La teurgia nel mondo antico
 978-88-7544-222-4

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© ECIG

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Febbraio 20 1 1

INDICE Presentazione (Giancarlo Seri)

7

Capitolo l Tradizione teurgica sumero-babilonese (P. M.) Gli antecedenti dai testi in cuneiforme dei Sumeri e degli Assiro-babilonesi

(m millennio a. C.-m/Iv? sec. d. C. in Mesopotamia).

11

Capitolo 2 La Bibbia pagana: gli Oracoli Caldei (L. A.)

(n sec. d. C.). Raccolta completa dei frammenti superstiti in traduzione, accompagnati da relativo commentario

67

Capitolo 3 Libro condensato: Giamblico, I misteri degli Egiziani (L. A., P. M.) (11-111 sec. d. C.). Versione condensata del trattato di Giamblico e commenti ai singoli libri in cui il trattato è suddiviso

1 73

Appendice La tradizione teurgica Egiziana: il rituale della "Apertura della Bocca" (Massimiliano Nuzzolo)

275

Indice analitico 299 Ill ustrazioni e copertina: Francesca Romana Mander

5

PRESENTAZIONE

L'editoria contemporanea, come si può constatare a tutt'oggi, produce una grande quan­ tità di testi che trattano, in maniera più o meno attendibile, il tema della "magia", mentre scarse sono le pubblicazioni di opere, degne di attenzione, che riguardino ricerche e saggi di approfondimento sulla "teurgia" ovvero scienza del sacro e del divino. Anche se, come per la magia, neanche per la teurgia si può parlare di scienza vera e pro­ pria, nel senso moderno del termine, quest'ultima disciplina, che forse può sembrare simile alla magia, affronta lo specifico e ben definito mondo dell' invisibile, dell'ultraterreno e le sue arcane verità, con un metodo di lavoro diverso sia nella forma sia nella sostanza. Della "scienza teurgica" è stato scritto ed editato poco o nulla in lingua italiana salvo la stupefacente e ammirevole opera del grande filosofo neoplatonico e Maestro di vita, Giamblico (la!lPÀtXO incutono più pura di quella degli hylici, che mostrano elementi contrastanti

Anime

luce piena delle mescolanze proprie del mondo della generazione

-

Coerentemente, il fuoco degli dèi splende di luce compatta senza suono al­ cuno, riempiendo l'universo. Quello degli arcangeli è compatto, accompagnato da una moltitudine. Quello degli angeli non è compatto, ma è perfetto, quello dei demoni è di minor raggio e non stupisce chi ha visto i fuochi precedentemente de­ scritti. Quello degli eroi è simile. Arconti cosmocratori esibiscono un fuoco d'ordine più elevato, mentre quello degli arconti hylici è più scuro. Le anime mostrano molte divisioni e varietà, proprie delle forme delle nature mondane. Ripetendo: il fuoco degli dèi è stabile, quello degli arcangeli è mite, degli an­ geli sempre in movimento, dei demoni instabile, degli eroi guizzante, degli arconti cosmocrati mite, degli arconti hylici tumultuoso. Il fuoco delle anime cambia in innumerevoli movimenti. 5 (pp. 79-8 1 ) La purificazione è perfetta con gli dèi, mentre è esaltante con gli arcangeli. Gli angeli sciolgono i legami del mondo della generazione, ma i demoni attraggono le anime nella natura. Gli eroi inducono all'attenzione del mondo sensibile. Gli ar­ conti affidano alle anime governo o sorveglianza delle cose mondane. Quando le anime appaiono tendono al mondo della generazione. Inoltre, ciò che mostra carattere puro e stabile deriva dalle classi superiori, se­ condo questa classificazione: Dio

molto brillante e fermo in sé stesso

Arcangelo

splendido ma come altro da sé

Angelo

in un'altra forma

Se appare qualcosa come una folata e non ha stabilità, devi opporti, perché sono nature inferiori. Queste ultime possono essere classificate secondo le mesco­ lanze: 1 99

Demoni

vapori mossi dai moti planetari

Eroi

elementi della generazione misti ad altri spirituali, in costante movimento

Arconti cosmocratori

stessa natura mondana che essi possiedono

Arconti hylici

pieni di esalazioni materiali

Anime

infettate di macchie e spiriti alieni

Occorre tener presente che, con gli dèi, la materia è immediatamente consu­ mata; con gli arcangeli si distrugge in breve tempo; con gli angeli essa si scioglie e si dissolve. Coi demoni essa è adornata ordinatamente. Gli eroi s'adattano ad essa in modo appropriato. Gli arconti cosmocratori sono presenti in essa e le sono superiori trascendendola, splendendo; quelli hylici si mostrano pieni di materia. Le anime pure sono senza materia, ma le altre sono in essa comprese. 6 (pp. 8 1 -83) Le differenze tra le classi superiori si riflettono anche negli effetti che causano: infatti, non danno lo stesso frutto gli esiti di queste manifestazioni. L'apparizione di un dio reca salute fisica, virtù dell'anima, purezza di pensiero, innalzamento ai principi primi di tutto ciò che è in noi, anninentandovi tutto ciò che è freddo e dis­ truttivo e aumentando ciò che è chaldo, mettendo così tutto in armonia con anima e mente. Il dio si manifesta come luce armoniosa intellegibile che mostra all'anima l'incorporeo come se fosse corporeo, attraverso gli occhi corporei. La presenza degli arcangeli dà gli stessi benefici, seppure in misura minore, e quella angelica ancora meno, elargendone di più particolari. Quella dei demoni appesantisce il corpo, reca malattie e fa calare l'anima nella natura, non allonta­ nandola dalla realtà fisica, incatenando quindi chi anela al Fuoco celeste, e vinco­ landolo al fato. Similmente la presenza eroica ha gli stessi effetti, però spinge a grandi gesta. Gli arconti cosmocratori favoriscono beni mondani, mentre gli ar­ conti hylici benefici materiali. Le anime pure come gli angeli sono salutari all'anima: suscitano speranza, ma la loro visione trascina nella generazione, alimentando le passioni. 7 (pp. 83-86) Sono riscontrabili delle indicazioni sulla classe delle potenze che appaiono: se appare un dio, egli avrà attorno dèi ed angeli; se appare invece un arcangelo, sarà 200

scortato da file di angeli avanti e dietro. Gli angeli mostrano le particolarità del la­ voro che sanno compiere, così come i demoni buoni consentono di esaminare le loro opere e i benefici che donano. Mostrano anch'essi le proprie realizzazioni, ma al contrario, i demoni della vendetta, presentano le punizioni che hanno in­ f1itto, mentre altri demoni appaiono circondati da belve che bevono sangue. Gli arconti fanno vedere certe regioni dell'universo, mentre invece gli hylici at­ tirano il disordine e la discordia, che sono propri della materia. L'anima se non in­ dividuale1 58, si presenta come un fuoco senza forma, esteso attrono all'universo, unico ed indiviso. L'anima pura appare come fiamma altrettanto pura, stabile in sé, mentre gioiosamente segue l'ascesa dietro la sua guida. L'anima che invece flette in basso, reca i simboli della punizione ed è tirata giù da spiriti del mondo corporeo, ed è posta sotto il controllo di demoni del mondo della generazione159. I tre generi hanno le loro specifiche peculiarità, presentando i caratteri delle re­ gioni cosmiche loro proprie: un fuoco aereo distingue gli esseri aerei, per i ter­ restri si avrà, invece, una luce ctonia più scura, mentre per i celestiali uno splen­ dore. Ognuno è distribuito nelle tre fasce cosmiche secondo un triplo ordine: iniziale, intermedio ed ultimo. Gli dèi sono le cause più pure, mentre gli angeli sono dipendenti dagli arcangeli. I demoni servono gli angeli e gli eroi fanno altrat­ tanto, ma in ambiti propri. Gli arconti sono distribuiti nelle sottoclassi loro perti­ nenti, mentre le anime sono l'ultima delle classi superiori. Quindi le classi superi­ ori si manifestano secondo quest'ordine gerarchico.

8 (pp. 86-87) La luce degli dèi è tanto sottile che gli occhi umani non possono sostenerla, come avviene ai pesci estratti all'aria pulita da un fondo melmoso, perché gli uomini, al fuoco divino, divengono incapaci di respirare. Anche gli arcangeli emettono una luce che impedisce la respirazione, pur non irradiando con tanta in­ tensità come gli dèi. Il teurgo può unirsi agli angeli, poiché la temperatura dell'aria è tollerabile. Nel caso dei demoni non avviene nulla riguardo all'aria e non vi è luminosità che possa far imprimere all'aria la loro forma. L'apparizione degli eroi fa tremare il suolo con fragore, ma l'aria non s'attenua e resta praticabile al teurgo. Un insieme di molte luci, difficili da sostenere, appare nel caso degli arconti, siano essi cosmocratori o hylici, ma l'aria non diviene più tenue, come le regioni superiori (o lo zodiaco). L'aria, all'apparizione di anime, ha aspetto analogo a queste, e ne accolgie le fattezze.

158

1 59

Owero se si tratta dell

'

Anima Mundi, in accordo a come descritta negli Oracoli Caldaici. "veicolo dell 'anima", l 'elemento che, come s'è detto sez. Il 8, unisce l'anima

Qui si allude nuovamente al

pura al corpo. 20 1

9 (pp. 87-90) Quando s'invocano gli dèi e questi appaiono, il teurgo si sente sia libero dalle passioni, che partecipe della perfezione divina, colmandosi d'amore divino gioioso nella pace della mente. Quando appare un arcangelo, l' anima del teurgo acquisisce una pura condizione costante, atta alla contemplazione intellettuale e a una potenza stabile. Quando è un angelo ad apparire, il teurgo ottiene parzial­ mente saggezza intellettuale, virtù, conoscenza solida e un rango in proporzione. I demoni invece suscitano attrazione verso la generazione col desiderio di portare a compimento il proprio destino. Condizioni simili si verificano se appaiono eroi, che spingono alla comunione delle anime. Gli arconti fanno sì che le anime si muovino con loro; l'apparizione di anime accende tendenze alla generazione con attenzione e cura del corpo. Sintetizziamo schematicamente gli esiti delle apparizioni delle classi superiori: Dèi

apparizione che reca verità e potere, successo nelle imprese e doni.

Arcangeli

verità su determinate cose, e non sempre, così come poteri non su tutto e ovunque

Angeli

v. sopra, ma ancora maggiori limitazioni

Demoni

doni per il corpo, se in accordo con le leggi cosmiche

Eroi

Idem, con controllo sull'ordinamento delle anime

Arconti

benefici mondani

Porti rio: "Il modo fiero di parlare e l 'apparizione di fantasmi irreali sono tratti comuni tanto a dèi che a demoni, ed alle altre classi superiori. Gli dèi non sono quindi meglio dei demoni160." SEZIONE IX l o (pp. 90-95) La questione da te posta conduce alla possibilità di inganni e trappole da parte delle apparizioni. Occorre, in primo luogo, replicare all'affermazione che dèi, demoni e simili 1 60

Riguardo a questo problema sollevato da Porfirio, Taylor riferisce su Proclo, che mette in guardia su demo­

ni infernali che, nei riti, appaiono prima degli dèi, per deviare ed ostacolare il teurgo . 202

millantino e ingannino. La verità coesiste insieme agli dèi come la luce col Sole. E gli dèi la trasmettono alle altre classi, angeli e demoni. Né si può aggiungere a tale verità divina alcunché con le nostre parole e anche angeli e demoni nulla possono aggiungervi. Se si verifica un errore nella tecnica teurgica - infatti non si deve agire, in questo campo, impulsivamente, ma la perfezione rituale dev'essere acquisita tramite sforzi costanti e sacrifici - in luogo delle immagini divine che sono cer­ cate ne appaiono altre in sostituzione al posto loro. In questi casi succede che le potenze inferiori assumono l'aspetto di quelle superiori, spacciandosi per quelle. Solo allora avviene quanto dici. Da un errore iniziale discendeno grandi inganni e si deve apprendere a stare in guardia contro queste evenienze. Non si deve dare un giudizio complessivo sui riti sulla sola base degli errori. Le operazioni col fuoco degli spiriti genuini sono autentiche e vere. Così come essi hanno per sé stessi essenza, vita, azione e movimento, che trasmettono agli al­ tri, così la verità che essi hanno per sé la danno all'officiante. Quindi essi gli mostrano il fuoco, che si manifesta da sé stesso, e che, come il fuoco comune, scalda e illumina, perché tale è la sua natura, che non è certo quella di raffreddare e diffondere oscurità e nascondere le cose. Non essendo autentici, questi fantasmi appaiono come forme in uno specchio. Trascinano via il teurgo dall'autentica conoscenza degli dèi. E perché gli dèi, principio dell'essenza e della verità, dovrebbero, producendo un'immagine falsa a loro imitazione, ingannare? Invece di emanare fantasmi ingannevoli, gli dèi irradiano intuizioni animiche veritiere. E ciò vale anche per i loro attendenti (le classi superiori). Infine, in cosa la classe degli dèi è superiore a quella dei demoni? Queste due classi non hanno natura comune, né si può discernere la differenza dai fantasmi che appaiono. Non conviene quindi partire dalle nature inferiori per fare una stima delle essenze superiori. Pensare correttamente in questa direzione è un esercizio utile, perché avvicina agli dèi. .

.

Porfirio:

"L 'ignoranza e la confusione sul mondo divino costituisce empietà e con­ taminazione, tanto quanto la conoscenza degli dèi è santa e benefica. Quindi, l 'ignoranza di cose degne e belle è oscurità, mentre la conoscenza delle stesse è luce. L 'ignoranza ci riempie di mali, ma la conoscenza ci reca ogni bene. Parlami di ciò" 1 1 (pp. 95-99) La conoscenza dell'Essere è adatta al divino, mentre l'ignoranza conduce lon203

tano da esso, nel non-essere161 • Rispondo alle tue obiezioni, che tu hai esposte in modo decisamente filosofico e logico, piuttosto che secondo l'arte teurgica; dirò qualcosa in quest'ultimo senso, dal momento che non è vero che è il solo pensiero che unisce il teurgo agli dèi, perché, se così fosse, cosa impedirebbe al filosofo l'unione con gli dèi? Infatti, sono le opere rituali ineffabili (ovvero: di cui non è possibile fornire una spiegazione logica) e i simboli muti, superiori ad ogni intel­ letto, noti solo agli dèi (perché sono essi che ce li hanno trasmessi), che stabilis­ cono l'unione teurgica. Non si raggiungono queste cose con la mera speculazione intellettuale 1 62 • Perché se non fosse per i riti ed i simboli, allora la potenza intellettuale, neces­ saria a raggiungere il divino, sarebbe originata da noi (e non proverrebbe dagli dèi): né il raggiungimento via intelletto, né l'origine umana della potenza costi­ tuiscono la verità. I simboli e segni sacri svolgono da sé la loro opera, senza che ci stiamo a pensare, e l'ineffabile potenza divina vi riferisce la propria immagine. Ciò non avviene per l'impegno della nostra intelligenza, perché non può avvenire che ciò che comprende sia attivato da ciò che in esso è compreso, né che ciò che è perfetto sia conseguito da ciò che è imperfetto, né che la completezza sia acquisi­ bile dal parziale. Quindi le potenze celesti non sono chiamate in atto dal nostro in­ telletto: ma l' intelletto stesso, insieme alle migliori disposizioni dell'anima, con la purezza, sono concause, mentre ciò che mette in atto il volere divino sono i segni e simboli divini stessi. Così gli atti divini sono voluti autonomamente e non sono provocati da nature inferiori . Non siamo quindi noi a determinare né a comandare l'azione, nei riti teurgici, così come la loro efficacia è regolata non da noi, oppure, al contrario, è resa fallace dalla nostra ignoranza. Infatti, per quanto noi si sappia sulle razze di­ vine, mai potremmo cogliere la vera essenza delle loro opere. Ciò non di meno, l'unione con le nature superiori non è conseguibile senza conoscenza, anche se conoscenza ed unione non sono la stessa cosa. La purezza divina non s'ottiene con la conoscenza, così come quella del corpo con la salute 1 63, e quindi l'unione trascendente e la purezza trascendono la conoscenza. Nulla di umano può da solo conseguire gli esiti ottenuti dagli atti divini. Non si discosta quanto qui esposto dalla tua affermazione che la teologia è santa ed utile, mentre l'ignoranza è oscurità. La prima, infatti, ha dato comunque frutti ricchi.

