ebbe fatto giu rare condusse la figlia e glie la consegnò e lo pregò di portarsela v ia e di gettarla in m are. M a Tem isone sdegnato per l ’inganno del g iu ra ­ mento e rotti i vincoli d ’ospitalità faceva quésto: presa la fanciulla, se ne p a rtiv a per m are, e, com e giunse in alto m are, per sciogliersi d al giuram ento fatto ad E learco la legò tutto intorno con funi e la calò così in m are, e tra tta la poi su arrivò a T era .

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152. M a, poiché essi restavano lontani più del tempo convenuto, a Gorobio venne a m ancare ogni cosa. M,i poi u n a nave samia, di cui era com andante Coleo, in rotta verso l ’E gitto fu spinta a quest’isola di Platea. I Sam i, appreso d a C orobio tu tto il fatto, gli lasciavano 2 viveri per un anno. E d essi, salpati d all’isola, si metti vano in m are, desiderando arrivare in Egitto, pur essendone spinti lontano dal vento di levante. E 'poiché il vento non cessava di soffiare, attraverso le colonne d ’E racle giunsero a Tartesso,211 sotto la guida d ’un di). 3 Q uesto em porio fino allora non era stato frequentato, sicché i Sam i tornando indietro ritrassero dalle m eican zie i p iù grandi guadagni fra tu tti i G reci di cui abbiam o sicura conoscenza, dopo Sostrato figlio Mi L aodam ante, di E gin a: con questi infatti non è possi­ bile che a ltri contenda. 4 I Sam i, prelevati com e decim a di questi guadagni 6 talenti, si fecero costruire un vaso di bronzo a mo" di cratere argolico ; intorno ad esso ci sono teste di grifi sporgenti, e lo dedicarono n ell’Ereo, dopo avervi poslu sotto tre colossi di bronzo d i sette cubiti, p oggiati sul l occidente i M a c i,244 i q u a li si radono i capelli a m‘ di cresta, lasciando crescere la parte centrale dei capelli e tosando di q ua e d i là fino alla pelle, e in guerr.i portano come riparo pelli di struzzi terrestri. A ttraverso il loro paese scorre il fium e Cinipe,"'·’ che viene d al colle cosiddetto delle C a riti e sbocca nel m are. Q uesto colle delle C a riti 246 è fitto di selve, men­ tre tutto il resto della L ib ia che ho prim a descritta è nudo. C a i m are fino ad esso ci sono 200 stadi.

176 . A questi M aci sono vicini i G in d an i,217 le cui donne portano ciascuna intorno alle caviglie molli anelli d i cuoio, a quanto si dice per una ragione di t.il genere: per ogni uomo con cui hanno avuto relazioni lidonne si cingono un anello intorno alla caviglia, e q uella che più ne h a viene stim ata come la m i­ gliore, in quanto è stata am ata dal m aggior numero di uomini.

243 Dato che i Garam anti ricompaiono al cap. 183 si è qui ili alcuni voluto correggere il testo. Per il Legrand si tratterei] I h dei Gamfasanti, nomadi della regione orientale del Fezzan \. Gsell, p. 128). _ . ‘ 244 Sulla costa occidentale della Grande Sirte (Gsell, p. 129). 245 Piccolo corso d’acqua costiero; lo si è identificato 1 ni U adi el Quaham, ad est di Leptis. 246 II Barth (Wanderungen .durch die Kuestenlaender des Mittelmeers, p. 318) pensò di identificarlo con tre collinette, a circa tsiore di marcia dalla, costa, ma la cosa (cfr. Gsell, p. 90, n. 4) 1; tutt’altro che certa. 247 Nella parte occidentale della Tripolitania.

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177. Il prom ontorio 248 che davan ti al paese di questi G in dani sporge nel m are lo abitano i L otofagi, i quali vivono nutrendosi unicam ente del frutto del loto.249 Il frutto del loto è per gran d ezza alP incirca quanto quello del lentisco, m a per dolcezza assai sim ile al frutto della palm a. D a questo frutto i L otofagi fanno anche vino. 178 . A i L otofagi succedono lungo il m are i M acli, che fanno uso anch’essi del loto, m a m eno dei predetti. Si estendono fino a un g ra n fium e ch e h a nom e T r i­ tone. Q uesto sbocca nel gran lago T riton id e, e in esso c ’è un’isola che h a nom e F la .250 Si dice che quest’isola dovessero colon izzarla gli Sp artani in seguito ad un «iracolo. 179 . Si n arra anche il seguente racconto: che G ia ­ sone, dopo che ebbe costruita a i piedi del P elio la nave A rgo, im b a rca ta vi u n ’ecatom be e fra le altre offerte un tripode di bronzo, imprendesse il periplo del P e­ loponneso, volendo andare a Delfi. E quand o navigando 2 giunse a ll’altezza del capo M alea lo sorprese un vento (li borea e lo trasportò fuori di rotta verso la L ib ia , e prim a di veder terra si trovò n elle secche del lago Tritonide. 248 Si è pensato alla penisola di Zarzis, ma v. Gsell, p. 131. 249 Pianta arborea terrestre, una delle varie specie conosciute dagli antichi sotto il nome di loto: specie di giuggiolo ancora 1 opioso sulla costa libica, famoso per le sue qualità fin da Omero v. p. es. Od., 1, 84 segg.). Gfr. Gsell, p. 93 segg. 250 Fiume, lago e isola sono stati variamente identificati. Non è da escludere che essi siano, almeno in parte, favolosi. Lo Gsell (p. 79 segg.) seguito dal Legrand pensa che il lago sia la piccola Sirte (golfo di Gabes), l’isola quella di Gjerba. Verrebbe però in tal caso a mancare nel complesso topografico il fiume. Il Legrand pensa potesse trattarsi deH’emissario di una antica palude, di cui re­ sterebbero tracce nell’odierno Shott el Gierid. Altro tentativo di identificazione e di interpretazione del passo 1 rodoteo, tentativo che sembra però meno accettabile, è stato più recentemente compiuto dall’Herrmann in Rhein. Mus., 1937, p. 68 segg. E ro d o to

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E si n a rra ch e m entre era in difficoltà p er trarne fuori la n a ve g li sia apparso T rito n e , ed ab bia ordinato a G iasone di dare a lui il tripode, dicendo che gli avrebbe m ostrato il passaggio e li avrebbe rim andati sani e s;ih i. 3 E , obbedendo Giasone, allora T rito n e g li mostrò la v ia d ’uscita dalle secche e pose il tripode nel suo tem pio, dopo aver vaticin ato sul tripode stesso ed annunciato a G iasone e ai suoi com pagni tutto il fu­ turo, che cioè quando un qualch e discendente degli f A rgo n au ti si fòsse portato v ia il tripode, allora sarebbe ¡1 stato assolutam ente fatale ch e cento città greche ve- * nissero fondate attorno al lago Tritonide. U d ito ciò, i L ib ii d ella regione avrebbero nascosti > | il tripode.

180. A questi M acli sono contigui g li A usei. Es'i e i M a cli ab itan o intorno al lago T riton id e, e in m ezzo il T rito n e form a il confine fra loro. I M acli si lasciano crescere i cap elli nella p arte posteriore della testa, gli A usei invece nella p arte anteriore. 2 N e lla festa annu ale in onore d i A ten a le loro fan­ ciulle, divisesi in due gru p p i, com battono fra loro con pietre e bastoni, dicendo di com piere i riti istituiti dai p ad ri in onore d ella dea indigena che essi chiam ano A ten a. E quelle d elle vergin i che m uoiono in seguilo a lle ferite le chiam ano false vergini. 3 P rim a di lan ciarle nella lotta fanno questo : a spesedelia com unità la fan ciulla p iù b ella, adorn atala ogni volta di un elmo corinzio e d ’una arm atura greca e fattala salire su un cocchio, la conducono in giro at4 torno al lago. C on q u ali ornam enti adornassero le ver­ gini p rim a che i G reci si stanziassero presso di loro non saprei d irlo ; credo però che le adornassero di armi egiziane, perché d a ll’E gitto io sostengo che sian venu ii ai G reci anche lo scudo rotondo e l ’elm o.261 5 A te n a poi dicono sia figlia d i Posidone 252 e del lago

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251 L a notizia non è confermata da dati archeologici. 252 Ricordiamo che per Erodoto il culto di Posidone era ori ginario della Libia (II, 50).

Tritonide, e che essa, crucciatasi per alcunché col padre, si diede a Zeus, e che Zeus la fece figlia sua. Quésto essi dicono; inoltre possiedono le donne in comune, senza coabitare con esse, m a accoppiandosi a m o’ di bestie. Q u an d o a una donna il figlio sia divenuto grande, si riuniscono nello stesso luogo tu tti gli uom ini entro il terzo mese, e di quello d egli uom ini cui il giovane somigli, di quello è ritenuto figlio.

181. Q u esti che ho nom inati sono d ei nom adi libici quelli che abitano lungo la costa; al di là di essi verso l ’interno c ’è la L ib ia delle bestie feroci, a l d i là d i quella delle fiere si estende un ciglione di sabbia, che si stende da T eb e d ’ E gitto alle colonne d ’E racle. In questo ciglione, a ll’in circa ogni dieci giorni di cam m ino, ci sono blocch i di sale a collinette, e sulla somm ità di ciascuna collinetta zam pilla d a m ezzo il sale acqua fresca e dolce, e attorno v i abitano degli uom ini, ultim i d alla p arte del deserto e al di là della regione delle fiere. P er prim i a p artire d a T e b e a dieci giorni di distanza gli A m m onii,253 i quali possiedono il tem pio derivato d a Zeus T eb an o, poiché anche a T e b e l ’im m agine di Zeus, com e già prim a ho detto, h a la testa di ariete. Essi hanno anche u n ’a ltra acq u a d i fonte, che d i m at­ tina è tiepida, a ll’ora di m assima affluenza nel m ercato è più fredda, a m ezzogiorno p oi d iven ta ancora più fredda. A quest’ora innaffiano i g ia rd in i; declinando il giorno invece dim inuisce la freschezza, fino a che il sole tram onta e l ’acq u a diven ta tiepida. E andando sempre p iù riscaldandosi si avvia verso la m ezzanotte, allora bolle e tra b o cca ; passa la m ezzanotte, e si raf­ fredda fino a ll’aurora. Q uesta fonte è chiam ata col soprannom e d i fonte del Sole.254 253 Così chiamati dal famoso oracolo di Ammone, abitavano l’odierna oasi di Sivah. Su di essi cfr. Gsell, p. 141 segg. 264 D i essa e dei suoi caratteristici fenomeni parlano vari scrit­ tori antichi, greci e latini (Diod. X V I I , 50; Curt. IV , 7, 32;

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182. D opo g li A m m onii, attraversando il ciglioni 4 sabbioso, ad altri io giorni di m arcia c ’è un m onticello | d i sale sim ile a quello degli A m m onii ed acqu a e vi abitano attorno uom ini. Q uesta lo calità h a nom e Au~ gila. Q u i usano venire i N asam oni a raccogliere i frutti delle palm e. 183 . Partendo dagli A u g ili, alla distanza di altri io giorn i di m arcia c ’è un altro cum ulo di sale e un’acq u a e palm e fruttifere in g ra n num ero, com e nelle altre località, e v i abitano uom ini che hanno nome G aram an ti,255 popolazione assai num erosa, che tra2 sportando terra sul sale semina così;256 È questa la strada p iù breve per giungere ai L o to fagi, d ai quali c ’è fino a costoro un cam m ino di 30 giorni. N el loro paese ci sono anche i buoi ch e pascolano a ritroso ; essi pascolano a ritroso p er la seguente ra3gion e: hanno le corna curvate in avanti. P er questo pascolano cam m inando all’indietro : in avanti non è loro possibile, poiché le corna si conficcherebbero nel terreno. Per il resto in nulla differiscono dagli altri buoi se non in questo e per Io spessore e la ruvidezza d ella pelle.

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Questi Garamanti montati su carri a quattro ruote danno la caccia agli Etiopi trogloditi.257 Gli Etiopi trogloditi infatti sono nella corsa i più Veloci di tutti gli uomini dei quali noi abbiamo udito riportar notizia. I trogloditi si cibano d i serpenti e lucertole e di simili specie d i rettili. U sano u n a lin gu a che non so­ Arrian. Anab. I l i , 4, 22; Lucr. V I, 841; PIin. nat. hist. II, 228; Pomp. Mei. I, 39; O vid. Met. X V , 309). L e meraviglie narrate da Erodoto e dagli altri non sono che l’esagerazione di un fenomeno naturale non ben compreso. Per lo Gsell si tratterebbe (p. 106) dell’A in el Hammam, in cui si riscontrano fenomeni simili almeno in parte a quelli descritti da Erodoto. _ 266 Abitavano il Fezzan (Gsell, p. 147 segg.). 256 Su questo uso cfr. Gsell, p. 173; Berthelot, L ’Afrique saha­ rienne et soudanaise; ce qu’en ont connu les anciens, Paris 1927, p. 160. 267 Sono verosimilmente i Tibbu, abitanti del Tibesti, resti di razze prim itive; cfr. Gsell, p. 151 segg.

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m iglia a nessun’altra ed em ettono strida a m o’ di pipistrelli.

