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Italian Pages 187 Year 2014
Table of contents :
L’immagine......Page 2
Il libro......Page 4
L’autore......Page 5
Le parole dei bambini......Page 6
Introduzione......Page 10
A......Page 15
Allegria......Page 16
Amicizia......Page 18
Animali......Page 20
Autunno......Page 24
Avventura......Page 25
B......Page 28
Bellezza......Page 29
Bugie......Page 30
Bulli......Page 32
C......Page 35
Calcio......Page 36
Cambiamento......Page 37
Canzoni......Page 40
Carezza......Page 41
Catastrofe......Page 42
Cibo......Page 44
Coraggio......Page 47
Crisi......Page 48
Cuore......Page 49
D......Page 50
Desideri dei bambini......Page 51
Dio......Page 53
Diritti (I)......Page 56
Diritti (II)......Page 58
Dolore......Page 60
E......Page 61
Escort......Page 62
Esorcista......Page 63
Estate......Page 64
Extension......Page 65
F......Page 66
Famiglia......Page 67
Fede......Page 69
Fedeltà......Page 72
Felicità......Page 73
Festa......Page 76
Fiabe......Page 78
Fiducia......Page 80
Figurine......Page 82
G......Page 83
Giochi virtuali......Page 84
Gioco......Page 87
Giustizia......Page 89
Guerra......Page 91
H......Page 92
Handicap......Page 93
I......Page 94
Incubo......Page 95
Insegnanti......Page 96
Integrazione......Page 98
Internet......Page 102
Inverno......Page 104
Io......Page 105
L......Page 106
Legalità......Page 107
Libri......Page 109
M......Page 111
Maltrattamenti......Page 112
Musica......Page 115
N......Page 118
Nonni......Page 119
O......Page 122
Olocausto......Page 123
Omosessualità......Page 124
Oscurità......Page 125
Overdose......Page 126
P......Page 127
Pace......Page 128
Papa......Page 129
Paura......Page 131
Perché......Page 134
Primavera......Page 137
Pulizia......Page 139
Q......Page 141
Quaderni......Page 142
R......Page 143
Rapimenti......Page 144
Regole......Page 145
Riposo......Page 147
S......Page 149
Scuola......Page 150
Separazione......Page 152
Silenzio......Page 154
Sogni......Page 156
Solitudine......Page 159
T......Page 160
Tatuaggio......Page 161
Timidezza......Page 162
U......Page 164
Umiliazione......Page 165
Uovo......Page 167
Uscite......Page 169
V......Page 171
Vacanza......Page 172
Verità......Page 175
Volontà......Page 177
Z......Page 181
Zoe......Page 182
Zoo......Page 183
Ringraziamenti......Page 185
Copyright......Page 187
Il libro
L
E PA R O L E D E I B A M B I N I È U N L I B R O C H E PA R L A D I Q U E L
che pensano e provano i bambini. Anzi, è un libro che fa parlare i bambini, dando voce, lettera dell’alfabeto dopo lettera dell’alfabeto, al loro mondo di valori, al loro modo di relazionarsi con gli altri e di vivere la realtà esperita attraverso l’originalità, l’ingenuità, la creatività, lo humour e, soprattutto, la magnificenza che li contraddistingue. ¶ Perché i bambini possiedono parole che gli adulti non sanno più trovare. Parole del cuore, legate alla loro immaginazione, fantasia, voglia di comunicare, che spesso, però, sono anche intrise dei valori, dei disvalori, delle sicurezze e delle incertezze, delle paure, delle necessità, del disagio e altro ancora che gli adulti trasmettono loro. ¶ Così, Le parole dei bambini è una profezia che si autoavvera: alle parole rivelatrici dei “profeti bambini” – che talvolta suonano come sentenze di assoluzione e talvolta come verdetti di condanna –, gli adulti dovrebbero prestare massima attenzione e ascolto. Perché i bambini sono poeti: agiscono con le parole. ¶ Hanno il cinismo della sincerità, la qualità dell’innocenza, l’esercizio violento della verità. ¶ E tra le mani tengono la molle cera di loro stessi da plasmare. Ogni colpo resta impresso, ogni azione è traccia d’anima.
L’autore
Maria Rita Parsi, scrittrice, psicoterapeuta e docente, componente del Comitato ONU sui Diritti dell’Infanzia, collabora a molti quotidiani e periodici. Ha più di cinquanta pubblicazioni al suo attivo. Tra i suoi libri più recenti pubblicati con Mondadori: L’amore violato (1996), Le mani sui bambini (1998), L’amore dannoso (1999), Fragile come un maschio (2000), Amori imperfetti (2003), La natura dell’amore (2005), Single per sempre (2007), Ingrati (2011), Doni (2012), Amarli non basta (2013) e il romanzo Alle spalle della luna (2009).
Maria Rita Parsi
LE PAROLE DEI BAMBINI Ascoltarli per capirli
Le parole dei bambini
A mia madre Ai miei nipoti e ai miei bisnipoti
Se non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Mt 18,3
Quali sono i tipi di comportamento infantile tanto apprezzabili e che tendono a scomparire gradualmente con il passare degli anni? Abbiamo bisogno soltanto di osservare i bambini per vederli chiaramente esposti: la curiosità è uno dei più importanti; ci sono poi l’immaginazione, l’allegria, l’apertura mentale, il desiderio di sperimentare, la flessibilità, l’umorismo, l’energia, la sincerità, la sete di apprendere e infine il bisogno di amore che è forse la cosa più importante. Tutti i bambini […] fanno domande all’infinito: “perché?”, “a cosa serve?”, “come funziona?”. Osservano e ascoltano. Vogliono sapere tutto di tutto. Possono stare occupati per ore con giocattoli semplicissimi, fingendo che degli oggetti qualsiasi siano dotati di una personalità e di una storia, inventando racconti complicati, storie che si protraggono giorno dopo giorno, per mesi. Fanno giochi a non finire, a volte stabilendo regole precise, a volte sviluppando il gioco secondo l’umore. Accettano i cambiamenti senza mettersi sulla difensiva. Quando cercano di realizzare qualcosa e non ci riescono, sono capaci di riprovare un’altra volta, e un’altra ancora, finché la cosa funziona. Ridono […] Ashley Montagu, Saremo bambini
I passerotti non fanno rumore I passerotti non fanno rumore. Essi abitano l’aria con un leggero battere d’ali. Essi aspirano al nido al conforto del cibo e del calore. Hanno morbide piume come morbido è il cuore che scandisce nel loro petto il tempo del vivere. Hanno voci così sottili ed incerte che il silenzio può contenerle e quando piangono lasciano tracce di luce negli arcobaleni e nel vento. Non fategli male. La loro anima è l’anima del mondo. M.R.P.
INTRODUZIONE
Le parole dei bambini è un libro che parla di quel che pensano e provano i bambini. Anzi, è un libro che fa parlare i bambini, dando voce, lettera dell’alfabeto dopo lettera dell’alfabeto, al loro mondo di valori, al loro modo di relazionarsi con gli altri e di vivere la realtà esperita attraverso l’originalità, l’ingenuità, la creatività, lo humour e, soprattutto, la magnificenza che li contraddistingue. Perché i bambini possiedono parole che gli adulti non sanno più trovare. Parole del cuore, legate alla loro immaginazione, fantasia, voglia di comunicare, che spesso, però, sono anche intrise dei valori, dei disvalori, delle sicurezze e delle incertezze, delle paure, delle necessità, del disagio e altro ancora che gli adulti trasmettono loro. Così, Le parole dei bambini è una profezia che si autoavvera: alle parole rivelatrici dei “profeti bambini” – che talvolta suonano come sentenze di assoluzione e talvolta come verdetti di condanna – gli adulti dovrebbero prestare massima attenzione e ascolto. Perché i bambini sono poeti: agiscono. L’arte loro è agire la realtà, è interpretarla attraverso rappresentazioni drammatiche, comiche, gli psicodrammi che li educano e li preparano, quali prove generali, a vivere la vita nel mondo degli adulti. I bambini sono flessibili, creativi, adattabili. Sono pratici ma non rinunciano alla fantasia. Sanno mescolare l’acqua del desiderio con la terra della possibilità. Grandi architetti dalle mani piccine, non dimenticano mai il cuore e il futuro.
I bambini hanno fiducia nello sviluppo, nel cambiamento, anche se aspirano alla stabilità. I bambini sono capaci di dare stabilità all’instabile, di accettare la morale di ciò che è osceno, di utilizzare l’ambivalenza come altalena della conoscenza e dell’amore. I bambini sono roccaforti penetrabili, passerotti sparvieri, tigri di carta e peluche, precari come le loro ire brevi, come la disperazione dei loro pianti inconsolabili. I bambini sono il dolore fatto allegria, l’impero lillipuziano dei sensi, la disperazione che si risolve, l’ignoranza della morte, che affrontano come primitivi attraversandola poiché posseggono l’alchimia che tramuta in nulla ogni giorno che nasce e muore. Hanno il cinismo della sincerità, la qualità dell’innocenza, l’esercizio violento della verità. I bambini non aspirano alla gloria poiché sono la gloria e vivono nel mito. Non aspirano al sesso poiché essi sono il sesso, cigni ermafroditi alla ricerca di un lago, di un piedistallo adulto, di una possibile identificazione che diverrà, poi, identità. Non temono la guerra perché dentro di loro si agita ogni guerra. Potrebbero semmai patirla nel corpo poiché nell’anima già la conoscono e da sempre, quale disagio e angoscia per la presenzaassenza, per il possesso del seno materno – terra-madre che sfama, sapere-fonte che allatta – e quale conflitto tra i genitori, a cui assistere senza poter far nulla. I bambini odiano e vorrebbero eliminare, ma poi fanno resuscitare ogni avversario quando non è più pericoloso. I bambini hanno la prudente seduttività e l’apparente rassegnazione dei deboli, ma agiscono col senso di onnipotenza dei despoti e manifestano la vocazione al martirio dei santi. Progettano fughe e ritorni; se delusi o feriti fantasizzano delitti di gelosia e vendetta, ma sanno poi sorridere al perdono per tutto dimenticare, poiché l’amore è alfa e omega. È alfabeto per sempre. I bambini non temono la fame: sono la fame. Hanno fame di presenze come di cibo, hanno fame di cibo come d’affetto.
Conoscono ogni possibile fame poiché è da sempre che l’essere umano patisce, nell’infanzia, l’abbandono e la cacciata dal paradiso terrestre del grembo materno. Sanno della fame poiché sono primordiali come Adamo ed Eva e osano assaggiare l’albero della Conoscenza, si fanno tentare dall’esperienza di Dio, dal sapore del Bene e del Male, dal richiamo della Bellezza. I bambini aspirano alla pace e la realizzano nell’atto di creare e credere. Non attendono il Messia, poiché ogni bambino è un messia e un messaggero. I bambini considerano l’infanzia un territorio su cui scorrazzare, un segreto armadio, una profonda grotta in cui rifugiarsi e attendere il tempo della crescita, la nascita del mondo degli adulti. I bambini considerano l’infanzia carta di giornale da ritagliare in cavalli, pupazzi e soldatini; foglio bianco da ricamare e imbrattare con colori e poesie; musica di rumori quotidiani, di sapori e odori che accentuano i bisogni e i ricordi; di corpi da esplorare nei giochi di penombra e del dottore; di feste e torte, di doni e Natali, di passeggiate, gite e vacanze. I bambini considerano l’infanzia un lutto di nonni che muoiono, di cani e gatti che muoiono, di vecchi che muoiono e, a volte, per male malissimo, anche di giovani che bisogna sotterrare tra i fiori dei cimiteri. Fiori che appassiscono e muoiono anche loro. I bambini vivono l’infanzia come un succedersi di distacchi e di arrivi. Soprattutto distacchi. I bambini considerano l’infanzia la bugia delle bugie. Non esistono bambini bugiardi perché i bambini abitano le bugie. Non raccontano bugie ma fiabe, perché sono fatti di fiabe. I bambini si specchiano accanto al genitore e si riconoscono solo perché nello specchio riconoscono il padre o la madre, o il padre e la madre insieme, che stanno accanto a loro: “Se quella è mia madre (o/e mio padre), quello accanto a lei (lui/loro) sono io”. I bambini si specchiano vestiti con gli abiti dei grandi e abitano il fantasma di genitori assenti col gusto del travestimento.
Non temono i travestimenti; essi sono già travestiti da angeli. Sono angeli travestiti. I bambini abitano i gabinetti e li onorano di ciò che il loro corpo produce. Non temono gli escrementi: abitano la cacca e la pipì, il muco, il vomito, il sudore, le lacrime. I bambini non temono il pianto: piangono con spontaneità e non sfuggono ai colpi della vita perché amano il colpire e affrontano il rischio di essere colpiti. E vengono colpiti: dalle mani degli adulti, dalla loro indifferenza, dalla loro disattenzione mascherata di pazienza, dall’ottusità delle loro buone intenzioni. È facile colpire i bambini. Tra le mani essi tengono la molle cera di loro stessi da plasmare. Ogni colpo resta impresso, ogni azione è traccia d’anima. I bambini osservano e partecipano. Agiscono e stanno a guardare. Sentono gelo e calore. Si difendono e sono disarmati. I bambini giudicano senza mai giudicare. Quel che somiglia a un giudizio è per loro soltanto un modo di abitare la paura. I bambini considerano i genitori degli dei: li temono, ne invidiano l’apparente onnipotenza; ne condividono ogni scelleratezza. Li giustificano, li imitano e, se sono costretti a disprezzarli, per troppo dolore, per l’orrore di una malvagità, come Isacco offrono loro stessi in sacrificio, affinché l’accordo con il Cielo torni a ricomporsi. I bambini considerano l’infanzia un tempo e un tempio nel quale il loro corpo verrà provato dalla fatica di trasformarsi, esposto alla santità del crescere, preparato, attrezzato “all’Innocenza” del potere, al codice nuovo dell’amore. L’infanzia è una prova di crescita, a volte una tragedia da attraversare, ma è anche attesa di eventi luminosi e lieti, eroici, santi e belli. Se l’infanzia di un bambino è stata buia, triste, grigia, spaventata, senza luce, e nessun drago, fantasma o mostro è stato all’improvviso sconfitto, egli diventa adulto ma dentro di lui il bambino aspetta, murato nel semisonno dell’attesa.
Aspetta che l’infanzia sia magica, bella e santa. Bisogna illuminare l’infanzia per far crescere un bambino.
Chiunque volesse inviarmi le parole dei bambini, e soprattutto le parole di pace dei bambini, può scrivermi a [email protected].
A
ALLEGRIA AMICIZIA ANIMALI AUTUNNO AVVENTURA
ALLEGRIA
Quando sanno relazionarsi in modo positivo con gli altri, quando esprimono affetto e amicizia, quando amano la compagnia intorno a loro e sono altruisti, solari ed estroversi, i bambini sprizzano allegria da tutti i pori. Leggeri, sembrano quasi volare mentre soddisfano il loro bisogno di gioco e divertimento, di fantasia e creatività, di ricerca e conoscenza. Di allegria. Intorno ai due, tre anni, quando i bambini iniziano a camminare, trasportati come sono dal desiderio di conoscere ed esplorare, la loro dose di allegria che il corpo – il canale principale di espressione – veicola è addirittura dirompente. E, assai spesso, preoccupa i genitori che non sanno come tenerla a bada. Non confondiamo, però, l’allegria con l’irrequietezza. Quando il “muoversi” dei bambini non è distruttivo ma creativo; non rappresenta una strategia per scuotere, per esempio, un genitore assente e/o indifferente; non è un modo per scappare da qualcosa che li spaventa: l’allegria rappresenta il termometro del loro benessere psicofisico. GIUDITTA, 8 anni, di Cosenza: «Quando sono allegra mi viene da sorridere senza avere un motivo. Tanto per sorridere alla vita!». ANNALISA, 9 anni, di Mantova: «Quando sono allegra è più forte di me: mi viene da cantare, da ballare, da muovermi e da abbracciare. Quando sono allegra il mondo mi sembra un’altalena di cielo, terra e mare. E io dondolo!». CRISTINA, 11 anni, di Milano: «Io so cosa sia l’allegria perché appena provo a essere serena, leggera (dai pesi), libera (dai compiti), allora la sento salire dal cuore ed esplodere in tante risate e
giochi. Non mi fermo, proprio non mi fermo. L’energia che mi viene con l’allegria è come la benzina per una macchina che fa muovere a cento all’ora». GERVASIO, 9 anni, di Parma: «Io se sono allegro penso bene di tutto e di tutti. È come se l’allegria mi facesse vedere le cose illuminate». VIOLA, 10 anni, di Genova: «Quando sono allegra mi viene una calma dentro che se incontro un nemico perfino gli sorrido. L’allegria è pace». LIVIA, 12 anni, di Monza: «Le persone allegre mi fanno sentire sicura, perché è come se l’allegria fosse un talismano che porta bene ed è fatto di sorrisi, di abbracci, di belle parole e di speranza!». Lasciamo, allora, i bambini liberi di esprimersi, di ridere “senza motivo”. E, solo a guardarli, i loro sorrisi contagiosi sapranno metterci allegria. CARLO, 10 anni, di Cosenza: «Se sono triste, i miei giochi sono spenti oppure nemmeno gioco: mi lamento e basta, e sono malinconico. Quando sono allegro mi viene voglia di giocare. E soprattutto con i Lego che così costruisco e mi sento soddisfatto». MASSIMO, 10 anni, di Torino: «Io sono allegro quando vedo che i miei genitori sorridono e sono contenti. Allora mi viene una sicurezza dentro e un sorriso fuori che è una cosa bellissima!».
AMICIZIA
Per ALÌ, 10 anni, di Grosseto «l’amicizia non è solo preziosa. È necessaria. Come respirare». EVELINA, 7 anni, di Roma: «Io ho un amico che non lo vede nessuno, solo io. Mia madre ha detto che a scuola pensano che è un amico immaginario. L’amicizia non è immaginaria e i grandi, poi, non immaginano mai le cose giuste». IOLE, 7 anni, di Pistoia: «Io non ho amiche, tranne una, e per lei farei tutte le cose buone del mondo. Per esempio, regalarle il cerchietto per i capelli con il fiocco di lustrini». E, ancora, ENRICO, 10 anni, di Napoli: «Io ho circa cinquanta amici su Internet. Ci sentiamo tutto il giorno. Non mi sento mai solo e posso scrivere tutto quello che penso. E, poi, qualcuno lo incontro, qualcun altro neppure l’ho visto mai, ma sono amici». CRISTIANA, 12 anni, di Crotone: «Un amico lo trovi vicino a te, sempre. E pure nella mia malattia ho avuto veri amici che sono sempre venuti a casa e non mi hanno abbandonata. Altri, sì. Non erano amici». GUIDO, 11 anni, di Verona: «Io ho due amici cari: uno a scuola, uno vicino di casa che conosco da una vita. Loro, però, non sono amici tra loro e questo è il dispiacere più grande che ho. Mi tocca sempre fare le cose di nascosto e se c’è uno che viene a casa, non dirlo all’altro. Perché l’amicizia non è contagiosa?». E, ancora, VIRGILIO, 13 anni, di Venezia: «Ho letto una frase di Charles Dickens: “I miei familiari non sono soltanto quelli nelle cui vene scorre il mio stesso sangue, ma le persone per le quali sarei disposto a dare il mio
sangue”. E chi sono questi parenti così stretti se non gli amici per i quali io darei anche il mio sangue?». In genere, nell’amicizia, i bambini prediligono le diversità alle somiglianze caratteriali. La scelta di un amico, infatti, corrisponde assai spesso a profondi bisogni di “compensazione”: così, il bambino più timido si sentirà protetto nei giochi di gruppo se saprà di poter contare su un amichetto più estroverso di lui; quest’ultimo, a sua volta, tenderà a coltivare, per imitazione, quella parte più sensibile che ancora non aveva avuto l’occasione di esprimere. RINO, 11 anni, di Napoli: «Un amico è uno che ti difende sempre anche quando persone più forti, come per esempio i bulli a scuola, ti attaccano. Io con il mio amico Sergio lo faccio e lui con me. Siamo amici per la pelle. E pure per il sangue». ANNAMARIA, 9 anni, di Sorrento: «Se hai un vero amico, quando bussa la paura ti viene subito il coraggio. Perché lui è dalla tua parte». E, ancora, VITALE, 9 anni, di Lecce: «L’amicizia è poter confidare segreti senza che nessuno li svela mai. Un amico vero è uno che non tradisce i segreti». GIOVANNI, 8 anni, di Campobasso: «Se ci fossero solo amici non ci sarebbero dolori. Io ho tanti amici pure su Internet, ma non contano quelli che non conosco e che chiedono l’amicizia perché conoscono altri miei amici. Conterei solo quelli che posso vedere, toccare, fiutare, litigare, giocare, guardare. Se uno non lo guardi negli occhi, che amico è?».
ANIMALI
VINCENZO, 10 anni, di Napoli: «Io non posso immaginare la mia vita senza gli animali. Io li amo tutti, pure i vermi. Mia madre, invece, li odia e non vuole che in casa teniamo cani e gatti. E neppure il criceto. Io credo che mia mamma abbia paura degli animali, che possano attaccarle qualche brutta malattia o farle male e questo dipende da mia nonna che non può vedere neppure i giocattoli a forma di animale perché si mette paura. Per esempio, i serpenti o i ragni di plastica la fanno gridare. È esagerata e io penso che fa pure finta per farsi notare. Mio padre, invece, non ha paura però non dice niente a mia madre e a mia nonna. E così io e mia sorella dobbiamo vivere senza animali in casa e non possiamo accarezzare il morbido pelo della vita». LETIZIA, 11 anni, di Brescia: «Io ho un gatto che è geloso di me come se io fossi la sua fidanzata. Appena arrivo a casa da scuola, miagola e vuole che lo accarezzi a lungo. Si acciambella sul mio letto se sono in cameretta oppure sulla sedia e se sono in giro per casa mi segue passo passo. Quando una mia amica mi ha lasciato il suo gatto per una settimana perché andava in viaggio, Lollo, così si chiama il mio gatto, non solo ha soffiato a quel poveraccio e gli faceva continuamente agguati correndo da una parte all’altra delle stanze, ma gli ha impedito di mangiare e pure di dormire. Insomma, lo ha tormentato e quando finalmente è andato via, a Lollo sono caduti i peli a ciocche. La veterinaria ha detto che è stato per lo stress. Forse Lollo pensava che l’altro gatto, di nome Ruffino, sarebbe rimasto in casa nostra per sempre oppure si è sentito in pericolo perché temeva che l’altro potesse occupare non solo i suoi spazi ma anche le carezze e il cuore. Mi ha fatto molta tenerezza.
Perciò gli ho promesso: “Giuro, Lollo, che qui non verrà più nessun animale”. Forse è stata una combinazione ma Lollo, quando ho detto così, mi ha fatto una carezza sulla mano con la zampa». ELENA, 9 anni, di Livorno: «Io in casa ho un piccolo acquario con dentro una pesciolina. Lei quando le parlo attraverso l’acqua nuota da una parte all’altra della vasca come se facesse una danza. Io sono convinta che mi capisce e vuole tanto la mia attenzione. Si chiama Usha e io e la mamma le diamo da mangiare spesso ma poco per farla vivere più a lungo». OMAR, 11 anni, di Roma: «Mio nonno dice sempre che chi non ama gli animali non è affidabile. Forse perché non riesce a fidarsi di un essere vivente diverso da lui?». LINO, 8 anni, di Pescara: «Quando ho un dispiacere e sono triste o piango, il mio cane mi viene vicino e mi mette il muso sulle mani e mi lecca. Lo stesso fa con mia madre e con mio padre. Sembra proprio che capisca i nostri dolori o problemi e ci voglia portare aiuto e conforto. E si fa capire benissimo anche se non parla umano!». LIVIA, 13 anni, di Roma: «Io ho bisogno del cane per andare in giro. Il mio cane, che si chiama Lara, mi guida ma anche si lascia guidare. È una corrente speciale che passa tra noi. Io mi muovo e lei mi asseconda, favorendo il mio percorso e dove voglio andare. E non incontriamo ostacoli: io cammino come se non fossi ipovedente. Io amo il mio cane e lo sento come un prolungamento di me, i miei occhi sul mondo». LIDIA, 15 anni, di Brescia: «Lo scorso anno è morto mio fratello in un incidente stradale. Lui andava a cavallo e lo montava tutte le settimane. Così, il cavallo è stato male perché nessuno lo montava più. Allora, io ho deciso di iniziare a imparare e ora mi sembra che, quando monto a cavallo, il mio dolore viene curato e per un po’ sparisce. Più divento brava a cavalcare più sento che mi fa bene e che il cavallo mi cura perché imparo a governare le emozioni». GIUSEPPE, 12 anni, di Roma: «Mia madre e mio padre amano gli animali ma non volevano tenerli a casa perché sporcano. Allora io e
mia sorella abbiamo fatto tutto quello che potevamo per convincerli e, alla fine, ci siamo riusciti. Così, ora abbiamo un gattino e un cane. Però, il gatto è autonomo perché fa i suoi bisogni nella lettiera mentre il cane bisogna portarlo fuori due volte al giorno perché altrimenti sporca in casa. Ora è mia madre che si prende sempre cura di lui. Da una parte protesta e dice: “Se non ci fossi io, questo cane starebbe sempre chiuso e non potrebbe fare i suoi bisogni” e, dall’altra, invece, è diventata “appassionata” del cane e dei cani. E guai a chi glieli tocca! Dice: “Sono meglio delle persone! Il cane mi capisce, il cane mi obbedisce!”. Ha scoperto la canilità». ELENA, 13 anni, di Viterbo: «Quand’ero piccola avevo un cane che era piccolo anche lui e cresceva con me. Però, quando io ho avuto dodici anni, e Dick quindici, lui si è ammalato gravemente. L’abbiamo portato dal veterinario che ha detto che aveva un tumore all’intestino e bisognava sopprimerlo. Così ho capito alcune cose bruttissime: anzitutto che per gli animali gli anni si contano diversamente che per gli uomini. Ogni anno conta per due, per tre o per quattro. Dick era vecchio a quindici anni e, comunque, se si ammala un animale lo devi sopprimere mentre se sopprimi un essere umano gravemente ammalato è un delitto. Come dire che la vita degli animali vale meno di quella degli esseri umani perché loro non parlano e dipendono in tutto e per tutto dagli uomini. Dick è la prima morte vera che ho conosciuto nella mia vita e, ancora, non mi sono ripresa dal fatto che l’hanno soppresso. Perché questa ingiustizia?». ROSA, 7 anni, di Genova: «Quando è morto mio nonno, anche la sua cagnetta Nina si è ammalata e dopo poco è morta all’improvviso. Io penso che si sono dati appuntamento in cielo e che mio nonno è ora un angelo col cane». WALTER, 13 anni, Napoli: «A casa mia, se non ci fosse il cane, nessuno parlerebbe direttamente con l’altro! Cioè, i miei genitori fanno parlare il nostro piccolo cane Tommy come farebbe un ventriloquo con il suo burattino. Esempio? “Tommy,” dice mio padre “di’ alla tua padrona che la pasta è scotta.” “Tommy,” dice mia madre “di’ al tuo padrone che la prossima volta se la cuoce da solo!.” E così
via. Io quando devo comunicare con loro, parlo col cane e anche io dico: “Tommy, di’ al tuo padrone e alla tua padrona che ho preso un tre alla prova di matematica”. E così via».