161 162 163

In questo caso Abammone l Giamblico non intende l'Uno, da cui l'Essere procede. Come sosteneva Plotino, e come - con dei limiti - sostiene Porfirio stesso. Sia la conoscenza che la salute appartengono al dominio individuale. 204

Commento al libro Il (L.A. )

Il II libro dei Misteri riprende il tema dei criteri di distinzione all' interno delle gerarchie divine, ma introduce una diversificazione all 'interno dei quattro generi principali proposti nel I libro. Infatti il genere intermedio dei demoni presenta ora una tripartizione in arcangeli, angeli e demoni propriamente detti, mentre fra eroi e anime (o fra demoni ed eroi: la collocazione di questa stirpe è infatti incerta nel testo) compare un genere nuovo, quello degli arconti. Il II libro dei Misteri, come ha scritto Sodano, è la più esaustiva angelologia che il paganesimo ci abbia tra­ mandato.. Anche se mancano riferimenti espliciti agli Oracoli caldaici, la di­ pendenza di questo capitolo dalle dottrine dei due Giuliani è stata sempre ipotiz­ zata, e sia Cremer che Sodano hanno indicato molti possibili riscontri in questo senso. Per quanto riguarda in particolare il termine 'angelo', esso compare effetti­ vamente nei frammenti degli Oracoli (frr. 1 37-3 8 e cfr. il I degli I l oracoli 'nuovi' di Lewy). Il termine 'arcangelo' non compare, ma Psello (CMAG VI 160,7 Bidez) racconta che Giuliano il Caldeo pregò il I Padre di dare a suo figlio, sul punto di nascere (cioè Giuliano il Teurgo), l'anima di un arcangelo. Per quanto riguarda gli arconti, Cremer (pp. 86-9 1) ha evidenziato i passi di Proclo e Damascio in cui se ne parla in relazione esplicita alle dottrine dei due Giuliani, in particolare all'opera per­ duta chiamata Hyphegetica. In ogni caso una implicita allusione agli arconti planetari poteva essere contenuta nel contesto dei frr. 57 e 164, in cui si parla delle sette sfere planetarie. Nella trattazione di Giamblico, sulla quale torneremo, le caratteristiche degli arconti sono ambivalenti, e questo ha permesso un confronto con gli arconti gnostici, i malefici governatori dei pianeti. Il criterio di distinzione proposto da Giamblico è incentrato sui diversi caratteri delle epifanie, cioè delle apparizioni, degli dèi. Queste epifanie sono più esatta­ mente delle autofanie (cfr. i testi richiamati da Cremer p. 43), cioè delle automani­ festazioni volontarie, e non indotte da costrizioni - più di natura goetica che teurgica - secondo quanto Giamblico ha già stabilito nel libro precedente, e in perfetto accordo con quanto si legge negli Oracoli (o quanto meno in alcuni di essi), in particolare i ffr. 1 42-43, in cui gli dèi dicono di diventare visibili, da in­ visibili che sono secondo la loro essenza, per venire incontro alla debolezza degli umani, che hanno bisogno di vedere per credere. La capacità degli dèi tradizionali di diventare visibili quando essi lo decidano era già stata segnalata - non senza una punta di ironia - dallo stesso Platone nel Timeo. Vengono quindi esaminate e distinte dettagliatamente le autofanie di ciascun genere secondo venti caratteristiche: l forma (semplice o composta), 2 aspetto (bello o pauroso), 3 immutabilità o mutabilità di forme, 4 ordine o disordine, 5 205

bellezza, 6 rapidità delle azioni, 7 dimensioni delle apparizioni, 8 chiarezza delle apparizioni, 9 luminosità, l O brillantezza, 1 1 staticità della luce, 1 2 potere catar­ tico, 1 3 purezza dell'immagine, 1 4 velocità di consWlZione della materia (nella quale si manifestano), 1 5 doni frutto delle apparizioni, 1 6 entità al seguito delle apparizioni, 1 7 luoghi abitati rispettivamente, 1 8 potenza della luce, 1 9 effetti sull'anima di chi contempla le autofanie, 20 beni frutto delle autofanie. Anche in questa sezione, certamente una delle più interessanti dell'opera, echi degli Oracoli sono chiaramente percepibili. L'identità di pensiero e azione negli dèi (punto 6) trova un riscontro nei fu. 22 e 25. Le dimensioni delle apparizioni degli dèi (punto 7) sono simili a quelle descritte nel fr. 1 47. La luminosità delle apparizioni degli dèi, degli arcangeli e degli angeli (punto 9) è un tema largamente presente negli Oracoli: ad es, fu. 1 39 e 145. La brillantezza del fuoco divino (punto l O) è definita 'indivisi bile e inesprimibile', tipiche espressioni caldaiche (fu. 77 e 19 1), come risulta anche dalla testimonianza di Psello (CMAG VI 1 63,9; cfr. Cremer pp. 48-9). La purezza dell'immagine delle anime (punto 1 3) è 'con­ taminata da spiriti estranei' , espressione presa quasi di peso dal fr. l 04. Ancora più rilevanti appaiono i prestiti dagli Oracoli al punto 1 5 (doni delle apparizioni). Che l'apparizione degli dèi porti una vampata di calore avvolgente rinvia al fr. 1 39. Che dia corpo all' incorporeo rinvia al fr. 1 42. Invece i 'doni' dei demoni (termine che nella nuova tripartizione assume per lo più connotazioni negative: più avanti vedremo che Giamblico distingue fra demoni buoni e demoni cattivi) sono tutti negativi, perché la loro apparizione appesantisce il corpo con malattie, trascina l'anima verso il basso e trattiene chi si affretta verso l'alto - cioè ne im­ pedisce o rallenta la purificazione - e non ci libera dalle catene dell'heimarmene. Tutti caratteri, questi, presi in prestito dalla descrizioni dei 'cani della terra', i de­ moni dei fu. 1 02-3, 1 55, 1 6 1 e 1 63 degli Oracoli. Caratteri analoghi presenta la visione delle anime impure. L' apparizione di quelle pure, al contrario, collocate allo stesso rango degli angeli, infonde nello spettatore soprattutto la speranza di salvezza, su cui cfr. il fr. 47. Le entità al seguito dei demoni malvagi (punto 1 6) sono bestie dannose, sanguinarie e selvagge, come i cani della terra degli Oracoli. Le entità e i fenomeni che circondano l'apparizione dell'anima del mondo sono identici a quelli che seguono e accompagnano Hecate nel fr. 1 46. L'anima che si piega verso il basso, invece, è sommersa da tormenti e appesantita da spiriti ma­ teriali, tratti, questi, per cui è utile il cfr. coi fu. l 04, 1 1 4 e 1 63-64 degli Oracoli. Il punto 1 7 (regioni abitate) svolge un tema presente nel fr. 1 38. La potenza della luce (punto 1 8) degli angeli rinvia al fr. 1 3 7. Le apparizioni degli dèi imprimono nell'animo dello spettatore (punto 1 9) una tensione erotica verso l'alto, e anche questo è un tema oracolare. Quelle dei demoni, invece, lo spingono a diventare preda dei 'cani della terra' . E tuttavia tale elencazione, così dettagliata, dei caratteri distintivi delle ap206

parizioni delle gerarchie divine non risolve completamente il nuovo quesito posto da Porfirio: come faremo a distinguere un dio da un demone o da un arconte, posto che questi ultimi sembrano avere la capacità di assumere le sembianze di un dio, cioè di spacciarsi per ciò che non sono (aù·toA.oyEiv)? In realtà, come sap­ piamo dalla Vita di Edesio di Eunapio, lo stesso Giamblico fu testimone di un epi­ sodio del genere, quando nel corso di una seduta medianica il fantasma di un gladiatore assunse le sembianze di Apollo (della qual cosa lo stesso Giamblico ebbe cura di avvertire gli astanti). La risposta di Giamblico è che gli dèi non ingannano nessuno. Se si verifica una cosa del genere si è verificato un errore nell'arte teurgica (situazione prevista dal fr. 1 4 1 degli Oracoli), che ha consentito a un essere delle classi inferiori di as­ sumere l'aspetto (crxiìJla) di un essere delle classi superiori. Per non cadere in er­ rore i sacerdoti devono imparare bene l'intero ordine delle apparizioni, ma in ogni caso la possibilità di errori soggettivi non invalida il valore dell'arte teurgica in quanto tale. I teurghi sanno riconoscere i caratteri distintivi delle apparizioni so­ prattutto dalla 'brillantezza' del fuoco divino, e sono detti perciò i veri 'atleti del fuoco' (possibile allusione polemica alla gnosi cristiana, che usava lo stesso ter­ mine). Gli errori vengono commessi in massimo grado, invece, dalla teagogia o goezia, che deve essere rigorosamente distinta dalla teurgia. La successiva affermazione di Porfirio (l' ignoranza - agnosìa - rispetto agli dèi è empietà, cosa santa invece la scienza e la conoscenza degli stessi) spinge Giamblico a fare una importante precisazione, che coinvolge il ruolo e il signifi­ cato stesso della teurgia. Quello che tu dici è vero - risponde Giamblico - ma oc­ corre osservare, in primo luogo, che l'ignoranza da sola non rende false le cose of­ ferte agli dèi nel modo opportuno e le cerimonie teurgiche. In secondo luogo, che qui non è questione di conoscenza, perché non è il pensiero che congiunge i teur­ ghi agli dèi. Se così fosse, infatti, cosa impedirebbe a coloro che filosofano teo­ reticamente di raggiungere l'unione con gli dèi? In realtà sono l'esecuzione delle azioni inesprimibili (àppi)'trov), compiute in modo conveniente al dio e al di sopra di ogni intelletto umano e il potere dei simboli muti, comprensibili solo agli dèi, che producono l'unione teurgica con essi. Non è il nostro pensiero a compiere queste opere (in tal caso la loro efficacia sarebbe solo intellettuale, voEpà ÈvÉpyEta e partirebbe solo da noi), ma sono gli stessi segni (cruvSÉJla'ta) divini a compiere tale opere, perché la potenza degli dei li riconosce. Questi sono vera­ mente efficaci, i nostri pensieri invece sono solo concause del ridestarsi della vo­ lontà degli dèi di manifestarsi. Naturalmente l'unione con gli dèi non si verifica al di fuori della conoscenza, ma questa è una condizione necessaria, non sufficiente, dell'unione trascendente con gli dèi. Anche in questo caso gli echi degli Oracoli sono evidenti. Il termine cruv8EJla 207

è presente nei frr. 2 e 109, e indica i segni materiali (animali, erbe, pietre) legati ad ogni singola divinità, e che la 'richiamano' nel corpo del medium o della statua (cfr. Cremer 1 09). La tesi che la 'conoscenza' degli dèi non sia veramente tale, perché va oltre l'intelletto umano, è espressa chiaramente nel fr. l . Tale tesi era in realtà caratteristica anche di Plotino, che parlava di una 'unione mistica', e non di una conoscenza dell'Uno, essendo questi 'al di là' dell'essere e dell'intelletto. E questo ci porta nuovamente alla questione dell"irrazionalismo' di Giamblico. Il passo che ho appena esaminato viene sempre citato dai commentatori come mas­ sima prova del fatto che i Misteri sarebbero il 'manifesto dell' irrazionalismo'. Tuttavia occorre notare due cose. La prima, che Giamblico fa ancora della cono­ scenza una condizione necessaria, anche se non sufficiente, ali 'unione con gli dèi. In secondo luogo che il presunto razionalismo di Plotino, che viene sempre usato come contraltare dell'irrazionalismo di Giamblico e della sua scuola, non è vera­ mente tale, perché nega che l'intelletto possa avere accesso alla conoscenza dell'Uno. Tale conoscenza è in realtà, come ho detto, una unione mistica (non a caso la dottrina di Plotino è richiamata dal rappresentante dell'irrazionalismo, Demea, nei Dialoghi sulla religione naturale di Hume). Tale unione, oltre a non avere nulla di razionale, ha il difetto, rilevato da Giamblico, di apparire uno slan­ cio soggettivo, privo di qualsiasi 'riscontro' oggettivo e quindi legato esclusiva­ mente alle condizioni mutevoli della mente del singolo (l 'uso del termine voEpà ÈvÉpyEta è molto significativo a tale proposito). La teurgia propugnata dagli Ora­ coli e da Giamblico appare quindi non una via opposta al 'razionalismo' di Pio­ tino e di Porfirio, ma una diretta conseguenza di esso, cioè del fatto che esso non era veramente tale.

208

LIBRO III

Porfirio: "In primo luogo vorrei che tu mi spiegassi chiaramente cos 'è che rende possi­ bile la divinazione. Non di rado, otteniamo la conoscenza di eventi futuri nei sogni, mentre dormiamo: quindi quando ci stiamo riposando, non quando ci troviamo nel tumulto del! 'estasi. Ma non si capisce cosa avvenga, allo stesso modo di quando siamo svegli164". SEZIONE X l (pp. 99-1 02) La divinazione non è un'invenzione umana, ma divina e, pertanto, è posta al di là della natura; essa è mandata giù dal Cielo, ed è ingenerata ed eterna. Non ha origine nel mondo corporeo e quindi non può scaturire dall'esperienza umana. Si basa su rituali e simboli divini trasmessi dagli dèi. 2 (pp. l 02- 1 06) Abbiamo sogni premonitori mentre dormiamo, e ci troviamo, quindi, col corpo in stato di quiete, ma la consapevolezza non è così chiara come quando siamo svegli. Talvolta questi sogni sono veri, ma altre volte sono ingannevoli. Ma i sogni inviati dagli dèi hanno luogo nel crepuscolo tra sonno e veglia, o appena svegli, allorché udiamo una voce che ci informa. È uno spirito invisibile che entra (nella nostra coscienza) con un suono e si diffonde impalpabile, compiendo un'opera liberatoria per anima e corpo (consentendo un attimo fuggente di con­ tatto col divino). Altre volte splende una luce calma e brillante, ma la vista è im­ pedita, anche se gli occhi sono spalancati, e gli altri sensi vigilano e realizzano come gli dèi siano in quella luce. Altre volte ancora il dormiente sente ciò che essi dicono e capisce ciò che fanno. La condizione migliore è quella in cui, con occhi attenti e mente concentrata, l'astante segue ciò che si sta svolgendo. Quindi queste manifestazioni sono varie e dissimili dal sogno umano, essendo indici della presenza divina: veglia (sonnolenza!), vista impedita, catalessi, cre­ puscolo del sonno, subitanea eccitazione dell'attenzione. Queste sono le con­ dizioni adatte alla presenza divina, che è chiaramente percepita come fossimo svegli. Non tutti capiscono.