184. A p artire dai G aram an ti a distanza di altri 1 10 giorni d i cam m ino c ’è u n ’a ltra collin etta d i sale, ed acqua, e v i abitano attorno uom ini che hanno nome A ta ra n ti,258 i quali, u n ici fra g li uom ini d i cu i ho cono­ scenza, non hanno nom e: tutti insieme infatti si chia­ m ano A ta ra n ti, m a ognuno d i loro non h a nessun nome proprio. Costoro im precano contro il sole quando è eccessi- 2 vam ente caldo e lo insultano co n ogni specie d i in ­ giurie, perché ardendo li consum a, loro, gli uomini, e il loro paese. Poi ad altri 10 giorni di m arcia u n ’a ltra m ontagnola 3 di sale ed acqua, e v i abitano attorno uomini. Sta v i­ cino a questa m ontagnola un m onte che h a nom e A tla n ­ te.259 È stretto e circolare d a ogni p arte ed alto — a quanto si d ice — tanto che le sue v ette non si possono scorgere: giam m ai infatti le abbandonano le nubi né d ’estate né d ’inverno. G li indigeni dicono che sia una colonna della volta celeste. D a questo m onte g li ab ita n ti d el paese han tratto il nom e, si chiam ano in fatti A tla n ti. Si dice che essi non si nutrano di alcun essere ani­ m ato e ch e non abbiano sogni. 185 . D un qu e, fino a questi A tla n ti sono in grado d i 1 dire i nom i di q u elli che abitano sul ciglione, m a da questi in poi non più. I l ciglione si estende in ogni m odo fino alle colonne d ’E racle, e anche oltre queste. Si 2 troVa in esso una m iniera di sale ogni io giorni di cam 268 Su di essi e sulla loro ubicazione, che resta oltremodo in­ certa, cfr. Gsell, p. 154 s‘e g.; Berthelot, p. 162. S59 Variamente identificato. Si tratta forse di monti vulcanici del Sahara. Erodoto probabilmente unisce la tradizione mitologica greca a vaghe notizie sull’esistenza della catena dell’Atlante. In ogni modo là sua descrizione ha caratteri piuttosto fantastici e non corrisponde alle caratteristiche di alcuna montagna della regione.

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N asam oni: questi li seppelliscono seduti ,262 badando di porre il m orente a sedere quando esala il respiro e chi non m uoia supino. ' g L e loro abitazioni sono messe insieme con steli di asfodelo intrecciati e sono trasportabili. ; T a li costum i essi hanno. | 19 1. A d occidente del fium e T rito n e confinano or­ m ai con gli A usei i L ib ii aratori, che usano avere cas· i q u ali hanno nom e M assi. Sulla parte destra della tesl.i essi lasciano crescere i capelli, la parte sinistra invece la radono, e il corpo lo spalm ano d i m inio. Costoro pretendono di discendere d a uom ini ven uti da Troia. Q uesto territorio e il resto d ella L ib ia volto verso occidente è m olto più popolato di fiere e m olto più selvoso d ella regione dei nom adi. L a parte della L ibia vo lta verso oriente, q uella che abitano i nom adi, è infatti bassa e sabbiosa fino al fium e T riton e, mentre la parte dà questo fium e verso occidente, quella degli agricoltori, è assai m ontagnosa e selvosa e ricca di fieri·. In questa regione si trovano anche i serpenti più grandi e i leoni e gli elefanti e orsi e aspidi e asini con le co rn a ,263 e i cinocefali e g li acefali 264 ch e hanno gli occhi sul petto, a quanto alm eno si n a rra d ai L ibii, e gli uom ini selvatici e le donne selvatiche 265 e alti i anim ali non favolosi in gran num ero. 1 92 . T r a i nom adi invece non c ’è nessuno di questi anim ali, m a altri delle specie segu enti :266 antilopi dalle natiche bianche e zorcadi e b u b ali 267 e asini, non quel Ii 262 L ’osservazione di Erodoto risponde a verità. Sul motivi) di tale costume, legato a superstiziose credenze sulla vita d ’oltntomba, cfr. Gsell, p. 182 seg. 263 11 Legnind pensa possa trattarsi di una varietà di antilopi. 264 Si è pensato che questa strana opinione dell’esistenza di esseri senza testa possa risalire alla proibizione, vigente in alcuniregioni del Sahara, di rappresentare il volto umano. 266 Si è pensato — ma la cosa resta assai incerta ·— a gorilla. 266 Le notizie di Erodoto sono nel complesso assai esatti : cfr. Gsell, p. 96 seg. 26? Probabilmente due varietà di gazzelle.

con le corna m a altri che non bevono — e davvero proprio non bevono ■ — e orici dalle cui corna si fanno i bracci per le lire fenicie (le dim ensioni di questo ani­ male sono simili a quelle di un bue) e piccole volpi e iene e istrici e arieti selvaggi e d itti e sciacalli e pantere e eborii e coccodrilli terrestri lunghi circa tre cubiti, assai simili alle lucertole, e struzzi terrestri e piccoli ser­ penti che hanno ciascuno un solo corno. Q uesti ani­ m ali lì ci sono, e ci sono inoltre g li a ltri che si trovano altrove, ad eccezione del cervo e del cin gh iale: ché cervo e cinghiale in L ib ia non" esistono assolutamente. D i topi ce ne sono lì tre specie : g li uni Vengono chia­ m ati bipedi, g li a ltri zegeri -— questo nom e è libico, ed h a in greco il significato di « bounoi », colline ·— gli altri echini. C i sono anche donnole che nascono nel silfio, assai sim ili a quelle di Tartesso. T a li anim ali dunque ha la terra dei L ib ii nom adi, per quanto più lontano io potei giungere nelle m ie ricerche. 19 3 . A i L ib ii M assi 268 seguono i Z aveci, le cui donne guidano i c a rri in guerra. 194 . A questi seguono i G izan ti, presso i q u ali m olto m iele fabbricano le api, m a ancor m olto di più si dice che ne fabbrichino uom ini del mestiere. Costoro poi si spalm ano tu tti di m inio e m angiano scim mie; queste si trovano in q uan tità straordinaria sui m onti. ■ 195 . I C artaginesi n a rra n o 'c h e di fronte al paese di costoro giace un’isola, che h a nom e C ira u n i , 269 di 268 Questo, come i due successivi popoli, sono, stati assai.va­ riamente identificati. Se il lago Tritonide è da identificare con la piccola Sirte, vanno posti lungo la costa orientale della Tunisia (cfr. Gsell, p. I33_seg.)_ ■ 269 Le caratteristiche che Erodoto fornisce riguardo a quest’i­ sola fanno mettere in dubbio quella che sembrerebbe l’ identifi­ cazione più probabile, quella cioè con Kerkenna. Può darsi che in questo nome Erodoto condensi notizie relative anche ad altre isole, nonché racconti leggendari (cfr. Gsell, p. 85 segg.).

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una lunghezza di 210 stadi m a stretta nel senso della larghezza, cui si può passare a piedi dal continente, 2 ed è piena di olivi e di v iti. In questa ci sarebbe un lago dal quale le fanciulle indigene con penne di uccello spalm ate di pece traggono su d al lim o pa­ gliuzze d ’oro. Se questo accade realm ente io non lo so, scrivo quel che si dice. M a tutto è possibile, dal m om ento che anche a Zacin to io stesso vid i trarre su pece d all’acqu a di un 3 làgo. A n ch e più num erosi sono in questo paese i laghi, e il più grande m isura in ogni senso 70 piedi, m entre di profondità è di 2 orge; in esso calano giù una pertica dopo avervi legato sulla pun ta un ram o di m irto, e poi col ram o di m irto tiran o su pece, che h a odore di b itu ­ m e, m a nel resto è m igliore della pece di P ieria. L a versano poi in una fossa scavata accanto al lago, e quando ne abbiano raccolta m olta allora la versano 4 dalla fossa nelle anfore. Q u a lu n q u e cosa poi cada nel lago, passando sotterra ricom pare in m are; questo dista circa 4 stadi dal lago. Stando così le cose dunque anche quel che si dice dell’isola posta di fronte alla L ib ia può essere ben conform e a verità. 196. I C artaginesi narrano anche questo, che c ’è una regione della L ib ia e uom ini che la abitano, al di là delle colonne d ’ E racle. Q u a n d o siano arrivati fra costoro ed abbiano scaricato le m erci, dopo averle disposte in ordine lungo la spiaggia si rim barcano e alzano una fum ata. A llo ra gli indigeni Vedendo il fum o vanno al m are e poi in luogo delle m erci depon­ gono oro e si ritirano lontano dalle m ercanzie. 2 E i C artaginesi sbarcati osservano, e se l’ oro sembra loro degno delle m erci lo raccolgono e s’allontanano, se invece non sem bra degno, rim barcatisi di nuovo atten­ dono; e quelli, fattisi innanzi, depongono altro oro, 3 finché li soddisfino. E non si fanno torto a vicenda, perché né essi toccano l ’oro prim a che quelli l ’abbiano reso uguale al valore delle m erci, né quelli toccano le m ercanzie prim a che g li a ltri ab bian preso l’oro.

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197. Q uesti sono quelli dei L ib ii che noi possiamo elen- 1 care per nom e; e di questi i più non si davano alcun pen­ siero del re dei M edi allora, com e non se ne danno ora. Q uesto ancora ho da dire rigu ardo a questa re- 2 gione, che quattro stirpi 270 la abitano e non più di tante, a quanto io so, e due delle stirpi sono autqctone due no, i L ib ii e gli E tiopi autoctoni, che abitano della L ib ia gli uni la parte verso nord gli a ltri quella verso sud,271 F enici e G reci im m igrati. 198. A m e sem bra che neppure per fertilità la L ib ia 1 sia tanto eccellente da poter essere p aragon ata a l­ l ’A sia o a ll’Europa, tranne solo la regione di Cinipe (la regione ha lo stesso nom e del fiu m e).272 Q uesta è 2 paragonabile alla m igliore delle terre n ella produzione del frutto di D em etra e non som iglia affatto al resto d ella L ib ia : è infatti un paese d i terre nere e irrig ato da sorgenti, né tem e affatto la siccità né riceve danno bevendo troppa p ioggia — in queste p a rti della L ib ia infatti piove. I l rendim ento del grano è lo stesso di quello della terra di Babilonia. B uona è anche la terra che abitano g li Euesperidi : cento per uno essa rende, 3 nelle annate m igliori, m entre q u ella di C in ipe rende fino a trecento per uno.

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199. A n ch e la regione di C irene, ch e è la più elevata 1 di questa parte della L ib ia a b ita ta dai nom adi, h a tre stagioni di raccolto, cosa degna d i m eraviglia. Prim a di tutto infatti i fru tti m aturan o nelle regioni costiere, sì d a richiedere d ’esser m ietuti e vendem m iati; fatto questo raccolto, nelle regioni m ediane al di sopra di quelle costiere, che essi chiam ano « C olline », i pro­ dotti sono m atu ri sì da farsene il raccolto ; quando anche 2 questi fru tti della zona m ediana sono stati raccolti, 270 Poiché, come Erodoto 32, 65; IV , 4 i), l’Egitto non 271 A l di là del deserto di coste del mare australe (III, 272 Cfr. cap. 175.

ha più volte ribadito (II, 8, 18, fa parte della Libia. cui si è parlato al cap. 185, sulle 17).

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ecco che quelli della regione più elevata sono Òrm.ii m atu ri e turgidi, cosicché il prim o raccolto è già be­ vu to e m angiato quando ap pare l’ultim ò. Così per olio mesi il raccolto dei fru tti occupa i Cirenei. E su questo basti quel che s’è detto.

200. I Persiani ven dicatori di Feretim e, allorché, in­ via ti d a ll’E gitto per ordine di A rian d e, giunsero a Bare t . assediavano la città, richiedendo che consegnassen ■i responsabili d ell’uccisione d i A rcesilao. M a poiché tu lio il popolo era responsabile i Barcei non accettavano le richieste. 2 E allora i Persiani assediavano Bare e per nove m scavando anche gallerie sotterranee che portavano £■i !< m ura e sferrando violenti assalti. M a le gallerie un fab b ro le scoprì per m ezzo d ’u 1i>> scudo di ram e, avendo escogitato questo espedienti : portando in giro lo scudo entro le m ura, lo accostava .il 3 suolo della città. O rbene, tutte le altre p arti cui lo ac< li­ stava erano sorde, m entre in corrispondenza delle pa 11 i scavate il bronzo dello scudo rim bom bava. E scavando a loro volta nello stesso luogo i B arcei uccidevano qui Ili dei Persiani che scavavano le gallerie. Q uesto dunque fu escogitato, m entre gli assali i i B arcei li respingevano. 1

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201. Poiché dunque per m olto tem po si logoravi· no

e m olti cadevano d a entram be le p arti, e non m eno da p arte dei Persiani, A m asi com andante della fan teria 1 icorse al seguente artificio: poiché aveva compreso chi i B arcei non potevano esser conquistati con la forza, 111.1 con l ’inganno potevano esser conquistati, fece questo. D i notte, scavata un’am p ia fossa, v i faceva stendere so] >1.1 legna poco salde, e al di sopra, sulla superficie delle legna, fece portare un cum ulo di terra, livellandolo .il 2 resto d e l terreno. A l far del giorno poi in vitava a da A ristagora, e l ’assedio ne richiedeva ancora di più. allora, innalziate delle fortificazioni per i Nassi esiliati si ritirarono m alconci verso il continente. 1

45 Nella Doride, non lontano da Alicarnasso. 46 II racconto naturalmente è più che improbabile, sia per quel che riguarda M egabate sia per quel che riguarda i Nassi.

