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Italian Pages 123 Year 2009
Werner Sombart
Le origini della sociologia a cura di Silvia Fornari
ARMANDO EDITORE
SOMBART, Werner Le origini della sociologia ; Roma : Armando, © 2009 128 p. ; 17 cm. (I classici della sociologia) ISBN: 978-88-6081-465-4 Presentazione di Silvia Fornari 1. W. Sombart e le origini della sociologia 2. Il concetto di sociologia e il sorgere della sociologia moderna in Inghilterra 3. La concezione naturalistico-monistica della società e il problema dello Stato CDD 301
Traduzione e cura di Silvia Fornari Titolo originale: Die Anfange der Soziologie, tratto dalla raccolta di testi in onore di M. Weber: Hauptprobeme der Soziologie. Erinnerungsgabe für M. Weber. © Duncker & Humbolt, Munchen und Leipzig, 1923 – pp. 5-19. © 2009 Armando Armando s.r.l. Viale Trastevere, 236 - 00153 Roma Direzione - Ufficio Stampa 06/5894525 Direzione editoriale e Redazione 06/5817245 Amministrazione - Ufficio Abbonamenti 06/5806420 Fax 06/5818564 Internet: http://www.armando.it E-Mail: [email protected] ; [email protected] 02-04-042 I diritti di traduzione, di riproduzione e di adattamento, totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), in lingua italiana, sono riservati per tutti i Paesi. Fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, comma 4, della legge 22 aprile 1941 n. 633 ovvero dall’accordo stipulato tra SIAE, SNS e CNA, CONFARTIGIANATO, CASA, CLAAI, CONFCOMMERCIO, CONFESERCENTI il 18 dicembre 2000. Le riproduzioni a uso differente da quello personale potranno avvenire, per un numero di pagine non superiore al 15% del presente volume/fascicolo, solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Via delle Erbe, n. 2, 20121 Milano, telefax 02 809506, e-mail [email protected] L’Editore dichiara la propria disponibilità a regolarizzare eventuali non volute omissioni di pagamento per il permesso di riproduzione.
Indice
Pr esentazione di Silvia Fornari Le origini della sociologia di Werner Sombart
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I. I giudizi errati di von Mohl e di Paul Barth concernenti il concetto di sociologia 83 II. La concezione teocratica e del diritto di natura all’inizio dell’età moderna 86 III. La lotta contro Hobbes. Il sorgere della sociologia moderna in Inghilterra 93 IV. La concezione naturalistico-monistica della società 98 V. La “mediatizzazione dello spirito” nella sociologia occidentale. Il problema dello Stato 109
Nota bio-bibliografica
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Presentazione
La sociologia, come impresa scientifica, rientra nel novero delle scienze nate nel contesto storico e culturale dell’industrializzazione. Le sue origini si fanno risalire ai cosiddetti Autori classici: Max Weber, Georg Simmel, Émile Durkheim e Werner Sombart. Si tratta di autori che sistematizzano e sviluppano un cammino già intrapreso dalla scienza sociale a partire da contesti culturali precedenti. Tali contesti, a ben vedere, si costituiscono come un momento fondamentale nella nascita e nello sviluppo della sociologia in quanto scienza. Il riferimento ad essi, nei manuali di storia del pensiero sociologico degli ultimi trent’anni, si è in massima parte perduto e sempre più spesso la sociologia viene considerata come scienza tipica della società industriale. Non va dimenticato, tuttavia, che per una ricostruzione accurata della storia del pensiero sociologico i prodromi del suo percorso scientifico (almeno in Europa) vanno rintracciati nel pensiero politico del ’700, nell’Illuminismo, nonché in alcuni aspetti del romanticismo. È qui che si avvia il dibattito intorno alla società e che si pongono le basi per gli studi e le ricerche dei cosiddetti “classici della sociologia”. Weber in Germania e Durkheim in Francia sono certamente gli 7
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Presentazione
interpreti più rigorosi della scienza sociale, avendo unito l’elemento teorico con il metodo di indagine empirico-scientifico. Ciò peraltro ha portato al completo riconoscimento dell’indipendenza della sociologia rispetto alla filosofia, alla storia o all’economia. Nel contesto culturale contemporaneo, però, è ancora più rilevante e necessario recuperare ed approfondire la conoscenza delle radici del pensiero sociologico per comprenderne appieno i percorsi e per individuare le nuove direzioni di indagine e di studio da sviluppare rispetto agli studi teorici e metodologici della sociologia contemporanea. I classici ancora oggi rappresentano una miniera in gran parte da esplorare per la ricchezza delle suggestioni e delle analisi puntuali che offrono. La necessità di analizzare e precisare le radici e le ragioni che hanno determinato lo sviluppo e la ricerca di un’indipendenza rispetto alle altre scienze da parte della sociologia è, tuttavia, un compito ancora più apprezzabile se si pensa che oggi, sempre più, la storia e le origini della nostra scienza passano in secondo piano e sempre più si naviga in un mare di indagini e ricerche empiriche spesso settoriali, non legate ad una visione complessiva dello sviluppo sociale. Anche per queste ragioni ci sembra importante poter presentare al pubblico un breve saggio di Sombart dedicato alle radici della sociologia: esso costituisce un valido e prezioso aiuto in questa continua scoperta della fecondità (anche euristica) del pensiero sociologico classico.
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Silvia Fornari
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Werner Sombart e il suo contesto intellettuale Figura affascinante del mondo scientifico tedesco, Werner Sombart nasce ad Emersleben, un piccolo centro rurale dello Harts della Sassonia, il 19 Gennaio 1863; ultimo di quattro figli, annovera tra i suoi antenati, che originariamente avevano radici francesi, anche dei pastori protestanti della Westfalia. Si evidenziano così i caratteri di due culture incrociate: la francese, per la vivacità dello spirito, l’eleganza dello stile, la finezza del senso artistico e la facilità del saper elaborare nuove impronte di analisi; e la tedesca, della quale presenta i caratteri tipici non soltanto nelle sue forme esteriori, ma anche nella precisione del suo metodo scientifico e nella tensione verso l’universalità del sapere1. All’età di dodici anni Sombart si trasferisce a Berlino con la sua famiglia entrando così in contatto con un ambiente nuovo e vivendo direttamente anche gli avvenimenti esterni dell’epoca. Di questi ultimi, è stato detto che «passavano attraverso le mura di casa Sombart come attraverso il filtro delle opinioni del Partito Liberale-nazionale»2. Tali avvenimenti esterni caratterizzarono anni di vero e proprio travaglio sociale, politico, intellettuale. Anni in cui la trasformazione sociale ricevette un forte impulso dall’introduzione delle macchine; effetto di questa trasformazione fu, peraltro, il complicato passaggio da una civiltà di tipo tradizionale, tipica del mondo rurale, ad una civiltà industriale. In questo quadro si delinearono nuovi problemi: dal fenomeno dell’urbanizzazione a quello dell’incremento di masse di lavoratori che andavano costituendo la classe del proletariato. Mentre 9
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Presentazione
si andava formando questa nuova configurazione sociale, la classe borghese si chiudeva sempre più nella difesa delle proprie posizioni, per paura di perdere i propri privilegi, nonché la serenità di una vita tranquilla e ordinata. Il timore principale consisteva non tanto nella paura di perdere i vantaggi sociali ed economici ottenuti, ma soprattutto nella paura di vedere dissolti i propri privilegi politici. Il padre di Sombart in quegli anni era impegnato nella costituzione del Verein für Sozialpolitik e ciò proprio in virtù dell’esigenza di realizzare riforme, nel tentativo di sviluppare il pensiero dei Socialisti della Cattedra e dei Liberali dell’epoca, i quali vedevano nell’uso delle riforme l’unico mezzo per accogliere le istanze avanzate dalle masse del nascente proletariato, facendole rientrare nella politica dello stato guglielmino. Lo stesso Werner definisce il padre «di spirito liberale con tendenze di sinistra»3. Ma, anche se la politica dei Socialisti della Cattedra sembrava molto accomodante ed in grado di fronteggiare i problemi politici e sociali, alla fine, com’è noto, essa si risolse in un insuccesso perché, come ha notato Armando Sapori, non si appagarono di rallentare e di disciplinare le forze improvvisamente irrompenti, ma pretesero di incanalarle in una stabilità che era contraria ai principi dell’evoluzione storica4. Tra l’altro, si consideri che Sombart si iscrive all’Università di Berlino proprio nel momento in cui il dibattito metodologico sul ruolo e la portata delle scienze sociali sta raggiungendo il suo apice. In questo contesto, entra in contatto con Wilhelm Dilthey, proprio quando (nel 1883) quest’ultimo aveva appe10
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Silvia Fornari
na pubblicato il suo primo lavoro, rimasto poi incompiuto: Einleitung in die Geisteswissenschaften (Introduzione alle scienze dello spirito)5, individuando una nuova linea di demarcazione tra le scienze naturali (Naturwissenschaften) e le scienze della cultura o dello spirito (Geisteswissenschaften o Sozialwissenschaften) e affermando l’autonomia dello spirito sulla natura. Tale contrapposizione metodologica e sostanziale, frutto dei paradigmi dominanti negli studi sociologici sin dalle loro origini, sfociò in un vero e proprio dissidio tra la concezione della “sociologia scientifica” e quella della “sociologia storico/qualitativa o interpretativa”. Ed è proprio «all’interno […] dell’opposizione tra “storicismo” ed “empirismo” che viene esplicitandosi lo scontro che vede oggi contrapporsi “monismo metodologico” e “pluralismo metodologico”»6. L’importanza di questa distinzione metodologica è il raggiungimento dell’autonomia delle scienze sociali nei confronti di quelle fisiche e naturali, le quali studiano ciò che si presenta all’esterno, evidenziano una realtà esclusivamente data che si offre come altra ed indipendente rispetto allo sguardo conoscitivo dell’osservatore. mentre le scienze dello spirito ritrovano i significati più profondi della realtà storicosociale in quanto prendono in considerazione l’intima partecipazione dell’osservatore alla realtà studiata. Lo stesso Dilthey nella prefazione al lavoro a proposito del metodo adottato per la ricerca scrive: Io trattengo ogni componente dell’odierno pensiero scientifico astratto nel tutto della natura 11
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umana quale ci è mostrato dall’esperienza, dallo studio della lingua e della storia, e cerco la loro connessione. E il risultato si è che gli elementi più importanti del nostro quadro e della nostra conoscenza della realtà, come appunto l’unità vivente personale, il mondo esterno, gli individui fuori di noi, il loro vivere nel tempo e il loro interagire, si possono spiegare tutti partendo dal tutto di quella natura umana del cui effettivo processo vitale il volere, il sentire e il rappresentare sono soltanto lati diversi7.
Di qui la decisiva importanza attribuita alla ricerca di nuovi fondamenti per le scienze storico-sociali, e la necessità di radicalizzare ed approfondire un metodo autonomo ed indipendente rispetto alle altre scienze8. Nello stesso anno Carl Menger pubblica Untersuchungen über die Methode der Sozialwissenschaften und der politischen Oekonomie insbesondere9, elaborazione di una teoria soggettiva del valore, indipendentemente da qualsiasi premessa etica o filosofica, mettendo in evidenza come l’attività umana sia mossa da fattori diversi non riconducibili all’egoismo, poiché il valore è caratterizzato dall’importanza che l’individuo attribuisce al bene. Ne risulta che l’attività umana non è determinata dal puro egoismo, poiché il valore è relativo rispetto alla limitatezza dei beni esistenti e rispetto ai bisogni, e lo scambio deriva dalla valutazione dei due diversi beni. Questo è l’humus nel quale si determina la disputa sul Methodenstreit, che crea, all’interno dell’Università di Berlino, due scuole di pensiero: da una 12
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parte Schmoller e la scuola “Storica”, che si oppone all’astrattezza e alla mancanza di senso storico della scuola economica classica; dall’altra dalla scuola “Teorica” di Wagner, che voleva far posto, in linea con Menger, nelle scienze sociali anche a considerazioni generali. Tale divisione interna al corpo accademico dell’Università di Berlino (tra “schmolleriani” e “wagneriani”) non porterà, tuttavia, a nessuna definitiva chiarificazione intorno al dibattito metodologico, tanto che la disputa sul metodo rimarrà aperta sino all’intervento delle ricerche di Sombart e dell’amico Max Weber10. Sombart in quegli anni seguirà sia le lezioni di Wagner sia quelle di Schmoller, sino a quando sarà costretto a trasferirsi in Italia per motivi di salute, continuando però i propri studi di diritto presso l’Università di Pisa sotto la guida di Giuseppe Toniolo. Sombart racconta: Senza dubbio: il fatto di aver cominciato i miei studi in una Università italiana è stato decisivo per l’indirizzo dei miei studi successivi, se non altro perché scelsi come oggetto delle mie prime indagini economico-sociali l’Italia stessa […] Ma questi studi sulle condizioni economico-sociali italiane divennero per me determinanti anche in un altro senso: ho concepito appunto in quegli anni l’idea di capitalismo moderno, la quale doveva poi occuparmi tutta la vita. La concepii confrontando e paragonando le condizioni economico-sociali meno sviluppate dell’Italia con quelle più sviluppate dei paesi già industrializzati del Nord. Così l’Italia è diventata in un senso più 13
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Presentazione
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profondo la mia maestra e la Dea ispiratrice delle mie idee11.
Per gli stessi motivi di salute Sombart sarà dispensato dalla discussione orale della tesi di laurea in diritto sulla “Campagna romana”, Über Pacht- und Lohnverhältnisse in der römischen Campagna12, (summa cum laude all’Università di Berlino nel 1888), ancor oggi considerato un importante studio per la conoscenza delle condizioni economiche e delle forme di conduzione del lavoro salariato di quella regione nella seconda metà dell’Ottocento13. Sombart esaminò con occhio sereno, ma pieno di sdegno morale, le tristi condizioni dell’agro romano, operandone una descrizione minuta ed esauriente e mettendo in rilievo soprattutto lo sfruttamento del suolo e della mano d’opera, compiuto per mezzo di un ceto di proprietari in gran parte privi di ogni riferimento scientifico, culturale e giuridico (si pensi appunto alla tematica emergente dei “diritti dei lavoratori”). La tesi, pubblicata quando Sombart aveva venticinque anni, rappresenta un importante lavoro che alcuni studiosi hanno considerato come una delle sue migliori opere, soprattutto per i rilevanti principi politico-sociali in essa contenuti, in particolare per la condanna dell’aristocrazia terriera che tendeva allo sfruttamento sempre più estensivo della terra, ostacolando lo sviluppo capitalistico dell’agricoltura e lasciando i lavoratori in uno stato di grave insicurezza e miseria. Questi interessi di ricerca portarono anche alla pubblicazione nel 1892 del saggio Die Handelspolitik Italiens seit der Einigung des Königreichs14, 14
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più volte aggiornato, riedito e dedicato alla politica commerciale italiana dall’unificazione del Regno d’Italia al 1912. Il problema era di scottante attualità anche in relazione alla situazione politica della Germania. Ci troviamo negli anni della politica bismarckiana, che si traduceva in uno sforzo continuo da parte del potere di mantenere l’ordine conservatore e di piegare ogni tentativo di evoluzione del sistema, prima in senso liberale, poi socialista, mediando tuttavia costantemente le istanze autoritarie degli Junker (grandi proprietari terrieri) prussiani, dell’aristocrazia e dei circoli militari, con le spinte della borghesia capitalistica sempre più orientate verso un rapido sviluppo economico. Ciò favorì la nascita di una politica di tipo bonapartista e un processo di industrializzazione accelerato, centralizzato e guidato dall’alto, attraverso il rafforzamento dell’autorità dello Stato, anche in senso laico contro ogni ingerenza religiosa. Questa politica verrà perseguita da Bismarck, appoggiandosi al Partito liberale, in contrapposizione al nascente Partito cattolico di centro ed anche in opposizione al crescente movimento socialista. Bismarck, infatti, tentava di fronteggiare le manifestazioni e rivendicazioni operaie, alternando la messa fuori legge dei socialisti (1879) e la repressione delle manifestazioni operaie alla concessione successiva di una serie di riforme sociali. In questo senso «la storia della Germania tra il 1848 ed il 1919 [è] la storia dei fallimenti politici delle classi medie nel corso del crescente potere nazionale e poi, alla fine del periodo, di un fragile successo nella sconfitta nazionale e nella rinnovata umiliazione»15. 15
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Presentazione
Tornando sul solco del cammino biografico di Sombart, va ricordato l’anno 1888 quando, superati gli esami da procuratore, venne nominato, grazie alle relazioni paterne, sindaco della Camera di Commercio di Brema. Nel 1890, all’età di ventisette anni, è chiamato all’Università di Breslau come Professore straordinario di Economia Politica. Inizia così il periodo più brillante della sua attività di studioso. È da questo primo incarico che egli ottenne l’appellativo di Rote Professor16. Questo titolo trovava un chiaro riferimento all’interesse che Sombart assegnava allo sviluppo sociale del proletariato, iniziato con gli studi compiuti intorno alla situazione italiana, con la pubblicazione della tesi e poi con altri scritti sulla politica commerciale e sul proletariato italiano, che evidenziavano la propria posizione nei confronti del pensiero di Marx. Sombart, studiando e palesando il proprio interesse nei confronti delle manifestazioni sociali, si pone in pieno contrasto nei confronti dell’ambiente accademico negazionista in ordine al diritto di cittadinanza scientifica delle opere marxiste. Lo stesso Roberto Michels scrive di Sombart, rispolverando e parafrasando il detto romano, risalente a Terenzio, “nihil humani a me - alienum puto” (“non ritengo niente di umano estraneo da me”), come di uno dei primi professori universitari che dà credito alle riflessioni di Marx e di Engels, alle cui teorie, come sappiamo, Sombart inizialmente si associò17. Una sua recensione al vol. III del Capitale riceverà i complimenti dello stesso Engels, per essere riuscito a vedere ciò che realmente Marx voleva esprimere. Nascono così le celebri conferenze di Zurigo, del 1895, che daranno poi origine alla pubblicazione 16
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(nel 1896) di Sozialismus und soziale Bewegung im 19. Jahrhundert (Socialismo e Movimento Sociale nel secolo XIX. Cronaca del movimento sociale dal 1750 al 1886). Nella prefazione, Sombart scrive: «erano originariamente conferenze che io tenni nell’autunno di questo anno a Zurigo davanti ad un pubblico molto ristretto, ma nella sua maggioranza, grato e capace di entusiasmi»18. Questa raccolta di conferenze sarà tradotta in ventiquattro lingue, donando a Sombart la fama di studioso internazionale. Le successive riedizioni dello stesso testo presenteranno tuttavia una posizione divergente rispetto alla prima. La X edizione, pubblicata nel 1924 con il titolo di Der proletarische Sozialismus (Socialismo proletario), presenta una revoca delle posizioni giovanili rispetto al socialismo e attesta la maturazione di una presa di posizione, dopo l’iniziale riformismo, violentemente antisocialista e antimarxista. Se nel tempo la sua posizione ideologica presenterà un mutamento, negli anni giovanili l’aver assunto nell’ambiente universitario tedesco l’impostazione marxista gli impedirà una carriera brillante. Infatti, nel 1897, a causa dell’opposizione del corpo accademico, per il quale parvero troppo consistenti le sue concessioni al marxismo, non riuscirà a diventare professore ordinario. Se, però, ne analizziamo in maniera più profonda il pensiero giovanile, ci sembra che la sua apertura nei confronti di Marx fosse molto cauta, tanto che il successo ottenuto dalla suddetta pubblicazione è da riscontrarsi soprattutto nel fatto che con essa Sombart andava a riempire un vuoto della cultura tedesca, ed in parte anche europea, nei confronti del marxismo e del movimento 17
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socialista. Quest’opera, come abbiamo già detto, sarà ripubblicata in diverse edizioni, ciascuna con dei significativi cambiamenti. Come afferma l’autore: «Il decennio passato dalla prima edizione ha mutato troppe cose nel macrocosmo sociale ed anche nel microcosmo personale dell’autore per permettere, scientificamente parlando, di ristampare semplicemente le cose già dette»19. Anche Michels nello studio su Sombart evidenzia che quest’ultimo non è affatto marxista. E non lo è anche se ammette il principio storico e filosofico degli antagonismi di classe, della lotta di classe come legge del divenire sociale e anche se ammette la necessità remota del socialismo, dei partiti operai socialisti staccati e autonomi da tutti i partiti “borghesi”. Sombart, piuttosto, vedeva nel marxismo una sorta di passaggio obbligato per arrivare ad una forma più evoluta di critica economico-sociale: “Der Weg über Marx hinaus kann nur durch Marx gehen” (“Chi vuol superare Marx deve essere stato marxista”)20. Resta il fatto che la qualifica di rivoluzionario gli venne attribuita senza mezzi termini prima dal Ministero dell’Istruzione, si dice in buona fede, poi da studiosi di “mente corta”, come i burocrati, nonché da studiosi astuti che la utilizzarono come arma di concorrenza accademica21. Queste incomprensioni lo tennero lontano dalla cattedra cui ambiva e soltanto dopo sedici anni di incarico da straordinario, stanco di non vedere nessun cambiamento nella sua carriera universitaria, accettò la cattedra di Economia Politica alla Scuola di Alti Studi di Berlino, istituto quasi privato, promosso dalla Corporazione dei Mercanti, dove insegnerà dal 1906 al 1917. 18
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Durante il travaglio della grande guerra (1917), Sombart riuscirà però ad ottenere la Cattedra di Adolph Wagner nell’Università di Berlino, la più prestigiosa dell’Impero se non del mondo; cattedra che manterrà sino al 193122, quando gli succederà Joseph Schumpeter. Il riconoscimento del suo valore accademico, giunto peraltro in ritardo, non farà cessare le ostilità nei suoi confronti, ma determinerà soltanto un cambiamento di superficie in ordine all’accoglimento delle sue opere. Il successivo mutamento di rotta nella linea del suo pensiero non modificherà la situazione, tanto che egli sarà accusato di opportunismo, soprattutto per aver rinnegato colui che aveva definito pater Germaniae e “mio maestro” e ciò proprio nel momento in cui anche l’ideologia tedesca cambiava. Sombart era partito dallo studio dell’opera di Marx, analizzando criticamente tutto il suo pensiero, per poi vederlo alla luce del momento storico, degli avvenimenti, dei fatti, realizzando così una lettura “integrale” di un’opera che, solitamente, veniva accusata di “comunismo” e che, perciò, nessuno studioso accademico si prese la briga di analizzare direttamente e chiaramente. Nel 1901, Sombart entrò a far parte del comitato scientifico della rivista «Schriften des Vereins für Sozialpolitik» e nel 1902 pubblicò l’opera maggiore, Il capitalismo moderno, che uscì in due volumi. I critici moderni considerano questa la sua opera più importante, tuttavia non riuscirà ad ottenere la stessa diffusione di Socialismo e movimento sociale nel secolo XIX. Essa incontrerà piuttosto un meritato successo solo tra gli studiosi, i quali sia che la criticassero, sia che la apprezzassero, incominciarono ad in19
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teressarsi alle sue pubblicazioni, tanto che l’opera avrà edizioni successive, nelle quali compariranno alcune risposte ai quesiti sollevati dai critici. Nel 1903 Sombart pubblica un altro importante lavoro, Die deutsche Volkswirtschaft im.19 Jahrhundert (L’età politica tedesca nel XIX secolo)23, in cui le posizioni teoriche espresse ne Il capitalismo moderno subiscono un processo di revisione radicale, sostenendo una teoria delle classi sociali che precisa, sviluppandola, quella di Marx. Insieme a Max Weber ed Edgar Jaffè, assunse poi la direzione dell’«Archiv für soziale Gesetzgebung und Statistik», rivista che di lì a poco modificherà il suo nome in «Archiv für Sozialwissenschaft und Sozialpolitik». Nel 1905 pubblicherà un’opera che, pur non ricordata da tutti i suoi critici, rappresenta una tappa significativa del cammino scientifico sombartiano. Reduce da un suo viaggio negli Stati Uniti, pubblica, infatti, Warum gibt es in den Vereinigten Staaten keinen Sozialismus? (Perché negli Stati Uniti non c’è il Socialismo?)24. Chiamato ad insegnare nel 1906 a Berlino all’Istituto di Studi Superiori, si farà costruire una villa nel mezzo di un grande parco a Oberschreiberhau, dove andrà a vivere con la famiglia e dove andrà a formare una ricchissima biblioteca. Durante la costruzione della villa, vivrà in una garçonniere nel centro di Berlino. Non possiamo inoltre dimenticare che Sombart è stato, insieme a Max Weber, uno dei fondatori nel 1909 della Deutsche Gesellschaft für Soziologie, della quale viene eletto Presidente del Comitato Direttivo. Nello stesso anno pubblica la bibliografia Das Lebenswerk von Karl Marx25, attraverso la quale si 20
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attua l’autorevole reinserimento nel circuito accademico del pensiero marxiano considerato sino ad allora soltanto una ingegnosa costruzione. Nel periodo che precede lo scoppio della Prima Guerra mondiale pubblicherà una serie di opere che sono da considerarsi una vera e propria espansione del lavoro maggiore Il capitalismo moderno ed anche un approfondimento di argomenti precedenti alle successive edizioni della stessa. Nel 1911 esce Die Juden und das Wirtschaftsleben (Gli ebrei e la vita economica)26, in cui viene formulata la tesi sull’importanza del contributo dato dagli ebrei per la nascita del capitalismo e per l’edificazione della moderna economia27. Lo sforzo di Sombart non impedì alla critica la costruzione di un impianto accusatorio; dal punto di vista di quest’ultima, Sombart era un razzista e la sua opera serviva solo ad ingraziarsi alcuni importanti esponenti politici del tempo. Lo studio della genesi e delle caratteristiche economiche, filosofiche, etiche degli ebrei nel processo economico ebbe una rilevanza scientifica paragonabile a quella dell’opera Die Protestantische Ethik und der Geist des Kapitalismus (L’Etica Protestante e lo Spirito del Capitalismo)28 del collega ed amico Max Weber. Nel 1913 usciranno contemporaneamente tre opere, considerate minori, ma che evidenziano la brillante scrittura e l’erudizione del Nostro; sono: Der Bourgeois (Il borghese), in cui si denuncia il superamento dello “spirito capitalistico” dei pionieri del capitalismo in favore del nuovo “spirito borghese”; Luxus und Kapitalismus (Lusso e capitalismo), in cui si analizzano le trasformazioni delle società europee 21
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dall’epoca delle Crociate e la loro influenza nel mutamento del rapporto fra i sessi a causa delle modificazioni dello stile di vita condotto dalle classi dominanti; Krieg und Kapitalismus (Guerra e capitalismo); infine nel 1915 verrà pubblicato Händler und Helden (Mercanti ed eroi), puro elogio dell’eroismo tedesco29. Quando arriverà per Sombart il momento del riconoscimento accademico (come si è detto nel 1917 viene chiamato a ricoprire la cattedra di economia politica all’Università di Berlino lasciata libera da Adolf Wagner), la prima guerra mondiale è al suo apice e la Germania deve affrontare i gravi problemi determinati dal conflitto. Proprio gli avvenimenti storici che si andavano determinando in quegli anni non sono da sottovalutare per capire il processo di trasformazione dell’impostazione di Sombart. Sono appunto gli anni della prima guerra mondiale che si doveva presentare come una guerra lampo e si trasformò invece in un gigantesco conflitto di logoramento e di consumazione di ogni risorsa, umana, economica, politica; soprattutto sono gli anni del dopoguerra che per la Germania segneranno l’inizio di altri gravi avvenimenti. I problemi che si presentano in quegli anni al mondo sono oltremodo complessi e solo con grande fatica e dopo laceranti esperienze la stessa Germania riuscirà a contenerli, seppure in un quadro di grandi rivolgimenti militari e politici. Del resto, come si ricorderà, sfruttando il mortificante trattato di Versailles, il quale imponeva il pagamento di ingenti danni di guerra ai paesi vincitori, la Germania farà leva sul patriottismo, trovando la forza per risollevarsi dalla 22
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terribile crisi economica post-bellica. Sombart non poteva certamente rimanere insensibile a questa terribile prova. La «Rivista tedesca di Sociologia», che aveva interrotto le pubblicazioni durante la guerra, riprende la sua attività nel 1922, sotto la presidenza di Tönnies; Sombart diventa membro del Consiglio. Dopo anni di ricerche esce il terzo volume de Il capitalismo moderno in cui egli suddivide in tre epoche distinte lo sviluppo del Capitalismo: Frühkapitalismus, nel quale si illustra il primo capitalismo, anteriore alla rivoluzione industriale; Hochkapitalismus, nel quale si affronta il capitalismo maturo, posteriore al 1760; Spätkapitalismus, nel quale si analizza il tardo capitalismo, posteriore alla prima guerra mondiale appena conclusa. È da notare la lungimiranza di Sombart che ben comprende come lo sviluppo dell’economia capitalista sia stato profondamente modificato dall’evento bellico e forse anche dalla Rivoluzione di Ottobre. Nel 1930 Sombart pubblica Die drei national Ökonomien (Le tre economie nazionali) e Die Zukunft des Kapitalismus (L’avvenire del capitalismo). Nello stesso anno viene eletto Vice-Presidente del Verein für Sozialpolitik e nel 1931 diviene Presidente30. Sarà sua la decisione di sciogliere il Verein a causa della situazione politica della Germania nazista, onde evitare che la rivista diventasse un organo di propaganda del nazismo (a cui pure aveva guardato nel 1933 con un certo interesse, sebbene con un atteggiamento simile a quello che caratterizzò il rapporto con il Fascismo di Benedetto Croce nel periodo 1922-23). Sarà proprio in questi anni che Sombart tenterà di attenuare le posi23
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zioni espresse in opere (si pensi al lavoro sugli ebrei), che da molte parti erano state duramente criticate. In ordine alla complessa situazione politica tedesca è opportuno ricordare la pubblicazione in Italia di un altro importante articolo di Sombart; Correnti sociali della Germania d’oggi31, in cui l’autore analizza le difficoltà presenti nel suo paese in merito alla disomogeneità politica, lasciando emergere le caratteristiche distintive del popolo tedesco32. Tanti gruppi e tante idee, una diversa dall’altra, che creano dispersione, ma soprattutto negano la possibilità di realizzare un risultato concreto per le diverse problematiche del paese: Conseguenza delle condizioni proprie della Germania è un’acutezza di contrasti, una inconciliabilità di opinioni, una impossibilità di compromesso tra i vari punti di vista, quali difficilmente possono riscontrarsi in un altro paese. E anche questo proviene dalla tendenza a giudicare le cose da un punto di vista teorico, dall’irrigidimento dottrinario, dalla mancanza di senso politico. Tutti i conflitti, che anche le altre nazioni conoscono, sono da noi portati all’estremo e dividono il popolo in fazioni nemiche, tra le quali non c’è possibilità di intesa33.
