Le basi della chimica analitica. Laboratorio. Per le Scuole superiori. Con espansione online 8808202879, 9788808202871

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Carmine Rubino Italo Venzaghi Renato Cozzi

Le basi della chimica analitica Laboratorio

SCIENZE

Carmine Rubino Italo Venzaghi Renato Cozzi

Le basi della chimica analitica Laboratorio

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Realizzazione editoriale: – Coordinamento redazionale: Martina Mugnai – Redazione: Epitesto, Milano – Segreteria di redazione: Deborah Lorenzini – Progetto grafico, impaginazione e disegni: M.T.M., Milano – Rilettura dei testi, indice analitico: Epitesto, Milano Copertina: – Progetto grafico: Miguel Sal & C., Bologna – Realizzazione: Roberto Marchetti – Immagine di copertina: R. Gino Santa Maria/Shutterstock Prima edizione: gennaio 2012

L’impegno a mantenere invariato il contenuto di questo volume per un quinquennio (art. 5 legge n. 169/2008) è comunicato nel catalogo Zanichelli, disponibile anche online sul sito www.zanichelli.it, ai sensi del DM 41 dell’8 aprile 2009, All. 1/B. File per diversamente abili L’editore mette a disposizione degli studenti non vedenti, ipovedenti, disabili motori o con disturbi specifici di apprendimento i file pdf in cui sono memorizzate le pagine di questo libro. Il formato del file permette l’ingrandimento dei caratteri del testo e la lettura mediante software screen reader. Le informazioni su come ottenere i file sono sul sito www.zanichelli.it/diversamenteabili Suggerimenti e segnalazione degli errori Realizzare un libro è un’operazione complessa, che richiede numerosi controlli: sul testo, sulle immagini e sulle relazioni che si stabiliscono tra essi. L’esperienza suggerisce che è praticamente impossibile pubblicare un libro privo di errori. Saremo quindi grati ai lettori che vorranno segnalarceli. Per segnalazioni o suggerimenti relativi a questo libro scrivere al seguente indirizzo: [email protected] Le correzioni di eventuali errori presenti nel testo sono pubblicati nel sito www.zanichelli.it/aggiornamenti Zanichelli editore S.p.A. opera con sistema qualità certificato CertiCarGraf n. 477 secondo la norma UNI EN ISO 9001: 2008

Carmine Rubino Italo Venzaghi Renato Cozzi

Le basi della chimica analitica Laboratorio

SCIENZE

Sommario Istruzioni per l’uso

1

Capitolo 16 L’analisi chimica: che cos’e`

1 Il processo analitico come sequenza decisionale 2 Classificazione dei metodi di analisi Capitolo 17 Introduzione al laboratorio

1 2 3 4

Prodotti chimici e sicurezza Come affrontare correttamente l’attivita` di laboratorio L’agenda di laboratorio Come si scrive una relazione tecnica

Capitolo 18 Teoria elementare della misura ed elaborazione dati

1 2 3 4 5 6 7

Grandezze, numeri e unita` di misura Misurazione e incertezza: un binomio indissolubile Le fonti dell’incertezza La valutazione dell’incertezza di una misurazione singola Espressione del risultato di una serie di misure Cifre significative Valutazione dell’incertezza di misure sperimentali

Capitolo 19 Misure di massa

1 La bilancia 2 Errori nelle misure di massa 3 Pesata dopo riscaldamento Capitolo 20 Misure di volume

1 2 3 4

Apparecchiature per le misure di volume Operazioni con la vetreria Taratura Errori nelle misure dei volumi

Capitolo 21 Campionamento e preparazione del campione

1 Campionamento 2 Preparazione del campione 3 Operazioni analitiche Capitolo 22 Analisi gravimetrica

1 2 3 4

La tecnica dell’analisi gravimetrica Precipitazione e digestione del precipitato Filtrazione Essiccamento, calcinazione e pesata a peso costante del precipitato 5 Errori nell’analisi gravimetrica 6 Esempi di calcolo Capitolo 23 Analisi volumetrica

1 2 3 4 5

La tecnica dell’analisi volumetrica Classificazione Preparazione delle soluzioni Tecnica operativa Errori nell’analisi volumetrica IV

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61 62 63 65 67

6 Esempi di calcolo 7 Relazioni utili nei calcoli in analisi volumetrica 8 Come progettare una titolazione Capitolo 24 Titolazioni redox

1 2 3 4

Il potere ossidante e riducente degli agenti titolanti Le condizioni per eseguire una titolazione redox Agenti titolanti Campi di applicazione

Capitolo 25 Titolazioni di precipitazione

1 Campi di applicazione 2 Condizioni per eseguire una titolazione di precipitazione 3 Argentometria Capitolo 26 Titolazioni acido-base

1 2 3 4 5

Condizioni per eseguire una titolazione acido-base Gli indicatori acido-base Curve di titolazione di acidi e basi monoprotici Curve di titolazione di acidi e basi poliprotici Titolazione di miscele di acidi e di miscele di basi

Capitolo 27 Titolazioni complessometriche

1 2 3 4

Agenti titolanti Condizioni per eseguire una titolazione complessometrica L’acido etilendiaminotetracetico (EDTA) I metodi complessometrici di titolazione con EDTA

Capitolo 28 Analisi qualitativa inorganica

1 2 3 4 5 6

La strategia dell’analisi qualitativa La raccolta di informazioni Preparazione del campione per l’analisi qualitativa Saggi preliminari: analisi per via secca Saggi preliminari: analisi per via umida Analisi sistematica dei cationi: schema classico

Schede di laboratorio

LAB LAB LAB LAB LAB LAB

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LAB LAB LAB

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LAB 10 LAB 11

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106 107 110 112 114 115 117

Precisione delle misure di una bilancia Precisione delle misure di volume Come pesare una polvere igroscopica Acqua di cristallizzazione di un sale idrato Determinazione delle ceneri negli alimenti Determinazione del rapporto di combinazione tra due ioni che reagiscono Determinazione gravimetrica dei solfati Preparazione di soluzioni Preparazione e standardizzazione delle soluzioni per argentometria Determinazione dei cloruri nel vino Determinazione dei cloruri in uno shampoo o bagnoschiuma V

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118 119 121 122 123 125 127 129 132 136 137

LAB 12 Preparazione delle soluzioni per permanganatometria LAB 13 Standardizzazione delle soluzioni di permanganato con ossalato di sodio LAB 14 Determinazione del titolo del sale di Mohr LAB 15 Determinazione del titolo dell’acqua ossigenata LAB 16 Preparazione di soluzioni per iodometria/iodimetria LAB 17 Standardizzazione delle soluzioni per iodometria/iodimetria LAB 18 Determinazione della purezza di un sale di rame LAB 19 Determinazione del cloro attivo negli ipocloriti LAB 20 Determinazione iodimetrica dell’anidride solforosa totale nei vini bianchi LAB 21 Saggi preliminari LAB 22 Ricerca di carbonati, solfati e nitrati LAB 23 Ricerca degli alogenuri 2þ LAB 24 Ricerca di Agþ , Zn2þ , Cd2þ , Hg2þ 2 , Hg LAB 25 Comportamento degli indicatori acido-base LAB 26 La forza degli acidi LAB 27 Preparazione e standardizzazione di HCl 0,1 M LAB 28 Titolazione di miscele di sostanze alcaline LAB 29 Determinazione dell’alcalinita` libera nei saponi LAB 30 Preparazione e standardizzazione di una soluzione di NaOH 0,1 M LAB 31 Titolazione di soluzioni acide LAB 32 Acidita` di un aceto commerciale LAB 33 Determinazione dell’acidita` del latte LAB 34 Le soluzioni tampone LAB 35 Capacita` tamponante di una soluzione LAB 36 Preparazione e standardizzazione di EDTA 0,01 M LAB 37 Determinazione della durezza di un’acqua LAB 38 Determinazione del calcio e del magnesio nelle acque LAB 39 Determinazione del calcio nel formaggio LAB 40 Riconoscimento di pigmenti pittorici LAB 41 Analisi di rivestimenti galvanici LAB 42 Esercitazione multidisciplinare: una reazione oscillante LAB 43 Ricerca di azoto, fosforo e potassio nei fertilizzanti LAB 44 I kit di analisi chimica LAB 45 Determinazione di ossigeno e pH in acque contenenti piante acquatiche (alla luce e al buio) LAB 46 Misure di temperatura, pH, ossigeno in uno stagno LAB 47 Analisi delle acque correnti: determinazione del ‘‘Livello di inquinamento da macrodescrittori’’ LAB 48 Influenza della forza ionica sull’equilibrio

138 140 142 144 146 149 151 153 154 155 159 161 164 167 169 170 173 174 175 177 178 179 180 182 184 186 188 190 193 196 197 199 202 204 206 207 211

Appendice: Regolamento CE 1272/2008

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Indice analitico

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VI Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Istruzioni per l’uso Il testo e` suddiviso in due parti: nella prima, articolata in 13 capitoli, sono esposti i fondamenti dell’analisi chimica classica; nella seconda sono presentate 48 schede relative a esperienze di laboratorio.

Appendice Illustra cosa e` cambiato con il Regolamento CE 1272/2008 a proposito di etichette e simbologia.

Le schede di laboratorio Ciascuna scheda propone un’esperienza commentata e guidata.

Strumenti di lavoro/materiali e sostanze Sono elencati i materiali utilizzati nell’esperienza. Il simbolo segnala visivamente la pericolosita` delle sostanze.

Segnale di attenzione

Procedimento Guida l’esperienza passo a passo.

Per concludere Viene indicato come elaborare i dati sperimentali raccolti, vengono suggerite attivita` supplementari e si stimola la riflessione su alcuni aspetti dell’esperienza svolta.

Per i calcoli Si forniscono indicazioni per i calcoli previsti dall’esperimento.

1 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

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L’analisi chimica: che cos’e`

L’

analisi chimica e` un insieme di operazioni che hanno lo scopo di determinare la natura chimica di un determinato campione di materia o di alcuni suoi componenti (analisi qualitativa) e/o la quantita` di alcune (o tutte) fra le specie chimiche in esso presenti (analisi quantitativa). L’oggetto di una particolare analisi viene chiamato analita, riferendosi con tale termine all’intero campione o a un suo singolo componente. L’obiettivo deve essere raggiunto nel modo migliore, compatibilmente con le esigenze dell’analista (che derivano da quelle del committente), ovvero con un grado di esattezza, cioe` di vicinanza al ‘‘valore vero’’ di cio` che si misura, accettabile, con costi sostenibili e tempi di lavoro ragionevoli, nel rispetto della sicurezza personale e ambientale. Per meglio capire che cosa intendiamo per ‘‘verita`’’ nell’attivita` sperimentale (le virgolette non sono casuali), rimandiamo al Capitolo 18. Gli aggettivi accettabile, sostenibile e ragionevole lasciano trasparire il margine di discrezionalita` che e` implicito in qualsiasi analisi e del quale spesso l’analista non e` del tutto consapevole. Quello che intendiamo dire puo` essere chiarito esaminando i punti essenziali dell’intero processo in cui si sviluppa un’analisi chimica.

1

IL PROCESSO ANALITICO COME SEQUENZA DECISIONALE In entrambe le analisi, qualitativa e quantitativa, l’informazione desiderata viene ottenuta percorrendo un processo, il processo analitico, strutturato in piu` fasi, che possono essere cosı` identificate: 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.

definizione degli obiettivi; campionamento; scelta del metodo di analisi; preparazione del campione per l’analisi; esecuzione dell’analisi; elaborazione e interpretazione dei dati; presentazione dei risultati.

Esamineremo ora in breve, uno a uno, questi sette punti. 1. Definizione degli obiettivi Anzitutto si deve stabilire se occorre effettuare un’analisi qualitativa o quantitativa, se interessano proprio tutti i componenti del campione o solo alcuni. In 2 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

1. Il processo analitico come sequenza decisionale

quest’ultimo caso (che e` il piu` comune) bisogna stabilire quali analisi effettuare in base alle specie chimiche da determinare. Per esempio, se una persona porta al laboratorio un campione di acqua del suo pozzo per un’analisi, e` probabile che il suo obiettivo sia quello di stabilire se l’acqua e` potabile o meno. In tal caso sarebbe inutile ricercare tutte le specie chimiche potenzialmente presenti: basta effettuare solo alcuni controlli, tra cui quello microbiologico e quelli per la determinazione di parametri come residuo fisso (che da` i sali disciolti), ammoniaca, nitriti e nitrati (che possono rivelare possibili inquinamenti). Solo se il pozzo si trova in una zona ‘‘sospetta’’ potra` valere la pena di cercare anche metalli tossici come piombo, cadmio o altri. 2. Campionamento Si tratta di una fase essenziale, in quanto l’analisi si conduce su una porzione del materiale da analizzare, la quale deve essere il piu` possibile rappresentativa del materiale stesso, cioe` averne la stessa composizione. Spesso il campione prelevato e` successivamente suddiviso in piu` porzioni, dette aliquote, per poter ripetere e controllare le analisi. Se, per esempio, si tratta di analizzare un terreno, si dovra` effettuare piu` di un prelievo in posizioni diverse, secondo uno schema prefissato. I diversi prelievi verranno poi uniti e omogeneizzati per fornire un campione rappresentativo del terreno e le analisi verranno, infine, condotte su aliquote di quest’ultimo campione. 3. Scelta del metodo di analisi I metodi analitici offrono un ampio spettro di possibilita` per effettuare la determinazione di un analita, come spieghiamo piu` avanti. La scelta del metodo piu` adatto presenta molti aspetti cruciali, anche perche´, se e` necessario utilizzare strumenti particolari, i costi possono essere non trascurabili. D’altra parte, se non si ricorre all’uso di tali strumenti, bisogna considerare il problema dei tempi di lavoro, a volte particolarmente significativo, come quando, per esempio, si sfruttano reazioni di precipitazione seguite da filtrazione e pesata del precipitato. Talvolta si possono scegliere diversi metodi analitici per uno stesso campione al fine di verificare l’accuratezza dei risultati. 4. Preparazione del campione per l’analisi E` un’altra fase importante del processo analitico e dipende strettamente dal metodo prescelto. Per esempio, la maggior parte delle procedure prevede la dissoluzione del campione, il che implica un attacco chimico o chimico-fisico, a volte molto energico. In tal caso va considerata l’eventualita` di perdere materiale nel corso del trattamento poiche´ questo avrebbe riflessi decisivi sulla correttezza dell’analisi. In altri casi bisogna operare in modo da neutralizzare l’azione di specie che potrebbero interferire nella determinazione dell’analita. 5. Esecuzione dell’analisi L’esecuzione vera e propria della determinazione analitica, ossia la misura del dato sperimentale, rappresenta il nodo centrale di tutto il processo e richiede pur sempre (nonostante l’automazione diffusa) un adeguato livello di abilita` da parte dell’operatore. 6. Elaborazione e interpretazione dei dati L’elaborazione dei dati analitici richiede spesso l’uso di un computer e di 3 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Capitolo 16 - L’analisi chimica: che cos’e`

programmi specifici. In particolare, anche nei casi piu` semplici, i dati vanno messi a confronto tra loro e valutati in rapporto ai risultati attesi, per cui e` necessario un trattamento statistico dei valori raccolti. 7. Presentazione dei risultati I risultati devono essere esposti in modo chiaro insieme a tutti gli aspetti operativi essenziali per il controllo e l’eventuale ripetizione della procedura da parte di altri. Inoltre, in relazione alle finalita` dell’analisi, puo` darsi che i risultati debbano essere accompagnati da commenti e pareri tecnici, che a volte richiedono una competenza non circoscritta all’ambito chimico, ma estesa agli ambiti legislativo, tossicologico, ambientale ecc.

2

CLASSIFICAZIONE DEI METODI DI ANALISI La classificazione dei metodi di analisi oggi a disposizione del chimico non e` cosa semplice, perche´ i criteri che si possono adottare sono diversi, secondo il punto di vista di volta in volta ritenuto piu` efficace. In questa sede ci limitiamo a fare cenno alle classificazioni piu` usate, senza scendere troppo nei dettagli (per i quali rimandiamo a pubblicazioni piu` specifiche). . Qualitativa e quantitativa Come si e` detto nell’introduzione, l’analisi qualitativa ha lo scopo di identificare i componenti di un campione, mentre l’analisi quantitativa si propone di determinare la quantita` di ciascun componente. L’analisi quantitativa deve basarsi sulla conoscenza della natura delle specie da determinare, per cui, quando esse non sono note in partenza, deve essere preceduta dall’analisi qualitativa. La strumentazione oggi disponibile consente, in alcuni casi, di procedere contemporaneamente ai due tipi di analisi, qualitativa e quantitativa: in molte tecniche cromatografiche, per esempio, il campione puo` essere separato nei suoi diversi componenti, che sono allo stesso tempo identificati e determinati quantitativamente sulla base del segnale fornito dallo strumento. . Per via secca e per via umida Si tratta di una vecchia classificazione che certo aveva molto piu` senso un tempo, quando le analisi strumentali rappresentavano un’eccezione. In effetti le analisi dei campioni solidi (si pensi a un sale o a un alimento) possono talvolta essere condotte per via secca, per esempio riscaldando direttamente il campione (da solo o mescolato con altri reattivi solidi) su una fiamma. Piu` spesso, pero`, si opera per via umida, ovvero si effettuano i saggi analitici su una soluzione ottenuta trattando il campione con opportuni reagenti. Per esempio, un alimento puo` essere ‘‘mineralizzato’’, ossia privato della sua componente organica mediante reazione con la miscela acido nitrico-acido perclorico; sulla soluzione ottenuta si possono poi ricercare l’azoto totale e altri elementi specifici. . Distruttiva o non distruttiva

Quando la procedura analitica consiste in reazioni chimiche condotte sul campione, quest’ultimo viene distrutto. Cio` puo` avere poca importanza in casi come l’analisi di un detersivo commerciale, mentre puo` rappresentare un grosso ostacolo se riguarda un’opera d’arte o un reperto archeologico. 4 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

2. Classificazione dei metodi di analisi

Fortunatamente oggi la strumentazione mette a disposizione dell’analista molte tecniche che possono operare sul campione tal quale, come nel caso di alcuni tipi di analisi spettroscopiche. . Classica e strumentale Con il termine analisi classica (o chimica) si intende l’analisi che fa uso di procedimenti esclusivamente chimici, ovvero si basa su procedure condotte ricorrendo alla normale vetreria di laboratorio (dal becher alla buretta) e alla bilancia. In pratica, questo tipo di analisi consiste nella misurazione di volumi e/ o masse e nella successiva elaborazione dei dati mediante calcoli stechiometrici. L’analisi strumentale sfrutta invece una vastissima gamma di fenomeni chimici e fisici, giungendo alla misura di grandezze come l’intensita` di colore o la corrente elettrica, effettuata mediante apparecchiature specifiche. Lo strumento fornisce un segnale dal quale si risale, con appropriate elaborazioni, al risultato analitico.

In questo testo ci occuperemo delle procedure di analisi qualitativa e quantitativa condotte essenzialmente con metodi classici.

5 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

17

Introduzione al laboratorio

I

l chimico, sia che debba eseguire un’analisi per ricercare nei materiali i loro costituenti, sia che debba occuparsi di una sintesi oppure della separazione dei componenti di una miscela, deve muoversi a proprio agio nel laboratorio e conoscerlo in tutti i suoi aspetti.

1

PRODOTTI CHIMICI E SICUREZZA In questi ultimi anni molta strada e` stata fatta sotto il profilo legislativo per garantire alle persone (lavoratori o semplici consumatori) e all’ambiente una protezione adeguata a preservarne la salute e l’integrita` quando vengono manipolati i prodotti chimici. Fino a non molto tempo fa la maggior parte delle sostanze chimiche veniva immessa sul mercato anche in assenza di dati tossicologici, in quanto era prevalente l’interesse per l’aspetto merceologico e commerciale. Cosı` facendo, in Europa circolavano decine di migliaia di sostanze la cui tossicita` non era nota o era scarsamente definita e il loro destino ambientale non necessariamente noto o controllato. Nel tempo si e` scoperto che alcune sostanze potevano provocare allergie di ogni genere e gravi danni all’uomo e all’ambiente. Basti ricordare i lavoratori esposti ad amianto o benzene, i consumatori esposti a talidomide o piombo, l’ecosistema e il DDT. Sono solo alcuni brevi esempi eclatanti. Questi eventi non sarebbero accaduti se prima di utilizzare queste sostanze fossero stati eseguiti adeguati studi tossicologici. L’Unione europea, con il Libro Bianco sulla ‘‘Strategia per una politica futura in materia di sostanze chimiche’’, pubblicato nel febbraio 2001, ha dato il via a un sostanziale tentativo di rinnovamento del contesto normativo comunitario in materia di sostanze chimiche, con l’obiettivo preciso basato sul cosiddetto ‘‘principio di precauzione’’, per cui vengono messe al bando dal territorio europeo tutte le sostanze per le quali le conoscenze tossicologiche ed ecotossicologiche siano nulle o comunque del tutto insufficienti. Questi principi ispiratori sono infine confluiti nel Regolamento universalmente noto sotto l’acronimo REACH (Registration, Evaluation, Authorization of Chemicals)1, che riguarda appunto la registrazione, valutazione, autorizzazione e limitazione sull’utilizzo delle sostanze chimiche. Esso ha, in sintesi, l’obiettivo di migliorare la conoscenza di rischi e pericoli associati 1

Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2006. L’iter legislativo del Regolamento si e` concluso, a distanza di quasi 6 anni dal Libro Bianco, con la pubblicazione del testo sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea del 30 dicembre 2006 e l’entrata in vigore per il 1º giugno 2007.

6 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

1. Prodotti chimici e sicurezza

alla manipolazione delle sostanze chimiche. Si fa obbligo ai produttori e importatori di fornire tutte le migliori informazioni a disposizione, sia sotto il profilo della caratterizzazione chimica e fisica, sia sotto l’aspetto tossicologico, registrandole in un opportuno dossier. Grande novita` rispetto al punto di vista fino ad ora adottato e` la cosiddetta ‘‘inversione dell’onere della prova’’: non sono piu` gli Stati a dover emanare leggi per la circolazione dei prodotti chimici, ma dovra` essere l’industria a definirne il grado di pericolosita` attraverso test tossicologici di ogni genere. A questo si aggiunge la grande attenzione che viene dedicata alla purezza dei prodotti chimici. Non vanno ovviamente ignorati gli enormi risvolti economici del nuovo Regolamento. Anzitutto i costi di registrazione delle sostanze sono altissimi e quindi sostenibili solo dalla grande industria o da consorzi di piccole e medie aziende. Sul piano strettamente commerciale, inoltre, per il REACH vige il principio del ‘‘no data, no market’’ e non e` quindi un caso se la sua nascita e` anche frutto di un ‘‘tavolo di trattativa’’ fra l’Europa e le grandi multinazionali. Oltre al REACH va segnalato un altro importante intervento legislativo a livello internazionale, che va sotto l’acronimo RoHS (Restriction of Hazardous Substances)2 e regola la limitazione delle sostanze pericolose comunemente usate nell’industria elettrica ed elettronica. In particolare, mette al bando i metalli pesanti particolarmente tossici come il mercurio, il cadmio, il cromo(VI) e il piombo. Fra i composti organici vengono banditi, ad esempio, i bifenili polibromurati, usati come additivi ritardanti di fiamma nelle materie plastiche. Tossicita` delle sostanze e dei preparati chimici

Le sostanze pure e le loro miscele (dette preparati chimici, miscele o formulati) possono rappresentare il piu` delle volte un pericolo per la salute di chi le deve manipolare o anche semplicemente trasportare. Per tale motivo questa problematica e` oggetto costante dell’attenzione del legislatore, che e` intervenuto e interviene con una serie di norme concernenti l’imballaggio, l’etichettatura, il trasporto, l’impiego effettivo e infine lo smaltimento delle sostanze e dei preparati chimici. A questo proposito possiamo citare il fondamentale D.P.R. 17 maggio 1988, n. 175, noto come ‘‘Direttiva Seveso’’, ora sostanzialmente aggiornato3. Il pericolo associato al contatto con un determinato materiale dipende strettamente dalla sua quantita`, nonche´ dalla frequenza del contatto. Pertanto e` necessario stabilire per ogni sostanza (o preparato) quale dose possa essere considerata accettabile (in modo che ad una eventuale esposizione non corrispondano danni significativi) oppure comportare rischi di vario genere, fino alla morte. E` definita tossica una sostanza in grado di provocare danni reversibili o irreversibili a uno o piu` organi del corpo. Quando i rischi sono di minore entita`, la sostanza viene definita nociva o semplicemente irritante. Imballaggio ed etichettatura

Le sostanze pure vanno conservate in appositi contenitori oppure direttamente nell’imballaggio iniziale. Tali contenitori sono provvisti di etichette che ripor2

Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 gennaio 2003 nota anche come ‘‘Direttiva RoHS’’. 3 Questo D.P.R. e` stato abrogato dall’art. 30 del D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 334, con l’eccezione dell’art. 20. Importante anche il D.Lgs. Governo nº 334 del 17/08/1999, che attua la direttiva 96/82/CE relativa al controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose.

7 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Capitolo 17 - Introduzione al laboratorio

tano varie indicazioni sulla sostanza in essi contenuta, con il doppio obiettivo di assicurare il corretto utilizzo del prodotto e la massima sicurezza da parte dell’operatore. Quando si preleva una certa sostanza dal reagentario bisogna procedere alla attenta lettura dell’etichetta, la cui stesura deve rispettare il Decreto Legislativo 14 marzo 2003, n. 65 (modificato dal D.Lgs. del Governo nº 260 del 28/07/ 2004) – vedi box 17.1 – e fissa obblighi precisi per garantire la sicurezza di chi manipola determinate sostanze. E` infatti ormai obbligatorio dotare le etichette di simboli e indicazioni chiare, visibili e standardizzate riguardo ai pericoli insiti nelle caratteristiche chimico-fisiche della sostanza o del preparato chimico, nonche´ alle precauzioni da adottare nel maneggiarli. Altre simbologie interessano il trasporto del prodotto in quanto merce pericolosa. Il Regolamento CLP 1272/2008 (vedi anche box 17.1) risulta gia` in vigore per le sostanze, mentre per le miscele, ovvero i preparati, e` obbligatorio dal marzo 2015. Esso, oltre a definire i requisiti generali per l’etichettatura delle sostanze e i preparati pericolosi, ne indica pure i criteri di classificazione individuando le cosiddette ‘‘Categorie di pericolosita`’’, cui corrisponde una serie di simboli, insieme con le frasi di rischio e i consigli di prudenza. Vengono poi introdotti anche nuovi pittogrammi (simboli grafici) di pericolo. Pertanto sulle etichette dei preparati chimici potremo leggere ancora, fino al marzo 2015, le indicazioni di rischio contrassegnate dalla lettera R seguita da una serie di numeri che indicano la natura dei rischi associati all’utilizzo della sostanza. I consigli di prudenza sono invece contrassegnati dalla lettera S e seguiti da un’analoga serie di numeri. Le cifre che seguono le lettere R e S sono separate fra loro da un trattino o da una barretta secondo che le enunciazioni vadano tenute separate o combinate. Naturalmente ogni etichetta puo` riportare diverse frasi e consigli di prudenza. Per esempio, sull’etichetta ancora in uso di un detergente-disincrostante a base di acido cloridrico si puo` leggere: . R 34/37, che indica che la sostanza ‘‘provoca ustioni’’ ed e` ‘‘irritante per le

vie respiratorie’’; . S 26-45, che consiglia ‘‘in caso di contatto con gli occhi, lavare immediata-

mente e abbondantemente con acqua e consultare un medico’’ e ‘‘in caso di incidente o di malessere consultare immediatamente il medico (se possibile, mostrargli l’etichetta)’’. In futuro, secondo il gia` citato Regolamento 1272/2008, le Frasi R (che fanno riferimento al rischio) saranno sostituite dalle Frasi H (Hazard statements), mentre le Frasi S (che fanno riferimento ai consigli di prudenza) saranno sostituite dalle Frasi P (Precautionary statements). Per esempio, le Frasi H2 sono riferite ai rischi fisici, mentre le Frasi H3 ai rischi per la salute e le Frasi H4 ai rischi per l’ambiente. D’altro canto, le Frasi P1 forniscono precauzioni di carattere generale, le Frasi P2 quelle preventive, le P5 quelle per lo smaltimento e cosı` via. Per esempio, nel caso dell’acido cloridrico concentrato, le Indicazioni di Pericolo diventano le seguenti: . H290 Puo` essere corrosivo per i metalli . H314 Provoca gravi ustioni cutanee e gravi lesioni oculari . H335 Puo` irritare le vie respiratorie

Non elenchiamo i Consigli di Prudenza (Frasi P), perche´ sono molto piu` ampi e articolati e prenderebbero troppo spazio. Le soluzioni diluite che in genere vengono preparate in laboratorio, in 8 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

1. Prodotti chimici e sicurezza

particolare quelle per fini didattici, non sono particolarmente pericolose e possono essere conservate in bottiglie di vetro o plastica (in genere, polietilene), purche´ ogni contenitore possegga un’etichetta chiara sul contenuto. Pertanto l’etichetta dovra` riportare assolutamente: il nome del contenuto, la sua concentrazione, la data di preparazione e il nome di chi ha preparato il reattivo. Per ogni prodotto commercializzato deve essere disponibile una scheda tecnica nella quale vengono descritte le sue caratteristiche. A qualsiasi livello, ma particolarmente nell’industria, si sta ormai diffondendo la certificazione di qualita` secondo la Norma UNI EN ISO 9001:2008. La produzione certificata secondo tali norme offre una preziosa garanzia minima e costante nel tempo. 17.1 U

BOX DI APPROFONDIMENTO

Caratteristiche dell’etichetta di un prodotto chimico In base alla Legislazione in vigore, l’etichetta di un prodotto chimico deve riportare: . l’identita` della sostanza (nome chimico) secondo la nomenclatura inter-

nazionale (IUPAC), con eventuale aggiunta di quella tradizionale; . la formula empirica; . la composizione quali/quantitativa, incluse le impurezze; . la concentrazione (di norma come massa percentuale) se si tratta di

soluzioni; . nel caso di possibili isomeri, deve essere specificato se si tratta di un . .

. . .

isomero ben definito o di una miscela; la presenza o l’assenza di stabilizzanti, nel caso di sostanze in grado di polimerizzare o di decomporsi spontaneamente; la numerazione secondo la Direttiva CEE 67/5484 (9 cifre divise in 4 gruppi) e aggiornamenti sulle Sostanze Pericolose, nonche´ il numero CAS (Chemical Abstract Service), di 9 cifre divise in 3 gruppi; il nome e l’indirizzo del fabbricante, del distributore o dell’importatore; la data di produzione, di scadenza e il lotto di fabbricazione; i simboli di pericolo, le indicazioni di rischio e i consigli di prudenza, fissati a livello di Comunita` europea, sulla base del Regolamento 1272, identificato come CLP (Classification Labelling and Packaging of substances and mixtures) e altre leggi5, in cui viene effettuata una precisa distinzione fra sostanze, intese come ‘‘gli elementi chimici e i loro composti allo stato naturale’’ e i preparati, che sono ‘‘i miscugli, o soluzioni, composti da due o piu` sostanze’’.

Questo nuovo Regolamento consente l’applicazione all’interno della Comunita` Europea del Sistema mondiale armonizzato di classificazione ed etichettatura delle sostanze chimiche, denominato GHS (Globally Harmonised System), sviluppato dall’ONU.

4

La presente direttiva e` abrogata a decorrere dal giorno 1º giugno 2015 dall’art. 60 del regolamento (CE) n. 1272/2008. 5 Regolamento (CE) n. 1272/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, relativo alla classificazione, all’etichettatura e all’imballaggio delle sostanze e delle miscele, che modifica e abroga le direttive 67/548/CEE e 1999/45/CE e che reca modifica al regolamento (CE) n. 1907/2006.

9 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Capitolo 17 - Introduzione al laboratorio

E` infine obbligatorio6 allegare ad ogni sostanza o preparato una scheda di sicurezza, che va comunque acquisita almeno la prima volta che si acquista un prodotto. Per la stesura di tale documento, il Regolamento 1272/2008 fissa criteri nettamente piu` restrittivi di quelli precedenti. Mezzi di protezione della persona

Non di rado puo` capitare di dover manipolare sostanze particolarmente reattive, per cui e` particolarmente importante acquisire l’abitudine di leggere accuratamente le etichette o di acquisire informazioni sulle sostanze che si utilizzano. Va da se´ che la cosa puo` essere di notevole ausilio anche nella vita quotidiana. Molti incidenti sul lavoro possono in effetti essere evitati, o quantomeno portare a conseguenze meno gravi, con l’adozione sistematica di semplici mezzi protettivi individuali. Operare in questo modo e` utile anche per la prevenzione di eventuali malattie professionali. I dispositivi di protezione DPI (dispositivi di protezione individuale) sono numerosi e vanno dagli indumenti con caratteristiche apposite (per esempio i camici antiacido) ai guanti, agli occhiali, alle maschere di vario tipo, per polveri o gas e vapori in genere. Gestione degli scarti di laboratorio

La legislazione italiana in materia di rifiuti ha preso le mosse dallo storico Decreto del Presidente della Repubblica n. 915, del 19827 e ha assunto una fisionomia abbastanza precisa grazie al Decreto Legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, noto anche come ‘‘Decreto Ronchi’’8, sulla base del quale viene oggi disciplinata tutta la materia riguardante i rifiuti, puntando l’attenzione sulla prevenzione e sul possibile recupero (reimpiego e riciclaggio), sul trattamento di inertizzazione dei medesimi e, come ultima possibilita`, sul loro smaltimento in discarica. I rifiuti sono suddivisi in base alla provenienza (urbani e speciali) e in base alla pericolosita` (pericolosi e non pericolosi), individuando i soggetti che devono tenere opportuni registri di carico e scarico, ivi comprese le scuole. Ne deriva la necessita` che in ogni scuola i laboratori siano strutturati in modo da suddividere i rifiuti in base alle loro caratteristiche, che si utilizzino i registri di carico e scarico e si affidi a Societa` autorizzate il ritiro per il trattamento o per il trasferimento in discariche autorizzate. In particolare, ogni laboratorio chimico dovra` essere dotato di adeguati contenitori per la raccolta dei rifiuti provenienti dalle esercitazioni e gli allievi dovranno essere impegnati in prima persona nel rispetto delle normative, per la propria e altrui sicurezza, nell’ottica della protezione dell’ambiente. A questo riguardo, ogni Istituto deve adottare un proprio protocollo per lo smaltimento dei rifiuti prodotti nei laboratori, in cui si definiscono le procedure per la differenziazione, lo stoccaggio e il trasporto. A titolo esemplificativo, indichiamo un possibile criterio di differenziazione:

6

Il riferimento per le schede di sicurezza e` attualmente l’art. 31 del Regolamento 1907/2006 con le modifiche introdotte dagli artt. 57 e 58 del Regolamento 1272/2008. 7 Il presente D.P.R. e` stato abrogato dall’art. 56 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, a sua volta abrogato dall’art. 264 del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152. 8 Attualmente e` in vigore il D.Lgs. Governo nº 152 del 03/04/2006. Norme in materia ambientale, con le modifiche introdotte dal D.Lgs 4 del 16/01/2008, 128 del 29/06/2010 e 205 del 03/12/2010.

10 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

2. Come affrontare correttamente l’attivita` di laboratorio

‘‘C’’ ‘‘I’’ ‘‘A’’ ‘‘Cl’’ ‘‘D’’ ‘‘Hg’’ ‘‘V’’

Solidi organici Solidi inorganici Solventi organici e soluzioni di sostanze organiche Solventi clorurati Soluzioni di sali di metalli, pesanti e non Sali inorganici di mercurio Vetreria rotta

Riassumiamo, infine, le piu` importanti norme attuali di prevenzione degli infortuni e per la sicurezza personale e ambientale: . Direttiva CEE/CEEA/CE nº 95 del 27/01/2003: RoHS . Regolamento CEE/UE nº 1907 del 18/12/2006: REACH . R.D.L. 09/01/27 nº 1: gas tossici . D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, comunemente noto come ‘‘Testo Unico’’, che

regolamenta: – igiene del lavoro – classificazione, etichettatura e imballaggio delle sostanze pericolose – attivita` comportanti rischi di incidente rilevante – protezione dagli agenti nocivi – dispositivi di protezione individuali – sicurezza e salute del lavoro – segnaletica di sicurezza.

2

COME AFFRONTARE CORRETTAMENTE L’ATTIVITA` DI LABORATORIO Affinche´ il lavoro sia impostato ed eseguito correttamente, e` bene: . dotarsi dell’agenda di laboratorio, da compilare secondo le indicazioni . .

. . . . . . .

riportate nel Paragrafo 3; avere ben chiaro lo scopo dell’esperienza; leggere attentamente la procedura sperimentale, prestando particolare attenzione ai passaggi che possono comportare pericoli; se non si dispone di una procedura vincolante, stabilire a grandi linee come si intende operare, valutando attentamente gli aspetti della sicurezza e consultando l’insegnante nel caso di dubbi; assicurarsi che il posto di lavoro sia in ordine; procurarsi le apparecchiature necessarie e predisporle in modo appropriato; procedere con l’esecuzione dell’esperienza, rispettando scrupolosamente le norme di sicurezza; utilizzare la quantita` corretta di ogni reagente; registrare i dati raccolti sull’agenda di laboratorio, affinche´ al termine dell’esperienza si possa procedere all’elaborazione dei risultati; se opportuno, tracciare i grafici man mano che si procede nell’analisi, per tenere sotto controllo l’andamento del lavoro; se qualche fase dell’esperimento presenta aspetti non chiari, consultare l’insegnante; non cambiare il procedimento senza l’autorizzazione dell’insegnante; 11

Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Capitolo 17 - Introduzione al laboratorio . se nel corso dell’analisi qualche soluzione o precipitato deve essere

riutilizzato dopo un certo tempo, apporre sul contenitore un’etichetta o indicare il contenuto utilizzando un pennarello vetrografico; . tutto il materiale inutilizzabile al termine dell’esperienza (reagenti chimici,

eventuale vetreria rotta ecc.) va smaltito secondo le procedure prescritte; . trarre le conclusioni alla luce delle attese, ovvero degli obiettivi prefissati.

3

L’AGENDA DI LABORATORIO Nell’attivita` di laboratorio e` necessario prendere nota dei dati raccolti e registrare qualunque osservazione significativa riguardo all’esperienza svolta. A questo scopo non si deve fare uso di foglietti o, peggio, fidarsi della propria memoria: e` necessario munirsi di un’agenda di laboratorio. Si consiglia di tenere conto delle seguenti indicazioni. . Scegliere un quaderno di dimensioni tali da poter essere conservato nella

tasca del camice. In questo modo l’operatore potra` portarlo sempre con se´, senza doverlo abbandonare sul banco o sui ripiani, esposto a danneggiamenti di ogni genere (schizzi d’acqua, ma anche di acidi e solventi). . Segnare sulla copertina, con chiarezza, il proprio nome e quello della classe,

lasciando alcune pagine bianche all’inizio che potranno essere utilizzate per compilare un indice aggiornato delle esperienze svolte. . Per ogni nuova esperienza riportare su una pagina nuova il titolo e la data

d’inizio, lasciando uno spazio per annotare la data di termine del lavoro medesimo. . Descrivere sinteticamente gli aspetti salienti della procedura, con le

eventuali indicazioni date dall’insegnante per lo svolgimento del lavoro. . Se il procedimento e` sul libro di testo o su fotocopie consegnate dall’inse-

gnante, evitare di appoggiare la documentazione sul bancone, in prossimita` di reagenti e attrezzature. . Riportare tutti i dati sperimentali raccolti con le rispettive unita` di misura e

utilizzando un numero di cifre significative adeguato alla tolleranza dello strumento, che deve essere indicata. . Registrare eventuali anomalie o situazioni particolari verificatesi nel corso

dell’esperienza. . Al termine dell’esperienza indicare le relazioni matematiche su cui si basano

i calcoli e successivamente inserire i dati numerici. . Nel caso di errori di trascrizione, non cancellare ne´ usare il bianchetto, ma

tracciare semplicemente una riga sul dato da correggere (in modo che sia comunque possibile leggerla), trascrivendo poi quello corretto. . Non strappare le pagine: e` sufficiente tracciare una sola linea diagonale sulla

pagina che deve essere ignorata. Puo` essere utile indicare brevemente i motivi della cancellazione. . Un’agenda correttamente compilata costituisce la base essenziale per la

stesura della relazione tecnica finale. 12 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

4. Come si scrive una relazione tecnica

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COME SI SCRIVE UNA RELAZIONE TECNICA La relazione tecnica che conclude un’esperienza ha lo scopo di comunicare gli obiettivi del proprio lavoro, le modalita` con cui si e` svolto e i risultati ottenuti. Essa dev’essere redatta in modo tale che chiunque possa riprodurre l’esperimento realizzato e confrontare i risultati. Per questo motivo la relazione tecnica deve essere articolata, nell’ordine, nei seguenti punti. 1. Titolo dell’esperienza: dev’essere sintetico e chiaro, per consentire una rapida identificazione del tipo di esperienza svolta. 2. Scopo: e` utile per esprimere gli obiettivi dell’esperienza (tuttavia a volte non e` necessario perche´ gia` indicato nel titolo). 3. Sommario: fa riferimento ai princı`pi teorici su cui si basa l’esperienza e a come essi sono utilizzati per raggiungere gli obiettivi prefissati. 4. Apparecchiature: specifica il tipo di vetreria e di strumentazione previsti dall’esperienza e riporta tutti i dati tecnici ritenuti significativi (per esempio, la tolleranza e la portata della vetreria). 5. Reagenti: indica il tipo e le caratteristiche dei reagenti impiegati (e` essenziale segnalare la concentrazione delle soluzioni e, per i solidi, il grado di purezza). 6. Procedimento: riferisce la procedura operativa seguita. Spesso si completa con un disegno schematico dell’attrezzatura utilizzata, quando e` utile per descrivere la modalita` di assemblaggio della stessa. 7. Dati sperimentali: vanno riportati tutti i dati sperimentali, evidenziando, se necessario, quelli ritenuti ‘‘aberranti’’, cioe` da scartare sulla base di un’analisi statistica. Laddove possibile, e` bene raccogliere l’insieme dei dati sotto forma di tabelle. 8. Elaborazione dei dati (se necessario anche grafica): riporta i calcoli effettuati a partire dai risultati sperimentali, indicando le relazioni matematiche utilizzate. L’elaborazione puo` consistere anche nella costruzione di diagrammi o grafici. A volte essa prevede anche il trattamento statistico dei dati. 9. Conclusioni: qui trovano spazio eventuali note dell’operatore riguardanti aspetti procedurali e la sua valutazione dei risultati precedentemente elaborati, in riferimento agli obiettivi previsti dall’esperienza. E` importante segnalare le eventuali anomalie riscontrate nei confronti della metodica utilizzata, nonche´ i passaggi che hanno causato difficolta` (in particolare sotto il profilo della sicurezza). 10. Indicare la data in cui e` stato effettuato il lavoro.

13 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

18

Teoria elementare della misura ed elaborazione dati D

a un punto di vista chimico, analizzare un campione significa trattarlo secondo procedure ben definite, osservando e/o misurando gli effetti delle manipolazioni effettuate. Si possono ottenere cosı` informazioni di tipo qualitativo e, nell’analisi quantitativa, determinare il valore di una o piu` grandezze fisiche che costituiscono proprieta` importanti del campione in esame. In generale, per determinare il valore di una grandezza fisica, si mette in atto un processo di misurazione che fornisce, oltre a un valore numerico con la rispettiva unita` di misura, anche una valutazione della sua attendibilita`.

1

GRANDEZZE, NUMERI E UNITA` DI MISURA Per quanto riguarda le unita` di misura, ormai tutto il mondo adotta il Sistema Internazionale delle Unita` di Misura (abbreviato con SI), che stabilisce una serie di regole e definisce le cosiddette grandezze fondamentali, da cui derivano tutte le grandezze derivate, che possono essere espresse combinando opportunamente quelle fondamentali (3Tab. 18.1).

Tabella 18.1 Alcune grandezze fondamentali e derivate del SI.

Grandezze fondamentali

Unita` di misura

Simbolo

lunghezza massa intervallo di tempo temperatura intensita` di corrente elettrica quantita` di sostanza

metro kilogrammo secondo kelvin ampere mole

m kg s K A mol

newton pascal joule volt ohm siemens lumen

N Pa J V

S lm

Grandezze derivate forza pressione energia, lavoro, calore potenziale elettrico resistenza elettrica conducibilita` elettrica flusso luminoso

14 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

2. Misurazione e incertezza: un binomio indissolubile

Per indicare multipli e sottomultipli delle unita` di misura si usano i prefissi e i relativi simboli, riportati nella Tabella 18.2. Tabella 18.2 Prefissi e simboli di multipli e sottomultipli delle unita` di misura SI.

Prefisso exa peta tera giga mega kilo milli micro nano pico femto atto

Simbolo

Valore numerico

E P T G M k m m n p f a

1018 1015 1012 109 106 103 103 106 109 1012 1015 1018

Una distanza di 3240 m si puo` esprimere come 3,240 km. Allo stesso modo, la conducibilita` elettrica di un’acqua potabile, il cui valore si puo` attestare intorno a 5  104 S, e` solitamente espressa in termini di microsiemens (cioe` 500 mS, pari a 500  106 S).

2

MISURAZIONE E INCERTEZZA: UN BINOMIO INDISSOLUBILE Secondo un modo di pensare ancora molto diffuso, che si collega a una visione della scienza come fonte di certezze piu` o meno indiscutibili, ogni grandezza dovrebbe avere un solo valore ben determinato, il cosiddetto ‘‘valore vero’’. Per sgomberare il campo da questa idea sbagliata cerchiamo di chiarire qual e` il senso di questa espressione, che utilizzeremo anche noi piu` avanti. Alcuni testi affermano che il valore vero di una grandezza e` solo un’astrazione, perche´ qualunque valore e` il risultato di una misurazione, e misure diverse della stessa grandezza possono fornire risultati piu` o meno diversi, secondo il particolare procedimento adottato. In definitiva, ogni misurazione possiede una quota di incertezza, strettamente connessa con l’azione stessa del misurare, che e` un’attivita` sperimentale: ogni misurazione, compresa quella ideale che dovrebbe darci il valore cosiddetto vero, rappresenta solo una stima, piu` o meno attendibile, di quel valore. Proviamo a spiegarci con un esempio: quanti telespettatori guardano un certo canale televisivo in un dato momento? Sappiamo che l’Auditel fornisce una risposta a questa domanda, ma i dati Auditel sono valori veri? In effetti essi non sono ricavati dal controllo dell’intera popolazione di telespettatori, ma sono solo delle stime, ricavate da misure condotte su un campione rappresentativo della popolazione di teleutenti. Tuttavia questo non significa che quei dati non siano attendibili, perche´ la statistica li rende tanto credibili da farne la base di scelte economicamente rilevanti, come lo stabilire le tariffe pubblicitarie o decidere quali sono i programmi televisivi da promuovere. 15

Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Capitolo 18 - Teoria elementare della misura ed elaborazione dati

La misurazione di una grandezza fisica pone un problema analogo: per conoscerne il valore vero dovremmo fare la media di un numero infinito di misurazioni (che sarebbe la popolazione delle misure di quella grandezza) con il migliore strumento a disposizione. Dato che questo e` impossibile, si puo` solo stimare questo valore basandosi su un campione di misure, vale a dire un numero finito di misure della stessa grandezza. In conclusione, quando si parla di valore vero si deve intendere la migliore stima disponibile per quella data grandezza. Per indicare tale valore si usa anche il termine accettato. Il compito di uno sperimentatore e` quello di operare cercando di minimizzare lo scarto tra le proprie misure e il valore vero, riducendo nel contempo l’incertezza. A questo proposito un aspetto importante da considerare e` lo scopo della misurazione. La stessa incertezza puo` assumere significati diversi in termini di qualita`: lo scarto di 1 kg sul peso di una persona puo` avere poca importanza per una persona qualunque, ma puo` essere determinante per un fantino o un lottatore che deve rientrare nel peso della propria categoria. Il fatto che un’acqua contenga 60 mg  L1 di ioni nitrato, piuttosto che 35 mg  L1 , comporta una differenza di soli 25 mg  L1 , ma e` tale da mettere l’acqua fuorilegge (il limite per l’acqua potabile, infatti, e` 50 mg  L1 ). Un’incertezza di 20  30 mg  L1 in tali misure potrebbe avere conseguenze rilevanti dal punto di vista sociosanitario, e non sarebbe assolutamente trascurabile!

Diversi metodi possono essere scelti per stabilire il valore accettato di una misurazione. Organismi appositi, come per esempio il NIST americano, producono standard certificati, oppure si possono usare i reagenti standard in commercio, o ancora l’insegnante puo` preparare uno standard a partire da reagenti puri. Se si determina il valore di una costante fisica, il confronto puo` essere fatto con i valori riportati nella letteratura.

Lo scopo di una misurazione e` quindi parte integrante e fondamentale del processo, che non puo` concludersi con la semplice indicazione di un numero con la relativa unita` di misura: il dato analitico che conclude un’analisi chimica dovrebbe riportare anche i margini di incertezza che sono associati al valore comunicato.

3

LE FONTI DELL’INCERTEZZA Supponiamo di dover prelevare mezzo litro d’acqua per preparare una soluzione. Per semplicita` utilizziamo un becher che presenta un’opportuna scala graduata e misuriamo, con la massima attenzione, il volume prestabilito. Qual e` l’incertezza associata a quest’operazione? E` possibile verificarla usando strumenti piu` accurati del becher (per esempio, la bilancia) per misurare la quantita` d’acqua prelevata: ripetendo i prelievi, pur mantenendo la stessa attenzione in tutte le fasi del processo, si noterebbe che i valori non coincidono, ma sono distribuiti in un certo intervallo. Lo scostamento di una misurazione dal valore vero si chiama scarto (o errore, anche se questo termine non significa necessariamente presenza di sbagli). La classificazione degli errori e` riconducibile a due tipologie: . errori sistematici o determinati; . errori casuali o indeterminati.

Un errore sistematico deriva da qualche fattore, presente nel processo di misurazione, che provoca una deviazione dal valore vero sempre identica, tutte le volte che si esegue quella misura. La causa di tale errore puo` essere lo strumento (come un pHmetro tarato in modo non corretto) o il metodo utilizzato per l’analisi (come la solubilita` di un composto determinato tramite precipitazione o la presenza di interferenze non eliminate). 16 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

3. Le fonti dell’incertezza

In linea di principio questi errori possono essere scoperti e corretti, anche se e` difficile individuarli. La loro ricerca puo` essere effettuata tramite misurazioni di standard di riferimento; se non si riesce a individuare la fonte dell’errore e a eliminarla, si puo` usare la misura dello standard per definire un fattore di correzione da applicare a tutte le misurazioni. Un errore casuale si verifica in modo discorde ogni volta che si effettua la misurazione: i molteplici fattori indeterminati che influiscono sul processo di misurazione si combinano ogni volta in modo diverso e cio` produce deviazioni assolutamente imprevedibili nel risultato. Tale tipo di errore produce differenze tra misurazioni ripetute, nonostante gli sforzi per eseguirle tutte esattamente nello stesso modo. Un esempio e` dato dalla lettura di una scala di uno strumento: ripetendo la misura si hanno valutazioni dell’indice di scala che possono variare ogni volta. L’influenza di tale errore sul risultato puo` essere limitata aumentando il numero di misurazioni e mediando i risultati: in questo modo gli errori casuali tendono a compensarsi. La somma dell’errore sistematico e casuale di ciascuna misurazione e` il suo scarto.

Per operare correttamente, le indicazioni derivanti da questa analisi delle fonti di errore consistono nel: . verificare l’efficienza dei dispositivi e dei materiali utilizzati per l’analisi (in

modo da ridurre al minimo gli errori sistematici); . effettuare serie di misure; il caso della misurazione singola non puo` essere la norma ma deve rappresentare l’eccezione. Il grafico che segue riassume gli aspetti principali degli errori di una misurazione. Un errore di misurazione si verifica coerentemente

incoerentemente per cui e` classificato come

sistematico

casuale e causa

minore accuratezza

minore precisione L’effetto dell’errore puo` essere ridotto

misurando uno standard e applicando un fattore di correzione

ripetendo le misure e mediando i risultati

E` bene sottolineare che, se si vuole operare per ridurre l’incertezza complessiva di un processo di misurazione, e` consigliabile concentrare l’attenzione sulla misurazione piu` incerta dell’intero processo, che in definitiva e` quella determinante. E` del tutto inutile acquistare sofisticati e costosi strumenti se si usa, per 17 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Capitolo 18 - Teoria elementare della misura ed elaborazione dati

esempio, vetreria di classe B (non certificata) o se le operazioni di campionamento non sono effettuate in modo accurato. Come si fa a quantificare l’inevitabile incertezza di ogni misurazione? Tale tematica e` affrontata dalla statistica, che qui non sviluppiamo in modo approfondito. Ci limitiamo a presentarne alcune linee essenziali, necessarie per un primo approccio all’analisi chimica.

4

LA VALUTAZIONE DELL’INCERTEZZA DI UNA MISURAZIONE SINGOLA Quando si determina una grandezza tramite una sequenza di operazioni, come in una normale analisi quantitativa, non sempre tutte le misure possono essere ripetute (per esempio, un campione da sottoporre ad analisi viene pesato una sola volta, un dato volume viene prelevato una sola volta ecc.). L’incertezza del risultato finale deriva in questo caso dal cumulo delle incertezze di ciascuna operazione. La valutazione dell’incertezza di una misurazione singola si puo` esprimere in base alle prestazioni del particolare strumento utilizzato. Quelle che seguono sono le piu` importanti. . Risoluzione (leggibilita`) della scala dello strumento utilizzato. Per esempio,

se una bilancia ha una risoluzione di 0,1 mg (e` il caso delle comuni bilance analitiche), cio` significa che i valori presenti sulla scala dell’apparecchio sono tali da non consentire una lettura inferiore a questo intervallo. In quest’ambito la misurazione e` incerta. . Tolleranza, che rappresenta lo scarto massimo tra il valore nominale indicato dallo strumento e quello effettivo. La tolleranza non e` una grandezza legata alla particolare misurazione effettuata, ma piuttosto una specifica di produzione dello strumento, usata soprattutto per la vetreria di laboratorio destinata a misurare in modo accurato volumi di liquido. Essa puo` essere usata come indicatore del massimo scarto di una misurazione effettuata con quel particolare strumento. Per esempio, una tolleranza di  0,06 mL per una pipetta da 25 mL significa che il produttore assicura che all’uscita dalla fabbrica il volume erogato non differisce da 25 mL per piu` di 0,06 mL. Analogamente, in un matraccio tarato da 50 mL con tolleranza 0,08 mL, il volume contenuto fino alla tacca dovrebbe essere compreso fra 49,92 e 50,08 mL. . Precisione (riproducibilita`) dello strumento, che esprime la sua capacita` di fornire misure simili dello stesso campione, se eseguite ripetutamente. Viene abitualmente dichiarata e certificata dal fabbricante, ma puo` anche essere controllata in laboratorio. Solitamente e` espressa in termini di deviazione standard. Per esempio, nel caso della bilancia, l’operazione si puo` effettuare misurando ripetutamente una determinata massa a temperatura e umidita` costanti.

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ESPRESSIONE DEL RISULTATO DI UNA SERIE DI MISURE Abbiamo detto (3Par. 3) che il risultato di un’analisi non dovrebbe derivare da una singola misurazione ma da una serie, il che di norma comporta la presenza di risultati diversi tra loro (anche se qualche valore puo` ripetersi). 18

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5. Espressione del risultato di una serie di misure

Per rappresentare in modo adeguato l’insieme delle misure di una serie si usano un indicatore di posizione e un indicatore di dispersione. Il primo esprime il valore ritenuto migliore e rappresentativo di tutto l’insieme delle misure. Viene scelto per indicare il valore che si suppone vero, e quindi ha a che fare con l’esattezza del risultato. Il secondo si riferisce all’incertezza del risultato e contiene l’indicazione dell’intervallo numerico entro il quale potrebbe rientrare il valore vero; si riferisce quindi alla precisione della serie di misure. Indicatori di posizione: scelta del valore centrale di una serie di dati

Esattezza e accuratezza sono termini che indicano qualitativamente la bonta` di una misurazione e non vanno espressi con valori numerici.

Come indicatore di posizione di un insieme di dati si assume abitualmente la media aritmetica (o semplicemente media), definita dalla somma di tutti i valori (xi) diviso il loro numero (N), ovvero: P xi x¼ N Lo scarto tra media delle misure (x) e valore vero (), risultato di un’ipotetica serie infinita di misure, e` inversamente correlato con l’esattezza del risultato ed e` influenzato dagli eventuali errori sistematici. L’accordo tra una singola misurazione (xi ) e il valore vero () e` correlato con l’accuratezza di quella misurazione ed e` influenzato sia da errori sistematici sia da errori casuali. Lo scarto puo` essere espresso in tre modi: 1. errore assoluto (Eass); e` la differenza tra una misurazione (xi) e il valore vero ( ): Eass ¼ xi   2. errore relativo (Erel); e` il rapporto tra Eass e : xi   Erel ¼  3. errore percentuale (E%); e` Erel moltiplicato per 100: xi    100 E% ¼  Per esempio, supponiamo di aver determinato la concentrazione di proteine in un alimento, il cui valore certificato e` del 3,45%, ottenendo i seguenti valori: 3,50

Altri indicatori di posizione possono essere: la mediana, che corrisponde al dato che divide a meta` la serie quando i valori raccolti sono posti in ordine crescente o decrescente; la moda, ossia il dato che si ripete piu` volte in una serie. Nella maggior parte dei casi i valori che si registrano sono distribuiti in modo abbastanza omogeneo intorno a un valore medio e quindi l’indicatore di posizione piu` utilizzato e` la media aritmetica.

3,44

3,44

3,46

3,45

3,44

3,46

Relativamente a questa serie: – l’errore assoluto della terza misurazione e` 3,44  3,45 ¼ 0,01 – la media e` 3,46 (la calcolatrice fornisce il valore 3,4557142 ma, come vedremo, bisogna arrotondare a tre cifre); – la mediana e` 3,45, mentre la moda e` 3,44 (3nota a margine). Altri esempi di espressione dell’errore in situazioni interessanti per un analista chimico sono i seguenti. . Un analista misura la concentrazione di cloruri in una soluzione standard

preparata da un ente preposto alla certificazione della qualita` dei laboratori chimici e stabilisce che il valore piu` probabile e` di 35 mg  L1 , mentre il 19

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Capitolo 18 - Teoria elementare della misura ed elaborazione dati

valore certificato e` di 40 mg  L1 . L’errore assoluto (5 mg  L1 ) e` piuttosto piccolo, ma l’errore relativo e` 0,125 (il 12,5%), un valore non necessariamente trascurabile. . La concentrazione di rame in un vino ha dato come valore piu` probabile 0,43 mg  L1 , contro un valore certificato di 1,2 mg  L1 . L’errore assoluto e` di soli 0,77 mg  L1 , ma l’errore percentuale e` piu` del 64%! Inoltre, per legge, un vino non puo` contenere piu` di 1 mg  L1 di rame, per cui l’errore dell’analista e` particolarmente grave. . Il limite per la concentrazione di piombo nelle acque e` di 0,050 mg  L1 e un analista alle prime armi ha determinato in un’acqua di citta` 0,011 mg  L1 , mentre il valore accettato e` 0,008 mg  L1 . In tal caso l’errore assoluto e` molto piccolo (0,003 mg  L1 ) e quello percentuale piu` del 37%, quindi piuttosto alto. La valutazione della prestazione dell’analista, pero`, non deve essere cosı` negativa come potrebbe sembrare, perche´ a concentrazioni cosı` basse e` difficile ottenere risultati migliori e, d’altra parte, siamo ben al di sotto del valore limite, cioe` lontano da livelli che potrebbero creare problemi sul piano sanitario e legale. Indicatori di dispersione: precisione, range e deviazione standard, coefficiente di variazione

Un importante criterio di valutazione della qualita` di una serie di misure consiste nel determinare la dispersione intorno al valore centrale, che e` in relazione con la precisione della serie di dati. Un parametro immediato e semplice da calcolare per valutare la dispersione e` l’intervallo dei valori, detto dispersione assoluta o range (R), ovvero la differenza tra il valore massimo e il valore minimo della serie. Un parametro simile, proposto da alcuni autori, e` la semidispersione assoluta, che e` la meta` del range (R/2). Entrambi i parametri forniscono informazioni di modesta portata sulla precisione della serie, in quanto si limitano a esprimere l’estensione dei dati raccolti, ma non danno alcuna indicazione sulla loro distribuzione intorno al valore centrale. Consideriamo ancora la determinazione delle proteine vista sopra, la cui media e` 3,46. Si ha: R ¼ 3,50  3,44 ¼ 0,06 R/2 ¼ 0,03 Il risultato finale, quindi, puo` essere espresso nel modo seguente: 3,46  0,03 Si nota che questo intervallo (da 3,43 a 3,49) comprende quasi tutti i dati raccolti. Quindi R/2 esprime abbastanza bene l’ampiezza della variabilita` dei dati di questa serie. Una migliore stima della dispersione di una serie di misure e` espressa da un parametro statistico, la deviazione standard (s). Essa puo` essere calcolata per mezzo di formule relativamente laboriose, ma ricordiamo che le calcolatrici scientifiche tascabili, lavorando in modalita` statistica, permettono di calcolare sia la media sia la deviazione standard di una serie di dati. Invitiamo pertanto a consultare il manuale della calcolatrice e a impratichirsi con questa applicazione, molto efficace e utile nel lavoro sperimentale di laboratorio. Nel Paragrafo 7 viene trattato in modo piu` approfondito il tema della valutazione della dispersione di una serie di misure. 20 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

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sospetto che si tratti di un dato anomalo (o aberrante), perche´ potrebbe darsi che nella sua determinazione si sia verificato qualche errore grossolano. Se e` cosı` bisognera` scartarlo, affinche´ esso non influisca sul risultato finale, ma se cosı` non e` la sua eliminazione costituisce una scelta arbitraria, che sottrae un dato significativo dalla serie di misure. Sulla scelta di scartare un dato o meno influiscono due considerazioni opposte: 1. da una parte si rischia di trascurare valori che sono attendibili, e quindi necessari per la corretta espressione del risultato; scartare valori attendibili significa ridurre la probabilita` di avvicinare il valore vero; 2. dall’altra parte, se si vuole evitare di scartare valori che rappresentano comunque il risultato di determinazioni effettuate, si rischia di considerare validi anche valori che potrebbero essere affetti da errori grossolani, riducendo cosı` l’esattezza del risultato finale. Un dato sospetto puo` essere scartato solo in base a un test statistico adeguato. Tra i molti disponibili citiamo uno dei piu` usati: il Q-test (noto anche come test di Dixon). Per applicarlo si confronta lo scarto tra il dato sospetto e quello a esso piu` vicino con il range, tenendo conto del numero complessivo dei dati. Nel caso piu` semplice (e piu` frequente) di un numero di dati non superiore a 7, per decidere quale dato scartare si procede come segue: . si calcola il range (R ¼ valore massimo  valore minimo); . si calcola la differenza in valore assoluto () tra il valore sospetto e quello ad

esso piu` vicino; . si calcola il rapporto Qsp ¼

 R

. si confronta Qsp con il valore (Qtab) riportato in apposite tabelle

(3Tab. 18.3). Il valore da scegliere nella tabella e` diverso a seconda del numero di dati della serie e della probabilita` entro cui si vuole operare (nella tabella sono riportati valori corrispondenti alla probabilita` del 90%); Tabella 18.3 Valori di Qtab per il test di Dixon.

Numero di prove

Qtab 90%

3 4 5 6 7

0,94 0,76 0,64 0,56 0,51

. se Qsp > Qtab, al livello di probabilita` scelto, il dato e` anomalo e quindi va

scartato; . diversamente, il dato sospetto deve essere mantenuto. Riprendiamo in esame la determinazione delle proteine vista in precedenza, elencando i valori in ordine decrescente: 3,50

3,46

3,46

3,45

3,44

3,44

22 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

3,44

Capitolo 18 - Teoria elementare della misura ed elaborazione dati

Lo zero come cifra significativa

E` opportuno fare alcune precisazioni sull’uso dello zero come cifra significativa. Lo zero e` significativo se: . si trova fra due cifre significative (cioe` all’interno di un numero); . si trova al termine di un numero decimale.

