Le "Ricerche logiche" di Husserl. Introduzione e commento alla Prima ricerca 8815028722

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Le "Ricerche logiche" di Husserl. Introduzione e commento alla Prima ricerca
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ENZO MELANDRI

A Franco Serra, in ricordo di un soggiorno di studi in Germar,iia

LE «RICERCHE LOGICHE» DI HUSSERL 1,

Introduzione e commento alla Prima ricerca

IL MULINO

INDICE

Premessa · Introduzione generale

p.

9

15

1. La filosofia post-hegeliana. - 2. Il ritorno a Kant. - 3. La polemica antipositivistica. - 4. L'empiriocri­ ticismo. - 5. La psicologia «figurale», o della «Gestalt». - 6. Il senso epistemologico del «sinteti­ co a priori» kantiano. - 7. La «Aristoteles-renais­ sance».

11! PRIMA: I QUATTRO AUTORI DI HUSSERL

L

Bolzano, o l'analitica dell'«in sé»

49

8. L'eredità leibniziana. - 9. La definizione di ana­ litico. - 10. L'analiticità della «Wissenschaftsleh­ re». - 11. Espressione e rappresentazione. - 12. Critica del sintetico a priori. - 13. Conclusioni. Lotze, o l'«idealismo teleologico»

65

14. Esser come ente e esser come valore. - 15. La validità della logica e l' antipsicologismo. - 16. L'effettualità teleologica del microcosmo. - 17. La corrispondenza psico-fisica. - 18. Conclusioni. ISBN 88-15-02872-2 Copyright © 1990 by Società editrice il Mulino, Bologna. È vietata la , riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata.

Frege, o l'«assolutismo logico» o

79

19. Una difficile affinità. - 20. La crisi della fonda­ zione della matematica. - 21. Il logicismo. - 22. Il

5

IV.

numero e l'esistenza. - 23. Le antinomie. - 24. Conclusioni.

Paradigma e sintagma

Brentano, o l'evidenza della «coscienza interiore»

49. Termini descrittivi e termini deittici. - 50. La logica come concezione paradigmatica del linguag­ gio. - 51. Il linguaggio come concezione sintagma­ tica del discorso. - 52. Conclusioni inconclusive.

p. 99

p.213

25. La psicologia dal punto di vista empirico. - 26. L' assertorietà dell'evidenza. - 27. Un capitolo di storia della psicologia. - 28. Apodittico vs. assertorio. - 29. Logica vs. grammatica. - 30. Conclusioni.

PARTE SECbNDA: COMMENTARIO ALLA «PRIMA RICERCA» DELLE «RICERCHE LOGICHE» DI HUSSERL

V.

I Prolegomeni

129

31. Nota storica intempestiva. - 32. La fondazione della matematica e la riforma della logica. - 33. L'idea di una logica teoretica pura. - 34. L'antipsi­ cologismo in generale e la posizione di Husserl al riguardo. - 35. La struttura teleologica dell'idea di una logica pura. - 36. Sinossi delle ricerche logiche. - 37. L'introduzione alle ricerche logiche. VI.

Riferimento e significato

155

38. L'indicizzazione come minimo di significato. 39. Significato ed espressione. - 40. L'irrilevanza della comunicazione per la logica. VII. La comunicazione

169

41. Presupposti della comunicazione. - 42. Comuni­ cazione e significato. - 43. Lo scatenamento del significato. VIII. Atto e oggetto

187

44. L'intenzionalità. - 45. La costituzione del senso. - 46. Significato e oggetto. - 47. I significati del «non aver significato». - 48. Gli atti riempienti.

6

7

PREMESSA

Nessun pensiero nasce dal nulla. Questo vale a maggior ·one per quel modo di pensare più sistematico e coerente è la filosofia, specialmente quando pretende di esser scien­ dfica. La conoscenza dei predecessori è allora il necessario puuo d'appoggio per entrare in merito alle questioni dibattute un minimo di pertinenza. Negli anni '50 circolava, a ito della fenomenologia, una pungente osservazione di hi, secondo cui anche le migliori presentazioni italiane Husserl risultavano sconcertanti per il fatto che lo esibivano m po' come un fungo cresciuto improvvisamente nella notte, aenza menzione di un micelio precedente. Col tempo questa lacuna si è più o meno felicemente colmata e, se ora ritomia­ in tema, lo scopo è diverso. Si tratta di pensare al futuro fenomenologia, disancorandola da una certa scolastica si è in proposito determinata e che di certo non giova al ulteriore sviluppo. Per ogni scolastica l'antidoto è natural­ te l'esame il più possibile critico, ma per la natura del IOggetto le alternative su cui procedere non possono sorgere che da una stretta aderenza al testo da interpretare. In questo 990, si tratta della Prima ricerca delle Logische Untersuchun­ di Husserl 1• Volendo spaziare tra i predecessori più o meno remoti filosofia di Husserl, bisognerà menzionare, oltre a Plato(le «idee»), principalmente Aristotele, per la sua mediazio­ tra il t6de ti e il kategorefsthai; quindi gli Stoici, per aterialità del significato, come lekton, e gli Scettici,

clbe

B. Husserl, Logische Un1ersuchungen, 1899-1900, in «Husserliana», XIX/1, XIX/2, che vale come edizione critica.

9

quali inventori della fortunata nozione di epoché; inoltre l'A­ gostino filosofo, al quale si deve la prima chiara formulazione dell'oggettività immanente, o della coscienza; e alcuni impor­ tanti logici medievali, come gli autori (sarebbe lungo il conto) della dottrina delle suppositiones e dei modi significandi; infi­ ne, tra i moderni, Cartesio (il cogito) e Leibniz (il presupposto che il reale deve prima esser compreso come possibile); nonché Hume (il belie/) e l'empirismo britannico in generale; senza infine dimenticarsi di Kant e dell'eredità contrastata del pensiero trascendentale. Quanto agli immediati predecessori di Husserl, entrano sopra tutti in merito, a tenore delle sue citazioni, Bolzano, Lotze e Brentano. Per comprendere Hus­ serl, si dovrà più intensamente occuparsi di questi ultimi auto­

ri.

Bernhard Bolzano (1781-1948), un logico poco noto di cui Husserl rimise in circolazione la sua opera fondamentale, la Wissenschaftslehre (o «Dottrina della scienza», del 1837), è importante per la sua concezione dell'an sich («in sé», detto di proposizioni, verità e rappresentazioni), che tanta parte avrà nella fenomenologia di prima maniera, quella noematico-eide­ tica; e inoltre per la sua definizione di «analitico», che si discosta nettamente da quella kantiana benché risalga come quest'ultima a Leibniz. Di Hermann Lotze (1817-1881), medico e filosofo, autore di un grandioso sistema di pensiero, l'«idealimo teleologico», Husserl appare prevalentemente interessato alla Logik (del 1843). In essa compare, insieme con la teleologia dell'idea di logica pura, la prima conseguente ripulsa dello «psicologismo», cioè di ogni tentativo di dedu· zione della logica da premesse genetiche d'ordine naturalisti­ co; mentre quel che appare fecondo è il suo concetto di Gel­ tung (o «validità»), che rappresenta il contenuto della logica ed è indipendente dal momento psicologico del pensare2• • Se Bolzano e Lotze sono importanti, Franz Brentano (1838-1817) è indispensabile per comprendere Husserl. Si deve a lui la 3

2 B. Bolzano, Wissenschaftslehre, in 4 voll., Sulzbach, 1837; ma citiamo 1 dalla riedizione di W. Schulz, Leipzig, 1929-31. 3 H. Lotze, Logik, System der Philosophie, Leipzig, 1912 (ma 1874).

10

in rilievo del carattere intenzionale della coscienza, risulta già dal suo lavoro programmatico, Psychologie empirischen Standpunkt ( «Psicologia dal punto di vista · ·co», del 1874). In séguito Brentano modificò sensibil­ questo punto di vista, in senso più radicale e nominali­ (tesi del «reismo» ). Ma questo sviluppo interessa qui , poiché al tempo di Husserl l'unica opera sistematica sibile era la «Psicologia» del 1874. Di Brentano ci occu­ o più diffusamente nel corso del commento stesso, oltré nella rassegna degli antecedenti di Husserl4 • Ma prima di tutto occorre collocare in un panorama più io le tematiche di più rilevante convergenza che emergono filosofia tedesca del XIX secolo. Il primo compito sarà ue quello di riannodare i tanti fili che, a una considerazio­ ormai di molto posteriore, appaiono irrimediabilmente essi tra loro. Dobbiamo cioè riattivare quel contesto · co che, nel momento in cui era presente, in certo modo a i vari pensatori piuttosto che separarli ciascuno nella ·a autonomia. le opere in traduzione italiana si possono consultare: G. Bachelard, La filosofia del non, Catania, Pellicanolibri, 8; L.v. Bertalanffy, Teoria generale dei sistemi, Milano, adori, 1983; K. Biihler, Teoria del linguaggio. La fun­ rappresentativa del linguaggio, Roma, Armando, 1983; Cassirer, Cartesio e Leibniz, Bari, Laterza, 1988; Filosofia forme simboliche, 3 voll., Firenze, La Nuova Italia, 1976; gio sul'uomo, Roma, Armando, 19825; Sostanza e funzio­ Sulla teoria della relatività di Einstein, Firenze, La Nuova , 1973; Storia della filosofia moderna, 4 voli., Torino, udi, 1978; C. Darwin, L'espressione delle emozioni, , Boringhieri, 1982; S. Freud, Al di là del principio del ere, Torino, Boringhieri, 19865 ; M. Heidegger, Essere e F. Brentano, Psychologie vom empirischen Standpunkl, Hamburg, ed. O. 1955 (ma 1874).

