L'Apocalisse e i suoi enigmi

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L'Apocalisse e i suoi enigmi

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Giancarlo Biguzzi

L'Apocalisse e 1 suot erugrm •





Paideia Editrice



Tutti i diritti sono riservati © Paideia Editrice, Brescia .2.004

ISBN

88.J94·069I.J

Indice del volume IS

Premessa

Parte prima Circostanze storiche Capitolo 21 2I 2I 23 26 29 29 32

1

Un libro contro «Babilonia»: contro Roma o contro Gerusalemme? 1.

«Babilonia» nella storia dell'interpretazione I. Il problema e le alternative 2. Da Ireneo a Gioacchino da Fiore 3· Da Gioacchino da Fiore all'esegesi contemporanea

II. Critica all'ipotesi antiromana I . Difficoltà dell'ipotesi antiromana 2. Configurazione dell'ipotesi antigerosolimitana

36 36 42

III. Bilancio circa le due interpretazioni I. Valutazione dell'ipotesi antigerosolimitana 2. Valutazione dell'ipotesi tradizionale

47

La terra di Apoc. IJ, I I e la geografia fisico-politica

Capitolo2

47 47 48 49

fI

s3 s3 54 ss

I. La bestia di Apoc. 13, I 1 e il suo salire dalla terra 1. Il «beli, odioso» della Bestia che sale dalla terra 2. Il termine -8Y)ptov e il simbolismo teriomorfo 3· La provenienza «dalla terra» 4· I verbi xa"rcx�alvw - &v(X�(Xtvw e la sfera di appartenenza 11. I diversi ambiti d'azione delle due bestie

I. L'adorazione della Bestia a dimensione ecumenica 2. L'adorazione della statua della Bestia in una diversa atmosfera 3· L'adorazione della statua della Bestia a dimensione regionale

7

4· Flagelli distinti per gli adoratori della Bestia e per il suo trono 5. La successione «mare-terra.» e l'angelo di Apoc. I O 6. Quale mare e quale terra

s6 S7 59 59 S9 6o 63 63

III.

·

Capitolo) Le due idolatrie di Apoc. 8-16 a Efeso 1.

63 63 65 66 66

II.

79 79 82.

IV.

Il tempio imperiale e la datazione dell'Apocalisse

1. Giovanni di Patmos - Giovanni a Patmos I.

Giovanni di Patmos 2.. Giovanni a Patmos. Ipotesi di un soggiorno volontario 3· Giovanni a Patmos. Ipotesi di un soggiorno obbligato 4· Damnatio, deportatio o relegatio 5· Il contributo di H.D. Saffrey 6. Le autorità municipali e il vagus Giovanni

86 88 90

92

L'idolatria tradizionale a Efeso

Capitolo 4 Giovanni di Patmos, Patmos, e la «persecuzione•

85

92

'

e il culto del sovrano 1. Il «neocorato» imperiale di Efeso sotto Domiziano 2. Il tempio efesino per il culto degli imperatori Flavi 3· La statua cultuale di un imperatore Flavio. 4· I giochi domizianei e il culto del sovrano 5· La scelta degli spazi come persuasore occulto 6. Il culto dell'imperatore quale nuovo centro di coesione

7I 74 75 75

79

L idolatria nel Nuovo Testamento e nell'Apocalisse r. L'idolatria nell'esperienza quotidiana delle chiese 2. L'Apocalisse e le due idolatrie

III. Efeso

69

76

La terra di Apoc. IJ,II nella storia dell'interpretazione I . Interpretazioni escatologica e storico-ecclesiastica 2.. Interpretazioni di storia contemporanea

n.

Due diverse immagini di «persecuzione» nell'Apocalisse 1. Ostilità locale in Apoc. I- 3

8

2. La persecuzione extra-asiatica di Apoc. J2-2.0 3· Il grido dei «martiri» in Apoc. 6,9-IO

93 94 95 95 96 97

III.

Le autorità coinvolte e l'epoca della persecuzione I. Persecuzione reale o crisi «percepita» 2.. Intolleranza popolare e iniziativa delle autorità 3· Persecuzione in Asia, autorità responsabili e datazione dell'Apocalisse

Parte seconda Linguaggio

103 104 I04 r o6 I 09 109 II r 112.

Capitolo J . Una grammatica delle immagini e delle tecniche narrative I. Singolarità

delle immagini giovannee 1. I canti di descrizione 2.. La metamorfosi delle immagini

II.

I 13 115 118 12.1 I2.I 123

III.

124

IV.

Singolarità delle tecniche narrative giovannee I. Autarchia dei singoli episodi e dettagli 2.. Le lacune narrative 3· Discontinuità negli itinerari e nell'identità dei protagonisti 4· Anomala sequenza dei tempi verbali 5· Gli episodi narrati da prospettive complementari 6. I doppioni d'anticipazione Il mondo surreale e onirico di Giovanni 1. Un mondo oltre la logica e l'esperienza comune 2. Il mondo surreale dell'Apocalisse, la sua natura e il suo scopo Leggibilità e unitari età dell'Apocalisse

Capitolo 6 12 7

I numeri e il loro linguaggio

I2.8 12.8 I3 I I32. I34 I35

I.

137

n.

I 37

I numeri e la perfezione dell'agire divino 1. Il numero sette in Apoc. 1-3 2.. Il numero dieci in Apoc. 2. 3· Il sette di Dio e dell'Agnello in Apoc. 4-2.2 4· Il quattro e il suo simbolismo cosmico 5. Il dodici come numero del popolo di Dio La triade antidivina e il risvolto diabolico dei numeri I. La Triade antidivina e la parodia del tre e del sette

9.

Z..

fl SOprannumero dei dieci comi e diademi 3· «Tre e mezzo» come sette dimezzato e mancato

I 38 I39 I 40 140 142 147 149

III.

I so

Calcolare il numero della Bestia (Apoc. I3,18) I. Coinvolgimento del lettore nei calcoli 2. Il 666 secondo gli antichi e secondo i moderni 3· Bilancio e prospettive circa l'interpretazione del666 4· Tentativi di interpretare il666 in base al simbolismo del 6 f. Il666 in relazione al dodici e non al sette

Capitolo 7 I f3

Il caos di Apoc. 22,6-20 e il linguaggio pneumatico

1 s3 I s3 I s5 IS 6 I 59

I.

Il caos, innegabile ma non selvaggio I . Pluralità e intermittenza delle voci z.. I temi e l'articolazione del testo 3· Il parallelismo tra .2.2,6- Io e 22,16-20 4· Le tre «strofe» e le voci che interloquiscono

I6o 160 16 I 163 164

II.

I66 I66 I67 I69

III.

L'interlocutore reale in Apoc. 2.2.,6-.2.0 I. Attesa della venuta e destinatari reali .2.. Esortazioni etiche e destinatari reali 3· Legittimazione del libro e destinatari reali 4· Legittimazione del libro e profeti-fratelli Giovanni e gli ambienti profetici d'Asia I. L'interferenza delle voci in tutta l'Apocalisse 2. L'ipotesi di U.B. Miiller, Apoc. 22,6-20 e 1 Cor. I4 3· La prassi profetica e i rapponi di Giovanni con i profeti-fratelli

Parte terza Difficoltà Capitolo 8 I 73 I 73

Gli angeli delle chiese (Apoc. 2-3) I.

I 73 I 74

L'Apocalisse come «Engelbuch» e «gli angeli delle chiese» I . Un libro pieno di angeli .2.. La difficoltà della formula

I7S

11. Le interpretazioni, i loro argomenti

I7S I 76

·

e contro-argomenti I. Gli angeli delle chiese come esseri celesti .2.. Gli angeli delle chiese come controparte celeste delle chiese

IO

3· Gli angeli delle chiese come uomini 4· Tutta la questione è res obscurissima

177 I 79 I So I So I So I S1 I S3

III.

Le categorie e i ruoli degli angeli nell'Apocalisse I . Gli angeli della liturgia celeste 2. Gli angeli ministri di Dio e del Cristo 3· Gli angeli che sovrintendono agli elementi cosmici 4· Gli angeli «delle porte» nella Gerusalemme escatologica

I 84 I 84

IV.

La natura degli angeli delle chiese 1. Gli angeli delle chiese come angeli delle dodici tribù 2. Gli angeli delle chiese e gli angeli «degli elementi cosmici• 3· Schema dualistico e sostituzione di cielo e terra nell'escatologia

v.

Gli angeli delle chiese nella strategia retorica di Giovanni I. La pari dignità degli angeli di Apoc. I9, 1 0 e 12,S-9 con Giovanni 2. La fallibilità e colpevolezza degli angeli in Apoc. 2, I 6 3· Tanti elogi e nessun rimprovero in seconda persona plurale 4· Angeli fittizi e strategia retorica di Giovanni

x8 s I S7 I SS ISS 1 89 I9 I 1 92 I 9S I96 I 96 I 97 I98 I98 I 99 200 20I 201 201 204 106 207

Capitolo 9 n Drago, la Donna e il Messia (Apoc. I 2) 1. L'articolazione del testo e il suo baricentro

I . L'articolazione del testo n collegamento delle tre SCene e il baricentro dell'episodio

2.

11. Gli attributi e la vicenda della Donna

I. L'alone di luce di sole La luna sotto i piedi 3· La corona di dodici stelle 4· Le doglie del parto e il seguito della vicenda della Donna 2.

111. Gli attributi e la vicenda del Drago

I . Un drago 1tuppoç e (J.Éycx� 2. Sette teste, dieci corni, sette diademi 3· «Con la coda trascina un terzo delle stelle• 4· Il serpente antico, chiamato Diavolo, o Satana

II

S· La vicenda a tre atti del Drago 6. Il Drago e gli altri due segni

2 10 211 2I2 2 I2 216 2I7

:rv:. Gli attributi e la vicenda del figlio I . Un figlio che reggerà i popoli con scettro ferreo 2. Un figlio, un maschio 3. Il parto e il rapimento in cielo

220 220 22 I 222 223

v.

224 .124 227

VI.

Giovanni di Patmos e i suoi lettori in Apoc. I 2 I . La collocazione del cap. I 2 nell'Apocalisse 2. Un avversario odioso ma nient'affatto invincibile 3· In situazione critica ma per un nuovo esodo 4· «Non ancora, ma già» Tra interpretazione ecclesiologica e mario logica 1. Identità collettiva della Partoriente-Madre .1. Un esempio e la formula di Ruperto di Deutz

Capitolo IO 2.19 2.19 2.19

L'Apocalisse e lo spirito di vendetta

1. Il problema etico e teologico dell'Apocalisse

1. La vendetta nell'Apocalisse e due uomini di lettere .1. La vendetta nell'Apocalisse e gli uomini di chiesa

232 .136 .136

11. L'episodio delle anime degli uccisi I. Il sangue dei servi di Dio e la richiesta di vendetta ( 6,9- 1 o) .1. La prospettiva di Giovanni e la sua risposta (6, 11) 3· I flagelli dell'ira divina (Apoc. 8- I I; I 5- I6) 4· Flagelli medicinali in vista della conversione

.137 .138 .139 2.4 I .14 I .143 .144

III.

L'episodio dei Due Testimoni 1. I Due Testimoni e la loro attività ( I 1,3- I3) .1. Non vendetta ma giudizio lasciato a Dio 3. Non vendetta ma epilogo pasquale

24 5

IV.

Uno scrittore intemperante e un retore eccessivo

249 249 249 25 I .153 254

Capitolo II Apoc. I 7 e i riferimenti alla storia contemporanea 1.

L'articolazione di Apoc. I 7 e le sue contraddizioni 1. L'articolazione del capitolo 2. La profezia circa la Bestia e le spiegazioni 3· La profezia circa la Prostituta e le spiegazioni .4· Le volute contraddizioni del capitolo

12

2 54 254 258

11. La contraddizione e le qualifiche della porne

1. La contraddizione dei tre «sgabelli» della Bestia Le altre qualifiche della porne e le motivazioni del giudizio 3· La geografia politica presupposta in Apoc. 17

.2..

259 259 .2. 5 9 .2.6I 262 .2.63

111. Le contraddizioni e le qualifiche della Bestia

1 . L a Bestia «non è, ma salirà dall'abisso»

.2.. Le sette teste sono sette monti ma anche sette re 3. La Bestia si identifica con una sua testa 4· Una delle sette teste è anche Pottava

264 264 .2.6 5 266

IV.

.2.67 26 7 269

v.

Le due profezie di Apoc. 17 e i loro tempi I. La profezia circa la fine della Bestia (Apoc. I7,14) .2.. La profezia circa il giudizio della porne (Apoc. I7, 1 6) 3. Diacronia, sincronia e anacronismi in Apoc. I7 I possibili riferimenti alla storia contemporanea I. Babilonia, la porne corruttrice e persecutrice .2.. L'ottavo re che, colpito a morte, ritorna per la perdizione

273

Capitolo 1.2 Il ristabilimento della giustizia e il regno millenario

.2.73 273 .2. 7 5 .2.77

1. I mille anni di Apoc. .2.0,I-IO e il millenarismo I. Il millenarismo dei primi secoli 2. Il fronte antimillenarista fino ad Agostino 3. Il millen�rismo fino ad oggi

.2.77 277 .2.80 28I 28 I 282

11. L'interpretazione millenaristica e l'analogia fidei I. Difficoltà di natura storico-teologica 2.

III.

.2.83 .2.84

IV.

Difficoltà circa i tempi della giustizia di Dio nell'Apocalisse

Le tecniche narrative in Apoc. II,I-I3 e il millennio I. I procedimenti narrativi di Apoc. II,I- 1 3 2. Sincronismi di Apoc. II e interpretazione di Apoc. I 1 -.2.0 3· Periodizzazione di Apoc. I 1 e interpretazione del millennio Conclusione sulla linea di Agostino

Conclusioni 287

Un libro di enigmi, di battaglie, di esortazione

.2.9 I

Indice dei passi citati

299

Indice degli autori moderni

13

Premessa Per espugnare l'ardua cittadella dell'Apocalisse sono necessarie più rincorse e più assalti. Il primo assalto deve mirare alla comprensione del suo im­ pianto globale e della sua trama narrativa. È la difficoltà mag­ giore. Se non la si risolve, la soluzione delle altre· difficoltà, che si possono chiamare «di secondo grado», sarà sempre accesso­ ria e non-risolutiva: a poco serve conoscere qualche albero se poi ci si perde nella foresta. A quella difficoltà ho dedicato un ampio studio nel 19961 i cui punti d'arrivo, che qui saranno come presupposti, sono una mezza dozzina. Qui, dunque, in pratica si presupporrà che: 1. L'Apocalisse è articolata in due parti di diversa ampiezza (opinione maggioritaria tra gli interpreti; l'alternativa è ritene­ re che sia costruita a chiasmo). I capp. 1-3 (prima parte) posso­ no essere intitolati «Il Cristo e le sette chiese d'Asia», e i capp. 4-22 (seconda parte) possono essere intitolati «Piano e inter­ vento di Dio nella storia». 1 2. Con le visioni o gli antefatti che li introducono, i quattro settenari ritmano il testo di Apoc. e dunque devono guidare il lettore e l'interprete. 3 Il settenario dei messaggi alle sette chie1 G. Biguzzi, I settenari nella struttura dell'Apocalisse. Analisi, storia della ricerca, interpretazione (RivB.S 3 1 ), Bologna 1996. 2 Per la divisione di Apoc. in due parti cf. Biguzzi, Settenari, 2.8 1 -2.94· 3 Sui settenari e sulla loro funzione strutturante cf. ibid. 2.95-3 10 e G. Bi­ guzzi, La trama narrativa e l'impianto letterario [dell'Apocalisse]: ParV 45 (1, 2.000) 13-19 e Id., I settenari dell'Apocalisse: ParV 45 (3, 2.000) 1 1 -14. Si ispira ora al criterio dei settenari anche C. Doglio in Logos, 7. Opera Gio­ vannea, Leumann-Torino 2.003, 137- 1 4 1 . - Nella sua recensione su Biblica (78 [1997] 2.94-2.97) P. Prigent esprime la convinzione che Apoc. non pos­ sa avere un piano o un ordine dal momento che il suo testo è pieno di asim­ metrie e di irregolarità, (p. 2.96). Prigent aggiunge: «Come dimenticare che al riguardo si fanno tentativi da ben 2.0 secoli senza che alcun piano si sia mai imposto?» (p. 2.97). Ma la regola invocata da Prigent comporta la morte di ogni ricerca.

15

se d'Asia (Apoc. 2-3) è introdotto dalla cristofania di Apoc. 1 ; il settenario dei sigilli aperti dall'Agnello (Apoc. 6, I -8,I} è intro­ dotto dalla visione del Trono e del rotolo di Apoc. 4- s; il sette­ nario delle trombe (Apoc. 8,2-1 1,19) non ha antefatti,1 mentre l'antefatto del settenario delle coppe (Apoc. 1 6) è il costituirsi dell'idolatria della Bestia (Apoc. 12-1 3[- 1 4]). 3· I settenari di trombe e coppe scatenano i flagelli dell'ira di­ vina sul mondo dell'idolatria dei demoni e degli idoli (settena­ rio delle trombe, cf. 9,20-2 1) e dell'idolatria della Bestia (sette­ nario delle coppe, cf. 1 6,9. 1 1) 2 per indurre i non-servi di Dio alla conversione (è soprattutto la mancata comprensione di questi capitoli centrali che compromette la comprensione di tutto il libro). 4· Di conseguenza i settenari di trombe e coppe sono da dif­ ferenziare da quello di Apoc. 6-8 perché aprire i sigilli che im­ pediscono la lettura di un rotolo è fare opera di rivelazione, e non significa invece scatenare flagelli o catastrofi. 3 -

1 Il rito degli incensi all'altare celeste in 8,2- 5 è il rito d"investitura dei sette angeli delle trombe (analogo a quello di Apoc. 1 5 per gli angeli delle cop­ pe), che non costituisce un ciclo di antefatti come quello di Apoc. I.2.-14. 2. Per le due idolatrie di Apoc. 8- I6 cf. Biguzzi, Settenari, I p-1 61. I65-178, e, qui sotto, il capitolo terzo. - Al riguardo Prigent scrive nella sua recen­ sione: «Biguzzi ha brillantemente messo in luce la specificità dei settenari delle trombe e delle coppe, al di là dei loro parallelismi» (p. 297) e in L 'Apo­ calypse de Saint]ean. Edition revue et augmentée (CNT 14), Genève 2ooo, 71 n. 307: «Biguzzi mostra in modo convincente che il settenario delle cop­ pe non è una semplice ripetizione di quello delle trombe: dalla denuncia dell'idolatria tradizionale si passa all'identificazione del suo nuovo volto, quello della realtà politico-religiosa del culto imperiale». . 3 Cf. Biguzzi, Settenari, 4I-48. I I 8- I 2o. 149. 176- I78. - Nonostante qu �­ che riconoscimento a questa analisi, nel suo articolo di reazione allo studio sui settenari (The Opening of the Seals: Revelation 6,1-8,6: Bib 79 [I998] I98-22o; ora riprodono in Analecta Biblica 147, Roma 200 I , 3 5 7-377) J. Lambrecht resta dell'opinione che anche quello dei sigilli sia un settenario di flagelli: « È nostra ferma convinzione che, infrangendo i sigilli e aprendo il libro, l'Agnello non solo rivela il piano escatologico di Dio, ma che la ri­ velazione è anche 'realizzazione' . . . Quanto ali" azione', la serie dei sigilli non è differente dalle altre due: Giovanni considera i tre settenari come tre serie di castighi» (p. 2. I 8). Alla convinzione di Lambrecht si può contrap­ porre che: 1. il quinto sigillo non può essere un flagello, dal momento che contiene la richiesta di vendetta da parte dei «martiri» e la risposta ad essa (lo riconosce lo stesso Lambrecht); 2. quella richiesta a Dio di intervenire colloca nel seguito i flagelli che ne verranno; 3. ma anche il sesto sigillo am-

16

Sorprendentemente tre dei quattro settenari sono «aperti e infranti»: le rivelazioni dell'Agnello terminano in 7, 1 1 (a me­ tà del sesto sigillo), i flagelli delle trombe terminano in 9,2 1 (do­ po il primo dei tre episodi della sesta tromba), e i flagelli delle coppe terminano in 1 6, 1 1 (quinta coppa).1 6. Giovanni ha scritto per infondere speranza in mezzo alle difficoltà più che per consolare e, soprattutto, per dare un'iden­ tità forte a comunità cristiane tentate di sincretismo e di com­ promesso. 2 La seconda incursione interpretativa in Apoc. va dedicata al­ le difficoltà «di secondo grado» e questo volume si propone di intraprenderla con i suoi dodici approfondimenti. Il titolo par­ la di «enigmi»: sono gli enigmi che riguardano le circostanze della composizione (cf. i capitoli 1 -4), il linguaggio (cf. i capi­ toli 5-7), e testi o dettagli particolarmente ermetici sui quali si discute da sempre (cf. i capitoli 8- 1 2). Questo o quel capitolo è apparso su riviste come Estudios Bfblicos ( 1 998), Novum Te­ stamentum (1998, 2003), Liber Annuus (2ooo), Rivista Biblica (200 1 , 2002), Ricerche Storico Bibliche (2002) ma, profonda­ mente rielaborato, qui si integra in una sintesi che non è la sem­ plice somma di scritti precedenti. - Sintesi che è proposta nelle brevi ultime pagine. Il primo capitolo cerca preliminarmente di chiarire contro chi Giovanni scrive il suo libello, perché sapere chi sono i desti­ natari significa sapere come leggere il libro: la scelta è da fare tra interpretazione antiromana e interpretazione antigiudaica di Apoc. Il secondo capitolo completa il primo cercando di mette­ 5.

bienta nel futuro l'ira divina (prima scena, 6, 1 2.-17), parlando della previa preservazione da essa dei servi di Dio (seconda scena, 7, 1-8); 4· quanto ai ca­ valieri dei primi quattro sigilli, è detta la loro comparsa e la loro investitu­ ra (6, 1 -8) ma essi non entrano in azione, mentre dei flagelli di trombe e cop­ pe sono riferiti sia l'azione che gli effetti. I Per i settenari infranti e aperti cf. Biguzzi,Settena ri, 217-23 5. Contro que­ sta analisi Lambrecht, Opening, opta per l'interpretazione quasi-tradizio­ nale dell'inglobamento delle trombe nel settimo sigillo (p. 2 1 8), ma da un lato egli non si occupa dell'analogo problema circa la settima tromba e la settima coppa e, dall'altro, sembra affidarsi a una petitio principii: «il setti­ mo elemento deve avere a che fare con il compimento e la fine, e quindi co­ stituisce un climax» (p. 206). 2 Cf. il capitolo intitolato «Situazione delle chiese di Asia e strategia reto­ rica di Giovanni •, in Biguzzi, Settenari (pp. 3 1 1 -342). 17

re in luce qual è la geografia fisico-politica presupposta in Apoc. 13 e Apoc. 1 8. Il capitolo terzo illustra l'idolatria «dei demoni e degli idoli» a partire dall' Artemision efesino e l'idolatria «della Bestia» a partire dall'attività edilizia che in epoca domizianea sconvolse la metropoli di Efeso per dotarvi di nuovi spazi il cul­ to del sovrano. Il quarto capitolo conclude gli approfondimen­ ti circa la composizione dell'Apocalisse occupandosi dell'auto­ re, del suo soggiorno obbligato a Patmos e, a più largo raggio, della «persecuzione» cui qua e là Apoc. fa riferimento. Per i capitoli dedicati alle difficoltà del linguaggio giovanneo, il quinto capitolo tenta di inventariare e di ridurre a sistema le eccentricità sia nelle immagini che nelle narrazioni giovannee. Il sesto capitolo raccoglie in sistema, invece, e cerca di interpre­ tare i numeri cardinali, ordinali e frazionali di Apoc., compreso il numero del nome della Bestia, il 666 di Apoc. I 3, 1 8. Il settimo capitolo cerca di spiegare nel quadro del carismatismo proto­ cristiano l'interferenza di una voce sull'altra nell'ultima pagina diApoc. Quanto al terzo blocco di capitoli, infine, l'ottavo classifica e valuta le interpretazioni che nella storia sono state date della formula «All'angelo della chiesa di . . . » con cui iniziano i sette messaggi di Apoc. 2-3. Il nono capitolo prova a diradare il pol­ verone esegetico sollevato nei secoli attorno alla Donna di Apoc. 12. Il decimo capitolo discute l'accusa solitamente rivol­ ta all'Apocalisse di essere un libro di odio e di vendetta. L'undi­ cesimo capitolo studia il difficile testo di Apoc. 17, quello in cui l'angelus interpres introduce Giovanni al «mistero» della Gran­ de Prostituta e della Bestia che la porta. Il dodicesimo e ultimo capitolo si occupa della difficoltà storico-ideologica per eccel­ lenza di Apoc., e cioè del regno millenario. Ogni enigma è una difficoltà e insieme un piacere: voglia il cielo che anche allo studio degli enigmi deli'Apocalisse non manchi la piacevolezza del gioco e della scoperta così come non mancano le difficoltà.

Parte prima

Circostanze storiche

Capitolo 1

Un libro contro «Babilonia»: contro Roma o contro Gerusalemme? I. «BABILONIA»

. ' NELLA STORIA DELL INTERPRETAZIONE

1. Il problema e le alternative La Grande Prostituta di Apoc. I 7 reca scritto sulla fronte il no­ me «Babilonia)>, nome che per il lettore è un «mistero)) da in­ terpretare (v. 5). Quel nome ricorre una prima volta in I4,8 e una seconda volta in 16, I 9, ma poi Babilonia riempie di sé i ca­ pitoli 17 e I 8 o appunto come «Grande Prostituta» o come cit­ tà sulle cui rovine fumanti si levano lamenti funebri e grida di gioia. Pur non contenendone il nome, anche i capitoli I I e I 3 sono collegabili con «Babilonia)) perché in I I ,8 ricorre l'espres­ sione «la Grande Città» con cui poi ripetutamente si designa Babilonia (17, 1 8; I 8, I o. 1 6. I 8. I 9.2I), e perché I I ,7 e I J, I - IO por­ tano in scena la Bestia sulla quale siederà la «Prostituta-Babi­ lonia» di I 7, 1 . L'identificazione di Babilonia, comunque, non coinvolge soltanto questi sia pur ampi contesti di Apoc., perché Babilonia e la Bestia personificano le forze del male contro cui Giovanni di Patmos conduce tutta la sua aspra battaglia così che questa o quella identificazione è decisiva per l'interpreta­ zione dell'intero libro. Le identificazioni proposte nei secoli si possono ricondurre a cinque: I . «Babilonia» è la Babilonia storica, la città che sor­ geva un tempo sulle rive dell'Eufrate, la quale dovrà essere ri­ costruita così che poi alla fine dei tempi possano realizzarsi le finora incompiute profezie di Isaia ( I J, I ss.; 21,9 ss.; 47-48)� Geremia ( 50-5 I) e, appunto, di Apoc.; I 2. «Babilonia» va inteI Per esempio secondo K.M. Allen, The Rebuilding and Destruction of Ba­ byfon: BSac 133 ( 1 976) 19-2.7, Babilonia risorgerà dalle sue attuali rovine, sarà il quartier generale dell'Anticristo e sarà definitivamente distrutta nel gran giorno del Signore (pp. 19-2.0). Secondo C.H. Dyer, The Identity of

11

sa atemporalmente come simbolo della città di Satana che nel corso di tutta la storia combatte contro Dio e contro il Cristo; 1 3· «Babilonia» va intesa come simbolo delle forze del male che combatteranno contro Dio e contro il Cristo nella crisi escato­ logica; 2 4· «Babilonia» è la Roma del culto imperiale e della per­ secuzione anticristiana di Nerone o Domiziano; 3 5. «Babilo­ nia» è la Gerusalemme che aveva rifiutato e messo a morte il Cristo, e che al tempo di Giovanni viveva le attese messianiche in chiave politica.4 Babylon in Revelation IJ-I8: BSac 144 (1987) 308-3 1 6. 43 3-449, risorta dal­ le rovine, Babilonia sarà poi distrutta dallo stesso Anticristo (p. 449). 1 Tra gli antichi cf. soprattutto Agostino, che vedeva in Apoc. la lotta tra la civitas diaboli e la civitas Dei fino alla parousia (per totum hoc tempus, quod liber iste complectitur, a primo scilicet adventu Christi usque in sae­ culi finem, quo erit secundus eius adventus, Civ. �o,8,1). Tra i moderni cf. M. Rissi, Die Hure Babylon und die Verfuhrung der Heiligen. Eine Studie zur Apokalypse des ]ohannes (BWANT), Stuttgart-Berlin-Koln 1995, 5 8 (Babilonia è l a comunità mondiale degli ingannati e degli ingannatori, im­ magine di contrasto con la comunità dei santi); G.K. Beale, The Book of Revelation (NIGTC}, Grand Rapids 1999, 88 5-886 (Babilonia è il corrot­ to sistema economico-religioso mondiale). 2. Cf. Th. Zahn, Die Of fenbarung des johannes n, Leipzig-Erlangen 19�6, 450 (La bestia che sorge dal mare è l'Anticristo della fine dei tempi); J. Sickenberger, Die ]ohannesapokalypse und Rom: BZ 17 (1925-1926) 280 (Babilonia vive ora nelle grandi metropoli del regno antidivino e la sua scellerataggine esploderà con particolare veemenza alla fine dei tempi); E. Lohmeyer, Die Offenbarung desjohannes (HNT 1 6), Tiibingen 1926, 1 12 (le due bestie sono il nemico di Dio per eccellenza degli ultimi tempi); W. Foerster, .Sl)ptov, GLNT IV, Brescia 1968 (Stuttgan 1 93 8) 504. 506 (la pri­ ma bestia è l,Anticristo, la seconda è il falso profeta della fine dei tempi). 3 Tra i moltissimi, a titolo di esempio, cf. H. Rongy, Rome au chapitre XVII de l'Apocalypse: REccl(Liège) 23 (193 1-1932) 3 1 («La donna, la gran­ de prostituta, è Roma• ); M. Dibelius, Rom und die Christen im ersten jahrhundert, in Botschaft und Geschichte. Gesammelte Aufsatze n, Tiibin­ gen 19 56, 219 («Roma, e solo Roma, è la città dell'assassinio del Cristo . . . Troppo chiara è l'allusione ai sette colli»); R.H. Mounce, The Book ofRev­ elation (NICNT), Grand Rapids 1977, 3 1 3-3 14 («Dai tempi di Servio Tul­ lio Roma era una urbs septicollis» ); J.C. Wilson, The Problem of the Do­ mitianic Date of Revelation: NTS 39 (1993) 599 (nessuno mette in dubbio l'identificazione di Babilonia con Roma); J. Lambrecht, The People of God in the Book of Revelation, in Collected Studies on Pauline Literature and on the Book of Revelation (AnB 147), Roma 2001 , 3 8 5 («Non sono possi­ bili dubbi: con Babilonia Giovanni intende la Roma imperiale, potente ed anticristiana»). 4 Cf. gli autori passati in rassegna sotto, al paragrafo n, 1-2 •

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Per escludere le prime tre interpretazioni - atemporali o escatologiche -, basta richiamarsi a 17,10 dove l'tcr'ttv di o el� ecr"ttv «uno [dei sette monarchi] 'è' [presentemente]» ambienta la vicenda di Apoc. nel tempo stesso di Giovanni.1 L'alternati­ va si pone dunque soltanto tra interpretazione antiromana e in­ terpretazione antigerosolimitana. 2.

Da Ireneo a Gioacchino da Fiore

La storia dell'interpretazione per noi comincia con Ireneo (Lio­ ne, Gallia, IJ0-200 ca.). Nel quinto libro dell'Advers u s haere­ ses, dedicato alla vittoria del Cristo sull'anticristo e al suo re­ gno millenario, Ireneo riferisce tre interpretazioni correnti al suo tempo, del numero della Bestia 2 la quale, come è noto e come s'è già visto, è collegata con Babilonia. I tre nomi con i quali si interpretava il 666 sono: eucxv-8cx�, Àcx"te:tvo� e "te:t"tcxv. Il primo sarebbe la libera traduzione in greco del nome del pro­ curatore della Giudea dal 64 al 66 d.C., Gessio Floro, la cui ge­ stione della politica palestinese portò alla rivolta dell'anno 66: da una parte e:ucxv-8cx�, è composto con e:u- e -cxv-8o�, «fiore»,3 e, 1

Cf. L. Brun, Die romischen Kaiser in der Apokalypse: ZNW 16 ( 1917) 12.9 (bisogna prendere sul serio lo 'Uno è'), e soprattutto H. Rongy, L 'ex­ plication eschatologique de l'Apocalypse: REccl(Liège) .2.3 (193 1-1931) 1 6 1 . 164 e passim (Ambientando la bestia dalle sette teste nella propria epoca, Giovanni preclude l'interpretazione profetica: se intendesse parlare del fu­ turo, perché distinguere nella successione dei sette sovrani-teste il passato, il presente ed il futuro, e perché collocare se stesso al tempo del sesto?). 2 Ireneo, Haer. 5,28-30. Si tratta di interpretazioni gematriche, e cioè basate sul conteggio del valore numerico delle lettere che compongono il nome. 3 e:uav.Sac;, che significherebbe dunque «ben fiorito», è inusitato perché nel­ la letteratura greca sono documentati soltanto: !. l'aggettivo e:ùav-8�, «flo­ rido, fiorente, fiorito», detto di un campo o di un luogo pieno di fiori (Teo­ gnide, Eleg. 1, 1 .2.00, e rispettivamente Platone, Symp. 196b); detto o di un colore smagliante (Platone, Phaed. 1 ood), di un vestito dai colori vivaci (Luciano, Rhet. Praec. 1 5, 1 7), o di persone nel fiore della giovinezza (Ari­ stofane, Nub. 100.2., e Plutarco, ConsoL ad Apoll. 1 2oa.3); 2. il nome di per­ sona Eùav-81)>.1 Il secondo nome, ).�-retvoç, rimanda ovviamente all'impero romano, tanto è vero che lo stesso Ireneo scrive: «quel termine significa l'ulti­ mo regno. I Latini sono infatti quelli che ora regnano (Àa-rtt­ voç nomen va/de verisimile est, quoniam novissimum regnum hoc habet vocabulum. Latini enim sunt qui nunc regnant)».� Il terzo nome evoca non solo i Titani della mitologia greco-lati­ na ma anche il culto del sole.3 Ad Ireneo -rtt-rcxv piace più che i due nomi precedenti perché non rimanda a nessun protagoni­ sta del suo tempo, e tuttavia la sua preferenza va all'interpreta­ zione simbolica del 666 secondo la quale il numero significhe­ rebbe la ricapitolazione di ogni iniquità. In conclusione, le in­ terpretazioni più o meno tradizionali che lreneo riporta sono abbastanza chiaramente politiche (la Bestia è un re, anzi un ti­ ranno), antipagane e antidolatriche (la Bestia ha a che fare con la mitologia greco-romana) e, in particolare, sono antiromane (la Bestia è l'impero latino, è la Roma che aveva provocato la ribellione del 66 d.C.). Dopo lreneo, va ricordato Vittorino di Poetovio (fine 111 sec. ) 4 perché in tre passi del suo commentario, che è il più anlio, Noctes Atticae J,9·3·2), o per i capelli dell'uomo (Pacuvio 19; Virgilio, Aen. 1 2, 6o5). I Così F.H. Colson, Euanthas: JTS 17 (1916) IOO-IOI, che circa l'odiosità di Gessio Floro cita Flavio Giuseppe e Tacito (duravit tamen patientia ludaeis usque ad Florum procuratorem ). Sulla scia di Colson, cf. J. Bonsir­ ven, L'Apocalypse de Saint ]ean (VS 16}, Paris 195 1 , 23 5-236 n. 1. - Per molti autori e�v.Scx� è invece un nome senza significato: cf. H.B. Swete, The Apocalypse of St. fohn, London 21907 (I19o6) 175 («l'impossibile termine e:U!Xv-81Xc;»); W. Barclay, Revelation XIII: ExpT 70 ( 19 59) 295 ( «eu­ cxv-81Xç è in se stesso senza significato»); J. Massyngberde Ford, Revela­ tion. Introduction, Translation and Commentary (AB 38}, Garden City 41980 C 1975) 226 ( «Euantas è senza significato»); E. Lupieri, L 'Apocalisse di Giovanni (SGL), Milano 1999, 2 1 6: «e:u�v-biXc; non ha per noi alcun signi­ ficato riconoscibile e sembra introdotto da Ireneo per mostrare che esisto­ no nomi il cui calcolo è 666, ma che non sono significativi». 2 lreneo, Haer. 5,JO,J. 3 Cf. poi per esempio anche la recensio Viaorini (Teitan, quem gentiles So­ lem Phoebumque appellant, PL Suppl. 1, 1 57}, o Bruno di Segni (Teta(\ quod dicitur sol, PL 165, 677B). 4 La comune opinione che Vittorino sia morto martire sotto Diocleziano nel 303-304 è stata messa in dubbio da M. Dulaey, Victorin de Poetovio, premier exégète latin 1-11, Paris 1993, e da R. Gryson, Les commentaires

tico di quelli giunti fino a noi, dà all'interpretazione antiroma­ na la forma che poi diventerà classica. Commentando 16,I9, Vittorino scrive laconicamente ed esplicitamente: ruina Baby­ lonis, id est civitatis Romanae. Commentando 1 7,9, Vittorino scrive: Capita septem [sunt] septem montes, super quos mulier sedet: id est civitas Romana, et reges septem sunt. 1 Infine, com­ mentando 1 7, 1 I congiuntamente a IJ,J, Vittorino vede un'al­ lusione alla leggenda del Nero redivivus nella testa della Bestia colpita a morte ma poi guarita. Egli prima scrive: cum ille [il Nero redivivus] mouerit ab oriente, mittentur ab urbe Roma­ na cum exercitibus suis, e poi aggiunge: Unum autem de capiti­ bus quasi occisum in mortem et plagam mortis eius curatam, Neronem dicit. Constat enim, dum insequeretur eum equitatus missus a senatu, ipsum sibi gulam succidisse. Hune ergo suscita­ tu m Deus mittet.2 Per Vittorino dunque l'Apocalisse si scaglia contro la Roma dei proverbiali sette colli, la Roma degli impe­ ratori e del Nero redivivus e redux.3 patristiques latins de l'Apocalypse: RTLouv 28 (1997), 305-3 1 1 (la morte di Vittorino sarebbe da anticipare di circa 20 anni). - Poetovio (o Petovio, o Petavium), sulla Drava, nella Pannonia superiore, di cui Vittorino era ve­ scovo, oggi è Ptuj, in Slovenia, non più in Austria come vorrebbe A. Yar­ bro Collins, Crisis and Catharsis: The Power of the Apocalypse, Philadel­ phia 1984, 5 5 · Ptuj appartenne bensì all'Austria, ma al tempo dell'impero austrungarico. Da quel tempo, quando il nome tedesco di Ptuj era Pettau, è comunque rimasto l'uso di scrivere «Vittorino 'di Pettau'». 1 A questo secondo testo Vittorino fa seguire il conteggio dei sette re di 1 7,10, dei quali i primi cinque sarebbero gli imperatori che vanno da Gal­ ba a Tito, il sesto sarebbe Domiziano sotto il cui principato Apoc. sarebbe stata scritta, il settimo sarebbe Nerva, e «Nerone» sarebbe l'ottavo (PL Suppl. I, 1 5 5). 2 Cf. PL Suppl. I, 140 (prima citazione), I S 5 (seconda citazione), I S S - I 56 (terza e quarta citazione). - È possibile che Vittorino proponga un'inter­ pretazione non sua ma tradizionale dal momento che talvolta rimanda agli antichi interpreti: cf. il Veteres nostri tradiderunt ecc. di PL Suppl. 1, 1 46. 3 In definitiva è la Roma che perseguita i cristiani. Vittorino infatti fa fre­ quente riferimento alla persecuzione: cf. l'intolerabilis persecutio e i perse­ cutores di cui parla commentando 7,2 e I 3,J (PL Suppl. 1, IJ7· 1 56), e ciò che, con riferimento al senato romano, egli scrive a commento della pro­ stituta ebbra del sangue dei martiri cristiani: Omnes enim passiones sanc­ torum ex decreto senatus illius [meretricis] semper sunt consummatae, et omne contra fidei praedicationem iam lata indulgentia ipsa dedit decretum in uniuersis gentibus (PL Suppl. I, 161). 25

Quest'interpretazione fu a lungo seguita sia in Oriente che in Occidente. Per l'Oriente si possono citare gli interpreti che, secondo Andrea di Cesarea (fine VI secolo, inizio VII), vedono nella Prostituta di Apoc. 1 7 la Roma dei sette colli: «Alcuni han­ no interpretato questa meretrice come la vecchia Roma che sor­ ge su sette monti», e per l'Occidente quelli cui rimanda Cas­ siodoro (t 580 ca.): meretrix illa. . . quam nonnulli de Romana volunt intelligere civitate quae supra septem montes sedet, et mundum singulari dicione possidet. 1 In Occidente l'interpreta­ zione antiromana fu pian piano sostituita dall'esegesi moraliz­ zante del donatista Ticonio, che ebbe grande influsso su san­ t' Agostino. Ticonio (scripsit 385, t 390 ca.) e Agostino (t 430) infatti videro in Apoc. non uno scritto che riflette la situazione storica contemporanea all'autore, ma il libro dell'eterno scon­ tro tra la città di Satana e la città di Dio. Quest'interpretazione atemporale, che permise di superare il lacerante scontro tra mil­ lenaristi e antimillenaristi e quindi di propiziare la definitiva ac­ coglienza di Apoc. nel canone, ispirò l'esegesi di Apoc. per qua­ si mille anni, fino a Martino di Le6n (xiii secolo),� fino a quan­ do cioè non irruppe sulla scena Gioacchino da Fiore (t 1 202) seconqo il quale in Apoc. sono profetizzate le varie epoche del­ la chiesa. 3·

Da Gioacchino da Fiore all'esegesi contemporanea

Fatta propria dallo spiritualismo estremizzante francescano di Pier di Giovanni Olivi (t 1 298) e di Ubertino di Casale (t I 328 ca.), l'interpretazione kirchengeschichtlich di Gioacchino 3 fu 1 Andrea, PG 106, 373D; Cassiodoro, PL 70, 1414A. - L'interpretazione antiromana si trova due volte in Tertulliano (Sic et Babylon etiam apud /oannem nostrum, Romanae urbis figura est, Adv. Mare. 1 3; PL 2, 339c; A dv. Iud. 9; PL 2, 62oB}, e poi per esempio nel poeta Commodiano (di difficile collocazione cronologica tra III e v secolo); cf. Carmen 825-828. 93 5; Instruct. 41,6,1 1- 1 2; in Primasio di Adrumetum (Romam quae super septem montes praesidet significans, PL 68, 899c}, e Berengaudo (Ix o, meglio, XII secolo, forn icariam Romam vocat, PL 1 7, 1oooo). 2. Sul grande influsso di Ticonio e sulla sua sequela cattolica, cf. Biguzzi, Settenari, 5 9-6 5. 3 Su questo metodo d'interpretazione cf. H. Rongy, L 'application de l'Apo-

poi usata e abusata nei secoli delle controversie confessionali tra protestanti e anglicani da una parte, e cattolici romani dal­ l'altra. Come è noto, gli uni leggevano nel numero 666 il papa­ to (per esempio t'taÀtKY] e:x.xÀYjcrta, 1ta1te:tcrxoc;) e gli altri invece il movimento luterano (per esempio Àou.Se:pava).1 I repertori di storia della ricerca di Apoc. dicono però anche che proprio in quest'epoca, da una parte si ritornò all'interpretazione antiro­ mana e, dall'altra, si inaugurò quella antigerosolimitana. Secondo le rassegne storiche dell'interpretazione di Apoc., l'orientalista protestante svizzero Th. Buchmann (o Bibliander, I 504- I 564; scripsit I 549) vide l'impero romano nella Bestia, la morte di Nerone nella ferita mortale di I 3,3, la restaurazione dell'impero ad opera di Vespasiano nella guarigione di quella ferita, e gli imperatori romani da Gaiba a Nerva nei sette re di I 7,I O- I I (l'ottavo sarebbe Traiano).1 Sarebbe stato comunque il gesuita spagnolo J. de Mariana (I 5 36- I624; scripsit I6I9}, a se­ gnare il pieno e definitivo ritorno alla saga del Nero redivivus 3 e a mettere i Due Testimoni di Apoc. I 1 in riferimento con la morte di Pietro e Paolo nella persecuzione neroniana del 64 d.C. Sempre secondo de Mariana nelle sette teste della Bestia sarebbero da ravvisare gli imperatori romani da Caligola a Ner­ va, con l'omissione dei tre imperatori del 68-69. L'interpreta­ zione antiromana di Apoc. si rafforzò poi nel XVIII secolo con J .S. Semler (I 766}, H. Corrodi (I 78 3 ), J.S. Herrenschneider calypse à l'histoire universelle de l'Eglise: REccl(Liège) 23 (193 1 -1932) 9296, e il giudizio severo di E.-B. Allo, Saint]ean. L 'Apocalypse (EtB), Paris 192 1 , ccxxxn: «Questo sistema interpretativo misconosce più di qualsiasi altro lo scopo e lo spirito di Giovanni». - Tutto all'opposto e saggiamen­ te, come s'è visto Ireneo preferiva l'interpretazione che meno parlasse di protagonisti del suo tempo. 1 Cf. Barclay, Revelation XIII, 295-296. 2. W. Bousset, Die Of fenbarung ]ohannis (KEKNT), Gottingen '1906 (' 1 896) 87, e, sulla sua scia, Lupieri, Apocalisse, XXIII n. 3· - Per gli autori di questo periodo, le cui opere sono spesso difficilmente reperibili, tutti at­ tingono alle rassegne storiche dei commentari di Bousset ( 1 896) e di Allo (192 1 ). 3 Cf. Bousset, Of fenbarung, 95, secondo il quale Mariana, con la pruden­ ziale aggiunta: «Si quis meliora attulerit, gratias habeo», rimanda a Vitto­ rino, Girolamo e Sulpizio Severo. - Su J. de Mariana, storico, umanista, filantropo e filosofo, cf. M. de los Rios, El P. ]uan de Mariana, escritura­ rio: EstB 2 (1943) 279-289; 3 (193 5 ) 347-363.

(I786), J.G. Eichhorn ( 1 79 1), ecc., 1 fino a che non divenne un quasi-dogma esegetico nel corso del 1 8oo ad opera per esem­ pio di F. Liicke ( 1 832), W.M.L. de Wette (I848), H. Ewald (1862), E. Renan ( 18 73). Un'importante conferma all'ipotesi era nel frattempo venuta dall'interpretazione del numero della Bestia con NRWN QSR («Nerone imperatore», in lettere ebrai­ che), data negli anni 30 da quattro autori, ognuno indipenden­ temente dall' altro.l Quanto invece al sorgere dell'interpretazione antigerosoli­ mitana, il geronimita belga J. Henten (scripsit I 545) per primo parlò di synagogae abrogatio per Apoc. I - I I vedendo la distru­ zione di Gerusalemme in Apoc. I 1, e di excidium gentilismi per Apoc. 1 2-22. In questa interpretazione «antigiudaica», anche se parziale, Henten fu seguito tra gli altri dai gesuiti spagnoli A. Salmeron (t 1 5 8 5 ) e L. de Alcazar (t I 6IJ), dei quali il secon­ do ebbe imitatori fino al XIX secolo, sia tra i cattolici che tra i protestanti (H. Grotius, o Van de Groot, 1 644; H. Hammond, 1 6 5 3; D. Hervé, 1 684 ecc.).3 Il primo a vedere Gerusalemme nella Babilonia di Apoc. sarebbe stato però il gesuita francese J. Hardouin (I646- 1 729) secondo il quale, addirittura, i sette mes­ saggi di Apoc. 2-3 sarebbero indirizzati ai giudeo-cristiani di Gerusalemme.4 Sulla stessa linea, il calvinista francese F. Abau1

Cf. Bousset, Offenbarung, 104-106. l L'informazione si trova in Bousset, Offenbarung, 105-Io6, e Allo, Apo­ calypse, ccXL. - La scrittura difettiva QSR (invece di QYSR) che costituiva una difficoltà per l'accettazione dell'ipotesi, è stata poi confermata da uno dei documenti di Wadi Murabba'at (DJD n, nr. 18, tav. xxix), come docu­ menta D.R. Hillers, Revelation IJ,I8 and a Scroll [rom Murabba'at: BA SOR nr. 170 (1963) 65. 3 Su Henten (che scrisse non un commentario, ma una prefazione al com­ mentario di Areta di Cesarea), sulla sua precisa identità, sull'esegesi di Sal­ meron e Alcazar e su tutta la loro sequela, cf. H. Rongy, L 'application de l'Apocalypse à l'Eglise primitive: REccl(Liège) 23 (193 1-1932), 220-224. 4 Cf. Lupieri, Apocalisse, XXIV, che scrive: «Il dotto gesuita francese Jean Hardouin . . . è convinto che l'Apocalisse debba essere situata in ambiente palestinese: le sette lettere erano indirizzate ai giudeocristiani di Gerusa­ lemme e, sebbene le sette teste della bestia fossero altrettanti imperatori romani sino a Nerone, Babilonia era Gerusalemme». - J. Hardouin fu uomo enciclopedico ma bizzarro, convinto per esempio che, tranne alcu­ ne opere di Cicerone, di Virgilio e di Orazio, tutti gli altri scritti che pas­ sano per antichi sono invece falsificazioni del XIII secolo. Su di lui cf. G. Sommervogel, Hardouinfean, DB 111, Paris 1910, 427.

zit ( I 679- I 767) identificò la Bestia con il Sinedrio giudaico, i sette monti di I7,9 con le sette colline su cui sarebbe costruita Gerusalemme, la distruzione di Babilonia con la caduta di Ge­ rusalemme e le sette teste della Bestia con gli ultimi sette som­ mi sacerdoti. 1 È però solo nel xx secolo che l'interpretazione antigerosolimitana di Apoc. ha raccolto il consenso di circa una quindicina di autori. Di questa nuova interpretazione qui sotto si presenterà pri­ ma la pars destruens elencando gli argomenti in essa portati contro-l'interpretazione di «Babilonia-Roma», e poi la pars con­ struens descrivendo le versioni più rappresentative della nuova ipotesi. II. CRITICA ALL'IPOTESI ANTIROMANA

1. Difficoltà dell'ipotesi antiromana Un primo gruppo di argomenti contro l'interpretazione anti­ romana di Apoc. viene ricavato dalla situazione storica in cui fu scritta l'Apocalisse e dall'atteggiamento del resto degli scrit­ ti neotestamentari nei confronti di Roma. La pretesa ostilità di Apoc contro Roma, per esempio, non concorda con Rom. 1 3, 1 -7, con 1 Pt. 2, 1 3 - I 4, con 1 Tim. 2, 1 -3 ecc., che raccomandano la sottomissione alle autorità costituite, ovviamente dell'impe­ ro e delle sue province, e di pregare per loro.1 Allo stesso mo­ do, si dice, l'interpretazione antiromana è basata sulla pretesa persecuzione di Domiziano e sul preteso incremento da lui da­ to al culto imperiale, ma nel 1 secolo l'unica persecuzione fu quella di Nerone che tra l'altro non oltrepassò i confini di Ro­ ma,3 e sotto Domiziano non si costruirono affatto più templi del culto imperiale di quanti non se ne costruissero sotto gli im.

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Cf. Bousset, Offenbarung, 102, e, sulla sua scia, Lupieri, Apocalisse, XXIV. Lo scritto di Abauzit, pubblicato postumo da J.B. de Mirabau a Ginevra nel 1 770, era intitolato Essai sur l'Apocalypse. Su Abauzit cf. E. Levesque, Abauzit, Firmin: DB 1, Paris 1 894, 17- 1 8; Y. de la Brière, Le professeur de théologie du «vicaire savoyarde de Rousseau: Firmin Abauzit, de Genève: RSR 14 (1 924) 447-453. 2 Cf. R. De Water, Reconsidering the Beast from the Sea (Rev. IJ,I): NTS 46 (zooo) 246 (i vangeli, Atti, 1 Pt., Ep. Barn., 1 Clem., Melitone ecc. non confermano l'idea dell'impero romano come bestia-persecutore). 3 Ibid. 250. -

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peratori sia precedenti che seguenti. 1 In terzo luogo, se davve­ ro a differenza degli altri scritti del 1 secolo Apoc. fosse uno scritto antiromano, non si comprende quale evento storico po­ trebbe essere all'origine del cambio di atteggiamento nei con­ fronti di Roma, da attribuire a Giovanni di Patmos.2 Un secondo gruppo di argomenti è tratto dai titoli e dalle immagini con cui Giovanni parla di Babilonia in Apoc. 1 7- 1 8. Babilonia è chiamata «prostituta)), «Grande Prostituta», «Ma­ dre delle prostituzioni». E allora: «se l'alleanza con YHWH fa di Israele il suo popolo e la sua sposa, come può una nazione che non è Israele essere chiamata 'Prostituta'? È l'alleanza che fa la sposa, e la sua rottura fa l'adultera». Di conseguenza «convin­ ce poco che Roma sia pensata prostituirsi con l'impero roma­ no, mentre è più convincente che Giovanni lamenti, in toni tra­ dizionali, la prostituzione di Israele, ovvero di Gerusalemme, con il potere pagano».3 Di Babilonia Apoc. dice poi che è «eb­ bra del sangue dei santi» ( 17,6) o che in essa «fu trovato il san­ gue dei profeti e dei santi» ( I 8,24), ma fu Gerusalemme e non Roma che uccise i profeti, secondo l'accusa stessa di Gesù (Mt. 23 ecc.).4 Infine, Roma non è mai nominata in Apoc., mentre la nuova Gerusalemme ha grande parte nel finale del libro e la sim­ metria che esiste tra Apoc. 1 7- 1 8 e Apoc. 2 I suggerisce di vede­ re in Babilonia la Gerusalemme storica come controparte della nuova Gerusalemme. s In terzo luogo, non si adatterebbero all'interpretazione anti­ romana questo o quel dettaglio di Apoc. 1 7· Poiché per esem­ pio la Prostituta siede sulla Bestia, ne verrebbe che Roma siede su Roma, e, poiché secondo I 7,16 la Bestia distruggerà Babilo­ nia, ne verrebbe che Roma distrugge Roma. 6 Il ricorso alla saI Cf. L.L. Thompson, The Book of Revelation. Apocalypse and Empire, New York - Oxford 1990, 1 04- 107; D. Warden, Imperia! Persecution and the Dating of r Peter and Revelation: JETS 34 ( 1991) 207-208; De Water, Reconsidering, 246. 2 Sickenberger, Rom, 27 5. 3 Massyngberde Ford, Revelation, 28 5, e rispettivamente Lupieri, Apocalisse, 2 52. 4 Cf. Massyngberde Ford, Revelation, 286-.188. s Ibid .186; A. Nicacci, La Grande Prostituta e la sposa dell'Agnello, in L. Padovese (ed.), VI Simposio di Efeso su S. Giovanni Apostolo, Roma 1 996, 1 }7- 1 39· 6 Per il primo argomento cf. Massyngberde Ford, Revelation, 28 5; per il secondo cf. Ph. Carrington, The Meaning of Revelation, London 19J I , .

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ga del Nero redivivus poi, «invece di risolvere le difficoltà, non fa che aggiungerne delle altre». 1 Infatti, da un lato la leggenda che parlava di ritorno dai morti per Nerone sarebbe posteriore a Traiano e, dall'altro, si dovrebbe pensare che Giovanni ha fu­ so due diverse versioni della saga, una positiva in cui il ritorno di Nerone era desiderato dalle folle e una negativa secondo cui Nerone sarebbe ritornato in Domiziano, suo odioso successo­ re.1 Una difficoltà viene anche dall'espressione éTt-rà opl) di I 7, 9 la quale è sconosciuta nella lingua greca in riferimento ai set­ te colli di Roma: gli scrittori greci poi usavano l'aggettivo é7t­ 'tcXÀocpo� invece del mai ricorrente éTt-rciopo�.3 Infine si fa nota­ re la manifesta incapacità, nell'ipotesi antiromana, di conteggia­ re in modo soddisfacente i sette re o imperatori di 1 7,1 0: «Le ipotesi di soluzione che su queste parole si accavallano a getto continuo non fanno che confermare l'inutilità dei tentativi di far coincidere totalmente l'ottica dell'Apocalisse con quella temporale e storica».4 L'argomento più forte contro l'interpretazione antiromana è comunque quello per cui l'Apocalisse designa con l'epiteto di «Grande Città» sia Babilonia, come si è appena visto, sia la città di I I ,8 la quale non può essere altro che Gerusalemme dal momento che è la città del santuario e dell'altare (v. 1), la città santa (v. 2) e, soprattutto, la città nella quale «il loro Signore [dei Due Testimoni] è stato crocefisso» (v. 8).s 2.74; Nicacci, Grande Prostituta, 1 42 («[da 1 7,12] deriverebbe che Roma distrugge Roma»). I Così E. Corsini, Apocalisse prima e dopo, Torino 1980, 450. 2. Così Lupieri, Apocalisse, 205-2o6. - Di fatto questa è l'interpretazione di R.J. Bauckham, The Climax of Prophecy. Studies on the Book of Revela­ tion, Edinburgh 1993, 43 1-44 1, che poi distingue tra il risanamento della ferita (Apoc. 13) come parodia della resurrezione del Cristo, e il riemerge­ re dall'abisso della Bestia (Apoc. 17) come parodia invece della parousia 3 Così Lupieri, Apocalisse, 2.71 . 4 Così Corsini, Apocalisse, 443, il quale parla poi di «discussione intermi­ nabile che si agita a proposito della lista degli imperatori romani che do­ vrebbero corrispondere ai sette re adombrati dalle sette teste». Cf. poi, per esempio, De Water, Reconsidering, 254: «Nel tenace sforzo di identificare la bestia con Pimpero molti hanno tentato di identificare le sue sette teste e i suoi sette corni con vari imperatori romani. Nessuna di quelle opera­ zioni però è soddisfacente». s Così Corsini, Apocalisse, 2.93, ma cf. Massyngberde Ford, Re'Oelation, .

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2.

Configurazione dell'ipotesi antigerosolimitana

La rassegna dei sostenitori di Babilonia-Gerusalemme può inì­ ziare dal commentario di Apoc. accolto nell'importante «An­ chor Bible» (1975) 1 dove l'ipotesi interpretativa ha una formu­ lazione sistematica e circostanziata. L'autrice, Josephine Mas­ syngberde Ford, ritiene che la Grande Prostituta di Apoc. I 7 sia Gerusalemme perché cinque testi profetici dell'A.T. su set­ te e la letteratura qumranica danno il titolo di prostituta a Ge­ rusalemme.1 In secondo luogo, la Gerusalemme di Apoc. è pro­ stituta a motivo della sua alleanza politica con i romani rappre­ sentati dalle «molte acque», i Kittim di Qumran, su cui la don­ na siede. Per Josephine Ford, inoltre, la Bestia di Apoc. I 7 è Vespasiano, il quale «era» quando godeva i favori di Nerone, e poi «non è» nel momento in cui cade in disgrazia, e infine «n­ emergerà dall'abisso» al momento di essere inviato a domare la rivolta giudaica nel 67 d.C. La seconda Bestia, quella che in I 3, I 1 sale dalla terra, è invece Flavio Giuseppe, lui che salutò «pro­ feticamente» in Vespasiano il futuro imperatore (cf. il titolo di «pseudoprofeta» in I 6, 1 3) e che, prendendo dalla famiglia di Vespasiano il soprannome di «flavio», prese su di sé il mar­ chio e il nome della Bestia . 3 286 («In 1 1,8 il titolo di 'Grande città' è dato a Gerusalemme, non a Ro­ per cui ci si aspetta che l'identificazione sia la stessa in Apoc. 1 8,16» ) I Precedentemente l'interpretazione antigerosolimitana si trovava in Ph. Carrington (The Meaning of Revelation, London 193 1 : non Roma, ma Gerusalemme ha perseguitato i profeti), W.R. Beeson (The Revelation, Little Rock 1956: la grande prostituta è Gerusalemme e con lei i giudei dissidenti), N. Turner (Revelation, in «Peake's Commentary on the Bible», London - New York 196.2.: Apoc. è diretta contro il giudaismo che cercò di frenare l'espansione cristiana), F.E. Wallace (The Book of Revelation,· Nashville 1966: la prostituta può essere soltanto l'infedele Gerusalemme, non Roma che non era «sposa» di Dio), P.S. Minear (/ Saw a New Earth, Washington, 1969: vedere Roma in Babilonia è «literalism and historicism of the worst sort», ed è «vast distortion and reduction of meaning» ). Cf. poi C. van der Waal (Neotestamentica 1978, I 1 I - I Jl), D.C. Chilton (Days of Vengeance, Fort Worth 1987; citato da Beale, Revelation, 44-45), e D. Holwerda (Estudios Biblicos 1 995, 387-396) . .1 I cinque testi di Gerusalemme-prostituta sono Os. 2,5 ecc.; Is. 1,4 ecc.; Ger .1,1 0 ecc.; Mi. 1,7; Ez. 16 e .2.3, e i restanti due sono /s. .2.3,17 per Tiro, e Nah. 3,4 per Ninive. 3 Cf. Massyngberde Ford, Revelation, 227-230. 283-289. ma,

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In ambito italiano l'interpretazione di Babilonia-Gerusalem­ me è stata proposta nel I 980 da E. Corsini, il quale è stato poi seguito da A. Nicacci (I 996), da Clementina Mazzucco (I 999) e da E. Lupieri ( I 999). Corsini prende il via da 1 7,I6 dove si parla dell'annientamento della Grande Prostituta da parte del­ la Bestia: tutto ciò è «un'improbabile profezia sulla distruzio­ ne di Roma da parte di Nerone redivivo o dei barbari», scrive Corsini. Più plausibilmente il versetto allude alla rivolta giu­ daica e alla distruzione di Gerusalemme ad opera di Roma nel 70. Corsini continua scrivendo: «In quella circostanza . . . le due realtà malvagie, che si erano collegate in una mostruosa allean­ za ai danni del Messia, si dividono e si affrontano in un duello mortale». Per Corsini infatti la Bestia che sale dal mare è Ro­ ma o l'impero romano, da intendere come corruzione del po­ tere politico operata da Satana. 1 La seconda bestia con i suoi due corni è invece il giudaismo con Legge e Profeti, messi al servizio degli affari mondani: è il giudaismo corrotto, aggrap­ pato alle speranze di gloria e alla ricchezza per cui è divenuto «sinagoga di Satana», avendo operato un vero e proprio tradi­ mento in quel suo intendere in senso materiale e mondano le promesse divine. Per Corsini tutto questo è detto in modo pla­ stico e paradigmatico nell'allegoria della Prostituta assisa in groppa alla Bestia in cui è ritratto «il mostruoso connubio» tra potere politico romano e potere religioso giudaico. Quanto ai sette monti su cui siede la Prostituta, «il termine 'monte' [è] simbolo di entità spirituale opposta a Dio, di orgoglio che si innalza e attenta alla sua sovranità, significato che era corrente nella tradizione giudaica».� Il contributo quantitativamente più consistente a favore del­ l'interpretazione antigerosolimitana è la dissertazione dottora­ le di A.J. Beagley, discussa nel I983 e pubblicata nel 1987, nel­ la quale l'autore cerca di ricostruire quali erano le ostilità spe­ rimentate dalle chiese d'Asia. Per Beagley non si può escludere • Cf. Corsini, Apocalisse, 3 34· che parla poi di tentazione dell'apoteosi, di aspirazioni alla divinizzazione, di pretesa dello Stato di assurgere a valore assoluto, aggiungendo: «Tutto ciò . . . Giovanni poteva constatarlo nella re­ altà contemporanea dell'impero romano, nelle tendenze assolutistiche e teologizzanti che vi si erano insinuate, e vi andavano assumendo forme e proporzioni allarmanti» (p. 3 3 5 ). 2 Ibid. 24. 329-3 34. 3 63-365 . 428. 444 ·

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che il libro di Giovanni alluda anche alla persecuzione di Ro­ ma, ma è la persecuzione giudaica di cui è detto del tutto espli­ citamente in 2,9 e 3 ,9 che preoccupa l'autore. Anche per Beag­ ley la Grande Prostituta assisa sulla Bestia è un'immagine che presuppone l'alleanza fra Gerusalemme e Roma, nella quale al­ leanza Roma è il braccio esecutivo per gli attacchi del giudai­ smo ai discepoli di Gesù. Giovanni scrive dunque per dimo­ strare che l'Israele carnale, avendo rigettato il Messia, non è il popolo di Dio ma il nemico di Dio: la caduta di Gerusalemme ne è prova.1 A J osephine Ford e a E. Corsini fa eco A. Nicacci che scrive: «La grande prostituta è la Gerusalemme che ha rifiutato e mes­ so a morte Gesù, cioè il potere religioso della città santa collu­ so con il potere politico romano. La Città riceve il medesimo ti­ tolo che le attribuirono i profeti a motivo dell'infedeltà a Dio, infedeltà che per Giovanni è giunta ora al colmo».1 Sulla stessa linea di Josephine Ford e di E. Corsini si colloca anche E. Lu­ pieri. Anche per lui la prima bestia è il potere politico militare, l'impero romano, presentato tuttavia in modo tale da trascen­ dere qualsiasi identificazione univoca, mentre la seconda bestia è il giudaismo che si è venduto agli interessi del mondo pagano. Come gli antichi profeti, Giovanni accusa Israele di idolatria: avendo rifiutato il Messia, per Lupieri quel popolo è spiritual­ mente colpevole di paganesimo. Quanto ai sette monti di 1 7,9, a Lupieri si deve la tagliente precisazione che in greco i colli di Roma non sono mai detti opY), bensì sempre Àocpot. Una volta esclusi i sette colli di Roma, in alternativa Lupieri fornisce due interpretazioni di 1 7,9. Sulla scia di Corsini, anzitutto egli in­ terpreta i monti come «realtà di natura angelica» equivalenti a «regni-periodi, rappresentati come montagne». In secondo luo­ go, intende i sette monti in analogia con le bamot cananee contro cui si scagliavano i profeti dell'A. T.: «Gerusalemme ha abbandonato il monte santo, cioè il Sion, per prostituirsi sulle alture pagane, i sette angeli-diavoli che peccarono sin dall'inizio ecc.».3 1 A.J. Beagley, The «Sitz im Leben» of the Apocalypse with Particular Reference to the Role of Church's Enemies (BZNW so), Berlin - New York 1987, 3 1 . 1 10. 1 1 2. � Nicacci, Grande Prostituta, 148. 3 Lupieri, Apocalisse, .103. 21 I. 170-171 .

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Un ultimo sostenitore dell'interpretazione antigerosolimita­ na è R. De Water per il quale Apoc. è bensì un libro scritto nel mezzo della persecuzione, ma essa non viene dall'impero per­ ché nel 1 secolo solo Nerone fu persecutore dei cristiani, su isti­ gazione giudaica e solo limitatamente a Roma. La persecuzio­ ne di cui parla Apoc. è invece la persecuzione che viene dal giu­ daismo palestinese e da quello della diaspora, il quale avvertiva nel messianismo spirituale dei cristiani un avversario del pro­ prio messianismo teocratico e nazionalistico. Più precisamente la prima Bestia rappresenta il potere politico degli Erodi per­ ché la «terra» di cui parla Apoc. è la 'ere� dell'A.T., mentre la seconda Bestia è il messianismo politico di «tutta la terra», e cioè delle regioni in cui sono dispersi i giudei della diaspora. 1 La Grande Prostituta, poi, che siede sulla Bestia (= il potere de­ gli Erodi) è il Sommo Sacerdozio di Gerusalemme o la stessa Gerusalemme: essa sarà distrutta non dai romani ma, come di­ rà anche Flavio Giuseppe nella sua avversione agli Zeloti, dal partito della guerra (i dieci re di Apoc. 1 7). Sulla sua identifica­ zione dei sette re con i sette Erodi, De W ater basa la datazione di Apoc.: essa sarebbe stata scritta negli anni 44-48, e cioè nel tempo in cui, già caduti i primi cinque Erodi e prima che ritor­ nasse sulla scena politica il settimo, i romani amministrarono la Palestina direttamente. In quel tempo va ambientato il sesto Erode, il sovrano che «non è» di 17,10, il quale sarebbe Erode di Calcide.2 De Water conclude affermando che solo dopo il 1 3 5 d.C. i cristiani interpretarono Apoc. in chiave antiromana, 1 Per De Water, Reconsidering, 2 5 5 . - A dire il vero ci si aspetterebbe il contrario, che cioè con la Palestina fosse messa in relazione la bestia che sorge «dalla terra•, con la quale «tutta» la terra non ha mai a che fare, e che invece con la diaspora mediterranea fosse messa in relazione la bestia che sorge dal mare (Mediterraneo}, essa sì ammirata e adorata da «tutta la terra» (I J,J-4). 2 /bid. 259. De Water riprende quest'interpretazione da C.F.J Ziillig (Die Offenbarungjohannis erklii:rt, Stuttgart 1 8 34- 1 840}, di cui dà notizia Bous­ set, Offenbarung, 104. I primi cinque Erodi sarebbero: Erode il Grande, Archelao, Antipa, Filippo, Erode Agrippa I; il sesto sarebbe appunto Ero­ de di Calcide (fratello di Agrippa I e re della Calcide, nella vallata tra Li­ bano e Antilibano, dal 4 1 al 48 d.C. per volontà dell'imperatore Claudio; cf. Flavio Giuseppe, Ant. 20,10- 1 5; F.-M. Abel, Histoire de la Palestine I, Paris 1953, 456}, mentre il settimo sarebbe Agrippa n.

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quando il giudaismo come loro persecutore fu sostituito dagli imperatori di Roma. 1 Con tutto ciò, l'esegesi globale di Apoc. è inevitabilmente cambiata. Avendo preso forma oramai un'interpretazione mol­ to circostanziata la quale solleva tutt'una serie di difficoltà con­ tro quella tradizionale e contrappone argomenti che vanno in altra direzione, anche chi restasse sostenitore della sentenza tra­ dizionale deve rivedere il proprio armamentario difensivo, dal momento che ora si trova di fronte a obiezioni prima scono­ sciute. Per completare lo status quaestionis intrapreso, resta ora da tentare un bilancio critico tra l'interpretazione tradizionale e la nuova ipotesi. Poiché fino ad ora sono stati presentati gli ar­ gomenti a favore dell'ipotesi di Babilonia-Gerusalemme e gli argomenti contro l'ipotesi di Babilonia-Roma, ora si farà in so­ stanza l'esatto contrario. III. BILANC IO CIRCA LE DUE INTERPRETAZIONI

1. Valutazione dell'ipotesi antigerosolimitana sostenitori di Babilonia-Gerusalemme giustamente si rifanno a 2,9 (ma meno giustamente a 3,9) per dire che Apoc. parla di una persecuzione giudaica. Tuttavia la persecuzione giudaica non è l'unica di cui Apoc. abbia sentore, perché non sono attri­ buibili all'iniziativa dei giudei d'Asia né il soggiorno obbligato di Giovanni nell'isola di Patmos, né il carcere previsto in 2, 10 per alcuni membri della comunità di Smirne, o quello di cui parla I J,IOa. Non è poi attribuibile ai tribunali giudaici la mor­ te di spada (IJ,Iob), né la morte di scure (7tt7teÀextcr!J-Évot, 20,4) perché, come è risaputo, i giudei mettevano a morte con la lapi­ dazione, mentre erano i romani a mandare a morte con la spa­ da o con la scure (�ÉÀexuç), della quale erano equipaggiati i lit­ tori agli ordini dei magistrati. 2 I

·l

D e Water, Reconsidering, 2J I-2 f2. �H· 25 8-259. 261 . 2 L a radice 1tEÀex- ricorre circa 1 oso volte nella letteratura greca dall'viii sec. a.C. al xv d.C. Tra gli scrittori giudaici, invece, Filone la usa una sola volta (Prov. 2,29,6), e Flavio Giuseppe 1 8 volte, ma ambientando la scure soltanto tre volte in episodi «giudaici»: due volte per dire che l'aquila d'oro alzata da Erode sul tempio fu abbattuta a colpi di scure (Ant. 17, 1

In secondo luogo, la prostituzione di cui i profeti accusava­ no Gerusalemme o Israele non è assimilabile alla prostituzione di cui Babilonia è accusata in Apoc. I profeti accusavano la cit­ tà o la nazione di farsi corrompere dai culti idolatrici pagani, mentre Giovanni accusa Babilonia di corrompere i popoli con il vino drogato della sua porneia: là il germe della corruzione era nei popoli, qui è in Babilonia! D'altra parte in tutto il suo li­ bro Giovanni rimanda bensì all'A.T. con frequenza, ma senza mai citarlo espressamente, senza mai trasferirlo di peso nel pro­ prio libro e, invece, rielaborandolo sempre in modo molto crea­ tivo. Questo comporta che da un'allusione all'A.T. ci si aspetti un aiuto a capire i testi di Apoc. ma non un indizio univoco per giungere all'identificazione dei suoi personaggi. In questo ca­ so come in molti altri, poi, i testi dell'A.T. cui i sostenitori di Babilonia-Gerusalemme si richiamano non sono usati esclusi­ vamente per Gerusalemme: sono dette «prostituta» per esem­ pio anche Tiro (/s. 23, 1 7) e Ninive (Nah. 3,4). Né soprattutto si deve assimilare la prostituzione (7topve:ta) all'adulterio (!J-O'­ xe:i�), perché può essere prostituta anche una donna non spo­ sata e perché, se Gerusalemme è infedele come sposa, essa è adultera, non prostituta. Un'altra difficoltà per l'ipotesi di Babilonia-Gerusalemme viene dalla geografia fisico-politica presupposta in Apoc. I 3 e Apoc. 17- I 8, come si vedrà più dettagliatamente nel capitolo secondo. Il mare da cui sorge la Bestia e le nazioni e popoli che l'adorano difficilmente sono qualcosa d'altro dal Mediterraneo e dalle etnie di tutta l'ecumene romana, e Babilonia è capitale di quell'impero. È difficile concordare con Babilonia-Gerusalem­ me anche ciò che Apoc. dice dell'idolatria o, meglio, delle due idolatrie (di cui più sotto si occuperà invece il capitolo terzo). I 5 5; Beli. 1,6 5 1 ) e un'altra volta per dire che con colpi di scure fu spezzata una catena. Altrimenti la scure per Giuseppe è l'arma della guardia del corpo del re Artaserse (Ant. I 1,205) e, nelle restanti ricorrenze, è sempre un'arma dei romani per mettere a morte. - Per il perdurare dell'uso dei fa­ sci, come simbolo del potere romano, in ambiente· asiatico nel III secolo, cf. Mart. Pionii 10,4. 1 Basti ad esempio dire che uno dei·testi citati da Beagley (p. 67) e da Lu­ pieri (p. 249) per la «prostituzione» di Gerusalemme è Ez. 2 3,2 7 dove pe­ rò si parla di una prostituzione «che [viene] dalla terra d'Egitto (m'� mi�rym)».

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L'idolatria dei simulacri e dei demoni (9,20-2 1 ) e l'idolatria del­ la Bestia ( I J,4·8) promossa dal falso profeta (I J,I2- I 7) non pos­ sono infatti essere intese in senso metaforico, per poi essere più facilmente ambientate a Gerusalemme. E questo per almeno tre ragioni: anzitutto a motivo degli idoli di cui si parla in 9,20-2 1 i quali sono idoli reali, essendo fatti d'oro, d'argento, di pietra o di legno; in secondo luogo a motivo delle altrettanto reali e concrete «carni immolate agli idoli>> di cui si parla in 2, I 4.2o; e, infine, a motivo della statua della Bestia che è anch'essa una statua reale, essendo manipolata perché diventi statua parlante � 1 J, 1 5 ) Ora, mentre non si saprebbe come identificare in Geru­ salemme o nel giudaismo del 1 secolo le due diverse idolatrie, es­ se sono molto naturalmente ambientabili nel mondo greco-ro­ mano, costellato com'era di templi della religione tradizionale e di templi del culto dell'imperatore. Dopotutto, il vocabolario dell'idolatria mal si applica all'accusa, sollevata contro Gerusa­ lemme, di collusione con il potere politico-militare di Roma. La difficoltà più grave cui l'ipotesi antigerosolimitana va in­ contro è comunque quella della datazione di Apoc. Eugenio Corsini, per esempio, da un lato afferma che l'Apocalisse fu scritta dopo la distruzione di Gerusalemme 1 e, dall'altro, dice che Giovanni scrive contro il connubio tra il corrotto potere politico di Roma e il corrotto potere religioso di Gerusalem­ me. Ma dopo il 7o Gerusalemme era senza tempio e senza cul­ to, e in nessun modo il potere religioso del giudaismo poteva essere in alleanza con Roma perché invece èontro di essa l'in­ tero giudaismo nutriva la più implacabile ostilità.1 Nella stessa .

1 Corsini, Apocalisse, 24-25, scrive: «invece di vedervi [in 17,16], come si è fatto e si fa, un'improbabile profezia sulla distruzione di Roma da parte di Nerone redivivo o dei barbari, perché non vedervi una molto più plausibi­ le allusione alla rivolta giudaica e alla distruzione di Gerusalemme ad ope­ ra dei Romani nel 70? . . . possiamo trarne lo spunto per dire che la com­ posizione dell'Apocalisse è probabilmente avvenuta in una data posteriore allo svolgersi degli avvenimenti del 7o». A p. 4 5 1, l'affermazione di Corsi­ ni è ancora più netta: «la distruzione a cui allude [ 17, 1 6] . . . non può che ri­ ferirsi a quella compiuta dai Romani nel 70 d.C.: soltanto allora infatti, in seguito al deicidio compiuto, Gerusalemme era diventata, agli occhi di Gio­ vanni e dei primi cristiani, in modo completo e definitivo la 'prostituta', il contrario della 'città santa' che essa era in precedenza» . .1 Lo stesso Corsini parla addirittura di «duello mortale» (p. 24), e non si vede in che modo due città possano essere in alleanza e in complicità dopo

contraddizione tra pretesa alleanza di Gerusalemme con Roma e datazione di Apoc., cade non solo Edmondo Lupieri per il quale Apoc. fu scritta nel tempo che va dal 7o al 100, ma anche Josephine Ford che colloca la composizione di Apoc. nel 66-67 d.C. Dal 66 d.C. infatti Gerusalemme era in guerra con Roma, e non in alleanza. 1 Ha dunque ragione K. Wengst a dire che quando Giovanni scriveva, probabilmente Roma era potente mentre Gerusalemme era in rovine, e ha ragione G.K. Beale a dire che, se Babilonia è Gerusalemme, allora la data di compo­ sizione di Apoc. deve essere collocata anteriormente al 7o d.C.1 L'unica ipotesi che evita lo scoglio della datazione post-70 è quella di R. De Water il quale colloca la composizione di Apoc. tra i1 44 e il 48 d.C., come s'è visto, ma una datazione così bas­ sa avrà prevedibilmente e giustamente molte difficoltà ad esse­ re accettata. A tutto questo bisogna aggiungere poi che non è inattacca­ bile neanche l'argomento più forte dell'ipotesi di Babilonia­ Gerusalemme, quello per cui la Babilonia di Apoc. r 6- 1 8 è Ge­ essersi affrontate in un duello monale, quando dunque una delle due (nel nostro caso, Gerusalemme) sarebbe «morta». - La difficoltà non si risolve neanche dicendo che, dopo il 70, Giovanni scrive contro la Gerusalemme che aveva messo a morte Gesù negli anni 30, a motivo di 1 7, 1 0 secondo cui la vicenda narrata è contemporanea a Giovanni e alle chiese d'Asia. Tra l'altro è lo stesso Corsini a parlare di «realtà contemporanea» a Giovanni. 1 Lupieri, Apocalisse, LXVI-LXVII, scrive: «La caduta di Gerusalemme nel 70 pare un fatto già avvenuto, che l'autore spiega ai fedeli, così come face­ vano, sia pure in modi diversi, tutte le apocalissi giudaiche di quegli an­ ni . . . Con questo si arriva a una datazione molto vicina a quella tradiziona­ le, cioè fra il 70 e il 100 d.C. ca.». Similmente Beagley, «Sitz im Leben», 1 I 2, parla di Gerusalemme già caduta e della nazione già rigettata. - An­ che Josephine Massyngberde Ford non va esente dalla contraddizione: poi­ ché Apoc. (o questa parte di Apoc.) sarebbe stata scritta dopo il viaggio in Grecia di Nerone (66 d.C.) durante il quale Vespasiano cadde in disgrazia, si dovrebbe concludere che, pur prendendo le armi contro Roma proprio in quell'anno, Gerusalemme sarebbe con Roma in alleanza . .1 K. Wengst, Babylon the Great and the New ]erusalem: The Visionary View of Politica/ Reality in the Revelation offohn, in H. Reventlow et al. (ed.}, Politics ant Theopolitics in the Bible and Postbiblical Literature OSOT.S 171), Sheffield 1994, 197; Beale, Revelation, 1 8. Bisogna poi ag­ giungere che, se la rivolta antiromana scoppiò solo nel 66, l'ostilità contro Roma covava da molto tempo sotto la cenere e, di conseguenza, la data pre­ bellica dovrebbe essere in ogni caso notevolmente bassa, anche se non ne­ cessariamente come quella di R. De Water.

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rusalemme perché è chiamata «Grande Città» come Gerusa­ lemme lo è in Apoc. I I . La ragione è che in Apoc. I I Gerusa­ lemme e il giudaismo non sono affatto il bersaglio della pole­ mica di Giovanni perché «la Grande Città . . . dove anche il loro Signore è stato crocefisso» (I I,8) non è la Gerusalemme giu­ daica che si vorrebbe. Di fatto, la Gerusalemme di Apoc. I 1 è divisa in due. Da una parte stanno il santuario e gli adoratori che Giovanni deve «misurare» per metterli sotto protezione divina, i quali rappresentano senz'ombra di dubbio i cristiani.1 Dall'altra, stanno il cortile esterno del tempio e la città santa che sono dati in potere agli €8vYì, «le genti, i 'pagani'», e che sa­ ranno poi i destinatari della testimonianza dei Due Testimoni, anch'essi certamente cristiani, perché hanno il Crocefisso co­ me loro Signore (v. 8). In Apoc. I I, dunque, Gerusalemme è sempre simbolo o di cristiani 1 o di pagani, e mai di qualcosa o di qualcuno che possa essere definito giudaico o giudeo. 3 In secondo luogo, la parte di città che prima è calpestata dalle «genti» e poi diviene scenario della vicenda dei Due Testimo­ ni, oscilla tra dimensioni urbane (vv. 2 e 8), e dimensioni uni­ versali (vv. 9 e Iobis: «da ogni popolo, tribù, lingua e gente», «gli abitanti della terra»), e infine dimensioni nuovamente a misura di città (v. I 3). Questo comporta che la «Gerusalem­ me» di Apoc. I I sia simbolo del mondo intero quale luogo di 1 Lo riconosce lo stesso Beagley, «Sitz im Leben», 61 che scrive: «Il naos, l'altare e gli adoratori sono i cristiani» (cf. i molti autori citati alla n. 1 3 5), ma cf. già Cassiodoro: per quam [arundinem Ioannes] visus est metiri /oca quae Christianus populus obtinebat; alia vero relinquere quae infide/es po­ terunt obtinere (PL 70, 141 1 A). 2 Cf. H. Rongy, Le seconde septénaire de l'Apocalypse ou /es sept trompet­ tes: REccl(Liège) 2.3 ( 1 93 1 - 1 93 2.) 365. - Poiché il tempio non era mai stato cristiano, e poiché in 1 1, 1-2. esso rappresenta certamente i cristiani, ne con­ segue che davvero in Apoc. 1 1 Gerusalemme è puro simbolo, e non è la Ge­ rusalemme storica e giudaica che si vorrebbe. Cf. poi P.G.R. De Villiers, The Lord was Crucified in Sodom and Egypt. Symbols in the Apocalypse offohn: Neot 2.2. (1 988) 1 34 (se si trattasse di una Gerusalemme non-sim­ bolica, non avrebbe senso il 7tvEUIJ.Cl':txwç di 1 1,8). 3 W. Reader, The Riddle of the Identification of the Polis in Rev. 11,1-13, in E. Livingstone (ed.), Studia Evangelica vn (TU 1 2.6), Berlin 1 982., 4 1 3: «In 1 1 ,3- 1 3 non c'è la minima menzione dei giudei». Per J.A.T. Robinson, Redating the New Testament, London 1 976, 2.41 n. 105, la vicenda di 1 1, 3 - 1 3 non è ambientabile a Gerusalemme.

scontro tra le forze messianiche (gli adoratori del v. I, i Due Testimoni, il loro Signore) e quelle antimessianiche (le «genti» del v. 2, la Bestia che sale dall'abisso del v. 7, gli abitanti della terra dei vv. 9- 10, i «nemici» del v. 1 2), le quali imiteranno i crocefissori del Signore. 1 Apoc. I I non può comprovare dunque alcuna lettura anti­ gerosolimitana di Apoc. dal momento che mai mette in scena la parte giudaica di Gerusalemme. Che poi il santuario gerosoli­ mitano, il suo altare e gli adoratori siano per Giovanni i cristia­ ni, si spiega all'interno del suo costante schema teologico per il quale non c'è mai separazione tra A.T. e N.T.2 Per Giovanni tutto ciò che è del giudaismo è assunto dal Cristo e chi non ac­ cetta il Cristo si fa «sinagoga di Satana» e mente a definirsi «giu­ deo» (2,9; 3,9). È così infatti che i I 44 ooo delle dodici tribù dei figli d'Israele (7,4-8) recano sulla fronte il nome dell'Agnello e lo seguono ovunque vada ( 14, 1 .4), ed è così che nella Gerusa­ lemme escatologica ci saranno dodici porte con i nomi delle dodici tribù d'Israele (2I , I 2) e dodici fondamenti con i nomi dei dodici apostoli dell'Agnello (21 ,14). Attraverso quelle por­ te - è detto esplicitamente - avranno accesso alla città escato­ logica anche i provenienti dal paganesimo (21,24-26), mentre è evidente che per il giudeo-messianico Giovanni di Patmos non I Interpretano la Gerusalemme di Apoc. I I come «mondo intero» com­ mentatori come M. Kiddle, The Revelation of St. fohn (MNTC), London I940, 1 84- 1 8 5 : «La grande città non è né Gerusalemme né Roma, e tutta­ via in certo senso è sia Gerusalemme che Roma. È infatti la città del pre­ sente ordine mondiale, la città terrena, che include tutti i popoli. È la città totalmente aliena dal volere di Dio»; M. Bachmann, Himmlisch: der « Tem­ pel Gottes» von Apk r r, r : NTS 40 (I994) 477: «La grande città dove il lo­ ro Signore è stato crocefisso è in qualche modo tutta la terra»; Beale, Rev­ elation, 591: «il mondo irreligioso», Ma cf. soprattutto Allo, Apocalypse, I 3 5 : «Gerusalemme rappresenta il mondo intero . . . Tutta la terra è in qual­ che modo la città di Dio corrotta e profanata dal paganesimo persecutore», e J. Roloff, Die Offenbarung des]ohannes (ZB.NT I 8), Ziirich 1 984, 1 17: «Come 'Sodoma' ed 'Egitto', in 1 1,8 anche Gerusalemme trascende il puro dato geografico e diviene immagine del mondo ostile a Dio. Anzi, l'imma­ gine di Gerusalemme si sovrappone e si confonde con quella di Roma». 2 Cf. per esempio Bonsirven, Apocalypse, 214: «In Apoc. la chiesa compren­ de tutta l'economia salvifica che comincia con i patriarchi e termina alla parousia»; F. Contreras Molina, La mujer en Apocalipsis 12 : EphM 43 (I993) 374: «L'Apocalisse non distingue tra popolo di Dio dell'antica al­ leanza e della nuova, e la parte migliore dell'A.T. si realizza nella chiesa».

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oltrepasseranno quelle porte i giudei storici non-messianici. In Apoc. 7 e Apoc. 2 I , dunque, con il linguaggio delle dodici tribù non si designa l'Israele non-credente in Gesù, ma si designano i cristiani quali unici eredi del patrimonio del popolo di Dio dell'A.T. Allo stesso modo in Apoc. I I essi, e non i giudei stori­ ci, sono il santuario di Gerusalemme e gli adoratori o la città santa (vv. 1 -2), così che la Gerusalemme di Apoc. 1 I non è la Gerusalemme giudaica corrotta e in collusione con Roma, del­ l'ipotesi antigerosolimitana. 2.

Valutazione dell'ipotesi tradizionale

Se da un lato non poche difficoltà si oppongono all'ipotesi di Babilonia-Gerusalemme, dall'altro resta da verificare la tenuta o, viceversa, l'insostenibilità dell'ipotesi alternativa che vede Roma nella Babilonia di Apoc. I4- I 8. Alcuni argomenti a favore di Babilonia-Roma sono già stati messi in luce. Si è detto per esempio che la geografia fisico-po­ litica di Apoc. mal si adatta a Gerusalemme mentre corrispon­ de alla situazione dell'area mediterranea del tempo di Giovan­ ni. E si è già detto che le due idolatrie di Apoc. non si adattano a Gerusalemme e che invece si adattano a Roma alla perfezio­ ne. Si è già detto poi che, mentre la Gerusalemme-prostituta dell'A.T. si faceva corrompere dai popoli, in Apoc. sarebbero i popoli a farsi corrompere da Gerusalemme-Babilonia. E si è detto che l'ipotesi di Babilonia-Gerusalemme, ma non quella di Babilonia-Roma, si scontra con gravi difficoltà di datazione. Si è detto inoltre che bisogna chiamare in causa magistrati non­ giudaici ma ellenistico-romani per spiegare il soggiorno obbli­ gato di Giovanni a Patmos e il carcere oppure la morte non per lapidazione ma per spada o scure, di cui Apoc. parla qua o là. In proposito si possono ora aggiungere due precisazioni. La prima è che la persecuzione di Nerone contro la multitudo ingens di cui parla Tacito 1 era entrata nell'immaginario delle chiese come persecuzione paradigmatica così che i fatti romani del 64 d.C. spiegano 1 8,24 («in essa fu trovato il sangue dei profeti e dei santi») e soprattutto 1 7,6 («ebbra del sangue dei santi e del sangue dei testimoni di Gesù»), molto meglio di 1

Tacito, Ann. 1 5 ,44,4.

quanto non faccia il sangue dei profeti del giudaismo o del cri­ stianesimo primitivo versato da Gerusalemme. La seconda pre­ cisazione è che in Asia la persecuzione di certo non era ancora quella autorizzata da rescritti come quello di Traiano in rispo­ sta a Plinio o da editti imperiali come quelli di Decio, Valeria­ no o Diocleziano. Erano invece provvedimenti delle autorità municipali per tutelare l'ordine pubblico in scontri che scop­ piavano tra gruppi etnici o religiosi diversi, come si vedrà nel prossimo capitolo che si occupa anche della persecuzione. Si può aggiungere infine che a favore dell'ipotesi antiromana è l'epiteto di «Babilonia» dato da Giovanni alla città nemica per eccellenza. Come è noto, apocalissi giudaiche del 1 sec. d.C. co­ me 4 Esd. , 2 Bar., e scritti cristiani come 1 Pt. e le interpolazio­ ni negli Oracoli Sibillini danno a Roma il nome di «Babilonia» per avere essa incendiato il tempio e distrutto Gerusalemme nel 70 d.C., così come aveva fatto la Babilonia di Nabucodonosor nel 5 86 a.C.1 Quanto al culto imperiale che Domiziano non avrebbe affat­ to incrementato, 2 basti tenere presente che - come si dirà nel capitolo terzo -, sotto il suo principato, tra l'89 e il 9 1 d.C., a Efeso fu costruito a cura del koinon dell'Asia un tempio in ono­ re degli imperatori della famiglia Flavia e, a cura del municipio efesino, un impianto sportivo di enormi dimensioni per i gio­ chi in onore dell'imperatore. Bastano questi sconvolgimenti ur­ banistici di Efeso in funzione del culto dell'imperatore a spie­ gare la composizione di Apoc. da parte di Giovanni, senza bi­ sogno di chiedersi se Domiziano abbia o no incrementato il culto del sovrano e senza bisogno di chiedersi quale evento di politica internazionale abbia provocato l'ostilità di Giovanni nei confronti di Roma. I 4 Esd. J,I-z.z8-J I; 2 Bar. IO, I -J; I I, I; 67,7; l Pt. s, I J; Or. sib. 5,143-1 59· Per 1 Pt. cf. già Andrea di Cesarea: «Nella lettera di Pietro l'antica Roma è chiamata 'Babilonia'• (PG 106, 377c). - L'argomento è stato illustrato so­ prattutto da C.-H. Hunzinger, Babylon als Deckname fur Rom und die Datierung des r. Petrusbriefes, in H. Reventlow (ed.), Gottes Wort und Gottes Land. Fs H.-W. Hertzberg, Gottingen 1965, 67-77; ma cf. poi an­ che Yarbro Collins, Crisis, 57-58; Beale, Revelation, 25, il quale fa osser­ vare come non ci sia alcun testo che, prima o dopo i1 7o d.C., attribuisca l'epiteto di «Babilonia» a Gerusalemme. 2 Così Thompson, Book, zo8, e Warden, Imperia[ Persecution, 207.

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Anche le difficoltà sollevate circa Apoc. 1 7 non sono insor­ montabili. Se è vero che per parlare dei sette colli di Roma i greci coniarono l'aggettivo bt'taÀo9oc; e se è vero che preferi­ vano É:it't� Àoq>ot all'espressione É:1t":(t opYJ, è vero anche che es­ si usavano opoc; per i singoli colli e che gli scrittori latini hanno parlato usualmente di montes e di septimontium. 1 Quanto al­ l'aggettivo É:it"taopoc;, i greci possono averlo eluso per la loro avversione allo iato, e cioè al «molesto scontro di vocali all'ini­ zio e in fine di parole contigue» 2 o - va aggiunto, per il nostro çaso - in parole composte: dopotutto era un aggettivo encomia­ stico, ufficiale e di origine dotta e, per ciò stesso, esigeva ricer1 Il geografo Strabone, di Amasea Pontica (64 a.C. - 2 1 d.C.), elencando i sette colli nella sua trattazione storico-topografica di Roma, impiega opo� per Celio e Aventino ( 5,3,7) ; Dionigi di Alicamasso, retore e storico atti­ vo a Roma negli anni 30 del I sec. a.C., impiega op� per il Palatino e per il Celio (Ant. Rom. 2,50, 1 ) ; Dione Cassio (tra II e III sec. d.C.) usa opcx; per esempio in Hist. Rom. 53,27,5 e 62, 1 82,1 per il Palatino, e in 30,1 5 e 44,25t 3 per il Campidoglio. Cf. poi il termine at7:'tO(J-Ouv-:tov, ricalco greco del latino septimontium, in Plutarco (Aet. 28oc. 1o e d.1). D'altra parte nella letteratura latina l'aggettivo septicollis ricorre solo nel tardo poeta cristia­ no Prudenzio (Peristeph., Romanus, 412-41 3: cum puer Mavortius l Funda­ ret arcem septicollem Romulus, PL 6o, 479A) . Cf. poi R. Gelsomino, Var­ rone e i Sette Colli di Roma, Roma 1975; S. Garofalo, «Sette monti, su cui siede la donna» (Apoc. 17,9), in A. Winter (ed.), Kirche und Bibel. Festga­ be E. Schick, Paderborn-Miinchen-Wien-Ziirich 1979, 97- 1 04. - Tra i mol­ ti che vedono nei sette monti di 17,9 i sette colli di Roma si possono citare B. Reicke, Die judische Apokalyptik und die johanneische Tiervision: RSR 6o ( 1972) 1 74 («inconfondibili»), e K.L. Gentry, Before ]erusalem Fell. Dating the Book ofRevelation: an Exegetical and Historical Argument for a Pre-A.D. 70 Composition, San Francisco - London - Bethesda 1 997, 1 50 («In ogni angolo dell'impero Roma era conosciuta come la città dei sette colli. Quando Giovanni scrisse non c'era altra città che fosse universalmen­ te famosa per i suoi sette colli»). 1 Cf. Blass, § 486, dove vengono elencati, come espedienti cui si ricorreva per evitare lo iato, l'inversione nell'ordine delle parole e l'elisione (cf. § 1 7), la crasi (cf. § 1 8 ), l'inserimento di particelle come �J-év, ò', -: (cf. § 486), o il v epentetico (cf. § 20) . Cf. poi le indicazioni storiche del § 486: «La prosa d'arte del IV secolo (a cominciare da Gorgia) assunse dai poeti la fluente connessione delle parole con l'esclusione del cosiddetto iato. Anche autori ellenistici ed attici dei secoli successivi hanno, con maggiore o minore im­ pegno, evitato lo iato». - Al greco d'arte o quello ufficiale delle iscrizioni (cf. § 20,3 ) va evidentemente equiparato l'É7t-:!lì\o�oç della propaganda uffi­ ciale. '

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catezza di stile. 1 In secondo luogo, la difficoltà della pretesa tautologia delle immagini per cui Roma-Prostituta siederebbe su Roma-Bestia, è nello stesso momento più semplice e più complessa di quanto possa sembrare perché la Prostituta, oltre che sulla Bestia ( I 7,J), siede anche su molte acque (vv. I e I 5) e sulle sette teste della Bestia in quanto esse sono sette monti (v. 9 ). Infatti, come si vedrà nel capitolo undicesimo, se le tre im­ magini dei tre sgabelli sono contraddittorie, i tre significati dei tre sgabelli non solo sono tra loro compatibili e complementa­ ri, ma sono anche liberi da tautologie: una donna-città sorge su sette monti e, con il potere di un monarca-Bestia, esercita il dominio sui popoli (v. 1 5) e sui re (v. 1 8) della terra. Tra l'al­ tro, a conferma di questa interpretazione «romana» della don­ na seduta sui sette monti, si rimanda spesso a un sesterzio di bronzo, coniato da Vespasiano nel 7I d.C., che rappresenta la dea Roma seduta sui sette colli, in veste di amazzone, con ac­ canto il Tevere, i gemelli, e la lupa.2 Quanto infine al conteggio dei sette imperatori che non por­ ta a nessun risultato soddisfacente neanche ricorrendo allo stra­ tagemma di mettere in conto soltanto uno o due, oppure nes­ suno, dei tre imperatori del 68-69 d.C., esso costituisce proba­ bilmente un falso problema, come si vedrà studiando Apoc. 1 7. In Apoc. I 7 Giovanni parla infatti di sette sovrani non perché 1 Cf. gli esempi di crasi segnalati in Blass, § 1 8, e le regole per la formazio­ ne di parole composte in § 1 14- 1 23. - Diverso è il caso per esempio dello òx-ral)(J.epoc; di Paolo (Fil. 3,5) che nella sua corrispondenza con le chiese non aveva preoccupazioni stilistiche. 1 Alla moneta rimandano E. Stauffer, Le Christ et /es Césars, Paris 1956 (Hamburg s 1 96o) 173 (con riproduzione della moneta nella tavola di p. 192bis); Garofalo, «Sette monti», 97- 104; R. Beauvery, L'Apocalypse au risque de la numismatique: RB 90 ( 1 983) 243-260 (tavola I); R. Bergmeier, Die Erzhure und das Tier: Apok 12,18-I), 18 und 17[. Eine quellen- und redaktionskritische Analyse, ANRW n, 25.5, Berlin - New York 1 988, 3907 (tavola I); D. Aune, Revelation 17-22 (WBC 5 2c), Nashville 1998, 920-922 (con ampia bibliografia). Si può aggiungere che Dietrich Mannsperger (Tii­ bingen), della cui consulenza in campo numismatico Bergmeier si è servi­ to (cf. commento alle tavole 1-11), discute le possibilità di diffusione in Oriente del sesterzio, coniato nelle officine di Roma e non di Tarraco in Spagna. Si può aggiungere che anche per la scultura il tipo iconografico di «Roma» seduta sui sette colli è attestata in Oriente, per esempio ad Atene (cf. Garofalo, p. 101), e a Corinto (cf. Aune, Revelation 6-16 [WBC 5 2b], Nashville 1998, p. 92 1 ). 45

si senta vincolato alla realtà storica ma per amore del numero sette, come d'altra parte gli era già successo di fare a proposito della serie settenaria delle chiese in Apoc. I - 3 . I n conclusione, l'ipotesi che la Babilonia d i Apoc. sia Geru­ salemme non sembra in grado di imporsi e, al contrario, l'ipo­ tesi di Babilonia-Roma è quella che meglio di ogni altra rende conto sia dei dettagli di Apoc. che di tutta la sua trama narrati­ va. Aveva dunque ragione il terzo evangelista a scrivere che il vino vecchio è migliore di quello nuovo (Le. 5,39). Il vino vec­ chio, nel nostro caso, è quello dei contemporanei di lreneo e soprattutto quello di Vittorino di Poetovio.

Capitolo 2

La terra di Apoc. IJ , I 1 e la geografia fisico-politica I. LA BESTIA DI

Apoc.

I J ,I I

E IL SUO SALIRE DALLA TERRA

1. Il «bell'odioso» della Bestia che sale dalla terra Dall'inesauribile fantasia di Giovanni di Patmos è uscita anche la Bestia «che sale dalla terra», una figura che in Apoc. svolge un ruolo gregario e che forse per questo raramente è presa co­ me oggetto di studio. Giovanni la mette in scena a tre riprese. Il testo più ampio che ad essa dedica, l'unico in via esclusiva, è quello della sua prima presentazione ( I J,I 1 - 1 8). Poi in t6, I J­ I 6 torna a menzionarla come componente della Triade che ra­ duna ad Harmagedon la coalizione dei popoli per la battaglia del grande giorno di Dio Onnipotente, e infine in 19,20 e 20, I O per dire che essa finirà nello stagno di fuoco e zolfo, insie­ me con gli altri componenti della Triade antidivina. Come altre in Apoc., è una figura odiosa e tuttavia, dal pun­ to di vista estetico-letterario, è di un «bell'odioso» perché Gio­ vanni è maestro non solo nel ben presentare il bene perché sia amato, ma anche nel ben presentare il male perché sia odiato. La Bestia-dalla-terra, anzitutto, è introdotta in efficace paralle­ lismo con la Bestia che sale, invece, dal mare. Questo montare di un primo therion dalle acque e di un secondo dalla terra ha qualcosa di affascinante e insieme di minaccioso. Il lettore in­ fatti è conquistato dal ritmo binario della narrazione e, insie­ me, avverte un inquietante senso di accerchiamento e di minac­ cia, tanto più che ben presto la seconda Bestia si rivela compli­ ce della prima ( I J, I 2). Dal punto di vista della concezione fantastica la Bestia-dalla­ terra è felicemente caratterizzata dal suo disinteresse, anche qui in bel contrasto con il solipsismo della prima Bestia la qua­ le invece si sente al centro dell'universo non solo esercitando il suo dominio politico su ogni popolo e nazione ( 1 3,7), ma an47

che col farsi adorare dagli abitanti di tutta la terra ( I J,J-4.8) e col pronunciare bestemmie contro il nome di Dio, contro la sua dimora e la sua corte (I 3,6). La Bestia terrestre non cerca in­ vece nulla per sé e tutto fa a vantaggio della Bestia marina: in­ duce gli abitanti della terra a prosternarsi ad essa in adorazione ( I J, I 2), a farsene un'immagine cultuale ( I J, I 4), e poi si mette ad animare quella statua così che abbia il potere di parlare e di far morire chi le rifiuta l'adorazione ( I J, I 5). Infine, sempre a beneficio della prima Bestia, contrassegna con un marchio i suoi adoratori perché sia possibile escludere dalla vita com­ merciale e sociale chi non accetti quel marchio e chi non renda quel culto (I J, I 6- I 7). In questo coniugare falsità e persecuzio­ ne sanguinaria con la contrastante virtù del disinteresse, Gio­ vanni censura il servilismo, sempre troppo generoso ed altrui­ sta, con arte insuperabile. Un ultimo tocco magistrale di Gio­ vanni nella rappresentazione della Bestia terrestre è il ritardo con cui le dà l'epiteto di «pseudoprofeta»: non nella lunga pre­ sentazione iniziale, ma soltanto tre capitoli più tardi, in I 6, I J. In I J, I I - I 8 infatti il lettore segue ciò che Giovanni dice della Bestia e, accumulando nella sua mente un connotato dopo l'al­ tro, va forse chiedendosi che titolo affibbiarle per la sua odio­ sità, finché in I6, I J Giovanni gli fornisce a sorpresa la folgoran­ te definizione di «falso profeta». Della Bestia terrestre si potrebbe illustrare l'attività religio­ so-profetica in base alla quale si distingue dalla Bestia marina, attiva invece sul terreno religioso-politico, ma di tutta la sua vi­ cenda qui interessa soprattutto la dimensione geografica, per­ ché può fornire elementi utili all'identificazione storica delle due Bestie e, di conseguenza, utili all'interpretazione globale dell'Apocalisse. 2.

Il termine -8-YJptov e il simbolismo teriomorfo

In Apoc. il termine -8Y)ptov ricorre 3 8 volte. Al plurale ricorre solo in 6,8, dove designa le bestie feroci quale strumento di morte, insieme a spada, carestia e peste, così come in Ez. I 4,2 I da cui è tratta la formula. Poi per ben 36 volte con quel termi­ ne si parla della Bestia che secondo I 3, I sale dal mare. L'unica ulteriore ricorrenza di .SY)ptov è in I J, I I dove designa la Bestia

che ci interessa, quella che sale dalla terra, o falso-profeta. -8-rr ptov, comunque, in 3 7 ricorrenze su 38 designa l'una o l'altra delle due Bestie di Apoc. I 3, e con ogni evidenza è un termine che deve presentarle in luce fortemente negativa. È negativa anzitutto la semantica del termine. I commentato­ ri dell'Apocalisse mettono .Sr,ptov a contrasto con "�ov, e fan­ no osservare che il primo termine si applica soltanto agli anima­ li in quanto contrapposti all'uomo, mentre il secondo designa bensì gli animali, ma tra essi non le bestie feroci, e conviene an­ che all'uomo in quanto anch'egli è un essere vivente (cf. 4,6 e passim) . 1 Al dato filologico si aggiunge la valenza simbolica di .SYlptov: U. Vanni ha messo in luce come nell'Apocalisse gli ani­ mali siano simbolo di forze che superano le possibilità umane e che tuttavia sono sotto il potere e sotto il controllo di Dio. z Di fronte alle due Bestie, ci si trova dunque di fronte a due for­ ze negative, per noi irresistibili e soverchianti. La negatività del­ le due Bestie è poi acutizzata dal fatto che Giovanni le dipinge come mostri policefali e compositi: la Bestia marina ha sette te­ ste, come già il Drago di Apoc. I2, e concentra in sé caratteri­ stiche di leopardo, di orso, e di leone (I 3,2), mentre la Bestia ter­ restre ha corni di agnello e ruggito di drago ( 1 3,I I ) . Al contra­ rio, l'Agnello di 5 ,6, protagonista positivo per eccellenza nel­ l'Apocalisse, o l'aquila di 8, 1 3, che ha il compito di annunciare i tre «guai!» contro gli idolatri, sono di aspetto non ibrido ma integro. 3·

La provenienza «dalla terra»

La terra da cui sale la seconda Bestia non sembra essere un luo­ go di provenienza negativo. Il termine «terra» potrebbe even­ tualmente (non necessariamente) avere una connotazione nega­ tiva se fosse contrapposto a «cielo», ma qui è messo in paralle­ lo con il «mare» da cui sorge la prima Bestia ( I 3, I), e «mare e terra» non sono un binomio negativo né in sé né mai in Apoc. 3 1 Cf. per esempio Foerster, .SY)ptov, so1-503, e Massyngberde Ford, Revela­ tion, 2 1 9. z Cf. U. Vanni, L'Apocalisse. Ermeneutica, esegesi e teologia (RivB.S 1 7), Bologna 1980, 3 9· 3 Quanto a «mare» (non in binomio con la terra), in Apoc. esso ha bensì

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D'altra parte, se Giovanni avesse voluto dire la negatività della provenienza delle due Bestie, avrebbe più opportunamente as­ segnato loro un unico luogo di provenienza, il regno del male, e avrebbe potuto chiamarlo «l'abisso» come fa per la prima Be­ stia in 1 7,8 (cf. anche 1 I ,7) dove «dall'abisso» non significa «dal mare» ma «dal non-essere»: o come fa in 9, I-3 dove «l'abis­ so» significa «le viscere della terra f il mondo degli inferi»: «vi­ di un astro cadere . . . sulla terra e gli fu data la chiave della vora­ gine 2 dell'abisso e aprì la voragine dell'abisso ecc.». Da mare e terra le due Bestie non «vengono» come ci si aspetterebbe, ma sorprendentemente «salgono» (.Sljptov lÌvtX­ �tXtvov, 1 3,I; fiÀÀo .SYjptov civtX�ai:vov, I 3, I I ). La prima Bestia, cioè, viene dal mare come viene una nave e non dalle profon­ dità marine come un cetaceo. Lo dice il parallelismo· tra il sali­ re dal mare di I 3,I e il salire dalla terra di I J,I I, che presumi­ bilmente non significa salire «dalle viscere» della terra. D'altra parte la vicenda della seconda Bestia ha qualcosa di tautologi­ co in quel venire dalla terra ( I 3, I 1 ) per poi operare nella stessa terra (cf. IJ,I2 ss.). In I J,I e I J,I I il verbo lÌvtX�alvw dunque, non essendo il verbo adeguato ai complementi di luogo che reg­ ge, va probabilmente visto e spiegato in uno schema più vasto una valenza negativa in z I, I : nella palingenesi non ci sarà posto né per il primo cielo e per la prima terra né, appunto, per il mare («e il mare non c'è più»). Ma nella maggioranza dei testi Giovanni parla del mare come di una realtà neutra, certamente non negativa. In I 2, I 2 per esempio il mare è in tutto equiparato alla terra e, insieme con essa, contrapposto al cielo, per dire che dal cielo il Drago viene scaraventato su terra e mare: nella loro re­ lazione con il Drago, mare e terra sono semplicemente sfortunati e in pe­ ricolo, non malvagi. Allo stesso modo, nel terzo lamento funebre su Babi­ lonia il mare è luogo neutro di lavoro per «quanti lavorano in mare [lette­ ralmente: il mare]» ( I 8, I 7), allo stesso modo che la terra è ambiente di la­ voro per i mercanti del secondo lamento ( I 8, I I ). I Di opinione diversa sono per esempio Foerster, .Sr,ptov, 504 («viene dal mare ossia, secondo 1 1,7, dall'abisso»); e O. O'Donovan, The Politica/ Thought of the Book of Revelation: TyB 37 (1986) 79 («>: quanto appartiene al cie­ lo, come gli angeli o i castighi divini ecc., varca talvolta il con­ fine che separa il cielo dalla terra per svolgere qualche missio­ ne da parte di Dio, mentre il Diavolo varca quel confine e scen­ de sulla terra e sul mare ( I 2, 1 2}, non però perché appartenga al cielo,1 ma perché dal cielo viene estromesso come nemico di I Una conferma viene dalla sorprendente successione del verbo È�ÉpX,OfJ.a.t in 20,8 (terminato il millennio, il Drago uscirà dal carcere dell'abisso per ingannare i popoli della terra, Gog e Magog) e di &va.�alvw in 20,9 («una volta radunati, salirono sulla spianata della terra e assediarono l'accampa­ mento ecc.»). Come in I J,I I, infatti, anche qui dalla terra si sale per essere attivi nella stessa terra, e anche qui il verbo &va�ai vw non è del tutto ade­ guato al suo complemento di luogo (cf. la versione CEI 1 97 1 che traduce: «marciarono su tutta la superficie della terra»). .2. Contro R. Yates, The Antichrist: EvQ 46 (1974) 50, che scrive: «La sua origine è in cielo». Quando viene menzionato per la prima volta, il Drago

SI

Dio. &:-va�at-vw descrive il «varcamento dei confini» in direzio­ ne opposta. In 9,2 per esempio, sale dalla voragine dell'abisso un fumo che oscura sole e atmosfera. Da quel medesimo abis­ so in I I ,7 e 17,8 sale la prima Bestia, quella stessa che secondo I J, I sale dal mare.1 Allo stesso modo, sciolto dall'abisso in cui era incatenato, il Satana sale sulla spianata terrestre con i suoi eserciti per l'ultima battaglia (20,9). Non dall'abisso, ma invece da Patmos (4, 1-2), o dalla piazza della città in cui sono rimasti insepolti per tre giorni e mezzo (I 1 , 1 2), salgono al cielo Gio­ vanni e, rispettivamente, i Due Testimoni, l'uno e gli altri chia­ mati al cielo da una voce celeste. Dall'orizzonte orientale, co­ me il sole, sale poi l'angelo che reca il sigillo del Dio vivente in 7,2. Per Giovanni dunque il cosmo è tripartito: in basso sta l'abisso tenebroso, in alto è il cielo, sede di Dio e dei suoi mi­ nistri, e in mezzo è la terra, luogo di contrastante influsso e di scontro tra le forze superiori del bene e le forze inferiori del male. 2 I confini sono netti, ma non sono invalicabili: separano la zona di origine, non la sfera di attività. Così l'origine degli angeli è in cielo, ma talora però essi varcano il confine del cielo scendendo sulla terra (Io, I ecc.) o nell'abisso (2o,I-3) e vi agi­ scono agli ordini di Dio. Dell'abisso, luogo della sua apparte­ nenza, Satana oltrepassa i confini, prima dando la scalata al cie­ lo (Apoc. I 2), e poi cercando complicità sulla terra per un rin­ novato assalto a Dio o al suo Messia ( I 2, I 8 ss.; I6, I J-I4; 20,8). Alla fine, definitivamente sconfitto, viene precipitato nello sta­ gno ardente di fuoco e zolfo (2o, ro), essendo costretto così per sempre entro i confini che gli sono propri. Tornando alle due Bestie, il loro salire dal mare e dalla terra si trova bensì in cielo (1 2,J), ma già come nemico della Donna messianica

e di Dio, e non quindi come cittadino del cielo. 1 Per l'identità tra la Bestia di 13, 1 e quella di 17,3 cf. Biguzzi, Settenari, 230 n. 38. 2 Cf. per esempio in 5,3 l'elenco delle tre zone che concorrono a compor­ re il cosmo, dove è detto che in esse non c'è alcuno in grado di aprire i si­ gilli del rotolo. Parlando della concezione cosmologica non di Apoc., ma della letteratura apocalittica in generale, E. Schi.issler Fiorenza, Apocalisse. Visione di un mondo giusto (BB 16), Brescia 1994 (Minneapolis 199 1 ) 39, scrive: «Il mondo diventa come un palazzo a tre piani: cielo, terra e sotto­ terra».

5 2.

è negativo, dunque, non per le due regioni cosmiche della loro occasionale venuta storica, bensì per la loro appartenenza me­ tastorica, detta con la preposizione preverbale &ve1-, del verbo � l ' Cl\ICli-'Cl L \IW.

' II. I DIVERSI AMBITI D AZIONE DELLE DUE BESTIE

1. L 'adorazione della Bestia

a dimensione ecumenica

Secondo I J,I -8 la Bestia-dal-mare non solo riceve dal Drago la sua potenza e il suo trono ( 1 3,2) ma, esattamente come lui, ri­ ceve l'adorazione di tutta la terra: «Allora la terra intera (oÀl} i} yij), presa d'ammirazione, andò dietro alla Bestia e adorarono il Drago perché aveva dato il potere alla Bestia, e adorarono la Bestia dicendo ecc.» ( I J,Jb-4)· Il raggio d'influsso della Bestia è dunque perfettamente co-estensivo con quello del Drago: tut­ ta la terra l'ammira e, come fa con il Drago, l'adora. In continuità con 1 3,3b-4, che in modo inequivocabile parla di un influsso della Bestia marina su tutta la terra abitata, de­ vono essere intese anche le affermazioni che seguono: «Le fu dato potere sopra ogni tribù, popolo, lingua e nazione» (v. 7b}, e: «L'adorarono tutti gli abitanti della terra» (v. 8). In astratto il v. 7b potrebbe parlare delle tribù e delle lingue ecc. di una so­ la e medesima regione, e «tutti gli abitanti della terra» del v. 8 potrebbero essere anch'essi gli abitanti di un'unica regione. Non però in Apoc. 1 e, soprattutto, non qui, a motivo di quella perfetta corrispondenza territoriale dell'azione di Bestia e Dra­ go, di cui si è appena parlato. La Bestia di 1 3, I viene dunque da un mare (per ora) impre­ cisato, ed è l'intera ecumene ad adorarla, con tutte le sue tribù, lingue ed etnie. Con la comparsa della Bestia-dalla-terra e per effetto della sua attivissima propaganda ( I J, I 2b- 1 7), la Bestia­ dal-mare è però oggetto di adorazione anche in una seconda, diversa modalità.

I Cf. il significato costantemente universale che ha l'espressione quadri­ partita di I 3,7 («su ogni stirpe, popolo, lingua e nazione») nelle ricorrenze parallele di 5,9; 7,9; IO, I I; I 1,9; 14,6; 17, 1 5 ·

53

2.

L 'adorazione della statua della Bestia in una diversa atmosfera

Il confronto tra le due adorazioni dice che l'adorazione di I J, 3b-4, quella che è a raggio certamente universale, si sviluppa in un'atmosfera di diffusa gratitudine nei confronti del Drago: «E adorarono il Drago perché diede il potere alla Bestia» (I 3, 4a}, e di diffusa ammirazione nei confronti della Bestia: «E fu presa da ammirazione tutta la terra al seguito della Bestia» ( 1 3, JC), «E adorarono la Bestia dicendo: 'Chi è come la Bestia?', e 'Chi può competere con essa?'». È dunque un'adorazione li­ bera e spontanea. La seconda adorazione invece non è sponta­ nea, ma indotta: «[La Bestia dalla terra] fa in modo che la terra e gli abitanti in essa, adorino ecc.» (I J,I 2b). Anzi, è forzata e vessatoria: «E fa che coloro che non adorano la statua della Be­ stia vengano uccisi . . E fa che quanti non hanno il marchio del­ la Bestia non possano comprare e vendere» ( I J , I 5 . 1 6- 1 7). In secondo luogo, l'adorazione promossa dalla seconda Be­ stia è offerta ad una statua cultuale, tra l'altro anch'essa costrui­ ta sotto comando e non spontaneamente. Questa adorazione è dunque iconica (mentre la prima adorazione era aniconica) e la necessità di una statua cultuale sembra essere dovuta all'assen­ za della Bestia marina nella regione in cui è attiva la Bestia ter­ restre. Le due Bestie sono insieme in I 6, I J, quando si coalizza­ no per la battaglia del grande giorno di Dio, e poi in I 9,20, quando sono sconfitte e precipitate nello stagno di fuoco e zol­ fo, ma nel tempo delle due adorazioni esse non si incontrano mai. È appunto per colmare la lontananza tra Bestia adorata e adoratori della seconda adorazione che si rende necessaria la statua cultuale. Si ha dunque una sorta di parousia cultuale per ovviare ad una apousia fisica. 1 In terzo luogo, per provocare quella meraviglia che nella pri­ ma adorazione era spontanea, la Bestia promotrice della secon­ da adorazione si avvale di prodigi come quello di far scendere fuoco dal cielo o come ranimazione della statua cultuale così .

I Cf. D.A. Desilva, The «lmage of the Beast» and the Christians in Asia Minor: Escalation of Sectarian Tension in Revelation 13 : TrinJ 12 (199 1 ) 204-205 : «Qui c'è bisogno d i una 'immagine della bestia' che rappresenti l"assente come presente'».

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che diventi statua parlante. Sono espedienti propagandistici di cui Giovanni non fa parola quando presenta la prima adorazio­ ne e con cui dunque caratterizza e contraddistingue la seconda. Tutto questo dice che la Bestia è oggetto di due distinte ado­ razioni. Ora si deve vedere come una sia caratterizzata dall'uni­ versalità e l'altra da un'estensione soltanto regionale. ·



L 'adorazione della statua della Bestia a dimensione regionale

Come già per la prima, anche per la seconda adorazione si par­ la (ben tre volte in tre versetti) di «terra»: «[La seconda Bestia] fa in modo che la terra e quelli che in essa abitano adorino la prima Bestia» (v. 1 2b), «e inganna gli abitanti della terra con i prodigi che le fu concesso di operare» (v. 14a), «dicendo agli abitanti della terra di fare una statua alla Bestia ecc.» (v. 14b) . Tutte e tre le volte però si parla semplicemente di «terra», non di «tutta la terra». A proposito della seconda adorazione, cioè, non compare mai l'aggettivo universalizzante oÀoç che, come s'è visto, compariva a proposito della terra adoratrice della Be­ stia marina e del Drago: «Fu presa da meraviglia tutta la terra (oÀ"r) � yij) al seguito della Bestia . . . e l'adorarono» (I J,JC. I4b), dove l'espressione oÀ Yì l) yl) è del tutto equivalente a olxou�J.É­ Vl), l'altro, unico termine geografico che Giovanni qualifica ri­ petutamente e pleonasticamente con l'aggettivo OÀoç (J, I O; 1 2, 9; 1 6,14)· Le due adorazioni, quella «della Bestia» e quella «della sta­ tua della Bestia», sono distinguibili dunque non solo per le mo­ dalità e per l'atmosfera, ma anche per l'ambito geografico e, se si vuole, per la differente universalità. La prima adorazione è ecumenica (cf. l'espressione oÀr, fJ yT,), l'altra è limitata a una regione (cf. l'espressione f. yl)): è cioè limitata alla terra dove è attiva la seconda Bestia e dove si trova la statua da essa fatta costruire e adorare. Se poi l'universalità della prima adorazio­ ne è geografica, quella della seconda è tutt'al più sociologica: «E fa che tutti: i piccoli come i grandi, i ricchi come i poveri, i liberi come gli schiavi, - ricevano un marchio ecc.» ( I J, 1 6). È un'universalità possibile ovunque, appunto anche in una regio­ ne limitata.

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In conclusione, «la terra» di I J, 1 2. 1 4a.b in cui la Bestia terre­ stre organizza il suo culto è probabilmente una regione che si distingue dall'ecumene di 1 3,3 .8 in cui la Bestia marina veniva già adorata.1 Questa importante deduzione di tipo geografico ha nel testo almeno due conferme: il fatto che in Apoc. 1 6 le due adorazioni siano colpite da flagelli distinti e la successione di «mare e terra» in I J,I . I I e non, viceversa, di «terra e mare». 4·

Flagelli distinti per gli adoratori della Bestia e per il suo trono

Nel settenario delle coppe Giovanni significativamente distin­ gue il flagello scagliato contro gli idolatri della Bestia che reca­ no il suo marchio e rendono omaggio alla sua immagine (pri­ mo flagello, 16,2) dal flagello che invece colpisce il trono della Bestia e il suo regno (quinto flagello, 1 6,1o) per cui, ancora una volta, «la terra» dell'adorazione della statua viene distinta dal regno dove la Bestia ha il suo trono, e dunque da «tutta la ter­ ra» di cui parlava I J,3h-4. C'è altro. La serie dei flagelli delle coppe è come divisa in due da un testo non narrativo (16,5 -7) nel quale l'angelo delle acque (vv. s-6) e l'altare (v. 7) commentano l'effetto del secon­ do e terzo flagello sulle acque del mare e, rispettivamente, sulle acque dolci. I flagelli le hanno trasformate in sangue come era accaduto nella prima piaga dell'esodo, e l'angelo delle acque in­ terviene non per difendere le acque cui presiede, bensì per dire che l'intervento di Dio è giusto: è giusto cioè che chi ha versa­ to sangue, sangue debba trangugiare, per una sorta di recipro­ cità più volte affermata in Apoc. , tra peccato e castigo che lo col­ pisce. I due blocchi di flagelli non soltanto sono separati, ma sono anche diversamente caratterizzati in esatta corrisponden• Non tiene conto di una tale diversità geografica per esempio M. Ober­ weis, Die Bedeutung der neutestamentlichen «Riitselzahlen>> 666 (Apk IJ, I8) und I 53 ljoh 2 I,I I): ZNW 77 (1986) 233, che scrive: «Probabilmente nelle due bestie è rappresentato l'impero romano da una duplice prospet­ tiva: il potere rivendicato ed esercitato sulla terra e quello esercitato sul mare, o qualcos'altro di analogo». Cf. anche R. Bauckham, La teologia del­ l'Apocalisse (LetB 1 2), Brescia 1994 (Cambridge 1993) 1 3 8, secondo cui la terra di I J, I 2.I4 è il mondo intero, come in I 6, 1 3- 1 4; e Lambrecht, People of God, 3 84, secondo cui l'azione della seconda bestia è worldwide.

za con le caratteristiche di adorazione ecumenica e adorazione regionale. Infatti, come la Bestia-dalla-terra mandava a morte chi rifiutava di rendere culto alla statua ( I J,I se), così i flagelli della seconda e terza coppa colpiscono i persecutori che hanno versato il sangue dei santi e dei profeti ( 1 6,6). D'altra parte, in­ vece, come la Bestia-dal-mare era ripetutamente contraddistin­ ta dalla bestemmia contro Dio ( I J, I . 5 a.6, ma cf. anche I7,3), così lo sono sia gli uomini colpiti dai flagelli della quarta cop­ pa ( I 6,9b), sia i sudditi del regno della Bestia colpiti dal flagel­ lo della quinta coppa (I6, I I ), sia, infine, gli uomini colpiti dal­ la grandine nella settima coppa (I 6,2 1 h). Gli schemi, anche geografici, di Apoc. 1 3 si prolungano dun­ que in Apoc. 16: da una parte il mondo della seconda Bestia, caratterizzato dalla «regionalità» e dalla persecuzione, e dal­ l'altra jl mondo della prima Bestia, caratterizzato dall'univer­ salità, dal potere politico e dalla bestemmia. 5.

La successione «mare-terra» e l'angelo di Apoc. 10

La successione per cui sulla scena di Apoc. compare prima la Bestia che viene dal mare (I J, I) e dopo, come seconda, quella che viene dalla terra ( 1 3, I I ) è meno scontata di quello che po­ trebbe sembrare. Lo dicono le formule che in tutte le lingue mettono istintivamente prima la terra e poi il mare, dal mo­ mento che l'uomo vive sulla terra e coglie ed esprime la realtà dalla prospettiva terrestre. I latini per esempio dicevano: terra marique, mettendo istintivamente prima la terra e poi il mare, con la stessa logica con cui dicevano ferro ignique, dal momen­ to che in guerra prima si espugna una città con le armi e poi la si dà alle fiamme. Per i greci basti citare Anassimandro per il quale «per prima cosa l'cX7tEtpov ha tracciato il perimetro di ter­ ra e mare», o Tucidide che impiega una trentina di volte la suc­ cessione «terra-mare» e una sola volta la successione «mare­ terra».1 La successione inconsueta di «mare-terra» in I J , I . I I ha una 1 Anassimandro, Testim. 1,8; Tucidide, 1,.2.,.2.,.2.; 1,1 J,5,3; 1,.2.4,6, 1; 1,1 10,4,4; .2.,.2.4, 1,.2. (ma cf. 2,4 1,4,6). Cf. anche Erodoto 6, 1 8,.2.; 7,49, 5; 8,64,4; Aristo­ tele, Mund. 39.2.b, 14; 396a,29; 396b,27 .

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sorprendente premessa in Apoc. I O. L'angelo forte che porge a Giovanni il piccolo rotolo, infatti, pone il piede destro sul ma­ re e il sinistro sulla terra (1 o,2b-c). Per moltissimi autori il ma­ re e la terra su cui l'angelo pone i piedi significherebbero l'uni­ versalità della sua missione e dei destinatari del rotolo che tie­ ne in mano. Ma non è così perché nelle formule bibliche di uni­ versalità cosmica «terra» precede e «mare» segue. Nella stessa Apoc. Giovanni mette sempre prima «terra» e poi «mare» (7, 1 . 2.3; 1 2, 1 2, e cf. anche 2o,8), con la sola eccezione appunto del­ l'episodio dell'angelo forte ( 1 0,2. 5 .8) dove per tre volte Giovan­ ni mette invece appunto prima «mare» e poi «terra».1 Questo significa anzitutto che per Apoc. I O e Apoc. 1 3 egli ha voluto creare una formula nuova, diversa da quella che gli era altri­ menti spontanea e, in secondo luogo, che in quella formula il mare è più importante della terra. Poiché in Apoc. 1 o la singolare successione «mare-terra» per la collocazione dei piedi dell'angelo è la stessa successione dei luoghi da cui vengono le due Bestie di Apoc. 1 3, non è impos­ sibile che «mare e terra» indichino gli ambiti geografico-politi­ ci (e non cosmici) contro cui Giovanni dovrà rivolgere i mes­ saggi del rotolo che, come Ezechiele, deve prendere e inghiot­ tire. Non per nulla, dopo che egli ha inghiottito il rotolo, gli vie­ ne detto: «Devi profetizzare ancora [e questa volta le tue profe­ zie saranno] contro 2 popoli, nazioni, lingue e re numerosi» . So­ no le profezie «politiche» di Giovanni di Patmos, come E.-B. Allo le chiama. 3 1 Nel trinomio (non binomio) che compare nel v. 6 la terra è significativa­ mente menzionata prima del mare (e dopo il cielo) proprio perché è in una formula cosmica e non in relazione ai piedi d eli' angelo: «il quale (= Dio) creò il cielo . . . e la terra. . . e il mare». z Giustamente per S. Hre Kio, The Exodus Symbol of Liberation in the Apocalypse and its Relevance for Some Aspects of Translation: BTr 40 ( 198 9) 1 34- 1 3 5, l'è1tt À11oi'ç x'tÀ., retto da 7tpOcpl)�EOOIXt, va tradotto non «riguardo a», ma «contro»: a conferma basti citare Erodoto 1,61: «Risaputo ciò che si faceva contro di lui (è7t'IXù'tci>) . . . ». Contro Swete, Apocalypse, 1 3 2, che scrive: «Giovanni non è inviato a profetare alla loro presenza (è7tt con gen.), né contro di essi (è1tt con ace.), ma semplicemente riguardo a essi (è7tt ÀIXotç x-tÀ.)» e contro W.J. Harrington, Revelation (SP 16), Collegeville 1 993, 1 1 6, che approva Swete. 3 Allo, Apocalypse, 1 2 5. Per questo paragrafo cf. una trattazione più dif­ fusa in Biguzzi, Settenari, 227-230. -

ss

In altre parole Giovanni dovrà rivolgere la sua parola profe­ tica sia contro il mare, ossia la Bestia marina, sia contro la ter­ ra, ossia la Bestia terrestre, attiva in una regione particolare.

6. Quale mare e quale terra Poiché, pur venendo dal mare, la Bestia sarà adorata da «tutta la terra» (IJ,J-4), nel v. 1 «mare» vuoi dire un mare sul quale si affacciano le molte regioni in cui abitano le tribù, i popoli e le etnie di cui parla il v. 7: «le fu dato potere sopra ogni stirpe, popolo, lingua e nazione». Il mare è la via di comunicazione che, toccandoli tutti e conducendo a tutti, unifica quei molti territori in un solo regno o impero. Difficilmente, poi, quel mare è un mare diverso da quello di Patmos, e non tanto in quanto Mar Egeo delle Sporadi, bensì come Mediterraneo sul quale si affacciano le molte regioni ed etnie di tutta l'ecumene. W. Hadorn dice per esempio che in I J, I .fJaÀa.aacx. è «il mare oc­ cidentale», e H. Conzelmann e A. Lindemann dicono del tutto esplicitamente: «Il mare . . . è in termini molto concreti il Medi­ terraneo, il mare nostrum dell'impero romano».1 La «terra» in cui svolge la sua attività la seconda Bestia è evidentemente una delle regioni di quel regno multietnico. Re­ gione che, nella storia, è stata identificata in vario modo, come ora si deve vedere. III. LA TERRA DI

Apoc.

I J,I I

' NELLA STORIA DELL INTERPRETAZIONE

I.

Interpretazioni escatologica e storico-ecclesiastica

Così come per l'identificazione di Babilonia, anche per quella delle due Bestie il primo richiamo da fare è al prezioso sinl W. Hadorn, Die Of fenbarung des ]ohannes (l'hHK NT 1 8), Leipzig 1 9z8, 1 39 («è da intendere geograficamente e si riferisce al mare che si tro­ va ad occidente»); H. Conzelmann - A. Lindemann, Guida allo studio del Nuovo Testamento (CSANT.S 1 ), Casale M. 1986 (Tiibingen 1975) J lZ. ­ Per D. Georgi, Die Visionen vom himmlischen ]erusalem in Apok 21 und 22 , in D. Liihrmann et al. (ed.), Kirche. Fs G. Bornkamm, Tiibingen 1980, 3 5 3, la Babilonia di Apoc. non può non essere intesa se non in riferimento realistico con il mare ed è anzi un porto che è al centro dei traffici e com­ merci mondiali (seebezogen, Welthandelshafen).

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cronismo di 17,10. Dicendo che il sesto monarca «è [presente­ mente]», l'autore dell'Apocalisse non sembra in nessun modo volere trasferire il lettore nei secoli XVI-XVIII per parlare né del papato né dei novatori protestanti, come si pretendeva al tem­ po delle controversie confessionali. Allo stesso modo che le interpretazioni storico-ecclesiastiche, sono da escludere quelle escatologiche: da quella di Ippolito (prima metà del III secolo) a quella del gesuita spagnolo F. de Ribera ( 1 591}, a quelle più recenti di Th. Zahn (1 924, 1926}, J. Sickenberger (1929}, o W. Foerster ( 1 93 8). A titolo d'esempio, per Ippolito e per de Ri­ bera la prima Bestia era l'Anticristo (termine, tra l'altro, che non ricorre in Apoc.) e la Bestia che sale dalla terra era il suo sommo sacerdote (Ippolito) o un predicatore insigne, suo pre­ cursore: «praedicatorem aliquem magnum, . . . praecursorem Antichristi» (de Ribera). 1 Come richiede 1 7, 1 0, le due Bestie vanno invece ambientate nel tempo e, per quanto ci riguarda qui, nella geografia religio­ so-politica di Giovanni. 2.

Interpretazioni di storia contemporanea

Già Vittorino (fine III secolo) intendeva la prima Bestia come Nerone, ma l'interpretazione «di storia contemporanea» si è affermata soprattutto in epoca moderna. La prima Bestia è identificata con Domiziano, mentre la seconda è la sapientia carnis (L. de Alcazar; scripsit 1614}, o sono maghi e mistifica­ tori come Apollonio di Tiana (Grotius; scripsit 1664}, la filoso­ fia pitagorica (J.-B. Bossuet; scripsit 1 689}, il sacerdozio paga­ no (Aubert de Versé; scripsit I 70J ), o Simon Mago (A. Loisy, 1 923). Questo tipo d'interpretazione, oggi largamente predomi­ nante, si muove però su due linee divergenti, a partire da due diverse identificazioni, appunto, della terra da cui sale la secon­ da Bestia: per alcuni la terra è la Palestina mentre per altri è l'Asia Minore. Per B. Murmelstein ( 1 929) per esempio la seconda Bestia è Erode il Grande, perché parlava la lingua dell'imperatore di 1 lppolito, Antichr. 48- 5o; F. de Ribera, In Sacram Beati Ioannis Apostoli et Euangelistae Apocalypsim Commentarii, Lugduni MDXCIII (Salmanticae 1MDXCI) 2S 8-259·

6o

Roma o Drago (cf. il «parlava come un drago» di I J, I I) e per­ ché offese la sensibilità giudaica innalzando le aquile romane (cf. l'elxw'll di I J, I 4) sulla porta del tempio e riproducendone l'immagine sulle monete (cf. il 'X.�PtX')'IJ.tX sulla destra di I J, I 6I 7). 1 Per J. Massyngberde Ford invece la prima Bestia è Ve­ spasiano, e la seconda Bestia è Flavio Giuseppe che fu profeta della sua acclamazione a imperatore, come si è già detto. Per questi autori la «terra» da cui viene la seconda Bestia è eviden­ temente la Palestina: di Erode, appunto, e di Flavio Giuseppe. Per altri la terra è invece l'Anatolia. Venendo dall'Asia Mi­ nore, per P. Touilleux ( 1 93 5) e per C. Spicq (I9 50) la seconda Bestia sarebbero i sacerdoti di Cibele, madre degli dèi, che ma­ nifestavano il loro lealismo a Roma prestando culto all'impe­ ratore regnante.1 Molti infine identificano il falso profeta con questo o quello dei promotori del culto imperiale in Asia: il partito filoromano (J. WeiB, I904), Plinio il giovane, inviato da Traiano in Ponto e Bitinia come proconsole straordinario (A. Vanni, I 929 ), il sacerdozio del locale culto del sovrano (R. H. Charles I 920; M. Rist - L.H. Hough, 1 989), 3 o lo stesso koinon I Cf. B. Murmelstein, Das zweite Tier in der Of fenbarung ]ohannis: ThStKr IOI ( 1 929) 452-454. 457· Si tratterebbe della dinastia erodiana per C. Tresmontant, Enquete sur l'Apocalypse: Auteur, datation, signification, Paris 1 994, 3 29 («è probabilmente la dinastia degli Erodi») e per il già cita­ to R. De Water. .1 Cf. P. Touilleux, L'Apocalypse et les cultes de Domitien et de Cybèle, Paris I 935; C. Spicq, L 'épitre aux Hébreux I (EtB), Paris I 9 5 2, I 36- I 38. Ma v. la critica di K. Prii mm, Mystères, DBS VI, Paris I 96o, I 1 I - I I J. - Pro­ veniente da Frigia (col santuario principale a Pessinunte) e Lidia, il culto di Cibele era conosciuto in Grecia già nel v secolo e passò a Roma nel 2o5 204 a.C. (con tempio sul Palatino). Cibele era dea delle montagne e della vegetazione, alla quale erano devote soprattutto le popolazioni agresti e in particolare le donne. Il suo culto era caratterizzato da riti d'iniziazione e soprattutto dal taurobolium, e cioè dall'irrorazione del fedele, fatto scen­ dere in una fossa, con il sangue di un toro. Numerose iscrizioni documen­ tano come il culto fu offerto a beneficio dell'imperatore soprattutto in epoca antonina. Da Roma si diffuse poi soprattutto in Gallia e in Africa. 3 J. Wei.B, Die Offenbarung ]ohannis. Ein Beitrag zur Literatur- und Reli­ gionsgeschichte (FRLANT 3), Gottingen I 904, I 7; A. Vanni, La data di redazione della «Apocalisse» di S. Giovanni e le «bestie» del capitolo 13 : SIFC 8 (I930) 1 26- 144· 1 83-2 19; R.H. Charles, A Criticai and Exegetical Commentary on the Revelation of St fohn 1 (ICC 14), Edinburgh 1920, 3 57 («il sacerdozio imperiale delle province»); M. Rist - L.H. Hough, The

d'Asia (W.M. Ramsay, 1 904; W. Barclay, 1 959; S.R.F. Price, 1984; S. Friesen 1993),' e cioè l'assemblea dei rappresentanti delle varie città asiatiche che si riuniva una volta l'anno e orga­ nizzava riti, feste, giochi e costruzioni di nuovi templi impe­ riali. L'interpretazione della «terra» di I J,I 1 come Anatolia ha a suo favore: I. il fatto che secondo 4, I le visioni di cui Giovanni è protagonista in Apoc. 4-22 (e quindi anche la vicenda delle due Bestie) sono in continuità con la cristofania di 1 ,9 ss. la qua­ le è ambientata a Patmos e non in Palestina; 2. il fatto che Gio­ vanni era coinvolto in prima persona con le sorti di almeno sette chiese d'Asia Minore e che per esse scrisse il suo libro; 3 . il fatto poi che le sette chiese d'Asia interessano Giovanni nella concretezza dei loro abitanti (cf. Antipa, Gezabele, i Nicolaiti ecc.), degli edifici o istituzioni (il trono di Satana) e delle loro scelte di vita cristiana mentre, privi di ogni concretezza stori­ ca, i luoghi palestinesi (Gerusalemme, il suo tempio, l'altare del tempio, i suoi cortili, il monte Sion, ecc.) sono in Apoc. pu­ ro simbolo. Quanto poi all'alternativa tra culto del sovrano e quello di Cibele, l'epiteto di pseudoprofeta dato alla Bestia­ dalla-terra conviene ai diretti promotori del culto imperiale meglio che ai sacerdoti di Cibele che di quel culto erano solo fiancheggiatori occasionali. Relegato nella pietrosa Patmos, se guardava a occidente Gio­ vanni vedeva venire dal mare nostrum la Bestia che si faceva rivale di Dio, mentre se si volgeva a oriente, all'Asia proconso­ lare delle sette chiese, vedeva il falso Profeta tutt'intento a pro­ muoverne il culto, intollerabilmente blasfemo. Revelation of St. fohn the Divine (l'sB 1 z) , Nashville 1989 C 1957) 464 («agisce come sacerdote del culto imperiale»). I W.M. Ramsay, The Letters to the Seven Churches ofAsia and their Piace in the Pian of the Apocalypse, London 1 904; Barclay, Revelation XIII, z93 («rappresenta l'organismo per la diffusione e l'incremento del culto im­ periale»); S.R.F. Price, Rituals and Power. The Roman Imperia/ Cult in Asia Minor, Cambridge 1 984; S. Friesen, Twice Neokoros. Ephesus, Asia and the Cult of the Flavian Imperia/ Family (RGRW 1 16), Leiden - New York - Koln 1993.

Capitolo 3

Le due idolatrie di Apoc. 8-16 a Efeso '

'1. L IDOLATRIA NEL NUOVO TESTAMENTO ' E NELL APOCALISSE

1.

L 'idolatria nell'esperienza quotidiana delle chiese

L'impatto con l'idolatria faceva parte inevitabilmente dell'espe­ rienza quotidiana delle chiese primitive perché in tutto il mon­ do greco-romano il culto degli dèi permeava ogni settore del­ l'esistenza, e l'irritazione attribuita a Paolo durante il suo sog­ giorno ateniese in Atti 1 7,16 era provata da ogni cristiano fer­ vente nella seconda metà del 1 secolo. All'interno del N.T. il te­ ma dell'idolatria però, in confronto con la sua frequenza nel­ l'A.T., è relativamente poco presente. Di idolatria si occupano con qualche ampiezza il libro degli Atti degli Apostoli (14,1 I 1 8; r 5,20.29, e 17, r 6 ss.; 19,23-41; 2 1,2 5) e l'epistolario paolino soprattutto nella lettera ai Romani ( 1, 1 8 ss.) e nelle lettere ai Co­ rinzi (1 Cor. 8-1o; 2 Cor. 6,1 4-7,1). L'idolatria di cui si occupano sia gli Atti che Paolo è quella in cui si rende culto agli dèi del panteon greco-romano e ai lo­ ro simulacri, coi problemi connessi come quello degli idolotiti. Anche Apoc. si occupa di questa idolatria: la descrive chiara­ mente in 9,10 (cf. anche 2 1 ,8; 22, 1 5) e si oppone al consumo degli idolotiti in 2, 14.20. Ma la battaglia di Giovanni di Patmos contro l'idolatria è ben più consistente di quanto non dicano quei pochi versetti. 2.

L 'Apocalisse e le due idolatrie

Dopo avere sbrigato l'idolatria «degli idoli e dei demoni» in poche battute all'interno del settenario di flagelli che la colpi­ scono, Giovanni dedica infatti ben otto capitoli a una seconda idolatria. Oltre che nel settenario di flagelli ad essa destinati

(Apoc. 1 5- 16), egli la descrive in ben tre capitoli di antefatti in cui introduce sulla scena la protagonista, la Bestia che si fa ado­ rare, e il suo mondo (Apoc. 1 2-14), e poi in un'ulteriore descri­ zione della Bestia e delle sue complicità (Apoc. 1 7), e infine nel racconto della sconfitta e della fine (Apoc. 1 8-20). A ciò si aggiunge l'accurata differenziazione delle due idola­ trie. L'idolatria degli idoli viene descritta in termini convenzio­ nali e stereotipati presi dall'A.T. 1 e viene accomunata a peccati e delitti comuni come il furto e l'omicidio (9,20-2 1). Giovanni presenta invece l'idolatria della Bestia con un'inesauribile ric­ chezza di immagini di suo conio o di immagini bibliche e mi­ tiche rielaborate creativamente. E poi si dilunga a qualificarla come emanazione satanica e parla del suo carattere blasfemo, della parodia e della concorrenza che oppone al governo di Dio e dell'Agnello. Parla della città in cui quell'idolatria ha la sua centrale, delle strutture politiche e militari di cui si avvantag­ gia, dell'attività propagandistica e delle tecniche di mistificazio­ ne e persuasione o costrizione con cui si procura consenso. Una ultima differenziazione è nei termini con cui si designa l'og­ getto di culto idolatrico: 9,20 parla di etÒwÀa, mentre in 1 3,14, e poi ripetutamente ( 1 J,I 5ter; 14,9. 1 1; I 5,2; I6,2; 19,2.0; 2.0,4) si parla di una e:txwv, e questo con tre caratteristiche che è molto istruttivo enucleare. Anzitutto, mentre il plurale di e:tÒwÀa par­ la di molteplicità e di genericità, il singolare di elxwv parla in­ vece di unicità. In secondo luogo, mentre non è mai detto di chi siano rappresentazione gli etowÀa, è esplicitamente detto che l' e:lxwv è immagine del .S'Ylptov che sale dal mare. In terzo luogo 'tÒ -8Yiptov, nonostante il suo genere neutro, viene tratta­ to come maschile almeno quattro volte: in I 3,8 (itpocrxuv+,aou­ atv (XtJ'tOV X'tÀ.), in I J, 1 4 ('tcf> .SYAptcp o� E'X,E:t 'tl)v 7:ÀYìi'�" X'tÀ .), in I 7,3 (.S'Ylptov ... yÉ!J.OV'ta ... 'éx.wv x-tÀ.) e in I 7, I I ( 'tÒ .S'Ylptov .••

X(XL' (XU'tO� X't)1. ) , , Oj' " ò00� ' EO"'ttV , •



Tutto dunque in Apoc. dice che la seconda idolatria, chiara­ mente caratterizzata come rivolta all'immagine di un uomo (cf. il maschile di I 3,8. 1 4 ecc.), agli occhi di Giovanni era mol­ to più minacciosa della prima. E tutto dice che era essa a costiI La formula di 9,20 («idoli d'oro, d'argento, di bronzo, di pietra e di le­ gno che non possono vedere né udire né camminare•) è da confrontare con Dt. 4,28; SaL 1 1 5 ,4-7; I J 5,1 5 -17, ma soprattutto con Dn. 5,4.23.

tuire il vero obiettivo del suo ardente zelo antidolatrico, degno di un Elia. L.L. Thompson interpreta dunque in modo insod­ disfacente molti capitoli di Apoc. quando afferma: «Il proble­ ma principale riguarda il rapporto dei cristiani con gli aderenti al culto tradizionale, piuttosto che il loro rapporto con il culto dell'imperatore». È invece più vicino al vero D.A. Desilva il quale scrive: «Giovanni non si riferisce alla religione tradizio­ nale come principale nemico della vera adorazione. Piuttosto egli sviluppa la sua polemica contro il culto imperiale, e lo fa con ampiezza e con grande abbondanza di particolari».1 Per chi eventualmente cerchi un riscontro storico nella si­ tuazione delle chiese d'Asia a questi dati letterari, la documen­ tazione più ampia circa l'una e r altra idolatria è quella offerta dalla Efeso della seconda metà del I sec. d.C. Per questo la du­ plice idolatria sarà qui evocata storicamente ed archeologica­ mente a partire soprattutto dall' Artemision efesino per l'idola­ tria tradizionale, e dal tempio che in quella metropoli fu edifi­ cato e dedicato al culto degli imperatori Flavi al tempo dell'im­ peratore Domiziano. II. L'IDOLATRIA TRADIZIONALE A EFESO

Gli Atti degli Apostoli ( 1 9,23-41) e gli apocrifi Atti di Gio­ vanni (n.ri 37-47) dicono come la missione cristiana a Efeso in­ contrasse un massiccio sbarramento nell'Artemision. Il tem­ pio, che sorgeva a circa due chilometri dal centro cittadino dell'epoca ellenistico-romana, è elencato tra le sette meraviglie del mondo antico in sedici delle ventiquattro liste giunte fino a noi e molti libri dell'antichità ne celebravano lo splendore e l'importanza.2 L'autopte Pausania (scripsit 1 6o- 1 8o d.C.) af­ ferma che i templi della Ionia erano senza rivali ma che in testa a tutti era l'Artemision efesino. 3 Quanto a dimensioni, era il massimo edificio di tutto il mondo ellenico ed il primo edificio di grandi dimensioni ad essere costruito interamente in mar1

Thompson, Book, 164, cf. 23 3 n. 54; Desilva, lmage, 20 1 . Per l e liste delle sette meraviglie cf. J . t.anowski, Weltwunder, PW.S x, 102 1 - 1024, per gli autori antichi che scrissero sull' Artemision cf. R. Oster, The Ephesian Artemis as an Opponent of Early Christianity: JAC I 9 ( 1976) 3 Pausania, Perieg. 4,3 1 ,8; 7, 5,4. 31.

1.

6s

mo. 1 Per le donazioni, i lasciti, i possedimenti, per i depositi bancari di cui era sede· internazionale, l'Artemision era un pi­ lastro dell'economia di Efeso e dell'intera Asia, come fa capire Elio Aristide (ca. 1 1 7- 1 78 d.C.), che chiama quel tempio «teso­ ro e forziere dell'Asia».2 Il simulacro di Artemide, riprodotto all'infinito sulle mone­ te, nelle statuette votive, negli ex-voto, nella decorazione delle case, nei mosaici pavimentali, nei templi su�cursali della regio­ ne e di tutta l'area mediterranea, si riteneva caduto dal cielo o da Zeus,3 e questo ne legittimava il culto con l'alone mistico di un'origine trascendente. La documentazione letteraria, numismatica ed epigrafica non lascia alcun dubbio sul fatto che Efeso si identificava con il suo Artemision più che con qualsiasi altra istituzione religio­ sa o civica,4 e tuttavia le fonti antiche e l'archeologia documen­ tano poi abbondantemente la presenza a Efeso, come è ovvio, di templi e di immagini per il culto per esempio a Zeus, alla dea madre, ad Afrodite, Apollo, Efesto, Asclepio, Atena, Demetra, Dioniso, Serapide. III. EFESO E IL CULTO DEL SOVRANO

I.

Il «neocorato» imperiale di Efeso sotto Domiziano

A Efeso comunque, accanto ai culti di Artemide e del panteon greco-romano, non mancava quel culto dell'imperatore di cui Apoc. si occupa con ampiezza e che dai tempi di Augusto ave­ va nelle province orientali e particolarmente nell'Asia procon­ solare il suo epicentro.5 Dalle monografie di D. Magie ( 1950) e 1

E. Akurgal, Ancient Civilizations and Ruins of Turkey, lstanbul 6198 5, 147· .1 Elio Aristide, Orat. 23,24 (citato da Oster, Ephesian Artemis, 34). 3 Cf. il Òto7tE't�>, via che dall'agora politico-amministrativa conduceva all'agora commerciale, contigua al porto. A parte il fatto che per essere eretto su di un podio elevato e in posizione centrale era ben visibile da gran parte della città, il tempio sorgeva dunque strategicamente proprio nel cuore della metropoli, a congiun­ zione dei centri politico e commerciale. L'immenso spazio ne­ cessario per gli impianti sportivi dedicati ai giochi domizianei furono invece ricavati nella zona animatissima del porto e del­ l'agora commerciale, ovviamente senza badare a spese o ad in­ teressi pubblici o privati. Così, al tempo di Domiziano, Efeso ricuperava lo svantag­ gio accumulato nel corso di più di un secolo (29 a.C. - 90 d.C.) nei confronti di Pergamo e Smirne, diventando anche ufficial­ mente città devota all'imperatore, oltre che ad Artemide, me­ diante la ristrutturazione di due aree urbanisticamente strate­ giche della città.

6. Il culto dell'imperatore quale nuovo centro di coesione Questa era la tendenza evidentemente non solo di Efeso ma del­ la provincia nella quale come nella metropoli la vita andava ri­ organizzandosi e trovando un nuovo centro di coesione nel­ l'omaggio al sovrano come artefice del comune benessere. Nel vissuto d'ogni giorno l'imperatore era il dio concreto e vicino. Egli era incarnazione della divina providentia, con l'appronta1 Cf. Thompson, Book, 177, per il quale la gente era in grado di cogliere la relazione tra centro religioso e centro politico «simply by walking the streets», e cf. il paragrafo intitolato: «The transformation of civic space» in Price, Rituals, I 36-146.

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mento di strutture e servizi sociali un po' dovunque, con le sue sovvenzioni in tempo di carestie, incendi e terremoti.1 Tra im­ peratore e province c'era come uno scambio reciproco, di pro­ tezione da una parte e di gratitudine dall'altra, per cui più che di culto dell'imperatore si dovrebbe parlare di culto del Bene­ fattore. 2 Si compiva così quel processo tipicamente ellenistico che aveva portato pian piano i cittadini della polis dell'epoca classica a sentirsi cittadini dell'ecumene. In un tempo nel quale oramai la polis, integrata nell'impero, non aveva un proprio e autonomo futuro, l'imperatore sempre più prendeva posto ac­ canto alle divinità civiche come protettore della città,J e ancor più come promotore della prosperità e dell'ordine del cosmo. Apoc. , oltre che libro di resistenza alla persecuzione, come si presenta a prima vista, è dunque un libro di resistenza all'ideo­ logia e allo stile di vita della pax Romana. Si spiega così come l'idolatria della Bestia polarizzi l'interesse e la conseguente con­ danna di Giovanni più che non l'idolatria tradizionale: non tan­ to o non solo a motivo del suo lato duro, quello della persecu­ zione, bensì soprattutto del suo lato suadente, e cioè dell'allet­ tante prospettiva del benessere che insidiava gli spiriti. ' IV. IL TEMPIO IMPERIALE E LA DATAZIONE ' DELL APOCALISSE

Quanto si è detto sul tempio imperiale costruito in età domizia­ nea a Efeso potrebbe essere in qualche modo indicativo per la data di composizione dell'apocalisse giovannea, prescindendo dal fatto che Domiziano abbia o no preteso titoli divini come di­ ce Svetonio,4 o abbia o meno incrementato il culto imperiale. 1

Botha, God, 90, esemplifica con il terremoto di Sardi. 87: «Culto del Benefattore sarebbe un titolo più indicato», con ri­ mando a M.P. Charlesworth, Some Observations on Ruler-Cult, Especially in Rome: HThR 28 ( 1 93 5) 8. 3 A. Yarbro Collins, Insiders and Outsiders in the Book of Revelation and its Social Context, in J. Neusner et al. (ed.), « To See Ourselves as Others See Us». Christians, ]ews, «Others» in Late Antiquity, Chico 1985, 21 5, scrive: «Gli imperatori erano ora adorati allo stesso modo con cui prima venivano adorate le divinità protettrici della polis. Il risultato fu che la vita quotidiana era incentrata non tanto sulla città-stato ma sull'impero». 4 Svetonio, Domit. 1 3,2. 2 Ibid.

Secondo D. Warden, per esempio, non c'è alcuna prova che Domiziano abbia promosso il culto del sovrano ad ampio rag­ gio e che in Asia quel culto, dove era tradizionale, da Domi­ ziano sia stato incrementato in qualche modo. Alla seconda precisazione, quella che riguarda l'Asia, Warden collega esplici­ tamente la questione della data, scrivendo: «Ne segue [dal fat­ to che Domiziano non avrebbe preteso titoli divini né favorito l'incremento del culto imperiale] che non c'è motivo di datare Apoc. agli ultimi anni del regno di Domiziano» . E aggiunge: «Tentare di fare questo significa confondere maldestramente pettegolezzo imperiale (imperia/ gossip) e intrighi romani con il Sitz im Leben della chiesa in Asia Minore». • Per il vasto mon­ do dell'impero egli cita Price secondo cui, durante i quindici anni di regno di Domiziano, fu costruito un numero minore di templi che non nei quindici anni precedenti e nei quindici se­ guenti. Per l'Asia, invece, e per Efeso in particolare, egli non può non ammettere il fatto della costruzione del tempio efesi­ no e della presenza di numerose iscrizioni dedicatorie in onore di Domiziano, e riconosce che il tutto poté essere avvertito co­ me una minaccia da parte dei cristiani, ma - dice Warden - que­ sto non comportò alcun cambio d'epoca nel versamento di san­ gue cristiano e nella consistenza del culto dell'imperatore. Warden insomma fa questione dell'edificazione di pochi o di molti templi. Ma per spiegare la composizione di Apoc. in fondo è sufficiente l'edificazione di un tempio soltanto: dopo­ tutto, in contrasto con i molti e:tÒwÀa dell'idolatria tradiziona­ le, Giovanni collega con l'altra idolatria una sola e:lxwv idola­ trica. Non è dunque illegittimo pensare che egli abbia reagito a fatti di rilevanza cittadina e provinciale come quelli della ri­ strutturazione urbanistica di Efeso nella zona dell'agora politi­ ca e in quella dell'agora commerciale presso il porto. E questo richiederebbe di ambientare la composizione di Apoc. non sot­ to Nerone come vogliono alcuni interpreti di Apoc., ma sotto Domiziano, anche se non proprio o comunque non necessa­ riamente alla fine del suo principato, come dice il testimonium Irenaei.2 I

Warden, Imperia/ Persecution, 2.07-2.08: 2.08 .1 Così Friesen, Cult, 24 5-2 50. - La datazione neroniana di Apoc. è soste­ nuta da A.A. Beli, The Date of]ohn's Apocalypse. The Evidence of Some •

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Forse Giovanni di Patmos ha visto i lavori di costruzione del tempio, o forse ha soltanto assistito o sentito parlare, esterre­ fatto !, di qualche festa o rito cittadino in onore del «divino» Domiziano. Senza farsi intimorire dall'uomo più potente della terra che tutti riverivano, lo ha definito «la Bestia», e contro il culto offertogli a Efeso dall'intera provincia asiatica stilò uno dei libri più aggressivi che mai siano stati scritti. Roman Historians Reconsidered: NTS .2.5 ( 1979) 93- 1 0.2.; R.B. Moberly, When Was Revelation Conceived?: Bib 73 (199.2.) 376-393; Wilson, Do­ mitianic Date, s 87-605 e Th.B. Slater, Dating the Apocalypse to fohn: Bib 84 (.2.003) .2.52-.2.58. L'argomento forte di questi tre autori è che Apoc. si ambienta nei turbolenti 18 mesi seguiti al suicidio di Nerone meglio che in qualsiasi altro tempo. Ma ciò che provocò la stesura di Apoc. è il micro­ cosmo di Giovanni e delle sue chiese piuttosto che gli eventi della politica internazionale. - F.G. Downing, Pliny's Prosecutions of Christians: Revela­ tion and 1 Peter: JSNT nr. 34 (1988) IOS-1.2.3, propone con forza la datazio­ ne di Apoc. all'epoca di Traiano.

Capitolo 4

Giovanni di Patmos, Patmos, e la «persecuzione» I. GI OVANNI DI PATM OS - GIOVANNI A PATMO S

I.

Giovanni di Patmos

L'autore dell'Apocalisse si attribuisce il nome di Giovanni quat­ tro volte: tre all'inizio (1,1 .4.9) e una alla fine del libro (22,8). Poiché egli fa ricorso a tanti elementi propri della letteratura apocalittica, bisogna anzitutto chiedersi se da quella letteratura non prenda anche la pseudepigrafia, e cioè la consuetudine di mettere uno scritto in spirituale continuità con l'opera di un grande protagonista religioso del passato attribuendone a lui la scrittura. Secondo l'ipotesi pseudepigrafica, dunque, un anoni­ mo autore della tradizione giovannea avrebbe attribuito Apoc. a Giovanni figlio di Zebedeo, autore anche del quarto vangelo. 1 L'ipotesi pseudepigrafica non può essere del tutto esclusa ma non ha un alto grado di probabilità dal momento che in Apoc. non ci sono gli indizi né i presupposti della pseudepigra­ fia. In Apoc. per esempio non c'è alcuna esaltazione agiografica dell' «autore» come si trova sia nell'A.T. per il Salomone del li­ bro della Sapienza, sia nella letteratura pseudepigrafica interte­ stamentaria per esempio per Enoc, sia infine nel N.T. per il Paolo delle Lettere Pastorali e per il Pietro di 1-2 Pt. Non si comprende cioè come un ammiratore di Giovanni di Zebedeo, che a lui attribuirebbe il proprio scritto ritenendolo un mae­ stro senza uguali, lo privi del suo impareggiabile titolo di apo­ stolo che pur conosce e celebra (21,14) e lo presenti invece co­ me fratello di cristiani inclini al compromesso, tiepidi, medioI È sostenitore del carattere pseudepigrafico di Apoc. per esempio 1. Becker, Pseudonymitiit der ]ohannesapokalypse und Verfasserfrage: BZ 1 3 (1 969) 1 o I- I 02. Per l'opinione contraria cf. invece 1.1. Collins, The Christian Ap­ propriation of the Apocalyptic Genre, in 19ooth Aniversary of St. ]ohn's Apokalypse. Proceedings of the lnternational and lnterdisciplinary Sym­ posium (Athens-Patmos, 17-26 September 1995), Athens 1999, 5 17- 5 1 8.

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cri e nient'affatto irreprensibili. Anche il comando di non si­ gillare le parole del libro (22, 10) va in senso contrario all'usua­ le finzione pseudepigrafica del ritrovamento di un libro scritto da qualche grande personaggio del lontano passato. Se il nome di Giovanni è reale, allora possono entrare in que­ stione Giovanni il Battista, Giovanni il Presbitero o Giovanni di Zebedeo. La sorprendente ipotesi che Giovanni il Battista abbia ispirato gran parte di Apoc. e che un suo discepolo l'ab­ bia cristianizzata è stata bensì proposta 1 ma com'era prevedi­ bile non ha incontrato alcun favore. Giovanni il Presbitero, di cui nell'antichità parla il solo Papia di Gerapoli,z. per essere preso in qualche considerazione dovrebbe essere il Presbitero che è autore di 2-3 Gv. (e in qualche stretto rapporto con l'au­ tore di I Gv. ), il quale però non chiama mai se stesso «Giovan­ ni». Le lettere poi si occupano bensì della vita interna delle chiese giovannee e delle loro crisi di crescita così come fa an­ che Apoc. 2-3, ma in esse i problemi delle comunità giovannee nascono da una disputa sulla venuta del Cristo «nella carne» (2 Gv. 7; cf. I Gv. 4,2) che poi portò alla spaccatura e alla seces­ sione ( I Gv. 2, 19), mentre in Apoc. l'autore è in contrasto con Nicolaiti e Gezabeliti circa la manducazione delle carni immo­ late agli idoli (2,6. 14- 1 5.20-24) e quindi circa il rapporto da in­ trattenere o no con l'idolatria che ispirava in grande misura la vita delle professioni e in genere delle città. Mentre poi nei confronti dei suoi destinatari l'autore delle lettere si sente in rapporto paterno («Figli miei, questo vi scrivo ecc.», I Gv. 2, 1 e passim; 3 Gv. 4), in Apoc. Giovanni si dichiara ripetutamente fratello sia dei profeti locali ( 22,9), sia dei semplici fedeli ( 1,9 ). Quanto infine allo stile, da un lato non c'è nulla di più mono­ tono della I Gv., e dall'altro nulla di più coinvolgente di Apoc. Resta Giovanni di Zebedeo. La tradizione antica - con pochisMassyngberde Ford, Revelation, �8-46, cf. in particolare p. 37· 2. Papia è citato da Eusebio, Hist. eccl. 3,39,4· - Oltre a Bousset, Moffatt, Lohmeyer, Lohse, per questa opinione cf. per esempio J.J. Gunther, The Elder fohn Author of Revelation: JSNT nr. I I (1981) 3-�o, e M. Hengel, La questione giovannea (SB 1 20), Brescia 1 998 (fiibingen 1 998) JOO-JOJ. - Tra gli autori contrari basti citare P. Prigent, L 'Apocalypse de Saint ]ean. Edition revue et augmentée (CNT 14), Genève 2000, 3 5, il quale scrive: «Ricorrere all'ipotesi del presbitero Giovanni è spiegare l'oscuro con il te­ nebroso». I

So

sime eccezioni - lo ritiene autore sia di Apoc. che del quarto vangelo,1 e non è facile disattenderla, perché per esempio Giu­ stino ha scritto a distanza di pochi decenni dalla composizione di Apoc. e lreneo era originario dell'Asia dove essa è ambienta­ ta. I sostenitori moderni della sentenza tradizionale spiegano le differenze di teologia e di stile tra Apoc. e quarto vangelo a partire dalla diversità di circostanze e di genere letterario o at­ tribuendo il quarto vangelo ad un autore diverso da Giovanni di Zebedeo. Le difficoltà che si possono sollevare contro que­ sta opinione sono almeno tre: 1 . L'immagine che l'autore di Apoc. dà di sé non è quella di chi è stato per anni a fianco di Gesù come suo discepolo, né quella del fondatore di una delle più ricche e influenti tradi­ zioni del N.T., né di chi quindi gode di quell'indiscussa auto­ revolezza che nel quarto vangelo si attribuisce al Discepolo Amato o di quella attribuita ai dodici apostoli dell'Agnello che sono collocati a glorioso fondamento della città escatologica in 2 1, 1 4. È invece un profeta-scrittore che trova rivali e opposi­ tori in piccole chiese locali e da essi vi è messo in difficoltà. 2. Quanto al vocabolario e al linguaggio, l'autore di Apoc. sembra comportarsi con il patrimonio giovanneo così come si comporta con i testi dell'A.T. che sempre sottopone a persona­ le rielaborazione. Quando per esempio nel vangelo un titolo cristologico è accompagnato dal genitivo «di Dio», l'autore di Apoc. usa il titolo assolutamente («Agnello di Dio» in Gv., «Agnello» in Apoc.) e viceversa ( «Logos» in Gv. , «Logos di Dio» in Apoc. ) E ancora: mentre nel vangelo i segni sono ope­ rati da Gesù per portare alla fede (2,1 1 ; 20,30-3 1 ), i grandi se­ gni di Apoc. sono ambientati nel cielo, non sono opera di Ge­ sù, non devono portare alla fede e uno di essi è il Drago, l'av­ versario per eccellenza. E ancora: l'autore di Apoc. osa descri­ vere il trono di Dio e perfino l'aspetto di Dio che è quello di due pietre preziose (4,3), mentre il vangelo afferma che «Dio, nessuno mai lo ha visto» ( 1 , 1 8, cf. anche 1 Gv. 4, 1 2). Se queste differenze possono essere dovute al variare del genere lettera­ rio, lo stesso non si può dire per esempio del differente concet.

I Così fanno Giustino, lreneo, Tertulliano, Clemente Alessandrino ecc., mentre le eccezioni sono quelle degli alogi, del presbitero romano Gaio e di Dionigi d'Alessandria.

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to di «giudeo»: in Gv. è un concetto prevalentemente negati­ vo, equivalendo a «chiuso alla fede in Gesù» e, se positivo, è con nettezza distinto dal concetto di «discepolo di Gesù» («la sal­ vezza è dai giudei», 4,22; cf. 9,22; I J,J J), mentre in Apoc. è ti­ tolo sempre del tutto positivo, negato all'Israele storico e riven­ dicato per la chiesa cristiana (2,9; J, 9; cf. 2 1 , 1 2-14). 3· In Apoc. il modo di narrare non è quello del quarto evan­ gelista. In Apoc. non c'è nulla della monotonia dei discorsi gio­ vannei. C'è invece una capacità ineguagliabile d'invenzione fan­ tastica e narrativa. Se il quarto vangelo si può paragonare a un fiume pigro e sonnolento, l'Apocalisse è invece un tumultuoso torrente di montagna che attraversa paesaggi sempre mutevoli e che a volte si inabissa per riemergere più oltre. Narra, infatti, lasciando al lettore di colmare lacune narrative, chiedendogli di vedere le immagini in evoluzione metamorfica o facendogli udi­ re un oracolo erratico alla prima persona singolare nel bel mez­ zo di agitati preparativi militari ( I 6, I 5) o tutt'una incalzante se­ quenza di frasi, miscellanea e sincopata, nel gran concertato fi­ nale ( 22,6-2 I ). In conclusione, sembra che l'autore di Apoc. sia vissuto nel­ l'ambito giovanneo, sembra che si chiamasse davvero Giovan­ ni, ma sembra essere un Giovanni diverso dal figlio di Zebe­ deo e un autore diverso dall'autore del quarto vangelo. Per esprimere sinteticamente tale complessità di dati letterari e sto­ rici, lo si può chiamare Giovanni «di Patmos». 2.

Giovanni a Patmos. Ipotesi di un soggiorno volontario

Sprovvista di qualsiasi rilevanza sia storica che simbolica, Pat­ mos, la piccola isola delle Sporadi nella quale I ,9 1 ambienta la vicenda di Giovanni, ben difficilmente fu da lui scelta come scenario fittizio del suo soggiorno.2 Ma non c'è consenso circa 1 Sull'autopresentazione di Giovanni in questo versetto e in Apoc., non dal punto di vista biografico ma letterario, cf. F. Bovon, ]ean se présente (Apocalypse 1,9 en particulier), in 19ooth Aniversary of St. ]ohn's Apoka­ lypse. Proceedings of the lnternational and lnterdisciplinary Symposium (Athens-Patmos, 17-26 September 199 5), Athens 1 999, 373-3 82. 2 Così vorrebbe un manoscritto della Volgata che traduce: fui in spiritu in

i motivi della sua effettiva presenza nell'isola. Da 1,9c (òt!X -tòv Àoyov 'tou -8-eou xat --r�v (J-llp-tuptav 'I Yìcrou) la tradizione antica e gran parte dei moderni traggono la conclusione che Giovan­ ni fu nell'isola in stato di confino. Le interpretazioni alternati­ ve ipotizzano una motivazione apostolica o la ricerca di condi­ zioni adatte alla rivelazione. La ricerca di un campo apostolico a Patmos da parte di Gio­ vanni è difficilmente credibile. 1 È ben vero che l'isola non era affatto disabitata 2 dal momento che, anche in mancanza di ri­ cerche sistematiche, la documentazione epigrafica occasionale la dice provvista di un ginnasio e fa di essa un centro del culto di Apollo e la sede di un tempio di Artemide.3 Nel ginnasio bi­ sogna tra l'altro ambientare una certa attività culturale animata da maestri e da conferenzieri di passaggio, e attorno al tempio di Artemide la festa annuale in onore della dea, d'ella durata di alcuni giorni almeno, alla quale certamente si accorreva dalle insula (citato da Zahn, Offenbarung I, I 8o- 1 8 I n. 5 ), e così affermano E. Lipinski, L'Apocalypse et le martyre de ]ean à ]érusalem: NT 1 1 (1969) 22 5, 23 1 e J.-P. Charlier, L'Apocalypse de saint ]ean. Écriture pour la fin des temps ou fin des Écritures?: LumVit 39 (1984) 42 1 . - Gli scrittori antichi che parlano di Patmos sono Tucidide 3,33; Strabone, Geogr. 10,5, 1 3, e Pli­ nio, Nat. hist. 4,23,3. Il primo ne parla narrando azioni belliche sulle acque dell'Egeo; il secondo e il terzo nella descrizione delle Sporadi e Cicladi. 1 Attribuiscono qualche grado di probabilità a quest'ipotesi Bousset, Cer­ faux-Cambier, Camps, Corsini e Thompson. Sono contrari Beckwith, Zahn («assurdo»), Lohmeyer, Hadom («incredibile»), Kittel, Behm, San­ ders, Feuillet, Kraft, Yarbro Collins (da escludere per motivi linguistici), U.B. Miiller («infondato»), M. Karrer, Beasley-Murray («improbabile»), Hemer e Klauck. z Contro J. Frings, Das Patmosexil des Apostels ]ohannes nach Ap 1,9: ThQ I04 ( 1 923) 26 {«isola desolata e povera di abitanti»); H. Kraft, Die Offen­ barung des johannes (HNT 1 6a), Tiibingen 1 974, 40 («piccola e povera di abitanti. Sul suo suolo non c'era una sola città»); U.B. Miiller, Die Offen­ barung des ]ohannes (ÒTK Ig), Giitersloh-Wiirzburg 1 984, 8 1 («molto scarsamente abitata»). 3 Cf. J.E. Renan, L'Antéchrist, Paris 1 873, 372. 373: «Nell'antichità greca Patmos fu fiorente e molto popolata. Si ha torto di rappresentarla come uno scoglio e come un deserto». Renan poi cita (p. 373 n. 4) M. Guérin se­ condo il quale all'epoca ellenistica l'isola aveva 1 2 000 o I J OOO abitanti. Cf. poi H.D. Saffrey, Re/ire l'Apocalypse à Patmos: RB 82 ( 1 975) 397· 398, che scrive: «Patmos non era affatto un'isola deserta, una di quelle isole da capre così frequenti nel Mar Egeo. Al contrario, era piena di vita ecc.».

isole vicine e da Mileto, Didyma e Efeso. 1 Patmos poi, per la sua particolare morfologia di isola a mezzaluna molto ricurva, metteva a disposizione di chi faceva rotta tra Roma e l'Asia pro­ consolare un porto naturale molto sicuro,1 l'ultimo tra Roma appunto e Efeso o Mileto, da cui distava un giorno di naviga­ zione.3 Nonostante tutto questo, però, per il numero ridotto di abitanti, e per la mancanza di entroterra, Patmos non si pro­ poneva affatto come centro di missione, soprattutto per uno come Giovanni che dal punto di vista della strategia missiona­ rià aveva fatto la scelta preferenziale della città, allo stesso modo di Stefano e di Paolo.4 Che Giovanni poi fosse a Patmos in cerca di rivelazioni è al­ trettanto improbabile. 5 Contro questa strana ipotesi, sulla scia di H.B. Swete e soprattutto di R.H. Charles, i commentatori ripetono puntualmente quattro argomentazioni: 6 1. in Apoc. Òta con l'accusativo significa sempre «a causa di l in conse­ guenza di», e mai «al fine di l per amore di»; 2. di fatto la stesI

Ibid. 397-398 (per le attività culturali) e 4 10 (per la festa di Artemide). Cf. Renan, Antéchrist, 375: «Patmos era una delle stazioni marittime più importanti dell'arcipelago, dal momento che è crocevia di molte linee, . . . una sorta d i emporio del mercato marittimo, un punto d'incontro utile ai viaggiatori». Ma cf. anche C.J. Hemer, The Letters to the Seven Churches of Asia in their Local Setting OSNT.SS 1 1 ), Sheffield 1986, 27, che defini­ sce Patmos «uno dei migliori approdi di tutto l'Egeo». 3 Cf. Renan, Antéchrist, 375. Lohmeyer, Offenbarung, 13 e A. Wikenhau­ ser, L'Apocalisse di Giovanni (NTC 9), Brescia 1960 (Regensburg 1 1 947) 49, precisano che si trattava di 14 ore di navigazione da Efeso. Oggi, con un'imbarcazione a motore, dai dintorni di Efeso a Patmos si impiegano circa cinque, sei ore. 4 Così Zahn, Offenbarung 1, 1 88 s. e D. Georgi, Who is the True Prophet?: HThR 79 ( 1986) 12 5. In effetti Giovanni pone la città al centro sia delle sue battaglie, sia dei suoi sogni, come dicono anche Karrer, ]ohannesoffenba­ rung als Brief, 259-260; Bauckham, Teologia, 1 5 1 («Il mondo cristiano dell'Apocalisse è un mondo cittadino») e J.-P. Charlier, Écriture, 428 s., il quale parla di «urbanismo di Dio» e scrive: «L'autore di Apoc. è un cittadi­ no, un cristiano che ama la città e si affligge per la caduta di Babilonia». s Non escludono l'ipotesi o ne sono sostenitori Bousset, Kraft, Sweet e Bauckham. Tra gli oppositori sono Renan, Antéchrist, 374 n. 1 («L'idea del­ la solitudine non ha nulla a che fare qui. L'isola era molto popolata»), U. B. Miiller («infondato»), e Prigent, secondo il quale Charles ha messo fine alla discussione sull'argomento nonostante il nuovo tentativo di Kraft. 6 Cf. Swete, Apocalypse, 1 2; Charles, Revelation I, 2 1 -22. :1

sa formula nei paralleli di 6,9 e 20,4 parla dell'uccisione dei mar­ tiri cristiani; 3 · la traduzione di Òt� con valore finale non spie­ gherebbe il fatto che Giovanni dica di essere, a Patmos, com­ partecipe coi fratelli asiati nella tribolazione ( I ,9) e infine 4· la tradizione antica ha sempre inteso 1,9 nel senso giuridico di provvedimento restrittivo delle autorità contro Giovanni. 3·

Giovanni a Patmos. Ipotesi di un soggiorno obbligato

La presenza di Giovanni a Patmos dunque era probabilmente dovuta a un provvedimento repressivo per avere egli in qual­ che modo disturbato l'ordine e la quiete pubblica o con il suo proselitismo o con Popposizione a istituzioni o consuetudini civiche. Quanto alla configurazione giuridica della pena inflitta a Giovanni le possibilità di solito prospettate sono tre. La prima è la damnatio ad metalla, cioè la condanna ai lavori forzati nelle miniere. 1 La damnatio veniva decretata esclusivamente dal tri­ bunale dell'imperatore ed era inflitta non a chi apparteneva al­ le classi elevate bensì alle persone libere di rango inferiore, ol­ tre che soprattutto agli schiavi.2 Era la pena più du�a dopo la pena di morte. Emessa la sentenza, il condannato cessava di ap­ partenere alla sua famiglia e diveniva proprietà dello stato in­ sieme con il suo patrimonio.3 Veniva marchiato col fuoco, gli si rasava a metà la capigliatura, doveva lavorare assicurato alle catene o ai ceppi e sotto sorveglianza militare. La damnatio era una pena di per sé in perp etuum anche se di solito, quando di­ veniva inabile al lavoro, il condannato veniva restituito alla fa­ miglia.4 1

Era opinione diffusa anche tra gli antichi: cf. Vittorino (PL Suppl. 1, 143· 144}, Girolamo (ibid. 1 43) e Primasio (PL 68, 796B}. Tra i moderni cf. Ram­ say, Salguero, Morris, Barclay. 2 Th. Mommsen, Le droit pénal romain 111, Paris 1907 (Leipzig 1 898) 290 n. 3· 295 · - Nonostante abbia scritto nel XIX secolo, questo autore resta il più documentato in materia di diritto romano e sarà citato ripetutamente. 3 Ibid. 111, 290-29 1. Mommsen aggiunge che, per essere distinto dagli schia­ vi, appartenenti allo stato ad altro titolo, chi era damnatus ad metalla ve­ niva chiamato servo o schiavo della pena (serous poenae). 4 Ibid. III, 293-294· 8s

La seconda e la terza possibilità erano la deportatio in insu­ lam e la relegatio in insulam. In tutti e due i casi si trattava del­ l'internamento o confino: in Sardegna, in Corsica, in un'isola dell'Egeo o in qualche oasi dei deserti dell'Asia e dell'Africa. 1 Tutte e due queste pene si infliggevano a coloro che apparte­ nevano alle classi più alte e con disponibilità di risorse econo­ miche perché il condannato non fosse a carico dello stato ma potesse essere mantenuto attingendo ai suoi stessi averi.2 Le due pene differivano in quanto la deportatio, in assenza di pre­ cisazioni, era perpetua, comportava la perdita della cittadinan­ za, la confisca del patrimonio e la pena capitale in caso di in­ frazione del confino. La relegatio invece poteva essere anche ad tempus, non modificava la capacità giuridica del condanna­ to, non comportava la confisca dei beni, né la pena di morte per il contravventore del confino.3 4·

Damnatio, deportatio o relegatio

Riguardo a tutti e tre questi modi di configurare il soggiorno forzato di Giovanni a Patmos ci sono difficoltà. Una damnatio ad meta/la difficilmente si può ambientare a Patmos perché nell'isola non esistono miniere. Esiste bensì una piccola cava di marmo, ma «il marmo bianco della montagna di Kynops o Ge­ noupas è di qualità mediocre» e «l'insieme dello sfruttamento della cava non va oltre il bisogno dell'isola».4 1

Cf. G. Sabatini, Deportazione: Novissimo Digesto Italiano v, Torino 1 960, 49 I. - In Sardegna furono per esempio deportati non solo papa Pon­ ziano e il suo presbitero Ippolito, nel 23 5, al tempo della persecuzione di Massimino il Trace, ma i cristiani «a centinaia»: così M. Pia, Deportazione, EncTr XII, Milano I93 I, 633. - In Corsica, è noto, fu esiliato Seneca (Oc­ tavia 382); per le oasi dell'Egitto cf. Digesto, 48,22,75 , 1 . 2 Mommsen, Droit III, 3 1 5, precisa che per l a stessa colpa gli appartenenti alle classi inferiori erano condannati ad metalla. Informazioni più partico­ lareggiate si trovano in V. Arangio Ruiz, Storia del diritto romano, Napoli 31.942, 2 5 1 . 3 Digesto 48,22,I7,2. Cf. Sabatini, Deportazione, 490. 4 G. Camps, Patmos, DBS VII, Paris I966, 74· Alla colonna precedente Camps scrive: «Non esistevano miniere né cave sfruttate dallo stato». J.N. Sanders, St fohn on Patmos: NTS 9 (I962- I963) 76, aggiunge che un con­ dannato ai lavori forzati non è nelle condizioni di potersi dedicare alla let­ teratura o di poter sopravvivere per farlo. Swete, Apocalypse, CLXXVII n. 1 e Hemer, Letters, 27, e n. 5 di p. 222, parlano di cave (non miniere) nella

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Contro la deportatio e la relegatio sta il fatto che nessun te­ sto dell'antichità elenca Patmos tra le isole Egee che la magi­ stratura d'epoca imperiale aveva selezionato come luoghi di pe­ na, tra le quali, secondo le fonti antiche, figuravano per esem­ pio le isole di Donousa, Kìnaros, Sèriphos, Gyàros. 1 In secon­ do luogo le due pene generalmente erano da scontare in luoghi remoti dal luogo di residenza o di attività, e invece Giovanni, chiaramente attivo in Asia,2 sarebbe stato al confino a neanche 5 0 miglia di navigazione da essa.3 In terzo luogo deportatio e relegatio erano pene per persone di rango e di qualche ricchez­ za e Giovanni difficilmente rispondeva a queste caratteristi­ che.• Di qualche peso a favore della relegatio è il fatto che essa potesse essere comminata anche da autorità provinciali se esiparte settentrionale dell'isola. - Contro la damnatio sono Zahn, Lohmey­ er, Hadorn («totalmente falso»), Feuillet e Yarbro Collins. 1 Per la mancanza di testimonianze antiche su Patmos come isola di confi­ no cf. soprattutto Saffrey, Re/ire, 398; G.B. Caird, A Commentary on the Revelation ofSt fohn the Divine (B'sNTC), London 11984, e 1966) 21 n. 2, e Renan, Antéchrist, 374 n. 1, il quale scrive: «Patmos non è mai stata tra le isole di confino» e aggiunge: «le isole di deportazione erano scelte espressamente perché non avevano né porti né città. Patmos ha invece ot­ timi ancoraggi e ospitava una città di discrete dimensioni». - Gli elenchi più completi delle isole di confino e degli autori antichi da cui si ricavano le informazioni sono in Saffrey, Caird e in E. Meyer, Seriphos, KPauly v, Miinchen 1975, 137 e Id., Gyaros, ibid. n, 884. 2 Che Giovanni sia stato espulso dall'Asia Minore lo nega solo Sanders, St fohn on Patmos, 76, il quale scrive: >}, sia Lambrecht, Opening, 205 . 209, che scrive: «Si deve riconoscere che l'atten­ zione riservata da Biguzzi al quinto sigillo è giusta», e che parla di «funzio­ ne cardine» del quinto sigillo per la trama di Apoc. 2. Per esempio A. Le Grys, Conflict and Vengeance in the Book of Revela­ tion: ExpT 104 (1992) 76, dopo aver parlato di conflitti sociali espressi nel linguaggio della persecuzione, scrive: «Tutti gli altri riferimenti alla perse­ cuzione oltre al martirio di Antipa e al confino di Patmos sono generaliz­ zazioni come per esempio quello di 6,9- 1 I ». Le espressioni di A. Le Grys meravigliano perché lui stesso riconosce l'importanza di 6,9- 10 quando, alla stessa pagina, circa i martiri del quinto sigillo giustamente dice che svolge un ruolo cruciale nel provocare, con quella richiesta di vendetta, la sequenza dei flagelli escatologici. 3 Si tratta dei martiri del giudaismo per Kraft, Feuillet, Corsini, Giblin e, invece, dei martiri neroniani per Bousset, Charles, Allo, Wikenhauser, Cer­ faux-Cambier. Per tutti cf. Sanders, Stjohn on Patmos, 78, che scrive: «Non è necessario che le anime dei martiri siano martiri asiatici. La chiesa di Ro­ ma aveva provveduto martiri a sufficienza».

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III. LE AUTORITÀ CO INVOLTE E L'EPOCA DELLA PERSECUZIONE r.

Persecuzione reale o crisi «percepita»

Gli episodi di ostilità anticristiana accertabili inApoc. sono dun­ que il confino di Giovanni a Patmos, l'eliminazione fisica di Antipa, le difficoltà sostenute in passato dalla comunità di Fi­ ladelfia e di Pergamo, quelle prevedibili e imminenti per la co­ munità di Smirne, i martiri probabilmente ancora asiatici di cui parla 6,9- 1 o, e poi il sangue cristiano versato a più vasto raggio secondo 1 6,6; 1 7,6; 1 8,24; 20,4. Di fronte al numero ridotto di episodi persecutòri che si ri­ esce ad accertare in Apoc. e di fronte alla tendenza di Giovanni all'enfasi e all'esagerazione, alcuni commentatori parlano di «crisi percepita (perceived crisis)». Essi non negano che in Apoc. siano presenti accenni alla persecuzione, ma sottolineano l'im­ portanza della consapevolezza di fronte ai fatti, più che l'im­ portanza dei fatti stessi. Essi dicono che ali'origine di ogni apo­ calisse sarebbe una diffusa situazione di sofferenza e, più sen­ sibile e lucido dei suoi interlocutori, l'autore apocalittico co­ glierebbe gli elementi di crisi e di essi renderebbe consapevole il suo pubblico. Prima del suo intervento la crisi non ci sareb­ be; dopo di esso, essendo percepita, la crisi diventerebbe psico­ logicamente e sociologicamente rilevante. 1 Quegli autori rendono possibile l'applicazione di questa analisi all'apocalisse giovannea con due operazioni. La prima è dunque quella di attribuire a Giovanni, quale autore apocalit4

Cf. Biguzzi, Settenari, I J I-1 33· - È giusto ma un po' eccessivo dire che l'Apocalisse è stata scritta non perché ci si trovava in difficoltà con l'am­ biente ma perché ci si difendesse dalle sue seduzioni; così H. Giesen, «Das Buch mit den sieben Siegeln». Heil fur Auflenseiter. Zum Zweck der ]o­ hannesoffenbarung, in 19ooth Aniversary of St. ]ohn's Apokalypse. Pro­ ceedings of the lnternational and Interdisciplinary Symposium (Athens­ Patmos, 17-26 September 1995), Athens 1999, 5 83-603 (in particolare pp. 6o1-6o3). I Cf. Yarbro Collins, Crisis, 84: «L'elemento cruciale non è tanto se uno sia realmente oppresso, quanto invece se si senta (feels) oppresso• (corsivo nel testo), ma cf. soprattutto Thompson, Book, 28, che cita Rowland e scrive: «Le dimensioni della crisi sono evidenti solo attraverso l'angolo di visione dell'autore. La crisi diventa visibile attraverso la conoscenza indotta da un'apocalisse; prima di quella conoscenza non esiste alcuna crisi».

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tico, un ruolo determinante prima nell'avvertire e poi nel con­ figurare agli occhi delle chiese d'Asia come persecuzione san­ guinaria quella che era solo una diffusa crisi di rapporto con l'ambiente.1 La seconda è la riabilitazione dell'imperatore Do­ miziano che va sollevato sia dalle accuse di crudeltà montate contro di lui dagli storici di corte del suo successore e rivale Traiano, sia da quella di Eusebio di Cesarea che ha fatto del terzo imperatore Flavio un persecutore di cristiani senza che egli lo sia stato.1 Questi commentatori dicono senza dubbio cose interessanti sulla psicologia di Giovanni di Patmos e sugli scrittori di corte di epoca traianea, ma si può dubitare sulla reale precedente mancanza di consapevolezza circa la persecuzione da parte de­ gli interlocutori di Giovanni. Il testo di 6,9- 1 0 infatti dice co­ me Giovanni risponda a una precisa, preesistente crisi di teodi­ cea. In altre parole Giovanni ha trovato diffusa nelle sette chie­ se, e non ha affatto prestato ad esse, l'obiezione sul silenzio di Dio di fronte al persecutore. Se la persecuzione era oggetto di comune consapevolezza, la reazione era però differenziata: c'era chi da una parte chiedeva un intervento pronto di Dio contro i persecutori, come esigeva la sua natura di Sovrano giusto e verace e, dall'altra, c'era Giovanni che parlava di testi­ monianza fedele anche nella bufera. 2.

Intolleranza popolare e iniziativa delle autorità

Quanto alla provenienza delle ostilità anticristiane in Asia si possono fare solo ipotesi. Per il tempo di Paolo, e dunque già I Cf. in Yarbro Collins, Crisis, il titolo «The Social Situation - Perceived Crisis» (p. 84) e p. 77: «Giovanni fu più attivo di quanto di solito si pensi. Piuttosto che semplicemente consolare i suoi compagni di fede in situazio­ ne di grave crisi, egli scrisse per far notare una crisi che molti di essi non percepivano». - Cf. la critica di Prigent, Apocalypse, 54· 2. Cf. il capitolo intitolato «Domitian's Reign: History and Rhetoric•, in Thompson, Book, e poi le pp. I s-I6, e Warden, Imperia[ Persecution, 206207. - Eusebio a sua volta cita Melitone di Sardi che abbina Domiziano come persecutore a Nerone (Hist. ecci. 4,26,9); ma cf. anche Tertulliano, Apol. 5,4 (PL I, 344), con la famosa definizione di Domiziano quale portio Neronis de crudelitate.

per gli anni 50, l'autore degli Atti degli Apostoli ambienta ad Efeso il tumulto popolare nato dalla protesta degli argentieri che prosperavano all'ombra dell' Artemision. I Luca definisce «non piccolo» quel tumulto (Atti 1 9,23), vi vede una possibile occasione di commettere qualcosa di inconsulto e di irreparabi­ le (v. 36) e giuridicamente giunge a configurarlo come cr'tlicnc; (sommossa, v. 40) passibile di citazione di fronte al tribunale proconsolare (v. 38). Luca poi attribuisce alla folla il sequestro di Gaio e Aristarco (v. 29), mentre il consiglio giunto a Paolo dagli asiarchi di tenersi lontano dal luogo di assembramento (v. 3 1 ) comporta che Paolo corresse pericolo fisico. Per i lettori di Luca era dunque credibile il racconto di un tumulto popolare in cui i cristiani erano esposti a violenze fisiche e anche al ri­ schio della vita. E questo potrebbe essere il quadro entro il qua­ le immaginare l'uccisione di Antipa a Pergamo. 2 Se per la morte di Antipa può essere fatta l'ipotesi di un lin­ ciaggio popolare, bisogna invece chiamare in causa qualche au­ torità per il carcere di cui si parla in 2,1 0 per Smirne. Ma ci si deve chiedere di quali autorità potesse trattarsi. 3.

Persecuzione in Asia, autorità responsabili e datazione dell'Apocalisse

Le indicazioni storiche di Apoc. sulla persecuzione sono og­ getto di dibattito tra i sostenitori della sua datazione neroniana Sui risvolti giuridici dell'episodio cf. R.F. Stoops, Riot and Assembly. The I Social Context ofActs 19,.2J-41: JBL 108 (1 9 89) 73- 9 1; R. Selinger, Die De­ metriosunruhen (Apg 19,.2J-40). Eine Fallstudie aus rechtshistorischer Per­ spektive: ZNW 88 (1997) 249-259 . .1 Così pensano Hadorn, Lohse, Schiissler Fiorenza, Beasley-Murray, Thompson. - Ritengono il martirio di Antipa dovuto invece alle autorità romane e legato al problema del culto imperiale per esempio Allo, Salgue­ ro, Morris, Klauck. Per Ramsay, Swete e Brii tsch, Antipa potrebbe essere stato un predicatore itinerante - non dunque necessariamente un cittadino pergamena - portato davanti al tribunale provinciale di Pergamo da qual­ cuno dei paesi attorno. Per Kraft, Offenbarung, 65, infine, !J.apTu� potreb­ be significare «testimone della resurrezione»; Antipa potrebbe essere uno dei soo fratelli di r Cor. I 5; potrebbe essere morto di spada e, quindi, do­ vrebbe essere stato un personaggio altolocato; e, infine, dovrebbe essere sta­ to martirizzato al tempo di Traiano. Le speculazioni a catena di Kraft sono a ragione giudicate non convincenti da Klauck, Sendschreiben, 1 64 n. 4 s.

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da una parte, e di quella domizianea dall'altra. Il punto del contendere è se Domiziano abbia o no perseguitato i cristiani. Se Domiziano è stato un persecutore, allora la datazione do­ mizianea di lreneo diventa credibile. 1 Se invece Domiziano non è stato persecutore, la composizione di Apoc., che appunto par­ la di una persecuzione recente, va ambientata piuttosto nel 69 d.C., l'anno turbolento che seguì il suicidio di Nerone. La discussione, però, non deve essere posta in questi termi­ ni. Le fonti antiche o gli eventi storici. non sempre sono equi­ parabili perché non sono sempre della stessa natura. Per quan­ to ci riguarda, per esempio, altro è un episodio di intolleranza popolare come quello di Atti 19, altro sono un processo e una esecuzione capitale messi in atto in nome della legge. In secon­ do luogo, quanto ai processi, quelli condotti dalle llJ.agistrature locali sono altra cosa da quelli celebrati da un proconsole im­ periale come Plinio (Ep. 10,96). Quanto ad Apoc., di certo vi si trovano informazioni omogenee a quelle delle fonti su Nerone e di Plinio, ma si trovano nei testi di Babilonia ebbra del san­ gue dei martiri, proprio perché parlano di persecuzione extra­ asiatica. Il discorso che si deve fare per l'Asia è però un altro, anzitutto perché come si è detto le città si autoamministravano in base alle proprie antiche consuetudini giuridiche, e poi per­ ché i romani impegnavano le loro forze d'ordine nelle zone calde dell'impero mentre nelle province più tranquille - come quella d'Asia che, significativamente, era provincia senatoriale - lasciavano il mantenimento dell'ordine pubblico alla polizia e ai tribunali del luogo, soprattutto dei singoli municipi. 2 I Ireneo, Haer. s,JO,J (e Eusebio, Hist. eccl. J, I 8,r). Ireneo fu seguito da Ippolito, Origene, Vittorino, Eusebio, Girolamo. - Comunque, una con­ ferma circa le iniziative anticristiane delle autorità imperiali di quel tempo viene dalla lettera di Plinio il Giovane all'imperatore Traiano che fa riferi­ mento a quanto era accaduto vent'anni addietro (ante uiginti: Ep. 10,96,6). 2. Cf. per esempio A.N. Sherwin-White, Roman Society and Roman Law in the New Testament, Oxford 1963, 98: «Solo i governatori di province di frontiera avevano a disposizione consistenti forze militari. I proconsoli e i legati delle province più tranquille avevano poche unità, se pur ne ave­ vano»; Beli, Date, ror: «Pensare che i romani potessero imprigionare i cri­ stiani significa presumere che avessero soldati o forze di polizia per farlo. Non c'erano truppe romane stanziate in Asia, che era una provincia sena­ toriale . . . Se si fa eccezione per le grandi metropoli dell'impero o per seri problemi sociali come il banditismo, i romani lasciavano il normale man-

Al tempo in cui Apoc. è stata scritta, perciò, le autorità re­ sponsabili per le misure anticristiane in Asia Minore probabil­ mente non erano le autorità romane ma quelle municipali. In altre parole, si deve affermare qui qualcosa di analogo a quan­ to si è detto a proposito del provvedimento di confino di cui fu vittima Giovanni. Come in quel caso le informazioni delle fonti antiche sulla deportatio o sulla relegatio in insulam non necessariamente spiegavano la presenza di Giovanni a Patmos perché Giovanni non era un cittadino romano di classe medio­ alta ma un vagus, così le difficoltà sperimentate a livello muni­ cipale dalle chiese di Pergamo, Tiatira e Smirne ecc. non sono da mettere in relazione con procedure come quelle attuate in Biti­ nia da quell'alto funzionario imperiale che era Plinio. Se così è, allora è fatica sprecata cercare di giustificare i testi di Apoc. che parlano di versamento di sangue cristiano ricorren­ do all' effugium della persecuzione non reale ma «percepita». La persecuzione era reale e va affermata in ogni caso (come esige il testo di Apoc. ) anche se Domiziano non è stato persecutore di cristiani. In secondo luogo, la datazione domizianea di Apoc. fornita da Ireneo non è di per sé affatto impossibile, la si può anzi ritenere più probabile di quella neroniana e di quella traianea (cf. il capitolo precedente) ma, per correttezza meto­ dologica, non può essere affermata a partire dai testi che in Apoc. parlano di persecuzione. La ragione fondamentale è che, in fondo, l'Apocalisse riflette il modesto mondo di piccole co­ munità cristiane di provincia, nonostante le sue immagini miti­ che e nonostante il suo gigantismo. Comunque sia, anche se cioè parla del provvedimento di confino nei confronti di un profeta del tutto sconosciuto negli ambienti imperiali e anche se parla della sofferenza di piccole comunità e dell'azione ostile di magistrati locali, l'Apocalisse resta pur sempre un libro di martirio e di invito al martirio. Non per nulla J. Schmid, M. Dibelius ed E. Lohmeyer defini­ scono Apoc. «un appello al martirio», «un vero e proprio manuatenimento dell'ordine pubblico all'iniziativa locale»; Price, Rituals, 2: «Da­ l'esiguità del personale, il governatore poteva fare poco più che trattare i casi legali più importanti. I municipi continuavano a gestirsi da se stessi ed erano essi, più che Roma, punto di riferimento per gli abitanti». E infi­ ne cf. soprattutto l'intero articolo di Warden, Imperia/ Persecution. ta

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le per il martirio della chiesa» e, rispettivamente, «un libro per martiri scritto da un martire» . 1 1 J. Schmid, Zur Textkritik der Apokalypse: ZNW 43 ( 19 50-5 1 ) 1 19 («Auf­ forderung zum Martyrium» ); Dibelius, Rom, 2 1 8 ( «das eigentliche Marty­ rerbuch der Kirche» ); Lohmeyer, Offenbarung, 1 98 ( «das Buch eines Mar­ tyrers fiir Martyrer» ). Cf. poi Zahn, Offenbarung 1, 1-4, che scrive: «Da nessun altro libro biblico come da Apoc. i cristiani hanno attinto sostegno nelle sofferenze della persecuzione e coraggio per confessare la loro fede con la parola e con il sangue». - Nell'antichità Apoc. è stata subito il mani­ festo del martirio cristiano. È infatti con le sue parole che le passiones martyrum narrano la vicenda di chi patisce e muore per la fede. Così, il martire va dove il Cristo lo conduce (Apoc. 1 4,4; cf. la lettera delle chiese di Lione e di Vienne, in Eusebio, Hist. ecci. 5,1,1 0, ma cf. anche 5,1,5 8); i cristiani perseguitati sono le stelle del cielo travolte dalla coda del Drago (Apoc. 1 2,3-4; cf. Mart. Pionii 1 2,3); e il «confessore» non accetta il titolo di martire per lasciarlo al solo Cristo, (Lcip'tuç fedele (Apoc. 1,5 e 3,14; cf. Eusebio, ibid. 5, 1,58). Il martire poi è colui che persevera nella giustizia mentre il persecutore persevera nell'empietà (Apoc. 22,1 1; cf. Eusebio, ibid. 5,2,3) e, ancora, l'apostata diviene preda della «Bestia» (Apoc. IJ,I ss.; cf. Eusebio, ibid. 5,2,6), mentre il martire è portato davanti al trono di Dio e davanti ai Vegliardi per udire il canto incessante del trisagion, come Gio­ vanni in Apoc. 4 (Passio Perp. 1 2,1-4).

Parte seconda

Linguaggio

Capitolo 5

Una grammatica delle immagini e delle tecniche narrative Nel 1900 E.W. Benson diede a un capitolo della sua introdu­ zione all'Apocalisse il titolo di «A Grammar of Ungrammar» grammatica delle sgrammaticature. Con quell'ossimoro Benson voleva parlare delle selvagge trasgressioni di Apoc. soprattutto nel campo delle concordanze di caso, numero e genere. Prima e dopo Benson, studiosi come Bousset, Charles e Allo e più re­ centemente Mussies e Aune hanno catalogato e sistematizzato le irregolarità grammaticali del libro di Giovanni.1 Ma c'è un'al­ tra grammatica che bisognerebbe scrivere: quella delle immagi­ ni e delle narrazioni dell'Apocalisse, che non sono meno sor­ prendenti dei suoi solecismi filologici e che con essi contribui­ scono a dare vita allo stile «inimitabile» di Apoc., come M.- É . Boismard lo chiama.2 Le «sgrammaticature» figurative e narrative di Apoc. hanno attirato poca attenzione: al massimo si_ è parlato di «stranezze» (l'étrange, P. Prigent, 1 982), di «eccentricità logiche e crono­ logiche» (M.E. Boring, 1 989), o di descrizioni che «sfidano i normali concetti» (G.K- Beale, 1999), ma senza approfondi­ menti. Per questo, qui sotto si farà il tentativo di inventariare le anomalie delle immagini e delle narrazioni giovannee in una grammatica sui generis: una grammatica che, anche se non esau­ stiva, anzitutto contribuisca alla conoscenza del particolare lin­ guaggio di Giovanni e, in secondo luogo, mostrando la conti­ nuità di quel linguaggio in tutto il libro, insinui e in qualche misura comprovi l'unicità dell'autore di Apoc. 1 E. W. Benson, The Apocalypse. An Introductory Study of the Revelation ofSt. ]ohn the Divine, London 1 900, 1 3 1 . Cf. anche E.-B. Allo, Apocalypse, DBS 1, Paris 192.8, 308, che scrive: «Bisognerebbe scrivere una grammatica speciale per questo libro le cui stranezze sembrano obbedire a una sorta di regola soggettiva». 2. M.-É. Boismard, «L'Apocalypse», ou «les Apocalypses» de S. ]ean: RB 5 6 (1949) 509.

I OJ

I. SINGOLARITÀ DELLE IMMAGINI GIOVANNEE r.

I canti di descrizione

Quando introduce nella vicenda un nuovo protagonista o quan­ do ripropone un personaggio in una fase nuova di essa, Gio­ vanni descrive al lettore quel personaggio con una sorpren­ dente ricchezza di dettagli soprattutto anatomici. Succede al­ lora come se una telecamera indugiasse a riprendere una per­ sona o un animale, dettaglio per dettaglio. Detto in termini di generi letterari, il risultato sono «canti di descrizione» (Be­ schreibungslieder). 1 Il primo e più ampio dei canti di descrizione è quello del «Si­ mile a Figlio d'uomo» ( I , I 2- I 6). L'ordine secondo cui i vari ele­ menti vengono passati in rassegna sembra essere quello per cui l'occhio del veggente coglie dapprima tutta la persona (veste lunga fino ai piedi, con cintura d'oro, v. 1 3b), poi la sua parte superiore (testa, con i capelli e gli occhi, v. I 4), poi quella infe­ riore (i piedi, V. I 5a), e infine gli elementi centrali (voce, V. I 5b; destra che regge sette stelle, v. I6a; spada che esce dalla bocca, v. 1 6b ), per arrestarsi infine sul volto splendente come il sole (v. 1 6c). I sette elementi della visione sono da decodificare uno al­ la volta. La descrizione, insomma, non mette davanti ad una fo­ tografia ma a un dipinto divisionista la cui frammentarietà cro­ matica disturba l'occhio di chi lo contempla troppo da vicino e la cui armonia e ricchezza si colgono invece stando a giusta distanza. In secondo luogo, i dettagli descrittivi di per sé potreb­ bero essere di numero maggiore, perché all'autore importava non comporne un elenco completo ma suscitare un'impressio­ ne - l'impressione di severità e gloria -, e di mettere i lettori al­ la presenza di Uno che è partecipe dell'eternità, dello splendo­ re e del giudizio di Dio, e che ispira venerazione e timore. 1 Per i canti di descrizione, o Beschreibungslieder, ci sono precedenti e pa­ ralleli. Basta pensare al Cantico e alle sue descrizioni della bellezza fisica dell'amata (Ct. 4, 1 - 5; 6,4-7; 7,.1- 10) o dello sposo (Ct. 5,1o-16), anche se i modelli di Giovanni sono nel libro di Daniele. Per esempio, la descrizione dell'uomo vestito di lino (Dn. 10,5 -6) ha ispirato la descrizione del «Simi­ le a Figlio d'uomo� (1,12-17), mentre la descrizione delle quattro bestie (Dn. 7,3-8) ha ispirato la descrizione della Bestia che emerge dal mare ( 1 3, 1-.1). Cf. poi anche l'immagine dell" Antico dei giorni' in Dn. 7,9- 10, e poi 2 Hen. 1,..- 5; 4Q 1 86 (4QCryptic) 1, I-In; .1,1; 4Q561 (4QHor. ar.) 1, 1 -11; 2.

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Altri canti di descrizione presentano i Ventiquattro Vegliar­ di e i Quattro Viventi (4,4 e 4,6-8), l'Agnello (5 ,6), i cavalli e cavalieri dei primi quattro sigilli (6, 1-8), e poi - con numerosi dettagli - le cavallette della quinta tromba (9,7- 1 0), la cavalle­ ria infernale della sesta tromba (9, 1 5-19), l'angelo forte di Apoc. 1 o che porge a Giovanni il piccolo rotolo (vv. 1 -2 ), la Donna e rispettivamente il Drago che insidia il suo nascituro ( 1 2, 1 -2 e 1 2,3-4), la Bestia che sale dal mare ( I J,I-J, cf. anche 17,3) e la Bestia che sale dalla terra ( I J, I I), la Grande Prostituta (1 7,4-6) e, infine, il Cavaliere vittorioso, o Logos di Dio, con i suoi eser­ citi ( 1 9, 1 1-16). Uno studio particolareggiato di queste descri­ zioni non è qui necessario, ma si possono fare al riguardo tre osservaztont. La prima riguarda la grande varietà dei soggetti descritti, che vanno dal Cristo ai demoni, da adoratori celesti alla Gran­ de Prostituta, e così via. Quello della descrizione a frammenti è dunque uno strumento duttile per mettere in scena qualsia­ si protagonista, maggiore o minore, umano o animale, positivo o negativo. La seconda osservazione riguarda lo scopo: lo sco­ po dei Beschreibungslieder è quello di dire l'identità interiore e la fisionomia morale dei personaggi attraverso la descrizione dell'aspetto esteriore, perché - si potrebbe dire - non c'è nulla di esteriore che non sia anche interiore. Il terzo rilievo riguar­ da il diverso aiuto che Giovanni fornisce per l'interpretazione e identificazione dei suoi personaggi. Dell'angelo di IO,I ss. l'identità è detta in termini espliciti: è appunto un angelo che funge da messaggero di Dio. L'immagine del Drago va invece interpretata e tradotta in termini diversi da quelli della zoolo­ gia mitica, ed è Giovanni stesso a dire che esso è il Serpente an­ tico, il Diavolo o Satana ( 1 2,9; cf. anche 20,2 ). Quanto alla Grande Prostituta e alla Bestia-dalla-terra, invece, vengono in aiuto del lettore didascalie come quella secondo cui la prosti­ tuta è Babilonia, la città dominatrice sui re della terra ( 1 7,5·1 8), o informazioni come quella per cui la seconda Bestia è il falso­ Profeta (I6, I J). Ma Giovanni poi non dice quale città intenda con «Babilonia» e quale concreto preteso profeta intenda con «pseudoprofeta». Altre volte Giovanni non dà aiuto di sorta all'interprete delle sue immagini. Per esempio, avendo presen­ tato la Bestia-dal-mare come estremamente pericolosa nel can-

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to di 1 3, 1 ss., lascia poi l'interprete a se stesso nel calcolo del mi­ steriosissimo numero del suo nome ( 1 J, 1 8) che deve permet­ terne l'identificazione. Il lettore dei canti descrittivi si trova dunque di fronte a tre diversi livelli di difficoltà, a volte dispo­ nendo e a volte non disponendo, di aiuto. 2. .

La metamorfosi delle immagini

Tra le singolarità delle immagini giovannee c'è la loro metamor­ fosi. Spesso, cioè, la configurazione di un'immagine non resta fissa ma si trasforma, in qualche suo tratto o interamente. La Grande Prostituta di 1 7, 1 per esempio diventa «Babilonia la Grande» (v. 5 ) . La stessa metamorfosi da donna a città si ritro­ va in miniatura in 1 7, 1 6 dove la fine della prostituta-città viene descritta con quattro azioni delle quali la seconda e la terza convengono perfettamente a una donna, mentre la prima e l'ul­ tima convengono di più ad una città. In un elegante crescendo, dapprima si parla genericamente di distruzione per la città e di denudazione per la donna (xat èçrr)IJ. W!J-ÉVY!V 7tot�o-oucnv aÙ't"Ì)v xat yu!J-v�v). Poi le due affermazioni vengono portate all'acme: la denudazione della donna culmina nel mangiarne le carni (xat -tàc; aapxac; aù'tijc; cpciyov'tat), mentre la distruzione della città diventa incendio e annientamento col fuoco (xat aÙ't"Ì)v xa'ta­ xauaouatv iv 1tupt). Analoga è la metamorfosi della sposa del­ l'Agnello di 2 1,9 che nel v. 10 diventa la città di Gerusalemme: «'Vieni, ti mostrerò la sposa, la donna dell'Agnello' . . . , e mi por­ tò in spirito su un monte alto ed eccelso e mi mostrò la città santa, la Gerusalemme che discende dal cielo» (2 1 , 1 0). Sono poi in metamorfosi le due presentazioni dei 144 000 contrassegnati con il sigillo del Dio vivente. Mentre infatti in Apoc. 7 i r 44 ooo ricevono sulla fronte il sigillo del Dio vivente, in Apoc. 14 sulla fronte essi hanno invece il nome - non il sigil­ lo - di Dio e, in più, il nome dell'Agnello. E ancora: in Apoc. 14 essi, da un lato non sono più esplicitamente collegati con le dodici tribù, e dall'altro sono presentati come vergini. Argo­ mentando da queste differenze, A. Feuillet distingue i 1 44 ooo di Apoc. 1 4 che sarebbero cristiani «vergini», dai 1 44 ooo di Apoc. 7 che sarebbero da identificare con gli israeliti storici. 1 1

Cf. A. Feuillet, L 'Apocalypse. État de la question (StN Subs. 3), Paris-

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Anche qui però la discontinuità nei dettagli è piuttosto da spiegare con la metamorfosi. Lo si può arguire dal parallelismo con il «dodici» delle porte e dei fondamenti della Gerusalem­ me di Apoc. 2 I . 1 Apoc. 7 impiega infatti il linguaggio delle do­ dici tribù come 2 I , I 2- 1 3 a proposito delle porte, e Apoc. 14 met­ te i 1 44 ooo in relazione con l'Agnello così come 2 1 , 1 4 fa con i dodici fondamenti sui quali sono i dodici nomi dei dodici apo­ stoli dell'Agnello. Da un lato Apoc. I4 è dunque in continuità con Apoc. 7 e, dall'altro, agglutina metamorficamente elementi nuovi, il più importante dei quali è il rapporto con l'Agnello. Una metamorfosi tanto drastica da essere quasi irricono­ scibile è quella dell'ira di Dio di 7, I -3 in relazione ai flagelli delle trombe. Preannunciata in 6, I 7 («è giunto il giorno grande della loro ira [di Dio e dell'Agnello], e chi potrà resistere?»), 1 l'ira di Dio consisterà nello scatenarsi dei quattro venti secon­ do 7, I -3. Prima che questo accada, però, deve essere impresso il sigillo del Dio vivente sulla fronte dei servi di Dio perché siano protetti e preservati appunto dall'ira (vv. 2-3). Quel con­ trassegno è di nuovo ricordato in 9,4 dove il flagello delle ca­ vallette dovrà colpire soltanto coloro che non hanno il sigillo di Dio sulla fronte.3 Questo comporta che lo scatenarsi dei venti Bruges 1963, 18. so; Id., Les 144 000 Israélites marqués d'un sceau: NT 9 ( 1967) 1 9 1 -114. - I 144000 di Apoc. 7 non sono da identificare con i 144000 di Apoc. 14 neanche per Bousset, Offenbarung, 38o; Allo, Apocalypse, 9193· 197; H.-M. Féret, L'Apocalypse de Saint]ean. Vision chrétienne de l'his­ toire, Paris 1946, 144. I due gruppi, invece, si identificano per esempio, per Charles, Schlatter, Lohmeyer, Bover, Boismard, Cerfaux-Cambier, Wiken­ hauser, Kraft, Bocher, Lambrecht, Vogtle, Roloff, Yarbro Collins, U.B. Miiller, Kretschmar, Caird, Ulfgard, Bauckham, Harrington, e per Ha­ doro, Offenbarung, 149, che scrive: «Nessun lettore potrebbe dubitare che Giovanni parli degli stessi 144000 ai quali è stata segnata la fronte con il sigillo in 7,4». I Già gli antichi, per esempio Primasio (PL 68, 841c) e Ambrosio Autper­ to (t 784; CChr CM 17, 198,7- 10), collegano il 144 000 di Apoc. 7 e di Apoc. 1 4 al dodici e al 144 ooo della Gerusalemme escatologica. 2 In 6, 1 2-17 gli sconvolgimenti cosmici non sono il dispiegarsi dell'ira ma solo il suo preannuncio, cf. Biguzzi, Settenari, 1 3 5 - 1 36. 3 Non si può infatti non mettere 9,4 («di non danneggiare . . . se non gli uo­ mini che non avessero il sigillo di Dio sulla fronte») in relazione con 7,3 («finché non avremo impresso il sigillo del nostro Dio sulla fronte dei suoi servi»). È grazie a quel prezioso versetto che siamo certi di dover mettere in relazione i flagelli delle trombe con l'ira di Dio, annunciata

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in 7, I -3 e la serie dei flagelli del settenario delle trombe di 8,6 ss. (fuoco contro la terra della prima tromba, acqua cambiata in sangue della seconda e terza tromba, . . . le cavallette della quin­ ta tromba ecc.) sono la stessa e medesima ira di Dio, presentata da Giovanni «in metamorfosi». Un altro esempio può essere quello di I I, 1 dove a Giovanni Viene ingiunto di misurare non solo il santuario (comando del tutto logico), ma anche l'altare (comando già più sfuggente, per l'innesco della metamorfosi), e infine gli adoratori, a pro­ posito dei quali la canna mensoria e l'imperativo !J-É-:pr;cro\f so­ no oramai del tutto fuori logica per il rapido esasperarsi della metamorfosi. Un'ulteriore metamorfosi va messa in conto tra Apoc. 17 e Apoc. I 9· In Apoc. 1 7 si preannuncia infatti la battaglia vitto­ riosa dell'Agnello contro la coalizione guidata dalla Bestia («co­ storo combatteranno contro l'Agnello ma l'Agnello li vince­ rà», v. 14), mentre in Apoc. 19 si dice che a vincere la Bestia e i suoi eserciti è il Cavaliere che monta il cavallo bianco («E vidi la Bestia e i re della terra e i loro eserciti radunati per dar bat­ taglia contro Colui che cavalca il cavallo [bianco] e contro i suoi eserciti, e la Bestia fu catturata ecc.» vv . 19-20). Se Riccardo di San Vittore diceva che Apoc. 5 annuncia un leone e poi mostra un agnello, 1 qui si può dire che Apoc. I 7 annuncia un agnello e Apoc. 19 mostra un cavaliere. Secondo Z.C. Hodges c'è conti­ nuità (e metamorfosi) anche tra il cavaliere su cavallo bianco di 6,2 e questo cavaliere su cavallo bianco di Apoc. 19, 2 quantundagli sconvolgimenti cosmici del primo quadro del sesto sigillo {6, 1 7) é ripresentata poi sotto l'immagine in metamorfosi dei quattro venti {7, 1-3). 1 Il contesto più ampio in cui Riccardo di San Vittore {t 1 137) lucidamen­ te ed elegantemente commenta la metamorfosi cristologica di s,s-6 dice: Superius posuit promissionem, hic subiungit promissionis exhibitionem. Nam leonem audivit in promissione, agnum videt in exhibitione. Magna est enim differentia inter leonem et agnum. Leo est magnus, agnus est par­ vus. Sed, si utrumque consideramus, utrumque Redemptorem nostrum comprobamus. Ipse est enim leo magnus per divinitatem, agnus per huma­ nitatem. Leo per potentiam maiestatis, agnus per mansuetudinem. Leo ma­ los puniendo, agnus bonos redimendo. Leo fortitudine, agnus pietate. Leo in promissione ut spes infirma se roboret, agnus in exhibitione ne pavida conscientia formidaret (PL 196, 7560). z Identificano i due cavalieri per esempio Allo, Apocalypse, 73· 78-Ss; J.S. Considine, The Rider on the White Horse. Apocalypse 6:1-8: CBQ 6 ( 1944)

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que tra l'uno e l'altro ci siano due notevoli variazioni. Il primo è armato di arco e reca sulla testa una corona, mentre il secon­ do è armato di spada e reca sulla testa un numero non precisa­ to di diademi. Per Hodges la successione di arco (e cioè dell'ar­ ma per combattere da lontano) e di spada (e cioè dell'arma per combattere corpo a corpo) esprimerebbe l'avvicinarsi tra i due combattenti per il confronto all'arma bianca, mentre la corona in Apoc. 6 e i diademi in Apoc. 19 esprimerebbero la vittoria in prospettiva (victory in prospect) e il conseguimento della vitto­ ria (victory realized). 1 Quanto alla funzione ermeneutica della metamorfosi gio­ vannea, essa aiuta a cogliere la complessità degli eventi, e l'evo­ luzione e il progredire della storia verso la meta intesa da Dio. II. SINGOLARITÀ DELLE TECNICHE NARRATIVE GIOVANNEE

1 . Autarchia dei singoli episodi e dettagli Le narrazioni giovannee sono a volte in contraddizione con quello che rautore stesso ha precedentemente detto o narrato. Nell'episodio dei Due Testimoni Giovanni dice, presentando­ li, che chi tocca quei due profeti muore: «e se qualcuno vuole fare [loro] del male, un fuoco esce dalla loro bocca e divora i loro nemici; [proprio così,] se qualcuno vorrà fare loro del ma­ le, allo stesso modo egli dovrà essere ucciso» (1 1 , 5). Detto que­ sto, però, due versetti più tardi, Giovanni dirà che «la Bestia proveniente dall'abisso farà loro guerra . . . e li ucciderà» (v. 7), e tutto avviene sorprendentemente senza che essi oppongano la minima resistenza - nonostante le assicurazioni del v. s . 41 8-422; Bonsirven, Apocalypse, 1 57; W. Hendriksen, More than Con­ querors. An lnterpretation of the Book of Revelation, London 196z, 9495; A. Feuillet, Le premier cavalier de l'Apocalypse: ZNW 57 ( 1966) 250. ­ Data la polivalenza di ogni simbolo, è del tutto comprensibile che a parti­ re dalle stesse caratteristiche il primo cavaliere sia interpretato all'estremo opposto come l'Anticristo per esempio da M. Rissi, The Rider on the White Horse. A Study of Revelation 6,1-8: lnt 18 ( 1964) 414-4I 8; E. Schiissler Fiorenza, Eschatology and Composition of the Apocalypse: CBQ 30 (1968) 564, o come uno pseudo-Cristo da R.L. Thomas, Revelation 1-7. An Ex­ egetical Commentary, Chicago I 992, 4zz. I Z.C. Hodges, The First Horseman ofthe Apocalypse: BSac I I 9 ( 1962) 3 3 3 s.

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E ancora, l'angelo ostensore promette a Giovanni di mo­ strargli la Grande Prostituta che siede su molte acque (v. I}, ma poi Giovanni vede la donna seduta su di una Bestia scarlat­ ta (v. 3). Ancora più sorprendentemente, al di fuori di ogni co­ erenza, l'angelo nel v. 1 5 farà poi riferimento alle acque vedute da Giovanni (in realtà non-vedute}: «Quanto alle acque che hai vedute ('t'� uòa�a a e:lòe:ç), su cui la Prostituta siede ecc.»). No n basta, perché oltre alle acque e alla Bestia scarlatta, il v. 9 parla di un ulteriore sgabello, aggiungendo che la Grande Pro­ stituta siede su sette monti. Qualcosa di analogo si incontra in Apoc. 2 I dove è preannunciata la misurazione della città, delle sue porte e delle sue mura (v. I 5), ma dove poi vengono misu­ rate soltanto la città e le mura (vv. 1 6b; I 7a) e non le porte, an­ che se i fondamenti e le porte vengono descritti nei dettagli (vv. I 9-2o e 2 1 ). Gli interpreti fanno notare poi che, se il «Simile a Figlio d'uomo» regge nella destra le sette stelle («e aveva nella mano destra sette stelle», I , I 6), non dovrebbe essere in grado di met­ tere la destra su Giovanni come segno d'incoraggiamento («ed egli pose la sua destra su di me dicendo . », 1 , 1 7), tanto più che poco più tardi le stelle non sono state nel frattempo deposte, essendo ancora nella sua mano («Queste cose dice colui che regge le sette stelle nella sua destra ecc.», 2,1 ). La stessa discontinuità si riscontra in ciò che accade agli ele­ menti e ai fenomeni cosmici. Così in 8,7 il flagello della prima tromba brucia tutta l'erba verde eppure, come se nulla fosse stato detto e nulla fosse successo, secondo 9,4 «fu detto loro [alle cavallette] di non danneggiare l'erba della terra ecc.». Allo stesso modo, nonostante che il sole venga oscurato in 6, 1 2 così da diventare nero come il crine, il flagello della quarta tromba ha modo di oscurare un terzo della sua luce (8,1 2). E come se questo non fosse sufficiente, in 1 6,8 esso splende ancora così in­ tensamente da ustionare gli uomini con la sua vampa infuoca­ ta. La stessa sorte tocca alle stelle, alla luna, al cielo e al mare. Le stelle, cadute a terra come fichi avvizziti quando il vento scuote gli alberi (6, 1 3), sono invece ancora nel cielo quando un terzo della loro luce viene colpito dal flagello della quarta trom­ ba (8, 1 2) e quando vengono travolte dalla coda del Drago ( 1 2, 4). La luna, divenuta come sangue in 6, 1 2, ha modo di perdere . .

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un terzo della sua luce quando è colpita dal flagello della quar­ ta tromba (8, I 2) e, nonostante tutto, è sotto i piedi della Don­ na di Apoc. 1 2, presumibilmente nell'integrità della sua luce ( 1 2, 1 ) . E ancora: il cielo, dopo che si è accartocciato come un roto­ lo in 6,1 4, è anch'esso ancora nel firmamento in 8, 1 3 quando, dal suo zenit, l'aquila annuncia i tre «guai!», o in I I ,6 quando da esso la pioggia può essere fermata per l'eventuale volontà dei Due Testimoni ( I 1 ,6) o, ancora, quando in esso appaiono i tre segni di I 2, I . 3 e I 5 , I, ecc. E, infine, il mare diviene sangue due volte: in 8,8 per un terzo delle sue acque quando viene col­ pito dal flagello della seconda tromba, e in 1 6,3, presumibilmen­ te in tutte le sue acque più che nei rimanenti due terzi, quando viene colpito dal flagello della seconda coppa. Le narrazioni e le informazioni di Giovanni sono dunque narrazioni autarchiche, a sistema chiuso, che stranamente si ignorano a vicenda. Con tutto questo Giovanni vuole forse di­ re che l'occhio umano coglie solo la superficie contraddittoria della storia e non è in grado invece di percepire le connessioni profonde che tuttavia legano i suoi eventi. 2.

Le lacune narrative

Giovanni lascia talvolta nel suo racconto delle lacune che il let­ tore deve integrare, provocato con ciò ad una lettura attiva e invitato a farsi complice della narrazione. Per esempio, tra l'annuncio della «sigillazione» dei 144 ooo (7,3) e la proclamazione del loro numero (vv. 4-8: con cinque versetti e ben 78 parole!), la sigillazione stessa è semplicemen­ te taciuta. Un altro esempio è nei versetti che parlano dei quat­ tro angeli legati presso il grande fiume Eufrate (9, 1 4 ss.). Quan­ do l'angelo della sesta tromba comanda che siano rilasciati, il suo comando è subito eseguito «così che [i quattro angeli] uc­ cidano un terzo dell'umanità» (v. I sb). Ma poi non si aggiun­ ge, come il contesto chiederebbe, che l'uccisione avviene inve­ ce per l'evocazione della cavalleria di venti migliaia di migliaia dei cavalieri del v. I 6 (cf. v. 1 8), né è menzionata l'irruzione dai suoi accampamenti di quella cavalleria. Il segmento man­ cante dell'episodio, poi, è sostituito dall'audizione del numero dei cavalieri da parte di Giovanni (�xouaa 'tÒv cipt.S!J.ÒV aù-rwv, III

v. I 6b), esattamente come la sigillazione dei I44 000 è sostitui­ ta dall'audizione del loro numero da parte di Giovanni in 7,4a (�xoucra '1:Ò'J &pt.S!J.Ò'J 'tW'J Ècrq>pctytcr!J.É'JW'J). In modo simile, mentre I 7, I 6 preannunciava che la coalizione della Bestia e dei dieci suoi corni avrebbe distrutto Babilonia («la distruggeran­ no . . . e la inceneriranno col fuoco»), in Apoc. I 8 Babilonia è devastata e rimpianta senza che si faccia parola né della Bestia, né dei suoi complici, né delle operazioni militari che hanno messo fine alla metropoli. Questi salti giovannei dall'annuncio al risultato che scaval­ cano le operazioni intermedie, accelerano il ritmo della narra­ zione, esprimendo ed ispirando il desiderio che il piano di Dio giunga presto a compimento. 3·

Discontinuità negli itinerari e nell'identità dei protagonisti

Giovanni dice in 1 7,3 di essere stato trasferito nel deserto da un primo angelo ostensore per la visione della Grande Prosti­ tuta, e in 2I,IO di essere stato trasferito su un monte altissimo da un secondo angelo per la visione della Gerusalemme escato­ logica. Ma analoghe indicazioni mancano in ampi tratti del suo libro. Egli, per esempio, sale in cielo secondo 4, 1 -2, ma poi, sen­ za che segnali alcun suo trasferimento, si trova sulla riva del ma­ re: è ponendo il piede destro nel mare e quello sinistro sulla ter­ ra (I o,2 ), infatti, che l'angelo gli porge il rotolo da inghiottire. C'è discontinuità poi nella localizzazione della battaglia e nel­ l'identità dei combattenti di Apoc. I 2. Il Drago con i suoi eser­ citi combatte in cielo contro Michele e contro i suoi eserciti, ma il cantico di commento sembra presupporre invece che la battaglia del Drago sia avvenuta, ovviamente sulla terra, con­ tro i fratelli di coloro che elevano il cantico: «essi [i nostri fra­ telli] lo hanno vinto per mezzo del sangue dell'Agnello e per mezzo della parola della loro testimonianza» ( I 2, 1 o- I I ). Quando c'è discontinuità negli itinerari, la continuità è assi­ curata dalla persona di Giovanni: il lettore deve seguire Gio­ vanni nelle sue esperienze pneumatiche, lui che in spiritu si tro­ va davanti al «Simile a Figlio d'uomo» ( I , Io) o di fronte al tro­ no di Dio (4,2); lui che poi, ancora in spiritu, è trasportato nel

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deserto per la visione di Babilonia e del suo giudizio (I7,3), op­ pure su di una montagna altissima per contemplare la discesa da Dio della nuova Gerusalemme (2 I,1o). Quando invece sem­ bra esserci sovrabbondanza di soggetti e quando i rapporti vi­ cendevoli tra quei soggetti non sono affatto chiari, Giovanni lascia al lettore di cogliere l'unità degli eventi nel legame tra cielo e terra, così che Michele e i suoi angeli sono intercambia­ bili con combattenti terrestri, vittoriosi nel sangue del Cristo­ Agnello. In Apoc. dunque l'autobiografia e la comunione degli spiriti sono più importanti della topografia e dell'identità per­ sonale. 4·

Anomala sequenza dei tempi verbali

L'autore di Apoc. ama l'hysteron-proteron che, secondo i calcoli di David Aune, in Apoc. s'incontra almeno una decina di vol­ te. 1 Invertendo l'ordine degli elementi, Giovanni infatti scrive per esempio: «Sono ricco, e mi arricchii» (3, 1 7), «Tutte le cose erano, e furono create» (4, I I ), «aprire il libro, e rompere i suoi sigilli)) (5,2), «avere potere sull'albero di vita, ed entrare nella città» (2:1, 14), ecc. Ma nel suo libro c'è di più di questa quasi irrilevante figura retorica, perché egli costruisce le sue narra­ zioni su sorprendenti sequenze verbali «a rovescio)). La narra­ zione di I I , I - I J comincia per esempio con sei futuri ( 1 1,2-3 ·7: � l

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7tCX'!"tlcroucrt v, owcrw, 7tpoqrrrr e:ucroucrt v, 7tOt"tlcrtt, vtx"tlcrtt, cx.7tox-rtve:i'), e poi continua con quattro presenti seguiti da un residuo , l l (J. l fUtuCO (VV. 9- I O: t" À€7tOUCTtV, O!JX cx.qnoucrtv, "X.CZtpOUCTtV, tucppcxtVOV't'CXt, - 7tÉ(J-�oucrtv), e si conclude infine con non meno di undici aoristi (vv. I 1 - 1 3 : e:lcrijÀ-8e:v, tcr't"tlcrav, È7tÉ7te:crtv, �xoucrcx.v, �vé(J. l ' l o t"�crav, tvtwp�crcx.v, e:ytve:'t'o, ecc . ) . �





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La successione dei tempi è anomala anche nella presentazio­ ne dei lamenti funebri su Babilonia in Apoc. I 8. Dopo i futuri I D. Aune, Revelation 1-5 (WBC s2a), Dallas 1997, 22 1 . 2 59, rimanda a J, 3-17; 5,5; 6,4; 10,4·9; 20,4-5- 1 2- I J; 22, 1 4· L'hysteron-proteron presenta «Una successione di avvenimenti in cui viene collocato dapprima lo stadio finale della successione medesima (che interessa particolarmente dal punto di vi­ sta emozionale e quindi urge)»: così H. Lausberg, Elementi di retorica, Bo­ logna 1 969 (Miinchen 1967, 1 1949), § 413, il quale tra l'altro cita come esem­ pio Virgilio: Moriamur, et in media arma ruamus! (Aen. 2,3 5 3).

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che hanno come soggetto grammaticale i re della terra (v. 9), vengono due presenti e un ulteriore futuro, che hanno per sog­ getto i mercanti di terra (v. 1 1 e v. I 5 ). E vengono infine, sor­ prendentemente, gli aoristi e gli imperfetti che hanno per sog­ getto gli uomini di mare (v. I 7 ss.). In tal modo il primo la­ mento funebre è ambientato nel futuro (xÀauaoucrtv, xo�ov'tat, v. 9), il secondo nel presente (xì�.a touatv, 7te:v.f).ouatv, v. I 1; ma cf. a'tf,aov't�t, v. I 5), e l'ultimo invece nel passato (EO''tljtmi-:w. Il verbo �"fì?ttw deriva da ��q>o