AUTUNNO
LIBORIO, 7 anni, di Cosenza: «L’autunno è una stagione colorata di rosso. In Sila, gli alberi sono tutti rosati e le foglie prima di cadere sono fiammanti. È come se fosse tutto più bello prima che arrivi l’inverno. È come il tramonto prima della notte». VITO, 10 anni di Messina: «In autunno ci sono giornate meravigliose, calde al punto giusto, fresche di vento. Non fa più il caldo estivo e non fa ancora freddo. È un clima bellissimo. Dalle mie parti, si possono fare i bagni pure a ottobre. Però c’è la scuola e l’autunno significa tornare a scuola e studiare. Se la scuola fosse come la natura d’autunno, ci andrei anche la domenica». RITA, 8 anni, di Roma: «L’autunno è il saluto dell’estate». CRISTINA, 10 anni, di Torino: «Mio padre dice che esiste l’autunno e l’autunno sindacale, che è quando gli operai tornano dalle vacanze e debbono lottare per mantenere i loro posti di lavoro. È come se, durante la pausa, succedesse sempre qualcosa di negativo o di grave che mette alla prova chi poi torna dalle vacanze. Papà, però, dice anche che le brutte sorprese in autunno già si potevano prevedere perché lui fa il sindacalista e lo sa».
AVVENTURA
L’avventura, tanto per i bambini quanto per gli adulti, è un’occasione di rinnovamento e di divertimento in cui sperimentare il piacere della novità, la gioia di nuove esperienze, l’attrattiva esercitata dalle scoperte. GIULIO, 11 anni, di Ancona: «Per me è un’avventura ogni volta che arrivano le vacanze perché io e la mia famiglia saliamo in macchina e, con il camper dietro, cominciamo a viaggiare, fermandoci ogni tanto dove si può e soprattutto nei campeggi per i camper. Io e la mia famiglia, ovvero mia madre, mio padre, io, mia sorella e il nostro pappagallo Sandokan, andiamo all’avventura perché ci piace scoprire, lungo la strada, cose belle o brutte da vedere. Qualche volta diamo un passaggio agli autostoppisti. Pure loro vanno all’avventura per scoprire paesaggi e monumenti, però ci vanno a piedi. Forse, per risparmiare!». VINCENZA, 14 anni, di Napoli: «L’avventura più bella, per me, è quando con i miei genitori facciamo un viaggio in un posto nuovo che prima non ho mai visto. Soprattutto, se è un Paese straniero, dove parlano una lingua diversa e pensano in maniera particolare. Però, è bello anche quando vado con un gruppo di amici o compagni di classe in un posto da scoprire: vedi la gita scolastica in Italia o un viaggio di fine anno all’estero, prima degli esami. L’avventura, però, consiste nello scoprire la gente e verificare che, anche se sembrano diversi o speciali, tutte le costruzioni del mondo e tutte le persone portano la traccia dell’uomo e delle sue esperienze. Esperienze della vita e della morte, della gioia, del dolore, della spiritualità».
I genitori non dovrebbero reagire con ansia alle esplorazioni avventurose dei bambini, ma permettere loro di conoscere possibilità e limiti di tali esperienze. MAURO, 14 anni, di Vicenza riporta il pensiero del padre sull’avventura: «In televisione mandano una pubblicità che mi piace. È quella su una macchina da corsa e lo spot dice: “L’avventura è dentro di me. Benvenuta avventura!”. Ma l’avventura, dice mio padre, non è guidare una macchina da corsa ma affrontare con coraggio la vita. Che filosofo mio padre!». SILVIO, 11 anni, di Gallarate: «Quando mio nonno ha insistito per fare il pollaio nel giardino della nostra casa, mio padre ha detto che quella era un’avventura. Io, però, non ho capito di quale avventura si trattava fino a quando non ho visto che i muratori scavavano in giardino per fare il perimetro del pollaio, futura casa delle galline. E poi sono arrivati i falegnami. E poi hanno messo le reti. E poi hanno messo l’allarme. E poi hanno messo il terriccio speciale delle casette delle galline. In tutto sono passati due mesi e io e il mio cane non abbiamo potuto più giocare in giardino. Allora, ho capito cosa era un’avventura: una fatica lunga due mesi per avere, poi, uova fresche, pulcini, galline bollite e pollo arrosto! Io sono contro questi tipi di avventure perché di mezzo ci vanno gli animali, ovvero le galline, i polli e il mio cane!». La pratica di giochi “pericolosi” può essere, per i bambini, anche una modalità avventurosa per sfogare le tensioni accumulate a casa e fuori e per richiamare l’attenzione dei genitori, ahimé, anche rischiando. VITALIANO, 13 anni, di Roma: «Per me, l’avventura è fare le gare di skateboard con il mio amico Nadir! Il rischio è di potersi fare molto male perché corriamo sui marciapiedi affollati e anche sulle strade. Però, abbiamo il casco e io e il mio amico siamo molto bravi a evitare gli ostacoli, le macchine e altri impedimenti come, per esempio, gli scalini. Certo, è pericoloso e se lo raccontassi a casa mi impedirebbero di fare queste gare».
SAVERIO, 10 anni, di Legnano: «Mia madre ha paura che io e mio fratello facciamo “giochi pericolosi”. E, soprattutto, che usiamo corde e cinghie per giocare ai prigionieri. Io credo che lei ha paura che con le corde ci strozziamo ma noi non facciamo mica i giochi dell’impiccato! Noi facciamo solo giochi di avventura, soprattutto immaginando di essere cowboy con il lazo che catturano i bufali o gli indiani. Però, lei ha paura lo stesso! E mia sorella, allora, che salta con la corda? Non rischia anche lei di farsi male? Io credo di sì e penso anche che mia madre deve farsi una ragione del fatto che, a volte, per fare qualche gioco di avventura si corrono anche dei rischi e che, se non corri rischi, anche piccoli e calcolati, non impari a crescere». MATTEO, 10 anni, di Milano: «Le mie storie di avventure preferite sono quelle di Tintin, che è un ragazzo con un cane che scopre sempre i misteri e i delitti. Però, ci sono delle pagine che mi fanno proprio tensione e, allora, delle volte, per la paura dei rischi che corre Tintin, io smetto di leggere e aspetto che mi passi la paura. E, poi, ricomincio a leggere le sue avventure».
B
BELLEZZA BUGIE BULLI
BELLEZZA
ASSUNTA, 12 anni, di Roma: «Se vedo delle cose belle o delle belle persone mi sento meglio. È come se la bellezza curasse la tristezza. Però le persone belle devono esserlo fuori e dentro. Altrimenti il primo effetto passa e il resto diventa brutto. Per le cose è diverso. Restano belle perché l’anima gliela dà chi le guarda e dice: “Che bello!”». RACHELE, 8 anni, di Livorno: «Io sono grassa e mi dispiace perché questo non mi fa essere bella come la mia amica Kaori. Però lei non è simpatica mentre io faccio ridere tutti e spero sempre che così non si accorgano del grasso». GINEVRA, 9 anni, di Teramo: «Essere belle vuol dire essere alla moda? Allora mia madre è anche bella. E pure mia sorella». IVANA, 9 anni, di Milano: «La bellezza è una sensazione di luce». IVA, 12 anni, di Ancona: «Mia sorella Caterina dice che la bellezza dipende dalla magrezza, soprattutto delle gambe. E non mangia per essere magra e bella. Io penso che la sua è una fissazione e che la bellezza dipende da come ti senti con te stessa». ESTELLA, 13 anni, di Napoli: «Nei musei c’è tanta Bellezza come un concentrato. Ecco perché bisognerebbe sempre frequentare i musei come dice il prof di arte per respirare Bellezza, per avere negli occhi la Bellezza, per superare con quella Bellezza tutto il brutto e il male del mondo».
BUGIE
ESTER, 8 anni, di Roma: «Quando dico le bugie poi starnutisco. Le bugie mi fanno friccicare il naso». ANNA, 12 anni, di Torino: «Io dico spesso le bugie. Però è un modo di rendere gradevole la verità. Tante volte le cose sono così amare che un pizzico di bugia può aiutare. Per esempio, io dico spesso che mio padre ci porta sempre in barca, in gita, al mare, a sciare e al cinema. Ma mio padre neppure c’è. Neppure lo conosco bene. Io un padre è come se non ce l’ho. Questa verità non mi piace». CRISTINA, 10 anni, di Roma: «Mia madre dice spesso le bugie e però io non devo dirle. Ma lei esce con Carlo e dice che è al supermercato. Io lo so che lei dice bugie a papà. Però io non parlo. Non posso». IGOR, 11 anni, di Cosenza: «Mio padre è un bugiardo. Dice sempre: “Adesso andiamo via da qui e avremo una vita bellissima e le merendine e la PlayStation”. Invece non è vero. Lo fa per ingannare il tempo aspettando che io diventi grande per fare tutto da solo». LIVIA, 6 anni, di Roma: «I bugiardi hanno il naso che si allunga come Pinocchio. Però non si vede e però si ammala il cuore perché le bugie pesano troppo sul cuore». ALDO, 7 anni, di Roma: «Io quando dico le bugie, poi mi vergogno e mi pento. Allora vado e dico la verità. Però non mi credono. Che devo fare se dico troppo bene le bugie?». ASIM, 13 anni, di Livorno: «Dire qualche bugia capita, ma è peggio mentire sempre o quasi. Ci sono persone, e io le conosco perché sono pure a casa mia, che mentono e cioè vogliono che tu vedi la
realtà come la vedono loro mentre invece è diversa. Allora non è una bugia, allora è una follia».
BULLI
EVARISTO, 13 anni, di Roma: «Essere bulli fa fico perché tutti ti temono, ti danno pure le merendine e qualche soldo se lo chiedi. Fare il bullo, però, significa anche picchiare se serve e avere anche degli amici che ti sostengono. Altrimenti sei un capo senza banda che ti obbedisce o, se fai parte della banda e non sei il capo, devi fare quello che dice il capo, anche le cattiverie peggiori. Io credo che quelli di Gomorra hanno cominciato facendo i bulli». STEFANO, 13 anni, di Roma: «Io odio i bulli e in classe mia ce n’è uno, Filippo, e poi anche altri due, Andrea e Sandro, e una ragazzina, Sara, che lo rispettano e lo aiutano. Lui è il capo e sputa in classe, si prende la roba degli altri, tira calci, minaccia con un coltellino. Mi ha fatto sputare la merenda, si è preso la mia gomma da masticare e, poi, mi ha riso dietro perché non trovavo più le scatole dei compassi, che ha preso certamente lui. Io l’ho detto all’insegnante di lettere e al preside e a casa. I miei genitori sono anche intervenuti, gli insegnanti hanno promesso di controllare sempre e il preside ha chiamato i genitori di Filippo e degli altri. Ma in classe Filippo e gli altri, quando possono, continuano. Io allora mi sono iscritto in palestra a judo perché voglio diventare cintura nera. Così, dopo ci penso io a reagire se mi toccano. Intanto, però, devo pure trovare in classe amici e amiche che sono contro i bulli. Mi servono gli alleati come se fosse una guerra!». EMILIO, 12 anni, di Roma: «In classe noi abbiamo un ragazzo che disturba sempre e fa il bullo dicendo cattiverie di tutti, anche sul suo profilo Facebook. Non rispetta nessuno e dice male di tutti. Fa del cyberbullismo».
IVANO, 13 anni, di Livorno: «La cosa peggiore che può capitare è che per paura si accetta quello che il bullo o i bulli della classe o del quartiere vogliono imporre. Si diventa delle persone ricattate che non hanno più libertà per paura di venire picchiate o derubate o svergognate». EDOARDO, 14 anni, di Roma: «Bullismo è isolare in classe qualcuno e fare in modo che nessuno gli rivolga la parola o giochi con lui. Bullismo è pure offendere e prendere in giro chi ha un handicap fisico oppure ha problemi di ritardo o altri, come essere più piccoli, di nazionalità diversa o con un colore diverso della pelle. Insomma, essere intolleranti e razzisti contro chi è diverso. Bullismo è pure disturbare le lezioni; dire male della scuola, dei professori, dei compagni; non rispettare le regole che tutti rispettano; dire parolacce; portare in classe fotografie pornografiche oppure videogiochi terribili di violenza, di sesso, di morte. Bullismo è pure usare Internet per molestare e perseguitare persone difficili, fragili o in difficoltà. Bullo è uno che mette in scena quello che hanno fatto a lui; oppure quello che ha imparato o che ha visto fare a casa o nell’ambiente che ha frequentato. Un bullo è un vigliacco che fa finta di essere coraggioso spaventando gli altri con le sue crudeltà. Bisogna non spaventarsi di fronte ai bulli, bisogna denunciarli ai genitori e ai professori e se occorre anche alla polizia. E, poi, bisogna essere forti e preparati per dire “no” alle minacce. Bisogna avere coraggio e resistere». ALESSIO, 15 anni, di Roma: «Lo scorso anno, nella mia classe, si è inserito un ragazzino filippino di nome Domingo, già bocciato una volta. L’unico amico che aveva ero io. Gli altri lo prendevano in giro, lo ignoravano perché aveva la forfora sui capelli e non poteva fare ginnastica perché aveva un’unghia del piede incarnita da quando aveva sei o sette anni. Nel tempo, per farsi prendere in considerazione dagli altri, ha provato anche a fare il bullo dicendo parolacce e portando in classe il telefonino con fotografie pornografiche. Poi, si è fatto l’operazione al piede ed è mancato da scuola per più di un mese e mezzo ed è tornato soltanto l’ultimo giorno di scuola. Tutti dicevano che non si era fatto l’operazione ma
si era assentato per paura delle interrogazioni e degli insegnanti che gli mettevano brutti voti. Anche quest’anno è stato bocciato con otto debiti. Secondo me se Domingo non trova una persona di sua fiducia che tutti i giorni scolastici lo aiuta a concentrarsi, verrà bocciato ancora una volta».
C
CALCIO CAMBIAMENTO CANZONI CAREZZA CATASTROFE CIBO CORAGGIO CRISI CUORE
CALCIO
CLAUDIO, 15 anni, di Imola: «Io ogni giorno gioco a calcetto. Per fortuna c’è un campo di calcio in parrocchia. Mi scarica i nervi e mi fa venire una voglia bellissima di correre e di vivere fino a fare goal». ARTURO, 9 anni, di Roma: «Il tifo è contagioso e, poi, se in casa non sei d’accordo diventa un inferno. Per esempio, mio padre è laziale e mia madre è romanista e pure tutta la sua famiglia. Quando c’è il derby volano gli insulti pure tra i miei nonni. Per questo motivo io mi sono dedicato al tennis». VERONICA, 10 anni, di Milano: «Per fare tifo alle partite di calcio si dicono cose inumane e si fanno pure i delitti, si grida, si minaccia. Si scrivono striscioni con parolacce che si portano allo stadio per incitare la propria squadra a vincere a forza di insulti. E, poi, ci sono i cori razzisti contro i “mangiabanane” se in una squadra o nell’altra giocano dei giocatori di colore. È il contrario di essere sportivi. È uno spettacolo che fa male ai goal».
CAMBIAMENTO
Nei primi anni di vita, i bambini hanno più bisogno di routine che di cambiamento. Infatti, l’alternarsi di momenti che si ripetono uguali, giorno dopo giorno (svegliarsi sempre alla stessa ora, poi vestirsi, mangiare, giocare e addormentarsi, ancora, alla stessa ora) insegna al bambino a sapersi orientare nel tempo e nello spazio. È la ripetitività, dunque, che rende i rituali rassicuranti. In genere, i cambiamenti nella routine coincidono con i primi passi del bambino verso l’autonomia, ma devono avvenire in maniera graduale, perché nel bambino spesso si alternano il bisogno di sentirsi protetto e rassicurato e il desiderio di sperimentare il nuovo. Il più delle volte il bambino reagisce al cambiamento con la paura, a motivo del distacco dalle certezze della sua quotidianità o dalle figure adulte di riferimento. Ogni cambiamento piccolo o grande che il bambino sperimenta si accompagna, per questo, al bisogno di sentirsi rassicurato e contenuto. LAVINIA, 8 anni, di Roma: «Tutte le sere mia madre e mio padre ci raccontano la stessa fiaba. Non è che loro non ne conoscano altre, solo che io e mia sorella gli chiediamo sempre la stessa. Si tratta di Pollicino e se loro però si scordano una frase o un passaggio come lo hanno sempre raccontato, noi li correggiamo. Mia sorella, che ha sei anni, dice sempre: “Non dovete cambiare una parola!”. E io pure sono d’accordo». VALENTINO, 12 anni, di Milano: «Mio padre e mia madre vogliono cambiare casa e andare ad abitare dall’altra parte della città, vicino alla mia nonna che è rimasta vedova. Io, però, non voglio cambiare casa. Sto bene qui e nel quartiere conosco tutti. Poi, dovrei anche
cambiare scuola. E gli amici, e il calcetto? No! Io voglio restare senza cambiare e non è vero che sono un egoista come dice mio padre!». KAMAL, 11 anni, di Cosenza: «Quando cambia il tempo, io lo sento prima, come il mio gatto che si lecca la zampa e poi se la passa dietro l’orecchio. Io vorrei che il tempo non cambiasse mai e, anzi, fosse sempre primavera. Non mi piace la pioggia. I tuoni e i fulmini mi fanno paura e quando fa freddo e c’è la neve mi viene tristezza. Dovrebbe esserci sempre lo stesso tempo, invece di cambiare ogni giorno, e farmi cambiare, ogni volta, l’umore». IGOR, 12 anni, di Livorno: «Non mi piace quando i miei genitori cambiano i programmi che prima avevano deciso. Cambiare programma mi mette preoccupazione perché quando uno cambia programma all’improvviso non sai cosa aspettarti. Può essere una cosa bella e questo va bene perché sono curioso. Ma se non è bella?». LUISA, 12 anni, di Roma: «Io lo vedo che sto cambiando fisicamente e che sto crescendo. A parte che ero molto più carina da piccola, crescere vuol dire che divento sempre più grande e mi tocca fare le cose da grandi per non essere presa in giro. Quando ho avuto per la prima volta il mestruo mi sono spaventata anche se sapevo cos’era, ma non mi è piaciuto per niente e neppure la frase di mia nonna: “Adesso sei diventata grande e devi stare attenta”. E poi, io gioco ancora con le bamboline e ne faccio collezione. È normale, vero?». ELEONORA, 12 anni, di Perugia: «Mia madre, quando è arrabbiata, dice sempre: “Voglio cambiare vita!”. Ma, poi, non cambia niente. Io vorrei proprio vedere se quando cambia vita, lei veramente cambia e pure mio padre e io cambiamo. Chissà!». GIULIA, 14 anni, di Vittorio Veneto: «Bisogna cambiare perché i cambiamenti non li puoi evitare. Tutto cambia, cresci e arrivano nuovi amici perché vai alle scuole superiori, cambiano i gusti, le scelte, le responsabilità. Io ho fatto tanti cambiamenti, soprattutto
sono cambiata rispetto a mia madre e a mio padre. Ora li vedo umani, li considero persone, non come prima che dipendevo tanto da quello che dicevano o volevano loro. Mi sono un po’ distaccata».
CANZONI
ERNESTO, 11 anni, di Roma: «Ci sono canzoni per bambini e canzoni dei grandi cantate dai bambini. Io sono molto bravo a cantare quelle dei grandi e voglio andare a “Ti lascio una canzone” o da Gerry Scotti a “Io canto”. La canzone che so cantare meglio è Bella senz’anima. Mio padre e mia madre, invece, non vogliono che mi monto la testa con le canzoni, anche se canto bene e mi pagano la scuola di canto. Io non mi monto la testa però mi piace quando vedo l’allegria e, poi, il successo che c’è a cantare in televisione. Perché io no, allora, se è vero che canto bene?». ALESSANDRA, 11 anni, di Verona: «Io e i miei genitori e mia sorella cantiamo insieme quando andiamo in macchina in viaggio. Siamo un bel coro. Però, quando mi accompagnano a scuola la mattina, mia madre o mio padre non vogliono cantare. Non sono allegri, per questo non cantano. Invece bisognerebbe cantare ogni mattina e durante il giorno. È una buona medicina per vivere». ANITA, 9 anni, di Messina: «Ognuno nella vita ha una canzone che porta dentro tanti ricordi e allora si diventa romantici. Io non ho questa canzone ancora. Ne sento e ne canto tante. Mi piace il rap e i rapper come Fabri Fibra. Aspetto di innamorarmi come nei film e avere una canzone d’amore che diventa “la nostra canzone”».
CAREZZA
Le carezze cervello.
fanno
crescere
il
ARTHUR JANOV
ANGELO, 8 anni, di Trieste: «Quando mia madre mi carezza io mi sento al sicuro da qualunque guaio, male, problema del mondo. Mi sento protetto dal suo amore che si fa sentire».
CATASTROFE
CIRO, 9 anni, di Roma: «Ho letto su Internet che il tifone Haiyan che ha distrutto le Filippine è il più potente tifone della storia umana. Come avranno fatto a saperlo? Però, deve essere così perché il nostro cameriere filippino, Domingo, ha pianto tanto. Dice che è vero e che anche la sua casa è andata distrutta a Tacloban e alcuni suoi parenti stretti sono morti. Le catastrofi portano tanto dolore anche a chi vive lontano dalle catastrofi». YURI, 12 anni, di Cremona: «Quando accadono le catastrofi, per esempio i terremoti, i maremoti, le alluvioni, i tifoni come il tifone Yolanda, l’ultimo che è stato veramente terribile, le persone che sono colpite direttamente sembrano degli zombi che si aggirano tra le macerie, in cerca di vivi, di morti o di cose perdute. Io, alla televisione, ho visto che succede proprio questo a chi ci sta dentro, mentre a chi lo vede da fuori, come me che guardo la TV , tutto sembra un film terribile ma non così vero». ELIO, 13 anni, di Firenze: «Ci sono catastrofi che non si possono proprio evitare e le fa la natura: il mare, il cielo e la terra che si ribellano a ogni armonia. E piove e straripano i fiumi e trema la terra e si apre ed eruttano i vulcani e i venti soffiano a trecento all’ora. Poi ci sono le catastrofi che fanno gli uomini, distruggendo l’ambiente con i rifiuti tossici, con il disboscamento, con gli incendi, con gli esperimenti atomici e con le costruzioni proibite. Queste catastrofi sono anche evitabili, anzi si possono proprio evitare! E, infine, ci sono catastrofi “personali”. Alcune di queste catastrofi riguardano le famiglie, come i divorzi (e si possono evitare!), altre non si possono evitare, ma soltanto prevenire, come i tumori».
EUGENIO, 11 anni, di Pisa, fa distinzione tra “catastrofi piccole” e “catastrofi grandi”: «Per esempio, per i miei genitori è una catastrofe piccola se si separano e una catastrofe grande quando vado male a scuola. Hanno invertito le catastrofi!».
CIBO
GUSTAVO, 9 anni, di Pordenone: «Mi piacerebbe mangiare davanti alla televisione e in camera mia sia a pranzo che a cena. Ma i miei genitori non me lo permettono. E, anzi, a pranzo e a cena, la televisione è chiusa e noi tre stiamo tutti insieme a mangiare in sala da pranzo. Questo perché mia madre e mio padre dicono che il pranzo e la cena sono i riti di famiglia». ELVIRA, 10 anni, di Livorno: «A scuola, a ricreazione, mangiamo tutti insieme. A me piace quando, con le mie compagne, ci scambiamo il cibo: le merendine, i panini, i cracker, la frutta. È una cosa molto affettuosa e ci fa sentire amiche intime». ENRICA, 10 anni, di Tortona: «Il cibo è necessario perché se non mangi muori. Però, se non sei proprio povero o stai bene a soldi, puoi scegliere che cibo mangiare: io preferisco mangiare soprattutto la pasta, la pizza e le torte al cioccolato. Del resto potrei anche farne a meno ma mia madre, invece, vuole che mangiamo a casa la carne, le verdure, la frutta, il riso e il latte ogni mattina. Dice che questo è “mangiare bene”. Ha ragione, ma le cose che piacciono a me sono più buone e hanno più sapore». FRANCESCO, 8 anni, di Roma: «Penso a tutti i bambini che nel mondo hanno fame. Come fanno a resistere che io quando ho fame mando giù anche la minestra di verdure?». ENRICO, 9 anni, di Parma: «Mio nonno e mia nonna non vogliono che buttiamo il pane o che lasciamo il cibo nei piatti. Dicono che è uno spreco buttare via il ben di Dio. Mia nonna, se andiamo al ristorante, si fa pure fare un pacchettino se resta qualcosa che non abbiamo mangiato. Dice: “Lo prendo per il nostro cane”. Ma noi non
abbiamo il cane e io e mia sorella un po’ ci vergogniamo anche se il principio è giusto». VERDIANA, 12 anni, di Napoli: «Io sono vegetariana perché a casa mia nessuno mangia più la carne e io pure sono contenta perché è vero che non si possono mangiare i cadaveri delle galline, degli agnelli e delle mucche. Mio padre dice che non possiamo essere mangiatori di cadaveri e perciò mangiamo ceci, lenticchie, fagioli e farro. Insomma, tutti legumi, tutte piante. Le piante non hanno occhi vivi come gli animali perché forse protesterebbero pure loro. E allora cosa ci rimarrebbe da mangiare? Solo latte, formaggio, uova, frutta e castagne. E i pesci, poi? Non parliamo dei pesci! Loro gli occhi vivi ce li hanno e guardano pure loro e sono vivi e quando li peschi muoiono asfissiati perché fuori dall’acqua non respirano. È brutto vedere i pesci che muoiono. E brutta la morte per cibo». Il cibo è il ponte primario con la vita, quella traccia odorifica che il neonato segue istintivamente per suggere il seno materno. Ma il cibo è anche il veicolo attraverso il quale comunicare gelosie, malesseri o disagi, che si tratti di abbuffarsi o di digiunare. ALDO, 11 anni, di Matera: «Quando è nato mio fratello Giacomo, io avevo quattro anni e la mia mamma racconta sempre che ero così geloso del fatto che lei lo allattava che volevo essere allattato pure io. Io, però, non mi ricordo questa cosa anche se, quando vedo una mamma che allatta al seno un bambino, mi viene sempre commozione e, poi, mi vergogno». ELENA, 9 anni, di Pordenone: «Io a volte mi riempio di cibo quando sono arrabbiata. Allora mangio tanto e di tutto. E così ingrasso. Devo trovare un altro modo per sfogare la rabbia!». ALICE, 13 anni, di Vicenza: «Io non ho fame! Faccio tanta fatica a mangiare. Mi capita da quando ero piccola piccola e mamma dice che non volevo neppure prendere il suo latte perché ero nata prematura e mi hanno tenuta nell’incubatrice. Forse è per quello. Ho cominciato troppo presto a non assaporare!».