11

tempo, Torino, Utet, 19862; L. Hjelmslev, I fondamenti della teoria del linguaggio, Torino, Einaudi, 1987; E. Husserl, Ricerche logiche, 2 voli., Milano, Il Saggiatore, 19822; K. Jaspers, Max Weber politico, scienziato, filosofo, Napoli, Morano, 1974; E. Junger, L'operaio. Dominio e forma, Mila­ no, Longanesi, 1984; I. Kant, Critica della ragion pura, Bari, Laterza, 19853 ; G.W. Leibniz, Nuovi saggi su/l'intelletto uma- � no, Bari, Laterza, 1988; S.K. Langer, Filosofia in una nuova chiave, Roma, Armando, 1972; K. Lorenz, L'altra faccia dello specchio, Milano, Adelphi, 19834; H. Lotze, Microcosmo, 1 Torino, Utet, 1989; E. Mach, L'analisi delle sensazioni e il rapporto fra fisico e psichico, Milano, Feltrinelli, 1975; J.S. Mili, Sistema di logica raziocinativa e induttiva, Roma, Astro­ labio, 1984; L. Mittner, Storia della letteratura tedesca, 3 voli., Torino, Einaudi, 1978; T. Parsons, La struttura de/I' a­ zione sociale, Bologna, Il Mulino, 1987; I. Prigogine, I. Stengers, La nuova alleanza. Metamorfosi della scienza, Tori­ no, Einaudi, 1981; A. Schtitz, La fenomenologia del mondo sociale, Bologna, Il Mulino, 1975; J.K. Searle, Atti linguistici, Torino, Boringhieri, 1976; G. Simmel, / problemi della filoso­ fia della storia, Genova, Marietti, 1982; N. Wiener, La ciber- 1 netica, Milano, Il Saggiatore, 19822; L. Wittgenstein, Richer­ che filosofiche, Torino, Einaudi, 1983; Tractatus /ogico-phi­ /osophicus e Quaderni 1914-1916, Torino, Einaudi, 1983.

12

INTRODUZIONE GENERALE

INTRODUZIONE GENERALE

• La filosofia post-hegeliana

')

Come fanno i tedeschi, consideriamo Kant come il fùoso­ fo della Aufk/iirung (l'età dei lumi, o illuminismo), prescin­ dendo dalla sua qualificazione di «idealista trascendentale» (e · «realista empirico»). La questione è rilevante per la perio­ ione. Posto ciò, gli inizi dell'idealismo tedesco inco­ . iano con la Wissenschaftslehre (1794) di Fichte. (Il titolo lo stesso del lavoro di Bolzano del 1837, ma è forse inutile dire che il contenuto è completamente diverso. Il testo di Bolzano potrebbe tradursi «Epistemologia», mentre quello di F1ebte siamo obbligati a renderlo con «Dottrina della scien­ ' e basta.) L'«idealismo tedesco» ricopre tutto l'arco di che va dal 1794 al 1832 almeno. Si tratta di un intenso, movimento di pensiero in cui fiorisce il risveglio della tura tedesca del XVIII secolo e che interessa complessiva­ te il periodo (diversamente definito nella storia della let11ntura e dell'arte) neoclassico e/o romantico, con le sue pro­ llnde implicazioni nella poesia, nel teatro, nella letteratura e Ila storiografia 1• Dal punto di vista filosofico, a parte l'idea­ o, è di particolare importanza la riscoperta dell'antichità sica, in specie greca, per opera soprattutto di Winckel­ e che per il concorso di tanti entusiasti studiosi, tra cui possiamo trascurare di citare Goethe e H6lderlin, assurge dimensioni di un vero e proprio Secondo rinascimento, di Per· le questioni di carattere culturale, anche impegnate filosoficamente, al fondamentale lavoro di S. Mittner, Storia della lelleralura Torino, 1977.

15

ampiezza mondiale e tuttora perdurante. Il nostro liceo classi­ co, gioverà osservare, resta ancora orientato secondo questo modello di cultura. La conclusione del periodo, forse alquanto prematura, si può facilmente rammemorare pensando alla morte di Hegel (1831) e di Goethe (1832), di cui si può dire che chiudono un'epoca. Adottando il punto di vista dello Ueberweg2, si può dire che il periodo successivo, che va dal 1830 al 1870 ca., si ha anche in Germania il tempo delle vacche magre, cioè del massimo deperimento della filosofia. Esso coincide con lo sviluppo delle scienze naturali, sia nella pratica industriale sia nella cultura: (Una delle ragioni del successo che ebbe l'indu­ strializzazione tedesca fu l'applicazione della chimica scienti­ fica a tale pratica. E si rammenti che il motore a combustione interna fu il risultato di un'applicazione dotta dell'ingegneria: da parte di N. Otto, nel 1867, per il normale motore a benzina, e di R. Diesel, nel 1897, per quello a nafta). Il successo dell'industrializzazione si accompagna al trionfo del positivi­ smo, connotato ingegneristicamente in Francia (Comte) e economicisticamente in Inghilterra (J. S. Mili). In Germania il positivismo si affermerà alquanto più tardi, dato il ritardo con cui avviene l'industrializzazione, e la sua comlotazione sarà piuttosto medicale e psichiatrico-psicologica. In questo tomo di tempo le cattedre di filosofia vengono una dopo l'altra espugnate da psicologi provenienti dalla medicina. Questi furono prima di tutto preoccupati di stabilire laboratori di psicologia sperimentale, in particolare di psico-fisiologia. Tra i tanti, basterà citare W. Wundt, in cui culmina lo sviluppo del movimento che nella prima generazione annovera Helmholtz, Joh. Miiller, Lotze e Fechner (solo quest'ultimo non era medico, ma fisico). Abbiamo dunque in Germania il trionfo filosofico dei medici specializzati in psico-fisiologia e fonda2 F. Ueberweg, Grundriss der Geschichte der Philosophie, Vol. IV (T.K. Oesteneich, Die deulsche Philosophie des XIX. Jahrh.s umi der Gegenwart, XII ed., Berlin, 1923) e Vol. V (T.K. Oesterreich, Die Philosophie des Auslandes vom Beginn des XIX. Jahrh.s bis auf die Gegenwart, XII ed., Berlin, 1928).

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· della psicologia come scienza osservativo-sperimentale. Al declinare del secolo, la situazione del positivismo, e in Germania, non poteva essere più favorevole. La filo­ l(){ia rischia di diventare una provincia della psicologia, o di esserle subordinata ancillarmente. Ora, in virtù della loro stes­ sa posizione forte, egemonica, gli psicologi devono però rico­ prire con le loro ricerche tutta l'area dei fenomeni psichici, compresi quelli che vengono detti «superiori» perché non accessibili con indagini psico-fisiologiche: come la memoria, i sentimenti, la volontà o il pensiero. D'altra parte, occupando le cattedre che erano filosofiche, gli psicologi raccolgono l'in­ vito a colonizzare l'intero pensiero. Ed ecco riapparire, sotto l'egida della psicologia, le introduzioni alla filosofia, i manua­ li e sistemi di logica, gli studi sulla mentalità e i sentimenti collettivi (e primitivi), la cosiddetta psicologia dei popoli e delle lingue, e tutto quanto offre, nel pensiero, un minimo di approccio tematico rilevante. Solo la matematica, per ovvie ragioni, si sottrae all'omologazione preponderante. Lo psicologo positivista si trova d'altra parte costretto a far valere le proprie ragioni su un terreno, anch'esso speciali­ stico, di generalità filosofiche per cosl dire particolari: allu­ o a quell'intreccio di teoria generale e di induzione stori­ dello sviluppo del pensiero che costituisce il proprio della osofia, e che è tutt'altro che familiare a chi provenga dagli di fisiologici. In questo settore il metodo «positivo» soc­ «>rre molto poco, più efficace si dimostra come sempre quello «aporetico», tradizionale nella filosofia, non importa quanto datato. Il positivista inoltre sconta la propria ingenuità ideolo­ . subendo molto spesso una ritorsione spiritualistica capa­ di metterlo in crisi, quando non gli avvenga di incorrere l'insidia più profonda, perché giocata sulla sua stessa gno­ logia, dico l'insorgere di aporie oggettive, di carattere istemico o logico. Lo sviluppo del �eriore neopositivismo �e non poco della sua virulenza polemica proprio all'accu­ lo di questo terreno formato da antitesi e risentimenti al itivismo di prima maniera. Evidentemente il periodo che copre l'arco di tempo di un ·o di generazioni, che ha coinciso col viraggio della nozione 17

di scienza genericamente intesa, la Wissenschaft nel se�so in cui ne usa e abusa Hegel, a scienza per eccellenza mtesa secondo il modello della scienza naturale, descrittiva o meglio esatta (la Naiurwissenschaft), se ha reso possibile intronare la fisica in senso lato quale scienza sovrana, non è stato suffi­ ciente a rassodarne l'impero su tutto l'orbe del sapere. In questo intervallo la nozione di scienza tende � �iventare uni. voca in base a un ovvio presupposto naturahsuco, e questo successo si scorge meglio guardando alla Francia, alla Gran. Bretagna e all'America, ma nello stesso tempo si avvertono gli indizi di una ripresa sempre meno impedita della �loso�a in accezione 'autonoma. Questo magari avviene pnma m maniera indiretta, attraverso la mediazione del problema epi­ stemologico, ma in Germania, verso il 1870, la ripresa della filosofia si deve all'incomoda riproposizione del problema gnoseologico in generale, il quale costringe a rivedere il reali­ smo naturalistico ormai di senso comune, e ad adottare un punto di vista critico, complicato dalle nuove risultanze epi­ stemiche e logiche. La ripresa della filosofia, almeno in Germania, coincide dunque col «ritorno a Kant», e inaugura il periodo detto del neokantismo o neocriticismo. Benché la tendenza espressa dal ritorno a Kant sia lungi dal comprendere tutti i filosofi solidali con la nuova problemati�a gnoseologica, è necessario i�du­ giare alquanto su certi temi caratteristici dei prop�gnaton de� revisionismo kantiano. Anche, la «Aristoteles-rena1ssance», d1 cui diremo in seguito, si lascia meglio intendere per contrasto e reazione al ritorno a Kant. Qui il recupero della filosofia sembra richiedere un ricominciamento molto più radicale e inedito. 2. Il ritorno a Kant

La tradizione viva del pensiero kantiano era ancora ope­ rante quando si determinò il ricorso esplicito del zur�ck zu _ Kant! (torniamo a Kant!) della sua ripresa. Anzi, b1s�gna riconoscere che c'è una riconosciuta opposizione tra kanusmo 18

neokantismo (o, ancor più, neocriticismo), poiché un revi·smo kantiano presuppone il rifiuto di alcune tesi di Kant liodicate insostenibili. Un primo motivo di dissenso con Kant riguarda la collocazione dell'«estetica trascendentale», posta eccentricamente prima («a priori») della sensibilità, mentre bitta la tradizione anteriore, a cui ora si intende ritornare, la titua come intermedia tra la sensibilità e l'intelletto. È chia­ mata in causa la dottrina delle forme dell'intuizione (come fmne pure a priori), vale a dire lo spazio nella forma della geometria euclidea e il tempo nella forma di una successione lineare continua. Parlando il linguaggio positivistico d'epoca, tale «ipotesi» appare insostenibile, perché gia falsificata. Per lo spazio sopravviene la questione delle geometrie non-eucli­ dee, per il tempo quella della distinzione tra misura e durata ciel medesimo. Ma riconsideriamo più in dettaglio l'una e l'altra questione. La conclusione ormai generalmente accettata è che la geometria euclidea non è intrinsecamente necessaria, poiché mn è che una tra le geometrie possibili. Da un lato quindi c'è la prova irrefutabile della scoperta della legittimità paritetica le geometrie non-euclidee, da Gauss a Riemann (tra il 1830 il 1854). Questo rende ambiguo il concetto stesso di forma l'intuizione, perché una forma, che esemplifichi la sua enza a priori sulla base di una determinata geometria, non di certo attendibile. E benché fino alla prima formulazione tena teoria della relatività da parte di Einstein (1905) non si avessero indicazioni circa la possibilità di interpretare le geo­ trie non-euclidee nello spazio fisico, rilevante è che il prin· o aprioristico era stato scosso. D'altro lato c'è la scoperta plementare, dovuta a Lotze3, in quanto fisiologo, dell'ori­ della coscienza di spazio a partire dalla localizzazione Ile sensazioni. Questa localizzazione ha carattere topico e geometrico, né metrico né proiettivo: quindi risulta im­ sibile dire a quale geometria sia predestinata. Da essa trae mano a mano origine una progressiva organizzazione logica 1

H. Lotze,

2.