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35. A ristagora dunque non poteva m antenere la prò- 1 messa fatta ad A rtaferne, e insieme lo torm entavano le spese richieste d a ll’esercito ed era preoccupato per l ’esercito m al ridotto e tem eva di essersi inim icato M e­ gabate e pensava che avrebbe perduto la signoria di M ileto: tem endo ciascuna di queste cose, m editava di 2 ribellarsi. A ccad d e che contem poraneam ente g li giungesse an­ che da Susa da p arte di Istieo il messaggero dalla testa segnata, che annunziava ad A ristagora di ribellarsi al re. Infatti Istieo, volendo dare ad A ristagora l ’ordine 3 di ribellarsi, non aveva alcun altro m odo per annun­ ziarglielo con sicurezza, essendo le strade sorvegliate; allora, fatta rasare la testa al più fido degli schiavi, v i impresse dei segni, e aspettò che ricrescessero i ca­ pelli. N on appena ricrebbero, lo spediva a M ileto, non com andandogli nuli’altro se non che, quando giungesse a M ileto, dicesse ad A ristagora di fargli radere i capelli e di guardare sulla sua testa: e i segni im pressi ordina­ vano, com e già prim a ho detto, la rivolta. Istieo faceva questo perché assai s’ affliggeva d ’esser 4 trattenuto a Susa, e se fosse scoppiata una rivolta aveva m olte speranze di esser m andato verso il m are, m entre se a M ileto non ci fosse stata nessuna novità egli pen­ sava che non v i avrebbe m ai più fatto ritorno. 36. Istieo dunque pensando questo in viava il mes- 1 saggerò, ed accadde che tutte queste circostanze cap i­ tassero ad A ristagora contem poraneam ente. E gli allora si consigliava con i suoi com pagni, rivelando il suo pensiero é gli ordini venuti da Istieo. T u tti gli altri 2 diedero parere nello stesso senso, invitando alla rivolta; invece il logografo Ecateo dapprim a sconsigliava di in­ traprendere una guerra contro il re dei Persiani, enu­ m erando tutti i popoli su cui D a rio dom inava e la sua potenza. M a, poiché non riusciva a persuaderli, in secondo luogo consigliava di fare in modo di essere i padroni del m are. D iceva che altrim enti in nessun m odo 3 vedeva che la rivolta sarebbe riuscita; egli sapeva infatti che le forze di M ileto erano assai deboli. Se

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invece si fossero im padroniti dei tesori del Lempio dei Branchidi , 47 quelli che Creso re di L id ia aveva dedicati, aveva m olta speranza che sarebbero divenuti padroni del mare, e così essi avrebbero potuto servirsi di quelle ricchezze e i nem ici non le avrebbero de4 predate. Q ueste ricchezze erano grandi, com e è stato da me detto nella prim a trattazion e .48 M a questo pa­ rere non prevalse; decisero tuttavia di ribellarsi, e che uno di loro andando per m are a M iunte 49 a ll’ar­ m ata ritornata da Nasso tentasse di catturare i co­ m andanti im barcati sulle navi. 1

37. Essendo stato m andato proprio per questo Iatragora e avendo catturato a tradim ento O liato figlio di A banolio di M ilasa e Istieo figlio di Tim no di T erm ero 50 e C oe figlio di E rxandro, quello cui D ario aveva dato in dono M itilene, e A ristagora di C um a figlio di E raclide e m olti altri, così finalm ente A ristagora fu in aperta rivolta, mettendo in opera ogni m ezzo con­ tro D ario. 2 E prim a di tutto, fingendo di rinunziare alla tirannide, istituiva a M ileto uguaglianza di diritti, perché volentieri i M ilesi partecipassero con lui alla rivolta, e poi anche nel resto della Ionia fece lo stesso, alcuni dei tiranni scacciandoli, m entre quelli che aveva catturato sulle navi che erano andate con lui a Nasso li consegnò alle città per far ad esse cosa gradita, conse­ gnandoli uno ad una città, l ’altro a un’altra, donde ciascuno era . 51 i

38. G li abitanti di M itilene non appena ricevettero C oe lo fecero uscire dalla città e lo lapidarono. Q u elli di 47 Cfr. I, 46. 48 Nella storia di Creso, I, 92. 49 Che era allora situata in una baia alla più tardi incorporata al continente dai detriti 60 Piccola località di fronte a Cos. 51 Per Aristagora, la sua figura e la Sanctis, Aristagora di Mileto, in « Riv. Filol. e I X (LIX ) 1931 p. 48 segg.

foce del Meandro, del fiume. sua opera cfr. G. De Istr. Class. » N. S.

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C um a invece lasciarono andare il loro, e così li lascia­ rono anche la m aggior parte degli altri. A vven n e dunque nelle città la deposizione dei ti- 2 ranni, e A ristagora di M ileto, dopo averli deposti, co­ m andò di nom inare in ciascuna città dei com andanti e poi egli stesso andò com e messaggero con una trirem e a Sparta, perché aveva bisogno di trovare una qualche forte alleanza. 39. A S p arta non regn ava più 52 A nassandrida fi- 1 glio di Leone, che non era p iù in vita, e aveva invece il potere C leom ene figlio di A nassandrida, non per v a ­ lore personale m a per diritto di nascita. A d A nassandrida infatti, che aveva in m oglie una figlia di sua sorella la quale gli era carissim a, non nac­ quero figli. Stando così le cose, gli efori lo chiam arono e g li dissero: « C erto, se tu non provvedi a te stesso, 2 non è tu ttavia per noi una cosa d a trascurare che la stirpe di Euristene si spenga. T u dunque la m oglie che hai, dal m om ento che è sterile, rip u diala, e sposane u n’altra. E facendo questo farai cosa grad ita agli Spartiati ». M a egli rispondeva dicendo che non avrebbe fatto nessuna di quelle due cose, e che non gli davano un buon consiglio invitandolo a ripudiare la m oglie che aveva e che era nei suoi rigu ardi p riva di ogni colpa c, rip u diata questa, a sposarne u n ’altra : insomma, non li avrebbe obbediti. 40. A llo ra g li efori e i geronti 53 dopo essersi consi- ; g lia ti facevano ad A nassandrida questa proposta : « P oi­ ché vediam o che sei tanto attaccato alla m oglie che h ai, fa com e noi ti diciam o e non ti opporre a queste proposte, perché g li Spartiati non abbiano a prendere contro di te qualche altra risoluzione. L a donna che 2 52 L e parole riportano a I 65, seg., ossia alla precedente*digressione sulla storia di Sparta. 63 I membri della Gerusia, il consiglio degli Anziani, che con gli efori costituivano la suprema corte.

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hai, noi non ti chiediam o di rip u diarla, m a oltre a lei prenditi un’ altra m oglie feconda ». P arlando essi a un dipresso così, A nassandrida ,n consentì e dopo, avendo due m ogli, ebbe due casc, facendo cosa per nulla spartana . 54 41. Trascorso non m olto tem po, la m oglie venuta dopo dà alla luce questo Cleom ene di cui stiamo p a r­ lando. Essa dava agli Spartani un re per la successioni·, e insieme la prim a m oglie, che prim a era stata sterile, proprio allora per una fortuita coincidenza rimase in2 cinta. M a, m entre era realm ente incinta, i fam iliari della seconda m oglie, inform ati, tum ultuavano, affer­ m ando che falsam ente essa si gloriava, con l’intenzione di supporsi figli non propri. E poiché costoro facevano gran chiasso e il tempo stringeva, per incredulità gli efori si misero attorno alla 3 donna sorvegliandola m entre partoriva. E d ella dopo che ebbe generato D orieo, subito concepì anche Leonida e dopo questo subito C leom broto; alcuni dicono anche che Cleom broto e L eon ida fossero gem elli. Invece la m oglie che aveva generato Cleom ene ed era venuta dopo, e che era figlia di Prinatade di D em arm eno, non p arto rì più una seconda volta.

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m ’era, dirigeva le navi verso la L ib ia ; gli erano guida uomini di T e r a. G iunto nel territorio di C in ip e 56 si pose ad abi­ tare in una località bellissima della L ib ia presso un fiume. M a, scacciatone al terzo anno dai M aci e dai Libi e dai C artaginesi, ritornò nel Peloponneso.

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if 42. Cleom ene, a quanto si dice, non era sano di 1 m ente, m a un p o ’ p a zzo ; D orieo invece era il prim o di tutti i coetanei, e ben com prendeva che per valore 2 personale egli avrebbe dovuto avere il regno. E poiché dunque aveva questa idea, quando Anassandrida m orì e gli Spartani secondo le leggi elessero re C leo­ m ene che era il più anziano, D orieo, sdegnato é non ritenendo giusto di essere governato da Cleom ene, chiese agli S partiati degli uom ini e li guidò a fondare una colonia, senza chiedere a ll’oracolo di D elfi in quale terra dovesse andare a fondarla e senza far nulla di ciò che era indicato dalla tradizione 55; sdegnato co64 E anche genericamente non greca. 55 11 consiglio dell’oracolo era non solo pegno di successo nel­ l’impresa, ma sanzionava il diritto al possesso del nuovo territorio.

43. L ì A n ticare di Eleone gli diede, desumendolo dai vaticin i di L a io , 57 il consiglio di colonizzare « la terra di E racle in Sicilia », dicendo che tutto il paese di E rice apparteneva agli E raclid i, poiché E racle stesso l ’aveva conquistato . 58 Subito egli andò a D elfi per chie­ dere a ll’oracolo se avrebbe conquistato la terra verso la quale si d irigeva; e la P izia g l i rispose che l ’avrebbe conquistata. A llo ra D orieo con il gruppo che aveva condotto anche in L ib ia navigava lungo le coste d ell’Ita lia . 69 44. In quel tem po, a quanto narrano i Sibariti, essi e il loro re T elis erano sul punto di fare una spe­ dizione contro Crotone, e i Crotonesi, spaventati, pre­ garono D orieo di aiutarli, e pregandolo l ’ottennero. A llora D orieo m arciò con loro contro Sibari e con loro la conquistò .60 Q uesto i Sibariti dicono 61 abbian fatto D orieo e i suoi com pagni ; i Crotonesi invece sostengono che nes­ suno straniero partecipò con loro alla guerra contro i Sibariti, tranne il solo C allia, indovino di E lide, della stirpe degli Iam idi ,62 e questi v i partecipò nel modo 56 Per Cinipe e per i M aci cfr. IV , 175, 198. 57 «Raccolti da Laio» o «resi a L aio » ; verosimilmente una delle raccolte apocrife dì oracoli che andavano soprattutto nel V I sec. sotto il nome di antichi vati: Orfeo, Museo, Bachis. Eleone in Beozia era appunto considerata patria di Bachis. 58 Vincendo Erice, al ritorno dalla sua spedizione in occidente. 59 Per Italia s’intende (cfr. IV , 15) l’Italia meridionale, in particolare Bruzio e Lucania. 60 L a conquista e la distruzione di Sibari sono del 510. 61 La storia deriverà ad Erodoto da Turii, ove i Sibariti si erano trapiantati. 62 Cfr. IX , 33.

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seguente: fuggito da Telis tiranno di Sibari sarebbe giunto presso di loro perché, m entre sacrificava per la spedizione contro Crotone, i presagi del sacrificio non gli erano riusciti favorevoli. 45. Q uesto dunque essi sostengono. Sia gli uni che gli altri apportano le seguenti testim onianze, i Siba­ riti il recinto sacro e il tem pio presso il letto del C rati disseccato ,63 dicendo che D orieo dopo aver parteci­ pato alla conquista della città lo consacrò ad Artem ide soprannom inata C razia, e poi traggono la testim onianza più notevole dalla m orte stessa di D orieo, che era morto per aver trasgredito i precetti dell’oracolo, perché se non li avesse trasgrediti in nulla avrebbe fatto ciò per cui era partito, avrebbe conquistato il paese di E rice e dopo averlo conquistato lo avrebbe tenuto in suo po­ tere, e né lui né il suo esercito sarebbero periti. D a l canto loro i Crotonesi m ostrano che a C a llia di E lide erano state date m olte p arti scelte della terra crotonese, che anche ai m iei tem pi i discendenti di C allia possedevano, e niente invece era stato dato a D orieo e ai suoi discendenti. O ra , se D orieo avesse preso parte alla guerra sibaritica, gli sarebbe stato dato m olto più che a C allia. Q ueste le prove dei fatti addotte dagli uni "e dagli altri; e a quale delle due versioni uno creda, a quella può consentire. 46. S ’erano im b arcati con D orieo com e com pagni nella fondazione della colonia anche altri Spartiati, Tessalo e Parebate e C elee e E urileonte i quali, com e giunsero con tu tta la spedizione in Sicilia, m orirono vin ti in b attaglia dai F e n ic i 64 e dagli abitanti di Egesta; dei fondatori della colonia solo Eurileonte sopravvisse a questo disastro. Egli, presi con sé i superstiti d ell’eser63 II Crati ed il suo affluente Sibari cingevano ai due lati la città. I Crotoniati quando la distrussero deviarono il C rati per rendere completa la distruzione della città. 64 Cioè dai Cartaginesi e dalle colonie fenicie in Sicilia.