VINCENZA, 13 anni, di Cosenza: «Chi ha problemi con il cibo ha pure tanti altri problemi. Di sicuro!».
CORAGGIO
ERMANNO, 12 anni, di Roma: «Coraggio è dire quello che pensi agli amici, ai nonni, alle persone e anche a mamma e papà, senza sentire la paura della verità». MANUELA, 8 anni, di Lecce: «Coraggio è non tremare se hai fatto un guaio e prenderti le sgridate e non dire “Non è vero” se è vero». VIRGINIA, 10 anni, di Livorno: «Coraggio è prendere i voti brutti e portare le note delle maestre ai genitori». SALEM, 11 anni, di Milano: «Coraggio è affermare le proprie idee e difenderle». Il coraggio è la capacità di trasformare in forza la nostra debolezza, di sconfiggere le nostre paure che – parafrasando Rilke – altro non sono che possenti draghi a guardia dei nostri più profondi tesori. Per LAVINIA, 11 anni, di Torino, il coraggio è «non abbassare lo sguardo, guardare dritto negli occhi degli altri come i veri eroi» e per DAVIDE, 13 anni, di Mazara del Vallo, «è la capacità di fare delle scelte e trovare soluzioni ai problemi con responsabilità». Per lui, i veri eroi sono Falcone e Borsellino: «Noi a Mazara abbiamo anche il Museo della Legalità dentro una palazzina tolta alla mafia. Ci sono esposti tanti testi scritti dai ragazzi e disegni e opere creative per dire “no” ai malavitosi e “sì” alla legge. Ci vuole tutto il coraggio possibile per essere coraggiosi come sono stati loro». Per gli adulti, infine – genitori, insegnanti e formatori – il coraggio dovrebbe essere, per prima cosa, la libertà di educare e di crescere se stessi per continuare a educare e crescere bambini, preadolescenti e adolescenti. In famiglia, a scuola e nel sociale.
CRISI
ALESSANDRO, 13 anni, di Roma: «La crisi è un momento brutto da superare. Però se passa tanto tempo e la crisi c’è sempre, allora vuol dire che la tua vita è tutta una crisi da superare e che non si sa se la superi. E bisogna cambiare!». IVANA, 14 anni, di Vittorio Veneto: «Quando vado in crisi mi sembra che tutto mi crolli addosso. Le cose che prima funzionavano sembrano non funzionare più. Poi, però, mi riprendo perché mi sfogo e piango. E, allora, ricomincio ma faccio pulizia di quello che non va. La crisi è un’occasione per rimettere ordine».
CUORE
ELISABETTA, 8 anni, di Matera: «Io disegno sempre cuori su ogni pagina del mio diario. Vuol dire che provo amore sempre e vuol dire anche che mi sono abituata a fare i cuori perché è un disegno facile e dice tutto».
D
DESIDERI DEI BAMBINI DIO DIRITTI (I) DIRITTI (II) DOLORE
DESIDERI DEI BAMBINI
Dateci amore. Concepiteci per amore, chiamateci alla vita per il desiderio di esprimere la vita. Solo l’amore consente, infatti, di crescere provando l’amore per la vita, per gli altri, per gli animali, per il sapere, per le regole e per il rispetto. Dateci attenzione. Il vostro tempo e non le vostre ricchezze sono i beni più preziosi. La vostra presenza, la vostra cura: nessun regalo, per quanto prezioso, nessuna baby-sitter può sostituire il bene prezioso e unico della vostra presenza. Rispettate i nostri tempi. Consentiteci di crescere rispettando i “nostri tempi” senza forzarci, senza obbligarci a fare passaggi che non rispettano il nostro sviluppo psicofisico, la nostra competenza emotiva, il nostro cuore. Rimanete al nostro fianco nei passaggi della vita. Fateci sentire la vostra compagnia, il vostro sostegno, la vostra presenza. Non negateci il vostro affetto e, anzi, fateci sentire che è incondizionato. Abbiamo bisogno di esplorare la vita e, inizialmente, dovete essere al nostro fianco. Consentiteci di sbagliare senza giudicarci, senza dare voti, senza emettere sentenze, perché sbagliare fa parte dell’esperienza della vita. Dateci la vostra guida. Se voi ci guidate, lungo la strada della vita, vi seguiremo, faremo come voi, impareremo ad andare, ad affrontare le salite, le scalate, a evitare i burroni, a esplorare le grotte, a trovare i luoghi giusti dove riposare. Se voi ci guidate, impareremo a marciare e, nel tempo, diventeremo anche noi delle guide.
Dateci regole chiare, limiti ben precisi. Poche e chiare regole comprensibili alla mente e al cuore. Regole che aiutino a trovare la strada dei comportamenti sereni. Regole che voi stessi rispettate. Siate affidabili e non tradite mai le promesse che ci fate. Mostrateci l’amore che provate. Mostrateci anche l’amore che provate per noi. Abbiamo bisogno di coccole. Perché, come dice Arthur Janov: “Le coccole fanno maturare il cervello”. (Klaus Dieter Kaul, Onora il figlio e la figlia)
DIO
CLAUDIO, 8 anni, di Genova: «Dio è un signore anziano con una poltrona e una TV che guarda tutti i peccati del mondo». JACOPO, 8 anni, di Genova: «Dio è buono: ha fatto gli uomini per tenergli compagnia». PIERLUIGI, 10 anni, di Torino: «Dio non mi piace: è cattivo come mio padre, sta sempre lì a guardare se uno sbaglia oppure no, per punirlo e mandarlo all’inferno e mi fa sempre sentire in colpa». ROSSANA, 11 anni, di Milano: «Se Dio può tutto perché permette che gli uomini soffrano?». IVANO, 6 anni, di Roma: «Ma se Dio è dappertutto, perché tutti lo cercano in chiesa?». GIULIO, 9 anni, di Verona: «Dio è prima del tempo e dello spazio. Come avrà fatto?». TULLIA, 8 anni, di Roma: «Ho sognato che andavo in paradiso e Dio mi ha messo un timbro in fronte con scritto “Paradiso”. Dopo sono andata a fare l’Angelo Custode di mia madre». COSIMO, 9 anni, di Firenze: «A Dio puoi chiedere tutto e se vuole risponde. Se non vuole fa finta che non ha sentito o che era troppo impegnato con il mondo». EMMA, 8 anni, di Padova: «Dio è invisibile ma c’è perché fa pure tanti miracoli che si vedono e, soprattutto, ci ha dato l’anima che non muore mai. Anche l’anima è invisibile ma si sente. Io la sento». Per UGO, 8 anni, di Genova, la Trinità è «Dio spartito in tre con Gesù e lo Spirito Santo. Ma sono sempre uno e non si lasciano mai.
E hanno un potere che vale per tre. Sono fortissimi!». ELISABETTA, 8 anni, di Roma: «Dio ha detto a Maria: “Avrai Gesù” e ha detto a Giuseppe: “Proteggi Gesù e Maria”. Così è nata la Sacra Famiglia». ALVISE, 10 anni, di Pordenone: «Dio, quando ha mandato Gesù sulla Terra, è stato molto coraggioso perché un padre che manda a morire un figlio, soffre! Come quando i padri e le madri sulla Terra mandano i figli in guerra, dove la guerra c’è». Se fossi Dio… EMANUELE, 12 anni, di Roma: «Se fossi Dio, farei il clima di tutto il mondo con temperatura 24 gradi. Né caldo né freddo. Le persone starebbero tutte subito meglio. Non ci sarebbero deserti e neppure ghiacciai perché io, da Dio, metterei tutta l’acqua dei ghiacciai a irrigare i deserti e le zone brulle e senz’acqua. La gente avrebbe sempre bene e allegria nel cuore, sarebbe più sorridente e avrebbe meno voglia di combattere guerre disperate. Infatti, con un bel clima ti viene voglia di fare pace, picnic, pausa». LIBERO, 10 anni, di Messina: «Se fossi Dio, eliminerei la morte subito. E poiché non muore più nessuno, troverei il modo di far viaggiare la gente nell’universo per trovare altri pianeti da popolare. Infatti, se elimini la morte la popolazione aumenta, perché non muore mai più nessuno. Se elimini la morte, nessuno ha più paura di niente e tutti cominciano ad avere più gentilezza per gli altri e se fanno un torto poi hanno per sempre tutto il tempo per recuperare. Del resto, Dio questo lo aveva già fatto perché aveva creato Adamo ed Eva immortali…». VITALIANO, 13 anni, di Roma: «Se fossi Dio, eliminerei le guerre anche se ci sono gli estremisti che ancora oggi combattono le guerre in nome di Dio». VERONICA, 12 anni, di Vittorio Veneto: «Se fossi Dio, eliminerei le malattie e ogni tipo di handicap per far partire tutti con le stesse
possibilità. Anche i problemi mentali eliminerei, perché ragionare male o avere la depressione come mia madre impedisce di vivere sereni e distrugge ogni speranza».
DIRITTI (I)
Un bambino / una bambina hanno diritto: a) a non essere sfruttati attraverso il lavoro quotidiano ovvero costretti a lavorare in casa o fuori; b) a non essere abusati sessualmente o coinvolti in pratiche di pedopornografia o di prostituzione minorile, anche al fine di sfruttamento; c) a non essere picchiati a motivo di correzione; d) a non essere arruolati per combattere in conflitti armati o in corpi speciali; e) a non essere coinvolti nel traffico di persone o ridotti in schiavitù o venduti per adozione; f) a non essere mutilati o uccisi perché coinvolti nel traffico di organi; g) a non essere incarcerati e, soprattutto, a non essere incarcerati con adulti; h) a non essere discriminati perché figli di madri celibi; i) a non essere discriminati perché appartenenti a famiglie monoparentali; l) a non essere discriminati perché appartenenti a famiglie omoparentali; m) a non essere discriminati relativamente all’etnia o alla cultura di appartenenza; n) a non essere discriminati per motivi religiosi; o) a non essere discriminati per il colore della pelle; p) a non essere discriminati perché diversabili; q) a non essere abbandonati alla nascita; r) a non essere usati come scudi umani durante le guerre; s) a non essere rapiti;
t) a non essere torturati; u) a non essere costretti a mendicare; v) a non essere sfruttati per le proprie capacità creative, inventive, rappresentative; z) a essere amati, ascoltati, rispettati, educati, liberi.
DIRITTI (II)
1 Tutti i bambini hanno gli stessi diritti. Nessun bambino può essere svantaggiato. 2 I bambini hanno diritto a una vita sana e a un ambiente amorevole e di essere protetti dal disagio. 3 I bambini hanno diritto a imparare e ad avere accesso a un’istruzione che corrisponde ai loro bisogni e alle loro capacità. 4 I bambini hanno diritto a giocare, a rilassarsi e a esprimersi attraverso l’arte. 5 I bambini hanno diritto a far sentire la loro voce in tutte le questioni che li riguardano e a dire ciò che pensano. 6 I bambini hanno diritto a essere protetti dalla violenza, dai maltrattamenti e dallo sfruttamento. 7 I bambini hanno diritto a ottenere tutte le informazioni di cui hanno bisogno e a esprimersi liberamente. 8
I bambini hanno diritto a essere rispettati nella loro propria vita privata e nella loro dignità. 9 I bambini hanno diritto a ricevere protezione speciale nelle zone di guerra e durante la fuga. 10 I bambini disabili hanno diritto alle cure particolari. (Gertrude Brinek, Young People and their Rights)
DOLORE
Se tutti devono soffrire per comprare con la sofferenza l’armonia eterna, che c’entrano qui i bambini? FËDOR DOSTOEVSKIJ , I fratelli Karamazov
MARIA LUISA, 12 anni, di Firenze racconta: «La mia compagna di banco Erica ha la leucemia e deve rimanere in ospedale per curarsi. Noi andiamo a visitarla ma quando ci vede, seppure contenta, un poco ci soffre perché non può stare ancora ogni giorno con noi a scuola. Io penso pure che si sente diversa e che noi, senza volerlo, aggiungiamo dolore al suo dolore. Ma se non andiamo a trovarla non è peggio? Non si sentirebbe abbandonata? Maledetta leucemia!». ENRICO, 9 anni, di Mestre confessa: «Io ho più paura del dolore che provo quando sono solo che quando sono ammalato. Quando mia madre parte, quando mio padre non c’è, se ho paura che non tornano è peggio del dolore fisico». GERARDO, 9 anni, di Roma: «Quando i miei parenti vengono a trovarmi in ospedale, mi dà fastidio perché si vede che sono preoccupati e mia madre cambia e si agita. Lei è sempre con me, così, quando soffro, aspetto sempre che lei stia fuori dalla stanza per piangere o fare le smorfie o urlare. Non voglio che provi dolore di più a vedere che sto tanto male. Il dolore è più forte se gli altri ti stanno a guardare e pare che soffrono più di te che stai già tanto male!».
E
ESCORT ESORCISTA ESTATE EXTENSION
ESCORT
MARIA TERESA, 10 anni, di Roma: «Mia madre mi ha detto che “escort” è una brutta parola rivolta a quelle ragazze che, invece di studiare e lavorare con impegno e fatica, scelgono la strada più facile per arrivare alla ricchezza e al successo. Ma se è solo la strada più facile, allora sono soltanto furbe! Se, invece, è una parola brutta da dire alle ragazze, significa che c’è dell’altro che mia madre non vuole dirmi. E mio padre ride!».
ESORCISTA
NICOLA, 13 anni, di Milano: «Quando avevo sei anni ho visto alla televisione un film su un esorcista. C’era una ragazza che cambiava voce e faceva una voce come da orco, da demonio e poi vomitava fiumi di roba verde e schiumosa e poi si arrampicava sui muri e saltava sul letto. Io non ho dormito per settimane e per tanti mesi e per anni ho continuato ad avere incubi terribili dove questa ragazzina mi inseguiva vomitando e facendo grandi salti. Io non capisco perché fanno film come questi di paura e di demonio. Sono film malati che se li vedono i bambini rimangono “esorcizzati”. Eppure io avevo la curiosità di vedere questo film vietato e pure i miei amici l’hanno visto tutti e tutti hanno paura anche dopo anni. È come se le paure uno se le va a cercare perché prova delle cose fortissime che vorrebbe non provare e vuole imparare a sfidarle. Come le sfide con i genitori. Però i miei genitori non mi hanno impedito di vedere questo film perché non lo sapevano e poi avevo la TV in camera».
ESTATE
VALENTINA, 9 anni, di Roma: «L’estate è una stagione color oro dove ci si sente più caldi e più liberi. Più caldi per via del clima e più liberi per via del fatto che i vestiti sono leggeri, corti e trasparenti. Io, d’estate, mi sento pure sollevata per via che la scuola non c’è e vado al centro estivo dove si sta come a scuola ma senza compiti e ci portano pure in piscina. Ogni stagione dovrebbe essere come l’estate perché i genitori lavorano meno e si va in vacanza. Se, invece, stai in città, vai al centro estivo che è come dovrebbe essere la scuola anche d’inverno. Allora sì che io andrei a scuola volentieri! Mia madre, però, dice che i miei sono sogni di mezza estate. E l’altra mezza è che devo fare i compiti per quando si torna a scuola a settembre!». YURI, 6 anni, di Viterbo: «D’estate, io combatto con le formiche perché ci invadono la casa e mia madre si dispera». GIORDANA, 8 anni, di Roma: «In estate, io vado al paese dei miei nonni e sono così felice e sto così bene che, poi, non vorrei tornare a casa mia, perché a casa mia non c’è il giardino, a casa mia non si può stare con gli animali, a casa mia non posso stare fuori casa come al paese, che torno quando mi pare. Io vorrei vivere al paese con i nonni, pure d’inverno, e vedere i miei genitori quando vengono in vacanza d’estate. Quando l’ho detto, mia madre si è offesa e mio padre mi ha dato uno schiaffo. Io, però, la penso sempre uguale e i miei nonni pure». GIORGIA, 6 anni, di Roma: «D’estate, mi piace bere acqua fresca e i gelati e i sapori sono leggeri».
EXTENSION
VERA, 12 anni, di Roma: «Mia madre fa la parrucchiera, però non vuole farmi le extension. Dice che sono troppo piccola per portarle ma io, invece, a scuola ho delle amiche che ce l’hanno e sono di gran moda e hanno una testa con i capelli lunghissimi e le treccette. Perché mia madre che sta tutti i giorni con le mani nei capelli degli altri non mi accontenta? Devo andare da un’altra parrucchiera?».
F
FAMIGLIA FEDE FEDELTÀ FELICITÀ FESTA FIABE FIDUCIA FIGURINE
FAMIGLIA
LORENZO, 13 anni, di Roma: «Esistono vari tipi di nuove famiglie che sono diverse da quelle con i genitori sposati che poi hanno fatto i figli e sono rimasti insieme. C’è la famiglia “allargata” che vuol dire che i genitori si sono separati e poi risposati con altre persone, con buona pace dei figli. Sono famiglie complicate perché i figli tra loro si chiamano fratellastri e sorellastre e ci sono, come nelle fiabe, patrigni e matrigne. Poi, c’è la famiglia con un figlio o i figli e un genitore solo perché l’altro o se ne è andato e ha abbandonato o proprio non c’è perché non lo vogliono. Poi, c’è la famiglia arcobaleno con uomo più uomo o donna più donna che fanno da papà e mamma ma sono dello stesso sesso. Poi, c’è la famiglia che adotta i bambini e quella che glieli affidano perché la famiglia di quei bambini non può tenerli bene. E, infine, ci sono le famiglie miste: padre straniero, magari di colore, e moglie italiana. E viceversa. Ecco, mi pare di aver detto tutto. No, anzi, non ho scritto le famiglie “criminali” perché quelle ci sono da sempre e fanno molto male alla crescita dei bambini, che da grandi o scappano via per stare lontano dai genitori cattivi o diventano criminali come loro». MICOL, 10 anni, di Roma: «Qualche volta penso che mi piacerebbe essere adottata da un’altra famiglia dove si ride di più e dove si spiegano le cose». VIVIANA, 11 anni, di Torino: «A volte penso se mi hanno adottata, ma poi dico che è impossibile: ho le foto di quando sono nata e poi sono identica a papà, stessi occhi, stessi capelli. Mio fratello è identico a me. Da piccola, l’ho visto nascere. Io sono sicura di essere figlia loro, ma mi chiedo se fossi adottiva come sarei e cosa vorrei. Vorrei sapere chi sono i miei genitori e perché mi hanno
abbandonata, e perché se mi hanno fatto mi hanno abbandonata, ma non lascerei i miei genitori adottivi perché sono loro che mi hanno preso e amata come una figlia. Io conosco un bambino adottato, Luigino, però lo vedo solo d’estate quando vado in vacanza. Quando non sapevo che era un figlio adottivo, ero tranquilla. Adesso, quando gioco con lui, mi sento triste, e poi ha una mamma adottiva così strana, cattiva, che non lo lascia libero un secondo. A volte lo guardo e spero sia felice». VITO, 8 anni, di Bari: «I genitori non li puoi scegliere e perciò ti capita di tutto. Io sono stato fortunato ma il mio compagno di banco Nicola no, perché mi ha detto che suo padre sta in galera e sua madre sta sempre fuori la sera». FABIANA, 8 anni, di Roma: «A casa mia, secondo me, gli farebbe bene di prendere le botte a tutti perché quelli capiscono solo le botte. È una famiglia tutta da menare». ARLETTA, 13 anni, di Roma: «La mia famiglia è bellissima e a casa mia si vive veramente bene. Sarà perché papà e mamma non litigano mai e poi si danno sempre il bacio quando si incontrano. E baciano e carezzano sempre pure noi. Alla mattina, papà ci porta a scuola e all’uscita ci viene a prendere mamma. Le domeniche le passiamo sempre insieme. Si va a messa, si mangia fuori e, poi, si va al cinema. Quando, però, io ho una festa o un invito, mi lasciano andare con i miei amici o con i compagni di scuola perché io sono la più grande».
FEDE
La fede è fiducia. È credere. E di questo i bambini hanno bisogno per affrontare sia il mondo reale sia quello dell’immaginario, così importanti nella vita psicoemotiva dei più piccoli. Credere, infatti, in un mondo che è invisibile, che è racconto dell’anima collettiva, per simboli, percorsi e protocolli, è uno dei bisogni che animano la spiritualità di ciascun essere umano, a partire dalla sua infanzia. I bambini hanno bisogno di credere per accettare di crescere, per affrontare l’estremo, il meraviglioso, l’invisibile, l’impossibile, il miracoloso, l’insondabile, il mistero. L’inizio, il percorso della vita e soprattutto i distacchi. E anzitutto la morte. E ancora, e infine, “quel” che succede dopo la morte come continuità, nel pensiero e nel ricordo di chi è passato dall’altra parte e nell’attesa di ricongiungersi. Ogni bambino, così, è Messia e messaggero. Ogni bambino, così, è voce stessa della fede. «Gesù» scriveva Maria Montessori «sentiva nei bambini qualcosa che gli adulti non percepivano duemila anni fa e non percepiscono neanche oggi. E il Vangelo dice chiaramente che molti misteri saranno rivelati ai fanciulli. Essi hanno una personalità differente dalla nostra e sono vivi in essi impulsi spirituali che talvolta nell’adulto sono atrofizzati.» SILVANO, 8 anni, di Livorno: «Io credo e ho fede. Dico sempre le Ave Marie e prego gli angeli perché penso che sono sempre pronti a darci una mano. Per esempio, il mio angelo custode ha guarito la mia cagnetta Gigina quando l’ho pregato. Come ho fatto a sapere che è stato l’angelo? Ho trovato una piuma sulla groppa di Gigina la mattina che l’ha guarita. L’ha lasciata certamente Lui!». EDOARDO, 9 anni, di Napoli: «Io ho fede perché credo che ci stia il Paradiso dopo la morte. E ho fede perché penso che ci stia pure
l’Inferno dopo la morte. Il Paradiso me lo immagino all’aperto, con tanta luce e tutti che passeggiano, giocano, si abbracciano, si ritrovano. E, poi, chiacchierano e chiacchierano perché devono raccontarsi l’uno all’altro la vita loro. L’Inferno invece è al buio, fa freddo e soprattutto non si può parlare. Come quando a scuola c’è il compito in classe oppure come quando, a casa, i genitori litigano, si dicono le male parole e si danno anche le mazzate. Io non so se all’Inferno i diavoli danno pure le mazzate. Spero di sì perché i cattivi se le meritano. Ma soprattutto è il silenzio, è che non possono parlare la pena maggiore». ERNESTO, 9 anni, di Genova: «La fede o ce l’hai o non ce l’hai. Mia madre ce l’ha, mio padre no. Io invece dubito sempre. Però, poi, alla fine, mi fido dell’invisibile». LILIANA, 7 anni, di Crotone: «Io credo molto nella Madonna, che l’ha pure vista Bernadette e pure tante persone a Medjugorje. Ma io ci credo pure se non l’ho vista, perché sento una voce dentro di me che dice: “È vero, è vero”. E questa è la voce della fede». ROSSELLA, 10 anni, di Taranto: «Io voglio bene per fede a Padre Pio e ho letto pure la sua storia e mi colpisce che lui si sbilocava, ovvero andava in due posti contemporaneamente: era qui e pure lì, da un’altra parte». MARTINA, 12 anni, di Vigevano: «Io credo che la fede aiuta le persone a non avere paura che il senso della vita sia tutto lì, nella vita che passa. Chi ha fede non ha paura neppure di morire perché si fida di quello che la Chiesa ha promesso ovvero, come dice pure Gesù, che la vita è eterna». ARIANNA, 10 anni, di Milano: «Avere fede significa sentirsi così religiosi che credi anche ai misteri inspiegabili. Don Guido ci ha spiegato che per fare questo bisogna essere come i bambini. Io sono una bambina eppure faccio fatica a credere ai misteri, a meno che non ci danno una spiegazione dopo la morte. Infatti, mio nonno che è morto l’altro anno diceva sempre che lui era contento quando
andava nell’aldilà perché così gli spiegavano tutto quello che nella vita religiosa non aveva capito, ovvero i misteri della fede». LAURA, 9 anni, di Roma: «Chi ha fede è perché è fedele a Dio». GIUSTINO, 10 anni, di Vibo Valentia: «Senza fede si vive male perché non c’è speranza e, soprattutto, non c’è meraviglia. Perché i santi, Dio, Gesù e la Madonna sono tutti così speciali, misteriosi e miracolosi che la fede ti abitua alla meraviglia». RATI, 9 anni, di Bari: «Io ho una fede “speciale” perché mio nonno dice che è tutta mia. Io credo che al mondo, da che è nato il mondo, siamo sempre gli stessi e ci diamo il turno a nascere e a morire. Passiamo dal cielo alla terra e viceversa ma siamo sempre gli stessi anche se cambiamo di posto, di famiglia, di colore della pelle, di usi e costumi». GINEVRA, 11 anni, di Potenza: «Chi ha fede è sempre in vantaggio su chi non ce l’ha. Ha una speranza in più».
FEDELTÀ
EDOARDO, 13 anni, di Roma: «Per me la fedeltà è il valore dei valori. Bisogna essere fedeli anzitutto a se stessi, alle cose che si credono e si pensano, alle persone e alle idee che formano il nostro mondo. Senza fedeltà non c’è continuità perché essere fedeli è un modo di vivere la famiglia, le amicizie, il lavoro, la società che dura nel tempo e si estende e dà forza a ciò che è importante. Chi è fedele è leale. Chi è leale non tradisce. Chi non tradisce ti dà sicurezza ed è onesto e generoso».
FELICITÀ
C’è una bellissima frase di Pericle sulla felicità: «Il segreto della felicità è la libertà. Il segreto della libertà è il coraggio». E il vero coraggio, aggiungerei, è nella scelta di ciò che si vuole fare e nell’assumersi la responsabilità di ciò che si è fatto o si farà. I bambini lo sanno e sanno quanto sia difficile e facile, al contempo, ritagliarsi momenti di assoluta felicità. SABRINA, poetessa 12enne di Bologna: «La felicità è una gondola d’oro sospesa tra il cuore di luce e il cuore d’ombra degli uomini». GIULIO, 8 anni, di Roma: «La felicità è essere liberi di giocare». GIOVANNA, 9 anni, di San Vito Romano: «La felicità è quando mamma e papà vanno d’accordo e, poi, mi dicono: “Amore mio, ti vogliamo bene”». LUIGI, 10 anni, di Cagliari: «La felicità è degli animali. Loro sono felici se li carezzi. E pure io!». MARIA LUISA, 6 anni, di Milano: «La felicità non basta mai e può essere: felicità dell’odore, felicità dentro casa, felicità a giocare con i compagni, felicità dei dolci, dei colori; felicità dei prati fioriti, felicità se bevo un bicchiere d’acqua quando ho sete; felicità dei giocattoli, felicità dei centri estivi dopo che è finita la scuola; felicità con i nonni, felicità con i pattini, felicità di correre e saltare e andare sull’altalena; felicità dei videogiochi, felicità della neve, felicità del mare. Non scrivo tutte le felicità perché ognuno ha la sua e le mie sono queste e di più».
