La teoria della trave 9788820748586

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La teoria della trave
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Table of contents :
Copertina
Frontespizio
Copyright
Indice
Introduzione
Premessa
Capitolo primo - Quadro storico 1942-1945
1. L’esperienza della guerra a Napoli
2. La situazione a Napoli nell’immediato dopoguerra
3. La fame, il mercato nero, le malattie e gli altri disagi provocati dalla guerra
Capitolo secondo - La nuova drammaturgia di Eduardo
1. Una nuova tensione etica: nasce il “Teatro di Eduardo”
2. Dalla realtà all’arte senza soluzione di continuità
3. Recensioni e accoglienza a Napoli milionaria! commedia
Capitolo terzo - La ricezione del film
1. L’attesa per l’uscita del film
2. L’accoglienza del film da parte della critica
3. Le polemiche dopo l’uscita del film
Capitolo quarto - Dalla scena allo schermo
1. Il Film
2. Dalla scena allo schermo: anomalie e differenze
3. La forza delle pareti domestiche: la cassa di risonanza delle emozioni
Bibliografia
Quarta di copertina

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Cinema e storia 6 Collana diretta da Pasquale Iaccio

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Carlo Montariello

La Napoli milionaria! di Eduardo De Filippo Documento acquistato da () il 2023/04/27.

Dalla realta` all’arte senza soluzione di continuita`

Introduzione di Mino Argentieri

Liguori Editore

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INDICE

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XI

Introduzione di Mino Argentieri

1

Premessa

7

Capitolo primo Quadro storico 1942-1945 1. L’esperienza della guerra a Napoli 7; 2. La situazione a Napoli nell’immediato dopoguerra 12; 3. La fame, il mercato nero, le malattie e gli altri disagi provocati dalla guerra 16.

29

Capitolo secondo La nuova drammaturgia di Eduardo 1. Una nuova tensione etica: nasce il “Teatro di Eduardo” 29; 2. Dalla realta` all’arte senza soluzione di continuita` 43; 3. Recensioni e accoglienza a Napoli milionaria! commedia 90.

105

Capitolo terzo La ricezione del film (rassegna stampa) 1. L’attesa per l’uscita del film 105; 2. L’accoglienza del film da parte della critica 111; 3. Le polemiche dopo l’uscita del film 122.

161

Capiolo quarto Dalla scena allo schermo 1. Il Film 161; 2. Dalla scena allo schermo: anomalie e differenze 177; 3. La forza delle pareti domestiche: la cassa di risonanza delle emozioni 181; 4. Un’immagine dell’uomo 187.

191

Bibliografia

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a Francesco Jenga

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INTRODUZIONE

Il libro di Carlo Montariello e` uno di quei saggi che vivificano un metodo che studia il testo – letterario, teatrale, cinematografico – nelle sue specificita` formali e non lo scinde dall’insieme dei fattori ` che lo hanno generato e messo in contatto con i suoi fruitori. E invitabile che la lettura di un’opera si trasformi in un appassionante viaggio all’interno della creazione artistica e delle sue leggi, aprendosi al panorama ampio del contesto culturale, sociale, psicologico, in cui ` inevitabile che il soffio e il respiro l’opera e` stata ideata e accolta. E del tempo entrino nel lavoro dello studioso, ne siano l’asse centrale, e che emerga un elemento illuminante spesso ignorato: ogni componimento creativo scaturisce da una conflittualita` che trapassa la tensione tra una materia stimolante, ma ancora informe, e la mente chiamata a riorganizzarla e a rielaborarla, trovandone in un disegno razionale ed emotivo la necessita` e l’intima coerenza. Il conflitto, a cui ci si riferisce, e` nel telaio di una Storia in movimento, nella dialettica delle correnti, delle opinioni, delle tendenze estetiche dominanti, nella collocazione oggettiva degli autori, nella geografia e topografia delle idee. Cosi un romanzo, un film, una pie`ce teatrale, diventano un prisma attraverso cui si scrutano le molte facce di un mondo poetico in cui la fantasia e la realta` si compenetrano, sino a conquistare un’autonomia che non merita di essere fraintesa come estraneita` al divenire storico e alla rete complessa dei rapporti sociali. ` lungo questi solchi che si snoda la riflessione e la ricostruzione E di Carlo Montariello, cosi da imprimere all’indagine il gusto di una rivisitazione e il passo del racconto. Si riparte da un dopoguerra remoto e misterioso per le nuove generazioni, indimenticabile per coloro che lo hanno vissuto, incancellabile per chi e` stato toccato dalla tragedia bellica, al di fuori della quale altra sarebbe stata l’evoluzione del paese, altro l’itinerario delle ` da quella rottura, da quel momento di verita`, da quel coscienze. E

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LA NAPOLI MILIONARIA!

trauma, che si rimette in moto il flusso degli avvenimenti. Ed e` logico che Montariello abbia ravvisato in Roma citta` aperta di Roberto Rossellini e in Napoli milionaria! di Eduardo De Filippo, coevi e collimanti, l’inizio di un affannoso cammino. L’anno di nascita e` il medesimo, identico il clima in cui il film e la commedia vedono la luce, l’uno, del resto, congiunto all’altra dallo sviluppo del filo cronologico. Nel film di Rossellini c’e` l’occupazione tedesca, un eroismo senza epica ne´ gesti ampollosi, segnato dalla inesorabilita` della morte, oltre la quale, forse, si dischiude una pallida speranza. E nelle immagini di una rievocazione ancora a caldo si respira un sapore di immediatezza e di sincerita` prima latitante sugli schermi. De Filippo riallaccia il discorso, consapevole di un consorzio civile che reagisce ai lutti, alle distruzioni, agli strazi, con un sussulto di verita` egoistica e che mette a tacere gli interrogativi morali, bada a ripagarsi ciecamente, rimuove la memoria di cio` che e` stato non perche´ non ne sopporti il peso angosciante, ma per deresponsabilizzarsi e autoassolversi, secondo il senso comune, spicciolo, dei versi della famosa canzone: “Chi ha avuto, ha avuto; chi ha dato, ha dato, scurdammece ’o passato...” Quando il film di Rossellini e la commedia drammatica di Eduardo De Filippo sono arrivati al loro pubblico, le attese delle platee – occorre puntualizzarlo – erano indirizzate in altre direzioni. Nel ’44, nel ’45, non si presagiva quel che sarebbe avvenuto nel cinema italiano e nella nostra drammaturgia. Ai pochi preannunci della fase precedente il 25 luglio ’43, era mancata la forza di lasciare una traccia marcata, travolti come sono stati da frangenti turbinosi. Film quali I bambini ci guardano di Vittorio De Sica e Ossessione di Luchino Visconti avevano avuto apparizioni a singhiozzo o erano incappati nei rigori della censura, semi-ignoti agli spettatori, frettolosamente recensiti dai giornali. Nel dibattito teatrale, al piu`, l’auspicio era rivolto ad un “teatro di poesia”, dai vaghi contorni, e nessun recensore aveva intravisto in Natale in casa Cupiello di Eduardo De Filippo il superamento di una visuale in cui il dialetto e` prevalentemente colore, il seme di quel che piu` innanzi germogliera`. Gli occhi, le aspettative, erano puntati sulla produzione artistica straniera, sui film americani che dal ’38 erano quasi spariti, sui romanzi e sui drammi teatrali vietati dal fascismo per motivi politici o moralistici ovvero mai giunti per colpa della guerra. Ad attrarre e a stuzzicare la curiosita` erano le espressioni del “proibito”, i documenti di una conoscenza che era stata bloccata: il Sartre di Le

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INTRODUZIONE

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mosche, il Cocteau di I parenti terribili, lo Steinbeck di La luna e` tramontata, l’Hemingway di Quinta colonna, la Helmann di La guardia al Reno, l’Achard di Adamo, che sulla scena non dissimulava la presenza dell’omosessualita`, il Gide di L’immoralista, il Remarque di All’Ovest niente di nuovo, il Silone di Pane e vino, uno scrittore di lingua italiana sconosciuto ai giovani ma che le autorita` americane avevano incluso in una collana di volumi tascabili distribuiti negli appositi negozi della propaganda alleata sorti nelle localita` appena liberate. Gli estimatori del teatro italiano si chiedevano che cosa avrebbe scritto, dopo la tempesta, Ugo Betti, il drammaturgo piu` stimato di una stagione da poco conclusa, e i piu` lungimiranti avevano intuito l’immancabile declino dei commediografi specializzatisi nella maldestra imitazione dei prodotti esteri, francesi o ungheresi che fossero, echi stanchi, rimpasti oziosi dello pseudo psicologismo fondato sul triangolo borghese. Se nel cinema lo strappo c’era stato con Roma citta` aperta, la novita` sui palcoscenici l’avevano introdotta Eduardo De Filippo in Napoli milionaria!, Leopoldo Trieste in Frontiera e Aldo Fabrizi in Tordinona, una modesta commedia di costume sulla borsa nera e sui facili arricchimenti, sul chiassoso mercatino romano di Tordinona, illecito e tollerato. Per Roma citta` aperta e Napoli milionaria! il successo e` stato improvviso, inatteso, spontaneo, incredibilmente vasto. Lo ricorda Montariello nella sua ricognizione, ma e` vero cio` che egli ha descritto soprattutto per la commedia e poi per il film di De Filippo: l’insorgere di un preconcetto per il cui tramite configgevano opposte attitudini, che nel corso degli anni avrebbero accentuato la propria pungenza. Da un lato, la disposizione a guardare, nel segno doloroso di una ricerca aspra, le porzioni di umanita` che erano state poste in ombra da una cultura deviante e accomodante, il bisogno di rimettere tutto in discussione. Dall’altro, la rimozione dei patimenti, delle ingiustizie e delle ignominie, la paura della liberta`, il rifiuto del cambiamento, la difesa dei falsi valori in cui e` stata edificata la retorica della Patria, della Famiglia, della Religione, l’anestesia dello spirito critico, il culto dell’individualismo, l’angustia della sentimentalita`. C’e` stato uno scontro lungo e duro e al centro si e` trovata la cultura, pagando il prezzo di una radicalita` che ha avuto le incomprensioni, talora i rigetti, rilevati da Montariello anche a proposito di Napoli milionaria!, ma che estrinsecavano una passione spentasi man

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LA NAPOLI MILIONARIA!

mano che i processi di integrazione e di omologazione hanno attenuato le distanze, la molteplicita` e la varieta` delle culture, le fisionomie, le identita`. Ci sono stati schematismi, ipoteche ideologiche, preclusioni e apriorismi, ma il fervore non scarseggiava ed era sentito intensamente il nesso tra i cantieri dell’arte e la collettivita`, in senso critico, liberal-progressista, e nel suo opposto. Un senso di appartenenza e di partecipazione univa gli artisti, non comportando la rinuncia alla singolarita` o l’obbligo di una direttrice di marcia, ciascuna creazione rispondendo ad un’inclinazione non imposta da alcuna regola superiore. Si era distanti dalla morta gora dei giorni nostri in cui nell’attivita` creativa domina la massima frammentazione e langue il confronto delle idee, non essendoci piu` il progetto di una societa` altra e avendo avuto la meglio l’ideologia del mercato e quindi il mantenimento dell’esistente. Se il conflitto ha avuto una scottante frontalita`, per lo meno era visibile, laddove oggi e` ovattato e ammorbidito dall’accondiscendenza, dalla sottomissione, dall’inerzia, dalla inconsapevolezza. Comunque, su Eduardo De Filippo, sulla commedia e sul film, al di la` dei venti della politica, ha giocato il preconcetto verso l’uomo di teatro, che per certi critici avrebbe avuto il difetto di non essere versato per il cinema e che pertanto nel cinema avrebbe immesso il retaggio della professione teatrale. Montariello ha percepito questa stortura, che talvolta si e` tradotta in una inesattezza poiche´ Eduardo si e` sempre diviso tra due linguaggi, fondendoli e reinventandoli, ma anche rispettandone le particolarita`. Ed e` proprio Napoli milionaria!, terza prova registica di Eduardo nel cinema, a segnalare la piu` completa acquisizione di una scrittura visiva in cui la lezione teatrale sussiste soltanto nella meticolosa cura della recitazione, nella valorizzazione degli attori, indipendentemente dai ruoli che aveva rivestito Eduardo nei film diretti da altri registi. In qualche occasione, il caso di Eduardo e` stato paragonato a quello del francese Marcel Pagnol: ambedue teatranti, affezionati l’uno e l’altro ad una citta` solare, rispettivamente Marsiglia e Napoli. Eppure, tra il “marsigliese” e il napoletano una delle differenze risiede nella piu` netta disposizione di Eduardo a svincolarsi dai ritmi e dalle scansioni teatrali, non solo per il rilievo che il paesaggio e gli ambienti assumono nei film. Non di rado si dimentica che Eduardo ha concepito soggetti che altri hanno trasposto su pellicola: Rossellini in La macchina ammazzacattivi (’48) e De Sica in Ieri, oggi, domani (’63), episodio della sigaraia partenopea. E si dimentica che

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INTRODUZIONE

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in Fortunella (’58) ha lavorato su una sceneggiatura di Federico Fellini e Tullio Pinelli. Cosi come si dimentica che dei 13 film firmati, solamente quattro sono affiliabili in qualche modo ai suoi copioni teatrali. C’e` comunque una tradizione che si rigenera in Napoli milionaria! film, ravvisabile nell’incontro tra la letteratura drammatica meridio` stato un intreccio nale e la sua trasformazione cinematografica. E fertile e ha avuto almeno tre memorabili approdi: Assunta Spina di Gustavo Serena nel ’15, tratto dal dramma di Salvatore Di Giacomo; Sperduti nel buio di Nino Martoglio, desunto nel ’14 dalla pie`ce di Roberto Bracco; La tavola dei poveri di Alessandro Blasetti nel ’32, ricavato dalla commedia di Raffaele Viviani. Tre esempi di reincarnazione linguistica in cui l’apparentamento piu` naturale e` tra Eduardo e Martoglio, maestri di teatro ma anche, in quanto tali, decisi a non praticare un cinema che fosse illustrativo di componimenti pre-esistenti. Ma se la figura di Eduardo, sotto questo aspetto, e` da risarcire da parte di quanti hanno preferito limitarsi a lodare la valentia insuperabile dell’interprete grandissimo che e` stato, e` altresı` constatabile che la fusione tra cinema e teatro in Eduardo De Filippo ha dimostrato quanto sia fecondo, in linea generale, un connubio necessario all’arricchimento della civilta` dello spettacolo nel suo complesso. Nocivi si rivelano l’interruzione, il diradarsi di un rapporto che, in alcuni dei suoi passaggi migliori, Hollywood ha mantenuto in vita. Si rammentino i film discendenti da testi di Charles Bruce Millholland (Ventesimo secolo di Howard Hawks, ’34), Ben Hecht e Mc Artur (La signora del venerdı` di Howard Hawks, ’40, Prima pagina di Billy Wilder, ’74), Edward Albee (Chi ha paura di Virginia Woolf? di Mike Nichols, ’66) Eugene O’ Neill (Anna Christie di Clarence Brown, ’30, Strano interludio di Robert Z. Leonard, ’32, Viaggio senza fine di John Ford, ’40), Kaufman e Hart (L’eterna illusione di Frank Capra, ’38), Lillian Hellman (La calunnia, ’36, Quelle due, ’62, Strada sbarrata, ’37, Piccole volpi, ’41 di William Wyler), Maxwell Anderson (L’isola di corallo, di John Huston, ’48), Robert Sherwood (La foresta pietrificata di Archie Mayo, ’36), Arthur Miller (Morte di un commesso viaggiatore di Laszlo Benedect, ’51, Uno sguardo dal ponte di Sidney Lumet, ’61), Tennessee Williams (Un tram che si chiama desiderio di Elia Kazan, ’51, La rosa tatuata di Daniel Mann, ’55, La gatta sul tetto che scotta di Richard Brooks, ’58, Pelle di serpente di Sidney Lumet, ’59), Sidney Kingsley (Pieta` per i giusti di William Wyler,

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’51), Michael Gazzo (Un cappello pieno di pioggia di Fred Zinnemann, ’57), Robert Bolt (Lawrence d’Arabia di David Lean, ’62, Un uomo per tutte le stagioni di Fred Zinnemann, ’66), William Gibson (Anna dei miracoli di Arthur Penn, ’62), Neil Simon (La strana coppia di Gene Saks, ’68), William Shakespeare (Otello, ‘49/’52, Macbeth, ’48, di Orson Welles, Giulio Cesare di Joseph Mankiewicz, ’53), per elencare qualche titolo. Napoli milionaria!, dunque, ha convalidato la positivita` di un innesto che si tramuta in un indice di pericolo e d’impoverimento ogni qualvolta si allenta e si impigrisce il legame tra forme artistiche diverse. Questa e` una minaccia che incombe sulle nostre teste poiche´ talento, invenzione, ansia d’innovazione poltriscono nel cinema e nel teatro o sono eventi eccezionali. Il che induce a temere per il futuro. Mino Argentieri

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PREMESSA

Partiamo dal nostro titolo: La Napoli milionaria! di Eduardo De Filippo. Dalla realta` all’arte senza soluzione di continuita`. In questo titolo la realta` e l’arte si configurano come due fenomeni sovrapponibili, in rapporto di reciproca dipendenza: da una parte gli accadimenti storici, dall’altra un’opera d’arte, nella fattispecie una commedia che diventera` poi un film. La prima commedia “dispari” di Eduardo De Filippo, ambientata a Napoli, nasce dalla visione della vita quotidiana condizionata dalla guerra. Teomai, da cui deriva il termine teatro, in greco significa vedere. Quando gli antichi greci dicevano: “io so” (oida), usavano una parola che significa appunto “ho visto” ` attraverso (dal termine indoeuropeo wid, da cui deriva video). E questa visione, che e` anche un sapere, una conoscenza, che Eduardo puo` raccontare la realta` storica attraverso la scrittura teatrale e cinematografica. Il legame tra il cinema e la storia ha origini lontane, si puo` dire che nasce con la stessa arte cinematografica. Molti sistemi di visione, prima che venisse messo a punto il brevetto dei fratelli Lumie`re, avevano come soggetto avvenimenti storici: incoronazioni, matrimoni di regnanti, incontri tra capi di stato venivano immortalati e mostrati al pubblico delle fiere attraverso la lanterna magica. Sin dagli albori un’attenzione ai fatti storici fu dimostrata un po’ da tutte le cinematografie mondiali, come dimostrano capolavori come Intolerance di D. W. Griffith, Ottobre, piuttosto che la Corazzata Potemkim di M. S. Ejzenstejn. Ma se il legame tra il cinema e la storia e` cosı` antico e cosı` pieno di testimonianze d’amicizia, il rapporto tra storia e cinema, nel corso di questo secolo, non e` stato costellato da altrettante testimonianze d’affetto. Al contrario e` stato quanto mai farraginoso, ambiguo e vago. E lo dimostra il fatto che solo in tempi relativamente recenti si e` cominciato a prenderlo seriamente in considerazione come una fonte storica. Il ritardo con cui gli storici

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LA NAPOLI MILIONARIA!

contemporanei hanno considerato il cinema e` uno dei grandi misteri della ricerca scientifica, solo in parte spiegabile con l’interesse che gli addetti ai lavori hanno sempre riservato alla storia politica, relegando sullo sfondo altri aspetti della vita sociale e culturale. Un altro elemento che negava al cinema la patente di fonte storica era costituito dal fatto che lo si considerava un manufatto artistico. Essere un prodotto della fantasia (come se la fantasia non facesse Storia!) era un marchio che gravava pesantemente sulla sua attendibilita`. L’idea all’origine di questo lavoro, e che ne costituisce il principale metodo d’analisi, si fonda sulla consapevolezza opposta, ovvero che il film, sia esso di finzione piuttosto che documentario, insieme al reportage televisivo, puo` essere considerato il documento storico per eccellenza del novecento. Nell’intricata analisi del reale, il cinema puo` essere utilizzato per ricostruire un avvenimento o un determinato periodo storico, i comportamenti di una classe sociale, la mentalita` di un’epoca, l’immagine di una citta` piuttosto che di un’intera nazione. E tutto questo, paradossalmente, il cinema puo` farlo meglio quando non ci parla di specifici accadimenti storici, ma quando racconta d’altro. Film come Il boom o Il maestro di Vigevano, per fare degli esempi, possono dirci molto di piu` degli anni ’60 di quanto possa farlo qualunque altro film non coevo che intenda ricostruire quegli stessi anni. Eduardo De Filippo, ed e` questo l’assunto fondamentale che questa ricerca intende sostenere, con Napoli milionaria! commedia prima e con il film poi, pur producendo dei manufatti artistici, e` riuscito, prima di molti storici di professione, grazie alla sua straordinaria capacita` d’interpretare il reale, con un’attendibilita` che la stessa Storia gli ha poi riconosciuto, a descrivere molti fenomeni che accaddero in Italia nel periodo che va dalla fine del secondo conflitto mondiale agli anni immediatamente successivi. Ha, inoltre, individuato alcuni dei fenomeni che, prima, durante e dopo la guerra, hanno determinato la disumanizzazione dell’uomo. Ma non si e` limitato a mostrarne gli effetti, ha, con lo scioglimento della commedia attraverso un dono, la medicina che il ragionier Spasiano dona ad Amalia Jovine, indicato l’evento che puo` consentire all’uomo, nel momento in cui essa viene negata, di riaffermare la vita. Visto nell’ambito delle relazioni umane, e` sempre un dono ad avviare il circolo economico, sia esso economico in senso stretto, che etico, morale, di diritto o materiale che sia, ma e`, paradossalmente, sempre un dono, se ce n’e`, per citare il dettato di Derrida, a negare questo stesso circolo. Quello che descrive Eduardo, e` un invito a donare un

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PREMESSA



dono che non obbedisca al principio di ragione, al logos, al calcolo, al profitto, al capitale, alla ragion pratica. Nel racconto di Napoli milionaria! assistiamo cosi al dipanarsi di due tempi narrativi: un tempo organizzatore, quello di Amalia che, dal bisogno di sopravvivere, e` spinta, attraverso il contrabbando, a speculare fino al disumano sulla vita altrui, quindi al tentativo di appropriarsene, e un contro-tempo dis-organizzatore, quello di Gennaro che, da padrone di casa, accogliendo la medicina del ragioniere, spezza il circolo economico (ovviamente non soltanto quello creditizio/monetario), affermando l’etica del dono, ovvero della completa perdita e quindi del lutto (e non e` affatto un caso che la medicina venga donata proprio per sventare un lutto: la morte di Rituccia, la figlia piccola degli Jovine). Eduardo, ancorche´ un drammaturgo, si dimostra essere uno straordinario conoscitore dell’animo umano, accogliendo in questa determinazione le discipline costitutive delle scienze umane: la storia, l’antropologia, la filosofia, la psicologia e l’arte stessa che ` in questa direzione e sull’onda di questa consapeegli rappresenta. E volezza che questo lavoro intende procedere: documentare, attraverso l’analisi del periodo storico che va dal 1942 al 1950, l’iter creativo, l’analisi della commedia, le recensioni e le polemiche sorte all’indomani della sua uscita, che Napoli milionaria!, sia nella versione teatrale che in quella cinematografica, puo` essere considerata non solo la fonte di un manufatto artistico, ma anche, in ambito storiografico e delle scienze umane, una fonte storica primaria. Ma per far questo, come ben si sa, nessuna fonte, tranne quando e` usata per ricostruire fatti di limitata grandezza, puo` assolvere da sola ad un compito cosı` complesso. Per questo motivo si e` reso necessario affiancare al film e alla commedia l’uso di altre fonti, le piu` eterogenee e differenti possibili, purche´ in grado di fornire notizie utili alla ricerca. Nel primo capitolo si e` cercato di inquadrare la situazione storica e sociale degli anni 1942-1945, cioe` il periodo che va dall’occupazione nazi-fascista alla liberazione di Napoli con l’ingresso in citta`, dopo le “quattro giornate”, degli anglo-americani. Una particolare attenzione e` stata dedicata ai “mali” di Napoli, a quegli aspetti, cioe`, che inevitabilmente turbarono la vita quotidiana e relazionale dei napoletani. Il fenomeno piu` importante preso in esame e` quello del contrabbando, motore narrativo di Napoli milionaria! film e commedia. Nel secondo capitolo si e` analizzato, per capirne l’evoluzione artistica personale, l’Eduardo drammaturgo: il passaggio dal Teatro

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LA NAPOLI MILIONARIA!

Umoristico dei De Filippo al Teatro di Eduardo, che avvenne proprio con Napoli milionaria! Si e` poi, attraverso le valutazioni che storici e critici ne hanno fatto, analizzata la commedia. Si e`, infine, attraverso l’analisi delle recensioni, provato a ricostruire l’impatto che ebbe, all’indomani della sua apparizione nei teatri, sulla critica e sul pubblico. Nel terzo capitolo si e` cercato di ricostruire il percorso di Napoli milionaria! film. Attraverso lo spoglio degli articoli di presentazione, delle recensioni e della polemica sorta all’indomani della sua uscita, seguendo un percorso cronologico, si e` analizzato come il film fu accolto dalla critica e dall’opinione pubblica. Oltre a definire l’aspettativa che il film aveva prodotto, sia per il successo ottenuto dalla commedia che per i temi trattati, si e` cercato di esaminare il giudizio che espresse la critica militante e non. Quest’itinerario critico ci ha inoltre condotto, anche se solo parzialmente, a ricostruire, attraverso l’analisi della polemica scoppiata subito dopo la sua uscita nelle sale, il clima politico-culturale che si respirava in Italia in quegli anni. Nel quarto capitolo infine si e` cercato di fare un’analisi del film quanto piu` possibile scevra da condizionamenti ideologici e strumentali, per quanto ovviamente e` possibile essendo noi tutti comunque dei “prodotti culturali”. Attraverso la comparazione delle due versioni, quella teatrale e quella cinematografica, si sono evidenziate le differenze tra le due opere. Si e` poi cercato di definire come il film fosse fatto, il suo funzionamento, la sua lingua, anche in relazione ai modelli del recente neorealismo. Si e` in ultimo tentato di capirne il senso. Una ricerca, come tutti i viaggi che si rispettano, e` sempre un’avventura: si sa da dove si parte ma non si sa dove si arriva. Parte di questo viaggio ho avuto la fortuna di condividerlo con delle persone che mi hanno aiutato ad individuare la giusta rotta. Voglio ` grazie al taglio per questo ringraziare il professor Pasquale Iaccio. E del suo insegnamento, alla sua disponibilita` e ai suoi preziosi suggerimenti che questo lavoro si e` potuto realizzare. Un sentito ringraziamento va anche al signor Novelli che gestisce il Fondo Eduardo De Filippo all’Istituto di Storia Patria di Napoli. La sua passione e la sua solerzia, sempre collaborativa, mi hanno permesso di accedere a parte dei materiali da me usati nella ricerca. Un grazie va inoltre a Francesco De Cristoforo per i preziosi consigli a Sergio Villari, per avermi offerto parte del materiale fotografico usato nella ricerca, a Giuseppe Pellegrino e alla dott. Luisa Russo, bibliotecari della Facolta` di Lettere e Filosofia di Napoli.

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PREMESSA



Un grazie soprattutto a Maria che mi ha regalato il suo sorriso aperto e luminoso come l’abbraccio di un orizzonte. A mio fratello Marco (lui sa perche´) ad Antonio, ad Alessandro e alla mia nonna materna che se fosse viva sarebbe stata la piu` felice. Un ringraziamento va, infine, ai miei genitori, per non essersi andati a mangiare una pizza quella sera (cosa che avrebbero fatto bene a fare molte altre volte!). Se questo libro si e` potuto scrivere e`, ovviamente, solo grazie a loro. All’origine di ogni azione vitale c’e` sempre un bisogno vitale, biologico. La genesi di questo lavoro ha origini lontane ma ha come passo d’avvio l’incontro con una Ciliegia, che ho incontrato, come direbbe Baudelaire, cercando “mezzodı` alle quattordici”. Durante lo spoglio dei quotidiani, nel capitolo sulla ricezione del film, mi sono casualmente imbattuto in un articolo sui “cercatori d’immondizie”. I cercatori d’immondizie erano dei ragazzi che, ancora nel 1950, per sopravvivere scavavano e rovistavano in montagne di detriti cercando di accaparrarsi qualunque cosa potesse essere rivenduta al mercato. L’articolo denunciava la morte di uno di loro, un ragazzo di 12 anni travolto e soffocato da una valanga di immondizia: Francesco Jenga. Questo lavoro e` a lui dedicato, alla sua memoria.

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I napoletani oggi sono una grande tribu` che, anziche´ vivere nel deserto o nella savana, come i Tuareg o i Boja, vive nel ventre di una grande citta` di mare. Questa tribu` ha deciso – in quanto tale, senza rispondere delle proprie possibili mutazioni coatte – di estinguersi, rifiutando il nuovo potere, ossia quella che chiamiamo la storia, o altrimenti, la modernita`. La stessa cosa fanno nel deserto i Tuareg o nella savana i Boja (o fanno anche da secoli gli zingari): e` un rifiuto sorto nel cuore della collettivita`; una negazione fatale contro cui non c’e` niente da fare. Essa da una profonda malinconia, come tutte le tragedie che si compiono lentamente, ma anche una profonda consolazione, perche´ questo rifiuto, questa negazione alla storia, e` giusto, e` sacrosanto.

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Pier Paolo Pasolini

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QUADRO STORICO 1942-1945

1. L’esperienza della guerra a Napoli Nel 1942 Mussolini non aveva pronunziato discorsi particolarmente importanti, si riteneva quindi che la sua decisione di rivolgersi agli italiani, nell’approssimarsi della fine dell’anno, potesse sollevarli dall’angoscia della guerra. Ma nel discorso del 2 dicembre del 1942, il Duce annuncia alla nazione che la guerra sarebbe continuata anche contro l’URSS. La pace era piu` che mai lontana, la fame si sarebbe 1 fatta piu` dura, i bombardamenti si sarebbero intensificati . Gli italiani, che attendevano l’annuncio di un alleggerimento della guerra, videro cosi disilluse le proprie speranze. La gente reagı`, com’era prevedibile, con rabbia: i commenti raccolti dagli informatori dell’Ovra, la polizia segreta del regime, furono durissimi. Per la maggior parte degli italiani il mito del Duce era crollato. La favola della guerra dei popoli poveri contro quelli ricchi, del sangue contro l’oro, della guerra “proletaria”, annunciata da Mussolini in un discorso del 2 1940, era finita . Del resto, proprio nel discorso del 2 dicembre, in riferimento ai bombardamenti, sollecitando la gente ad abbandonare le citta` per le campagne senza un preciso piano di sfollamento, Mussolini aveva chiaramente invitato gli italiani ad arrangiarsi da soli. L’invito fu accolto come un chiaro segnale di abbandono, come una specie di ‘si salvi chi puo`’ sul piano personale, e, com’era prevedibile, da quel momento la preoccupazione di ogni italiano, ogni pensiero, ogni energia, fu destinata principalmente alla sopravvivenza. Sfuggire 1 Lepre A., Storia della prima Repubblica. L’Italia dal 1942 al 1992, Il Mulino, Bologna, 1993, p. 7. 2 Ibid.

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LA NAPOLI MILIONARIA!

alle bombe e trovare qualcosa da mangiare furono gli obiettivi quotidiani di ogni cittadino italiano. Cio` produsse un’inevitabile contrazione della solidarieta` che, come sempre accade in queste occasioni, 3 ` da trovo` forse solo nel tessuto familiare una rete di protezione . E questo momento che l’identita` nazionale fascista, fino a quel momento perno della vita sociale e civile, comincia il suo lento ma inesorabile sgretolamento. C’e` da dire che in quegli anni Napoli costituiva una base navale strategicamente importante nel Mediterraneo ed era inoltre centro di importanti industrie belliche metalmeccaniche e cantieristiche. Di qui l’intensita` con cui fu colpita prima dall’aviazione anglo4 americana e poi, successivamente alla liberazione, da quella nazista . I bombardamenti, pero`, che dal novembre del 1940 la colpiscono in fasi periodiche, sono per lo piu` brevi incursioni notturne che mirano a danneggiare essenzialmente gli obiettivi militari nella zona portua5 le . Il centro abitato ne e` in qualche modo risparmiato. Come riferisce Capobianco “queste prime incursioni sono vissute dai napo6 letani con paura, ma non ancora con terrore” . Alla fine del 1942, invece, ebbero inizio violenti bombardamenti diurni a tappeto che 7 colpirono interi quartieri della citta` . Burns ne La Galleria, romanzo storico ambientato a Napoli nel periodo dell’occupazione alleata, racconta la durezza dell’esperienza dei ricoveri antiaerei: “Nel 1943 bombardieri alleati colpivano Napoli senza tregua. Arrivavano nel pomeriggio ronzando come cicale impazzite. Ma Giulia e suo fratello Gennaro ne avevano abbastanza del puzzo delle famiglie costrette a passare l’una sull’altra notti e notti di seguito. Ne avevano abbastanza degli urli delle donne che partorivano nei ricoveri, quegli urli che superavano il rombo dei motori degli aeroplani e lo scroscio delle 8 bombe che cadevano sulle strade sopra le loro teste” . Aumenta la paura e il contraccolpo, ovviamente, non e` soltanto psicologico. Se l’anno precedente gli echi della guerra erano piu` lontani e la speranza che in primavera le cose sarebbero cambiate avevano in 3

Ivi, p. 8-9. Chianese G., Alle radici del nostro presente. Napoli e la Campania dal fascismo alla Repubblica 1943-’46, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1977, p. 65. 5 Stefanile A., I cento bombardamenti di Napoli. I giorni delle AM-lire, Marotta, Napoli, 1968, p. 34. 6 Capobianco L., La guerra a Napoli. Il vissuto e il rimosso, in “Italia Contemporanea”, n.164, settembre 1986, pp. 67-82. 7 Petraccone C., Napoli moderna e contemporanea, Guida, Napoli, 1981, p. 131. 8 Burns J. H., La Galleria, Baldini & Castoldi, Milano, 1992, p. 239. 4

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QUADRO STORICO 1942-1945



qualche modo reso l’inverno meno duro, dal dicembre del 1942, con l’escalation in negativo del conflitto e della situazione sociale ad essa connessa, “in ogni italiano c’e` solo un desiderio: la pace, da ottenere 9 a qualsiasi costo, anche a prezzo della sconfitta” . La scelta che s’impose in quei giorni fu drammatica e lacerante: desiderare la sconfitta del proprio paese per uscire da una situazione insostenibile ebbe serie conseguenze sui comportamenti e gli atteggiamenti mentali degli italiani. Provoco` sicuramente due fenomeni di enorme portata: da una parte il nazionalismo esasperato, fondato sulla volonta` di risolvere i problemi interni a spese di altri paesi, fu abbandonato per sempre, dall’altro, il recente passato o lo stesso presente non fu criticato ma semplicemente rimosso. “Si maledissero i bombardamenti a tappeto, ma solo alcuni, e con ritardo, ricordarono che eravamo stati noi a cominciare o quanto meno ad applaudire quelli 10 che avevano cominciato” . Ci fu una generale rimozione della guerra, avviata con entusiasmo e leggerezza, macroscopicamente sottovalutando il conflitto armato. “Il popolo italiano si assolse da ogni colpa, attribuendole per intero a Mussolini, ai fascisti e ai 11 tedeschi” . Questa rimozione pesera` non poco nella ricostruzione dello stato unitario dopo la liberazione. Assistiamo cosi, tra il dicembre del 1942 e i primi mesi del 1943, in un brevissimo arco di tempo, quindi, alla trasformazione dei tedeschi da alleati in nemici. “A Napoli in quei mesi si era diffuso una sorta di antifascismo istintivo, che pur non avendo le motivazioni ideologiche dell’antifa12 scismo organizzato, finı` col fare con esso un fronte unico” . Col progredire del 1943 l’offensiva dell’aviazione alleata si fece sempre piu` pesante e massiccia. Le incursioni aeree devastavano i centri abitati: i bombardieri americani, le famigerate “fortezze volanti”, erano in grado di lanciare ordigni di una tonnellata capaci di sventrare interi edifici fino alle fondamenta. Le distruzioni sulla citta` di Napoli si concentrano nei quartieri centrali e piu` popolari e popolosi di Mercato, Pendino e San Lorenzo, dove, tra l’altro, le strutture edilizie erano gia` fatiscenti. Il porto nel 1943 era pressoche´ distrut13 to . Ovviamente in una situazione del genere le condizioni di vita erano diventate assai difficili. Era impossibile conservare anche solo 9

Lepre A., Storia della prima Rep., cit., p. 9 Ibid. 11 Ivi, p. 10. 12 Petraccone C., Napoli moderna e contemporanea, cit., p. 132. 13 Ibid. 10

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

LA NAPOLI MILIONARIA!

l’illusione che la vita potesse essere scandita da una qualche sorta di normalita`. Bisognava rifugiarsi in qualunque luogo potesse dare una maggiore protezione della casa che “non era considerata piu` un 14 luogo sicuro” . Molti quindi furono costretti a nascondersi nei rifugi o addirittura in campagna. Questa volta lo sfollamento era veramente necessario. La casa, pero`, non era rappresentata solo dalle mura. A quei tempi la disastrosa situazione economica faceva ritenere “beni” qualunque cosa potesse essere utile: “mobili, materassi di lana, batterie da cucina in rame, costituivano per gli strati operai e impiegatizi, una piccola ricchezza, la cui perdita sotto un bombardamento 15 era considerata una sciagura che cancellava sacrifici di lunghi anni” . Anche questi oggetti, dovevano, quindi, in qualche modo essere portati in salvo. Da qui l’abitudine, generata dal bisogno, della gente 16 di portare in salvo tutte le loro masserizie . Un altro fenomeno che in quei mesi si determino` con tutta la sua drammaticita` fu un fortissimo sviluppo del mercato nero che la mancanza di generi 17 alimentari e le difficolta` di comunicazione avevano provocato . Viaggiare all’aperto con la possibilita` di essere sorpresi da un bombardamento costituiva un deterrente enorme per gli spostamenti. Se si considera poi che la scarsita` dei beni di prima necessita` era sempre maggiore, si puo` facilmente dedurre quanto tutto questo incidesse negativamente nell’approvvigionamento della citta`. Va ricordato, inoltre, che il capoluogo campano risentı` le conseguenze di non essere al centro di una zona di produzione di generi alimentari come 18 ad esempio il grano . A luglio, dopo lo sbarco delle truppe alleate in Sicilia, la situazione precipito` e la popolazione accolse con soddisfazione, il giorno 25, la notizia dell’arresto di Mussolini da parte del Re Vittorio Emanuele III. La convinzione generale era che, dopo l’arresto, la guerra sarebbe finita, ma “l’ambiguita` del governo Badoglio e la lentezza delle sue trattative con gli alleati prolungarono i bombarda19 menti che in agosto continuarono a colpire la citta`” mettendola

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Lepre A., Storia della prima Rep., cit., p. 9 Ivi, p. 10-11 16 Un esempio ricostruito attraverso un’opera di finzione e` riscontrabile nel film di G. Gentilomo ’O sole mio ambientato a Napoli. In molte scene di raccordo sono visibili colonne di persone che si dirigono con le loro masserizie verso la campagna o nei rifugi. 17 Petraccone C., Napoli moderna e contemporanea, cit., p. 132. 18 Chianese G., Alle radici del nostro presente, cit., p. 49. 19 Petraccone C., Napoli moderna e contemporanea, cit., p. 133. 15

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QUADRO STORICO 1942-1945

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letteralmente in ginocchio. Le speranze di pace sembrarono realizzarsi con la firma dell’armistizio segreto tra l’Italia e gli Alleati. “Le clausole erano molto dure: l’Italia doveva arrendersi senza condizioni, non veniva accolta tra gli Alleati e le veniva riconosciuto solo 20 l’ambiguo status di «cobelligerante»” . L’8 settembre l’armistizio fu reso pubblico. Gli anglo-americani intanto erano sbarcati a Salerno. Napoli era, quindi, ancora nelle mani dei tedeschi. La fuga del sovrano e del governo da Roma a Brindisi, il disfacimento dell’esercito con il relativo sbandamento dei militari, il fatto di sentirsi soli e indifesi in mezzo ai due schieramenti che si combattevano provoco` il definitivo crollo dell’idea di Nazione e di Stato da parte dei cittadini italiani. Il minaccioso avvicinarsi degli alleati e la convinzione d’essere stati traditi dagli italiani spinse i tedeschi a compiere azioni di rappresaglia nei confronti della popolazione inerme. Furono saccheggiati magazzini, operati rastrellamenti nei confronti di civili. Questi episodi, insieme alla ormai insostenibile situazione di precarieta` e di fame, costituirono la chiave di volta che fece esplodere comportamenti sociali di aperta ribellione. In vari punti della citta` si ebbero i primi scontri armati. La rivolta contro quelle che ormai venivano considerate truppe di occupazione scoppio` il 27 settembre. Tra il 27 e il 30 settembre una vera e propria battaglia si svolse per le strade di Napoli. Le “Quattro Giornate” mossero in primo luogo dalle piu` elementari esigenze di sussistenza, come, ad esempio, il bisogno di difendere la vita degli uomini che rastrellati rischiavano d’essere 21 deportati . Gli antifascisti, tra l’altro, non dispongono neppure del tempo necessario per organizzare un movimento clandestino armato e per orientarlo politicamente. La rivolta non ha una direzione politica e militare centrale e i combattenti delle Quattro Giornate di Napoli si impegnano nella caccia ai fascisti solo quando si tratta di spie al servizio dei tedeschi, senza colpire pero` in alcun modo gli esponenti del regime, che non si sono esposti con i tedeschi, a cominciare da Achille Lauro, che rimane tranquillamente nella sua villa di via Crispi (dalla quale sara` cacciato dagli americani). L’insurrezione nacque, quindi, come moto spontaneo e solo negli ultimi due giorni gli elementi piu` politicizzati diedero una certa organizzazione e obiettivi precisi alla rivolta. “Quando, il 30 settembre, i tedeschi furono obbligati a rilasciare 47 ostaggi rinchiusi nello stadio del 20 21

Ginsborg P., Storia d’Italia dal dopoguerra ad oggi, Einaudi, Torino, p. 9. Chianese G., Alle radici del nostro presente, cit., p. 49.

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LA NAPOLI MILIONARIA!

Vomero, si verifico` in Italia la prima capitolazione dell’esercito nazi22 sta di fronte a combattenti civili” . Nonostante ci sia stato anche chi, 23 come Enzo Erra , abbia negato l’esistenza delle Quattro Giornate di Napoli, la rivolta napoletana aveva detto a tutta l’Europa, all’Italia, che l’insurrezione popolare era possibile, ci si poteva opporre e sconfiggere l’invasore straniero. Le truppe tedesche abbandonarono Napoli e il giorno seguente, il primo ottobre, la citta` era nelle mani dei patrioti. Lo stesso giorno entrarono a Napoli le truppe e i carri armati anglo-americani. “Napoli, con le sue Quattro Giornate, si era 24 liberata dell’occupazione tedesca prima dell’arrivo degli Alleati” . I gruppi che avevano partecipato alla rivolta, dai comunisti ai liberali, sperarono per questo di ottenere un ruolo nell’amministrazione della citta`, “ma, sia per l’effettiva debolezza delle forze politiche locali espresse dal Comitato di Liberazione Nazionale, sia per l’esaurirsi della carica potenzialmente innovativa contenuta nel moto delle Quattro Giornate, la possibilita` dei partiti locali di svolgere questo 25 ruolo nella riorganizzazione della vita della citta` fu minima” . A parlare sarebbe stato, come sempre accade in guerra, chi deteneva il potere delle armi, ovvero gli anglo-americani.

2. La situazione a Napoli nell’immediato dopoguerra Non c’e` notte cosi lunga che possa impedire a un nuovo giorno di 26 sorgere. “Ha da passa’ ’a nuttata” fara` dire Eduardo De Filippo a Gennaro Jovine, nella celeberrima battuta finale di Napoli Milionaria! che racchiude in se` il senso di un’esperienza tanto devastante quanto difficile da superare: la guerra. Napoli e` la prima tra le grandi citta` ad essere governata dall’Amministrazione Alleata. Il governo militare, stabilitosi a Napoli fin dai primi giorni successivi all’ingresso delle truppe il primo ottobre, trovo` la citta` in condizioni disastrose. L’ingresso in citta` fu salutato con grande calore dai napoletani: “Non appena si seppe che erano arrivati, il piu` sfrenato entusiasmo si

22 Cfr. De Jaco A., La citta` insorge. Settembre 1943. Le quattro giornate di Napoli, a cura di Gelati A., Monteleone, Roma, 1995, p. 39. 23 Erra E., Napoli 1943. Le quattro giornate che non ci furono. Longanesi, Milano, 1993. 24 Petraccone C., Napoli moderna e contemporanea, cit., p. 134. 25 Ibid. 26 De Filippo E., Cantata dei giorni dispari, vol. I, a cura di Barsotti A., Einaudi, Torino, 1995, p. 98.

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QUADRO STORICO 1942-1945



diffuse nelle strade. La gente giungeva da tutte le parti, ridendo, piangendo, acclamando, pregando, mostrando in ogni modo la sua gioia e la sua riconoscenza per coloro che l’avevano liberata dai 27 tedeschi” . Per i napoletani arrivava in citta` la speranza, la possibilita` di voltare pagina. L’incredibile ricchezza e potenza di mezzi e di armi della variopinta 5˚ Armata impressiono` notevolmente l’immaginazione dei partenopei che non si aspettavano una cosi sofisticata organizzazione militare. Al loro ingresso in citta` gli alleati elargirono copiose dosi di sigarette, chewing-gum, coca cola, pane bianco, cioccolata e autentico caffe`. Una meraviglia per un popolo da mesi ridotto alla fame. Questo entusiasmo, se da un lato la dice lunga sui mesi di sacrifici e privazioni a cui il popolo napoletano era stato costretto, dall’altro palesa un profondo bisogno di ritornare a vivere, un desiderio di rinascere umanamente e materialmente. Ma in quei ` un giorni la citta` era distrutta, letteralmente sull’orlo del baratro. E caos inabitabile che suscita paura e terrore negli occupanti. John H. Burns, capitano dell’esercito americano, nel suo gia` citato romanzo storico La Galleria cosi descrive il suo ingresso in citta`: “Ai primi di ottobre 1943, Napoli era la citta` del caos, del movimento senza scopo, della puzza, della pioggia, dei fari dei camion militari che sbucavano fuori dalla nebbia come occhi senza palpebre”; e ancora poco piu` avanti: “tramontato il sole tra rovesci di pioggia, i pochi che osavano uscire avanzavano brancolando sui marciapiedi, in una spaventosa oscurita`. Non vi erano luci al di fuori di quelle dei convogli di trasporto. I cadaveri rimanevano dove erano caduti a raggricchiarsi e gonfiarsi sotto la pioggia. I napoletani li spogliavano di tutto quello che avevano addosso: i vivi avevano bisogno di abiti. Le fogne della citta` avevano rigurgitato in un conato di vomito, come stomachi nauseati dalla guerra. Il fetore, che la baia respingeva, proveniva dalle condutture spezzate nelle strade. Si parlava di tifo, pregando che fosse vera la notizia di un nuovo disinfettante usato dagli americani. E durante il giorno, il povero sole che faceva capolino fra gli scrosci di pioggia mostrava uno spettacolo ancora piu` terribile di quello che si poteva immaginare nel buio. Gruppi di napoletani ritornavano sui carri dai loro nascondigli fuori citta`. La mobilia 27 De Marco P., Polvere di piselli. La vita quotidiana a Napoli durante l’occupazione alleata (1943-1944), Liguori, Napoli, 1996, p. 3. Cita discorso del Col. Edgar E. Hume (RCAO), Region 3 (Fifth Army) 9 september 1943-15 December 1943, pp. 7-8, National Archives of Washington, rg 331 10000/129/167 (copie dei documenti americani citati nel volume sono custodite presso l’archivio dell’Istituto Campano per la storia della Resistenza).

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

LA NAPOLI MILIONARIA!

veniva spinta per le vie. Barocci e furgoni ingombravano le strade attraverso le quali i trasporti di truppe tentavano di passare. Gli MP americani lavoravano di bastone, tiravan calci e inveivano contro i cavalli e i padroni dei carri, agitandosi e lottando col traffico come Laocoonti in una luce crepuscolare”. Uno scenario sconcertante, da inferno dantesco. L’illusione della liberazione vive lo spazio di una giornata. Com’e` evidente da questo agghiacciante racconto, non sarebbe bastata una “nottata” per dimenticare o risolvere i mali della guerra. Nel governo americano gli uomini del New Deal, guidati dallo stesso Roosevelt, chiedevano che per i popoli liberati si affermasse il 28 principio dell’autodeterminazione . Napoli non e` una citta` da “occupare”, ma da rimettere in piedi con il contributo decisivo degli stessi napoletani. Ma e` un’idea che si sarebbe rivelata illusoria, poiche´ “in quei giorni le ferite della citta` sono tutte aperte: un grande corpo insanguinato in cui la gente si aggira stravolta, affamata, 29 aggredita dalle infezioni senza case e lavoro” . Come si e` visto le condizioni igieniche erano al limite della tollerabilita` e avrebbero potuto favorire lo scoppio di malattie infettive. In citta` si erano gia` riscontrati casi di tifo e il diffondersi di un’epidemia era una minaccia reale che incombeva sulla popolazione30. Le infrastrutture igieniche essenziali, fognature, raccolte di rifiuti, erano quasi del tutto fuori uso. Gli Alleati, per evitare il rischio che un eventuale contagio si diffondesse anche tra le loro truppe, sottoposero tutti i quartieri di Napoli ad una drastica disinfezione con nuove polveri insetticide (per primi i napoletani sperimentarono il Ddt, con esiti fortunatamente 31 risolutivi) . Ma questo era solo un aspetto degli svariati problemi esistenti. A parte le pessime condizioni igieniche, la situazione era aggravata dalla mancanza di infrastrutture sanitarie, andate quasi completamente distrutte dai bombardamenti. Tutti i settori della vita cittadina erano bloccati: i tribunali, le scuole, le banche, i trasporti pubblici. Napoli dava inoltre la sensazione d’essere una citta` semideserta dal momento che i negozi erano chiusi per la mancanza di merci ed era stato imposto il coprifuoco dalle 19 alle 5,30: “cio` contribuiva a 28

Lepre A., Storia della prima Repubblica, cit., p. 13. Corsi E., Napoli contemporanea. La citta` dalla guerra al Duemila, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1995, p. 1. 30 Petraccone C., Napoli moderna e contemporanea, cit., p. 135. 31 Ibid. 29

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QUADRO STORICO 1942-1945

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rendere l’atmosfera ancora piu` tetra dopo il tramonto, perche´ la citta` era completamente avvolta nelle tenebre per la mancanza di illuminazione e per il mantenimento in vigore delle norme dell’oscuramen32 to” . Nei primi giorni di ottobre perfino l’allarme antiaereo non funziona piu` e le sirene tacciono per l’assoluta mancanza di energia elettrica. A tutto questo va aggiunto che la guerra non era ancora finita. Le incursioni aeree tedesche, che con i loro bombardamenti procurarono ancora altre vittime, iniziarono pochi giorni dopo l’ingresso degli Alleati in citta`. Il 7 ottobre “una mina tedesca a scoppio ritardato contenente qualche centinaia di chilogrammi di alto esplosivo” scoppia sotto il palazzo delle poste “in un’ora in cui i locali e i 33 dintorni sono particolarmente affollati” . A detta del cronista i morti si contano a decine e i feriti a centinaia. Il 12 ottobre, nella zona orientale della citta`, in una caserma abbandonata dai tedeschi e ora occupata dagli alleati, scoppia un’altra mina. Il bilancio e` di 25 morti e 50 feriti. Ma la memoria delle nefandezze dei tedeschi non viene risvegliata soltanto da questi episodi. In quei giorni, infatti, cominciano ad essere pubblicate sui giornali “le liste degli studenti e degli operai dispersi, uccisi o deportati e un brivido di terrore e di morte 34 ripercorre di nuovo tutta la citta`” . Il fenomeno dei congiunti dispersi costringe molte persone a trovare rifugio in forme assurde di 35 credenze. Proliferano infatti “indovine e chiromanti” non solo in provincia ma anche in citta`, nei vicoli e fra i bassi. Aprono numerosissime sedi di divinazione di fronte alle quali si accalcano moltissime persone con la speranza di sapere qualcosa sui loro congiunti o, in 36 generale, sul loro futuro . La necessita`, si sa, aguzza l’ingegno. Scattano cosi truffe e inganni di ogni sorta. False suore e falsi preti girano per le case raccogliendo offerte per orfanotrofi da erigere, brefotrofi e ricoveri per bambini soli e abbandonati. Si adopera qualunque espediente pur di sopravvivere. Si arriva addirittura a ` il caso sempre di Napoli milionaria! in cui per evitare fingersi morti. E una perquisizione da parte della polizia si mette in scena una finta veglia funebre di un finto morto. Ci si traveste anche. Un uomo di

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De Marco P., Polvere di piselli, cit., p. 9. “Risorgimento”, 9 ottobre 1943. 34 Lambiase S., Nazzaro G., Napoli 1940-’45. Longanesi, Milano, 1978, p. 116. 35 Ivi, p. 152. 36 Ne e` l’esempio forse piu` noto anche se contestualizzato in anni di poco successivi quello del protagonista di Ladri di biciclette di V. De Sica che per avere notizie della sua bicicletta si reca da una nota veggente. 33

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LA NAPOLI MILIONARIA!

fatica, abitante del vicolo e amico della famiglia Jovine, si traveste da “miezo prevete” per dare una parvenza di sacralita` alla messinscena. Tra i problemi piu` urgenti che gli Alleati dovettero affrontare, oltre al miglioramento delle condizioni igieniche, c’era quello dell’approvvigionamento della citta`. Per questo motivo era fondamentale la ricostruzione del porto in modo da permettere l’arrivo dei rifornimenti alimentari per la popolazione37. C’era inoltre il problema dell’ordine pubblico. Al fatto che i nazisti prima di abbandonare la citta` avevano aperto le carceri liberando i detenuti, si sommavano i furti e gli episodi di sciacallaggio a cui la miseria umana e materiale costringeva centinaia di cittadini. Per porre un argine a questo stato d’anarchia gli Alleati ripristinarono le vecchie strutture di polizia, tra cui i Carabinieri, la Questura e la Guardia di Finanza. Furono, inoltre, riaperte le banche, le poste e furono rimessi in funzione i servizi pubblici. Ma nonostante questo fervore di attivita` le condizioni di vita a Napoli non migliorarono molto.

3. La fame, il mercato nero, le malattie e gli altri disagi provocati dalla guerra Forse l’aspetto piu` inquietante del disagio sociale era costituito dalla fame. L’impossibilita` di approvvigionarsi costrinse i napoletani, per sopravvivere, ad alimentarsi con il pochissimo cibo disponibile sul mercato, come “le patelle o le frattaglie e la carne di scarto, se non addirittura di erbe, come nel pieno delle medievali carestie”38. A tal proposito e` significativa la testimonianza di Norman Lewis sullo spettacolo a cui aveva assistito l’8 ottobre nelle campagne di Afragola: “Centinaia, forse migliaia di italiani, in gran parte donne e bambini, spinti dalla fame, erano sparsi nei campi ai lati della strada alla ricerca di erbe commestibili. Mi sono fermato a parlare con alcuni di essi, che mi hanno detto d’aver lasciato le loro case di Napoli all’alba, e di aver camminato due o tre ore per raggiungere il posto dove li avevo incontrati, a una dozzina di chilometri dalla citta`. Qui un bel po’ di erbe si trovano ancora, mentre piu` vicino a Napoli i campi sono stati spogliati di tutto quello di cui ci si poteva

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Petraccone C., Napoli moderna e contemporanea, cit., p. 135. De Marco P., Polvere di piselli, cit., p. 9.

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cibare”39. Lo stesso Lewis nel suo resoconto, qualche pagina piu` avanti, riporta come corresse voce che la popolazione felina della citta` fosse in drastico calo. Era tale la fame che si mangiava tutto cio` che potesse essere anche solo lontanamente commestibile. L’immagine dell’abbondanza che gli Alleati avrebbero dovuto portare si sarebbe rivelata tale solo in parte. “La razione di pane che ricevettero i napoletani nel dicembre del 1943 era di 100 grammi giornalieri (50 in provincia), aumentati poi a 125 grammi (100 in provincia) fino al 7 febbraio, quando vennero portati a 200, che era in realta` la razione che gli Alleati avevano previsto al momento dello sbarco”40. Queste razioni naturalmente non erano sufficienti a soddisfare il fabbisogno alimentare dei napoletani. Nel dicembre del 1943 il mercato nero procurava al capoluogo campano circa l’80% dei generi alimentari che servivano alla popolazione “con prezzi che, per quelli fondamentali, pane e pasta, potevano arrivare a superare di trenta volte i prezzi dei generi razionati”41. Sin dall’inizio della guerra coesistevano a Napoli tre diverse vie di distribuzione dei generi alimentari: quello del razionamento, costituito da alcuni generi essenziali, controllati nella qualita` e nel prezzo, quello del cosiddetto mercato libero, che comprendeva tutti i generi non razionati, venduti a prezzi controllati, e quello del mercato nero, costituito dagli stessi prodotti del razionamento e del mercato libero, ma venduti clandestinamente, attraverso una trattativa diretta tra venditore e consumatore. Nonostante acquistare prodotti sul mercato nero fosse reato, i consumatori, spinti dalla necessita`, erano costretti a subire questa forma di sopraffazione. Infatti, per la stragrande maggioranza dei napoletani, il razionamento, cioe` il sistema di distribuzione di viveri a prezzo controllato, organizzato dalle autorita`, non era assolutamente sufficiente a soddisfare il loro fabbisogno alimentare. I consumatori potevano accedere a questi prodotti utilizzando la carta annonaria personale che era loro consegnata ogni mese, la cosiddetta “tessera”, dotata di cedole di prenotazione dei vari generi razionati o contingentati. La penuria di prodotti, l’assoluta insufficienza della razione42, il collasso del sistema di controllo

39 40 41 42

Lewis N., Napoli ’44, Adelphi, Milano, 1993, p. 36. Lepre A., Storia della prima Repubblica, cit., p. 24. Ibid. De Marco P., Polvere di piselli, cit., p. 9.

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degli ammassi, ebbero come inevitabile conseguenza una brusca impennata del costo della vita. L’inflazione, contenuta fino al 1943, ebbe una vertiginosa ascesa nel 1944 – 1947. Ovviamente l’inflazione alimentava i canali del mercato nero che, a partire dagli ultimi anni 43 della guerra, costituiva in realta` l’unico mercato esistente . Ad un sistema di distribuzione ufficiale, quindi, si contrapponeva un circuito illegale che garantiva la sopravvivenza, pur falcidiando il gia` scarsissimo potere d’acquisto dei consumatori. La fame quindi scandiva il ritmo quotidiano della Napoli postbellica. Al disagio di ampie fasce della popolazione faceva riscontro il rapido arricchimento di coloro che s’inserivano nel circuito parassitario extralegale del mercato nero. L’accumulo delle derrate, o di qualsiasi altro bene di consumo, nelle mani dei contrabbandieri, “faceva si che la merce divenisse irreperibile, al punto da determinare un’affannosa e costante ricerca di beni di prima necessita`, fra ansie, 44 umiliazioni e sacrifici inauditi” . Il contrabbando era un mondo 45 molto composito che interessava tutti gli strati della societa` . Il fenomeno veniva alimentato da diversi canali. Centinaia di colpi di “batisti”, i vagoni merci scomparsi alla stazione centrale e dai depositi del porto, dalle tipografie che stampavano le tessere annonarie false, dai rifornimenti Unrra che non venivano distribuiti alla popolazione, ed, ancora, i quintali di grano e farina sottratti alla produzione di pane per il mercato tesserato. Il contrabbando era gestito da “un’organizzazione delinquenziale capillare che operava per bande, che agivano per zone e di cui le piu` consistenti erano le bande Iorio, Nasti e La Marca che operavano in particolare nel Nolano e nell’area 46 vesuviana” . All’opera, non soltanto nel mercato alimentare, c’erano spesso anche gli “scugnizzi”. Norman Lewis nel suo diario annota episodi che restituiscono il clima di illegalita` e di necessita` che in quei giorni regnava a Napoli: “Oggi a Posillipo mi sono fermato ad osservare il metodico smantellamento di un semicingolato tedesco in panne da parte di un gruppo di ragazzini che si allontanavano trasportando, come tante formiche operaie, pezzi di metallo di ogni 47 forma e dimensione” . Assiste poi con stupore ad un’altra scena 43

Chianese G., Alle radici del nostro presente, cit., p. 50. Lambiase S., Nazzaro G., Napoli 1940-’45, cit., p. 145. 45 Chianese G., Alle radici del nostro presente, cit., p. 51. 46 Cfr. Carabinieri e squadra mobile allo sbaraglio della banda Nasti nelle campagne vesuviane, e La sfida della banda Nasti alla squadra mobile, in “Roma”, 16 e 18 ottobre 1946. 47 Lewis N., Napoli ’44, cit., p. 56. 44

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simile qualche mese piu` tardi, nel febbraio del 1944: “un carro armato in avaria abbandonato a Porta Capuana che, nonostante non si vedesse mai nessuno toccarlo con un dito, si dissolse giorno dopo giorno, come se la sua corazza fosse stata di ghiaccio, finche´ non ne 48 rimase nulla” . Si fa dunque incetta di qualunque cosa possa produrre profitto. C’e` da dire inoltre che lo sviluppo del mercato nero era indirettamente favorito anche dagli Alleati, i quali “non solo non fornivano i viveri necessari per un efficace funzionamento del razionamento, ma imponevano anche, per motivi di sicurezza, seri ostacoli ai traffici tra la citta` e l’esterno, che potevano, cosi, verificarsi 49 solo attraverso canali clandestini” . Tra l’altro l’azione repressiva delle forze di polizia era spesso ostacolata proprio dal coinvolgimento degli stessi soldati alleati, in particolare di quelli di colore, molto attivi nelle attivita` illegali del mercato nero. “Inizialmente si era diffusa la pratica tra i militari di vendere ai napoletani le scatolette di carne delle razioni o di barattare le sigarette in cambio di servizi di 50 lavanderia o di altre piccole prestazioni” . Ma pian piano si svilupparono i primi contatti con i borsari neri, che sfociarono spesso in vere e proprie organizzazioni delinquenziali. I soldati che trasportavano le merci si mettevano d’accordo con i contrabbandieri ai quali in cambio di una percentuale davano parte dell’approvvigionamento trasportato. Altri militari che disponevano di mezzi di spostamento accettavano di trasportare merce di contrabbando ottenendo compensi elevatissimi. I napoletani, pur di acquistare cibo e vestiti, medicinali e scarpe, sapone, candele e carbone, si privano di tutto cio` che avevano di superfluo o di non strettamente necessario: “Torme affamate di uomini e donne percorrono la campagna della periferia con sacchi di biancheria, valige di vestiti, oggetti d’oro e d’argento cuciti tra i panni per paura dei ladri, da offrire ai contadini 51 in cambio dei loro prodotti” . Spariscono cosi in breve tempo i gioielli, i “ricordi” di famiglia, i quadri, l’argenteria, i corredi e 52 quant’altro . Ad approfittarne, quindi, come abbiamo detto, sono anche gli Alleati che, praticando inizialmente il baratto, si immettono nel mercato della fame scambiando merce sottratta ai loro depositi o avuta in dotazione dall’esercito. Si tratta di camicie, maglie, giacche, 48 49 50 51 52

Ivi, p. 102. De Marco P., Polvere di piselli, cit., p. 119. Ivi, p. 124. Lambiase S., Nazzaro G., Napoli 1940-’45, cit., p. 122. Ivi, p. 148.

