L’Apocalisse. Ermeneutica, esegesi, teologia

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L’Apocalisse. Ermeneutica, esegesi, teologia

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·uGO VANNI

L'APOCALISSE ermeneutica, esegesi, teologia

EDIZIONI DEHONIANE BOLOGNA

Prima edizione: 19R8 Ristampe: 1991 l 'I'IB 2001 2005

o 1988 Centro editoriale dehoniano via Nosadella, 6 - 40123 Bologna EDB (marchio depositato) ISBN 88-10-30205-2 Stampa: Grafiche Dehoniane, Bologna 2005

Sigle e abbreviazioni 1

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Augustinum Andrew University Seminary Studies Biblica Biblica! Theological Bulletin Bibel und Kirche Bibbia e Oriente Biblica! Research Biblc Today Bible et Vie chrétienne Catholic Biblica! Quarterly Church History Christus Revista monastica, Estella (Navarra) Communio. Commcntarii Internationales de ecci esia Currents in Theology and Mission Dansk Teologisk Tidsskrift Euntes Docetc Esprit et Vie Estudios biblicos Estudios Franciscanos Ephemerides Theologicae Lovanienses Études Théologiques et Religieuses Evangelica! Quarterly Evangelische Theologie Ecclesiastica Xaveriana The Expositor Times Foi et Vie Grande Lessico del NT (Kittel) Grace Theological Journal Gregorùmum

' Le sigle delle riviste vengono prese da New Testament Absrracts, da Elenchus Bibliographicus Biblicus e da Theologische Rea/enzyklopiidie opere familiari agli studiosi. Il codice Sinaitico è indicato con S o scritlo p~r intero.

5

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Introduzione

Uno sguardo, anche solamente panoramico, agli studi dell'Apocalisse di questi ultimi due decenni dà l'impressione netta di uno sviluppo in crescendo. Lo scarso interesse della ricerca scientifica' che A. Feuillet aveva lamentato nel 1963, appariva, nel 1979, felicemente superato' e quell'èra dell'apocalittica - come interesse di studio e di ricerca - che già allora si poteva intravedere, comincia davvero a realizzarsi.' Si nota, infatti, scorrendo la bibliografia di questi ultimi anni, un interesse che si mantiene e cresce in tutte le branche di indagine. L'Apocalisse- è risaputo- non è un testo facile: un contatto frettoloso può portare a grossi abbagli, come la storia della sua interpretazione ha spesso mostrato. Si è avvertita l'esigenza per lo meno di un primo orientamento. Si sono avuti, così. molti contributi validi di tipo introduttorio.' Una volta preso un primo contatto col testo, si impone lo studio di tutta una serie di problemi che possiamo raggruppare sotto la denominazione di : si tratta dell'autore del libro e del tempo della sua composizione, della peculiarità della lingua, della struttura e di altri fenomeni letterari minori. E siccome quando si parla di aspetti letterari si ha presente un lettore che reagisce, rientrano in questo quadro gli aspetti riguardanti i destinatari dello scritto: l'interpretazione del messaggio che è loro richiesta, la

1 o~, in LumVitae (1985) 40, pp. 180-192; U. V ANNI, La strutrura letTeraria dell'Apocalisse, Brescia 21980. Nella parte aggiunta: «Dieci anni di discussione• (pp. 257-311) viene fatta una valutazione dei contributi apparsi nel decennio 1971-1980, delle recensioni, con l'apporto di elementi nuovi. L'attenzione degli studiosi si è concentrata anche su altri aspetti sempre di carattere letterario, a cominciare dall'espressione linguistica. In questa ultima prospettiva sono da segnalare A. LAsCELLom, Predominanre paratassi nella na"ativa ebraizzante dell'Apocalisse, in StBibFrLibAn (19HO) 30, pp. 303-316; Io., Il >INI, L 'assemblea ecclesiale •Soggetto interpretante• dell' Apocali.ue, in RasT (1982) 23, pp. 497-513; L.J. SARTRE, lnterpreting rhe Book of Revelation, in WWorld (1984) 4, pp. 57-69; BARR, The Apocalypse, pp. 39-50; In., The Apocalypse as Ora/ Enactemenl, in lnterp (1986) 40, pp. 243-256; J.L. BLEVINS, The Genre of Revelation, in RExp (1980) 77, pp. 393-408; In .. Revelarion as Drama, Nashville 1984. ' È impressionante la presenza dell'Antico Testamento nell'Apocalisse, come risulta mettendone il testo in sinossi con i brani che, in un modo o in un altro. riprende (cf. U. V AN'NI, Apocalisse e Antico Testamento: una sinossi, Roma 2 1987). Gli ultimi apporti riguardanti la relazione tra Antico Testamento e Apocalisse riguardano la possibile dipendenza dal ciclo annuo di letture proprie del calendario giudaico: M.D. GoULOER, The Apocalypse a;· an Annua/ Cycle of Prophecies, in NTS (1981) 27, pp. 342-367. Assistiamo inoltre a un fenomeno interessante: una concentrazione dello studio su Daniele e l'Apocalisse: J.M. EFIRO, Daniel and Revelation. A Study of Two Extraordinary Visions, Valley Forge 1978; K. HA,..HART, The Four BellJts of /)anie/'s V> letteraria costituita dallo schema: EXWV-JtÉj.!'ljlovf~aÀ.EV.16 A proposito di 19,1-8 vedevamo come l'aÀ.À.lJÀ.Ouù't tende ad essere cantato, dando luogo addirittura a una possibile esecuzione a due voci. 13 Questo atteggiamento stilistico è assai frequente nell'Apocalisse. Non solo si usa il numero sette per esprimere un'idea di totalità (le 54 ricorrenze del termine bn:6. sono tutte su questa linea), ma si costruiscono delJe serie di sette clementi. Al contenuto espresso dai singoli

termini si aggiunge, proprio mediante la serie di sette, l'idea di completezza in un certo genere: cf.

ad es. 6,15; 9,7-11, ·ecc. 14 Uno dci casi più significativi si trova nel lamento dei naviganti, nel contes10 del dramma liturgico che interpreta la distruzione di Babilonia: 18,11-13. L'enumerazione è particolarmente lunga, ma non genera monotonia: l'aurore la sa variare con arte alternando prima una serie di

genitivi dipendenti da yò~ov e di accusativi, dipendenti questi ultimi direttamente da ò.yoQ> (6 àvayLvci>axwv, 1.3) e dall'altra i suoi ascoltatori (ol àxouonEç, 1,3). Il lettore porta al gruppo il messaggio di Giovanni; il gruppo reagisce. Si ha, così, una concatenazione che fa sviluppare il dialogo in avanti: il lettore, salutamlo, augura , che si chiude nella sua immanenza ed erige a sistema il lusso e il consumismo. Ne deriva una prosperità materiale con tutto un suo dinamismo di espansione e una capacità di presa, di «ammaliamento>> su tutte le genti. Il prezzo che viene 2ll È quanto ha messo in risalto y ARBRO COLLINS, Crisis' pp. 152-161. n parallelo con la tragedia greca è suggestivo e sottolinea la forza d"urto letteraria di cui è carico il testo dell'Apocalisse. Essa

però, come apparirà dalle pagine seguenti, deve essere situata e compresa nell'ambito del1'assemblea cristiana, con quelle modalità particolari che sono tipiche di un'esperienza liturgica. Ma è un'esperienza liturgica particolare. nella quale la drammatizzazione -sotto le varie fonne che può assumere- ha una sua parte. Anche se non possiamo condividere la tesi di J.L. Blevins che l'Apocalisse fu scritta proprio come un dramma in sette atti. sono innegabili gli spunti e i tratti drammatici che abbondano in

tutto l'arco del libro e che dovranno essere debitamente valorizzati come elementi letterari (cf. J.L. BLEVINS, Revela1ìon as Drama, Nashville 1984).

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pagato per sostenere tale consumismo è il più alto possibile: un sistema di ingiustizia sociale che comporta il sacrificio anche di vite umane per la prosperità e il lusso altrui. La convivenza Babilonia non è , socialmente e politicamente parlando: essa è sostenuta dallo stato che si fa adorare," forma un contesto unico coi centri di potere, i «re della terra>>, è resa florida e tende ad espandersi in virtù dell'attività dei suoi . Questa grandiosità che si assolutizza, si corrode anzitutto dal di dentro di se stessa: tutto ciò che rende la vita autentica e attraente scompare da Ici. Ma c'è soprattutto- una pressione corrosiva dal di fuori: è il giudizio di Dio che si farà sentire pesantemente su di lei. La sua negatività si rivolgerà contro di lei stessa. E Dio, che domina tutto con la sua onnipotenza, inaspettatamente, da una parte distruggerà Babilonia c tutto il suo male, dall'altra saprà trasformare in bene anche il male, attuando così il doppio. Ma l'ipotesi del dramma liturgico mette in rilievo un aspetto fondamentale: Babilonia è la grande presente in tutte le parti in cui il piccolo dramma si articola. Si pensa, cioè, a una Babilonia attuale, prospera, capace di contaminare, e di fronte a questa realtà negativa si hanno i vari interventi: l'annuncio della caduta, l'invito a distaccarsi radicalmente da lei, il suo incendio al quale assistono «piangendo e lamentandosi>> tutti coloro che si sono uniti a lei e ne hanno saputo approfittare, il cielo invitato a rallegrarsi, l'azione simbolica e il commento dell'angelo. Tutto ruota intorno all'esistenza minacciosa e reale della grande città e ha lo scopo di facilitarne una valutazione precisa. Tale valutazione è inculcata con tutta la pressione psicologica propria di una rappresentazione drammatica, e non insegnata astrattamente. Il gruppo di ascolto, seguendo i vari quadri, immedesimandosi e facendone come un'esperienza esce maturato e cambiato. Non solo sarà in grado di difendersi dall'influsso affascinante del benessere assolutizzato, ma saprà averne sempre una valutazione critica precisa: lo saprà vedere al di là delle apparenze immediate, alla luce del giudizio di Dio.

6. Lo

STRUlTURALISMO NELL'APOCALISSE

C'è un modello di analisi propriamente strutturale riguardante l' Apocalisse, realizzato da J. Calloud, J. Delorme, J.P. Duplantier mediante un'applicazione dei moduli del racconto di Greimas 21 I risultati ottenuti sono, anche qui, di indubbio interesse e stimolanti, come quando si attira l'attenzione sulla tutta particolare che ha l'autore nel costruire i suoi racconti. D'altra parte l'analisi letteraria- intesa nel senso più ampio del termine: 21 Un'espressione plastica e impressionante seduta su un mostro vestito di scarlatto•>. Cf. soggiacente J. PlKAZA, La perverslon de la politica en Ap Il-13 y 17-20, in «Estudios Mcrcedarios»

di tutto questo si trova in 17,3: () allotropia ( aÀÀoç, 't(lÉ1tm: (22,16) dopo averne fatta la promessa (cf. 2,28), è già ormai completamente simbolo. Il significato nuovo che acquista è sempre, fondamentalmente, quello dello spostamento di un elemento celeste che viene a trovarsi sulla terra. Il contesto poi specifica ulteriormente: si tratterà della dimensione celeste, trascendente che compete alla chiesa nella sua concretezza storica," della tensione verso la pienezza del giorno escatologico che Cristo risorto, sentito come presente nella chiesa, le comunica. Oppure si tratterà, con un procedimento rovesciato, di una realtà di per se stessa in qualche modo trascendente, ma che si trova, forzatamente perché vi è caduta, sulla terra.

9 Il passaggio dal livello realistico a quello simbolico emerge dallo studio approfondito dei termini più importanti. Cf. G. VoN RAo, oùgavoç in Theo/ogisches Worterbuch zum Neuen Testament, (TWNT), V, coli. 501-509: il cielo è visto nell'AT come un'entità materiale e solida, poi come abitazione di Dio e luogo di salvezza. Cf. anche A. SooGIN, !amaim, in E. JENNt · C. WESTER"ANN, Theologisches Handworterbuch zum Alten Te.ftament, Miinchen-Zìirich, II, 1976, coli. 965-970. " Cf. W. FoERSTER, éumjQ, in TWNT, I, col. 501. 11 Questo potrebbe essere il significato dell'espressione enigmatica «angelo della chicSB>t> di cui è simbolo la stella. Dato che il ( equivalente al «voi>) (cf. aù esempio 2,10) del messaggio delle sette lettere è da identificarsi con le chiese, !'«angelo della chiesa», al quale appunto le singole

lettere sono indirizzate. sarebbe la chiesa stessa che è, in qualche modo, angelo. che ha una dimensione trascendente. Per un approfondimento, vedi Parte seconda, c. III, pp. 138-142.

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Un terzo ed ultimo esempio, tra i tanti possibili. La folgore e il tuono sono già, sempre nell'A T, riferiti alla trascendenza e segnatamente alla voce di Dio." Questa simbolizza~ione embrionale assume nell'Apocalisse uno sviluppo nuovo: i che partono dal trono di Dio sono esplicitamente anche > ( c'IEt6ç: 3 ricorrenze), di «cavallette>> ( àxgibEç: 2 ricorrenze), di «drago» (Ogaxwv: 13 ricorrenze, le uniche in tutto il NT), di «mostro>> o (frr,giov: 38 ricorrenze), di «cavallo>> (bmoç: 16 ricorrenze), di «rane>> (~{xtgazoç: l ricorrenza), di «scorpioni>• (oxogrr[oç: 3 ricorrenze), «serpente>> (oqnç: 5 ricorrenze), «cane>> (xuwv: l ricorrem:a), «uccello•• ( OQVEOv: 3 ricorrenze). Il quadro impressiona per la sua vastità che non trova riscontro, neppure lontanamente, in nessun altro scritto del NT In alcuni casi gli animali sono visti in un senso realistico e proprio: ad esempio, le belve che divorano un quarto degli abitanti della terra (cL 6,8), 21 i cavalli quando il sangue arriva all'altezza del loro morso (cf. 14,20), il ruggito del leone al quale si paragona la voce dell'agnello (cf. 10,3), la puntura degli scorpioni (cf. 9,5) ecc. Ma gli animali sono spesso diversi da quanto ci aspetteremmo e protagonisti di azioni superiori. Gli ~> (3,4) e ricorre nella misteriosa beatitudine inserita prima della battaglia escatologica conclusiva: - lo esamineremo nel quadro del simbolismo cromatico- le vesti sono attribuite ai «vincitori», impegnati fin da adesso con Cristo nella lotta contro il male (cf. 3,5), sono promesse alla chiesa di Laodicea in modo che non si veda ", btta, ivi, Il, 623-632. F. HAUCK, OÉxa, i vi, II, 35-36; K.H. RENGSTORF, Oworxa, i vi, II, 323-325 (la parte riguardante l'Apocalisse). D La bibliografia copiosissima riguardante questo versetto ne sottolinea la difficoltà. L'equivalente più diffuso è quello di Nerone Cesare che si ottiene sommando insieme i valori numerici delle lettere ebraiche che lo esprimono (NR WN QSR: n ~ 50 + r ~ 200 + w ~ 6 + n ~ 50 + q ~ 100 + s ~ 60 + r ~ 200: totale 666). Ma ha importanza, oltre al risultato che si ottiene, il processo mentale coinvolgente con cui si ottiene.