Gli zeri che precedono un numero non sono significativi, a meno che non si trovino subito dopo la virgola in un numero che rappresenta un logaritmo. Se il valore di una misurazione e` espresso da un intero, gli zeri eventualmente al termine del numero non sono significativi perche´ la loro presenza dipende dalla scelta dell’unita` di misura. I seguenti esempi numerici chiariscono le regole appena date: . 2,304 ha quattro cifre significative, cosı` come 12,30; . 0,0507 ha tre cifre significative perche´ i primi due zero non lo sono; . 0,072, inteso come il logaritmo decimale di 1,18, ha tre cifre significative (le

tre dopo la virgola, compreso lo zero); . la misurazione 56 km ha due cifre significative; se la si esprime in metri il suo valore diventa 56 000 m, ma anche scritta cosı` le cifre significative rimangono due; se la misurazione fosse 56,000 km, in metri sarebbe ancora 56 000 m, ma in questo caso le cifre significative sarebbero cinque e non due. Relativamente all’ultimo caso, che lascia intravedere un’ambiguita` nella definizione della significativita` degli zeri in un intero, si osserva che con la notazione scientifica tale ambiguita` scompare. La prima misurazione sarebbe espressa come 5,6  10 km oppure 5,6  104 m; la seconda misurazione sarebbe 5,6000  10 km o 5,6000  104 m. Entrambe le misurazioni sono espresse sempre con un numero di cifre significative non ambiguo. Arrotondamento di valori calcolati

Poiche´ i valori che rappresentano misure sono espressi con un numero di cifre determinato dall’incertezza, e` importante considerare con quante cifre si devono esprimere i valori calcolati a partire da misure. Il risultato aritmetico di un’operazione, infatti, generalmente ha un numero di cifre diverso da quello dei termini dell’operazione stessa. Per esempio, la densita` di un liquido si ottiene sperimentalmente tramite un calcolo (basato sulla misurazione di massa e volume di una certa quantita` di liquido). Poniamo che le misure siano 5,4 g e 4,8 mL, con un’incertezza intorno al 2% (piu` o meno 1 su 50); il calcolo della densita` fornisce il valore di 1,125 g  mL1 . Lasciato cosı`, quel valore indicherebbe che 1 mL di quel liquido pesa 1,125 g, esprimendo un’incertezza di circa 1 su 1125 (0,08%): e` come se si fossero stimati anche i milligrammi, nella misurazione di massa, mentre si e` arrivati solo a valutare i decigrammi. Il valore calcolato, cosı` espresso, contiene troppe cifre, piu` di quelle significative. Quando si tronca un numero per ridurre il numero di cifre significative, si effettua il cosiddetto arrotondamento come segue: . se la prima cifra scartata e` maggiore o uguale a 5 si aumenta di una unita`

l’ultima cifra significativa (se pero` il 5 sta in fondo al numero, e non e` seguito da altre cifre, si approssima al numero pari piu` vicino); . se la prima cifra scartata e` minore di 5 si lascia invariata l’ultima cifra significativa. 24 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

6. Cifre significative

Per esempio, il numero 35,87 (quattro cifre significative) puo` essere arrotondato a 35,9 (tre cifre significative), perche´ la cifra scartata (7) e` maggiore di 5. Attenzione: se scrivessimo 35,90, le cifre significative sarebbero ancora quattro. Se invece occorrono due sole cifre significative, si arrotonda a 36. Nel caso del calcolo della densita` del liquido citato in precedenza, il risultato dev’essere espresso con due cifre, per cui si arrotonda a 1,1 g  mL1 . Poiche´ le cifre significative di un valore calcolato dipendono dall’incertezza delle misure su cui si basa il calcolo, la scelta del numero di cifre da mantenere segue alcune regole, che qui esponiamo in forma alquanto semplificata. In primo luogo occorre distinguere le operazioni di addizione e/o sottrazione dalle operazioni di moltiplicazione e/o divisione. Per i due casi si procede come indicato di seguito. Cifre significative nelle operazioni di addizione/sottrazione. Si scrivono in colonna i valori da sommare/sottrarre; il risultato va arrotondato in corrispondenza della posizione della cifra finale piu` a sinistra nei numeri sommati/ sottratti. La somma aritmetica delle misure:

3,576

67,32

1259,1

e` 1329,996. Per decidere l’arrotondamento, si pongono in colonna i valori: 3,576 þ 67,32 þ 1259,1 ¼

numero con cifra finale piu` a sinistra

1329,996 e si arrotonda alla prima cifra decimale in 1330,0. Cifre significative nelle operazioni di moltiplicazione/divisione. Se il calcolo

riguarda un prodotto o un quoziente, il risultato va arrotondato in modo da avere lo stesso numero di cifre significative del fattore che ne ha di meno. Il risultato numerico del prodotto: 3,1416  28,5 e` 89,5356. Questo numero deve essere arrotondato a 89,5, che ha tre cifre significative (come 28,5). Operazioni in ‘‘cascata’’. Molte volte le operazioni di calcolo si susseguono l’una all’altra perche´ il risultato di una diventa un termine per eseguire la successiva. In questo caso e` consigliabile non arrotondare il risultato di ogni singola operazione, ma solo quello finale, troncando il risultato in base al numero di cifre ritenuto necessario. Per fare questo, se si utilizza una calcolatrice, e` sufficiente non azzerare i valori di volta in volta calcolati, lasciandoli sul display e impostando con essi l’operazione successiva. Quando si e` costretti ad azzerare, si puo` mettere in memoria il risultato provvisorio e prelevarlo quando serve. Nei valori intermedi di una sequenza di calcolo e` bene mantenere un numero di cifre maggiore di quello strettamente necessario, arrotondando al corretto numero di cifre solo il risultato finale. Questa abitudine permette di evitare che l’accumulo di arrotondamenti porti il risultato a scostarsi sensibilmente dal valore corretto.

25 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Capitolo 18 - Teoria elementare della misura ed elaborazione dati

7

VALUTAZIONE DELL’INCERTEZZA DI MISURE SPERIMENTALI L’attendibilita` delle misurazioni effettuate va sempre verificata. Occorre cioe` chiedersi se tutti i valori della serie corrispondono a misure valide o se qualcuno di essi e` affetto da errori grossolani. In quest’ultimo caso va considerata l’eventualita` di scartare i valori sospetti, per impedire che essi influenzino il risultato finale. La decisione relativa allo scarto si fonda sull’applicazione di opportuni test statistici, tra i quali uno dei piu` usati e` il Q-test, detto anche test di Dixon (3Par. 5). Una volta stabilite quali sono le N misure che appartengono alla serie, il risultato si esprime di solito tramite la P media, espressa da: xi x¼ N Un secondo parametro statistico molto importante tiene conto della dispersione delle misure e serve a indicare l’incertezza del risultato acquisito. Esso e` la deviazione standard, definita da: !12 P ðxi  xÞ2 s¼ ðN  1Þ La correlazione tra incertezza e deviazione standard deriva dalla trattazione statistica delle distribuzioni dei dati sperimentali, che e` comunemente indicata come curva gaussiana (o distribuzione gaussiana) (3Fig. 18.3).

Figura 18.3 Esempi di curve di distribuzione ‘‘normale’’ o gaussiana.

Se si costruisce un grafico che rappresenta la distribuzione di una serie infinita (ovviamente solo per ipotesi) delle misure di una grandezza soggette solo a errori casuali, si ottiene una curva a campana nella quale il valore massimo corrisponde alla media delle misure e divide la curva in due meta` simmetriche. Questo viene assunto come ‘‘valore vero’’ della grandezza misurata. La dispersione delle misure e` visivamente indicata dalla larghezza della campana: se essa e` ampia, la curva e` schiacciata e la dispersione dei dati e` elevata. Viceversa, se i dati sono poco dispersi, la curva risulta come un picco molto stretto (3Fig. 18.4). (b)

Figura 18.4 Due esempi di distribuzione gaussiana con lo stesso valore ‘‘vero’’: (a) molto dispersa; (b) poco dispersa.

(a)

Matematicamente, una curva gaussiana e` definita da due parametri: il valore centrale della distribuzione  (valore medio o ‘‘vero’’) e la deviazione standard della serie di dati . La relazione che definisce quest’ultima e`: sffiffiffiffiffiffiffiffiffiffiffiffiffiffiffiffiffiffiffiffiffiffiffi P ðxi  Þ2 ¼ N 26 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

7. Valutazione dell’incertezza di misure sperimentali

In una distribuzione gaussiana di dati, l’intervallo    contiene il 68,3% di tutti i valori. Estendendo l’intervallo a   2 oppure a   3 si comprendono, rispettivamente, il 95,4% o il 99,7% dell’insieme di dati (3Fig. 18.5). Avendo a disposizione un numero limitato di misure e non essendo possibile conoscere , si calcolano la media x e la deviazione standard stimata s (espressa da una relazione matematica diversa da quella di ). Figura 18.5 Esempio di distribuzione gaussiana di dati.

Per indicare l’intervallo numerico entro cui si ritiene possa rientrare il ‘‘valore vero’’ di una misura (detto intervallo di fiducia), si applicano test statistici basati sulla deviazione standard che non discuteremo in questa sede. Per il momento possiamo ritenere che l’intervallo  s intorno a x costituisca una buona indicazione dell’incertezza di una misura. La prima cifra diversa da zero della deviazione standard corrisponde di fatto alla posizione della prima cifra incerta della media: questo definisce il numero di cifre significative con cui va espresso il risultato di una serie di misure.

In assenza di indicazioni esplicite sull’entita` di s, si assume che l’ultima cifra significativa di una misura possa variare di  1. Il quadrato della deviazione standard e` un secondo parametro legato alla dispersione di una serie di valori. Esso si chiama varianza e corrisponde a: P ðxi  xÞ2 2 v¼s ¼ ðN  1Þ La varianza e` a volte detta scarto quadratico medio, perche´ rappresenta la media dei quadrati degli scarti di ogni valore. Essa e` un parametro importante, perche´ la varianza della combinazione algebrica di piu` misure e` data dalla combinazione delle varianze di ciascuna. In particolare, la varianza di una somma algebrica e` la somma delle varianze assolute degli addendi: vaþbþc ¼ va þ vb þ vc La varianza relativa di un prodotto e` invece data dalla somma delle varianze relative dei singoli fattori: detti xa e xb due fattori, rispettivamente con varianza va e vb, le loro varianze relative sono: va vb e xb xa 27 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Capitolo 18 - Teoria elementare della misura ed elaborazione dati

Per il prodotto xa  xb , la sua varianza relativa (vrel ab ) e` data da: v va v vrel ab ¼ ab ¼ þ b xa  xb xa xb Da queste considerazioni discendono le regole semplificate esposte in questo capitolo per determinare il numero di cifre significative di un risultato calcolato da piu` misure. Negli esempi che seguono ne diamo una dimostrazione. ESEMPIO 1

Verificare che, sommando piu` misure, la deviazione standard del risultato e` la stessa dell’addendo con la cifra significativa posta piu` a sinistra. Supponiamo di sommare due masse, m1 ¼ 3,75 g e m2 ¼ 0,0394 g. Le cifre significative di entrambe sono tre, ma m1 e` incerta di  0,01 g, e m2 di  0,0001 g. In base alle regole esposte in precedenza, la varianza della somma (m1 þ m2) e` calcolabile come segue: vm1 þ m2 ¼ vm1 þ vm2 ¼ ð 0,01 gÞ2 þ ð0,0001 gÞ2 ¼ 0,0001 g2 da tale varianza si calcola la deviazione standard: sm1 þ m2 ¼ ðvm1þm2 Þ1=2 ¼ ð0,0001 g2 Þ1=2 ¼  0,01 g Pertanto la somma delle masse, che algebricamente sarebbe 3,7894 g, va troncata alla seconda decimale, dando il risultato: m1 þ m2 ¼ 3,75 g þ 0,0394 g ¼ 3,79 g

ESEMPIO 2

Moltiplicando due misure, V ¼ 28,55 mL e M ¼ 0,12 mmol  mL1 , si ottiene algebricamente 3,426 mmol. Con quante cifre significative va espresso tale risultato? Le deviazioni standard relative di volume e molarita` sono rispettivamente: sV  0,01 mL ¼ ¼  0,00035 V 28,55 mL sM  0,01 mmol  mL1 ¼  0,08333 ¼ 0,12 mmol  mL1 M La deviazione standard relativa del prodotto risulta pertanto:     1=2 sVM sV 2 sM 2 ¼ ¼ ½ð 0,00035Þ2 þ ð 0,08333Þ2 1=2 ¼ þ VM V M ¼ ½0,00694461=2 ¼  0,08333 Cioe` e` la stessa di 0,12 M, il fattore con il minore numero di cifre significative. Volendo calcolare sVM si deve moltiplicare la deviazione relativa per il valore a cui e` riferita, cioe` 3,426 mmol: sVM ¼ 0,08333  3,426 mmol ¼ 0,29 mmol La prima cifra incerta di questo prodotto V  M e` quindi la prima decimale. Il risultato va riportato come segue: 28,55 mL  0,12 M ¼ 3,4 mmol con due cifre significative, tante quante ne ha 0,12 M. 28

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7. Valutazione dell’incertezza di misure sperimentali

Talvolta, nella pratica di laboratorio, puo` succedere di non disporre di risultati ottenuti da una serie di misure, ma solo da misure singole e di dover utilizzare questi dati in calcoli con diverse operazioni aritmetiche (per la valutazione dell’incertezza di una singola misurazione vedi Par. 18.4). Anche in questi casi, per determinare l’incertezza del risultato, si puo` procedere come abbiamo appena visto: per addizione e sottrazione si utilizzano le incertezze assolute, mentre per moltiplicazione e divisione bisogna prima calcolare le incertezze relative.

ESEMPIO 3

Si vuole calcolare la concentrazione molare di un analita in una soluzione ottenuta mescolando due soluzioni contenenti, rispettivamente, 2,80 ( 0,02) e 1,60 ( 0,02) millimoli. Il volume finale e` 18,80 ( 0,05) mL. Calcolare l’incertezza della sequenza di calcolo ed esprimere con il corretto numero di cifre significative il risultato finale. Il calcolo e`: 2,80ð0,02Þ þ 1,60ð0,02Þ mmol ¼ 0,23784 M 18; 50ð0,05Þ mL Per la somma: ( 0,02)2 þ ( 0,02)2 ¼ 0,0008 e l’incertezza assoluta risulta pari a 0,00081=2 , ovvero  0,028. Si considera poi il seguente quoziente: 4,400ð0,028Þ mmol 18,50  0,05 mL Le incertezze relative dei due fattori risultano: 0,028 ¼ 0,0064 4,400 0,05 ¼ 0,0027 18,50 Per il quoziente: (0,0064)2 þ (0,0027)2 ¼ 0,000048, da cui si calcola l’incertezza relativa ¼ 0,0000481=2 ¼ 0,0069. Volendo ricavare infine l’incertezza assoluta del quoziente 0,23784, si esegue il calcolo: 0,0069  0,23784 ¼ 0,0016 e quindi l’incertezza di tutta la sequenza di calcolo risulta  0,002 (va considerata solo la prima cifra intera del valore ottenuto, con l’opportuno arrotondamento). La concentrazione dell’analita e`: 0,238  0,002 M.

ESERCIZIO 1

Per determinare la concentrazione di HCl in una soluzione sono stati titolati 10,00 ( 0,05) mL di soluzione dell’acido con 17,20 ( 0,05) mL di una soluzione 0,208 ( 0,001) M di NaOH. Esprimere il risultato analitico con indicato il margine di incertezza. 29

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Capitolo 18 - Teoria elementare della misura ed elaborazione dati

ESERCIZIO 2

In una titolazione di ritorno si deve calcolare la concentrazione di un analita in un campione, espressa in eq  L1 . I dati sperimentali sono: milliequivalenti totali di titolante: 28,4 ( 0,02) milliequivalenti in eccesso: 17,6 ( 0,02) volume di campione: 10,00 ( 0,05) mL. Esprimere il risultato analitico con indicato il margine di incertezza.

ESEMPIO 4

Calcolare l’incertezza della standardizzazione di una soluzione di HCl (3Cap. 24) condotta mediante la titolazione di una quantita` nota di uno standard, Na2 CO3 . Le misure effettuate nella standardizzazione, indicate con la loro incertezza, sono: . . . .

azzeramento bilancia con contenitore: 0,0000  0,0001 g pesata di Na2 CO3 : 0,2071  0,0001 g lettura finale della buretta: 43,25  0,02 mL lettura iniziale della buretta: 0,00  0,02 mL

La concentrazione di HCl si ottiene dal calcolo: M(HCl) ¼

massa Na2 CO3 mol HCl 1 2  MM (Na2 CO3 ) mol Na2 CO3 V (HCl)

L’incertezza della pesata di Na2 CO3 e`: [(  0,0001)2 þ (  0,0001)2 ]1=2 g ¼  0,00014 g L’incertezza relativa della pesata e`:    0,00014  100   0,07% 0,2071 In modo analogo si ottengono i valori del volume di soluzione impiegato nella titolazione (43,25 mL) e della sua incertezza ( 0,028 mL). L’incertezza relativa   del volume e`:  0,028  100   0,065% 43,25 Nel calcolo della molarita` di HCl queste due grandezze vanno divise, per cui l’incertezza relativa della molarita` si ottiene dalla somma delle incertezze relative appena calcolate: [(  0,07%Þ2 þ ð0,065%Þ2 1=2   0,1% Il valore assoluto di tale incertezza si ottiene moltiplicandola per la molarita` di HCl calcolata: 0,2071 g  2 ¼ 0,09036 mol  L1 M(HCl) ¼ 105,99 g  mol1  0,04325 L 0; 1%  0,09036 M ¼ 0,00009 M Il risultato finale puo` quindi essere espresso come: molarita` HCl = (0,09036  0,00009) M RISPOSTE

Esercizio 1: 0,358  0,003 M Esercizio 2: 1,080  0,006 N

30 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

19

Misure di massa

L

a bilancia e` lo strumento che permette di determinare la massa di un campione. Tradizionalmente si utilizzano i termini pesata e pesare per riferirsi a questa misura, anche se peso e massa sono grandezze fisiche diverse. Peraltro i chimici utilizzano spesso i due termini come sinonimi, anche se la dizione peso e` sempre meno utilizzata in favore di quella, piu` corretta, di massa.

1

LA BILANCIA Le principali caratteristiche di una bilancia sono: . la risoluzione (a volte indicata come sensibilita`, anche se non e` esattamente

. . . . .

la stessa cosa), che indica il piu` piccolo incremento di massa che lo strumento puo` rilevare; la portata, che rappresenta il carico massimo che la bilancia puo` sopportare; la linearita`, che esprime l’errore massimo di pesata che si puo` osservare sull’intero campo di misura; la temperatura di esercizio, che e` l’intervallo di temperatura in cui la bilancia e` affidabile, ossia rispetta le specifiche dichiarate dal costruttore; l’accuratezza, che e` un indice della concordanza tra la misura effettuata dalla bilancia e il valore standard di riferimento; la precisione (o riproducibilita`), che indica la concordanza di misure ripetute dello stesso oggetto.

Tipi di bilancia

I tipi di bilancia oggi disponibili soddisfano una gamma molto vasta di necessita` operative e, sostanzialmente, si distinguono in: – bilance tecniche, le piu` comuni hanno una portata di 0,5-2 kg e una risoluzione di 0,1-0,01 g; – bilance analitiche, le piu` comuni hanno una portata intorno ai 200 g e una risoluzione di 0,1 mg; – bilance di precisione (semimicro e micro), molto piu` raffinate perche´ consentono di leggere fino a 5 o 6 cifre decimali, con una risoluzione di 0,01 mg o addirittura di 0,001 mg. Dal punto di vista costruttivo, le moderne bilance si dividono in due grandi categorie. 31 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Capitolo 19 - Misure di massa

1. Bilance elettromeccaniche analogico-digitali Sono ormai tutte monopiatto (quelle classiche, a due piatti, sono ormai in disuso). Il loro meccanismo si basa su un giogo a bracci diseguali in cui il contrappeso, che deve controbilanciare la massa da misurare, e` rappresentato da una massa costante, mentre dal lato opposto si trova il piattello su cui va collocata la massa incognita e al quale e` collegato un sistema di masse tarate sollevabili a scelta per mezzo di un meccanismo a leva. Un sistema di smorzamento delle oscillazioni assicura la rapidita` delle operazioni di misura. 2. Bilance elettroniche (a compensazione elettromagnetica) digitali Questo tipo di bilancia applica un principio alquanto diverso, anche se si tratta pur sempre di controbilanciare la massa incognita per valutarne il valore. Nelle bilance elettroniche, sia tecniche che analitiche, il piattello e l’eventuale massa da pesare sono appoggiati a un cilindro metallico attorno al quale e` avvolta una bobina conduttrice attraversata da corrente. La bobina e`, a sua volta, immersa in un campo magnetico costante, che sviluppa una forza verso l’alto, tale da poterla mantenere sospesa nell’aria, insieme con il piatto soprastante (zero della bilancia) e l’eventuale massa incognita. Quando viene aggiunta quest’ultima, l’abbassamento del piattello viene rilevato da un sensore di posizione che comanda un circuito elettronico che riporta il piatto nella posizione iniziale. L’entita` delle variazioni subitedal circuito costituisce il segnaleche, opportunamente elaborato, permette la visualizzazione della misura. L’operazione e` completamente automatica, e questo accelera notevolmente i tempi di lavoro e compensa il maggior costo di questo tipo di bilancia, che peraltro, avendo meno organi meccanici nella struttura, risulta di per se´ molto robusto e poco sensibile alle vibrazioni. Operazioni di pesata

Lo schema generale per effettuare una pesata e` analogo per tutte le bilance, anche se con le moderne elettroniche e` certamente piu` semplice. Lasciando al manuale della singola bilancia i particolari operativi, in questa sede ci limiteremo a sintetizzare le operazioni principali. 1. Sblocco della bilancia. Vale soprattutto per quelle elettromeccaniche, i cui delicati dispositivi sono protetti da opportuni sistemi di bloccaggio che minimizzano specialmente l’usura dei coltelli (le lame che fanno da perno al sistema oscillante della bilancia). 2. Azzeramento. Con le bilance elettromeccaniche si agisce su apposite manopole, mentre con quelle elettroniche e` sufficiente azionare un pulsante che comporta l’azzeramento automatico. Se l’azzeramento non e` possibile, cio` indica che la bilancia non e` perfettamente funzionante. 3. Blocco della bilancia. Tale operazione e` necessaria con le bilance elettromeccaniche, per non sottoporre a usura i coltelli nel momento in cui viene collocata la massa incognita. 4. Collocazione della massa incognita. Va effettuata sempre con la massima delicatezza, in particolare con le bilance elettromeccaniche. 5. Misura. A questo punto le bilance elettroniche sono gia` in grado di fornire, in pochi secondi, il valore della massa incognita. Normalmente si osserva una certa oscillazione dell’ultima cifra decimale, che poi si assesta su un valore definito. 32 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

1. La bilancia

Con le bilance elettromeccaniche occorre invece porre la bilancia sulla posizione di semiblocco e modificare il carico del piatto agendo progressivamente sulle manopole, iniziando da quella corrispondente alle masse piu` alte (per esempio, agendo sulla manopola delle decine di grammi) e continuando fino a quella inferiore. In questa operazione, quando il display di lettura si colloca fuori scala, il valore della massa incognita e` stato superato. Quando il sistema rimane in scala, con l’ultima manopola si sblocca completamente la bilancia e si legge sul display il valore della misura. 6. Ripristino delle condizioni iniziali. In tutti i casi, terminata la misura, si deve riportare la bilancia nelle condizioni iniziali. Sulla bilancia elettronica si ripristina lo zero, mentre quella elettromeccanica va bloccata per togliere la massa incognita dal piattello e riportare a zero le manopole utilizzate nella pesata. Alla fine non bisogna mai dimenticare di ripulire con l’apposito pennello il piatto della bilancia. In caso di versamento di liquidi, bisogna rimuoverli con una spugnetta leggermente umida o con carta assorbente. Dev’essere anche assicurata la pulizia del piano di appoggio della bilancia. La corretta esecuzione delle misure esige anche l’osservanza di alcune precauzioni: . non usare la bilancia senza il consenso preventivo dell’insegnante; . gli oggetti da pesare non vanno mai toccati con le mani; . il contenitore e il campione vanno posti al centro del piattello; . tutte le sostanze vanno pesate in recipienti opportuni, accuratamente puliti

e, come criterio generale, questi non devono avere un peso eccessivo rispetto al campione; nella Figura 19.1 sono rappresentati alcuni tipici contenitori; i pesafiltri sono dotati di coperchio e sono utili per la pesata di sostanze igroscopiche; Figura 19.1 Contenitori per pesata: a. in plastica; b. in alluminio.

a b

. non deve mai essere superata la portata della bilancia, anzi, conviene tenersi . . . . .

ampiamente al di sotto; se si devono pesare sostanze volatili, bisogna usare recipienti ben chiusi; il campione deve avere all’incirca la stessa temperatura della bilancia; blocco e sblocco della bilancia vanno effettuati ruotando delicatamente le apposite manopole; la bilancia deve essere posta in piano controllando la bolla di livello; quando non e` utilizzata, la bilancia va tenuta con gli sportelli chiusi e possibilmente coperta con un’apposita cuffia; al suo interno non devono rimanere oggetti di alcun genere. 33

Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Capitolo 19 - Misure di massa

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ERRORI NELLE MISURE DI MASSA Alcune cause di errori sistematici in una pesata sono le seguenti. . Spinta di Archimede Se si pesa un oggetto la cui densita` e` considerevolmente diversa da quella delle masse utilizzate come standard, la spinta aerostatica, ovvero la spinta al ‘‘galleggiamento’’ dovuta all’aria, puo` essere cosı` diversa da causare errori significativi. Di fatto, l’entita` di tale errore e` in genere piuttosto piccola (per esempio, nel caso dell’acqua, l’errore e` dell’ordine dello 0,1%), ma per lavori molto accurati, o se si tratta di pesare un gas, si puo` ricavare il valore corretto in base alla conoscenza delle densita` del materiale pesato e delle masse certificate usate come standard. . Temperatura Se il campione ha una temperatura troppo diversa da quella della bilancia, si formano correnti convettive che ‘‘alleggeriscono’’ il campione. Quindi, in generale, un campione caldo pesera` sempre meno di quando e` freddo. Per esempio, si osserva che se un crogiolo o un pesafiltri sono tolti dalla stufa a 110 o C e pesati entro 15 min, la loro massa puo` risultare inferiore di diversi milligrammi a quella misurata a temperatura ambiente. Di fatto, e` bene che la temperatura di lavoro non si discosti troppo da 20  2-3 oC. . Cariche elettrostatiche Se l’ambiente e` particolarmente secco, gli oggetti accumulano cariche elettrostatiche che possono determinare errori significativi nella misura di massa. Quando si vuole evitare questo tipo di interferenza si adottano speciali accorgimenti, quali la presenza di unita` ionizzanti nel vano della bilancia o l’utilizzo di indumenti astatici.

L’errore percentuale di una pesata, dovuto a cause sistematiche o accidentali, si calcola mediante la formula:

errore % ¼

Secondo la statistica, la varianza di un dato ottenuto per somma o sottrazione di altri dati, e` la somma delle varianze di ciascun termine. Nella misura di massa con la bilancia analitica tale varianza e`: ( 0,1 mg)2 þ ( 0,1 mg)2 ¼ 0,02 mg2. La radice quadrata di questo valore esprime la deviazione standard del risultato, che rappresenta l’incertezza della pesata: 1 (0,02 mg2)2 ¼  0,14 mg.

scarto dal valore ‘‘vero’’  100 valore ‘‘vero’’

Si valuta che l’incertezza complessiva di una misura di massa corrisponda a circa  0,14 mg, considerando che l’incertezza della misura condotta con una normale bilancia analitica, in assenza di errori sistematici, e` almeno di  0,1 mg e che la determinazione della massa di un campione comporta sempre due misure (quella del recipiente vuoto, che lo deve contenere, e quella complessiva). L’errore percentuale, nel caso di una pesata dell’ordine di 1 g, risulta:  0,14 mg  100 ¼  0,014% 1000 mg Ovvero: e` praticamente trascurabile. Come si nota, minore e` la massa da pesare, maggiore e` l’errore percentuale di pesata, per cui e` bene, se possibile, pesare campioni oltre i 100-200 mg. 34 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

3. Pesata dopo riscaldamento

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PESATA DOPO RISCALDAMENTO Molto spesso il campione da pesare va essiccato o, a volte, portato a temperatura elevata per uniformare la sua composizione chimica. I dispositivi utilizzati a questo scopo sono i seguenti. . La stufa termostatica Di norma serve ad allontanare l’umidita` presente nei campioni. Puo` arrivare fino a 200-300 oC di esercizio e non richiede particolari accorgimenti; la circolazione dell’aria puo` essere a convezione naturale oppure forzata mediante un ventilatore. . La muffola Puo` raggiungere temperature superiori ai 1200 oC. E` rivestita internamente di materiale refrattario; la manipolazione dei campioni richiede apposite pinze a gambo lungo, per evitare ustioni. Occorre tenere presente che le temperature raggiunte sono tali da distruggere la maggior parte delle scritte fatte con penne, matite o pennarelli; pertanto la marcatura dei materiali va fatta con sistemi particolari.

Quando si deve effettuare la pesata di un campione riscaldato in stufa o in muffola e` assolutamente necessario che esso ritorni alla temperatura ambiente senza assorbire umidita` (per esempio, il solfato di bario proveniente dalla muffola e lasciato all’aria puo` aumentare il suo peso anche del 30%!). Quindi, facendo uso delle apposite pinze, il contenitore del campione viene trasferito in un essiccatore, ossia un contenitore (per lo piu` di vetro, ma per impieghi piu` blandi anche di materiale acrilico) che contiene sostanze fortemente igroscopiche, come per esempio gel di silice (di uso molto agevole ed economico perche´ rigenerabile semplicemente lasciandolo per un paio d’ore a 150-160 oC) o anche cloruro di calcio anidro, anidride fosforica ecc. Se il campione e` particolarmente caldo (come quando e` stato lasciato in muffola a temperature superiori ai 500 oC) e` bene lasciare socchiuso per qualche minuto il coperchio dell’essiccatore (o aperta la valvola, se esiste), in modo da evitare eccessivi aumenti di pressione al suo interno. Il campione da pesare, lasciato a riposo per circa un quarto d’ora nell’essiccatore chiuso, si raffredda senza catturare l’umidita` dell’aria e puo` essere quindi portato sulla bilancia. Occorre prestare particolare cura nell’apertura dell’essiccatore, perche´ il raffreddamento dell’interno determina una depressione che ne ostacola l’apertura. Se l’essiccatore possiede una valvola l’operazione e` semplice, perche´ si puo` ripristinare la pressione atmosferica, ma in caso contrario il rischio e` che, appena il coperchio lascia entrare l’aria, d’improvviso perda aderenza e sfugga alle mani dell’analista. E` bene quindi che il coperchio non venga spinto verso l’esterno, ma verso un braccio appoggiato contro di esso. Se si devono pesare sostanze igroscopiche, per non rischiare errori significativi, occorre adottare accorgimenti particolari: primo fra tutti l’uso di recipienti dotati di coperchio, ovvero dei gia` citati pesafiltri. Pesata a peso costante. Ogni volta che un contenitore o una sostanza devono

subire un trattamento termico, bisogna accertarsi che la loro massa sia la stessa prima e dopo il trattamento stesso. Questa operazione si chiama controllo del peso costante. Essa consiste nell’eseguire una serie di cicli riscaldamento/raffreddamento/pesata, fino a quando le due ultime pesate differiscono al massimo di 0,3 mg. Il controllo del peso costante va effettuato sia sul contenitore vuoto, la cui massa costituisce la tara della pesata finale, sia sul sistema (contenitore þ sostanza). 35 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

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Misure di volume

U

na delle operazioni di base dell’attivita` di laboratorio e` costituita dal prelievo e trasferimento di volumi per mezzo di apposite apparecchiature, genericamente indicate con il termine vetreria. Come per la misura della massa, e` importante conoscere la tipologia, le prestazioni e il modo di impiego degli strumenti piu` usati per manipolare volumi di liquidi.

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APPARECCHIATURE PER LE MISURE DI VOLUME La vetreria destinata a misurare i volumi si divide in due categorie: 1. quella concepita per contenere un dato volume, contraddistinta dalla sigla In; 2. quella destinata a erogare volumi misurati, contraddistinta dalla sigla Ex. Secondo la normativa tedesca DIN, le apparecchiature volumetriche si dividono poi nelle classi A, AS e B, che corrispondono alla certificazione delle loro prestazioni. Esamineremo ora, in breve, le caratteristiche di alcuni tipi di vetreria. . Vetreria In Bicchieri (becher o beaker), beute (Erlenmeyer flask), palloni (flask), provette sono usati come recipienti di reazione. I becher sono destinati a contenere liquidi non particolarmente volatili o pericolosi, mentre le beute possono essere usate per questo scopo grazie alla loro particolare conformazione. I palloni sono utilizzati per lo piu` per distillazioni o estrazioni, operazioni molto frequenti nel laboratorio di chimica organica. Le provette, considerate le ridotte dimensioni, servono per effettuare prove su piccola scala. Tutti questi contenitori possono essere dotati di una scala volumetrica sulle pareti, il cui valore e` puramente indicativo, cioe` non sufficientemente accurato per preparare soluzioni a concentrazione nota. I matracci servono per contenere volumi accuratamente determinati di liquido. Hanno la forma di un pallone con collo stretto e lungo, sul quale e` segnata una tacca che indica il livello a cui corrisponde il volume nominale del matraccio. La taratura viene effettuata versando nel recipiente una massa accuratamente misurata di un liquido di cui sia nota la densita` (in genere acqua a 20 oC). Siccome il volume dei liquidi varia in funzione della temperatura, la misura di volume fatta con un matraccio deve essere condotta alla stessa temperatura della taratura, che e` indicata sul matraccio stesso proprio a questo

36 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

1. Apparecchiature per le misure di volume

scopo. I matracci tarati sono usati per preparare soluzioni a concentrazione accuratamente nota (soluzioni standard) e non si usano per dispensare, ma solo per contenere le soluzioni. . Vetreria Ex Cilindri graduati, pipette graduate, burette, pipette tarate (a singola o a doppia tacca) sono i dispositivi destinati a misurare volumi di liquidi da erogare. I cilindri hanno la scala graduata sulle pareti. Il liquido viene versato al loro interno fino alla tacca desiderata e quindi trasferito nel recipiente di raccolta. La misura del volume e` meno accurata di quella di altri dispositivi, per cui si utilizzano solo per preparare soluzioni a concentrazione approssimativamente nota. Non devono essere usati per la preparazione di soluzioni standard. Le pipette tarate, dette anche a bolla, misurano accuratamente volumi da dispensare: se sono a doppia tacca il volume e` quello contenuto tra le due tacche, in quelle a tacca singola esso corrisponde allo svuotamento della pipetta (3Fig. 20.1). In questi ultimi anni e` diventato sempre piu` diffuso l’impiego di micropipette con puntale, dotate di una piccola punta conica usa-e-getta facilmente rimovibile, in grado di contenere piccole quantita` di liquido, da pochi microlitri fino a qualche millilitro. Figura 20.1 Porzione di pipetta da 50 mL con le varie specifiche. Per quanto concerne la tolleranza, ricordiamo che essa possiede il significato di ‘‘limite massimo di errore rispetto al valore nominale riportato sullo strumento’’.

simbolo di certificazione

produttore paese d’origine marchio depositato

temperatura di calibrazione calibrazione

volume nominale

classe

tolleranza

37 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

2. Operazioni con la vetreria

corrispondenza del menisco, per un effetto ottico, la striscia risulta come ‘‘spezzata’’, formando l’immagine di due punte in contatto; il punto di contatto corrisponde al valore da leggere sulla scala graduata. Impiego dei diversi dispositivi

Qualunque sia il dispositivo da utilizzare, anzitutto e` necessario assicurarsi che esso sia perfettamente pulito, per esempio eseguendo una semplice prova di scolamento lungo le pareti: l’acqua deve scorrervi liberamente, lasciandovi un velo uniforme. Dopo lo scolamento, non devono presentarsi delle goccioline di liquido sulle pareti. . Bicchieri, cilindri, matracci. Usando questi recipienti occorre semplicemente

versare il liquido fino alla tacca corrispondente al volume prescelto. . Pipette tarate e graduate. Nelle pipette il liquido viene aspirato per mezzo di un aspiratore automatico, chiamato pompetta di aspirazione o propipetta (3Fig. 20.3), fino a superare la tacca corrispondente al volume da misurare. Si lascia poi uscire lentamente il liquido in eccesso, arrestandosi nel punto voluto; il volume cosı` misurato viene infine scaricato nel recipiente di raccolta. Per l’aspirazione e` tassativamente proibito usare la bocca, sia per motivi di sicurezza che semplicemente igienici. Figura 20.3

A

a) Propipetta e sequenza d’uso per il prelievo di liquidi: 1. scaricare l’aria premendo A; 2. aspirare premendo S; 3. erogare premendo E. b) Pipetta automatica. S E

a)

b)

Per evitare l’errore dovuto a un’eventuale goccia pendente, e` consigliabile appoggiare la punta della pipetta all’interno del contenitore da cui si effettua il prelievo. Il deflusso del liquido deve avvenire per gravita`, senza soffiare nella pipetta, ne´ per accelerare lo scarico, ne´ per fare uscire la piccola quantita` di liquido che rimane inevitabilmente sulla punta della pipetta. Il sottile velo di liquido che rimane lungo le pareti di pipette o burette, nonche´ la piccola porzione trattenuta dalla punta (per le pipette a una tacca), sono gia` previsti nella taratura. Le pipette tarate possono essere a singola o a doppia tacca. Le prime erogano il volume nominale per scolamento completo; nelle seconde il volume da erogare e` quello compreso tra le due tacche, per cui occorre far attenzione, nello svuotamento, a non superare la seconda tacca. L’operazione di lettura della scala dopo l’erogazione del liquido non deve essere effettuata troppo in fretta, per lasciare al liquido il tempo di scolare lungo le pareti. Di norma, e` sufficiente attendere una decina di secondi per far sı` che il liquido termini lo scolamento. Le pipette graduate consentono di scegliere volumi intermedi rispetto alla capacita` massima (3Fig. 20.4). . Burette. La Figura 20.5a illustra come manipolare una buretta correttamente. Le burette, come le pipette, vanno riempite oltre la tacca dello zero e poi azzerate, assicurandosi che a valle del rubinetto non sia intrappolata una bolla d’aria (3Fig. 20.5b). Se questo avviene, occorre espellere la bolla aprendo di colpo il rubinetto prima di procedere all’azzeramento. Analo39 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

2. Operazioni con la vetreria

Al fine di applicare il dato della frazione prelevata all’intero campione e` indispensabile che tutti i volumi, quello totale del matraccio e quelli parziali dei prelievi, siano misurati con accuratezza, altrimenti il dato riferito al campione risulta affetto da errore. Per portare a volume un campione si procede come segue: 1. se si tratta di un solido, occorre anzitutto portarlo in soluzione in un altro recipiente (becher o beuta), prima di versarlo nel matraccio; 2. poi lo si trasferisce quantitativamente nel matraccio, dove sara` portato a volume. Questo significa che ogni oggetto entrato in contatto con il campione (vetro d’orologio, spatola, bacchetta di vetro, imbuto ecc.) va ripetutamente lavato con il solvente e la soluzione di lavaggio va raccolta nel matraccio; 3. quindi si versa solvente nel matraccio quasi fino alla tacca di taratura; 4. infine si arriva a volume lentamente, usando se possibile un contagocce, in modo da evitare il superamento accidentale della tacca; se cio` accade, di norma si deve ripetere tutta l’operazione a partire dal prelievo iniziale di campione; 5. da ultimo si tappa il matraccio e si rimescola il contenuto capovolgendolo piu` volte; questa operazione e` fondamentale per evitare che nel recipiente vi siano strati a concentrazione diversa, fatto che renderebbe i successivi prelievi non confrontabili tra loro e con il campione originario. Avvinare un recipiente

Quando si usa un recipiente destinato a contenere campioni analitici, la prima cosa da fare e` controllarne lo stato di pulizia e comunque lavarlo con il solvente piu` adatto. E` inevitabile che, dopo tale operazione, le pareti interne del recipiente siano bagnate di solvente. L’immissione di una soluzione a questo punto ne comporterebbe una, sia pur piccola, a volte trascurabile, diluizione, che pero` in alcuni casi (per esempio con soluzioni standard) e` fonte di un errore sistematico. Per evitare tale tipo di errore e` sufficiente effettuare una semplice operazione: l’avvinamento del recipiente. Allo stesso modo dei vinai, che per non modificare le caratteristiche del vino da imbottigliare usano sprecarne un po’ per lavare l’interno delle bottiglie prima di riempirle, gli analisti utilizzano un piccolo volume della soluzione da prelevare per lavare e lasciare bagnato con essa il recipiente da utilizzare, in modo che la concentrazione del residuo sulle pareti sia la stessa della soluzione da ospitare. Perche´ l’operazione sia efficace, il lavaggio va ripetuto almeno tre volte, in modo da spostare progressivamente la concentrazione da zero (situazione dopo il lavaggio iniziale) a quella della soluzione usata. Attenzione: non sempre e` necessario avvinare un recipiente. Per esempio, se si versa in una beuta un prelievo di analita per titolarlo, avvinando la beuta si commetterebbe un grave errore, perche´ la si lascerebbe bagnata di una quantita` non determinata di analita che introdurrebbe un errore significativo sul risultato. Quali recipienti e` dunque necessario avvinare? Una regola semplice potrebbe essere la seguente: si avvinano i recipienti che si usano per erogare volumi noti di soluzioni a titolo accurato. Si tratta quindi di vetreria Ex: quasi sempre pipette, burette e cilindri. 41 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Capitolo 20 - Misure di volume

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TARATURA Sulle apparecchiature per la misura dei volumi sono riportate la capacita` e la tolleranza dichiarate dal costruttore (3Fig. 20.1). La tolleranza dipende dalla qualita` del prodotto e in genere e` del tutto soddisfacente per le analisi consuete. La taratura (o calibrazione) della vetreria e` condotta dal produttore con procedure codificate e affidabili, per cui di solito non ha molto senso pretendere di verificare la taratura di strumenti come pipette, burette o matracci. Nella parte del testo dedicata alle attivita` sperimentali proponiamo un’esperienza di laboratorio (3Lab 2), concepita come se fosse una procedura di taratura, il cui scopo principale e` far pratica nell’uso degli strumenti e, soprattutto, verificare la precisione e l’accuratezza delle proprie misure. Un aspetto interessante di tale esperienza e` che mette a confronto due tipi di misure tipiche del laboratorio di analisi: quella di massa e quella di volume, la prima delle quali e` considerata il valore ‘‘vero’’ che permette di valutare l’accuratezza della seconda. Taratura di una coppia matraccio-pipetta. In determinate analisi non serve

conoscere i volumi assoluti di matraccio e pipetta, quanto piuttosto i loro volumi relativi. Per fare un esempio: e` importante assicurarsi che un particolare matraccio da 100 mL contenga esattamente quattro volte il volume di una particolare pipetta da 25 mL. Infatti, se il campione e` stato portato a volume in quel matraccio, ogni determinazione fatta su un prelievo fatto con quella pipetta corrisponde a un quarto del totale. Cio` permette di ripetere piu` volte la misura, valutando ogni volta l’intero campione. Per ‘‘accoppiare’’ matraccio e pipetta in casi come questo, si versa quattro volte nel matraccio, perfettamente pulito e asciutto, il volume prelevato con la pipetta e si segna la posizione finale raggiunta dal menisco nel matraccio. La procedura viene ripetuta piu` volte, per ridurre al minimo gli errori.

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ERRORI NELLE MISURE DEI VOLUMI Trascurando gli errori dovuti all’analista, il minimo errore relativo che si commette nella misura di un volume a causa dell’incertezza intrinseca della misura fatta con una data apparecchiatura e` pari a: errore % ¼

ESEMPIO 1

tolleranza  100 volume misurato

Calcolare l’errore percentuale che si commette quando si porta a volume in un matraccio da 100 mL, la cui tolleranza e` di 0,08 mL. Dalla formula sopra riportata si ottiene: 0,08  100 ¼ 0,08% 100

42 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

4. Errori nelle misure dei volumi

ESEMPIO 2

Calcolare l’errore percentuale che si commette quando si misurano 14,36 mL con una buretta da 25 mL di classe A, con tolleranza pari a 0,03 mL. Applicando la formula si ottiene: 0,03  100 ¼ 0,21% 14,36 Se in una titolazione il volume di titolante e` tale da superare la capacita` della buretta, essa va riempita (e azzerata) due volte, il che, ovviamente, aumenta l’errore complessivo. E` dunque necessario evitare che si verifichi tale circostanza. La maggior parte dei calcoli preliminari in una titolazione concerne essenzialmente questo aspetto: bisogna fare in modo di utilizzare un volume di titolante che non ecceda il volume totale erogato dalla buretta.

43 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

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Campionamento e preparazione del campione U

n processo analitico non e` costituito solamente dalle operazioni che forniscono la misurazione dell’analita, ma si compone di altre fasi, tutte ugualmente importanti per la corretta esecuzione dell’analisi. Alcune di queste fasi, come il campionamento e la preparazione del campione, costituiscono i passaggi preliminari dell’intera sequenza analitica.

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CAMPIONAMENTO Con il termine campionamento (o prelievo del campione) si intende l’insieme delle operazioni che hanno lo scopo di selezionare un’adeguata parte di un sistema per sottoporla ad analisi. Il campionamento di un qualunque tipo di materiale o sostanza deve obbedire a una serie di criteri generali e, nello stesso tempo, deve tenere conto di aspetti legati alla natura del campione e al tipo di analisi che si intende effettuare. L’esecuzione di un corretto campionamento e` essenziale per la buona riuscita dell’analisi: qualsiasi errore commesso in questa fase si ripercuote in modo significativo sul risultato finale. I criteri generali da rispettare sono sostanzialmente i seguenti. . Rappresentativita` La porzione di materiale prelevata deve essere sufficientemente rappresentativa del tutto. Quando il materiale e` omogeneo, come spesso accade (per esempio, una soluzione), il problema praticamente non esiste; se invece si tratta di materiali eterogenei (per esempio, una miscela di solidi), e` necessario procedere a un’accurata omogeneizzazione prima di effettuare il prelievo. . Casualita` Questo criterio e` collegato al precedente. Infatti, se cio` che interessa analizzare non e` omogeneo, o comunque varia nel tempo, e` necessario che il prelievo del campione sia casualmente distribuito. Si pensi, per esempio, alle acque di scarico di un processo: la loro composizione puo` variare nell’arco della giornata, per cui occorre distribuire opportunamente i prelievi per avere il quadro complessivo della situazione. . Stabilita` Il campione deve mantenere le sue caratteristiche costanti nel tempo, almeno per quanto riguarda l’analita, la cui concentrazione deve rimanere il piu` possibile costante fino al momento dell’analisi.

44 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

1. Campionamento

Una variabile da considerare e` anche l’eventuale sviluppo di microrganismi, che potrebbero interferire con l’analisi. Per esempio, dovendo ricercare i metalli in un campione d’acqua e non potendo procedere immediatamente all’analisi, bisogna aggiungervi una piccola quantita` di acido nitrico per impedire che i metalli precipitino come idrossidi e per bloccare eventuali fermentazioni. In alcuni casi non bisogna usare recipienti di vetro, perche´ esso scambia ioni metallici con le soluzioni. Alcuni aspetti del campionamento dipendono in modo piu` specifico dal particolare tipo di analisi da condurre. Esaminiamo i principali. . Quantita` di campione Dipende dal numero e dal tipo di analisi da effettuare, nonche´ dal metodo di analisi prescelto e dalla strumentazione utilizzata, che determina il consumo di campione. Non va poi trascurata l’eventuale necessita` di dover ripetere alcune analisi. . Numero di campioni Dipende in modo particolare dall’esigenza di rappresentativita`, o anche dalla necessita` di conservare dei campioni di confronto (i cosiddetti controcampioni) per eventuali controlli successivi. Per esempio, i prelievi per analisi antidoping degli atleti prevedono la conservazione di controcampioni sigillati nell’ipotesi di contestazione dei risultati. . Punti di raccolta La localizzazione dei punti di raccolta e il loro numero e` importante quando si vuole fornire un dato rappresentativo di un sistema esteso, con probabili disomogeneita` al suo interno: per esempio, uno specchio d’acqua di dimensioni ragguardevoli o il terreno di un campo agricolo. . Caratteristiche del recipiente Riguardano in particolare la natura del materiale, la forma e le dimensioni del recipiente, per soddisfare l’esigenza di raccogliere una quantita` sufficiente di campione e garantirne la conservabilita`. . Modalita` di prelievo

I modi piu` opportuni per prelevare un campione dipendono ovviamente dalla sua natura e dal suo stato fisico. Per esempio, nel caso di inquinanti atmosferici e` necessario attrezzarsi con apparecchi appositamente progettati, da utilizzare secondo modalita` ben definite. . Trattamento del campione all’atto del prelievo

E` necessario, in alcuni casi, allo scopo di garantire l’affidabilita` dell’analisi, quando non e` possibile effettuare misure immediate. Ogni programma di campionamento deve anche prevedere: – la frequenza dei prelievi; – le modalita` di trasporto; – i dati da rilevare al momento del prelievo (per esempio: data e ora, temperatura ambientale e del campione, altre condizioni ambientali, nome del/degli operatore/i); – l’eventuale necessita` di analisi in loco (per esempio: misure di pH e di conducibilita` di un’acqua). 45 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Capitolo 21 - Campionamento e preparazione del campione

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PREPARAZIONE DEL CAMPIONE La varieta` dei materiali da sottoporre ad analisi fa sı` che solo in pochi casi, dopo il campionamento, il campione possa essere direttamente sottoposto a indagine. Quasi sempre occorre effettuare un trattamento preliminare, che a volte consiste in un attacco chimico e/o fisico al campione, per prepararlo all’analisi vera e propria. Il trattamento di un campione puo` consistere in operazioni come macinazione e miscelazione, oppure essiccamento, calcinazione e solubilizzazione, o ancora aggiunta di reattivi opportuni (per esempio, soluzioni tampone). In molti casi e` necessario ‘‘portare in soluzione’’ il campione tramite un attacco chimico del materiale solido: e` il caso, per esempio, della mineralizzazione, che ha lo scopo di eliminare le sostanze organiche per poter poi determinare i metalli, che passano in soluzione come ioni. In altri casi si puo` condurre un’estrazione dell’analita, separandolo dal resto del campione con un solvente adatto. L’attacco puo` avvenire in diversi modi. Esaminiamo i principali. o . Incenerimento a secco (in muffola a 500 C): si usa per campioni organici, per meglio determinare il loro contenuto in metalli, facendo pero` attenzione alla volatilita` di alcuni di essi (piombo, cadmio e soprattutto mercurio). . Attacco acido. Gli acidi piu` utilizzati sono: – nitrico (forte e ossidante); – perclorico (fortemente ossidante ed efficace sulle sostanze organiche, con cui puo` formare miscele esplosive); – nitrico-perclorico (ottimo per mineralizzare le sostanze organiche); – solforico (a caldo e` anche ossidante); – solforico-nitrico (miscela solfo-nitrica, viene molto usata per leghe e rocce); – fluoridrico (specifico per silicati, a cominciare dal vetro); – fluoridrico-cloridrico. . Attacco alcalino: si effettua con sali alcalini che vengono fusi con il campione, determinandone la disgregazione. . Attacco ossidante: per esempio, fusione con perossido di sodio o con miscela carbonato-nitrato. . Attacco riducente: per esempio, fusione con miscela carbonato-tiosolfato. Il processo di estrazione-separazione puo` consistere nei tradizionali procedimenti di: – distillazione; – estrazione con solventi; – filtrazione (dopo eventuale precipitazione); – cristallizzazione.

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OPERAZIONI ANALITICHE Nella conduzione di un’analisi chimica si possono rendere necessarie alcune operazioni preliminari. Descriviamo brevemente le principali. . Trasferimento di solidi Si puo` operare in due modi:

46 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

3. Operazioni analitiche

– mediante spatola, oppure – versando direttamente il solido dal barattolo; in questo secondo caso, si picchietta dolcemente sul barattolo in cui si trova il solido (che ovviamente deve essere quanto meno granulare), mantenendolo inclinato sul recipiente destinato a contenerlo. In alternativa, puo` essere piu` comodo trasferire prima una parte del campione su una cartina, piegata in due, e poi versarlo nel recipiente. . Trasferimento di liquidi Se il liquido va trasferito da un becher a un altro contenitore, versandolo direttamente, e` consigliabile dirigere il flusso del liquido per mezzo di una bacchetta di vetro, come indicato nella Figura 21.1. Figura 21.1 Come si trasferisce un liquido con l’ausilio di una bacchetta.

Agendo in questo modo, la soluzione scorre lungo la bacchetta, evitando spruzzi indesiderati. . Dissoluzione del campione Per sciogliere un campione si puo` procedere in diversi modi. – Il campione e` facilmente solubile in acqua. Si prepara un becher pulito, opportunamente etichettato e, dopo aver pesato su un vetro da orologio l’aliquota di campione desiderata, la si rovescia nel becher. I minuscoli residui di campione rimasti sul vetrino vengono quindi trascinati nel becher mediante il getto di una spruzzetta, usando un giusto quantitativo d’acqua. In pratica, puo` essere preferibile utilizzare un piccolo becher. – II campione e` solubile solo in acidi o alcali. L’operazione va condotta sotto cappa, perche´ si puo` verificare lo sviluppo di gas pericolosi. Se necessario si procede al riscaldamento del campione su Bunsen, oppure su piastra elettrica. Per evitare schizzi, il riscaldamento va effettuato lentamente. – Il campione e` solubile ma tende a formare, in seguito alla combinazione con l’acqua, aggregati difficili da solubilizzare. In questo caso si opera come segue. Nel becher pulito si aggiunge un certo quantitativo d’acqua (per esempio 100-150 mL) e, dopo avere pesato il campione, lo si trasferisce lentamente, agitando di continuo la soluzione, picchiettando con un dito sul vetro d’orologio o, meglio ancora, sulla mano che lo regge. In questo modo la polvere si distribuira` uniformemente nella soluzione, disperdendosi senza formare grossi grumi.

47 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Capitolo 21 - Campionamento e preparazione del campione . Diluizione Il procedimento di diluizione e` senz’altro fra i piu` usuali nel laboratorio chimico. In generale, non si tratta semplicemente di aggiungere acqua alla soluzione del campione, quanto piuttosto di procedere alla diluizione in un recipiente a volume noto, di solito un matraccio tarato. Questa operazione, detta in gergo portare a volume, e` gia` stata descritta (3Cap. 20). . Concentrazione In chimica analitica la necessita` di concentrare le soluzioni si presenta piu` raramente di quella, contraria, di doverle diluire. Si tratta comunque di un’operazione basilare, per la quale esistono diversi modi di procedere. – Evaporazione a caldo. La soluzione viene collocata in una larga capsula o in un becher e concentrata per riscaldamento al di sotto della temperatura di ebollizione. Tale procedura si utilizza, a volte, quando si tratta di effettuare una precipitazione che richiede una concentrazione non troppo bassa di analita e volumi non elevati. Durante l’operazione e` opportuno evitare l’ebollizione, affinche´ non si verifichino spruzzi. Se l’analita e` una sostanza termolabile (ossia si decompone facilmente al calore), si puo` condurre l’evaporazione sotto vuoto. – Altri procedimenti. Se si deve concentrare notevolmente la soluzione, si puo` operare con altre tecniche, come per esempio l’estrazione con solventi o la separazione mediante resine.

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Analisi gravimetrica

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uesta tecnica di analisi, detta anche gravimetria o analisi ponderale, costituisce l’insieme delle operazioni che utilizzano come dato analitico la misurazione della massa di un determinato campione.

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LA TECNICA DELL’ANALISI GRAVIMETRICA I metodi gravimetrici si possono suddividere in due categorie. . Metodi che non prevedono trattamenti chimici Sono basati sulla misura diretta della massa, da determinare dopo avere eventualmente effettuato trattamenti termici per separare alcuni componenti del campione. Alcuni tipici esempi sono le determinazioni di: – ceneri, cioe` del residuo dopo trattamento a elevate temperature; – polveri nell’aria, che vengono raccolte con sistemi di pompaggio e filtri opportuni e poi pesate direttamente con bilance ad alta precisione; – umidita`, mediante pesata e successivo essiccamento in stufa. . Metodi che prevedono trattamenti chimici Sono i piu` importanti sul piano applicativo e si utilizzano per determinare la quantita` di analita sfruttando la bassa solubilita` di composti che da esso derivano. Essi prevedono la solubilizzazione del campione e il successivo trattamento con reattivi al fine di ottenere un composto insolubile che ‘‘precipita’’ (3Vol. 1, Cap. 10). Quest’ultimo viene poi separato e pesato dopo opportuni trattamenti termici e, in base alle relazioni stechiometriche tra precipitato e analita, dalla massa del primo si risale alla quantita` del secondo. Per esempio, conoscendo la massa di un precipitato di AgCl si risale facilmente alla quantita` di cloruro presente nel campione analizzato. Prestazioni e campi di applicazione

L’analisi gravimetrica presenta il fondamentale vantaggio di utilizzare come strumento della misura finale la bilancia analitica, le cui prestazioni in termini di accuratezza e precisione sono sensibilmente migliori della maggioranza degli strumenti a disposizione dell’analista chimico. Infatti, anche senza ricorrere a bilance sofisticate come quelle al centesimo di milligrammo, una normale bilancia analitica consente di mantenere l’errore di misura entro valori molto bassi. Quanto detto risulta particolarmente significativo nelle analisi che non prevedono trattamenti chimici particolari a monte della pesata, mentre nella 49 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Capitolo 22 - Analisi gravimetrica

gravimetria che necessita del pretrattamento chimico del campione emergono alcuni aspetti problematici: . inconvenienti di natura strettamente chimica legati alla precipitazione e alla

raccolta del precipitato; . possibilita` di determinare solo specie presenti in quantita` consistente, il che esclude l’analisi di tracce; per questo motivo, per evitare errori relativi troppo grandi, la massa da determinare deve superare almeno 100-150 mg; . tempi di lavoro relativamente lunghi. Tutto cio` ha determinato la quasi totale scomparsa, dai laboratori moderni, delle analisi gravimetriche basate sulla precipitazione, che sono state sostituite da metodi volumetrici o strumentali. Per quanto riguarda i campi di applicazione dell’analisi gravimetrica, distinguiamo tra le due categorie gia` definite sopra. . Nelle analisi dirette le condizioni che devono essere rispettate sono

strettamente legate alla natura del campione e al tipo di trattamento richiesto. Se l’analita non e` volatile, come per esempio le ceneri inorganiche in un alimento, bisogna operare in modo da non rischiare di perderne neanche una piccola parte. Quindi, nell’incenerire il campione per distruggerne i composti organici, la temperatura della muffola non deve essere troppo alta, perche´ anche alcuni sali inorganici potrebbero decomporsi, causando un errore in difetto nell’analisi. Se invece si tratta di determinare il contenuto di acqua in un composto, le condizioni operative vanno scelte attentamente, perche´ anche a soli 103 - 105 oC (temperatura abituale per l’essiccamento) molte altre sostanze volatili verranno allontanate. Per esempio, l’analisi dell’umidita` del caffe` ne determina in effetti tutte le sostanze volatili e non la sola acqua. . Nelle analisi indirette occorre, in primo luogo, assicurarsi che la solubilita`

del composto formato dall’analita ne permetta la precipitazione completa e che l’agente precipitante sia specifico (cioe` reagisca solo con l’analita). Inoltre, il precipitato deve: – possedere una composizione stechiometrica ben definita; – risultare il piu` puro possibile; cio` significa che e` necessario minimizzare eventuali fenomeni di coprecipitazione o di adsorbimento di altre sostanze; – essere facilmente filtrabile e lavabile; e` percio` utile che sia cristallino (e possibilmente con cristalli relativamente grandi), o quanto meno assuma una forma fisica compatta e non gelatinosa. Infine, dopo il trattamento termico, il composto da pesare deve risultare chimicamente stabile, presentare bassa igroscopicita` e non reagire all’aria. Sequenza operativa di un’analisi gravimetrica

Le fasi attraverso cui si sviluppa un’analisi gravimetrica sono: 1. 2. 3. 4. 5. 6.

precipitazione e digestione del precipitato; filtrazione; lavaggio; essiccamento; calcinazione; pesata a peso costante. 50

Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

2. Precipitazione e digestione del precipitato

Nei prossimi paragrafi queste fasi verranno esaminate in dettaglio per metterne in evidenza gli aspetti fondamentali.

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PRECIPITAZIONE E DIGESTIONE DEL PRECIPITATO Meccanismo di formazione del precipitato. Quando, nel corso dell’aggiunta del reattivo precipitante, viene superata la solubilita` del composto da precipitare, non e` detto che la precipitazione abbia luogo immediatamente. Puo` capitare, infatti, che il sistema si trovi per un certo tempo in una situazione particolare, detta di sovrasaturazione, nella quale la concentrazione del soluto e` maggiore di quella di una soluzione satura. Questo fenomeno avviene perche´ l’inizio della precipitazione richiede la formazione di piccoli aggregati di ioni o molecole (nucleazione), detti nuclei o germi di cristallizzazione, che successivamente si ingrossano e precipitano. Si e` osservato che la velocita` di formazione dei nuclei e` tanto maggiore quanto piu` elevata e` la sovrasaturazione. Cio` influisce sulle dimensioni delle particelle di precipitato, perche´ la presenza di molti nuclei favorisce la formazione di cristalli piccoli, che sono meno facilmente filtrabili di quelli grossi. Si comprende quindi perche´ la modalita` di aggiunta del reattivo precipitante sia un fattore importante per ottenere una ‘‘buona’’ precipitazione. In generale e` opportuno che la sovrasaturazione locale (in prossimita` della goccia che cade nella soluzione) sia bassa, cosicche´ possano formarsi pochi nuclei di cristallizzazione, che poi cresceranno di dimensione anziche´ di numero. Non e` tuttavia possibile stabilire regole fisse per favorire la formazione di precipitati a grana grossa, perche´ quest’ultima dipende anche dalle caratteristiche particolari di ciascun precipitato. Per consuetudine, le condizioni piu` utilizzate sono le seguenti: . aggiunta lenta del reattivo precipitante; . efficace agitazione della soluzione dell’analita; . concentrazione non elevata dell’analita; . riscaldamento della soluzione; . moderato eccesso del reattivo precipitante. Caratteristiche dei precipitati. Si possono presentare due casi: . le particelle solide costituiscono un precipitato cristallino, che di norma

risulta facilmente e rapidamente filtrabile; . le dimensioni delle particelle possono risultare tanto piccole da formare una sospensione colloidale, difficilmente filtrabile. Una sospensione colloidale rappresenta sempre un problema per l’analista, perche´ le particelle colloidali sono in grado di attraversare i filtri di comune impiego e quindi li richiedono con pori particolarmente piccoli, causando tempi di filtrazione eccessivamente lunghi. Occorre pertanto intervenire per ottenere la coagulazione o flocculazione del colloide, ossia l’agglomerazione delle sue particelle, determinandone la precipitazione (3Fig. 22.1). Quest’ultima si puo` ottenere intervenendo sulla stabilita` delle particelle colloidali, in genere riscaldando e agitando la sospensione, o anche aggiungendo un eccesso di un elettrolito che, saturando le cariche libere sulla superficie delle particelle colloidali, ne determina l’aggregazione e con essa la precipitazione. 51 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Capitolo 22 - Analisi gravimetrica Contaminazioni dei precipitati. Nel caso di precipitati sia colloidali che

cristallini si possono verificare fenomeni di contaminazione dei precipitati stessi. Cio` puo` essere dovuto ai fenomeni seguenti. . Coprecipitazione (inclusione) Consiste nella formazione di cristalli nel cui reticolo entrano altre particelle che sostituiscono in parte quelle del precipitato. Il fenomeno e` particolarmente significativo se i due tipi di particelle hanno dimensioni simili, ovvero quando possono inserirsi nel cristallo senza alterarne la struttura. Per esempio, il solfato di bario puo` risultare contaminato da solfato di sodio e cio` causa un errore in difetto nell’analisi dei solfati, perche´ la massa del sodio e` minore di quella del bario; la stessa cosa si verifica se coprecipita cloruro di bario, piu` leggero del solfato. . Occlusione Si verifica quando il precipitato ingloba particelle estranee e puo` avvenire se la precipitazione viene effettuata velocemente. In questo caso l’errore dell’analisi e` in eccesso. Per esempio, BaSO4 tende a occludere Fe(OH)3. Tale inconveniente puo` essere ridotto con l’operazione di digestione del precipitato descritta successivamente, perche´ la ristrutturazione del reticolo cristallino che si verifica favorisce l’espulsione delle particelle occluse. . Adsorbimento Avviene quando ioni estranei vengono trattenuti sulla superficie del precipitato. Cio` riguarda maggiormente i colloidi (a causa della loro elevata area superficiale) e comporta un errore in eccesso nell’analisi. Per esempio, l’eccesso di argento nitrato in presenza di AgCl fa sı` che il precipitato colloidale sia contaminato da AgNO3 (3Fig. 22.1). Si puo` ridurre tale fenomeno innalzando la temperatura oppure agendo con la digestione del precipitato. Figura 22.1 Particella di AgCl colloidale sospesa in una soluzione acidificata con HNO3 e in presenza di eccesso di AgNO3 . Poiche´ e` presente un eccesso di AgNO3 , alcuni ioni Agþ vengono adsorbiti, cioe` trattenuti sulla superficie della particella colloidale di AgCl, conferendole una carica globalmente positiva. Intorno a ogni particella si instaura un doppio strato elettrico (dovuto alla presenza di ioni nitrato), che stabilizza la sospensione perche´ causa una repulsione tra le particelle.