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pantaloni, scarpe e, soprattutto, come ricordato prima, scatolame: “Questo baratto di merci e` come una voragine aperta che ingoia tutto: un flusso e riflusso continuo, apparentemente sotterraneo, invisibile e misterioso di fronte alla legge, ma che poi risale alla luce 53 del sole, nelle strade, nei vicoli, nelle piazze, sulle soglie delle case” . Un esempio di questo brulicare di merci e oggetti di ogni tipo presente nei vicoli e` data proprio in una delle sequenze iniziali del 54 film Napoli Milionaria! . Fare business per questi militari e` una frenesia, mentre, dall’altra ` un parte, per i napoletani, disfarsi di tutto e` una necessita`. E commercio basato sulla legge del piu` forte, dove quindi la popolazione affamata e bisognosa di tutto ha poco potere di scambio. Il cittadino indifeso e` costretto a vendere cio` che ha, cosi come era costretto dai tedeschi a consegnare i propri averi nelle continue 55 requisizioni . Questi fenomeni erano un chiaro segno di disgregazione e di perdita di qualsiasi vincolo di solidarieta` e di umanita`. Il problema della responsabilita` degli Alleati nella diffusione del mercato nero e dei furti viene sottolineato dallo stesso Eduardo De Filippo in una considerazione che Gennaro Jovine fa al brigadiere Ciappa, a proposito di un incredibile furto di una nave, la Liberty, nel porto di Napoli: “(Come una voce che corre nel vicolo) – Nun sapite niente? A Napule e` sparito nu piroscafo cu tutto ’o carico”. E nun e` overo, brigadie’. Nun po’ essere overo. Chi ci crede e` in malafede. Ma scusate, come sparisce nu piroscafo? Ch’e` fatto nu portamonete? E po’ pure si e` overo, allora io dico nata cosa... Logicamente si ’o fatto e` overo, vuol dire che stu mariuolo napulitano s’ha avuta pe’ forza mettere d’accordo cu n’atu mariuolo, ca nun e` napulitano... si 56 no comme spariva stu piroscafo?” . L’episodio riferito, come voce, circolo` realmente a Napoli. De Filippo, riportandolo, intende sottolineare la connivenza che ci fu tra i militari anglo-americani e i napoletani proprio legata ai grandi furti che sicuramente non potevano avvenire se non con la collaborazione degli americani stessi. Nonostante questi episodi, i soldati alleati di stanza a Napoli, in 53

Ibid. La scena e` molto divertente. La polizia, giunta nel vicolo, requisisce una serie di oggetti ritenuti di natura illegale caricandoli su un camion. I “legittimi” proprietari, durante la dipartita del camion, con una serie di espedienti lo costringono piu` volte a fermarsi riprendendosi di volta in volta parte del materiale requisito, al punto che quando il camion ritorna in caserma e` di nuovo vuoto come quando era arrivato. 55 Lambiase S., Nazzaro G., Napoli 1940-’45, cit., p. 149. 56 De Filippo E., Cantata dei giorni dispari, a cura di Barsotti A., cit., p. 87. 54

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particolare quelli americani, continuavano a conservare un’immagine ambivalente per i napoletani. C’era chi li considerava i maggiori responsabili del mercato nero e del clima di violenza che si viveva in 57 citta` e chi in qualche modo li considerava dei salvatori . Un aspetto particolarmente odioso del mercato nero e` determinato dalla diminuzione e dal conseguente imboscamento dei medicinali. A tal proposito Norman Lewis, in cerca di un medicinale per un suo amico, si reca con la ricetta dal suo contatto nell’ambiente farmaceutico: “Mentre aspettavo che mi portassero quello che avevo chiesto, ho girato intorno alla cassa per osservare piu` da vicino un ragazzino impegnato a scollare le etichette inglesi prima di appiccicare quelle italiane. Non ero tenuto ad intromettermi, e comunque un mio intervento non sarebbe servito a nulla. Come solo risultato avrei perso un amico, e la medicina di don Ubaldo. A poco a poco 58 mi sto adeguando al sistema!” . Il fenomeno dell’imboscamento dei medicinali produce una feroce speculazione sulla salute che induce 59 “all’affanno e alla disperazione le famiglie degli ammalati” . Il caso che forse ha reso emblematiche queste manifestazioni viene ancora una volta raccontato da Eduardo in Napoli milionaria! L’intera vicenda narrata nella cantata, ruota intorno al contrabbando e alla necessita` di trovare nel finale una medicina per Rituccia, la figlia gravemente malata dei coniugi Jovine. Ma di questo avremo modo di parlare nello specifico piu` avanti negli altri capitoli. Sta di fatto che intorno alla necessita` di reperire medicinali si verificano veri e propri episodi di sciacallaggio. Chi possedeva clandestinamente medicine poteva, specie nei casi piu` gravi, letteralmente determinare la vita o la morte di chi ne aveva bisogno. Dall’arbitrio dei detentori delle medicine “dipende la cura dei mali e l’eventuale guarigione, possedendo egli, molto piu` delle farmacie distrutte o saccheggiate, i mezzi 60 per far fronte all’emergenza specifica” . In quel periodo si diffuse l’uso della penicillina, considerata dalla popolazione la panacea di tutti i mali. Quasi sempre le medicine provenivano dall’estero, nella maggior parte dei casi dall’Inghilterra e dagli Stati Uniti, e venivano 61 gestite attraverso strutture militari o da centri da essi istituiti . Nonostante le ripetute sollecitazioni da parte della stampa e l’enorme 57 58 59 60 61

De Marco P., Polvere di piselli, cit., p. 138. Lewis N., Napoli ’44, cit., pp. 203-204. Lambiase S., Nazzaro G., Napoli 1940-’45, cit., p. 150. Ibid. Ibid.

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quantita` di sequestri e di condanne, il tentativo di repressione del fenomeno non migliorera` la situazione che restera` confusa e precaria 62 fino al 1946 . C’e` da dire, pero`, che la sostanziale inefficacia degli Alleati nella repressione del mercato nero era, comunque, motivata dalla consapevolezza di non poter far completamente fronte da soli al problema 63 dell’approvvigionamento della citta` . Si e` a lungo discusso sulla reale funzione del mercato nero, se fosse o meno utile per combattere la fame. Il giudizio popolare era che, seppur “iniquo”, fosse utile, come del resto utile lo consideravano gli anglo-americani che, da soli, come gia` sottolineato, non riuscivano a sfamare l’intera popolazione. Paolo De Marco giustamente rileva come si possano sollevare dubbi sulla fondatezza di questo giudizio, poiche´ “non sembra che il mercato nero abbia portato alcun reale miglioramento della situazione alimentare della popolazione o, perlomeno, non in misura tale da 64 giustificare il fortissimo rialzo dei prezzi da esso stesso provocato” . Sta di fatto che il mercato nero provoco` repentine e ingenti ricchezze. Queste fortune poi erano cosi appariscenti e ostentate da scuotere l’opinione pubblica “accreditando l’idea che si fosse formata improvvisamente una classe intera di «nuovi ricchi» e provocando reazioni sorprese e a volte indignate soprattutto tra i ceti medi declassati che, a loro volta, avevano visto apparire al loro interno 65 ` in atto evidentemente una categorie intere di «nuovi poveri»” . E proletarizzazione dei ceti medi, falcidiati dal decrescente potere d’acquisto dei loro salari. Questo declassamento e` ancora una volta raccontato in Napoli milionaria! nella vicenda umana del ragionier Riccardo Spasiano che, per sopravvivere, e` costretto a vendere i gioielli di famiglia e due appartamenti a donna Amalia che, invece, grazie ai suoi illeciti commerci, riesce a passare dalla classe dei poveri a quella dei nuovi ricchi. Un’altra questione di non poco conto che assillava i napoletani era quella dell’alloggio. Al ritorno nelle proprie abitazioni, all’indomani della fine della guerra, gli sfollati trovano spesso la propria casa distrutta o, nel migliore dei casi, saccheggiata dai ladri: “sciacalli, spesso provenienti dalla provincia, frugano tra le macerie ripulendole

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Ivi, De Ivi, Ivi,

p. 151. Marco P., Polvere di piselli, cit., p. 148. p. 154. p. 167.

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ben bene d’ogni oggetto ancora utilizzabile; bande di ladri svuotano 66 sistematicamente gli appartamenti disabitati” . La situazione non era certo migliore per chi era rimasto in citta`. Le difficolta` poi furono aggravate dagli anglo-americani che requisirono 15.000 vani, soprattutto nei quartieri medio-alti, per alloggiare i soldati e gli ufficiali 67 alleati . Si era arrivati addirittura, per motivi militari, a requisire l’ospedale piu` grande di Napoli, destinato alla cura delle malattie infettive, proprio nel momento in cui l’epidemia di tifo stava raggiungendo il suo apice. Cercare un alloggio e` quindi per moltissimi napoletani un problema urgente e di difficile risoluzione. Spesso si chiedeva ospitalita` a parenti o amici, ma e` del tutto evidente che questa soluzione non poteva risolvere il problema. “Quartieri come quelli della Sanita`, dei Cristallini, di Capodimonte Vecchia, dello Scudillo, delle Fontanelle, dei Miracoli, sono affollati all’inverosimi68 le” . Connesso al problema della miseria era quello della prostituzione. Il fenomeno si era manifestato con tutta la sua evidenza nei primissimi giorni dell’occupazione. I “liberatori” espressero talvolta un comportamento privo di qualsiasi pieta` nei confronti delle donne 69 che per fame erano costrette a prostituirsi . Ancora una volta a darcene testimonianza e` l’agghiacciante racconto di Norman Lewis che descrive un’esperienza alla quale egli stesso assistette: “Quelli che stavano in fondo spintonavano per avanzare, incitando sguaiatamente gli altri; ma se si raggiungeva il fronte della folla, l’atmosfera si faceva piu` calma e assorta, le signorine sedevano in fila, a intervalli di circa un metro l’una dall’altra, con la schiena appoggiata al muro. Vestite con gli abiti di tutti i giorni, queste donne avevano facce comuni, pulite e perbene di massaie, di popolane che vedi in giro a spettegolare o a fare la spesa. Di fianco a ognuna era appoggiata una pila di scatolette, ed era evidente subito che aggiungendone un’altra si poteva far l’amore con una qualsiasi di loro, li, davanti a tutti. Le donne rimanevano assolutamente immobili, in silenzio, e i loro volti erano privi d’espressione, come scolpiti. Potevano star vendendo pesce, non fosse che a quel luogo mancava l’animazione di un mercato del pesce. Non un incoraggiamento, non un ammicco,

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Lambiase S., Nazzaro De Marco P., Polvere Lambiase S., Nazzaro De Marco P., Polvere

G., Napoli 1940-’45, cit., p. 130. di piselli, cit., p. 170. G., Napoli 1940-’45, cit., p. 131. di piselli, cit., p. 132.

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niente di provocante, neppure la piu` discreta e casuale esibizione di nudita`. I piu` animosi, con le scatolette in mano, si erano fatti avanti fino alla prima fila, ma ora, di fronte a quelle madri di famiglia, donne coi piedi per terra, spinte fin lı` dalle dispense vuote, sembravano esitare. Ancora una volta, la realta` aveva tradito il sogno, e l’atmosfera si stava facendo greve. Qualche risolino imbarazzato, qualche battuta caduta nel vuoto, e la visibile tentazione di ritirarsi in buon ordine. Alla fine un soldato un po’ alticcio, incoraggiato di continuo dagli amici, ha deposto la sua scatola con la razione vicino ad una donna, si e` sbottonato e si e` chinato su di lei. Un movimento meccanico delle anche, ed e` subito finito tutto. Un attimo dopo il soldato era di nuovo in piedi e si riabbottonava. Era stata una faccenda da sbrigare nel piu` breve tempo possibile. Si sarebbe detto che, il soldato, piu` che fare l’amore, si fosse sottoposto a una 70 punizione da campo” . Di questo fenomeno, che assumera` ben presto dimensioni gigantesche, si hanno scarse tracce nei giornali dell’epoca. La prostituzione e` considerata moralisticamente una ver71 gogna cittadina . In realta` le donne che si prostituiscono lo fanno perche´ hanno bisogno di soldi: il concedersi non e` mai, come fenomeno generale, separato dalla disperazione. La donna di Napoli si prostituisce ovunque. Il fenomeno dilaga, abbiamo detto, e i luoghi dove e` possibile “esercitare” sono tra i piu` disparati: le case o la strada, fino ai luoghi organizzati proprio per questo tipo di sfruttamento. Ci sono anche madri che vendono le proprie figlie mettendole all’asta al migliore offerente. Illuminante in questo senso e` ancora una volta il ricordo di Lewis: il 26 marzo del 1944 un’anziana donna lo ferma per strada e lo implora di accompagnarla a casa. “Aveva qualcosa da mostrarmi – scrive Lewis – ed era cosı` insistente che l’ho seguita nel basso in cui viveva. L’unica stanza, senza finestre, era illuminata da una minuscola lampadina elettrica accesa sopra il solito altarino, e ho visto una ragazza magra in piedi in un angolo. Il motivo dell’invito era adesso chiaro. Quella era sua figlia, aveva 13 anni e lei voleva prostituirla. [...] La donna disponeva di un apposito tariffario. Per 20 lire, ad esempio, la ragazza si sarebbe 72 spogliata, esibendo i propri organi ancora acerbi” . Un articolo del “Popolo” del 26 agosto 1944 ci dice come a questo fenomeno e`

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Lewis N., Napoli ’44, cit., pp. 31-32. Lambiase S., Nazzaro G., Napoli 1940-’45, cit., p. 135. Lewis N., Napoli 44, cit., pp. 129-130.

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legato quello delle malattie veneree: “Ieri abbiamo appreso che, solo all’Ospedale della Pace, e in quindici giorni, sono state visitate 4000 malate (e si puo` intuire di quali malattie), per meta` all’incirca minorenni!, e che uguali proporzioni si riscontrano negli altri centri ospedalieri della provincia e della regione”. Un dato delle proporzioni allarmanti che le malattie legate al consumo di sesso avevano assunto in quel periodo. Ci sono anche episodi di stupri di donne da parte dei militari. Questo fenomeno, diffusissimo all’epoca, e` raccontato con maestria da Vittorio De Sica nel film La ciociara, magnificamente interpretato da Sofia Loren. Piu` in generale, moltissime donne, con la speranza di risolvere i propri problemi, allacciavano relazioni sentimentali con i militari Alleati. Ma non di rado, capitava che venissero messe incinta e dei loro amanti si perdessero le tracce. Un evento di questo genere e` raccontato ancora una volta da Eduardo De Filippo in Napoli milionaria!, dove Maria Rosaria, la figlia dei coniugi Jovine, viene messa incinta da un militare americano che sparisce improvvisamente nel nulla. Tornando alle malattie veneree, queste erano solo uno dei rischi che la salute correva in quel periodo. La permanente sottoalimenta73 zione aveva pesanti effetti sullo stato di salute dei napoletani . Blenoraggia e sifilide si diffondono soprattutto tra le donne e i militari di stanza a Napoli, che, dopo la cura, se graduati, venivano 74 degradati solo per aver contratto la malattia . La mortalita` neonatale era elevatissima a causa della denutrizione delle madri e per la mancanza di cibo adatto al periodo dello svezzamento. Tra le malattie piu` diffuse a quel tempo tra i bambini c’e` la scabbia, tanto piu` pericolosa quanto maggiore e` la presenza dei pidocchi, e quelle broncopolmonari. Diffusissima tra i bambini, e non solo, e` la dissenteria, 75 dovuta alla cattiva qualita` del cibo . La situazione infantile nel dopoguerra e` drammatica: il numero dei bambini bisognosi di assistenza e` talmente elevato che la risposta offerta dalle organizzazioni assistenziali non riesce a colmare la domanda. Ed ecco che balza in primo piano gia` a partire dal ’46, l’azione del P.C.I. e dell’U.D.I. (Unione Donne d’Italia), che promuovono campagne di ospitalita` familiare a favore dei bambini poveri italiani. La mancanza di mezzi,

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De Marco P., Polvere di piselli, cit., p. 132. Lambiase S., Nazzaro G., Napoli 1940-’45, cit., p. 173. Ibid.

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la presenza di ostacoli e difficolta` di ogni genere e lo sfacelo dei servizi, nonche´ dell’amministrazione statale non impediscono al movimento per la salvaguardia della salute del bambino di affermarsi ed 76 espandersi . La mobilitazione si concretizza, in generale, in un’esperienza popolare che interessa tutta l’Italia. La stampa si mobilita perche´ vengano messi a disposizione dell’infanzia abbandonata gli edifici scolastici e gli istituti di ricovero occupati dalle truppe: ma alle insistenti richieste non viene data alcuna risposta. La guerra produsse un enorme spostamento di uomini in tutta ` il fenomeno del reducismo che Napoli, essendo una zona Europa. E di smistamento, vive in tutta la sua drammaticita`. Tra i combattenti, gli sfollati, i deportati e gli sbandati, l’Italia fu invasa da migliaia di 77 uomini che, alla fine della guerra, facevano ritorno alle proprie case : “arrivano viaggiando nei modi piu` avventurosi, a bordo di navi carboniere o di sgangherati camion militari, in carri bestiame o in bicicletta, quando non addirittura a piedi dopo inenarrabili peripezie 78 ` il caso del protagonista di Napoli che la gente ascolta stupefatta” . E milionaria!, Gennaro Jovine, che dopo lunghi mesi di prigionia e di pellegrinaggio racconta il suo rocambolesco rientro a casa. Nei suoi occhi ci sono gli orrori della guerra, le sofferenze che ha dovuto patire per poter riabbracciare i suoi cari, ma non appena egli comincia a raccontare le sue peripezie ne´ i parenti ne´ gli amici vogliono ascoltarlo, tutti vogliono solo dimenticare. Cosi Amedeo, il figlio, reagisce al suo tentativo di ricordare: AMEDEO – Insomma papa`, te l’e` passata brutta... GENNARO – Nun ne parlammo... Nun ne parlammo... nun v’aggio cuntato niente... chesto e` niente... AMEDEO – Ma mo` stai cca` cu’ nuie... Nun ce pensa` cchiu´... ` na parola. E chi se po` scurda`... GENNARO – Nun ce penso cchiu´? E AMEDEO – Va buo’, papa`... Cca` e` fernuto tutte cosa...

76 L’esperienza dei treni di bambini in partenza verso regioni meno colpite dalla guerra e in generale dalla miseria riguarda Napoli come tutte le altre citta` d’Italia bisognose d’aiuto. Essa del resto ha avuto una notevole diffusione temporale: se e` vero infatti che e` cominciata nel ’45 e` allo stesso tempo vero che e` stata attiva anche negli anni 50. Cfr. Cari bambini, vi aspettiamo..., a cura di Minella A., Spano N., Terranova F., Milano, Teti Editore, 1980, pp. 7-11. 77 L’opera che forse meglio di tutte racconta il travagliato rientro a casa di un uomo da un campo di concentramento (quello di Auschwitz) e` La tregua di Primo Levi, romanzo che poi Francesco Rosi ha tradotto in film. 78 Lambiase S., Nazzaro G., Napoli 1940-’45. cit., p. 236.

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GENNARO – No. Ti sbagli. Tu nun he visto chello c’aggio visto io p’ ’e paise... ’A guerra nun e` fernuta...”79.

La guerra non e` finita, non puo` essere finita quando per combatterla ci si e` dovuti ridurre a questo. Chi si rifiuta di comprendere come e perche´ tutto questo sia potuto accadere corre il rischio di commettere gli stessi errori del passato. Siamo nel secondo atto, Napoli e` stata liberata dagli Alleati e Gennaro Jovine ritorna, ad attenderlo una famiglia diventata milionaria con il contrabbando, con gli illeciti commerci. Il figlio Amedeo, da impiegato dell’azienda del Gas si e` dato ai furti, Maria Rosaria si e` fatta mettere incinta da un soldato americano di cui si sono perse le tracce, Rituccia, la figlia piu` piccola, e` malata e non si riesce a trovare la medicina per curarla; Amalia, vinta dall’avidita`, in societa` con Errico “Settebellizze”, si e` arricchita approfittando in modo disumano del bisogno altrui. Napoli non e` piu` la stessa, la guerra l’ha fatta sprofondare in un baratro materiale e morale dal quale non sara` facile risorgere. Forse e` arrivato il momento di guardarsi in faccia, di capire come e perche´ sono accadute certe cose (non e` questa la facolta` che ci contraddistingue come uomini?), cominciare a pensare se´ stessi in modo nuovo, piu` umano e solidale. Non si puo` far finta di non sapere che la vita di ognuno e` sempre legata a quella dell’altro. Un altro che e` gia` originariamente ospite in noi stessi. Dimenticare che, come direbbe Hegel, solo attraverso l’intersoggettivita`, nel processo di relazione di una coscienza con un’altra coscienza, la coscienza puo` diventare autocoscienza, un io puo` diventare noi. I napoletani vogliono guardarsi in faccia, ed Eduardo con la sua Napoli milionaria! li mette di fronte ad uno specchio, tanto veritiero quanto drammatico. All’indomani della fine della guerra, la condizione di Napoli e` la condizione di tutta l’Europa, di un intero continente dilaniato dalla guerra. Una condizione di fame, di miseria, di disperazione e di morte. Paradossalmente e` proprio questa condizione al limite che consente all’uomo coraggioso, quale e` Gennaro che ha la ventura di vedere la morte in faccia nei campi di sterminio, di approssimarsi al ` da limite che separa il bene dal male, la vita dalla sua negazione. E qui che bisogna ripartire; “dall’unita` di misura di un uomo ferito, 80 spezzato” bisognera` ricominciare. L’unica risorsa che l’uomo ha a 79

De Filippo E., Cantata dei giorni dispari, a cura di Barsotti A., cit., p. 72. Brunetta G. P., Identita` italiana e identita` europea nel cinema italiano dal 1945 al miracolo economico, Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli, Torino, 1996, p. 11. 80

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LA NAPOLI MILIONARIA!

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` il tempo. E ` nell’atdisposizione in questo momento e` la speranza. E tesa che una vita migliore possa ritornare a regolare la vita di tutti, nella speranza che la nottata passi, che inizia il cammino di Napoli, dell’Italia e dell’intera Europa all’indomani della fine della seconda guerra mondiale.

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LA NUOVA DRAMMATURGIA DI EDUARDO

1. Una nuova tensione etica: nasce il “Teatro di Eduardo” Il mio santa santorum e` il corpo umano, la salute, l’intelletto, l’ingegno, l’ispirazione, l’amore e la liberta` piu` assoluta, l’essere liberi dalla violenza e dalla menzogna, sotto qualunque aspetto si manifestino. Ecco il programma al quale mi atterrei se fossi un grande artista. [A. P. Cechov, Lettere, 1888]

Con la messa in scena di Napoli milionaria!, il 25 marzo 1945 al Teatro San Carlo di Napoli, Eduardo sostituisce la “Compagnia Teatro Umoristico De Filippo”, con la compagnia “Teatro di Eduardo”. Il cambiamento, com’e` noto, dipende dal distacco di Peppino, ma non e` scevro da significati che travalicano i dissidi artistici con il 1 fratello che, con Titina , componeva la precedente formazione. In Eduardo si fanno strada nuove necessita`, nuovi bisogni. Tra le esigenze piu` sentite c’e` quella di svincolare il suo teatro da una scrittura prettamente comica. La vocazione di mimo sui generis di Peppino e la volonta` di riformare il tradizionale teatro comico partenopeo lo avevano fino ad allora condizionato nella redazione dei suoi 2 copioni . La posizioni paritaria dei tre fratelli, inoltre, lo obbligava ad una scrittura che prevedesse ruoli e spazi parimenti suddivisi, cosa che, tradotta in pratica, limitava non poco la sua liberta` d’azione, la sua creativita`. Giunto alla piena maturita` espressiva, Eduardo decide 1

Titina rimarra` nella nuova compagnia di Eduardo. Barsotti A., Eduardo drammaturgo, fra mondo del teatro e teatro del mondo. Bulzoni, Roma, 1988, p. 143. 2

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di affrontare l’avventura artistica da solo, svincolandosi da ogni condizionamento e libero di poter dare piena espressione alle tre personalita` che lo contraddistinguono e che ne sostanziano l’identita`: quella di attore, di scrittore e di regista. Ma sarebbe limitativo far risalire i motivi di una scelta cosı` importante ai soli dati artistici. Vi e` sicuramente anche un’altra componente di carattere storicoautobiografico a generare questa trasformazione: gli anni del fascismo e soprattutto la guerra. Sostanzialmente gli anni del fascismo avevano relegato la possibilita` di esprimere la propria verita` alla farsa e alla commedia, attraverso cioe` situazioni mediate. Caduto il fascismo, in un generale clima di rifiorita speranza di liberta`, Eduardo sente di poter esprimere con maggior franchezza le proprie opinioni, ` un fenomeno che i propri sentimenti, la propria realta` di uomo. E investe anche altri artisti, soprattutto del cinema, che, come Eduardo, avevano lavorato nel ventennio precedente. Agli anni del fascismo si aggiunge l’esperienza della guerra, inevitabile corollario che, come una lama, incide profondamente il suo animo, trasformandolo innanzitutto come uomo prima ancora che come artista. Ma com’e` inevitabile che sia per un artista, per un drammaturgo come Eduardo, l’esperienza umana si risolve nell’arte, nella scrittura e nella pratica scenica. Ed e` questo principio d’identita` tra vita e arte forse il nucleo generativo principale del suo nuovo Teatro, principio che, da questo momento in poi, non lo abbandonera` piu`. Da Napoli milionaria! in poi per Eduardo non sara` piu` possibile rappresentare la farsa fine a se stessa, poiche´ “non si possono, non si devono piu` esorcizzare i mali endemici e contemporanei [...] con un ‘riso’ puramente 3 liberatorio” . Il comico, come vedremo, continuera` ad essere presente nella teatralita` di Eduardo ma tendera` sempre piu` a confinare, schivando il grottesco, con il tragico. Il comico e il tragico saranno quasi sempre rappresentati come le facce di una stessa medaglia, il cui palesarsi dell’uno denuncia in trasparenza la presenza dell’altro. Eduardo apre la sua anima alla drammatica realta` quotidiana che attraverso la guerra si e` prepotentemente abbattuta sugli spiriti di tutti i cittadini del mondo “civile”. Vuole testimoniare la malattia che e` sopravvenuta a macerare il corpo e lo spirito di Napoli, ma lo fa con lo spirito di chi, quella lacerazione, l’ha subita in prima ` da questo stato d’animo che nasce la sua prima commepersona. E dia “dispari”, Napoli milionaria! appunto. Con il secondo conflitto 3

Ivi, p. 144.

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LA NUOVA DRAMMATURGIA DI EDUARDO

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mondiale ancora in corso, Eduardo, ha la capacita` di raccontare il dramma della guerra non gia` come un fatto di cronaca, ma come se fosse gia` Storia. Ed e` qui che alloggia la sua straordinaria capacita` di penetrare il reale, di analizzarlo, di vivisezionarlo, di raccontarlo non gia` come presente, appunto, ma come se fosse gia` Storia. Una Storia in cui, tra l’altro, per molti versi sono gia` preannunciati molti dei problemi che arriveranno con il dopoguerra, non solo napoletano ma dell’Europa tutta. Quesiti irrisolti che per molti aspetti continuano ad assillare la nostra vita attuale di cittadini globali. Ma di questo parleremo piu` dettagliatamente nel prossimo paragrafo. ` un cambiamento che avviene Eduardo quindi cambia registro. E non senza fratture sostanziali, ma che, come vedremo, conservera` alcuni tratti fondamentali del suo vecchio modo di fare teatro. Nel viaggio verso questa nuova avventura teatrale, Eduardo porta con se´ innanzitutto la decennale esperienza d’attore e di drammaturgo che, seppur nell’ambito del teatro comico, lo hanno imposto come uno degli artisti di maggior talento della scena teatrale italiana. Da questo momento, e nel senso prima descritto, per il versante cioe` della scrittura, il teatro di Eduardo sara` sempre piu` un “teatro del protagonista”. Come ha acutamente rilevato Anna Barsotti, i conflitti che da questo momento saranno all’origine delle diverse situazioni drammatiche delle sue opere tenderanno sempre piu` a risolversi nell’opposizione primaria tra un protagonista e tutti gli altri personaggi, quasi sempre solidali, seppur con i loro conflitti intersoggettivi, nell’antitesi drammatica collettiva che costantemente li contrappone 4 al personaggio protagonista . Il teatro di Eduardo, la sua scrittura, sara` sempre piu`, anche quando la vena drammatica principale sara` fantastica, l’azione di un uomo contro tutti. Ad entrare nel suo mirino non sono piu` solo i tic o le convenzioni sociali, restringendo il diaframma del suo obiettivo e aumentando la profondita` di campo, ad essere messo a fuoco, nel contesto storico che lo ospita, e` ora l’uomo e i suoi sentimenti. Se i testi teatrali di Eduardo, presi singolarmente, possono essere considerati come i capitoli di un romanzo, dal punto di vista del personaggio-attore, in azione in un determinato contesto, il teatro di Eduardo puo` essere considerato un teatro eroico, epico. Un’epica che, pero`, come vedremo, funziona al contrario, poiche´, i suoi protagonisti, invece di lottare per dei valori in cui tutti credono, per difenderli e sostenerli, combattono per dei valori in cui a crederci 4

Ibid.

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sono ormai soltanto loro. All’atto pratico, in scena cioe`, il lavoro di Eduardo attore si manifesta in un’azione che gioca sempre di rimessa, non guadagna mai il proscenio ma catalizza l’attenzione su di se´ attraverso un fuoco che si restringe sino ad inquadrare la sua maschera, luogo ultimo del movimento drammatico. In azione e` sempre piu` un personaggio isolato nel suo stesso contesto, legato a valori ai quali non sa o non vuole rinunciare, che agisce contro il Mondo degli Altri, che quei valori quasi sempre ignorano o rifiutano. Il suo agire contro, pur attuandosi in un’azione di rimessa, e` sempre e comunque teso a riportare gli altri sulla retta via. Agisce da monito, da spartiacque tra la via che conduce al bene e quella che conduce al male. In questo senso il nuovo teatro di Eduardo si puo` considerare un Teatro Etico. I prodromi di questa antitesi teatrale (drammatica quindi) sono gia` presenti in un’opera che precede Napoli milionaria! e cioe` in Natale in casa Cupiello del 19315. Luca Cupiello ostinatamente si cimenta nella composizione del suo amato presepio, immagine ideale della famiglia ritualmente ri-unita intorno al focolare domestico, mentre il presepe reale della sua famiglia si disgrega inesorabilmente sotto i suoi occhi. Quella stessa disgregazione che Luca Cupiello stenta a riconoscere e che Gennaro Jovine, invece, nell’ultimo atto di Napoli milionaria!, vede chiaramente. La disgregazione dei valori dello stare insieme, del rispetto e quindi dell’amore che agisce come cementante dell’animo degli individui. Ritornando alla sua visione del mondo, Eduardo, “nelle sue storie di conflitti interiori e interpersonali (che girano attorno al contrasto fra individuo disarmato e la forza del potere) [...] ha abbassato l’altezza del mondo in modo che tutti possano toccarlo”6. Del teatro del mondo il suo romanzo intreccia numerosi aspetti: il piano della storia, il piano del reale e il piano della fantasia. Tra questi piani s’inserisce quello dello spettatore che nel teatro di Eduardo “agisce modernamente quale concorrente del personag` a lui che Eduardo parla, si riferisce, cerca continuamente di gio”7. E comunicare. Ma la morale che trasmette non e` mai consolatoria, e` sempre una “morale storica”. Se il senso della Storia e`, come afferma Villari, nella “problematicita` del reale”, la morale di Eduardo e` “nella superiore consapevolezza della difficolta` e problematicita` del 5 6 7

Il terzo atto fu aggiunto nel 1936. De Filippo E., Cantata dei giorni dispari, a cura di Barsotti A., cit., p. VI. Ibid.

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

vivere e dell’agire”8. Eduardo diceva che “teatro significa vivere sul 9 serio quello che gli altri, nella vita, recitano male” . Credeva nel valore di scambio tra teatro e vita sociale. Il suo obiettivo era quello di percorrere quella sottile linea di confine che separa “l’invenzione poetica, la fantasia e la vita” che nel teatro e` il limite del come se. Un limite che ovviamente puo` essere percorso nei due sensi e regolato dall’orologio della fantasia, per Eduardo la chiave magica per pene` questa mediazione l’obiettivo supremo del suo trare tutte le cose. E teatro. Eduardo affermava che “scrivere una commedia impegnata e` 10 facile; il difficile e` impegnare il pubblico ad ascoltarla” . Da qui la necessita` di veicolare situazioni drammatiche attraverso il comico. Eduardo, da buon napoletano, sapeva che per farsi ascoltare bisognava anche saper divertire, intrattenere. Ma il suo e` un comico che, come abbiamo detto, non dimentica mai gli aspetti tragici della vita, da cui, anzi, la gran parte delle volte scaturisce. Eduardo mette in scena la parte amara della risata, quella risata che nasce dalla “delu11 sione dell’uomo che per sua natura e` ottimista” . Per questo le tragedie che lui racconta, e che si consumano nella quotidianita` di uomini normali, “non giungono mai (o quasi mai) a uccidere lo spirito della commedia, perche´ tendono a risolversi nella consapevo12 lezza” . Come Anna Barsotti giustamente evidenzia, “al fondo delle sue storie di vita c’e` la convinzione, che lo sorregge anche nei momenti piu` difficili, che il contributo del teatro alla presa di coscienza e` tanto piu` efficace quanto piu` il pubblico ride, di quel riso che passa per il cervello. Il ‘riso’ diventa per lui una specie di grimaldello per penetrare nel linguaggio degli altri, spettatori compresi, e instaurare con essi (come diceva Sciascia) «una conversazione 13 di vita»” . L’alone comico, l’ironia grottesca, il sottile ammiccamento, diventano lo strumento attraverso il quale porgere argomenti e situazioni a volte spinose e Eduardo, da smaliziato uomo di teatro, si serve dell’umorismo per aprirsi un varco nel cuore delle persone. Si e` giustamente parlato di Napoli milionaria! come di una com8 Villari L., Eduardo: il senso e la malinconia della storia, in “Nuovi Argomenti”, n. 15, luglio-settembre1985, p. 4. 9 Ibid. 10 De Filippo E., in Eduardo, polemiche, pensieri, pagine inedite, a cura di Quarantotti De Filippo I., Bompiani, Milano, 1985, p. 164. 11 Eduardo De Filippo, cit. da Sarno G., Intervista con Eduardo De Filippo, in “Roma”, 31 marzo 1940. 12 De Filippo E., Cantata dei giorni dispari, a cura di Barsotti A., cit., p. VIII. 13 Ibid.

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media storica14, ma cio` che si manifesta nella commedia non e` la storia con l’iniziale maiuscola, quella politica, bensı` i riflessi che essa ha nella vita della gente comune. In altre parole la grande histoire diventa per mano di Eduardo la histoire e´vene´mentielle. Una storia particolare che, come gia` ricordato, per i significati e i nessi a cui essa rinvia, assume un valore universale. L’operazione che Eduardo compie e` del tutto simile a quella che, per altre vie, compie in quegli stessi anni il neorealismo cinematografico, ed e` paragonabile in ambito storiografico a quella compiuta dagli Annales di Marc Bloch e Lucien Febvre. Una vera rivoluzione dell’arte. Il fuoco si restringe su un individuo e sulla sua famiglia, sul loro sentire e patire, sul loro re-agire agli orrori della guerra. Ma i “grandi eventi nei quali i protagonisti sono stati coinvolti (la guerra, il fascismo, l’occupazione tedesca, ecc.) sono sempre tangenziali rispetto alla storia che essi costruiscono e il cui percorso drammatico e` quasi sempre inverso 15 rispetto a quello della grande Storia” . Questa dislocazione “laterale” permette ad Eduardo di esprimere il suo pensiero senza cadere nella trappola di un teatro espressamente politico. Ma e` un rischio relativamente evitabile, poiche´ in tempo di guerra, o di immediato dopoguerra, saltando tutti i riferimenti del vivere civile, qualunque tema si tratti ha sempre una rilevanza fortemente politica. E lo vedremo con le polemiche che scoppiarono dopo l’uscita del film. Per evitare questa determinazione, Eduardo, infatti, soprattutto nelle opere successive a Napoli milionaria!, liberera` “nel fantastico e nel magico le tensioni che inchiodano la micro-storia degli uomini, la loro condizione esistenziale alla grande inarrestabile macchina della 16 Storia, alle ‘leggi’ del comportamento umano” . Eduardo sosteneva che intorno ad una sola idea puo` nascere un’opera letteraria, un teatro, una civilta`. “E chi conosce il linguaggio eduardiano sa che cosa significhi, per lui, la parola ‘civilta`’, cioe` non soltanto una grande dimensione storica e culturale, un sedimento di tradizioni e di identita`, ma un’operazione attiva di attenzione ‘politica’ verso il mondo contemporaneo, una lettura di intenzioni e di valori semplici e autentici di un popolo che, nel corso della storia, sono stati spesso alterati e deviati dai detentori del potere e da quanti usano le parole (era questo un argomento sul quale Eduardo anche in conversazioni 14

Come ha fatto Anna Barsotti nel suo Eduardo drammaturgo, fra mondo del teatro e teatro del mondo, Bulzoni, Roma, 1988. 15 Villari L., Eduardo: il senso e la malinconia della storia, cit., p. 5. 16 Ibid.

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

private insisteva spesso) per nascondere o alterare la realta`”17. Carlo Filosa giustamente osserva come il punto esclamativo nel titolo della commedia intenda esprimere sia un senso di vero “spietato fino al tragico, ma anche [...] gli aspetti ridicoli della disastrata realta` ita18 liana, assunta a soggetto d’indagine e di testimonianza” . “Eduardo ha gia` visto la storia nella cronaca, ma ha anche pre-visto l’eterna difficolta` dell’uomo a salvare, in tempi di sovversione e di confu19 sione, i valori non sommersi del male” . Ma nel verismo di Eduardo “la realta` non e` tale se non a patto di reinventarla ad ogni momento o per capirla meglio, o per comunicarla a chi non sa vederla, o per 20 cercare di modificarla” . In questo senso l’atto dello scrivere, come abbiamo gia` detto, diventa anche un atto di giustizia. Un’operazione, quindi, nelle intenzioni di Eduardo, di non poco conto, poiche´, attraverso il piano artistico, permette di riportare alla ribalta sociale quegli aspetti che il fascismo aveva completamente negato: l’uomo e i suoi sentimenti. La fine della guerra, la caduta delle imposizioni del regime fascista e soprattutto la Resistenza, che molti italiani sentirono come un nuovo Risorgimento, restaurarono una certa fiducia nella possibilita` di cambiare il proprio destino e “suscito` la convinzione che i valori culturali potevano essere salvati attraverso concrete 21 ` questo il clima che si respira tra la azioni sociali e politiche” . E polvere delle macerie, un bisogno di esprimere tutto cio` che negli anni precedenti ci si era dovuti ingoiare. Diventano oggetto della rappresentazione tutti quegli aspetti di poverta`, di disordine sociale, di malessere che il fascismo aveva cercato in ogni modo di soffocare con la sua propaganda social-imperialista. Il mondo circostante, che fino a quel momento era stato quasi esclusivamente interpretato, “viene ora anche giudicato, guardato polemicamente, magari commentato per la prima volta apertamente da un personaggio che ci 22 ` il caso di Gennaro che esprime liberamente le vive e ci soffre” . E sue considerazioni sul potere, il calmiere, il contrabbando, i ladri. L’emersione di questo malessere, dal punto di vista della produzione

17

Ibid. Filosa C., Eduardo De Filippo poeta del tragico quotidiano, Universita` di Roma, Roma 1978, p. 154. 19 De Filippo E., Cantata dei giorni dispari, a cura di Barsotti A., cit., p. 5. 20 Tian R., Ritratto di Eduardo, “Teatroitaliano ’72”, Annuario dell’Istituto del Dramma Italiano, 1972, p. 147. 21 Mignone M. B., Il teatro di Eduardo, critica sociale, Trevi, Roma, 1974, p. 95. 22 Ivi, p. 99. 18

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

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artistica, e` un fenomeno che investe soprattutto il cinema ed il teatro, ma dal punto di vista sociale trova corrispondenza negli animi di tutti gli esseri umani, reduci comuni di questo cosı` travagliato periodo storico. Questa identita` tra vita e arte spiega il consenso che le opere del neorealismo ebbero in quegli anni. Ma, sia chiaro, Eduardo anticipa “sul piano dell’indagine scenica certi moduli espressivi che saranno del neorealismo e della narrativa dell’immediato dopoguer23 ra” . Non c’e` piu` quindi solo una realta` sociale collettiva, quella sulla quale giocava la propaganda dell’ideale fascista, ma anche e soprattutto una realta` interiore individuale che deve essere denunciata. “Si indaga il presente alla luce del passato e del futuro, si cerca di spiegare il dramma che esiste tra il soggetto e la realta` circostante, di capire le delusioni di una generazione, il contrasto tra atto privato 24 e collettivo, tra coscienza individuale e coscienza di classe” . Questo clima sociale non e` pero` ancora apertamente denunciato, poiche´, come giustamente osserva Federico Frascani, gran parte degli “autori 25 italiani vivevano come se niente fosse accaduto” . In Eduardo, quindi, prima che in ogni altro autore del teatro italiano, la nuova tensione etica si risolve in pratica scenica. Ma il cuore di Eduardo, la sua casa, e` il teatro. Ed e` qui, a teatro, che Eduardo compie l’epico sforzo di trascinare il pubblico per instaurare con lui una conversazione privata. Lo spazio del teatro e` per lui il campo d’azione quotidiano e familiare. Nel 1983 alla Conferenza inaugurale dello Studio Internazionale dello Spettacolo a Montalcino, Eduardo dichiarera`: “La mia vera casa e` il palcoscenico, la` so esattamente come muovermi, cosa fare: nella vita sono uno 26 ` dalla scena che Eduardo guarda il mondo, la vita, sfollato” . E attraverso la chiave della fantasia ripropone, mai in modo mimetico e naturalistico, i sentimenti degli uomini, le loro difficolta`, i loro sogni. “Sala d’aspetto di un dentista, la terra, in cui si attende di tirarsi ‘questo dente definitivo’, ci sono quelli che aspettano soltanto, quelli che si distraggono per non pensare, e quelli che hanno il dono di 27 distrarre e di far pensare” . Eduardo, come i grandi del teatro di

23

Barsotti A., Eduardo drammaturgo, cit., p. 147. Bisicchia A., Invito alla lettura di Eduardo De Filippo, Mursia, Milano, 1982, p. 66. 25 Frascani F., Napoli amara di Eduardo De Filippo, ed. Parenti, Testimonianze del tempo, giugno MCLMLVIII, p. 49. 26 De Filippo E., in Eduardo, polemiche, pensieri, pagine inedite, a cura di Quarantotti De Filippo I., cit., p. 108. 27 De Filippo E., Cantata dei giorni dispari, a cura di Barsotti A., cit., p. XIII. 24

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LA NUOVA DRAMMATURGIA DI EDUARDO



tutti i tempi (Shakespeare, Molie`re...), appartiene a quest’ultima categoria. E come per tutti i grandi del teatro anche per Eduardo il testo non si esaurisce mai con la prima dello spettacolo e le relative repliche. In questo senso la sua scrittura puo` essere definita una 28 drammaturgia della prova . “Il terzo atto – dichiara Eduardo – di Napoli milionaria! l’ho scritto tre volte e la terza e` stata dopo che era 29 gia` andata in scena” . Per Eduardo la prima e le repliche non finiscono mai lo spettacolo, sono sempre fasi di un lavoro che puo` essere oggetto di numerose riprese, di una continua messa a punto. Il corpus delle Cantate, in questo senso, puo` essere considerato un lavoro compiuto-incompiuto, “la cui lettura si compie nell’incompiutezza, sempre in sospeso, sempre da ricominciare, perche´ trova i suoi oggetti continuamente rilanciati in una vertiginosa rotazione. La drammaturgia parallela che Eduardo ha dato alle stampe va intesa in termini diversi dalla letteratura drammatica preventiva: e` appunto una testualita` consuntiva che sintetizza l’esperienza teatrale in un quadro ricco di tracce scenotecniche, le quali possono collaborare all’immaginazione materiale dei suoi spettacoli. Attore per destino e drammaturgo e regista per conseguenza, oltre che per vocazione, Eduardo traspone la compiutezza-incompiutezza del suo triplice ruolo nel suo modello teatrale: nella cornice del suo romanzo scenico i testi-rappresentazione si collocano come realta` del teatro che tra30 scorre, trascorso ma anche da ricominciare ogni volta” . Il personale gioco teatrale di Eduardo, nel quale e` inglobato anche lo spettatore, che, ripeto, ha sempre un ruolo attivo, e` in fondo l’infinito gioco della vita, il gioco della morte e della rinascita. I testi di Eduardo, per questo, soprattutto nei finali, sono sempre suscettibili di numerose interpretazioni, di una variabilita` che il passare del tempo puo` richiedere. Emblematica in questo senso e` la battuta finale della “commedia storica” Napoli milionaria!: “Ha da passa` ’a nuttata”. E dicendo questa ultima battuta il protagonista prende posto accanto al tavolo come in attesa, ma fiducioso (did., atto III). “Proprio in quella battuta, sospesa sulla fine dell’opera, vibra l’eco della speranza in una palingenesi morale, non solo storica e sociale, che animava il nostro risveglio dagli anni bui del fascismo e della guerra. Attesa, allora fiduciosa, del superamento di ogni ‘‘nuttata’’. Eppure la stessa bat-

28 29 30

Ivi, p. XXXVI. De Filippo E., Lezioni di teatro, a cura di Quarenghi P., Einaudi, Torino, 1986, p. 30. De Filippo E., Cantata dei giorni dispari, a cura di Barsotti A., cit., p. XXXVII.

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tuta divenuta proverbiale, ma gia` interpretata non fiduciosamente da Eduardo-attore nella sua messinscena televisiva del 1962, viene espunta dall’autore stesso nel libretto del melodramma spoletiano 31 del 1977” . Eduardo, e come lui altri interpreti, a cui nel tempo e` capitato di mettere in scena la commedia, cambiava idea perche´ la vita, come l’arte, e` in continuo movimento: e` il cambiamento. Questo cambiamento gli era consentito proprio dall’ambiguita` strutturale del suo teatro, che nei finali, appunto, “consente di capovolgere la visione del mondo espressa da un’opera, magari sottraendo al testo 32 scritto una battuta o una didascalia” . Eduardo quindi drammaturgo aperto, come aperta e` la scena teatrale, luogo di scambio e di comunicazione tra gli uomini. In corso d’opera Eduardo coglie i segni esteriori della realta` e li mette in scena. L’inquietudine, la liberta`, la volonta` di voltare pagina, l’impotenza dell’individuo di fronte alla catastrofe, la fantasia, non come luogo dell’immaginazione ma come strumentum vitae, la denuncia come aspirazione alla dimostrazione di una colpa, sono questi tutti segnali che Eduardo prende dalla vita e li trasforma in arte, in teatro. Queste realta` esteriori sono vissute sulla pelle dei suoi personaggi che, come l’uomo comune, lottano contro le difficolta` della vita, le sue ingiustizie, i suoi sordi meccanismi di sopraffazione. Eduardo si trasforma come uomo e si trasforma anche il suo teatro. Per attuare questa trasformazione, Eduardo, come suo solito, parte da Napoli. Come scrive Renzo Tian egli “e` il napoletano che si trova ad impersonare l’uomo d’oggi. Se dovessimo cercare nel teatro italiano l’eroe di tutti i giorni, lo dovremmo indicare nel teatro di Eduardo.[...] Sotto la favola scenica di Eduardo, possiamo trovare la 33 favola della vita italiana” . Ma e` una vita che, appunto, gia` con Napoli milionaria! tende a travalicare i confini nazionali per identificarsi con sentimenti e situazioni universali. All’indomani della guerra ` una necessita` Eduardo risponde al richiamo della realta` storica. E umana e quindi artistica poiche´ per lui “l’atto dello scrittore” e` “anche un atto di giustizia, il tentativo di creare un equilibrio morale 34 in un mondo che lo smarrisce continuamente” . Ed e` su questa strada che Eduardo si e` incontrato con Pirandello, in un sodalizio

31 32 33 34

Ivi, p. XXXVIII. Ivi, pp. XXXVIII-XXXIX. Tian R., Ritratto di Eduardo, cit., p. 147. Ibid.

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piu` profondo e duraturo di quanto non facciano pensare gli incontri 35 scenici . Ma alla personalita` dello scrittore si sovrappone immediatamente quella dell’interprete. La sua arte e` profondamente ancorata, come lui stesso ha dichiarato, nelle virgole del copione, nei suoi silenzi, nei suoi sguardi. Per Eduardo la vera intimita` esiste soltanto tra personaggio e attore. L’autore rimane quello che ha inventato le parole per far vivere sulla scena il personaggio, non e` mai stato, ne´ mai lo sara`, il suo confessore spirituale. “La suggestione del suo recitare scaturisce dalla stupefacente essenzialita` nella quale ci sembra di ritrovare un paradiso perduto. Fra tutti gli interpreti nel nostro tempo, Eduardo ci da` l’illusione suprema del teatro: quella che ogni parola che egli pronuncia non abbia un concepimento anteriore, ma nasca proprio lı` in quel momento, nuda come la verita`, calda com’e` uscita dall’abbraccio fra il suo talento e l’attesa di una comunita` di 36 persone che lo feconda” . La sensazione che Eduardo non reciti, ma che tutto nasca qui e ora e` la testimonianza della sua grande qualita` d’attore. Quando ando` in scena per la prima volta Napoli milionaria! l’effetto che provoco` nel pubblico fu di totale identificazione. Per la gente seduta in platea e nei palchi del San Carlo, osservare quella scena, il basso della famiglia Jovine, fu come guardare nella propria casa, parlare con i propri familiari. Sembrava di essere appena usciti dalle proprie abitazioni e vedere vissuta senza soluzione di continuita` la propria vita, fu il palesarsi di un se´ individuale e collettivo, fu come guardarsi allo specchio. In una parola fu una rivelazione. Essenza della tragedia e` [...] un conflitto reale tra la liberta` soggettiva del protagonista e la necessita` oggettiva, conflitto che non termina con la sconfitta dell’una o dell’altra, ma col palesarsi della loro perfetta indifferenza, entrambe essendo vittoriose e vinte ad un tempo.37

Questa citazione sembra racchiudere perfettamente il senso della seconda guerra mondiale in cui, per Eduardo, non esistono ne´ ` tutta qui la contraddizione, il conflitto che si vincitori ne´ vinti. E genera tra Gennaro Jovine e sua moglie Amalia. Gennaro, con la sua caratteristica flemma, la sua bonomia, rappresenta i valori umani piu` semplici, l’onesta`, il rispetto di se´ e degli altri, che in Napoli miliona35

Ivi, p. 148. Ivi, p. 150. 37 Schelling F. W. J., Philosophie der Kunst, in id., Werke, Stuttgart 1856-61, prima edizione, V, p. 693 [trad. it. A cura di A. Klein, La filosofia dell’arte, Napoli 1986, p. 324]. 36

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ria! si contrappongono al bisogno di sopravvivere (di non morire di fame), rappresentato da donna Amalia. Sono entrambe posizioni legittime. Ma il bisogno, seppur legittimo, si fa prendere la mano fino a sfociare nell’avidita`, nel volere anche cio` che necessario non e` piu`. E qui che alloggia la grandezza dell’intuizione eduardiana, nell’aver saputo cogliere il legame che nella societa` moderna esiste tra necessita` e sopraffazione, tra bisogno e potere.

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Il conflitto di liberta` e necessita` esiste realmente solo la` dove quest’ultima mina la volonta` stessa e combatte la liberta` sul suo stesso 38 terreno.

Se l’agire di donna Amalia, e dei suoi due figli, costituisce la legge del bisogno, e per questo motivo e` provvisto di un suo fondamento etico, l’agire di Gennaro-Eduardo costituisce la legge dell’amore o dell’umano. Ora il tragico consiste proprio in questa collisione, in cui entrambi i lati, nel loro palesarsi, nel reale cioe`, hanno una loro legittimita`. La tragedia e` che i due termini antagonisti di tale antinomia non sono simmetrici, almeno in questa commedia (come rischiano continuamente di diventarlo nella vita reale). Esiste una strana fenomenologia. La legge dell’umano e` costituita dalle leggi del bisogno. Pur tenendosi al di sopra delle leggi, la legge dell’umano e` costituita da esse. Le esige. Per essere cio` che e`, la legge ha bisogno di leggi che la neghino, la minaccino, talvolta la corrompano o la snaturino. E devono sempre poterlo fare. Esiste una contraddittorieta` e una inseparabilita`. E se il tragico si sostanzia in questa dialettica, il superamento puo` avvenire soltanto attraverso la comprensione di entrambi le parti in questione. Come ci ricorda Jung: La liberazione dagli opposti presuppone una loro equivalenza funzionale. [...] La tendenza a relativizzare gli opposti e` una pronunciata tendenza dell’inconscio. Bisogna pero` aggiungere subito che questo vale soltanto dove esiste una sensibilita` morale molto acuta; in altri casi l’inconscio puo` altrettanto insistere sull’incompatibilita` degli op39 posti. Di solito il punto di vista e` relativo a quello conscio...

Questa tendenza a relativizzare gli opposti la possiede Gennaro, mentre Amalia e gli altri personaggi ne sono completamente sprovvi-

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Ivi, p. 696 [trad. it. p. 326]. Jung C. G., Gli archetipi dell’inconscio collettivo, Bollati Boringhieri, Torino, 1977, p. 61.

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sti. Questa predisposizione dialettica consentira` a Gennaro di comprendere l’effetto distruttivo insito nel comportamento di chi approfitta del bisogno altrui, negando cosi la propria stessa umanita`. Gennaro sottolinea ad Amalia la degenerazione del bisogno che sfocia in avidita`: “... ’e ccarte ’e mille lire fanno perdere ’a capa... (Comprensivo) Tu ll’he accuminciate a vede´ a poco ’a vota, po’ cchiu` assaie, po’ cientomila, po’ nu milione... E nun he capito niente cchiu`... (Apre un tiretto del como’ e prende due, tre pacchi da mille di occupazione. Li mostra ad Amalia) Guarda cca`. A te t’hanno fatto impressione pecche´ ll’he viste a ppoco ’a vota e nun he avuto ’o tiempo ’e capı` chello ca capisco io ca so’ turnato e ll’aggio viste tutte nzieme... A me, vedenno tutte ’sta quantita` ’e ccarte ’e mille lire me pare nu scherzo, me pare na pazzia... (Ora alla rinfusa fa scivolare i biglietti di banca sul tavolo sotto gli occhi della moglie) Tiene mente, Ama’: io ’e tocco e nun me sbatte ’o core... E ’o core ha da sbattere quanno se toccano ’e ccarte ’e mille lire... (Pausa) Che t’aggia di’? Si steve cca`, forse perdevo ’a capa pur’io.

Toccare il denaro ed avere una reazione emotiva trasmette il senso di cio` che per forza di cose deve avere una risonanza inconscia. La produzione del denaro e` legata al tempo e quindi alla vita delle persone che anch’essa per essere generata richiede tempo. Ecco che denaro – vita – e tempo costituiscono una catena sulla quale varra` la pena riflettere quando affronteremo il concetto di dono, termine di scoglimento della commedia. Perdere ’a capa, e` bene sottolinearlo, per Eduardo significa perdere la ratio, essere sopraffatti da un sentimento che non riesce ad ` quindi nell’inconessere integrato nella personalita` di un individuo. E tro tra il cuore e l’intelletto che per Eduardo puo` avere luogo, realizzarsi, l’umanita` dell’uomo. Gennaro comprende che Amalia si e` fatta prendere la mano e la giustifica, la perdona poiche´ sa che la guerra puo` far perdere la testa e far oltrepassare quel sottile limite che separa il bene dal male. Il male quindi emerge dall’inconscio ed il compito della coscienza e` ora quello di integrarlo. In Napoli milionaria! ad avere la meglio, sotto forma del sentimento-speranza, e` la sensibilita` di Gennaro, la sua apertura al Mondo degli Altri, la sua pieta`, la sua umanita` che non e` altro che l’umanita` di tutti gli uomini smarrita nel turbinio della guerra. Gennaro sa che la vita ha senso solo in una dimensione intersoggettiva, in cui il conscio e l’inconscio vivono perfettamente integrati e armonizzati tra loro; e` in questa ambivalenza cosciente, in cui l’altro e` gia` costitutivamente presente

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in noi stessi, che il diritto alla vita puo` essere realmente salvaguardato. Eduardo-Gennaro comprende che il proprio benessere, il soddisfacimento dei propri bisogni non puo` essere raggiunto negando quello degli altri. Esiste nella sua visione dei rapporti umani la consapevolezza che solo attraverso il riconoscimento dei reciproci bisogni gli uomini possono vivere insieme, assumere comportamenti etici e non nocivi per la comunita`. Napoli milionaria! e` un dramma le cui contraddizioni vengono sciolte da un dono, la medicina (pharmaco`n) che il ragioniere Spasiano offre ad Amalia Jovine. Il dono e` un evento per sua natura disinteressato. Senza alcuna legge scritta, esso pero` obbliga moralmente colui che lo riceve a contraccambiare la ` questo di piu` senza nulla a benevolenza insita nell’atto stesso. E pretendere in cambio, se non la benevolenza insita nell’atto, che fa nascere la speranza, la voglia di riscattarsi di un individuo dalla ferocia, dalla disumanita` della guerra. In questo senso il riscatto di Gennaro non rappresenta solo il riscatto dei napoletani ma di tutti i cittadini europei. Un riscatto che diventa metafora di una rinascita, sentiero luminoso attraverso il quale ritrovare la luce smarrita nelle tenebre della guerra. Ma la rinascita puo` avvenire solo attraverso il ` dolore, “come promessa di purificazione e fonte di speranza”40. E solo attraverso una memoria partecipe di un sentire comune, una sintonia dell’uomo con l’uomo, che la palingenesi puo` realizzarsi. Solo cosi si puo` sconfiggere l’indifferenza. Per quanto in Eduardo sia sempre e comunque presente il “sentimento”, ad operare nel suo profondo, come un fiume sotterraneo, e`, come abbiamo visto, sempre una razionalita` laica che agisce come metodo di conoscenza e di approfondimento della realta`. La coscienza e` sempre il luogo ultimo nel quale avviene il movimento dialettico di sintesi tra il conscio e l’inconscio, tra il razionale e l’emotivo. Eduardo affrontando il tema della guerra decide di affrontare i giorni “dispari” della vita, perche´ solo dopo aver affrontato e superato quelli possono ritornare i giorni “pari”. In lui monta quindi una tensione etica, una volonta` di esplorare le pieghe piu` dolorose del reale, con la fiducia di chi sa che “il valore di scambio tra il teatro e la vita sociale” esiste ed e` tutto “nella capacita` di intuizione poetica e d’interpretazione sopralineare della realta`, cioe` in un atto conosciti40

Passeri Pignoni V., Teatro contemporaneo. Umanita` e poesia del teatro di Eduardo, Edizioni Citta` di Vita, Firenze, 1967, p. 89.

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vo”41. Dopo il crollo emotivo della moglie di fronte ai suoi stessi errori, nel finale del terzo atto, Gennaro le dice:

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Tu mo he capito. E io aggio capito ch’aggi’ ’a sta cca`. Cchiu` ’a famiglia se sta perdenno e chhiu` ’o pate ’e famiglia ha da piglia` ’a responsabilita`.

La responsabilita` per Eduardo non e` altro che una dimensione etica in cui l’uomo, integrando nella propria personalita` l’inconscio, ovvero i propri sentimenti, positivi o negativi che siano, diventa consapevole della propria esistenza, un’esistenza che e` sempre e comunque – gli effetti che il bene e il male producono –, indissolubilmente, ` nella consapevolezza del fondamento inlegata a quella dell’altro. E tersoggettivo (comunitario) dell’esistenza, in cui in io e` gia` presente un noi, che alloggia la sua sconfinata fiducia nell’arte del teatro, da qui nasce la sua necessita` di rifondare la sua scrittura, il suo teatro.

2. Dalla realta` all’arte senza soluzione di continuita`. Si salvi chi puo`! Nessuno puo` saltare oltre la propria Ombra. [Martin Heidegger] L’incontro con se stessi significa innanzitutto l’incontro con la propria Ombra. L’Ombra e`, in verita`, come una gola montana, una porta angusta la cui stretta non e` risparmiata a chi scenda alla profonda sorgente. [Carl G. Jung, Gli archetipi dell’inconscio collettivo] Cio` che accade accade alla narrazione, agli elementi della narrazione stessa, a cominciare dalla finzione del suo presunto argomento. [Jacques Derrida, Donare il tempo]

La guerra ha gettato un’Ombra sull’intera umanita` che come un mantello macabro incombe sulle coscienze di tutti gli uomini e le donne del pianeta. In circa sei anni di guerra sono morti piu` di cinquanta milioni di persone, sui campi di battaglia, nei lager, per fame o sotto le macerie provocate dai bombardamenti. Come si e`

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Ivi, p. 5.

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potuto arrivare a tanto? Com’e` potuto accadere tutto questo? Per rispondere a queste domande dobbiamo avere il coraggio di sollevare questo mantello, affrontare l’Ombra e attraversare l’oscuro sentiero che ha condotto gli uomini alla catastrofe. Questo sforzo, quando ancora la polvere delle macerie e` impastata al sangue di milioni di vittime innocenti, prova a farlo Eduardo scrivendo Napoli milionaria! La guerra non e` ancora finita ed Eduardo si chiede quale irrazionale euforia abbia potuto condurre l’uomo lontano dalle sorgenti della vita. “Quando sono tornato a Napoli ho trovato tutto cambiato. La miseria s’era fatta ricchezza, chi trafficava con i chicchi di caffe` era diventato padrone di camions, niente piu` gente malvestita e affamata, tutti parevano impazziti, le Am-lire circolavano come acqua, la borsa nera dilagava, sulle rovine si ballava e banchettava, tutti milionari, tutta Napoli milionaria... Mi sono guardato attorno inscemito, per parecchi giorni, girando di qua e di la`, con la testa grossa come un pallone, e il cuore gonfio [...]. Poi mi sono messo a scrivere, di getto, buttando giu` tutto quello che avevo visto, tutto quello che avevo sofferto, tutte le risate e tutte le lacrime, le une mischiate alle ` nata cosi Napoli milionaaltre senz’ordine, quasi senza senso... E 42 ria!” . Questa, dalle stesse parole di Eduardo, la genesi della sua prima Cantata dispari, Napoli milionaria!, un viaggio verso la comprensione del Male. La commedia nasce dunque dall’osservazione della realta`, filtrata attraverso l’animo, la sensibilita` di Eduardo. L’immersione nella realta` storica consente ad Eduardo di operare con essa una mediazione, di instaurare con essa un rapporto trascen` questa la condizione che gli consente di scrivere Napoli dente. E milionaria! Un’operazione necessaria, poiche´ un rapporto trascendente che volesse evitare la storicita` della propria situazione sarebbe un rapporto che non impegna l’esistenza, che per sua natura e` sempre situata. Solo cosi la coscienza puo` trascendere la realta` in cui e` immersa. Il tramite artistico di questo viaggio Eduardo lo individua in un tranviere, Gennaro Jovine, onesto e bonario marito e padre di famiglia. Gennaro e` da considerarsi la coscienza simbolica dell’uomo che, com-prendendola dentro di se´, trascende la realta` storica in cui e` immerso. In questa trascendenza e` implicita un’individuazione, ovvero un’apertura al senso che il protagonista sperimenta nella natura antisociale e distruttiva del contrabbando, a cui, come fenomeno ad 42

“Corriere del popolo”, Genova, 5 giugno 1946.

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` solo grazie a questa apertura che il esso connesso, la guerra rinvia. E male puo` essere compreso e, quindi, successivamente trasceso, superato. Gennaro e` completamente immerso nella situazione storica, la trattiene dentro di se´, la conserva tutta dint’ ’a ll’uocchie, come dira` ` egli stesso ai suoi familiari al rientro dalla sua deportazione. E un’immagine che pur non essendoci piu` c’e` ancora, un simulacro. Gennaro puo` operare questa trascendenza perche´ riesce a mediare tra l’atteggiamento conscio della realta`, ovvero quello soggettivo, individuale, dell’io, e l’atteggiamento inconscio, quello del se´ collettivo. Amalia, al contrario, avendo rimosso l’aspetto inconscio dell’esistenza, praticando la borsa nera e, persistendo consciamente in questo comportamento, non e` piu` capace di mediare tra i due poli e quindi di operare con la realta` una mediazione trascendente. Ne diventa cosi vittima. In fondo risiede tutta qui la differenza tra Gennaro e Amalia Jovine, ovvero nella capacita` di Gennaro, sconosciuta ad Amalia, di mediare tra questi due poli. Gennaro riesce ad individuare il male perche´ e` aperto alla dimensione simbolica dell’esistenza. Nel trascendere la realta`, l’immediata condizione di fame e di miseria, al contrario di sua moglie Amalia che, affermando come valore assoluto la legge del bisogno, nella realta` vi rimane impigliata, Gennaro si apre al senso (o al non-senso) della Storia, liberandosi del suo significato distruttivo, prevaricatorio e antisociale. Cio` che appare subito evidente, quindi, e` la volonta` di Eduardo di superare l’aspetto puramente cronachistico dei fatti. Eduardo vuole individuare le cause che hanno prodotto tutto questo, vuole occuparsi degli aspetti umani, dei sentimenti che sempre generano i fatti, le azioni degli uomini. Cio` che e` accaduto durante gli anni di guerra e` inquietante, com’e` “inquietante tutto cio` di cui non siamo, 43 o non conosciamo la causa” . All’indomani della fine della guerra la realta` che si mostra ai superstiti e` sconcertante: uno scenario di miseria e di distruzione, di solitudine e di smarrimento, di privazione e di morte. La discriminante negativa di tutto questo e` di per se´ un pericolo, poiche´, come ci ricorda Jung: Chi e` povero desidera, e chi desidera si trascina addosso qualche 44 fatalita`.

La guerra non termina mai con la guerra, l’abbiamo tragicamente 43 44

Jung C. G., Gli archetipi dell’inconscio collettivo, cit., p. 34. Ivi, p. 31.

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appurato con l’esperienza, poiche´ le vittime rischiano di diventare i carnefici. Un proverbio svizzero recita: “Dietro ogni ricco c’e` un Diavolo, e dietro ogni povero ce ne sono due”. Per povero s’intende qui non solo il povero materialmente, ma anche e soprattutto il povero di spirito, l’offeso, l’umiliato, colui il quale ha il cuore indurito dalle privazioni, dalle sofferenze e dalle sopraffazioni. Quando si conosce questa realta` interiore, dominata da sentimenti d’ostilita`, di odio e di rivalsa, e` molto difficile essere aperti, disponibili, buoni, e soprattutto non c’e` baratro spirituale ed emotivo che possa essere colmato da un bene materiale. La guerra non e` altro che l’effetto ultimo di fenomeni che hanno la loro genesi nella volonta` di potenza, di dominare l’altro, di arricchirsi materialmente, tutti bisogni che, per loro stessa natura, non possono mai essere completa` nell’alveo, o nell’alea, se si preferisce, di questa mente soddisfatti. E dimensione che lo spirito deve muoversi se vuole com-prendere le ` in questa discesa che risiede la cause che hanno generato il Male. E possibilita` di purificarsi. Ma non e` una discesa facile da compiersi poiche´ nel baratro si cela il pericolo piu` grande, il dolore. Questo pericolo “l’uomo prudente lo evita ma, cosi facendo, si lascia anche sfuggire il bene che un rischio, assunto con coraggio seppur impru45 dentemente, potrebbe conseguire” . Bisogna farsi coraggio e affrontare l’Ombra, poiche´ non esiste redenzione senza dolore. Ma quali sono gli interrogativi che si pone Eduardo sul periodo appena trascorso e sul presente? Sono sostanzialmente questi: e` giusto salvare la propria pelle se lo si fa a discapito degli altri? L’orrore della guerra ha trasformato l’uomo o lo ha corrotto? e in questo caso, di chi e` la colpa? Qual e` la connessione tra la vita ` la sete di potere, di ricchezza, individuale e il sistema etico-sociale? E di dominio che ha generato la guerra (in continuita` con il colonialismo di fine ottocento e l’imperialismo degli anni venti-trenta)? Eduardo-Gennaro scopre che l’uomo e` stato corrotto, che la guerra ha distrutto ogni sana correlazione tra sistema etico e vita individuale, che la sete di ricchezza puo` distruggere qualunque relazione umana, scopre tutto questo ma non sa, non e` capace di capire di chi sia la colpa. La colpa e` appunto genericamente attribuita alla guerra. Ma la guerra e` prodotta dagli uomini, le cui azioni sono animate dagli stessi sentimenti che hanno spinto sua moglie Amalia ad agire non piu` per bisogno ma per avidita`, per sete di potere. Gennaro non 45

Ivi, p. 37.

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riesce a com-prendere intellettualmente, ovvero per mezzo della ragione, di chi sia la colpa, ma, e qui alloggia tutta la straordinaria portata dell’intuizione poetica eduardiana, indica che e` nell’integrazione tra le ragioni dell’intelletto e quelle del cuore che la vera ratio puo` realizzarsi in un atto conoscitivo. Una conoscenza in cui si scopre, secondo la bella espressione di Ricoeur, “se stesso come un altro”. Una dimensione in cui il donare diventa il criterio guida delle nostre esistenze. Attraverso questi interrogativi, strutturati nel conflitto Gennaro-Amalia, Eduardo mette in scena le contraddizioni della guerra e da` al contempo una svolta decisiva al teatro italiano. “Napoli milionaria! e` una commedia d’accusa contro la guerra, i potenti, gli uomini di Stato, ma anche contro la corruzione, l’opportunismo, la ricchezza conquistata con il cinico sfruttamento del prossimo, i rancori sociali, l’ignoranza di classe, il vita mea – mors tua. La guerra e` protagonista assoluta, con quell’immagine di morte, di sofferenza, di miseria che essa comporta, ma anche con elementi 46 tangibili: bombe, distruzioni, ricoveri, morti, malattie” . Tutto questo Eduardo lo racconta come un momento vissuto, partecipato nel suo divenire storico. Eduardo avverte il bisogno di guardare in faccia la realta` perche´ sente innanzitutto che e` dentro di se´ che qualcosa si e` rotto. Per comprendere questa rottura, come abbiamo detto, ` qui che vuole attraversare la Eduardo va a Napoli, a casa sua. E propria Ombra, perche´ e` sulla terra della sua citta` che puo` osservarla meglio. “Lo scrupolo realistico si presenta come ricerca di autenticita`, l’attenzione al dato ambientale appare come sforzo di fraterna 47 comprensione, per riconoscere in ogni uomo il volto dell’uomo” . Chi non capisce che e` un’esigenza di ricomposizione interiore, di superamento di un proprio dramma personale e storico che muove l’operato di Eduardo corre il rischio, come purtroppo e` spesso accaduto, di fraintendere il suo lavoro. La sua arte nasce da una profonda esigenza interiore e non da un’idea precostituita. Chi lo accusa, come e` avvenuto per Napoli milionaria! film, di aver strumentalizzato i mali di Napoli, non capisce il vero movente dell’arte di Eduardo, cosa realmente lo spinge a scrivere la sua prima cantata dispari. Eduardo scrive Napoli milionaria! innanzitutto con il cuore e, solo successivamente, chiede il contributo alla testa. Non lo fa per soddisfare la sua sete di ricchezza come, dopo l’uscita del film, 46 47

Bisicchia A., Invito alla lettura di Eduardo De Filippo, cit., p. 68. Passeri Pignoni V., Teatro contemporaneo, cit., p. 85.

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qualcuno ha meschinamente affermato. Si puo` poi piu` o meno artisticamente condividere la sua tendenza a determinare moralisticamente alcuni passaggi drammatici, l’efficacia che questa tendenza abbia nell’armonia generale delle sue opere, ma di certo non lo si puo` accusare di falsita`. Napoli milionaria! nasce dal corpo ferito di Eduardo, dal suo cuore dolente di uomo. Per avvalorare quest’interpretazione voglio citare un altro fenomeno che, a mio avviso, puo` aiutarci a capire meglio uno dei nessi fondamentali del suo modo di generare arte. La sua capacita` di trasformare la vita in arte e` riscontrabile anche nel suo lavoro d’attore. La sua straordinaria bravura d’interprete, e` unanimemente riconosciuta. I suoi silenzi, le sue pause, i suoi sguardi, i movimenti del suo corpo, non fanno altro che raccontare sentimenti, i suoi ` un processo naturale, vero, sentimenti di uomo che diventa attore. E attraverso il quale Eduardo trasmette-emozioni, le fa sentire qui ed ora come se nascessero veramente in quel momento, perche´ sono realmente avvertite dal suo cuore. “Il principio della creazione organica su cui si fonda il sistema di Stanislavskij scende (anche se per via traversa) dall’idea goethiana per cui «l’opera d’arte parte dalla 48 natura, e` prodotta dalla natura»” . In questo senso dalla natura dell’uomo che solo successivamente diventa attore. Ma come abbiamo visto nel precedente paragrafo, in Eduardo l’identita` d’attore e` indissolubilmente connessa a quella di autore e di regista. Tutti questi aspetti hanno in lui genealogicamente origine nel suo sentire di uomo dal suo essere vivente ed e` per questo motivo che sono cosi autentici, veri. “Stanislavskij non parte ne´ dall’imitazione ne´ dalla finzione, ma da una verita` interiore: non verita` esterna: verita` vissuta, verita` di emozioni sofferte, dall’osservazione di se´ stesso e dei propri 49 processi interiori e degli altri” . Il sistema che Stanislavskij propone all’attore come metodo per produrre la sua verita` artistica sembra corrispondere perfettamente al sistema che Eduardo attua, oltre che in veste d’attore, in quella di drammaturgo: Eduardo produce il testo innanzitutto attraverso l’ascolto della sua realta` interiore e solo suc` da questa cessivamente si connette con il mondo circostante. E connessione profonda che nasce la sua arte che solo poi viene trasmessa, attraverso la voce-corpo dell’attore, al pubblico. Eduardo ha

48 Stanislavskij Kostantin S., Il lavoro dell’attore su se stesso, a cura di Guerrieri G., Laterza, Roma-Bari, 1990, p. VII. 49 Ivi, p. IX.

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scritto moltissimo e i suoi testi sono stati variamente giudicati, ma su un punto la critica e il pubblico sono stati sempre d’accordo: nel riconoscere la sua straordinaria bravura d’attore che, per il principio appena enunciato, puo` essere fatta risalire alla sua sensibilita` di ` tutto qui il uomo, alla necessita` di esprimere emozioni vere. E segreto del suo teatro che nasce dalla malinconica ma non disperata ` in un “cauto e meditato ottimismo” che la vita visione della vita. E puo` riaffermarsi, ma solo dopo aver attraversato il dolore. Questa morale personale in fondo corrisponde alla “pazienza secolare del 50 suo popolo” che ha subito le umiliazioni, le lacerazioni e la violenza della guerra, ma che come lui non si e` arreso, ma ha anzi avuto il coraggio di attraversare la zona d’Ombra che sovrasta il bene. 51 Eduardo ha un primato : quello d’aver messo il pubblico italiano di fronte alla propria disfatta interiore prima ancora che militare e 52 fisica . “Se [...] gli uomini vorranno sapere tra qualche secolo o qualche millennio, che cosa pativano, che cosa speravano, che cosa avevano salvato gli abitanti della citta` resa famosa dalle canzoni e dal Vesuvio, mentre terminava il conflitto nel quale era stata collaudata la bomba atomica, altro non dovranno fare che leggere Napoli milio53 naria! o riportarla in scena” . Queste parole oggi a tanti anni di distanza risultano quanto mai veritiere. Non esiste opera teatrale che meglio di Napoli milionaria! testimoni il senso di quel tumultuoso e drammatico periodo della vita cittadina durante la guerra. Ma di cosa narra la commedia? Affrontiamo brevemente la trama. Gennaro Jovine, onesto tranviere, disoccupato a causa della guerra, e` considerato un inetto dalla sua famiglia. Amalia, la moglie, trovandosi in ristrettezze economiche e dovendo provvedere al sostentamento di tre figli, Amedeo, Maria Rosaria e Rituccia, si ribella alla miseria e allo spirito d’adattamento del marito e prende in mano le redini della situazione cominciando a praticare la borsa nera. Si mette cosi, con la complicita` di Errico “Settebellizze”, suo fornitore e corteggiatore, a vendere caffe` e altri generi di prima necessita` nel suo “basso”. Gennaro manifesta una blanda disapprovazione ai traffici della moglie senza mai opporsi decisamente. In fondo lui stesso riconosce che per far fronte ad una momentanea situazione di necessita` e` comprensibile 50

Passeri Pignoni V., Teatro contemporaneo, cit., p. 92. ` un primato che condivide con un altro grande dell’arte italiana e cioe` con Roberto E Rossellini che negli stessi mesi portava a compimento la sua Roma citta` aperta. 52 Mignone Mario B., Il teatro di Eduardo, critica sociale, cit., p. 99. 53 Frascani F., Napoli amara di Eduardo De Filippo, cit., p. 50. 51

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LA NAPOLI MILIONARIA!

che ci si dia da fare come si puo`. Durante una perquisizione della polizia, infatti, si presta a fingersi morto per evitare la requisizione della merce nascosta sotto il letto. Nell’atto seguente Gennaro e` assente, e` stato deportato dai tedeschi a seguito di una retata, e Amalia, rimasta sola a provvedere alla famiglia, incrementa i suoi traffici illegali con “Settebellizze” che continua a corteggiarla in modo sempre piu` pressante. Sono passati ormai parecchi mesi dalla scomparsa di Gennaro e gli affari per Amalia vanno sempre meglio. La donna, dimostrando una notevole insensibilita`, approfittando del bisogno di tutti, soprattutto di Riccardo Spasiano, un ragioniere suo vicino di casa, che per sfamare la famiglia e` costretto a cederle tutti i suoi beni, diventa cosı` milionaria. Nel suo cinico operare Amalia, pero`, trascura la vigilanza morale dei figli. Amedeo e` coinvolto in un losco traffico di pneumatici e di auto rubate, mentre Maria Rosaria si e` innamorata di un soldato alleato che si e` improvvisamente dileguato lasciandola incinta. Amalia, che ha completamente trasformato l’arredamento del basso e del suo vestiario, sta intanto organizzando una ` festa per il compleanno del suo socio e spasimante “Settebellizze”. E proprio in quel giorno, dopo quattordici mesi di lontananza, che ritorna a casa, ormai dato per morto dai suoi familiari, Gennaro. Nel varcare la soglia di casa, l’uomo e` sorpreso nel vedere cosı` trasformata sia la moglie che l’abitazione, ma la stanchezza e la voglia di condividere con i suoi cari le esperienze che ha vissuto lo spingono a soprassedere. A piu` riprese prova a raccontare i giorni di prigionia e le peripezie che ha vissuto lontano da casa ma nessuno vuole ascoltarlo. Per tutti la guerra e` ormai finita e trattandosi di un giorno di festa (il suo rientro e, soprattutto, il compleanno di Settebellizze) lo invitano a non pensarci e a divertirsi con loro. Gennaro non si riconosce in tanta leggerezza e, sentendosi ormai un intruso tra i suoi familiari che hanno completamente perso ogni sano riferimento morale, si ritira in camera di Rita, la figlia piu` piccola, che sta poco bene. A produrre un provvidenziale risveglio sara` proprio la malattia della bambina, che, non trovandosi la medicina che puo` curarla, rischia di morire. Della medicina, irreperibile sul mercato legale ed illegale, e` in possesso il ragioniere Spasiano che, potendo chiedere tutto cio` che vuole alla donna che lo ha spogliato di ogni suo bene, sceglie di donargliela dandole in questo modo un sonoro schiaffo morale. Amalia si rende cosi finalmente conto del baratro umano e morale in cui e` piombata. Tocchera` a Gennaro, che di quel baratro ne aveva colto e denunciato i segni, incoraggiarla ad avere fiducia, a sperare nel futuro.

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LA NUOVA DRAMMATURGIA DI EDUARDO



Il primo atto della commedia ha la funzione di presentare i personaggi e di introdurre il conflitto che si attua nel secondo e si risolve nel terzo. Inizialmente Eduardo delinea la condizione socioeconomica e l’ambiente nel quale la famiglia Jovine vive. Lo fa “per 54 ` una successive stratificazioni, come nel teatro naturalistico” . E costruzione a gradini che illustra chiaramente le circostanze da cui prende avvio il dramma: le condizioni storiche generate dal secondo conflitto mondiale. L’ambiente viene accuratamente descritto nella didascalia iniziale dell’opera che, come acutamente rileva Anna Barsotti, e` in napoletano: ’O Vascio ’e donna Amalia Jovine. “L’attribuzione del vascio a donn’Amalia Jovine non rispecchia soltanto una consuetudine popolare, ma allude alla situazione specifica della fami55 glia in scena” , ovvero al ruolo attivo di Amalia, rispetto a quello passivo di Gennaro, che gliene attribuisce la proprieta`. Fondamentalmente e` questa l’opposizione drammatica su cui e` costruita l’intera ` da sottolineare che “in nessun’altra delle commedie commedia. E precedenti, e in nessun’altra delle successive, si trova una didascalia in dialetto. La sua presenza in Napoli milionaria! diventa quindi significante, rispondendo ad una precisa esigenza ‘‘informativa’’ del56 l’autore” : Enorme «stanzone» lercio e affumicato. In fondo ampio vano arcuato, con telaio a vetri [...], che da` sul vicolo. [...] In prima (quinta) a destra [...] “’a porta d’’a vinella”. In fondo a destra un tramezzo costruito con materiali di fortuna che, guadagnando l’angolo, forma una specie di cameretta rettangolare angusta. Nell’interno di essa [...] oltre ad uno strapuntino per una sola persona, tutto quanto serve al conforto di una minuscola e ridicola camera da letto. [...] Gli altri mobili li scegliera` il regista ispirandosi al brutto Ottocento e curera` di disporli in modo da addossarli quasi l’uni all’altro, cercando di far sentire il disagio e la difficolta` di «traffico» cui e` sottoposta la famiglia, talvolta numerosissima, costretta a vivere in simili ambienti [...]. Dal vano di fondo si scorgera` il vicolo, nelle prime ore del mattino, e i due battenti laterali dei bassi di rimpetto. Al centro di essi un altarino eretto alla Madonna del Carmine dai fedeli abitanti del vicolo. Sulla mensola sottostante una piccola lampada votiva ad olio, sospesa (I, p. 17).

La descrizione dell’ambiente ci da` subito una serie di informazioni precise su estrazione sociale e condizioni di vita della famiglia. 54 55 56

Ivi, p. 100. De Filippo E., Cantata dei giorni dispari, a cura di Barsotti A., cit., p. 6. Barsotti A., Eduardo drammaturgo, cit., p. 148.

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

LA NAPOLI MILIONARIA!

Lo stanzone e` lercio e affumicato, il tramezzo costruito con materiali di fortuna forma la cameretta angusta, il disagio e la difficolta` di movimenti, tutto concorre a definire qualcosa di povero, desolato e triste. Una promiscuita` che non permette nessun tipo di privacy e che come vedremo non puo` generare indifferenza e solitudine. In questo primo atto si introduce il conflitto che abbiamo detto sostanziarsi nel confronto-scontro tra i poli Amalia (e gli altri personaggi) e Gennaro. Vedremo anche come, drammaturgicamente parlando, l’atteggiamento di Gennaro funzionera` da contrappunto ironico-comico all’intero atto. Sostanzialmente a lui e` demandato il compito di far ridere. Ma qual e` il pensiero, l’atteggiamento che i singoli personaggi hanno uno nei confronti dell’altro? Qual e` il sentimento che hanno nei confronti del contrabbando? Cosa pensa Gennaro della guerra, del fascismo? L’incipit della commedia introduce subito il tema portante di tutta l’opera, il mercato nero. Amedeo, il figlio maschio degli Jovine, appena sveglio chiede alla sorella: Se po’ ave` nu poco ’e cafe`? 57 Il caffe` non e` ancora pronto, Maria Rosaria lo sta preparando per i familiari e per i clienti che da lı` a poco sarebbero arrivati. A quell’epoca il caffe` era un bene non facilmente reperibile ed era in uso, per chi riusciva a procurarselo, venderne delle singole tazzine a singoli clienti che lo consumavano, previo pagamento, all’interno dei bassi come se fossero al bar. In questo inizio d’atto, Amalia e` all’esterno del vicolo che, con parole accese, sta litigando con donna Vicenza, una sua vicina di casa che, come lei, si e` messa a vendere il caffe` di contrabbando. Le fa concorrenza e la cosa infastidisce non poco la consorte di Gennaro. La presenza iniziale all’esterno del basso di donna Amalia non e` ovviamente casuale: e` lei che intrattiene le “pubbliche relazioni” con il mondo esterno e tiene costantemente aperto il vincolo basso-vicolo alla base dell’intreccio drammaturgico. Subito dopo, sempre alla sorella, Amedeo chiede del padre.

Nun s’e` scetato ancora.

` la risposta di Maria Rosaria. La ragazza crede che il padre stia E

57

Il caffe` e` anche notoriamente un eccitante. E di una certa eccitazione ed euforia nel far soldi che si narrera` nella commedia.

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

ancora dormendo, ma in realta` la risposta esprime metaforicamente cio` che l’intera famiglia pensa di Gennaro, ovvero che sia, come si direbbe a Napoli, ’n addurmuto, un addormentato, uno un po’ ritardato. “La prima guerra mondiale l’ha lasciato un po’ intontito, stonato, tanto che la moglie, i figli e gli abitanti del vicolo conside58 rano questo suo intontimento soltanto fessaggine” . In realta` Gennaro non sta dormendo, e` gia` sveglio e lo comunica ai figli mentre ` da evidenziare il fatto che, in all’esterno e` ancora in atto la lite. E tutta questa sequenza iniziale, Gennaro parla dall’interno della sua cameretta, ricavata con un tramezzo all’interno dello stanzone. Amalia e Gennaro sono entrambi invisibili e determinano i poli dell’azione. Le parole di Gennaro vanno ascoltate come la voce della coscienza smarrita dai suoi familiari. Subito dopo, sempre Amedeo, chiede alla sorella dove sia la madre. Maria Rosaria gli comunica che: Sta parlando cu’ donna Vicenza.

Gennaro, sorprendendo i figli che lo credono dormiente, interviene prontamente, affermando: Sta parlanno? S’ ’a sta mangianno!

Gennaro e` consapevole del carattere forte, rapace della moglie. Il motivo del contendere e`, come abbiamo accennato, la vendita di caffe` che si e` messa a fare Vicenza in concorrenza con donna Amalia. In questo scambio di battute si delinea chiaramente il pensieroopposizione tra Maria Rosaria/Amedeo e Gennaro riguardo al contrabbando. A proposito di Vicenza, prendendo le parti della madre, Maria Rosaria afferma: Mo, nun solo s’e` miso a vve`nnere ’o ccafe` dint’ ’o vascio suio, ca sta poco luntano d’ ’o nuosto, ma quanto o’ ffa pava` a ddoie e cinquanta... Meza lira ’e meno. GENNARO – Il Gran Caffe` d’Italia ha fatto concorrenza al Gambrinu`s! MARIA ROSARIA – (Non badandogli) E po’ va dicenno a tuttu quante ca dint’ ’o ccafe` ca facimme nuie, ce sta ’o surrogato! GENNARO – Aspe’... No: «ca facimmo nuie»... Ca facite vuie... Ca fa

58

Bisicchia A., Invito alla lettura di Eduardo De Filippo, cit., p. 69.

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

LA NAPOLI MILIONARIA!

ma`mmeta... Pecche` io nun ’o ffaciarria... stu fatto ca he ’a campa` ’e palpite: ’e gguardie, ’o brigadiere, ’e faciste... MARIA ROSARIA – Gia`, cca si fosse pe’ vuie ave`sseme voglia ’e ce murı` ’e famma! GENNARO – Avessemo voglia ’e campa` onestamente, he ’a dicere...

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Com’e` evidente la vicina, poiche´ concorrente sul mercato, diventa immediatamente il nemico. Gennaro puntualizza la sua disapprovazione ai traffici della moglie. Il patire la fame e` contrapposto al vivere onestamente. L’opposizione tra padre e figlia e` netta. Ma a dare man forte alla sorella s’intromette Amedeo. Cosi Gennaro cerca di spiegargli perche´ fare il contrabbando e` sbagliato: [...] Il caffe` che voi vendete tre lire ’a tazza, ’o contrabbandiere ca ’o vvenne a vvuie addo` ’o ppiglia? Non lo sottrae alla cliniche, agli ospedali, alle infermerie militari?... AMEDEO – Papa`, sta`teve zitto... Vuie ireve stunato, ma mo ve site fernuto ’e rimbambı`... Qua cliniche ’e spitale militari? Cca` ’a rrobba va a fernı` dint’ ’e ccase ’e ll’Auutorita`! Aiere, cinche chili ’e cafe` a sittanta lire ’o chilo chi ’e ppurtaie? Nun ’e ppurtaie nu capomanipolo fascista? E mamma` nun s’ ’e vulette piglia` pe’ paura ca se trattava ’e n’agente provocatore? Vuie ve ne venite: «Si sottrae»... Si uno vedesse che la classe dirigente filasse diritta, allora sarebbe l’uomo piu` malamente se vi parlasse come vi sto parlando io... Ma quanno tu vide ca chille che avessero ’a da’ ’o buono esempio songo na mappate ’e mariuole... allora uno dice: «Vuo’ sape’ ’a verita`... Tu mangne buono e te ’ngrasse e io me moro ’e famme? Arruobbe tu? E arrobbo pur’io! Si salvi chi puo`!» GENNARO – No, fino a che ce stongo io dint’ ’a casa, tu nun arruobbe!

Anche se le considerazioni di Amedeo potrebbero giustificare l’operato della madre, Gennaro non le condivide: per lui rubare e` comunque un comportamento antisociale. L’opposizione anche in questo caso e` chiara. L’etica del “si salvi chi puo`” che muove le coscienze della triade Amalia-Maria Rosaria-Amedeo diventa un comportamento sociale accettato e praticato da chi deve sopravvivere. L’azione sfocia nel divertente episodio del piatto di pasta asciutta che Amedeo si era conservato dalla sera precedente e che, al momento di mangiarlo, trova vuoto. Ad averlo consumato e` stato “sbadatamente” Gennaro, che, accusato dal figlio d’aver usufruito di cio` che non era suo, lo ripaga con la stessa moneta:

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

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(Col tono di chi e` convinto d’aver ragione) Oh! Tu che vuo`?! Io non mi ricordo. ’E mieie, ’e tuoie..., si salvi chi puo`!

I toni della schermaglia, com’e` evidente, sono quelli della commedia. Quella di Gennaro e` una replica beffarda che pero` viene fatta sul tema tragico della fame, a cui il contrabbando rimanda. A questo proposito il pensiero di Gennaro si manifesta in alcune conversazioni che l’onesto tranviere intrattiene con gli avventori che affluiscono nel basso per degustare il caffe`. Gennaro, a differenza di tutti gli altri personaggi, e nonostante sia un semianalfabeta, mostra una certa propensione alla riflessione, un certo interesse a comprendere e analizzare i motivi che hanno condotto alla guerra e alle sue inevitabili conseguenze. Questa sua attitudine all’analisi sara` di grande importanza per lo sviluppo della sua coscienza, sara` la condizione che gli consentira` di trasformarsi come uomo e comprendere il nesso profondo che separa il bene dal male. Egli dimostra d’avere una coscienza critica. Vedremo piu` avanti in che termini. Innanzitutto egli e` convinto che i generi alimentari in realta` non manchino, ma che vengano fatti sparire apposta per far aumentare i prezzi e poter ottenere maggiori utili. ’A rrobba nun manca. Ce sta tutte cose. Farina, olio, burro, formag` sempe ’a stessa musica! gio, vestite, scarpe... (Sentenzia) E

Per lui il motivo per cui si fanno le guerre e` molto semplice ed e`: Pe’ fa’ sparı`’ ’a rrobba!

Quando c’e` la guerra la roba o viene a mancare o si accumula e chi accumula specula su chi non ha. La figura che rappresenta questa situazione e` quella del calmiere. Vediamo Gennaro cosa ne pensa: [...] E io vi dico che il calmiere e` stato e sara` sempre la rovina dell’umanita`. Calmiere... Pare bella pure ’a parola: calmiere. Tu dici: questa e` una cosa che ti vuole calmare... Tu qua’ calmare? Quella e` l’origine di tutti i mali. Pecche`, quanno tu, governo, miette ’o calmiere, implicitamente alimenti l’astuzia del grossista e del dettagliante... Succede ’o gioco ’e prestigio... (Accompagna quest’ultima frase con un gesto come a voler dire: il furto) e il povero consumatore tiene tre vie d’uscita: o se more ’e famme, o va ’a lemmo`sena, o va ngalera...

Poco piu` avanti:

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

LA NAPOLI MILIONARIA!

[...] Il calmiere [...] e` stato creato ad uso e consumo di certe tale e quale persone... che sol perche´ sanno tenere ’a penna mmano fanno ’e prufessure, sempe a vantaggio loro e a danno nostro. Danno morale e materiale.

L’aspetto morale non e` mai scisso da quello materiale. Ancora:

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[...] Il calmiere significa praticamente: «siccome tu nun saie campa`, ` il loro interesse le`vate ’a miezo ca te m’par’io comme se campa!» [...] E dire che il popolo e` indolente, analfabeta, non e` maturo... E tanto fanno e tanto dicene, ca se pigliene ’e rre`tene mmano e addeventano ’e padrune. In questo caso ’e prufessure songo ’e fasciste...

Non e` un caso che Gennaro individui nell’indolenza una colpa che i potenti attribuiscono al popolo, visto che d’indolenza, rispetto alla risoluzione dei problemi di sostentamento della famiglia, viene accusato egli stresso. E ancora qualche passo piu` avanti: Popolo e prufessure se mettono allora a dispietto. ’E prufessure pigliano provvedimenti pe’ cunto lloro e ’o popolo piglia pruvvedimente pe’ cunto suio. E a poco a poco tu hai l’impressione che niente t’appartiene, ca ’e strate, ’e palazze, ’e ccase, ’e ciardine, nun e` robba toia... ma ca e` tutta proprieta` ’e sti prufessure. [...] Po’ in queste condizioni, se fa ’a guerra. «Chi ha voluta ’a guerra?» «Il popolo» dicene ’e prufessure. «Ma chi l’ha dichiarata?» «’E prufessure», dice ’o popolo. Si ’a guerra se perde l’ha perduta ’o popolo; e si se vence, l’hanno vinciuta ’e prufessure. Voi mo dite: ma che c’entra questo discorso con quello che stavamo dicendo? E c’entra. Perche´ il calmiere e` una delle forme di avvilimento che tiene il popolo in soggezione e in istato d’inferiorita`. Il mio disegno di legge sarebbe quello di dare ad ognuno una piccola responsabilita` che, messe insieme, diventerebbero una responsabilita` sola, in modo che sarebbero divisi in parti uguali, onori e dolori, vantaggi e svantaggi, morte e vita. Senza dire: io sono maturo e tu no!

“Gennaro odia il calmiere perche´ aumenta la speculazione, perche´ e` stato creato ad uso e consumo di certe persone che sono i 59 ‘professori’ del furto e i padroni di domani” . Eduardo sente molto il divario che c’e` tra chi la guerra l’ha subita, il popolo, e chi l’ha decisa, i potenti, gli uomini politici. Il progetto di legge che ha in mente e` qualcosa che puo` vagamente somigliare al sistema di vita democratico, del tutto lontano da quello adottato dal regime fascista. 59

Ibid.

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Egli accusa non solo la classe dirigente che tende ad approfittare del potere per annichilire il popolo e ottenere dei vantaggi, ma anche il popolo che, a suo avviso, nel suo stesso interesse, dovrebbe mostrare ` un maggior senso civico, maggiore partecipazione alla vita sociale. E lungo discorso quello di Gennaro, iniziato su provocazione di uno dei convenuti per il caffe` mattutino, un “«monologo autoriflessivo e autocompiaciuto (da se´ si fa le domande e da se´ si da le risposte)». Anche il suo linguaggio e` speciale: infatti parte del discorso e` svolto 60 in lingua, come si conviene ad un «trattato»” , ma c’e` da sottolineare tuttavia che qui non si ravvisa “la contraddizione grottesca fra il voler essere e l’essere che caratterizza, in altre commedie in dialetto, la pretesa italofona dei parlanti. [...] D’altra parte, che si tratti di un «antilinguaggio», rispetto alla media comprensione dell’uditorio scenico, e` rilevato dai commenti scherzosi, dalle proteste di dire piu` in 61 fretta, dalla confessione finale, riassuntiva di Peppe” , che candidamente afferma: Don Genna`, io nun aggio capito niente...

In questa commedia, com’e` evidente, Gennaro rappresenta l’elemento idealistico. Lo si rileva, appunto, da “come considera le forze della societa`, chi comanda e sfrutta e chi sta sotto e s’arranca per 62 sopravvivere” . La sua e` un’idealita` che, pero`, non riesce ancora a comprendere fino in fondo le cause che hanno determinato la guerra. Egli intuisce che qualcosa non va nel mondo in cui vive, ma il suo intelletto non riesce a spiegare cosa sia questo qualcosa. Gennaro, anche se non la esprime apertamente, e` percorso dalla domanda kantiana sul male radicale, dal sospetto che sotto il regno della ragione (la guerra giusta, la guerra dei poveri contro i ricchi, dell’uso della violenza per perseguire il bene), come direbbe Hegel, “dimora e 63 alberga un’anima straniera” . In questa prima fase l’inconscio intuisce ma la sua coscienza non riesce ad individuare quali siano le cause che hanno determinato l’ingresso dell’Italia in guerra. Del resto e` una domanda dalla risposta non facile, poiche´ come ci ricorda Jung: 60

Barsotti A., Eduardo drammaturgo, cit., p. 154. Ibid. 62 De Sanctis G. B., Eduardo De Filippo Commediografo neorealista, Quaderni di capitoli, Perugia, 1959, p. 26. 63 Hegel G. W. F., Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, Laterza, Bari, 1963, § 458, p. 419. 61

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

LA NAPOLI MILIONARIA!

Primitiva o no, l’umanita` sta sempre al confine di cose che essa stessa compie, ma che non controlla. Per fare solo un esempio, il mondo intero vuole la pace, e il mondo intero si arma per la guerra, seguendo il detto: “si vis pacem, para bellum”64.

Non e` facile comprendere le cause che hanno generato la guerra. C’e` qualcosa d’imponderabile che ha condotto gli uomini ad uccidersi l’un l’altro, uno spirito maligno che, sotto le mentite spoglie della ragione, e` riuscito a contaminare milioni di persone in tutta Europa. Bisogna stare attenti, poiche´, come ci ricorda sempre Jung:

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Per quanto riguarda la coscienza, siamo noi i padroni di noi stessi: sembriamo addirittura i “fattori”; ma se varchiamo la soglia dell’Om65 bra, ci accorgiamo con spavento di essere oggetto di “fattori” .

Basti pensare che, biologicamente, noi esseri umani siamo guidati da due sistemi, il cerebro-spinale e il neuro-vegetativo. Il primo e` governato dall’io, dal cervello, mentre il secondo, seppur relativamente condizionabile dal primo, e` completamente autonomo. E tutte le funzioni vitali, il respiro, il battito del cuore, la sessualita`, e quindi l’emotivita`, sono governate dal secondo. Cio` vuol dire che le funzioni vitali in quanto tali ci prescindono. Cosa che dovrebbe farci riflettere. Comunque, quello di sentirsi oggetto di fattori, ovvero di non essere padroni del proprio destino, di sentirsi vittime di qualcosa che non si e` contribuito a determinare, e` il sentimento che possiede Gennaro, ed e` esattamente lo spirito di tutti coloro i quali la guerra sentono d’averla subita. E sono in tanti, la maggioranza. Ma ci sono anche quelli che la guerra l’hanno voluta, dichiarata e, tra loro, non soltanto i politici, ma anche tutti coloro i quali l’hanno strenuamente sostenuta. Molti di questi cittadini, al termine del conflitto, hanno com-preso sulla loro pelle d’essere stati anche loro oggetto di fattori, ` di forze incontrollabili il cui unico scopo era quello di distruggere. E un fenomeno molto complesso legato alla dialettica imposizioneconsenso che ha contraddistinto la nascita e l’espansione dei regimi totalitari. Non sono solo i fenomeni politico-sociali, cioe` quella parte di noi che controlliamo e siamo soliti definire coscienza, ad aver determinato la guerra, questo e` cio` che appare in superficie, a determinarli e` stato qualcosa di ben piu` profondo e incontrollabile. 64 65

Jung C. G., Gli archetipi dell’inconscio collettivo, cit., p. 41. Ibid.

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

Jung a tal proposito ci ricorda che “le condizioni storiche esterne di qualsiasi tipo sono soltanto l’occasione degli effettivi pericoli che sovrastano l’esistenza, cioe` i vaneggiamenti politico-sociali che non vanno interpretati da un punto di vista causale come conseguenze necessarie di condizioni esteriori, bensı` come decisioni determinate 66 dall’inconscio collettivo” . Cio` che ha condotto gli uomini alla guerra e` qualcosa che sfugge al nostro controllo cosciente, poiche´ fonda le “ragioni” del suo rivelarsi nell’alveo di qualcosa che noi non comprendiamo, nell’inconscio collettivo. Comunque, quale che sia la causa, l’effetto, l’essere oggetto di fattori, non e` certo un’esperienza gratificante da vivere quando e` la guerra il fattore che si subisca. Abbiamo detto quindi che Gennaro, seppur non riesce a darsene una spiegazione cosciente, avverte che c’e` qualcosa di sbagliato in chi ha sostenuto e sostiene la guerra. Per Gennaro, dunque, da una parte ci sono i potenti e dall’altra gli sfruttati, ma tra gli sfruttati ci sono quelli che sostengono i potenti. Lui e sua moglie Amalia fanno parte della seconda categoria, ma per Amalia, che sente la responsabilita` di alimentare tre figli, il peso della miseria e` insopportabile. Nel mettersi a fare il contrabbando, Amalia da una parte cede al bisogno, ma dall’altra, passa inconsciamente dalla parte di chi questa situazione sfrutta, ovvero dalla parte di chi ha il potere e ne abusa. Il potere lo ` questa ha chi ha gli alimenti che consentono il sostentamento. E scelta che fa imboccare ad Amalia la via del male. Gennaro ed Amalia sono in fondo “i due volti di questa Italia, quello sconcertato ma onesto, indifeso ma umano e quello che reagisce senza badare ai modi e ai mezzi; quello che cerca di sopravvivere alle sofferenze e alla miseria, sfruttando proprio quella guerra che e` solo un male, ma non e` ancora l’apocalisse; esorcizzando la paura della morte e difendendosi dalla fame fino al punto di trasformare la ricerca del meglio in avidita` di guadagno”67. Ma ritorniamo ad analizzare la commedia. Un altro aspetto importante da evidenziare e` come, il modo in cui le famiglie napole` un fenomeno che tane in quegli anni operavano il contrabbando. E possiamo comprendere attraverso la relazione che intercorre tra donna Amalia e il ragionier Spasiano, un impiegato che per sfamare la propria famiglia acquista da lei ogni sorta di genere alimentare. Questo e` un esempio del tenore delle relazioni che all’epoca intercorrevano tra i contrabbandieri e i clienti: 66 67

Ivi, pp. 41-42. L’articolo fu scritto nel 1934: in tempo di fascismi e dittature. Bisicchia A., Invito alla lettura di Eduardo De Filippo, cit., p. 68.

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RICCARDO – (Sotto voce, con circospezione) Donna Ama’, il burro l’avete avuto? AMALIA – Avit’ ’a veni cchiu` tarde. Ce sta na perzona ca me l’ha prummiso. Ma sapite comm’e`... Chille ’o ttrovano a vennere cchiu` caro e nun se fanno vede` cchiu`. Si m’ ’o pporta e` rrobba vosta. Vuie sapite ca nuie nun l’ausammo. Primma pecche` nun ce piace e po’... costa accussı´ caro... E chi ’o putarrı`a accatta`... RICCARDO – (Amaro) Gia`, perche´ voi non ci guadagnate niente sul burro.

Amalia, come tutti quelli che praticavano la borsa nera, nega di ottenere un profitto dall’attivita` che svolge, sostiene di fare l’interme` chiaramente solo una manovra per difendersi dall’implicita diaria. E ` accusa di sfruttamento che deriva dal praticare il mercato nero. E una difesa che agisce sia sul piano legale che su quello morale, poiche´, appunto, approfittare della necessita` altrui e` umanamente ` un modo di fare deplorevole. I piani sono strettamente connessi. E questo che tutti sanno essere falso, ma che per necessita` sono ` evidente che i piani non sono simmecostretti a non denunciare. E trici. Venendo meno il contrabbandiere viene meno la possibilita` di alimentarsi e quindi di sopravvivere, magari anche di ottenere un credito in un momento di disperazione. Intorno a questo cardine vizioso si attua il giro di vite di Napoli milionaria! Inizialmente, quella di prestarsi come intermediaria, e` la risposta che Amalia da anche a Gennaro quando l’uomo le chiede spiegazioni sullo strano “movi68 mento” che vede sempre piu` frequentemente in casa sua . Gennaro, ovviamente, non crede alla finta generosita` della moglie. Ma di fronte al suo moralismo improduttivo, Amalia oppone la praticita` e l’efficacia della sua soluzione. Con il contrabbando si mangia, con le chiacchiere si resta digiuni. Quando Gennaro cerca di opporsi, Amalia lo mette alle strette. Se a lui questa situazione non va bene, che la trovi lui una soluzione: GENNARO – Io veco troppo muvimiento d’ ’a matina ’a sera... [...] AMALIA – (Pronta per tagliar corto) T’aggio ditto tanta vote ca nun e` rrobba mia... M’ ’o ppo`rtano cca` e io faccio un piacere a quacche canuscente... GENNARO – Accussı´ per gli occhi celesti color del mare?... AMALIA. (Gridando) Io nun abbusco niente!

68

Quello di porsi come intermediario e` cio` che fanno ancora oggi gli usurai. Affermano sempre di non avere il denaro da dare in prestito, ma d’avere qualcuno disposto ad offrirlo.

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LA NUOVA DRAMMATURGIA DI EDUARDO

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GENNARO – (Con lo stesso tono, rifacendola) E allora nuie comme campammo? Famme capı` stu miraculo comme succede. Magnammo ` in mala fede chi crede na cu’ ’a tessera? Ma a chi ’o vvuo` fa credere? E cosa ’e chesta... AMALIA – (Ponendogli il problema perche´ lo risolva lui) E allora che s’ha da fa’?

Gennaro questo dramma lo vive interiormente e quando cerca di indicare alla moglie la strada per uscire da questo circolo vizioso, “cade in una forma di tautologia: come si fa a vivere dignitosamente senza la borsa nera? Se con la tessera non si puo` il ricorso alla borsa nera e` necessario, ed il rischio di andare il galera ne e` la conseguen69 za” . Vorrebbe opporsi a questo mercimonio, ma non puo` far altro che dire alla moglie di fare attenzione, lo fa con l’amarezza e l’impotenza di chi non ha altre soluzioni e comprende che in un modo si deve pur campare. Il dialogo tra Amalia e Gennaro gioca sull’incapacita` di Gennaro, dato che e` un po’ ritardato, di ricordare le cose. Un modo per vivere onestamente lui l’aveva trovato, purtroppo non si ricorda piu` qual e`: GENNARO: [...] Avevo capito proprio come si deve fare per vivere dignitosamente, senza ricorrere a questo guaio della borsa nera... (Trova il concetto) Ah! Se colla tessera nun se po` campa`, allora si deve ricorrere alla borsa nera... Si deve vivere col pericolo che t’arrestano, che vai carcerato... (Non sa piu’ dove parare con le sue argomentazioni; cedendo ad una ineluttabilita`, dichiara con tono umano, comprensivo) Ama’, sta`mmece attiente... (Si alza e fa per andare)

Gennaro, dunque, cede alla moglie, ma nel cedere a lei cede alla fame. La sua sottomissione avviene con un’intima resistenza interna e racconta nient’altro che l’impossibilita` di risolvere diversamente il problema della sussistenza alimentare. Sono le catastrofiche condizioni storiche che co-stringono, in una morsa senza via d’uscita, tutte le vittime della guerra, anche le persone piu` oneste, come Gennaro, ad accettare, seppur a malincuore, un destino che non si riesce a determinare diversamente. Gennaro, si rende conto che di fronte alle difficolta` della guerra le sue parole i suoi disegni di legge non possono molto. Nel finale d’atto la situazione drammatica si trasforma nell’episodio farsesco del finto morto cosi da avvicinarlo per toni e situa-

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Bisicchia A., Invito alla lettura di Eduardo De Filippo, cit., p. 68.

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LA NAPOLI MILIONARIA!

zioni al suo vecchio modo di fare teatro70. La finta morte di Gennaro e` “da considerare uno dei momenti piu` alti della storia del teatro di tutti i tempi, paragonabile soltanto alla finta morte di Argante nel 71 Malato immaginario di Molie`re” . Il mancato arresto di Gennaro da parte del brigadiere Ciappa, arrivato in casa Jovine per sequestrare la merce da contrabbandare, esprime l’apprezzamento per il coraggio dell’uomo che non si smuove neanche sotto le bombe, ma anche la consapevolezza da parte della legge che in una situazione come quella, cioe` in guerra, non si poteva operare diversamente. Per il suo studiato ma non artificioso dosaggio di spunti farseschi e di situazione drammatica questa scena finale puo` essere considerata una scena modello. Come evidenzia Anna Barsotti “non si tratta di un alternarsi esteriore di comico e di tragico, piuttosto della compresenza-complementarieta` di entrambi, resa possibile dalla misura con cui (gia` nel testo) l’autore svaria o smorza i toni piu` alti del dramma senza peraltro disperderne l’impressione e la presa sul pub72 blico” . Al preannunciato arrivo della polizia il basso si trasforma miracolosamente in una camera ardente. La velocita` e la sincronia dei movimenti dei convenuti lasciano pensare ad un evento “secondo un copione gia` collaudato che prevede l’azione di una «crisi di 73 cordoglio» familiare e interfamiliare” . In un batter d’occhi alcuni abitanti del vicolo si trasformano in monache. “La finzione e il travestimento collettivo costituiscono quasi un omaggio alla «napoletanita`», intesa come arte d’arrangiarsi ma anche come disponibilita` spontanea, soprattutto popolare, a coalizzarsi in difesa del malcapitato”74. Ma il gioco della finzione nella finzione non e` qui riconducibile solo alle tecniche dei travestimenti farseschi del teatro popolaredialettale o a quelle della ancor piu` antica Commedia dell’Arte, questa volta, “collegandosi [...] direttamente «all’esibizione scenica», alla «struttura drammatica», dei rituali funerari delle civilta` religiose mediterranee, e anche di quelle del mondo antico, pur nello strumentale travisamento parodico, il nesso drammaturgico spettacolare 70

Eduardo nella prima rappresentazione romana al Salone Margherita il 31 marzo 1945 si affaccio` alla ribalta nella pausa tra il primo e secondo atto della commedia per dire che quello visto fino a quel momento era il suo vecchio modo di fare teatro, un “teatro da ridere”, e che, da quel momento in poi il pubblico avrebbe visto il suo nuovo modo di fare teatro, cioe` il “Teatro di Eduardo”. 71 Bisicchia A., Invito alla lettura di Eduardo De Filippo, cit., p. 70. 72 Barsotti A., Eduardo drammaturgo, cit., pp. 155-156. 73 Ibid. 74 Ibid.

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finzione e travisamento dell’evento luttuoso – teatro nel teatro acquista uno speciale spessore, e sapore, semantico. Istrionismo e confidenza «regolata» coi morti presentano piuttosto valenze antropologiche, istintuali, piu` che intellettualistiche, concorrendo anch’essi a quel ripristino dell’uomo in quanto totalita` psico-fisica e quindi del personaggio-uomo, che Eduardo tutto sommato persegue (controcorrente, e nella direzione opposta a quella pirandelliana) con la sua fiducia nel teatro come testimonianza non della finzione della realta` 75 ma della esemplarita` realistica della finzione” . All’eroica fedelta` di Gennaro al ruolo di finto morto, fedelta` dalla connotazione liturgica, il tutore della legge Ciappa (Antagonista come Gennaro del Mondo di Amalia) non puo` che rendere omaggio: Bravo! Overamente bravo! Tu nun si’ muorto, ’o ssaccio. Ne so’ ` sicuro. Sott’ ’o lietto tiene ’o contrabbando. Ma nun t’arresto. E sacrilegio a tucca` nu muorto, ma e` cchiu` sacrilegio a mettere ’e mmane ncuollo a uno vivo comme a te. Nun t’arresto!

Dal punto di vista drammatico la commedia ha dunque due protagonisti. Da una parte Gennaro e dall’altra Amalia alla quale si associano il resto dei personaggi. In questa prima fase a portare avanti l’azione, ad essere attiva, e` Amalia che con il contrabbando riesce a sfamare la famiglia, mentre Gennaro agisce di rimessa, limitandosi a palesare in sordina la propria disapprovazione ai traffici della consorte. Ad assumere la funzione di co-antagonista di Gennaro e` anche Errico “Settebellizze”, l’uomo che fornisce la merce ad Amalia, e che ` un antagonista esterno nel sistema del contrabbando e` un grossista. E alla famiglia che usando il suo ruolo nel mercato nero cerca di sedurre Amalia ed insinuarsi nel suo rapporto con Gennaro. Se dal punto di vista del commercio Amalia vede in lui un alleato, dal punto di vista dell’onore il suo amore per lui e` oggettivamente una minaccia. Il rapporto tra i due e` inizialmente ambiguo: non si capisce se Amalia accetti le sua avances per semplice utilita` o perche´ provi realmente dei sentimenti per lui. Probabilmente per entrambi i motivi. Sta di fatto che Errico per risolutezza, spirito d’iniziativa, presenza fisica, e` esattamente l’opposto di Gennaro, come lo e` per i principi morali che lo guidano. Il primo atto si conclude, quindi, con la resa di Gennaro che, paradossalmente, fingendosi morto, si costringera`, per evitare la

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Ivi, pp. 156-157.

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LA NAPOLI MILIONARIA!

requisizione della merce e il carcere, ad assumere un ruolo “attivo” ` una nella vicenda. Nel cedere alla recita, Gennaro cede alla realta`. E resa alla fame e alla guerra. Termina, quindi, cosı`, con lo scampato arresto e una tremenda paura delle bombe, il primo atto di Napoli milionaria! Fame, furbizia, paura, coraggio, istrionismo, voglia di capire come si e` arrivati a questo, sono questi i bisogni e i sentimenti che dominano gli spiriti dei napoletani durante la guerra ed Eduardo li mette in scena tutti. Una notazione prettamente teatrale. Abbiamo detto che, in questo primo atto, dal punto di vista drammatico, Gennaro, da personaggio inizialmente passivo, e` co-stretto, fingendosi morto, a trasformarsi paradossalmente in personaggio attivo. Vedremo come, nel prosieguo dell’analisi, la sua figura esile e a tratti velleitaria si trasformera` pian piano, in maniera sempre piu` determinante, in un personaggio a tutto tondo, latore di una grande forza morale. Quest’arco trasformazionale trova ovviamente anche un corrispettivo scenico. Da personaggio relegato sullo sfondo nel primo atto (e` addirittura invisibile all’inizio della commedia), che agisce da contrappunto all’azione di Amalia, nel secondo e terzo atto Gennaro avanza lentamente guadagnando il centro della scena. Il movimento drammatico e scenico, come un mulinello in fondo al quale, in lontananza, e` possibile vederne il vertice, converge, stringendo il cono otticotematico, inesorabilmente verso la sua maschera. Nel secondo atto tutto e` cambiato. Lo sbarco alleato e` avvenuto recita l’inizio della didascalia. La casa e` stata completamente trasformata. Le pareti sono color ciclamino, il soffitto e` decorato con ori e stucchi. La “cameretta” di Gennaro e` sparita. Al suo posto troneggia una enorme e lucente macchina da caffe`. Anche Amalia e` un’altra donna: tutta in ghingheri, tutta preziosa [...] indossa un abito di purissima seta e calze e scarpe intonate. Soprattutto una cosa e` cambiata: dal vicolo si udranno voci confuse di venditori ambulanti [...]. Dall’andirivieni continuo di costoro, fuori del basso, si avra` la sensazione che c’e` la liberta` e i generi alimentari si smerciano in abbondanza. Appaiono con assoluta evidenza i segni dell’opulenza conquistata con il contrabbando. Questa trasformazione e` molto importante, poiche´ ci racconta, durante questa ellissi, il significato che le cose (la lucente macchina del caffe`, gli abiti preziosi d’Amalia) hanno assunto. La loro comparsa, avvenuta grazie agli illeciti introiti, annulla tutta la loro ambivalenza, affermando un unico significato, quello del valore che le ha prodotte:

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LA NUOVA DRAMMATURGIA DI EDUARDO

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Incarnando un segno la cui comparsa annulla tutta l’ambivalenza delle cose, l’ordine delle loro possibili relazioni, e quindi della loro disponibilita` per altre indicazioni di senso, le cose non dicono piu` di loro, ma del significante che le ha segnate e a cui hanno con-segnato ogni loro possibile senso.76

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` cio` che raccontano, appunto, i nuovi oggetti, i vestiti che la E ` una trasformazione esteriore che famiglia Jovine ha acquistato. E esprime il significante che le ha prodotte: l’avidita` di denaro. In questo modo “il linguaggio cessa d’essere espressivo per diventare in77 dicativo del significante supremo” che in Napoli milionaria! e`, appunto, rappresentato dal denaro, dalla volonta` d’arricchirsi di Amalia. Che si tratti del Fallo o dell’Oro, del Dio o della Legge, c’e` sempre un supremo significato di cui le cose recitano il Nome. [...] Il suo modo di dominare, infatti, non e` nell’imporre un senso, ma nello svuotare di senso tutti gli altri sensi a cui le cose, nella loro originaria ambivalenza, potrebbero affidarsi. Il potere del segno si fonda dunque sulla capacita` di escludere e di annientare ogni ambivalenza simbolica a vantaggio di una struttura fissa in forma di equazione: A e` A e non non-A. Il principio d’identita` e di non contraddizione non e` solo il principio della filosofia, ma della razionalita` di ogni significato che puo` funzionare solo se garantisce l’identita` per cui: questo significa questo e non significa altro. La discrezione (dia-ba`llein) e` la preoccupazione della ragione, ossia la riduzione universale di tutte le virtualita` di senso che non risultano dall’equivalenza e dalla specularita` di un significante e di un significato.

Il denaro ha completamente svuotato di senso ogni cosa, tutto non fa altro che recitare il nome di Amalia, il suo desiderio di arricchirsi materialmente. Possiamo considerare questa aggressiva volonta` di arricchirsi come una forma di difesa dalle umiliazioni e dalle mortificazione che la fame puo` generare. La situazione storica si e` completamente trasformata. Gennaro non c’e` piu`. Di lui non si hanno notizie da quattordici mesi. L’assenza di Gennaro, deportato dai tedeschi, e` una condizione di fondamentale importanza per lo ` grazie a questa assenza che le cose sviluppo drammatico dell’opera. E ` questa non potranno far altro che recitare il nome di Amalia. E 76 Galimberti U., La terra senza il male. Jung: dall’inconscio al simbolo, Feltrinelli, Milano, 2001, p. 82. 77 Ibid.

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assenza che ha concesso l’espansione del polo etico Amalia-Altri personaggi del dramma, la fioritura dell’etica del(l’ap)profitto. L’ellissi temporale ci comunica che lo sbarco alleato e` avvenuto e Napoli e` diventata milionaria. Lo e` diventata con i milioni del contrabbando. Ma alla ricchezza opulenta, ostentata, si contrappone la miseria morale. Maria Rosaria e` stata messa incinta da un soldato americano che non si fa vedere da una settimana; Amedeo, insieme al suo amico Peppe ’o Cricco, si e` dato al furto di gomme d’auto; Rituccia, la figlia piu` piccola, sta male, ha la febbre e Amalia e` ormai scivolata 78 “nell’umanita` danarosa, vanesia e spaccona sino al disumano” . L’unita` della famiglia Jovine, quindi, dopo la sparizione di Gennaro, paradossalmente “ha subito colpi piu` duri dalla liberazione che dai bombardamenti, dall’avvenuta ricchezza che dalla solita miseria: ognuno dei suoi membri ha seguito una propria strada pur restando nel campo semantico iniziale, fatto d’avidita` e d’egoismi, di ricerca di 79 beni effimeri e d’indifferenza ai valori ideali” . Vittima sacrificale dell’avida e cinica disumanita` di Amalia e` il ragionier Spasiano. All’uomo Amalia ha sottratto tutto, dai gioielli di famiglia a due piccoli appartamenti, riducendolo letteralmente sul lastrico. Nella parabola umana di quest’uomo c’e` la storia di tantissime persone del ceto medio che per sfamare la propria famiglia furono letteralmente strangolate dai contrabbandieri. Avendole ceduto anche due piccoli appartamenti, con grande dignita` cerca “di parlare alla sua coscienza ma donna Amalia non si lascia impietosire: vede in lui il borghese che stava bene quando lei stava male e non intende ascoltare le sue 80 preghiere: o paga i debiti o gli fa pignorare la casa” . In questo scambio di battute emerge tutta la crudelta` e l’acrimonia di donna Amalia nei confronti del ragioniere che di personale alla donna non ha fatto nulla: RAGIONIERE – [...] Ma volevo parlare un poco alla vostra coscienza... [...] La prima volta che mi trovavo a corto di soldi, voi proponeste di disfarmi di uno dei due quartini di mia proprieta`, dicendo che avevate la persona che comprava. Io, con l’acqua alla gola, cedetti. Questo poi avvenne una seconda volta, quando perdetti addirittura il posto di ragioniere [...] e mi disfeci pure del secondo. Ho saputo poi che tutti e due i quartini li avete comprati voi... Vi faccio i miei auguri e

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De Sanctis G. B., Eduardo De Filippo. Commediografo neorealista, cit., p. 27. Barsotti A., Eduardo drammaturgo, cit., p. 161 Bisicchia A., Invito alla lettura di Eduardo De Filippo, cit., p. 71.

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ve li possiate godere per cento anni. Ora voi mi anticipaste quarantamila lire sulla casa che abito con i miei figli e mi faceste firmare una carta dal notaio, dove c’e` il diritto di riscatto da parte mia mediante la restituzione della somma nei sei mesi dalla firma. (Pausa. Il gelo che producono le parole di Riccardo lo intimidisce sempre piu’. Ma si fa anima e riprende) L’impegno e` scaduto da venti giorni, d’accordo... Ma voi mi mandate l’ingiunzione del vostro avvocato: «o paghi un fitto di quattromila lire o vattene!» (l’ingiustizia e` talmente palese che da foga al suo discorso) A parte il fatto che io non ho dove andare... e d’altra parte non posso pagare quattromila lire al mese... voi avete il coraggio di pigliarvi quella proprieta` per quarantamila lire?

Amalia quel coraggio lo possiede. Questa e` la spietata replica all’offerta di diciassettemila lire come parte della cauzione per riottenere la casa in cui il ragioniere vive. C’e` da dire che inizialmente Amalia anche nell’acquisto dei quartini, come per la vendita dei generi alimentari, aveva fatto credere al ragioniere d’essere soltanto un’intermediaria: AMALIA – [...] Ma cheste so’ belli chiacchiere... [...] (Si alza, accesa) Ma vuie ’e solde v’ ’e sapisteve piglia`... mo mi venite a dire, ca ’e duie quartine vuoste m’ ’accataie io... E nun ve l’aggio pavate? (Riccardo cerca di calmarla, temendo la chiassata) Ma pecche` quando dint’ ’a casa mia simme state diune, simme venute addu vuie? (Convinta e vendicativa) ’E figlie mieie nun hanno sufferto ’a famma? Nuie, quanno vuie teniveve ’o posto e ’a sera ve faciveve ’e passeggiate a perdere tiempo nnanze ’e vetrine, mangia`veme scorze ’e pesielle vullute cu’ nu pizzico ’e sale, doie pummarole e senza grasso... (Perde il controllo. Va sempre piu’ gridando) Mo me dispiace! Ma io mo chesto me trovo: ’e duie quartine vuoste e ’a casa addo` state vuie... Pigliateve ’e cinquantamila lire ’a mano ’e l’avvocato. E si vulite rummane` dint’ ’a casa, che v’arricorda quanno vuie mangiaveve e nuie ste`veme diune, pagate ’o mensile...

Superato il problema della sopravvivenza emergono sentimenti d’ostilita`, invidia e rancore. C’e` qualcosa di irrisolto in lei, una ferita che neanche i milioni sono riusciti a cicatrizzare. In questa scena Amalia appare posseduta da una forza misteriosa, folle e distruttiva che ci ricorda la possessione con cui milioni di persone hanno aderito ai vari nazional-socialismi e dittature fiorite nel ventennio precedente. Questa adesione ha nel potere il suo spauracchio principale. Lei e` riuscito a conquistarlo, lo esercita senza alcuno scrupolo e non ` sa che questo esercizio puo` portare alla rovina la sua famiglia81. E 81

A questo proposito Jung ci ricorda che “Non v’e` persona folle sotto il dominio di un

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evidente quanto il suo modo di fare non sia mosso piu` dalla necessita` di sfamare se´ e i suoi figli, ma da qualcosa di molto piu` torbido: una latente avidita` di potere, un bisogno di rivalsa. I soldi per lei hanno ormai assunto un valore assoluto. Ma tutte le cose che assumono questo predominio sono pericolose ed andrebbero contrastate “non per restaurare i loro opposti, ma per sottrarli all’intransigenza della 82 loro assolutezza e comporli con la propria ombra” . Sarebbe la fine del monoteismo occidentale: “il cui intento e` sempre stato quello di sopprimere l’ambi-valenza simbolica con la pre-valenza teologica rispetto ai soggetti particolari, monarchia rispetto alle persone sociali, fallocratica rispetto agli oggetti sessuali, capitalistica rispetto ai pro83 ` la volonta` di potenza, la necessita` di risollevarsi dotti del lavoro.” E da una spaventosa crisi economica che ha spinto la Germania degli anni trenta ad armarsi e tentare di sottomettere l’intera Europa. 84 Amalia e la Germania rappresentano simbolicamente, una a livello individuale, l’altra a livello collettivo, due espressioni del pericolo nel quale si puo` incorrere cedendo al desiderio di ricchezza o di rivalsa. Cedere alla volonta` di potenza, e` questo il grande rischio che l’Occidente deve evitare. Non avendosi sue notizie da quattordici mesi, Gennaro era stato considerato disperso. Il tema dei dispersi, oltre che da Gennaro, e` trattato nella commedia anche attraverso il personaggio di Assunta che, non avendo notizie di suo marito da mesi e non avendo avuto modo di consumare il matrimonio, non sa se considerarsi vedova o meno. Della sua condizione chiede spiegazioni ad Amalia. Quello delle presunte vedove, di quelle donne, cioe`, che a causa della guerra non avevano notizie dei loro mariti da mesi, era un tema molto sentito in quel momento storico. Ma la funzione di questo personaggio e` anche quella di sottolineare la stessa condizione di Amalia che, non avendo notizie di Gennaro, vive lo stesso dramma, aggravato dal archetipo, che non ne divenga preda. Se trent’anni fa qualcuno avesse osato predire che il nostro sviluppo psicologico tendeva a una reviviscenza delle persecuzioni medievali degli ebrei, che l’Europa avrebbe di nuovo tremato davanti ai fasci romani e al passo cadenzato delle legioni, che le persone avrebbero fatto ancora una volta il saluto romano come duemila anni fa, e che un’arcaica svastica, invece della croce romana, avrebbe attratto milioni di guerrieri pronti a morire, ebbene sarebbe stato accolto come un mistico folle.” Jung C. G., Gli archetipi dell’inconscio collettivo, cit., p. 77. 82 Galimberti U., La terra senza il male. Jung: dall’inconscio al simbolo, cit., p. 40. 83 Ibid. 84 La Germania in questo contesto rappresenta solo la punta dell’iceberg, e` ovvio che il discorso e` estendibile a tutte le formazioni statali che fondano i loro sistemi di vita sociale sul rapporto tra forza lavoro e capitale.

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LA NUOVA DRAMMATURGIA DI EDUARDO

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conflitto interiore di non sapere se cedere o meno alle avances di “Settebellizze”. Assunta, carattere secondario, non solo conserva gli attributi d’un ruolo farsesco (la sua risata involontaria che autoalimenta la sua stessa ilarita`), ma ha anche un altro ruolo fondamentale, ovvero quello di sostituire Gennaro nell’involontario contrappunto comico, viste le sue caratteristiche caratteriali, al mondo di 85 Amalia . In sostanza si sostituisce al ruolo che nel I˚ atto era del protagonista: tenere vivo il sottile limite che separa il tragico dal comico-grottesco. L’ingresso di Errico fa battere in ritirata la presunta vedova. Il sodalizio commerciale tra Amalia e “Settebbellizze” sta per trasformarsi in qualcosa di piu` di una semplice simpatia. La donna, attestando una sempre maggiore sintonia tra i due, ha deciso di festeggiare in casa sua il suo compleanno. L’uomo, evidentemente stanco dei continui approcci ogni volta frustrati, appare deciso a sferrare l’attacco finale. Nel chiedere ad Amalia quali sentimenti proverebbe se suo marito tornasse a casa, se per lei sarebbe un piacere, cerca di arrivare al dunque. Amalia gli risponde che per lei sarebbe... Nu piacere e nu dispiacere. Pecche` certamente, vuie ’o ssapite... accummencia dimanna`... «Ma che d’e` ‘stu cummercio? – Chesto se po` fa’... chello no...» Insomma, m’attacca le braccia ca nun po`zzo cchiu` manovrare liberamente.

Il manovrare liberamente sottende anche nella sfera sentimentale. `E un modo ambivalente per sottrarsi all’attacco e continuare a far ` anche l’atteggiamento che una donna ansperare lo spasimante. E cora ufficialmente maritata deve mostrare agli occhi della gente, sempre pronta a giudicare. Ma nonostante l’ambiguita`, l’uomo non si da` per vinto: ERRICO – (Avvicinandosi sempre di piu’ a lei e fissandola, quasi con aria di rimprovero) Gia`... AMALIA – (Volutamente sfugge) «’O pericolo... sta`mmece attiente...»86 ERRICO – E... non per altra ragione? AMALIA – Per... tutte queste ragioni. ERRICO – (Indispettito, come richiamando la donna a qualche promessa ` ove’? Pe’ me, no! tutt’altro che evasiva) E pe’ me, no? E 85

Barsotti A., Eduardo drammaturgo, cit., p. 161. La battuta e` virgolettata poiche´ Amalia cita le parole del primo atto che le rivolge Gennaro, raccomandandole di fare attenzione nel praticare il contrabbando. 86

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AMALIA – (Non avendo piu’ la forza di fingere, per la prima volta, guarda l’uomo fisso negli ucchi e, stringendogli le braccia lentamente e sensualmente, gli mormora) E pure pe’ te! Errico ghermisce la donna e con atteggiamento cosciente da maschio avvicina lentamente la sua bocca a quella di lei, baciandola a lungo.

Sopraggiunge la resa d’Amalia, come nel primo atto c’era stata quella di Gennaro. L’una sfalda definitivamente l’unita` familiare, l’altra era stata un disperato tentativo di non disgregarla. Amalia dunque cede ma il suo onore non e` ancora del tutto compromesso. I due vengono interrotti ed e` a questo punto che seguono due importanti dialoghi, quello tra Errico ed Amedeo e quello tra Amalia e Maria Rosaria. Forte della posizione che Amalia gli ha appena concesso, Errico, nel tentativo di ricondurlo sulla retta via, parla ad ` un discorso, quello di Errico, realAmedeo come ad un figlio. E mente protettivo, di un uomo che ha sperimentato in prima persona i rischi che un’attivita` fuori legge comporta. In qualche modo gli comunica, da delinquente incallito, la sua consapevolezza d’essere nell’errore. Errico e` quindi un uomo cosciente della differenza che intercorre tra il bene e il male. Questa consapevolezza fa di lui un personaggio non completamente negativo. Del resto, l’abbiamo accennato, i personaggi di Eduardo, non sono mai o buoni o cattivi tout court, conservano sempre delle sfaccettature che gli consentono di 87 oscillare verso la luce o verso l’Ombra . Non potendosi piu` sottrarre a questo ‘stile di vita’, invita il ragazzo a non seguire le sue orme, ma il discorso, come vedremo, non produrra` gli esiti desiderati. A questo dialogo segue l’alterco fatto di reciproche accuse tra Maria Rosaria e Amalia. Lo scontro tra madre e figlia “ripropone il rapporto d’opposizione/incomunicabilita` fra il protagonista e gli altri. Situato al centro dell’opera imprime al testo la svolta dinamica che seguitera` anche nel 88 terzo atto, senza piu` cesure spaziali e temporali di rilievo” . Maria Rosaria confessa alla madre d’essere incinta. Lo fa con una tale rabbia e una tale aggressivita` che sorprendono la donna. La ragazza esplicitamente imputa alla madre la responsabilita` di non essere stata capace di sorvegliare i suoi fin troppo ingenui comportamenti, ma soprattutto quella d’aver tradito il padre concedendosi a “Settebellizze”. Ad Amalia sale immediatamente il sangue alla testa, vuole 87 Il muoversi verso l’Ombra, come gia` sottolineato, per Eduardo rappresenta la possibilita` che un personaggio ha di redimersi. 88 Barsotti A., Eduardo drammaturgo, cit., p. 162.

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sapere quando e dove e` successo il fatto, quando ha consumato l’amore con il soldato americano svanito nel nulla: AMALIA – [...] parla... Fatte ascı` ’o spı´rete. (Va in fondo e chiude i battenti della porta) Quanno... addo`? MARIA ROSARIA – (Trattando la madre da pari a pari e guardandola negli occhi le grida) Cca`... ’O facevo trası` cca`... Quanno vuie, ’a sera, ve `ıveve a fa’ ’e passiate e ’e cenette cu’ Settebelizze... AMALIA – (Sbarrando gli occhi) Cca`? Dint’ ’a casa mia? Schifosa! E nun te miette scuorno e’ m’ ’o dicere nfaccia? E parle ’e me? Tu nun si degna manco ’e m’annummena`! Ma io te scarpeso sotto ’e piede mieie... Te faccio addeventa` na pizza... MARIA ROSARIA – (Non disarma) E chiammate pure a Settebellizze... Dicitincelle ca me venesse a va`ttere pur’isso... Tanto, vuie chistu deritto ce l’avite gia` dato... AMALIA – (Controlla a stento il tono della sua voce perche´ il fatto non dilaghi nel vicolo) Malafemmana! Si’ na malafemmena! MARIA ROSARIA – (Puntando l’indice verso la madre) Chello ca site vuie...

` a questo punto che, provvidenzialmente, ritorna a casa GenE naro. La prima cosa da sottolineare e` il suo abbigliamento ecumenico: infatti il berretto e` italiano, il pantalone e` americano, la giacca e` di quelle a vento dei soldati tedeschi ed e` mimetizzata. L’abbigliamento di Gennaro, a differenza di quello nuovo di Amalia, esprimendo sia il bisogno di coprirsi che la consapevolezza interiore, acquisita durante i quattordici mesi di lontananza, dell’uguaglianza di tutti gli uomini, al di la` della divisa che indossano, della bandiera sotto la quale combattono, conserva un valore simbolico. La sua consapevolezza di questa uguaglianza “anticipa l’atteggiamento di diffusa pieta`” che ha Gennaro “per tutte le vittime della guerra, accomunate al di la` d’ogni 89 schematismo amici-nemici” : E quanta muorte... ’E lloro e ’e nuoste... [...] ’E muorte so’ tutte eguale...

Gennaro, padrone di casa, e fino alla precedente fine, ovvero alla fine del primo atto, fingendosi morto, conserva questo titolo, si trova ora, ritornando, ad essere ospite in casa sua. Gennaro e` lo straniero. Uno straniero che, pero`, in una qualche misura era gia` tale all’inizio. Gennaro ritorna, dicevo, e lo fa dopo aver “passato il limite (a 89

Ibid

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differenza di Luca Cupiello) che separa il suo microcosmo l’emarginato mondo del vicolo e del vascio, d’una Napoli che vive alla giornata anche in tempo di guerra, avvezza a destreggiarsi fra pericoli quotidiani e miseria, senza che possa o voglia guardare piu` in la` dal 90 ` stato proprio l’attraversamento del limite a «mondo grande»” . E procurargli i maggiori pericoli ma anche le maggiori esperienze: l’eroe ritorna e cambiando il suo essere tenta di reinserirsi nel suo mondo; un mondo che pero` neanche nella situazione di partenza gli apparteneva completamente. Il viaggio che Gennaro compie e` quindi un itinerario in un mondo Stra-Ordinario. Ma il viaggio non avrebbe senso se dal Mondo Stra-Ordinario, al rientro nel Mondo Ordinario, da cui l’avventura ha preso il via, l’eroe non portasse con se´ un qualche Elisir o tesoro o lezione. L’elisir puo` consistere in un oggetto dai poteri miracolosi come il Santo Graal o semplicemente in cono91 scenze ed esperienze che un giorno potranno giovare alla comunita` . ` il caso di Gennaro che nel suo peregrinare e nel periodo di E prigionia ha fatto delle esperienze che lo hanno completamente trasformato. In Napoli milionaria! gia` nel Mondo Ordinario esistono tracce del Mondo Stra-Ordinario. Queste tracce sono tutte nell’alveo delle esperienze della guerra, presenti, come abbiamo visto, in ogni aspetto della vita quotidiana di quegli anni. Il viaggio che Gennaro compie non e` quindi in un mondo totalmente nuovo e ignoto, e` un viaggio nella dimensione limite di questo mondo, un viaggio nella dimensione piu` oscura dell’Ombra. L’orrore della guerra Gennaro non lo vede piu` dal cielo ma direttamente in prima linea e nei campi ` la prova centrale, quella che nei manuali di di concentramento. E sceneggiatura viene solitamente definita la Caverna piu` Recondita: “il momento in cui l’eroe guarda in faccia la sua paura piu` grande, nel 92 senso che affronta con coraggio la possibilita` di morire” . Ma quella che Gennaro prova durante i quattordici mesi di lontananza e` una paura di morire relativa, poiche` vedremo come la vera prova centrale dovra` superarla affrontando la paura di morire moralmente, quando ritornato a casa trovera` ad accoglierlo la cinica indifferenza della sua famiglia. Gennaro ritorna e vuole raccontare. Eduardo sceglie di riportare questa esperienza attraverso il resoconto che Gennaro prova a fare ai suoi cari, sempre continuando a sfruttare l’opposi-

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Ivi, p. 159. Vogler C., Il viaggio dell’eroe, Audino, Roma, 1992, p. 30. Ivi, p. 27.

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zione tra il protagonista e gli altri che imperterriti persistono a diffidare di lui, a non volerlo ascoltare. Se gia` prima Gennaro era diverso dagli altri, adesso lo e` ancora di piu`. “La coscienza della propria diversita` si manifesta dapprima nella meraviglia che lo fa esitare nel varcare la porta di casa, nel riconoscere la moglie – ancora una volta l’autore sfrutta al meglio la tecnica farsesca per rilevare contenuti profondi; [...] convinto d’essersi sbagliato di porta, fa un gesto di 93 scusa alla donna, dicendo rispettosamente: «Perdonate, signora»” . Gennaro appare intontito, sembra che dalla sua deportazione sia passato un secolo e non quattordici mesi. L’incontro tra i due coniugi non e` privo di un riconoscimento umano e anche solidale, anche da parte di Amalia, segno che anche in lei, nonostante tutto, e` ancora presente un barlume di umanita` che prelude la possibilita` di un suo ravvedimento. Comunque la gioia degli abbracci non libera la mente di Gennaro dai ricordi della guerra. L’uomo pensa solo alle cannonate, ai giorni trascorsi senza mangiare e senza bere, alle sofferenze morali. Il ritorno di Gennaro e` “l’avvenimento fondamen94 tale del testo” . Si colloca al centro della struttura dell’opera e ribadisce l’iniziale contrasto tra i due protagonisti, accentuato qui dagli evidenti effetti che il diverso vivere l’esperienza bellica ha avuto su essi. “Come l’eroe fiabesco”, anche Gennaro dovra` assolvere ancora dei ‘‘compiti difficili’’ prima che il “suo nuovo essere possa 95 finalmente fondersi con l’ambiente” . Se la trasformazione ambientale e` solo apparente, se la ‘‘sciccheria’’ fastosa della casa (non piu` ’o vascio) di donn’Amalia Jovine, “col suo vistoso cattivo gusto, e` finta”, non lo e` “quella del protagonista: nella coscienza piu` larga da lui 96 acquisita che «’a guerra nun e` fernuta»” . Come rileva argutamente Anna Barsotti nel teatro di Eduardo le trasformazioni nel vestiario “gli abiti nuovi diventano segni di una metamorfosi soltanto este97 riore, quando non sono jellati” . La trasformazione di tutti i personaggi che nel secondo atto con i milioni hanno rinverdito il proprio guardaroba e` tutta esteriore, puo` solo produrre effetti negativi perche´ e` priva di un fondamento umano interiore. In questo senso va letto anche il travestimento del primo atto, quello delle finte monache e 93

Barsotti A., Eduardo drammaturgo, cit., p. 162. Ivi, p. 159. 95 Propp V., Morfologia della fiaba. Le radici storiche dei racconti di magia, Newton, Roma, 1977, p. 76. 96 Barsotti A., Eduardo drammaturgo, cit., p. 160. 97 Ibid. 94

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del finto morto, con la sostanziale differenza che lı` era ancora un travestimento umano, operato per aiutare i membri di una comunita` in difficolta`. Il racconto di Gennaro dell’esperienza da lui vissuta durante i mesi di prigionia ha i toni dell’epica classica. Gennaro, come Enea che giunto sulle rive di Cartagine rievoca a Didone le sue peripezie, riunisce tutti intorno a se´ e in tre pagine di monologo riassume piu` di un anno di guerra. Nelle sue prime battute c’e` tutta la sua sofferenza e la consapevolezza che non basterebbe un secolo per raccontare cio` che ha visto. I mesi di lontananza, le sofferenze patite ce li ha tutti ` in “dint’ ’a ll’uocchie”, come di chi sa di non poter dimenticare. E queste immagini, attraverso la loro ambivalenza, che Gennaro ha potuto vedere (teomai, da cui deriva il sostantivo teatro), conoscere la ` molto verita` della guerra, la sua assoluta mancanza di senso. E importante questa affermazione, quella d’avere la guerra tutta “dint’ ’a ll’uocchie” poiche´ ristabilisce le condizioni che permettono al98 l’uomo di conoscere la vera natura dei fenomeni . Gennaro, in 99 quanto coscienza simbolica, ha abbandonato i concetti , ha immagini. La visione della guerra gli restituisce la natura ambivalente dei fenomeni. Le immagini dei campi di concentramento gli hanno permesso, nel modo piu` diretto e tangibile, di conoscere l’ambivalenza delle cose, la loro capacita` di oscillare tra il bene e il male, tra la vita e la morte, la liberta` e la coazione. La sua coscienza, integrandosi con l’inconscio, si apre alla fluttuazione dei significati, si ` grazie a queste immagini, dal trasforma in una coscienza simbolica. E cui significato non puo` pre-scindere, non puo` separarsi, che Gennaro puo` definitivamente maturare la sua consapevolezza100. Cio` che Gen98

Galimberti in La terra senza il male, cit., (p. 43) ci ricorda che “Da quando Socrate ha inventato il concetto l’Occidente ha perso le immagini. E la perdita non fu da poco, perche´ il concetto non e` il corrispondente sul piano intellettuale dell’immagine sul piano sensibile, ma e` l’unita` del molteplice, cio` che le cose hanno in comune, la loro essenza; non questo o quel cavallo, bianco o nero, veloce o lento, snello o pesante, come ce lo fa l’immagine, ma il cavallo che prescinde da tutte le connotazioni riportate dalle immagini, per potersi riferire, come unita` concettuale, a tutti i cavalli della terra. Ottenuto con un processo di astrazione (ab-traho, prescindo) che esclude da se´ tutti i dati riportati dall’immagine, il concetto e` un segno che sta per molti, un segno rigidamente fissato nella sua identita` e non contraddizione, per cui il cavallo e` il cavallo e non l’istinto, il desiderio, l’impeto, la fedelta`, il sacrificio, la morte”. 99 Quelli sul calmiere, i potenti, i progetti di legge. 100 Sempre Galimberti in La terra senza il male, cit., p. 44, ci ricorda che “Grazie alla fluttuazione dei significati, che l’immagine concede e il concetto esclude, i primitivi potevano istaurare una stretta parentela tra la casa e il centro del mondo. Al loro sguardo, non ancora condizionato dai concetti della ragione, le cose apparivano con-fuse (symballein), il sole che faceva maturare i raccolti era lo stesso sole dell’aridita`, la pioggia che li

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naro chiede ai suoi familiari e` di vedere, attraverso il suo racconto, l’invisibile, cioe` di fare una cosa impossibile. Varcare la soglia equivale ad entrare e non soltanto avvicinarsi o venire. Gennaro da padrone di casa diventa ospite, un ospite che si rivelera` un liberatore. ` come se lo straniero potesse salvare il padrone di casa; e` come se il E padrone fosse, in quanto padrone, prigioniero del suo luogo e del suo 101 (in questo caso potere, della sua ipseita`, della sua soggettivita` Amalia e gli Altri).

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E dunque il padrone, colui che invita, l’ospite che invita a diventare ostaggio – che lo e` sempre stato, anzi. E l’ospite, l’ostaggio invitato (guest), diviene colui che invita chi lo invita, il padrone di casa (host). L’ospite diviene l’ospite dell’ospite. L’ospite (guest) diviene l’ospite (host) dell’ospite. Tali sostituzioni fanno di tutti l’ostaggio dell’altro102.

Gennaro entra in casa e, dopo l’iniziale smarrimento, sente la necessita` di raccontare le sue peripezie. Gli Altri diventano cosi ostaggio del suo bisogno di condividere con loro il suo vissuto, come ostaggio dell’attore diviene lo spettatore a teatro. Il racconto di Gennaro, come a sottolineare il tema portante dell’opera, inizia proprio dagli alimenti: dal pane e dalle mele che era andato a prendere a piedi a Frattamaggiore, un paese distante quattordici chilometri da Napoli. Il resoconto si dipana tra deportazioni, campi di concentramento, fughe disperate. Per Gennaro a quell’orrore era preferibile la morte poiche´ l’esperienza che ha vissuto “nun era vita”. Quello che ha visto e` indescrivibile. “Se tutta la complessa vita di molti passa in103 consciamente, allora e` come se non ci fosse mai stata” . Le esperienze che Gennaro ha vissuto le ha vissute con gli occhi aperti, le ha osservate, ha compreso che questa guerra, a differenza dell’altra, la ` na cosa ca nun prima guerra mondiale, “nun e` guerra, e` n’ata cosa... E ` qualcosa che non si puo` comprendere con la putimmo capı` nuie”. E ragione. Ha capito che da questa guerra “se torna buone... ca nun se vo’ fa’ male a nisciune...”. Quello di Gennaro e` un “monologo irrorava era la stessa delle inondazioni. Il loro sguardo “con-fuso”, non separando il bene dal male, il vero dal falso, coglieva la verita` delle cose, nessuna delle quali e` solo positiva o solo negativa, perche´ tutte sono ambivalenti”. 101 Un po’ come accade all’attore che da padrone della scena in fondo chiede allo spettatore, del quale e` anche ostaggio, di essere liberato, liberandolo a una volta (catarsi). 102 Derrida J., Dufourmantelle A., Sull’ospitalita`, Baldini & Castoldi, Milano, 2000, p. 35. 103 Appunti dal diario di Lev Tolstoj, Niko’skoe, 29 febbraio 1897, in “Letopis’” [Annali], dicembre 1915, p. 354, citata da Sklovskij V., in Teoria della prosa, Einaudi, Torino, 1976, p. 12.

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isolante” (ma marcatamente drammatizzato, enfatizzato), isola cioe` il protagonista dagli interlocutori scenici e tende ad arrivare, instau104 rando una “conversazione privata”, direttamente al pubblico . “Ma, passate la commozione e la curiosita` iniziali per il reduce e la sua storia, lo spazio verbale e fisico concessogli dagli «altri» incomincia a ridursi progressivamente: essi tendono a sottrarsi al suo iniziale ricordare, all’incombere dei suoi flashes-back ogni volta interrotti e 105 deviati” . La deviazione denuncia l’uso della tecnica del ritardamento che serve, nella costruzione drammaturgica a gradini, a postporre la risoluzione del dramma, a far giungere cioe` in ritardo l’aiuto che il protagonista ha il compito di dare agli altri personaggi. Il ritardamento evidenzia la differenza, la separazione, il conflitto. Le continue sollecitazioni a dimenticare che i familiari di Gennaro gli impongono svolgono questa funzione. Cosi Amedeo: “Ma mo stai cca` cu nuie... nun ce pensa` cchiu`...”; “Va buo’, papa`... cca` e` fernuto tutte cose...”; “Papa`, cca` oramai stammo cuiete”. Lo stesso fa Settebellizze, troncandogli la parola: “Va buo’, don Genna’, nun ce penzate cchiu`...”. Anche ad Amalia, dopo un po’, il bisogno di raccontare di Gennaro comincia a diventare fastidioso; si rivolge a lui cosi, con convenzionale dolcezza: “Aggie pacienza, Gennari’... Po’ ce ’o ccunte cchiu` tarde... Mo s’ha da mettere ’a tavula...”. La resa della memoria emotiva degli Altri denuncia il pericolo di una rimozione gia` in atto. Lo stato di decomposizione morale e` avanzato. Ma le interruzioni che Gennaro subisce in fondo non sono altro che nuove prove da superare: “sono la motivazione per costruire le condizioni che esigono una soluzione di 106 una situazione che sembra irresolubile” . Cio` che avviene da parte dei familiari di Gennaro e` un riconoscimento affrettato della sua ` a questa indifferenza, a sofferenza, delle sue dolorose peripezie. E questa freddezza nei confronti dell’umanita` dell’uomo che Eduardo cerca di parlare, e` in questo muro che cerca di fare breccia. Ma il riconoscimento e` solo un caso particolare delle peripezie, mentre, come abbiamo detto, “la legge fondamentale delle peripezie e` la legge del loro ritardamento, del loro rallentamento. Quello che dovrebbe venir scoperto in una sola volta, e quello che e` gia` chiaro 107 allo spettatore, viene scoperto a poco a poco dall’eroe” . Cio` che e`

104 105 106 107

Barsotti A., Eduardo drammaturgo, cit., p. 163. Ivi. Sklovskij V., Teoria della prosa, cit., p. 54. Ivi, pp. 61-62.

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chiaro allo spettatore e` il senso di non appartenenza che Gennaro prova nei confronti del vecchio mondo familiare e civico. In questo caso gli eroi che devono scoprire sono gli altri personaggi del dramma, poiche´, come abbiamo detto, quella di Napoli milionaria! e` un’epica che funziona al contrario. Va sottolineato pero` che Eduardo puo` permettersi questa inversione strutturale poiche´ il pubblico, delle cose di cui si parla, sa quasi tutto, e`, come direbbe Iser, traducendo in termini teatrali una componente letteraria, uno spettatore informa108 to . Il mancato o parziale o ritardato riconoscimento gioca su una discontinuita` scenica di cui lo spettatore ne percepisce, pero`, la continuita`. Sul piano scenico quindi, al di qua della quarta parete, la tessitura drammatica fa leva sui vuoti, mentre sul piano teatrale, al di la` della quarta parete, fa leva sui pieni, rappresentati dagli spettatori. I vuoti sono una negazione indispensabile all’affermazione della tesi contenuta nel testo-rappresentazione. In sostanza se la strategia e`, come abbiamo detto, anomala, poiche´ funziona al contrario, la realizzazione (comprensione) dello spettatore risulta comunque possibile, poiche´ le esperienze narrate e le situazioni vissute in scena, tecnicamente il repertorio, risultano conosciute. In altre parole gli spettatori sanno che chi sta sbagliando sono gli altri, non Gennaro. Attraverso la messa in scena del sistema dominante di vita (il contrabbando che ha nell’avidita`, nella voglia di arricchirsi il suo sentimento dominante), Eduardo, servendosi di Gennaro, assume come ‘significato’ prevalente il suo stile di vita che dal sistema (gli altri) vorrebbe essere neutralizzato o negato. Il ‘significato’ dominante, 109 ` questa la sfida neutralizzato dalla guerra, e` l’umanita` dell’uomo . E che Eduardo, attraverso Gennaro, auspica vincano tutti gli uomini della terra. Una sfida che, per effetto dei patimenti subiti, degli orrori di cui e` stato testimone, gli ha fatto acquistare una “profonda coscienza della solidarieta` che deve ai suoi simili, del dovere di non 110 estraniarsi dal dolore diffuso nel mondo dalla guerra” . Attraverso il racconto dell’incontro con l’ebreo, che come lui e` riuscito a scappare da un campo di prigionia, Eduardo ci descrive il dramma piu` grande che un essere umano possa vivere: la perdita della fiducia nell’umanita` dell’uomo.

108

Iser W., L’atto della lettura, Il Mulino, Bologna, 1987, p. 69. Ma forse sarebbe piu` corretto dire al di la` di un lessico moraleggiante che ad essere neutralizzata e` la vita, intesa come forma. E la possibile morte di Rituccia lo dimostra. 110 Frascani F., Napoli amara di Eduardo De Filippo, cit., p. 53. 109

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E nzieme cu’ chisto durme´vemo dint’ a na stalla abbandunata... Io ’a matina ievo a fatica` comme potevo e dove potevo e ’a sera me ritiravo int’ a sta stalla... Io vedevo ca chist nun asceva mai... se facette na tana mmiez’ a ciertu lignammo vecchio... ‘A notte parlava dint ’o suonno... (Imitando la voce roca e terrorizzata del compagno) «Eccoli! aiuto! lasciatemi!!» Me faceva fa’ certi zumpe... Ama’, chill’era ebbreo... [...] M’ ’o cunfessaie doppo duie mise ca stevemo nzieme... ‘A sera io me ritiravo... Purtavo o pane e formaggio, o pane e frutta, o frutta sulamente... E mangiava`vme nzieme... C’eramo affratellate... (sorride, rievocando un particolare di queslla strana vita) ’O bbello fuie quanno chillo se fissaie ca io l’avarria denunziato... (Ritornando serio) Quello era ridotto accussı` (cioe` smunto), pallido, cu’ ll’uocchie ’a fore: ciert’uocchie arrussute... Me pareva nu pazzo... Na matina m’afferraie pe’ pietto... (fa il gesto con la sinistra di violenza e con la destra minaccia un immaginario interlocutore) «Tu mi denunzi!» (Sincero) «Io non ti denunzio». (Ripigliando il tono dell’ebreo, accompagnandolo con lo stesso gesto di prima) «Tu vai a vendere la mia pelle...» (piu` sincero e un po’ spazientito) «A me nun me passa manco p’ ‘a capa... Io voglio turna` ’a casa mia...» (Ora l’intonazione dell’ebreo e` imporante) «non mi denunziare... Non mi denunziare...» E chiagneva. (Serio) Ama’, si ll’avisse visto ’e chiagnere... Nu piezzo d’ommo cu’ ’e capille grige... [. ..] Dove siamo arrivati... Sono cose che si pagano, Ama’...

La pazienza, la semplicita` e soprattutto l’umanita` di Gennaro riescono a convincere l’ebreo che non l’avrebbe tradito. Tanto e` vero che Amalia subito dopo gli consegna una lettera del giudeo arrivata proprio qualche giorno prima, segno della riconoscenza che l’uomo, trattosi evidentemente in salvo, nutre ancora nei confronti del compagno di sventura. Ma sulle sciagure che aleggiano come fantasmi in scena incombe la festa: il compleanno di Settebellizze. A questo punto tutti, convenuti al pranzo, infastiditi e richiamando don Gennaro, bonariamente lo invitano al silenzio: “Don Genna’... [...] Nuie ce vulimme gude` nu poco ’e pace... Pensate ’a salute... Oramai e` fernuto”. Gennaro e la sua famiglia appartengono ormai a due mondi diversi, poiche´ Gennaro (e` questo un leitmotiv anch’esso reiteratamente troncato dalle proteste degli altri) sa che ’a guerra non e` fernuta... E nun e` fernuto niente! “Da una parte un’epidermica ansia di godimenti effimeri e l’assoluta incapacita` di guardare oltre la vita alla giornata per acquistare coscienza critica della storia; dall’altra, l’individuo isolato, di nuovo zittito come ingombro inutile e «scucciante», ma paradossalmente l’unico a possedere – ora che e` «turnato ’e n’ata manera», «sulamente mo... ommo overamente’’ – un’esperienza piu` vasta, la capacita` di interiorizzare la tragedia mondiale, nella sua ansia

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` il di rivelare la sua nuova natura, di rinnovare la sua memoria”111. E momento piu` difficile per Gennaro, superiore anche ai patimenti subiti in guerra, quello d’essere completamente estromesso dalla sua famiglia, dai suoi amici e vicini di casa. “Quando ogni sforzo di «comunicare» gli appare inutile, e lo assale un senso di malinconia che non puo` nascondere, Gennaro si alza deciso, abbandona la tavola e si 112 rifugia al capezzale della figlia ammalata che «tene ’a freva forte»” . Mai una scissione potrebbe essere piu` netta: i due mondi sono separati, l’incomunicabilita` totale. La resa a questo punto definitiva. Ma, come spesso accade, sono proprio i momenti piu` drammatici a dare i frutti migliori. Come sempre Eduardo lascia uno spiraglio nel Mondo degli Altri che improvvisamente si apre: c’e` una “maglia rotta”, come la definisce Anna Barsotti, nell’ottusita` generale. Ad andare verso di lui, verso colui che ha attraversato l’Ombra, a percorrere il tragitto verso la redenzione, e` Maria Rosaria che gia` durante l’atto, con il suo atteggiamento di dispettoso mutismo, “fa come da riscontro scenico ai tentativi di parlare, ogni volta frustrati, del padre: Maria Rosaria dapprima rincantucciata in un angolo, poi pianta tutti in asso ed esce, o si apparta, infine, quando Gennaro fa per andare, si alza 113 e raggiungendo il padre, afferma decisa: «Vengo cu’ te, papa`...» . Maria Rosaria e` il primo personaggio ad abdicare al proprio mondo, quello ` cosi, con degli altri, e ad andare verso il mondo del protagonista. E questo finale d’atto, che serve da preparazione e preannuncia il diverso esito del terzo, che Gennaro, prendendo Maria Rosaria per mano, si avvia in camera di Rituccia. Cosi termina il secondo atto, ma anche la solitudine di Gennaro. Il terzo atto ha la struttura e la rapidita` dell’atto unico poiche´ il movimento drammatico non scaturisce piu` dall’azione ma e` insito 114 ` trascorso solo un giorno dalla festa di nella situazione stessa . E compleanno ed e` sera tarda. Ci troviamo per tutti i personaggi del testo nel momento-limite del loro viaggio. Gennaro e` in scena, ma questa volta parla poco, assiste, muovendosi lentamente, alle “conseguenze rovinose che il modo di vivere degli «altri», superficiale ed 115 egoistico, ha provocato in primo luogo nella sua famiglia” . In casa 111

Barsotti A., Eduardo drammaturgo, fra mondo del teatro e teatro del mondo, op. cit., p.

164. 112 113 114 115

Ibid. Ibid. Ivi, p. 165. Ibid.

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c’e` il brigadiere Ciappa. L’uomo e` li per avvertirlo che quella sera stessa arrestera` suo figlio. Amedeo avrebbe dovuto compiere il furto di un’auto, notizia pervenuta all’esponente della forza pubblica tramite una soffiata. Nonostante ricordi con una certa simpatia l’ex finto-morto, l’avverte che questa volta compira` il suo dovere. I tempi sono cambiati, non c’e` piu` la guerra e lui non puo` piu` chiudere un occhio. Appresa la notizia Gennaro replica con tono freddo, quasi implacabile che se suo figlio si e` ridotto a questo puo` anche arrestarlo. Intanto su tutto incombe la malattia della piccola Rita che adesso sta veramente male; ha la febbre molto alta e se non si trova la medicina adatta potrebbe anche morire. Quando il dottore comunica ad Amalia che la medicina e` reperibile solo sul mercato nero la donna sbianca, consapevole dell’atroce speculazione a cui andra` incontro. Comunque Amalia ed Amedeo non si sono scoraggiati e sono usciti a cercarla. In casa, quindi, sono tutti in un’attesa che, vista la gravita` della situazione, sembra piuttosto una veglia funebre, tanto e` vero che Adelaide e Assunta, sua nipote, si sono messe a recitare l’Ave Maria. Il momento sembra contrapporsi, questa volta non in chiave parodica, all’episodio del finto-morto del primo atto. La farsa cede il posto alla paura per l’imminente tragedia. Le preghiere di Adelaide e di Assunta sono ascoltate con commiserazione dal dottore che deplora il loro comportamento (la stoccata e` rivolta innanzitutto all’assente Amalia) per averlo chiamato solo all’ultimo momento: DOTTORE – (Commiserando le due done) Gia`, queste sono le maledette abitudini di voialtre che nun saccio comme campate... ASSUNTA – (Candida) No, sapite che d’e`? Ca nuie ’e miedece ’e ttenimmo pe’ malaurio. DOTTORE – (Impermalito) E allora murite.

Ritorna Amedeo ma il suo girovagare per i quartieri di Napoli e` stato vano, la medicina non si trova. Fallito il tentativo, comunica al padre di dover andare alla Turretta a fare un servizio (il furto di un’automobile insieme a Peppe ‘o cricco). A questo punto, nel tentativo di dissuadere il figlio dal compiere il malsano intento, senza parlare apertamente, per non tradire l’amico brigadiere, Gennaro si produce in un importante monologo sulle conseguenze della guerra e le differenze che intercorrono tra chi fa il mercato nero e chi ruba, tra i contrabbandieri e i ladri. Al monologo e` presente anche Ciappa, a cui Gennaro spesso si riferisce, ma il vero destinatario del discorso e` il figlio:

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E io me ricordo sempre chello ca vuie me dicisteve chillu iuorno ca io ` sacrilegio a tucca` nu muorto, ma e` cchiu` sacrilefacevo ’o muorto: «E gio ancora a mettere ’e mmane ncuollo a nu vivo comme a te». Cierti cose se compatiscono... E vuie percio` nun me mettisteve ’e manett. Se capisce... Sta gente e` viva, stu popolo e` vivo, s’ha da difendere ’e na manera? ’O truffatore si t’ ’a sape fa’, tu dice: «Va bene, ma fatto ` scemo, ma insomma ha truvato nu sistema». E magari uno dice: «E simpatico». L’astuzia e ’o curaggio ’e circula` cu’ nu camionne cu’ ’e ` n’ommo scetato, tene fegato, documenti falsi... E pure se po` dicere: «E ha creato nu muvimiento...». Quanta gente ’a mangiato pe’ via ’e ‘sti camionne che vanno e che ve`neno... E po’ ha pure miso a rischio ’a pelle, pecche` ncoppa ’a na strada provinciale se po’ abbusca` pure na palla ’e muschetto.

Con queste parole Gennaro sottolinea la forza di resistenza, di difesa della vita del popolo napoletano che alle umiliazioni e alle sofferenze della guerra ha reagito come ha potuto. Fin qui Eduardo giustifica i comportamenti dei napoletani, in qualche modo li apprezza anche poiche´ li ritiene una risposta vitale alla fame, alla miseria e alla morte. Ma i ladri sono un’altra cosa, sono qualcosa che prescinde la guerra, l’estrazione sociale, la citta` o la nazione nella quale si vive: Ma ’o mariuolo, no! [...] Nun s’addiventa mariuolo pe’ via d’ ’a guerra. Mo qualunque cosa damme colpa ’a guerra. Mariuolo se nasce. E nun se po` dicere che ’o mariuolo e` napulitano. O pure romano. Milanese. Inglese. Francese. Tedesco. Americano... ’O mariuolo e` mariuolo sulamente... Nun tene mamma, nun tene pato, nun tene famiglia. Nun tene nazionalita`.

Come si puo` ben vedere questa volta il monologo di Gennaro non e` isolante e lo dimostra il fatto che, oltre ad avere in scena al suo fianco il brigadiere, un interlocutore che condivide le sue affermazioni, il meta-messaggio andra` a buon fine: Amedeo, come vedremo, non compira` il furto. Amedeo e Ciappa, a questo punto si congedano. In anticipo all’appuntamento con il giovane Jovine, con il quale dovra` realizzare il furto, si presenta a casa Peppe ‘o cricco. Il manigoldo, accolto da Gennaro, professa la sua stanchezza per il super lavoro al quale si e` dovuto sottoporre negli ultimi tempi. Peppe ovviamente non sa che Gennaro e` a conoscenza delle sue attivita` illecite in societa` con il figlio. Il dialogo tra i due e` quindi molto divertente ed e` giocato sui doppi sensi e una voluta ambiguita` di Gennaro che augura a Peppe di poter soddisfare il suo desiderio di riposo.

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PEPPE – [...] Don Genna’, ’e denari s’abbuscano ma ’a fatica e` troppa. Io sto in societa` con vostro figlio, ma stasera ce ’o ddico ca ce avimm’ arrepusa` nu poco. GENNARO – Eh, si! ’O riposo ce vo’... (Con intenzione) Nu pare d’anne. PEPPE – Eh! Nu pare d’anne!? Io dico ca si. Na cosa regolare. Vedete ’on Genna’, (romantico) io me ne voglio ji’ a nu posto isolato... (Gennaro fa un gesto d’approvazione). Addo` nun se vede ’e nun se sente... Comme v’aggia spiega`? Na cosa francescana... GENNARO – Ecco... na specie ’e munastero... PEPPE – Bravo! Senza lusso, modesto: pure na cammera, nu pertuso... GENNARO – (Completando)... na cella! PEPPE – Proprio: una cella. (pregustando gia` la gioia della solitudine) Cu’ na perzona fore ca te sta attiento, ca te porta o’ mmangia`... GENNARO – ... sempre all’istessa ora. Senza la preoccupazione di pensare: «Dimane che aggi’ ‘a mangia`». Ce sta chi ce pensa. Se trova na perzona fidata. PEPPE – Magari uno lo paga... GENNARO – Non c’e` bisogno. La cosa e` bella quanno e` disinteressata... Na bella fenesta cu’ na cancellata... PEPPE – (Interdetto) No. ’A cancellata nun me piace. GENNARO – Ma ce vo’! PEPPE – E pecche´ ce vo? GENNARO – Scusate voi avete detto che ve ne andate in un posto isolato... (Al cenno di assentimento di Peppe) E di questi tempi con la delinquenza che ci sta, voi sapete chi vi vuole bene e chi vi vuole male? Vuie avit’ ’a sta’ bene assicurato ’a dinto... E poi queste cose francescane... so’ proprio belle cu’ ’e cancelle, se ho capito bene dove volete andare voi... PEPPE – Avete capito bene. GENNARO – E allora ce vo’.

Seppur nel momento piu` drammatico del racconto, sfruttando al meglio l’ambivalenza dei significati, Eduardo riesce ad inserire un dialogo divertente che testimonia la sua chiara e netta condanna dei ladri. Gennaro, quindi, non fa sconti a nessuno: i ladri meritano di andare in prigione, tant’e` che per questa convinzione e` disposto a mandarci anche suo figlio. Attraverso questi eventi, apparentemente ‘‘privati’’, Eduardo esprime le sue convinzioni su alcuni comportamenti, non specificamente napoletani, ma “sintomaticamente storici 116 e nazionali” . A questo punto c’e` l’incontro con Settebellizze che e` venuto a casa a chiedere con sincero interesse informazioni sulla salute 116

Ibid.

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LA NUOVA DRAMMATURGIA DI EDUARDO

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di Rituccia. Ma l’uomo, com’e` comprensibile, incontra un muro. Gennaro non e` piu` disposto a concedere spazio agli Altri, non ci sono piu` attenuanti, la sua opposizione nei confronti di chi ha subdolamente approfittato della sua amicizia e` totale. L’ospitalita` incondizionata si trasforma in aperta ostilita`. L’ostilita` di Gennaro nei confronti di Errico, espressa in un silenzio agghiacciante, costringe l’uomo ad affrontare il nocciolo del problema: la sua presunta relazione con Amalia. Malgrado gli dia la sua parola d’onore che donna Amalia lo ha rispettato e lo rispetta, Gennaro non ha nessuna intenzione di riconciliarsi ` emblematico in questo caso il rifiuto di parlare di Gennaro, con lui. E lui che con gli altri ha sempre cercato attraverso le parole proprio questo contatto. Ritorna Amalia: la medicina per Rita non si trova. Al suo ingresso in scena la donna appare completamente cambiata ` una donna disfatta, affranta. Per la prima volta dagli altri due atti. E mostra il suo vero volto: quello della madre. Ma la cosa piu` importante e` che non vuole ne puo` piu` fingere. Amalia cala la maschera ed e` a questo punto che inizia inesorabile il suo viaggio verso l’Ombra: Quando appoggi e sostegni vanno in frantumi, e non ci sentiamo le spalle coperte neanche dalla piu` debole promessa di protezione, allora per la prima volta ci e` data la possibilita` di sperimentare un archetipo che si era tenuto nascosto nell’assurdita` piena di significato dell’A` l’archetipo del Significato, come l’Anima e` semplicemente nima. E l’archetipo della Vita.117

L’archetipo che ha la possibilita` di sperimentare Amalia e` l’A` un’esperienza che avviene per via di sottrazione, poiche´ si more. E manifesta attraverso il riconoscimento di cio` che non e` stata capace di dare. Vedremo piu` avanti come questo Significato si aprira` spontaneamente alla sua coscienza. Intanto la donna esprime il suo sdegno per l’introvabile medicina che, ironia della sorte, appare manifestarsi come un’inesorabile legge del contrappasso: [...] Chi ’o tene, ’o tene zuffunnato e nun ’o caccia. (Disperata) Ma che cuscienza ’e chesta? Fanno ’a speculazione cu’ ’a mmedicina. ’A mmedicina ca po’ salva` nu crestiano. (Con un grido di dolore) Insomma, figliema ha dda` murı`? (Disgustata) ’O fanno sparı` pe’ fa’ aumenta` ’e prezze.

117

Jung C. G., Gli archetipi dell’inconscio collettivo, cit., p. 56.

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` un refrain che Amalia conosce bene: e` caduta nelle maglie del E suo stesso gioco, un gioco crudele dove il profitto ha implacabilmente strangolato l’umanita` e il senso di fratellanza degli uomini. Come si vede il linguaggio eduardiano “evade dalle astrazioni: lo spunto e` concreto; e` la situazione drammatica particolare (ma non eccezionale) che tramite il dialogo e, quando questo non e` piu` sufficiente, la perizia scenica delle didascalie, rimanda al caso piu` generale. Si traduce nel testo e nella sua rappresentazione (interagenti nella scrittura eduardiana), nel modo apparentemente piu` semplice ma effettualmente piu` complesso (l’illusione della realta`), il procedimento filosofico dell’induzione: dal particolare all’universa118 le” . Il particolare, in questo caso, e` la possibile morte di Rita che metaforizza l’universale morte morale a cui rischia d’andare incontro l’umanita` assumendo certi comportamenti. Solo che, in questo caso, la catastrofe annunciata dal clima d’inizio d’atto viene sventata dalla speranza. “Non quella speranza cieca, fatalistica e superstiziosa [...]; ma quella speranza avvertita, circospetta, che rifiuta l’illusione gra119 tuita come la sterile disperazione” . La risoluzione arriva attraverso il personaggio di Riccardo Spasiano, il ragioniere che, letteralmente “spogliato” da donna Amalia, possiede la medicina e che potendo barattarla con qualsiasi cosa (potrebbe chiederle tutto cio` che vuole), compie il gesto di donargliela, spezzando cosı` il circolo vizioso del bisogno-avidita`. Nel donare la medicina il ragioniere spezza il circolo del dare e dell’avere, dello scambio con interesse, nel quale egli stesso era coinvolto in qualita` di vittima esemplare. Il suo e` un gesto che si configura come una completa perdita, come un qualcosa che non puo` essere immediatamente risarcito, si configura quindi come un lutto. E non e` un caso (parola che da sola meriterebbe una lunga meditazione) che la medicina sia stata donata proprio per sventare un lutto (la morte di Rituccia). Nel dono del ragioniere, vista la sua situazione economica disperata, non chiedendo nulla in cambio, vi e` un qualcosa di folle. Un gesto folle che si contrappone eticamente, moralmente, economicamente a tutti i comportamenti assunti dagli ` un dono, quello del ragioniere, che Altri fino a quel momento. E manca ad Amalia e che non le consente di riconoscerlo in qualto tale. Poco piu` avanti dira` a Gennaro: Ch’e` succieso?... ch’e` succieso? Amalia non ha la consapevolezza di cosa e` accaduto, non puo`, per questo, neanche rendersi conto del dono che ha ricevuto. 118 119

Barsotti A., Eduardo drammaturgo, cit., p. 165. Ivi, p. 166.

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Il dono, se ce n’e`, si rapporterebbe senza dubbio all’economia. Non si puo` trattare del dono senza trattare di questo rapporto con l’economia, ed e` ovvio perfino con l’economia monetaria. Ma il dono, se ce n’e`, non e` proprio cio` che interrompe l’economia? Proprio cio` che, sospendendo il calcolo, non da` piu` luogo a scambio? Proprio cio` che apre il circolo, per sfidare la reciprocita` o la simmetria, la misura comune, e per deviare il ritorno in direzione del senza-ritorno? Se c’e` dono, il donato del dono (cio` che si dona, cio` che e` donato, il dono come cosa donata o come atto di donazione) non deve ritornare al donante [...]. Non deve circolare, non deve scambiarsi, non deve in ogni caso essere esaurito, in quanto dono, dal processo dello scambio, dal movimento di circolazione del circolo nella forma del ritorno al punto di partenza. Se la figura del circolo e` essenziale all’economico, il dono deve rimanere aneconomico120.

Ed e` esattamente la scelta del ragioniere, quella di donare un dono che sia anaeconomico: Affinche´ ci sia dono, non deve esserci reciprocita`, ritorno, scambio, contro-dono ne´ debito. Se l’altro mi rende o mi deve, o mi deve rendere cio` che gli dono, non ci sara` stato dono, che questa restituzione sia immediata o che si programmi nel calcolo complesso di un differimento a lungo termine...121

Se il ragioniere donando la medicina ri-dona la vita alla piccola Rita, e` evidente che il suo dono non puo` essere immediatamente ricambiato, non puo`, quindi esaurirsi nello scambio. Il dover rendere il dono con un contro-dono riporterebbe il dono nel circolo economico e, quindi, nel suo annullamento. Ma abbiamo visto come non vi e` riconoscimento di evento di dono da parte di Amalia. Infatti, bisogna che il donatario: non riconosca il dono come dono. Se lo riconosce come dono, se il dono gli appare come tale, se il presente gli e` presente come presente, questo semplice riconoscimento e` sufficiente per annullare il dono. Perche´? Perche´ esso restituisce, al posto, diciamo, della cosa stessa, un equivalente simbolico. Non si puo` comunque dire che qui il simbolico ri-costruisca lo scambio e annulli il dono nel debito. Esso non ricostruisce uno scambio che, non attuandosi come scambio di cose e di beni, si trasfigurerebbe in scambio simbolico. Il simbolico apre e chiude l’ordine dello scambio e del debito, la legge o l’ordine della ` dunque sufficiente che l’altro circolazione in cui il dono si annulla. E 120 121

Derrida J., Donare il tempo, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1996, p. 8. Ivi, p. 15.

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percepisca il dono, [...] ne percepisca la natura di dono, percepisca il senso o l’intenzione, il senso intenzionale del dono, affinche´ questo semplice riconoscimento del dono come dono, come tale, prima ancora di 122 divenire riconoscimento come gratitudine, annulli il dono come dono .

La medicina viene donata a chi, a differenza di chi dona, e` diventato milionario. E non c’e` ringraziamento da parte d’Amalia 123 perche´ non v’e` riconoscimento. Come ci informa Mauss le comunita` primitive scongiuravano l’accumulo delle ricchezze con il potla`c dei beni, con la distruzione sontuosa di immense ricchezze che, accumulate, avrebbero acquistato quel valore che essi temevano come la “parte maledetta”, perche´ avrebbe sbilanciato i rapporti sociali a favore di chi li possedeva. Con l’obbligo di donare, che implicava l’obbligo di ricevere e di restituire i doni, le comunita` primitive assicuravano la reversibilita` di ogni bene, di tutte le cose e di tutti gli uomini, i quali, in questo modo, scongiuravano l’accumulo come la fonte della non-reciprocita`. Come se avessero intuito, i popoli primiti, e noi attraverso Mauss, come ci ha dimostrato Derrida in Donare il tempo, che c’e` qualcosa che non puo` essere ridotto al sistema del circolo, dello scambio, dell’interesse. Ed e` qui che entra in gioco, per costituirne il principio regolatore, il concetto di “termine”, ovvero l’intervallo di tempo che separa il dono dalla sua restituzione. Agli occhi di Mauss, il termine costituisce il tratto originario ed essenziale del dono. L’intervallo di questo ritardo alla scadenza permette a Mauss di non sentire tra il dono e lo scambio quella contraddizione su cui insisto tanto e che conduce alla follia sia nel caso in cui il dono deve restare estraneo allo scambio circolare sia nel caso in cui vi e` inserito, a meno che non vi si inserisca da se´. La dif-ferenza contrassegnata dal termine “termine” assomiglia qui ad una protezione contro la follia del dono. Mauss non prova alcun imbarazzo a parlare di doni scambiati, pensa addirittura che vi sia dono solo nelle scambio. Il syn-, la sintesi, il sistema o la sintassi che connettono il dono e lo scambio, e` semplicemente la dif-ferenza temporale, o piu` precisamente temporeggiatrice, la dilazione del termine o il termine della dilazione che disloca tutto “nello stesso tempo”. L’identita` tra dono e scambio non sarebbe immediata e analitica. Essa avrebbe in qualche modo la 122 Ivi, pag. 16. Per ulteriori chiarificazioni sul tema del dono/contro-dono si consiglia la lettura del testo, Donare il tempo, cit. 123 Per i concetti di seguito riportati vedi: Mauss M., Teoria Generale della magia e altri saggi. Nello specifico Saggio sul dono. Forma e motivo dello scambio nelle societa` arcaiche, pp. 155-239, Einaudi, Torino, 1965.

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forma di una sintesi a priori: una sintesi perche´ richiede il temporeggiamento, una sintesi a priori – detto altrimenti: necessaria –, perche´ e` richiesta fin dall’inizio dalla cosa stessa, e cioe` dall’oggetto stesso del dono, dalla forza o dalla virtu` che gli sarebbe inerente. Sta qui, sembra, l’idea piu` interessante, il grande filo conduttore del Saggio sul dono, e cioe` che l’esigenza della restituzione “a termine”, “a scadenza” ritardata, l’esigenza della dif-ferenza circolatoria e` inscritta, per coloro che partecipano all’esperienza del dono contro/dono, nella cosa stessa che si dona o che si scambia124.

Derrida ci mostra come, prima di essere un contratto, un legame (bind), un gesto intenzionale di soggetti individuali o collettivi, il movimento del dono/contro-dono e` una forza (una “virtu` della cosa donata”, dice Mauss), una proprieta` immanente alla cosa, della cosa stessa, o in ogni cosa compresa come tale dai donatori e dai donatari. Mossa da una forza misteriosa, la cosa stessa chiede il dono e la restituzione, esige dunque il “tempo”, il “termine”, la “dilazione”, l’”intervallo” del temporeggiamento, il divenire-temporeggiamento della temporalizzazione, l’animazione di un tempo neutro o omogeneo 125 da parte del desiderio del dono e della restituzione .

Del tempo, un tempo, una dilazione e` cio` che abbiamo visto chiede il ragioniere ad Amalia per l’estinzione del suo debito. Un tempo che la donna non gli concede stringendolo nella morsa del debito. Il dono del ragioniere non consente ad Amalia di comprendere l’assoluta dissoluzione del gesto, la sua non-economicita`. Cio` di cui, come abbiamo detto, si preoccupa Mauss sottolineando la questione del “termine”, ovvero il tentativo dei primitivi di tutelarsi contro la follia, l’assoluta dissoluzione del dono. Ma, come abbiamo visto, una vena di follia attraversa i popoli primitivi nella pratica del potla`c. Con la distruzione di ingenti ricchezze, che essi consideravano come “la parte maledetta”, al potere della ricchezza, oppongono il potere che perde e nella perdita acquista una signoria che non mette mai il soggetto al riparo dal bisogno, perche´ e` continuamente ripresa dalla sfida dell’altro (obbligo di restituire il dono) nella reversibilita` totale dello scambio. Non e` vero che nelle societa` primitive l’uomo, come prima cosa cerca di assicurarsi la sopravvivenza, piu` urgente era per lui prodursi come senso in un 124 125

Derrida J., Donare il tempo, op, cit., pag. 43. Ibid.

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sistema di scambi e relazioni simboliche da cui faceva dipendere la sua stessa sopravvivenza. I cosiddetti “bisogni primari”, sostenuti da Freud e che tanto ci tormentano, per i primitivi erano tutt’altro che primari; se il loro soddisfacimento era mediato dalla relazione sociale, cio` vuol dire che l’uomo, insieme a vivere, ha ritenuto altrettanto importante con-vivere, e cogliere nella convivenza quella trama ` questa la simbolica che desse senso e significato alla sua vita. E grande lezione di Napoli milionaria!, che l’esistenza e` originariamente dischiusa come co-esistenza, questa apertura e` un’offerta ambivalente, in cui l’individuo puo` trovare la sua specifica realizzazione, ma anche il suo piu` completo naufragio. Questo e` in definitiva il bivio che separa l’umanita` di Gennaro da quella di Amalia, la consapevolezza dell’onesto tranviere che solo attraverso la trascendenza dalla propria situazione egoica si puo` rispondere all’appello dell’Altro. Il testo si conclude con l’ultimo confronto, il piu` difficile e importante: quello tra Gennaro e Amalia. Siamo alla resa dei conti. Il logorroico Gennaro e` ora silenzioso, in piedi fissa il suo sguardo da giudice su sua moglie provocando la sua reazione. Amalia, che avverte il peso di quello sguardo, invita il marito a parlare, a dire cio` che ` solo a questo punto che Gennaro vuota il sacco: la situapensa. E zione che stanno vivendo gli fa pensare al suo paese, all’Italia, un paese malato che grazie alla guerra e` sprofondato nella disperazione e ` l’atto conclusivo di un processo nel piu` totale baratro morale. E iniziato molto prima. La difficile condizione di Maria Rosaria, Amedeo che e` diventato un mariuolo, Amalia che non e` riuscita a fare la madre sono le sue spine nel cuore. Gennaro punta l’indice e Amalia crolla. La durezza del suo carattere si scioglie in un pianto disperato. Gennaro ne ha pieta`, capisce che non e` il caso d’infierire: [...] Tu mo he capito. E io aggio capito che aggi’ ’a sta` cca`. Cchiu` ’a famiglia se sta perdenno e cchiu` ’o pate ’e famiglia ha da piglia` ’a responsabilita`. (Ora il suo pensiero corre verso la piccola inferma) E se ognuno putesse guarda` ’a dint’ ’a chella porta... (mostra la prima a sinistra) ogneduno se passaria ’a mano p’ ’a cuscienza... Mo avimm’aspetta`, Ama’... S’ha da aspetta`. Comme ha ditto ’o dottore? Deve passare la nottata.

Gennaro perdona perche´ forse egli stesso trovandosi in quelle condizioni non avrebbe saputo fare diversamente. Amalia appare vinta, affranta, quelle parole per lei sono il risveglio da un brutto sogno, da un incubo:

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AMALIA – [...] Ch’e` ssuccieso?... ch’e` ssuccieso?... GENNARO – (Facendo risuonare la voce anche nel vicolo) ’A guerra, Ama`!

` un grido di rabbia quello di Gennaro che concentra le umiliaE ` arrivato il momento zioni e le sofferenze patite in anni di guerra. E ` la della riflessione, del riconoscimento sofferto dei propri errori. E guerra la causa di tutti i mali, ma sono gli uomini ad averla dichiarata e ad averla combattuta, e a loro spetta com-prendere i motivi che l’hanno generata. Eduardo registra “la crisi avvenuta, e ancora in atto, della totalita` dell’uomo”126. Il bene prova a scacciare via il male e cosi come in casa Jovine “Ha da passa’ ‘a nuttata” perche´ la figlia possa tornare a stare bene, anche per l’Italia e per tutta l’Europa deve passare questo momento cosi triste e drammatico. A ricomporre definitivamente il quadro e` il ritorno a casa di Amedeo che per stare accanto alla sorella malata ha deciso di non andare all’appuntamento con il suo compare di furti. L’opposizione io-mondo si ricom` un io che, pero`, ha ora integrato in se´ pone tutta a favore dell’io. E anche l’inconscio, l’Ombra. Come spesso accade nel teatro di Eduardo, non c’e` mai o quasi mai posto per i buoni o i cattivi tout court, anche quei personaggi che appaiono coinvolti in una logica perversa o semplicemente sbagliata presentano risvolti di umanita` ` , come abbiamo visto, cio` (che per Eduardo significa solidarieta`)127. E che accade a Errico Settebellizze, Amedeo, Maria Rosaria, Riccardo Spasiano (l’unico tra tutti a non avere mai, anche nei momenti piu` difficili, dei comportamenti inappropriati) e Amalia. Nell’asse sintagmatico io-mondo, inconscio-caos, e` il mondo, rappresentato dagli Altri, a trasformarsi radicalmente. Per questo motivo in Napoli milionaria! hanno drammaturgicamente tanto peso gli antagonisti, proprio perche´ l’affermazione dell’io sia piu` efficace e completa. Con Napoli milionaria! inizia il grande ciclo del teatro di Eduardo, quello indagatore, quello che racconta la verita` cosi com’e` e non come dovrebbe essere, quello che denuncia e accusa il falso per penetrare nella disperazione degli avvenimenti umani: una disperazione che si tinge di speranza. “Ha da passa` ’a nuttata” sono “parole che esprimono con un’immagine felicissima il voto di un’intera popolazione in uno

126 127

Ivi, p. 168. Ivi, p. 169.

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dei momenti piu` dolorosi della sua storia”128, la speranza in un uomo che non sia piu` solo lupus, ma anche, e finalmente, uomo.

3. Recensioni e accoglienza a Napoli milionaria! commedia

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Voce ’e popolo, voce ’e Dio. Antico detto napoletano.

La prima rappresentazione di Napoli milionaria!, il 25 marzo 1945, al teatro San Carlo di Napoli, fu una mattinata di beneficenza organizzata per i bambini poveri della citta`. Gia` le presentazioni preannunciavano che lo spettacolo sarebbe stato “una rivelazione per la critica ed il pubblico” ed avrebbe segnato “una data importante nella vita 129 artistica di E. De Filippo” . Ed infatti cosı` fu. La commedia ebbe uno straordinario successo in tutte le citta` che tocco` nei molti anni in 130 cui lo spettacolo ando` in scena . Ma fra tutte le messe in scena, quella che Eduardo ricorda con maggior affetto fu proprio il debutto ` nella mia citta` che ho provato la piu` profonda al San Carlo: “E commozione della mia vita. [...] Quasi tutti i teatri erano requisiti. C’era il fronte fermo verso Firenze. C’era la fame, e tanta gente disperata. [...] I professori dell’Orchestra, per assistere allo spettacolo, si erano infilati nel golfo mistico. «Vedrete che ci diffamera`», pensava qualcuno allarmato. [...] Arrivai al terzo atto con sgomento. Recitavo e sentivo intorno a me un silenzio assoluto, terribile. Quando dissi l’ultima battuta, la battuta finale: «Deve passare la notte», e scese il pesante velario, ci fu un silenzio ancora per otto, dieci secondi, poi scoppio` un applauso furioso, e anche un pianto irrefrenabile, tutti avevano in mano un fazzoletto, gli orchestrali del golfo mistico che si erano alzati in piedi, i macchinisti che avevano invaso la scena, il pubblico che era salito sul palco, tutti piangevano, e anche io piangevo, e piangeva Raffaele Viviani che era corso ad 131 abbracciarmi. Io avevo detto il dolore di tutti” . Nella sua recensione allo spettacolo, Achille Vesce, il critico de

128 129 130 131

Frascani F., Napoli amara di Eduardo De Filippo, cit., p. 54. “La Voce”, Napoli, 22 marzo 1945. Di Franco F., Eduardo, G. Gremese, Roma, 1978, p. 115. Intervista ad Eduardo di Biagi E., “La Stampa”, Milano, 5 aprile 1959.

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“Il Giornale”132 ci fa sapere che “la commedia ha avuto un vivo successo”. L’articolista si sofferma sia sugli aspetti drammatici che su quelli poetici, metaforici e comico-farseschi della commedia. Poi asserisce che “Eduardo De Filippo ha recitato con un’intensita` e una immediatezza di invenzioni cosı` artisticamente eloquenti, e ha atteggiato, modellato e animato il suo personaggio con tanta umana cordialita` [...] che il pubblico non si stancava piu` di applaudire.” Un po’ piu` critico l’approccio di Parente, il recensore del “Risor133 gimento” , che nella sua analisi sottolinea gli elementi moralistici ` una penetrante ed accorata visione di questa Napoli dell’opera. “E percossa dalla guerra, smarrita e sconvolta nella coscienza piu` che nelle cose, mentre il suo popolo, per quella sua vitalita` irrefrenabile degli uomini che si accentra, come negli organismi malati, allorche´ una crisi minaccia di travolgerli, fa appello a tutte le risorse dell’ingegno assottigliato, ma spesso cede anche agli istinti inferiori e indulge a quelle cose che normalmente si giudicano turpi. Percio` alla soffusa malinconia delle amare constatazioni l’autore accompagna un ricorrente moraleggiare teso in un’esistenza di redenzione: e la lezione in definitiva vuol essere questa, che le accumulate ricchezze, il cangiare delle situazioni economiche, non compensano il disagio della coscienza, cui e` sconosciuto il dono di una felicita` conseguita per vie ` inutile dire che noi preferiamo un De traverse e disoneste. [...] E Filippo meno sentenzioso, meno preoccupato di sensi riposti da adombrare nelle creature delle sue commedie, come in questo suo dramma a tesi, carico [...] di allusioni politiche, morali e sociali, che sono spesso troppo ovvie e diminuiscono il vigore o la levita` poetica dei fantasmi che popolano le sue visioni quando si abbandona, a tu per tu con i suoi affetti, alla pura onda lirica”. Detto questo, sottolinea, elogiandola, l’interpretazione mirabile di Eduardo e dei suoi colleghi che “hanno recitato benissimo, con rara fusione, con disinvolta bravura, con puntualita` e precisione di accenti”. Pur criticando il moralismo di Eduardo, valutazione che lo accompagnera` spesso nel corso della sua carriera, Parente, sottolinea la forza delle passioni, l’onda lirica di fondo che sostiene la scrittura del maggiore dei De Filippo. 134 Il recensore de “La Voce” di Napoli si sofferma, invece, sugli

132 133 134

“Il Giornale”, 26 marzo 1945. “Risorgimento”, Napoli, 27 marzo 1945. “La Voce”, Napoli, 27 marzo 1945.

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LA NAPOLI MILIONARIA!

aspetti positivi, edificanti della commedia che identifica con la citta` di Napoli e la forza d’animo dei suoi cittadini. Alla ricchezza materiale, economica di Amalia e di chi come lei ha pensato soltanto a soddisfare il bisogno di avidita` legato alla sopravvivenza, non ad un vivere pieno e dignitoso, il giornalista contrappone la ricchezza spirituale, umana del capo famiglia: “Gennaro e` ricco della sua pazienza, della sua onesta` di lavoratore, della sua mitezza, del suo contentarsi d’un nulla, purche´ sia accanto alle sue creature, nel grembo della sua famiglia. La sua ricchezza e` tutta lı`, come in Napoli tutta: nella capacita` di recupero a dispetto di ogni avversita`; nella fede di una suprema bonta` soccorritrice e riparatrice, che medichera` le piaghe, sanera` il popolo infangato e sconvolto dalla guerra, facendo consapevoli i figli di Napoli buona che aver pazienza, aver fiducia nel proprio domani – a dispetto di ogni errore od orrore bieco – costituisce una forza, una ricchezza senza nome.” Si sofferma poi sull’interpretazione e sull’accoglienza commossa del pubblico: “Quanto poi alla recitazione, l’hanno sottolineata i volti di non so quanti spettatori rigati dalle lacrime ed esultanti nel commosso plauso”. A fine marzo lo spettacolo si trasferisce a Roma dove debutta al 135 Salone Margherita. L’anonimo recensore de “Il Messaggero” ce ne fa il resoconto con toni entusiastici: “Con grande successo di pubblico si e` ripresentato al Margherita Eduardo De Filippo e la sua compagnia nella nuova commedia Napoli milionaria! Accanto ad Eduardo, che ha confermato ancora una volta la sua eccezionale statura di attore, Titina ha creato una figura indimenticabile di «nuova ricca»”. 136 Carlo Trabucco de “Il Popolo” , invece, dopo aver analizzato nelle sue varie componenti lo spettacolo si sofferma sulle ragioni ideali dello stesso e le conclusioni a cui perviene “sono tutte a credito di Eduardo De Filippo, scrittore che inizia con questo lavoro una nuova fase della sua produzione e che lo portera` ad essere vicino all’oraziano «castigat ridendo mores», posizione che indubbiamente dara` alla sua fatica una nobilta` che sara` meno peritura della sua fama di grande attore”. 137 Il recensore de “Il Tempo” considera con toni euforici il lavoro di Eduardo: “Ieri al Margherita tutto era teatro, teatro allo stato

135 136 137

“Il Messaggero”, Roma, 1 aprile 1945. “Il Popolo”, Roma, 1 aprile 1945. “Il Tempo”, Roma, 1 aprile 1945.

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puro, ossia immediatezza di passioni umane, di sentimenti popolari e concreti che si sfrenano celebrandosi nel rito laico dello spettacolo.” Il giornalista sottolinea infine le qualita` di Eduardo autore, attore e regista dell’opera: “Eduardo e` autore e ben lo si vede dalla scioltezza, dall’assoluta liberta` opposta a qualsiasi regola, di queste rapide scene; ed e` anche attore, attore profondamente, con una sua interiorita` sempre piu` pronunciata. Infine e` direttore, e lo dimostra l’affiatamento mirabile della sua compagnia, nonche´ la recitazione gia` matura di elementi giovani [...]. A Eduardo, alla bravissima Titina, a tutti interminabili applausi”. 138 Su “Cosmopolita” di aprile appare un’intervista di Ruggero Jacobbi ad Eduardo incontrato in un ristorante di Napoli. Eduardo, sollecitato dai discorsi vani, dall’euforia ingiustificata degli avventori seduti ai tavoli accanto al suo, ritorna sul tema della guerra che non e` finita, sull’incessante necessita` di distrarsi, di dimenticare la guerra e i mali ad essa connessi. Poi si sofferma sul suo teatro: “Il teatro che voglio fare adesso e` un teatro dove l’intrigo deve essere ridotto al minimo; vorrei addirittura arrivare ad un teatro senza fatti; un teatro di cronaca quotidiana, nel quale io potessi prendermi il lusso di cacciar dentro ogni sera qualcosa che nella giornata mi ha impressionato e mi ha fatto pensare. Ci voglio mettere questo ristorante, questa gente”. Questa dichiarazione di intenti somiglia molto al sogno di Cesare Zavattini di raccontare, osservandola attraverso il “buco della serratura”, la giornata di un uomo qualunque, di seguirlo, di pedinarlo per raccontare la realta` e la poesia della gente comune, troppo spesso ingiustamente dimenticata. L’articolo si conclude con l’apprezzamento della commedia a cui il giornalista ha assistito al Salone Margherita. Critica nei confronti della commedia, e` l’analisi del giornalista di 139 “Italia Nuova” che esprime diverse perplessita` sull’ultimo lavoro di Eduardo, ritornando sul problema del moralismo e del patetismo regionalistico. “Non potremmo dire tuttavia che l’esperimento ci abbia convinto. Tanto autentica la farsa del primo atto quanto falso il dirizzone che Eduardo ha fatto prendere ai due atti successivi. [...] Qui si fa ad ogni passo dell’esplicito moralismo, si tende a tirare troppo sovente le somme, tutto oscillando fra un “Cuore” aggiornato e un nuovo spartanismo. Mentre l’arte dei De Filippo, come l’arte in 138 139

“Cosmopolita”, Roma, 1 aprile 1945. “Italia Nuova”, Roma, 1 aprile 1945.

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LA NAPOLI MILIONARIA!

genere, non sta nelle dichiarate conclusioni morali, ma bensı`, come e` ovvio, nella rappresentazione, attraverso la quale quel significato sorge direttamente, spontaneamente senza commenti e senza giudizio. Ci pare insomma, se abbiamo ben capito, che Eduardo nella sua nobilissima ma malintesa aspirazione, voglia abbandonare alcune strade che pure sono le sue piu` genuine: quando invece superare i propri schemi, rinnovarsi, impegnarsi perche´ l’esperienza drammatica di oggi non vada dispersa, sta proprio nell’approfondire e scavare piu` a fondo la propria vena e il proprio estro piu` autentico.” Detto questo, il recensore non manca di riconoscere ad Eduardo le sue sincere intenzioni e di sottolineare il caloroso successo che la commedia ha riscosso “da parte di un pubblico numerosissimo”. Rispetto al moralismo Eduardo forza un po’ il genere, producendo un effetto di straniamento nello spettatore che, di solito, non e` abituato a trarre esplicitamente, cioe` attraverso il dialogo tra i personaggi, il senso dello spettacolo. 140 Anche il giornalista del “Risorgimento liberale” osserva criticamente il lavoro di Eduardo, in cui la tendenza drammatica purtroppo sopravanza quella comica, appesantendo le gia` patetiche intenzioni dell’opera. Annota inoltre una certa prolissita` nel secondo e terzo atto che si conclude in una moralistica speranza, artisticamente inopportuna. Nell’aprile dell’anno seguente lo spettacolo viene ripreso al Mediolanum di Milano raccogliendo anche qui grandi consensi. Mentre 141 il recensore di “Milano sera” si limita a raccontare la trama ed analizzare genericamente le caratteristiche dell’opera, il giornalista de 142 “L’Italia” sottolinea la fervida accoglienza che il pubblico di Milano ha tributato ad Eduardo considerando che la sua arte di drammaturgo non e` seconda a quella d’attore. Dello stesso tenore e` il 143 pezzo del critico del “Corriere della Sera” che annota il successo di pubblico che la commedia ha riportato, segnato da numerose chiamate ad ogni atto e applausi a scena aperta. 144 Vito Pandolfi de “L’Unita`” evidenzia quanto l’espressione di una verita` storica e umana come quella raccontata in Napoli milionaria! possa venire solo dagli oppressi, da chi la guerra la ha patita sulla 140 141 142 143 144

“Risorgimento liberale”, Roma, 3 aprile 1945. “Milano sera”, Milano, 21 aprile 1946. “L’Italia”, Roma, 21 aprile 1946. “Corriere della sera”, Milano, 21 aprile 1946. “L’Unita`”, Milano, 21 aprile 1946.

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propria pelle: “il nostro teatro, non solo da ora, sembra aver fatto quanto poteva per nasconderci a noi stessi. Anche qui, come altrove, sincerita` di slanci non e` pervenuta che dagli oppressi e dagli umili [...] e solo in loro oggi il teatro del nostro devastato paese puo` riconoscersi ed ascoltare la sua coscienza. Le creature che Eduardo De Filippo ha individuato e raffigurato, sia pure in modo elementare, spezzano le sorde pareti che si erano frapposte tra noi e la constatazione dei fatti.” Per Pandolfi le ultime vicissitudini del nostro paese “si trovano riflesse [...] nello specchio di un palcoscenico umoristico e patetico, a stampo strettamente dialettale. Difatti, esse hanno un tono nettamente grottesco: percio` ancora piu` doloroso. [...] Ogni battuta e ogni conflitto psicologico prendono il potere offensivo e umiliante della cronaca. La fedelta` e l’immediatezza con cui Eduardo fa sua, e naturalmente comica, la realta` quotidiana, sono fra i primi elementi di una coscienza artistica ed umana di oggi.” Ad Eduardo, quindi, Pandolfi riconosce un importante primato, quello d’aver, per primo, raccontato la verita` umana e psicologica della gente comune. “Eduardo De Filippo e i suoi compagni, hanno effettivamente vissuto le vicende che poi rappresentano sulla scena. I loro scatti mimici, la cadenza sonora dell’inflessione, sono tolti dai ‘bassi’ napoletani, e impregnati cosi della coscienza della vita, da assurgere a valore esemplificativo e sostanziale. [...] Finora solo attraverso di loro ha parlato sommessamente ma distesamente la nostra sorte di quegli ` attraverso di loro che la ribalta ce l’ha fatta comprendere.” anni. E 145 Sulla stessa lunghezza d’onda e` il giornalista dell’“Avanti!” che sottolinea l’esigenza di verita` che il teatro italiano, se vuole veramente essere credibile, deve perseguire. 146 Anche Guido Ballo della “Voce di Milano” accusa l’inutile intellettualismo che troppo spesso funesta le opere teatrali italiane e riconosce nel teatro dialettale una forza di verita`, forza che puo` introdurre nuova linfa vitale in tutto il teatro italiano. Questa forza il giornalista la riconosce al teatro di Eduardo che ci parla senza intellettualismi e questo fa si che “il pubblico”, attraverso l’umanita` dei personaggi, la loro umilta` “partecipi vivamente” allo spettacolo. Eduardo ci racconta la lotta per la vita e lo fa con cordialita`, semplicita` e un umorismo dietro il quale si nasconde uno sfondo di profonda desolazione. Ed e` su questo sfondo, quello della guerra, 145 146

“Avanti”, Milano, 21 aprile 1946. “Voce di Milano”, Milano, 27 aprile 1946.

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LA NAPOLI MILIONARIA!

che, come in un effetto di ombre cinesi, si ingigantiscono gli umili personaggi fino a fargli assumere una statura epica, eroica. Tutto cio` accade in una stanza che per il suo potere di dilatazione con Eduardo diventa tutto il mondo. “Tutto il mondo puo` ritrovarsi in un luogo”; questa e` la vera forza del teatro che ci porta dentro di noi, dentro la nostra vera umanita`. 147 Il critico de “La Lettura” si sofferma sul nome del nuovo teatro di Eduardo, tratto appunto, come per i grandi della storia dell’arte, dal suo nome di battesimo. Per l’articolista, portare sul palcoscenico la cronaca e` stato un atto di coraggio. Si sofferma poi sulla descrizione dell’opera considerando che “la materia cronachistica e moraleggiante, dopo essersi fatta teatro e spettacolo, si arrampica piu` su, fino a diventare arte e in qualche punto addirittura poesia.” Cosi partendo dalla cronaca Eduardo “si mette a posto anche con la letteratura”. 148 Raul Radice del “Lunedı` del popolo” definisce “interessante” la commedia di Eduardo “poiche´ con essa arriva sul palcoscenico un pezzo della cronaca nostrana.” Il drammaturgo propone una moralita` che risale dal fondo dell’anima e tende a ridare ai sentimenti e al costume i limiti perduti. Ma in questo tentativo Eduardo “e` spesso sommario e sbrigativo” e “spesso si libera di passaggi e scene che vorrebbero essere piu` ampiamente corposi per indugiare invece laddove le sue predilezioni di attore e l’amore per il personaggio da lui stesso creato e incarnato gli danno modo di mettere in luce sottigliezze e finezze di duplice interprete”. Un’anonima recensione ci fa sapere che “Eduardo De Filippo a Milano spopola. Dal Mediolanum parte una lezione di impegno umano e di estetica della scena che dovrebbe far meditare tutti coloro che scrivono per il teatro. Perche´ il teatro e` questo: lo sentite dall’immediatezza delle battute, [...] nell’azione tutta accadente e non mai raccontata, si che la vita ti si costituisce davanti agli occhi per virtu` creativa”. Si puo` fare teatro in tanti modi, ma quando si vuol fare teatro vero “si fa come Eduardo in questa commedia. [...] Napoli milionaria! e` la commedia della guerra e del dopoguerra, l’interpretazione piu` felice, sincera e commossa di questa nostra epoca 149 sconvolta” . 147

“La lettura”, Milano, 27 aprile 1946. “Lunedı` del popolo”, Milano, 29 aprile 1946. 149 Della recensione del 29 aprile 1946, rinvenuta nel Fondo Eduardo De Filippo all’Archivio dell’Istituto di Storia Patria, non e` presente ne´ la testata ne´ il nome dell’autore. 148

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Giovanni Mosca su “Oggi”150 interpreta la commedia di Eduardo come una difesa della sua Napoli che di solito passa per terra di ladri. Il pubblico applaude. “Eduardo viene a noi, attraverso i secoli, dalle piu` profonde lontananze del teatro. Eduardo – ed e` questo che il pubblico vuole – castigat ridendo mores”. Per Mosca nei personaggi di Eduardo c’eravamo tutti noi, i nostri moralismi, le nostre virtu`, le nostre cattiverie, le nostre bonta` e soprattutto la nostra saggezza. “Eduardo, grazie per averci liberato, per una sera, di tanta letteratura, riportando sul palcoscenico il teatro. [...] «Siate buoni» questo e` l’ammonimento del suo lavoro”. Un ammonimento che il recensore si propone e propone a tutti di seguire. 151 Giuseppe Lanza considera Napoli milionaria! tra le commedie “piu` gustose e valide che ci e` capitato di sentire in questi ultimi mesi.” Il giornalista vede l’opera come una composizione musicale intessuta sul fondamentale tema della presa di coscienza del protagonista che riporta la speranza in una famiglia ormai completamente priva di ogni valore umano. Il comico si intreccia con il drammatico con un “prodigioso” senso del limite, “frutto di una coscienza di artigiano vigilantissima”. Gli anni di esperienza hanno portato Eduardo ad avere un’assoluta padronanza della scena. 152 Daniele d’Anza nota come con Napoli milionaria! non sia tornato solo Eduardo ma tutta “l’Italia nostra di questi giorni, triste piagata e addolorata”. Egli ci racconta in tre atti la crisi morale di un’umanita` che ha subito la guerra, il dramma di un popolo nel piccolo quadro di una vicenda familiare. Il critico sottolinea quanto nelle intenzioni dell’autore non ci sia solo la volonta` di risolvere un problema, ma anche il desiderio di indicare la via di una rigenerazione degli spiriti. Ma “la realta` ci insegna – afferma d’Anza – che la nostra nottata non e` ancora del tutto passata, e che siamo soltanto agli inizi del nuovo giorno.” Pur rilevando nella commedia “gracilita` tecniche e squilibri di struttura in misura maggiore che in altri piu` dosati canovacci (un esempio per tutti: Natale in casa Cupiello)”, il critico asserisce che, nel suo genere, Napoli milionaria! e` “il capolavoro del nostro teatro attuale.” Poi conclude l’articolo trasferendo il 150

“Oggi”, Milano, 30 aprile 1946. Dell’articolo, rinvenuto nel Fondo Eduardo De Filippo all’Archivio dell’Istituto di Storia Patria, non e` presente ne´ la testata, ne´ la data, ma si presume che sia della fine di aprile del 1946, poiche´ fa il resoconto dello spettacolo andato in scena al Mediolanum. 152 Dell’articolo, rinvenuto nel Fondo Eduardo De Filippo all’Archivio dell’Istituto di Storia Patria, non e` presente la testata, ma e` certamente dell’aprile del 1946. 151

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LA NAPOLI MILIONARIA!

sentimento di speranza che la commedia promuove alla nostrana produzione teatrale, affermando che “la nottata e` passata, almeno in questo senso.” 153 Umberto Folliero su “Film” , dopo aver aperto con una polemica sull’inadeguatezza di una sala come il Mediolanum ad ospitare una compagnia come quella di Eduardo e sua sorella Titina, annota il caloroso successo che lo spettacolo ha riscosso: “i tre atti di Eduardo sciolti, vivi, ricolmi di umanita` (anche se puntellati qua e la` da spunti di cronaca nera o sentimentale o patetica), pur trattando un tema ancora di piena attualita`, gia` raggiungono notevoli mete artistiche”. L’articolo si conclude mettendo a fuoco gli assunti fondamentali dello spettacolo che il critico in questione non sembra francamente aver colto. A giugno lo spettacolo si sposta a Genova dove viene salutato dal pubblico e dalla critica con lo stesso entusiasmo che ha contraddi154 stinto l’accoglienza nelle altre citta`. Il critico di “Genova sera” definisce Eduardo “uno di quegli esseri miracolosi che sono il teatro stesso. [...] Si direbbe che egli sente la vita in funzione del teatro, ed e` certo che la traduzione in battute, gesti, in movimenti, in ampio e variato gioco scenico, della sua viva e acutissima osservazione umana, risulta sempre pronta, immediata, spontanea: inevitabile, appunto, necessaria.” L’articolo prosegue elogiando Eduardo uomo di teatro che questa volta “con atto estremo di coraggio (ognuno sa, infatti, quanto sia rischioso trasferire in arte avvenimenti e costumi del proprio stesso tempo, pagine di una cronaca che si continua a vivere, da cui non si e` ancora distaccati) ha affondato le unghie proprio nel vivo sangue di un attualissimo tema: quello della guerra, dell’occupazione, del dopoguerra oscuro e disordinato nel quale ancora ci riconosciamo. E restringendo l’osservazione ad un angolo di vita napoletana, in una famiglia dove gli sconvolgimenti di questi anni, e soprattutto certi improvvisi arricchimenti e certe dissoluzioni morali, ha centrato aspetti di estrema verita`, nella forma dell’arte e del simbolo teatrale.” Il recensore si sofferma poi sull’esemplare interpretazione di Eduardo e dei suoi compagni di lavoro: “Tutti sono apparsi mirabilmente concentrati, raggiungendo spesso effetti ` bellissimi di contrappunto e una costante accesa colorazione. E chiaro, in conclusione, che il successo non poteva essere che caloro153 154

“Film”, Milano, 31 maggio 1946. “Genova sera”, Genova, 5 giugno 1946.

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LA NUOVA DRAMMATURGIA DI EDUARDO

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sissimo, e cosi infatti e` stato, con grandi e ripetuti applausi, moltissimi a scena aperta, di un pubblico molto numeroso. E stasera si replica”. 155 Anche il recensore del “Corriere del popolo” appare favorevolmente colpito dalla commedia di Eduardo che “s’impone attraverso scene stupendamente mosse e magnificamente orchestrate”. Di grande pregio giudica anche la recitazione che gli e` apparsa “un capolavoro di musicalita`, di scelta di toni, di contrappunto: in questa commedia, piu` che in ogni altra, specie nei primi due atti, la pittura del popolo napoletano e` stata realizzata con una potenza espressiva di una vivezza e di un realismo semplicemente sbalorditivi. Eduardo ha fatto di Gennarı` un eroe del tragico quotidiano, un pastello delicatissimo, denso, vivo di reazione, caldo di affetti, lucente di bonta`: vivo. E Titina ha colorito estrosamente, con ininterrotta aderenza, con un continuo gioco di ombre e luci, il suo meditato personaggio. Molti applausi a scena aperta, moltissime chiamate, successo schietto, continuo, bellissimo. Una vera festa. Se ne sentiva il bisogno. Grazie, De Filippo!” Nel marzo del ’48 lo spettacolo va in scena al Teatro Duse di Bologna, cosi ne parla il critico del “Pomeriggio”156: “Da Eduardo vien fuori la sagoma di un autentico moralista: vi fa vedere il diritto e il rovescio delle situazioni, offrendovi le amaritudini delle tentatrici esperienze della vita e le dolcitudini di una riconciliazione con la bonta` delle regole oneste e schiette. [...] Eduardo amplifica il suo raggio di visione e di azione, analizzando acutamente fenomeni che sono di comune dominio, ma non da tutti osservati. Verissimo ad esempio il confronto fra l’aperto e fervido romanticismo della fine della prima guerra mondiale e la durezza egoistica della fine della seconda, sfociata nella piu` torbida speculazione materiale e spirituale. In questo aspetto culmina Napoli milionaria! che parte con profusioni di colore locale e si avvale di una irresistibile comicita`, che talora cede al farsesco, e che e` piu` propria dei teatri di provenienza regionale, ma poi si evolve in situazioni e considerazioni che hanno sostanzialmente costituito il retaggio di una guerra sciagurata.” Il giornalista sottolinea poi quanto l’opera sia densa di momenti comici e patetici, alternativamente e sapientemente dispiegati. Infine ci fa sapere che il pubblico ha risposto con calorosi applausi ad ogni atto, attribuendo allo spettacolo il meritato riconoscimento. 155 156

“Corriere del popolo”, Genova, 5 giugno 1946. “Pomeriggio”, Bologna, 31 marzo 1948.

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LA NAPOLI MILIONARIA!

La tourne` di Napoli milionaria! nel 1948 arriva anche a Trieste. Lo spettacolo viene recensito da diversi quotidiani. Il giornalista di 157 “Voce libera” ci informa che il pubblico era ansioso di “applaudire l’unico contemporaneo che abbia qualcosa da dire attraverso il suo teatro e che abbia gia` detto qualche cosa.” Ma nonostante questo il critico, facendo appello alla sua sincerita`, ci fa sapere che lo spettacolo non ha risposto alle aspettative che era giusto avere trattandosi di Eduardo: “Napoli milionaria! e` un lavoro caduco [...] perche´ pur avendo in se´ tesori di arte scenica e di schietta umanita`, ha troppe scene che disperdono o arrestano l’azione; e` caduca inoltre perche´ la sua lezione non e` piu` una lezione viva e perche´ la ‘notte’, quella sua notte angosciosa e tragica, e` gia` passata, magari per ripiombarci in un’altra notte.” Il critico, quindi, pur riconoscendo che la commedia “ha divertito e anche commosso”, non appare favorevolmente colpito dal lavoro di Eduardo. Oltre a giudicarlo “leggermente stonato perche´ ormai sorpassato”, e` disturbato sia da “una tendenza ad un astratto moralismo e ad un incerto amore per la tesi”, sia da un “eccessivo colore di alcuni quadri, anzi di alcune pennellate che esagerano le tinte gia` cosi vive dell’animo meridionale.” 158 Il critico de “Il lavoratore” , quotidiano di Trieste, si sofferma su quanto a suo modo di vedere il pubblico non abbia bene inteso il senso profondo dell’opera eduardiana, cogliendo gli aspetti comici del testo piu` che quelli drammatici. Su questo punto si sofferma anche il recensore de “Il Messaggero 159 Veneto” che ritiene la commedia non essere “stata forse interamente compresa dal pubblico”. Infine causticamente afferma che la commedia non e` certo una delle cose piu` felici di Eduardo, ma e pur sempre godibile e interessante. 160 Il critico del “Giornale di Trieste” , dopo aver raccontato dettagliatamente la trama dei tre atti, ci informa che lo spettacolo ha registrato un grande successo di pubblico, limitandosi, traslando il titolo dell’opera, a definire il senso della commedia “nella crisi dell’anima napoletana che e` milionaria, appunto, perche´ capace di salutare i ritorni alla coscienza umana e alla bonta`”. Sono piu` o meno dello stesso tenore le altre recensioni apparse in

157 158 159 160

“Voce libera”, Trieste, 20 ottobre 1948. “Il lavoratore”, Trieste, 20 ottobre 1948. “Il Messaggero Veneto”, Trieste, 20 ottobre 1948. “Giornale di Trieste”, Trieste, 20 ottobre 1948.

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LA NUOVA DRAMMATURGIA DI EDUARDO

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quei giorni sulla stampa di Trieste. C’e` da dire che, essendo passati ormai quattro anni dal debutto di Napoli milionaria!, il tempo sembra concorrere ad un affievolimento dell’entusiasmo della critica, mentre il pubblico continua ad apprezzarlo con sincero entusiasmo. 161 Giorgio Piscopo su “Domenica” recensisce una ripresa della commedia ritenendola non “costruita con rigore”. Per il critico l’azione procede talvolta per espedienti, facendo largamente spazio ad un patetismo napoletano che non sempre giova all’economia della rappresentazione. Nonostante queste critiche non manca di riconoscere al testo di Eduardo una sua vivacita` che, “fra tanti fantasmi e riesumazioni che popolano la nostra scena di prosa”, non guasta. Nel 1950 lo spettacolo ha un ulteriore ripresa e viene nuova` interessante vedere come a distanza mente rappresentato a Napoli. E di soli cinque anni dal debutto i toni e le opinioni sullo spettacolo 162 tendano ad essere ridimensionati. Il critico del “Roma” afferma che quando lo spettacolo debutto` si grido` al capolavoro, ma i contenuti, la storia erano ancora troppo attuali perche´ li si potesse giudicare con serenita`. “Rivista oggi la commedia appare piu` a fuoco di allora: e se non si puo` parlare di capolavoro nel senso esatto ed estensivo della parola, non si puo` non rimanere commossi innanzi a questa pagina documentaria, umanissima, spoglia di qualunque artificio e di qualsiasi ricerca di effetto.” Il 1950 e` anche l’anno in cui Napoli milionaria! viene pubblicata nella collana “Piccola biblioteca scientifico-letteraria” presso la casa editrice Einaudi. Carlo Muscetta si chiede in un articolo su “L’Uni163 ta`” se si debba considerare Eduardo De Filippo solo come autore di teatro o annoverarlo nella schiera degli autori della letteratura taut court. La risposta contenuta in un lungo articolo dove il critico analizza la commedia e` ovviamente sı´. Da questo momento in poi Eduardo si dedichera` con assiduita` alla pubblicazione dei suoi testi che culminera` nei due tomi, pubblicati sempre presso Einaudi, delle due “Cantate”, quella “pari” e quella “dispari”. Dopo l’edizione a stampa di Napoli milionaria! Guglielomo Cru164 ciali su “Il lavoro nuovo” scrive: “Eduardo incomincia la «grande commedia» piena di alto senso drammatico che fa meditare chi legge

161 162 163 164

“Domenica”, Roma, 31 dicembre 1948. “Roma”, Napoli, 12 luglio 1950. “L’Unita`”, Torino, 15 agosto 1950. “Il lavoro nuovo”, Genova, 19 agosto 1950.

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LA NAPOLI MILIONARIA!

e chi ascolta sul valore e sul significato della vita di oggi”. Anche “La 165 pattuglia” pubblica un articolo sull’uscita a stampa di Napoli milionaria! Il critico asserisce che Eduardo De Filippo con quest’opera “acquista per noi la figura dello scrittore, uno dei meglio provveduti oggi a rappresentare la realizzazione di una letteratura popolare. [...] Nei suoi drammi le situazioni crescono vivacemente, i suoi personaggi si presentano gia` vivi e delineati, in una prosa che da se´ richiama gesti e movimenti; il lettore non ha che da alzare gli occhi dal libro e gia` scorge la scena, come un momento della vita reale. Queste cose provano la perfetta aderenza del testo al teatro, ma anche tutta la felice resa dei sentimenti, che incontenibili, sono del mondo popolare con le sue miserie, la sua bonomia, le sue profonde aspirazioni. Certe espressioni sono dell’inventiva popolare, propria di Eduardo, un Verga che non si limita a raccogliere, ma che partecipa egli stesso e rende immediatamente in modo spontaneo”. Anche l’edizione a stampa di Napoli milionaria! viene quindi favorevolmente accolta dalla critica. Nel corso degli anni Napoli milionaria! ha avuto numerose riprese, tra le tante vanno sicuramente ricordate “Ha da passa` ’a nuttata” di Leo De Berardinis e quella di Peppino Patroni Griffi. Un’ultima ripresa c’e` stata ultimamente ad opera di Francesco Rosi che ha messo in scena la commedia con Luca De Filippo nel ruolo di Gennaro e Imma Piro in quello di Amalia. La lettura che Rosi ne ha fatto e` stata sostanzialmente testuale, filologica. In questa serie d’articoli, come si e` visto, molti critici si sono soffermati sugli aspetti patetici e moralistici presenti nella commedia. Questi aspetti, soprattutto il moralismo, vengono considerati da molti strumenti inadeguati attraverso i quali veicolare l’arte drammatica. C’e` da dire pero` che se da una parte la tendenza melodrammatica, il patetismo di discendenza regionalistica, tratto dal teatro dialettale, non e` stato sempre gradito dalla critica, il pubblico, a detta degli stessi recensori, lo ha invece sempre apprezzato, conferendo in ogni teatro calorosi applausi allo spettacolo. Un altro aspetto non molto gradito alla critica, specie a quella legata al vecchio modo di fare teatro di Eduardo, e` stata proprio il sopravanzare dell’aspetto drammatico, tragico, su quello comico-farsesco. Il rinnovamento di Eduardo non e` visto di buon occhio, quindi, da quella critica che lo aveva apprezzato nella precedente formazione 165

“La pattuglia”, Roma, 8 ottobre 1950.

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LA NUOVA DRAMMATURGIA DI EDUARDO

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della quale faceva parte anche Peppino. Questo aspetto, la tendenza drammatica, corrisponde alle critiche che sono state fatte al II e III atto della commedia, nei quali sono state spesso rilevati lungaggini e inutili indugi al sentimentalismo. A parte questi pochi appunti, dei quali a mio avviso l’unico ad avere una qualche pertinenza critica, e` la tendenza ad esprimere esplicitamente la morale del testo, Napoli milionaria!, nelle sue moltissime rappresentazioni, ha riscosso quasi ovunque un enorme consenso da parte del pubblico che, come sappiamo, tende ad identificarsi con i personaggi e i fatti narrati senza troppe intellettualistiche sovrastrutture. All’atto pratico questa accoglienza ebbe non poco peso nella decisione di Eduardo di farne un film. Mutati i tempi, il film, uscito nelle sale nel 1950, ebbe una sorte del tutto diversa dalla commedia teatrale e scateno` un’aspra polemica a cui presero parte esponenti del mondo dell’arte e della politica. Fu un caso che se esaminato puo` aiutarci a ricostruire i metodi di valutazione che la critica del tempo applicava alle opere cinematografiche e il clima politico che si respirava in Italia in quegli anni. Di questo, appunto, ci occuperemo nel prossimo capitolo.

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LA RICEZIONE DEL FILM (RASSEGNA STAMPA)

1. L’attesa per l’uscita del film Dopo il grande successo riscosso da Napoli milionaria!, sin dalla sua prima uscita il 26 marzo 1945 al Teatro San Carlo di Napoli, era ovvio che una grande attesa nascesse quando si seppe che Eduardo avrebbe girato un film tratto dall’omonima commedia. Siamo nel 1949, a quattro anni dal debutto teatrale, e non e` affatto casuale che Eduardo scelga di trasporre cinematograficamente questo lavoro. Napoli milionaria! era stato il suo piu` grande successo di pubblico e di critica imponendolo sulla scena teatrale italiana come uno dei piu` importanti drammaturghi italiani del dopoguerra. In quegli stessi anni il cinema italiano aveva compiuto il miracolo di rinascere, rilanciando, dopo decenni di sordina, la nostra cinematografia sullo scenario internazionale. Questo miracolo fu compiuto da quel fenomeno che va sotto il nome di neorealismo. Ossessione, Roma citta` aperta, Paisa`, Ladri di biciclette, ma anche Avanti c’e` posto, Quattro passi tra le nuvole avevano restituito dignita` artistica ad un cinema per troppi anni imbrigliato in moduli narrativi, soggetti e linguaggio ` cosi che il quotidiano, la visivo lontani dalla realta` quotidiana. E strada, la gente comune, irrompono sullo schermo con tutte le loro potenzialita` e la loro forza espressiva. La stessa operazione l’aveva compiuta Eduardo scrivendo Napoli Milionaria!, giustamente considerato il corrispettivo teatrale di Roma citta` aperta. La realta` domina l’arte, ne diventa la principale fonte d’ispirazione, una forma di nuova mimesis piu` corrispondente alle trasformazioni umane e sociali in atto in quegli anni. Era del tutto naturale, quindi, che Eduardo mostrasse interesse per questa forma artistica; un interesse, tra l’altro

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LA NAPOLI MILIONARIA!

espresso gia` in due film da lui precedentemente diretti (In campagna e` caduta una stella, del ’39 e Ti conosco mascherina, del ’44). 1 In un’intervista a Vito Lopez, giornalista di “Cine sport” , Eduardo dichiara di considerare il cinema il mezzo piu` rapido per comunicare con il pubblico e di considerare la regia una vera arte. Dichiara inoltre di volersi dedicare con maggiore continuita` al cinema anche perche´ sente di distrarsi dalle fatiche del palcoscenico. Del film, Eduardo, oltre ad esserne il regista e lo sceneggiatore, e` anche ovviamente l’interprete principale. Del cast fanno inoltre parte: Toto`, nel ruolo di uno scambista che si presta in affitto per ogni evenienza, la sorella Titina, che interpreta il ruolo di un’amica di donna Amalia, Leda Gloria nel ruolo di donna Amalia, Delia Scala, che interpreta Maria Rosaria, la figlia dei coniugi Jovine, Carlo Ninchi, nel ruolo del brigadiere Ciappa, Dante Maggio e Mario Soldati. Per il film Eduardo fa ricostruire un intero vicolo nel teatro di posa della Farnesina, precisamente nel teatro di posa numero uno. Ed e` qui che lo va a trovare, durante le riprese del film, Gianni 2 Schisano, giornalista di “Cine Illustrato” . Sopraggiunge sul set mentre si sta girando una scena in cui un gruppo di militari alleati, all’uscita da una festa, ritornano, insieme alle inseparabili “segnorine”, alla loro jeep dalla quale scoprono essere state sottratte le ruote. L’articolo, che in sostanza e` una presentazione del film, prosegue con la descrizione delle altre scene a cui il giornalista assiste e su cui non vale la pena soffermarsi. La cosa, invece, che vale la pena evidenziare e` il senso di realismo che il giornalista ebbe all’ingresso nel teatro di posa: “per un attimo tornai indietro nel tempo di sei anni, gli occhi del negro che mi fissavano – appena entra in studio incontra un militare di colore – mi dettero un brivido. Case squarciate, i primi «boogie-woogies», la polvere di piselli in scatola, tutto formava come delle immagini bizzarramente nitide e confuse nella mia mente”. La scelta di Eduardo di ricostruire un intero vicolo in un teatro di posa e` chiaramente motivata dalla necessita` d’ottenere il maggior realismo possibile. Bloccare un intero vicolo come quello del Pallonetto a Santa Lucia di Napoli, anche solo per qualche giorno, sarebbe stato impensabile. Il giornalista Antonio Ghirelli, venuto a conoscenza della notizia 1 2

“Cine sport”, Bari, 19 novembre 1949. “Cine illustrato”, Roma, 9 febbraio 1950.

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che Napoli milionaria! avrebbe concorso tra le opere italiane al premio della Pace, si mette in treno e va a trovare Eduardo a Napoli dove il drammaturgo aveva scelto di trascorrere la Pasqua recitando proprio l’omonima commedia. Il film era stato proiettato per una ristrettissima platea di critici proprio il Venerdı` Santo a Roma e il giorno dopo Eduardo aveva raggiunto Napoli. L’incontro avviene nella hall dell’albergo che ospita il capocomico napoletano. Il giornalista annuncia ad Eduardo che la sua commedia teatrale, Napoli milionaria!, era stata proposta per il premio della Pace, giudicata l’opera di teatro piu` umana, piu` pacifica e combattiva del dopoguerra. “Ghire’, siete sicuro?” e` la risposta di Eduardo che con autoironia non lascia trapelare ne´ ansia, ne´ vanita` alla notizia. Il drammaturgo prosegue poi raccontando del film che “sara` presentato a Venezia ed entrera` in circuito in autunno. Nel vicolo napoletano che ho ricostruito come un vicolo ideale alla Farnesina, ho trasportato autentici napoletani del «Pallonetto»; [...] potete immaginare quanta esplosione di vita abbiano gettato nel film”. Poi informa l’amico giornalista che “nel film le vicende di don Gennaro e della sua citta` durano molto di piu` che a teatro, durano dieci anni: dall’epoca dei fascisti ai giorni nostri”. La scelta di dilatare la durata della commedia dal 1939 al 1949, ci dice quanto in Eduardo fosse forte la necessita` di essere presente alle mutazioni che la citta` di Napoli, e piu` in generale l’Italia, stava vivendo in quegli anni post bellici. Ghirelli gli chiede dell’inizio del film: “Don Gennaro, tranviere – afferma Eduardo – sta facendo «marenna» sopra Villanova, quella bella passeggiata che da` sui Campi Flegrei. Mangia il suo pane e companatico insieme ad uno «scambista», don Pasqualino Miele, che nel mio film e` Toto`. Lo scambista pulisce le rotaie con grande lena e un filosofico entusiasmo. I due operai parlano pacatamente dei fatti loro e della citta`, del mondo. Pasqualino si dice soddisfatto della vita che conduce, racconta di aver sempre sognato da bambino di pulire quei «bei scambi lucidi lucidi». [...] Ma don Gennaro, cioe` io, non e` affatto contento. Le parole e le minacce di guerra che i fascisti lanciano intorno a loro, l’atmosfera di incubo che grava in Italia lo spauriscono. E lo fa osservare a don Pasqualino, dice: «’On Pasquali’, cca` me pare ce nun ghiammo tanto buono». Don Pasqualino e` scettico: «Ma chi la guerra? Ma no, e` tutto nu bluff, tutta na cosa per figurare bene all’estero... ’a guerra nun a fanno!»”. In questo momento, passa un ragazzino. Ha in mano una mazza e la picchia ritmicamente sul parapetto della «passeggiata». Ulula con un tono

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` scuppiata ’a guerra!»... i due si riscuotono. profondo, lugubre: «E Don Gennaro trasale e Pasqualino Miele, lo scambista, tenta ancora di negare, di sminuire le parole di un bambino; ma poco distante c’e` un uomo col giornale in mano, la conferma arriva a gelarli. I due si lasciano, ormai in preda al panico e all’angoscia piu` illimitati: «Faciteme ‘i’ a casa, faciteme correre a vedere che succede»”. Eduardo si mette poi a raccontare la fine del film. Dalla scena iniziale sono passati dieci anni: “Toto`, cioe` don Pasqualino Miele, ha riavuto – dopo mille peripezie, mille mestieri, mille espedienti durati per restare a galla durante gli anni della catastrofe – il posto di scambista e si incontra ancora una volta con don Gennaro, il tranviere, sopra ` , come allora, filosoficamente rassegnato, anzi ottimista, Villanova. E dice che spera di entrare stabilmente nelle ferrovie dello Stato: «nu posto buono assai». Mentre don Gennaro, proprio come allora, e` angosciato. La guerra fredda, la bomba atomica, la bomba H, i piatti volanti, tutta quest’atmosfera allucinante e crudele lo riportano agli ` vero non ci sono piu` i fascisti, ci sono i democristiani. anni lontani. E E Toto` [...] torna a ripetere, scettico, che non c’e` pericolo, che e` un bluff, che e` una cosa per figurare bene all’estero... ma quando passa un ragazzino lungo il parapetto, con la mazza picchiata ritmicamente sulla pietra, il lugubre ricordo agghiaccia i due operai. Il bambino non urla, non da` nessuna notizia. Pero` il terrore negli occhi di don Gennaro e del suo povero amico e` lo stesso di allora: lo stesso panico accosta le loro mani in un saluto frettoloso: «faciteme i’ a casa, fatemi 3 correre a vedere che succede»” . Sono passati dieci anni e nulla sembra essere cambiato: la paura della guerra e` ancora viva, ma questa volta, dopo la comparsa della bomba atomica, con aspetti ancora piu` inquietanti e minacciosi. In un articolo di poco successivo, Eduardo parla ancora del suo lavoro e delle trasformazioni avvenute nel passaggio dal testo teatrale 4 al film. All’articolista de “Il Giornale” che lo intervista afferma “d’aver lungamente meditato questo progetto, d’averlo studiato in ogni particolare [...]”. Eduardo spera che ne venga fuori un bel film, soprattutto si augura che “la commedia non perda niente, nel passare allo schermo, della sua umanita`; che rimanga un documento vivido, appassionato di un periodo per noi inobliabile, dolorosamente inobliabile”. Si augura innanzitutto che “la Napoli milionaria! 3 4

“Pese Sera”, Roma, 13 aprile 1950. “Il Giornale”, Roma, 24 aprile 1950.

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del cinema non sia soltanto teatro filmato”. Del resto, per evitare questo “incidente”, Eduardo realizza il soggetto ricavato dalla commedia quasi tutto in esterni. “E vedrete personaggi che non apparivano sulla scena. Uno di essi lo interpretera` Toto` che sullo schermo sara` «l’uomo che si affitta». I borsari neri lo pagavano a ore per fargli fare il morto quando c’e` da ingannare la polizia inscenando falsi funerali. Lui e` sempre pronto ad accettare gli incarichi piu` impensati. Mi sembra che questo personaggio sia davvero una trovata”. Il ruolo interpretato da Toto`, nella commedia teatrale, era dello stesso Eduardo che nel film viene ampliato con nuovi “incarichi”, come ad esempio fingersi un esponente monarchico in un comizio. Eduardo, poi, nell’articolo continua raccontando come si preparo` alla realizzazione del film: “Cominciai con l’andare in ricognizione attraverso la vecchia Napoli, per trovare i luoghi piu` adatti all’ambientazione del film. Passo passo feci l’esploratore nella mia citta`”. Eduardo rievoca figure, ambienti, eventi, con pochi tratti e una sorprendente sobrieta` di espressione. Infine si sofferma sul cast del film, affermando che Titina “dara` vita ad un personaggio di grande rilievo che nel lavoro teatrale non esiste”. Insomma le differenze tra l’opera teatrale e il film sono molteplici e indicano una chiara volonta` di ricerca e superamento dell’espressivita` teatrale. 5 Riccardo Longone, giornalista de “L’Unita`” , incontra Eduardo all’Hotel Excelsior di Roma. Siamo in giugno e Longone viene cordialmente accolto da Eduardo. Il giornalista, che non vedeva Eduardo dai giorni dell’occupazione nazista della citta`, afferma che il destino sembra farli incontrare sempre a causa della guerra. Eduardo concorda: “Io lo dico sempre. Quella non e` finita, non la vogliono far finire: leggi i giornali, apri la radio, non parlano d’altro! Si parla piu` oggi di guerra che quando c’era la guerra!”. Longone va a trovare Eduardo per fargli firmare l’appello per la pace di Stoccolma, intorno al quale si mobilitavano intellettuali e pacifisti di tutto il mondo. Eduardo appare sollecito alla richiesta: “No. No. No. Non basta la firma. Bisogna fare qualcosa di piu`”. Poi prende il suo pennino e firma, affermando che bisogna “aprire gli occhi alla gente. Altrimenti sai che succede? Ci troviamo in un’altra guerra e non sappiamo nem` una nuova guerra, altro che coprifuoco e allarmi e meno perche´. E SS, chissa` come sarebbe. Non ci voglio nemmeno pensare”. Poi Longone gli chiede se presentera` il film al festival di Venezia, ma 5

“L’Unita`”, Torino, 13 giugno 1950.

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Eduardo, smentendo l’iniziale idea, gli dice che lo portera` invece al festival di Locarno. Gli fa inoltre sapere d’aver impiegato un anno e mezzo per girare il film, con un lungo periodo di preparazione in cui ha visionato oltre cinquemila fotografie di bassi, vicoli, fondaci: “Poi feci costruire un plastico e su quello, al teatro della Farnesina a Roma hanno elevato un vicolo a grandezza naturale”. I due poi si mettono a rievocare con toni nostalgici, quasi sentimentali luoghi di Napoli e facce dei suoi cittadini. Eduardo ci fa sapere che quando comincio` a girare ando` a Napoli e si porto` a Roma mezzo Pallonetto Santa Lucia: “non c’e` un solo Luciano noto nel quartiere che non compaia nel film. Fravulella, la conosci? quella grassa che vende la frutta vicino alla fontana? Me la portai a Roma. E lo conosci Pasquariello il facchino che una volta faceva la parte di Ferdinando II nella festa della «’Nzegna»? Anche lui sta nel film”. Tra le comparse vengono ingaggiati naturalmente anche persone di altri vicoli, ma il nucleo pulsante e` costituito dai “personaggi” che con la loro straripante umanita` vivono il Pallonetto di Santa Lucia. Una folla di napoletani che Eduardo letteralmente trasporta e trapianta a Roma in pianta stabile per un lungo periodo. Le comparse vengono alloggiate alla Farnesina. Cosi Eduardo ricorda il loro viaggio in treno verso Roma: “In treno erano tutti muti, uomini donne vecchi e bambini forse impressionati di venire per la prima volta essi stessi a fare il cinematografo. Poi tutto muto` d’incanto quando videro il vicolo ricostruito nel teatro di posa. Non ti dico cosa avvenne, grida, esclamazioni, perfino lacrime. «Giesu`! Chisto e` proprio Napule! Pasqua`! Genna’! Vieni a vede’!». Il vico di cartapesta comincio` subito a vivere con quella gente strellazzera che si era voluta portare dietro anche le criature [...]”. Che portassero i figli era stato stabilito nel contratto, una clausola ben precisa, altrimenti non sarebbero partiti. Longone gli chiede poi se e` stato difficile dirigerli: “Macche`! Presero subito la mano a tutti. Erano come a casa loro, nel loro vicolo. [...] Quella gente del Pallonetto non recitava per la paga, ma riviveva con passione la vita della Napoli occupata dagli anglo-americani nel ` forte il senso di partecipazione di Eduardo nel dopoguerra”. E rievocare l’episodio, quasi commosso: “Non ne ho mai visto qualcuno stanco. Lavoravano con gusto. E la sera quando terminava il lavoro, continuavano a recitare. Alla Farnesina ci sono 4.000 sfollati”. Eduardo improvvisamente interrompe il suo ricordo e quasi con rammarico osserva: “Vedi? Anche senza volerlo torniamo a parlare di guerra”. Poi prosegue ricordando che “la sera, dopo una giornata di

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lavoro, andavano tra gli sfollati e si mettevano a cantare”. A cinque anni dalla fine della guerra c’erano ancora tantissimi sfollati, segno che la guerra non era ancora finita. Per Eduardo sono loro i veri ` stata una grande fatica ma e` felice d’averla protagonisti del film. E portata a termine, d’averla condivisa con loro, i napoletani. ` facile dedurre, da queste poche interviste e articoli di presentaE zione, quanto per Eduardo fosse importante questo debutto, sia in termini di investimento professionale che emotivo. Il film e` atteso dal pubblico che ha gia` applaudito la commedia nelle oltre 300 repliche andate in scena fino ad allora. Ovviamente c’e` attesa anche da parte dei critici che, come spesso accade, aspettano al varco le opere di successo ` il caso come abbiamo detto di Napoli milionaria! tratte da altri generi. E a cui la critica riservera` un’accoglienza molto contrastante. Eduardo, come abbiamo potuto dedurre, e` fiducioso. Un ottimismo giustificato dall’amore e dalla passione con cui ha condotto il suo lavoro. Purtroppo non saranno in tanti a pensarla come lui.

2. L’accoglienza del film da parte della critica Siamo nel settembre del 1950 e Napoli milionaria! film esce nelle 6 sale. L’articolista del “Corriere del Popolo” dopo aver evidenziato la pluriennale esperienza teatrale dei De Filippo, quanto il teatro fosse “nel loro sangue e nella loro carne”, afferma che Eduardo, dopo le numerose presenze in diversi film non sempre di grande qualita`, con Napoli milionaria! riesce a prendersi la rivincita. “Non diro` – dichiara il recensore – che questo film e` tutto cinema, ma nemmeno si puo` dire che sia teatro o cascame di teatro. Direi, se non avessi il timore d’essere frainteso, ch’e` una nuova maniera di esprimersi, di comunicare, di raccontare, di dipingere, di descrivere; direi che e` una trovata ` insomma in qualche inedita, ma dir questo e` poco ed e` molto”. E modo piacevolmente sorpreso da Eduardo regista cinematografico. Nell’articolo rileva, inoltre, come non ci sia sostanziale differenza strutturale tra la commedia teatrale e il film, tranne che per qualche spostamento di personaggio “reso necessario dagli sviluppi dell’azione cinematografica”. Le differenze in realta` sono diverse, e sono di ordine sia strutturale che contenutistico, ma di queste ce ne occuperemo dettagliatamente nel capitolo sull’analisi del film. A sorpren6

“Corriere del Popolo”, Genova, 24 settembre 1950.

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dere il critico e` soprattutto “la nuova espressione di Eduardo: il descrittore visivo, il narratore con la ‘camera’. [...] Una lunga e minuziosa pittura della povera e vivida gente napoletana che vive nel vicolo al Pallonetto, a Santa Lucia, apre il film, lo sostiene e lo conclude”. Il tono drammatico dell’opera e` perfettamente miscelato a quello farsesco “in una pittura sgargiante, manciniana, ottimista e spregiudicata, pietosa e umana”. Rileva, inoltre, come “i motivi farseschi delle beffe ai fascisti, ai tedeschi, agli americani, sembrano essere un leit-motiv legato a tutta la narrazione del film”. Quello degli episodi farseschi e` un tema importante e un aspetto non secondario della poetica eduardiana che, vedremo, non trovera` concordi altri critici. Ovviamente in questi episodi c’e` Napoli, la sua sofferta e al tempo stesso gioiosa antropologia, ma c’e` anche molto di Eduardo drammaturgo, della sua capacita` di miscelare con grande maestria meccanismi di slittamento “tonale” che vanno dal drammatico al farsesco. Per l’articolista la pecca piu` grande del film e` forse il finale quando “perdendo quota soltanto in una parentesi attualistica un po’ ovvia e di scarso mordente” il dramma umano di Gennaro, la sua parabola umana, si disintegra nella realta` politica del tempo. Il riferimento e` alla chiosa finale sul caos politico, le zuffe tra i partiti che regnavano in quegli anni in Italia. L’articolo si conclude con l’elogio di tutti gli interpreti del film, con una menzione particolare per Toto` artefice di “una bella interpretazione, [...] una autentica creazione di personaggio, ben diversa da quelle inqualificabili (o qualificabilissime) brutture, con le quali il comico napoletano ci ha vessato in questi ultimi tempi. Anche di questo dobbiamo essere grati ad Eduardo neo regista del cinema”. Un giudizio questo condivisibile per la direzione e l’interpretazione degli attori, ma alquanto approssimativo, anzi, forse sarebbe il caso di dire ingiusto, per le passate interpretazioni cinematografiche di Toto`, alle quali fortunatamente il tempo ha reso giustizia. Il bilancio del film che ne fa il critico e` comunque in gran parte positivo. 7 Il recensore del “Corriere Mercantile” , invece, dopo aver elogiato le qualita` di Eduardo drammaturgo ed il cast, sottolinea come il vero protagonista del film sia il vicolo del Pallonetto “che riassume e rappresenta tutti gli altri vicoli della citta`, nei quali fermenta la vita grama e festosa della povera gente”. Il giornalista individua nell’episodicita` dell’intreccio l’unico difetto che si possa imputare al film. 7

“Corriere Mercantile”, Genova, 25 settembre 1950.

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Sottolineando questo aspetto, in realta` il critico si contraddice poiche´ l’episodicita` del film deriva proprio dall’inserimento di motivi esterni al basso della famiglia Jovine, che, appunto, si “diluiscono” in quelli del vicolo da lui inizialmente individuato come il protagonista del film. Gli eventi narrati – prosegue il giornalista – si svolgono nel periodo bellico e post-bellico, fatto dei facili guadagni della borsa nera a cui donna Amalia Jovine non riesce a sottrarsi, mentre “don Gennaro, uomo accomodevole e d’una mitezza confinante con la abulia” non riesce ad opporsi. L’articolo prosegue riportando sostanzialmente l’intreccio della commedia teatrale con l’aggiunta del finale che ricalca la scena iniziale, anch’essa assente nella commedia teatrale, quando, dopo dieci anni, si ripropone “la paura che una nuova catastrofe riporti il mondo ai tristi dı`”. Il riferimento e` alla guerra in Corea, al clima di guerra fredda e alla minaccia atomica che incombeva in quegli anni sul mondo. Anche il recensore del “Corriere Mercantile” sottolinea l’ottima interpretazione degli attori, soffermandosi principalmente su quella di Toto`, soddisfatto per averlo apprezzato in un ruolo finalmente “piu` umano che buffonesco”. Infine il critico conclude ricordando le riserve che aveva espresso sul neorealismo che invece scioglie a proposito di Napoli milionaria! “Qui, se realismo c’e` – afferma – non e` quello voluto, aggressivo, dissolvente che poi e` diventato retorica: ma, semmai, un realismo che scaturisce spontaneo dall’atmosfera ambientale, amaramente gaio e gaiamente amaro, che fa ridere perche´ ride, come sa fare la miseria che non conosce l’umorismo tetro ed ha sempre sottomano un mandolino”. Quest’ultima affermazione va letta nel clima di generale ostracismo e scetticismo che la critica italiana riservo` in generale ai capolavori del neorealismo, che evidenzia tutta la miopia e il pregiudizievole approccio che si ebbe nei confronti del nostro nuovo cinema e che non permise loro di capirne la straordinaria portata rivoluzionaria del suo linguaggio. Pochi giorni dopo, il 30 settembre, viene pubblicata la recensione del film anche sul quotidiano “Il Popolo”8 di Roma. Il critico della capitale, dopo aver ripercorso la trama del film, se da una parte evidenzia le “sequenze indubbiamente di rara potenza” e le “situazioni comiche e drammatiche” trattate dal regista con maestria, dall’altra, rileva come egli “abbia indugiato un po’ qua e la` e quanto 8

“Il Popolo”, Roma, 30 settembre 1950.

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succede non sempre mantiene un ritmo incalzante”. Viene notata qualche falla nella tessitura delle scene, senza che pero` specificare chiaramente quali. Afferma, poi, rincarando la dose, che la commedia teatrale “non ha una battuta di troppo, e` costruita veramente a regola d’arte” mentre “nel film, invece, vi e` qualcosa che stagna e quando arriva verso la fine, allorche´ entriamo nel gioco della satira, non ci sembra che il bersaglio sia centrato”. Detto questo, ci pare con acume e obiettivita`, il critico riprende quota sottolineando quanto la “socialita` della commedia [...] e` resa con evidenza, il suo significato ‘‘morale’’ e` costantemente vivo e presente”. Rileva inoltre come Eduardo abbia sdoppiato il personaggio chiave della commedia attribuendone una parte a Toto`. Uno sdoppiamento considerato anche in questo caso felice, poiche´ Toto` “si sveste dei panni rivistaioli per indossare quelli umanamente profondi di un personaggio triste e farsesco allo stesso tempo”. Al critico piace molto anche Leda Gloria nella parte della moglie di Don Gennaro. Infatti “crediamo – afferma – che il merito maggiore di questa affermazione sia da attribuire al regista che ne ha fatto una donna vera, autentica”. Altro elogio al regista va fatto “per aver saputo ottenere dalla Delia Scala effetti che altri suoi colleghi non sono riusciti a registrare”. I complimenti vengono poi estesi anche a Carlo Ninchi, a Mario Soldati nel ruolo del “travet”, a Titina, Giuffre` e Carloni, “elementi del complesso di De Filippo che hanno confermato le doti che gia` conoscevamo”. Il critico, poi, indica la qualita` del commento musicale che “a tratti” considera “il vero protagonista della vicenda, particolarmente nella prima parte”. L’articolo si chiude affermando che “Eduardo come attore non si discute piu`; era il regista che dovevamo vedere alla prova e ci sembra che l’abbia superata con onore”. Una critica tutto sommato buona, ma che ha la pecca d’aver individuato alcune “falle” dell’opera e di non averle sufficientemente analizzate. Quello che, dallo spoglio di questi primi articoli, ci sembra cominci ad emergere con una certa chiarezza e` un generale apprezzamento di Eduardo regista, sia nella capacita` di dirigere gli attori che in quella di descrivere e raccontare con la macchina da presa ambienti e luoghi, mentre sembra comune il giudizio non proprio positivo sulla sua capacita` di sceneggiatore. Questo e` un po’ quello che si legge tra le righe, poiche´, ripeto, non sempre le osservazioni fatte, le intuizioni sull’episodicita` e sulla caduta della tensione rispetto al dramma umano di Gennaro Jovine, sono sostenute da un’adeguata analisi.

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Tommaso Chiaretti de “L’Unita`”9, nel recensire il film, afferma che Napoli milionaria! “fu la prima e resta la piu` significativa commedia di questo dopoguerra. [...] In cui ogni uomo o donna dell’Italia martoriata dalla guerra si e` riconosciuto e ritrovato, povero e indi` feso, ma reso piu` cosciente e duro da una esperienza cocente”. E evidente, da quest’inizio, quanto Chiaretti abbia apprezzato l’opera teatrale e quanto in un certo senso ne abbia atteso il film. L’articolo prosegue analizzando la struttura del film: “dopo aver trasportato quasi intatto il nucleo della commedia sulla celluloide, Eduardo ci ha porto una sorta di quarto atto: ed e` questa la parte del film che porta ` in questo “quarto atto” che Eduardo veramente la data del 1950”. E ` passata la crisi? La famigerata ci dice cosa pensa dell’Italia d’oggi. E nottata? Chiaretti afferma “francamente” di non averlo capito: “per un momento strizza l’occhio e fa vedere un cappello da prete dove era stato un basco fascista; poi si pente e se la prende con certa specie di rivoluzionari da operetta; poi di nuovo sembra che sfotta la Celere, poi dice solennemente che lui non si occupa di politica, quasi al modo di certi qualunquisti un po’ passati”. Il critico, nell’avvertire una certa confusione ideologica in Eduardo, non rileva che questa stessa confusione non e` altro che lo specchio della situazione italiana di quegli anni. L’obiettivo tematico da parte di Eduardo e` centrato, resta da vedere se lo e` anche l’effetto drammatico. Se, cioe`, questo prologo e questo epilogo aggiunto siano piu` o meno efficaci rispetto all’andamento narrativo generale del film. Il critico, prosegue, poi, affermando che “in questo groviglio di cose non chiare, una cosa e` abbastanza limpida. Che Eduardo non ha proprio l’aria di aver scelto la strada migliore. Questo quarto atto non e` il quarto atto della «Napoli milionaria» che abbiamo veduto cinque anni fa al «Salone Margherita». No, questa cosa sembra essere sul piano dei cortometraggi elettorali che Eduardo si presto` a fare prima del 18 aprile”. Eduardo politicizzato, a Chiaretti, com’e` evidente, non piace. Il critico pero` riesce ad apprezzare le sue qualita` registiche. “Basta vederlo nella calda verisimiglianza di certi brani, nell’amore con cui descrive la sua Napoli, nelle sequenze assai belle della occupazione fascista e in quel fuggevole accenno alle quattro giornate. Eduardo potrebbe essere un regista d’eccezione – e lo si vede nella misura con cui ha diretto un bravissimo Toto`. Ma occorre che egli abbandoni il vezzo di voler dire a tutti i costi le «grandi verita`» e il compiacimento 9

“L’Unita`”, Roma, 30 settembre 1950.

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indulgente su motivi troppo facili e di cattivo gusto. Occorre, inoltre, che egli distingua un po’ piu` tra teatro e cinema. La concezione teatrale della maggior parte del film, infatti, lo appesantisce chiaramente e lo rende faticoso”. Sulla concezione troppo teatrale del film ci sarebbe molto da dire, poiche´, a mio avviso, forse, e` proprio questo aspetto a non essere stato rispettato, o meglio, non giusta` proprio l’apertura verso mente trasposto in chiave cinematografica. E l’esterno, verso il vicolo che, se da un punto di vista strettamente cinematografico, da` respiro al film, lo rende piu` godibile, dall’altro allenta la tensione drammatica che nell’opera teatrale era tutta interna al basso e alle relazioni tra i personaggi. 10 Il critico de “Il Paese” nella sua recensione denuncia subito che, rispetto alla commedia teatrale, il film “ad un primo esame appare piu` discutibile, sia nel contenuto che nella realizzazione”. Per il giornalista e` evidente quanto Eduardo, nelle vesti del suo alter ego Gennaro Jovine, odi la guerra e tutto quello che essa produce, ma da “napoletano purosangue”, nonostante si dia da fare, e` costretto ad accettare passivamente le tragiche vicende che la guerra gli impone, in una parola la storia. Rileva troppa rassegnazione in Eduardo, com’e` evidente da questo passaggio: “Il film e` impregnato di questo spirito che chiameremo disfattista se si potesse dare un senso un poco nobile a questo aggettivo: nobile perche´ esso tende, almeno intenzionalmente, a farci disprezzare perfino chi parla di armi”. Il critico si sofferma con maggior puntualita` sui contenuti antropologici del film, notando con sollievo che “Napoli e` finalmente uscita dalle cartoline: e` la vera, autentica Napoli milionaria dei mille e mille luridi vicoli, dove s’annida un’umanita` disperata e al tempo stesso affascinante nella sua miseria; e, tuttavia, questa di Eduardo, non e` che una Napoli minore, fatta di uomini gia` vinti”. Il recensore, sottolineando questi aspetti, sembra dimenticare che Eduardo descrive un’umanita` sopraffatta dalla guerra, cioe` da un destino non prodotto dalla realta` napoletana, ma semmai da essa subita. Non va dimenticato, tra l’altro, che tra i meriti dei napoletani ci fu quello d’aver, con le quattro giornate, scacciato, primi cittadini in Europa, i tedeschi da Napoli. Un merito che in qualche modo Eduardo evidenzia, aggiungendo nel film, come gia` ricordato, una sequenza della mitica sommossa popolare. Il giornalista apprezza l’uso che Eduardo fa della macchina da presa che “scorre veloce, quasi con tono 10

“Il Paese”, Roma, 30 settembre 1950.

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documentaristico sulle terribili vicende di questi ultimi dieci anni”. Piu` pregnanti, anche se non esaustive, appaiono le osservazioni dal punto di vista della struttura narrativa, poiche´ il critico afferma che “il film si rivela discontinuo, frammentario, a tratti debole”. Ritorna l’episodicita` della trama a cui faceva cenno il critico del “Corriere Mercantile”, segno di una lacuna ormai evidente a molti critici. Il giornalista, pero`, subito dopo si affretta ad affermare che “i suoi pregi e la sua vivacita` largamente pareggiano la bilancia, esso resta comunque un’opera da vedere e da meditare: benche´ mai vi si prenda una posizione decisa al di fuori di un netto, sospirato pacifismo”. Ritorna anche in questo caso l’appunto fatto dal critico de “L’Unita`” che avverte, specie nel finale, un certo qualunquismo ideologico. L’articolo si conclude, come di prassi, con il solito elogio agli interpreti ormai unanimemente apprezzati. 11 Nella sua recensione, il critico de “Il Tempo” , dopo aver anch’egli ripercorso brevemente la trama del film, evidenzia come Eduardo, trasportando sullo schermo le vicende teatrali, abbia dovuto “far posto a quegli elementi di contorno che, sulla scena, erano stati accennati solo di sfuggita: tedeschi, borsa nera, furti, miseria, mutamenti politici”. Il critico osserva come questi elementi il piu` delle volte sono risolti in chiave “farsesca che non e` sempre giunta a fondersi col clima drammatico (se non addirittura melodrammatico)” presente nell’opera teatrale. Asserzione, questa, ampiamente condivisibile, specialmente quando poi, prosegue affermando che “un tale squilibrio, mentre da una parte ha condotto De Filippo a ripetere senza troppa originalita` il repertorio ormai piu` o meno accreditato di una determinata epoca storica, dall’altra gli ha impedito di esprimere, con poetica verita`, attraverso i casi dei suoi protagonisti, quell’accorata polemica che era il motivo piu` fervido della sua fatica teatrale: una dubbia posizione ideologica, anzi, e una inattesa indulgenza per gli accenti piu` spiccioli della meno nobile satira” che hanno finito “per privare il suo appello dell’antica serieta` e hanno fatto scadere in piu` punti il film a quel livello di macchiettismo vernacolo cui non e` mai giunta l’intelligenza di Eduardo autore teatrale”. Insomma, l’aver troppo giocato con la satira, con gli episodi farseschi, ha privato il film di quella tensione drammatica che nell’opera teatrale, se si esclude l’unico, e per questo molto efficace, momento in cui di Gennaro Jovine si finge morto per evitare la per11

“Il Tempo”, Roma, 30 settembre 1950.

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quisizione del brigadiere Ciappa, e` fortemente presente. Per il critico, a quanto ci sembra di capire, e` questa “diluizione” dell’originario plot teatrale a far cedere la tensione del film. L’articolo si conclude con la citazione degli interpreti considerati “generalmente felici, ma non di rado atteggiati a gesti ed espressioni un po’ troppo coloriti”. La recensione del critico del Tempo, tra quelle vagliate finora, sembra la piu` lucida e pertinente, soprattutto quella che riesce con maggiore precisione a sottolineare le differenze sostanziali tra l’opera teatrale ed il film. 12 Vittorio Ricciuti, critico de “Il Mattino” , nella sua recensione del film afferma che Eduardo “aveva schiusa la porta di un basso, di un tipico basso napoletano, e si era seduto accanto a coloro che l’abitavano, limitandosi a studiare, ad approfondire, ad analizzare la vita di quel basso ed a renderne con accenti d’una rara verita` le ansie, le gioie, i dolori, le delusioni, le amarezze. Nel film egli rivela delle ambizioni piu` vaste. Il basso diventa il vico e il vico diventa Napoli. E la vicenda si allarga, le figure medesime di essa si moltiplicano, la commedia, che si concludeva con quella amarissima, ma fiduciosa battuta di Gennaro Jovine: «Adda` passa` ’a nuttata!», si proietta nel tempo e passano altre notti, Napoli vive, dopo anni, la sua stessa ed eterna vicenda, una vicenda che dura da secoli come una condanna”. Il critico prosegue mettendo in evidenza come “tutta la parte descrittiva della vecchia Napoli e` resa con efficacia, movimento, colore”. Il giornalista sottolinea poi che “anche dove potrebbe sembrare” che la rappresentazione cada nella denigrazione, Napoli milionaria! e` comunque “un’opera di poesia”. Per lui l’autore non offende, non condanna, non biasima. “Mancava tutto e Napoli doveva difendersi. E si e` difesa. Ma si e` difesa per bisogno, senza compiacersi del vizio e del fango”. Infatti, prosegue il recensore, “Amalia [...] ha avuto il torto di non sorvegliare la figlia gia` grande, ma quando Settebellizze la insidia, non si da`, si ricorda di suo marito, della famiglia, di essere sempre stata una donna onesta”. I personaggi di Eduardo anche quando sono posti nelle condizioni piu` estreme non si perdono mai fino in fondo, conservano sempre un lembo di onesta`, di dignita`, di orgoglio umano. Allo sbaglio, in qualche modo, ci si arriva a causa dalle condizioni in cui si vive, piu` che per una vera e propria inclinazione personale. Come una sorta di contaminazione a cui e` difficile sottrarsi, poiche´ e` la stessa guerra la madre di tutti i mali. La sua e`, insomma, da leggere 12

“Il Mattino”, Napoli, 1 ottobre 1950.

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come una sorta di assoluzione, di giustificazione motivata dagli effetti nefandi che la guerra produce. Com’e` evidente la critica del giornalista de “Il Mattino” si sofferma piu` sugli aspetti contenutistici, sulla “moralita`” del film, che sugli aspetti formali. Infatti prosegue affermando che Eduardo disegna “magistralmente la figura dell’umile tramviere, il quale si accorge che la disonesta` dilagante con la guerra e` giunta fino al suo basso e ne ha varcato la soglia, ma non sa, non puo`, non riesce a riportare i suoi sulla retta strada, finche´ la malattia della piccola Rita non costituisce per tutti un doloroso risveglio”. La malattia, il rischio di morte, la necessita` di trovare un medicinale, irreperibile nel mercato nero, fanno comprendere ad Amalia e alla famiglia Jovine che speculare sulla pelle, sulla fame e la disperazione degli altri non e` giusto. Tra gli interpreti, il giornalista, dopo Eduardo apprezza la prova data da Titina “la migliore, anche se sacrificata nella parte di Adelaide”, un’amica dei coniugi Jovine. Ricciuti, poi, conclude giudicando l’interpretazione di Toto`: pur apprezzando la sua “amenita`” il critico non riesce a spiegarsi il suo “inserimento”, considerando il suo utilizzo, dal punto di vista drammatico, “troppo farsesco”. Per ultima analizziamo la recensione di Alberto Moravia apparsa 13 sul settimanale “L’Europeo” . Moravia, dopo avere ripercorso la trama del film, esprime alcune considerazioni riguardanti la commedia teatrale. “La commedia aveva un primo e secondo atto molto efficaci – afferma lo scrittore – di schietta descrizione di vita napoletana. La trovata del finto morto disteso sul letto sotto il quale erano ammucchiati i sacchi della borsa nera, aveva un brio indiavolato degno della migliore tradizione comica, da Aristofane a Molie`re”. Nel terzo atto, invece, in cui si descrive il caso della bambina salvata in extremis dall’impiegato, la commedia “scadeva, appunto, per colpa del sentimentalismo dialettale, cosı` facile e pericoloso”. La storia della bambina malata, rileva lo scrittore, “e la morale che ne traeva, a mo’ di conclusione, il saggio protagonista, sapevano purtroppo di libro di lettura per le scuole elementari. Si avvertiva che una tal moraletta, artisticamente superflua, era anche eticamente inadeguata a un fenomeno cosi doloroso e complesso come quello del disgregamento e della corruzione del dopoguerra. E la combinazione dell’impiegato, un tempo strozzato dall’usuraia, solo possessore in tutta la citta` della miracolosa penicillina, aveva il carattere fastidioso di un 13

“L’Europeo”, Roma, 8 ottobre 1950.

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provvidenziale deus ex machina”. Si puo` anche essere d’accordo con l’autore de Gli indifferenti quando definisce la “moraletta” della commedia “artisticamente superflua”, ma non quando la definisce “eticamente inadeguata”, poiche´, come ampiamente dimostrato nel secondo paragrafo del secondo capitolo, l’affermazione dell’etica di Gennaro corrisponde ad un’intuizione profonda dei meccanismi che possono condurre alla guerra. Moravia passa, poi, ad analizzare il film affermando che qui, “molti di questi difetti scompaiono. [...] Prudentemente Eduardo De Filippo e i suoi collaboratori hanno respinto in secondo piano l’esile e convenzionale intreccio e hanno soprattutto mirato a darci una descrizione quasi documentaristica della Napoli popolare di quegli anni tumultuosi. Il vero protagonista del film e` dunque il vicolo napoletano, con i suoi bassi e la sua formicolante e rumorosa popolazione”. Moravia ravvisa, quindi, nello scioglimento dell’esile intreccio della commedia un fattore positivo, cosa che, come abbiamo visto, per altri critici faceva scadere il film in un’episodicita` non funzionale alla vicenda umana della famiglia Jovine. Moravia, cogliendo nel personaggio interpretato da Eduardo De Filippo “lo spirito arguto e rassegnato della sua citta`”, non evidenzia quanto questa rassegnazione, diversa dall’intraprendenza di donna Amalia, sia alla base del contrasto familiare maritomoglie, sul quale si reggeva l’intera struttura della commedia. Questo contrasto, ripeto, molto forte nella commedia, nel film sfuma notevolmente, fino quasi a scomparire, contribuendo ad eliminare quel conflitto antitetico che ne era la forza propulsiva. Gennaro Jovine e` in fondo cosi remissivo, cosi “comprensivo” perche´ questo suo atteggiamento serve ad Eduardo a creare il conflitto con la moglie. Ma di questo e di tanti altri aspetti e diversita` parlero` piu` dettagliatamente nel capitolo sull’analisi del film. Moravia sottolinea, poi, un aspetto formale del film, affermando che “il procedimento non nuovo, proprio al verismo ottocentesco”, che consiste “nel rappresentare una folla intera alla luce di un minimo fatto, viene spesso adoperato con rozza ed elementare efficacia”. Asserzione questa che sembra contraddire quella precedente, cioe` quando Moravia afferma che Eduardo e i suoi collaboratori hanno “prudentemente respinto in secondo piano l’esile intreccio”, per dar spazio al vicolo, “vero protagonista del film”. La recensione prosegue, sottolinenando gli spunti documentaristici: “piu` volte vediamo la macchina da presa scorrere su e giu` tra le case miserabili del vicolo, sui muri scalcinati, sui pavimenti fangosi e sparsi di detriti, per le tante facce di poveri,

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industriosi e allegri napoletani”. Insomma a quanto pare per Moravia il procedimento ottocentesco, di verghiana ascendenza, se dal punto di vista drammaturgico appare “rozzo” ed “elementare”, dal punto di vista visivo, piu` strettamente cinematografico, risulta efficace. Anche qui, quindi, viene stimato positivamente l’Eduardo regista, creatore di immagini Lo scrittore prosegue affermando che “anche le conclusioni qualunquiste del film, sulla vita pubblica italiana, ci convincono molto poco. Il film, insomma, si regge soprattutto sulla descrizione documentaria e sulla recitazione degli interpreti. Eduardo De Filippo e la sua compagnia sono eccellenti. Toto` in una parte felice, delinea con bravura un carattere tipicamente napoletano di poveraccio che vive di ripieghi. La morale del film e` di molto superiore a quella della commedia e val la pena di riportarla: «In ogni paese ci sono gruppi di buoni che non pensano che al bene della gente. Ma quando i buoni di un paese non si mettono d’accordo con i buoni di un altro paese, allora viene la guerra». Non si poteva definire meglio l’assurdita` del nazionalismo”. Nel concludere cosi il suo articolo, Moravia, a mio avviso, non coglie l’ironia con la quale Eduardo definisce “i buoni di un paese”, evidentemente considerandoli dei buoni a nulla (poiche´ incapaci di salvaguardare la pace), mentre acutamente rileva quanto gli interessi nazionali spesso siano in conflitto con problematiche sopranazionali come la pace e il rispetto dei diritti degli altri popoli. In generale, come abbiamo potuto constatare, la critica apprezzo` il film di Eduardo, seppur con qualche riserva, sia contenutistica che formale. Il fatto che il film fosse tratto dall’opera teatrale, in qualche modo costrinse i recensori a considerare le differenze tra le due versioni, tralasciando spesso di mettere a fuoco gli aspetti prettamente “cinematografici” dell’opera. Di giudicare, cioe`, il film come un’opera a se´ e non derivata da un’altra. Cio`, per i motivi che abbiamo precedentemente specificato, era impossibile. Un altro elemento che certamente ha concorso a determinare questa mancata valutazione formale e` l’aspetto contenutistico del film; la guerra e i suoi mali, la sua incidenza sugli uomini. Temi che, trascorsi solo cinque anni dalla fine del secondo conflitto mondiale, avevano ancora un fortissimo peso nella vita di tutti ed erano, quindi, ancora molto sentiti. Ovviamente, anche in questo caso, soffermarsi su di essi era inevitabile. Tra le varie recensioni qui analizzate, quella che fra tutte appare piu` pertinente, poiche´ si sofferma con precisione sugli aspetti formali, e` quella del critico de “Il Tempo” che riesce a

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mettere a fuoco gli elementi presenti nella commedia teatrale che nella trasposizione cinematografica vengono in qualche modo ad essere svalutati. La “diluizione” del plot originario, l’apertura del basso al vicolo, l’allargamento ad altri personaggi di funzioni drammatiche e la descrizione documentaristica dei casi ruotanti attorno alla famiglia Jovine, hanno l’effetto di sottrarre tensione al dramma umano e familiare degli stessi e quindi al film. Questi elementi dell’intreccio che Moravia considera deboli e, specie nel finale, troppo moralistici, vengono sostituiti da elementi descrittivodocumentaristici che ne ampliano lo spettro narrativo. Insomma, la sensazione che si ha e` che il film, avendo tra l’altro un prologo ed un epilogo in piu` rispetto all’opera teatrale, perda di tensione e di profondita`, non riesca a parlare al cuore come invece aveva saputo fare la Napoli milionaria! andata in scena al San Carlo il 26 marzo del 1945. Il film, comunque, per le novita` apportate, per i temi trattati, nuovi anche dal punto di vista politico, per la crudezza con cui descrive i comportamenti a cui furono costretti i napoletani in quegli anni, produrra` una serie di aspre polemiche, delle quali ci occupiamo nel prossimo paragrafo.

3. Le polemiche dopo l’uscita del film “I democristiani hanno dichiarato guerra a Eduardo De Filippo”. 14 Cosi l’inviato a Napoli di “Paese Sera” informa che “il sen. Colasanto, noto esponente delle A.C.L.I e uomo di fiducia del Card. Ascalesi”, ha rivolto una interrogazione parlamentare al Presidente del Consiglio “per sapere perche´ e` stata permessa la diffamazione di una nobilissima citta` nel film Napoli milionaria! Il sen D.C. arriva persino a chiedere che vengano soppresse alcune scene del film”. A pochi giorni dall’uscita del film, scoppia il caso Napoli milionaria! La rappresentazione che Eduardo fa di Napoli e dei napoletani durante la guerra viene accolta da alcuni esponenti politici democristiani come un’offesa alla dignita` di Napoli e dei suoi cittadini. Un altro film su Napoli e un’altra protesta di quella nobile citta` per lo scempio che si e` fatto del suo decoro e delle sue sofferenze. Ma ormai il “cliche´” e` creato e la fantasia dei nostri produttori cinematografici

14

“Paese sera”, Roma, 7 ottobre 1950.

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non rinuncera` certo a sfruttarlo sino a piu` degradanti sottoprodotti. Napoli deve apparire una fonte di miseria morale, di corruzione e di lustrascarpe e non la citta` che affronto` serenamente cento e cento bombardamenti e sopporto` il maggior danno della guerra e il piu` tragico peso della “liberazione” che la dette in preda ai negri e ai marrocchini. Questa Napoli trasformata in un bordello a servizio degli occupanti, e abitata da un popolo di ruffiani e di donne rassegnate che non sa trovare altra strada per sfamarsi oltre il piccolo imbroglio e la prostituzione e` quella che piace all’estero ed ha soppiantato anche le vecchie oleografie di S. Lucia e Marechiaro. E siccome quando si diffama e si oltraggia i film anche mediocri girano per il mondo, la corsa alla vergogna non si arresta e contagia tutti gli attori e i registi piu` in voga. Dopo “Sciuscia`”, “Tombolo”, “Ladri di biciclette”, “Paisa`”, eccetera, ecco dunque “Napoli milionaria!” che anche De Filippo, napoletano, ha acconsentito ridurre ad una nuova contaminazione. 15 Fin qui, Calvino, nel suo articolo su “Fuso e Navetta” , cita il n˚ 42 del settimanale satirico romano “Asso di Bastoni” che conclude cosi il pezzo apertamente contro il film di Eduardo:

Pero` il discorso sara` inutile sino a quando i fondi continueranno a dare il tributo delle loro tasche a tanta robaccia. Che se un giorno questi sfruttatori delle miserie umane – per loro la fame di Napoli si e` trasformata in oro sonante – vedranno le sale vuote cambieranno registro. Non c’e` altra strada: colpirli nella tasca e cioe` l’unica corda sensibile per siffatta spregevole genia. Napoli ha percio` l’arma per rispondere, e con lei tutta Italia. Pero` che schifo!”.

Questo Calvino legge il mercoledı` e riporta nel suo articolo. Le accuse sono dure e dirette. In sostanza, si accusa Eduardo di strumentalizzare Napoli a fini economici, di “vendersi” Napoli. Il giorno dopo, giovedı`, Calvino legge sul quotidiano napoletano “Il Mattino d’Italia”, nella pagina della cronaca cittadina, un invito alla visione di Napoli milionaria! che da due settimane continua le sue trionfali repliche al cinema Modernissimo. La cosa, ovviamente, lo infastidisce non poco. Il giornalista trova assurdo che addirittura si pubblicizzi un’opera cosi apertamente diffamatoria nei confronti di Napoli. A tale 16 proposito viene in mente a Calvino che Caradonna “intento` causa”

15 16

“Fuso e Navetta”, Napoli, settembre 1950. Caradonna e` stato un’importante sceneggiatore del cinema italiano del dopoguerra.

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all’Incom17 “perche´ in un documentario c’era nella colonna sonora una frase che non rispondeva al vero e quindi ritenuta oltraggiosa”. Caradonna, ricorda il giornalista, riuscı` ad ottenere prima il sequestro della pellicola e poi, vinta la causa, la soppressione di quel tanto della colonna sonora incriminata e poi circa 50 milioni di risarcimento per danni morali. Calvino prosegue affermando che si potrebbe obiettare che “c’e` differenza tra documentario e film in genere in quanto l’uno e` narratore di fatti accaduti, quindi cronaca, l’altro e` parto artistico in cui insieme a fatti c’e` la fantasia dell’artista”. La risposta che Calvino si da`, se vogliamo retoricamente, essendo ormai chiaro il suo atteggiamento nei confronti del film di Eduardo, e` che, per lui, “nell’uno e nell’altro caso l’offesa, la calunnia, l’oltraggio, il vilipendio sono condannabili e perseguibili a termine di legge”. Si potrebbe ancora obiettare, afferma Calvino, in questa sorta di dialogo monologo, che, nel caso di Caradonna, “l’offesa era individuale e quindi Caradonna ha potuto reagire, ma quando si tratta di tutto un popolo chi e` che prende le sue difese?”. Per Calvino anche questa volta la risposta e` semplice: “Ma non c’e` il primo cittadino di Napoli, cioe` il sindaco, in cui debbono rispondere al massimo grado tutta la sensibilita` e la dignita` del popolo che rappresenta?”. Per Calvino chi avrebbe dovuto insorgere era quindi il Sindaco e, con lui, l’intera Giunta Comunale rappresentante tutti i cittadini napoletani. Una reazione che, con rammarico, registra non essere avvenuta. E pure rileva che “non e` molto che la Giunta ha scagliato l’anatema contro un libro ritenuto offensivo alla citta` che gia` «Napoli milionaria!» pensa a tramandare nel mondo quanto di «piu` basso» si possa immaginare destando un’impressione pessima di quel popolo tanto generoso”. Il libro a cui fa cenno Calvino e` La pelle di Curzio Malaparte che, per la crudezza e lo squallore degli episodi narrati, provoco`, alla sua uscita, una serie di aspre polemiche, non dissimili a quelle sorte con Napoli milionaria! Calvino insiste nell’affermare quanto la sete di denaro abbia spinto “produttori e regista a generalizzare episodi individuali gettando fango in faccia a tutti i cittadini”. Sostanzialmente Calvino sostiene che, mostrare, come fa Eduardo, i comportamenti come quelli ai quali i napoletani furono costretti dalla guerra sia fare un enorme torto a Napoli, poiche´, quei comportamenti non furono generalizzati, bensı` singoli. Per lui, quindi, libri come La pelle e film come Napoli 17

La Settimana Incom e` stato il cinegiornale che dopo la guerra sostituı` i cinegiornali dell’Istituto Luce.

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milionaria! non fanno altro che insozzare l’onorabilita` di Napoli e dei napoletani. In altre parole, la sua paura piu` grande e` che queste opere possano diffondere un pregiudizio sulla citta` di Napoli, un’idea negativa che funzioni come un marchio indelebile per i napoletani. Tutto cio` per Calvino e` inaccettabile e vorrebbe che si prendessero dei provvedimenti, poiche´ “ne´ le interrogazioni parlamentari ne´ le prote` ste sui quotidiani sono servite a cambiare questo stato di cose”. E vero, ammette Calvino, che “c’e` una parte, e non trascurabile, del popolo napoletano che poco s’interessa di cio` che accade, apatia dovuta allo stato in cui si vive”, ma si chiede, poi, con forza “possiamo noi sopportare che per l’apatia di alcuni debba tacere quel senso di orgoglio e di dignita` che nobilita la nostra personalita` di uomini e di popolo?”. Francamente l’indignazione del giornalista nei confronti di Napoli milionaria! ci appare esagerata, poiche´ nel criticarla cosı` aspramente paradossalmente egli stesso non ne coglie l’insito grido d’indignazione. Di fatto questo stato di cose, queste polemiche, ci dicono molto su quanto “i mali di Napoli”, a cinque anni dalla fine della guerra, rappresentino ancora un nervo scoperto per i napoletani che vorrebbero la propria citta` diversa. Chiunque e` libero di indignarsi, ma il suo richiamo al decoro, al pudore, alla dignita`, non puo` trasformarsi in censura, in impossibilita` di dire, tanto piu` che certi mali, come la borsa nera, la prostituzione, la violenza dei militari alleati durante la guerra, come abbiamo dimostrato nel primo capitolo, sono stati fenomeni storicamente accertati. Nel suo articolo Calvino lamentandosi dell’immagine che Napoli, e con lei l’Italia, possa dare all’estero, si chiede cosa potranno pensare di noi coloro i quali vedranno Napoli milionaria! Si chiede soprattutto “fino a quando il popolo napoletano sopportera` passivo questo stato di cose?”. Se in questa sua presa di posizione, che in sostanza e` un grido d’orgoglio in difesa di tutti quei napoletani che lavorano nel rispetto della legge e della propria dignita`, c’e` del positivo, non e` certamente nell’attacco diretto al film di Eduardo, almeno non nel suo spirito strumentale, ma nel monito che egli lancia ai napoletani, di non essere passivi, di ribellarsi a “quei mali” che la storia spesso impone di sopportare. 18 Il 9 ottobre su “Il Mattino” di Napoli appare un articolo di Carlo Siviero che si puo` definire un perfetto ibrido tra una recensione e un’invettiva polemica. Siviero considera che “fra tanta produzione che dilaga, cio` che piu` rattrista e` che dallo scellerato episodio 18

“Il Mattino”, Napoli, 9 ottobre 1950.

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dell’ultima guerra, con le fatali conseguenze che ne derivarono dovunque (a Napoli come a Marsiglia, a Roma come a Berlino) di decadimento di ogni senso morale, si siano ispirati scrittori, registi e drammaturghi per mettere in rilievo, consacrati dalle forme dell’arte, episodi che, per un momento insozzarono l’anima umana”. Quindi, prosegue il giornalista, “dopo Sciuscia` ecco Napoli milionaria! (me ne duole per Eduardo De Filippo) che porta in trionfo sugli schermi (speriamo soltanto su quelli italiani) tipi e costumi che rappresentano la sventurata umanita` napoletana sotto la piu` volgare e fastidiosa luce morale: donne votate all’adulterio, fanciulle che si danno agli invasori, siano pure americani, e borsari neri e strozzini e giovanetti che si addestrano a rubare; infine il personaggio su cui dovrebbe imperniarsi tutta la farraginosa vicenda, un tale Jovine, tornando dal campo di concentramento trova la casa arricchita con mobili e vasellame e biancheria, un benessere inusitato; e nel benessere di codesta nuova esistenza, senza nemmeno informarsi da quale cespite sia sbocciata tanta abbondanza, si adatta a vivere la vita comoda che, nella sua assenza, s’e` creata l’esemplare famigliuola”. Il tono e le affermazioni fin qui riportate evidenziano chiaramente l’ostilita` del giornalista nei confronti del film di Eduardo e del cinema neorealista in genere. Sciuscia` e` considerato uno scempio al pari di Napoli milionaria! C’e` da dire che, purtroppo, furono questi, in linea di massima, i parametri con cui all’epoca fu giudicato il neorealismo. Cosa che non fu certamente un buon servizio che la critica italiana rese alla cinematografia nostrana. Come infatti sappiamo fu la critica francese, quella de “La Revue du Cine´ma” di Jean-Georges Auriol, a cogliere l’enorme portata rivoluzionaria che il nuovo cinema italiano stava producendo. Ma ritorniamo a Siviero. In sostanza, quindi, per lui “i panni sporchi”, quando ci sono, poiche´ dalle sue affermazioni sembra che gli episodi raccontati da Eduardo, quasi non siano mai accaduti, “andrebbero lavati in famiglia”, rimuovendo cosi una pagina dolorosa della storia italiana. Siviero prosegue, poi, affermando che durante la visione del film “notavo che la` dove si doveva suscitare un moto di pieta`, si levava una franca risata collettiva; e non so dire la mia sofferenza dinanzi alle gesta di codesti napoletani, di pura invenzione, su i quali Eduardo a furia di pennellate colorite ha finito di stendere un velo di artificio che, spesso, come ho detto, e` denigratorio come certe pagine di Malaparte”. Ritorna il parallelo tra Eduardo e Malaparte, entrambi rei d’aver con i loro racconti oltraggiato Napoli e i suoi cittadini. C’e` da dire che si potrebbe anche

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essere d’accordo con Siviero quando afferma che “certe pennellate” di Eduardo sanno di artificioso, di certo non lo si puo` essere quando mette in dubbio l’esistenza di certi comportamenti ed episodi avvenuti durante la guerra. Quella di Siviero e` un’indignazione per la sua citta` che sembra trovare sollievo nella lettura sui giornali di quei giorni della notizia che “migliaia di bandierine hanno sventolato ieri, dall’alba alla sera, sui trofei delle vetture tramviarie milanesi. La cittadinanza non ha festeggiato un avvenimento meneghino, ma napoletano, un avvenimento che onora i fratelli di Napoli: l’inizio della resistenza ai tedeschi degli scugnizzi. Inutile dire che tutti i napoletani residenti a Milano si sono oggi mostrati particolarmente fieri della manifestazione di ammirazione dei milanesi”. Durante la guerra ci furono anche momenti in cui il popolo napoletano mostro` un eroico coraggio, come durante le quattro giornate di Napoli. Ma Siviero non evidenzia, forse perche´ non ha letto il testo teatrale, che proprio nel film l’episodio delle “quattro giornate”, assente nella commedia, anche se solo tangenzialmente, e` invece presente. L’articolista prosegue, poi, la sua filippica chiedendosi indignato quando, questi napoletani degni del nome, “protesteranno contro tanta paccottiglia che continua a denigrarli dentro e fuori i confini del paese?”. Domanda che in realta` e` una sollecitazione ad una ribellione etica e morale da parte di tutti i napoletani “sani” contro tutti coloro che continuano a rappresentare Napoli in modo cosi diffamatorio. Ma non finisce qui. A conclusione dell’articolo viene pubblicato un editoriale del direttore de “Il Mattino” che ha lo scopo, da una parte, di motivare la pubblicazione dell’articolo di Siviero e, dall’altra, di sottolineare la sua posizione nei confronti del film. Vedremo come quest’articolo sia una sorta di diplomatica mediazione tra i detrattori di Eduardo ed Eduardo stesso, che il direttore tende umanamente ad assolvere. Il direttore afferma che “in questi giorni” sono pervenute al giornale “parecchie lettere” e “tutte rispecchiano gli stessi sentimenti” di Siviero. L’editoriale cita nomi e indirizzi dei mittenti, affermando che “il pubblico sa essere nostro costume dare, sulle nostre colonne, larga ospitalita` alle opinioni e alle voci che ci giungono”, ma per evitare “uno stillicidio di proteste, press’a poco equivalenti, e riecheggianti gli stessi motivi, abbiamo preferito pubblicare, per tutti, l’articolo di Siviero. Per parte nostra, pur comprendendo perfettamente il punto di vista dell’illustre amico Siviero, e dei lettori che ci hanno scritto, pure condividendo, in parte, i loro apprezzamenti, crediamo che Napoli sia, in realta`, molto meno toccata dal

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LA NAPOLI MILIONARIA!

film di De Filippo, di quanto essi, nel loro geloso amore di figli, ritengono. Non bisogna credere che il pubblico cinematografico sia cosi pronto a generalizzare, e a ritenere che gli episodi presentati dinanzi ai suoi occhi siano la norma. Sono anni che, su Napoli, e sulla vita napoletana di questo dopoguerra, si sono dette, stampate, proiettate le storie piu` fantasiose; sono anni che si sono andati a prendere gli episodi isolati piu` dolorosi per puntare su di essi tutti i riflettori della pubblicita`. Ma noi giriamo per l’Italia, parliamo con forestieri; e vediamo e sentiamo, che tutti sanno benissimo essere Napoli citta` moralmente sanissima; la piu` sana, forse, delle grandi citta` italiane. (...) Napoli ha piu` amici, nel mondo, di quanto essa stessa non sospetta; e la sentenza di quel magistrato torinese, il quale ha sentenziato che l’appellativo ‘‘Napoli’’ costituisce ingiuria, e` per ogni persona di buon senso una specie di cappellone piedigrottesco che quello sventurato s’e` ficcato in capo da solo”. Detto questo il direttore affronta il tema esprimendo su Napoli milionaria! una considerazione di carattere tecnico che sembrerebbe portare acqua al mulino di Eduardo: “Il film del De Filippo – afferma – e` stato tratto da una sua notissima e applauditissima commedia. Molti episodi del film, dunque, sono gia` comparsi sul palcoscenico; nessuno ci ha trovato a ridire. Sono gia` stati stampati e nessuno s’e` accorto ch’essi fossero offensivi. Da cio` De Filippo ha dedotto che poteva presentarli anche sullo schermo”. Il direttore, ribaltando l’affermazione, prosegue asserendo che “e` qui che De Filippo ha sbagliato; perche´ un episodio un po’ crudo sulla scena ha un valore, e sullo schermo ne ha un altro. Il cinema colpisce di piu`, non ha le sfumature, che un grande artista puo` dare in scena”. Osservazioni chiare, ma del tutto arbitrarie, poiche´ e` evidente che tra teatro e cinema esistono delle differenze, e anche sostanziali, ma non ci sembra che sia la possibilita` del teatro di “sfumarle” la condizione per cui un accadimento possa essere rappresentato o meno. Ci sembra che il direttore si preoccupi di piu` del fatto che il cinema, essendo possibile, riesumando Benjamin, riprodurlo infinite volte e rappresentarlo contemporaneamente in infiniti luoghi, sia per questo piu` efficace e, quindi, piu` pericoloso del teatro. Francamente un discorso del genere, che in realta` e` una censura, ci appare inaccettabile. Il direttore, non contento, prosegue il suo editoriale con un’altra osservazione, questa si condivisibile, di carattere morale: “Qualunque sia il giudizio che si da sul film del De Filippo, e` da escludersi, a nostro avviso, che il De Filippo abbia avuto il proposito di diffamare la sua citta`, di esporla al ludibrio.

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LA RICEZIONE DEL FILM

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Coloro che lo conoscono, sanno quale devozione egli le consacri nel cuore. Forse il De Filippo si lascio` fuorviare, in certi episodi, dai canoni di un certo realismo che finisce poi, come nota il Siviero, per essere un po’ di maniera”. Il riferimento e` al neorealismo che, come abbiamo visto, anche il Siviero artisticamente e moralmente deplora. Il direttore prosegue, poi, affermando che De Filippo “forse si lascio` prendere un po’ di mano da simpatie ideologiche che sono, in fondo, una debolezza e una remora per la sua grande potenza di artista”. Il direttore si riferisce alle simpatie “a sinistra” che Eduardo aveva apertamente dichiarato. “Ma che egli abbia voluto nuocere a Napoli, non lo crederemo mai. Non lo crederanno, del resto, in fondo – se appena hanno la calma di riflettere un attimo – neppure coloro che dopo aver veduto il film, sono ritornati a casa infuriati, ed hanno afferrato la penna e hanno scritto ab irato al direttore del Mattino”. In sostanza il direttore del piu` importante quotidiano napoletano dal punto di vista umano assolve Eduardo, poiche´ considera il suo operato in buona fede; dal punto di vista artistico, invece, lo condanna, poiche´ considera un errore avergli dato tale risonanza traducendo l’opera cinematograficamente. Essendo i fatti raccontati da Eduardo veri, il direttore avrebbe potuto al massimo, argomentandolo tecnicamente, “accusarlo” d’essersi male espresso artisticamente. Il suo appunto fondamentale, quindi, quello d’aver tradotto da un genere all’altro l’opera, e` del tutto ideologico ed arbitrario. Come se Benedetto Croce non avesse mai detto che bisogna giudicare l’opera e non le intenzioni o le circostanze che l’hanno evidentemente prodotta. Il giorno successivo, il 10 ottobre, viene pubblicata su “L’Uni19 ta`” un’intervista ad Eduardo, ad opera del giornalista Casiraghi. L’incontro avviene a Milano e le polemiche, come abbiamo appurato, sono gia` scoppiate. Casiraghi si sofferma innanzitutto su alcune trasformazioni apportate da Eduardo nel passaggio dalla commedia al film e afferma d’avere l’impressione che “sdoppiare il personaggio di Gennaro, affidando nel film una parte a Toto`, ha contribuito certamente a rendere piu` vivace il film, ma ha tolto un po’ della forza umana che era nel personaggio della commedia”. La risposta di ` esatto, lo penso anche io”. Eduardo e` semplice e sintetica: “E Casiraghi prosegue con le sue considerazioni: “Le diro` poi che,

19

“L’Unita`”, Genova, 10 ottobre 1950.

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LA NAPOLI MILIONARIA!

quando il grande cappello da prete20 copre tutti gli altri, ho creduto che il film finisse. Per me quella era la giusta conclusione”. Eduardo ` vero, verissimo. Tutti noi che abbiamo lavorato al risponde cosi: “E film, abbiamo pensato che quella era la giusta conclusione. Il resto, quello che viene dopo, e` soltanto un modo di postillare l’opera”. L’intervista prosegue, poi, con l’analisi del film fin quando Casiraghi chiede al drammaturgo napoletano come abbia accolto le critiche dei giornalisti. Eduardo a questo punto cambia registro e afferma con decisione d’essersi sentito tartassato. “Certi giornali hanno scritto che io denigravo Napoli. Ma io, egregi signori, i bassi «li ho ripuliti». Eppoi cosa deve fare l’artista se non «denunciare» uno stato di cose? Questo e` il nostro compito. Io non ho denigrato Napoli. Ma in altri film faro` vedere com’e` veramente, faro` vedere gli interni, faro` vedere tutta la realta` di Napoli. Questa sara` la mia risposta a quei giornalisti (e anche a certi onorevoli). La miseria c’e` veramente. Ed io la denuncio. Quando sono andato a fotografare certi quartieri popolari, io ed altri fotografi siamo stati scambiati per agenti del genio civile. Allora e` corsa la voce che si stava demolendo quella parte della citta`, la gente e` uscita dalle case, da quei tuguri che sono l’unico rifugio del popolo napoletano. E una donna, una vecchia, mi e` venuta incontro gesticolando: «Signurı`, allargate allargate, qui non vogliamo piu` starci, qui non possiamo piu` vivere. Allargate signurı`», e indicava i muri cadenti che avrebbero voluto vedere abbattuti.” Com’e` nel suo stile, Eduardo risponde senza scomporsi, con fermezza chiarisce d’essere solo uno che racconta la realta`, che denuncia le cose cosi come sono, e lo fa con dolore, perche´ quella e` la realta` della sua citta`. Poi Casiraghi gli chiede se e` contento d’essere candidato al ` un premio della pace. “Certo che lo sono – afferma Eduardo – . E gran bel premio, il piu` bello perche´ e` dato sotto l’insegna della parola piu` bella: la pace. Mi piacerebbe veramente vincerlo, e spero che il successo del film aggiunga qualche nota di merito. Ma ci sono libri e poesie cosi belle in concorso...”. Cosi, con questa speranza e una nota d’umilta` si conclude l’intervista. 21 Sempre il 10 ottobre su “L’Unita`” viene pubblicato un articolo 20

Le ellissi temporali del film che segnano il passaggio da un atto all’altro sono scandite da un attaccapanni su cui di volta in volta si vedono in dissolvenza alternarsi dei cappelli che simboleggiano chi in quel momento governa la citta`. Nell’ultimo atto del film, dopo la risoluzione della malattia di Rituccia, si vede sulla cappelliera, insieme ad altri, dominare su tutti un cappello da prete. 21 “L’Unita`”, Roma, 10 ottobre 1950.

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LA RICEZIONE DEL FILM

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intitolato La “paura” di Eduardo, ad opera di Tommaso Chiaretti. Il giornalista afferma la necessita` di continuare a parlare di Napoli milionaria! “per quello che un film del genere significa nel contatto immediato con il pubblico, nella reazione sentimentale che produce in tutti coloro che abbiano un cervello e un cuore”. Eduardo De Filippo con la sua opera aveva raccontato al pubblico “le sue peregrinazioni di popolano travolto da un conflitto che certo non aveva voluto, e le sue angosciose paure che quel conflitto si ripeta di nuovo”. Il messaggio, il racconto di Eduardo e` in qualche modo l’altra faccia della medaglia della guerra, “la faccia del terrore, dell’ansia, dell’angoscia degli uomini di fronte all’eco dei disastri che hanno subito e che ritornano”. Sono i segnali di belligeranza che a pochi anni dalla fine della seconda guerra mondiale ritornano come fantasmi a minacciare, dopo l’atomica, le vite di tutti i cittadini del pianeta. Chiaretti sottolinea quanto sia stata evidenziata “un’involuzione sensibile” nel suo ultimo teatro, “una direzione errata di ricerca”, causata “dall’abbandono di un mondo poetico che, a contatto di Napoli amara e delusa, trovava linfa e rigoglio”. Chiaretti prosegue annotando che “e` stato rimproverato nelle piu` recenti commedie di questo artista italiano l’apparire di facili tendenze al filosofare e all’enunciare astratti quanto banali principi. Ma un dato e` inequivocabile; che “Eduardo e` uno dei pochi artisti italiani” ad aver “detto piu` di una parola contro il flagello della guerra. Perche´ egli ha fatto di questo motivo della guerra e della pace, il motivo dominante della sua piu` recente produzione. Dalla recentissima commedia La paura numero uno, a questo film che fa riempire le sale 22 cinematografiche” . L’interesse che Eduardo mostra ai problemi etici e pratici della guerra e` costante, non e` casuale. “Eduardo De Filippo e` stato e rimane ancora, nonostante le sue diverse ambizioni, l’autore prediletto e cosciente di un larghissimo lembo di piccola borghesia italiana, e di certi strati popolari che ritrovano nelle commedie dell’autore napoletano molto di loro stessi”. Tutto cio`, se e` vero, lo e` ancora di piu` in Napoli milionaria!”, opera in cui, “questi strati ritrovano codificato, enunciato e raccontato, tutto il loro disorientamento tradizionale, la loro rassegnazione. Napoli milionaria! e` l’odissea dell’uomo comune italiano a cavallo delle due guerre: la sua odissea di uomo avvilito, insultato dal fascismo, trascinato a combat22

La Paura numero uno e` del 1950 ed ha come tema la guerra. Cantata dei giorni dispari, a cura di Barsotti A., vol. 1˚, cit.

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

LA NAPOLI MILIONARIA!

tere”. Attraverso le vicende di Gennaro Jovine, Eduardo, in fondo, ci racconta l’esperienza di gran parte degli uomini europei, che come lui hanno vissuto un’esperienza “talmente estranea alla sua vita semplice, ai suoi affetti familiari, al suo modo di pensare, da produrre in lui quasi un trauma psicologico”. E di certo la guerra fu un trauma, per i napoletani come per la gran parte dei cittadini europei. “«Che e` successo?... Che e` successo...» si domandava l’affranta Amalia nel finale amaro della commedia. «La guerra Amalia, la guerra...» rispondeva Gennaro. La guerra, semplicemente, null’altro”. Per Eduardo questa e` una guerra dalla quale si torna buoni, non si vuole, non si puo` piu` fare del male a nessuno. E paurosamente scettico riprendeva il suo proverbiale tormentone: “La guerra non e` finita! E non e` finito niente”. Chiaretti continua il suo articolo sottolineando che “non rimane intatto, nelle sue parole, questo accenno, trasferito dalla commedia al film. Perche´ in questi anni che sono passati, il povero Don Gennaro della commedia, purtroppo, ha avuto modo di rimanere ancora piu` disorientato di prima. La sua incapacita` di comprendere politicamente quanto avviene, la sua repulsione a prendere una qualsiasi decisione, lo rende ancora piu` attonito di fronte agli avvenimenti”. Infatti, chiarisce Chiaretti, attonito e` anche il finale del film. “Di fronte al pericolo evidente di dover ricominciare da capo, dover udire di nuovo l’ululo delle sirene, e vedere ancora i morti delle strade, Don Gennaro, l’uomo comune, l’uomo che vorrebbe pensare ai casi suoi e vivere in pace, rimane attonito e non sa che fare”. Ma Eduardo – prosegue Chiaretti – non e` Don Gennaro. Non e` un uomo comune attonito. Lui fa commedie e film, e film antifascisti per giunta, e per fortuna”. Chiaretti si chiede poi se “e` pensabile sinceramente che il rimedio di fronte al flagello che vede avvicinarsi sia soltanto la paura, la paura numero uno?”. Anche se Eduardo “sembra ritrarsi di fronte ad una conclusione di altro genere”, per Chiaretti e` evidente che “il pubblico sente stridere qualcosa”, poiche´ non puo` essere la paura l’unica reazione alla guerra. Chiaretti afferma che “possono sembrare strani in bocca nostra, questa affermazione e questo riconoscimento ad un film che non puo` essere certamente accusato di essere comunista o cripto e cosi via. Puo` sembrare strano a coloro, e son pochi per fortuna, che si lasciano prendere dai futili giochetti di spirito sulla colomba “bolscevica”. Ma noi sappiamo che Eduardo e` tra il popolo nella campagna per la pace. Non abbiamo accettato ma sinceramente criticato il suo film per certe enunciazioni politiche di facile effetto

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

grottesco. Ma cosa diceva Gorki di se` e degli artisti? «Io so di non essere un buon marxista. E poi noi artisti siamo talvolta un po’ irresponsabili»”. Cosi, con questa citazione di Gorki, che tende ad assolvere Eduardo per le sue “intemperanze” politico-ideologiche, esternate nel finale del film, si conclude l’articolo di Chiaretti, se vogliamo un’appassionata difesa dello spirito pacifista di Eduardo, da lui condiviso profondamente. 23 “Il Mattino” del giorno seguente, l’11 settembre, a firma di un certo Claudio, corrispondente da Milano, pubblica un articolo su Napoli milionaria! I contenuti si spostano addirittura sul fronte razziale, sullo scontro campanilistico: da una parte i settentrionali, dall’altra i “terroni”, i meridionali. Il pezzo e` cosı` titolato: Piace troppo Eduardo alle genti del settentrione. Con il sottotitolo: Nelle platee delle sale cinematografiche del Nord il pubblico andava in visibilio per Napoli milionaria! E tanto piu` si compiaceva quanto piu` il film lo convinceva della reale esistenza di una “repubblica di terroni”. Sin dal titolo e` chiara l’impronta polemico/razziale che il giornalista imprime all’articolo. Le tre colonne si aprono con un resoconto delle polemiche e delle recensioni che il film fino a quel momento ha incassato: “Il recente film di De Filippo, Napoli milionaria!, ha suscitato commenti e polemiche tutt’altro che favorevoli. La maggioranza dei critici – e non a torto, ci sembra – non ha esitato ad affermare che si tratta di un lavoro cinematografico assolutamente scadente. Alcuni, pero`, ritenendo che vi si rispecchiassero fedelmente, vita, usi e costumi di una citta` lo hanno favorevolmente accolto. Cosı` il film e` stato variamente giudicato: lı` dove s’e` visto in esso una fotografia di Napoli rispondere ai propri gusti lo si e` lodato; mentre non lo si e` approvato da quanti vi hanno rinvenuta una falsificazione di elementi folcloristici o di costumanze e modi di vita sociale”. Il principio fondamentale, quindi, che da` vita al giudizio sul film, e` se i fatti raccontati siano veri oppure falsi. Un principio, evidentemente lacunoso, se non addirittura strumentale, poiche´ i “fatti” raccontati da Eduardo, e i meccanismi ad essi connessi, sono stati storiograficamente accertati. Comunque l’articolista ne deduce che il fulcro del problema e` da far risalire a un fatto geografico-antropologico, ed “e` quindi inutile dire – proprio per questo – che nel Nord d’Italia il film ha mandato in visibilio platee e critici; nel Sud, invece, non sappiamo le platee, i critici si sono unanimamente ribellati, escluso i critici di sinistra i quali si son 23

“Il Mattino”, Napoli, 11 ottobre 1950.

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LA NAPOLI MILIONARIA!

lasciati, forse volutamente, trarre in inganno da un certo qualunquismo tra il socialistico e il cristiano”. Sia il giornalista de “L’Unita`”, Chiaretti, che il giornalista de “Il Mattino” non ne rivendicano alcuna paternita` ideologica, segno di come il film, da qualunque parte politica lo si prenda, appaia una patata bollente. Claudio prosegue, poi, motivando a suo modo l’affermazione precedente. Per il giornalista, per comprendere le ragioni “dell’amore settentrionale” per Eduardo, bisogna ripercorrere la storia della Napoli milionaria! teatrale in relazione alla gente del nord. “Quando nell’autunno del 1946 Eduardo si presento` con quella commedia al pubblico milanese – afferma – ottenne un successo che forse egli stesso non aveva previsto”. In effetti “la stampa, di destra e di sinistra, fu concorde nel tributargli onori. Bontempelli si precipito` nel suo camerino privato e dopo averlo abbracciato e sbaciucchiato, gli disse testualmente: “cosı`, mio caro, si recita in paradiso”. I critici teatrali e gli scrittori italiani piu` noti sentirono il bisogno di congratularsi direttamente con quell’autore-attore che scriveva e recitava infischiandosene troppo evidentemente delle polemiche sui rapporti tra cultura e vita o tra teatro e vita”. L’accento, giustamente, viste le tematiche che la commedia trattava, cade sul binomio teatro-vita, un binomio per troppi anni, a causa del regime fascista, deliberatamente occultato. Il giornalista afferma che “il suo teatro era troppo vita per non soddisfare i gusti di quanti allora andavano alla morbosa ricerca del documento umano; e d’altro canto era attraversato da un’esigenza moralistica e da un bisogno di definizione dei personaggi sufficienti a reclutar consensi presso i nostalgici ricercatori di un senso umanistico delle cose”. Il problema dell’uomo, dei suoi sentimenti e delle difficolta` individuali che deve affrontare nella vita quotidiana, era stato completamente rimosso durante il ventennio fascista ed il merito di Eduardo, e con lui di gran parte del cinema post-bellico, a partire da Ossessione, fu, appunto, quello di “riscoprire”, di guardare senza troppi lacci ideologici, la realta`. Se si vuole, sciolte le maglie della censura, caduto il regime, l’osservazione dell’uomo, parlare dei sui problemi piu` semplici, fu una necessita`, un fenomeno naturale. Infatti, prosegue l’editorialista, “su Eduardo ogni polemica ebbe tregua. Nel suo teatro c’era di tutto: il documento, la vita, il senso morale, il personaggio, la pochade e perfino, sebbene in forma non ortodossa, il rispetto delle classiche unita`, da quelle di tempo alle altre di luogo e d’azione”. Elementi, questi, tutti positivi, ma per l’articolista “invero” non all’origine del successo di Eduardo e della sua

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LA RICEZIONE DEL FILM

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commedia. Per Claudio il problema e` che “nel Nord Italia ci si e` sempre finti una Napoli miserabile, stracciona, ladruncola, superstiziosa e volgare; una Napoli cosı` barbara che sarebbe solo da disprezzare se non le si riconoscesse una certa intelligenza stravagante e macchiettistica ed una buona dose di istintiva confusa generosita`. E sono queste qualita` positive forse, per il modo in cui vengono riconosciute, piu` dispregiative di quanto non siano le altre esplicitamente diffamanti”. L’articolo, poi, prosegue riportando una nota di vita sociale della Milano del dopoguerra che in qualche modo restituisce il clima di contrasti campanilistici esistenti allora tra Nord e Sud: “All’epoca della prima rappresentazione nordica di Napoli milionaria! risuonavano ancora nell’aria gli echi di blasfeme invettive del Nord contro il Sud. Sulla facciata di alcune vetture tramviarie era ancora visibile la scritta: Milan a’ milanis, i tero`n a su’ pais”. Invettive campanilistiche che “s’attenuarono gradualmente perche´ politicamente inopportune”. Ma, afferma il giornalista, “il grosso pubblico dell’opportunita` politica poco si cura. E frattanto, in mancanza di meglio, leggeva con avidita` gli elzeviri di Marotta accreditanti il tipo di napoletano caro all’immaginazione settentrionale”. Ed e` cosi che, per l’articolista, nasce l’incredibile fenomeno per cui “il napoletano pidocchioso e furfante, macchietta e generoso, e` stato, nel Nord, inventato dagli stessi napoletani. Fu in questo periodo di rancori campanilistici non soddisfatti che Eduardo rappresento` a Milano la sua Napoli milionaria!”. Per questo motivo, “il successo non poteva fallire”. Insomma, per il giornalista, questo clima d’odio, che possiamo definire razziale-territoriale, viene generato anche con l’ausilio dei napoletani che, rappresentando in un certo modo se stessi, hanno contribuito a definire la loro immagine negativa, cosa questa che ha favorito il successo della commedia di Eduardo. Il giornalista afferma che “si parlo` di un trionfo del neorealismo, ma in effetti era un trionfo delle «segnorine», dei ladri, dei vicoli luridi, dei bassi, delle macchiette e di tutto cio` che nel Nord si ritiene costituisca l’intimo tessuto della vita partenopea”. Il trionfo, cioe`, del mal costume. Il giornalista prosegue, poi, affermando che c’era “sı`, in quella commedia un senso di umanita` e di profonda saggezza, di quella millenaria saggezza che si pretenderebbe coagulata nel sangue delle popolazioni meridionali. Ma questi elementi positivi non guastano il napoletano che nel Nord si desidera: anzi, contribuiscono a metterlo in risalto. In fondo una macchietta che non abbia un substrato d’intelligenza sarebbe scadente anche come macchietta. I piu` intelligenti nelle corti non erano considerati i

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buffoni? Tuttavia la loro intelligenza non era piu` di buffonesca”. Insomma, per l’articolista Cristo non si e` fermato, come vorrebbe generosamente Levi, ad Eboli, “ma sulla linea gotica. Terrone in sostanza, significa legato alla terra d’origine, definito integralmente dai caratteri razziali del proprio paese”. Claudio si chiede, quindi se “poteva De Filippo con il trasporto nel Nord di una vera e propria repubblica di terroni non avere successo?”. Anche se molti critici all’epoca della sua prima rappresentazione amarono affermare che “essa abbandonava bolsi elementi calligrafici e centrava un momento storico della vita di un popolo”, per Claudio, “a parte gli elementi «calligrafici»”, l’opera, valeva certo come documento storico, ma limitatamente. “Invece – afferma – fu addirittura ritenuta una svolta, tanto che si invento` la formula: «teatro di Eduardo». Quest’equivoco, madornale quanto mai, s’e` ripetuto nel Nord ora che la commedia e` ` segno che nei rapporti Nord e stata ridotta cinematograficamente. E Sud v’e` ancora qualcosa di non chiarito; o e` segno che il Sud offre ancora spunti per un giudizio troppo negativo. Se realmente Napoli milionaria! fosse ancora lo specchio della citta`, non ci sarebbe certo da stare allegri”. Cosi, con questa affermazione che intende far riflettere i lettori, sollecitarli a non creare “spunti” affinche´ si possa essere mal giudicati, Claudio conclude il suo articolo. A mio avviso questa interpretazione se da un lato ha il pregio di portare al dibattito un ulteriore punto di vista, di allargarne cioe` l’orizzonte indicando nel conflitto razziale tra settentrionali e meridionali la ragione del successo nel nord Italia della commedia, cosa che potrebbe anche essere vera (chi puo` dirlo?), dall’altra ha il difetto di usare in maniera evidentemente propagandistica questi stessi argomenti, facendo trapelare un ingiustificato astio nei confronti di Eduardo e della sua opere. Cio` che al giornalista sembra far piu` rabbia, lo dice chiaramente, e` che Eduardo, a cinque anni dalla fine della guerra, invece di dimenticare certi tristi episodi di cui si “macchiarono” i napoletani, continua a ricordarli contribuendo cosi, come aveva fatto Marotta, a costruire quell’immagine negativa dei napoletani che tanto fa gioco ai settentrionali, che possono per questo, continuare a discriminarli. Insomma, per l’articolista, Eduardo con Napoli milionaria! non ha reso un buon servizio ne´ ai meridionali che vivono al Sud ne´ a quelli che vivono al Nord, e, purtroppo, neppure alla sua arte. 24 Il 14 ottobre su “Domani sociale” viene pubblicata una lettera 24

“Domani sociale”, Napoli, 14 ottobre 1950.

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LA RICEZIONE DEL FILM

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aperta ad Eduardo ad opera di Armando Traetta de Bury. Dopo aver ricordato il “clamoroso” successo della prima teatrale della commedia, a cui lo scrivente assistette, e il successivo trionfo in tutta Italia, potete “immaginarvi – scrive Traetta de Bury – , caro don Eduardo, con quale piacere ho letto l’annunzio della programmazione del film Napoli milionaria!”. Ma “la delusione piu` completa mi aspettava dopo la visione di questa vostra fatica. Sullo schermo tutto era travisato, incominciando dalla trama per finire ai personaggi, all’ambiente, alla visione di Napoli nei suoi particolari”. Armando Traetta de Bury, quindi, non salva niente della trasposizione cinematografica. Per lui “il cinema e` un’altra cosa rispetto al teatro” e pur essendo evidente la necessita` di “incrementare con qualche altra cosa le scene” che nel teatro “sono affidate alla fantasia dello spettatore”, tutto cio` non puo` consentite un “sovvertimento totale” della commedia, come ad esempio e` avvenuto con l’inclusione di un personaggio, che “sia pure impersonificato da un noto comico napoletano, riesce particolarmente antipatico a chi ha seguito battuta per battuta, la vostra commedia sulla scena”. Per Traetta de Bury “affidare i ruoli principali del lavoro ad altri interpreti che non fossero quelli originari” e` stato un errore. Fin qui va tutto bene, siamo nell’ambito di affermazioni generali, motivate da questioni di gusto personale e, quindi, rispettabilissime. “Ma non e` questo – afferma l’aristocratico – il motivo principale di questo mio scritto”. Il motivo per cui scrive e` “per protestare vivamente sull’ambiente creato nel film stesso. Caro Don Eduardo, se si fosse trattato di un altro regista avrei detto che il solito metodo di screditarci trovava buon gioco in lui ai fini di cassetta (...), ma – prosegue de Bury – mi trovo di fronte a voi che, di certo, non avete agito per questo scopo ed allora devo ritenere che sia stato il pathos creato nello stabilimento cinematografico, forse l’unione stessa con il De Laurentiis, abituato ad offrirci soggetti piu` o meno ibridi e vuoti, a travisare il contenuto della vostra Napoli milionaria!”. Assolto Eduardo dal sospetto d’aver agito per secondi fini, continua affermando che la storia della Napoli di quest’ultimo decennio e` ben diversa da quella descritta da Eduardo nel suo film, non si e` mai giunti a quelle esagerazioni nel periodo fascista, ne´ al folklore del vicolo Pallonetto a Santa Lucia. “In questo vico – afferma de Bury – abitano diverse famiglie di onesti pescatori, che possono essere accusati di vivere piu` o meno alla giornata, di essere dei poveri ma non degli sfruttatori di donne e peggio ancora, le loro mogli e le loro figlie delle segnorine in sedicesimo”. Ma la cosa che

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LA NAPOLI MILIONARIA!

sembra aver infastidito di piu` lo scrivente, pur essendo certo delle sue buone intenzioni, e` che “non c’e` una scena in tutto il film che possa innalzare questa nostra povera Napoli che tanto ha sofferto e che tanto e` stata bistrattata da gente piu` o meno conosciuta”. Con dispiacere e` costretto a paragonare il suo “capolavoro (che tale resta negli annali del teatro) ad una volgare riproduzione di alcuni capitoli della diffamantissina pelle del nostro nemico Malaparte”. Quello che Traetta de Bury in definitiva si aspettava da Eduardo era almeno una “riproduzione fedele dell’ambiente della Napoli milionaria! teatrale”. Ma ritorniamo alla polemica piu˜ strettamente politica. Il 18 ottobre, a seguito dell’interpellanza parlamentare presentata dall’onore25 vole Colasanto, viene pubblicato su “L’Unita`” un articolo di Mario Alicata, parlamentare comunista. Alicata, in totale disaccordo con il deputato della Democrazia Cristiana lo attacca apertamente. Se la prende anche, come la definisce ironicamente lui, con quella “critica specializzata” che, a suo avviso, in modo poco professionale, anzi, strumentale, ha maltrattato il film. Il lessico usato appare subito aspro, offensivo. Alicata inizialmente afferma che mai “Eduardo De Filippo, amore e orgoglio di Napoli, avrebbe potuto immaginare che un deputato di Napoli – sia pure un ex seminarista un po’ “svampito”, un po’ sordo e un po’ ignorante come l’on. Domenico Colasanto – avrebbe ravvisato nel suo film ‘‘un’offesa’’ verso la sua citta`!”. Per Alicata, un episodio del genere non varrebbe neanche la pena di essere ricordato “se non fosse ormai diventato costume, per un gruppo di cialtroni clericali, i quali debbono avere studiato estetica nello stesso istituto in cui l’on. Scelba ha appreso la storia del «culturame» italiano, chiedere ad ogni passo il rogo per questo o per quel film, per questo o quel romanzo, per questo o quel quadro”. Prosegue, poi, affermando sarcasticamente che, invece, sono “piu` interessanti le manifestazioni di dissenso della critica «specializzata» sulla stampa «indipendente»”. Poiche´, afferma Alicata, “«l’arte» – evidentemente – in queste manifestazioni di dissenso, non c’entra per niente, o c’entra in modo cosi ovvio che non puo` giustificarle. Voglio dire che i difetti di Napoli milionaria!, che non e` un film artisticamente «perfetto» nel taglio e nella misura del racconto, le inevitabili incertezze, [...] certe lungaggini che diluiscono un poco i potenti nodi drammatici, ridotti ad una sintesi essenziale nella commedia, sono tutte cose di natura tale che dovevano gia` essere scontate in 25

“L’Unita`”, Torino, 18 ottobre 1950.

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LA RICEZIONE DEL FILM

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partenza e non potevano comunque far approdare la critica ad un giudizio negativo”. Com’e` evidente, nonostante si soffermi su valutazioni critiche, il tenore dell’intervento ha piu` le caratteristiche di una polemica politica che di un’analisi cinematografica. Cio` che non capisce Alicata e` come mai questa stessa critica sia cosı` magnanima nei confronti di certe “esibizioni pompieristiche del cinema americano di questo secondo dopoguerra” o dinanzi “alle scemenze di un Mattoli”. Per Alicata, quindi, la severita` espressa nei confronti di Eduardo dalla critica “specializzata” e dalla cosiddetta stampa “indipendente”, non ha alcun fondamento “estetico”. Per lui questa critica ha attaccato Napoli milionaria! pellicola, “in primo luogo perche´ dal ’45 ad oggi [...] sono passati cinque anni, e in questi cinque anni – chi non lo sa – tutto cio` che ha comunque rapporti con l’America, perfino la «borsa nera» e i suoi sistemi di corruzione da essa introdotti, con la mano pesante dell’occupatore straniero, nel nostro paese, e` diventato [...] la quinta essenza della civilta`; che importa, poi, se proprio in questi giorni il «governatore» di Napoli, Charles Poletti, appaia pubblicamente coinvolto in un grosso affare di truffe e di brogli commerciali? C’e` da scommettere che per la nostra stampa «indipendente» anche l’odioso Charles Poletti, soddisfatto mangiatore di spaghetti e tracotante distributore di polvere di piselli, sia il meglio «governatore» che l’Italia meridionale, dopo i vicere` spagnuoli, abbia mai avuto! Ma forse perfino sulle «offese», non a Napoli, ma ai corruttori stranieri di Napoli, la nostra stampa «indipendente» avrebbe chiuso un occhio, se il film Napoli milionaria! non avesse reso esplicito il motivo antifascista che in Napoli milionaria! commedia appariva soltanto discorso, e se non avesse sottolineato, con una nuova energia disperata, che nel povero Gennaro Jovine (e per lui in Eduardo De Filippo) appare evidentemente mossa dal pericolo incombente di un nuovo conflitto mondiale, gli orrori, i lutti, le miserie atroci e inutili della guerra”. Insomma per Alicata gli attacchi ad Eduardo non hanno un’origine estetico-critica, ma una radice politico-ideologica. L’onorevole riscontra, in accordo con Eduardo, una continuita` pericolosa tra i governi fascista e democristiano che, per ragioni di convenienza politica, si alleano con chi puo` aiutarli, e che a causa di questo rischiano di dover sottostare alle loro ` una legittima paura, viste la recente esperienza del governo scelte. E fascista, che la storia possa ripetersi. Ed e` per questo, afferma il parlamentare, che Gennaro Jovine “con quella sua fissazione sugli orrori della guerra”, e` cosi “controproducente”, fastidioso, per non

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dire odioso; semplicemente perche´ ha paura che la storia possa ripetersi. Certamente vede nel presente alcuni segnali che lo inquietano. Per questo Eduardo e` una seccatura, perche´ continua a ricordarci quegli orrori che vorrebbe non si ripetessero mai piu`. Alicata prosegue sostenendo che e` per questo motivo che “alla stampa «indipendente» non e` piaciuto il film Napoli milionaria!”, perche´ “«offende» Napoli, questa Napoli che sulla bocca dei federali fascisti e clericali deve essere «in linea», deve essere felice di vedere i suoi figli vivere come cimici in bassi e crepare come topi in trappola nei ricoveri, deve non chiedersi «contro chi?» e «perche´?»” si faccia la guerra. Con il suo atteggiamento di dissenso nei confronti di Eduardo che come pochi «conosce» ed e` «vicino al cuore dei napoletani», la stampa “«indipendente» non fa che confermare una cosa sola: che essa e` del tutto staccata dal cuore e dai sentimenti del popolo, essa non parla piu` napoletano e italiano ma americano, che ogni giorno che passa, essa non fa che mostrare sempre piu` come il fosso che divide i piccoli gruppi, ai cui interessi essa e` legata, dalla stragrande maggioranza del popolo italiano, e` piu` profondo, piu` incolmabile”. Per il deputato, se il popolo di Napoli, e con lui quello di tutta Italia, potesse parlare con Eduardo gli direbbe: “Eduardo, abbi piu` fiducia in questa tua meravigliosa creatura che e` Gennaro Jovine; pensa che anche per Gennarino sono passati cinque anni e che cinque anni sono pochi, anzi niente, per Gennarino Jovine «personaggio», ma son tanti per Gennarino Jovine «uomo», per i mille e mille Gennarino Jovine che non vivono nelle pagine immortali della tua commedia, ma nei bassi veri del Pallonetto a S. Lucia. Percio` oggi, Gennarino Jovine «uomo», a differenza di Gennarino Jovine «personaggio», non ha solo «paura» della guerra; non ha dinanzi agli orrori della guerra e alle miserie della vita dei poveri solo un atteggiamento di straziante «innocenza». No: egli ha capito che contro la guerra, contro la miseria, contro i federali, bisogna anche darsi da fare: e Gennarino Jovine, caro Eduardo, si da` da fare. E forse aspetta proprio da te, vero grande poeta, che dopo averne cantato l’eroica umilta`, tu oggi ne sappia cantare il nuovo, umile eroismo di combattente per la pace e per una vita piu` felice e «buona»”. Cosi, dopo aver elencato i motivi del suo dissenso politico nei confronti della critica militante e dell’on. Colasanto, si chiude l’intervento, con quest’appello ad Eduardo, affinche´ continui a combattere e ad alzare la propria voce poetica, a farlo lui, anche per tutti quelli che non ne hanno la possibilita`.

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Il film di Eduardo, com’e` ormai chiaro, a solo un mese dalla sua uscita, e` gia` diventato uno strumento di lotta politica. Cosa questa che, ancora una volta, ci dimostra il potenziale esplosivo insito nei temi e negli episodi raccontati in questo film, quanto siano ancora sotto la pelle di tutti. La risposta all’articolo di Alicata non si fa attendere. Pochi giorni 26 dopo, il 22 ottobre, appare su “Il Popolo” un articolo dell’onorevole Colasanto. Il brano, oltre a chiarire la posizione del parlamentare nei confronti di Alicata e` anche una sorta di resoconto sul dibattito avvenuto fino a quel momento. Il democristiano afferma innanzitutto d’essere andato a vedere il film “sollecitato dal disgusto di un amico socialista”. La cosa che lo ha colpito di piu` e` che, nell’intero film, dal giorno della liberazione in poi, non ci sono altro che donne che si concedono agli americani o che, “se anziane, non favoriscono o non mangiano sulla verginita` delle piu` giovani”. Mentre “gli uomini” sono indifferenti, se non addirittura “profittatori del ludibrio delle loro donne”. In piu` “tutta l’azione – sottolinea il deputato – si svolge nei peggiori vicoli di Napoli. Vicoli arredati per l’occasione con panni sporchi e laceri” mentre, in realta`, quei vicoli non sono cosi “affollati come quelli del film, ne´ gli affollamenti sono come presentati”. Per Colasanto “si e` calcato la mano oltre il verosimile sul cosiddetto colore locale: e non si e` fatto neppure del verismo; ma dell’immaginario raggruppando e moltiplicando quanto di meno buono offre la nostra citta`”. Con rammarico, l’onorevole, rileva che non c’e` stato nemmeno del “chiaro-scuro, come nella commedia omonima! Niente. Napoli e` tutta vicoli; e` tutta luridume”. Anche i luoghi, quelli solitamente piu` rappresentati, quelli piu` oleografici, sono assenti. “Vi e` sı` una scena – sottolinea l’onorevole – a via Caracciolo”, ma si vedono solo “«segnorine» accoppiate con americani. Ce ne poteva essere almeno una con un italiano. Poteva passar di lı` una sola donna onesta”. Afferma, poi, l’onorevole che, Gennaro Jovine, ritornando a casa, ha qualche incertezza vedendo il suo basso sontuosamente arredato, “ma si adatta subito alla situazione. Capisce che la moglie ha perso la testa. Che la figlia va a letto con gli americani, che il figlio e` sulla cattiva strada, ma non se la prende. Si rifocilla e si veste con il frutto del ludibrio; ne´ stenta ad addormentarsi su materassi e sotto coltri acquistate con denaro di indubbia provenienza”. Tutto cio` per Colasanto e` inverosimile, assurdo. Per lui nessun napoletano avrebbe accettato una simile 26

“Il Popolo”, Roma, 22 ottobre 1950.

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situazione. In effetti nella commedia teatrale, il rientro di Gennaro Jovine, la sua sorpresa, il suo atteggiamento nei confronti dei comportamenti dei sui familiari e` piu` marcatamente refrattario, meno accondiscendente e segue una linea di pensiero-comportamento che nel film in gran parte si perde. Si perde, in sostanza, una buona parte dei “monologhi politico-filosofici” che Eduardo mette in bocca a don Gennaro. Per Colasanto, chiunque straniero vedesse il film di Eduardo ne dedurrebbe che “tutte le napoletane furono «segnorine» e tutti gli uomini cornuti o giu` di lı`”. E questo, afferma il parlamentare della Democrazia Cristiana, “e` storicamente falso”, nonche´ “diffamatorio”, con l’aggravante “che la diffamazione proviene da un figlio di Napoli, da un grande artista di cui Napoli e` giustamente orgogliosa”. Nel dir questo, il parlamentare, afferma d’essere certo che Eduardo non l’ha “fatto apposta” a diffamare Napoli. Anzi, “amo pensare – asserisce il deputato – che Eduardo sia pentito come chi ha detto male o ha fatto male a sua madre”. Sono soltanto questi, afferma, e non risentimenti politici, i motivi che spinsero l’onorevole Colasanto a protestare, per il buon nome della sua citta` e, soprattutto, “per tentare di rompere l’infame catena dei cliche´s di miserie napoletane” che film come Napoli milionaria! diffondevano nel mondo. Non c’era nulla che potesse interessare in qualunque modo questo o quel partito. E nonostante questo ci sono stati dei quotidiani come “Il Giornale” che hanno scritto, dichiara Colasanto, “che ero stato urtato dal grande cappello da prete: cioe` da una scena che se non fosse innocua facezia, potrebbe significare che il popolo di Napoli si libera alfine delle conseguenze delle truppe tedesche e di quelle americane con l’aiuto e col valere della propria fede religiosa”. Un’interpretazione dell’episodio, questa, a dir poco tendenziosa, se non del tutto arbitraria. La stampa indipendente, invece, afferma il deputato democristiano, si e` mostrata divisa, ma “prevalentemente con la mia tesi”. Ma arriviamo all’articolo apparso su “L’Unita`” del 18 ottobre, in cui Alicata lo aveva attaccato. Alicata, afferma Colasanto, aveva esteticamente criticato il film, ma ne aveva esaltato l’aspetto “umano e sociale”, quello, diciamo cosi, piu` d’ambientazione. “Proseguendo con i paraocchi e con le lenti moscovite – asserisce l’on. – dopo avermi classificato nel gruppo dei «cialtroni clericali» afferma che l’opposizione a Napoli milionaria! e` dovuta al suo esplicito motivo antifascista, al fatto che in «Don Gennaro Jovine» tale motivo appare mosso dal pericolo di un nuovo conflitto mondiale, con gli orrori, le miserie atroci ed inutili della guerra”. Da questo punto in poi i toni del discorso si fanno piu` aspri, diventando una sorta di

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personale resa dei conti a mezzo stampa tra Colasanto e Alicata. Poiche´ esso ci restituisce in parte come gli schieramenti politici accolsero il film, lo citero` testualmente. “Io sarei tra i federali fascisti – afferma l’onorevole democristiano insorgendo – che avrebbero ingannato Don Gennaro uomo e popolo nel 1940 e lo vorrebbe ingannare nel 1950. Come se fossi Alicata; che da giovanissimo gerarca fascista non puo` non aver sognato di diventare federale, e nel 1940 e fino al 25 luglio 1943 non puo` non essere andato esaltando la guerra fascista ed invitando gli altri a partire; che apparteneva ai fascisti che i napoletani burlano nel film; che svanito il sogno di federale nero e` diventato federale rosso delle Calabrie e che, finita la guerra fascista, prepara Don Gennaro alla guerra russa o al tradimento, sotto la mentita campagna pacifista. Sono gli Alicata che ingannano e cercano di ingannare i Don Gennaro. Di me s’informi presso i suoi compagni che non erano fascisti prima del 25 luglio. In quanto alle volgarita` e` bene precisare che non ho avuto la fortuna di essere seminarista perche´ nell’adolescenza lavoravo; non quella di essere molto colto perche´ durante il fascismo facevo il ferroviere, non cacciato perche´ mutilato, ma impromosso ed impromuovibile; mentre Alicata assurgeva a Littore per aver molto decantato le opere del duce e specialmente le sue leggi sociali e corporative, che sono un po’ sordo perche´ la guerra non l’ho mai predicata, ma l’ho fatta con la mia classe di leva. E per finire, un episodio. Il giorno dopo la presentazione della mia interrogazione si accese in treno una vivace discussione fra parlamentari. Un ` ora di finirla deputato socialista, dandomi ragione, grido` indignato: «E col dipingere i napoletani come fannulloni, cialtroni, disonesti e sporchi; i nostri operai come svogliati ed incapaci e Napoli come un insieme di miserie e di lordure». Lo rimbecco` un senatore comunista affermando testualmente: «Questa e` la verita` e bisogna dirla». Noi rivendichiamo la dignita` di questo popolo povero ma profondamente onesto. Gli umili, quelli dei «bassi» seppero e sapranno soffrire in dignita`, poiche´ nel Pallonetto di S. Lucia, non ancora bonificato dal piccone, vivono pescatori ed operai le cui donne meritano d’essere veramente cantate per la loro virtu`. Anche Napoli, come tutte le citta`, ha i suoi punti oscuri, ma a Napoli il popolo e` piu` sano che altrove. E voi, compagni, pensate a quello che dite e scrivete; rispettate questa gente e quando passa il vero Don Gennaro e la vera Donna Amalia, non quella del film, levatevi il cappello”. Il curriculum politico dell’on. Alicata racconta uno dei fenomeni non ancora ben analizzati della nostra storia post-bellica, ovvero di quanti seppero, all’indomani della

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fine della guerra, smettere con grandissima disinvoltura la camicia nera ed indossare quella rossa. Quella di Colasanto, oltre ad essere una personale difesa agli attacchi dell’on. Alicata, e` da leggere come una sentita difesa del popolo napoletano, che lui, per la rappresentazione ` il moto che ne da` Eduardo, sente ingiustamente offeso e oltraggiato. E d’orgoglio di chi, se si vuole anche per la carica parlamentare che ricopre, sente di dover difendere i propri elettori. Il personale non si scinde mai dal politico. Il 24 ottobre, segno dell’infittirsi della polemica, sempre su “Il 27 Mattino” , viene ripubblicato l’articolo di Colasanto, a cui fa seguito un intervento, sotto forma di lettera al direttore, di Guido Cincotti, Presidente del Film Club Napoli. Cincotti chiede di poter spendere “qualche parola sulla presunta diffamazione che della nostra citta` si e` fatta nel film Napoli milionaria!”. Il Presidente dichiara che “dalle lettere di numerosi lettori, e dall’articolo di Carlo Siviero” pare che molti “bennati nostri concittadini abbiano tratto motivo di grave scandalo dalla visione di quel film: essi manifestano una loro opinione, come tale rispettabilissima, pur se discutibile in linea di principio”. Ma non c’e` solo questo, afferma Cincotti, c’e` anche l’interrogazione parlamentare dell’on. Colasanto che esorta il Presidente del Consiglio a prendere un “provvedimento” attraverso “le autorita` competenti” affinche´ termini lo “sconcio” di Napoli milionaria!. “E qui – afferma Cincotti – la cosa non funziona piu`. Non si vede, infatti, con qual diritto l’autorita` potrebbe togliere dalla circolazione, o sottoporre alle forbici censorie, un’opera che per essere stata regolarmente proiettata ha evidentemente superato con successo gli esami di «dignita`» presso tutte le commissioni di controllo e censura (e creda che non sono poche)”. Il Presidente sottolinea come esistano gia` delle autorita` preposte al controllo delle opere cinematografiche che semmai avessero riscontrato elementi diffamatori, sarebbero certamente intervenute. Rileva, inoltre, con rammarico, che “non e` la prima volta che onorevoli deputati si scomodano a rivolgere interpellanze su questioni che esulano dalle loro competenze politiche per rientrare nel campo delle liberta` dell’arte e degli artisti (liberta` che, guarda caso, un apposito articolo della Costituzione sancisce in chiare lettere se pure in maniera linguisticamente impropria)”. Cio` che per il Presidente del Film Club di Napoli sarebbe l’ora di comprendere e` che “l’onore nazionale o quello 27

“Il Mattino”, Napoli, 24 ottobre 1950.

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LA RICEZIONE DEL FILM

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municipale sono lesi assai meno dalla interpretazione in forma cinematografica – o comunque artistica – di fatti od eventi gradevoli o meno della nostra storia, che non da altri fenomeni – reali questi, e non fantasiosamente elaborati – alla eliminazione dei quali sarebbe confortante vedere piu` alacremente intenti i nostri degni parlamentari”. In altre parole i parlamentari, a suo avviso, farebbero meglio ad occuparsi dei problemi reali che affliggono la gente invece di rivedere campi non di loro stretta competenza “Napoli milionaria! – afferma Cincotti – e` un brutto film, ma non per le ragioni che adducono i suoi denigratori: e` un brutto film per considerazioni di indole puramente estetica, che non e` qui il luogo, ne´ me ne arrogo la competenza di esporre”. Per il Presidente del Film Club di Napoli ci sono un’infinita` di brutti film, di brutti romanzi o di brutti dipinti che quotidianamente fruiamo ma nessuno si sogna “di vietar loro la ` sempre pericoloso giudicar di cose artistiche libera diffusione”. [...] E con un metro che non sia rigorosamente quello estetico, ma in nome di un malinteso moralismo, o nazionalismo, o addirittura «dell’onore nazionale». Oltretutto, afferma Cincotti, in questo modo si corre il rischio “di fare di ogni erba un fascio: come capita all’ottimo Siviero il quale accanto a Napoli milionaria!, scaraventa nell’inferno dei film «diffamatori di Napoliı145 anche Sciuscia` di De Sica; dimenticando – ma l’avra` poi visto? – che Sciuscia`, oltre al particolare di non aver nulla da vedere con Napoli, essendo ambientato esclusivamente a Roma, Sciuscia`, dico, non che diffamarci ha diffuso in tutto il mondo la gloria di un artista del quale abbiamo solo motivo di essere 28 orgogliosi (contenti i nazionalisti?)” . Dopo questa puntualizzazione, mi sembra piu` che condivisibile, Cincotti si avvia alla conclusione augurandosi “che gli artisti siano lasciati liberi di esprimersi come meglio credono, anche realizzando opere mediocri; e che i sindacalisti si occupino – se ne capiscono qualche cosa – di sindacalismo”. Cosı`, con questo augurio, e con un richiamo a rientrare nei ranghi, ad occuparsi delle cose di propria competenza, ai vari partecipanti alla discussione, si conclude l’intervento del Presidente del Film Club di Napoli. Ma nonostante il richiamo all’ordine di Cincotti, la polemica ovviamente non finisce, anzi, riprende con nuovo impeto. A riattizzarla, e

28 L’affermazione di Cincotti non e` del tutto vera, poiche´, e` vero che il film e` ambientato a Roma, ma uno dei ragazzi protagonisti della storia e` napoletano, cosa non del tutto irrilevante.

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a prendersela proprio con lui, e` ancora una volta Armando Traetta de 29 Bury che, il 28 ottobre, pubblica un articolo su “Domani sociale” in risposta a Cincotti. Lo accusa innanzitutto di non aver capito lo spirito dell’interpellanza dell’on. Colasanto, che a suo dire e` stata una “difesa” dei napoletani. Riaffermato questo, cio` che sembra far particolarmente arrabbiare Traetta de Bury, e` l’ultima affermazione fatta da Cincotti, quando in sostanza consiglia a Colasanto di occuparsi di sindacalismo e non di cinema, materia nella quale non ha competenza. Afferma, dunque, che la sua materia, il cinematografo, “e` di molto al di sotto di una cosa seria, come il sindacalismo, e di cui il parlamentare napoletano intanto se ne e` interessato in quanto ha creduto assolvere, anche in questo, il suo compito di rappresentante del popolo di Napoli, appunto per difenderlo dalle diffamazioni del film stesso”. Riportiamo ora un articolo che, sebbene sia una recensione, ho preferito, per motivi non solo cronologici, analizzare in questo paragrafo. La particolarita` di quest’articolo e` quella d’essere stato pubblicato il 29 ottobre, a piu` di un mese di distanza dall’uscita del film, e, 30 pur essendo di un giornale di sinistra, “Mondo operaio” , di non fare alcun riferimento alla polemica in corso, ma di limitarsi, appunto, all’analisi del film. L’autore dell’articolo e` Vito Pandolfi, critico cinematografico della testata. Con Napoli milionaria!, asserisce il recensore, Eduardo illumina “la situazione italiana, sia pure con un’angolazione marginale e con i limiti ben noti dell’espressione dialettale”. Pandolfi individua la recitazione di Eduardo come il mezzo attraverso il quale il regista riesce “a guidare la macchina da presa. In essa si coglie un ininterrotto punto d’incontro tra il comico e il tragico, ripetendo e rispecchiando a noi stessi la natura e la personalita` dell’uomo e dell’italiano. [...] Questa fedele presentazione dell’esistenza, sorpresa inavvertitamente nelle ore in cui si pone in gioco il suo destino e la sua liberta`, ne mette a nudo il senso finale, da` un risultato talmente tragico da apparire comico”. Il critico evidenzia, nel momento in cui l’uomo comune e` chiamato ad affrontare il proprio destino, quel destino piu` grande di lui ma che precipita nella sua quotidianita`, il limite che separa il tragico dal comico, luogo nel quale Eduardo sembra muoversi con grande familiarita`. In fondo il finale della commedia, con il dono della medicina da parte del ragioniere, provvidenziale deus ex machina, come l’ha 29 30

“Domani sociale”, Napoli, 28 ottobre 1950. “Mondo operaio”, Roma, 29 ottobre 1950.

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definito Moravia, appare muoversi nella direzione del paradossale. Per Pandolfi “nelle cadenze, come negli scatti e negli accenti mimici, ad ogni battuta e` lo squallore di quel mondo. La depressione d’animo di quei piccoli-borghesi finisce col vendicarsi di questa meschinita` con un’illogica, feroce allegria. Eduardo quest’esistenza vive e la fa vivere agli spettatori, per tentare di disporla nell’interno degli animi alla vittoria dei sentimenti contro le avversita` che sono nelle condizioni obbiettive, nella realta` storica”. Pandolfi, mi sembra con grande lucidita` e obiettivita`, riconosce quindi il fondamento del racconto di Eduardo; i “fatti” da lui raccontati come storici, quindi veri. Infatti, prosegue, affermando che “nell’opera di Eduardo ha parlato sommessamente la sorte di questi anni. Crollate, o sulla via di crollare, le menzogne che ci avvolgono, resta la realta` concreta e modesta che conducono i suoi personaggi”, quei personaggi a cui tocchera`, ancora una volta, rimboccarsi le maniche per risorgere, per avviare quella rinascita di cui l’Italia ha bisogno. Ma nel film, diversamente dalla commedia, Eduardo si spinge oltre, fino al 1949, e l’Italia, come l’Europa, non sembra aver colto il monito di Eduardo, le minacce della guerra tornano ad incombere. Ma nel film non tutto e` perfetto: “Napoli milionaria! – afferma Pandolfi – e` gremita di circostanze, nel film come nella commedia, non sempre secondo una coerente e chiara visione. Fanno capolino a diverse riprese quei discutibili spunti moralistici che sono la debolezza di Eduardo”. Ma nonostante queste cadute moralistiche “la materia e` sempre densa e viva, il trattamento arguto e gradevole. Avrebbe dato un sapore piu` autentico e genuino la ripresa diretta dei vicoli di Napoli, anziche´ in una ricostruzione accurata ma posticcia a Cinecitta`”. Infatti, afferma il recensore, a lungo andare “le inquadrature finiscono col divenire monotone, in quanto non possono ricorrere ai campi lunghi, e col tradire l’inesperienza e la timidita` di Eduardo come regista”. Pandolfi, tra tutti i critici, anche se solo parzialmente, e` il primo a criticare Eduardo regista, l’uso che fa della macchina da presa. La recensione si chiude con una nota sulla recitazione degli interpreti che il critico, anche in questo caso esprimendosi fuori dal coro dei consensi, afferma non essere della stessa vivezza teatrale, fatta eccezione per “la sorprendente e cosi pateticamente vera, cosi umana personificazione compiuta da Toto` nelle vesti di un povero manovale costretto dalle circostanze ad avventurose vicende”. 31 Il 18 novembre appare su “Asso di Bastoni” un articolo di Giovanna Altamura sotto forma di lettera ad Egidio Sterpa, del quale

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LA NAPOLI MILIONARIA!

riprende un articolo pubblicato il 16 settembre sullo stesso giornale. L’articolo aveva come oggetto il libro che nell’anno in corso aveva vinto il premio Viareggio, un romanzo di Domenico Rea che contribuı` ad alimentare le polemiche su Napoli. L’articolo e` cosi titolato: Le disgrazie di Napoli: Malaparte, De Filippo e Rea. Pur non essendo soltanto legato ad Eduardo De Filippo, ho ritenuto opportuno riferirne poiche´, a mio avviso, contribuisce a rendere ancora piu` chiaro il clima che si era creato in quei mesi intorno a quegli artisti che “osavano” raccontare certi episodi avvenuti a Napoli durante la guerra. Rivolgendosi al collega Sterpa la Altamura esordisce affermando che “a Napoli – si dice – le disgrazie vengono a tre per volta: Malaparte, De Filippo ed ora anche Rea”. La scrittrice non vuole parlare di Malaparte, le cui parole gia` spese contro di lui non hanno fatto altro che rendergli una grandissima pubblicita`. Da chi appare profondamente delusa e` da Eduardo: “Eduardo – afferma – aveva creato, con la sua Napoli milionaria!, un’opera veramente superiore e notevolissima. I napoletani vi vedevano ritratta un’ora buia si, ma rischiarata da una grande speranza, per Napoli, per l’Italia, per il mondo travolto dall’immane tragedia. «Hadda passa` ’a nuttata!». La frase conclusiva della bella commedia consolava i cuori avviliti dalle tante brutture portate dalla sventura nazionale, nei cuori, nelle famiglie, nella Patria. Poi Eduardo, chissa` perche´, chissa` come traviato, permise della sua chiara commedia si facesse un brutto, brutto film, rovinando l’impressione della sua opera originale”. L’Altamura, come abbiamo visto, si limita a sentenziare il film con aggettivi negativi senza supportarli con altre argomentazioni. Sorge naturale il sospetto che a motivare un tale giudizio, cosı` opposto tra la commedia e il film, non siano elementi di ordine estetico, ma elementi di natura ideologica. Ci sia cioe` anche in questo caso un tentativo di strumentalizzazione. Concluso il giudizio sul film l’Altamura passa ad “analizzare” il “caso Rea che tiene banco della diffamazione contro Napoli!”. “Scrittori i tre di diverso calibro, di diversa maniera ma concordi [...] nel diffamare, nel vilipendiare, nel violentare – direi quasi – quello che di piu` intimo, di piu` pudico cola nel suo gran cuore la mia Napoli”. Detto questo l’Altamura esprime la sua riprovazione per chi si degna di prestare attenzione agli scritti di questi artisti (ma lei cosa ha fatto?), poiche´ dovrebbe essere unanime, afferma “la riprovazione per chi, sfruttando fino all’inverosimile i 31

“Asso di Bastoni”, Roma, 18 novembre 1950.

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LA RICEZIONE DEL FILM

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pochi rarissimi casi di eccessi avvenuti a Napoli, come in ogni citta` del mondo, [...] ne ha fatto «cosa prettamente nostrana» mentre nello stesso periodo di tempo tutto il mondo era diventato un porto di mare, ogni citta` una terra di sbarco per truppe straniere”. Non contenta, l’Altamura subito dopo, improvvisandosi anche critica letteraria, afferma che contro questi “pseudo-scrittori (molto spesso anche sgrammaticati e privi di stile letterario)” occorrerebbe che “si levassero una, dieci, mille voci di italiani, di letterati, meridionali e no, e non per inutili proteste, ma per dimostrare con le parole, con gli scritti, attraverso i racconti, poesie, opere teatrali, a tutto il mondo, che vi e` un altro lato della medaglia nazionale che non ha ancora avuto la sua illustrazione, ed e` una parte incisa col sangue, col sacrificio, con l’eroismo umile ed altissimo di donne, uomini, vecchi e fanciulli, di giovanette che non seppero o non vollero vendersi, che non tradirono, che non cedettero, che ignorarono lo straniero, disprezzando le lusinghe o le troppo facili ricchezze altrui, e preferirono morire di fame o di piombo piuttosto che cedere”. L’Altamura in sostanza esorta i suoi colleghi a raccontare storie edificanti che riescano a mostrare anche quegli aspetti positivi che durante la guerra, nonostante la guerra, si verificarono a Napoli. L’Altamura, poi, si rivolge ancora al collega Sterpa, chiedendosi come sia possibile che “tra tanti letterati siano presi in considerazione e premiati solo gli scritti di coloro che, come iene in cerca di carogne, scavano le fosse e frugano tra la melma ed il marciume? O che non vi siano scrittori che la pensino come me, come lei, con i quali dare il via ad un movimento polemico-critico anche nel campo letterario, movimento che [...] potrebbe iniziare la ripresa del sano costume morale nello scrivere, e potrebbe resuscitare la sana tradizione della letteratura italiana, spiritualistica, classica, cristiana, fatta di bellezza, di amore, di carita`, di bene?”. In altre parole l’Altamura auspica il ritorno ad una letteratura fondata sui buoni sentimenti e su sani ` vero – ammette poco piu` avanti – che il clima valori morali. “E politico nel quale ancora viviamo [...] non consente serenita` di critica. Se fosse possibile a tutti, in liberta`, dire la verita`, molti sepolcri imbiancati mostrerebbero la loro realta`, molti idoli cadrebbero al suolo polverizzati. [...] Sono, pero`, bisogna riconoscerlo, ancora troppo fresche le piaghe, troppo vivi i rancori, le passioni, gli odi, perche´ si possa avere serenita` di giudizio, pacatezza nelle esposizioni”. Prosegue, poi, riaffermando la necessita` di dare inizio a questo movimento, d’avere “il coraggio di dire, di scrivere, secondo

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LA NAPOLI MILIONARIA!

anche «un altro» punto di vista, che non sia quello di un Rea e di un Malaparte”. Per l’Altamura affermare un altro punto di vista e` fondamentale poiche´ “domani, quando noi saremo passati e con noi tutti quelli che sono ancora i protagonisti di questi eventi, domani, la Storia, i posteri, trarranno dall’esame di ogni evento, di ogni parola e di ogni fatto, la verita` storica”. La conclusione di questa lettera postpone il giudizio sulla verita` storica alla storiografia, sia letteraria che storica in senso stretto. Dal punto di vista storico, per De Filippo, Malaparte e Rea mi sembra che una certa giustizia sia stata fatta ed e` tutta a favore dei tre vilipendiati scrittori. Dal punto di vista letterario ne´ l’Altamura, ne´ Sterpa, mi sembra figurino nelle storie letterarie. Non sta a me giudicare il perche´. 32 Il 20 novembre su “Momento sera” viene pubblicato un articolo di Mario Stefanile cosi titolato: Non chiamatemi milionaria, grida Napoli al mondo. Stefanile sostiene sostanzialmente questa tesi: non e` giusto, in questi anni di rinascita, ricordare quei fatti sociali connessi alla seconda guerra mondiale, poiche´, seppur veri, il loro doloroso ricordo non farebbe altro che ritardare il processo di risanamento. A disturbare Stefanile e` soprattutto che a ricordare questi tristi episodi sia “gente nata qui”, cioe` a Napoli. Per questo motivo c’e` chi si offende se “nel bel mezzo di questo strenuo lavoro di rinascita e di risanamento, va tirando in ballo come niente gli anni neri della liberazione-occupazione, gli anni favolosi in cui i biglietti da mille si pesavano nelle bilance”. Il giornalista ammette poi che la “Napoli milionaria del ’43 e del ’44 forse anche esistette”, essa non fu soltanto “un’invenzione poetica o polemica ma una realta` storica: ma adesso e` troppo presto per giudicarla, nessuno ha il diritto e l’autorita` di spaccare il capello in quattro e tentare una definizione”. Cio` che Stefanile retoricamente si chiede e` chi “in buona fede potrebbe muovere un rimprovero a quei poveri borghesi e a quella povera plebe” che fu costretta ad arrangiarsi e a commettere azioni poco nobili vista la situazione in cui fu costretta ad agire, o a reagire. Aveva, quella gente, “una disperata voglia di vivere e di sopravvivere”, non le si puo` puntare l’indice contro. Cosa che mi sembra corrispondere all’inclinazione di Eduardo che nel finale dell’opera concede il perdono a coloro i quali sono stati costretti dalla necessita` ad assumere comportamenti moralmente sbagliati. “Ed e` cosi che – afferma Stefanile – Napoli 1950 tenta di buttare un panno vero sul suo passato: o 32

“Momento sera”, Roma, 20 novembre 1950.

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magari a ricordarselo vuol essere sola, in disparte, senza che nessuno ci metta bocca, senza che nessuno venga, come i puritani d’oltralpe e d’oltreoceano a rimescolare in quel torbido”. Gli episodi torbidi, quindi, ci furono, ma per il giornalista e` inopportuno che si rievochino adesso, poiche´ adesso si sta faticosamente tentando di risalire la china. “Tanto – afferma l’articolista – che resta poi di tutto quel paradiso, di tutto quell’inferno?”. Per l’articolista se oggi nel 1950 qualcuno “ripercorresse le strade, i vicoli e le calate, fondaci e larghi napoletani”, nessuno, “neanche il cronista piu` intelligente non riuscirebbe a ritrovare di quegli anni [...] segni ancora vivi e validi” di quel vecchio squallore. “Tutto e` stato cancellato, tutto lavato – afferma il giornalista – anche se in fondo non era poi una gran macchia e a farci sporchi piu` di quanto non fossimo sono stati i forestieri, gli ‘‘ospiti’’ di quegli anni di tutto e di rovina”. Non furono soltanto i napoletani a commettere azioni moralmente deprecabili, ci fu anche una corresponsabilita` degli Alleati in quei tristi episodi. “Della capitale del contrabbando di una volta, capace di frugare piroscafi interie di vendersi a borsa nera sigarette e negri, palloni da rugby e marocchini – afferma Stefanile – non resta quaggiu` che un sordo rumore di popolo che si affanna a trarre i pochi mezzi di vita da un lavoro massacran33 te”. Detto questo il giornalista si lancia in una considerazione di carattere storico-antropologico: “ma non e` stato poi sempre cosi? – si chiede – Da tremila anni Napoli vive freneticamente, come stesse per morire”. Napoli e` abituata alle difficolta`, agli invasori, ad essere dominata. Ed ora come allora soffre e muore, ma riesce sempre a risorgere dalle sue ceneri. E poi “in quegli anni favolosi – afferma sempre il giornalista – furono un poco tutti, fummo tutti noi a partecipare allo spettacolo pirotecnico, ecco tutto: e allora perche´ rinfacciarcelo ogni momento come un delitto?”. Tanto piu` che Napoli non e` piu` come quella di allora: “Forcella, la strada maestra del contrabbando, la Duchesca sono adesso abitati da povera gente che ormai affida alla cartavelina degli aquiloni, al pacchetto di focacce da venti lire e ai panni usati, la speranza di non morire di fame”. Insomma, a detta del giornalista, la Napoli del 1950 non ha piu` nulla di quella del ’43 – ’44. Per cui “e` inutile che Malaparte venga a ricordarci certe cose imprimendo una lettera scarlatta sulla «Pelle» di Napoli, e` inutile che anche Eduardo De Filippo insista rievocando 33

L’episodio, come gia` ricordato, e` citato anche in Napoli milionaria!, ed e` quello del furto della nave “Liberty”, entrato nella leggenda popolare.

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LA NAPOLI MILIONARIA!

l’epopea tragica e grottesca dei vicoli e dei «bassi» della vecchia Napoli”. A Napoli, per Stefanile, cio` che proprio non manca e` questo passato, il “passato non ci dice piu` nulla”, lo conosciamo gia`, non puo` dirci piu` nulla, anche perche´, soprattutto perche´ “Napoli vive di ora in ora”. “«Non chiamatemi milionaria!» implora Napoli, protesta Napoli quando Malaparte scrive «La Pelle», quando De Filippo trae un film dalla sua commedia [...]. Perche´ a quel prezzo, Napoli non vuole essere ricca, vuol restare povera, poverissima, zeppa di mendicanti e di bambini, di piccole case stipate di gente e di vicoli lerci dove ognuno scende a far da cucina e da salotto, da giaciglio e da mensa”. “Anche se «La Pelle» e` un atto d’accusa contro gli americani che portarono la «peste» a Napoli; anche se «Napoli milionaria!» e` una dichiarazione d’amore, i napoletani non vogliono che nessuno ricordi loro certe giornate, soprattutto quando essi stessi le hanno dimenticate tutte”. Tutte forse no, “i giorni di fame nessuno li dimentica, come i giorni d’amore”. Ma i napoletani, conclude l’articolista, “si sa, sono sentimentali” e forse un giorno “cominceranno perfino a voler bene a quell’epoca disgraziata, come ad una creatura povera della loro citta`. Ma anche allora vorranno amarla in silenzio, senza che nessuno se ne accorga". Il discorso che fa Stefanile, il lasciarsi alle spalle il recente passato, certi episodi, e` certamente un’idea discutibile, ma ha un suo fondo di verita`. La guerra e tutto cio` che essa comporto` e` sotto la pelle e far riemergere quegli anni, che i napoletani, come tutti i cittadini d’Italia e d’Europa, stanno cercando di superare con tutte le loro forze, puo` essere molto doloroso. Per guardarsi dentro bisogna anche ` vero, forse il 1950 e` una data troppo vicina avere la forza per farlo. E per analizzare i propri errori, i drammi personali e collettivi, si rischia di rallentare il processo di rinascita; ma e` anche vero che far finta di niente, dimenticare senza mettere in discussione niente, cancellare tutto con un colpo di spugna, soprattutto senza fare una serena e pacata autocritica, puo` essere molto piu` pericoloso. Per molti aspetti, soprattutto nei confronti del fascismo, la strada che scelse l’Italia fu, purtroppo, la seconda: dimenticare, riciclare tutto e andare oltre, come se nulla fosse accaduto. 34 Su “Film d’oggi” di gennaio appare una recensione di Napoli milionaria! La riportiamo in questo paragrafo nel rispetto del percorso cronologico che stiamo seguendo. La recensione non e` firmata ed e` particolarmente critica nei confronti del film di Eduardo. Il 34

“Film d’oggi”, Roma, gennaio 1950.

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recensore, nell’esordio, si pone un dilemma: come considerare questo debutto di Eduardo “leggerezza o presunzione?”. Per il giornalista, “qualunque sia la risposta, il fallimento di questa nuova esperienza del popolare attore napoletano non puo` trovare alcuna giustificazione”. “Eduardo – afferma – e` partito con tutti gli autout in mano – soggetto proprio, ottimo cast, produttore intelligente – ma lungo la strada, l’avversaria, la diabolica macchina da presa, glieli ha fatti cascare tutti sul tappeto”. Per il recensore, la colpa di Eduardo e` quella d’aver affrontato l’esperienza troppo “alla garibaldina, con la stessa sicurezza con cui aveva, in otto giorni, scritto una commedia”. Il film e` un “fiasco, dunque, tanto piu` clamoroso in quanto il debutto del bravo attore-autore era atteso con benevola fiducia”. Cosı` il giornalista liquida con poche parole la fatica di Eduardo regista. Poche parole, poiche´, altre, spostando completamente il tiro, ne ha da spendere su Eduardo uomo di teatro. Per il giornalista dopo questo flop, infatti, sorge un nuovo problema, anche “piu` rilevante; e cioe`, fino a che punto al ‘‘Teatro di Eduardo’’ puo` essere riconosciuta quella universale validita` che la gran parte dei critici italiani ha esaltata. Che non si tratti, invece, di un fenomeno particolarmente fortunato per la felice tempestivita` della nascita? Un successo, per intenderci, paragonabile a quello di Roma citta` aperta, film che deve la sua fortuna soprattutto alla sua coincidenza con la cronaca?”. La sensazione che si ha, viste anche le affermazioni su Roma citta` aperta, e` che il recensore non sia un critico cinematografico, ma un critico teatrale che ha colto l’occasione per togliersi qualche sassolino dalla scarpa, attaccando l’Eduardo drammaturgo. I dubbi, quindi, per l’anonimo giornalista si moltiplicano. Ma non contento, forse non sufficientemente convinto delle sue idee, chiede subito rinforzi: “Credo – afferma subito dopo – di non essere il solo ad avanzare qualche riserva sulle opere del grande attore. [...] Come non dar ragione all’acutissimo E. F. Palmieri che per primo, tra un coro generale di iperbolici osanna, rilevo` per primo la mediocrita` di Filumena Marturano?”. Per confermare i dubbi e le incertezze, il giornalista afferma di aver riletto le ultime commedie di Eduardo e ha “dovuto concludere, sia pure a malincuore, che – a parte Questi fantasmi (i primi due atti, pero`) – si tratta, in genere, solo di discrete commedie che non escono dal limite del dialettale”. Molti giudizi, quindi, tanti aggettivi negativi, ma nessuna osservazione tecnica, espressa, argomentata criticamente. Fatte queste “doverose” osservazioni, il critico ritorna su Napoli milionaria! film, affermando che “la

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sua traduzione cinematografica [...] ha reso un cattivo servigio al teatro di Eduardo: ne ha rivelato i luoghi comuni, ne ha fatto svanire quell’alone poetico che l’intimita` del palcoscenico gli donava. Attraverso la vivida recitazione di Eduardo su pochi metri quadrati delimitati dal boccascena si sentiva vivere Napoli; nella regia di Eduardo, regia libera di spaziare nell’autenticita` di veri «vasci», Napoli e` morta, e` diventata gratuita ed oleografica”. Che la versione cinematografica abbia perso quell’intimita`, quell’alone poetico che invece era presente in scena, e che possa essere un po’ oleografica e gratuita rispetto a quella teatrale, sono pareri che possono anche essere condivisi, anzi lo sono, ma cio` che, piu` in generale, non e` condivisibile sono i parametri di fondo, i presupposti da cui il giornalista muove le sue critiche. Non si puo` criticare esprimendo giudizi senza motivarli. Infatti il recensore prosegue affermando che Eduardo ha soprattutto peccato di un “difetto di convinzione: a parte certi grossolani errori di linguaggio (Eduardo deve ricordare che nel cinema il movimento non basta sia interno all’inquadratura ma deve vivere attraverso il ritmo delle varie inquadrature) al regista di Napoli milionaria! e` mancata la fiducia della macchina da presa. Eduardo non crede al cinema e il cinema si e` vendicato”. Cosi, con quest’ennesima affermazione qualunquistica si conclude la recensione, che risulta fastidiosa per la totale assenza di esempi e l’assoluta mancanza di orizzonte teorico che ne sostenga il giudizio. 35 Il 20 aprile del 1951 sul “Giornale dell’Emilia” viene pubblicato un breve resoconto sulla partecipazione del cinema italiano al festival di Cannes. Tra i film italiani in concorso, in tutto quattro, c’e` anche Napoli milionaria! Il cronista del quotidiano emiliano nel riferire sulla proiezione del film, a cui fra l’altro assistevano De Laurentiis, la Mangano e Raf Vallone, afferma che “ha avuto un buon successo”. “Annota poi il successo personale che ha ottenuto Toto` in una parte cosi diversa da quelle da lui abitualmente sostenute”. Conclude, poi, affermando che “con Napoli milionaria! l’Italia ha confermato che la sua selezione nazionale e` la migliore del festival. Sebbene molto diversi tra loro, i quattro film presentati sono stati apprezzati unanimemente dal pubblico”. Nonostante le polemiche, dunque, il film di Eduardo riesce ad entrare in concorso al festival di Cannes e, soprattutto, ad essere positivamente apprezzato. Occuparci dell’accoglienza che il film di Eduardo ebbe da parte della critica estera 35

“Giornale dell’Emilia”, Bologna, 20 aprile 1951.

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sarebbe interessante, ma ci costringerebbe ad allargare troppo l’ambito della ricerca. Per concludere questo capitolo analizziamo ora un articolo ap36 parso il 20 gennaio del 1951 su “Mondo operaio” , di qualche mese, quindi, antecedente a quello appena riportato. Sono trascorsi circa sei anni dalla prima teatrale di Napoli milionaria!, e quindi dalla fine della guerra, e la scelta di chiudere il resoconto della polemica sul ` un’inchiesta film di Eduardo con quest’articolo non e` casuale. E sulla miseria all’inizio degli anni ’50 intitolata I cercatori di immondizie. I cronisti, come si sa, sono gli storici del presente e quest’articolo e` da considerarsi, al di la` delle polemiche politiche che come spesso accade sono latrici di aspetti ideologici e strumentali, una fotografia delle condizioni in cui una parte dell’infanzia napoletana e non viveva a piu` di cinque anni dalla fine della guerra. Era, vedremo, una condizione ancora di grande miseria e di abbandono. L’inchiesta, inizia con la citazione di una lettera dell’onorevole Colasanto scritta a vari enti. Il parlamentare scrive in qualita` di Presidente della Delegazione Provinciale di Napoli dell’Associazione Nazionale Sinistrati e Danneggiati di guerra in occasione della Befana 1951. Il pezzo inizia cosi: “Purtroppo esiste ancora una massa dolorante, quella che vive bestialmente nelle caserme e nelle grotte, per la quale l’animo dei governanti resta sordo e corazzato per assenteismo e ` una folla di madri e di bimbi senza sorrisi, difficolta` contingenti. E completamente divisa dai privilegiati del Destino, che viene considerata come appartenente ad un mondo a parte, nei riguardi del quale, con intermittente pietismo, si somministrano soltanto promesse e lusinghe”. L’onorevole Colasanto ammette, quindi, l’esistenza di una realta` ancora estremamente sofferente, reduce dai disastri della guerra. Non si capisce come mai, allora, lo stesso deputato, afferma l’articolista, “ebbe a rivolgere al Presidente del Consiglio una interrogazione di protesta contro il film Napoli milionaria!, perche´ ritenuto diffamatorio della «nobile citta`» partenopea, in quanto osava mettere a nudo certi tristi aspetti dei «bassi» napoletani”, se egli stesso ricono` ovviamente una contraddizione. sce l’esistenza di questa miseria? E Per il giornalista, purtroppo, le situazioni disperate “non si esauriscono in quelle coraggiosamente denunciate dalla famosa commedia di Eduardo De Filippo”. Cita cosi il caso di un ragazzo, il dodicenne Francesco Jenga, che l’11 novembre dell’anno precedente, mentre 36

“Mondo operaio”, Roma, 20 gennaio 1951.

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rovistava nell’immondizia nella zona detta del “Vallone al Purgatorio”, era rimasto “sepolto da un’improvvisa frana delle immondizie e morto soffocato”. Di bambini che per sopravvivere cercano tra i rifiuti ancora nel 1951 ce n’e` tantissimi. Raccolgono “residui di legno, stracci, pezzi di stoffa, carta, lampade fulminate, vetro, ne riempiono un sacco e poi vanno a venderlo agli speculatori” per 100-300 lire. Quanto bastava per acquistare appena un tozzo di pane. Il problema dell’infanzia abbandonata e` un’altra piaga, non solo napoletana, di quegli anni, forse la piu` dolorosa. Un film di Comencini, Proibito rubare, prodotto proprio in quegli anni, ne denuncia con vigore e poesia lo stato di abbandono e abbrutimento. Questi bambini, afferma il giornalista, sono “soli al mondo – i genitori sono morti sotto i bombardamenti – e vivono alla giornata, in preda alla degenerazione e all’abbrutimento piu` totale. Nessuno si cura di loro. Furtarelli e lenocinio sono gli espedienti cui si abbandonano. Mentre la prostituzione spinge ai margini della societa` le ragazze loro coetanee che dalla guerra e dalla occupazione hanno ` il mondo della miseria appreso il vizio e il mercato della pelle. E senza speranze di Porta Capuana, che tante vittime miete fra queste povere minorenni alle quali nessuno della «buona societa`» e` disposto a tendere la mano”. Una mano a questi disperati la tende Eduardo denunciando la loro condizione. Una condizione che da essere umano, ancor prima che da napoletano, sente come sua. La sua preoccupazione e` innanzitutto che non si ripetano scelte e comportamenti che possano riportare la societa` ad un tale stato di degrado, a disumanizzarla. Molti dei fatti e dei comportamenti collettivi ed individuali raccontati da Eduardo in Napoli milionaria! nel 1951 non sono stati ancora «superati». La nottata, dunque, nonostante la speranza, non e` ancora passata e la situazione politica con interventi demagogici come quello dell’onorevole Colasanto, di certo non aiutano a farla passare. Ci sono ancora molti problemi irrisolti e c’e` chi vorrebbe che di questi problemi non se ne parlasse, c’e` chi, appunto, ` l’atteggiavorrebbe che i “panni sporchi si lavassero in famiglia”. E mento di quelli che vorrebbero cancellare con un colpo di spugna il recente passato, pensare ai problemi presenti senza il fardello degli errori commessi nel ventennio appena trascorso, rimuovendo cioe` le responsabilita` di quelli che sostennero la guerra ed il fascismo. Ma non c’e` solo questo a preoccupare coloro i quali preferiscono dimenticare: i censori. C’e` anche l’effetto negativo che il racconto dei drammi sociali puo` avere sull’umore collettivo, sulla “ripresa” e

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sull’immagine che dell’Italia se ne da` all’estero. Sono questi i motivi che contrappongono un certa parte politica al nuovo cinema italiano, cioe` al neorealismo che questi mali denunciava e raccontava. Ma se quest’avversione puo` avere, per la classe politica dirigente, una spiegazione prettamente politica e ideologia, per molti critici e intellettuali dell’epoca, si puo` anche addurre un’altra spiegazione, di ordine estetico, che consiste nella loro capacita` di giudicare il nuovo. Dal punto di vista artistico il neorealismo fu un fenomeno talmente rivoluzionario che molti giornalisti, essendo il loro armamentario critico superato, non riuscirono a capirlo. Quelli che fra tutti, probabilmente per una naturale inclinazione politica rispetto ai temi trattati, riuscirono almeno ad apprezzarne gli aspetti contenutistici, furono i critici e gli intellettuali di sinistra. Una reazione cosi aspra nei confronti dell’opera di Eduardo, che in fondo non aveva fatto altro che denunciare fatti accaduti realmente, i mali della guerra che non e` altro che una regressione dell’umanita`, al di la` di qualunque giudizio estetico, evidenzia le contraddizioni in cui si muoveva la classe politica del tempo. Per quanto attiene la critica, sulle recensioni che furono pubblicate all’indomani dell’uscita del film e le diverse interpretazioni che ne furono date, come abbiamo visto a volte palesemente faziose, sia in senso negativo che in quello positivo, vorrei citare a riguardo un articolo di Tullio Kezich apparso nell’anno 2003 su “Sette” l’inserto settimanale del “Corriere della 37 Sera” . L’articolo, nel domandarsi se i critici di oggi scrivono piu` stupidaggini di quelli di una volta, puo` aiutarci a definire meglio il clima in cui la critica nell’immediato dopoguerra, periodo da noi preso in analisi, si muoveva. Kezich afferma che “ogni tanto, soprattutto ai festival, dove di articoli capita di scorrerne molti, affiora il sospetto che non sia mai circolata tanta stupidita` nella critica cinematografica quanta ce n’e` in giro oggi”. Cita poi ad esempio di tale stupidita` alcuni articoli apparsi su giornali tedeschi durante la recente mostra d’arte cinematografica berlinese. Articoli, a suo dire, “da far cadere le braccia di fronte a valutazioni senza babbo ne´ mamma. [...] Non e` che oggi – prosegue Kezich – sui giornali scrivono persone meno attente e preparate di quelle che scrivevano anni fa; e non e` che allora non si leggessero ovunque madornali sciocchezze. Ma la stupidita` dell’epoca era in qualche modo inquadrata, organizzata, definibile: nel senso che sposando le ideologie di 37

“Sette”, inserto del “Corriere della Sera”, Milano, 27 febbraio 2003.

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LA NAPOLI MILIONARIA!

moda e affrontando le scelte correnti (Russia o America? Sinistra o destra? Impegno o disimpegno?) qualsiasi cretino poteva mettersi sotto l’ombrello delle grandi divisioni del momento. Per tanti scribi sull’intero pianeta non c’era di meglio del cinema sovietico, anche quando l’esaltazione di Stalin superava i limiti del senso comune; per altri elogiare un film che contenesse un minimo di critica ai sistemi del «mondo libero» voleva dire venir schedati come sovversivi o utili idioti. Donde la stupidita` «mirata» emergente dagli articoli, sempre a favore o contro qualcosa di ben piu` importante del singolo film. Oggi sono tramontati i condizionamenti politici, le ideologie non si sa piu` dove stanno di casa e lo stesso film puo` tranquillamente piacere o dispiacere a destra, a sinistra e al centro. Ogni critico non parla piu` riconoscendosi nell’uno o nell’altro schieramento, ma giudica secondo criteri puramente soggettivi e impressionistici. Senza contare che il giudizio secco, «up» o «down» secondo la formula dei televisivi americani, che alzano o abbassano il pollice, non si preoccupa di fornire motivazioni; e che certi valori, a suo tempo considerati in modo oggettivo, vedi la qualita` artistica e tecnica della realizzazione, sono volentieri considerati connotazioni accademiche o addirittura disvalori. Come risultato, succede sempre meno che il cinema mili38 tante si riconosca nella critica e ne tragga lumi” . Ad Eduardo accadde che la critica, nella gran parte estremamente faziosa e militante, per tirare acqua al proprio mulino, non si preoccupo` di valutare serenamente e oggettivamente il film, esaltandolo o demolendolo a secondo dei bisogni di parte che ciascuno si sentiva di rappresentare. Il risultato e` quello che vi abbiamo mostrato. La paura della guerra e` nel 1950 una paura condivisa da tutti. Era da poco terminato un conflitto che aveva atrocemente coinvolto una grande parte dell’umanita` e gia` incombeva la minaccia di un’altra guerra ancora piu` tremenda (era facile prevederlo!). L’allarme era suscitato dal fatto che i rapporti tra Stati Uniti ed Unione Sovietica avevano raggiunto un punto di tensione assai vicino alla rottura. L’Italia, solo due anni prima, aveva aderito al Patto Atlantico e le sinistre sconfitte nel referendum, i cui risultati avevano autorizzato i nostri governanti a stringere l’alleanza, non si erano affatto rasse38 In Italia mi sembra questa una verita` tutta da verificare. Le vicende del finanziamento pubblico al cinema, il sistema delle telecomunicazioni radiotelevisive, sostanzialmente fondato su un duopolio, il peso che i diritti di messa in onda hanno nei budget produttivi dei film, non ci fanno assolutamente pensare al sistema cinema come ad un mondo scevro dai condizionamenti politici, e purtroppo, quindi, ideologici.

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gnate. Tra gli argomenti di cui si avvalevano per alimentare la polemica, il pacifismo figurava al primo posto (con la contraddizione interna di essere in linea con il partito comunista sovietico che per pacifismo certo non si distingueva!). Eduardo, quindi, sapeva benissimo che la sua opera avrebbe portato acqua al mulino delle sinistre, alienandogli non poche simpatie. L’origine della polemica sul film sta in fondo tutta qui. Sul tema della pace c’e` un episodio che puo` servire a comprendere in quali contraddizioni si muoveva la politica e l’arte italiana in quegli anni. Nel 1950 Eduardo scrive e rappresenta una commedia intitolata La paura numero uno proprio sulla paura della guerra. Nel 1952 gli viene assegnato il Premio Stalin per la pace. Eduardo (generoso o lungimirante?) destino` ad opere di bene la grossa somma (9 milioni di lire di allora) che corredava pecunia39 riamente il riconoscimento . La pace si ottiene con il dare a chi non ha niente da restituire. Devolvendo il premio Eduardo sceglie di restare libero, come e` giusto che sia un’artista. Queste erano le contraddizioni in cui del tutto inconsapevolmente potevano incappare gli artisti in quegli anni. La situazione politica internazionale, la guerra fredda, la minaccia del comunismo, l’essere economicamente e politicamente sotto l’ala protettiva degli Stati Uniti d’America, erano dunque realta` che condizionarono non poco le scelte e gli orientamenti della nostra democrazia dell’epoca. A farne le spese, come abbiamo visto, ripeto, al di la` di ogni giudizio di valore, ci fu anche Eduardo che quelle contraddizioni sottolineava, fossero esse anche solo della realta` sociale o politica come fara` con le commedie successive. La seconda guerra mondiale, toccandola con mano, gli aveva dato occasione di capire che sono i piu` deboli a pagare le spese delle decisioni dei piu` forti, dei potenti. Il tempo, che le contraddizioni supera per produrne delle nuove, ci ha aiutato a vedere piu` chiaramente le dinamiche che produssero queste polemiche e a capirne i motivi. Lo spirito che ha mosso questo capitolo, era, quindi, oltre che di darne un dettagliato resoconto, di capire anche perche´ Napoli milionaria! fu accolta in un certo modo. L’analisi che se ne fece dal punto di vista critico non fu sempre scevra dai problemi che abbiamo poc’anzi sottolineato. Fu, cioe`, molto spesso, condizionata da questa situazione, diventando oggetto di una strumentalizzazione politica. Lo fu da entrambe le parti in lotta, sia dai democristiani (e da quelli a loro vicini) che dalle sinistre. A favore dei 39

F. Frascani, Eduardo segreto, Gallina, Napoli, 1982, p. 151.

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comunisti va, pero`, a mio avviso, sottolineata una maggiore onesta` e lucidita` intellettuale nell’ambito del giudizio critico sul film. Non si incappo`, ovvero, in troppo evidenti manomissioni, ma piu` spesso si cerco` di giudicare il film in se´, come opera d’arte. Lo scopo del prossimo capitolo e` quello di farne un’analisi quanto piu` scevra possibile da condizionamenti marcatamente ideologici e strumentali, per quanto ovviamente questo e` possibile, essendo comunque noi tutti dei “prodotti culturali”. L’analisi sara` condotta cercando di individuare innanzitutto gli aspetti formali e strutturali dell’opera, quindi le sostanziali differenze che intercorrono tra la commedia e il film e, solo successivamente, attraverso i risultati di questa analisi, cercare di capirne il senso, cio` che ha voluto dire.

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titolazione dispari

Fig. 1 – Formazione di aerei in volo tipo Spitfire Mark XII.

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titolazione pari

Fig. 2 – Napoli. Via Marina 1941-1943. Bombardamento.

Fig. 3 – Incursione aerea su Napoli 1941-1943.

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titolazione dispari

Fig. 4 – Napoli. Parco Margherita, 85. 08.01.1941.

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titolazione pari

Fig. 5 – Napoli. Capodichino 11.11.1941. Operazioni di soccorso.

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titolazione dispari

Fig. 6 – Monumenti blindati.

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titolazione pari

Fig. 7 – Napoli. Piazza del Plebiscito 1943.

Fig. 8 – Napoli. Piazza del Carmine 01.03.1943.

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titolazione dispari



Fig. 9 – Incursione aerea del 4 agosto 1943, chiesa di Santa Lucia.

Fig. 10 – Napoli. Via Medina 15.01.1943.

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titolazione pari

Fig. 11 – Napoli. Piazza Mercato. Operazioni di Soccorso.

Fig. 12 – Napoli. Chiesa S. Chiara. Coro delle Monache dopo bombardamento.

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Fig. 13 – 1000 am lire.

Fig. 14 – 2 am lire.

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Fig. 15 – Eduardo e Peppino.

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Fig. 16 – Eduardo, Titina e Peppino, disegno.

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Fig. 17 – Locandina di Napoli milionaria. Commedia.

Fig. 18 – Foto di scena della commedia.

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Fig. 19 – Locandina di Napoli milionaria! Film.

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Fig. 20 – Scena del film.

Fig. 21 – Scena del film.

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Fig. 22 – Scena del film.

Fig. 23 – Scena del film.

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Fig. 24 – Scena del film.

Fig. 25 – Eduardo.

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DALLA SCENA ALLO SCHERMO

1. Il Film Napoli milionaria! film viene prodotto da Dino De Laurentiis nel 1949. Alla riduzione del testo teatrale in sceneggiatura collaborano con Eduardo De Filippo, P. Tellini e A. Majuri. La fotografia in bianco e nero e` affidata ad Aldo Tonti, le musiche sono di Nino Rota e la regia e` dello stesso Eduardo. Gli interpreti principali sono Eduardo De Filippo, Titina De Filippo, Leda Gloria, Delia Scala, Carlo Ninchi e Toto`. Il film ha inizio con una sequenza di montaggio sulla quale scorrono i titoli di testa: una serie di immagini mostrano la citta` colta in diversi luoghi caratteristici. Sempre sullo scorrere delle immagini una voice off ci informa che questa storia “si svolge in una citta` che molti hanno visto ma che pochi conoscono. Una citta` fatta soprattutto di vicoli, nella quale vive gente afflitta... [...] e se ne puo` prendere uno a caso 1 che tanto sono tutti uguali” . L’anno in cui prende avvio la vicenda e` il 1940. L’immagine, come a circoscrivere il campo d’azione, si muove all’interno di un vicolo, nel quale, in diverse attivita`, ci vengono presentati i protagonisti della vicenda: Gennaro Jovine, un uomo di mezza eta` che di professione fa il tranviere, ha la testa piena di bollette da pagare e dei soliti pensieri che affliggono tutti i capofamiglia. Poi c’e` donna Amalia, sua moglie, che cucina all’aperto. Maria Rosaria, la figlia piu` grande, giovane e avvenente fanciulla, e` intenta a lavare della biancheria. Poi c’e` Amedeo, il figlio maschio, che gioca 1 A questa affermazione, cosi deterministica, che accomuna tutti i vicoli di Napoli e la gente che nei vicoli vive, puo` essere certamente fatta risalire la polemica che scoppio` dopo l’uscita del film, l’“offesa” che Eduardo reco` alla citta` di Napoli e ai suoi cittadini.

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LA NAPOLI MILIONARIA!

a carte con Federico, suo collega nell’azienda del gas; ed infine Rituccia, la figlia piu` piccola, che con le amiche gioca alla “settimana”. Un altro protagonista della vicenda e` il ragionier Spasiano che, accompagnato dalla moglie e dai figli, a quell’ora esce di casa per andare a guardare le vetrine dei negozi. Donna Adelaide, invece, e` una donna di mezza eta`, vicina degli Jovine, che lavora a mezzo servizio e in questo momento sta cucinando per sua nipote Assunta ed il suo fidanzato. Infine, a concludere il quadro, ci sono i due pensionati: il non piu` giovane tassista Peppe, detto ’o trucco per la sua abitudine di truccare il tassametro del suo taxi, ed Errico “Settebellizze”, guida autorizzata. Sono questi i protagonisti della vicenda, colti nelle loro attivita` quotidiane. L’avvio del film, attraverso questo spaccato di vita, ha lo scopo di presentare i personaggi e di introdurre il contesto topografico e socio-economico nel quale la vicenda ha origine e si svolge. Come si puo` facilmente dedurre dal tipo di rappresentazione visiva e dall’uso della voce narrante che ad essa funge da contrappunto informativo, la tecnica narrativa usata e` quella propria del neorealismo. Dalla citta` al vicolo, il campo si restringe ancora di piu` focalizzandosi su Amalia, intenta a preparare il pranzo. Cucinare all’aperto e` una necessita` per chi non ha tanto spazio nella propria abitazione, nel proprio basso. Ma si da il caso che la sua fumante fornacella dia fastidio a donna Adelaide che protesta vivamente con la sua vicina. Tra le due scoppia una lite, alla quale pian piano prendono parte vari 2 personaggi del vicolo . Gennaro, seduto poco distante, accanto al banchetto del suo amico calzolaio, commenta rassegnato l’ennesima intemperanza della moglie. Nella lite, in difesa di donna Amalia, si schiera “Settebellizze”. La lite ci fornisce informazioni sul temperamento dei personaggi: quello mite, dimesso, di don Gennaro e quello focoso, acceso, quasi virile di donna Amalia. Ci informa inoltre di un interesse particolare che “Settebellizze” nutre per donna Amalia. Quando ormai la lite e` diventata una vera e propria baruffa, a sedare gli animi, interviene la polizia che requisisce tutta la merce e le 3 suppellettili presenti all’esterno del vicolo . Contro l’esproprio, l’unico a far sentire la propria voce e` don Gennaro. La sua protesta ha il carattere della rivendicazione sociale: di chi e` consapevole di 2

Come detto nel capitolo precedente, il vicolo e` stato interamente ricostruito in studio e tutti i personaggi non protagonisti sono i veri abitanti del vicolo Pallonetto a Santa Lucia. 3 Un decreto di quel periodo vietava lo svolgersi all’esterno delle abitazioni di qualunque attivita` domestica e di praticare qualunque tipo di commercio abusivo.

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vivere in alloggi inadeguati a condurre una vita dignitosa. Le lamentele sono ovviamente rivolte al governo fascista che fa solo promesse e non provvede mai a risolvere i problemi. Gennaro, tra tutti, e` l’unico ad avere un atteggiamento, potremmo dire cosi, politicizzato nei confronti della sua condizione. Palesando il suo disappunto, Gennaro, mostra una coscienza civile che manca agli altri membri del gruppo sociale a cui appartiene. Questa funzione, nella commedia teatrale, e` presente nel monologo sul calmiere, sui potenti e sui progetti di legge. Questo monologo, assente nel film, e` sostituito da queste brevi tirate di Gennaro che non hanno certo il peso dei monologhi teatrali. Per le sue proteste, Gennaro, viene pero` arrestato e condotto anch’egli, insieme alle suppellettili, che intanto sono state caricate su un camion, al commissariato. Ma a porre riparo all’esproprio e` la stessa furbizia dei napoletani che, con una serie di strata4 gemmi , riescono a riappropriarsi dei loro beni. Quando infatti il camion arriva al commissariato e` vuoto, cosa che costringe la polizia a rilasciare anche Gennaro. L’uomo, una volta libero, sale su un tram e si ferma allo stazionamento. Qui incontra Paqualino, un suo vecchio amico operaio che lavora come addetto alla pulizia dei binari del tram. I due, passeggiando, parlano della situazione italiana. Gennaro appare molto preoccupato, non si fida del governo fascista, ha paura che Mussolini possa veramente dichiarare guerra. Pasqualino non e` dello stesso avviso e rassicurandolo afferma che per lui i proclami del Duce non sono altro che espedienti propagandistici per ` un modo per mostrare i muscoli ma l’Italia intimorire i nemici. E non entrera` mai in guerra. Ma mentre i due discutono delle poco ` scopamene questioni belliche, incrociano un bambino che urla: “E ` scoppiata la guerra!”. Gennaro e Pasqualino si piata la guerra! E guardano per un istante perplessi, poi, colti da un’improvvisa paura, scappano via verso le rispettive abitazioni. La sequenza fin qui esposta, relativa all’anno 1940, e` completamente assente nella commedia teatrale e ha la funzione, come abbiamo detto, di prologo all’azione che ha inizio nella sequenza successiva. Il trascorrere del tempo viene scandito da un effetto visivo: una cappelliera dalla quale spariscono i copricato dei civili e appaiono quelli militari dei fascisti e dei tedeschi.

4 Per riappropriarsi dei loro beni, alcuni abitanti del vicolo mettono seduto a terra, al centro della strada, un bambino piccolo e danno fuoco al alcune ceste di vimini in modo da costringere il camion a fermarsi.

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LA NAPOLI MILIONARIA!

Siamo in tempo di guerra, piu` precisamente nel 1943 e un attacchino incolla al muro un manifesto della Prefettura che invita i cittadini napoletani a non praticare il contrabbando. Avvisa, inoltre, che tutti gli approfittatori verranno severamente puniti. Un carretto viene trasportato di notte da alcuni uomini in un deposito. Uno di essi scopriamo essere Errico “Settebellizze”. L’uomo, coadiuvato da due suoi scagnozzi, scarica il carretto stracolmo di generi alimentari. Nel compiere l’operazione specifica che tra le varie merci c’e` anche il caffe` per donna Amalia. La scena, quindi, ci informa, tra le altre cose, che anche donna Amalia si e` messa a praticare la borsa nera. La scena successiva corrisponde all’inizio vero e proprio della 5 commedia teatrale: ovvero al risveglio di don Gennaro . L’uomo si e` appena svegliato e incrocia Amedeo che reclama il suo piatto di maccheroni, messo al sicuro la sera precedente. Come nella commedia, e` stato Gennaro a mangiarlo. Tra i due nasce una breve discussione alla quale il capofamiglia pone fine appellandosi come nella commedia al giunglesco “si salvi chi puo`!”. Questa scena, tagliata nella sua quasi totalita`, perde gran parte della sua efficacia. Nel testo teatrale, infatti, ad evocare il “si salvi chi puo`”, a proposito del contrabbando e di un certo stile di vita legato all’etica dell’ “arruobbe tu, arruobbo pur’io...”, ovvero al furto, e` proprio Amedeo. Gennaro, quindi, affermando d’essere stato lui a mangiare i maccheroni, non fa altro che ripagarlo con la stessa moneta. Questo effetto comico nel film si perde. In piu` sull’intera scena grava l’assenza di Maria Rosaria che, anch’ella vicina all’etica del fratello e della madre, tende ad isolare ancora di piu` la figura paterna. In sostanza, in questa scena si affievoliscono le fondamentali contrapposizioni in gioco che, come abbiamo detto nel secondo capitolo, vedono opporre Gennaro a tutti gli altri personaggi. La scelta di frammentare la scena iniziale della commedia teatrale, compatta e complessa, in una serie di piccole scene dai contenuti drammatici piu` piccoli, ha quindi l’effetto di diluire il nucleo drammatico e quindi la tensione assai vivi nella commedia. Amedeo, alterato per non aver potuto fare “colazione”, esce di casa ed incontra Peppe ’o trucco il quale, vedendolo depresso, anche per via della disastrosa situazione economica generale, lo 5

In questa scena e` assente il litigio tra donna Amalia e Vicenza, la donna che nella commedia teatrale si era messa a vendere il caffe` in concorrenza con lei. Come abbiamo visto, il litigio, che ha la funzione di mostrarci il carattere forte e aggressivo di Amalia, e` stato trasformato e spostato all’inizio del film.

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DALLA SCENA ALLO SCHERMO

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invita a mettersi in societa` con lui. Lui conosce un modo sicuro e veloce per far soldi. La proposta e` allettante, la strada e` ovviamente quella dell’illegalita`. Nella sequenza successiva troviamo Amalia ed Errico “Settebelizze” che, nella tromba delle scale di un palazzo, parlano dei loro traffici illeciti. Errico le comunica l’arrivo di un nuovo carico di merce e la disponibilita` dei generi che spettano a lei. Amalia si affretta a chiedergli quanti soldi gli debba, ma Errico si mostra generoso: i soldi glieli dara` come sempre dopo che avra` piazzato la merce. A questo proposito Amalia gli mostra un orecchino, frutto dei suoi commerci, espropriato a qualche disperato. Errico lo osserva attentamente e con ammirazione le chiede dell’altro. Amalia lo tranquillizza, l’altro se lo procurera` presto. Il dialogo tra Amalia ed Errico ha un marcato sottotesto amoroso che sembra legare i due ad un doppio filo, commerciale e sentimentale. Amalia, quindi, si presenta alla porta del ragionier Spasiano che capiamo essere il proprietario dell’altro orecchino. Amalia e` passata a riscuotere una somma di danaro che l’uomo le deve per dei generi alimentari da lui acquistati in precedenza. Il ragioniere le dice di non avere soldi in quel momento, ma per Amalia non c’e` problema, un modo per mettersi d’accordo lo troveranno... il riferimento e` ovviamente al secondo orecchino. La scena ci mostra l’intraprendenza e l’avidita` di Amalia ma a differenza del film, nella commedia teatrale e` sempre il ragioniere, e con lui tutti gli altri, a presentarsi in casa sua. Il movimento centripeto che nella commedia porta verso Amalia, ovvero verso il basso, ha l’effetto di dare maggior peso e forza al suo personaggio, cosa che nel film tende quasi completamente a svanire. Nel film non abbiamo la percezione del suo potere, del fatto che sono gli Altri, compreso “Settebelizze”, a muoversi verso di lei, ad avere bisogno di lei. C’e` da dire inoltre che in questo modo si perde l’atteggiamento “innocente” di Amalia, il suo porsi nei traffici illeciti come intermediaria. Anche questa sfumatura di non poco conto nel film si perde. Nella scena seguente ritroviamo Pasqualino che con la guerra ha perso il lavoro ed e` stato costretto ad inventarsene uno nuovo. Lo troviamo seduto all’interno di un’osteria intento a sfilare dall’interno 6 di un enorme palatone il suo pranzo: dei friarielli e una gigantesca ` una gustosa scena di colore. Mentre sta per iniziare polpetta. E l’agognato pranzo, viene raggiunto da Amedeo che gli comunica 6

Un caratteristico pezzo di pane napoletano.

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LA NAPOLI MILIONARIA!

d’aver bisogno del suo aiuto: hanno saputo che in casa loro sta per arrivare una perquisizione della pubblica sicurezza. Il nuovo lavoro di Pasqualino consiste nel prestarsi come finto morto a quelle famiglie di borsari neri che avendo in casa merce di contrabbando, di solito custodita sotto i letti, all’atto della perquisizione, hanno bisogno di una copertura per evitare che vengano rinvenuti i generi alimentari. Dopo una breve contrattazione, Pasqualino, per la “modica” cifra di duemila lire, accetta di prestarsi alla messinscena. Le scene successive sono quelle relative alla finta veglia funebre e alla perquisizione della polizia in casa Jovine. Come abbiamo piu` volte sottolineato nel capitolo precedente, il ruolo di Gennaro si sdoppia in quello di Pasqualino. Questa scelta, se da una parte ha il pregio di connotare, grazie all’estro di Toto`, ancor piu` comicamente la scena e di prestare l’interprete ad altri snodi narrativi, dall’altra ha l’effetto di sottrarre forza drammatica al personaggio di Gennaro che, come piu` volte sottolineato, inizialmente riluttante ai traffici illegali della moglie, prestandosi a fare il finto morto, approva tacitamente l’iniziativa della consorte segnando il cedimento dei valori morali allo stato di necessita`. Questo conflitto, e tutte le sfaccettature che esso com` a questo punto porta, nel film si perdono quasi completamente. E che si chiude il primo atto della commedia. Nel film, invece, c’e` una coda. L’episodio del finto morto si chiude con l’arresto di don Gennaro che al brigadiere Ciappa si era qualificato come fratello del defunto. Gennaro, all’uscita dall’abitazione, sta per essere condotto in Questura quando ad un suo amico viene comunicata la morte della moglie, morta assieme ad altre settantanove persone in un rifugio antiaereo colpito da un bombardamento. Impietosito dal tragico evento, il brigadiere lascia andare Gennaro che cosı` riesce ad evitare ancora una volta il carcere. Gennaro e l’amico si dirigono al rifugio e trovano i vigili del fuoco che estraggono dalle macerie le ` una scena drammatica che consente di mostrare concretavittime. E mente l’effetto nefando della guerra, il suo potenziale di distruzione e morte. L’immagine successiva ci mostra, attaccata al muro, un’ordinanza del comando tedesco che impone l’evacuazione della fascia costiera nella zona da Mergellina a via Manzoni. Il proclama sollecita inoltre tutti gli inquilini che ne hanno la possibilita` ad ospitare i numerosi sfollati. Subito dopo vediamo proprio una serie di immagini che ci mostrano gruppi di evacuati che con le loro suppellettili trasportate su mezzi di fortuna lasciano le proprie abitazioni. A

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DALLA SCENA ALLO SCHERMO

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questo punto vediamo le sequenze dell’insurrezione napoletana delle Quattro Giornate: i rastrellamenti degli uomini napoletani da parte dei tedeschi, la scena della fucilazione del marinaio sullo scalone dell’Universita` Federico II, il bambino che lancia una molotov in un 7 carro armato tedesco facendolo esplodere . La citta` e` insorta. Eduardo sceglie cosi di inserire, anche attraverso immagini di repertorio, uno dei momenti piu` importanti della storia cittadina (e non solo), un atto di ribellione e di coraggio che onoro` i cittadini napoletani. In quel momento, proveniente da Torre del Greco, vediamo, rientrato da poco a Napoli, con un cesto di mele in mano, Gennaro. L’uomo ha percorso quattordici chilometri a piedi ed e` all’altezza del corso Vittorio Emanuele. Qui viene a sapere dal portiere di un palazzo dell’insurrezione popolare e che i tedeschi stanno rastrellando la citta`. L’uomo gli consiglia di nascondersi ma Gennaro vuole ` in dubbio verso quale strada percorrere, non sa se tornare a casa. E imboccare la via che va verso sinistra o quella che va verso destra. Sceglie, poi, di seguire la strada consigliatagli dal portiere. Si incammina quindi per una scalinata che lo conduce tra le braccia di due soldati tedeschi che lo fermano e lo fanno salire insieme ad altri uomini su un camion. Gennaro viene quindi deportato. A segnare un’ulteriore ellissi temporale e` ancora la cappelliera, dalla quale, in dissolvenza incrociata, scompaiono i cappelli militari fascisti e tedeschi ed appaiono quelli militari degli anglo-americani e quelli dei civili. Siamo nel 1945, la citta` e` stata liberata e il vicolo dove vive la famiglia Jovine si e` trasformato in un vero e proprio mercato. Si vendono beni di ogni tipo e la sensazione e` che circolino ancora piu` soldi di prima: il mercato nero e` ancora piu` florido. Napoli e` veramente diventata milionaria. Amedeo raggiunge Pasqualino e gli comunica che “Settebellizze”, trovato in possesso di merce di contrabbando, e` stato arrestato. “Settebelizze”, per farla franca, ha incolpato Pasqualino accusandolo d’essere il grossista, ovvero il fornitore della merce che e` stata gia` portata a casa dell’ex finto morto. La storia dunque si ripete. Per Pasqualino cambia solo il ruolo da interpretare. Infatti Amedeo gli chiede di fingersi un borsaro nero e di farsi qualche giorno di galera al posto di Errico. Ovviamente l’uomo, come suo solito, contratta il prezzo della prestazione: cinquantamila lire per piu` o meno un mese 7

Quest’ultima sequenza, presente anche in ’O Sole mio di G. Gentilomo, e la precedente della fucilazione, sono immagini di repertorio.

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LA NAPOLI MILIONARIA!

8 e mezzo di carcere e` la cifra concordata . Accompagnato da Amedeo, Pasqualino si presenta al comando militare alleato dove ad aspettarlo in stato di fermo c’e` anche “Settebellizze”. Pasqualino, come da accordo, si auto accusa ed Errico viene rilasciato. Rimasto solo con l’ufficiale in comando, Pasqualino, gia` pregustando la sostanziosa somma di danaro che l’aspetta, gli chiede che pena pensa che gli verra` inflitta (in base al periodo di detenzione percepira` un certo quantitativo di denaro), ed appare molto sorpreso quando l’ufficiale gli comunica che non ha intenzione di arrestarlo. Pasqualino gli sta molto simpatico, afferma l’ufficiale, e, poi, ha molto apprezzato il fatto che si sia presentato spontaneamente. Pasqualino protesta, vorrebbe farsi almeno un periodo di galera, ma non c’e` modo di convincere l’ufficiale che ha deciso di non infierire ulteriormente sul simpatico ometto. Detto questo, l’ufficiale, gli comunica d’essere un amante del canto e sotto gli occhi stupefatti di Pasqualino comincia ad intonare una canzone napoletana. La scena, oltre al meccanismo legato alla sopravvivenza, ci racconta anche, in chiave ironicopolemica, la leggerezza con la quale spesso i militari alleati, soprattutto quelli americani, risolvevano le questioni connesse alla legalita`, nelle quali spesso, volontariamente o involontariamente, finivano per inserirsi aggravando la gia` difficile situazione. La guerra, come abbiamo detto, e` finita e in casa Jovine sono arrivati i milioni. Di Gennaro non si hanno notizie dal giorno in cui e` stato deportato dai tedeschi. Da allora sono passati circa quattordici mesi. La casa e` stata ristrutturata. La stanzetta in cui dormiva Gennaro non c’e` piu`. Amalia e` un’altra donna, ben vestita e piena di se´, del suo orgoglio di donna capace di sbrigarsela nella giungla della vita. Mettendosi del profumo, chiacchiera con donna Adelaide, che, con tono insinuante, le chiede se quel profumo glielo abbia regalato “Settebellizze”. L’allusione ad una relazione sentimentale tra i due non e` gradita da Amalia che liquida in malo modo la donna. L’arrivo in casa di Errico costringe alla dipartita Adelaide. Rimasti soli, come nella commedia, Errico e Amalia compiaciuti parlano dei lori sempre piu` floridi traffici. Poi “Settebellizze” si fa piu` insinuante e dirotta il ` piu` di un anno che di Gennaro non si discorso sul loro rapporto. E hanno notizie e lui vorrebbe, per cosi dire, ufficializzare la loro

8 Per fingersi morto Pasqualino soltanto qualche mese prima aveva chiesto duemila lire. La cifra pattuita adesso e` cinquantamila lire, segno dell’incremento esponenziale delle attivita` illecite e dei relativi profitti.

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DALLA SCENA ALLO SCHERMO

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relazione. Sulla scena, cosa che crea anche un certo effetto comico, incombe una grande foto di Gennaro che, con aria inquisitoria, osserva i due. Il discorso e` interrotto dall’arrivo del ragionier Spasiano, che, accompagnato dalla moglie, e` venuto a chiedere a donna Amalia una dilazione sui soldi che le deve per il debito da lui contratto sulla casa. Ma Amalia, spalleggiata dal suo spasimante nonche´ socio in affari, non vuol sentire ragioni ed impone al ragioniere di rispettare i patti, altrimenti gli togliera` la casa. La scena si sposta all’esterno, nel vicolo, dove il tentativo del ragioniere di impietosire Amalia, ha l’effetto di provocare la sua reazione tutt’altro che cordiale. La donna, infatti, fuori di se´ gli ricorda di quando lui e la sua famiglia mangiavano e facevano la bella vita, mentre lei e i suoi ` una vera e propria umiliazione per il figli si morivano di fame. E ragioniere che mortificato resta impietrito ad osservare l’auto di “Settebellizze” che si allontana con donna Amalia. A questo punto seguono una serie di scene che potremmo definire della definitiva perdizione dei membri adulti della famiglia Jovine. Le azioni si svolgono contemporaneamente: — Amalia e “Settebelizze” sono a cena in un elegante ristorante della citta`. Senza alcun pudore, sotto gli occhi degli avventori, i due amoreggiano come due sposini in luna di miele. Errico fa per baciarla ma, incontrando lo sguardo di don Gennaro che, sospeso ad una foto incastonata in un pendente appeso al collo della donna, lo fissa con aria bonaria, si blocca e con fare disinvolto, dopo aver girato l’opprimente immagine, appoggia le sue labbra su quelle della sua amata. — Maria Rosaria e` ad una festa con le sue amiche. Si diverte e si lascia corteggiare da un soldato americano. — Nel frattempo Amedeo, coadiuvato da Peppe ’o trucco, e` intento a sfilare una ruota ad una jeep militare. — Maria Rosaria, introducendosi dalla finestra rientra a casa nella camera di un’assopita Rita con lei c’e` un soldato americano (lo stesso con il quale si divertiva alla festa). I due si baciano con trasporto lasciando immaginare un imminente momento d’amore. — In quello stesso momento il gruppo di americani che si divertiva alla festa alla quale era presente anche Maria Rosaria, raggiungono, accompagnati da esuberanti ragazze, la loro

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jeep e scoprono essergli stata sottratta una ruota (quella rubata da Peppe e Amedeo). — La sequenza si chiude con il ritorno su Pasqualino che avevamo lasciato in ascolto dell’obbrobrioso canto dell’ufficiale americano. Mentre l’uomo continua a cantare, Pasqualino si dilegua lasciando indisturbato il comando militare. (Questa scena riprende quella precedente e sottolinea ancora una volta la leggerezza con cui gli Alleati governarono in quei ` un modo soft per sottolineare la connivenza mesi Napoli. E che, in certi aspetti della vita civile, segno` in quegli anni il governo della citta` di Napoli). I nuclei narrativi sviluppati in queste scene, che determinano la svolta tragica della commedia, incrementandone il patetismo, sono trattati con poca profondita`. La rappresentazione della “perdizione” della famiglia Jovine si condensa in queste poche e veloci scene prive di una vera e propria tensione interna. Il film perde cosi gran parte della sua densita` drammatica, cosa che, tra le altre cose, ha l’effetto di svalutare la crisi morale che avviene nel finale con il reperimento della medicina. ` mattina e Gennaro, vestito con C’e` un ulteriore breve ellissi. E vecchi e sdruciti abiti militari di diversa nazionalita`, cammina per la strada nei pressi del punto in cui circa un anno prima era stato prelevato dai tedeschi. Casualmente incontra il portiere che gli aveva consigliato la strada che lo aveva condotto tra le braccia del nemico. I due si riconoscono e Gennaro, prima di riprendere la strada verso casa, gli dice ironicamente, visto che il suo consiglio lo aveva condotto tra le bracce dei tedeschi, che lui farebbe un disegno di legge in cui e` vietato dare consigli alla gente. In quel momento in casa Jovine Amalia sta cucinando. Maria Rosaria e` appena tornata. Amalia rimprovera la figlia di rientrare troppo tardi la sera: se ne sta troppo in giro con quel soldato americano. Maria Rosaria, risentita, replica che il soldato non c’e` piu`. Amalia, leggera, le dice di non farsene un cruccio, tanto ne trovera` presto un altro. Ma la ragazza non e` dello stesso avviso, affermando, con disprezzo, che ormai e` troppo tardi. Amalia capisce che la figlia e` incinta e, accusandola d’essere una svergognata, l’assale fisicamente. Intanto, in quel momento, nel vicolo e` sopraggiunto Gennaro. Il suo rientro viene salutato da conoscenti e amici con grande calore. Le due donne percepiscono dall’esterno le voci

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che salutano il ritorno di Gennaro e terminano di accapigliarsi. Come nella commedia, quando Gennaro sorpassa l’uscio d’ingresso, vedendo Amalia e Maria Rosaria cosı` trasformate (il lusso dell’abbigliamento), non le riconosce e, convinto d’aver sbagliato casa, si scusa e fa per uscire ma viene subito trattenuto dai suoi familiari. Cosı` l’iniziale smarrimento svanisce nell’abbraccio familiare, al quale, dopo poco, si unisce anche Amedeo. A questo punto segue il monologo di Gennaro che, distrutto fisicamente, mentre rievoca i mesi di prigionia e le peripezie che lo hanno condotto verso Napoli, si addormenta. Anche in questo caso, il racconto, che nella commedia e` detto con il pathos epico di un antieroe tragico, nel film perde gran parte della sua drammaticita` poiche´ in realta` Gennaro di quel monologo ne fa soltanto una piccola parte (viene tagliato anche il riferimento al prigioniero ebreo conosciuto durante i messi di lontananza). Nella scena successiva, Gennaro, ripulito e riposato, percorre il vicolo con l’evidente intenzione di condividere con i suoi concittadini la sua personale esperienza bellica. Entra in casa di Adelaide mentre la donna e` impegnata a cucire della biancheria intima per i soldati americani. Gennaro prova a raccontare la sua storia, le esperienze che ha vissuto e che sono ancora cosi vivide nella sua mente. Adelaide per un po’ l’ascolta, ma e` evidente che non e` granche´ interessata all’argomento. Infatti dopo un po’ l’invita a non pensarci piu`, la guerra, per lei, e` ormai finita. Gennaro ovviamente non e` d’accordo: la guerra non e` finita, “non e` finito niente!”. La scena prosegue idealmente nel vicolo dove Gennaro continua ad esprimere il bisogno di raccontare, ma anche qui viene inesorabilmente censurato. C’e` chi gli offre una sigaretta, chi un caffe`, chi una pasta cresciuta; in sostanza tutti cercano di chiudergli la bocca per evitare che come un disco rotto ripeta sempre le stesse cose. La guerra a Napoli e` proprio finita, nessuno ne vuole piu` sentir parlare. A differenza della commedia il mancato ascolto di cio` che Gennaro ha da dire non e` qui vissuto dal personaggio come un rifiuto, con un senso di straniamento, al contrario Gennaro sembra prendere la cosa con leggerezza, senza darci troppo peso. Intanto in casa Jovine sono in atto i preparativi per il compleanno di “Settebellizze”. L’atmosfera e` festosa e spensierata e tutti sono ben vestiti. I tempi in cui le ristrettezze economiche e le sofferenze psicologiche dominavano gli stati d’animo dei personaggi sembrano lontani secoli. Durante il banchetto Gennaro prova ancora una volta

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a raccontare ai partecipanti dell’amena tavolata le sue vicissitudini ma ancora una volta nessuno vuole ascoltarlo: tutti lo invitano a non ` il punto di pensarci piu`, a dimenticare, a divertirsi insieme a loro. E non ritorno. Gennaro avverte ormai la sua presenza lı` completamente estranea. Il suo corpo e` ormai ingombrante, fastidioso. Decide cosi di congedarsi per andare a fare compagnia a Rituccia che e` a letto con la febbre. A questa decisione, Maria Rosaria non resiste e, seguendo il padre, si congeda anch’ella dalla mensa. Questo movimento e`, come abbiamo detto, il primo passo di uno degli Altri verso il Mondo di Gennaro. Le scene successive ricalcano in modo quasi identico quelle della commedia teatrale: la visita del dottore a Rituccia che ormai ha la febbre molto forte, la medicina che, nonostante i numerosi tentativi, non si trova. Durante la disperata ricerca, alla quale prende parte 9 anche Amalia, c’e` la visita del brigadiere Ciappa a don Gennaro . Il brigadiere gli comunica che quella sera arrestera` suo figlio. Gennaro, senza battere ciglia, lo ringrazia per averlo avvertito e, con grande sorpresa del brigadiere, gli dice che per lui puo` procedere, puo` anche ` una scelta ben precisa arrestarlo, non ha intenzione di interferire. E che schiera Gennaro dalla parte della legge. Quello della solidarieta` tra disperati e` un aspetto importante dell’etica che Eduardo trasmette attraverso questi due personaggi, metonimici di una solidarieta` umana carica di risonanze emotive e profondamente radicata nell’animo dei napoletani. Una solidarieta` che si conserva in questa scena quando Gennaro, appunto, non si oppone al dovere che il brigadiere deve compiere, sapendo che quel dovere e` giusto. Dopo l’incontro con Ciappa, c’e` il dialogo tra Gennaro e Amedeo. Gennaro, consapevole del destino al quale il figlio sta per andare incontro, cerca di metterlo in guardia con un metadiscorso sui rischi a cui si espone chi conduce un certo tipo di vita (il sottinteso e` chi ruba). Ma il discorso non sortisce effetto, poiche´ Amedeo decide di andare comunque all’appuntamento con Peppe ’o trucco. La scelta di far compiere comunque il furto sottrae al film una scena molto divertente, quella tra Gennaro e Peppe che nella commedia, come abbiamo gia` sottolineato nel secondo capitolo, giocando su una serie di doppi sensi monasteriali-carcerari, e` veramente divertente. Si perde 9

C’e` da dire che nel film resta irrisolto il legame di parentela che lega Gennaro ad Amedeo. Se precedentemente egli si era finto fratello del morto e per questo era stato arrestato, in questa scena Gennaro parla e si comporta come il padre senza che la relazione sia stata chiarita nel testo.

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in sostanza quel sottile gioco tragicomico che in trasparenza e` continuamente presente nella commedia. A questo punto c’e` uno stacco all’esterno in cui vediamo Amalia alla disperata ricerca della medicina per Rita. Al suo rientro in casa comunica avvilita il suo fallimento, sottolineando la crudelta` di chi essendone in possesso non vuole darla nella convinzione che in questo modo si ottenga la levitazione del prezzo. Questo aspetto, quello cioe` di far finta che ci sia penuria di merce per ottenere il rialzo dei prezzi, e` ben trattato nel primo atto della commedia, mentre nel film, il meccanismo, non gode della stessa ospitalita`, negando alla narrazione una sfaccettatura di non poca importanza sia storico-sociale che psicologica. Il rientro in casa di Gennaro segna la fine del problema. L’uomo, introducendo il ragionier Spasiano, afferma di aver trovato la medicina per Rita. Mentre il dottore controlla che sia quella da lui prescritta, il ragioniere esprime il desiderio di consegnarla direttamente nelle mani di donna Amalia. Questa scena, il monologo del ragionier Spasiano, che nella commedia e` di grande impatto emotivo, costruita come un vero e proprio acme, nel film e` estremamente debole. Si ha l’impressione che le strategie narrative messe in opera dagli sceneggiatori non disinneschino tutta l’energia emozionale presente nella commedia. Mentre in casa Jovine si tira un sospiro di sollievo per il rinvenimento della medicina, Amedeo, insieme a Peppe ’o trucco, e` all’interno di un garage e sta per compiere il furto di un’auto. I due si muovono nell’oscurita`, quando vengono sorpresi dal brigadiere Ciappa che interviene con alcuni suoi collaboratori. I due manigoldi colti in flagrante tentano la fuga. Mentre Amedeo viene bloccato, Peppe estrae la pistola e comincia a sparare alla cieca. Ne nasce un conflitto a fuoco nel quale l’ex tassista perde la vita. Ritorniamo in casa Jovine, in camera di Rituccia. Il dottore le ha appena somministrato la medicina, affermando che la bambina se la cavera`, bisogna solo aspettare che passi la notte. Gennaro lo ringrazia e lo accompagna alla porta. Dopo poco viene raggiunto da Amalia. A questo punto c’e` il confronto finale tra Gennaro e la moglie. Amalia, sotto il peso delle sue colpe, crolla; quasi non riconoscendosi piu`, si chiede cosa le sia successo. “La guerra Ama’, ` il suo perdono, la sua la guerra...” e` la risposta di Gennaro. E giustificazione a tutto cio` che e` accaduto. E allo sguardo smarrito della moglie risponde pronunciando, con tono fiducioso, la famigerata ultima battuta della commedia: “Ha da passa` ’a nuttata”.

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A questo punto termina la commedia teatrale ma non il film che prosegue con una coda che ci porta fino al 1948. L’ellissi temporale e` segnata come al solito dalla cappelliera dalla quale spariscono i vecchi cappelli e appaiono dei copricapo civili, qualche bustina da manovale edile, una serie di cappelli militari sui quali campeggia un 10 cappello da prelato . Sono passati dieci anni dall’inizio della vicenda e la voce narrante, ripresentandoci i vari personaggi del racconto, ci informa che “questa storia non ha nemmeno una fine. Che fine potrebbe avere del resto? ’A nuttata e` passata e con essa dieci anni. Son successe delle cose in dieci anni. E questo e` tutto. Chi e` morto, chi e` nato, chi ha sofferto. Il ciabattino e` cambiato, ma la testa di Gennaro Jovine e` sempre piena di bollette della luce e del gas. Donna Amalia ha ripreso a cucinare e a brontolare. Ecco Rituccia che comincia ad avere un’eta` preoccupante. Settebellizze non si vede piu`, dicono sia partito clandestinamente per l’America. Maria Rosaria e` ritornata. Si occupa di altri panni adesso, quelli di suo marito ` ancora dentro, ma uscira` tra giorni. I Federico... [...] Amedeo non c’e`. E bambini sono cambiati. E qualcuno l’ha veramente portato la cicogna. La famiglia Spasiano, malgrado tutto, e` cresciuta e ad una certa ora esce di nuovo per andare a vedere quanto son belle le vetrine. Donna Adelaide ha ripreso il mezzo servizio. I pensionanti son diversi, il trattamento e` lo stesso. Nell’insieme nulla e` cambiato. Ah! C’e` un miglioramento: le ordinanze sono due adesso, invece di una come prima, cosi uno puo` scegliere...” Il riferimento al passaggio da una a due ordinanze e` ovviamente teso a sottolineare il passaggio dal regime fascista a quello democratico. A mio avviso questa specificazione, il dire che nulla e` cambiato e poi ricordare la doppia ordinanza e` da intendere in chiave ironicapolemica, come a dire: e` vero che ci sono piu` possibilita` di scelta ma il pericolo che il potere venga gestito male e` sempre lo stesso. Dal vicolo ci spostiamo alla citta` dove delle immagini di repertorio ci mostrano tre manifestazioni di piazza. Una dei lavoratori, un’altra dei borbonici ed infine una a carattere religioso. Le tre forze politiche piu` importanti di quel momento storico. Siamo alla vigilia del voto per la Repubblica o la Monarchia. Pasqualino, nella solita trattoria, viene raggiunto da ignoti esponenti di un non ben noto partito ` imminente un loro politico (di aria reazionaria, capiremo dopo). E

10 Il cappello da prete fu interpretato dai politici della Democrazia Cristiana sostenitori come un’allusione calunniosa nei loro confronti. Fu da quest’affronto che partı` l’interpellanza parlamentare dell’On. Colasanto.

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comizio e gli oppositori hanno minacciato di spaccare la faccia a chiunque osera` parlare. Gli uomini, quindi, per evitare di essere malmenati, chiedono a Pasqualino d’essere l’oratore d’apertura del comizio. Gli propongono in sostanza di offrirsi come vittima sacrificale ad un eventuale linciaggio pubblico. Pasqualino appare titubante: il ruolo, com’e` evidente, non e` privo di inconvenienti: si rischia di finire all’ospedale. Ma gli esponenti politici lo tranquillizzano, dovra` soltanto dire: “Amici! Fratelli!...” e quando gli oppositori lo aggrediranno lui non dovra` far altro che filarsela. Pasqualino, che come sempre e` bisognoso di soldi, si lascia convincere. Contratta cosi la cifra (cinquantamila lire) che non comprende le eventuali spese ospedaliere. Il comizio viene aperto, come da copione, con la frase iniziale ma, inaspettatamente, i convenuti lo lasciano parlare... a questo punto Pasqualino e` costretto ad improvvisare, producendosi in un monologo in cui dichiara la verita` della sua condizione, ovvero d’essere un poveraccio con famiglia a carico a cui hanno chiesto di parlare per evitare di prendere le botte. Una parte del pubblico, tra il quale e` presente don Gennaro, applaude... ma la rissa, tra le opposte fazioni, scoppia lo stesso. A sedarla interviene la polizia che arresta, mentre Paqualino se la svigna, una serie di persone, tra cui lo stesso Gennaro. La scena successiva ci mostra Gennaro che, trattenuto in commissariato, afferma di volersene andare, ha il figlio che esce di prigione quel giorno e vorrebbe riceverlo all’uscita. Ma non c’e` niente da fare il commissario lo trattiene per la notte. Il giorno seguente, infatti, e` Amedeo che, insieme a tutta la famiglia, lo attende all’esterno del commissariato. Padre e figlio si abbracciano, erano tre anni che i due non si vedevano. Il figlio gli chiede cos’abbia combinato. La risposta arriva da Amalia che lo accusa d’essersi messo a fare politica, sostenendo i reazionari. La notizia sorprende Amedeo che scopriamo in carcere aver cominciato a simpatizzare per le idee dei lavoratori, per i comunisti. Soprattutto non si aspettava che il padre fosse un sostenitore dei preti. Gennaro cerca di spiegarsi, di chiarire che aveva semplicemente applaudito alle parole di Pasqualino, ma non c’e` verso di contenere la rabbia di Amedeo. Tra i due nasce un’accesa discussione a cui prende parte anche Amalia e un passante che, offeso da Gennaro, alza le mani. La lite, quindi, degenera in rissa fin quando i tre non vengono fermati da alcuni carabinieri che, intervenuti a sedare gli animi, li conducono nuovamente in caserma. A quanto pare la storia si ripete. Nella scena successiva ritroviamo Pasqualino e Gennaro che, come nella scena

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iniziale, parlano tra loro. Pasqualino e` contento della sua situazione attuale, ha riavuto il suo vecchio posto e spera di poter essere finalmente assunto a tempo pieno nell’azienda tranviaria. Gennaro non e` pervaso dal suo stesso spirito ottimistico. Riferiamo per intero il dialogo tra i due, che ci palesa il “pensiero politico” di GennaroEduardo: GENNARO – Insomma sei contento? PASQUALINO – Contentissimo! GENNARO – E questo e` il marcio! Questo e` lo schifo vero! PASQUALINO – E perche´? GENNARO – Noi non ce ne accorgiamo, Pasquali’, ma noi dobbiamo stare male! Noi stiamo male! Noi stiamo inguaiati, non possiamo vivere! PASQUALINO (Confuso) – Dite? GENNARO (Annuendo) – Perche´ guarda, Pasqua`, quando uno porta il tram come me o pulisce i binari come te, e` vero? A certe cose non puo` pensare. (Con ironia) E allora ci sono altre persone intelligenti, istruite che non fanno altro tutta la giornata che pensare a noi... PASQUALINO (Sorpreso) – Veramente? GENNARO – Per esempio dicono: “Pasqualino pulisce le rotaie...” e` vero? “Quanto guadagna?” Guadagna tanto – “Niente affatto! C’ha i figli! Deve guadagnare di piu`!” PASQUALINO (Non cogliendo l’ironia) – Ma questa gente buona allora c’e` sempre stata? GENNARO (Come se fosse una maledizione) – E ci sara` sempre! PASQUALINO (Non tornandogli il discorso) – Ma, don Genna’, se erano buoni non ci facevano fare questa...! GENNARO – (Senza lasciarlo terminare) E questo e` il fatto. Non ne potevano fare a meno. Perche´ quello che succede qua succede dappertutto. Hai capito? I buoni ci sono in tutti i paesi. Allora che cosa accade? Che quando i buoni di un paese non si mettono d’accordo con i buoni di un’altra nazione, scoppia la guerra! Ma tu ti ricordi quel giorno che stavamo qua, tranquillamente, e da un momento all’altro... PASQUALINO – E come, non mi ricordo! GENNARO – Ah! Uno scempio! Una catastrofe! PASQUALINO – Eccome! GENNARO – Ah! E non si parla di guerra un’altra volta? Armi nuove! Bomba atomica! Se scoppia? PASQUALINO – Don Genna’, io non ci credo! La guerra non scoppia! Ho la mia convinz...11

11 ` questo accomunarli Eduardo per buoni sottintende i buoni a nulla, ovvero i politici. E tutti in un unico calderone, sia quelli di destra che di sinistra e ovviamente anche quelli di centro, che provochera` la reazione dei politici e dei critici, sia quella di destra che quelli di sinistra e di centro. Tutti criticarono il finale del film. Le intenzioni date alle battute sono una mia interpretazione.

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A Pasqualino, improvvisamente, muoiono le parole sulle labbra: ha avvistato lo stesso bambino che, nella scena iniziale, aveva annunciato lo scoppio della guerra. I due lo fissano perplessi. Il bambino, ora come allora, avanza verso di loro colpendo con una mazza di legno il muretto di cinta della strada. I due, impauriti, se la danno a gambe, immaginiamo a rifugiarsi verso le rispettive abitazioni. Su una panoramica della citta` ripresa dalla collina di Posillipo, ritorna la voce narrante che ci comunica che “’a nuttata e` passata... ora deve passare la giornata. Per la famiglia Jovine, per il vicolo, per tutti i vicoli, per la citta` intera... una citta` che in fondo non e` diversa da tutte le altre citta` del mondo, piena di gente tremendamente occupata ad aspettare le cose che dovranno ancora accadere...” con queste parole, mentre la m.d.p. panoramica sul balcone di un palazzo, sul quale, al limite del 12 cielo , simbolicamente, sventola al sole un lenzuolo bianco, termina Napoli milionaria! film, con la speranza che la pace trionfi sempre.

2. Dalla scena allo schermo: anomalie e differenze Napoli milionaria! film differisce dalla commedia in 6 fondamentali punti. 1) Nell’esistenza di un prologo iniziale; 2) Nello sdoppiamento del ruolo di Gennaro Jovine in quello di Pasqualino; 3) Nello spostamento all’esterno del basso di numerose scene, ovvero di una parte dell’intreccio narrativo; 4) Nella presenza e partecipazione della moglie del ragionere Spasiano alla richiesta di posticipare il pagamento di un debito che i coniugi hanno contratto con donna Amalia; 5) Nella decisione finale di Amedeo di compiere il furto dell’auto insieme a Peppe ‘o trucco; 6) Nella presenza di un epilogo finale. Tutti questi punti hanno un loro preciso scopo che possiamo riassumere nella necessita` di realizzare cinematograficamente la commedia e nella necessita` di ricontestualizzare storicamente, in un tempo presente, ovvero nel 1949, anno in cui il film fu prodotto, il problema della guerra da cui prende avvio la vicenda della famiglia Jovine. Il prologo iniziale, come abbiamo gia` accennato, ha la funzione, anticipando l’azione al 1940, di presentare i personaggi e i loro rapporti reciproci in relazione anche all’ambiente che li circonda. Racconta il periodo che precede la guerra in cui al governo d’Italia 12

L’immagine e` significativamente ripresa dal basso.

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c’era Benito Mussolini. Ha anche la funzione fondamentale di aprire il basso della famiglia Jovine al vicolo e tramite esso alla citta`, ovvero all’esterno, con tutto cio` che questa possibilita` implica. La strada, gli esterni, la gente comune che interpreta se stessa, come avviene per i personaggi del vicolo dove vive la famiglia di don Gennaro, sono tutti elementi caratteristici del modello formale e narrativo del cinema neorealista e l’ispirazione ad essi, compresa la voce narrante iniziale, e` evidente. Questo prologo ha, infine, attraverso il dialogo tra Gennaro e Pasqualino, la funzione di rappresentare due opposti modi di interpretare i minacciosi venti di guerra, e la relativa paura, che incombevano in quegli anni sull’Italia. Ha quindi il mandato di lanciare il tema portante dell’opera che come abbiamo detto e` la guerra e tutto cio` che essa comporta. C’e` inoltre da dire che questo prologo sposta leggermente l’asse portante della commedia che era il contrabbando, mentre la guerra funzionava da sfondo. Nel film, in cui le vicende legate al contrabbando vengono certamente raccontate, ci ci pare che l’accento si sposti sul binomio guerra-pace. Lo sdoppiamento del ruolo di Gennaro in quello di Pasqualino e` legato proprio a questo scopo: rilanciare l’incubo della guerra nel finale del film. Pasqualino ha anche altre due fondamentali funzioni. La prima e` quella di marcare ancor piu` comicamente, attraverso l’interpretazione di Toto`, gia` all’epoca il maggior attore brillante del cinema italiano, quindi di grande valore commerciale, una parte del ruolo che era stato di Eduardo. L’altra e` quella di prestarsi, sempre attraverso lo stesso tipo di incarico, fingendosi cioe` qualcosa che non e`, ad una serie di situazioni che arricchiscono l’intreccio del film. Pasqualino appare in nove fondamentali scene. La prima e l’ultima avvengono in tempo di pace e lo vedono all’opera nel suo lavoro ufficiale, ovvero nella pulizia delle linee tranviarie. In queste scene troviamo che il suo carattere non e` mutato. Nella prima come nell’ultima scena, dato il suo carattere mite e tollerante, egli non crede nella possibilita` che l’Italia possa nuovamente entrare in guerra, che ci possa, nel 1949, a soli quattro anni dalla fine del secondo conflitto mondiale, essere un’altra guerra, questa volta, dopo l’uso della bomba atomica, con effetti distruttivi inimmaginabili. Le scene dalla seconda all’ottava hanno la funzione, come si diceva poc’anzi, di tematizzare i bisogni che la guerra e il dopoguerra imposero a molte persone. Pasqualino, come tanti, con lo scoppio della guerra ha perso il suo lavoro ed e` costretto ad arrangiarsi adottando l’espediente di fingersi di volta in volta, a secondo delle

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esigenze che il mercato impone, ovvero a secondo della domanda, morto, contrabbandiere e politico. Attraverso questo sdoppiamento, Eduardo rappresenta in chiave ironico-grottesca alcuni aspetti drammatici degli anni della guerra e dell’immediato dopoguerra. La trasposizione cinematografica della commedia in film impone ad Eduardo di trasferire all’esterno del basso della famiglia Jovine alcuni snodi dell’intreccio narrativo. La sequenza iniziale presenta la citta` ed il vicolo dove si svolge la vicenda. All’esterno del vicolo vengono mostrate anche le ordinanze che di volta in volta scandiscono i mutamenti politici e storico-sociali che avvennero in quegli anni: il divieto di praticare il contrabbando, l’evacuazione della fascia costiere, ecc. L’esterno e` il sentiero attraverso il quale arriva, direttamente o indirettamente, la guerra in casa Jovine: innanzitutto la merce da contrabbandare; Pasqualino che si finge morto per evitare la perquisizione; il brigadiere Ciappa per compiere la perquisizione; “Settebellizze” che insidia Amalia; l’arresto di don Gennaro da parte dei tedeschi; il suo ritorno a casa; il comizio al seguito del quale Gennaro viene nuovamente arrestato; la proposta ad Amedeo da parte di Peppe di mettersi con lui a rubare auto; il soldato che mette incinta Maria Rosaria; la medicina per Rituccia; le bombe. In tutte queste situazioni l’esterno ha sempre un ruolo fondamentale, o che funga da mediatore verso l’interno, o che sia esso stesso il luogo in cui si svolge l’azione. In ogni caso, in Napoli milionaria! film ha una funzione di fondamentale importanza. La dialettica interno-esterno nella commedia teatrale e` ovviamente tutta a favore dell’interno, luogo nel quale tutte le strategie legate a questo meccanismo si disinnescano. Nel film invece tutte queste strategie trovano il loro naturale sbocco all’esterno del basso, in luoghi che non sempre sono all’aperto, ma che sono comunque altri dal basso della famiglia Jovine. In sostanza Eduardo nel film ci mostra all’esterno del basso tutti quegli accadimenti o situazioni che nella commedia erano facilmente deducibili ma difficilmente rappresentabili senza frantumare l’unita` di spazio. Nell’economia generale del racconto tutte queste azioni spostate all’esterno, se da una parte hanno il pregio di offrirci una rappresentazione piu` dettagliata, documentaristica, delle note di colore, e di ravvivare la trama, dall’altro risultano spesso un inutile indugio che non aggiunge granche´ al pathos narrativo della vicenda, anzi, casomai, glielo sottrae. La presenza/partecipazione della moglie del ragioniere alla richiesta dell’uomo a donna Amalia di accettare 10.700 lire come parte

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della cauzione del debito che ha contratto con lei ha l’effetto/funzione di estendere e ampliaficare, il rifiuto di Amalia della somma di denaro. Rifiuto che fara` perdere alla famiglia Spasiano la casa in cui abitano. Un’altra differenza fondamentale e` nella scelta di far compiere ad Amedeo, insieme a Peppe ’o trucco, il furto dell’automobile a cui fa seguito il suo arresto e l’uccisione di Peppe. Per quanto attiene la morte di Peppe, come abbiamo gia` detto, il suo decesso sottrae al film una delle scene piu` divertenti della commedia, ovvero il dialogo monasteriale-carcerario che intercorre tra il manigoldo e Gennaro. Tra l’altro la scena dell’uccisione di Peppe non riesce a svolgere appieno la sua funzione drammatica, che e` quella di lasciare sul campo la vittima sacrificale di un certo stile di vita. Eduardo non riesce a dare al personaggio di Peppe quella consistenza drammatico/psicologica in grado di creare la necessaria affezione del publico al personaggio. La scena, quindi, piu` che ad una scena tragica, appare piu` simile ad una sentenza eseguita a bruciapelo sul bersaglio sbagliato. La scelta di Amedeo di compiere il furto racconta una mancata redenzione che lo porta al carcere, dal quale, abbiamo visto, esce nell’ultima parte del film. In definitiva il significato della sua ` in qualche modo, punizione ricalca quello di Peppe ’o trucco. E quindi, un suo clone semantico. La sua carcerazione ha inoltre, come abbiamo detto, l’effetto di rilanciarlo nella finestra dell’epilogo che ha lo scopo di contrapporlo alle idee politiche del padre, riprendendo lo schema di contrasto iniziale che possiamo sostanziare nel confronto-scontro padre-figlio, ovvero nelle idee conservatrici contro quelle riformiste. Questo “lancio” verso l’epilogo ha pero`, come abbiamo detto, l’effetto di sottrarlo alla catarsi finale che, con il rinvenimento della medicina per Rituccia riporta Tutti verso il Mondo di Gennaro. Questo schema, quindi, nel film non si ripete, la famiglia e quindi il Mondo non si ricompone completamente. Infine l’epilogo che ha la funzione sia di riproporre la paura iniziale, ovvero che una nuova e piu` terribile guerra possa nuovamente ripetersi, sia di ricontestualizzare socio-politicamente i membri della famiglia Jovine. In questa parte finale, Eduardo, esprime quello che potremmo definire il suo pensiero sulla situazione politica italiana del tempo. Eduardo ci fa sapere, senza peli sulla lingua, attraverso le parole di Gennaro, che considera i politici dei poco di buono. Per lui sono quasi sempre dei personaggi mediocri che, sotto la bandiera di vecchie e nuove ideologie, praticano come sport

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preferito quello di smarrire, ognuno per i propri interessi di parte, il buon senso. Eduardo ci dice che non ci vuole una particolare cultura o esperienza di vita per capire, e gli effetti nel 1949 sono ancora evidenti, che le guerre sono un male da evitare a tutti i costi. Chi non capisce questo, per Eduardo, e` in malafede, ovvero accetta il male, come Amalia Jovine, per trarne dei vantaggi personali. Non si capisce come una affermazione come questa abbia potuto scatenare all’epoca delle polemiche cosi aspre e profonde. L’unica spiegazione e` che Eduardo, ovviamente generalizzando, disse una cosa vera, pose l’accento cioe` su un nervo per troppi ancora evidentemente scoperto. Del resto e` una cosa che abbiamo appurato analizzando proprio la polemica che scoppio` all’indomani dell’uscita del film. Esprimere queste semplici e, oserei dire, banali idee all’epoca risulto` indigesto a molti. La cosa che fa riflettere e che furono indigeste proprio a quelli che delle strumentalizzazioni ne avevano fatto una ragione di vita, ovvero una ragione politica. Fu rivolta a lui un’accusa mentre in realta` erano gli altri che, per raggiungere i propri scopi, agivano strumentalizzando i bisogni della gente. Eduardo, da pover’uomo, nell’accezione piu` alta che questo termine puo` assumere, ovvero da persona capace di patire, come seppero fare milioni di altri cittadini europei e non, si era permesso di dire la verita`, di denunciare le ipocrisie dei potenti che al buon senso, alla umana e sociale natura dell’uomo, contrappongono una logica personalistica e ideologica, la spietata legge del potere. Per Eduardo la distruttivita` come fenomeno sociale collettivo non esiste in natura, e` una peste prodotta dagli uomini, avidi di potere e incapaci di amare.

3. La forza delle pareti domestiche: la cassa di risonanza delle emozioni Vi e` una fondamentale differenza tra Napoli milionaria! commedia e Napoli milionaria! film ed e` sostanzialmente questa: la commedia e` molto piu` emozionante del film. La commedia teatrale, a differenza del film, ha il potere di trascinare lo spettatore all’interno di un microcosmo che gli consente una totale identificazione con i personaggi, liberandolo delle sue emozioni piu` profonde. La differenza e` nella forza della catarsi che purifica i cuori degli spettatori. Il luogo che ospita questa catarsi, che la consente, e` il basso della famiglia ` in quel basso e solo in quel Jovine, l’interno delle pareti domestiche. E

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basso, cosi squallido e triste, che un uomo diventa tutti gli uomini, una famiglia diventa tutte le famiglie, un luogo diventa tutti i luoghi. Eduardo sa che il cinema e` altra cosa dal teatro, sa che cio` che conta di piu` al cinema sono le immagini. La sua traduzione cinematografica della commedia se dal punto di vista tecnico-formale e` ineccepibile, non lo e` dal punto di vista drammatico. L’inserimento di un prologo e di un epilogo, la frammentazione dei nuclei drammatici, la loro articolazione, lo sdoppiamento del ruolo di Gennaro, l’inserimento di scene di colore, sono tutti accorgimenti che, paradossalmente, invece di aggiungere vigore, pathos narrativo alla vicenda, ` questo che fa di Napoli milionaria! commedia un glielo sottraggono. E capolavoro e di Napoli milionaria! film un buon lavoro. Nel frantumare l’unita` drammatica della commedia, Eduardo frantuma la psicologia dei personaggi, la loro parabola umana, il loro sentire e patire. Molto si e` detto della forza dei silenzi di Eduardo, delle sue pause pesanti come macigni, che operano come un ponte di collegamento attraverso il quale l’autore-attore instaura un dialogo diretto con il pubblico, trasmettendogli le sue emozioni piu` profonde, il senso di cio` che vuole dire. Nel film questi silenzi sono praticamente assenti. E se i silenzi sono del tutto assenti, la recitazione, intesa nel senso piu` profondo, nel qui ed ora teatrale, e` spesso latitante. Se si confrontano le scene piu` importanti della commedia con quelle del film e` evidente quanto le seconde, dal punto di vista della resa interpretativa, pecchino di densita` emotiva. Lo scontro tra Gennaro e Amedeo sull’etica del “si salvi chi puo`!”, il ritorno a casa di Gennaro dopo la prigionia e lo sbandamento, il confronto tra Gennaro e Amalia dopo il ritrovamento della medicina, l’umilta` e la disperazione con la quale il ragionier Spasiano chiede ad Amalia di accettare una parte del debito che ha contratto con lei, sono tutte scene che non hanno sullo spettatore cinematografico l’impatto emo13 tivo che suscitano nello spettatore teatrale . Abbiamo gia` sottolineato come molte di queste scene nel film sono state in parte tagliate o addirittura soppresse. L’episodicita` dell’intreccio, aspetto piu` volte criticato dai recensori che accolsero all’epoca il film, se da un lato contribuisce ad accrescere il ritmo con cui la vicenda stessa viene raccontata, dall’altro non consente allo spettatore di soffermarsi adeguatamente proprio su quei momenti drammatici che disinnescano i temi di fondo dell’opera. In sostanza la vivacita` dell’intreccio, il suo 13

Oserei dire addirittura sul lettore.

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arricchimento, se da un lato permette ad Eduardo di dire qualcosa in piu` sulla guerra, e soprattutto sulla situazione politica e sociale del dopoguerra, dall’altro indebolisce il legame che c’e` tra i temi trattati e i personaggi stessi. Il risultato e` una perdita di profondita` psicologica dei personaggi e dei temi che, attraverso la vicenda, sono ad essi connessi. Cio` e` particolarmente evidente nell’atto IV del film, ovvero nell’epilogo, dove l’interesse per la vicenda umana della famiglia Jovine e` praticamente assente. Nell’ultima parte del film, Eduardo, piu` che proseguire nel racconto, si preoccupa di esprimere il suo personale pensiero sulle contraddizioni politiche e sociali che gia` emergevano all’indomani della guerra. Eduardo ha paura che i nuovi politici che si apprestano a governare l’Italia, siano essi guidati da una logica tesa solo al profitto, piuttosto che da un intellettuale, ideologico socialismo paternalistico, possano perdere di vista i veri valori che dovrebbero guidare un individuo. Eduardo ha paura, e, vista la sinistra situazione internazionale di quegli anni, ne ha motivo, che la guerra come fenomeno sociale di massa possa ritornare a ` un concetto molto imporminacciare la vita degli uomini comuni. E tante questo, vero e condivisibile, poiche´ riporta il problema centrale che per Eduardo e` sempre l’uomo, la sua umanita`, il suo cuore, ma appare del tutto slegato dalla vicenda umana della famiglia Jovine. Questa paura, seppur espressa attraverso un particolare contesto storico, quello politico italiano del tempo, ha pero` il pregio di funzionare universalmente come monito a tutte le formazioni statali del mondo. Ma ritorniamo agli elementi piu` tecnici del lavoro di Eduardo. Nel film possiamo osservare che la composizione delle inquadrature, il loro ritmo interno, l’alternanza dei piani, la recitazione degli attori, i movimenti di macchina, sono tutti aspetti che Eduardo domina con grande maestria e sapienza tecnica. Ma nel far questo, Eduardo trascura l’aspetto piu` importante della regia, ovvero il contenuto emotivo delle immagini. Il problema come abbiamo detto e` a monte, nella sceneggiatura, ma anche la regı`a non appare mossa da un sentimento d’identita` tra il regista e le emozioni che riproduce. A farne le spese e` ovviamente la storia stessa. A ben vedere, il suo contenuto emotivo, drammatico in senso stretto, risulta in qualche modo “congelato”, cristallizzato nella sua traduzione formale. Molte scene del film piu` che a delle scene drammatiche, ammettendo questo termine nella sua accezione piu` ampia, risultano piu` simili a delle cartoline. Questa attitudine e` possibile riscontrarla anche nella

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resa che le stesse emozioni hanno, come dicevamo prima, attraverso la recitazione degli attori. Moltissimi passaggi della commedia, infatti, sono contrassegnati da momenti molto forti sul piano emotivo mentre nel film quegli stessi momenti non godono della stessa ospitalita`. Tutto cio` avviene paradossalmente proprio perche´ Eduardo cede ai moduli espressivi cinematografici del tempo, ovvero al neorealismo. Lo dimostrano la voce narrante, l’uso degli esterni, l’adozione di personaggi che, anche se in ruoli molto secondari, proven` l’esterno, la rappresentazione di cio` che sta fuori gono dalla strada. E dal microcosmo della famiglia Jovine, il vero nemico di Eduardo sceneggiatore e regista cinematografico. A ben vedere, il tentativo, attraverso l’uso degli esterni, di arricchire la trama risulta un impoverimento della stessa. Il loro uso massiccio in una storia che ha la sua forza espressiva nella dimensione intima, psicologia dei personaggi, nella relazione che c’e` tra essi, piu` che affezione produce nello spettatore un senso di straniamento, di distanza emotiva. Il risultato e` appunto una perdita della tensione drammatica. Eduardo avrebbe dovuto avere il coraggio, ma forse sarebbe piu` corretto dire l’intuizione, poiche´ il coraggio ad Eduardo certo non mancava, di girare Napoli milionaria! come The Rope (Nodo alla Gola) di Alfred Hitchcock. Il film, come e` noto, e` completamente girato in piano sequen14 za ed e` interamente ambientato in un appartamento. Hitchcock e` maestro nel sapere quando e` esattamente il momento di smettere di essere realista. A quel punto ti guarda direttamente negli occhi, parla ` questo che direttamente al tuo animo e ti porta dove vuole. E Eduardo aveva scritto e fatto nella commedia ed e` questo che non ha fatto trasponendola cinematograficamente. Ha peccato di realismo, ma di un neorealismo formale e non sostanziale. La realta` con la quale entriamo in contatto assistendo ad Umberto D e` innanzitutto la realta` interiore di quel vecchietto, la sua solitudine, le sue pene. Eduardo con Napoli milionaria! film questo contatto ce lo riduce, lo affievolisce. Come abbiamo precedentemente evidenziato, nel film si perdono gran parte delle sfaccettature dei personaggi, il peso specifico della loro anima, delle loro scelte, del loro dolore. Lo spazio interno inteso come luogo, ma anche e soprattutto come dimensione intima, profonda dei personaggi, al contatto con la celluloide svanisce, diventa 14

Ha un’unica interruzione a nero ottenuta da un personaggio che va a coprire il campo visivo della m.d.p. per permettere il cambio della bobina contenente la pellicola.

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evanescente. Nel trasferire al cinema la commedia Eduardo tradisce la sua ispirazione iniziale che come abbiamo visto e` profondamente sentimentale, emotiva. L’epilogo sicuramente arricchisce la trama del racconto, esplicitandoci con ironia il pensiero che Eduardo ha della politica e soprattutto dei politici, ma al suo interno, le grandi emozioni, le grandi scelte etiche, quelle per le quali un individuo vive o sarebbe disposto a morire, non hanno la caratteristica d’essere espresse in forma di emozioni, ma in forma di pensiero. Questo le rende un po’ ridondanti, retoriche. Il comizio di Pasqualino che, a guerra finita, e` ancora costretto a fingersi qualcosa che non e` pur di sopravvivere, il nuovo fermo di Gennaro che viene arrestato per aver applaudito alle sue parole, l’uscita di prigione di Amedeo, con il quale il padre, a causa di un fraintendimento, litiga, se non ci dicono nulla di nuovo sul carattere dei personaggi, con l’eccezione di Amedeo che, con l’avvicinamento alle idee marxiste-socialiste, risulta radicalmente trasformato, ci raccontano la capacita` che ha la poli` una tica, per usare un eufemismo, di confondere le persone. E ricontestualizzazione, nel presente, del tema della guerra legato alle scelte etico-politiche. Questo importante tema, che nella commedia veniva espresso da Gennaro nel monologo sul calmiere e sui politici, nel film viene appunto ristabilito in questa parte finale. Viene appunto ri-contestualizzato nel 1948 alla vigilia delle votazioni per la ` un lusso, quello di esprimere un’opiRepubblica o la Monarchia. E nione cosi negativa sul presente, che Eduardo, poiche´ nella critica non esclude nessuna parte politica, come abbiamo visto, paghera` a caro prezzo. Eduardo, poiche´ aveva le spalle larghe, rispose alle accuse che gli furono mosse sempre con eleganza e rispetto. La storia, non sta certo a noi dirlo, lo avrebbe premiato, consacrandolo negli anni che seguirono come uno degli autori piu` apprezzati della scena teatrale italiana e internazionale. Napoli milionaria! e` un’opera che racconta il sottile limite che separa, nella vita quotidiana delle societa` industrializzate, il bene dal ` un’opera sugli orrori della guerra, sulla violenza che genera male. E violenza, sul vuoto che l’avidita` e il cieco egoismo possono produrre. ` un’opera su quei comportamenti che generano inevitabilmente il E male. Ma Eduardo non si limita a denunciare il male, e` in grado di offrire anche l’antidoto per debellarlo. Questo antidoto e` l’amore, il sentimento che spinge un individuo ad uscire dal proprio isolamento ` solo attraverso questo e lo conduce verso un altro individuo. E movimento che puo` nascere la solidarieta` umana. La vita, come

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l’amore, nascendo dall’incontro disinteressato tra un uomo e una ` infatti attraverso un dono che il donna, e`, pertanto, un dono. E dramma di Napoli milionaria! si risolve: la medicina che il ragioniere ` l’amore la medicina, offre direttamente alle mani di Amalia Jovine. E lo strumento attraverso il quale puo` avvenire l’agnizione del proprio ` questa agnizione che provoca la catarsi. Un’agnizione se´ smarrito. E dalla quale nessuno e` escluso. La grandezza di Napoli milionaria! risiede tutta in questa possibilita` di purificazione, quindi di libera` una liberazione individuale che, per i nessi e le condizioni zione. E che la hanno generata, diventa una catarsi storica. Eduardo ci offre uno specchio che ha il potere di riflettere una realta` alterata da noi stessi e dietro la quale si annida il vuoto piu` profondo, l’abisso del male. Attraverso il personaggio di Gennaro, Eduardo ci invita a riflettere, e qui alloggia il suo straordinario potenziale poetico, l’attualita` della sua arte, sul limite che separa i comportamenti etici da quelli lesivi per gli altri e quindi per noi stessi. Ci dimostra che, nelle societa` industrializzate, il problema del soddisfacimento dei bisogni primari e` un falso problema. Il rischio nel quale si puo` incorrere e` quello di cedere agli impulsi di natura seconda, ovvero a quelli egotici e narcisistici che sfociano inevitabilmente nella bramosia di potere, il sentimento antisociale per eccellenza. Napoli milionaria! e` un’opera profondamente attuale poiche´ accende una spia sul pericolo che il denaro, come valore dominante, possa svuotare di senso ogni azione umana e sottrarre all’uomo la sua stessa umanita`. Il bisogno di ricchezza in natura non esiste. Nessun animale ne soffre, poiche´ agisce per procurarsi solo cio` di cui ha bisogno qui ed ora. Ci ricorda che accumulare e` antitetico alla vita che ha come suoi principi guida la ciclicita` e la contrazione/espanzione. Eduardo ci ricorda anche che quello che dovrebbe guidarci nelle nostre azioni e` il cuore, custode del senso della vita. La speranza che passi la nottata e` riferita a questo: alla speranza che l’uomo comprenda una volta per tutte che il proprio benessere, la propria felicita`, e` impossibile senza quella degli altri. Come epigrafe di questa ricerca e` stata trascritta una frase di Pier Paolo Pasolini. Il poeta friulano afferma che i napoletani sono una tribu` che ha scelto deliberatamente di estinguersi, rifiutando il nuovo potere, ossia quella che noi chiamiamo storia, o altrimenti, la modernita`. Ritengo profondamente vera, sacrosanta, come direbbe lo stesso poeta, questa frase, soprattutto quando la storia che i napoletani rifiutano si chiama guerra.

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4. Un’immagine dell’uomo Con la seconda guerra mondiale l’uomo sperimenta nella dimensione dell’olocausto il dramma vaticinato da Nietzche della morte di Dio. Le atrocita` dei campi di sterminio lo hanno risvegliato in un mondo che non riconosce, in cui tutto esprime un atroce delirio di morte e ` questa l’immagine che Eduardo ha della guerra, di un distruzione. E uomo completamente immerso nell’insensato. Ma l’uomo non puo` rassegnarsi all’insensato, giacche´ e` proprio l’esigenza di senso che lo costituisce come autocoscienza, ed e` per questo che ancora oggi continua a porsi sempre le stesse domande e a cercare la soluzione al problema dell’esistere. In questa ricerca, in cui consiste la sua stessa autorealizzazione, per Eduardo, l’uomo e` perennemente esposto a due contrapposte tensioni: quella rappresentata dai propri bisogni individuali, espressioni delle sue naturali esigenze biologiche, e quella rappresentata dal suo bisogno di co-esistere socialmente, di entrare in relazione con l’altro, bisogno altrettanto naturale, costitutivo della sua esistenza biologica (e che consente la generazione, il continuo della specie). Questi due aspetti, quando ad un livello piu` profondo s’incontrano, consentono all’uomo, attraverso l’amore, di vivere in armonia con se´ stesso e con gli altri, annullando la differenza che li separa. Il predominio dell’aspetto egotico-individuale, imponendo una verita` statica, esprime il pericolo di una solidificazione del senso, che conduce ad una naturale chiusura dell’uomo nei confronti dei suoi simili, quindi ad una sostanziale negazione della vita. Nella trascendenza dell’aspetto individuale, Eduardo intravede la possibilita` per l’uomo di realizzarsi come liberta`, cosciente che ogni momento d’arresto verso la dimensione comune dell’esistenza rappresenta un ostacolo da superare poiche´ rischia di privarlo della sua stessa umanita`. Al contrario, appunto, egli crede che e` nella co-esistenza che noi possiamo riaffermare il nostro io piu` autentico, quando, cioe`, trascendendo la nostra situazione egoica, ci apriamo all’altro e quindi alla dimensione comune dell’esistenza. Ed e` proprio in questo momento che possiamo mettere in discussione nel modo piu` radicale il senso in cui viviamo, giacche´ e` appunto allora che ci confermiamo come ricerca di senso. Proprio perche´ e` un essere che si realizza nella ricerca di senso, l’uomo, secondo Eduardo, vive la vita come liberta` di scegliere i modi piu` autentici della propria autorealizzazione, e tale scelta non puo` per lui mai essere indifferente, giacche´ e` una scelta tra essere e non essere, e pertanto essa impegna sempre la sua responsabilita`, ovvero la sua moralita`. Ma

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l’uomo, sembra dirci Eduardo, essendo queste le condizioni in cui vive, la dialettica in cui oscilla il suo esistere, sperimenta la liberta` sempre e solo come una possibilita` che gli viene offerta, possibilita` che egli puo` anche respingere, rifiutandosi di assumere il grave impegno necessario al suo raggiungimento, cedendo ai condizionamenti ai quali nel suo esistere e` costantemente esposto (sostanzialmente al nichilismo e al narcisismo). Per evitare questa impasse, come dicevo poc’anzi, l’uomo ha a disposizione l’amore, anzi, e` in questa dimensione che egli puo` realizzare meglio se stesso e quindi la ` nell’amore per il prossimo, nel donarsi all’altro senza sua liberta`. E condizioni che l’uomo puo` sperimentare se stesso contemporaneamente come liberta` e moralita`. Sciogliendo la commedia con un dono, Eduardo ci indica l’evento che puo` consentire all’uomo, nel momento in cui essa viene negata, di riaffermare la vita. Visto nell’ambito delle relazioni umane, e` sempre un dono ad avviare il circolo economico, sia esso economico in senso stretto, che etico, morale, di diritto o materiale che sia, ma e`, paradossalmente, sempre un dono, se ce n’e`, per citare il dettato di Derrida, a negare questo stesso circolo. Il dono ordina la relazione tra il credito e il debito, il dare e l’avere. Ma prima di essere un contratto, un gesto intenzionale di soggetti individuali o collettivi, il movimento del dono/contro-dono e` una forza (una “virtu` della cosa donata”, dice Mauss), una proprieta` immanente alla cosa, o in ogni cosa compresa come tale dai donatori e dai donatari. Spinta da una forza misteriosa, la cosa stessa chiede il dono e la restituzione, esige dunque il “tempo”, il “termine”, la “dilazione”, l’“intervallo” del temporeggiamento...15

Del tempo, una dilazione, un’attesa e` cio` che il ragionier Spasiano chiede ad Amalia, a cui deve una somma di denaro, per ritornate in possesso della casa che e` stato costretto a cederle. Una richiesta di tempo e` anche la risposta che Gennaro da` alla moglie alla fine della commedia alla sua domanda sul senso. “Ch’e` successo?... Ch’e` successo!” “Ha da` passa` ’a nuttata”. Le risponde chiedendole di avere pazienza, di attendere, di temporeggiare. Quello che descrive Eduardo, e` un invito a donare un dono che non obbedisca al principio di ragione, al logos, al calcolo, al profitto, al capitale, alla 15

Derrida J., Donare il tempo, cit., pag. 43.

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ragion pratica. Si tratta, insomma di rispondere, come ci informa sempre Derrida:

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il piu` rigorosamente possibile all’ingiunzione o all’ordine del dono, come all’ingiunzione o all’ordine del senso (presenza, scienza, conoscenza): sappi ancora cio` che donare vuol dire, sappi donare, sappi cio` che vuoi e vuoi dire quando doni, sappi come il dono si annulla, impegnati, anche se l’impegno e` distruzione del dono per mezzo del dono, dai (donne), tu, la sua possibilita` all’economia...16

Un’economia che si avvia con una completa perdita, un dono, un’effrazione che, come il dono del ragioniere, interrompe il circolo e al tempo stesso lo riavvia. Eduardo ci invita a riflettere sul pericolo che il circolo economico in senso stretto, che ha nel profitto (l’accumulare che e` il contrario di donare) il suo unico principio e fine, possa negare la stessa umanita` dell’uomo. Che questa condizione possa trasformare il tempo della sua vita e impedirgli di realizzarsi come uomo (in questo senso rispetta anche la sua natura animale). Il non occuparsi della piccola Rita, di Maria Rosaria e di Amedeo, il non aver dedicato loro le giuste cure, ovvero del tempo, e` la ` di questo che deve farsi perdonare. vera e unica colpa di Amalia. E Poiche´ il dono non dona nella misura in cui dona il tempo. La differenza tra un dono e ogni altra operazione di scambio puro e semplice, e` che il dono dona il tempo. Dove c’e` il dono, c’e` il tempo. Cio` che “c¸a donne”, “dona”, il dono, e` il tempo, ma questo dono del ` necessario che la cosa non tempo e` anche una domanda di tempo. E ` necessario il tempo, e` sia restituita immediatamente e all’istante. E necessario che “c¸a dure”, che duri, e` necessaria l’attesa – senza oblio. Chiede (c¸a demande) del tempo, la cosa, ma chiede del tempo delimitato, ne´ un istante ne´ un tempo infinito, ma un tempo determinato da un termine, in altre parole: un ritmo, una cadenza. La cosa non e` nel tempo, essa e` o ha il tempo, o piuttosto chiede d’avere, di donare o di prendere il tempo – e il tempo come ritmo, un ritmo che non si imprime in un tempo omogeneo, ma che lo struttura originariamente17.

` qui che interviene l’arte con il tempo del racconto che del E

16 17

Ivi, pag. 33. Ivi, pag. 44.

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tempo della vita rende conto. Tutta l’opera di Eduardo successiva a Napoli milionaria! appare attraversata da una perenne angoscia e trepidazione per le sorti dell’umanita`, sempre sospesa sull’abisso che separa il bene dal male, il regno della necessita` e dell’odio da quello della liberta` e dell’amore. Eduardo ci racconta i “giorni dispari” dell’esistenza poiche´ e` in essi che egli ravvisa la possibilita` propria dell’uomo di liberarsi dal male e prodursi come liberta`. Solo allora ` puo` arrivare la gioia, la felicita` e l’amore, i “giorni pari” della vita. E una condizione difficile da realizzare poiche´ continuamente minacciata dall’egoismo, dall’avidita` e dalla stupidita` umana, per Eduardo espressioni dell’incapacita` dell’uomo di amare, di aprirsi all’altro e quindi alla vita.

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BIBLIOGRAFIA

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Cinema e storia Collana diretta da Pasquale Iaccio

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P. Iaccio, Cinema e storia, prefazione di Mino Argentieri (III ed.) P. Iaccio (a cura di), Bronte. Cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato. Un film di Florestano Vancini P. Iaccio (a cura di), Non solo Scipione. Il cinema di Carmine Gallone P. Cavallo, G. Frezza (a cura di), Le linee d’ombra dell’identità repubblicana. Comunicazione, media e società in Italia nel secondo Novecento M. Melanco, Paesaggi, passaggi e passioni. Come il cinema italiano ha raccontato le trasformazioni del paesaggio dal sonoro ad oggi, introduzione di Gian Piero Brunetta C. Montariello, La Napoli milionaria! di Eduardo de Filippo. Dalla realtà all’arte senza soluzione di continuità G. Fusco, Le mani sullo schermo. Il cinema secondo Achille Lauro G. De Santi, B. Valli (a cura di), Carlo Lizzani. Cinema, storia e storia del cinema P. Iaccio (a cura di), Rossellini. Dal neorealismo alla diffusione della conoscenza G. De Santi, Maria Mercader. Una catalana a Cinecittà F. Maddaloni, Cinema e recitazione. Dalla chiassosa arte del silenzio all’improvvisazione televisiva R. Bignardi, Carosello napoletano. Il cinema, la danza e il teatro nell’opera di Ettore Giannini

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