In quest’analisi, Sombart evidenzia così la necessità di una stabilità politica, la quale può prodursi solo rafforzando un partito, dando continuità all’azione, rispondendo in tal modo ad un esplicito bisogno di sicurezza34. Nel 1934, esce l’opera Deutscher Sozialismus (Il 24
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Socialismo Tedesco)35, il più importante lavoro politologico di Sombart, nel quale appare chiaro il tentativo da lui esperito di conciliare la propria filosofia sociale con l’ideologia del regime nazista. Detto lavoro, comunque, verrà accolto con freddezza dalla stampa nazista. Dopo il 1934 inizierà a condurre una vita ritirata nella villa della Humboltstrasse, che diventerà il punto di incontro di un gruppo di intellettuali tra i quali Max Scheler, Carl Schmitt, Romano Guardini e lo storico Kurt Breysing. Nella relazione accademica del 1936 Sombart presenta l’idea ormai matura di una “sociologia generale”, intesa come scienza a fondamento per tutte le scienze morali e culturali; distinguendo la scienza fondamentale Noo-Soziologie dalle scienze particolari che rientravano secondo la sua visione nell’ambito delle scienze morali36. Negli ultimi anni, il suo desiderio sarà quello di presentare al pubblico l’elaborazione di una antropologia filosofica (Teoria della cultura), volta a delineare il superamento del concetto di “capitalismo”. Non vi riuscirà; tutto il materiale raccolto era pronto per la stesura finale, ma vari impedimenti consentiranno l’uscita soltanto del primo volume, Von Menschen. Versuch einer geisteswissenschaftlichen Antropologie (A proposito dell’Uomo. Tentativo per un’antropologia come scienza dello spirito)37. Così l’autore tratta dell’uomo al tempo della dominazione dell’ideologia e della politica nazionalsocialiste, le quali si affacciavano al potere in Germania in modo sempre più prepotente, denunciando pertanto l’incompatibilità delle sue tesi e dei suoi orientamenti politici con quelli nazisti (soprattutto in riferimento al tema della superiorità raz25
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ziale). Nell’opera si evidenzia piuttosto il tratto della differenziazione sociale delle razze, non accogliendo l’approccio bio-antropologico di matrice razzista. Sombart non sopravvive agli eventi bellici: morirà il 18 Maggio 1941 a Berlino. Poco dopo la sua morte, a causa di un violento incendio, la sua villa fu ridotta ad un mucchio di rovine. Gran parte della ricca biblioteca, con tutti i suoi manoscritti, fu distrutta e quello che ne rimane è conservato nell’Archivio di Stato di Merseburg. Con la scomparsa di Sombart, la sociologia perde una figura di primo piano, grazie alla quale era stato felicemente coniugato l’aspetto della ricerca storica con quello dell’analisi sociale.
Le origini della sociologia L’istanza di fondo che permea la concezione della sociologia dalle origini risiede nella necessità di acquisire legittimità scientifica soltanto in quanto scienza globale della società, come disciplina filosofica e scientifica capace di fornire una teoria sistematica in cui possano trovare risposta tutte le questioni relative al mondo sociale, inteso nella varietà dei diversi aspetti e delle proprie manifestazioni. Cercando di indagare le origini della sociologia, emerge come solo nell’età moderna il concetto di società assuma un carattere autonomo. Tale concetto diventa un oggetto di studio che sottostà a leggi proprie e al quale può essere associata una scienza autonoma, la “sociologia” appunto, intesa come «lo studio che pretende di essere scientifico della realtà 26
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sociale in quanto tale, sia al livello elementare delle relazioni interpersonali, sia a quello macroscopico dei vasti insiemi, classi, nazioni, civiltà o, per far uso dell’espressione corrente, società globali»38. La sociologia nasce nel periodo storico in cui si realizza la distinzione tra il concetto di società e quello di stato. Le due grandi rivoluzioni borghesi del XVIII secolo, la Rivoluzione Industriale e la Rivoluzione Francese, portano all’affermazione di alcune idee fondamentali, tra le quali un’idea di libertà del tutto nuova rispetto a quelle che erano state elaborate nel passato. Libertà che investe tanto il singolo cittadino, quanto le scelte in campo economico e politico. Da questo approccio iniziale si dipana un lungo cammino di teorizzazioni e ricerche empiriche, volte alla comprensione ed interpretazione dei processi sociali: «La conoscenza sociologica ha bisogno, come ogni altra conoscenza scientifica, di un frame of reference in cui le esperienze possano divenire conoscenze»39. Nel percorso storico della sociologia si mette così a fuoco l’oggetto della conoscenza sociologica, determinando in questa ricerca una vera e propria frattura tra due modi di interpretare la realtà che caratterizzerà tutto lo sviluppo delle scienze sociali. Il problema è in realtà insito sin dalle origini della sociologia, poiché fin dall’inizio è presente il dibattito per realizzare la piena autonomia della nuova scienza. Tale controversia si distinguerà anche su base nazionale40. I sostenitori della sociologia scientifica, oltre all’approccio oggettivo e positivistico, pongono al centro della loro visione l’aspetto quantitativo, il ricercare risposte e motivazioni alle pro27
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blematiche sociali attraverso un’impostazione oggettiva, dando valore solo all’analisi dei dati quantitativi, numerici, alla ricerca della coerenza e della purezza dei dati stessi. I sostenitori dell’approccio qualitativo ritengono invece che la pura coerenza dei dati oggettivi falsi la normalità del comportamento degli individui, non aiutando affatto a comprendere la particolarità, l’insensato, l’imprevedibile realtà nella quale quotidianamente viviamo. La disciplina sociologica, vincolata negli aspetti epistemologici alla filosofia e per quelli scientifici alla biologia e alle scienze naturali nel loro complesso, vide prevalere un concetto di scientificità in base al quale si presumeva di spiegare i fenomeni sociali attraverso il riferimento ad una realtà generale ed universale. Tra la fine dell’’800 e i primi anni del ’900 gli studi sociologici sembrano rivolti a definire l’oggetto proprio della disciplina in termini epistemologici e istituzionali, ed a sistematizzarlo, anche se con dati empirici inadeguati e nella obiettiva difficoltà di definire una precisa dimensione del comportamento sociale non psicologica né biologica, in presenza di tradizioni nazionali distinte, in cui le spiegazioni sono orientate o verso l’analisi delle istituzioni e dei valori normativi (così in Francia) o verso l’analisi delle azioni individuali (così in Germania). Si determina nei contesti nazionali europei una visione della scienza sociale che assume punti di vista contrapposti: la struttura sociale e le sue determinazioni da una parte e, dall’altra, la capacità degli uomini di sviluppare la società ponendo l’accento sull’attore sociale e sull’azione, a partire dalle circostanze e dalle pratiche della vita collettiva, nel ten28
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tativo di comprendere l’abilità di partecipare ad una pratica in accordo alle regole per collocare l’azione nella sua “serie”41. In quest’ottica la distinzione tra le due distinte posizioni è mossa dalla differente interpretazione dei due movimenti scientifico-intellettuali: l’Illuminismo teorizzava un progresso senza svolgimento, il Positivismo, nella sua forma classica, quella di Spencer e di Comte, credeva di poter assimilare semplicisticamente lo sviluppo spirituale allo schema naturalistico attraverso l’elaborazione del concetto di scienza naturalistico-matematica42. La dottrina positivista si definisce a muovere dal ruolo centrale assegnato alla verità scientifica, dalla rilevanza attribuita al metodo come legittimazione assoluta, al conoscere valido ed ottenibile, dalla svalorizzazione sostanziale delle esperienze “extrametodiche” della verità (metafisica), dal primato attribuito all’osservazione sistematica, “neutrale” delle cose, base per la formulazione induttiva di leggi probabilistiche. Ciò implica l’opzione per un mondo invariante, governato da cause efficienti certe e necessarie che rinviano a leggi a-temporali e a-spaziali, la scelta per una successione/separazione logica tra conoscenza e azione, il mantenere l’identità della scienza nella sua specificità senza svincolarla dai problemi della comunità. La nuova scienza sociale si configura quindi come “fisica sociale”, con propensioni pratiche, il cui scopo è la scoperta delle leggi necessarie ed invarianti che connettono tra loro i fenomeni, sostituto funzionale dei vecchi dogmi43. Per Comte l’analisi positiva dei fatti sociali si basa sull’osservazione sistematica condotta dentro un quadro concettuale de29
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rivato da osservazioni elementari ed impressionistiche. Osservare non è sufficiente: per analogia con le scienze naturali occorre sperimentare attraverso la comparazione tra più società umane o fra società umane, animali e vegetali (fitosociologia)44, negando così un ruolo autonomo al soggetto conoscente che, in quanto posizione di ciò che è oggettivo, scompare nel pensiero che calcola. La grande importanza attribuita all’approccio oggettivo nasce anche dalla necessità di dichiarare il valore scientifico della nuova scienza sociale, e di attribuirle un rigore metodologico, per costruire un impianto teorico capace di comprendere la complessità sociale: Certo è che l’atteggiamento “naturalistico” diventerà il supporto teorico della cosiddetta “ricerca quantitativa” – incentrata appunto sul calcolo, la misurazione e le inferenze statistiche – mentre lo “storicistico” andrà a costituire la base teorica della cosiddetta “ricerca qualitativa” – orientata a valorizzare la dimensione individuale e soggettiva dell’interazione sociale […] tuttavia, al di là delle differenze appena ricordate, vale la pena sottolineare che queste stesse differenze non debbono intendersi come assolute: nella concreta pratica della ricerca empirica aspetti qualitativi e aspetti quantitativi spesso si intrecciano, producendo un’integrazione reciproca tra teoria ed empiria […] e, d’altro canto, non bisogna dimenticare che la divergenza tra un modo naturalistico e un modo storicistico di leggere la realtà sociale riemerge in tutta la sua portata non appena 30
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ci si chieda che cosa voglia dire comprendere un’azione oppure che cosa significhi spiegare un comportamento45.
Del resto, a più di cento anni dalla nascita della “scienza sociale”, l’alternanza di paradigmi, di visioni distinte nel modo di osservare e studiare la società, evidenzia la difficoltà della sociologia di trovare uno statuto epistemologico “rispettato” dalle altre scienze. Senza addentrarci ulteriormente in una querelle ancora irrisolta e forse irresolubile, è però importante sottolineare come queste problematiche abbiano inciso profondamente sul contrastato sviluppo dell’approccio qualitativo, cioè di quella parte della sociologia interessata alla comprensione, interpretata dal metodo comprendente (basata appunto sul Verstehen) di Max Weber46, e altresì attenta alla relazionalità sociale e microsociologica, aspetto questo che trova le sue origini nel pensiero di un altro grande Autore tedesco, Georg Simmel47. Il panorama che caratterizza la nascita della scienza sociale si presenta dunque piuttosto complesso, soprattutto per coloro che decidono di occuparsi dell’interpretazione della società attraverso lo studio dell’azione, delle relazioni e dell’interazione sociale. L’avvio degli studi interazionisti/soggettivi, dopo l’impostazione iniziale di Weber e Simmel, per lungo tempo rimarrà relegato all’ambito ristretto della psicologia sociale, poiché si riteneva che la sociologia non disponesse di strumenti metodologici adeguati per svelare le funzioni latenti o per comprendere la profondità delle motivazioni che sorreggono lo sviluppo delle relazionalità sociali. La complessità del31
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l’approccio scientifico in generale ha determinato il difficile incontro tra due diversi modi di interpretare la realtà, non dimenticando che l’impostazione positivista, rigorosa e scientifica, ha sostenuto l’evoluzione di una scienza sociale sempre più legata al dato statistico puro, al rigore del metodo scientifico quantitativo, in cui si andava però perdendo il contatto con gli attori sociali, i quali si smarrivano nelle elaborazioni statistiche, divenendo dei semplici referenti di risposte standardizzate e codificate, utili per la costruzione di generalizzazioni coerenti dello stato di salute di una specifica realtà sociale. L’eccessiva considerazione del puro dato quantitativo, della visione macrosociologica della realtà, ha spinto i sostenitori dell’approccio umanistico, microsociologico, a divenire sempre più intimisti, peculiari nei loro studi, sino a giungere a toni d’ambiguità, per far rientrare nella propria considerazione anche tutta quella parte di approccio empirico tradizionalmente relegato all’ambito ristretto della psicologia sociale48. Le basi della nascita del pensiero scientifico si rintracciano quindi nel momento in cui gli uomini si rendono conto che il mondo non si spiega da sé; ovvero nel “momento in cui la realtà sociale in quanto tale diventa argomento di studio, col suo carattere equivoco, ora come relazione elementare tra gli individui, ora come entità globale”49. Interrogare i marmi delle case, catalogare tutto quello che c’è tra cielo e terra, distinguere ciò che è simile da ciò che è diverso, elencare i casi avvenuti, caricati, individualizzati fornisce la nascita del metodo di argomentare, risalendo dalla constatazione empirica alla conoscenza deduttiva, dal condizionato a ciò che lo con32
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diziona, dall’effetto alla causa, dall’a posteriori all’a priori. Come si diceva, ancora oggi l’indagine sull’origine della sociologia suscita interesse e attenzione. Comprendere le ragioni che hanno determinato lo sviluppo scientifico della scienza sociale può essere considerato una necessità per gli studiosi contemporanei, i quali spesso dimenticano o non conoscono le riflessioni che i loro predecessori hanno affrontato per dare dignità scientifica alla sociologia. E oggi, a più di centocinquant’anni dalle prime opere propriamente sociologiche, è quanto mai opportuno tornare ad occuparsi delle origini della teoria sociale, riconoscendo la rilevanza culturale e scientifica che meritano. Temi questi che, tra l’altro, sono importanti anche per coloro che si occupano principalmente di ricerca empirica. In aggiunta ai molti studi e analisi che sono stati compiuti sull’argomento, si è ritenuto degno di nota presentare al pubblico italiano il saggio che Sombart dedica alle origini della sociologia. Tale lavoro stimola l’interesse anche grazie al tipo di argomentazioni scelte dall’autore; fa parte di una raccolta di saggi in onore di Max Weber pubblicati nel 192350. Sebbene al momento della pubblicazione la scienza sociale sia pienamente riconosciuta nell’ambito accademico e goda di una propria autonomia scientifica anche in Germania, Sombart e gli altri autori51 avvertono in ogni caso la necessità di intervenire per legittimare ed evidenziare il substrato intellettuale e filosofico posto alla base della scienza sociale stessa. Il saggio di Sombart analizza il modo spontaneo con cui nasce la scienza sociale. Nel momento in cui 33
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per la prima volta risuona il termine Gesellschaft (società), nasce pure l’interesse e la curiosità nei confronti di questa realtà conoscitiva, come se prima di quest’evento non fosse possibile occuparsi dell’argomento. La Sociologia, come è oramai chiaro, prende corpo e si sviluppa in quanto scienza nell’humus culturale del Positivismo, ed è in quel clima che è necessario ripensare e leggere questo saggio. Come ha annotato Andrea Bixio: La sociologia, pur nata positivista in reazione al giusnaturalismo, non ha potuto evitare di essere attraversata non solo da una corrente positivista, ma anche da una pluralità di indirizzi che pur con tutte le loro differenze possono essere avvicinati per l’atteggiamento antipositivistico e per la propensione a rivalutare, ora utilizzando la critica del presente, ora delineando nuove forme di razionalità, un sapere positivo in senso virtuale52.
Sombart pone in evidenza la critica alla linea di pensiero del suo contemporaneo Robert von Mohl, il quale, a detta sua, sembra misconoscere le origini positivistiche della sociologia. Egli infatti non ne cita i padri fondatori come Comte o Saint Simon, ma si riferisce solo ai socialisti francesi da lui conosciuti e richiamati. Lo sviluppo in Germania della sociologia come scienza per Von Mohl si lega strettamente allo sviluppo del concetto di “stato”, ma la critica posta all’apertura del saggio sombartiano non risparmia nemmeno il pensiero di un altro studioso a lui con34
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temporaneo, Paul Barth: quest’ultimo nel suo testo Die Philosophie der Geschichte als Soziologie53, afferma che la sociologia si può implicitamente dedurre a partire da Platone, ma che soltanto con le vicende della Rivoluzione Francese viene a formarsi uno spirito nuovo che trova la sua espressione più profonda negli scritti di Saint Simon. Per Sombart, von Mohl non ha tenuto conto e valutato tutta la produzione inglese e francese che si è sviluppata intorno alla nascita della sociologia ed ha ignorato lo studio di Autori fondamentali come SaintSimon e Comte. Sombart è critico nei confronti di quelle teorie, che ripropongono l’ipotesi per cui la sociologia è sempre esistita dai tempi di Platone ed Aristotele, dal IV secolo a.C.; tale ipotesi è criticata in base al fatto che questi filosofi non avrebbero niente in comune con il pensiero moderno e la sociologia. La cattiva interpretazione e la scarsa considerazione per la sociologia proposta da von Mohl nasce dall’idea della scienza sociale in quanto supporto per la scienza dello stato, sino a considerare la società come un interregno, un regno all’interno dello stato, posto tra lo stato ed il singolo. Paul Barth, invece, non fa nessuna differenza tra sociologia e filosofia della storia; Sombart si pone criticamente nei suoi confronti poiché non è possibile pensare a Platone ed Aristotele per considerare lo sviluppo della scienza sociale, in quanto gli stessi non hanno niente a che fare con la sociologia moderna, così come si oppone all’idea del Barth secondo cui bisognerebbe considerare Saint-Simon il vero fondatore della sociologia (e ciò per la ragione che quest’ultimo sarebbe stato il primo a dare una forma 35
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verbale alle ideologie nate durante la Rivoluzione Francese). Queste due posizioni non possono essere tenute in considerazione perché entrambe suppongono che la sociologia sia una cosa diversa da ciò che essa è. Sombart parte dalla necessità di definire la “sociologia” come scienza, e per questa ragione è necessario comprendere il cammino e definire il processo che si è determinato attraverso gli autori del pensiero teocratico e della riflessione sul diritto naturale (teoria del contratto), le due linee principali di pensiero, del resto, che dominano nel mondo europeo all’inizio dell’età moderna. Iniziare da questo approccio è utile proprio per capire il cammino del pensiero moderno e per comprendere lo sviluppo della sociologia. Le concezioni dello stato e del diritto appartengono al mondo morale in un rapporto, però, che appare in attrito con il mondo naturale: La storia della sociologia comincia nel momento in cui viene meno la valutazione naturale di istituzioni e valori e il problema di essi viene riconosciuto come oggetto di indagine rilevante […] gli uomini che non riconoscono più come fatti naturali le condizioni in cui vivono, si pongono il problema dei principi e dei motivi di legittimità della loro convivenza, del loro ordine sociale54.
