Tra il III e il IV secolo d.C. fioriscono, nei deserti della Siria e dell'Egitto, innumerevoli colonie di monaci. S
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Italian Pages 152 [146] Year 2003
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Tra il
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e il rv secolo d.C. fioriscono, nei de-
serti della Siria e dell'Egitto, innumerevoli co lonie di monaci. Seguendo l'esempio di san t'Antonio abate, molti altri si inoltrano nel de serto, alla ricerca di se stessi. E, sulle loro tracce,
moltissimi
pellegrini,
che
bramano
una parola di consiglio da chi si è già tanto inoltrato nel cammino verso la saggezza e, la .
pace interiore. Dall'incontro tra queste due g
eli
ce��be nascono :Je ractolte degll Apophteg
mata Patrum e i trattati di Evagrio Pontico, , gr· azie alle quali i'irutti di quella lontana spiritualità non sono andati perduti. . Come già in /1 cielo comincia in te, padre Anselm GrOn riprende i detti dei primi mona ci per infondere loro una nuova vita e per far sì che, oltre le barriere dei secoli, essi tornino a parlare al nostro cuore. Anselm GrOn ci ri vela così la saggezza che si nasconde in que sti detti: essi insegnano la via che porta"-lla li bertà dello spirito, senza la quale non si può vivere.
Anselm GrOn, nato nel 1945, dottore in teologia e mo nacò benedettino, è priore ammtnistratore dell' Abbaiià ' di MOnsterschwarzach in Germania. È noto come d'no dei piO fecondi e apprezzati autori di spiritualità1n Euro pa. Tra le sue opere principcyli ricorE;li:amo�, &are essfJre. . in armonia con se stessi (Brescia 1997, 20022); -'Non ·
farti del male (Brescia 1999, 20024). Per l'editrice Queri niana ha curato la collana l sa�ramenti ($ette VC)Iumi); ,_
ISBN 88-399-2248-2
l l Ili t l € 9,50 (LL)
9 788839 922489
meditazioni 168
ANSELMGRÙN
LA VIA DEL DESERTO 40 detti dei Padri del deserto
Queriniana
Der Weg durch die Wiiste. 40 Weisheitsspriiche der Wiistenvà'ter © Questo libro è stato originalmente pubblicato da Karmelitanské nakladatelstvi, Kostelnf Vydn, Dacice, Czech Republic, 2000. © 2003 by Editrice Queriniana, Brescia via Ferri, 75 - 25123 Brescia (Italia) tel. 030 2306925 -fax 030 2306932 internet: www.queriniana.it e-mail: [email protected] Tutti i diritti sono riservati. È pertanto vietata la riproduzione, l'archiviazione o la tra smissione, in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo, compre se la fotocopia e la digitalizzazione, senza l'autorizzazione scritta dell'Editrice Queriniana. ISBN 88-399-2248-2 Traduzione dal tedesco di ANNA BOLOGNA Stampato dalla Tipolitografia Queriniana, Brescia
Introduzione
Tra il III e il VI secolo innumerevoli mo naci popolarono i deserti della Siria e del l ' Egitto . Il deserto esercitava un fascino singolare su persone che volevano intra prendere un cammino spirituale. A quell'e poca il deserto veniva considerato dimora di demoni. I monaci volevano sconfiggere le forze delle tenebre nel loro stesso regno, per farvi risplendere la luce di Cristo. Cre devano che attraverso la loro ascesi il mon do potesse diventare più luminoso e più santo. Sant'Antonio fu il primo che osò i noltrarsi nel deserto, intorno al 270 d.C. Lo seguirono uomini per i quali la chiesa di massa era diventata troppo ' permissiva ' . Volevano vivere la parola di Gesù in modo tanto radicale quanto era intesa all'origine.
A un primo sguardo gli antichi monaci in carnano una spiritualità che oggi risulta e stranea. Ma se consideriamo con maggiore attenzione i loro detti, ne scopriamo l'attua lità. Parlano per esperienza e non teorizzà no sulla natura dell ' essere umano : h anno sperimentato nel proprio corpo che cosa si gnifichi essere persone, come sia fatta la strada verso Dio, quale cammino giunga alla meta e quale conduca all'abisso. Per questo motivo schiere di persone in cerca di consi gli o affluivano all'epoca dall ' Italia e dalla Grecia per cercare gli 'abba' , i Padri, come presto vennero definiti i monaci, e ascoltare da loro indicazioni per la propria esistenza. Le risposte date dai monaci alle dom an de dei loro visitatori vennero in un primo tempo raccolte oralmente e infine raggrup pate nella collezione degli Apophtegmata patrum, dei ' detti dei Padri' . Anche oggi le parole dei Padri del deserto vanno diritte al cuore. N o n le si può discutere. Bisogna confrontarvi s i . Ne ven iamo t o c cati n el profondo dell' anima e percepiamo che «Sì, questa è la verità. Così si diventa esseri u mani. Dio è così». 6
Dalle parole dei Padri del deserto spira no saggezza e benevolenza. In esse non si fa morale, non si minaccia con l'indice le vato . I monaci vedono i pericoli che in combono sull 'essere umano. Tuttavia sono pieni di ottimismo . Credono che non sia mo semplicemente condannati a ripetere il nostro passato o a soffrire per tutta la no stra esistenza a causa delle ferite inflitteci nel corso della nostra storia. Possiamo la vorare su noi stessi . Possiamo !asciarci il passato alle spalle e intraprendere il cam mino verso Dio. Siamo chiamati a fonderci con Dio. È la nostra più alta dignità. In questo cammino di fusione con il Si gnore incontriamo tuttavia la verità del no stro io , n o n sempre p i ac evol e . Ma p e r quanto realisticamente i monaci parlino della profondità dell' anima, si esprimono tuttavia in modo altrettanto ottimista sulla forza che Dio ha donato all'essere umano. Non siamo semplicemente vittime dell'e ducazione ricevuta, della società. Possiamo lottare per ottenere la vita, siamo invitati a lottare per la vita. E siamo chiamati a di ventare una cosa sola con il Signore nella 7
contemplazione, a fonderci con lui in un'e stasi d'amore. Il cammino per diventare esseri umani e farsi una cosa sola con Dio è avventuroso. Su questa strada incontriamo la profondità della nostra anima. Niente di quanto è u mano ci rim ane estraneo . Lungo questo cammino non abbiamo bisogno solo di re sistenza e dello spirito di Dio, ma pure di un grande senso dell'umorismo. Abbiamo bisogno del coraggio di discendere nella nostra umanità. Dobbiamo guardare sorri denti e rilassati i molti tentativi di fuga con i quali vorremmo evitare il Signore . Ma possiamo anche essere certi che Dio ci ac compagna sempre e in ogni luogo , anche quando fuggiamo davanti a lui. Egli non ci abbandona, non perde mai la pazienza nei nostri confronti. Per questo motivo p ossia mo ripartire ogni volta alla sua ricerca, per scoprire nel suo amore la vita che ci ha do nato. Poiché Dio è così paziente con noi, anche i Padri del deserto tornano ogni vol ta a ricondurci con amore sulla strada che porta a lui. Per la realizzazione di questo libro ho 8
scelto venti tra i circa mille detti dei Padri del deserto, dai quali traspare un po' della saggezza dei primi monaci che ci può aiu tare nel nostro cammino spirituale. Nella seconda parte prende la parola esclusiva mente E vagri o Pontico. Evagrio è l'autore religioso più significativo del IV secolo. Era un greco dalla vasta preparazione teologi ca, che visse nella solitudine del deserto la sua sete del Signore, scrutando negli abissi della propria anima. Si rese conto del fatto che non è possibile giungere a Dio lungo il p rop rio cammino spirituale senza incon trare se stessi e scoprire senza abbellimenti la realtà della propria anima. Nel suo Trattato pratico, Evagrio descrive la nostra esistenza come lotta contro le pas sioni. Confrontarsi con i pensieri e i senti menti, con i bisogni e le passioni dell'ani ma uman a è la p remessa necess aria per raggiungere la pace interiore, per guarire nel profondo dell'anima. E la salute dell'a nima è a sua volta premessa necessaria per trovare la strada per la preghiera autentica, per pregare senza distrazioni, per la con templazione in cui diventiamo una cosa so9
la con Dio. Lo scopo di ogni lotta e ricerca è per Evagrio la p reghiera incessante, la preghiera in cui il monaco viene elevato in Dio . Proprio in questo trascendere se stessi e fondersi con Dio attraverso la preghiera consiste per lui la più alta dignità umana. Tali pensieri sono stati sviluppati da Eva grio nell ' opera La p regh iera. In questo scritto affascinante percepiamo la sete di Dio dell' autore e il suo amore verso il Si gnore, l'unico in grado di placare la nostra inquietudine più profonda.
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Apoftegmi Detti dei Padri del deserto
l.
Il peccato
Abba Antonio disse ad abba Poimen: «Que sta è la grande opera dell'uomo: gettare su di sé il p roprio peccato davanti a Dio e at tendersi la tentazione fino all'ultimo respi ro». - Apo 4 [A /t Antonio 4].
Quando i Padri del deserto pensano a Dio, si rammentano contemporaneamente di chi siano in quanto esseri umani. n loro rapporto con Dio è contraddistinto da sin cerità e schiettezza. Davanti a Dio giungo no a loro volta a riconoscere chi sono essi stessi. Ma non si fermano a quello che han n o raggiunto . Sono consapevoli che agli occhi di Dio sarranno sempre meno del-
l'immagine che egli si è fatto di loro. Ri mangono all' erta, perché si attendono di essere soggetti alla tentazione fino all' ulti mo respiro. Non si tratta di una spiritualità umiliante e piena di timore, bensì di una spiritualità che fa sì che le persone riman gano in cammino. Dobbiamo sempre ri partire per una nuova meta e tenere in conto che in ogni nostra azione pia può in trufolarsi qualcosa capace di alterare il no stro rapporto con Dio. Oggi non suona molto invitante dover subito pensare ai nostri errori quando par liamo del Signore. Troppo spesso le perso ne sono state umiliate dicendo loro di do versi sentire poveri peccatori. Antonio par la molto sobriamente del peccato e della tentazione, che ci accompagnano per tutta la vita. Non li tem e . Li offre al Signore . Non pensa ossessivamente alle proprie col p e , bensì guarda all ' amore di Dio . Non giudica se stesso. I suoi peccati diventano piuttosto l'occasione di rivolgere a Dio il suo sguardo . Sa di essere amato incondi zionatamente da Dio , come anche di non poter trattenere l' esperienza di questo a14
more . Un attimo più tardi si ritroverà a confrontarsi con il vuoto interiore e la lon tananza da Dio. In quel momento non si a direrà, bensì, pieno di fiducia, offrirà al Si gnore anche queste cose. Questo è il cam mino di libertà del monaco: a tutto è per messo di esistere. N on ci condanniamo per alcun peccato. Semplicemente offriamo a Dio tutto quanto è in noi. In questo modo veniamo trasfigurati nell'immagine a cui il Signore voleva dare forma per nostro tra mite.
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2.
La tranquillità d'animo
Abba Pambo domandò ad abba An tonio : «Cosa devo fa re ? >>. Gli disse t a n zia n o : «No n confida re n ella tua giustizia, n o n preo c cuparti delle cose che passano, domina la lingua e il ventre». - Apo 6 [Aij; Antonio 6].
Antonio qui ci m o s t r a u n a via m olto concreta perché la nostra esistenza abbia buon esito. Da un lato non dobbiamo con fidare nella nostra giustizia, né dare nulla per scontato basandoci sulla nostra devo zione , sulla nostra ascesi. N o n possiamo diventare giusti da soli. Siamo quello che siamo . E dobbiamo tener conto del fatto che molti aspetti di noi sono ancora nasco-
sti, che abbiamo dei lati oscuri di cui non siamo a conoscenza; ma non dobbiamo pensare continuamente a noi stessi e osser vare a che punto del nostro cammino inte riore ci troviam o . Percorriamo la nostra strada senza ritenerci migliori degli altri. Antonio è obiettivo . È privo della solen nità di alcuni guru che affermano di essere già totalmente immersi in Dio e ricolmi dello Spirito del Signore. D ' altra parte Antonio ci indica un buon sistema per comportarci verso i nostri erro ri e i nostri fallimenti . Ci adiriamo infatti spesso per quanto commettiamo di sbaglia to . Ci dilaniamo con i sensi di colpa e ci rimproveriamo di essere peccatori incalliti e di non migliorare mai. Antonio invece ha tanta fiducia nella misericordia di Dio da non riflettere più su quanto è passato. Non si rimprovera nulla. Offre tutto al Signore. E basta. Anche per noi oggi questo è un buon sistema per agire nei confronti dei no stri peccati. Dobbiamo semplicemente con segnarli nelle mani del Signore. Egli ci per dona. E se Dio ci perdona, allora anche noi dobbiamo perdonare noi stessi. 17
Antonio ci mostra inoltre come compor tarci con quanto ci ha ferito . Dobbiamo osservarlo e offrirlo a Dio e poi !asciarcelo alle spalle. Non dobbiamo rimuginare tut to, come fanno oggi molti che passano da una terapia all ' altra. È sufficiente prendere coscienza e poi permettere che diventi pas sato . Dio mi dona oggi il suo Spirito per rendermi più forte per l ' attimo presente . Non devo iniziare con l ' ammortizzare il debito del mio passato . Non devo passare oltre al dolore presente nella mia vita. Lo devo osservare e poi consegnarlo nelle ma ni del Signore.