GINA, 11 anni, di Napoli: «La felicità è un momento di piacere, però dopo lo paghi. Io sono sempre preoccupata quando sono veramente felice perché dopo capita sempre qualcosa di mezzo felice o di brutto». SALEEM, 11 anni, di Roma: «La felicità è una pausa allegra». ELENA, 8 anni, di Pordenone: «La felicità è una scelta. Io sono felice, per esempio, quando dico “no” a ciò che non mi piace e “sì” a quello che mi piace o mi sta bene». ANNA MARIA, 10 anni, di Cosenza: «Felicità è sentirsi libera e leggera». Felicità è… … quando io, mamma e papà ci abbracciamo insieme (ALLEGRA, 6 anni, di Roma) … quando tutti vanno d’accordo in casa e nessuno litiga (INES, 6 anni, di Milano) … quando mamma fa pace con papà (ALDO, 6 anni, di Bologna) … quando il cuore batte e sento vuoto nello stomaco e voglia di cioccolato (ELEONORA, 6 anni, di Napoli) … quando il mio compagno di scuola mi scrive che gli piaccio (SARA, 8 anni, di Napoli) … quando mi fidanzo (MELINA, 6 anni, di Napoli) … quando se la vedo mi viene allegria. Lei si chiama Barbara (FEDERICO, 8 anni, di Cosenza) … quando se vedo Fabrizio mi sento bellissima (ENRICA, 9 anni, di Andria) … quando c’è la pace (SOFIA, 8 anni, di Roma) … quando il Papa prega e tutti rispondono (ENRICA, 9 anni, di Roma)
… quando prendo l’ostia sacra e mi metto concentrato a pregare. Mi sento un amore per tutti (VALTER, 10 anni, di Roma) … quando ascolto una bellissima musica in silenzio (EVA, 10 anni, di Bari) … quando disegno e c’è il sole e nessuno mi disturba (INES, 9 anni, di Roma) … quando danzo davanti allo specchio (COLETTE, 12 anni, di Vigevano) … quando mi sembra di essere un uccello e di volare perché sento gioia dentro al cuore (HUSSEIN, 11 anni, di Macerata) … quando guardiamo insieme il cielo e ci sono le stelle, la luna piena e ci abbracciamo (ROSSELLA, 7 anni, di Roma).
FESTA
LILIANA, 11 anni, di Verona: «La festa più bella per me è quella, ogni anno, del mio compleanno. Io sono figlia unica e, allora, tutti i parenti da parte di mamma e di papà vengono a festeggiarmi perché i miei genitori fanno una grandissima festa. Sembro proprio una principessa e io mi sento come se, all’improvviso, dovessero arrivare anche le fate a portarmi dei doni. Sarà perché quando avevo solo sei anni i miei fecero venire delle animatrici vestite da fate. Non me lo posso scordare!». VALENTINO, 11 anni, di Rovigo: «Ogni domenica, a casa mia, è festa! Mio padre, del resto, c’è solo di domenica e, allora, noi il sabato mattina mettiamo in salone uno striscione con scritto: “Bentornato” e la tavola la apparecchiamo domenica mattina con il servizio buono. Il pomeriggio, poi, spesso facciamo musica insieme perché mio padre è musicista e anche si balla e si invitano gli amici». ANITA, 10 anni, di Milano: «Le feste devono avere un senso, altrimenti che feste sono?! Bisogna che ogni festa lasci una traccia e che si possano conservare i ricordi di ogni festa. A casa mia facciamo così. Per esempio, conserviamo tutti i biglietti di auguri e le fotografie della giornata. I regali li usiamo, ma ci ricordiamo per quale occasione ci sono stati regalati. E poi, a Natale, a Carnevale, a Pasqua, a Ferragosto io scrivo sul mio diario come sono andate le feste». VALLY, 13 anni, di Venezia: «Fare festa, per me, è sospensione, è pausa, è armonia perché posso avere tempo di gioire, per poi tornare più forte alle cose di tutti i giorni».
ENRICA, 13 anni, di Roma: «Fare festa, per me, è un modo per giocare e bisogna fare festa spesso sennò ti si spengono i neuroni. Fare festa vuol dire cantare insieme, disegnare, fare teatro, travestirsi, inventare storie, scrivere testi di canzoni, cantare, imitare. Tutto quello che, insomma, ti rallegra e ti libera. Io e le mie compagne della III C abbiamo anche fatto una specie di manifesto della festa che, poi, abbiamo dato alle altre e agli altri, in classe. Eravamo tutti d’accordo. 1° mimare 2° cantare 3° suonare 4° giocare a giochi vecchi e nuovi insieme 5° disegnare 6° ballare 7° recitare 8° scrivere 9° inventare testi e battute 10° imitare 11° filmare e fare foto con il telefonino».
FIABE
RICCARDO, 8 anni, di Pordenone: «Ognuno ha una fiaba che ritiene speciale. Per me, è quella del Gatto con gli stivali perché ho un gatto molto furbo che vuole bene solo a me che sono il terzo figlio, proprio come nella fiaba. E il gatto fa tutto per lui fino a farlo diventare un principe e sposare la figlia del re. Il mio gatto, invece, proprio perché ha scelto me e mi preferisce a tutti gli altri, mi ha reso importante in casa. Tutti, infatti, dicono: “Miù ha un debole per Riccardo”. E dato che Miù sceglie sempre bene, vuole i bocconcini migliori, fa le fusa quando è contento e si fa prendere in braccio solo da me, io risulto “fortunato”». JOSEPH, 9 anni, di Napoli: «La mia fiaba preferita è Pollicino perché lui è piccolo ma molto intelligente e se non fosse per lui i suoi fratelli non si salverebbero né dal dolore né dall’orco. Quello che mi colpisce di questa fiaba, però, è che i genitori lasciano i figli in mezzo al bosco perché non li possono sfamare, ma Pollicino e i suoi fratelli tornano sempre a casa dei genitori. Per esempio, alla fine della fiaba, Pollicino e i fratelli consegnano il tesoro strappato all’orco ai genitori e tornano pure a casa a vivere con loro perché ora sono tutti ricchi, felici e contenti. Però, Pollicino è l’unico che se ne va da casa perché, con gli stivali delle sette leghe dell’orco, si mette a fare il messaggero del re. Forse, lui a casa con quei genitori proprio non ci voleva stare!». IRINA, 9 anni, di Messina: «La mia fiaba è La sirenetta, che mi fa sempre piangere quando la nonna me la legge. Però, ci sono due sirenette. Una, quella di Andersen, scritta sul libro, che è molto triste e finisce che lei diventa un’onda del mare e, poi, c’è l’altra, il cartone animato, che invece finisce bene ed è un po’ diversa. Io, quando
sono triste, preferisco la fiaba scritta perché anch’io vorrei diventare un’onda del mare». ANNABELLA, 9 anni, di Savona: «Quando mamma e papà mi hanno detto che c’erano i pedofili e chi erano, mi hanno fatto l’esempio della favola del lupo e di Cappuccetto Rosso, perché il lupo ferma la bambina in mezzo al bosco e si fa raccontare come sta e dove va e dopo si mangia lei e la nonna. Pare che anche i pedofili, come il lupo, fermano i bambini e, all’inizio, sono gentili, disponibili, ascoltano e fanno domande. E dopo, però, sanno tutto e possono fare del male proprio come il lupo della favola. Per questo motivo bisogna diventare furbi e capire subito quando si ha a che fare con loro». ERSILIA, 12 anni, di Verona: «Due fiabe non mi piacciono ma le ricordo sempre con un brivido di paura e mi fanno effetto. Una è Pelle d’asino perché il padre vedovo vuole sposare la figlia e insiste e, dato che questo non si può proprio fare e nonostante i regali che lui le fa, Pelle d’asino scappa via e deve andare a fare la domestica. Mi fa effetto questa fiaba perché il padre è insano. E pure Barbablù, che dentro una stanza tiene nascoste tutte le mogli che ha ucciso perché erano curiose, mi sembra una persona criminale che uccide per punire le donne. In queste fiabe c’è molto da pensare soprattutto perché trattano di come le donne vengono maltrattate da uomini, padre e marito, pericolosi e cattivi come nei fatti di cronaca nera».
FIDUCIA
ELEONORA, 8 anni, di Genova: «La fiducia nelle persone io ce l’ho fino a quando qualcuna di loro non la tradisce. Tradire la fiducia vuol dire promettere di dire o fare una cosa e poi non dirla o non farla. Mia madre dice sempre che viene a prendermi a scuola e invece viene sempre la tata. Mio padre, poi, dice sempre che le bugie hanno le gambe corte e lui le dice al telefono e pure a casa. Perfino a noi!». VITO, 9 anni, di Orvieto: «Io mi fido solo della mia mamma, un po’ di mio nonno e tantissimo del mio amico Luigi perché lui mi ha difeso dai bulli della nostra classe. Lui ha detto a Carlini che se mi insultava o mi toccava un’altra volta, prima gliele dava e poi andava dalla maestra. E quando Carlini mi ha dato un pugno sulla spalla lui gliene ha dati due e poi è andato a chiamare la maestra. Ecco perché ho fiducia». ELENA, 10 anni, di Messina: «Io mi sento sicura quando posso capire quello che succede e posso controllare quello che è vero e quello che non lo è. Quando so la verità mi sento fiduciosa». ENRICA, 11 anni, di Siena: «Mia mamma dice che non ha fiducia che le cose miglioreranno, mio padre, invece, dice che ha fiducia che le cose andranno meglio. Parlano di politica, ma io provo fiducia solo quando loro vanno d’accordo». SERGIO, 9 anni, di Perugia: «Io ho fiducia che il bene trionfa sempre. Almeno nei cartoni animati!». GERVASIO, 8 anni, di Milano: «Io provo tanta fiducia quando vedo che le cose buone si ripetono: per esempio, una cosa buona che si
ripete è il pranzo insieme ogni domenica, pure con la nonna. E viene anche mio padre, pure se i miei genitori sono separati». LIVIO, 8 anni, di Napoli: «Ogni sera mio padre o mia madre ci leggono una favola. Mio fratello che ha quattro anni la capisce a modo suo. Io, invece, le so anche leggere perché ho otto anni, ma però preferisco ascoltarle da loro che le leggono. Provo tanto bene e fiducia». CRISTIANO, 8 anni, di Loreto: «Io ho fiducia quando le persone fanno il loro dovere. Io faccio il mio dovere quasi sempre, però mia madre quando non lo faccio dice: “Non meriti fiducia!”. Io mi dispiaccio molto quando dice così, perché bisogna sempre avere fiducia nei bambini». PAOLA, 9 anni, di Pescara: «Io sono curiosa e mi domando sempre il perché. Se delle cose capisco come funzionano, mi sento molto fiduciosa di poter ottenere un risultato positivo e, allora, mi viene tanta allegria». RICKY, 8 anni, di Roma: «Gli abbracci, le pacche sulle spalle, i baci, le tenerezze quando me li fanno io provo gioia e fiducia in me stesso!».
FIGURINE
LEO, 13 anni, di Torino: «Io con le figurine Yu-Gi-Oh ci gioco come con le carte. Ho fatto un mazzo di figurine con mostri ben precisi e poi con questi mostri cerco di fare livelli più forti per sconfiggere i mostri degli altri. Ci sono anche le carte magiche e le carte trappola. Le carte magiche servono per potenziare un mostro o per sconfiggere le carte magiche dell’avversario e le carte trappola servono per evocare i mostri dal cimitero o per distruggere i mostri dell’avversario quando attaccano. Io d’estate gioco a questo gioco per otto ore al giorno, con gli amici. Sarà troppo?». ALESSIO, 13 anni, di Roma: «Quando compravo le figurine dei calciatori, le compravo per essere informato sul presente dei calciatori in serie A. Quest’anno, invece, non c’era nessuno nella mia classe a fare l’album. Perciò ho preso il raccoglitore e qualche pacchetto, poi, però, ho solo sfogliato l’album ma non ho fatto la collezione. Quando si è in tanti a fare una cosa, ti viene più motivazione a farla. Invece se sei da solo non puoi fare neanche gli scambi e non ti diverti. E, poi, ti restano un mucchio di doppioni che non puoi dare a nessuno».
G
GIOCHI VIRTUALI GIOCO GIUSTIZIA GUERRA
GIOCHI VIRTUALI
TOMMASO, 11 anni, di Roma: «Minecraft è un gioco dove tu sei un personaggio fatto a cubi e tutto il mondo è fatto a cubi. E tu puoi costruire o demolire. E fare una tua vera vita virtuale esplorando cave, trovando minerali, costruendo edifici e meccanismi e trappole per difenderti da Zombi, Scheletri, Creeper, ovvero cosi verdi che esplodono quando ti avvicini. In questo tuo mondo costruito puoi creare due tipi di portale: uno che porta al Nether ovvero all’inferno pieno di lava e l’altro che porta all’End ovvero al regno dell’incubo dove trovi dei mostri potentissimi che si teletrasportano e il re dei mostri: il drago dell’End. Esistono anche dei libri per imparare le basi e le particolari strategie per Minecraft. E, poi, esiste anche Minecraft Wiki on line che è come Wikipedia». ALESSIO, 13 anni, Roma: «Ci sono un mare di giochi orribili per le PlayStation e l’Xbox. Sono vietati ai 16 e ai 18 anni ma i miei amici li acquistano e ci giocano lo stesso senza neanche dirlo ai genitori. E li nascondono come un bottino per non farseli trovare. Io non sono d’accordo, perciò quando vado a giocare a casa dei miei amici mi debbo portare i miei giochi da casa altrimenti non riusciamo a giocare insieme. Questi giochi orribili sono: Call of Duty (tutti), GTA (tutti e 5), Halo (tutti e 4), Battlefield, Watch Dogs, che è il più orribile e che, insieme a GTA , è considerato tra i tre giochi più paurosi del mondo». TOMMY, 13 anni, Roma: «GTA , che vuol dire grande furto (ladrocinio di auto), potrebbe anche essere un gioco bello poiché puoi guidare auto, aerei, navi e fare paracadutismo ma il problema è che, per guadagnare soldi virtuali e acquistare la tua auto e/o la tua
attrezzatura, sei obbligato a compiere missioni distruttive e fare violenze a tutti e anche a degli innocenti». NICOLÒ, 12 anni, di Milano: «I giochi sono tra le cose più belle del mondo perché hanno in un certo senso dato poesia alla vita di tutti, esistono da sempre e hanno sempre fatto sognare, divertire o sospirare. Ci sono giochi che non si possono dimenticare come gli scacchi o nascondino o molti altri ancora. In questa era i videogiochi si sono sviluppati molto e hanno cambiato il modo di giocare. I primi videogiochi erano corti ma meravigliosi. Oggi i videogiochi sono lunghi ma brutti. I bambini, i ragazzi e gli adulti (ma soprattutto ragazzi e bambini) giocano con videogiochi tremendi e orrendi. Certo, tanti altri ragazzi e bambini fanno sport o usano i giochi da tavolo, ma adesso siamo circondati da orrendi videogiochi. Partiamo dal gioco Final Fantasy di Square Enix. Final Fantasy è un gioco vecchio che si è evoluto nel tempo. È un gioco RPG , cioè un gioco di ruolo dove un personaggio attacca usando il suo turno e il nemico lo attacca usando sempre il suo turno. È un gioco molto bello ma molto catastrofico o perché ci sono trame catastrofiche o perché i cattivi sono angeli della morte o esseri mutilati o altro ancora. Il difetto di Final Fantasy è che, con il tempo, è diventato sempre più violento. Quando era distribuito dalla Nintendo, non era ancora violento. Poi è passato alla PlayStation ed è diventato violento. Adesso passiamo a GTA (Grand Theft Auto). Questo gioco parla di città corrotte, con droga, discriminazioni e malavita. In questo gioco puoi fare tutto quello che vuoi (investire persone, ammazzarle, violentarle, distruggere di tutto, incontrare prostitute, torturare la gente e altre cose che fanno i malviventi). Io me ne infischierei se ci giocassero solo gli adulti, in realtà ci giocano un sacco di bambini e ragazzi di tutte le età! È una cosa tristissima perché nessuno protegge i bambini da queste immagini. Poi c’è Assassin’s Creed, un gioco violentissimo, pieno di sangue. Purtroppo esistono tanti altri giochi del genere (in parte prodotti da PlayStation o Xbox). Ma adesso voglio parlare di un gioco indescrivibile con cui uno youtuber è diventato famoso. Per molti, questo tizio è un mito ma per me, e per fortuna per tanti altri, è un ragazzo furbo che con volgarità e
parolacce ha creato un sito in cui fa pubblicità a se stesso mentre commenta videogiochi macabri come Outlast. “Outlast” è un manicomio dove fanno esperimenti sui malati di mente. E non aggiungo altro. I più bei videogiochi del mondo sono invece per me Super Mario Bros e Pikmin».
GIOCO
Il gioco, fin dalla tenera età, rappresenta, al di là delle differenze di genere, uno stimolo per la creatività e la fantasia, un bisogno profondo. Il bambino, quando sorride, canta, muove le mani e fa le capriole, gioca anzitutto con il proprio corpo il cui sviluppo armonico, insieme a quello della mente, parte anche dal gioco. Dal corpo il bambino passa, poi, agli oggetti fino ad arrivare ai giochi di rappresentazione. Per esplorare se stesso, l’ambiente che lo circonda e sviluppare, così, le capacità motorie, comunicative e di adattamento sociale. ALESSIA, 7 anni, di Ancona: «Quando gioco, ho bisogno di avere dei compagni che giocano con me. Se non ci sono, allora gioco con una mia amica che mi immagino io e che è sempre pronta, per fortuna!». GIORGIA, 7 anni, di Roma: «Io ho bisogno di giocare almeno tre volte al giorno perché altrimenti mi manca l’allegria. Devo giocare la mattina prima di andare a scuola (vesto anche la bambola e le levo il pigiamino), quando torno da scuola (perché a scuola non si riesce proprio a giocare in santa pace!) e la sera prima di andare a letto (rimetto a posto la casa di Barbie e tutti gli altri giocattoli nella cesta). E poi dormo con la mia bambola». NICOLÒ, 11 anni, di Milano: «Ci sono delle cose che i grandi fanno passare per bellissimi giochi e invece non lo sono. Per esempio, “sciare”. Io non lo sopporto proprio perché fa freddo, perché si scivola sul ghiaccio e perché ho paura di cadere all’indietro o a faccia avanti. Però tutti si divertono e quando dico così i miei genitori, i miei fratelli e i miei amici mi criticano o mi prendono in giro.
Dicono pure che sono pigro. Io invece penso che non è un gioco che mi piace. È uno sport con le sue regole e io sono anche disposto a giocare ad altri giochi “sportivi” come, per esempio, gli scacchi, imparando le regole bene quando mi piacciono». AMBROGIO, 8 anni di Siracusa: «Mio nonno da bambino non giocava quasi mai perché dopo la scuola aiutava suo padre in campagna. Lui dice sempre: “Giocate, giocate che il tempo passa”. E si mette a giocare con noi come se fosse un bambino. Anzi, è il più bravo con i videogiochi anche se poi, però, preferisce giocare con noi a nascondino, che andiamo fino in soffitta!». LIVIA, 11 anni, di Livorno: «Il mio gioco preferito è vestirmi con gli abiti di mamma e fare la signorina. Però mia madre è contenta poco perché buco le calze, storto i tacchi e uso le collane dorate». Il gioco, dunque, è anche e soprattutto “far finta”. “Far finta” di essere un astronauta, un prestigiatore, un artista; “far finta” di mettere in scena il mondo dei grandi e di trasformarlo. GIACOMO, 8 anni, di Napoli: «Quando gioco io faccio diventare le sedie, carrozze; le scope, cavalli; le scatole, navi. Se, però, mentre gioco i grandi mi dicono: “Oh, che belle carrozze! Oh, che bei cavalli! Oh, che belle barche!”, io dico subito: “Sono sedie, scope e scatole, ma non le vedete!”. Mi fa rabbia che si interrompa il gioco di fare finta!». «Tutti i bambini incontrano, ogni giorno, difficoltà che ai loro occhi si presentano come problemi di vita», scrive lo psicoanalista Bruno Bettelheim. Agendoli nel gioco, aggiungerei, essi possono riuscire, passo dopo passo, ad affrontare con successo i vari stadi del loro sviluppo. ELEONORA, 9 anni, di Roma: «Io e le mie amiche giochiamo a spogliarci così si vede se siamo cresciute».
GIUSTIZIA
GENNARO, 13 anni, di Napoli: «Mia madre dice che quando io protesto per la giustizia è solo perché sono geloso e non lo voglio ammettere. Dice che sono geloso perché mio fratello più grande può fare cose che io non posso proprio fare, tipo giocare più ore alla PlayStation, usare sempre lo smartphone, uscire il pomeriggio fino a sera, e mio fratello più piccolo si prende più attenzione e coccole perché è un bambino. Per me non è così. Io voglio le cose giuste perché la giustizia è uguale per tutti. E rende tutti uguali. Ma a casa mia invece non è proprio così». SAVERIO, 8 anni, di Brescia: «Non è giusto che mia sorella possa dormire nel lettone e io, perché sono grande, non ci posso andare più. Crescere è proprio un’ingiustizia!». ALBERTO, 10 anni, di Roma: «Quando uno sbaglia da grande, ci sono i tribunali e i giudici e viene condannato. Se sbagli da piccolo, invece, ti danno i castighi direttamente a casa o a scuola. E ci pensano i genitori o i maestri che, poi, te lo ripetono sempre che hai sbagliato». TOMMASO, 11 anni, di Roma: «A me sembra giusto che le parolacce sono prese come parole brutte. Ma allora perché non le levano dal vocabolario invece di dire ai bambini che non si possono dire le parolacce e rimproverarli? E, invece, tre minuti dopo loro, i grandi, le dicono anche raddoppiate. Allora, dicessero: “Noi le possiamo dire e voi, bambini, no!”». LISA, 8 anni, di Ancona: «Mio nonno dice sempre che quando dormono i bambini dormono il sonno dei giusti. Vuol dire che i
bambini sono sempre dalla parte giusta? E che i bambini vogliono la giustizia e ci dormono pure sopra?». EGIDIO, 10 anni, di Ravenna: «Un esempio di giustizia è il re Salomone che, dovendo decidere tra due donne che si combattevano per avere lo stesso figlio, ciascuna dicendo che lei era la madre, pensò bene di dividerlo in due con la spada. Per fortuna, una delle madri – certamente quella vera! – disse: “Rinuncio al figlio ma non lo affettare!”. Allora, Salomone fece giustizia e diede il figlio alla madre che aveva detto: “Rinuncio” ma, al contempo, poté evitare anche di fare un delitto. Insomma, tagliare in due un bambino per far vedere che lui era giusto, mi sembra veramente troppo! Infatti, chi ci andava di mezzo per fare giustizia era il neonato». MATTEO, 10 anni, di Milano: «Io giustizia la sto aspettando da tanto. Quando ero piccolo e avevo appena cinque anni mia madre ha denunciato mio padre perché ha scoperto che mi faceva del male, mi dava colpi, mi faceva lividi, mi dava pizzichi, era violento con me quando lei non c’era. Poi si sono subito separati ma la denuncia non ha avuto effetto. E così non ho avuto giustizia e ho dovuto frequentare comunque mio padre, anche se in un centro con l’educatrice. E ancora oggi è così perché questa storia va avanti da anni. Io non ne posso veramente più! Sono cresciuto sperando ogni anno che finalmente mi sarei liberato di quello che ho subito e nessuno crede a mia madre. La giustizia non ha i tempi dei bambini».
GUERRA
LUISA, 9 anni e mezzo, di Roma: «Vieni, vieni guerra! Se stai fuori di me non stai dentro di me». MARIA, 10 anni, di Firenze: «Ci sono dei Paesi dove c’è la guerra e i bambini di quei Paesi soffrono veramente tanto. Soprattutto, hanno paura di morire e di vedere morire. E, poi, i loro genitori non possono fare niente per loro. Non possono difenderli perché anche i genitori sono spaventati. Credo che la cosa più brutta della guerra è che le bombe, gli spari, le violenze e le distruzioni i genitori non possono fermarli». EVA, 13 anni, di Milano: «Chi fa la guerra, chi la decide e chi accetta di farla senza ribellarsi; chi bombarda e uccide; chi tortura e distrugge è perduto. E insieme fa perdere senso alla vita sua e degli altri. È come se dicesse: “Io morirò ma morirete tutti”». ENNIO, 13 anni, di Napoli: «La guerra è un ricatto, un braccio di ferro mortale per decidere chi ha il potere». MATILDE, 12 anni, di Fermo: «C’è la guerra che si combatte con le armi e la guerra dentro casa, con le parole, gli sguardi, le botte. A casa mia c’è tanta guerra e io ci vivo dentro ogni giorno. Però non ci sono vincitori, solo vinti, perché è un inferno di dolore e di rancore e, poi, non c’è tregua».
H
HANDICAP
HANDICAP
ELEONORA, 12 anni, di Milano: «Handicap vuol dire svantaggio. Chi parte con uno svantaggio dovrebbe poter essere messo nella condizione di partire come gli altri, alla pari degli altri. Intanto, a cominciare dalle parole che si usano. Mia zia che insegna dice che il termine “handicappato”, che prima si usava per dire di una persona che aveva un problema di ritardo o di malattia fisica o mentale, va sostituito con “diversabile”, ovvero “diversamente abile”. In classe mia, allora, ci sono tre diversabili ma se uno li tratta male o li prende in giro o s’infastidisce perché a volte rallentano le lezioni, allora non basta cambiare la parola. Bisogna cambiare i sentimenti».
I
INCUBO INSEGNANTI INTEGRAZIONE INTERNET INVERNO IO
INCUBO
TOMMASO, 7 anni, Roma: «C’era un tizio alto, grosso e muscolosissimo con in mano un cartello stradale con su scritto STOP . Se tu non indovinavi la risposta, il tizio ti dava una mazzata con il cartello e ti buttava nell’inferno. Ero l’unico sopravvissuto alla domanda. Però, mi ritrovavo da solo là e così mi buttavo da solo dentro. La solitudine è peggiore dell’inferno». TONIO, 11 anni, di Messina: «Io ho un incubo ricorrente che ho fatto almeno per tre anni di seguito. La prima volta che l’ho fatto, eravamo a Messina per Ferragosto che fanno i giochi d’artificio. Ho sognato che i fuochi d’artificio andavano dappertutto, colpivano le persone e c’era un clown a molla enorme che andava a mordere la gente che scappava. Io stavo per essere colpito da un fuoco d’artificio. Invece riuscivo a scansarmi e il fuoco andava a colpire la mia famiglia e io restavo da solo di fronte al pupazzo che stava bruciando e intorno c’erano altri fuochi che bruciavano». EDO, 11 anni, di Firenze: «Tutti gli incubi che ho fatto sono di restare da solo».