La tradizione dei teorici del XVI e XVII secolo evidenzia la razionalità da cui derivano sia l’uno sia l’altro modello, come atti designati da uomini intelligenti che determinano il contratto tra individui attraverso la libertà55. I grandi filosofi, Grothius, Locke, 36
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Hobbes e Spinoza, compresi i filosofi tedeschi del XVII e XVIII secolo, sostengono tutti l’importanza del diritto naturale e delle teorie del contratto; piuttosto, le loro divergenze si basano su questi punti: - Volontà di Stato - Volontà individuale. Da una parte il pensiero teocratico che riporta a Dio l’origine e il fondamento del potere politico e dall’altro il concetto di diritto naturale. Definiamo il diritto come l’insieme di norme che regolano i rapporti tra individuo e individuo o tra individuo e comunità. Quando queste norme sono inscritte nella natura interna o esterna dell’uomo, si può parlare di diritto naturale; ma l’ingresso dell’uomo nello stato di società non è naturale, avviene nel momento in cui l’uomo si assume gli obblighi morali: «Lo stato di società non è altro che uno stato di natura regolato […] la sicurezza c’è soltanto quando si dominano gli uomini anche dall’interno, quando cioè controllo esterno e sentimento di obbligazione si completano a vicenda»56. Sombart sostiene che fino a quando governano i pensieri teocratici, delle leggi di natura o del contratto naturale, e si cerca nello stato la forma assoluta, non è possibile giungere in alcun modo ad una definizione di “sociologia”, tanto da affermare che se vogliamo cercare i fondatori della sociologia moderna è necessario rintracciare gli oppositori decisi della legge naturale e della teoria del contratto. Fino a quando il diritto e lo stato si troveranno in una posizione completamente autonoma in cui venga negata la formazione della società come avvenimento soprattutto morale e fino a quando non verrà superato il modo di vedere razionale, non si creeranno i presupposti per la nascita della nuova scienza sociale. 37
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Soltanto nel momento in cui «gli uomini che non riconoscono più come fatti naturali le condizioni in cui vivono, si pongono il problema dei principi e dei motivi di legittimità della loro convivenza, del loro ordine sociale»57 diviene possibile indicare chiaramente la data di nascita della sociologia. Dall’antichità greca, da Platone e Aristotele ma soprattutto dagli stoici, la natura è l’espressione di un logos, di una ragione universale. Questa ragione si riflette poi nei logoi, nelle ragioni individuali, definendo così il rapporto tra uomo e uomo, specificando il diritto come un ordine universale inscritto nella natura. Queste definizioni caratterizzeranno tutto il pensiero giusnaturalistico sino alle concezioni più moderne. Dalle citazioni dei testi di autori che si sono posti in questa linea di opposizione alle teorie contrattualistiche appare chiaro come, per l’autore tedesco, la nascita della sociologia è da far risalire al lavoro di autori e pensatori inglesi che hanno superato il pensiero filosofico di Thomas Hobbes. Vengono così presi in considerazione sia Rich Clumberland e William Temple, sia Anthony Earl of Shaftesbury e Bernard Mandeville58, dai cui lavori nascono peraltro anche le prime analisi statistiche. Tutta l’attività che si sviluppa tra il 1760 e il 1800 intorno alla definizione di sociologia è in effetti, per lo più, opera di pensatori inglesi. Pensiamo a Rich Cumberland, William Temple, W. Petty, Anthony Earl of Shaftesburry e Bernard Mandeville, anche se si incontrano in questa direzione anche gli importanti lavori di Autori francesi, quali Montesquieu, Voltaire, Raynal, Condillac, Linguet e Weguelin, che pur avendo un carattere di secondaria importanza, risentono comunque 38
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dei modelli inglesi nelle loro considerazioni fondamentali. Sombart delinea così chiaramente che i confini entro cui è possibile leggere la nascita della sociologia come scienza autonoma sono riconducibili al pensiero degli autori inglesi che nell’epoca illuminista svilupparono l’idea della società e che influenzeranno successivamente anche il pensiero dei cosìdetti autori classici del pensiero sociologico del XIX e XX secolo. L’autore tedesco ribadisce più volte nel saggio in questione il ruolo svolto per lo sviluppo della scienza da Autori come Adam Ferguson e Adam Smith; importante in questo senso anche la pubblicazione di un testo di John Millar del 1711, tradotto più volte in Germania con il titolo di Soziologie der Herrschaft (Sociologia del dominio)59. Saranno proprio Ferguson e Smith ad elaborare la critica alla teoria contrattualistica di Hobbes, poiché tale interpretazione del diritto naturale porterebbe alla definizione di uno stato di natura inteso come perenne stato di guerra, contro una visione strutturalmente negativa dell’uomo, il quale, al contrario, ha la necessità di superare tale condizione e di vivere pacificamente. In questa prospettiva, compito dello Stato è placare gli animi guerrieri degli uomini e assicurare la pace ed il benessere sociale. I moralisti, tuttavia, tenderanno a superare anche questa visione, in quanto non si preoccuperanno di considerare lo stato di natura dal punto di vista positivo o negativo; piuttosto affermeranno che i fatti sociali possono e devono essere studiati empiricamente e che lo stato di natura è una realtà non comprovabile. Soprattutto 39
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si vuole qui superare, con gli strumenti di Locke, il cupo pessimismo di Hobbes che parte da un presupposto che fonda tutta la sua dottrina: l’uomo è un essere che non fa esperienza a partire dalla natura, ma la vive semplicemente. Non vi è senso progressivo, vi è cupa negazione della possibilità degli uomini di cambiare e modificare il proprio stato. La natura a cui si riferisce è per ragioni storiche quella cupa della sua epoca (e in Hobbes, in effetti, non è ancora delineata la fiducia nel progresso e nella possibilità di modificare lo status naturale). La differenza tra il pensiero di Hobbes e quello di Locke non è rintracciabile però solo nel voler sinteticamente definire l’uno conservatore e l’altro rivoluzionario; è diversa la loro radice (Hobbes riprende la tradizione greca, Locke la tradizione giudaico-cristiana). Per Locke infatti gli uomini «possono essere ben contenti di quello che Dio ha assegnato loro. Infatti ha dato loro tutto quello che è necessario per la loro vita e per orientarsi moralmente»60. Così in Locke, ma anche in Shaftesbury, si sviluppa la teoria del moral sense, in cui la condizione dell’uomo è di essere orientato verso la società e non già in forza della sua natura egoistica. Viene così ad essere superata la visione oppressiva e costrittiva dell’ingresso in società dell’uomo, poiché l’analisi morale (moral sense) attraverso cui le azioni umane sono giudicate non è esterna, ma è posta all’interno della società stessa. Il senso di appartenenza alla società viene spiegato dai moralisti scozzesi attraverso la relazione esistente tra le azioni dei singoli e le stesse come espressione di un processo più profondo, capace di determinare la formazione della società. 40
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Fondamentale in questa visione è l’osservazione sull’uomo, tanto che sia Smith sia Ferguson si rifanno a quest’ultima interpretazione che porta alla conoscenza di un uomo artefice della propria vita: la situazione, sempre sociale, in cui si trova è la testimonianza di questo suo attivismo. Il mondo umano è creazione diretta dell’uomo e non deriva né da Dio, né dalla natura; piuttosto si tratta di un evento storico-sociale determinato dall’uomo stesso. In questo senso i risultati di questi movimenti umani sono le istituzioni sociali. La società, secondo i dettami dei processi di secolarizzazione, è quindi opera dell’uomo. Quest’interpretazione è influenzata anche dagli effetti dello sviluppo industriale, avviato prima in Inghilterra e poi in Scozia. Analizzando tale sviluppo Ferguson studia i processi economici in linea con le teorizzazioni di Smith. Ferguson vede nell’economia moderna la perdita del senso di comunità, le cui cause possono essere rintracciate nella proprietà privata e nello sviluppo delle attività commerciali, le quali aumentano gli aspetti individualistici ed egoistici della natura umana. È possibile considerare Ferguson il primo interprete del problema dell’individuo in rapporto alla divisione del lavoro sociale e all’analisi delle sue dirette conseguenze nel tessuto sociale. Tutte queste sono tematiche centrali nelle opere degli Autori classici della sociologia dell’’800; si pensi a Simmel e Durkheim, per citare solo coloro che dedicano i primi lavori a questo tema: La differenziazione sociale (Simmel, 1890) - La divisione del Lavoro sociale (Durkheim, 1895). Nell’opera di Smith, che si ricollega al pensiero di Hobbes e Spinoza, ritorna il concetto di stato di na41
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tura inteso come stato essenzialmente egoistico dell’uomo. Per Smith l’uomo è mosso essenzialmente da un istinto di autoconservazione; un impulso naturale guidato dalle passioni umane e non mosso d’azioni razionali. Si ricordi soprattutto la teoria sui principi di regolamentazione economica, che non devono essere imposti dall’esterno (con un carattere coercitivo), ma devono nascere nel “corso naturale delle cose”, secondo quanto stabilito dalla teoria del “liberismo economico” e della “libera concorrenza”. Il progresso è concepito da Smith come il continuo aumento della divisione del lavoro, che porta alla specializzazione delle funzioni, per il raggiungimento della maggiore produttività, procedendo ad una critica della “società civile” che precorre quella di Hegel e successivamente di Marx. Smith elabora quindi una teoria dell’azione che parte da motivi individuali e perciò egoistici dell’uomo. Di quest’analisi è importante qui ricordare soprattutto il fatto che per Smith la formazione dei nostri giudizi etici si verifica e può verificarsi solo nel rapporto con gli altri. Una formulazione teorica del tutto moderna, che pone il problema dell’interazione sociale, e sembra anticipare la tesi che più di un secolo dopo G.H. Mead formulerà con il concetto di “altro generalizzato”. L’unione degli uomini per Smith si mette in pratica attraverso un processo simpatetico, nella capacità di porsi nella condizione degli altri e di viverla come propria. In continuità con questa sua idea, si può leggere il riferimento sombartiano all’importanza della produzione inglese, dotata di una forte vocazione sociologica, soprattutto nel periodo compreso tra il 42
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1760 ed il 1780. A conferma di quest’interesse, egli suddivide la produzione inglese in tre diversi modi di interpretare lo studio della società: 1) la teoria della società secondo interpretazioni geografico-climatiche, risalenti agli studi di Bucale, ma presenti anche nelle opere di Lord Kames (1788) e di Temple; 2) una “concezione materialistica della storia” che porta all’individuazione di una teoria della società tecnologica-economica e che è operante nelle opere di John Millar; 3) la teoria psicologica della società; impostazione teorica questa che troverà ampi consensi, soprattutto perché si svilupperà in opposizione alla concezione razionalistica della società. Questa teoria trova la sua manifestazione nelle opere di Shaftesbury e nella descrizione dallo stesso proposta in merito al concetto di istinto, considerato la forza originaria della società. Più in generale, tale impianto viene nella teoria psicologica della società incentrata sull’istinto, inteso come forza propulsiva “scura” o “chiara” del sociale, per distinguerla dalla visione “pessimista” espressa da Mandeville (istinto di potere) e anche da quella “ottimista” espressa da Shaftesbury (che individuava nelle manifestazioni emotive come la simpatia, la compassione, la bontà e il senso morale le forze creative della società). Già in questo breve excursus, riguardante i precursori del pensiero sociologico, è possibile individuare gli elementi che nel XIX secolo, ed anche successivamente, porteranno alla nascita della sociolo43
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gia come scienza autonoma. È chiaro ormai che il problema dominante della conoscenza sociologica è quello della determinazione del proprio oggetto di studio. Nel momento in cui i valori e le istituzioni incominciano a vacillare si pone il problema di come fissare stabilmente l’oggetto della sociologia. In quest’ottica la caratteristica emersa dal contesto “primordiale” della sociologia è rappresentata dalla assoluta priorità attribuita alla dimensione cognitiva e razionale che rende necessariamente tali impostazioni assai poco avvertite, tenendo conto del carattere totalmente riduttivo di ogni interpretazione unilaterale della complessa fenomenologia dell’agire sociale. L’unica realtà di riferimento, in questa visione riduttivista che Sombart vuole superare, diventa così il processo industriale, ossia il passaggio da una società di tipo tradizionale ad una società industriale, con tutte le relative problematiche connesse. Se i fenomeni scientifici e culturali, l’importanza attribuita alla scienza e alla sperimentazione per l’affermazione della vita e della civiltà umana sono alla base dell’idea di società moderna, ciò nondimeno per Sombart il clima più adatto per nutrire questo nuovo humus culturale non può che essere quello della cultura illuministica anglosassone. A tale proposito è necessario precisare che tutti gli autori da lui citati nel saggio qui tradotto fanno riferimento primariamente all’opera di David Hume, «il cui radicale scetticismo si volgeva non solo contro la dottrina tradizionale, ma anche contro le teorie, ai suoi tempi modernissime, del materialismo e del diritto naturale»61. Secondo quest’interpretazione è certo importante comprendere la nascita e lo sviluppo degli ideali illu44
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ministici inglesi (i quali trovano i loro rappresentanti nei moralisti scozzesi, come è già stato sottolineato). Tra l’altro l’attenzione manifestata da Sombart nei confronti degli autori inglesi trova oggi maggiori consensi. Si è diffusa infatti l’idea che il concetto di emancipazione in Inghilterra non sia un mero processo intellettuale, ma che piuttosto si tratti di una realtà dalla quale prende avvio il dibattito sulla realtà sociale e sugli attori sociali. Il problema dell’integrazione sociale, delle connessioni sociali, non parte da analisi sulla totalità della società, non interessa né l’ordine naturale, né il fatto sociale in sé; la deduzione si compie a partire dall’analisi delle azioni dei singoli62. In questa direzione, per Sombart è fondamentale comprendere l’apparato concettuale dell’Illuminismo, le cui articolazioni costituiscono, come si è detto, le radici dello stesso sapere sociologico. L’Illuminismo, com’è noto, è una corrente intellettuale che investe tutta l’area geopolitica dell’Europa del XVIII secolo, condizionando in maniera decisiva il pensiero dei cittadini europei, sia al livello delle istituzioni politiche e giuridiche, sia al livello dei modelli culturali. In questo quadro, la stessa società subisce processi di forte emancipazione. L’emancipazione della società e la nascita di una dottrina della società implicano così la presa di coscienza dell’autonomia della realtà sociale, la quale non deve sottostare al condizionamento delle leggi di natura, né alle leggi di un ordine puramente razionale, «bensì un oggetto che si è fatto da sé ciò che è. La società è una natura che si dà le leggi a cui è soggetta»63. L’emancipazione della scienza sociale si è determinata attraverso un lungo processo che si realizza in Europa, in 45
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particolare in Francia, Inghilterra, Germania e Italia. In questo quadro geo-politico prende avvio il dibattito intorno alla società (ed è appena il caso di sottolineare come in ogni paese tale processo tenga conto delle peculiarità nazionali e storiche). Nella distinzione geo-politica sopra richiamata è importante ricordare che sussistono rapporti orizzontali tra le diverse forme di illuminismo. Più in generale si può osservare che l’Illuminismo non è stato un movimento di popolo. I suoi motivi e ideali sono di gruppi sociali colti e anche potenti. Gli orizzonti e le speranze illuministiche sono quelle di uomini esperti ed ambiziosi, che non vogliono soltanto qualcosa di preciso e a portata di mano, ma vogliono anche sviluppare principi universali, sulla base dei quali dovrebbe organizzarsi la società stessa. In questo senso l’Illuminismo segna, da un lato, la crisi della coscienza europea, dall’altro, la crisi dello Stato assolutistico64. Alla base dell’interesse per questi cambiamenti c’è l’uomo, lo studio del suo agire, delle sue potenzialità, soprattutto l’uso della ragione umana. È la ragione che anima la scienza e le sue applicazioni, che comanda l’adattamento alla vita sociale, ai bisogni individuali o collettivi. È sempre la ragione ad essere capace di sostituire all’arbitrio e alla violenza lo stato di diritto e il mercato65.
I sociologi, o meglio coloro che per primi si sono posti le domande sulla società moderna, sono figli del positivismo, vivono nell’epoca dell’esaltazione 46
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della ragione e della razionalità. Al centro della loro riflessione è posta la tecnica, così che gli effetti dell’innovazione tecnologica determinano una vera e propria rivoluzione ideologica di cui l’uomo è l’artefice principale. Si tratta di un cambiamento fortemente voluto e volto a trovare una felicità che riesca a far dimenticare la violenza e le difficoltà “esistenziali” sino a quel momento subite. Se la cultura del romanticismo sembra attenuare il rigore del ritorno ai vecchi regimi monarchici, il contrasto con la realtà è sempre più evidente. Il fermento culturale ed ideologico innescato dalla nascita dell’industria moderna e dalla Rivoluzione Francese non può essere messo da parte solo per paura di affrontare la completa trasformazione della società. In nessun altra epoca storica precedente si è assistito a trasformazioni sociali così rapide e profonde, irreversibili, che non possono essere sottaciute. L’uomo si è impossessato del messaggio di libertà, d’uguaglianza e di fraternità, frutto dell’ideologia rivoluzionaria; la spinta si rivolge alla costituzione di una società nuova, che risolva le forti contraddizioni evidenziate dallo stesso movimento reazionario. Il periodo che va dal 1815 alla metà del secolo si caratterizza per una febbre rivoluzionaria, che riesce a contagiare anche i borghesi più moderati. Il fermento romantico, medievalizzante, spinge per un ritorno al passato, ben presto affiancato da un romanticismo ribelle, lo Sturm und Drang66. I giovani poeti della “Giovane Germania”67 si fanno interpreti di questi sentimenti, spinti dall’assimilazione del pensiero romantico, con la sua esaltazione della libertà, dei sentimenti più puri nei confronti della 47
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propria patria, frutto del pensiero di uomini che incitano alla reazione contro la chiusura ideologica della restaurazione, scontrandosi ben presto con i movimenti di opposizione politica. Scoperte queste possibilità, i protagonisti sociali non riescono certamente a tornare indietro, a dimenticare tutto e rimanere soggiogati da una struttura politica e sociale che allontana da sé ogni interesse per le principali necessità e per i bisogni dell’uomo moderno. Ciò che le menti pensano e realizzano non si può considerare come un movimento culturale ormai sorpassato, perché storicamente e provvisoriamente sconfitto dalle forze politiche reazionarie. L’uomo assapora il concetto di libertà, di possibilità, di felicità, di capacità di costruire una società in cui poter diventare parte integrante dell’amministrazione politica ed economica della stessa. L’uomo non è più un soggetto passivo. Egli ora sa di poter intervenire direttamente nelle decisioni che riguardano il suo essere soggetto sociale. Il programma politico dell’emancipazione e la premessa teorica della sociologia come scienza si fondano sulla convinzione dell’esistenza di una società in tal senso oggettiva. L’idea fondamentale dell’emancipazione risiede proprio nel fatto che la società non rappresenta solo un senso oggettivamente dato, ma raffigura un nesso funzionale che si autodispone secondo leggi sue proprie riconoscibili. Non è peregrino sostenere, in questo quadro, che Sombart sia rimasto fedele al concetto positivistico di scienza ed alla conseguente critica antifilosofica. Egli ha distinto in modo categorico il mondo dell’esperienza dal mondo dei valori, riconoscendo alla scien48
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za la possibilità di una verità obiettiva ed alla filosofia un significato esclusivamente soggettivo. Ma ciò si determina alla fine di una lotta realizzata sia contro i pensatori del tempo, sia contro se stesso e i propri colleghi studiosi della società (Weber, Tönnies e Simmel). Gli stessi, nella disputa dei valori, alla fine si accorgeranno di non essere più in grado di mantenersi avalutativi, poiché l’intento di riuscire a distaccare le scienze sociali dalla politica non è un processo indolore e privo di incongruenze. A differenza dei loro padri, gli avalutativi rifiutano la partecipazione attiva alla vita politica del loro paese, aggrappandosi al concetto di avalutatività come ad un’àncora di salvataggio. A differenza dei cosiddetti “socialisti della cattedra”, non vogliono subordinare la verità a valori etico-politici68. Sombart è mosso da uno spirito meno attivo rispetto alla problematica dell’avalutatività della scienza sociale, e sarà nel Congresso di Sociologia tenutosi nel settembre del 1928 a Zurigo che proverà a spiegare le proprie ragioni. Si trattava di risolvere attraverso il concetto di avalutatività un’incongruenza personale, quella di essere un convinto marxista che, nello stesso tempo, insegnava in un’università prussiana. Non ponendo all’interno della scienza giudizi di valore, si liberava dalla posizione antinomica giustificando la scelta di continuare nell’insegnamento della sociologia69. È chiaro quindi che la posizione di Sombart risulta essere una giustificazione alla sua situazione personale e non presenta la profondità morale che Weber immette nella dimensione della avalutatività. Se la spiegazione di questo concetto non è sembrata co49
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sì chiara nell’ipotesi di Sombart, ciò si spiega forse nella mancanza di una motivazione radicale nell’affrontare detta questione. Alla sua fede, Sombart sostituisce una filosofia relativistica e scettica. Dalla scienza viene bandita ogni possibilità di valutazione la quale deve rimanere fuori dall’esperienza e dall’evidenza70. Con il progresso l’uomo è divenuto prodotto del proprio destino, con l’inesauribilità del progredire assiste a un vuoto di destinazione che lo porta ad invocare forze correttrici e compensatrici. Sombart identifica tali ragioni in cause di ordine materiale ricordando il pensiero di Stuart Mill, per il quale «nei fenomeni sociali non esiste la causa e cioè una causa»71, ma un insieme di cause, o meglio di fattori o forze o agenti. Ogni fenomeno cioè è il prodotto di una serie di cause o fattori o forze, tra loro convergenti e insieme agenti e quindi di concause o forze o fattori che occorre volta per volta saper analizzare e valutare. Ma ora è importante, dato l’interesse e l’attenzione riservati da Sombart al dibattito inglese, chiedersi dove sia possibile rintracciare le ragioni di questa lettura rispetto alle interpretazioni tradizionali della scienza sociale. Nella presentazione del contesto culturale tedesco in cui si forma il Nostro sono già state chiarite ed ampiamente evidenziate le peculiarità che caratterizzano l’impostazione scientifica tedesca; in questo particolare contesto con grandi difficoltà si avvia il dibattito per la definizione della “sociologia” come scienza autonoma. Il primo elemento importante da evidenziare, come peculiarità distintiva, riguarda il fatto che la sociologia come scienza prende avvio e nasce all’interno dell’ambito delle acca50
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demie universitarie, processo questo che non investe invece gli altri paesi. È quindi nell’età guglielmina (1860-1890) che la sociologia in Germania diviene scienza autonoma, realizzando un diverso percorso rispetto agli altri paesi all’interno dell’élite culturale72. In Germania esistono categorie che non troviamo in altri stati, come la categoria dell’establishment (gruppo) accademico; è necessario spiegare questa categoria sociale o gruppo per capire la genesi della scienza tedesca. La storia della Germania si lega allo sviluppo stesso della classe borghese; per tale ragione i termini Bildungsbürgentum (borghesia d’educazione) e Staatsbürgentum (borghesia di stato), si sviluppano insieme al diffondersi del pensiero protestante-luterano, il quale affermava una praticità di spirito, legittimando l’azione spirituale dell’uomo stesso73. Pensiamo alla costituzione del Verein für Sozialpolitik nel 1872, il quale si basava su due principi: unità personale e libera autodeterminazione, legandosi in questo modo fra l’unità assoluta dello stato e il movimento individuale dei singoli, conciliandosi con il progresso tecnico e con la crescita dei movimenti di mobilità sociale; idee secondo cui la vita economica era finalizzata a strutturare il carattere della società e della nazione. Il comune interesse iniziale che univa tutti i componenti del gruppo era quello di superare gli interessi economici particolari per tenere fede agli interessi ideali superiori a quelli materiali; idea che successivamente non tutti continuarono a condividere. Un posto centrale lo occupano la burocrazia nella conformazione stessa della società politica tedesca 51
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oltre che nello sviluppo amministrativo, la borghesia con il suo carattere liberale e conservatore allo stesso tempo, a causa della sua funzione sociale e per la mancanza di una linea chiara della propria ideologia, ed infine il ruolo della tradizione dell’università settecentesca nella realtà statale e professionale74. La sociologia in quanto scienza nasce dalla spaccatura dell’establishment accademico tedesco; ceti intellettuali si collocano in una posizione relativamente indipendente rispetto alle altre élites dominanti75. L’università è il prodotto dello stato, anche se gode di una propria parziale indipendenza, autonomia e libertà tali che lo Stato si trova al di sopra delle parti, uno stato che è Rechtstaats, stato dei giusti e nello stesso tempo, Kulturstaats, stato di cultura, il quale garantisce correttezza ed imparzialità nell’esercizio del proprio potere76. Il fatto che l’università ed il ceto intellettuale occupino un posto così di rilievo è determinato dalla riproduzione dell’apparato amministrativo dello stato, proprio perché quello è il luogo dove si formano i funzionari dello stato e dove si riproduce l’apparato educativo dello stato stesso: insegnanti delle scuole, dei ginnasi e di tutte le altre istituzioni educative. È un ceto molto influente ed importante proprio perché svolge una funzione d’integrazione dell’apparato dello stato con la società. Nel momento in cui si incrina l’unità del ceto intellettuale77, nasce la sociologia come disciplina intellettuale nuova ed autonoma. Il tratto che caratterizza l’atteggiamento del gruppo intellettuale universitario è un porre negativamente l’accento sullo sviluppo del processo industriale: la società industriale viene vista come disgre52
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gatrice dei valori etici del Volk, portando alla rottura delle tradizioni ed all’incremento di un grave atteggiamento individualistico; la società industriale porta tendenzialmente al conflitto e alla rivendicazione dei diritti/doveri dei lavoratori. La realtà industriale, secondo questo approccio, indica la rottura dei valori tradizionali della cultura, rottura che conduce anche allo sprigionarsi di conflitti e di tensioni che vanno ad intaccare la visione armonica e organica della società. Gli ultimi due decenni dell’Ottocento segnano una profonda trasformazione in tutta la cultura e realtà politica dell’Europa. Ciò, appunto, è determinato dalle contraddizioni presenti nello sviluppo della società capitalistica industriale. Tale situazione crea un’involuzione aggressiva e reazionaria della politica borghese egemone, sia nei riguardi dei conflitti sociali all’interno dei singoli stati, sia nei rapporti tra gli Stati. Si stavano infatti delineando le prime grandi lotte per i domini imperialistici e coloniali. Ci si allontana così dai valori umanitari e romantici che avevano guidato gli spiriti d’inizio novecento. L’opposizione alle idee positivistiche è oramai chiara. In effetti, vengono a mancare le certezze della razionalità ed un’aperta sfiducia si manifesta nel pensiero di filosofi e letterati verso gli aspetti del “sociale” positivista; l’interesse per la realtà e gli ambienti, lo stimolo delle proposte riformatrici o l’idea di innalzare il livello culturale e morale delle masse attraverso un’educazione scientifica e tecnologica vengono meno. Scompare la figura del letterato dedito all’analisi delle condizioni di vita degli strati più bassi della società e critico verso quelle personalità 53
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spinte dalla ricerca della ricchezza, dalla potenza e dal successo78. Al presentarsi di una realtà complessa, nella quale i conflitti sociali sono sempre più presenti e pressanti, gli scrittori risponderanno occupandosi di diffondere idee più conformi al proprio pubblico, alla stessa classe borghese che si è ormai distaccata dagli ideali progressisti ed umanitari di pochi anni prima ed è ora alla ricerca di una nuova immagine sociale. I ceti più umili sono osservati con uno spirito antidemocratico e aristocratico, guardati con distacco a favore di un nuovo gusto estetizzante per il primitivo e il pittoresco79. Le condizioni di crisi politica e ideologica sono la causa del verificarsi di questi nuovi atteggiamenti spirituali che portano al rifluire di correnti filosofiche le quali rivelano il distacco dalle obbiettive certezze dell’età precedente. Si entra così in un estremo individualismo. Un individualismo diverso dall’io individuale dei romantici, propensi a vedere l’individuo nel rapporto organico con gli altri uomini, uomini capaci poi di suscitare e muovere gli ideali in momenti particolari della storia dei loro paesi. Ora invece il nuovo intellettuale si colloca al di fuori della società o comunque in contrapposizione ad essa, rifiutando tutte le esperienze storiche e civili che caratterizzano il suo passato. L’esplodere delle contraddizioni determinate dallo sviluppo industriale rende impensabile un ritorno alle “certezze” che il ripercorrere le strade della tradizione e del classico all’inizio aveva in qualche modo offerto. Ora l’equilibrio sembra impossibile da raggiungere all’interno di questa inquieta ed inquietante realtà. 54
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Lo sviluppo della sociologia in Germania viene a coincidere con gli avvenimenti che creano questa spaccatura, con il momento in cui viene meno l’identificazione con lo Stato, viene cioè a decadere la concezione dello Stato come entità etica, imparziale e al di sopra delle fratture e dei conflitti delle società civili: Il tentativo della nuova cultura storicista e sociologica borghese di usare la critica marxiana dell’economia politica per razionalizzare lo sviluppo capitalistico, contro i miti liberistici puri del “manchesterismo” e i dogmi etico-politico-sociali dell’interventismo e dello statalismo della scuola storica e del socialismo della cattedra in particolare, diventa, in Sombart e in Weber, progetto politico di coinvolgimento del movimento operaio, attraverso ma anche oltre la crisi riformista e revisionista della Bernstein-Debatte, a partire già dalla Marx-Diskussion del 1894 sul terzo libro del Capitale80.