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cito, occupò M inoa ,65 colonia dei Selinuntini, e aiutò i Selinuntini a liberarsi del tiranno Pitagora. M a poi, dopo aver abbattuto questi, egli stesso tentò di im pa­ dronirsi della tirannide di Selinunte e ne fu sovrano, per poco tem po perché i Selinuntini si ribellarono e lo uccisero, sebbene egli si fosse rifugiato presso l’altare di Zeus Agoraios. 47. Seguì D orieo e con lui m orì Filippo figlio di 1 Butacide, Crotonese, il quale per essersi fidanzato con la figlia d el Sibarita T elis era stato esiliato da Crotone, m a, deluso nella speranza d elle nozze, se ne era an­ dato per m are a C irene, e salpando di là aveva seguito D orieo con una trirem e propria e m antenendo l ’equi­ paggio a sue spese, egli che era un olim pionico e il più bello dei G reci del tem po. Per la sua b ellezza ottenne dagli Egestani onori che 2 nessun altro ebbe: hanno infatti eretto sulla sua tom ba un tem pietto e se lo propiziano con sacrifici 66. 48. D orieo dunque finì in tale m aniera. Se invece avesse sopportato di essere suddito di C leom ene e fosse rim asto a Sparta sarebbe diventato re di Sparta, poi­ ché Cleom ene regnò per poco tem po e m orì senza figli m aschi, lasciando una sola figlia, di nom e G o rg o .67 49. A ristagora tiranno di M ileto giunse dunque a 1 Sparta m entre v i aveva il potere Cleom ene, e venne a colloquio appunto con lui, portando, a quanto n ar­ rano gli Spartani, una tavola di bronzo, sulla quale era inciso tutto l’orbe terrestre e tutto il m are e tu tti i fium i .68 E, venuto a colloquio, A ristagora gli parlò 2 65 Antica città sulla costa meridionale, fra Agrigento e Seli­ nunte, fondata secondo la tradizione dai Cretesi,, quando M i­ nosse andò in Sicilia (cfr. V II, 170). 66 Come era uso per gli eroi. Q ui il caso è particolarmente notevole, trattandosi non solo di nemici, ma di barbari, pur se greci di cultura. 67 Che poi (V II, 239) sposò Leonida. 68 È questo il più antico ricordo d i una carta geografica; ne veniva considerato inventore il filosofo Anassimandro di M i-

così: « Cleom ene, non m eravigliarti d ella m ia friii.i nel venire qui, perché le nostre attuali condizioni -min queste: ch e i figli d egli Ioni siano schiavi invi ce di essere lib eri è un’onta e un dolore grandissimo pi-r imi stessi e anche per tu tti g li altri G r e c ite tanto pin per 3 voi, in quanto voi siete a capo d ella G recia. O i dun­ que, in nom e degli d ei greci, strappate alla servitù gli Ioni, uom ini del vostro stesso sangue. Q uesta impresa è tale da potervi riuscire facilm ente : i b a rb a ri infatti non sono forti, m entre vo i per ciò che rigu arda la guerra v i siete innalzati al più alto grado d i valore. L a loro ta ttica d i com battim ento è questa: hanno archi e corte lance 69 e vanno in b attaglia con 4 am pie brach e e con tu rb an ti sulla testa. In tal modo· sono facili a vincersi. E poi g li abitanti di quel continente possiedono an­ che ricchezze immense, quanto non ne possiedono nep­ pure tu tti gli altri paesi messi insieme, a cominciare d a ll’oro, e argento e bronzo e vesti ricam ate e bestiam e e schiavi. Q ueste ricchezze se lo volete voi potreste possederle. 5 Q uesti popoli si sono stabiliti gli uni vicino agli altri, com e io ti spiegherò : a questi Ion i qui sono vicini i L idi, eccoli qua, i q u ali abitano una terra fertile c sono ricchissimi ». E gli diceva questo mostrando sulla carta che p o rtav a con sé incisa sulla tavola. « Poi — continuava a dire A ristagora — ai L id i sono vicini verso oriente questi Frigi, i q u ali sono d i tutti 6 quelli che io conosco i più ricch i di greggi; ai Frigi p oi sono vicin i i C ap p ad o ci che noi chiam iam o Siri; sono confinanti con questi i C ilici i quali si estendono fino a questo m are in cu i si trova, eccola, l ’isola di C ip ro: ed essi pagano al re 500 talenti di tributo annuale.

leto; venne poi corretta e rielaborata da Ecateo. Per il M azza­ rino (op. cit. p. 68 segg.) si tratterebbe della carta di Ecateo. 69 A l contrario degli opliti spartani, che avevano grosso scudo ovale, corazze di bronzo, elmi e schinieri, lunga asta e corta spada. .

A questi C ilici sono vicini questi A rm eni, ed anch’essi sono ricchi di greggi; agli A rm en i poi sono v i­ cini i M atieni, che occupano questo paese. A questo 7 è contigua la terra di Cissia, nella quale presso il fiume Coaspe si trova quella fam osa Susa, dove il gran re risiede e dove sono gli scrigni dei tesori : se v i im padro­ nirete di questa città potrete orm ai fiduciosam ente g a ­ reggiare con Zeus per ricchezza. M a ora bisogna che voi differiate la lotta contro i 8 Messeni, che sono di forza p ari a voi, per un territo­ rio non grande né tanto ricco, e contro gli A rca d i e gli A rgivi, che non posseggono nulla che somigli al­ l’oro né a ll’argento, beni per i q u ali il desiderio può spingere qualcuno a m orire in b attaglia: offrendovisi l’occasione di dom inare con facilità sull’A sia, sceglie­ rete voi qualche altra cosa? » A ristagora parlò così, e C leom ene gli rispose con 9 queste parole : «O ospite di M ileto, rim ando la risposta al terzo giorno ». 50. E per allora si spinsero fino a questo punto. 1 M a, quando fu giunto il giorno fissato per la risposta c andarono nel luogo stabilito, Cleom ene chiese ad A ristagora quanti giorni di viaggio ci fossero dal m are degli Ioni fino al G ra n R e. E d A ristagora, che p er il resto era scaltro e poteva 2 ben ingannare l ’ altro, in questo com m ise un errore: che non avrebbe dovuto dire la verità se voleva tra ­ scinare in A sia gli S partani; invece gli risponse che il viaggio era di tre mesi. A llo ra l ’altro, troncandogli il 3 resto del discorso che A ristagora si p reparava a fare in­ torno al viaggio, g li disse : « O spite d i M ileto, allon­ tanati da Sp arta prim a del tram onto del sole: tu non fai alcuna proposta favorevole agli Spartani, se vuoi condurli a tre mesi di strada dal m are ». 51. Cleom ene detto ciò se ne an dava a casa, ed 1 A ristagora, preso un ram o di olivo, si recava a casa di Cleom ene ed entrato com e supplice p regava C leo ­ mene di ascoltarlo, dopo aver allontanato la figlioletta

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— c ’era infatti con C leom ene una fig lia d i nom e G orgo, e quella era la sua unica figlia, d i otto o nove anni d i età. — C leom ene lo in vitava a dire q u el che voleva, senza trattenersi a causa della bam bina. 2 A llo ra A ristagora com inciava co l prom ettergli dieci talenti se avesse fatto ciò di cui lo pregava. M a, poi­ ché C leom ene rifiutava, A ristagora continuava ad of­ frirgli denari aum entando sempre di più, finché gli ebbe promesso cinquanta talenti, e allora la bam bina gridò : «Padre, lo straniero ti co rro m p erà 70 se allontanan3 doti non te ne andrai ». A llo ra Cleom ene, contento del consiglio della fanciulla, se ne andava in u n ’a ltra stanza e A ristagora si allontanava del tutto da Sparta, né gli fu possibile dare inform azioni m a g g io ri 71 sul viaggio per giungere fino al G ran R e.

52. R iguardo a questa strada, la situazione è la segu en te72: da per tutto ci sono stazioni reali e luo­ ghi di sosta assai belli, e tutta la strada si svolge attra­ verso zone abitate e quindi sicure. A ttraverso la L id ia e la F rig ia si trovano d i seguito ve n ti stazioni, e sono 2 94 parasanghe e m ezzo. Segue, uscendo dalla Frigia, il fium e H alys, sul q u ale sono delle p o rte 73 p er le quali si deve assolutamente passare per attraversare il fiume, e a guardia di esse c ’ è un gran corpo d i guardia. Per chi sia così passato nella C appadocia e viaggi per lì fino a l confine d ei C ilici ci sono 28 stazioni e 1

70 Forse (secondo Legrand op. cit. V I p. 99 n. 1) si gioca sul doppio senso di Siacpd-sÌQi» ( = «far del male, rovinare» e «cor­ rompere »). 71 Come farà invece Erodoto nei capitoli seguenti. 72 La descrizione della strada reale può derivare da geografi ionici, ma le distanze derivano certamente da fonti ufficiali per­ siane. Erano strade di importanza più militare e politica che com­ merciale, che allacciavano le regioni dell’impero persiano al centro di Susa, con posti di guardia nei punti più importanti e con stazioni e specie di alberghi a regolari intervalli. Sulle dif­ ficoltà dell’esposizione di Erodoto cfr. Kiepert, «Monatsber. Beri. Akad. », 1857; Macan, op. cit. II, p. 29 segg. 73 Si tratta probabilmente di porte sulle due rive del fiume, fra le quali c’erano ponti per il passaggio.

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104 parasanghe: giunto a i confini d i questi attraver­ serai due porte e oltrepasserai due corpi di guardia. Per chi abbia superati questi e viaggi attraverso la 3 C ilicia ci sono 3 stazioni e 1 5 ,5 parasan ghe .74 Confine fra la C ilicia e l’A rm en ia è un fium e che si passa per nave e h a nom e E ufrate. N ell’A rm enia ci sono 1 5 sta­ zioni e 5 6 ,5 parasanghe e lungo di esse un corpo di guardia. A ttraverso questa regione corrono quattro 4 fium i navigabili, che è assolutam ente necessario tra­ ghettare, prim o il T ig ri, poi un secondo e un terzo chiam ati ugualm ente Zabatos (non sono lo stesso fium e » e non nascono dallo stesso luogo, poiché il prim o che ho nom inato scorre d all’A rm enia, l ’altro dal paese dei M atieni). I l quarto dei fium i h a nom e G indes ,75 ed è 5 quello che una volta C iro divise in 360 canali. P er ch i va d a d a ll’A rm enia alla terra dei M atieni ci sono 3 4 stazioni e 1 3 7 parasanghe .76 P er chi da questa 6 vada n el paese d ella Cissia ci sono 1 1 stazioni e 4 2 ,5 parasanghe fino al fium e Coaspe, che anch ’esso si tra ­ versa per n ave, sul quale sorge la città di Susa. T u tte queste stazioni sono 1 1 1 . T a n ti sono dunque gli alberghi delle stazioni per chi risalga d a Sardi fino a Susa.

53 . Se si è m isurata esattam ente la strada reale in parasanghe e la parasanga vale 30 stadi, com e effet­ tivam ente vale, da Sardi alla reggia detta di M eni­ none 17 ci sono 13500 stadi, poiché sono 450 parasan­ ghe. E percorrendo 15 0 stadi al giorno si im piegano 74 La Cilicia di Erodoto (cfr. I l i , 90 seg.) è assai estesa. 75 È l’ odierno Diala. Per la storia di Ciro cfr. I, 189. I due «Zabatos » sono i due odierni Zab. 76 È qui accettata dagli editori l’inserzione delle parole «ucà

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supplemento necessario e per arrivare al totale che Erodoto stesso dà nel cap. successivo e perché solo nel caso dei Matieni sarebbe omessa l ’ indicazione del numero delle parasanghe. 77 Cfr. II, 106. Meninone, figlio dell’Aurora, era il mitico re degli Etiopi orientali, cioè degli Assiri. L ’epiteto compariva forse in Ecateo e nella sua « Periodos ».

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l ib r o

q u in t o

precisam ente 90 giorni. Così quando A ristagora di M ileto diceva a C leom ene che il viaggio fino al re era di tre mesi p a rlav a giustam ente. 54. M a se uno volesse indagare ancora più esattamen­ te su queste cose, io avverto anche questo, che bisogna aggiungere a questo com puto la strada da Efeso a 2 S ard i .78 E dico che dal m are ellenico 79 fino a Susa — ch é questa è ch iam ata la città di M em none — ci sono in tutto 14040 stadi. D a Efeso a Sardi ci sono infatti 540 stadi, e così il viaggio di tre mesi si allunga dì tre giorni. 1

55. A ndatosene da Sparta A ristagora si recava ad A tene, che si era lib erata d ai tiranni nel m odo seguen­ te 80 : Ipparco figlio di Pisistrato e fratello del tiranno Ip p ia, che pure aveva avuto in sogno u n a visione chia­ rissima, lo uccidono A ristogitone ed A rm odio, che erano d ’antica origine G efirei, e dopo questo avvenim ento g li Ateniesi continuarono a vivere per quattro anni sotto u n governo tirannico non m eno, m a anzi ancor p iù di p rim a . 81 1

56. L a visione avu ta in sogno da Ipparco fu la se­ guente: nella notte precedente alle P an aten ee 82 a Ipparco sem brò che g li stesse accanto un uomo grande e di b e ll’aspetto e che g li rivolgesse questi enigm atici versi : « Sopporta, leone, insopportabili m ali, soffrendo

78 Efeso era il naturale punto di partenza per un viaggio nel­ l’Asia superiore. 79 Cioè l’Egeo. 80 Si riallaccia alla digressione sulla storia di Pisistrato, I, 59 segg. 81 Pare che anche Erodoto intenda schierarsi, come fa T u ­ cidide (I, ao ; V I 53 segg.) contro l’erronea opinione che conside­ rava unico tiranno Ipparco. 83 L a più importante delle feste attiche, si celebrava nel terzo anno d i ogni olimpiade per quattro giorni, in onore di Atena pro­ tettrice della città. Culmine ne era nel quarto giorno — chiamato anch’esso solo col nome di Panateneo — la solenne processione, eternata nelle sculture di Fidìa nel fregio del Partenone.