Medicinische Psycologie oder Physiologie der Seele,

voll.,

19

dei punti topicamente distinti, che mette poi capo a una geo­ metria complessiva, per tentativi ed errori, della coscienza spaziale. Perciò la logica dell'ordinamento spaziale non è affatto una forma dell'intuizione a priori, dato che è suscetti­ bile di destrutturazioni e ristrutturazioni in maniera ipotetico­ deduttiva, secondo la complessità dei problemi di volta in volta posti. Quindi nemmeno da un punto di vista fisiologico Lotze poteva credere che ci fosse un'intuizione formale dello spazio. Per quanto riguarda il tempo, saranno proprio le ricerche psicologiche mirate su tale argomento, intorno agli anni '90, a porre su diverse basi la questione della. successione temporale circa il divario tra misura e durata. Avremo agio di ritornare sull'argomento, che ci riguarda da vari punti di vista. Citiamo qui solo di sfuggita le considerazioni di Ehrenfels sulle condi­ zioni necessarie per il riconoscimento di una melodia4, di Bergson sulla «durata» del tempo interiore e non semplice­ mente spazializzato nella successione5, e quelle conclusive di Meinong di un tempo «che deve aver presenti contemporanea­ mente, ma non come contemporanei» gli elementi di una suc­ cessione dotata di significato6• Questi i risultati empirici della ricerca svoltasi nel XIX Sec., che confutano l'ipotesi di Kant in sede estetico-trascendentale e nello stesso tempo ne rinfor­ zano gli sviluppi teorici orientati sul noetico. Va da sé che Kant non intendeva fare delle ipotesi, semplicemente viveva l'ideologia del sogno (quindi anche del sonno) di una ragione destinata a esiti imprevedibili. Una seconda ipotesi scartata è quella del Ding an sich (la «cosa in sé»), che di solito vien confusa col noumenon (ben­ ché il noumeno sarebbe semplicemente il «pensato», in oppo­ sizione al «sentito»). L'ipotesi respinta è che la «cosa in sé» 4 C. von Ehrenfels, Uber Gestaltqualitiìten, in «Vierteljahrsschrift fùr wissenschaftliche Philosophie,., XIV, 1980. 5 Sarebbe impossibile dire qui di tutti i luoghi in cui Bergson parla di durata; ci riferiamo in particolare a Durée et simuitanéité, del 1922. 6 A. von Meinong, Ueber Gegenstiìnde hoherer Odnung und deren Ver· hiìltnis zur inneren Wahrnehmung, in «Zeitschrift fl1r Psychologie und Phy­ siologie der Sinnesorgane,., XXI, 1899.

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· la causa trascendente di quel che appare, che il noumeno sia il fondamento del «fenomeno», e che tuttavia se ne possa r,arlare pur risultando per definizione inconoscibile. Una frase ricorrente è che la cosa-in-sé è il capuJ mortuum della filosofia kantiana, ed è incredibile la quantità di polemica che si è costretti a sorbire contro un argomento giudicato di per sé in­ esistente o quanto meno mal collocato. Con l'abbandono o la diversa interpretazione di questi due cardini del pensiero teo­ rico di Kant, la sintesi a priori (fondata. sulle forme dell'intui­ zione) e la cosa in sé (confusa col noumeno) ha inizio il neokantismo o, più in generale, il neocriticismo. Non a spro­ posito abbiamo quindi parlato di «revisionisti» kantiani, es­ sendo il fatto analogo a quanto è poi avvenuto per Marx e per Freud. La posizione genericamente neokantiana si può dunque caratterizzare cosi. L'«estetica trascendentale», cioè la dottri­ na delle forme dell'intuizione, viene considerata erronea e quindi abbandonata. Nella «sintesi a priori» si riconosce inve­ ce un nucleo resistente alle obiezioni, ed essa viene in genere reinterpretata conservandola. Ciò che resta pienamente in vigore è pur sempre l'«analitica trascendentale», cioè la dot­ 'lrina per cui la normativa dell'intelletto si impone anche nel giudizio empirico, e questo è considerato sufficiente a caratte­ rizzare una filosofia come kantiana o, se si vuole, neokantiana. Si aggiunga che la fortunata metafora della «rivoluzione co­ pernicana» mantiene la sua pregnanza anche nelle mutate condizioni, anzi secondo certe interpretazioni questo tratto viene rincarato. Per la cronaca, fu un fortunato libro di Otto Liebmann, ant und seine Nachfolger («Kant e i suoi epigoni», 1865), i · capitoli terminavano con la clausola «Doch muss auf Kant .twiickgegangen werden» (bisogna rifarsi a Kant), a inaugura­ re quel che in seguito fu detto il Zuruck zu Kant, il ritorno a Kant Come si è detto, si tratta di una revisione e non di una rinascenza o, in altri termini, il Zuruck zu Kant non è una Kam-renaissance. Anzi, la continuità ritenzionale della filo­ sofia kantiana si interrompe proprio a questo punto, in cui vien .ripresa in maniera consapevole l'eredità kantiana, ma su basi 21

diverse. Un lavoro ancora più imporrtante fu quello di Frie­ drich A. Lange, Geschichte des Materialismus ( «Storia del materialismo», tradotto in italiano), del 1866, che compie la mossa decisiva ponendo al centro dell'interesse filosofico il «problema gnoseologico». Il termine Erkenntnistheorie (teo­ ria della conoscenza o gnoseologia), nel suo uso tecnico, risale infatti a Lange7 ; come pure l'altro, fortunato slogan di una «Psychologie ohne Seele» (psicologia senza l'anima), con cui si vuol dire che oggetto della psicologia sono i fenomeni psichici e non la ricerca di un soggetto sostanziale. In prece­ denza si erano occupati di Kant, ma con interesse prevalente­ mente storico e filologico, Fischer, Erdmann, Zeller e Adic­ kes8 . I neokantiani non formano un movimento unitario, sono piuttosto una famiglia di filosofie e movimenti affini. Ueber­ weg-Oesterreich nella «Storia della filosofia» (un'opera che Ueberweg concepisce proprio in questo torno di tempo) ne elencano sei principali. Ma per i nostri scopi basterà far men­ zione dei tre più avanzati, che sono i seguenti. In primo luogo (i) abbiamo, una volta eliminato l'ostacolo dell'estetica trascendentale, l'interpretazione direttamente fi­ siologica dell 'a priori sintetico, che risale a Hermann von Helmholtz, il grande fisico e fisiologo. Helmholtz non si può considerare ancora un neokantiano, gliene manca la consape­ volezza filosofica, ma già negli anni '50 aveva affermato il carattere sintetico a priori della causalità, con esplicito richia­ mo a Kant9• Unico punto di coincidenza, ma fondamentale: poiché Helmholtz riterrà tutte le altre fonti conoscitive non direttamente empiriche risultanze a posteriori di «unbewuBte Schliisse» {conclusioni inconsce), un concetto che godrà di un'immensa fortuna. Più acuta e filosoficamente avveduta è la 7 Anche se, in ambito più generale, la situarione è più incerta: cfr. infatti, per una ricogtùzione più puntualmente storiografica, K.C. Kohnke, Entste­ hung und Aufstieg des Neukantianismus, Frankfurt am Main, 1986, pp. 58ss. 1 Ci riferiamo ai lavori di storia della filosofia in particolare. 'Come risulterà dal celebre scritto di H. von Helmholtz, Die Tatsachen in der Wahrnehmung, del 1879.

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izione di F.A. Lange, di cui si è detto, che è il primo dei ai,okantiani. Egli compie una critica analitica e storica del ma­ terialismo meccanicistico e deterministico (alla Laplace) rile­ vando nel contempo l'inconoscibilità della «cosa in sé» kan­ tiana, dal momento che si tratta di parlare in termini fisici del mondo fenomenico e più specificamente fisiologici del corpo vivente. Ma egli sottolinea il significato ideale di tali costruzioni concettuali, che pure in mancanza di ogni riferimento concreto, conservano il loro valore non solo regolativo, ma euristico, di guida cioè a nuove scoperte. II noumeno, più che inconoscibile, è la frontiera aperta sullo sconosciuto. Da que­ sto aspetto della filosofia di Lange piglierà poi le mosse il famoso lavoro di Hans Vaihinger, Die Philosophie des A/s-Ob («La filosofia del come-se», 1911) e l'idea pragmatica e pro­ grammatica di una epistemologia consapevolmente «finziona­ lista». Proseguendo secondo un'altra linea, bisogna dire che l'interpretazione fisiologica dell'a priori è in auge ancora oggi, confortata com'è da considerazioni evoluzionistiche e di ge­ netica molecolare. Naturalmente è difficile scorgervi le tracce della sua naturale derivazione kantiana, essendo tale a priori empirico, cioè legato all'eredità della specie e del codice etico; nondimeno esso esiste, ed è un'istanza che si oppone 'idea della mente come tabula rasa. L'a priori genetico è e per l'individuo, in realtà è condizionato dalla sua stessa oria evolutiva. Citiamo in proposito Konrad Lorenz, Die Riickseite des Spiegels, 1973 (traduzione italiana «L'altra faccia dello specchio»), su cui avremo ocèasione di tornare. In secondo luogo (ii) c'è l'interpretazione matematizzante del trascendentale della Scuola di Marburgo. L'attività sinte­ . dell'intelletto, cioè la riconduzione all'unità del moltepli­ fenomenico, come pure il primato del giudizio sui concetti categorie, e del noetico sulle forme dell'intuizione, viene in­ matematicamente, giusta i dettami dell'«analitica trascen­ ntale», come una sorta di riduzione al quoziente d'ordine consapevolmente intellettuale. Le «idee» kantiane intese e principi regolativi passano allo stato vagamente platoni­ ' o meglio platonizzante (di Media Accademia), di interfac­ che da un lato devono «salvare i fenomeni» e dall'altro 23