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3.
I desideri della carne
Un fratello interrogò abba Agatone riguardo alla fornicazione. Quello gli disse: «Va )) get ta davanti a Dio la tua incapacità e avrai pa ce». - Apo 1 03 [Alf Agatone 2 1].
Anche i monaci del deserto avvertivano la propria sessualità. N o n erano però in fluenzati dalla timorosa mo rale sessuale che ha segnato molti cristiani fino a tempi recenti. Non erano ossessionati dalla pro pria sessualità, non la rimuovevano né la reprimevano. Sapevano che gli istinti ses suali tornano sempre a risvegliarsi e anche che corriamo il rischio di venirne condizio nati.
La nostra fantasia immagina avventure galanti. In esse commetti amo in continua zione adulterio e desideriam o partner più attraenti. Molti cristiani rimangono terro rizzati da tali fantasie e hanno subito una pessima opinione di se stessi. Tentano di reprimere la loro sessualità. Ma ciò li porta a pensarci di continuo e a esserne ossessio nati. Di conseguenza vogliono poi ficcare il naso nelle debolezze sessuali degli altri. Abba Agatone ci indica un' altra strada. Dobbiamo semplicemente gettare davanti a Dio la nostra incapacità di tenere sotto controllo gli impulsi sessuali . In questo modo non ne verremo dominati. Non dob biamo quindi rimproverarci di non riuscire a venire a capo della nostra sessualità. Non dobbiamo stringere i denti e credere di do verla dominare completamente. Essa è par te di n oi e tornerà sempre a risvegliarsi. Dobbiamo metterlo in conto . Ma non dob biamo drammatizzare, bensì accettare que sto dato di fatto e offrire a Dio la nostra in capacit à . Questo ci donerà quiet e , u n a quiete che può consistere nel mantenere la calma quando veniamo sottoposti a tenta20
zioni sessuali, perché non le fissiamo timo rosi ma semplicemente le accettiamo da vanti a Dio come parte della nostra esisten z a . È anche possibile che la sessualità si plachi . Se non lottiamo continuamente contro di essa, darà tregua da sola. Questa è una via di liberazione . Da essa spira un senso di maggiore vastità e libertà che dai sentieri che ci indicavano le opere edifican ti dell'inizio del secolo appena trascorso.
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4.
L'esercizio della vigilanza
Un fratello si recò a Scete da abba Mosè per chiedergli una parola. L'anziano gli disse : «Va ' , resta nella tua cella e la cella ti inse gnerà ogni cosa». - Apo 5 00 [Alf, Mosè 6].
Sedere nel kellion , la cella monacale, era per gli abba un importante esercizio spiri t u al e . Potevano a d di r i t t u r a affe rm a r e : «Non è necessario che tu compia alcuna o pera di pietà. Non devi pregare o digiuna re . Rimani semplicemente nella tua cella. N o n gettare il tuo corpo al di fuori della cella. La cosa fondamentale è che tu non fugga davanti a te stesso , ma rimanga da vanti al Signore così come sei».
Ti propongo il seguente esercizio: siediti nella tua stanza per mezz 'ora. Non prende re in mano nessun libro , nemmeno la Bib bia. Non pensare a qualcosa di specifico. Non meditare e non recitare alcuna pre ghiera . Siediti semplicemente di fronte al Signore, osservando che cosa si risveglia in te. I monaci definiscono tale esercizio an che n épsis , 'vigilanza ' . Paragonano il mo naco a un pescatore che attende sulla bar ca che l ' acqua intorno a lui si calmi , per vedere i pesci salire alla superficie nell' ac qua trasparente e riuscire a prenderli. Allo stesso modo puoi attendere nella tua ca mera che l ' acqua intorno a te diventi calma e trasparente . Riconoscerai allora ciò che viene alla superficie dentro di te. E poi lo prenderai in mano e lo offrirai al Signore. Comprenderai quale pesce può nutrirti e quale dovresti gettare di nuovo in acqua. È un esercizio facile. Ma ti accorgerai che non è poi così semplice. Siedi davanti a Dio senza protezioni; Recentemente, du rante un corso, ho invitato i partecipanti a fa re questo e s e rcizio . Per molti è stata un 'esperienza di grande importanza. Han23
no riconosciuto lati di sé che fino a quel momento non avevano s coperto né nella preghiera né nella meditazione. E così in difesi come erano sono giunti all' improvvi so molto vicini a Dio . Hanno scopert o la verità del proprio io e in essa si sono senti ti completamente amati da Dio . Ciò li ha liberati e ricolmati di una pace profonda.
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5.
La rinuncia
Un fratello interrogò abba Mosè) dicendo: «Vedo davanti a me che cosa devo /are) ma non riesco a farlo». Gli disse Fanziano : «Se non diventi un morto come quelli che sono sepoltz � non potrai riuscirv i>>. - Apo 5 05 [Aij; Mosè 11].
Abba Mosè dona qui un singolare consi glio. Chi deve portare a termine un compi to importante deve prima immaginarsi di essere morto e giacere nel sepolcro. Se spe rimenti questo , ti accorgerai di quanto be ne ti faccia. Se infatti ti identifichi total mente con il tuo compito, hai paura di non essere in grado di portarlo a termine. Sei ossessionato da esso e rimugini su quanto
tu debba ancora imparare per poterlo ese guire. Quando poi devi davvero svolgere il lavoro, spesso rimani bloccato. Se invece immagini di essere morto e di giacere nel sepolcro riconoscerai chi sei ve ramente. N ella tomba ti liberi da ogni cosa futile. Sei messo davanti a te stesso p er quello che sei agli occhi di Dio. Tutto il re sto svanisce. Finalmente smetti di identifi carti con il tuo compito. Ciò ti libera dal l' ossessione per esso. E tale libertà interio re è la condizione per portare bene a ter mine il tuo compito . Quanto proposto da abb a Mosè corri sponde a quanto è definito ' dis-identifica zione' dalla psicologia transpersonale. Non dobbiamo identificarci con i nostri compi ti, ma trovare in Dio la nostra identità. Ve diamo il nostro compito , ma diciamo a noi stessi: «lo ho un compito, ma non sono il mio compito . Ho un problema, ma non so no il mio problema». In me c'è uno spazio a cui le preoccupa zioni sulla realizzazione del mio compito non hanno accesso, uno spazio dove pro blemi e ansie non possono arrivare. Si trat26
ta in fondo della qualità che ci attribuisce Gesù nel Vangelo di Giovanni e cioè che siamo nel mondo ma non siamo del mon do (cfr. Gv 17 ,16). Se trovo in Dio la mia i dentità più profonda, posso intraprendere il mio compito in tutta libert à . Non mi sento oppresso dalla necessità di portarlo a termine in modo perfetto. Anche se faccio un errore, infatti, questo non pregiudica la mia identità in Dio . Ciò non significa che io non debba darmi da fare. La libertà è piuttosto la condizione necessaria per in traprendere davvero il mio compito.
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6.
L'umiltà
Abba Mosè disse [. .] : «Se uno porta il peso dei p rop ri peccatz � non gua rda quelli del prosszmo» . - Apo 5 1 0 [A(f Mosè 1 6]. .
I monaci ci ammoniscono continuamen te di non giudicare i nostri fratelli e sorelle. Ma l' esortazione morale a non giudicare, da sola, serve a poco . Soltanto chi ha per cepito se stesso in tutta la propria pecca minosità si libera dalla coazione interiore a giudicare e condannare costantemente gli altri. Se scrutiamo con sincerità dentro di noi, vedremo che non mancano le occasio ni in cui viviamo senza far caso a noi stessi. Il significato della parola 'peccare' , ripreso
dal greco, significa 'sbagliare, mancare l'o biettivo , vivere senza far caso a se stessi ' . C i estraniamo continuamente dalla realtà del nostro io e manchiamo così la vita a t tribuitaci dal Signore. Abb a Mosè spiega il suo consiglio di portare il peso dei propri peccati con un gesto simbolico . Alcuni fratelli si sono riu niti per giudicare uno di loro ed espellerlo dalla comunità . Egli ha sb agli ato . Abb a Mosè non difende il fratello. Non parteci pa neppure alla discussione. Prende invece un sacco bucato, lo riempie di sabbia e gi ra intorno all ' assemblea con il sacco sulle spalle. A questo punto i fratelli sono curio si di sapere quale sia lo scopo del suo ge sto . Allora egli spiega che essi hanno mes so sulle spalle i propri peccati e per questo non li vedono. Ma i peccati lasciano una scia di sabbia dietro di loro. Versano sab bia negli ingranaggi. Tutti gli altri vedono la traccia lasciata dai loro peccati. Solo i peccatori sono ciechi verso di essa. Dobbiamo rivolgere lo sguardo ai nostri peccati. In questo modo non osserveremo semp re quelli degli altri . Riconos cere se 29
stessi con umiltà ci libera dalla nostra sma nia di giudicare gli altri. Non riconoscendo quello che siamo, proiettiamo i nostri erro ri sugli altri e li condanniamo, invece di af fidarci a nostra volta alla misericordia· di Dio .
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7.
L'ordine esteriore
Abba Poimen disse : «Se l'uomo mantiene l'ordine) non verrà turbato». - Apo 74 1 .
Spesso soffriamo per l'aridità e il vuoto spirituali. Vogliamo pregare ma non ci riu sciamo. Andiamo a Messa, ma interiormente non vi prendiamo parte. Nessuna parola ci tocca. Sì, persino la comunione non infiam ma i nostri cuori. In questo caso abba Poi men ci consiglia semplicemente di mantene re l'ordine. Non possiamo suscitare forzata mente l'esperienza del divino attraverso alcu na tecnica spirituale. Ma mantenere l'ordine sta a noi. Mettere ordine nella nostra vita e steriore darà ordine anche all a nostra anima.
L'ordine esteriore può essere costituito da rituali salutari con cui iniziamo e con cludiamo la giornata. Può trattarsi di una precisa scansione della nostra giornata, in cui c'è tempo a sufficienza per il lavoro, il riposo, il dialogo con gli altri, il silenzio e la preghiera . Talvolta è anche importante riordinare la propria camera , sgomberare alcune cose . Troppo disordine esteriore può infatti opprimere anche l' anima. Il di sordine esteriore rispecchia in questo caso la situazione interiore . Poimen vuol dirci che l'ordine esteriore non solo ci rimette in sesto , ma ci impedi sce anche di essere confusi. Impedisce che la nostra anima si turbi, che si ingarbugli in se stessa. Se la nostra anima è turbata non può più respirare liberamente. N o n capisce più nulla. È prigioniera di se stes sa. L' ordine esteriore dipana il groviglio della nostra anima e porta una struttura ni tida nel nostro caos interiore. È la condi zione affinché possiamo vivere , invece di essere vissuti.
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8.
Il cuore amante
I:abate Pambone diceva: «Se hai cuore) puoi salvarti>>. - Apo 771 [A (f Pambone 1 0].
Alcuni utilizzano le loro pie forme di de vozione per ottenere dei risultati davanti al Signore, per sentirsi a posto nei suoi con fronti. Non è Dio a contare per loro, bensì l'essere perfetti, la sensazione di fare tutto in modo giusto agli occhi del Signore e de gli altri. Vogliono affermare se stessi. Ma il loro cuore rimane freddo . N on si lasciano veramente colpire al cuore da Dio. Chiu dono il cuore anche al loro p rossimo. Si occupano talmente di se stessi e delle loro forme di devozione da p roteggersi attra-
verso di esse da tutto ciò che potreb b e metterli in discussione e toccarli profonda mente nel cuore. L' abate P ambone ci indica che il punto essenziale della nostra spiritualità consìste nell'avere un cuore, un cuore che riesce a condividere le emozioni, che si lascia col pire , che prova dei sentimenti, che ama . C h i h a un c u o r e p u ò s alva r s i . Pe r s i n o quando il cuore devia dalla retta via per ché è attratto da qualcosa che non corri sponde alla volontà divina , alla fine por terà comunque l'uomo a Dio . Perché il cuore prova anche sofferenza per tutto ciò che compie contro l'amore. Il cuore che a m a sa d ell' e s i s t en z a di D i o . E p e rs i n o quando l'amore prende l a strada sbagliata spalancherà comunque il nostro cuore a Dio . Perché in ogni fo rma d' amore c'è sempre un profondo anelito verso l'amore divino, verso un amore che ha stabilità e non è fragile quanto il nostro amore uma no, che è sempre contrassegnato anche dal desiderio di possesso e gelosia . Alcune persone usano la devozione per sfuggire al proprio cuore. Ma il loro pio at34
tivismo non serve a nulla. Fondamentale è piuttosto che apriamo a Dio il nostro cuo re, specialmente quando è spezzato . Allora l'amore di Dio si riverserà nel nostro cuore spalan cato , lo pervaderà e lo condurrà a quella pace che soltanto in lui può trovare.