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con cuore paziente : nessuno degli uom ini com m ettendo ingiustizie non p agherà il fio ». A p pen a venne il giorno confidò questo apertam ente 2 agli interpreti di sogni, m a poi senza tener conto della visione prese parte alla processione e in essa appunto morì. 57. I G efirei, a cui appartenevano gli uccisori di 1 Ipparco, a quanto essi stessi sostengono derivano le loro origini da E retria; invece, secondo quello che io ho tro­ vato nelle mie ricerche, erano Fenici di quelli venuti con C adm o nella terra ora chiam ata B eozia e vi abitavano, avendo ottenuto in sorte in questo paese il territorio di T a n a g ra. D i qui, dopo che per prim i erano stati 2 scacciati dagli A rg iv i i C ad m ei, questi G efirei scac­ ciati una seconda vo lta 83 dai Beoti si diressero verso il territorio di A tene. E gli Ateniesi li ammisero sotto determ inate condizioni ad essere loro concittadini, or­ dinando ch e venissero esclusi da alcuni diritti, non numerosi e non degni di ricordo .84 58. Q u esti Fenici ven uti con C ad m o cui apparte- 1 nevano i Gefirei, abitando questa terra, introdussero fra 1 G reci m olte cognizioni, e fra le altre anche l ’ al­ fabeto 85 — che i G reci prim a, a quanto io credo, non avevano — , in un prim o tem po quello d i cui si servono anche tu tti i Fenici. Poi, col passar del tem po, con la lin ­ gua i C adm ei m utarono anche la form a delle lettere . 86 83 La spedizione degli Epigoni e l ’espulsione dei Cadmei è considerata dalia cronologia tradizionale circa contemporanea alla guerra troiana, mentre l’ immigrazione dei Beoti è conside­ rata di 60 anni posteriore. 84 Si tratta certamente di cerimonie e funzioni religiose. 86 Stesìcoro, Eschilo ed altri ne attribuivano l’invenzione a personaggi del mito, mentre l’opinione di Erodoto è nelle sue linee generali assai fondata, anche se egli erra nel credere che le lettere fenicie siano state adottate direttamente dai Greci d ’Europa. 86 Poiché la lingua greca ha un sistema fonetico assai diverso da quello fenicio (semitico), furono necessari adattamenti e mo­ dificazioni, particolarmente fonetiche, mentre Erodoto si inte­ ressa qui soprattutto a i cambiamenti formali.

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In q uel tem po la m aggior parte delle terre alPintorno le abitavano dei G reci gli Ioni, e q u esti,. apprese dairinsegnam ento dèi Fenici le lettere, le usarono lie­ vem ente m odificate, e usandole le denom inarono « fe­ nicie », com e anche la giustizia voleva, dato che i F e­ nici le avevano introdotte in G recia. 3 Parim enti secondo l ’uso antico gli Ioni chiam ano i l ib r i 87 « p elli », poiché allora, per la scarsità di papiri, usavano pelli di capra e di p ecora .88 E d anche al mio tem po m olti dei b a rb ari scrivono ancora su tali pelli. 2

59. Io stesso ho visto lettere c a d m e e 89 nel tem pio di A pollo Ismenio in T eb e di Beozia, incise su tre tripodi e simili per lo più alle lettere ioniche. U n o dei tripodi porta questa iscrizione : « A nfitrione dedicò al dio, dal bottino fatto sui T eleb o i ».90 Q uesto per età potrebbe essere d el tem po di L aio figlio di L ab d aco figlio di Polidoro figlio di C adm o. 60. U n altro tripode dice in versi esam etri : « Il pugile Sceo vittorioso a te, lungisaettante A pollo, mi dedicò, splendido ornam ento ». Sceo figlio di Ippocoonte — se è proprio lui il de­ dicante, e non u n altro ch e avesse lo stesso nom e 8J N el termine greco « biblos », ossia «papiro », dal nome del materiale scrittorio divenuto di uso comune dopo che Psammetico aprì l’Egitto al commercio greco (II, 154). 88 Usate talvolta in Egitto, e da Ebrei e Persiani, poi perfe­ zionate dai re d i Pergamo nella « pergamena » che però solo assai lentamente si sostituì al papiro. 89 Questi che Erodoto chiama «caratteri cadmei» sono certo caratteri greci arcaici, e senza dubbio tutte le iscrizioni sono false (cfr. sull’argómento W. Larfeld, Griechìsche Epigraphie in Handb. f. klass. Altertumswissensch, München' 1914, p. 190 segg.). 90 Anfitrione, il padre umano dì Eracle (cfr. II, 44), era figlio di Alceo re dì Tirìnto. I Teleboi e T afi erano una tribù dell’Acarnania. Anfitrione era andato a Tebe per esservi purificato, avendo ucciso accidentalmente lo zio Elettrione, padre di Alcmena, e per ottenere la purificazione aveva dovuto promettere ad Alcmena che avrebbe fatto vendetta dei Teleboi, i quali avevano attaccato il regno dì Elettrione. Creonte, che purificò Anfitrione, era cognato d i Laio : da questo Erodoto deriva la sua cronologia.

del figlio di Ippocoonte — per l ’età potrebbe essere del tem po di Edipo figlio di L a io .91 61. Il terzo tripode dice, anch’esso in esam etri: 1 « Laodam ante in persona, quando era re, a te, A pollo che colpisci nel segno, dedicò questo tripode, splen­ dido ornam ento ». È proprio al tem po in cui questo 2 L aod am ante figlio d i E teocle era re che i C ad m ei ven ­ nero scacciati dagli A r g i v i 92 e si recarono presso gli E nchelei , 93 e i( G efirei, rim asti indietro, p iù tardi per opera dei Beoti si ritirarono verso l ’A ttica. E in A tene essi hanno eretto santuari, ai quali non sono partecipi affatto g li altri Ateniesi, e tra g li altri santuari p a rti­ colari soprattutto quello di D em etra A c a ia 94 e i suoi m isteri. 62. D unque, la visione avu ta in sogno d a Ip p arco 1 e donde traggono origine i G efirei, cui appartenevano gli uccisori di Ipparco, io l ’ho esposto; m a oltre a questo devo ancora riprendere il racconto che d a p rin­ cipio m i accingevo a fare, cioè com e gli Ateniesi fu ­ rono lib erati dai tiranni. M entre Ip p ia tiran neggiava ed era adirato con gli 2 A teniesi per la m orte di Ipparco, gli A lcm eonidi, che erano Ateniesi d i stirpe ed erano esuli p er colpa dei Pisistratidi, poiché non riuscì loro insieme con gli altri Ateniesi esuli un tentativo d i rientrare in p atria con la forza m a anzi avevano subito un grave disastro nel tentativo di rientrare in città e di liberare A tene,

91 La cronologia deriva dal fatto che, secondo la tradizione, Sceo fu ucciso insieme col padre e i fratelli da Eracle. Egli aveva aiutato ijl padre a scacciare Tindaro da Sparta, e di ciò fu punito da Eracle con la morte. 92 Sono gli Epigoni. 93 Nell’ Illiria meridionale; la loro fam iglia regnante si van­ tava di discendere da Cadmo e Armonia. Cadm o sarebbe lì emi­ grato da Tebe. 94 II nome secondo Plutarco ricordava i dolori (à%og) sof­ ferti dalia dea per il rapimento della figlia Proserpina. E rodoto

-

Le

S to r te .

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dopo aver fortificato Lipsidrio 95 a nord della Peonia, allora gli Alcm eonidi, mettendo in opera ogni mezzo contro i Pisistratidi, prendono in appalto dagli Anfizioni la ricostruzione del tem pio di D elfi, quello che c ’è ora, m a allora non c ’era ancora . 94 3 Poiché si trovavano in buone condizioni econom iche ed erano già da lunga- data uom ini ragguardevoli, costruirono un tempio più bello del m odello, e in particolare, m entre era stato con loro convenuto di costruire il tem pio in pietra di tufo, ne costruirono la facciata in m arm o pario. 1

63, D unque, a quanto narrano gli Ateniesi, questi uo­ m ini stando a D elfi riuscirono a persuadere con danari là P izia perché ogni volta che Spartani fossero andati sia privatam ente sia a nom e dello Stato ad interrogare l ’oracolo li invitasse a liberare Atene. 2 E gli Spartani, poiché avevano sempre questo stesso responso, m andano Anchim olio figlio di A ster, uomo illustre fra i cittadini, con un esercito per scacciare i Pisistratidi da A tene, per quanto fossero strettamente loro congiunti d a vincoli di ospitalità, poiché essi fa­ cevano m aggior conto delle leggi del dio che di quelle degli uomini. L i m andano dunque per m are con navi da guerra. 3 Anchim olio, approdato al Falero, fece sbarcare l ’esercito, m a i Pisistratidi, preavvisati di ciò, chiam a­ rono aiuti dalla Tessaglia, poiché avevano concluso una alleanza con q u elli . 97 I Tessali a questa richiesta m andarono con com une deliberazione m ille cavalieri

95 A i piedi del Parnete, non lungi da Decelea. Peonia era uno dei demi a nord di Atene. Del tentativo fallito parla Aristotele (Άί)·. ποί. ig) ed essa era ricordata in uno sco­ lio famoso (Athen. X V 695 e Etym. M agn. s. υ. έπϊ Αειιρνάρίω μάχη.).

96 II tempio era andato distrutto in un incendio nel 548-47 e fu compiuto interamente intorno al 480. Gli Anfìzioni avevano la protezione e la cura del tempio di Delfi. 97 Certo già dai tempi di Pisistrato, che aveva dato al suo ter­ zo figlio il nome di Tessalo.

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e lo stesso loro re C in ea 98 di G onno, e i Pisistratidi, appena ebbero questi alleati, idearono il seguente piano : fatti tagliare tu tti gli alberi della p ian ura del Falero 4 e resala adatta alla cavalleria, lanciarono la cavalleria contro il cam po nem ico, e questa, piom bando loro ad­ dosso, uccise m olti Spartani, e fra essi anche A n ch i­ molio, e bloccò i superstiti sulle navi. Cosi andò a finire la prim a spedizione di Sp arta; la tom ba di A nchim o­ lio 99 è nel demo attico di A lopece, vicino all’Eracleo di Cinosarge .100 64. In seguito gli Spartani, allestita una spedizione 1 più grande, la m andarono contro A tene, dopo aver nom inato capo d ell’esercito il re Cleom ene figlio di Anassandrida, m andandoli non p iù per m are m a per terra. Q jian d o essi invasero il territorio d ell’A ttica per 2 prim a si scontrò con loro la cavalleria tessala e dopo non m olto tem po fu volta in fu g a, e di essa 40 uom ini caddero e i superstiti si ritirarono senz’altro direttamente verso la Tessaglia. Cleom ene giunto alla città bassa con quegli Ateniesi che volevano esser liberi as­ sediò i tiranni chiusi nel m uro P elargico.101 65. E certam ente gli Spartani non sarebbero affatto 1 riusciti a scacciare i Pisistratidi, poiché essi non avevano intenzione di porre un vero assedio e i Pisistratidi si erano ben forniti di acqua e di bevande, e dopo averli

98 È probabile che Erodoto chiami col nome di re il « tagos » che aveva il comando dell’armata approntata dalla lega tessala, o un membro di una delle famiglie reali, Aleuadi e Scopadi. 99 Anchimolio in Aristot. ’ A&. noi. 19 è detto Anchimolo. 100 U n « temenos » nei sobborghi orientali della città, con un tempio dedicato a Eracle rapitore di Cerbero. i°i u Pelargico — poi per errore erudito connesso col muro che sarebbe stato costruito dai Pelasgi (cfr. V I, 137) tutto intorno all’A cròpoli— era una parte del versante nord-ovest dell’acropoli e dello spazio adiacente, ove i tiranni avevano la loro resi­ denza fortificata (Thuc., II, 17).

