La teoria degli insiemi e l'ipotesi del continuo 8807620103, 9788807620102

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La teoria degli insiemi e l'ipotesi del continuo
 8807620103, 9788807620102

Table of contents :
Copertina
Titolo
Prefazione
Capitolo primo - Nozioni basilari di logica
1. Introduzione
2. Linguaggi formali
3. Enunciati universalmente validi
4. Il teorema di completezza di Godel
5. Il teorema di Lowenheim-Skolem
6. Esempi di sistemi formali
7. Funzioni ricorsive primitive
8. Funzioni ricorsive generali
9. Il teorema di incompletezza di Godel
10. Il teorema di incompletezza generalizzato
11. Ulteriori risultati sulle funzioni ricorsive
Capitolo secondo - La teoria degli insiemi di Zermelo-Fraenkel
1. Assiomi
2. Discussione degli assiomi
3. Numeri ordinali
4. Numeri cardinali
5. L'assioma di regolarità
6. Il sistema di Godel-Bernays
7. Assiomi superiori e modelli della teoria degli insiemi
8. Di nuovo il teorema di Lowenheim-Skolem
Capitolo terzo - La non contraddittorietà dell'ipotesi del continuo e dell'assioma di scelta
1. Introduzione
2. Dimostrazione del teorema 1
3. Assolutezza
4. Dimostrazione di AS e IGC in L
5. Confronti con GB
6. Il modello minimale
Capitolo quarto - L'indipendenza dell'ipotesi del continuo e dell'assioma di scelta
1. Introduzione
2. Motivazione intuitiva
3. Il concetto di forcing
4. I lemmi fondamentali
5. Definibilità del forcing
6. Il modello N
7. Il concetto generale di forcing
8. L'ipotesi del continuo
9. L'assioma di scelta
10. Alterazione delle cardinalità
11. Fare a meno di MS
12. IGC implica AS
13. Conclusione
Appendice all'edizione italiana
Bibliografia
Indice

Citation preview

Titolo dell' opera originale

Set Theory and continuum pothesys Copyright

©

1966 by W. A. Benjamin New York

Traduzione dall'inglese di Gabriele Lol/i

Prima edizione italiana: 1973 Copyright by

© Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano

P.f. Cohen

La teoria degli insiemi e

l'ipotesi del continuo Appendice al!' edizione italiana di Gabriele Lolli

F eltrinelli Editore Milano

Prefazione

Le note che seguono sono basate su un corso tenuto all'Univer­ sità di Harvard nella primavera del 1 965. Lo scopo principale era quello di esporre la dimostrazione della indipendenza dell'ipotesi del continuo. Per ottenere un corso il pili possibile autosufficiente, ab­ biamo incluso materiale preliminare in logica e teoria assiomatica degli insiemi, e una esposizione della dimostrazione di Godel della non contraddittorietà dell'ipotesi del continuo. Il nostro ripasso di logica è inevitabilmente piuttosto schematico, per quanto abbiamo cercato di coprire alcuni dei concetti fondamentali, come quelli di sistema formale, enunciato indecidibile e funzione ricorsiva. In realtà, ad eccezione del teorema di Lowenheim-Skolem, nessuno dei risultati del primo capitolo è sfruttato nell'esposizione successiva, e il lettore che ha seguito un corso di introduzione alla logica può omettere questa parte. Il suo scopo primario è quello di abituare i mate­ matici che non sono specialisti in logica al punto di vista rigorosa­ mente preciso che è necessario quando si trattano questioni di fon­ damenti della matematica. Inoltre, dovrebbe servire a eliminare al­ cune diffuse confusioni, come quella che si ha tra il concetto di enun­ ciato indecidibile in un particolare sistema assiomatico e il concetto di problema indecidibile, o irresolubile, che si riferisce a metodi di computazione. Noi speriamo sinceramente che questa esposizione sia intellegi­ bile alla massa dei non-specialisti che sono interessati al problema; è per questo che non abbiamo adottato lo stile rigorosamente for­ malistico che si può trovare in alcuni manuali di logica. Abbiamo cer­ cato piuttosto di sottolineare le motivazioni intuitive, presentando nello stesso tempo dimostrazioni per quanto possibile complete. Non si presuppone alcuna specifica preparazione di base, anche se di tan­ to in tanto si pescano esempi in altri domini della matematica. Natu­ ralmente il lettore sarà avvantaggiato se avrà già familiarità con lo

7

La teoria degli insiemi e l'ipotesi del &ontinuo

sviluppo della teoria " intuitiva " degli insiemi, come viene insegna­ ta di solito nei corsi sulle funzioni di variabile reale o sulla topologia degli insiemi di punti. Vorremmo esprimere il nostro piti sincero ringraziamento a L. Corwin, D. Pincus, T. Scanlon, R. Walton e J. Xenakis, che hanno preso appunti per diversi paragrafi, e a Jon Barwise che ha aiutato a preparare la versione finale. Siamo fortemente debitori nei con­ fronti di Azriel Lévy per la correzione di molti errori, per il sugge­ rimento di notevoli miglioramenti di presentazione e in generale per aver elevato in modo decisivo il livello stilistico di queste note, ri­ spetto al loro stato originario piuttosto primitivo. Anche i parteci­ panti al corso, in generale, meritano un ringraziamento, per aver sempre inesorabilmente segnalato ogni errore e per aver trasformato le lezioni, con le loro stimolanti discussioni, in un raffinato piacere. Queste pagine non sono certo scritte nella forma pulita che l'argo­ mento esige, ma siccome manca nella letteratura una esposizione ra­ gionevolmente completa di tali questioni, abbiamo preferito pubbli­ carIe nella presente versione informale, piuttosto che rimandare alle calende greche. Infine il nostro sincero grazie vada alle dattilografe che hanno battuto gli appunti, soprattutto Sue Golan e Mari Wilson, per il loro pregevole sforzo.

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Capitolo primo

Nozioni basilari di logica

§ 1.

-

Introduzione

Oggi si sa che la verità o falsità dell 'ipotesi del continuo e di altre analoghe congetture non può essere stabilita sulla base della teoria degli insiemi che conosciamo. Questo stato di cose, in riferi­ mento a un problema classico e presumibiImente ben posto, deve certamente apparire piuttosto insoddisfacente al matematico medio. Si è portati a guardare con maggior attenzione, e forse con piu spi­ rito critico, ai fondamenti della matematica. Sebbene la nostra attuale matematica " cantoriana " riscuota grandi successi nella sua tratta­ zione delle astrazioni, non bisogna dimenticare che fin dall'inizio l'uso di processi infiniti fu guardato con sospetto da molti. Nel se­ colo diciannovesimo, le obiezioni contro l 'uso delle serie conver­ genti e dei numeri reali furono superate dal lavoro di Cauchy, Dede­ kind, Cantor e altri, ma questo non fece che liberare la strada per piu profonde critiche da parte di matematici del periodo succes sivo, come Brouwer, Poincaré e WeyI. La controversia che segui diede origine alla formazione di diverse scuole di pensiero sui problemi dei fondamenti. Si può tranquillamente affermare che nessuna scuola ha avuto completo successo nel rispondere alle questioni fondamentali, e che le difficoltà sembrano piuttosto inerenti alla natura profonda della matematica. Nonostante l 'ipotesi del continuo sia un esempio altamente drammatico di quelli che potrebbero essere detti enunciati assolutamente indecidibili (relativamente alle nostre attuali schema­ tizzazioni), l ' ostacolo piu poderoso per una soddisfacente filosofia del­ la matematica è tuttora costituito dal teorema di incompletezza di GodeI. Queste difficoltà fondamentali, spesso trascurate dai matema­ tici, rendono meno sorprendente l 'indipendenza dell 'ipotesi del con­ tinuo. Gauss sembra essere stato iI primo matematico che ha espresso

9

La teoria degli insiemi e l'ipotesi del continuo

perplessità circa l'uso troppo_libero dell'infinito. Nel 1 831, egli scrisse " lo protesto ... contro l'uso di una grandezza infinita come qualcosa di compiuto, che non può mai essere consentito". Pili tardi, Kro­ necker espresse opinioni critiche a proposito delle definizioni che richiedevano un processo infinito per verificare se un oggetto le sod­ disfaceva. Il lavoro di Cantor sulla teoria degli insiemi fu aspramente criticato, in quanto dava l'impressione di trattare di finzioni. Ciono­ nostante, gli insiemi infiniti sono oggi accettati con poche riserve. L'atteggiamento tradizionale accetta la costruzione del sistema dei numeri reali a partire dai razionali come l'ultimo e decisivo passo nella lunga serie di critiche e ripensamenti che hanno segnato la storia della matematica. Quali possibili obiezioni possono essere sollevate contro la co­ struzione dei numeri reali? Semplicemente la seguente: anche se i reali sono basati sugli interi, occorre introdurre la nozione vaga di un insieme arbitrario di interi eo, il che è equivalente, di una succes­ sione arbitraria di interi). I matematici orientati verso una concezione finitista potrebbero sostenere che dovrebbero essere ammessi solo insiemi per cui si ha una regola esplicita per determinare quali interi vi appartengono. Per esempio, la scuola di Brouwer e" Intuizioni­ smo") non ammetterebbe che insiemi finiti come oggetti legittimi di studio, e persino un singolo intero non sarebbe considerato defi­ nito a meno che non fosse esibita una ben definita regola per compu­ tarlo. (Per esempio, l'insieme che contiene il solo 5 se l'ultimo teo­ rema di Fermat è vero, e il solo 7 se è falso, non è ben definito, se­ condo Brouwer.) Le critiche di Weyl e Poincaré erano dirette contro le definizioni" impredicative". Sebbene le loro obiezioni non fos­ sero cosi estreme come quelle di Brouwer, la loro accettazione signi­ ficherebbe la distruzione di larga parte della matematica. Un'altra fonte di obiezioni furono i paradossi o antinomie della teoria degli insiemi. Nella teoria degli insiemi di Cantor un insieme era pensato come definito da una proprietà. Fu Cantor stesso a se­ gnalare che l'insieme di tutti gli insiemi conduce a un assurdo. Seb­ bene questo tipo di paradosso (analogamente a quelli di Russell, Burali-Forti e altri) sembri decisamente estraneo all'ordinario ragio­ nare matematico, pure i paradossi indicarono la necessità di una estrema attenzione nel precisare quali proprietà descrivano insiemi. Nel 1908, Zermelo presentò un sistema formale di assiomi per la teoria degli insiemi che racchiudeva tutti i ragionamenti che si fanno a tutt'oggi in matematica, e che è pure presumibilmente esente da paradossi. Questa formalizzazione della teoria degli insiemi si ac­ cordava con lo spirito della scuola del Formalismo, il cui esponente

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Nozioni basilari di logiça

piti autorevole era David Hilbert. Secondo il punto di vista formali­ sta, la matematica deve essere considerata come un gioco puramente formale giocato con segni tracciati sulla carta, che deve soddisfare un'unica esigenza, quella di non condurre a una contraddizione. Per descrivere il gioco in modo completo, era necessario esplicitare le regole della logica matematica con una precisione ben superiore a quanto fino ad allora si fosse fatto. Compiuto questo passo, i forma­ listi si dedicarono al compito di dimostrare la non contraddittorietà di diversi sistemi. Come è ben noto, questa speranza fu stroncata dalla scoperta di Godel del teorema di incompletezza, una delle cui conseguenze stabilisce che la non contraddittorietà di un sistema ma­ tematico non può essere dimostrata se non con metodi piti potenti di quelli del sistema stesso. Nonostante questo fallimento, il programma formalista diede un contributo decisivo allo sviluppo della logica, organizzando lo stu­ dio sistematico dei sistemi matematici. Nelle note che seguono, il nostro primo obiettivo sarà quello di descrivere come un sistema ma­ tematico può essere completamente ridotto a un gioco puramente formale, che consiste nella manipolazione di simboli tracciati sulla carta..çon siste!1!CljQr.1J!p'/�_igten9.et;�mQ. una collezione finita di sim­ boli e di regole perfettamente precise per manipolare questi simboli e formare certe combinazioni dette" teoremi ". Naturalmente, que­ ste regole devono essere formulate in un linguaggio matematico in­ formale. Noi tuttavia esigeremo che siano regole del tutto esplicite, che non richiedano processi infiniti di verifica e che in linea di prin­ cipio possano essere codificate in una macchina calcolatrice. In que­ sto modo questioni concernenti insiemi infiniti sono rimpiazzate da questioni concernenti le possibilità combinatorie di un gioco formale. Allora saremo in grado di dire che certi enunciati non sono decidi­ bili all'interno di dati sistemi formali.

§ 2.

-

Linguaggi formali

Se consideriamo gli assiomi di Peano per gli interi, vediamo che non si prestano a essere trascritti in una forma accettabile da una macchina calcolatrice. La ragione sta nel fatto che l'assioma cruciale dell'induzione parla di" insiemi" di interi, ma gli assiomi non for­ niscono regole per formare insiemi, né descrivono proprietà basilari degli insiemi. Questo è un esempio delle difficoltà che si incontrano nel tentativo di soddisfare le severe limitazioni di un sistema formale, come descritto sopra. Quando costruiremo un sistema formale corri-

11

La teoria degli insiemi e l'ipotesi del continuo

spondente agli assimni di Peano, ci accorgeremo che il risultato non può proprio rispondere a tutte le nostre aspettative. Questa difficoltà è inerente a ogni tentativo di formalizzazione. Nel nostro linguaggio formale saranno presenti due tipi di sim­ boli. Innanzi tutto ci sono i simboli comuni a tutti i sistemi matema­ tici. Poi ci sono quelli usati per denotare particolari concetti in spe­ ciali rami della matematica, come i simboli per l'addizione, la mol­ tiplicazione in un gruppo, l'aggiunta di una matrice, ecc. I simboli generali che useremo sono i seguenti : non

V per ogni

3 esiste

&

v

e

o

implica

(,)

uguale

parentesi

se e solo se

x, ' simboli per variabili

Le parole scritte al di sotto dei simboli non hanno, in linea di prin­ cipio, nulla a che fare con il nostro linguaggio formale. Possiamo dire che pensiamo che il simbolo "+4" rappresenti formalmente le parole " se e solo se ". I significati ordinari di queste parole sugge­ riranno alcune regole per i simboli corrispondenti, ma i giocatori devono giocare il gioco formale attenendosi alle regole, senza far ricorso ad alcun significato che possa averle suggerite. I primi cinque simboli sono noti come connettivi proposizionali. I simboli che rappresentano formalmente le parole " per ogni " ed " esiste " sono noti rispettivamente come quantificatore universale e quantificatore esistenziale. Le parentesi sono utilizzate nella forma­ zione di espressioni per assicurare la loro lettura univoca. In ogni dato contesto possiamo aver bisogno di un numero arbitrario di variabili, per cui useremo x, x', x",... come simboli per variabili. In pratica useremo le lettere Xl' x2, X3, oppure x,y, Z' . . . sebbene in teoria queste ultime dovrebbero essere rimpiazzate da X, X ' , x", . . . . I n questo modo possiamo limitarci a u n numero finito di simboli. La nostra lista di simboli non è assolutamente la piu economica, rispetto agli scopi che si proponiamo, perché (come conseguenza delle regole per il nostro sistema formale) alcuni dei simboli pos­ sono essere eliminati da combinazioni di altri. Per esempio seguirà dalle regole A e G, piu avanti, che V può essere rimpiazzato da 3 . Talvolta ometteremo parentesi, o faremo uso di altre abbre­ viazioni nelle formule se non c'è pericolo di confusione. Per esprimere proposizioni interessanti occorrono simboli spe­ ciali che rappresentino formalmente particolari relazioni in esame. A •••

'""""'

12

'""""'

Nozioni basilari di logica

tale scopo introdurremo un numero finito di simboli relazionali Rh R2, A ogni Ri è associato un intero ni ;> 1 , che intuitivamente indica che la relazione rappresentata da Ri è una relazione tra ni og­ getti. Per esempio, se nl 2 allora RI è una relazione binaria (come la relazione .;;;; tra numeri reali), e nelle regole per formare espres­ sioni formali richiederemo che RI sia seguito da due variabili o co­ stanti, come Rlex,y) o RI(c, z). Diremo che Ri è un simbolo predi­ cativo ni ario, e scriveremo talvolta Ri(XI, , xnj) per indicare ni espli­ citamente. Useremo anche simboli speciali per rappresentare costanti che giocano un ruolo speciale nel sistema. Per esempio, nella teoria dei gruppi è utile avere un simbolo per l'elemento identico. Usiamo la lettera " c" e il simbolo " I " per generare i simboli c, c', c", . . che rappresentano costanti. I n pratica, scriveremo piu semplicemente Cl' c2, ecc. Prima di formulare le regole precise per la costruzione delle espressioni formali del nostro linguaggio formale, diamo alcuni esem­ pi. Invece di pensare alla " addizione " come a una operazione su coppie di numeri, possiamo pensare a una relazione tra terne di nu­ meri, precisamente la relazione ••••

=

-

•••

.

r+ s= t .