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9.
La preghiera purificatrice
Un anziano disse : «La preghiera costan te giova in breve tempo allo spirito». - Apo 1 12 8 .
Molti detti dei Padri del deserto sono dedicati alla preghiera. N e tessono le lodi. I monaci non vedono la p reghiera tanto come dovere quanto come dono di Dio. Ha virtù terapeutiche. Guarisce le ferite degli esseri umani . Fa respirare l ' anima e purifica lo spirito . La preghiera trasforma i pensieri e i sentimenti dell'essere umano . In questo p rocesso è imp o rt ante non pregare contro la nostra rabbia o la nostra paura, la nostra gelosia o la nostra depres sione, bensì pregare con esse. N ella pre-
ghiera dobbiamo portare la nostra paura, la nostra rabbia e la nostra tristezza davan ti a Dio . Se davanti ai suoi occhi ci caliamo nella nostra tristezza seguendola fino in fondo , essa ci spalancherà al Signore. Sul fondo della paura, della depressione, del l' amarezza troveremo Dio, che placherà il nostro cuore ferito e illuminerà gli abissi della nostra anima con la sua dolce luce. Il nostro spirito è spesso turb ato da e mozioni negative. N o n vediamo la nostra esistenza e il nostro prossimo in modo niti do , ma solo attraverso le lenti offuscate della nostra rabbia e delle nostre proiezio ni. Nella preghiera si tratta semplicemente di porgere a Dio la nostra collera. Quando porto la mia rabbia davanti al Signore rie sco già a distanziarmene. E se nell'ira guar do consapevolmente a Dio e alla sua mise ricordia, essa perderà parte del suo potere. L a p reghiera m i aiuta a ritrovare me stesso , a ritornare nel mio cuore. Se persi sto nella mia ira, non sono in me, bensì presso colui che mi ha offeso. E gli do po tere su di me. Mi faccio condizionare da lui . La p reghiera p riva la rabbia del suo 37
potere e mi libera dalla persona a cui nella mia rabbia ho accordato potere su di me. La preghiera purifica lo spirito . Migliora il respiro della mia anima. Chi è pieno d'ira sprigiona spesso un odore d'odio e furore. Chi prega manda un profumo piacevole, il profumo dell' amore e della pace.
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10.
Diventare se stessi
A b ba Po im e n disse a d a b ba Giusepp e : «Dimmz� come potrò diventare monaco ?». Rispose : «Se vuoi trovare pace in questa vita e nell'altra, di' in ogni cosa: (Jo chi sono ?", e non giudicare nessuno». - Apo 385 [Alf, Giuseppe di Pane/o 2].
Qui abbiamo un uomo che vuole diven tare monaco , vorrebbe cioè diventare una persona completa. Infatti monaco, in greco
monach6s deriva da mon {is, 'unità, essere uno ' . In questo senso ciascuno di noi può farsi monaco. Oggi ci sentiamo spesso dila niati, strapp ati da una p arte all'altra tra doveri diversi, tra famiglia e lavoro, tra
chiesa e mondo , tra la nostra religiosità e la vita in un ambiente secolarizzato. Se vogliamo trovare riposo, se vogliamo trovare la nostra completezza, dobbiamo chiederci in ogni momento : «lo chi so no ?». Metto tutto me stesso in quello che sto facendo? O solo una parte di me è as sorbita dal mio dovere? Chi sono davvero? Recito semplicemente una parte o vivo in base alla mia vera identità? Con la mia esi stenza esaudisco semplicemente le aspetta tive degli altri, o realizzo l'immagine unica che il Signore si è fatto di me? La domanda su chi io sia realmente mi condurrà sempre più alla mia autentica na tura. Mi insegnerà a mettere tutto me stes so in quello che faccio . Mi condurrà alla mia vera identità, alla mia autenticità. Non mi adeguo e non mi lascio distogliere dalla mia natura. Io sono io . Sono colui che è stato creato da Dio come essere unico . Il cammino spirituale non vuole condurmi solo a Dio, bensì anche a me stesso, al mio io più nascosto, all'immagine autentica che il Signore ha di me. Abba Giuseppe indica anche una secon40
da condizione per diventare persone com plete: non devo giudicare nessuno . Finché giudico sono p resso l ' altra person a . Ma questo mi impedisce di riconoscere la ve rità del mio io . Mi occupo dell' altra perso na per distrarmi dalla verità del mio io. Con la sua risposta l'abba vuole invitar ci a rimanere in noi e a impegnarci a diventare noi stessi. E allora anche il rapporto con i nostri fratelli diventerà quello giusto .
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1 1.
La misericordia
Abba Poimen disse : «Se uno pecca, e non lo nega, dicendo: {(Ho peccato ", non rimprove rar/o, altrimenti spezzi il suo zelo. Se invece gli dici: uNo n scoraggiartz � ma d'ora in poi sta ' attento ", inciti la sua conversione ». - Apo 597 [Alf Poimen 23].
In questo esempio si fa visibile la miseri cordia con cui i monaci trattano gli altri. Oggi potremmo imparare molto dalla loro arte dell' accompagnamento spirituale. In vece di obbligare l' altro ad ammettere la verità del proprio io , Poimen lo conforta e lo risolleva. Non serve a nulla pretendere troppo dagli altri, sbattendo loro in faccia la realtà, perché se ne andrebbero pieni di
tristezza e la tristezza paralizza e impedisce di cambiare qualco s a . Si darebbero per persi e inizierebbero quindi a peccare sul seno. Poimen percepisce con chiarezza che la persona a cui si rivolge non riesce ancora a porsi di fronte alla verità del proprio io. Tiene in considerazione la situazione inte riore dell'altro ed entra in sintonia con es sa. Incoraggiandolo e infondendogli forza lo rende capace di confrontarsi con i pro pri lati oscuri e i propri errori. Chi è stato rialzato ha la forza di distanziarsi dai pro pri errori. Chi viene accusato e condanna to, invece, scivola facilmente nella dispera zione e si lascia andare. Da questo detto di abba Poimen si av verte che i Padri del deserto non fanno della morale , che la cosa più importante per loro non è che le persone siano perfet te. Fondamentale è piuttosto che una per sona si affidi alla misericordia di Dio e si sappia accolta incondizionatamente da lui. Chi sa di essere amato dal Signore senza condizioni, trova anche il coraggio di porsi di fronte ai lati spiacevoli della propria esi43
stenza. Di fronte all' amore misericordioso di Dio si convertirà e indirizzerà la propria vita secondo la volontà divina. Purtropp o non tutti i p a d ri spirituali hanno sempre seguito questa indicazione misericordiosa di abba Poimen . N el con fessionale h anno talvolta sco raggiato le persone, portandole ad allontanarsi da Dio e dalla chiesa. Nella chiesa di oggi avrem mo bisogno della saggezza dei P adri del deserto, affinché le persone si sentano atti rate dall' amore generoso di Dio e vadano volentieri incontro al Signore.
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12.
Il dialogo con Dio
L'anziano Ma cario disse: «Proprio per que sto è monaco, perché dialoga solo con Dio giorno e notte». - Apo 1764.
Scopo dell'essere monaco è la preghiera costante. Pregare incessantemente è quan to richiede Paolo ai Tes s alonicesi (l Ts 5 ,17). Come ciò possa realizzarsi è il punto intorno al quale ruota la ricerca dei mona ci. Il loro strenuo lottare per la preghiera perpetua può aiutarci anche oggi nel no stro cammino di preghiera, per sfuggire a una preghiera solo esteriore e per scoprire quella interiore, che fluisce ininterrotta mente dentro di noi.
Una via alla preghiera interiore consiste nel vivere sempre davanti a Dio e alla sua presenza, fare riferimento al Signore in o gni nostra azione, pur senza pronunciare formule di preghiera. Un 'altra strada si basa nel dialogare solo con Dio. È quanto in epoca più tarda Tere sa d'Avila ha descritto come il suo dialogo d' amicizia con Dio. Teresa parla a Dio come a un amico. Egli la ascolta e le risponde attraverso i pensieri che affiorano in lei. Per fare questo ha bi sogno dello spazio della solitudine . La soli tudine si fa feconda per noi solo quando diventa una solitudine a due, un dialogo costante con lui. Allora godremo della nostra solitudine, perché in essa siamo una cosa sola con il Signore, perché nell'essere soli il rapporto con Dio non viene turbato dalle mille cose che altrimenti ci impegnano. Una terza via per p regare in ces s ante mente consiste nell'esercizio della medita zione. A ogni respiro ripeto u n passo della Scrittura o della cosiddetta 'preghiera del cuore' : «Signore Gesù Cristo, figlio di Dio, 46
abbi pietà di mel». L'esercizio della rumi natio , del ' rim asticare ' si trasfonde gra dualmente in noi stessi. Quando mi sveglio nel cuore della notte , la preghiera inco mincia automaticamente. Quando mi alzo, inizio a recitare la p reghiera del cuore . Passeggiando, lavorando, persino parlando con un fratello il mio cuore prega senza in terruzioni. Nella preghiera è in unione con Dio . E sulla base di quest'unione lavoro, parlo, leggo, cammino, dormo, riposo. So no in Dio . Egli prega in me. Dio è in me.
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13.
La paura
Un fratello chiese a un anziano: «Perché mi assale il timore quando esco solo di notte? ». Vanziano rispose: «Perché per te conta an cora la vita di questo monda>> . - Bu II 190.
Ansia e timore opprimono oggi molte per sone. Esse hanno paura di coprirsi di ridicolo, di apparire deboli agli occhi degli altri. Han no paura di commettere errori, di fallire nella loro esistenza. Altre sono piene di paura quando pensano all a propria morte. O timo rosamente stanno attente a non ammal arsi. La paura di cui parla il fratello è la paura del buio , della minaccia nascosta nell' oscu rità. Può trattarsi della minaccia di persone
nemiche, della paura della morte, di venire derubati, dei pericoli rappresentati da al cuni animali. Ma si può trattare anche del la paura di una minaccia interiore. L' oscu rità esteriore gli ricorda la notte che regna dentro di lui. Nella sua anima tutto è buio. Lì viene aggredito da stati d'animo depres sivi. Lì non trova più sostegno. La causa di tale paura sta nel fatto che per noi la vita di questo mondo conta an cora. Siamo attaccati alla vita, a una vita di successo, a una buona fama, alla nostra sa lute, alla nostra sicurezza. Non appena fac cio esperienza della vita dell' aldilà, non ap pena avverto la vita divina in me, la paura diventa sempre più debole. Non mi impor ta più quanto a lungo vivrò , se esterior mente ho successo, se godo di buona salu te e sono amato e stimato dagli altri. Tutto ciò diventa relativo, perché perce pisco dentro di me un ' altra qualità di vita: la qualità della vita divina, che non può ve nire toccata dalla malattia e dalla morte . L'esperienza di Dio mi lib era dal timore degli altri e fa svanire le paure che sempre tornano ad assalirmi. 49
14.
La conversione
Abba Poimen disse : «C'è una voce che grida all'uomo fino all'ultimo respiro : ((Oggi con vertitevi!"». - N lO [Al/ Poimen S5].
Il convertirsi costituiva un tratto essen ziale del monachesimo. Il monaco è una persona che si converte , e lo fa ogni gior no. Non si tratta della grande conversione che mi cambia totalmente. Si tratta invece del cambiare ogni giorno strada di fronte a sentieri che non mi portano oltre, che sbu cano in un vicolo cieco. Ciò richiede un'a cuta sensibilità per il sentiero che sto per correndo. È la strada giusta oppure è una devi azione o una strada sb agliata? È l a
strada che porta alla vita o quella che con duce alla superficialità, a una strettoia, alla paura, alla perdizione? Dove sto andando? In che modo procedo ? Chi viene con me? Sono io a percorrere o vengo percorso? In greco convertirsi si dice metanoéO, 'cambiare idea'. La conversione inizia dal pensiero . Devo pensare in modo diverso, sviluppare nuovi pensieri. Ciò richiede per prima cosa che li analizzi. Da dove vengo no e in che direzione vanno? Vago senza meta nei miei pensieri? Rifletto consape volmente sulle cose o lascio libero corso ai miei pensieri ? Vengo influenzato da pen sieri e sentimenti negativi? Dopo aver osservato e analizzato i miei pensieri devo cambiare modo di pensare, devo pensare seguendo Dio . Devo basarmi su di lui, ripensare la mia vita fondandola sul Signore. E devo pensare con la mia te sta, invece di farmi condizionare dai pen sieri altrui. Il pensare è collegato anche al ringraziare. I miei pensieri non devono es sere una critica continua, in rivolta contro tutto quello che c'è. Pensare significa piut tosto essere in armonia con la realtà, per51
cepirla come è davvero. E ciò è possibile solo attraverso la riconoscen z a , nel m o mento i n cui, consapevolmente, ringrazio per quello che Dio mi ha donato .