assediati p er pochi giorni se ne sarebbero tornati a Sparta; m a allora accadde un avvenim ento fortuito, p er gli uni fatale, per gli a ltri favorevole: i figli dei P isistratid i 102 m entre venivano portati di nascosto al 2 sicuro fuori d a l paese furono catturati. C om e accadde questo, tutti i piani dei Pisistratidi rimasero sconvolti, e per riavere i figli si arresero alle condizioni che gli A teniesi vollero, cioè che entro cinque giorni se ne an­ dassero d a ll’A ttica. 3 E poi partirono per il Sigeo sullo Scam andro, dopo aver regnato sugli Ateniesi p er 3 6 anni, essi che erano originariam ente di Pilo e discendenti di N eleo ,103 discen­ denti di quelli stessi d a cui discese anche la fam iglia di Codro e M elanto, i quali prim a di loro, pur essendo 4 venuti da fuori, divennero re degli Ateniesi. E per que­ sto anche Ippocrate per ricordo diede al figlio lo stesso nom e di Pisistrato, prendendo la denom inazione da Pisistrato figlio di Nestore. 5 Così g li Ateniesi si liberarono dalla tirannide; tutte le cose degne di m enzione che essi ebbero a compiere o a soffrire dopo la liberazione prim a che la Ionia si ribellasse a D ario e che A ristagora di M ileto venisse ad A tene a chiedere aiuto, questo prim a di tutto esporrò. 1

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6 6 . Atene, che era già prim a potente, allora, libe­ rata dai tiranni, divenne ancora più. potente. In essa prim eggiavano due uom ini, d is te n e degli A lcm eonidi, che è fam a avesse corrotto la P izia, e Isagora figlio di Tisandro, che era di nobile fam iglia, m a io non sono in grado di dirne l’origine; però la gente della sua fa­ m iglia sacrifica a Zeus C a rio .104 Q u esti uom ini lottavano p er il potere e d is te n e , vinto ,105 si guadagnò il favore del popolo. Poi divise in dieci trib ù g li Ateniesi che erano prim a divisi in quattro 102 Secondo Aristotele solo Ippia aveva figli. 103 R e di Pilo, padre di Nestore, avo di un Pisistrato e di Predimene, dal quale discendevano i re Melanto e Codro. 104 II che farebbe pensare a un’origine caria. Per la corru­ zione della Pizia cfr. V , 63. 108 Isagora fu infatti eletto arconte eponimo nel 508-07.

iribù ,106 m utando le denom inazioni che erano prese dai figli di Ione Geleonte, E gicoro, A rga d e e O p le te 107 e scovando i nom i di altri eroi, tu tti del p a ese 108 ad ec­ cezione di A iace : questo infatti lo aggiunse, sebbene fosse straniero, perché era vicino della città e alleato. 67. Per quanto a me pare, d is te n e in questo voleva im itare suo nonno m aterno d is te n e , tiranno di Sirione .109 Infatti questo d is te n e , essendo in guerra contro gli A rgivi, proibì ai rapsodi di gareggiare in Sicione per i canti di O m ero ,110 poiché gli A rg ivi e A rgo v i sono quasi continuam ente celeb rati; d ’altra parte, poiché c ’era e c ’è proprio nella piazza del m ercato di Sicione un tem pietto di A drasto figlio di T a la o ,111 d is te n e desiderò di scacciarlo dal paese perché era A rgivo. A ndato a D elfi interrogava l’oracolo per sapere se doveva scacciare A drasto, m a la P izia gli rispose di­ cendo che A drasto era re dei Sicioni, m entre lui era il loro lapidatore. Poiché dunque il dio non lo perm etm etteva, tornato indietro pensava al modo con cui Adrasto potesse togliersi di m ezzo d a sé. C om e gli p arve di averlo trovato, m andava am basciatori a T eb e in B eozia e diceva di voler introdurre nella sua città 106 La riforma di d isten e costituì una profonda innovazione, molto più profonda di quanto non potesse sembrare ad Erodoto, abbattendo per mezzo delle nuove tribù territoriali i privilegi delle genti ( γένη) che si erano conservati inalterati anche dopo la riforma di Solone e avevano praticamente in mano il potere dello stato. 107 Era la divisione tradizionale delle stirpi ioniche, testimo­ niata dalle iscrizioni per varie località ioniche. 108 I nomi erano: Eretteide, Egeide, Pandionide, Leontide, Acamantide, Oineide, Cecropide, Ippotoontide, Eantide, Antiochide. 109 Su d isten e di Sicione cfr. C . H . Skalet, Ancient Sycìon wìth a prosopographìa Sycionia, John Hopkins Univ. Studies, Archeol. 3, Baltimore 1928. 110 Sebbene Erodoto dubitasse della loro autenticità (IV , 32), è probabile che qui si alluda particolarmente ai poemi del ciclo tebano, la Tebaide e gli Epigoni. 111 Era stato appunto uno dei capi della spedizione degli Epigoni.

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i resti 'di M elanippo figlio di A staco ,112 ed i T c lu n i glieli diedero, d is te n e , portati in p atria questi ric»bu Pritaneo 113 e ne pose u n a statua n el luogo p iù m unito. d is te n e aveva introdotto M elanippo — anche que­ sto deve esser spiegato — perché questi era stato nem i­ cissimo d i Adrasto e gli aveva ucciso il fratello M aci4 steo e il genero T ideo. D opo che gli ebbe dedicato il recinto, tolse ad A drasto i sacrifici e le processioni e le assegnò a M elanippo. I Sicioni erano abitu ati ad onorare con *grande p om pa A d rasto ; il loro paese infatti è la terra d i P o­ libo, e A drasto era nipote di Polibo, e Polibo, m orendo 5 senza figli, aveva lasciato ad A drasto il potere .114 I Si­ cioni veneravano A drasto in m olti m odi, e fra l ’altro celebravano con cori tragici le sue sventure ,115 vene­ rando non Dioniso m a A drasto, d is te n e invece restituì i cori a Dioniso e il resto della cerim onia lo attribu ì a M elanippo. 3

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68 . Q uesto dunque egli aveva fatto p er A drasto; e quanto alle trib ù dei D ori, perché non fossero per i Sicioni le stesse ch e p er g li A rgivi, ne m utò i nom i in altri diversi .116 E nel cam biarli si prese gioco dei Sicioni, perché, derivando i nom i d al porco, d a ll’a­ sino e d al porcellino, aggiunse solo le desinenze, tranne 113 Eroe tebano che partecipò alla spedizione dei Sette contro Tebe. 113 Ossia nel centro sacrale della città, ove si conservava il fuoco sacro: sede massimamente onorevole. 114 Adrasto, fuggito da Argo, si rifugiò presso Polibo di Sicione, ne sposò la figlia e ne ereditò il regno. 116 Nelle spedizioni contro T ebe; nella prima perse tutti i compagni scampando miracolosamente egli stesso, nella seconda morì il figlio Egialeo. Questi cori, dedicati ad un eroe anziché a Dioniso, costituiscono un passo importante nella storia della suc­ cessiva evoluzione dei cori tragici, che portò alla nascita della tragedia. Sinteticamente, ma chiaramente, cfr. G. Perrotta, St. della lett. greca, I I 1 p. 5O. 116 Clistene, della famiglia degli Ortagoridi, non apparte­ neva alla popolazione dorica, e i suoi mutamenti avevano appunto lo scopo di far perdere alle stirpi doriche la loro prevalenza.

per la sua propria trib ù , alla q uale diede il nom e dal suo stesso potere. Così questi si chiam arono A rch elai, e gli altri Iati, O n eati e .Coireati. Q uesti nom i delle trib ù i Sicioni li usarono sotto la signoria di Clistene e, m orto lui, ancora per 60 anni; m a poi, consultatisi fra loro, li cam biarono in quelli di Illei, Panfìli e D im an ati ,117 e a queste ne aggiun­ sero una quarta, i cui com ponenti furono chiam ati Egialei, traendo il nom e d a E gialeo figlio di A drasto. 69. D unque Clistene di Sicione aveva fatto questo, e il Clistene di A tene, che era nipote p er v ia di m adre di questo di Sicione e aveva il suo stesso nom e, disprez­ zando anch’ egli, per quanto a m e sem bra ,118 gli Ioni, im itava l ’om onim o Clistene, perch è g li A teniesi e· gli Ioni non avessero le stesse tribù. E com e si fu resa am ica la classe popolare di A tene prim a com pletam ente esclusa d a ogni cosà politica, cam biò nom e alle trib ù e ne aum entò il numero. Isti­ tuì dieci cap i trib ù invece di quattro, e distribuì i demi in gruppi di dieci fra le trib ù .119 E, essendosi guada­ gnato il favore del popolo, era di m olto superiore agli altri avversari. 70. V in to a sua vo lta, Isagora m acchina dal canto suo il seguente piano : chiam a in aiuto lo spartano Cleomene, a lui legato d a vincoli d i ospitalità dal tem po d ell’assedio dei Pisistratidi. Cleom ene era sospettato di frequentare la m oglie di Isagora. D app rim a Cleom ene m andando ad A ten e un araldo esigeva il bando di Clistene e con lui di m olti altri 117 Che erano le tre tribù doriche tradizionali. Per la terza il nome più comune è « Dimani ». 118 Non si capisce il motivo di questa affermazione, tanto più che i nomi delle nuove tribù di Atene non sono affatto ingiuriosi. 119 Ponendo, e questo è uno degli aspetti essenziali della sua riforma, non più i demi territorialmente vicini in una stessa tribù, ma suddividendoli in varie tribù, per impedire la formazione delle antiche leghe e consorterie locali'. Il numero di 10 per i gruppi di demi non corrisponde comunque a verità.

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Ateniesi, indicandoli col nom e d i «sacrileghi». ■ -'> E gli m andava a dir questo per istruzione d i 1 gora, perché gli A lcm eonidi e i loro com pagni era­ no incolpati d i quell’assassinio, cui egli accenna m entre non ne era stato partecipe né l u i 121 né i suoi am ici. 7 1. Q u e g li A teniesi avevano avuto il nom e di ((sa­ crileghi» per la seguente ragione: C ilone era un A li niese vincitore dei giochi olim pici. Pieno di orgoglio, egli am bì alla tirannide e, guadagnato a lla sua parte un gruppo di coetanei, tentò di occupare l ’acropoli, ma, non riuscendo ad im padronirsene, si assise supplice presso la statua della dea. I pritani dei naucrari, che allora governavano Atene, li persuasero ad alzarsi e a presentarsi dinanzi ai giudici, garantendo loro la v ita : si accusavano invece gli A lcm eonidi di averli uccisi. Q uesti fatti erano accaduti prim a del tem po di Pisistrato.122 72. Cleom ene con questa am basceria voleva far scacciare d is te n e e i « sacrilegh i », e d is te n e sponta­ neam ente da solo si allontanò in segreto : m a ciò nono­ stante più tardi C leom ene venne ad A tene con un esercito non grande, e una volta giunto cacciò in esilio per espiazione settecento fam iglie atenie120 Analoga richiesta fu fatta da Sparta subito prima della guerra del Peloponneso per il bando di Pericle, Alcmeonide per parte di madre. 121 Isagora. 122 II racconto si trova, ampliato e rettificato, in Tucidide (I, 126). Erodoto deriva evidentemente dalla tradizione alcmeo­ nide o ad essi favorevole. Lo mostra soprattutto quella menzione dei «pritani dei naucrari » che ha dato tanto da fare ai critici. Le naucrarie erano, secondo la costituzione solonica, circoscri­ zioni con compiti essenzialmente esattoriali, finanziari e di leva. Q ui Erodoto pone i pritani delle naucrarie in luogo degli ar­ conti per scagionare Megacle, l’ alcmeonide che era in quell’ an­ no arconte eponimo, attribuendo la colpa ad un’altra inesistente magistratura.

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s i 133 che Isagora gli aveva suggerito. F atto ciò, in se­ condo luogo tentava di sciogliere il consiglio e voleva dare i p ubblici poteri nelle m ani di trecento partigiani di Isagora. M a poiché il co n siglio 124 si ribellò e non 2 volle obbedire, allora Cleom ene con Isagora e i suoi partigiani occuparono l’acropoli. M a g li altri Ateniesi, avendo gli stessi sentimenti del consiglio, li assediano per due giorni: al terzo sotto determ inate condizioni escono dal paese tutti quelli d i loro che erano Spartani. Si com piva così per C leom ene la profezia: infatti 3 quando era salito sull’acropoli per occuparla era an­ dato nel sacrario della dea com e per rivolgersi a lei; ma la sacerdotessa, alzatasi dal trono prim a che egli varcasse la soglia, disse : « O straniero Spartano, to r n a , indietro, non entrare nel tem pio : ch é non è permesso ai D ori entrare qui ». E quello rispose : « O donna, io non sono D oro m a A cheo ».125 Senza trarre alcun profitto d alla profezia 126 egli 4 aveva tentato l ’im presa, e allora fu scacciato e dovette tornare indietro insieme agli altri Lacedem oni : gli altri, gli A teniesi li incatenarono per m andarli a m orte, e fra essi Tim esiteo di D elfi,127 del quale potrei citare le più grandi gesta di forza e di coraggio. 73. Q uesti dunque m orirono in catene; m a in se- 1 guito gli Ateniesi, richiam ati d is te n e e le settecento fam iglie scacciate d a Cleom ene, m andavano am basciatori a Sardi, volendo stringere una allean za coi P er­ siani, poiché erano convinti che C leom ene e gli Sp ar­ tani si fossero mossi per far loro guerra.

123 È invérosimile che tutti potessero essere implicati neìl’eccidio dei Ciloniani. Deve trattarsi di gente espulsa perché considerata indebitamente introdotta nella lista dei cittadini. 124 È la Bulè dei 500 istituita da disten e. 125 Come Eraclide (cfr. V II, 204; V i l i , 131). 126 Implicita nelle parole della sacerdotessa. 127 Secondo Pausania riportò due vittorie nel pancrazio ad Olimpia e tre a Delfi.