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che si verifica a proposito degli angeli che glorificano l'agnello: «il loro numero era "miri adi di miriadi"» (5, 11 ). Si verifica anche a proposito della cavalleria infernale: «il loro numero era il doppio di miriadi di miriadi>> (9,16). Ma passiamo ai casi più tipici nell'intento non di esaurirne l'analisi, ma più semplicemente di chiarirne il meccanismo. Il numero 7 già nell'ambiente veterotestamentario indica la completezza, la totalità: è un dato che l'autore dell'Apocalisse accoglie dal suo ambiente culturale e considera acquisito. L'impronta qualitativa di significato non deriva da lui. È sua, invece, l'applicazione che ne fa sia a livello esplicito- 7 chiese, i 7 sigilli, le 7 trombe, le 7 coppe, ecc. - sia a livello di strutturazione letteraria, nelle enumerazioni di sette elementi. In tutti e due i casi, l'autore ci vuole indicare un tipo di totalità che poi il contesto determina e chiarisce. Contrapposta a sette c'è la metà di sette, tre e mezzo. Si ha una totalità dimezzata, una parzialità. Anche qui sarà il contesto a indicare un contenuto preciso: si avrà così una parzialità di durata, una parzialità di intensità, ecc. I 42 mesi in cui sarà calpestata la «città santa>> (11 ,2) indicano, ad esempio, la durata limitata, l'emergenza di quella situazione. Il fatto che sia espressa in mesi invece che anni accentua la durata in senso distributivo: si sentirà il peso di questa situazione: il tempo sembrerà lunghissimo pur nella consapevolezza che si tratta di un'emergenza. La totalità dimezzata sulla linea del tempo- 3 anni e mezzo- è distribuita anche in giorni. Questo procedimento artificioso sottolinea, puntualizzandola fino al quotidiano, le caratteristiche di una situazione che, comunque. è pensata come fondamentalmente transitoria. Così, i due testimoni profetizzando per (11,3), l'equivalente di tre anni e mezzo, assicurano quotidianamente la loro presenza e attività nell'emergenza che la chiesa sta vivendo. La donna è nutrita nel deserto sempre «per 1260 giorni>> (12.6): il numero indica l'assistenza quotidiana da parte di Dio, come accadeva con la manna nell'AT, durante il periodo della contrapposizione alle forze ostili. La stessa idea di una totalità diventata frammentarietà viene espressa mediante le frazioni: la indicano ad esempio TÒ TQ[mv «la terza parte>> che ricorre con l 'insistenza di un motivo letterario nella sezione delle trombe (cf. 8,7-12), tò tÉtaQTOV «la quarta parte» (6,8). Mentre il numero 7 indica tipi diversi di totalità ed è solo il contesto a precisare, il numero 1000 esprime, come suggeriscono l'altezza della cifra e alcune documentazioni del suo uso," la totalità propria del livello di Dio e dell'azione di Cristo. Il tempo, neutro allo stato di pura successione cronologica, diventa sacro se vi si considera la presenza e l'azione di Cristo: si avranno i 1000 anni (cf. 20,1-6). Lo stesso tempo, identico come durata cronologica, sarà qualificato «tempo breve>>- f!LKQÒV x_g6vov: 6,11; 20,3- se vi si considera presente l'azione antitetica a Cristo delle forze storiche che gli sono ostili.

" Cf. E. LoHSE, XLÀLttç. X{ÀLOL, in TWNT. IX, coli. 458-460.

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Più difficile è stabilire l'equivalente realistico di altre alterazioni numeriche. Il numero 10 sembra indicare - come suggerisce 2,10: - una limitatezza nonostante l'apparenza del contrario." Lo stesso si può dire di 5 (cf. 9,5.10). Il numero 12 non ha riscontri persuasivi nella letteratura apocalittica e sembra una derivazione diretta dell'autore dalle 12 tribù di Israele e dai 12 apostoli, implicando sempre, eccetto quando sembra usato in senso realistico (cf. 22,2 indicante i dodici mesi dell'anno), o le une o gli altri o tutti e due (cf. 7,5-8; 12,1; 21,12-21). Tipica dell'Apocalisse- e qui appare più chiaro il processo creativo nel quale l'autore vuoi coinvolgere il lettore - è la combinazione dei numeri mediante operazioni aritmetiche sempre artificiose, ma relativamente semplici in se stesse. L'esempio più interessante è la cifra 144.000 risultante dalla moltiplicazione 12x 12x 1000. Secondo le indicazioni date sopra, si avrebbe una moltiplicazione ideale tra le 12 tribù di Israele e i 12 apostoli dell'agnello: Antico c Nuovo Testamento si compenetrerebbero così al punto da formare un unico popolo di Dio, ma che risulta maggiorando in una unità superiore e dinamica i valori presenti nel periodo dell'Antico e del Nuovo Testamento. La successiva moltiplicazione per 1000 rapporta questo popolo di Dio - ma non inteso in tutta la sua estensione"- ai 1000 anni propri della presenza attiva di Dio e di Cristo nella storia dell'uomo." L'esemplificazione potrebbe continuare. Ma da questo che abbiamo visto appare, con chiarezza sufficiente, il tipo di costante simbolica intesa ed espressa dall'autore mediante il simbolismo aritmetico. Le variazioni, le alterazioni della quantità per indicare delle qualità sono senza dubbio artificiose. Ma l'autore riesce ad esprimere anche qui un suo tipo di creatività. La pressione verso un meglio e un di più si fa sentire e incide proprio sul rapporto tra l'autore e queste dimensioni precise. Il nuovo, il di più che egli si aspetta e in base al quale accetta c crea le variazioni di significato proprie del simbolismo aritmetico. hanno per lui l'evidenza indiscutibile della chiarezza aritmetica.

Conclusione sulle costanti simboliche Possiamo, dando uno sguardo retrospettivo al cammino finora percorso, raccogliere in sintesi alcune osservazioni. L'intento di verificare le costanti

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~ In questo senso ÙÉKa ha un suo simbolismo, contrariamente a quanto affermato da F.

Hauck (v. nota 53) e può essere applicato anche al drago di 12,3: le «dieci corna» sarebbero una potenza limitata nonostante l'apparenza minacciosa di forza travolgente, suggerita dal simbolismo teriomorfo usato.

'' È evidente, infatti, la contrapposizione tra i 144.000 di cui si ha il numero (fpwval xaì. ~Qovral. Ricorre in questa forma in 4,5; in 8,5 si aggiunge orwfi6ç; in Il, 19 si aggiunge ulteriormente x6.).n~a !'EY di 1,13 equivalgono, semplicemente «SOnO>> (do[v) le sette chiese e che le sette stelle (Eio[v) i sette angeli delle chiese. Tò !!UOtl'JQlOV è situato (1,20a) a cavallo tra l'immagine simbolica allo stato puro e la sua identificazione concreta. Esprime da una parte l'immagine simbolica stessa, ma che contiene un'istanza di interpretazione, di applicazione concreta che, quasi, la preme dinamicamente dal di dentro: dall'altra è la stessa realtà concreta, ma letta, interpretata alla luce dell'immagine simbolica che essa incarna. Tò !lUOTilQLOV è, quindi, l'immagine che diventa enigma da risolvere in chiave di applicazione concreta; ed è la stessa realtà concreta che richiede l'applicazione dell'immagine per poter essere capita e valutata. L'attività mentale che permette il passaggio dall'immagine allo stato puro all'immagine applicata alla realtà concreta, e, in senso inverso complementare, dalla realtà concreta opaca a una realtà concreta letta e capita teologicamente mediante l'applicazione dell'immagine, è tipicamente sapienziale, sulla linea della decifrazione sapienziale del sogno, attestata particolarmente in Daniele, da cui l'autore dell'Apocalisse sembra dipendere.' Si intravvede un rapporto molto stretto tra riflessione sapienziale e J.l.UcmlQLOV. Le ricorrenze di !!UcrtftQLOV nella seconda parte dell'Apocalisse, che esamineremo, ci permetteranno una determinazione ulteriore.

3. LA RIFLESSIONE SAPIENZIALE NELLA SECONDA PARTE DELL'APOCALISSE (4,1-22,5): LA

I primi passi che nella seconda parte dell'Apocalisse ci parlano esplicitamente di > (la somma delle consonanti di Nrwn Qsr dà appunto 666: nun: 50; res: 200; wau: 6; nun: 50; qof: 100; samekh: 60; res: 200)." L'attività sapienziale, la messa in atto della croc:p[a, consiste quindi anzitutto nel decifrare il simbolo, prendendo atto del suo significato, delle sue

" ljlfJq>ta>. C'è da aspettarsi, dati gli elementi dialogici che abbiamo rilevato, un'interazione particolare attiva. Tale interazione verrà provocata anche dalla lingua particolarissima dell'Apocalisse, dal ritmo dello stile, dalle drammatizzazioni, dalle enumerazioni, dagli schemi settenari, insomma da tutti quegli elementi letterari che, adeguatamente espressi e percepiti, fanno presa sulla sensibilità del gruppo.' 4.

UN APPELLO ALLA CONVERSIONE CHE VIENE RACCOLTO

Il rapporto tra il lettore e il gruppo ecclesiale di ascolto si fa particolarmente vivo nel gruppo settenario delle lettere (Ap 2-3). A Giovanni viene dato l'incarico di scrivere un messaggio e di inviarlo alle «sette chiese>> (Ap 1,11). Si ha quindi un movimento che si dirige verso il gruppo ecclesiale, rappresentato dalle «Sette chiese>>, e che fa pressione su di esso. Ci aspettiamo una sua reazione. Inoltre, viene precisato, Giovanni è solo un mediatore. Il messaggio proviene direttamente da Cristo, che si esprimerà in prima persona. Ciò qualifica il ruolo del «lettore>>: presentando il messaggio dei capitoli 2-3 non dovrà interpretare soltanto Giovanni, ma, addirittura, il Cristo risorto. La pressione esercitata acquista un salto ~i qualità: è la pressione stessa di Cristo. Si pone di nuovo la domanda: quale sarà la reazione del gruppo ecclesiale di ascolto~ Per rispondere, occorre dare uno sguardo ravvicinato al modo con cui il messaggio delle sette lettere parte dal «lettore>> e raggiunge il gruppo. Ciascuna delle lettere presenta uno schema letterario chiaramente identificabile in sei punti:" c'è un indirizzo («all'angelo della chiesa ... scrivi>>), una presentazione che Cristo fa di se stesso alla chiesa («così parla colui che ... >>), un giudizio valutativo della chiesa stessa («conosco ... >>), .una esortazione particolare proporzionata al giudizio fatto (comincia col primo imperativo che segue il giudizio: «convertiti>>, «fai>>, ecc.). Si ha poi un'esortazione di carattere generale ripetuta tutte e sette le volte con la stessa formula («chi ha orecchio ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese>>), e, finalmente, una promessa fatta al vincitore («A chi vince ... darò in dono>>). ' Cf. sopra c. l, pp. 22-25. Cf. VA~NI, La struuura. pp. 302-304. l sei punti dello schema saranno ripresi e illustrati più in dettaglio nella Parte seconda, c. 111, quando faremo l'esegesi di una delle «sette lettere». 10

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C'è da notare un fatto letterario che, nello stile raffinato dell'Apocalisse, acquista un rilievo. I primi quattro punti dello schema si susseguono sempre nello stesso ordine: gli ultimi due sono scambiati nelle ultimè quattro lettere. Ciò indica da una parte la spostabilità e quindi una certa equivalenza rispetto all'ordine degli ultimi due punti, dall'altra la fissità della concatenazione dei primi quattro. Tenendo presente tutto questo, ritorniamo al gruppo ecclesiale di ascolto. Lo schema letterario del messaggio che gli viene indirizzato con la fissità e variabilità rilevate, non è un virtuosismo retorico chiuso in se stesso. Ha sul gruppo ecclesiale di ascolto - che coincide con la chiesa a cui è rivolto il messaggio - una sua forza d'urto tipica e la chiesa reagisce specificamente, a seconda dello stimolo che riceve. L'indirizzo esprime una presa di contatto e la chiesa accoglie l'indirizzo. Si sente interpellata. L'autopresenrazione di Cristo stimola e provoca sulla stessa linea dell'indirizzo, specificandola. Alla chiesa viene esplicitato che l'interpellazione è un discorso che le viene rivolto. Dovrà rispondere. Il discorso è rivolto da Cristo che precisa, qualificandosi (), quello che lui è per la chiesa. La chiesa allora si sente legata a Cristo, in rapporto con lui: reagisce accettando. Cristo accettato accentua una sua pressione sulla chiesa: , essa si sente dire. E quando questa conoscenza, espressa sempre in termini appassionati sia riguardo al bene che riguardo al male, viene specificata fino al dettaglio, la chiesa si sente conosciuta fino in fondo, valutata, giudicata. Reagisce accogliendo il giudizio. A questo punto la provocazione nei riguardi della chiesa si fa ancora più diretta e immediata: Cristo passa dall"indicativo all'imperativo dell'esortazione. Siamo al culmine, al massimo di stimolo: la chiesa sente un comando, una volontà che la vuole determinare in rapporto con la sua situazione. Reagisce accogliendo l'imperativo di Cristo il quale tende a produrre creativamente quanto esprime. La chiesa si ritrova allora convertita, stimolata, consolidata, purificata, secondo quelle che sono le sue esigenze specifiche emerse nel giudizio. Qualunque sia stata la situazione all'inizio di questo incontro con Cristo - positiva, negativa, mediocre - la chiesa, ora, è e si sente diversa: convertita, stimolata, in ogni caso migliore di prima." Se si valuta lo schema letterario delle lettere non isolandolo in se stesso, ma nell'impatto che ha quando e mentre viene ascoltato, secondo le reazioni che abbiamo indicato. appare anzitutto il suo genere letterario: è una trafila penitenziale. Si comprendono poi la fissità e la variabilità dei sei elementi che costituiscono lo schema. I primi quattro punti esprimono, una volta che il loro contenuto è Ietto e ascoltato, una trafila penitenziale che si svolge a tappe successive. Non si può cambiare la concatenazione di queste tappe senza 11 Cf. per un approfondimento dettagliato dell'influsso attivo di Cristo risorto sul gruppo di ascolto equivalente alle chiese U. VAN"t. La parola efficace di Cristo nelle .{el/ere» dell'Apocalisse, in RasT (1984) 25, pr. 18·40.

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alterare sostanzialmente la trafila stessa, rendendola oziosa. Infine, una volta raggiunto il suo livello di purificazione e tonificazione interiore, la chiesa è in grado simultaneamente sia di ascoltare, interpretandolo, il linguaggio dello Spirito che «parla alle chiese>>, sia di collaborare alla vittoria sulle forze ostili che Cristo sta riportando. La reazione provocata dalle parole di Cristo si riferisce alle singole chiese prese una per una. Esse, però, lo abbiamo visto più sopra, si identificano con quella porzione di chiesa che le esprime e che è costituita dall'assemblea liturgica in atto. E questa è, concretamente, il gruppo di ascolto che si sentirà di volta in volta identificato con questa o quella chiesa, delle sette che vengono presentate. Alla fine, rinnovato e purificato, il gruppo potrà affrontare la seconda parte, nel corso della quale apparirà il senso preciso sia dell'ascolto dello Spirito sia della vittoria con Cristo che il gruppo ormai è in grado di realizzare.

5.

LA LETI1JRA CRISTIANA DELLA STORIA

Con l'inizio della seconda parte dell'Apocalisse Giovanni-ritorna protagonista diretto del racconto, senza che questo fatto letterario comporti un abbassamento di livello. È sempre la voce di Cristo, proprio quella che era stata udita prima- si sottolinea esplicitamente (cf. 4,1)- che invita Giovanni a salire al cielo per poter considerare, dal punto di vista della trascendenza divina, > del suo piano ai e, per loro mezzo. anche agli altri cristiani. Ne deriva una conseguenza importante per il gruppo di ascolto e che riguarda la sua fisionomia e la sua attività. Deve essere, il gruppo, aperto e docile allo Spirito, in grado di sintonizzarsi con lui. Potrà allora applicarsi in concreto ad «ascoltare>>, a interpretare quel messaggio che lo Spirito invia alle chiese tramite le visioni simboliche di Giovanni. E occorrerà portare l'interpretazione fino alle sue ultime conseguenze, in un contatto coraggioso con la realtà che si

1 ' È la sezione centrale che si svolge da 11,15 a 16,16. È determinata cosl per la rilevanza che vi acquista il trittico letterario imperniato sul OT)IJ.Eiov che costituisce la struttura portante di tutta la sezione. Cf. V ANNI, La struttura. pp. 195-202 e 306-308. " C'è un parallelo interessante in !Cor 2,10-16: quello che l'uomo non può comprendere gli viene rivelalo da Dio ((attraverso lo Spirito: lo Spirito scruta infatti tutte le cose, anche le profondità di Dio» (2,10). Si tratta, nel contesto, di «profondità di Dio» riguardanti il suo piano di salvezza che si attua nella storia.