INSEGNANTI
SALVATORE, 12 anni, di Napoli: «Io ho avuto un’insegnante che mi ha segnato la vita. Nella prima classe elementare, lei mi aveva preso sott’occhio e diceva che ero un bullo e che dovevo abbassare il tono della voce. Avevo sei anni e gli altri, sentendo che mi prendeva di punta, mi facevano il verso e mi pigliavano di punta pure loro. Io a mio padre e a mia madre non ho detto niente, perché con loro la maestra era gentilissima e nessuno degli altri che lei prendeva sott’occhio protestavano. Però, in seconda elementare, lei ha alzato le mani. Mi dette uno schiaffo dietro la testa e, poi, mi sbatté il viso sul banco. Mi lasciò un segno sul naso. Ma io ugualmente non dissi niente ai miei genitori perché aspettavo che loro se ne accorgessero da soli. Invece, niente. E quella intanto continuava a sfottermi davanti a tutta la classe. Fino a che in terza elementare non sono voluto più andare a scuola e i miei genitori non capivano perché. Non ci sono comunque più andato perché mi dovevano trascinare e, alla fine, ho detto le cose come stavano. All’inizio, però, i miei genitori non mi hanno creduto e difendevano la maestra. Dicevano che io ero capriccioso. Così mi sono ammalato e non uscivo dalla stanza e mi hanno portato di peso dalla psicologa. Finalmente lei ha capito perché io le ho raccontato tutto e mi sono messo a piangere. E mi hanno cambiato scuola. Mio padre è andato a protestare, ha detto quello che mi è successo. Ma né la preside ci ha creduto né l’insegnante ha chiesto scusa. Anzi, mio padre è stato querelato. Io, adesso, dopo anni di cure, sono tornato a scuola ma il male che mi ha fatto quella maestra nessuno me lo ha riconosciuto. E lei può continuare a fare male a tanti ragazzini come ero io».
LUDOVICO, 8 anni, di Napoli: «La mia insegnante Carla è bella, buona, brava e sa tenere la classe a freno. Quando c’è lei, siamo tutti contenti perché ci fa spostare i banchi, sedere per terra in circolo, parlare tra noi degli argomenti, scrivere e disegnare a volontà senza mai mettere voti. E, poi, riconosce ogni sforzo che fai. E, poi, ci porta fuori a vedere i musei o a teatro. E, poi, ci interroga partendo da quello che ci piace o che abbiamo sentito e capito. Andare a scuola così è un piacere e la mattina mi viene voglia di andarci per incontrarla e per incontrare i miei compagni. E quando non c’è scuola, mi manca e d’estate mi manca. Per fortuna lei è fissa così potrò averla per tutti e tre gli anni!».
INTEGRAZIONE
Imparare a conoscersi e non soltanto a tollerarsi è il primo passo verso l’integrazione che, anche e soprattutto da bambini, fa rima con interazione. Infatti, laddove il nuovo non è percepito né come minaccia né come intrusione, bensì come autentica risorsa, la valorizzazione delle differenze etniche e culturali diventa educazione alla solidarietà, alla convivenza e alla democrazia culturale. A prescindere dalla presenza, in classe, di bambini arabi, indiani o cinesi, la scuola è chiamata a osteggiare i programmi puramente etnocentrici e il “provincialismo educativo” per aprirsi, così, al pluralismo etnico e culturale. «Quando due mondi si incontrano e acquista senso esperienziale la loro relazione – scrivono Duccio Demetrio e Graziella Favaro in Immigrazione e pedagogia interculturale – ne scaturiscono un terzo, un quarto, un quinto. Dove il primo e il secondo siano disposti a cedere qualche cosa per comprendersi, questa concessione reciproca ha sempre una funzione generatrice.» MASSIMILIANO, 8 anni, di Milano: «Mi sembra che se si mescolano le razze, facendo sposare le persone, finisce il razzismo». GRAZIA, 7 anni, di Pisa: «Gli esseri umani di razze diverse sono come l’arcobaleno: di tutti i colori». MARINA, 12 anni, di Roma: «Nella mia classe ho molti bambini di religioni diverse perché la mia è una scuola multietnica. Siamo persone che pregano in modo diverso e fanno festa in giorni diversi. Per esempio, ci sono i musulmani che celebrano il Ramadan. Così pare che nel nono mese dell’anno, secondo il calendario islamico, non si possa mangiare dall’alba al tramonto anche se per i più
piccoli, come sono i miei compagni, Said e Alì, ci sono restrizioni alimentari limitate. Loro sono nigeriani. Poi, ci sono tre ragazzi di religione ebraica che litigano sempre con Alì e Said per via dei Palestinesi: sono David, Isaac e Levin. Io sono cattolica e non litigo, ma dico sempre quello che penso. Però, poi, le discussioni si interrompono perché le nostre insegnanti sono molto brave e ci hanno fatto capire, come la maestra di religione, che ogni popolo esprime il suo grazie alle Divinità attraverso riti di purificazione o di glorificazione che sono ormai storie dei popoli, cultura e bellezza». GIORGIO, 13 anni, di Roma racconta: «Mi piace molto che c’è fusione di culture e razze diverse nel mio quartiere. Anche i negozi hanno sapore di diversità. Ci sono tanti ristoranti: cinesi, indiani, thailandesi, calabresi. E poi, negozi di scarpe dei cinesi accanto alle scarpe di Melluso. E, alla stazione, si contano tante teste nere, tante teste bianche e tante colorate. Io vado sempre alla stazione a trovare mio padre che fa il capotreno e vedo tutto questo e mi sembra come quando ho visto Londra, che adesso pure Roma è così». ISOTTA, 10 anni, di Bologna: «C’era una mia amica musulmana di nome Zahra e, poi, sulla sua storia hanno fatto un libro e uno spettacolo teatrale. Zahra non voleva fare il Natale in classe con gli altri perché non era una festa sua, ma non sapeva come dirlo alla sua maestra alla quale voleva molto bene e che, poi, era pure di madre senegalese. E perciò, scura come lei. Ma la maestra, che era molto intelligente, per Natale non ha fatto rimanere male nessuno. Ha fatto fare una casetta a ciascuno secondo la propria cultura: i nigeriani hanno fatto le capanne; gli indiani, tende coloratissime; io ho fatto un grattacielo; Federico, una stalla come per il presepe; Zahra, una casa gialla con il patio e la maestra ci ha messo una scritta sopra con la parola: “Mogadiscio”. Ciascuno, poi, ha messo nella propria casa una famiglia con i Bambini appena nati. Perché ovunque nasce un bambino è Natale». Integrazione significa conoscenza, disponibilità allo scambio e all’incontro, ma anche cambiamento. Di chi accoglie e di chi è
accolto, in modo che le diverse culture convivano senza ignorarsi e, aprendosi all’esplorazione di mondi nuovi, allontanino il pericolo di pregiudizi, stereotipi e conflitti sotterranei. SELVAGGIA, 14 anni, di Verona: «Fatima è mia amica e porta il velo. È sempre supervestita e porta pure i pantaloni con sopra i vestiti. Io, invece, vesto molto, molto diversamente. Però, siamo molto amiche e io capisco perché lei vuole portare il velo. È la sua tradizione. Senza, si sentirebbe di non avere radici nella sua cultura perché vive fuori dal suo Paese, che è l’Egitto. Suo padre è simpatico ma pure severo. Ha due fratelli più piccoli che bevono la coca-cola e sono vestiti con i jeans. Sua madre è molto grossa e sembra un po’ triste. Poi, però, quando inizia a chiacchierare con noi non si ferma più. Sono una bella famiglia anche se i miei genitori mi dicono di stare attenta per via delle idee arretrate che hanno. Infatti, potrebbero non vedere bene la mia amicizia con Fatima. Per fortuna, loro non hanno detto proprio niente e, anzi, a casa loro mi accolgono benissimo. Io, tra l’altro, ho anche provato a mettermi il velo sui capelli che si dice “hijab”. Ci sto proprio bene!». ELGA, 11 anni, di Rimini: «Nella mia classe ci sono tre bambini induisti e due di religione islamica. La maestra ha lasciato appeso il crocifisso, però ha fatto portare a tutti questi bambini le cose della loro religione e ci ha fatto conoscere, parlando, le feste, le credenze che ciascuno di noi ha. Io, per esempio, credo in Dio, ma anche nella Madonna, in Gesù, in san Giuseppe e in Padre Pio che è uno dei tanti santi nostri. Anche gli islamici credono in Dio che è Allah, per loro. Mentre gli induisti credono a tante divinità come, per esempio, Ganesh, che è un Dio con la proboscide come gli elefanti». ELVIRA, 12 anni, di Brescia: «Io sono contenta che nel mondo ci sono persone diverse, di altre razze e con altre religioni perché sono curiosa e mi piace conoscere le cose del mondo. E non sono spaventata perché penso che siamo tutti esseri umani e abbiamo le nostre abitudini – le cerimonie, le feste – e basta che ci capiamo e vediamo quali sono i nostri punti in comune per vivere bene insieme
e capirci. Le lingue come l’arabo, però, sono difficili da capire e da imparare. Per non parlare del russo. Io ho imparato a dire solo njet». AMINA, 12 anni, di Bari: «Mio padre è algerino, mia madre è italiana. Si sono sposati. Noi abbiamo una famiglia cattolica e islamica insieme, ma mio padre, che è buonissimo e fa il dottore, mi ha detto: “Se vuoi metterti il velo, puoi farlo. Oppure, se non vuoi, non farlo”. Il velo a me piace, ma anche di mettermelo a volte sì e a volte no. C’è libertà a casa mia perché siamo misti». ISAAC, 10 anni, di Padova: «Io alla mensa della scuola non mangio perché sono di religione ebraica e la carne deve essere kasher, altrimenti non la mangio. Però i compagni non capiscono perché mi porto le cose da casa. Ho però fatto assaggiare il pane azzimo alla mia amica Laura. Le è piaciuto molto e spesso me lo chiede. E capisce anche che il Dio nostro, che è lo stesso dei cristiani, non si può rappresentare. Dio c’è, ma non lo puoi dipingere per far vedere com’è. Dio è Dio».
INTERNET
ALBA, 13 anni, di Milano: «Prima è venuta la scrittura, poi la stampa, poi Internet. Ora Internet lo usano tutti soprattutto, però, i ragazzini che navigano su Internet come su un mare virtuale dove puoi pescare di tutto». SERENA, 14 anni e mezzo, di Roma: «Io ho il profilo Facebook da due anni e ho dato l’amicizia a centotré persone, ragazzi, ragazze e pure a mio padre e a mia madre. Loro vogliono controllare, secondo me si fidano poco perché concedo troppe amicizie, anche ad amici degli amici. E, poi, vogliono anche vedere che foto ho postato. Ma io mica metto delle foto provocanti come fanno alcune mie amiche per farsi notare! Metto solo le foto che mi faccio con gli amici o alle feste. Però mi dà fastidio che mio padre e mia madre possono vedere quello che faccio su Internet. È come se mi spiassero dal buco della chiave della mia stanza. E, allora, la privacy? Anche a 14 anni vale!». LORENZA, 12 anni, di Messina: «Su Internet si vive e si muore ma è sempre virtuale. Invece Internet può far morire qualcuno nella vita reale. Infatti, è successo sul sito ASK FM , che significa “domande per me”, dove chi scrive può restare anonimo, qualcuna è stata attaccata in modo terribile. Come dire: “Sei brutta; sei scema, ammazzati!”. E l’attacco è stato così violento che, per esempio, una ragazza si è uccisa. Perché la vergogna di essere stata trattata così è diventata talmente pubblica che forse lei si è sentita perduta, svergognata, segnalata. Usare Internet così è un vero delitto». NICOLÒ, 12 anni, di Milano: «Internet è una delle cose più utili al mondo. Grazie a Internet possiamo cercare un sacco di informazioni,
per esempio dove si trova una città o chi è il presidente (o il dittatore) di una nazione, notizie di storia, natura, geografia, musica, cucina, cinema, usi e costumi, origini delle parole, alberghi, luoghi da visitare, mappe sempre più precise. Tutto in un click. Ma usiamo Internet anche in altri modi. A causa di Internet, adesso ci sono dei reali pericoli, falsi miti, pedofili o maniaci su siti, costosi modi per dimagrire (che poi non ti fanno dimagrire) o per guarire, truffatori e altre cose terribili. Con Internet è arrivato Facebook (quelli che l’hanno creato sono adesso miliardari): in questa era, quasi tutti i bambini e ragazzi hanno il cellulare, il che vuol dire che la maggior parte chatta su Facebook o su altre piattaforme. Non dico che Facebook sia un’orrenda minaccia ma dico che è una piccola minaccia perché si può usare per modificare la realtà e per creare modi di pensare inutili o offensivi. Su Facebook si creano anche le discriminazioni. Barack Obama, presidente degli Stati Uniti, è contro Facebook ma so che c’è gente che ama Facebook e non rinuncerebbe mai a Facebook. Da Facebook sono nati tutti gli altri: Twitter, Whats App, Instagram… È il modo di comunicare dei nostri giorni: rapido, veloce, a distanza. Sicuro e al tempo stesso invasivo. Io credo che l’essere umano abbia creato una cosa meravigliosa che neanche i cavalieri del Medioevo o gli imperatori orientali di tanto tempo fa o gli Indiani (che a quel tempo rappresentavano il nuovo mondo) avrebbero potuto mai immaginare! L’essere umano ha creato una meraviglia e al tempo stesso un pericolo per il mondo».
INVERNO
RUSIKA, 9 anni, di Roma: «L’inverno per me è la stagione delle feste. A novembre i Morti e i Santi, a dicembre Natale e Capodanno, a gennaio la Befana, a febbraio il Carnevale e l’inverno, poi, è passato!». LUIGI, 12 anni, di Vittorio Veneto: «L’inverno è la stagione che mi piace di più per via della neve. Io amo la neve e andare a sciare. Mi piace scivolare nel biancore governando la corsa degli sci». EUGENIA, 7 anni, di Rovigo: «L’inverno è freddo, tanto freddo per i bambini e per i poveri. Penso ai bambini che si ammalano, penso ai barboni per le strade e alla stazione e l’inverno non mi piace, anche se io non sono povera e sto sempre al caldo confortevole». MARIA LUISA, 7 anni, di Roma: «L’inverno è la stagione del riposo. La natura si riposa, aspetta sotto la neve o sotto l’acqua che passino il brutto tempo, il freddo, il buio».
IO
NICOLÒ, 12 anni, di Milano: «Io sono un bambino, un uomo, un essere umano che sente la felicità e la tristezza nel mondo, contemporaneamente».
L
LEGALITÀ LIBRI
LEGALITÀ
LAURA, 15 anni, di Napoli: «È illegale picchiare i bambini, trattarli a parolacce, dare esempi luridi e dire loro bugie. Lasciarli soli a perdersi, lasciarli soli a vivere, lasciarli per dividersi e, poi, trattarli come pacchi postali. È illegale essere adulti ignoranti, vanitosi e disattenti». VITO, 11 anni, di Genova: «A casa mia è illegale lasciare la stanza in disordine e non aiutare in casa mia madre, che lavora pure. Le cose legali, invece, sono tutte quelle che possiamo fare con il consenso e l’approvazione dei genitori e degli insegnanti a scuola. Vero è, però, che molte volte loro, intendo quelli che le dovrebbero far rispettare perché sono grandi, non le rispettano loro per primi le regole e pure le leggi. Ecco, questa per me è l’illegalità. Avere uno che ti dice: “Queste sono le regole, devi fare così perché questo è bene, quest’altro è legale”. E, poi, l’esempio che ti dà è il contrario. Io dico che il cattivo esempio è illegalità». CRISTIANO, 10 anni, di Torino: «Io mi sento bene se faccio una cosa che è nelle regole. Quando ne faccio due o tre o quattro “extra regole”, prima mi sento meglio, poi, dopo un po’, ho i rimorsi». I bambini hanno bisogno di certezze, speranze, valori in cui credere e di piccoli grandi eroi nei quali potersi identificare per abbattere il muro dell’omertà e per ripristinare nella società civile il senso della legalità. CARMELA, 12 anni, di Mazara del Vallo: «Io non mi posso dimenticare Falcone e Borsellino e don Puglisi uccisi dalla mafia, perché io sono siciliana e alla legalità ci tengo. La legalità è un
valore della vita che permette a me e agli altri che sono onesti di non avere paura dei ricatti e della violenza con i quali vanno avanti i mafiosi. Il coraggio, allora, ti deve aiutare e, poi, ti viene e ti rimane. Bisogna esercitare il coraggio altrimenti appassisce e bisogna far capire ai mafiosi che i loro ricatti non vanno da nessuna parte. Anche se sono ricatti che esplodono e uccidono». GIANNA, 14 anni, di Viterbo: «Il gioco d’azzardo è illegale? Mio padre è dentro i giochi pericolosi e io provo rabbia e vorrei, come prova a fare mamma, dirgli: “Non puoi!”. Ma lui può frequentare l’illegalità di questi giochi addirittura con il permesso delle leggi. Ma che leggi sono se proteggono il gioco d’azzardo? Io me lo chiedo e vorrei che mi rispondessero quelli che le hanno fatte e non sanno che dai 18 anni in su non è detto che uno sia maturo. Anzi!». MATTEO, 16 anni, di Roma: «È l’incompetenza la più grave forma di illegalità: lo dico per i miei insegnanti del liceo che non sanno come stabilire un buon rapporto per far studiare e crescere gli studenti; lo dico per i miei genitori, lo dico per le persone al potere». ASSUNTA, 13 anni, di Cosenza: «Cinque sono le radici dell’illegalità: l’ignoranza, la malafede, la rapina nel senso della voglia di derubare gli altri di quello che tocca anche a loro, la menzogna e il ricatto che tiene prigioniera la legalità».
LIBRI
AGOSTINO, 13 anni, di Roma: «Mia madre ci ha comprato libri sin da quando eravamo piccolissimi: libri di gomma che potevano galleggiare nella vasca da bagno, libri con cui giocare e da disegnare, libri da illustrare con immagini tue, libri che quando li apri le pagine si alzano e diventano costruzioni animate. E, poi, man mano che crescevamo, libri molto illustrati come Il piccolo principe e, poi, libri sempre meno illustrati e, poi, libri con sole parole. Insomma, libri. Mia madre dice che bisogna avere una biblioteca nella mente, nel cuore e a casa. E dice che vuole che ci prendiamo un solo vizio sul quale lei è d’accordo: il vizio di leggere, leggere, leggere. Mia madre fa la bibliotecaria. E questo, non smette mai di farlo. Anche lei ha il vizio!». KAROL, 14 anni, di Trieste: «Io leggo sia i libri di carta sia i libri col tablet. Preferisco, però, i libri che puoi tenere in mano perché li sfioro con le dita e sento la carta sotto i polpastrelli e, poi, c’è odore di carta e, poi, sottolineo le pagine e metto gli appunti dei miei pensieri sui margini. Così sento che i libri sono miei, li riconosco e ricordo subito cosa c’è scritto quando torno a rileggerli o soltanto a prenderli in mano. Io ho una biblioteca piena di libri. Ci sono perfino quelli delle fiabe che mi leggevano da bambino e ho anche tutti i libri di scuola. Da grande voglio fare lo scrittore e avere uno scaffale di libri scritti tutti da me. Ne ho già scritto uno al computer sul mio amore per i cani. Si chiama “I love dog”. Mio padre ne ha fatto tante copie e le ha regalate ai nostri parenti per Natale. Lui ha disegnato la copertina perché è pittore, però il cane che ha dipinto non somiglia affatto al cane che noi abbiamo in casa, che io amo e che ho raccontato nel libro. Mi domando se lui lo ha letto!».
GIANNI, 13 anni, di Milano: «Ai libri preferisco i film oppure i libri molto illustrati. Mi piace vedere i racconti perché le immagini mi rimangono impresse nella mente e non faccio alcuno sforzo a ricordare la trama. Così, prima di leggere Harry Potter, ho visto il film. Anzi i film. E mi ha facilitato la lettura». ALESSIO, 13 anni, di Roma: «La professoressa mi ha consigliato tantissimi libri: gialli, tanti classici e uno a piacere. Io ho scelto come giallo, su consiglio di papà, Il teorema del pappagallo. È lunghissimo, è sui teoremi matematici ma ti appassiona. Poi ho scelto La fattoria degli animali di Orwell perché ero curioso di sapere come fosse. Mentre, per il libro a piacere, sono andato alla libreria Mondadori e ho notato tra i libri uno che ho utilizzato in una prova scolastica di ascolto e del quale mi era molto piaciuto il pezzo centrale letto: Abbaiare stanca di Pennac. La collana di libri più bella che ho letto è Diario di una schiappa di Jeff Kinney, perché è la più divertente e scorrevole». MARIA ROSA, 14 anni, di Livorno: «Quando si bruciano i libri in piazza vuol dire che la libertà di un popolo è in pericolo. Questo ho imparato leggendo. Leggere è un atto di libertà». VINCENZO, 12 anni, di Roma: «Mia nonna legge a voce alta i libri per noi. Lei è stata una bravissima doppiatrice e ha una voce stupenda e ha fatto tanta pubblicità. Ma quando legge i libri, per noi, la sua voce cambia per la commozione, si incrina, si accende, si bisbiglia. Io ho il disco con tutto un libro letto da lei per noi, che ci ha fatto come regalo. Quando sono in vena lo sento e mi commuovo. Si intitola: Oscar e la dama in rosa e parla di un bambino che ha pochi giorni per vivere. Meglio di Braccialetti rossi!».
M
MALTRATTAMENTI MUSICA
MALTRATTAMENTI
1) Ogni bambino viene al mondo per crescere, svilupparsi, vivere, amare ed esprimere i propri bisogni e sentimenti, allo scopo di meglio tutelare la propria persona. 2) Per potersi sviluppare armoniosamente, il bambino ha bisogno di ricevere attenzione e protezione da parte di adulti che lo prendano sul serio, gli vogliano bene e lo aiutino onestamente a orientarsi nella vita. 3) Nel caso in cui questi bisogni vitali del bambino vengano frustrati, egli viene allora sfruttato per soddisfare i bisogni degli adulti, picchiato, punito, maltrattato, manipolato, trascurato, ingannato, senza che in suo aiuto intervenga alcun testimone di tali violenze. In tal modo l’integrità del bambino viene lesa in maniera irreparabile. 4) La normale reazione a tali lesioni della propria integrità sarebbe di ira e dolore, ma poiché in un ambiente simile l’ira rimane un sentimento proibito per il bambino e poiché l’esperienza del dolore sarebbe insopportabile nella solitudine, egli deve reprimere tali sentimenti, rimuovere il ricordo del trauma e idealizzare i suoi aggressori. In seguito non sarà più consapevole di ciò che gli è stato fatto. 5) I sentimenti di ira, impotenza, disperazione, desiderio struggente, paura e dolore – ormai scissi dallo sfondo che li aveva motivati – continuano tuttavia a esprimersi in atti distruttivi rivolti contro gli altri (criminalità e stermini) o contro se stessi (tossicomanie, alcolismo, prostituzione, disturbi psichici, suicidio). 6) Vittime di tali atti vendicativi sono assai spesso i propri figli, che hanno la funzione di capri espiatori e la cui persecuzione è ancor
sempre pienamente legittimata nella nostra società, anzi gode persino di alta considerazione, non appena si autodefinisca “educazione”. Il tragico è che si picchiano i propri figli per non prendere atto di ciò che ci hanno fatto i nostri genitori. 7) Perché un bambino maltrattato non divenga un delinquente o un malato mentale, è necessario che egli, perlomeno una volta nella vita, incontri una persona la quale sappia per certo che “deviante” non è il bambino picchiato e smarrito, bensì l’ambiente che lo circonda. La consapevolezza o l’ignoranza della società aiutano, in tal senso, a salvare una vita o contribuiscono a distruggerla. Di qui la grande opportunità che viene offerta a parenti, avvocati, giudici, medici e assistenti sociali di stare, senza mezzi termini, dalla parte del bambino e di dargli la loro fiducia. 8) Finora la società proteggeva gli adulti e colpevolizzava le vittime. Nel suo accecamento, essa si appoggiava a teorie che, corrispondendo ancora interamente al modello educativo dei nostri nonni, vedevano nel bambino una creatura astuta, un essere dominato da impulsi malvagi, che racconta storie non vere e critica i poveri genitori innocenti, oppure li desidera sessualmente. In realtà, invece, non v’è bambino che non sia pronto a addossarsi lui stesso la colpa della crudeltà dei genitori, al fine di scaricare da loro, che egli continua pur sempre ad amare, ogni responsabilità. 9) Solo da alcuni anni, grazie all’impiego di nuovi metodi terapeutici, si può dimostrare che le esperienze traumatiche rimosse nell’infanzia vengono immagazzinate nella memoria corporea e che esse, rimaste a livello inconscio, continuano a esercitare la loro influenza sulla vita dell’individuo ormai adulto. I rilevamenti elettronici compiuti sul feto hanno inoltre rivelato una realtà che finora non era stata percepita dalla maggior parte degli adulti: e cioè che sin dai primi attimi di vita il bambino è in grado di recepire e di apprendere atteggiamenti sia di tenerezza che di crudeltà. 10) Grazie a queste nuove conoscenze, ogni comportamento assurdo rivela la sua logica sino a quel momento nascosta, non appena le esperienze traumatiche subite nell’infanzia non debbano più rimanere nell’ombra.