1 64 È questa

la mantica "spontanea", distinta da quella che si ottiene con pratiche particolari - anche o ggi , si

pensi come esempio di quest'ultima ai Tarocchi o al / Ching - da svolgersi, ovviamente, in stato di veglia.

209

3 (pp. l 06- 1 09) Dicono i sapienti: l'anima, ha una doppia natura, una legata al corpo, e l'altra separata dalla corporeità. N ella veglia usiamo la prima, mentre ce ne stacchiamo allorché usiamo l'intelletto puro e il pensiero. Nel sonno invece siamo liberi dai legami che ci incatenano al mondo della generazione, e quindi l'anima è desta e sviluppa le sue potenzialità. L'intelletto considera la realtà, ma l'anima contenendo in sé le cause delle nature generate16 5 , ha la precognizione di esse. Ancor più, allorché l'anima si collega al tutto da cui si separò166, allora si ottiene una preco-­ gnizione precisa e completa. Così, sciolta temporalmente dai legami corporei ed unita agli dèi, grazie ad un'energia liberata da questa condizione, l'anima riceve pienezza di comprensione; quando ella connette le sue parti più spirituali e divine alle classi superiori le im­ magini sono più pure. Allora gli dèi elevano i principi della generazione in essa contenuti 167• L'anima riceve allora da essi la conoscenza di presente e futuro. Ma non solo: essa può guarire i corpi malati, e ripristina l' ordine dove c'è disordine e discordia, e dona informazioni su tutti i campi (sono quelle che si chiamano oggi intuizioni folgoranti). Ricordiamo l' oniromanzia terapeutica nel tempio di Esculapio, dove il paziente guariva a seguito di un sogno ottenuto nel tempio (nel rito di incubazione, in cui si dormiva nello spazio sacro), e anche la salvezza dell'esercito di Alessandro per un sogno inviato da Bacco, e la salvezza del re Aphutis, quando era assediato da Lisandro, che, per un sogno inviato da Ammone, ritirò l'esercito (tutti episodi noti ai contemporanei e documentati). Porfirio: "Molti, quando si trovano in stato di enthusiasmo (trance, possessione divina) e sono ispirati dal divino, sono in grado di predire eventi futuri, pur essendo svegli, e i loro sensi sono attivi, purtuttavia non sono consapevoli della condizi­ one in cui si trovano rispetto allo stato in cui erano prima" 4 (pp. 1 09- 1 1 1 ) Segni di vera possessione si riscontrano in coloro che hanno dedicato la vita al divino, offrendosi come veicolo per gli dèi168• Non offrono predizioni contin1 65 Poiché non solo appartiene, seppur ultima - come affermato da Plotino - alle classi superiori, ma è essa a dare origine all 'esistenza corporea.

1 66 Owero dall'Anima Mundi, di cui è una particolarizzazione, così come l'onda lo è del mare. 1 67 Ovvero, ne invertono la tendenza: l'anima invece di essere attratta verso il divenire, vien fatta

mondo delle Cause Prime.

rivolgere al

1 68 Contrariamente a quanto afferma la critica odierna, questi non sono i medium dello spiritismo moderno. 210

gentemente né si addestrano allo scopo di predire. Il fuoco non li brucia, in quanto sono difesi dall'ispirazione divina, e non sentono l'ustione, perché non sono in stato vitale animale, né sentono punte che li trafiggono. Altri non si accorgono di mutilazioni loro inflitte (come i sacerdoti della Grande Madre). Le loro forze non sono umane. Luoghi inaccessibili divengono loro accessibili e non subiscono danni, come i sacerdoti di Castabala169• Coloro che si trovano in stato di enthusi­ asmo (trance) non sono consapevoli del loro stato e, come condotta generale, non perseguono una vita umana od animale, poiché l 'hanno scambiata per otteneme una divina. S (pp. l l l - 1 1 2) A diversi tipi di possessione corrispondono segni diversi. Diverse sono anche le divinità che inspirano e talvolta si partecipa a livelli massimi, medi o infimi del potere divino. Il corpo talvolta può innalzarsi, sollevandosi dal suolo 1 70, o apparire più grande, o più piccolo. 6 (pp. l l 2- 1 1 4) Il fenomeno più grande è la discesa di uno spirito divino, che entra in qualcuno e lo governa. Il fenomeno è anticipato dall'apparizione di un fuoco, che talvolta ri­ sulta visibile a tutti gli astanti, talaltra è invece visibile all'uscita della divinità. Esso è testimonianza della potenza divina e della genuinità della sua azione. Altri, pur celebrando gli stessi riti, non vedono questi fenomeni e capiscono solo da pic­ coli segni cosa sta avvenendo. Chi è circondato dal fuoco divino sceso su di lui non è certo in grado di esercitare le proprie facoltà individuali. 7 (pp. 1 1 4- 1 1 5) Non basta certo conoscere queste cose, per potervi partecipare attivamente. L'enthusiasmo (possessione divina) non deriva da conoscenza intellettuale congiunta ad ispirazione demonica, poiché né la mente è attiva, né i demoni ne sono i protagonisti, ma piuttosto gli dèi. Non è identico all'estasi 1 7 1 , essendo un'innalzamento ad un più alto stato dell'essere. Delirio (frenesia) ed estasi indi­ cano invece un abbassamento. Questi sono effetti che discendono da un evento principale, la totale possessione da parte di un dio, che genera l'entuasiasmo. L'enthusiasmo non dipende quindi da alcuna facoltà o deficienza umane (quali malattie), né dall'esito di azioni umane, che, queste ultime, sono invece usate 1 69 In Cappadocia, dove c'era un tempio di Artemide Prasia - "colei che attraversa"-, le cui sacerdotesse cam­ minavano sulle braci ardenti. 1 70

Non solo gli allievi di Giamblico hanno testimoniato che questo avveniva al loro maestro, mentre pregava,

fino all' altezza di 171

I O cubiti, ma lo stesso evento è stato testimoniato per S. Francesco e S. Chiara in preghiera.

Qui Moreschini intende "estasi" nel senso di "uscir di sé irrazionalmente".

211

dalla divinità. Non entrano in questione né l'anima né il corpo dell'individuo, anzi, se questi sono disturbati, rendono inattendibile la mantica e l'enthusiasmo. 8 (pp. 1 1 5- 1 1 7) L'enthusiasmo non discende né dall'anima né dal corpo, né dalla sinergia di en­ trambi, perché allora si riscontrerebbe anche presso gli animali. La frenesia (ma­ nia) discende dagli dèi, la cui ispirazione prende il controllo totale di noi, annien­ tando le facoltà individuali. Escono parole non pensate da chi le pronuncia, perché l'individuo è sotto il dominio del dio. Porfirio: "Taluni, affetti da alienazioni mentali, si eccitano fino all 'enthusiasmo al suono di cimbali o tamburi, o di canti modulati come quelli dei Coribanti, o quelli dei culti di Sabazia e della dea Madre. " 9 (pp. 1 1 7- 1 20) Occorre soffermaci sull'effetto inebriante della musica (soprattutto le percus­ sioni). Si vedano, come esempi chiari, i culti dei Coribanti, del dio Sabazio 172 e della Madre degli dèi173• Il suono dei flauti può cambiare l'umore17\ può guarire o scatenare la furia bacchica. I canti instabili e irregolari di Olimpo (allievo di Mar­ sia), adatti all'estasi, sono tuttavia inefficaci per raggiungere l'enthusiasmo perché sono fisici ed umani, frutto della nostra arte, senza che vi sia alcunché di divino. Piuttosto, certi suoni e melodie sono consacrati agli dèi, essendo loro re­ lazionati 175 , in armonia con il cosmo e con i suoni che scaturiscono dal suo movimento. Tale relazione delle melodie agli dèi rende manifesta la loro pre­ senza: nulla la impedisce e qualsiasi cosa abbia affinità con gli dèi, in qualche modo partecipa della loro essenza. È allora che ha luogo una possessione perfetta: infatti, l'ispirazione divina non è disgiunta dall'armonia divina ed è affine ad essa: per questo motivo questi canti determinano la condizione di corpo ed anima, non perché corpo ed anima subiscono l'influsso del canto, nel senso che taluni sosten­ gono, in quanto quest'ispirazione non ha nulla a che fare con patologie o farmaci. Neppure è vero che l'anima consiste di armonia o ritmo (l'enthusiasmo allora 1 7 2 Wi lder: i culti dei Coribanti erano culti della dea Madre diffusi nell'area dell' Egeo e in Frigia. Sabazio, i­

dentificato con Bacco o Dionisio e il pianeta Satumo, era associato alla dea Madre. 1 73

Moreschini: si

tratta di Cibele.

1 74 Taylor: si vedano episodi nella vita di Pitagora, come quando, suonando il flauto, placò la furia di un ebbro

in preda alla gelosia.

1 75

Moreschini: questa è dottrina pitagorica; cfr. Cicerone, Il sogno

Gerasa, neo-pitagorico del

I sec.

di Scipione 6, 1 8. Sodano cita Nicomaco di

d. C., che assimilò le sette corde della lira ai sette pianeti.

212

non sarebbe divino ma le apparterrebbe): piuttosto, prima d'incarnarsi, l'anima avrebbe udito certe melodie e pertanto le segue allorché le riconosce 1 76• Da queste considerazioni possiamo tracciare la fonte della divinazione, fonte comune sia all'enthusiasmo, che alla musica divina. Porfirio: "Ma altri raggiungono l 'enthusiasmo (ovvero: vengono posseduti dal dio) solo bevendo acqua, come nel culto oracolare di Clario, a Co/afone; altri, stando seduti al! 'imboccatura di una caverna, come la sacerdotessa di Delfi, o inebrian­ dosi con vaporei acquei, come le profetesse a Branchide. " 10 (pp. 1 20- 1 23) L'entusiasmo (che significa "possessione divina", come s'è detto) non è opera naturale, ma dono divino e pertanto superiore a qualunque cosa pertinente al regno della generazione. Il potere dei Coribanti protegge e rende efficace, quello di Sabazia conduce all'ispirazione bacchica e alla purificazione dell'anima, sciogliendo precednti ire divine: due ispirazioni diverse tra loro. Ancora diversa l'ispirazione della Grande Madre, i cui seguaci, contrariamente a quanto si ritiene, sono femmine o solo pochi maschi effeminati; la natura di questa è generativa e perfetti va. 1 1 (pp. 123- 1 28) A proposito dei centri oracolari, e sulle diverse tecniche ivi impiegate: con­ sideriamo l'oracolo di Delfi, dove la sacerdotessa profetava stando seduta presso una fessura della roccia (da cui scaturivano vapori). Tali atti avvenivano ovvia­ mente in contesto rituale. Il mezzo assunto dal sacerdote è irrorato dali' esterno dal dio, che vi effonde il proprio potere: in questo modo viene purificato lo spirito luminoso che è in noi, ragione per cui siamo resi adatti a ricevere il dio. Questi, come è chiaro, resta al di fuori di tutto, cose, persone ed azioni della cerimonia di­ vinatoria. La Pythia, sacerdotessa di Delfi, si dona integralmente al dio, e, quando è avvolta dallo spirito che esce dalla fessura, si riempie di splendore divino e si armonizza completamente col dio. Il dio è quindi con lei, al di fuori di ogni altro aspetto, ivi compreso il vapore che esce dalla roccia. Tutta la ritualità, i sacrifici e gli oggetti, i digiuni ed i lavacri, in funzione dell'ottenimento dell'oracolo, servono per invocare il dio. Allora la sacerdotessa è meravigliosamente ispirata e 176 Moreschini ricorda la dottrina platonica che riteneva che sfere celesti : Platone,

Fedro 250bd.

213

l'anima, prima di incarnarsi, fosse vissuta nelle

si avvicina al posto da dove divina, e un altro dio, più antico, causa del luogo, della fenditura e della mantica, ma separato da ciò che egli stesso ha causato, splende radioso177• 12 (pp. 1 28- 1 29) Da quanto s'è detto, è evidente che il potere che rende possibile la divinazione non è legato né ad un luogo particolare, né a tecniche speciali, né ad altro che ap­ partenga al mondo del divisibile (= mondo sensibile). Esso è un potere che colma tutto 1 78, ed è presente per chi è in grado di accedervi. Per questa ragione, in qua­ lunque luogo e tempo, è possibile ottenere oracoli, poiché il divino è, per così dire, esterno a tutto ciò che è particolare o temporale (luoghi, oggetti, atti o peri­ odi, ore, ecc.). Porfirio: "Altri conseguono l 'enthusiasmo stando in piedi su caratteri o glifi, e ricevono in sé degli spiriti. Altri ancora, in piena consapevolezza, ricevono l 'ispirazione divina lasciandosi andare all 'immaginazione. C 'è poi chi si serve del buio, chi assume determinate pozioni, o recita incantsimi o componimenti vari. Alcuni sti­ molano l 'immaginazione guardando nei riflessi del! 'acqua, nelle ombre su un muro, o ali 'aria aperta, o al Sole, o guardando un preciso corpo celeste. Infine è nota l 'arte di conoscere il futuro investigando la forma delle viscere di animali sacrificati, o del volo degli uccelli, o degli astri. " 1 3 (pp. 129-1 32) Esiste una divinazione privata, fatta con l 'utilizzo di 'caratteri ' 1 79 e molti ne fanno un uso perverso. Si crede che uno spirito entri ne li' officiante, ma in realtà si suscita in questo modo un moto dell'anima contro gli dèi, che a sua volta attira spiriti maligni. Invece la mantica che si rivolge agli dèi resta sempre pura: come le tenebre devono sparire alla luce del Sole, non potendone sopportare lo splendore, così la potenza degli dèi toglie ogni possibilità d'azione alle forze maligne. Chi pratica la mantica privatamente trascura spesso la ritualità della contemplazione, sia per l 'invocazione che per la visione, e ritiene che sia sufficiente operare con i caratteri, e che aver operato per un po' comporti automaticamente la discesa di uno spirito. Si tratta di persone frettolose, che non si chiedono come possa deri1 77 W i lder suggerisce che qui si alluda ad una divinità egizia, Imopht o Emeph, l 'Asclepio degli Egizi. 8 1 7 Poiché è un potere che procede dalla Causa Prima, o Primo Intelletto, mondo degli dèi. 179 Wilder ricorda come lo stesso Mefistofele, nel

Faust di Goethe, resti bloccato da un pentagramma tracciato

sulla soglia.