. Postprecipitazione E` un fenomeno, non frequente, che si verifica quando in soluzione e` presente un’altra specie poco solubile che precipita piu` lentamente.

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3. Filtrazione

Per esempio, lasciando a riposo per molto tempo l’ossalato di calcio in una soluzione ricca di ioni ossalato e magnesio, si puo` avere contaminazione del precipitato con ossalato di magnesio. In presenza di una verificata contaminazione del precipitato, anche se cosı` facendo i tempi di lavoro si allungano notevolmente, si puo` tentare di eliminare le impurezze procedendo con la filtrazione (3Par. 22.3), seguita dalla dissoluzione del precipitato e da una successiva riprecipitazione. Digestione del precipitato. Consiste nel lasciare il precipitato a riposo, in

presenza di leggero riscaldamento, senza agitare la soluzione che lo contiene. Questa fase sfrutta il fatto che l’equilibrio tra corpo di fondo e soluzione e` dinamico: le particelle dei cristalli vengono continuamente scambiate con quelle in soluzione. Cio` determina la diminuzione dei cristalli piu` piccoli, che si sciolgono, mentre quelli piu` grossi si accrescono ulteriormente. In tal modo si ottengono cristalli piu` puri, perche´ gli eventuali contaminanti ritornano in soluzione, e di maggiori dimensioni, cioe` piu` adatti alla filtrazione.

3

FILTRAZIONE Il precipitato viene separato dalla soluzione mediante un opportuno sistema filtrante. Il filtrato, cioe` la soluzione priva di precipitato, si raccoglie in un contenitore pulito (per esempio in un becher), nell’eventualita` che una parte del precipitato passi dal filtro e quindi si renda necessaria un’ulteriore filtrazione. In generale i sistemi piu` utilizzati sono costituiti da particolari tipi di carta, oppure da crogioli filtranti (come descritto successivamente). Filtrazione con carta da filtro. La carta da filtro e` senz’altro il mezzo piu`

utilizzato per la filtrazione. Prima di procedere occorre scegliere il tipo di carta da utilizzare in relazione alla porosita` (indicata con un numero oppure un colore) e alle dimensioni. I piu` comuni filtri reperibili in commercio sono: . rapidi (fascia nera): molto porosi e adatti a separare precipitati gelatinosi o a

grana grossa; . lenti (fascia azzurra): con bassa porosita`, si usano per precipitati microcristallini o polverulenti; . medi (fascia bianca): con caratteristiche intermedie, utilizzati per la maggior parte dei precipitati comuni. La carta di tutti i filtri e` del tipo a basso contenuto di ceneri. Per esempio, un filtro del diametro di 110 mm lascia, dopo completa combustione della parte cellulosica, un residuo inorganico non superiore a 0,1-0,15 mg, tale da non modificare in modo significativo la misura della massa del precipitato. Il filtro deve essere opportunamente piegato, in modo da aderire perfettamente alle pareti interne del cono di un imbuto (3Fig. 22.2). E` preferibile usare imbuti a gambo lungo, perche´ nel gambo dell’imbuto si forma una colonna d’acqua che col suo peso provoca una moderata depressione che accelera la filtrazione. Filtrazione con crogioli filtranti. Un crogiolo filtrante, in porcellana o in vetro, e` caratterizzato dall’avere il fondo costituito da un setto poroso. Puo` essere utilizzato sia per raccogliere precipitati che devono essere solo essiccati, sia per

53 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Capitolo 22 - Analisi gravimetrica

calcinare i precipitati in muffola (alcuni crogioli filtranti sopportano temperature fino a 1000 oC). Figura 22.2 Come preparare il filtro a partire da un disco di carta: a. il filtro viene piegato in due parti uguali; b. si effettua una seconda piegatura in modo che le due meta` non coincidano perfettamente; per migliorare l’adesione del filtro all’imbuto e` utile staccare un piccolo frammento di carta, come indicato; c. si apre il filtro a cono, lo si inserisce nell’imbuto e lo si bagna con acqua di grado analitico per farlo aderire alle pareti dell’imbuto; il bordo superiore della carta deve essere ben al di sotto del bordo dell’imbuto.

a

c b

Rispetto al sistema precedente, i vantaggi sono rappresentati dalla maggiore rapidita` delle operazioni; in particolare risulta piu` semplice essiccare e calcinare il precipitato perche´ non c’e` carta da eliminare. Non si possono impiegare, pero`, se il precipitato e` gelatinoso. La filtrazione con crogiolo filtrante va effettuata aspirando, tramite una pompa da vuoto, l’aria sotto il setto poroso. Dopo avere allestito il sistema filtrante, si attiva il vuoto per verificare che il sistema sia bene a tenuta, poi s’inizia la filtrazione. La procedura per la filtrazione, sia con filtro di carta che con crogiolo filtrante, comporta normalmente piu` passaggi. Nella Figura 22.3 ci si riferisce a una filtrazione su carta.

Figura 22.3 Sequenza delle operazioni per la filtrazione su carta: a. decantazione; b. trasferimento del surnatante; c. trasferimento del precipitato con l’ausilio di una spruzzetta e lavaggio sul filtro.

a

c

b

. Decantazione e trasferimento del liquido surnatante Per accelerare i tempi di lavoro e` bene che il precipitato entri il piu` tardi possibile in contatto con il filtro. Per tale ragione si lascia depositare il solido sul fondo (decantazione), versando poi con prudenza il liquido surnatante nel filtro, senza rimescolare la soluzione. Per evitare perdite, il liquido viene versato nel filtro facendolo scorrere lungo una bacchetta di vetro. E` bene che il gambo dell’imbuto sia a contatto con la parete interna del becher contenente il filtrato. . Lavaggio per decantazione Si effettua versando sul fondo del recipiente, dove e` rimasto il precipitato, un piccolo volume di liquido di lavaggio. Questa operazione va ripetuta per 3-4

54 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

4. Essiccamento, calcinazione e pesata a peso costante del precipitato

volte, agitando, lasciando decantare e filtrando il liquido surnatante ogni volta. Il liquido di lavaggio deve soddisfare le seguenti condizioni: – non lasciare residui dopo i successivi trattamenti termici; – non attaccare chimicamente il precipitato; – minimizzare lo scioglimento del precipitato provocato dai lavaggi; a tal fine si utilizza, in genere, una soluzione contenente uno ione in comune con il precipitato (3Vol. 1, Cap. 10). . Trasferimento del precipitato

Nell’ultima operazione di lavaggio si agita la soluzione, in modo da formare una sospensione che viene versata sul filtro. Con il getto di una spruzzetta si staccano gli ultimi residui di precipitato che aderiscono alle pareti del becher (per questa operazione si puo` eventualmente utilizzare un pezzetto di carta da filtro fatta aderire alla bacchetta di vetro, che viene poi depositata nel filtro). . Lavaggio del precipitato sul filtro Questa operazione serve a completare l’eliminazione delle impurezze solubili che possono contaminare il precipitato. Si effettua facendo uso di una spruzzetta, il cui getto viene fatto correre dall’alto, a spirale, evitando di riempire il filtro con il liquido di lavaggio e facendo in modo che il precipitato si raccolga nella parte inferiore. E` utile ricordare che sono piu` efficaci numerosi lavaggi con poco liquido che pochi con grandi volumi. Dopo ciascun lavaggio si attende che la soluzione sia defluita, cercando di evitare che il gambo dell’imbuto si svuoti e che il precipitato vada a secco, altrimenti la possibile formazione di fessure nella massa del solido ridurra` gli effetti del lavaggio. Infine, per stabilire se il lavaggio e` concluso e verificare l’assenza di contaminanti, in genere si esegue un saggio qualitativo. Per esempio, nell’analisi dei solfati il precipitato di BaSO4 viene prima lavato con acqua acidulata con HCl e poi con acqua di grado analitico, fino alla scomparsa dei cloruri, la cui presenza nel liquido di lavaggio puo` essere facilmente verificata aggiungendovi poche gocce di soluzione di AgNO3. Il filtrato non va mai eliminato prima di essere certi che tutto abbia funzionato a dovere. Puo` infatti sempre capitare che il filtro si danneggi o che, per qualsiasi altro motivo, una parte del precipitato passi nel filtrato. Come si e` detto, in tale evenienza si puo` ripetere la filtrazione.

4

ESSICCAMENTO, CALCINAZIONE E PESATA A PESO COSTANTE DEL PRECIPITATO Il precipitato, dopo il lavaggio, deve essere trattato per poterne determinare la massa. Per alcuni precipitati, come il dimetilgliossimato di Ni, filtrati mediante crogiolo filtrante, il solo essiccamento basta ad allontanare l’acqua di cui il precipitato e` permeato; lo si ottiene mediante riscaldamento del crogiolo in stufa a 105-110 oC, per il tempo necessario. Di norma, nel caso si sia utilizzato il filtro di carta, ne e` previsto l’incenerimento. Prima di realizzarlo si pone l’imbuto in stufa, assicurandosi che rimanga verticale in un contenitore adatto, o inserendolo in appositi fori dei ripiani della stufa (e` anche consigliabile coprire il tutto, per evitare possibili cadute accidentali di materiali estranei nel precipitato). Non e` consigliabile seccare completamente il filtro, perche´ risulterebbe difficoltoso il suo successivo trasferimento nel crogiolo dove si effettua l’incenerimento; per tale motivo, 55

Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Capitolo 22 - Analisi gravimetrica

dopo circa un quarto d’ora, si toglie il filtro, ancora umido, dalla stufa. Dopo averlo estratto dall’imbuto, lo si piega seguendo la sequenza proposta nella Figura 22.4, quindi lo si pone sul fondo di un crogiolo preventivamente tarato a peso costante (3Cap. 19). Figura 22.4 Sequenza di piegatura del filtro contenente il precipitato e suo inserimento nel crogiolo: a. estrazione; b. piegatura degli angoli verso l’interno; c. piegatura del bordo superiore; d. inserimento nel crogiolo.

a

b

c

d

La calcinazione e` il riscaldamento ad alta temperatura del precipitato, finalizzato alla sua trasformazione in una forma chimica ben definita. Le temperature variano a seconda dei casi, ma in genere sono superiori ai 500 oC. Per esempio, il solfato di bario viene calcinato a 800-900 oC. Se il precipitato si trova nel crogiolo filtrante, dalla stufa lo si trasferisce direttamente (con le pinze adatte) nella muffola, dove viene lasciato per il tempo necessario alla calcinazione. Se invece il precipitato si trova nel filtro, a sua volta inserito nel crogiolo, occorre procedere, prima della calcinazione, alla carbonizzazione della carta del filtro, che viene effettuata con la fiamma del Bunsen. Il crogiolo che contiene il filtro viene collocato, in posizione inclinata, sul triangolo refrattario posto su un treppiede (3Fig. 22.5). Al di sotto del crogiolo si pone un Bunsen con piccola fiamma, in modo da carbonizzare lentamente il filtro. Figura 22.5 Crogiolo appoggiato sul triangolo di refrattario per l’incenerimento del filtro. La posizione a e` quella corretta.

a

b

Occorre evitare che il filtro si infiammi, perche´ cio` potrebbe determinare perdite di precipitato; se succede, occorre intervenire avvicinando un vetro d’orologio all’imboccatura del crogiolo, in modo da soffocare le fiamme. Quando la carta da filtro e` completamente carbonizzata, si aumenta gradualmente la fiamma, fino a far scomparire ogni traccia di residui carboniosi. A questo punto il crogiolo e` pronto per la calcinazione, che a volte puo` essere eseguita mettendolo in posizione verticale sul triangolo e con la fiamma al massimo, oppure trasferendolo nella muffola se la temperatura richiesta per la calcinazione e` piu` alta di quella della fiamma. 56 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Capitolo 22 - Analisi gravimetrica

con l’aggiunta di BaCl2, filtrando poi la soluzione contenente il precipitato. Si determina a peso costante la massa di un crogiolo, che risulta essere 17,2843 g. Dopo avere eseguito le operazioni necessarie per la calcinazione, si determina a peso costante la massa di crogiolo + BaSO4, che risulta pari a 18,8924 g. Calcolare la concentrazione della soluzione di partenza espressa come g  L1 di K2SO4. (MM BaSO4 ¼ 233,39 g  mol1 ;

MM

K2SO4 ¼ 174,26 g  mol1 )

Dalle pesate si ricava la massa di BaSO4, che e`: 18,8924 g  17,2843 g ¼ 1,6081 g BaSO4 Poiche´ vale la relazione: 1 mol K2SO4 , 1 mol BaSO4, le moli di BaSO4 coincidono con quelle di K2SO4 disciolto nel campione di 100,0 mL analizzato. 1,6081 g ¼ 6,890  103 mol BaSO4 ¼ 6,890  103 mol K2 SO4 233,39 g  mol1 Si puo` ora calcolare la massa di K2SO4 presente nel campione: 6,890  103 mol  174; 26 g  mol1 ¼ 1,201 g K2 SO4 La concentrazione della soluzione di K2SO4 risulta quindi: 1,201 g ¼ 12,01 g  L1 0,1000 L

ESERCIZIO 1

Da un campione di K2SO4 di 2,6542 g si ottiene un precipitato di 3,2003 g di BaSO4. Calcolare la % di purezza del solfato di potassio. (MM BaSO4 ¼ 233,39 g  mol1 ; MM K2SO4 ¼ 174,26 g  mol1 )

ESERCIZIO 2

Un campione di minio (formula Pb3O4) pari a 0,8906 g viene disciolto e poi precipitato come PbSO4. Il precipitato che si ottiene pesa 1,1208 g. Determinare la % in peso di Pb3O4 nel campione. (MM Pb3O4 ¼ 685,60 g  mol1 ; MM PbSO4 ¼ 303,27 g  mol1 )

ESEMPIO 2

Un campione impuro di FeCO3, del peso di 1,6023 g, viene disciolto, il Fe2þ ossidato a Fe3þ e precipitato come idrossido. Dopo la calcinazione, questo precipitato diventa Fe2O3. La massa di ossido ferrico, determinata con la procedura della pesata a peso costante, risulta pari a 1,0262 g. Calcolare: a) la percentuale di FeCO3 nel campione; b) il contenuto di Fe nel campione espresso come % formale di FeO. (MM Fe2O3 ¼ 159,69 g  mol1 ; MM FeCO3 ¼ 115,85 g  mol1 ; MM FeO ¼ 71,84 g  mol1 ) a) Calcoliamo dapprima la quantita` di Fe2O3: 1,0262 g ¼ 6 426  103 mol Fe2 O3 159,69 g  mol1 58

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6. Esempi di calcolo

Possiamo risalire alle corrispondenti moli di FeCO3 e poi alla massa di questo basandoci sulla seguente correlazione: 1 mol Fe2O3 , 2 mol di Fe , 2 mol FeCO3 Il calcolo e` quindi: mol FeCO3 ¼ mol Fe2 O3  2 ¼ 6,426  103 mol  2 ¼ 1,285  102 mol da cui ricaviamo: 1,285  102 mol  115,85 g  mol1 ¼ 1,489 g FeCO3 La percentuale di FeCO3 nel campione risulta allora: 1,489 g  100 ¼ 92,93% 1,6023 g b) Per esprimere il contenuto di Fe nel campione come % formale di FeO, calcoliamo la massa di FeO corrispondente alla quantita` di FeCO3 ricavata sopra. Poiche´ vale la relazione 1 mol FeCO3 , 1 mol FeO, le moli di FeO sono anch’esse 1,285  102 , quindi: 1,285  102 mol  71,84 g  mol1 ¼ 0,9233 g FeO La percentuale formale di FeO risulta allora: 0,9233 g FeO  100 ¼ 57,62% 1,6023 g campione

ESERCIZIO 3

Un campione contenente una percentuale in massa di Ca all’incirca pari al 32% deve essere analizzato in modo da ottenere come precipitato CaCO3. Quale massa di campione si deve sottoporre all’analisi gravimetrica se si vuole ottenere un precipitato con massa di circa 800 mg? (MM CaCO3 ¼ 100,09 g  mol1 ; MM Ca ¼ 40,078 g  mol1 )

ESERCIZIO 4

Un campione di pirite (formula FeS2), del peso di 0,4502 g, viene analizzato per determinare il grado di purezza. Dopo opportuni trattamenti si ottiene un precipitato di BaSO4 pari a 1,4610 g. Qual e` la percentuale di S nel campione? Se il Fe in soluzione viene precipitato come Fe(OH)3 e calcinato a Fe2O3, quanto Fe2O3 si ottiene? (MM BaSO4 ¼ 233,39 g  mol1 ; MM S ¼ 32,066 g  mol1 ; MM Fe2O3 ¼ 159,69 g  mol1 )

ESEMPIO 3

Calcolare il volume minimo di una soluzione di BaCl2 al 5,00% p/V necessario per precipitare come BaSO4 tutto il solfato presente in 100 mL di una soluzione contenente 6,44 g  L1 di Na2 SO4  10H2 O. (MM BaCl2 ¼ 208,24 g  mol1 ; MM Na2 SO4  10H2 O ¼ 322,19 g  mol1 ) Calcoliamo la molarita` della soluzione di BaCl2: 59

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Capitolo 22 - Analisi gravimetrica

5,00 g ¼ 0,0240 mol BaCl2 208,24 g  mol1 0,0240 mol ¼ 0,240 M 0,100 L Poiche´ in 100 mL di campione analizzato sono contenuti 6,44 g  L1  0,100 L ¼ 0,644 g Na2 SO4  10H2 O, la corrispondente quantita` di sale idrato e`: 0,644 g ¼ 2,00  103 mol Na2 SO4  10 H2 O 322,19 g  mol1 Nella reazione di precipitazione vale che: mol BaCl2 ¼ mol Na2 SO4  10 H2 O ovvero: (M  V ) soluzione BaCl2 ¼ mol Na2 SO4  10 H2 O da cui, sostituendo i valori noti, ricaviamo il volume corrispondente alla quantita` stechiometrica: 0,240 mol  L1  V x ¼ 2,00  103 mol

da cui: V x ¼ 8,3 mL

Per garantire una precipitazione completa sara` necessario quindi un volume di BaCl2 leggermente superiore a quello calcolato.

ESERCIZIO 5

Quale volume di una soluzione di NH3 (12% in peso; d ¼ 0,95 g  mL1 ) serve per precipitare come Fe(OH)3 tutto il ferro contenuto in 2,00 g di un campione puro di Fe2(SO4)3? La reazione di precipitazione e`: (MM

RISPOSTE

Esercizio Esercizio Esercizio Esercizio Esercizio

Fe3þ þ 3NH3 þ 3H2 O ! FeðOHÞ3 þ 3NHþ 4 Fe2(SO4)3 ¼ 399,88 g  mol1 ; MM NH3 ¼ 17,03 g  mol1 )

1: 90,03% 2: 94,83% 3: circa 1 g di campione 4: 44,59 % S; 0,2499 g Fe2O3 5: piu` di 4,5 mL

60 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Capitolo 23 - Analisi volumetrica

due reagenti (titolante e analita) sono stati miscelati secondo l’esatto rapporto stechiometrico previsto dalla reazione analitica. In altri termini, il punto di equivalenza e` un dato ipotetico, perche´ si ha quando gli equivalenti del titolante sono teoricamente uguali a quelli dell’analita, mentre il punto di fine e` un dato sperimentale, riferito alla decisione dell’analista di essere al punto di equivalenza e percio` di avere finito la titolazione. In condizioni ideali il punto finale e il punto di equivalenza coincidono, mentre nella pratica si verifica sempre uno scarto fra i due valori: esso costituisce il cosiddetto errore di titolazione. L’obiettivo principale dell’analisi volumetrica e` dunque, sul piano pratico, la localizzazione piu` corretta possibile del punto finale, che nell’analisi classica viene rivelato generalmente da cambiamenti di colore della soluzione. Cio` avviene in seguito alla comparsa o scomparsa di determinati reagenti o, piu` frequentemente, al cambiamento di colore di opportune sostanze dette indicatori; queste sostanze vengono aggiunte in piccola quantita` alla soluzione in analisi e non interferiscono con la reazione analitica. Il punto di equivalenza puo` anche essere individuato per via strumentale, ossia registrando la variazione di certi parametri chimico-fisici della miscela di reazione, come il potenziale redox, la conducibilita` elettrica o l’assorbimento di radiazioni elettromagnetiche.

2

CLASSIFICAZIONE I criteri per classificare le analisi volumetriche sono piu` d’uno. 1. Secondo il tipo di reazione che avviene nel corso della titolazione, si hanno titolazioni: . acido-base; . complessometriche; . di precipitazione; . di ossidoriduzione. 2. Secondo il solvente in cui avviene la reazione ci possono essere: . titolazioni in ambiente acquoso, le piu` diffuse (saranno quelle trattate in questo testo); . titolazioni in ambiente non acquoso, utilizzate piu` raramente e in campi particolari, come nell’industria farmaceutica, impiegano un solvente diverso dall’acqua, per esempio l’acido acetico (in questo testo non ce ne occuperemo). 3. Secondo le modalita` applicative, intese come sequenza di operazioni da effettuare sul campione. Le possibilita` sono: . titolazione diretta: si aggiunge direttamente il titolante alla soluzione di analita fermandosi al punto finale; . titolazione di ritorno o retrotitolazione (in inglese, back titration): si aggiunge un eccesso noto di reattivo alla soluzione da titolare e si titola quello che non ha reagito per mezzo di un opportuno titolante; . titolazione indiretta: si ha quando l’analita viene fatto reagire quantitativamente producendo una specie che successivamente viene titolata. Gli ultimi due tipi di titolazione si usano quando non si dispone di indicatori adatti per la titolazione diretta, o quando certi reagenti sono particolarmente volatili, o ancora se la reazione fra l’analita e il titolante non e` molto rapida. 62

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3. Preparazione delle soluzioni

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PREPARAZIONE DELLE SOLUZIONI Le soluzioni utilizzate nell’analisi volumetrica possono essere di due tipi: 1. a titolo accuratamente noto (con un’incertezza che di solito e` dello 0,1%); 2. a titolo approssimato. Soluzioni a titolo noto: standard primari o sostanze madri

La determinazione di un analita mediante analisi volumetrica si fonda sul postulato che la concentrazione di titolante sia un dato certo e conosciuto. E` evidente, pertanto, che l’accuratezza del risultato analitico, cioe` la sua corrispondenza al valore ‘‘vero’’, dipende fortemente da quella con cui e` nota la concentrazione di titolante: un valore errato di questa comporterebbe un errore sistematico in tutte le analisi condotte con quel titolante. Molta attenzione bisogna quindi prestare alla preparazione di soluzioni standard e all’assegnazione del titolo a ciascuna di esse. Le alternative disponibili nella pratica sono le seguenti. . Esistono in commercio soluzioni standard (certificate dal produttore)

pronte all’uso, o anche flaconi di soluzioni standard concentrate che devono essere diluite in modo accurato. Si tratta di un sistema costoso, ma che offre ottime garanzie perche´ lo scarto massimo dal titolo nominale e` molto piccolo (tipicamente dello 0,02%). . La soluzione puo` essere preparata in laboratorio portando a volume, in un matraccio tarato, una soluzione contenente una quantita` accuratamente nota di sostanza. La conoscenza di quest’ultima e` possibile, tramite pesata, solo se la sostanza in questione rientra nella categoria degli standard primari, detti anche sostanze madri. Sono cosı` definite le sostanze solide che possiedono i seguenti requisiti: – sono disponibili allo stato puro o comunque facilmente purificabili; l’unica impurezza ammessa e` l’umidita`, che puo` essere eliminata mediante essiccamento in stufa; – non sono igroscopiche ne´ deliquescenti, per rimanere inalterate nel corso della pesata; – non reagiscono con il solvente (che di solito e` acqua di grado analitico), ne´ con le sostanze normalmente in esso presenti come CO2, O2; – reagiscono secondo una reazione stechiometrica ben definita. Di norma, gli standard primari sono sali formati da metalli alcalini e anioni che svolgono il ruolo di analiti per il particolare titolante che standardizzano, come Na2CO3, Na2C2O4, KIO3 ecc. Soluzioni a titolo approssimato

Quasi tutte le sostanze utilizzate come titolanti non sono standard primari, perche´ essendo chimicamente reattive non soddisfano adeguatamente i requisiti di stabilita` chimica. Le relative soluzioni sono percio` preparate, in un primo tempo, a titolo approssimato, successivamente si effettua una standardizzazione, cioe` una titolazione il cui risultato serve a determinarne con accuratezza il titolo. A volte queste soluzioni devono essere ristandardizzate, perche´ il loro titolo varia nel tempo. In taluni casi l’instabilita` del soluto e` tale da richiedere la preparazione della soluzione immediatamente prima dell’uso. Le modalita` per preparare tali soluzioni variano a seconda che il reattivo da prelevare sia solido o in soluzione. 63 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Capitolo 23 - Analisi volumetrica . Reattivi solidi. Il solido viene pesato su una bilancia tecnica e sciolto nel

volume di acqua richiesto, misurato senza dare eccessiva importanza alla sua accuratezza. . Reattivi in soluzione. La quantita` da prelevare e da diluire al volume richiesto viene solitamente misurata con un cilindro; come nel caso precedente, non e` necessario condurre la diluizione in modo accurato. ` il processo attraverso cui si determina Standardizzazione di una soluzione. E accuratamente la concentrazione di una soluzione di titolante; consiste nella titolazione di una quantita` esattamente nota di un analita standard. Il controllo del titolo puo` avvenire in due modi. . Con standard primari. In qualunque titolazione il volume di soluzione

titolante non deve essere troppo piccolo e nemmeno superare la portata della buretta (in genere 25 o 50 mL); per evitare di incorrere in questo errore e` opportuno calcolare preventivamente quanto standard primario pesare, ponendo come limiti indicativi volumi corrispondenti al 60 e all’80% della capacita` della buretta. Questo intervallo dei possibili volumi di fine titolazione, insieme alla conoscenza del titolo approssimato del titolante, consente di individuare un range di possibili valori della massa di standard primario da prelevare. Una qualunque massa compresa nell’intervallo preventivamente calcolato e determinata con la massima accuratezza soddisfa le condizioni richieste dalla standardizzazione. Questo metodo di pesata viene indicato con l’espressione: pesare accuratamente circa ESEMPIO 1

Uno standard primario per soluzioni di NaOH e` l’idrogenoftalato di potassio, HKC8H4O4. Con una buretta da 50 mL, si prevede l’impiego da 30 a 40 mL di titolante. Se questo e` circa 0,1 N, la quantita` da titolare e` compresa tra 3 e 4 meq, che corrispondono a una massa di HKC8H4O4 compresa tra: e

3 meq  204,22 mg  meq1 ¼ 613 mg HKC8H4O4 4 meq  204,22 mg  meq1 ¼ 817 mg HKC8H4O4

Si puo` esprimere questa modalita` operativa con: pesare accuratamente circa 700 mg di HKC8H4O4. Quando dai calcoli preliminari risulta che la massa da pesare e` piccola (inferiore a 100 mg), si ricorre a una variante di questa procedura. In tal caso, per minimizzare l’errore relativo di pesata, e` opportuno preparare una soluzione a titolo noto di standard primario, da cui prelevare un volume contenente la quantita` desiderata. ESEMPIO 2

Nella standardizzazione di soluzioni di Na2S2O3 si usa come standard primario KIO3. Supponendo di usare una buretta da 25 mL, si prevede l’impiego da 15 a 20 mL di titolante. Se quest’ultimo e` circa 0,1 N, la quantita` da titolare e` compresa tra 1,5 e 2 meq, che corrispondono a una massa di KIO3 compresa tra: e

1,5 meq  35,667 mg  meq1 ¼ 54 mg KIO3 2 meq  35,667 mg  meq1 ¼ 71 mg KIO3 64

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4. Tecnica operativa

Si tratta di una massa troppo piccola per essere pesata senza un errore percentuale significativo. E` quindi preferibile preparare una soluzione standard di KIO3, pesandone accuratamente circa una quantita` 10 volte maggiore (tra 540 e 710 mg), sciogliendola in un matraccio tarato (da 250 mL oppure 500 mL) e prelevandone poi aliquote pari a un decimo (25 mL oppure 50 mL) con una pipetta tarata. Ciascuna aliquota corrisponde cosı` alla quantita` voluta. . Con soluzioni standardizzate. Non disponendo di un adeguato standard

primario, la standardizzazione puo` essere effettuata titolando un’aliquota accuratamente nota di una soluzione standardizzata. Tale procedimento si usa di rado perche´ non e` accurato come il precedente; le misure di volume sono infatti, in genere, meno accurate delle pesate. Quale che sia il metodo scelto per la standardizzazione, la necessita` di precisione e accuratezza del risultato implica almeno tre determinazioni, in modo da ridurre l’influenza di errori accidentali. Tabella 23.1 Schema generale delle analisi volumetriche piu` diffuse.

4

Standard primario

Soluzione da standardizzare

Analiti

Classificazione metodo

Na2CO3 KHC8H8O4 KIO3 (o K2Cr2O7) Na2C2O4 NaCl CaCO3

HCl o H2SO4 NaOH o KOH Na2S2O3 KMnO4 AgNO3 EDTA

basi acidi ossidanti riducenti alogenuri cationi metallici

acidimetria alcalimetria iodometria permanganometria titolazioni di precipitazione complessometria

TECNICA OPERATIVA L’esecuzione di una titolazione richiede la disponibilita` di: . una beuta (o un becher, se si dispone di un agitatore magnetico), in cui si introduce la soluzione da titolare; . una buretta, in cui si pone il titolante; . un sistema che ci indichi il punto di fine titolazione. L’agitazione puo` essere manuale o meccanica, mediante agitatore magnetico. Procedimento

Fase 1. Calcoli preliminari a) L’analita si trova in una soluzione a titolo incognito. Per quanto incognito, il titolo della soluzione di analita dev’essere orientativamente noto (eventualmente, in assenza di informazioni, si conduce una determinazione preliminare). A partire da cio`, si calcola quale volume di analita prelevare, affinche´ il volume di titolante equivalente non superi la capacita` della buretta. Nel caso in cui la soluzione di analita sia troppo concentrata rispetto a quella di titolante, si effettuano diluizioni preliminari. ESEMPIO 3

La determinazione dell’ipoclorito in una candeggina commerciale si effettua con una titolazione iodometrica, con titolante Na2S2O3. Supponendo che 65

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Capitolo 23 - Analisi volumetrica

quest’ultimo sia 0,100 N e di volerne consumare circa 20 mL (2 meq), occorre prelevare un’equivalente quantita` di analita. Essendo l’ipoclorito nella candeggina piu` di 1 N (valore calcolabile dai dati sull’etichetta), bisognerebbe prelevarne da 1 a 2 mL (in modo accurato, perche´ serve per risalire alla sua concentrazione). Poiche´ questo volume e` piccolo, si preferisce diluire la candeggina e titolare aliquote opportune della soluzione diluita (per esempio: se la diluizione e` 10 volte, 10 mL). b) L’analita fa parte di un campione allo stato solido ma solubile in acqua. Si calcola la quantita` di campione da pesare, facendo in modo che i corrispondenti equivalenti siano tali che il volume di titolante non superi la capacita` della buretta. ESEMPIO 4

Supponiamo di dover valutare il grado di purezza di un campione contenente circa il 20% in peso di Fe(II) utilizzando una soluzione 0,100 N di KMnO4. Se si vogliono utilizzare circa 20 mL (2 meq) di soluzione titolante, la massa di Fe (MM 55,847 g  mol1 ) corrisponde a: 2 meq  55,847 mg  meq1 ¼ 112 mg Poiche´ il ferro e` il 20% circa del campione, la massa di quest’ultimo da pesare accuratamente e` intorno a: 100 112 mg  ¼ 560 mg 20 Fase 2. Trasferimento nella beuta (o nel becher) del campione da titolare Il trasferimento del campione nella beuta o nel bicchiere dev’essere eseguito con accuratezza. Se si tratta di una soluzione, il volume prelevato con la pipetta viene versato direttamente. Se si tratta di un solido, questo viene trasferito quantitativamente, aiutandosi con l’acqua di grado analitico di una spruzzetta. Fase 3. Preparazione della buretta con soluzione titolante La scelta della buretta dipende dalla soluzione con la quale deve essere riempita. Se si utilizzano soluzioni instabili alla luce, la buretta dev’essere di vetro scuro; per soluzioni alcaline si usano rubinetti in teflon (comunque sempre consigliabili). Il riempimento si fa mediante un imbuto dal gambo sufficientemente sottile. Prima di essere riempita, la buretta va avvinata, cioe` lavata tre volte con circa 5 mL di soluzione di titolante. Come abbiamo gia` detto (3Cap. 20), bisogna anche assicurarsi che a valle del rubinetto non siano presenti bolle d’aria. Infine, si azzera il livello del liquido. Prima di iniziare una titolazione, la punta della buretta non deve portare alcuna goccia sospesa. Fase 4. Effettuazione della titolazione a) Si versano nella beuta, dove si esegue la titolazione, circa 50-100 mL di acqua di grado analitico. Tale volume non incide sul punto di fine, perche´ la quantita` di analita che viene titolato non varia con la diluizione. b) Si aggiunge, ove necessario, l’indicatore del punto di fine titolazione, secondo le modalita` previste dalla metodica. 66

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6. Esempi di calcolo

c) Si eroga la soluzione dalla buretta, goccia a goccia, con una velocita` compatibile con le caratteristiche della reazione analitica (non sempre istantanea). d) Durante la titolazione, la soluzione della beuta o del becher in cui si fa gocciolare il titolante deve essere continuamente agitata. Se si usa una beuta si puo` mantenere in agitazione la soluzione imprimendo un movimento rotatorio con la mano. Il becher rende necessaria, per evitare schizzi, una bacchetta di vetro, che non va mai tolta dal recipiente. In entrambi i casi si puo` usare un agitatore magnetico. e) Nelle vicinanze del punto di equivalenza e` opportuno procedere lentamente e lavare con acqua le pareti del recipiente e l’eventuale bacchetta di vetro usata per agitare, al fine di trascinare nella soluzione i possibili schizzi di questa o del titolante. Ricordarsi anche di controllare che la punta della buretta non porti gocce sospese. f) Raggiunto il punto finale si registra il volume di soluzione utilizzato.

5

ERRORI NELL’ANALISI VOLUMETRICA Nell’analisi volumetrica sono possibili errori le cui cause principali sono le seguenti. . Misure di volume. Dipendono dalla qualita` della vetreria e dall’abilita`

dell’operatore; occorre considerare anche la possibile differenza di temperatura delle soluzioni da quella di taratura della vetreria. . Standardizzazione scorretta. . Scarto tra punto di fine e punto di equivalenza. Per eliminare questo errore, che puo` essere di tipo sistematico, a volte si esegue una titolazione del bianco, cioe` di una soluzione priva di analita. Il volume di titolante usato per il bianco va sottratto a quello impiegato nella titolazione dell’analita.

6 ESEMPIO 5

ESEMPI DI CALCOLO Una soluzione di NaOH, preparata diluendo a 1 L un volume di 10 mL di soluzione di NaOH al 50%, viene standardizzata come segue. Un campione di 0,8759 g di KHFt (idrogenoftalato di potassio, MM 204,22 g  mol1) e` sciolto in circa 30 mL d’acqua e titolato con la soluzione da standardizzare, usando fenolftaleina come indicatore. Il punto di fine risulta essere a 28,75 mL. Calcolare il titolo della soluzione di NaOH. Le moli di NaOH usate nella titolazione sono uguali a quelle di KHFt, perche´ reagiscono in rapporto 1:1. Le moli di KHFt sono: 875,9 mg ¼ 4,289 mmol KHFt ¼ 4,289 mmol NaOH 204,22mg  mmol1 Tale quantita` di NaOH e` contenuta in 28,75 mL, per cui si calcola: CNaOH ¼

4,289 mmol ¼ 0,1492 M 28,75 mL

67 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Capitolo 23 - Analisi volumetrica

ESERCIZIO 1

La soluzione di NaOH standardizzata dell’Esempio 5 viene usata per determinare il titolo di una soluzione di HCl come segue. Tre aliquote da 25,0 mL ciascuna di quest’ultima soluzione sono titolate con NaOH, indicatore fenolftaleina, dando i seguenti risultati: 15,35 mL; 15,25 mL e 15,30 mL. Calcolare la concentrazione della soluzione di HCl.

ESEMPIO 6

Si deve determinare il titolo di una soluzione di acido acetico circa al 10%, disponendo della soluzione di NaOH dell’Esempio 5, fenolftaleina, una buretta da 25 mL, una pipetta tarata da 20 mL e un matraccio da 250 mL. a) Eseguire i calcoli preventivi per la titolazione. b) Impostare il calcolo finale, supponendo di avere utilizzato 18,75 mL di titolante. a) Supponendo di utilizzare un volume di titolante compreso tra 15 e 20 mL, la quantita` di NaOH sarebbe compresa tra: 15 mL  0,1492 M ¼ 2,238 mmol e 20 mL  0,1492 M ¼ 2,984 mmol Poiche´ il rapporto stechiometrico tra NaOH e acido acetico e` 1:1, si deve prelevare una quantita` di analita compresa tra i due valori soprascritti. Tale quantita` corrisponde a una massa compresa tra: 2,238 mmol  60,1 mg  mmol1 ¼ 134 mg ¼ 0,134 g e 2,984 mmol  60,1 mg  mmol1 ¼ 179 mg ¼ 0,179 g Poiche´ la soluzione di acido acetico e` circa al 10%, l’intervallo calcolato per la massa di analita corrisponde, per la sua soluzione, a un valore compreso tra: 0,134 g  100 ¼ 1,34 g 10

e

0,179 g  100 ¼ 1,79 g 10

Una tale massa corrisponderebbe a un volume compreso tra 1 e 2 mL circa. Trattandosi di un volume troppo piccolo, e` preferibile operare una diluizione della soluzione di analita. Questa diluizione, in relazione alla vetreria disponibile, potrebbe essere di un fattore 12,5 (20 mL di soluzione campione portati a 250 mL), seguita da prelievi di 20 mL ciascuno, da sottoporre a titolazione. b) Se 18,75 sono i mL di titolante impiegati per una determinazione, il calcolo della concentrazione di acido acetico e`: 18,75 mL  0,1492 M ¼ 2,7975 mmol NaOH ¼ 2,7975 mmol acido acetico; 2,7975 mmol acido acetico/20 mL ¼ 0,1399 M (molarita` acido acetico diluito); 0,1399  250 mL ¼ 34,97 mmol (acido acetico in 20 mL di soluzione iniziale del campione); 34,97 mmol/20 mL ¼ 1,748 M (molarita` acido acetico iniziale).

68 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

6. Esempi di calcolo

ESERCIZIO 2

Determinare la percentuale di carbonato di sodio (MM 105,99 g  mol1) in un campione del peso di 0,3173 g sapendo che esso, sciolto in 50 mL di acqua di grado analitico, ha consumato 31,40 mL di soluzione di HCl per il viraggio del metilarancio. In queste condizioni, la reazione consuma 2 mol HCl per 1 mol Na2CO3. La concentrazione della soluzione di HCl e` stata determinata titolando nello stesso modo un campione di Na2CO3 standard primario, della massa di 0,1954 g, consumandone 36,95 mL.

ESERCIZIO 3

Un campione di 0,1902 g di Na2C2O4 standard primario (MM 134,00 g  mol1) viene titolato, in ambiente acido, con 21,70 mL di soluzione di KMnO4. La stessa soluzione di KMnO4 viene usata per titolare il ferro contenuto in 0,2642 g di un campione. Dopo aver sciolto tale campione in acido solforico e aver ridotto tutto il Fe presente nello stato di ossidazione þ2, si sono consumati 28,55 mL di titolante. Calcolare la normalita` del KMnO4 e la percentuale di Fe nel campione analizzato.

ESEMPIO 7

Un campione di K2SO4 standard primario (MM 174,26 g  mol1) della massa di 3,8272 g viene sciolto e portato a volume a 100 mL. Con questa soluzione si titolano tre aliquote, di 20,00 mL ciascuna, di una soluzione preparata sciogliendo 9,6 g di BaCl2  2H2O in 200 mL di acqua. I punti di fine titolazione, rilevati con l’indicatore rodizonato di sodio, risultano essere rispettivamente: 20,15 mL; 20,10 mL; 20,20 mL. Qual e` la concentrazione della soluzione di cloruro di bario? Cominciamo con il calcolare il titolo della soluzione di K2SO4: 3,8272 g ¼ 2,1963  102 mol K2 SO4 ; 174,26 g  mol1 2,1963  102 mol ¼ 2,196  101 M 0,1000 L Indicando con n1, n2 e n3 le mmoli di K2SO4 usate in ciascuna titolazione, si ha: n1 ¼ 20,15 mL  2,196  101 M ¼ 4,425 mmol K2SO4 n2 ¼ 20,10 mL  2,196  101 M ¼ 4,414 mmol K2SO4 n3 ¼ 20,20 mL  2,196  101 M ¼ 4,436 mmol K2SO4 Poiche´ vale la relazione: 1 mol K2SO4 , 1 mol BaCl2, ed essendo le tre determinazioni condotte su aliquote identiche da 20,00 mL, si ottengono tre diverse valutazioni della concentrazione di BaCl2, che indichiamo con C1 , C2 e C 3 : C1 ¼ 4,425 mmol/20,00 mL ¼ 0,2212 M C2 ¼ 4,414 mmol/20,00 mL ¼ 0,2207 M C3 ¼ 4,436 mmol/20,00 mL ¼ 0,2218 M Il risultato analitico puo` essere espresso dalla media di questi tre valori, che risulta: 0,2212 þ 0,2207 þ 0,2218 ¼ 0,2212 M Cmedia ¼ 3 69

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Capitolo 23 - Analisi volumetrica

ESERCIZIO 4

Confrontando il risultato analitico dell’Esempio 7 con il dato in esso fornito sulla preparazione della soluzione di BaCl2, cosa risulta? Quale ipotesi plausibile potrebbe giustificare la discrepanza osservata (escludendo errori grossolani)?

ESERCIZIO 5

Si titolano tre aliquote di 20,00 mL ciascuna della soluzione di BaCl2 dell’Esempio 7 con una soluzione ottenuta sciogliendo 10,245 g di una miscela di solfato e cloruro di sodio in 100,0 mL e si impiegano 24,10 mL, 24,10 mL e 24,20 mL. Qual e` la percentuale di solfato di sodio (MM 142,04 g  mol1) nella miscela?

7

COME PROGETTARE UNA TITOLAZIONE In questo paragrafo prendiamo in considerazione le principali fasi di una titolazione a partire dalla sua progettazione. A titolo di esempio, si progetta la determinazione dell’acidita` di un aceto commerciale. 1. Raccolta di informazioni e definizione degli obiettivi L’aceto e` il prodotto derivante dalla fermentazione di liquidi moderatamente alcolici (meno dell’11% in volume di etanolo). La trasformazione del vino in aceto e` un’ossidazione dell’etanolo ad acido acetico per opera di microrganismi (tra cui l’Acetobacter aceti). Insieme a questa reazione ne avvengono altre, che contribuiscono a dare all’aceto il suo sapore e aroma tipici. Si definisce acidita` totale di un aceto quella che si determina mediante titolazione acido-base con NaOH (3Lab. 32). Essa viene espressa come grammi di acido acetico in 100 mL di aceto. I valori piu` comuni per gli aceti commerciali sono compresi fra 6,5 e 9,5 g/100 mL. Per legge, l’acidita` totale degli aceti non deve essere inferiore a 6 g/100 mL.

LAB Una titolazione in ambiente non acquoso

2. Scelta del metodo analitico In generale, la determinazione di un analita richiede una valutazione delle sue proprieta` chimico-fisiche in modo da scegliere il metodo di analisi piu` appropriato, che deve tenere conto di eventuali interferenze, in particolare se la matrice del campione e` complessa, come nel caso di un alimento. Nel caso dell’aceto, il metodo analitico per determinare l’acidita` totale e` gia` stabilito dalla definizione stessa di questo parametro: si tratta di realizzare una titolazione acido-base. 3. Scelta della strategia di campionamento Nel caso in esame, e` sottinteso che si disponga gia` di un particolare campione di aceto in commercio, per cui e` piu` corretto parlare di «sub-campionamento». Trattandosi di un prelievo da una soluzione, non ci si deve preoccupare di garantire l’omogeneita` del campione e quindi la sua rappresentativita`. Semplicemente, occorre decidere quanto campione prelevare e come trattarlo. Una variabile di cui tenere subito conto e` legata all’errore relativo della misura del volume prelevato, che consiglia di evitare prelievi troppo piccoli. A questo scopo di solito si effettuano prelievi da 5 a 100 mL di campione, con pipette tarate. 70 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

7. Come progettare una titolazione

Per diminuire l’errore derivante dalla misura dei volumi, le concentrazioni delle soluzioni non dovrebbero essere maggiori di 0,5 M. Le eventuali diluizioni si effettuano portando a volume in matracci tarati. Occorre del resto evitare diluizioni eccessive, per consentire l’agevole individuazione del punto di fine titolazione. Infine, per la titolazione si utilizzano burette da 25 o 50 mL, cercando di far corrispondere il volume equivalente a circa 3/4 della capacita` della buretta. 4. Calcoli preliminari Se supponiamo di utilizzare come titolante una soluzione 0,1 M di NaOH e di consumarne circa 20 mL, dovremmo usare circa 2 mmol di base, che corrispondono a 2 mmol di acido acetico. Quale volume di aceto commerciale contiene tale quantita`? Per la risposta occorre conoscere la concentrazione approssimativa dell’aceto: a questo scopo ci si basa sul valore riportato in etichetta o su quello di riferimento legale (minimo 6 g/100 mL). Si puo` calcolare, pertanto, che un aceto di caratteristiche medie e` all’incirca 1 M in acido acetico (3Lab. 32); la quantita` di 2 mmol di acido acetico corrisponde quindi a circa 2 mL di aceto. Poiche´ 2 mL sono troppo pochi per non commettere errori significativi, occorre procedere a un prelievo maggiore, seguito da un’opportuna diluizione. Una tipica soluzione del problema puo` essere quella di prelevare dieci volte il volume previsto (20 mL), diluirlo in un matraccio e prelevare infine un decimo del volume del matraccio. Per esempio, se il matraccio e` da 250 mL, si prelevano 25 mL della soluzione diluita. 5. Definizione delle modalita` operative (procedimento) Anzitutto si deve valutare la quantita` di soluzione titolante necessaria, tenendo conto che una parte di tale soluzione sara` impiegata per la sua standardizzazione. Si sceglie quindi la procedura di standardizzazione opportuna e la si effettua (3Par. 3). Si procede infine alla titolazione dei prelievi precedentemente stabiliti, valutando se i prelievi da titolare vanno ulteriormente diluiti aggiungendo acqua di grado analitico direttamente nella beuta e scegliendo l’adatto indicatore di fine titolazione (3Cap. 26). 6. Esecuzione dell’analisi In questa fase si deve stabilire il numero di prove da effettuare per consentire un’adeguata valutazione dei risultati. Nel caso di risultati sospetti e nell’eventualita` che si debbano scartare alcuni di essi, occorre decidere se procedere a ulteriori prove. 7. Raccolta ed elaborazione dei dati Dopo ogni serie di prove, ripetute con le stesse modalita`: . si stabilisce quali sono i dati da considerare per la formulazione del risultato; . si calcola il valore medio dei risultati e la loro semidispersione (o la

deviazione standard); . si esprime il risultato come concentrazione di CH3COOH nell’aceto,

tenendo conto della diluizione effettuata. 8. Valutazione dei risultati Se si sono confrontate procedure diverse, si stabilisce qual e` la piu` semplice e quale da` risultati meno dispersi (piu` precisi). 71 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Capitolo 23 - Analisi volumetrica

Se il risultato finale si discosta in modo significativo da quello atteso, si riesaminano le diverse fasi dell’analisi per individuare possibili cause di errori sistematici. Eventualmente si puo` ricercare un metodo per controllare l’accuratezza della procedura seguita.

8

RELAZIONI UTILI NEI CALCOLI IN ANALISI VOLUMETRICA Poiche´ i rapporti stechiometrici molari tra i reagenti coinvolti nelle reazioni analitiche spesso non sono 1:1, per comodita` baseremo i calcoli sugli equivalenti, quindi le concentrazioni saranno espresse come normalita`. Standardizzazione di una soluzione con standard primari

Calcoli preliminari Supponendo di utilizzare una buretta da 50 mL e di impiegare circa 30 mL di titolante di normalita` N (da definire esattamente con la standardizzazione), si calcola la massa di standard primario (con massa equivalente = ME) da pesare accuratamente circa tramite la relazione: massa (in mg) = 30 . N . ME. Calcoli finali Si possono presentare due diverse situazioni: . titolazione di quantita` pesate di standard primario: se la massa da pe-

sare non e` piccola (>100 mg), si effettuano almeno tre pesate e si titola ciascuna di esse. Per ogni titolazione i dati sperimentali sono: massa pesata standard primario e Vtitolante. La relazione da applicare e`: Ntitolante ¼

massa pesatastd primario MEstd primario



1 V titolante

. titolazione di aliquote di una soluzione di standard primario a titolo noto:

se la massa risulta minore di 100 mg, al fine di evitare un errore percentuale significativo nella pesata, e` preferibile pesare accuratamente circa una massa 5 o 10 volte maggiore, prelevandone successivamente per la titolazione frazioni corrispondenti a 1/5 oppure a 1/10 del totale. Si ottiene il titolo della soluzione di standard primario (Nstd primario) in base alla massa pesata, alla ME dello stesso e al volume totale e, per la titolazione di ciascuna aliquota, si applica la relazione: Ntitolante ¼

Nstd primario  V aliquota std primario V titolante

Standardizzazione di una soluzione con una soluzione standardizzata

Non disponendo di un adeguato standard primario da pesare, si deve ricorrere all’uso di soluzioni standardizzate di cui si titolano aliquote opportune. Per ogni titolazione si applica la relazione: N titolante ¼

N soluz: standardizzata  V soluz: standardizzata V titolante

72 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

8. Relazioni utili nei calcoli in analisi volumetrica Titolazioni dirette o indirette di un analita in una soluzione

Calcoli preliminari per determinare quanto campione prelevare Se l’analita si trova in una soluzione a titolo incognito e non si hanno informazioni su esso, si devono eseguire determinazioni di prova. Quando il titolo e` orientativamente noto (N analita presunta ), supponendo di utilizzare una buretta da 50 mL e di impiegare per la titolazione circa 30 mL di titolante di normalita` N titolante , il volume di campione da prelevare corrisponde a: V campione ¼

30  N titolante N analita presunta

Se il titolo orientativo e` espresso in %p/V (grammi in 100 mL), si calcola la massa di analita da prelevare, che e` pari a: massa analita (in g) ¼ 0,030  N titolante  ME analita . Poi, in base al valore %p/V della soluzione di campione, se ne calcola il volume: massa analita da prelevare V campione ¼ ð%p=V Þ=100 Se il volume cosı` calcolato risulta troppo piccolo, significa che il campione e` troppo concentrato, quindi si deve effettuare una diluizione della soluzione campione. Calcoli finali . Titolazione del campione tal quale: per ogni titolazione si applica la relazione: N  V titolante Nanalita ¼ titolante V campione . Titolazione del campione diluito: se un volume di campione V i e` stato

diluito a un volume finale V f , il rapporto di diluizione e` V f =V i . Per ogni titolazione si applica la relazione: N  V titolante  V f =V i Nanalita ¼ titolante V campione diluito Titolazioni dirette o indirette di un analita in un solido

Calcoli preliminari per determinare quanto campione pesare Se l’analita si trova in un campione di cui non si hanno informazioni, si devono eseguire determinazioni di prova. Supponendo che la percentuale di analita nel campione solido sia orientativamente w%, volendo utilizzare una buretta da 50 mL e impiegare per la titolazione circa 30 mL di titolante di normalita` Ntitolante , la massa di campione da pesare accuratamente circa e`: 100 30  N titolante  ME analita  w Calcoli finali Per ogni titolazione si applica la relazione: massa analita ¼ N titolante  V titolante  ME analita Il titolo di analita nel campione, espresso come purezza percentuale, e`: massa analita  100 % purezza ¼ massa campione 73 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Capitolo 23 - Analisi volumetrica Titolazioni di ritorno di un analita in soluzione

Si aggiunge a un dato volume di campione una quantita` nota di titolante in eccesso. L’eccesso di quest’ultimo viene titolato con una soluzione standardizzata. Per ogni titolazione si applica la relazione: N analita ¼

ðN titolante  V titolante Þ  ðN soluz: standardizzata  V soluz: standardizzata Þ V campione

Calcolo della % p/V di un analita in soluzione

I grammi di analita in 100 mL di soluzione si calcolano in base al titolo dell’analita nel campione (N analita ) e alla sua massa equivalente (ME analita ): %p=V ¼ Nanalita  ME analita  100=1000 Espressione del risultato come volume di gas

In alcuni campioni commerciali il dato analitico finale deve essere espresso come volumi di gas (come per H2O2). In tal caso occorre conoscere il rapporto mol gas:mol analita e procedere al calcolo di quanti litri di gas sono sviluppati da un litro della soluzione dell’analita. Questo comporta il passaggio da normalita` a molarita` dell’analita. L’espressione finale e`: Volumi ¼

Nanalita mol gas  22; 4  z analita mol analita

La composizione formale di un componente nel campione

Vi sono casi in cui il risultato deve essere espresso come quantita` di un composto (riferito all’analita) in una data quantita` di campione (come per la durezza delle acque in cui il contenuto di ioni Ca2+ e Mg2+ viene indicato in gradi francesi come mg di CaCO3 in 100 mL di acqua). In questo caso occorre conoscere il rapporto mol composto:mol analita e procedere al calcolo della massa che, nel caso sia riferito a 1 litro di soluzione, e` il seguente: massa composto ¼

RISPOSTE

N analita mol composto  MM composto  z analita mol analita

Esercizio 1: 0,0913 M Esercizio 2: HCl 0,0998 N; Na2CO3 52,3% Esercizio 3: KMnO4 0,1308 N; Fe 78,95% Esercizio 4: il calcolo per 9,6 g BaCl2  2H2O in 200 mL darebbe 0,1965 M, mentre si e` determinato un valore superiore. La causa potrebbe essere dovuta a una perdita di acqua di cristallizzazione del sale diidrato Esercizio 5: 25,4%

74 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

24

Titolazioni redox

U

na delle piu` importanti applicazioni dei principi della volumetria e` rappresentata dalle titolazioni redox o di ossidoriduzione, basate su reazioni analitiche nelle quali il titolante e` un ossidante o un riducente (3Vol. 1, Cap. 4). Il campo di applicazione di questo tipo di analisi volumetrica riguarda gli analiti che dispongono di piu` di uno stato di ossidazione, come per esempio alcuni metalli (Fe, Cu, Cr, Mn) o composti come i perossidi. Ricordiamo che una reazione redox e` rappresentabile attraverso due processi concomitanti, ciascuno dei quali viene detto semireazione. Una delle due semireazioni consiste in una riduzione, l’altra in un’ossidazione; in ciascuna semireazione sono coinvolti due diversi stati di ossidazione di un elemento. Un esempio puo` essere l’ossidazione degli ioni ferrosi (Fe2þ) per opera degli ioni cerici (Ce4þ): Ce4þ þ Fe2þ ! Ce3þ þ Fe3þ Le due semireazioni di questa redox sono: Fe2þ ! Fe3þ þ e Ce4þ þ e ! Ce3þ

1 La forza redox di una coppia dipende, oltre che dalla sua intrinseca tendenza a ossidarsi o ridursi, anche dal valore dell’attivita` di tutte le specie che partecipano alla reazione. Si chiamano standard i potenziali che si riferiscono a valori di attivita` tutte uguali a uno. Inoltre, va ricordato che il potenziale dipende dalla temperatura, che nei dati tabulati e` di solito fissata a 25 oC. Il potenziale standard si indica con E0.

ossidazione riduzione

IL POTERE OSSIDANTE E RIDUCENTE1 DEGLI AGENTI TITOLANTI Per essere adatti allo scopo, i titolanti di tipo redox devono possedere una forza ossidante o riducente adeguata. Il concetto di forza (o potere) ossidante o riducente di una specie e` legato alla reattivita` di quest’ultima, cioe` alla sua tendenza a trasformarsi. Tuttavia la valutazione di tale forza richiede sempre l’intervento di una seconda specie, che deve reagire con la prima. Per esempio, supponendo di voler valutare la forza ossidante del Ce4þ, si potrebbe pensare di associarla alla K della reazione soprascritta con lo ione Fe2þ; in tal modo, pero`, entra inevitabilmente in gioco anche la forza riducente di quest’ultimo. Il problema e` molto simile a quello dell’espressione della forza di acidi e basi (3Vol. 1, Cap. 11) e la sua soluzione e` analoga: si sceglie una particolare coppia redox che, per convenzione, agisce da riducente nei confronti di tutte le altre. La coppia individuata come riferimento standard e` quella Hþ/H2: 2Hþ þ 2e ! H2 La valutazione di quanto l’ossidoriduzione tra una generica coppia redox e quella di riferimento sia spostata verso i prodotti si basa su un parametro elettrochimico, strettamente legato alla K della reazione: si tratta del potenziale 1

Per una trattazione piu` estesa vedi Vol. 1 App. 2.

75 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Capitolo 24 - Titolazioni redox

Tabella 24.1 Potenziali standard di riduzione (E 0 ), misurati a 25  C.

standard di riduzione, espresso in volt (V). Il potenziale di una coppia redox viene detto di riduzione proprio perche´ si riferisce alla reazione in cui la coppia si riduce, ossidando H2 ad Hþ. Valori positivi di tale potenziale indicano che la reazione procede spontaneamente nel senso in cui e` scritta. Viceversa, se alla coppia corrisponde un potenziale negativo, cio` indica che il verso spontaneo della reazione e` quello opposto, dove a ridursi e` Hþ. Piu` in generale, accoppiando due generiche semireazioni, vale che quella con potenziale di riduzione piu` elevato procede nel senso in cui e` scritta, mentre quella con il potenziale minore procede nel senso opposto. Per esempio, alla coppia Ce4þ/Ce3þ corrisponde un potenziale di 1,61 V (in HNO3 1 M), mentre la coppia Fe3þ/Fe2þ ha un potenziale di 0,75 V (in HNO3 1 M). Cosı`, sebbene entrambe le coppie siano ossidanti rispetto a Hþ/H2, la differenza tra i due potenziali indica che Ce4þ e` in grado di ossidare Fe2þ, come gia` detto. La Tabella 24.1 riporta i potenziali standard delle coppie redox piu` frequentemente utilizzate nelle titolazioni di ossidoriduzione. Come si vede, tutte le semireazioni sono rappresentate come riduzioni; tanto maggiore e` il potenziale di una coppia, tanto maggiore e` il potere ossidante della sua forma ossidata (scritta a sinistra nella semireazione). Viceversa, tanto minore e` il potenziale, tanto piu` riducente e` la forma ridotta della coppia. E0 (V) Semireazione 2,980 2,075 2,01 1,850 1,763 1,692 1,70 1,72 1,567 1,513 1,507 1,458 1,396 1,36 1,230 1,229 1,210 1,078 0,984 0,940 0,908 0,86 0,799 0,796 0,771 0,732 0,695 0,575 0; 535

I2 þ 2e Ð 2I Cuþ þ e Ð Cu 4  FeðCNÞ3 6 þ e Ð FeðCNÞ6 2þ  Cu þ 2e Ð CuðsÞ Hg2 Cl2 ðsÞ þ 2e Ð 2Hg þ 2Cl AgClðsÞ þ e Ð Ag þ Cl þ  SO2 4 þ 4H þ 2e Ð SO2 ðaqÞ þ 2H2 O 2þ  þ Cu þ e Ð Cu Sn4þ þ 2e Ð Sn2þ ðin HCl 1 MÞ S þ 2Hþ þ 2e Ð H2 SðgÞ  2 S4 O2 6 þ 2e Ð 2S2 O3  AgBrðsÞ þ e Ð Ag þ Br 2Hþ þ 2e Ð H2 Pb2þ þ 2e Ð Pb Sn2þ þ 2e Ð Sn AgIðsÞ þ e Ð Ag þ I Ni2þ þ 2e Ð Ni Co2þ þ 2e Ð Co PbSO4 ðsÞ þ 2e Ð PbðsÞ þ SO2 4 Fe2þ þ 2e Ð Fe 2CO2 þ 2Hþ þ 2e Ð H2 C2 O4 Zn2þ þ 2e Ð Zn Mn2þ þ 2e Ð Mn Al3þ þ 3e Ð Al Mg2þ þ 2e Ð Mg Naþ þ e Ð Na Ca2þ þ 2e Ð Ca Kþ þ e Ð K Liþ þ e Ð Li

76 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

3

F2 ðgÞ þ 2Hþ ðgÞ þ 2e Ð 2HF O3 þ 2Hþ þ 2e Ð O2 þ H2 O  2 S2 O2 8 þ 2e Ð 2SO4 3þ  2þ Co þ e Ð Co ðin HNO3 4 MÞ H2 O2 þ 2Hþ þ 2e Ð 2H2 O þ  MnO 4 þ 4H þ 3e Ð MnO2 ðsÞ þ 2H2 O 4þ  3þ Ce þ e Ð Ce ðin HCIO4 1 MÞ Ce4þ þ e Ð Ce3þ H5 IO6 þ Hþ þ 2e Ð IO 3 þ 3H2 O þ  þ 12H þ 10e Ð Br2 þ 6H2 O 2BrO 3 þ  2þ þ 8H þ 5e Ð Mn þ 4H2 O MnO 4 þ  2þ PbO2 þ 4H þ 2e Ð Pb þ 2H2 O Cl2 þ 2e Ð 2Cl þ  3þ þ 7H2 O Cr2 O2 7 þ 14H þ 6e Ð 2Cr þ  MnO2 ðsÞ þ 4H þ 2e Ð Mn2þ þ 2H2 O O2 ðgÞ þ 4Hþ þ 4e Ð 2H2 O þ  2IO 3 þ 12H þ 10e Ð I2 þ 6H2 O   Br2 ðlÞ þ 2e Ð 2Br HNO2 þ Hþ þ e Ð NOðgÞ þ H2 O þ  NO 3 þ 3H þ 2e Ð HNO2 þ H2 O 2þ  2Hg þ 2e Ð Hg2þ 2 Cu2þ þ I þ e Ð CuI Agþ þ e Ð Ag  Hg2þ 2 þ 2e Ð 2Hg 3þ  Fe þ e Ð Fe2þ Fe3þ þ e Ð Fe2þ ðin HCl 1 MÞ O2 ðgÞ þ 2Hþ þ 2e Ð H2 O2 H3 AsO4 þ 2Hþ þ 2e Ð H3 AsO3 þ H2 O   I 3 þ 2e Ð 3I

E0 (V)

Forza riducente

Forza ossidante

3

Semireazione

0,535 0,518 0,356 0,339 0,268 0,222 0,17 0,161 0,139 0,174 0,10 0,071 0,000 0,126 0,141 0,152 0,236 0,282 0,335 0,440 0,432 0,762 1,182 1,677 2,360 2,714 2,868 2,936 3,040

2. Le condizioni per eseguire una titolazione redox

Quando vi e` una differenza di almeno 0,3 V tra i potenziali di due coppie, la corrispondente reazione di ossidoriduzione e` praticamente completa. I potenziali di riduzione effettivi (detti anche attuali), che valgono nei sistemi con cui si opera, sono studiati dall’elettrochimica in termini che vanno oltre gli scopi di questo testo. Il nostro obiettivo, infatti, e` chiarire il contesto e le migliori condizioni operative per effettuare titolazioni redox, in cui le principali relazioni quantitative tra le variabili sono essenzialmente di tipo stechiometrico.

2

LAB Introduzione alle reazioni redox

LE CONDIZIONI PER ESEGUIRE UNA TITOLAZIONE REDOX Le reazione tra ferro e cerio, gia` citata, costituisce un tipico esempio di reazione adatta per condurre una titolazione redox. Essa, infatti, possiede tutti i requisiti essenziali per una titolazione (3Cap. 23). In generale, se la differenza di potenziale redox non garantisce la completezza della reazione, si puo` agire su alcuni fattori che determinano variazioni dei potenziali nel senso desiderato, basandosi sul principio di Le Chatelier (3Vol. 1, Cap. 9). A tal fine, i piu` importanti interventi possono essere: – – – –

variazione della concentrazione di un reagente; variazione del pH; inserimento di agenti complessanti o precipitanti; variazioni di temperatura.

Per quanto riguarda l’aspetto cinetico della reazione, in assenza di informazioni specifiche, si puo` assumere come criterio orientativo il fatto che le redox che comportano semplici scambi di elettroni (per esempio Fe3þ =Fe2þ ) sono molto piu` veloci di quelle che richiedono modificazioni di struttura e di legami nelle 2þ specie chimiche (come, per esempio, MnO 4 =Mn ). Se e` necessario intervenire per accelerare la reazione, abitualmente si modifica la temperatura, oppure si ricorre all’azione di opportuni catalizzatori. Una condizione essenziale per realizzare una titolazione redox e` legata all’ovvia esigenza di cogliere il punto di equivalenza. Gli indicatori possibili sono i seguenti. . I reagenti Si tratta del caso piu` favorevole, in cui uno dei reagenti presenta due colori diversi nelle due forme (ossidata o ridotta) o, meglio, una di esse e` incolore. Il caso tipico e` rappresentato dal permanganato di potassio, perche´ lo ione MnO 4 possiede una forte colorazione viola (rosa in soluzione diluita), mentre lo ione Mn2þ e` praticamente incolore. Per questo, nel momento in cui viene aggiunta una goccia in eccesso di MnO 4 oltre il punto di equivalenza, la comparsa di un pallido rosa segnala il termine della titolazione, senza apprezzabili errori nell’analisi. . Indicatori specifici Alcune sostanze hanno la capacita` di legarsi alla forma ossidata (o ridotta) del titolante, sviluppando una colorazione tipica; si parla in questo caso di indicatori specifici, perche´ sono selettivi per una determinata specie chimica.