11) L’aver acquisito sensibilità per le crudeltà commesse verso i bambini, che sinora venivano generalmente negate, e per le loro conseguenze arresterà il riprodursi della violenza di generazione in generazione. 12) Gli individui che nell’infanzia non hanno dovuto subire violazioni alla loro integrità, e a cui è stato consentito di sperimentare protezione, rispetto e lealtà da parte dei loro genitori, da giovani e anche in seguito saranno intelligenti, ricettivi, capaci di immedesimarsi negli altri e molto sensibili. Godranno della gioia di vivere e non avranno affatto bisogno di far del male agli altri o a se stessi, né addirittura di uccidere. Useranno il proprio potere per difendersi, e non per aggredire gli altri. Non potranno fare a meno di rispettare e proteggere i più deboli, ossia anche i propri figli, dal momento che essi stessi, un tempo, hanno compiuto tale esperienza, e dal momento che fin dall’inizio in loro è stato memorizzato proprio questo sapere (e non la crudeltà). Questi individui non saranno mai nella condizione di capire come mai i loro avi nel passato abbiano dovuto impiantare una mastodontica industria bellica per sentirsi a loro agio e sicuri nel mondo. Dal momento che il compito inconscio della loro vita non starà più nel difendersi dalle minacce subite nell’infanzia, essi saranno in grado di affrontare in maniera più razionale e creativa le minacce presenti nella realtà. (Alice Miller, La persecuzione del bambino)
MUSICA
Musicisti prodigio come Mozart e Beethoven erano in grado di suonare uno strumento senza averlo studiato. Questo dipende dal fatto che, nei bambini, l’attitudine musicale è innata. Se consideriamo, quindi, che sin dai primi giorni di vita il neonato è dotato di una struttura recettiva per la musica e per le sue componenti, capiamo anche quanto grande sia l’occasione di apprendimento offerta da questo stimolo, il cui sviluppo dipende dalla quantità e dalla qualità degli stimoli ambientali. Così l’ascolto rappresenta il motore della musica: un linguaggio dal carattere universale. ENRICA, 14 anni, di Morozzo (Cuneo): «Quando devo fare un tema o devo risolvere un problema, ma anche quando devo scrivere qualcosa di difficile, io metto sempre la musica. Senza parole, solo musica. Adoro le colonne sonore dei film. Soprattutto quella che ha fatto Ludovico Einaudi per il film Quasi amici. Quando devo raccogliere i pensieri o capire bene che decisione devo prendere, io metto la musica. È come se fosse una luce nel bosco dei miei pensieri. Un po’ alla volta si illumina tutto e capisco, nota dopo nota, dove devo andare. La musica è una strada, un linguaggio, una luce». ALESSIA, 10 anni, di Pordenone: «La musica è poesia sonora: i tasti sul pianoforte, quelli bianchi e quelli neri, per esempio, sono come le vocali e le consonanti così quando suono le frasi musicali sono frasi poetiche». CRISTIAN, 13 anni, di Verona: «Quando mia madre mette la musica rock vuol dire che è di buonumore o comunque l’allegria le sta
arrivando. Mio padre, invece, dice che l’unica musica che gli piace è quella del silenzio. È la musica della pace e della solitudine». RUBEN, 11 anni, di Roma: «La mia bisnonna, che ha novant’anni, ogni mattina prima che andiamo a scuola ci fa la panna con lo zucchero e, poi, mette la marcia trionfale dell’Aida. Dice che chi comincia col dolce e col trionfo va meglio a scuola perché è più sveglio». RICCARDO, 13 anni, di Milano: «Io faccio musica da quando ero bambino. Suonare mi è sempre piaciuto. Mia madre dice che, a due anni, facevo già i concerti con i coperchi delle pentole, le pentole e le posate. Poi giocavo sempre e soltanto con i giochini musicali, la pianola automatica, i fischietti, il tamburo. Crescendo ho imparato a suonare la fisarmonica, la chitarra, il pianoforte, la batteria. Adesso che ho tredici anni voglio studiare violino e andare al Conservatorio. Per vivere bene e sentirmi felice mi serve sempre un sottofondo musicale». MARGHERITA, 13 anni, di Roma: «La musica c’è ogni volta che c’è qualcosa di importante nella vita. Per esempio: che sarebbero i matrimoni senza la Marcia nuziale e l’Ave Maria di Schubert? Che sarebbero i funerali senza le marce funebri? E le messe senza i canti? E i compleanni? E le feste? E il Natale senza Tu scendi dalle stelle o Bianco Natale oppure senza le musiche americane di Natale? Mio zio ha la collezione e quando le ascolta è già Natale solo perché nell’aria ci sono quelle canzoni. È già festa perché è musica!». ELENA, 14 anni, di Torino: «Ho sempre sognato che un musicista come Ravel si innamorasse di me e mi dedicasse un ritratto musicale. Chissà come sarei io in musica?». BARBARA, 12 anni, di Viareggio: «Io mi consolo sempre ascoltando la musica. Se sono triste, comunque, la musica dolce mi aiuta anche a piangere. Invece, se mio padre ascolta Vasco o mia madre la Nannini o la Mannoia, a me viene voglia di mettere la musica classica o tecno e con le cuffie mi isolo. Il resto non lo reggo».
DARIO, 12 anni, di Genova: «Preferisco la musica che fa rumore perché è il rumore che fa la vita intorno a noi».
N
NONNI
NONNI
Quella dei nonni è una presenza fondamentale, il “porto sicuro” nel quale i bambini dovrebbero potersi rifugiare, anche e soprattutto quando mamma e papà, per varie ragioni, non sono in grado di contenerli, aiutarli, capirli e dare loro tempo e attenzione. ARNALDO, 9 anni, di Torino: «Io e mia sorella siamo cresciuti in casa dei nonni materni perché mia madre, dopo la scuola, ci lasciava da loro, il pomeriggio. I miei nonni sono buonissimi e con loro mi sento più in confidenza che con i miei genitori e, poi, mio padre non c’è mai». RINA, 9 anni, di Roma: «I nonni sono i genitori giusti perché ormai hanno capito tutti gli errori fatti con i figli loro e non ti sgridano, non ti picchiano più, soltanto ti vogliono bene. Nonna Luisa è il mio idolo, la mia passione. Da giovane era molto fedele al nonno e tutti la chiedevano in matrimonio, pure un americano. Lei cantava benissimo la Traviata e la Tosca, che non sono canzoni ma opere liriche e io ho imparato da lei a cantare e suonare il piano e a essere vanitosa». ALESSIO, 13 anni, di Firenze: «Il mio bisnonno ha quasi novant’anni e mi racconta sempre di quando lui è andato in guerra e che è andato in Russia e c’era un freddo terribile e non avevano di che coprirsi e non avevano da mangiare. Lui ha fatto la ritirata dalla Russia senza morire e senza essere fatto prigioniero. E quando lo ricorda, gli brillano gli occhi come se la guerra fosse una bella cosa». VERONICA, 9 anni, di Perugia: «Mio nonno è separato da mia nonna e adesso anche mio padre si separa da mia madre. Non c’è
una famiglia che si regge in piedi! Forse, però, quella dei miei nonni paterni invece sì!». GIULIANO, 10 anni, di Orvieto: «Mia nonna si chiama Giuseppina e mio nonno si chiama Giuseppe. Hanno sessant’anni e sono sposati da trenta. Sono sempre allegri e si vogliono bene e se mio padre sbaglia con noi ed è troppo severo oppure mia madre strilla o ci allunga uno schiaffo, loro li rimproverano. Sono i difensori dei nipoti». ALEX, 9 anni, di Trieste: «Mio nonno ha insegnato a mio padre a pescare e poi ha insegnato anche a me, così noi maschi adesso siamo tutti pescatori. Però, mia sorella vuole pure lei venire a pescare. Vedremo!». IVANO, 8 anni, di Roma: «Mia nonna materna viene a casa nostra, di pomeriggio, e mi porta al parco. Lei ha molto tempo per me». I nonni sono coloro che vengono da lontano e vanno, per primi, a indagare oltre la vita; sono i vecchi da rispettare per essere rispettati da vecchi; sono il passato che vive nel presente e i bambini sono il presente che vedrà il futuro. AUGUSTO, 13 anni, di Livorno: «I nonni sono i primi ad andarsene e sarebbe, infatti, molto strano che a morire prima fossero i loro figli o nipoti. Però, capita! E comunque, quando penso ai miei nonni, io sono anche un po’ triste perché vedo che invecchiano e io non posso farci niente. Non posso fermare il tempo. E neppure loro». ANGELO, 11 anni, di Grosseto: «Mia nonna mi racconta le fiabe ogni sera, perché vive con noi, e ascolta l’operetta. Mia nonna è simpatica e buona anche se, quando è arrabbiata, parla male di mia mamma a me. Mia nonna, poi, è pure ricca e per questo mio padre la sopporta in casa. Io, però, le voglio bene perché è lei e non perché deve lasciare l’eredità». GINEVRA, 13 anni, di Milano: «Mio nonno materno è vedovo; mia nonna paterna è vedova. Ma perché non si sposano?».
CLAUDIO, 10 anni, di Padova: «Mio nonno Gustavo mi ha chiesto l’amicizia su Facebook e io gliel’ho data e gli sto anche insegnando come deve usare al meglio Internet. Del resto, sono io ad avergli fatto fare il profilo su Facebook e ora lui mi segue e diventa bravo». MELINA, 11 anni, di Torino: «Tutti i nonni di oggi dovrebbero sapere come si naviga in Internet. E pure le nonne! Sono loro che hanno più tempo dei genitori a disposizione per i nipoti. E allora è necessario che siano bravissimi a usare il computer anche, poi, per tenersi compagnia e comunicare sempre con i nipoti».
O
OLOCAUSTO OMOSESSUALITÀ OSCURITÀ OVERDOSE
OLOCAUSTO
DAVID, 15 anni, di Roma: «Io sono di religione ebraica ma vado alla scuola statale dove l’olocausto non viene ricordato spesso come si dovrebbe. E così la gente dimentica che sono morti sei milioni di ebrei in Europa per mano dei nazisti e dei fascisti. E più passa il tempo, più la gente dimentica e così gli ebrei diventano perfino antipatici e cattivi perché c’è la guerra in Palestina e c’è la Striscia di Gaza. Però ci sono anche gli jihadisti che vogliono governare il mondo come un tempo i nazisti. E che sono ovunque, non solo in Palestina ma in Iraq, in Siria, in Libia. E che fanno la guerra. Allora perché nessuno lo capisce? Perché boicottano i negozi degli ebrei e mettono le svastiche sulle vetrine? Perché è ricominciato tutto come prima?».
OMOSESSUALITÀ
ELIANA, 13 anni, di Roma: «Mio fratello, che ha 23 anni, ha detto a mia madre e a mio padre che lui è gay. È successo un macello. Però, da quando lo ha detto, lui sembra liberato e loro sono andati dallo psicologo per capire cosa hanno sbagliato. Secondo me non hanno sbagliato perché magari lui è nato gay». LEONE, 13 anni, di Vittorio Veneto: «In classe mia c’è un ragazzino che sta solo con le ragazze e non vuole mai stare con gli altri ragazzi. Forse perché lo prendono in giro che lui è leccoso e si dimena troppo. Però gli dicono gay e lui non lo sopporta. Piange e si arrabbia. Ma i maschi non piangono!».
OSCURITÀ
L’oscurità Non aver paura di questa sensazione. Lasciati cullare dal normale buio dell’oscurità che molta gente rovina. L’oscurità fa credere un antagonista quello che potrebbe dar pace. (NICOLÒ, 12 anni, di Milano)
OVERDOSE
ARTURO, 14 anni, di Livorno: «Di overdose sono morti tanti cantanti famosi, come Michael Jackson e Amy Winehouse, e pure degli attori. Vuol dire mescolare insieme droga, farmaci, alcol oppure prendere tanta droga purissima, così pura che ti uccide. Me lo ha spiegato mio padre e mi ha anche detto che lui è contrario anche alle “canne”, perché anche se non sono droghe mortali fanno male al cervello. E ti comporti da svalvolato come quando bevi alcol. Mio padre è molto severo sulle droghe e sull’alcol e ogni volta controlla me e mio fratello più grande perché dice che gli spacciatori stanno intorno e perfino dentro le scuole. E ha ragione!».
P
PACE PAPA PAURA PERCHÉ PRIMAVERA PULIZIA
PACE
ALESSIO, 12 anni, di Roma: «La pace nel mondo deve essere affidata alle parole dei bambini. E gli adulti li devono ascoltare perché i bambini sono il futuro e non vogliono un futuro di guerre». baris¸ camātā a damai fred Frieden heiwa hépíng kapayapaan mir pace paix paz paz peace pyeonghwa salàam santphap shalom shanti shide svit vrede
(turco) (tamil) (indonesiano) (svedese) (tedesco) (giapponese) (cinese) (filippino) (russo, serbo-croato) (italiano) (francese) (portoghese, brasiliano) (spagnolo) (inglese) (coreano) (arabo) (khmer) (ebraico) (indiano) (tibetano) (ucraino) (olandese, sudafricano)
PAPA
AUGUSTO, 9 anni, di Livorno: «Il papa si chiama Francesco, è simpatico e buono e, poi, va in mezzo alla gente e non ha paura di bere il matè quando glielo offrono. È sempre in visita sia in Italia che nel mondo. E ama tanto i bambini. Li carezza sulla testa, ride con loro. È contro la guerra e contro la povertà. È un papa diretto». ALFONSO, 12 anni, di Firenze: «Questo papa ha una santità allegra. Ride, ma poi, se deve arrabbiarsi contro i mafiosi, i camorristi, i terroristi e contro i preti pedofili, lo fa. Parla come deve parlare un papa coraggioso e chiede sempre di pregare per lui perché ha bisogno delle preghiere di tutti. Questo papa telefona alle persone direttamente lui e stupisce tutti perché nessuno si aspetta che un papa sia così semplice. Però non deve cambiare, anzi continuare così per dare un esempio. Questo è un papa da imitare». CHIARA, 13 anni, di Milano: «Papa Francesco è per la pace nel mondo perché deve sapere che la pace è minacciata veramente ed è possibile che scoppi la terza guerra mondiale. Mia nonna dice che il terzo mistero di Fatima è la terza guerra mondiale e che Lui lo sa e perciò dopo la visita alla Corea del Sud ha detto che ormai è scoppiata, anche se a pezzi, in tante parti del mondo. E ha ragione!». SARAH, 8 anni, di Roma: «Caro papa Francesco, avrei una domanda da farti. Cosa provi quando ti rivedi in televisione? Tu ci sei sempre alla televisione perché fai la Messa, poi l’Angelus, poi le visite a città e paesi dove ti aspetta un sacco di gente. Cosa si prova a stare con tanta gente intorno e poi che ti riprendono ogni momento?».
VALENTINA, 10 anni, di Salerno: «Caro papa Francesco, tu abbracci e baci sempre i malati o i disabili. Io ho una sorella così che è tutte e due le cose. Sono sicura che abbracceresti pure lei!».
PAURA
La paura, per i bambini, è anche e soprattutto una tappa necessaria per la crescita e lo sviluppo. La paura ha a che fare con il cambiamento e, quindi, con l’angoscia della separazione: il bambino che prova paura esprime, assai spesso, la difficoltà nel prendere le distanze da vecchie modalità e abitudini per abbracciarne di nuove. Ogni età ha le sue paure e, insieme, i suoi oggetti e le sue situazioni attraverso cui esprimersi: i temporali, il buio, i ladri, i mostri, gli animali fino ad arrivare, tra gli otto e i nove anni, anche alla paura della morte e della solitudine. Ogni bambino esorcizza le proprie paure a suo modo: chi parlandone, chi disegnandole, chi inventando storie su di esse. L’importante è saperle “drammatizzare”, saperle, cioè, “mettere in scena” stabilendo, anche con l’aiuto dei grandi, ruoli e personaggi da impersonificare, come in un gioco. CARLO, 9 anni, di Cuneo: «Io ho paura di avere paura perché quando ho paura di avere paura in mezzo al petto mi viene un nodo buio che cresce, cresce e mi arriva fino a dentro gli occhi. E me li spegne. Così resto al buio!». CHIARA, 8 anni, di Vigevano: «Io ho paura di restare sola a casa. Una volta, a sei anni, sono rimasta a casa da sola perché mia nonna che mi teneva ogni pomeriggio si è sentita male e l’hanno portata all’ospedale. La vicina di casa mi ha detto: “Tu, Chiara, resta qui ferma che noi portiamo la nonna dal dottore”. E, invece, non tornava proprio nessuno. Alla fine, mi sono messa a piangere e a urlare ma solo dopo tanto tempo ancora è arrivata mia madre dal lavoro e mi ha consolata. Io, però, da allora a casa da sola non resto più! Perché se escono e non tornano, io che faccio?».
GIULIO, 6 anni, di Como: «Io ho paura dei treni perché portano via lontano le persone! Mio padre li prende sempre perché lavora in Svizzera». ENRICA, 7 anni, di Mazara del Vallo: «Io ho paura che possano venire i ladri. Mia madre dice che questa paura l’ho cominciata ad avere quando è nato mio fratello. Magari è così. Però, che c’entra? Lui non è mica un ladro!». SHAADY, 10 anni, di Vittorio Veneto: «Io ho paura che i cani mi mordano. Mi è successo, da piccolo, a cinque anni e mio padre ha detto: “Così adesso imparerai a non toccarli!”. Questa brutta esperienza del cane che mi ha morso la mano mi ha reso prudente. Però, io amo i cani e vorrei sempre giocare con loro. Sempre. Allora mio padre mi ha detto che devo superare questa paura e capire come fare a stare con gli animali. Bisogna che io faccia un po’ di esperienza. Gli animali sentono se hai paura?». UGO, 8 anni, di San Vito Romano: «Io ho paura dei fulmini perché mi hanno raccontato la storia di un contadino che è diventato cenere per un fulmine. Lui era in un campo proprio vicino a casa mia e pioveva. Un fulmine l’ha colpito ed è morto fulminato. Dato che tutti lo ricordano sempre, io ho paura dei temporali e anche quando i miei genitori o i miei fratelli sono fuori e c’è il temporale io mi preoccupo tanto che rimangono fulminati. Io se c’è il temporale non esco e tutti mi dicono: “Sei un fifone!”. Io, però, me ne frego perché la paura è tanta!». IVANA, 8 anni, di Milano: «Io, di notte, sognavo sempre i mostri, avevo gli incubi e non facevo dormire nessuno. Allora mia mamma e mio papà mi hanno detto di fare una cosa che mi poteva aiutare e che gli aveva suggerito una psicologa: disegnare le facce degli antimostri, ovvero di fate e di eroi buoni che sconfiggono i mostri, e appenderle tutte intorno al mio letto così quando arrivano i mostri del sogno le facce li fermano. Io ho disegnato gli antimostri e pure i mostri che mi vengono in sogno. Poi, i mostri li ho fatti a pezzettini tagliandoli con le forbici e gli antimostri li ho attaccati tutti intorno al letto. Ci credi che non ho più sognato i mostri?».
MARIA GIULIA, 10 anni, di Roma: «La maestra, in classe, ci ha fatto scrivere un tema lungo sulle nostre paure. Io ho fatto il tema più bello e più lungo e ho scritto che, per me, avere paura è un modo per imparare ad avere coraggio. E, poi, ho elencato tutte le paure che ho avuto e che ho. Per esempio, da molto piccola avevo paura delle formiche e degli insetti. Poi ho cominciato ad avere paura del cielo senza luna e senza stelle perché credevo che le stelle si fossero spente e che la luna fosse sparita per sempre. Poi ho avuto paura dei mostri dei film, che sognavo pure di notte, e ancora dei draghi, degli orchi assassini, dei maghi come Valdemort di Harry Potter che vogliono solo dare morte. Poi, degli scheletri. Poi, della morte degli animali cari come il mio gatto e della morte gravissima come perdere i nonni o rimanere orfani. Io mi commuovo sempre quando leggo una fiaba o un romanzo dove c’è un bambino orfano come Harry Potter. Di solito, nelle fiabe o nei romanzi classici per bambini ci sono sempre orfani: penso, per esempio, al Piccolo Lord o a Heidi che non hanno i genitori. Ecco, io credo che la più grande paura sia poter essere degli orfani perché ti senti veramente solo e senza una famiglia tua».
PERCHÉ
Perché esistiamo? Perché Dio c’è ma non si vede? Perché gli angeli non fanno la cacca? Perché c’è il sole? Perché c’è la luna? Perché dici che il mondo gira? Perché c’è la notte? Perché c’è il giorno? Perché si muore? Perché il mondo può finire? Perché noi parliamo e i cani no? Perché noi parliamo e i gatti (e gli elefanti, le giraffe, gli orsi, gli uccelli ecc.) no? Perché non posso volare? Perché Gesù è morto e Dio non l’ha protetto? Perché ci sono i cattivi? Perché bisogna essere buoni? Perché strilli? Perché non vuoi più bene a papà? Perché non vuoi più bene a mamma? Perché hai fatto tanti figli? Perché lavori? Perché parli sempre male degli altri quando non ci sono? Perché dici anche tu le bugie? Perché tu non fai la pipì a letto? Perché sono malato? Perché il nonno è morto?
Perché la nonna è morta? Perché ci sono gli incidenti? Perché piove? Perché non posso sposarti, mamma? Perché non posso sposarti, papà? Perché dici che la vita è brutta? Perché dormi con Isabella e non con mamma? Perché Fabrizio viene ad abitare con noi al posto di papà? Perché hai le lacrime agli occhi? Perché la vita è bella? Perché ho la pelle bianca? Perché ho la pelle nera? Perché non cammino e gli altri sì? Perché è capitato proprio a me? Perché sono diverso? Perché mi lasci solo? Perché c’è la solitudine? Perché quando ti arrabbi sei diversa, mamma? Perché quando ti arrabbi cambi tanto, papà? Perché si cambia umore? Perché mi volete bene solo se sono bravo? Perché papà ha la pistola e io il pistolino? Perché tu hai i peli davanti e io no? Perché la felicità non dura sempre? Perché te ne vai? Perché hai il dolore? Perché sono brutto? Perché al tramonto il sole si squaglia? Perché la luna ha tanti spicchi? Perché cresco? Perché il mare fa burrasca? Perché viene il terremoto? Perché le feste ci sono ogni tanto e non tutti i giorni? Perché c’è una domenica a settimana? Perché le baby-sitter cambiano sempre? Perché non posso stare nel bagno con te?
Perché la cacca puzza? Perché non posso dormire io con papà e tu da sola? Perché i papà stanno a letto con le mamme e i figli dormono da un’altra parte? Perché c’è la guerra? Perché mi dai le botte? Perché si va a scuola? Perché non si può scappare? Perché gli zingari sono cattivi? Perché hai paura? Perché non mi tieni sempre in braccio? Perché mi lasci all’asilo? Perché sono un peso per te? Perché mi vuoi bene? Perché esistono i genitori? Perché sono nata femmina? Perché sono nato maschio? Perché…
PRIMAVERA
Nicolò oggi ha undici anni. Quando ne aveva nove, in quarta elementare, ha scritto una poesia sulla primavera dal titolo Il fiorimento, espressione delle sue meravigliose potenzialità creative e innovative del linguaggio. La sua poesia, che spero possa entrare a far parte delle antologie scolastiche alla voce “Parola poetica dei bambini”, recita così: “Che tu sappia bene / che la Primavera verrà / con tutti i suoi profumi / Ti porterà uccellini col cinguettio e il maestoso narciso giallo / E tutti fanno festa / con profumi e cinguettii / Che tu sappia bene / che la Primavera verrà”. La primavera è una stagione di rinascita che dovrebbe permettere ai bambini di trascorrere un maggior numero di ore all’aria aperta. Grazie al contatto con la natura essi possono ritemprarsi e smaltire, attraverso l’attività sportiva e il gioco libero, le tensioni accumulate, a beneficio del loro benessere psicofisico. Per i più piccoli, la natura che sboccia in primavera è anche una meravigliosa palestra per affinare i sensi. MARTINA, 11 anni, di Imperia: «Quando la primavera inizia, io lo sento dal vento che diventa una carezza». VERONICA, 13 anni, di Roma: «A primavera, le giornate tornano a essere luminose e io sento come il bisogno di tanta luce e che la luce aumenta». GIORDANO, 12 anni, di Livorno: «Io, quando comincia la primavera, sento che la scuola sfuma come sfuma il freddo. Ci sono giorni così belli e quasi caldi caldi, in primavera, che io vorrei fare i compiti in un prato, studiare in un bosco o in riva al mare».
LORENZA, 13 anni, di Milano: «Primavera, per me, è Pasqua, le uova di cioccolato e le sorprese! Se uno ci pensa, poi, la primavera è sorpresa. Ti sorprende mentre tutto torna a vivere, tutto sboccia, tutto cresce. A primavera crescono anche i desideri. Quali? Uscire, incontrare, baciare, fantasticare, ritrovare…». LETIZIA, 11 anni, di Roma: «Io, con il nome della primavera, faccio sempre un gioco che facevo da bambina: “La prima è Vera, la Vera è prima. Viva la primavera!”. Lo facevo, il 21 marzo, con mia nonna Luigia, che oggi non è più viva ma ogni primavera lo è perché risorge con il gioco della primavera». LICIA, 10 anni, di Modena: «Mia madre è fissata con le pulizie di primavera. Pulisce tutto, smonta, lava. Mette ordine dentro i cassetti, rimuove le tende, compra la biancheria nuova, sbatte per ore i tappeti. Mia madre sa dare pure le tinte alle pareti e quando sente la primavera diventa un “imbianchino selvaggio”. Così dice mio padre e noi ridiamo». PIERO, 12 anni, di Grosseto: «Mia madre e mia nonna, per le pulizie di Pasqua, vorrebbero pulire anche i marciapiedi! Insomma, è come se la pulizia dovessero farla dentro e fuori casa e vorrebbero tutto in ordine. Però mio padre, mio fratello e io siamo un po’ disordinati e, allora, loro dicono: “A primavera, bisogna rinnovarsi. Chi non si ripulisce l’anima, il corpo e la casa non è un cristiano pronto per la Resurrezione”». LINO, 9 anni, di Vercelli: «A primavera io sento profumi come mai durante l’inverno. L’inverno congela i profumi. La primavera scongela tutto. E io annuso». GIORGIO, 11 anni, di Comacchio: «A primavera, quando gioco a pallone, sento l’erba che mi cresce sotto i piedi!».
PULIZIA
Dalla nascita, il bambino crea con il corpo: con la saliva, il sudore, il muco, le feci, la pipì. I suoi “prodotti” rappresentano beni di immenso valore dai quali è difficile separarsi; ciò spiega anche l’avversione, specie nell’età dello sviluppo, nei confronti delle normali operazioni di pulizia. A volte, i rifiuti dei bambini a lavarsi o a farsi il bagno sono legati alla paura dell’acqua e del freddo, alla memoria degli occhi che bruciano a contatto con il sapone. Riempire la vasca di pupazzetti galleggianti, giocare con l’acqua può servire, allora, a presentare il momento della pulizia sotto una luce diversa, più creativa, trasformando, così, l’igiene personale in un gioco. Una maestra di Cosenza riporta il titolo divertentissimo che una sua allieva di sei anni declina quando lei propone il libro su Lilli e i suoi amici cani, titolo che la dice lunga sulla pulizia: «Oh, sì, lo ricordo e mi piace molto. Si intitola: Lilli e il cacabondo!». ALDO, 13 anni, di Roma: «Mia nonna divide il mondo delle persone in sporche e pulite. E perciò, fin da piccoli, perché noi siamo cresciuti con lei, ci faceva giocare tutte le sere e pure la mattina a “Caccia via lo sporco”. Insomma, ci facevamo un bel bagno caldo e la doccia; ci lustravamo le unghie; ci mettevamo l’accappatoio che d’inverno era caldo caldo; ci asciugavamo i capelli con il phon e, poi, “cacciavamo via lo sporco”, facendo un urlo tutti insieme: io, mio fratello, mia sorella e la nonna. Ho fatto tante risate cacciando via lo sporco che adesso, quando mi lavo, rido sempre!». ROBERTO, 12 anni, di Finale Ligure: «Mi sento molto pulito dopo il bagno. Non ho voglia, però, di farlo spesso. Se devo proprio dire la
verità il mio “odoraccio” mi piace odorarlo. È puzzetta di sporco, ma è mia». LIVIA, 8 anni, di Roma: «La pulizia è importante, soprattutto non avere peccati d’anima». EFISIO, 12 anni, di Cagliari: «La pulizia, troppa pulizia, non mi piace. Preferisco lo sporco confortevole». ARLETTA, 12 anni, di Cosenza: «Mia madre mi dice sempre che devo fare pulizia nella mia stanza, altrimenti lei non pulisce più. Io cerco di fare pulizia come dice lei, ma non ci riesco. Le cose mie hanno un ordine mio che non è il suo». ELISA, 12 anni, di Milano: «Mio padre dice sempre che quando uno cresce diventa, giorno dopo giorno, più pulito. Insomma, non se la fa più addosso, fa i bisogni nel water, si lava le mani e i denti tutti i giorni e, spesso, si lava i capelli, le orecchie, si lava i piedi e sotto. Insomma, si lava. Io invidio il mio fratellino: lo lavano perché ha cinque mesi e la può fare nel pannolino ancora». GIORGIO, 13 anni, di Verona: «La pulizia riguarda l’igiene personale, come dice la mia professoressa Nora, ma anche la politica nel mondo. Bisogna che le cose sporche finiscano o vengano denunciate e si faccia pulizia di ciò che è male».