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sta vivendo. Nella citazione di Geremia che segue (cf. 13,10) si indica, dopo che il gruppo di ascolto ha interpretato il simbolo del primo mostro, un'applicazione concreta: la prigionia, la morte, conseguenza della resistenza dei cristiani, sono permesse da Dio e vengono ora capite come tali. A questo punto della trafila che il gruppo sta svolgendo- , a questo punto del libro - viene eviden:liato un valore di importanza fondamentale. Nella presa di coscienza, nella lettura, e nell'accettazione del piano di Dio si ha la «perseveranza>> e la «fede» dei santi. Il gruppo ecclesiale, qualora si trovi a vivere proprio la situazione indicata nel quadro del primo mostro, sceglierà, come sua decisione pratica, la perseveranza e la fede. I santi, così, anche se oppressi dalla prigionia o addirittura messi a morte hanno, rispetto ai loro antagonisti, una superiorità. Paradossalmente si possono chiamare vincitori, come si può chiamare vincitore Cristo. La vittoria di Cristo, nella prospettiva dell'Apocalisse, è costituita dalla sua passione e dalla sua uccisione (cf. Ap 4,5-14): da questo deriva la sua capacità di salvezza e di supcramento di tutte le forze ostili. Ne deriva anche specificamente per i cristiani quella forza, quella energia che ne farà dei vincitori, sempre rispetto alle forze storiche ostili. Riusciranno a superarle >.

C'è un richiamo a una presa di coscienza: il gruppo ha potenzialmente una sapienza che esige di essere messa in atto. Ciò avverrà - viene subito precisato - applicando la propria capacità mentale alla lettura della storia in cui il gruppo vive. Si è andata delineando nei versetti che precedono la figura simbolica del mostro. A questo punto del libro- «qui>>, WÙE- il gruppo deve poter identificare nel suo orizzonte storico se e dove e come vi abbia luogo una concretizzazione presente della fisionomia, dell'identità simbolica, della caratteristica del mostro. Questa cifra, insiste l'autore volendo proprio provocare il gruppo di ascolto, si trova tra gli uomini, va cercata là. è una cifra d'uomo. E perché il gruppo abbia un modello di riferimento gli viene indicata una concretizzazione già avvenuta: la figura dell'imperatore Nerone. Perché il

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gruppo non lo fraintenda, l'autore esprime questo riferimento universalizzandolo mediante un'artificiosa simboliaazione aritmetica. 17 Tutto questo che il gruppo sta praticando e imparando - la decodificazione del simbolo con l'applicazione sapienziale alla kttura della propria realtà storica- ci viene sintetiaato in un altro testo particolarmente interessante per la nostra ricerca: 17,1-17. Ne è protagonista Giovanni, ma, anche 4ui come altrove, la sua esperienza tende a essere partecipata al gruppo che deve farla sua. Ce lo esplica un richiamo indirizzato al gruppo, introdotto da una formula che già conos(iamo: >. L'angelo indica prima alcuni tratti di decodificazione (17 ,8); poi spinge Giovanni sulla linea della concretezza storica, alla 4uale dovrà essere applicato Io schema desunto dal simbolo (17,9-18). L'esperienza di Giovanni è transitiva come abbiamo già visto più sopra. Rivissuta dal gruppo ecclesiale riassume la reazione del gruppo nella seconda parte dell'Apocalisse: in contatto con lo Spirito, aperto all'imprevisto profetico, dovrà accogliere il simbolo con tutta la carica di stimolo che esso possiede, interpretarlo, cercare di applicarne il messaggio alla realtà storica in cui vive, trarre le conclusioni operative che tale applicazione suggerisce. Così, ascoltando questo messaggio dello Spirito, si preparerà a vincere le forze ostili con Cristo.

17

Cf. sopra, c. II, p. 52, nota 53, c. III, p. 81, nota 16.

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6. (22,17): L'ATTEGGIAMENTO CONCLUSIVO DEL GRUPPO ECCLESIALE DI ASCOLTO La conclusione dell'Apocalisse (22,6-21) ci presenta di nuovo un dialogo liturgico. Il fatto ci riporta al dialogo liturgico iniziale (1.4-8), nel quale è emerso come protagonista il gruppo ecclesiale di ascolto che risponde al lettore. Ci aspettiamo di ritrovarlo ed è quanto di fatto si verifica, ma con una differenza letteraria rilevante. Il dialogo liturgico iniziale si svolgeva tra il lettore e il suo gruppo di ascolto. Alla fine - cf. Ap 1,8- Dio stesso veniva introdotto a parlare in prima persona ma come negli oracoli profetici dell'/\ T. Il dialogo liturgico conclusivo, invece, è multiplo: vi intervengono i vari protagonisti dell'esperienza ormai conclusa: Giovanni, l'angelo interprete, Gesù, l'assemblea liturgica animata dallo Spirito. Il dialogo è condotto dal lettore-Giovanni, ma i singoli protagonisti intervengono anche direttamente e inaspettatamente, rendendo talvolta difficile l'attribuzione precisa delle varie parti." Qual è la reazione tipica del gruppo di ascolto in questo dialogo conclusivo? Ce lo indica chiaramente Giovanni in 22,17: «chi ascolta: (ò àxouwv) dica: "vieni!">>. Questa espressione si ricollega manifestamente a quella corrispondente del dialogo liturgico iniziale: «coloro che ascoltano>> (o[ axouovw;, 1,3), e la riprende. Lo stesso tipo di dialogo tra un lettore e il suo gruppo di ascolto, iniziato in 1,4-8, si sta ora concludendo. Ciascun componente del gruppo ecclesiale di ascolto è invitato a invocare la venuta di Cristo. Ma l'espressione è in parallelismo sinonimico con un'altra che la precede immediatamente e la illumina: «E lo Spirito e la fidanzata (~ VU!-'>. Il gruppo di ascolto è denominato «fidanzata>>. L'immagine, presa dall'Antico Testamento, viene particolarmente sviluppata nell'Apocalisse. Il gruppo di ascolto si sente legato all'amore di Cristo, che lo ha preso fin dall'inizio (cf. 1,5b). Vorrebbe corrispondervi pienamente, ma sa di trovarsi ancora in una fase di maturazione e di crescita. Solo nella fase escatologica la «fidanzata>> diventerà la dell'Agnello (cf. Ap 21 ,9). Ma, anche in questa fase di crescita, il gruppo si sente animato dallo Spirito e in sintonia con lui: il suo «Vieni!>> rivolto a Cristo è fatto proprio dallo Spirito al punto che diventa un'invocazione unica. Questo dettaglio è significativo. Il gruppo che ora è invitato a invocare la venuta di Cristo è il gruppo che, qualificato nella prima parte per un ascolto adeguato dello Spirito, ha cercato di eseguirlo nella seconda sul filo della manifestazione profetica. Il riferimento alla venuta di Cristo dà, così, una prospettiva a tutto il lavoro compiuto e all'impegno nella vittoria insieme a Cristo. Ma seguiamo il dialogo nel suo svolgimento. All'inizio Giovanni

18

84

Cf. V ANNI, La strunura, pp. 299-300.

ricapitola l'esperienza fatta sotto l'influsso dello Spirito (22,6). A questo punto, inaspettatamente, interviene Cristo che, parlando in prima persona, annuncia la sua venuta. In questa prospettiva precisa le >. Ne segue, allora, una prospettiva nuova e originale, proprio per il giorno del Signore. La Didaché parla, come secondo elemento tipico del giorno del Signore. dopo la purificazione dei peccati, dello spezzamento del pane. Non appare che l'Apocalisse faccia allusioni all'eucaristia nella seconda parte," anche se parla esplicitamente della sacramentalità fondamentale della chiesa." Ma la prospettiva collegata col giorno del Signore e che segue la purificazione è l'impegno di una lettura sapienziale che l'assemblea-chiesa deve fare della sua realtà storica. 8.

CONCLUSIONE: IL GIORNO DEL SIGNORE QUADRO IDEALE DELL'ESPERIENZA APOCALITTICA

Dando uno sguardo retrospettivo al cammino analitico che abbiamo percorso, ci domandiamo qual è il quadro del giorno del Signore che suggerisce l'Apocalisse. Il quadro ha una cornice: è la risurrezione di Cristo. Cristo, proprio come risorto, è presente nell'assemblea-chiesa riunita nel giorno del Signore. E la qualifica XUQLuxiJ riferita nell'Apocalisse direttamente a lui e linguisticamente sempre viva, sottolinea proprio la risurrezione. Il giorno del Signore è il giorno del Signore risorto.

21

Cf. sopra, c. II, pp. 59. Ce ne sono alcune probabili nella Prima parte (cf. 2,17: la «manna nascosta»; 3,20: la cena insieme). Rordorf sostiene che > di 1,3 impersonerà Giovanni, saranno concretamente una di quelle chiese-assemblee alle quali il lettore si rivolgerà. Non siamo entrati ancora nel dialogo vero e proprio, ma si avverte, in forza di questo avvio graduale, che se ne sta varcando la soglia. Con xagLç U!J.LV xai dgl]Vl] (l ,4b) scatta il dialogo vero e proprio: il lettore si rivolge esplicitamente e direttamente a un gruppo presente: l'impersonale e generico 1:ai:ç txxÀTjolmç è divenuto U!J.LV, personale e specifico. Il lettore esprime una triplice benedizione, un triplice augurio che possiamo seguire sul filo del triplice arrò fino alla sua conclusione (l ,4-Sa). Dopo l'intervento della persona singola del lettore, troviamo in tutto il blocco letterario che segue immediatamente - Sb-6- un soggetto plurale che si esprime: TI/l àyarrwvn l]!J.aç xai Mcravn l)!J.ilç tx ,;wv UIJ.!lQnwv tl!J.WV. C'è un passaggio dalla seconda persona plurale (u!J.i:v) alla prima (l)!J.aç): ciò rende ancora più marcata l'eterogeneità tra i due blocchi, ma, nello stesso tempo la spiega: è la risposta dell'assemblea, degli àxouovTEç (cf. v. 3) al saluto: è il che, reagendo al «VOi» del lettore, intreccia con lui un dialogo. È il dell'assemblea il soggetto che risponde. La rottura della costruzione grammaticale determinata da xaL trrolT]OEV (rrml]cravn testimoniata dai codici 046, e 69 appare una lezione derivata come armonizzazione grammaticale) dà risalto all'espressione che segue immediatamente: xai trrolT]crEV l]f.Lilç jlacrLÀElav, lEQEi:ç 1:1/J {}Eiji x ai rrmgi aùwii. L'espressione assume quindi un'importanza particolare nella risposta che l'assemblea sta dando. Il successivo aù1:1ji riporta la risposta nel suo alveo grammaticale iniziale, riassorbcndo cosi esplicitamente la discontinuità. 106

La risposta dell'assemblea esprime anche un cambiamento di direzione che, sottolineato com'è da una certa disposizione chiastica, acquista un notevole rilievo letterario, confermando e chiarendo l'ipotesi del dialogo liturgico: la xagtç ... xat dgt'JvTJ augurata dal lettore passa da Cristo (l ,5a) all'assemblea; dall'assemblea ritorna a Cristo la E), elemento costante nelle manifestazioni di rivelazione trascendente. La voce è , ha un'importanza particolare. Tale importanza viene interpretata (wç: ) in riferimento al suono della tromba. L'interpretazione non si basa sull'aspetto acustico: non è il timbro e il volume della voce che viene equiparato a quello di una tromba. Il valore simbolico costante che ha il termine «tromba>> nell'uso dell'Antico Testamento, specialmente nel contesto di teofanie è di preparare un contatto diretto con Dio. 20 Se la voce improvvisa ha un'importanza, è , da stare al livello di , ci aspettiamo di udire la parola stessa di Dio. Infatti la voce è messa artificialmente in contatto simbolico con la tromba proprio mentre si esprime, nell'atto di parlare: ÀEYOUwv~v. 21 La voce è proprio perché sta parlando col timbro di una teofanica: l'autore, con questa anomalia, vuole far pressione su chi legge e ascolta. La voce esprime un messaggio, che ha per contenuto ciò che Giovanni «guarda>>. Secondo l'uso tipico dell'autore, implica per Giovanni un'esperienza complessa, lunga e laboriosa. Si tratta di riflessioni e approfondimenti, di preghiera personale e condivisa, di contatto con lo Spirito, forse anche a livello mistico che l'autore condensa e propone nella forma letteraria di visioni. Il contenuto viene ripreso ed esplicitato in 1,19: si tratta di tutta la materia del libro: . 22 "' Vedi l'ampia documentazione raccoila da FRIEDRICH, oai.Jr>.

È da rilevare, evidenziando lo sviluppo letterario, un'insistenza sul «voltarsi>> e sul , i due verbi che costituiscono il cardine letterario dei due versetti. I due verbi si corrispondono, secondo uno sviluppo lineare: di 12a viene ripreso da di 12b: la ripresa indica una corrispondenza parallela progressiva: quanto viene affermato in 12a viene poi sviluppato in 12b-13. La voce che parlava col timbro della tromba contiene il nucleo che sarà poi sviluppato nell'aspetto visivo. La voce. propriamente, non è oggetto di visione. Giovanni si volta per prendere contatto con la persona che parla, per . Ma la forzatura espressiva è significativa: non si tratta di una visione vera e propria, ma di un contatto tutto particolare, con delle modalità nuove e caratteristiche. Potranno essere percepite dal soggetto interpretante mediante una valorizzazione attenta di tutti gli elementi simbolici organizzati qui in una ." L'insistenza sul dettaglio- del voltarsi- - sottolinea, visualizzandola, l'eccezionalità dell'esperienza che l'autore esprime e propone, rispetto alla vita usuale. Ciò che viene proposto come oggetto è costituito anzitutto da >, si ha l'accusativo: o~moç col dativo indica, nell'Apocalisse, una corrispondenza da verificare tra un elemento simbolico e la realtà a cui si riferisce. La costruzione coll'accusativo esclude lo stesso passaggio interpretativo da un simbolo a una realtà che gli corrisponde. Il personaggio in mezzo ai candelabri realizza immediatamente in senso pieno, assertivo ed esclusivo, il «figlio dell'uomO>> di Dn 7,13. Si tratta allora, secondo un modulo interpretativo di Daniele del resto già abbondantemente presente nell'ambito del Nuovo Testamento e in particolare nella «scuola giovannea>>,'" del Cristo visto in prospettiva messianica a sfondo n Nella presentazione della Gerusalemme nuova, in cui il rapporto tra l'uomo e Dio è visto arditamente oltre la barriera attuale tra immanenza e trascendcnza, tutto semhra di «oro puro)).

Vedi i dettagli nella Parte terza. c. VI pp. 381-383; 385-387. lK

Troviamo nel quarto Vangelo tredici ricorrenze dell'espressione (~Figlio dell'uomo•>, tutte

in contesti teologicamente molto densi (cf., ad esempio, Gv 1,51; 3,13.14; 5,27, ecc.). Si tratta di una rielaborazione teologica dello stesso titolo usuale nei sinottici, rielaborazione relativamente nuova, tanto da provocare tensione: «Chi è questo Figlio dell'uomo?» (Gv 12,34). Tale

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escatologico. È il Cristo risorto attraverso il quale Dio attua il suo progetto sulla storia. Ma il Cristo della storia è, anzitutto, il Cristo della sua chiesa, alla quale si riferisce la caratterizzazione ulteriore espressa in termini di abbigliamento, un tipo di simbolismo antropologico, particolarmente caro all'autore dell'Apocalisse:" il Figlio dell'uomo è «rivestito di una veste che arriva fino ai piedi (rroù-~QTJ)». L'abbigliamento, secondo il simbolismo antropologico dell'Apocalisse, qualifica la persona in se stessa e in rapporto a chi la vede. La veste che arriva fino ai piedi (noÒ-~QT]ç) e la fascia d'oro collocata in alto, all'altezza del petto, ma con un'indicazione quasi puntigliosa di questa altezza (>- l'autore ne aveva parlato già insistentemente poco prima: (v. 9), , (v. 10)- il gruppo di ascolto viene sensibilizzato gradatamente a percepire il messaggio di Cristo risorto che gli sarà presentato in Ap 2-3. 7.