77 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Capitolo 24 - Titolazioni redox

Il piu` noto di essi e` la salda d’amido, consistente in una sospensione acquosa di amido che con I 3 produce un’intensa colorazione blu. Un altro esempio e` rappresentato dall’o-fenantrolina, che forma con Fe2þ un complesso dall’intensa colorazione rossa, mentre con Fe3þ il colore e` solo debolmente azzurro. . Indicatori redox veri e propri Si tratta di coppie redox in cui la forma ossidata e la forma ridotta presentano colori diversi e che, in corrispondenza del punto di equivalenza, cambiano colore. Il potenziale della coppia redox dell’indicatore e` intermedio tra quello dell’analita e quello del titolante, per cui, supponendo di titolare un riducente, fino a quando in soluzione permane dell’analita il colore prevalente e` quello della forma ridotta dell’indicatore. Oltre il punto di equivalenza, quando vi e` un eccesso di titolante, l’indicatore viene ossidato e il colore prevalente diventa quello della sua forma ossidata. Un esempio di indicatore redox e` dato dal complesso Fe-o-fenantrolina (detto anche ferroina), che presenta un sistema redox del tipo:

ðPhÞ3 Fe3þ þ e Ð ðPhÞ3 Fe2þ azzurro

E0 ¼ þ 1,06 V ðin H2 SO4 0,5 MÞ

rosso

Alcuni indicatori redox sono riportati nella Tabella 24.2. Tabella 24.2 Indicatori redox di maggior impiego.

Indicatore Fe(II)-5-nitro1,10 fenantrolina Ferroina (Fe(II)-1,10 fenantrolina) Acido difenilammino solfonico Difenilammina Blu di metilene Fenosafranina

3

Colore forma ossidata

Colore forma ridotta

Potenziale di viraggio (a pH  0)

azzurro

rosso

1,25 V

azzurro

rosso

1,11 V

rosso-viola viola blu rosso

incolore incolore incolore incolore

0,80 0,76 0,36 0,28

V V V V

AGENTI TITOLANTI I reagenti normalmente utilizzati per le titolazioni redox sono in numero abbastanza ristretto e con una netta prevalenza degli agenti ossidanti, perche´ questi ultimi sono in genere piu` stabili. Infatti, sebbene in base al potenziale redox un forte ossidante possa reagire con l’acqua, in molti casi cio` non accade, perche´ la velocita` di tali reazioni e` praticamente nulla. Viceversa, i riducenti possono essere ossidati dall’ossigeno disciolto, per cui le loro soluzioni vanno spesso preparate al momento dell’uso o frequentemente standardizzate. Alcuni esempi di sistemi redox particolarmente interessanti per le titolazioni di ossidoriduzione sono i seguenti. . H2 O L’acqua non e` una specie anfotera solo dal punto di vista acido-base, ma anche dal punto di vista ossidoriduttivo; essa, infatti, puo` essere ridotta a idrogeno

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3. Agenti titolanti

(agendo da ossidante) o ossidata a ossigeno (comportandosi da riducente). I potenziali redox (a pH 7) delle relative semireazioni sono: 2H2 O þ 2e Ð H2 þ 2OH O2 þ 4Hþ þ 4e Ð 2H2 O

E0 ¼ 0,41 V E0 ¼ þ0,81 V

. SO2 4

La coppia SO2 4 =SO2 ha, in ambiente acido, un potenziale abbastanza ‘‘centrale’’ nella serie elettrochimica, come si puo` ricavare dal suo potenziale standard: þ  E0 ¼ þ0,20 V SO2 4 þ 4H þ 2e Ð H2 SO3 þ H2 O Lo ione solfato risulta pertanto piuttosto stabile (tant’e` che semmai e` l’eventuale SO2 presente in soluzione a manifestare comportamento riducente). Solo l’acido solforico concentrato esplica, con alcuni composti come ioduri e bromuri, un’azione ossidante, non utilizzata comunque nell’analisi quantitativa. . MnO 4

Lo ione permanganato e` un ottimo titolante ossidante, perche´ in ambiente acido ha un potenziale elevato e, per via del suo colore intenso, e` un autoindicatore del punto di fine: þ  2þ MnO þ 4H2 O 4 þ 8H þ 5e Ð Mn

E0 ¼ 1,51 V

L’inconveniente dovuto al fatto che talvolta la reazione e` lenta, come con l’acido ossalico, puo` essere superato riscaldando la miscela di reazione, oppure usando ioni Mn2þ come catalizzatori. Le titolazioni con permanganato sono la base della permanganatometria. . Cr2 O2 7

Lo ione bicromato (o dicromato) e` un forte ossidante in ambiente nettamente acido: þ  3 þ 7H2 O E0 ¼ 1,33 V Cr2 O2 7 þ 14H þ 6e Ð 2Cr La manipolazione di K2 Cr2 O7 solido va effettuata con particolare attenzione a causa della sua tossicita`. Le titolazioni con bicromato rientrano nella cosiddetta bicromatometria. . Perossidi Rientrano tra questi l’acqua ossigenata e molte sostanze comunemente usate come sbiancanti. Si tratta di sostanze in grado di comportarsi da ossidanti, specialmente in ambiente acido, ma anche da riducenti, come nelle titolazioni con permanganato:

H2 O2 þ 2Hþ þ 2e Ð 2H2 O O2 þ 2Hþ þ 2e Ð H2 O2

E0 ¼ þ1,76 V E0 ¼ þ0,70 V

. I2 =I

Questa coppia redox presenta una particolare importanza perche´ e` alla base di titolazioni molto usate, chiamate iodimetriche e iodometriche. La semireazione fondamentale e` la seguente: I2 þ 2e Ð 2I

E0 ¼ þ0,54 V

Poiche´ lo iodio e` insolubile in acqua, si opera abitualmente in eccesso di ioni ioduro, che con I2 formano la specie I 3 , facilmente solubile. La coppia redox effettiva e` dunque:   I 3 þ 2e Ð 3I

E0 ¼ þ0,54 V

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Capitolo 24 - Titolazioni redox

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CAMPI DI APPLICAZIONE Le titolazioni redox vengono in genere classificate in base al nome del reagente principale. In questa sede ci limiteremo a citare le principali, riprendendo alcuni dei concetti gia` esposti e mettendone in evidenza gli aspetti applicativi, considerando anche le problematiche della sicurezza. Permanganatometria

Il reagente di base e` il permanganato di potassio, KMnO4 , una sostanza di colore viola intenso che in soluzione acida reagisce in modo quantitativo con molte specie riducenti formando lo ione Mn2þ . In tali reazioni, il numero di ossidazione del manganese passa da þ7 a þ2; per cui Z del permanganato (rapporto equivalenti/mole) vale 5 eq  mol1 . In soluzioni poco acide, neutre o debolmente basiche, la riduzione di MnO 4 si ferma a MnO2 , che forma un precipitato bruno: þ  MnO 4 þ 4H þ 3e Ð MnO2 þ 2H2 O

E0 ¼ þ1; 69 V

Infine, in ambiente fortemente alcalino (in NaOH >1 M) si forma lo ione MnO2 4 . Questa semireazione viene talvolta utilizzata per l’ossidazione di composti organici. . Determinazione del punto finale. Come gia` detto, le titolazioni con perman-

ganato non richiedono in genere l’impiego di indicatori, in quanto e` il reagente stesso che indica la fine della titolazione: l’eccesso di permanganato viene immediatamente segnalato da una colorazione rosa. L’intensita` del colore e` tale che una goccia di soluzione 0,1N impartisce una colorazione rosa anche a un volume di 500 mL. . Interferenze. Benche´ la permanganatometria sia ancora oggi di largo impiego, essa non e` esente da interferenze. Va evitata particolarmente la presenza di ioni cloruro, perche´ possono essere ossidati. . Stabilita`. Le soluzioni di permanganato non sono molto stabili, perche´ esso attacca qualunque sostanza presente nell’acqua usata per prepararlo. Inoltre e` in grado di ossidare l’acqua liberando ossigeno: per quanto questa reazione sia praticamente ferma, essa e` catalizzata anche dalla luce, per cui le soluzioni di permanganato si conservano in bottiglie di vetro scuro. . Applicazioni. Fra le piu` importanti possiamo citare le determinazioni di: – Fe2þ proveniente da molti materiali diversi (minerali e campioni metallici); alcune applicazioni analitiche consentono la determinazione indiretta di specie ossidanti: aggiungendo una quantita` nota e in eccesso di 2þ Fe2þ alla soluzione dell’ossidante, si titola con MnO 4 l’eccesso di Fe ; – ossalati (C2 O2 4 ) ossidati a CO2 : si tratta della reazione su cui si basa la standardizzazione delle soluzioni di permanganato, che puo` essere sfruttata per l’analisi di specie che formano sali insolubili con l’ossalato come il calcio: dopo la precipitazione quantitativa di CaC2 O4 si determina l’acido ossalico presente nel precipitato, che corrisponde al calcio; – nitriti, ossidati a nitrati; – H2 O2 ossidata a ossigeno: il metodo si usa anche nella determinazione dei perossidi e di sali come i perborati nei detersivi. 80 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

4. Campi di applicazione Cerimetria

Il Ce4þ presenta caratteristiche analoghe al permanganato, per cui le sue applicazioni sono simili, con in piu` il vantaggio di evitare l’interferenza da ioni cloruro presenti in molte soluzioni di analiti. La riduzione presenta un unico stato finale, quello Ce3þ , per cui Z vale 1 eq  mol1 . . Determinazione del punto finale. Richiede l’uso di indicatori redox, tra i quali

il piu` usato e` la ferroina. . Interferenze. Derivano principalmente dalla scarsa solubilita` dei composti cerici, in particolare fosfati e fluoruri. Anche il pH deve essere fortemente acido ( K In ), il rapporto e` a favore della forma acida, nel caso contrario prevale la forma basica. Riassumendo: . se pH < pK In prevale la forma acida ½HIn; . se pH > pK In prevale la forma basica ½In ; . se pH  pK In le concentrazioni delle due forme sono simili e la soluzione

assume un colore intermedio fra le due. Il prevalere di una forma sull’altra si traduce nell’osservazione del corrispondente colore. In generale si assume che il colore della soluzione sia nettamente l’uno o l’altro dei due possibili quando una delle due forme e` in eccesso di almeno 10 volte rispetto all’altra, cioe`: . se il rapporto

½HIn e` > 10 si osserva il colore di HIn (colore A); ½In 

. se il rapporto

½HIn e` < 0,1 si osserva il colore di In (colore B). ½In 

Esprimendosi tramite i logaritmi si osserva che:

L’intervallo di viraggio di un indicatore divide il campo di pH in due zone, la cui linea di demarcazione dipende dal pK In . Il colore dell’indicatore ci informa solo sulla zona in cui si trova il pH della soluzione.

se pH < pKIn  1

colore A

se pH > pKIn þ 1

colore B

In linea di massima la soluzione assume un colore ‘‘misto’’ entro 2 unita` di pH intorno a pKIn , anche se in pratica questo intervallo spesso e` piu` ridotto. Il cambiamento di colore di un indicatore e` detto viraggio, per cui il valore di pH corrispondente a pKIn si chiama punto di viraggio. Come abbiamo visto, pero`, e` piu` corretto riferire il viraggio a un campo piu` ampio di pH, per cui a ogni indicatore si associa un intervallo di viraggio, come si puo` rilevare dalla Tabella 26.1, dove sono riportati pKIn e intervalli di viraggio dei principali indicatori acido-base. 90 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

2. Gli indicatori acido-base Tabella 26.1 pK, intervalli di viraggio e colori dei piu` importanti indicatori.

Indicatore

pH viraggio

rosso cresolo blu timolo metilarancio rosso congo verde bromocresolo rosso metile tornasole blu bromotimolo rosso fenolo porpora cresolo blu timolo fenolftaleina timolftaleina giallo alizarina

0,2-1,8 1,2-2,8 3,1-4,4 3,0-5,0 3,8-5,4 4,8-6,0 5,0-8,0 6,0-7,6 6,4-8,0 7,6-9,2 8,0-9,6 8,0-9,6 8,3-10,5 10,1-12,0

Colore forma acida Colore forma basica rosso rosso rosso violetto giallo rosso rosso giallo giallo giallo giallo incolore incolore giallo

giallo giallo giallo rosso blu giallo blu blu rosso porpora blu rosso blu rosso-arancio

Le considerazioni appena fatte ci permettono di giungere a due importanti conclusioni. 1. E` sbagliato affermare che il colore assunto da un indicatore ‘‘indica il pH’’ di una soluzione, perche´ in effetti l’informazione e` piu` limitata, seppure di grande utilita`: il pH si trova al di sotto o al di sopra degli estremi dell’intervallo di viraggio. In qualche caso, quando il colore di viraggio (cioe` quello ‘‘misto’’) e` abbastanza netto, esso indica il pH dell’intervallo di viraggio. 2. Se nel passaggio dal punto di equivalenza di una titolazione acido-base si verifica una variazione del pH superiore a 2 unita` ed e` possibile individuare un indicatore il cui intervallo di viraggio sia compreso in tale campo del pH, si puo` scegliere quell’indicatore per individuare il punto di fine titolazione. Tabella 26.2 Composizione e comportamento di alcuni indicatori misti e dell’indicatore universale.

Composizione

Solvente

pH viraggio

Colore acido

Colore viraggio

Colore basico

acqua

4,3

arancio

verde-giallo

verde

50% acqua alcol

9,0

giallo

verde

viola

verde bromocresolo 0,1% þ metilarancio 0,02% fenolftaleina 0,075% þ blu timolo 0,025% Indicatore universale Composizione

pH

colore

18,5 mg rosso metile + 60 mg blu di bromotimolo + 64 mg fenolftaleina in 100 mL alcool al 50% + NaOH 0,1 N goccia a goccia fino a colore verde

3 4 5 6 7 8 9 10

rosso scuro rosso rosso-arancio giallo-arancio verde-giallo verde blu-verde viola

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Capitolo 26 - Titolazioni acido-base

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CURVE DI TITOLAZIONE DI ACIDI E BASI MONOPROTICI Il calcolo del pH delle miscele acido-base e` gia` stato trattato. In questa sede vogliamo discutere l’influenza di alcune variabili, in particolare della concentrazione e della forza acido-base, sull’andamento delle curve di titolazione e, in relazione a questo, capire come scegliere l’indicatore piu` opportuno. Per semplicita`, per ora ci limitiamo al caso della titolazione di un acido o di una base che scambiano solo un protone. I casi esaminati sono rappresentati in altrettanti grafici ricavati per via teorica attraverso il calcolo del pH e le procedure descritte nei Capitoli 11-14 del Volume 1. L’accuratezza dei singoli valori calcolati va considerata criticamente, ma le curve riproducono efficacemente l’andamento sperimentale effettivo che si ottiene misurando il pH della soluzione col pHmetro, uno strumento del cui funzionamento non ci occupiamo in questa sede. Titolazione di acido forte con base forte

Osservando i grafici della Figura 26.2 si nota che il pH si mantiene quasi costante per gran parte della titolazione, fino a poco prima del punto di equivalenza. Ricordiamo infatti che le soluzioni di acidi forti presentano un notevole effetto tamponante a bassi valori del pH (3Vol. 1, Cap. 14). La diversa concentrazione dei due acidi si traduce nel fatto che il pH si mantiene a valori piu` bassi (di circa 2 unita`) per la soluzione 0,1 M (caso a), rispetto a quella 0,001 M (caso b). In prossimita` del punto di equivalenza si osserva un’impennata della curva, che passa immediatamente, dopo averlo superato, a pH nettamente basici, che si mantengono tali proseguendo nell’aggiunta di titolante. L’andamento di queste curve di titolazione e` caratteristico e viene detto a sigmoide. Lo ritroveremo, con varie differenze, negli altri casi che discuteremo. Come regola generale si puo` affermare che quanto piu` i campioni e i titolanti sono diluiti, tanto meno estesa e` la variazione del pH vicino al punto di equivalenza. Per la scelta dell’indicatore e` sufficiente che il suo intervallo di viraggio sia compreso nel campo di variazione del pH immediatamente prima e dopo il punto di equivalenza. L’esame della Figura 26.2 mostra che tutti e tre gli indicatori Figura 26.2 Curve di titolazione di 25 mL di HCl con NaOH, con indicazione dell’intervallo di viraggio di tre importanti indicatori: a. HCl 0,1 M e NaOH 0,1 M; b. HCl 0,001 M e NaOH 0,001 M.

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3. Curve di titolazione di acidi e basi monoprotici

riportati soddisfano questa condizione per la curva a, e quindi possono essere scelti per segnalare il punto di fine senza commettere un errore di titolazione significativo. Nel caso della curva b, solo gli indicatori il cui viraggio avvenga tra pH 6 e 8, come il blu di bromotimolo, possono essere considerati adatti. Un indicatore come il metilarancio, che vira tra pH 3,1 e 4,4, inizia il cambiamento di colore prima del punto di equivalenza, modificandolo gradualmente e assumendo quello definitivo ancora prima dell’equivalenza. L’errore di titolazione che si commetterebbe scegliendo il metilarancio non sarebbe dunque trascurabile. Per concentrazioni inferiori a 0,001 M di analita e titolante il tratto verticale della curva e` cosı` ridotto che la variazione di colore di qualunque indicatore risulta troppo graduale e non si puo` cogliere con precisione il punto di equivalenza. Le eventuali diluizioni dell’analita nel corso di una normale titolazione (per esempio, a causa del lavaggio delle pareti della beuta con la spruzzetta) non influiscono allo stesso modo, in quanto viene diluito solo l’analita e non il titolante, cosicche´ dopo il punto di equivalenza la curva resta all’incirca quella di prima della diluizione. Titolazione di base forte con acido forte

L’andamento delle curve che si riferiscono a questo caso e` del tutto simmetrico a quello appena trattato; anche per quanto riguarda le problematiche relative all’influenza della concentrazione e alla scelta dell’indicatore non vi sono differenze. Un aspetto particolare riguarda il fatto che, di norma, le basi forti vengono poste inburetta, anchese si trattadi analiti.Talescelta si deve allapresenza nell’aria di CO2 , un ossido acido che reagendo con la base forte presente nella beuta, sottoposta ad agitazione, ne comporterebbe una parziale neutralizzazione. Nella buretta, invece, sia a causa della ridotta superficie di liquido esposta all’aria, sia per l’assenza di agitazione, questo inconveniente e` del tutto trascurabile. Titolazione di acido debole con base forte

La Figura 26.3 riporta le curve relative alla titolazione di un acido debole, l’acido acetico, alle concentrazioni 0,1 M e 0,001 M, con titolante di uguale concentrazione. Figura 26.3 Curve di titolazione di 25 mL di CH3 COOH (pKa ¼ 4,7) con NaOH, con indicazione dell’intervallo di viraggio di tre importanti indicatori: a. CH3 COOH 0,1 M e NaOH 0,1 M; b. CH3 COOH 0,001 M e NaOH 0,001 M.

93 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Capitolo 26 - Titolazioni acido-base

Si puo` notare che il pH iniziale e` piu` alto delle analoghe soluzioni di acidi forti. Un’altra differenza con le curve della Figura 26.2 e` data dalla sovrapposizione che le due curve, a concentrazione diversa, presentano a partire da circa un quarto del volume corrispondente al punto di equivalenza. Una caratteristica generale delle curve di titolazione acido debole-base forte e` che a meta` della titolazione (detta punto di semiequivalenza), essendo uguali le concentrazioni di acido debole (cioe` l’analita ancora da titolare) e della sua base coniugata (l’analita gia` titolato), risulta pH ¼ pKa (3Vol. 1, Cap. 14). Cio` comporta che, salvo nel caso di variazioni dovute alla diversa forza ionica e quindi delle K (3Vol. 1, Cap. 12), a qualunque concentrazione, tutte le curve di titolazione passano vicino allo stesso punto, individuato dalle coordinate (equivalente/2, pKa). La scelta dell’indicatore si effettua facendo in modo che l’estensione del tratto verticale della curva comprenda il suo intervallo di viraggio. Nel caso della curva a, la fenolftaleina si presta bene a cogliere il punto di equivalenza, mentre il blu di bromotimolo andrebbe utilizzato con una certa prudenza e il metilarancio non sarebbe assolutamente adatto. Nel caso della curva b si osserva che la scelta risulta piuttosto problematica, tanto che solitamente tali titolazioni vengono effettuate per mezzo di tecniche strumentali. Volendo ricorrere comunque a un indicatore visuale, si possono utilizzare la porpora cresolo (3Tab. 26.1) oppure indicatori "misti", cioe` miscele di indicatori che hanno un viraggio piu` evidente e soprattutto in intervalli del pH piu` ristretti. Abbiamo citato questi indicatori nella Tabella 26.2, dove proponiamo anche una formulazione del cosiddetto indicatore universale: un indicatore misto che presenta una gamma di colori tale da consentire la valutazione approssimata del pH in un ampio intervallo di valori. Nelle titolazioni di acidi deboli con basi forti la possibilita` di individuare il punto di equivalenza dipende dalla concentrazione dell’analita, e soprattutto dal valore della sua Ka. Cio` risulta evidente osservando i grafici della Figura 26.4. Se la pKa e` inferiore a 5-6 non vi sono particolari problemi, ma Figura 26.4 Curve di titolazione di 25 mL di acidi deboli 0,1 M, con diverso pKa , per mezzo di NaOH 0,1 M, con indicazione dell’intervallo di viraggio di tre importanti indicatori.

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4. Curve di titolazione di acidi e basi poliprotici

con acidi come l’ipocloroso o il borico, con pKa >7, il tratto verticale della curva intorno al punto di equivalenza e` troppo breve o addirittura quasi inesistente, il che rende impossibile utilizzare un indicatore visuale. In generale, gli acidi deboli devono essere titolati usando come indicatori fenolftaleina, blu timolo e timolftaleina, perche´ al punto di equivalenza la soluzione e` debolmente basica, e quindi si deve usare un indicatore che viri in ambiente basico. Titolazione di base debole con acido forte

La situazione e` simmetrica rispetto alla precedente; poiche´ il punto di equivalenza e` in campo acido, gli indicatori adatti sono quelli che virano in tale zona, come il verde di bromocresolo o il metilarancio. In questo caso il valore della pKb e` un fattore determinante per la fattibilita` della titolazione: una base molto debole come la piridina (pKb  8,7) non puo` essere titolata in queste condizioni. Figura 26.5 Curve di titolazione di 25 mL di basi deboli 0,1 M, con diverso pKb per mezzo di HCl 0,1 M, con indicazione dell’intervallo di viraggio di tre importanti indicatori.

4

CURVE DI TITOLAZIONE DI ACIDI E BASI POLIPROTICI Rimandiamo ai Capitoli 13 e 14 del Volume 1 per la trattazione teorica degli equilibri di acidi e basi poliprotici, con i relativi calcoli del pH e l’individuazione delle coppie coniugate prevalenti in corrispondenza delle successive neutralizzazioni. Titolazione di acido poliprotico con base forte

La titolazione di un acido poliprotico puo` avvenire in diversi stadi, ciascuno corrispondente alla neutralizzazione successiva di ciascun protone acido. La condizione per distinguere analiticamente le diverse fasi della neutralizzazione e` strettamente correlata ai valori delle pKa, e in particolare alla differenza tra le pKa successive dell’acido. Nella Figura 26.6 sono riportate le curve di titolazione di tre acidi diprotici 95 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Capitolo 26 - Titolazioni acido-base

che presentano tre casi diversi. Il primo punto di equivalenza, corrispondente alla reazione: H2 A þ OH ! HA þ H2 O appare nettamente separato dal secondo punto di equivalenza solo per l’acido maleico, le cui pKa1 e pKa2 sono, rispettivamente,  1,8 e  6,6. Per l’acido solforico non vi e` nessuna indicazione relativa al passaggio dalla prima alla seconda neutralizzazione, perche´ HSO 4 (pKa2  2,0) e` un acido di media forza, tanto da essere neutralizzato insieme all’acido forte H2 SO4 . Nel caso dell’acido ossalico (pKa1  1,2 e pKa2  4,2) si osserva un’oscillazione nell’andamento della curva in corrispondenza del primo punto di equivalenza, ma la variazione del pH e` cosı` ridotta che non e` possibile evidenziarla con un indicatore visuale. Figura 26.6 Curve di titolazione di 25 mL di tre acidi diprotici 0,1 M per mezzo di NaOH 0,1 M, con indicazione dell’intervallo di viraggio di tre importanti indicatori.

Un caso di particolare interesse e` illustrato dalla Figura 26.7, che fa riferimento alla titolazione dell’acido fosforico (pKa1  2,0; pKa2  6,8; pKa3  11,8). Figura 26.7 Curva di titolazione di 25 mL di acido fosforico 0,1 M per mezzo di NaOH 0,1 M, con indicazione dell’intervallo di viraggio di tre importanti indicatori.

96 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

4. Curve di titolazione di acidi e basi poliprotici

Come si puo` notare, il metilarancio e la fenolftaleina sono del tutto adeguati per determinare i primi due punti di equivalenza, che sono molto netti perche´ le prime due pKa differiscono di quasi 5 unita` logaritmiche (pari a un fattore 105 tra le relative Ka). Inoltre non si osserva praticamente il terzo punto di equivalenza, perche´ la relativa costante di acidita` e` troppo bassa. E` da notare altresı` che la possibilita` di evidenziare chiaramente sia il primo che il secondo punto di equivalenza consente di effettuare la titolazione dell’acido fosforico come monoprotico o come diprotico, scegliendo l’opportuno indicatore. Come vedremo fra poco, questa peculiarita` e` sfruttata nell’analisi di miscele di acidi. Titolazione di base poliprotica con acido forte

I casi piu` tipici sono rappresentati dai sali di acidi deboli poliprotici, che in soluzione si comportano da basi poliprotiche con valori di pKb legati alle corrispondenti pKa dalla relazione pKa þ pKb ¼ pKw. Esempi importanti sono le titolazioni di carbonato di sodio (utilizzate anche per standardizzare le soluzioni di HCl) e di fosfati alcalini. Nella Figura 26.8 si osserva un andamento simmetrico a quello della Figura 26.7 e si nota la presenza di due oscillazioni nella curva, in corrispondenza dei due punti di equivalenza. Figura 26.8 Curva di titolazione di 25 mL di Na2 CO3 0,1 M per mezzo di HCl 0,1 M, con indicazione dell’intervallo di viraggio di tre importanti indicatori.

Il primo di essi, che si riferisce al completamento della reazione: þ  CO2 3 þ H ! HCO3

si verifica a pH  8,3 e puo` essere individuato mediante la fenolftaleina. Sfortunatamente il cambiamento graduale del pH in prossimita` dell’equivalenza causa una corrispondente gradualita` nella variazione di colore dell’indicatore, e cio` puo` essere fonte di errore. Il secondo punto di equivalenza riguarda la fine della reazione: þ HCO 3 þ H ! H2 CO3 ! CO2 þ H2 O

Esso avviene intorno a pH 4 con un’oscillazione della curva piu` marcata e puo` essere ben rivelato con metilarancio, pertanto la titolazione dello ione CO2 3 e` piu` accurata se lo si tratta come base diprotica. 97 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Capitolo 26 - Titolazioni acido-base

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TITOLAZIONE DI MISCELE DI ACIDI E DI MISCELE DI BASI Alcuni campioni analitici sono costituiti da miscele di acidi o di basi, come per esempio carbonato e idrossido di sodio oppure acido cloridrico e fosforico. Nell’analisi di questi campioni si sfrutta la possibilita` di distinguere i diversi punti di equivalenza delle specifiche reazioni degli analiti, in base al fatto che l’ordine con cui essi reagiscono dipende dalla loro forza acido-base. Un’attenta scelta degli indicatori puo` permettere di raccogliere informazioni sufficienti per definire la composizione di tali miscele. Nella Figura 26.9 presentiamo un’interessante casistica a dimostrazione di questo fatto. Per semplicita`, abbiamo preso in esame la titolazione di 5 mL di soluzioni 0,1 M di ciascun analita con titolante di pari concentrazione. In tal modo si puo` facilmente individuare sul grafico il volume equivalente per ciascun caso. Nella figura sono indicati anche i volumi di titolante corrispondenti al viraggio del metilarancio (V m ) e della fenolftaleina (V f ).

Figura 26.9 a. Curva di titolazione di 5 mL di NaOH 0,1 M + 5 mL Na2 CO3 0,1 M per mezzo di HCl 0,1 M. b. Curva di titolazione di 5 mL di NaHCO3 0,1 M + 5 mL Na2 CO3 0,1 M per mezzo di HCl 0,1 M. c. Curva di titolazione di 5 mL di HCl 0,1 M + 5 mL H3 PO4 0,1 M per mezzo di NaOH 0,1 M. d. Curva di titolazione di 5 mL di HCl 0,1 M + 5 mL CH3 COOH 0,1 M per mezzo di NaOH 0,1 M.

Titolazione di carbonato e idrossido di sodio

La curva a mostra che le neutralizzazioni di OH e CO2 ` forti) 3 (le due basi piu non si possono distinguere l’una dall’altra, e quindi la prima oscillazione della curva si presenta alla fine di entrambe le reazioni: OH þ Hþ ! H2 O

þ  CO2 3 þ H ! HCO3

Il titolante aggiunto fino a questo punto equivale a: mmol titolante ¼ mmol NaOH þ mmol CO2 3 e corrisponde a un volume di 10 mL. Tale punto della curva puo` essere rilevato con fenolftaleina (Vf ). 98 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

5. Titolazione di miscele di acidi e di miscele di basi

Proseguendo la titolazione, con l’aggiunta di altri 5 mL di HCl si raggiunge il punto di equivalenza della seguente reazione: þ HCO 3 þ H ! CO2 þ H2 O

Come si nota, questo punto e` rilevabile con metilarancio. Il volume totale di titolante aggiunto per il viraggio del metilarancio e` quindi 15 ml (Vm ). La quantita` di titolante necessaria per passare dal primo al secondo punto di equivalenza e` pari alle mmol HCO 3 provenienti dalla neutralizzazione precedente del carbonato, a loro volta uguali alle mmol CO2 3 iniziali. In sostanza, la differenza (Vm  Vf ), pari a 5 mL, rappresenta il volume di titolante equivalente al carbonato iniziale. Una volta nota la quantita` di carbonato, sottraendola da quella usata per la fenolftaleina si ottiene la quantita` di NaOH. Titolazione di carbonato e bicarbonato di sodio

La curva b presenta le stesse oscillazioni in corrispondenza dei viraggi di fenolftaleina e metilarancio della curva a. In questo caso, pero`, i relativi volumi di titolante sono diversi. La reazione che avviene fino al primo punto di equivalenza (viraggio della fenolftaleina) e`:  CO2 3 ! HCO3

e consuma una quantita` di titolante pari alle mmoli del solo CO2 3 , corrispondente a Vf ¼ 5 mL. Questo dato consente di determinare direttamente il carbonato presente. La seconda neutralizzazione: HCO 3 ! H2 CO3 comprende sia le mmol di bicarbonato iniziali, sia quelle provenienti dalla precedente reazione di CO2 3 e corrisponde all’aggiunta di altri 10 mL di HCl, fino al viraggio del metilarancio. In questo caso Vm  Vf , pari a 10 mL,  corrisponde alla somma di CO2 3 e HCO3 iniziali. Sottraendo a tale quantita` quella ottenuta nel primo viraggio, si determina il bicarbonato presente inizialmente nel campione. Un caso analogo a quello della curva a si presenta per la miscela di Na3 PO4 e NaOH, mentre una miscela di Na2 HPO4 e Na3 PO4 si puo` analizzare sulla base delle considerazioni svolte per la curva b. Titolazione di HCl e H3 PO4

La curva c rappresenta la titolazione di una miscela di HCl e H3 PO4 per mezzo di NaOH. Dato che l’acido fosforico e` abbastanza forte per la prima dissociazione, non si puo` distinguere praticamente la neutralizzazione del suo primo protone da quella dell’HCl. Pertanto il viraggio del metilarancio individua la fine di entrambe le reazioni: HCl þ OH ! Cl þ H2 O

H3 PO4 þ OH ! H2 PO 4 þ H2 O

La quantita` di titolante relativa a questo punto (Vm ¼ 10 mL) corrisponde alla somma: mmol NaOH ¼ mmol HCl þ mmol H3 PO4 Il viraggio della fenolftaleina si verifica arrivando a Vf ¼ 15 mL. La differenza 99 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Capitolo 26 - Titolazioni acido-base

(Vf  Vm ), pari a 5 mL, corrisponde alla quantita` di H2 PO 4 formatosi nella precedente neutralizzazione, secondo la reazione:  2 H2 PO 4 þ OH ! HPO4 þ H2 O

La quantita` di NaOH necessaria per questa reazione equivale quindi alle sole mmoli di H3 PO4 iniziali. Sottraendo quest’ultima quantita` da quella relativa al viraggio del metilarancio si determina, quindi, l’HCl presente nel campione. Titolazione di HCl e CH3 COOH

La curva d mostra che non e` sempre possibile determinare separatamente due acidi in miscela, anche se, come in questo caso, sono di forza diversa. Per quanto sia rilevabile un’oscillazione della curva in corrispondenza dell’esaurirsi dell’HCl, essa risulta troppo ridotta per essere evidenziata tramite un indicatore visuale. Con la fenolftaleina si coglie bene il punto di fine di entrambe le neutralizzazioni, che consente di determinare la cosiddetta acidita` totale del campione.

100 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

27

Titolazioni complessometriche

L

a formazione di composti di coordinazione o complessi (3Vol. 1, Cap. 15), per mezzo di opportuni leganti, puo` essere efficacemente sfruttata per effettuare titolazioni volumetriche dette titolazioni complessometriche. Questa variante della volumetria ha avuto, nella seconda meta` del ’900, uno sviluppo notevole grazie alla scoperta dei leganti polidentati (i chelanti), il cui primo esempio di applicazione analitica si deve ai lavori di G. Schwarzenbach, che nel 1945 descrisse l’impiego dell’acido nitrilotriacetico (NTA): HOOC  CH2 | N  CH2  COOH | HOOC  CH2

I chelanti sono cosı` chiamati perche´ hanno la proprieta` di utilizzare piu` di un doppietto elettronico per legarsi allo ione metallico, avvolgendolo e dando luogo a un complesso (chelato) avente una struttura spaziale tendenzialmente ciclica. Alcune titolazioni complessometriche possono essere eseguite anche con leganti monodentati, come gli ioni cianuro, che formano complessi particolarmente stabili con l’argento: la determinazione dei cianuri in soluzione mediante titolazione con una soluzione standard di Agþ e` stata introdotta dal chimico tedesco J. von Liebig addirittura nel 1851!

1 L’uso dei chelanti non e` limitato al solo campo analitico; essi trovano largo impiego nell’industria, specialmente nella produzione di detergenti. Alcuni nomi commerciali di prodotti contenenti agenti chelanti sono: Titriplex I (con NTA); Titriplex II e III, Versene, Sequestrene, Complessone (con EDTA).

AGENTI TITOLANTI Il successo dei chelanti in campo analitico si deve alla loro capacita` di saturare la sfera di coordinazione degli ioni metallici con cui si legano in uno stadio singolo, a differenza dei leganti monodentati che invece formano piu` complessi in stadi successivi (3Vol. 1, Cap. 15). Come vedremo tra poco, cio` consente di mettere a punto tecniche di titolazione nelle quali e` possibile cogliere in modo efficace il punto di fine. Il complessante piu` usato come agente titolante e` senz’altro l’acido etilendiaminotetracetico (EDTA): CH2  COOH HOOC  CH2 | | N  CH2  CH2  N | | HOOC  CH2 CH2  COOH 101

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Capitolo 27 - Titolazioni complessometriche

Le applicazioni piu` importanti delle titolazioni complessometriche consistono nella determinazione di una trentina di ioni metallici, nonche´ in quella indiretta di alcuni importanti anioni, come cianuri, fluoruri, fosfati e solfati.

2

CONDIZIONI PER ESEGUIRE UNA TITOLAZIONE COMPLESSOMETRICA La completezza della reazione analitica si realizza attraverso una scelta adeguata degli agenti complessanti, che devono formare composti di coordinazione con una costante di stabilita` elevata (3Vol. 1, Cap. 15). Per quanto riguarda l’aspetto della stechiometria di reazione, gli agenti chelanti, che coordinano lo ione ‘‘in un colpo solo’’ e con un rapporto stechiometrico ben definito (di solito 1:1), si rivelano i piu` adatti. Un complessante monodentato, come per esempio l’ammoniaca, manifesta la tendenza a legarsi progressivamente al metallo, ovvero forma diversi complessi contenenti un numero crescente di molecole di legante (nel caso di NH3 , da 1 a 4). Per tale motivo lo ione metallico e` soggetto a una serie di equilibri simultanei che ne fanno variare la concentrazione in modo graduale e quindi senza una stechiometria precisa, possibile solo con un grande eccesso del reagente complessante (3Vol. 1, Cap. 15, Fig. 15.1). L’individuazione del punto di fine titolazione e` normalmente effettuata con indicatori visuali, costituiti da coloranti organici detti indicatori metallocromici, che formano complessi intensamente colorati con ioni metallici, mentre hanno un colore diverso se non sono legati. Il complesso tra metallo (l’analita) e indicatore dev’essere meno stabile di quello formato dal metallo stesso con il titolante. Finche´ rimane dell’analita non reagito si osserva il colore del complesso metallo-indicatore, ma in corrispondenza del punto di equivalenza il titolante ‘‘sposta’’ l’indicatore dal complesso con il metallo, provocando il cambiamento di colore della soluzione. Gli indicatori metallocromici piu` utilizzati sono i seguenti. . Nero eriocromo T

Detto anche Erio-T o NET, si usa a pH intorno a 10 e vira dal rosso al blu. E` senz’altro l’indicatore di maggiore impiego, in particolare per l’analisi di Mg2þ , Zn2þ e Pb2þ .

. Acido calconcarbonico

Si usa intorno a pH 12 e vira dal rosso all’azzurro. Si usa in particolare per la determinazione di Ca2þ e Pb2þ . . Muresside

Vira dal giallo al rosso porpora e il pH d’uso varia a seconda dei cationi da determinare. Viene usata soprattutto per la determinazione di Ni2þ , Cu2þ e Co2þ . Gli indicatori metallocromici sono anche indicatori acido-base e cambiano colore con la perdita di Hþ . Questo comporta che ciascuno di essi presenti un proprio pH di lavoro e che a quel pH si debba tamponare la soluzione da titolare. Per esempio, il NET legato a Mg2þ assume colore rosso, mentre la forma non legata al metallo puo` essere di colore rosso (a pH < 7), blu (per pH compresi tra 7 e 11) o arancione (a pH > 11,5). La titolazione di Mg2þ si conduce tamponando a pH 10, in modo che il viraggio sia da rosso a blu. A pH 102 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

4. I metodi di titolazione con EDTA

inferiori la formazione del complesso Mg-EDTA non e` completa (3Fig. 27.1), mentre a pH superiori a 11 il viraggio e` poco evidente, perche´ corrisponde al passaggio da rosso ad arancione.

3

L’indicazione dell’EDTA con la formula H4 Y nasconde il fatto che in realta` si tratta di un ‘‘sale interno’’: i due gruppi carbossilici piu` acidi sono anioni, mentre i due gruppi aminici sono protonati e pertanto carichi positivamente. La formula H4 Y puo` comunque essere usata perche´ la sua carica netta resta zero e i protoni acidi sono quattro, con costanti di acidita` corrispondenti alle ultime quattro tra quelle elencate qui a fianco.

L’ACIDO ETILENDIAMINOTETRACETICO (EDTA) L’EDTA e` un agente chelante esadentato, e quindi in grado di formare, con gli ioni metallici, complessi nel rapporto molare 1:1, indipendentemente dalla carica dello ione. L’EDTA (indicato per semplicita` con la formula H4 Y) e` un solido cristallino bianco, poco solubile in acqua e nei solventi organici, che puo` essere utilizzato quale standard primario. Nella pratica di laboratorio, pero`, la forma piu` utilizzata dell’EDTA e` il suo sale disodico diidrato: Na2 H2 Y  2H2 O. Tale composto non e` uno standard primario, a causa della difficolta` di eliminare in modo riproducibile l’umidita`. Nemmeno il sale anidro, ottenibile per riscaldamento prolungato fra 130 e 150 oC, e` utilizzabile come standard, perche´ fortemente igroscopico. La forma completamente protonata dell’EDTA si puo` indicare con H6 Y2þ . Le sei costanti di acidita` relative alle successive dissociazioni di questa specie sono: pK a2 ¼ 1,5 pK a3 ¼ 2,0 pK a1 ¼ 0 pK a4 ¼ 2,7 pKa5 ¼ 6,2 pK a6 ¼ 10,2 I primi quattro valori si riferiscono all’acidita` dei gruppi carbossilici, gli ultimi due a quella dei due gruppi aminici protonati. La reazione di formazione dei complessi metallo-EDTA puo` essere cosı` rappresentata: Menþ þ Y4 Ð MeYðn4Þ E la relativa costante di formazione assume la forma: Kf ¼

½MeYðn4Þ  ½Menþ ½Y4 

A bassi valori di pH, la maggior parte dell’EDTA si trova nelle sue diverse forme protonate e non in quella di Y4 (3Vol. 1, Cap. 15, Fig. 15.2). La formazione di un complesso metallo-EDTA dipende, quindi, non solo dalla sua costante di formazione, ma anche dal pH della soluzione, perche´ gli ioni Hþ competono con quelli metallici per legarsi ai doppietti elettronici di Y4 . La Figura 27.1 riporta, per diversi metalli in concentrazione 0,01 M, i valori minimi di pH affinche´ la reazione di formazione del complesso sia praticamente completa. In particolare si osserva che i complessi dei cationi bivalenti si formano solo in soluzioni basiche o leggermente acide, mentre quelli dei cationi trivalenti si formano gia` fra pH 1 e 2.

4

I METODI DI TITOLAZIONE CON EDTA L’EDTA, per le sue caratteristiche di agente chelante ma anche di acido poliprotico, offre all’analista diverse possibilita` per effettuare determinazioni complessometriche. Di seguito esaminiamo i principali metodi utilizzati. 103

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Capitolo 27 - Titolazioni complessometriche Figura 27.1 Valori minimi di pH per titolare metalli con EDTA.

Titolazione diretta

Il principio di questo metodo e` gia` stato presentato parlando degli indicatori metallocromici (3Par. 2). In pratica, una soluzione standard di Na2 H2 Y  2H2 O titola la soluzione di analita in cui e` presente un indicatore metallocromico che colora in modo caratteristico la soluzione medesima. Nel corso dell’aggiunta del titolante, lo ione del metallo viene progressivamente legato dall’EDTA finche´, al punto di fine, il complesso metallo-indicatore viene dissociato, cambiando colore e segnalando il termine della titolazione. Un esempio e` dato dalla titolazione del magnesio, nella quale al punto di fine si verifica la reazione: Mg-NET þ Y4 ! MgY2 þ NET rosso

blu (a pH 10)

Il metodo e` usato per l’analisi di calcio (con acido calconcarbonico, a pH  12,5), zinco e magnesio (con NET). Titolazione di sostituzione (o spostamento)

Nel caso in cui non siano noti indicatori specifici per lo ione da titolare, oppure quando quest’ultimo forma composti insolubili al pH a cui andrebbe effettuata la titolazione, si fa in modo di sostituire allo ione in questione una quantita` equivalente di un altro ione metallico, facilmente titolabile con EDTA. Il metodo si puo` applicare se quest’ultimo ione forma un complesso meno stabile di quello che l’EDTA forma con l’analita. Il principio del metodo consiste nell’aggiungere alla soluzione di analita una soluzione del complesso dell’EDTA con il metallo prescelto (in genere Mg o Zn). Si verifica cosı` una reazione di spostamento del tipo: Menþ þ ZnY2 ! MeYn4 þ Zn2þ In questo modo allo ione Menþ si sostituisce Zn2þ che puo` essere determinato direttamente, usando nero eriocromo T come indicatore. Questo metodo si applica molto bene alla determinazione del calcio usando NET come indicatore: poiche´ il complesso Ca-NET non e` stabile, non si puo` 104 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

4. I metodi di titolazione con EDTA

titolare il calcio direttamente con tale indicatore. Se pero` si aggiunge alla soluzione di Ca2þ un’opportuna quantita` del complesso MgY2 , a causa della maggiore stabilita` del complesso CaY2 avviene la reazione: Ca2þ þ MgY2 ! CaY2 þ Mg2þ Non e` necessario che tutto il calcio reagisca secondo questa reazione: il calcio ‘‘libero’’ rimasto reagisce comunque con l’EDTA titolante prima del Mg2þ , perche´ il suo complesso e` piu` stabile. Solo quando non vi e` piu` calcio libero, il magnesio spostato dal calcio reagisce con l’EDTA come nella titolazione diretta, permettendo d’individuare facilmente il punto di fine. L’EDTA usato fino a tale punto corrisponde al calcio inizialmente presente nella soluzione. Titolazione di ritorno (o dell’eccesso)

Se l’analita forma, con gli indicatori metallocromici, complessi piu` stabili che con l’EDTA, o se non ve ne sono in grado di fornire un viraggio sufficientemente netto, si puo` aggiungere alla soluzione da analizzare un eccesso noto di EDTA. Si titola quindi l’eccesso di quest’ultimo con una soluzione standard di magnesio o di zinco. Il metodo si applica, per esempio, all’analisi dell’alluminio e del cobalto. Titolazione indiretta

Questa titolazione puo` essere effettuata in diversi modi e serve, in particolare, per l’analisi degli anioni. Per esempio, dato che il solfato di bario e` insolubile, si puo` precipitare tutto lo ione solfato in una soluzione con un eccesso noto di ioni bario e, dopo filtrazione del precipitato, determinare l’eccesso di bario con l’EDTA. Una variante che non richiede filtrazione e` possibile nell’analisi dei fosfati, che vengono precipitati come fosfato di ammonio e magnesio, dopo di che si titola il magnesio in eccesso con l’EDTA. Una terza possibilita`, infine, consiste nell’aggiungere alla soluzione di un anione da determinare un eccesso di ione metallico, con cui esso forma un complesso molto stabile, e quindi inattaccabile dall’EDTA. Lo ione in eccesso viene successivamente determinato per titolazione diretta. Titolazione acido-base

Sfrutta la liberazione di protoni da parte dell’EDTA quando si lega allo ione metallico, secondo la reazione: Menþ þ H2 Y2 ! MeYn4 þ 2Hþ Gli ioni Hþ possono essere determinati con una titolazione acido-base se la soluzione iniziale dell’analita e` neutra. Questo metodo non trova pero` grandi applicazioni, perche´ in soluzione sono spesso presenti diversi equilibri simultanei (per esempio di idrolisi), che interferiscono.

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Analisi qualitativa inorganica

L’

analisi chimica di un campione, anche quando e` finalizzata alla determinazione quantitativa dei suoi componenti, richiede in primo luogo di sapere quali sono tali componenti. Questo e` il compito dell’analisi qualitativa che, nelle sue applicazioni moderne, e` svolta in gran parte con metodi strumentali. In questo capitolo ci occuperemo dei cosiddetti metodi classici di analisi qualitativa, ovvero di quei metodi che non fanno uso di strumentazioni particolari e che hanno come scopo principale il riconoscimento degli ioni e=o dei composti, allo stato puro o in miscela. Piu` precisamente, ci limiteremo a occuparci dell’analisi qualitativa inorganica, trattando solo alcuni temi, scelti perche´ ritenuti di particolare significato sia sul piano applicativo che su quello didattico. Gli obiettivi che ci proponiamo sono mostrare l’impostazione metodologica su cui si basano le procedure sperimentali e fare acquisire le conoscenze essenziali relative alla chimica degli elementi e dei loro composti.

1

LA STRATEGIA DELL’ANALISI QUALITATIVA In generale, l’impostazione di una procedura analitica di tipo qualitativo si basa in primo luogo sulla raccolta di informazioni riguardanti la natura del campione, per circoscrivere il campo di indagine agli analiti che costituiscono l’oggetto dell’analisi e definire su questa base il piano di lavoro. Il successivo passaggio all’attivita` sperimentale puo` essere schematizzato nel modo seguente. 1. Approccio orientativo, che per mezzo di saggi preliminari consente una prima, grossolana classificazione delle specie chimiche in: – certamente presenti (possibile a questo punto dell’analisi solo per alcune specie particolari); – certamente assenti; – probabilmente presenti. Le analisi preliminari sono di grande aiuto, perche´ consentono di delimitare meglio il problema e di indirizzare piu` efficacemente il lavoro. 2. Analisi con metodi specifici, che si prefigge di confermare la presenza degli analiti con appositi saggi per ciascuno di essi. 3. Analisi con metodi sistematici, che, partendo dal presupposto della presenza di piu` analiti insieme, si propone, con una procedura strutturata, fasi successive di separazione seguite dall’identificazione di ciascuno degli analiti potenzialmente presenti. 106

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2. La raccolta di informazioni

2

LA RACCOLTA DI INFORMAZIONI Illustreremo qui alcuni esempi di ‘‘raccolta dati’’ sulle caratteristiche principali di un elemento e dei suoi composti, reperibili nella letteratura scientifica. I dati raccolti sono la base per impostare l’analisi qualitativa delle specie considerate. In generale, il comportamento chimico va esaminato nei seguenti aspetti: . . . .

solubilita` in acqua; comportamento acido-base; comportamento redox; reattivita` relativamente alla formazione di precipitati e/o di complessi.

Come esempi di sostanze abbiamo scelto due elementi, il sodio e il ferro, perche´ presentano due tipologie di comportamento chimico abbastanza diverse. Sodio . Caratteristiche

Metallo bianco-argenteo, molto tenero (si taglia facilmente con un coltello) e a basso punto di fusione. . Reattivita` Chimicamente e` molto reattivo. L’elettrone presente nel livello di valenza viene infatti facilmente ceduto, dando luogo al catione Naþ , che forma composti ionici, in genere sali. Come conseguenza, l’elemento e` fortemente riducente (3Cap. 24, Tab. 24.1), e infatti si ossida rapidamente all’aria umida (tant’e` che il metallo va conservato immerso in un solvente inerte come l’etere di petrolio) e reagisce violentemente con l’acqua liberando idrogeno. . Composti

I composti del sodio sono generalmente solubili in acqua, con l’eccezione, significativa dal punto di vista analitico, dell’acetato di sodio, zinco e uranile. Sono noti pochi composti di coordinazione, tutti poco stabili. Nella Tabella 28.1 diamo un elenco dei principali composti del sodio di interesse analitico, e alcune indicazioni sul loro comportamento chimico. . Reazioni analitiche specifiche – Per via ‘‘secca’’. Alla fiamma riducente di un Bunsen i sali di sodio forniscono un’intensa colorazione gialla dovuta all’emissione di luce da parte degli ioni e degli atomi di sodio presenti nella fiamma. La reazione e` molto sensibile e consente di individuare tracce anche minime dell’elemento. – Per via ‘‘umida’’. La reazione piu` sensibile e selettiva e` probabilmente quella che porta alla formazione dell’acetato triplo di sodio, zinco e uranile, un composto cristallino fluorescente di colore giallo, cui si attribuisce la formula NaZn½ðUO2 Þ3 ðCH3 COOÞ9   9H2 O. – Reattivo. Soluzione acetica di acetato di uranile e di acetato di zinco che si prepara come segue: a) sciogliere a caldo 10 g di acetato di uranile UO2 ðCH3 COOÞ2 in 6 g di CH3 COOH al 30%, portando a 50 mL con acqua; b) miscelare 30 g di acetato di zinco ðCH3 COOÞ2 Zn con 3 g di CH3 COOH al 30%, portando a 50 mL con acqua; c) miscelare le soluzioni precedenti e aggiungere qualche grano di NaCl. Filtrare la soluzione dopo 24 ore.

107 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Capitolo 28 - Analisi qualitativa inorganica Tabella 28.1

Composto

Colore

Solubilita`* ðg=100 mLÞ

Acido/base

Redox o altro

b b b b b b b b b b b b b b b b b b b b b

115 36 molto sol. 3,15 10,3 19,5 99 molto sol. 50 4,3 82,5 92 4,0 29 15,2 molto sol. molto sol. 49 molto sol. 50 78

base forte neutro base debole base debole base debole base media neutro base debole base debole base debole base debole neutro base debole base media base debole acido debole base media neutro acido medio base debole base debole

– – – – – – ossidante ossidante complessante complessante riducente – riducente complessante complessante complessante – – – complessante riducente, complessante

Comportamenti chimici dei principali composti del sodio.

NaOH NaCl CH3 COONa Na2 B4 O7  10H2 O NaHCO3 Na2 CO3 NaClO3 NaClO NaCN NaF NaNO2 NaNO3 Na2 C2 O4 Na3 PO4  12H2 O Na2 HPO4  2H2 O NaH2 PO4 Na2 SiO3 Na2 SO4  10H2 O NaHSO4 Na2 C4 H4 O6 Na2 S2 O3  5H2 O

* [A. Gaudiano, G. Gaudiano, Vademecum di chimica, Massonscuola 1998]

– Procedimento. Si consiglia di eseguire il saggio dopo una ricerca preliminare alla fiamma (che non e` tuttavia sempre attendibile, perche´ tracce di sodio si possono trovare ovunque, e quindi la sua luminosita` gialla, per essere indicativa della presenza di composti di sodio, deve risultare molto netta e intensa). Possibili interferenze al saggio provengono da litio e potassio, quando sono presenti in grande eccesso rispetto al sodio. I fosfati e gli ossalati devono essere assenti, in quanto comportano la precipitazione del fosfato o dell’ossalato di uranile. In provetta si miscelano due gocce di campione (preventivamente neutralizzato, se necessario, con KOH) con 8-10 gocce di reattivo. Si agita con una bacchettina di vetro. Si deve osservare un intorbidamento o, meglio, un precipitato giallo cristallino. Il saggio puo` anche essere effettuato su carta da filtro sovrapponendo una goccia di campione a una goccia di reattivo. Alla luce UV il deposito appare fluorescente in presenza di sodio. Ferro . Caratteristiche Il ferro e` uno dei piu` importanti metalli di transizione. Allo stato puro e` un metallo bianco-argenteo la cui superficie, pero`, appare in genere molto piu` scura per via dell’immediata formazione dell’ossido. E` uno dei metalli piu` duttili. Presenta due stati di ossidazione principali: þ2 e þ3. . Reattivita` Il metallo viene attaccato dagli acidi, ma non dall’acido nitrico concentrato

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2. La raccolta di informazioni

freddo, in cui ‘‘si passiva’’, probabilmente a causa della formazione di una pellicola protettiva di Fe3 O4 , insolubile in acido nitrico. All’aria umida si ricopre di ‘‘ruggine’’, attraverso una reazione di ossidazione che porta a formare dapprima l’idrossido ferroso e poi l’idrossido ferrico, di colore giallo-rossastro. Di fatto, la ruggine e` formata da ossido ferrico (variamente idratato) e carbonato basico di ferro (che si forma per azione della CO2 atmosferica). La ruggine ha una struttura poco compatta, che consente la penetrazione dell’ossigeno dell’aria e quindi il progredire dell’ossidazione. Cio` comporta il ben noto fenomeno della corrosione dei manufatti di ferro, e quindi la necessita` di proteggerli con trattamenti superficiali opportuni, come verniciatura o rivestimento con metalli (nichel o cromo). . Composti

Tra quelli del Fe(II), detti ferrosi, ve ne sono di solubili in acqua (acetato, nitrato, ossalato, solfato, alogenuri tranne il fluoruro) e insolubili (carbonato, fluoruro, idrossido, fosfato, solfuro). Le soluzioni sono in genere di colore verde pallido e vengono lentamente ossidate dall’ossigeno disciolto nell’acqua. Il Fe(III) forma composti solubili, come il solfato doppio di ammonio e ferro, bromuro, cloruro, nitrato, ossalato, solfato, tiocianato. Le sue soluzioni hanno una colorazione giallastra e mostrano reazione acida, dovuta all’idrolisi dello ione Fe3þ idratato (le soluzioni di FeCl3 presentano la stessa acidita` di quelle di acido acetico). Invece acetato basico, fluoruro, idrossido, fosfato sono insolubili. Gli ioni Fe2þ e Fe3þ hanno una forte tendenza a formare composti di coordinazione, molti dei quali sono intensamente colorati. In particolare ricordiamo che nell’emoglobina sono contenuti 4 gruppi eme, ciascuno dei quali complessa uno ione Fe2þ attraverso un gruppo funzionale chiamato anello porfirinico. L’ossigeno che si respira si fissa all’emoglobina proprio in corrispondenza del sito occupato dal ferro. . Reazioni analitiche del Fe(II)

– Reazioni non specifiche. Gli idrossidi alcalini e l’ammoniaca precipitano, insieme a molti altri idrossidi metallici, quello di Fe(II), bianco-verdastro, di consistenza gelatinosa e dunque difficilmente filtrabile, che all’aria si ossida rapidamente a idrossido ferrico. Entrambi gli idrossidi non sono solubili in eccesso di basi forti, come avviene per altri idrossidi anfoteri (alluminio e zinco, per esempio). Gli ioni solfuro precipitano FeS in soluzione neutra o alcalina. – Reazioni specifiche. Gli ioni Fe2þ danno con l’o-fenantrolina (o con il 2,20 dipiridile) un complesso rosso molto stabile. Il saggio puo` essere eseguito ‘‘alla tocca’’ in un pozzetto di porcellana, utilizzando quantita` minime di reagenti. – Reattivi. Soluzione acquosa di o-fenantrolina (20 g/L). Soluzione al 5% di solfito di sodio (se il saggio e` per Fe(III)). – Procedimento. A una goccia di soluzione campione si aggiunge una goccia di reattivo. La comparsa di una colorazione rossa evidenzia la presenza di ioni ferrosi, fino a una concentrazione di 0,5 mg/L. In presenza di Cu(II) o Zn(II) o Co(II), che si combinano anch’essi col reattivo, e` necessario aggiungerne di piu` (fino a 10 gocce). La reazione serve anche per riconoscere il Fe3þ , aggiungendo alla soluzione campione una goccia di solfito di sodio, che lo riduce a Fe2þ . 2þ un precipitato (talvolta Lo ione ferricianuro FeðCNÞ3 6 da` con gli ioni Fe colloidale) intensamente colorato di blu (detto blu di Turnbull), il ferricianuro 109 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Capitolo 28 - Analisi qualitativa inorganica

ferroso, FeðIIÞ3 ½FeðIIIÞðCNÞ6 2 . Tale composto e` molto simile al ferrocianuro ferrico, detto blu di Prussia o azzurro di Berlino, FeðIIIÞ4 ½FeðIIÞðCNÞ6 3 citato piu` avanti. Va segnalato che, comunque, diversi altri metalli possono formare composti analoghi, diminuendo la specificita` dell’analisi. . Reazioni analitiche del Fe(III)

– Reazioni non specifiche. L’idrossido FeðOHÞ3 , insolubile, si forma in presenza di idrossidi alcalini o di ammoniaca. E` un precipitato rosso-bruno e di consistenza gelatinosa, difficilmente filtrabile, insolubile in eccesso di alcali. Il fosfato sodico precipita il fosfato ferrico FePO4 , bianco-giallognolo, cristallino, simile al fosfato di alluminio. La reazione e` ampiamente sfruttata per l’allontanamento dei fosfati dalle acque di scarico, cui viene spesso aggiunta una soluzione contenente ioni ferro e alluminio, che nella loro immediata precipitazione inglobano altre sostanze presenti, con incremento dell’effetto depurante. Alcuni anioni, tra cui ioduri, nitriti, solfiti e solfuri, sono ossidati dallo ione Fe3þ : per esempio, in eccesso di ioni solfuro, si forma zolfo colloidale e precipita FeS, invece di Fe2 S3 . – Reazioni specifiche. Gli ioni Fe3þ danno complessi tipo FeðSCNÞ2þ con lo ione tiocianato, di intenso colore rosso sangue. FeðSCNÞ3 , elettricamente neutro, puo` essere estratto in solventi organici perche´ vi si scioglie bene, rivelando cosı` la presenza di ioni ferrici. – Reattivi: – acido cloridrico al 10%; – soluzione satura di tiocianato d’ammonio (circa 150 g in 100 mL); – soluzione al 5% di tiourea; – etere etilico; – acido nitrico al 10%. – Procedimento. In una piccola provetta trattare 2 gocce di soluzione campione con una goccia di acido cloridrico e aggiungere 2 gocce di soluzione di tiocianato. In presenza di ioni ferrici compare una colorazione rossa. La reazione puo` rivelare fino a 3 mg/L di ioni ferro. Eventualmente aggiungere 10 gocce di etere e osservare il trasferimento della colorazione rossa nello strato organico. In presenza di Co2þ , la fase eterea si colora di blu, perche´ il complesso del cobalto con tiocianato e` molto solubile in questo solvente. In presenza di Cu(II), che forma anch’esso complessi colorati in bruno, aggiungere preliminarmente due gocce di soluzione di tiourea, perche´ quest’ultima complessa il rame. Questo saggio puo` essere sfruttato anche per il riconoscimento del Fe(II), previa aggiunta alla soluzione di partenza di una goccia di HNO3 , per ossidarlo a Fe(III).

3

PREPARAZIONE DEL CAMPIONE PER L’ANALISI QUALITATIVA La procedura del campionamento, ovvero del prelievo di una porzione del materiale o della sostanza da sottoporre ad analisi, rappresenta un passaggio cruciale dell’intero processo analitico (3Cap. 21). 110

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3. Preparazione del campione per l’analisi qualitativa

Prelievo del campione: quanto?

Secondo una classificazione abbastanza vecchia, che pero` da` un’idea dell’ordine di grandezza delle masse e dei volumi con cui si opera, l’analisi chimica viene suddivisa in funzione della quantita` (macroscopica o microscopica) di campione da sottoporre ad analisi, come si puo` desumere dalla Tabella 28.2 che segue. Tabella 28.2 Classificazione dell’analisi chimica in base alla quantita` di campione.

Massa del campione

Tipo di analisi

0,5 - 1 g 50 - 100 mg  1 mg

macro semimicro micro

La tendenza moderna e` ormai quella di operare con quantita` minime di campione, sia per l’ovvio risparmio di reagenti che ne deriva, sia per motivi di sicurezza personale e ambientale. Anche senza ricorrere alla moderna strumentazione, i metodi chimici messi a punto negli ultimi anni consentono di lavorare agevolmente con masse intorno alla decina di milligrammi e, in molti casi, su quantita` dell’ordine dei milligrammi. Il principale inconveniente che si puo` verificare nasce in tal caso dal cattivo campionamento di materiali disomogenei, ma in molte situazioni i metodi analitici messi a punto funzionano bene. Tutti i metodi citati in questo capitolo fanno riferimento (tranne diversa indicazione) all’analisi semimicro. Per maggiore precisione aggiungeremo che i metodi sono stati messi a punto su concentrazioni di analita all’incirca 102 M. In pratica questo significherebbe, lavorando su un campione di sostanza praticamente pura avente MM ¼ 100 g  mol1 , scioglierne 10 mg (una piccola punta di spatola) in 10 mL (poco piu` di mezza provetta da saggio). Nel caso che si operi su miscele, ci si deve regolare aumentando in qualche misura la quantita` di campione da portare in soluzione. I diversi reattivi vanno poi aggiunti all’incirca nella stessa quantita` o in leggero eccesso. Se si ricercano particolari impurezze (ossia specie chimiche eventualmente presenti, ma solo in tracce), occorre aumentare l’aliquota di campione da analizzare in proporzione inversa alla concentrazione di analita, fatto salvo il fatto che cio` non deve comportare interferenze tali da pregiudicare l’analisi. Prelievo del campione: come?