Cosi se consideriamo un linguaggio formale in cui RI è un simbolo relazionale ternario, possiamo usare Rl per rappresentare questa re­ lazione. Allora l'unicità della addizione sarà assicurata da

vxVyV zVu«R1(x,y, z) & R1(x,y, u» � Z

=

u).

Se la moltiplicazione (r s t) è rappresentata da R2(x,y, z) la as­ sociatività della moltiplicazione diventa .

=

L'esistenza di un elemento identico rispetto alla addizione può es­ sere affermata con 3xVy(R1(y, x,y» ma questa formulazione diventa scomoda in molti casi. Infatti, ogni volta che un certo argomento usa questo elemento identico noi dovremmo riaffermare la sua esi­ stenza. È piu semplice usare un simbolo di costante "O" e intro­ durre come assioma Vx(x + O = x). In generale l'uso di abbrevia­ zioni è indispensabile per rendere comprensibile la matematica, e non esiteremo a usarle quando il loro significato è chiaro ed è anche chiaro come si può ripristinare il linguaggio rigorosamente formale.

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La teoria degli insiemi e l'ipotesi del continuo

Esaminiamo ancora il nostro sistema formale dotato solo degli speciali simboli di relazione Rl e R2, che rappresentano l'addizione e la moltiplicazione. Non è difficile rendersi conto che nel sistema si possono esprimere tutti gli assiomi della teoria dei corpi. (Si os­ servi che non si sta ancora parlando di dimostrazioni o di afferma­ zioni " vere ", ma semplicemente di ciò che può essere espresso.) Asserzioni pili complicate, come il fatto che una equazione di se­ condo grado ha al massimo due radici, si possono scrivere come segue :

Va, b3u3vVX«X2 +

ax

+

b

=

O) -- (x

=

u Vx

=

v».

Lasciamo come esercizio la trascrizione nel sistema formale della for­ mula X2 + ax + b. Si incontrano difficoltà invece se si cerca di dire che una equazione di grado n ha al massimo n radici. La ragione sta nel fatto che non abbiamo a disposizione (nel sistema formale) no­ tazioni per interi per denotare il grado di un polinomio arbitrario, né una procedura induttiva per definire la nozione di polinomio di grado arbitrario. Cosi non si possono trattare proprietà che fanno riferimento alla nozione di un intero arbitrario. Ciononostante, si potrebbero formulare i teoremi della teoria di Galois per le estensio­ ni quadratiche, cubiche, ecc. parlando solo di permutazioni di radici. Nella sua formulazione usuale, la teoria di Galois introduce insiemi, come sottocorpi, sotto gruppi, ecc. e perciò non può essere espressa direttamente nel nostro sistema. Ora diamo le regole precise per la formazione di espressioni grammaticamente corrette. Queste sono dette formule ben formate (fbf). Si ricordi che il nostro linguaggio formale consiste dei simboli generali elencati sopra, compresi i simboli per variabili e i simboli per costanti, e inoltre un numero finito di simboli relazionali, ognuno associato a un intero.

Regole per formule ben formate 1 . x = y, x c, c c' sono fbf, dove x e y sono variabili e c e c' simboli per costanti, qualunque. 2. Se R è un simbolo relazionale n-ario e ognuno t}> . . . , tn è o un simbolo per variabili o un simbolo per lora R(t} > "', tn) è una fbf. 3. Se A e B sono fbf, anche --(A), (A) & (B), (A) -- (B), (A) � (B) sono fbf. 4. Se A è una fbf, anche Vx(A) e 3x(A) lo sono. =

14

=

simboli per dei simboli costanti, al­

(A) V (B),

Nozioni basilari di logica

Si osservi che nelle nostre formule ben formate possono essere presenti, senza fare nulla, simboli per variabili e costanti. La rego­ la 4 ammette come fbf una espressione del tipo Vx(y = Z). Bisogna interpretare questa situazione nel senso che se Vx o 3x occorrono davanti a una fbf A in cui non compare la variabile x allora l'effetto dei quantificatori è nullo, e possono essere omessi. Le ultime consi­ derazioni ci conducono alla distinzione precisa tra variabili vincola­ te e variabili libere.

Definizione. - Ogni occorrenza di un simbolo per variabili in una fbf si riconosce come libera o vincolata secondo i criteri seguenti: 1 . Ogni variabile che occorre in una formula della forma men­ zionata nelle regole 1 e 2 è libera. 2. Le occorrenze libere e vincolate delle variabili nelle fbf men­ zionate nella regola 3 sono esattamente le stesse di quelle per A e B. 3. Le occorrenze libere e vincolate di una variabile in una for­ mula del tipo VxA o 3xA sono le stesse di quelle di A con la diffe­ renza che ogni occorrenza libera di x in A è ora considerata vincolata. Il lettore può rimproverarci una eccessiva trascuratezza per aver permesso, nella regola 4, la quantificazione di variabili già vincolate. In realtà, non si ingenera confusione se si conviene che tale quanti­ ficazione non abbia alcun effetto, ma per essere piu precisi possiamo presentare la seguente definizione :

Definizione. - Una fbf è detta " buona " se nella applicazione del­ la regola 3, A e B hanno in comune solo variabili libere e, nella applicazione della regola 4, x occorre libera in A. Le convenzioni che riguardano l'uso delle parentesi sono tali che non possono dare origine ad alcuna ambiguità. Per controllarlo, occorrerebbe un semplice argomento combinatorio, che omettiamo. Definizione.

- Un

enunciato è una formula in cui non compaiono

variabili libere. § 3. -

Enunciati universalmente validi

Scoprire teoremi " veri " è il compito della matematica. Noi useremo il termine " valido " per descrivere enunciati formati se­ condo certe regole, e poi confronteremo questa nozione con la idea intuitiva di " vero ". Nello scrivere un enunciato in cui compaiono

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La teoria degli insiemi e l'ipotesi del continuo

certi simboli per costanti e relazioni, noi non indichiamo ancora una specifica interpretazione per questi simboli. Se un tale enunciato deve essere considerato intuitivamente " vero ", deve essere vero indi­ pendentemente dalla interpretazione assegnata a questi simboli. Per esempio, se A è la congiunzione dei soliti assiomi per la teoria dei corpi, e B l ' enunciato che ogni equazione di secondo grado ha al piu due radici, allora A - B è una affermazione vera, perché in un qualunque sistema in cui valgano gli assiomi, relativamente a due rela­ zioni ternarie (che possiamo chiamare addizione e moltiplicazione) una equazione di secondo grado può avere al massimo due radici. Noi introdurremo il concetto di modello di un sistema formale, e un risultato fondamentale sarà l'identificazione degli enunciati validi con quelli che sono veri in ogni modello. Le regole per formare enunciati validi costituiscono il " calcolo dei predicati ". Un certo semplice sotto sistema di regole, la cui im­ portanza fu riconosciuta prima delle altre, costituisce il " calcolo proposizionale " (o " delle proposizioni ") . Si tratta delle regole che riguardano la manipolazione dei simboli ,...." &, V, -, +--+ . Per il momento, siano Al, A2, lettere per variabili, da non confondere con le variabili usate nel linguaggio formale. Queste nuove variabili saranno in definitiva rimpiazzate da fbf. •••

Definizione. - Una funzione proposizionale è una lista formale di simboli costituita come segue : 1 . Se A è una lettera per variabili, A è una funzione proposi­ zionale. 2. Se P e Q sono funzioni proposizionali, anche ,....,(P), (P) & (Q), (P) V (Q), (P) - (Q), (P) +--+ (Q) lo sono. Se P è una funzione proposizionale delle variabili Al, .. . , An (cioè in P compaiono esclusivamente alcune delle lettere A l ' . . . , An> ma non necessariamente tutte), cerchiamo di indicare come la verità o falsità di P dipende da quella delle Ai' A tal fine, associamo a P una funzione definita sull'insieme di tutte le n-uple di O e 1 (cioè (E l , E n), dove E i è O o 1) a valori O o 1. Questo si ottiene come ' segue : •..

1 . La funzione proposizionale Ai corrisponde alla funzione pro­ iezione (E l ' ..., E n) - E i' 2. Se ! è la funzione che corrisponde a P e g quella per Q, le funzioni che corrispondono a ,-..,(P), (P) & (Q), (P) V (Q), (P) -(Q), (P) +--+ (Q) sono rispettivamente f{JI(!), f{J2(f, g), f{Ja(J, g), f{JiJ, g) , 16

NlIzirmi basilari di

11IJ!.i&a

�6(f, g), dove le �i sono date dalle " tavole di verità» : y-y-y-O 1 x x O 1 x O 1 x



°m 1

O

�1(X)

y --

l 101 �l l 10tffij �

tO o 1 O

tO

1

�2(X,y) &

1

l

1

1

1

�3(X,y) V

O 1

to

O

1

�ix,y) --

1

O

O 1

�5(X,y) +-+

Il lettore non avrà difficoltà a controllare che si tratta proprio d el solito uso dei connettivi proposizionali, se si conviene che 1 rap­ presenti il vero e O il falso. Diciamo che una funzione proposizionale è identicamente vera se la corrispondente funzione assume solo il valore 1. Intuitivamente, la funzione proposizionale dà " vero» in­ dipendentemente dagli enunciati che vengono sostituiti al posto delle variabili. Possiamo ora formulare la regola fondamentale del calcolo proposizionale :

Regola A (regola del calcolo proposizionale). - Se P è una funzione proposizionale identicamente vera delle variabili Al, . . . , An> il ri­ sultato della sostituzione di ogni Ai con un qualunque enunciato è un enunciato valido. Si ricordi che noi vogliamo che il termine " enunciato valido " significhi un enunciato intuitivamente vero per ogni interpretazione dei simboli di relazione e delle costanti usate per costruirlo. C'è un'altra regola del calcolo dei predicati, imparentata con A, che ci permette di formare nuovi enunciati validi a partire da dati enunciati validi. È stata spesso esemplificata con enunciati sulla mortalità di Socrate. Regola B (regola di inferenza). - Se A e (A) ---+ (B) sono enunciati validi, anche B lo è. Ora diamo le regole per manipolare il segno di identità. Regola C (regole dell'identità) 1. c c, (c = c') -- (c' = c) e «c c') & (c ' = c") -- (c = c "» sono enunciati validi, dove c, c', c" sono arbitrari simboli per costanti. 2. Se A è un enunciato, c e c' simboli per costanti, e se A' è il risultato della sostituzione di A di ogni occorrenza di c con c', al­ lora Cc c') -- «A) -- (A'» è un enunciato valido. =

=

=

17

La teoria degli insiemi e l'ipotesi del continuo

Regola D (eambio di variabilt). - Se A è un enunciato e A' è il risultato della sostituzione in A di ogni occorrenza del simbolo x con il simbolo x', dove x e x' sono arbitrari simboli per variabili, allora l'enunciato (A) � (A') è valido. Queste due ultime regole sono ovvie e non richiedono alcuna discussione. È un semplice esercizio ora mostrare che per ogni enun­ ciato A esiste un " buon " enunciato A', ottenuto rimpiazzando i simboli per variabili in A con altri simboli, e tale che (A) � (A') è un enunciato valido. Per la prossima regola, sia A(x) una formula con una sola variabile libera x, in cui ogni occorrenza di X è libera, e sia A(e) il risultato della sostituzione di ogni occorrenza di x con il simbolo per costanti e. Regola E (regola di speeializzazione). - (VxA(x» -- (A (e» è un enunciato valido, per ogni simbolo per costanti e. La prossima regola può essere fuorviante e richiede qualche spie­ gazione. Spesso in un ragionamento noi diciamo " sia e un intero arbitrario, ma fissato ". Poi andiamo avanti, ragioniamo su e e arri­ viamo a una certa conclusione A(e). Possiamo allora concludere che VxA(x) , perché non abbiamo sfruttato alcuna proprietà speciale di e. In realtà abbiamo trattato e come una variabile, anche se l'abbiamo chiamata costante. Infatti il nostro enunciato sarà vero per ogni inter­ pretazione dei simboli per relazioni e per costanti. Potremmo espri­ mere tutto questo con la regola : se A(e) è un enunciato valido, an­ che VxA(x) lo è. Tuttavia la regola F è formulata in una forma piu conveniente, che implica la precedente, come vedremo. Regola F. - Sia B un enunciato in cui non compaiono né e né x. Allora se A(e) -- B è valido, anche HxA(x) __ B lo è. La prossima regola permetterà di trasformare ogni formula in cui intervengono quantificatori in una formula che comincia con un quantificatore. Regola G. - Sia A(x) una formula con la sola variabile libera x, e ogni occorrenza di x in A sia libera. Sia B un enunciato che non contiene la x. Allora i seguenti enunciati sono validi. (,,-,CVxA(x» ) � (Hx "-' (A(x» ) � (Vx« A(x» & (B» ) «Hx A(x» & (B» +-+ (Hx« A(x» & (B»)

(CVxA(x» & (B» Definizione. 18

- Sia S una collezione di enunciati. Diciamo che

A

Nozioni basilari di logica

è derivabile da 5 se esistono enunciati Bl> . .. , Bn in 5 tali che l 'enun­ ciato «BI) & ... & (Bn)) - (A) è valido.

Considerazione. Se 5 e S' sono collezioni di enunciati tali che ogni enunciato di S' è derivabile da S, allora ogni enunciato derivabile da S' è derivabile da S. Dimostrazione. Esercizio. Nel corso di una dimostrazione noi -

-

spesso ragioniamo per assurdo, o assumiamo momentaneamente certe ipotesi. Tali passaggi si possono tutti giustificare con il calcolo proposizionale, ma noi non daremo tutti i dettagli formali nelle ap­ plicazioni. Supponiamo per esempio di sapere che A(c) è un enun­ ciato valido e facciamo vedere che VxA(x) è valido. (Il che non equivale a dire che A(c)- VxA(x) è valido, infatti in generale non lo è). È sufficiente mostrare che", VxA(x) conduce a una contrad­ dizione (cioè B & '" B per qualche B). Per la regola G è la stessa cosa mostrare che :>Ix '" A(x) conduce a una contraddizione. Ma '" A(c) conduce a una contraddizione, perché A(c) è valido; allora per la regola F anche :>Ix", A(x) conduce a una contraddizione. § 4.

-

Il teorema di completezza di GMel

Ora che abbiamo dato le regole per formare enunciati validi, ve­ niamo al problema di identificare questi enunciati con quelli intuiti­ vamente " veri ". La discussione che segue sarà condotta nello spi­ rito tradizionale della matematica, vale a dire, al di fuori di ogni lin­ guaggio formale. Useremo qualche nozione elementare di teoria degli insiemi. Una volta che avremo formalizzato la teoria degli insiemi stessa, tale discussione si potrà naturalmente esprimere all 'interno di quel sistema formale. Nella nostra impostazione originale, avevamo un numero finito di simboli. Questo era importante per scopi fon­ dazionali, per ridurre la matematica a un gioco formale giocabile da un automa. Tuttavia in alcuni contesti può convenire ammettere un numero arbitrario di simboli per relazioni e costanti. Le dimostra­ zioni dei Paragrafi 4 e 5 valgono per questo caso piu generale. Supponiamo ora di avere a che fare con una collezione 5 di enun­ ciati, in cui intervengono costanti ca., a E l, e simboli relazionali RfJ, {3 E J, dove ogni R{J ha un numero fisso di posti. Sia M un insieme non vuoto, e sia ca. - Ca. una applicazione dai simboli per costanti negli elementi di M, non necessariamente iniettiva, e Rp - Rp una applicazione che associa a ogni simbolo relazionale k-ario un sottin­ sieme del prodotto diretto a k fattori M X M X ... X M. Diciamo

19

La teoria degli insiemi e l'ipotesi del continuo

allora che abbiamo una interpretazione delle costanti ca e dei simboli relazionali R{J nell'insieme M. A ogni enunciato in cui intervengono solo questi simboli per costanti e relazioni assoceremo il suo " valore di verità " sotto tale interpretazione. Dal punto di vista intuitivo, naturalmente, intendiamo soltanto dire se l'enunciato è vero o no in M, sotto la data interpretazione dei simboli per costanti e relazioni. Tuttavia non è difficile formulare una definizione precisa, proceden­ do per induzione sulla lunghezza delle formule.

