La vita come arte

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a dissipare del tutto la coscienza della problematicità che nell'antinomia si concreta e che continua nelle varie forme di agnosticismo degli stessi filosofi dell' Umanesimo e del Rinascimento. A questa più profonda antin_omia.,dobbiamo guardare per comprendere il significato del Rinascimento e della sua prosecuzione ideale che sarà rappresentata dal Romanticismo. Il filosofo del Rinascimento è un artista che aspira alla filosofia. Il problema dell'autocoscienza che caratterizza tutta l'epoca non soltanto non è risolto metafisicamente, ma in fondo neppure affrontato esplicitamente. L'uomo acquista coscienza di se stesso, ma senza che per questo abbia bisogno di discon~scere la realtà di Dio e della natùra. La possanza dell'uomo è conciliabile con quella di Dio, in un comune concetto di infinità che non ·può tradursi in termini di filosofia. E q~ando, a un certo punto, sorge l'antinomia, l'agnosticismo che ne segue non toglie che si c~ntinui a gioire di sé, del mondo e di Dio. Si resta nel mondo dell'arte e si rinuncia alla filosofia: il filosofo lascia la metafisica e diventa poeta; alla sapienza sostituisce ciò che sta in occulto, il non so che e il mistero. In questa atmosfera il problema dell'autocoscienza comincia a porsi al pensiero moderno. L' indi~tinzione di arte, religione e filosofia accompagna il suo sorgere. E se l'arte sarà la caratteristica dell'epoca, l' indeterminazione dei confini con la religione e con la :ftlosofia costituirà il suo dramma teorico e pratico. ·L'uomo comincia a sentirsi qualcosa e giunge perfino

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a credere di essere onnipotente, ma, non .avendo ·1a forza di dimostrare la realtà del suo essere e tanto meno la sua coincidenza con il tutto, si rinnega e sì umilia. Tra il tutto e il nulla, egli caratterizza, alle soglie del mondo moderno, il dramma per la conquista dell'autocoscienza, che poi si accentuerà fino all'esasperazione, quando il tentativo raggiungerà le sue forme estreme nel Romanticismo e dopo il Romanticismo. Tutti i problemi del Rinascimento torneranno allora a essere vivi e nell'antinomia di coscienza e autocoscienza si rinnoveranno tutti i problemi degli opposti, uomo e natura, uomo e Dio, arte e filosofia, filosofia e religione. E anche allora l' indeterminazione dei confini tra uomo, natura e Dio, come tra arte, religione e :filosofia, confermerà che l'autocoscienza cosi appassionata-mente perseguita: continua ad essere la misteriosa esigenza di svegliarsi di chi vive in un mondo di sogno. • **

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Alla fomuµazione esplicita del problema dell'autocoscienza si giunge ali' inizio del seicento per_ opera di Campanella e di Cartesio. Quasi contemporaneamente, se pur per vie tanto diverse,_ l'uno .e l'altro si pongono pressoché in termini identici la stessa dom~nda e impostano il problema gnoseologico in funzione del soggetto conoscente. Ma la risposta è molto diversa e si scinde nel binomio di senso e ragione o di immediato e mediato, per cui alla problematica autocoscienza di Campanella

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si oppone con orgogliosa decisione la certezza di Cartesio. Ergo sum: nell'ergo è l'esplicita coscienza della vittoria del pensiero che si pooe come generatore del proprio mondo. E non si tratta più di una creazione in cui il potere creatore che si avverte· in noi può conciliarsi indifferentemente con l'immanenza e la trascendenza, in quanto non sappiamo distinguere noi che operiamo da ciò che opera in noi: ora il potere creatore è individuato nel pensiero che è mediazione e che perciò si possiede assolutamente. Di questo autogoverno assoluto Cartesio avverte il carattere divino e non può non esaltarsi per la grandezza della presunta conquista compiuta. La coscienza·dell'infìnità del pensiero si accompagna a quella della sua libertà e si traduce necessariamente in uno stato di gioia (Discorso, III). Né queste affermazioni si limitano a un concetto generico del pensiero e della· ragione, ché anzi Cartesio dimostra ripetutamente di ·sapere impostare con grande precisione il problema dell'autocoscienza e del rapporto di coscienza e autocoscienza. Anche senza far uso di questi termini specifici, egli avverte l'antinomia di immediato e mediato, e la contrapposizione di sogno e veglia torna ripetutamente nelle sue opere con la precisa consapevolezza deU: importanza fondamentale della distinzione. E quando è sicuro di aver scopertç> l'essenza della ragione nori può non esclamare con accento di trionfo di conoscere :finalmente la differenza tra sogno e veglia, « in quanto la nostra memoria non può mai legare e congiungere i nostri sogni gli uni agli altri e

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con tutto il seguito della nostra vita, come, ·invece, è solita congiungere ~e cose che ci accadono stando svegli». (VI Meditazione). Veglia o pensiero significa sistema o universalità in contrapposizione al carattere frammentario e particolare dell'esperienza immediata. Il pensiero è davvero autocoscienza perché assurge a sistema comprensivo di tutti i particolari e non trova limiti di fronte ai quali arrestarsi in una molteplicità irriducibile, perché tutto risolve e ordina in sé, in virtù della sua essenza liberà e infinita. Con .questa definizione del pensiero, il razionalismo ha trionfato diventando sinonimo di cartesianismo. L'esigenza dell'autocoscienza che aveva dato vita al1' Umanesimo e al Rinascimento è uscita dall' indistinto e si è chiarita in una esplicita determinazione filosofica, si da far riconoscere in Cartesio' l'iniziatore ;ene-·\ della filosofi.a moderna. Ergo sum: l'uomo che si era unopre·\ accorto di es$ere e si era posto al centro del mondo per lOrt~: rinnovarsi e rinnovarlo, si è 9ra ripiegato su se stesso 0 .\ e ha compreso in che cosa consista la sua vera essenza. itll·\ Con ciò si ap~e un'epoca nuova, in c~i l'uomo, con gli 10 i! occhi finalmente aperti, procederà nel suo cammino, con perfetta coscienza del significato sistematico della i & sua azione, con l'ausilio di un nuovo metodo che _scatuenl4 risce dagli attributi stessi della ragione. La filosofia . 0 &\ inizia il suo mondo. JgllO\ E l'arte? Cartesio cercherà di dimenticarla e di eluro~'. dere il problema ogni volta che. gli si presenterà in modo •tn·iI non imprescindibile. Auando· sarà costretto ad affron~

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tarlo esplicitamente si avvolgerà in continue contraddizioni, senza che dalle sue pagine possa trarsi lo spunto per un qualsiasi siste~à di estetica. Vero è che anche in lui si possono trovare gli elementi di quella che sarà l'estetica del cartesianismo e che pre.tenderà intendere il bello in termini di logica e sottoporre l'arte a una disciplina razionale e addirittura matematica, ma in lui vivono troppi altri motivi spirituali che impediscono a un~ tale estetica di irrigidirsi in una veste sistematica e di confondersi, in ·ultima analisi, con la logica. Questo potranno fare superficialmente i cartesiani, che con Boileau giungeranno a elevare a dogma l' identificazione espressa nella massima che 1'ien n' est beau que le wai, ma non poteva fare çartesio, che troppo profondamente. aveva-vissuto il problema della distinzione di coscienza e autocoscienza. Eppu,re la logica conseguenza della scoperta dell'autocoscienza razionale doveva essere quella di Boileau. Se l'uomo ha raggiunto l'autopossesso sistematico non può non risolvere in esso tutta la realtà nelle sue infinite manifestazioni. Se l'arte continua a distinguersi dalla :filosofia, non e' è più posto per l'arte nell'unico mondo del pensiero. Bello e vero diventano sinonimi e, con essi, arte e filosofia. Nel problema sollevato dall'estetica del cartesianismo vive il vero problema dell'autocoscienza e cioè di tutta la filosofi~ moderna. Se l'autocoscienza è raggiunta, finisce il mondo della immediata coscienza e con esso muore il mondo dell'arte. E per saggiare i continui tentativi compiuti dal pensiero moderno per

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dimostrare ex novo la conquista che Cartesio aveva già creduto di rendere definitiva, non v' è miglior metodo che quello di domandarsi come in ogni dimostrazione

sia stato concepito il rapporto tra arte e filosofia.

Che alla .identificazione assoluta di coscienza e autocoscienza non potesse giungere Cartesio, risulta evidente -- dai continui dualismi della. sua fil!)sofia e soprattutto :lì:. dal dualismo fondamentale di io e Dio. lo sono, ~a tìt· poi v' è Dio, e quindi v' è il mio pensiero, ma v' è anche ~:: quello di Dio che infinitamente lo trascende. Ora, come lfof si può concepire· il rapporto delle due esistenze e dei ~ed due pensieri? Sono due· e sono sullo stesso piano o uno \ solo generatore dell'altro e con l'altro identificàntesi? ~ auM Qualunque sia l'interpretazione che voglia darsi del u. famoso circolo cartesiano, è certo çhe, una volta affer1 pu., mata l'esistenza di un Dio infinito accanto alla nostra ,full;\ realtà finita, questa diventa utia determinazione di quella d~i e in quella si risolve. Ed è inutile continuare a dare gli 10nt attributi dell' infinità e della libertà al mio pensiero 1e§\ se non è tutto il pensiero. O _il pensiero di Dio e quello :a mio coincidono perfettamente, e allora le due realtà :iell!i; sono una sola e tutti i dualismi cadono; o non coincit :ie~ dono, e allora il mio. pens~ero si esaurisce nell'ambito 1 di una parte della realtà, è, cioè, particolare e non uniiart1 versale, limitato ·e condizionato dalla realtà che non )r\ conosce, annullato nèÙa sua presunzione di possesso

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dal mistero che lo circonda. L'esaltazione del pensiero e la gioia che ne deriva non sono più giustificate e la grandiosa conquista dell'autocoscienza si dissolve nelle tormentose antinomie. Cogito ergo sum: ma questa affermazione non ha più alcun valore quando non si riesce a dare un significato preciso al pensare e all'essere; e quell'ergo che collega i due termini, e che sembrava star lì a garantire la mediazione e l'autopossesso assoluto del soggetto, perde ogni valore dimostrativo e lascia estrinsecamente giustapposti due vaghi contenuti di coscienza. La cqntraddizione di Cartesio non è mai marginale e non può essere espunta dal suo sistema come un residuo traclizionale: il suo Dio non si aggiunge a una concezione immanentistica, ma la nega esplicitamente non appena essa si è affermata come esigenza. Dopo aver inneggiato all'autopossesso del pensierÒ, Cartesio si pone decisamente sulla via dell'innatismo e dell' immediatezza. Il cogito diventa un'intuizione, la mediazione e la dimostrazione si mutano nell'evidenza, l'ergo unisce due constatazioni di fatto, il sum si riduce a una pura certezza psicologica e l'autocoscienza si disorganizza e si disperde nella molteplicità degli stati di coscienza. Al dualismo di io e Dio fa riscontro l'altro di anima e corpo. Come c'è una realtà superiore all'individuo nell'infinità di Dio, e'è anche una realtà clivers~ dal pensiero nell'estensione corporea. E l'uomo, che col pensierosi eleva a Dio, si ricongiunge col corpo alla vita animale e vegeta~ tiva. I limiti dell'autopossesso si moltiplicano e la libertà

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del pensiero è sempre pi~ circoscritta. Nella esistenza di Dio non potevamo non · riconoscere la condizione del nostro esi~tere e nel suo pensiero infinito l'essenza del nostro pensiero finito, si che il limite del nostro pensiero era dato dalla sua particolarità di fronte all'universalità dell'essere divino: ora siamo costretti a riconoscere anche il limite di un'altra particolarità, l'opaca esistenza del nostro corpo irriducibile al pensiero, eppure a esso indissolubilmente quanto misteriosamente congiunto, in una vita comune, che non può perciò a vere gli attributi dell'autocoscienza. Un pensiero che è costretto a constatare l'esistenza di Dio e della materia, senza poter coincidere né con l'uno né con l'altra, può tuttavia continuare ad attribuirsi i caratteri di cui Cartesio inorgoglisce, ma la libertà, l'infinità, l'assoluto possesso e la gioia che si riconosce, deve trasferire a quella sua più profonda essenza che non riesce a rendere esplicita. Soltanto quando il pensiero diverrà assolutamente autocosciente, quegli attrib~ti si riveleranno· pienamente giustificati, ma allora Dio e materia saranno la realtà trasparente delr io .

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Dalla serie dei dualismi accennati nasce la perplessità di',Cartesio nel definire l'arte e i suoi attributi. nsiei:~ Qui le contraddizioni si concretano nel dualismo di immaginazione e di ragione, che lasciano aperto il problema, senza che la ragione possa divenir padrona del i~

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campo. È vero che l' immaginazione è deprezzata e respinta come qualcosa che compromette la classicità dell'arte, ossia i suoi caratteri di armonia, di matematicità e di razionalità, ma è vero pure che Cartesio non ha mai il coraggio di rinnegarla completamente e finisce molte volte per assegnarle un compito insostituibile e di estrema importanza. Una prima ammissione Cartesio è costretto a fare quando accetta anche lui, conie storico, il mito dell'età dell'oro e attribuisce a quell'epoca primitiva un'elo-quenza superiore a quella dei tempi civili. Affetti e sentimenti erano allora nella pienezza della loro forza, e l'espressione stilistica sapeva adeguarsi ad -essi immediatamente, senza essere raffreddata dall'analisi della ragione. Quando Cartesio, in una lettera del 1628, vuol fare l'elogio dello stile di Balzac, dopo aver affermato che nell'eloquenza degli antichi v'era qualcosa di divino, gli attribuisce il grandissimo merito di aver « potuto conservare la forza e· la maestà dell'eloquenza dei primi secoli ». Ritornando, poi, nella prima parte del Discorso del metodo sui caratteri dell'eloquenza, egli riconosce che eloquenza e poesia sono « doni ~ello spirito più che frutti dello studio» e contrappone la poesia come invenzione piacevole al raziocinio convincente. Anche per Cartesio, dunque~ l'arte . è ispirazione e creatività, non riducibili alla ragione e all'autocoscienza, ma non per questo prive di valore spirituale. Il dualismo è ripristinatÒ e l'istanza _razionalistica. compromessa irrimediabilmente.