assicurare un approccio intelligibile, spiegabile in termini matematico-ideali. Il principale rappresentante di questa ten­ denza, Hermann Cohen, pone il massimo di conoscenza ogget­ tiva nella scienza fisico-matematica e concepisce il sorgere e lo svanire di una data sensazione per analogia col calcolo infinitesimale dei massimi e dei minimi 10 • Cosa, quest'ultima, che per l'indeterminatezza dei termini in cui era concepita gli avvalse la reprimenda di Frege. In ciò sono avvertibili diffe­ renze filosofiche fondamentali, pur sullo sfondo del comune interesse per la matematica11• L'opera a suo tempo famosa di Paul Natorp; Plato' s ldeenlehre («La dottrina delle idee di Platone», 1903) stabilisce un parziale parallelismo tra le idee di Platone e qwelle di Kant, da cui trarranno per altro verso ispirazione Duhem, Dingler e Koyré12• Intanto la concezione marburghese, inizialmente in prevalenza matematizzante, si è andata infoltendo di riferimenti storiografici e sistematico­ storici (o, come diremmo oggi, ermeneutici). Per ultimo inter� viene Ernst Cassirer, per il quale il trascendentale diventa una riduzione al quoziente sempre meno eseguibile nel concreto, mentre l'a priori si manifesta di fatto come tendenza a una preferenziale generalizzazione empirica. Di Cassirer sono stati tradotti tra gli altri in italiano Das Erkenntnisproblem in der Philosophie und Wissenschaft der neueren Zeit, 1906-20 («Il problema della conoscenza nella filosofia e scienza dell'e­ poca moderna», ma nella traduzione italiana «Storia della filosofia moderna») e Philosophie der symbolischen Formen (1923). Con l'emigrazione in America di Cassirer, dove peral­ tro egli pubblicò An Essay on Man (1944) e fu validamente sostenuto da Susanne K. Langer (di cui v. Philosophy in a New Key, 1942), si può considerare estinta la Scuola di Marburgo. A suo tempo essa fu la più famosa delle tradizioni di pensiero neokantiane, che però non seppe sostenere, a parte la diaspora, l'impatto del logicismo e delle nuove filosofie della matema­ tica e della fisica. 10 H . Cohen, Das Prinzip der lnjinitesimal-Methode und seine Geschich­ te, 1883. 11 G . Frege, «Rezension», 1885, in Kleine Schriften, Darmstadt, 1967. 12 Cfr. per es. H. Dingler, Geschichte der Naturphilosophie, Berlin, 1932.

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Abbiamo infine l'interpretazione del trascendentale della filosofia dei valori (iii) o della Scuola del Sud Ovest. Wilhem Windelband intende la filosofia trascendentale come «scienza aitica dei valori universali» e in tal senso riformula anche il concetto stesso di verità. È rimasta celebre la distinzione di metodo tra scienze nomotetiche e scienze idiografiche, che risale appunto a Windelband. Le scienze naturali sono prevalentemente nomotetiche, perché mirano a fissare delle leggi generali; mentre le scienze dello spirito, o culturali, sono per converso idiografiche, perché, senza contraddire quelle leggi, si incaricano piuttosto della descrizione di certe singo­ larità, che racchiudono un valore esemplare. Si noti come il problema della Wertbeziehung (relazione al valore) sia impli­ cito nello stesso metodo storiografico di mettere in rilievo il caso individuale13 • Queste proposte teoretiche furono accolte e rese sistematiche da Heinrich Rickert, per il quale il «trascen­ dentale» non è altro che la validità universale, trasferita dal campo dei valori a quello della verità e quindi al modo di concepire la realtà. Il richiamo alla validità, ma indipendente­ mente da una filosofia dei valori, era già stato messo a punto da Lotze, come poi vedremo meglio. Per Rickert la validità non inerisce all'oggetto, ma è l'effetto del metodo di indagine impiegato nella valorizzazione (Geltung) di quel che si ricer­ . Questa Geltung (validità, valorizzazione) non è insita fin 'dagli inizi nella realtà come tale, ma solo in quanto il suo lere per noi si manifesta nel significato 14. La Scuola del Sud-Ovest presenta anche per noi un interesse contempora­ neo. Ciò si deve all'opera di due grandi filosofi e sociologi, Oeorg Simmel 15 e Max Weber. Caratteristico di quest'ultimo è che egli svolse le implicazioni teoriche non all'interno di una filosofia dei valori, ma integrate nel metodo della «sociologia prendente» 1 6• Nella sua «teoria dell'azione sociale» la n W. Windelband, Priiludien, 1884; IV ed., 1911; trad. it parziale, Mila­ -)lo, 1947. 14 H. Rickert, Der Gegenstand der Erkenntis, TUbingen, 1892. 15 G. Simmel, Die Probleme der Geschichtsphilosophie, Eine erkennt­ • theoretische Studie, Leipzig, 1892; cfr. anche, dello stesso, Philosophie Geldes, Berlin, 1900. 16 Sul senso della 11erstehende Soziologie v. più avanti, § 3.

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comprensione razionale dell'agire ha quale criterio di massi­ ma la relazione al fine (Zweckbeziehung) e la relazione al valore (Wertbeziehung). L'analisi del «senso sottinteso» all'a­ zione soèiale (il suo gemeinter Sinn) sorte l'effetto di trasporre tutta la realtà sul referente semantico della valorizzazione razionale, quanto allo scopo o quanto al valore. Ed è noto quanto il successivo indirizzo funzionalistico di Parsons deb­ ba a premesse di stampo weberiano17 • Non dimentichiamo inoltre l'ulteriore sviluppo della Scuola di Francoforte, fiorita nel secondo dopoguerra. Forse I'intera diramazione filosofica neokantiana. detta del Sud-Ovest si può riassumere dicendo che essa si svolge intorno a un unico nucleo, che oggi si dice la teoria performativa della verità. Gli studi di Austin sulla funzione performativa, benché sorti indipendentemente,. come pure le recenti ricerche sugli speech acts della moderna prag­ matica linguistica, si possono infatti inquadrare in quella pre­ cisa problematica, se non ci si lascia distrarre dalla diversità delle parole. 3. La polemica antipositivistica Alla fine del secolo scorso si ebbe in Germania un'ampia presa di posizione polemica contro il positivismo, il cosiddetto Positivismusstreit, che, pur non realizzando l'unanimità dei consensi, riuscì a stabilire come un luogo pressoché comune I'inammissibilità di un fondamento naturalistico per le scienze dello spirito o della cultura (o ancora, come preferisce dire Weber, storico-sociali). Prima della crisi che nei fondamenti della scienza naturale si fosse determinata con la fisica dei quanti e il correlato principio d'indeterminazione, questa godeva per converso di un'indiscussa autonomia fondata sul proprio oggetto, di carattere naturalistico. Al contrario, il campo delle scienze dello spirito è alla ricerca di un criterio che consenta di definire positivamente la propria contro-auto­ nomia, di carattere ovviamente non-naturalistico. In questa 17

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Cfr. T. Parsons, The Structure o[ Socia/ Action, New York, 1937.

troversia logica e matematica occupano una posizione ativamente neutrale, e questa è una ragione della sempre ggiore preferenza loro accordata, che, per quanto non sia ndamentale, neppure deve essere dimenticata. Appartiene a al positivismo, sebbene non necessariamente naturali­ �. il presupposto per cui chi sia attivo culturalmente deve Inquadrare i suoi sforzi nel cartello di una qualche scienza, Ilo spirito se non della natura. La patente di professore è �dispensabile. La distinzione troppo angusta di scienze nomotetiche e 'llCienze idiografiche viene posta in desuetudine da quella più ·fortunata, che si deve a Dilthey, di scienze esplicative e scienze descrittive. Le scienze naturali sono in prevalenza, ma DOll esclusivamente, scienze esplicative, poiché operano per ione di una descrizione di stato a una legge esplicativa erale. Invece le scienze dello spirito, anche se possono . asionalmente menzionare qualche generalità, si riconduco­ no totalmente alla base descrittiva, che è il fondamento comu­ ne delle generalizzazioni loro proprie. Nonostante questo in­ dovinato spunto metodologico, non è possibile annoverare ilthey tra i neokantiani o neocriticisti, anche considerando bizioso programma espresso dal suo slogan di una «critidella ragione storica»: troppo inadeguata è infatti la sua ·colazione in termini di organo logico. Più istruttivo in ito è I'incontro-scontro tra Dilthey e Brentano sull'idea · una «psicologia descrittiva». Questa tematica di una psico­ ia descrittiva evidentemente è un profondo desiderato negli · tra il 1870 e il 1900, in cui si aspira a un organo del nsiero che non comprima I 'immaginazione entro angusti mi naturalistici, essendo in gioco l'approccio soggettivo, comunicabile, al problema del significato nella vita psichi­ Dilthey pensa a una psicologia che sia descrittiva perché pregiudicata nei confronti di qualsiasi teoria, e che quindi ulti accettabile senza troppe riserve sia dal letterato, che o storico o biograf0 18 •

'.' 'V!· Dilthey, /deen uber eine beschreibende und zergliedernde Psycho­ ie, in �es. Schr.», Voi. V (1894). 27

Bisogna dire che è stato Jaspers, nella Allgemeine Psycho­ pathologie («Psicopatologia generale»), del 1913, il suo pri­

mo grande lavoro scientifico, perciò neutrale, che lo rese giustamente famoso, a render canonica la distinzione tra psi­ copatologia esplicativa (erklarende) e comprendente (verste­ hende). La diversa trattazione che di conseguenza assumono i due approcci psicopatologici deve servire a tracciare una linea di demarcazione tra le psicosi (termine più antico) e le corrispondenti neurosi (termine più recente, e attenuato). Ciò deve avvenire non in base a rilievi direttamente oggettivi; ma in virtù della decisione terapeutica di fare uso, in un caso o nell'altro, di un diverso metodo di cura: «medicale» (e cioè chirurgico o psicofarmacologico) quando non resti altro che agire sulla causa fisiologica del male; oppure «analitico» ( e cioè suggestivo e verbale) quando ci sia speranza di ottenere lo stesso effetto di scomparsa del disturbo mediante una tera­ pia comprendente. (Per intenderci, la paranoia è una psicosi, cioè un'alterazione di struttura; mentre l'atteggiamento para­ noideo è solo una neurosi, in quanto disturbo funzionale.) Jaspers applicò la stessa distinzione alla sociologia, per distin­ guere Comte da Weber; ma Weber aveva già chiamato per conto proprio il suo oggetto verstehende Soziologie19 · Inutile dire che il criterio introdotto da Jaspers in psicopatologia ebbe ed ha ancora larga applicazione in tutte le terapie soft (deboli) del settore. Un ultimo epigono di Dilthey che merita di essere menzionato è quell'Eduard Spranger autore di Lebensformen («Forme di vita», del 1921 nella II ed.). Questo, oltre a essere un bellissimo libro, ha avuto la ventura di vedere utilizzato il suo stesso concetto di forme di vita (o Lebensformen, appun­ to) nella produzione dell'ultimo Wittgenstein20 • La polemica antipositivistica lasciò dunque un durevole influsso sul metodo delle scienze dello spirito (o culturali, o 19 K. Jaspers, Allgemeine PsydwpaJhologie, VII ed., Berlin, Gottingen & Heidelberg, 1959 (ma 1913); dello stesso, Max Weber, Politiker-Frorscher­ Philosoph, Milnchen, 1958. 2° Cfr. L. Wittgenstein, Philosophische Untersuchungen, Frankfurt am Main, 1960 (ma 1949).