Definizione. Sia A una formula le cui variabili libere sono tra Xl' ... , Xm n;;;' 0, e siano x,!, . , xn elementi di M. Definiamo il va­ lore di verità di A (in M) per Xl' ... , Xn1. Se A è della forma i Xi' Xi c o Ci = Ci' allora A è vera per Xl> ... , xn se, rispettivamente, Xi = Xi' Xi C o Ci Ci· 2. Se A è R(/I' . . , 1m) dove R è un simbolo relazionale m-ario e ogni ti è un simbolo per costanti ovvero uno tra Xl' , Xm allora A è vera per Xl' ... , Xn se la m-upla (il, . , im> è in R (il sottinsieme di A-fm associato a R sotto la data interpretazione). -

.

X

.

=

=

=

=

.

. •.

. .

3. Se A è una funzione proposizionale di formule, calcoliamo il valore di verità di A per X}> . .., xn per mezzo del calcolo proposi­ zionale. 4. Se A è della forma VyB(y, Xl' . , Xn) (risp. ayB(y, Xl' . . . , Xn)) A è vera per X}> , xn se per tutti gli } in M (risp. per almeno un ) in il{) B(y, Xl' , xn) è vera per} , Xl' ... , Xn..

.••

..•

Per evitare possibili ambiguità a proposito di sostituzioni di va­ riabili, possiamo assumere che tutte le formule siano fbf buone, se­ condo la definizione data nel Paragrafo 3. Si noti che se A è un enunciato la nostra definizione, con n 0, dà appunto la definizione di verità in il{ sotto la data interpretazione. =

Definizione. Sia 5 un insieme di enunciati contenenti i simboli R{J' M un insieme non vuoto e Ca C'X e R{J R{J applicazioni -

Ca e

->-

->-

come è stato descritto sopra. Diciamo che M è un modello di 5 (sotto l'interpretazione) se tutti gli enunciati di 5 sono veri in M. A rigore un modello è un insieme M con una interpretazione di alcuni (eventualmente nessuno) simboli per costanti e relazioni. A meno che non sia proprio necessario, sopprimeremo ogni riferimen­ to esplicito alla interpretazione.

Definizione. Un insieme di enunciati si dice non contraddittorio se l'enunciato A & ,...A .., non è derivabile da S, per nessun A. -

20

Nozioni basilari di logica

Il succo di queste definizioni sta nell ' ovvia considerazione se­ guente :

Teorema 1. - 5e A è un enunciato valido, A è vero in ogni modello. 5e un insieme di enunciati 5 ha un modello, 5 è non contraddittorio. Omettiamo la dimostrazione, che è noiosa, e si riduce a verificare che le regole del calcolo dei predicati corrispondono a metodi cor­ retti di deduzione. Una questione molto pili interessante è se le regole che abbiamo dato esauriscono tutte le possibili deduzioni. Avendo a disposizione la nozione di modello possiamo formulare in modo pre­ ciso la questione.

Teorema 2 (Teorema di comPletezza di GOdel). - 5ia 5 un insieme non contraddittorio di enunciati. Esiste un modello di 5 la cui cardinalità non supera la cardinalità del numero di enunciati di 5 se 5 è infinito, ed è nume­ rabile se 5 è finito. La dimostrazione richiede l'assioma di scelta Ca meno che 5 non sia già bene ordinato). Dato 5 indicheremo in modo esplicito come costruire un modello di 5. Tuttavia la dimostrazione è non-costrut­ tiva, nel senso che la costruzione di un modello di 5 può dipendere dall 'esame di un numero infinito di possibilità. Nel caso in cui 5 è finito tuttavia, il modello può essere preso come insieme degli interi, e le relazioni possono essere interpretate in relazioni aritmeticamente definibili (cioè definibili per mezzo di formule contenenti solo l'ad­ dizione e la moltiplicazione). Questo sarà un corollario del tipo di dimostrazione che daremo, ma noi non entreremo nei dettagli. Il primo passo è un esame del caso speciale in cui 5 non con­ tiene quantificatori.

Teorema 3 (Completezza del calcolo proposizionale). - 5e 5 non con­ tiene quantificatori ed è non contraddittorio, esiste un modello M di 5 in cui ogni elemento di M è del tipo c(f.' per qualche C(f. che compare in 5. Ci occorre un lemma.

Lemma. - 5e T è un insieme non contraddittorio di enunciati, e A un enunciato qualunque, allora uno dei due insiemi, T u {A} o T u {,...",A}, è non contraddittorio. Dimostrazione. - Se T u {A} è contraddittorio, esistono enun­ ciati Bi in T e un qualche C tali che A & Bl & . . . & Bn - C & ,...",C è valido. Se anche T u { ,...",A} è contraddittorio, esistono in T enun21

La teoria degli insiemi e l'ipotesi del çontinuo

ciati Bi tali che (""A) & B� & ... & B'm � C & "" C è valido. Il calcolo proposizionale ora implica che Bl & ... & Bn & B� & ... & B'm � C & ""C è valido, e quindi T stesso deve essere contraddit­ torio. Ora dimostriamo il Teorema 3. Supponiamo 5 bene ordinato. Tale buon ordinamento induce un buon ordinamento nell'insieme di tutti i simboli per costanti e relazioni che compaiono in S. A sua volta questo induce un buon ordinamento di tutti i possibili enun­ ciati della forma Ci Ci e Rp(cl, , cn) , dove Ci e Rp sono simboli per costanti e relazioni che compaiono in S. Indichiamo questi enun­ ciati con Fo:. De6niamo ora una successione (eventualmente trans6nita) di enunciati Co: per induzione su a. Se Fo: è non contraddittorio con 5 U {Cp/f3 < a} poniamo Co: Fo:, altrimenti Co: "" po:. Ra­ gionando per induzione su a, il nostro lemma assicura che, per ogni a, 5 U {Cp/f3 , tk))) -- VxAm(x, tl> , tk)] . .••

"

'

Dal momento che ora vogliamo essere precisi, notiamo che nella formulazione degli assiomi abbiamo usato alcune abbreviazioni. Nel­ l'Assioma 4 troviamo che occorrono le espressioni y + 1 e x + y. La forma non abbreviata dell' Assioma 4 sarebbe (quasi)

Vx,y 311, v (lI = y + 1 & v

=

x + y & x + 11 = v + 1).

Analogamente l'Assioma 5 dovrebbe essere riscritto introducendo nuove lettere Il e v e w per, rispettivamente y + 1, x . y e x . y + x. Rispettare questi dettagli renderebbe le nostre formule troppo poco maneggevoli per cui faremo spesso uso di tali abbreviazioni. Il lettore noterà che 1 , 6 e 7 implicano i primi tre assiomi in­ formali di Peano. L'Assioma 8 formula il principio dell'induzione matematica, non per insiemi arbitrari, ma solo per quegli insiemi che sono definiti da una condizione " aritmetica " A m' fissati certi parametri tI ' ... , ti.' Poiché le condizioni aritmetiche non sono che numerabili, mentre gli insiemi di interi sono piti che numerabili, è chiaro che l'Assioma 8 è piu debole del principio di induzione in­ tuitivo. Invero è sorprendente che il nostro sistema, per quanto do­ tato delle sole due relazioni + e " sia abbastanza potente da espri­ mere tutto ciò che tradizionalmente è detto teoria elementare dei "I

La teoria degli insiemi e l'ipotesi

del &onlinuo

numeri. L'interesse del presentare Zl in questa forma sta nel fatto che i suoi enunciati sono essenzialmente nella forma di equazioni diofantee. Questo ha conseguenze che si riflettono sulla teoria di tali equazioni e sul problema di trovare un metodo effettivo per decidere se ogni data equazione può essere risolta. Riprenderemo la discus­ sione di Z} in un paragrafo successivo. Il secondo sistema che presentiamo è un'altra versione della teo­ ria elementare dei numeri che chiamiamo Z2' Il vantaggio di questo sistema è che risulta ovvio che tutta la tradizionale teoria elementare dei numeri vi può essere formulata. In questo sistema gli oggetti devono essere pensati come gli insiemi finiti. Gli assiomi sono molto simili a quelli che daremo pili avanti per la teoria degli insiemi, con la importante eccezione che ora non assumiamo l'esistenza di insiemi infiniti. Certi insiemi saranno identificati per definizione con gli interi, e per questi formuleremo un assioma di induzione. Come è ben noto, tutte le usuali nozioni matematiche, come quelle di funzione, rela­ zione ecc., possono essere definite a partire dal concetto di insieme. Questo comporta che qualsiasi argomento a proposito degli interi che faccia intervenire solo oggetti finiti può essere formalizzato in Z2 (anche se magari dobbiamo usare l'induzione per dimostrare l'esi­ stenza di tali oggetti) . Anche qui l'assioma dell'induzione è uno sche­ ma infinito. In Z2 usiamo una sola relazione binaria, E, che denota l'apparte­ nenza, di modo che x E y deve essere letto ({ x è un elemento di y ". Usiamo un simbolo per costanti 0, per denotare l'insieme vuoto.

Assiomi per Z2 1 . Vx,y(x

=

Y +-+ VZ(Z E X +-+ Z E y))

2. Vx(,...x ..., E 0)

3. Vx,y3.ZVw(w E Z +-+ w 4. Vx,y3.ZVw(w

E

Z +-+ w

=

E

x V w = y) x V W E Y) .

Prima di presentare lo schema di assiomi per l'induzione matema­ tica facciamo alcune osservazioni. L'Assioma 1 è noto come assioma di estensionalità, e dice che un insieme è perfettamente determinato dai suoi elementi. Cosi nel nostro sistema non ci sono insiemi " ato­ mici " che siano privi di elementi, a eccezione dell'unico insieme vuo­ to. L'Assioma 2 stabilisce la proprietà dell'insieme vuoto. L'Assio­ ma 3 dice che per ogni due insiemi x,y esiste un insieme che contiene esattamente x e y come elementi. Questo insieme è detto la coppia

30

Nozioni btUilari di logica

non ordinata di x e y e si denota {x, y}. L'Assioma 4 asserisce l'esi­ stenza della unione di x e y che si denota x u y. Scriviamo {x} per {x, x} e definiamo la coppia ordinata O & f(y) < O & x < y -+ -+ 3Z(x < Z . . . , nk) è r.p., e f(n + 1 , n 2, . . . , n,J = g (f(n, n 2 , . . . , nk) , n, n2 , . . . , nk) , allora f è r.p. =

'

Un gran numero di funzioni elementari degli interi sono r.p. Per esempio, l'addizione, la moltiplicazione, la potenza, il fattoriale, l'n-esimo primo, sono tutte r.p. L'importanza delle funzioni r.p. sta nel fatto che chiaramente esse sono effettivamente computabili. Vale a dire, se abbiamo la definizione di una funzione r.p. f, per mezzo di 1-5, e gli interi n1 , . . . , nk> noi possiamo (avendo sufficiente tempo) calcolare il valore f(n1 , . . . , n/c) , usando lo schema induttivo della defi­ nizione di f Non si deve pensare tuttavia che le funzioni r.p. esau-

34

Nozioni basi/ari di logica

riscano la classe delle funzioni effettivamente computabili. Infatti, è facile vedere che si possono enumerare in modo effettivo tutti gli schemi per generare funzioni r.p. di una variabile, diciamo ffl,(n), e in questo modo si ottiene una funzione effettivamente computabile di due variabili, m ed n. Se ora poniamo g(n) = fn(n) + 1 , g non può essere r.p., e pure è senza dubbio effettivamente computabile. (Nell'enumerare le funzioni r.p. di una variabile, occorre in realtà enumerare prima tutte le funzioni r.p., perché la regola 2 permette la costruzione di funzioni di una variabile a partire da funzioni di piu variabili.) Le funzioni r.p. devono essere pensate come la classe piu sem­ plice di funzioni computabili. Una volta che abbiamo mostrato che queste funzioni possono essere espresse in un sistema, facendo uso delle varie operazioni logiche a disposizione, possiamo anche espri­ mere molte funzioni non-costruttive, come il primo esponente per cui l'ultimo teorema di Fermat è falso, se ne esiste almeno uno, ecc. È abbastanza ovvio che qualunque funzione r.p. può essere espressa in Z2' Adesso enunciamo in modo piu preciso questo fatto. Innanzi tutto, per ogni intero, ad esempio n 5, anche se Z2 non ha il sim­ bolo 5, noi useremo " 5 " come abbreviazione per 1 + 1 + 1 + 1 + 1 . (Che a sua volta è già una abbreviazione, come abbiamo spiegato a suo tempo.) =

Teorema. - Se f(nl, . . . , nk) è una funzione r.p., esiste una formula A(xl, . , Xk> Y) di Z2 per cui vale quanto segtfC : . .

I) V Xl> "', Xk 3: !yA(xl, . , Xk> Y) è un enunciato vero sugli interi, anzi dimostrabile in Z2' ..

II) Se f(nl, . . . , nk)

=

m, allora A(nl, . . . , nk' m) è dimostrabile in Z2

'

Commento : Ricordiamo al lettore la distinzione tra l'essere una formula " vera " (come enunciato sugli interi) e l'essere " dimostra­ bile " in Z2 ' Tutti gli enunciati sugli interi dimostrabili in Z2 sono certamente veri nel dominio degli interi. Il viceversa non è vero, come vedremo nel Paragrafo 8. Quindi, il teorema di cui abbiamo veramente bisogno per convincerci che Z2 è un linguaggio soddisfa­ cente per la teoria informale dei numeri è in realtà piu generale. In sostanza occorre sapere che l'immersione delle funzioni r.p. è fatta in un modo " naturale ", in modo che si possano provare in Z2 certe ovvie proprietà. Per esempio, se fl = f2(fa), dobbiamo poter dimostrare l'enunciato che dice, a proposito delle corrispondenti re­ lazioni A l , A2, Aa, che fl è composta mediante f2 e fa. Enunciare 35

La teoria degli insiemi e l'ipotesi del continuo

esplicitamente tutte le proprietà che ci occorrono è noioso, e noi non lo faremo. La dimostrazione del teorema è sostanzialmente banale. Basta semplicemente mostrare che le varie possibilità per definire funzioni r. p. sono esprimibili in Z2. L'unico caso interessante è 5 ; per sem­ plicità assumiamo k = 1 . Supponiamo che genI> n2) sia r.p. e che f sia definita da f(O) c f(n + 1) g(j(n), n). =

=

La dimostrazione del teorema è per induzione sulla comples­ sità della definizione di j, per cui possiamo assumere che esiste una formula B(n1, n2, m) per cui : g(n1, n2) m se e solo se B(n l ' n2, m) è dimostrabile in Z2. Allora f (n) m è rappresentata dalla formula =

=

3f [(j è una funzione) & (dominio di f {xix la dimostrazione diventa non-banale. Tuttavia, l'interesse di ZI non consiste tanto nell'essere un sistema per formalizzare la teoria dei numeri convenzionale. Il sistema Z2 si presta molto meglio a questo scopo, perché in esso possiamo parlare direttamente di insiemi. Piuttosto, importa che gli enunciati di ZI sono di tipo relativamente semplice, scritti solo con + e . , ed è interessante il fatto che ogni proposizione di Z2 abbia un enunciato equivalente in ZI. Cosi do­ vendo discutere l'immersione di funzioni in Z1> innanzi tutto discute­ remo quali enunciati di ZI sono veri negli interi, poi isoleremo quelli che possono essere dimostrati in ZI. Dal momento che ZI ha il + e il . , gli enunciati sulla divisibilità, i numeri primi ecc. possono essere for­ mulati in ZI e non staremo a farlo esplicitamente nei casi in cui è ovvio. Lemma. - Esiste una formula B (d, i, x) di ZI per cui vale quanto segue : I) Vd, i3 !xB(d, i, x). Quindi x è funzione di d e i, e possiamo scri­ vere x(d, i). II) Vn, M3dVi,j[i < j < n - x(d, i) > M & x (d,j) > M & (x(d, l) e x(d,j) sono primi tra loro)] . 36

Nozioni basilari di logica

Dimostrazione. - In parole, II) dice che per ogni n ed M pos­ siamo trovare un d tale che tutti gli x(d, l) , per i < n, sono primi tra loro e maggiori di M. Si osservi che x > y è una abbreviazione per H Z (Z #- O & x Y + z). " x e y sono primi tra loro " può es­ sere scritto vu, v, Z(x u . Z & Y = v . Z -+- Z = 1 ) . =

=

Ora definiamo B(d, i, x) come x 1 + (i + 1) d. Se n ed M sono dati, possiamo prendere d (max(n, M» ! , cosi che ovviamente x(d, i) > M. Inoltre, se i < j < n, se un numero primo p divide x(d, i) e x(d,j) allora p divide (i -j)d. Per il teorema sulla divisi­ bilità, o p divide d o p divide i -j. Se p divide d, allora certo p non divide x(d, i). Se p divide i -j, allora p < n, e quindi p divide d, il che è impossibile. Sia ora y(c, d, i) il resto della divisone di c per x(d, t). La formula Z y(c, d, i) si può scrivere in ZI . =

=

=

Lemma. - Per ogni successione a}) . .. , an di interi esistono due numeri c e d tali che, per ogni i .;;:;; n, ai = y(c, d, i). Dimostrazione. - Si osservi che cosi come è il lemma non può

essere formulato in Z}) p erché parla di successioni finite di lunghezza arbitraria. Torneremo pili avanti su questo punto. Per dimostrare il lemma si prenda un d tale che x(d, i), per ogni i .;;:;; n, sia maggiore del max ai. Per il teorema del resto cinese allora possiamo trovare un c co me richiesto dal lemma.