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Né, d'altra parte, questa ammissione è accidentale nell'opera di Cartesio, ché anzi. essa si fonda esplicita. ··· mente su di un concetto dell' immaginazione, al quale li::·: ritorna ripetutamente nei suoi scritti. In una lettera a Balzac del 1631, dopo aver affermato l'importanza dell' immaginazione, dice di non voler rifiutare ad essa , alcuna cosa « che un filosofo possa permetterle senza offendere la sua coscienza ». E, venendo poi a precisare tto / i rispettivi campi dell' immaginazione e della ragione, non sa discriminarli meglio che identificando la prima ra I con il mondo del sogno e la seconda con quello della f:I veglia. Distinzione che condqce certamente a porre l' irnloro \ magjnazione su di un piano inferiore a quello della :iiit( ragione, ma che lascia, tuttavia, all'immaginazione qual;i èt; che attributo che può innalzarla improvvisamente al ,r/:, di sopra della stessa ragione. Se è vero, infatti, che il :rnatr :' sogno si differenzia dalla veglia in quanto oscurità di J)r.: · fronte a chiarezza e cioè in quanto il meno destinato ,toN::. a risolversi nel più, è vero anche che nel sogno v' è qualdei (- cosa che la ragione non riesce a sottomettere al proprio JDi~' dominio e che resta inintelligibile. Questa inintelligiricoP:= bilità fa si che il razionalista Cartesio senta come pochi 0 pf il fascino del sogno e sia disposto a concedergli un posto ne i!:' di particolare importanza nella sua vita. Anche a volei; peri:' prescindere dal significato decisivo ch•egli attribuisce ad ;~, r'. alcuni sogni per lo sviluppo del proprio pensiero filosonon { fico, non si può non restare colpiti dall'entusiasmo con è«: cui, nella già citata lettera a Balzac, parla della gioia . jrrt- provata nel sonno che« conduce il [suo] spirito in boschi,



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in giardini, in palazzi incantati, dove [egli] prova tutti i piaceri che sono immaginati nelle favole». Strano linguaggio in bocca al più grande assertore del razionalismo, che ha celebrato la gioia del pensiero assolutamente pàdrop.e di se stesso. Ma un pensiero limitato da Dio e dalla materia non poteva concludere diversamente, perché nell'immaginazione avvertiva quel più e quel meno che gli sfuggiva restando confinato in se stesso. Costretto a uscire da sé, diffidava del mondo in cui non aveva più capacità di dominio, e provava insieme una strana voluttà nell'abbandonarvisi senza controllo. Se non che, ritornando poi al ·mondo d~lla veglia, questa non poteva più, a rigore, essere tale. Non risolta compiutamente l'oscurità del sogno nella chiarezza del pensiero e riconosciuta l'incapacità di sottomettere al1'analisi della ragione tutti gli elementi costitutivi del1' immaginazione, il dualismo diventa radicale e la veglia non è più sistema. Notte e giorno restano due metà giustapposte della vita dell'uomo, due realtà, da ognuna delle quali si ~sce periodicamente .per entrare nell'altra, superando una incomprensibile soluzione di continuità. Nella particolarità in cui sono ~astretti a· rimanere, i due mondi :finiscono con l'equivalersi, e la ragione acquista lo stesso carattere di immediatezza che attribuisce alla sensazione.

Con Cartesio il razionalismo moderno pone esplicitamente la sua esigenza e insieme i limiti tra i quali

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sarà costretto a muoversi nell'ulteriore svolgimento sto:,.~:. rico. II problema dell'autocoscienza è individuato nei el ri~. termini precisi che la rendono sinonimo di unità del 1a;-: sistema, ma la· soluzione non è raggiunta e il pensiero si smarrisce nella serie delle contraddizioni. La presunta autocoscienza resta sospesa tra la materia e il pensiero divino, tra il senso e la ragione assoluta. tra due estremi che in essa si incontrano senz~ rivelarsi. Non autocoscienza, dunque, e non :filosofia, ma sogno e arte, vale a dire una realtà cosciente in cui il pensiero oscillerà continuamente tra sensualismo e misticismo, senza poter mai rinnegare completamente né l'uno né l'altro. Nel.,on::; l'immaginazione, Cartesio avvertiva, appunto, l'animai iar1~-: Jità e la realtà soprannaturale, l'oscuro istinto e il dono i divino, e restava perplesso nella sua constatazione. In effetti, quel senso è esso· stesso espressione di una realtà misteriosa quanto Dio, per cui il di qua e il di là dalla du:'. ragione, la natura e la divinità, debbono :finire per conJat:, fondersi e coincidere nel mondo dell'arte.

*** Se Cartesio crede di aver raggiunta nel pensiero la piena autocoscienza e soltanto indirettamente è costretto a negarla attraverso le contratldizioni del dualismo di sogno e di veglia, l'antinomia è esplicita fin da principio in Campanella che non cade mai nell'illusione razionalistica. Anche Campanella, e prima di Cartesio, muove da una posizione di dubbio e di scetticismo e cerca di

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uscirne con la certezza di un nos che è esse, scire et velie, ma a questa certezza immediata egli non crede ·di poter dare un significato razionale ed assoluto, perché sente fin da principio l' iµconciliabilità di una· vera autocoscienza umana con una realtà trascendente naturale e divina. Egli sa che la nostra conoscenza è particolare e si mantiene sempre entro i limiti di tale constatazione: lo sa perché, al contrario di Cartesio, per lui la vera conoscenza non è data dal pensiero, ma dalla sensazione e· soltanto sensus sui puè essere l'autocoscienza. Un sensus sui che non può 111ai realizzarsi in modo assoluto, perché l'uomo non riesce a esaurire la conoscenza delle cose. In Campanella, ben più profondamente che non in Cartesio, è la convinzione precisa dell'impossibilità di una autocoscienza che non iia conoscenza di tutta la realtà e cioè dell'impossibilità della vera conoscenza di un sé che viva accanto a un mondo ignorato. Perché il sensus sui potesse realizzarsi assolutamente dovrebbe rendere esplicita l'identità di conoscere ed essere che ne è a fondamento e dimòstarsi conoscenza di sé in quanto conòscenia di Dio. Ma ciò non è dato all'uomo la cui conoscenza è limitata e in cui il sensus sui è perciò abditus, occulto, e si sman:isce nella particolarità del sensus adàitus delle cose, in cui l'identificazione di conoscere ed essere si realizza a volta a volta e in. modo sempre relativo. Conosco il fuoco riscaldandomi e l'acqua bagnandomi, conosco, cioè, le cose nel farmi le cose, ma per quanto coincida con le singole cose, resto sempre distinto ·da esse·; resto io di fronte ad altro, e il dua-

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liStno potrebbe cessare soltanto, se, conoscendo tutte le cose, coincidessi con il mondo. Allora il sensus sui, uscendo dal suo fondo occulto, non sarebbe più distrutto dal .sensus additus, ma con esso si fonderebbe rendendo esplicita la propria essenza e cioè l'assoluta identità di conoscere ed essere. Nel più profondò me stesso raggiungerei insieme con l'autocoscienza la stessa realtà di Dio, che ora opera in me, senza che io riesca a precisare la vaga coscienza che ho di lui e di me stesso. Con l' identificare la vera autocoscienza umana con l'autocoscienza di Dio, Campanella pone per il primo il problema che sarà ~l centro dell'idealismo moderno. Cartesio aveva creduto di poter concepire l'autocoscienza distinguendo io- da Dio, ed aveva creduto di potervi giungere restando uomo, senza accorgersi del circolo vizioso in cui andava a finire ed avvolgendosi in infinite contraddizioni: Campanella si accorge invece che la condizione per risolvere il problema è l' identificazione dei due termini e resta nei limiti di una conoscenza particolare assetata dell'universale .



• * La conoscenza particolare è la sensazione. E il vero universale, l'universalità che è propria della conoscenza di Dio, non consiste nei presunti universali di cui fanno uso gli uomini nei loro ragionamenti, bensl nella sensazione di tutto il sensibile. Vera conoscenza è soltanto quella individuale, per minutissimi ,pa,-ticolari, quella

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che io ho guard~ndo questa rosa in tutte le sue determinazioni, inconfondibili· con quelle di qualsiasi altra. E conoscerei veramente la rosa quando alla stessa maniera potessi vedere e toccare e odorare tutte le rose del mondo, e ognuna nella sua .fisionomia propria, nella sua concretezza· individuale, cosi come deve certamente fare Dio, che è onniveggente. Al di là di ogni empirismo e di ogni razionalismo, Campanella sente la concretezza dell'individuale e ha fede nei suoi sensi di artista. Nessun concetto di rosso può · lontanamente dargli la conoscenza né del rosso né delle infinite varietà di questo colore, e nessun concetto può quindi togliergli il desiderio di vedere e ~empre più vedere, passando instancabilmente ·attraverso tutte le singole esperienze che il concetto avrebbe l'assurda pretesa di ~ostituire. « Gran stultizia è, credere che .la scienza consista nel sapere gli universali ». Il concetto è conoscenza languida, generica, approssimativa e viene prima e non dopo d~lla sensazione. « Quando veggio Pietro lungi un miglio Q.ico: - quello è animale-, perché si move,-e l'universale sento, non il particolare; e poi, più _avvicinato, dico: - è uomo - ; e poi più, .dico: - è monaco -; e poi più, dico: - è fra' Pietro _;_. Dunque, l' intendere è senso lontano e confuso, e il senso è intendere vicino» . (Del senso delle cose, II, ~2). Soltanto perché non riesco a conoscere tutto concretamente e individualmente come fra" Pietro, mi accontento ·tante volte dei cosi detti universali e cioè di generici schemi della vera realtà. « Essendo impossibile conoscere tutti gl' individui, per

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mancamento fa bisogno imparar le scienze in universale a~i: e in confuso; ma Dio sa le minutissime particolarità a~!6i; d'ogni cosa, e questa è vera, certa sapienza» (Ibid.). tut'.t >: Di qui la critica alla logica tradizionale e al principio :ro!f; .' di autorità e· il bisogno di fondare una nuova meta: crr.:: fisica, il cui criterio di verità non sia dato dal sillogismo o~~ ma del senso.« Quapropter novam condere Metaphysicam ente t, statuimus, post ubi a Deo errantes per flagella reducti JOi :fi_ sumus ad viam salutis, et cognitionem divinorum, non inti:z:. per syllogismum, qui ·est quasi sagitta, qua scopum initec attingimus a longe absque gustu, neque modo per autho1ili lii-' ritatem, quod est tangere quasi per manum .aliena:m, e, p;:~. sed per tactum intrinsecum in magna suavitate, quam abscondit Deus timentibus ~e» (Metaph., proem.). Ma 1 es[C i 5or . proprio perché non mi è dato, nella mia finitez~a temons~t ·porale e spaziale di giungere per tactum intrinsecum e :a /a,:i• con la mano mia· alla conoscenza della infinita realtà noi i che mi circonda, la gioia cartesiana dell'autopossesso deve ridursi a quella del possesso relativo di una parziale ere: verità e accompagnarsi alla coscienza della propria deficienza. La mente umana è senso,· ma più ancora desiderio di senso: accanto al concreto sentire, e stimolato dallo · ,intl\ stesso sentire, si sviluppa un bisogno sempre più grande {e ,r: di nuove esperienze e al bi~ogno non è possibile dare non? soddisfazione, senza ingigantirlo ulteriormente. Nulla baentei~ sta a « saziar l'appetito mio profondo: - quanto ho così}: mangiato ! e del digiun pur moro ». « Disiando e sen:.. -ra rir. tendo, giro in tondo; - e quanto intendo più, tanto ,idui,: più ignoro» (Poesie: Anima immortale). « Miser, so men lei[::·

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quanto saper più agogno ». Nel ~uo infinito desiderio di senso, Campanella non può rion s~occare in una situazione di pensiero sempre più agnostica, in cui il possesso della verità, l'universale, la filosofia, si allontana indefinitamente, pur accentuandosene continuamente l'esigenza. E questa e~igenza Campanella, più che dimostrare in libri di filosofia, sente il bisogno di esprimere cantando, con passione di artista, in una poesia che, come tutta la nostra vita, sia il sogno che aspiri al risveglio.