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15.
La vicinanza di Dio
Un anziano disse: «Che tu vegli o dorma, qualunque cosa /accia, se Dio è presente ai tuoi occhi il Nemico non può turbarti in nulla. Se il tuo pensiero dimora in Dio, an che la forza del Signore dimora in te». -N 3 77 .
Fare esperienza di Dio, essere in lui, es sere legati a lui, era il supremo desiderio dei monaci. In ogni momento dovremmo avere il Signore davanti agli occhi . D o vremmo compiere ogni azione sotto gli oc chi pieni di amore e benevolenza di Dio. L' esperienza di Dio è liberatrice, dona for za e risana. Mi libera dalla paura e dallo spavento nei confronti del Nemico.
Se Dio è presente ai miei occhi, le perso ne che mi circondano non possono ferirmi. Possono lottare contro di me fin ché vo gliono , tessere intrighi, ingannarmi. Ma non possono, alla fin fine, farmi del male e ferirmi. Se Dio mi è vicino, gli esseri umani non hanno alcun potere su di me. La vici nanza di Dio mi libera da quella minaccio sa delle altre persone, che vorrebbero sfo gare su di me la loro insoddisfazione. Il nostro pensiero deve dimorare in Dio. Ciò significa che non dobbiamo riflettere su di lui, ma che il nostro spirito deve tro vare le sue fondamenta nel Signore. Se di moriamo in Dio con i nostri pensieri e i nostri sentimenti , allora an che Dio è in noi. E con lui è in noi anche la sua forza che è più forte del potere dei nostri nemici interni ed esterni. Per i monaci del deserto questa era un' esperienza importante . Chi dimora in Dio non è nelle mani degli uo mini . In Dio è rinvigorito e p rotetto . È pervaso da una forza e rivestito d a uno scudo che nessun nemico può trapassare.
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16.
La tentazione che irrobustisce
Uno dei padri disse : «Se l'albero non è scos so dal vento, non cresce, né a l/onda le radi ci. Così anche il monaco : se non è tentato e non sopporta la tentazione, non diventa co raggzoso». - N 3 96.
I Padri del deserto non erano dei vigliac chi. Non si sono sottratti alla vita. Si sono esposti alle sue tempeste. Così come un al bero non sfugge al vento, i monaci non so no sfuggiti alle tentazioni. La tentazione e la prova fanno parte della vita. I monaci ci insegnano che siamo sempre messi alla prova, nonostante la nostra tensione verso lo spirito. In noi non esiste solo l' anelito
verso Dio, ci sono anche tratti empi e ag gressivi, che vorrebbero acquisire potere su di noi. Dobbiamo lottare per impedirlo. La chiesa delle origini vedeva nella vita spirituale una lotta. Non ci insegna una spiritualità p iagnucolos a, che si aspetta tutto da Dio, bensì un cammino spirituale lungo il quale dobbiamo lottare con tutto ciò che ci ostacola. Lottare significa allo stesso tempo entrare in intimità con i ne mici, imparare a conoscerli con precisione. Altrimenti si lotta invano . Ad alcuni risulta difficile conciliare la lo de della tentazione che ci rende coraggiosi, fatta dai monaci, con quanto chiediamo nel ' P adre nostro ' : «e non ci in durre in tentazione» . Ma i monaci intendono per tentazione qualcosa di diverso rispetto alla Bibbia. La parola greca per 'tentazione' peirasm6s significa ' caduta, confusione' . Dio ci vuole proteggere dal venire confusi, dallo sbagliare strada, dal seguire falsi pro feti. Le tentazioni della vita quotidiana, inve ce, c o m e quella d i m a n g i a r e d i p i ù d i quanto c i faccia bene e d i offendere gli al-
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tri, sono le prove di ogni giorno che ci sve lano che non siamo solamente buoni. Con tro di esse possiamo lottare . E la lotta ci renderà più temprati.
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17.
La salvaguardia spirituale
Un anziano disse: «Se vivi in solitudine nel des erto, non pensare di /a re qua lcosa di grande,· piuttosto considerati come un cane scacciato dal villaggio e incatenato, perch é mordeva e assaliva gli uomini». - N 573 .
Oggi si p arla molto di tutela dell ' am biente. Non vogliamo inquinare l'ambiente con i nostri rifiuti. I Padri del deserto ave vano in mente la tutela dell'ambiente spiri tuale ed emotivo . Non volevano sporcare il mondo con i loro problemi irrisolti e le lo ro emozioni confuse. Sapevano con certez za che, attraverso ogni nostra p arola o a zione, abbiamo un effetto sul prossimo. Se
insultiamo gli altri senza controllo, se dif fondiamo i nostri pregiudizi con il nostro modo di parlare , avveleniamo l'ambiente umano. E ciò è nocivo perlomeno quanto l'in quinamento delle risorse n aturali . In molte famiglie, comunità e aziende il clima è talmente perturbato dal punto di vista e motivo da far ammalare le persone che ne fanno parte. Il purificare le proprie emo zioni genera invece un'atmosfera risanatri ce, che giova alla nostra anima. Per non inquinare il mondo con le loro emozioni e i loro impulsi aggressivi, con i loro desideri inconsci e le loro passioni ri mosse, i monaci del IV secolo si sono ritira ti nella solitudine. Volevano migliorare se stessi prima di poter cambiare il mondo . Volevano proteggere gli altri dalle loro ne vrosi irrisolte . Andarono nel deserto per sconfiggervi i demoni. In questo modo - pensavano il mondo sarebbe diventato più santo e più lumino so. Se il deserto ostile fosse divenuto abita bile grazie al loro amore, tutta la terra a vrebbe potuto rigenerarsi, così da diventa re una dimora in cui l'uomo si sente a casa. -
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18.
La preghiera che accompagna
Un anziano disse : «Non far nulla senza la preghiera e non rimpiangerai nulla». -B U II 1 92 .
Quando lavoriamo sconsideratamente diventiamo spesso ciechi verso ciò che è davvero necessario. Pensiamo di dover im piegare le nostre energie in questo o quel progetto . Ma non abbiamo verificato se sia logico farlo. Aiutiamo una persona, senza accorgerci che in quel momento avrebbe bisogno di qualcos' altro: forse il silenzio le farebbe meglio, così da poter essere messa a confronto con la verità del proprio io . Oppure ci imbarchiamo in un'impresa che ci danneggia.
L a p reghiera , vuole dirci l ' anziano, ci trattiene dall' agire sventatamente. Se tutte le nostre attività sono sorrette dalla pre ghiera porteranno benedizione. E la pre ghiera ci accompagnerà nelle nostre azioni, affinché ci sostengano bontà e fortuna. La preghiera modificherà anche il mio atteg giamento interiore. Se lavoro per affermare me stesso non vedo i rischi del mio agire. Accetterò del lavoro che non porta nulla. La preghiera purifica le mie motivazioni e rende il mio agire più efficiente e chiaro. Non mi precipiterò ciecamente nel lavoro, m a giudicherò , fondandomi nel Signore , ciò che è importante e ciò che non l o è e come portare a compimento il mio lavoro. La preghiera è quindi la premessa necessa ria affinché il mio agire abbia successo e diventi fonte di benedizione per me e per molti altri.
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19.
La paternità spirituale
Abba Poimen raccontò che una volta un tale aveva chiesto ad abba Paisio cosa dovesse /a re, perché la sua anima era insensibile e non aveva timor di Dio ; e l'anziano gli aveva ri sposto: «Va', unisciti a un uomo che abbia timor di Dio, e nello stargli vicino, impare rai anche tu ad avere timor di Dio». - Apo 63 9 [A lf Poimen 65].
La scuola migliore è l'incontro con una persona matura. Ciò vale anche per la vita spirituale. Il giovane monaco che va da ab ba Paisio ha sicuramente già sentito molto parlare di Dio. Ha avuto un'educazione re ligiosa. Ma quanto sente dire sul Signore non penetra nel suo cuore. Il suo cuore ri-
mane freddo , non incontra Dio . Non a vrebbe senso che continuasse a leggere e a riflettere su Dio , perché tutto ciò rimar rebbe unicamente nella sua testa. Serve a poco imparare tecniche spirituali. La sola volontà non può infatti spalancare il cuore a Dio in modo che ne abbia timore , in mo do che ne avverta la presenza. Se andiamo a scuola da una persona che ha timor di Dio , che si fa toccare nel cuore da Dio, poco a poco anche il nostro cuore si aprirà. Ma non basterà semplicemente a scoltare le parole di questa persona. Dob biamo osservarla con attenzione, per verifi care se mette anche in pratica quanto affer ma. Bisogna sentire il suo cuore, percepire se è grande, misericordioso e pieno d'amo re. È necessario osservargli le mani, vedere se trattano le cose con amore. Guardiamo nei suoi occhi, per vedere se sprigionano bontà. S e ci rendiamo conto che ogni azione dell'altro è armoniosa, allora qualcosa pe netrerà anche in noi. In noi si risveglierà il desiderio di !asciarci toccare da Dio in mo do tale che il nostro cuore ne venga spa63
lancato . La vicinanza a una persona perva sa dal Signore porta anche noi a Dio . At traverso la sua aura intuiamo qualcosa del la luce e dell'amore di Dio , che per suo tramite risplende ai nostri occhi.
64
2 0.
La suddivisione del lavoro
« ((Figlio mio) lavora ogni giorno solo quel tanto che occupa il tuo co rpo quando giac� e così il tuo lavoro progredirà poco a poco) e ) tu non ti scoraggera t . Quando il giovane ebbe udito questo consiglio) lo seguz � e in breve tempo il campo fu ripulito e pronto a essere coltivato. Fai anche tu cosz � fratello ) lavora poco a poco) e non ti perderai d) ani mo». - Apo 1 15 1 .
Abbiamo qui un giovane. È molto triste perché il suo campo è pieno di spine. Non ha la forza di iniziare a lavorarlo . Pensa che non avrebbe comunque senso , che non ce la farà mai. Spesso è così che ci succede
davanti a un compito difficile. Se non ab biamo una visione d'insieme su quanto du ri il lavoro e su quanto ci attenda, ci sentia mo come paralizzati. Siamo di fronte a una montagna e abbiamo la sens azione che non porteremo mai a termine questa mon tagna di lavoro . Non sappiamo da dove comin ciare e las ciamo stare tutt o . L'abate dà al giovane un buon consiglio . Non deve guardare tutto il campo. Ciò lo scoraggerebbe solo. È sufficiente che ogni giorno rivolti tanta terra quanto spazio oc cupa il suo corpo. Non è molto . È facile da fare. Se lavora ogni giorno anche solo quel poco, in poco tempo il campo verrà ripuli to dalle spine. Quando mi alzo la mattina, è sufficiente implorare la benedizione di Dio per quella giornata. Oggi vorrei fare quello che mi viene richiesto . E quando arrivo in ufficio incomincio con qualcosa. Se faccio una co sa dopo l'altra alla sera un bel po' di lavoro sarà stato svolto. Se però mi spavento da vanti ai molti incartamenti e alle molte let tere che giacciono sul mio tavolo e inizio una volta qui e una là, non andrò mai a66
vanti . Una cosa dopo l' altra, passo dopo passo, è una via che possiamo percorrere, senza pretendere troppo da noi stessi. Questo non vale solo per il lavoro in ca s a , in ufficio , in fabbrica, ma anche per quello su noi stessi. Se indietreggiamo im pauriti davanti ai nostri errori, pensando che non miglioreremo mai, non iniziamo nemmen o . Ci diamo per vinti. Invece è sufficiente rivoltare ogni giorno un po' di terra nel campo della nostra anim a . In questo modo l'anima intera sarà infine bo nificata.
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Detti di Evagrio Pontico
2 1.
L'esame dei pensieri
Sii custode del tuo cuore e non far entrare alcun pensiero senza prima averlo interroga to. Interroga ogni pensiero singolarmente e chiedigli: «Sei uno dei nostri o vieni dai no stri nemici?». E se appartiene alla tua casa) ti ricolmerà di pace. Se invece viene dal Ne mico) ti turberà con t ira o susciterà in te concupiscenza. - Lettera 1 1 .