Gli autori che partecipano al processo di formazione della sociologia (Weber, Tönnies, Simmel e Sombart), sono gli stessi che facevano parte del ceto intellettuale allineato con il concetto di Stato suesposto. Essi vivono questa lacerazione, comprendendo l’inevitabilità dei processi di trasformazione in corso. Tutti condividono i valori della cultura di appartenenza, benché siano consapevoli che non sarà possibile non accettare le modificazioni storiche, proprio in questa realtà si è sviluppata l’idea stessa di razionalità: essere razionali significa porsi di fronte alla 55
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realtà in maniera disincantata per cui «le cose stanno così anche se non piacciono»81. Proprio in questa realtà nasce il razionalismo ed il conseguente positivismo, nel momento in cui cioè i valori nei quali si crede non rispondono più alla realtà che si crea intorno; si decide quindi di accettare l’inevitabilità del processo industriale. Il contesto politico-sociale e culturale è la spinta alla determinazione di una scienza sociale autonoma e soprattutto neutra, con un carattere metodologico proprio, ma capace di realizzare un intervento pratico-politico-sociale: «la “neutralità” della scienza, se vista non solo negativamente come indipendenza e libertà dai valori, ma anche positivamente, come autonomia del movimento analitico-deduttivo fine-mezzo dell’azione sociale “razionalmente adeguata allo scopo” (Zweckrationalität), appare come il movimento continuo di separazionedistinzione-differenziazione dei contenuti materiali del comportamento (valori, fini, ideali, ecc.) dai mezzi e dalla loro ricomposizione-identificazione-conformazione»82. Le successive dispute sul metodo non saranno solo originate dall’incontro scontro tra accademie, ma anche, al di fuori di queste, dal conflitto su come gestire i cambiamenti politici, economici e sociali del Novecento. Sombart sosteneva che la sociologia facesse necessariamente parte delle Scienze Umane (Geisteswissenschaften), poiché trattava degli esseri umani e pertanto richiede una comprensione interiore, empatica (Verstehen) piuttosto che una comprensione esterna, oggettivante (Begreifen). Entrambi i verbi tedeschi verstehen e begreifen si traducono in italiano con i termini “capire” e “comprendere”. 56
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Questa concezione fu estremamente popolare quando Sombart era in vita; essa si poneva, infatti, all’opposto della “scientizzazione” delle scienze sociali (che era definita, in modo irridente, come “l’invidia della fisica”) nel solco di Comte, Durkheim e Weber – tuttavia per quest’ultimo si tratta di un malinteso; in effetti, Weber condivideva largamente le opinioni di Sombart in ordine a questo punto di vista. L’approccio empatico al sapere lo si ritrova anche nell’Ermeneutica di Hans-Georg Gadamer; essa si pone come una comprensione del mondo basata sul Verstehen – opponendosi alla scientizzazione del sapere. Questa precisazione può aiutare a comprendere il ritorno di interesse per Sombart da parte di alcuni circoli sociologici e filosofici83. I fermenti rivoluzionari che storicamente seguiranno sono accomunati da un’unica radice, la crisi della società borghese. La nuova borghesia nasce dalla trasformazione dell’economia, dalla rivoluzione industriale; i nuovi proprietari, in vigorosa espansione, non sono ancora capaci di sconfiggere il vecchio mondo aristocratico, le sue resistenze e lottare anche contro una nuova classe sociale operaia. Si crea un clima di vera avversione verso tutte le manifestazioni di protesta popolare, siano esse promosse dai contadini, dagli operai, che rivendicano riforme democratiche e maggiori diritti; richieste queste che si scontrano con il concetto di proprietà privata, fondamento ideologico messo poi in discussione dal comunismo. La tensione europea si produce a partire da: 1. le lotte liberali e nazionali dei paesi ancora politicamente divisi o soggetti al regime assoluti57
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stico (Italia, Stati Tedeschi, Ungheria, Polonia, Austria); 2. le rivendicazioni democratiche dei paesi già con un ordinamento costituzionale liberale. Il tratto che caratterizza la classe sociale degli intellettuali tedeschi risiede in una visione negativa dello sviluppo del processo industriale: la società industrializzata è vista come disgregatrice dei valori etici del Volk (popolo). Si tratta di una società che porta alla rottura dei valori tradizionali e ad un individualismo sfrenato; la società industrializzata contiene in sé i prodromi del conflitto industriale, della lotta di classe e della nascita del socialismo. L’industrializzazione, e gli altri frutti del mondo moderno, sono ricoperti da un’aura di forte pessimismo. I valori tradizionali della cultura, lo sprigionarsi di conflitti e di tensioni all’interno della struttura sociale intaccano la visione armonica e organica della società. Per Wolf Lepenies, in Germania le riforme culturali nascono come reazione a quelle che sono le linee politiche del momento. Così anche la fondazione dell’Università di Berlino incide profondamente nella trasformazione storico-sociale della Germania. Questa università nasce dopo la sconfitta della Prussia nelle battaglie di Jena e di Austerlitz. La politica diviene il rifugio di quei tedeschi dalla coscienza sporca, che cercano nella Bildung (formazione culturale) e nella Kultur (patrimonio culturale collettivo) la possibilità di rispondere e risolvere le diverse problematiche presenti nel Paese84. Spiegare la nascita della dottrina sociale sviluppata dall’Idealismo tedesco non è possibile senza ave58
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re chiaro il quadro di riferimento dell’Illuminismo francese e di quello di stampo inglese. In Germania la questione dell’emancipazione si presenta con l’idealismo ed il pensiero di Kant, Fichte ed Hegel. In questi tre Autori forte è l’influenza dell’impostazione illuministica francese ed inglese. L’Idealismo tedesco dà luogo ad un’interpretazione generale e razionale della storia e delle società umane, elaborando un concetto generale dell’uomo e della società in stretta connessione con la sua autocoscienza, ragione e bisogni. In Germania, il concetto di emancipazione della società nei riguardi dello Stato, la liberazione dell’agire borghese, sono analizzati in maniera profondamente diversa rispetto alla Francia ed all’Inghilterra, poiché diverso è l’impianto culturale, politico e sociale di riferimento. L’uomo, secondo Hegel e Kant, prende coscienza di sé ed esce dallo stato immaturo e diventa consapevole della propria libertà di agire, sentendo così di dipendere solo dalla propria ragione e dai propri interessi. Il tema centrale dell’idealismo diventa la questione del conflitto, le antinomie dell’agire, le opposizioni dialettiche della coscienza e della società; queste sono le forze dinamiche capaci di rappresentare la realtà delle cose. L’elemento vitale, la forza che determina l’unità del singolo come soggetto, la società come società umana, sono dati dal movimento delle contraddizioni stesse. La natura non è in grado di creare l’unità, ma è la tensione stabilizzata che crea un movimento dialettico in avanti e verso l’alto. Se in Francia il tema dell’Illuminismo è rappresentato dal concetto di progresso che si determina 59
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nel processo di integrazione sociale (Montesquieu, Rousseau)85, e se in Inghilterra esso è rappresentato dalle tesi del liberalismo e l’integrazione si determina nel progresso (Ferguson, Smith), in Germania, invece, queste tematiche sono riunite nell’idea di un mondo in cui la forza motrice risiede nella volontà e nella razionalità umana. Non si tratta di superare o accettare le istituzioni date, di sognare il superamento delle condizioni presenti nella società, per un ritorno allo stato di natura; si tratta invece, di superare i conflitti e le antinomie, che sono originariamente poste in noi con la forza dell’esistenza della natura umana. Possiamo concludere sinteticamente l’analisi riguardante la situazione tedesca affermando che con l’idealismo anche la cultura tedesca prende in esame il tema dell’emancipazione del mondo occidentale. Le scelte successive a questa corrente dovranno fare i conti con il concetto di società che si evince nell’analisi dell’idealismo. La società per gli idealisti non è vista solo come un ordinamento razionale funzionale, ma anche come un ordine il cui valore va oltre gli interessi espressi nel sistema dei bisogni; e in questo senso l’Idealismo trova un suo riferimento teoretico nell’ordinamento legittimo che, come tale, si contrappone alla società puramente naturale. Tutto questo si delinea con chiarezza negli Autori che prima sono stati citati. Si pensi a Tönnies, ad esempio, il quale analizza la comunità e la società come fatti normativi. In lui è forte la consapevolezza dell’ineluttabilità dei cambiamenti storici e dell’accettazione del conflitto della società industriale; con la 60
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categoria di Gemeinschaft (comunità), Tönnies spiega come, del concetto stesso di collettività definitivamente perduto, rimanga solo una piccola traccia nei gruppi sindacali. Il suo lavoro più importante, Comunità e Società86, è la chiara espressione del suo pensiero, dove oltre ad una netta separazione dall’ideologia positivista, egli introduce un nuovo meccanismo metodologico che anticipa quello che sarà poi il tipo ideale o ideal-tipo weberiano. La stessa suddivisione che Tönnies propone tra Comunità (Gemeinschaft) e Società (Gesellschaft), costruzioni che non esistono nello stato reale, sembra collegarsi comunque alla visione positivistica in cui si ritrova spiegata la realtà attraverso la ragione. La comunità è la struttura alla quale Tönnies si sente più legato anche per motivi personali, è la struttura che incarna la realtà naturale, dove si ha una completa partecipazione del gruppo, determinando il legame tra individui in un rapporto condiviso, dove la partecipazione emotiva è grande, dove una struttura patriarcale rappresenta quella che viene definita “società tradizionale”. Si determina così una forma di associazione principale che serve per comprendere i processi di integrazione sociale. Poi c’è l’altra struttura, la società, la quale è invece caratterizzata da legami contrattuali e dalla volontà (Kürwille), come volontà arbitraria, non più da rapporti personali, naturali ed emotivi ma dall’individualismo e dall’egoismo. È questa la struttura che si sviluppa con l’avvento dell’industrializzazione, con il cambiamento dei rapporti tra le parti e lo svilupparsi della “società borghese”87. 61
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Come afferma Cavalli, Tönnies è comunque un socialdemocratico, è colui che accetta il conflitto e la società industriale, fino ad affermare che la Gemeinschaft (la comunità) è definitivamente perduta, sopravvive solo, lo si diceva, in alcune realtà dei gruppi sindacali88. Lo stesso Weber analizza questo concetto ambivalente di burocratizzazione e razionalità come forza che controlla l’emotività e i sentimenti. Coloro che daranno origine alla Deutsche Gesellschaft für Soziologie nel 1909 sono mossi dalla necessità di creare questa associazione per il superamento dell’idea del conflitto sociale, di contro ai socialisti della cattedra che ritenevano che gli uomini di scienza e cultura sarebbero riusciti ad elaborare un compromesso, il quale avrebbe garantito la ricostruzione dell’armonia sociale: il problema è quello di capire ed analizzare il conflitto sociale e non di sperare di costruire condizioni di armonia sociale. La spaccatura all’interno di questa linea di pensiero si è determinata anche in relazione agli avvenimenti politici del periodo, soprattutto in relazione all’inizio dell’espansionismo coloniale. Gli studiosi citati sono tutti sostenitori, dopo essere stati nazionalisti, fino agli avvenimenti che hanno portato al 1914, del partito della pace (Verständigungsfriede), tutti oppositori della costruzione della flotta e totali sostenitori della pace, anche se si tratta di una pace negoziata che si contrappone ai sostenitori della pace vittoriosa (Siegesfriede)89. Si determinavano due partiti contrapposti fra loro, tra i sostenitori e gli avversari di quello che rappresentava solo l’inizio di un altro conflitto inevitabile, la “prima guerra mondiale”. 62
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Tutti questi Autori peraltro, dai quali appunto nasce la Sociologia tedesca, avevano delle origini e dei legami con la classe dirigente dominante. La loro separazione dagli schemi dominanti sarà per questo molto difficile, essendosi formati nella stessa cultura che vorrebbero cambiare (un’impronta questa che rimarrà presente)90. Perché questa separazione avvenisse si richiedeva una netta rottura con il ceto intellettuale dominante. Rompere con la precedente concezione della storia. Si tratta di un movimento che ha portato alla rottura epistemologica che l’estrema sinistra dell’establishment accademico opera nei confronti della cultura ufficiale. Gli Autori in questione erano autorevoli rappresentanti di questa corrente, anche se essi erano pure l’espressione di una realtà conservatrice. Il pensiero di Sombart sull’origine della sociologia si alimenta delle opere anglo-francesi, mettendo chiaramente in evidenza la sua idea intorno all’argomento; soprattutto però è possibile affermare in conclusione che: la sociologia [tedesca] emerge nella inconsapevolezza del fatto che si tratta di una disciplina nuova. Il solo Simmel parla in termini espliciti di una nuova disciplina della quale però si percepisce come unico rappresentate. Weber aveva un sovrano disprezzo per quella che al suo tempo passava per sociologia in Germania91.
Quest’ultima citazione per rivendicare ulteriormente la necessità di comprendere le radici della scienza sociale, poiché quest’indagine ancora oggi 63
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può essere di aiuto nella riflessione teorica della sociologia. Per noi oggi non è più così difficile comprendere questo passaggio che ha influenzato le scelte e le riflessioni teoriche ed empiriche dei nostri Autori. In questo senso consideriamo Sombart un sociologo, che si inserisce pleno jure in una cospicua tradizione di sociologi che hanno posto l’accento sul contrasto tra gli aspetti della moderna società industriale e gli aspetti della società pre-industriale92.