Il fallimento della sensazione, e cioè l'•incapacità., che il senso umano dimostra, di raggiungere la piena autocoscienza o la perfetta conoscenza del mondo e di Dio, induce il Campanella a mostrare l'altro aspetto della sua concezione e a giungere :fino all'esaltazione di quel pensiero che ha tanto radicalmente svalutato. Nell'oscurità di una nuda cella carceraria, in cui è costretto a trascorrere i decenni della più vigorosa maturità spirituale, se l'ansia ins~ddisfatta·della luce del sole (si ricordi la poesia Al sole) e la mortificazione dei sensi lo muovono all'esaltazione sempre maggiore della sua fede, debbono anche spingerlo a cercare un conforto nella libertà del pensiero. È un modo di conoscere languido, dell'infante e· addirittura dell'animale (i fanciulli che « appellano ogni. uomo padre e ogni femina madre » o il cane che latra aÌl' uomo prima di riconoscere in

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lui il padrone) il conoscere per concetti, ma intanto solo il discorso, l' intelletto e la ragione ci danno la possibilità di giungere dove non arriviamo col senso e di concepire l' infinito e Dio. Lo stesso senso è concepito in una dottrina del senso che non è più senso. La sete infinita è in qualche modo smorzata· dal pensiero che va mol~o al di là della mia mano, senza limiti di spazio e di tempo, e che può sostituire perciò il senso dove questo non può arrivare e far~i intravvedere quel vero universale, che è nel più profondo e inaccessibile sensus sui. Non più dell' infante e dell'animale, il pensiero soltanto ha la possibilità di sollevare l'uomo a Dio e differenziarlo perciò dagli esseri irragionevoli. « E per-

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ché più còse e maggiori sappiamo per discorso per ragione che per li sensi, è nata opinione che il discorso e la ragione e l'intelletto siano le principali conoscenze, le quali in vero sono languide sensazioni, ma tanto ricche che deificano l'uomo e da loro si chiama razionale, e le bestie sensuali perché non discorrono assai » .(DeZ senso delle cose, Il, 30). Allora sorge la metafisica che ancora una volta si illude di chiudere in sé il sistema dell'universo, e nasce l'entusiasmo per ruomo concepito come dio .secondo. « E, dio secondo, mir~col del primo - egli comanda all'imo - e 'n ciel sormonta - se~'ali, e conta - i suoi moti e misure - e le nature ». È l'uomo che vince il "vento e il mare, che piega il leone, fonda torri e città, detta leggi, fa parlare le carte, accende il fuoco, fa il vino «liquor divino, che gli animi allegra», e rompe le leggi della natura per. far trionfare le pro-

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prie. Tutto questo fa l'uomo, pur nascendo di fango, senza ingegno, inerme e nudo; e tutto questo gli è possibile perché a differenza degli altri animali è fatto ad immagine di Dio. « Pensa, uomo, pensa.I». (Poesie: Della possanza dell'uomo). È il pensiero che gli dà questo potere di adeguarsi all'infinità dell'universo e di non essere travolto dall~ forza dei suoi elementi. La posizione è completamente rovesciata: da· una parte il senso e l'animale, dall'altra la ragione e l'uomo. E Campanella finisce nel dogmatismo di una metafisica platonica che lo accomuna, nel ritorno alla tradizione, a · figure minori della :filosofia del Rinascimento.

Nei. due aspetti della concezione di Campanella ritroviamo, in altra forma, i due termini dell'antinomia di Cartesio. Al dualismo cartesiano di ragione e immaginazione si oppone quello di senso e ragione, ma il significato delle due posizioni~ radicalmente diverso. Nel primo, infatti, il problema dell'autocoscienza è risolto in termini di pensiero e il riconoscimento del mondo dell' immaginazione interviene a compromettere la conquista, senza che Cartesio se ne renda esplicitamente conto. Nel secondo, invece, l' impossibilità di . giungere alla vera autocoscienza è già pienamente consapevole nella affermazione del sensus sui, e la ragione vi si aggiunge per dare una pallida idea di ciò che ci sfugge. Nel primo il so-

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gno compromette la veglia che si credeva di possedere pienamente, nel secondo alla veglia parziale del senso che non può conòscere veramente se stesso, perché distratto dalle cose, e non può conoscere veramente cose, perché farsi le cose as_solutamente potrebbe soltanto ~onoscendole tutte e cioè conoscendo se stesso - si accompagna la veglia di un pensiero_ che per raggiungere l'universale si lascia sfuggire la concretezza dell'individuale. Li sogno e veglia non riescono a .comporsi in unità, qui le due veglie sfumano, per la loro diversa insufficienza, in un,atmosfera indistinta di sogno. Ma, se li l'a~cento cade sulla concretezza del pensiero che solo è vera conoscenza, qui la vera conoscenza è data dal senso che coglie l'individuale. E si inizia con Campanella la critica, che si ripeterà poi in tutto l'idealismo moderno, dell'astratto universale,. dello sterile intellettualismo che pretende sostituire lo _schema alla realtà. C'è già l'affermazione del carattere pragmatistico del concetto, il quale serve a indicare approssimativamente una quantità indefinita di individui, che non si ha modo di comprendere tutti nella loro fisionomia particolare. È _proprio il senso potentissimo dell'individuale che non consente a Campanella il facile trionfo di_ un pensiero, che crede di possedere il mondo in un arido schema di concetti. L'universale al quale egli tende non può essere raggiunto attraverso il depauperamento dell' individuo operato dall'intelletto o dalla ragione (i due ~erm.ini non sono distinti), ma deve esser tale da niuminare e potenziare

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tutti i minutissimi particolari delle cose, che il senso umano non riesce a cogliere perfettamente, proprio perché al di qua dell'universale, ovvero di un sensus sui che coincida esplicitamente con l'autocoscienza divina. L'altro universale, quello del concetto, il Campanella non lo rifiuta ed anzi :finisce per esaltarlo come l'unico che ci sia consentito, ma non s' illude che sia effettivamente tale e vi accenna come a una pallida ombra del vero, in mancanza della luce divina. Nell'agnosticismo di Campanella è già risolta tutta l'esigenza di Cart~sio, ma si va molto al di là e non si sacrifica il singolo al tutto, anzi non si riconosce validità a un universale, che, per realizzarsi, sia· costretto a menomare o addirittura a obliare il significato inconfondibile del singolo. In questo esplicito agnosticismo è anche la difesa del mondo dell'arte che Cartesio tendev~ a svalutare o a sopprimere. L'antinomia di arte e filosofia s'illumina nella contrapposizione delle figure dei due pensatori, che all'inizio del pensiero moderno impostano il problema dell'autocoscienza. O v'è filosofia, come in Cartesio, e l'arte è respinta nell'ombra col tentativo di annullarla o di identificarla col vero; o v' è arte, e la filosofia si disperde nell'agnosticismo, trasformandosi nell'ideale cli" un'arte tanto grande da essere divina. E con l'esigenza dell'_individuale, del senso, dell'arte, si inizia con Campanella, già prima cli Cartesio, la ~radizione di un pensiero italiano anticartesiano, che poi si preciserà in una chiara coscienza critica nella concezione di Giambattista Vico.

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*** La presunta conquista di Cartesio non persuase i contemporanei e, per quel che riguarda in particolare il problema dell'autocòscienza, neppure alcuni dei carte-

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siani più ferventi. Il dualismo di io e Dio era troppo disinvoltamente affrontato, perché potesse ritenersi composto nell'ambito di un pensiero umano pienamente autocosciente. Se e' è Dio, come realtà perfetta trascendente il mio essere finito~ l'unica vera autocoscienza sarà la sua e io sarò costretto a ignorare il rapporto preciso che mi lega a lui, vale a dire la vera realtà dell'essere mio. Dio torna a essere il cèntro del problema speculativo, e il problema cartesiano è respinto al margine del pensiero. In Spinoza,. soprattutto, la centralità di Dio ·è riconfermata con grande rigore e con sicura coscienza delle conseguenze che ne scaturiscono nei riguardi dell'uomo. Non soltanto l'uomo non conosce se stesso, ma non può neppure agire senza che l'azione sia fondamentalmente l'azione di Dio. L'immanenza di Dio è concepita in modq da riassorbire completamente la realtà umana, che si svolge tutta nell'ambito di un rigoroso determinismo. E l'uomo agisce guidato dal senso e dalle passioni, che, nella loro immediatezza, operano come forze naturali, e di una natura, si comprende, che non può non essere divina. La ragione interviene quando la vita si è attuata, e la scienza non fa che riconoscere i rapporti causali che legano gli oggetti

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della conoscenza sensibile. Ma questa logica non ha poi la capacità discorsiva di percorrere l'infinita serie delle cause e di conoscerne la vera unità. Per sollevarci a Dio dobbiamo ancora valerci di un potere immediato dello spirito, di un intuito metalogico, di un amor dei intellectualis, che trascende l'ambito di ogni concetto. Per essere veramente a contatto con Dio, o dobbiamo profondarci col senso nelle oscurità della nostra natura, ~ elevarcj a lui in virtù di un atto che rompe improvvisamente il ritmo discorsivo del nostro intelletto. Sempre fuori di ogni vera autocoscienza. Una posizione in gran parte analoga a questa, ma esplicitamente critica della dottrina di Cartesio, è quella di Malebranche, che di fronte al cogito e al sum si accorge di non sapere che cosa egli sia e che cosa sia i] pensiero. E~ se Cartesio aveva inneggiato alla gioia dell'autopossesso del pensiero, è proprio questa gioia che il Malebranche vuole negare, fino a credere che · Dio abbia impedito all'uomo di giungere all'autocoscienza p~r non farlo inorgoglire. Se non che il contrasto tra l~i e Cartesio si arresta a questo punto, e poi- il Malebranche torna cartesiano nella svalutazio,ne della sensazione, della immaginazione e della fantasia. I sensi hanno valore pratico, soggettivò, e prescindono dalla essenza delle cose; l' immaginazione e la fantasia ci allontanano dalla veri~à e ci traggono in un mondo fittizio unicamente legato ai nostri sentimenti. Ma, se in Malebranche la critica dell'autocoscienza razionale non apre la via al mondo dell'arte, anch'egli 1

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si concilia con l'arte e anzi giunge ad esserne il fondamento, si da accompagnarsi o distinguersi o addirittura contrapporsi alla scienza e alla filosofia, come a volta a volta da queste si distingue il mondo dell'arte. Se non che quest'altra interpretazione non si riscontra soltanto in Campanella e nei filosofi del razionalismo, ma, a guardar bene in fondo, continua a vivere nella stessa filosofia dell'empirismo e anzi dalla filosofia dell'empirismo trae poi alcuni motivi essenziali, che varranno a farla rifiorire all'epoca del ròmanticismo. È proprio, infatti, in virtù dell'empirismo che si procede all'analisi della sensazione e la si spoglia del carattere dogmatico ch'essa ha nell'interpretazione più comune. Proprio in seguito a tale analisi si pongono le fondamenta della moderna concezione idealistica, che da Kant in poi è costretta a rifarsi dalle ·conclusioni della filosofia empiristica. Già in Bacone il rapporto tra il mondo dell'arte e quello della filosofia assume il carattere graduale di passaggio da una conoscenza inferiore a una superiore. Ma l'impostazione precisa del problema sopra accennato si comincia ad avere in particolar modo con la teoria delle qualità primarie e secondarie a cui !itorna Locke, approfondendo le premesse della filosofia dell'empirismo. Si comincia allora a precisare il dubbio circa il çarattere 9ggettivo della sensazione, e soggetto e oggetto cominciano a confondersi in modo da rendere sempre più difficile la discriminazione dell'apparire e dell'essere. Il toccare con mano non è più assoluta

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garanzia di adeguazione alla realtà e quindi di possesso della verità, perché la mano che tocca o l'occhio che vede trasforma l'oggetto in funzione· della propria natura, dandoci di esso un'immagine che varia da individuo a individuo e perfino da momento a momento per uno stesso individuo. Vero è che per Locke si salva ancora un parte· assolutamente oggettiva della conoscenza sen: sibile e cioè quella relativa alle qualità primarie, ma la fede del senso comune ha già ricevuto un grave colpo e il criterio per distinguere i due mondi è già radicalmente compromesso. Berkeley trarrà poi la rigorosa conseguenza dell'analisi di Locke e la conoscenza sensibile si dimostrerà tutta soggettiva: esse est percipi. L'empirismo tocca il suo limite e si confonde con l' idealismo.. Ma, se le conclusioni di Locke e di Berkeley valgono a chiarire l'instabilità ~ la duplicità di aspetti della conoscenza sensibile, non valgono poi a chiarire in modo adeguato il conseguente rapporto di arte e filosofi.a. Per Locke, infatti, la distinzione di qualità primarie e secondarie e poi quella di riflessione e sensazione consentono la presunzione cli definire la realtà oggettiva e la soggettiva, e aprono all'empirismo la via verso la metafisica razionalistica. Per Berkeley, invece, la riduzione perentoria dell'oggetto al soggetto e la smaterializzazione della realtà conducono l'empirismo a una metafisica spiritualistica e religiosa. Nell'uno e nell'altro caso l'immediatezza della sensazione è trascesa in virtti di una conoscenza non sensibile e la filosofia ha trionfato sull'artè e sulla scienza.

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Se, al contrario, lasciamo da parte le soprastrutture

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metafisiche sorte in seguito alla critica della conoscenza sensibile e ci limitiamo a considerare l'esigenza empiristica che è alla radice dei sistemi di Locke e di Berkeley, dobbiamo riconoscere che runica conclusione che se ne può trarre è quella de~a problematicità della sensazione e della arbitrarietà dei tentativi fatti per trascenderla. Nell' immediat~zza della sensazione i confini tra il soggetto e l'oggetto sfumano nell' indistinto e con esso il fondamento di ogni sapere filosofico. Io mi .confondo con la natura che mi circonda vivo in questa unione, senza riuscire a conoscermi e a conoscere sul piano dell'universalità. E si comprei:ide allora come nella immediatezza della senzazione o della natura, al di qua di una filosofia non raggiunta, si incontrino arte e scienza, l'una e l'altra chiuse nel mondo del particolare, ma insieme anelanti a sollevarsi al mondo dell'assoluto. .