È una bella immagine quella qui delinea ta da Evagrio per descrivere l'atteggiamen to da tenere verso i pensieri. Egli riprende in essa quella utilizzata da Gesù nel suo di scorso sulla vigilanza. Il padrone che parte per un viaggio ordina al portiere di vigilare
(Mc 13 ,34) . Dobbiamo quindi sedere da vanti alla porta della nostra casa e doman dare a ogni pensiero che bussa alle porte del nostro cuore se ci appartenga oppùre no. In questo processo dobbiamo metterei a parlare con il pensiero in questione. Pos siamo così scoprire se si tratta di un ' abusi vo' che vorrebbe cacciarci dalla nostra ca sa. Questi ' abusivi' possono essere un 'ira violenta, della gelosia o brame sessuali. Se li facciamo entrare, non possiamo più abi tare tranquilli nella nostra casa. Ci rimane forse solo più un buco in cantina nel quale poterei rifugiare. Evagrio ci consiglia di lasciare entrare solo i pensieri che ci portano pace. In que sto caso appartengono alla nostra casa. Es si vengono da Dio . Allora Dio stesso desi dera trasferirsi nella nostra casa per loro tramite. Esaminare i pensieri che continua mente ci vorticano per la testa e interro garsi sul loro effetto è certamente uno dei compiti più importanti del monaco . Con l'esame dei pensieri inizia il cammi no spirituale . Senza di esso non potremmo ritirarci nella camera del nostro cuore , co72
me ci consiglia di fare Gesù quando pre ghiamo: «Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto» (Mt 6,6). Se non e saminiamo i pensieri, nella nostra camera non incontreremo Dio, bensì il tumulto in teriore, il caos dei nostri pensieri. Il guar diano ha il compito di proteggere la nostra preghiera. Abbiamo bisogno di un guar diano fidato, che lasci entrare solo i pen sieri che ci ricolmano di pace. Allora nella c a m e r a del n o s t ro c u o re incontreremo Dio , che nel segreto è dentro di noi e che rivela e illumina quanto è più intimo, ri mosso o inconsapevole.
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22.
Il dialogo dei sentimenti
Quando cadiamo in preda al demone dell'acci dia, divzdiamo in due la nostra anima, e lo fac ciamo a prezzo di lacrime: una parte la desti niamo a confortarci, l'altra a esserne conforta tz> cosz: ponendo in noi stessi i semi di buone sp eranze, ripeteremo con il santo Davide: «Perché ti rattristz� anima mia, perché su di me gemi? Spera in Dio: ancora potrò lodar/o, luz� salvezza del mio volto e mio Dio». - Trattato pratico 27 .
Evagrio considera la possib ilità che il guardiano del nostro cuore non riesca ad arrestare tutti i pensieri. Alcuni mostreran no il loro vero volto solo quando saranno entrati nella nostra casa.
Per descrivere tutto ciò Evagrio utilizza un ' altra immagine. Dobbiamo suddividere la nostra anima in due parti e avviare un dialogo tra di esse. Questo è un consiglio che , in modo simile, ci fornisce la moderna psicologi a . Quando proviamo tristezza e inquietudine interiore non ha molto senso gettare fuori di noi i sentimenti depressivi. Continueranno a tornare. Fanno parte del la nostra c as a . Dobbiamo rassegnarci a questo fatto . Anche l'inquietudine ha un senso, anche la depressione ha diritto di e sistere. Semplicemente non dobbiamo per mettere che fa cciano ciò che voglion o . Dobbiamo parlare con esse. Per il dialogo con i nostri sentimenti ne gativi, Evagrio ci consiglia di recitare un salmo che dà voce a entrambi gli stati d'a nimo, la tristezza e la speranza. Per prima cosa dobbiamo quin di entrare in quella parte della nostra anima che è triste, turba ta, piena di inquietudine. E quindi prende re confidenza con l'inquietudine interiore. Che cosa ci vuole dire ? Che sensazioni ci trasmette ? Dove vorrebbe condurci ? Per prima cosa dobbiamo chiederle che cosa ci 75
vorrebbe indicare, poi possiamo indiriz zarla verso il Signore: «Spera in Dio ! » . Con questo metodo Evagrio vuole in fondo dirci che ogni sentimento vorrebbe condurci a Dio . Dobbiamo p rendere sul serio i sentimenti, osservarli, interrogarli e infine farci indirizzare da loro verso il Si gnore. Non possiamo giungere a Dio igno rando i nostri sentimenti, bensì unicamen te per loro tramite. Tutte le nostre emozio ni, si tratti di paura, rabbia, odio, gelosia, amarezza o tristezza, non si placano finché non ci hanno portato tra le braccia di Dio e trovano pace in lui.
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23 .
La distinzione dei demoni
Occorre pure sapere individuare bene la di versità dei demoni e distinguere i loro tem pi: noi riconosciamo così [. . .] qualz� tra i de monz� sono meno frequenti e perciò più gra vosz> quali sono assidui e perciò più tollera bih e quali assaltano alt improvviso e trasci nano la mente alla bestemmia. - Trattato pratico 43 .
Con questo consiglio Evagrio c'invita a un 'osservazione attenta dei nostri pensieri e dei nostri sentimenti. Talvolta egli parla di pensieri che vengono suggeriti dai de moni. Talaltra identifica i pensieri con i de moni stessi. Dobbiamo indagare le pecu liarità dei nostri pensieri. Che sensazioni ci
trasmettono ? Per quanto tempo indugiano nel cuore? Quando ci vengono in mente? Qu ali sono le circostanze esterne? Ricono sceremo quindi che le fantasie sessuali, per esempio, affiorano ogni volta siamo insod disfatti di noi stessi, quando ci facciamo condizionare dall'esterno e quando utiliz ziamo troppo poco i nostri sensi. Oppure scopriremo che l'ira si fa strada dentro di noi quando ci siamo adagiati troppo, con cedendo agli altri troppo potere su di noi. Evagrio non guidica i pensieri. Sempli cemente osserva. Questa è la premessa ne cessaria affinché possiamo assumere il giu sto atteggiamento verso i nostri pensieri . In noi è radicata la tendenza a valutarli im mediatamente tutti. Se avvertiamo odio nel nostro cuore condanniamo noi stessi . Ci diciamo che non deve essere così, che sia mo cattivi cristiani. Evagrio affronta il pro blema in modo più razionale . L'odio è den tro di noi. Che cosa ci indica? Quando è entrato in noi? Quali erano le circostanze esterne? Che cosa vuole comunicarci ? Solo quando osserveremo in modo imparziale quanto avviene nella nostra anima trovere78
mo delle strade per avere verso i pensieri un atteggiamento tale che non acquistino alcun potere su di noi.
79
24.
L'incontro con i demoni
Se qualche monaco intende fare esperienza della crudeltà dei demoni e prendere utili precauzioni riguardo alla loro arte, osservi attentamente i pensiert� ne misuri bene la tensione, le tregue, le orditure, i momenti preferiti, e quali demoni facciano una cosa oppure un 'altra, e ancora quale dei demoni si accompagni a un altro, e quale di essi non si accompagni a nessuno. Infine domandi a Cristo dei chiarimenti atti a spiegare le ra gioni di questi loro comportamenti. - Trattato pratico 5 0 .
Q u e s t i c o n s igli s u ll ' o s s e r v a z i o n e d e i pensieri potrebbero benissimo trovarsi in un libro di psicologia. Anche qui avvertia-
mo con quanta tranquillità Evagrio agisce verso p en sieri e s en timenti . Dobbiamo prendere confidenza con i pensieri . Dob biamo quindi immergerci in essi. Che sens azioni ci trasmettono ? Quali immagini affiorano quando vado a fondo della mia ira ? Vengono forse a galla volti a cui è indirizzata questa rabbia? Quali per sone scatenano in me quest ' ira ? Perché p roprio loro ? Mi ricordano figure della storia della mia vita? In questo caso sareb be importante che mi confrontassi con lo ro . Forse potrei scoprire quali sono le feri te inflittemi da costoro nel passato . Ho rimosso le ferite, ma incontrando de terminate persone riaffiorano . E mi impe discono di comportarmi con costoro in modo adeguato . Le confondo con le espe rienze che ho vissuto durante la mia infan zia. N ella loro voce risento quella di coloro che a un certo punto della mia esistenza mi hanno fatto del male. Evagrio ci dona l'interessante consiglio di domandare a Cristo chiarimenti atti a spiegare le ragioni dei nostri comporta menti. Non dobbiamo fermarci all'osserva81
zione dei pen sieri , bensì trasporl a n ell a p reghiera . Il dialogo con C risto ci p u ò chiarire c h e cosa vogliano in realt à t ali pensieri e sentimenti. Porgendo a Cristo i miei pensieri e facendoli esaminare da lui ne riconoscerò il vero significato. Forse comp ren derò allora che C risto vuole riconciliarmi con il mio lato umano, con la mia sensibilità, con la mia sessualità. Permette che l'ira mi scuota con tale vio lenza perché abb andoni il mio ideale di spiritualità perfetta e ammetta in tutta u miltà come sono realmente . Cristo deside ra mostrarmi che posso giungere a Dio so lo se trovo il coraggio di calarmi nella mia realtà.
82
25.
L'impassibilità del cuore
La mente, quando combatte la guerra provo cata dalle passionz: non può avvertire le ra gioni della guerra. La stessa cosa suole acca dere a chi combatte di notte. Non appena però essa avrà raggiunto l'impassibilità, fa cilmente riconoscerà le astuzie dei suoi ne mzcz. - Trattato pratico 83 .
Non ha molto senso intraprendere un at tacco frontale con le proprie passioni. In fatti quanto più lotto contro la mia ira, la mia gelosia, la mia sessualità, tanto più au menta la forza contraria appostami dalle passioni. E io ne sarò ossessionato. Consu merò tutta la mia energia per aggredire le
mie pulsioni. E questa energia mi mancherà quando dovrò sbrigare i miei compiti. Purtroppo alcuni cristiani pensano solo ai prop ri peccati, invece di consacrarsi a Dio e al prossimo con tutta la propria forza. La condizione necessaria a un rapporto corretto con le passioni è, secondo Eva grio , l'aver trovato l'impassibilità del cuo re. Egli intende con questo la contempla zione, lo stato di quiete interiore. N ella contemplazione trovo il centro di me stes so, quel luogo del silenzio nel quale Dio dimora in me. A partire da questo luogo posso distinguere con chiarezza che cosa vogliano realmente le passioni, quale forza sia celata in esse, in cosa vorrebbero esser mi utili e in cosa potrebbero diventare pe ricolose. Colui che lotta ciecamente contro le pas sioni è destinato a venire sempre sconfitto. Chi invece riconosce chiaramente le loro inten zioni , le può integrare nel p rop rio cammino spirituale . Allora non le temerà più . Esse continueranno a risvegliarsi in lui, ma diventeranno come amici che con tinuano a rammentargli che è un uomo di 84
questa terra. E solo quando accetterà di es sere un uomo di questa terra, il cielo sopra di lui potrà spalancarsi attraverso la con templazione.
85
2 6.
Le tre parti dell 'anima
I:anima razionale opera secondo la sua na tura quando la parte concupiscibile propen de verso la virtù, come pure allorché la sua parte irascibile combatte in dz/esa della virtù stessa, e intanto la sua parte razionale atten de alla contemplazione degli esseri creati. - Trattato pratico 86.
Per Evagrio è importante che l'essere u mano viva in modo salutare, che si compor ti conformemente alla p ropria n atura . Il cammino spirituale non è una violenza fatta all'anima, bensì un sentiero per la sua guari gione, una strada per realizzare la sua natu ra più autentica. Ciascuna delle tre compo nenti dell' anima ha un compito importante.
La parte concupiscibile, che viene attac cata dalle passioni della gola, della sessua lità e della sete di possesso , ha il compito di farci propendere verso la virtù. La virtù è l' abilità della person a . Per i Romani la virtus è una forza di cui l'essere umano ha b i s ogno p e r destreggiarsi nell a vit a . Le pulsioni vogliono in realtà spronarci a vi vere davvero, a sviluppare le forze che Dio ci ha donato . Dobbiamo riconoscere qual è il desiderio più profondo del nostro cuo re. Per Evagrio esso non consiste solo nel diventare uno con Dio, ma anche nel tro vare noi stessi nella riuscita della nostra e sistenza. L a parte irascibile dell ' essere umano è costituita dall' ambito delle emozioni . Esse ci muovono a fare qualcosa. In fin dei con ti vorrebbero indurci a combattere per la virtù e a metterla in pratica nella vita quo tidiana. La parte razionale ha come scopo la con templazione degli esseri creati , il ricono scere Dio in tutte le cose. Il nostro spirito mira alla conoscenza. Finché accresciamo solamente il nostro sapere, il nostro spirito 87
rimarrà inquieto . significato ultimo in esse il Signore, alla meta. Solo la nostro spirito.
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Solo quando vediamo il delle cose, riconoscendo il nostro pensiero giunge contemplazione risana il
27 .
Il libro della natura
Uno dei sapienti di quel tempo venne un giorno a trovare il giusto Antonio e gli chie se: «Padre) come /ate a resistere così a lun go) privo come siete del con/orto dei libri?». Ed egli rispose: «Il mio libro) o filoso/o) è la natura degli esseri creatz� ed essa mi sta da vanti tutte le volte che desidero leggere la parola di Dio». - Trattato pratico 92 .