Per quanto riguarda le modalita` del campionamento, si possono presentare due possibilita`: 1. il materiale e` manifestamente disomogeneo, nel senso che vi si possono individuare, a occhio, zone costituite con buona probabilita` da una sostanza sufficientemente pura. In tal caso (per esempio quando si notano granelli scuri in una matrice bianca), se e` possibile si procede all’isolamento della porzione che interessa, prelevandone una quantita` sufficiente per l’analisi; 2. il materiale e` omogeneo, oppure e` disomogeneo ma e` difficile separarne fisicamente i componenti, e comunque si intende procedere all’indagine sistematica di tutti i componenti. In queste situazioni occorre tenere presente che il campione deve soprattutto rispettare il requisito della rappresentativita`. In altre parole, la parte prelevata deve rappresentare l’intero materiale a cui e` riferita l’analisi; e` dunque necessario procedere al mescolamento accurato (se si tratta di una soluzione), o alla macinazione del campione (se si tratta di un solido). 111 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Capitolo 28 - Analisi qualitativa inorganica

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SAGGI PRELIMINARI: ANALISI PER VIA SECCA Esame ‘‘sensoriale’’

Per quanto il solo uso della vista (eventualmente potenziata da una lente o da un normale microscopio) comporti incertezze sull’oggettivita` delle conclusioni, l’osservazione attenta dell’oggetto dell’analisi consente di individuare alcune caratteristiche generali che possono costituire un’utile premessa alle indagini successive. . Aspetto fisico Un campione puo` presentarsi piu` o meno omogeneo, solido, liquido o gassoso. Trascurando quelli gassosi, di cui non ci occuperemo, ricordiamo che i campioni solidi possono presentarsi in diversi modi: cristallini o amorfi, opachi o lucidi, tenaci o fragili, elastici, granulari o compatti. Tutte queste caratteristiche, che mostrano alcune proprieta` del materiale analizzato, non devono essere successivamente contraddette dai risultati dell’analisi. Lo stesso vale per un campione liquido: se e` limpido, per esempio, i suoi componenti devono essere perfettamente miscibili, come nel caso di una soluzione salina. . Colore Moltissimi composti inorganici sono incolori (cioe` bianchi), tuttavia ve ne sono di colorati, e questo e` un indizio sicuro del tipo di elementi probabilmente presenti. Nella Tabella 28.3 forniamo un elenco dei piu` diffusi composti colorati. Tabella 28.3 Colore di alcuni composti inorganici.

nero

CuO, NiO, SnO, MnO2 , FeO, Fe3 O4 , FeS, CuS, Cu2 S, HgS, Hg2 S, Ag2 S, PbS, NiS, CoS, metalli finemente divisi, CuBr2 , CoðOHÞ3 , NiI2 , BiI3 , CuðSCNÞ2

bruno

CdO, PbO2 , Bi2 O5 , SnS, Bi2 S3 , ione ferrico, Fe2 ðCrO4 Þ3 , CuCrO4 , SnCrO4 , Al4 ½FeðCNÞ6 3 , Hg2 FeðCNÞ6 , MnCO3 , Mn3 ðAsO4 Þ2 ,TiFeðCNÞ6 Alcuni sali cobaltosi anidri, alcuni sali rameici idrati, Fe4 ½FeðCNÞ6 3 , Fe3 ½FeðCNÞ6 2 , ½CuðNH3 Þ4 2þ , ½NiðNH3 Þ6 2þ , ½CoðSCNÞ4 2 Alcuni sali di nichel idrati, sali ferrosi idrati, Cr3þ , MnO2 4 , CuðC2 H3 O2 Þ2 , Cu3 ðAsO3 Þ2 , CuCl2 , MnO 4 3þ Bi2 O3 , HgO, PbO, CdS, SnS2 , As2 S3 , As2 S5 , CrO2 4 , ½FeðCNÞ6  , Fe , S, AgI, AlI3 , K3 CoðNO2 Þ6 , PbI2 , Hg3 ðAsO4 Þ2 , Hg2 F2 , Hg2 I2 , HgðNO3 Þ2 , Ag3 AsO3 , AgBr, Ag2 CO3 , AgF, Ag3 PO4 Fe2 O3 , Cu2 O, HgO, Pb3 O4 , Sb2 S3 , HgI2 , AsI3 , BiOI, SbI3 , SnI2 , ½FeðCNÞ6 3 , ½CoðNH3 Þ6 2þ , Ag2 CrO4 , ðHg2 Þ3 ðAsO4 Þ2 , Ag3 AsO4 , FeðSCNÞ3 , Hg2 CrO4 , Cu2 F2 , NiðClO3 Þ2 , Ni-dimetilgliossima Sb2 S5 , Ag3 FeðCNÞ6 , Bi2 ðCrO4 Þ3 , SnI4 , Cr2 O2 7 Mn2þ , sali cobaltosi idrati, Cu2 FeðCNÞ6 Cr3þ , MnO 4

blu verde giallo

rosso

arancio rosa porpora

. Odore I composti inorganici sono abitualmente inodori, tuttavia vi sono alcune importanti eccezioni: – derivati dello zolfo, come i solfiti, i tiosolfati e simili, odorano di SO2 (il classico odore dei vecchi zolfanelli); – i solfuri possono liberare H2 S, dal tipico odore di uova marce;

112 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

4. Saggi preliminari: analisi per via secca

– molti sali ammoniacali odorano di ammoniaca (specie se posti a contatto con sostanze basiche); – gli acetati odorano nettamente di aceto, specialmente se trattati con acidi, in seguito allo sviluppo di vapori di CH3 COOH; – alcuni cloruri, se inumiditi, presentano un odore di acido dovuto all’acido cloridrico; – i cianuri odorano di mandorle amare, perche´ liberano (molto rapidamente se in presenza di acidi) il velenosissimo HCN. . Sapore Non si devono mai assaggiare sostanze sconosciute! Ma esiste un’importante eccezione a questa regola: l’analisi sensoriale degli alimenti (che peraltro non sono sostanze sconosciute). . Tatto In linea del tutto generale si sconsiglia vivamente di toccare i prodotti chimici. D’altra parte un contatto accidentale puo` sempre capitare, e pertanto si rivelano utili alcune informazioni: – i composti basici sono lisciviosi; in particolare, al contatto con la pelle la soda caustica da` una sensazione di ‘‘scivolamento’’, dovuta all’attacco chimico dei tessuti della pelle; – i metalli danno una sensazione di freddo, perche´ sono buoni conduttori di calore; – le sostanze che reagiscono con l’acqua in modo esotermico producono una sensazione di calore entrando a contatto con l’umidita` naturale della pelle; sostanze di questo tipo sono gli acidi e le basi forti. Riscaldamento su spatola

Per quanto possa apparire banale o poco significativo, il riscaldamento sulla fiamma del Bunsen di una piccola porzione di campione, posta sulla punta metallica della spatola, puo` rappresentare un buon punto di partenza se non si ha la minima idea della natura chimica del campione. Le osservazioni da fare sono sostanzialmente due: . se il campione fonde con rapidita` e poi tende anche a incendiarsi, o lascia

residui carboniosi, si tratta molto probabilmente di una sostanza organica; . se il campione stenta a fondere, o addirittura non fonde del tutto, puo` trattarsi di una sostanza inorganica. Saggio alla fiamma

Questo saggio consiste nel porre il campione sulla fiamma di un Bunsen, osservando il colore assunto da quest’ultima. L’energia della fiamma produce atomi e ioni di molti elementi metallici, eccitandone gli elettroni piu` esterni. Gli atomi eccitati emettono radiazioni luminose caratteristiche di ciascun elemento. La Tabella 28.4 elenca alcuni dei metalli riconoscibili con tale saggio. Saggi in tubicino

Il tubicino e` una piccola provetta di vetro resistente alla fusione, nella quale una sostanza solida viene sottoposta a riscaldamento (anche molto energico) a secco per osservarne il comportamento. Elenchiamo alcuni dei fenomeni che si possono verificare. . Il campione resta inalterato, senza nemmeno fondere (composti molto stabili, come silicati e alcuni sali). 113 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Capitolo 28 - Analisi qualitativa inorganica

. . . . . Tabella 28.4 Colore della fiamma di alcuni elementi.

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Il campione carbonizza (sostanze organiche). Il campione cambia colore, come alcuni ossidi metallici (Hg, Zn, Pb, Fe(III), Sn). Fuoriescono vapori di vario odore (composti ammoniacali, solfiti e solfuri). Il campione emana vapori colorati (composti alogenati o dell’azoto). Si formano depositi di vario colore sulle pareti interne del tubicino (molti composti di Hg, As e Sb). Elemento

Colore

litio stronzio calcio sodio rame bario potassio ammonio

rosso carminio rosso porpora arancio-rosso giallo intenso verde smeraldo giallo-verde violetto violetto-rossastro

SAGGI PRELIMINARI: ANALISI PER VIA UMIDA L’impiego della ‘‘via umida’’ e` senz’altro molto piu` vasto di quello della ‘‘via secca’’, perche´ aumenta il campo d’indagine dei comportamenti dell’analita, estendendo il numero di saggi analitici possibili a reazioni che coinvolgono solubilita`, proprieta` acido-base, potere ossidante/riducente e formazione di complessi. Saggi in provetta

I principali saggi per via umida che si possono fare a titolo preliminare sono essenzialmente delle prove di solubilita`, che possono essere accompagnate da reazioni chimiche. . Esecuzione del saggio Si introduce sul fondo di una provetta una punta di spatola di campione; ad essa si aggiungono 2-3 mL di solvente. Si agita leggermente, osservando le eventuali trasformazioni che si verificano. Infine si riscalda, per accelerare i fenomeni che si potrebbero verificare. Il solvente piu` utilizzato e` l’acqua, ma l’osservazione diventa piu` significativa se esso possiede altre caratteristiche, come l’acidita` e la presenza di particolari anioni di cui sono ben note le regole di solubilita`, per esempio solfati e cloruri. In particolare si usano: – acqua; – acido solforico diluito; – acido cloridrico diluito; – acido nitrico diluito.

Alcune sostanze, particolarmente resistenti all’azione degli acidi, costituiscono il cosiddetto residuo insolubile, che richiede un trattamento apposito mediante solventi speciali (per esempio, HF con HNO3 o H2 SO4 ), oppure una fusione ‘‘alcalina’’ con carbonati di sodio e potassio. . Valutazione delle proprieta` ossidanti o riducenti Questo tipo di controllo si effettua mediante reazioni con KI o con KMnO4 e si

114 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

6. Analisi sistematica dei cationi: schema classico

rivela molto utile per la ricerca di alcuni anioni, in quanto molti di essi presentano reattivita` di tipo redox.

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ANALISI SISTEMATICA DEI CATIONI: SCHEMA CLASSICO Sono possibili diverse procedure per l’indagine sistematica dei costituenti di un campione al fine di accertarne la composizione. Tutti richiedono che il campione sia in soluzione, generalmente acida per acido nitrico (perche´ i nitrati sono tutti solubili). Una sequenza analitica tra le piu` conosciute si basa sull’ipotesi che nel campione possano essere presenti gli ioni dei seguenti metalli: Ag Cd Fe Sr

LAB Solubilita` di sali di Ca, Sr, Ba

Tabella 28.5 Analisi qualitativa sistematica dei cationi.

Pb Sn Ni Ba

Hg As Co Li

Sb Mn Na Bi

Al Zn K Cu

Cr Ca Mg

Questo insieme viene suddiviso in gruppi analitici che raccolgono ioni aventi in comune lo stesso reattivo precipitante, che pertanto viene usato per separare gli ioni di quel gruppo dagli altri. Il gruppo analitico separato viene poi analizzato in modo da escludere o confermare la presenza di ciascun elemento che vi fa parte. In pratica si sciolgono circa 100-200 mg di miscela in circa 20 mL di acqua e si procede all’aggiunta del primo reattivo di gruppo (HCl diluito), centrifugando e separando il surnatante dal precipitato, che contiene i cloruri insolubili, ovvero quelli corrispondenti al primo gruppo analitico. Il surnatante viene poi trattato con il reattivo caratteristico del secondo gruppo ecc. La Tabella 28.5 elenca i diversi gruppi analitici insieme al reattivo precipitante e agli ioni che rientrano in ciascun gruppo. Gruppo analitico

Reattivo

Sali che precipitano

primo

HCl diluito

cloruri di Ag, Pb, Hg(I)

secondo

H2 S in ambiente acido

solfuri di Hg(II), Pb, Bi(III), Cu(II), Cd, Sn(II), Sn(IV), As(III), As(V), Sb(III), Sb(V)

terzo

tampone ammoniacale ðNH3 þ NH4 Cl a pH  9Þ

idrossidi di Al, Cr, Fe(III) (ottenuto eventualmente per ossidazione di Fe(II))

quarto

H2 S a pH  9

solfuri di Ni, Co, Mn, Zn

quinto

ðNH4 Þ2 CO3

carbonati di Ca, Sr, Ba residuo ‘‘solubile’’: Liþ ; Naþ ; Kþ ; Mg2þ ; NHþ 4

sesto

Come si notera`, in questa sequenza si fa largo ricorso a un reattivo alquanto tossico, il solfuro d’idrogeno. Anche per questo motivo essa e` ormai poco applicata e ne sono state elaborate altre, basate per esempio sulla precipitazione frazionata degli idrossidi e sull’impiego di agenti complessanti. Si tratta comunque di procedure di impiego limitato perche´, ancor piu` di quella presentata nella Tabella 28.5, risultano circoscritte a un numero abbastanza ristretto di ioni. 115 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

LAB

Schede di laboratorio PRIMA DI COMINCIARE La prima lezione in laboratorio puo` essere dedicata alla conoscenza di questo ambiente di lavoro e delle norme di comportamento da seguire per operare nella propria e altrui sicurezza. Si potra` fare osservare agli allievi la disposizione e la collocazione di: sala preparazioni, banconi, banchi dotati di cappa aspirante, porte di entrata e di uscita, con particolare riferimento alle vie di fuga; sistemi di allarme e di sicurezza, guanti e occhiali di protezione, cassetta di pronto soccorso (con verifica del suo contenuto); strumentazione, attrezzature e vetreria; armadi con reagenti e sostanze.

L’acqua: un solvente sottostimato

Si potra` consegnare alla classe un elenco del materiale a disposizione, in modo che ogni allievo, o gruppo di allievi, possa controllarne l’efficienza. In particolare, per quanto riguarda la vetreria, si potranno dare indicazioni generali sulla sua pulizia, spiegando che gli acidi hanno prevalentemente un effetto disincrostante, gli alcali funzionano meglio come sgrassanti, e che a volte si potra` anche ricorrere all’azione di agenti ossidanti e/o complessanti. Alcune soluzioni detergenti di largo impiego sono: soluzione al 20% di carbonato di sodio, non molto energica ma ecologicamente molto accettabile; soluzione al 10% di sapone o di detergente per i piatti, meglio se addizionati con il 5% di EDTA, sufficiente in molti casi (buono anche come disincrostante); soluzione idroalcolica di KOH (10 g in 100 mL di miscela acqua-etanolo 50%), molto efficace sui grassi; soluzione basica di KMnO4 (5 g in 100 mL di NaOH al 10%), calda, molto energica; soluzione di persolfato di ammonio (3,4 g di (NH4)2 S2O8 in 10 mL di H2SO4 96% e 90 mL di acqua), ossidante/ disincrostante, con minore impatto ambientale di altre equivalenti. Fornire fin dall’inizio alcuni particolari operativi puo` rivelarsi molto utile. Si potra` fare osservare, per esempio, che quando un recipiente e` ben sgrassato sulle sue pareti si forma un velo uniforme di acqua, senza gocce isolate. ATTENZIONE: quando si utilizza il Bunsen si deve operare sotto cappa aspirante. In alternativa utilizzare una piastra riscaldante.

Il simbolo

indica sostanza pericolosa, da manipolare con attenzione.

117 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

LAB 1

Precisione delle misure di una bilancia 1 ora e 30 min

Si effettua una serie di pesate di uno stesso oggetto.

Fra le specifiche tecniche delle bilance, quelle di cui bisogna sicuramente disporre prima di una misura sono l’accuratezza (esattezza) e la precisione (3cap 19). Per quanto riguarda l’accuratezza (esattezza) della misura, a rigore si

dovrebbe disporre di pesi certificati e in buone condizioni. Le moderne bilance sono comunque molto stabili e in molti casi dispongono di dispositivi interni di autocalibrazione adeguati allo scopo, per cui accade solo raramente che si debbano effettuare controlli di tale genere. La verifica della precisione e` molto piu` agevole; in pratica, si tratta

semplicemente di effettuare alcune serie di misure della massa dello stesso oggetto. Per esplorare le prestazioni della bilancia sull’intero campo della misura si misurano le masse di oggetti diversi. STRUMENTI DI LAVORO bilancia analitica bilancia tecnica stufa pinzette essiccatore contenente gel di silice attivato *

MATERIALI E SOSTANZE oggetto metallico da pesare (foglietto di alluminio, moneta, fermaglio, peso standard, chiave, chiodino, spillo ecc.) etanolo o altri solventi sgrassanti

* Il gel di silice deve essere blu, non rosa: se non lo e`, essiccarlo in stufa per almeno 2 ore a 160-180 oC.

PROCEDIMENTO Utilizzare sempre le pinzette per maneggiare l’oggetto da pesare durante tutte le fasi del procedimento.

PER CONCLUDERE

DOMANDE

– – – – – – –

Pulire l’oggetto da pesare con alcol. Mettere ad asciugare l’oggetto in stufa per alcuni minuti. Collocare l’oggetto in essiccatore per 15 min. Azzerare la bilancia. Posare l’oggetto sul piatto della bilancia. Annotare il peso. Ripetere le operazioni dall’azzeramento in poi per almeno 5 volte.

– Calcolare la media delle pesate. – Calcolare il range dei valori e l’intervallo di semidispersione. – Confrontare gli indici di dispersione calcolati con la precisione della bilancia dichiarata dal costruttore. Perche´ l’oggetto va pulito con alcol? Perche´ l’oggetto caldo va raffreddato in essiccatore e non all’aria? Perche´ si devono usare le pinzette per maneggiare l’oggetto?

118 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

LAB 2

Precisione delle misure di volume 2 ore

Si effettuano ripetuti prelievi di uguali volumi di acqua e se ne controlla la quantita` effettiva tramite pesata. Il controllo e` esteso a diversi dispositivi per misure di volume.

I vari apparecchi per misure di volume possiedono gradi di accuratezza e precisione molto diversi. L’utilizzo corretto della vetreria richiede un’adeguata manualita` e la conoscenza delle prestazioni di ogni apparecchio. Considerato il fatto che la bilancia e` lo strumento piu` preciso disponibile in laboratorio, per valutare le prestazioni della vetreria si adotta come ‘‘valore vero’’ quello ottenuto con la bilancia.

Tutta la vetreria deve essere perfettamente pulita e asciutta.

STRUMENTI DI LAVORO becher con graduazione beute con graduazione cilindri graduati matracci tarati pipette tarate pipette graduate burette (div. 1/10 mL e 1/20 mL) bilancia stufa propipetta asta e pinza reggiburette

spruzzetta becher di raccolta pinze di acciaio o legno carta assorbente termometro

MATERIALI E SOSTANZE acqua di grado analitico, preparata in quantita` sufficiente per tutta l’esperienza in modo da avere le medesime caratteristiche (soprattutto la stessa temperatura)



A ] Vetreria In (becher, beute, matracci) A.1] Prestazioni medie dei diversi tipi di vetreria PROCEDIMENTO

– Predisporre un adeguato volume di acqua, misurandone la temperatura. – Pulire accuratamente 5 dispositivi dello stesso tipo e numerarli; successivamente, per ciascun dispositivo: – azzerare la bilancia con la tara; – versare l’acqua fino alla tacca indicata e pesare. A.2] Prestazione di un particolare dispositivo

PROCEDIMENTO

– Scegliere uno dei dispositivi usati in A.1. – Ripetere il procedimento A.1 per 5 volte, usando sempre lo stesso dispositivo.

B ] Vetreria Ex (pipette, burette, cilindri) B.1] Prestazioni medie dei diversi tipi di vetreria PROCEDIMENTO

– Preparare un adeguato volume di acqua misurandone la temperatura. – Pulire accuratamente 5 dispositivi dello stesso tipo e numerarli. – Predisporre un becher adatto a contenere il volume di acqua che s’intende misurare. – Azzerare la bilancia con il becher come tara. – Toglierlo dalla bilancia e trasferirvi il volume di acqua prelevato con uno dei 119

Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

dispositivi numerati. – Pesare per ottenere la massa del volume. – Ripetere le operazioni per gli altri 4 dispositivi misurando la tara. B.2] Prestazione di un particolare dispositivo PROCEDIMENTO

– Scegliere uno dei dispositivi usati usati in B.1. – Ripetere la sequenza del procedimento B.1 per 5 volte, usando sempre lo stesso dispositivo per ciascun prelievo.

PER CONCLUDERE

Per ciascun procedimento: – calcolare la media delle misure; – cercare nella Tabella Lab 2.1 il valore della densita` dell’acqua alla temperatura misurata; – calcolare il valore medio del prelievo; – calcolare l’intervallo di incertezza delle misure di volume.

Tabella Lab. 2.1 Densita` dell’acqua a diverse temperature.

DOMANDE

t (oC)

d (g/mL)

t (oC)

d (g/mL)

0 4 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19

0,999868 1,000000 0,999728 0,999633 0,999525 0,999404 0,999271 0,999127 0,998970 0,998803 0,998624 0,998435

20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30

0,998234 0,998023 0,997802 0,997570 0,997329 0,997077 0,996816 0,996545 0,996265 0,995976 0,995678

Sai valutare i diversi dispositivi utilizzati dal punto di vista dell’accuratezza e

della precisione? Se si compie un errore di þ 0,5 ºC nella misura della temperatura, quanto

vale il corrispondente errore percentuale nella misura dei volumi?

120 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

LAB 3

Come pesare una polvere igroscopica 1 ora

Si effettuano pesate prima e dopo l’essiccamento della sostanza presa in esame.

Tutti i sali in polvere hanno, sia pure in misura diversa, la tendenza ad assorbire acqua dall’ambiente, ovvero sono piu` o meno igroscopici. Per pesare un sale puro occorre percio` allontanare l’acqua assorbita dall’ambiente ed effettuare la pesata in modo tale che l’umidita` non venga riassorbita. STRUMENTI DI LAVORO stufa bilancia analitica becher da 100 o 50 mL vetro d’orologio spatolina essiccatore contenente gel di silice* attivato

MATERIALI E SOSTANZE sali consigliati: Na2CO3; Na2C2O4; KIO3; CaCO3; CaCl2; NaCl; Na2SO4; CaO; BaCl2  2H2O

* Il gel di silice deve essere blu, non rosa: se non lo e`, essiccarlo in stufa per almeno 2 ore a 160-180 oC.

PROCEDIMENTO

PER CONCLUDERE

DOMANDE

Mettere in stufa i sali per una notte a 110 ºC. Mettere sul piatto della bilancia un vetro d’orologio. Azzerare la bilancia. Togliere dalla stufa un becher contenente il sale da pesare. Versare velocemente sul vetro d’orologio 0,5-1 g di sostanza e annotare la massa. – Annotare la massa ogni minuto per i primi 10, e poi ogni 5 min per almeno mezz’ora. – Ripetere il procedimento dopo che lo stesso sale, tolto dalla stufa, e` stato messo in essiccatore per 15 min.

– – – – –

– Riportare i dati in un grafico massa/tempo. – Calcolare la variazione percentuale della massa dopo 5, 10 e 30 min. – Calcolare la differenza percentuale tra le prime pesate effettuate: – sul sale tolto dalla stufa; – dopo che il sale e` stato 15 min nell’essiccatore. – Ripetere eventualmente tutto il procedimento con un altro sale. Per quale motivo non si pesano oggetti quando sono caldi? Quali sali vanno assolutamente raffreddati in essiccatore, prima di essere

pesati? Qual e` il tempo ottimale di permanenza nell’essiccatore per ottenere il

completo raffreddamento dei sali? PER APPROFONDIRE

Un modo molto utile per valutare la qualita` delle proprie operazioni di pesata e trasferimento di un materiale in polvere consiste nell’utilizzare, per la pesata, zafferano o blu di metilene o un colorante alimentare. In tal modo si puo` osservare facilmente a occhio nudo qualunque dispersione di materiale.

121 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

LAB 4

Acqua di cristallizzazione di un sale idrato 2 ore e 30 min.

Si effettuano pesate prima e dopo la disidratazione della sostanza presa in esame.

L’acqua di cristallizzazione e` ben diversa dall’umidita` che puo` essere assorbita da un composto. La migliore verifica di questa differenza sta nel fatto che il contenuto di H2O di cristallizzazione rispetta vincoli stechiometrici definiti, mentre l’umidita` e` contenuta in quantita` variabili. Inoltre, l’umidita` viene eliminata lasciando il campione a 105-110 ºC per il tempo necessario; per l’acqua di cristallizzazione occorrono invece, a volte, temperature superiori, perche´ essa fa parte della struttura del composto e puo` essere legata molto fortemente. STRUMENTI DI LAVORO stufa essiccatore con gel di silice in piena efficienza (blu) mortaio di porcellana bilancia analitica pinze di acciaio PROCEDIMENTO

D’ora in poi utilizzare sempre le pinze per maneggiare il contenitore.

PER CONCLUDERE

DOMANDE

becher da 50 mL o crogiolo di porcellana spatola

MATERIALI E SOSTANZE BaCl2  2 H2O



– Pulire accuratamente il contenitore prescelto e sciacquare con acqua di grado analitico. – Mettere il contenitore in stufa a 115 ºC per almeno 30 min. – Lasciare raffreddare in essiccatore per 10-15 min. – Pesare la tara. – Triturare finemente un po’ di BaCl2  2H2O (possibilmente prelevato da una confezione nuova o aperta da poco). – Trasferire nel contenitore 0,8-1 g di BaCl2  2H2O, pesarlo e annotare il valore. – Collocare di nuovo in stufa per un’ora. – Lasciar raffreddare in essiccatore per 10-15 min. – Toglierlo dall’essiccatore e, il piu` rapidamente possibile, pesare di nuovo. – – – – – –

Calcolare la massa del sale idrato. Calcolare la massa del sale anidro. Determinare la perdita di massa dovuta all’acqua di cristallizzazione. Calcolare, dalla perdita di massa, le moli di H2 O contenute nel campione. Calcolare le moli di BaCl2 presenti nel campione di sale anidro. Verificare se molH2 O ffi 2  molBaCl2

Perche´ bisogna raffreddare il sale prima di pesarlo? Perche´ occorre farlo in essiccatore? Perche´ la pesata del campione anidro va effettuata il piu` rapidamente

possibile?

122 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

LAB 5

Determinazione delle ceneri negli alimenti 8 ore

Determinazione gravimetrica, con parziale incenerimento della materia organica sulla fiamma del Bunsen e successivo trattamento in muffola.

Tutti gli alimenti (a meno che non siano particolarmente raffinati, come per esempio lo zucchero bianco) contengono, oltre a composti organici, sostanze minerali di vario tipo, la cui determinazione viene effettuata abbastanza facilmente facendo bruciare la componente organica, cosı` da lasciare solo le ceneri (ovvero i sali inorganici incombustibili e non volatilizzabili a 600 ºC). Questo parametro puo` avere rilevanza merceologica, in quanto puo` rivelare adulterazioni dovute all’aggiunta di sali (poco costosi) ad alimenti pregiati.

STRUMENTI DI LAVORO stufa essiccatore mortaio di porcellana od omogeneizzatore bilancia analitica pinze di acciaio Bunsen treppiede con triangolo di refrattario

muffola crogiolo di porcellana spatolina vetro d’orologio

MATERIALI E SOSTANZE alimento solido o liquido soluzione NH4NO3 all’1%

A ] Taratura del crogiolo PROCEDIMENTO D’ora in poi, per maneggiare il crogiolo, utilizzare sempre le pinze.

– – – – –

Pulire accuratamente il crogiolo e sciacquare con acqua di grado analitico. Asciugare il crogiolo in stufa a 105 ºC. Mettere il crogiolo in muffola a 600 ºC per almeno un’ora. Lasciar raffreddare in essiccatore per 10-15 min. Pesare la tara.

B ] Trattamento del campione PROCEDIMENTO

Il Bunsen va utilizzato sempre sotto cappa aspirante.

– Se l’alimento da analizzare e` solido, triturarlo finemente; se e` liquido, omogeneizzarlo bene. – Pesare nel crogiolo 1-5 g di alimento (oppure versarne 5-20 mL) a seconda del probabile contenuto di ceneri. – Determinare con cura la massa del campione, oppure il volume. – Collocare di nuovo in stufa a 105 ºC per almeno un’ora per eliminare l’umidita` dal campione, se solido; se e` liquido, attendere che sia andato a secco. – Mettere il crogiolo sul supporto triangolare di refrattario e cominciare a scaldare con il Bunsen, con cautela. Nel caso in cui si formassero una fiamma o fumi abbondanti, coprire il crogiolo con un vetro d’orologio, allontanando la fiamma del Bunsen. Riprendere il riscaldamento solo quando la fiamma e` spenta e non si nota uno sviluppo eccessivo di fumi. – Continuare a scaldare cautamente facendo attenzione a non far sviluppare fumi eccessivi o fiamme. 123

Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

C ] Incenerimento completo C.1] Metodo veloce, con pesata unica del crogiolo PROCEDIMENTO

– Mettere il crogiolo in muffola per 3 ore. – Controllare che le ceneri siano bianche. – Se le ceneri contengono residui carboniosi o risultano grigio-nere, aggiungere al crogiolo raffreddato qualche goccia di soluzione di NH4NO3 all’1%. Portare a secco su Bunsen con cautela e rimettere in muffola per un paio d’ore. – Lasciar raffreddare in essiccatore per 10-15 min. – Pesare il crogiolo. C.2] Metodo accurato, fino a peso costante del crogiolo

PROCEDIMENTO Sebbene il secondo metodo per pesare le ceneri sia molto accurato, la procedura veloce permette di determinare le ceneri con sufficiente accuratezza.

– – – –

Procedere come in C.1. Rimettere il crogiolo in muffola per almeno mezz’ora. Raffreddare in essiccatore per 10-15 min. Pesare il crogiolo. Se questo peso differisce dal precedente di  0,5 mg, si puo` considerare terminata la procedura, altrimenti rimettere in muffola per altri 30 min e ripetere la pesata fino a quando il peso risulta costante ( 0,5 mg rispetto alla pesata precedente).

PER CONCLUDERE

– Esprimere il risultato dell’analisi in grammi di ceneri/100 g di campione (oppure 100 mL).

DOMANDE

Per quale motivo e` bene non consentire che si sviluppino fiamme dal

crogiolo? Che cosa puo` indicare un elevato contenuto di ceneri a proposito del potere

nutrizionale dell’alimento in esame? Che relazione esiste tra gli strumenti utilizzati nell’analisi e la decisione

relativa alla massa (o volume) iniziale di campione?

124 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

LAB 6

Determinazione del rapporto di combinazione tra due ioni che reagiscono

4 ore

Si fanno reagire tra loro volumi diversi delle soluzioni contenenti due ioni che formano un precipitato. Il rapporto di combinazione dei reagenti potra` essere ricavato dalla quantita` di precipitato che si e` formata.

MATERIALI E SOSTANZE soluzione A: 500 mL di soluzione di nitrato di piombo 0,500 M soluzione B: 500 mL di soluzione di ioduro di sodio 0,500 M acqua di grado analitico

STRUMENTI DI LAVORO burette da 50 mL becher da 50 mL matracci tarati da 500 mL bilancia analitica imbuto filtro di carta stufa PROCEDIMENTO

– Numerare 20 becher. – Versare in ciascun becher i volumi delle soluzioni indicate nella Tabella Lab. 6.1, miscelando con cura. – Preparare un filtro per ogni prova, contrassegnarlo con una matita e pesarlo asciutto. – Filtrare il contenuto dei becher, facendo ripassare piu` volte il liquido filtrato, per trascinare tutto il precipitato sul filtro. – Lavare il precipitato con 5 mL di acqua di grado analitico. – Mettere gli imbuti in stufa per asciugare i filtri e il loro contenuto. – Lasciare raffreddare gli imbuti e pesare i filtri.

Tabella Lab. 6.1 Tabella per la raccolta dei risultati delle venti prove.

PER CONCLUDERE

becher

mL sol. B

mL sol. A

acqua (mL)

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20

10 10 10 10 10 10 10 10 10 10 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 5 5 5 5 5 5 5 5 5 5

14 13 12 11 10 9 8 7 6 5 18 16 14 12 10 8 6 4 2 0

mol B

mol A

mol B/ precipitato mol A (g)

– Determinare la massa di ciascun precipitato. – Completare la Tabella Lab. 6.1 per la raccolta dei risultati. – Calcolare le moli di A e di B presenti in ciascun becher. 125

Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

– Calcolare il rapporto mol B/mol A di ciascuna prova. – Costruire due grafici. Nel primo, per i becher da 1 a 10, porre in ordinata la massa di precipitato e in ascissa i millilitri di soluzione A. Nel secondo, per i becher da 11 a 20, riportare in ascissa i millilitri di soluzione B. – Analizzando i dati, individuare il reagente limitante in ciascuna prova. – Identificare in quale situazione sembra non esserci eccesso ne´ dell’uno ne´ dell’altro reagente. – Scrivere il rapporto di combinazione dei reagenti nel composto precipitato. DOMANDE

Perche´ la massa di precipitato non e` costante in tutte le prove? La massa di precipitato aumenta regolarmente con l’aumentare della quantita` di A? La massa di precipitato aumenta regolarmente con l’aumentare della quantita` di B? Esiste un limite oltre il quale l’aumento della quantita` di uno dei due reattivi

non fa aumentare la massa di precipitato? Qual e` il rapporto mol B/mol A in corrispondenza del quale si stabilizza la

massa di precipitato?

126 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

LAB 7

Determinazione gravimetrica dei solfati 9 ore

La determinazione quantitativa dello ione solfato viene effettuata per via gravimetrica, sfruttando la reazione: 2þ SO2 ! BaSO4 ðsÞ 4 þ Ba

La determinazione gravimetrica dei solfati e` una delle poche ancora in uso, per esempio nell’analisi dello zolfo presente negli idrocarburi. Le procedure alternative di analisi strumentale sono, in questo caso, piu` complesse. STRUMENTI DI LAVORO becher da 500 mL e 250 mL Bunsen con reticella o piastra riscaldante imbuto carta da filtro lenta bacchetta di vetro crogiolo di porcellana triangolo di refrattario muffola essiccatore

pinze di acciaio bilancia analitica stufa

MATERIALI E SOSTANZE HCl al 37% soluzione di AgNO3 al 5% (p/V ) soluzione di BaCl2 al 5% ( p/V ) acqua di grado analitico

A ] Taratura del crogiolo PROCEDIMENTO

– Pulire accuratamente un crogiolo di porcellana ed essiccarlo in stufa. – Metterlo in muffola a 900 ºC per almeno 1 ora e raffreddare in essiccatore. – Pesare il crogiolo fino a peso costante.

B ] Precipitazione PROCEDIMENTO Il Bunsen va utilizzato sempre sotto cappa aspirante Con l’aggiunta di HCl, la precipitazione avviene in soluzione leggermente acida, si evitano coprecipitazioni e il precipitato risulta formato da cristalli di maggiori dimensioni, facilitando la filtrazione. Se si determina la concentrazione dello ione solfato presente nell’H2 SO4 , invece che in un suo sale, l’aggiunta di soluzione di BaCl2 va fatta lentamente, goccia a goccia.

PROCEDIMENTO

– Preparare la soluzione di campione come segue: – se il campione e` in soluzione, versarla in un becher da 500 mL, diluirla a 300  350 mL con acqua di grado analitico e acidificare con qualche goccia di HCl conc.; – se il campione e` un solido solubile, pesarne 0,5-0,7 g dopo averlo essiccato in stufa a 110 oC per un’ora. Sciogliere 200 mL di acqua di grado analitico e 1 mL di HCl conc. – Portare all’ebollizione la soluzione campione, lasciando immersa una bacchetta di vetro. – Portare all’ebollizione un volume di soluzione di BaCl2 sufficiente a garantire la precipitazione completa e versarlo rapidamente nella soluzione di analita, mantenendo in costante agitazione. – Lasciare a riposo (digestione) il precipitato per 2 ore su fiamma bassa. – Raffreddare e lasciar decantare.

C ] Filtrazione – Filtrare il liquido surnatante. – Lavare il precipitato con poca acqua calda, lasciar decantare e filtrare il liquido surnatante. 127

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– Terminare i lavaggi quando le acque filtrate non contengono piu` cloruri. Per il saggio prelevare qualche millilitro di filtrato e aggiungere qualche goccia di soluzione di AgNO3 . La comparsa di un precipitato o anche semplicemente di una opalescenza bianca indica la formazione di AgCl e quindi la presenza di cloruri non ancora completamente eliminati dal precipitato. – Quando i cloruri sono stati eliminati trasferire il precipitato sul filtro aiutandosi con la spruzzetta contenente acqua.

D ] Incenerimento del filtro PROCEDIMENTO

– Lasciar asciugare il filtro per un po’ di tempo, poi ripiegarlo e inserirlo nel crogiolo di porcellana. – Porre il crogiolo in stufa, per asciugarlo, per almeno 30 min. – Incenerire il filtro con la fiamma del Bunsen, collocando il crogiolo sul triangolo di refrattario, evitando la formazione di fiamme. – Mettere in muffola a 900 ºC per almeno un’ora. Controllare che le ceneri siano bianche. – Raffreddare in essiccatore e pesare su bilancia analitica. – Ripetere la calcinazione in muffola fino a peso costante (con variazione non superiore a 0,3 mg).

PER CONCLUDERE

– Calcolare quanto ione solfato e` presente nel campione: in percentuale, se il campione e` un solido, oppure in g  L1 se si tratta di una soluzione.

DOMANDE

Perche´ si opera in eccesso di BaCl2 ? Perche´ bisogna eliminare lo ione cloruro dal precipitato mediante ripetuti

Per la pulizia del crogiolo dalle possibili incrostazioni di solfato di bario si consiglia, per disgregarle, di introdurvi carbonato di sodio al 20% e di lasciar bollire per qualche minuto. In alternativa, trattare con carbonato di sodio in polvere, portandolo a fusione.

lavaggi? Che cosa succede durante la fase della digestione del precipitato? Perche´ e` meglio non versare subito tutto il precipitato sul filtro, prima di

procedere ai lavaggi con acqua? Perche´ e` preferibile usare poca acqua per lavare e trasferire il precipitato sul

filtro?

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LAB 8

Preparazione di soluzioni 2 ore

Si preparano soluzioni a titolo approssimato per pesata o per diluizione e soluzioni standard per pesata di una sostanza pura.

Quando occorrono reattivi per creare un particolare ‘‘ambiente di reazione’’, non e` sempre necessario preparare soluzioni a concentrazione nota con accuratezza, perche´ basta conoscerne il titolo approssimato. Le soluzioni standard sono usate in volumetria per determinare la concentrazione di altre soluzioni. Per tale motivo il titolo di una soluzione standard deve essere noto con accuratezza.

A ] Preparazione di una soluzione di un solido a titolo approssimato A.1] Preparazione di una soluzione 0,2 M di CH3 COONa CALCOLI PRELIMINARI

Supponendo di preparare 1 L di soluzione, occorreranno: mol CH3 COONa ¼ Mðmol  L1 Þ  VðLÞ ¼ 0,2 mol  L1  1 L ¼ 0,2 mol La massa molare di CH3COONa  3H2O e` 136,08 g  mol1 . La massa (in g) di CH3COONa  3H2O necessaria per preparare la soluzione e`: mol  MM ¼ 0,2 mol  136,08 g  mol1 ¼ 27 g STRUMENTI DI LAVORO bilancia tecnica becher da 500 mL spatola cilindro graduato da 1 L

PROCEDIMENTO

– – – – –



bottiglia di vetro bacchetta di vetro

MATERIALI E SOSTANZE CH3COONa  3H2O solido acqua di grado analitico

Pesare circa 27 g di CH3COONa  3H2O nel becher da 500 mL. Riempire un cilindro da 1 L con acqua di grado analitico. Versare circa 300 mL di acqua dal cilindro nel becher. Agitare con una bacchetta di vetro, fino a dissoluzione completa. Versare nella bottiglia di vetro la soluzione ottenuta e aggiungere il resto dell’acqua contenuta nel cilindro, passandola prima nel becher per raccogliere la soluzione residua.

A.2] Preparazione di una soluzione 0,5 M di KOH CALCOLI PRELIMINARI

Supponendo di preparare 1 L di soluzione, occorreranno: mol KOH ¼ Mðmol  L1 Þ  V ðLÞ ¼ 0,5 mol  L1  1 L ¼ 0,5 mol La massa molare di KOH e` 56,11 g  mol1 , mentre la purezza di un normale prodotto di grado analitico e` pari all’87,6%. La massa di KOH necessaria per preparare la soluzione e`: mol  MM ¼ 0,5 mol  56,11 g  mol1 ¼ 28,05 g 129

Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Siccome KOH non e` puro al 100%, la massa da pesare e`: 100 28,05 g  ¼ 32 g 87,6 STRUMENTI DI LAVORO bilancia tecnica becher da 500 mL spatola cilindro graduato da 1 L PROCEDIMENTO



bottiglia di politene bacchetta di vetro

MATERIALI E SOSTANZE KOH in pastiglie acqua di grado analitico

Pesare circa 32 g di KOH nel becher da 500 mL. Riempire un cilindro da 1 L con acqua di grado analitico. Versare circa 300 mL di acqua dal cilindro nel becher. Agitare con una bacchetta di vetro con attenzione, dato che si sviluppa una notevole quantita` di calore (la reazione e` esotermica). – Quando KOH si e` sciolto completamente, raffreddare sotto acqua corrente. – Versare nella bottiglia di politene la soluzione ottenuta e aggiungere il resto dell’acqua contenuta nel cilindro, passandola prima nel becher per raccogliere la soluzione residua.

– – – –

J I

B ] Preparazione di una soluzione standard 0,05 M di Na2CO3 CALCOLI PRELIMINARI

Per preparare 1 L di una soluzione 0,05 M di Na2CO3 occorre pesare: g Na2 CO3 ¼ Mðmol  L1 Þ  V ðLÞ  MM ðg  mol1 Þ g Na2 CO3 ¼ 0,05 mol  L1  1ðLÞ  105,99 ðg  mol1 Þ ¼ 5,2995 g STRUMENTI DI LAVORO stufa essiccatore bilancia analitica becher da 50 mL matraccio tarato da 1 L

PROCEDIMENTO * D’ora in avanti indicheremo questa operazione con l’espressione "pesare accuratamente circa".

PER CONCLUDERE

MATERIALI E SOSTANZE Na2CO3 solido, puro per analisi acqua di grado analitico

– Mettere in stufa un po’ di Na2CO3 a 105 ºC per 2 ore. – Raffreddare in essiccatore per 10-15 min. – In un becher da 50 mL pesare rapidamente e con la massima accuratezza una quantita` di Na2CO3 vicina a 5,3 g e annotare la massa*. – Sciogliere con acqua di grado analitico e trasferire quantitativamente in matraccio tarato da 1 L. – Portare a volume con acqua di grado analitico. – Conservare in bottiglia di politene. – Calcolare la concentrazione della soluzione in base alla massa effettivamente pesata, con il corretto numero di cifre significative. 130

Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

C ] Preparazione di una soluzione per diluizione C.1] Preparazione di una soluzione 0,1 M di H2SO4 CALCOLI PRELIMINARI

Di solito in laboratorio si trova H2SO4 al 96% (p/p) (d ¼ 1,84 kg  L1 ). La molarita` di tale soluzione e` circa 18 mol  L1 (3Vol. 1, Cap. 3). Per preparare 1 L di soluzione 0,1 M, occorre prelevare 1000 ðmLÞ  0,1 ðmol  L1 Þ ffi 5,6 mL di soluzione 18 M e diluirli a 1 L. 18 ðmol  L1 Þ STRUMENTI DI LAVORO pipetta graduata da 10 mL cilindro graduato da 1 L bottiglia di vetro o politene

PROCEDIMENTO Bisogna sempre versare l’acido nell’acqua, mai viceversa.

MATERIALI E SOSTANZE soluzione di H2SO4 al 96% (p/p) acqua di grado analitico

– Riempire il cilindro fino alla tacca dei 1000 mL con acqua di grado analitico. – Versare meta` dell’acqua nella bottiglia. – Prelevare circa 5,6 mL di H2SO4 al 96% con la pipetta graduata e versare l’acido nella bottiglia. Agitare. – Aggiungere l’acqua rimanente alla bottiglia. Agitare.

J I

C.2] Preparazione di una soluzione a 1000 mg . L1 (1000 ppm) di Cu2+

In commercio sono disponibili soluzioni concentrate che, portate a 1 L in matraccio tarato, forniscono una soluzione il cui titolo e` esattamente 1000 mg  L1 di analita. Per preparare tali soluzioni bisogna seguire le istruzioni stampate sul foglietto che accompagna la confezione, trasferendo poi il tutto nella bottiglia di politene. In genere la soluzione concentrata si trova in un contenitore cilindrico di plastica (fiala), che si buca facilmente. STRUMENTI DI LAVORO bottiglia di vetro o politene matraccio tarato da 1 L spruzzetta

PROCEDIMENTO

MATERIALI E SOSTANZE soluzione standard concentrata, contenente una quantita` nota di Cu2+ (1000 mg) acqua di grado analitico

– Inserire la parte inferiore della fiala nel collo del matraccio e bucarla per consentire il deflusso del liquido. – Risciacquare piu` volte l’interno della fiala con acqua di grado analitico e portarla a volume. – Trasferire infine la soluzione in un contenitore di politene. C.3] Preparazione di una soluzione a 100 mg . L1 (100 ppm) di Cu2+ STRUMENTI DI LAVORO pipetta tarata da 10 mL o buretta da 25 mL matraccio tarato da 100 mL

PROCEDIMENTO

MATERIALI E SOSTANZE soluzione standard madre a 1000 mg . L1 acqua di grado analitico

– Prelevare 10 mL di soluzione standard madre con la pipetta tarata o con la buretta e trasferirli nel matraccio da 100 mL. – Portare a volume con acqua di grado analitico. 131

Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

LAB 9

Preparazione e standardizzazione delle soluzioni per argentometria

3 ore

Si preparano le soluzioni di NaCl, AgNO3 e tiocianato che vengono impiegate in argentometria. La soluzione di NaCl e` quella di standard primario. Le altre soluzioni sono standardizzate utilizzando i metodi di Fajans, Mohr e Volhard (3Cap. 25).

A ] Preparazione delle soluzioni STRUMENTI DI LAVORO stufa essiccatore bilancia analitica bilancia tecnica becher da 50 mL matraccio tarato da 500 mL bottiglie di vetro

MATERIALI E SOSTANZE AgNO3 solido NaCl solido, puro per analisi NH4SCN (KSCN) solido acqua di grado analitico

A.1] Soluzione standard di NaCl 0,1 M PROCEDIMENTO

– Essiccare il sale in stufa a 120 ºC per 2 ore e raffreddarlo in essiccatore. – Pesare accuratamente circa 3 g di sale in un becher da 50 mL. – Sciogliere e trasferire quantitativamente in matraccio tarato da 500 mL e portare a volume con acqua di grado analitico. – Conservare in bottiglia di vetro. – Calcolare il titolo in base alla massa di NaCl effettivamente pesata. A.2] Soluzione di AgNO3 0,1 M

PROCEDIMENTO

– Sciogliere circa 17 g di sale in 1 L di acqua di grado analitico. – Conservare in bottiglia di vetro scura. A.3] Soluzione di tiocianato 0,1 M

PROCEDIMENTO

– Sciogliere 7,6 g di NH4SCN (oppure 9,7 g di KSCN) in 1 L di acqua di grado analitico. – Conservare in bottiglia di vetro.

B ] Determinazione del titolo di una soluzione di AgNO3 con il metodo di Fajans Una soluzione contenente una quantita` accuratamente nota di Cl viene titolata con la soluzione di AgNO3 . Appena oltre il punto di equivalenza, gli ioni fluoresceinato vengono adsorbiti sulla superficie del precipitato di AgCl e danno una colorazione rossastra alla superficie del precipitato stesso. Con il metodo di Fajans si puo` utilizzare la fluoresceina se la soluzione da titolare ha un pH compreso tra 7 e 10; invece, usando la diclorofluoresceina si puo` operare tra pH 4 e 10. Nell’ambito del metodo, proponiamo due diversi procedimenti: titolazione di aliquote di soluzione standard di NaCl e titolazione di quantita` pesate di NaCl. 132 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Nel primo caso la determinazione e` condotta su aliquote uguali, con lo svantaggio di dover misurare dei volumi (con un’accuratezza inferiore alla pesata). Nel secondo caso si deve effettuare una pesata accurata per ciascuna determinazione. STRUMENTI DI LAVORO beuta da 250 mL buretta da 50 mL cilindro da 100 mL pipetta da 20 mL a due tacche e propipetta vetro d’orologio bilancia analitica

MATERIALI E SOSTANZE soluzione di AgNO3 0,1 M soluzione di 2’,7’diclorofluoresceina (oppure fluoresceina sale disodico) allo 0,1% (p/V ) in etanolo 70% (V/V ) soluzione standard di NaCl 0,1 M NaCl essiccato in stufa a 120 ºC per 2 ore e raffreddato in essiccatore acqua di grado analitico

B.1] Titolazione di aliquote di soluzione standard di NaCl PROCEDIMENTO

– Predisporre la buretta con la soluzione di AgNO3. – Prelevare con la pipetta 20 mL di soluzione standard di NaCl, versarli nella beuta, aggiungere 100 mL di acqua di grado analitico e 0,5 mL di soluzione di diclorofluoresceina. – Titolare con AgNO3 fino a colorazione rossastra. – Ripetere la titolazione almeno 3 volte. B.2] Titolazione di quantita` pesate di NaCl

PROCEDIMENTO

– Predisporre la buretta con la soluzione di AgNO3. – Pesare accuratamente circa 0,2 g di NaCl essiccato in stufa a 120 ºC per 2 ore e raffreddato in essiccatore. – Trasferire quantitativamente il sale nella beuta, aggiungere 100 mL di acqua di grado analitico e 0,5 mL di soluzione di diclorofluoresceina. – Titolare con AgNO3 fino a colorazione rossastra. – Ripetere la titolazione almeno 3 volte.

PER CONCLUDERE

– Calcolare, per ciascuna determinazione effettuata, la concentrazione della soluzione di AgNO3. – Calcolare la media dei valori ottenuti. – Esprimere l’intervallo di incertezza.

C ] Determinazione del titolo di una soluzione di AgNO3 con il metodo di Mohr Una soluzione contenente una quantita` accuratamente nota di Cl viene titolata con la soluzione di AgNO3. Appena oltre il punto di equivalenza, gli ioni cromato formano un secondo precipitato, di colore rosso-mattone (Ag2CrO4), indicando il punto di fine titolazione. 133 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Il metodo di Mohr prevede un ambiente neutro o quasi (pH tra 7 e 10). Il pH ottimale puo` essere ottenuto con una piccola aggiunta di borace. Proponiamo, anche in questo caso, le due modalita` di standardizzazione descritte nel procedimento B. STRUMENTI DI LAVORO beuta da 250 mL buretta da 50 mL cilindro da 100 mL pipetta da 20 mL a due tacche e propipetta vetro d’orologio bilancia analitica

MATERIALI E SOSTANZE soluzione di AgNO3 0,1 M soluzione di K2CrO4 all’1% (p/V ) soluzione standard di NaCl 0,1 M NaCl essiccato in stufa a 120 ºC per 2 ore e raffreddato in essiccatore

C.1] Titolazione di aliquote di soluzione standard di NaCl PROCEDIMENTO

– Predisporre la buretta con la soluzione di AgNO3. – Prelevare con la pipetta 20 mL di soluzione standard di NaCl, versarli nella beuta, aggiungere 100 mL di acqua di grado analitico e 5 mL di soluzione di K2CrO4 all’1%. – Titolare con AgNO3 fino a quando si forma un precipitato rossastro. – Ripetere la titolazione almeno 3 volte. C.2] Titolazione di quantita` pesate di NaCl

PROCEDIMENTO

PER CONCLUDERE

– Predisporre la buretta con la soluzione di AgNO3. – Pesare accuratamente circa 0,2 g di NaCl essiccato in stufa a 120 ºC per 2 ore e raffreddato in essiccatore. – Trasferire quantitativamente il sale nella beuta, aggiungere 100 mL di acqua di grado analitico e 0,5 mL di soluzione di K2CrO4 all’1%. – Titolare con AgNO3 fino a quando si forma un precipitato rossastro. – Ripetere la titolazione almeno 3 volte. – Effettuare i calcoli finali come nel procedimento B.

D ] Determinazione del titolo di una soluzione di tiocianato con il metodo di Volhard Una soluzione contenenente una quantita` accuratamente nota di Agþ viene titolata con la soluzione di tiocianato. Appena oltre il punto di equivalenza, gli ioni Fe3þ formano un complesso di colore rosso, indicando il punto di fine titolazione. La titolazione richiede l’impiego di una soluzione standard di AgNO3 . Essa viene effettuata in ambiente acido e in presenza di ioni Fe3þ . Con il metodo di Volhard si puo` lavorare solo in ambiente nettamente acido. Nei campioni reali questo si puo` rivelare un notevole vantaggio perche´ non interferiscono carbonati, ossalati e arseniati, che formerebbero (in ambiente neutro) sali poco solubili con l’argento. 134 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

STRUMENTI DI LAVORO beuta da 250 mL buretta da 50 mL pipetta da 20 mL a due tacche con propipetta cilindro da 100 mL

MATERIALI E SOSTANZE soluzione standard di AgNO3 soluzione di NH4SCN (o di KSCN) 0,1 M soluzione satura di NH4Fe(SO4)2 . 12 H2O (allume ferrico) in soluzione acquosa di HNO3 all’1%

HNO3 al 65%

I J

PROCEDIMENTO

– Predisporre la buretta con la soluzione di tiocianato. – Prelevare con la pipetta 20 mL di soluzione di AgNO3, versarli nella beuta, aggiungere 100 mL di acqua, 2 mL di HNO3 al 65% e 2 mL di allume ferrico. – Titolare con tiocianato, agitando vigorosamente la beuta, fino alla formazione di una colorazione rosso mattone che persista per almeno 1 min. – Ripetere la titolazione almeno 3 volte.

PER CONCLUDERE

– Calcolare la media delle concentrazioni di tiocianato ricavate in ogni titolazione. – Esprimere l’intervallo di incertezza.

PER I CALCOLI

– B.1] ðM  V ÞNaCl Per ogni titolazione: MAgNO3 ¼ V AgNO3 – B.2] mgNaCl Per ogni titolazione: MAgNO3 ¼  MMNaCl

1 mLAgNO3

– C.1] ðM  V ÞNaCl Per ogni titolazione: MAgNO3 ¼ V AgNO3 – C.2] mgNaCl Per ogni titolazione: MAgNO3 ¼  MMNaCl

1 mLAgNO3

– D] ðM  V ÞAgNO3 Per ogni titolazione: MSCN ¼ V SCN

135 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

LAB 10

Determinazione dei cloruri nel vino 2 ore

La determinazione viene effettuata con il metodo di Volhard (3Cap. 25) dopo opportuno trattamento del campione, sia per allontanare l’alcol, sia per eliminare l’eventuale colorazione che puo` interferire con la determinazione del punto di equivalenza.

La determinazione dei cloruri nel vino da` informazioni sull’entita` di eventuali trattamenti e talvolta anche sulla provenienza (i vini prodotti vicino al mare sono infatti piu` ricchi di cloruri). Il limite di legge e` di 0,5 g  L1 espressi come NaCl. STRUMENTI DI LAVORO Bunsen e reticella cilindro da 50 mL beuta da 400 mL pipette da 50 e 25 mL a due tacche con propipetta buretta da 25 mL

PROCEDIMENTO Il Bunsen va utilizzato sempre sotto cappa aspirante.

Piu` si decolora la soluzione, meglio si coglie il punto di viraggio.

PER CONCLUDERE

PER I CALCOLI

MATERIALI E SOSTANZE soluzione satura di KMnO4 in acqua di grado analitico soluzione di AgNO3 0,1 M a titolo noto soluzione di NH4 SCN (o di KSCN) 0,1 M a titolo noto soluzione satura di NH4 Fe(SO4 )2 . 12 H2 O in HNO3 (all’1%)

HNO3 al 65%



acqua di grado analitico

I J

– Prelevare con pipetta 50 mL di vino e versarli in una beuta da 400 mL. – Portare all’ebollizione e far dimezzare il volume. – Raffreddare e aggiungere 15 mL di HNO3 e 25 mL di soluzione standard di AgNO3 prelevati con la pipetta. – Riportare all’ebollizione e aggiungere, agitando, 50 mL di soluzione satura di KMnO4, goccia a goccia. – Aggiungere ancora 10 mL di soluzione satura di KMnO4, sempre all’ebollizione e agitando. – Ripetere queste aggiunte fino a ottenere una soluzione decolorata giallo paglierino chiaro. Se necessario (cioe`: se si forma un precipitato bruno di MnO2), aggiungere ancora qualche millilitro di HNO3. – Lasciar raffreddare per almeno una decina di minuti al buio. – Aggiungere 1 mL di soluzione di allume ferrico e titolare con tiocianato fino a colore bruno. – Calcolare le moli di AgNO3 consumate dai cloruri presenti nel campione. – Esprimere il risultato come g  L1 di NaCl. – Per ogni titolazione: g  L1 NaCl ¼

ðM  V ÞAgNO3  ðM  V ÞSCN V vino

136 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

 MMNaCl

LAB 11

Determinazione dei cloruri in uno shampoo o bagnoschiuma

2 ore

Il dosaggio dei cloruri viene effettuato con titolazione di precipitazione secondo il metodo di Mohr.

Nei comuni shampoo e bagnoschiuma si trova in genere una concentrazione di cloruro di sodio intorno al 2-3%. In generale la funzione di questo sale puo` essere molteplice: per esempio, nei dentifrici favorisce la rimozione della placca dentaria, mentre nei sali da bagno ha un certo (seppur labile) effetto ‘‘riducente’’ sul corpo di chi rimane immerso per un certo tempo. In soluzione diluita non presenta problemi, mentre in concentrazione elevata ha un effetto disidratante e piuttosto irritante sulla pelle. In prodotti come shampoo, bagnodoccia e bagnoschiuma (e anche in molti lavamani liquidi in commercio) la sua presenza ha invece lo scopo principale di ‘‘addensare’’ il liquido, o piu` correttamente di aumentarne la viscosita`, a causa delle sue interazioni con il lauriletere solfato di sodio (formula: þ CH3 ðCH2 Þ10 CH2 ðOCH2 CH2 Þ23 OSO 3 Na Þ, presente di solito come tensioattivo principale (e, nei prodotti piu` economici, unico!). Gli ioni del cloruro di sodio si interpongono fra le particelle in soluzione, favorendo la formazione di strutture tridimensionali e determinando in tal modo un effetto ‘‘viscosizzante’’ sul liquido. STRUMENTI DI LAVORO pipetta da 5 mL e propipetta beuta da 250 mL buretta da 25 o 50 mL contagocce bilancia analitica

MATERIALI E SOSTANZE potassio cromato, soluzione all’1% p=V soluzione di AgNO3 0,1 M a titolo noto

PROCEDIMENTO

– In una beuta asciutta da 250 mL pesare accuratamente circa 5-10 g di campione. – Diluire con circa 50 mL di acqua di grado analitico e aggiungere 5 mL di soluzione di potassio cromato. – Titolare secondo il metodo di Mohr con la soluzione standardizzata di argento nitrato fino a quando si forma un precipitato rossastro. – Ripetere la determinazione almeno tre volte.

PER CONCLUDERE

– Esprimere il contenuto di cloruri nel campione come percentuale in peso di NaCl nel campione di partenza. ðM  V ÞAgNO3  MM NaCl  100 – Per ogni titolazione: % NaCl ¼ massa campione

PER I CALCOLI

137 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

LAB 12

Preparazione delle soluzioni per permanganatometria

2 ore

Si preparano le soluzioni di K Mn O4 e di Na2C2O4: quest’ultimo e` lo standard primario che serve per standardizzare la soluzione di permanganato.

A ] Preparazione della soluzione di KMnO4 circa 0,1 N In genere KMnO4 non e` mai cosı` puro da consentire la preparazione di soluzioni standard a partire dalla semplice pesata del sale, anche perche´ nella soluzione appena preparata possono trovarsi tracce di composti organici, particelle di polvere ossidabili e soprattutto piccole quantita` di MnO2 come impurezze o come prodotto delle reazioni di ossidazione delle sostanze riducenti presenti nell’acqua. Dato che MnO2 agisce da catalizzatore nei confronti delle reazioni di ossidazione (anche l’acqua puo` essere ossidata) ed e` un prodotto di tali reazioni, ne risulta un processo autocatalitico, ovvero il prodotto della reazione catalizza l’ulteriore decomposizione del permanganato. Le reazioni di ossidazione dell’acqua sono catalizzate anche da luce, calore, acidi, basi, presenza di ione Mn2þ . Per eliminare la presenza di MnO2, che e` una delle cause principali di instabilita` delle soluzioni di permanganato, e` bene procedere a una filtrazione su lana di vetro (non con filtro di carta, che e` un materiale ossidabile), ma non prima di aver lasciato a riposo la soluzione appena preparata per alcuni giorni, in modo da permettere l’ossidazione delle eventuali sostanze presenti nell’acqua (processo che viene reso piu` veloce portando la soluzione all’ebollizione). La soluzione preparata va trasferita in bottiglie di vetro scuro e deve essere poi standardizzata. Dato che il permanganato di solito viene utilizzato, per fini analitici, in ambiente acido (dove si riduce a Mn2þ ): Z ¼ 5 eq  mol1 e quindi: ME

STRUMENTI DI LAVORO bilancia tecnica becher da 50 mL e 2 L bottiglia di vetro scuro imbuto di vetro B 10 cm cilindro graduato da 1 L lana di vetro

(KMnO4 ) ¼ MM=5

J I

PROCEDIMENTO

Il Bunsen va utilizzato sempre sotto cappa aspirante.



Bunsen, sostegno e reticella o piastra riscaldante

MATERIALI E SOSTANZE KMnO4 solido acqua di grado analitico

– Per preparare 1 L di soluzione circa 0,1 N (da utilizzare in reazioni in ambiente acido), pesare circa 3,2 g di KMnO4 direttamente nel becher da 50 mL. – Versare 1 L di acqua di grado analitico nel cilindro graduato. – Sciogliere il sale, aggiungendo aliquote di acqua di grado analitico prelevata dal cilindro e trasferendo quantitativamente la soluzione ottenuta nel becher da 2 L. – Riscaldare e portare all’ebollizione, che va mantenuta per circa un’ora. 138

Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

– Coprire e lasciar riposare per una notte. – Filtrare con lana di vetro pressata leggermente in imbuto di vetro e trasferire in bottiglia di vetro scuro. – Conservare al buio. DOMANDE

Sai scrivere le semireazioni di riduzione del permanganato in ambiente acido

e in ambiente neutro? Perche´ la carta e` ossidabile dal KMnO4? Quale massa di H2C2O4  2H2O occorre pesare accuratamente circa per

preparare 500 mL di una soluzione standard di acido ossalico 0,1 N?

B ] Preparazione della soluzione standard di Na2C2O4 circa 0,1 N L’ossalato di sodio e` un ottimo standard primario con caratteristiche riducenti, perche´ e` reperibile puro e anidro e puo` essere manipolato senza particolari problemi (si tenga presente pero` la tossicita` dell’ossalato, e dell’acido ossalico in particolare). Nella reazione con KMnO4, l’ossalato viene ossidato a CO2, quindi: Z ¼ 2 eq  mol1 e ME

STRUMENTI DI LAVORO bilancia analitica matraccio tarato da 500 mL stufa essiccatore becher da 50 mL PROCEDIMENTO

PER I CALCOLI

¼

MM

2 MATERIALI E SOSTANZE Na2 C2 O4 solido, puro acqua di grado analitico

– Mettere l’ossalato in stufa a 110 ºC per circa 2 ore. – Raffreddare in essiccatore. – Per preparare 500 mL di soluzione 0,1 N di ossalato, pesare accuratamente circa 3,4 g di Na2C2O4. – Trasferire quantitativamente in matraccio tarato da 500 mL con acqua di grado analitico e portare a volume. Agitare. – Conservare in bottiglia di politene. – NNa2 C2 O4 ¼

massa pesata ðgÞNa2 C2 O4 1  67,00 g  eq1 V ðLÞ

139 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

LAB 13

Standardizzazione delle soluzioni di permanganato con ossalato di sodio

2 ore

Si effettuano titolazioni con KMnO4 di quantita` note di Na2C2O4 prelevate da una soluzione standard oppure pesate accuratemente.

La standardizzazione sfrutta la seguente reazione condotta in ambiente acido: 2 þ 2þ 2 MnO þ 10 CO2 þ 8 H2 O 4 þ 5 C2 O4 þ 16 H ! 2 Mn

La reazione e` lenta a temperatura ambiente, mentre e` nettamente piu` veloce a temperature maggiori (specie oltre i 60 ºC). Inoltre viene catalizzata dallo ione Mn2þ che si forma, e quindi la velocita` di reazione aumenta a mano a mano che la stessa procede. E` opportuno attendere che la reazione si inneschi per procedere poi piu` speditamente alla titolazione. STRUMENTI DI LAVORO beuta da 250 mL Bunsen, sostegno e reticella o piastra riscaldante termometro buretta da 50 mL di vetro scuro cilindro da 50 mL pipetta tarata da 20 mL con propipetta bilancia analitica vetro d’orologio stufa

MATERIALI E SOSTANZE soluzione di H2 SO4 3,5 M in acqua di grado analitico soluzione di KMnO4 0,1 N soluzione standard di Na2C2O4 0,1 N Na2C2O4 solido, puro per analisi acqua di grado analitico

A ] Titolazione di aliquote della soluzione standard di ossalato PROCEDIMENTO Alcuni autori ritengono che a temperature superiori a 60 ºC H2C2O4 possa decomporsi.