214

vare alcunché di nobile ed elevato da un simile comportamento superliciale nei confronti del sacro. 14 (pp. 1 32- 1 34) Altri, pur restando coscienti per il resto, tramite tecniche diverse, tutte per­ sonali, praticano la divinazione ottenendo l 'ispirazione per via dell' im­ maginazione. Si può chiamare questa modalità mantica "apporto di illuminazi­ one", dove l'illuminazione, diffusa dal dio, può venir accolta da chi possieda un'eccellente natura: la luce divina accende il "veicolo eterico, che circonda l'anima"1 80 e la visione scende nell'immaginazione, così penetrando in noi. La forza vitale dell'anima e ogni nostra facoltà è così sottomessa al dio. Ciò avviene in due maniere: o il dio direttamente è presente nell'anima, o vi invia la propria luce. La ragione discorsiva non viene pertanto toccata in questo processo (da qui il mantenimento dello stato di consapevolezza e coscienza), che riguarda solo la fa­ coltà immaginativa. Innumerevoli sono le modalità di realizzazione, sia secondo le preferenze degli dèi, sia per dinamiche di opposti e simili o per vie consolidate dalla ritualità. Tutto dipende dagli dèi, per mezzo della luce che essi promanano. 1 5 (pp. 1 35- 1 36) Infine esiste la manti ca per deduzione: divinazione artificiale (diversa da quella fin qui trattata, che è fondata sull'illuminazione diretta), in cui si es­ plorano segni particolari per divinare. Gli dèi rendono questi segni perfetti, adatti a richiamare eventi o cose a tali segni apparentate 1 8 1 , oppure tramite la natura o tramite i demoni preposti alla generazione, le divinità rendono questi segni visibili. Si tratta quindi di simboli dell'ordine cosmico voluto dagli dèi, che generano tutto mediante immagini, le stesse che sono penetrabili attraverso i simboli. 1 6 (pp. 1 36- 1 39) I demoni che sono preposti agli animali, così come l'aria e il moto dei cieli, possono trasformare le viscere degli animali, assecondando il volere divino: così si può scoprire che ad una vittima sacrificata mancavano organi vitali, senza i quali non avrebbe potuto vivere182• Così gli uccelli sono mossi non solo dalla loro anima, ma anche dal demone che presiede sopra gli animali, così anche è mossa la V. libro I sez. II 8. Wilder: l'"aura astrale" di Paracelso o il "Kamarupa" dei brahamani hindù. Segni che il divinatore individua, come decrittando un codice. 1 82 Si tramanda che mancava la testa del fegato all'agnello sacrificato il giorno in cui Cesare fu ucciso (Ta­ ylor). 180 181

215

circolazione dell'atmosfera: tutto è improntato dalla forza che discende dal Cielo, e che tutto fa muovere in perfetta armonia. La parte più alta e pura del cielo si in­ fiamma (fulmini, meteoriti), secondo il volere divino: la simpatia del tutto, che fa del tutto qualcosa simile ad un unico essere vivente, fa discendere i segni celesti degli dèi. Essi, liberi dalla generzione, posti al di sopra del divenire, regolano quest'ultimo: dalla divinazione si passa così a considerare l'azione demiurgica e la provvidenza divine. Porfirio: "Ancora vorrei sapere con quale modalità si realizza la mantica e come si qualifichi. Infatti, tutti i divinatori sono concordi nel/ 'affermare che i vaticini che essi ottengono, li ottengono grazie agli dèi o ai demoni: solo questi conoscono il futuro. Allora dèi e demoni sono tanto sottomessi all 'uomo da non opporsi nep­ pure a chi chiede oracoli usando la farina (lanciata, per osservame la forma e trame l' oracolo)" 1 7 (pp. 1 39- 1 43) I divinatori affermano che possono conoscere il futuro solo attraverso la me­ diazione di dèi e demoni. Il che non significa che questi siano al servizio degli uomini e che giungano persino a prestarsi alle previsioni fatte con la farina. La trascendente bontà degli dèi, che sono causa di ogni cosa, è provvidenza, non ser­ vilismo. La forza divina né può essere attratta giù, presso di noi, né può diretta verso di noi, poiché essa né s'allontana da sé stessa (essendo staccata dal mondo), né si consuma, diminuendo, né può essere assoggettata a chi la riceve: al con­ trario, tutto le è sottoposto. Gli uomini cambiano, si attaccano con passione a ciò che gestiscono: non così gli dèi, che splendono ed irradiano la loro bontà su tutto l 'universo, rendendolo simile a sé. Trascendenti rispetto ai mondi che essi stessi creano. Essi promanano un'anima a cose che non l'hanno, rendendo quindi tec­ niche mantiche assai diverse tra loro atte a poter predire il futuro. Essi fanno "par­ lare" gli oggetti impiegati nella divinazione, così come fanno pronunciare frasi di profonda saggezza ad un folle. Attraverso queste manifestazioni, che ci appaiono miracolose, gli dèi ci spingono alla gnosi, cercando la verità che si cela oltre le apparenze. Porfirio: "Ma, per tornare alle cause della divinazione, è dubbio se sia presente nelle visioni o nella mantica un dio, un angelo, o altra potenza delle classi superiori. Potrebbe trattarsi invece di forze tirate giù dai sacerdoti con le ineludibili invo. cazwm., , . 216

1 8 (pp. 1 43- 146) Non è possibile celebrare alla perfezione un rituale, conformemente all' arte sacra, senza che sia presente un essere superiore 1 83• La perfetta riuscita è inequivo­ cabile segno di tale presenza. Non si può neppure attingere una qualche cono­ scenza sugli dèi senza l'aiuto delle divinità stesse. La razza umana è debole e fra­ gile, soggetta ad ininterrotto cambiamento, ha il nulla in se84• Solo rimedio è la partecipazione alla luce divina. Chi la respinge è come uno che tenta di estrarre in­ telligenza da un essere che ne è privo. L 'invocazione - a questo punto è divenuto chiaro - non esercita forza sul dio, per attrarlo giù, ma ascende per assimilazione (rendendosi simile), e così ha successo. 1 9 (pp. 1 46- 1 47) È blasfemo ritenere che un essere superiore possa essere impiegato come mezzo per ottenere un vaticinio. Piuttosto la verità è che Dio è tutto (perché causa di tutto), è onnipotente e ha riempito tutto di sé, e quindi Lui solo merita il mas­ simo onore e riguardo. L'uomo è un giocattolo: si deve ridere quando si ascolta qualcuno dire che un dio è automaticamente presente in qualche persona, oggetto, luogo o atto, secondo il ciclo della generazione o per qualsiasi altra ragione. Ciò che non è stato generato, se rientra nel ciclo delle generazioni non può essere as­ solutamente superiore, come invece è, né può essere causa di tutto, se è effetto di una causa precedente. Questa è la risposta alle concezioni errate che molti proiet­ tano anche sull'azione demiurgica e sulla provvidenza divina, allorché negano la cura nei confronti dell'uomo. Credere che l'esperienza umana possa fungere da paradigma per la creazione e la provvidenza divine è errore fatale. Porfirio: "Oppure è l 'anima ad affermare e immaginare queste cose, poiché esse non sono che passioni del! 'anima, quando viene eccitata da piccoli incentivi?" 20 (pp. 147- 1 50) Tutto ciò che presenta affinità col divino deve avere causa divina: infatti non può essere generato dal meno perfetto ciò che è più perfetto. L'anima umana è chiusa in una singola forma ed è tenuta al buio nel corpo: una condizione che si

1 83

184

Vedi --> libro III 1 3. Si veda la dottrina di Plotino: la materia come difetto di essere. 217

può definire "oblio del fiume Amalete o acqua del Lethe"185, oppure si può de­ finire come vincoli creati dalle passioni, oppure si può anche definire ignoranza e follia, oppure ancora mancanza di forza vitale. Comunque la si chiami, questa condizione umana è ancora al di sotto di queste definizioni. Come può, quindi, l'anima, essendo ristretta in tale condizione, produrre l'energia sufficiente per compiere le operazioni di mantica? Solo illuminati dagli dèi possiamo compierle, e questo vale anche per le anime più perfezionate (attraverso la filosofia e il culto). Lo stesso vale nella theirgia, dove l 'intervento divino è requisito irrinun­ ciabile. Porfirio: "Oppure si tratta di una via di mezzo, prodotta sì, dall 'anima nostra e da un 'ispirazione divina accesa da piccole scintille provenienti dal! 'esterno?" 2 1 (pp. 1 50-1 52) Quest'apparente plausibilità della domanda non deve trarre in inganno: se due cose si uniscono, è una sola cosa quella che ne risulta. Così le singole anime unite insieme danno l'anima totale (Plotino). Ma il divino non può unirsi a cio che da esso procede, essendo completamente trascendente 186 e quindi l' anima non può divenire una cosa sola con l'ispirazione divina. Così, "piccole scintille" che pos­ sono accendere in noi forme divine, sono un' assurdità, poiché come potrebbero cose ordinarie diventare divine?187 Gli dèi non possono essere allo stesso livello con l'anima umana, che da essi procede. La divinazione ha solo origine divina.

Porfirio: "Quindi si deve dire che l 'anima genera da essa stessa quella potenza che at­ traverso l 'immaginazione percepisce il futuro, mediante espedienti di questo gen­ ere, oppure che le cose che giungono dalla materia costituiscono demoni, medi­ ante le potenze ad esse stesse intrinseche, in particolare quelle cose cha hanno origine vivente, essendo tratte da animali?"

Sono i fiumi infernali le cui acque, bevute dall 'anima nel discendere nel corpo, danno l'oblio della condi­ zione precedente all'incarnazione. 1 86 Oweto: il mondo del divenire, della molteplicità, discende dal divino, poiché ha la causa prima in esso, che �uindi tutto trascende. 1 7 Owero: trascendenti ed impassibili: se diventano una cosa diversa, sono soggette a cambiamento. 185

218

22 (pp. 1 52- 1 54) L'anima non crea, colla sua attività, un'immaginazione (mantica), né, elabo­ rando forze fisiche, specialmente quelle mutuate dagli animali, può generare de­ moni. Come potrebbe un 'anima, rinchiusa nel suo carcere corporeo, generare ciò che gerarchicamente le è precedente ed esiste separatamente da essa? Come può un demone essere soggetto al divenire? Una forza tale (il demone creato) esisterebbe quindi, prima di essere creata (perché le conferirebbe la potenza per crearlo ciò che da lui è creato), e ciò è con tutta evidenza, assurdo. Ciò che è meno perfetto, s'è già detto, non può dare origine a ciò che è più perfetto. Pertanto la di­ vinazione non può scaturire da ciò che non ha forza per farla sussistere: in altre parole, non può nascere da ciò che non ha mantica, infatti, chi gliel'avrebbe con­ ferita? Solo una potenza libera dal divenire può conoscere il futuro. Porfirio: "In effetti, quando dormiamo, e quindi non siamo impegnati in alcunché (ov­ vero: in atti rituali), ci capita di ottenere previsioni sulfuturo" 23 (pp. 1 55- 1 56) Capita che mettiamo in opera un rituale, ma non riusciamo ad ottenere il pronostico, mentre può accadere che, mentre dormiamo, senza aver l'intenzione di conoscere il futuro, esso ci viene rivelato in sogno. Precisiamo che non è vero né che la causa della previsione viene da noi, né che viene dal mondo fuori di noi. Si tratta piuttosto di fatti intrecciati, quelli dentro di noi e gli eventi esteriori, che diventano attivi secondo la catena di causa - effetto188• Ma può avvenire che la causa sia sciolta, ed allora va cercata all'esterno, ovvero dagli dèi, cui spetta la fa­ coltà di render noto, come, quando e se vogliono, il futuro. Porfirio: "Prova che è una passione dell 'anima la causa della divinazione, è ilfatto che si fa in modo che i sensi siano impegnati, che siano introdotte fumigazioni e siano effettuate invocazioni; in questo modo, non certo tutti gli uomini, ma i più semplici e giovani, risultino i più adatti ali 'arte mantica. " 24 (pp. 1 56- 1 58) La previsione del futuro non ha nulla a che fare con le passioni dell' anima, che 1 88 Ovvero: noi non abbiamo ancora tirato le conclusioni di fatti che si muovono concatenati alla nostra inte­ riorità. 219

in sé non hanno alcuna capacità di predizione, essendo l'anima vincolata al pre­ sente. La divinazione può fluire da fuori, come un'ispirazione, quindi non può essere ricondotta ad un'emozione. Porfirio: "L 'uscita dalla ragione con l 'estasi è la causa della divinazione, ed essa è come la follia che prende nelle malattie, o come l 'aberrazione mentale, una con­ dizione di torpore, o l 'immaginazione accesa dal delirio della malattia, od uno stato mentale intermedio, come quello tra la veglia e l 'estasi, o quello che si ha ali 'apparizione stimolata da un incantesimo189. " 25 (pp. 1 58- 1 6 1 ) L'ebbrezza e la frenesia conducono verso il basso; ma vi sono due forme di estasi, ed una conduce in alto. La prima riempie l'animo di follia, l' altra riserva beni molto più preziosi del buon senso umano. Quest'ultima offre sé stessa alle cause supreme e quindi all 'armonia dell 'universo. In cosa dunque la divina pos­ sessione richiama la melancolia 1 90 o l'ubriachezza o qualsiasi altra demenza? Dove interviene l'ordine divino, ogni operazione viene completamente trasfor­ mata e non ha nulla a che vedere con i deliri nelle malattie o altri eventi connessi agli stati fisici. Infine, che non si confondano le visioni ottenute con la magia da quelle che sono invece visioni celesti, essendo le prime prive sia di forza, sia dell'essenza delle cose viste, sia della verità, ma sono mere immagini. 26 (pp. 1 6 1 - 1 64) Al di là di meri fatti accidentali, che casualmente rivelano una verità, ciò che resta sempre stabile, senza variazioni di sorta, fermo armoniosamente nella sua azione, è il solo in grado di conoscere la verità, essendo conesso all'essenza delle cose, che quindi conosce interamente (ovvero: il divino). Questo è appunto ciò che è riferito alla mantica: ben altro che le previsioni di terremoto o tempesta in­ cipiente che alcuni animali sentono, poco prima che accada. Infatti o un legame simpatico lega questi animali a certe parti del cosmo, oppure la finissima qualità dei loro sensi permettono la previsione. È vero che si verifica, in certe professioni (pilota di navi, medico) una certa sensibilità che porta a previsioni particolari, ma - di nuovo - tutto ciò non ha a nulla a che spartire con la mantica divina. Ci sono segni premonitori o valutazioni delle probabilità che possono condurre a previWilder: goeteia, ovvero "magia nera". La melancolia "bile nera" designa lo stato di squilibrio dovuto ad un eccesso di tale bile, secondo la medi­ cina antica. 1 89 190

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sioni esatte, la cui natura è del tutto diversa dalla conoscenza piena che discende dal divino, che è esso stesso causa delle cose.