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storico-sociali) e come ricerca di una psicologia analitico­ flescrittiva, esente da presupposizioni naturalistiche o in gene­ hle «metafisiche». L'affinamento dei metodi discorsivi, sia quello deduttivo-esplicativo, sia quello enunciativo-descritti-· vo, comporta una promozione degli interessi per la logica, 111Che se non è questa la motivazione che di li a poco la porrà in primo piano sulla ribalta. Non è comunque ancora escluso tassativamente che la psicologia ricercata possa dare un con­ tributo essenziale alla logica. Tutto ciò, nell'orizzonte del tempo, resta ancora problematico.

4.

L'empiriocriticismo

Indirettamente gli empiriocriticisti Mach e Avenarius, cui 1i può aggiungere Cornelius, hanno un tenace rapporto con i aeocriticisti, se si risale a Hume e da questi si ridiscende a JCant Il loro empirismo fa tutt'uno con la critica della metafi­ lica, che essi hanno il merito di estendere per la prima volta alle assunzioni di senso comune implicite nella mentalità scientifica stessa. Il metodo da essi seguito consiste nella dimostrata irreducibilità delle tesi metafisiche o ai dati sensi­ bili o, in alternativa, a questioni di ordine logico. Il dato nsibile viene rielaborato in vista di quella costante della zione che si riassume nell'idea di un mondo esterno. Ciò non rientra in quest'ordine di idee si organizza, in maniera tiomorfa, in una costante soggettiva che in realtà è una costruzione contraria la cui risultante è di volta in volta un «io». Dunque anche l'io è un costrutto, di cui si può ricercare la costituzione, e in questo si inserisce l'eredità humeiana. ttavia il problema psicologico non riceve adeguata atten­ e da parte degli empiriocriticisti. Il loro problema è anzi­ to epistemologico. È generalmente riconosciuto che l'empiriocriticismo è 'antecedente storicamente immediato del neopositivismo. tein, per esempio, riconosce in Mach il suo precursore, l'influenza che i Principi della meccanica hanno esercita29

to fin dagli esordi della teoria della relatività nel 1905 21 • Il neopositivismo condividerà in gran parte la critica della meta­ fisica implicita nei presupposti filosofici dell'empiriocritici­ smo. Del resto, è innegabile che ci sono delle affinità di rilievo tra taluni aspetti della filosofia di Mach e quelle dello Husserl di prima maniera (1900), per esempio la riducibilità dell'io a costruzione da cui si deve prescindere, che Husserl in seguito abbandonerà. Ma ne restano altre, come la disarticolazione del dato empirico, non più assunto nella sua semplice fattualità; l'emergenza del problema della costituzione della coscienza, che non può identificarsi più con un procedimento continuo, omogeneo e cumulativo; o il rilievo dato al fenomeno figurale, il Gestalt-switch percettivo, che Mach ha cura di rilevare ancor prima di Ehrenfels22 • Anche il lavoro di Carnap, Der logische Aujbau der Welt («La costruzione logica del mondo», del 1928), è sorretto dalla convergenza empiriocriticistica di mondo-I e mondo-2 (come diremmo noi, seguendo la più sbrigativa fraseologia di Popper), cioè fondata sulla simmetria logicamente enantiomorfa di fisicalismo e fenomenismo, di qualità primarie e qualità secondarie, di oggettivo e soggettivo (contro-oggettivo). Bisogna però dire che l'approccio empiriocriticistico ha interessato più l'epistemologia in senso stretto che non la filosofia. L'idea di fondo, la quale risale a Hume, di considerare non solo l'oggetto ma anche lo stesso soggetto quali costrutti logici, simmetrici e reciprocamente residuali, sullo sfondo di una base confusamente indifferenziata, contenente in nuce tanto il mondo esterno quanto il soggetto mentale, è senz'altro uno spunto critico epistemologicamente accattivante. Ma per riassumere in una le tante critiche filosoficamente possibili, procedendo in tal modo la progettata critica produce un effetto (un «aumento di consapevolezza») che non è conte­ nuto nel quadro di partenza, né si vede come possa esserne

21 Cfr. E. Mach, Die Mechanik, historisch-kritisch dargestellt, 1883, spec. Cap. II, § 6, per la critica del concetto assoluto di tempo in Newton. (frad. it.) 22 E. Mach, Die Analyse der Empfindungen, 1886, Cap VI e VII.

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tificato. La coscienza cosl ottenuta risulta operativamente , e si riduce all'istanza inerte di quello «spettatore disin­ ato» di cui poi parla anche Husserl, ma con altre premes­ La coscienza non può esser mero rispecchiamento neutrale soggetto e dell'oggetto, ma una forza interagente posta in dei due poli. . La psicologia «figurale», o della «Gestalt»

,

Di grande importanza per la psicologia fu la scoperta, resa 'ù evidente dai nuovi apparati sperimentali, delle proprietà . 1gurali» della percezione. Abbiamo già detto della loro defi­ ·one come Gestalt da parte di Ehrenfels nel 1890, di cui si eda il suo articolo Uber Gestaltqualitiiten ( «Sulle qualità ali», anche in trad. it.). Si è anche detto che il fenomeno stato osservato e minutamente descritto da Mach fin dal in Die Analyse der Empfindungen («L'analisi delle sen­ . ni»), ma non qualificato con un termine tecnico speciale. atti Mach ne dava un'interpretazione «sottrattiva», in ter­ . i economici e motori, considerandolo un'aberrazione nella tituzione percettiva dell'oggetto, che andava corretta te­ done conto. Ehrenfels invece riconsidera principalmente il fenomeno della trasposizione della «stessa» melodia su 'altra scala, e quindi con altri toni, o note; e quindi ha facile nel dimostrare che una forma riconoscibile come identipossa esser ricomposta su una base materiale tutta diversa. ta forma immateriale che si dà a riconoscere in se stessa un repentino stacco percettivo dalla sua materia è quel che nfels definisce Gestalt (o rilevo figurale) e che egli esten­ a molti altri casi analoghi. Tale scoperta ebbe un rilievo guato ed è facile per noi capire che se ne trasse argomento tto la prevalente psicologia associazionistica, in particolacontro l'atomismo e la passività delle sensazioni. (In terrni­ aristotelici, l'efficacia del nous poietikos, dell'intelletto ente», andava ricercata già al livello minimo di percezio-

�-Meinong segui con interesse tale nuova problematica

e

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osservò che per capire la trasposizione identica della melodia su altra scala bisognava prima risolvere due problemi, anziché solo uno. La percezione della stessa melodia, cioè il suo rico­ noscimento come identica in due o più diverse occorrenze, deve sottostare a due differenti e a prima vista quasi contrad­ dittorie condizioni: (i) che tutti i toni della melodia sussistano contemporaneamente nella memoria, perché se in essa man­ casse anche solo una nota, non si potrebbe dire di riconoscere quella stessa melodia; (ii) che i toni, o le note, di quell'insieme non sussistano tutti come contemporanei nella memoria, per­ ché allora si registrerebbe un boato cacofonico, mentre invece occorre un ordine mnemonico che riproduca la successione temporale dei toni. La prima condizione è assolta, almeno approssimativamente, dalla memoria «ritenzionale», e cioè passiva. È chiaro che per riconoscere una melodia non c'è bisogno che io sia in grado di riprodurla canticchiandola den­ tro di me. La seconda condizione invece richiede una scansio­ ne diversa, un po' speciale del tempo trascorso, che non è più solo successione di istanti omogenei, ma vera e propria dura­ ta. La durata è quell'intervallo di tempo in cui non si ha coscienza del suo trascorrere, poiché la presenza si dilata fino a comprendere ritenzionalmente il passato discreto a essa affe­ rente; ed è precisamente la durata quella dimensione del tem­ po, in sé discreta, in cui possono correlarsi contemporanea­ mente elementi non-contemporanei, e che non hanno bisogno di essere intesi come simultanei nella presenza, affinché possa aver luogo la sintesi conif gurata del loro complesso ordinato23 • In queste ricerche la tematica della Gestalt, come si sarà osservato, viene utilizzata per chiarire il problema del tempo psicologico in quanto distinto dal tempo fisico, e cioè la durata e le questioni a essa affini della ritenzione e protensione nel tempo, della memoria e rammemorazione, della presentifica­ zione e simili, che costituiscono uno dei punti caldi delle analisi psicologiche e psicofisiologiche di fine secolo. Oltre alle considerazioni di Meinong e di Husserl sul problema della 23 A.v. Meinong, Gegenstiinde hoherer Ordung,

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cit.

ienza del tempo, si tengano presenti le osservazioni criti­ di Bergson sul tempo, la memoria e la durata pura24 • Gli ologi della forma, o Gestalt, convenzionalmente detta Ohler, Wertheimer, Koffka, ecc.) proseguono in un'altra zione, quella dell'evidenziazione. e classificazione dei omeni di Gestalt, con particolare riguardo alle forme di iguità percettiva, per cui approntano una speciale speri­ ntazione25 · Bisogna dire che, per un verso, i filosofi come Brentano paiono molto interessati a questi sviluppi. Questo non è 1cile da capire. A parte i problemi del tempo, i quali in ogni richiedono un altro tipo di analisi, le ricerche estensive la Gestalt paiono disperdersi in un cumulo di futilità. In i modo i filosofi di una certa tendenza sono grati agli 'cologi della forma per queste ragioni: (a) per aver fornito confutazione osservativo-sperimentale della psicologia iazionistica (e cioè atomistica, sensistica, meccanicisti­ patogenetica, & c.) quale concezione tuttora predominante 890) della vita psichica, a essi invisa; (b) per aver fondato su solido argomento la necessità di accedere a un tempo inte­ ' o psicologico, della durata, per comprendere fenomeni il riconoscimento della melodia, la ritenzione del senso una frase, o la funzione immateriale della memoria, ecc.; (c) · orzo che la filosofia riceve in tal modo dalla psicologia ente contemporanea, o di imminente avvenire, contro le ovate riproposizioni positivistiche di un punto di vista ralistico. Ma i filosofi sentono di dover riprendere le distanze quan­ si accorgono che gli psicologi, dopo aver messo in rilievo esenza attiva di un momento noetico rilevabile anche · entalmente nelle radici stesse della percezione, si limi­ imperterriti a trattare ciò come un fatto. Le spiegazioni H. Bergson, Durée et simultanéité, cit. Cfr. K. Koffka, Principles of Gestalt Psychology, London, 1935; W. er, Psychologie, Die Entwicklung ihrer Grundannahmen seit der Ein­ g des Experiments, Darstadt, 1954 (ma 1940); W. Metzger, Gesetze Sehens, Fran.kfurt am Main, 1953.