Il Bunsen va utilizzato sempre sotto cappa aspirante.

PER CONCLUDERE

– Predisporre la buretta con la soluzione di KMnO4. – Prelevare con la pipetta 20 mL di soluzione standard di ossalato, versarli in una beuta da 250 mL, aggiungere 50 mL di acqua di grado analitico e 20 mL di H2SO4 3,5 M. – Riscaldare la soluzione nella beuta fino a temperature di poco superiori a 60 ºC. – Aggiungere qualche goccia di soluzione di KMnO4, lentamente, agitando e aspettando che il colore rosa scompaia. – Procedere poi piu` speditamente nella titolazione, agitando di continuo la soluzione nella beuta (il Bunsen deve essere tenuto a fiamma bassa, oppure spento; la temperatura, pero`, non deve scendere sotto i 60 ºC). – Nel corso della titolazione, eventualmente, lavare le pareti della beuta se sono presenti gocce di KMnO4 non reagito. – Il punto di fine titolazione si ha quando si nota un colore rosa pallido, persistente per oltre mezzo minuto. – Ripetere la titolazione almeno 3 volte. – Calcolare la media e l’intervallo di incertezza delle concentrazioni di KMnO4 ottenute in ciascuna titolazione.

140 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

B ] Titolazione di quantita` pesate di ossalato PROCEDIMENTO

– Predisporre la buretta con la soluzione di KMnO4. – Essiccare l’ossalato di sodio in stufa a 105 ºC, per circa 2 ore, poi raffreddare e conservare nell’essiccatore. – Eseguire i calcoli per definire la quantita` di ossalato da pesare. – Pesare l’ossalato su vetro d’orologio, trasferendo poi quantitativamente il sale nella beuta. Sciogliere in circa 40 mL di acqua di grado analitico e aggiungere 30 mL di H2 SO4 3,5 M. – Titolare come descritto nel procedimento A. – Effettuare diverse titolazioni (almeno 3).

PER CONCLUDERE

– Calcolare la media e l’intervallo di incertezza delle concentrazioni di KMnO4 ottenute in ciascuna titolazione.

DOMANDE

Quale, tra i due procedimenti, A e B, consente una migliore precisione? Sai scrivere la reazione di ossidoriduzione completa, in forma molecolare, tra

permanganato di potassio e ossalato di sodio in soluzione acida per acido solforico? Quanti equivalenti di acido solforico sono stati consumati, in media, nelle titolazioni effettuate? PER I CALCOLI

– A] ðN  V ÞNa2 C2 O4 Per ogni titolazione: NKMnO4 ¼ V KMnO4 – B] Con una buretta da 50 mL e volendo impiegare circa 30 mL di KMnO4 0,1 N, si devono utilizzare circa 3 meq di ossalato (ME ¼ 67,00 mg  meq1 Þ; quindi occorre pesare accuratamente  201 mg di Na2 C2 O4 . mg Na2 C2 O4 1  Per ogni titolazione: NKMnO4 ¼ 67,00 mg  meq1 mL KMnO4

141 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

LAB 14

Determinazione del titolo del sale di Mohr 2 ore

Lo ione Fe2þ presente nel sale di Mohr viene titolato con permanganato, in ambiente acido.

Il sale di Mohr e` un sale ferroso, di colore verde chiaro, di formula FeðNH4 Þ2 ðSO4 Þ2  6 H2 O. Secondo alcuni autori puo` essere adottato come standard primario per la determinazione del titolo del permanganato, ma occorre tenere presente due aspetti: 1. Fe2þ puo` essere ossidato dall’ossigeno dell’aria anche nella sostanza cristallina, per cui le confezioni aperte da molto tempo possono contenere quantita` di Fe2þ inferiori a quanto dichiarato sull’etichetta; 2. Fe2þ viene ossidato rapidamente a Fe3þ dall’ossigeno disciolto, per cui in breve tempo le soluzioni del sale di Mohr passano dal caratteristico colore verde chiaro a un colore rossastro torbido, dovuto alla precipitazione di Fe(OH)3, poco solubile. La soluzione del sale di Mohr va dunque preparata di fresco, cioe` ogni volta prima dell’analisi. La reazione analitica e`: 2þ þ 8 Hþ ! Mn2þ þ 5 Fe3þ þ 4 H2 O MnO 4 þ 5 Fe

STRUMENTI DI LAVORO bilancia analitica beuta da 250 mL buretta da 25 mL di vetro scuro cilindro di vetro da 50 mL matraccio tarato da 100 mL pipetta tarata da 20 mL con propipetta vetro d’orologio

MATERIALI E SOSTANZE soluzione di KMnO4 0,1 N a titolo noto soluzione di H2SO4 1 M acqua di grado analitico

A ] Titolazione di un’aliquota di soluzione di sale di Mohr PROCEDIMENTO

– Calcolare la massa di sale di Mohr necessaria per preparare 100 mL di soluzione 0,1 N. – Pesare accuratamente la massa calcolata, scioglierla in poca acqua e trasferirla quantitativamente in matraccio da 100 mL. – Aggiungere 10 mL di H2SO4 1 M e portare a volume con acqua di grado analitico. – Predisporre la buretta con la soluzione di permanganato. – Prelevare con la pipetta 20 mL di soluzione di sale di Mohr e versarli nella beuta; aggiungere 50 mL di acqua di grado analitico e 20 mL di soluzione di H2SO4 1 M. – Titolare con la soluzione di permanganato, a freddo, fino a colorazione rosa persistente. – Effettuare piu` di una titolazione, ripetendo il procedimento descritto.

PER CONCLUDERE

– Calcolare, per ogni titolazione, il contenuto di Fe2þ di ciascuna aliquota. – Calcolare la media e l’intervallo di incertezza della concentrazione della soluzione di sale di Mohr. – Calcolare, in base al risultato dell’analisi e alla massa di sale di Mohr pesata inizialmente, la purezza percentuale di quest’ultima. 142

Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

B ] Titolazione di quantita` pesate del sale solido PROCEDIMENTO

– Eseguire i calcoli per definire la quantita` di sale di Mohr da pesare. – Pesare acccuratamente la massa calcolata, scioglierla in 50 mL di acqua di grado analitico, aggiungere 20 mL di H2SO4 1 M. – Predisporre la buretta con la soluzione di permanganato. – Titolare a freddo fino a colorazione rosa persistente. – Effettuare piu` di una titolazione, ripetendo il procedimento descritto.

PER CONCLUDERE

– Calcolare, in base al risultato di ogni determinazione, la massa di sale di Mohr presente in ciascun campione. – Calcolare la purezza percentuale determinata per ciascun campione. – Calcolare la media e l’intervallo di incertezza della purezza percentuale.

DOMANDE

PER I CALCOLI



Perche´ il sale di Mohr va sciolto in ambiente acido? Sai scrivere la reazione di ossidazione di Fe2þ a Fe3þ a opera dell’ossigeno? Il metodo A consente una precisione maggiore del metodo B? Sai elencare vantaggi e svantaggi di ciascuno dei due procedimenti?

– A] Grammi di sale di Mohr da pesare accuratamente circa: 0,1 g  eq1  0,1 L  MEð MMÞ Per ogni titolazione:

N sale di Mohr ¼ ðN  V ÞKMnO4 V aliquota

Massa effettiva di sale in 100 mL di soluzione preparata: N sale di Mohr  0,1 L  ME % purezza ¼

massa effettiva  100 massa pesata

– B] Con una buretta da 25 mL, e volendo impiegare circa 15 mL di KMnO4 0,1 N, si devono utilizzare circa 1,5 meq di sale (ME ¼ 392,14 mg  meq1 ); quindi occorre pesare accuratamente  588 mg di sale. Per ogni campione: % purezza ¼

N KMnO4  mL KMnO4  392,14 mg  meq1  100 mg di sale pesati

143 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

LAB 15

Determinazione del titolo dell’acqua ossigenata 2 ore

La concentrazione di una soluzione di H2 O2 viene determinata per mezzo di una titolazione con KMnO4 , secondo la seguente reazione: þ 2þ 2 MnO þ 5 O2 þ 8 H2 O. 4 þ 5 H2 O2 þ 6 H ! 2 Mn

L’acqua ossigenata (o perossido di idrogeno, H2O2) e` presente in commercio in soluzioni acquose con un titolo, ovvero una concentrazione, espresso come %p/V di H2O2, oppure come volume di O2 (misurato a 0 8C e 1 atm), ottenuto da un volume unitario di soluzione in seguito alla decomposizione di H2O2 secondo la reazione: 1 H2O2 ! H2O þ O2 2 Per esempio, da 1 L di una soluzione di H2O2 a 12 volumi si producono 12 L di ossigeno. Il risultato dell’analisi puo` essere influenzato dalla presenza nel campione di sostanze organiche stabilizzanti, ossidabili dal permanganato. CALCOLI PRELIMINARI

Come per ogni altra titolazione, si comincia con l’assicurarsi che il volume di titolante non superi il volume della buretta utilizzata. Per questo occorre calcolare quanto analita si deve prelevare basandosi sulla conoscenza della concentrazione del titolante e di quella (anche solo orientativa) del campione da analizzare. Supponendo di voler utilizzare per la titolazione circa 20 mL di una soluzione di KMnO4 circa 0,1 N (ossia 20  0,1 ¼ 2 meq KMnO4), bisogna prelevare dalla soluzione di H2O2 all’incirca gli stessi milliequivalenti. Il titolo dichiarato su molte confezioni di acqua ossigenata e` circa 3% (p/V) (cioe` 3 g in 100 mL, pari a 0,03 g  mL1). Pertanto il volume di soluzione di acqua MM

¼ 17 g  eq1) da prelevare si calcola come segue. 2 Massa di acqua ossigenata:

ossigenata (ME ¼ Il prelievo accurato di piccoli volumi puo` essere efficacemente sostituito dalla pesata, in questo caso, di 1 g di campione.

2 meq  17 mg  meq1 ¼ 34 mg H2O2 ¼ 0,034 g H2O2 Volume di soluzione al 3%: 0,034 g ffi 1 mL 0,03 g  mL1 Si puo` quindi decidere di: titolare direttamente 1 mL di campione; oppure diluire il campione di un fattore 10 e titolare 10 mL di soluzione diluita; oppure diluire il campione di un fattore 25 e titolare 25 mL di soluzione diluita. STRUMENTI DI LAVORO pipette tarate da 10 mL e 25 mL propipetta beuta da 250 mL buretta in vetro scuro da 25 o 50 mL matraccio tarato da 250 mL cilindro da 50 mL

MATERIALI E SOSTANZE soluzione di KMnO4 0,1 N a titolo noto soluzione di H2 SO4 1 M acqua di grado analitico

144 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

PROCEDIMENTO

– Prelevare con la pipetta 10 mL di H2O2 commerciale e portarli a volume con acqua di grado analitico in matraccio tarato da 250 mL. – Predisporre la buretta con la soluzione di permanganato. – Prelevare con una pipetta tarata 25 mL di soluzione diluita, versarli nella beuta e aggiungere 20 mL di soluzione di H2SO4, misurati con il cilindro. – Titolare con la soluzione di permanganato, a freddo, fino a colorazione rosa persistente. – Effettuare piu` titolazioni, ripetendo il procedimento descritto.

PER CONCLUDERE

– Calcolare la media degli equivalenti di H2O2 corrispondenti a 1 mL della soluzione commerciale. – Esprimere la concentrazione in %p/V di H2O2, confrontando il risultato con il valore riportato sull’etichetta. – Considerando la reazione: 1 H2O2 ! H2O þ O2 2 ricavare quante moli di O2 sono prodotte da 1 L di soluzione di H2O2. – Esprimere il titolo della soluzione di H2O2 in volumi, considerando che 1 mol di O2 a 0 8C e 1 atm occupa il volume di 22,4 L; confrontare il risultato con il valore eventualmente riportato sull’etichetta.

DOMANDE

Quali sono la normalita` e la concentrazione molare della soluzione com-

merciale? A quale volume di campione commerciale corrispondono 25 mL del

campione diluito? Quali dispositivi si potrebbero scegliere per effettuare una determinazione

basata sulla diluizione di un fattore 10? In base a quali criteri si scelgono i diversi dispositivi di misura del volume

nella metodica utilizzata? A quanti volumi di O2 corrisponde una soluzione di H2O2 al 30% (p/p),

d ¼ 1,112 g  mL1? Quanto vale Z (eq  mol1) per H2O2 nella titolazione con KMnO4? Sarebbe possibile titolare direttamente, senza diluirlo, un campione di H2O2 al 30% usando la stessa soluzione titolante di questa esperienza? PER I CALCOLI

– N H2 O2 nel campione ¼

ðN  V Þ KMnO4  fattore di diluizione V H2 O2 diluita

% p/V ¼ N H2 O2  ME  100=1000 M H2 O2 nel campione ¼ 1=2 N H2 O2 1 mol H2 O2 produce 1=2 mol O2 Volumi di O2 ¼

M H2 O2  22,4 2

145 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

LAB 16

Preparazione di soluzioni per iodometria/iodimetria

2 ore

Si preparano le soluzioni di titolanti impiegate in iodo e iodimetria e le soluzioni di standard primari che servono per determinarne il titolo. Si tratta delle soluzioni di iodio, tiosolfato di sodio e iodato di potassio (standard primario). Si prepara inoltre una soluzione di salda d’amido, indicatore specifico per tali metodi volumetrici.

A ] Preparazione di una soluzione di iodio 0,1 N Lo iodio non si scioglie in acqua come tale, ma si scioglie facilmente in soluzioni contenenti un eccesso di ioni ioduro, a causa della formazione dello ione I 3: I þ I2 Ð I 3 Pertanto la soluzione di iodio si prepara con una soluzione satura di KI. Dal punto di vista redox, lo ione I 3 si comporta come una molecola di iodio, sia come potenziale redox (3Cap. 24, Tab. 24.1), sia come valore di Z (pari a 2 eq  mol1). Le soluzioni di iodio vanno standardizzate ogni 2 o 3 giorni per diversi motivi: 1. come tutti gli altri ossidanti, lo iodio reagisce con le materie organiche con le quali viene a contatto; 2. lo ione ioduro puo` ossidarsi all’aria secondo la reazione: 4 I þ O2 þ 4 Hþ ! 2 I2 þ 2 H2 O 3. lo iodio e` volatile ed evapora facilmente. Le soluzioni di iodio vanno conservate in bottiglie di vetro scuro. STRUMENTI DI LAVORO becher da 100 mL bilancia tecnica cilindro graduato da 50 mL e 1000 mL PROCEDIMENTO

MATERIALI E SOSTANZE KI solido I2 solido acqua di grado analitico

– – – –

Pesare 40 g di KI in un becher da 100 mL. Riempire il cilindro da 1 L con acqua di grado analitico. Sciogliere il KI con 25 mL di acqua prelevata dal cilindro. Calcolare la massa di I2 necessaria per preparare 1 L di soluzione 0,1 N e pesarla. – Aggiungere la quantita` pesata di I2 alla soluzione di KI, agitando fino a dissoluzione completa (il processo e` piuttosto lento). – Trasferire in una bottiglia di vetro scuro con tappo smerigliato e aggiungere il resto dell’acqua del cilindro.

B ] Preparazione di una soluzione di tiosolfato 0,1 N Il tiosolfato di sodio viene utilizzato in volumetria come riducente dello iodio. La semireazione di ossidazione e`: 2  2 S2 O2 3 ! S4 O6 þ 2e

(ZNa2 S2 O3 ¼ 1 eq  mol1 , ME ¼ MM)

146 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Le soluzioni di tiosolfato devono avere un pH maggiore di 5 per evitare che il tiosolfato si decomponga troppo rapidamente secondo la reazione: þ 2 S2 O2 3 þ 2 H ! H2 SO3 þ S

Per questo motivo le soluzioni di tiosolfato si preparano con acqua bollita di fresco, per evitare la presenza di CO2 disciolta. Inoltre, per stabilizzare la soluzione preparata si aggiunge una piccola quantita` di Na2CO3 (0,1 g  L1). Quando si titolano soluzioni di iodio molto acide occorre aggiungere il tiosolfato molto lentamente, per evitare la sua decomposizione. La decomposizione del tiosolfato puo` essere causata anche dalla presenza di batteri capaci di metabolizzarlo trasformandolo in solfito, solfato oppure zolfo. L’attivita` batterica puo` essere controllata aggiungendo sostanze batteriostatiche o portando il pH a 9-10. Anche la luce puo` causare la decomposizione del tiosolfato, percio` le soluzioni vanno conservate in bottiglie di vetro scuro. STRUMENTI DI LAVORO becher da 50 mL e 1500 mL Bunsen, treppiede e reticella o piastra riscaldante bilancia tecnica cilindro graduato da 1000 mL PROCEDIMENTO

MATERIALI E SOSTANZE Na2CO3 solido Na2S2O3 solido (meglio Na2S2O3  5 H2O, che si scioglie piu` facilmente) acqua di grado analitico

– Calcolare la massa di tiosolfato di sodio necessaria per preparare 1 L di soluzione 0,1 N (tenere conto dell’acqua di cristallizzazione se si usa il sale idrato) e pesarla. – Prelevare 1 L di acqua di grado analitico e porla a bollire nel becher da 1500 mL per almeno 5 min, lasciandola poi raffreddare. – Sciogliere il tiosolfato precedentemente pesato nell’acqua bollita. – Sciogliere nella soluzione 0,1 g di Na2CO3. – Conservare in bottiglia di vetro scuro.

C ] Preparazione di una soluzione di KIO3 0,1 N KIO3 e` una delle sostanze madri piu` utilizzate per standardizzare le soluzioni di tiosolfato. La titolazione e` indiretta e avviene in due fasi. 1. Formazione di iodio in ambiente acido, secondo la reazione:  þ IO 3 þ 5 I þ 6 H ! 3 I 2 þ 3 H 2O

2. Titolazione dello iodio formatosi con tiosolfato:  2 I2 þ 2 S2O2 3 ! 2 I þ S4O6

In questa serie di reazioni lo iodio dello iodato passa dal numero di ossidazione þ 5 a 1, per cui: Z ¼ 6 eq  mol1 e di conseguenza: ME ¼

MM

6

147 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

STRUMENTI DI LAVORO stufa becher da 50 mL matraccio tarato da 1 L bilancia analitica

PROCEDIMENTO

MATERIALI E SOSTANZE KIO3 solido acqua di grado analitico

– – – –

Mettere lo iodato in stufa per almeno 2 ore a 120 8C. Raffreddare lo iodato in essiccatore per 15 min. Calcolare la massa di KIO3 necessaria per preparare 1 L di soluzione 0,1 N. Pesare accuratamente una massa all’incirca corrispondente a quella calcolata in un becher da 50 mL. – Sciogliere in acqua di grado analitico, trasferire quantitativamente in matraccio tarato da 1 L e portare a volume con acqua di grado analitico. – Calcolare il titolo della soluzione in base alla massa effettivamente pesata.

D ] Preparazione della salda d’amido STRUMENTI DI LAVORO becher da 50 mL e 200 mL Bunsen, treppiede e reticella o piastra riscaldante bilancia tecnica cilindro graduato da 100 mL

PROCEDIMENTO Il Bunsen va utilizzato sempre sotto cappa aspirante.

PER I CALCOLI

MATERIALI E SOSTANZE amido in polvere acido salicilico acqua di grado analitico

– Far bollire 90 mL di acqua di grado analitico nel becher da 200 mL. – Disperdere 1 g di amido in 10 mL di acqua di grado analitico fredda nel becher da 50 mL. – Aggiungere la sospensione all’acqua bollente, goccia a goccia, agitando. – Aggiungere 0,2 g di acido salicilico (che agisce da batteriostatico). – Raffreddare e conservare in frigorifero. – A], B], C] Massa di sostanza da pesare (g) ¼ N  V ðLÞ  ME

148 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

LAB 17

Standardizzazione delle soluzioni per iodometria/iodimetria

1 ora

Il titolo della soluzione di tiosolfato viene stabilito mediante la titolazione di una soluzione standard di KIO3.

La titolazione iodometrica dello iodato si basa sulle seguenti reazioni:  þ IO 3 þ 5 I þ 6 H ! 3 I2 þ 3 H2 O  2 I2 þ 2 S2 O2 3 ! 2 I þ S4 O6

La seconda reazione puo` essere usata direttamente per la standardizzazione di una soluzione di iodio (o meglio, ione triioduro) se la soluzione di tiosolfato e` a titolo accuratamente noto.

A ] Standardizzazione del tiosolfato STRUMENTI DI LAVORO beuta da 250 mL buretta da 25 o 50 mL cilindro da 10 mL

MATERIALI E SOSTANZE soluzione di Na2S2O3 0,1 N soluzione di HCl 1 M KI solido acqua di grado analitico

A.1] Titolazione di aliquote della soluzione standard di KIO3 STRUMENTI DI LAVORO pipetta tarata da 20 mL propipetta PROCEDIMENTO L’occhio umano e` abbastanza sensibile al colore prodotto dallo ione triioduro e ne rileva anche piccole concentrazioni. L’aggiunta di salda d’amido alla soluzione titolata si deve effettuare quando si percepisce che il giallo sta per scolorarsi del tutto, cosı` da evitare che lo iodio sia presente in gran quantita` e formi con l’amido un complesso troppo stabile.

PER CONCLUDERE

MATERIALI E SOSTANZE soluzione standard di KIO3 circa 0,1 N



– Prelevare con la pipetta 20 mL di soluzione standard di iodato e trasferirli in una beuta da 250 mL. – Aggiungere  2 g di KI solido e 10 mL di HCl 1 M; agitare fino a quando la soluzione e` limpida, di colore marrone scuro. – Predisporre la buretta con la soluzione di tiosolfato. – Titolare fino a colorazione giallo pallido. – Aggiungere  2 mL di salda d’amido e continuare la titolazione fino a scomparsa del colore blu-azzurro. – Effettuare almeno 3 titolazioni.

– Calcolare la media e l’intervallo di incertezza della concentrazione della soluzione di tiosolfato. A.2] Titolazione di quantita` pesate di KIO3 MATERIALI E SOSTANZE KIO3 solido puro

STRUMENTI DI LAVORO bilancia analitica becher da 50 mL stufa cilindro da 25 mL PROCEDIMENTO



– Mettere lo iodato in stufa a 120 8C, per circa 2 ore, poi raffreddare e conservare in essiccatore. 149

Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

– Calcolare la massa di KIO3 necessaria per una titolazione con la soluzione di Na2S2O3  0,1 N e pesarla accuratamente. – Trasferire quantitativamente il KIO3 pesato nella beuta, scioglierlo con  25 mL di acqua di grado analitico. – Aggiungere  2 g di KI solido e  10 mL di HCl 1 M; agitare fino a quando la soluzione e` limpida, di colore marrone scuro. – Predisporre la buretta con la soluzione di tiosolfato. – Titolare fino a colorazione giallo pallido. – Aggiungere  2 mL di salda d’amido e continuare la titolazione fino a scomparsa del colore blu-azzurro. – Effettuare almeno 3 titolazioni. PER CONCLUDERE

– Calcolare, per ciascuna determinazione, la normalita` della soluzione di Na2S2O3. – Calcolare media e intervallo di incertezza della concentrazione del tiosolfato.

DOMANDE

Quale dei due procedimenti, A1 o A2, consente una maggiore precisione? Quali prelievi vanno effettuati con la pipetta e quali con il cilindro? Perche´?

B ] Standardizzazione della soluzione di iodio con tiosolfato STRUMENTI DI LAVORO beuta da 250 mL pipetta tarata da 20 mL propipetta buretta da 25 o 50 mL

PROCEDIMENTO

PER CONCLUDERE PER I CALCOLI

MATERIALI E SOSTANZE soluzione standard di Na2S2O3 circa 0,1 N soluzione di I2 (I– 3) 0,1 N soluzione di HCl 1 M acqua di grado analitico

– Predisporre la buretta con la soluzione di tiosolfato. – Prelevare con la pipetta 20 mL di soluzione di iodio e trasferirli in una beuta da 250 mL. – Titolare fino a colorazione giallo pallido. – Aggiungere  2 mL di salda d’amido e continuare la titolazione fino alla scomparsa del colore blu-azzurro. – Effettuare almeno 3 titolazioni. – Calcolare media e incertezza della normalita` della soluzione di iodio. – A.1] ðN  V ÞKIO3 Per ogni titolazione: N Na2 S2 O3 ¼ V Na2 S2 O3 – A.2] Con una buretta da 50 mL, e volendo impiegare circa 30 mL di Na2 S2 O3 0,1 N, si devono utilizzare circa 3 meq di iodato (ME ¼ 35,667 mg meq1 ); quindi occorre pesare accuratamente  107 mg di KIO3 . Poiche´ la massa da pesare e` piccola, in questo caso e` preferibile seguire il procedimento B]. Per ogni titolazione: N Na2 S2 O3 ¼

mg KIO3 1  35,667 mg  meq1 mL Na2 S2 O3

– B] ðN  V Þ Na2 S2 O3 Per ogni titolazione: N I2 ¼ V I2 150 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

LAB 18

Determinazione della purezza di un sale di rame

1 ora

Si determina la purezza di un sale di rame (solfato di rame pentaidrato, CuSO4  5 H2 O) sfruttando il comportamento ossidante degli ioni Cu2þ che, in presenza di un eccesso di ioni I , danno luogo alla reazione: 2 Cu2þ þ 4 I ! 2 CuIðsÞ þ I2 Si forma quindi una sospensione di CuI (bianco e di aspetto caseoso), che presenta il caratteristico colore delle soluzioni di iodio, salvo il fatto che non e` trasparente ma opaca. Lo iodio sviluppato nella reazione si titola con tiosolfato:  2 I2 þ 2 S2 O2 3 ! 2 I þ S4 O6

Si tratta di una determinazione molto usata, per esempio nell’analisi delle leghe di rame, perche´ fornisce risultati molto accurati ed e` rapida. E` anche meno soggetta a interferenze di altri metodi, come quello elettrogravimetrico. La titolazione va condotta in ambiente debolmente acido (pH intorno a 5), perche´ a valori piu` alti lo ione Cu2þ forma complessi basici che reagiscono molto lentamente e in modo non quantitativo con lo ione ioduro. D’altra parte non bisogna operare nemmeno in soluzione eccessivamente acida, perche´ diventerebbe significativa l’ossidazione degli ioni ioduro da parte dell’ossigeno atmosferico, catalizzata, fra l’altro, proprio dagli ioni Cu2þ. E` importante anche considerare che il precipitato di ioduro rameoso tende ad adsorbire ioni trioduro, con la conseguenza che la titolazione con tiosolfato avrebbe un punto di fine incerto. Si evita il problema aggiungendo verso la fine della titolazione una piccola quantita` di ione tiocianato (come sale d’ammonio o di potassio), che presenta elevata affinita` con Cu(I) e viene adsorbito preferenzialmente. In questo modo si liberano gli ioni I 3 , che possono cosı` essere agevolmente titolati.

STRUMENTI DI LAVORO bilancia analitica becher da 50 mL matraccio tarato da 250 mL buretta da 25 o 50 mL beuta da 250 mL (con tappo smeriglio) pipetta tarata da 20 mL propipetta

PROCEDIMENTO

MATERIALI E SOSTANZE CuSO4  5 H2 O solido soluzione di Na2S2O3 0,1 N a titolo noto KI solido soluzione di HCl 2 M soluzione di NaOH 2 M acido acetico glaciale salda d’amido NH4SCN solido acqua di grado analitico

– Calcolare quanto CuSO4  5 H2O occorre per preparare 250 mL di una soluzione  0,1 N e pesare accuratamente circa la quantita` calcolata in un becher da 50 mL, scioglierla in acqua di grado analitico e trasferirla quantitativamente in matraccio tarato da 250 mL. Portare a volume. – Predisporre la buretta con la soluzione di tiosolfato. – Prelevare con la pipetta 20 mL della soluzione cosı` ottenuta e trasferirli in una beuta da 250 mL con il tappo. Se la soluzione risulta troppo acida (in genere cio` non accade perche´ le impurezze non dovrebbero essere mai tali da abbassare troppo il pH, e comunque esso dovrebbe essere intorno a 4-5, dato che il solfato di rame si comporta da acido debole), aggiungere NaOH 151

Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

– – – – –

J I

2 M, goccia a goccia fino a leggero intorbidamento, e poi 10 mL di acido acetico glaciale. Aggiungere  2 g di KI, tappare e agitare per fare in modo che la reazione avvenga completamente. Iniziare la titolazione con Na2S2O3 0,1 N e proseguire fino a debole colorazione gialla. Aggiungere 2 mL di salda d’amido e titolare fino a tenue colorazione (da blu-azzurro ad azzurro pallido). Aggiungere 1-2 g di NH4SCN e sciogliere agitando bene la sospensione. Proseguire la titolazione fino al definitivo viraggio bianco-latte.

PER CONCLUDERE

– Calcolare la concentrazione effettiva della soluzione rameica. – Calcolare la percentuale di purezza del campione di CuSO4  5 H2O pesato.

DOMANDE

Perche´ si deve attendere che la soluzione da titolare sia debolmente gialla

prima di aggiungere la salda d’amido?

Come si spiega che il potenziale di riduzione della coppia Cu2þ/Cuþ passi da

un valore inferiore a quello della coppia I2/I a uno superiore, quando sono presenti ioni I in eccesso (3Cap. 24, Tab. 24.1). Che influenza ha su questo fenomeno il fatto che CuI sia un composto insolubile?

PER I CALCOLI

– Massa di sostanza da pesare (g) ¼ N  V ðLÞ  ME Per ogni titolazione: N sale ¼

ðN  V Þ Na2 S2 O3 V sale

Massa effettiva di CuSO4  5H2 O in 250 mL di soluzione preparata: N sale  0,250L  ME sale % purezza ¼

massa effettiva  100 massa pesata

152 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

LAB 19

Determinazione del cloro attivo negli ipocloriti 1 ora

La determinazione si effettua per via iodometrica, ossia si fa sviluppare iodio trattando l’ipoclorito con ioduro: HClO þ 2 I þ Hþ ! Cl þ I2 þ H2 O

Si chiama cloro attivo il cloro che si sviluppa trattando con acidi (e in presenza di cloruri) un ipoclorito. La reazione e` la seguente: HClO þ Cl þ Hþ ! Cl2 þ H2O La concentrazione di una soluzione di ipoclorito puo` essere espressa, riferendosi a tale reazione, come cloro attivo. Essa si esprime di solito in grammi di cloro liberati da 100 mL di soluzione di ipoclorito (%p/V). Le candeggine commerciali sono in genere soluzioni di ipoclorito intorno al 5%. Cio` comporta che un campione di circa 2 meq (pari a 20 mL di Na2 S2 O3 0,1 N) corrisponderebbe a circa 1,5 mL. Poiche´ un prelievo cosı` piccolo implica un errore relativo alto, e` consigliabile prelevare 5 o 10 volte tale valore, diluire in un matraccio e titolare aliquote opportune del campione diluito. STRUMENTI DI LAVORO matraccio tarato da 250 mL buretta da 25 o 50 mL beuta da 250 mL con tappo a smeriglio pipette tarate da 20 e 50 mL propipetta

MATERIALI E SOSTANZE soluzione di Na2S2O3 0,1 N a titolo noto soluzione di HCl 2 M KI solido salda d’amido acqua di grado analitico

PROCEDIMENTO

– Calcolare il volume di candeggina che occorrerebbe prelevare per effettuare una singola determinazione, in base ai dati riportati sull’etichetta del prodotto da analizzare e alla concentrazione di titolante (3Lab. 15, determinazione di H2O2). – Valutare l’opportunita` di preparare una soluzione diluita del campione e sottoporre ad analisi aliquote di tale soluzione; se la decisione e` in questo senso, procedere con la diluizione. – Predisporre la buretta con la soluzione di tiosolfato. – Prelevare con la pipetta il volume di soluzione di ipoclorito da analizzare e versarlo nella beuta da 250 mL. – Aggiungere  2 g di KI e 15 mL di HCl 2M; tappare e agitare. – Titolare con Na2S2O3 fino a colorazione giallo pallido. – Aggiungere  2 mL di salda d’amido e continuare la titolazione fino a scomparsa del colore blu-azzurro.

PER CONCLUDERE

– Calcolare la concentrazione molare di ipoclorito nella soluzione sottoposta ad analisi. – Calcolare la percentuale di cloro attivo (%p/V).

PER I CALCOLI

– Per ogni titolazione: N NaClO ¼ M NaClO ¼ 1=2 N

ðN  V ÞNa2 S2 O3 V NaClO

1 mol di ipoclorito libera 1 mol Cl2 quindi: %p/V di cloro attivo ¼ M NaClO  MM Cl2  100=1000 153 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

LAB 20

Determinazione iodimetrica dell’anidride solforosa totale nei vini bianchi

1 ora

Il dosaggio della SO2 totale viene effettuato sul vino trattato con soluzione di KOH per scindere i composti organici e fissare la SO2 , e successivamente acidificato. La titolazione si basa sulla seguente reazione: þ SO2 þ I2 þ 2 H2 O ! 2 I þ SO2 4 þ4H

L’anidride solforosa contenuta nel vino e` generalmente presente come SO2 2 libera, oppure combinata in forma inorganica (HSO 3 , SO3 ) e organica (generalmente con gruppi carbonile). L’anidride solforosa viene aggiunta al mosto soprattutto per controllare la fermentazione, perche´ lo preserva da attacchi batterici indesiderati in virtu` della sua azione antisettica e antiossidante. Un eccesso di anidride solforosa puo` provocare effetti spiacevoli (tra i quali il caratteristico ‘‘cerchio alla testa’’) ed e` indice di una lavorazione non ottimale del vino. La normativa stabilisce, come criterio generale, il valore di 150 mg  L1 come contenuto massimo ammissibile di SO2 per i vini rossi, e di 200 mg  L1 per i vini bianchi e rosati (diversi dagli spumanti). I comuni vini italiani hanno un contenuto di SO2 di circa 100 mg  L1. Il metodo di analisi qui descritto fornisce un valore leggermente piu` alto di quello reale, a causa dell’inevitabile ossidazione di alcuni composti riducenti presenti nel vino. Un valore tra 10 e 20 mg  L1 puo` essere considerato indice di assenza di SO2 aggiunta. STRUMENTI DI LAVORO beuta con tappo da 250 mL pipetta a doppia tacca da 50 mL propipetta cilindro graduato da 50 mL buretta da 25 o 50 mL PROCEDIMENTO

PER CONCLUDERE PER I CALCOLI

MATERIALI E SOSTANZE soluzione di KOH 1 N soluzione di H2SO4 3,5 M soluzione di I2 0,01 N a titolo noto salda d’amido acqua di grado analitico

– Predisporre la buretta con la soluzione di I2. – Versare 25 mL di KOH 1N nella beuta da 250 mL. – Prelevare con la pipetta 50 mL di vino e versarli nella beuta, tenendo la punta della pipetta immersa nella soluzione di KOH. Tappare subito e lasciare a riposo per 20 min. – Versare, il piu` rapidamente possibile, 10 mL di soluzione di H2SO4 3,5 M. – Aggiungere 1-2 mL di salda d’amido e titolare con la soluzione di I2, mantenendo la soluzione in continua agitazione fino alla comparsa del colore scuro del complesso amido-iodio. – Calcolare il contenuto di SO2 del vino, esprimendolo in mg  L1 – mg  L1 SO2 ¼

ðN  V ÞI2  ME SO2  1000 V vino

154 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

LAB 21

Saggi preliminari 3 ore

Si effettuano saggi sul campione tal quale: uno e` il saggio alla fiamma, gli altri sono saggi in provetta con reattivi che rivelano le proprieta` del campione riguardo a solubilita` e comportamento acido-base.

Il saggio alla fiamma sfrutta il fatto che numerosi metalli e alcune altre specie colorano in modo caratteristico la fiamma del Bunsen. L’energia di quest’ultima produce atomi e ioni eccitandone gli elettroni piu` esterni, che ritornano allo stato ‘‘normale’’ restituendo energia sotto forma di radiazione luminosa. La frequenza di tale radiazione e` caratteristica di ciascun elemento e corrisponde a un colore specifico. Il colore giallo del sodio e` talmente dominante da pregiudicare spesso l’osservazione degli altri colori. Se pero` si guarda la fiamma attraverso due vetrini al cobalto, l’interferenza viene eliminata e si puo` osservare l’eventuale colore emesso dal potassio (rosso-violetto) o dall’ammonio (viola livido). Anche il litio tende a coprire i colori emessi da altri metalli. Il calcio e` spesso mascherato dal sodio, tuttavia, osservando con attenzione il momento iniziale di esposizione alla fiamma, si possono notare sprazzi fugaci di colore rosso mattone. Il colore giallo-verde del bario compare spesso solo dopo lungo riscaldamento. Le altre prove preliminari servono per sondare la reattivita` del campione verso alcuni reagenti. Particolare rilievo hanno le regole di solubilita` in acqua, riassunte nella Tabella Lab. 21.1. Tabella Lab. 21.1 Regole di solubilita` in acqua.

Composti solubili

I I I I

Composti insolubili

Gli idrossidi e gli ossidi metallici, tranne quelli dei metalli alcalini e di Ca2þ, Sr2þ, Ba2þ. I fosfati, carbonati, solfiti e solfuri, tranne quelli dei metalli alcalini e di NHþ 4.

composti dei metalli alcalini.    sali contenenti NHþ 4 , ClO4 , ClO3 , CH3COO . cloruri, bromuri e ioduri, tranne quelli di Agþ, Pb2þ, Hg2þ 2 . . solfati, tranne quelli di Pb2þ, Ca2þ, Sr2þ, Ba2þ, Hg2þ 2

A ] Saggio alla fiamma STRUMENTI DI LAVORO filo di nichel-cromo (o di platino) Bunsen provetta 2 vetrini al cobalto (blu)

PROCEDIMENTO

MATERIALI E SOSTANZE HCl 2 M sali di Li, Na, K, Ca, Sr, Ba, Cu, ammonio (NH+4 )

– Riempire a meta` la provetta con la soluzione di HCl. – Assicurarsi che il filo di nichel-cromo sia ben pulito, immergendolo ripetutamente in HCl e ponendolo ogni volta sulla fiamma, fino alla scomparsa di qualsiasi colore. – Bagnare la punta del filo con HCl e prelevare qualche cristallino del 155

Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

campione; portarlo nei pressi del margine esterno della fiamma luminosa, vicino al bordo del Bunsen, ossia nella zona meno calda, per evitare che i metalli alcalini (molto volatili) se ne allontanino troppo rapidamente. – Dopo pochi secondi spostare la punta del filo verso la zona centrale della fiamma, appena al di sotto del punto piu` luminoso, e osservare il colore emesso. – Prendere nota delle osservazioni.

Il Bunsen va utilizzato sempre sotto cappa aspirante.

PER CONCLUDERE

– Compilare una tabella di corrispondenza tra le specie analizzate e i colori osservati. – Confrontare le proprie osservazioni con quelle riportate nel Cap. 28, Tab. 28.2.

B ] Saggi in provetta STRUMENTI DI LAVORO Bunsen provette pinza di legno

PROCEDIMENTO Per sicurezza, e` bene operare sotto cappa, indossando guanti e occhiali.

MATERIALI E SOSTANZE H2SO4 2 M HCl 2 M HNO3 2 M acqua di barite (soluzione satura di Ba(OH)2) NaOH al 20% NH3 concentrata acqua di grado analitico sali, a scelta, dei cationi riportati nella Tab. Lab. 21.1.

– Introdurre una punta di spatola di campione sul fondo di una provetta. – Versare nella provetta 2-3 mL di ciascun reattivo, secondo la sequenza che proponiamo successivamente, e agitare leggermente, osservando le eventuali trasformazioni che si verificano. – Riscaldare cautamente la provetta, utilizzando la pinza di legno, e osservare le eventuali trasformazioni. B.1] Trattamento con acqua

Serve a stabilire se il campione e` solubile nell’acqua semplice. Se con l’acqua a temperatura ambiente non si ottiene una soluzione, si tenta con l’ebollizione. Molte sostanze idrosolubili si sciolgono senza produrre fenomeni particolari. Alcune sostanze reagiscono con l’acqua, come i metalli alcalini (che liberano idrogeno) e i perossidi (che liberano ossigeno). Alcuni composti anfoteri (come per esempio i composti dello stagno) possono dare luogo a idrolisi formando sali basici insolubili. Se il campione non si scioglie, non si puo` escludere che in esso vi siano specie che, all’atto della dissoluzione, liberano ioni che poi reagiscono tra loro formando composti insolubili. Per valutare il risultato di queste prove e` pertanto molto utile fare ricorso alle cosiddette regole di solubilita`, riportate nella Tabella Lab. 21.1. 156 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

B.2] Trattamento con acido solforico

Quando si aggiunge H2SO4 diluito si possono verificare i casi seguenti. 1. Si sviluppano gas incolori, ovvero: CO2 da carbonati e bicarbonati: si osserva un’effervescenza caratteristica e per identificare il gas che si sviluppa si pone all’imboccatura della provetta una bacchetta di vetro da cui pende una goccia di acqua di barite; l’eventuale intorbidamento (dovuto alla formazione di BaCO3) evidenzia il biossido di carbonio; SO2 da solfiti: si riconosce dal caratteristico odore di zolfo bruciato; H2S da solfuri: si riconosce dal caratteristico odore di uova marce; CH3COOH da acetati: si riconosce dal caratteristico odore di aceto. 2. Si sviluppano gas colorati, ovvero: NOx (ossidi d’azoto) da nitriti (vapori rosso-bruni); Cl2 dalla miscela di ipocloriti e cloruri (vapori giallo-verdi); I2 da ioduri (vapori violetti, solo se nel campione si trovano sostanze ossidanti).

B.3] Trattamento con acido cloridrico PROCEDIMENTO In presenza di forti ossidanti si puo` formare cloro libero.

– Si prova prima con HCl diluito e poi, se il campione non si scioglie completamente, si aggiunge HCl concentrato, eventualmente riscaldando. – Se si sviluppano gas, ci si comporta come nel caso dell’acido solforico.

B.4] Trattamento con acido nitrico

Sono poche le sostanze che non si sciolgono in acqua o in acido cloridrico; tra queste, quelle solubili in HNO3 caldo sono: i metalli nobili (si svolge NO2, di colore rossastro), tranne l’oro e il platino (per i quali occorre l’acqua regia, una miscela di 1 parte di HNO3 þ 3 parti di HCl); solfuri di As, Cu, Bi, Ni; cloruri, bromuri e ioduri di Pb e Hg(I). Se durante il trattamento con HNO3 caldo si forma zolfo, sono presenti solfuri; se si sviluppano vapori viola sono presenti ioduri (che formano I2); se invece si sviluppano vapori di colore bruno puo` trattarsi di bromo, oppure di ossidi d’azoto.

B.5] Trattamento con NaOH e NH3

Per differenziare il comportamento di alcuni cationi puo` essere utile effettuare un trattamento con idrossidi alcalini o ammoniaca. Di norma si opera sul campione in soluzione, oppure sulla sua porzione disciolta in acidi. Il colore di alcuni precipitati e la loro eventuale ridissoluzione in eccesso di basi possono essere sfruttati come indizio della presenza di alcuni particolari cationi. 157 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

PROCEDIMENTO

– A 4-5 gocce della soluzione si aggiunge, goccia a goccia, la soluzione di NaOH o di NH3, in modo da raggiungere un sicuro eccesso. Nella Tabella Lab. 21.2 e` riportato il comportamento degli ioni piu` comuni nelle condizioni date.

Tabella Lab. 21.2 Effetto degli alcali sulle soluzioni acquose.

Colore del precipitato

Solubilita` del precipitato

Cationi possibili

in eccesso di alcali

in ammoniaca

bianco

þ



Pb2þ, Al3þ, Sb2þ, Sb3+, Sn2þ, Sn4þ

bianco



þ

Cd2þ

bianco

þ

þ

Zn2þ

bianco





Mg2þ, Bi3þ

bianco (imbrunisce all’aria)





Mn2þ

verde pallido (imbrunisce all’aria)





Fe2þ

rosso-bruno





Fe3þ

verde pallido



þ

Ni2þ

blu (annerisce col tempo)



þ

Cu2þ

blu (diventa rosa col tempo)



þ

Co2+

grigio-verde (annerisce col tempo) giallo

si scioglie a freddo, a caldo riprecipita

praticamente insolubile





Cr3+ Hg2þ

B.6] Trattamento con ossidanti o riducenti

Per verificare le proprieta` redox si puo` procedere con ioduro o KMnO4 sul campione in soluzione, oppure sul campione tal quale dopo avere eliminato i metalli pesanti. Questo tipo di trattamento si rivela molto utile anche per la ricerca di alcuni anioni. Poiche´ l’eliminazione dei metalli pesanti richiede una procedura apposita, che renderebbe la realizzazione di questa esperienza eccessivamente elaborata, ci limitiamo a citare questo saggio, senza svilupparne l’applicazione.

158 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

LAB 22

Ricerca di carbonati, solfati e nitrati 1 ora

Si effettuano prove di natura molto diversa, specifiche per gli analiti proposti. Dopo una prima fase esplorativa, si propone di elaborare uno schema operativo allo scopo di riconoscere l’anione di un campione solido solubile.

Carbonati, solfati e nitrati sono ioni di grande importanza ambientale. I primi sono infatti coinvolti nell’equilibrio della CO2 e si trovano in moltissime rocce (e quindi anche nelle acque superficiali e di falda); i solfati sono sempre presenti nelle acque, cosı` come i nitrati, che rappresentano anche un importante indice di inquinamento. Il comportamento chimico di questi anioni e` abbastanza diverso, come si riassume nella Tabella Lab. 22.1 seguente. Tabella Lab. 22.1

carbonati

sono tutti insolubili, tranne quelli dei metalli alcalini; in acidi forti, anche diluiti, sono convertiti in sali dell’acido.

solfati

sono tutti solubili, tranne quelli di Ca, Sr, Ba, Pb.

nitrati

sono praticamente tutti solubili.

Comportamento chimico di carbonati, solfati e nitrati.

STRUMENTI DI LAVORO provette bacchetta di vetro



MATERIALI E SOSTANZE Ba(OH)2 0,1 M (acqua di barite) BaCl2 0,1 M HNO3 2 M



H2SO4 conc. al 96% H2SO4 3 M FeSO4 solido HCl 6 M Na2CO3 solido NaNO3 solido Na2SO4 solido acqua di grado analitico

A ] Osservazioni sul comportamento dello ione carbonato PROCEDIMENTO

– Introdurre in una provetta 10-20 mg di carbonato di sodio cristallino (in pratica, una minuscola punta di spatola). – Immergere la bacchetta di vetro nella soluzione di Ba(OH)2 ed estrarla con attenzione, facendo in modo che rimanga una goccia pendente. – Aggiungere alcune gocce di HNO3 2 M al carbonato, facendo in modo che la goccia di acqua di barite venga investita dal gas (CO2) che si sviluppa nella provetta. – Osservare se si forma un precipitato bianco di BaCO3. Lo sviluppo di CO2 per trattamento con acidi comporta un’effervescenza caratteristica, che costituisce un forte indizio della presenza di carbonati.

B ] Osservazioni sul comportamento dello ione nitrato PROCEDIMENTO

– Sciogliere 10-20 mg di NaNO3 in circa 0,5 mL di acqua. – Acidificare la soluzione con un paio di gocce di H2SO4 3M e aggiungere una punta di spatola di FeSO4 solido. 159

Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

– Tenere la provetta inclinata e aggiungere lentamente 10 gocce di H2SO4 al 96%, facendo in modo che scorra lungo le pareti e vada a depositarsi sul fondo della provetta per via della sua maggiore densita`. – Osservare la formazione di un anello bruno caratteristico.

J I

Il nitrato viene ridotto a NO dal Ferro(II) e si forma un complesso colorato, rivelato da un leggero anello bruno all’interfaccia tra le due soluzioni.

C ] Osservazioni sul comportamento dello ione solfato PROCEDIMENTO

– Sciogliere 10-20 mg di Na2SO4 in circa 0,5 mL di acqua. – Aggiungere alcune gocce di HCl 6M e poi di BaCl2 0,1M. – Osservare la formazione del precipitato bianco di BaSO4.

D ] Ricerca degli ioni in soluzioni incognite PROCEDIMENTO

– Prima di mettersi alla prova con la soluzione incognita di un sale puro, o addirittura di una miscela incognita, occorre valutare le eventuali interferenze. A questo scopo: – effettuare il saggio specifico per uno ione su miscele contenenti gli altri due ioni (per esempio, il saggio dei carbonati su una miscela nitrato þ solfato); – in assenza di interferenze, il saggio deve risultare negativo.

PER CONCLUDERE

– Elaborare una sequenza di prove che, basandosi sulle osservazioni effettuate, consenta l’analisi di un campione incognito costituito da un singolo sale.

DOMANDE

Ioduri e bromuri interferiscono nel saggio dei nitrati. Perche´? Qual e` la funzione del ferro nel saggio dei nitrati? Sai scrivere le reazioni di precipitazione osservate?

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LAB 23

Ricerca degli alogenuri 2 ore

La ricerca qualitativa degli alogenuri si basa principalmente sulla scarsa solubilita` del loro sale d’argento. E` possibile riconoscere bromuri e ioduri anche mediante ossidazione e successiva estrazione di bromo e iodio in un solvente apolare. L’esperienza si articola in due fasi: nella prima si osservano le reazioni caratteristiche degli analiti; nella seconda si affronta il problema della progettazione di una procedura per il riconoscimento di un campione incognito.

Gli alogenuri hanno un comportamento abbastanza simile, con qualche eccezione per il fluoro. Quando si effettua la ricerca qualitativa degli alogenuri, puo` essere utile tenere presente i comportamenti chimici riassunti nella Tabella Lab. 23.1. Tabella Lab. 23.1

fluoruri

sono solubili in acqua i fluoruri di: metalli alcalini, Co, Cr, Al, Ag e Sn; tutti gli altri sono poco solubili.

cloruri

sono tutti solubili in acqua, tranne AgCl e Hg2Cl2; PbCl2 e` solubile in acqua calda.

bromuri

sono tutti solubili in acqua, tranne AgBr, Hg2Br2 e HgBr2; PbBr2 e` solubile in acqua calda.

ioduri

sono tutti solubili in acqua, tranne AgI, Hg2I2 , HgI2, CuI e PbI2.

Comportamento chimico degli alogenuri.

Gli alogenuri d’argento, a eccezione di AgF, sono tutti insolubili in acqua, ma hanno una diversa solubilita` in presenza di agenti complessanti dello ione argento: AgCl e` il piu` solubile e si scioglie anche in NH3 diluita; AgBr, meno solubile, richiede NH3 concentrata, mentre il meno solubile di tutti, AgI, si scioglie solo con complessanti piu` energici come il tiosolfato. STRUMENTI DI LAVORO beute da 50 mL provette

MATERIALI E SOSTANZE AgNO3 0,1 M NH3 conc. acqua di cloro Ca(NO3)2 1 M NH3 3 M HNO3 2 M CCl3CH3 (1,1,1-tricloroetano) CH3COOH Na2S2O3 2 M soluzioni di NaF, NaCl, NaBr e NaI circa al 2% acqua di grado analitico

A ] Studio del comportamento di soluzioni a composizione nota A.1] Reazioni di precipitazione PROCEDIMENTO

– Predisporre e contrassegnare una serie di beute contenenti ciascuna circa 10 mL di soluzione di un alogenuro alcalino; prelevare da tali beute i campioni per i saggi. 161

Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

– Preparare due serie di 4 provette contenenti ciascuna 10 gocce (circa 0,5 mL) della soluzione di un diverso alogenuro. – Trattare ciascuna provetta con: alcune gocce di Ca(NO3)2; alcune gocce di AgNO3. – Registrare in una tabella le eventuali precipitazioni che si osservano e il colore dei precipitati. – Alle soluzioni contenenti i precipitati degli alogenuri d’argento aggiungere 5 gocce di NH3 3 M e agitare: 1.1. se il precipitato si scioglie, aggiungere qualche goccia di HNO3 2 M per osservare l’eventuale riprecipitazione; 1.2. se il precipitato non si scioglie, aggiungere NH3 concentrata e verificare l’eventuale dissoluzione; 1.3. se il precipitato non si scioglie in NH3 concentrata, verificare l’eventuale dissoluzione con tiosolfato. A.2] Reazioni di ossidazione PROCEDIMENTO

PROPOSTE PER APPROFONDIRE

– Miscelare in una provetta 0,5 mL di acqua di cloro con 0,5 mL di 1,1,1tricloroetano. – Agitare battendo con le dita sulle pareti della provetta e osservare il colore della fase organica. – Aggiungere 0, 5 mL di soluzione di NaBr, agitare la provetta e osservare il colore della fase organica (bromo). – Miscelare in una provetta 0,5 mL di 1,1,1-tricloroetano con 0,5 mL di soluzione di NaI. Agitare e aggiungere non piu` di 20 gocce di acqua di cloro. Osservare la colorazione della fase organica. – Miscelare in una provetta 0,5 mL di 1,1,1-tricloroetano con 0,5 mL di soluzione di NaI e 0, 5 mL di soluzione di NaBr. Agitare e aggiungere 20 gocce di acqua di cloro. – Agitare osservando la colorazione della fase organica. Separare la fase organica da quella acquosa e trattarla con altra acqua di cloro, fino a decolorazione del violetto, dovuta all’ossidazione dello iodio a iodato. Il colore bruno rimasto dopo la scomparsa del violetto e` dovuto al bromo. – Scrivere le reazioni di precipitazione osservate. – Scrivere l’equazione delle reazioni redox osservate.

B ] Ricerca degli alogenuri in soluzioni incognite: progettazione della procedura Sulla base delle osservazioni condotte sulle soluzioni a composizione nota e` possibile elaborare uno schema di analisi per individuare, a partire dal presupposto che in una miscela incognita possono essere presenti tutti gli analiti (gli ioni alogenuro, nel nostro caso), una serie progressiva di saggi che confermano o escludono la presenza di ciascuno di essi. DOMANDE

Supponendo di analizzare una soluzione contenente tutti e quattro gli ioni

alogenuro, inquale ordineaggiungeresti ireattiviutilizzati nelle prove1.1e 1.2? 162 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Di quale/i ione/i tra quelli trattati e` possibile verificare la presenza/assenza

basandosi su un unico saggio di riconoscimento? Di quale/i saggio/i si tratta? Il riconoscimento di molti analiti non si basa su un’unica reazione, ma su una sequenza: come sarebbe possibile operare sul precipitato ‘‘misto’’ degli alogenuri di Ag sfruttando a fini analitici le loro diverse proprieta`? ` tipico dell’analisi qualitativa la ricerca di conferme relative alle ipotesi sulla E composizione del campione. Quali saggi analitici potrebbero dare conferma della presenza/assenza degli ioni trattati? Se il saggio con acqua di cloro fornisse un risultato positivo per lo iodio, si potrebbe escludere la presenza di bromo? Come si potrebbe verificare tale ipotesi?

163 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

LAB 24

2 ore (in labor.) +1 ora (in classe)

2+ Ricerca di Ag+, Zn2+, Cd2+, Hg2+ 2 , Hg

Si esamina dapprima il comportamento di ciascun catione nei confronti di alcune reazioni. Sulla base delle informazioni raccolte si puo` costruire uno schema di analisi da utilizzare per la ricerca di tali ioni in una soluzione a composizione incognita.

Attraverso le cosiddette prove in bianco, cioe` saggi condotti su campioni di composizione nota, si elabora una sequenza di reazioni allo scopo di separare/ identificare i possibili cationi componenti una miscela di composizione incognita. STRUMENTI DI LAVORO provette da centrifuga cartina indicatrice del pH centrifuga In questa esperienza e` obbligatorio l’uso di guanti e occhiali.

MATERIALI E SOSTANZE AgNO3 0,1 M Zn(NO3)2 0,1 M Hg2(NO3)2 0,05 M Hg(NO3)2 0,1 M Cd(NO3)2 0,1 M HCl 3 M NaOH 6 M NH3 3 M SnCl2 0,5 M

A ] Studio del comportamento dei singoli cationi in soluzione PROCEDIMENTO

– Contrassegnare 5 provette da centrifuga. – Introdurre in ciascuna provetta circa 1-2 mL della soluzione di uno dei cationi analizzati. – Aggiungere qualche goccia della soluzione di HCl e osservare l’eventuale formazione di precipitato. – Centrifugare le soluzioni contenenti i precipitati. Scartare il surnatante e aggiungere al precipitato pochi millilitri di soluzione di NH3, verificando se e` solubile nella base. Se il precipitato si scioglie, provare a riprecipitarlo con HCl. – Alle soluzioni che non hanno dato precipitato con HCl aggiungere goccia a goccia un eccesso di soluzione di NaOH (controllare che l’ambiente sia basico con cartina indicatrice del pH) e osservare in quali soluzioni si formano idrossidi insolubili. – Verificare se l’idrossido e` anfotero attraverso l’eventuale solubilizzazione in eccesso di NaOH. In tal caso aggiungere HCl goccia a goccia, fino a ottenere una soluzione neutra e osservare se, lasciandola a riposo un paio di minuti, si riforma il precipitato dell’idrossido. – Centrifugare gli idrossidi (non anfoteri) precipitati con NaOH, separarli e scioglierli con HCl; alla soluzione cosı` ottenuta aggiungere alcune gocce di soluzione riducente di SnCl2. Osservare se si forma un precipitato.

164 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

B ] Progettazione della sequenza analitica per la ricerca 2+ di Ag+, Zn2+, Cd2+, Hg2+ 2 , Hg Lo schema che segue fornisce la traccia per completare la sequenza di operazioni finalizzata all’analisi qualitativa di una soluzione che potrebbe contenere tutti i cationi utilizzati nelle prove in bianco. PROCEDIMENTO

– Indicare, basandosi sulle prove specifiche effettuate sui singoli cationi, quali reattivi bisogna aggiungere. – Scrivere le formule dei precipitati (specificando il colore) e indicare gli ioni presenti in soluzione ad ogni stadio della sequenza. 2þ – Alla soluzione contenente Agþ, Zn2þ, Cd2þ, Hg2þ 2 , Hg : aggiungere . . . . . . . . ., agitare e centrifugare

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aggiungere . . . . . . . . . agitare e centrifugare

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agitare e centrifugare

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[Un aiuto su alcune reazioni: Hg2þ þ 2 OH ! HgO (precipitato giallo) þ H2O 2 HgCl2 þ Sn2þ ! Sn4þ þ 2 Cl þ Hg2Cl2 (precipitato bianco) La stessa reazione precedente, in eccesso di Sn2þ: HgCl2 + Sn2þ ! Sn4þ þ 2 Cl þ Hg (precipitato grigio-nero)]

165 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

C ] Analisi di una miscela incognita PROCEDIMENTO

– Utilizzando lo schema elaborato, effettuare in laboratorio l’analisi di un 2þ campione che potrebbe contenere da uno a tutti gli ioni Agþ, Hg2þ 2 , Hg , Zn2þ, Cd2þ.

DOMANDE

Supponendo che siano presenti tutti i cationi indicati in questa esperienza,

sai scrivere le equazioni di reazione di tutti i passaggi della sequenza analitica? Quali reagenti si potrebbero usare per separare i componenti delle seguenti miscele? 1. HgCl2/Hg2Cl2 2. Cd(OH)2/Zn(OH)2 3. AgCl/HgCl2 Su quale logica si basa una sequenza analitica qualitativa? Sulla base delle osservazioni seguenti, dire quali ioni sono presenti nel campione (motiva la risposta anche per quanto riguarda l’esclusione di quelli ritenuti assenti): 1. dopo avere trattato il campione con HCl si ottiene un precipitato bianco; si centrifuga e si separa la soluzione cloridrica dal precipitato; 2. tutto il precipitato risulta solubile in ammoniaca e dalla soluzione cosı` ottenuta, acidificando, si ottiene nuovamente un precipitato; 3. alla soluzione cloridrica si aggiunge NaOH in eccesso, ottenendo cosı` un precipitato; dopo centrifugazione si separa il precipitato dalla soluzione restante che, trattata con HCl, non da` alcuna reazione; 4. il precipitato si scioglie con HCl, la soluzione viene poi trattata con SnCl2 e si ottiene un precipitato grigiastro; si centrifuga e si separa il precipitato dalla soluzione surnatante; a essa si aggiunge NaOH fino a reazione basica, ma non si nota alcun precipitato.

166 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

LAB 25

Comportamento degli indicatori acido-base 2 ore

Si preparano le soluzioni di diversi indicatori acido-base e se ne osservano i colori in soluzioni a pH diverso opportunamente preparate.

Nella pratica di laboratorio si usa un numero abbastanza ristretto di indicatori acido-base, pur essendo molto numerosi quelli disponibili. I piu` usati sono il metilarancio e la fenolftaleina, dato che il loro viraggio si colloca in zone di pH compatibili con i punti di fine delle titolazioni acido forte-base debole (il primo) e acido debole-base forte (la seconda). In alcuni casi particolari puo` essere utile fare ricorso a miscele di indicatori opportunamente scelti. In questa scheda proponiamo la preparazione e l’osservazione del comportamento cromatico dell’indicatore universale.

A ] Preparazione di soluzioni di indicatori STRUMENTI DI LAVORO bilancia tecnica bilancia analitica bottiglie con contagocce becher da 300 mL cilindro graduato da 250 mL

PROCEDIMENTO

MATERIALI E SOSTANZE metilarancio, sale sodico fenolftaleina blu bromofenolo, sale sodico blu timolo, sale sodico blu bromotimolo, sale sodico verde bromocresolo, sale sodico rosso cresolo, sale sodico rosso metile, sale sodico rosso fenolo, sale sodico alcol etilico 80% e 50% (V/V) NaOH 0,1 M acqua di grado analitico

A seconda della solubilita` dei diversi indicatori, la soluzione viene preparata in ambiente acquoso oppure idro-alcolico. Con l’eccezione della fenolftaleina, gli indicatori sono sali sodici abbastanza solubili in acqua. Per essi si puo` operare come segue: – pesare 0,1 g di indicatore; – sciogliere in 200-250 mL di acqua di grado analitico. Per la soluzione di indicatore misto: – sciogliere 0,05 g di blu timolo e 0,05 g di verde bromocresolo in 200-250 mL di acqua di grado analitico. Per la fenolftaleina: – sciogliere 0,1 g di indicatore in 100 mL di alcol etilico 80% (V/V). Per la soluzione di indicatore universale: – sciogliere 18 mg di rosso metile, 60 mg di blu bromotimolo e 64 mg di fenolftaleina in 100 mL di alcol al 50% (V/V), aggiungendo poi lentamente NaOH 0,1 M fino a colorazione verde. Conservare gli indicatori in bottiglie di vetro con tappo contagocce.

167 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

B ] Studio del comportamento di alcuni indicatori In teoria, partendo da soluzioni di HCl 0,1M e di NaOH 0,1M, si potrebbe preparare, per diluizioni successive, un’intera serie di soluzioni a pH compreso tra 1 e 12. Tuttavia, mentre e` possibile ottenere per diluizione soluzioni a pH  2 e  3 partendo da HCl 0,1M (e a pH 12 e 11 partendo da NaOH 0,1M), altrettanto non si puo` fare per i pH intermedi, a causa dell’eccessiva instabilita` del pH alle diluizioni necessarie. Per questi ultimi consigliamo di usare le soluzioni tampone per la taratura del pHmetro (pH 4, 7, 9), addizionandole opportunamente di HCl o NaOH 0,1M per prepararne altre a pH diversi. La scelta dei volumi di soluzioni da preparare (in beute da 250 mL) e` stata fatta con lo scopo di simulare il piu` possibile le condizioni che si verificano in una titolazione. Fra gli indicatori e` stato inserito anche quello universale, per poterne osservare la variazione cromatica al variare del pH. Per l’esperienza si richiede l’uso di un pHmetro gia` calibrato. MATERIALI E SOSTANZE soluzione 0,1 M di HCl soluzione 0,1 M di NaOH soluzioni tampone a pH 4, 7, 9 soluzioni dei diversi indicatori acqua di grado analitico

STRUMENTI DI LAVORO matracci da 250 mL beute da 250 mL pipetta da 25 mL propipetta pHmetro calibrato



PROCEDIMENTO

– Dalla soluzione 0,1M di HCl (che serve per la soluzione a pH  1) prelevare 25 mL e metterli in un matraccio da 250 mL, portando poi a volume per ottenere la soluzione a pH  2. – Con analoga diluizione preparare la soluzione a pH  3. – Per preparare le soluzioni a pH  11 e  12 diluire 25 mL di NaOH 0,1 M con le stesse modalita` usate per le soluzioni di HCl. – Per preparare le soluzioni a pH  5,  6 e  8 partire dal tampone con il pH piu` vicino e aggiungere HCl o NaOH 0,1M, goccia a goccia, controllando al pHmetro il pH effettivo. – Preparare, per ciascun indicatore, una serie di 11 beute da 250 mL. – Versare in ciascuna beuta circa 50 mL di ogni soluzione a diverso pH e 5 gocce dell’indicatore prescelto. – Registrare le osservazioni sui colori delle soluzioni.

DOMANDE

Perche´ l’acqua di grado analitico tende ad avere un pH acido? Perche´ e` difficile preparare soluzioni a pH 4, 5, 6 per semplice diluizione,

partendo da una soluzione 0,1 M di HCl? Entro quale intervallo di pH si puo` affermare di distinguere la variazione del

colore dell’indicatore? In quale intervallo di pH gli indicatori danno le migliori informazioni? E

l’indicatore universale?