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NOTE 1 Michels R., Werner Sombart. Economisti tedeschi, in AA.VV., «Nuova Antologia di lettere, scienze ed arti», Vol. CXXXIV, marzo-aprile 1908, p. 418. 2 Ibidem. 3 Sapori A., Werner Sombart, in AA.VV., Studi di Storia Economica (secoli XII-XIV-XV), Vol. II, Sansoni, Firenze 1955, p. 1086. 4 Ivi, p. 1087. 5 Cfr. Dilthey W., Introduzione alle scienze dello spirito, prefazione e traduzione di G.A. De Toni, La Nuova Italia, Firenze 1974. 6 Fornari F. Spiegazione e comprensione. Il dibattito sul metodo nelle scienze sociali, Laterza, Roma-Bari 2002, p. X. 7 Dilthey W., op. cit., p. 9. 8 Izzo A., Storia del pensiero sociologico, il Mulino, Bologna 1991, pp. 131-135. 9 Cfr. Menger C., Untersuchungen über die Methode der Sozialwissenschaften, und der politischen Oekonomie insbesondere, Duncker & Humblot, Leipzig 1883; trad. it., Sul metodo delle scienze sociali, a cura di R. Cubeddu; introduzione di K. Milford, Liberilibri, Macerata 1996. 10 Sombart W., Il Capitalismo Moderno, (tit. or. Der Moderne Kapitalismus, 1902, i primi due volumi, 2ª ed. 1916, III vol. 1927), a cura di A. Cavalli, trad. it. parziale di K. Pedretti Andermann, UTET, Torino 1978, p. 13. 11 Bruguier Pacini G., Necrologio. Werner Sombart (1863-1941), in «Archivio di Studi Corporativi», n. XII, 1941, pp. 293-294. 12 Sombart W., La campagna romana. Studio economico-sociale, trad. it. a cura di F.C. Jacobi, Loescher, Torino 1891. 13 Cfr. Mira G., La tesi di laurea del Sombart sulla campagna romana, in AA.VV., L’opera di Werner Sombart, nel
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centenario della nascita, introduzione di A. Fanfani, Giuffrè, Milano 1964, pp. 63-83. 14 Sombart W., Die Handelspolitik Italiens seit der Einigung des Königreichs, in «Schriften des Vereins für Sozialpolitik», Leipzig, 49 [1892], pp. 77-166. 15 Hawthorn G., Storia della sociologia, il Mulino, Bologna 1980, p. 193. 16 Ferrarotti F., Presentazione, in W. Sombart, Il Borghese, Guanda, Parma 1983, p. VII. 17 Michels R., Werner Sombart, in «Critica Fascista», 1933, p. 138. 18 Sombart W., Socialismo e Movimento Sociale nel secolo XIX, Sandron, Milano-Palermo 1898. Citazione presente nella prefazione dell’opera senza numerazione. 19 Michels R., Werner Sombart. Economisti tedeschi, in op. cit., p. 420. 20 Ibidem. 21 Sapori A., op. cit., p. 1088. 22 Continuando però ad insegnare fino al 1940. È proprio in questo periodo che egli divenne un sociologo di fama mondiale, tanto da superare quella dell’amico Max Weber, che in seguito lo eclissò, a tal punto che oggi Sombart è praticamente dimenticato in questa disciplina. 23 Traduzione italiana, L’economia tedesca nel XIX secolo. 24 Tradotto dal tedesco da Riccardo di Corato, pref. di Alessandro Cavalli, Etas, Milano 1975. La tardiva traduzione di questo testo, come afferma Alessandro Cavalli nella sua prefazione, è da considerarsi un errore poiché il testo uscito nel 1906 presenta un’analisi della situazione americana innovativa e certamente avanzata rispetto ai tempi. Eppure venne tradotta solo nel 1975, tanto che nemmeno Franco Rizzo, quando nel 1974 dedicherà un’intera pubblicazione a Werner Sombart, citerà il testo medesimo. Nel 2006 è uscita una nuova edizione della traduzione italiana
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con prefazione di Guido Martinetti, edita da Bruno Mondadori. 25 Sombart W., Das Lebenswerk von Karl Marx, in «The Economic Journal», Vol. 19, n. 74 (Jun., 1909), pp. 239-240. 26 Tradotto in Italia a cura di Renato Licandro e pubblicato nel 1980 dagli Editori di Ar, Padova; il progetto di questa edizione si compone nel seguente modo: I vol. Il contributo degli ebrei all’unificazione dell’economia moderna, II vol. La vocazione degli ebrei al capitalismo, III vol. Genesi e formazione dell’identità ebraica, Appendice Corollario a W. Sombart. 27 Cfr. Segre S., Weber, Sombart e il capitalismo, ECIG, Genova 1997. 28 Weber M., Die protestantische Ethik und der Geist des Kapitalismus, J.C.B. Mohr, Tübingen 1934; trad. it., L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Rizzoli, Milano 1991. 29 Testo ripreso proprio per evidenziare l’idea di Konfortismus proposta da Sombart, mostrare la diversa natura culturale e sociale esistente tra i “Mercanti” (Inglesi e Francesi) e la natura “eroica” dei tedeschi. 30 Cfr. Kellenbenz H., Vita ed opera di Werner Sombart, in AA.VV., L’opera di Werner Sombart, nel centenario della nascita, introduzione di A. Fanfani, A. Giuffrè, Milano 1964, p. 9. 31 Cfr. Sombart W., Correnti sociali della Germania di oggi, in AA.VV., La crisi del capitalismo, Bottai, Firenze 1933, pp. 47-62. 32 L’articolo viene scritto in un anno particolare, il 1933, quando già tra le file politiche si sta facendo strada – anzi, sta diventando egemone – il partito nazional-socialista dei lavoratori capeggiato da Adolf Hitler. Il frazionamento è forte soprattutto nell’ambito politico, dove soltanto a quelle ultime elezioni per il Reichstag scendono in campo ben trentadue schieramenti. Molti sono Splitterpartien
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(partiti microscopici) che, grazie al sistema proporzionale, riescono ad ottenere qualche deputato. Si crea così dispersione di voti e soprattutto l’impossibilità di creare una maggioranza effettiva. Ivi, pp. 50-51. 33 Ivi, p. 52. 34 Arriverà alla fine dell’articolo affermando in nota: “Nel correggere oggi – luglio 1933 – le bozze di questo articolo, posso constatare con soddisfazione che l’attuale indirizzo politico del nuovo governo è quello qui indicato. Resta da ammirare l’impetuosità e l’energia con cui il governo di Hitler ha superato le tante difficoltà che ostacolavano e impedivano finora il realizzarsi, tanto desiderato, dell’idea d’una economia programmatica”. Ivi, p. 62. 35 Il punto di forza di questo lavoro è rappresentato dalla strutturazione dei capitoli così suddivisi: “L’era economica”; “Che cos’è il socialismo”; “Il marxismo”; “Il socialismo tedesco”; “Lo Stato”; “L’economia”. 36 Cfr. Kellenbenz H., Vita ed opera di Werner Sombart, in op. cit., p. 20. 37 Sombart W., Von Menschen. Versuch einer geisteswissenschaftlichen Antropologie, Charlottenburg, Berlin 1938. 38 Aron R., Le tappe nel pensiero sociologico (1965), Mondadori, Milano 1989, p. 21. 39 Jonas F., Storia della sociologia. I. Dall’Illuminismo alla fine dell’Ottocento, Laterza, Roma-Bari 1975, p. 7. 40 A tale riguardo si rimanda alla puntuale analisi storica su base nazionale realizzata da Friedrich Jonas. Cfr. Ivi. 41 Cfr. O. Lentini, Storiografia della sociologia italiana (1860-1925), in «La critica sociologica», n. 20, 1971, p. 129; ed anche cfr. M.C. Federici, Alle radici della sociologia italiana, Franco Angeli, Milano 1990. 42 La genesi del positivismo trova con Auguste Comte, discepolo di Saint-Simon, un immediato riscontro in campo sociologico, considerato il padre (putativo) fondatore
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della scienza sociale, inizialmente parla di “Fisica sociale”, poi di “Sociologia”, sino a giungere all’affermazione estrema, metafisica, che la nuova scienza può assurgere al ruolo di regina delle scienze; cfr. M.C. Federici, La sociologia regina delle scienze, Franco Angeli, Milano 1997. 43 Cfr. Aron R., op. cit., p. 127; Rossi P., La sociologia positivistica e il modello di società organica, in A. Santucci (a cura di), Scienza e filosofia nella cultura positivistica, Feltrinelli, Milano 1982, pp. 29-31. 44 Mediante il confronto tra società umane e in una concezione generale dello sviluppo fondamentale dell’umanità si giunge al metodo storico-comparativo capace di dar conto dell’accrescersi delle componenti intrinseche, delle disposizioni di ogni aggregato sociale. La spiegazione sociologica di Comte si configura come storico-empirica. Cfr. Ferrarotti F., Trattato di sociologia, Utet, Torino 1968. 45 Fornari F., op. cit., p. 46. 46 Per quanto attiene al problema del metodo scientifico si rimanda ad alcuni lavori fondamentali dell’Autore: Cfr. Weber M. (1954), Il metodo delle scienze storico-sociali, a cura di P. Rossi, Einaudi, Torino; Id. (1966), Saggi sulla dottrina della scienza, De Donato, Bari; Id. (1966), Il lavoro intellettuale come professione, a cura di D. Cantimori, Einaudi, Torino. 47 Per quanto attiene al problema del metodo scientifico si rimanda ad alcuni lavori fondamentali dell’Autore: Cfr. Simmel G., I problemi fondamentali della filosofia, intr. di A. Banfi, Isedi, Milano 1973; Id., Il conflitto della cultura moderna e altri saggi, a cura di C. Mongardini, Bulzoni, Roma 1976; Id., La differenziazione sociale, a cura di B. Accarino, Laterza, Roma-Bari 1982; Id., I problemi della filosofia della storia, a cura di V. D’Anna, Marietti, Casale Monferrato 1982; Id., Sociologia, a cura di A. Cavalli, Comunità, Milano 1989.
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“Mentre [i sociologi positivisti] si insedieranno nella loro distanza scientifica come in una fortezza, correndo seriamente il rischio di costruire una conoscenza immaginaria di oggetti immaginari, [i sociologi umanisti] sprofonderanno nell’ambiguità di un mondo reale (la vita quotidiana) tanto più evidente quanto più difficile da formalizzare, tanto più vivo e concreto quanto più sfuggente”; Cfr. Dal Lago A., Introduzione all’edizione italiana, in H. Schwartz, J. Jacobs, Sociologia qualitativa, il Mulino, Bologna 1987, pp. 15-16. 49 Aron R., op. cit., p. 22. 50 AA.VV., Hauptprobleme der Soziologie. Erinnerungsgabe für Max Weber, by Gerhart von Schulze-Gaevernitz, Verlag von Duncker & Humblot, München und Leipzig 1923. 51 Gerhart von Schulze-Gaevernitz, Werner Sombart, Franz Eulenburg, Hermann Kantorowicz, Friedrich von Gottl-Ottlilirnfeld, Hans W. Gruhle, Ludo M. Hartmann, Eberhard Gothein, Ferdinand Tönnies, Rich Thurnwald, Leo Jordan, Karl Vossler, Carl Schmitt, Rich Thoma, Carl Brinkmann, Karl Löwenstein, Carl Landauer, Emil Lederer, Paul Honigsheim, Arthur von Rosthorn, Paul Mombert, Werner Wittich, Walther Lotz, Heinr Sieveking. 52 Cfr. Bixio A., Sociologia, in Enciclopedia Filosofica Bompiani, Vol. 11 (Se-Teol), Bompiani, Milano 2006, pp. 10768-10798. 53 Barth P., Die Philosophie der Geschichte als Soziologie, Reisland, Leipzing 1897. 54 Jonas F., op. cit., p. 7. 55 Sombart W., Die Anfänge der Soziologie, in Erinnerungsgabe für Max Weber, Verlang von Ducker & Humblot, München und Leipzing 1923, (traduzione par. II), p. 4. 56 Jonas F., op. cit., pp. 73-74. 57 Ivi, p. 7.
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58 Mandeville
B. de, The Fable of the Bees, or Private Vices, Public Benefits, I ed. 1714, trad. it., La favola delle api, ossia vizi privati, pubbliche virtù, Boringhieri, Torino 1961, a cura di Clara Parlato Valenziano. Shaftesbury, Anthony Asheley Cooper, conte di, Charakteristick of Men, Manners, Opinions and Times, edited with and introduction and notes by J.M. Robertson, Smith, Gloucester 1963, prima ed. 1713. 59 Opera più volte commentata e poi completamente dimenticata, come ci ricorda Sombart, nonostante contenesse una delle migliori analisi sociologiche in nostro possesso. È possibile anche ricordare, per mera cronaca, che anche Georg Simmel scriverà un lavoro dedicato al medesimo argomento: Il dominio (Soziologie der Über - und Unterordnung, 1907), a cura di C. Mongardini, Bulzoni, Roma 1978. 60 Jonas F., op. cit., p. 81. 61 Ivi, p. 100. 62 Successivamente, in pieno Ottocento, emerge anche il pensiero di J. Stuart Mill, il portavoce della necessità di dare riconoscimento a tutte le parti che interagiscono e confliggono nella società, di ridefinire il rapporto tra società civile e Stato, di estendere e sostanziare il concetto stesso di democrazia. 63 Jonas F., op. cit., p. 10. 64 Ivi, p. 11. 65 Cfr. M. Weber, op. cit. 66 Gli Stürmer si ribellano, non solo alla tradizione letteraria, ma vogliono teorizzare una nuova concezione del mondo e dell’etica, dimenticando ogni rapporto con le tradizioni passate. Concepiscono il sentimento come forza scatenante e selvaggia, libera espressione del genio artistico, insofferente delle limitazioni sociali. Proclamano la libertà assoluta dello spirito, pervaso da un senso negativo e malinconico della vita e dei suoi eventi.
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Tra questi si cita il rappresentante più significativo per questa corrente: Heinrich Heine, il quale si converte al cattolicesimo convinto che ciò significhi poter godere di una maggiore libertà per conoscere ed apprezzare la civiltà europea. 68 Cfr. Cavalli A., Introduzione al Capitalismo Moderno, in W. Sombart, Il Capitalismo moderno, Utet, Torino 1978, p. 18. 69 Ivi, p. 44. 70 Spirito U., La nuova Scienza dell’Economia secondo Werner Sombart, in «Archivio di Studi Corporativi», PaciniMariotti, Pisa, Vol. I, 1930, pp. 285-286. 71 Cfr. Stuart Mill J., Sistema di logica deduttiva e induttiva, a cura di M. Trinchero, intr. di F. Restaino, Utet, Torino 1988. 72 Cavalli A., Considerazioni sull’origine della sociologia nella Germania Guglielmina, in M. Salvati (a cura di), Scienza narrazione e tempo, Franco Angeli, Milano 1985, p. 245 e sgg. 73 Schiera P., Il laboratorio Borghese, il Mulino, Bologna, 1987, pp. 21-22. 74 Ivi, pp. 95-96. 75 I ceti intellettuali sono distinti in ceto dei Gelehrten (insegnanti), e il ceto degli uomini della Bilbung (uomini dell’educazione, della formazione), sacerdoti della cultura i quali sono indipendenti anche rispetto alle altre classi sociali che detengono potere, come ad esempio l’aristocrazia delle terre e l’aristocrazia del denaro. In questo senso si può quindi parlare dell’aristocrazia della cultura, la quale occupa una posizione di prestigio e di potere pur non ricavando questo potere da nessuna categoria tradizionale (terra o capitale), ma solo dal controllo dell’apparato istituzionale dell’università, che sappiamo nascere in Germania come apparato dello Stato in un periodo preborghese, ma che riuscirà a mantenere sempre una relativa autonomia.
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Cavalli A., Considerazioni sull’origine della sociologia nella Germania Gugliemina, cit., p. 249. 77 Cfr. Lepenies W., Ascesa e declino degli intellettuali, Laterza, Roma-Bari 1992. 78 Cfr. Lepenies W., Le tre culture. Sociologia tra letteratura e scienza, il Mulino, Bologna 1987. 79 Si sviluppa la letteratura di tipo psicologico in cui si analizza l’inconscio, incasellato dai positivisti sotto l’etichetta “irrazionale”, dopo gli studi di Sigmund Freud. 80 Cfr. De Feo N.M., La ragione sovversiva. Appropriazione e irrazionalismo in Weber, Sombart, Marx, B.A. Graphis, Bari 2000, p. IX. 81 Cavalli A., Considerazioni sull’origine della sociologia nella Germania Gugliemina, cit., p. 253. 82 De Feo N.M., op. cit., p. XV. 83 Le principali opere a carattere sociologico di Sombart sono state raccolte postume nel volume intitolato Noo-Soziologie nel 1956. 84 Lepenies W., Conseguenze di un evento inaudito. I tedeschi dopo l’unificazione, il Mulino, Bologna 1993, pp. 36-37. 85 C.L. de Montesquieu è stato considerato successivamente da Auguste Comte e da Émile Durkheim il padre della sociologia; è colui che ha determinato l’oggetto e il metodo della sociologia ed ha posto le basi sulle quali si è potuta sviluppare la stessa conoscenza sociologica. Montesquieu è il primo a porre il problema dell’integrazione sociale come problema sociologico, indipendentemente dai presupposti giusnaturalistici o razionali, e anche da conseguenze politiche o morali. In lui la società è riconosciuta come realtà di specie propria, che non rientra né nelle categorie della passata filosofia, né in quelle della politica o dell’etica. Successivamente anche J.J. Rousseau parlerà dell’integrazione come nuovo problema, anche se verrà proposto come problematica radicale, ma astratta
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nella sua possibile soluzione. Per Montesquieu la sociologia deve ricercare, invece, i principi organizzativi e normativi che regolano le diverse società, non i principi generali in grado di regolare tutti i diversi tipi di società. Come egli ebbe a dire, gli uomini non sono oggetto di leggi generali, ma agiscono autonomamente, e le conseguenze di queste azioni non possono quindi essere dedotte da poche massime, ma risultano come conseguenze tipiche in circostanze e connessioni esterne diverse. Si tratta di una posizione relativista molto vicina alle correnti sociologiche contemporanee. 86 Tönnies F., Comunità e Società (1887), intr. di Renato Treves, Comunità, Milano 1963. 87 Izzo A., op. cit., cap. VII, pp. 151-155. 88 Cavalli A., Considerazioni sull’origine della sociologia nella Germania Gugliemina, cit., pp. 253-254. 89 Ivi, p. 255. 90 Ivi, p. 256. 91 Ivi, pp. 284-285. 92 Cavalli A., Introduzione al Capitalismo Moderno, in op. cit., p. 33, nota 49.
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Bibliografia
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–, Conseguenze di un evento inaudito. I tedeschi dopo l’unificazione, il Mulino, Bologna 1993. Mandeville B. de, The Fable of the Bees, or Private Vices, Public Benefits, I ed. 1714, trad. it. a cura di Clara Parlato Valenziano, La favola delle api, ossia vizi privati, pubbliche virtù, Boringhieri, Torino 1961. Menger C., Untersuchungen über die Methode der Sozialwissenschaften, und der politischen Oekonomie insbesondere, Duncker & Humblot, Leipzig 1883; trad. it., Sul metodo delle scienze sociali, a cura di R. Cubeddu; introduzione di K. Milford, Liberilibri, Macerata 1996. Michels R., Werner Sombart. Economisti tedeschi, da AA.VV., Nuova Antologia di lettere, scienze ed arti, Vol. CXXXIV, marzo-aprile 1908. –, Werner Sombart, in «Critica Fascista», 1933. Mira G., La tesi di laurea del Sombart sulla campagna romana, in AA.VV., L’opera di Werner Sombart, nel centenario della nascita, introduzione di A. Fanfani, A. Giuffrè, Milano 1964, pp. 63-83. Rizzo F., Werner Sombart. Contributi di sociologia, Liguori, Napoli 1974. Rossi P., La sociologia positivistica e il modello di società organica, in A. Santucci (a cura di), Scienza e filosofia nella cultura positivistica, Feltrinelli, Milano 1982. Santucci A. (a cura di), Scienza e filosofia nella cultura positivistica, Feltrinelli, Milano 1982. Sapori A., Werner Sombart, in AA.VV., Studi di Storia Economica (secoli XII-XIV-XV), Vol. II, Sansoni, Firenze 1955. Schiera P., Il laboratorio Borghese, il Mulino, Bologna 1987. Segre S., Weber, Sombart e il capitalismo, ECIG, Genova 1997. Simmel G., I problemi fondamentali della filosofia, intr. di A. Banfi, Isedi, Milano 1973.
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–, Il conflitto della cultura moderna e altri saggi, a cura di C. Mongardini, Bulzoni, Roma 1976. –, Il dominio (Soziologie der Über - und Unterordnung, 1907), a cura di C. Mongardini, Bulzoni, Roma 1978. –, La differenziazione sociale, a cura di B. Accarino, Laterza, Roma-Bari 1982. –, I problemi della filosofia della storia, a cura di V. D’Anna, Marietti, Casale Monferrato 1982. –, Sociologia, a cura di A. Cavalli, Comunità, Milano 1989. Sombart W., Correnti sociali della Germania di oggi, in AA.VV., La crisi del capitalismo, Bottai, Firenze 1933. –, Die Anfänge der Soziologie, in AA.VV., Erinnerungsgabe für Max Weber, Verlang von Ducker & Humblot, München und Leipzig 1923. –, Die Handelspolitik Italiens seit der Einigung des Königreichs, in «Schriften des Vereins für Sozialpolitik», Leipzig, 49 [1892]. –, Das Lebenswerk von Karl Marx, in «The Economic Journal», Vol. 19, 74 (Jun., 1909). –, Gli Ebrei e la vita economica, (tit. or. Die Juden und das Wirtschaftsleben, Leipzig 1911), trad. di Renato Licandro, Editori di Ar, Padova 1980, progetto dell’edizione italiana in tre volumi: I Il contributo degli ebrei all’unificazione dell’economia moderna, II La vocazione degli ebrei al capitalismo, III Genesi e formazione dell’identità ebraica, Appendice Corollario a W. Sombart. –, Il Capitalismo Moderno, (tit. or. Der Moderne Kapitalismus, 1902, i primi due volumi, 2ª ed. 1916, III vol. 1927), a cura di A. Cavalli, trad. it. parziale di K. Pedretti Andermann, UTET, Torino 1978. –, La campagna romana. Studio economico-sociale, trad. it. a cura di F.C. Jacobi, Loescher, Torino 1891. –, Noo-Soziologie, Duncker & Humblot, Berlin 1956. –, Perché negli Stati Uniti non c’è il Socialismo? (tit. or.
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Silvia Fornari
Warum gibt es in den Vereinigten Staaten keinen Sozialismus?, Leipzig 1904), pref. di A. Cavalli, Etas libri, Milano 1975; Mondadori, Milano 2006. –, Socialismo e Movimento Sociale nel secolo XIX, Sandron, Milano-Palermo 1898. –, Von Menschen. Versuch einer geisteswissenschaftlichen Antropologie, Charlottenburg, Berlin 1938. Spirito U., La nuova Scienza dell’Economia secondo Werner Sombart, in «Archivio di Studi Corporativi», Vol. I, 1930. Stuart Mill J., Sistema di logica deduttiva e induttiva, a cura di M. Trinchero, intr. di F. Restaino, Utet, Torino 1988. Tönnies F., Comunità e Società (1887), intr. di Renato Treves, Comunità, Milano 1963. Weber M., Die protestantische Ethik und der Geist des Kapitalismus, Tübingen, J.C.B. Mohr 1934; trad. it., L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Rizzoli, Milano 1991. –, Il metodo delle scienze storico-sociali, a cura di P. Rossi, Einaudi, Torino 1954. –, Saggi sulla dottrina della scienza, De Donato, Bari 1966. –, Il lavoro intellettuale come professione, a cura di D. Cantimori, Einaudi, Torino 1966.
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Nota del curatore Il testo di Sombart, qui tradotto, presentava diverse citazioni da testi di autori classici in lingua originale, che sono state mantenute così nel testo; si è scelto di tradurle in nota e di riferirci alle pubblicazioni più importanti delle curatele italiane delle stesse, ove è stato possibile reperirle. Si vuole ringraziare, inoltre, la collega prof.ssa Gabriella Klein, per la consulenza e la accurata revisione dal tedesco, e il prof. Piergiorgio Sensi per l’aiuto nella fase di revisione finale della stessa. Si ringrazia inoltre il prof. Franco Crespi per i suggerimenti e la stima dimostrata. 82
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I. I giudizi errati di von Mohl e di Paul Barth concernenti il concetto di sociologia Nell’anno 1851 Robert von Mohl1 sosteneva che “molto di recente” accanto alla scienza dello Stato sarebbe nata una nuova scienza: “la scienza della società”. Ci descrive in modo un po’ teatrale come questa nuova scienza sia improvvisamente venuta alla luce, nel momento in cui sia stata pronunciata la parola “società” (Gesellschaft): «Dapprima dagli utopisti e dalle loro scuole, poi gradualmente dalle tribune degli oratori, poi nelle osterie e nelle assemblee segrete dei congiurati; viene portata avanti come una bandiera nelle battaglie orrende sulle barricate. Ora gli occhi si aprirono improvvisamente … La fermentazione nel mercato e nella capanna ha suscitato ben presto una abbondante letteratura … Così attraverso l’azione e la parola scritta è nato un nuovo oggetto della coscienza, del volere e del pensare … [Ora] la scienza della società deve essere fondata e sviluppata …». Come rappresentanti di questa nuova scienza, inoltre, lo studioso cita alcuni socialisti francesi che conosceva attraverso i testi di Reybaud e di Stein, ma 1 Geschichte und Literatur der Staatswissenschaften (1855). La relazione è stata pubblicata per la prima volta nell’anno 1851 nella rivista «Zeitschrift für gesamte Staatswissenschaft», sottotitolo: Die Staatswissenschaften und die Gesellschaftswissenschaften [Nota di Sombart].
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Le origini della sociologia
soprattutto questi ultimi due, nonché alcuni storiografi del socialismo stesso. Un raggruppamento per lo più sorprendente. Von Mohl sembra non conoscere nemmeno il nome di Comte, nonostante le sue opere principali fossero state pubblicate tra il 1822 e 1842; questo nome, infatti, manca nell’ampia bibliografia che von Mohl ha inserito alla fine del terzo volume della sua storia. Neppure Saint Simon viene menzionato. Nella migliore storia tedesca della letteratura sociologica2, leggiamo ancora che la “sociologia”, “secondo i fatti”, risale a Platone, anche se allora veniva chiamata “politica” (Politik); che comunque questi “sociologi” più antichi si interessavano praticamente solo allo Stato e che “soltanto gli sconvolgimenti e le vicissitudini della Rivoluzione Francese e della Restaurazione” avessero generato “una diversa concezione” che, all’inizio, trovò la sua espressione in Saint Simon: il quale perciò dovrebbe essere considerato il vero fondatore della sociologia moderna. Questo costrutto teorico non è meno errato di quello di von Mohl: da un lato, Platone, Aristotele ed i rappresentanti del diritto naturale dei tempi moderni, che vengono citati da Paul Barth, non hanno niente a che fare con la sociologia moderna; dall’altro, già all’inizio della Rivoluzione Francese essa annoverava un’ampia letteratura vecchia più di un secolo. Non è naturalmente solo un caso che due studiosi eruditi come Robert von Mohl e Paul Barth siano 2
Paul Barth, Die Philosophie der Geschichte als Soziologie, 3 ed. (1921). Citato dalla 2 ed. (1915), Libro 1, Tomo 1 [Nota di Sombart].
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Werner Sombart
potuti arrivare a tali conclusioni errate. Ciò può essere spiegato considerando piuttosto la posizione che i due autori prendono di fronte ai problemi concernenti la scienza della società. Per Mohl la scienza della società, la cui costituzione egli considerava ancora in divenire, doveva diventare una specie di scienza di supporto per le scienze dello stato, secondo il suo concetto di “società”, che considerava una specie di interregno tra lo Stato e la singola persona nel senso hegeliano: «La società civile3 è la differenza (!) che intercorre tra la famiglia e lo Stato». Barth invece non fa differenza, come si può già vedere dal titolo del suo libro, tra sociologia e filosofia della storia. Nessuno di questi due punti di vista è in grado di determinare correttamente “gli inizi della sociologia”, perché con il termine di “sociologia” intendono una cosa diversa da ciò che deve essere inteso. Si deve invece comprendere quale tono imperativo abbiamo il diritto di usare quando – e solo in questo caso –, si tratta di storia dello spirito, ossia quando si devono interpretare a posteriori certi modi di pensare e certe problematiche? Ossia: possiamo ignorare la domanda sull’essenza della “sociologia” oppure su che cosa debba essere secondo la sua interpretazione scientifica. Allora si dovrà constatare soprattutto il fatto che nell’età moderna emerge una nuova interpretazione tutta particolare della convivenza umana, la quale assume le dimensioni di una scienza finora 3
Secondo l’uso ormai consueto nella traduzione italiana dei testi hegeliani traduciamo bürgerliche Gesellschaft con “società civile”.