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L'espressione più coerente di questo empirismo ricondotto criticamente al suo principio fondamentale ci è data da David Hume. Il punto di partenza è anche . per lui la sensazione e anch'egli è costretto continua.. mente a trascenderla, ma un senso critico. infinitamente più sviluppato non gli consente di riposare nelle affermazioni, che lo conducono al di là della esperienza immediata, e lo costringe continuamente a ritornare ad

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essa. La nostra conoscenza è tutta fondata sull' immediatezza delle impressioni (esterne e interne) e delle sue copie, le idee, conservate dalla memoria. E la vera conoscenza, per Hum.e come per Campanella, è nella vivezza e nella .intensità della sensazione, contrapposta alla imprecisione · delle idee generali. « Tutte le idee, specialmente le astratte, sono naturalmente languide e oscure.... Al contrario, tutte le impressioni, cioè tutte le sensazioni, sia esterne che interne, sono forti e vivaci • (Ricerche, I, 2). Ma purtroppo, anche per Hume, l'uoIQ.o non può vivere di sole impressioni e la sua conoscenza deve fondarsi sulla formazione delle idee complesse e sulla creazione di rapporti di idee. Ora, in questo processo conoscitivo, che ci allontana dalla originaria impressioné, giuocano due fattori, uno naturale e costante, l'altro volontario e libero= !'_associazione e l'immaginazione. L'analisi della identità e della differenza di questi due termini vale a chiarire tutto l'empirismo di Hume. Se egli, infatti, fosse riuscito a determinare con precisione i limiti di ognuno di essi, avrebbe risolto il problema di separare il soggetto e l'oggetto entro l'unità immediata d~lla sensazione, e avrebbe definitivamente trasceso l'esperienza sensibile. La differenza dalla quale Hume prende le mosse per chiarire il problema è quella che ci è data dal senso comune: l'associazione ci conduce a una credenza necessaria, l'immaginazione a una finzione volontaria. Ma, approfondendo poi la distinzione, l'esigenza berkeleiana éfoll' idealità del reale riprende il sopravvento e Hume

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l mli:: è costretto a concludere che un'idea creduta è sostanintr~! zialmente identica a un'idea immaginata. L'unico cri1oriai:J terio di distinzione diventa quello dell'abitudine per u!l-~ cui l'associazione abituale degli stessi effetti alle stesse eet-r: cause non è. intelligibile, senza ammettere una 1miiut11t fonnità della natura su cui la nostra esperienza riposa. :nt11,~ Anche questo criterio, tuttavia, si rivela privo di un vero carattere logico e la differenza è ricondotta a un 0~ fom:'i puro avvertimento immediato di cui non si sa rendere Hunx I conto. «La differenza fra la finzione e la ctedenza (non uaar{ posso credere all'ippogrifo) riposa su qualche senti~ cm;;; mento o sensazione che è legata alla seconda e non alla n,:.; prima, e che non dipende dalla volontà, né può, quindi, nàti essere comandata a piacere. Dovunque qualche oggetto 1 ' , eet: si presenta alla memoria o ai sensi, esso trasporta imme'iJr;, diatamente l'immaginazione, per forza di abitudine, a concepire quell'oggetto che le è ordinariamente con1{ ài. giunto; e questa. forza di concezione è accompagnata :f da un sentimento o. sensazione differente dai vaganti sogn~ della fantasia. In ciò consiste tutta la natura particolare della credenza ». Una speciale sorta di senti~ mento o di sensazione separa, dunque, il mondo della realtà da quello della fantasia, e cioè, in altri termini, qualche cosa d~ immediato e di indefinibile. « Se noi tentassimo», avverte lo stesso Hume, « di dare una definizione di questo sentimento, noi troveremmo forse il compito molto difficile, se non impossibile; nello stesso modo che se noi tentassimo di definire il sentimento del freddo e 1a passione dell'ira a una creatura, che 1

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non avesse avuto mai alcuna esperienza di questi sentimenti. Credenza è il ~ome vero e proprio di questo sentimento; e nessuno si troverà impacciato per conoscere il senso di quel termine; perché ogni uomo è in ogni momento cosciente ~el sentimento che esso rappresenta ». Si può dire soltanto che la credenza è « qualche cosa di ·sentito dallo spirito che distingue le idee del giudizio _dalle :finzioni dell' i~aginazione _». O, infine, si ritorna alla distinzione tra sensazione e idea e si constata che « il sentimento della credenza non è altro che una concezione più intensa e potente di quella che accompagna le pure finzioni dell' immaginazione, e che questa maniera di concezione sorge da- una congiunzione abituale »: « nulla più che una concezione più vivace, vivente, efficace, ferma, salda di ciò che l' immaginazione da sola sia_mai capace di raggiungere». Ma Hume stesso è costretto ad ammettere che la varietà dei termini 1 può sembrare così poco filosofica » e infine a concludere che « un atto cosi necessario della mente», « non può essere affidato alle fallaci· deduzioni della nostra ragione» (Ricerche, I, 5). Con queste conclusioni Hume finisce sostanzialmente col porre su di uno stesso piano, quello dèll' immediatezza, sogno e veglia, fantasia e ragione, e cioè col togliere alla filosofia il carattere di assolutezza logica che dovrebbe distinguerla dall'arte. Il vero diventa una credenza simile quella del dormiente· che crede ai fantasmi, anch'essi non volontari, del suo sogno. Ma la problematicità delle conclusioni di Hume non

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si arresta qui e gli stessi termini cosi vaghi, con cui egli definisce la differenza tra credenza e finzione, non resistono a ulteriori analisi della nostra attività cosciente. Nello sforzo che Hume compie per cogliere le caratteristiche di ciò che sembra essere la ragione, la libertà («nulla è più libero dell'immaginazione umana»), la volontà, questi concetti, lungi dal chiarirsi, si oscurano sempre più, eliminando ogni pretesa di vera autoco:I.'. e::: . scienza • i~::·. Per quel che riguarda la ragione, Hum~ è costretto a .:: ;::. ridurre a istinto inesplicabile almeno quella parte dì essa che regola effettivamente la nostra vita pratica . 2r1 .J/ V istinto dell'animale, egli osserva, noi l'amnririamo ;; i e come qualcosà di molto straordinario e di non espli]' ir,:.: cabile per mezzo di tutte le disquisizioni dell'intelii.~t~ genza umana. Ma, forse, la nostra meraviglia cesserebbe àèii::'' o diminuirebbe, se noi considerassimo che il ragionaie a. mento sperimentale stesso, che abbiamo in comune coi :nr:; : bruti e dal quale dipende tutta la condotta della vita, kli;'. non è che una specie di istinto e di potere meccanico, il quale agisce in noi in modo sconosciuto a nòi stessi; nzi~ e che le due principali operazioni non sono dirette da t-: alcuna relazione o paragone di idee, come quelle che fonnano propriamente l'oggetto delle nostre facoltà intellettuali. Per quanto l' istinto sia differente, pur non è che un istinto quello che insegna all'uomo d'evitare il fuoco; un istinto pari a quello che insegna a un uccello, con tanta esattezza, l'arte di covare e l'ordine e l'economia dell'allevamento» (Ricerche, I, 9). · 1

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Quanto, poi, alla libertà e alla volontà, l'analisi non è più conclusiva e i dati di fatto si avvolgono in contraddizioni insuperabili. Che cosa è ìl potere intemo della nostra volontà, ed esiste veramente ? - si domanda Hume a un certo punto e la _sua risposta si frange in una quantità di problemi insolubili. Se, infatti, dapp~ consideriamo il potere. della volontà sugli organi del corpo, non sappiamo come spiegare l'influenza dello spirituale sul materiale, né perché non abbiamo lo stesso potere su tutti gli. organi, sul ~uore o sul fegato come sulla lingua e sulle dita. La nostra struttura anatomica è da questo punto di vista un mistero e non si può concludere altro che, se è certa l'esistenza di un moto che segue la volontà, il potere o l'energia, pèr cui si compie, è sconosciuto ·e inconcepibile. Se. poi esaminiamo il potere della volontà sulle idee, ci accorgiamo che r idea si crea dal nulla e che nulla sappiamo circa la maniera con cui si compie questa operazione. Ci accorgiamo inoltre che la potenza dell'anima sopra se stessa è limitata e che questi limiti non ci sono insegnati d~a ragione, ma solo dall'esperienza (più debole sui sentimenti e le passioni che sulle idee). Ci accorgiamo infine. che il nostro potere varia molto col mutare delle nostre condizioni e cioè se siamo sani o ammalati, savi o matti, sazt o digiuni, di mattina o di sera; ecc. La volontà, insomma, ci risulta un atto della mente sconosciuto e incomprensibile (Ricerche, I, 7). · Ragione, voJontà, libertà diventano in tal modo concetti indefiniti e ambigui che non possono essere posti

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a fondamei;ito di verità e di moralità. L'uomo si smarrisce nello sforzo di determinarli e rimane sospeso tra norr. un io e un Dio eguahnente enigmatici: un Dio che implica una catena di cause che va da lui a noi, annullando la nostra libertà; un io che non può avere valore morale senza essere libero e autocosciente. La crisi del concetto cli autocoscienza giunge al suo punto culminante e Hume è costretto ad ammettere r ipotesi che «agendo, noi saremmo, nello stesso momento, agiti». Il determinismo, che scaturiva dalla teoria leibniziana delle piccole percezioni, qui è post.o . in termini cosi crudi e drammatici che lo stesso Hume, dopo averlo enunciato, arretra improvvisamente e si abbandona al1' istanza religiosa. La conclusione diventa allora assurda ed empia e «dunque non può esser vera »: la conciliazione di libertà e prescienza divina è anch'essa misteriosa 1ùt e incomprensibile. 1 l'ar.ili

Sul fondamento di questo profondo e radicale criticismo, l'empirismo di Hume raggiunge il mondo dell'arte, non più opposto e neanche sostanzialmente separato da quello della ragione e della scienza. La bellezza, come il vero, non può essere definita, ma soltanto avvertita dal gusto o dalla sensazione. Nell' immediatezza di questa si uniscono le due realtà. e trovano fondamento i giudizi di valore, che, pur essendo giudizi, restano fuori del campo dell'assolutezza logica. E su questo

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piano, anche e soprattutto per il più rigoroso empirismo, i termini più significativi diventano quelli di bellezza, arte, ingegno, gusto, sensibilità ecc. ; cioè tutti .quelli con cui si suole designare una realtà spirituale di cui intimamente viviamo, senza saperla determinare con rigore né tanto meno giustificare. È una vita che ·sentiamo svolgersi in noi, alla stessa .maniera dell'artista, incapace di possedersi in una piena autocoscienza e costretto a invocare la musa e ad affidarsi all' ispirazione. Se non che il carattere di immediatezza, che si deve riconoscere a qÙei termini, non si ~limita per Hume a una parte soltanto della nostra esperienza spirituale, e dall'arte si estende a tutta la vita, dall'animale all..uomo. È nelresperienza_immediata che tutti troviamo la guida dell'azione, senza che ci sia bisogno del criterio assoluto della logica. « È certo che i contadini più ignoranti e stupidi, e anche i bambini e perfino le bestie irragionevoli, si sviluppano con l'esperienza». E le immediate conclusioni della vita pratica_ bastano a farla -svolgere compiutamente al di qua della filosofia. « Come uomo attivo, sono pienamente soddisfatto di ciò; ma come filosofo, cioè come un curioso, per non dire scettico, ho bisogno di imparare su che cosa· si fonda· questa inferenza» (Ricerche, I,· 4). In tal modo l'empirismo sfocia in un agnosticismo, che non ha bisogno cli porsi il problema della morale provvisoria, perché prende atto dell' immediatezza di un vivere che non è philosofhari. La filosofia è anche per lui l'esigenza di svegliarsi,

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l'ideale non raggiunto di una ricerca continua, continuamente avvolgentesi in un groviglio di contraddizioni. •Questi sono misteri, che la ragione puramente naturale senza superiore soccorso non è capace di studiare; e, · qualunque sia il sistema che usa, si trova coinvolto in difficoltà inestricabili, ed anche in contraddizioni ad ogni passo che fa in tali studt. Il potere della filosofia si è mostrato finora insufficiente a riconciliare r indifferenza e.la contingenza delle azioni umane con la prescienza (divina) .... » (Ricerche, I,. 8). Con queste conclusioni il dualismo di senso e ragione, di immediato e mediato, di coscienza e autocoscienza, di arte e filosofia, ha cessato con H ume di essere l' interna contraddizione di un sistema metafisico, per diventare la constatazione critica della più profonda contraddizione umana, da cui si cerca invano di uscire. Tutto ciò che diciamo ragione, mediato, ~utocoscienza, filosofia, è anch'esso, fondamentalmente, sul piano del1' immediatezza che crede di superare e il superamento effettivo non è realizzato. L'empirismo, che tiene alla sua esigenza e non decade nellè forme dogmatiche e intellettualistiche, diventa sinonimo di criticismo e di scetticismo. E alla luce di tale constatazione si comprende meglio la ragione per cui il mondo dell'arte, costretto a vivere al margine del razionalismo, trovi un riconoscimento più adeguato nell'ambito di una filosofia che sembrava essere in netta antitesi con esso. Empirismo e scetticismo, costretti à vivere nel campo dell'immediato, si aprono più agevolmente a tutte le

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esperienze e, non sapendo distinguere il mmuno dal massimo, non si chiudono nell'aridità del presunto massimo di una particolare metafisica, ma hanno occhi anche per le più lievi e superficiali espressioni della realtà. Non chiusi da una logica schematizzante, possono entrare nel mondo dell'arte e avere sensibilità per valori non riducibili a sillogismi. Se con essi sembra smarrita la via della verità, al posto di un presunto vero è passata la ricchezza di una vita in~ontenibile, anche $e tormentosa per la coscienza del suo continuo sfuggire.