Q
QUADERNI
QUADERNI
MARGHERITA, 10 anni, di Viterbo: «La mia mamma conserva tutti i nostri quaderni di scuola e gli album dei disegni. Dice che sono importanti per ricordare gli anni che sono passati e i progressi che abbiamo fatto io e mio fratello Alberto. Così abbiamo le librerie piene dei quaderni e dei libri di scuola. Però mio padre dice che, tra poco, i quaderni non si useranno più perché ci saranno i quaderni virtuali. E allora mia madre dice: “Be’, allora ancor di più bisogna conservare i quaderni”. E, poi, anche per me niente può sostituire un bel quaderno e un bell’album, anche se scrivo e disegno già con il tablet».
R
RAPIMENTI REGOLE RIPOSO
RAPIMENTI
ISOTTA, 12 anni, di Roma: «Nel mondo ci sono molti rapimenti dove c’è la guerra, ma soprattutto rapiscono le ragazze che vogliono studiare e quelle che vogliono fare del bene ai bambini per aiutarli. La colpa è dei jihadisti, che sono dei guerriglieri islamici estremisti. A loro non importano né la vita delle ragazze né la loro libertà di pensiero né la voglia che hanno di studiare. Importa solo che siano sottomesse».
REGOLE
VITALIANO, 11 anni, di Roma: «A casa nostra, abbiamo fatto una riunione, io, mia madre, mio padre e mio fratello Enrico, per dire quali sono le regole della nostra famiglia. Allora, la prima regola è che la mattina si fa colazione tutti insieme in cucina e nessuno ha la colazione a letto, come vorrebbe Enrico. La seconda regola è che, a turno, si apparecchia e si sparecchia e si mettono le stoviglie nella lavapiatti. La terza regola è che se non abbiamo fatto pranzo insieme, perché mamma e papà lavorano e noi mangiamo a casa dei nonni, la sera si cena tutti insieme, si parla e solo dopo si vede la televisione. La quarta regola è che ciascuno si fa la sua camera e il letto e che non bisogna lasciare i vestiti in giro. La quinta regola è che mio fratello Enrico può uscire solo il venerdì e il sabato sera, ma deve rientrare per mezzanotte. Lui non è d’accordo, io invece sì perché quando ritarda disturba tutti. La sesta regola è che non c’è la televisione in camera da letto e non si può usare il computer dopo le nove della sera. Questa regola, però, Enrico la evade perché usa il telefonino per vedere la TV e fare giochi o mandare messaggi o altro. La settima regola è che la domenica mattina si va a messa tutti insieme e si mangia a pranzo ora dai nonni materni ora da quelli paterni. E il pomeriggio si sta insieme per andare al cinema. Mio fratello Enrico, però, il pomeriggio della domenica vuole stare con i suoi amici e perciò questa regola non l’accetta. Mio padre insiste per farlo obbedire, mia madre invece dice che capisce e che bisogna lasciarlo andare. Io dico che Enrico è sempre contro le regole. L’ottava regola è che si parla ogni mese delle spese che si fanno in casa, perché così noi siamo informati su come va l’economia della famiglia e perché certe cose possiamo permettercele e altre no. Mio
padre e mia madre lavorano e a me danno una paghetta di cinque euro alla settimana mentre mio fratello Enrico, che ha sedici anni, ha la paghetta di venti euro alla settimana. A me sembra una paghetta molto alta, ma lui si lamenta sempre che non gli basta mai. È incontentabile e la sua mi sembra l’età delle lamentele!».
RIPOSO
EDOARDO, 10 anni, di Brescia: «Mia madre dice che ho i tempi lenti. Io penso che i suoi sono troppo veloci e senza riposo. A me, tra una cosa e l’altra, piace riposarmi perché dopo ho più energia. E, poi, se uno mi mette fretta, io rallento. Non so perché ma mi succede e allora la mamma si arrabbia». CLELIA, 12 anni, di Savona: «Quando mi riposo, non ho voglia di sentirmi dire che sono pigra. È che ho bisogno di pause quando la testa è piena perché ho fatto tanti compiti, ho provato tante paure e ho pure sentito litigare dentro casa. È allora che mi piace il silenzio della mia cameretta e la musica». LUISA, 10 anni, di Roma: «A scuola non vedo l’ora che ci sia un po’ di intervallo per riposarmi dalle attese: quella di fare il compito in classe; quella di aspettare se mi chiamano per essere interrogata; quella di dover leggere a voce alta; quella di rispondere se mi prendono in giro le altre ragazze o i bulli. Se mi riposo sono meno spaventata. Vorrei che a scuola ci fosse un intervallo di quindici minuti ogni ora di lezione. Forse è troppo, vero?». LIVIA, 11 anni, di Perugia: «Se mi riposo troppo, poi mi annoio. E la noia delle volte mi piace e delle volte no. Mi piace quando posso sognare a occhi aperti e nessuno mi disturba e mi immagino cose bellissime che mi devono capitare. Così, mi metto a pensare anche alle cose che vorrei fare, ai giochi e alle soluzioni che posso trovare per vincere. Invece, non mi piace se sono sola con la tata e non c’è mio fratello per giocare. Allora, mi prende un fastidio come se fossi prigioniera del vuoto e allora mi metto a leggere o a guardare la televisione o a ballare con la musica».
ANTONELLA, 10 anni, di Milano: «In casa mia è impossibile riposare. C’è troppo rumore, la televisione è sempre accesa, tutti parlano a voce alta e si urlano da una stanza all’altra. Quando stavo con la nonna, invece, lei mi faceva fare il riposino dopo pranzo. All’inizio non mi piaceva. Dopo, invece, ci avevo preso gusto e volevo io andare a fare il riposino pomeridiano. E anche a scuola è così. Il tempo scorre lentissimo e dopo pranzo, prima che andiamo di nuovo a fare lezione, nessuno ti fa fare un riposino. Bisogna subito alzarsi, fare una corsa in giardino, giocare con gli altri. Insomma, muoversi per digerire. Io, invece, vorrei dormire, magari mezz’ora. Ma tutti intorno fanno chiasso, corrono, giocano e se metto la testa sul banco mi vengono a dare fastidio. Forse, sono la sola bambina che vuole fare il riposino!». LUCA, 11 anni, di Cosenza: «Per me, leggere è un riposo, giocare è un riposo, guardare i miei programmi preferiti è un riposo, andare in bici è un riposo. E pure non fare i compiti per qualche giorno è un riposo. Mi piace riposare. Fa bene!».
S
SCUOLA SEPARAZIONE SILENZIO SOGNI SOLITUDINE
SCUOLA
LUCIANA, 10 anni, di Roma: «La scuola che vorrei è diversa da quella nella quale vado. Anzitutto, vorrei che le aule fossero accoglienti, luminose e belle e non ridotte male, sporche e scrostate come quelle dove si tengono le lezioni. Pure la palestra è malmessa e l’esterno cade a pezzi. Passare tante ore in un ambiente così mi fa brutto». EDO, 12 anni, di Milano: «A scuola bisognerebbe andare volentieri, ma io proprio non ci riesco anche se gli insegnanti che ho sono bravi. E, poi, ci sono i voti che ti tolgono il piacere di studiare. La scuola che vorrei è senza voti. Io penso che i voti non ci dovrebbero essere perché la voglia di studiare ti viene partecipando alle lezioni, facendo gli esercizi in classe, i laboratori e il doposcuola, se sei ben seguito. Il resto non dovrebbero essere i voti perché se uno partecipa alzando la mano, parlando, scrivendo, disegnando, facendo musica, arte, educazione fisica, scienze, matematica, possono aiutare se sbagli ma non possono fare la media dei voti, tipo quattro e tre quarti, cinque e mezzo e così via. È penoso». ENRICO, 9 anni, di Napoli: «Io sono molto bravo a scuola. Ho voti altissimi e studio molto perché mi piace andare bene. E gli altri che non studiano, se vanno male è giusto che prendano voti bassi o brutti voti. La fatica va premiata!». ELISA, 12 anni, di Orvieto: «A scuola io ci vorrei sempre andare per incontrare i miei compagni: alcuni sono proprio amici. Il bello della scuola sono i compagni che ogni anno ritrovi e poi frequenti pure fuori scuola. La scuola che vorrei è con più tempo per stare insieme agli altri, più ricreazione, più lavoro in gruppo».
ATTILIO, 13 anni, di Milano: «La scuola che vorrei è con tante attività pratiche, il lavoro di gruppo e poi il teatro, il laboratorio di lingue, di musica, di cinema, di fotografia, di grafica e con i computer. Sarebbe una scuola bellissima, moderna, dove gli insegnanti si incontrano con i genitori e i ragazzi anche per parlare e le materie si studiano in modo nuovo. E da fuori vengono anche degli ospiti a parlare, come hanno fatto quest’anno per celebrare la Resistenza: è venuto un ex partigiano a raccontarci la Seconda guerra mondiale. Questa è la scuola che mi piace». EZIO, 14 anni, di Roma: «A scuola si passano tante ore a partire da quando sei piccolissimo e vai all’asilo nido. Allora dovrebbe essere un tempo speso bene, pieno di interessi e anche di divertimenti e di gioia. Altrimenti diventa una fatica, una noia e, perfino, un odio per il tempo che devi stare a scuola, perché è d’obbligo, e che non passa mai. Allora sei infelice e vai male nelle materie». EVELINA, 13 anni, di Rovigo: «La scuola è un tempo della vita importante, lungo, impegnativo. È un lavoro e bisogna faticare per andare bene. Però anche gli insegnanti devono mettercela tutta altrimenti, a scuola, si sta male. E pure i genitori devono comprendere».
SEPARAZIONE
LAURA, 11 anni, di Roma: «I miei genitori sono separati da due anni. All’inizio erano come cane e gatto. Poi, però, mio padre si è calmato perché ha trovato una fidanzata e mia madre ha cominciato a essere più tranquilla. Lei non ha ancora un fidanzato ma non voleva più stare con papà e, adesso che lo vede tranquillo, parlano come amici. A me e a mia sorella la cosa va benissimo perché prima dovevamo sempre sentire le cose che dicevano l’uno dell’altro e non ci faceva bene. E, poi, eravamo imbarazzate perché non sapevamo a chi dare ragione. Ora che vanno d’accordo, invece, tutto fila liscio e stiamo bene sia da una parte che dall’altra. Però la fidanzata di papà non mi piace». FATIMA, 11 anni, di Milano: «In classe mia ci sono sei ragazze e cinque ragazzi che hanno i genitori separati. Sono veramente tanti. E la maestra ha detto a mia madre che vanno aumentando. Tra i miei parenti e tra gli amici della nostra famiglia, invece, non c’è nessun separato. Si litiga ma poi si fa pace e si rimane insieme». KEVIN, 12 anni, di Torino: «Mio padre e mia madre si stanno separando e hanno preso gli avvocati. Ma ancora siamo a casa tutti insieme e mio padre dice a mia madre che lei se ne deve andare. E litigano perché vogliono tutti e due stare con noi figli. Io sto male e pure mio fratello e non sappiamo che fare. Mia sorella, invece, sta dalla parte di mia madre e dice che quando si separano lei resta con mamma. Io non vorrei stare né con lui né con lei ma a casa mia, in pace. E pure mio fratello. Ma quando finisce questo strazio?». OSCAR, 11 anni, di Roma: «Da quando mia madre e mio padre si sono separati, si vive meglio e peggio. Meglio perché a casa si sta
sereni, senza liti, e mamma è buona e gentile e papà quando andiamo da lui sta sempre con noi ed è molto affettuoso. Peggio perché non ci sono soldi e mamma deve trovare un lavoro».
SILENZIO
MASSIMILIANO, 13 anni, di Roma: «Io amo il silenzio perché, nella sua integrità, si scoprono nuove esperienze all’interno delle quali si può vivere sopra una nuvola e volteggiare alla ricerca di rumori inesistenti». VIRGINIA, 13 anni, di Roma: «Il silenzio è una parola indescrivibile perché, appena la si pronuncia, già è scomparsa per magia». JACOPO, 13 anni, di Roma: «La voce del silenzio è assordante. Essa penetra dentro di me come un pugnale conficcato nel cuore di una bestia cacciata. È una sensazione strana, e allo stesso tempo fantastica, sentirsi sollevare da terra dal silenzio, come volare in un immenso universo vuoto ma colmo di cose. Il silenzio è tutto una contraddizione… così fuori dal mondo… un’utopia. Il silenzio è come una madre nella quale tutti, soprattutto le persone tristi o malinconiche, cercano riparo e si fanno stringere dalle sue grandi braccia affettive e materne. Ci si perde sempre nel mare del silenzio; si affoga tra le sue onde in burrasca che sembra abbiano delle corde per afferrarci e trascinarci via». BASSIM, 13 anni, di Roma: «Tutto intorno è muto: le bocche sono state cucite, gli oggetti e i movimenti sono stati bloccati o pietrificati, il vento è scomparso, la Terra non ruota più. Gli uccelli sono rimasti sospesi in aria. I pesci hanno perso le pinne, le cascate si sono bloccate, i fiumi e i torrenti si sono prosciugati, noi persone siamo tutte in apnea! Le piante hanno smesso di trasformare l’anidride carbonica in ossigeno, il vaso che stava cadendo dal balcone si è bloccato. Ma… ecco che il trionfo del silenzio sul rumore si sta
annullando. Tutto è ritornato alla normalità, è passato il microsecondo più bello che si potrebbe vivere. Tutto è come prima». FEDERICA, 13 anni, di Roma: «Il silenzio mi avvolge in un manto cupo. Bella la sua voce. Candido il respiro del vento che sfiora le foglie. Fruscio di fogli, breve rimbalzo della penna sul banco. Il silenzio ti uccide nel modo più dolce. Ti porta via, ti trasporta, ti rapisce. E in un momento di poesia come il silenzio, ti verrebbe da scrivere il rumore di un petalo di rosa che cade sul pavimento di cristallo». CELESTE, 13 anni, di Roma: «Il silenzio è come una zanzara dispettosa nelle afose sere d’estate. Quando il silenzio incombe nella mia aula, riesco a notare piccole cose che con il frastuono non hanno voce. La voce del silenzio invece ti ipnotizza, ti incanta». SHADI, 13 anni, di Roma: «Il silenzio si può interrompere e quando ciò accade tutti ti guardano con aria strana; invece, il rumore generato dagli uomini non si può interrompere, non se ne accorge nessuno. Infatti il rumore “umano” è un’interruzione continua del silenzio. Io penso che i poeti abbiano inventato le metafore e facciano vera poesia solo nei momenti di silenzio».
SOGNI
Anche il feto sogna. Chissà cosa sogna e se sogna i sogni della madre. Sognare è un impulso vitale, oltre che liberatorio, tanto che i bambini sognano fin dal grembo materno. I sogni sono “ponti” attraverso i quali rivisitare la realtà in totale libertà, a partire dai desideri, dalle fantasie, dalle emozioni e dalle paure più nascoste. ELOISA, 11 anni, di Genova: «Io sogno spesso dei mostri che, all’inizio, non hanno le facce dei mostri. Solo che, a un certo punto del sogno, si rivelano per quello che sono, ovvero mostri che possono farmi a pezzi. E alcuni anche vampiri che possono succhiarmi tutto il sangue! È così brutto quando tu non immagini che un mostro è un mostro e, invece, è un mostro. Io ho tanta paura di questo tipo di sogni che tornano sempre e, anzi, temo pure di scoprire da sveglia qualcuno che sembra buono e invece è un mostro». I sogni sono il teatro dell’inconscio all’interno del quale rappresentare storie sempre diverse, così come accade anche nel gioco. Storie che, alle volte, possono servire a pareggiare i conti quando la realtà si rivela deludente, drammatica o addirittura intollerabile oppure a tenere a bada le angosce per non esserne travolti o, ancora, a compensare desideri rimasti insoddisfatti. Così, il bambino goloso sogna di mangiare una torta o il bambino che desidera un giocattolo che ancora non possiede sogna di riceverlo in dono. ELISABETTA, 12 anni, di Roma: «Io quando sogno a colori è perché sono felice. E spesso, nel sogno, mangio qualcosa che mi
piace e che, a casa, nella realtà, non posso mangiare perché sono grassa e i dolci mi fanno ingrassare e mamma non vuole. Oppure, sono abbracciata a qualcuno che mi piace. Il piacere colora i sogni!». ELIA, 8 anni, di Napoli: «Io sogno sempre, pure a occhi aperti e sembra vero. Anzi, verissimo. E sogno che mi prendo in regalo tutto quello che desidero e che a scuola mi danno solo bei voti e la maestra sorride e dice: “Bravo!”. E non mi chiama alla lavagna». PAOLA, 10 anni, di Lucca: «Io credo che sognare mi faccia un gran bene perché faccio sempre sogni che, quando mi sveglio, mi sento allegra. Per esempio, sogno che mi dondolo sull’altalena in alto altissimo, che vado sui pattini e salto con la corda, che mi metto il tutù e danzo sulle punte. Poi sogno anche che tutti mi guardano e mi fanno gli applausi. Nei sogni sono bravissima e ho successo. Avrei bisogno che fosse così anche nella realtà». A differenza di quanto accade per i sogni degli adulti, i sogni dei bambini non hanno bisogno di essere “smascherati” perché si comprendano i desideri inappagati che, a volte, si celano dietro di essi. MARIA SOLE, 9 anni, di Milano: «Io sogno spesso di dare le botte in testa a mio fratello. Quando mi sveglio, però, mi vergogno di certi brutti sogni e se poi li racconto a mia madre, lei dice che sono gelosa. Sarà vero?». VITO, 10 anni, di Roma: «Io spesso sogno fiumi che straripano e mi sveglio tutto sudato e impanicato. Forse perché, una volta, lo straripamento di un fiume l’ho visto per davvero. Ero in macchina con mio nonno e la strada, all’improvviso, si è tutta allagata e l’acqua cresceva a vista d’occhio. Per fortuna, correndo più forte in macchina, siamo andati lontano dall’acqua del fiume. Però, che paura! Ancora me lo sogno!». ELENA, 10 anni, di Isernia: «Io sogno sempre che i miei genitori tornano insieme e che la donna di mio padre scompare per sempre.
Mi sogno così bene la scena che alla mattina mi sembra vero! Però, poi, mi accorgo che papà non sta più a casa. A volte, piango». AAMIR, 12 anni, di Venezia: «Io quando sogno e me lo ricordo la mattina dopo è sempre perché ho risolto un problema. Per esempio, se sono andato a letto con un pensiero negativo su qualcuno che mi ha fatto qualcosa, di notte sogno che gli parlo e ci discuto e gli dico tutto quello che mi sento. Così, quando mi sveglio, ho chiaro dentro di me quello che dovrei dire e fare. Però, in verità, non sempre poi faccio quello che ho capito dai sogni, perché nei miei sogni la verità la posso dire più facilmente sfogandomi, come nella realtà spesso non si può fare».
SOLITUDINE
ALESSIO, 13 anni, di Roma: «Io vado spesso in solitudine quando non mi trovo bene con gli altri, quando mi sento escluso o mi sto annoiando». PATRIZIA, 13 anni, di Napoli: «La solitudine è un bene prezioso se però la scegli. Altrimenti è un dolore, un isolamento che può farti male fino a morire». MANUELE, 12 anni, di Roma: «Quando resto solo, io mi attacco subito al computer. Internet mi tiene compagnia. Così non soffro mai di solitudine». VINCENZO, 9 anni, di Verona: «Io ho proprio bisogno del mio tempo per stare solo. Mi piace scrivere, leggere, studiare, giocare da solo. Mio fratello mi rompe e vuole entrare in camera mia. Io queste cose non le sopporto perché mi sento invaso». DAVID, 12 anni, di Roma: «Se la ricerchi, la solitudine ti viene incontro». CARMEN, 10 anni, di Rovigo: «Nessuna persona è sola se vuole stare insieme agli altri. Molte persone, infatti, vogliono stare sole perché stanno male, si chiudono, vogliono scomparire nella solitudine. Se solo volessero o potessero, non rimarrebbero sole». VITTORIO, 11 anni, di Roma: «Le persone rimangono sole perché non avevano amici veri. Se hai amici veri non rimani mai solo, anche quando stai veramente nei guai».
T
TATUAGGIO TIMIDEZZA
TATUAGGIO
EVA, 13 anni, di Genova: «Mia madre e mio padre non vogliono che io mi faccia il piercing e neppure un tatuaggio e senza il loro permesso non posso farlo. Mi devono accompagnare loro. Però mio padre e mia madre un tatuaggio con i loro nomi e il cuore se lo sono fatti. Perché, allora, io no?!». ANTONIA, 13 anni, di Roma: «Io voglio farmi un piccolo tatuaggio che però non si deve vedere. Non lo voglio fare per la moda ma solo per me: una stellina nascosta sotto il seno per il mio quattordicesimo compleanno. Però a casa non me lo vogliono far fare. Dicono che è doloroso e pericoloso e che sono troppo piccola». GISELLA, 14 anni, di Milano: «A scuola, tanti ragazzi hanno i tatuaggi sulle braccia e alcuni sulla schiena e sul collo. E pure le ragazze. A me l’idea di tatuarmi non piace affatto, perché se cambi idea non puoi cancellare il disegno o la scritta. E poi è doloroso». IRENE, 14 anni, di Roma: «Io adoro i tatuaggi. Vorrei essere un tatuaggio e rappresentare sulla mia pelle le cose che sento dentro». VALENTINO, 14 anni, di Torino: «I tatuaggi sono alla moda. Chi è veramente figo ha i tatuaggi sulle braccia, sulle spalle, sul collo e pure sul corpo. Il tatuaggio può diventare come un vestito. Però, poi, è sempre lo stesso vestito».
TIMIDEZZA
ELIA, 9 anni, di Viterbo: «Io sono timido e divento subito rosso se si rivolgono a me direttamente e mi sudano le mani. Così, non riesco mai a dare la mano a nessuno e sembro maleducato o scontroso. Invece sono soltanto timido e non so come fare. Di notte, sogno che stringo le mani alle persone e loro dicono: “Ma sei proprio sudato!”. Oppure si schifano. È una situazione bruttissima. Per questa timidezza io sto molto in casa dove mi capiscono perché anche a mia madre e a mia nonna sudano le mani». ANGELO, 11 anni, di Roma: «Io ero molto timido soprattutto quando dovevo parlare davanti agli altri. E così non volevo fare le interrogazioni orali. Poi, però, il mio insegnante di lettere mi ha preso da parte e mi ha detto di non nascondere questo mio problema e anzi di dichiararlo davanti agli altri dicendo: “In questo momento, io non riesco a parlare bene davanti a voi ma ci proverò come posso…”. Io gli ho dato retta, l’ho fatto e come per magia sono riuscito a parlare e a fare l’interrogazione orale. E me la sono cavata pure bene!». LUIGI, 9 anni, di Roma: «Quando mia madre racconta a tutti le cose che io faccio o le cose che le ho detto, io divento timido. Anche se racconta cose belle, io mi innervosisco e mi arrabbio. Perché non capisce che mi mette in imbarazzo?». LUISA, 9 anni, di Viterbo: «Io divento timida quando in televisione ci sono scene d’amore o di sesso e io le sto guardando insieme ai miei genitori. Mi fa molta vergogna e imbarazzo e non so dove guardare né che fare. Mi domando loro a che pensano».
MARIANNA, 10 anni, di Roma: «Io sono molto innamorata ma la timidezza mi blocca. Così ho raccontato alle mie amiche che sono innamorata di Davide, l’ho anche scritto nel diario ma a lui non faccio vedere niente. Neppure che mi interessa. Infatti, se a lui non interesso, figurati la vergogna!». ENNIO, 12 anni, di Roma: «Io sono timido ma non si vede. Ho capito che basta essere bastian contrario e rabbioso per non sembrare timido. E anche essere sempre critico, non farsi mai abbracciare, odiare i complimenti, dire quasi sempre “no” e qualche “sì” che ti devono pregare. Ecco come fare».
U
UMILIAZIONE UOVO USCITE
UMILIAZIONE
IVANO, 8 anni, di Roma: «Ci sono molte cose umilianti ma farsela addosso in classe davanti a tutti è la più umiliante di tutte. A me è capitato in seconda elementare e ogni giorno che tornavo a scuola mi ricordavo cosa era successo oppure me lo ricordavano i compagni che mi chiamavano “pisciasotto”. Io non volevo più andare in quella scuola, ma mia madre e mio padre mi ci portavano ugualmente e comunque io non me la sono più fatta addosso e nemmeno a letto. È stata un’umiliazione così grande che ho smesso del tutto. Se mi scappa, corro in bagno e me ne accorgo pure se dormo». GINA, 12 anni, di Roma: «Prima che mio padre e mia madre si separassero, per me l’umiliazione più forte era dover chiedere i soldi a papà per la merenda o per i libri. E glieli doveva domandare anche mia madre per fare la spesa, per la casa, per i vestiti e altro. E pure lei si umiliava perché lui non li voleva dare e, poi, tutto il tempo ci insultava. Ci faceva sentire che lo sfruttavamo e che eravamo fastidiose come dei mendicanti. Adesso che mia madre lavora e si sono separati, non dobbiamo chiedere l’elemosina per le cose di tutti i giorni. Ci siamo liberate. Io penso che voglio andare a lavorare presto per non pesare su nessuno, perché è umiliante chiedere sempre». MAURIZIO, 12 anni, di Roma: «Mio padre dice che le umiliazioni fanno bene perciò ci svergogna davanti a tutti, racconta a chiunque le cose sbagliate che facciamo. E se facciamo un errore, ci chiama pure con le parolacce, o cretino o idiota o buono a nulla. Mia sorella piange sempre quando lui la umilia. Io invece faccio finta di niente e allora lui per un po’ continua più forte e poi smette. Io, però, ho
notato che, anche se non mi piace quello che fa mio padre per umiliarci, io per educare il cane gli dico le stesse cose. Mio padre, però, non vuole che io faccia così con il cane e con il cane è sempre affettuoso e non gli dice mai: “Idiota!”. Umilia solo i figli». ANITA, 11 anni, di Napoli: «Quello che mi umilia di più è l’indifferenza. Chi si comporta come se non esistessi mi fa stare troppo male». AISHA, 9 anni, di Roma: «Per umiliare una persona, basta non riconoscerla». ELEONORA, 11 anni, di Vittorio Veneto: «Se ti hanno umiliato tanto, puoi diventare tanto cattivo per vendicarti». ESTER, 12 anni, di Vittorio Veneto: «Non bisogna umiliare i bambini e i vecchi mandandoli a chiedere l’elemosina perché loro fanno più pena. È orribile e quelli che lo fanno o che lo permettono sono veramente cattivi. Perché sia i bambini che i vecchi sono deboli, hanno bisogno di protezione e dovrebbero essere i primi ad avere l’aiuto garantito dalla società». VANIA, 13 anni, di Vittorio Veneto: «Umiliare le persone o umiliare i popoli genera odio e violenza. Fa venire la guerra e si va a morire per superare l’umiliazione, per lavare la vergogna, per cancellare il disprezzo».