IL CRISTO RISORTO E LA SUA CHIESA

Intanto l'autore insiste su altri particolari di Cristo risorto, ma sempre nella prospettiva di rapportarlo alla chiesa

V. 16 xal EXWV tv Tfi od;t(x XELQi mÌ"tou ÙcrtÉgaç bm'x xal Èx wu crt6~Lmoç aùwu QOI!qJa[a O[crtol!oç òl;Ei:a txrroQE1JOI!ÉVTJ xai ~ 61jnç aùwu wç Ò ~ÀLOç qJULVE t tv Tfl 01JVU1!Et aÙ"t"OU

> appartengono al cielo, e, quindi, in 133

certo senso, alla zona di Dio;" (ltEnUQW!!Évov bt ;rug6ç). La tautologia che si avrebbe dando a Èx il valore di im6 e facendo quindi del fuoco un agente attivo (lett. «reso infuocato dal fuoco>>) induce a vedere in Èx un'indicazione di provenienza. L'oro è incandescente proprio come si trova ad essere nel momento in cui è tolto dal fuoco che lo ha purificato. Cristo risorto è già stato collegato direttamente col fuoco: i suoi occhi sono «come fiamma di fuoco>> (1,14), i (1,15). Questo conferma la dimensione cristologica in senso personale dell'oro e indica nello stesso tempo la forza scottante della ricchezza di Cristo che tende a passare nella chiesa. La chiesa, una volta acquistato l'oro infuocato, non potrà essere tiepida. tva JtÀ.oun'wnç: . È la ricchezza vera, propria di Cristo e che proviene da lui, intesa globalmente, che darà alla chiesa quella completezza che le manca. xal i !lana À.EUxa: . L!l>. È difficile precisare la portata simbolica di questo termine: si tratta semplicemente di un'allusione a un prodotto medico di Laodicea, dato da Cristo solo per dire che la chiesa recupererà in pieno la sua vista per opera di Cristo? Oppure, ammesso questo senso minimo, si può vedere nel «collirio da ungere dentro sugli occhi>> un'allusione a un mezzo specifico usato da Cristo per guarire la chiesa? Dato il valore simbolico specifico degli altri due elementi in parallelismo - i vestiti bianchi e l'oro - è probabile che anche collirio abbia un suo senso specifico: allora, dato che gli occhi nell'Apocalisse sono simbolo dello Spirito (cf. 5 ,6) e che nell'ambito giovanneo l'unzione è riferita allo Spirito (cf. lGv 2,20.27), si può interpretare il collirio come simbolo dello Spirito. 'Lva ~ÀÉrrnç: . La chiesa, parlando propriamente, non è completamente senza luce. La sua è una miopia, non una cecità vera e propria, altrimenti il collirio non sarebbe proporzionato per guarirla. La chiesa, potremmo dire, ha una visione appannata, sfocata che, mediante un dono rinnovato dello Spirito, viene resa efficiente. Ma nei riguardi di chi o di che cosa? Il verbo è senza un complemento oggetto. La chiesa potrà vedere meglio, pienamente la luce: il simbolismo della luce riferito a Cristo nel quarto Vangelo suggerisce Cristo stesso come oggetto sottinteso del vedere. La chiesa avrà tramite lo Spirito, una maggiore conoscenza di Cristo. v. 19 Éy. Una reazione depressa, amareggiata, o anche solo passiva sviserebbe l'azione pedagogica di Cristo e non le permetterebbe di raggiungere lo scopo a cui tende. D'altra parte, siccome si tratta di un imperativo di Cristo che tende a produrre ciò che esprime, la chiesa non dovrà fare uno sforzo di tensione per mettersi a questo livello di amore richiesto. Basterà che accolga con disponibilità piena quanto Cristo le dice. Come risultato di una situazione di amore fervente ristabilito, ci sarà l'atto di conversione, ~naVOTJOOV - notare l'aoristo puntuale di ltETaVOTJOOv c l'indicazione di uno stato nel presente continuato di ~TJÀ.E1JW che qui consisterà nella capacità di nel senso di uno spostamento dell'attenzione della chiesa dalla sua autosufficienza a Cristo. con l'intenzione attiva di prendere da lui () tutto ciò che le manca. v. 20 toou EOTTJKU tJtt ri]v %gav xat xgouw· M.v nç àxouan Ti)ç >. La condivisione del trono di Cristo viene ulteriormente accentuata. Cristo mette se stesso in parallelo con il «vincitore>>: >: si cerca chi possa farlo. Tale ricerca è espressa con un'enfasi letteraria particolare: J.!EVU, al presente invece che al perfetto. L'autorevolezza di A e il fatto che {moataÀJ,tÉvm costituisce una lezione più difficile la rendono nettamente preferibile. Ma è interessante rilevare che veniva avvertita nella sua peculiarità, sia come maschile che come perfetto. Dovremo tenerne conto nell'esegesi. Veniamo al testo.

5,6 xal d> («riflessioni»), invece che «Occhi>>):" la pienezza di occhi interessa tutti e quattro ugualmente e Ii caratterizza. Qual è l'equivalente realistico di questa immagine? Zaccaria parla degli «occhi del Signore che scrutano tutta la terra>> ( 4.1 0): l'autore deii'Apocalisse riprende questa immagine, attribuendola aii'agnello e spiega che si tratta «dei sette spiriti di Dio inviati su tutta la terra», cioè, con tutta probabilità, deii'azione dello Spirito. Avremmo aiiora due indicazioni di contenuto per decodificare l'immagine: l'onniscenza c I'onnipotenza divina rapportata alla terra e un collegamento di essa con l'azione dello Spirito. Il terzo livello simbolico dettaglia ciascuna deiie quattro figure: 4,7 «E il vivente il primo era simile a un leone e il secondo vivente era simile a un giovane toro e il terzo vivente era avente proprio la faccia come di uomo e il quarto vivente era simile a un'aquila che vo"la». Il contatto con Ezechiele si riduce a un minimo, come è stato notato. I singoli viventi sono paragonati ciascuno a una realtà esistente a livello umano. Proprio il riferimento all'uomo è messo particolarmente in risalto mediante una variazione stilistica e un'asperità grammaticale: nel testo ebraico troviamo la stessa espressione per tutti e quattro i riferimenti (p'nè ... ); l'autore interpreta liberamente rendendo p'né, «faccia di ... >> con «i\!!OLOV>> «corrispondente a ... » in tre dei quattro. Quando si parla del rapporto con l'uomo aderisce di più all'originale ebraico, rendendolo,con EXWV TÒ JtQOOWJtOV >, Liddeii-Scott, s.v. «giovane toro>>, ma resta il punto più indeterminato). L'aggiunta di ltE"tOIJ.ÉV(!J , ad an0 , rispetto al modello ezechieliano, e la ricorrenza della stessa espressione in 8,13 (>, inseriti gli uni e le altre nel contesto strettamente unitario delle mura della Gerusalemme nuova. Questo accostamento suggerisce una somma e si ottiene, così, 24. Avremo allora, rispetto agli anziani, una distribuzione omogenea nell'ambito dell'unico popolo di Dio, tenendo conto delle due grandi fasi della sua evoluzione: Antico e Nuovo Testamento. Seduti: la posizione stessa di Dio, che, come i troni, indica una capacità attiva di influsso. Anziani: il termine si riferisce, a partire dal libro dell'Esodo (vedi sopra) e soprattutto nel NT, a un ruolo di influsso riguardante gli altri che è possibile esercitare in base a un'esperienza sapienziale di applicazione alla vita e che poi i singoli contesti specificano in dettaglio. Ciò vale in modo particolare per l'ambiente giovanneo e paolino." Vestiti in vesti bianche: la veste indica nel quadro del simbolismo antropologico dell'Apocalisse una qualifica della persona come tale e in rapporto alle altre che vedono. 17 Il bianco è un simbolismo cromatico che trova nell'Apocalisse uno sviluppo tipico: significa una partecipazione realizzata della risurrezione di Cristo, un livello , «trascendente», ma sempre rapportato alla risurrezione di Cristo. Non implica necessariamente la risurrezione personale avvenuta, ma neppure la esclude. Sulle loro teste delle corone d'oro: la corona indica, nell'Apocalisse, una qualche attività positiva (vittoria, ecc.) condotta a termine, della quale la corona è come il riconoscimento. Gli anziani si trovano in una situazione di salvezza attuata e riconosciuta. L'oro è il metallo tipico della liturgia e della " Cf. G.

BoRNKAMM, 1CI}Éa{Jvç, 1CI}Ea{Jvui}Oç >. Anche se i LXX hanno wç àgvtov, la corrispondenza della forma del sostantivo ha una rilevanza scarsa, perché l'Apocalisse non dipende dai LXX. E in Geremia l'allusione all'agnello è semplicemente un termine di paragone. che mette in risalto la sua innocenza disarmata nei riguardi dei nemici. Non c'è niente di tutto questo nella figura dell'Ù(lVLOV. Concludendo: gli elementi che l'autore, a proposito dell'àQVlov, trovava nell'AT si riducono a dei contatti che privilegiano l'Esodo e a degli spunti ispiratori. La somma di tutti questi elementi non equivale neppure lontanamente alla figura dell'àgvtov. L'autore si è ispirato alle opere della scuola apocalittica che lo precedono? Un brano di un certo interesse" si trova nel libro etiopico di Enoch." Tutto il lungo brano dei capitoli 89-90 ruota intorno al simbolismo del pastore: Dio signore delle pecore, le figure più rilevanti della storia di Israele fino ai Maccabei sono >. L'interpretazione di questa prima ricorrenza è determinante per il senso da dare anche negli altri contesti. 30 Una prima linea interpretativa che è stata proposta identifica gli É:n:tà JtVEUf.i.ata con degli angeli. Sono state addotte delle ragioni di un certo peso e che è doveroso prendere in considerazione: due paralleli biblici stringenti

" L'esperienza Uturgica della comunità cristiana primitiva, come essa ci appare in brani che, se pure in misura e maniera diversa, hanno un carattere innico- come Gv 1,1-18; Ef 1,3-14; Coll,1220; Fil 2,5-11 - merita di essere approfondita. In questi brani innici l'assemblea celebra il Cristo morto e risorto, che awerte presente e attivo, simultaneo alla sua celebrazione. Ne deriva l'esigenza di una comprensione approfondita del Cristo soggetto della celebrazione ed è proprio questa esigenza che porta a prendere in considerazione, proprio in sede di celebrazione Uturgica, anche la preesistenza trasccnùcntc di Cristo. Il punto di partenza sembra essere sempre il Cristo della liturgia. 2A

L'anomalia era avvertita. come ci testimonia la tradizione manoscritta: troviamo infatti il

neutro regolare fxov, concordato con ò.gvlov. i n P e altri codici di minore importanza. "' W. FoERSTER, >> sono d'oro perché stanno in contatto diretto con Dio, nella , come l'altare, il turibolo, gli incensi. Poste in mano agli anziani le coppe sono piene . Non sono, di per sé, dei turiboli, nei quali l'incenso già brucia. Nelle coppe si trovano in abbondanza - sono piene - granelli d'incenso destinati a bruciare e a salire dopo a Dio sotto forma di fumo. È ciò che avverrà al settimo sigillo (cf. 8,3-4).

" XQuoéov è il metallo tipico della Gerusalemme nuova: 21,18.21: Gerusalemme nuova; 3,18: l'oro incandescente che si compra da Crirto; 17,4 e 18,16 detto del lusso di Babilonia. "XQÙ>). C'è uno sviluppo interessante di questo tema nell'ambito dell'Apocalisse: le preghiere dei salgono a Dio ) sarà contenuta nelle stesse coppe che ora sono le preghiere dei santi (cf. 15,7)."

9. CoNCLUSIONE Uno sguardo riassuntivo alla breve pericope che abbiamo analizzato ce ne mostra la densità straordinaria. Vi troviamo il nucleo protagonista di tutta la seconda parte dell'Apocalisse: il libro, Cristo come agnello, lo Spirito che egli dona, i viventi e gli anziani. Le scelte interpretative che abbiamo fatto a proposito di queste figure simboliche tutte fondamentali ci permetteranno un orientamento preciso per tutto il resto del libro. Vedremo in seguito uno sviluppo ulteriore notevole: il libro sarà aperto, Cristo-agnello eserciterà la sua azione multipla, i viventi e gli anziani la accompagneranno costantemente mettendola in contatto con la storia. Ma tutto questo non farà che confermare e arricchire il contenuto simbolico di queste figure.

"Cf. per un approfondimento ulteriore VANNI, La struttura. pp. 219-227: «Le fiale, le preghiere dei santi, l'incenso e l'altare, un filo che unisce e attraversa le sezioni».

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capitolo V

Il terzo sigillo dell'Apocalisse (Ap 6,5-6) simbolo dell'ingiustizia sociale

1.

INTRODUZIONE: IL PROBLEMA DeL TERZO SIGILLO

I primi quattro sigilli della serie settenaria omonima ricorrenti nella Prima sezione della seconda parte dell'Apocalisse' non hanno mancato di suscitare seri problemi di interpretazione. Ce lo suggerisce la bibliografia, relativamente abbondante, che li riguarda;' ce lo conferma in maniera inequivocabile la diversità irriducibile delle interpretazioni che troviamo proposte nei commentari antichi e recenti. Tale diversità riguarda specialmente il primo sigillo, il cavaliere del cavallo bianco (Ap 6,1-2).' Si è d'accordo sull'interpretazione di fondo del secondo sigillo (A p 6,3-4); la convergenza dei simboli (spada, sangue, strage) indica la violenza. E si è anche d'accordo sul senso fondamentale del quarto (Ap 6,7-8), data anche l'interpretazione già avviata che l'autore ci presenta del materiale simbolico da lui usato.' Per quanto riguarda il terzo sigillo (Ap 6,5-6)' la diversità dell'interpretazione tradisce addirittura un senso di imbarazzo: è un sigillo del quale si farebbe volentieri a meno: non ne appare chiara l'importanza e non si riesce a elaborare in un quadro coerente di significato i dati simbolici che l'autore presenta. Vediamo il testo:'

1

V ANNI. La struttura, p. 310. Cf. E.-B. ALLO, «Les chevaux apocalyptiques», in L'Apocalypse, Paris '1933, pp. 92-95; G. BALDENSPERGER. Les cava/iers de /'Apoco/ypse (6,/-8), in RHPhR (1924) 4, pp. l-31; 0. BòcHER, Die Johannesapokalypse, Darmstadt 1975, pp. 47-56; F. DoRNSEJFF, Die apokalyptischen Reiter (Apoc 6,/ffj, in ZNW (1939) 38. pp. 196-197; HAAPA, Farben, pp. 216-225; D.M. MACLAREN, What are the Four Hor..emen ofthe Apocalypse (Apoc. 6,1-8)?, London 1924. Per il terzo sigillo, cL nota 5. ' Per un quadro delle opinioni fino al 1966 cf. BR0TSCH, La c/arté, pp. 121-123. Da quella data non risultano monografic di rilievo riguardanti il primo sigillo. • Il simbolismo della caducità - il cavallo XÀUJ0Òç, «verde-erba• - viene interpretato dall'autore e determinato come la morte, l'aldilà squallido che- nella cultura sia greco-latina sia giudaica - la seguiva, le malattie e la fame (Àt~>. Anche ad una prima lettura emergono degli interrogativi: qual è il significato del colore nero attribuito al cavallo? Qual è il significato preciso della bilancia (~uy6v) in mano al cavaliere? Perché la strana differenza tra il trattamento riservato al grano e all'orzo e quello riservato al vino e all'olio? E, infine, qual è l'apporto specifico del terzo sigillo da collocare allo stesso livello di importanza del contenuto degli altri tre, come suggerisce l'identità dello schema letterario con cui sono costruiti e il quadro letterario unitario che tutti e quattro costituiscono?' Sul filo di questi interrogativi è emersa una serie di interpretazioni che commentatori e articolisti hanno dato e che costituiscono dei tentativi di risposta. Le esaminiamo in un quadro riassuntivo, con qualche osservazione critica.

Cf. VANNI, La strul/ura, p. 190. Per uno studio dello schema letterario proprio di ciascuno dei primi quattro sigilli, cf. dopo, pp. 198-199.

194

2.