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Nell'analisi compiuta dei concetti cli arte e filosofi.a nel razionalismo e nell'empirismo, abbiamo avuto modo ,di notare come il Joro rapportò sia stato generalmente inteso, con maggiore .o minore consapevolezza, in senso antinomico. Da Cartesio fino a Hume abbiamo constatato che l'arte vive quando e perché non vive la ragione. Se, come nel più schietto razionalismo, la fede nel pensiero si accentua, l'arte passa al margine della vita spirituale, come realtà inferiore, o è addirittura considerata come negatività. Se, viceversa, il dubbio sul potere della ragione umana si ta strada e si approfondisce, il posto dell'arte si amplia sempre di più, .fino a diventare prevalente e a dcomprendere quello stesso della ragione. Nel razionalismo e nell'empirismo, dunque, l'antinomia che si è prospettata, di arte e fìloso.fia, in quanto antinomia -di immediato e mediato o di coscienza e autocoscienza, ha già trovato una importante éonferma storica, sviluppata attraverso i più vari e contrastanti atteggiamenti speculativi. Non sempre

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il probl~ma appare in primo. piano né si può diré sia stato chiaramente impostato nei suoi rigorosi termini antinomici, ma non perciò la conferma è meno significativa, risultando essa da una esigenza che sorge e si approfondisce, nonostante la diversità dei. punti di par• tenza e per un'intrinseca necessità di pensiero. Si può ignorarla, ma essa tuttavia è là, a mostrare con la sua presenza e le sue co~seguenze che l'antinomia non è evitabile e che prima o poi converrà affrontarla esplicitamente. E infatti, quando, durante il settecento, il problema dell'arte acqui~terà particolare rilievo dando luogo a una nuova scienza, la coscienza del necessario accompagnarsi .di arte e agnosticismo darà il tema essenziale a due delle più grandi opere del pensiero moderno, la Scienz~ nuova di Vico e la Critica del giudizio . di Kant. Che sia questo il risultato fondamentale delle due opere di Vico e di Kant si deve riconoscere da chiunque analizzi i motivi principali di esse, ma. già la qualità delle fonti della loro speculazione basta a mostrarne il criterio direttivo. Il quale, cosi nell,urio come nell'altro, si delinea attraverso un radicale agnosticismo iniziale, una posizione critica nei riguardi delle possibilità della ragione umana, una negazione esplicita dell'autocoscienza, un pieno riconoscimento del valore dell'immediato. Esigenze tutte che costringono i due pensatori ad assumere un atteggiamento polemico còntro il razionalismo e, specialmente in Vico, a muovere da una confutazione· perentoria della filosofia cartesiana, in cui il raziona-

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lismo aveva trovato l'espressione più avanzata e decisa. E per la stessa ragione il movimento di pensiero a cui più direttamente Vico e Kant si ricollegano è quello empiristico, che aveva consentito loro di avvertire l'uni~· portanza dell'esperienza sensibile e il significato più profondo della immediatezza. Ma l'empirismo dal quale ipoo essi muovevano non poteva essere, naturalmente, quello che, giustapponendo alla sensazione la riflessione, degenera anch'esso in una sorta di razionalismo, bensl l'altro, che, più consapevole della propria natura, non trascende :o,V arbitrariamente _l'esperienza in cui trova fondamento. ando Un empirismo in a)tri termini ·come quello di Campasane nella e· di Hume, intrinsecamente congiunto ad. una convinzione agnostica e capace di sollevare il senso al, l'altezza dell'arte. Il problema di Kant è, in questo senso, lo stesso di Hume, e la continuità o .unità ideale del loro ·pensiero è ben più profonda di quel che generalmente si pensi. Per quanto riguarda Vico, invece, il pensatore al quale egli dichi~atainente si ricongiunge è lo stesso iniziatore della filosofia empiristica, Bacone da V eruIamio, ma, s' intende. un Bacone visto da un italiano che veniva -dopo il Rinascimento e cioè spogliato della sua metafisica e ricondotto sul piano del problema dell'arte. Bacone giungeva a Vico in un'atmosfera spirituale in cui aveva dominato· il peculiare empirismo di Campanella, ed è questo nostro :filosofo, anche se non esplicitamente nominato, che, più di Bacone, è presente nella concezione vichiana e che ci fa comprendere il significato preciso del rapporto tra Vico e_ l'empirismo. 7

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Già prima di Cartesio, Bacone aveva teorizzato l'antica età dei poeti e della favola, che precede quella del pensiei:o e della filosofia. La fantasia che si contrappone alla ragione caratterizza per lui un'epoca storica e propriamente quella in cui l'uomo, uscendo dal sonno profondo, comincia a poetare. Dal sonno senza coscienza, si passa al sogno, é soltanto molto più tardi si perverrà alla veglia della ragione. Gnoseologic'a.mente la distinzione delle due epoche si spiega con r analisi delle facoltà della mente umana. La conoscenza dell' individuale è data dal senso e conservata dalla memoria, sul cui fondamento si costruisce la storia. Ma sulle immagini del senso l'uomo può operare in due modi affatto diversi, e cioè o .con la fantasia o con la ~agione. Nel primo caso, lo spirito, nel suo infinito bisogno di libertà, costruisce una natura puramente soggettiva, frutto di arbitrio immediato e vivente soltanto come realtà poetica. Nel secondo, invece, l'uomo' acquista la vera libertà e cioè, conoscendo la realtà oggettiva della natura, ha modo di obbedire alle sue leggi e insieme di dominarla effettivamente. Grad,

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esso vi entra però non come facoltà della conoscenza di un oggetto, ma come facoltà della detenninaiione del giudizio sull'oggetto o sulla sua rappresentazione (senza concetto), secondo il rapporto di questa al soggetto e al suo sentimento interno, in modo cioè che il giudizio sia possibile secondo una regola universale ,, (Ibià.}. lp altri termini, il dualismo dei giudizi trova il suo principio di unificazione nell'unità dell'intelletto giudicante. Il che ·spiega poi come buono e bello possano coesistere e il piacere estetico possa unirsi . al piacere intellettuale. Allora il concetto di bellezza aderente comincia a mutare di signtficato e la distinzione prima fissata è messa_ in péricolo. Gusto e ragione, infatti, non si escludono più reciprocamente, ma si integrano in modo che dall'unione sèaturisca un guadagno e un vantaggio. In che cosa poi consista questo gua$gno non è facile determinare e la dimostrazione che cerca di darne 'Kant tradisce la contraddizione implicita nel concetto di complementarità di due assoluti. « Il gusto, vera.mente», egli osserva, « da questa unione del piacere estetico col piacere intellettuale, guadagna questo, che vien fissato, e se non diventa universale, gli possono però essere prescritte regole relativamente a certi oggetti che son determinati .secondo fini. Queste però non sono regole del gusto ma soltanto dell'unione del gusto con la ragione, cioè del bello col buono, in virtù delle quali · il primo diventa ·adoperabile come strumento della. volontà rispetto al secondo, allo scopo di subordinare quella disposizione d'animo che si alimenta da sé ed ha

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una validità soggettiva universale, a quella maniera di pensare che può essere mantenuta solo mediante un laborioso proposito, ma che ha una validità universale oggettiva. In verità, né la perfezione acquista dalla bellezza, né questa da quella; ma poiché. quando compariamo la rappresentazione con cui è dato un oggetto con l'oggetto (quale deve essere), mediante un. concetto, non possiamo evitare che contemporaneamente ad essa si unisca la sensazione ché' ne riceviamo, quando i due stati dell'animo si accordino, quella- che se ne avvantaggia è la / acoltà rappresentativa nel suo complesso • Jbid.). Evidentemente Kant è ancora sotto la sugge. stione dell'imperativo categorico e sarebbe condotto a subordinare la bellezza alla bontà e a fare del gusto uno strumento della volontà buona, ma poi avverte l'impossibilità di rendere strumentale un assoluto, che è nato da una esigenza superiore alla stessa idea della bontà, e torna a porre su uno stesso piano bellezza e perfezione. Allora i due assoluti non hanno più nulla da guadagnare l'uno dall'altro e il significato della loro unione è dato dall'accordo di due stati d'animo di cui si avvantaggia soltanto la facoltà rappresentativa nel suo com.plesso. Il problema si complica sempre più e r incontro di due stati d'animo, come il vantaggio di una facoltà, diventano le espressioni evidenti della contraddizione fondamentale. Né qui si arresta l'equivoco della distinzione cli bellezza pura e bellezza aderente, perché, una volta ammesso il valore dell'accordo di perfezione e bellezza, il giudizio di gusto puro ammette

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l'integrazione del giudizio razionale. E Kant, prendendo posizione di fronte a chi pronunzia un giudizio di gusto puro, in quanto giudica l'oggetto come ·bellezza libera, e a chi tale giudizio biasima e accusa di gusto falso, in quanto considera la bellezza dell'oggetto come qualità aderente, osserva che ognuno dal suo punto di vista giudica rettamente: e l'uno, secondo ciò che ha sotto ideii; i sensi, l'altro, secondo quello che _ha nel pensiero». i i ti Né per Kant ne consegue che i due giudizi siano l'uno aii?· estetico e raltro logico, ché anzi egli esplicitamente rliw · attribuisce a tutti e due il carattere di giudizio estetico. ~ L'unica differenza è che « il primo dà un puro giudizio odort,: di gusto, il secondo un giudizio di gusto applicato.». guil E col concetto di gusto applicato, il livello speculativo n'rm raggiunto nella Critica del giudizio, con l'affermazione i, & della finalità senza fine, si abbassa fino alle esjgenze delli. delle altre Critiche, e l'astratta idea della ragione riprende ua I il sopravvento. Nasce cosi il problema dell' ideale della nu]/ bellezza, a proposito del quale si ricorda che « idea loro· significa propriamente un concetto della ragione e ideale iCUI la rappresentazione di un'esistenza singola in quanto è ~~ · adeguata ad un, idea ». Sl che tale id~ale non può non iù 1 essere ricercato nell'ambito della bellezza ·aderente e ~o aderente all'oggetto che ha la più alta finalità oggettiva. le~ ì Solo ciò che ha in se stesso lo scopo della sua esistenza, iw· / e cioè _solo l'uomo, tra tutti gli oggetti del mondo, è 1te ' capace dell' ideale della bellezza. E- tale ideale va poi J /, determinato attraverso i concetti di medietà, di regolarità, rte I di normalità della specie, integrati da quello della moraI

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littJ, che deve essere espresso dalla figura umana. Il giudizio secondo un ideale della bellezza non soltanto ?, non può essere un semplice giudizio di gusto, ma deve 1··• essere cosi strettamente legato alle categorie dell' intelletto e alle idee della ragione da togliere ogni signi- J ficato alla finalità senza fine. Vero è che Kant definisce tale giudizio di gusto solo « in parte intellettuale », e /: 1 1 cerca di superare il meccanismo del concetto di medietà ,_:~'.con l'immediatezza dell'immaginazione che la riconosce, 1"· ma la.parte intellettuale è divenuta ormai cosi rilevante \/, da compromettere definitivamente l'as~unto iniziale.

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**• La ragione del fallimento è data dal carattere non abbastanza radicale dell•agnosticismo delle prime due Critiche. Con la terza Kant si era proposto il problema di congiungere fenomeno e noumeno nel sentimento di un valore non concettuale, sostituendo alla filosofia non raggiunta l'immediatezza dell'art~, ma intanto la sostituzione era ostacolata dal residuo della presunta universalità scientifica e pratica. Dall'agnosticismo si salvavano le leggi scientifiche e la sostanziale metafisica delr imperativo categorico, e quindi la vita dell'arte non poteva più contenere nella su~ immediatezza tutta la realtà e doveva far. posto equivocamente, in sé o _accanto a sé, a qualcosa di irriducibile all' immediatezza. Se, oltre al fenomeno, e• è la legge del fenomeno e la legge del noumenò, Kant si è t~ovato nella necessità

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di concepire la bellezza del concetto, della idea, dello scopo, e non ha visto che, per fare questo, avrebbe ~E:•: dovuto considerare la stessa legge come fenomeno e ...i·;:--.. ridurre a pura esigenza runiversalità di ogni concetto, r;-;. di ogni idea e di ogni scopo. Quando, nella Critica della ,..... , ragion pura, è formulata la teoria del fenomeno, l' intuizione sensibile esaurisce il campo dell'estetica trascendentale e la vita appare nell'immediatezza di un sogno che non consente la veglia. Ma Kant non si arresta a questa prima estetica del fenomeno e, dopo avervi aggiunto un'analitica e una dialettica trascendentale, sente il bisogno di creare una nuova estetica del fenomenonoumeno nella quale ~ia soddisfatta in qualche modo l'esigenza della veglia e cioè il raggiungimento dell'universalità del noumeno. Se l'universale non è colto dalla ;:.rt· conoscenza razionale, deve tuttavia illuminare la vita :i: r~ umana e dare il senso dei valori spirituali. È l'esigenza vichiana degli universali fantastici, che si traduce nella teoria kantiana dell'universalità sentita o della finalità ifri: senza fine: al di qua della metafisica l'assoluto si rivela in termini di arte. Ma se gli universali fantastici, concecr~:· piti cronologicamente .anteriori alla sapienza riposta, consentivano a Vico di ridurre a essi ogni attività umana, kf~ comprese la: scienza e la filosofia; la finalità senza fine, concepita dopo là ragion pura e la ragion pratica, non consente a Kant di risolvere in essa l'universale scientifico e quello morale. Cosi in Vico come in Kant è l'agnostici.mio che . .caratterizza la sfera dell'attività artistica, ma in Vico la non razionalità dell'arte precede la razio~