Molti ritengono che un monaco mediti giorno e notte la parola di Dio come ci è stata tramandata dalle Sacre Scritture. Ma per Antonio Dio non parla solo attraverso le Sacre S critture, bensì, nello stesso mo do, attraverso la creazione. Antonio natu-
ralmente ha meditato la parola della Bib bia. Probabilmente - come moltissimi mo n a ci - s ap ev a a memoria l ' intera S a c ra Scrittura o perlomeno ampi passi di essa. Ma un libro dal quale poteva leggere co stantemente la parola di Dio era la natura . Nella natura vedeva la bellezza del Signo re, in essa percepiva lo Spirito divino. La creazione intera è pervasa dallo Spirito del Signore. Nella creazione possiamo quindi toccare, tastare, annusare, vedere e udire il Creatore stesso. Dio non è qualcosa di in tellettuale. N ella creazione lo percepiamo con tutti i nostri sensi. Ma per questo è ne cessario un determinato modo di rappor tarci a essa. Antonio parla della natura de gli esseri creati . Comprendere la natura , l'essenza delle cose create è il primo gradi no della contemplazione. Non giudico le cose, bensì ne scopro il significato ultimo . Riconosco l a loro essenza. I n essa vedo al l' opera la mano benevola del Signore . In essa guardo Dio stesso. Questo giungere a Dio attraverso la natura è oggi per alcune persone più semplice che lo studio dei libri di teologi a . Queste persone potrebb ero 90
andare a scuola da Antonio , per affinare il prop rio sguardo e riconos cere e vedere , nel creato, il Creatore stesso.
91
28.
Il rapporto con le passioni
Se Mosè, quando tentò di avvicinarsi al ro veto ardente sulla terra, ne fu impedito fin ché non si fosse liberato dei calzari ai piedz: come mai tu, che vuoi vedere colui che è al di sopra di ogni concetto e di ogni sentimen to e diventare suo interlocutore, non ti liberi da ogni pensiero contaminato da passioni? - La preghiera 4 .
È vivo desiderio di Evagrio che possia mo pregare senza distrazioni. S copo della preghiera è fondersi con Dio , senza l'inter posizione dei nostri pensieri. Questo certa mente ci riuscirà solo se nella preghiera di mentichiamo noi stessi. Quando non guar do più a me stesso , bensì a Dio e al suo a-
more, allora sono in Dio , mi fondo con il suo amore. Il p rimo passo per la fusione con Dio consiste per Evagrio nel togliersi le scarpe come ha fatto Mosè. Le scarpe simboleg giano le passioni. Finché le passioni riman gono in noi non possiamo pregare davve ro . La nostra preghiera sarà infatti sempre disturbata dalla rabbia, dalla gelosia, dal dolore . Mentre p reghiamo pensiamo co stantemente al cibo, oppure affiorano fan tasie sessuali. In questo caso non serve a niente volersi obbligare alla concentrazio ne. Dobbiamo prima deporre le passioni. Possiamo tuttavia liberarci da esse solo se p rima ancora abbiamo p reso confidenza con loro e abbiamo lottato contro di loro. Il modo giusto di agire verso le passioni è dunque la premessa necessaria alla riuscita della preghiera. Pregare non è semplicemente una tecni ca attraverso cui concentrarsi su Dio. Pre gare significa piuttosto fondersi con il Si gnore . Per questo però ogni parte di noi deve unirsi a Dio, persino le passioni stes se. Togliersi le scarpe significa per Evagrio 93
che dobbiamo distaccarci dalle nostre pas sioni. Allora possiamo porgerle a Dio, af finché egli le ill u mini e le trasformi. Se ci portiamo appresso le nostre passio ni, esse ci tengono in pugno. Ci impedisco . no di pregare. Togliersi le scarpe, però, si gnifica anche prenderle in mano. Prima di tutto devo accettare le mie passioni, devo prenderle in mano e osservarle. Poi posso deporle . Così comparirò davanti a Dio a piedi nudi , così come sono . Le p as sioni non s ' interpongono più tra me e Dio . Il fuoco dell' amore divino può pervadere e trasfigurare il mio corpo, la mia anima, co sì come ha trasfigurato il roveto .
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29.
L'angelo della guarigione
La preghiera è di/esa contro la tristezza e lo scoraggiamento. - La preghiera 1 6 .
Evagrio non d e s c rive s o l o i l faticoso cammino p e r giungere a una p reghiera non più disturbata da pensieri , emozioni, b i s ogni e p re o c cup azion i . To rn a anche sempre a celebrare l'effetto benefico della preghiera sull' anima umana. Essa è difesa contro la tristezza e lo s coraggiamento . Oggi molti soffrono di depressione. Tenta no di tenerla sotto controllo attraverso me dicinali. Oppure seguono una terapia per liberarsi degli stati d ' animo depressivi . I primi monaci vedono nella preghiera la ve-
ra terapia per l'anima. Colui che percorre la via della preghiera viene guarito dalla tristezza e dallo scoraggiamento. Ma come può la preghiera guarire la no stra anima colpita dalla depressione? Sicu ramente Evagrio non pensa qui alla pre ghiera implorante, attraverso la quale sup plichiamo Dio di guarirci dalla depressio ne. Per Evagrio la preghiera consiste piut tosto nell'offrire a Dio i nostri sentimenti di tristezza. Mi metto davanti a Dio con il mio stato d' animo depressivo e mi immagi no l' amore di Dio fluire nella mia tristezza e nel mio scoraggiamento . Mi concentro sul mio respiro e lascio che attraverso esso l' amore e la luce del Signore penetrino ne gli oscuri abissi della mia depressione. Al lora è possibile che il mio stato d ' animo lentamente si rassereni, che, nel cuore della mia tristezza, avverta una pace profonda. Posso unire il mio respiro anche alla pre ghiera del cuore. Con ogni respiro sovrap pongo la preghiera alla mia tristezza: «Si gnore Gesù Cristo, figlio di Dio , abbi pietà di me ! ». Ammetto il mio stato d' animo de pressivo . Non inizio a lottare contro di es96
so . Ma non mi lascio nemmeno prendere p rigioniero . Sovrappongo la preghiera al mio stato d' animo di tristezza. In questo modo il sentimento può lentamente rasse renarsi. A volte tuttavia è necessario molto tem po p rima che la preghiera crei, al centro della mia tristezza, uno spazio di pace. Al lora, attraverso essa, l' angelo di Dio scende nella mia tristezza e nel mio scoraggiamen to e mi avvolge con un manto di speranza e di gioia. Il cammino terapeutico della preghiera potrebbe aiutarci non solo per quanto ri guarda la tristezza e lo scoraggiamento , ma anche nei momenti di paura e di impoten za, di ira e di delusione. Non dovremmo subito cominciare una terapia di fronte a ogni p roblem a . L a p reghiera p otrebbe guarire in noi molte cose per le quali ci au guriamo l' aiuto di medici o psicologi com petenti.
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3 0.
La libertà interiore
«Va', vendi quello che hai e dallo hai pove ri», prendi la croce e rinnega te stesso, per ché tu possa pregare senza distrazione. - Preghiera 1 7 .
Evagrio riformula qui, in modo originale, le parole di Gesù a proposito di come fare per seguirlo. Nel Vangelo di Matteo, Gesù dice al giovane ricco: «Se vuoi essere per fetto, va' , vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi» (Mt 1 9 ,2 1 ) . Evagrio equip ara dunque il seguire Gesù alla preghiera senza distrazioni. È un' audace reinterpretazione della parola di Gesù . Gesù si segue dawero attraverso la preghiera, la contemplazione.
La condizione necessaria alla preghiera senza distrazioni è, però, vendere e dare ai poveri tutto quello a cui siamo attaccati, tutto quello da cui dipendiamo. Dobbiamo l i b e r a r c i d a tutto ciò c h e p o s s e d i am o . Questo non vale solo per il possesso mate riale, bensì per tutto ciò con cui ci identifi chiamo: le nostre abitudini e i nostri pen sieri, il nostro lavoro e le nostre preoccu pazioni, il nostro successo e la nostra buo na fama. La libertà interiore è la premessa necessaria a una preghiera in cui fondersi con Dio. Evagrio elenca un 'ulteriore premessa ne cessaria alla contemplazione : prendere la nostra croce. La croce è il punto d'incon tro di tutti gli opposti. Dobbiamo quindi accettare tutto ciò che c'è di contrastante in noi, compresi i lati d'ombra che oscura no l'immagine idealizzata che abbiamo di noi stessi. E prendere la croce significa di re ' sì ' a tutto ciò che incrocia il nostro cammino, dire 'sì' al dolore che ci colpisce, ai fallimenti , alle relazioni spezzate, alle fratture nella nostra storia. Solo quando ci riconciliamo con la croce 99
che la vita ci carica sulle spalle diventiamo capaci di p regare senza distrazioni. Solo colui che si accetta incondizionatamente può pregare davvero . Altrimenti verrebbe continuamente disturbato da ciò contro cui si ribella dentro di sé.
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3 1.
Un nuovo rapporto con gli altri
Se desideri pregare come si deve, non rattri stare anima alcuna, altrimenti ti a/fatichi in vano. - Preghiera 2 0 .
Pregare non richiede soltanto che c i li beriamo dalle nostre passioni e ci riconci liamo con noi stessi. La preghiera ci spinge anche a rapportarci agli altri in modo nuo vo. Non possiamo pregare come si deve se i nostri rapporti umani non sono armonio si. Non dobbiamo rattristare anima alcuna. Non dobbiamo offendere né ferire nessu no. Altrimenti nella preghiera ci sforziamo invano. In questo caso , infatti, le persone a cui abbiamo fatto del male ci compariran-
no sempre davanti agli occhi. La preghiera ci conduce alla verità. Rivela tutto ciò che abbiamo compiuto di sbagliato . Quando qualcuno reca offesa a un altro e poi cerca di pregare, non riuscirà a farlo. Nel suo animo riaffiorerà la situazione in cui ha recato offesa all'altra persona e allo ra si concentrerà su di essa. Oppure ten terà di cacciare l ' altro dal proprio cuore . In tal caso esso si indurirà. Ma questa du rezza lo renderà chiuso anche nei confron ti del Signore. Non giungerà a Dio. Soltan to quando offrirà a Dio il proprio compor tamento offensivo e gli chiederà perdono, potrà pregare . Ma allora la p reghiera lo spingerà a chiedere scusa al prossimo che ha ferito e a rip arare l' offesa. Pregare ci sprona a un compo rtamento co rrisp o n dente allo spirito della preghiera.
1 02
3 2.
L'offerta mitigatrice
«Lascia il tuo dono - dice la Scrittura - da vanti all'altare, va' prima a riconciliarti con il tuo fratello», e allora potrai pregare senza turbamento. Il ricordo delle offese, infattz� offusca in chi prega la sovrana facoltà del l'intelletto e ottenebra le sue preghiere. - Preghiera 2 1.
Anche qui Evagrio reinterpreta in modo originale la parola di Gesù , tratta dal Di s corso della Montagn a . Nel Vangelo di Matteo si legge: «Se dunque presenti la tua offerta sull ' altare e lì ti ricordi che tuo fra tello ha qualcosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all' altare e va' prima a ri conciliarti con il tuo fratello e poi torna ad
offrire il tuo dono» (Mt 5 ,23 s . ) . Per Gesù la riconciliazione con il fratello è dunque la p remessa necess aria per p resentare la propria offerta all' altare . Evagrio equipara la preghiera senza distrazioni all'offerta dei doni. La vera offerta del cristiano è la pre ghiera . S copo dell 'offerta è infatti far sì che qualcosa di terreno venga elevato alla sfera del divino. Nella preghiera l'essere u mano viene sollevato nella s fera divin a . Qui s i fonde con il Signore. Ma la p remes s a necess aria a una pre ghiera senza distrazioni è la riconciliazione con i fratelli e le sorelle. Evagrio vede la cosa soprattutto su un piano psicologico . Finché nutro rancore contro qualcuno non riesco a pregare. Il ricordo delle offese, in fatti, offusca le facoltà dell 'intelletto e lo ottenebra. La preghiera però esige chiarez za interiore. Gesù afferma che dobbiamo las ciare il dono davanti all' altare quando ci ricordia mo che un fratello o una sorella ha qualco sa contro di noi. Spesso gli altri, pur senza il nostro intervento , proiettano su di noi i loro problemi. Quando una persona è in1 04
soddisfatta di se stessa, avrà sempre biso gno di altri da usare come capro espiatorio dei propri problemi irrisolti. Non possia mo impedirlo. Ma è in nostro potere far sì che il nostro rancore verso questa persona non prenda il sopravvento. Non dobbiamo reagire alle sue proiezioni con una contro p roiezione. Dobbiamo ricon ciliarci inte riormente con l'altro, cioè credere a quan to di buono c'è in lui e pregare per la sua p a c e interiore . S olo allora rius ciremo a pregare.
1 05
33.
L'atteggiamento verso le offese
Coloro che accumulano interiormente tri stezze e ricordi di o/fese} benché esterior mente sembrino pregare} sono simili a quelli che attingono acqua e la versano in una bot te forata. - Preghiera 22 .
Qui Evagrio ha presente un ' altra situa zione. Un fratello o una sorella ci h anno recato offesa. Oppure noi ci siamo arrab biati con loro . Anche in questo caso riusci remo a pregare solo quando dimentichere mo le offese e l'irritazione. n punto è come questo possa accadere. La sensazione di rabbia e di dolore affio rerà in noi non appena 1n1z1amo a pregare.