Porfirio: "Nell 'universo, la simpatia connette tra loro tutte le cose, unendo/e come se fossero parti di uno stesso animale e quindi, come in un corpo vivente, appaiono sintomi da alcune cose in relazione ad altre, come si vede dalle operazioni per predire il foturo. Infatti, coloro che invocano le divinità per questo scopo, ten­ gono attorno a sé pietruzze, bastoncini ed erbe, corpi che trasmettono dei segni, allorché vengono gettati dal vaso che li contiene, a seconda di come si dispon­ gono una volta caduti. " 27 (pp. 1 64- 1 67) Ogni cosa, nell'universo, reca tracce della mantica divina: in ogni cosa l'immagine del bene reca il dio in sé, e con esso una forma di divinazione, più o meno chiara. Ma la mantica divina è tutt' altra cosa, essendo svincolata dalle om­ bre e dai fantasmi che scendono dal mondo del divenire (ovvero: dal mondo della generazione). La mantica discende dalla intellegibile verità immutabile. Non può essere attribuita alla natura, in continuo mutamento, priva di pensiero, che avrebbe immesso in noi, in maniera non uniforme (a chi più, a chi meno) tale capacità di­ vinatoria. La mantica quindi non può venire da noi. Porfirio: "Non si devono neppure disprezzare gli artefici di immagini agenti (stregoni), poiché essi si basano sul moto degli astri e sulle loro reciproche posizioni nelle loro peculiarità, e da questo possono asserire le loro predizioni e l 'uso dei rituali, prevedendone l 'efficacia o meno, senza che alcun dio o demone sia attirato giù da queste immagini. " 28 (pp. 1 67- 1 7 1 ) Le immagini che appaiono non sono necessariamente dello stesso livello: gli stregoni che le suscitano sono lontani dalla verità che è propria di quelle divine. La differenza si vede nel modo in cui sono realizzate: non recano alcun bene, es­ sendo prodotti umani. L'arte del Demiurgo non c' entra nulla, perché essa ha pro­ dotto essenze reali e non mere immagini. Dio crea il mondo dal suo pensiero e dalla sua volontà, attraverso l'anima universale eterna. Lo stregone che forma le immagini, invece, si dice che le faccia con l 'aiuto dei moti stellari. In raltà egli 22 1

opera con le forze emanate dal livello più basso, quello naturale della generazione, allo stesso livello in cui operano, per esempio, il medico o il ginnasta, che asso­ ciano la propria attività alla natura. Ma questi simulacri discendono da un aspetto troppo oscuro, legato al visibile (che costituisce il livello più basso), non certo alle potenze celesti, ma contrario ali ' ordine naturale. Lavorando con tali emanazioni, egli non è certo un teurgo, ma solo un uomo esperto di certe tecniche. 29 (pp. 1 7 1 - 1 73) C'è da chiedersi perché lo stregone si disprezzi così tanto, da dimenticare la sua origine dagli esseri superiori e credere invece in effimere creature, prive di anima e solo apparentemente vive, che egli crea forzando emanazioni pertinenti all'ultimo rango del cosmo, quello della natura visibile. Non si tratta quindi di creature semplici e pure (infatti sono composte da emanazioni diverse), perché la creatività umana non può formare cose che abbiano questi due attributi (semplice e puro). Infatti questi simulacri, che lo stregone crea, non hanno stabilità e svanis­ cono come immagini allo specchio. Il fumo dell'incenso sull'altare forma figure che svaniscono con l'azione dell'aria. È quindi un male che qualcuno perda tempo ed energie per conseguire questi risultati, deviando dalla via della ricerca della verità. L'anima fmisce coll'assimilarsi a queste immagini, in cui essa ha posto la sua fede, scambiandole per divinità. La luce di queste ultime non lo raggiungerà mai. 30 (pp. 1 73- 1 75) Questi stregoni, osservando il corso degli astri, sono in grado di stabilire se gli oracoli saranno veritieri o meno? Se è vero che perfino le cose più infime raccol­ gono e sono mosse dalle potenze celesti, esse sono soggette al cambiamento e alla trasformazione, che sono operati dali' esterno di esse: quindi non possono condi­ videre neppure una piccola porzione di potere divino. I corpi sensibili non gener­ ano neppure demoni ! Un uomo non può formare un demone, ma anzi, al con­ trario, sono i demoni che formano lui. Quindi non si può chiamare "demoni" queste immagini. Conoscere queste cose, ma non praticarle o ritenerle veraci. Porfirio: "Certuni credono che esista una specie di demoni, che, per natura, sono fraudolenti e che appaiono con le forme di dèi o di defimti, distorcendo ogni verità. Essi stessi sono ignoranti delle verità supreme, e si dilettano ad ingannare e deviare chi cerca la via della verità. Orgogliosi, prosperano nei fumi dei sacri­ fici. Sollevano in noi aspettative e desideri per poterei attaccare.

222

3 1 (pp. 1 75- 1 80) La filosofia dei profeti caldei si fonda sul principio che il male è tenebra, che viene dissipata dalla luce. Luce sono gli dèi, che danno solo bene, ordine e purezza. Laddove una persona sia troppo attaccata al mondo corporeo, tanto da commettere un erimine, la sua forza scema così tanto, che non può più attingere alla forza divina. Succede allora che queste persone si attacchino agli spiriti ma­ ligni, fino ad importarne vizi e scelleratezze. Possono così accedere in condizione di impurità ai sacri riti, facendo entrare demoni malvagi invece di dèi, chiaman­ doli "anti-dèi". Sono, a quel punto, capaci di tutto. Il teurgo, al contrario, per il principio sopraesposto della luce che dissipa le tenebre191, non è toccato né minac­ ciato da queste forze del male. La teurgia porta verità negli oracoli così come virtù perfetta nell'anima.

191

v.

libro III 1 3. 223

Commento al libro III

(L. A.) Il tema del capitolo è la divinazione, cioè la capacità di prevedere il futuro. In­ sieme al De divinazione di Cicerone, il capitolo III dei Misteri è una delle fonti più importanti sulla divinazione nel mondo antico. I commenti più analitici a questo capitolo sono quello di des Places (La religion de Jamblique, in Études platoniciennes, 338 sgg.) e di Sodano, ai quali rinvio per le questioni di dettaglio; Poiché la previsione del futuro non è possibile senza l 'intervento di un dio, si riaffaccia, da una diversa angolazione, il tema del capitolo precedente: come e quando gli dèi decidono di intervenire? Giamblico, sollecitato da Porfirio, esa­ mina otto modi tradizionali di effettuare la divinazione o mantica. : durante il sonno, per entusiasmo o invasamento, attraverso la musica, attraverso l' acqua, per mezzo di 'caratteri ' magici, con l'esame delle viscere o il volo degli uccelli, con la farina d'orzo, per mezzo di ciottoli e verghe. Il tipo di divinazione che interessa di più Giamblico è l'invasamento o teophorìa, cioè il portare un dio dentro di sé. Come sappiamo si tratta di una delle branche della teurgia, la medianica. Giam­ blico fa esplicito riferimento alla levitazione del medium e al pneuma o ecto­ plasma divino che discende nel suo corpo, ed egli stesso doveva aver avuto esperienze di questo genere, dal momento che nel corso delle preghiere agli dèi si sollevava dal suolo più di dieci cubiti e il suo corpo e le sue vesti irraggiavano una bellezza aurea (Eunapio, Vite dei sofisti, V l , 8-9). La presenza del pneuma divino è avvertibile anche durante il sogno mantico, che va nettamente distinto dal sogno umano. Il potere divinatorio non è dato dal sogno in quanto tale, ma dalla presenza del dio. Analogamente, non sono né i luoghi né gli oggetti materiali ad avere potere divinatorio. La potenza divinatoria degli dèi può entrare in tutte le cose, comprese viscere, ciottoli, verghe, legno, pietre o farina d' orzo, dando ad esse anima e movimento, perché resta separata da esse e indivisibile (sono qui percepibili ·echi del fr. l 07, in cui viene criticata la mantica priva di ispirazione divina). Analogamente, non è possibile attribuire la divinazione, come ipotizza Porfirio, ad uno stato soggettivo di alterazione dell'anima del singolo, né ad un intervento divino sollecitato dalle preghiere e dalle 'costrizioni' esercitate da oggetti materiali. La mantica divina non ha nulla in comune con le allucinazioni prodotte dagli stati patologici, né il delirio divino ha somiglianza con le alienazioni umane, e abbiamo già visto che nulla può 'costringere' gli dèi. Una divinazione eseguita seguendo le giuste regole teurgiche predispone bene gli dèi, ma non è la vera causa della loro discesa nei corpi. L'ultima ipotesi di Porfirio presa in considerazione in questo capitolo è che la 224

divinazione avvenga per opera di demoni malvagi. La risposta di Giamblico si n­ connette esplicitamente alle dottrine dei «profeti caldei)), cioè verosimilmente ai due Giuliani. Essa ripropone lo scenario dualistico degli Oracoli, nel quale gli dèi della luce combattono contro quelli che qui vengono chiamati senza mezzi termini «antidèi)), e il cui capo potrebbe essere addirittura Ahriman ( 1 75,8). Il commercio coi demoni è dunque possibile, ma non da parte dei teurghi, bensì dei goeti, che non potendo incontrare gli dèi si uniscono con gli spiriti del male: ad essi è pre­ clusa infatti l'ascesa verso il fuoco intellegibile (cfr. Oracoli, passim). Il capitolo si chiude con un pesante rimprovero a Porfirio. Se tu ritieni che tutta la mantica sia opera di demoni maligni - dice Giamblico - fai tua l'opinione degli atei, che ci accusano di avere commercio coi demoni. Poiché gli atei, per un pagano, sono i cristiani, l'accusa è particolarmente grave, ma Giamblico aveva visto giusto, per­ ché infatti Agostino userà la lettera di Porfirio come arma contro i pagani.

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LIBRO IV

Porfirio: "Ma come possono gli esseri superiori accettare il comando di chi gli è in­ feriore eppure li invoca?

S EZIONE I

l (pp. 1 80- 1 82) Gli dèi, per la propria pulsione al bene 1 92, accolgono gli sforzi dell' uomo santo 1 93, mentre i generi delle classi intermedie presiedono al giudizio, consig­ liando cosa è giusto fare. Infine le potenze prive di intelletto (pneumata), sono dedicate ad una singola funzione, così come il coltello è uno strumento che può solo tagliare. Queste ultime sciolgono e coagulano nel mondo del divenire e chi ne sovverte la direzione, manovrando le secondo l'ordine universale della natura, pagherà il fio, perché su di lui ricadrà il peso della violazione. 2 (pp. 1 83- 1 84) In altre parole: la nostra mente ha il potere naturale di ragionare e discernere, per cui impartisce direttive agli esseri che ne sono privi e possono svolgere una sola funzione alla volta (come gli animali). Quindi, per attrarli, invocano quegli esseri (pneumata), come fossero superiori, ma poi danno loro ordini. È infatti legge cosmica che nell'universo alcune parti sono più pure e perfette di altre, che pur hanno maggiore estensione, e che quindi le prime hanno autorità sulle seconde. D'altra parte, la teurgia ha un duplice aspetto: essendo praticata da uomini, è calata nel mondo naturale del divenire, ma, poiché opera con simboli divini, partecipa delle potenze più alte e conduce ali 'unione con esse. Così, da un lato c'è l' invocazione alle potenze sup·eriori, dall' altro l' attuazione delle leggi divine nei confronti di quelle, una volta invocate, attraverso il potere dei simboli sacri.

1 9 2 Qui il linguaggio di Abammone l Giamblico riecheggia quello con cui Platone descrive il Demiurgo nel Timeo (Ciarke - Dillon). 1 93 Moreschini: il termine greco per "santo", che Abarnmone l Giamblico ha qui impiegato, è quello riservato agli adepti dei culti misterici. Cfr. regnum coelorum violentia pate, Dante, Par. xx 94.

226

3 (pp. 1 84- 1 86) Per fare chiarezza, come prima cosa si devono evitare quelle invocazioni che sono eseguite in modo tale come se fossero rivolte ad esseri umani, e quelle pratiche rituali che richiedono partecipazione emotiva. L 'unione in uno stesso in­ telletto col divino, ottenuta con l'arte hieratica, esclude l'azione umana: infatti, come un fuoco, l'attività divina s'irradia per opera propria. Nel mondo del divenire l'opera si realizza attraverso differenze e opposizioni 19\ ma l'opera di­ vina si compie per identità, unione e concordia. Quindi non si può contrapporre invocato ad invocante, superiore ed inferiore, come avviene nel mondo del divenire. Il divino è nella semplicità195 e l'unità196• Porfirio: Se chi li invoca non è persona giusta, essi non possono esimersi da comporta­ menti ingiusti. Gli dèi non ascoltano l 'impuro, ma non rifiutano l 'accesso alla venerazione impura" S EZIONE II

4 (pp. 1 86- 1 87) Gli dèi conoscono integralmente il principio vitale dell'anima e tutte le vite an­ teriori. Il nostro concetto di "giustizia" è limitato dalla nostra vista corta. Gli uomini scambiano per ingiustizia le correzioni che gli dèi appongono ai nostri er­ ron. 5 (pp. 1 87- 1 89) Veniamo al tema di colui che patisce immeritatamente, non avendo mai as­ sunto comportamenti iniqui (il "giusto sofferente"). Noi non siamo in grado di pronunciarci sulla totalità del suo spirito vitale (la "personalità" nel lessico di Guénon) e sulle colpe da lui commesse nelle vite anteriori, colpe che non sfug­ gono agli dèi, che osservano la complessità dell'universo nel suo insieme. Da qui scaturisce la diversa concezione di giustizia che abbiamo noi rispetto a quella degli dèi. Mentre noi prestiamo attenzione ai compiti individuali, gli dèi guardano all'ordine• totale del cosmo197 • 194 Si pensi ad un artigiano che lavora il materiale che gli serve (agente - agito}, martellando, scaldando, li­ mando ecc. per superare le resistenze della materia prima. 195 Ricordiamo Plotino: l'Uno come assolutamente semplice. 1 96 Questo concetto corre parallelo alla conoscenza duale "soggetto - oggetto" rispetto alla conoscenza unitaria. 197 Così Sodano, unico, tra Taylor, Wilder, des Places, Moreschini, Clarke - Dillon - Hershbell, Broze - van Liefferinge, a commentare questo oscuro passo.

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6 (pp. 1 89- 1 90) Essendo il bene appannaggio degli dèi per via della loro essenza, non può dis­ cendere da essi alcunché di male. Quindi le radici di esso devono trovarsi nelle azioni perpretate contro le regole, anche se non fossimo in grado di individuarle. E, su questo punto, tanto Greci che barbari sono d'accordo. 7 (pp. l 90- 1 9 1 ) Dal momento che il mondo del divenire è un mondo complesso, e, poiché il male è da esso che scaturisce, il male stesso non può che avere origini complesse. I demoni malvagi richiedono un sacerdote giusto (per ingannarlo), perché inten­ dono servire l'ingiustizia, e quindi mettono in opera l' inganno, presentandosi come fossero dèi 1 98• Lo stesso fenomeno avviene nella divinazione, quando sono dati vaticini falsi: infatti, essendo gli dèi in perfetto accordo ed armonia con sé stessi, non possono produrre alcunché di discordante, come il falso o l'ingiusto. La discordia è invece propria della razza demoniaca (discordia fra vero e falso, giusto e ingiusto). 8 (pp. 1 9 1 - 1 92) Le diverse parti corporee (fisiche, si direbbe oggi, ma con minor precisione) dell'universo hanno attività e potenza, e tanto più ne hanno, quanto più sono grandiose e belle. Tuttavia, allorché entrano in rapporto tra loro, sviluppano molte più azioni che la loro mera somma: così la potenza che discende dall'alto 1 99 si trova a rivestire una molteplicità di forme, secondo le forze della simpatia univer­ sale. Discesa a livello corporeo, questa forza cosmica entra in parti che nell'armonia universale sono necessarie, ma che possono non sopportare l' azione del tutto o che possono risultare dall'unione di cose differenti, o che si trovano in rapporti sbilanciati tra loro, causando una corruzione da cui scaturisce il male200• 9 (pp. 1 92- 193) L' armonia dei simili e il contrasto dei dissimili, così come l'unione di tante parti diverse in quell'essere vivente che è il cosmo, ha effetti diversi nei singoli 1 98 Sodano cita Platone, Teeteto 1 76 circa le due realtà, una divina e piena di felicità, l'altra priva di dio e piena di miseria; inoltre cita anche Proclo, Sull 'essenza del male, dove afferma che anche i demoni patiscono, per colpa propria, ed insudiciano le anime, trascinandole nella materia e negli inferi, lontano dalla via che conduce al Cielo. 199 Dante, Par. xxxi ii 87 . . . per l 'universo si squadrena". 200 Sodano: il male è una necessità naturale; Dante, Par. i 1 -3 "La gloria di Colui che tu/lo move l per l 'universo penetra, e risplende l in una parte più e meno altrove". "

228

livelli. L'amore, l'amicizia e la contesa, attive nel tutto, divengono passioni a liv­ ello individuale. Nei principi esse svolgono ruolo trainante, ma a contatto con le manchevolezza delle forme ne restano contaminate, perché, mentre sono unite nel tutto, vengono a trovarsi isolate e quindi in conflitto nel piano dell'individuale; addirittura alcuna può patire o può perfino estinguersi, per mantenere l 'unità del tutto2o' . 10 (pp. 1 93- 1 94) Colui che, quindi, invoca gli dèi, usa sì le forze cosmiche, ottenendo esiti netti da malvage intenzioni, mentre colui che se ne serve (personalmente), otterrà un esito stravolto dal suo fine legittimo. L'esito è determinato dalle leggi di simpatia e affinità, ma colui che se ne serve (personalmente) lo dirige verso il mondo delle passioni. Le cose del mondo sono legate dai vincoli di simpatia e affinità, anche se lontane fra loro, e se qualcuno, conoscendo queste regole, fa agire alcune parti del cosmo in connessione con altre per scopi illeciti, il colpevole è costui, dal mo­ mento che ha distorto il bene insito nell'ordine dell'universo. Gli dèi, così come le nature e i corpi, che da essi discendono, non trasmettono nulla di malvagio, avendo come scopo la salvezza dell'universo; il male è operato da chi, consapevolmente, mette in contatto elementi diversi per ottenere esiti diversi da quelli previsti per ognuno di loro. Porfirio_ "Gli dèi non ascoltano una persona, se essa è sessualmente impura, ma tutta­ via, non rifiutano l 'assenso a chi li chiama per realizzare legami sessualmente impuri'' (ovvero: a chi li invoca negli incantesimi d'amore). 1 1 (pp. 1 95) La spiegazione sta in quanto appena detto: si hanno tre possibilità. l . l'incantesimo ha efficacia perché si armonizza a cause e ordini superiori alla legge cosmica stessa; 2. perché si armonizza con la simpatia e l'affinità cosmiche, devi­ ate per le distonie che si sono generate tra le diverse componenti, quando sono state assemblate insieme; 3 . perché è sovvertito lo scopo cui l' esito è dedicato.