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nalità della filosofia e alla concezione della vita come arte si aggiunge la consapevolezza della nuova scienza; in Kant,_ invece, si perviene al mondo dell'arte dopo aver esaurito tutte le possibilità dell'intelletto e della ragione, e la concezion~ della vita come arte conserva le tracce delle esperienze compiute. L'affinità e la diversità dei due pensatori diventano anche più evidenti quando Kant, dopo aver teorizzato il giudizio di gusto, cerca di chiarire il rapporto tra i: [ bellezza naturale e bellezza artistica, e di determinare i caratteri del~'arte e dell'immaginazione come facoltà di conoscere produttiva. ~ora si rivelano più evidentemente tutte le difficoltà e le contraddizioni già notate, da quella del dualismo di bellezza libera e bellezza aderente, a quella del rapporto tra mediato e immediato. La necessità di concepire la differenza tra arte e natura, (opus et efjectus), riconducendo Kant al problema dell'autocoscienza, lo costringe a confermare la ~oluzione agnostica e a vedere nell'artis_ta una realtà in cui non è più possibile distinguere 1'uomo dalla natura e da Dio. Alla teoria vichiana dell' ingegno segue quella kantiana del genio che risponde fondamentalmente alle stesse esigenze. Il genio, pe~ Kant, è ile altrimenti ad ogni intuizione, irradiato per il miracolo dell'arte dai suoi prodotti». « Non può esser dato che all'arte sola di acqu_etare il nostro infinito conato e sciogliere anche in noi l'ultima e più esterna contradizione » (Sistema, Sez. VI). . La filosofia sembra in .tal modo chiusa entro limiti insormontabili. Che cosa sia veramente il principio della realtà, la filosofi.a non riesce a dirlo: « solo il potere dell'arte è quello che può svelarlo interamente ». Ma intanto l'arte si svela nella sua natura e svela il principio

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della realtà proprio al :filosofo. « Appunto perciò l'arte è per il filosofo. quaJ?,tO vi ha di più alto, perché essa gli apre quasi il santuario, dove in eterna ed origin~ria unione· arde come in una fiamma quello che nella natura e• nella storia è separato, e quello che nella vita e nell'azione, come nel pensiero, deve fuggire sé eternamente» (lbid.). L'arte svela,· dunque, al filosofo il principio della realtà, ma il filosofo, con ciò, non diventa artista, e l'artista, che dovrebbe essere· il vero :filosofo, filosofo non è, ma genio. Con la teoria del genio, Schelling rivela tutta la contraddizione del suo sistema, dove io e natura, ·conscio e inconscio, filosofia e arte, lungi dal comporsi in unità, restano i termini problematici 'di un' insolubile antinomia. Essa è la teoria più significativa di tutto il romanticismQ, perché ne svela, meglio di ogni altra, l'essenziale carattere antinomico. « Quest' invariabilmente identico », spiega Schellìng, « il quale non può giungere ad alcuna coscienza e si rifrange solo dal prodotto, è per il producente quello appunto che è il de~tino per l'operante, cioè un'oscura incogni~a potenza, la quale.all'opera imperfetta della libertà aggi~ge il compiuto e l'obbiettivo; e come quella forza, che, attraverso il nostro libero operare, senza il nostro sapere e pur contro la nostra volontà, realizza scopi non rappresentati, viene chiamata destino, cosi l' incomprensibile, che, senza il concorso della libertà e in certa misura contro la libertà, nella quale eternamente si fugge quanto in quella produzione è unito, aggiunge al cos.ciente l'obbiettivo, si designa coll'oscuro concetto del genio.

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- Il prodotto postulato non è dunque altra cosa che il prodotto geniale, ovvero, poiché il genio è possibile soltanto nell'arte, il prodotto artistico». «Come la produzione estetica muove dal sentimento di una contraddizione apparentemente insolubile, cosi pure essa,· a confessione di tutti gli artisti e di quanti partecipano alle sue eb. brezze, termina nel sentimento di un'infinita armonia; e che questo sentimento, che accompagna resecuzione dell'opera, sia insieme una commozione, lo mostra già il fatto, che l'artista attribuisca il perfetto risolversi della contraddizione che scorge nella opera sua, non [soltanto] a sé stesso, ma ad un dono spontaneo della sua natura, la quale, come fu inesorabile nel metterlo in contraddizione con sé stesso, così è benigna nel rimuovere da lui il dolore di questa contraddizione: poiché a quella guisa che l'artista è spinto alia produzione involontariamente e pur con interna riluttanza (indi, presso gli antichi, la sentenza: pati Deum ecc., indi sopra tutto la rappresentazione dell'entusiasmo dovuto ad un afflato esterno), alla stessa guisa ancora l'obbiettivo sopraggiunge nella· sua produzione quasi senza il s~o intervento, cioè in modo semplicemente obbiettivo. Come colui che è sottoposto al fato non compie ciò che egli vuole od intende, ma ciò che gli impone il destino incomprensibile, sotto la cui influenza si trova, cosi pare che l'artista, per quanto sia privo d'intenzionalità, pure, in rapporto a ciò che vi è di propriamente obbiettivo nella sua creazione, si trovi sotto I' influsso di una forza, che lo singolarizza fra

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tutti gli altri uomini, e lo costringe ad esprimere o a descrivere cose, che egli stesso non penetra interamente, e la cui significazjone è infinita. Or ppiché quell'àssoluto incontro delle due attività che si fuggono non si può assolutamente spiegare in modo più profondo, ma è un vero fenomeno, che, sebbene incomprensibile, non 'si può tuttavia negare, cosi l'arte è runica ed eterna rivelazione, che ci sia, ed il miracolo, che, fosse esistito anche una sola volta, dovrebbe persuaderci dell'assoluta realtà di quell'e:ssere supremo. - Se inoltre l'arte è dovuta all'opera di due attività affatto diverse tra loro, il genio non è né l'una né l'altra, ma ciò che sta sopra ad entrambe» (lbid.). · Con la teoria del genio il romanticismo accentua l'esigenza. del pensiero moderno di porre l'individuo al centro dell'universo, e il diritto all'arbitrio assoluto che si riconosce al genio vuol . significare appunto la !imozione del limite di ogni realtà trascendente; ma poi la rivendicazione della persÒnalità umana in~ontra le stesse difficoltà che si erano rivelate durante il Rinascimento. Schelling ha piena cos~ienza. di questa situazione e ricongiunge il romanticismo al Rinascimento, rifacendosi direttamente da Bruno. Egli, che aveva definito la filosofia una storia progressiva dell'autocoscienza, è costretto a concludere con la teoria del genio,· negando all'uomo la possibilità di giungere a vera coscienza di sé e della realtà. È ancora l'asinitàdivinità qµella che dà vita al mondo dell'arte e segna i limiti dellà :filosofia. E, come nel Rinaséimento, arte,

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filosofia e religione si fondono e si confondono, accentuando a volta a volta l'un3: o l'altra esigenza, ma facendole vivere tutte in un'atmosfera essenzialmente artistica. La filosofia, spinta dalla coscienza antinomica verso l'irrazionalismo, l'agnosticismo e il misticismo, finisce per raggiungere i termini di un'espressione lirica: la religione, sottratta alla rigidità del dogmatismo tradizi~nale si concilia con la mitologia, accogliendo l'elemento fantastico e trasfigurandosi. Tuttavia, se la concezione estetica del mondo è l'espressione più tipica del romanticismo, e ~'-identificazione di bellezza e verità è comune a molti romantici, il bisogno di una soluzione logica del problema metafisico non può non rendere equivoco il. rapporto tra arte e filosofia. I due termini si avvicendano con pari urgenza e il pensiero è costretto a oscillare tra essi, senza riuscire· a precisarne l'unità. Federico Schlegel nel Dialogo della· poesia avverte che « filosofia e poesia, le attività più alte dell'uomo, le quali perfino in Atene, nel loro massimò fiore, operarono indipendentemente, agiscono ora l'una sull'altra per ravvivarsi e formarsi in una interferenza costante », e pr~fetizza che i tedeschi, ispirandosi all'esempio di Goethe, faranno della poesia

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L'arte diventa in tal modo pura soggettività. • E il sodalle :i,. cure della vigilia: che sono pensieri. Pensieri con cui si r' pensa e si regge il vasto mondo reale. E nel sogno, che è il l'~ sonno visto di dentro, il pensiero si sottrae ai limiti del h mondo reale, e spazia liberamente nei regni sconfinati della soggettività: adoperando bensi materiali del mondo 1d1; r.:•. reale, ma quelli soli in cui egli, sottratti che l'abbia alla JJ, catena dell'esistente, e tattili interamente_ suoi, può Jr.> gno », scrive il Gentile, « è riposo perché liberazione

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sentir di.essere chez soi: creatore del suo mondo». (llntl.).

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una pura o astratta soggettività, dunque, che tuttavia ha un suo modo cli vita e una dialettica propria e cioè una sua propria oggettività. È un soggetto che non è quello empirico, né quello trascendentale, bensl un terzo da porsi accanto agli altri due, in una dialettica che comincia a generar~ dal suo seno antinomie non dialettiche. Allora gli astratti non risolvibili dialetticamente si entificano e danno luogo a dei pseudoconcreti. L'arte non vive soltanto nella sintesi, ma comincia a manifestarsi in speciali sintesi, come quelle l'a dell'uomo-fanciullo e dell'uomo-artista. «Da mantenere•, dice infatti il Gentile, « in nuova interpretazione, è invece la-vecchia dottrina (di Vico, Herder, ecc.), no che dell'arte faceva la forma di vita spirituale dell'infanzia Stc dell'umanità e di ogni uomo; e cosi di ogni barbarie primitiva o rinnovata. Il sentimento infatti è, come la zie fantasia corpulenta del Vico~ il pun~o di partenza dello · st1 spirito; e sempre che l'uomo si può dire ali' inizi~ della sua giornata, che sarà tutta fatica di pensiero, prevale ne ancora in lui la forza del sentire non ancora dominata va dalla disciplina della riflessione e dell'analisi•· (Filos. dell'arte, Parte I, V). Il primitivo, il fanciullo, l'artista divengono, cosi, espressioni di sintesi concrete in cui « prevale la· forza del sentire », e cioè il momento sintetico e soggettivo, di fronte a quello analitico od oggettivo, proprio della scienza e della religione. Siamo ancora nel campo del soggetto astratto, ma di un soggetto che « un certo oggetto suo lo ha; e in esso si specchia,

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si raffigura ed esprime. Espressione che è pensiero. E importa quindi sintesi; la stessa sintesi della filosofia, in cui l'azione è mora.le; ma una sintesi tutta polarizzata verso il soggetto». (Filos. dell'arte, Parte II, IV). Arte che è filosofia e, quindi, sintesi in quanto filosofia, ma sintesi anche in un altro senso, in quanto • tutta polarizzata verso il soggetto». Questo oscillare tra l'astratto e il concreto si riflette · · anche nella determinazione del concetto di storia dell'arte. È possibile una storia dell'arte ? Se l'arte è mo::1 mento astratto della sintesi e si esprime soltanto come .: · filosofia, sembrerebbe chiaro che una storia dell'arte non dovesse essere concepibile. E questa, infatti, era_ stata la risposta data nella Teoria generale dello spi,ito cClffle atto puro: " una storia artistica nelle sue valutazioni estetiche· spezza sempre necessariamente il filo storico. E quando rannoda questo filo cessa di esser.e pura valutazione estetica e fonde questa valutazione nella dialettica generale della storia, che è posizione del valore unico dello spirito costruttore della storia. Dove insomma si guarda all'arte, non si vede la storia; e dove si guarda alla storia, non si vede l'arte, (XIV, 6). Nella Filosofia dell'arte, invece, l'arte_ diventa uno degli aspetti dello spirito di cui si può fare la storia facendo la storia dello spirito. « L'arte è tutto lo spirito sotto· 1'3:Spetto dell'arte; e la storia dell'arte è tutta la storJa di tutto lo spirito, considerato sotto l'aspetto dell'arte :a. (Parte I, V).

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Se ora vogliamo precisare quel tanto di concretezza m che il Gentile riconosce all'arte, dobbiamo convenire iq che si tratta anche in questo caso della concretezza 'il . inferiore della coscienza· di fronte a una sintesi più 4 compiuta. Alla stessa maniera che « al pensiero scien- ~ t~co, che diverga dal filosofico, come quel pensiero d che s'indugia nell'analisi dell'oggetto »-manca il sentimento, all'opera d'arte in cui prevale la pura soggettività manca «la disciplina délla riflessione e della analisi ,. E arte e -scienza si distinguono dalla filosofia in quanto pensiero polarizzato verso l'astratto soggetto o ~1 verso l'astratto oggetto, e perciò diminuito dall'astrati~; tezza della polarizzazione. Si che far la storia dell'arte ì\?. non può significare, in sostanza, altro che fare la storia ::e dello spirito in quanto non riesce a passare dalla sintesi l' relativamente astratta della vita spirituale delr infanzia ra a quella matura e concreta della :filosofia che è la vera « incarnazione e però la realizzazione del sentire ». Se il vero sentimento è soltanto nella filosofia, fare la storia dello spirito, considerato sotto l'aspetto dell'arte, non si può che facendo la ve_ra storia della filosofia, cosi conie si deve fare storia della filosofia per fare vera storia della scienza. Le altre storie dell'arte o della scienza, invece, in quanto si polarizzino verso raspetto dell'arte o della scienza, non possono che determinafe mancamenti dello spirito nel suo processo e cioè gli

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sbandamenti dell'attività sintetica verso l'astratta sog- · · gettività o l'astratta oggettività. Ma per Gentile non è cosi. Mosso dal ~isogno di concepire lo spirito. come i autocoscienza, il Gentile si è trovato nella necessità di iirocd mo e1rc negare vita all'arte che è. coscienza, ma l'arte ha continuato a vivere compromettendo l'unità del si~tema. 1 conrc:. Basta, infatti, ch'essa viva per un attimo come coscienza 1 si~!r.: '.: di fronte ad autocoscienza, perché la: :filosofia scompaia utl ft:'_ e tutta la vita sia arte. 1