UOVO
VINCENZO, 9 anni, di Milano: «Io ho una passione per le uova. Quello che mi piace dell’uovo è la forma che ha e il bianco quasi trasparente. E poi che contiene sempre qualcosa. O tuorlo e albume per fare la frittata e l’uovo all’occhio di bue o l’uovo sodo. Se è un uovo di cioccolata è il top perché, come gli ovetti Kinder e le uova di Pasqua, contiene una sorpresa. Io con le sorprese degli ovetti Kinder ci gioco da sempre e le colleziono. È bellissimo mangiare cioccolata e giocare con le sorprese. È mettere insieme il piacere del sapore con quello delle sorprese. Ogni cibo dovrebbe essere sorpresa e sapore». CRISTIANO, 9 anni, di Vittorio Veneto: «Ho sognato che ero in un grande prato con l’erba ben tagliata. A un certo punto vedevo in lontananza una grande cosa bianca. Allora mi avvicinavo e sapevo che era un uovo con le finestrelle e le porte. Lì abitavano dei nanetti vestiti di verde e di rosso. Sembrava un ambiente tricolore italiano: l’uovo bianco e i nani verdi e rossi. Io mi annoiavo e loro mi davano una cosa da bere di colore giallo. “Cos’è?” domandavo io. “È una bibita miracolosa che fa vivere per sempre.” Io però bevendo mi accorgevo che era il tuorlo dell’uovo. Lo stavo per dire, poi ho pensato: “Si offendono”. Allora ho bevuto tutto e mi sono messo a giocare con delle uova a forma di pallone. E tiravo calci fortissimi in porta e facevo sempre goal e mi sentivo bene come un supereroe che ha ricevuto dei superpoteri. Nel sogno esclamavo: “Allora è vero, il tuorlo dell’uovo fa diventare invincibili e fa vivere per sempre!”. Quando mi sono svegliato, ho raccontato a mia madre il sogno e lei è scoppiata a ridere e ha detto: “Deve essere il potere
dello zabaione che ti preparo ogni mattina! Se l’hai sognato, sarà vero!”. E ancora ride». GIOVANNA, 8 anni, di Roma: «La sorpresa dell’uovo di Pasqua è che Cristo dopo morto risorge. Quella è la vera sorpresa!».
USCITE
“Ma come? Solo ieri piangeva disperata quando la lasciavo all’asilo e adesso insiste per uscire con le amiche dopo cena! Mia figlia ha solo 14 anni: non è un po’ troppo presto per permetterle di andare in giro la sera?” Dopo averne parlato con alcune amiche mamme, ho capito che, sul tema, nessuna ha le idee chiarissime. Molte di noi, invece, si fanno diverse domande. Le ho girate a Maria Rita Parsi, psicoterapeuta e autrice del libro Maladolescenza. Quello che i figli non dicono (Piemme). Ecco le sue risposte. A che età concedere le prime uscite? Non c’è una regola valida per tutti. Ma serve una premessa: anche se a noi adulti viene qualche mal di pancia, frenare il naturale desiderio di indipendenza dei figli è un grave errore. Anzi, in maniera graduale mamma e papà devono favorire il distacco dalle sicurezze dell’infanzia. Uscire la sera, come usare il motorino, per fare due esempi, sono tappe di questo processo. Ecco perché non c’è un’età giusta per tutti: dipende dal ragazzo, dalla sua maturità e dal contesto. Ma anche dai precedenti. Se le prime uscite pomeridiane hanno già creato dei problemi (orari non rispettati, bugie sugli amici e così via) vuol dire che non è ancora il momento. L’importante, però, è che lui comprenda il perché del nostro divieto. È giusto dire sì solo nel weekend? I permessi vanno accordati con intelligenza. Salvo occasioni davvero speciali, durante l’anno scolastico si esce solo nel fine settimana. E non come abitudine da dare per scontata. Si valuta volta per volta. Se, per esempio, c’è un impegno di famiglia (un
anniversario da festeggiare o uno zio in visita) il quindicenne rimarrà in casa con tutti gli altri. Qual è l’orario corretto per il rientro? Fino a 16-17 anni consiglio di tenere le 23 come punto fermo. Ogni quarto d’ora in più va conquistato man mano che si diventa grandi. È un errore concedere a un quindicenne di rincasare alle tre del mattino. E non solo per le situazioni potenzialmente pericolose o per gli incontri non adatti all’età. Permettergli di fare precocemente esperienze forti vuol dire anche che poi, a 20 anni, non avrà più nulla da fare e da scoprire. Lo aspetto alzata? I primi tempi, sì. Magari in compagnia di amici invitati a cena o davanti a un film alla tivù. E senza assillarlo con il terzo grado. A lui basta vedere mamma e papà in piedi per capire fin dove può spingersi. Se sente di essere controllato senza angoscia né invadenza, si sente amato e importante. Lo accompagno e lo vado a prendere? Quando sono state fissate regole chiare, e si sa dove è andato e con chi si trova il ragazzo, no. In casi eccezionali, invece, per esempio per un concerto che finisce ben oltre l’orario di rientro, può essere un compromesso. Che mette i grandi tranquilli. È rientrato tardi: come mi comporto? Se c’è un buon dialogo, prima di uscire il ragazzo cercherà di rinegoziare l’ora del rientro. È importante che i genitori prestino attenzione alle sue ragioni (non è più un bambino) perché, anche se questa volta non otterrà il permesso, si sentirà rispettato. Ma se, poi, il figlio sceglie comunque di disobbedire, ci vuole coerenza e serve una punizione. Altrimenti lo si confonde e si creano margini perché lui cominci a fare quello che gli pare: per gli adolescenti il mondo è imprevedibile, mamma e papà non possono esserlo. (Silvia Calvi, in “Donna Moderna”, 2014)
V
VACANZA VERITÀ VOLONTÀ
VACANZA
C’è un tempo lavorativo – per i bambini, quello della scuola e dei compiti – e c’è un tempo per rigenerarsi. Un tempo “vuoto” in estate, quasi sospeso, tutto da reinventare. Qual è, allora, la funzione educativa che i genitori e le figure adulte di riferimento possono svolgere nei confronti dei bambini e dei ragazzi alle prese con la gestione delle vacanze? Al bando gli stimoli eccessivi, i contesti spazio-temporali troppo strutturati e le richieste pressanti: lasciamo i bambini liberi, quando lo desiderano, di andare e di venire senza meta, di scorrazzare e di perdersi liberi dentro l’estate. ARTURO, 10 anni, di Milano: «Quando vado in vacanza adesso che non abbiamo più tanti soldi il divertimento dura poco: una settimana al massimo perché costa. Allora, io mi sono organizzato con tanti ragazzi del condominio che non vanno in vacanza nemmeno loro e abbiamo formato una squadra di calcetto. La più bella vacanza è giocare al pallone tutto il giorno in cortile senza mai pensare ai compiti. Tanto l’oratorio è aperto!». EMILIO, 9 anni, di Roma: «Vado ai centri estivi dove si fanno tante cose divertenti. Io sto imparando anche a fare il clown e penso che quando cresco andrò a farlo negli ospedali dove ci sono i bambini ammalati per divertirli come mi diverto io. Mia madre dice che fare il clown da grande non è un mestiere. Ma io penso invece che il divertimento, anche se non è un mestiere, è una cosa che rende allegra la vita anche quando la vita non è allegra e imparare a fare il clown ai centri estivi mi mette allegria». IRENE, 12 anni, di Imola: «In vacanza, alla Valtur, succede che mangiamo tutti insieme a pranzo e a cena, ma durante il giorno ci
sono le attività separate per uomini, donne e bambini e non ci si incontra mai, solo la sera a vedere lo spettacolo teatrale, animazione e musica. Serve per stare bene e i genitori non litigano fino alla fine della vacanza. Però, dura poco. Quando torniamo, invece, ho notato che sono tutti tristi e pure arrabbiati perché è finita la “vacanza vacanza” e si torna a casa e nessuno sa dove metterci perché non c’è la scuola fino alle quattro e mezzo come durante l’inverno. Ma perché uno non organizza la vita come al club di vacanze? A pranzo e a cena insieme e, poi, tutti a divertirsi ciascuno per conto proprio. Io così sto proprio bene. Ci sono gli spazi giusti, ci sono gli animatori, non ci sono i compiti e al tavolo, a pranzo e a cena, ti servi quello che vuoi. Scegli da te, che è una bellissima cosa!». CARLO, 11 anni, di Verona: «Io sono in vacanza quando non ho nessun pensiero in mente. Mi sento luminoso di cervello!». ELVIO, 9 anni, di Gallarate: «Quando ci sono le vacanze io vado dai miei nonni in Puglia e faccio sempre “le avventure” perché conosco posti nascosti delle campagne e li esploro con mio padre che ama la natura e scopro che ci sono tanti tipi di animali, sconosciuti in città, che abitano i prati e l’aria. A Gallarate ci sono solo le zanzare, i cani e i gatti. In campagna, invece, pure le formiche hanno interesse per me. Me le trovo dentro al letto, nella minestra e poi ci sono le lucciole, le cavallette, i bruchi. E le mucche, le capre, le pecore. Da grande voglio fare il pastore e il contadino perché i miei nonni sono sempre allegri, sorridenti, mangiano tanto e non ci sono rumori sotto la luna». LUCA, 7 anni, di Vigevano: «Io non sopporto le vacanze perché perdo tutti gli amici che vanno via con i genitori al mare o in montagna e mi sento solo, solissimo e fa caldo, caldissimo». ELEONORA, 11 anni, di Napoli: «Per me le vacanze sono una cosa sospesa tra un anno di scuola e l’altro e io non vedo l’ora che iniziano e dopo che finiscono. Per me sono troppo lunghe, dovrebbero esserci continue vacanze distribuite per tutto l’anno. Brevi ma continue. Un sorriso e un peso. Un divertimento e un impegno».
ENRICO, 12 anni, di Savona: «Io le vacanze le faccio con mia sorella, metà con mia madre e metà con mio padre, che sono separati. Mia madre ha un fidanzato che ci fa molto divertire e ci porta a vedere posti bellissimi. Invece mio padre è da solo e durante le vacanze, per spendere poco, ci porta in campagna dai nonni. Lì si sta malissimo perché non c’è niente da fare. Io sto sempre in Internet, mia sorella piange che vuole andare da mia madre. I miei nonni parlano male di lei e questo mi infastidisce tanto». LIBERO, 8 anni, di Pordenone: «Io le vacanze le passo sempre con mia madre da quando sono nato, perché lei non ha un marito e io non ho un padre. Ogni anno mi torna in mente che se avevo un padre mi portava in vacanza prima e non dovevo aspettare le ferie della mamma. Ma a mia mamma non lo posso dire perché lei si offende». VERONICA, 12 anni, di Roma: «Le vacanze sono il momento più bello dell’anno quando ci penso mentre studio. Ma, poi, non sono per niente così. I miei genitori aspettano sempre le vacanze per litigare tra loro. Sembra che si diano l’appuntamento per fare la somma di tutte le cose brutte che non hanno detto o che sono successe durante gli altri mesi dell’anno. Io trovo che questa abitudine è pericolosa, perché rovina tutte le vacanze degli altri e c’è un’aria buia che si taglia con il coltello». ALESSANDRA, 14 anni, di Rovigo: «Vacanza per me vuol dire studiare ancora perché mi prendo sempre i “debiti” e allora devo recuperare. Quando studio d’estate, però, è più bello perché le lezioni sono mescolate alle vacanze e così io posso studiare quando voglio, non mi devo alzare presto la mattina di tutti i giorni e faccio le pause tra una fatica e l’altra come se fossi già all’Università. Non vedo l’ora di andare all’Università perché è il mio modo preferito di studiare. Però prima devo finire le scuole superiori ed è una fatica. Che fatica!».
VERITÀ
I bambini, in fatto di verità, sono dei maestri: sono loro, infatti, che, assai spesso, insegnano ai grandi a dire le cose come stanno, anche quelle che sono difficili da accettare. GIULIA, 12 anni, di Bari: «Quando ho scoperto la verità, cioè che mio padre e mia madre si separavano, la verità non mi è più piaciuta. Le verità vere, tante volte, sono tristi». VERA, 11 anni, di Roma: «Dire la verità è una cosa rassicurante perché non hai paura di essere scoperto e sbugiardato come capita a chi dice le bugie». MATTEO, 8 anni, di Vigevano: «La verità è che mio papà mi ha fatto del male». ALESSIO, 8 anni, di Milano: «Non si può sempre dire la verità, perché a volte la verità per le persone a cui la devi dire è brutta. Io, per esempio, non dico a mio nonno che ha l’alito cattivo». MARGHERITA, 12 anni, di Como: «Non so dire cos’è la verità però magari è onestà, sincerità, lealtà. Ti metti di fronte a te stesso e agli altri pulito di cuore». ELENA, 6 anni, di Roma: «La verità è come una strada dritta». ISABELLA, 9 anni, di Milano: «Quando una cosa è farlocca [falsa] io dico subito che non è vera. Mi piace la verità perché mi sento giusta». SAMANTHA, 8 anni, di Grosseto: «Mio padre dice sempre la verità e ci punisce se non siamo sinceri. Dice che una brutta verità è
sempre meglio di una bellissima bugia. Io penso che è esageratissimo». ARNALDO, 12 anni, di Bordighera: «La verità non è uguale per tutti. Infatti, ognuno ha una sua verità. Tipo che io dico: “Questa è la verità” e Mirco, il mio amico, dice: “Non è vero!”. E per lui non è vero!». CRISTINA, 10 anni, di Foggia: «Io cerco sempre la verità e a volte la trovo dentro i libri. E anche se sono libri fantasy, pure lì c’è una verità: è quella della fantasia». ESTER, 7 anni, di Ravenna: «La verità è che anche i grandi dicono le bugie». ELDA, 9 anni, di Torino: «C’è una verità che vale sempre. È vero che siamo nati e pure che moriremo tutti (anche se speriamo di no!)». GIULIA, 9 anni, di Caserta: «È vero che c’è Dio? Io spero di sì. E se non fosse vero? Allora la verità sarebbe: non è vera la verità!».
VOLONTÀ
La “forza di volontà”, nel corso dell’esistenza, si rafforza o si indebolisce a seconda delle esperienze che caratterizzano, in particolar modo, i primi anni dell’infanzia. Un attaccamento sicuro rappresenta il primo passo nel favorirla. La volontà rende i bambini esplorativi, capaci di esprimersi e di sperimentare successi e rinforzi positivi, laddove l’ambiente circostante non è opprimente. L’“Io voglio” dei bambini più piccoli sta a indicare: “Voglio quello”, “Voglio questo”, che è una ricerca e una presa di contatto, un desiderio di essere in relazione con le persone (“Voglio mamma, voglio papà, voglio nonna, voglio nonno”) e con le cose (“Voglio il ciuccio, voglio il peluche”); o una richiesta di attenzione e cura (“Voglio mangiare, voglio dormire, voglio suggere, voglio le coccole”). ANNALISA, 4 anni, di Roma: «Io voglio tre cose. E le voglio sempre. Mia mamma che mi abbraccia e posso toccare il seno. Mio papà che mi fa andare sulla macchinetta. E il mio ciuccio che non me lo tolgono mai». E, ancora, un’esplorazione e una sperimentazione delle proprie capacità nell’ottenere, attraverso la magia della frase “Io voglio”, ciò che si sente come necessità o desiderio per vivere, giocare e crescere. Il “Non voglio”, poi, è una formula che sottintende la “fase del no” – che si esprime intorno ai due anni, l’età dei primi capricci, delle crisi di opposizione e degli scoppi di rabbia improvvisi – grazie alla quale il piccolo prende a verificare ciò che lui è e chi è l’altro al quale dice: “Non voglio”, per staccarsi, distinguersi, uscire dalla confusione del “voglio fusionale”.
I bambini hanno bisogno, allo stesso modo, dei “sì” e dei “no” per sentirsi sicuri e volenterosi a imparare. Un modo per sviluppare la volontà dei bambini consiste, per esempio, nel creare le condizioni in cui possano sentirsi utili agli occhi degli altri, impegnati in un “vero lavoro” capace di valorizzarli. LUCA, 8 anni, di Roma: «Quando faccio i disegni, mia madre li appende tutti nella mia camera, nella sua e sul frigorifero. Mio papà dice che da grande, se ho volontà, farò il disegnatore, l’artista. Io voglio fare il pittore e fare le esposizioni». ERMANNO, 9 anni, di Pisa: «Quando voglio rifarmi la mia camera e la faccio, mia madre mi dice sempre: “Bravo!”. Poi mi abbraccia e mi dà un bacio. Per questo io rifaccio sempre la camera!». La formazione dei bambini passa, principalmente, attraverso la scuola – la seconda agenzia educativa più importante dopo la famiglia –, in cui la parola “volontà” acquista sempre più significato. LUCA, 9 anni, di Trento: «La mia insegnante ci fa fare i compiti in classe e poi dice di dare a noi stessi un voto. Lei vuole che noi decidiamo da soli come abbiamo fatto il nostro lavoro. In più, si parte sempre dal sei e questo aiuta anche i bambini meno capaci. Io spesso mi metto otto. Una volta, mi sono dato pure dieci. La maestra ha detto: “Sei stato veramente bravo. Te lo meritavi!”». ALESSANDRO, 10 anni, di Livorno: «Io ho l’esempio di mio padre per quello che riguarda la volontà. Lui mi ha insegnato – perché lo fa ogni giorno! – che ci si alza ogni mattina, ci si fa la doccia, si fa la colazione e poi si va al lavoro. Il mio lavoro è studiare. Il suo è andare in ufficio, come pure mia madre. Poi si pranza, si studia, si fa lo sport e la sera si sta a cena insieme e dopo si può stare un po’ davanti al computer o alla tele. Questi ultimi sono piccoli piaceri che ti puoi prendere solo se hai avuto la volontà di fare tutto il resto. Volere è potere. E potere il volere ti mette a posto la coscienza. Ripeto: me lo ha fatto capire con l’esempio mio padre. E pure mia madre».
LUIGIA, 12 anni, di Salerno: «Io credo che ci sono due “voglio”. Un “voglio” che è per il desiderio come, per esempio: “Voglio mangiare la cioccolata, voglio andare alle giostre, voglio un paio di scarpe nuove e i videogiochi…”. Poi, però, c’è un “voglio” che significa “volontà”. Non è: “Io desidero o mi piacerebbe”. È invece: “Io mi impegno a fare, io costruisco, io ottengo e, anche, io conquisto”. Per esempio: “Io voglio studiare per prendere un bel voto; io voglio aiutare mia madre a fare le faccende; io voglio diventare una famosa pianista”. La “volontà”, molto spesso, è anche fatica e ci può volere pure molto tempo per fare le cose e ottenere i risultati desiderati. Ma vale la pena, però!». ISABELLA, 9 anni, di Verona: «Io voglio che i miei genitori stanno sempre insieme a noi e non litigano più. Così, io e mia sorella abbiamo fatto una cosa per fargli capire cosa è che vogliamo. Abbiamo disegnato il sole e la luna su un foglio grandissimo e poi li abbiamo colorati: il sole di arancione, la luna di grigio e bianco e glieli abbiamo regalati. Ci hanno chiesto perché, ma io e mia sorella gli abbiamo detto soltanto: “Il sole e la luna sono sempre insieme, come la notte e il giorno. E, anche se sono diversi, non litigano mai tra loro per chi brilla di più in cielo. Fanno i turni!». GERARDO, 10 anni, di Pescara: «Io voglio che il mondo sia migliore di com’è e perciò ci metto tutta la volontà per stare dalla parte del bene. Anche se ho tante tentazioni… Il mondo lo farò cambiare insieme a quelli che hanno volontà. Come la mia». MARIATERESA, 10 anni, di Pescara: «Quando penso alla “forza di volontà” mi viene in mente il film di un bambino che doveva trovare sua madre che lo aveva lasciato da piccolissimo. E affrontava tutte le prove e le difficoltà senza perdere mai di vista il suo obiettivo: ritrovare sua madre. Così, alla fine, la trova». ALBERTO, 8 anni, di Pisa: «Io voglio fare tutto l’album di figurine dei Pokemon. È una fatica trovare tutte le figurine, ma io lo voglio fare». IVAN, 12 anni, di Trento: «Io voglio essere coraggioso, battere le paure e la vergogna. Per avere coraggio devo essere uno che
vuole». LIVIO, 10 anni, di Udine: «Io voglio mostrare a tutti che ho volontà perché la volontà è una spinta interiore che determina forza, coraggio e soddisfazione».
Z
ZOE ZOO
ZOE
LIVIA, 14 anni, di Milano: «Zoe significa “vita” in greco. Mia sorella si chiama Zoe per questa ragione. Lei è nata prematura a quasi sette mesi ed è rimasta per un po’ in incubatrice. Io l’aspettavo tanto questa sorellina, perché mamma aveva già avuto due aborti e io non volevo restare figlia unica. Lei è arrivata quando io avevo nove anni ma è arrivata dopo due tristezze e poi troppo presto per essere una vera neonata. Così, Zoe per me è stata, all’inizio, un problema. Mamma era sconvolta, faticava a rimettersi. Lei rimaneva all’ospedale e bisognava fare su e giù ogni giorno per vederla. E, poi, non si sapeva, all’inizio, se ce l’avrebbe fatta. Quando finalmente è tornata a casa, abbiamo fatto festa e lei ha sorriso per la prima volta e ha sorriso a me. Come se mi riconoscesse. Non ha sorriso che a me inizialmente e tutti si stupivano perché mi aveva visto solo alcune volte all’ospedale. Secondo me, Zoe ha sentito che io la aspettavo, che volevo che ci fosse nella mia vita. Anche adesso che è diventata più grande e ha cinque anni, vuole stare molto con me e si fa abbracciare e mi abbraccia. Ieri mi ha detto: “Livia, non andare mai via sennò mi spengo”. Chissà che avrà voluto dire, ma mi ha commossa».
ZOO
ELVIRA, 10 anni, di Messina: «La natura è la casa degli animali. Lo zoo perciò non è un posto dove gli animali stanno a casa loro. È un carcere all’aperto per gli animali e le persone li possono vedere che girano su e giù nelle gabbie. E, anzi, pagano per guardarli prigionieri mentre gli orsi pensano: “Voglio uscire e tornare nei boschi o tra i ghiacci”. E le tigri pensano: “Voglio la giungla senza Sandokan”. E le scimmie si spidocchiano per la rabbia». ALESSIO, 12 anni, di Roma: «Allo zoo di Copenaghen è successa una cosa molto brutta. Hanno ucciso e tagliato a pezzi con la sega elettrica una giraffa e poi l’hanno data in pasto alle tigri e ai leoni. Tutto questo i signori dello zoo di Copenaghen l’hanno fatto sotto gli occhi dei bambini e delle persone che erano in visita allo zoo. Quando si è saputo di questa gravissima azione malvagia, ed è uscito pure sui giornali e alla televisione, quelli si sono giustificati dicendo che in natura succede proprio così, cioè che i leoni e le tigri si mangiano le giraffe e che quella carne non si doveva buttare. Io dico che una risposta come questa merita un insulto! Io dico che è una risposta falsa. Uccidere in quel modo degli animali, e per giunta allo zoo e davanti a tante persone e a bambini, non può che essere un’azione disgustosa. Non c’entra la natura; non c’entra lo zoo. C’entrano persone che odiano gli animali e che non dovrebbero perciò prendersi cura di loro». VALENTINA, 10 anni, di Grosseto: «Se non ci fossero gli zoo nelle città, tranne gli esploratori o chi vive nella giungla o nei ghiacciai o tra le montagne o vicino agli oceani, nessuno saprebbe dal vivo come sono fatti gli animali. Per questo hanno creato gli zoo. Per permettere a tutti di vedere gli animali della natura, anche quelli più
selvaggi, da abbastanza vicino. E anche i pesci, come all’Acquario di Genova. Però, gli animali degli zoo sono stati catturati e vuol dire che non sono più liberi, come invece negli zoosafari, dove puoi vederli in libertà girando con la macchina e facendo un safari fotografico. Flash al posto delle pallottole. Poi, però, ci sono anche le riserve di caccia, dove gli animali stanno meglio ma uno può andare a caccia e sparargli. Insomma, per gli animali è sempre una questione di libertà, di prigione o di morte. Come per gli essere umani, no?».
RINGRAZIAMENTI
Questo libro, che esce ventitré anni dopo Il pensiero bambino (Mondadori, 1991) e che a quel testo fa riferimento, deve tutto ai bambini, ai loro genitori, a tanti insegnanti e educatori, ai colleghi e alle colleghe della Fondazione Movimento Bambino che, in tutta Italia, hanno ascoltato i bambini e raccolto le loro parole, i loro pensieri. Anzitutto, Angela Gangeri e Filippo Zagarella (Roma e Messina), le insegnanti Gloria Bardi (Genova), Gabriella Ghinelli (Vittorio Veneto), Carmela Nazzareno (Mazara del Vallo), Ermelinda Riucci (Roma), Lina Turco (Morozzo), gli psicologi Chiara Caprara e Priscilla Zoccarato (Roma), Gianpiero Boriello (Vittorio Veneto), Massimo D’Amelio (Milano), Alessandra Santelli (Cosenza), Dario Scielzo (Napoli). Un grazie va anche a Marina Polla de Luca, regista.
Un grazie particolare va al Comitato ONU sui Diritti dell’Infanzia, presieduto da Kirsten Sandberg, di cui mi onoro di far parte, e dunque ai membri: Agnes Akosua AIDOO (Ghana) Amal ALDOSERI (Bahrain) Aseil AL-SHEHAIL (Arabia Saudita) Jorge CARDONA LLORENS (Spagna) Sara DE JESÚS OVIEDO FIERRO (Ecuador) Bernard GASTAUD (Monaco) Peter GURÁN (Slovacchia) Maria HERCZOG (Ungheria) Olga A. KHAZOVA (Federazione russa) Hatem KOTRANE (Tunisia) Gehad MADI (Egitto) Benyam Dawit MEZMUR (Etiopia) Yasmeen MUHAMAD SHARIFF (Malesia) Wanderlino NOGUEIRA NETO (Brasile) Kirsten SANDBERG (Norvegia) Hiranthi WIJEMANNE (Sri Lanka) Renate WINTER (Austria)
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