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che gli psicologi offrono di questo «fatto» sono per lo più tautologiche, come quando parlano di forma «buona», «sim­ metrica», «equilibrata», ecc. oppure francamente ingenue (anche da un punto di vista pre-helmholtziano), come quando KOhler propone un parallelismo tra la configurazione dei cir­ cuiti delle sinapsi cerebrali e le forme percettive. Di certo manca negli psicologi lo sforzo di ricondurre la Gestalt a un atto di apprensione logico, come potrebbe essere una comples­ sione logicamente ordinata di un sistema di relazioni, ciò che la renderebbe accessibile a una comprensione in senso Iato analitica. Meinong e Husserl mostrano in proposito una maggiore disponibilità, ma in sostanza aderiscono alla posizione fondamentale di Brentano, il quale si dimostra inaccessibile alla psicologia della Gestalt e alle sue vaghe deduzioni in merito. Un argomento della massima importanza, ma trascurato dagli psicologi della Gestalt, è costituito dall'appercezione, da parte di chi ascolta, del significato sottinteso da parte di chi si esprime, poniamo, con una frase di cui le parole sono suc­ cessive nel tempo. Per un certo verso il fenomeno è analogo a quello del riconoscimento della melodia, per un altro invece è complementare. La comprensione di una frase si realizza, da parte di chi ascolta, ritenendo mnemonicamente tutte le parole di cui è composta; in più vi si aggiunge l'ordine sintattico delle relative dipendenze. Questa coordinazione richiede che le parole pronunciate siano tutte presenti nella memoria con­ temporaneamenJe, non però come conJemporanee nel paradig­ ma. Anche qui il tempo della successione delle parole nella frase esprime un criterio di ordine che, come tale, viene apper­ cepito (vale a dire, capito) da chi ascolta, anche se in una rie­ sposizione successiva non ha bisogno di esser ripetuto alla lettera, bastando una esplicita dichiarazione della dipendenza , sottintesa, che è una relazione essenzialmente indipendente dal tempo. Il sintagma, a differenza della melodia che deve scorrere nel tempo, può essere conservato pur ridotto a para­ digma: non si dice che debba esserlo, ma che lo può26• Questo 26

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Cf.r L. Hjelmslev,

Prolegomena to a Theory of Language,

1943.

fornisce a sua volta validi argomenti a quelle teorie comunicazione che intendono fondarsi sull'interscambio «dialogo», in parole povere) e cioè, radicalizzando la ·one, sul punto di vista della comprensione dell'ascolta­ invece che quello della convinzione di chi parla.

Il

senso epistemologico del «sintetico a priori» kaniiano

Abbiamo detto di condividere le critiche che nel corso del secolo sono state rivolte ali'«estetica trascendentale» di t, cioè alla concezione dello spazio e del tempo quali a priori sulla cui base si fonda la sintesi successiva di conoscenza. Allo stesso modo, venendo meno la cogenza questo fondamento, diventa difficile mettere a fuoco l'im­ a da Kant attribuita alla «logica trascendentale», quale generativo di tali funzioni a priori, che viene invece per più concepita in senso metalogico e quindi ricavata per ·one d�l suo impiego. Cosi, un'eguale sorte spetta agli . corollari della dottrina del «sintetico a priori», come le gorie, cioè la deduzione della tavola delle categorie da delle forme del giudizio, e la definizione di quest'ulti­ come «unità formale della coscienza nella sintesi del teplice delle rappresentazioni». Tuttavia questa serrata di conti non esaurisce il nocciolo duro dell'eredità kantia­ ll'apriori, in particolare non ne elimina le implicazioni in epistemologico. Dei tre esempi che Kant propone come ekthesis, ossia azione di fatto di principi sintetici a priori nella scien­ . il _primo è aritmetico («7+5 = 12»), il secondo geometrico linea retta è la più breve tra due punti») e il terzo fisico tutti i mutamenti del mondo corporeo la quantità di mate­ _ ane la stessa», oppure «in ogni trasmissione di moviazione e reazione devono sempre essere uguali». Ora ' che il primo esempio è analitico, cioè che la sintesi è a, poiché Kant confonde il funtore 'somma ·di 7 e 5' l'equazione risultante. Quindi che il secondo è molto ·bile e perciò non dimostra quel che egli crede, poiché 35

prima bisognerebbe accertarsi che il concetto di 'retta' non contenga già in adiecto quello di 'più breve', del tutto analiti­ camente. E infine che il terzo, per ragioni che trascendono la cultura scientifica del tempo, o è errato o nell'altro caso, tautologico e perciò di nuovo analitico27 • Ma la questione può essere approfondita, poiché anche questa critica a sua volta non dimostra nulla, se non che Kant ha scelto male i suoi esempi. Col primo, quello aritmetico, Kant aveva presumibilmente in mente l'«induzione matemati­ ca», quale principio responsabile del fatto che la matematica negli ultimi due secoli ha compiuto grandi progressi, a diffe­ renza della logica, la quale è rimasta al punto a cui press' a poco l'aveva lasciata Aristotele. La differenza tra le due deve esser data, secondo Kant, dalla presenza nella matematica di un latente principio sintetico. Una convinzione, questa, che non è facile da confutare. Al secondo esempio, tratto dalla geometria, probabilmen­ te Kant attribuiva una maggiore evidenza. In effetti, se si prescinde dagli sviluppi del pensiero assiomatico, esso risulta tale anche per noi oggi. Ma la convinzione che su di esso si fonda è stata scossa, primo, dalla scoperta delle geometrie non-euclidee e, secondo, dalla costruzione empirica del con­ cetto di spazio a partire dal problema della localizzazione. Si può tuttavia pervenire a una definizione di superficie piana, in assoluto, producendo un «piano di prova» ottenuto mediante ) sfregamento abrasivo con due altri, simili piani di prova. Con questo procedimento artigianale si ottengono poi tutte le altre figure geometriche di stampo euclideo che valgono nella pra­ tica tecnologica e che, al di fuori della teoria astratta, risultano assolutamente inaccessibili a considerazioni non-euclidee. Il terzo esempio è più complesso, come dimostra il suo sdoppiamento. Quanto al primo, siamo fin troppo lieti di ribat­ tere a Kant che non è vero che la materia non si distrugga, dato che E = mc2. Ma il principio ha l'analogo molto stretto nel fatto che l'energia non si distrugge, e inoltre potrebbe valere a

1

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I. Kant, Kritik der reinen Vernunft, B (1787), 14-18.

· (anche se in assoluto non è vero) come principio della ·ca ponderale. L'altra esemplificazione, quella di azione azione, dipende da una generalizzazione della relatività moto. In realtà tale principio non è tautologico, tant'è vero da un punto di vista logico se ne può mettere in dubbio la "dità. Se per es. la reazione segue all'azione con una velo­ finita, per quanto grande (v max = c), è possibile immagina­ un dispositivo tecnico che permetta di sollevarsi con lo appo alle stringhe» delle scarpe28 • Tuttavia nelle operazioordinarie conviene attenersi strettamente alla validità di tale cipio. Come si vede, la validità di un principio sintetico a priori, esso che ci sia, è qualcosa di diverso dalla sua verità lificabile nelle sue applicazioni caso per caso. Tale prin­ 'pio viene talvolta definito imprudentemente, dallo stesso t, come formato dalle condizioni universali e necessarie di · esperienza, mentre invece è meglio definirlo attraverso Ile· condizioni, in assenza delle quali, l'esperienza non ·sce una conoscenza coerente. Questo è particolarmente ante per il pensiero e la conoscenza scientifici. Secondo go Dingler, un epistemologo che non ha goduto di una omanza proporzionata all'importanza delle sue tesi, la scenza scientifica richiede una restrizione a priori dei · principi, fondata sul riconoscimento univoco e la riprodu"tà dei fatti che la qualificano come tale, così da render ario il riferimento al Kant della «ragion pura». È facile entare questo punto, se si tien presente che è l'esatto sto di quanto diceva Gaston Bachelard a proposito dei tre 'ti che la nuova scienza avrebbe dovuto superare per la­ arsi indietro l'age classique (1600-1850) della scienza, e la logica aristotelica, la geometria euclidea e la meccani­ toniana29 . Dingler sostiene invece che, in rapporto alla ca sperimentale, i principi di non-contraddizione, di curnulla dello spazio e di univocità dell'effetto sperimen­ nte indotto debbano conservare a priori la loro incondiO, come si dice in inglese, through the bootstraps. G. Bachelard, La philosophie du Non, Paris, 1940.