ERODOTO

Q u an d o g li am basciatori furono giunti a Sardi ed ebbero detto q u el che e ra stato loro ordinato, A rtaferne figlio di Istaspe, satrapo di Sardi, chiese loro chi· uom ini fossero e in q ual parte della terra abitassem quelli che chiedevano di essere alleati dei Persiani; quando fu inform ato dagli am basciatori, rispose loi brevem ente: se g li A teniesi davano al re D ario terra c acqua, egli avrebbe conclusa l ’ allean za con loro ; se invece non la davano, com andava loro di allontanarsi. 3 I messi prendendo su di sé ogni responsabilità dis­ sero che l ’avrebbero data, poich é volevano conclude]

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Ionie; e poiché essi si opponevano energicamente, i Peloponnesiaci cedettero. E così accolsero nella lega Sami e Chii e L esb i122 e gli altri isolani che si trova­ vano a partecipare alla spedizione insieme coi Greci, legandoli con patti giurati a restare fedeli e a non ab­ bandonarli. Dopo averli stretti con giuramento si met­ tevano in mare per tagliare i ponti; credevano infatti che li avrebbero trovati ancora gettati.123

107. Essi dunque navigavano verso l’Ellesponto, mentre avveniva il ritorno a Sardi dei barbari che erano fuggiti e si erano rinserrati sulle alture di Micale, che non erano molti. Mentre erano in marcia, Masiste figlio di Dario, che si era trovato presente alla disfatta, rivolgeva a d Artaunte molte ingiuriose parole, fra l’altro dicendogli che era più vile di una donna, egli che aveva così malamente condotto la campagna, e che era meritevole di ogni pena per aver recato danno alla casa del re. Presso i Persiani sentirsi chiamare «peggiore di una donna» è il più grande insulto. Quello allora, dopo essere stato ad ascoltare molte ingiurie, sdegnatosi trasse fuori contro Masiste la scimitarra, con l’intenzione di ucciderlo. E Xenagora figlio di Prassileo, di Alicarnasso, accortosi che stava per avventarsi, stando ritto alla spalle di Artaunte lo afferra alla cintola, e sollevatolo lo getta a terra; e intanto erano accorse a difesa le guardie di Masiste. Xenagora facendo questo si acquistò grazia presso Masiste stesso e presso Serse, salvandogli il fra­ tello, e per questa azione Xenagora per concessione del re ebbe il governo di tutta la Cilicia.124 122 Sono qui menzionati per la prima volta, ma si tratta proba­ bilmente di una omissione di Erodoto, non unica nel corso dell’opera. Sulla posizione, non troppo chiara, delle popolazioni greche del continente cfr. How-Wells op. cit. II, p. 333. 123 I ponti erano stati distrutti già da dieci mesi ( V i li , 117), ma i Greci potevano benissimo ignorarlo, dato che l’Ellesponto era nelle m ani del nemico. 124 «Xenagora » per Stein diventa -« Siennesi », per How-Wells la cosa è impossibile, perché in Cilicia vi furono almeno fino al 400 principi locali.

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Mentre essi erano ancora in viaggio niente altro oltre questo avvenne, e giunsero a Sardi. A Sardi si trovava il re da quando, battuto dagli Ateniesi nella battaglia navale, vi era giunto in fuga.

108. E allora, stando a Sardi, si innamorò della moglie di Masiste che era anche essa lì. E poiché man­ dandole messaggi non gli riusciva di conquistarla e nep­ pure con la violenza poteva accostarsi a lei, per riguardo al fratello Masiste (e questa stessa ragione tratteneva anche la donna : bene infatti sapeva che violenza non ne avrebbe subita), allora Serse, a corto di altri mezzi, combina per suo figlio Dario questo matrimonio,125 di dargli in sposa la figlia di questa donna e di Masiste, ritenendo che col far questo più facilmente avrebbe potuto farla sua. Concluso il fidanzamento e compiute tutte le ce­ rimonie d’uso egli partiva per Susa; quando fu lì giunto ed ebbe condotta in casa la moglie per D a ­ rio, allora distolse il pensiero dalla moglie di Masi­ ste e mutando idea si innamorò invece della moglie di Dario che era figlia di Masiste e la possedette. Il nome di questa donna era Artaunte. 109. M a col passare del tempo l’intrigo diventò noto nel modo seguente: Amestri moglie di Serse, tessuto un mantello ampio e ricamato e mirabile, lo dona a Ser­ se. Questi dopo aver avuto piacere di lei se ne avvolse e andò da Artaunte. E dopo aver goduto anche di costei la invitò a chiedergli quel che voleva in cambio dei suoi favori: qualunque cosa gli avesse chiesta l’ avrebbe otte­ nuta. Quella allora— poiché era destinato che capitassero sventure a tutta la famiglia — a queste parole diceva a Serse: «Mi darai davvero qualunque cosa ti chiederò? ». E d egli, qualunque altra cosa più che quella credendo che gli avrebbe chiesto, prometteva e giurava. E d ella, come egli ebbe giurato, arditamente gli chiese il mantello. 128 II maggiore dei tre figli di Serse, che fu poi ucciso nel 465 dal fratello Artaserse sii istigazione di Artabano, uccisore di Serse.

ERODOTO

Serse faceva di tutto non volendo darlo, non per 3 alcun’altra ragione ma solo per timore di Amestri, per non venir colto sul fatto da lei, che già sospettava quel che accadeva. Città le offriva e oro senza fine e un esercito, cui nessuno avrebbe comandato all’infuori di lei : quello di un esercito è un dono caratteristico per­ siano. M a poiché non riusciva a persuaderla, le dava il mantello, e quella tutta lieta del dono lo indossava e se ne compiaceva.

110. E Amestri viene a sapere che lo ha lei; sa- 1 puto quel che era successo, alla donna non serbava ran­ core ma, sospettando che la madre di lei fosse colpe­ vole e che fosse lei a tramare quegli intrighi, meditava rovina alla moglie di Masiste. E atteso che suo ma- 2 rito Serse si facesse imbandire il pranzo regale — questo pranzo viene imbandito una volta sola ogni anno nel giorno in cui il re è nato ; 126 il nome di questo banchetto in persiano è « tykta », in lingua greca « teleion », e soltanto in questa occasione il re si unge di unguenti la testa 127 e fa doni ai Persiani — atteso questo giorno, Amestri chiede a Serse che le venga data in dono la moglie di Masiste. M a egli stimava 3 azione crudele e scellerata consegnarla, sia perché era la moglie del fratello sia perché era innocente di quella faccenda; aveva capito infatti per qual motivo ve­ niva richiesta.

111. M a alla fine, poiché la moglie insisteva ed egli 1 era costretto dalla tradizione, perché presso di loro non è ammissibile che chi chiede qualcosa non l’ot­ tenga quando è imbandito il banchetto regale, sep­ pure assai a malincuore acconsentiva, e dopo aver­ gliela consegnata faceva questo : invitava la donna a fare 126 Sulle feste per i l . genetliaco cfr. I, 133. Platone parla di grandi festeggiamenti in tutto l ’ impero nell’anniversario della nascita del primogenito del re. 127 Sembra che il re, che di solito appariva col capo coperto dalla tiara, in questa occasione portasse la testa nuda e se la un­ gesse di unguenti.

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quello che voleva, m entre, m andato a chiam are il fra ­ tello, gli diceva queste parole : « Masiste, tu sei figlio di D ario e mio fratello, e d oltre a questo sei anche un uomo di valore: non convivere più con questa donna con cui convivi, m a in cam bio di essa io ti dò m ia fi­ glia. Q uesta abbi in m oglie, e quella che hai ora non averla in m oglie perché non m i p ar bene ». Masiste, m eravigliatosi di questo discorso, gli parla così: « O signore, qual m ai vano discorso mi fai, che la donna dalla quale ho avuto figli e figlie, una delle quali anche tu l’hai data in sposa al tuo proprio figlio, e che è proprio com e io la desidero, questa donna tu mi com andi di abbandonare, e di sposare tu a figlia? Io, o re, gran conto faccio di essere stim ato degno di tua figlia, m a di queste cose non farò né l ’una né l ’altra. E tu non sforzarm i chiedendom i cose simili. Per tua figlia un altr’uomo ti apparirà per nulla da meno di m e, e lascia che io viv a con la m ia donna ». E gli così gli risponde, e Serse adirato pronunzia queste parole : « E cco allora quel che per te s’ è deciso : non ti darò in sposa m ia figlia né convivrai più a lungo con quella, perché tu im pari a d accettare quel che ti viene offerto ». L ’altro, com e ebbe udito ciò, usciva fuori dopo aver­ gli detto soltanto questo : «Signore, non m i hai ancora rovinato ». 112. In questo frattem po, m entre Serse discorreva col fratello, A m estri, fatte chiam are le guardie del corpo di Serse, sevizia la m oglie di M asiste : tagliatile i seni li gettò ai cani e m ozzatile naso e orecchi e lab b ra e lingua la rim anda a casa irrim ediabilm ente deturpata .128 113. M asiste, senza aver ancora avuto sentore di nulla, m a aspettandosi che gli capitasse qualche guaio, si precipita di corsa a casa. E vista la m oglie m utilata, subito dopo, consigliatosi coi figli, p artiva per Battra 128 Della crudeltà di A™.estri abbiamo avuto un altro esempio in V II, 1 14.

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insieme ai suoi figli e d alcuni altri per fare ribellare la satrapía di B attriana 129 e per fare i più grossi danni al R e. E questo sarebbe anche avvenuto — a mio ere- 2 dere — se fosse riuscito a prevenire Serse recandosi nell’interno presso Battriani e Saci, perché questi lo am a­ vano ed egli era governatore della B attriana. M a Serse, com e seppe che egli faceva questo, gli m andò contro per via un esercito e lo uccise, lui e i figli e il suo esercito. Q uesto avvenne riguardo all’am ore di Serse e alla m orte di Masiste. 114. I G reci, mossisi da M icale in direzione del- 1 l ’Ellesponto, prim a, colti dai ven ti e spinti fuori rot­ ta, si orm eggiavano presso L etto ,130 e di là poi giun­ sero a d A b id o e trovarono disfatti i ponti che crede­ vano di trovare ancora gettati, e per questo soprattutto erano andati neU’Ellesponto. A llo ra i Peloponnesiaci di L eutich id e decisero di 2 tornare indietro 131 per m are in G recia, gli Ateniesi e Santippo loro stratega decisero di rim anere lì per cim entarsi nel Chersoneso. Qiaelli dunque se ne p ar­ tivano, e gli Ateniesi, passati da A b id o nel Chersoneso, assediavano Sesto .132 I 115. In questa Sesto, poiché era la fortezza p iù salda di quelle che erano in quella regione, quando udirono che erano giunti i G reci a ll’Ellesponto accorse gente dai paesi circostanti, e in particolare fra gli altri anche dalla città di C ard ia 133 O iobazo, u n Persiano che aveva portato lì le gomene tratte dai ponti.

129 Su di essa cfr. I l i , 89, 92; V I, 9. 130 L ’ angolo occidentale della baia d i Adramitto. 131 Secondo Tucidide (I, 89) non giunsero neppure a ll’Ellesponto, ma tornarono indietro direttamente da Micale e da Samo. 132 Era della massima importanza per Atene, per la sua po­ sizione dominante sulla strada verso il mar Nero, donde veniva il grano, e come il punto più forte del Chersoneso (cfr. cap. 115), sul quale Atene vantava pretese dal tempo di M ilziade (cfr. V I, 34). 133 Su di essa cfr. V I, 33.

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A bitavan o la città g li indigeni, m a assieme c ’ erano anche Persiani e num erosa folla d i altri alleati. 1

116. E ra governatore di questa p r o v in c ia 134 un luogotenente di Serse, A rtaicte, Persiano, crudele e scel­ lerato, il quale m arciando contro A ten e aveva ingan­ nato anche il re, sottraendo da Eieunte i tesori di Protesilao figlio di Ificle .135 2 A E ieunte nel Chersoneso c ’è infatti una tom ba di Protesilao e accanto ad essa un recinto sacro, dove c ’erano m olti tesori e coppe d ’oro e d ’argento e bronzo e vesti e altri doni votivi, che A rtaicte depredò col per3 messo del re. Ingannò Serse dicendogli così : « Signore, c ’è qui la casa di u n uom o greco, che facendo u n a spe­ dizione contro la tu a terra ottenne la giusta pena e morì. D i costui concedim i la casa, perché ognuno im ­ p ari a non m arciare contro la tu a terra ». D icendo questo, facilm ente doveva persuadere a concedergli la casa di un uom o Serse, che non sospettava affatto quel che egli pensava. D iceva che Protesilao aveva fatto una spedizione contro la terra del re facendo questa riflessione: tutta l ’A sia i Persiani considerano che sia di proprietà loro e di quelli che di' vo lta in vo lta regnano. D opo che gli fu concessa, portò i tesori da Eieunte a Sesto, e il recinto sacro lo sem inava e coltivava. A l­ lora ven iva assediato dagli Ateniesi m entre non era preparato a un assedio e non si aspettava i G reci, m a in certo m odo g li piom barono addosso m entre egli non era in guardia.