Rimuoverla non gioverà. Quanto è caccia to, infatti, ritornerà proprio nel momento della preghiera. Non dobbiamo rimuovere, bensì prendere in considerazione i senti menti e offrirli a Dio . Dico al Signore che questa o quell ' altra persona mi ha ferito profondamente, che ciò mi fa molto male e che non riesco a liberarmi da questa sensa zione. Non rimprovero niente all' altro . E nemmeno mi colpevolizzo perché non rie sco a dimenticare . Ma nell ' offrire a Dio l ' offesa me ne distanzio . E poi posso !a sciarmela alle spalle. Non devo rielaborar la. La prendo in considerazione e la metto nelle mani di Dio . Ciò mi libera da essa. Evagrio paragona colui che pensa unica mente alle offese subite, sguazzando così nell' autocommiserazione, a qualcuno che attinge acqua da una sorgente e la versa in una botte forata. La preghiera è la sorgen te da cui possiamo attingere per bere o per irrigare il campo della nostra anim a . S e però versiamo l' acqua in una botte forata, essa si disperderà inutilmente: la preghiera non mostrerà alcun effetto. Affinché l' ac qua della preghiera possa bagnare e fecon 1 07
dare il campo della mia anim a , devo , in Dio, !asciarmi alle spalle le offese e l'irrita zione che, allora smetteranno di divorarla.
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34.
L'angelo del silenzio
Quando ci sta vicino un angelo} immediata mente si allontanano tutti i nostri disturba tori e così l'in telletto si trova con grande sollievo a p regare salutarmente. Qualch e volta} però} siamo messi alle strette dal con sueto combattimento: l'intelletto si batte co me un pugile} ma non riesce ad alzare il ca po} sfigurato com } è dai colpi delle varie pas sioni. Tuttavia} a furia di cercare} troverà e} se busserà gagliardamente} gli sarà aperto. - Preghiera 3 0.
Evagrio considera il fatto che ci sono pe riodi in cui non riusciamo quasi a pregare, poiché siamo troppo inquieti interiormen te. In questi casi siamo oppressi da affanni
e passioni. Siamo talmente preoccupati di noi stessi che non riusciamo quasi a rivol gere lo sguardo verso Dio . È consolante che persino un provetto maestro spirituale come Evagrio conosca situazioni del gene re per esperienza. Ciò che possiamo fare è non darci per vinti, continuare a tentare di offrire il nostro cuore a Dio, finché il Si gnore stesso lo colmerà di pace profonda. Allora può succedere che, improvvisamen te, percepiamo in noi una quiete piena di pace . Per Evagrio questo è un segno che l' angelo del Signore ci sta vicino. L'angelo è una metafora per la presenza amorosa e risanatrice del Signore. Gli an geli contemplano giorno e notte il volto di Dio. Quando un angelo è presso di noi e veglia sulla nostra preghiera, il nostro cuo re si acquieta in Dio , giungiamo alla pre ghiera pura . La preghiera pura è per Eva grio la contemplazione . In essa la nostra preghiera non è più turbata da pensieri e rappresentazioni. Siamo , semplicemente , in Dio. Siamo una cosa sola con lui. Nulla turba questa unione con Dio, nessuna ri flessione, nessuna passione, neppure nes 1 10
suna immagine che ci formiamo di Dio . Proviamo solo più un sentimento di unio ne. Siamo una cosa sola con noi stessi, con la nostra storia, una cosa sola coo Dio, una cosa sola con l ' angelo che nella preghiera è presso di noi e ci aiuta a pregare, e una co sa sola con tutta l'umanità.
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3 5.
La volontà di Dio
Non affliggerti se non ricevi subito da Dio ciò che chiedz� giacché un bene maggiore e gli vuole elargirti: che tu perseveri nello sta re insieme a lui nella p reghiera. Che cosa c'è, in/attz� di più eminente del conversare con Dio e dell'essere tratto in intima unione con lui? La preghiera senza distrazione è la suprema intellezione dell'intelletto. - Preghiera 3 4 .
Molti smettono di pregare quando le lo ro suppliche non vengono esaudite. Han n o l a sensazione che ogni preghiera sia sta ta inutile. Si sono ammalati lo stesso . Le persone care, per la cui guarigione hanno pregato tanto intensamente, sono morte lo
stesso. E Dio non ha cancellato la loro an goscia, sebbene lo abbiano tanto pregato di farlo . Per alcune persone pregare consi ste soprattutto nel supplicare . E costoro misurano l ' efficacia della loro p reghiera soprattutto in b ase all' esaudimento delle proprie suppliche. Evagrio ci indica un 'altra strada. Se Dio non ci esaudisce subito è perché vuole e largirci un bene maggiore di quello che ab biamo chiesto. Forse nel nostro supplicare eravamo troppo concentrati sui nostri de sideri. E pensavamo che essi dovessero as solutamente venire esauditi, altrimenti non avremmo potuto sopravvivere. Possiamo e dobbiamo dispiegare i nostri desideri da vanti a Dio . Ma ogni p reghiera si deve concludere con «sia fatta la tua volontà». Nella p reghiera supplico affannosamente per la guarigione del mio amico. Ma se no nostante tutto muore , non per questo è stata inutile. Ho portato la mia impotenza davanti a Dio. E tento di comprendere il mistero della sua volontà e di consegnarmi nelle mani del Signore. Lo scopo di ogni preghiera è per Eva1 13
grio un'intima unione con Dio, il vivere al la sua presenza, il fondersi con il Signore in una preghiera non più soggetta a distra zioni. La dignità dell'essere umano consi ste per Evagrio nel fatto che può vivere un 'intima relazione personale con Dio, che è sempre e in ogni luogo avvolto dalla sua presenza amorevole e risanatrice. La supplica che non ha dato i risultati vo luti ha elevato il nostro cuore a Dio. In que sto modo si è sviluppata una relazione che vale di più dell' esaudimento delle nostre preghiere. Solo attraverso la preghiera ab biamo scoperto la nostra vera dignità, cioè che possiamo partecipare del divino e fon derci con il Signore in un'estasi d'amore.
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3 6.
La verità di vita
Mentre preghz� la memoria ti presenta im magini di cose passate, oppure nuove preoc cupazionz� ovvero il volto di chi hai contri stato. - Preghiera 45 .
La preghiera ci mette a confronto con la verità del nostro io . Riaffiorerà tutto ciò che ci agita interiormente . Riaffiorano i conflitti del passato , le ferite e le piaghe della nostra infanzia. Viene a galla quello c h e ci p re o c c u p a in quel momento : le preoccupazioni per il futuro economico, la trepidazione per la crescita dei figli, la sof ferenza per le proprie fobie, l'intima insod disfazione, l'inquietudine. Oppure riaffio-
rana le persone che, a nostra volta, abbia mo ferito. La p reghiera ci rivela in quali occasioni ci siamo resi colpevoli. Non dob biamo allora essere ossessionati dalla no stra colpa, e neppure dalle preoccupazioni e dai problemi. Dobbiamo invece offrirÌi a Dio e rivolgere il nostro sguardo al Signo re, che placherà il nostro cuore in mezzo alle tempeste della nostra esisten z a , in mezzo ai sensi di colpa che altrimenti ci di lanierebbero . Pregare non è una fuga dalla realtà. N el la preghiera non posso illudermi, volendo sfuggire da una realtà poco soddisfacente. Nella preghiera la verità della mia vita di venta manifesta. Ed essa non è sempre pia cevole. Mentre prego riaffiora infatti tutto ciò che ho fatto di sbagliato, le occasioni in cui ho recato offesa agli altri, quando sono stato ingiusto con loro. Si faranno sentire le delusioni che mi porto nel cuore. Per questo motivo , molti rifuggono il si lenzio della preghiera. Preferiscono gettar si in attività frenetiche, per sfuggire alla ve rità del proprio cuore. Un altro tipo di fu ga consiste nell' impedire, durante la pre1 16
ghiera, un dialogo con Dio , attraverso le molte parole da parte nostra, non lascian do così al S ignore alcun a pos sibilità di condurci alla verità. La preghiera in cui la verità del nostro io si fa manifesta è una preghiera del silenzio, una preghiera in cui ci abbandoniamo a Dio senza difese, in cui presentiamo tutto quanto è in noi al Signo re, affinché lo trasfiguri e lo risani.
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3 7.
Il silenzio puro
Sta ' al tuo posto di guardia, custodendo il tuo intelletto da pensieri nel tempo della preghiera, sì che esso resti nella tranquillità che gli è propria, perché colui che ha com passione degli ignoranti venga a visitare an che te: allora riceverai un dono di preghiera davvero glorioso. - Preghiera 69 .
Molti raccontano es altati di aver visto mentre pregavano una figura bellissima, di aver incontrato Gesù o Mari a . Allora s i sentono speciali. Oppure s i dilettano delle immagini che affiorano dentro di loro. Ma quando mi concentro su delle immagini, esse si interpongono tra me e Dio. Dio è al
di là delle immagini. Le raffigurazioni che mi creo del Signore sono importanti per e levare il mio cuore a Dio . Ma a un certo punto devo !asciarmi le immagini alle spal le. Altrimenti mi occupo solo di me stesso e delle mie proiezioni. Nella purezza del silenzio davanti a Dio cessano anche i pensieri su di lui. Finché rifletto sul Signore sono separato da lui, e siste una distanza insormontabile tra Dio e me. Finché mi concentro su delle immagi ni, giro fondamentalmente intorno a me stesso e ai bei sentimenti che queste susci tano . Si tratta però di las ciarsi tutto alle spalle e di lasciarsi cadere in Dio nella pu rezza del silenzio . All o ra - dice Evagrio - Dio verrà a visi tarti e ti ricolmerà del dono più grande che esista per l'essere umano: la preghiera. Per Evagrio la preghiera non è un dovere. È il più grande dono che ci sia. Corrisponde al la dignità dell' essere umano. Si avverte il fascino che la preghiera esercitava sull'ani mo di Evagrio. In essa percepisce a quale dignità Dio abbia innalzato l'essere umano. L'essere umano, piccolo e insignificante, 1 19
che continuamente fallisce e manca lo sco po della propria esistenza, che ferisce ed è ferito , che offende ed è offeso , è tuttavia chiamato a fondersi con il Signore, a eleva re la propria anima a Dio e a diventare uno con lui. Per raggiungere questo fine supre mo dell'uomo vale la pena di continuare a sforzarsi di pregare.
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38.
L'angelo della fiducia
Se preghi veramente) troverai una grande si curezza) e gli angeli ti scorteranno [. . .] e ti il lumineranno sulle ragioni degli esseri creati. - Preghiera 80.
La fiducia è, oltre alla pace, il maggior frutto della preghiera. È la fiducia che tut to è bene. La contemplazione è per Eva grio dire sì all'esistenza, dire sì alla propria vita, al mondo per come è. Sebbene io sof fra per molte cose, sebbene mi scontri con i miei limiti, nella preghiera contemplativa sento che, nel mio intimo, tutto è bene. Quando percepisco Dio dentro di me, tutto il resto che mi fa soffrire non è più così importante. Non riesco a spiegarmi la
mia vita, ma nel profondo del cuore sento che tutto è bene, così come è accaduto . Ho fiducia nel fatto che Dio stesso mi ha pla smato e che anche in questo momento egli è presso di me e indirizza ogni cosa verso il bene. La fiducia generata dalla preghiera si estenderà anche ad altre persone. Avrò fi ducia nel fatto che anche in esse esiste un germe di bontà. E confiderò nel fatto che il Signore tiene la sua mano benevola su di loro. Gli angeli mi scorteranno nella preghie ra. L' angelo , che guarda il volto del Signo re , apre anche i miei occhi al mistero di Dio . L'angelo mi illuminerà anche sulle ra gioni degli esseri creati. Mi mostrerà come il creato rispecchi il creatore, come lo Spi rito e l'Amore di Dio diventino percettibili nella creazione. Affinerà il mio sguardo , perché riconosca Dio in tutte le cose. Per cepirò la bellezza dell'erba, scoprendo in essa la tenerezza del Signore . In autunno ammirerò i variopinti colori delle foglie , vedendo in essi la bellezza divina . Le mon tagne mi indicheranno la sublimità di Dio , la sua santità e la sua grandezza. Non pre122
gherò solamente nel sacrario del mio cuo re, ma in tutto quello che vedo , sento , toc co, annuso e gusto. Gli angeli mi introdur ranno all' arte di toccare e di vivere il Signore 1n ogn1 cosa. .
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3 9.
La pace interiore
Beato è il monaco che guarda alla salvezza e al progresso di tutti come se fossero suot� con ognt gzoza. - Preghiera 122 .