Teorema. - Se f è una funzione r.p., esiste una formula A di ZI tale che f(nt> ... , nk) = x se e solo se A(n1 , , nk, x). Dimostrazione. Di nuovo, è chiaro che basta considerare il •••

-

caso 5 della nostra definizione di funzione r.p. Allora, assumiamo che f(O, n2, , nk) e g possano essere espresse in ZI. Sia A(nl ' ... , nk, x) la formula • • •

H c, d {f (O, n2, , nk) = y(c, d, O) & x = y(c, d, n 1) & Vi [i < n1 y(c, d, i + 1) = g(y(c, d, i), i, n2, , nk)] }. • • •

-+-

-

•••

In parole, questa formula dice che per opportuni c e d la suc­ cessione ai = .y(c, d, i) è tale che ao = f(O, n2, , nk) e ai+l = g(ai, i, n2, ... , nk) e anI = x. Siccome ogni successione ao, . . . , ani è della forma y(c, d, i), per opportuni c e d, questa è proprio la definizione di j, e il teorema è dimostrato. •••

37

La teoria degli insiemi e l'ipotesi del continuo

Veniamo alla questione della dimostrabilità in Zl. Tale questione ha interesse in se stessa, ma non è necessaria per la nostra applica­ zione principale. Il nostro primo lemma ha fatto uso dei seguenti risultati : I) se due numeri a e b hanno un divisore comune, hanno un divi­ sore comune primo ; II) se un numero primo p divide ab, allora o p divide a o p divide b ; III) per ogni N, esiste un numero (nella dimostrazione è stato pre­ so N !) che è divisibile per tutti gli n .;;;; N. Si noti innanzi tutto che l'assioma dell'induzione in Zl permette di dire che per ogni proprietà A(n) di Zl esiste un piti piccolo n tale che A(n). Per dimostrare I) basta osservare allora che in Zl si può dimostrare l'esistenza di un piti piccolo divisore comune non­ banale, che risulta necessariamente primo. Per dimostrare II) bisogna osservare che la solita dimostrazione può essere formalizzata in Zl. Infatti noi sappiamo che esiste un piti piccolo intero positivo d della forma mp + na, dove m ed n sono interi positivi o negativi (non è difficile evitare di parlare degli interi negativi, che in Zl non ci sono). Come nella solita dimostrazione, se p non divide a, allora d 1 . L 'equazione b mpb + nab allora mostra che p divide b. La dimo­ strazione di III) è per induzione. Infatti, se x è divisibile per tutti gli n .;;;; N, allora x(N + 1) è divisibile per tutti gli n .;;;; N + L Il secondo lemma può essere riformulato nel seguente modo : =

=

Lemma. - Per ogni c, d, n, a, se gli x(d, z) sono primi tra loro per c' tale che y(c, d, i) = y(c', d, i) per i .;;;; e y(c', d,

i .;;;; n + 1 , esiste un n + 1) a.

n,

=

Il contenuto intuitivo di questa formulazione è uguale al prece­ dente, dal momento che ci permette di allungare le successioni con un elemento alla volta. Per dimostrarlo, si dimostra innanzi tutto, per induzione su i, che per ogni i .;;;; n esiste un t primo con x(d, i + 1) e divisibile per x(d,j) per tutti ij .;;;; i. Allora esiste un t primo con x(d, n + 1) e divisibile per x(d, i) per tutti gli i .;;;; n. Segue facilmente che per un opportuno u, c' = c + tu ha le proprietà richieste. Possiamo ora dimostrare in Zl che la formula data per definire la funzione r.p. f definisce veramente un'unica funzione. La dimo­ strazione è un facile esercizio di induzione, che lasciamo al lettore. Anche le altre ovvie proprietà richieste per le funzioni r.p., come la composizione ecc., sono dimostrabili in Zl " Il fatto che + e . bastino per definire le funzioni r.p. è piuttosto

38

Nozioni basilari di logica

notevole. Sfruttando questo fatto si può mostrare che il sistema Z2 può essere " immerso " in ZI ' e quindi ZI non è meno forte di Z2. Pili precisamente si dimostra che ogni teorema di Z2 concernente gli interi può essere dimostrato in ZI . Per vedere questo, si definisca una successione di insiemi finiti Sn e una successione di interi nk tali che no = 0, So = 0 e per ogni k, n k < nk H e gli insiemi Si' per n" < i < 11k H , enumerino in un certo modo definito tutti gli insiemi i cui elementi sono presi tra gli Si con} < nk. È facile vedere che que­ sto si può fare in modo che la funzione f (m, n), il cui valore è 1 0 0 a seconda che S m appartenga o no a Sn> sia una funzione r.p. Si pos­ sono allora dimostrare gli assiomi di Z2 in ZI se vi si sostituisce la relazione x Ey con f(x,y) = 1. In questo modo Z2 è immerso in ZI e il risultato enunciato sopra può essere dimostrato. Il viceversa, che ogni enunciato dimostrabile in ZI è dimostrabile in Z2 ' segue imme­ diatamente dal fatto che + e . sono funzioni r.p. e quindi sono defi­ nibili in Z2. § 8.

Funzioni ricorsive generali

In certi contesti matematici sorge la questione se una particolare funzione sia " effettivamente computabile ". Se una qualche proce­ dura evidentemente effettiva può essere esibita per computare la fun­ zione, la questione è chiusa. Se tuttavia si è convinti che una siffatta procedura effettiva non esiste, non c'è speranza di provarlo finché non venga data una definizione precisa di funzione effettivamente computabile. Come è stato osservato nella precedente sezione, una tale definizione dovrebbe includere in senso stretto la classe delle fun­ zioni ricorsive primitive. Sono state proposte parecchie di tali defini­ zioni che fortunatamente individuano tutte la stessa classe di fun­ zioni, le funzioni ricorsive generali. Una delle motivazioni che stanno dietro la considerazione del­ l'intera questione è il cosiddetto " problema della decisione ". Si consideri il sistema formale ZI (o Z2 ' è lo stesso) . Gli enunciati di ZI possono essere enumerati in una successione An. Questa succes­ sione di enunciati comprende tutte le questioni attualmente aperte della teoria dei numeri, nonché, sotto opportuna riformulazione, pa­ recchie questioni di algebra e topologia. Una volta risolto il proble­ ma di dare una procedura meccanica per enumerare tutti questi pro­ blemi (che naturalmente, dal punto di vista storico, fu un passo im­ portante), sorge il problema di decidere meccanicamente quali di essi sono veri. Se definiamo f(J(n) uguale a 1 o ° a seconda che An sia 39

La teoria degli insiemi e l 'ipotesi del contintlo

vero o falso, possiamo chiederci se fP(n) è ricorsiva generale. Se lo fosse, avremmo un mezzo effettivo per decidere qualunque questione in ZI. (Naturalmente la difficoltà principale starebbe nel mostrare che una certa procedura è proprio una procedura di decisione per fP(n), ma qui ci interessa semplicemente l 'esistenza di una tale procedura.) In questa sezione mostreremo che fP(n) non è ricorsiva generale, risultato che possiamo parafrasare dicendo che non c'è un metodo effettivo per " azzeccare " la verità o falsità di ogni enunciato di ZI ' A for­ tiori, con qualunque insieme non contraddittorio di assiomi, non esiste alcun metodo effettivo che, dato un enunciato A di ZI' fornisca una dimostrazione di A, ovvero di ",A. Cosi il cosiddetto problema della decisione non può essere risolto. (Si dice che un famoso matema­ tico una volta per un momento credette di aver trovato una proce­ dura di decisione, ma fortunatamente per tutti noi, si sbagliava.) La prima definizione di funzione ricorsiva generale fu data da Godel nel 1934, che elaborò un suggerimento di Herbrand. Prima di presentare tale definizione conviene segnalare quello che a prima vi­ sta potrebbe apparire un ostacolo insormontabile contro la possibilità di una siffatta definizione. Invero, se uno avesse una definizione " effettiva " delle funzioni ricorsive, siccome le istruzioni che si pos­ sono dare per l'esecuzione di un computo sono al piu numerabili uno potrebbe enumerare queste funzioni (o almeno quelle di una varia­ bile), fn (x) , e quindi porre g(n) fn(n) + 1 . La funzione g dovrebbe essere considerata definita ricorsivamente, e tuttavia non apparter­ rebbe alla data classe di funzioni. La scappatoia da questo dilemma consiste nel dare una definizione non-effettiva di funzione ricorsiva ! Questo significa che noi stabiliamo un criterio che le funzioni ricor­ sive devono soddisfare, e tuttavia non possiamo enumerarle in modo effettivo. La definizione di GodeI prende lo spunto dalla osserva­ zione che una funzione r.p., ad esempio, è completamente descritta da un numero finito di equazioni in cui intervengono funzioni. Natu­ ralmente, per le funzioni r.p. queste equazioni devono essere di un tipo specialissimo. In generale, un dato insieme di equazioni non determinerà una funzione. La definizione di Godel consiste essen­ zialmente nel dire che una funzione è ricorsiva generale se esiste un insieme finito di equazioni, in cui intervengono la funzione in que­ stione e funzioni ausiliarie, che definisce la funzione in modo uni­ voco. Per andare avanti, occorre sviluppare una teoria formale del cal­ colo delle funzioni. Il nostro alfabeto consisterà di simboli per funzioni f, g, h, . . . ognuno associato a un numero fissato di variabili, variabili per numeri interi x, y, Z, . . . , i simboli 0, = e I, dove X' rappresenta =

40

NoZiolli balilari di logica

x

+ 1 , e infine parentesi ( , ) e la virgola , . Diamo le seguenti defi­

nizioni :

1 . Un numerale è una espressione della forma O, O', O", . .. ecc. 2. Un

termine è definito da (a) ° è un termine (b) le variabili x, y, z' . . . sono termtnl. (c) Se r è un termine, anche r' lo è. (d) Se rl> . . . , rn sono termini, ed f è un simbolo per funzioni a n variabili, allora f(rI , " ', rn) è un termine. 3. Una equazione è una espressione della forma r = s, dove r ed s sono termini. 4. Se E è un insieme finito di equazioni, una equazione è una deduzione da E se può essere ottenuta dalla applicazione ripetuta delle seguenti regole. Regola 1 . - Data una equazione, possiamo rimpiazzare in essa tutte le occorrenze di una data variabile x con un dato numerale. Regola 2. - Se f(nI, " ', n,J m è stata dedotta, dove m ed ni sono numerali, allora data una equazione, in essa possiamo rimpiaz­ zare una qualunque occorrenza di f(n., ... , nk) con m. =

Regola 3. - Se è stata dedotta r

=

dotta.

s, anche

s =

r può essere de­

Definizione. - Una funzione f (x} ' . . . , Xk) è ricorsiva generale (tal­ volta semplicemente " ricorsiva ) se esiste un insieme finito di equa­ zioni tale che per qualsiasi scelta dei numerali Il}, , nk ' esiste u n unico m tale che f(nI , . . . , nk) = m può essere dedotta dall'insieme di equazioni. "

• . .

Diamo alcuni esempi. Il sistema

f (x, O)

=

x;

f (x,y ' )

=

f (x,y)'

definisce f == x + y . Questo è u n caso speciale del fatto, la cui dimo­ strazione è lasciata al lettore, che ogni funzione r.p. è ricorsiva gene­ rale. Le equazioni

f (O, m) m' f(n, O) n' f (n', m') = f(n,j (n', m» =

=

41

La teoria degli insiemi e l'ipolCfi de! continuo

definiscono una funzione f(x,y) per cui si può mostrare che se g(y) è r.p. , allora esiste un x tale che Vy fCx,y) > g(y). In generale non è per nulla ovvio riconoscere se certe equazioni definiscono funzioni. Il nostro secondo esempio presenta una f definita da una " doppia " ricorsione piu complicata di quella primitiva, e si potrebbero presen­ tare esempi ancora piu complicati. L'affermazione che le funzioni ricorsive generali, come le abbiamo definite, esauriscono la classe delle funzioni " effettivamente compu­ tabili è nota come la tesi di Church. Sostanzialmente si tratta di una affermazione di carattere filosofico, non può essere in questione la sua dimostrazione o confutazione. Tuttavia ci sono molti argomenti in suo favore, soprattutto il fatto che tutte le funzioni computabili note sono ricorsive generali e che tentativi abbastanza diversi di definire le funzioni ricorsive generali hanno portato allo stesso risul­ tato. Uno di questi tentativi è dovuto a Turing. Una macchina di Turing è un apparecchio in cui è inserito un nastro infinito, diviso in una successione infinita di caselle. In ciascun momento una data casella è " osservata " e la macchina si trova in uno di un numero finito di " stati " 51' 52 . . , 5n. Ogni casella può ' essere vuota o contenere il simbolo 1 . La macchina, dopo aver os­ servato una casella, esegue le seguenti operazioni : "

.

1. Può stampare il simbolo 1 nella casella, se essa è vuota ; op­ pure cancellare il simbolo, se vi compariva già ; oppure lasciare tutto come stava. 2. Muove il nastro a sinistra o a destra di una casella. 3. Passa a un nuovo stato. Per descrivere le operazioni 1. occorre una funzione crl(i, }) defi­ nita per ° .:;;; i .:;;; l , l ':;;; } .:;;; n, tale che ° .:;;; cr I .:;;; 1 , e tale che, se la macchina è nello stato 5i e nessun segno compare sulla casella, crlO,}) valga ° nel caso che la casella debba essere lasciata come stava, 1 nel caso che la casella debba essere modificata ; analogamente per crl1 , } ), se nella casella compare un simbolo. Per descrivere 2., occorre una funzione cr li, }) dello stesso tipo per determinare se la macchina muove a sinistra o a destra. Per descrivere 3. occorre una funzione cr3Ci,}) con 1 .:;;; cr3 .:;;; n. Cosi la macchina è completamente descritta da queste tre funzioni. Per eseguire una computazione, pre­ pariamo la macchina in modo che un certo numero m di caselle con­ secutive siano occupate, la casella occupata piu a sinistra sia sotto osservazione, e la macchina si trovi nello stato 51' Se la macchina raggiunge uno stato, ad esempio 5m che non abbandona piu, mentre né muove né altera il nastro, diciamo che la computazione è termi-

42

Nozioni basilari di logica

nata, purché il nastro sia pulito, eccetto che per una lista consecutiva, f(m), di caselle occupate, con quella pili a sinistra sotto osservazione. Se questo succede per tutti gli m, diciamo che la macchina computa f(m). È facile vedere che questa macchina cerca di mimare proprio il modo con cui si eseguiscono in pratica i calcoli. Si può allora di­ mostrare che la classe di funzioni per cui esiste una macchina di Turing che le computa coincide con la classe delle funzioni ricorsive generali ([1 5]). Noi non lo dimostriamo, ma osserviamo soltanto che non è sorprendente che le regole che governano le operazioni di una macchina di Turing possano essere scritte nella forma di equazioni, che mettono in relazione il contenuto del nastro e lo stato della mac­ china. Viceversa, se abbiamo un insieme di equazioni è un semplice, ma noioso, esercizio di programmazione preparare una macchina che passi in rassegna tutte le deduzioni. Nel nostro approccio, pensiamo le funzioni ricorsive definite da equazioni. Anche se occasionalmente si incontrano le parole macchina di Turing, dovrebbe essere chiaro come si possa ottenere lo stesso risultato con opportune equazioni. Se 5 è un insieme di interi, con Xs denoteremo la funzione caratte­ ristica di S, cioè, X s(n) = O o 1 a seconda che ,,", 11 E 5 oppure n E S. Definizione. - Un insieme 5 è ricorsivo se la sua funzione carat­ teristica è ricorsiva generale. Un insieme 5 è ricorsivamente enumerabiJe se 5 è vuoto, oppure se 5 è il rango di una funzione ricorsiva generale. Il problema di computare Xs, dove 5 è il rango di una certa fun­ zione ricorsiva generale, si incontra spesso in matematica. Per esem­ pio, fissato k, enumeriamo tutte le coppie costituite da un polino mio P(XI ' . . . , Xk) a coefficienti interi e da una k-upla (nl, , nk) dove gli ni sono interi. Si definisca una funzione, su questa successione, che prende come valore il polinomio P(x1, , XI:) se peni' . . . , nk) = O, al­ trimenti prende come valore il polino mio zero. Il rango di questa funzione è l'insieme di tutti i p tali che p(xI , , XI:) O ha una solu­ zione intera. Il decimo problema di Hilbert consiste precisamente nel determinare il rango di questa funzione o, in altre parole, dato un polinomio, determinare in modo effettivo se ha una soluzione intera. Non si sa se esista una siffatta funzione ricorsiva generale. Altri esem­ pi sono stati considerati, come il problema della parola per gruppi e semigruppi, e in questi casi si è potuto dimostrare che una funzione ricorsiva generale soddisfacente certi requisiti non esiste. Noi ci limi­ teremo a far vedere che esistono " problemi insolubili " nel senso pre­ cisato. Pili precisamente, abbiamo il seguente teorema, che è il ri­ sultato fondamentale sull'argomento. •••

. • •

• • •

=

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La teoria degli insiemi e l 'ipotesi del continuo

Teorema. - Esiste un insieme ricorsivamente enumerabile che non è ricorsivo. Nel corso della dimostrazione esibiremo concretamente un tale insieme. Cominciamo a enumerare in qualche modo " effettivo " tutti i possibili insiemi finiti di equazioni in cui interviene un simbolo funzionale i a una variabile. Poi enumeriamo tutte le possibili dedu­ zioni da queste equazioni. Siccome queste deduzioni sono numerabili una tale enumerazione è possibile. Se l'n-esimo sistema di equazioni definisce una funzione, la denotiamo in' Anche se in non è definita, scriviamo inCa) = b nel caso che esista una deduzione della forma i(a) = b, con a e b interi, dall'n-esimo insieme di equazioni. Ora enu­ b. Si può facilmente meriamo tutte le deduzioni della forma inCa) mostrare che tutte le enumerazioni citate si possono scegliere in modo che esistano tre funzioni r.p. C[J1 ' C[J2 ' C[J3 tali che se l'equazione inCa) b occorre all'm-esimo posto dell'ultima successione allora n = C[J 1 (m) , a = C[J2(m) e b C[J3(m). Siano g, hl' h2 funzioni r.p. tali che l'applica­ zione (a, b) --+ g(a, b) è una corrispondenza 1 -1 tra l'insieme di tutte le coppie di interi e l'insieme degli interi e a = h1(g(a, b» e b = h2(g(a, b» . Definiamo ora F(n) come segue : Sia r = hI Cn) e s = h2(n). Se esiste una deduzione della equazione j,(r + 1) O che occorre nella nostra lista prima dell's-esimo posto, poniamo F(n) r + 1 . Altrimenti po­ niamo F(n) O. Dico innanzi tutto che F è r.p. Questo si può con­ trollare scrivendo esplicitamente le definizioni di tutte le funzioni usate. Dovrebbe essere abbastanza ovvio che tutte le funzioni usate erano definibili da procedure ricorsive abbastanza semplici. Si osservi che per ogni r, r + 1 appartiene al rango di F se e solo se l'equazione j,(r + 1) O può essere dedotta. Sia S il rango di F, X la sua fun­ zione caratteristica. Dico che per nessun r può essere j, uguale a X. (Se j, non è definita l'affermazione si vanifica.) Infatti se j, è definita allora j,(r + 1 ) deve essere prima o poi computato. Se j, (r + 1) = O allora r + 1 è in S e x(r + 1) = 1 . Se j,(r + 1 ) -=F- O, allora r + 1 non è in S e x(r + 1) = O. In entrambi i casi j,(r + 1 ) -=F- x(r + 1), e il teorema è dimostrato. =

=

=

=

=

=

=

Corollario. - Il problema della decisione per Z1 (o Z2) è insolubile. Dimostrazione. - L'enunciato n E S, (o 3m(F(m) n), che è lo stesso), per ogni n è un enunciato di Z1 ; abbiamo visto che nessuna =

funzione ricorsiva generale può darci la verità o falsità anche di que­ sta limitata classe di enunciati. Ricordiamo che gli enunciati di ZI si possono mettere tutti nella forma Q1Xl> . . . , QnXnA(x1, . . . , xn) dove i Qi sono quantificatori e A

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Nozioni basilari di logica

una funzione proposizionale di equazioni della forma P(x}) ... , xn) ° dove p è un polinomio a coefficienti interi (eventualmente negativi). Anzi con artifici della teoria elementare dei numeri si può persino assumere che A sia nella forma p(xl, , xn) = O. (Si sfrutta il fatto che ° & ... & y, ° -yi + . . . + y; = ° YI y "* ° - RZI , , zizi + . . . + zi + 1 y) e Y I = ° V .. . V y, = ° -YlY2 ... y, = O.) =

• ••

=

=

=

. . •

Ne segue che le equazioni diofantee, in cui permettiamo sia quantifi­ catori universali sia esistenziali, non hanno una procedura di decisione. Ulteriori risultati hanno dimostrato che se si ammettono esponenti variabili anche la classe della " equazioni diofantee " con solo quan­ tificatori esistenziali non ammette una procedura di decisione. Nella precedente dimostrazione l'insieme ricorsivamente enume­ rabile 5 risulta il rango di una funzione r.p. Ebbene questo succede sempre.

Teorema . - Ogni insieme ricorsivamente enumerabile non vuoto è il rango di una funzione r.p. Dimostrazione. - Sia 5 il rango di una funzione ricorsiva gene­ rale f Possiamo senz'altro assumere 5 non vuoto e a E S. La fun­ zione f è definita da un certo insieme di equazioni. Supponiamo di aver enumerato tutte le deduzioni da questo sistema. Allora esiste una funzione r.p. g tale che g(m) y se l'm-esima deduzione è della forma f(x) = y, g(m) = a altrimenti. Il rango di g è allora S. Si può addirittura mostrare che le funzioni ricorsive generali si possono ottenere dalle funzioni r.p. ammettendo un'unica operazio­ ne aggiuntiva. Sef(y, Xl' . . . , xn) è una funzione, sia !1:yf(y, Xl' ... , xn) la funzione g(xl, , xn) definita come segue : I) g(xl, , xn) 0, se per certi Xl' ... Xn si ha Vyf(y, Xl' .. , Xn) "*0. ' II) Se non si è nel caso I), allora g(xl , ... , xn) a, dove a è il pili piccolo y tale che f(y, Xl' . . . , Xn) O. =

•••

• • •

=

.

=

=

Teorema. - Le funzioni ricorsive generali formano la più Piccola classe di funzioni che contiene le funzioni r.p. ed è chiusa rispetto alla composizione e al fl-operatore. Dinlostrazione. Se f(y, Xl' .. , xn) è ricorsiva e per ogni Xl' , xn3.yf(y, Xl' . . , Xn) = 0, possiamo definire una macchina di Turing .

-

.

•. .

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La teoria degli insiemi e l 'ipotesi del continuo

che computa /-lyf(y, Xl' . " , Xn) semplicemente facendo funzionare la macchina di Turing per j, per i successivi valori di y, finché non se ne trova uno per cui f(y, Xl ' , Xn) o. Siccome il processo deve terminare, /-lyf è ricorsiva generale. Le funzioni ricorsive generali sono dunque chiuse rispetto al /-l-operatore. D'altra parte, se h(x) è una funzione ricorsiva generale, esiste chiaramente una funzione r.p. f(x,y) tale che f(x,y) = O se e solo se la macchina di Turing per h calcola il valore h(x) in y passi. Poniamo g(x) /-lyf(x,y). Esiste anche una funzione r.p. k(x,y) che dà il valore che si trova sul nastro (se c'è) dopo che la macchina ha calcolato pery passi con l'argomento x. Allora h (x) k(x, g(x)), e il teorema è dimostrato. .•.

=

=

=

§ 9. - Il teorema di incompletezza di GOdei I teoremi del paragrafo precedente non si riferiscono a risultati che possono essere dimostrati in particolari sistemi formali; sono affermazioni di carattere assoluto sulle funzioni. Storicamente, fu Church il primo a mostrare l'esistenza di problemi " insolubili ". Tuttavia, c'è un risultato precedente di GodeI che stabilisce l'esistenza di proposizioni che sono indecidibili all'interno di particolari sistemi formali. I due tipi di risultati sono strettamente legati, entrambi si dimostrano con metodi diagonali simili. Ora noi deriveremo il teo­ rema di Godel dai risultati precedenti, e in seguito esporremo il me­ todo originale.

Teorema di incompletezza di GOdei. - Esiste un enunciato A di Zl tale che nè A nè ---A sono derivabili dagli assiomi di Zl"

La dimostrazione esibirà esplicitamente A e, incidentalmente, mostrerà che A è falso se interpretato nel modello naturale degli in­ teri. Il teorema vale altrettanto per Z2' e invero per sistemi piu ge­ nerali, come spiegheremo. Il primo passo è la cosiddetta aritmetizzazione di Zl. Con questo si intende che le formule di Zl siano enumerate in un modo naturale. (per esempio, in un opportuno ordine lessicografico, basato sulla lunghezza della formula.) Fatto questo, le diverse operazioni elemen­ tari, come la formazione della negazione e della congiunzione di for­ mule, la quantificazione di una variabile libera ecc. si trasformano in semplicissime funzioni r.p. sugli interi che corrispondono alle for­ mule. (Naturalmente, non esiste alcun modo canonico di associare interi a formule.) Ora le regole del calcolo dei predicati sono date in 46

NoZiolli basilari di logica

modo proprio effettivo. Ancora, anche se gli assiomi di Z1 sono infi­ niti, essi sono generati da una semplice regola, ed è facile enumerare i loro numeri di GodeI. Se ora si enumerano tutte le possibili dimo­ strazioni, si vede in definitiva che tutti gli enunciati dimostrabili (o piut­ tosto i loro numeri di Godel) formano il rango di una funzione r.p. Nel Paragrafo 8 noi abbiamo costruito esplicitamente una fun­ zione r.p. F il cui rango non è ricorsivo. Pili precisamente, noi sap­ piamo che se fr è la funzione ricorsiva definita dall'r-esimo insieme di equazioni, allora r + 1 appartiene al rango di F se e solo se f,(r + 1) O. La funzione F(x) può essere rappresentata in Z1 nel senso che esiste una formula di Z1 che dice che F(x) y. Sia Bn l'enunciato " n appartiene al rango di F ". I numeri di GodeI di Bn e di ,...B .., n sono chiaramente funzioni r.p. di n. Ora consideriamo la seguente macchina di Turing (o un insieme di equazioni che defini­ sca la stessa funzione ricorsiva generale) : Per ogni n, passiamo in rassegna la lista degli enunciati dimostrabili finché incontriamo una derivazione di Bn oppure una di ,....., B". Se la incontriamo, la com­ putazione termina e poniamo g(n) 1 nel primo caso, g(n) O nel secondo. Se nè Bn nè ,....., Bn sono derivabili, g(n) rimane non definita. (Si osservi che non abbiamo escluso a priori la possibilità che entram­ bi Bn e ,....., Bn siano derivabili. In tal caso il valore di g(n) dipende da quale derivazione si incontra per prima.) La funzione g, definita in modo del tutto esplicito, deve essere fr per qualche r che si può espli­ citamente determinare. Sia A l'enunciato " r + 1 appartiene al rango di F ". Per la proprietà caratteristica di F, che fr(r + 1) * x(r + 1), dove X è la funzione caratteristica del rango di F, vale quanto segue : =

=

=

=

Asserzione . - Se una derivazione di A occorre prima di una deri­ vazione di A, allora r + 1 non appartiene al rango di F. Se una derivazione di A occorre prima di una derivazione di A, allora r + 1 appartiene al rango di F. Ora un enunciato dimostrabile in Z1 è naturalmente vero nel modello degli interi. Cosi Z1 è non contraddittorio, e non succede che sia A sia ,....., A siano derivabili. Se è derivabile A, l'asserzione implica che r + 1 non appartiene al rango di F. Ma se A è deriva­ bile, A è vero, e r + 1 appartiene al rango, contraddizione. Se è derivabile A, per l'asserzione r + 1 appartiene al rango. Ma se A è derivabile, A è vero, ed r + 1 non appartiene al rango, di nuovo una contraddizione. Ne segue che né A né A sono derivabili, e il teorema è dimostrato. ,.....,

,.....,

,.....,

,.....,

,.....,

,.....,

Corollario. - A è falso nel dominio degli interi.

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La teoria degli insiemi e l 'ipotesi del continuo

Dimostrazione. Se r + 1 appartenesse al rango di F, allora F(m) r + 1 per qualche m. Siccome F è ricorsiva, possiamo scri­ vere esplicitamente tutti i passaggi della computazione di F(m). Que­ sta computazione costituirebbe una dimostrazione in Zl di F(m) r + 1 e quindi una dimostrazione di A. Ma A non è derivabile da Zl, e il corollario è dimostrato. -

=

=

Ora ci troviamo in una situazione abbastanza curiosa. Da una parte A non è dimostrabile in Z1> e tuttavia abbiamo appena dato una dimostrazione informale del fatto che ,...., A è vero. (Non si ha contraddizione qui, ma semplicemente la constatazione che le deri­ vazioni da Zl non esauriscono l'insieme di tutti i ragionamenti ac­ cettabili.) Questo suggerisce che una approfondita analisi della di­ mostrazione del corollario ci rivelerà un principio naturale che è stato usato nella dimostrazione, ma che non può essere dimostrato in Z1(L'enunciato A per parte sua non è certo un enunciato naturale, ma qualcosa di costruito apposta perché fosse indecidibile.) Per enunciare il teorema che vien fuori, dobbiamo ricordare che con la nostra assegnazione di numeri di Godel alle formule noi ab­ biamo tradotto gli enunciati sul sistema formale ZI in enunciati sugli interi. In particolare, l'enunciato che afferma che Zl è non contrad­ dittorio, o, che è lo stesso, che O = 1 non compare nella lista degli enunciati derivabili, si trasforma nel fatto che un certo intero non appartiene al rango di una certa funzione r.p. Siccome le funzioni r.p. sono rappresentabili in ZI, questo non è che un singolo enun­ ciato di ZI che denotiamo NConZl" .-..J

Secondo teorema di incompletezza di GMel. - NConZI non può essere dimostrato in ZI ' Dimostrazione. Supponiamo che NConZl possa essere dimo­ strato in ZI' Adesso faremo un ragionamento sul sistema formale ZI che è presentato informalmente, ma può essere completamente tra­ scritto in ZI via la godelizzazione. (Questo è forse il punto piu deli­ cato di tutta la discussione, e sarà bene che il lettore si fermi e rie­ samini tutto quello che è stato fatto finora.) Innanzi tutto ripetiamo la dimostrazione della nostra asserzione. Essa può essere facilmente trascritta in ZI, perché abbiamo usato solo semplici argomenti finitisti. Nel corso della dimostrazione abbia­ mo certo fatto riferimento alle funzioni ricorsive, ma questo può essere evitato enumerando tutte le possibili equazioni definitorie e parlando dei corrispondenti numeri. Possiamo anche enumerare tutte le possi­ bili derivazioni e cosi tenere all'interno di ZI il discorso sui valori -

48

Nozioni basilari di logica

di quelle funzioni. Della funzione ricorsiva g non abbiamo usato alcuna proprietà particolare. (In particolare, non abbiamo usato il fatto che ZI è non contraddittorio.) Ora, una volta assunto che NConZI sia dimostrabile, procediamo cosi. Se r + 1 appartiene al rango di F, diciamo F(m) = r + 1 , la computazione di questa equazione sarebbe una derivazione di A. Siccome ZI è non contraddittorio, vale la pri­ ma alternativa della asserzione, e r + 1 non appartiene al rango, con­ traddizione. Allora r + 1 non appartiene al rango, cioè '" A è vero. Abbiamo cosi una dimostrazione in ZI di ,....., A. Ma questo non è possibile ; quindi NConZI non è dimostrabile in ZI ' altrimenti anche '" A lo sarebbe. Il teorema è dimostrato. Ora diamo brevemente un cenno della dimostrazione originale del primo teorema di incompletezza. Questa dimostrazione è anche piti breve, e per quanto riposi sullo stesso principio, sostanzialmente, pure non usa la nozione di funzione ricorsiva. (L'unica giustifica­ zione del nostro modo di procedere è stato il desiderio di far apparire la dimostrazione piti naturale nel contesto delle funzioni ricorsive.) Si applica un argomento diagonale direttamente agli enunciati di ZI' Innanzi tutto si enumerano in modo naturale tutte le formule con una variabile libera An(x). Sia B(n) l'enunciato che A n(n) non è de­ rivabile. Allora B(n) deve essere Ano(n) per un opportuno no che può essere trovato esplicitamente. L'enunciato B(no) afferma intuitiva­ mente di non essere derivabile. Piti precisamente, se B(no) è deriva­ bile, allora è vero e Ano(no) non è derivabile. Ma A no(no) = B(no), per cui B(no) non è derivabile, contraddizione. Se è derivabile ",B(no), allora B(no) è falso, e quindi A no(no) == B(no) è derivabile, ancora una contraddizione. Cosi né B(no) né ,....., B(no) sono derivabili.

Osservazioni. - Per quanto la cosa non sia di primario interesse, anche il secondo teorema di incompletezza può essere trascritto in un enunciato di ZI' Ci si può chiedere quali principi sono stati usati, oltre agli assiomi di ZI nella sua dimostrazione. La dimostrazione originale di Godel usava,' come osservò egli stesso, un principio piti forte della non contraddittorietà di ZI' Definizione. - Un insieme 5 di enunciati di ZI è detto w-coerente se è impossibile derivare da 5 l'enunciato HxB(x) e anche, per ogni numerale n, ,....., B(n). È ovvio che se gli enunciati di 5 sono veri negli interi, allora 5 è w-coerente. D'altra parte, si consideri l'insieme 5 costituito dagli assiomi di ZI e dall'enunciato ,...., NConZI . 5 è non contraddittorio per il secondo teorema di incompletezza. (Naturalmente, negli interi 49

La teoria degli insiemi e l 'ipotesi del tonlinuo

'" NConZl è falso.) Ora, '" NConZl dice che 3n tale che n è il nu­ mero di Godei della dimostrazione di una contraddizione. Tuttavia per ogni n noi possiamo esaminare l'n-esima derivazione e controllare che non porta a contraddizioni. Perciò S non è w-coerente. Intuitiva­ mente, possiamo dire che la nozione di non contraddittorietà (coeren­ za) non è che una rozza approssimazione alla nozione di verità, mentre la nozione di w-coerenza è una approssimazione un po ' migliore. Ora Godel osservò che la sua dimostrazione usava la w-coerenza degli assiomi di ZI . Rosser in seguito mostrò che con una leggera modifica del ragionamento diventava sufficiente assumere la non contraddittorietà di ZI. Cosi per esempio se S è costituito dagli as­ siomi di ZI piu '" NConZ1, si può ripetere la dimostrazione e con­ cludere che NConS non può essere derivato da S. È vero che S non è un sistema naturale, dal momento che contiene enunciati falsi. Un fatto importante che si nasconde dietro il secondo teorema di incompletezza è che la nozione di verità non può essere formaliz­ zata in ZI. Il risultato è dovuto a Tarski e precisamente dice : non esiste alcuna formula A(n) di ZI tale che per ogni numerale A(n) è vero negli interi se e solo se l'n-esimo enunciato è vero negli interi. La dimostrazione ripete quella del teorema di incompletezza, con la differenza che qui si tratta della verità e non della dimostrabilità. Sup­ poniamo che esista una formula siffatta A(n). Sia Bn(x) una enumera­ zione naturale delle formule con una variabile libera. Bn(n) sarà al­ lora l j (n)-esimo enunciato, per una opportuna semplice funzione r.p. f(n) Per la nostra ipotesi allora A(j(n)) � Bn(n). Ora l'enunciato '" A(f(n)) deve essere BnoCn) per un opportuno no. Abbiamo allora Bno(n) � Bn(n). Per n no infine si ha Bno(no) � Bno(no) che è chiaramente assurdo, e il teorema è dimostrato. Anche questa dimo­ strazione è esplicita, e fornisce per ogni A(n) uno specifico enunciato, Bno(no), per cui la " funzione di verità " fa cilecca. Si vede anche che se la nozione di verità fosse formalizzabile da una tale proprietà A(n), e per questa si potessero dimostrare in ZI le solite proprietà della verità, allora si otterrebbe in ZI una dimostra­ zione di NConZI . Infatti sarebbe facile far vedere che tutti gli enun­ ciati dimostrati sono veri, e che non è possibile che un enunciato e la sua negazione siano contemporaneamente veri. Lasciamo come esercizio al lettore la dimostrazione del seguente fatto : Per ogni r, esiste una formula A(n) di ZI tale che se enumeriamo tutti gli enun­ ciati Tn di Z1> che hanno meno di r quantificatori, in modo naturale, al­ lora per ogni n è vero Tn � A(n). Chiudiamo infine con alcune considerazioni filosofiche. I teoremi di GodeI distrussero le speranze del programma di Hilbert di dimo.

.......,

.......,

50

=

.......,

Nozioni basilari di logica

strare la non contraddittorietà di sistemi superiori con metodi finiti­ sti, che fossero accettabili da tutti. Infatti il programma è fallito già per Z}" Ciononostante, sono continuati i tentativi per ottenere dimo­ strazioni di non contraddittorietà che usassero il minimo di principi " superiori ". Il risultato piu interessante è forse quello di Gentzen. Il principio " superiore " che è ammesso nel suo approccio è sostan­ zialmente l'induzione transfinita fino a un ordinale transfinito. Se defi­ niamo Wl W, Wn+ l WWn e infine E o lim Wm E o risulta un orn-+oo dinale numerabile. Gentzen ottenne una dimostrazione di NConZi definendo un buon ordinamento delle derivazioni in Zl di tipo d'or­ dine Eo, e mostrando che per ogni dimostrazione di una contraddi­ zione ce ne sarebbe un'altra che la precede nell'ordinamento. Cosi se si accetta l'induzione fino a Eo come un assioma, NConZi può es­ sere dimostrato. (È vero che il buon ordinamento degli interi corri­ spondente a Eo può essere espresso da una formula di ZI ; ma il la­ voro di Gentzen dimostra che non possiamo dimostrare che per ogni proprietà P(n) di Zl esiste un piu piccolo elemento (rispetto all'or­ dine Eo) che soddisfa P(n).) Inoltre egli dimostrò che ogni ordinale minore di Eo si può dimostrare, in ZI> essere un buon ordinamento (in un senso opportuno). Cosi se vogliamo misurare la forza di un sistema con gli ordinali che possono essere trattati nel sistema, E o fornisce una misura precisa della forza di Z1" =

=

=

§ 10. - Il teorema di incompletezza generalizzato Come abbiamo spiegato, il teorema di incompletezza segnò il destino del programma di Hilbert. Rimane la possibilità, tuttavia, che estendendo in modo opportuno la nostra nozione di dimostra­ zione riusciamo a dimostrare la non contraddittorietà di diversi siste­ mi. Infatti NConZI può essere dimostrato, nell'ambito di sistemi piu complicati di ZI ' Quello che non si può avere è un sistema fissato E in cui si possa dimostrare la non contraddittorietà di qualsivoglia sistema matematico. Piu precisamente, Teorema di incompletezza generalizzato. - Sia E un sistema formale i cui assiomi sono dati da qualche regola ricorsiva. Se E è non contraddittorio e se le funzioni r.p. possono essere immerse in E, allora NeonE non può es­ sere dimostrato in E. A rigore, non abbiamo cosi formulato un teorema matematico preciso, perché non abbiamo stabilito esattamente cosa si intende per

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La teoria degli insiemi e /' ipotesi del continuo

immersione delle funzioni r.p. In pratica non è difficile vedere che il teorema si applica a tutti i sistemi solitamente considerati. Per di­ mostrare il teorema basta osservare che nella dimostrazione dei teo­ remi di incompletezza non si sono fatte intervenire altre particolari proprietà di ZI se non quelle menzionate nell'enunciato del presente teorema. (In verità abbiamo anche usato il fatto che gli enunciati di­ mostrabili sono veri negli interi. Abbiamo anche osservato però che una attenta analisi mostra che è sufficiente la w-coerenza, o anche solo la non contraddittorietà, per evitare questo passo. Trascuriamo questi particolari delicati ; il lettore può accontentarsi del fatto che una dimostrazione completa la abbiamo senz'altro data almeno per il caso in cui gli assiomi di I sono veri nel modello intuitivo corri­ spondente.) La clausola che gli assiomi siano dati ricorsivamente è essenziale ; altrimenti si potrebbe prendere come I l'insieme degli enunciati veri (nel modello degli interi) di ZI' C'è una importante questione collegata al teorema di incomple­ tezza che ha notevoli conseguenze filosofiche. Infatti, se consideriamo enunciati come NConZl> o NConI per sistemi superiori come la teoria degli insiemi, vediamo che questi sono enunciati elementari di ZI che sono veri eppure non possono essere dimostrati senza far ri­ corso all'intuizione di principi superiori. Questo significa che NConZF, dove ZF è il sistema di teoria degli insiemi che studieremo piti avanti, non può essere dimostrato se non ragionando su insiemi infiniti di tipo superiore anche a �I' �u" ecc., dal momento che tutti questi possono essere descritti in ZF. Cosi se uno rinuncia a queste infinità superiori, sostenendo che non hanno vero significato per la matematica, uno rinuncia anche alla possibilità di decidere certi enunciati della teoria dei numeri del tipo piti elementare. Secondo noi questa è la piu profonda debolezza della posizione intuizionista, perché secondo i loro canoni non c'è speranza di decidere mai enun­ ciati che essi stessi ammettono come significanti. § 11.

-

Ulteriori risultati sulle funzioni ricorsive

La teoria delle funzioni ricorsive è stata approfondita anche auto­ nomamente con grande successo. Questo in parte è dovuto all'inte­ resse generale che si è sviluppato recentemente per le macchine cal­ colatrici. Indicheremo soltanto alcuni punti. Definizione. Diciamo che una funzione f è definita ricorsiva­ mente in g se esiste un insieme finito di equazioni E in cui interven-

52

Nozioni basilari di logica

gono i simboli per funzioni f e g (ed eventualmente altri simboli per funzioni) tale che da esso, supplementato con la tavola infinita dei valori di g, g(l) n1> g(2) = n2, , si può dedurre univocamente ogni valore di f. Intuitivamente, questo significa che f può essere computata da un processo ricorsivo che può, ogni tanto, interrompersi e chiedere il valore di g per un certo argomento n. Abbiamo già mostrato l'esi­ stenza di una funzione r.p. F tale che se X è la funzione caratteristica del suo rango e sefr è la funzione (se c'è) definita dall'r-esimo insieme di equazioni, allora x(r + 1) O, a meno che j,(r + 1) O, nel qual caso x(r + 1) 1 . Ora mostreremo che questa X non ricorsiva è ve­ ramente non ricorsiva in un senso " massimale ". =

•••

=

=

=

Teorema. - Sia g una funzione ricorsiva, Xv la funzione caratteristica del suo rango. Allora Xv può essere defi11ita rÌtorsivamente in x. Dimostrazione. Dato n, facciamo vedere come si può trovare xç(n). Si consideri l'insieme di equazioni corrispondente alla (tentata) computazione della seguente funzione H. Per ogni k, enumeriamo il rango di g alla ricerca di n. Se incontriamo n, poniamo H(k) O, altrimenti H risulta non definita. Allora H risulta o costante o inde­ -

=

finita. Ma siccome la nostra definizione di H è data in modo finito ed esplicito, e dipende solo da n, segue che esiste una funzione r.p. r(n) tale che H è definita dall'r-esimo insieme di equazioni, con r = r(n). (Questo naturalmente richiede certe verifiche banali, ma noiose.) Ora xç(n) = 1 � O E rango difr � fr(r + 1) O � x(r + 1) 1 . Cosi ab­ biamo xin) x(r(n) + 1) e Xg è ricorsiva in x. Per molto tempo la questione se esistessero problemi insolubili di insolubilità non massimale rimase senza risposta. Questo pro­ blema, noto come " problema di Post " fu risolto simultaneamente nel 1 956 da Friedberg e Mucnik. La dimostrazione richiede un pro­ cedimento diagonale piu complicato di quello usato per definire F. Ulteriori ricerche hanno condotto a una analisi approfondita dei gradi di insolubilità. Tuttavia rimane ancora vero che nessun problema " naturale " (del tipo del decimo problema di Hilbert) ha condotto a gradi non massimali di insolubilità. -Sono state studiate molte classi naturali di problemi, ed è stato dimostrato che sono insolubili. Uno di questi è ii problema della parola per i gruppi. Qui è dato un numero finito di " parole " poste uguali a l , della forma a�l . . . a�k 1 , dove gli ni sono interi, e ai elementi di un certo gruppo. Data un'altra parola W scritta con gli stessi simboli, il problema è decidere se W è necessariamente uguale =

=

=

=

53

La teoria degli insiemi e l'ipotesi del rontinuo

a 1 come conseguenza delle date equazioni. Detto in altro modo, se Wi sono le date parole, possiamo pensarle come appartenenti al gruppo libero G generato dai simboli ai' Il problema è determinare se W può essere ottenuta dalle Wi per moltiplicazione, inverso e coniugio. Il problema è stato dimostrato insolubile anche nel caso che le parole siano scritte con solo due lettere. Il decimo problema di Hilbert, determinare se ogni data equazione diofantea ha una solu­ zione, non è ancora stato dimostrato insolubile. Se si ammettono esponenti variabili, si ha un problema insolubile. Il lettore può meravigliarsi che la nostra nozione di " problema " sia cosi ristretta da considerare solo la determinazione della funzione caratteristica del rango di una funzione r.p. L'enunciato A ­ == Vk(,...." f(k) n) dovef è una funzione r.p. è un enunciato che può essere verificato per ogni k, quindi A rappresenta il pili semplice tipo di enunciato che non può essere immediatamente deciso. Non è perciò irragionevole sperare che con qualche intelligente tecnica si possa decidere meccanicamente A. Invero molti problemi naturali sono di questa forma. Anche se abbiamo già richiamato l'attenzione su questo punto, conviene forse sottolineare che affermazioni come " l'ipotesi di Rie­ mann può risultare indecidibile " hanno senso solo in riferimento a particolari sistemi assiomatici e non possono avere un carattere as­ soluto come i nostri risultati sui problemi indecidibili. Pili avanti nel­ l'esposizione noi dimostreremo l'indecidibilità dell'ipotesi del con­ tinuo rispetto alla teoria degli insiemi di Zermelo-Fraenkel, e in questo caso si hanno buone ragioni per pensare che debba rimanere indecidi­ bile in qualsiasi sistema " naturale " di assiomi. Chiudiamo questa sezione ricordando un teorema che pure sta­ bilisce la non esistenza di una funzione ricorsiva generale di un certo tipo. =

Teorema. - Siano fl(X,y) e f2(X,y) due funzioni dei numeri interi tali che gli assiomi di Zl valgono se definiamo x + y come fl(X,y) e x . y come f2(X,y). Allora o il modello di Zl che ne risulta è isomorfo agli interi con le solite operazioni + e " o una delle due, fl f2' non è ricorsiva generale. o

Dimostrazione. - Sia M il modello definito da fl e f2' Supponia­ mo che queste due funzioni siano ricorsive. Se M non è isomorfo al solito modello, poniamo an fl(an-l, b) dove b è il numero " 1 " in M. Allora gli an sono gli interi " standard ". Siccome M è non standard, deve esistere qualche c maggiore di tutti gli ano tale cioè che per ogni n esiste x per cui c fl(ano x) . Sappiamo che possiamo =

=

54

Nozioni bali/ari di /ogka

definire esplicitamente un insieme ricorsivamente enumerabile non ricorsivo S in Zl" Questa definizione, trasportata in M, dà un in­ sieme S' S;; M. Sia Pn l'n-esimo numero primo in M. Per il teorema del resto cinese, che deve valere in M, esiste un y in M tale che per tutti gli n < c y = O o a 1 (mod Pn), a seconda che n E S' o n E S'. Ora faremo vedere come è possibile, per ogni intero " standard " n, dire in modo ricorsivo se n E S' o n E S'. Innanzi tutto rintrac­ ciamo Pn in M, poi passiamo in rassegna tutti gli elementi di M per vedere se Pn . Z è uguale a y o a y - 1 . Nel primo caso n E S', nel secondo n E S'. Siccome fl e f2 sono ricorsive, questa è una pro­ cedura ricorsiva. Non abbiamo però ancora una contraddizione, perché se N denota gli interi " standard " non possiamo dire che N n S' S. Se S è definito come il rango di una funzione r.p. f abbiamo però sempre N n S' :::l S, perché se n E S, 3m E N per cui f(m) = n, e questa equazione deve valere in M. Nel lemma seguente mostreremo che si possono definire due insiemi ricorsivamente enume­ rabili S e T per cui si può dimostrare in Zl che S n T = 0 e che se U è un insieme ricorsivo non si ha contemporaneamente S S;; U e U n T = 0. Siccome S n T = 0 è dimostrabile in Zh S' n T' 0. Ma U S' n N come abbiamo visto è ricorsivo, e siccome T' 2 T abbiamo S S;; U e U n T 0 ; questo completa la dimostrazione. ""

""

""

=

=

=

=

Lemma. - Esistono due insiemi ricorsivamente enumerabili S e T, espli­ citamente definibili, S n T 0, tali che se U è ricorsivo non si ha contem­ poraneamente S S;; U e U n T 0. =

=

Dimostrazione. - Sia CPn una enumerazione di tutte le macchine di Turing. Definiamo due funzioni r.p. f e g come segue. Si passino in rassegna tutte le possibili computazioni di CPn(n + 2), per ogni n. Se nessun risultato è raggiunto all'm-esimo stadio, o se CPn(n + 2) non è né O né 1 , si ponga f(m) O e g(m) 1 . Se cpin + 2) = O si ponga f(m) = n + 2 e g (m) 1 . Se CPn(n + 2) 1 si ponga f(m) O e g (m) n + 2. Se ora S è il rango di f e T il rango di g chiaramente S n T 0. Se CPn è veramente una funzione e Un {x/CPn(x) l } allora o n + 2 E S e "" n + 2 E Un, O n + 2 E Un e n + 2 E T, cosi che Un non viola il lemma. Ma Un percorre tutti gli insiemi ricorsivi, e il lemma è dimostrato. D'altra parte il teorema di completezza implica l'esistenza di mo­ delli non standard. Per esempio, basta aggiungere gli enunciati c > 1 , c > 2 , . . . agli assiomi d i Zl per ottenere u n sistema non contraddit­ torio. La dimostrazione del teorema di completezza allora fornisce un modello i cui individui sono gli interi e + e . funzioni aritmetica=

=

=

=

=

=

=

=

=

55

La teoria degli insiemi e l'ipotesi del continuo

mente definibili ; la dimostrazione usa infatti solo nozioni aritmetiche. Il teorema ora dimostrato dice che queste funzioni non possono però essere ricorsive. Con un argomento analogo, sfruttando il teorema di Tarski sulla indefinibilità della verità, e senza ricorrere al precedente lemma, si può facilmente ottenere il seguente risultato.

Teorema. - Non esiste alcun modello non standard M per il sistema degli interi in cui + e . siano due funzioni definibili in Zl e in cui siano veri tutti gli enunciati di Zl veri (nel modello naturale).

56

Capitolo secondo La teoria degli insiemi di Zermelo-Fraenkel

§ 1.

-

Assiomi

Nel Capitolo I abbiamo esaminato sistemi formali per la teoria elementare dei numeri. Ma certo la teoria dei numeri non è che una piccola parte della matematica che conosciamo, e si pone il problema di come formalizzare tutta la matematica convenzionale. L'idea di base che si usa quando si passa in matematica a sistemi superiori è quella di trattare come un singolo oggetto un insieme di oggetti pre­ cedentemente studiati. Talvolta il concetto di insieme si presenta nella forma di successioni, o funzioni, ma queste non sono che varia­ zioni inessenziali. Cosi, un numero reale è una successione di razionali, una funzione di variabile reale è un insieme di coppie ordinate di numeri reali, uno spazio Lp è un insieme di funzioni ecc. Analizzan­ do i ragionamenti matematici, i logici si convinsero che la nozione di " insieme " è il concetto piu fondamentale della matematica. Questo non vuole sminuire il carattere fondamentale degli interi. Anzi una posizione abbastanza ragionevole sarebbe quella di accet­ tare gli interi come entità primitive, e quindi usare insiemi per formare entità di tipo superiore. Tuttavia, si vede che anche la nozione di intero può essere derivata dalla nozione astratta di insieme, e questo è l'approccio che seguiremo. Nel nostro sistema tutti gli oggetti sono insiemi. Non postuliamo l'esistenza di alcun altro oggetto piu primitivo. Per aiutare l'intuizione, il lettore pensi al nostro universo come alla totalità di tutti gli insiemi che possono essere formati da successivi processi di aggregazione, a partire dall'insieme vuoto. Cosi il nostro sistema sarà simile al sistema Z2 del Capitolo I, con la diffe­ renza che adesso ammettiamo la formazione di insiemi infiniti. Gli interi saranno definiti proprio come in Z2. Il primo insieme di assiomi per una teoria generale degli insiemi fu proposto da E. Zermelo nel 1 908. In seguito fu sviluppato da A.

57

La teoria degli insiemi e l'ipotesi del continuo

Fraenkel e ora è di solito citato come la teoria degli insiemi di Zer­ melo-Fraenkel (ZF). È forse la versione piu naturale della teoria degli insiemi, ed è quella con cui soprattutto lavoreremo. Come in Zl e Z2' uno degli assiomi sarà uno schema di assiomi, costituito da in­ finiti assiomi. Un altro sistema di assiomi, basato su un numero finito di assiomi, ma meno naturale, fu elaborato da von Neumann, Bernays e Godel ed è di solito citato come la teoria degli insiemi di Godel­ Bernays (GB). Piu avanti discuteremo questo sistema. Ora enun­ ciamo gli assiomi per la teoria degli insiemi ZF con qualche com­ mento. 1.

Assioma di estensionalità Vx,y(Vz(z E x � Z E y) -+ x = y). Questo assioma dice, come in Z2' che un insieme è determinato dai suoi elementi.

Definizione. - x f;; y � VZ(Z E X -+ Z E Y). x c Y � x f;; y & & ""' x y. In parole, si dice che x è contenuto in y e si scri­ ve x f;;y. =

2.

Assioma dell'insieme vuoto axVy( ""'y E x). L'insieme definito da questo assioma è l'insieme vuoto o nullo, e lo denotiamo con 0. 3.

Assioma della coppia non ordinata Vx,yaZVw(w E Z � w = x V w =y) .

Denotiamo l'insieme Z con {x, y}. Poi {x} è {x, x} e poniamo < X, Sn + IX S(Snx). Per ottenere un modello in cui sia falso l'assioma dell'insieme potenza, l'idea naturale sarebbe quella di considerare la classe di tutti gli insiemi numerabili, perché è solo per mezzo della potenza che si può dimostrare l'esistenza di insiemi pili che numerabili. Tuttavia un insieme x può essere numerabile mentre Sx è pili che numerabile. Sia allora M l'insieme di tutti gli x tali che Snx è numerabile, per ogni n. (Pili avanti faremo vedere che l'esistenza di un M siffatto segue dagli assiomi di ZF.) È ora facile vedere che tutti gli assiomi, a eccezione di quello dell'insieme po­ tenza, valgono in M. L'unica difficoltà è con l'Assioma 6n. Ma è chiaro che se xn E M, anche {Xl ' x2, } appartiene a M. Cosi se qJ è una funzione definita in M il rango di q; su un insieme di M è un insieme numerabile i cui elementi sono tutti in M, e perciò in M. Perciò 6n vale in M. È ovvio che l'assioma dell'insieme potenza viene meno in M perché in M tutti gli insiemi sono numerabili, cioè, per ogni X E M, 3y in M che è un insieme di coppie ordinate che mette x in corrispondenza 1 - 1 con gli interi (che saranno definiti pili avanti e chiaramente sono in M). D'altra parte l'assioma dell'insieme po­ tenza implica l'esistenza di insiemi pili che numerabili. Questo esem­ pio chiarisce anche !'importanza dell'assioma dell'insieme potenza per la dimostrazione dell'esistenza di insiemi pili che numerabili. Questi risultati elementari di indipendenza reggono sulla premessa che ZF sia non contraddittorio, perché se ZF è contraddittorio gli assiomi implicano qualunque enunciato. Naturalmente il teorema di incompletezza esclude che una dimostrazione di NConZF possa es­ sere data in ZF. In definitiva NConZF è un articolo di fede e tutti i risultati di non contraddittorietà e di indipendenza che esponiamo non sono che risultati di non contraddittorietà relativa, subordinati a quello. =

=

•••

§ 3.

-

Numeri ordinali

I numeri ordinali sono importanti in teoria degli insiemi non solo come generalizzazione dei numeri naturali, ma anche per il ruolo chiave che giocano in quasi tutte le ricerche sul sistema di assiomi. Questo è dovuto al fatto che la complessità di un dato modello è in parte misurata dagli ordinali disponibili per costruire gli insiemi,

63

La teoria degli insiemi e l'ipotesi del continuo

con un processo transfinito. Intuitivamente, un ordinale sta per una classe di equivalenza di insiemi bene ordinati. Come in tutte le defi­ nizioni di questo tipo, questo porta a una certa pesantezza, perché bisogna, prima di identificare tra loro gli oggetti, restringere il domi­ nio degli oggetti su cui è definita la relazione di equivalenza. Una soluzione molto piu soddisfacente, proposta da von Neumann è quella di estrarre dall'inizio un rappresentante canonico per ognuna di tali classi di equivalenza. Abbiamo già definito funzione, dominio e rango. Elenchiamo alcune altre definizioni per successive applicazioni.

Definizione. Una relazione R su un insieme X è un insieme di coppie ordinate di elementi di X. X X Y è l'insieme di tutte le coppie .. . , tn) una formula di ZF e AL la formula relativiz­ zata. Se ti E L e A L definisce y = ({'(x) come una funzione a un sol valore in L, dobbiamo mostrare che se u E L, il rango v di ({' su u è in L.

Lemma. - Sia y (('(x) una funzione a un sol valore definita da una formula A (x,y ; tI ' ' ' ' , tn) per opportuni ti e tale che x E L implica ({'(x) E L. Se U E L allora 3w E L tale che se v è il rango di ({' su u, allora v s w. Dimostrazione. Per ogni x in u sia g(x) il piti piccolo tale che ({'(x) E Ma.' Sia fJ = sup {g(x) / x E u}. È chiaro che v s M{J e =

-

a

Mf3 E L. Per andare avanti ci occorre il teorema di Lowenheim-Skolem del Capitolo II, Paragrafo 8, ma in forma leggermente modificata per adattarlo ai nostri scopi. Nel Capitolo II abbiamo ritagliato dall'in­ tero universo V un insieme, mentre qui ritagliamo un insieme da L. E ci occorre sapere che l'insieme è in L.

Teorema. - Sia A (xI , ' ' ' , xn) una formula di ZF in cui tutte le va­ riabili, vincolate e libere, sono ristrette a L (cioè, A è già relativizzata a L) . Sia S E L . Esiste un S' E L tale che S' 2 5 e per ogni Xi E S', A(x l, " '

, Xn)

+--t

A S'(x 1 , . . . , xn) .

Dimostrazione. - Intendiamo dire naturalmente che per ogni A il precedente enunciato è un teorema di ZF. Ricalchiamo la dimostra­ zione del Capitolo II, Paragrafo 8. Sia A della forma Q I Y I ' " Q mYmB(Xl> ... , XmY1 ' . . . ,Y m)' Sia T E L. Per 1 ..;;: r ..;;: m esistono fun95

La leoria degli insiemi e l'ipotesi del conti1Ul()

zioni j,.(Xl, , Xn>ll> ... ,l,-l) definite per Xi , li in T con la seguente proprietà : Se Q, 3 ed esiste un insieme l, per cui • • •

=

Q, + lY,+ l . . . Q mYmB(x1, , Xn> ll'

(1)

"

allora j,.

=

'

···,

j" Y' + l '

···,

Y m)

a, dove a è il pili piccolo ordinale per cui esiste un tale

j, E Mo:, soddisfacente (1). Data la restrizione su A, se esiste un l, che soddisfa la (1) esso deve essere in L, per cui j,. è ben definita. Se non esiste alcunl, siffatto, j,. = 0. Se Q, V, j,. è definita nello stesso modo, con (1) rimpiazzata dalla sua negazione. Sia {J il supremo di j,.(Xi, li) per tutti gli Xi, li in T e tutti gli r, 1 .;;;; r .;;;; m. Si ponga T* T u Mp ' Ora definiamo una successione 5n con 50 Mo: se a è il pili piccolo ordinale con 5 E Mo:, e 5n+1 5�. La stessa dimo­ strazione di prima ora mostra che 51 u 5n ha le proprietà volute. =

=

=

=

=

n

Inoltre 51 è certo uguale a u { Mp/{J < a} per qualche a, e questo insie­ me è in Mo:' Non facciamo nessuna affermazione sulla cardinalità di 51, perché non ne abbiamo bisogno e d'altra parte non disponiamo di AS. Ora possiamo dimostrare l'assioma di rimpiazzamento in L. Sia

A(x, Y" tI ' ... , tn) una formula relativizzata a L e tale che per ogni particolare tl> ... , tn definisce Y cp(x) come funzione a un sol valore di x in L. Sia u E L e v il rango di cp su u. Per il lemma, esiste un a tale che v s; Ma e possiamo senz'altro assumere che anche u, tl> ... , tn siano in Ma . Prendendo M", come 1'5 del teorema, segue che per qualche 51 in L, A(x, y,. tI' ... , tn) As'(X' Y ; tI ' ... , tn) per tutti gli x, Y in 5'. Sappiamo che 5' E Mp per qualche {J e allora siccome v {y E 5'j3x E uAs' (x, Y ; tI ' ... , tn)}, v è definito da una condi­ zione in cui tutte le variabili sono ristrette a Mp, dunque v E M� )WP +l , dunque v E L e l'assioma di rimpiazzamento vale. Il Teo­ =



=

=

=

rema 1 è cosi completamente dimostrato. § 3. -

Assolutezza

Prima di passare a dimostrare il Teorema 2, faremo vedere che la relazione Y XI può essere espressa in ZF, e di conseguenza anche l'enunciato V L. Per ogni r ;> O denotiamo con X, l'in­ sieme di tutti gli insiemi 5 di n-uple . . . , xn> per cui esiste una formula A(xl, " ', xn; tI ' ... , tm) con esattamente r quantificatori, e ii E X tali che 5 = { " ', xn>jAxexl> ... , xn ; il, ... , im)}. Facciamo vedere che la relazione Y X, è esprimibile in ZF. Sostanzialmente qui interviene l'analisi delle formule nei loro composti atomici esatta=

=

=

96

La non çontraddi/lorietà dell'ipotesi del çonlillllO e dell'assioma di sçella

mente come nella dimostrazione che gli assiomi per le classi di GB erano sufficienti per dimostrare l'assioma di rimpiazzamento di ZF. La relazione Y Xo si può esprimere enumerando tutte le formule senza quantificatori e definendo gli insiemi 5 originati da ogni for­ mula per induzione sulla lunghezza delle formule, usando le diverse operazioni booleane. Per induzione su r, si definisce poi Y Xr di­ cendo che un insieme S di n-uple appartiene a Xr se esiste un insieme T di (n + l)-uple in Xr-1 tale che . . . , Xn) A(x1, . . . , xn). E ancora, se B' è un'altra condizione per cui Vx(B(x) B'(x)) allora B(x1) & '" & Bxn) & A B, (X1, . . . , xtl) · A B(X1 , . . . , xn) Intuitivamente, questo significa che per verificare A(xl> . . . , xn) �





è sufficiente verificarla in una classe transitiva che sia abbastanza grande da contenere tutti gli oggetti di cui A parla. Sarebbe assurdo richiedere A � AB se non abbiamo la garanzia che la classe B sia ' sufficientemente grande. Si può introdurre una nozione piu ristretta di assolutezza secondo cui A è assoluta se quando è relativizzata a una classe B, in cui valgono gli assiomi di ZF relativizzati a B, si ba A � A B' Questo è appunto il caso per le condizioni che ci inte­ ressano. Nella letteratura il termine assoluto è usato con diversi signi­ ficati, e il lettore dovrebbe fare attenzione al nostro uso del termine. Cominciamo a presentare esempi di relazioni che non sono as­ solute. La relazione y = P(x) non è assoluta, perché y può essere l'insieme di tutti i sottinsiemi di x nella classe B senza essere il vero insieme potenza. Qui si vede il carattere impredicativo dell'assioma dell'insieme potenza, che costringe a setacciare l'intero universo alla ricerca dei possibili sottoinsiemi. Un altro esempio è la relazione x < y. Se non c'è una iniezione di x sopra y in una classe B, questo non implica che non possa esistere una tale applicazione, fuori di B. Ora elenchiamo una serie di relazioni assolute. Per ciascuna, l'as­ solutezza è una ovvia conseguenza della assolutezza delle precedenti. La transitività gioca, per qualcuna, ad esempio per la relazione " Z = - B se o P forza B o P forza ", A. 7. P forza A � B se P forza A -->- B e P forza B -->- A. 8. P forza C l c2, dove C l E 5 (% , c2 E 5{3' Y max (a, (J) se o y O e Cl C2 come elementi di 50' o y > O e P forza Vyx(x E Cl � x E c2) . =

=

=

=

119

La teoria degli insiemi e l'ipotesi del continllo

9. P forza Cl E C2, dove Cl E 5"" c2 E 5{J' a < (J, se P forza A (cl), dove A(x) rp iC2) (cioè, A(x) è la formula che definisce c2). 1 0. P forza Cl E C2, dove Cl E 5"" c2 E 5{J' a ;> {J e non a {J 0, se per qualche Ca E 5", y < {3 se {J > 0, y = ° se (J = 0, P forza V o;X(x E Cl +--+ X E Ca) & (Ca E c2). 1 1 . P forza C l E C2 , dove Cl> C2 E 50 ' se Cl> C2 E w e Cl E C2 (come elementi di 50) o C2 a e l'enunciato Cl E a è in P. =

=

=

=

si osservi che se Cl E 5"" c2 E 5 {J' a ;> {3, allora se j, = O se nessun y del genere esiste. Sia gr(Cl> " ' , sup (j,/per tutte le P} . Di nuovo, per la precedente sezione, gr è definita in M. Se Qr V, j, e gr sono definite nello stes­ so modo, con (1) rimpiazzata dalla sua negazione. Sia al il supremo dei ranghi delle gr> per tutti gli r, 1

successioni complete. È chiaro dalla definizione di insieme denso che se è dato B allora per ogni P 3Q 2 P tale che Q forza a ad avere la proprietà che dice il teorema. Questo implica che se {Pn} è com­ pleta ii ha la proprietà. Viceversa, se a soddisfa la nostra proprietà, 1 28

I :il/lliptmdtnta

,Iu/l'ipolui d41 (O"li"no e de/l'assioma di scella

sia {P,,} una successione qualunque con ii = Hm P n' Allora, dato un enunciato, sia B l'insieme (in M) delle condizioni che forzano l'enun­ ciato, o la sua negazione. Questo è un insieme denso, quindi per la nostra condizione qualche Pn forza o l'enunciato o la sua negazione.

§ 7.

-

11

concetto generale di forcing

Il metodo del forcing è applicabile a molti problemi della teo­ ria degli insiemi. Invece di procedere immediatamente a problemi specifici, come l'indipendenza di le, diamo un risultato molto gene­ rale che varrà per la costruzione di tutti i modelli. Noi partiremo sem­ pre dal modello M, aggiungeremo certi insiemi generici e prendere­ mo come N la classe di tutti gli insiemi generati a partire da questi usando gli ordinali di M. Non c'è in generale alcun modo ovvio di dire come dobbiamo generare insiemi da una data collezione di in­ siemi, perché i processi di " aggregazione " possono essere eseguiti a vari stadi. Piu precisamente, si consideri il seguente problema. Sia A un dato insieme transitivo. Vogliamo trovare un modello transitivo N tale che A s; N, e se N' è un altro modello del genere, N s; N'. Se chiediamo che A E N, allora il problema è banale, purché tra­ scuriamo AS, perché basta prendere Mo A e Ma ( u Mp)'. La =

=

p al esista una corrispondenza 1-1 tra queste formule e Sa. (Il fatto che per certi a ci siano certe formule che non corrispondono a nessun c non influirà sui nostri ragionamenti.) Tutte le nostre ap­ plicazioni e i nostri insiemi naturalmente devono essere in M. L'idea generale è che alla fine gli insiemi che costruiamo, per c E Sa , sa­ ranno composti di insiemi della forma i', con c' E Sp per qualche p < a. Nella pratica non saremo cosi rigorosi nel senso che se la defi-

=

1 29

La teoria degli insiemi e l'ipotesi del continuo

nizione di un certo c è del tutto chiara potremo anche permettere che esso e tutti i suoi elementi appartengano allo stesso 5�. La definizione di enunciato limitato, e quella di rango, sono esattamente come prima.

Definizione.

-

Un insieme di condizioni di forcing è un insieme

U con una relazione < su U, entrambi in M, tale che se P, Q, R sono in U allora P < P e P < Q & Q < R ---+ P < R. Inoltre esiste una applicazione 1f in M tale che se P E U, 1f(P) è un insieme di enunciati della forma (Cl E c2) dove c2 E G, e se C2 E 5 � allora Cl E 5 p con fJ < a. Se P < Q, allora 1f(P) � 1f(Q) .

Definizione. - Definiamo P forza un enunciato limitato per indu­ zione sul rango come segue. 1 -8. Esattamente come nel Paragrafo 3. 9. P forza Cl E C2, dove Cl E 5", c2 E 5p, a < fJ, se I) C2 E G e P forza A(cl), dove A(x) è la formula asse­ gnata a C2• II) C2 E G e per qualche Ca E 5y, Y < fJ, (Ca E C2) E 1f(P) e P forza Cl C3 • 1 0. P forza Cl E C2 , dove Cl E 5" e C2 E 5p , a ;> fJ, se per qual­ che c3 E 5y, Y < fJ, p forza V,.x(x E Cl � X E C3) & (C3 E C2)· ,....,

=

La definizione di forcing per enunciati illimitati è esattamente come prima. Abbiamo qui insistito che solo 0 appartenga a 50' e che per tutti gli a, ogni elemento di 5" abbia come suoi elementi solo elementi di 5{3 per fJ < a. Non è stata inclusa alcuna condizione negativa ,"" Cl E C2 come diretta conseguenza di nessun P, perchè la nostra definizione implica automaticamente che ,"" Cl E c2 sarà for­ zato se Cl E C2 non è forzato. Nella costruzione ci siamo imposti la restrizione di formare insiemi corrispondenti a quantificazione su X" u {5{3/fJ < a} . Si tratta di una definizione abbastanza libe­ rale, perché non è detto che sia necessario " formare insiemi " ripe­ tutamente per quanti X� ci sono. Se esaminiamo la dimostrazione che N è un modello, vediamo che si usano solo due fatti. Il primo è che per ogni a deve esserci qualche C in 5 tale che c 2 5 IX. Questo serve nella dimostrazione degli assiomi dell'insieme potenza e del rimpiazzamento. La seconda proprietà è che per ogni funzione f a valori ordinali in )\1, se ao è dato, esiste una successione an tale che an+l ;> f (an) ed esiste un C E 5 tale che c u {5 IX n / n } . Questo serve per l'argomento alla L6wenheim-Skolem nella dimostrazione del­ l'assioma di rimpiazzamento. =

IX

=

1 30

, :illf/i/u'/If/""Zil ddl 'ipofesi ,It:! cOI/fin/w c dell 'assionla di scclfa

Nella situazione in cui ci siamo messi, possiamo dimostrare esat­ tamente come prima tutti i lemmi fondamentali. La definizione di successione completa è la stessa. Per definire il modello N proce­ diamo per induzione su a . Per c E So, C = 0. Se f è stato definito per ogni f E 5(J' fJ < a, allora se c E Sa. - G definiamo c con la condizione A (x) che corrisponde a c, esattamente come prima. Se c E Sa (ì G, allora f {cI/3n(cl E c) E 1p(Pn)}. Di nuovo, gli enunciati che sono veri in N coincidono con quelli forzati da qualche Pn' La dimostra­ zione che N è un modello si svolge come prima. Basta esaminare la precedente dimostrazione per vedere che non sono state usate proprietà speciali, oltre a quegli aspetti generali del forcing che val­ gono anche nel presente contesto. Nella maggior parte delle applicazioni che presenteremo, suc­ cederà sempre che P < Q +-+ 1p(P) � 1p(Q). Sono tuttavia possibili si­ tuazioni piu ingarbugliate. Potremmo avere 1p(P) "# 1p(Q) e P Q. Questo significherebbe che se anche le implicazioni immediate di P e Q sono le stesse, gli effetti possono essere diversi, perché ad esem­ pio per qualche R, P < R ma ,...., Q < R . =

=

§ 8.

-

L' ipotesi del continuo

Sia � T > T ;;;;. 2, un cardinale fissato di M. 5 sia definito come segue : Per tutti gli a < � T> Sa consiste di un solo elemento cc" e alla fine risulterà Ca. = a. Tutti questi ca E G. Per a = � T> Sa. consiste di � T elementi, tutti in G, che denotiamo con ab' � < � T ' Per questi avremo ab � w e la loro presenza garantirà che il continuo è almeno � T ' Continuando a scrivere a �n 5 a+l consiste solo di elementi di G, come segue : Ci sono � T elementi, che alla fine saranno {fJ} per fJ < � T e che denotiamo con {fJ}. Ci saranno anche � T elementi che diventeranno {�, ab} per � < �n e che denotiamo {�, ab}' 5a.+2 consiste di � T elementi in G, che alla fine diventeranno P forza ---A ), e nessun P' < P ha questa proprietà. Dire che P forza --- .--,A significa precisamente dire che se P < Pn> dove Pn è uno dei termini di una successione completa che definisce N, allora A vale in N. Lemma 7. Per ogni enunciato A, l'insieme delle P minimali per A è numerabile in M. -

Dimostrazione. La dimostrazione è pressoché identica a quella del Lemma 2. Sia B un insieme piti che numerabile di P minimali. Come nel Lemma 2, possiamo assumere che tutte le P in B conten­ gano n enunciati. Sia k il piti grande intero tale che c'è una P' con k condizioni e P' < P per un'infinità piti che numerabile di P in B. Possiamo assumere P' < P per tutte le P in B. Siccome le P in B sono minimali, P' non può forzare .--, "'-'A. Quindi per qualche P" > > pl, P" forza ",-,A ed è quindi incompatibile con tutte le P in B. Come nel Lemma 2, questo significa che per qualche c El: pl, P' u {c} è contenuta in una infinità numerabile di P in B, contraddicendo la definizione di k. Possiamo ora determinare la cardinalità di C. -

4. In N, C �T se non è coftna/e con w in M, C è cofina/e con w . Dimostrazione. Per ogni c E 5 e n E w, sia V(n, c) l'insieme delle P minimali per n E c. Se V(n, c) V(n, c ' ) per tutti gli n e t s t' c:::::: w, allora t c'. Questo è vero perché se P è nella suc­ cessione completa e P forza n E c, deve esserci una P' minimale, P' < P Allora P' e quindi P forzano ",-,.--,n E c', per cui n E t ' . Dunque t t'. Fissato il numero di possibili insiemi V(n, c) è al massimo fj = il numero dei sottinsiemi numerabili di �n computato in M. Ora dico che se E è l'insieme delle successioni numerabili in D, E 13. (Di nuovo, tutte le nozioni sono relative a M.) Infatti, ogni =

Teorema � T+ I se i

-

i

=

=

-

=

w,

= k

k'

_

11,

k

k

=

1 35

La teoria degli insiemi e l'ipotesi de! continuo

elemento di E dà origine a un sottinsieme numerabile di D, e ogni sottinsieme deriva da"" al 1!!assimo 2�o successioni, cosi �he= per il Lemma 6 otteniamo E « [) . � 1 D, e siccome lJ « E, D = E. Abbiamo cosi mostrato che in N, C « D. Se "C è cofinale cQ.n w, vediamo che in N, � T � é « � T +l' Ma il Lemma 5 dice che C non p�ò essere �T) per c�i C = �d +l" Se "C non è cofinale con w, abbiamo C « �n e siccome C ;;> �T) C = �T ' Segue da quanto visto che possiamo costruire 1!!0delli in cui � W l dove C = � 2 ' �w+l> �wl+l ecc. Possiamo anche avere C �1' Per vedere questo, notiamo che W l ha lo stesso significato Wl in Ai e in N, perché i cardinali non cambiano, e per la stessa ragio­ ne anche � Wl mantiene lo stesso significato. Possiamo dare una formu­ lazione precisa come segue : Si consideri una formula A(x) per cui si possa dimostrare che in ogni insieme o classe transitiva che soddisfa ZF A(x) definisce un unico ordinale. Si assuma inoltre che A(x) sia assoluta nel senso che se SI e S2 sono due classi del genere, SI c:;: S2 ' per cui la nozione di cardinale è la stessa, allora A(x) definisce lo stesso elemento in SI e in S 2' È allora possibile ottenere un modello di ZF ig cui, se A(a) vale per un certo a, e a non è cofinale con W, allora C a. I dettagli sono lasciati al lettore. In [4], la determinazione della cardinalità di C in N faceva uso di una costruzione piu diretta ma meno elegante. Diamone uno schiz­ zo alla buona. Si consideri la dimostrazione che in L ogni numero reale è costruibile da un ordinale numerabile. L'idea essenziale era che se x c:;: W e x E M", allora prendendo l'" involucro " di Skolem di a, W e x si ottiene un isomorfismo a ->- a ' , dove a' è numerabile e x E M", " In N, ogni insieme è costruibile da W { r un intero tale che al non compare in P' e n la permutazione che scambia e t ed è l'identità per gli altri interi. Se P" n(P'), allora P" forza f(k) al' Ma P' e P" sono compatibili, cioè, Q P' u P" è una condizione di forcing, perché P' e P" sono uguali meno delle condizioni che fanno riferimento ad a" e al ' e P' non contiene t e P" non contiene Allora Q forza f a essere a un sol valore, perché Q :2 P, eppure forza f(k) aB e f(k) al ' che è impossibile. Corollario. - In N il continuo non è bene ordinato. -

=

-

"

=

s

=

s

=

=

=

a

S.

=

=

Corollario. - In N esiste una successione numerabile {Bn}, dove ognI 1 39

La teoria degli insiemi e l'ipotesi del continuo

Bn è un insieme di numeri reali, per cui non esiste alcuna funzione g tale che g(n) E Bn- Dunque anche A5 numerabile è falso. Dimostrazione. I numeri reali sono naturalmente in corrispon­ denza 1-1 con i sottinsiemi di w, cosi che C può essere considerato o come l'insieme dei numeri reali o come P(w). È anche ben noto che per ogni n esiste una applicazione iniettiva di tutte le n-uple di numeri reali nei reali. (Si fa una " maglia " coi numeri.) Sia Bn l 'in­ sieme dei reali che corrispondono a tutte le n-uple di elementi di V che non hanno due elementi della n-upla uguali. Se g esistesse, si otterrebbe un sottinsieme numerabiIe di V. -

Definizione.

-

,....., ,....., A.

Diciamo che P forza debolmente A se P forza

Cosi, se P forza debolmente A , allora se P appartiene alla suc­ cessione completa {Pn}, A deve essere vero in N, perché nessun Q 2 P può forzare ,....., A. È chiaro che se P forza A, P forza debol­ mente A .

Lemma. - In N, se x E N, x s;:; w , esistono bI = ail, , bm aim in numero finito tali che x è costruibile da b I , ... , bm" Dimostrazione. Diciamo che x è costruibile da b I , . . . , bm se, ove definiamo Mo = w U {bI , ... , bm} , M� ( U M(1)', abbiamo E (1 Vn che alla flne diventeranno Vn {an,l> a " . z , .. . }, Vn {bn,l, bn,2, . . } 53 consiste dei simboli { Vn> Vn}, 54 dei simboli {n, {Vn> Vn}} e 55 di un solo simbolo V per l'insieme che avrà come elementi esattamente gli insiemi di 54' Le condizioni di forcing consistono di un numero flnito di condizioni non con­ traddittorie della forma n E aij, n E bii, ""' n E aii ' o ""' n E bi i' oltre alle naturali condizioni che assicurano che gli insiemi di 52 . .,, 55 sono ' permuta­ proprio come li abbiamo descritti. Sia C il gruppo delle zioni di ai i' bij tali che I) n(aij) = aij, n (bii) bij per tutti gli i > n, per qualche n. II) per ogni i, o n manda Vi sopra Vi e Vi sopra Vi, oppure manda Vi sopra Vi e Vi sopra Vi' =

=

=

Sia Cm il gruppo di tutte le n tali che n(aij) aij' n(bij) bij per i < m. Ragionando esattamente come prima si fa vedere che ogni c in 5 può solo distinguere un numero flnito di Vi, Vi' Se N è il modello corrispondente a una successione completa, abbiamo =

=

Teorema. - In N, A5 numerabile viene meno per coppie di elementi P(P(w» . Molti altri risultati, concernenti le mutue relazioni di diverse forme di AS sono stati raggiunti con questi metodi, e il lettore è rin­ viato alla letteratura per i risultati piu recenti. Uno dei risultati piu interessanti è dovuto a R. Solovay (flnora non pubblicato) e dice che si possono costruire modelli N in cui vale AS numerabile e in cui ogni insieme di numeri reali è Lebesgue-misurabile. La sua co­ struzione usa l'idea della alterazione delle cardinalità, che sarà de­ scritta nella prossima sezione. di

§ 10.

-

Alterazione delle cardinalità

In questo paragrafo illustriamo la produzione di un fenomeno di genere diverso nel modello N. Sia ao un ordinale inflnito flssato di AI. Sia 50 l'insieme di tutte le coppie