PANORAMA CRITICO DELLE INTERPRETAZIONI PROPOSTE

C'è una linea interpretativa che possiamo denominare «zeitgeschichtlich>>, storica, nel senso di riferimenti a un'esperienza simultanea all'autore e da lui conosciuta personalmente. La più caratteristica è quella che ruota intorno a un decreto di Domiziano. L'imperatore, ci riferisce Svetonio,' preoccupato dalla sproporzione della produzione del frumento rispetto a quella eccedente del vino, tentò di limitarne drasticamente la produzione, specialmente fuori d'Italia. Lo scalpore e l'opposizione che il decreto suscitò costrinsero l'imperatore a ritirarlo.' L'autore dell'Apocalisse che, stando a una discussa testimonianza di Ireneo, scrisse il suo libro verso la fine del regno di Domiziano,"' sarebbe stato a conoscenza di questo decreto, e, riprendendolo nel terzo sigillo, avrebbe così messo in rapporto immediato il suo messaggio con Domiziano e la sua persecuzione. Proposta da S. Reinach nel 1901, ripresa da A. Harnack nel 1902, da E. Schiirer nel 1906 e sviluppata soprattutto da J. Moffatt nel 1908," questa soluzione apparve brillante. Fu condivisa da più di un commentatore e anche oggi quasi nessuno si esime, almeno, dal menzionarla. Ma non tardarono a sorgere delle perplessità: la più consistente fu l'obiezione che il provvedimento di revoca da parte di Domiziano del suo editto non poteva considerarsi un flagello sulla linea degli altri indicati nei sigilli. Anche la limitazione dell'editto e della sua revoca al vino, senza menzione alcuna dell'olio, non coincide che parzialmente col testo dell'Apocalisse. Si tentarono allora, sempre sulla stessa linea della storia contemporanea, soluzioni più complesse e sottili. S. Krauss, basandosi su testimonianze rabbiniche e su un'analisi minuta di alcune espressioni di Giuseppe Flavio, propose un'interpretazione originale: l'Apocalisse alluderebbe ad un primo momento dell'assedio di Gerusalemme. Tito avrebbe espressamente ordinato 8 ~~Ad summam quondam ubertatem vini, frumenti vero inopiam existimans nimio vinearum studio neglegi arva, edixit, ne quis in Italia noveiJaret utque in provinciis vineta succiderentur relicta ubi plurimum Jimidia parte, (SuETostcs, Domitianu.s, VII). 9 Svctonio aggiunge: ((nec exscqui rcm perseveravit)> (SuETONrus, Domitianus, VII). I mo-

tivi socio-politici per la mancata esecuzione del Uecreto sono menzionati da

FILOSTRATO.

Vira Apoll.

6,42; Vita SophL1·t. 1,21 come nota KRAUSS. Die Schonung, pp. 81-82. Svetonio parla anche di un motivo psicologico curioso, una specie di ansia superstiziosa: «Ut cdicti dc cxiùendis vincis propositi gratiam faccrct, non alia magis re compulsus crcditur, quam quod sparsi libelli cum his versibus erant: xliv l" : allude, per

esempio, a dei disordini che hanno luogo nella chiesa di Tiatira (Ap 2,20), ma al gruppo, o alla persona responsabile, non dà il suo vero nome, ma il nome simbolico ed evocativo di Gezabcle. Strappa così il fatto concreto a cui allude alla sua contingenza storica e ne fa, mediante la

simbolizzazione, un paradigma di intelligibilità teologica di portata generale. " «C'est maintenant la famine, la noire famine.. C'est la "Famine" en général après la "Guerre" en général», ALLO, L'Apocalypse, p. 88.

196

Tutte le spiegazioni che ruotano intorno a una carestia si riferiscono al grano e all'orzo e affrontano con imbarazzo la spiegazione dell'olio e del vino. Allo rimane indeciso tra una spiegazione allegorica e una di carattere storico, sulla linea dell'editto di Domiziano;" Massingberde Ford riferisce il vino e l'olio al culto preservato nel tempio." Interpretazioni più radicali vedono nell'olio e nel vino la sacramentalità permanente della chiesa 20 Originale, sempre a questo proposito, è l'interpretazione di H. Kraft: si tratta delle conseguenze negative che esercita sulle colture agricole il passaggio della guerra. Il vincitore infierisce e tende a distruggere tutto, ma, mentre le colture a ritmo annuale (il grano c l'orzo) vengono impedite, quelle a ritmo pluriennale (l'olio e il vino) possono rimanere c continuare a d:uc il loro frutto. Si tratterebbe quindi della situazione tipica e puntuale del passaggio del fronte in una guerra. 21 La linea storico-profetica sembra coincidere di più con la prospettiva dell' Apocalisse di Giovanni, come pure dell'apocalittica in generale: il messaggio apocalittico, «profezia aperta», non ha per oggetto la previsione puntuah: di un fatto, ma la presentazione di uno schema teologico di interpretazione del fatto stesso, quando che accada. Ma non mancano forti perplessità, anche su vari dettagli. Viene da chiedersi, ad esempio, a proposito dell'interpretazione di Allo, Lohmeyer, Kraft, se l'aggettivo «nero» sia riferihile alla fame, nel contesto culturale biblico, con la stessa spontaneità che riscontriamo nel nostro. Il riferimento della bilancia al razionamento dei viveri, quando la documentazione biblica è molto più ampia, appare arbitrario e non giustificato."

" «Der dritte Reiter. .. symbolisiert offenbar die Hungersnot: dazu stimmt die schwarze Farbe, auch die Wage. die fiir den Seher andeutcn mag, dass jenem seine Ration zugewogen werden muss, das ist nach Lev 26,26, Ez 4,16 Zeichen ausserster Not», LoHMEYER, Die Offenbarung, pp. 60-61; cr. KRAFT, Die Offenbarung, p. 117. La Massingberde Ford insiste in modo particolare sul simbolismo della bilancia. Afferma recisamente: (a:tElJ\JOL. (ANDREAS CAESARIENSIS, Commentarius in Apocalyp. xm'l-l]J.A.ÉV

> (6,13).

Si tratta di tocchi coloristici che, senza aggiungere un contenuto specifico al simbolo, contribuiscono a dare una tonalità sconvolgente a1 quadro di insieme.

202

Zuy6ç, propriamente, non si riferisce a tutta la bilancia, ma alla parte più importante di essa: ne costituisce l'asse centrale, che collega i due piatti: la sua posizione, in pareggio o meno, determina l'equilibrio tra la merce che viene posta in un piatto c il peso corrispondente che si trova sull'altro. Per questo viene attribuita allo ~11y6;, nell'ambito dell'Al". un'importanza fondamentale: può essere giusto o ingiusto. sincero o ingannatore. Si insiste, ad esempio, in Ez 45,10: , «parte centrale di una nave,., ecc.: cf. LmoELL-Scorr, s.v. traduce normalmente l'ebraico mo'znaim che, propriamente, si riferirebbe ai due piatti della bilancia da tenere in equilibrio. Seguendo, nell'ambito dell'A T, il filo, rileviamo anzitutto un senso realistico (Lv 19,36; Pro 11,1; 16,11; 20,23; Am 8,5; Ger 32,10; Ez 45,10). Ma dal senso realistico fu spontaneo il passaggio a un significato più generale (cf. ad esempio Ez 5,1) e simbolico: l'uso ingiusto della bilancia porta all'idea di calunnie, di torti inflitti (Os 12,7; Sal 62,10); i -.discorsi» sono pesati (Sir 21,25). Giobbe parla di una sofferenza da pesare (6,2). e. addirittura, desidera che Dio lo valuti con una bilancia giusta (31,6). Anche in Michea 6,11 Dio è presentato come protagonista di una valutazione giusta compiuta per mezzo di una bilancia. Davanti a questa gamma di significati che il termine ~bilancia» assume, non appare giustificata l'applicazione al terzo sigillo solo di due casi sporadici nel senso di una misura eseguita nel contesto di una distribuzione di viveri. Lv 26,26 citato da LOHMEYER, Die Offenbarung, p. 60 presenta un quadro complesso nel quale il razionamento a peso del pane è uno dei tanti elementi che sottolinea la negatività dell'insieme. Non si usa né mo'znaim né ~uyò;: >. Non è facile precisare fino all'ultimo dettaglio il valore di «misura>> (xoi:vts): nell'ambiente greco è una misura di quantità. di capacità, ma per materiale solido. La sua estensione poteva variare. Nei LXX traduce a volte anche bat, che era una misura di quantità, ma per liquidi. Il nostro contesto, riferendo xoivt~ a dei solidi (il grano e l'orzo), si mantiene sulla scia dell'uso greco normale. Si ha una misura di grano. ~i1:oç, appunto, è un termine generico, riferibile sia al grano comune sia a tipi particolari." Il parallelismo con , XQt1'twv- che esamineremo subito- suggerisce che si tratta di un grano di uso comune. Una di questo grano costa un : il genitivo bT]VaQtou. esprime la valutazione della misura fatta in termini di prezzo. Ed era un prezzo sproporzionatissimo. Anche se i dati forniti da Cicerone e citati normalmente dai commentari, data la distanza cronologica di oltre un secolo, vanno presi con un margine di relatività, costituiscono sempre un'indicazione preziosa: ne risulta una differenza tra il prezzo normale e quello stabilito qui dal cavaliere, a proposito del grano, che oscilla tra una maggiorazionc minima di 8 volte a una massima di 16 rispetto al valore usuale." La sproporzione, quindi, tra il valore reale e quello voluto dal cavaliere è enorme: l'asse della bilancia indicherà un nuovo pareggio sproporzionatissimo tra una misura di grano che rimane identica e il prezzo di un denaro. Tale pareggio ingiusto dovrà essere realizzato dal cavaliere del cavallo nero. Stranamente, la sproporzione non si mantiene uguale a proposito dell'orzo: tre misure per un denaro secondo i dati di Cicerone sarebbero leggermente superiori al prezzo normale." Siccome l'orzo era il materiale del " Cf. 'LIDDELI.-Scorr-JONF.s, s.v. oiToç. n -«Nam cum ex scnatus consulto et ex legibus frumentum in cellam ei sumere liceret idque frumentum senatus ita aestimasset. quaternis HS tritici modium binis hordei, iste hordei numero ad summam tritici adiecto tritici rnodios singulos eu m aratori bus denariis ternis aestimaviL.. hoc reprchcndo, quod, cum in Sicilia HS binis tritici modius csset, ut istius epistula ad te missa declarat, summum HS ternis. id quod et testimoniis omnium et tabulis aratorum planum factum ante a est, tu m iste pro tritìci modiis singulis tcrnos ah aratoribus de nario~ cxegit. .. ; ve rum enim vero, cum esset HS binis aut etiam ternis quibusvis in locis provinciae, duodenos sestcrtios excgisti» (OcERO, Actio in C. Verrem. III. LXXXI. LXXXIV). Come spiega Charles «Now, sin cc a modius contains 8 choenices, an d a denarius = four sesterces. it follows lhat the price in our tcxt was 16 times the lowcst price ofwheat in Sicily, 102/3 times, thc highest. and H times the aestimate made hy the senale» (The Revelation, l, p. 167). 38 Una ~~misura)) (xoivL~) era l'ottava parte di un ~~modius)) e il prezzo di un «modiuS>• di orzo era di due sesterzi; un sesterzio valeva la quarta parte di un danaro. Ne segue che tre > (Ap 2,11) sarebbe per loro non soltanto un danno qualsiasi,'' ma la carenza radicale che metterebbe l'uomo, fatto per la vita, totalmente fuori del suo contesto. Riferito «alla terra, al mare e agli alberi>> (A p 7 ,3), àbtxtw esprime un cambiamento violento che verrebbe loro inflitto provocando quanto meno una lacuna, una privazione nel loro assetto c nella loro situazione attuale. Ritorniamo al nostro contesto: che valore ha un danno inflitto, una privazione, una lacuna attuata violentemente nei riguardi dell'olio e del vino? Il richiamo alle colture - alla vite e all'olivo - viene spontaneo, ma è improprio perché si tratta qui dell'olio e del vino, visti in quanto prodotti già allo stato di consumo come sono il grano e l'orzo. È proprio questo livello di consumo, tipico dei prodotti finiti. che deve essere mantenuto intatto, senza introdurvi nessuna lacuna, nessun elemento negativo, senza privare il vino e l'olio- venduti, comprati. consumati- di nessuna delle loro caratteristiche ottimali. Il cavaliere dovrà impedire che questo livello sia alterato. Come potrebbe - viene da chiedersi - essere introdotta una negatività nel livello o contesto di consumo dell'olio o del vino? O deteriorandoli o vendendoli a un prezzo inaccessibile. Il fatto che l'azione da evitare sia riferita esplicitamente e direttamente al cavaliere il quale, con la bilancia in mano. potrebbe procurare il danno in questione, suggerisce che si tratti di un prezzo. Il cavaliere, cioè, dovrà trattare vino e olio in maniera opposta a come tratta il grano e l'orzo: quella violenza che esso infligge attribuendo loro un prezzo sproporzionatissimo, dovrà essere evitata del tutto nei riguardi dell'olio e del vino. MJÌ àbtxl]onç unico verbo in

" Allo traduce letteralmente: •ne (leur) nuit pas• (L'Apoca/ypse, p. 89); Krauss non ha dubhi sul significato di «schoncn>• (Die Schnnung. p. 82, nota 4); Massingberde Ford traduce: «do no! injure» (The Revelation, p. 96); Caird: «do not harm» (G. CAtRD, The Revelation ofSt. John the Divine, London 1966, p. 78); più sfumata la traduzione di Kra[l «sollst Du nichts antun» (Die Offenbarung, p. 116); la CE!: unon sciupare». ,.J È la traduzione di W. Bauer: (BAUER, Worterbuch, col. 1501).

219

totale e di un cambiamento parziale del sole, della luna e delle stelle, comporta due livelli, uno iniziale e uno definitivo. Il colpo che raggiunge solo «una terza parte>> indica appunto il livello di parzialità. Si suggerisce, cioè, al gruppo interpretante che il sistema terrestre, prima del suo crollo definitivo, avrà delle scosse, delle incrinature. Il gruppo di ascolto, constatandole nell'orizzonte storico in cui vive, si sentirà incoraggiato a proseguire. Ma come potrà il soggetto interpretante, il gruppo di ascolto, identificare questa crisi nell'ambito del sistema terrestre? In altri termini: il colpo inferto contro tale sistema e di cui viene sottolineata, come abbiamo visto, proprio la concretezza oggettiva, quali contorni realistici potrà assumere nell'ambito della storia? Un'indicazione che permette di spingerei un po' su questa linea viene data dalle conseguenze del colpo inferto che, secondo lo schema letterario delle prime quattro trombe, l'autore esplicita dettagliatamente. Il sole, la luna e le stelle, colpiti per «Un terzo>>, perdono di un terzo la loro capacità di illuminazione (i va oxouatlii tò tgll:ov aùtwv). Da notare, anche qui, il passivo oxonatlii" che indica la situazione risultante di una diminuzione parziale dell'efficienza rispettiva, del sole, della luna e delle stelle. nei riguardi della vita dell'uomo. Il sole dà luce, riscalda, permette lo sviluppo della vita: la luna era, di fatto, la misura del tempo; alle stelle veniva attribuita una certa forza di illuminazione e quasi di protezione" e di garanzia nei riguardi dello svolgimento della vita. Si avrà, di conseguenza, una certa devitalizzazione nell'ambito del sistema terrestre. C'è una precisazione ulteriore, sempre su questa linea. Come risultato dell'ottenebramento parziale del sole, della luna e delle stelle, si avrà il fatto che > (xQavy~) di disperazione, sarà superata irreversibilmente. Sarà pure superata irreversibilmente la «fatica>> (n6voç) di chi, oppresso dalringiustizia sociale (6,5-6), 1" deve penare per sopravvivere. Tutto questo insieme globale di negatività connesse tra di loro - ce lo dice anche la successione dei tre oiiu è destinata a scomrarire. Muovendoci a ritroso dal quarto sigillo, abbiamo incontrato, in termini di una ripresa allusiva, i due sigilli che precedono immediatamente. Ci aspettiamo una ripresa allusiva. del tipo delle altre già viste, anche al primo sigillo (6,1-2) che ci presenta, simboleggiata dal cavallo bianco e dal suo cavaliere. la forza positiva della risurrezione di Cristo immessa nella storia, 17 in funzione antitetica rispetto alle forze di segno negativo rappresentate dagli altri tre sigilli. La risurrezione di Cristo. di per sé, proprio nella prospettiva della scuola giovannea, tende a superare il pianto. Ce lo dice, tra l'altro, il messaggio dei «due angeli vestiti di biancO>>, il simbolo della risurrezione. che, dall'interno del sepolcro vuoto dicono alla Maddalena: > è sempre quella di Cristo alla quale egli associa i cristiani), rendono nettamente preferibile l'interpretazione cristologica, nel senso di una energia di risurrezione immersa da Cristo stesso nel campo della storia. " In Gv 20,12 è caratteristico il fatto che, nella costruzione che l'autore fa di tutta la scena, il primo messaggio che proviene dalla risurrezione di Cristo riguardi proprio il pianto. Con la risurrezione il pianto umano non ha più il senso di una disperazione, ma tende ad essere ridimensionato e superato del tutto.