Quando qui Evagrio definisce beato un monaco che guarda alla salvezza di tutti pieno di gioia. Ciò è per lui una conse guenza della preghiera. Il monaco è infatti per lui simbolo del vero orante . Pregare incessantemente è il suo compito fonda mentale. La preghiera trasforma le nostre relazioni con il prossimo. Spesso percepia mo gli altri come rivali e concorrenti. C'è per esempio un bravo predicatore, che e spone la parola di Dio in modo comprensi-
bile per gli ascoltatori e per questo motivo è popolare tra molti. Ma non può soffrire il parroco vicino, perché con le sue predi che ha un successo ancora maggiore . Lo deve umiliare. Oppure c'è per esempio una donna che svilup p a grandi cap acità nel dirigere un corso . Ma non appena una donna forte prende parte al suo corso, deve sminuirla e mostrarle disprezzo. La vede come concor rente. Troppo spesso svalutiamo gli altri per affermare il nostro valore. Chi, attraverso la preghiera, è giunto al l ' armonia con se stesso e ha trovato il pro prio baricentro, non ha bisogno di pensare alla competizione. Può invece rallegrarsi delle capacità altrui . Si rallegra quando a un ' altra persona le cose vanno bene, quan do questa ha fatto un progresso nel pro prio cammino professionale o spirituale. Quando ho trovato una pace profonda in Dio non affiorano in me pensieri di comp etizion e . Allora non penso che in fondo, però, sono più avanti della persona che ho a fianco . Quest'ultima ha sì succes so, ma ha l'anima vuota. Tiene sì dei buoni 125
corsi, ma in realtà copia solamente quello che ha imparato da me. Quella donna ha sì fatto carriera, ma trascura la sua famiglia. Tentiamo di trovare sempre il pelo nell ' uo vo nella vita degli altri , perché possiamo tollerare solo a fatica che siano migliori , più avanti, più buoni e più liberi d i noi. Chi h a placato e p a cificato il p rop rio cuore nella preghiera , può rallegrarsi per gli altri, aiutarli senza · secondi fini. La pre ghiera gli dona la libertà di las ciare che l' altro sia com ' è . Attraverso la p reghiera vede nell' altro Dio all'opera e prega che in lui Dio possa manifestare la sua gloria e la sua grandezza.
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40.
La fusione con Dio e con gli altri
Beato è il monaco che considera tutti gli uo mini come Dio} dopo Dio. Monaco è colui che si ritiene uno con tuttz: abituato com }è a vedere se stesso in ognuno. - Preghiera 123 e 125 .
Anche qui la lode del monaco beato de scrive il frutto della preghiera. Evagrio cita due effetti della preghiera. In primo luogo, attraverso di essa vediamo Dio in ognuno. Come nella creazione riconosciamo Dio fondamento di ogni esistenza, così in ogni essere umano s copriamo Dio . Il Signore non è solo il creatore degli esseri umani, dimora anche nel cuore di ogni persona. Gli antichi parlano del sacramento dei fra-
telli e delle sorelle: «Se hai visto il fratello, hai visto Cristo». La preghiera porta quindi alla riverenza di fronte al mistero dell ' es s ere um an o . Non posso raccogliermi i n preghiera per poi disprezzare e ferire il prossim o . La preghiera esige un nuovo modo di com portarsi verso le persone. Se in essa guardo gli altri con occhi nuovi , li tratterò anche in modo diverso , con amore e riverenza, con rispetto e senso di immedesimazione. La preghiera mi indica l'unità tra amore di Dio e amore del prossimo. Il secondo effetto della p reghiera sul rapporto con il prossimo consiste nel fatto che l ' arante ritrova se stesso in ognun o . Nella preghiera scopro in m e l o spazio del silenzio, in cui dimora Dio stesso. In esso non sono in unione soltanto con Dio, ben sì anche con l'intero creato e con tutti gli esseri umani. In esso avverto che, nel mio intimo, sono in relazione con tutti. In esso sperimento l ' intima verità del coman da mento dell' amore del prossimo: «Amerai il prossimo tuo come te stesso ! » (Mt 22 ,3 9) . O come è stato tradotto da Martin Buber: 128
«Ama il prossimo tuo , perché è te stesso». Nel prossimo incontro me stesso . La Lette ra agli Ebrei parla del fatto che Cristo e noi uomini proveniamo tutti da uno solo (Eb 2, 1 1 ) . Nel nostro intimo siamo tutti una cosa sola. Nella preghiera giungiamo allo spazio più intimo, in cui siamo intrecciati l'uno all' altro. Pertanto la preghiera non ci conduce solo vicino Dio , ma anche a una nuova prossimità all'essere umano.
129
Vita dal deserto
Oggi i manuali di psicologia pratica van no chiaramente incontro a un grande biso gno della gente. Desideriamo ardentemen te che la nostra vita abbia buon esito . E comprendiamo sempre più che la riuscita dell'esistenza è quasi impossibile se manca un riferimento a Dio. Nel nostro cammino verso un 'esistenza compiuta, sulla strada verso noi stessi e verso Dio non siamo la sciati a noi stessi e non siamo costretti a bas arci solo sulla nostra esperienza. Pos siamo attingere alle ricche fonti che c i of fre la tradizione cristiana. Una fonte limpida e sempre ristoratrice di vita spirituale è costituita dagli scritti dei primi monaci. Quando li si legge, si av verte che in essi non viene sviluppata alcu-
n a teoria, bensì che rispecchiano l ' espe rienza vissuta dai monaci in rapporto a se stessi , agli altri e a Dio . Soprattutto, però, da questi scritti parla una profonda sete del Signore e una grande passione a m et tersi alla ricerca di Dio e a non riposare finché il cuore umano non diventi dimora del Signore . Allora il cuore inquieto tro verà in Dio la sua pace. La sua sete verrà placat a . L' ess ere umano si fon de r à con Dio . Ogni parte di lui verrà immersa in Dio, pervasa e trasfigurata attraverso il suo spirito . Nel Signore ritroveremo la nostra forma originaria, l'immagine unica che egli si è formato di ciascuno di noi. I primi monaci sono giunti, perseveran do nell' ascesi, riconoscendo con sincerità il proprio io e bussando continuamente alla porta di Dio , a diventare completamente permeabili all' amore e alla luce del Signo re. Nel corpo e nell ' anima hanno fatto ri splendere Cristo in un mondo buio e lace rato. Hanno trasformato il deserto, dimora dei demoni, in una dimora di Dio, renden do così il mondo più luminoso e più santo . Costituiscono anche per noi una grande 132
sfida a diventare segno della presenza divina nel nostro tempo. Se ci lasciamo pervadere dall' amore di Dio come i primi monaci, an che il nostro mondo secolarizzato verrà illu minato dalla sua luce per nostro tramite. Se lasciamo risanare le nostre ferite dall'amore di Dio, il luogo in cui viviamo diventerà più sano . Un 'aura risanatrice si sprigionerà da noi. Dall'effetto risanato re della nostra uma nità trasfigurata, gli altri attingeranno la spe ranza di poter sperimentare a loro volta sal vezza e libertà, luce e trasfigurazione. Come i monaci, dobbiamo lasciare aper ta nel nostro mondo la domanda sull'esi stenza di Dio. Attraverso la nostra esisten za possiamo testimoniare , che l 'essere u mano diventa davvero tale, quando lascia entrare Dio dentro di sé. Quando il nostro cuore si sarà trasformato nel cielo in cui dimora il Signore, anche noi, attraverso la nostra esistenza, spalancheremo il cielo al di sopra di persone a cui esso sembra chiu so e coperto di nuvole. Allora anche nei lo ro cuori la sete di Dio tornerà a infiammar si. E non riposeranno finché il loro cuore non troverà pace in Dio. 133
Glossario
Abba, abate: così vengono definiti i mo naci che accompagnano gli altri nel loro cammino spirituale. L'espressione origina ria è Abbas padre. =
Agatone: monaco nel deserto egiziano del
IV
secolo.
Antonio (il grande) : nato nel 25 1 circa nell 'Egitto centrale, si trasferì per primo , intorno al 270, nel deserto, inizialmente in una fortezza abbandonata e in seguito su un monte isolato. Innumerevoli persone in cerca di Dio e di consiglio si recarono da lui in pellegrinaggio. Morì nel 356, all 'età di centocinque an n i . La s u a biografi a , scritta d a sant 'Atanasio , entusiasmò all'e-
poca molte persone e le spinse a condurre, come Antonio, una vita di ascesi e di pre ghiera nel deserto.
Apoftegmi: letteralmente ' sentenze' . Già nel IV secolo si raccoglievano le parole dei Padri. Esse vennero edite con il nome di Apophthégmata patrum 'Detti dei Padri' . Un apoftegma è una breve sentenza che un monaco dice a una p erson a in cerca di consiglio . Sotto questa definizione rientra no però anche b revi aneddoti sui p rimi monaci . -
Cella} Kellion : piccola abitazione dell'e remit a , in forma e s s enzial e . Consisteva spesso di un 'unica stanza. Non allontanarsi dalla cella costituiva un 'importante eserci zio spirituale.
Evag rio Po n tico (3 45 - 3 9 9 ) : o ng1nario della Grecia. In qualità di diacono fu un brillante predicatore e uno dei più signifi cativi autori di testi religiosi del IV secolo. Evagrio fuggì dalle tentazioni di Costanti nopoli in Palestina, dove si fece monaco. 136
Tra i Padri del deserto veniva considerato lo 'psicologo' , colui che meglio conosceva le passioni dell ' anim a , i cosiddetti logis m6i, 'pensieri segnati dalle emozioni' .
Esicasta: l ' hesychia è la pace del cuore. È in un certo senso un ' anticipazione della condizione paradisiaca, un tacere di tutte le tentazioni, le brame e i desideri , e so prattutto della volontà. 'Esicasti' venivano definiti quei monaci che cercavano la pace interiore. Esicasmo indica anche un deter minato modo di p regare , una preghiera della quiete, senza molte parole.
Giusepp e (di Pa n e/o) : contemporaneo dell' abate Antonio.
Macario: monaco e sacerdote nato intor no al 3 00 d. C . , fu il grande organizzatore del monachesimo di Scete . È autore di al cuni importanti apoftegmi . Morì intorno al 3 90.
Mosè: era inizialmente uno schiavo etio pe, cacciato dal suo padrone a causa di un 137
furto . In seguito a ciò si unì a una banda di predoni, di cui divenne il capo. Una volta convertito divenne un monaco molto rive rito . Venne ass assinato a settantacinque anni, durante la distruzione di Scete (4 1 0) .
Nitria: la zona nordoccidentale della val le di Wadi- en - N atrun , che si estende da sudest a nordest, tra i 65 e i l 00 km a sud di Alessandria d'Egitto . Principale centro degli insediamenti degli eremiti egiziani e di diversi monasteri. Nonostante la prossi mità del lago salato, nella zona si trovano sorgenti di acqua dolce.
Pambo, Pambone: eremita a Nitria ( t nel 3 90 ca. ) , si contraddistinse in particolare per la sua estrema povertà e il suo grande amore per il silenzio . Conosceva Antonio il grande. Gli sono attribuiti quattordici a poftegmi.
Poimen, Poemen : eremita a Scete è uno dei più importanti Padri del deserto . Dopo la distruzione di Scete, si ritirò in un tem pio abbandonato , dove visse fino al 45 0 . Si 138
dice che sia morto all' età di centodieci an ni. Sue sono la maggior parte delle senten ze, spesso molto laconiche. Complessiva mente sono stati tramandati circa trecento apoftegmi a lui attribuiti.
Scete: una delle tre principali zone d'in sediamento degli eremiti. Negli apoftegmi Scete è il centro dei Padri del deserto . Ri mane controverso se si estendesse a nord o a sud della valle di Wadi-en-Natrun (cfr.
Nitria) .
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Bibliografia e abbreviazioni
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Indice
Introduzione Apoftegmi Detti dei Padri del deserto l . n peccato 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13 .
La tranquillità d'animo I desideri della carne L' esercizio della vigilanza La rinuncia L'umiltà L'ordine esteriore n cuore amante La preghiera purificatrice Diventare s e stessi La misericordia Il dialogo con Dio La paura
5
11 13 16 19 22 25 28 31 33 36 39 42 45 48
14. 15 . 1 6. 17. 18. 19. 20.
L a conversione La vicinanza di Dio La tentazione che irrobustisce L a salvaguardia spirituale L a preghiera che accompagna L a paternità spirituale La suddivisione del lavoro
Detti di Evagrio Pontico 21. 22 . 23 . 24 . 25 . 26. 27 . 28. 29. 30. 31. 32. 33 . 34. 35 . 36. 37. 1 44
L'esame dei pensieri Il dialogo dei sentimenti La distinzione dei demoni L'incontro con i demoni L'impassibilità del cuore Le tre parti dell' anima Il libro della natura Il rapporto con l e passioni L' angelo della guarigione L a libertà interiore Un nuovo rapporto con gli altri L'offerta mitigatrice L' atteggiamento verso le offese L' angelo del silenzio La volontà di Dio L a verità d i vita Il silenzio puro
50 53 55 58 60 62 65 69 71 74 77 80 83 86 89 92 95 98 101 1 03 1 06 1 09 1 12 1 15 1 18
12 1 3 8 . L' angelo della fiducia 124 3 9. La pace interiore 4 0 . La fusione con Dio e con gli altri 127
Vita dal deserto
13 1
Glossario
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Bibliografia e abbreviazioni
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