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zionata validità, o altrimenti la loro violazione (per una sorta di consequentia mirabilis) finisce col riproporli a un altro livello, ma generando confusione. Nel senso di Dingler, q�esti principi sorreggono la definizione delle forme geometnche riconoscibili, del corpo rigido commensurabile e dell'appara­ to sperimentale che rende gli effetti causati misurabili e ripro­ ducibili a piacere. Ciò definisce l'esperimento sensato nel contesto di una pratica tendenzialmente chiusa, e perciò a priori, su cui si potranno poi erigere a un altro livello le costruzioni proprie della fisica teorica. Dingler non si oppone alla relatività speciale o generale, o alla fisica dei quanti e il principio di indeterminazione; questi sono probl�m! ?i !isica teorica; ma si oppone al malvezzo che fin da pnnc1p10 mval­ se nella fisica moderna di crear confusione mediante analogie di stile divulgativo che avrebbero dovuto mediare tra quelle costruzioni teoriche e i fatti della pratica tecnica, sia comune sia sperimentale30 • La soluzione di questo problema epistemologico, se esi­ ste deve ammettere al minimo due livelli di conoscenza scien­ tifi�a. II primo, che si può chiamare di «protofisica», è costi� tuito da proposizioni sintetiche a priori di specie kantiana, e s1 _ riferisce alla teoria chiusa o tendenzialmente tale della pratica sperimentale; in essa vigono incondizionatam�nte la logica _ aristotelica, la geometria euclidea e la meccanica raz1ona le. _ Per il riconoscimento di questo «fatto» si batte appunto Dm­ gler. secondo è costituito dalla fisica teorica, la quale proce­ de come ogni altra scienza con metodo ipotetico-deduttivo e _ non è soggetta a delimitazioni a priori: per essa può valere �I principio di indeterminatezza og�ettivamente inteso, il � rin�1pio di terzo non-escluso o la freccia del tempo che va ali md1etro, con la sola condizione del «rispetto dei dati» (sozein ta phainomena). Ma, come un tempo la Media Accademia, que­ sto "vantaggio viene ripagato a usura dalla cre�nte inverifica­ bilità, anzi fantasmaticità delle sue ipotesi. Inutile dire che solo la protofisica assume, in queste condizioni, un significato filosofico e veramente epistemologico.

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e

• 10 H. Dingler, Das Experiment, Sein Wesen und seine Geschichte, Miln­ chen, 1928, spec. Parte II.

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Nella seconda metà del XIX secolo le edizioni e i com­ . di Aristotele per opera di Schwegler, di Bonitz e del e Tricot, la storia della logica di Prantl e la storia della atica e della linguistica antica di Steinthal avevano o le premesse per uno studio moderno di Aristotele, non legato al tomismo o a presupposti antimoderni di stampo essionale. Fu però con la Geschichte der Kategorienlehre toria della dottrina delle categorie», del 1846) di Friedrich Trendelenburg, un lavoro ispirato a quella che oggi chia­ emmo la grammatica speculativa implicita, che prende io la rinascita degli studi aristotelici in epoca contempo­ a. In piccolo questa rinascenza si svolge in parallelo al a Kant» delle più rinomate scuole neokantiane, giac­ non ci si nasconde che il motivo teorico sta nel riemerge­ del classico problema dell'individuazione nella gnoseolo­ moderna. Per Kant il problema dell'individuazione era considerato to, posta la validità della dottrina delle forme dell'intuì­ . Spazio e tempo sono semplicemente i parametri di tali , come nella geometria analitica cartesiana; l'adduzione i coordinate mette in grado di denominare univocamente singolo punto-momento del mondo esterno, senza lasciaperta alcuna ambiguità. Ma una volta messa in crisi la · a delle forme dell'intuizione, per le ragioni dette nel § altrove, era naturale che ci si rivolgesse a considerare di o spazio e tempo non come parametri, ma come vere e ·e categorie, ossia quali affezioni o pathe che in qualche retroagiscono su quanto è loro soggetto. Di qui la recu­ importanza che assume la dottrina dei praedicamenta, o rie. Trendelenburg fu maestro, tra gli altri, di Francesco ·; ma qui lo ricordiamo soprattutto perché lo fu di Franz o e per le conseguenze che ne discesero. A Trendelenburg è dedicato il primo lavoro con cui esor­ Brentano, cioè Von der mannigfachen Bedeutung des nden nach Aristoteles ( «Del molteplice significato del­ secondo Aristotele», del 1862), che appare diretto a 39

esaminare, quasi si trattasse di un contemporaneo, se la teoria della predicazione aristotelica risolve il problema dell'indivi­ duazione. Esaminando il logos apophantikos, cioè il discorso apofantico o enunciativo, Aristotele vi scorge tre modi di predicazione (kategorefsthai) fondamentali, anteriori alle ca­ tegorie stesse: (i) il sinonimico, (ii) l'omonimico e (iii) il paronimico. (i) e (ii) sono complementari tra loro, nel senso che ciò che non è sinonimico deve esser omonimico, e vice­ versa; invece (i) e (iii) sono duali tra loro, nel senso che sinonimica è la predicazione sostanziale e paronimica quella accidentale o senza sostanza. La predicazione categoriale in senso stretto è detta «sinonimica», poiché tutti gli enti di una data categoria sono sinonimi rispetto a essa, che ne è il genere sommo. Cosl l'uomo e il bue sono sinonimi rispetto al genere animale. Le categorie (kategoriai) intese in senso sinonimico sono Seinsbestimmungen (determinazioni antiche, descrittive dell'ente); si distinguono dagli altri modi di predicazione perché esse, e solo esse, ammettono il «criterio del contrasto»: se qualcosa è un animale, qualcos'altro di esistente deve non esserlo, per esempio la pietra. Contro l'obiezione di Kant, ripresa da Hegel, secondo cui l'elenco delle categorie aristotelico è un insieme di gene ri senza ordine generatore, concepito solo disgiuntivamente, per somma, Brentano ha cura di mostrarne l'intema sistematicità. � Cosl le categorie si suddividono secondo l'inerenza di qualità e quantità, secondo il movimento attivo e passivo, secondo la collocazione nello spazio e nel tempo, e secondo la relazione con altre sostanze. Come si vede, partendo dalla sostanza, la divisione in due platonica (la dihairesis) conduce a 23 = 8 suddivisioni successive, cui per ragioni grammaticali se ne possono aggiungere altre due, l'avere e lo stare. Ma più im­ portante è distinguere dal modo di predicazione sinonimico: preso in blocco, quello che Aristotele chiama omonimico. S1 tratta della predicazione «equivoca» o comune a più, anzi a tutte le sostanze che, per distinguerla dalla banale equivoca­ zione accidentale, i medievali dissero «analogica». È pensan­ do a questo modo di predicazione che Aristotele dice che «l'essere si dice in molti sensi», citando «l'ente», «l'uno», il

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cosa» e simili. Da notare che queste parti del discorso sistematicamente equivoche, o analoghe in senso tra­ ntale (onnipervasivo, ubiquitario), poiché si applicano tte le cose senza distinzione di categoria e quindi non ettono il criterio del contrasto. Non avendo valore de­ "ttivo, o categoriale, queste parti del discorso si considera­ formative in senso logico dell'unità dell'intera proposizio­ (logos), quali funtori sintattici del senso dell'essere. L'ana­ ·a non è determinazione ontica, ma vige in funzione dell'u­ trascendentale. Brentano non dedica grande attenzione al problema del o di predicazione paronimico. Anche Aristotele, nelle goriae, se ne sbarazza in due righe, da cui si apprende che nnesso con l'accidente grammaticale della flessione. e abbiamo detto, la questione è duale rispetto alla predi­ ione sinonimica, non avendo collegamento con quella "mica. Il problema pare esser questo: dato che la sostan­ viene grammaticalmente espressa sotto forma di soggetto la predicazione (sinonimica), vale anche la conversa? E : Ciò che viene espresso nella forma di soggetto gramma­ e, vale anche per ciò stesso come sostanza? Siccome la ta non può esser che negativa, si determina il problema · predicazione accidentale (quanto alla sostanza): cioè il ema di un quid che non è né on (o ousia) né hypokeime. o substantia, necessario per la sensatezza della sua sione. Come esempi Aristotele cita il coraggio, la gram­ la salute o igiene. Noi possiamo parlare di queste cose, questo non significa che si tratti di sostanze. Qualcosa di 'le vale per il problema del bene. Tutti gli uomini per a tendono al bene. Noi condividiamo, dato che bene · 1ca ciò a cui si tende alla meno peggio. Ma questo non · 1ca che debba esistere un dio, nemmeno come ideale to d'arrivo. L'accurata ricostruzione di Brentano mette in luce il fatto l'analitica aristotelica non è in grado di chiudere apofan­ ente il discorso intorno alla sostanza. Aristotele non ci la desiderata «usiologia», né il successivo allargamento teoria metafisica alla dottrina della potenza e dell'atto 41

tanto meno è capace di una simile prestazione. Il complemento a ciò necessario proviene non dalla logica, ma dalla linguisti­ ca. Occorre una funzione dimostrativo-ostensiva, che appar­ tiene al linguaggio e non alla logica, e che è quella del riferi­ mento esterno al discorso. Si tratta dell'uso «delttico» esem­ plificato dal rode ti (il «questo qualchecosa qui») inteso come indice funzionalmente identico all'esibizione di una sostanza. Quest'ultima predicazione fu intesa dagli scolastici come simile, nel senso dell'analogia attributiva, a quella pienamen­ te sostanziale, ma dall'esame brentaniano si capisce che è meglio tenerla separata. È chiaro a questo punto, seguendo Brentano, che la dottrina della predicazione sinonimica (più il complemento. omonimico e la dualità parÒnimica con la sua propaggine delttica) non risolve, né può risolvere il problema dell'individuazione dell'ente, vale a dire ciò di cui si parla, mediante il solo ausilio del linguaggio. Definizione, propor­ zionalità e ostensione gestuale circoscrivono il senso del di­ scorso, ma non sono in grado di dirci ciò di cui si tratta. Questa speranza si vanifica, aggiungiamo noi, esattamente come quella invalsa nel duale opposto, inviso a Brentano, che pone in posizione primaria il trascendentale, e quindi subordinata­ mente il sinonimico e tutto il resto (cioè, l'idealismo). Interdetto dall'inconcludenza della problematica metafisi­ ca, che in ultima analisi si avvale pur sempre di mezzi logici e forme grammaticali, anche se intese in maniera speculativa, Brentano fu indotto (come a suo tempo Aristotele, o almeno questa è la suggestione che ne proviene) a ricercare un nuovo approccio al problema gnoseologico sul terreno della psicolo­ gia. L'origine della conoscenza andava ricercata e fondata sul nucleo dell'esperienza sensibile e quel tanto o poco di eviden­ za che essa può offrire. Si trattava di procedere non dal modo di dire a una realtà esterna al discorso e quindi ineffabile, ma viceversa di repercorrere il cammino naturale che dalla sensa­ zione conduce l'intelletto e sua perspicacia ad avvalersi del1'evidenza possibile. Ciò comportava la soluzione, come ben sapeva Aristotele, del difficile nodo psico-fisiologico dei problemi di trasmissione di informazioni tra il mondo esterno e la psiche. Perciò l'altro importante lavoro di Brentano, Die 42