264

on

di critica testuale: troviamo ,;à JtQùna lmfjì.:ttav nel Sinaitioo corretto; 046, molti minuscoli, versioni, Ireneo, Ticonio, Agostino, ecc.; abbiamo semplicemente Tà nqùna ànfjìdtav in A P 051 vari minuscoli, Beato; Tà yàq JtQÙlTa ànfjì.:ttav in alcuni minuscoli." Appare chiara, nella tradizione manoscritta, la tendenza a stabilire un collegamento - mediante on o yùg - tra questa espressione e quelle che precedono: l'asindeto faceva difficoltà. Ne segue allora un'indicazione di preferenza per le >. La rilevanza letteraria dell'Éyw ripetuto attira di nuovo l'attenzione su Dio. il quale costituisce il principio fontale di tutto, ma agisce tramite Cristo. Nei riguardi di Dio come nei riguardi di Cristo si suppone nell'uomo un'aspirazione viva, una . Passando attraverso lo spessore della storia, questa non sarà necessariamente un'aspirazione mistica che abbia per oggetto diretto Dio e Cristo, quasi un decollo in verticale, quanto piuttosto un desiderio assillante di bene. di giustizia, di valori, di tutto quello, in una parola,

porre

" Apparirebbe perciò alquanto rìduttìva la soluzione adottata dal Metzger e comitato dì tra parentesi (A Texwal. p. 767). '"' Cf. la documentazione di G. KnTEL, A Q, in GLNT, I. coli. 5,11.

ri~ì

269

che rende piena una vita condotta nella concretezza della storia. Quest'aspirazione tormentosa - «Sete» protratta, come suggerisce il participio presente continuativo T>. La vita, dato il contesto escatologico e il futuro del verbo (òwaw). è quella stessa di Dio e di Cristo, come poi si ritrova, più esplicitamente, in 22,1: >), non è legato affatto con la serie che precede, che potrebbe stare benissimo- come nel caso analogo di 22, 15"- al nominativo. Il dativo, in altri termini, esprime qualcosa di particolare e non occorre andare troppo lontano per determinarlo. Essendo Dio che parla - o per lo meno l'angelo interprete- il dativo esprime, nella maniera più diretta, un'intenzionalità che raggiunge i destinatari del discorso. Sono coloro che, come viene messo in risalto dalla particella di opposizione M che incontriamo all'inizio della serie, si collocano al di fuori della reciprocità «padre-figlio>>. L'enumerazione comprende prima sette elementi costituiti da aggettivi o participi, collegati tra loro dal semplice xal. Poi si ha una variazione, di carattere chiaramente riassuntivo, quando si aggiunge . I menzogneri esprimono tutta la serie considerata, in forza del simbolismo tipico del sette. come una totalità negativa. Approfondiamo esegeticamente i dettagli, cominciando da quest'ultimo elemento: come mostra il parallelo di 22,15 dove troviamo sempre a conclusione di un'enumerazione , si tratta di una qualifica negativa di fondo non riducibile a una menzogna verbale. Si tratta di una situazione di menzogna amata e realizzata: è la menzogna della vita quando viene impostata e vissuta in antitesi alla > è caratteristica dell'Apocalisse. Ciò risulta dalla tipicità della formula > come essa appare nel quarto Vangelo e la donna-chiesa dell'Apocalisse. Si occupa sinteticamente di questo aspetto il capitolo terzo: «Dalla maternità di Maria alla maternità della chiesa. Un'ipotesi di evoluzione da Gv 2.3-4 e 19,26-27 ad Ap 12,1-6>>. Il divenire del Regno coinvolge i cristiani in una mediazione di tipo sacerdotale e si conclude nella realizzazione della Gerusalemme nuova: a questi due aspetti sono dedicati il quarto e quinto capitolo: «La promozione del Regno come responsabilità sacerdotale del cristiano>> e «Gerusalemme nell' Apocalisse>>.

278

capitolo I

Regno «non da questo mondo)) ma «regno del mondo)) Il regno di Cristo dal quarto Vangelo all'Apocalisse

l.

INTRODUZIONI!: IL PROBLEMA

Il discorso sul regno di Cristo si trova, a un livello di esplicitazione teologica notevole, sia nel quarto Vangelo che nell'Apocalisse. Ma, anche a un semplice confronto di approccio, la prospettiva teologica del quarto Vangelo sembra divergere, e notevolmente, da quella dell'Apocalisse. È comune ai due scritti il rilievo attribuito al regno di Cristo; tutti e due insistono sulla qualifica personale di re attribuita a Cristo. Ma quando si tratta di rapportare la regalità di Cristo agli uomini, il linguaggio e il contenuto sembrano puntare in direzioni diverse. È un fatto, questo, che si impone all'attenzione, mettendo a raffronto due espressioni caratteristiche, riferite tutte e due al regno di Cristo. Parlando a Pilato, Gesù dichiara solennemente: > e «il re di Israele (6 ~aotÀEÙç TOÙ 'laQa~À.)>> si susseguono asindcticamente, in forma di parallelismo sinonimico. La loro corrispondenza è accentu (aù d) che dà solennità a tutta l"espressione. ((Figlio di Dio•• era anche una designazione messianica, ma. nell'uso di Giovanni, se si tiene conto anche dell'articolo (•Il Figlio di Dio»), la frase assume un peso teologico notevole: è difficile non darle il senso pieno di filiazione trascendente che normalmente ui6ç ha nel quarto Vangelo: «John may wc\1 have wished to include in "son of God" a confcssion of the divinity of Jesus•). R. E. BROWN, The Gospel according to John, Ncw York, 1966. p. RR. D'altra parte il titolo •re di Israele» è riferito esplicitamente a Dio in Is 44,6. Il parallelismo stretto tra le due espressioni, facendo sì che si attraggano a vicenda, lascia intravedere una sintesi tra «Figlio di Dion c «re di Israele•), che si attuerà a un livello nuovo, ancora imprecisato, ma verso il quale il testo fa pressione.

2HO

, non si può comprendere e molto meno si può entrare a prendervi parte (Gv 3,3.5).' La forma grammaticale è una negazione: > ( 19,16). Torniamo ora alla regalità del quarto Vangelo. Il contesto antitetico di Pilato e dei giudei nel quale e dal quale essa è affermata, assume con l'Apocalisse i contorni precisi e impressionanti di tutto un sistema di vita terrestre, organizzato e strutturato, chiuso a Dio e con radice demoniaca. Le proporzioni del regno di questo mondo come esse appaiono nell'Apocalisse sorpassano l'orizzonte di Pilato. Pilato, rispetto a Babilonia, al «mostro» che la sostiene e ai > seduto

solennemente sul cavallo bianco. Cf. Parte terza, c. Il, pp. 326-327. " Cf. Parte terza, c. Il, pp. 323. 33

I prohlcmi che il brano 20,1-10 ha sollevato sono quanto mai numerosi e complessi e

hanno una loro storia. Cf. Il. BIETENHARD, Das Tausendjiihrige Reich. Eine bibli.rch·theo/og> (22,1) che scaturisce dal trono di Dio e dell'agnello, sarà propriamente quella pienezza di amore che si intravede nella morte di Cristo e che diventa vitalità partecipata nella sua risurrezione mediante il dono dello Spirito. È tramite Cristo morto e risorto e con la pienezza dello Spirito che Dio esercita il suo influsso sugli uomini anche al livello escatologico della Gerusalemme nuova. La capacità di influsso di Cristo in quanto agnello esercitata nella Gerusalemme nuova, fa pensare al Cristo re del quarto Vangelo: il fatto che la sua regalità, attuata sulla croce, comporti, come abbiamo visto, la sua risurrezione e il dono dello Spirito, come pure una rivelazione particolare della sua filiazione trascendente, la rendono aderente anche al contesto specifico della Gerusalemme nuova (Ap 22,1-5). Senza vedere necessariamente nell'«albero di vita>> di 22,2 l'albero della croce," la pienezza della vita realizzata nella Gerusalemme nuova esplicita tutte le potenzialità della regalità di Cristo crocifisso. Il suo regno è, ora, realizzato in pieno e condiviso da tutti gli uomini salvati. È in questo mondo rinnovato, dove anche i «re della terra>>, cambiati di segno, hanno assunto una funzione positiva (A p 21 ,24) che si attua pienamente il regno. 36 Sono caratteristiche le ultime parole che i 4(viventi» e gH «anziani» pronunciano nella dossologia di 19.1·7 c che concludono la loro funzione: «Amen. alleluia» (19.'l). '' Lo ha fatto. ad esempio. Halver (citato da BROTSCH, La clarté. p. 382). Ma si può obiettare che la croce come «albero della vita», ;v/..ov ~wfjç (22.2) non è un simbolo usato nell'Apocalisse.

302

Un regno che è, unitariamente, di Dio e di Cristo. Dopo che, per la seconda volta, si afferma che nella città c'è il trono . C'è, allivello escatologico raggiunto, una convertibilità tra i due nomi. Questa corrispondenza continua e si fa sempre più aderente: non ci sarà più giorno né notte perché il (22,5). Ma la luce di Dio, è stato precisato pochi versetti prima, è portata a contatto con le singole persone da Cristo agnello (Ap 21-23). È in questa situazione di influsso di Dio e di Cristo che si realizza la condivisione degli uomini tra loro, con Cristo e con Dio, del medesimo regno, attuato ormai nella prospettiva tipica (i ) nella pienezza del mondo di Dio: (22 ,5). Il diventa davvero di Cristo e di Dio quando esprime ed attualizza il loro livello trascendente di vita nel quale Dio e Cristo coinvolgono l'uomo.

11.

CONCLUSIONE: LA CENTRALITÀ DEL REGNO DJ CRISTO NELLA STORIA DELL'UOMO

Uno sguardo sintetico al lungo cammino percorso suggerisce, ora, alcune riflessioni conclusive. Lo sviluppo in crescendo del regno di Cristo e di Dio dal quarto Vangelo all'Apocalisse che abbiamo rilevato ci permette di guardarlo in prospettiva. Comincia ad attuarsi al di dentro della singola persona. Accogliendo la verità di Cristo. credendo in lui, accettando il battesimo la persona entra a far parte del regno di Cristo e comincia a . Si tratterà in pratica di condividerne le verità-valori, portandole, sotto la pressione dello Spirito, nella pratica quotidiana della vita. Ma le verità di Cristo, come Cristo, stesso non sono di quaggiù e presentano, rispetto alla mentalità media dell'uomo, parametri di valutazione differenti. Tutto ciò che è egoismo, a livello individuale e collettivo, tutto ciò che è ricerca della propria , è radicalmente eterogeneo a Cristo e alla sua verità.

lll

Questo accostamento diventa più aderente se si tiene conto che. nel contesto della

Gerusalemme nuova, (22,5).

303

Ciò comporta da una parte un sistema di anti-regno rispetto a Cristo, organizzato a livello individuale e collettivo, sotto la pressione misteriosa del demoniaco. È il regno : ne sono esponenti Pilato e i giudei nel quarto Vangelo; nell'Apocalisse diventa il regno di cui è regina Babilonia (cf. IH,7). Dall'altra si ha il vero tipo del regno di Cristo. Esso consiste nell'esproprio di sé per amore degli altri. Cristo re è, in questa prospettiva, colui che dona la sua vita cosi come appare nella crocifissione. La crocifissione è paradossalmente il fondamento e l'espressione della regalità di Cristo. Possiede una forza misteriosa e irresistibile che fa presa sulla storia dell'uomo. I cristiani che hanno accolto la verità di Cristo e sono parte del suo regno ne diventano poi protagonisti attivi. Portano la crocifissione regale di Cristo nella concretezza della vita vissuta. Lo fanno contrapponendosi al sistema anti-regno che vi trovano, sostenuti dalla forza della crocifissione e dalla verità di Cristo, la quale, adeguatamente compresa e praticata, diventa in loro una testimonianza. Ma i cristiani non sono i soli né i principali protagonisti attivi di un regno di Cristo in divenire. Cristo stesso è coinvolto attivamente nello sviluppo della storia. Annienterà progressivamente tutta la struttura anti-regno, che vi si sarà formata, nella sua organizzazione e nella sua radice demoniaca. Si avrà allora, nell'ambito di un mondo completamente rinnovato su misura dei valori di Cristo, una convivenza a livello paritetico - determinato dalla partecipazione che Cristo fa del suo amore e della sua vitalità di risortotra gli uomini, Cristo, lo Spirito e il Padre. Sarà il regno . Questa concezione teologica, complessa e ardita, colloca il regno di Dio e di Cristo al centro degli interessi di tutta la storia umana. Non è il circolo intimistico di un gruppo di iniziati e neppure una dimensione religiosa che si limiti a colorire scialbamente dal di fuori un contesto intrinsecamente profano. Il regno di Cristo non è «da questo mondo» nel senso preciso che non ne deriva e non ne condivide la logica e la struttura. Ma si attua di fatto e la sua concretezza è tale da eliminare il regno antagonista. Non ci sarà spazio per un sistema di vita chiuso ncll"immanenza per il male comunque organizzato. Il regno di Cristo realizzato sarà l'unico mondo dell'uomo e di Dio.

304

capitolo Il

Dalla venuta dell' «ora>) alla venuta di Cristo La dimensione storico-cristologica dell'escatologia nell'Apocalisse

l.

ESCATOLOGIA ED ESCATOLOGIE

Il quadro dell'escatologia che ci presenta il Nuovo Testamento nel suo insieme è estremamente ricco e variegato.' Questa ricchezza e varietà diventa talvolta tensione tra concezioni a prima vista incompatibili tra loro. La venuta di Cristo, ad esempio, è avvertita come imminente nella prima lettera di Pietro mentre la seconda lettera sembra fare di tutto per farla sentire remota. Un fenomeno analogo si constata nelle due lettere ai Tessalonicesi: la venuta di Cristo pur sempre indeterminata nella prima ai Tessalonicesi (cf. lTs 5,1) esercita una pressione benefica e di stimolo sulla vita attuale della comunità. Il quadro cambia totalmente nella seconda lettera: l'attesa della parusia produce nella comunità una specie di surriscaldamento ambientale, con tutti gli inconvenienti negativi di una situazione di emergenza. L'autore,' allora, si sforza di allontanare nel tempo la scadenza della venuta. almeno sotto il profilo psicologico per la comunità che l'ascolta, richiamandola, non meno di quanto fa l'autore della seconda di Pietro, a un suo impegno fattivo nel presente della storia. Proprio questo impegno precede, prepara, l'autore della seconda lettera di Pietro dice addirittura > (Gv 5,25).

E subito dopo si aggiunge: «Non vi meravigliate di questo, poiché verrà l'ora nella quale tutti coloro che stanno nei sepolcri udranno la sua voce e andranno coloro che avranno fatto del bene in una risurrezione di vita, coloro invece che avranno fatto del male in una risurrezione di giudizio>> (Gv 5,28-29). La vita che chi crede già possiede se m bra identificata con una vita che viene collocata chiaramente nel futuro, ed è collegata con la risurrezione fisica e col giudizio. La presenza di Gesù che parla indica, qui, non meno che nel caso precedente, il presente di un dono di vita che viene realizzato in lui, simultaneo a lui. Ma questo presente è identificato di nuovo con un futuro che, pensando specialmente al giudizio e alla risurrezione, è chiaramente escato-

11

308

Cf. per un'analisi dettagliata di tuno il contesto,

FERRARO, L'«ora»,

pp. 138·158.

logico anche in un senso strettamente temporale. La discriminazione tra ). " Cf. V ANNI, Punti di tensione. pp. 371-374.

310

eviti di pensare alla venuta di Cristo in termini usuali e che stia maturando, in proposito, una concezione nuova e originale. È quanto troviamo nell'Apocalisse. Si prova, infatti, un senso di sorpresa quando si constata, nell'Apocalisse, l'assenza della formula maranatha" riferita nell'uso liturgico della chiesa primitiva alla seconda venuta del Signore. La troviamo nella conclusione della prima lettera ai Corinti (16,22) e nella Didaché (10,6). Viene da chiedersi com'è che in un libro tutto ispirato alla liturgia com'è l'Apocalisse e nel quale ricorrono con frequenza apprezzabile altre formule liturgiche ebraico-aramaiche - come ÒJ.u]v e aìJ.T]ì..oui:ét - manchi proprio questa." Il problema si fa più acuto in base a un'altra considerazione: nell' Apocalisse si parla ripetutamente della venuta del Signore, e vi si trova un'espressione che, come contenuto, è equivalente" a maranatha: (22.20). Perché l'autore dell'Apocalisse, che doveva essere a conoscenza dell'espressione aramaica che, nelle Didaché. troviamo abbinata ad t'x~i]v," proprio dopo à~i]v usa l'espressione greca corrispondente che abbiamo indicato, dando così l'impressione di evitare intenzionalmente l'uso di maranatha? Viene in mente l'ipotesi che l'autore intenda, in una maniera tutta sua, diversa da quella corrente, la venuta del Signore di cui parla. Un esame ravvicinato dei testi che si riferiscono ad essa ci permetterà di verificare l'ipotesi e di approfondirla.