168 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

LAB 26

La forza degli acidi 1 ora

Si valuta approssimativamente il pH di soluzioni acquose di acidi di diversa forza e di uguale concentrazione per mezzo del colore assunto da un indicatore misto, appositamente scelto. L’esperienza si puo` effettuare anche con un pHmetro o un conduttimetro, basando la valutazione della forza degli acidi rispettivamente sul valore di pH o sulla conducibilita` misurati.

La gamma di colori assunta dall’indicatore misto blu timolo-verde bromocresolo va dal rosso (in ambiente nettamente acido) al blu (in ambiente basico), e mostra un passaggio graduale dal rosso al verde che si presenta gia` a pH 5. Tabella Lab. 26.1 Gamma di colori assunta dall’indicatore misto blu timolo-verde bromocresolo.

colore

rosso

arancio

giallo

gialloverde

verde

blu

pH approssimato

1,0-1,5

2,0-2,5

3,0-3,5

4,0-4,5

5,0-7,5

>8

STRUMENTI DI LAVORO becher da 50 mL cilindro da 25 mL bilancia tecnica o analitica

MATERIALI E SOSTANZE soluzione di H2SO4 0,01 M soluzione di H2C2O4 (acido ossalico) 0,01 M soluzione di HCl 0,01 M soluzione di CH3COOH 0,01 M soluzione di acido citrico 0,01 M indicatore misto acqua di grado analitico

PROCEDIMENTO

– Preparare l’indicatore misto: sciogliere 0,05 g di blu timolo (sale sodico) e 0,05 g di verde bromocresolo (sale sodico) in 250 mL di acqua. – In ciascuno dei 5 becher versare 20 mL della soluzione di uno degli acidi e 3 gocce di indicatore misto. – Annotare i colori assunti dalle soluzioni confrontandoli con la Tabella Lab. 26.1. – Stimare il valore approssimato del pH delle soluzioni.

PER CONCLUDERE

– Valutare la forza degli acidi sottoposti a indagine in base alle osservazioni effettuate.

PROPOSTE PER APPROFONDIRE

– Disponendo di pHmetro e di conduttimetro, misurare il pH e/o la conducibilita` delle soluzioni degli acidi. – Effettuare prove analoghe utilizzando soluzioni 0,01M di sali che danno idrolisi acida, come NH4Cl o FeCl3.

169 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

LAB 27

Preparazione e standardizzazione di HCl 0,1 M 2-3 ore

Si prepara una soluzione di HCl circa 0,1 M da usare come titolante per basi e una di Na2CO3 standard primario per la determinazione accurata del suo titolo. La standardizzazione e` presentata anche come titolazione diretta di una quantita` esattamente nota di Na2CO3 solido.

Il cloruro d’idrogeno (HCl) e` un gas molto solubile in acqua, formando soluzioni di acido cloridrico. La fonte commerciale piu` diffusa di questo reagente e` la soluzione concentrata al 37% (p/p). Il carbonato di sodio, Na2CO3, e` lo standard primario piu` utilizzato per assegnare il titolo a soluzioni di titolanti costituite da acidi forti. L’esame della curva di titolazione (3Cap. 26) consente di individuare due punti di equivalenza relativi alle seguenti reazioni: þ  CO2 3 þ H ! HCO3  þ HCO3 þ H ! H2 CO3 ! H2 O þ CO2 Di norma, per la standardizzazione si utilizza il secondo punto di equivalenza perche´ il cambiamento del pH corrispondente e` piu` netto. Per renderlo ancora piu` marcato si interrompe la titolazione quando l’indicatore (metilarancio) inizia a cambiare colore e si riscalda la soluzione per eliminare la CO2 prodotta nella reazione. L’allontanamento di questa, che e` un acido debole, provoca un innalzamento del pH reso visibile dal ritorno dell’indicatore al colore della sua forma basica. Quando si riprende la titolazione dopo il raffreddamento, si coglie il punto di fine con maggiore evidenza, perche´ la variazione del pH corrispondente e` piu` ampia.

A ] Preparazione della soluzione di HCl circa 0,1 M STRUMENTI DI LAVORO pipetta graduata da 10 mL propipetta cilindro graduato da 1 L bottiglia di vetro o politene PROCEDIMENTO

MATERIALI E SOSTANZE soluzione di HCl al 37% (p/p) acqua di grado analitico

– – – –

Prelevare circa 8 mL di HCl concentrato (3Vol. 1, Cap. 3). Riempire il cilindro fino alla tacca di 1000 mL con acqua di grado analitico. Versare meta` dell’acqua nella bottiglia. Lavorando sotto cappa, prelevare con la pipetta graduata il volume precedentemente calcolato di HCl al 37% e versarlo nella bottiglia. – Aggiungere l’acqua rimanente alla bottiglia e agitare la soluzione.

J I

B ] Preparazione di una soluzione standard di Na2CO3 0,1 N STRUMENTI DI LAVORO stufa essiccatore bilancia analitica becher da 50 mL matraccio tarato da 1 L

MATERIALI E SOSTANZE Na2CO3, puro per analisi acqua di grado analitico

170 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

PROCEDIMENTO

– Mettere in stufa Na2CO3 a 110 8C per 2 ore. – Raffreddare in essiccatore per 10-15 min. – Calcolare quanto Na2CO3 e` necessario per preparare 1 L di soluzione 0,1 N e pesare accuratamente circa la quantita` calcolata nel becher da 50 mL. – Sciogliere con acqua di grado analitico e trasferire quantitativamente nel matraccio da 1 L; portare a volume con acqua di grado analitico. – Conservare in bottiglia di politene.

C ] Titolazione di aliquote di soluzione standard di Na2CO3 STRUMENTI DI LAVORO beuta da 250 mL buretta da 25 o 50 mL cilindro da 50 mL pipetta da 20 mL propipetta Bunsen, treppiede e reticella o piastra riscaldante PROCEDIMENTO Il Bunsen va utilizzato sempre sotto cappa aspirante.

PER CONCLUDERE

MATERIALI E SOSTANZE soluzione standard di Na2CO3 0,1 N soluzione di HCl  0,1 N soluzione di metilarancio acqua di grado analitico

– Prelevare con la pipetta 20 mL di soluzione standard di Na2CO3 e trasferirli nella beuta. – Aggiungere 50 mL di acqua di grado analitico (preferibilmente bollita di fresco) e 2-3 gocce di soluzione di metilarancio. – Predisporre la buretta con la soluzione di HCl. – Titolare fino a quando la soluzione inizia a cambiare colore (da giallo ad arancione). – Mettere la beuta a riscaldare sul Bunsen e portare cautamente a ebollizione. – Raffreddare la soluzione e completare la titolazione. – Se durante l’ebollizione il colore non torna giallo, cio` significa che il punto di viraggio e` gia` stato oltrepassato. – Ripetere la titolazione almeno 3 volte. – Calcolare la media e l’intervallo di incertezza della concentrazione della soluzione di HCl.

D ] Titolazione di quantita` pesate di Na2CO3 STRUMENTI DI LAVORO bilancia analitica becher da 50 mL beuta da 250 mL buretta da 25 o 50 mL cilindro da 50 mL Bunsen, treppiede e reticella o piastra riscaldante PROCEDIMENTO

MATERIALI E SOSTANZE Na2CO3 solido, puro per analisi soluzione di HCl  0,1 N soluzione di metilarancio acqua di grado analitico

– Mettere in stufa Na2CO3 a 110 8C per 2 ore. – Raffreddare in essiccatore per 10-15 min. – Calcolare quanto Na2CO3 e` necessario per eseguire una titolazione usando come titolante HCl 0,1 M e pesare accuratamente circa la quantita` calcolata. 171

Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

– Trasferire quantitativamente nella beuta il Na2CO3 pesato e scioglierlo con la minima quantita` di acqua di grado analitico. – Aggiungere 50 mL di acqua di grado analitico e 2-3 gocce di indicatore metilarancio. – Predisporre la buretta con la soluzione di HCl. – Titolare fino a quando la soluzione inizia a cambiare colore (da giallo ad arancione). – Mettere la beuta a riscaldare su Bunsen e portare cautamente all’ebollizione. – Raffreddare la soluzione e completare la titolazione. – Se durante l’ebollizione il colore non torna giallo, cio` significa che il punto di viraggio e` gia` stato oltrepassato. – Ripetere la titolazione almeno 3 volte.

Il Bunsen va utilizzato sempre sotto cappa aspirante.

PER CONCLUDERE

– Calcolare per ogni determinazione la concentrazione della soluzione di HCl. – Calcolare media e intervallo di incertezza del risultato.

PROPOSTE PER APPROFONDIRE

– In alternativa al metilarancio, per la standardizzazione si possono utilizzare verde bromocresolo (viraggio da blu a verde) e/o blu bromofenolo (viraggio da blu a verde). Confrontare i risultati delle diverse procedure. Quale indicatore consente di rilevare meglio il punto di viraggio?

DOMANDE

Nella preparazione della soluzione di HCl si suggerisce di utilizzare una

pipetta graduata da 10 mL per prelevare HCl concentrato. Sarebbe scorretto utilizzare un cilindro da 10 mL o da 25 mL? Per portare a volume la soluzione di HCl e` necessario un matraccio da 1 L? Supponendo che per errore sia stata preparata una soluzione 0,1 M di Na2CO3 invece che 0,1 N, come bisogna modificare il procedimento per non preparare di nuovo la soluzione?

Molto spesso nel laboratorio di chimica si preparano soluzioni diluite di HCl a partire da quella al 37%. E` utile ricordare che la concentrazione di tale soluzione e` all’incirca 12 M.

PER I CALCOLI

– C] ðN  V Þ Na2 CO3 Per ogni titolazione: N HCl ¼ V HCl – D] Con una buretta da 50 mL e volendo impiegare circa 30 mL di HCl 0,1 N, si devono utilizzare circa 3 meq di carbonato (ME ¼ 52,995 mg  meq1 ); quindi occorre pesare accuratamente  159 mg di Na2 CO3 . Per ogni titolazione: N HCl ¼

mg Na2 CO3 1  1 52,995 mg  meq mL HCl

172 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

LAB 28

Titolazione di miscele di sostanze alcaline 2 ore

Si effettuano titolazioni di soluzioni incognite, costituite dai seguenti composti basici, da soli o in miscela: NaOH, Na2 CO3 e NaHCO3 . Per la titolazione si utilizzano HCl e due indicatori: fenolftaleina e metilarancio. I due indicatori sono usati in sequenza: inizialmente si aggiunge solo fenolftaleina, che assume il caratteristico colore rosa intenso della sua forma basica (a pH > 9,8). Il primo punto di fine titolazione si ha quando la soluzione diventa incolore. A questo punto si aggiunge metilarancio, che assume il colore giallo della sua forma basica (a pH > 4,4). Il viraggio di quest’ultimo al colore rosso (a pH compreso tra 4,4 e 3,2) segnala il secondo punto di fine titolazione.

STRUMENTI DI LAVORO beuta da 250 mL buretta da 25 o 50 mL cilindro da 50 mL pipetta da 10 mL a due tacche propipetta Bunsen, treppiede e reticella o piastra riscaldante

PROCEDIMENTO

Il Bunsen va utilizzato sempre sotto cappa aspirante.

MATERIALI E SOSTANZE soluzione di HCl 0,1 M a titolo noto soluzione di metilarancio soluzione di fenolftaleina acqua di grado analitico

– Predisporre la buretta con la soluzione di HCl. – Prelevare con la pipetta 10 mL di soluzione incognita e trasferirli nella beuta. – Aggiungere 50 mL di acqua di grado analitico (meglio se bollita di fresco) e 2-3 gocce di soluzione di fenolftaleina. – Titolare con HCl fino a quando la soluzione da rosa diventa incolore. – Annotare il volume di HCl utilizzato e aggiungere 2-3 gocce di soluzione di metilarancio. – Continuare la titolazione fino a quando la soluzione inizia a cambiare colore (da giallo ad arancione). – Mettere la beuta a riscaldare sul Bunsen e portare cautamente a ebollizione. – Raffreddare la soluzione e completare la titolazione fino a colore arancione; se durante l’ebollizione il colore non torna giallo, il punto di viraggio e` gia` stato oltrepassato. – Annotare il volume totale di titolante utilizzato per questo secondo viraggio. – Ripetere la titolazione almeno 3 volte.

PER CONCLUDERE

– Definire quale o quali delle possibili sostanze basiche sono presenti nel campione analizzato e calcolarne la concentrazione.

PER I CALCOLI

– V f ¼ volume di HCl al viraggio della fenolftaleina; V m ¼ volume totale di HCl al viraggio del metilarancio ¼ M  Vf 1. Solo carbonati: mmol CO2 3 2. Carbonati þ NaOH: mmol CO2 ¼ MðV m  V f Þ 3 mmol NaOH ¼ M  V f  mmol CO2 3 ¼ M  Vf 3. Carbonati þ bicarbonati: mmol CO2 3 mmol HCO3 ¼ M  V m  2 mmol CO2 3 4. Solo NaOH: mmol NaOH ¼ M  V f 5. Solo bicarbonati: mmol HCO3 ¼ M  V m

173 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

LAB 29

Determinazione dell’alcalinita` libera nei saponi 1 ora

Si preleva un campione di sapone, lo si scioglie in etanolo e si effettua una titolazione con HCl usando fenolftaleina come indicatore.

Sono detti comunemente saponi i sali (solitamente di sodio e/o di potassio) degli acidi grassi naturali (per esempio, acido oleico o acido stearico), caratterizzati da lunghe catene di atomi di carbonio con un gruppo carbossilico a una estremita`. La produzione del sapone, che avviene per saponificazione degli oli e dei grassi animali o vegetali (cioe` un trattamento con NaOH), puo` comportare la presenza nel prodotto finale, come residuo, di un po’ di idrossido alcalino. Conoscere la quantita` di NaOH presente in un sapone e` importante, perche´ essa lo rende inadatto alla pulizia della persona a causa dell’effetto aggressivo che ha sulla pelle. Per questo motivo sono da preferire i cosiddetti saponi neutri (cioe`, in pratica, senza alcali in eccesso). L’alcalinita` libera di un sapone e` espressa in grammi di NaOH contenuti in 100 g di sapone. STRUMENTI DI LAVORO buretta da 25 o 50 mL beuta da 250 mL munita di refrigerante a ricadere bilancia analitica mantello elettrico riscaldante

MATERIALI E SOSTANZE soluzione di NaOH 0,1 M soluzione di HCl 0,1 M a titolo noto soluzione di fenolftaleina etanolo neutralizzato alla fenolftaleina acqua di grado analitico

PROCEDIMENTO

– Preparare l’etanolo neutralizzato alla fenolftaleina: aggiungere a 500 mL di etanolo 20 gocce di fenolftaleina e NaOH, goccia a goccia, fino a colorazione rosa tenue persistente. – Pesare 2 g di campione in una beuta da 250 mL, aggiungere 100 mL di etanolo neutralizzato. – Collegare la beuta a un refrigerante a ricadere e scaldare sul bagnomaria fino a completa soluzione. Raffreddare. – Predisporre una buretta con la soluzione titolante di HCl. – Aggiungere qualche goccia di fenolftaleina e titolare fino a viraggio da rosa a incolore.

PER CONCLUDERE

– Calcolare l’alcalinita` libera del sapone analizzato, espressa in grammi di NaOH in 100 g di sapone.

DOMANDE

Sai esprimere l’alcalinita` libera del sapone analizzato in grammi di KOH in

100 g di sapone? La qualifica di sapone neutro non e` sinonimo di pH neutro, ma indica

soltanto l’assenza di alcali in eccesso; per la sua composizione chimica, infatti, un sapone produce in acqua un pH basico (da 9 a 10). Sai spiegare perche´? Per quale motivo si aggiunge etanolo al campione da titolare? PER I CALCOLI

– g NaOH in 100 g di sapone ¼

ðM  V Þ HCl  MM NaOH g  mol1  100 g sapone pesato

174 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

LAB 30

Preparazione e standardizzazione di una soluzione di NaOH 0,1 M

2 ore

Si prepara una soluzione di NaOH circa 0,1 M da usare come titolante per acidi e si standardizza usando KHC8 H4 O4 (idrogenoftalato di potassio) come standard primario. La reazione acido-base e` la seguente: 

OOCC6 H4 COOH þ OH ! OOCC6 H4 COO þ H2 O

Il punto di fine titolazione puo` essere agevolmente individuato con fenolftaleina.

L’idrossido di sodio e` un solido cristallino, presente nei laboratori chimici di solito sotto forma di pastiglie. Quando viene esposto all’aria ne assorbe l’umidita` e si ricopre velocemente di uno strato di bicarbonato di sodio, in seguito all’inevitabile reazione con la CO2 atmosferica. Per questo motivo non si possono preparare soluzioni a titolo noto di NaOH direttamente per pesata, e nelle titolazioni le soluzioni di NaOH vanno sempre messe in buretta, per ridurre il contatto con l’aria. La conservazione delle soluzioni di NaOH va fatta in recipienti di politene.

A ] Preparazione della soluzione di NaOH STRUMENTI DI LAVORO bilancia tecnica becher da 50 mL cilindro graduato da 1 L bottiglia di politene bacchetta di vetro PROCEDIMENTO

MATERIALI E SOSTANZE NaOH solido acqua di grado analitico

– Calcolare la quantita` di NaOH solido necessaria per preparare 1 L di soluzione 0,1 M e pesarla nel becher da 50 mL. – Riempire il cilindro con acqua di grado analitico. – Aggiungere un po’ dell’acqua contenuta nel cilindro e favorire la dissoluzione agitando con la bacchetta di vetro. – Versare la soluzione nella bottiglia. – Usare l’acqua del cilindro per lavare ripetutamente il becher, versandola poi nella bottiglia. – Aggiungere l’acqua rimanente alla bottiglia e agitare.

J I

B ] Standardizzazione della soluzione di NaOH STRUMENTI DI LAVORO beuta da 250 mL buretta da 25 o 50 mL cilindro da 50 mL vetro d’orologio stufa ed essiccatore bilancia analitica PROCEDIMENTO

MATERIALI E SOSTANZE KHC8H4O4, solido puro per analisi soluzione di NaOH 0,1 M soluzione di fenolftaleina acqua di grado analitico

– Mettere in stufa il KHC8H4O4 a 110 8C per almeno 2 ore. – Raffreddare in essiccatore per 10-15 min. 175

Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

– Calcolare la quantita` di KHC8H4O4 necessaria per effettuare una titolazione con NaOH 0,1 M e pesarla accuratamente circa. – Trasferire quantitativamente nella beuta la massa pesata, aggiungere 50 mL di acqua di grado analitico e 2-3 gocce di soluzione di fenolftaleina. – Predisporre la buretta con la soluzione di NaOH. – Titolare fino a quando la soluzione passa da incolore a rosa persistente per piu` di 30 s. – Ripetere la titolazione almeno 3 volte. PER CONCLUDERE

– Calcolare, per ciascuna determinazione, la concentrazione della soluzione di NaOH. – Esprimere il risultato come media dei valori ottenuti, indicando l’intervallo di incertezza.

PER I CALCOLI

– B] Con una buretta da 25 mL, e volendo impiegare circa 15 mL di NaOH 0,1 M, si devono utilizzare circa 1,5 mmol di ftalato ðMM ¼ 204,23 mg  mmol1 Þ; quindi occorre pesare accuratamente  306 mg di KHC8 H4 O4 . Per ogni titolazione: M NaOH ¼

mg KHC8 H4 O4 1  1 204,23 mg  mmol mL NaOH

176 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

LAB 31

Titolazione di soluzioni acide 2-3 ore

Si effettuano titolazioni di soluzioni di HCl, NaHSO4 , CH3COOH, H2SO4, H3PO4 con NaOH. Per individuare i punti di fine si utilizzano due indicatori: fenolftaleina e metilarancio. I due indicatori sono usati in sequenza: inizialmente si aggiunge solo metilarancio, che assume il colore rosso-arancio della sua forma acida (a pH < 3,2). Il primo punto di fine titolazione si ha quando la soluzione diventa gialla. A questo punto si aggiunge fenolftaleina, che non modifica il colore della soluzione in quanto e` incolore fino a pH 8,3. Il secondo punto di fine si osserva quando la fenolftaleina diventa rosa, sovrapponendo questo colore a quello giallo del metilarancio.

STRUMENTI DI LAVORO beuta da 250 mL buretta da 25 o 50 mL cilindro da 50 mL pipetta da 10 mL a due tacche propipetta

MATERIALI E SOSTANZE soluzione di NaOH 0,1 M a titolo noto soluzione di HCl  0,1 M soluzione di NaHSO4  0,1 M soluzione di H2SO4  0,1M soluzione di CH3COOH  0,1 M soluzione di H3PO4  0,1 M soluzione di metilarancio soluzione di fenolftaleina acqua di grado analitico

PROCEDIMENTO

– Predisporre la buretta con la soluzione di NaOH. – Prelevare con la pipetta 10 mL di soluzione incognita e trasferirli nella beuta. – Aggiungere 50 mL di acqua di grado analitico (meglio se bollita di fresco) e 2-3 gocce di soluzione di metilarancio. – Titolare con NaOH fino a quando la soluzione da rossa diventa gialla. – Annotare il volume di NaOH utilizzato e aggiungere 2-3 gocce di soluzione di fenolftaleina. – Continuare la titolazione fino a quando la soluzione cambia colore. – Annotare il volume totale di titolante utilizzato per questo secondo viraggio. – Ripetere la titolazione almeno 3 volte.

PER CONCLUDERE

– Per ciascuna determinazione, confrontare i volumi di titolante relativi ai due viraggi. – Verificare la validita` delle relazioni discusse nel Capitolo 26.5 a proposito delle titolazioni di miscele di acidi. – Calcolare la concentrazione delle soluzioni titolate.

DOMANDE

Sai scrivere le reazioni che avvengono prima del viraggio del metilarancio

e prima del viraggio della fenolftaleina? PER I CALCOLI

– V m ¼ volume di NaOH al viraggio del metilarancio; V f ¼ volume di NaOH aggiunto successivamente fino al viraggio della fenolftaleina. 1. Soluzione di HCl: mmol HCl ¼ ðM  V m Þ 2. Soluzione di NaHSO4 : mmol HSO4 ¼ ðM  V m Þ 3. Soluzione di H2 SO4 : mmol H2 SO4 ¼1=2 ðM  V m Þ 4. Soluzione di CH3 COOH: mmol CH3 COOH ¼ ðM  V f Þ 5. Soluzione di H3 PO4 : mmol H3 PO4 ¼ ðM  V m Þ

177 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

LAB 32

Acidita` di un aceto commerciale 2 ore

L’acidita` totale dell’aceto viene determinata mediante titolazione con NaOH. Si tratta di una titolazione acido debole-base forte per cui il pH, al punto di equivalenza, e` debolmente basico. Per cogliere il punto di equivalenza si propongono due indicatori, la fenolftaleina e il blu bromotimolo, allo scopo di osservare le differenze nei risultati analitici.

Per legge l’acidita` totale dell’aceto commerciale (dovuta essenzialmente all’acido acetico, ma anche in piccola parte ad altri acidi come l’acido tartarico) non dev’essere inferiore al 6% (p/V), espressa come se fosse dovuta esclusivamente all’acido acetico, in pratica circa 60 g/L di CH3COOH, cioe` una soluzione circa 1 M dell’acido. Cio` comporta che un campione di circa 2 meq (pari a 20 mL di NaOH 0,1 M) corrisponderebbe a circa 2 mL. Poiche´ un prelievo cosı` piccolo implica un errore relativo alto, e` consigliabile prelevare 5 o 10 volte tale valore, diluire in un matraccio e titolare aliquote opportune del campione diluito. STRUMENTI DI LAVORO buretta da 25 o 50 mL beuta da 250 mL matraccio tarato da 100 mL pipetta a doppia tacca da 10 mL propipetta bacchetta di vetro

MATERIALI E SOSTANZE soluzione di NaOH 0,1 M a titolo noto soluzione di blu bromotimolo soluzione di fenolftaleina acqua di grado analitico

PROCEDIMENTO

– Calcolare il volume di aceto che occorrerebbe prelevare per effettuare una singola determinazione, in base ai dati riportati sull’etichetta del prodotto da analizzare e alla concentrazione di titolante. – Valutare l’opportunita` di preparare una soluzione diluita del campione e sottoporre ad analisi aliquote di tale soluzione. Se la decisione e` in questo senso, procedere con la diluizione. – Predisporre la buretta con la soluzione di NaOH. – Prelevare con la pipetta il volume di soluzione di aceto da analizzare e versarlo nella beuta da 250 mL. – Aggiungere circa 50 mL di acqua e 3 gocce di fenolftaleina. – Titolare fino al viraggio dell’indicatore. – Ripetere la titolazione almeno 3 volte. – Eseguire altre titolazioni utilizzando blu bromotimolo.

PER CONCLUDERE

– Calcolare media e intervallo di incertezza della concentrazione di aceto nelle aliquote sottoposte ad analisi. – Esprimere il risultato come percentuale di acido acetico (%p/V). – Confrontare i risultati ottenuti con i due indicatori e valutare quale indicatore consente di cogliere con piu` facilita` il punto di viraggio. – Calcolare il valore approssimato del pH al punto di equivalenza, ammettendo che l’unico acido presente sia l’acetico.

PER I CALCOLI

– Per ogni titolazione: M AcH ¼

ðM  V Þ NaOH V aceto

% p/V ¼ M AcH  MM AcH  100=1000

178 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

LAB 33

Determinazione dell’acidita` del latte 1 ora

Si effettua una titolazione con soluzione standard di NaOH, usando fenolftaleina come indicatore.

Un buon latte fresco contiene solo una modesta percentuale di acido lattico (0,15-0,16%). Valori superiori sono indice di una forte presenza di microrganismi e causano la tendenza del latte a deteriorarsi fino a coagulare. Il controllo dell’acidita` del latte e` necessario per stabilire se quest’ultimo puo` essere utilizzato per la produzione di formaggi. Un latte con acidita` anormale coagula all’ebollizione e inoltre produce formaggi con pasta fragile e gonfia. Sotto il profilo analitico, risulta piu` semplice misurare l’acidita` del latte facendo riferimento non a un determinato composto acido in esso contenuto, ma piuttosto alla quantita` di base necessaria per neutralizzarlo o, piu` esattamente, per ottenere il viraggio di un particolare indicatore (la fenolftaleina). L’acidita` del latte viene ufficialmente indicata come grado di acidita` (8SH), che corrisponde ai mL di NaOH 0,25 M necessari per portare 100 mL di latte a pH 8,3 (il pH di viraggio della fenolftaleina). Il latte fresco ha un’acidita` compresa tra 6,5 e 7,5 8SH. STRUMENTI DI LAVORO pipetta tarata da 50 mL beuta da 250 mL buretta da 25 o 50 mL propipetta

MATERIALI E SOSTANZE soluzione di NaOH 0,1 M a titolo noto soluzione di fenolftaleina 1% acqua di grado analitico

PROCEDIMENTO

– Prelevare con la pipetta 50 mL di latte e versarli nella beuta da 250 mL, aggiungere 2 mL di soluzione di fenolftaleina. – Predisporre una buretta con la soluzione titolante di NaOH. – Titolare fino a colorazione rosa persistente per piu` di 30 s.

PER CONCLUDERE

– Calcolare quanti mL di NaOH 0,25 M servirebbero per titolare al viraggio della fenolftaleina 100 mL di latte.

DOMANDE

Si ha a disposizione una soluzione di fenolftaleina allo 0,1%. Come si puo`

modificare la procedura senza dover preparare una nuova soluzione? Alcuni autori esprimono l’acidita` del latte come grammi di acido lattico in

100 mL di latte (% p/V), anche se l’acido lattico non e` presente nel latte fresco. Sai esprimere il risultato in questo modo, calcolando il fattore di conversione tra 8SH e questa percentuale di acido lattico? Per quale motivo si sceglie l’indicatore fenolftaleina per determinare il grado di acidita` del latte? PER I CALCOLI

– V NaOH 0,25 M ¼

ðM  V Þ NaOH a titolo noto (nella titolazione di 50 mL di latte). 0,25 M

179 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

LAB 34

Le soluzioni tampone 2 ore

Si preparano alcune soluzioni tampone e si osserva la variazione del pH indotta in esse dall’aggiunta di acidi e basi forti. L’osservazione puo` essere effettuata sia attraverso il colore di un indicatore universale, sia misurando il pH con il pHmetro.

La capacita` di una soluzione tampone di ‘‘assorbire’’ l’effetto dell’aggiunta di acidi o di basi forti e` stata gia` ampiamente discussa (3Vol. 1, Cap. 14). Le proprieta` tamponanti di una soluzione hanno grande importanza anche in ambiti diversi dalla chimica analitica; per esempio, il funzionamento di un sistema biologico comporta che il pH del sangue sia compreso entro una gamma molto ristretta di valori intorno a 7,4. Questo e` possibile proprio per la presenza di sistemi tampone biologici, basati essenzialmente sugli equilibri  2 acido-base di due coppie coniugate: H2CO3/HCO 3 e H2PO4 /HPO4 . Nell’esperienza presentata in questa scheda si osserva il funzionamento di una soluzione tampone confrontandolo con quello di una semplice soluzione di NaCl, che simula i liquidi fisiologici del corpo umano senza pero` possederne le caratteristiche tamponanti. STRUMENTI DI LAVORO due serie di 5 becher da 100 mL cilindro da 50 mL pipetta graduata da 5 mL matraccio tarato da 100 mL bilancia analitica propipetta contagocce pHmetro calibrato PROCEDIMENTO

MATERIALI E SOSTANZE soluzione di NaOH 0,1 M soluzione di HCl 0,1 M rosso metile (sale sodico) blu bromotimolo (sale sodico) fenolftaleina NaCl solido soluzione di KH2PO4 0,1 M acqua di grado analitico

– Preparare la seguente soluzione di indicatore universale: sciogliere 18 mg di rosso metile, 60 mg di blu bromotimolo e 64 mg di fenolftaleina in 100 mL di etanolo al 50%, aggiungendo poi, lentamente, NaOH 0,1 M fino a ottenere un colore verde. – Preparare la seguente soluzione che simula quella fisiologica: sciogliere 9 g di NaCl in 1 L di acqua di grado analitico. – Preparare la soluzione tampone a pH  7,4 come segue: miscelare 38,5 mL di NaOH 0,1 M con 50 mL di KH2PO4 0,1 M e portare a 100 mL in matraccio tarato. In alternativa: aggiungere a una soluzione tampone standard a pH 7 una soluzione di NaOH 0,1 M, goccia a goccia, fino a pH 7,4 (e` necessario il pHmetro). – Etichettare due serie di 5 becher da 100 mL, una per la soluzione tampone e l’altra per quella di NaCl. – In ogni becher della prima serie, aggiungere 50 mL di soluzione tampone e 5 gocce di indicatore universale. – In ogni becher della seconda serie, aggiungere 50 mL di soluzione di NaCl e 5 gocce di indicatore universale. – Annotare la colorazione assunta dalle due serie di becher e misurarne il pH. – Versare 2 mL di HCl 0,1 M nel primo becher di ogni serie e 1 mL di HCl 0,1 M nel secondo becher di ogni serie. – Versare 1 mL di NaOH 0,1 M nel quarto becher di ogni serie e 2 mL di NaOH 0,1 M nel quinto becher di ogni serie. – Annotare i cambiamenti di colore e misurare i nuovi valori del pH. 180

Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

PER CONCLUDERE

– Riportare su un grafico l’andamento del pH per ciascuna serie. – Confrontare le variazioni del pH osservate con l’andamento della curva di titolazione di H3PO4 con NaOH.

PROPOSTE PER APPROFONDIRE

– Ripetere l’esperienza con tamponi diversi, per esempio CH3COOH/ CH3COONa o NH3/NH4Cl, miscelando in parti uguali soluzioni 0,1 M dei due componenti del sistema. Nel primo caso, ovvero con il tampone acido, puo` essere preferibile utilizzare l’indicatore misto costituito da una miscela di blu timolo e verde bromocresolo. Questo indicatore assume i colori indicati nella Tabella Lab. 26.1 (3Lab. 26). – I medicinali antiacido hanno lo scopo di ‘‘tamponare’’ l’eccessiva acidita` dello stomaco (che si evidenzia attraverso bruciori di varia intensita`). Per questo scopo vengono utilizzati prodotti a base di bicarbonato di sodio, citrato di sodio, carbonato di calcio, ossido di magnesio e ossido di alluminio. Si tratta di composti dalle caratteristiche abbastanza diverse, il cui funzionamento puo` essere sperimentato osservando la variazione del pH di una soluzione di HCl (a pH 1-2), che simula i succhi gastrici presenti nello stomaco, alla quale viene aggiunta una quantita` in difetto di prodotto antiacido, analogamente a quanto accade nella realta` quando si assume l’antiacido in caso di iperacidita` gastrica. Si suggerisce di fare riferimento a un test adottato dalla Farmacopea USA, che determina la capacita` di consumo di acidi da parte del prodotto, ovvero la quantita` di HCl 0,1 M che reagisce con l’antiacido, in un’ora a 37 oC. In pratica, si aggiunge una quantita` nota di antiacido a un sicuro eccesso di HCl 0,1 M e si titola il campione dopo un’ora con NaOH 0,1 M, per stabilire la quantita` di acido consumata. – Calcolare il pH delle soluzioni di NaCl prima e dopo le aggiunte dell’acido e della base e confrontare il risultato con i valori sperimentali. – Effettuare gli stessi calcoli per le soluzioni tampone della prima serie.

181 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

LAB 35

Capacita` tamponante di una soluzione 2 + 2 ore

Si preparano soluzioni contenenti una data coppia coniugata acido-base in diversi rapporti, e altre contenenti solo acidi o basi forti. Si valuta il potere tampone di ciascuna soluzione misurando la variazione di pH in seguito all’aggiunta di aliquote progressive di acidi o basi forti e confrontandolo con il comportamento dell’acqua di grado analitico.

La capacita` di una soluzione tampone di contenere le variazioni del pH dipende da diversi fattori che abbiamo gia` discusso (3Vol. 1, Cap. 14). In questa esperienza si osservera` l’effetto della corrispondenza tra il pH della soluzione tampone e il pKa della coppia coniugata usata per preparare quest’ultima. STRUMENTI DI LAVORO agitatore magnetico con ancoretta burette da 25 o 50 mL becher da 50 mL pHmetro calibrato

MATERIALI E SOSTANZE soluzione di CH3COOH 0,5 M soluzione di CH3COONa 0,5 M soluzione di HCl 0,5 M soluzione di NaCl 0,5 M soluzione di HCl 1 M soluzione di NaOH 1 M acqua di grado analitico

A ] Comportamento delle soluzioni di due diverse coppie coniugate PROCEDIMENTO

– Predisporre 2 burette contenenti una la soluzione di CH3COOH 0,5M e l’altra quella di CH3COONa 0,5 M. – Versare 12,5 mL di soluzione di CH3COOH in un becher da 50 mL e aggiungere 12,5 mL di soluzione di CH3COONa. – Misurare e registrare il pH. – Aggiungere diverse aliquote da 0,1 mL di HCl 1 M registrando il pH dopo ogni aggiunta. Effettuare le aggiunte fino a erogare un volume totale di 1 mL. – Ripetere il procedimento dall’inizio, aggiungendo NaOH 1M invece che HCl 1M.

PER CONCLUDERE

– Riportare su un grafico le misure effettuate in funzione del volume di acido o base aggiunti. – Confrontare la capacita` tamponante dei tre sistemi osservati. – Interpretare le osservazioni fatte secondo la teoria dell’equilibrio acido-base.

PROPOSTE PER APPROFONDIRE

– Ripetere il procedimento usando 12,5 mL di HCl 0,5 M þ 12,5 mL di NaCl 0,5 M e 25 mL di acqua di grado analitico. – Verificare sperimentalmente che cosa accade se le due soluzioni di coppie coniugate vengono diluite di un fattore 10 o 100.

B ] Effetto della variazione del rapporto tra acido e base coniugata PROCEDIMENTO

– Predisporre 2 burette contenenti, una, la soluzione di CH3COOH 0,5 M e, l’altra, quella di CH3COONa 0,5 M. 182

Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

– Etichettare una serie di 6 becher da 50 mL. – Versare nei becher le seguenti aliquote delle soluzioni di CH3COOH e di CH3COONa: mL CH3COOH 22,5 20 15 10 5 2,5 mL CH3COONa 2,5 5 10 15 20 22,5 – Per ciascuno dei primi 3 becher, ripetere le seguenti operazioni: – misurare e registrare il pH; – aggiungere diverse aliquote da 0,1 mL di HCl 1 M registrando il pH dopo ogni aggiunta; – effettuare le aggiunte fino a erogare un volume totale di 1 mL. – Per ciascuno degli ultimi 3 becher ripetere le seguenti operazioni: – misurare e registrare il pH; – aggiungere diverse aliquote da 0,1 mL di NaOH 1 M registrando il pH dopo ogni aggiunta; – effettuare le aggiunte fino a erogare un volume totale di 1 mL. PER CONCLUDERE

– Riportare su un grafico le misure effettuate in funzione del volume di acido o base aggiunti. – Confrontare la capacita` tamponante dei sistemi osservati considerando anche il caso della miscela in rapporto 1:1 esaminata nel procedimento A. – Interpretare le osservazioni fatte secondo la teoria dell’equilibrio acido-base.

PROPOSTE PER APPROFONDIRE

– Calcolare il potere tampone ( ) di ogni soluzione tampone, in base alla seguente definizione: ¼

C pH

dove C e` la concentrazione di HCl o NaOH aggiunta alla soluzione tampone, e pH la conseguente variazione di pH. – Riportare su un grafico il valore di in funzione del pH della soluzione tampone iniziale.

183 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

LAB 36

Preparazione e standardizzazione di EDTA 0,01 M 2 + 3 ore

Si prepara una soluzione di EDTA (sale disodico)  0,01 M e una soluzione standard di ione Ca2þ che serve per stabilirne il titolo accurato. Il titolo dell’EDTA viene determinato mediante titolazione complessometrica di aliquote della soluzione standard di calcio, usando nero eriocromo T come indicatore di fine titolazione.

Il sale disodico dell’EDTA (piu` avanti indicato con Na2Y) non puo` normalmente essere considerato una sostanza madre (3Cap. 27). Le sue soluzioni vanno quindi standardizzate con opportuni standard primari, tra i quali vi e` il CaCO3 che noi utilizzeremo. Per questa titolazione si puo` scegliere tra due indicatori metallocromici che operano a diversi valori di pH: l’acido calconcarbonico (specifico per il calcio), che va usato a pH 12, oppure il nero eriocromo T (NET), specifico per il magnesio ma utilizzabile con accorgimenti opportuni anche per il calcio, che va usato a pH 10. Nel caso si utilizzi il NET per la reazione con Ca2þ, la soluzione da titolare deve contenere una piccola quantita` di ioni Mg2þ. Il motivo di tale necessita` e i dettagli sulle reazioni coinvolte sono stati illustrati nel Cap. 27.4 (Titolazioni di spostamento).

A ] Preparazione di una soluzione 0,01 M del sale disodico di EDTA contenente Mg-EDTA STRUMENTI DI LAVORO bilancia tecnica cilindro graduato da 1 L becher da 100 mL PROCEDIMENTO

MATERIALI E SOSTANZE Na2Y (sale disodico) solido MgCl2  6H2O solido acqua di grado analitico

– Riempire il cilindro da 1 L con acqua di grado analitico. – Calcolare la quantita` di Na2Y da pesare per preparare 1 L di una soluzione 0,01 M e pesarla in un becher da 100 mL. – Pesare circa 0,1 g di MgCl2  6H2O e aggiungerlo a Na2Y nel becher. – Sciogliere la miscela dei due solidi usando parte dell’acqua contenuta nel cilindro. – Versare la soluzione in una bottiglia di politene e aggiungere la restante parte di acqua. – Agitare.

B ] Preparazione della soluzione standard di calcio STRUMENTI DI LAVORO stufa essiccatore bilancia analitica becher da 50 mL cilindro graduato da 25 mL contagocce matraccio tarato da 1 L bottiglie di politene

MATERIALI E SOSTANZE CaCO3, puro per analisi soluzione di HCl 3 M acqua di grado analitico

184 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

PROCEDIMENTO

Non eccedere nell’aggiungere HCl.

– Mettere in stufa CaCO3 a 150 8C per 2 ore, poi raffreddare in essiccatore per 10-15 min. – Calcolare la quantita` di carbonato necessaria per preparare una soluzione standard 0,01 M e pesarla accuratamente circa nel becher da 50 mL. – Aggiungere 20 mL di acqua di grado analitico. – Aggiungere goccia a goccia una soluzione di HCl 3 M fino a quando il solido e` completamente disciolto. – Trasferire quantitativamente nel matraccio tarato da 1 L e portare a volume. – Conservare in bottiglia di politene (ricordarsi di avvinarla).

C ] Standardizzazione della soluzione di Na2Y contenente MgY STRUMENTI DI LAVORO bilancia tecnica beuta da 250 mL buretta da 25 o 50 mL cilindro da 100 mL pipetta da 20 mL a due tacche propipetta

PROCEDIMENTO

PER CONCLUDERE PROPOSTE PER APPROFONDIRE

PER I CALCOLI

MATERIALI E SOSTANZE soluzione di Na2Y 0,01 M contenente MgY soluzione standard di Ca2+ 0,01 M soluzione di nero eriocromo T all’1% (p/V) in trietanolammina soluzione tampone a pH 10 acqua di grado analitico

– Preparare la soluzione tampone a pH 10: sciogliere 6,8 g di NH4Cl in un po’ di acqua di grado analitico; aggiungere 57 mL di NH3 al 27% e diluire a circa 100 mL. – Prelevare con la pipetta 20 mL di soluzione standard di calcio e versarli in una beuta da 250 mL – Predisporre la buretta con la soluzione di Na2Y. – Aggiungere 50 mL di acqua di grado analitico, 10 mL di soluzione tampone a pH 10 e 2 gocce di indicatore NET. – Titolare fino a viraggio da rosso ad azzurro (scomparsa dei riflessi viola). – Ripetere la titolazione almeno 3 volte. – Calcolare media e intervallo di incertezza della concentrazione di Na2Y. Effettuare la standardizzazione di EDTA utilizzando come indicatore l’acido calconcarbonico (aggiungere una punta di spatola): 1. per la soluzione tampone a pH 12 sciogliere 25 g di KOH in 100 mL di acqua distillata; 2. per l’indicatore mescolare 0,25 g di acido calconcarbonico con 25 g di Na2SO4 anidro e triturare nel mortaio fino a ottenere una polvere omogenea; conservare in bottiglia di vetro scuro ben tappata. – C] ðM  V Þ CaCO3 Per ogni titolazione: M Na2 Y ¼ V Na2 Y

185 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

LAB 37

Determinazione della durezza di un’acqua 1 ora

Si effettua una titolazione complessometrica con Na2Y di un campione di acqua, usando come indicatore il nero eriocromo T (NET) a pH 10.

La durezza di un’acqua e` data dalla presenza di ioni calcio e magnesio, che formano sali poco solubili con gli anioni degli acidi grassi, come per esempio gli acidi oleico e stearico contenuti nei saponi. In genere si distingue tra durezza totale, permanente, temporanea. La durezza totale esprime la concentrazione di calcio e magnesio in un’acqua. La durezza temporanea corrisponde a quella parte della durezza totale che scompare in seguito all’ebollizione dell’acqua a causa della decomposizione dello ione bicarbonato accompagnata dalla precipitazione di carbonato, secondo la reazione: Ca2þ þ 2HCO 3 ! CaCO3(s) þ CO2 þ H2O La durezza permanente e` quella che corrisponde al calcio e al magnesio rimasti in soluzione dopo l’ebollizione. Secondo le convenzioni internazionali, la durezza deve essere espressa in mmol  L1 di CaCO3 (oppure in mg  L1; per CaCO3 1 mmol  L1 ¼ 100 mg  L1), tuttavia si usa ancora ampiamente il grado francese, definito come segue: 1 8F ¼ 1 mg CaCO3 in 100 mL (1 8F ¼ 10 mg  L1 CaCO3) La Tabella Lab. 37.1 riporta una classificazione delle acque in base al loro grado di durezza. Tutti conoscono gli inconvenienti legati ai depositi di calcare nelle condutture o sulle guarnizioni dei rubinetti e la necessita` di usare piu` detersivo quando l’acqua e` troppo ‘‘dura’’ (cioe` ricca di sali). A livello industriale, un’acqua dura causa incrostazioni dovute ai depositi di carbonati, solfati e silicati di metalli alcalino-terrosi, che abbassano notevolmente il rendimento delle apparecchiature. Poiche´ la precipitazione e` favorita dall’aumento di temperatura, il fenomeno coinvolge soprattutto gli scambiatori di calore e le caldaie. In settori particolari, come nell’industria della tintoria, calcio e magnesio possono formare composti insolubili con alcuni coloranti e creare problemi di cattiva distribuzione del colore sui tessuti. Tabella Lab. 37.1 Classificazione delle acque in base alla durezza.

Durezza (in  F)

Tipo di acqua

Durezza (in  F)

molto dolce

0-4

discreta

12-18

dolce

4-8

dura

18-30

media

8-12

molto dura

> 30

Tipo di acqua

186 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

STRUMENTI DI LAVORO beuta da 250 mL pipetta tarata da 50 o 100 mL buretta da 25 o 50 mL propipetta imbuto e carta da filtro

MATERIALI E SOSTANZE soluzione di Na2Y 0,01 M a titolo noto soluzione di NET all’1% (p/V) in trietanolammina soluzione tampone a pH 10 (3LAB 36) acqua di grado analitico

A ] Determinazione della durezza totale PROCEDIMENTO

– Prelevare con la pipetta un’opportuna aliquota di campione (50 o 100 mL) e versarla in una beuta da 250 mL, aggiungere 10 mL di tampone a pH 10 e 2 gocce di indicatore NET. – Predisporre la buretta con la soluzione titolante di Na2Y a titolo noto. – Titolare fino a viraggio da rosso ad azzurro (scomparsa dei riflessi viola). – Ripetere la titolazione almeno 3 volte.

B ] Determinazione della durezza permanente PROCEDIMENTO

– Prelevare con la pipetta un’opportuna aliquota di campione (50 o 100 mL) e versarla in una beuta da 250 mL, aggiungere 10 mL di tampone a pH 10 e 2 gocce di indicatore NET. – Portare a ebollizione per 15 min, raffreddare e filtrare. – Predisporre la buretta con la soluzione titolante di Na2Y a titolo noto. – Titolare fino a viraggio da rosso ad azzurro (scomparsa dei riflessi viola). – Ripetere la titolazione almeno 3 volte.

PER CONCLUDERE

– Calcolare media e intervallo di incertezza del risultato delle analisi effettuate espresso come durezza in gradi francesi. – Calcolare il valore della durezza temporanea sottraendo quello della durezza permanente dal valore della durezza totale.

DOMANDE

PER I CALCOLI



Sai calcolare le mmol  L1 di CaCO3? Quali trasformazioni subisce l’indicatore nel corso della titolazione? Quale ruolo svolge il tampone a pH 10 nella titolazione? Ipotizza qualche sistema di addolcimento (cioe` di eliminazione della durezza) delle acque. Come si potrebbero eliminare le incrostazioni calcaree da un contenitore di acciaio? E da uno di vetro?

– A] ðM  V Þ Na2 Y Per ogni titolazione: M ðCa, Mg,:::Þ ¼ V campione d0 acqua Durezza ð FÞ ¼ M ðCa, Mg,:::Þ  MM CaCO3  100

187 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

LAB 38

Determinazione del calcio e del magnesio nelle acque

2 ore

La determinazione prevede due fasi: nella prima vengono titolati calcio e magnesio insieme, utilizzando il metodo complessometrico per la determinazione della durezza (3come in Lab. 37); nella seconda si titola (sempre per via complessometrica) solo il calcio, dopo aver precipitato il magnesio come idrossido a pH  12, usando come indicatore l’acido calconcarbonico. Il contenuto di magnesio viene determinato per differenza.

Il calcio e` senz’altro il maggiore responsabile della durezza di un’acqua, ancor piu` del magnesio, che anzi spesso e` praticamente assente. Il diverso comportamento dei due elementi nelle varie circostanze di utilizzo delle acque rende utile conoscerne le concentrazioni relative. Con il metodo descritto di seguito vengono titolati tutti i cationi bivalenti presenti in un’acqua, piu` il ferro e l’alluminio. Nella determinazione di calcio e magnesio interferiscono quindi tutti gli altri cationi bivalenti che pero`, in un’acqua naturale, sono presenti in genere in concentrazioni molto basse. STRUMENTI DI LAVORO beuta da 250 mL pipetta tarata da 50 o 100 mL buretta da 25 o 50 mL propipetta

MATERIALI E SOSTANZE soluzione di EDTA disodico (Na2Y) 0,01 M a titolo noto soluzione tampone a pH 12 (sciogliere 25 g di KOH in 100 mL di acqua di grado analitico) acido calconcarbonico disperso all’1% in Na2SO4 anidro soluzione di NET all’1% (p/V) in trietanolammina soluzione tampone a pH 10 (3LAB 37) acqua di grado analitico

A ] Determinazione della somma di calcio e magnesio (durezza totale) PROCEDIMENTO

– Prelevare con la pipetta un’opportuna aliquota di campione (50 o 100 mL) e versarla in una beuta da 250 mL. – Aggiungere 10 mL di tampone a pH 10 e 2 gocce di indicatore NET. – Predisporre una buretta con la soluzione titolante di Na2Y. – Titolare fino a viraggio da rosso ad azzurro (scomparsa dei riflessi viola). – Ripetere la titolazione almeno tre volte.

B ] Determinazione del calcio PROCEDIMENTO

– Prelevare con la pipetta un’opportuna aliquota di campione (50 o 100 mL) e versarla in una beuta da 250 mL. – Aggiungere 10 mL di tampone a pH 12 e una punta di spatola di indicatore (acido calconcarbonico). 188

Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

– Predisporre una buretta con la soluzione titolante di Na2Y. – Titolare fino a viraggio da rosso ad azzurro. – Ripetere la titolazione almeno 3 volte. PER CONCLUDERE

PER I CALCOLI

– Determinare media e intervallo d’incertezza del contenuto di calcio e magnesio dell’acqua sottoposta ad analisi, espresso come mg  L1 . – A] ðM  V Þ Na2 Y Per ogni titolazione (ind. NET): M ðCa, Mg,:::Þ ¼ V campione d0 acqua – B] ðM  V Þ Na2 Y Per ogni titolazione (ind. Calcon): M Ca ¼ V campione d0 acqua mg  L1 Ca ¼ M Ca  MM Ca  1000 mg  L1 Mg ¼ ðM ðCaþMgÞ  M Ca Þ  MM Mg  1000

189 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

LAB 39

2 ore + il tempo di muffola

Determinazione del calcio nel formaggio La determinazione del calcio viene condotta attraverso le seguenti fasi: incenerimento del formaggio; solubilizzazione delle ceneri con HCl; precipitazione del calcio come ossalato a pH 4 5:

Ca2þ þ C2 O2 4 ! CaC2 O4 filtrazione del precipitato e ridissoluzione in H2 SO4 :

CaC2 O4 þ 2 Hþ ! Ca2þ þ H2 C2 O4 titolazione dell’acido ossalico con KMnO4 .

Dopo il latte in polvere, il formaggio e` la maggiore fonte di calcio nell’alimentazione; in 100 g di formaggio possono essere contenuti:  1,2 g di calcio (parmigiano, grana e pecorino),  0,9 g (fontina), fino a  0,2 g (scamorza e formaggi freschi come la mozzarella). STRUMENTI DI LAVORO crogiolo di porcellana bilancia analitica stufa e muffola cilindro graduato da 50 mL becher da 250 mL filtro medio imbuto provette beuta da 250 mL buretta di vetro scuro da 25 o 50 mL bacchetta di vetro a punta Bunsen, treppiede, reticella e triangolo di refrattario

PROCEDIMENTO D’ora in poi puoi utilizzare sempre le pinze per maneggiare il crogiolo.

Incenerimento

– – – – – –

Nel caso in cui si formassero una fiamma o fumi abbondanti, chiudere l’apertura del crogiolo con un vetro d’orologio, allontanando la fiamma del Bunsen; riprendere il riscaldamento solo quando la fiamma e` spenta e non si nota uno sviluppo eccessivo di fumi.

MATERIALI E SOSTANZE soluzione di NH4NO3 all’1% HCl al 37% e in soluzione 4 M soluzione satura di (NH4)2C2O4 soluzione di NH3 2 M soluzione di KMnO4 0,1 N a titolo noto soluzione acquosa di metilarancio all’1% soluzione acquosa di (NH4)2C2O4 all’1% HNO3 al 65% soluzione di AgNO3 al 5% soluzione di H2SO4 2 M acqua di grado analitico

– – – – –

Pulire accuratamente il crogiolo e asciugarlo in stufa a 110  C. Lasciare raffreddare in essiccatore per 10 15 minuti. Omogeneizzare il formaggio da analizzare. Pesare nel crogiolo accuratamente circa 5 g di formaggio omogeneizzato. Collocare in stufa a 110  C per 1 ora allo scopo di eliminare l’umidita` dal campione. Mettere il crogiolo sul supporto triangolare di refrattario e cominciare a scaldare, sotto cappa aspirante, usando un Bunsen, con cautela. Continuare a scaldare cautamente facendo attenzione a non far sviluppare fumi eccessivi o, peggio, fiamme. Mettere il crogiolo in muffola per almeno 4 5 ore, a 550  C. Controllare che le ceneri siano bianche. Se le ceneri contengono residui carboniosi o risultano grigio-nere, aggiungere al crogiolo raffreddato qualche goccia di soluzione di NH4NO3 all’1%. Portare a secco su Bunsen con cautela e rimettere in muffola per un paio d’ore. Lasciare raffreddare in essiccatore per 10 15 minuti.

190 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Solubilizzazione delle ceneri

– Versare nel crogiolo contenente le ceneri 10 mL di soluzione di HCl 4 M e qualche goccia di HNO3 al 65%. – Solubilizzare e trasferire quantitativamente in un becher da 250 mL. Se le ceneri non si sciolgono completamente, effettuare una seconda aggiunta di HCl 4 M. – Sciacquare il crogiolo e versare le acque di lavaggio nello stesso becher usato in precedenza.

Usare guanti e occhiali

Precipitazione e filtrazione di CaC2O4 Il Bunsen va utilizzato sempre sotto cappa aspirante.

– Aggiungere alla soluzione delle ceneri 50 mL di soluzione satura di (NH4)2C2O4. – Sciogliere l’eventuale precipitato che si forma con qualche goccia di HCl al 37%. – Portare all’ebollizione, aggiungere qualche goccia di metilarancio e, agitando, aggiungere NH3 2 M, goccia a goccia fino a viraggio da rosso a giallo. Si ottiene cosı` il precipitato di CaC2O4. – Lasciare a riposo la soluzione per 4 6 ore. – Preparare un filtro medio su imbuto di vetro. – Filtrare per decantazione il precipitato e lavarlo, sempre per decantazione, con la soluzione diluita di (NH4)2C2O4 calda. – Continuare il lavaggio fino a completa eliminazione dei cloruri. Per il test, prelevare qualche goccia di liquido filtrato in una piccola provetta, aggiungere 2 gocce di HNO3 al 65% e qualche goccia di soluzione di AgNO3 al 5%. Se si nota un precipitato bianco (o comunque una qualsiasi torbidita`), i cloruri sono presenti in quantita` tali da interferire con l’analisi. – Trasferire tutto il precipitato sul filtro aiutandosi con acqua di grado analitico e lavare il precipitato sul filtro fino a eliminazione dell’ossalato. Per il test, prelevare qualche goccia di liquido filtrato, aggiungere qualche goccia di H2SO4 2 M, scaldare a 60 65 8C e aggiungere 1-2 gocce di soluzione di KMnO4. Se la soluzione rimane violetta, l’ossalato e` stato eliminato. – Smaltire tutte le acque di lavaggio negli appositi contenitori. Preparazione della soluzione da titolare e titolazione

Il punto critico del procedimento e` la solubilizzazione del precipitato di CaC2O4. Quando si buca il filtro e nei successivi lavaggi non si deve assolutamente far cadere alcun frammento di carta nella soluzione sottostante.

PER CONCLUDERE

– Mettere una beuta da 250 mL sotto l’imbuto contenente il filtro e il precipitato. – Versare H2SO4 2 M caldo sul filtro. Agitare con cautela con la bacchetta di vetro per sciogliere il precipitato. – Bucare il filtro con la punta della bacchetta di vetro. – Continuare a lavare con H2SO4 2 M caldo raccogliendo le acque di lavaggio nella medesima beuta. – Aggiungere 20 mL di H2SO4 2 M, diluire fino a 150 mL circa. – Predisporre la buretta con la soluzione di permanganato. – Scaldare a 60 65 8C e titolare fino a colorazione rosa persistente. – Calcolare gli equivalenti di acido ossalico titolati. – Calcolare le moli di calcio precipitate come ossalato. 191

Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

– Calcolare la massa di calcio presente nel campione di formaggio e la sua percentuale. DOMANDE

PER I CALCOLI

Esprimere il risultato come g CaCO3/kg di formaggio. Calcolare la massa di calcio corrispondente a 1 equivalente di KMnO4. Che cosa succede se cade della carta nella soluzione da titolare? Supponendo che nelle ceneri il calcio sia presente come carbonato, scrivere la reazione di solubilizzazione con HCl. Scrivere la sequenza di tutte le reazioni coinvolte nell’analisi.



– mol Ca ¼ mol ossalato ¼ % p/p Ca ¼

ðN  V Þ KMnO4 2

mol Ca  MM Ca  100 g formaggio pesati

192 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

LAB 40

Riconoscimento di pigmenti pittorici 3 ore

Si effettua un saggio di riconoscimento di due pigmenti di natura inorganica, basandosi sul colore e procedendo a indagini di tipo fisico (aspetto morfologico del solido, costituito da cristalli) e chimico, mediante prove specifiche che confermino la presenza/assenza di determinati ioni.

Riconoscimento di altri pigmenti pittorici

I pigmenti sono sostanze aventi la capacita` di impartire colorazione al materiale su cui vengono depositati o nel quale vengono incorporati. Per queste loro caratteristiche sono stati e sono tuttora ampiamente utilizzati in molti campi (per vernici, inchiostri, tessuti, gomme, materie plastiche ecc.), tra cui quello artistico-pittorico. I pigmenti per la pittura sono dispersi in un mezzo che fa da legante e fissativo dello strato pittorico (colla animale, uovo, caseina del latte, oli e cere, gomme naturali e resine anche a base di polimeri sintetici), in modo da poterli distribuire e stabilizzare sulla superficie prescelta. I pigmenti non vanno confusi con i coloranti, in quanto questi ultimi sono solubili nel mezzo in cui si usano. Il riconoscimento del tipo di pigmento utilizzato da un pittore assume una fondamentale importanza nei procedimenti di restauro, nei quali si tende a rispettare il piu` possibile l’opera originaria. Le tecniche analitiche in questo campo sono particolarmente sofisticate e sono condotte da specialisti. Uno strumento di indagine utile per riconoscere un pigmento e` il microscopio ottico, meglio se attrezzato per l’osservazione in luce polarizzata. Per quanto riguarda i saggi analitici di natura chimica, si tratta di prove tipiche dell’analisi qualitativa degli ioni che compongono i pigmenti. STRUMENTI DI LAVORO lente di ingrandimento 4-8X provette e tubicini da saggio Bunsen capsula piastra per saggi alla tocca

Tabella Lab. 40.1 Pigmenti rossi.

MATERIALI E SOSTANZE HCl 3 M NaOH 4M HNO3 concentrato reattivi specifici

Nome

Composizione chimica

cinabro o vermiglio

una forma di HgS

ocra rossa

Fe2O3 anidro o variamente idrato

ematite

una forma di Fe2O3

minio

Pb3O4

rosso di cadmio o arancio di cadmio

CdS e/o solfoseleniuri di cadmio

A ] Riconoscimento dell’ocra rossa (Fe2O3 o Fe2O3nH2O) Le ocre si presentano con diverse gradazioni di colore, dal giallo pallido al bruno scuro. Nelle ocre gialle il colore e` legato alla presenza di minerali di ferro, come la goethite, -FeO(OH), che si trovano mescolati a minerali argillosi e altri composti, come gesso e carbonato di magnesio. Nelle ocre piu` scure il minerale di Fe prevalente e` la limonite (Fe2O3  nH2O), presente insieme a minerali argillosi (caolinite e illite). 193 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Le ocre sono pigmenti fra i piu` diffusi e utilizzati fin dall’antichita`. Si tratta di colori altamente stabili e resistenti, consigliabili percio` nella tecnica dell’affresco. L’ocra rossa si presenta in grani di diverso aspetto, a volte come cristalli rosso intenso, di solito birifrangenti. A.1] Saggi analitici

– In HCl 3M e` leggermente solubile; in HCl concentrato si scioglie dando una soluzione gialla. – In NaOH 4M e` inerte. – In HNO3 concentrato e` parzialmente solubile. – E` stabile al calore.

Il Bunsen va utilizzato sempre sotto cappa aspirante.

A.2] Reazione specifica PROCEDIMENTO

Tabella Lab. 40.2 Pigmenti blu.

– Portare in soluzione, in una vaschetta per saggio alla tocca, alcuni granuli di pigmento trattandoli con una goccia di HCl concentrato. – Portare a secco esponendo il campione al calore di una lampadina (meglio se a luce infrarossa) fino a completa evaporazione dell’acido. – Raffreddare e aggiungere poche gocce di HCl 2N; a questo punto si puo` procedere in due modi: – aggiungere una goccia di soluzione di K4Fe(CN)6 all’8%; in presenza di Fe3þ si forma un precipitato di colore blu intenso, costituito da Fe4[Fe(CN)6]3, detto blu di Prussia o di Berlino; in eccesso di ferrocianuro si forma anche FeK[Fe(CN)6], anch’esso colorato intensamente in blu; – aggiungere 2 gocce di soluzione satura di tiocianato di ammonio; in presenza di ioni ferrici compare una colorazione dovuta alla formazione di complessi ferro-tiocianato, rosso sangue. Nome

Composizione chimica

blu di Prussia, di Berlino e di Cina

Fe4[Fe(CN)6]3 e composti correlati: FeK[Fe(CN)6]; (NH4)4[Fe(CN)6]

blu cobalto o blu di The´nard

CoO  Al2O3, ovvero alluminato di cobalto, CoAl2O4

blu oltremare naturale o lapislazuli

solfuri e silicoalluminati di sodio, 3Na2O  3Al2O3  6SiO2  2Na2S

azzurrite

2CuCO3  Cu(OH)2

smalto

K2SiO3 e CoO

indaco

composto organico

blu ceruleo

stannato di cobalto, CoO  nSnO2

B ] Riconoscimento dell’azzurrite o azzurro della magna: carbonato basico di rame, 2CuCO2 . Cu(OH2) E` tratto dall’omonimo minerale e presenta un bel colore blu. Si estrae da giacimenti in cui si trova associato all’altro minerale, la malachite, costituito anch’esso da un carbonato basico di rame CuCO3  Cu(OH)2. 194 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Non a caso l’azzurrite subisce una spontanea degradazione col passaggio dalla forma 2CuCO3  Cu(OH)2 in CuCO3  Cu(OH)2 (malachite), visibile in molte pitture murali. In tempi recenti e` stato descritto un altro effetto di degradazione del pigmento, che in alcune condizioni, sotto l’azione di ioni Cl presenti nell’acqua e assorbiti dall’intonaco per capillarita` in condizioni di umidita` elevata, porta alla trasformazione del carbonato basico di rame in paratacamite o atacamite, che sono due forme di cloruro basico di rame CuCl  3Cu(OH)2 di colore verde. E` noto che, nel corso del tempo, sui dipinti in tavola o tela, l’azzurrite, soprattutto se non miscelata con altri colori e stesa in strati densi, puo` cambiare colore dando tonalita` verdi scure o quasi nere, ma questo fenomeno va addebitato in parte ai leganti e alle vernici usate, o alla formazione di ossido rameico, secondo meccanismi non ancora ben chiariti. I cristalli sono abbastanza grandi e ben definiti, tendenti al verde. Sono birifrangenti e danno brillanti colori d’interferenza. B.1] Saggi analitici

– In HCl 3M e` molto solubile, con effervescenza da CO2. – In NaOH 4 M si osserva una lenta formazione di CuO nero sulla superficie delle particelle. – In HNO3 concentrato e` molto solubile, con effervescenza da CO2 e formazione di una soluzione azzurro pallido. – Per riscaldamento da` un residuo nero di CuO. B.2] Reazione specifica PROCEDIMENTO

Si puo` procedere in diversi modi: – sciogliere qualche granello in eccesso di ammoniaca concentrata: si ottiene una intensa colorazione blu, dovuta al complesso tetraamminorame; – trattare alcuni granelli in una piastra per saggio alla tocca con una goccia di HCl o HNO3 concentrati; – essiccare al calore di una lampada (meglio se a raggi infrarossi) e, dopo raffreddamento, trattare con una goccia di soluzione all’8% in acqua di ferrocianuro di potassio, K4Fe(CN)6. In presenza di rame si forma una colorazione rosso-bruna, dovuta al ferrocianuro di rame.