chologie des Aristoteles, insbesondere seine Lehre vom poietikos' ( «La psicologia di Aristotele, in particolare la

dottrina del 'nous poieticos'», del 1867), pur destinato a · e l'annoso problema del «nous poi�tikos» e le sue im­ 'oni filosofiche, segna il definitivo passaggio di Brenta­ a quegli interessi di psicologia descrittiva, a fondamento iologico, che lo impegneranno poi tutta la vita. È importante stabilire che cosa Brentano abbia desunto da 'stotele in sede di psicologia, giacché in seguito, quando nel '874 pubblicò Psychologie vom empirischen Standpunkt Psicologia dal punto di vista empirico»), il suo primo grande oro direttamente teoretico, le principali fonti del suo penro paiono essere state principalmente Descartes e, quindi, ke e gli empiristi britannici. In ogni caso da Aristotele rentano desume principalmente il carattere transiente (dal o esterno all'anima) della sensazione e quindi, su questa patogenetica, l'andamento parzialmente contrario, quanal senso, delle facoltà psichiche superiori rispetto alla sen­ ione. La superiorità di queste prestazioni (del sentimento, Ila volontà, del pensiero) si rende anzi avvertibile come una nte contraria, che risale il flusso della patogenesi in una a (diremmo oggi) di retroazione regolativa, di feed-back. ogni modo, di fronte alla risorgenza di tendenze innatistiche ionarie, come a suo tempo la teoria della «reminiscenza» Platone o quella delle «ragioni seminali» negli Stoici, che paiono in altre forme in talune metafisiche del XIX Sec., qui non abbiamo considerate, la posizione di Brentano are allineata alle posizioni della psicologia scientifica glio accreditata (quella di Wundt, per intenderci) e 'f.nser­ quindi una posizione di rilievo nella storia della psicolo­ >1. Del resto, anche se a noi sembra di senso comune, quella Aristotele rappresentò a suo tempo un'autentica svolta in psicologico, dico l'idea stessa di fare della sensazione aisthesis) l'interfaccia di uno scambio continuo di informa­ . tra il mondo esterno e la psiche. 11 E. G. Boring, A Hiswry of Experimental Psycology, New York, II ed. (ma 1929), dedica un intero capitolo (il XIX) a Brentano e la sua scuola, dice l' A., «la psicologia dell'atto e la scuola austriaca».

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La prima volta in cui le idee sorgono non sono mai di senso comune. Nella sensazione Aristotele distingueva l'atto del sentire, o aisthèsis, da ciò che viene sentito come suo oggetto, o aisthèton. E quest'atto si avverte al passivo, come affezione o pathos che altera l'animo del paziente, la cui memoria ne registra il differenziale con lo stato precedente nel tempo. Brentano intende tutto ciò come diretta negazione del carattere «ovvio» con cui dagli idealisti veniva presentato il SelbstbewujJtsein, ossia l'«autocoscienza». Brentano pensa, come Aristotele, che la coscienza sia sempre «coscienza di qualcosa», che sia cioè transiente e non autoriflessiva, con tutta l'attenzione rivolta all'aistheton o a quanto viene avver­ tito come differenziale. Che se poi noi avvertiamo di essere, nel sentire, coscienti, ciò avviene per una diramazione dell'at­ tenzione in obliquo (en parergo, come dice Aristotele) o con la coda dell'occhio, e per questa via essa si riflette imperfetta­ mente sul senziente, rendendolo parzialmente consapevole. Tutt'altra tesi, quindi, che quella dell'autocoscienza, la quale richiede non solo la totale riflessività, senza eccezioni, ma anche un fondamento della coscienza indipendente dalla sen­ sazione. Noi siamo solo indirettamente consapevoli di quel che ci accade, attraverso le operazioni che compiamo sugli oggetti trasformandoli secondo la volontà e il pensiero. Ciò che possiamo rilevare non è l'autocoscienza, ma la presenza di un operare intelligente. Questo è il nous, che secondo Aristo­ tele permea tutta la vita psichica, dalla sensazione al pensiero. Di qui, in diametrale contrasto con Kant, Brentano desume l'evidenza di una «intuizione intellettuale». La presenza di un momento intellettuale-intuitivo, che si manifesta con l 'evi­ denza, fin nelle più riposte radici della conoscenza sensibile, è ciò che non solo in Brentano ma in tutta la fenomenologia si contrassegna come noetico32• Se poi questo momento viene

retato come indizio di una controcorrente di feed-back, cui si realizza una parziale riflessione che parte dalle superiori della vita psichica, si dà con ciò una possibile uzione del problema del nous poiltikos posto da Aristotele. tale la questione cui rimanda Brentano nella fase ancora · totelica del suo pensiero.

32 È chiaro il vantaggio del disporre di un termine non specializzato a un uso che lo sviluppo del pensiero mostra sempre più destinato a una funzione particolare. Il noetico infatti non è né il razionale e nemmeno l'intellettuale. Non è il razionale, perché ciò che si dice tale appare sempre subordinato a un qualche fine pratico, sia pure d'interesse generale. Non è l'intellettuale, perché ciò che si dice tale, nell'uso moderno, o per lo meno in certe applica­ zioni, presenta il carattere di una regolarità precipuamente meccanica.

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PARTE PRIMA

I QUATTRO AUTORI DI HUSSERL

CAPITOLO PRIMO

BOIZANO, O L'ANALITICA DELL'«IN SÉ»

8. L'eredità leibniziana Husserl approdò relativamente tardi al lido filosofico, dopò essersi laureato in matematica con una tesi, auspice Weierstrass, dal titolo Beitriige zur Variationsrech nung («Contributi al calcolo delle variazioni»), Wien, 1882. Ancora nel 1930, quando andò in pensione diventando «emerito», Hu�rl si compiacque di citare Weierstrass tra i suoi maestri. eierstrass è stato, dopo Cauchy, uno degli ultimi, forse l'e­ ..-Cmo terminatore del concetto di limite implicito nel calcolo infinitesimale. Egli è dunque un «finitista», perché fonda le sue equazioni su una differenza finita; ma nello stesso tempo � un infinitista, poiché ammette la recursività «indefinita» Ile definizioni. Questo converrà tener presente anche in guito. Da Weierstrass, presumibilmente, Husserl trasse la prima irazione di filosofia della matematica, diretta e cercare una valida nelle idee espresse a suo tempo da Bolzano. Da sto interesse, congiunto a quello di altri logici, dipende la pa della Wissenschaftslehre di Bolzano, che edita per la · a volta con la prefazione di Heinroth a Sulzbach nel 1837, a distanza di tempo l'onore di due ristampe, quella a cura Hofler, Leipzig 1914-15, e quella definitiva di Schulz, pzig 1929-31. Resta da dire di questo perdurante influsso ·ano, che a sua volta rientra in un'eredità durevole del ito leibniziano, rintracciabile attraverso i molteplici fili Ila tradizione di pensiero tedesca non sfociata in quella liana o idealistico-trascendentale. Questa tradizione di foro, che dipende dalla Scuola leibnizio-wolffiana, è rile49

vante per quanto concerne la definizione dell'an sich (I'«in sé»), inassimilabile ali'endiadi an wuJ jur sich (I'«in sé e per sé»), che diverrà canonica con l'interpretazione idealistica della teoria delle idee di Platone tradizionalmente invalsa con Fichte, Schelling e Hegel. Non si tratta, tuttavia, di una diffe­ rente interpretazione di Platone. L'Ansich di Bolzano, quale risulta dalla sua caratterizza­ zione nella Wissenschaftslehre, è una designazione dell'asso­ luto, cioè dell'indipendente o semplicemente non dipendente da altro nel senso dell'attribuzione. Se ci chiediamo che cosa nel contenuto di un pensiero si presenti come un «in sé», la domanda si risolve nel triplice rimando del discorso alla «rappresentazione in sé», alla «verità in sé» e alla «proposi­ zione in sé»; dove in carattere an sich riguarda appunto le Vor­ stelllungen, le Wahrheiten e i Sarze. La priorità logica spetta alla proposizione in sé. Questa è anzitutto il suo concetto, che comprende la forma logica dell'enunciato e il corrispondente stato di cos.e pensato, l'oggetto o il qualcosa di cui $i asserisce il sussistere, cui infine vi si aggiunge, se è il caso, l'effettività o realtà, cioè l'esistenza. Le proposizioni in sé per Bolzano possono esprimere verità o falsità in sé, indifferentemente. Si afferma qui per la prima volta, con riferimento alla proposi­ zione, quel concetto di «valore di verità», vero o falso, che diverrà poi di uso normale .nella logica moderna e che consiste nell'asserire o no il sussistere dello stato di cose pensato. Invece il concetto di verità in sé vale solo per quelle proposi­ zioni che del loro oggetto dicono qualcosa, che a questo spetta realmente. La verità si ricava dalla proposizione, ma non vice­ versa, poiché il vero non comprende il falso. La rappresenta­ zione in sé, infine, corrisponde al significato obiettivo, che anche al di fuori della dottrina dell'Ansich risulta indipenden­ te dalla verità e cioè dall'effettiva sussistenza dello stato di cose asserito. L'indipendenza dell'«in sé» dall'esistenza delle cose e perfino dal pensiero definisce implicitamente il modo d'essere a priori di rappresentazioni, verità e proposizioni an sich. Il problema che si pone a proposito di Bolzano, a questo punto, è quello di decidere se questo carattere di indipendenza

tologica dell'Ansich sia qualcosa che si ritrova come una dal�� nel f?ndo di ogni logica, oppure se non sia piuttosto una smone hberamente assunta dal pensiero, nel senso ideali­ stico dell'a �rior� 1 • Rinunciamo ad affrontare tale problema, _ per nvolgerc 1 subito a qualcosa di più pertinente: la definizio­ ne dell'analitico. 9. La definizione di analitico

Bolzano assume esplicitamente da Kant la distinzione dei giudizi (o proposizioni, Siitze) in analitici e sintetici. (Kritik der reme_n Vernunft, A 6-10, B 10-14.) Il rapporto del soggetto col predicato può essere, secondo Kant, di due specie: «o il predicato B appartiene al soggetto A come qualcosa che è �splicitamente contenuto in questo concetto A, oppure B del tutto al di fuori del concetto A, quantunque sia certa­ te collegato con il medesimo». Ora «nel primo caso chia­ mo il giudizio analitico, nell'altro sintetico». (Ibidem, B 10.) La formula del giudizio analitico è dunque: AB � B.