201

Sodano ricorda il "processo mitico-cosmico del distacco, della separazione dal tutto e dell'azione dell'anima umana tesa all'autonomia", come atto di superbia. Pascoli sostiene che il LX cerchio dell'inferno, quello dei traditori, corrisponde alla 1 cornice del purgatorio, quella dei superbi: la torre del conte Ugolino, in cui questi muore di fame, disperato, simboleggia appunto il distacco dal tutto irrorato dal divino.

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1 2 (pp. 195-1 97) Riassumiamo la questione dell'ingiustizia. Il tutto è un unico essere vivente, le cui parti, anche se distanti tra loro, condividono la stessa natura e si attraggono vi­ cendevolmente. Quindi le parti si uniscono tra loro, ma la stessa forza che le attrae può essere suscitata ed ampliata con tecniche opportune. La forza che scorre nel cosmo quindi crea armonia, unione e simmetria, infondendo quel principio di amore che domina ciò che è (in eterno) e ciò che diviene (nel mondo della gen­ erazione). Tuttavia, a causa della debolezza intrinseca delle parti, per la loro man­ canza di autosufficienza e per la loro differenziazione (per cui appaiono come singole unità, dai contorni definiti), la forza cosmica - a livello individuale - in loro diventa passione. La magia quindi, conoscendo la forza che attrae e che ac­ cende il desiderio, è in grado di dirigerla secondo i suoi voleri - sorti dalla pas­ sione -, causando disordine e disarmonia, dove la forza originaria crea il con­ trario, a livello cosmico, anche se a livello individuale - per le necessità corporee - può apparire anche come male. Pertanto la coercizione alla passione sessuale suscitata dall 'incantesimo è opera umana e non certo divina. 1 3 (pp. 1 97- 199) Esistono pietre o erbe cui è demandata una forza particolare nei confronti del mondo della generazione202; ma la loro potenza non è superiore a quella delle classi superiori. S'è detto, prima, che i demoni malvagi possono esercitare la loro influenza sulle cose terrene, e, comunque, è difficile per gli uomi�i distinguere i demoni buoni da quelli malvagi, e conoscere da quali segni li si possa distinguere. Da questa confusione sorge l'attribuzione alle classi superiori dei misfatti operati dai demoni malvagi. Inoltre, anime che vagano dopo aver lasciato il corpo, come fosse conchiglia, ed il cui veicolo eterico è sporco (infangato), o anime incarnate che hanno pur sempre certe capacità203, hanno anch'esse le loro responsabilità in questi misfatti.

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Sono gli amuleti, che posseggono intrinseche qualità naturali; i talismani, invece, risultano dall 'esecuzione di appositi rituali che vi infondano uno spirito che rechi potenza. 203 Clarke - Dillon e Moreschini: cfr. Platone, Fedro, 8 1 b-d e 1 50. 230

Commento al libro IV

(L.A.) Anche in questo libro il tema dominante sembra essere il dualismo dèi/antidèi: la presenza di demoni malvagi è ammessa esplicitamente da Giamblico, e ad essa vengono fatte risalire le azioni ingiuste, come quelle di cui sono incaricati i de­ moni nelle defzxiones, o come gli eccessi di natura sessuale, in cui il corpo e le parti inferiori dell'anima sono interamente schiave dei sensi. Gli dèi e i demoni buoni, al contrario, non sono capaci di azioni simili, e se a volte ci sembra che essi si abbassino a commettere ingiustizie ciò dipende dai limiti strutturali del nostro senso di giustizia, che non è in grado di percepire la presenza di colpe pregresse o ataviche o commesse nelle vite precedenti, di cui invece gli dèi sono perfetta­ mente consapevoli e di cui chiedono a buon diritto una espiazione. Anche l'attività erotica, se bene indirizzata, è in realtà un legame funzionale ali' armonia del cosmo, e come tale viene favorita dagli dèi e dai demoni buoni. Come già nel II libro, il paradigma del cattivo demone sembra essere offerto soprattutto dai 'cani della terra' di cui parlano a più riprese gli Oracoli.

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LIBRO V

Porfirio "Mi è anche difficile comprendere quale utilità o potere esercitino i sacrifici, sia nel cosmo, sia nei confronti degli dèi, e ilfine per cui essi siano celebrati. " S EZIONE l

l (pp. 1 99-200) Gli dèi recano doni agli uomini, perché dunque compiere sacrifici in loro on­ ore, secondo cerimonie precise? Inoltre, i sacerdoti che tali sacrifici compiono, devono astenersi da ciò che è dotato di anima, affinché non contaminino gli dèi con odori di origine animale, eppure gli dèi apprezzano tali odori, liberati nei sac­ rifici. 2 (pp. 200) L'universale sovrintende (= sta sopra) al particolare. Così per gli dèi non costi­ tuisce problema dominare il corpo dei cieli, né possono essere da questo contami­ nati, mentre per l'anima individuale è dannoso il sodalizio con il corpo, sia per dominarlo che per restare immune dalle sue passioni. Pertanto è errato proiettare a livello universale ciò che si riscontra a livello individuale: predicati diversi (fa­ coltà di dominio e immunità dalle passioni), correlati a soggetti di diverso tipo (universle: gli dèi e individuale: l'anima incarnata) escludono ogni possibile sillo­ gtsmo. 3 (pp. 20 1 ) Malattie, impurità ma anche debolezza, cedevolezza alle passioni costituiscono un'impronta per l'anima una volta congiunta ad un corpo (ovvero: in esso prigio­ niera). Ma i fumi dei sacrifici liturgici sono essi stessi circoscritti nel cosmo, e non lo circoscrivono, e quindi rientrano nell'ordine di quello, e non sono in grado di ordinario. Così i sacrifici non possono ordinare le classi superiori, ma sono inseriti nell'ordine universali che esse hanno impresso. Porfirio "Sacerdoti divinatori e profeti devono astenersi dal consumare animali, per non contaminare gli dèi con la propria traspirazione (emanazione), mentre agli dèi è gradito ilfumo degli animali sacrificati." 232

4 (pp. 20 1 -205) Infine, quale vapore od odore mai potrebbe, dal mondo corporeo, contaminare gli dèi, che sono irraggiungibili dalla materia? Nessun corpo può accostarsi loro. Persino il corpo dei cieli (ovvero l'aspetto sensibile dei corpi celesti) non può mescolarsi con elementi materiali (del mondo sub-lunare). Consideriamo poi, che il fumo dei sacrifici s'innalza nell 'aria per pochi stadi204, quindi non può certo nu­ trire i corpi immateriali che ruotano di moti ciclici, né produrre effetto di alcun genere su di loro. I corpi eterici contengono simultaneamente i contrari, e non sono soggetti a cambiamento, né a spinte sia centrifughe che centripete, cose im­ possibili per la sostanza nel mondo della generazione. Pertanto ogni commistione è esclusa, ivi compresa quella dei fumi dei sacrifici. La sostanza degli dèi, inoltre, non è neppure stata generata!

SEZIONE II

5 (pp. 205-206) Il sacrificio non va concepito come modo di onorare un benefattore, né - come è il caso delle offerte primiziali205 - come disobbligo per doni ricevuti, doni che poi sono di gran lunga superiori. Tutte queste sono consuetudini sociali fra uomini, non riguardano quindi gli dèi. 6 (pp. 206-207) Gli strepitosi esiti ottenuti coi sacrifici, quali, ad esempio, la fine di un'epidemia, o quali la purificazione dell 'anima, sono esiti secondari. 7 (pp. 207-208) L'universo è un unico essere vivente: la simpatia di tutte le parti, anche se tra loro lontane206, le incompatibilità, le affinità tra l'attivo e il passivo, sono tutte verità, nel cui ambito si deve collocare l'azione del sacrificio, ma l'inquadramento in tale concezione non basta per capirne la funzione reale. Infatti gli dèi trascen­ dono l 'universo, e quindi non possono essere mossi da ciò che in esso agisce (in questo caso: il sacrificio). 204

qualche centinaio di metri. L'offerta primiziale consiste nel sacrificio del primo covone o del primo agnello o vitello nato. 206 Sodano: dottrina che da Anassagora si sviluppa con gli Stoici e i Neoplatonici, secondo i principi che af­ fermano che "tu/lo è nello stesso tempo e tu/lo è in tullo" e "tutto è ugualmente in tutte le cose, in maniera ap­ propriata per l 'essenza di ciascuna di esse". =

205

233

8 (pp. 208-209) Analoghe assurdità si trovano anche presso noi Egizi, quando, per esempio, crediamo che l'efficacia del sacrificio sia dovuta alla specie dell 'animale immo­ lato. Noi, per esempio, diamo importanza al numero "60", che attribuiamo al coc­ codrillo207, perché è affine al Sole208, o per opera delle potenze che attribuiamo agli animali, in quanto o sono affini a certi astri, o per via di certi loro colori (certe macchie nel pelo di certi bovini) o di loro comportamenti (Abammone l Giam­ blico porta gli esempi del cane sacro ad Isis209 , del babbuino (cinocefalo) e del toporagno, tutti connessi alla Luna - Isis210). L'assurdo consiste nel fatto che, secondo tali concezioni, l'attività casuale (ovvero che mette in atto, nel senso che dà origine al manifestato) degli dèi viene posta tra le forze cosmiche, quali quelle che possono essere stimolate, per esempio, tramite i sacrifici. 9 (pp. 209-2 10) Meglio, allora, porre la questione sul piano dell'affettività che lega il creatore a ciò che ha creato. Ci sono piante ed animali che conservano in sé gli intenti del creatore, e, quindi, possiamo usarli come tramite per raggiungere la causa creat­ rice, che rimane comunque sempre intatta nella sua purezza (al di sopra del divenire), mentre presiede sugli esseri. Esiste una rete di relazioni, alcune dirette, come quelle dei demoni, altre ancora superiori a queste, che hanno causa divina2 1 1 • Questi diversi livelli sono attivati dal sacrificio, solo se celebrato correttamente. lo

(pp. 2 1 0-2 14)

L'efficacia dei sacrifici si esercita quindi: l . sul livello della natura, ove le parti di quella singola cosa vivente che è il mondo sono in movimento, secondo le leggi della simpatia cosmica, e 2. sul livello dei demoni o delle divinità cosmiche, che costituisce il livello a noi superiore. Le classi superiori, che sono la causa dell'efficacia dei sacrifici, invece, sono connesse al potere demiurgico (che è, pertanto, divino e connesso, evidentemente, Plutarco afferma che quest'animale depone sessanta uova, le cova per sessanta giorni e può vivere ses­ sant'anni; Eliano dice che ha sessanta vertebre, ecc. 208 Porfirio dice che il Sole si muove su una barca posta su un coccodrillo. 209 Si consideri Anubis, dio sciacallo l canide, successore di Osiris (nella cui cerchia è lsis), e sacro ad Hekate, connessa alla Luna nella mitologia greca. 21° Cfr. Plutarco, De lside et Osiride. 211 Sodano: gli dèi sono agenti che operano come funzioni della causa prima. Platone: il creatore come "la più peifella delle cause". 207

234

all'intelletto). Dal momento che questo comprende in sé stesso tutte le altre cause, queste, attivandosi, mettono in moto la catena di benefici, che discendono dai sac­ rifici, diretta secondo la libera volontà delle classi superiori2 1 2• Non è quindi vero che gli dèi sono adescati dai fumi che s 'elevano dal sacrificio, in quanto gli dèi sono liberi, perché ciò che è soggetto al divenire nulla può rispetto a ciò che è im­ passibile, immutabile, splendente e privo di necessità2 1 3• Se è vero che le esa­ lazioni terrestri si spandono ovunque in cielo e nell 'aria, che bisogno di esse avrebbero i demoni? Il creatore non ha infatti stabilito per i demoni un corpo come per gli esseri animali, per il sostentamento dei quali ha fornito ampie risorse alimentari possibili. Potremmo, se così stessero le cose, trascurare le offerte sacri­ ficati, causando differenza nei demoni: saremmo a loro superiori214• Così le cause superiori determinano quelle inferiori: l'intelletto forma l'anima, e questa la natura: è impossibile che siamo noi a dare origine ai demoni ! 1 1 (pp. 2 1 4-2 1 5) La consumazione nel sacrificio avviene mediante il fuoco, con cui la materia viene elevata verso il mondo immateriale celeste. Non può quindi nutrire le classi superiori, venendo distrutta, considerando inoltre che esse sono impassibili. Al contrario, esse si compiacciono di questa distruzione, desiderando che ciò che c'è in noi di materiale sia consumato dal fuoco, allo scopo di avvicinarci agli dèi, per analogia con il fuoco, che tende sempre in alto, richiamato dal fuoco celeste. 1 2 (pp. 2 1 5-2 1 6) Il veicolo2 15 di forma corporea che hanno i demoni non è composto di materia, né di elementi corporei: non ha quindi rapporto con la realtà corporea offerta nei sacrifici. Il fulmine, fuoco celeste, libera dagli elementi corporei ciò che in essi è racchiuso: è questo il paradigrna del fuoco dei sacrifici, che purifica la materia, rendendola atta alla comunione col divino. 1 3 (pp. 2 1 6-2 1 7) Ora si devono affrontare i dettagli, dopo aver esposto i principi generali. 212

Questa

è quindi la grazia divina, secondo il pensiero neoplatonico, espressa secondo simpatia ed affinità

del mondo divino ipercosmico verso le forze cosmiche.