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Le origini della sociologia
sconosciuta, la scienza della “società” umana (nel senso più ampio). Siccome successivamente, fino a giungere ai giorni nostri, questo termine verrà usato da cerchie sempre più ampie di parlanti, abbiamo pieno diritto di chiamare tale nuova scienza “sociologia” (benché il termine in sé non abbia molta importanza). L’essenza di tale “sociologia” moderna – ossia quella “sociologia” che per prima si affacciò come una novità nel mondo del pensiero europeo –, può essere definita in un primo momento, a grandi linee, senza doversi aspettare delle obiezioni, come una scienza empirica la quale si dà il compito di spiegare l’insieme dei rapporti umani e le loro espressioni culturali in un modo empirico-causale. Anticipando già ciò che segue, in una parola: quello che si presenta come il compito di una scienza completamente nuova è la dottrina della natura della società umana nel senso più ampio, includendo soprattutto anche lo “Stato”. Vorrei parlare degli inizi di questa “dottrina della natura sociale”, ossia della sociologia nel suo senso originale e, possiamo aggiungere, occidentale. II. La concezione teocratica e del diritto di natura all’inizio dell’età moderna Quando il mondo europeo entrò nell’età moderna, la riflessione che si occupava della vita associata degli uomini era dominata da due concezioni principali: il modo di pensare teocratico, proveniente dal medioevo, ed il modo di pensare giusnaturalistico e contrattualistico, il quale si era sviluppato nella sua 86
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Werner Sombart
forma secolarizzata fin dal XVI secolo. Per quanto queste due concezioni fossero diverse tra loro, si rassomigliavano in un punto essenziale: le associazioni umane e le idee che collegano gli esseri umani appaiono, ad entrambe, come una cosa diversa dal mondo fenomenologico creaturale. O sono rappresentazioni di un insieme animato dallo spirito divino e creato secondo la sua unica legge: oppure sono creazioni della ragione unica ed eterna. Stato e diritto – le forme temporali in cui gli uomini vivono – appartengono ad un mondo morale, il quale, però, viene così immaginato in stridente contrasto con il mondo naturale (questa tradizione di pensiero era passata dal medioevo ai teorici del XVI e XVII secolo). Anche secondo gli esponenti del giusnaturalismo e secondo i teorici del contratto, diritto e Stato sono dati agli uomini in quanto esseri storici. La legge naturale è una legge eterna, la sua validità è indipendente da qualsiasi realizzazione storica; lo Stato è un contratto concluso tra esseri razionali, è un atto di libertà. Il Diritto e lo Stato non possono in alcun caso essersi formati a muovere da impulsi empirici e psicologici, bensì nascono soltanto per dictamen rectae rationis. Questa solo è e può essere la concezione propria dei sostenitori del diritto naturale e dei teorici del contratto. Così pensano i grandi fautori del Liberalismo, Grotius e Locke, così i grandi realisti Hobbes e Spinoza, così pensa ancora Rousseau e così naturalmente i grandi filosofi dello Stato tedesco del XVII e XVIII secolo. Spesso, però, tale punto di vista non si raccorda perfettamente con altre tesi fondamentali di chi lo sostiene. Per esempio Hobbes e Spinoza debbono fare a volte dei salti mortali per superare lo ia87
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to: se, secondo Spinoza, «homines magis caeca cupiditate, quam ratione ducuntur»4, e se «homo… tam in statu naturali quam civili ex legibus suae naturae agit, suaeque utilitati consulit»5: almeno una volta, però, una sua azione ha dovuto essere generata dalla libertà, cioè dalla ragione pura: quando è nato lo Stato. Lo stesso vale anche per tutti gli altri. Il punto di vista meta-empirico, sopraindividuale, trans/storico, – che potremmo anche altrimenti definire dualistico – dei teorici del contratto viene evidenziato molto chiaramente dal postulato secondo il quale esiste un carattere normativo del diritto; e dall’assunzione generale della esistenza di una volontà dello Stato preposta alla volontà individuale; in altri termini: dal suo realismo sociale. Anche per i sostenitori del carattere secolare e profano della legge della natura il diritto è legge anche per la ragione divina: nel senso stretto che è una legge alla quale la stessa volontà divina è sottomessa, e che non può essere jus voluntarium, voluta o non voluta da Dio, bensì legge che anche Dio deve volere6 (come 2 x 2 = 4): «adeo immutabile, ut ne a Deo 4 «Gli uomini sono guidati più dal cieco desiderio che dalla ragione» (Trattato Politico, II, 5). La traduzione più recente, completa e accurata di tutte le opere di Spinoza è quella curata da F. Mignini e O. Proietti, nei Meridiani Mondadori, Milano 2007. 5 «L’uomo … tanto nello stato di natura che nella condizione civile agisce in base alle leggi della sua natura e persegue il proprio utile» (Trattato Politico, III, 3). 6 Cfr. Papa Benedetto XVI, Fede, ragione e università. Ricordi e riflessioni, Aula Magna dell’Università di Regensburg, 12 settembre 2006, Libreria Editrice Vaticana, Roma 2006.
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quidam mutari queat: “perpetuum et immutabile”»7. Il diritto naturale resta sempre identico al diritto divino, perché proviene “dall’autore stesso della natura, da Dio”. Addirittura in Hobbes il diritto di natura non può minimamente contraddire la legge rivelata nella Bibbia. Le leggi fondamentali della vita sociale degli uomini secondo Spinoza sono “aeternae veritates, quas nemo ignorare potest”8. Ma lo Stato è una personalità collettiva, preordinata e contrapposta alla volontà dell’individuo e possiede una propria volontà che viene direttamente da Dio. La concezione dello Stato sostenuta da tutti i teorici del contratto – Locke e Rousseau inclusi – è antinominalista. Ciò viene troppo spesso misconosciuto. Per esempio da Gierke, che da Althusius in poi riconosce soltanto filosofi della politica nominalisti e che, stranamente, include la stessa teoria del contratto tra le teorie nominaliste, mentre è proprio la teoria del contratto che dovrebbe portare logicamente alla ipotesi di una volontà generale dello Stato, preordinata all’individuo anche nel suo insieme, e perciò ad una “volonté générale”: infatti, il contratto viene pattuito “per l’eternità”. «Consociatio qua multi patresfamilias in unum populum ac civitatem coeunt … Societatem quondam contrahunt perpetuam et immortalem»9 (Grotius). 7 «Tanto immutabile che non può essere cambiata neanche da Dio: perpetua e immutabile». 8 «Verità eterne, che nessuno può ignorare» (Trattato teologico-politico, XVI, 6). 9 «Unione con la quale molti capifamiglia si associano in un solo popolo e una sola città … stabiliscono così una
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«Civitas est persona una, cuius voluntas … pro voluntate habenda est ipsorum omnium … civitas nomine uno ab omnibus hominibus particularibus distinguenda … unde voluntates omnium ad unicam reducuntur … est enim in personam unam vera omnium unio … quo facto multitudo illa una persona est et vocata civitas et respublica»10 (Hobbes). «Imperii corpus una veluti mente duci debet et consequenter civitatis voluntas pro omnium voluntate habenda est»11 (Spinoza). «Not every compact puts an end to the state of nature between men, but only this one of agreeing together mutually to enter into one community»12 (Locke). certa società perpetua e immortale …». La più recente traduzione italiana del De jure belli ac pacis (Il diritto della guerra e della pace) è quella a cura di F. Russo, premessa di S. Mastellone, edita a Firenze dal Centro editoriale toscano, nel 2002. 10 «La città è una persona unica, la cui volontà … deve essere ritenuta la volontà di tutti … la città deve essere distinta con un unico nome dai singoli uomini … per cui le volontà di tutti sono ricondotte ad un’unica volontà … vi è infatti in una sola persona la vera unione di tutti … per questa ragione quella moltitudine costituisce una sola persona ed è chiamata città o Stato». Le più recenti traduzioni italiane del Leviatano e del De Cive sono quelle curate da A. Pacchi, Leviatano, Laterza, Roma-Bari 2008 e T. Magri, Leviatano e De cive, Editori Riuniti, Roma 2005. 11 «Il corpo dello stato deve essere guidato come da un’unica mente, conseguentemente la volontà della città deve essere ritenuta come la volontà di tutti». 12 «Non ogni accordo … mette fine allo stato di natura tra gli uomini, ma soltanto questo: il pattuire insieme reci-
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«Le pacte social, c’est l’acte par lequel le Peuple est une Peuple … Cet acte d’association produit un corps moral et collectif …, lequel reçoit de ce même acte son unité, son moi commun, sa vie et sa volonté. Cette personne publique qui se forme ainsi par l’union de toutes les autres, prenait autrefois le nome de Cité … Il’y a souvent bien de la différence entre la volonté de tous et la volonté générale; celui-ci ne regarde qu’àl’intérét commun, l’autre regardé à l’intérét privé et n’est qu’une somme de volontés particulières»13 (Rousseau). Così come il diritto e lo Stato sono stati contrapposti in maniera stridente alla natura, viene anche procamente di entrare in una comunità». In italiano, i Due trattati sul governo e altri scritti politici sono stati pubblicati unitariamente, a cura di L. Pareyson, presso la Utet, Torino 1982. 13 «Il patto sociale è l’atto per il quale il Popolo è un Popolo … Questo atto d’associazione produce un corpo morale e collettivo … che riceve da questo stesso atto la sua unità, il suo essere comune, la sua vita e la sua volontà. Questa persona pubblica che si forma così dall’unione di tutte le altre prendeva nel passato il nome di città … Vi è spesso differenza tra la volontà di tutti e la volontà generale; quest’ultima guarda solo all’interesse comune, l’altra riguarda l’interesse privato e non è che una somma di volontà particolari». L’edizione unitaria in traduzione di tutti gli “scritti politici” di Rousseau comparve nel 1970, a cura di P. Alatri, nelle edizioni UTET-Torino, a cui fece seguito l’edizione Laterza (Roma-Bari), a cura di M. Garin, nel 1971. Entrambe sono state più volte ristampate. Va segnalata la recente edizione del Contratto sociale, a cura di R. Gatti, BUR, Rizzoli, Milano 2005.
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operata una netta distinzione tra il mondo dell’uomo e quello degli animali – là dove questo problema venga avvertito. Se diritto e Stato sono creazioni della ragione, e perciò spirito, la ricerca di questi valori oppure degli inizi di essi nelle comunità degli animali, “qui carent ratione” (Hobbes) diventa assurda. Si vedano le sei negazioni concernenti la cancellazione delle differenze tra il regno degli uomini e quello degli animali nel XVII capitolo del Leviathan di Hobbes. Questa distinzione resta un fatto fondamentale: «animalium illorum consensio a Natura est, consensio autem hominum a pactis est et artificiales»14 (Hobbes); l’uomo si unisce a tutti gli altri uomini in certo qual modo in una comunità grazie alla sua coscienza morale, «e forma con loro una tale società e così si distingue dalle altre creature» (Locke). Quale rapporto hanno queste dottrine, che dominavano nei primi secoli dell’epoca moderna e che trattavano il carattere della convivenza umana, con quella scienza che vogliamo chiamare sociologia, cioè con quella scienza empirica della società storica? È palese che si escludono vicendevolmente. Ciò significa: finché avevano il dominio le concezioni teocratiche, o quelle giusnaturalistiche, oppure la teoria del contratto, in altre parole: finché le riflessioni cercavano l’assoluto nello Stato e nel diritto, gli uomini non potevano pervenire alla elaborazione di una sociologia. Gli oggetti di queste due scienze si trovano su livelli diversi ed è impossibile passare dall’uno all’altro. Così come abbiamo potuto constatare che non 14 «L’associazione degli animali deriva dalla natura; l’associazione degli uomini da patti».
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esiste una strada che porti dalla società empirica al mondo razionale del diritto morale e dello Stato, sorto per dictamen rectae rationis, allo stesso modo non esiste una strada che porti fuori da questo regno nel mondo della storia. Per arrivare ad una scienza completamente empirica della società umana, nella quale non si riconosca una posizione autonoma né allo Stato né al diritto, nella quale si neghi la formazione della società come essere dominante e come avvenimento soprattutto morale, era evidentemente obbligatorio porre fine al contrasto tra ragione e natura, tra spirito ed anima, tra libertà e causualità, tra idea e realtà. Doveva essere distrutto completamente il vecchio modo razionale di vedere, prima che si fosse liberata la strada che porta alla nuova scienza. Solo dopo aver fornito queste importanti indicazioni possiamo avere chiara cognizione della direzione nella quale dobbiamo guardare, se vogliamo rintracciare gli inizi della sociologia moderna. III. La lotta contro Hobbes. Il sorgere della sociologia moderna in Inghilterra I fondatori della sociologia moderna li dobbiamo necessariamente cercare tra gli oppositori convinti del giusnaturalismo e della teoria del contratto. In tal modo, il luogo e il periodo della sua nascita risultano abbastanza precisamente definibili. Quella contestazione contro le dominanti dottrine del razionalismo sociale comincia in Inghilterra nella generazione che succede cronologicamente agli scritti principali di Hobbes (1642-51): ed è proprio la lotta con93
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Le origini della sociologia
tro questo scrittore che accende principalmente gli spiriti; le nuove idee si sviluppano proprio in voluta opposizione alle sue teorie, e proprio queste idee saranno destinate a far nascere la sociologia. Quando citerò di seguito alcuni scritti che a me sembrano importanti per la formazione del nuovo spirito scientifico, non pretendo assolutamente che questo elenco sia esaustivo. È molto probabile che altre opere, che a me sono rimaste sconosciute, siano ugualmente importanti o addirittura più importanti delle opere citate in questo saggio. Le mie indicazioni debbono servire soprattutto allo scopo di indicare la linea sulla quale la ricerca degli inizi della sociologia si dovrà muovere in futuro. L’intenzione principale sarà quella di evidenziare il punto saliente su cui dobbiamo guardare, se vogliamo risolvere il compito in maniera sensata. Tra i primi scienziati che divulgano questa nuova dottrina si trovano: Rich Cumberland: Disquisitio philosophica de legibus naturae (1671). William Temple: An Essay upon the Original and nature of Government (1672); in Miscellanea; Vol. II, 1680. Vorrei ricordare inoltre che nello stesso periodo in cui venivano poste le fondamenta teoriche della nuova scienza della società, si trovarono anche delle strade nuove per arrivare ad una conoscenza empirica della convivenza umana: viene fondata la moderna statistica. Vedi W. Petty: Several Essays in Political Arithmetik (1699). Inoltre, una generazione più tardi, vanno citati due studiosi, le cui opinioni hanno avuto una grande 94
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Werner Sombart
importanza ed hanno esercitato una notevole influenza; essi si combattevano violentemente, ma ciò non significa affatto che gli uomini che noi consideriamo fondatori della sociologia debbano avere avuto sempre ed in ogni punto di vista “un’unica e medesima opinione”; e da questi si dipartono due correnti opposte del pensiero sociale che saranno seguite nei secoli successivi: essi sono i padri dell’ottimismo e del pessimismo sociali della modernità. Sono: Anthony, Earl of Shaftesbury: Charakteristicks [Characteristics] of Men, Manners Opinions, Times in three Volumes, I ed. 1713. Si cita qui secondo la VI ed. del 1737. Bernard Mandeville: The Fable of the Bees, la prima edizione completa è del 1714. Anche se per noi, in realtà, sono più interessanti i trattati che non stanno in nessuna o solo in debole relazione con la “favole delle api”, ossia: A Search into the Nature of Society ed i Dialogues, di cui sono rilevanti soprattutto il quinto ed il sesto, pubblicati nel 1728. Nella seconda edizione della Fable of the Bees (1733), da me usata, troviamo il Search nel primo, e i Dialogues nel secondo volume. Mezzo secolo più tardi la nuova scienza si presenta pronta in tutte le sue parti essenziali. E ciò quasi interamente grazie all’opera di pensatori inglesi. L’influenza esercitata dai pensatori francesi dello stesso orientamento sembra essere secondaria: tutti quanti – Montesquieu, Voltaire, Raynal, Condillac, Linguet, Weguelin, ecc. – si mostrano dipendenti dai modelli inglesi nelle loro concezioni fondamentali. Si dovrà tuttavia ammettere che ha avuto luogo uno scambio reciproco fra le due nazioni. Ma nessuno 95
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Le origini della sociologia
dei lavori francesi raggiunge nella logicità del pensiero, nella ampiezza dei problemi posti e nella ricchezza degli argomenti le vette che avevano raggiunto alcuni dei migliori sociologi inglesi alla fine di questo primo periodo. Fra questi sociologi soltanto uno è conosciuto dalle cerchie più ampie di lettori, senza tuttavia che la sua importanza per la sociologia abbia trovato l’apprezzamento meritato; parlo di: Adam Ferguson: Essay on the History of Civil Society, I ed. 1767, traduzione in tedesco presso Dorn 1904. Citato qui dalla ristampa del 1789. Ma accanto a Ferguson si debbono ricordare anche alcuni altri autori non meno importanti. Penso soprattutto all’opera, rimasta quasi completamente sconosciuta e pubblicata prima del saggio di Ferguson, di Adam Smith, Lectures on Justice, Police Revenue and Arms, delivered by A. Sm., reported by a student 1763 ed. by Edw. Cannan, Oxford 1896. Si deve ricordare inoltre il sorprendente libro di John Millar: Observations concerning the distinction of Ranks in Society, 1711 (da me consultato nella edizione del 1793 che porta il titolo: The Origin of the distinction of ranks or an inquiry into the circumstances which gave rise to influence and authority in the different members (of) society). Poco dopo la sua pubblicazione, il libro è stato commentato e tradotto in tedesco più volte (perlopiù con traduzioni sbagliate del titolo; per tradurre in maniera sensata il titolo inglese in tedesco, si dovrebbe usare, per esempio, la formula “Soziologie der Herrschaft”15). Più tardi, però, è stato completamente di15
In italiano, per mantenere il vago rimando alla no-
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menticato, nonostante contenesse una delle migliori e più complete sociologie che sono in nostro possesso. Si potrebbero ancora citare tanti altri nomi autorevoli che in quei decenni proficui (1760-80) in Inghilterra hanno pubblicato delle opere di carattere sociologico16. Ma ripeto: non è mia intenzione scrivere uno studio di carattere storico-letterario, bensì ricordare semplicemente le prestazioni esistenti facendole conoscere nelle loro caratteristiche fondamentali. Perciò mi limito ad elencare quei pochi nomi e proverò in seguito, tramite citazioni dirette da questi autori, a rendere più chiare le novità particolari che venivano introdotte nel pensiero europeo grazie a queste opere. Mi permetterò di citarli, senza tener conto del periodo di pubblicazione delle loro opere, interessandomi soprattutto alla esplicita dichiarazione del pensiero. Inoltre, a mio parere, la letteratura sociologica inglese-francese degli anni 1670zione hegeliana di Herrschaft, si dovrebbe tradurre con “Sociologia delle forme della Signoria”. Questo testo è tradotto in italiano (a cura di E. Bartocci) con il titolo fedelmente calcato sull’originale inglese: Osservazioni sull’origine delle distinzioni di rango nella società (1771), Franco Angeli, Milano 1989. 16 Per chi volesse orientarsi sulla letteratura sociologica inglese e francese di questi anni si rinvia al libro di H. Huth: Soziale und individualistische Auffassung im 18. Jahrhundert (1907). In questo lavoro è stato riassunto un materiale straordinariamente ampio. Il fatto che sia rimasto quasi completamente ininfluente si può spiegare così: all’Autore sono mancate idee feconde con il cui aiuto avrebbe potuto dare più efficacia e vitalità ad una trattazione così ostica [Nota di Sombart].
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Le origini della sociologia
1770, per quanto ne utilizzi, risulta piuttosto omogenea sotto il profilo del pensiero e concordante sulle idee fondamentali.
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IV. La concezione naturalistico-monistica della società Il pensiero grazie al quale quegli avversari di Hobbes diventarono i fondatori della sociologia occidentale moderna, viene oggi predicato – anche e soprattutto in Germania – ad alta voce a ogni angolo di strada, tanto che ci sembra così scontato che non possiamo più immaginare quanto sia stato rivoluzionario nei primi tempi e quale effetto sconvolgente debba aver avuto, quando fu espresso per la prima volta. Tale pensiero è il seguente: la società umana non è uno stato estraneo alla natura, ma è piuttosto, insieme alla cultura che ne è parte integrante, un pezzo della natura stessa. La predisposizione fisiologica dell’uomo, i suoi bisogni che vengono determinati proprio dal suo essere creaturale, cioè: essere fanciullo, vecchio, avere l’istinto sessuale, aver bisogno di essere curato o di curare altri, tutto questo comporta che l’uomo debba in qualche maniera avere delle relazioni con gli altri. Questo rapporto causato dal bisogno è la società umana, che perciò è sempre esistita e rappresenta pertanto il suo stato naturale: «social intercourse and community … is his natural state» (Shaftesbury)17; «all situations are 17 «L’interazione sociale e la comunità sono il suo stato naturale». Una recente edizione italiana dei principali
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equally natural» (Ferguson)18; «le fondement de la société existant toujours, il y a donc toujours eu quelque société» (Voltaire)19. Tutto ciò risulta evidente – e questo è il nocciolo –: “from natural history” (Shaftesbury)20. Il muro che separava il mondo dell’uomo dal resto della “natura” è caduto; non c’è più niente di specifico che separa l’uomo dall’animale. Anzi, proprio la società umana assomiglia in tanti particolari al mondo degli animali. Già Temple classificava l’uomo a metà tra gli animali che vivono in gruppi (o mandrie) e gli animali che vivono solitari. Shaftesbury paragona la società umana con il mondo delle api, delle formiche o dei castori: «Man: the most perfect of animals» (Mandeville)21. «Mankind… pass on like Scritti morali e politici di A.A. Cooper, conte di Shaftesbury, a cura di Angela Taraborrelli, è stata pubblicata dalla UTET, Torino 2007. 18 «Tutte le situazioni sono parimenti naturali». L’opera di A. Ferguson, Saggio sulla storia della società civile, a cura di A. Attanasio e con prefazione di G. Bedeschi, è stata edita da Laterza, Roma-Bari 1999. 19 «Il fondamento della società esiste sempre, c’è sempre, dunque, una qualche società». Per la traduzione italiana degli Scritti politici di Voltaire rimandiamo all’edizione curata da R. Fubini, presso la UTET, Torino 1978. 20 «Dalla storia naturale». 21 «L’uomo: il più perfetto degli animali». Una buona traduzione italiana della Favola delle api. Ovvero, i vizi privati, pubblici benefici con un saggio sulla carità e le scuole di carità e un’indagine sulla natura della società di B. Mandeville è quella a cura di T. Magri, Laterza, RomaBari 2006.
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other animals in the track of their nature without perceiving the end» (Ferguson)22. «Nous sommes … au premier rang des animauz qui vivent en troupe» (Voltaire)23. «L’exemple de tant d’espèces, qui vivent en troupe … semole prouver, que l’homme tend de sa nature à la sociabilité» (Raynal)24. Nell’anno 1777 John Gregory scrive il suo libro: A comparative view of the state and faculties of man with these of the animal. E nel 1788 Lord Kame descrive nei suoi Sketches of the History of Man (4 vol.) una ampia “Sociologia delle società degli animali” (Soziologie der Tiergesellschaften). Il bastione sei volte consolidato, che aveva costruito Hobbes per proteggere la società umana contro l’invasione del naturalismo, è stato demolito: la concezione monista-naturalista si è imposta, anche se sarà soltanto il XIX secolo che preparerà le basi 22 «Il genere umano avanza come gli altri animali sul solco della propria natura, senza percepirne la fine». 23 «Noi siamo … al primo gradino fra gli animali che vivono in gruppo». 24 «L’esempio di tante specie che vivono in gruppo … sembra provare che l’uomo tende per sua natura ad associarsi». Non esistono in Italia traduzioni delle opere dell’Abate Guillaume Raynal, si ricorda solo la traduzione del primo dei diciotto volumi che compongono la Storia filosofica e politica degli stabilimenti e del commercio degli Europei nelle due Indie, la prima ed unica traduzione integrale dell’opera di Raynal comparsa in Italia (giugno del 1776 – Siena) L’Histoire du stathoudérat (The Hague, 1748), L’Histoire du parlement d’Angleterre (London, 1748), Anecdotes historiques (Amsterdam, 3 vols., 1753).