195 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

LAB 41

Analisi di rivestimenti galvanici 2-3 ore

Il rivestimento metallico di un manufatto viene portato in soluzione con un attacco chimico. Il comportamento del campione rispetto ai diversi agenti permette il riconoscimento del metallo.

La galvanoplastica consiste nel rivestire manufatti di metalli facilmente esposti alla corrosione con un sottile strato protettivo di altri metalli. I metalli usati come rivestimenti sono numerosi e con prestazioni (e costi) alquanto diverse. STRUMENTI DI LAVORO contagocce piatti di porcellana per saggi alla tocca vetreria comune da laboratorio

PROCEDIMENTO

MATERIALI E SOSTANZE HNO3 7 M HCl al 37% NaOH al 10% NH3 al 28% Na2S al 10% dimetilgliossima (DMG) all’1% in etanolo acqua di grado analitico

campione + HNO3 7 M

non si scioglie

+ HCl 37%

+ NaOH 10%

verde

sviluppo gas

cromo

alluminio

si scioglie

colore chiaro o incolore

Na2S 10%

colore blu

NH328% NH328% +5 gocce DMG

NaOH 10%

colore giallo

colore bianco

colore biancastro

colore bruno-nero

colore rosso

colore blu

cadmio

zinco

piombo

argento

nichel

rame

PROPOSTE PER APPROFONDIRE

– Verificare l’efficacia dei metodi proposti utilizzando altri tipi di materiale, tenendo presente che la tecnologia galvanica e` in grado di rivestire di metallo anche i materiali plastici. – Sottoporre ad analisi materiali che appaiono metallici (per esempio, lucenti di cromo), ma sono troppo ‘‘leggeri’’ per esserlo davvero: particolari di penne a sfera, maniglie, bottoni ecc.

196 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

LAB 42

Esercitazione multidisciplinare: una reazione oscillante

2 + 2 + 2 ore

Si preparano alcune soluzioni per realizzare una reazione «oscillante». Se la preparazione e` stata effettuata in modo corretto, si osservera` un cambiamento ciclico del colore della miscela finale (reazione di Briggs-Rauscher).

L’esercitazione proposta e` di tipo multidisciplinare; infatti puo` coinvolgere gli insegnanti di Analisi chimica e laboratorio e di Inglese. Gli obiettivi dell’esercitazione sono: verifica della corretta esecuzione dei calcoli e della preparazione di soluzioni di data concentrazione osservando se avviene una reazione oscillante; collegamento via Internet con il sito del «Journal of Chemical Education» (abbreviato JCE d’ora in poi) per trovare l’articolo in cui viene descritta l’esercitazione e ulteriore navigazione nel sito per scoprire quali sono le reazioni che avvengono; traduzione, con l’aiuto dell’insegnante di Inglese, dell’introduzione e di altre parti significative del materiale scaricato dal sito. L’esercitazione e` descritta in un articolo di M. Rachel Wang sul numero di febbraio 2000 della rivista americana JCE (sito Internet: http://jchemed.chem. wisc.edu). Per approfondire la ricerca nel sito e scaricare altro materiale sulla stessa esercitazione e` necessario essere iscritti alla rivista e digitare il nome dell’iscritto e la password corrispondente (solitamente le scuole a indirizzo chimico sono abbonate alla rivista e possono scaricare tutto il materiale reperibile on-line). STRUMENTI DI LAVORO bilancia becher matracci tarati spatola cilindri graduati bacchetta di vetro Bunsen con reticella imbuti

MATERIALI E SOSTANZE acido malonico (HCOO–CH2–COOH) solido MnSO4  H2O solido KIO3 solido H2SO4 soluzione concentrata H2O2 soluzione concentrata amido solubile solido acqua di grado analitico

A ] Preparazione delle soluzioni PROCEDIMENTO

– Preparare le seguenti soluzioni: a. soluzione di acido malonico 0,15 M e MnSO4 0,020 M b. soluzione di KIO3 0,20 M e H2SO4 0,080 M c. soluzione di H2O2 3,6 M d. soluzione al 3% (massa/volume) di amido – Lavorando in gruppo, ci si puo` dividere il compito; ognuno puo` preparare 250 mL delle diverse soluzioni.

B ] Realizzazione della reazione di Briggs-Rauscher – Versare contemporaneamente in un becher volumi uguali delle soluzioni a, b, c (per esempio 10 mL di ciascuna) e aggiungere poche gocce della soluzione d. 197 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

– Agitare leggermente con bacchetta di vetro un paio di volte e, per rendere piu` evidente la reazione, trasferire subito in un cilindro di capacita` opportuna. – Se le concentrazioni delle soluzioni hanno valori corrispondenti a quelli indicati, si osserveranno i cambiamenti di colore caratteristici della reazione citata, che per qualche minuto si alterneranno ciclicamente. DOMANDE

Quali reazioni avvengono? Che cos’e` una reazione «oscillante»?

198 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

LAB 43

Ricerca di azoto, fosforo e potassio nei fertilizzanti

2 ore

Per ogni elemento viene proposto un metodo specifico di ricerca (analisi qualitativa), che dipende anche dal composto in cui esso si trova.

I fertilizzanti (o concimi) sono sostanze di natura organica o minerale, naturali o artificiali, che vengono aggiunti al terreno per arricchirlo dei componenti nutritivi necessari per la crescita delle piante o di un particolare tipo di esse. I principali elementi nutritivi sono: ` contenuto nei fertilizzanti azotati, L’azoto, che stimola l’attivita` vegetativa. E che forniscono l’elemento sotto forma nitrica (nitrati di calcio, sodio, ammonio ecc.), ammoniacale (solfato ammonico) e organica di sintesi (urea e calciocianammide, CaCN2). Molti concimi naturali contengono azoto sotto diverse forme (come le proteine). Ricordiamo il sangue, le farine di carne, le piume e il «nitro del Cile» (nitrato di sodio), che deriva dai depositi di guano. Il fosforo, che stimola la fruttificazione. Si trova nei fertilizzanti fosfatici, che sono tutti di produzione industriale (fosfati di calcio). Il cosiddetto perfosfato e` una miscela di fosfati di calcio, trattati in modo tale da essere resi piu` solubili e quindi contenenti, oltre al fosfato tricalcico, Ca3(PO4)2, anche il fosfato mono- e bicalcico. Nel perfosfato e` anche presente del solfato di calcio, con piccole quantita` di silice, fluoruri ecc. Il potassio, che interviene nel trasporto delle sostanze nutrienti ai frutti e ai semi. Si trova principalmente come solfato e come cloruro, ma anche in minerali come la kainite, che contiene anche magnesio. Il calcio, che regola l’assorbimento degli ioni e controlla l’acidita` del liquido cellulare. Si trova nei fosfati e nei solfati, ma soprattutto nel calcare, carbonato di calcio. Questi elementi sono presenti nei fertilizzanti sotto forme diverse, come composti organici e inorganici. Se non e` nota la natura di un fertilizzante o se si vuole confermare la presenza/assenza di un nutriente, e` possibile effettuare alcuni saggi preliminari, proposti in questa esperienza. STRUMENTI DI LAVORO normale vetreria di laboratorio mortaio e pestello bacchetta di vetro Bunsen



MATERIALI E SOSTANZE indicatore universale MgO H2SO4 al 96% HNO3 6 M H2SO4 2 M NaOH 2 M FeSO4 CH3COOH glaciale PROCEDIMENTO



reattivo del biureto NH3 2 M AgNO3 0,1 M CuSO4 (1 g/L) (NH4)2MoO4 citrato di ammonio HCl al 37% Na2S2O3 al 10% Bi(NO3)3  5H2O al 24% etanolo HClO4 al 65% acido tartarico al 10% acetato di sodio al 10% acqua di grado analitico

Preparazione del campione

– Se il prodotto da analizzare si trova sotto forma solida, bisogna essiccarlo e poi omogeneizzarlo e polverizzarlo in mortaio; possibilmente passarlo in un setaccio con fori aventi un diametro massimo di 1 mm. – Se il prodotto da analizzare e` gia` in soluzione si opera su quest’ultima. 199 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

pH del fertilizzante

– Se il prodotto e` gia` in soluzione, se ne preleva una goccia e la si lascia cadere su una cartina indicatrice di pH in modo da valutarne orientativamente il pH. – Se il prodotto e` solido, trattare 0,5 g di campione (opportunamente preparato come sopra indicato) con 5 mL di acqua di grado analitico, agitare bene e saggiare con una cartina indicatrice di pH. Il Bunsen va utilizzato sempre sotto cappa aspirante.

Ricerca dell’azoto ammoniacale

– Trattare 1 g di campione con 5 mL di acqua di grado analitico e 0,2 g di MgO; portare all’ebollizione. La presenza di NH3 sara` evidenziata dall’odore dei vapori o con una cartina indicatrice di pH, che si colora in blu quando viene investita dai vapori basici ammoniacali. – Per verificare se si tratta di solfato ammonico, acidificare la soluzione con HCl e poi trattarla con qualche goccia di BaCl2. La formazione di un precipitato di BaSO4 evidenzia la presenza dei solfati. Ricerca dell’azoto nitrico

– – – –

Trattare 1 g di campione con 5 mL di acqua di grado analitico, agitare e filtrare. Versare il liquido filtrato in una provetta, acidificare con H2SO4 2 M. Aggiungere una punta di spatola di FeSO4 solido. Tenere la provetta inclinata e aggiungere un po’ di H2SO4 concentrato lentamente, facendolo scorrere lungo le pareti in modo che si stratifichi sul fondo. – Se sono presenti i nitrati si formera` un anello bruno all’interfaccia tra la soluzione e l’H2SO4 concentrato. Ricerca dell’azoto cianammidico

– Trattare 1 g di campione con 5 mL di acqua di grado analitico acidulata con CH3COOH, agitare e filtrare. – Rendere basica la soluzione con NH3 2 M e aggiungere una soluzione di AgNO3 0,1 M. – Se e` presente azoto cianammidico, si forma un precipitato giallo insolubile in eccesso di NH3. Ricerca dell’azoto ureico

– Portare a secco 5 mL di campione oppure fonderne lentamente 1 g in una provetta asciutta fino a ottenere una massa solida. – Aggiungere acqua di grado analitico e 2-3 mL di reattivo del biureto. In presenza di urea la soluzione si colora in rosa (reazione del biureto). Nella reazione interferiscono eventuali sostanze organiche complesse. Ricerca dell’azoto organico

– Se non e` presente azoto ammoniacale, si mescolano 1 g di campione con 3 g di calce sodata e si riscalda. Se si sviluppa NH3, riconoscibile dall’odore o mediante una cartina indicatrice, e` presente azoto organico. – In presenza di azoto ammoniacale si procede a un ripetuto lavaggio del campione con acqua, fino alla completa eliminazione dell’NH3 nelle acque di lavaggio; poi si effettua il saggio descritto qui sopra sul residuo essiccato in stufa. 200 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Ricerca dei fosfati solubili in acqua

– Trattare 0,5 g di campione con 5 mL di acqua di grado analitico, agitare e filtrare. – Acidificare la soluzione filtrata con HNO3 , aggiungere una soluzione di (NH4)2MoO4 e scaldare leggermente. In presenza di fosfati si forma un precipitato giallo. Ricerca dei fosfati solubili in citrato ammonico

– Lavare 2 g di campione con acqua di grado analitico (fino a scomparsa dei fosfati solubili in acqua). – Filtrare e lasciare il residuo a contatto per mezz’ora con una soluzione di citrato ammonico. – Filtrare (recuperando il precipitato che verra` sottoposto alla ricerca dei fosfati insolubili) e acidificare con HCl, portare all’ebollizione; aggiungere NH3 e miscela magnesiaca. Se sono presenti fosfati si ottiene un precipitato bianco cristallino. Il precipitato, per conferma, puo` essere trattato con HNO3 e poi con (NH4)2MoO4, come in precedenza. Ricerca dei fosfati insolubili

– Bollire il residuo che non si e` sciolto con il trattamento precedente in 10 mL di HNO3 6 M. Lasciare a riposo, filtrare e ricercare i fosfati con la reazione al molibdato ammonico. Ricerca del potassio solubile in acqua

– Bollire 2 g di campione in 10 mL di acqua. – Filtrare e dividere in due porzioni: – rendere basica la prima porzione con NaOH, filtrare di nuovo, acidificare la soluzione filtrata con HCl e aggiungere 1 mL di HClO4. Raddoppiare infine il volume con etanolo. In presenza di potassio si formera` un precipitato bianco di KClO4. – Alla seconda porzione aggiungere 10 mL di soluzione di acido tartarico (preparata di recente) e 10 mL di soluzione di acetato sodico. In presenza di potassio si forma un precipitato bianco cristallino di tartrato acido di potassio. Ricerca del potassio insolubile in acqua

Usare guanti e occhiali; lavorare sotto cappa.

– Lavare abbondantemente il campione con acqua calda. – Bollire il residuo con 20 mL di acqua regia. – Filtrare e portare a secco, riprendere con acqua il residuo e ripetere i saggi descritti in precedenza.

201 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

LAB 44

I kit di analisi chimica 3 ore

Si utilizzano due tipi di kit in commercio per determinare la concentrazione di particolari analiti mediante sviluppo di una colorazione caratteristica, la cui intensita` indica il risultato analitico, oppure effettuando una titolazione con la siringa graduata, utilizzata come una buretta.

Puo` capitare che un’analisi quantitativa non richieda una particolare accuratezza del risultato, ma punti soltanto a indicare dei valori orientativi per alcuni analiti. Un esempio tipico si ha nell’analisi di campioni d’acqua: il numero di determinazioni che teoricamente si potrebbero effettuare e` molto grande, ma spesso e` sufficiente il controllo (anche non particolarmente accurato) di alcuni parametri per una prima valutazione della qualita` dell’acqua analizzata. In casi simili si possono impiegare i cosiddetti kit analitici, che in modo rapido ed economico permettono di determinare, per esempio, durezza, nitriti, nitrati, ammoniaca, fosfati, cloruri, solfati e ossigeno. L’utilizzo dei kit consente di effettuare le analisi al momento del prelievo senza ricorrere a particolari attrezzature poiche´ tutto il materiale necessario e` incluso nella confezione.

A ] Kit per analisi colorimetrica PROCEDIMENTO Se non compare la colorazione caratteristica, si devono considerare le seguenti possibilita`: 1. si sono utilizzati reattivi scaduti; 2. ci sono sostanze nella matrice del campione che interferiscono con la reazione dell’analita; 3. l’analita e` presente solo in tracce o e` del tutto assente. Se invece la colorazione e` oltre il limite superiore della scala di riferimento, il campione va diluito prima di sottoporlo ad analisi.

– Versare un determinato volume del campione in due distinte provette: una delle due e` la provetta campione e l’altra il cosiddetto bianco. – Aggiungere alla provetta campione i reattivi specifici seguendo le modalita` descritte nel foglio di istruzioni allegato alla confezione del kit. – Attendere lo sviluppo della colorazione caratteristica. – Inserire la provetta campione e il bianco in sedi apposite, in modo che il bianco risulti sovrapposto ai dischi colorati della scala cromatica di riferimento. – Far ruotare il disco della scala cromatica finche´, guardando dall’alto, si osserva che la colorazione del campione trattato con i reattivi specifici coincide con una delle colorazioni di riferimento. – Leggere la concentrazione dell’analita in corrispondenza di tale colorazione.

B ] Kit per analisi volumetrica PROCEDIMENTO

– Versare un determinato volume del campione in una provetta. – Aggiugere un indicatore secondo le modalita` descritte nel foglio di istruzioni allegato. – Prelevare la soluzione di titolante con la siringa titolatrice e azzerare. – Aggiugere goccia a goccia il titolante al campione agitando, fino al viraggio dell’indicatore. – Leggere sulla siringa titolatrice il volume impiegato nella titolazione.

PER CONCLUDERE

– Ricavare la concentrazione di analita in base alle indicazioni del foglio di istruzioni. 202

Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

C ] Kit fotometrici Consentono di ottenere misure piu` accurate, ma i costi sono piu` elevati. Come negli altri kit colorimetrici, l’aggiunta dei reagenti provoca nella soluzione contenente l’analita lo sviluppo di un composto colorato, la cui intensita` dipende dalla concentrazione di analita. A differenza degli altri kit, pero`, la misura non si effettua per confronto visuale con una scala di riferimento, ma viene realizzata dallo strumento. La reazione analitica di solito viene fatta avvenire in una particolare provetta (cuvetta), la quale, dopo la formazione del composto colorato, viene inserita in un alloggiamento del fotometro che misura l’assorbimento di radiazione luminosa da parte della soluzione. Sul display si legge direttamente il valore di concentrazione dell’analita nel campione. Di seguito viene descritto uno schema generale delle parti costituenti un fotometro. Lampada che emette una radiazione luminosa

|

5

Filtro che seleziona la lunghezza d’onda di lavoro

|

5

Alloggiamento della cuvetta

|

5

Rivelatore che permette la misura dell’intensita` della radiazione luminosa

|

5

Sistema di elaborazione del segnale in arrivo dal rivelatore e presentazione del risultato analitico sul display

Esempio di fotometro

203 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

LAB 45

Determinazione di ossigeno e pH in acque contenenti piante acquatiche (alla luce e al buio)

4 ore

Si utilizzano kit analitici per la determinazione dell’ossigeno disciolto e del pH.

Le piante producono ossigeno per mezzo della fotosintesi e contemporaneamente ne consumano durante la respirazione. La misura dell’ossigeno si puo` facilmente effettuare nell’acqua in cui sono stati immersi rametti di una pianta acquatica, distribuiti in egual misura in due vasi, uno dei quali avvolto con foglio d’alluminio. Misurando l’ossigeno all’inizio della prova e dopo aver lasciato i due vasi esposti al sole per un certo tempo, si puo` rilevare che nel vaso avvolto con alluminio il contenuto di ossigeno e` diminuito: senza assorbimento di luce la fotosintesi non avviene e quindi c’e` stata solamente la respirazione (consumo di ossigeno) da parte della pianta. Si puo` misurare invece un aumento di ossigeno nell’acqua del vaso non avvolto con alluminio, a causa dell’attivita` fotosintetica svolta dalle parti verdi della pianta. In questo caso si puo` facilmente ipotizzare che i rametti della pianta abbiano di fatto prodotto piu` ossigeno di quello che e` stato misurato alla fine della prova, ma che una parte dell’ossigeno sia stata consumata dalla loro respirazione. Durante la respirazione si ha anche la produzione di anidride carbonica, con la conseguente formazione di acido carbonico, che determina un lieve abbassamento del valore del pH, osservabile nel vaso coperto con alluminio. Nell’altro vaso, in cui prevale la fotosintesi (che consuma anidride carbonica), si dovrebbe invece verificare, rispetto alla situazione iniziale, un cambiamento verso valori di pH leggermente piu` alti.

Ossigeno disciolto ed eutrofizzazione

STRUMENTI DI LAVORO rametti di una pianta acquatica sommersa (recuperabili in una roggia o in uno stagno) oppure di Elodea (si possono acquistare in negozi di attrezzature per acquari) due vasi di vetro della capienza di circa un litro, con coperchio (se la pianta acquatica e` in scarsa quantita`, utilizzare vasi piu` piccoli) fogli di alluminio per alimenti bilancia tecnica PROCEDIMENTO

MATERIALI E SOSTANZE kit per la misura dell’ossigeno e del pH acqua di rubinetto, lasciata una giornata all’aria per ossigenarsi

– Prima di iniziare, leggere attentamente le istruzioni riportate nel foglio allegato alla confezione del kit. – Eseguire la procedura su un ‘‘bianco campione’’, in modo da acquisire le abilita` necessarie per svolgere correttamente le operazioni richieste. – Pesare due masse uguali di rametti e introdurle nei due vasi, riempirli d’acqua. – Misurare pH e ossigeno disciolto nell’acqua dei due vasi e successivamente tapparli. – Avvolgere completamente un vaso con il foglio di alluminio. – Esporre entrambi i vasi al sole (in alternativa, ben illuminati da una lampada). – Dopo 2 o 3 ore prelevare da ciascun vaso la quantita` di acqua necessaria e misurare nuovamente pH e ossigeno disciolto. 204

Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

PER CONCLUDERE

– Si puo` valutare in modo approssimato la produzione fotosintetica lorda, ovvero l’ossigeno effettivamente prodotto dalle piante. – La differenza tra il valore di ossigeno iniziale e quello finale nel vaso ricoperto con alluminio esprime il consumo di ossigeno dovuto alla respirazione (R), mentre la differenza tra le due misure nell’altro vaso senza alluminio da` la produzione netta (PN), cioe` l’ossigeno prodotto meno quello respirato. – Supponendo che le piante abbiano respirato in quantita` uguale nei due vasi, si puo` stimare la produzione lorda: PL ¼ PN þ R.

205 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

LAB 46

Misure di temperatura, pH, ossigeno in uno stagno

*

Si studia il metabolismo di uno stagno nella successione notte-dı` con misure di temperatura, ossigeno, pH, effettuate ad alcune ore di distanza, nel corso delle 24 ore. Ossigeno e pH possono essere determinati tramite utilizzo di kit analitici.

Questo semplice modello analitico puo` essere il punto di partenza per un progetto ambientale di indagine sulle acque stagnanti. Si tratta di seguire il metabolismo del sistema sotto osservazione tramite lo studio dei cosiddetti ‘‘ritmi nictemerali’’ (successione notte-dı`), che vengono monitorati con le misure dei valori di ossigeno, pH e temperatura. Durante la fotosintesi, che avviene ad opera di fitoplancton e alghe, si puo` osservare un leggero innalzamento del valore del pH (dovuto alla diminuzione della CO2 disciolta) e un significativo aumento dell’ossigeno presente nell’acqua. In tal modo si puo` osservare l’andamento dell’attivita` fotosintetica nello stagno all’alternarsi del dı` e della notte. Questo fenomeno diventa piu` evidente operando dalla primavera in poi e in giornate con un maggior irraggiamento solare. Disponendo di un opportuno campionatore, in stagni con acque piu` profonde si puo` osservare il differente comportamento degli strati superficiali (‘‘produttori’’) rispetto a quelli sottostanti (‘‘consumatori’’).

* Ogni ciclo di misurazione richiede circa mezz’ora per campione.

Grafici sperimentali Note sintetiche sulle acque stagnanti

STRUMENTI DI LAVORO termometro guanti barattoli in politene per i prelievi dei campioni di acqua se sono disponibili in laboratorio, in alternativa ai kit, si possono usare una sonda per misure di ossigeno e un pHmetro portatile, che vanno tarati prima dell’uso

MATERIALI E SOSTANZE kit per la misura dell’ossigeno e del pH



PROCEDIMENTO

– Prima di iniziare leggere attentamente le istruzioni riportate nel foglio allegato alla confezione del kit. – Eseguire la procedura su un ‘‘bianco campione’’, in modo da acquisire le abilita` necessarie per svolgere correttamente le operazioni richieste. – Prelevare i campioni d’acqua a distanza di circa quattro ore e sempre negli stessi punti (se non e` possibile effettuare i prelievi durante le ore notturne, cercare di partire il prima possibile nel mattino terminando al tramonto). – Eseguire le misure dei tre parametri indicati (se possibile, direttamente ‘‘sul campo’’). – Ripetere le misure il giorno successivo.

PER CONCLUDERE

– Ricavare tre grafici (a segmenti) nei quali vengono riportati i valori di ciascun parametro in funzione dell’ora e per ciascun punto di prelievo. – Confrontare l’andamento di pH, ossigeno, temperatura, nel corso delle 24 ore.

206 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

LAB 47

Analisi delle acque correnti: determinazione del ‘‘Livello di inquinamento da macrodescrittori’’

*

Questa scheda puo` essere utilizzata per iniziare ad affrontare ‘‘sul campo’’ problemi pratici quali, per esempio, il campionamento e la trattazione di problematiche di carattere generale legate all’ambiente. Si propone l’utilizzo di kit analitici di vario tipo per la determinazione di sei parametri chimici (ossigeno disciolto, BOD5, COD, azoto ammoniacale, azoto nitrico, fosforo totale) e di un parametro microbiologico (Escherichia coli), individuati come descrittori del livello di inquinamento del corso d’acqua. Ottimi risultati si possono conseguire con l’uso dei kit fotometrici, che permettono di ottenere misure piu` accurate.

* Ogni sequenza analitica richiede 4 +1+1 ore in giorni diversi.

Le determinazioni da effettuare per il monitoraggio delle acque superficiali erano definite, fino a qualche anno fa, dal Decreto Legislativo 152 del 1999 (con modifiche apportate dal D.Lgs. 258 del 2000). Tali disposizioni di legge sono state poi sostituite con il D.Lgs. 152 del 2006, ma di seguito si fa ancora riferimento a tabelle del precedente decreto, poiche´ il modello analitico da noi considerato presenta aspetti scientifici interessanti. Il monitoraggio viene effettuato in base alla Tab. Lab. 47.1. STRUMENTI DI LAVORO, MATERIALI E SOSTANZE kit fotometrici (o altri) per analisi chimiche di ossigeno disciolto, BOD5, COD, azoto ammoniacale, azoto nitrico, fosforo totale kit per analisi microbiologiche di Escherichia coli fotometro stufa con termostato (o termoreattore specifico per kit e stufa termoventilata per BOD) sistema manuale di filtrazione dei campioni di acqua e filtri di 0,45 lm guanti bottiglie di politene da 250 mL per i prelievi bottiglie di vetro (500-1000 mL) beute da 250 mL pipette sterili da 1 mL pipette graduate (max 5 mL) e propipette barattoli sterili (come quelli per l’analisi delle urine) termometro

PROCEDIMENTO

– Prima di iniziare, leggere attentamente le istruzioni riportate nel foglio allegato alla confezione di ogni kit ed eventualmente eseguire una prova su un ‘‘bianco campione’’, in modo da acquisire le abilita` necessarie per svolgere correttamente le operazioni richieste. – Il prelievo dei campioni per l’analisi microbiologica di Escherichia coli deve essere condotto in condizioni sterili e la determinazione si effettua con l’utilizzo di kit di piastre con terreno di coltura specifico, che devono essere incubate in termostato a 36 ºC per 24 ore. – Per l’analisi degli altri macrodescrittori i campioni devono essere filtrati su filtri con porosita` di 0,45 lm, tranne che per le determinazioni di BOD5 e di ossigeno disciolto. – Per l’analisi del fosforo totale il campione deve essere sottoposto a mineralizzazione in termoreattore (o stufa) a valori di temperatura e tempo definiti dal tipo di kit utilizzato (per esempio a 120  C per 30 minuti). – Per l’analisi del COD, il campione, dopo il trattamento con reattivi specifici, deve essere mantenuto in termoreattore (o stufa) a valori di temperatura e 207

Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

tempo definiti dal tipo di kit utilizzato (per esempio a 148  C per 2 ore). – Per le determinazioni del BOD5 i campioni devono essere conservati in termostato termoventilato a 20  C per 5 giorni. PER CONCLUDERE

Tabella Lab. 47.1 Livello di inquinamento espresso dai macrodescrittori (LIM).

– Si determinano i valori dei sette parametri indicati nella Tabella Lab. 47.1 e, in corrispondenza del valore di ogni parametro, si assegna il punteggio indicato. Parametro

Livello 1

Livello 2

Livello 3

Livello 4

Livello 5

100- OD (% sat)

10

20

30

50

> 50

BOD5 (O2 mg/L)

2,5

4

8

15

> 15

COD (O2 mg/L)

25

NH4 (N mg/L)

< 0,03

0,10

0,50

1,50

> 1,50

NO3 (N mg/L)

< 0,3

1,5

5,0

10,0

> 10,0

Fosforo totale (P mg/L)

< 0,07

0,15

0,30

0,60

> 0,60

Escherichia coli (UFC/100 mL)

< 100

1000

5000

20 000

> 20 000

80

40

20

10

5

480-560

240-475

120-235

60-115

< 60

Punteggio da attribuire per ogni parametro analizzato (75 percentile del periodo di rilevamento) Livello di inquinamento

– Sommando i sette punteggi ottenuti si ottiene il punteggio totale che va confrontato con gli intervalli numerici dell’ultima riga della tabella. – Si determina cosı` il livello di inquinamento, che in una scala da 1 a 5 corrisponde a: 1. Ambiente non inquinato o non alterato in modo sensibile 2. Ambiente in cui sono evidenti alcuni effetti dell’inquinamento 3. Ambiente inquinato 4. Ambiente molto inquinato 5. Ambiente fortemente inquinato In generale, per una valutazione dello stato ecologico di un corso d’acqua, all’analisi chimico/microbiologica va affiancata l’analisi dei macroinvertebrati (bioindicatori). Per calcolare la percentuale di saturazione di ossigeno disciolto si esegue il seguente calcolo: valore misurato di O2 ðmg=LÞ  100 solubilit`a di O2 ðTab: Lab: 47:2Þ a salinit`a 0 e alla temperatura dell’acqua

208 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Tabella Lab. 47.2

Salinita`, mg/L

Solubilita` dell’ossigeno in funzione di temperatura e salinita` (a pressione atmosferica).

Note sintetiche sulle acque correnti Decreto n. 260

Temp. (ºC)

0

5

10

15

20

25

30

35

40

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40

14,602 14,198 13,813 13,445 13,094 12,757 12,436 12,127 11,832 11,549 11,277 11,016 10,766 10,525 10,294 10,072 9,858 9,651 9,453 9,261 9,077 8,898 8,726 8,560 8,400 8,244 8,094 7,949 7,808 7,671 7,539 7,411 7,287 7,166 7,049 6,935 6,824 6,716 6,612 6,509 6,410

14,112 13,725 13,356 13,004 12,667 12,344 12,036 11,740 11,457 11,185 10,925 10,674 10,434 10,203 9,981 9,768 9,562 9,364 9,174 8,990 8,812 8,641 8,476 8,316 8,162 8,013 7,868 7,729 7,593 7,462 7,335 7,212 7,092 6,976 6,863 6,753 6,647 6,543 6,442 6,344 6,248

13,638 13,268 12,914 12,576 12,253 11,944 11,648 11,365 11,093 10,833 10,583 10,343 10,113 9,891 9,678 9,473 9,276 9,086 8,903 8,726 8,556 8,392 8,233 8,080 7,931 7,788 7,649 7,515 7,385 7,259 7,136 7,018 6,903 6,791 6,682 6,577 6,474 6,374 6,277 6,183 6,091

13,180 12,825 12,487 12,163 11,853 11,557 11,274 11,002 10,742 10,492 10,252 10,022 9,801 9,589 9,384 9,188 8,998 8,816 8,640 8,471 8,307 8,149 7,997 7,849 7,707 7,569 7,436 7,307 7,182 7,060 6,943 6,829 6,718 6,611 6,506 6,405 6,306 6,210 6,117 6,025 5,937

12,737 12,398 12,073 11,763 11,467 11,183 10,911 10,651 10,401 10,162 9,932 9,711 9,499 9,295 9,099 8,911 8,729 8,554 8,385 8,222 8,065 7,914 7,767 7,626 7,489 7,357 7,229 7,105 6,984 6,868 6,755 6,645 6,539 6,435 6,335 6,237 6,142 6,050 5,960 5,872 5,787

12,309 11,984 11,674 11,376 11,092 10,820 10,560 10,311 10,071 9,842 9,621 9,410 9,207 9,011 8,823 8,642 8,468 8,300 8,138 7,982 7,831 7,685 7,545 7,409 7,277 7,150 7,027 6,908 6,792 6,680 6,572 6,466 6,364 6,265 6,168 6,074 5,983 5,894 5,807 5,723 5,641

11,896 11,585 11,287 11,003 10,730 10,470 10,220 9,981 9,752 9,532 9,321 9,118 8,923 8,735 8,555 8,381 8,214 8,053 7,898 7,748 7,603 7,463 7,328 7,198 7,072 6,950 6,831 6,717 6,606 6,498 6,394 6,293 6,194 6,099 6,006 5,915 5,828 5,742 5,659 5,577 5,498

11,497 11,198 10,913 10,641 10,380 10,131 9,892 9,662 9,443 9,232 9,029 8,835 8,648 8,468 8,295 8,129 7,968 7,814 7,664 7,521 7,382 7,248 7,118 6,993 6,872 6,754 6,641 6,531 6,424 6,321 6,221 6,123 6,029 5,937 5,848 5,761 5,676 5,594 5,514 5,436 5,360

11,111 10,825 10,552 10,291 10,042 9,802 9,573 9,354 9,143 8,941 8,747 8,561 8,381 8,209 8,043 7,883 7,730 7,581 7,438 7,300 7,167 7,038 6,914 6,794 6,677 6,565 6,456 6,350 6,248 6,148 6,052 5,959 5,868 5,779 5,694 5,610 5,529 5,450 5,373 5,297 5,224

Col Decreto n. 260, 8 novembre 2010, sono state modificate alcune norme del Decreto n. 152, 3 aprile 2006. Il monitoraggio delle acque correnti viene effettuato con un modello analitico semplificato, denominato LIMeco (Livello di Inquinamento dai Macrodescrittori per lo stato ecologico), utilizzato per derivare la classe di qualita`. Per ottenere il punteggio LIMeco si devono determinare i valori di ‘‘nutrienti’’ e ossigeno disciolto (3Tab. Lab. 47.3).

Tabella Lab. 47.3

Livello 1

Livello 2

Livello 3

Livello 4

Livello 5

1

0,5

0,25

0,125

0

100-O2 % sat.

j10j

j20j

j40j

j80j

> j80j

N-NH4 (mg/L)

< 0,03

0,06

0,12

0,24

> 0,24

N-NO3 (mg/L)

< 0,6

1,2

2,4

4,8

> 4,8

Fosforo totale (g/L)

< 50

100

200

400

> 400

Punteggio LIMeco .

Punteggio Parametro

209 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Il LIMeco si calcola facendo la media dei punteggi attribuiti ai singoli parametri; la classificazione di qualita` si ricava dalla Tabella Lab. 47.4. Tabella Lab. 47.4

Stato

LIMeco

Classificazione di qualita` secondo i valori di LIMeco .

Elevato

0,66

Buono

0,50

Sufficiente

0,33

Scarso

0,17

Cattivo

< 0,17

PER APPROFONDIRE

Esempi di reazioni analitiche nell’analisi con kit fotometrici – Fosforo totale Mineralizzazione acida Campione ðpolifosfati, ortofosfati ecc:Þ ! ortofosfati in termoreattore Ortofosfati þ molibdato ! acido fosfomolibdico

Acido fosfomolibdico þ acido ascorbico ! blu di fosfomolibdeno l Determinazione fotometrica – Azoto ammoniacale Campione þ ClO ! NH2 Cl (NH3/ NH4+) NH2 Cl þ fenolo sostituito ! indofenolo l Determinazione fotometrica – Azoto nitrico Campione þ H+ þ acido benzoico sostituito ! nitro composto colorato l (NO3–) Determinazione fotometrica – Ossigeno disciolto e BOD5 Campione þ OH– þ Mn2+ ! Mn(OH)3 (O2) Mn(OH)3 + H3PO4 + EDTA ! complesso con Mn(III) colorato l Determinazione fotometrica Per il BOD5: campione þ miscela di sali nutritivi per microrganismi þ alliltiourea (inibitore di nitrificazione da parte di microrganismi), poi stesse reazioni per la determinazione dell’ossigeno disciolto. – COD Ag2 SO4 ðcatalizz:Þ ! Campione þ Hþ þ Cr2 O2 7 HgSO4 ðelimina l0 interferenza dei Cl Þ (sostanze ossidabili) ! composti ossidati þ Cr2 O2 7 non reagito In termoreattore l Determinazione fotometrica 210 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

LAB 48

Influenza della forza ionica sull’equilibrio 3+3 ore

Questa esperienza e` relativa a una indagine sul problema di quanto varia la costante di un equilibrio al variare della forza ionica della soluzione. Si tratta di una indagine a un livello piu` approfondito di quanto richiesto dalle altre esperienze sull’argomento e inoltre necessita dell’impiego di uno spettrofotometro per il visibile.

1. La teoria dell’equilibrio afferma che il quoziente di reazione all’equilibrio e` una costante, a temperatura costante. Ci si puo` chiedere allora perche´ la maggior parte delle tabelle di valori di Keq specifica, oltre alla temperatura, la forza ionica della soluzione, che e` una misura della sua concentrazione di cariche elettriche. Questa esercitazione e` progettata per verificare l’ipotesi che la forza ionica della soluzione abbia un qualche effetto sul valore della Keq. 2. Si lavora sul sistema: Fe3þ þ SCN Ð FeSCN2þ Si puo` ottenere la costante di equilibrio di questa reazione misurando l’assorbanza della soluzione, da cui si puo` risalire alla concentrazione di FeSCN2þ e quindi, tramite considerazioni stechiometriche, a quelle degli altri ioni presenti all’equilibrio. 3. Si prepara un grande volume di soluzione contenente la reazione all’equilibrio. Tale volume viene suddiviso in dieci porzioni a ciascuna delle quali si aggiunge una quantita` nota di un elettrolito inerte, KNO3. Si misura l’assorbanza di queste soluzioni e, per ciascuna di esse, si calcola il valore della Keq. Si costruisce il grafico delle due grandezze correlate, Keq e concentrazione di KNO3, per rappresentare i risultati ottenuti. 4. Prima di procedere all’esecuzione dell’esperienza, occorre svolgere alcuni calcoli preliminari: – Calcolare le masse di KNO3 necessarie per preparare 50 mL di soluzioni alle seguenti molarita`: 0,02 M, 0,04 M, 0,08 M, 0,16 M, 0,64 M. – Se in una soluzione si pipettano 10,00 mL di soluzione 0,100 M di Fe3þ , 1,00 mL di SCN 0,001 M e 9,00 mL di acqua distillata, qual e` la concentrazione di FeSCN2þ , nell’ipotesi che tutto lo ione SCN sia consumato nella reazione? – Se una soluzione presenta una concentrazione di FeSCN2þ di 6  105 e un’assorbanza di 0,180, che concentrazione ha una soluzione di FeSCN2þ con un’assorbanza di 0,095? – Se una soluzione con ½Fe3þ iniziale ¼ 7  103 e ½SCN iniziale ¼ 4  105 presenta un’assorbanza di 0,095, qual e` il valore della Keq? – Fare una previsione su quale potrebbe essere il grafico finale nell’ipotesi che la Keq non sia influenzata dalla forza ionica e disegnarlo. – Fare un’analoga previsione sul grafico finale nell’ipotesi che invece la Keq sia influenzata dalla forza ionica e disegnarlo. 5. Procedura sperimentale In un matraccio da 1 L mescolare 50,0 mL di Fe(NO3)3 0,100 M e 50,0 mL di NaSCN 0,001 M. Portare a volume. Questa e` la soluzione stock. – Etichettare dieci beute (o becher) con il nome del gruppo e il valore di concentrazione di KNO3 previsto. Trasferire porzioni di 50 mL della soluzione stock in ciascuna di esse. 211 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

– Aggiungere a ciascuna beuta la quantita` di KNO3 necessaria a ottenere le concentrazioni di 0,01 M, 0,02 M, 0,04 M, 0,08 M, 0,16 M, 0,32 M, 0,64 M. Duplicare nelle restanti tre beute le concentrazioni di 0,02 M, 0,08 M, 0,32 M. Agitare per sciogliere il sale, la cui dissoluzione e` endotermica e quindi piuttosto lenta. – Preparare la soluzione standard di FeSCN2þ pipettando 10,00 mL soluzione 0,100 M di Fe3þ , 1,00 mL di SCN 0,001 M e 9,00 mL di acqua distillata. – Misurare le assorbanze a 457 nm della soluzione standard e dei dieci campioni. Utilizzare come bianco acqua distillata. Effettuare le misure in ordine casuale, piuttosto che per concentrazioni crescenti o decrescenti di KNO3. Avvinare la cuvetta almeno due volte con la soluzione da misurare. Se le misure delle soluzioni «doppie» differiscono per piu` di 0,004, ripetere la misura. 6. Riportare su un foglio una tabella con i valori delle proprie misure e consegnarla all’insegnante. 7. Effettuare i calcoli delle dieci Keq e tracciare il grafico con i risultati. 8. Relazione individuale. In non piu` di 15 righe utilizzare i propri dati per comunicare la propria opinione in merito alla questione posta inizialmente sull’effetto della forza ionica sul valore della Keq. Considerare l’incertezza delle misure sperimentali, in parte ricavabile dalle tre misure duplicate. Supporre di dover convincere chi legge della validita` delle proprie affermazioni. La relazione va consegnata la settimana successiva alla conclusione dell’esperienza.

212 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

APPENDICE

Regolamento CE 1272/2008

213 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Etichetta precedente

Etichetta nuova

214 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

215 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Indice analitico A Accuratezza, 19 Acidi grassi, 84 Acidi, forza, 169 Acidita` del latte, 179 Acidita` di un aceto commerciale, 178 Acido – calconcarbonico, 102 – forte, titolazione di base poliprotica, 97 – maleico, 96 – nitrilotriacetico (NTA), 101 – ossalico, 96 – poliprotico, titolazione, 95 – solforico, 96 Acqua di cristallizzazione di un sale idrato, 122 Acqua ossigenata, determinazione del titolo, 144 Acqua, determinazione della durezza, 186 Acque correnti, analisi, 207 Acque, determinazione del calcio, 188 Alimenti, determinazione delle ceneri, 123 Ammoniaca, 102 Analisi chimica, 2 – classificazione, 4 – metodi di analisi, 4 – processo analitico, 2 Analisi gravimetrica, 49 – calcinazione, 55 – errori, 57 – essiccamento, 55 – filtrazione, 53 – pesata a peso costante, 55 – precipitazione e digestione del precipitato, 51 – tecnica, 49 Analisi ponderale, 49 Analisi qualitativa, strategia, 106 Analisi qualitativa inorganica, 106 – preparazione del campione, 110 – raccolta di informazioni, 107 – saggi preliminari: analisi per via secca, 112

– saggi preliminari: analisi per via umida, 114 – sistematica dei cationi: schema classico, 115 Analisi quantitativa, 4 Analisi strumentale, 5 Analisi volumetrica, 61 – classificazione, 62 – come progettare una titolazione, 72 – errori, 67 – esempi di calcolo, 67 – preparazione delle soluzioni, 63 – relazioni utili nei calcoli, 70 – tecnica, 61 – operativa, 65 Analita, 2 Anidride solforosa totale nei vini bianchi, 154 Argentometria, preparazione e standardizzazione delle soluzioni, 132 Arrotondamento di valori calcolati, 24 Avvicinamento di un recipiente, 41

B Becher, 36 Bicarbonato di sodio, titolazione, 99 Bicromatometria, 82 Bilancia analitica, 49 Bilancia, tipi di, 31 Blu di bromotimolo, 94 Bromatometria, 82 Bromuri, 86 Bunsen, 57 Burette, 39

C Calcinazione, 56 Calcio – determinazione nelle acque, 188 – determinazione nel formaggio, 190 Calibrazione, 42

Campionamento, 44 – aliquote, 3 – operazioni analitiche, 46 – preparazione del campione, 46 Capacita` tamponante di una soluzione, 182 Carbonato, titolazione, 98, 99 Cariche elettrostatiche, 34 Ceneri negli alimenti, 123 Cerimetria, 81 Chelanti, 101 Cianuri, 101 Cifre significative, 23 Cilindri, 37 Cloro attivo, 153 Cloruri, 86 – determinazione in uno shampoo o bagnoschiuma, 137 – determinazione nel vino, 136 Coagulazione, 51 Coefficiente di variazione, 21 Concentrazione, 48

D Dato analitico, 16 Determinazione – dei cloruri in uno shampoo o bagnoschiuma, 137 – dei cloruri nel vino, 136 – del calcio e del magnesio nelle acque, 188 – del calcio nel formaggio, 190 – del cloro attivo negli ipocloriti, 153 – del titolo del sale di Mohr, 142 – del titolo dell’acqua ossigenata, 144 – dell’acidita` del latte, 179 – dell’alcalinita` libera nei saponi, 174 – della durezza di un’acqua, 186 – della purezza di un sale di rame, 151 – delle ceneri negli alimenti, 123 – di ossigeno e pH in acque

216 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Indice analitico

contenenti piante acquatiche, 204 – gravimetrica dei solfati, 127 – iodimetrica dell’anidride solforosa totale nei vini bianchi, 154 Deviazione standard, 20, 26 Diluizione, 48 Dispersione, 20 Dissoluzione del campione, 47 Distribuzione gaussiana di dati, 27 Dixon, test, 21, 26 Durezza di un’acqua, 186

E Errore – casuale, 17 – sistematico, 16 Esattezza, 19 Essiccamento, 55 Etichetta di un prodotto chimico, 9 Etichettatura, 7 Etilendiaminotetracetico (EDTA), 101

F Fe(II), reazioni analitiche, 109 Fe(III), reazioni analitiche, 110 Fenolftaleina, 94 Ferro, 107, 108 Filtrazione – con carta da filtro, 53 – con crogioli filtranti, 53 Flocculazione, 51 Formaggio, determinazione del calcio, 190 Forza ionica sull’equilibrio, 211 Fosfati, 84

G Germi di cristallizzazione, 51 Grandezze – derivate, 14 – fondamentali, 14

H HCl e CH3COOH, titolazione, 100

HCl e H3PO4, titolazione, 99

I Idrossido di sodio, titolazione, 98 Imballaggio, 7 Incenerimento a secco, 46 Indicatori – acido-base, comportamento, 167 – di dispersione, 20 – di posizione, 19 – metallocromici, 102 Iodimetria, 81 Iodometria, 81 Ipocloriti, determinazione del cloro attivo, 153

Misure di massa, 31 – bilancia, 31 – errori, 34 – pesata dopo riscaldamento, 35 Misure di volume, 36 – apparecchiature, 36 – errori, 42 – operazioni con la vetreria, 38 – taratura, 42 Muffola, 35 Muresside, 102

N Nero eriocromo T, 102

O K Kit di analisi chimica, 202

L Laboratorio – agenda, 12 – attivita`, 11 – introduzione, 6 – prodotti chimici e sicurezza, 6 – relazione tecnica, 13 Latte, determinazione dell’acidita`, 179 Lavaggio per decantazione, 54 Liquidi, trasferimento, 47 Liquido surnatante, decantazione, 54

M Macrodescrittori, inquinamento, 207 Matracci, 36 Menisco, 38 Mercaptani, 84 Metilarancio, 94, 95 Metodo – di Fajans, 86 – di Mohr, 85 – di Volhard, 86 Micropipette con puntale, 37

Operazioni – di addizione/sottrazione, 25 – di moltiplicazione/divisione, 25 – di pesata, 32 – in ‘‘cascata’’, 25 Ossigeno in acque contenenti piante acquatiche, 204

P Palloni, 36 Permanganato di potassio, 77 Permanganatometria, 80 Perossidi, 79 Pesata – a peso costante, 35, 57 – operazioni, 32 pH in acque contenenti piante acquatiche, 204 Pigmenti pittorici, riconoscimento, 193 Pipette tarate, 37 Polvere igroscopica, pesare, 121 Porpora cresolo, 94 Precipitato – digestione, 53 – meccanismo di formazione, 51 Precisione, 19 – delle misure di una bilancia, 118

217 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Indice analitico

– delle misure di volume, 119 Preparazione – delle soluzioni per permanganatometria, 138 – di soluzioni, 129 – di soluzioni per iodometria/ iodimetria, 146 – e standardizzazione di EDTA 0,01 M, 184 – e standardizzazione di HCl 0,1 M, 170 – e standardizzazione di una soluzione di NaOH 0,1 M, 175 Protezione della persona, 10 Provette, 36 Purezza di un sale di rame, 151

Q Q-test, 22, 26

R Rapporto di combinazione tra due ioni che reagiscono, 125 REACH, 6 Reazione oscillante, 197 Retrotitolazione, 62 Ricerca – degli alogenuri, 161 – di Ag+, Zn2+, Cd2+, Hg22+, Hg2+, 164 – di azoto, fosforo e potassio nei fertilizzanti, 199 – di carbonati, solfati e nitrati, 159 Riscaldamento su spatola, 113 Rivestimenti galvanici, analisi, 196 RoHS, 7

S Saggi – in provetta, 114 – in tubicino, 113 – preliminari, 155 Saggio alla fiamma, 113 Salda d’amido, 78

Sale di Mohr, determinazione del titolo, 142 Sale di rame, determinazione della purezza, 151 Saponi, determinazione dell’alcalinita` libera, 174 Scarti di laboratorio, 10 Scarto, 16 – quadratico medio, 27 Sodio, 107 Solfati, determinazione gravimetrica, 127 Solfuro d’idrogeno, 115 Solidi, trasferimento, 46 Soluzioni – a titolo approssimato, 63 – a titolo noto, 63 – tampone, 180 Sovrasaturazione, 51 Standardizzazione – delle soluzioni di permanganato con ossalato di sodio, 140 – delle soluzioni per iodometria/iodimetria, 149 – di una soluzione, 64 Stufa termostatica, 35

T Taratura di una coppia matraccio-pipetta, 42 Teoria elementare della misura ed elaborazione dati, 14 – cifre significative, 23 – espressione del risultato di una serie di misure, 18 – fonti dell’incertezza, 16 – grandezze, numeri e unita` di misura, 14 – misurazione e incertezza, 15 – valutazione dell’incertezza di misure sperimentali, 26 – valutazione dell’incertezza di una misurazione singola, 18 Test di Dixon, 21, 26 Tioli, 84 Titolazione – di miscele di sostanze alcaline, 173

– di soluzioni acide, 177 – diretta, 62 – indiretta, 62 Titolazioni acido-base, 88 – condizioni per eseguire una titolazione, 88 – curve di titolazione di acidi e basi monoprotici, 92 – curve di titolazione di acidi e basi poliprotici, 95 – indicatori acido-base, 89 – titolazione di miscele di acidi e di miscele di basi, 98 Titolazioni complessometriche, 101 – acido etilendiaminotetracetico (EDTA), 103 – agenti titolanti, 101 – condizioni per eseguire una titolazione, 102 – metodi complessometrici di titolazione con EDTA, 103 Titolazioni di precipitazione, 84 – argentometria, 85 – campi di applicazione, 84 – condizioni per eseguire una titolazione, 84 Titolazioni redox, 75 – agenti titolanti, 78 – campi di applicazione, 80 – condizioni per eseguire una titolazione, 77 – potere ossidante e riducente degli agenti titolanti, 75 Tossicita` dei preparati chimici, 7 Tossicita` delle sostanze, 7 Trasferimento di solidi, 46 Trattamento statistico, 4

V Varianza, 27 Verde di bromocresolo, 95 Vetreria Ex, 37 Vetreria In, 36 Vetreria per solidi, 38 Vini bianchi, determinazione iodimetrica di anidride solforosa, 154 Vino, determinazione dei cloruri, 136 Viraggio, 90

218 Rubino, Venzaghi, Cozzi LE BASI DELLA CHIMICA ANALITICA © Zanichelli 2012 Laboratorio

Li

11

sodio

19

7

6

4

radio

+1 [Rn]7s1

5

10

11

12

5

afnio

7

8

9

C

N

O

ossigeno

F

fluoro

Ne

neon

–– 12

S

Cl

Ar

280 445 –35 –186 1012 1000 1251 1521 2,19 2,58 3,16 –– 1,82 32,07 2,09 35,45 3,21 39,95 1,78 앐3+5 –2+4+6 앐1+3+5+7 –– [Ne]3s23p3 [Ne]3s23p4 [Ne]3 23p5 [Ne]3s23p6

P

3280 786 1,90 2,33 30,97

+2앐4 [Ne]3s23p2

Si

2519 578 1,61 2,70 28,09

+3 [Ne]3s23p1

26,98

Al

alluminio silicio fosforo zolfo cloro argon 660 14 1414 15 44 16 115 17 –101 18 –189 13

+3 [He]2s22p1

10,81

B

azoto

4,003

He

3550 7 –210 8 –219 9 –220 10 –249 –– –196 –183 –188 –246 1086 1402 1314 1681 2081 2,55 3,04 3,44 3,98 –– 1,25 16,00 1,43 19,00 1,70 20,18 0,90 2,26 14,01 +2앐3+4+5 –2 –1 –– +2앐4 [He]2s22p2 [He]2s22p4 [He]2s22p5 [He]2s22p6 [He]2s22p3

carbonio 2300 6 3650 801 2,04 2,47 12,01

VII

17

cerio

90

rutenio

Fe

rodio

Co

Ir

iridio

Rh

palladio

Ni

argento

Cu

cadmio

Zn

In

indio

Ga

Tl

tallio

stagno

Ge

antimonio

As

tellurio

Se

I

iodio

Br

xenon

Kr

+3 [Xe]4f46s2

Nd +3 [Xe]4f56s2

Pm

+2+3 [Xe]4f66s2

Sm

+2+3 [Xe]4f76s2

Eu

+3 [Xe]4f75d16s2

Gd

+3 [Xe]4f96s2

+3 [Xe]4f106s2

+3 [Xe]4f116s2

Ho

+3 [Xe]4f126s2

tulio

astato

+3 [Xe]4 145d16s2

Lu

U

Np

Pu

Am

Cm

Bk

Cf

Es

Fm

Md

No

Lr

3756 4131 3902 3228 2011 –– –– –– –– –– –– –– –– 568 584 597 585 579 581 601 608 619 627 637 642 –– 1,50 1,38 1,36 1,28 1,30 1,30 1,30 1,30 1,30 1,30 1,30 1,30 1,30 15,4 238,0 19,0 [237] 20,4 [244] 19,7 [243] 13,7 [247] 13,5 [247] 14,8 [251] –– [252] 15,1 [257] –– [258] –– [259] –– [262] –– +4+5 +3+4+5+6 +3+4+5+6 +3+4+5+6 +3+4+5+6 +3 +3+4 +3 +3 +3 +2+3 +2+3 +3 [Rn]5f46d17s2 [Rn]5f67s2 [Rn]5f77s2 [Rn]5f76d17s2 [Rn]5f97s2 [Rn]5f107s2 [Rn]5f117s2 [Rn]5f127s2 [Rn]5f137s2 [Rn]5f147s2 [Rn]5 146d17s2 [Rn]5f26d17s2 [Rn]5f36d17s2

Pa

4788 587 1,30 11,7 231,0

–– ––

Uuo

ununoctio

Rn

radon

Xe

1656 3315 524 1,27 9,84

lutezio 824 71 1427 603 1,10 6,98 175,0

At

+2+3 [Xe]4f146s2

Yb

1545 70 1950 596 1,25 9,33 173,0

itterbio

–– ––

Uuh

+2+3 [Xe]4f136s2

Tm

1522 69 2868 589 1,24 9,05 168,9

–– ––

Uup

–– –– –– –– ––

ununhexio

Po

polonio

Te

–– 116 –– –– –– ––

ununpentio

Bi

bismuto

Sb

–– 115 –– –– –– ––

erbio

Er

–– ––

Uuq

1470 68 2720 581 1,23 8,80 167,3

olmio 1409 67 2567 572 1,22 8,53 164,9

–– ––

Uut disprosio

–– ––

Dy

Cn

1356 66 3230 564 1,20 8,27 162,5

terbio 1311 65 3273 592 1,20 7,89 158,9

–– ––

Tb

Rg gadolinio

–– ––

822 64 1597 547 –– 5,24 157,3

europio 1072 63 1778 543 1,17 7,54 152,0

samario

1080 62 2457 523 –– 7,22 150,4

promezio

1010 61 3074 530 1,14 7,00 [145]

Ds

–– 114 –– –– –– ––

ununquadio

Pb

piombo

Sn

protoattinio uranio nettunio plutonio americio curio berkelio californio einsteinio fermio mendelevio nobelio laurenzio 640 94 641 95 1176 96 1345 97 1050 98 1060 99 860 100 1527 101 827 102 –– 103 –– 1750 91 1572 92 1135 93

+3 [Xe]4f36s2

Pr

931 60 3520 523 1,13 6,77 144,2

–– [Rn]5f146d77s2

Mt

ununtrio –– 113 –– –– –– ––

copernicio

Hg

mercurio

Cd

–– 112 –– –– –– –– [285]

roentgenio

Au

oro

Ag

–– 111 –– –– –– –– [272]

darmstadio

Pt

platino

Pd

–– 110 –– 840 –– –– [271]

meitnerio –– 109 –– 750 –– –– [268]

–– [Rn]5f146d67s2

Hs

hassio

Os

osmio

Ru

–– 108 –– 660 –– –– [265]

–– [Rn]5f146d57s2

Bh

bohrio

Re

renio

Tc

neodimio

–– [Rn]5f146d47s2

Sg

praseodimio 798 59 3424 528 1,12 6,77 140,9

+4 [Rn]6d27s2

232,0

Th

torio

tecnezio

–– 107 –– 730 –– –– [264]

seaborgio

W

tungsteno

Mo

–– 106 –– 640 –– –– [266]

–– [Rn]5f146d37s2

Db

+3+4 [Xe]4f15d16s2

140,1

Ce

58

+4 [Rn]5f146d27s2

Rf

dubnio

Ta

2673 105 6073 409 –– –– [262]

rutherfordio

molibdeno

Mn

–– –– –– –– ––

304 82 254 85 3017 74 3422 75 3186 76 3033 77 2446 78 1768 79 1064 80 –39 81 328 83 271 84 302 86 –71 5425 5655 5627 5027 4550 3827 2856 357 1473 1740 1560 962 337 –62 761 770 760 839 878 868 890 1007 589 716 703 812 930 1037 1,50 2,36 1,90 2,20 2,20 2,28 2,54 1,90 2,04 2,33 2,02 2,00 2,20 –– 16,7 183,8 19,3 186,2 21,0 190,2 22,6 192,2 22,5 195,1 21,4 197,0 19,3 200,6 13,6 204,4 11,8 207,2 11,4 209,0 9,8 [209] 9,2 [210] –– [222] 9,72 +5 +2+3+4+5+6 +4+6+7 +2+3+4+6+8 +3+4 +2+4 +1+3 +1+2 +1+3 +2+4 +3+5 +2+4+6 1+3+5+7 –– [Xe]4f145d36s2 [Xe]4f145d46s2 [Xe]4f145d56s2 [Xe]4f145d66s2 [Xe]4f145d76s2 [Xe]4f145d96s1 [Xe]4f145d106s1 [Xe]4f145d106s2 [Xe]4f145d106s26p1 [Xe]4f145d106s26p2 [Xe]4f145d106s26p3 [Xe]4f145d106s26p4 [Xe]4 145 106 26 5 [Xe]4 145 106 26 6

tantalio

Nb

2233 73 4602 642 1,30 13,3 180,9

+4 [Xe]4f145d26s2

Hf

1051 104 3159 499 1,10 10,10 [261]

+3 [Rn]6d17s2

Ac

700 89 1140 509 0,90 5,00 [227]

attinio

+3 [Xe]5d16s2

La

920 72 3454 538 1,10 6,17 178,5

lantanio

+4 [Kr]4d25s2

Zr

niobio

Cr

numeri di ossidazione configurazione elettronica

boro

VI

16

–272 –269 2372 –– 0,18

manganese ferro cobalto nichel rame zinco gallio germanio selenio arsenico bromo cripton 1244 26 1535 27 1495 28 1455 29 1084 30 420 31 30 32 937 33 817 34 221 35 –7 36 –157 1907 25

cromo

6

앐1 1s1 (1) Per gli elementi radioattivi che non hanno isotopi stabili, il valore della massa atomica è quello dell’isotopo a vita più lunga e viene riportato tra parentesi quadre [ ]. (2) Per i solidi e i liquidi la densità è espressa in g/ml a 20 °C; per i gas in g/l a 0 °C e a 1 atm.

1,008

H

V

15

elio

157 50 2468 42 2617 43 2157 44 2334 45 1966 46 1553 47 962 48 321 49 232 51 631 52 114 54 –112 450 53 4742 4639 4265 4150 3695 2963 2162 765 2072 2602 1587 988 184 –107 664 685 702 711 720 805 731 868 558 709 834 869 1008 1170 1,60 2,16 1,90 2,20 2,28 2,20 1,93 1,69 1,78 1,96 2,05 2,10 2,66 2,60 8,57 95,94 10,20 [98,91] 11,50 101,1 12,5 102,9 12,4 106,4 12,0 107,9 10,5 112,4 8,65 114,8 7,31 118,7 7,29 121,8 6,68 127,6 6,24 126,9 4,93 131,3 5,90 +3+5 +1+2+3+4+5+6 +4+5+6+7 +2+3+4+5+6+7 +3 +2+4 +1 +2 +3 +2+4 앐3+5 –2+4+6 1+5+7 –– [Kr]4d45s1 [Kr]4d55s1 [Kr]4d55s2 [Kr]4d75s1 [Kr]4d85s1 [Kr]4d10 [Kr]4d105s1 [Kr]4d105s2 [Kr]4d105s25p2 [Kr]4d105s25p3 [Kr]4 105s25p5 [Kr]4 105s25p6 [Kr]4d105s25p1 [Kr]4d105s25p4

V

vanadio

1852 41 4409 660 1,33 6,49 92,91

zirconio

1523 40 3345 616 1,22 4,47 91,22

+3 [Kr]4d15s2

727 57 1897 503 0,89 3,59 138,9

+2 [Rn]7s2

Ra

Y

Gli elementi da 113 a 116 e il 118 sono stati identificati, ma non sono ancora stati ufficialmente riconosciuti dalla IUPAC (International Union of Pure and Applied Chemistry).

[223]

27 88 677 380 0,70 1,00 [226]

francio

Fr

87

+2 [Xe]6s2

+1 [Xe]6s1

132,9

Ba

bario

28 56 669 376 0,79 1,87 137,3

cesio

Cs

55

+2 [Kr]5s2

Sr

+1 [Kr]5s1

85,47

ittrio

Ti

titanio

massa atomica (u)(1)

simbolo

IV

14

2

VIII

18

1668 23 1910 24 1541 22 2836 3287 3407 2672 2061 2861 2927 2913 2567 907 2204 2830 –– 685 59 –152 631 658 651 653 717 759 758 737 745 906 579 762 947 941 1140 1351 1,36 1,54 1,63 1,66 1,55 1,83 1,88 1,91 1,90 1,65 1,81 2,01 2,18 2,55 2,96 3,00 2,99 47,87 4,55 50,94 6,11 52,00 7,19 54,94 7,43 55,85 7,86 58,93 8,80 58,69 8,90 63,55 8,96 65,37 7,14 69,72 5,91 72,64 5,32 74,92 5,73 78,96 4,81 79,91 3,12 83,80 3,75 +3 +2+3+4 +2+3+4+5 +2+3+6 +2+3+4+6+7 +2+3 +2+3 +2+3 +1+2 +2 +3 +2+4 앐3+5 –2+4+6 1+3+5 –– [Ar]3d24s2 [Ar]3d54s2 [Ar]3d64s2 [Ar]3d74s2 [Ar]3d84s2 [Ar]3d104s1 [Ar]3d104s2 [Ar]3d104s24p1 [Ar]3d104s24p2 [Ar]3d104s24p3 [Ar]3d104s24p4 [Ar]3 104s24p5 [Ar]3 104s24p6 [Ar]3d34s2 [Ar]3d14s2 [Ar]3d54s1

Sc

777 39 1384 549 0,95 2,60 88,91

stronzio

39 38 686 403 0,82 1,53 87,62

rubidio

Rb

37

+2 [Ar]4s2

+1 [Ar]4s1

39,10

Ca

scandio

842 21 1484 590 1,00 1,53 44,96

calcio

63 20 760 419 0,82 0,86 40,08

+2 [Ne]3s2

1090 738 1,31 1,74

+1 [Ne]3s1

Mg

883 496 0,93 0,97 24,31

magnesio 98 12 650

potassio

22,99

1288 2471 899 1,57 1,85

+2 [He] 2s2

Be

181 4 1342 513 0,98 0,53 9,012

+1 [He]2s1

6,941

4 K

5

3

temperatura di fusione (°C) temperatura di ebollizione (°C) energia di prima ionizzazione (kJ/mol) elettronegatività (secondo Pauling) densità(2)

berillio

3

–259 –253 1312 2,20 0,0899

litio

1

III

idrogeno

II nome numero atomico

13

2

H

3 Na

2

1

TAVOLA PERIODICA DEGLI ELEMENTI

–259 1 –253 1312 2,20 1,008 0,0899 앐1 1s1

I

idrogeno

PERIODI

1

GRUPPI

LANTANIDI ATTINIDI

Carmine Rubino Italo Venzaghi Renato Cozzi

Le basi della chimica analitica Laboratorio

Un libro che affronta i principi fondamentali della chimica analitica con completezza, integrando gli aspetti teorici con i calcoli stechiometrici e le esperienze di laboratorio. Nel libro ฀ Gli strumenti per studiare: note lungo il testo per fissare i concetti e, a fine capitolo, la sintesi con definizioni e relazioni utili per il calcolo. ฀ I calcoli del chimico: i numerosi esercizi svolti guidano alla risoluzione di problemi stechiometrici, indispensabili per affrontare il laboratorio di analisi. ฀ I fondamenti chimico-Äsici dell’analisi sono affrontati in più parti della teoria, soprattutto negli argomenti di termodinamica ed elettrochimica. ฀ Il laboratorio: le schede illustrano sia i principi teorici sia i dettagli operativi delle esperienze proposte.