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134 Sesto era la capitale di questa satrapia europea (V II, 35), che era stata conquistata da Dario e andò perduta sotto Serse. Così si spiegherebbe la sua assenza dalla lista delle satrapie in III, 90 segg. 135 D i Phylake nella Ftiotide, che nella guerra troiana fu ucciso mentre metteva piede a terra {II. B, 701); nella sua patria fu venerato come un eroe, mentre ad Eieunte ebbe culto divino. Probabilmente era una divinità indigena identificata per somi­ glianza e assonanza del nome con l’eroe greco. Il suo oracolo, al pari di quello di Anfiarao e Trofonio, era frequentato soprattutto da ammalati.

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11,7. Q u an do per gli assediati sopravvenne l ’au­ tunno ,136 gli Ateniesi erano adirati di essere lontani dalla loro terra e di non riuscire a d espugnare la for­ tezza, e chiedevano agli strateghi di ricondurli indietro. M a quelli si rifiutarono di farlo prim a che o l ’espugnas­ sero o lo stato ateniese li m andasse a richiam are: a tal punto s’erano appassionati a q u e ll’impresa. 118. Q u elli che erano dentro le m ura però erano giunti orm ai all’estremo di ogni sciagura, tanto che si nutrivano cuocendo le cinghie dei letti. M a quando neppure di sim ili cose ne ebbero più, allora finalm ente di notte se la svignarono, i Persiani e A rtaicte e O iobazo, scendendo d alla parte di dietro delle m ura, dove il luogo era p iù deserto di nem ici. M a, com e venne il giorno, i Ghersonesiti d alle torri segnalarono agli A te ­ niesi l ’accaduto e aprirono le porte. D egli A teniesi i più si davano all’inseguim ento, altri occupavano la città. 119. O iobazo che s’era rifugiato nella T ra c ia i T r a ­ ci A p s in ti 137 lo catturarono e lo im m olarono al dio indigeno Plistoro secondo il loro rito ,138 e gli altri che erano con lui li trucidarono in altra m aniera. A rtaicte e i suoi, essendosi mossi per ultim i per fuggire, raggiunti mentre ?1erano poco al di là di Egospotam i ,139 dopo essersi difesi per parecchio tem po alcuni m orirono, altri furono catturati vivi. E i G reci, incatenatili, li condussero a Sesto, e con loro anche A rtaicte in persona incatenato, lui e suo figlio. 120. E viene narrato dagli ab itan ti del Chersoneso che a uno dei custodi m entre cuoceva pesci salati 136 Era segnato per i Greci dall’entrata della costellazione di Arturo (18 settembre); l’assedio secondo Tucidide (I, 89) durò tutto l’inverno. 137 Su di essi cfr. V I , 34. 138 D i sacrificare gli stranieri; cfr. IV , 103. 139 U na rada aperta di fronte a Lampsaco, famosa per la sconfitta definitiva che vi subì Atene nella guerra del Pelopon­ neso.

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n o n o

avvenne il seguente prodigio: i pesci salati posti sul fuoco saltavano e guizzavano proprio com e pesci ap2 pena presi. G li uom ini riunitiglisi attorno si m eravi­ gliavano, mentre A rtaicte, com e vide il prodigio, chia­ m ato colui che cuoceva i pesci, gli disse: «Straniero di A tene, non atterrirti per questo prodigio, perché non è avvenuto per te, m a è a m e che Protesilao di Eieunte annunzia che anche m orto e orm ai disseccato egli 3 h a dagli dei la forza di punire chi l ’h a offeso. O ra dunque questo voglio porre com e mio riscatto, per le ricchezze che presi dal tem pio, di offrire cento talenti al dio, e per me stesso e per mio figlio qualora io sopravviva darò 4 duecento talenti agli Ateniesi ». M a p u r facendo tali pro­ messe non riusciva a persuadere lo stratega Santippo : gli abitanti di Eieunte infatti per dar soddisfazione a Protesilao lo pregavano di uccidere A rtaicte, e anche il suo personale parere inclinava a questo. Trascinatolo sul prom ontorio dove Serse aveva ag­ giogato lo stretto — altri invece dicono sul colle a m onte della città di M adito 140 — lo appesero dopo averlo inchiodato su una tavo la ,141 m éntre il figlio lo lapidarono sotto gli occhi di A rtaicte.

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una terra piccola e per di più montuosa, trasferiam oci da questa e occupiam one u n ’altra m igliore. M olte ve ne sono di vicine, e m olte anche più lontane, _e occupando una di queste saremo per più ragioni m aggiorm ente am ­ m irati. E d è giusto che i dom inatori facciano_ questo : infatti, quando m ai ci si presenterà una occasione m i­ gliore di adesso, che dom iniam o su m olti uom ini e , su tu tta l ’A sia? ». 1 M a C iro, udito ciò e senza m ostrare di m eravigliarsi per la proposta, li invitava a farlo pure, m a così in ­ vitand oli li esortava a prepararsi a non essere p iù i dom inatori, m a a essere dom inati: dai luoghi molli sogliono infatti venire uom ini m olli, perché non è di u na stessa terra produrre frutti m eravigliosi ed uom ini valenti nelle cose di guerra. Sicché i Persiani ricredutisi si allontanavano, vinti dal parere di C iro, e preferirono dom inare abitando una misera terra infeconda piuttosto che, coltivando fertili pianure, essere schiavi di a ltri .142

121. Fatto ciò se ne tornarono per m are in G recia, portando con sè fra le altre cose anche le gom ene dei ponti per consacrarle nei santuari. E per quell’anno niente altro accadde oltre questi fatti. 1

122. D i questo A rtaicte che venne im piccato è ante­ nato A rtam bare, colui che aveva fatto ai Persiani una proposta che essi accolsero e presentarono a C iro e 2 che diceva così : « Poiché Zeus concede ai Persiani la signoria e fra tu tti g li uom ini a te, o C iro, ora che hai abbattuto A stiage, suvvia, dal m om ento che possediamo

140 Su M adito e la località dove era gettato il ponte cfr. V II, 33. 141 Simili sistemi barbarici erano estranei agli usi e al senti­ mento greco; l’eccesso può essere spiegato o dall’enormità del­ l’oltraggio commesso o per adattamento ai costumi e sentimenti locali.

142 È il famoso aneddoto su cui si è a lungo discusso per deci­ dere sulla completezza o incompletézza dell’opera erodotea; cfr. Intr. p. X X I II. Erodoto più volte ha dimostrato di attribuire notevole impor­ tanza alle condizioni geografiche e climatiche sul carattere e sulle istituzioni; qui egli ripete attribuendolo ad Artam bare l’insegna­ mento chiaramente espresso (je. ùhq. 24) dal suo contemporaneo Ippocrate.

IN D ICE

DEI

A banti: I, 146. A bari: IV , 36. Abdera: I, 168; V I, 46, 47; V I I , 109, 126; V i l i , 120. Abderiti: V II, 120; V i l i , 120. A be: I, 46; V i l i , 27, 33, 134. Abido e Abideni: V , 117; V II, 33, 34, 37, 4 3> 4 4, 95, *4 7 , 174; V i l i , 117,130; IX , 114. Abrocome: V II, 224. Abronico: V i l i , 21. A caia: V I I , 94; V i l i , 36; Acaia Ftiotide V II, 173, 196, 197, 198· Acanto e Acanzi: V I, 44; V II, 22, 115, Il6 , 117, 121, 124. Acarnania: II, 10; V I I , 126. Acefali: IV , 191. Acerato: V I I I , 37. Acete: III, 117. Achei, Achivi: I, 145, 146; II, 120; V i l i , 47, 73; IX , 26. Achei Ftioti: V II, 132, 185, 197· Acheloo: II, 10; V II, 126. Achemene, capostipite dinastia persiana: III, 75; V II, 11. Achemene figlio di Dario: III, 12; V II, 7, 97, 236. 237. Achemenidi: I, 125; III, 6 r. Acheo: II, 98. Acheronte: V , 92 ij; V i l i , 47. ’ A xM ^ io s S qóiios: I V ,55,76.

NOMI

Achilleo: V , 94. Acrefia: V i l i , 135. Àcrisio : V I, 53, 54. Acrotoonte: V II, 22. A de: II, 122. Adicran: IV , 159. Adim anto: V I I , 137; V i l i , 5, .5 9, 61, 95· Adim archidi: IV , 168. Adram itto: V II, 42. Adrasto (Frigio): I, 35, 41-43, 45; (di Sicione) : V , 67, 68. A dria: I, 163; IV , 33; V , 9. Aeropo (figlio diTemeno) :V III, 137 ; (Macedone) : V i l i , 139; (di Tegea): IX , 26. Afete: V II, 193, 196; V i l i , 4-14. Afidna: IX , 73. Afrodisiade (isola) : IV , 169. Afrodite: I, 105, 131, 199; II, 41, 112, 181; III, 8; IV , 59, 60. Aftite: II, 166. Afytis: V I I , 123. Agamennone: I, 67; IV , 103; V I I , 159. Agariste (f. di distene) : V I, 126-131 ; (madre di Pericle) : V I , 131. Agasicle: I, 144. Agatoergi: I, 67. Agatirsi: IV , 48, 78, 100, 102, 104, 119, 125.

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IN D ICE

DEI NOM I

Agatirso: IV , io. Agbalo: V II, 98. Agenore: IV , 147; V I I , 91. A geo: V I , 127. Agesilao: V I I , 204; V i l i , 131. Ageto: V I , 61, 62. Agide (re di Sparta) : V I I , 204; (padre di Menace) : V I, 65. Agillei: I, 167. Aglauro: V i l i , 53. Aglom aco: IV , 164. Agora: V II, 58. Agriane, fiume: IV , 90. Agriani, popolo: V , 16. Agrigentini : V I I , 165, 170. A grone: I, 7. Aiace Telamonio: V , 66; V i l i , 64, 121; (padre di Fileo) : V I > 35· . . . Alabanda di Frigia: V i l i , 136; d i C aria: V II, 195. A lalia: I, 165, 166. Alarodii: III, 94; V II, 79. A lazir: IV , 164. Alazoni: IV , 17, 52. Alcam ene: V I I , 204. Alcenore: I, 82. Alceo f. di Eracle: I, 7; poeta, V , 95. A lcete: V i l i , 139. Alcibiade : V i l i , 17. A lcide: V I, 61. Alcim aco : V I , 1o 1. Alcm ena: II, 43, 145. Alcm eone: I, 59; V I, 125, 127. Alcmneoidi: I, 61, 64; V , 62-71, 90; V I , 115, 121-125, 131. Alcone: V I , 127. Aleia (pianura): V I, 95. Alessandro f. di Priamo: I, 3; II, 113-120. Alessandro Macedone: V , 1722; V I I , 173, 175; V i l i , 34> i2i,, 136-144; IX , 1, 4, 8, 44-46. Aleuadi : V I I , 6, 130, 172; IX , 58 · Alfeo: V I I , 227. A liacm o n e: V I I , 127.

Aliatte: I, 6, 16-25, 73, 74= 92, 93; III, 48; V i l i , 35. Alicarnasso e Alicarnassi: I, 144, 175; II, 178; 1 1 1 ,4 , 7 ; V I I , 99; V i l i , 104. A liei: V II, 137. Alilat: I, 131 ; III, 8. Alopece: V , 63. Alos: V I I , 173, 197. Alpeni: V II, 176, 226. Alpeno, V II, 216. Alpis: IV , 49. Amasi re d’Egitto: I, 30, 77; II, 43, 134, 145, 154, 162, 169, 172, 174-178, 180-182; III, 1, 2, 4, 10, 14, 16, 40-47, 125. Amasi Persiano: IV , 167, 201, 203. Amatunte e Amatusii: V , 104, 105, 108, 114, 115. Am azzoni: IV , 110-117. Am azzonidi: IX , 27. Am bracioti: V III, 45, 47; IX , 28, 31, Amestri: V I I , 61, 114; IX , 109, n o , 112. Am ianto: V I , 127. Am ilcare: V II, 165-167. Am inia: V i l i , 84, 87, 93. Am inocle: V I I , 190. Aminta Macedone: V , 17-20, 94; V I I , 173; v i l i , 136, 139, 140. Am inta Persiano: V i l i , 136. Am irgi: V I I , 64. A m iri: V I , 127. Am irteo: II, 140; III, 15. Amiteone: II, 49. Ammone (oracolo): 17 46; II, 18, 32, 55; IV , 181. Am monii: II, 32, 42; III, 17, 25, 26; IV , 181, 182. Amonfareto: IX , 53-57, 7 1, 85. Amorge : V , 121. Am pe: V I , 20. Am pelo: V II, 122, 123. Am un: II, 42. Anacarsi: IV , 46, 76, 77. Anacreonte: III, 121.

Anactorii: IX , 28, 31. Anafe: V II, 62. Anaflisto: IV , 99. Anagira (di A.) : V i l i , 93. Anassandro: V II, 204. 7 Anassandride £ di Teopompo : V I I , 131; f. di Leone 1, 67; III, 148; V , 39-42, 64; V I, 50, 108; V II, 148, 158, 204, 205; V i l i , 7 1; IX , 10, 64. Anassilao di Sparta : V I I I , 131; di Reggio: V I, 23; V II, 165, 170. Anaua : V i i , 30. Anchimolio: V , 63. Andrea: V I, 126. Andro e Andrii : IV , 33 ; V ,