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fattuali sulle quali si potrà costruire una concezione della “unità” della “natura” in modo convincente. In questa società umana e naturale tutto avviene in modo così “naturale” come nel resto del mondo: tutto si trova sullo stesso livello, tutto è empiria, tutto è spiegabile, tutto è accessibile al “buon senso”: «I don’t understand miracles that break in upon and subvert the ordre of nature; and I have no notion of things that come to pass, en dépit du bon sens, and are such, that judging from sound reason and known experience all wise men would think themselves mathematically sure, that can never happen» (Mandeville)25. Spiegare, secondo il modo di pensare delle scienze della natura (modo dominante dal tempo di Newton), significa trovare delle spiegazioni causali, ossia significa dimostrare che un fatto empirico è causato, determinato, condizionato da un altro fatto empirico. Questo implica anche, se si riflette in modo coerente, che i singoli fenomeni devono essere ricondotti a fatti generali, che devono essere dedotti causalmente dalle ultime circostanze elementari. Tale procedimento viene ben presto applicato dalla sociologia appena nata e con il suo aiuto pone i fondamenti naturalistici della teoria naturalistica della società, che sono rimasti uguali fino ai giorni nostri. 25 «Io non capisco i miracoli che irrompono e sovvertono l’ordine della natura; e non ho cognizione di cose che accadono – en dépit du bon sens – e sono tali che, giudicando con la sana ragione e con l’esperienza conosciuta, tutti gli uomini saggi penserebbero di essere matematicamente sicuri che ciò non può mai accadere».
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Le “circostanze elementari” a cui vengono fatte risalire sia la uguaglianza sia la diversità delle situazioni sociali e culturali sono differenti nei vari pensatori e danno luogo a differenti teorie della società. Occorre ricordare che la riflessione sulle diversità delle culture, su cui la letteratura dei viaggi richiamava ripetutamente l’attenzione, dopo che il confronto con il mondo antico aveva già stimolato in tale senso il pensiero, occupa intensamente gli spiriti di quell’epoca. Queste differenti teorie si trovano tutte con la stessa tipica impostazione sia nei sociologi del XVII e XVIII secolo, sia anche in quelli del XIX e XX secolo. Si individuano principalmente i seguenti tipi: 1) La teoria “geografica” della società, che raggiunge il suo punto più alto più tardi con Buckle. Le condizioni determinanti per la formazione della società sono le relazioni naturali, ambientali, e soprattutto climatiche. Tale interpretazione geografica della cultura26 piace molto e si trova in numerosi scrittori. Già Lord Kame (1788) parla di «the endless number of writers who ascribe supreme efficacy to the climate»27. Questa teoria è già pienamente sviluppata da W. Temple, che vorrei citare per tanti altri. Temple inizia il suo trattato con le seguenti parole: «The nature of man seems to be the same in all times and 26 Kultur, cultura in senso antropologico; forse sarebbe meglio tradurre con “civiltà”. 27 «Lo sterminato numero di scrittori che attribuisce suprema efficacia alle condizioni climatiche». Non risultano traduzioni italiane dell’opera, come pure di quella di W. Temple, già citata.
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places, but varyed like their statures, complexions and features: by the force and influence of the several Climates, where they are born and bred; which produce in them by a different mixture of the humours and operation of the air, a different and unequal course of imaginations and passions, and consequently of discourses and actions. These differences incline men to several customs, educations, opinions and laws, which form and govern the several nations, of the world…»28. 2) Anche la teoria “tecnologico-economica” della società, che viene di solito citata nei repertori degli studiosi con l’infelice nome di “concezione materialistica della storia”, si trova allo stato nascente già presso numerosi autori del XVIII secolo e viene perfezionata definitivamente da John Millar. Le riflessioni del XIX secolo non sono riuscite ad aggiungere alle sue teorizzazioni nient’altro che dei dettagli. La sua interpretazione della sociologia del matrimonio sotto l’angolazione tecnologico-economica, per esempio, si presenta già così completa nella sua trat28
«La natura degli uomini sembra essere la stessa in ogni tempo e in ogni luogo, ma è varia, come la loro statura, la complessione fisica, l’aspetto: a causa della forza e dell’influenza dei parecchi climi nei quali essi sono nati e cresciuti; ciò determina in loro, mediante una diversa commistione di umori ed effetti dell’aria, un diverso e disomogeneo andamento dell’immaginazione e delle passioni, e di conseguenza dei discorsi e delle azioni. Queste differenze rendono gli uomini inclini a svariati costumi, forme di educazione, concezioni del mondo e leggi, che formano e governano le svariate nazioni del mondo …».
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tazione del soggetto che addirittura Engels, nel suo saggio “Sulle origini della famiglia”, non è riuscito a sviluppare alcun pensiero radicalmente nuovo, che non si trovi già in Millar almeno in nuce. Dovrebbe bastare la citazione di un passo da questo libro sorprendente, come già una volta ho definito quest’opera, per sollecitare il lettore interessato a consultarla integralmente al più presto, affinché egli dimentichi tutto ciò che è stato scritto finora sulla storia dei dogmi della “concezione materialistica della storia” e si convinca che il XIX secolo non è stato determinante per sviluppare questa teoria della società. Il passo (nella Introduction) è il seguente: «In searching for the causes of those peculiar systems of law and government which have appeared in the world, we must undoubtedly resort, first of all, to the differences of situation, which have suggested different views and motives of action to the inhabitants of particular countries. Of this kind are the fertility or barrenness of the soil, the nature of its productions, the species of labor requisite for procuring subsistence, the number of individuals collected together in one community, the proficiency in arts, the advantages which they enjoy for entering into mutual transactions and for maintaining an intimate correspondence. The variety that frequently occurs in those and such other particulars« – come si vede, troviamo già la terminologia divulgata da Marx: la situazione delle forze produttive e lo sviluppo dei modi di produzione – «must have a prodigious influence upon the great body of a people; as by giving a particular direction to their inclinations and pursuits, it must be productive of corresponding habits, 104
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dispositions and ways of thinking»29: la “sovrastruttura” istituzionale e spirituale. Si dovrà ammettere che questa impostazione della teoria della società economica è superiore a quella di Marx sia per completezza sia per chiarezza. Che non si tratti di luoghi comuni incompresi lo dimostra il contenuto del libro, che contiene a mio parere la applicazione più completa che noi possediamo della “concezione materialistica della storia” ai diversi settori della cultura. 3) La teoria “psicologica” della società è probabilmente quella più ricorrente: la società umana, con tutto ciò che contiene, viene fatta risalire alle sue ultime qualità originali o, per essere più precisi, agli istinti elementari dell’anima umana, che hanno l’ef29 «Nel cercare le cause di quei peculiari sistemi di leggi e di governo che sono apparsi nel mondo, dobbiamo indubbiamente fare ricorso, prima di tutto, alle differenze della situazione, che hanno suggerito agli abitanti di determinati paesi differenti modi di vedere e moventi per l’agire. [Differenze di questo tipo sono la fertilità o la aridità del suolo, la natura delle sue produzioni, le tipologie di lavoro richieste per assicurarsi la sussistenza, il numero degli individui raccolti insieme in una comunità, l’abilità nelle arti, i vantaggi di cui godono entrando in transazioni reciproche e nel mantenere un’intima corrispondenza… La varietà che si trova in quelle o in altri simili particolarità]». «… devono avere una prodigiosa influenza sulla gran parte del popolo, tanto da dare una particolare direzione alle sue inclinazioni e alle sue attività, e devono essere capaci di produrre corrispondenti abitudini sociali, caratteri e modi di pensiero».
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fetto di forze naturali nascoste, essendo inconsce all’uomo stesso; l’opposizione contro il razionalismo pone l’accento sull’emozionale, l’opposizione contro l’intellettualismo sull’inconscio: gli “instincts, not speculations” (Shaftesbury) sono le forze trainanti. Anche secondo quegli scrittori che esaltano la cultura intellettuale e appartengono nel vero senso della parola all’ “illuminismo” – come per esempio Voltaire, Turgot, Condorcet –, il fattore che determina il percorso storico non viene visto in fin dei conti come una creazione libera della ragione, bensì come una specie d’istinto di chiarimento, istinto di conoscere, istinto di formazione30, il quale domina gli uomini. Questi vengono spinti dalle opinions, dalle lumières. I sensisti e gli emotivisti si differenziano a loro volta tramite le sfumature nella descrizione dell’istinto, che viene considerato come forza originale. Secondo questa descrizione possiamo evidenziare dei teorici “scuri” e “chiari”, cioè i “pessimisti” e gli “ottimisti”, i cui rappresentanti classici sono Mandeville e Shaftesbury, come si è già detto sopra. Secondo Mandeville tutto ciò che accade nel mondo degli uomini ha le proprie origini nella volontà di potenza, come diremmo oggi [chiaro il riferimento implicito a Nietzsche, citabile in nota]; Mandeville definisce questo istinto pride oppure thirst of dominion. Per Shaftesbury sono la simpatia, la compassione, la bontà e il moral sense le forze che creano la società. Accanto a questi istinti, sui quali si fonda la società umana, ne vengono nominati qua e là anche 30 Cfr. S. Fornari, Del Perturbante. Simmel e le emozioni, Morlacchi, Perugia 2005.
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degli altri; infatti non sembra mancare nemmeno uno di quelli su cui più tardi, nel XIX secolo, sono stati costruiti i vari sistemi della sociologia occidentale. Vorrei ricordare inoltre che l’istinto di imitazione, [die Imitation], era già stato incluso nelle loro dottrine dai teorici del XVIII secolo; così questo istinto viene descritto come istinto originario dall’autore dell’articolo “Société” nella “Encyclopédie”, e tale articolo, in un certo senso, contiene una sintesi e una panoramica delle dottrine sociologiche dell’epoca. Anche se i vari autori si differenziano nella scelta degli ultimi elementi considerati importanti per la formazione della società, essi sono concordi – per quanto io possa vedere – nel ritenere che la società sia nata da un insieme di piccolissimi particolari: il termine di base, da cui si dipartono tutti i sistemi, in maniera analoga, è “Association”; questo principio che forma le società viene chiamato da Shaftesbury: “herding principle and associating inclination”31. Tutti gli studiosi fanno nascere la società dall’unione di famiglie. E secondo le loro opinioni, da Temple fino a Ferguson, la famiglia stessa viene creata empiricamente, faticosamente e spesso artificiosamente a muovere da qualche istinto e qualche sentimento originale: bisogno, simpatia, senso di gratitudine, autorità, istinti che vivono in ogni uomo. Nel corso del XVIII secolo emergono sempre più altri motivi, come le relazioni interpersonali e la cooperazione richiesta da una progressiva specializzazione, che agiscono in modo da favorire il fenomeno associativo; quest’ultima è la tesi sostenuta, per esempio, da Adam Smith. 31
«Principio gregario e tendenza all’associazione».
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Si è tentato di vedere qui un parallelo con le teorie delle scienze naturali relative alla teoria della gravitazione universale da una parte e la psicologia associazionistica dall’altra. Anche l’epoca e la patria di Newton manifestano la propria influenza: «We are taught by the great Newton that attraction and repulsion in matter are by alteration of circumstances converted one into the other. This holds also in affection and aversion, which may be termed not improperly mental attraction and repulsion»32 (Lord Kame). «The love of the species is the grand principle of attraction, as essential to the rational, and in some degree to the animal, as gravitation to the material world; nor wilder were the attempt to expound the harmony of the solar system from the limited attraction of magnetism, than to expound the combination of tribes and the moral harmony of nations, from the operation of partial instincts»33 (James Dunbar, Essay on the History of mankind in rude and cultivated ages, 1780). 32
«Il grande Newton ci ha insegnato che l’attrazione e la repulsione nella materia sono convertite l’una nell’altra dalla alterazione delle circostanze. Ciò è valido anche per l’affezione e l’avversione, che possono essere definite non impropriamente attrazione e repulsione mentali». 33 «L’amore delle specie è il grande principio di attrazione, così essenziale agli esseri razionali, e in qualche misura agli animali, come la gravitazione lo è per il mondo materiale; non era più avventato il tentativo di spiegare teoricamente l’armonia del sistema solare a partire dalla limitata attrazione del magnetismo di quello di spiegare teoricamente la combinazione delle tribù e l’armonia morale delle nazioni a muovere dall’operato di istinti parziali».
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V. La “mediatizzazione dello spirito” nella sociologia occidentale. Il problema dello Stato Tuttavia, ciò che determina soprattutto la sociologia occidentale e la distingue decisamente dal pensiero tedesco (che naturalmente è tutta un’altra cosa rispetto al Pensiero dei Tedeschi) è un procedimento di pensiero che può essere definito “mediatizzazione [Mediatisierung] dello spirito”. Ciò in cui il Naturalismo sociale mette tutto il suo orgoglio è proprio questo: trasformare tutte le determinazioni spirituali in determinazioni dell’anima, e tutte le idee in determinazioni psicologiche, risolvere completamente lo spirituale nel sociale, dedurre tutte le idee dagli ultimi elementi sociali. È un nominalismo netto che si rivela in questa concezione, secondo la quale non si dà alcuna altra forma di realtà oltre a quella delle singole cose o, dal punto di vista sociologico, non esiste una “società”, ma soltanto dei singoli individui. (L’uso della parola “individualismo” in questo contesto, data la sua polisemia, è sconsigliabile). In questa disgregazione dello spirituale, l’assolutizzazione del concetto di società rende al naturalismo sociale dei servizi preziosi. Tale concetto non solo è stato ampliato (estensivamente) in maniera tale da comprendere tutto quello che è istituzionale, ma è stato riempito soprattutto (intensivamente) di una tale forza che ha potere su tutto ciò che è umano. La società stessa diventa forza creativa nella immaginazione di quei pensatori; oppure, più precisamente, forza creativa diventa il processo della socializzazione dei singoli individui. La cultura non nasce soltanto nella società, ma attraverso la società. Per 109
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questo motivo possiamo distinguere, sulla scia del pensiero naturalistico, una preferenza per le costruzioni evoluzionistiche: tutto diviene, si forma, nasce; un tempo, non esisteva. Tutto si forma in un processo organico di crescita naturale. È importante notare che incontriamo questo pensiero molto presto nella sociologia occidentale, addirittura in quel periodo iniziale di cui ci occupiamo in questo articolo, e già in un senso particolarmente esplicito. Si può dire, infatti, che molta letteratura cresce intorno a questo pensiero. Quando leggiamo ad esempio i Dialoghi di Mandeville sembra di avvertire già un presentimento delle tesi di Marx su Feuerbach: «if we examine every faculty and qualification, from and for which we judge and pronounce man to be a sociable creature beyond other animals, we shall find, that a very considerable, if not the greatest part of the attribute is acquired and comes upon multitudes from their conversing with ohne [one] another. Fabricando fabri sumus. Men become sociable, by living together in Society»34. Soltanto nella società e soltanto attraverso la società l’uomo diventa uomo. Vorrei dimostrare tramite gli esempi seguenti, scelti in maniera piuttosto arbitraria, quanto presto 34 «Se esaminiamo ogni facoltà e ogni requisito da cui e per i quali giudichiamo e dichiariamo che l’uomo è una creatura sociale, molto di più degli altri animali, troveremo che una parte molto consistente, se non la maggiore, di questa attribuzione è acquisita e deriva alle moltitudini dal loro reciproco conversare. Fabricando fabri sumus: siamo costruttori perché costruiamo. Gli uomini diventano esseri sociali mediante il vivere insieme in società».
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abbia avuto il suo inizio la mediatizzazione dello spirito e come sia ormai del tutto compiuta alla fine del nostro periodo, quando la costruzione dottrinale della sociologia occidentale è infine completata. Ogni morale, ogni virtù “nasce” dalla natura sociale dell’uomo, sia pure secondo l’opinione di alcuni autori da qualche possibile e non sempre ben identificato istinto sociale (Prototyp Shaftesbury): «is not both conjugal affection and natural affection to parents, duty to magistrates, love of common city, community or country with the other dutys and social part of life deduced from hence and founded in these very wants?»35 (Shaftesbury). In maniera simile ragionano anche Ferguson e Smith. Della questione della “nascita” del linguaggio si occupano approfonditamente Mandeville e Voltaire; essi stessi e anche altri si occupano approfonditamente della questione della “nascita” della religione, iniziando ad applicare delle spiegazioni che successivamente diventeranno usuali (la paura, ecc.). Il fatto che i caratteri nazionali si formassero a partire da varie circostanze esterne è un argomento considerato valido già all’epoca di Temple: «are formed in different degrees by the influence of circumstances» (Ferguson)36. Lo stesso Temple si è occupa35
«Entrambi gli affetti, quello coniugale e quello verso i genitori, i doveri per i magistrati, l’amore per la città comune o la nazione, insieme agli altri doveri e alla parte sociale della vita, non sono infatti derivati da ciò (dall’indigenza dell’uomo) e fondati su questi stessi bisogni?». 36 «Si sono formati a differenti livelli grazie all’influenza delle circostanze».
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to approfonditamente di questo problema e ha provato a risolverlo tramite la sua ipotesi del clima. I risultati di Lord Kames, Montesquieu, Voltaire, dell’autore anonimo dell’Esprit des nations (1752) e di altri che hanno trattato gli stessi argomenti, che oggi si definirebbero: “sociologia delle nazioni”, sono conosciuti. Essi sono i modelli di tutte le successive letterature naturaliste sulle nazionalità, come per esempio il noto libro di Otto Bauer. Tipico è il metodo di Adam Smith, molti capitoli delle sue opere incominciano con la frase: «We come now to consider the history of…»37. Lo studioso intende con questo avviare la “deduzione” di qualche struttura sociale. Ma non è necessario portare altri esempi; basta ciò che ho citato per mostrare quale era lo spirito della nuova scienza. Per finire, vorrei trattare più in dettaglio ancora un solo problema, perché era ed è il problema centrale della sociologia e perché mostra con tanta precisione la differenza del carattere dei due mondi: la differenza tra il mondo nominalisticonaturalista e quello realistico-idealistico. Proprio in questa differenza si evidenzia più chiaramente la particolarità della sociologia occidentale, di cui abbiamo voluto rintracciare gli inizi: ossia il problema dello Stato. Dalla fine del XVII secolo e fino alla fine del XVIII si trova una lunga serie di teorie naturalistiche dello Stato nella letteratura sociologica, di cui citerò solo le più importanti. Non viene messo in dubbio da nessuno dei sostenitori della nuova scienza che lo Stato sia un fe37
«Passiamo ad esaminare, ora, la storia di …».
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nomeno sociale e che la sua “nascita” sia stata determinata da fattori della società; anzi, questo fatto non può essere messo in dubbio, poiché tale concezione rappresenta proprio la conseguenza logica della tesi che la società sia assoluta, tesi che abbiamo conosciuto come caratteristica principale della sociologia moderna. Già Temple si occupa approfonditamente del problema della “nascita” dello Stato. Egli definisce le due cause della sua nascita che troviamo più tardi in tutte le letterature sociologiche: la famiglia e la conquista: 1) «A family seems to become a little kingdom and a kingdom to be but a great family». 2) «The vanquisht nation became subject to the conquerors…if by such frequent successes and additions a nation extended itself over vast tracts of land and numbers of people, it thereby arrived in time at the ancient name of kingdom or modern of Empire»38. - (Tra parentesi: nella teoria diffusa che si trova nella letteratura del periodo [di Temple] e che fa derivare la nascita dello Stato dalla famiglia, non si deve in nessun modo vedere un riferimento ad Aristotele. La distanza che separa Aristotele dai sociologi moderni è un mondo intero! Infatti, se Aristotele avesse mirato, con la sua teoria, alla “fondazione del38
1) “Una famiglia sembra diventare un piccolo regno e un regno sembra essere come una grande famiglia” 2) “la nazione sconfitta diventa suddita dei conquistatori … se attraverso questi frequenti successi militari o aggiunzioni una nazione si estende su ampi tratti di territori e su un gran numero di persone, arriva con ciò a guadagnarsi l’antico nome di Regno o quello moderno di Impero”.
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la necessità psicologica dello Stato”, (come sostiene un recente curatore delle sue teorie politiche [Kinkel: Die soz.-ökonom. Grundlagen der Staats- und Wirtschaftslehre von Aristoteles (1911), 95], allora sarebbe giusto affermare che la sua teoria sarebbe diventata “la base di tutte le giustificazioni psicologiche dello Stato”. Ma Aristotele non deve essere interpretato dal punto di vista psicologico, ed il filosofo stesso era certamente molto lontano da una spiegazione “psicologica” dello Stato empirico, come è stato fatto dalla sociologia moderna). Dopo Temple tanti altri provarono a descrivere la derivazione dello Stato e delle sue forme di governo muovendo dalla società. Sono particolarmente da sottolineare le trattazioni di tali autori negli scritti di Adam Smith (1763) e Adam Ferguson (1767), tenendo presente che questi ultimi si sono presumibilmente influenzati a vicenda. Di nuovo, è sorprendente notare quanto questi autori abbiano anticipato le idee dei posteri. In particolare, la famosa storia dello sviluppo dello Stato di Friedrich Engels, che si trova nel suo trattato sull’origine della famiglia, si legge come una imitazione priva di originalità delle considerazioni di questi due scrittori. I ragionamenti che Adam Smith sviluppa nelle sue Lectures sono i seguenti: «In origine esisteva la proprietà comune; il potere giudiziario e quello militare sono affidati alla comunità. Al secondo stadio della cultura, inizia la proprietà di mandrie di bestiame e con ciò la differenziazione della proprietà. Di conseguenza si sviluppa il dominio e la sottomissione, ossia lo Stato: l’incarico di ca114
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po tribù diventa ereditario, e in questo modo il potere del capo può diventare sempre più forte “grazie allo sviluppo della società dovuto a molteplici circostanze». Allo stadio della pastorizia “i sovrani” sono i più grandi proprietari di mandrie, allo stadio della agricoltura i proprietari dei più grandi terreni. La proprietà è la causa dello Stato: “till there be property, there can be no government”39. Tra cacciatori non esiste uno Stato vero e proprio: solo l’appropriazione del possesso di mandrie crea la disuguaglianza, e questo era, “what first gave rise to regular government”40. Alla supremazia del capo si aggiunge gradualmente la giurisdizione, che dapprima era affidata alla comunità: perché lo sviluppo economico rende la giurisdizione necessaria e più complicata. Da questa prima forma dello Stato si sviluppano tutte le altre. Adam Ferguson espone ragionamenti del tutto simili. La sua descrizione ricorda ancora di più quella di Friedrich Engels. Anche secondo Ferguson l’umanità vive inizialmente senza Stato. Nella “società originaria” domina una forma di comunità anarchica e praticante il comunismo dei beni. Non esiste alcun governo. Domina il matriarcato (!). Ferguson prova a documentare tutto questo con delle testimonianze tratte dalla letteratura dei viaggiatori contemporanei, la cui importanza per lo sviluppo della sociologia moderna è tale che merite39
«Finché c’è proprietà, ci può non essere governo». «Ciò che per primo diede origine ad un governo regolare». 40
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rebbe una tesi di dottorato. Questo primo stadio è lo stadio selvaggio (savage), che viene sostituito da quello della barbarie (barbarians). Si vede chiaramente, al di là della terminologia, quanto la descrizione di Ferguson somigli alla costruzione di Morgan-Engels. In questo secondo stadio viene introdotta la pastorizia; con ciò entra nel mondo la proprietà, si differenzia il possesso, nasce lo Stato. Di conseguenza secondo Ferguson (e Smith) ogni potere dello Stato è nient’altro che l’espressione della struttura esistente delle classi, cioè della distribuzione della proprietà: “forms of government take their rise chiefly from the manner in which the member of a state have been originally classed”41. Come si vede, in queste teorie si trova già anticipata in sostanza la concezione di Marx: “Lo Stato è la commissione amministrativa delle classi dominanti”. Ogni interpretazione naturalistica della convivenza umana arriva con necessità vincolante a questo risultato. 41 «Le forme di governo prendono origine principalmente dal modo in cui i membri di uno stato si sono originariamente divisi in classi». Come chiarirà C. Schmitt (cfr. Nehmen/Teilen/Weiden in Gemeinschaft und Politik, I, 1953, fasc. 3; tr. it. in Le categorie del politico, il Mulino, Bologna 1972, pp. 295-312.), il significato del termine greco Nomos, che indica la legge per eccellenza, racchiude gli atti “originari” del prendere-conquistare (nehmen), cui succede il dividere (teilen) e, infine, il coltivare-produrre (weiden). Solo dopo la divisione della terra e la differenziazione del possesso/coltivazione si genera la divisione in classi e la legittimazione giuridica del tutto.