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Con le filosofie di Croce e di Gentile, lo sforzo di Hegel, per superare il romanticismo e dominare l'antinomia. dJlfoG nella dialettica, è stato condotto alle estreme manifeia af stazioni, fino a ·poter dare l' illusione del compiersi del eta if ciclo del pensiero moderno. Ma, al t_irar delle sòmme, illJ 1::: l' identificazione di metafisica e gnoseologia non è stata J'ir./1::: raggiunta e l'autocoscienza è tornata a essere l' ideale e]J :: di un risveglio non realizza~o. Dall'arte ha proceduto rire1}· la speculazione del Croce e all'arte è pervenuta quella ·efat del Gentile: nell'arte, infatti, è il limite del panlogismo jell't e ~ essa doveva infrangersi la pretesa della dialettica. Il ritrovarsi dell'estetica in primo piano nel sistema dei re r::. due pensatori vale a dimostrare che il romanticismo non · Dài'. è finito. L'antinomia di coscienza e .autocoscienza. è Il, we: · con il suo mistero che invàno si tenta di celare con l'arp.Di\ tìfìcio della dialettica. Sentimento, so~o, natura, genio, ·J;: gusto, amore, afflato cosmico, sono tutti concetti ro-

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mantici, che ronipono la scorza del sistema dogmatico e ci riconducono al punto di partenza. Il romanticismo non soltanto non è finito, ma esce esasperato dalla prova. E continua, infatti, a fiorire come prima e più di prima nel pensiero contemporaneo. dentro e attorno il risorto begelismo, in una linea che va da Schopenahuer a Nietzsche, a Bergson e a tutte le variopinte forme dell' irrazionalismo contemporan~o. Si torna a perdere la fede nelle possibilità del pensiero e si cerca, nelle varie forme del!'esperienza immediata, di cogliere quell'assoluto che sfugge al dominio della ragione. L' immediatezza appare più ri~ca della mediazione, e l'arte, vissuta nelle filosofie razionalistiche al di qua della filosofia, riprende la funzione di ricongiungere l'uomo alla natura e a Dio. Cosi in Nietzsche. Anzi per lui occorre andare oltre lo stesso mondo dell'arte e del sogno, ~rché, come quello della. filosofi.a, anch'esso importa un ·certo sdoppiamento di soggetto ed oggetto e quindi un atteggiamento contemplativo, ottimistico, implicante il principium indidividuationis della rappresentazione e dell'apparenza. L'arte è già mondo apollineo e la vera vita è neJ dionisiaco. Al sogno occorre contrapporre l'ebbrezza, ossia _ il misterioso stato del soggetto in cui opera qùalcosa che lo trascende e lo trasvaluta. s• infrange il principium individuationis e. il delirio estatico « sale su dall' intimo fondo dell'uomo. anzi dalla natura». « O per l'influenza della bevanda narcotica, dì cui parlano negli inni tutti gli uomini e i popoli primitivi, o al potente avvicinarsi della primavera, che compenetra di allegrezza tutta

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quanta la natura, si destano quelle commozioni dio-nisiar.he nel crescer delle quali il senso soggettivo' sva··-1 .... ,-~ nisce in un completo oblio di s~ ». « Sotto l' incanto del fJ dionisiaco non solo si stringe di nuovo il vincolo fra ' uomo e uomo: anche la natura alienata. ostile o sog:, giogata celebra di nuovo la sua festa di ·riconciliazione t> col proprio figliolo smarrito. ruomo ». « L'uomo non è più artista, è diventato opera d'arte: la potenza artistica di t~tta la natura, a suprema soddisfazione esta: tica dell'Uno originario, si manifesta qui fra i brividi dell'ebbrezza». (La nascita tlel~ t,agulia, I). Ecco dunque che cosa bisogna intendere veramente per arte: non l'uomo artista, ma l'uomo stesso come opera d'arte. • Poiché questo ci deve essere chiaro innanzi tutto, a _nostra umiliazione ed esaltazione, che tutta la commedia artistica non è rappresentata affatto per noi, allò scopo magari del nostro miglioramento e della nostra educazione, anzi che noi non siamo minimamente i veri creatori di quel mondo artistico: dob~iamo invece ritenere di noi stessi che per il vero creatore di tal mondo noi siamo già imagini e proiezioni artistiche e abbiamo la nostra dignità suprema nel significato di opere d'arte~ giacché solo èome fenomeno estetico l'esistenza e il mondo sono eternamente git1stificati: mentre invero la nostra coscienza di questo nostro si• gnifibto estetico differisce a mala pena da quella che i .guerrieri dipinti sulla tela hanno della battaglia su di essa rappresentata. Cosi tutto il nostro sapere artistico è in fondo completamente illusorio perché noi non siamo, r...

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sapendolo, identici né facciamo uno con quell'essere, che si prepara, come unico creatore e spettatore di quella · commedia artistica, un eterno godimento. Solo in quanto il genio nell'atto della creazione artistica si fonde con quell'artista originario del mondo, sa quàlcosa dell'eterna essenza dell'arte, poiché in quello stato egli somiglia in modo meraviglioso a quella strana figqra della fiaba, che può rivolgere gli occhi e contemplare se stessa; ora egli è insieme soggetto e oggetto, è insieme poeta, attore e spettatore •· (La nascita della tragedia, V). Di qui la differenza essenziale tra le due divinità artistiche dei Greci, Apollo e Dionisio, e tra l'arte. plastica come apollinea e la musica come arte dionisiaca: differenza scoperta da un solo pensatore, Schopenhauer, che ha saputo vedere nella musi~ l'unica arte atta a rivelarci l'essenza metafisica e la cosa in sé del mondo. Lo stato dionisiaco dell'uomo caratterizza, secondo Nietzsche, il mondo greco fino a Socrate, il vero mondo greco non sereno ma tormentoso, non ottimista ma pessimista. « Dì fronte a questo pessimismo pratico Socrate è il prototipo dell'ottimist~ teoretico, che nella fede nella perscrutabilità della natura delìe cose attribuisce al sapere e alla conoscenza la virt~ dì una medicina universale e nell'errore vede il male in sé. Penetrare in quei fondamenti e separare la vera conoscenza dalla pa.I'Venza e dall'errore sembrò all'uomo socratico la più nobile, anzi l'unica vocazione veramente umana: cos\ come quel meccanismo di concetti, giudizt e sillogismi fu stimato da S~crate in poi l'affermazione suprema e

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:::~·, il dono più meraviglioso· della natura, al di sopra di. tutte 'le altre facoltà •· (La nascità della wagedia. XV). Allora il pensiero filosofico comincia a soverchiare l'arte e la tendenza apollinea si trasforma nello schematismo L logico, facendo morire i~ senso dionisiaco della vita. La < virtù diventa sapienza e felicità. Trionfa l'ottimismo e L muore la tragedia. ::~\· Se non che .Socrate, pur essendo « il solo asse e il :,•: l .cardine della cosi detta storia universale», ·riesce a sal1

varsi dal mondo che instaura, perché « in quella nuova inaudita esaltazione del sapere e dell'intelligenza» u egli si trovò di essere il solo che confessava a se stesso cli non saper nulla». E allora anche in lui dové sorgere il sospetto dei limiti insuperabili della natura logica e di un dominio dal quale il filosofo logico è escluso. Un'ap' parizione nel sogno gli ripeteva: « Socrate, fa della musica ! J>, « Cosi, spronata dalla sua potente illusione, la scienz~ corre verso i propd confini, dove naufraga il · suo ottimismo, nascosto nell'essenza della logica ». Giunge ai punti terminali della periferia e si arresta nello sgomento dell' inesplicabile. « Qui, a suo sbigottimento, come vede che la logica si ravvolge su se stessa e infine si· morde la coda, gli si erge davanti la forma nuova della conoscenza, la conoscenza tragica, la quale, per poter essere semplicemente tollerata ha bisogno dell'arte come protezione è rimedio ». (Ibid.). Dopo Socrate il processo storico segna la degenerazione dell'uomo e il suo progressivo estraniarsi dal1'essenza della realtà. La logica soffoca la vita. La re-

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denzione potrà cominciare solo quando l'uomo tornando nella posizione di Socrate avrà di nuovo coscienza di non sapere. E Nietzsche crede di vedere questo inizio in Kant e in Schopenhauer e nel romanticismo della sua Germania. La filosofi.a tramonta e la musica ritorna • nelJa sua gagliarda ascesa luminosa da Bach a Beethoven, da Beethoven a Wagner ».

All'antintellettualismo di Nietzsche corrisponde quello di Bergson. Anche per lui l' intelletto ride, perché il riso è dell' insensibilità, e basta assistere alla vita da spettatore indifferente · per vedere i drammi volgersi in commedia. Anche per lui esiste il velo di Maja tra la natura e noi, e tra noi e la nostra propria coscienza: velo che può essere strappato soltanto dall'artista, che dalla commedia ritorna al dramma. Ma se analoga è la c~nclusione, diver~, invece, è il procedimento logico seguito dal Bergson · per determinare l'origine e l'essenza del velo. Noi non riusciamo a conoscere la realtà perché ·ci volgiamo ad essa come a strumento del nostro vivere e quindi per ragioni non veramente conoscitive ma pratiche. « Bisogna vivere e la vita esige che noi apprendiamo le cose nel r~pporto che esse hanno con i nostri bisogni. Vivere significa agire. Vivere significa accettare degli oggetti soltanto l' impressione utile per rispondervi con reazioni appropriate: e altre impressioni debbono oscurarsi o arrivarci con-

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fusamente.... Quel che io vedo e intendo del mondo esteriore è semplicemente ciò che i miei sensi ne estraggono per illuminare la mia condotta; quel che io conosco di me stesso è ciò che affiora alla superficie e prende parte all'azione. I miei sensi e la mia coscienza non mi danno dunque della realtà che una semplificazione pratica ... i Insomma noi non vediamo le cose, ma ci limitiamo generalmente a leggere le .. etichette incollate su di esse. Questa tendenza poi, si è ancora accentuata sotto l'influenza del linguaggio. Poiché le parole (ad eccezione dei- nomi propri) designano tutte dei generi. La· parola, che nota della cosa la funzione più comune e il suo aspetto banale, si insinù~ tra essa e noi e ne maschererebbe ai nostri occhi la forma se questa forma non .fosse già dissimulata dietro .i bisogni che hanno creato la parola stessa .... Noi ci muoviamo tra generalità e simboli, come in un campo chiuso dove la nostra forza ~i misura utilmente con altre forze; e affascinati dall'azione, attirati da essa, per il nostro maggior ~ne, sul terreno eh' essa si è scelta, viviamo in tina ·zona ·di mezzo tra le cose e noi, esteriormente alle cose ed . esteriormente anche a noi stessi». (Il riso, III). Ebbene, da questa povera vita dell'azione, l'uomo può so1levarsi alla- vera conoscenza delle cose, entrando nel mondo dell'arte. Gli artisti sono anime staccate dalla vita, di un distacco naturale, innato alla struttura del senso o della coscienza- e che si manifesta in una maniera verginale d'intendere e di pensare. Allora si scartano. i simboli praticamente utili, le generalità accettate pel'

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convenzione sociale, tutto ciò, insomma, che ci maschera la realtà e ci si trova faccia a faccia con la realtà stessa. Allora al genere si sostituisce l' individ-uo concreto, il determinatissimo di Campanella, con le mille sfumature fuggitive e le mille risonanze profonde. Allora la vita tranquilla, borghese, che la società e la ragione ci hanno çomposto, è sconvolta, e l'uomo si abbandona al movimento della sua natura sensibile, senza legge di alcuna sorta. È lo spirito dionisiaco che trionfa sull'apollineo.

••• Ritornato, cosi, attraverso l'antinomia di mediato e immediato, in pieno romanticismp, il pensiero contemporaneo non può far ·altro che accentuarne il dramma, nel tentativo sempre più esasperato di un soggetto che wole conoscere e possedere se stesso. Ma 1~ critica dis. solve ogni tentativo e la crescente insoddisfazione muove alle esperi~nze più varie e paradossali. Il soggetti~o sconfitto in sede teoretica cerca di riaffermarsi in sede pratica e Nietzsche stesso, abbandonato il vecchio punto di vista del volume su La nascita della tragedia, si avventura nel mito del superuomo. È l'azione che riprende · il sopravvento, nelle forme di un arbitrio più o meno esplicitamente esaltato, che va dall'anarchia di uno Stirner, al piatto utilitarismo delle correnti pragmatistiche ·e ai capricci dei vari estetismi del pensiero e dell'arte. Nel campo più propriamente speculativo il re-

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DOPO IL ROMANTICISMO

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ativismo :filosofico e scientifico ~isce per colorire gli atteggiamenti più diversi, sboccando più o meno consapevolmente nello scetticismo. Ma è uno scetticismo in cui si riafferma l'esigenza della soggettività e che si trasforma . quindi in solipsismo e in psicologismo. La psicologia, anzi, e in genere l'analisi introspettiva acquistano un posto dominante e si tenta per questa via di giungere a1 centro di se stessi e della realtà. Se non che i risultati deludono e la positivistica psicanalisi finisce nell'esaltazione dell'inconscio e nel particolare riconoscimento del mondo dell'arte. Romanticismo., dunque, ancor~ più profondo e radicale quello di oggi, in cui, accanto alle form~ -più superficialmente edonistiche, si avverte come non mai il senso tragico della vita e la crisi di tutto il pensiero moderno. Crisi di pensiero e crisi di civiltà, ché lo spirito del romanticismo si è esteso· a tutte .le manifestazioni della vita ed è giunto, sotto varie forme, fino alla coscienza delle masse.