21 3

Sodano: cfr. Oracoli Caldaici "[Il Padre {= causa prima)} mescolando scintilla animata a due essenze concordi, intellello e cenno (= volontà) divini, dopo questi pose il puro Eros {= grazia), sacro vincolo {= fun­ zione connelliva) che doma ogni cosa" (trad. Albanese). Oracolo e sacrificio sono quindi entrambi doni del Padre, in quanto consentono la comunione col divino. 214 Sodano ricorda il detto pitagorico: "chi onora dio come se abbisognasse del culto, considera sé stesso, sen­ za avvedersene, migliore del dio". 2 1 5 V. libro I sez. II 8.

235

1 4 (pp. 2 1 7-2 1 8) Ribadiamo la gerarchia degli dèi: l . alcuni sono immateriali, mentre 2. altri so­ no materiali. Questi ultimi circondano, come in un abbraccio, la materia su cui e­ sercitano dominio, imponendo ordine ad essa; gli dèi immateriali, invece, sono posti al di sopra di essa, e non ne hanno contatto. L'arte sacerdotale, quindi, prescrive di iniziare col sacrificare agli dèi materiali, perché è solo attraverso essi che è possibile elevarsi verso il mondo divino imma­ teriale. Il dominio sulla materia rende gli dèi materiali responsabili del divenire di quella parte di materia su cui esercitano la loro attività ordinatrice: ad esempio, divisioni, scontri, resistenze, alterazioni, generazioni e distruzioni dei corpi mate­ riali. La venerazione di questi dèi dev'essere circostanziata al settore di mondo na­ turale su cui essi sovrintendono, in modo, per così dire, materiale, col fine di invi­ tarli in rapporti di familiarità col teurgo officiante. Il corpo della vittima privo di vita, la dissoluzione del suo corpo sono graditi agli dèi che presiedono alla materia non perché ne traggono vantaggio essi stessi, ma per via di quella stessa materia, in cui, in qualche modo, sono presenti21 6 • 1 5 (pp. 2 1 9-220) L'uomo gode di un doppio stato: nel primo è un'anima disincarnata, che può ac­ cedere ali' Intelletto, accompagnandosi in alto con gli dèi immateriali217• N eli' altro egli è un'anima chiusa come un'ostrica nelle valve della sua conchiglia218• Da ciò deriva la necessità di un due modi di adorazione, uno immateriale, l'altro, adatto alle anime non ancora purificate, attinente alla materia, e quindi due diversi tipi di sacrifici: uno appropriato per una ristrettissima élite di persone, interamente purifi­ cate, l'altro opportuno per coloro che ancora sono presi nel corpo. Queste con­ cezioni si estendono owiamente anche alle divinità oggetto di culto, dal momeno che l'atto di adorazione lega l'adorante al suo oggetto. 16 (pp. 22 1 -222) La ragione che ci spinge a cercare un rapporto con gli dèi è in genere una 21 6

Sodano riferisce il passo di Psello: "Il Caldeo dice che noi non possiamo salire a dio se nonfortificheremo il veicolo dell 'anima con i riti materiali; egli crede, infalli, che l 'anima è purificata da pietre, erbe, incantesi­ mi, ed è così - ben rotonda - pronta per la sua ascesa". 21 7 Plotino descrisse questo stato, che egli ha conseguito più volte, meditando sull'Uno, come riporta Porfirio nella biografia; Moreschini cita Plotino, Enneade VI "Ma quasi rapito e ispirato, egli si trova silenziosamente in uno stato di calma e senza scosse, non deviando più dall 'essere dell 'Uno e non volgendosi a sé stesso, tull 'affal/o immobile, divenuto l 'immobilità stessa". 2 1 8 Sodano e Clarke - Dillon: immagine tratta dal Fedro di Platone: " portiamo il segno di questo sepolcro che, solto il nome di corpo. noi ora portiamo in giro con noi, allaccati ad esso allo stesso modo di un 'ostrica alla sua conchiglia". ...

236

ragione correlata al corpo: guarire da una malattia, purificazione da impurità, e simili. Il piano su cui agiamo non è quindi quello intellettuale (dell 'intelletto puro) ed incorporeo, ma invece quello adatto alla natura dello scopo: infatti il corpo è nutrito e purificato mediante altri corpi. Il sacrificio toglierà il superfluo con­ cedendoci di acquisire ciò che ci fa difetto, ripristinando equilibrio fra elementi in disordine. 1 7 (pp. 222-223) Poiché gli dèi sono estranei a necessità del mondo naturale, quali raccolti scar­ si, siccità o sterilità, non possono prendersi cura di porvi rimedio. Invece, se con­ sideriamo che quegli dèi sono posti nell'abbraccio degli dèi immateriali, allora si comprende che questi ultimi sono la causa prima dei benefici che sussistono nell'ambito dei primi: loro sono causa prima, ma non diretta, e non gli uomini. In­ fatti il dominio delle vicende inferiori, connesso col mondo corporeo, non può di­ scendere da un mondo puro ed intatto. Per questa ragione, nelle liturgie sacrificati e nei rituali si usano elementi corporei, e non si segue una procedura immateria­ le2 1 9. 1 8 (pp. 223-225) Un'altra prospettiva per comprendere i sacrifici consiste nel classificare gli uomini che devono compierli. Così, accanto alla gran massa, soggetta al dominio della natura, e che alle sole cose naturali presta attenzione, sia per ragionare220 che per soddisfarsi, si trovano poche persone che trascendono le realtà contingenti, volgendosi alle potenze intelletive poste al di là del mondo naturale. Queste ultime si sono distaccate così dal divenire. Infine altri ancora si collocano a metà fra questi due estremi, owero fra natura ed intelletto puro, volgendosi di volta in volta verso una delle due realtà, o mescolandole insieme22 1 • Ora, i primi prestano culto tenendo ben conto di tutti i fattori esterni, di natura corporea, quali forze, oggetti, date, luoghi ecc., e compiono sacrifici. l secondi, invece, praticano l'arte teurgica seguendo la via della forza vitale dell' intelletto. I terzi, che fra questi due si collocano, attenderanno a pratiche da entrambe le vie, o rinunciando a quella naturale, o assumendola come base per intraprendere la seconda.

2

1 9 Plotino, e il suo allievo Porfirio dopo di lui, affermavano che l'unione col divino era possibile solo attraver­ so la meditazione filosofica sull'Uno, rigettando la teurgia, della quale Porfirio limitava l'impiego alla sola pu­ rificazione del veicolo dell'anima. 220 I materialisti che si basano solo su ciò che è sensibile, allora come oggi: nihil sub Sole novi. 22 1 Sodano: questa divisione !ripartita discende da Platone, Fedone, Fedro e Repubblica, ripresa da Plotino, Enneade 11 9, ma discende anche dagli Oracoli Caldaici e - Clarke - Dillon - dalla tradizione gnostica.

237

1 9 (pp. 225-226) A questa divisione tripartita ne corrisponde un'altra, relativa alle essenze e alle potenze divine. Alcune posseggono l'anima e sono subordinate agli esiti della propria azione demiurgica, liberamente voluta, mentre altre sono separate da ani­ ma e natura, ma non da quelle cosmiche relative al mondo della generazione. Esi­ ste poi la classe intermedia, che connette tra loro le prime due. Se offriamo sacri­ fici alle divinità che governano anima e natura, è opportuno scegliere forze natu­ rali e corpi soggetti alla natura, mentre, se ci rivolgiamo a quegli dèi che hanno un'unica forma, dobbiamo onorarli con mezzi che trascendano la materia, come quelli che si acquisiscono con la saggezza e la virtù, e ai beni perfetti dell'anima. Si possono offrire entrambi i doni alle entità intermedie, o rinunciare a quelli cor­ porei per staccarsi da quel mondo infimo. 20 (pp. 227-228) Ancora un altro punto di vista può essere considerato, ovvero quello basato sul cosmo e gli dèi cosmici, i quattro elementi all' interno del cosmo stesso e le dovute proporzioni tra di loro, e infine le rivoluzioni degli astri attorno al centro. Noi in­ fatti siamo parte del cosmo e tutta la nostra vita è possibile grazie alle relazioni con altri elementi cosmici . Ogni corpo nel cosmo è assegnato a forze incorporee (dèi visibili o sensibili, materiali, cosmici): è ben nota la regola del "simile col simile"222, che lega l' eccelso al basso, l'incorporeo al corporeo, secondo natura. Diverso il caso di chi direttamente raggiunge teurgicamente gli dèi ipercosmici, ma ciò avviene molto di rado, perché presuppone la liberazione dai vincoli ma­ teriali, attraverso un lungo iter. 2 1 (pp. 228-230) Il rapporto tra divinità e culto dev 'essere come una trama completa e non par­ ziale. Prima che gli dèi appaiano (in un rito teurgico ), si mettono in moto le po­ tenze ad essi soggette e li precedono nella loro discesa, scortandolo. Colui che mancasse di onorarne uno, vedrebbe fallire lo scopo del suo rituale, mentre, elargendo ad ognuno i doni loro più graditi, non solo si pone al riparo da incidenti, ma esegue il rito in maniera perfetta. Stando così le cose, la cerimonia dev'essere essenziale o multiforme, in altre parole: composta, per così dire, di tutto ciò che c'è al mondo? Sodano: Omero, Odissea, "sempre un dio spinge il simile verso il simile", con richiami Empedocle.

222

238

ad

Anassagora ed

Ebbene, le potenze suscitate nel processo di discesa divina sono molteplici e solo i teurgi, attraverso la loro lunga esperienza possono sapere quale sia il metodo appropriato per l'arte hieratica, perché, come in un concerto, un elemento omesso è come una nota saltata che rovina l'armonia del tutto. È quindi opportuno prestare onore ad ogni divinità senza ometteme alcuna, secondo il rango che hanno nella gerarchia del pantheon. L'esecuzione del rito non tanto risulterà im­ perfetta, senza questa cura, ma -cosa ben più grave -ne risulterà la sovversione dell'intera cerimonia.

22 (pp. 230-23 1 ) Il fine ultimo della teurgia è l'ascesa all'Uno, supremo signore della molteplcità delle divinità, ma ciò può avvenire solo molto raramente a pochi indi­ vidui, e in tarda vecchiaia223• Ora quindi forniremo prescrizioni non per una per­ sona di questa statura, poiché egli è evidentemente al di sopra di ogni regola, ma per gli altri che ne abbisognano. È vero che un'unica struttura ordinata raccoglie tutte le classi delle entità, e quindi i sacrifici devono riflettere quest'organiz­ zazione universale, comprendendo tutte le classi superiori, ai cui principi gli ele­ menti corporei devono congiuntamente ascendere.

23 (pp. 232-234) Il rito teurgico armonizza ed eleva o purifica cose che sono in noi o accanto a noi: in questo modo le rende adatte agli esseri delle classi superiori. Il sacrificio consegue il suo scopo solo quando la preparazione cultuale è allineata con le cause divine. La potenza divina è così straripante, che è presente in tutte le cose: il divino s'irradia fin nelle realtà più infime, e quindi l'immateriale è presente in tutta la materia. Infatti la materia stessa discende dal Padre, creatore di tutto224• La materia quindi possiede la capacità di ricevere la divinità. L'arte teurgica, fondandosi su questo principio, pone assieme pietre, piante, animali, sostanze aromatiche ed altro, ricavando da tali composizioni un puro ricettacolo per gli dèi225• Delle cose materiali, pertanto, non tutto dev'essere respinto, ma solo quella parte che è aliena alla divinità, mentre la parte che è affine alla divinità, entra nella 223

Sodano e Clarke - Dillon: Platone "È un caso fortunato per un uomo accedere all 'intelligenza e alleferme opinioni vere anche nella vecchiaia: è ad ogni modo perfe/lo chi possiede questi beni e tuili quelli che essi con­ tengono"; Porfirio, Vita di Platino: "quand'egli [Platino} si elevava con il pensiero fino al primo trascendente dio, seguendo la via segnata da Platone . . . , appariva quel dio che non ha néfanna néfigura, perché situato al di là dell 'intelligenza e di tu/lo / 'intellegibile . . . Poichéfine e scopo era per lui l 'unione intima con il dio che è al di sopra di tu/le le cose". 224 Clarke - Dillon: frase ripresa alla lettera da Platone; il "Padre" in Abamrnone l Giamblico dovrebbe essere l'Uno, piuttosto che l'Intelletto, che da quello procede. 225

I papiri magici presentano numerose prescrizioni tecniche in questo senso. 239

preparazione della dimora degli dèi, ovvero: nella consacrazione delle statue. Le dottrine segrete226 riportano come nel corso di una visione beatifica gli dèi pos­ sano elargire una certa materia227, che è in qualche modo della loro stessa natura: il sacrificio di questa materia spinge gli dèi a manifestarsi, portando a compi­ mento il rito teurgico in maniera perfetta. 24 (pp. 234-235) Lo stesso discorso si può estendere alle regioni del globo, ognuna delle quali è assegnata ad una classe di esseri superiori. Gli dèi che sovrintendono ad una data regione, pertanto, saranno sensibili al sacrificio di prodotti locali, perché vi è un'ovvia affinità, analoga a quella fra creatura e creatore, come s'è detto prima. Alcune cose poi, conservate intatte, - mantenendo quindi il potere di connessione - incrementano il legame fra la divinità e chi le conserva: è questo il caso degli animali dell'Egitto e dell'uomo sacro228• Alcuni pensano che l'esser dissolti nel primo principio229 renda l'oggetto sacrificato più affine al mondo divino. 25 (pp. 236-237) Se quanto finora esposto fosse solo il risultato di costumi, consuetudini, esperienze umani, si potrebbe anche credere che fossimo noi uomini gli scopritori del culto agli dèi; invece ne è l'iniziatore dio230, detto "il dio che presiede ai sacri­ fici" e che è assistito da una moltitudine di dèi ed angeli. Così, ogni popolo e luogo in terra ha un' entità particolare come sorvegliante, ed una divinità partico­ lare l'hanno i luoghi sacri. Ai sacrifici agli dèi è preposto un dio, ai sacrifici agli angeli un angelo, ai demoni un demone, ovvero un essere della stessa classe; per questa ragione si deve prestare massima attenzione ad offrire un dono adeguato ali ' ente della classe superiore che ci fa da giuda e anche a venerare tutte le altre entità attorno a noi.

226

Clarke - Dillon: di Hennes. Clarke - Dillon citano un papiro magico greco, in cui si riferisce un incantesimo, nel corso del quale un fal­ co porta una pietra oblunga, evidentemente piena di potere. 228 Chi è ! "'uomo sacro"? des Places e Clarke - Dillon ritengono che costui sia un "capro espiatorio", su cui caricare le impurità per poi esiliarlo o sacrificarlo, ma potrebbe anche essere invece un santone - così anche Moreschini, che ne sottolinea la capacità di operare miracoli; Sodano pensa invece al teurgo. 229 Clarke - Dillon: il fuoco. 23° Clarke - Dillon: questo dio è piuttosto l'intelletto che non l'Uno. 227

240

SEZIONE III

26 (pp. 237-240) Non si deve sottovalutare la preghiera, poiché è essa che rende completo il sac­ rificio. Essa crea un vincolo sacro con gli dèi. La prima specificità della preghiera è la sua funzione introduttiva, in quanto essa crea un contatto con il divino; la se­ conda è la comunione col divino, con il quale essa crea armonia, per cui la divinità invia doni addirittura prima che siano richiesti. La terza è l'ineffabile unione, con la quale noi riposiamo nel divino23 1 • Questi tre livelli comprendono tutte le possibili interazioni col divino e assicura esiti positivi: primo l'illuminazione, secondo il risultato felice, terzo il riempi­ mento dell'anima col fuoco232 • Si può pregare o prima del sacrificio, o durante l 'atto teurgico, o anche per concluderlo bene: non vi può essere atto sacrale senza preghiera. Essa nutre il nos­ tro intelletto ed amplia la nostra recettività al divino, rendendo acuta la nostra sen­ sibilità ad esso233• Essa porta a perfezione la speranza e la fede rispetto alla Luce, ponendoci in familiarità con gli dèi234• Quanto abbiamo finora detto rende chiaro lo scopo finale del sacrificio, owero creare il contatto con il demiurgo, diventando simili a dèi per gli atti compiutF35• Preghiera e sacrificio si rinforzano l'un l'altro: unione di spirito e azione sono il carattere della theirgia, compattando parti precedentemente sparse.