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Nota bio-bibliografica
La nota qui fornita, oltre ai sintetici cenni biografici sull’autore, presenta un’accurata, anche se non completa, bibliografia delle principali pubblicazioni di Sombart in volume e in rivista, le traduzioni italiane, e le maggiori opere critiche italiane sul suo pensiero. Si ricorda inoltre ai lettori che questa bibliografia fa riferimento sia alla prima nota bio-bibliografica pubblicata in Italia nel centenario della nascita dell’autore e curata da Hermann Kellenbenz (AA.VV., L’opera di Werner Sombart, nel centenario della nascita, introduzione di A. Fanfani, A. Giuffrè, Milano 1964, pp. 9-27); sia alla più completa Nota presentata da Alessandro Cavalli ad Il capitalismo moderno (Utet, Torino 1967). La ripresa dell’interesse nei confronti del pensiero sombartiano è evidente anche dalle più recenti pubblicazioni in lingua tedesca ed inglese a cui è possibile fare riferimento per maggiori approfondimenti: F. Lenger, Werner Sombart 1863-1941: Eine Biographie, C.H. Beck, Munich 1994; B. von Brocke (a cura di), Sombarts Moderner Kapitalismus. Materialen zur Kritik und Rezeption, Deutscher Taschenbuch Verlag, München 1987; ed inoltre la più attuale raccolta di scritti sombartiani Werner Sombart: Economic Life in the Modern Age, a cura di N. Stehr e R. Grundmann, New Brunswick, London 2001.
1) Werner Sombart: vita e opere 1863
Werner Sombart nasce a Emersleben, un piccolo centro rurale nello Harz della Sassonia, il 19 gennaio 1863, da Anton Ludwing, possidente terriero
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Nota bio-bibliografica
1875 1882 1883
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1888
1890 1895
1901 1902 1903
1905
e proprietario di uno zuccherificio, e Clementine Liebelt. All’età di dodici anni, insieme alla sua famiglia, si trasferisce a Berlino. Si iscrive all’Università di Berlino, dove segue i corsi di economia politica di Adolf Wagner e di storia di Gustav von Schmoller. Per motivi di salute è costretto a trasferirsi in Italia, continuando gli studi presso l’Università di Pisa, sotto la guida di Giuseppe Toniolo. Ottiene il titolo di dottore, summa cum laude, in diritto nel semestre estivo, presso la Facoltà di Filosofia dell’Università di Berlino. Esentato dalla discussione orale, la tesi sarà pubblicata con il titolo: Die römische Campagna. Eine sozialökonomische Studie. Inizia la propria attività di docente accettando la cattedra straordinaria di scienze politiche presso l’Università di Breslau. Vengono pubblicate le celebri conferenze di Zurigo: Sozialismus und soziale Bewegung im 19. Jahrhundert (Socialismo e Movimento Sociale nel secolo XIX. Cronaca del movimento sociale dal 1750 al 1886). Entra a far parte del comitato scientifico della rivista «Schriften des Verein für Sozialpolitik». Pubblica in due volumi Der Moderne Kapitalismus (Il Capitalismo moderno). Pubblica Die deutsche Wolkswirtschaft Im.19 Jahrhundert (L’età politica tedesca nel XIX secolo). Nello stesso anno, insieme a Max Weber ed Edgar Jaffè, assume la direzione dell’«Archiv für soziale Gesetzgebung und Statistik», che di lì a poco diverrà «Archiv für Sozialwissenschaft und Sozialpolitik». Reduce da un viaggio negli Stati Uniti pubblica Warum gibt es in den Vereinigten Staaten keinen Sozialismus? (Perché negli Stati Uniti non c’è il Socialismo?).
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Nota bio-bibliografica 1906-1917 Viene chiamato ad insegnare Economia Politica presso la Scuola Superiore di Commercio di Berlino, istituto quasi privato promosso dalla Corporazione dei Mercanti. 1909 Insieme a Max Weber è uno dei fondatori della rivista «Deutsche Gesellschaft für Sociologie», divenendo Presidente del Comitato Direttivo. Nello stesso anno pubblica la bibliografia Das Lebenswerk von Karl Marx. 1911 Pubblica Die Juden und das Wirtschaftsleben (Gli ebrei e la vita economica). 1913 Pubblica tre opere: Der Bourgeois (Il borghese); Studien zur Entwicklungsgeschichte des modernen Kapitalismus, vol. I: Luxus und Kapitalismus (Lusso e capitalismo); voll. II: Krieg und Kapitalismus, (Lusso e capitalismo) (Guerra e capitalismo). 1915 Pubblica Händler und Helden (Mercanti ed eroi). 1917-1931 Alla fine dell’epoca imperiale diventa professore ordinario e finalmente è chiamato ad insegnare Economia Politica alla prestigiosa Humboldt Universität, in sostituzione di Adolph Wagner. Cattedra che manterrà sino al 1931 quando, andato in riposo, gli succederà Joseph Schumpeter. 1922 La rivista «Verein für Sozialpolitik», dopo aver interrotto le pubblicazioni durante la guerra, riprende la sua attività con la presidenza di Tönnies e Sombart diviene membro del Consiglio. 1930 Pubblica Die drei Nationalökonomien (Le tre economie nazionali) e Die Zukunft des Kapitalismus (L’avvenire del capitalismo); nello stesso anno viene eletto Vice-Presidente del «Verein für Sozialpolitik». 1931 Lasciato l’insegnamento riceve la nomina di professore emerito e, nello stesso anno, diviene Presidente del «Verein für Sozialpolitik». Dopo poco è costretto a sciogliere il comitato scientifico per impedire che la rivista diventi organo di propaganda del nazismo.
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Nota bio-bibliografica 1933 1934
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1935
1938
1941
Pubblica in Italia Correnti sociali della Germania di oggi. Esce l’opera Deutscher Sozialismus (Il Socialismo Tedesco), il più importante lavoro politologico di Sombart, nel quale appare chiaro il tentativo da lui esperito di conciliare la propria filosofia sociale con l’ideologia del regime nazista. Opera tradotta in italiano, inglese, francese e giapponese. Da questo momento inizia a condurre una vita ritirata nella villa della Humboltstrasse, luogo di incontro di intellettuali; si ricordano alcuni nomi: Max Scheler, Carl Schmitt, Romano Guardini, Kurt Breysing. Pubblica Von Menschen. Versuch einer geisteswissenschaftlichen Antropologie (A proposito dell’uomo. Tentativo per un’antropologia come scienza dello spirito). Sombart non sopravvive agli eventi bellici e muore il 18 maggio a Berlino.
2) Principali opere di Sombart in volume 1888 1896 1902
1903 1904
Die römische Campagna. Eine sozialökonomische Studie, in «Staats und Sozialwissenschaftliche Forschungen», Leipzig, vol. VIII, p. 111. Sozialismus und soziale Bewegung in XIX Jahrhundert, Jena; (10ª ed. pubblicata con il titolo: Der proletarische Sozialismus, 2 Voll., 1924). Der moderne Kapitalismus. Historisch-systematische Darstellung des gesamteuropäischen Wirtschaftslebens von seinen Anfängen bis zur Gegenwart, Leipzig, 3 Voll.; 2ª ed. 1906; ampl., 191617; vol. III, Duncker & Humblot, München und Leipzig 1924-27. Die deutsche Volkswirtschaft im 19. Jahrhundert, Berlin, 7ª ed. 1927. Gewerbewesen (2 Voll.), Leipzig; II ed. Berlin 1912.
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Nota bio-bibliografica 1906 1906 1911
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1913
1915 1918 1922 1923 1925 1929 1930 1932 1934 1938 1940-41 1956
Das Proletariat. Bilder und Studien. Die Gesellschaft, Vol. I, Rütten & Loening, Berlin. Warum gibt es in den Vereinigten Staaten keinen Sozialismus?, Mohr, Tübingen. Die Juden und das Wirtschaftsleben, Duncker & Humblot, Leipzig. Der Bourgeois, Duncker & Humblot, München und Leipzig; Studien zur Entwicklungsgeschichte des modernen Kapitalismus, Vol. I: Luxus und Kapitalismus; voll. II: Krieg und Kapitalismus, Duncker & Humblot, München und Leipzig. Händler und Helden. Patriotische Besinnungen, Duncker & Humblot, München und Leipzig. Grundlage und Kritik des Sozialismus, 2 Voll., Berlin. Die Geburt des Kapitalismus aus dem Luxus, in Luxus und Kapitalismus, München und Leipzig. Die Anfänge der Soziologie. Hautprobleme der Soziologie, Vol. I, Studi in onore e ricordo di Max Weber, München und Leipzig. Die Ordnung der Wirtschaftslebens, Berlin, 2ª ed. 1927. “Capitalism”, in Encyclopedia of Social Sciences, New York. Die drei Nationalökonomien, Duncker & Humblot, München und Leipzig. Die Zukunft des Kapitalismus, Berlin-Charlottenburg. Deutscher Sozialismus, Buchholz & Weisswange, Berlin-Charlottenburg. Vom Menschen. Versuch einer geisteswissenschaftlichen Anthropologie, Duncker & Humblot, Berlin. Verfassung und kurturelle Einheit Europas. Drei historische Beispiele. Noo-Soziologie, Duncker & Humblot, Berlin.
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Nota bio-bibliografica
3) Opere di Sombart in rivista 1892 1909
Die Handelspolitik Italiens seit der Einigung des Königreichs, in «Schriften des Vereins für Sozialpolitik», Lipsia, 49, pp. 77-166. Das Lebenswerk von Karl Marx, in «The Economic Journal», Vol. 19, N. 74, June, pp. 239-240.
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4) Traduzioni italiane in volume 1891 1898 1925 1933
1941 1975 1977 1977 1978
1978 1980
La campagna romana, trad. it. F.C. Jacobi, Loescher, Torino. Socialismo e movimento sociale nel secolo XIX, Sandron, Milano-Palermo; Etas, Milano 1999. Il capitalismo moderno: esposizione storico sistematica della vita economica di tutta l’Europa, trad. G. Luzzato, Vallecchi, Firenze. L’avvenire del capitalismo, trad. it. A. Ghislanzoni, La Tipografia, Frosinone; ora in L’avvenire del capitalismo di Max Scheler e Werner Sombart, intr. di L. Leonello Rimbotti, Settimo Sigillo, Roma 2002, pp. 42-74. Il socialismo tedesco, trad. di G. Lorenzoni, Vallecchi, Firenze. Perché negli Stati Uniti non c’è il Socialismo?, pref. di A. Cavalli, Etas, Milano; Mondadori, Milano 2006. L’ordinamento per ceti, Edizioni di Ar, Padova. Metafisica del capitalismo (a cura di), C. Mutti, Edizioni di Ar, Padova. Il borghese. Lo sviluppo e le fonti dello spirito capitalistico, trad. di H. Furst, presentazione di F. Ferrarotti, Longanesi, Milano; Guanda, Parma 1994. Il capitalismo moderno, a cura di A. Cavalli, trad. it. parziale di K. Pedretti Andermann, UTET, Torino. Gli Ebrei e la vita economica, trad. di Renato Licandro, Edizioni di Ar, Padova, progetto dell’edi-
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Nota bio-bibliografica
1988 2003
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2005
zione italiana in tre volumi: I, Il contributo degli ebrei all’unificazione dell’economia moderna; II, La vocazione degli ebrei al capitalismo; III, Genesi e formazione dell’identità ebraica, Appendice e Corollario a W. Sombart. Lusso e capitalismo, trad. di M. Protti, Unicopli, Milano. Dal lusso al capitalismo, trad. e cura di R. Sassatelli, Armando, Roma. Unità di cultura e Costituzione in Europa: tre esempi storici, trad., intr. e cura di P. Schiera, Bibliopolis, Napoli.
5) Traduzioni italiane in rivista e collettanei 1894 1896 1933
La colonizzazione interna in Germania, in «La riforma sociale». La politica commerciale dell’Italia dall’unificazione del regno, in «Biblioteca dell’economista», serie IV, p. prima, Vol. I, UTET, Torino, pp. 245-320. Correnti sociali della Germania di oggi, in AA.VV., La crisi del capitalismo, Appendice bibliografica di G. Bruguier, trad. it. di S. La Colla, Bottai, Firenze, pp. 49-62 e in «Onoranze a Werner Sombart per il cinquantenario della Sua iscrizione nell’Ateneo di Pisa», Pisa 1933.
6) Critica italiana al pensiero di Sombart AA.VV. L’opera di Werner Sombart nel centenario della nascita, Giuffrè, Milano, 1964, monografia della Biblioteca della Rivista «Economia e Storia». Agliardi E., Il principio etico nella politica sociale: Gustavo Cohn e Werner Sombart, in «Rivista internazionale di scienze e discipline sociali», Tip. Unione, Roma, Febbraio 1901, pp. 219-232.
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Nota bio-bibliografica Barbieri G., Werner Sombart e il valore dello “Spirito economico” nella ricostruzione storiografica, in AA.VV., L’opera di Werner Sombart, nel centenario della nascita, introduzione di A. Fanfani, A. Giuffrè, Milano 1964, pp. 151-167. Bertolino A., Il testamento politico-economico di W. Sombart, in «Rivista di studi politici internazionali», Sansoni, Firenze, Gennaio-Giugno, 1943. –, Werner Sombart e Max Weber nel dissolvimento della scuola storica tedesca del pensiero economico, Studi in onore di N. Rodolico, Università degli Studi, Firenze 1944. –, L’opera maggiore di Werner Sombart, in Id., Esplorazioni di storia del pensiero economico, La Nuova Italia, Firenze 1950, pp. 325-368. –, Considerazioni critiche sulla metodologia sombartiana, in AA.VV., L’opera di Werner Sombart, nel centenario della nascita, introduzione di A. Fanfani, A. Giuffrè, Milano 1964, pp. 169-184. Bruguier Pacini G., Necrologio a Werner Sombart (1863-1941), in «Archivi di Studi Corporativi», n. XII, 1941. Cabiati A., Le ragioni della grandezza del capitalismo nell’opera del Sombart, in «La riforma sociale», Torino 1932. Carbone D., Il socialismo tedesco di Werner Sombart, in «Lo stato», Roma, Dicembre 1938. Cacciari M., Metropolis: saggi sulla grande città di Sombart, Endell, Scheffler e Simmel, Officina, Roma 1973. Caroselli M.R., Giudizi italiani sull’opera di Werner Sombart, in AA.VV., L’opera di Werner Sombart, nel centenario della nascita, introduzione di A. Fanfani, A. Giuffrè, Milano 1964, pp. 29-61. Cavalli A., La fondazione del metodo sociologico in Max Weber e Werner Sombart, Università di Pavia, Ist. di Sociologia, Trento 1969. –, Werner Sombart e la disputa sui giudizi di valore, in «Quaderni di Sociologia», XIII, n. 1, 1964, pp. 24-50. –, Ricerche tedesche sulla gioventù, in «Quaderni di Sociologia», XIII, 1964, pp. 444-471. –, Werner Sombart nel centenario della nascita, in «Quader-
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Nota bio-bibliografica ni di Sociologia», Taylor, Torino, Vol. XIV, Aprile-Giugno 1965, pp. 220-227. Crispini I., Il borghese virtuoso. Configurazioni di un paradigma antropologico tra Butler e Sombart, Franco Angeli, Milano 1998. De Feo N.M., La ragione sovversiva. Appropriazione e irrazionalismo in Weber, Sombart, Marx, Edizioni B.A. Graphis, Bari 2000. Kellenbenz H., Vita ed opera di Werner Sombart (in appendice Scritti di Werner Sombart), in AA.VV., L’opera di Werner Sombart, nel centenario della nascita, introduzione di A. Fanfani, A. Giuffrè, Milano 1964, pp. 9-27. Luzzatto G., L’origine e gli albori del Capitalismo. (A proposito della seconda edizione del «Capitalismo moderno» di Werner Sombart), in «Nuova Rivista Storica», D. Alighieri, a. VI, 1922, pp. 39-66. –, Werner Sombart e gli studi di storia economica, in «Economia e storia», 1963, a. X, pp. 601-607. –, Giudizio sintetico sull’opera storiografica di Werner Sombart, in AA.VV., L’opera di Werner Sombart, nel centenario della nascita, introduzione di A. Fanfani, A. Giuffrè, Milano 1964, pp. 185-193; la rivista «Economia e storia» volle anticipare la pubblicazione (1963), e gli mutò il titolo: Werner Sombart e gli studi di storia economica. –, (a cura di), W. Sombart, Il capitalismo moderno. Esposizione storico-sistematica della vita economica di tutta l’Europa, dai suoi inizi fino all’età contemporanea. Tradotta ed in parte riassunta dalla seconda edizione tedesca, Vallecchi, Firenze, 1925. Nella “Collana storica”, a cura di E. Codignola, La prefazione del traduttore, pp. 5-7. Majerotto S., Werner Sombart in memoriam, in «Rivista Internazionale di Scienze Sociali», Milano, Luglio 1941, n. XIX. Melis Federigo, Werner Sombart e i problemi della navigazione nel medio evo, in AA.VV., L’opera di Werner Sombart, nel centenario della nascita, introduzione di A. Fanfani, A. Giuffrè, Milano 1964, pp. 85-149. Messineo A., La persona umana nella società nazionale, in «La Civiltà Cattolica», Roma, 16 Settembre 1939, pp. 481-495.
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Nota bio-bibliografica –, L’uomo secondo la vera scienza antropologica, in «La Civiltà Cattolica», Roma, 16 Settembre 1939, pp. 98-107. Michels R., Werner Sombart, Economisti Tedeschi, in «Nuova Antologia», Arti, s.l., Marzo-Aprile, 1908. –, Werner Sombart, in «Critica Fascista», Arte della Stampa, 1933. Mira G., La tesi di laurea del Sombart sulla campagna romana, in AA.VV., L’opera di Werner Sombart, nel centenario della nascita, introduzione di A. Fanfani, A. Giuffrè, Milano 1964, pp. 63-83. Mongardini C., Il problema delle origini della sociologia in Sombart, Giuffrè, Milano 1963. Necrologio a Werner Sombart, in «Nuova Rivista Storica», Fasc. I-II, 1941. Pizzorni M.E., Le origini della borghesia nel pensiero di Werner Sombart, A. Giuffrè, Milano 1950-1951. Ragionieri E., Werner Sombart e il movimento operaio italiano, in Id., Socialdemocrazia tedesca e socialisti italiani 1875-1895, Feltrinelli, Milano 1961, pp. 359-390; anche in «Rivista Storica del Socialismo», 1960, pp. 329-356. Rizzo F., Werner Sombart, Contributi di sociologia, Liguori, Napoli, 1974. Sapori A., Werner Sombart (1863-1941): lettura tenuta il 3 maggio 1943, Le Monnier, Firenze 1944, pp. 3-35 [Atti dell’Accademia Fiorentina di Scienze Morali «La Colombaria», anno 1943, pp. 169-204]; anche in Id. Studi di storia economica (Secoli XIII-XIV-XV), Sansoni, Firenze 1955, Vol. II, pp. 1083-1111. –, La costruzione Werner Sombart: pregi e difetti di impostazione, Einaudi, Torino 1947. –, Il commercio internazionale nel Medioevo, in Id., Studi di storia economica (Secoli XIII-XIV-XV), Sansoni, Firenze 1955, Vol. I, pp. 495-533. –, Medioevo Economico. La costruzione di Werner Sombart: pregi e difetti di impostazione, in «Società», 1947, III, pp. 477-508. Segre S., Weber, Sombart e il capitalismo, ECIG, Genova 1997. Spirito U., La nuova Scienza dell’economia secondo W. Som-
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Nota bio-bibliografica bart, in «Archivio di studi corporativi», Pacini-Mariotti, Pisa 1930, pp. 283-296.
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7) Critica straniera al pensiero di Sombart AA.VV., Werner Sombart (1863-1941): Social scientist, Juergen G. Backhaus, Marburg 1996. Appel M., Werner Sombart. Historiker und Theoretiker des modernen Kapitalismus, Metropolis, Marburg 1992. Backhaus J.G., Werner Sombart (1863-1941), «Social Scientist», 3 vols., Metropolis, Marburg 1996. Brocke B., Sombarts “Moderner Kapitalismus”. Materialien zur Kritik und Rezeption, Deutscher Taschenbuch Verlag, München 1987. –, Werner Sombart. Deutsche Historiker, Hans-Ulrich Wehler, Bd. V. Vandenhoeck u. Ruprecht, Göttingen 1972, pp. 130-148. –, Werner Sombart 1863-1941. Eine Einführung in Leben, Werk und Wirkung, in Sombarts “Moderner Kapitalismus”. Materialien zur Kritik und Rezeption, München 1987, pp. 11-65. –, Bibliographie der Schriften von und über Werner Sombart, pp. 435-471; Id., Werner Sombart (1863-1941). Capitalism - Socialism. His Life, Works and Influence Since Fifty Years, in «Jahrbuch für Wirtschaftsgeschichte» (1992/1), pp. 113-182, 1993. –, Werner Sombart 1863-1941. Capitalism - Socialism. His Life, Works and Influence, in Werner Sombart (18631941), in «Social Scientist», 3. Vols., Jürgen. –, Werner Sombart, “Nationalökonom. Soziologie”, in Deutsche Biographische Enzyklopädie, Vol. 9, München/New Providence/London/Paris 1998, pp. 367-368, 1999. –, Sombart, Werner, in «Lexikon für Theologie und Kirche», Freiburg/Basel/Wien 2001. –, Werner Sombart (1863-1941), in Das Kaiserreich. Portrait einer Epoche in Biographien, Michael Fröhlich. Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 2001, pp. 319-329.
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Nota bio-bibliografica Drechsler W., Zu Werner Sombarts Theorie der Soziologie und zu seiner Biographie, in Werner Sombart: Klassiker der Sozialwissenschaft. Eine kritische Bestandsaufnahme, Metropolis, Marburg 2000, pp. 83-100. Koslowski P. (a cura di), Methodology of the social sciences, ethics, and economics in the newer historical school. From Max Weber and Rickert to Sombart and Rothacker, Springer, Berlin 1997. Krause W., Werner Sombarts Weg vom Kathedersozialismus zum Faschismus, Rütten & Lönig, Berlin 1962. Lenger F., Werner Sombart: 1863-1941. Eine Biographie, Beck, München 1994. Mitzman A., Sociology and Estrangement: Three Sociologists of Imperial Germany, Knopf, New York, 1973. Muller J.Z., The Mind and the Market: Capitalism in Western Thought, Anchor Books 2002. Nussbaum F.L., A History of the Economic Institutions of Modern Europe: An Introduction of ‘Der Moderne Kapitalismus’ of Werner Sombart, Crofts, New York 1933. Raphael F., Judaïsme et capitalisme. Essai sur la controverse entre Max Weber et Werner Sombart, Presses universitaires de France, Paris 1982. Sombart N., Jugend in Berlin, 1933-1943. Ein Bericht, Fischer, Frankfurt/Main 1991. Sombart N., Die deutschen Männer und ihre Feinde. Carl Schmitt - ein deutsches Schicksal zwischen Männerbund und Matriachatsmythos, Hanser, Munich 1991. Biografia di Werner Sombart sul sito del Deutsches Historisches Museum: