L'anima e il corpo-Parva Naturalia. Testo greco a fronte 884529207X, 9788845292071

Qual è il ruolo della sensazione nella vita dell'animale e come avviene la sintesi percettiva? Come si formano i ri

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L'anima e il corpo-Parva Naturalia. Testo greco a fronte
 884529207X, 9788845292071

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Aristotele

L'anima e il corpo Parva Naturalia La sensazione e i sensibili - La memoria e il richiamo alla memoria - Tl sonno e la veg/;a - l sogni - La divinazione nel sonno - La longevità e la brevità della vita - La giovinezza e la vecchiaia - La respirazione - La vita e la morte Testo greco a fronte

Introduzione, traduzione e note di

Andrea L. Carbone

BOMPTANT TESTI AFRONTE

TSBN 88-452-9207-X

© 2002 R.C.S. Libri S.p.A., Milano I edizione Bompiani Testi a fronte ottobre 20Ò2

A Bit

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Ciò che caratterizza il pensiero di Aristotele è la capacità di dare conto della molteplicità delle differenze del suo oggetto di indagine e al tempo stesso di coglierne l'unità, senza che quelle siano appiattite da una riduzione e questa indebolita dalle discontinuità. Nei Parva Naturalia Arlstotele si interroga sull'unità e sulla -molteplicità del vivente, vale a dire sul rapporto che intercorre tra l'anima e il corpo e sul modo in cui secondo questo rapporto si svolgono tutte le attività della vita animale, da quelle più elementari, che attengono all'accrescimento, 3.lla nutrizione e alla locomozione, a quelle più elevate, che riguardano l'esercizio della sensazione, dell'immaginazione e - in parte - dell'intelletto. 1. La tradizione

La cronologia relativa e la collocazione di questa raccolta di testi nel corpus aristotelicum sono state lungamente discusse. Ciò che comporta problema non è la paternità delle singole opere, bensì l'unità della silloge e il rapporto che intercorre tra le teorie che vi sono esposte e la parte restante della ricerca aristotelica in psicologia e biologia, vale a dire nell'ambito della fisica. Pare che il titolo latino risalga al XIII secolo, a Egidio Romano, allievo di Tommaso d'Aquinol, e alcuni commentatori ritengono che a questi si possa attribuire · senz'altro lo stesso intervento di costituzione della raccolta. Uno sguardo d'insieme sui commentari antichi, tuttavia, non fornisce prove decisive in favore della discontinuità. Alessandro di Afrodisia (II-III sec. d.C.) si limita al De sensu; Temistio (N sec.) si concentrii su trat-

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tati di argomento assai prossimo, quali De memoria, De somno, De insomniis e De divinatione; più tardi Michele di Efeso CXII sec.) ripercorre l'intera raccolta con l'esclusione del De sensu; per contro Averroé CXII sec.) commenta De sensu, De memoria, De somno, De insomniis, De divinatione e De longitudine tralasciando l'ultima sezionez. Infine lo stesso Tommaso d'Aquino si dedica al De sensu e al De memoria. La semplice sovrapposizione dei gruppi di testi analizzati restituisce dunque, per incastro, un disegno d'insieme. Per altro verso, le scelte differenti mostrano che l'argomento della raccolta considerata unitariamente si scandisce secondo una molteplicità di nuclei tematici, che possono essere abbordati da differenti prospettive. Occorre tenere presente che le opere in questione non sono trattazioni sistematiche destinate alla pubblicazione, bensì veri e propri appunti di lavoro, e che persino la più piccola unità di testo può rivelare un costante intervento di revisione e integrazione oltre che la risonanza di termini e questioni anche assai distanti. Bisogna dunque conformare a questa natura dei testi la nozione della continuità che ci si può aspettare di riscontrare in una raccolta simile, sia quanto ai singoli scritti sia quanto all'insieme. Per quel che concerne la collocazione nell'ambito della psicologia di Aristotele, la critica moderna si è basata per molto tempo sul presupposto che la concezione dell'anima nei PN, o almeno in alcuni scritti, presenti elementi sostanzialmente inconciliabili con la trattazione svolta nel DA, e che pertanto la forma attuale della raccolta e il suo ordinamento sistematico non possano essere attribuiti ad Aristotele. In particolare, la principale contraddizione che viene riscontrata consiste nel fatto che la nozione dell'anima come forma del corpo organico inteso come una totalità, elaborata nel DA, sarebbe incompatibile con la collocazione del principio dell'anima stessa e delle facoltà in una sede corrispon-

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dente al cuore, individuata nei PN e nei testi biologici. Questa impostazione si ritrova nell'interpretazione di Zeller3, che ispira l'edizione curata da Rolfes4, il quale considera i PN in modo unitario, ma riduce l'intera psicologia aristotelica all'idea dell'anima entelechia. Per converso, si fonda sulla presunzione di questa incompatibilità anche il paradigma storico-evolutivo di Jaeger5, che Nuyens applica alla psicologia aristotelica distinguendo tre orientamenti successivi: uno dualista, prossimo a Platone, che considera anima e corpo come contrapposti; uno di transizione, in cui questa contrapposizione non è vista in termini negativi, bensì come rapporto strumentale; e infine uno maturo, "hylemorphiste"6. Tra le edizioni dei PN redatte secondo questo orientamento, quella di Drossaart-Lulofs7 marca numerose discontinuità, smembrando la raccolta e i singoli testi8; quella di Ross9 colloca invece tutti i trattati nel periodo di transizione, considerandoli dunque anteriori al DA. Tra i critici delle vedute di Nuyens, Lefèvre10, che pure respinge le ragioni dell'inconciliabilità della visione "instrumentiste" e di quella "hylemorphiste", ancora colloca la sezione finale dei PN (De juventute, De vita e. De respiratione) in un periodo anteriore al DA a causa della localizzazione dell'anima nel cuore, mentre Blocku oppone a Ross un'interpretazione, parimenti evolutiva, che considera i PN complessivamente posteriori al DA. Questa posizione è condivisa. da Kahn, che considera ·il DA come un'introduzione in primo luogo teorica e metodologica all'intero complesso della ricerca biologica di Aristotele, nella quale i PN trovano la loro collocazione più appropriata12, e attribuisce ai richiami interni - che considera di paternità aristotelica - la funzione di stabilire una successione sistematica indipendente da quella cronologica. Questa tesi viene ripresa e sviluppata da Balme, in un vero e proprio "masterpiece" di metodo storiografico, che considera la redazione dei

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brani di apertura e degli inserti che contengono riclllami incrociati un portato dell'intervento redazionale dello stesso Aristotele, allorché le ricerche biologiche divennero oggetto di insegnamento nel Liceo13. Tra le edizioni più recenti che si ispirano a questi orientamenti - come già in buona parte quelle di Siwek e di Laurenti14 - mette conto richiamare quelle di van der Ejik, Gallop, Morel, oltre che la monografia di King15, che delineano un'interpretazione unitaria della psicologia aristotelica e inquadrano i Parva Naturalia all'incrocio tra l'indagine biologica e quella più specificamente psicologica.

2. Il filo conduttore: il principio e le affezioni comuni al!'anima e al corpo Quando Aristotele si riferisce all'insieme dei PN, li indica per solito come scritti sulle "affezioni comuni all'anima e al corpo"16. L'espressione ricorre ad esempio nell'incipit del De sensu, che disegna un quadro d'insieme dell'argomento della raccolta intera, dando un'idea della quantità e diversità dei temi che vi sono affrontati, ma individuando anche con estrema chiarezza il filo conduttore secondo il quale si determina l'unità di questa indagine: "poiché si è trattato dell'anima in sé e di ciascuna delle sue facoltà, parte per parte, occorre seguitare effettuando la ricerca riguardo agli animali e a tutto ciò che ha vita, su quali siano le loro attività,. proprie e quali quelle comuni. Assumiamo dunque quanto si è detto a proposito dell'anima e parliamo invece di ciò che resta, e in primo luogo di ciò che è primo. Sembra che le principali degli animali, ·siano esse comuni o proprie, siano comuni ali' anima e al corpo: àd esempio sensazione, memoria, impulso, brama, desiderio in generale e oltre a queste piacere e dolore. Queste, infatti, appartengono all'incirca a tutti gli animali. Oltre a queste, ve ne sono alcune comuni a tutto ciò che par-

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tecipa della vita e altre soltanto ad alcuni animali. Le principali si trovano a costituire delle coppie in numero di quattro: veglia e sonno, giovinezza e vecchiaia, inspirazione ed espirazione, vita e morte. Riguardo ad esse occorre ricercare che cosa sia ciascuna e per quali cause si verifichi".

I PN si presentano innanzi tutto come una trattazione parallela e complementare a quella svolta nel DA, della quale assumono gli esiti - vale a dire le nozioni che vi sono definite, i principi, i metodi - sviluppando ulteriormente alcuni temi. La. sintesi degli argomenti riportata nel De sensu presenta una certa complessità perché si delineano parallelamente diverse relazioni incentrate sull'opposizione proprio/comune. L'argomento del ·DA viene indicato come trattazione "dell'anima in sé e di ciascuna delle sue facoltà, parte per parte": nel primo libro del DA questa precisazione trova riscontro una prima volta in 402a 9 sgg., dove si dice che oggetto dell'indagine sono le affezioni dell'anima, tra le quali si distinguono quelle proprie e quelle che attraverso l'anima appartengono agli animali, vale a dire quelle comuni all'anima e al corpo. Sia nel DA che nei PN Aristotele svolge un'indagine sull'anima intesa come principio del vivente, ovvero come forma o atto primo di un corpo naturale dotato di parti strumentali11 e considerata - secondo quanto si precisa in Metaph. VI, 1, 1026a 5 sgg. - in quanto non è· senza materia. Secondo quanto si chiarisce in DA I, 1, 402b 3 sgg. questa indagine riguarda l'anima di tutti i viventi, vale a dire delle piante e dell'intera serie animale, e non piuttosto quella del solo uomo. Nell'incipit del De sensu Aristotele riprende ampiamente il punto, poiché il riferimento alla distinzione tra le caratteristiche comuni a tutti gli animali e quelle proprie è un chiaro richiamo al metodo di divisione e di esplicazione delle cause secondo diversi livelli di generalità, definito nel primo libro del PA e impiegato nel DA stesso. Secondo

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questa impostazione, la psicologia del DA e dei PN si inquadra pertanto in prima istanza nel contesto più ampio della ricerca sulla natura. In PA 64la 19 sgg. Aristotele definisce in modo esplicito i confini e le peculiarità della ricerca sull'anima propria del fisico, chiarendo che "non tutta l'anima è natura" ed escludendo dalla ricerca naturalistica sull'anima la facoltà intellettiva. Per altro verso, in DA 403 a 6 sgg. egli precisa che tutte quante le affezioni dell'anima sono comuni anche al corpo, e che la stessa attività intellettiva, che pure sembra massi" marnente propria dell'anima, in quanto però vi si accompagna sempre l'esercizio dell'immaginazione, non esiste senza il corpo: pertanto è possibile che sotto un certo rispetto anch'essa sia oggetto di studio del fisicois. Dalla lettura parallela di DA 403a 24 sgg. e di quanto sull'anima si dice in PA I, 1 si ricava che il punto di vista del fisico è quello che tiene conto sia della materia che della forma - vale a dire né soltanto dell'una né soltanto del1'altra - esplicando la prima alla luce della definizione della seconda, secondo quanto si prescrive anche in Phys. II, 2, 194a 12 sgg. Lo studio della causalità dell'anima si calibra pertanto secondo un'indagine sulle sue attività, che dia conto delle condizioni materiali che ne rendono possibile I'esercizio e dei processi organici secondo i quali si realizzano. In questo modo, .ancora una volta secondo l'opposizione proprio/comune, si delinea dunque lo statuto epistemologico della psicologia stessa rispetto alla fisical9. Ora, l'attenzione privilegiata per l'esplicazione delle cause materiali e mofrici per un verso, e per altro verso l'analisi delle differenze secondo le quali queste cause operano nei viventi, realizzando qualltà psicologiche di complessità crescente, definiscono gli aspetti propri dell'indagine svolta nei PN20. Quanto alle modalità dell' esplicazione causale, occorre precisare tuttavia che si tratta di una scelta di prospettiva, che non esclude la consi-

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derazione degli altri modi della causalità. Poiché anzi l'orizzonte teorico e metodologico dei PN è quello della fisica, lo studio della causalità naturale nell'ambito dei fenomeni psichici deve basarsi sul riconoscimento della priorità delle cause formali e finali rispetto a quelle che attengono all'ambito delle condizioni necessarie. Secondo questa impostazione, pertanto, proprio attraverso lo studio del versante corporeo dei movimenti dell'anima, approfondito assai più che nel DA, Aristotele perviene nei PN ad una definizione particolareggiata della sua visione unitaria del vivente, mostrando con indagini condotte a diversi livelli di generalità e secondo i vari aspetti della costituzione delle parti corporee, in che modo l' attività psichica sia inseparabile dal funzionamento del corpo organico, e indica da ultimo nel cuore - o nel suo analogo - il principio stesso di questa unità, owero la sede in cui essa si realizza in primo luogo.

3. La sensazione Tra le affezioni comuni all'anima e al corpo, quella che Aristotele considera del massimo rilievo è la sensazione, che assume una posizione centrale sia nell'impianto teorico del DA che in quello dei PN: "che le di cui si è detto siano comuni all'anima e al corpo non è oscuro, giacché tutte si esplicano insieme alla sensazione o a causa della sensazione: alcune ne sono affezioni, altre abiti, altre ancora protezione e salvaguardia, altre infine distruzione e privazione. Che la sensazione si verifichi nell'anima attraverso il corpo è chiaro sia mediante il ragionamento sia senza ragionamento alcuno. Tuttavia, riguardo alla sensazione e ali'avere sensazione, che cosa sia e perché questa affezione si verifica negli.animali, si è discusso precedentemente negli sull'anima. Agli animali, in quanto ciascuno è animale, è necessario che appartenga la sensazione, giacché in base a questo definiamo che cos'è l'animale distinguendolo da ciò che non è animale".

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L'importanza della sensazione è data dal fatto che essa ha rapporti causali con tutte le attività dell'animale, il cui svolgimento si determina sempre _in relazione ad essa. Queste relazioni coprono tutte le forme e i modi della causalità; la sensazione, cioè, è in certi casi condizione necessaria per l'esercizio di altre attività e costituisce il principio del movimento in cui esse consistono, mentre altre ancora -è il caso della memoria2i - si definiscono come suoi abiti o affezioni; per altro verso è la causa finale della costituzione delle parti corporee e del corpo intero, che si determina in vista della sua salvaguardia. Certe affezioni del vivente, infine, costituiscono una privazione o una distruzione della sensazione. Il quadro di questi rapporti causali della sensazione ripercorre a ben vedere lo schema dei PN delineato nell'incipit, includendovi anche la trattazione di argomenti come l'invecchiamento e _la morte, e conferisce dunque alla raccolta una unità sostanziale collocando il De sensu in posizione centrale22. Aristotele chiarisce che la sensazione è il tratto distintivo dell'animale in quanto tale, e che per il possesso di questa caratteristica esso si distingue dagli altri viventi23. Si tratta di una differenza che individua la specie "animale" nell'ambito del genere "vivente" e al tempo stesso esplica unà causa, talché la definizione che ne deriva è a tutti gli effetti una definizione causale, costruita secondo il modello stabilito in DA II, 2, 413a 13 sgg. come opportuno per l'indagine sull'anima in generale. In questo senso, in DA II, 2, 413b 2-3 si dice che "l'animale è soprattutto a causa della sensazione".

La causalità che attiene alla sensazione riguarda innanzi tutto l'ambito delle condizioni necessarie in vista di un·certo fine. In questo senso Aristotele osserva che la sensazione non appartiene necessariamente ad ogni vivente, ma che per converso, ai viventi che la possiedo-

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no, essa appartiene in modo necessario. In De an. DI, 12, 434a 30 sgg., infatti, si dice che "è necessario che l'animale abbia la sensazione, se la natura non fa nulla invano. Tutte le cose che sono per natura sussistono infatti in vista di qualcosa, o saranno coincidenze .di quelle che sono in vista di qualcosa. Dunque ogni corpo che fosse capace di movimento ma privo di sensazione si corromperebbe e non giungerebbe al fine, che è funzione della natura (in che modo, infatti, si nutrirà? [. .. ]). Non vi sarà dunque nessun corpo non fisso che possieda anima senza avere sensazione"24.

Il fine in vista del quale la sensazione è necessaria è la vita stessa dell'animale, poiché l'esercizio della sensazio: ne rende possibile l'acquisizione del nutrimento. A questo passo in particolare si riferisce Aristotele nel prosieguo del De sensu: · "nel modo proprio di ciascuno il tatto e il gusto appartengono conseguentemente a tutti di necessità: il tatto per la causa che si è detta negli sul!'anima, il gusto per il nutrimento, giacché con questa si distingue ciò che è piacevole e ciò che è doloroso riguardo al nutrimento, in modo che sia possibile fuggire l'uno e cercare l'altro; in generale, poi, il gusto è l'affezione propria di ciò che è atto a nutrire. Le sensazioni esterne negli atti al movimento locale, cioè olfatto, udito e vista, appartengono a tutti quelli che le possiedono in vista della salvaguardia, in modo tale che cerchino il nutrimento dopo che ne abbiano avuto sensazione e fuggano le cose pericolose e distruttive; a quegli che invece partecipano anche della saggezza esse appartengono a cagione del bene, giacché riportano molte differenze, dalle quali proviene la saggezza riguardo a ciò che è intelligibile e riguardo a ciò che attiene all'azione". ·

Per l'esplicazione della necessità del possesso delle diverse sensazioni si fa qui riferimento all'esercizio di una molteplicità di funzioni. Si parla innanzi tutto della salvaguardia dell'animale~ che si realizza in senso positivo mediante l'acquisizione del nutrimento, e in senso negativo mediante la difesa da ciò che procura danno.

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La necessità dell'esercizio della sensazione si determina a questo proposito in relazione all'attività del movimento locale, poiché sono gli animali atti a muoversi localmente quelli che abbisognano della sensazione in vista dei fini in questione. Sensazione, movimento locale e nutrizione, pertanto, sono tre attività, corrispondenti ad altrettante parti dell'anima, che si esercitano in modo correlato, ed è a questa correlazione che si richiama l'identificazione del cuore come sede primaria e comune dei loro principi. L'individuazione di un principio corporeo e l'analisi dei processi fisiologici che hanno luogo allorché si percepisce qualcosa, realizzano l'esplicazione delle cause materiali di un fenomeno che non può essere spiegato soltanto in termini di cause formali, in quanto si tratta di un'affezione comune al corpo e all'anima:

4. Le parti sensibili e i sensibili propri In DA II, 6, 418a 7 sgg. Aristotele tratta le diverse ·sensazioni analizzando i sensibili propri di ciascuna. Nel capitolo 3 del De sensu l'indagine ha la medesima impostazione; ma nel capitolo precedente l'analisi assume una prospettiva differente, poiché si concentra sulla costituzione delle parti corporee preposte alla sensazione. I due punti di vista sono in realtà ben correlati, dal momento che, secondo la concezione esposta in DA II, 5,418a 3 sgg., "ciò che è preposto alla sensazione è in potenza come il sensibile è già in atto".

La trattazione procede sulla base della critica di pensatori come Empedocle, Democrito e Platone, che stabilivano una correlazione stretta tra la composizione materiale dei sensori e la teoria dei quattro elementi. Il punto sul quale Aristotele è in disaccordo non è il rapporto tra una certa sensazione e un elemento determinato, bensì

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l'indicazione della materia come unica causa della sensazione. In questo senso la critica alle tesi in questione si inquadra nel contesto delle obiezioni rivolte.ai medesimi pensatori in PA I, 1 da un punto di vista più generale e in PA II, 1 sulla questione della sensazione in particolare. Aristotele ritiene che i suoi predecessori abbiano analizzato i fenomeni naturali riconducendoli esclusivamente alla causalità mecc.anica della materia, e che dunque abbiano trascurato di spiegare la costituzione materiale stessa esplicando la causa formale e quella finale, che nel caso delle parti del corpo corrispondono in primo luogo alla funzione particolare di ciascuna e dunque infine ali' anima. La distinzione dei livelli di composizione della materia costitutiva delle parti degli animali comporta lapplicazione di una visione teleologica della generazione naturale anche al livello dei costituenti più elementari. A proposito delle parti sensibili, in PA II, 1, 647a 2 sgg. Aristotele osserva che "poiché inoltre negli animali alcune parti sono strumentali e altre sensibili, ciascuna di quelle strumentali è disomogenea, come ho detto prima, mentre la sensazione si genera per tutti nelle parti omogenee, perché una qualunque sensazione è di un solo genere, e la sensibile di ciascun è ricettacolo delle sensazioni . Ciò che è in potenza è affetto da ciò che è in atto, sicché è lo stesso che il genere , e sia quello che questo sono uno; per questo nessuno dei fisiologi si arrischia a dire che la mano, il viso o una parte siffatta è terra o acqua o fuoco: connettono invece ciascuna delle sensibili a ciascun elemento, affermando che una è aria, l'altra fuoco".

La diffèrenza di vedute è qui estremamente chiara. Secondo Aristotele le parti sensibili sono parti omogenee, e ciascuna di esse ha uno stretto rapporto con il genere corrispondente di sensibili. Secondo la definizione delineata in PA II, 2, 647b 10 sgg. e HA I, 1, 486a 5 sgg. le parti omeomere sono quelle a loro volta divisibili

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in p:;irti che sono tutte omogenee. Pertanto le parti sensibili, in quanto sono omeomere, non sono composte da un solo elemento, bensì da un insieme di elementi omogeneamente distribuiti. La complessità della costituzione delle parti sensibili viene infatti rilevata in DA III, 1, 424b 27: "tutte le cose di cui abbiamo sensazione per contatto, sono sensibili per mezzo del tatto, che infatti possediamo. Quelle delle quali attraverso un medio, e non per il loro contatto, lo sono per mezzo dei semplici, intendo dire ad esempio aria e acqua. Le cose stanno in modo tale che se più sensibili differenti tra loro per genere sono attraverso un solo , è necessario che chi ['tOV] possiede il sensorio siffatto sia atto a sentire entrambi (ad esempio, se il sensorio è composto d'aria e l'aria è del suono e del colore); se invece vi sono più dello stesso , ad esempio del colore lo sono sia l'aria che l'acqua (entrambi, infatti, sono diafani), allora chi possiederà uno solo dei due avrà sensazione di entrambi. Dei semplici, i sensori sono composti soltanto da questi due, da aria e acqua (la pupilla è d'acqua e l'udito è d'aria, l'olfatto è dell'uno o dell'altro), mentre di fuoco non è nessuno, oppure esso è comune a tutti (nessuno, infatti, è atto alla percezione senza calore), e anche di terra non è nessuno, oppure soprattutto questa entra nella composizione del tatto in modo proprio. Pertanto rimarrebbe che non vi sia nessun sensorio che non sia d'acqua o d'aria, ed effettivamente certi animali ne possiedono".

In questa analisi Aristotele affianca la descrizione delle parti sensibili come parti omogenee e l'individuazione dell'aria e dell'acqua come elementi salienti della loro composizione. A ben vedere, infatti, non si dice affatto che questi siano i componenti esclusivi dei sensori. L'analisi di De sensu 2, 438b 16 sgg. sembra ben coerente con queste precisazioni25: "è evidente che bisogna esplicare in questo modo e ricondurre ciascuna sensibile a uno degli elementi: si assuma dunque che l'attitudine a vedere dell'occhio è d' acqlia, d'aria l'attitudine a sentire i suoni, di fuoco l'olfatto,

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giacché ciò che lolfatto è in atto è in potenza la atta a odorare. La sensibile, infatti, produce in atto la sensazione, sicché è necessario che in primo luogo essa sia ciò che è in potenza. L'odore è una esalazione fumosa, e l'esalazione fumosa proviene dal fuoco. Pertanto la sensibile dell'olfatto è in modo proprio nella regione intorno all'encefalo, giacché la materia del freddo è calda in potenza. Anche la generazione dell'occhio avviene nello stesso modo, giacché la sua costituzione proviene dall'encefalo, e questa è la parte più umida e fredda del corpo. La tattile è di terra. Quella del gusto è una specie del tatto".

Il quadro teorico generale è quello di DA II, 5,418a 3 sgg. Aristotele non intende qui prospettare una descrizione esaustiva della costituzione materiale dei sensori, bensì rilevare quali componenti materiali hanno un ruolo saliente dal punto di vista dell'esplicazione causale. Il passo è di difficile lettura per la complessità dei riferimenti, e le discrepanze rispetto ad altri luoghi sono soltanto apparenti. Quanto a vista e udito non si trovano qui informazioni in più rispetto al DA. Occorre tuttavia sottolineare la precisazione riportata in De sensu 2, 438a 13 sgg.: "che la vista sia acqua è vero, ma il vedere non si produce in quanto essa è acqua, bensì in quanto questa è diafana, ciò che è comune anche·all'aria".

L'interesse di Aristotele non si concentra dunque sugli elementi in quanto tali, ma sull'esplicazione della causa materiale della sensazione, secondo la prospettiva teleologica propria della sua dottrina dei livelli di com~ posizione. In DA II, 9, 422a 6 sgg. Aristotele dà una diversa definizione dell'olfatto osservando che esso "appartiene al secco", ma in De sensu 5 questo stesso rilievo viene ripreso e accostato alla più ampia esplicazione del' oggetto sensibile dell'olfatto come "esalazione fumosa". In Meteor. I, 3, 340b 28 sgg. si chiarisce infatti che l'esalazione in questione è prodotta dal fuoco e si distingue in

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quanto è calda e secca (dr. anche PA II, 2, 649a 20 sgg.). Quanto al tatto, in DA III, 13 Aristotele osserva che nessun elemento da solo può costituire il corpo animale per intero, e che il sensorio del tatto non è costituito né da terra né da nessun altro singolo elemento. Come si è detto, infatti, le parti sensibili sono parti omogenee, e cioè si collòcano al secondo livello di composizione. Aristotele lo chiarisce ancora in Meteor. Iv, 8, 384b 30 sgg.: "i corpi composti da parti omogenee sono costituiti da acqua e terra, sia negli animali che nelle piante, e anche i materiali- di estrazione, come oro, argento e tutti gli altri siff-atti: da questi e dall'esalazione che è rinserrata in ciascuno dei due, come si è detto altrove".

Ma osserva anche che il sensorio del tatto percepisce non soltanto le differenze sensibili della terra, ma anche tutte le altre. Certe differenze sensibili, dunque, sono proprie della terra, e quindi questo elemento deve entrare nella composizione. del sensorio del tatto. In DA II, 11, 423a H sgg. infatti si dice che "è impossibile che il corpo animato sia costituito da aria o acqua, giacché occorre che sia qualcosa di solido. Rimane allora che sia un misto di terra e di questi , come in effetti tendono ad essere la carne e l'analogo",

e ancora in PA II, 1, 647a 15 sgg. si precisa che "poiché la sensazione ha sede nelle parti semplici, accade assai ragionevolmente che il tatto si generi in una parte omogenea, ma nella meno semplice tra quelle sensibili. Infatti è opinione assai comune che esso sia di più generi, e che ciò che da esso è sentito abbia molte contrarietà, caldo freddo, secco umido, e ancora altre siffatte. E la sensibile, la carne e ciò che è ad essa analogo, è la più corporea tra ·tutte le sensibili. Ma poiché è impossibile che vi sia un animale senza sensazione, anche per questo sarebbe necessario per gli animali avere alcune parti omogenee, giacché la sensazione è in queste, mentre le azioni appartengono ad essi a causa delle parti disomogenee".

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Come si è visto, in De sensu 2, 439a 1 sgg. Aristotele osserva che le due sensazioni del tatto e del gusto sono prossime al cuore. La precisazione riportata in DA IIl, 13, 435a 17 sgg. illustra in che ·senso propriamente il tatto e il gusto si distinguono dagli altri sensi: "ogni corpo dotato di anima, come si è detto, possiede il tatto. Tranne che la terra, tutti gli altri dementi possono divenire sensori, e tutti producono la sensazione perché sentono attraverso qualcos'altro, vale a dire attraverso i medi; il tatto, invece, perché tocca le cose stesse, e pertanto ha questo nome: in effetti anche gli altri sensori sentono per contatto, ma attraverso qualcos'altro, ma si ritiene che questa sia la sola che attraverso se stessa [~t.' a.ù't'i'jç]".

Aristotele attribuisce qui alla totalità dei sensi due caratteristiche comuni: la modalità del sentire "attraverso qualcosa", vale a dire un medio, e quella del sentire "per · contatto", posto che questo contatto si realizza in ogni caso attraverso alcunché di intermedio tra lorgano e I' oggetto percepito. Nel tatto questo medio è costituito dal corpo stesso, nel senso che è il cqrpo animato intero ciò che entra in contatto con le cose, mentre nel caso delle altre sensazioni questo non avviene26. Inoltre, come si è visto, in DA IIl, 13, 435b 13 sgg. Aristotele·osserva che nel caso del tatto I'eccesso dei sensibili è letale, per: ché corrompe il corpo dell'animale e il cuore in particolare, talché il danno riguarda l'individuo nella sua totalità e il suo principio vitale, e viene meno ciò in cui consiste il suo stesso essere animale. Si può osservare inoltre che De sensu 1, 436a 14 si richiama esplicitamente a DA II, 3, 414b 3 sgg. e che per converso in DA IIl, 2, 426b 17 sgg. si precisa che "è evidente che la carne non sia il sensorio ultimo: sarebbe necessario, infatti, che ciò che giudicà giudicasse toccando",

in modo del tutto affine a PA II, 10 6561:> 35:

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"la prima parte sensibile non è la carne e la parte siffatta, ma si trova all'interno".

Occorre tenere ben presente la polisemia del termine "primo", che qui indica il principio della sensazione, mentre in PA Il, 8, 653b 19 sgg., dove la carne è definita com.e principio della corporeità, indica ciò che per primo entra in contatto con l'oggetto sensibile, essendo all'opposto rispetto al principio della sensazione: "si deve indagare sulle altre parti omogenee, e in primo luogo sulla carne, nel caso degli che hanno carni, sull'analogo nel caso degli altri: questa , infatti, è principio e corpo per sé degli animali. Questo è chiaro anche secondo la nozione, giacché definiamo l'animale per il fatto che ha sensazione, e in primo luogo la prima: questa è il tatto; la parte sensibile di questa - o, se si vuole, la prima - è la parte siffatta, come la pupilla della vista, o è lina frapposta, attraverso la quale , come se uno aggiungesse alla pupilla tutta la trasparente. Pertanto, per la natura era impossibile e inutile fare questo per le altre sensazioni, mentre la tattile è per necessità, giacché tra le parti sensibili è l'unica corporea o quella che lo è maggiormente. Secondo la sensazione, è chiaro che tutte le altre sono a cagione di questa ".

Aristotele insiste qui soprattutto sul fatto che la sensa.zione del tatto è connessa al corpo intero in quanto si produce attraverso il suo costituente primario, ma il riconoscimento della funzione della carne si affianca perfettamente all'indicazione del cuore come sede della sensazione. Secondo Aristotele, la sensazione è l'attività animale che in prima istanza si esplica come comune all'anima e al corpo. Poiché la sensazione prima, la più necessaria, è il tatto, si dà il caso che soprattutto nell' esercizio di questo senso la funzionalità del corpo intero sia chiamata in causa. In DA II, 11, 423a 6 sgg., Aristotele osserva che la natura stessa cj.el corpo come medio del tatto, per altro verso, spiega la complessità di questa sensazione, che tende ad avere una natura multi-

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pla, come se percepisse più generi di sensibili21. Per illu. strare questa nozione egli utilizza un esempio del tutto affine a quello riportato nel passo precedente: "perciò si ritiene che la parte siffatta del corpo [sci!. la carne] stia come se l'aria che ci circonda fosse naturalmente attaccata a noi".

Aristotele osserva dunque che, in tal caso, il mezzo attraverso il quale si hanno due diverse sensazioni, quella della vista e dell'udito, sarebbe parte integrante del corpo, e che pertanto si avrebbe l'impressione di percepire più sensibili in qualche modo in un unico atto. In questo modo, ancora una volta, s~ determina la specificità del corpo come medio del tatto, in quanto esso è essenzialmente differente rispetto al medio attraverso cui operano le altre sensazioni. Nella sezione centrale del De sensu Aristotele riprende la ricerca secondo l'impostazione stabilita nel DA, soffermandosi sulla natura dei diversi oggetti sensibili. L'analisi si concentra in particolare su vista, gusto e olfatto, vale a dire rispettivamente su colori, sapori e odori. Il colore viene definito in DA II, 7, 418a 31 sgg. come oggetto proprio della vista in quanto imprime il movimento a ciò che è diafano in atto: "ogni colore è atto a muovere ciò che è diafano in atto, e questa è la sua natura. Pertanto non vi è visibile senza luce, · ed ogni colore di ciascuna cosa è visibile soltanto nella luce".

A sua volta la luce "è l'atto del diafano in quanto diafano" (418b 9),

vale a dire "la presenza di fuoco o di alcunché di siffatto nel diafano" (418b 16).

La visione del ·colore avviene dup.que allorché il diafano presente nel mezzo si attualizza divenendo luminoso. La trattazione del De sensu si concentra in particolare sulla

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definizione del diafano, che viene richiamata non soltanto a proposito della vista, ma anche nell'analisi delle altre sensazioni2S: "ciò che diciamo diafano non è proprio né dell'aria né dell'acqua né di nessun altro dei corpi che chiamiamo in questo modo, bensì è una natura comune, una potenza, che non è separata, ma si trova in queste cose e risiede anche negli altri corpi, in alcuni più in altri menò"29.

A questo proposito, in De sensu 2, 438b 3 sgg., Aristotele riprende le istanze delineate in DA II, 12, 424a 17 sgg., dove osserva che le parti sensibili assumono la forma degli oggetti sensibili senza la materia, e in DA II, 5,418a 3 sgg., dove precisa che i sensori sono in potenza ciò che i sensibili sono già in atto, analizzando in' dettaglio il processo fisiologico nel quale consiste la, visione3°: "sia luce o aria il mezzo tra ciò che è visto e l'occhio, il vedere è il movimento che si produce attraverso questo . L'interno, dunque, è d'acqua per una buona ragione, giacché l'acqua è diafana. In effetti come non si vede se non c'è luce all'esterno, così pure se manca all'interno, giacché anche questo occorre che sia diafano. Pertanto è necessario che sia d'acqua, dal momento che non è d'aria. L'anima o la parte sensibile dell'anima non si trovano all'estremità dell'occhio, e piuttosto è evidente che si trovino all'interno: pertanto è necessario che l'interno dell'occhio sia diafano e atto a ricevere la luce".

Un processo analogo all'attualizzazione del diafano nel-

1'aria si verifica dunque anche all'interno dell'occhio,

m

quanto è composto d' acche è ugualmente diafano qua31. Nel corso di De sensu 3 Aristotele mostra dunque che la· maggiore o minore presenza del diafano nei corpi, e dunque la quantità del fuoco che vi è contenuto, è causa della differenza tra i colori. La serie dei colori ha come estremi il bianco e il nero, che sono contrari poiché nel1'ambito del genere si oppongono secondo la massima

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differenza in termini di possesso e privazione del diafano. Sulla base di questa premessa, e dopo una discussione di tre teorie alternative sulla diversità dei colori, Aristotele mostra che la natura dei colori intermedi è dovuta ad una mistione di bianco e nero secondo una certa proporzione32. Secondo il medesimo schema, Aristotele definisce anche la serie dei sapori e degli oçlori, rintracciando una corrispondenza analogica e ricostruendo in questo modo un sistema unitario della percezione. In De sensu 4, 442a 12 sgg. si stabilisce dunque l'analogia tra colori e sapon: "Dunque, come i colori sono una mistione di bianco e nero, così i sapori lo sono di dolce e amaro. Ciascuno è più o meno tale secondo proporzione, siano numero e movimento secondo numeri, oppure indeterminati. Quelli misti che producono piacere sono secondo numeri. Dunque il grasso è il solo sapore dal dolce, il salato e l'amaro sono all'incirca la stessa cosa, mentre l'acre, il piccante, l'acido e l'aspro stanno in mezzo. Le specie dei sapori, infatti, sono all'incirca uguali a quelle dei colori. Vi sono sette specie degli uni e degli altri se si assume, come è ragionevole, che il grigio sia un certo nero: rimane dunque che il giallo e il bianco siano còme il grasso e il dolce, il rosso, il porpora, il verde e il blu siano nel me2zo tra bianco e nero, e che gli altri siano mescolanze di questi. Come il nero è privazione del bianco nel diafano, così il salato e l'amaro lo sono del dolce nell'umido nutritivo".

In De sensu 5, 443b 3 sgg. si delinea invece una corrispondenza rispetto alla serie degli odori: "che dunquel'umido, sia quello che si trova nell'aria, sia quello che si trova nell'acqua, possa trarre alcunché e subire una certa affezione da parte del secco dotato di sapore, non è oscuro. L'aria, infatti, è umida di natura. Inoltre, se il secco agisce in modo simile nei liquidi e nell'aria, cioè come se fosse lavato, è chiaramente necessario che gli odori siano analoghi ai sapori. Questo tuttavia accade in certe cose, giacché vi sono odori anche piccanti, dolci, acri, acidi e grassi, e si potrebbe dire che quelli fetidi siano analoghi ai amari".

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Si può osservare che il modello sul quale si basa questa teoria della corrispondenza è costituito dalla nozione di diafano, secondo la quale, come si è visto, Aristotele stabilisce l'affinità tra i fenomeni che si verificano nel medio percettivo e i processi fisiologici che avvengono nella parte sensibile. In De sensu 5, 442b 28 sgg., infatti, si dice che "ciò che l'umido produce nel secco, lo produce in un altro genere l'umido dotato di sapore, in modo simile nell'aria e nell'acqua. Diciamo dunque che il diafano è comune a queste cose, ed è sensibile all'odorato non in quanto è diafano, bensì in quanto è atto a lavare e pulire il secco dotato di sapore".

Uno dei guadagni teorici del De sensu consiste infatti nella definizione del diafano come una certa natura che è presente in tut6_ corpi, e non soltanto in quelli trasparenti, in quanto ogni mistione contiene acqua e aria33. r; analisi del modo in cui Aristotele definisce questa corrispondenza analogica delle serie dei sensibili contribuisce dunque a chiarire i termini della sua concezione unitaria dell'attività sensibile al di là della complessità che la caratterizza, se la si rapporta alla definizione della sensazione stessa come medietà rispetto alle serie di sensibili delimitate dagli estremi, riportata in DA II, 11, 424a 1 sgg.: "avere sensazione è subire una certa affezione. Pertanto, rende in atto sirr>ile a se stesso ciò che è siffatto in potenza. Perciò non abbiamo sensazione di quel che è caldo, freddo, duro o molle in modo simile, bensì solo di ciò che lo è in eccesso, dal momento che la sensazione è come una certa medietà tra i contrari che sono nei sensibili, e per questo distingue i sensibili. Il medio, infatti, è atto a distinguere, giacché diviene uno dei due estremi in relazione ali' altro, e occorre che ciò che deve avere sensazione del bianco e del nero non sia in atto nessuno dei due, ma entrambi in potenza (e così anche quanto alle altre )".

La determinazione della medietà caratterizza, come si vedrà, la trattazione aristotelica della funzione del cuore come organo centrale della sensazione.

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5. La sensazione comune In più luoghi dei PN Aristotele riprende la trattazione della "sensazione comune" svolta in DA II, 6, 418a 17 sgg. 34, ora per trattare di quelle "affezioni comuni" che, come la memoria, si esplicano insieme alla sensazione o a causa della sensazione in quanto ne sono affezioni o abiti, ora per trattare il problema della sensazione simultanea di due sensibili di genere differente, o quello della facoltà di distinguere la differenza tra questi stessi sensibili, o ancora la questione di come sia possibile avere ·contezza del fatto che due diverse qualità sensibili appartengono al medesimo oggetto. La determinazione dell'unità della sensazione comune si colloca nello stesso impianto teorico in cui si definiscono l'unità dell'attività sensibile tout court e l'unità stessa delle diverse attività dell'anima. Per un verso, Aristotele sostiene in DA m, 1, 425a 14 sgg. che la sensazione comune non è in alcun modo un sesto senso, vale a dire un senso che possa percepire un sensibile comune come il movimento nel modo in cui la vista percepisce il colore. Per altro verso, egli insistè sull'unità della sensazione comune, trattandola alla stregua delle altre attività dell'anima, cioè come un'attività comune ali' anima e al corpo. Ne consegue che l'unità in questione è urì'unità organica, la cui definizione si affianca alla localizzazione dell'anima nel cuore inteso cwe principio35. In DA III, 2, 426b 19 sgg. Aristotele riprende la definizione della sensazione come medietà rispetto alle serie di sensibili delimitate dagli estremi36, riportata in DA II, 11, 424a 1 sgg., in un contesto problematico più ampio rispetto a quello delle prime sezioni del De sensu, osservando che se per un verso' è chiaro che la sensazione distingue i sensibili in quanto è "proporzione" tra gli estremi nell'ambito di ciascun genere, per altro verso occorre spiegare in che modo avvenga la distinzione tra sensibili di genere diverso:

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"così, se io ho una sensazione e tu ne hai un'altra, è evidente che si tratti di diverse l'una dall'altra; bisogna però che sia uno solo a dire che sono diverse [. .. ]. Non è forse che, pertanto, ciò che giudica è uno di numero e indivisibile, e al tempo stesso anche diviso quanto ali' essenza? È possibile dunque che in un certo modo ciò che è diviso abbiasensazione dei divisi, ma questo è possibile in quanto è indivisibile: quanto ali'essenza, infatti, è divisibile, quanto al luogo e al numero, invece, è indivisibile. O non è possibile? La stessa cosa indivisibile, infatti, può essere in potenza i contrari, ma non li è effettivamente: piuttosto, in atto è divisibile, e non è possibile che sia al tempo stesso bianca e nera. Né si possono subire allo stesso modo le affeZioni delle forme di queste , se la sensazione e· il pensiero sono siffatti. Invece è come certuni dicono che sia il punto [crnyµ'llv ], sotto un certo rispetto uno, sotto un altro due, e pertanto divisibile: in quanto dunque è indivisibile, ciò che giudica è uno e simultaneo, in quanto invece è divisibile, fa uso dello stesso segno [ è definita bene, non sarà definita senza la funzione, e questa non potrà appartenere senza la sensazione".

La definizione del corpo animale come sostanza sensibile conduce in DA III, 12 a un'ulteriore precisazione. Aristotele osserva che "se il corpo possiede sensazione, è necessario che sia semplice o composto. Non è possibile però che sia semplice, giacché in tal caso non avrebbe tatto, e invece è necessario che lo abbia. È evidente in base a queste cose: poiché l'animale è un corpo dotato di anima, ogni corpo è tangibile, e tangibile è ciò che è sensibile al tatto, è necessario che anche il corpo dell'animale sia sensibile al tatto, se lanimale dovrà conservarsi. Le altre sensazioni, infatti, si hanno attraverso altre cose: olfatto, vista, udito. Se 1'animale non avesse sensazione quando toccà , non sarebbe in grado di fug-

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gire certe cose e di prenderne altre, e se è così è impossibile che l'animale si conservi".

L'intero passo ha una stretta relazione con le prime pagine del De sensu. L'osservazione iniziale sulla differenza tra corpi semplici e composti, ad esempio, non viene sviluppata che nel De sensu stesso. In questo modo Aristotele chiarisce l'importanza centrale della sensazione del tatto, che si distingue dalle altre in quanto il medio attraverso il quale avviene la percezione è costituito dal corpo stesso, e non da qualcosa di altro dal corpo. Ora, in questo luogo Aristotele stabilisce questa distinzione al fine di mostrare che a causa della modalità di esercizio del tatto, da questa sensazione dipende in primo luogo la conservazione in vita dell'animale. In DA III, 13, 435b 13 sgg., infatti, si precisa che "leccesso dei tangibili, ad esempio delle cose calde, fredde o dure, uccide lanimale: leccesso di ogni sensibile infatti distrugge la parte sensibile, e così anche il tangibile il tatto; ma lanimale si definisce sulla base dd tatto, giacché si è mostrato che non è possibile che vi sia un animale senza tatto. Perciò leccesso dei tangibili corrompe non solo la parte sensibile, ma anche l'animale".

La distruzione del tatto coincide dunque con la distruzione del corpo, vale a dire del medio della sensazione, e con la distruzione del cuore, che è al tempo stesso l' organo principale del tatto e il principio stesso della vita. Si dimostra in questo modo che il possesso del tatto è necessario perché è impossibile che l'animale non abbia questa sensazione. Per converso, in DA II, 2, 413b 2 sgg., Aristotele definisce la collocazione degli animali nell'ambito del genere dei viventi osservando quali sono le facoltà che possono essere esercitate separatamente dalle altre, e dunque chiarisce in positivo la necessità del possesso del tatto mostrando che questa sensazione è l'unica che può esistere da sola: "tra le sensazioni, qudla che in primo luogo appartiene a

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tutti è il tatto. Come è possibile che la nutritiva sia separata dal tatto e da ogni sensazione, così è possibile che il tatto lo sia dalle altre sensazioni. Nutritiva diciamo la parte siffatta dell'anima della quale partecipano anche le piante. Si ritiene invece che tutti gli animali possiedano la sensazione tattile. Per che causa accadano queste due cose, lo diremo in seguito".

La vita animale si definisce dunque nella sua diversità secondo la molteplicità delle attività dell'anima e delle funzioni- nutrizione, movimento, sensazione- coordinate e unificate dal comune rapporto con la sensazione, al quale corrisponde la collocazione di tutti i diversi principi nel cuore. Nel corso dei PN Aristotele definisce la vita secondo questa diversità di aspetti, connessi da una trama continua. In De sensu 2, 439a 1 sgg. egli osserva che "il sensibile del gusto è una specie del tatto. Per questo le loro sensibili, quella del gusto e quella del tatto, sono vicine al cuore, giacché questo si oppone ali'encefalo ed è la parte più calda".

L'accostamento del tatto e del gusto ali' attività del cuore si determina nel quadro della polarità tra l' encefalo, indicato come la parte più fredda del corpo, e il cuore, indicato come quella più calda. La sensazione stessa si definisce in DA Il, 11, 424a 4 sgg. come una medietà tra qualità contrarie, e in PA II, 4 Aristotele descrive approfonditamente la relazione tra la qualità del sangue e l'acutezza della sensazione, osservando che questa differisce in ragione del fatto che esso sia freddo o caldo, sottile o denso, puro o torbido, come anche in PA II, 10, 656b 1 sgg.; dove si tratta la causa della posizione di alcune parti sensibili nella testa50. Secondo il medesimo impianto teorico si definiscono, per altro verso, gli aspetti relativi alle funzioni vitali dell'animale. Come Aristotele precisa in De vita 23, 479a 8 sgg. e ancora in De vita 24, infatti, "la nascita è la prima

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partecipazione dell'anima nutritiva al calore, e la vita ne è la permanenza": questa permanenza è assicurata dal bilanciamento del calore, del quale il cuore è principio51, poiché impedisce che esso si estingua troppo velocemente52, Questa funzione è svolta parallelamente dalla respirazione, che in questo senso si definisce come condizi9ne stessa della vita53, e dal principio del freddo costituito dall' encefalo54. A qliesto proposito, mette conto richiamare quanto si dice in PA II, 7, 652b 35 sgg.: "perciò, inoltre, i flussi corporei da principio provengono dalla testa, in tutti nei quali le intorno ali'encefalo siano più fredde rispetto alla mistione commisurata: poiché, infatti, il nutrimento esala in alto attraverso le vene, il residuo, raffreddatosi per la potenza di questo luogo, produce flussi di flegma e di siero. Bisogna assumere, raffrontando così il piccolo al grande, che accada in modo simile alla generazione delle piogge: il vapore, infatti, esala dalla terra ed è portato dal caldo verso la regione superiore; quando poi si giunge nell'aria al di sopra della terra, che è fredda, per il raffreddamento si condensa di nuovo in acqua e fluisce giù, verso la terra".

Come si è visto, Aristotele analizza il decorso dei movimenti sensibili dai sensori periferici al cuore e il processo di formazione delle immagini, secondo cui si esplicano tra l'altro i fenomeni attinenti alla memoria e ai sogni, facendo ricorso ai due modelli complementari del moto dei proiettili e della trasmissione del calore per contatto. Ora, il modello dinamico della generazione delle piogge, cioè quello dell' antiperistasis, non si applica soltanto alla sensazione, ma spiega tutti i fenomeni relativi alla trasmissione del calore all'interno del corpo, rivelandone in questo modo la connessione. Nel bilanciamento procurato dall'opposizione del principio del calore e degli agenti di raffreddamento consiste la conservazione della vita stessa dell'animale, ma anche la sensazione, come si è detto, è resa possibile dal darsi di questo equilibrio nei sensori55. L'azione del

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cuore come principio della nutrizione è intesa a sua volta a mantenere un analogo bilanciamento procurando alimento al calore diffuso nel corpo, dal momento che le diverse parti possiedono un calore proprio per mezzo del quale elaborano il nutrimento56. Si definisce dunque in questo modo la differenziazione delle funzioni del sangue come nutrimento ultimo del corpo e come veicolo di trasmissione dei movimenti sensibili. Nel De respiratione Aristotele è interessato a chiarire l'intima connessione tra l'attività del cuore e quella del polmone. L'orientamento della trattazione si delinea ad esempio in De respir. 22, 478a 25 sgg.: "bisogna studiare nelle Dissezioni e nelle Ricerche sugli animali in che modo il cuore sia in comunicazione con il polmone. In generale, infatti, la natura degli animali ha bisogno di raffreddamento a causa dell'infiammazione dell'anima all'interno del cuore. Producono questo per mezzo della respirazione gli animali che possiedono non soltanto cuore ma anche polmone. Quelli che possiedono cuore ma non polmone, come i pesci, a causa del fatto che la loro natura è acquatica, effettuano il raffreddamento con l'acqua attraverso le branchie".

L'esplicazione del raffreddamento che assicura l' equilibrio del calore evitandone la consunzione, e dunque preservando l'animale dalla morte, non si sofferma qui sulla funzione dell'encefalo: l'accento dell'analisi di Aristotele, infatti, è posto ancora una volta sul cuore, che egli esplica come causa della respirazione stessa. Questa scansione di pensiero si riscontra innanzi tutto in De vita 26, dove si analizzano i fenomeni correlati della pulsazione del cuore e della respirazione57. La pulsazione è dovuta all'attività del cuore come principio nutritivo, allorché giunge nel cuore il nutrimento fluido dal quale si genera il sangue: accade allora che l'aumento del calore produca un fenomeno simile all'ebollizione, e che il pneuma generi un rigonfiamento ciclico. È della mas.sima importanza rammentare che in Meteor. II, 8, 366b

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14 sgg. Aristotele richiama il fenomeno della pulsazione per spiegare la genesi dei terremoti, in un contesto nel quale il modello dell' antiperistasis ha piena applicazione. In De vita 27, invece, la dinamica della concozione del nutrimento viene connessa a quella dell'atto respiratorio. La concozione del sangue nel cuore comporta un aumento del calore: poiché il calore tende ad espandersi verso l'alto, il polmone si solleva come un mantice, provocando l'ingresso dell'aria esterna. Quest'aria è fredda, e poiché il freddo contrae, l'aria esce nuovamente: questo raffreddamento fa sì che il surriscaldamento che si genera nel cuore in conseguenza dell'esercizio della sua attività di sede principale dell'anima nutritiva non sia eccessivo. In base a questa connessione, dunque, Aristotele stabilisce la necessità della respirazione in vista della conservazione della vita.

10. Il punto medio della sostanza La localizzazione del principio della sensazione e delle altre attività dell'anima nel cuore e la definizione dell'unità dell'attività sensibile sulla base del paradigma costituito dal punto in cui si articolano le membra mostrano che un presupposto importante dell'analisi di Aristotele è costituito dalla rappresentazione geometrica del corpo animale e dell'organizzazione funzionale delle parti. Secondo quanto si dice in De inc. 2, 704b 18 sgg., questa rappresentazione, orientata secondo le cosiddette "dimensioni della grandezza", costituisce uno dei principi guida della ricerca naturale: nelle diverse opere biologiche, infatti, questo schema costituisce un vero e proprio filo conduttore secondò il quale si determina in una prospettiva teleologica l'esplicazione della disposizione delle parti del corpo. Nel corso dei PN Aristotele si concentra in particola-

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re sulla posizione centrale del cuore, collocato al centro del tronco, vale a dire nel punto medio della regione del corpo che contiene le parti necessarie per la vita dell' animale, e che viene denominata "corpo necessario" in PA III, 4, 665b 24 sgg. L'individuazione dei questa regione fondamentale costituisce la chiave della trattazione correlata dell'azione del cuore come principio del calore del corpo e di quella del polmone come principio della refrigerazione e del temperamento di questo stesso calore. Rispetto alla totalità del corpo, si tratta dunque della regione che contiene i principi, cioè quella nella quale in prima istanza si trova quanto costituisce l'essenza stessa dell'animale. La rappresentazione geometrica del corpo animale impostata secondo questi criteri di riferimento, pertanto, è la ratio stessa dell'accostamento, nel pensiero di Aristotele, di una visione ilemorfica del rapporto tra anima e corpo e dell'individuazione della sede principale dell'anima nel cuore5s. La profonda unità teorica che connette queste istanze può essere riscontrata ad esempio in Metaph. VII, 16, 1040b 10 sgg.: "è evidente che tra le cose che sono considerate sostanze la maggior parte sono potenze: le parti degli animali (nessuna di queste, infatti, esiste separatamente; e quando vengano separate, anche allora sono tutte come materia), la terra, il fuoco e laria. Nessuna di queste è alcunché di uno, bensì una sorta di mucchio, prima che siano concorre [7tpÌv Ti m::cj>0'1]] e che da esse si generi qualcosa di uno. Soprattutto si può assumere che le parti degli esseri animati, all'incirca .[mipeyyuç] come quelle dell'anima, sono entrambe le cose, vale a dire sono in atto e in potenza, poiché il principio dd loro movimento risiede in ciò che sta nelle flessioni [àrc6 nvoç ÉV 'tdit; 1mµ7tdiç]. Perciò certi animali vivono anche divisi, ma ugualmente tutti sono in potenza quando sono alcunché di uno e continuo per natura, ma non quando lo sono per forza. o composizione: una cosa siffatta è una malformazione".

In questo passo Aristotele raccoglie secondo un'unica linea di pensiero la sua concezione del rapporto tra

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corpo e anima inteso secondo l'opposizione di materia e forma per un verso e potenza e atto per l'altro59. La nozione dell'unità del corpo come intero composto di parti e di quella dell'anima, una al di là della molteplicità delle sue funzioni, viene illustrata per mezzo dell' analogia col punto di flessione delle membra, e la ragione stessa di questa unità viene individuata nell'attività del cuore come principio della concozione per un verso, vale a dire dell'anima nutritiva, e del movimento per altro verso. In questo senso il cuore viene detto "principio della sostanza" in De vita, 23, 478b 32 sgg.: "la corruzione avviene per tutti a causa di un certo difetto di calore; nel caso dei compiuti, si ha nella in cui si trova il principio della sostanza. Questo si trova, come si è detto prima, nel punto in cui alto e basso si congiungono: nel caso delle piante è nel punto mediano tra gambo e radice; negli animali sanguigni è il cuore, in quelli non sanguigni l'analogo. Alcuni di questi hanno in potenza molti principi, ma non certo in atto".

Come si può osservare, la vita stessa consiste, al livello più elementare, nel mantenimento del calore connaturato, ad opera del cuore, mentre l'invecchiamento e la morte consistono in una sua corruzione. L'azione del cuore come principio di calore assicura il darsi della prima condizione necessaria per la realizzazione di ogni aspetto della vita animale. Tutte le funzioni e tutte le attività dell'anima e del corpo, infatti, si eserdtano per mezzo del fuoco, come Aristotele chiarisce in De resp. 14, 474a 25 sgg. "si è detto in precedenza che il vivere e il possesso dell'anima si accompagnano a un certo calore. La concozione, infatti, mediante la quale per gli animali si genera il nutrimento, non avviene infatti né senza anima né senza calore. Ogni funzione viene esercitata per mezzo del fuoco. Pertanto è necessario che il principio siffatto si trovi nel luogo primo del corpo e nella parte prima di questo luogo, e lì è necessario che si trovi anche la prima anima, quella nutritiva".

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La determinazione della centralità coincide con l'esplicazione teleologica, dal momento che la posizione del principio è indicata come la migliore in vista dell'esercizio delle funzioni in questione, secondo quanto si chiarisce nell'ampia trattazione del cuore svolta in PA III, 3, 665a 12 sgg.: "nelle anteriori e nel mezzo si trova il cuore, nel quale diciamo che si trova il principio della vita, di ogni movimento e anche della sensazione (la sensazione e il movimento, infatti, sono verso ciò che chiamiamo 'davanti', e proprio per questa stessa ragione si distingue il davanti e il dietro); per altro verso, il pohnone si trova dove è il cuore e intorno ad esso, e la respirazione per questo, e per il principio che è contenutò nel cuore. La respirazione avviene negli animali attraverso la trachea, sicché essendo necessario che il cuore si trovi per primo nelle anteriori, è necessario che anche la laringe e la trachea si trovino prima dell'esofago: queste, infatti, si dispiegano sino al polmone e al cuore, quello invece sino al ventre. In assoluto e sempre ciò che è migliore e più ragguardevole, dove qualche altra più grande non sia d'intralcio, rispetto ad alto e basso si trova più in alto, rispetto a davanti e dietro si trova nelle anteriori, rispetto a destra e sinistra si trova nelle di destra".

Queste istanze sono ampiamente riprese nei PN, poiché costituiscono un'armatura teorica estremamente duttile per l'esplicazione delle attività che Aristotele definisce come comuni all'anima e al corpo. Così in De juv. 4, 469a 24 sgg. egli osserva che "secondo i fenomeni è evidente, in base a ciò che si è detto, che delle tre parti del corpo il principio dell'anima sensibile si trova in questa media, e anche di quella accrescitiva e nutritiva. Secondo il ragionamento, per altro verso, vediamo che la natura produce in tutte le cose il meglio tra quanto è possibile. Poiché dunque ciascuno dei due principi è nel punto medio della sostanza, ciascuna delle due parti può compiere la sua funzione nel modo migliore, vale a dire la che elabora il nutrimento ultimo e quella che lo riceve. Rispetto a ciascuna delle due, infatti, ID.:Eill: KAI AU:E>HTQN LA SENSAZIONE E I SENSIBILI TIEPI MNHMHL KAI ANAMNm:Eill:

LA MEMORIA E IL RICHIAMO ALLA MEMORIA ITEPI YITNON KAI ErPHf'OPEEQL

IL SONNO E LA VEGLIA TIEPI ENlITNIQN

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LA DIVINAZIONE NEL SONNO ITEPI MAKPOBIOTHTOE KAI BPAXIBIOTHTOE

LA LONGEVITÀ E LA BREVITÀ DELLA VITA TIEPI NEOTHTOE KAI rnPm:, KAI ZQID.: KAIE>ANATO!,KAIANAITNOID.:

LA GIOVINEZZA E LA VECCHIAIA LA RESPIRAZIONE, LA VITA E LA MORTE

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. LA SENSAZIONE E I SENSIBILI

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tutti i corpi partecipano del colore, talché di ciò che è comune si ha sensazione al grado massimo per mezzo suo (intendo comuni forma, grandezza, movimento, numero)9. L'udito, invece, [10] soltanto le differenze del suono, e in pochi anche quelle della voce. Per accidente, tuttavia, l'udito concorre alla saggezza in una parte maggiore: il discorso, infatti, è causa di apprendimento una volta che sia stato udito, non per sé bensì per accidente, giacché è composto di nomi e ciascun nome [15] è un simbolo. Pertanto, trà quelli che sono privi di una delle due sensazioni fin dalla nascita, i ciechi sono più saggi rispetto ai sordomutilO.

2. [Rapporti tra le sensazioni e gli elementi. Critiche a Empedocle, Platone e Democrito.] Riguardo alla facoltà che ciascuna sensazione possiede si è detto in precedenza. Riguardo invece alle sensibili del corpo nelle quali esse si trovano per natura, [20] certuni li cercano facendo riferimento agli elementi dei corpi, non riuscendo tuttavia a ricondurle a quattro, poiché sono cinque, e si arrovellano sul quinto. Tutti fanno la vista di fuoco, poiché ignorano la causa di una certa affezione: se si preme e si muove l'occhio sembra infatti che si accenda un fuocon; questo tuttavia [25] accade al buio o quando le palpebre sono abbassate (giacché anche allora c'è buio)12. Vi è anche un'altra difficoltà: se infatti non è possibile che a chi vede sfugga ciò che vede e di cui ha sensazione, è necessario che l'occhio veda se stesso. Perché dunque ciò non accade quando sta fermo? Le [30] cause di ciò, sia della difficoltà sia del ritenere che la vista sia fuoco occorre assumerle da qui. Le cose lisce, infatti, brillano per natura nel buio, ancorché in effetti non producano luce, e nell'occhio [ 43 7b] il cosiddetto "nero", il centro, sembra liscio. Lo sembra, tuttavia, quando l'occhio si muove, poiché accade come

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siffatta sia una sorta di mistione generale di semi46 dei sapori, e che dunque questi si generano tutti dall'acqua, ma da una parte o dall'altra; oppure ancora, poiché l' acqua non possiede differenza alcuna, che la causa sia ciò che li produce: si potrebbe dite ad esempio che si tratti del calore, oppure del sole47. [10] Tra queste , quella che sostiene Empedocle presenta un errore piuttosto facile da individuare: vediamo infatti che i sapori mutano a causa del calore quando i frutti raccolti vengono cotti al sole: pertanto non divengono siffatti a causa di ciò che traggono dall'acqua, bensì mutano dentro il frutto stesso, ed essiccati [15] e rimossi dopo tempo, diventano aspri da dolci che erano, e amari, e di ogni ; se vengono cotti, poi, assumono per così dire ogni genere di sapore. Allo stesso modo è impossibile che l'acqua sia materia di una mistione generale di semi, giacché vediamo che dalla stessa acqua, come nutrimento, si generano [20] sapori diversi. Resta dunqùe che l'acqua muti subendo qualche affezione48. È evidente dunque che wfil WD À.eUKoU, omro 'tÒ àÀ.µUpòV Kaì 'tÒ mKpÒv 'tOU yÀ.UKÉOç Èv 'te\) 'tpocj>iµqi uypc\). ÙlÒ Kaì TJ -rÉcj>pa -rrov KawKatoµÉVrov mKp~ Jtciv-rrov· è!;iKµacr-rcn yàp -rò 7tonµov È/; aù-rrov. LiT}µoKptwç oè KumoJ.Oyrov, ocrot À.Éyoum TCEpÌ aicr0ilcrEroç, à-ro7tortm6v n 442b 1tOtoi5mv· 1tclv'ta yàp 'tà mcr0T}'tà UITTà 1tOlOUcrtV. Kal~Ol EÌ 'tOi5'tO omroç fxEl, &f{À.OV c0ç Kaì 'tcOV &Mmv CXÌcr0r\crEIDV ffclcr't'T}

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misto53. Bisogna dunque dare definizione cli queste cose negli scritti sulla generazione54, e ora toccarne soltanto quanto è necessario55. Il caldo accresce [5] ed elabora il nutrimento: attira ciò che è leggero e a causa del peso tralascia ciò che è salato o amaro. Ciò che il calore esterno produce nei corpi esterni lo produce quello naturale negli animali e nelle piante: perciò li nutre il dolce, giacché gli altri sapori si mescolano nel cibo nel modo [1 O] del salato e dell'aspro, come un condimento, affinché il dolce non sia troppo nutriente rispetto alle altre cose e indigesto. Dunque, come i colori sono una mistione cli bianco e nero, così i sapori lo sono cli dolce e amaro. Ciascuno è più o meno tale secondo proporzione, [15] siano numero e movimento secondo numeri, oppure indeterminati. Quelli misti che producono piacere sono soltanto secondo numeri. Dunque il grasso è il solo sapore dal dolce, il salato e l'amaro sono all'incirca la stessa cosa, mentre l'acre, il piccante, l'acido e l'aspro stanno in mezzo. [20] Le specie dei sapori, infatti, sono all'incirca uguali a quelle dei colori. Vi sono sette specie degli uni e degli altri se si assume, come è ragionevole, che il grigio sia un certo nero: rimane dunque che il giallo e il bianco siano come il grasso e il dolce, il rosso, il porpora, il verde e il blu siano nel mezzo tra bianco [25] e nero, e che gli altri siano mescolanze cli questi. Come il nero è privazione del bianco nel diafano, così il salato e l'amaro lo sono del dolce nell'umido nutritivo. Perciò inoltre tra tutte le cose bruciate la cenere è la più amara, giacché ciò che evapora è la potabile56. Democrito e la maggior parte degli [30] indagatori della natura che trattano delle sensazioni, ne fanno qualcosa di notevolmente assurdo [442b], giacché considerano che tutte quante le sensazioni avvengano per contatto57. Se le cose stessero in questo modo, è evidente che ciascuna delle altre sensazioni sarebbe un certo

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tatto: che questo tuttavia sia impossibile non è cosa difficile da comprendere. Inoltre trattano come proprio ciò che è comune a tutte le sensazioni. [5] Infatti la grandezza, la figura, il ruvido e il liscio, l'acuto e l'ottuso nei solidi sono comuni alle sensazioni, se non a tutte almeno alla vista e al tatto5S. Pertanto si ingannano riguardo a queste cose, ma non si ingannano riguardo ai propri, ad esempio la vista sul colore e l'udito sul suono. [10] Dunque riconducono i propri a questi, come Democrito fa col bianco e col nero, giacché dice che uno è ruvido e l'altro liscio, e riconduce i sapori alle figure. Discernere i comuni non è di nessuna , o tutt'al più lo è della vista. Se invece fosse maggiormente del gusto, poiché in effetti attiene [15] alla sensazione più ·precisa discernere ciò che è minimo nell'ambito di ciascun genere, occorrerebbe allora che il gusto percepisse in grado massin10 anche gli altri comuni e fosse anche capacissimo di distinguere le figure. Inoltre tutte le sensazioni hanno una contrarietà, ad esempio nel caso del colore il nero e il bianco e nel caso del sapore il dolce e l'amaro. Si ritiene invece. [20] che non vi sia alcunché contrario alla figura, oppure la circonferenza è contraria ai poligoni? Inoltre, poiché le figure sono infinite, sarebbe necessario che fossero infiniti anche i sapori: perché allora un sapore dovrebbe produrre sensazione e un altro non la produrrebbe? Anche del gusto e del sapore si è detto. Le altre affezioni [25] dei sapori hanno una trattazione acconcia nell'indagine naturalistica sulle piante59.

5. [Gli odori.] Allo stesso modo bisogna pensare anche degli odori, giacché ciò che l'umido produce nel secco, lo produce in

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ma per chi è sazio e non ha bisogno di alcunché non sono gradevoli, e non lo sono neppure per chi non gradisce il nutrimento che ha questi odori. Poiché dunque [25] essi, come abbiamo detto, possiedono per accidente il gradevole e il fastidioso, per questo sono anche comuni a tutti gli animali. Vi sono poi odori gradevoli per sé, come quelli dei fiori, giacché non attraggono al cibo in misura maggiore o minore, né contribuiscono in qualche modo alla brama: piuttosto è il contrario [30], giacché è vero ciò che dice Stratti prendendosi gioco di Euripide: "quando cuocete lenticchie, non metteteci profumo"64. Quelli che effettivamente [444a] mescolano alle bevande potenze siffatte forzano il piacere all'abitudine finché da due sensazioni non provenga il gradimento che verrebbe da una. Questo odoroso è proprio dell'uomo, mentre quello ordinato secondo i sapori appartiene ançhe agli [5] altri animali, come si è detto prima65. Di quelli, dunque, poiché · hanno il gradevole per accidente, le specie si dividano secondo i sapori, ma non anche di quest'altro, poiché la sua natura è per se stessa gradevole o fastidiosa. Causa del fatto che l'odore siffatto è proprio dell'uomo è l'abito del1'encefalo. [10] Poiché, infatti, l'encefalo è freddo per natura e il sangue che si trova nelle piccole vene che lo circondano è sottile e puro, e facile a raffreddarsi (perciò, inoltre, l'esalazione del nutrimento che si raffredda in questa regione produce dei flussi morbosi), la specie siffatta dell'odore si è generata negli uomini per la salvaguardia della salute [15], giacché non ha altra funzione. Questo lo fa in modo evidente. Il nutrimento, infatti, pur essendo gradevole, secco o liquido che sia, è spesso malsano, mentre l'odore che proviene da ciò che è ben odoroso è propizio sempre - per così dire - comunque si stia. Anche per questo v 8tà TIÌV ÉV a'Ò'tatç 't'fjç 0EpµO'tTl'tOç lCOUO'tTl'ta UytetVO'tÉpcoç EXet 'tÙ 1tEpÌ 'tÒV 't01t0V 'tOU'tOV" ii yàp 't'fjç Òcrµi[ç ouvaµtç 0Epµ1Ì 't'JÌV uavEpov· lCIB yàp tX0UEç JC sensibili. [5] Come per gli uomini è sufficiente la sensazione che respirando hanno di entrambi gli odori, così lo è per quella di uno solo di essi. È evidente, per altro verso, che gli che non respirano non hanno la sensazione dell'olfatto. Anche il genere dei pesci e quello degli insetti possiedono sensazioni del tutto precise e a distanza, [10] a causa dell'aspetto nutritivo dell'odore, anche quando cioè distano molto dal nutrimento: ad esempio le api e il genere di piccole formiche che alcuni chiamano cnipe. Inoltre tra gli marini le porpore e molti altri animali siffatti hanno un'acuta sensazione del nutrimento attraverso [15] l'olfatto. Tuttavia con la quale percepiscono non è evidente allo stesso modo. Perciò ci si potrebbe chiedere con quale avvertano l'odore, se in effetti accade di odorare soltanto

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giunge dopo la percussione. Ma è così anche per ciò che si vede e per la luce? Come dice anche Empedocle8o, la luce del sole giunge nel punto intermedio prima che alla vista, sulla terra. Si riterrebbe dunque che questo avvenga per una buona ragione, giacché il mobile si muove da un luogo all'altro, e pertanto è necessario che vi sia anche un certo [30] tempo durante il quale esso si muove dall'uno all'altro. [446b] Ogni tempo è divisibile, dunque c'è stato un tempo nel quale il raggio non era ancora visibile e si spostava nel mezzo. Anche se ogni volta si sente e si è sentito allo stesso tempo, e in generale si percepisce e si è percepito, e di queste cose non c'è generazione, nondimeno esse esistono senza che si siano generate [5], come il suono che, pur essendovi stata la percussione, non giunge all'uditosi. Lo dimostra la trasfigurazione delle lettere quando avviene una traslazione attraverso un mezzo, giacché sembra che non si ascolti ciò che è stato detto a causa del fatto che l'aria muovendosi si è trasfigurata. Dunque è così anche nel caso del colore e della [10] luce? Di certo, infatti, non avviene che uno vede e l'altro è visto perché stanno in un certo modo, come per cose di uguale misura, giacché altrimenti non occorrerebbe che si trovassero in un certo luogo: perché le cose siano di uguale ffiisura non fa alcuna differenza che si trovino vicine o lontane le une rispetto alle altre. Oppure questo avviene ragionevolmente nel caso del suono e dell'odore: essi, infatti, sono continui come aria e acqua, [15] ma il movimento di entrambi si divide in parti. Perciò sotto un certo rispetto avviene che senta la stessa cosa o avverta lo steso odore prima uno e poi un altro, sotto un altro rispetto non avvienes2. Si ritiene però che vi sia una difficoltà riguardo a queste cose. AlcuniS3 sostengono infatti che sia impossibile che due diversi senta,no, vedano oppure odorino la stessa cosa, giacché non è possibile [20] che molti

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