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L'analisi storica che abbiamo compiuta del rapporto tra arte e filosofia nel pensiero moderno ci mette ora in grado cli tornare· ali' affermazione deJla vita come arte, per precisarne meglio il significato e le conseguenze. Nello sfo:çzo di giungere all'autocoscienza. if pensiero moderno ha oscillato sempre tra le due concezioni del1' inferiorità e della superiorità dell'arte rispetto alla filosofia. O si è visto, cioè, nell'immediatezza della coscienza artistica un grado della vita spirituale destinato a scomparire o a risolversi nel grado della razionalità; o si è in".'ece ritenuto impossibile un possesso logico della realtà e si è riconosciuto nell' intuizione artistica l'unica vera forma di conoscenza dell'assoluto. Nel primo caso, il mondo dell'arte è stato concepito alcune volte come anteriore nel tempo, e perciò destinato a morire con l'epoca primitiva di cui è caratteristico o a sopravvivere come mondo infantile e momento di vita i~feriore; altre volte come contemporaneo a quello della filosofia. ma distinto. nell'ambito dell'attività spirituale come I8

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forma di conoscenza confusa e limitata. Nel secondo caso, o si è rimasti fedeli alla concezione del mondo dell'arte come mondo stori~amente. remoto, e allora si è visto nella filosofia e nella scienza la degenerazione intellettualistica della vita spirituale; o si è concepita l'arte al culmine del processo filosofico, a integrazione e coronamento di un'esperienza conoscitiva di per sé inadeguata. Ora è chiaro che nessuna di queste .concezioni può coincidere con quella della vita come arte. Ognuna di esse, infatti, implica un'esperienza storica o filosofica di ciò che sia arte e di ciò che sia filosofia e postula un punto . di vista superiore dal quale giudicare le due esperienze e porre l'una in rapporto di superiorità o di inferiorità rispetto all'altra. E basta postulare questo punto di vista superiore· per far convergere sostanzialmente tutte le concezioni in una soluzione razionalistica del problema. Ogni tentativo di sfuggire a questa necessità logica è destinato a fallire, perché la soluzione è, già implicita nel riconoscimento della realtà dei· termini del problema. Razionalismo o irrazionalismo non possono non coincidere per chi affermi l'assolutezza dell'uno o dell'altro. Dal punto di vista, invece, della vita come· arte non si afferma l'esperienza dei due termini e si riconosce esplicitamente di non essere giunti alla filosofj.a e di non sapere se vi si potrà Ìnai giungere. L'arte, allora, diventa l'unico campo di esperienza, entro il quale si avverte l'oscura esigenza di una filosofia non posseduta., il misterioso bisogno di uscire dalla immediatezza senza riu-

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scirvi. Il secondo termine, cioè, del problema, la :filosofia, vive nel primo, e non come parte di un'esperienza più grande, ma come coscienza di mancanza, aspirazione ad una realtà in cui risolversi, desiderio di svegliarsi. E se, perciò torniamo a -~olil.andarci se l'arte sia inferiore alla filosofia o viceversa, non possiamo non rispondere che, sl, l'arte è inferiore alla :filosofia, ma non come attività di fronte ad attività ~el mondo dello spirito, perché non riusciamo a concepirle in nessun modo come due realtà: è foferiore, ma come tutt~ la nostra realtà nel tendere al po~sesso di se stessa. L'arte non può essere superiore o inferiore a niente altro perché è coscienza, tutta la coscienza, tutta la realtà di cui siamo coscienti, e finché c' è essa nòn ci può · essere che lei; ma questa coscienza, poi, aspira a svelare il mistero che trova in sé, a diventare autocoscienza, e, se questa aspirazione potrà essere una volta soddisfatta, la coscienza, l'arte, il mistero, il sogno, tutta la realtà della nostra attuale esperienza non vivranno più. Nascerà allora il nuovo metodo di Bacone, la sapienza riposta di Vico, e, di fronte alla luce dell'autocoscienza, scomparirà, hegelianamente, il mondo dell'arte.

Questa precisaz~one storicà vale anche, e soprattutto, a chiarire il rapporto della concezione della vita come arte con quella del romanticismo. ·se nel romanticismo si vede l'essenza del pensiero moderno, in quanto sforzo

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per il raggiungimento dell'autocoscienza, la concezione della vita come arte non può non essere sostanzialmente romantica. Essa assume a suo contenuto l'antinomia di coscienza e autocoscienza, e, nell' incapacità cli superarla, non s' illude di risolverne il senso e il sentimento nella , r . ragione. Concezione, dunque, tipicamente anticartesiana e antilluministica, se in Cartesio si guarda soltanto al!e ·r esaltazione del pensiero, trascurando gli altri motivi b non logici che abbiamo messi in luce, e se nell' illuminismo m si riconosce il trionfo della ragione, non rilevando i più ~ profondi germi precorritori d~l romanticismo. Tuttavia K propriamente romantica la nostra concezione non si può m definire, perché in essa permane, e in certo senso si uc rafforza, al di là dello stesso cartesianismo, l'esigenza ~ più viva del razionalismo. Anzi l'unica vera accusa ti( ch'essa muove, cosi al cartesianismo come al romanticismo, è di essere l'uno e l'altro forme false e dogmatiche ~: di una esigenza razionalistica, che non si riesce a sod~ disfare, ma neppure a evitare. Perché è falso il razionare lismo di Cartesio, che vede fallire la sua presunzione di fronte alla· necessità di riconoscere un mondo non riducibile all'autocoscienza; ma è falso anche il razionalismo dei romantici, che pretendono dimostrare logicamente il superamento della ragione. Il lato veramente debole, acritico, contraddittorio delle teorie romantiche ~on è, come generalmente si crede, nel loro irrazionalismo o estetismo o sentimentalismo, ma proprio nel loro astrattismo razionalistico che le conduce a entificare metafisicamente l'irrazionale. Il limite del romanticismo; in

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altri termini, è nel voler assolutizzare - cioè dimostrarne l'universalità - una vita o una conoscenza che non siano quelle della ragione. Fino da quando Campanella asserisce la superiorità conoscitiva della sensazione, si comincia ad alimentare nel pensiero moderno l'equivoco, per cui non si distingue la sensazione dalla teoria della sensazione, e non si ayverte che il potere che consacra la superiorità della sensazione non è la sensazione stessa, ma la sua teoria, ossia la sua definizione, la sua dimostrazione logica. E l'equivoco si accentua quando, dopo Kant, si entra nel romanticismo in senso specifico. Già in Kant l'errore è manifesto nella Critica àeZ giudizio, dove, dopo aver posto il. giudizio estetico al di là del logièo e del morale, lo si giudica come tale in una critica che si solleva a metafisica. È infatti evidente che il giudizio del giudizio estetico è esso, ed esso solo, il giudizio metafisico in cui si riassumono le tre critiche. Se esso non fosse vero,. il giudizio estetico non assumerebbe coscienza del suo essere, e parlare della sua superiorità non avrebbe senso. Peggio avviene quando con Schelling l'arte diventa organo. della filosofia, con l'esigenza di. trascenderla ma con la necessità di esserne trascesa. La ragione, infatti, avverte la propria incapa~ità, ma cerca di superarla valendosi di uno strumento che vada al di là di essa; il che è possibile soltanto se lo strumento non sfugga di mano e se, cioè, la filosofi.a, usandolo 1 lo domini e lo riconduca al suo sistema. Dopo Schelling l'equivoco si' protrae, con la stessa dogmaticità negli altri filosofi romantici e postromantici,

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Il moltiplicarsi delle forme di conoscenza dell'assoluto, e he abbiamo analizzato in Schopenhauer, è una delle orme più tipiche di questa contraddizione. Ma non meno contraddittorio è tutto l'irrazionalismo contemporaneo, che ingenuamente si abbandona a teorizza.re 1 'assolutezza dell'ebbrezza o dell'intuizione, dell~ scetticismo o del relativismo. Un Nietzsche, che invece di abbandonarsi allo spirito dionisiaco cerca la propria affermazione nel teorizzarlo; un Bergson, che si accinge a definire con l' intelletto l' intuizione; e i relativisti di tutte le specie, che dimostrano la necessità del relativo, se sono l'espressione dell'esasperarsi dell'antinomia. romantica, confermano anche un' implicita presunzione razionalistica, tanto più dogmatica quanto più violentemente rinnegata.

• ** Più sottile diventa l'equivoco nel romanticismo della dialettica. Qui non si svaluta più la ragione contrappo- · nendole il senso o il .sentimento, ma si con?"appongono intelletto e ragione come metafisica dell'essere e filosofia del divenire. Tutta la critica che, . a rivendicazione del senso o del sentimento, è stata rivolta dal romanticismo al razionalismo, è accolta dalla .filosofia della dialettica, 'che si oppone non meno .recisamente al tentativo di raccogliere la realtà in una definizione, rinunciando a comprendere la vita del processo e ci~è il passaggio da definito a definito. Ché quèsta infatti è l'esigenza che

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spinge il romanticismo verso l'ipotesi del senso e del senti.mento: l'unità del reale è possibile soltanto in virtù delle sfumature che congiungono colore a colore, suono a suono, con:cetto a concetto. E l' intelletto invece è costretto a passare dà A a B, e cioè da una definizione all'altra, senza .avere la possibilità d~ cogliere l' indefinito che è tra i definiti. Ora, la logica dialettica, facendo propria l'esigenza romantica, vuol concepire la ragione in modo _tale da comprendere il passaggio da A a B, e cioè da comprendere non l'essere di A .e quello di B, ma il divenire della realtà nel suo trasco~ere da A a B. La sfumatura non è più esclusa, .anzi diventa l' essenza della realtà, nell'unità del suo processo. Se non che, se A e B. non costituiscono più l'essere da definire nella sua irrelatività, ma si risolvono nella realtà del loro divenire, il divenire, poi, viene a trovarsi ne_i confronti della ragione nella stessa posizione in cui si trovano le· ipostasi del senso o del ~entimento. E· cioè come la teoria del senso e del sentimento fa decadere nell' intellettualismo l'esigenza irrazionalistica, cosi la teoria del divenire non può non trasformare i1 divenire in essere. Contrapporre al razionalismo il sep.so, il sentimento o il divenire, si può soltanto in virtù di una metafisica del- · 1'ente senso o sentimento o divenire, e cioè· sul fondamento di una posizione altrettanto razionalistica. Il tentativo di concepire una filosofia che non sia razionalismo o metafisica dell'essere si è rivelato storicamente impossibile. Il limite del romanticismo è nel non· avere coscien:za della propria incapacità a uscire dal razionalismo,

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Ora, se questo è il suo limite, è chiaro che la concezione della vita come arte implica, per un verso, l'accentuazione dell'esigenza romantica e, per un altro verso, invece, l'esigenza di uscire dal romanticismo. È ultraromantica, in quanto riesce a determinare il residuo dogmaticamente razionalistico, non solo cli ogni filosofia del romanticismo, ma anche di ogni atteggiamento antifilosofico, sorto sul fondamento di un'attività etica o artistica, che si proclami libera da ogni preoccupazione metafisica e gnoseologica; ed è poi antiromantica nella constatazione dell'incapacità di evitare il problema filosofico nel suo duplice aspetto metafisico e razionalistico.

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La possibilità di una concezione che sia al tempo stesso ultraromantica e antiromantica è data dalla necessità di tornare all'antinomia del romanticismo, cosi come è stata impostata dal filosofo che prima di ogni altro ne ha avuto coscienza esplicita. Quando Kant, infatti, pone. il dualismo di fenomeno e noumeno, non fa che concepire la vita come sogno e v~dere in esso l'esigenza di un risveglio razionale, che non ci è dato di raggiungere. È il sogno del romanticismo, contro la pretesa del razionalismo, ma è insieme la coscienza critjca della incapacità di rinunciare alla ragione, come fondamento di una metafisica dell'essere. Che poi Kant ricada di fatto in una falsa metafisica e cioè in una nuova

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forma di razionalismo dogmatico, è destino comune a ogni agnostiéismo che si esprima, ma ciò non può far dimenticare il punto di partenza, che è quello di rinviare a un ipotetico futuro la vera metafisica dell'essere. Oggi, dopo tutta l'esperienza del romanticismo, il ritorno a ~ant vuol significare appunto una più' approfondita coscienza dell'antinomia generatrice del romanticismo e insieme della vanità dei tentativi f~tti per superarla; vuol significare la coscienza di tutti i falsi razionalismi in cui l'antinomia a volta a volta si è trasformata, nel1' illusione risorgente di una sintesi non inai realizzata. Oggi non è più possibile arrestarsi a un momento del1' infinita esperienza romantica, ipostatizzandolo come · certezza dell'assoluto. Il romanticismo è tutto presente nella infinita serie dei suoi momenti antitetici e vive in una coscienza critica che è diventata ipercritica. Se la caduta nel. dogmatismo non può nemmeno oggi · evitarsi, essa non è più inge~ua e segna il culmine dello sforzo fatto per sfuggirvi. Il nòstro romanticismo è il più radicale possibile, appunto perché aspira soltanto a uscire da se stesso. Non è romantico perché vuol negare il razionali_smo, ma perché non è capace di negarlo, e trova nella propria coscienza antinomica il bisogno inesplicato di un risveglio, che non sa concepire altrimenti che come assoluto razionalismo. Con esso si segna l'estrema posizione romantica, perché si segna insieme l'estrema forma dell'esigenza carte~iana di un · pensiero che possieda veramente se stesso e. la realtà.

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La coscienza critica del romanticismo,. che è impli• cita nella concezione della vita come arte, la salva dall'accusa di estetismo che a prima vista sembrereb~ legittimo rivolgerle. L'estetismo, infatti, consiste nella sopravalutazione del valore estetico, a detrimento o ad• dirittura a negazione di ogni altro valore. Esso sorge sul fondamento dello scetticismo metafisico o gnose