231

Moschini: la preghiera purifica l'anima dal suo elemento materiale, anche se non lo elimina. Clarke - Dillon: il fuoco in senso caldaico, come potenza divina. 233 Sodano riferisce i rapporti stretti di questo passo sia con la dottrina degli Oracoli Caldaici, che con Platone e Proclo e l'influenza che eserciterà nel pensiero successivo. 23 4 Clarke - Dillon notano che la triade delle virtù caldaiche è composta di speranza, fede e amore. 235 Broze - Van Liefferinge hanno rilevato come l'azione demiurgica costituisca la prima direzione, discen­ dente, lungo lo stesso asse che la teurgia, come seconda, risale; i confronti fra demiurgia e teurgia costituiscono una salda rete che comprende molteplici aspetti dell'opera di Abammone l Giamblico. 232

24 1

Commento al libro V

(L.A . ) Il commento più analitico a questo libro resta quello di Angelo Sodano, al quale rimando per le questioni di dettaglio. La risposta alla contraddizione di fondo rilevata da Porfirio (perché offrire sacrifici materiali a dèi immateriali?) riprende, preliminarmente, un tema già toccato nel l capitolo, e cioè l'indipendenza degli dèi dalla materia e dai corpi da essi governati. Ciò vale non solo per gli dèi immateriali per loro natura, ma anche per gli dèi visibili e per l'anima cosmica, che, come aveva già precisato Plotino, non è contenuta nel corpo del cosmo, ma lo contiene senza restarne prigioniera. Premesso questo, oc­ corre precisare che non a tutti gli dèi si offrono sacrifici materiali, e che non tutti gli operatori di sacrifici fanno sacrifici materiali. Quindi, per quanto riguarda i primi, agli dèi empirei si offrono sacrifici immateriali, alle divinità aeree, angeli in particolare, si offrono sacrifici intermedi, e alle divinità ctonie sacrifici materiali. Ciò trova corrispondenza nei tre tipi di operatori: i primi, cui spettano culti e sacri­ fici intellettuali e incorporei, sono soprattutto i teurghi, i secondi sono uomini che vivono a metà strada fra materia e intelletto e si prodigano in culti e sacrifici intermedi, i terzi sono uomini interamente dediti al corpo, e a questi spettano sac­ rifici naturali e materiali. Questa dicotomia tra il 'gregge' degli uomini schiavi della natura e della fatalità e i teurghi, che sono liberi da entrambe, è un tema ri­ corrente negli Oracoli (cfr. ad es. frr. l 02-3, 1 1 6, 1 53, 1 72). In secondo luogo, Giamblico rileva altre tre circostanze che rendono la pre­ senza della materia ininfluente nei confronti degli dèi. In primo luogo, è assurdo e sconveniente il solo pensare che gli odori e i vapori che salgono in cielo durante i sacrifici possano solleticare gli dèi in alcun modo. In secondo luogo, il fuoco dis­ trugge la materia e i corpi offerti in sacrificio. In terzo luogo, non tutta la materia è da disprezzare. Niente impedisce alla materia la partecipazione alle realtà mig­ liori, cosicché quanto di essa è perfetta e pura e buona di forma non è inadatta ad accogliere gli dèi. È anzi compito specifico dell'arte teurgica trovare, secondo le affinità con ciascuno degli dèi, pietre, erbe, animali, aromi e altri oggetti sacri e di forma divina, e preparare servendosi di tali oggetti un ricettacolo (0podocA) per­ fetto e puro. In questo modo vengono anche fabbricate le statue degli dèi, che essi quando vogliono decidono di abitare. Siamo qui di fronte alla seconda branca della teurgia, la telestica, e il riferimento alle dottrine dei due Giuliani è esplicito (i «discorsi segreti)) di 234,8 non possono essere che quelli esposti negli Oracoli e nelle altre opere dei due Giuliani). Ciò, del resto, è confermato dalla testimo­ nianza di Psello (epist. 1 87, p. 474 Sathas), che scrive: «i praticanti della scienza telestica riempiono le cavità delle statue con sostanze appartenenti alle potenze che ad esse presiedono: animali, piante, pietre, erbe, radici, aromi simpatetici. Essi 242

vivificano le statue e le muovono con potere segreto». Queste dottrine non sono solo caldaiche, naturalmente, ma si trovano anche nella tradizione ermetica, in particolare nell' Asclepius. Ciò conferma la duplicità delle fonti, caldaiche ed er­ metiche insieme, alle quali Giamblico si è ricollegato programmaticamente in apertura dei Misteri. Restando intorno a questo tema occorre osservare altre due cose. La prima, che lo stesso Porfirio, ad onta dei dubbi scettici sollevati nella Lettera, è autore di un trattato sulla fabbricazione e animazione delle statue (Peri agalmaton). La se­ conda, che nell'VIII libro dei Misteri Giamblico tornerà a parlare della affinità tra dèi e materia, avanzando addirittura la tesi che la materia sia stata creata da essi. Ma su questa questione, che rappresenta sicuramente una novità all'interno della tradizione platonica e per la quale bisognerà chiamare nuovamente in causa gli autori degli Oracoli, dovremo tornare. Detto tutto ciò, resta il fatto fondamentale che tutti i sacrifici non sono mai cause, ma concause della discesa degli dèi, i quali sono i veri operatori dei sacri­ fici .. Gli dèi discendono infatti solo se spinti dalla loro volontà, dal loro intelletto e dall'amore: caratteri, questi, già descritti nel fr. 44 degli Oracoli (cfr. Cremer 1 1 8). Per tale motivo è di fondamentale importanza associare ai sacrifici delle preghiere che li precedano e li seguano. Associata all'azione teurgica, la preghiera procura tre vantaggi fondamentali: l'illuminazione da parte degli dèi, l'azione comune con loro e il riempimento dell'anima. Il primo di questi vantaggi trova piena corrispondenza nel fr. 1 2 1 degli Oracoli, ma anche gli altri due hanno la stessa origine. Un altro, importantissimo effetto della preghiera è che ci aiuta a ripulire il veicolo dell 'anima dalla incrostazioni riportate in seguito al contatto col mondo sublunare. Anche questo tema è largamente presente nei frammenti degli Oracoli (ad es. frr. 1 28-29, 1 5 8, 1 96). Sul tema della preghiera cfr. Cremer 1 36-38 e Sodano 344.

243

LIBRO VI

Porfirio "Perché si ritiene necessario che colui che officia i sacri riti non debba toc­ care un corpo morto, poiché così facendo contaminerebbe gli dèi con le sue emanazioni, e poi invece gli dèi sono attratti daifumi degli animali sacrificati?"

S EZIONE I

l (pp. 24 1 -242) La contraddizione è solo apparente: il corpo morto che è stato consacrato non è la stessa cosa che un qualsiasi corpo morto. Il contatto con un cadavere è proibito, dopo che l'anima l'ha abbandonato, privandolo di ogni valenza divina236, ma la carogna di un animale non è come un cadavere, perché l'animale non partecipa del divino come l 'uomo. Inoltre il contatto con un cadavere è inopportuno nei confronti degli dèi che sono puri dalla materia, ma non è così per invocare quelli che presiedono sugli animali, divinità che quindi hanno un legame con questi ultimi. 2 (p. 242) Come ciò che è sporco insozza ciò che è pulito (che quindi può divenire sporco), se entra a contatto, così il cadavere contamina il vivente, il quale ha la morte come prospettiva. Non così avviene con un demone, che, non avendo corpo, non può essere contaminato. 3 (pp. 243-244) Nella divinazione, per esempio quella che prevede l'uso di un falco, è errato credere che il dio stia lì presente, come un attendente dell'animale: è invece il de­ mone, che presiede sul singolo animale ad essere interessato, mentre il dominio del dio si estende in generale237• Non il corpo, ma l'anima dell'animale funge da supporto per il demone che aiuta l 'uomo nella divinazione, perché vi è affinità at­ traverso il principio vivente (comune a uomini e animali), e affinità coi demoni perché essa è stata liberata dal corpo e, come i demoni, esiste di per sé.

236 Clarke - Dillon ricordano la testimonianza di Eunapio a proposito della straordinaria sensibilità di Giam­ blico nel percepire la presenza di un cadavere. 237 La mancanza di chiarezza in questa esposizione è dovuta all'assenza di qualsiasi indicazione per distingue­ re "specie" da "animale" quando il testo tratta di animali.

244

4 (pp. 244-245) L'anima stessa, d'altronde, nella pratica divinatoria, non svolge il ruolo di un mero spettatore, ma si trasforma per forza simpatetica, partecipando per comunione. È questo un modo di predizione dedicato ad aspetti particolari, che sono in svolgi­ mento nel mondo del divenire. Essa pertanto suscita passioni, e attraverso le pas­ SIOni non è possibile cogliere il vero come conoscenza perfetta. Non è sano praticarla. Porfirio "E ancora, perché si tengono comportamenti così assurdi quali rivolgere minacce o terrorizzare, da parte di un piccolo uomo, non un demone o un 'anima disincarnata, ma addirittura il Sole stesso, o la Luna, o qualche altra divinità ce­ leste, per costringerle a rivelare il vero? Chi minaccia di bruciare i cieli o rivelare i misteri di Jsis, o quelli di Abido238, o fennare la sacra barcd39, o dis­ perdere le membra di Osiris esponendole a Tifone (= Seth), non è forse il più grande idiota, dal momento che minaccia realtà di cui non sa nulla e che neppure �può raggiungere? E come ci si può spaventare, al pari di bambini, per tali rac­ conti? E tuttavia lo scriba Cheremone ha scritto queste cose, raccogliendo/e dagli Egizi. Si noti che tali cose hanno natura compulsiva " SEZIONE II

5 (pp. 245-246) Come ho già illustrato prima240, esistono nell'universo delle potenze limitate e prive di capacità di giudizio, che sono eccitate e dominate da questi discorsi24 1 • 6 (pp. 246-247) C'è anche questa spiegazione: grazie ai simboli sacri, il teurgo assurge al ruolo di un dio ed impartisce ordini non come uomo. Con quelle espressioni, egli di­ mostra quanta potenza sia a sua disposizione, essendosi egli congiunto alle divinità. D'altra parte i demoni aerei e ctoni (= terrestri) si preoccupano perfmo di sentir parlare negativamente delle parti del cosmo a loro affidate, ed in cui hanno posto il loro essere242• 7 (pp. 247-249) I demoni, d'altronde, sono anche custodi - nella loro funzione - dei misteri ar­ cani (di Isis e Osiris), dal momento che questi regolano l'ordinato scorrere 2 38 Abido: città sede di un santuario nell'Alto Egitto, connesso al mito di Isis e Osiris e ai faraoni. 239 Clarke - Dillon: si tratta della barca di Osiris, fermando la quale si arresta il corso del Sole. 240 Vedi libro IV pp. 1 -2. 24 1 Sodano: e così rinunciano alla loro azione malefica, se stavano per intraprenderla. 242 Moreschini ricorda che i demoni sono custodi dell'ordine cosmico. 245

dell'universo, grazie alla benefica potenza di Osiris, affinché questa rimanga im­ macolata ed intatta, senza essere mescolata a con�sione e disordine e affinché la vivificante bellezza nascosta delle parole di Isis243 non discenda nel manifestato. Tutto continua ordinatamente, ma, se i misteri di Abido sono stati svelati, il corso del Sole sarà fermato244• I demoni ctoni non possono neppure udire parlare della profanazione dei misteri arcani e della partecipazione al suo destino contrario dell'ineffabile essenza degli dèi, su cui si fonda la sopravvivenza dell'universo. Per questa ragione essi sono condizionati dalle minacce, ma nulla può minacciare gli dèi e una preghiera con tali contenuti non può esistere. Presso i Caldei è con­ servata, in tutta la sua purezza la lingua usata con gli dèi e non vengono mai prof­ ferite minacce, mentre presso gli Egizi talvolta lo fanno, perché combinano invo­ cazioni sia a demoni che divinità.

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Broze - Van Liefferinge: sono le formule con cui Isis poté concepire da Osiris morto il figlio Horus. L'egittologo de li 'università di Heidelberg, Jan Assmann, ha spiegato (conferenza inaugurale del SFB 6 1 9 del 3 0 sett. 2008) che tema principale della religione egiziana è la perpetuazione del mondo, perpetuazione che poggia su due pilasti: la continuazione dle moto solare e la protezione dei misteri di Abido. Per garantire questo scopo, si usavano heka ed achu, due termini che includono i nostri significati di "religione", "magia" e "ritua­ le". Heka è il potere magico del dio hypostasi del Demiurgo - dio Sole: un potere creativo (v. nota 1 33). Achu non è personificato da alcuna divinità, ed è il potere con cui Isis riunisce le parti smembrate di Osiris, in modo da concepire Horus. Questo potere è nella parola. 246

Commento al libro VI

(L.A.) Il tema centrale di questo libro sembra essere la differenza fra la teologia cal­ daica e quella egiziana, cioè ermetica. La conseguenza implicita è che quella cal­ daica deve essere considerata una fonte privilegiata da Giamblico rispetto a quella ermetica, sebbene nell'opera si faccia riferimento ad entrambe e sebbene, come vedremo, i capitoli conclusivi dell'opera ristabiliscano un sostanziale equilibrio fra le due, arrivando quasi ad identificare la teurgia con l'ermetismo. Probabil­ mente fu questa la ragione - oltre al forte interesse personale per l'ermetismo - che spinse Marsilio Ficino a dare il titolo I misteri egiziani a un'opera in cui, a conti fatti, la presenza degli Oracoli caldaici risulta prevalente. La superiorità della tecnica teurgica o caldaica di divinazione risulta chiara­ mente dallo scetticismo mostrato da Giamblico nei confronti di una tecnica divi­ natoria specificamente egiziana, quella che utilizza animali morti. La predizione del futuro tramite avvoltoi o falchi, ad es., era molto praticata in Egitto, come testimoniano Porfirio e Eliano (cfr. Sodano 346). Ebbene, secondo Giamblico questa tecnica divinatoria, contaminata da elementi materiali ha una efficacia molto limitata rispetto alla divinazione totalmente immateriale perseguita dai caldei, che invece rifiutano l 'uso di animali: cfr. in proposito il fr. l 07 degli Ora­ coli. La superiorità della divinazione caldaica risulta anche dalla risposta alla se­ conda questione avanzata da Porfirio, come sia possibile minacciare gli dèi. L'esistenza di tale pratica è nota, ed è testimoniata da Cheremone e da numerosi testi, come le Piramidi, il Libro dei morti e i papiri magici. La risposta di Giam­ blico è duplice. Da un lato, egli replica che tali minacce in genere vengono rivolte a divinità cosmiche (probabilmente gli arconti), e non alla divinità superiori. Dall'altro, se il teurgo fa tali minacce lo fa perché grazie alla potenza dei 'simboli segreti ' (òuvaj.nç 't&v à1toppÉ'toov