5.

«VERRÀ CON LE NUBI>>

Incontriamo la prima presentazione della venuta di Cristo in Ap 1,7: , invece che , con «i selle candelabri>~ (ì..uxvui)V) di 2,1. Intendere > di Mt 5.15, significherebbe allontanarsi dai dati filologici e teologico-biblici del testo.

313

negli eventi, che, qualora si verificassero davvero in concreto, comporterebbero la sorpresa sconcertante di una venuta inaspettata. Un discorso analogo si impone a proposito di Ap 2,16. Siamo nel contesto dell'esortazione rivolta alla chiesa di Pergamo, dopo che è stata rilevata e condannata da Cristo, che parla sempre in prima persona, la tendenza di alcuni componenti della chiesa a un compromesso sincretista con l'ambiente pagano. Anche qui la venuta è una minaccia qualora non abbia luogo nella chiesa la conversione che Cristo le richiede: (2,16). La è la parola di Cristo. Qualora la chiesa non accolga quella parola che Cristo adesso le rivolge e invitandola alla conversione, ci sarà un'altra parola di Cristo che si contrapporrà polemicamente alla chiesa - a quella parte della chiesa - che non avrà voluto prestare ascolto alla prima parola rivoltate. Questa seconda parola minacciata è messa in rapporto di dipendenza con una venuta che è detta anche imminente. Non si tratta dell'imminenza di una scadenza precisa: la venuta è una minaccia che avrà luogo solo nel caso di una mancata conversione. L'imminenza della venuta ipotetica inculca l'urgenza della conversione. Ma qual è il tipo di venuta prospettata, in collegamento con la parola di Cristo? Se la parola di Cristo che spinge alla conversione rimane inascoltata, essa assumerà un aspetto nuovo, si incarnerà nei fatti. Ci saranno degli avvenimenti che, toccando la chiesa da vicino, smentiranno il suo atteggiamento ed esprimeranno la verità della parola di Cristo. Sarà una verità polemica nei riguardi della chiesa. E siccome saranno fatti nuovi, la parola che concretizzeranno comporterà, rispetto a quella che è la presenza usuale di Cristo nella vita della chiesa, la novità di una sorpresa. Un rilievo tutto particolare, sempre nell'ambito delle lettere alle chiese, lo assume la venuta di Cristo, minacciata alla chiesa di Sardi e che troviamo in Ap 3,3b: «Se dunque tu non veglierai, sopraggiungerò come un ladro (ijl;w . L'immagine del ladro che arriva all'improvviso è caratteristica del Nuovo Testamento. Appartenente, probabilmente, agli ipsissima verba di Gesù," essa

" Ce lo dice, tra l'altro, il criterio della doppia discontinuità, rispetto all'epoca che precede il Gesù di Nazarel e rispetto all'epoca successiva: l'espressione «come un ladro nella notte~) non si trova mai prima di Gesù; dopo, viene attribuita a lui. direttamente o indirettamente. La doppia

discontinuità isola l'espressione da possibili fonti anteriori e da una rielaborazione successivà da parte delle comunità cristiane, permettendo di auribuirla a Gesù direttamente.

314

si muove nelle varie stratificazioni della tradizione cristiana: la incontriamo in Paolo (lTs 5,2), in Matteo (24,43-44) e Luca (12.39-40), nella seconda lettera di Pietro (3,10); la ritroveremo nell'Apocalisse (16,15). Si riferisce all'ultima venuta. Anche qui, come negli altri due casi che abbiamo analizzati. la venuta è messa in rapporto di dipendenza con una minaccia: . Negli altri due casi la conversione attuata potrebbe evitare la venuta, qui il rapporto è diverso: la vigilanza richiesta, anche attuata in pieno, non impedirà la venuta, ma eviterà che questa colga la chiesa impreparata. Se, in altri termini, la chiesa sarà davvero vigilante, come Cristo, rivolgendole direttamente la parola in prima persona, le richiede, la venuta che pur avrà luogo non sarà più il sopraggiungere di un ladro. L'autore dell'Apocalisse re interpretando nella sua prospettiva e sotto la pressione di un'esigenza parenetica il Àoywv di Gesù, gli toglie il rivestimento di parabola che ha in Luca.'" Ma qual è, visto più da vicino, il rapporto tra la vigilanza nella chiesa e l'ultima venuta che Cristo stesso, parlando alla chiesa nel presente, inculca con tanta insistenza? La venuta ultima, quandoché si realizzi, da una parte sarà Cristo che sopraggiunge (~!;w);" dall'altra avrà un'aderenza totale, farà presa su tutta la fascia della vita della chiesa, aggancerà la chiesa in tutte le dimensioni storiche, concrete della sua realtà: >, a rendersi conto di quanto accade. E quanto accade è indicato espressamente proprio nel contesto unitario in cui la nostra espressione si inserisce: si tratta, lo abbiamo notato, del divenire dialettico tra bene e male che ha luogo nel decorso della storia e che sta giungendo a un massimo di tensione. L'invito

28 Citati da PRIGENT, L'Apoca/ypse, p. 248. " Cf. PRIGEST, L'Apowlypse, p. 248. 30 Troviamo EQXfTUL invece di ÉQXO!Wl in S'. Ma proprio la terza persona fll?xrtm) appare come «lectio facilior» rispetto alla prima (ÉI?XO!'Ul). La prima è quindi da prelerirsi. Inoltre ~).t-Jtouatv. testimoniato da p-l\ P~ 1 , molti minuscoli, costituisce solo una variazione grammaticale rispetto a flì.Fawm v. 31 Per quanto riguarda il rilievo tutto particolare di un soggetto interpretante come ~~gruppo di ascolto>> (cf. l ,3) che segue un «lettore>>, realizzando così il contesto dell'assemblea liturgica cristiana, cf. Parte prima, c. IV, pp. 74-76. Proprio la rilevanza che il soggetto interpretante acquista anche in questo caso mi induce a superare la propensione anche ipotetica per una interpolazione o dislocazione testuale che avevo espresso prima (cf. VA~NI. La struttura. p. 32. nota 41).

317

di Cristo a (l&>u) ha proprio come oggetto lo scontro che si sta verificando. «Guardando>> questo scontro, comprendendolo, leggendone le implicazioni dal di dentro si arriva a una conclusione inaspettata: rgxo~m wç XÀ.É:rtTI]ç «verrò come un ladro>>. È l'espressione che abbiamo analizzato sopra e che si riferisce alla venuta conclusiva di Cristo, sottolineandone l'indeterminatezza come scadenza. Nella storia che si sta svolgendo in uno scontro tra bene e male è leggibile la venuta futura di Cristo. Il gruppo di ascolto, soggetto interpretante dell'Apocalisse, è invitato perentoriamente a fare questa lettura in profondità, che è vista particolarmente importante, addirittura imprescindibile. al punto da provocare l'interruzione del filo espositivo. L'interruzione, così, sottolinea che non si può guardare la storia in tutta la sua realtà anche più cruda senza vcdervi dentro una pressione in atto che porta alla venuta futura di Cristo. Tutto questo si trova, ma in profondità, in perfetta sintonia col contesto: il gruppo di ascolto era stato invitato fin dall'inizio della seconda parte dell'Apocalisse a leggere in profondità il filo religioso della sua storia (cf. 4, l). Ora che questa lettura volge al suo termine, ci troviamo proprio alla fine della sezione del triplice segno," essa viene sintetizzata e rapportata alla venuta di Cristo che si sta movendo nella storia. Davanti a questa prospettiva, il soggetto interpretante non può rimanere inerte. Gli si chiede di À6l; IT1JQ6ç in A e vari minuscoli; wç invece è omesso da s p 046 OSI e dalla maggioranza dei minuscoli. Il sospetto che si tratti nel testo di A di un'armonizzazione rispetto a Ap 1,14 e 2,18, induce a propendere per la lezione di S, senza wç; avremo. allora, i «suoi occhi (sono) fiamma di fuoco».

322

troviamo nella sezione conclusiva e che il soggetto interpretante è chiamato a vedere il cielo aperto in rapporto alla terra, non ci possiamo fermare alla trascendenza della personalità di Cristo. Infatti in questa pericope, come anche in genere nell'Apocalisse, si ha una trascendenza di Cristo applicata alla storia, che fa presa nella nostra storia e la determina. Ma gli uomini non sono in grado di percepire nei dettagli, identificandola all'istante e mettendola subito in rapporto con la persona di Cristo, questa forza di risurrezione. Quando, allora, Cristo agisce nella storia di adesso, si vedono alcuni effetti della sua azione, si crede nella sua presenza, ma non si riesce a leggere pienamente il suo nome, a vedere lui come persona negli avvenimenti. Ciò sarà possibile solo a livello escatologico. (19,13). L'immersione nel sangue della veste si riferisce, con tutta probabilità, al di Cristo: alla sua passione, intesa con tutte queste modalità dinamiche. L'immagine viene allora pienamente giustificata:" non si tratta di una semplice spruzzatura, ma di un'immersione, di un contatto totale e permanente con la sua passione che qualifica personalmente Cristo facendone !' e lo qualifica anche rispetto agli altri, ai suoi nemici, dandogli quella capacità di vittoria piena su di loro che adesso verrà messa in atto. Cristo non solo è chiamato dagli uomini che considerano la sua opera in rapporto alla parola di Dio, ma addirittura realizzata nella storia. Cristo è, così, la realizzazione escatologica della nuova creazione che contiene la pienezza di ogni parola di Dio, e, viceversa, la nuova creazione coincide con Cristo come parola attuata. «E gli eserciti -nel ciclolo seguivano su cavalli bianchi vestiti ciascuno di lino bianco puro>> (19,14). Il contesto di battaglia fa pensare a organizzati riguardanti i cristiani che collaborano attivamente con Cristo. La loro situazione vista a «cielo aperto» (tv oùgavcjl, «nel cielo>> non si riferisce al luogo della battaglia e della sequela che è e rimane la terra: cf. 19,17-19; indica semplicemente. in maniera allusiva, la trascendenza celeste con tutte le sue implicazioni di

" Ciò non si ha se si interpreta sulla scorta di Is 6J.J.Jia veste come spruzzata dal sangue dei nemici. Il termine greco usato r3E~a~~Évov ((immerso, inzuppato» é difficilmente riferibile al sangue dei nemici ((spruzzato sulle vesti>> (Is 63.3). Ciò è stato avvertito anche nella tradizione manoscritta: quando si è voluto mettere il nostro testo in rapporto con Is 63, l-3 si è messo al posto di ~E[l«flf!Évov («immerso••) QEQOV> riferito genericamente alla forza risurrezionale di Cristo immessa nella storia; in 14,4 si diceva che i 144.000 visti nella prospettiva della vita ecclesiale attuata si ritrovano nella categoria di coloro che «seguono l'agnello dovunque vada»." Questa sequela attiva, «apostolica» è vista e capita ora allo stesso livello di Cristo risorto, con la stessa efficacia. E come, per quanto riguarda Cristo, emerge ora, in confronto con la fase pre-escatologica, la sua dimensione personale, altrettanto accade per i suoi seguaci. Si soggiunge infatti che i cavalieri dei cavalli bianchi"' sono: «vestiti di lino bianco splendente». L'espressione riprende il vestito della donna sposa e proprio questo testo permette di precisare: > nel senso che realizza quella completezza di positività che è tipica del livello di Dio (cf., ad esempio 21,21b). «E dalla bocca di lui esce una spada acuta perché colpisca con essa le genti ed egli li pascerà con verga di ferro ed egli calca il tino del vino della passionalità dell'ira di Dio dell'onnipotente>> (19,15). Viene ripresa un'espressione già usata in 1,16 e 2,12.16; la «spada che esce dalla bocca>> è la parola di Cristo, la quale possiede l'efficacia tagliente e irresistibile di una spada affilata. Abbiamo visto sopra come essa si esprime sia direttamente, sia incarnandosi nei fatti. Qui si tratta del secondo caso, ma la realizzazione nei fatti della parola di Cristo riguarda le , protagoniste del male realizzatosi nella storia. La parola, concretizzata in fatti nuovi, «colpirà» le genti, distruggerà il male. Ma questa parola concretizzata converge in lui: continuando il discorso si dice che proprio lui" «pascerà» con verga di ferro e «calca>> il tino. Specialmente con questa ultima immagine si ha, di nuovo, un'esplicitazione in termini personali e riferiti a Cristo dell'azione di superamento dei nemici di Dio, già maturata nella storia e realizzata alla fine. In 14,19-20 si parlava della «vendemmia escatologica>>: l'uva. maturata durante lo sviluppo della storia, viene colta alla fine e gettata nel tino. Ma l'uva, la vendemmia e la spremitura del mosto, diversamente dalla mietitura (cf. 14,1516) hanno una connotazione negativa: esprimono il male accumulatosi nel decorso della storia e distrutto alla fine da Dio. In questa distruzione Dio si coinvolge personalmente: il tino dove viene gettata l'uva, è il «tino grande 1 Cf. nota precedente. '' Nello sviluppo letterario del versetto 19.15 viene messo in risalto e ripetuto enfaticamente il pronome uùTO; ~duh>, ), nella doppia ripresa: xaì. airròç :toqJ.avEi. .. xai alrròç "

1tO'IEi. ..

325

dell'ira di Dio» (14,29b). Si ha poi un'altra precisazione: l'uva ptg~ata si riferisce agli uomini: viene rapportata a un contesto umano (la > era diffusa come titolo aulico." Il massimo della regalità indica, quindi, un dominio assoluto ma che riguarda i re sulla terra. È una prerogativa personale di Cristo. Quello che è interessante nell'Apocalisse è, oltre il senso delle due parti dell'espressione attribuita a Cristo, il loro rapporto reciproco e col contesto immediato. L'espressione presenta le due parti di cui si compone anche in ordine inverso: in 17,14 «l'agnello li vincerà perché (on) è Signore dei signori e Re dei re>>; qui il suo nome scritto è: «Re dei re e Signore dei signori>>. In 17,14 si afferma che l'agnello vincerà tutta una serie dei re della terra: la potenza dei re della terra viene superata in maniera incontrastata. Si vuole indicare la ragione di questa possibilità di superamento e si comprende allora che l'agnello potrà vincere perché (on) anzitutto è «Signore dei signori>> a livello divino; eppoi perché applica questa sua energia trascendente a livello terrestre, come «Re dei re>>. Nel nostro contesto si parte dalla capacità che ha Cristo di vincere i re della terra; i loro diademi appartengono a lui come persona." Proprio in lui, nella sua persona, in quello che è e che fa, si esprime la capacità assoluta e concreta di dominio: è «seduto sul cavallo>>. Come tale ha la qualifica personale di «Re dei re>>. In questa qualifica concretizzata nella sua persona, se ne legge un'altra, maggiore ma in continuità, quella di «Signore dei signori>>, cioè di Dio. Il suo comportamento personale, esprimente la sua capacità di vincere il male, esprime nello stesso tempo il suo livello divino. In 17,14 l'accento è messo sul rapporto di potenza con i re esplicato dall'agnello perché è «Signore dei signori>> e quindi anche «Re dei re>>. Qui si ha un'esplicitazione in termini personali; si guarda alla persona, che si manifesta nell'azione concreta: appare, la persona, «Re dei re>>, e, in questa stessa prospettiva, «Signore dei signori>>. Raccogliendo in un quadro di insieme i dettagli analizzati, potremo concludere: non si ha, qui, una descrizione vera e propria della parusia. Non si parla mai di ritorno di Cristo. Ci si muove, però, a livello di conclusione e Cristo appare come «Un di più>> rispetto all'esperienza che ne è fatta prima.

" 'adoni ha'Jdonfm, nei LXX >LOç >LOJV (Dt 10,17; Sal 105,3). 7 • Si ritrova detto anche ùi Dio in 2Mac 13,4: ((Il re dei re suscitò l'ira di Antioco». Pur riferito a Dio, il titolo mette Dio a contatto e confronto con un re della storia umana. "' Cf. A p 19,12: i ;wHà OLaùruwm intorno alla testa di Cristo non qualificano lui come vincitore in assoluto (si avrebbe mÉqJavo;, «corona>>). ma. sia per il loro numero. sia per il significato preciso del termine t>LétÒtlllO, una fascia azzurra ornata di bianco che veniva legata sulla fronte dei re (flamÀEiaç yvw(>ta~a lo chiama Luciano), indicano la vinoria di Cristo riportata

proprio sui re della terra, dei cui diademi si è appropriato.

327

Il soggetto interpretante, elaborando il materiale simbolico fornitogli, riflette su tutto questo. Lo fa, guidato come sempre dall'autore, riprendendo vari momenti precedenti della sua esperienza apocalittica e constatandone la completezza realizzata da Cristo, che gli appare nello stesso tempo come rapportato alla storia e come persona avente un nome. Potremmo dire che il Cristo che qua si delinea è una persona tutta impegnata nella storia, la quale, divenendo, assorbe e fa sue le caratteristiche personali di Cristo stesso. Cristo persona tutta applicata nella storia dell'uomo e alla storia dell'uomo, è particolarmente attivo nella sconfitta definitiva del male: lo giudica come male e lo annienta. Ha questa capacità proprio perché è stato ucciso. Cristo si associa un gruppo che partecipi più da vicino alla sua azione e alla sua realtà. Questo, che già si era impegnato prima della sequela dell'agnello, vede e constata adesso la portata di quanto ha fatto e continua a fare: si tratta di collaborare con Cristo quasi allo stesso livello. Così, in questa rimeditazione della storia nella quale è presente Cristo, fatta situandosi idealmente nel punto di arrivo, il gruppo di ascolto coglie la portata sorprendentemente cristologica della storia e la portata della persona di Cristo. Si sente incoraggiato nel suo cammino di collaborazione con Cristo. 9.

LA REALIZZAZIONE CRISTOLOGICA DELLA STORIA NELLA GERUSALEMME NUOVA

Ma qual è, viene da chiedersi, in termini positivi e non solo di superamento del male, questa piena realizzazione cristologica nell'ambito della storia? L'autore ci dà una risposta in una delle sue pagine più riuscite, quando ci presenta, a due riprese, la Gerusalemme nuova. Il termine xmv6; ha nell'Apocalisse un valore preciso: non indica la sostituzione di una parte avariata o logora, ma si riferisce costantemente ai valori di cui Cristo è portatore e che egli immette nella storia. In ultima analisi , nell'Apocalisse, indica una realizzazione di Cristo risorto, attuata da lui come risorto e che lo esprime proprio come tale. La Gerusalemme nuova è la città-convivenza attuata da Cristo risorto e che, proprio per la novità che la caratterizza, ne partecipa la vitalità. Diamo uno sguardo sintetico ad alcuni aspetti:" (21,1}.

È l'ambiente nel quale viene situata la Gerusalemme nuova. Non si precisano le modalità in termini fisici, ma si insiste su un salto qualitativo tra il mondo «di prima>>, e questa realizzazione ottimale definitiva tutta pervasa dalla novità di risurrezione di Cristo.

" Cf. per un'esposizione esegetica dettagliata, Parte seconda, c. VIII. pp. 253-276.

328

In questo ambiente rinnovato viene collocata la città: essa discende dal cielo, è tutta costruita da Dio e su misura di Dio, ma non rimane racchiusa nell'ambito inaccessibile della trascendenza. È la convivenza, la collettività del popolo di Dio, rinnovato in proporzione e su misura di Cristo. Ma questa collettività, questa città, viene precisato con un'immagine ardita, si è ormai preparata, durante tutta la vicenda della storia, ed è pronta, come una sposa ornata per incontrare lo sposo. A questa prima presentazione ne segue un'altra ancora più suggestiva e che fa toccare con mano la portata della presenza di Dio e di Cristo attuata nella città degli uomini, al di là di quelli che sono, ora, i confini tra immanenza e trascendcnza: «Vieni, ti mostrerò la fidanzata sposa dell'agnello>> (21,9). Si è realizzato tra Cristo-agnello e il suo popolo l'amore paritetico tipico del livello nuziale. Preparandosi durante lo sviluppo della storia, collaborando attivamente con lui a superare il male col bene, la chiesa «fidanzata>> ha finalmente raggiunto il livello di . In che consiste, più in dettaglio, questo livello paritetico di amore? L'autore dell'Apocalisse si sforza di farlo apprezzare e gustare. La Gerusalemme nuova è tutta pervasa dalla ricchezza infinita di Cristo e di Dio: lo dice e lo inculca il simbolismo ridondante della luce, delle pietre preziose e dell'oro. Indicano, l'uno e l'altro, la presenza immediata di Dio che si dona (21,10-21). Non sorprende a questo punto l'affermazione che, nella Gerusalemme nuova, si nota l'assenza di ogni forma di tempio (21,23-31). Tutto è tempio, perché in tutta la città si realizza, in maniera omogenea, la presenza diretta e comunicativa di Dio e di Cristo risorto con tutti gli uomini. Dio e Cristo sono la vita della città (cf. 22,1-5). 10. Lo SPIRITO E LA FIDANZATA DICONO: Dopo aver fatto gustare all'assemblea liturgica la meta di a cui essa si prepara, ma che potrà raggiungere solo nel futuro, l'autore ritorna nel presente. Siamo di nuovo nella concretezza dell'assemblea liturgica che abbiamo trovato all'inizio (l ,4-8), e, come all'inizio, l'assemblea si esprime in un dialogo (22,6-21). Ne sono protagonisti tutti quei personaggi che hanno contribuito alla realizzazione dell'esperienza ormai ultimata: Giovanni (il ), l'angelo interprete, Cristo, l'assemblea, animata dalla forza dello Spirito."' Ritornando, dopo l'esperienza di purificazione e di discernimento, nella concretezza della sua storia, l'assemblea vi ritrova lo scontro tra male e bene

S(l

Cf. per un'ulteriore precisazione sul dialogo liturgico conclusivo, V ANNI, La struuura, pp.

299-300.

329

dal quale si era momentaneamente isolata. Rituffandosi nel groviglio della storia dopo la meditazione della pienezza riguardante Dio, Cristo e gli uomini come si realizza nella Gerusalemme nuova, l'assemblea comprende meglio cosa significa, al presente, l'assenza di Cristo. Tutto ciò che, nella storia in cui vive, è ancora mancanza di amore, violenza. morte, male sotto qualunque forma, è un vuoto di presenza di Cristo, del suo amore, della sua vitalità, della positività vertiginosa della sua risurrezione. Di fronte a questa constatazione il gruppo sente il bisogno di invocare, con tutte le sue forze e con tutta la pressione di amore nei riguardi di Cristo di cui è capace, la pienezza della sua venuta: > (Gv 2,4) non è più retorica e ha una risposta precisa. Tra Gesù e Maria c'è un rapporto di maternità che si prolunga nei discepoli di Gesù; tale maternità, inoltre, fa sì che Maria sia > (1,5), Cristo «re dei re>> (17,14; 19,16) li sconfigge irreversibilmente, determinando la loro trasformazione. Il termine ~amì..El!ç ricorre anche per designare dei personaggi che sembrano storici. anche se non è facile attribuire loro un nome: è il caso degli imperatori romani (cf. 17,9.12). 7 Una volta r3aotÌ..Euç ha anche il significato più generico di capo di popolo (cf. 10,11). È detto anche del capo demoniaco che guida le cavallette, una volta che è stato precisato il loro aggancio con la realtà della storia umana (9, 11). In sintesi: il titolo «re>>, al di là dei casi di pura denominazione, appare nell'Apocalisse come essenzialmente relativo: indica una capacità di dominio ostacolata normalmente da un antagonista. «Re>> evoca il contesto polemico di uno scontro tra forze positive e negative. Dio è «re» nel senso che domina, con la sua onnipotenza applicata da Cristo alla concretezza della storia. tutte le forze del male. Cristo è «re dei re>> proprio perché porta a contatto con la storia la sua capacità di vincere il male che vi si organizza. Il demoniaco e i «re della terra>> sono, appunto, queste forze attive. organizzate e ostili a Cristo e ai cristiani. Da notare che il termine ~aoLÌ..Euç nell'Apocalisse non è mai riferito ai cristiani. Accanto a ~nmì..Euç, troviamo 9 ricorrenze di ~amì..da «regno>>. A differenza di «re>>, «regno>> è attribuito esplicitamente proprio ai cristiani: Cristo li ha fatti «regno>> (l ,6), costituendoli tali nel suo sangue (5,9); Giovanni si dice compartecipe del «regno>> insieme ai suoi fratelli (1,9).

' La funzione positiva dei •re della terra• in Ap 21,24 fa problema. Il contrasto con le altre ricorrenze, normalmente interpretate in senso negativo, è supcrabilc tenendo presente il salto di qualità in positivo che la Gerusalemme nuova comporta rispetto alla situazione attuale. Cf. V.

How The Kings of the Earth Land in the New Jerusalem: the •Worfd, in the Book of Revelation, in Katallagete l Be Rcconciled (1975) 5, pp. 21-27. 7 Per la prohlcmatica riguardante l'identificazione degli imperatori romani di Ap 17 cf. PRIGENT, L'Apoca/ypse, pp. 252-255.

ELI.ER,

352

Il >, inquadrato adeguatamente nel suo contesto immediato, costituisce una qualifica fondamentale dei cristiani, già realizzata. La mediazione attiva tra il livello degli uomini e quello di Dio suggerita dal termine (iEQEiç) viene precisata sotto alcuni aspetti proprio dal termine (~aotÀE[av): esso indica l'affinità con Cristo indispensabile per la mediazione come pure, in termini generali, il campo dove tale mediazione si svolge: è il campo del regno che diviene, sotto l'influsso di Cristo risorto. Non si dice come i cristiani eserciteranno di fatto questa loro mediazione. Lo stile denso ed evocativo del brano induce ad attendere esplicitazioni ulteriori nei testi seguenti. Intanto appare affermato e ribadito un fatto fondamentale: i cristiani sono sacerdoti perché sono regno e nel senso del regno. La loro regalità rende possibile e interpreta la loro attività sacerdotale.

" Il termine Mça nell'Apocalisse è detto di Dio (4,9.11; 5,13; 7,12; 11,13; 14,7; 15,8; 16,9; 19,1.7; 21,11.23) di Cristo (1,6; 5,11.13) di un angelo (18,1), dei re (21,24), delle nazioni (21,26). " Cl. Parte terza, c. II, pp. 318-328.

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4.

SACERDOTI CHE REGNANO SULLA TERRA:

AP 5,9-10

Il secondo brano dell'Apocalisse in cui ricorre il termine lEQEiç conferma e chiarisce le conclusioni che abbiamo formulate. Si tratta di un brano di importanza decisiva per la nostra indagine e che deve quindi essere studiato da vicino. Ci troviamo nella seconda parte dell'Apocalisse e precisamente nella sua sezione introduttoria." La tensione letteraria creatasi alla presentazione del >) da parte di Cristo di tutte le genti in forza del suo sangue, e, parallelamente. la costituzione dei cristiani («e li facesti ... >>) nella loro situazione tipica di regno e di sacerdoti. Il movimento letterario si conclude proprio nella linea di un'azione attuale da parte dei cristiani, i quali, simultaneamente alla presenza qualificata di Cristo agnello (f3amÀEÙoumv) sulla terra. Guardiamo a distanza ravvicinata i dettagli di maggiore interesse. Iniziamo col testo. C'è. proprio nell'ambito della nostra pericope 5,10 un problema importante di critica testuale. Si deve leggere f3aatÀEuouotv «regnano>> con A 046; f3aatÀEuooumv «regneranno>> con il Sinaitico, P, diversi minuscoli e Padri; f3aotÀEUOO!lEV «regneremo>> con 2432, alcuni codici della Vetus Latina e della Volgata, diversi Padri? La questione è complessa e la diversità della lettura tradisce l'imbarazzo dell'interpretazione. Tutto sommato la lezione f3amÀEuouotv al presente appare preferibile:"' è attestata dal codice A, ritenuto il più attendibile per l'Apocalisse, e appare come «lectio difficilior>> rispetto alle altre due: fa difficoltà esegeticamente parlando una situazione di regno attribuita ai cristiani nel presente. Si comprende come - tenendo conto di Ap 22,5 dove troviamo proprio il futuro f3aoLÀEUoouotv, in un contesto strettamente escatologico - si sia passati da un presente enigmatico a un futuro che non fa problemi sia alla terza che alla prima persona. Non si spiegherebbe invece il cammino in senso inverso. Riprendiamo il nostro studio di 5,9b. Emerge l'importanza attribuita all'azione di Cristo come «agnello». Egli è l'unico ad essere «degnO>>, in grado"

20 È una questione esegetica che induce B. M. Mctzger e il comitato a preferire j3amÀEuooumv «as more suited to the meaning of the context» (A Textual Commentary, p. 738). In realtà il presente, prefcribile come «lectio difficilion~, aderisce al contesto molto più del futuro. " L'aggettivo ò!;LOç. enfaticamente al maschile rispetto al neutro Ò.Qvlov, ha qui il senso di capacità efficiente, non di una semplice dignità onorifica.

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di ricevere il libro della storia dell'uomo e di renderne la lettura possibile. Tutta la storia, così come è, con le sue ombre e le sue luci, è presa in mano da Cristo che, solo, ne costituisce la chiave ermeneutica valida. C'è un'esigenza insopprimibile di guardare dentro alla storia, in tutte le sue componenti, allo scopo di estrarne quell'interpretazione che permetterà ai cristiani di regolarsi validamente nelle loro scelte. La capacità che possiede il Cristo di accogliere e interpretare tutta la storia è stata causata dalla sua morte violenta. In conseguenza della sua morte, Cristo «agnello» «acquistò» persone provenienti da tutte le categorie possibili." L'acquisto, data anche la pregnanza di significato del verbo àyoga~w che viene usato." suppone un passaggio di proprietà, un'eterogenità di appartenenza da superare. Gli uomini si trovano in questa condizione di non-appartenenza: l'azione di Cristo li raggiunge tutti, li fa propri. Ma l'azione di >. Che ci sia, allora, in questo tragitto storico dall'acquisto già realizzato all'appartenenza futura uno spazio per la mediazione propria dei cristiani sacerdoti? Questa domanda avrà una risposta dall'esame ulteriore della pericope di cui ci stiamo occupando e, in un quadro ancora più completo, dalla pericope 20,6 che studieremo tra poco. Accanto e parallela all'azione dell'acquisto a Dio viene collocata la costituzione dei cristiani come regno e sacerdoti. Il testo corrisponde alla lettera a quello che abbiamo studiato in l ,6, ma presenta degli ampliamenti significativi.

22 C'è una corrispondenza interessante con l'universalità simboleggiata dalle tre lingue aramaico, latino, greco- della scritta «Gesù Nazareno re dei giudei•• posta sulla croce (Gv 19.20). '' Di per sé il termine àyoga~w. sia nelle 2) ricorrenze dei LXX sia nella grecità in generale, ha il significato di un acquisto puramente comm~::rcialc. Il suo valore religioso è una novità linguistica del NT.

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L'iniziativa viene attribuita a Cristo-agnello. È considerata come avvenuta e compiuta nel passato: si tratta anche qui di un'azione efficace, creativa, espressa con lo stesso verbo e lo stesso tempo: ( xal btotT]oaç corrisponde a xal E:rtatT]OEV di 1 ,6). Siccome il soggetto che parla - i protagonisti del primo cerchio della dossologia- è costituito dai «Viventi>> e dagli >, nel senso attivo sopra indicato, sulla terra, contribuendo alla realizzazione del regno di Dio e di Cristo nella storia. Si profila così il tipo di mediazione propria dei cristiani sacerdoti: c'è da una parte il piano di Dio, un regno progettato e da attuare; dall'altra c'è la situazione che gli uomini stanno vivendo di fatto. Mediante lo sviluppo in avanti della storia, realizzato da Cristo come è particolarmente attiva: Cristo preparando e procurando il regno, come abbiamo rilevato più sopra nell'analisi del gruppo terminologico ~amì..E\Jç-Bamì..Eiu-BamÀEUW. A Cristo presente e attivo nel campo della nostra storia sono associati i martiri. Dotati di una vita misteriosa, essi preparano il regno insieme con Cristo. Questo quadro simbolico e che stiamo interpretando, pone dei problemi ulteriori. sia di comprensione del simbolo, sia di applicazione del simbolo alla vita. L'autore aiuta il gruppo di ascolto a completare questo suo lavoro, indicando delle equivalenze, suggerendo approfondimenti. E la seconda fascia letteraria del brano in cui è inserita la nostra pericope: