La teologia di Paolo. Abbozzi in forma epistolare

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La teologia di Paolo. Abbozzi in forma epistolare

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collana LA BIBBIA NELLA STORIA diretta da Giuseppe Barbaglio

La

collana si carallerizza per una lellura rigorosamente storica deUe Scritture

sacre, ebraiche e cristiane. A questo scopo, i libri biblici. oltre che come documenti di

fede, saranno presentati come espressione di determinati ambienti storico-culturali. punti di arrivo di un lungo cammino di esperienze significative e

di

vive tradizioni,

testi incessantemente riletti e re-interpretati da ebrei e da cristiani.

Si presuppone che la religione biblica sia essenzialmente legata a una storia e cbe

i suoi libri sacri ne siano, per definizione, le testimonianze scritte. Più da vicino, ci sem­

bra fecondo criterio interpretativo la comprensione. criticamente vagliata. della Bib­

bia intesa come frullo della storia di Israele e delle primissime comunità cristiane suscitate dalla fede in Gesù di Nazaret e, insieme, parola sempre di nuovo ascoltala e proclamata dalle generazioni cristiane ed ebraiche dei secoli posi-biblici. Il direttore della collana, i collaboratori e la casa editrice si assumono il preciso impegno di offrire volumi capaci di abbinare alla serietà scientifica un dettalo piano

e accessibile a un vasto pubblico.

Questi i titoli programmati:

l. L'ambiente storico-culturale delle Scrirrure Ebraiche (M. Cimosa: 2001) 2. Le tradizioni storiche di Israele. Da Mosè a Esdra (E. Cortese: 22001) 3. l profeti d'Israele: voce del Dio vivente (G. Savoca: 1985) 4. l sapienti di Israele (G. Ravasi) S. l canti di Israele. Preghiera e vita di un popolo (G. Ravasi: 1986) 6. La letteratura intenestamentaria (M. Cimosa: 1992) 7. L'ambiente storico-culturale delle origini cristiane. Una documentazione

ragionata (R. Penna: 42000) 8. Le prime comunità cristiane. Tradizioni e tendenze nel cristianesimo delle origini (V. F usco: 1997) 9. La teologia di Paolo. Abbozzi in forma epistolare (G. Barbaglio: 12008) 9b. Il pensare dell'apostolo Paolo (G. Barbaglio: 22005) 10. Evangelo e Vangeli. Qual/ro evangelisti, quartro Vangeli, quartro destinatari (G. Segalla: 32003) 11. Gesù ebreo di Galilea. Indagine storica (G. Barbaglio: '2005) 11b. Gesù di Nazaret e Paolo di Tarso. Confronto storico (G. Barbaglio: 22007) 12. La tradizione paolina (R. Fabris: 1995) 13. Omelie e catechesi cristiane nel/ secolo (a cura di G. Marconi: 21998) 14. L'Apo/icalisse e /'apocalirrica nel Nuovo Testamento (B. Corsani: 1997) 15. La Bibbia nell'antichità cristiana (a cura di E. Norelli) L Da Gesù a Origene (1993) II. Dagli scolari di Origene al V secolo 16. La Bibbia nel Medioevo (a cura di G. Cremascoli -C. Leonardi: 1996) 17. La Bibbia nell'epoca moderna e contemporanea (a cura di R. Fabris: 1992) 18. La lel/ura ebraica delle Scrillure (a cura di S.J. Sierra: 219%) 19. La Bibbia dei pagani. l. Quadro storico (G. Rinaldi: 1998) 20. La Bibbia dei pagani. Il. Testi e Documenti (G. Rinaldi: 1998) 21. Donne e Bibbia. Storia ed esegesi (a cura di A. Valeria: 2006)

Giuseppe Barbaglio

LA TEOLOGIA DI PAOLO Abbozzi in forma epistolare

EDIZIONI DEHONIANE BOLOGNA

Prima edizione: aprile 1999 Seconda edizione: settembre 2001 (con aggiunta dell'Indice tematico) Ristampa: febbraio 2008



1999 Centro editoriale dehoniano

Via Nosadella, 6- 40123 Bologna EDB®

ISBN 978-88-10-40267-2 Stampa: Grafiche Dehoniane, Bologna 2008

A

Carla, mia moglie

Prefazione

Paolo non ha scritto trattati teologici, né epistole che mal nascon­ dono la propria realtà di esposizioni dottrinali, ma vere e proprie let­ tere di circostanza, legate alle situazioni contingenti dei destinatari e del mittente. D'altra parte, esse non sono puramente convenzionali, perché si tratta pur sempre di scambi dell'apostolo con le sue comuni­ tà, non esclusa la missiva a Filemone e fatta salva la peculiarità di quella ai Romani in cui egli si autopresenta a una chiesa che intende visitare ed evangelizzare. Nella contingenza della comunicazione epi­ stolare esprime e difende in modo argomentativo le sue posizioni sui molti problemi postigli dalla comunità di Tessalonica, dai credenti di Corinto, dalla crisi delle chiese galate, dalla sua condizione di prigio­ niero in Filippesi, da Onesimo, schiavo di Filemone, riparatosi da lui, dal suo proposito di annunciare il vangelo anche a Roma dove non mancavano riserve sulla sua dottrina. Le sue risposte saranno dunque legate alla stessa contingenza degli scritti e delle situazioni ed espri­ meranno un pensiero «applicato>>, o meglio abbozzi teologici mirati. L'immagine di lui teologo, come emerge da una lettura attenta delle sue lettere, non è quella di un pensatore già in possesso di una teologia sufficientemente completa ed elaborata, per cui, sollecitato dai suoi interlocutori, può comunicare soluzioni preconfezionate. Appare invece un teologo in faciendo; la sua teologia nasce negli sforzi di rispondere ai vari problemi affrontati e come elaborati di ri­ flessione parziale e provvisoria, bisognosi di essere magari ripresi più avanti e integrati, corretti e ampliati sotto la pressione di nuove urgenze particolari. Così per es. è della Lettera ai Romani rispetto a Gal soprattutto. Appare anche un teologo in progress che avanza da stadi più elementari, come ci appare la sua Lettera ai Tessalonicesi, priva della demonstratio Scripturae e di molte categorie teologiche tipicamente paoline, in cui l'attesa della parusia di Cristo ha un ri­ lievo eccezionale. È il suo primo scritto e mostra, al confronto con le grandi lettere, una relativa di elaborazione teologica. Il vertice invece è toccato nella Lettera ai Romani passando attraverso 1-2 Corinzi e soprattutto la Lettera ai Galati, di cui Rm può essere 7

detta una specie di retractatio; più in generale essa è viva testimo­ nianza di un Paolo teologo assai maturato rispetto agli inizi. Per questo ho scelto di esporre la teologia di Paolo presentando le teologie delle singole lettere che nella loro occasionalità non possono essere intese come puro e semplice rivestimento letterario; in realtà sono forma concreta e qualificante della sua elaborazione teologica, che ne porta l'impronta. Ho quindi dedicato un capitolo sintetico conclusivo alla ricerca degli elementi di unitarietà e di coerenza: coe­ renza metodologica di timbro ermeneutico, consistente cioè nell'in­ terpretazione dei dati elementari della fede cristiana, del vangelo, e unitarietà basata su una profonda convinzione di fede che ha genera­ to, come matrice feconda, i singoli abbozzi teologici delle lettere. Il campo d'indagine è ristretto alle sette lettere certamente au­ tentiche, lTs, l -2Cor, Fil, Fm, Gal, Rm, convinto che le restanti del­ l'epistolario appartengano alla tradizione paolina:, salvo Eb che solo per un capriccio della storia vi fa parte. La linea scelta impone di precisare l'ordine cronologico in cui furono scritte. Un vastissimo consenso degli studiosi mette in testa lTs, del 50, e non pochi riten­ gono che Rm sia l'ultima, del 55/56 secondo lo schema di una crono­ logia paolina breve. In mezzo prendono posto lCor scritta a Efeso, 2Cor risalente alla sua permanenza in Macedonia, Fil e Fm di cui ipotizzo come sede d'invio Efeso, e Gal di certo anteriore a Rm e che assegno al soggiorno paolino a Efeso degli anni 52/55, assai vi­ cina nel tempo a 2Cor. Per le strette analogie che le contraddistin­ guono però tratto di seguito 1-2Cor e Gai-Rm. Dunque l'attività teo­ logica di Paolo si svolse nel ristretto ambito di sette anni circa, un tempo breve per una produzione ricca ma non priva di tensioni e di­ versità di punti di vista, fermo restando che nel periodo non breve che va dall'esperienza decisiva di Damasco alla missione in Europa, una quindicina d'anni, egli ha potuto di certo maturare sul campo convinzioni profonde di fede, che lo guideranno nelle comunicazioni teologiche di forma epistolare. Ho abbondato nella bibliografia, pur sempre frutto di selezione e senza pretesa di completezza, per segnalare le molte voci che risuo­ nano nel concerto, non sempre armonico, ma vivace, del dibattito esegetico attuale e indicare la mia collocazione, ma ancor più per of­ frire al lettore occasione di accesso a studi importanti. Anche le note a piè di pagina, in cui le segnalazioni bibliografiche si alternano alla discussione di aspetti particolari, sono numerose e mirano a comple­ tare l'esposizione. Questa però, vista nelle sue linee essenziali, al li­ mite, può prescinderne consentendo ai lettori non specificamente in­ teressati di passarvi sopra. 8

Abbreviazioni

ANRW Aufstieg und Niedergang der Romischen Welt Antico Testamento AT AusBR Australian Biblica/ Review Bib Biblica BibLit Bibel und Liturgie Bib/Theo/Bull Biblica/ Theology Bulletin BibOr Bibbia e Oriente BJRL Bulletin of the fohn Rylands Library BS Bibliorheca Sacra BZ Biblische Zeitschrift CahBib Cahiers Bibliques CBQ Catholic Biblica/ Quarterly CThJ Calvin Theological Journal DBS Dictionnaire de la Bible, Supplément EphLtg Ephemerides Liturgicae Estudios Biblicos EstBibl ETL Ephemerides Theologicae Lovanienses EtudThéolRel Etudes Théologiques et Religieuses EvQ Evangelica/ Quarterly EvTh Evangelische Theologie GLAT Grande Lessico dell'Antico Testamento GLNT . Grande Lessico del Nuovo Testamento Greg Gregorianum HThR Harward Theologica/ Review /rBSt lrish Biblica/ Studies Journal, American Academy of Religion JAAR Journal of Biblica/ Literature JBL JBTh Jahrbuch fiir Biblische Theologie JSNT Journa/ for the Study of the New Testament KuD Kerygma und Dogma LingBibl Linguistica Biblica LouvSt Louvain Studies MuTZ Miinchener Theologische Zeitschrift

9

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nt NTS OkRu PG PL RB RechSR RevExp RevSR RliE RHPhR RivBib RivLit RTLouv RThPh SBL se

ScEc ScEs StEv ST ThEx heute ThQ ThRev TLZ TRE TTZ Trin.J TS TyndBull TZ VigChr vt WuD WissWeis ZEE ZKT ZNW ZTK lO

Nag Hammadi Codices Nouvelle Revue Théologique Novum Testamentum Nuovo Testamento neotestamentario New Testament Studies Okumenische Rundschau Patrologia Graeca Patrologia Latina Revue Biblique Recherches de Science Re/igieuse Review and Expositor Revue des Sciences Religieuses Revue d'Histoire Ecclésiastique Revue d'Hiswire et de Philosophie Religieuses Rivista Biblica Rivista Liturgica Revue Théologique de Louvain Revue de Théologie et de Philosophie Society of Biblica/ Lilerature Scuola Cattolica Sciences Ecclésiastiques (1948-1967) Science et Esprit (1968ss) Studia Evangelica Studia Theologica Theologische Existenz heute Theological Quarterly Theological Review Theologische Literaturzeitung Theologische Realenzyklopiidie Trier Theologische Zeitschrift Trinity Journal Theological Studies Tyndale Bulletin Theologische Zeitschrift . Vigiliae Christianae veterotestamentario Wort und Dienst Wissenschaft und Weisheit Zeitschrift fii.r Evangelische Ethik Zeitschrift fii.r Katholische Theologie Zeitschrift fii.r die neutestamentliche Wissenschaft Zeitschrift fii.r Theologie und Kirche

Alla chiesa dei tessalonicesi

B ibl. gen erale: Commenti: G. BARBAGLIO, •Alla comunità di Tessalonica: Prima Leuera», in L e/el/ere di P aolo, Boria, Roma 21990, I, 79-144; T. HoLTZ, D er ersre Brief an die Thessalonich er, Neukirchcn 1986; P. lovJNo, L a prim a lell era ai Tess alon icesi, EDB, Bologna 1992; W. MARXSEN, L a prim a /el/ era ai Tess alon ic es i, Claudiana, To­ rino 1988; R. PEsrH, L a scop erta dell a p iù ant ic a /el/ er a di P aolo. Paolo rivis it ato. L e /el/ere all a comun ità dei Tess alon icesi. Paideia, Brescia 1987; E.J. RICHARD, First and Second Th ess alonians, Collegeville 1995; B. RIGAUX, Saint P au/. L es épftres au x Th es ­ salon iciens, Paris 1956; P . RossANO, L ei/ ere a i Tessalon ic es i. Marielli, Torino 1965; H. ScHLIER, L 'apostolo e la sua comun ità. Esegesi dell aprim a lett era ai Tess alon icesi, Pai­ deia, Brescia 1976. Introduzioni: W.G. KùMMEL, Einleitung in das N eu e Test am ent, Heidelberg 1983. Gesch ichte der urchristl ich en L iterawr. Einleirung in das Neu e Test am enl, die Apokryph en und die Apostolisch en Viiter, Berlin-New York

219-226; PH. VJELHAUER, 1975, 81-89.

Monogralie: M. ADINOLFI, La prim a /erter a ai Tess alonicesi n el mondo greco ­ rom ano, Roma 1990; K.P. DONFRIED, «The Theology of l Thessalonians», in K.P. DoNFRIED - I.H. MARSHALL (a cura di), Th e Th eology of th e shorter Paulin e L el/ers, Cambridge 1993, 1-79; W. HARNISCH, Esch atologisch e Existen z. E in exeg etisch er B ei­ trag zum Sachliegen von l Th ess 4,/.l-5,1/, Gollingen 1973; B. HENNEKEN, Ver­ k iin digung und Proph et ie im erst en Th ess alon ik erbrief Ein Beitrag zur Th eo/ogie des Worr es Gol/es, Stungan 1969; R. JEWETI, Th e.ualonian Correspondence. Paulin e Rh e­ toric and Millen ariiJn Piety, Philadelphia 1986; B. JoHANSON, To All th e Brethren. A Texr-Lingu istic and Rh etor ic a/ Appro ach lo l Th ess a/on ians, Stockholm 19!17; F. LAUB, Eschatologisch e Verk iindigung und L ebensg es taltung n ach Pau/us. E in e Unter· suchung zum W irk en des Aposte/s beim Au fbau der G em einde in Thessalon ik e, Re · gensburg 1973; A.J. MALHERBE, Pau/ and th e Th ess alon iiJns. Th e Phi/osoph ic Tradi­ tion of Pastoral Care, Philadelphia 1987; C.J. ScHLUETER, Fill ing up th e Measure. Pole­ m ic a/ Hyp erbo/e in l Th essalon ians 2.14-/6, Sheffield 1994; A. SMrrH, Comfort On e Anoth er. R econstructing th e rh etoric and audience of l Th essa/on ians, Louisville 1995. Raccolte di studi: R.F. COLLINS, Stud ies on the Firsl L ell er to th e Th ess alon iiJns, Leuven 1984; lo. (a cura di), Th e Th ess aloniiJn Correspondence, Leuven 1990.

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INTRODUZIONE È il primo scritto di Paolo, almeno il primo di quelli a noi giunti.' Risale all'anno 50, spedito daii'Acaia, da Corinto più che da Atene.2 Le ipotesi che l'anticipano ai primi anni 4cP o, assegnandolo al soggiorno efesino, lo posticipano al 55 circa: sono molto meno probabili.

l. I

DESTINATARI

Bibl. J.M.G. BARCL\V, «Conflict in Thessalonica•. in CBQ 55(1993), 512-530; Io., «Thessalonica and Corinth: Social Contrasts in pauline Chrislianity», in JSNT 47(1993), 49-74; K.P. Do�FRIED, •The cults ofThessalonica and the Thessatonian Cor­ respondenee•, in NTS 31(1981), 336-356; W. ELLIGER, Paulus in Griechenland. Phi­ lipp� Thessaloniki, Athen, Korinth, Stuttgart 1978, 78-1 16; E. PAx, «Konvertiten­ probleme im ersten Thessalonicherbrief», in Bibel und Leben 13(1972), 24-37; P. Ros­ SANO, •Note archeologiche suUa antica Tessalonica•. in RivBib 6(1958), 242-247; J. WARE, •The Thessalonians as a Missionary Congregalion: l Thessalonians. 1,5-8», in ZNW 83( 1 992), 126-131.

Gentili convertiti «dalle divinità idolatriche5 per render culto al Dio vivo e vero» (1Ts 1 ,9),6 a causa della loro adesione di fede al l a. lo studio di H. KoESTER. •l Thessalonians. Experimenl in Christian Wri­ ting•, in Continuity and Discontinuity in Churc·h History (Fs G. H. Williams), Leiden 1979, 33-44 che sottolinea la creatività letteraria dell'apostolo che ha dato origine a un genere epistolare sui generis (p. 35). 2 È il risultato di una ricostruzione basata sul racconto di Al 17-18 e sui dati di ITs 2,17-3.13. Dalla prima testimonianza abbiamo la seguente successione di fatti: espulsione da Tessalonica, partenza forzata anche da Berea. ma solo per Paolo che si reca dapprima ad Atene e poi a Corinto, dove è raggiunto da Sila e Timoteo rimasti in Macedonia; permanenza nella città dell'istmo per un anno e melZo con traduzione davanti al tribunale del proconsole Gallione (anno 51 -52). Secondo il racconto dello stesso Paolo in 1Ts la missione tessalonicese ha fatto seguito a quella di Filippi; da Atene Paolo manda Timoteo a Tessalonica e al suo ritorno, debitamente informato della situazione della chiesa macedone, scrive agli amati tessalonicesi. ' Cosl ultimamente per es. K.P. DoNFRIED, •l Thessalonians. Acts and the Early Paul•. in CoLLINS (a cura di), The Theualonian Correspondence, 3-26 che ipotizza l'anno 43 e ancor prima G. LODEMANN, Paulus der Heiderwpostel / : Studien zur Chro­ nolofie, Gottingen 1980, 272 che parla del 41. a. w. SCHMllHALS, «Die historische Situation des Thessalonikerbriefes•. in Theologische Forschung 35(1965), 89-157. Sulla cronologia paolina cf. gli studi recenti di J. SANCHEZ-Bosrn, «La chronologie de la première aux Thessaloniciens et les rela­ tions de Pau! avec d'autres églises•, in NTS 37(199 1 ), 336-347 e R. RIESNER, Die FrUh­

zeit des Apostels Paulus. Studien zur Chronologie, Missionsstrategie und Theologie,

TUbingen 1994, 297-365. ' Cf. DoNFRIED, «The cults•. 6 At 17,1-4 parla anche di giudei della locale sinagoga convertiti da Paolo.

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La

vangelo avevano pagato un duro prezzo7 e continuano tuttora a pa­ garlo.8 La loro fedeltà a tutta prova, anche dopo la partenza dei mis­ sionari, è confermata da Timoteo di ritorno da Tessalonica (3,6-8). I timori che si fossero lasciati traviare dal tentatore (3,5), vacillando sotto il peso delle (3,3), si rivelano infondati e Paolo ne è confortato (3,7). Egli può cosl ringraziare Dio per la loro esperienza cristiana sostanziata da fede operante, amore impegnato e perseverante speranza (1,3). Se poi nella sua lettera li esorta, è per favorire una crescita, non per correggere sbagli o deviazioni (4,12.10). In particolare, non hanno bisogno di ricevere istruzioni scritte sull'amore fraterno (4,9) e sulla data della fine del mondo (5,1-2), es­ sendone debitamente al corrente. Certo, in 5,1 1 Paolo li sollecita al mutuo conforto e all'edificazione reciproca, ma rileva in pari tempo che già lo stanno facendo. Più in generale, le numerose esortazioni dei cc. 4-5 non sembrano segnalare deficienze di comportamento della comunità tessalonicese; costituiscono piuttosto una parenesi abituale a scopo preventivo.9 Si aggiunga l'impegno missionario, 10 fatto non solo di annuncio verbale ( 1,8-10), ma anche di fattiva testi­ monianza personale (1,7). In questo quadro fa però eccezione 4,13-18, teso a ovviare a una mancanza di conoscenza dei tessalonicesi, che si traduceva in un at­ teggiamento di disperante tristezza: > (3,10). Preghiera prolungata in 3,1 1-13 con una duplice supplica in formis a chiudere la prima parte, 21 Cf. G. BARBAGLIO, •Analisi fonnale e letteraria di l Tess. 1·3•, in Testimonium Christi. Scrini in onore di J. Dupont, Paideia, Brescia 1985, 35-56; J. LAMBRECHT, •Thanksgivings in l Thessalonians 1-3•, in CoLLINS (a cura di), The Thessalonian Cor· respondence. 183-205. 22

Ringraziamo l sempre l Dio l per tutti voi; Noi ringraziamo l incessantemente l Dio l perché voi riceveste ... ; Quali grazie possiamo rendere l . l a Dio l per voi. 23 La triade fede-speranza-amore appare più volle in Paolo e in altri passi nt: lCor 13,13; Rm 5,1-5; Gal 5,5s; lTs 5,8; Col l ,4s; Ef 4,2-5; Eb 6,1().12; 10,22-24; IPt 1,3-8· 1,2ls. Potrebbe essere una creazione di Paolo. i• Abbiamo qui una proposizione causale: •poiché (hoti) nel ricevere la parola di Dio che avete ascoltato da noi, l'accoglieste non come parola d'uomini. bensì. com'è veramente, da parola di Dio•. La formula introduttoria del ringraziamento «Ed è per questo che (Kai dia touto)• è specificata dalla congiunzione causale seguente. Si rife· risce dunque a quanto segue, non a quello che precede, come di solito si ritiene.

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come del resto fa per la seconda l'invocazione formale al Dio della pace di 5,23-24: due conclusioni non solo di pari natura liturgica, ma anche di uguale prospettiva escatologica, come mostrano i contenuti delle invocazioni.25 Sono ringraziamenti strettamente coordinati che hanno per mo­ tivo la positiva situazione attuale dei destinatari, meritevoli di elo­ gio26 per fede operante, amore impegnato e speranza perseverante (1,3), per aver accolto il vangelo a caro prezzo (2,13-14) e per la resi­ stenza opposta dalla loro fede (3,8) alla tentazione di satana (3,5) sotto il peso di sofferte afflizioni (3,3). Ma ancor più la ripetuta , di cui i mittenti danno notizia ai destinatari della lettera, insiste sull'iniziativa di grazia di Dio, che li ha scelti per amore (1,5). Scelta che sta all'origine della loro positiva situazione attuale, bene­ ficiari di un evento di grazia avvenuto in passato e che fa sentire tut­ tora i suoi benefici effetti. L'elezione divina si è infatti incarnata nel­ l'evento del vangelo dei mittenti (to euaggelion hemon) annunciato a Tessalonica non solo a parole (1 ,5) e accolto dai tessalonicesi con gioia in mezzo a grandi avversità (1 ,6). L'eucaristia diventa così narrativa: Paolo vi traccia la storia del­ l'evangelizzazione di Tessalonica in due riquadri, il primo durante la permanenza sua e dei collaboratori Silvano e Timoteo nella città (1,5-2,16), il secondo nella sua forzata lontananza (2,17-3,13).27 È una storia à double foce che vede in campo, da un Iato, il noi dei mit­ tenti e, dall'altro, il voi dei destinatari dello scritto.2B L'epistolarista passa da uno all'altro in un intreccio suggestivo. L'alternanza del noi dei missionari e del voi dei destinatari si svolge rapida in 1,5-10: noi abbiamo predicato il vangelo con la forza dello Spirito (v. 5); voi siete diventati nostri imitatori e del Signore avendo aderito con gioia

" Paolo supplica perché i tessalonicesi siano irreprensibili (amemptous e e padre nostro nella parusia del nostro signore Gesù• (3,13�. «nella parusia del nostro signore Gesù Cristo• (5,23). /au dDtio latina o l'egkom ion greco non mancano nella nostra lettera. a. WuELLNER, «The Argumentative Structure)) . 27 Gli aoristi, tipici del racconto e della storia. di fatto sono qui numerosissimi, più di 20. Lo stacco si ha in 3,8 con il verbo al presente: «Ora sì che viviamo, essendo voi saldi nel Signore• che si prolunga con la ripetizione del ringraziamento al v. 9. 28 Vi avevo richiamato l'attenzione nel commento del 1980 («Alla comunità di Tessalonica: Prima lettera•. 91-92) e in seguito nello studio citato dell985. Cf. ora an­ che VANHOYE, «La composition de l Thessaloniciens». Si noti più in generale che 84 volte ricorre in lTs hymeis e assai frequente, 14 volte, è anche a de/pho i in forma di in­ dirizzo. Per la frequenza di Mmeis vedi la nota successiva.

amemptos) «al cospetto di Dio

La

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e in modo esemplare alla parola di Dio (vv. 6-8) ; è risaputa la nostra venuta a Tessalonica (v. 9a), come nota è la vostra conversione (vv. 9b-10) In seguito lo sviluppo narrativo si fa più ampio: al centro di 2,1-12 sta il noi dei missionari con la loro venuta (eisodos) a Tessalo­ nica, che cede il passo al voi della comunità tessalonicese in 2,13-16; il soggetto della narrazione ritorna quindi ad essere in prima per­ sona plurale in 2,17-3,13.29 Nella prima vo/ée della suddetta narrazione ( 1,2-2,16 ) secondo elemento connettivo sono gli aoristi egenethemenlegenethete, verbo del divenire storico interessante mittenti e destinatari, protagonisti complementari dell'evento del vangelo, i primi con la loro iniziativa evangelizzatrice, i secondi con la loro positiva accoglienza: ( 1 ,5); > (2,5 ) ; «ci facemmo (egenethemen) piccoli in mezzo a voi>> (2.7); «in maniera santa. giusta e irreprensibile ci pre­ sentammo (egenethemen) a voi credenti>> (2,10) ; «E voi diventaste (egenethete) imitatori nostri e del Signore>> ( 1,6 ) ; «tanto ci eravate di­ ventati (egenethete) cari>> (2,8 ) ; «vi faceste (egenethete) imitatori delle chiese di Dio . . » (2,14).30 La predicazione evangelica è il centro oggettivo del vis-à-vis av­ venuto tra il noi dei missionari e il voi dei tessalonicesi: «il nostro vangelo» fu evento di grazia per voi che lo riceveste con gioia (1,6 ) ; Paolo e i suoi collaboratori ebbero dall'alto il coraggio di annunciare il vangelo dj Dio ai macedoni «tra molte lotte>> (2,2 ) ; Dio li ritenne degni perché fosse loro affidato il vangelo da proclamare tale e quale a Tessalonica (2,4) ; così grande fu il loro affetto per i tessalonicesi che avrebbero voluto dar loro non solo il vangelo ma anche la loro stessa vita (2,8) ; è lavorando notte e giorno che annunciarono il van.

.

" Si veda la formula himeis de, adetphoi (e noi, fratelli) di 2,17 che segna lo stacco con la sezione precedente e introduce la nuova. Si spiega cosl anche un'evi­ dente caratteristica formale della ITs: l'io di Paolo è attestato solo in 2,18 e 3,5 per ri­ marcare il suo personale tentativo di raggiungere Tessalonica che. frustrato, ha por­ tato all'invio di Timoteo, e in 5, 27 per sottolineare la sua autorità: «Per il Signore vi scongiuro che la lettera sia letta a tutti i fratelli». Di regola domina il noi. non un plu­ rale letterario per indicare la singola persona che scrive, ma un plurale che lo acco­ muna ai collaboratori Silvano e Timoteo. Questi dunque non sono soltanto co­ mittenti ma anche co-protagonisti della storia di grazia che li ha uniti ai credenti ma­ cedoni nell'evento del vangelo e anche al presente, ed è per questo che Paolo se li è associati nello scrivere. ,. Si vedano anche le forme perfettiva di 2,1: •non è stata (gegonen) vana la no­ stra venuta tra voi• e infinitiva di 1,7: -così da diventare (genesrha i) un modello per tutti...».

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gelo di Dio (2,9); i tessalonicesi ricevettero la parola di Dio come tale (2,13). Al di là dei protagonisti storici però, l'accento del narratore cade sulla partecipazione attiva di Dio, dello Spirito e di Cristo. Sulla bocca dei predicatori risuonò non una parola umana, bensì la parola stessa di Dio (2,13); quello che essi proclamarono a Tessalonica è il vangelo di Dio (2,2.8.9),31 vangelo annunciato con la potenza dello Spirito (l ,5), che condusse i tessalonicesi ad accoglierlo gioiosa­ mente pur in mezzo a molte tribolazioni ( 1.6). Dio ha infuso nei mis­ sionari, duramente provati a Filippi (2,2a), il coraggio di evangeliz­ zare anche Tessalonica affrontando molte lotte (2,2), e li ha ritenuti degni di questo compito (2,4). Per altro compete loro la qualifica di «apostoli di Cristo>>, cioè di suoi inviati (2,7). All'interno della sezione il brano 2,1-12 si caratterizza per il tono di particolare laudatio con cui i mittenti esaltano il loro comporta­ mento a Tessalonica, motivo anticipato però in 1,5: «Lo sapete in che modo ci presentammo (hoioi egenethemen) in mezzo a voi». Il frequente e caratteristico accostamento antitetico di negazioni e af­ fermazioni lo qualifica dal punto di vista formale nei vv. 1-8. La ve­ nuta dei missionari a Tessalonica non fu vana,32 anzi, benché insul­ tati e maltrattati a Filippi, ebbero da Dio l'ardire di annunciare il vangelo anche a Tessalonica in clima di grande lotta (2,1-2). La loro > e beneficiari dell'elezione divina (ekloge) (1,4). A questo serve la narrazione, rievocativa nella prima parte (1 ,2-2,16)57 e «notificativa>> nella seconda (2,17-3,13) in cui Paolo ragguaglia gli interlocutori su che cosa hanno fatto lui e i suoi collaboratori (hemei.s: 2,17) per gli amati tessalonicesi (hymei.s: 2,8), al fine di aiutarli a superare la tentazione (3,5), non vacillare sotto il peso delle afflizioni (3,3), stare saldi nel Signore (3,8), e per colmare le lacune della loro fede (3,10). Le due parti poi del corpo della lettera, pur nella diversità del ge­ nere letterario, hanno in comune il richiamo all'iniziativa di grazia di Dio in Cristo e in questo trovano la loro profonda convergenza. Dio ha scelto i destinatari dello scritto e una n uova definizione vale per loro, (4,14). > (4,14). Più in generale gli eventi ultimi hanno al loro centro la parusia di Cristo (4,15), cioè la sua discesa gloriosa dai cieli (cf. an­ che 1 ,10) a risuscitare i morti e quindi «rapire>> vivi e risorti perché tutti s'incontrino festosamente con lui e siano sempre con lui nel suo regno (4,16-17). Con formula tipica dell'AT Paolo parla di «il giorno del Signore>> (5,2), formula ora cristologica. Parimenti vindice (ek­ dikos) finale dei malfattori è detto il Signore Gesù (4,6). Non meno chiara poi in 5,9-10 la mediazione di Gesù nel progetto salvifico di Dio: questi «non ci destinò all'ira, bensì al possesso della salvezza mediante il nostro Signore Gesù Cristo, che morì per noi affinché o ancora vivi o già morti viviamo con lui>>. Morte e risurrezione di Cri­ sto sono il fondamento della speranza cristiana: «Se crediamo che

66 RElJMAN�. art. cii., ha presentato corre 24 volte Usous 14, Christos 10,

,

32

la seguente statistica: in lTs il titolo kyrios ri­ •figlio di Dio» una sola volta.

Gesù mori e risorse, cosl anche Dio mediante Gesù riunirà i morti con lui>> (4,14). Di nuovo la risurrezione del figlio di Dio è collegata con la sua discesa dal cielo come liberatore finale (1,10).67 Non assente comunque, anche se non sottolineata, l'azione dello Spirito, che ha sostenuto con la sua potenza l'annuncio evangelico dei missionari a Tessalonica (1,5) e parimenti ha influito sulla sua ac­ coglienza gioiosa da parte dei credenti macedoni (1 ,6). Un influsso che accompagna l'esistenza della comunità con i doni della profezia, come emerge dal duplice connesso imperativo di 5,19-20: «Non spe­ gnete lo Spirito, non disprezzate le profezie». Lo stesso Spirito poi è il dono che Dio fa alla comunità (4,8). Si noti che Paolo non si occupa dell'universale progetto di grazia di Dio,68 come per es. in Rm, dove insisterà sul gesto divino di >: 5,3), con un futuro di rovina (5,3) o di condanna eterna ( 1,10; 5,9). Eb­ bene sono diventati gli eletti di Dio; hanno acquisito una nuova identità spirituale, non per i loro meriti, ma per intervento libero e gratuito di Dio." Se la gratuità dell'elezione in I Cor 1 ,26ss sarà spie­ gata facendo ricorso alla mancanza di eccellenza dei corinzi, privi per lo più di qualità umane e terrene, quali sapienza, intelligenza e nobiltà di natali, in lTs il riferimento sembra essere al fatto che si tratta di gentili. E allora la straordinarietà della loro elezione, che spinge i mittenti a ringraziare Dio, emerge dal confronto con il po­ polo d'Israele, popolo eletto secondo i passi di Rm citati sopra. In particolare un parallelo significativo s'impone con Rm 1 1 ,28 dove Io stretto legame tra elezione divina ed essere amati da Dio: >. Siamo così rimandati alla testimonianza dell'AT, in particolare del Dt con la sua caratteristica teologia dell'elezione divina del po­ polo d'Israele prescelto tra tutti i popoli.75 Si veda soprattutto Dt " Appare così implicita l'esclusione della legge. A ragione SùDING, •Der erste Thessalonicherbrief•, 200 parla di •fattuale ... negazione di una rilevanza soteriologica della legge•. " Cf. gli studi generali di G. ScHRENK, in GLNT VI, 400ss e di H. SEEBAss, in GLAT I, 1 198ss.

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7,7s: «Il Signore si è legato a voi e vi ha scelti (exelesato), non perché eravate più numerosi di tutti gli altri popoli - siete infatti il più pic­ colo di tutti i popoli -; ma è perché il Signore vi amava (to agapan) e voleva mantenere il giuramento fatto ai vostri padri, che il Signore vi ha fatto uscire con mano potente».76 Selezione, gratuità, espressione di amore: tre caratteristiche qui accentuate e presenti anche nel no­ stro passo, che esplicita la terza, indica la prima nel genitivo «ele­ zione di voi>> separante i credenti dalla popolazione tessalonicese, contiene implicitamente la seconda nel motivo dell'amore. Anche la qualifica di «amati da Dio» è presente come tale nel­ l'AT a definire il popolo scelto da Dio: (Dt 33,5; cf. anche v. 26); «Non temere, Giacobbe mio figlio e Israele l'a­ mato (ho egapemenos). che io ho scelto (exelexamen)» (Is 44,2).77 Al popolo eletto di JHWH corrisponde ora «la chiesa dei Tessa­ lonicesi>>.78 Concludere però attribuendo a Paolo la concezione di «nuovo popolo di Dio>>, di «nuovo Israele», sostitutivo del vecchio, non è esatto, perché egli riconosce l'elezione di Israele, elezione non revocata, come si è visto sopra in Rm 1 1 ,28. Il rapporto sarà specifi­ cato appunto in questa lettera. Ora ci basta rilevare la valenza so­ ciale e insieme storico-salvifica del motivo dell'elezione divina: la co­ munità cristiana locale di Tessalonica, non i singoli credenti, ha quale qualifica teologica determinante di essere il gruppo degli eletti di Dio e come tale essa è popolo di Dio di cui realizza tutta la pre­ gnanza di grazia e salvezza. In un quadro di elezione si colloca anche 5,9: «Dio non ci ha po­ sto (etheto) per la condanna, bensì per il possesso della salvezza me­ diante il nostro Signore Gesù Cristo>>. «L'apostolo Paolo usa rara­ mente il verbo tithemi e i suoi composti, ma quando lo fa se ne serve " Vedi ScHRENK: «Per la prima volta nel Deuteronomio si trova fonnulato com­ piutamente il concetto di elezione di Israele a popolo di Dio» (GLNT VI, 451). Cf. anche R. RENDTDRFF. •Die Erwahlung Israels als Thema der deuleronomischen Theologie», in Die Botschaft und die Boten (Fs H. W. Wo/ff), Neukirchen Vluyn 1981, 75-86. Paolo riferisce tale appellativo ai credenti di Roma (agapetois Theou: 1,7). Vedi anche 9.25. libera citazione di Os 2,23: «Chiamerò mio popolo quello che non lo è e amata (i'gapemenen) quella che non lo è». L'appellativo ritorna in 2Ts 2,13: ade/­ phoi i!gapi!menoi tou Kyriou; Col 3,12: ek/ektoi tou Theou hagioi kai i!gapemenoi; Gd n

l:

tois en Theo-i patri i!gapi!menois.

78 La prospeltiva, ripetiamo, è sociale e comunitaria: l'elezione riguarda il gruppo, non i singoli.

37

soprattutto per descrivere l'opera di Dio>>.79 Un passo analogo è sen­ z'altro Rm 4,17 che cita Gen 17,5: Dio , cioè, in senso traslato, lo ha scelto e insieme costituito padre universale.80 Se esprime per se stessa l'atto di Dio che > come autorità indiscussa per chia­ rire l'affermazione del v. 14. 101 Sono note poi in proposito le discus­ sioni tra gli studiosi: è una parola di Gesù di Nazaret, rinvenibile nella tradizione evangelica102 o negli agrapha di Gesù,103 oppure una parola del risorto rivelata a Paolo104 o, meglio, a profeti protocri­ stiani, presente nella tradizione e qui fatta propria dall'apostolo, come per lo più si ritiene? Inoltre, a parte l'introduzione del v. 15a, il contenuto di tale parola del Signore è ravvisabile in 15b-17a, oppure solo in 15b, con 16-17a come commento di Paolo, o ancora soltanto in 16-17a, mentre il v. 15b sarebbe una formulazione paolina? Infine la discussione si è concentrata sul tenore originario della parola del Signore e sulle variazioni introdotte dall'apostolo per adattarla allo scopo specifico della sua comunicazione epistolare."" Al di là delle scelte di critica storico-letteraria è possibile valu­ tare ciò che egli partecipa agli interlocutori non come opinione per­ sonale, bensì come parola di Cristo che fa testo. Il passo è caratteriz­ zato dal confronto tra «noi, i vivi (hoi z6ntes), i superstiti (hoi perilei­ pomenoi) fino alla venuta del Signore>> e «quelli assopiti nella morte (hoi koimethentes)». Con tutta probabilità tale distinzione dipende dall'apocalittica giudaica, testimoniata soprattutto in 4 Esdra, citato sopra, e adattata da Paolo non solo alla situazione ma anche alla fede cristiana:106 il giorno ultimo è quello della venuta (parousia) del lrateudlJmen» che assume i due verbi suddetti nel senso più comune di essere svegli ed

essere addormentati, intesi in senso spirit uale. 101 Si noli la particella gar che collega il v. 15 a quanto precede: gli sviluppi dei vv. 15-17 sono subordinati alla tesi del v. 14. 102 Si sono indicali di fallo diversi passi evangelici, sopratlutto MI 24,30 e Gv 6,39s. 10' Così J. JEREMIAS, Unbelumnte Jesuworter, Gutersloh 1963, 77ss. 104 E si cita in proposito lCor 15,51-52: «Ecco vi dico un mistero: Non tutti mor· remo, tutti però saremo trasformati in un istante, in un batter d'occhio, al suono del­ l'ultima tromba: suonerà infatti la tromba, e i morti saranno risuscitati incorruttibili e noi saremo trasformati». "" Cf. gli studi citati di LOHR, «l Thess 4, 15-17» e di ScHADE, Apokalyptische Christologie, 159. 106 Più in generale GuNDRY, �> (4,7), e campo dell'azione di­ vina invocata da Paolo nelle due suppliche conclusive della prima e della seconda parte del corpo epistolare. In 3,12-13 egli prega perché il Signore rinsaldi (sterizein) i cuori dei tessalonicesi così che risul­ tino irreprensibili (amemptous) nella santità (en hagiosyne·i) davanti a Dio nel giorno della parusia di Gesù e in 5,23-24 supplica il Dio della pace perché santifichi (hagiasai) totalmente i tessalonicesi così che essi siano custoditi (teresthai) irreprensibili (amemptos) alla ve­ nuta del Signore. . È una santità che in 4,3-8 appare oggettivamente specificata in senso sessuale, contrapposta explicitis verbis, come si è visto, a im­ moralità sessuale (porneia: v. 3), passione libidinosa (pathos epithy-

' " Cosi traduce nel suo commento Schlier (p. 75). 116 Il testo è assai discusso: il greco skeuos, dal senso proprio di strumento e vaso, ba qui di certo valenza traslata, ma il riferimento è a donna, o a corpo, oppure a mem· bro virile? Collegato con il verbo ktasthai (possedere) indica, sempre in ambito ses­ suale (cf. nel contesto immediato porneiD, pathos epithymills e akarharsia con cui la nostra formula è in stretta relazione), un rapporto eterosessuale nel primo caso, men­ tre negli altri due si riferisce a un più generale dominio dei propri istinti. BAUMERT, art. cit. invece intende l'espressione nel senso di scelta del partner matrimoniale. Cf. anche C. MAuRER, in GLNT XII, 442-448, che però mantiene il riferimento all'ambito sessuale del matrimonio, e CARRAS, art. cii., che difende il senso di corpo. 117 Altra lettura: non defraudare il fratello in materia commercia]e. BALTENS· WEILER, «Erwagungen• tenta di unire le due valenze congetturando che Paolo abbia di mira un problema concreto dei tessalonicesi: è lecito sposare una figlia erede, an· che se il matrimonio è proibito dai giudei? Ma come pensare presente in una comu­ nità di gentili una problematica giudaica? .

50

mias: 4,5), impurità (akatharsia: 4,7), mentre nelle due preghiere di 3,12-13 e 5,23-24 indica una generale e totale integrità di vita capace di superare positivamente la verifica del giudizio finale di Dio e della parusia di Cristo. 1 18 Più importanti comunque dal punto di vista teologico sono sen­ z'altro gli aspetti formali dell'esortazione paolina . 1 19 Questa assume i connotati di ammonimento (parakalein: 4,1.10; 5,14) e di preghiera (er6tan: 4,1; 5,12),120 ma anche di prescrizione (paraggelia: 4,2). La sua parola possiede però un'autorevolezza che gli deriva dal Si­ gnore: >, che caratterizza Gal e Rm, la teolo­ gia della chiesa come corpo di Cristo (cf. I Cor 12,27 e Rm 12,5), la comunione con Cristo morto e risorto, espressa con le originali espressioni , in KuD 9(1963), 235-258 d'indicare Cristo e l'appartenenza a lui come motivo teologico unitario non sembra riuscito. "' SEGALLA. •Struttura filologica•. però ha potuto attirare l'attenzione sulla pre­ senza di motivi ricorrenti, da lui indicati in quattro vocaboli di segno negativo (schi­ sma: 1 ,10; 1 1 .18; 12,25; airesis: 1 1,19; physioun: 4,6.18.19; 5,2; 8.1; 13,4; la radice porn: porni in 6,15.16; pornos in 5,9.10. 1 1 ; 6,9; porneia in 5,1; 6.13.18; 1,2; porneuein in 6.18; 10,8) e in cinque di segno positivo (agapé: 8.1; 7x nel c. 13; 14,1; apostolos: 4,9; 9,1.2.5; 1 2,28.29; 15,1.9; pneumarikos in 2,13.14.15; 3,1 ; 10,3.4; 12,1; 14.1.37; 1 5.44.46; charisma in 1,7; 7,7; 12,4.9.28.30.31; s6ma in senso antropologico in 6,12ss, in senso eucaristico in 10,16-17 e I l ,24.27.29, in relazione ai carismi 17x nel c. 12; corpo dei risorti IOx nel

75

formazioni, spesso richiamate, che introducono questa o quella peri­ cope o sezione. Ma i passaggi da sezione a sezione non sono mai così bruschi da dover ipotizzare l'ipotesi di accostamento artificiale di di­ verse lettere. Già sopra si è mostrato che 4,14-21 non costituisce una conclusione epistolare, bensì la chiusura solo dei cc. 1-4. La transi­ zione a 5,1 segnala che Paolo intende affrontare ora un altro pro­ blema e sulla base di un'altra informazione, avuta forse da Stefana, Fortunato e Acaico o anche da una voce diversa ancora." Il passag­ gio poi a 6,1-11, introdotto ex abrupto, trae ragione dal motivo del giudizio, che aveva chiuso la pericope precedente (5,12-13): infor­ mato con probabilità dallo stesso canale, Paolo abbina la trattazione dei due casi sulla base di questo motivo comune. Ma anche 6,12-20, incentrato nel tema dell'immoralità sessuale (porneia: vv. 13.18; porne: vv. 15.16; porneuein: v. 18) e privo di qualsiasi riferimento alla fonte d'informazione, è introdotto da uno slogan dei corinzi: «Tutto mi è lecito».52 Questo riappare in 10,23 a introdurre la trattazione ca­ suistica sulla consumazione degli idolotiti di 10,23-11,1: slogan dop­ piato con probabilità da quello di 6,13 e che abbina immoralità e consumo delle carni immolate agli dèi pagani. Senza dire del legame manifesto con il c. 7, come mostra 7,2: . Si può dunque congetturare che 6,12-20 faccia riferi­ mento alla fonte scritta d'informazione, cui risalgono il c. 7 e la se­ zione dei cc . 8-10, e che l'apostolo ne collochi qui la trattazione per il legame tematico con S,lss. Senza dire che i cataloghi dei vizi di 5,10; 5,1 1 e di 6,9-10, che iniziano tutti e tre con il tema dell'immora­ lità sessuale (pomoslpornoi), introducono bene 6,12-20. In 5-6 è presente dunque uno schema concentrico (A: S, l ss; B: 6.1 - 1 1 ; A': 6,12-20), ma si può anche rilevare che i cc. 5-10 formano un blocco tematico, incentrato nella libertà d'azione (exousia) in campo ses­ suale e riguardo agli idolotiti, programmaticamente sbandierata in 6,12 e 10,23. c. 15). Invece non ci persuade la sua proposta complessiva della struttura di l Cor: a 1,1-9 = prologo Il b 1,10-17 = introduzione Il c 1.1&-4.21 = il kerygma della croce contro la sapienza umana Il d 5.1 -7.40 = la porneia condannata // c' 8,1-14,40 = l'a­ gapi che edifica Il b' 15,1-58 = il kerygma della morte·risurrezione Il a' 16,1-24 = conclusione. " Se fossero stati •quelli di Cloe• non si spiegherebbe l'indeterminato akouetai (si sente dire). " W. DEMING, «The Unity of l Corinthians 5.6», in JBL 1 1 5( 1 996). 289·3 1 2 vi vede un'unità rigorosa in tutti e tre i brani: in 5.1-13 abbiamo il caso dell'incentuoso, che è stato citato in tribunale da una parte della comunità (cf. 6,1-11), caso singolo trattato di nuovo in 6,12·20 in modo generalizzante.

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La formula «quanto poi a» (peri de) che dice riferimento alla let­ tera dei corinzi introduce 7,1-24 e 7,25-39 e altrettanto vale della se­ zione 8-10, dove riscontriamo un altro slogan dei corinzi: (8,1 ). I due brani del c. I l sono collegati dal motivo formale della lode: ( 1 1 ,2), ( 1 1,17). Il secondo poi dice riferimento a una notizia orale (akouo), data con probabilità da Stefana, Fortunato e Acaico. I n comune hanno il qua­ dro delle assemblee comunitarie, che abbraccia per altro anche la se­ zione dei cc. 12-14. Questi però costituiscono un'unità a parte intro­ dotta dalla formula «Quanto poi ai fenomeni spirituali>> (12,1), per cui al blocco dei cc. 5-10 corrisponde quello dei cc. 1 1-14. Comun­ que 1 1 ,2 presuppone in Paolo una notizia positiva arrivata da Co­ rinto: la comunità si ricorda di lui e osserva le tradizioni da lui tra­ smesse. Si può congetturare come fonte d'informazione la lettera dei corinzi, che in questo modo hanno inteso rassicurare l'apostolo sulla loro fedeltà. Questi ne prende atto, cogliendo però l'occasione per ammonirli a proposito del riprovevole comportamento delle profe­ tesse e dei ricchi nelle assemblee comunitarie, di cui è venuto a co­ noscenza dai suoi informatori orali. Il c. 15 forma l'ultima sezione del corpus epistolare, introdotta da una stereotipa formula epistolare di notificazione: «Vi rendo poi noto, fratelli>>. Sullo sfondo comunque c'è la negazione espressa della risurrezione dei morti da parte di alcuni corinzi (v. 12). È pro­ babile che Paolo ne sia venuto a conoscenza ancora per via orale, mediante Stefana, Fortunato e Acaico. Egli però si rivolge alla co­ munità, non ai negatori della risurrezione, ciò che spiega l'incipit: prima di entrare in argomento le richiama il vangelo nei termini es­ senziali con cui l'ha proclamato a Corinto per consolidarne l'ade­ sione di fede di fronte alla minaccia dei negatori.

77

COMUNICAZIONE TEOLOGICA: V ARIE PROSPETIIVE Bib/. J. BECKER, Paulus. Der Apostel der Vo/ker, Tiibingen 1 992, 198-229; J.C. BEKER, Pau/ The Apost/e. The Triumph ofGod in Life and Thought, Edinburgh 1980; H.D. BETz, •Das Problem des Grundlagen der paulinischen Ethik», in ZTK 85( 1 988), 199-218; T. ENGBERG-PCDERSEN, «Proclaming the Lord's Death: 1 Corinthians I l :17-34 and the Forrn of Paul's theological Argument». in SBL. Seminar Papers 1991, 592617; G.D. FEE, «Toward a Theology of i Corinthians», in SBL, Seminar Papers 1989, 265-28 1 ; V.P. FURNISH, «Theology in ICorinthians: lnitial Soundings», ibid. 246-264; lo., «Belonging to Christ: A Paradigm (or Etics in First Corinthians•, in /nterpreration 44(1990). 158-168: D.M. HAv, Pauline Theo/ogy. Il: / &2CorinthitJns, Minneapolis 1993, 35-132; H. HùBNER, Bihlische Theologie, Il: Die Theo/ogie des Pau/us und ihre neutestamentliche Wirkungsgeschichte, Gtittingen 1993, 1 1 2-208; H. SCHLIER, •Il tema centrale della prima Epistola ai Corinzi•. in l/ tempo della Chiesa, Il Mulino, Bologna 1966, 236-254; Io., «Kerygma e sophia», ibid. 330-372.

l.

UNA CONTRO-TEOLOGIA?

È necessario precisare subito: l'apostolo ha forse contrapposto il suo pensiero teologico a una presunta teologia della comunità corin­ zia, spesso affermata? Purtroppo non abbiamo, di regola, notizie di­ rette: è vero, i corinzi hanno scritto all'apostolo (7 ,l), ma poco o nulla sappiamo dei contenuti della loro lettera. Ce ne ha parlato lui nella sua lettera, ma senza dilungarsi sulle esplicite prese di posi­ zione. Certo, in 15,12 ci dice che alcuni credenti a Corinto negavano la risurrezione dei morti; 6,12 e 10,23 riportano con tutta probabilità uno slogan dei corinzi: . Si aggiunga anche quello di 6,13: > di Corinto, contraddistinti però quali carisma­ tici, non gnostici; sono dunque gli stessi con cui Paolo si confronta sia in 1-4 sia in 1 2-14. Ma nella prima sezione di 1Cor la sophia e il /ogos di cui vi si parla non sono di natura carismatica, bensl di marca retorico-culturale. Essendo lo gnosticismo un fenomeno non anteriore al sec. 11,64 diversi autori si sono mantenuti sulla scia di Ltitgert, usando tuttavia per la teologia corinzia formule attenuate: gnosi in statu nascendi, pregnosi, protognosi, stadio primitivo della gnosi, una specie di gnosi, pneumatici gnosticizzanti, tendenza gnosticizzante.65 Sono formule proposte come chiave di lettura della propensione dei co­ rinzi per la sophia (cc. 1-4), del loro slogan che tutto è permesso (6,12 e 10,23), applicato al campo sessuale e a quello degli idolotiti, con l'altra faccia della medaglia, cioè l'astinenza dai rapporti sessuali anche all'interno del matrimonio (c. 7). Ma in questo modo si con­ gettura l'esistenza di un fenomeno abbastanza nebuloso che, come tale, non può spiegare la posizione degli interlocutori di Paolo. Non sono poi mancati coloro che hanno ipotizzato una forma particolare di entusiasmo, vissuto in prospettiva escatologica. In altri termini, si pensa che Paolo si sia confrontato con una posizione di escatologia realizzata: i corinzi erano persuasi di essere ormai degli arrivati, persuasione documentata, si ritiene, in 4,8: «Già siete sazi, già siete diventati ricchi; senza di noi siete giunti a regnare, e volesse il cielo che foste giunti a regnare, perché anche noi potessimo re-

63 BAlJMANN,

Mine und Norm des Christlichen. " Vedi in proposito le precisazioni a cui è giunto il Colloquio di Messina del 1966; cf. la pubblicazione degli Atti a cura di U. BIANCHI, Le origini dello Gnosticismo, Leiden 1967. E su Corinto vedi gli studi di R. Ma.. WILSON, «How Gnostic were the Corinthians?», in NTS 19(1972s), 65-74; lo., «Gnosis at Corinlh», in Pau/ and Pauli­ nism (Fs. C.K. Barrett), London 1982, 102-1 1 4 e ultimamente M. SEVRIN, «La gnose à Corinthe. Queslions de méthode et observalions sur l Cor 1,17-3,3», in BIERINGER (a cura di), The Corinthian Correspondence, 121-139. 65 Così per es. Barrett e Conzelmann nei loro commenti, e MeL. WILSON, «How Gnostic».

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gnare insieme con voi!». Vi ha insistito ultimamente Thiselton,66 che ha letto 1 Cor in questa chiave, ma già H.F. von Soden nel 193167 aveva affermato che i credenti di Corinto, affetti da entusiasmo spi­ ritualistico, si ritenevano ormai risuscitati, anticipando cosi gli eretici menzionati in 2Tm 2,18 che affermeranno: «La risurrezione si è già compiuta» (tén anastasin édè gegonenai).68 Ma 4,8 non riflette la po­ sizione degli interlocutori, bensì di Paolo che ironicamente mette alla berlina chi si vanta di essere sapiente (sophos), dunque una per­ sona umanamente realizzata, un perfetto (teleios). E dello stesso tipo è la comprensione dello slogan di 6,12 e 10,23: «Tutto mi è per­ mesSO>> (panta moi exestin), motivo di stampo stoico-cinico. In ogni modo, di certo, nel c. 15 Paolo non argomenta a favore del carattere futuro della risurrezione, negato, si afferma, dagli > che a nostro avviso è la propositio della sezione. In 1,18-25 l'euaggelizesthai (annunciare il vangelo) paolino di 1 ,17 è ripreso dalle formule chiave dei vv. paralleli 18, 21 e 23: (ho logos ho tou staurou); «mediante I'insensatezza del­ l'annuncio>> (dia tes morias tou kerygmatos); «noi invece procla­ miamo Cristo crocifisso>> (hemeis de keryssomen Christon estauro­ menon). Certo, l'unità letteraria ha al centro la sapienza, ma Paolo ne tratta in riferimento alla sua predicazione, che non ha nulla a che fare con la sapienza dei sapienti (v. 19) o del mondo (v. 20), anzi viene ritenuta un'insensatezza (vv. 18.21 .23) , eppure è espressione della sapienza di Dio (v. 24) . Nella pericope 1 ,26-31 il tema è quello della vocazione divina dei credenti di Corinto, contraddistinta dallo stesso agire paradossale di Dio, insensato per il mondo ma sapiente per lui e per i credenti. Benché sia un brano in «noi>>, dice riferimento alla parola evangeliz­ zatrice di Paolo. Infatti il ripetuto aoristo «ha scelto>> dei vv. 27-28, che specifica in senso attivo il sostantivo «chiamata>> del v. 26, indica la venuta alla fede causata dall'annuncio insensato della croce di

73 Eloquente il rilievo statistico: il sostantivo sapienza (sophia) ricorre in 1 ,19.20.21(2x).22.24.30; 2,1 .4.5.6(2x).7.13, mentre l'aggettivo sapiente (sophos) è atte­ stato in 1.19.20.25.26.27; si vedano però anche gli equivalenti intelligenza e intelli­ gente (synesis e syneto�) in 1,19.

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Cristo.74 L'io di chi scrive ritorna formalmente in primo piano in 2,1-5 che tratta sempre della sua predicazione («annunciandolkatag gellon>>: v. l; : v. 4). Egli ha bandito dal suo dire «sovrabbondanza di parola o di sapienza» e non ha fatto ricorso > (4,1), del cui operato giu­ dice è solo il Signore nel giorno ultimo; infine imparino da Paolo e Apollo a non gonfiarsi di orgoglio a favore dell'uno e contro l'altro. Resta da chiarire l'oggetto dell'apologia paolina. Un vasto fronte di studiosi indica nelle categorie (sophia) e (lo­ gos), sovente strettamente connesse, il campo del contendere tra Paolo e i suoi interlocutori. Ma tale consenso viene meno se si va al di là dei termini per coglierne significati e riferimenti."' Ci sembra però che alcune espressioni, sparse lungo la sezione, attestino l'esi­ stenza nella chiesa di Corinto di una fascinatio eloquentiae: (en sophia-i logou: 1 ,17b); «con eccellenza di pa­ rola>> (kath 'hyperochen logou: 2,1 ); > e della comu­ nità cristiana. Non reagisce a negazioni dirette di dati essenziali della fede cristiana e in questo lCor si distanzia da Gal. Non per nulla il proemio della lettera è un ringraziamento a Dio per la ricchezza ca­ rismatica della chiesa di Corinto (l ,4-9) dipendente dal fatto che «la testimonianza di Cristo si è consolidata» tra i credenti (1,6). Nel loro entusiasmo per la sapienza di eloquio questi sono vittime di un ma­ linteso e spetta al padre (4,15) illuminarli, esortarli, ammonirli, con­ quistarli all'insegnamento delle sue «vie» (4,17). Una posizione non teorica, perché investiva la stessa persona di Paolo, chiamato a di­ fendersi come autentico evangelista di Cristo crocifisso e, nello stesso tempo, a difendere > (1,17); (1,30); (2,5). È opportuno chiarire l'antitesi. Paolo l'usa come ambivalente predicato della parola della croce e dello stesso crocifisso, sapienti per gli uni e insensati per gli altri, ma anche quale proprietà di due grandezze contrapposte, il mondo (o gli uomini oppure giudei e greci) e Dio. Inoltre essa si abbina a una seconda antitesi, potenza/ debolezza (dynamWastheneia). e in un caso con una variante di que­ sta, segni di potenza/scandalo provocato dalla debolezza (semeial skandalon). Abbiamo dunque tre tipi di formule antitetiche. Nel primo l'antitesi è annidata nel predicato nominale: la parola della croce è insensatezza per gli uni, potenza di Dio per gli altri (v. 18); Cristo crocifisso è scandalo e insensatezza per gli uomini, potenza di Dio e sapienza di Dio per i chiamati (vv. 23-24). Nel secondo tipo la contrapposizione dipende dal possessore indicato con il genitivo: sa" L'espressione è molto forte: non ha dichiarato insensata la sapienza mondana, ma l'ha tramutata in insensatezza. Il suo è un giudizio di condanna capace di cam­ biarne i connotati essenziali trasformandola nel suo contrario. Il riferimento è a un 'i· niziativa «:Storica)), come appare dalla forma aoristica del verbo. In concreto. è nell'e­ vento della croce. attualizzalO nella parola della croce, che si è compiuta tale con­ danna. Non si pensi però a un processo automatico: in realtà è di fronte alla croce - e alla parola della croce come luogo di «apocalisse• di Dio che la sapienza mondana, rifiutandola, diventa insensatezza. Il giudizio divino è giudizio sul fallimento della sa­ pienza del mondo. come dirà subito il v. 21. "' I vv. 22-24 sono paralleli al v. 21: l'agire di Dio che ha scartato la via deUa sa­ pienza per scegliere quella dell'insensatezza del kerygma della croce, è imitato da Paolo che alla richiesta di giudei e greci protesi a segni di potenza e manifestazioni di sapienza, risponde con il proclama controcorrente di Cristo crocefisso. Il v. 25 ripete la giustificazione teologica della scelta di Paolo. -

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pienza del mondo, dei sapienti l sapienza di Dio (1,19-21; 2,5; cf. 3,19). E qui il contrasto è tale che l'insensatezza e la debolezza hanno quale predicato la sapienza e la potenza; è il terzo tipo antite­ tico: l'insensatezza di Dio è più sapiente degli uomini; la debolezza di Dio è più forte degli uomini (1,25). Il contrasto radicale è tra Dio e il mondo,93 le vie del primo e i di­ segni del secondo, come si era espresso il profeta del libro di Is 55,9. È un contrasto tra valutazioni e modi di agire, mentre centro focale dell'antitesi è l'evento della croce di Cristo e la relativa predica­ zione, l'uno e l'altra signum contradiccionis. E Paolo vi ricorre per giustificarsi: il suo modus operandi di evangelizzatore è lp stesso mo­ dus operandi di Dio.94 Si noti poi come egli trovi nelle sacre Scritture conferma a tale paradossale iniziativa salvifica di Dio incarnata nel vangelo di Cristo crocifisso. Di fatto tutte le citazioni bibliche della sezione (1,19; 1 ,31; 2,9; 2,16; 3,19; 3,20) sono distribuite nei brani riguardanti le molte­ plici antitesi della sezione: sapienzalinsensatezza, sapienza umana l sapienza divina. La citazione di 1,19 serve a provare l'affermazione di 1,18 che, a sua volta, spiega la propositio bipolare «sapienza di pa­ rola l croce di CristO>> di 1 ,17b. La citazione di 1 ,31 è a sostegno della tesi connessa dell'esclusione di ogni vanto (kauchesis) umano da­ vanti a Dio (v. 29) e dell'affermazione dell'iniziativa divina di grazia in Cristo (v. 30). Le citazioni di 2,9 e 2,16 reggono il brano 2,1-16 mo­ tivando rispettivamente il carattere misterioso (en mysterio-i) e na­ scosto (apokekrymmenen) della sapienza divina (v. 6) e la possibilità di accedervi soltanto mediante lo Spirito o «il pensiero di Cristo>>. Esempio di combinazione di più testi, le citazioni di 3,19b e 20 giusti­ ficano l'affermazione di 3,19a: «la sapienza di questo mondo è insen­ satezza presso Dio>> che riprende l'antitesi di 1 ,17b-18 e chiude l'in­ tera elaborazione teologica di Paolo in proposito. Abbiamo dunque 93 Lo ha evidenziato con forza L. ScHarrROFF, Der G/Qubende und die feindliche We/t. Beobachtungen zum gnostischen DUJJiismus und seiner BedeutrUJg fiir Paulus und das Johannesevangelium, Neukirchen 1970, 170-227, che vi scorge un rapporto stretto con il dualismo gnostico. Nel mio commento del 1980 avevo scritto: •In con­ creto, su un versante è attestato Dio con il suo progetto salvifico mediato dalla croce di Cristo. simbolo di stoltezza assurda e di debolezza fino all'impotenza; su quello op­ posto, il mondo come fronte del ririuto che misconosce il Creatore e si affenna orgo­ gliosamente quale gestore autosufficiente del proprio destino. Attorno a questi due poli contrapposti. di fatto, le persone si aggregano, le une con l'accellazione della fede, le altre con l'appropriaziooe della logica "mondana" dell'autoaffermazione tita­ nico delle proprie risorse di pensiero e di energia vitale» (p. 254). " Cf. LrrnN, St Paul's Theol'?gy of Procwmation, 193-201.

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un'inclusione con citazione biblica ai due estremi (1,19 e 3,19 e 20). Come si vede, «le citazioni bibliche possiedono un importante ruolo argomentativo; non sono riducibili cioè a puro elemento decorativo, ma qualificano a tal punto il corso del pensiero paolino da giustifi­ carne la definizione di "teologia biblica". A scanso di equivoci, però, è necessario precisare subito: le citazioni bibliche non offrono i nu­ clei centrali della teologia paolina, presi dalla fede cristiana o dal vangelo, come dice Paolo stesso (cf. per es. Gal 1,1 1-12; 2,14; Rm 1,1.16; 1Cor 15,1), ma sono strumenti importanti della sua riflessione teologica». 95 Paolo non parla della croce in generale, bensì dell'evento della crocifissione di Cristo. Quale uomo finito sul patibolo della croce, Gesù fu annoverato tra la feccia umana e i maledetti da Dio. La cro­ cifissione96 infatti era presso i romani pena capitale riservata agli schiavi. Di qui le sue qualifiche di servi/e supplicium (Tacito, Hist. 4,1 1 ), servitutis extremum summumque supplicium (Cicerone, Con­ tra Verrem 2,5.169), infamis stipes (Anthologia Latina 415), crudelis­ simum taeterrimunque supplicium (Cicerone, Contra Verrem 2,5,165). E Tacito la definisce la morte più infame: mors turpissima crucis (Hist. 4,3,119). Non solo la croce in sé, ma la parola stessa evo­ cava quanto di più spaventoso e orribile esiste al mondo, come atte­ sta Cicerone, interprete dell'unanime sentire umano: nomen ipsum crucis absit non modo a corpore civium Romanorum, sed etiam a co­ gitatione, oculis, auribus (Pro Rabirio 5,16). Il significato del testo paolino di 1,18 diventa così chiaro: la parola > né «dei capi di questo mondo>>,102 ma la sapienza di Dio, misteriosa e nascosta nell'eterno suo consiglio di progettatore di un piano di glorificazione eterna dei credenti (vv. 6-7). Nessuno dei capi di questo mondo l'ha conosciuta (v. 8), ma è stata rivelata da Dio a , cioè a Paolo e soci, mediante lo Spirito ispirante a loro dato (vv. 9-12); ed essi ne parlano con parole inse­ gnate non da sapienza umana, ma dallo Spirito (v. 13); sapienza inac­ cessibile all'uomo psichico, accessibile solo allo spirituale (vv. 1415), a noi che (v. 16). Che si tratti della sapiente azione divina incentrata in Cristo crocifisso appare anche dal fatto che nel v. 8 ricorre, sia pure in un'annotazione a mar­ gine, il tema della sua crocifissione, segno dell'ignoranza della sa­ pienza divina nei capi di questo mondo. Si noti la presenza dello schema apocalittico nel presentarla: realtà nascosta e disvelata, come mostrano le tre qualifiche (en mystéri6-i l tén apo­ kekrymmenén l hén pro6risen ho theos) e il verbo (ape­ kalypsen). È riservata a quanti sono , vale a dire maturi, o spirituali, cioè animati dall'azione dello Spirito ispiratore,10' resta in100 La fede è menzionata esplicitamente in 1,21: •piacque a Dio di salvare i cre­ denti (tolls pisteuontas) mediante l"insensatezza del kerygma•. "'' l vocaboli di annuncio (e11aggelizesthai: 1 .17: ho logos ho tou staurou: 1 ,18; ki­ rygma e ki!ryssein: 1 ,21.23; katagge/lein: 2,1; ho logos kai to ki!rygma: 2,4) sono sosti­ tuiti dal lessico della parola ispirata, il verbo lalein: 2,6.7.13; 3,1 che nasce da una co­ noscenza (gignoskein: 2,8.14; oida: 2,12) per rivelazione (apokalyptein: 2,10), consiste in /o�oi didakroi pneumatos (2, 1 3) ed esprime precise valutazioni (anakrinein: 2,15). 02 CL la ricerca di PEsCE, Paolo e gli arconti. '"' Si noti come lo Spirito invada tutto il processo della conoscenza e della comu­ nicazione della sapienza, processo interamente pneumatico; infatti qualifica l'oggetto da comunicare (pneumarika), i soggetti comunicanti (hoi pneumatikoi) e le relative parole espressive (/ogoi didaktoi pneumatos). Non è lo Spirito però donalo a tuili i credenti nel battesimo, ma una donazione specifica agli (> (v. 7). Resta comunque importante il compito peculiare di Paolo, piantare, espressivo, sullo sfondo vt e qumranico dell'immagine, dell'atto fon­ dativo della comunità escatologica. Distinti i compiti dei tre >. L'a­ zione del costruttore Paolo dunque ha coinciso con > da lui portata a Corinto (1,18), con l'annuncio di Cristo crocifisso ( 1 .23). L'insegnamento di una sapienza umana che rischia di sostituirvisi di fatto, mina per questo le basi della comunità cri­ stiana. Dopo aver accentuato la responsabilità dei sovracostruttori, che dovranno rispondere al giudice finale della loro azione (vv. 12-15), Paolo nei vv . 16-17 presenta la terza immagine, del tempio. Anzi­ tutto se ne serve per definire l'identità dei suoi interlocutori: «Non sapete che siete tempio di Dio e che lo spirito di Dio abita in voi?>> "' Nelle intestazioni delle grandi lettere rivendica con forza la sua apostolicità: «per vocazione apostolo di Cristo Gesù secondo il volere di Dio» (!Cor 1,1 e 2 Cor 1,1); «apostolo non per iniziativa di uomini e neppure per mediazione di alcuo uomo, bensì per opera di Gesù Cristo e di Dio Padre, che lo ha risuscitato dal regno dei morti• (Gal l , l ); «apostolo per vocazione, selezionato per annunciare il vangelo di Dio» (Rm 1.1 ) . Ma non è uno dei tanti apostoli. In Rm 1 1,13 si qualifica «apostolo dei gentilh) (ethnOn apostolos) e in Gal 2,7 ottiene questo riconoscimento dalle «CO­ lonne>>. Giacomo, Cefa e Giovanni: •visto che mi era stato affidalo il vangelo per gli incirconcisi, come a Pietro quello per i circoncisi». "' Che l'affermazione paolina abbia valore esclusivo emerge dalla suddetta im­ possibilità di porre un altro fondamento.

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(v. 16).134 Come si vede, la dimensione teologica si abbina a quella pneumatologica.135 Ma, premesso tale dato teologico noto ai suoi corrispondenti, conclude il brano con toni minacciosi: «Se uno di­ strugge il tempio di Dio, Dio distruggerà costui, perché è il tempio di Dio sacro, quel tempio che proprio voi siete». La minaccia riguarda di nuovo i predicatori del vangelo successori di Paolo a Corinto:'36 se con il loro insegnamento deviante dall'annuncio «fondamentale>> del crocifisso finiscono per rovinarla, come pena del contrappasso subi­ ranno la condanna eterna. Destino tremendo, ma adeguato alla colpa: trattandosi di un attentato alla santità della chiesa si sono macchiati di una vera e propria profanazione. Si veda la qualifica del tempio come «santo» (hagios), espressivo di santità intoccabile, di sacertà in senso proprio. La chiesa è grandezza appartenente a Dio e santificata dallo Spirito Santo; chi la rovina scatena la reazione del suo divino «abitante».137 .138 Tutto si tiene nella prima sezione di l Cor: a una teologia e cristo­ logia della parola della croce corrisponde l'immagine della chiesa come communitas verbi crucis, creata appunto da Dio. e dunque sua, sul fondamento di Cristo mediante l'intervento diaconale di Paolo e di altri «servitori>> proclamatori del vangelo del crocifisso. Le imma­ gini agricola, edilizia e templare con cui è descritta poi, per la loro

"' Il passo paolino rappresenta il punto di arrivo di una lunga storia: base di par· tenza è il tempio storico di Gerusalemme; nel giudaismo risuona la promessa divina di un nuovo tempio, di un tempio escatologico (cf. Enoc etiopico 90,29; 9 1, 1 3 : Giub 1 ,17); a Qumran si assume in senso traslato la realtà del tempio promesso, afferman· done in pari tempo il compimento: la comunità essen a è il tempio escatologico di Dio. Cf. 1 QS 8,5-8: «Questo è il muro provato, la pietra d'angolo inestimabile! Non vacille· ranno le sue fonda me nta né saranno mosse dal loro posto. È un 'abit azione del santo dei santi•. L ' immagine è stata continuata dagli scritti cristiani postpaolini (cf. Ef 2,21; l Pt 2,5; 4.17 con la formula oikos tou 1heou). "' L'abitazione dello Spirito ricorre anche in Rm 8,9.11, con riferimento però ai singoli credenti e con i due verbi oikein/abilare e enoikein/inabitare. 136 Lettura contestata da CHEVALLIER, ari. cii. , 125, dal commento di FEE 139 e dalla monografia citata di KucK 188 che vi leggono una minaccia contro i credenti, re­ sponsabili con le loro divisioni di distruggere la comunità. Ma il periodo ipotetico del v. 16 (ei !!;! phlheirei) riprende quelli dei vv. 12 e 14-15 (ei !!;! epoikodomei; ei linos 10 agon ... ho epoikodomésen); inoltre l'azione riguarda il medesimo oggetto: la comu­ nità cristiana di Corinto. là definita oikodome o anche ergon e qui naos tou theou. 137 E. Ki\sEMANN, > (lalein) della sapienza misteriosa di Dio - sono semplici servitori dell'azione di Dio e di Cristo a cui dovranno ri­ sponderne, non «sofisti>> elargitori di parole suggestive e piene di saggezza umana. D'altra parte, Dio e Cristo, veri artefici della chiesa, hanno avuto bisogno di loro per dar vita alla chiesa corinzia. Last but not least la croce contrassegna non solo la parola dei ser­ vitori di Dio e di Cristo, ma anche la loro persona. Già in 2,1-5 Paolo l'aveva sottolineato per sé, ora l'estende al , fermo re­ stando in primo piano il suo io, carico di valore esemplare per tutti gli apostoli. Con efficacia retorica, che non disdegna toni ironici, contrappone gli apostoli, in pratica sé, ai boriosi suoi critici di Co­ rinto: una contrapposizione che riprende in sostanza le antitesi sud­ dette di sapienza/insensatezza, potenza/debolezza. L'ironia di Paolo sfrutta dapprima il motivo cinico-stoico del sapiente ritenuto per­ sona superiore che ha raggiunto l'ideale della perfezione umana:139 (4,8). Quindi vi contrappone il degli apostoli, espressivo comunque in primis di se stesso: .144 1987. 389-406; W. ScHRAGE, «Leid, Kreuz und Eschaton. Die Peristasenkataloge als Merkmale paulinischer theologia crucis und Eschalologie», in EvT/r 34(1974), 141-

175. 141 Ecce spectaculum dignum ad quod respici.at intentus operi suo deus, ecce par deo dignum, vir fortis cum fortufUJ ma/a compositus, utique si et provocavi!. Non video, inquam, quid habeat in terris Juppiterpulchrius, quam ut speciet Catonem iam partibus non seme/ fractis stantem, nihilo minus inter ruinas publicas rectum (De providentiD 2,9). Ed Ernnm invocava: «Mostratemi, voglio vedere, per gli dèi. uno stoico ... Fa· temi questo ravore. Non rifiutate a un uomo vecchio la vista di uno spettacolo (idein rheama), che finora non ho mai vislo• (2.19.25); il cinico «si gloriava delle sue prove (1ais perisrasesi) e pretendeva di darsi in spettacolo ai passanti (rheama einai torr pa­ riorrton)» (3,22.59). '" BARBAGLIO, «Alla comunità di Corinto: prima leuera•, 298s. "' CL J.S. Vos, •Der metaschematismos in !Kor4,6», in ZNW86(1995). 1 54-172.

'"' Versello particolarmente difficile. la cui problematica non possiamo qui presentare e discutere. Vedi in proposito D. R. HALL, «A disguise [or the wise: metasche· matismos in tCorinthians 4.6>>, in NTS 40(1994), 143-149; M.D. HooKER, «"Beyond

1 15

3.

LA CHIESA COMUNITÀ «SEPARATA»

(5,1-6,1 1)

Bib/. CLARKE, Secular an d Christian Leadership in Corinth, 59-88; A.Y. CoLLJNS, �The Funklion of "Excommunication" in Paul•, in HThR 73(1980), 251 -263; M. DEL· coR, «l..es tribunau• de I"Eglise de Corinthe et les tribunaux de Qumran•, in

Studio­ ntm Pau/inorwn Congressu.s lnternationalis Catholicus 1961. Rome 1963, 535-548; W. DEMING. «The Unity of l Corinthians 5.6», in JBL 1 1 5(1996). 289-312; J.D.M. DER· RETI. •Judgement and ICorintbians 6•, in NTS 37( 1991), 22-36; E. DINKLER, •Zum Problem der Ethik bei Paulus. Rechtsnahme und Rechtsverzicht (l Kor 6,1-11)», in Signum Crucis, Tubingen 1967. 204-240; G. FoRKMAN, The Limits of the Religious Community. Expulsion [rom the religious Comm1mity within the Qumran Sect, within Rabbinic Judaism, and within Primitive Christianity, Lund 1 972; R.H. FULLER, •First Corinthians 6:1-1 1 . An Exegetical Paper•, in Ex auditu 2(1986), 96- 104: F. HAHN,

«Taufe und Rechtfenigung. Ein Beitrag zur paulinischen Theologie in ihrer Vor- und Nachgeschichte», in Rechtfertigung (Fs E. Kiisemann). Tiibingen-Gottingen 1 976, 95124; G. HARRIS. •The Beginnings of Church Discipline: ICorinthians 5». in NTS 37( 1991), 1-21; LA. Lr.v1s, «The Law Couns in Corinth: An Experiment in the Power of Baptism», in Chrisr and His Communities (Fs S. H. Fuller). Cincinnati 1 990. 88-98; S. MFtJRER. Das Rechr im Dienst der Versohnung und des Friedens. Srudie lUr Frage des Rechts nach dem Neuen Tesramenr, Ziirich 1 972, 1 1 7- 1 32: 1 4 1 - 156: A.C. MncHEI.I .. «Rich an d Poor in thc Couns of Corinth: Litigiousness and Status in l Corinthians 6,1 - l ln. in NTS 39(1993). 562-586; J. MuRPHv-O'CoNNOR, «ICorinthians V. 3-5», in RB 84(1977). 239-245: P. RICHAROSON, •Judgement in Sexual Mattcrs in I Corinthians 6:1·1 1 », in NT 25(1983), 37-58: C.J. ROTZEL, Judgement in the Communiry. A study of the Relationship between Eschatology and Ecclesiology in Pau/, Leiden 1972, 1 1 5-136; RoSNER. Pau/, Scripture and Ethiks: B.S. RosNER, «Moses Appointing Judges. An An­ tecedent to I Cor 6,1-6?•. in ZNW 82(199 1 ), 275-278; Io .. •Tempie and Holiness in l Corinthians 5•. in TyndBu/1 42(1991), 1 37-145: lo., •"Ouchi mal/cm epenthesate". Corporale Responsibility in ICorinthians 5», in NTS 38(1992). 470-473: ScHN EI .LE, Gerechtigkeit und Christusgegenwart, 39-44; A. STEIN, •Wo trugen die korinthischen Christen ihre Rechtshandel aus?», in ZNW 59(1 968). 86-90: B. W. WINTER, «Civil Liti­ gation in secular Corinth and the Church. The forensic Background to lCorinthians 6.1-8», in NTS 37(1991), 559-572: P.S. ZAAS, •Cast Out the Evil Man From Your Midst ( lCor 5 : 1 3b)•, in JBL 103(1984), 259-261.

Nella sezione dei cc. 5-6 è opportuno trattare a parte e ad mo­ dum unius le due pericopi parallele 5,1-13 e 6,1 - 1 1 , che tradiscono un chiaro orientamento ecclesiologico: alcuni comportamenti pratici dei corinzi mettono a repentaglio l'essere della chiesa, la sua identità acquisita per grazia. Essa è comunità di santi e di giusti, separata dunque dal mondo dell'immoralità sessuale (porneia)145 e dell'ingiuthe Things that are Written": An Examination of l Cor 4:6», in NTS 10(1 963s), 127132; A. LEGAULT, «"Beyond the Things wich Are Written"» (lCor 4,6)», in NTS 18(1971s), 227-23 1 ; MARSHALL, Enmity in Corinth, 194-218 (l'idea di hybris in !Cor

!

4,6 · 1 3 . 14· Il sostantivo ricorre testato in 5,9.10. 1 1 .

1 16

in 5,1, mentre l'aggettivo sostantivato pornoslpornoi è at­

stizia (adikia)/46 ma anche aggregazione di fratellit47 capaci di com­ porre pacificamente all'interno gli inevitabili contrasti d'interessi e impegnati a subire ingiustizia piuttosto che a compierla. La separa­ tezza della chiesa dal mondo non è però solo esistenziale, ma anche di carattere amministrativo e istituzionale: il fratello debosciato deve essere espulso a salvaguardia del corpo ecclesiale ed è da escludere il ricorso a un tribunale civile cittadino. Nessuna ghettizzazione però della chiesa cristiana, che non è al di fuori del mondo né material­ mente separata dalla società. Si aggiunga la prospettiva escatologica: la chiesa è comunità di santi e di giusti cui compete la partecipazione attiva n�l giudizio fi­ nale del mondo. È un dato noto agli interlocutori che Paolo richiama qui (5,12-13 e 6,2-3) per giustificare il richiesto e imposto giudizio di scomunica contro l'incestuoso e l'appello alla comunità corinzia per­ ché eserciti l'arbitrato tra le parti in causa.t•• Non solo: come comu­ nità esigitivamente santa e giusta ha quale traguardo ultimo l'eredità divina nel regno (6,9). Da questo duplice punto di vista è comunità escatologica, contrassegnata dalla realtà finale. Ciò spiega che in 5,1-13, unità letteraria e tematicat•• incentrata in un caso di grave immoralità sessuale (); inoltre non sa­ rebbe stato possibile trattarla in sede privata o intracomunitaria. C'è infine da sup­ porre che l'iniziativa giudiziaria sia stata provocata da un torto ricevuto. La ricostru­ zione di Clarke secondo il quale si tratterebbe di cristiani di alto rango impegnati a di­ fendere il loro buon nome da citazioni in tribunale appare puramente congetturale. Anche MtTCHELL, «Rich and Poon>, ritiene che abbiamo qui un aspetto dei rapporti prohlcmatici tra ricchi e poveri all'interno della comunità: un ricco aveva intentato causa a un rratello povero presso il tribunale cittadino. Infine DEMING, «The Unity or l Corinthians 5.6» pensa che 6,1-11 riprenda il caso dell'incentuoso, citato in tribunale da una pane della chiesa corinzia. '"' Ancor minore attenzione Paolo dedica a chi colpevolmente ha provocato la reazione; lo menziona solo al v. 8 e non come singolo, bensì in un plurale generico: clnvece siete voi che commettete ingiustizia e defraudate, e questo a danno di fra­ telli!».

120

puro da comportamenti gravemente peccaminosi (vv. 7-10), spazio aperto per grazia dall'azione di Cristo e dello Spirito (v. 1 1 ). Sul piano stilistico il brano si caratterizza per una serie d'interro­ gativi retorici tipici della diatriba stoico-cinica, di cui solo il primo ri­ guarda l'operato del fratello rivoltosi al tribunale civile cittadino: «Uno di voi ha l'ardire di appellarsi al tribunale degli ingiusti anziché dei santi?» (v. l ) ; (v. 2a); > gli interlocutori di Paolo sono chiamati «fratelli>>. Di conseguenza le loro vertenze devono essere composte fraternamente, cioè con l'arbitrato di una persona saggia della comunità, non ricorrendo al tribunale, che implica dipendenza da un giudice non-credente (vv. 5-6). Particolarmente gravi sono poi l'ingiustizia e la frode, soprattutto se consumate a danno di fratelli (v. 8). La chiesa dunque è anche aggregazione all'insegna della fra­ ternità che ne vincola i membri. L'ingiustizia - peraltro abbinata nel catalogo dei vv. 9-10 ad altri vizi capitali, tra cui hanno rilievo quelli sessuali e tra questi l'omosessualità1 61 - e anche solo l'appellarsi a un tribunale della città intaccano questa sua identità. Una sola volta ricorre il «noi» di tutti i credenti, al v. 3: «Non sa­ pete che giudicheremo gli angeli?>>: un'interrogativa retorica paral­ lela a quella del v. 2: «O non sapete che i santi giudicheranno il mondo?». L'apostolo sottolinea così una credenza d'ispirazione apo­ calittica ed evidenzia che la partecipazione attiva al giudizio finale è -propria di tutti i credenti, della chiesa in generale. 4.

ANTROPOLOGIA E PROSPETIIVE TEOLOGICHE

(6,12-20) Bibl. K .E. BAILEY. •Paul's Theological Foundation for Human Sexuality: l Cor. 6: 9-20 in Light of Rhetorical Criticism•, in ThRev 3(1980), 27-4 1 : R. BATEY, •The Mia

Paolo vi esprime la sua teologia della giustificazione ( = liberazione e permanente li­ benà dal Peccato), oppure fa propria una tradizione protocristiana, attestata in Rm 3,25, che intendeva la giustificazione come ano di remissione dei peccati? È preferi­ bile questa seconda ipotesi dalo il contesto. È inconteslabile invece l'accentuazione .dell'iniziativa divina di grazia già nel passivo teologico dei verbi, ma anche nelle for­ mule parallele finali: •mediante il nome del Signore Gesù Cristo e per mezzo dello Spirito del nostro Dio». '" Cf. P. voN DER OsTEN-SACKEN, •Paulinische Evangelium und Homosexuali­ tat», in Berliner theologische Zeitschrift 2(1986), 28-49; W.L. PETERSEN, «Can A rseno­ koitai be Translaled by "Homosexuals"? (lCor 6:9; l Tim. l :\0)». in VigChr40(1986),

122

Saa Union of Christ and the Church•, in NTS 13(1966/67), 270-281; K.A. BAuER,

Leiblichkeit. Das Ende al/er Werke Gottes. Die Bedeutung der Leiblichkeit des Men· schen bei Paulus, Giitersloh 1971, 72-82; G. BoF, •Il sòma quale principio della sessua­ lità>>, in BibOr 19(lm). 69-76; B. BvRNE, ·Sinning against Ones Own Body: Paul's Understanding of the Sexual Relationship in I Corinthians 6:18», in CBQ 45(1983), 608-616; G. DAUTZENBERG. «Pheugete ten porneian ( l Kor 6,18): Eine Fallstudie zur paulinischen Sexualethik in ihrem Verhaltnis zur Sexualethik des FrUhjudentums•, in

Neues Testament und Ethik (Fs R. Schnackenburg), Freiburg 1989, 27-298; W. DE­ l Corinthians 5.6», in JBL 1 15(1996), 289-312; B. N. FtsK, «Por­ neuein as Body Violation: The Unique Nature of Sexual Sin in l Corinthians 6.111», in NTS 42(1996), 540-558; E. GOrrGEMANNS, Der /eidende Aposte/ und sein Herr, Neu­ kirchen-Vluyn 1966, 226-240; R.H. GuNDRY, Soma in Biblica/ Theology, Cambridge 1976, 51 -80; E. KASEMANN, •l Kor 6,12-20•, in Exegetische Versuche und Besinnungen, Giittingen 1965, I, 276-279; KtRCHHOFF, Die SUnde gegen den eigenen· Leib; J.l. MtL­ LER, •A Fresh Look at I Corinthians 6.16s•. in NTS 27(198 1 ) , 125-127; J. MuRPHY­ O'CoNNOR, «Slogans = Corinthian Slogans in ! Cor 6:1 2-20•, in CBQ 40(1978), 391396; S.E. PoRTER, •How Should kollòmenos in I Cor 6,16.17 Be Translated?», in ETL 67(1991), 105-106; ScHMITHALS, Die Gnosis in Korinth, 194-201; J.A. ZtESLER, •Sòma in thc Septuagint», in NT 25(1983), 133-145. MINO, «The Unity or

Paolo sviluppa qui una precisa antropologia somatica che fa da tela su cui ricama la propria teologia, e questa, a sua volta, costitui­ sce la motivazione della critica al comportamento libertario di alcuni corinzi: l'uomo è corpo, essere essenzialmente comunicativo e incar­ nato, '"2 identità intaccata da rapporti sessuali cosistici e da apparte­ nenze alternative a quella esclusiva del credente con Cristo, lo Spi­ rito di Dio e Dio stesso. Infatti se l'unità 6,1 2-20 appare incentrata nel motivo dell'immoralità sessuale, la ricca attestazione della cate­ goria di corpo (vv. 13.15.16.18bis.l9.20) ci dice che l'ambito pro­ fondo della comunicazione tra l'apostolo e la sua comunità verte sulla somaticità della persona umana. Egli l'intende come struttura essenziale dell'uomo, entrando però in contrasto con i suoi interlo­ cutori che. da spiritualisti,'6' dovevano ridurla ad elemento materiale c accessorio. In questione erano di fatto i rapporti sessuali di credenti maschi di Corinto con prostitute o etère della città.',. L'esortazione a fug1 H7-191; R. ScRooos, The New Testament and Homosexuality, Philadelphia 1983, 101109; G. STRECKER, «Paulus und Homosexualitat in biblischer Sicht», in KuD 28(1 982), 1 27-141; D.F. WRtGHT, «Homosexuals or Prostitutes? The Meaning or arsenokoitai l I Cor 6:9; l Tim.I :IO)», in VigChr 38(1984), 125-1 53. 162

Cf. gli studi citati di Bauer, Bof, Gundry, Kasemann, Ziesler. '" Vedi l'opera di SELLI N, Der Streit um die Auferstehung der Toten, 54-63. L'opi­ nione di Schmithals che fossero gnostici non è accettabile. DEMING, «The Unity of l Corinthians 5.6» contesta che qui e in 5,1-13 ci siano tracce di libertinismo sessuale: il nostro brano riprende su scala allargata il caso dell'incesluoso. 164 Vedi porneia/immoralità sessuale nei vv. 13.18; pornetprostituta nei vv. 15.16;

123

gire l'immoralità del v. 18 inoltre sembra riferirsi non ad eventualità future, bensì a fatti concreti, come appare da 7,2 che si richiama al nostro brano: «a motivo delle immoralità sessuali (dia tas porneias)». Ma tale comportamento licenzioso doveva essere oggetto d'inter­ pretazione ideologica di segno giustificatorio e non semplice effetto della licenziosità pagana,165 se all'inizio del brano Paolo discute della validità dello slogan dei libertari di Corinto «tutto mi è permesso>>,166 recitato due volte e sempre contrastato da aforismi opposti: l -90; G. GJAVINI,

«< Cor.7: nuove ricerche. Matrimoni misti e privilegio paolino•. in

SC 108(1 980), 255-263; P.A. GRAMAGLIA, «Le fonti del linguaggio paolino in !Cor 7,35 e 7,1», in Augustinianum 28(1988), 461 -502; J.M. GUNDRY-VOLF. «Controlling tbe

Bodies: A Theological Profile of the Corinthians Sexual Ascetics ( l Cor 7)», in BIERIN· (a cura di), The CorinthiDn Correspondence, 519-541; HIERZENBERGER, Welr-

OER

173 L'altro argomento è espresso al v. 18b: il peccato della pomeia, a differenza >, in NTS 36(1990), 161-181; A. ScROOGs, «Pau! and the Eschatological Wo­ men•, in JAAR 40(1972), 283-)03. Sull'ascetismo di un gruppo di credenti di Corinto vedi GuNDRY· VoLF, «Controlling the Bodies>>, che non ammette che fossero dei pro· tognostici. "' ToMsoN, «Paul's Jewish Background in View of His Law Teaching in 1Cor 7», per �uesto ritiene che sia una halaka di tipo giudaico. ' Di regola non comanda (cf. però v. 17), ma offre il suo parere (gn6mé) (vv. 25.40), fa conoscere la sua convinzione personale (nomizo: v. 26), fa una concessione (syggnomé: v. 6); il suo è un dire (lego: vv. 8.12.35), anche una parola disvelatrice 177

.

»

»

(phémi:

v.

29).

129

situazioni dei soggetti, una soluzione di riseiVa, sposarsi e avere espe­ rienze sessuali (vv. 1-7.8-9.26-28.36-38.39b-40a). E qui Paolo è mosso, per un verso. dalla sua preferenza personale per la scelta celibataria, che comunque richiede il relativo carisma (v. 7), e, per l'altro, dall'esi­ genza primaria di evitare immoralità sessuali (vv. 2.8.36-37). La sua preferenza personale però s'inquadra in un duplice oriz­ zonte, escatologico e cristologico. Il primo appare con grande evi­ denza nei vv. 26-28: «a causa della presente distretta (dia ten enesto­ san anagken)». Egli consiglia il celibato, ma ammette la liceità mo­ rale dello sposarsi, rilevando che gli sposati dovranno però pagare un severo pedaggio: . L'apocalit­ tica, protesa verso la catastrofe finale da cui nasceranno terra nuova e cieli nuovi, valutava il presente come tempo di distretta (anagke) e tribolazione (thlipsis). 1 81J Paolo vi si mostra debitore. La tribolazione specifica di chi si sposa - le difficoltà alle prese con i problemi della condizione matrimoniale - è parte della «presente distretta>> che in­ veste tutto e tutti e suggerisce di essere liberi da vincoli gravosi e ani­ mati totalmente dalla tensione spirituale per il giorno ultimo. La motivazione cristologica appare invece al v. 35: «Dico questo per il vostro vantaggio (to symphoron): non per gettaiVi al collo un laccio, bensì perché viviate in modo decoroso e seiViate il Signore senza distrazioni (aperispastos)». Esso conclude la pericope 32-35, retta dalla proposi/io di carattere esortativo di 32a: «lo voglio che voi siate senza ansia (amerimnous)», indirizzata a tutti i credenti, sposati e non.101 Nella chiesa greca non doveva regnare tranquillità di spirito se si era scritto all'apostolo esponendogli interrogativi non

,., I due vocaboli sono tipici del mondo delle raffigurazioni apocalittiche. Sof 1,15 definisce il giorno di JHWH giudice «giorno di tribolazione e di distretta (hemera thlipseos kai anagkes)•. Ab 3,16 predice il giorno della tribolazione (h;mera thli· pseos). Più ampia la descrizione in Dn 12,1: •quel giorno di tribolazione (ekeine he he· mera thlipseos), quale non si ebbe, da quando (le nazioni) furono fatte. fino a quel giorno». Nel NT si veda il discorso apocalittico dei sinottici: «Saranno quei giorni tri­ bolazione (thlipsis), quale non ci fu dall'inizio della creazione [ . ] fino a oggi e non ci sarà• (Mc 13,19-20; il passo parallelo di Mt 24.21 parla di «grande tribola1jone•, così pure Ap 2.23 e 7,14; cf. anche Mc 1 3,24 e Mt 24,29): Le 21,23: •Ci sarà infatti una grande distretta (anagk; megale) sulla terra•. Paolo dice che la tribolazione è il prezzo della sua missione (cf. per es. 2Cor 1 ,4.5; 6,4), 1a condizione dei credenti (cf. 1Ts 1 ,6 e 3,4: verbo corrispondente thlibomai), il terreno in cui germinano costanza e attiva speranza (cf. Rm 5.3). Cf. P. IovtNo, Chiesa e tribolazione. l/ tema della thlipsis nelle lettere di s. Paolo, Palermo 1985. '"' Il voi del nostro versetto riprende il vocativo •o fratelli• del v. 29, manifesta­ mente riferito a tuili i credenti di Corinto. ..

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retorici che tenevano in ansia sposati e celibi sul modo migliore di «piacere>> al Signore. Ne fanno fede le sue ripetute assicurazioni che comunque gli interroganti scegliendo il matrimonio e la sua inerente esperienza sessuale non peccherebbero (vv. 28.36), anzi si comporte­ rebbero bene (cf. v. 38). Paolo dunque esorta alla serenità e a questo scopo chiarisce le situazioni di sposati e non sposati: . Un secondo criterio di primaria importanza seguito da Paolo è l'appello alla vocazione divina, che è chiamata a credere185 e, nello stesso tempo, a vivere questo o quello stato di vita consono alla sog­ gettività dei chiamati, gli uni abilitati dal carisma del celibato e gli al­ tri, che ne sono privi, impegnati a rifuggire dall'immoralità, speri­ mentando nel matrimonio rapporti sessuali non alternativi all'u­ nione con Cristo (vv. 17-24}. La condizione mondana del credente non costituisce un dato fisso e immutabile assunto come luogo della nuova esperienza; la vocazione divina tocca, insieme, la persona e il suo posto nella società. La parola dell'apostolo che consiglia a questi il celibato e a quello il matrimonio non fa che evidenziare una diret­ trice divina intrinseca nella chiamata alla fede. '"" La scelta dello stato celibatario dipende dalla iniziativa di Dio elargitore del rispet­ tivo carisma; parimenti il matrimonio s'impone a chi non ha ricevuto il dono dell'astinenza sessuale e costituisce per lui il luogo mondano divinamente indicato del suo vivere da cristiano. Nelle due esemplificazioni del principio Paolo evidenzia la so­ stanziale indifferenza degli stati di vita sociale, circoncisione/prepu"' Euparedron è un apaxlegomenon nel NT e nei LXX. Probabilmente deriva dal verbo paredreuein che ricorre in ICor 9.1 3 a significare il servizio cultuale. Per questo si è preferito conservare all'aggettivo sostantivato del nostro passo il riferi­ mento al servizio, mentre di solito vi si legge il motivo dell'assiduità. Cf. in proposito l'accurata indagine di GRAMAGLIA, •Le fonti del linguaggio paolina•. "' Questo il senso del sostantivo klesis che appare una sola volta al v. 20 e del verbo conispondente kalein che ricorre ben otto volte, senza contare il v. 15. Ab­ biamo però un uso assai singolare: invece di precisare a che cosa Dio chiama (cf. ICor 1 ,9), si indica una modalità del vivere e si esona a perrnanervi: •come (lo) ha chia­ mato Dio, così ciascuno si componi• (v. l 7); •ciascuno in ciò in cui è stato chiamato (a vivere). in questo permanga» (v. 24). La formula del v. 20 poi sostituisce all'avverbio di paragone e al pronome relativo il sostantivo «Chiamata»: >), evidenzia anzi­ tutto un effetto indotto, di cui i boriosi di Corinto davano ampia di­ mostrazione: , una comunità, un'associazione (v. 17); non si tratta però di semplice convivialità né di una qualsiasi associa­ zione, perché i credenti partecipano in realtà del e del . Lo scopo della pagina è pratico, un'esortazione moti­ vata dalla pregnanza della cena del Signore nei suoi versanti parteci­ pazionistico (condivisione della morte salvifica di Cristo) e associa­ zionistico (creazione del corpo ecclesiale o della sociecas di quanti rendono culto al Signore). Propriamente l'apostolo fa riferimento alla prassi eucaristica, prassi densa di significato, per mostrarne l'in­ conciliabilità di principio con i banchetti religiosi pagani. Per questo il dei forti di Corinto rischia di diventare contraddittorio.

6.3. Il passo parallelo di Rm 14,1-15, 13 Bibl. J.C. BRuNT, •Rejected. ignored, or misunderstood?•. in NTS 31 (1985), 1 15120; J.M. CAMBIER, «La liberté chrétienne est el personelle et communautaire (Rm 14,1-15,13)•, in DE LoRENZO (a cura di), Freedom and Love, 57-126; J. DuPONT, «Ap­ pcl aux faibles et aux forts dans la communauté romaine (Rm 14, 1 - 15,13)•, in Studio­ rum paulinorum congressus internationalis catholicus 1961, Roma 1963, l, 357-366.

Di fronte a un problema analogo nella chiesa di Roma - asti­ nenza dalla carne (14,2.6) e dal vino (14,21) e osservanza religiosa di determinati giorni (14,5.6) con frattura tra hai adynatoi (i non-forti) e hoi dynatoi (i forti) (15,1 )234 - l'apostolo reagisce in maniera simile 231 Cf. N. WAL'ffiR, •Christusglaube und heidnische Religiositat in paulinischen Gemeinden•, in NTS 25(1979), 422-442 (425-436). m GoocH, Dangerous Food, invece attribuisce a Paolo una concezione un po' magica della carne immolata agli idoli, almeno nel c. IO: la cena dei demoni infena, dice, quelli che vi partecipano, come la cena del Signore immunizza i credenti contro la morte (p. 59). Ma non riesco a leggere questo nel testo paolina. "' Lo mostra l'interrogativo retorico del v. 1 6. 234 L'astinenza dei deboli era causata, pare, da una visione dualistica del mondo, che distingueva tra realtà immonde e contaminanti da cui stare alla larga e realtà monde il cui contatto non incide in senso spirituale e salvifico sulla persona (14,14).

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ma anche con particolarità specifiche. Si nota comunque in Rm l'as­ senza di due aspetti che definivano i forti di Corinto, la gnosis (cono­ scenza) e l'exousia/eleutheria (potere e libertà d'azione). A Roma il problema era di carattere ascetico/morale, a Corinto invece riguar­ dava una questione propriamente religiosa di timbro sincretistico. Si deve rilevare, anzitutto, che Paolo qui sposa, dal punto di vista teorico, la posizione dei forti: «So e sono persuaso nel Signore Gesù che nulla è per se stesso immondo (ouden koinon)» (14,14); «In realtà tutto è puro (panta men kathara)>> (14,20) e in 15,1 giunge ad accomunarvisi: >.252 La partecipazione sacramentale non è affare di singoli individui che si uniscono direttamente e separatamente a Cristo, ma comune assun­ zione dello stesso pane e dello stesso calice (cf. 10,14-22), sacra­ mento, parimenti, della morte di Cristo risorto e della solidarietà di gruppo. In una parola, la cena del Signore è inscindibile da una co­ munità solidale nel mangiare e bere. La formula >. Vi si è letto spesso256 una presa di posizione polemica contro i corinzi ritenuti dimentichi, dal punto di vista teologico e pratico. del venerdì santo a esclusivo bene­ ficio di un'esperienza cristiana incentrata nel fulgore del mattino di pasqua. Ma appare più fedele al testo paolino leggervi l'accento sulla morte del Signore come esperienza di oblatività e di efficace amore,257 contestativa della prassi conviviale dei corinzi. Se questi fanno vergognare i fratelli poveri, Gesù invece ha dato se stesso nella morte per loro. È la stessa prospettiva di 8,1 1 , solo che ora il contrasto appare anche più evidente, perché la stessa cena del Si­ gnore, memoria e proclama del suo gesto di oblatività, che i bene­ stanti di Corinto pretendono di mangiare, ne contraddice il compor­ lamento di convitati di una cena privata escludente i fratelli poveri. E si capisce anche il rimprovero del v. 22: «O volete disprezzare la chiesa di Dio?>>. Un'assemblea di Dio riunita a fare la memoria pro­ clamatrice della morte oblativa di Gesù è vilipesa nel suo autentico essere, se e quando quest'ultima è disattesa o addirittura contrad­ detta nei fatti dai partecipanti alla cena eucaristica. Il sintagma non sembra limitarsi a rilevare crono­ logicamente il punto ad quem delle celebrazioni eucaristiche; esprime piuttosto una certa tensione alla venuta finale di Cristo, in"' Cf. gli studi citati di KAsEMANN, •Anliegen und Eigenart•, 24 e BoRNKAMM• .. HerTenmahl». 166ss. m Cf. la formula hyper hymlJn del v. 24 e il verbo paredideto del v. 23.

159

vocata dai partecipanti come è attestato in 16,22: Maranatha. La cena del Signore si colloca dunque sul più vasto arco di tempo ca­ pace di abbracciarne le tre dimensioni: il passato della consegna di Gesù alla morte nella notte del tradimento (v. 23), il presente della partecipazione alla morte di Cristo in fonna conviviale e il futuro sperato della sua venuta finale a salvezza e risurrezione dei credenti (cf. lTs 1 , 10; 4,16; Fil 3,20-21). La critica al comportamento dei ricchi della chiesa di Corinto si abbina nella terza parte del brano (vv. 27-32) alla minaccia del giudi­ zio che incombe su quanti celebrano la cena del Signore «in maniera indegna>> (anaxi6s). Alla colpa segue la pena. La colpa, evidenziata nella prima parte, indicata al v. 27 con la categoria generale dell'in­ degnità, è riassunta al v. 29 nella formula , espressiva di mancanza di retta valutazione della morte di Cristo, misconoscimento, nei fatti, delle sue valenze di oblatività e di salvezza.25" La pena è la condanna (krima: v. 29), il giudizio di con­ danna (katakrinesthai: v. 32), di cui le malattie presenti sono castighi ammonitori (paideuesthai: v. 3 1).259 Dunque i partecipanti indegni non compiono gesti semplicemente vuoti; l'alternativa alla parteci­ pazione salvante alla morte di Cristo in forma conviviale è l'incontro con la sua presenza di giudice che chiede conto ed emette sentenza di condanna.

8.

SPIRITO, CARISMI, CORPO DI CRISTO

(cc. 12-1 4) Bibl. N. BAUMERT, •Cbarisma und Amt bei Paulus••. in VANHOYE (a cura di), L 'Apotre Pau/. 203-228; J. BEHM, •Glossa», in GLNT Il, 543-564; G. BoRNKAMM. •Zum VersUindnis des Gottesdienstes bei Paulus». in Das Ende des Gesetus. Paulus· studien, Milnchen 1966. 113- 1 32; lo., •Giaube und Vemunft bei Paulus», in Studien lU Antike und Urchristentum, Milnchen 1963, 1 19-137; BROCKHAUS, Charisma und Amt; T. CALLAN, •Prophecy and Ecstasy in Greco-Roman Religion and 1 Corinthians», in NT27(1985), 125-140; M.A. CHEVALLIER, Esprit de Dieu, Paro/es d'homme. Le role de

"" Richiama le formule •il corpo del Signore» del v. 27 e •il mio corpo che è dato per voi» del v. 24. Ad avvalorare il significato cristologico del vocabolo vedi Rm 7,4 dove to sOma tou Christm1 signiflca Cristo stesso messo a morte a salvifica liberazione dalla legge. Altre leuure: l) senza discernere il pane eucaristico identificato con il corpo di Cristo dal pane profano; 2) senza valutare bene la chiesa, corpo di Cristo. '" Qui Paolo si dimostra uomo religioso del suo tempo che condivide l'evidenza religioso-culturale dello stretto legame tra colpa e pena, pena comminata da Dio e consistente in mali fisici.

1 60

l'esprit dans /es ministères de la parole selon /'ap6tre Pau/, NeucMtel l966, 139-213; H. CoNZELMANN, •Charisma•. in GLNT XV. 606-616; B. CoRSANI, •Profezia in Paolo. Valutazione. autocomprensione ed esercizio)�. in R. PENNA (a cura di), Il profetismo da Gesù di Nazaret al montanismo, EDB. Bologna 1993, 67-83; E. CoTHÉNET, «Pro­ phétisme IV», in DBS 8, 1287-1303: J.D.G. DuNN, Jesus and the Spirit, London 1 975, 197-300: DAUTZENBERG, Urchristliche Prophetie; DuPONT, Gnosis, 105- 148; 149-263; DE LoRENZI (a cura di). Charisma und Agape; E.E. ELLIS, «Spiritual Gifs in the Pau­ line Community», in NTS 20(1 974), 128-144; G. FRIEDRICH, «Prophétes•, in GLNT XI, 567-652: H. GREEVEN, •Propheten, Lehrer. Vorsteher bei Paulus•, in ZNW 44(1953), 1-43; W.A. GRUDEM, The Gift of Prophecy in /CorinthiiJns. Washington 1982; E. KAsEMANN, , brama che Paolo subito corregge: . Distinti in 14,1 dalla profezia, nel v. 5, che con questo forma un'evidente in­ clusione, vengono identificati con la glossolalia: «Ora vorrei che tutti voi parlaste in modo glossolalico, ma di più che profetaste». I corinzi dunque anelavano a possedere ed esibire la glossola­ lia,261 il fenomeno spirituale più grande e più importante ai loro oc­ chi, se Paolo in 14,5b vi contrappone, dal punto di vista dell'impor­ tanza, la profezia, importanza da lui valutata secondo il criterio del­ l'edificazione della comunità. A Corinto invece la grandezza delle manifestazioni dello Spirito era misurata con altro metro, facilmente individuabile. La glossolalia, rileva Paolo. pone il beneficiario di fronte al suo Dio a tu per tu (14,2) ed è costruttiva solo per lui (14,4), non per gli altri (14,6.17); l'intelletto stesso del glossolalo, inattivo. risulta improduttivo (akarpos), mentre operante appare soltanto il soffio divino (pneuma) (14,14-19) che, non mediato dall'intelligenza umana, si rende patente presentando il beneficiario come un posse­ duto da Dio262 e appartenente al mondo angelico (cf. 13,1). Si trat­ tava di un'esperienza esaltante, > vuole chiarire la pre-

"" Con riferimento alla retorica classica Standaen ha ben detto che prima di ve­ nire aDa quaestio finilll Paolo si inoltra e si dilunga sulla quaestio infinilll.

163

senza operante dello Spirito nella vita dei credenti. Quelle sono un aspetto complementare, non essenziale della vita cristiana, e lo Spi­ rito non agisce solo nell'ambito delle manifestazioni carismatiche. Trattando dei fenomeni ispirati dallo Spirito, sarà pur necessario precisare il più vasto e importante campo del suo agire, tanto più che i corinzi erano unilateralmente attenti a uno Spirito capace di rapirli in estasi o in rrance. A monte delle manifestazioni spirituali c'è l'e­ sperienza cristiana di base, esperienza di fede in Cristo propiziata dallo Spirito e contrapposta al passato idolatrico dei corinzi (v. 2). Fondamentale è il v. 3: «nessuno che parla per mezzo dello Spi­ rito di Dio dice "Gesù è anatema!" e nessuno è in grado di dire "Gesù è Signore" se non mediante lo Spirito SantO>>. Due dichiara­ zioni in forma negativa, ma la seconda con duplice negativa equivale a un'affermazione: soltanto sotto l'influsso dello Spirito si può dire: «Gesù è il Signore>>. L'accostamento di negazione e affermazione, o di possibilità esclusa e concessa, serve a circoscrivere il campo dell'a­ gire ispirativo dello Spirito. L'intento dell'autore è di connettere Spirito e riconoscimento del Signore e, nello stesso tempo, di esclu­ dere Io Spirito dal rifiuto della signoria di Gesù espresso nell'ana­ thema. In altre parole, dove lo Spirito è all'opera non si maledice Gesù. bensì se ne confessa la signoria e, viceversa, dove si proclama la signoria di Gesù, non può mancare l'influsso dello Spirito. Il legame tra lo Spirito e il Signore è presentato non in chiave og­ gettiva, tra due realtà viste in se stesse, bensì in rapporto alla sogget­ tività parlante delle persone: vi si tratta di un parlare e dire sotto l'in­ flusso dello Spirito. Dire anathema Jesous non può essere suggerito dallo Spirito; dire Kyrios Jesous avviene solo per suggerimento dello Spirito. Questi si relaziona a quello relazionando il credente a Cri­ sto. Si tratta dunque di un rapporto dinamico, creativo di rapporti di fede confessante nella signoria di Gesù e incarnato nella soggettività dei credenti.265 '" È Paolo che introduce la formula aMthema lesous al fine di escluderla, otte­ nendo così un effetto retorico d'insistenza a favore della tesi che nello Spirito si può solo dire �> (12,13 cf. anche 10,17 e Rm 12,4), «un solo corpo in CristO>> (hen soma en Chisco-i: Rm 12,5), «corpo di Cristo>> (soma Chriscou: 12,27), non ha riscontri né neli'AT né nel giudaismo tardivo. Mostra invece una significativa analogia con il mondo greco, che ricorreva alla metafora del corpo in versione politica e in pro­ spettiva cosmologica per sottolineare, rispettivamente, l'unità dello stato o della città (polis), che integra i singoli cittadini e le parti so­ ciali, e l'unità del genere umano e dell'universo (kosmos). Paolo ne dipende, come mostra lo sviluppo eccezionale della metafora nei vv. 14-26. Non si tratta però soltanto di un rilievo di comparativismo culturale, bensì anche e soprattutto di un preciso criterio interpreta­ livo del testo paolina. Certo, per l'apostolo la comunità è corpo ap­ partenente a Cristo (v. 27) e costituito dall'azione dello Spirito (v. 13). Le dimensioni cristologica e pneumatologica del suo essere corpo non hanno alcun riscontro nella metafora dell'organismo umano; si può ritenere che Paolo vi sia approdato partendo dalla formula d'immanenza «essere in Cristo».2"5 Vedi Gal 3,28: «Non c'è 2113 «Voi siete di Cristo (hymeis Chrisrou)• (!Cor 3,23); •Se poi voi siete di Cristo (hymeis Chrisrou)•, come di fatto lo siete. siete anche eredi della promessa salvifica (Gal 3,29); •quanti sono di Cristo Gesù (hoi 1011 Chrisrou /esou) hanno crocifisso la

carne insieme con le passioni e le cupidigie• (Gal 5,24). Il rapporto tra battesimo e eucaristia, ambedue sacramenti in cui si costituisce un solo corpo in Cristo, è così precisato da BRANDENBURGER. «Der Leib-Christi­ Gedanke bei Paulus•. 395: •La costituzione della chiesa come corpo in Cristo, creata una volta per tutte e fondamentalmente attualizzata col battesimo, viene efficace­ mente ricordata per la chiesa nel tempo e nella storia nelle celebrazioni della cena del Signore che si ripetono�). 211·� Non ci sembra di dover prescindere in materia dal motivo del paragone orga­ nico. riducendolo a lontana reminiscenza. per cercar luce nelle speculazioni gnostiche sull anthrOpos celeste primigenio. corpo onnicomprensivo da cui sono uscite, in un tragico evento mitico, le scintillanti sue membra per cadere nel mondo «Carnale'� e perdervisi. come ha ipotizzato per es. Ki\sEMANN, «. in NTS 36(1990), 614-n iH; J .G . SIGOUNTOS, «The Genre of 1 Co­ rinthians 13», in NTS 40(1994), 246-260; J.F.M. SMIT, •The Genre of 1Corinthians 13 in the Lighl of Classica! Rhetoric•, in NT 33(1991), 193-216; lo., •Two Puzzles: 1Co­ rinlhians 12,31 and 13,3. A Rhetorical Solution•. in NTS 39(1 993), 246-264; C. SPICO, Agapè dans le Nouveau Testament. Analyse des Textes, Paris 1 959, 11 , 53-120; B. STAN­ DAERT, «>.291 Ancor meglio vi si adatta la categoria di forza operativa, dinamica personale che muove il soggetto. Infine l'amore è grandezza escatologica che travalica il tempo, perché incarna la perfezione (to teleion) (cf. vv. 8-13). Non una tappa ""' Via vuoi dire qui mezzo e modo (W. MtCHAELls, in GLNT VIII, 242). per giungere a quel traguardo di perfezione cristiana che i corinzi volevano raggiungere mediante i carismi estatici. Il motivo della perfezione (ro releion). o anche della matu­ rità (aner in antitesi a n�pios). infatti ricorre non solo in 1 3,9-12, ma anche in 1 4.20, di­ retto expliciris verbis ai corinzi giudicati infantili (paidia) ed esortati ad essere perfetti (releioi) nel senso di cammino verso la perfezione (ro releion). Karh'hyperholi!n in po­ sizione aggettivale, cioè qualificativa del sostantivo hodos, ha valenza superlativa e in­ dica una via che trascende ogni altra, per cui può essere detta la via per eccellenza. ''" COTIIÉNET, •Prophétisme IV•. 1291: •il carisma per ecceUenza•; MALY, Mi.in­ dige Gemeinde, 242s: •il super-carisma»; CHEVALLIER. Esprit de Dieu, 1 59: •il più grande tra i più grandi carismi». 290 «Ufficio e comunitàD, 20. 291 BARBAGLio, •Alla comunità di Corinto: prima iettera», 483.

173

intermedia del cammino dell'esistenza cristiana, ma il suo ultimo tra­ guardo (to telos), realmente anticipato però nell'oggi. L'amore segna la maturità del credente, mentre l'esperienza carismatica anche più eccelsa è contrassegno dell'età infantile, come mostra l'exemplum del bambino e dell'uomo (nepioslaner) del v. 1 1. Una delle sorprese del brano paolino, e non Ira le minori, è però che l'amore non viene specificato da nessuna qualifica, né soggettiva né oggettiva. Il sostantivo manca di un atteso genitivo con cui avrebbe potuto formare le seguenti possibili espressioni compiute: «amore di Dio l di Cristo l dell'uomo••; «amore per Dio, per Cristo, per gli altri», come di regola altrove Paolo fa. L'assolutezza del tema dell'amore, mi sembra, ha un parallelo paolino solo in lCor 8,1: a differenza della conoscenza (gn6sis) che gonfia d'orgoglio, l'agape è costruttiva (oikodomei). In realtà, essendo qui personificato, l'a­ more non ammette restrizioni: è esaltato nella sua stessa ragion d'es­ sere, una grandezza che s'incarna variamente in tutti i soggetti ca­ paci di amare, siano essi di questo mondo come del mondo divino.292 Comunque le specificazioni del suo fare nei vv. 4-7 1o caratterizzano come forza che apre costruttivamente all'altro. Grande è la diversità con l'eros cantato dal mondo greco, che «esprime soprattutto la passione ed il desiderio»,293 definito da Epi­ curo: «Un veemente appetito dei piaceri sessuali, accompagnato da furore e tormento».294 Ma non manca di originalità neppure se con­ frontato con la philia, affetto che lega tra loro gli amici in una reci­ procità che non trova necessariamente riscontro nell'agap€.295 Non appare dunque azzardato affermare che l'uso diffuso di agapa61 agape da parte dei testi protocristiani costituisce il segno di una chiara coscienza della novità del suo significato, colto nell'espe­ rienza col Dio biblico, soprattutto col Dio di Gesù Cristo: un voca­ bolo nuovo per una realtà nuova.

292 Diversi esegeti invece, come i citati Standaert e Johansson, hanno affermato con forza che in realtà proprio l'amore di Dio e di Cristo viene qui esaltato. Ma sono tentativi che misconoscono la peculiarità di questa pagina paolina rispetto alla tratta­ zione dello stesso tema nelle altre lettere: l'uso assoluto e personificato di agapè, colta nella sua essenza più universale. a prescindere dai soggetti che la possiedono, essenza che §li si è di certo disvelata nell'esperienza di fede del Dio di Gesù Cristo. ' SPICQ, Note di /essicografw neotestamentaria, l, 52. 294 Cit. in SPICQ, ibid. 29' Non per nulla nella grecità pagana era in pratica scoaosciuto lo stesso sostan­ tivo agapè e poco usati agapalJ e agapesis, come ha rilevato SPICQ, op. cit., 58: •ante­ riormente all'impiego che ne fanno i LXX, è del tutto ignoralo•.

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8.3. Carismi e comunità: glossolalia (c. 14)

e

profezia

Bibl. J.D.G. DuNN, •The Responsible Congregation (l Co 14,26-40)•, in DE Lo­ RENZI (cura di), Charisma und Agape, 201-236: D PONT, Gnosis. 235-246 (Le critère de l'édification); L. HARTMAN, •l Co 14,1-25: Argument and Some Problems», in DE Lo­ RENZI (cura di), Cllarisma und Agape, 149-169; U. KERN, «Zum Charisma der Ratio­ naliUit», in TLZ 1 12( 1987), 865-882; KrrznERGER, Bau der Gemeinde, 98-1 16; W. RE­ BELL, •Gemeinde al Missionsfaktor im Urchristentum. l Kor 14,24s. als SchiUsselsi­ tuation», in TZ 44(1988), 1 17-134; W. RICHARDSON, •Lilurgical Order and Glossolalia in 1 Corinthians 14:26c-33a», in NTS 32(1 986), 144-153; K.O. SANDNES, «Prophecy - A Sign for Believers (ICor 14,20-25)., in Bib 77( 1996), 1-15; ScJPPA, La glossolalia nel der GeNuovo Testamento, 1 7-77 e 21 9ss: K. WENGST, •Das Zusammenkommen · meinde und ihr "Gottesdienst"•, in EvTh 33 (1973). 547-559.

u

Ora Paolo affronta il problema concreto delle esperienze glosso­ laliche e lo fa in due momenti, nei vv. 1-25, in cui mette a confronto profezia e glossolalia, e nei vv. 26-36 dove scende sul terreno orga­ nizzativo. La prima pericope, composta da quattro microunità lette­ rarie parallele: 1 b-5a; 5b-12; 1 3-19; 20-25, consta di affermazioni di principio sulla preferenza di chi scrive per la profezia (vv. 5a.l8) e la superiorità di questa rispetto alla glossolalia (v. 5b ) ,296 nonché di esortazioni a preferire quella a questa (vv. lb.12.20).297 Le une e le altre poi sono alternate a una serie di periodi che, costruiti di regola in forma antitetica, giustificano le affermazioni e le esortazioni sud­ dette mettendo a confronto i due termini in questione, profezia e glossolalia, visti in ambito comunitario. La pericope dei vv. 26-36 invece tratta dell'organizzazione pra­ tica delle riunioni ecclesiali in cui intervengono i carismatici. Dal punto di vista formale il brano si qualifica per i molti imperativi. Il primo al v. 26 è generale e vi svolge la funzione di propositio: «tutto si faccia a scopo di edificazione>>. Gli altri, più settoriali, riguardano prima gli interventi dei glossolali (vv. 27-28), poi quelli dei profeti (vv. 29-32).298 Una giustificazione teologica generale dell'ordina,.,. La preferenza si pone sul piano soggettivo: ovorreilpreferisco ( = desidero una cosa invece di un'altra) (theM)». Invece la superiorità, che la motiva, esprime una valutazione dell'oggetto considerato e si presenta come un'affermazione di valore: •è più �rande (meizòn) chi profetizza di colui che parla in modo glossolalico•. 97 Si tratta in concreto di imperativi con cui chi scrive sollecita gli interlocutori a far proprie le sue valutazioni tendendo a perseguire la profezia: •agognate (zéloute)• (v. 1 b); •cercate (zeteite)• (v. 1 2); «preghi (proseuchestò)• (v. 13); •diventate (gi­ nest » (v. 20). Ecco gli imperativi per gli interventi dci glossolali: parlino (sottinteso) l faccia da interprete (d�rméneuetò) l faccia silenzio (sigatò) l si limiti a parlare (laleitò);

hf)

175

mento prescritto è espressa al v. 33a: > (vv. 1 8-19). La crescita spiri­ tuale della comunità non si ottiene facendo stupire, ma comuni­ cando parole comprensibili capaci di muovere mente e cuore. Si capisce così che nei cataloghi delle manifestazioni spirituali abbia un suo posto l'interpretazione della glossolalia, sempre abbi­ nata a tale carisma (12,10.30), e come Paolo esiga che nelle assem­ blee ecclesiali la parola glossolalica sia interpretata ( 14,27-28), al fine di renderla costruttiva (v. 5). II messaggio oscuro e incomprensi­ bile deve essere tradotto in parola chiara e intelligibile. È su questa discriminante della intelligibilità o meno che egli valuta profezia e glossolalia, ma anche glossolalia e sua interpretazione, preferendo quella a questa e esortando gli interlocutori a fare altrettanto. Pala­ dino, certo, della razionalità (nous ) della parola, valore però per lui funzionale alla crescita della comunità riunita in assemblea. Si aggiunga che la comprensione della parola porta alla sua effi­ cacia (costruttività, utilità) passando attraverso la comunicazione personale umana. Il quadro di riferimento è sempre l'assemblea ec­ clesiale che riunisce ascoltatori e locutori, con ruoli interscambiabili però, nel senso che tutti occupano, in momenti diversi, l'una e l'altra posizione. La parola è lo strumento del loro entrare in contatto e in comunione, una parola comprensibile e, come tale, comunicativa di un dono spirituale dal locutore all'ascoltatore. Così il v. 2, specifi­ cando la differenza tra profeta e glossolalo, dice che il primo parla a uomini, il secondo a Dio, il solo capace di recepime la parola, il solo suo vero «Uditore intelligente>>. Nel caso dei glossolali la parola si ri­ duce per gli uditori a puro flatus vocis, privo di qualsiasi destinatario personale: (v. 9c). Invece di unire, la parola glossolalica scava un solco invalicabile d'incomuni­ cabilità, come indica l'exemplum del v. 11 che mette in campo greco e barbaro. La preghiera glossolalica esclude la partecipazione attiva dell'altro: > dello stesso Paolo? I vv. 33-34, di carattere parenetico, costituiscono la conclusione della prima parte. Il v. 35 apre la seconda: «Ma dirà qualcuno (tis): Come (p6s) ri­ suscitano i morti e con quale corpo (paio-i s6mati) vengono?>>. Con un espediente retorico s'introduce un finto interlocutore a porre delle domande, vivacizzando così il discorso e soprattutto suscitando nuovi interrogativi capaci di sollecitare risposte ad aspetti comple­ mentari del problema non ancora affrontati.311 Le due questioni sol­ levate sono talmente connesse da essere in realtà una sola: la prima verte sul come possiamo raffigurarci i morti che risusciteranno;312 la seconda, che precisa il senso della prima, riguarda il tipo di corpo che avranno i risorti. Il problema dunque concerne la specifica cor­ poreità dei risorti: la stessa di noi terreni, oppure un'altra, e in que­ sta seconda eventualità quale? Il dettato paolino si articola in diverse unità. Le prime due, vv. 36-41 e 42-49. parallele, sviluppano un paragone: come avviene nella natura in fatto di semi e piante, di diversi tipi di carne dei viventi e di differenti corpi terrestri e celesti, «COSÌ è anche della risurrezione>> (v. 42). La terza, vv. 50-57, allarga il quadro a tutti i credenti, siano essi già morti alla parusia o ancora in vita, affermando che per poter raggiungere lo stato d'incorruttibilità proprio della salvezza finale o del regno di Dio è necessaria la trasformazione di tutti. Il v. 58, un'esortazione che richiama strutturalmente quella dei vv. 34-35, funziona da conclusione di tutto il capitolo.313 311 Un'altra lettura vede dietro a questo indeterminato interrogante (tis) reali obiettori, gli stessi che negano la risurrezione dei morti. indicati genericamente al v. 12 con il pronome tines. "' Non pochi (cf. per es. SELLIN, op. cii., 72ss) la leggono cosl: come è possibile che i morti risuscitino? Ma non è il problema che qui si pone Paolo. essendo stato già risoho prima: la risurrezione dei morti collegata strettamente alla risurrezione di Cri­ sto. Ora l'interrogativo verte sulla modalità. "' D.F. WATSON, •Paul's Rhetorical Stralegy in l Corinthians IS», in Rhetoric .md the New Testament, Sheffield 1993, 231·249 presenta questo schema retorico: nordium (1-2), narratio (3-1 1 ) , probatio e refutatio (12-57) e peroratio finale (58): uno schema troppo rigido pur nella fondatezza di alcuni elementi, come per es. la distin­ tione tra probatio e refutatio.

183

Paolo prende qui posizione contro la negazione di «alcuni tra voi», dunque di qualche membro della chiesa di Corinto: «Non c'è risurrezione dei morti>> (anastasis nekron ouk estin) (v. 12). Si sono fatte diverse ipotesi sui motivi che non dovevano loro mancare.314 Discreto consenso ha avuto la congettura che nella comunità corin­ zia, affetta da entusiasmo spiritualistico, si ritenesse che i credenti fossero già dei risuscitati, anticipando così gli menzionati in 2Tm 2,18 che affermeranno: possa equiva­ lere alla tesi: >.m Il risorto è vivificatore dei morti, principio at­ tivo di risurrezione. AI parallelismo Adamo-Cristo, si è detto, soggiace lo schema uno-tutti, che sarà sviluppato in Rm 5,12ss. Ma si tratta di un «tutti>> coestensivo all'umanità, oppure di un'universalità relativa? A favore della prima lettura33� gioca senz'altro il senso illimitato di nel caso di Adamo, mediante il quale la morte è entrata nel mondo. La simmetria del paragone, si osserva, esige che altrettanto valga del «tutti>> di cui Cristo è principio di risurrezione. Ma subito dopo, al v. 23, Paolo afferma che alla parusia saranno vivificati o risorgeranno quelli che appartengono a Cristo (hoi tou Christou) in forza dei vin­ coli della fede e del battesimo, in breve tutti i credenti.339 Inoltre il verbo (z6opoie6) al v. 45 qualifica l'azione pneumatica di Cristo che vivifica i morti della stessa sua vita di risorto; come

"' Cf. Sir 25.24: •Da una donna (viene) l'inizio del peccato (arche hamarti!Js), e per mezzo di lei tuili moriamo (di"auten apothnèskomen pantes)•; 4Esdra 3,7: •el huic (Adamo) mandasti diligere viam tuam. et prcterivit eam. el statim inslituisti in eo mortem e in nationibus eius)); 7.48: «0 tu, quid fecisti. Adam? Si enim tu peccasti. non est Cactus solius tuus casus, sed el noster qui ex te advenimus»; 2Baruc 1 7,2-3: «Giac· ché che è valso ad Adamo esser vissuto novecenlotrenta anni se ha trasgredito ciò che gli era stato comandato? Non gli è dunque valso a niente vivere sì a lungo, ma egli ha portato la morte ed ha dime7.zato gli anni di coloro che erano nati da lui•): 23,4: �cGiac­ ché �ando Adamo peccò e fu decretata la morte per tuili i nascituri ... ». Cf. S. LYONNET, •La problémalique du péché origine! dans le Nouveau Testa· meni», in E. CASTELLI (a cura di), Il mito della pena, Roma 1967, 101· 108. m Paolo unisce dali di fede tradizionale ad interpretazioni teologiche che ne svelano aspelli reconditi eppure essenziali. Cf. in proposito F. MussNER, •"Schichten" in der paulinischen Theologie, dargetan an die l Kor 15», in BZ 9(1965), 59-70 e più recentemente H . MERKLEJN, •Der Theologe als Prophet. Zur Funktion prophetischer Redens im lhcologischen Diskurs des Paulus» in NTS 38(1992), 402·429. ''" È sostenuta per es. con forza da ALEITI, •L'argumentation•, 74-76 e anche da VERBURG, Endzeit und Enrschlafene, 273, ma avversata con altrellanta forza da BAR­ RETT, «The significance», 108. '" Così anche HoLLEMAN, Resurrection and Parousia per il quale Paolo qui ha presente solo la risurrezione dei credenti. restando impregiudicata la risunezione ge­ nerale. che era collegata tradizionalmente con la credenza nel giudizio ultimo uni­ versale.

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fame beneficiari coloro che non gli appartengono? La risurrezione per Paolo è una pneumatizzazione della persona e come tale equi­ vale alla salvezza finale.340 Si aggiunga che egli neppure allude al giu­ dizio, in funzione del quale la tradizione giudaica, attestata anche nel NT (Gv 5,29; At 24,15), ha esteso la risurrezione ai malvagi.341 Il parallelismo Cristo-Adamo accentua il loro influsso sui molti. Il «tutti» di fallo è imposto dal paragone con Adamo, che la tradizione giudaica indicava come principio di morte per tutta l'umanità. I vv . 23-24, che funzionano da propositio subordinata a quella del v. 20, inquadrano la risurrezione dei credenti nel contesto degli eventi escatologici: Cristo risuscitato costituisce il primo di una serie di eventi che ne estendono l'azione salvifica in senso cosmologico.342 «Ma ciascuno al suo proprio posto (tagmati),343 primizia Cristo, poi alla sua venuta quelli che sono di Cristo (hoi tou Christou), quindi la fine, quando egli consegnerà (paradido-i) il regno a Dio e Padre, dopo aver ridotto all'impotenza (katargese-i) ogni Principato e ogni Potestà e Potenza». La scansione cronologica prima-poi caratterizza le due risurrezioni, l'una del tempo passato, l'altra della futura paru­ sia.344 Chi scrive però accentua il motivo del compimento finale: «quindi (eita) la fine (to telos)». Assumiamo questa particella in senso logico, non cronologico: to telos non è qualcosa che viene dopo la risurrezione dei credenti e la parusia, ma indica il punto di arrivo degli eventi finali suddetti345 e delle loro implicazioni che saranno in-

�E

"" Si veda a conferma Rm 8, I l : se lo Spirito di Colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, chi ha risuscitato Cristo dai morti vivificherà (z"opoiései) anche i vostri corpi mortali mediante il suo Spirito abitante in voi». '" Si aggiunga che in Rm 5,12-21, dove lo schema uno-tutti è esplicito e insistito, l'universalità dell'influsso di Cristo è specificata: l'abbondanza della grazia e del dono della giustizia è per quelli che l'accolgono (hoi lambanontes: v. 17). Inoltre sempre in Rm 5 Paolo afferma che la giustificazione di tutti è mediata da uno solo, Cristo (v. 19). ed è noto che secondo la sua nota teologia di Gal e Rm questa si ha per lede (pistei, dw pisteos, ek pisteos, epi te-i pistei) e dunque vale solo dei credenti. "' Opportunamente SELLIN, Der Streir, 261 intitola il brano «Dimensione co­ smica della risurrezione di Cristo>�. ·"' Cf. G. DELLING, in GLNT XIII, 906: •ciascuno nella propria posizione, nel proprio posto». "' «al momento della parusia di Cristo• è un motivo già presente in 1Ts 4,16, chiaro passo parallelo. ma anche in ITs 2.19; 3,13; 5,23. Il nostro è l'unico passo della l Cor in cui è attestata, ma non riveste particolare importanza, cadendo l'accento su hoi tou Christou e sulla loro risurrezione. Cf. RADL, Ankunft des Herrn, 1 67ss. Invece HoLLEMAN, Resurrection and Parousia afferma che la parusia di Cristo resta al centro anche di l Cor l 5. '" To telos è la realtà finale e finalistica. CARREz, •Résurrection•, 131 perciò a ragione traduce con achèvement, compimento della storia salvifica.

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dicate subito dopo (vv. 24b-28): vittoria sulla morte e sulle potenze celesti nemiche e sottomissione di tutte le cose a Cristo con conse­ guente consegna del regno di Cristo a Dio.346 L'ultimo atto è dunque di carattere teologico, ma fondamento della escatologia risurrezioni­ stica è e resta la cristologia del Signore risorto. È l'unica volta che il proto-Paolo parla del regno di Cristo,347 un motivo invece molto presente nella tradizione protocristiana, come documenta la sua molteplice attestazione nei diversi filoni del NT (Mc, Mt/Lc, Gv, protopaoline, deuteropaoline, Eb, 2Pt). Qui egli ne parla come traguardo finale della storia e dunque come una conqui­ sta realizzata, che comporta l'annientamento non delle potenze cele­ sti, bensì del loro potere d'influsso negativo sulla storia.348 Queste rappresentano grandezze cosmiche rivali e nemiche che Cristo, per poter affermare la sua regalità o signoria, deve ridurre all'impo­ tenza. Il suo regno dunque, in quanto scaturisce da una vittoriosa lotta contro tali «nemici», ha una specifica connotazione cosmica.349 Alla tesi della signoria di Cristo sulle potenze segue la probatio ex Sacra Scriptura: (v. 25). Il re­ gno di Cristo fa parte del disegno di Dio profetizzato nel Sal 1 10,1 (LXX 109,1). La citazione paolina tradisce invero libertà importanti rispetto al testo dei LXX, tutte esigile dallo scopo perseguito. La prima, l'apostolo afferma la necessità ,350 una necessità di tipo scritturistico (Schriftnotwendigkeit), come ha ben detto J. Weiss nel suo commento, indispensabile all'andamento "" Nel v. 24b le due proposizioni parimenti sono rette dalla congiunzione tempo­ rale hotan. ma indicano due eventi subordinati l'uno all'ahro e successivi, come mo­ stra la differenza dei congiuntivi: il presente di paradido-i e l'aoristo di katargese-i: la riduzione delle potenze all'inoperatività è anteriore alla consegna del regno a Dio. '" Cf. C.E. Hn.L. «Paul's Understanding of Christ's Kingdom in I Corinthians 15:20-28», in NT 30(1988), 297-320 ma anche M. BARTH, «Christ and Ali Things•, in Pau/ and Paulinism (Fs C. K. Barrett), London 1982, 160-172 e M. BLACK, «Pasai exou­

siai auto-i hypotagèsonlQi•, ibiti, 74-82. "" katargein ha due significati, annientamento e

riduzione all'impotenza, ed è il contesto a indirizzare la scelta. '" Passi paralleli nel NT sono Ef 1 ,20-21 : . ..quando Io risuscitò dai moni e lo fece sedere alla sua destra nei cieli, al di sopra di ogni principato e autorità e potenza e dominazione, cioè di ogni dignità esistente non solo nel secolo presente ma anche nel futuro»; e !Pt 3,22: «dopo essere andato in cielo e dopo che gli sono stati assogget­ tati (hypotagentt>n autt>-i) angeli, principati e potenze (aggelt>n, exousit>n, dyna­ meòn)>), Vedi H. SCHUER, Principati e potestà nel Nuovo Testamento, Paideia, Brescia •

1%7.

"" La scelta del verbo regnare poi, invece della formula plastica «Siedi alla mia destra», è comandata dal motivo del regno di Cristo del v. 24.

1 91

dell'argomentazione teologica. La seconda, se nel salmo è Dio ad as­ soggettare i nemici al suo unto, Paolo non distingue tra chi assog­ getta e il beneficiario di tale azione, attribuendo l'azione di assogget­ tamento allo stesso Cristo. Infine a > del v. 44 si aggiunge poioun; hé sar:s: ouk bphelei ouden. Comunque la potenza vivificante dello Spirito è atlestata anche in 2Cor 3,6: to de pneuma zoopoiei. ""' l'ENNA, •Cristologia adamica», seguito da CallfÉNET, «Corps psychique, corps spirituel», ha mostrato che l'antitesi non è di caraltere soteriologico-redentivo. lnfalli nel testo è assente del tullo il motivo del peccato. Inoltre il riferimento a Gen 2,7, non a Gen 3. dice che l"aggetlivo psychikos di 44b, connesso con psyché zosa, è da leggere in chiave creazionislica e non amartiologica; e così pneumatikos indica quel tipo di vita creala a favore del morto e per vinù della potenza vivificante divina, di cui Cristo risorto è entrato in possesso. "" Cf. zoopoiethesontai parallelo a anastasi.s nekrbn. Non mancano però diver­ sità: Adamo nel v. 45 è il vivente di vita psichica e implicitamente fonte di tale vita per tutti. mentre nei vv. 21-22 appare come fonte di mone, mentre quanto a Cristo non si notano differenze rilevanti: inoltre nei vv. 42-49 il corso del pensiero paolina è gui­ dato dall'antitesi tra realtà terrena e storica e realtà celeste ed escatologica. '"' Cf. Rm 1 ,4: Gesù Cristo •costituito figlio di Dio potente (en dynamei) se­ condo lo spirito di santificazione in forza della risurrezione dei morti». La risurre­ zione ha fatto di Cristo un essere potente della potenza dello Spirito divino. 37 1 Spesso (vedi per es. PENNA, •Cristologia adamica• 186, SELUN, Der Streit, 9 1 e

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ora > saranno risuscitati alla sua pa­ rusia. Si noti il cambiamento di terminologia: corpo psichico e spiri­ tuale (v. 44) l uomo psichico e spirituale (v. 45) l uomo terreno e ce­ leste (vv. 47-49) l sfera spirituale e psichica (v. 46) l corruttibilità e incorruttibilità (he phthora - he aphtharsia: v. 50) l realtà corruttibile e incorruttibilità, realtà mortale e immortalità (to phtharron-aph­ tharsia l to thneton-athanasia: vv. 53-54). «Il rilievo appare prezioso, perché ci dice con tutta evidenza che "corpo" è inteso non come parte, bensì come totalità psico-fisica dell'uomo. È questo il soggetto della futura risurrezione ... La speranza cristiana riguarda dunque l'essere umano nella sua interezza, anima e corpo noi diremmo. Inoltre, con il tennine "corpo" l'apostolo indica l'uomo nella sua in­ determinatezza... Si qualifica come "psichico" nella sua condizione di mortalità ... e come "spirituale" nella sua condizione futura di ri­ sorto. "Corpo" è una specificazione strutturale o ontologica dell'uomo. Quale? Di soggetto aperto e relazionato a Dio, agli altri, al mondo>>.372 Pertanto nella suddetta discontinuità appare innegabile che Paolo ammetta una continuità della persona, espressa con «corpo>> nell'antitesi «corpo psichico l corpo spirituale>>, oppure anche con il pronome «noi>> sottinteso del v. 49: «abbiamo portato l'immagine dell'uomo terreno l porteremo l'immagine dell'uomo celeste» (cf. anche v. 52b). Lo stesso Cristo risorto diventato «spirito vivificante>> (v. 45), come soggetto di tale divenire mantiene una personale conti­ nuità con il suo precedente essere «psichico» (v. 45).373 90) lo si connelte con il v. 45 scorgendovi una precisazione polemica: primo non è

stato I'Adam pneumatico, bensl quello psichico. Paolo prenderebbe così posizione contro la teoria filoniana dell'uomo celeste anteriore all'uomo terreno, fondata su una leltura abbinata di Gen 1 ,26 (formazione dell'uomo a immagine di Dio) e di Gen 2,7 (creazione dell'uomo dalla terra); teoria conosciuta a Corinto. magari altraverso Apollo. come ipolizza Sellin nella sua monografia a pp. 67-69, e applicata all'essere dei credenti «pneumatici• che portano dentro di sé una scintilla divina velata dalla pa­ tina della terrestrità. Ma così non si spiega il passaggio dal maschile (ho anrhropos) al neutro del v. 46 e dal neutro di nuovo al maschile del v. 47 (ho anthropos) e dei vv. 48 e 49 �ho choikos l ho epouranios). "- BARBAGLIO, «Alla comunità di Corinto: prima lettera•, 540s. l7:' Per questo non ci convince la posizione di quanti ritengono che ci sia solo e totale discontinuità. Così per es. MOLLER, •Die Leiblichkeit», 244ss che si oppone alla tesi di Bultmann secondo cui nella morte è distrutla la potenza della sarx, ma non la strullura ontologica dell'essere umano. appunto il soma ( Theo/ogie, 193-203), ispiran­ cJosi invece a Kasemann parla di continuità del prodigio divino: ciò che permane non c l'uomo ma Dio. SELLIN, Der Streit, 215 è tagliente: •keine Kontinuitat•. Si aggiun-

199

Paolo ritorna quindi alla caratterizzazione dei due prototipi con il v. 47 che continua il v. 45: «Il primo uomo essendo dalla terra è ter­ reno (ek ges choikos), il secondo uomo viene dal cielo (ex' oura­ nou)». Le formule esprimono formalmente, per un verso, l'origine e, per l'altro, la qualità, ma si tratta di determinazioni che realmente si corrispondono: terra e cielo sono simboli spaziali di grandezze quali­ tativamente specificate, quella naturalmente umana e la divina. Dal punto di vista contenutistico appare parallelo a e a . E se nella caratterizzazione del primo uomo Paolo fa riferimento a Gen 2,7 (> e Gen 5,3b: (v. 50). Si richiede l'intervento di Dio, una certezza che Paolo, da profeta, ha avuto per rivelazione divina e notifica agli interlocutori: >. S'impone ora il confronto con lTs 4,15-17: «Questo infatti vi di­ ciamo sulla parola del Signore: noi i vivi, i superstiti per la venuta del Signore non precederemo quelli che sono morti. Perché il Signore stesso a un comando, alla voce dell'arcangelo e al suono della tromba di Dio, discenderà dal cielo e saranno risuscitati dapprima i morti in Cristo, poi noi, i vivi, i superstiti insieme con loro saremo ra­ piti (harpagésomerha) tra nuvole per l'incontro con il Signore nell'aria>>. I punti di contatto sono più d'uno e non di secondaria im­ portanza. .\83 Anzitutto nei due passi si fa una netta distinzione tra de­ funti e quanti saranno ancora vivi alla parusia di Cristo: quelli, a dif­ ferenza di questi, saranno risuscitati (anasresontai: lTs; egertheson­ tai: lCor), comunque il destino ultimo di salvezza è identico. Rile­ vante poi è la presenza di un quadro descrittivo di marca apocalit­ tica, inesistente altrove nelle lettere paoline. Si aggiunga che Paolo, sia in lTs sia qui, si cura soltanto della sorte eterna dei credenti.384 Cf. R. BuLTh!ANN, in GLNT IV. 198-208. " ' Si tratta di necessità del volere escatologico di Dio. "" Altrove Paolo parla di corpo mortale (Rm 6.12) e di carne mortale (2Cor 4,1 1 ). contrapponendo di regola la mortalità alla vita: •colui che ha risuscitato Cristo dai morti vivificherà (zoopoiesei) anche i vostri corpi mortali (ra thnéta somata hy· mon)» (Rm 8,1 1 ); •affinché anche la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mor­ tale» (2Cor 4,11 ): •affinché ciò che è mortale (to thnéron) sia assorbito (katapothé·i) dalla vita» (2Cor 5,4). • Thnetos = mortale. compare già nel greco più antico quale at­ tributo caratteristico dell'uomo, tanto che lhnètvi sono gli uomini, al contrario degli Jèi, che sono athanatoi• (But"NAt>: il confronto tra ITs e !Cor 15 mostra una diversa problematica dei destina­ tari: a Tessalonica i cristiani erano tristi peri tOn koim6men6n; i cristiani di Corinto menzionati in l Cor 15,12 hanno una posizione dogmatica (p. 3SS). ScHADE, op.

204

Scrivendo la !Ts egli ha confortato una comunità rattristata dall'in­ certa sorte dei pochi defunti, ritenuti svantaggiati rispetto ai vivi al tempo dell'imminente parusia (4,13 e 18). Ora invece problema vivo generale è quello della risurrezione, negata da alcuni credenti di Co­ rinto, mentre a Tessalonica doveva essere sconosciuta o quasi, con la conseguente questione della somaticità dei risorti. Ma per comple­ tezza, siccome Paolo pensa a quelli che saranno ancora vivi alla pa­ rusia, si cura di dire una parola anche sulla loro sorte: certo, non sa­ ranno risuscitati, ma neppure potranno passare tali e quali nel mondo avvenire, perché pur sempre appartenenti alla sfera terrestre della phthora (corruttibilità), impossibilitati per questo ad avere ac­ cesso alla sfera dell'aphtharsia (incorruttibilità) (v. 50b). Dovranno subire (cf. il verbo dei del v. 53) anch'essi un processo di trasforma­ zione per diventare incorruttibili, né più né meno dei morti, per i quali sarà la risurrezione ad essere pneumaticamente trasformante (v. 52). Per questo qui la parusia di Cristo non è così centrale come in !Ts, nominata solo al v. 23, ma comunque collegata strettamente, come in !Ts, alla risurrezione dei credenti; l'interesse è tutto sulla sorte dei credenti. Non che sia assente la prospettiva cristologica; ne hanno parlato già i vv. 45-49: i credenti porteranno l'immagine di Cristo, uomo celeste e spirito vivificante. In proposito !Ts 4,13ss e !Cor 15 viaggiano di conserva: la speranza poggia sulla fede in Cri­ sto risorto e risuscitatore dei suoi. Adesso si tratta di precisare che «rivestirsi della sua immagine>> significa trasformazione da esseri corruttibili in esseri incorruttibili. Ultima determinazione del dettato di Paolo: tale prospettiva si­ gnifica il compimento profetico di una parola scritturistica che è un canto di vittoria sulla morte: > (v. 57). È la Transformation of a Prophetic Theme•, in Faith and History (Fs P. W. Meyer), Allanla. Georgia 1990. 149- 159 e D.A. KocH. Die Schrift als Zeuge des Evangeliums. Untersuchungen zur Verwendung wad zum Verstiindnis der Schrift bei Paulus, TObin­ gen 1 986. li l -63 . "" kemron significa •aculeo di animali, pungiglione•, o anche •pungolo (un ba­ stone di legno con punta metallica). con cui si incitano cavalli, buoi e altri animali da trasporto c da tiro• e in questa valenza può essere inteso in senso traslato (L. ScHM ID. in GLNT V, 334, 335, 336s). come possiamo leggere in At 26,14: «è duro per te recal­ citrare contro il pungolo», un proverbio conosciuto nel mondo greco. come rileva sempre Sct1MID, ibid.. 343-345. Nel nostro passo sembra imporsi il senso di pungi­ glione che inietta nell'uomo un veleno mortifero. SCHMID, ibid.. 338s invece - anche Conzelmann nel suo commento - vi legge la valenza di potere sovrano, espressa sem­ pre dall'immagine del pungolo. "" Il v. 56: •Ora il pungiglione della morte è il peccato, e la forza del peccato è la legge» interrompe il corso del pensiero incentrato nella villoria sulla morte, ripreso al v. 57 con un'eucaristia «a Dio che ci dà la vittoria». È una riflessione sintetica sulla causa della morte, individuata nel peccato, a sua volla attivato dalla legge. Questa lriade troverà in Rm 5-7 uno sviluppo adeguato; qui appare un'inserzione non priva di forzatura. Infatti in lutto il c. 15 è del lullo assente il tema del peccato (hé ha­ marthia al singolare); allrenanto si dica della legge. Si dirà che nei w. 21 -22 appare il binomio Adamo-Cristo. l'uno principio ùi morte, l'altro di vita, ma. a difrerenza di Rm 5.\2ss, non è per nulla menzionato il peccato di Adamo, tanto meno il suo in­ flusso nel peccato dell'umanità. Inoltre nei w. 45-49 i due anthr6poi sono contrappo­ sti come prototipi di vita psichica e di vita pneumatica. Nel contesto immediato al cen­ tro del dettato di Paolo è l'antitesi corrullibile/mortale e incorrullibile/immortale (cf. v. 54a). Per questo ancora ultimamente F. W. HoRN, « l Korinther 15,56 - ein exegeti­ scher Stachel -», in ZNW 82(1991 ) 88- 105 a conclusione di un 'accurata rilcvazione, ritiene che si tratti di una glossa successiva, forse di mano dello stesso Paolo. ma si può pensare anche a un redallore. Il v. 56 sarebbe dunque una sintesi della teologia paolina di Rm 5--7 qui inserita. La tendenza anuale però è piullosto a favore del ca­ rallcre originario del v. 56; cf. H.W. HmLANDER - J. HoLLEMAN, «The Relationship of Dealh. Sin. and La in \Cor 15:56». in NT35(1993). 270-291 e T. SootNG, «"Die Krafl der Siinde ist das Gesetz" (l Kor 15.56). Anmerkungen zum Hintergrund und zur Pointe einer gesetzcskrilischen Sentenz des Aposlels Paulus». in ZNW 83(1992). 7484. Una tesi questa che coinvolge altre questioni dibanute: già al tempo della stesura di l Cor Paolo aveva maturato la sua teologia sullo stretto rapporto morte-peccato,

w

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conclusione liturgica del nostro brano connessa con l'epinicio: il canto di vittoria sulla morte si tramuta in eucaristia innalzata al vin­ citore. Si noti il presente del participio «che ci dà»: nell'entusiasmo del canto di ringraziamento la vittoria finale contro la morte è antici­ pata nella certezza della speranza.391

legge, che apparirà in Rm 5-71 La valutazione della legge come grandezza attivante il peccato fa parte della teologia paolina della giustificazione ex sola fide; ora questa era un punto acquisito da Paolo fin dall'inizio, oppure egli vi giunse solo al tempo della composizione di Gal, Rm e Fil 3? La questione mi sembra tuttora aperta. Se è una glossa, bisogna pensare piuttosto a un redattore delle Ielle re paoline che ben presto ha inserito questa precisazione, visto che la critica testuale deve rilevare la sua pre· ...enza in tutti i manoscritti a noi giunti. 391 Resta in proposito un interrogativo: come può essere detta vinta la mone per 4uelli che non sono di Cristo e, ancor più, come si può cantare vittoria sulla morte dei non credenti? Un interrogativo che non riceve alcuna allenzione da parte dell'apo· 'tolo, tutto e solo concentrato sul destino di vita eterna dei credenti.

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Alla Chiesa di Corinto: seconda lettera

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INTRODUZIONE A. Jiilicher l'ha qualificata > (2,9). Una lettera che avrebbe causato tristezza ai destinatari, ma era il prezzo necessario perché si ravvedessero (cf. 7 ,8-9). C'era infatti da sanare una dolorosa rottura: durante una sua visita a Corinto, il secondo soggiorno paolino nella città dell'istmo, un non meglio precisato op­ positore l'aveva gravemente offeso (2,5-6; 7,12). La lettera «delle la­ crime>> ebbe l'effetto desiderato: «Vi siete dimostrati del tutto inno­ centi riguardo all'accaduto (7,11b). Raggiunto lo scopo a cui mirava, anche per i buoni uffici di Tito spedito a Corinto latore dello scritto, Paolo intercede ora chiedendo clemenza per l'innominato (2,6-8). Ma la lettera delle lacrime è andata perduta, oppure è stata inse­ rita nella nostra 2Cor e, se sì, dove?8 La risposta, in realtà, dipende da altre considerazioni. Lo scritto si limitava ad affrontare il caso dell'offensore, oppure aveva una più vasta prospettiva? Nella prima

• 2.14 non presenta la forma del ringraziamento introduttorio tipico delle lettere paoline con il verbo in prima persona. il dativo con cui ci si rivolge a Dio (è l 'unico clemcn10 presente in 2.14). un avverbio temporale indicativo di continuità. la motiva­ zione offerta dalle condizioni spirituali dei destinatari: eucharistoumenl cO-i the6-il pantulel peri pant{m hymon (!Ts 1,2); eucharist6/ ro-i the6-il pantotel peri hym{Jn ( l Cor 1 .4 ); eucharisrol ro-i rhetJ-il pantotel epi ré-i koinonia·i hymon (Fil 1.3·5 ); eucha· rist (7, 1 1 ) e si dice completamente fiducioso: (7,16). Ma il quadro non doveva es­ sere così roseo. Da 2,6 risulta che l'offensore è stato punito dalla maggioranza dei credenti di Corinto,41 dunque persisteva una sacca di resistenza. Paolo spera che lo comprenderanno perfettamente (1,13), al presente lo hanno compreso solo in parte (1 ,14). Gli adde­ bitavano di autoraccomandarsi (3,1b; 5,12) e di essere privo di cre­ denziali scritte (3,1). Con probabilità rilevavano che il suo annuncio evangelico non otteneva grandi adesioni.'2 L'esortazione a lasciarsi riconciliare con Dio (5,20) e a non vanificare la grazia divina rice­ vuta (6, 1 ) si abbina a quella di una piena riconciliazione con l'apo­ stolo: , lo si riteneva dimesso nel confronto diretto e fiero da lontano con la penna in mano (10,1),43 una doppiezza che dice come si ispiri nella sua condotta a logiche mondane (10,2). Non gli erano in tutto obbedienti (10,6). Il suo timore è > ( 1 1 ,18; 1 1 ,21; 1 1 ,22 bis); «io in nulla da meno>> ( 1 1 ,5; 12,1 1); anzi ritiene di essere loro superiore: «io di più; molto di più per le fa­ tiche, assai di più per le prigionie, infinitamente di più per le per­ cosse» ( 1 1 ,23) e di poter addirittura esibire una sua parità con Cri­ sto: «Sì certo, fu crocifisso per debolezza, ma vive per la potenza di Dio; anche noi, sì certo, siamo deboli in lui, ma vivremo con lui per la potenza di Dio nei vostri riguardi>> (13,4). L'analogia delle due presentazioni, in cui spiccano i due motivi caratteristici dell'autoraccomandazione e del vanto, mostra che do­ veva trattarsi dello stesso fronte di avversari,56 anche se si ritiene, per lo più, che la loro propaganda antipaolina si fosse andata intensifi­ cando, mentre altri pensano che Paolo solo in 10-13 si lanci nell'ar­ fondo della sua polemica. Che fossero missionari di matrice giudeo­ cristiana è accertato (cf. 1 1 ,22-23). Se ne discute invece l'identità più precisa: erano esponenti di un giudeo-cristianesimo palestinese di marca giudaistica, sostenitori cioè del valore perenne della legge mosaica e della circoncisione,57 o longa manus degli apostoli di Ge­ rusalemme che volevano tenere sotto controllo Paolo?5" Oppure fa" Invece secondo SuMNEY, ldentifying, 170-172, portavoce qui di un punto di vi· sta esistente e fatto proprio, il passo non direbbe nulla degli oppositori, volendo solo evidenziare l'arrendevolezza dei corinzi verso chiunque si presentasse. "' Così anche Sumney che pure vede in 2.14-7.4 e nei cc.I0-13 due lettere di· stinte, precisando però che solo in questa seconda gli oppositori appaiono chiara­ mente come degli pneumatici. " Vedi gli studi citati di Barrett e LUdemann, ma anche già Baur di cui s'è detto sopra a proposito della l Cor. " Così KilsEMANN, «Die Legitimitiit•, che nel testo paolina scorge tali referenti degli oppositori di Paolo nella formula «superapostoli», distinti dai «falsi apostoli», una lettura improbabile.

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cevano parte del giudeo-cristianesimo ellenistico, protesi all'ideale dell'uomo pneumatico (Liitgert) o affascinati dalla figura dei­ I' (theios an€r) presente nel mondo ellenistico del tempo, 59 o ancora taumaturghi appartenenti al gruppo di Stefano,60 o infine esponenti di un vasto movimento gnostico (Schmithals)? Sem­ bra, anzitutto, da escludere che urgessero l'osservanza delle prescri­ zioni rituali del codice mosaico e imponessero ai gentili l'obbligo della circoncisione,61 dimostrandosi in questo diversi dai giudeo­ cristiani conservatori attaccati in Gal. Nel confronto possiamo quali­ ficarli giudeo-cristiani liberali, che cercavano di far breccia nel mondo pagano presentandosi come rappresentanti di una gloriosa tradizione religiosa, l'ebraica, e impersonando figure carismatiche capaci di straordinarie esibizioni di rapimento estatico e di tauma­ turgia.62 Discutibili sono invece le grandi ricostruzioni della loro identità dottrinale, fatte forzando il senso del testo e riducendo la teologia paolina del (4,7). È il secondo sviluppo dell'apologia (4,7-5,10) che si carat­ terizza per una costante antitesi: pregio-poco conto, potenza-debo­ lezza, vita/risurrezione-morte; antitesi illustrata dapprima con un elenco di traversie (4,8-12), da Paolo sostenute con spirito di fede (4,13-15), e poi mostrata nella personale esperienza di distruzione progressiva della sua vita terrena e di manifestazione della vita del risorto già ora in lui e, per mezzo suo, nei corinzi, ma soprattutto nel futuro superamento della morte (4,16-5,10). Per questo, pur con­ frontato con il distruttivo cotidie morimur, non viene meno (ouk engkakoumen: 4,16), anzi è colmo di coraggio (tharrountesltharrou­ men: 5,6.7), in ogni modo appare impegnato a vivere gradito a Dio, dovendo, come ognuno, risponderne davanti al suo tribunale (5,910). In terza istanza (5,1 1-6,10) si rivolge di nuovo direttamente ai corinzi, offrendo la sua persona come motivo di cui essi possono e devono vantarsi, risparmiandogli così di autoraccomandarsi, lui che è sospinto dall'amore oblativo di Cristo, fonte di salvezza per tutti gli uomini e di esistenza altruistica per i credenti, che hanno mutato il loro modo di rapportarsi agli altri e sono il segno della nuova crea­ zione iniziata nel mondo (5,1 1-17). Un rinnovamento radicale risa­ lente all'iniziativa di Dio, che ha riconciliato il mondo umano con sé

La parola chiave del brano è infatti il motivo della gloria: doxa vi ricorre 7 volte e 2 volte doxazein. 78 Si noti la sottolineatura di una netta diversità tra l'uno e l'altro in 3,12: «non come Mosè». Dal paragone, sia pure per eccedenza, Paolo è passato alla sua nega­ zione. n

"' ouk egkakoumen: 4,1;

230

mi

peripatountes en panourgÌIJ-i: 4,2.

in Cristo, affidando a Paolo il servizio della riconciliazione (5,18-6,2), servizio compiuto con alto senso di responsabilità morale in mezzo a mille traversie, di cui fa un secondo impressionante elenco (6,3-10). 6,1 1-7,4 costituisce una perorazione conclusiva. Ha parlato chiaro e con cuore aperto e chiede il contraccambio (6,1 1-13 + 7,2-4). In 6,14-7,1 invece, un intermezzo diversamente valutato dai critici, come si è visto sopra, l'esortazione80 ha carattere morale e re­ ligioso: separatezza dall'esterno e purità personale. La sezione dei cc. 8-9"' è introdotta da un'usuale formula di noti­ ficazione e dal vocativo «O fratelli»: «Vi vogliamo poi far conoscere, fratelli>> (8,1)."2 Anzitutto Paolo richiama l'esempio di generosità dei macedoni (8,1b-6) ed esorta i corinzi a dare, doppiando l'exemplum dei credenti di Macedonia con quello, ben più efficace, del Signore Gesù che da ricco si fece povero (8,7-15). Quindi raccomanda - mo­ tivo epistolare della raccomandazione - Tito e due fratelli che Io ac­ compagnano, inviati a Corinto per la raccolta (8,16-24)."' L'inizio del c. 9 è una preterizione:84 «Riguardo infatti al servizio da rendere ai santi è superfluo che ve ne scriva» (v. 1).85 Può così dire, capovol­ gendo l'argomento dell'esempio dei macedoni dell'inizio del c. 8,H6 che conta sulla loro generosità, che ha spinto altre chiese all'emula­ zione (v. 2), e riprende il tema dei fratelli mandati a Corinto come delegati dell'impresa (vv. 3-5). Segue un brano di sollecitazione de­ bitamente motivata (vv. 6-15). Motivo tematico unitario e unificante dei cc. 8--9 è quello della > campeggiava di regola in 2,14-7,4, si artico­ lano in tre brani. 10,1-18 è una pericope introdotta da un'autoaffer­ mazione assai forte del mittente: . L'intento è esortativo: richia­ mare la comunità all'obbedienza (v. 6), ma l'accento cade sulla ri­ vendicazione del suo autorevole ruolo. In pratica si difende (vv. 111) dall'addebito di essere debole di presenza (vv. 1.10) e di parlare in modo spregevole, mentre da lontano e per iscritto è forte e corag­ gioso;89 quindi nei vv. 12-18 attacca, non senza fine ironia, gli opposi· tori che lo svalutavano: si autoraccomandano e si vantano fuori mi­ sura (eis ta ametra) invadendo il suo ambito di competenza (kanon) fissatogli da Dio. E qui egli mostra la sua diversità e fa valere il prin­ cipio che il Signore, non l'uomo con le sue risorse, è fonte di ciò che dà diritto di vantarsi (kauchasthai), il destinatario esclusivo dell'a­ zione di vanto, nonché l'unico che può dare valide credenziali (syni· stanein) di abilitazione (dokimos) per il servizio apostolico. Nella seconda pericope (11,1-12,13), centrale, con mille circo· spezioni e cautele, consapevole del rischio di apparire un mi/es glo· riosus, ricorrendo a tutte le arti dell'ironia e del paradosso, si lascia andare a vantarsi, ma, capovolgendone le ragioni solitamente ad­ dotte, si vanta delle sue debolezze in cui però si attua la potenza del Signore, non di pretese sue proprie imprese eroiche e gloriose. Una lunga introduzione e una conclusione inquadrano la sezione struttu­ rata secondo lo schema concentrico ABA : prima si giustifica di scendere sul terreno dei suoi oppositori ( 1 1,1-21a);90 quindi in 11,21b-12,19 viene a motivare il suo vanto, elencandone, in succes­ sive riprese (11,21b-29 / 1 1 ,30-33 / 12,1-5 / 12,6-10), le ragioni e non senza paradossalità; infine si giustifica di nuovo: è stato proprio un folle, ma ne fu costretto (12,11-13). '

" BETZ, 2Corintians 8 and 9, 37ss vi vede la successione di e:wrdium (8,1·5 e 9,1.2), narra/io (8.6 e 9,3-5a), propositio (8,7-8 e 9,5b-c), probatio (8,9-15 e 9,6-14). raccomandazione e autorizzazione dei delegati (8,16-22 e 23), peroratio (8,24 e 9,15), ma è una proposta non convincente. " Cf. 10,1 .2.8.9; 1 1 ,1.2.3.5.6.7.8.9.10.11.12 ecc. Inclusione: aponlparon in 10,1-2; apontes-parontes in 10,11. ., Vi si distinguono due inizi paralleli: 11,1: •Volesse il cielo che voi sopportaste un po' di stoltezza (aphrosyne) da parte mia. Ma sì, mi sopportate•: 1 1,16: •Lo dico di nuovo: nessuno creda che io sia folle. Altrimenti almeno accettatemi come folle, per­ ché possa anch'io vantarmi un poco•. 89

232

Nella terza sezione (12,14-13,10) annuncia la sua prossima terza visita (12,14; 13,1-2), difendendosi dagli equivoci e dalle malignità dei corinzi per non aver accettato di farsi mantenere da loro ( 12,1418), minacciandoli con il potere ricevuto da Cristo che userà contro quanti peccano (12,19-22); in breve, verrà forte della potenza di Dio che ha risuscitato Cristo ( 13,1-4). Scrivendo vuole preparare la sua prossima visita (13,5-10). In realtà, come ha ben rilevato Lam­ brecht,91 questa sezione92 richiama il c. 10; infatti riprende il tono esortativo, accenna alla sua futura presenza a Corinto (10,2. 1 1 e 12,14; 13,1) in cui manifesterà forza e vigore (10,2.1 1 e 13,1-4), pronto ad assicurarsi l'obbedienza della comunità e a colpire dura­ mente la disobbedienza degli avversari (10,5.6 e 13,2.5.10), richiama l'antitesi debolezza e potenza ( 1 0,1-6.10-11 e 13,3-4.9), infine fa ri­ corso ai motivi dell'edificazione (10,8 e 12,19; 13,10), del potere apo­ stolico rivendicato da Paolo (exousia: 10,8 e 13,10) e dell'approva­ zione abilitante (10,18 e 13,3.5-7).93 Si può dunque dire che abbiamo un centro del testo contornato da queste due sezioni introduttoria e conclusiva, secondo lo schema concentrico A-8-A'. La conclusione segue lo schema collaudato di esortazioni gene­ rali ed espresse in forma brevissima (v. 1 1 ), di scambio di saluti (v. 12), del voto benedicente finale (v. 13). 5 . G ENERE EPISTOLARE Bibl. Vedi gli studi citati sopra a proposito della struttura, ma soprattutto L.L. •A Letter of Apologetic Self-Commendation: 2Cor. 1:8-7:16», in NT

BELLEVILLE,

J 1 (1989), 142-163; J_ FtlZGERALD, •The ancient Epistolary Theorists, and 2Corin­ thians 10-13. The Purpose and Literary Genre of a Pauline Letter», in Greeks, Ro­ mans, and Christians. Essays in Honor of AI Malherbe, Minneapolis 1990, 190-200; l'nRBES, «Comparison•; JouBERT, •Behind»; J.A. LousER, •A New Look at Paradox and lrony in 2Corinthians 10-13», in Neotestamerllica 26(1992), 507-521 .

Sopra s i è parlato spesso di apologia e polemica e altrettanto di­ cono quasi tutti gli studiosi,94 ma è necessario precisare. Oltre alle

91 J_ LAMRREarr, Pau/'s Boa51ing, Weakness and Strenghr: A Study of 2 Co­ rinthians 10.13 (Notes for a course in Pauline Exegesis and Theology), Pontificio Isti­

tuto Biblico, Roma 1996-1997, Chapter One. lntroduction. "' Lambrecht però la riduce a 13,1ss. " Cf_ i termini dokimosladokimos, dokime e dokirrunt!. " Cf. per es. YouNa-FoRo, Meaning, 27: •2Cor è stata costruita come apologia di Paolo nel senso quasi tecnico di un discorso di difesa•, un'apologia, precisa subito uopo, in absertlia.

233

due specificazioni suddette la ricerca esegetica si è espressa con altre qualifiche: lettera di riconciliazione,95 di ringraziamento o di congra­ tulazioni in risposta alle buone notizie portate da Tito, lettera di viaggi, lettera autobiografica con toni apologetici.96 Nel suo accurato studio Belleville ha proposto, ma solo per la sezione 1-7, la qualifica di lettera apologetica di autoraccomandazione,97 precisando che così Paolo ha creato un nuovo tipo epistolare, perché raccomanda se stesso, non un terzo, a un destinatario, e rilevando una certa analo­ gia con i sofisti del tempo, Dione Crisostomo in testa.9s Ma le diverse parti di 2Cor, non tutte omogenee, portano a scorgervi diversi ge­ neri; in concreto, bisogna analizzare a parte 1 ,12-2,13 + 7,5-16; 2,14-7,4; 8-9; 10--13. Nella sezione 1,12-2,13 + 7,5-16, in cui, come si è visto sopra, Paolo si difende spiegando i suoi comportamenti verso la comunità, il genere apologetico si manifesta con evidenza nell'appello alla te­ stimonianza della sua coscienza (1 ,12) e a quella di Dio (1,23); nella connessione di proposizioni affermative e negative, più spesso nega­ tive e avversative (> ( 1 1 ,13) e le affermazioni di 3,6: Dio e 4,1: �. 163 Delle due formule R. BuLTMANN scrive: «Meni re la Jypé del mondo è lo sgo­ mento di quanti vedono naufragare il loro benessere e le loro aspirazioni terrene, la kaiJJ rheon lype è la tristezza di coloro che si rendono conto di essere perduti nel mondo, e dal mondo si rivolgono, nella lypé, a Dio• (GLNT VI, 865).

246

stra del Nuovo Testamento, 7-43 (Discussione: 44-74): HAFEMANN, Suffering and the Spirit; J. LAMBRECHT, •The Favorable Time. A Study of 2Corinthians 6,20 in its Con­ text•. in BtERINGER-LAMBRECHT, Studies, 51 5-529; SrHROTER, Der Versohnte Versoh­ ner; M .E. THRALL, •Conversion to the Lord. The lnterpretation of Exodus 34 in I l Cor.3:14b-18», in D E LoRENZI (a cura di), Paolo ministro del Nuovo Testamento, 197232 (Discussione: 233-265): A. VANHoVE, •L'interprétation d'Ex 34 en 2 Co 3,7-14•, in DE LoRENZI (a cura di), Paolo ministro del Nuovo Testamento, 159-180 (Discus­ sione: 181-196).

Rispetto alla precedente, questa apologia ha un respiro più grande. II soggetto interessato è un «noi» che di fatto comprende lui e i suoi collaboratori Silvano e Timoteo,164 annunciatori del vangelo a Corinto (1,19) - in primo piano però abbiamo chi scrive -,'65 ma è estensibile a ogni autentico servitore della nuova alleanza (cf. 3,6). Si contrappone a un , proclamatori della parola non meglio speci­ ficati (2,17; 3.1 ), in fatto di competenza e idoneità (hikanotes) neces­ saria ai servitori della nuova alleanza (3,6), di credenziali che li ga­ rantiscono e di qualità professionali autenticanti. Infine è un «noi>> che si rivolge al è la sua risposta che spiega il genere epistolare dell'autoraccoman­ dazione o autoencomio. Se la posta in palio è chiara e chiarissimo l'intento, il modo di procedere non appare lineare: Paolo passa repentinamente da un aspetto all'altro della problematica, riprende motivi già trattati, ac­ cetta e insieme respinge argomenti di prova, come l'autoraccoman­ dazione.166 Soprattutto vi si nota un continuo passaggio dal tema del servizio a quello, preponderante, dei servitori, da presentazioni più generali (cf. per es. 3,7-18) a brani in che lo vedono in serrato dialogo con i destinatari dello scritto.

2.1.

E chi ne (2,14-3,6)

> 1 80 l >.181 La prima formula ha come implicita contrapposizione il servizio della vecchia alleanza (cf. v. 14); la seconda contrappone due ambiti di servizio, quello della legge mosaica scritta sulle tavole di pietra (gramma), che porta alla morte spirituale quanti vi si affidano («la letlera scritta uccide>>), e quello in cui opera lo Spirito, potenza vivi­ ficante (). Altre formule analoghe o addirittura identiche con genitivo di qualità ricorrono poco più avanti (vv. 7-1 1 ) e sempre i n uno schema antitetico:182 l «il servizio della condanna (katakriseos)>>, per un verso, e «il servizio dello Spirito>> l , per l'altro. Lettera scritta e Spirito, morte e vita, condanna e assoluzione sono dunque i poli antitetici. Il servizio rivendicato da Paolo è nella sfera dello Spirito, di cui è strumento, e perciò mira nel suo esercizio alla rettificazione (dikaiosyne) degli uonùni peccatori di fronte a Dio, che invece di condannarli alla perdizione li «assolve>> costituendoli appunto giusti, o ancora invece di destinarli alla morte eterna li porta alla vita. Invece la legge scritta porta alla morte e alla con­ danna perché, priva dell'influsso vivificante dello Spirito, provoca il soggetto alla trasgressione e di conseguenza alla perdizione. 183

'"' Questa specificazione, che ba la sua origine lontana in Ger 31,31. è applicata in ambito cristiano dalla tradizione eucaristica: cf. 1Cor 11,25; Le 22,20. 181 Per gli studiosi di regola •non della lettera scritta, ma dello Spirito» è specifi· cazione di «alleanza)> e qualifica negativamente e positivamente la nuova alleanza (per es. i commenti citati) o specificazione di che si riferivano a Mosè splen­ dente in volto come «Uomo divino>> (theios aner)? Sembra più pro­ babile che vi sia giunto partendo dal motivo delle lettere di racco­ mandazione, scritte su materia inanimata, per passare a un altro do­ cumento, ben più importante, ma sempre inanimato, la legge mo­ saica scritta su tavole di pietra, di cui Mosè è stato il servitore, e con­ trapponendovi. come credenziale, la lettera viva che è la comunità, scritta sui cuori e con la potenza vivificante dello Spirito, referente del suo servizio. E volendo esaltare la sua funzione di servitore della nuova alleanza, quale miglior termine di confronto e insieme di con­ trasto del servizio di Mosè, ritenuto glorioso al massimo?188 Con­ fronto da cui scaturisce la superiorità della sua diakonia, avvolta d'incomparabile splendore divino. Si potrebbe parafrasare un cele­ bre detto di Gesù: >) (vv. 14-15). Nel rilevare questo occultamento però egli aveva annotato bre­ vemente come possa essere tolto il velo: (v. 14b). Ora lo sviluppa, citando con grande libertà interpretativa Es 34,34: . Secondo il testo biblico in realtà il legislatore si toglieva il velo quando si presentava a Dio nella tenda: «Quando però Mosè entrava (eiseporeueto) davanti al Signore (enanti Kyriou) a parlargli, si toglieva il velO>>. Chi scrive tra­ sforma un ingresso in una conversione, toglie il nome Mosè e sottin­ tende come soggetto ogni israelita, cambia i tempi dei verbi pas­ sando dal passato al futuro. E in questa libera lettura è probabile che il termine della conversione (pros Kyrion) non sia JHWH,193 ma il Signore Gesù. Una conversione cristiana dunque ha di mira Paolo, che specifica lo stretto rapporto che lega il Signore allo Spirito194 in modo da giungere alla libertà come frutto specifico della sua pre­ senza attiva: (v. 17).195 Chi si muove nella sua dinamica dunque vive da persona libera. '

FITZGERALD (a cura di), Frkndship, Flanery, and Frankness of Speech. S/udies on Friendship in lhe New Tes/ament Wor/d, Leiden-New York-Koln 1996, 163-183. 192 E il parere di Belleville, come si è visto sopra. 193 Così invece molti esegeti, come BelleviUe e S. Hafemann. 190 L'affermazione di identificazione: •Il Signore è lo Spirito» vale in senso dina­ mico, non ontologico, tanto più che subito dopo Paolo parla di Spirito del Signore. 1� efeutheria corrisponde a parrésia del v. 12 e l'una e l'altra indkano un compor­ tamento antitetico al tenere il volto velato o coperto. Cf. lo studio di W.C. VAN UNNIK, •"With unveiled Face", an Exegesis of 2Corinthians Ili 12-18•. in NT 6(1963), 153169.

255

Il v. finale196 ritorna al «noi», ma con probabilità si tratta di un «noi>> generale che abbraccia lutti i credenti, opposti agli israeliti non convertiti a Cristo che hanno tuttora il viso coperto: «Noi tutti però che a viso scoperto riflettiamo (katoptrizomenoi)191 la gloria del Signore, siamo trasformati nella stessa immagine, passando di gloria in gloria come per opera del Signore dello Spirito». 1911 Nessun occul­ tamento, la gloria divina che avvolge il Signore Gesù si riflette sul volto dei cristiani, come quella di JHWH sul volto di Mosè. Soprat­ tutto però Paolo insiste sull'effetto: i cristiani sono trasformati (me­ tamorphoumetha) dallo splendore divino assumendo i tratti della stessa immagine divina che è Gesù.1"" Si tratta di un processo pro­ gressivo di glorificazione («da gloria a gloria») per assimilazione a Cristo e per sua azione («per opera del Signore dello Spirito>>). È evidente la prospettiva cristologica: ripetiamo, Cristo è causa esem­ plare ed efficiente della glorificazione e metamorfosi di «tutti noi». Paolo conclude la rivendicazione di autentico servitore della nuova alleanza e dello Spirito,200 abilitato per grazia misericor­ diosa,201 sottolineando le sue qualità morali in modo polemico con­ tro i rivali e riallacciandosi a 2,14-3,3: (vv. lb-2). Dall'eucaristia introduttoria riprende anche il tema della 196 Cf. J. LAMBRECHT, •Transfonnation in 2Corinthians 3,18», in BtERINGER­ LAMBREcHT. Studies, 295-307. '"' Altri, come LAMBRECHT, •Transfonnation in 2Corinthians 3,18», 298ss, tradu· cono: «vediamo come in uno specchio». · "' Altre possibili letture del testo: •dello Spirito del Signore• •dello Spirito che è il S.)J!nore•. Vedi CoLL.ANGE, Enigmes, 123-124. 1 Poco più avanti in 4,4 Cristo è detto espressamente immagine di Dio. Sempre con valenza cristologica vedi il vocabolo in 1 Cor 15,49: portare l'immagine dell'Uomo celeste. CL sul tema in generale i volumi classici di F.W. ELTESTER, Eikon im Neuen Testament, Berlin 1958 e J. JERVELL, Imago Dei. Gen 1,26s im Spiitjudentum, in der Gnosis und in den paulinischen Briefen, Gottingen 1960. 200 Cf. H.J. KLAUCK •Erleuchtung und Verktindigung. Auslegungsskizze zu 2 Kor 4,1-6», in DE LoRENZI (a cura di). Paolo ministro del Nuovo Testamento, 267-297 (Discussione 297-316). 20' •Perciò, avendo questo servizio per un gesto di misericordia di Dio• (4,1a: eleethimen è un passivo teologico). a. il passo parallelo di 1Cor 7;25: Ms eleémenos hypo kyriou. 202 en panourgia-i. panourgia è la caratteristica del serpente tentatore ( 1 1 ,3) e in 12,16 Paolo si difende dalla critica dei corinzi che lo accusavano di essere panourgos. 203 dolountes ton logon tou Theou. Il riferimento è a 2,17 (kapeleuontes ton logon /ou Theou).

256

manifestazione: là era Dio il soggetto principale attivo e Paolo il me­ diatore,204 qui è lui in prima persona il rivelatore «della verità», for­ mula parallela a «la parola di Dio». Sorprende invece che dopo aver escluso sopra l'autoraccomandazione (cf. 3,1-3), ora la faccia pro­ pria, con due precisazioni però: è diretta non ai corinzi, ma alla co­ scienza degli uomini, sollecitata ad accogliere il suo messaggio come annuncio di autentico evangelista; è fatta davanti agli occhi di Dio cui nulla sfugge e che ne attesta l'attendibilità. Per questo non è ri­ ducibile ad autocertificazione, trovando la sua validità nella voce della coscienza umana e nel giudizio di Dio. In breve, non è lui a giu­ dicare se stesso, ma, in ultima analisi, Dio e la coscienza umana. Re­ sta comunque il fatto che si autoraccomanda: se respinge l'autorac­ comandazione degli oppositori, non valuta negativamente ogni auto­ raccomandazione.205 Non ci s'inganni su di lui e sulle chiusure pervicaci che incontra nel suo annuncio evangelico:206 il deficit non è nella sua persona né nel suo messaggio, bensì negli increduli, influenzati da forze demo­ niache: «E se anche il nostro vangelo resta velato (kekalymmenon), lo è soltanto per quelli destinati alla perdizione, cioè per gli increduli a cui il dio di questo mondo207 accecò le menti (etyph/6sen ta noe­ mata), perché non vedessero lo splendore del vangelo glorioso di Cristo (eis to me augasai ton ph6tismon tou euaggeliou tes doxes tou Christou), che è l'immagine di Dio>> (vv. 3-4). Il linguaggio si ri­ chiama a 3,14ss, per questo è probabile che vi denunci la chiusura dei giudei al suo messaggio evangelico: benché vi risplenda luminosa (ph6tismos) la gloria divina di Cristo, è respinto da ascoltatori che chiudono gli occhi alla luce.208 Il motivo cristologico dell'immagine divina mostra che in Cristo è presente il fulgore della gloria di Dio. "" phanerounri di' hembn: 2,14. "'·' Vedi in proposito lo studio di S. HAFEMANN, •"Self-Commendation" and Apostolic Legitimacy in 2 Corinthians: A Pauline Dialectic?•, in NTS 36(1990), 66-88. "" È condivisibile la lettura di Belleville che vi scorge un intento apologetico e polemico: Paolo era stato criticato perché la sua predicazione, per mancanza di cari­ sma E,ersonale e di illuminante parola, aveva fatto pochi conveniti (p. 1 50). ho ai6n houtos è fonnula del dualismo apocalittico che ricorre abbastanza 'pesso in Paolo (1Cor 1,20; 2,6.8; 3,18; Rm 12.2) simile a ho kosmos houtos di ICor .1,19: 5,10: 7,31 bis. ho ai6n enest6s di Gal 1,4 e ho nvn kairos di Rm 3.26; 8,18; 1 1 ,5. Il dio di questo mondo indica una potenza celeste negativa dominatrice del mondo mal­ vagio: cf. lCor 8,5 in cui Paolo parla di molti dèi e molti signori a questo mondo. El 2.2 che attesta la formula «principe che domina sull'aria• (arch6n tes exousias tou ae­ ros) e Gv 12,31; 14,30; 16,11 dove ricorre la formula «principe di questo mondo• (ho arch6n tou kosmou toutou l ho tou kosmou archOn) sono i passi più vicini al nostro. "" L'accecamento è parallelo all'indurimento delle menti di 3,14.

257

Infine Paolo tiene a distinguere tra evangelista e vangelo: annun­ cia non se stesso ma Gesù;209 una distinzione che si ripercuote sulle rispettive identità: Gesù è il Signore, lui lo schiavo della comunità: «In effetti non annunciamo (keryssomen) noi stessi, bensì Gesù Cri­ sto come Signore, mentre noi siamo vostri schiavi per amore di Gesù>> (v. 5). La formula «Gesù Cristo come Signore>> proviene dalle formule di fede (cf. lCor 12,3; Rm 10,9; Fil 2,1 1). Originale è invece l'affermazione di essere schiavo della comunità, mentre di norma si dice schiavo di Cristo (cf. Rm 1,1; Fil 1,1; Gal 1,10), per significare che è a completo e incondizionato ser­ vizio della chiesa corinzia, una schiavitù scelta però, non imposta dall'esterno, per la causa di Gesù, da cui dipende come dal suo Si­ gnore. È un araldo del Signore Gesù che Dio ha di persona preparato il­ luminandolo a proposito del figlio, affinché, a sua volta, lo faccia co­ noscere al mondo: (v. 6). Dio creatore della luce era oggetto della fede giudaica (cf. Gen 1 ,3); ma qui Paolo si riferisce non alla crea­ zione primordiale della luce, bensì alla promessa profetica di Is 9,1 (LXX): «il popolo che camminava nella tenebra vide una grande luce; voi che abitate nella regione umbratile della morte, una luce splenderà su di voi (ph6s lampsei eph ' hymas)». In lui si è compiuta la parola profetica e si è realizzato l'evento escatologico promesso: per grazia è stato illuminato sull'identità di Gesù splendente di glo­ ria divina; un'illuminazione però non da tenere per sé, ma da comu­ nicare agli altri; in una parola, è stato illuminato e mandato a illumi­ nare. Si riferisce alla sua vocazione e missione, attestata similmente in Gal 1 ,15-16, dove manca l'immagine della luce che caratterizza il nostro passo, in compenso però domina il motivo della rivelazione: . Per questo può annunciare Gesù come Signore, cioè Gesù nella sua dimensione divina, avvolto dello splendore della gloria di Dio, ben superiore in questo a Mosè, "" L'autoannuncio è criticato anche nella filosofia popolare greca per bocca di DtoNE CRISOSTOMo: •molti dei cosiddetti filosofi proclamano se stessi (aulous anake­ ryllousin) come i messaggeri olimpici» (Or. 13,12,11; cit. nel commento di Windisch, p. 1 12).

258

che pure splendeva in volto della gloria divina, splendore il suo de­ stinato ad essere eliminato e per questo tenuto nascosto, mentre quello di Gesù è proclamato a chiare parole da Paolo.210

2.3. «Tesoro in vasi di coccio>> (4,7-5,10) Bibl. G. BARBAGLIO, «La "via crucis'' di Paolo•. in Parola Spirito e Vita (1994)30, 183-194; M. BourrrER. •La souffrance de l'apòtre: 2 Co 4.7-8•, in DE LoRENZI, The Diakonw, 29-49 (Discussions 50-74); G. DAUTZENDERG, «Glaube oder Hoffnung in 2 Kor 4,1 3-5,10», ibid., 75-104 (Discussions 105-131 ); K. ERLEMANN, «Der Geist als arra­ bOn (2Kor 5,5) im Kontext der paulinischen Eschatologie•. in ZNW 83(1992), 202223; FrTZGERALD, Cracks in an Earrhen Vessel, spec. 166-184; R. HooosoN, •Paul the Apostle and First Century Tribulation Lists•, in ZNW 74(1983), 59-80; KLEINKNECHT, Der leidende Gerechtferrigte, 242-281 ; J. LAMBRECHT, •The Eschatological Oullook in 2Corinthians 4,7-14•. in BrERINGER-LAMBRECHT, Studies. 335-349; lo.. «La vie englou­ lit cc qui est morte!. Commentaire de 2Corinthiens 5,4c•. ibid., 351-361; A.T. LrN­ COLN, Paradiso ora e non ancora. Cielo e prospettiva escatologica nel pensiero di Paolo. Paideia. Brescia 1985. 106-127; R. PENNA. •Sofferenze apostoliche, antropolo­ gia cd escatologia in 2Cor 4.7-5,10•. in L 'apostolo Paolo. 269-298; W. ScHRAGE, «Lei d. Kreuz und Eschaton. Die Peristasenkataloge als Merkmale paulinischer theologia crucis und Eschatologie•, in EvTh 34(1974). 141-175.

Il v. 7 costituisce la propositio del brano: «Ma questo tesoro l'ab­ biamo in vasi di coccio, perché la straordinarietà della potenza (M hyperbolé tés dyname6s)211 sia di Dio e non venga da noi>>. Dopo aver esaltato la sua diaconia, superiore a quella mosaica, ora Paolo precisa con linguaggio figurato che si tratta di un tesoro custodito in vasi d'argilla.212 L'antitesi è netta: preziosità del compito a lui affi­ dato e povertà e fragilità della sua persona. È una paradossale coesi­ stenza che porta non solo a riconoscere soggettivamente a Dio e non a Paolo la straordinaria potenza che si dispiega in lui e nell'esercizio del suo servizio, ma anche a dire che solo così la potenza insita nella diaconia è di Dio e non di Paolo.213 Anche se manca il termine anti'10 Il confronto si conferma dall'uso di espressioni parallele: dw t�n doxan tou pros6pou autou (3,7); tb doxts tort Theou en prosopo-i Usou Christou (4,6). In ! Cor 2,8 Gesù è detto «Signore della gloria•. '" Il participio corrispondente hyperbal/ousa è usato da Paolo per indicare l'e­ minente gloria del servizio della nuova alleanza (ef. 3,10). 212 Altra identificazione possibile del tesoro è con l'annuncio evangelico. Ma è preferibile il riferimento a 4,1: «noi che abbiamo questo servizio». Non manca, d'altra parte, chi interpreta il termine skeuos in senso di strumento. Cf. per es. CoLLANGE, Enigmes, 146: •è piaciuto a Dio di aCfidare il tesoro del suo vangelo a strumenti scelti da lui. fragili e senza apparenza». w Così SA VAGE, op.ci1. , 164ss contro l'opinione corrente che interpreta (> (aiò­ nion), cioè propria del nuovo mondo futuro che prenderà il posto di questo e avrà durata senza fine; celeste (en tois ouranois), categoria spaziale espressiva di trascendenza rispetto alle realtà terrene.229 All'immagine dell'abitazione Paolo aggiunge quindi quella del vestito, che, introdotta al v. 2, diventa poi dominante. Nello stesso tempo si occupa del succedersi delle due esistenze, esprimendo in 226

Passo paolina parallelo è Rm 8,18 dove però a do:r:a corrisponde ta pathlmata. Antitesi dualistica di marchio greco. ma Paolo contrappone non corpo e spi­ rito, ma realtà terrena e realtà eterna o escatologica. 2lM Per questo BoUTTIER, «La souffrance de l'apòtre)) e DAliTZENBERG, ccGlaube oder Hoffnung» definiscono il genere di questo brano, ma anche della sezione 4,75,10, una confessione. Vedi ancor più PENNA, •Sofferenze apostoliche•. 275: •Il di­ scorso è molto personale. Ciò che emerge in primo piano è un'esperienza di vita, qualcosa che tocca l'Apostolo nella sua carne». 229 Cf. LrNcou.�, Paradiso ora e non ancora, 306-308. 227

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pari tempo un'istintiva paura della morte (svestirsi e trovarsi nudi) e il desiderio di un'esistenza celeste come nuovo vestito indossato so­ pra il precedente: (vv. 2-4). Quest'ultima proposizione, al di là delle immagini, esprime al meglio ciò che Paolo si attende: il trionfo della vita nella sua esistenza mortale. Si­ mile è la prospettiva, inclusa l'immagine del vestito, di 1 Cor 15,53-54:231 questo corpo corruttibile e mortale si vestirà d'incorrutti­ bilità e immortalità, una trasformazione radicale (allassein: l Cor 15,51). La terminologia risente, come già quella di 4,16-18, del dualismo del tempo che contrapponeva corpo a anima, quello solo hospitium. aliena domus,232 mentre vera domus è il cielo.233 Da parte sua Filone parla del corpo quale dimora dell'anima e tenda (skenos).234 Pari­ menti dell'immagine antropologica del vestito abbiamo nel mondo greco testimonianze chiare: >.m In breve lo spiritualismo di marca greca anelava all'abbandono dell'abitazione corporea, del ve­ stito corporeo, per un'esistenza spirituale, di sola e nuda anima. Paolo invece, pur usando le stesse categorie antropologiche, tende non alla perdita del corpo, ma all'acquisto, per grazia, di un'esi­ stenza corporea nuova, immortale. È sintomatico che mai vi ricorra il termine «anima>> e che l'abitazione attesa da Dio non sia incorpo­ rea, come emerge da 4,10, dove dice che è in atto un processo di morte, ma anche si manifesta la vita di Gesù; senza dire che la sperata risurrezione riguarda (4,14), tutto l'uomo. La dualità paolina è tra storia ed escatologia, tra esistenza mortale e caduca ed esistenza nuova creata da Dio, tra corpo psichico e corpo

ZlO endysasthai è lezione da preferire a ekdusasthai (svestiti). "' Cf. anche la corrispondenza tra •affinché ciò che è mortale (to thnetnn) sia in­ ghiottito (katapothe-i) dalla vita (hypo res zoès)• di 5,4 e •La morte (ho tlwnatos) fu ingoiata (karepothe) nella vittoria (eis nikos)• di lCor 15,54b. 412 CicERONE, Senect. 23,48; Tusc. 1,22,51. m CicERONE, Tusc. 1 ,22,51. "' Der.pot.ins. 33 e Quaest. in Gen. 1,28. "' FtLONE, Leg. alleg. Il, 55-59 e PLUTARCO, De sera 26, cit. da PENNA, •Soffe­ renze apostoliche>>, 281-288 che vi dedica grande attenzione.

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spirituale, come dice in 1 Cor 15,44.46, intendendo per corpo tutto l'uomo nella sua essenziale relazione a Dio, agli altri, al mondo. II nostro passo comunque ha una sua originalità rispetto alle grandi pagine escatologiche di l Ts 4,13-5,11 e l Cor 15, guardando Paolo alla sua morte e al suo aldilà. Si è supposto che la drammatica esperienza vissuta nella provincia romana di Asia (1 ,8-1 1) gli avesse fatto vedere la morte in faccia, portandolo a riflettere sull'eventua­ lità che ne fosse ghermito prima della parusia di Cristo. eventualità che egli vive con la fiducia di avere da Dio un'esistenza nuova, cele­ ste, corporea s'intende, di una corporeità immortale e incorruttibile, come ha specificato in 1 Cor 15.236 Ma il contesto dice che è il suo co­ tidie morior ad avergli imposto il problema del suo futuro ultimo, fu­ turo certamente di vita contro la morte, ma senza entrare nella de­ terminazione cronologica, se prima della parusia o dopo.237 L'ac­ cento è sull'intervento vivificante di Dio e sullo Spirito da lui do­ nato, caparra, cioè garanzia certa del saldo finale: (v. 5). Non vi compare esplicitamente la categoria della parusia di Cristo, né ha alcuna presenza il quadro apocalittico, per non dire del motivo della risurrezione, ricorrente solo in 4,14; ma solo perché egli si occupa qui del suo destino personale di apostolo la cui esistenza terrena va sì disfacendosi, ma nella prospettiva di fede (oidamen) di riceverne da Dio una celeste (cf. 5,1 ). Nei vv. 6-10 trae una conclusione sul suo atteggiamento impron­ tato al coraggio: «Dunque sempre pieni di coraggio e consci che abi­ tando in questo corpo siamo esuli dal Signore, perché camminiamo sulla via della fede, non del visibile (dia eidous); lo ripeto, siamo pieni di coraggio e preferiamo essere esiliati dal corpo e andare ad abitare presso il Signore>> (vv. 6-9). Riappare l'immagine dell'abita­ zione, arricchita da quella correlativa dell'esilio, anch'essa tipica del dualismo greco,238 ma ancora una volta la contrapposizione paolina 236 Così per es. WJNDISCH nel suo commento. ma anche G. LODEMANN, «Paul, Christ and the Problem of Death•. in Origins and Method. Towards a New Understan­ ding ofJudaism and Christianity. Essays in Hvnour of John C. Hurd, Sheffield 1993, 26-43, 41. "' Cf. ERLEMANN, «Der Geist als arrab6n•. LODEMANN, •Pau!, Christ and the J>roblem of Death>> invece ritiene che Paolo «ora si aspetta che i credenti ricevano un corpo celeste immediatamente dopo la loro morte>>, «Stimolante innovazione che Paolo ha incorporato nella sua teologia nel tempo di 2Corinzi 5• (p. 40). "" «Già Socrate in Platone. Fed. 61 parlava della propria mone come emigra­ zione (apodemia) . .. Ma è soprattutto Filone Al. che insiste ampiamente su questo tema: "La vita nel corpo tutta intera è un esilio" (Rer.div.her. 82; cfr. 276; Somn. . 180-

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non è tra corpo e anima, bensì tra esistenza attuale ed esistenza fu­ tura di comunione indefettibile con Cristo, tra lontananza e vici­ nanza rispetto al Signore, che è in cielo e dunque è il creduto, non il veduto.239 La sua preferenza per il secondo polo delle antitesi esprime volontà non di liberazione dal corpo, ma di abitazione di tutto se stesso nel regno di Cristo. Infatti equi­ vale a «nella nostra carne mortale» di 4,1 1 ; «corpo» ha la stessa va­ lenza di «Corpo psichico>> contrapposto a «Corpo spirituale>> di l Cor 15,42-45. «L'esilio o l'emigrazione, oggetto della speranza di Paolo, non è dalla vita somatica come tale, ma da un'esistenza corporea .ca­ duca e mortale».240 In ogni modo, conclude, quale che sia l'immediato futuro, morte o continuazione di vita, importante è condurre un'esistenza positiva di gradimento a Dio in vista della verifica del giudizio, attribuito qui a Cristo: «Perciò ci sforziamo di essergli graditi sia in patria sia in esi­ lio. È giocoforza infatti che noi tutti appariamo davanti al tribunale di Cristo, perché ciascuno riceva ciò che merita per quanto ha fatto, sia in bene sia in male, mediante il suo corpo»241 (v. IO). Gli occhi fissi al futuro non lo distolgono dalla responsabilità etica del pre­ sente propria dei credenti («noi tutti>>) e di ogni persona ( «cia­ scuno>>).

2.4. «Il servizio della riconciliazione» (5,1 1--ti,2) Bibl. R. BtERINGER, •Paul's understanding of Diakonia in 2Corinthians 5,18•. in BtERINGER-LAMBRECKT, Studies, 413-428; Io., •2 Korinther 5,19a und die Verst!hnung

der Welt», ibid. , 429-459; lo., «SOnde und Gerechtigkeit in 2 Korinther 5,21•, ibid. . 461-514; C. BREYrENBACH, •Versllhnung. Stellvertretung und SOhne. Semantische und traditionsgeschichtliche Bemerkungen am Beispiel der paulinischen Briefe•, in NTS 39(1993), 59-79; HJ. FlNOEIS, Versohnung - Aposto/at - Kirche. Eine exegetisch­ theo/ogische und re:.eptionsgeschichtliche Studie :.u den Versohnungsaussagen des Neuen Tesraments (2Cor, Rom, Kol, Eph), WOrzburg 1983, 61-252; O. HoFJUS, «Er-

181; Conf /ing. 76-82; vedi pure Plutarco, De facie 943C)• (PENNA, cSofferen2e apo­ stoliche», 286). 239 G. KtTIEL, in GLNT III, 124 •Perciò il senso della frase può essere soltanto questo: noi ora camminiamo nella sfera in cui ha valore soltanto la fede e non vi è posto per alcuruJ "forma visibile"•. "" BARBAGLio, •Alla comunità di Corinto: seconda lettera•, 644. 241 L'espressione può avere anche valore temporale: durante la vita corporea. senza che cambi sostanzialmente il senso; si tratta sempre dell'agire dell'uomo essere corporeo.

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wagungen zur Gestalt und Herkunft des paulinischen VersOhnungsgedanke», in Pau­ /usstudien, Tiibingen 1989, 1-14; lo., «"Gol! ha unter uns aufgerichet das Wort von der Verstihnung" (2Kor 5,19)», ibid. , 1 5-32; lo., «Siihne und Verstihnung. Zum pauli­ nischen Verstiindnis des Kreuzestodes Jesu••, ibid. , 33-49; J. LAMBRECHT, «"Reconcile yourselves.. . ": A Reading of 2Cor 5,11-21», in DE LoRENzo (a cura di), The Diakonia, 161-191 (Discussions 192-209); R.P. MARTIN, Reconci/iation. A Study of PauJ's Theo­ logy, London 1981, 90-110; S.E. PoRTER, «Reconciliation and 2 Cor 5,18-21», in BoE­ RINGER (a cura di), The Corinthian Correspondence, 693-705.

II brano, nella prima parte, è grammaticalmente caratterizzato da congiunzioni conclusive o consecutive: «dunque l oun, ara» (5,11.20 e 5,14); > l (v. 16). Paolo interpreta la frattura tra i due mondi o tempi, propria dell'a­ pocalittica giudaica ('6lam hazzeh / '6lam habba'), esistenzialmente, come frattura tra due modi di esistere. Seconda conseguenza: nel mondo e nella storia si è anticipata la nuova creazione promessa dai profeti: .255 Gli effetti dell'azione salvifica di Cristo, nuovo Adamo, travalicano l'ambito dei rapporti personali per cogliere la realtà cosmica: è sorto il nuovo mondo.256 Se Paolo la novità introdotta per grazia , è pur vero che nel quadro della nuova creazione sottolinea la novità di quanti sono inseriti in Cristo che per questo diventano «nuove creature>>.257 Il v. 18 introduce una precisazione: finora chi scrive aveva par­ lato dell'azione innovatrice di Cristo, della sua morte oblativa; ora allarga il quadro in senso «teologico>>: (v. 18a). Una conferma che l'orizzonte del suo pensiero è teocentrico, avendo come ultima prospettiva Dio e la sua iniziativa di salvezza. Ma è anche un modo per introdurre il motivo della riconciliazione; non per nulla ve la connette con un participio qualificante il soggetto divino: (v. 18b). Anzitutto Paolo vi qualifica Dio attribuendogli l'azione riconciliatrice, compiuta nel tempo (verbo all'aoristo), mediata da Cristo e a vantaggio di un gene­ rale che comprende tutti i credenti, beneficiari del dono divino. L'o­ riginale linguaggio della riconciliazione in senso religioso appare qui per la prima volta sotto la sua penna.258 Si può ritenere che vi sia

255 Cf. BARBAGliO, .cCreazione e nuova creazione nella teologia paolina», 193209 (187-238); U. MELL, Neue Schopfung. Eine traditionsgeschichtliche und exegeti­ sche Studie zu einem soteriologischen Grundsatz paulinischer Theologie, Berlin-New York 1989. spec. 327-388. "' Cf. ls 43,18-19: •Non ricordatevi delle realtà prime (la praia), non pensate alle realtà arcaiche (la archaia). Ecco io farò cose nuove (kaina)>>: 65,17: •ci sarà cielo nuovo e terra nuova»; 66,22. 2..">7 Una diversa lettura traduce ktisis con creazione: «C'è nuova creazione» (così Meli citato sopra, per es.). Ma la protasi ha per soggetto il pronome lis, •uno. chiun­ que))• cui corrisponde bene che nell'apodosi si dica che è nuova creatura. '" In lCor 7,11 parla di riconciliazione tra moglie e marito. Il nostro passo e Rm 270

stato spinto dall'intento primario della lettera, riconciliare a sé la co­ munità di Corinto, che aveva rotto con lui. Un rapporto non a lato di quello religioso, ma interno: rompendo con l'apostolo, i corinzi hanno pregiudicato la loro comunione con Dio; per questo la neces­ saria riconciliazione riguarda egualmente i due referenti, Dio e Paolo.259 La testimonianza de li' AT è assai povera in proposito, e si spiega, perché privilegia vocaboli tratti dall'esperienza cultuale, come espia­ zione, sacrificio, purificazione. Possiamo citare solo 2Mac t ,5;260 8 ,29;26 1 soprattutto 5,20: dopo che il tempio era stato in rovina «per l'ira dell'Onnipotente (en té-i tou pantokratoros orgé-i)>>, fu ripristi­ nato in tutto il suo splendore e 7,33: il Signore per breve tempo si adira . Questi passi chiariscono il processo di riconcilia­ zione espressivo di un cambiamento262 d'animo e di rapporto: dall'ira a una rinnovata accettazione benevola. Suppone una rottura di rap­ porti religiosi , causata dai peccati del popolo, e viene fatta consistere formalmente nel placarsi di Dio,263 sollecitato di norma da suppliche (cf. 8,29) e riti di penitenza.264 In Paolo invece non c'è un Dio adirato bisognoso di riconciliarsi con gli uomini; sono questi che nel loro peccato hanno rotto con lui e richiedono di esserne riconciliati. Il cambiamento non riguarda lui ma il loro atteggiamento. Nessun ten­ tativo umano dunque d'influire su Dio per farlo desistere dalla sua pretesa collera; al contrario, iniziativa divina di grazia tesa a ricreare

5.10-1 1 sono le attestazioni di un abbozzo di teologia paolina della riconciliazione. Cf. anche Rm 1 1 . 1 5 Col 1 ,20.22 e Ef 2,16 continuano l'eredità di Paolo con accentua­ zione del carattere cosmico e ecumenico "' In proposito vedi la trattazione di FINDEIS, Venohmmg-Apostolat-Kirche. "" •(Dio) esaudisca le vostre preghiere e si riconcili (katallageié) con voi•. 261 Pregarono il Signore misericordioso «di riconciliarsi (katal/agénai) pienamente con i suoi servi». 262 La radice è al/ass· che vuoi dire cambiare. U..l È risaputo come la religione pagana fosse incentrata in questo motivo: «pia· care deos». Presso i romani soprattutto invasiva era l'ira deum. contro cui nulla può fare l'empio: impius ne audeto placare donis iram deorum (CICERONE, De leg. 2,22). Il contrario è la pa:.c deum. Da parte loro i greci conoscevano •la grande ira del grande Zeus (orgé megalé tou megalou Dios)• (W. DnTENBEROER, Sy/1. 1237,5; cii. in GLNT Vlll. 1093). 264 Cf. anche 1 Clem 48,1. .

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nei peccatori un rapporto amichevole con lui.265 Il risultato è un'ami­ cizia con Dio restaurata, una pace con lui ricreata.266 La seconda qualifica operativa di Dio è che egli «ha affidato (dontos) a noi il servizio della riconciliazione (ten diakonian tes ka­ tallages)••- Il genitivo è con tutta probabilità oggettivo: un servizio che ha che fare attivamente con la riconciliazione. Ne è conferma l'espressione analoga del v. 19: > (vv. 18 e 19), •Con Dio• (v. 20). Non si obietti che è dirticilc leggere: •lasciatevi riconciliare da Dio con Dio•, perché il passivo teologico rimanda, è vero, a Dio come complemento d'agente, però solo in modo sottinteso, evitando cosi l'accostamento esplicito •da Dio con Dio». «Temo che vi siano contesa, invidia, animosità, rivalità, maldicenze, insinua­ zioni, manifestazioni d'orgoglio, disordini. Temo che, venendo io di nuovo, il mio Dio mi umili davanti a voi e che io debba dolermi di molti che prima hanno peccato e poi non si sono convertiti per l'impudicizia, l'immoralità e la dissolutezza delle loro opere». 276 Dalo tradizionale nel protocristianesimo: cf. Eb 4,15; 5,7-9; 1Pt 1,19; 3,1 8. Il tema sarà sviluppato nella presentazione di Gal e Rm, dove è rilevante, mentre qui abbiamo un solo cenno. 27�

m

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minata dal peccato (en homoiomati tes sarkos hamartias) e per libe­ rare dal peccato (peri hamartias), "condannò" il peccato nella carne>>. La salvezza si realizza sulla direttrice della solidarietà di Cri­ sto con l'umanità peccatrice.278 Lo scopo dell'iniziativa divina me­ diata da Cristo è la giustificazione del «noi>> generale dei credenti. Riconciliazione e giustificazione sono parallele: due categorie teolo­ giche diverse, l'una di marca interpersonalistica ma anche sociale e politica, l'altra di segno giudiziario, derivando culturalmente dall'as­ soluzione dell'imputato in un formale processo, a cui Paolo ricorre per esprimere la densità e poliedricità dell'azione di grazia del Dio di Gesù Cristo. Con 6,1-2 egli ritorna al confronto noi-voi sotto il segno dell'e­ sercizio del servizio di riconciliazione. «Ed essendo suoi collabora­ tori (synergountes), vi esortiamo a non rendere inefficace la grazia di Dio da voi ricevuta>>. La mediazione dei servi tori della diaconia della riconciliazione accentuata sopra è espressa con la categoria della collaborazione:279 i servitori collaborano con Dio; per questo l'esor­ tazione attribuita a Dio in 5,20 ora ha come soggetto il «noi>>. La nuova qualifica di collaboratori specifica quella di servitori: coope­ rano all'opera divina, sono strumenti per la sua riuscita. Nuovo è an­ che l'oggetto della parola esortativa che riguarda la grazia divina. Questa, come appare dal contesto, è il dono della riconciliazione, che i corinzi con il loro comportamento rischiano di nullificare. Una responsabilità grande, (v. 4a). Già in 1 Cor 3,5 Paolo aveva affermato di sé e Apollo: «Servitori (diakonoi) mediante i quali voi siete giunti a credere» e il contesto dice che vi si sottintende il genitivo di Dio .282 L'autoraccomandazione è costruita da un lungo catalogo di av­ versità.283 Rispetto al catalogo del c. 4 originale appare l'elenco delle reazioni soggettive di Paolo alle avversità elencate; meglio, egli passa dall'uno all'altro polo; ma l'accento cade proprio sulle qualità professionali del servitore di Dio. Non per nulla inizia menzionando la (en hypomone-i poi/e-i) con cui affronta le sta­ zioni della sua via crucis (v. 4): non piega le ginocchia, non si ar­ rende; la vita travagliata pesa su di lui, ma egli sopporta il carico (hypo-menein).1JJ4 Un primo elenco di ciò che ha gravato sulle sue spalle è costruito con sintagmi formati dalla preposizione >, in ZNW 56(1965), 100-129; lo., «The Poor among the Saints in Jewish Christianity and Qumran•. in ZNW 57(1966), 54-78; K.F. NICKLE, The Co/lection. A Stltdy in Pau/'s Stralfgy, London 1966, spec. 100-143.

«Paolo sa inserire un gesto di aiuto alla comunità di Gerusa­ lemme nel cuore stesso dell'adesione di fede all'iniziativa di salvezza del Padre di Gesù Cristo>>.287 E si potrebbe aggiungere: nel cuore stesso della liturgia cristiana di glorificazione, ringraziamento e sup­ plica. Ai suoi occhi la colletta non è una pura transazione finanzia­ ria; l'aspetto economico passa in secondo piano. Lo prova con evi­ denza la terminologia usata per indicarla: non il nome specifico di lo­ geia (raccolta), termine che appare solo in lCor 16,1.2, ma qualifiche di denso spessore dottrinale, come charis (grazia), diakonia (servi­ zio), eulogia (benedizione), agapé (amore), koinonia (comu­ nione).2811 E non ci sembra che sia una lettura corretta estenuare, come spesso si fa, il senso di tali vocaboli attribuendo loro un signifi­ cato generico. In realtà, la colletta riveste ai suoi occhi specifiche di­ mensioni teologiche ed ecclesiologiche, ma anche cristologiche, su cui naturalmente verte la nostra attenzione. In principio abbiamo l'iniziativa gratuita di Dio.289 Ha accordato alle chiese macedoni la grazia (tén charin theou tén dedomenén) di una generosa partecipazione alla colletta (8,1.4). L' in cui versano, cui si abbinano tribolazioni, mostra che la loro insistente domanda di parteciparvi è un prodigio di grazia divina (8,2). E dando per scontato il successo della colletta, Paolo, come motivo del canto di glorificazione, può indicare la «Sovrabbondante

"" BARDAGLIO, «Alla comunità di Corinto: seconda lettera», 671. ""' A giudizio di S.A. RICHARD. «The Completion of a Religious Duty. The Back­ ground of 2 Cor 8.1-5>>. in NTS 42(1996), 584:599 anche il verbo epitelein (8,6. 1lbis) indica il compimento di un dovere religioso. E una possibilità, ma non una certezza, visto che la valenza del verbo è generale e nel contesto assume piuttosto il significato di completamento di quanto è stato iniziato. "" HAINZ, Koinonia, 161: Dio è l'autore (Urheber) di questo evento.

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grazia>> accordata da Dio ai credenti di Grecia (dia ten hyperballou­ san charin tou theou eph 'hymin) (9,14). L'iniziativa divina di grazia, come si vede, è colta costantemente nel suo versante oggettivo di do­ nazione; lo mostrano anche i passi 9,8: ) si veda 8,16: «Sia ringraziato Dio, lui che ha dato nei cuore di Tito la stessa sollecitudine per voi>> (8,16).293 Ancor più significa­ tivo è il darsi dei macedoni «prima al Signore e poi a noi>> (8,5). Il dono ai cristiani di Gerusalemme è dunque espressione di fedele adesione all'apostolo e al suo progetto della colletta e insieme di au­ todonazione a Cristo nella fede. Non è un dare qualsiasi però, ma una donazione sentita, libera e gioiosa: «Ciascuno dia [verbo sottin­ teso] secondo la sua interiore decisione, non di cattivo umore né per costrizione. Dio infatti ama chi dà con gioia (hilaron doten)». (9,7). E ancora, è un dare generoso: •> (Rm 1 1 ,13), e solidarizzano con lui e Barnaba: la missione è impresa unitaria e comune, sia pure nella di­ visione dei campi di competenza. E segno di tale comunione è la col­ letta per i poveri di Gerusalemme. Tale accordo però è stato letto in chiave d'imposizione autoritaria e di dovere giuridico: le comunità paoline ex gentibus con la colletta devono riconoscere il primato della chiesa gerosolimitana e sottomettervisi. Ma tutto questo non appare affatto nella testimonianza di Paolo in 1Cor 16,1 -4; Rm 15,25-28.31; 2Cor 8-9. È possibile che strada facendo la sua com­ prensione della colletta sia cresciuta; né si può escludere una diversa valutazione della colletta nei contraenti dell'accordo di Gal 2,9-10.305 Resta il fatto che nella nostra sezione essa è intesa nel vasto oriz­ zonte della grazia di Dio e della libera risposta dei credenti di Grecia al dono divino che li fa donatori generosi nel servizio da prestare ai poveri della chiesa di Gerusalemme.306 Da parte sua la categoria di servizio, usata qui con dovizia,307 non deve essere letta riduttivamente come termine puramente ammini­ strativo.308 II contesto della 2Cor che tratta a fondo del servizio di Paolo alla chiesa di Corinto ( 1 1 ,8), servizio ricevuto per grazia da "" Tale visione ecumenica sarà sottolineata con forza da Paolo in Rm.

311< Cf. in proposito gli studi citati di HAINZ, Koin6nia, e HoLMBERG, Pau/ and Power. "" A conferma dell'inserimento della colletta nei rapporti di comunione interec·

clesiale si ha che Paolo prevede che sia portata a Gerusalemme da rappresentanti delle sue chiese: «Con lui [Tito] abbiamo mandato quel fratello di cui tutte le comu­ nità cristiane tessono lodi per la sua predicazione del vangelo. Non solo, ma è stato designato dalle chiese come nostro compagno di viaggio nel portare questa opera di grazia» (8,18-19); «Di Tito dico che è mio compagno e mio collaboratore per voi e dei nostri fratelli che sono delegati delle chiese (apostoloi ekklési6n) e gloria di Cristo• (8,231,:, diakonia in 8,4; 9,1.12.13 e diakonein in 8,19.20. Cf. anche Rm 1 5,25 (diako­ nein) e 15,31 (diakonia) . .., Così invece BErL, 2 Corinthians 8 and 9, 43 che traduce diakonia con «Contri­ buzione-..

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Dio (cf. 3,5-6; 4,1), suggerisce una sua valenza forte. Di fatto egli parla qui di una sua attività (verbo diakonein), sottoli­ neando che la progettazione e realizzazione di questo progetto rien­ tra nel suo agire : è un'opera di grazia a cui egli si è de­ dicato non solo con spirito di servizio, ma anche esercitando le fun­ zioni di servitore investito dall'alto (syn té-i chariti tauté-i té-i diako­ noumené-i hyph' hémon) (8,19); è una da lui mini­ sterialmente gestita (té-i diakonoumené-i hyph 'hémon) (8,20). Il suo servizio, esercitato per incarico divino - per questo è >, ma essa manca anche nei vv. 1-4 dove certamente Paolo presenta il comportamento esemplare delle chiese macedoni. Il parallelismo comunque va oltre questo ri­ lievo negativo: nei due casi si parte dalla grazia, là dalla grazia di Dio accordata ai macedoni, qui dalla grazia stessa di Cristo, l'una e l'altra disegnano una prospettiva in cui la grazia della colletta prende senso. I corinzi sono immersi in un'atmosfera di grazia e il loro dono ne trae spessore. Si può pensare che Paolo voglia di fatto offrire l'e­ sempio di Cristo per spronare i corinzi a dar prova di amore auten­ tico. L'obiezione che non vi si parla né di amore né di generosità di Gesù non sembra determinante: di fatto è in primo piano la sua ini­ ziativa di grazia, cioè di amore gratuito. Dopo tutto. come vedremo, anche senza il vocabolo proprio è di amore che si tratta: si fece po-

"' Cosl per es. nel suo commento Windisch che parla espressamente di Vorbild di Cristo (p. 251 ) Cosi per es. nel suo commento Furnish: Paolo non dice: >. Senza dire che anche Fil 2,6ss è da leggere contestualmente in senso di exemplum per i credenti. È necessario cogliere in profondità l'evento incarnazionistico qui presentato in maniera originale da Paolo314 nel contesto della col­ letta a favore dei poveri della chiesa di Gerusalemme da parte dei corinzi che non mancano di risorse economiche. «>. Esor­ tando in nome di Gesù di Nazaret clemente e benevolo322 e riprodupaolina a un loro rovesciamento, affermando quelli della debolezza e vergogna della croce. 321 Così ottimamente Chevallier nell'articolo citato. Vedi anche HEC'KEL, Kraft in Schwachheit: «Non è già la debolezza come tale che per Paolo presenta il sigillo del '"o apostolato, ma la fona di Cristo, all'opera in questa debolezza, costituisce la chiave per la sua comprensione dell'ufficio• (p. 322). E rilevando che in 12,10 ab­ hiamo particelle temporali (hotanltote). non condizionali, respinge la congettura che l'aolo faccia della debolezza una condizione, un prerequisito per l'attuazione della potenza di Dio, affermando che la debolezza è una situazione in cui ciò avviene (pp. 322-323). K. WRONG, «"Lord" in 2 Corinthians 10:17•, in LouvSt 1 7(1992), 243·253 conclude il suo studio affermando che nei cc. 10-13 ci sono invece tracce di theo/ogia Kloriae. 322 Cf. prays applicato a Gesù in Mt 1 1 ,29; 2 1 .5. Come formula analoga vedi Rm 12.1: «Vi esorto, fratelli. per i gesti di misericordia di Dio». Diversi autori invece riten­ �ono che si tratti dell'umiliazione nell'evento incamazionistico. mentre Lambrecht pensa che la prospettiva sia quella dell'esempio di Gesù, qui introdotto e poi lasciato 'uhito cadere per esporre, a modo di digressione, il suo servizio di apostolo forte della potenza di Dio.

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cendo tali qualità nella sua parola, pura dunque da violenza e asprezza, prende le distanze dagli anonimi oppositori aggressivi e violenti (cf. 1 1,20). Non si scambi però tutto ciò per debole e sca­ dente presenza, come si riteneva a Corinto, testimone l'autopresen­ tazione ironica del v. 1: «dimesso (tapeinos) tra voi a faccia a faccia. fiero (tharr6) invece nei vostri confronti da lontano>>. È quanto dice­ vano di lui, rilevando in proposito anche un suo cedimento a stan­ dard mondani di comportamento (kata sarka: v. 2). La sua prima ri­ sposta ha i toni della sfida: se necessario, nella prossima visita saprà mostrare fierezza (tharrein), sicurezza (pepoithesis) e audacia (tol­ man) contro i suoi critici (v. 2). L'accusa dunque è falsa e falsa l'im­ plicita deduzione che sia un ben misero e indegno servitore di Cristo (cf. v. 7). E continua: non è per nulla un superuomo, essendo partecipe in tutto della debolezza della natura umana (v. 3a), ma nella sua azione evangelizzatrice e pastorale è un miles Christi forte della potenza di­ vina (vv. 3b 4a ). La suddetta concessione in realtà gli serve per sot­ tolineare la vigoria della sua milizia.323 L'immagine militare (stra­ teuesthailstrateia) si estende ai motivi connessi di armamento, asse­ dio e distruzione di fortezze (v. 4 ) far prigionieri i vinti (v. 5): es­ sendo dotato di armi potenti della potenza divina, egli può condurre spedizioni vittoriose contro quanti fanno resistenza. Fuori metafora, può contrastare vittoriosamente la propaganda capziosa e boriosa degli oppositori che tali sono anche nei confronti di Dio e di Cristo: «Demoliamo così i sofismi e ogni orgoglioso atteggiamento di chi si erge contro la conoscenza di Dio e facciamo prigioniera qualsiasi in­ telligenza per condurla ad obbedire a Cristo>> (vv. 4b-5). Non manca di decisione: > (v. 7). Possiede infatti il potere (he exousia), datogli dal Signore, di costruire spiritualmente (eis oikodo­ men) la comunità cristiana di Corinto (v. 8).325 Ma, al di là di questa motivazione oggettiva, in primo piano abbiamo il suo vantarsi del­ l'autorità ricevuta, espresso in forma contorta e condizionale: «se anche mi vantassi un po' di più del potere che il Signore ci ha dato ... , non dovrei proprio arrossirne>> (v. 8). Non vuole seguire gli avversari sulla strada dell'autoencomio, eppure afferma che, se lo facesse, nes­ suno potrebbe contestargli la fondatezza delle ragioni del suo vanto.326 Subito dopo però si schermisce: > (v. 1 1). Questa esclusa, la spiegazione del suo «E ciò che faccio, continuerò a farlo>> (v. 12a) è la seguente: «per troncare ogni mossa strategica (aphormé)354 a quelli che ne vorrebbero una per apparire come noi in ciò di cui si vantano» (v. 12b). Il testo non è perspicuo e si presta a diverse !et"' Cf. Fil 4,14-16: «Tuttavia avete fatto bene a solidarizzare con me nella mia af­ flizione. Lo sapete anche voi, o filippesi, che agli inizi della predicazione del vangelo. quando lasciai la Macedonia. nessuna chiesa mi si associò aprendo un conto di dare e avere; foste voi i soli, che anche a Tessalonica, più di una volta, mi mandaste ciò di cui avevo bisogno». "' «Verità di Cristo• è interpretata da alcuni come equivalente o vangelo, ma da altri semplicemente come indicativa di veracità. '" Su tutta la questione vedi la ricerca di MARSIIALL, Enmiry in Corinrh, che vi vede l'offerta di un rapporto di amicizia da parte dei corinzi e il rifiuto paolino equi· Yalente a un gesto ostile. '" Il sostantivo è propriamente termine militare, pur volendo dire anche solo «pretesto•. Cosl ZMIJEWSKI, Der Sii/, 151. 298

ture;355 con probabilità Paolo vuole parare un colpo basso degli av­ versari, messi in difficoltà dalla sua prassi missionaria contrassegnata da libertà e gratuità: vantarsi di essere mantenuti dalla comunità, se­ gno palese di autenticità apostolica, e forzare così Paolo a seguirli, rinunciando alla sua decisione di non farsi mantenere. Egli manda a vuoto il loro stratagemma mantenendo con fermezza la sua diver­ sità: non sarà mai come loro. Un piano astutissimo degno di esseri diabolici, capaci di ogni tra­ vestimento. La polemica raggiunge il culmine tramutandosi in invet­ tiva: (v. 13). Se sopra li aveva chiamati ironicamente «superapostoli», confrontandovisi alla pari (v. 5), ora demolisce come semplicemente falsa la loro pretesa di es­ sere apostoli di Cristo;356 lo sono in apparenza, per travestimento do­ loso. C'è dunque inganno nella loro propaganda e spetta a lui sma­ scherarli. In realtà sono servitori di Satana di cui imitano l'arte del­ l'ingannevole travestimento, presentandosi illusoriamente come (vv. 14-15a).357 La polemica finisce così in una minaccia di carattere escatologico tipica delle parole profetiche: «La loro fine sarà conforme alle loro opere>> (v. 16b); li aspetta un futuro di condanna meritato dal loro agire diabolico. I vv. 16-2la sono formalmente una ripresa della richiesta, questa volta formale, di tolleranza. Al v. l aveva domandato di sopportare un po ' di follia da parte sua; ora vi ritorna a precisare che non è un folle e nessuno dei corinzi deve credere che lo sia davvero (v. 16a). La decisione di vantarsi rientra piuttosto nel quadro di un intenzio­ nale gioco delle parti, in cui egli impersona il folle. In ogni modo, lo ritengano pure un folle, se questo è il prezzo da pagare per essere ac­ cettato nel suo vantarsi. Troppo importante è che possa confrontarsi con i suoi avversari per contrastarli; ma ancora una volta ricorre a formule attenuative: vantarsi un poco. La parità con loro (anch 'io)358 "' Cf. per es. il commento di Windisch (pp. 339-340). '" •pseudapostoli• è formula paolina costruita su quella analoga dell' AT «pseu­ doprofeti•. Vedi anche •pseudofratelli• in 1 1,26 e Gal 2,4. "' Questa formula ricalca quella di 3,9: h€ diakonw tes dikaiosynes. Invece •an­ gelo della luce>> è formula presente nella letteratura giudaica. per es. in Vita di Adamo e di Eva 9: «Allora Satana si trasformò in un angelo risplendente• e Ap. Mos. 17: •Quando gli angeli di Dio salirono per l'adorazione, Satana sopravvenne sotto l'appa­ renza di un angelo». 358 MuRPHv-O'CaNNOR, La teologia, 137: il suo piano è di combattere vanagloria con vanagloria.

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gli crea imbarauo. È consapevole di parlare «come in un accesso di follia (h6s en aphr6syne-ì)» e «non secondo il Signore», seguendo un criterio puramente umano di azione, lo stesso dei suoi rivali, e non la logica del credente unito strettamente al suo Signore, ma lo spinge la necessità del confronto con loro che per altro è nelle sue possibilità (vv. 1 7 18). Di fatto ripete l'argomento già adombrato al v. 4: la tol­ leranza mostrata dai corinzi verso i suoi avversari a maggior ragione deve essere concessa a lui. Quelli infatti sono veramente folli (aphr6noì) nel loro autoelogio incentrato sulle loro personali ri­ sorse, eppure sono tollerati «volentieri». L'ironia è doppiata dalla qualifica degli interlocutori: «Voi. sapienti (phronimoi) come siete» (v. 19). Una tolleranza per di più a leader arroganti, violenti e sfrut­ tatori: > (vv. 23b-27). E a culmine delle tappe del suo calvario la cura fa­ ticosa di tutte le sue comunità: «E a prescindere dal resto, il mio as­ sillo quotidiano, la preoccupazione (he merimna) per tutte le chiese» (v. 28), cura pastorale sostanziata di solidarietà verso i credenti mar­ ginali: «Chi è debole e non lo sia anch'io? Chi è vittima di scandali e io non bruci?» (v. 29).m In 1 1 ,30 abbiamo la seconda annotazione riflessiva, incentrata sulla necessità per Paolo del vanto, che però egli volge paradossal­ mente sulla sua debolezza: «Se è proprio necessario vantarsi,m è delle manifestazioni della mia debolezza (ta tes astheneias) che mi vanterò>>. Introduce così non un elenco, bensì la narrazione, non priva di sottile ironia e di tonalità di autocompatimento, di una vi­ cenda esemplare in cui ha impersonato la figura di un eroe a rove­ scio. La chiamata di Dio a testimone della veracità di quanto sta per narrare (v. 31) conferisce importanza alla sua donchisciottesca «im­ presa». > mandato da Satana). Per questo innu­ merevoli sono state le ipotesi interpretative: malattia, variamente specificata (epilessia, disturbi alla vista, emicrania, ecc.), tentazioni della carne o della lussuria (così nell'antichità patristica), avversità degli oppositori. Oggi gli studiosi propendono per la prima o la terza, e tutti escludono la congettura patristica.3"" In ogni modo, si

pronta greco-romana o giudaico-apocalittica ciò è un assoluto unicum», aggiungendo che nella letteratura apocalittica si osserva il fenomeno contrario, cioè il racconto in prima persona. 385 KAsEMANN, 4CDie LegitimiUit», 512: «per distanziarsi dall'evento raccontato''· 386 BARBAGLIO, «La "via crucis" di Paolo», 191. lB7 Passivo teologico: •mi è stato dato da Dio•. 388 Chiara l'inclusione di �perché non insuperbissi• che apre e chiude il periodo. "" a. gli studi recentissimi di P. DE SAus, •L'écharde dans la chair. Un signe vi· sibile de la présence de Dieu? La dimension dramatique de la vie: perspective à partir de Il Corinthiens 12.1·10», in RThPh 127(1995), 2741; U. HECKEL, •Der Dom im Fleisch. Die Krankheit des Paulus in 2Kor 12,7 und Gal4,13f•, in ZNW 84(1993), 6592.

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trattava di un'esperienza crocifiggente e Paolò ha pregato più volte di esserne liberato, ma invano (v. 8): una preghiera inascoltata, come quella di Gesù nel Getsemani. Ha avuto però una risposta disvela­ trice del senso del persistente pungiglione nella carne: «ma mi ri­ spose: "Ti basta la mia grazia, perché la potenza si attua nella debo­ lezza (he dynamis en astheneia-i teleitai)"•• (v. 9a). La grazia del Si­ gnore non è altro che la sua potenza'"" che si dispiega nel e attra­ verso il suo servitore. Per essere spiritualmente efficace nella sua azione apostolica non c'è affatto bisogno che questi sia potente per se stesso; gli è sufficiente la forza della grazia di Cristo, che in un me­ diatore debole e crocifisso raggiunge la sua attuazione di potenza di­ vina non mescolata a potenza umana. L'ultima annotazione riflessiva (12,9c) conclude tutto il brano dei titoli di vanto, riallacciandosi però immediatamente alla risposta del Signore alla sua preghiera, in concreto ai motivi intrecciati di po­ tenza e debolezza: «Ben volentieri dunque mi vanterò piuttosto delle mie debolezze» (v. 9d). Se a malincuore era stato trascinato a vantarsi sulla falsariga del vanto degli oppositori, è con trasporto che ora si vanta, in opposizione a loro, di essere debole. «Mi vanterò piuttosto delle mie debolezze» riprende 1 1 ,30: e 12,5: «mi vanterò solo delle mie debolezze». Il carattere esclusivo non è solo di quest'ultimo passo, dove appare esplicito, ma anche negli altri due. Ed è indubbio che si tratta del tema qualificante del brano in cui elenca e narra i motivi del suo vanto. Ma solo in questa pericope conclusiva chiarisce che fine fina/iter, in linea con la risposta del Signore alla sua inesaudita supplica, egli si vanta della potenza di Cristo che abita in lui (v. 9e). Vantarsi da parte di Paolo delle sue debolezze è, in realtà, vanto della presenza potente di Cristo in lui, lo scopo a cui mira. 391 E chiude il discorso da folle con un ultimo catalogo riassuntivo delle stazioni della sua via crucis, che non per nulla inizia con il mo­ tivo delle debolezze: «Perciò mi compiaccio (eudok6) delle debo­ lezze, degli oltraggi, delle avversità, delle persecuzioni, delle angu"" t!. confermato dal periodo successivo dove ricorre la formula hl dynmnis tou

Christou.

"' LAMBRECHT, •Dangerous Boasting•, 345-346 riassume così le prove di legitti­ mazione del suo apostolato che sono nello stesso tempo buone ragioni apostoliche di vanto: esistenza deUa comunità corinzia. personale apertura. condotta morale. segni e prodigi, come apparirà in 12,12, predicazione gratuita del vangelo, debolezza, privi­ legi giudaici e anticipata manifestazione del potere della risurrezione di Cristo. Ma non c'è dubbio che il vanto delle sue debolezze ha un rilievo eccezionale.

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stie, che ho affrontato a causa di Cristo»392 (v. lOa). Al vanto393 su­ bentra qui il compiacimento: liberatosi dalle strettoie del confronto polemico con gli oppositori e anche dalla necessità di persuadere la sua comunità, esprime un sentimento personale di grande piacere e gioia: il Signore gli ha disvelato il senso della sua travagliata vita apostolica ed egli ne gioisce. E per non lasciare adito ad alcun dub­ bio, ne ripete la ragione: «Perché quando sono debole (astheno), proprio allora sono forte (dynatos)» (v. lOb). Se sopra aveva colle­ gato la sua debolezza alla potenza di Cristo, ora è lui il soggetto con due predicati opposti, debolezza e potenza. La spiegazione del para­ dosso non appare facile. Murphy-O'Connor vi vede la distinzione tra ciò che Paolo è e ciò che fa con la potenza di Dio.394 Nel suo com­ mento Furnish (pp. 551s), escluso che la debolezza sia potenza e che il debole sia rivestito di potenza, ritiene che la debolezza che conti­ nua a caratterizzare l'esistenza apostolica di Paolo rappresenta l'ef­ fettivo agire della potenza di Cristo crocifisso nel suo servizio. Il con­ testo ci aiuta a decifrare il rebus: la debolezza di Paolo è quella che lo qualifica come apostolo e di cui ha dato un quadro nel catalogo delle sue traversie e nei brevi racconti narrativi. Comprende anche la povertà del suo parlare (ho logos exouthenemenos: 10,10) da dilet­ tante (idiotes to-i logo-i: 1 1 ,6), per non dire del fatto di non essersi avvalso del diritto di farsi mantenere (cf. 1 1 ,7: «mi sono abbassato l emauton tapeinon>> ). Eppure si dice . Di quale forza? Della potenza di Cristo che abita in lui, come ha anticipato al v. 9:3"5 > (v.12). I suoi oppositori dove­ vano aver innalzato il carisma taumaturgico, da essi esibito, a segno distintivo dell'autenticità apostolica. Paolo che ha appena dichiarato di non essere a loro inferiore, anche in questo fa valere la sua non­ inferiorità. Si tratta però sempre di segni distintivi compiuti per la grazia divina, come appare in alcuni passi paralleli. Il suo vangelo era stato annunciato a Tessalonica non solo a parole (lTs 1 ,5); lo Spirito ha operato miracoli (dynameis) tra i galati quando credettero per la sua parola (Gal 3,5); infine in Rm 15,18-19 1eggiamo: ). "" R. W. FuNK, •The Apostolic Parousia. Form and Significance•, in Christian History and lnterpretatU>n (Fs 1. Knox), Cambridge 1 967, 249-268.

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confronti della chiesa corinzia. Ma è solo un aspetto della sua dedi­ zione gioiosa e totale agli interlocutori: «Quanto a me, molto volen­ tieri spenderò tutto, anzi spenderò me stesso per voi>> (v. lSa). In realtà, egli ama i corinzi e la scelta di non farsi mantenere evidenzia un surplus di amore;404 ma proprio per questo meriterebbe di essere ricambiato: Se vi amo di più, dovrei essere amato di meno?» (v. I Sb). È un implicito ma chiaro rimprovero, che i corinzi meritano se fanno maligne insinuazioni sul suo comportamento: (v. 16).40' In concreto, si sussurrava che la col­ letta bandita a Corinto e organizzata da Tito fosse da lui sfruttata per interesse privato: un modo subdolo di farsi pagare. Con la ca­ scata di quattro interrogativi retorici, che sottintendono risposta ne­ gativa ai primi due e affermativa agli altri, non solo confuta, richia­ mandosi ai fatti, le maldicenze, ma anche esprime l'emozione di un uomo umiliato per questo: (vv. 17-18). Nel v. 19 portando alla luce una critica dei suoi interlocutori pre­ cisa che non sta facendo un'autoapologia (apo/ogoumetha) davanti a loro .."" ma parla , garanti titolati delle sue buone intenzioni e della correttezza del suo agire. Non è però che i corinzi gli siano estranei; al contrario: . Non mira ad altro, persegue solo il progresso spirituale della comunità, parago­ nata a una costruzione in progress che lo vede impegnato in prima persona. Se in passato gli era toccato il ruolo di capomastro che getta il fondamento (cf. l Cor 4,10-11 ), ora prosegue l'opera di costruzione dell'edificio. Poco più avanti dirà che ne ha ricevuto il potere dal Si­ gnore (13,10), affermazione già presente però in 10,8. Allo stato attuale il suo impegno responsabile per l'edificazione degli amati corinzi assume la coloritura di una sollecitudine piena di >. Ciò ammesso, però, sottolineata è l'altra faccia della medaglia: «vivremo con lui per la potenza di Dio nei vostri riguardi>>. Il futuro del verbo potrebbe spingere a ritenere che la prospettiva sia quella della risur­ rezione futura, ma vi obsta il riferimento alla potenza divina ope-

"' E cita un passo vt che regola la procedura da seguire nelle cause giudiziarie: «Ogni questione sarà decisa sulla parola di due o tre testimoni» (v. l; cf. Dt 19,15). Quali siano questi testimoni non è chiaro. Di solito si pensa che si riferisca alle sue pa­ role usate nelle visite precedenti, ma forse è preferibile pensare che la citazione serva soltanto a confermare il carattere di un vero procedimento disciplinare minacciato. '" Cf. J. LAMBRECHT, «Philological and Exegetical Notes on 2Cor 13.4». in BtE­ RJNGER-LAMBRE> (adokimos: v. 7) come apostolo, pur consapevole di non esserlo (v. 6). Se esorta e supplica è perché ha ricevuto il potere di annunciare la verità, cioè il vangelo (v. 8). Affinché i corinzi siano forti della potenza divina capace di farli crescere e maturare, accetta con gioia di essere debole, senza cioè avvalersi del potere di duro in­ tervento contro peccatori e oppositori (v. 9). La conclusione è un severo richiamo: «Ecco perché, assente, vi scrivo queste cose: per non dovere, una volta presente, agire con se­ verità, usando il potere che il Signore mi ha dato a scopo costruttivo, non distruttivo>> (v. 10).

"' Nella sua monografia citata Heckel insiste su questa trafila presente in 13.3·4: la potenza viene da Dio e attraverso l'opera di Cristo mediante il suo •dicitore» Paolo si estende fino alla comunità (p. 300).

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Alla Chiesa di Filippi

Bibl. generale. Commenti: G. BARBAGUO, •Alla comunità di Filippi•, in Le /euere di Paolo, Boria, Roma 21990, Il, 531-623; K. BARTif, Commentaire de l 'Épitre a1a Phi­ lippiens. Genève (s.d.); J.F. CoLLANGE, L 'Épitre de S. Pau/ aux Philippiens, Neuchatel 1973; J. ERNST, Le lettere ai Filippesi, a Filemone, ai Co/ossesi, agli Efesini, Morcel­ liana. Brescia 1985, 27-164; R. FABRIS, Lettera ai Filippesi. Srruuura, commento e auua­ lizzazione, EDB. Bologna 1983; G.D. FEE, Pau/'s Letrer to the Philippians, Grand Ra­ pids 1995; J. GNILKA, Der Philipperbrief, Freiburg-Basei-Wien 1 968 (tr. it. Paideia, Brescia 1 972): E. LoHMEYER, Die Briefe an die Philipper, an die Ko/osser, und an Phi­ lemon, Giiningen 1 964; I.H. M A RSHA LL, The Epistle to the Philippians, London 1992; P.T. O'BRIEN, The Epistle to the Philippians. ACommentary on the Greek Text, Grand Rapids 1991; W. SrnENK. Die Philipperbriefe des Paulus. Kommentar, Stuttgart 1 984. Introduzioni: W.G. KOMMEL, Einleitung in das Neue Testament, Heidelberg 1983, 280-294: W. ScHENK, «Der Philipperbrief in der neuen Forschung ( 1945-1985)•. in ANRW Il, 25,4(1987). 3280-3313; PH. VIELHAUER, Geschichle der urchristlichen Lite­ ratur. Einleitung in das Neue Te.ramenl, die Apokryphen und die Aposto/ischen Viiter, Berlin-New York 1975, 1 56-170. Monogralie: L.G. BLooMQUIST, The Function of Suffering in Philippians, Shef­ lield 1993; L. BORMANN, Philippi: Stadt und Christengemeinde zur Zeit des Pau/us, Leiden-New York-Kiiln 1995; V. KoPERSKI, The Know/edge ofChrist Jesus the Lord. The HighChristology of Philippians 3:7-11, Kampen 1996; D. PETERUN, Pau/'s Lerter to the Philippians in the Light of Disunity in the Church, Leiden-New York-Kiiln 1995; G.W. PETERMANN, Paul 's gift from Philippi. Conventions of gift exchange and Chri­ stian giving, Cambridge 1 997; P. PILHOFER, Philippi; 1: Die ersre christliche Gemeinde Europas, TObingen 1995; C.S. WANSINK, Chained in Christ. The Experience and Rhe­ toric of Pau/ 's lmprisonmenrs, Sheffield 1996; B. WirnERINGTON III: Friendship and Finances in Philippi. The Letrer of Pau/ to the Philippians, Valley Forge 1994.

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INTRODUZIONE

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Posta sull'importante via Egnatia che collegava oriente e occi­ dente- per questo Appiano la paragona a una porta che dall'Europa immette nell'Asia' -, Filippi come città era stata fondata nel 356 a.C. da Filippo II, re di Macedonia e padre di Alessandro Magno, dal quale prese il nome, su un precedente insediamento chiamato Kreni­ des ( ).2 Quando Emilio Paolo nel 168 conquistò la Macedo­ nia dividendola in quattro distretti, Filippi entrò a far parte del primo, di cui capitale però era Amfipoli.3 Vent'anni dopo la regione

1

2

Bel/. civ. 4,106: kathaper pylai.

a. STRABON E, Geogr 7: ((C'erano moltissime miniere di oro in Crenides, dove ora è situata la città di Filippi, vicino al monte Pangeo ha miniere di oro e argento come anche il territorio circostante» (fr. 34): •Prima Filippi era chiamata Crenides, cd era solo un piccolo insediamento, ma si estese dopo la disfatta di Bruto e Cassio» ( fr. 41); •Quello che ora è Filippi era chiamato anticamente Crenides» (fr. 42). La testi­ monianza di DtoooRo Stcuto parla della sua fondazione: •Dopo questo egli (Filippo) giunse alla città di Crenides e avendovi insediato un gran numero di abitanti. ne cam­ biò il nome in Filippi, dandole il proprio nome» e subito dopo indica nell'esistenza di miniere di oro la ragione di questa iniziativa (16,8,6). Vedi pure DIONE CASSIO 47,35,3 che di Filippi dice: •Questa cinà è situata vicino al Pangeo e al Simbolo•. ' Cf. Tno LIVIO 45,29 che esprime in questi punti le decisioni dell'autorità ro· mana in merito al territorio conquistato: •Per prima cosa (Paolo comandò) che i Ma­ cedoni fossero liberi. possedessero le stesse città e campi. applicassero le loro leggi. potessero eleggere annualmente i magistrati» (Omnium primum liberos esse iubere

Macedones, habentis urbes easdem agrosque, utentes legibus sui.s, annuos creantis ma­ gistratus: n. 4); •Quindi che la Macedonia fosse divisa in quatlro regioni• (Deinde in qualluor regiones dividi Macedoniam: n. 5); •Che le capitali delle regioni, dove indire le assemblee, fossero: della prima regione Amfipoli, della seconda Tessalonica... » (Capita regionum, ubi conci/iD fierent, primae regionis Amphipolim, secundae Thessa­ lonicen... : n. 9).

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diventò provincia senatoriale con capitale Tessalonica. In seguito alla disfatta di Bruto e Cassio a Filippi nel 42 la città divenne colonia romana sotto il patrocinio di Antonio con il nome di Colonia victrix Philippensium, un processo che si rinnoverà con la vittoria di Otta­ viano ad Azio nel 31 a.C., quando ai cittadini di Filippi sarà ricono­ sciuto lo jus italicum, il privilegio cioè di essere governati secondo la legge romana, e la città sarà chiamata Colonia Augusta Julia Philip­ pensis, posta sotto la protezione speciale di Augusto.• Un'iscrizione del I I I sec. d.C. la definisce così: «Una divinità mi fece morire in un territorio famoso, in una fondazione di Filippo e del re Augusto (epi... ktismatos Philippoio kai Augoustou Basileos), coronata da mura».5 Lo stesso biografo di Paolo testimonia tale carattere politico di Filippi qualificandola > e 4,5: «Il Signore è vicino». " Sentimenti di gioia (v. 18); cenezze interiori: oida (vv. 19.25); attesa e speranza (v. 20); combattuto tra due prospettive, l'una più favorevole a lui e l'altra più frul· tuosa per i filippesi (vv. 22-26). " Nella precisazione •quanto mi capitò ha contribuito piullosto (mallon) al pro­ gresso del vangelo» l'avverbio sta a dire che non dovevano mancare Della chiesa di Fi­ lippi dubbi e diverse valutazioni in proposito. " •Comportatevi da cittadini» (1,27); •senza !asciarvi intimidire» (1,28); •fate che la mia gioia sia piena>> (2,2a), appello specificato da una proposizione finale e da diverse proposizioni panicipiali (2,2b4); •abbiate in voi lo stesso sentire• (2,5); •siate obbedienti» (sollinteso: 2,12a); •datevi da fare» (2,12b); «fate• (2,14), specificato da

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motivati soprattutto dall'esempio di Cristo (2,5-1 1 ), ma anche dall'a­ zione di Dio che influisce nei credenti (2,13), dalla prospettiva esca­ tologica (2,15) e dalla possibilità di essere motivo di vanto per lo stesso Paolo nel giorno ultimo (2,16). In particolare vi si possono di­ stinguere le pericopi 1 ,27-30, esortazione fondamentale a vivere in modo degno del vangelo; 2,1-4, appello a rendere piena la gioia di Paolo realizzando l'unità interna della chiesa mediante amore c umiltà; 2,5- 1 1 , Cristo modello di umiltà nella sua di es­ sere divino che ha scelto di condividere la condizione mortale e ser­ vite dell'umanità, per questo glorificato da Dio; 2,12-18, Paolo esorta variamente la comunità proponendosi come esempio di credente che soffre per la fede eppure gioisce. Nella sezione di 2,19-30 (A') ri­ torna a parlare di sé, cioè dei suoi progetti: mandare Timoteo nel­ l'auspicata attesa di venire egli stesso a Filippi e rinviare Epafrodito. l'uno e l'altro modelli positivi di altruismo e amore, per un verso, e di dedizione alla causa del vangelo, per l'altro,56 a cui la comunità fi­ lippese può fruttuosamente guardare. L'io di Paolo vi riappare in primo piano, soggetto dei molti verbi in prima persona singolare" e sotto il segno del pronome personale in forma di soggetto o di com­ plemento.58 Motivo oggettivo dominante il verbo : Paolo manda Timoteo e Epafrodito.59 3,1-4,1 è la seconda parte del corpo della lettera.60 Ha un rile­ vante spessore autobiografico, ma l'intento principale è esortativo: sollecitare gli interlocutori alla fedeltà cristiana. In concreto, Paolo richiama l'attenzione dei filippesi sul pericolo rappresentato da pro­ pagandisti giudaizzanti offrendo se stesso come exemplum capace di contrastarne l'attrazione. L'incipit «Per il resto, fratelli miei ... » dice

due proposizioni, finale e participiale (2,15-16); «gioite e dividete la vostra gioia con me• p.18). •Non ho nessun altro di animo pari al suo [Timoteo] che si prenda cura since· ramente del vostro bene. Tutti infatti cercano di fare i propri interessi, non quelli di Gesù Cristo• (vv 20-21); •si è messo con me al servizio del vangelo• (v. 22); ... Epa· frodito, mio fratello, collaboratore e compagno di lotta• (v. 25); •abbiate in onore persone come lui: per l'opera di Cristo giunse vicino a morire, metlendo a repentaglio la sua vita, per compiere quel servizio che a voi ancora mancava di rendermh) (vv. 2930). " Cf. elpiz6/ eupsych6 (v. 19)/ ech6 (v. 20)/ elpiz6/ aphid6 (v. 23)/ pepoitlwl e/eu· somai (v. 24}1 hegesamen (v. 25)1 sch6 (v. 27)1 epempsa (v. 28). "' Cf. kago (vv. 19.28)1 syn emoi (v. 22)1 emefme (vv. 23.27.30)1 mou (v. 2Sbis). Vedi anche autos, prima persona, nel v. 24. " Pempsai (vv. 19.23.25)1 epempsa (v. 28). Per BLOOMQUJST, The Function of Suffering in Philippians, 11lss la sezione è di 3,1-4,7, a cui fa seguire 4,8-20. Non pochi però uniscono alla sezione precedente 3.1a. ·

.

00

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«

çhe il mittente intende aggiungere una nuova comunicazione episto­ lare,61 che comincia con un ripetuto invito alla gioia.62 Ma subito, precisando che egli vuole ora solo ribadire cose già dette, passa a trattare di un nuovo argomento epistolare."' Comincia con tre incal­ zanti imperativi ripetuti: i filippesi riflettano sulla posizione errata d'innominati missionari giudeo-cristiani orgogliosi della loro iden­ tità di ebrei circoncisi e fedeli alla legge mosaica, sprezzantemente introdotti. Abbiamo poi un'autoaffermazione di contrasto che sotto­ linea come i circoncisi siano i credenti in Cristo (vv. 2-3). Segue un lungo brano in «iO>> (vv. 4-16): il mittente parla di sé e della sua vi­ cenda di giudeo di puro sangue e d'intemerata condotta che, avendo incontrato Cristo, ha letteralmente capovolto la propria scala di va­ lori a cui sino ad allora si era attenuto. La pericope, introdotta dal suo proposito di volersi confrontare da una posizione di forza con i suddetti innominati (v. 4), si divide in tre parti: 5-6: il passato di au­ tentico ebreo e fedele osservante della legge; 7-1 1 : la svolta della sua vita che ora ha come centro Cristo; 12-16: una doverosa precisazione richiesta con probabilità dalla presenza nella chiesa di Filippi di cre­ denti tesi al perfezionismo:"' non è ancora un arrivato. Un caso para­ digmatico, la sua personale esperienza è anche l 'esperienza di ogni credente. Per questo esorta i filippesi a imitarlo e a stare in guardia dai nemici pratici della croce di Cristo, forse gli stessi dei vv. 2ss, nel­ l'attesa salvante di Cristo (vv. 17-21), brano esortativo concluso65 con un generale richiamo alla fedeltà cristiana (4,1). In 4,2-20, che costituisce la terza parte, abbiamo di nuovo un'al­ ternanza del genere parenetico con quello autobiografico. In 2-9 esortazione (paraka/6) a due donne della comunità, Evodia e Sinti­ che, di superare contrasti e rivalità (vv. 2-3);66 quindi due piccole 61 To /oipon è stato inteso nel senso di •infine•, introdunorio di una parola con­ clusiva; ma in maniera indebita. a. per es. lTs 4,1 (loipon) che introduce la seconda parte della lettera. " chairete en Kyri.,-i è stato inteso arbitrariamente nel senso di saluto da quanti vi le�ono la conclusione epistolare. Riprende invece 2,18: chairete. · J.T. REED, •Philippians 3:1 and the Epistolary Hesitation Formulas. The Lite­ rary lntegrity of Philippians, Again», in JBL 1 15( 1996), 63-90 unisce invece 3,1 a ciò che precede: invito a gioire per Epafrodito (v. la), invito rivolto con una formula di esitazione: «Scrivervi le stesse cose a me non costa. mentre a voi dà sicurezza>�>. .. Non sembra esatta la lettura di quanti vi vedono la presenza anche qui di av­ versari esterni, identificati con quelli attaccati in 3,2 o anche distinti da loro come nuovo fronte di marca gnostica. 65 Vedi la congiunzione conclusiva h6ste e il vocativo 4(fratelli miei carissimi di cui ho tanta nostalgia, mia gioia e corona». La stessa funzione ha per es. hoste anche in lCor 14,39. ,. L'importanza di questa unità appare dal fatto che mai altrove nelle lettere

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unità in cui alle esortazioni seguono due suppliche formali (4-6 + 7; 8-9a + 9b). L'io di Paolo campeggia invece in 10-20,67 brano con­ cluso liturgicamente con una implicita supplica e una formale dosso­ logia. Egli vi confessa il suo stato d'animo di chi ha ricevuto i dona­ tivi dei filippesi: grande gioia per la manifestazione di affetto, più che per il dono materiale (v. IO), di cui poteva anche fare a meno, es­ sendo autosufficiente (vv. 1 1-13); approvazione del loro gesto di so­ lidarietà (sygkoinonesantes) (vv. 14-16) e nuova precisazione che il suo interesse non cade sugli aiuti materiali a suo vantaggio, ma sul profitto spirituale derivante ai donatori (v. 17); accusa di ricevuta dell'aiuto finanziario che lo ha posto in una situazione di abbon­ danza, aiuto valutato un'offerta cultuale (v. 18); supplica a Dio per un contraccambio spirituale (v. 19); canto finale di lode a Dio (v. 20). L'epilogo con saluti richiesti (v. 21) e dati (v. 22) e con il voto conclusivo (v, 23) non presenta novità di rilievo.

4.

FINALITÀ DELLA LEITERA E SUA NATURA

Bib/. B.J. CAPPER, •Paul"s Dispute with Philippi. Understanding Paul"s Argument in Phil. 1-2 from his Thanks in 4.10-20>>, in TZ 49(1993), 193-214; J.T. FrrzGCRALD (a cura di), Friendship. F/artery, and Frankness of Speech. Studies on Friendship in the New Testament World. Leiden-New York-Koln 1996, spec. 83-160; S.K. SrowERS. •Friends and Enemies in the Politics of Heaven. Reading Theology in Philippians••. in J.M. BASSLER (a cura di). Pau/ine Theology, Minneapolis 1991 , l, 105-121; L.M. WHtTE. •Morality Between Two Worlds. A Paradigm of Friendship in Philippians•. in D.L. BALCH et al. (a cura di), Greeks, Romans. and Christwns: Essays in Honor of Abraham J. Malherbe. Minneapolis 1990. 201-215; WtTHERtNGTON III, Friendship ancl Fin.ances in Philippi.

I bruschi salti da un brano all'altro, che hanno dato luogo alle ipotesi di una collezione di lettere, si spiegano anche con la pluralità e diversità di ragioni che hanno spinto Paolo a scrivere alla comunità di Filippi ed emergono con sufficiente chiarezza dal testo. Anzitutto doveva intervenire sul donativo avuto dai filippesi e tranquillizzarli circa la salute di Epafrodito, caduto gravemente malato, la cui noti-

paoline un 'esortazione è indirizzata a singoli credenti menzionati per nome. Su queste due donne vedi lo studio di DAHL, •Euodia and Syntiche•. 67 Il passaggio non appare cosi brusco, come si è voluto far credere. Infatti Paolo esprimendo la sua gioia (echaren) si ricollega per un verso agli imperativi chairete e chairete en KyrifJ·i di 4,4 e 3,1, soprattutto a 2,17-18: chairfJ/sygclwirò; chairetel sygchairete. La particella de indicativa di transizione (o poi• ) . non di segno avversa· livo, costituisce pur sempre un tratto di collegamento con quanto precede.

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zia era arrivata nella città macedone seminando timori e appren­ sioni. Ancor più si sentiva in obbligo di rassicurare sulla sua prigio­ nia e sullo stato d'animo con cui viveva una situazione drammatica. Guarda anche avanti e comunica i suoi progetti per il futuro: ha de­ ciso di spedire presto Timoteo da loro e spera di poter anch'egli far loro visita. Ma era soprattutto la situazione della comunità filippese a richiedere il suo intervento epistolare: esortare a superare le divi­ sioni e discordie interne, mettere in guardia dal pericolo dei giudaiz­ zanti, e ancora incoraggiare a far fronte all'ostilità dell'ambiente. Last but not least il desiderio di confermare e rafforzare il rapporto di profonda comunione con gli interlocutori. È dunque un misto di motivi personali e di ragioni comunitarie che sta all'origine della nostra lettera. Ciò spiega che sia stata varia­ mente definita, insistendo ora su questo ora su quell'altro aspetto. Così non pochi studiosi ultimamente hanno proposto la definizione di lettera amichevole (philike epistole)."" evidenziando in 4,10-20, ma anche un po' in tutto lo scritto, motivi letterari propri della comuni­ cazione tra amici, ben nota nell'ambiente greco-romano del tempo: accettazione dell'aiuto finanziario dei filippesi ma con esclusione di ogni fine utilitaristico che intaccherebbe la purezza del legame di amicizia:•• sottolineatura del motivo della koinonia secondo il fa­ moso adagio che tutto è comune agli amici;70 comunicazione di forti sentimenti di affetto e amore.71 Ma pare unilaterale definirla una let­ tera di amici, perché è molto di più. Certo «Vi si sente battere il cuore di Paolo»,72 ma si deve subito rilevare che il loro non è un rapporto

" Cf. nel volume curato da FJTZGERALD. Friendship, Flattery, and Frankness of Speech. i conlributi di J. REUMANN, •Philippians, especially Chapter 4. as a "Letter of Friendship". Obscrvations on a Checkered History of Scholarship» (pp. 83-106), K.L. BERRY, «The Funktion on Friendship Language in Philippians 4:10·20. (pp. 107-1 24), AJ. MALHERBE, •Paul's Self-Sufficiency (Philippians 4:11)» (pp. 125-139) e dello stesso curatore J.T. FnzGERALD, •Philippians in the Light of Some Ancient Discus­ sions of Friendship» (pp. 141-160), ma anche i già citati SToWERS, «Friends and Ene­ mies,); WHITE, «Morality Between Two Worlds)); WrrnERINGTON III, Friendship and Finances in Phi/ippi. " In questo senso si dovrebbe leggere, secondo MALHERBE, «Paul's Self-Suffi­ ciency», anche la rivendicazione, da parte di Paolo, di una sua autosufficienza (autar­ ches: 4,11): l'amicizia non si fonda sul bisogno materiale di una parte che l'altra è chia­ mata a soddisfare. 10 tois philois panta ta koina. CC. PLATONE, Respublica 449C-D; 450C; ARISTO­ TELE, Ethica Nic. 9,8,2; CICERONE, De olficiis 1,51; SENECA, Ep. 3,6,3. 71 Paolo tra il suo vantaggio e quello dei filippesi sceglie questo (1,25); li chiama •miei cari» (agaperoi mou: 2,12); «fratelli miei cari» (adelphoi mou agapetoi: 4,1); gioi­ sce che è fiorito il loro attaccamento a lui (4,10). 72 J. MuRPHY-O'CoNNOR, in Dictionnaire de la Bible. Supplément, VII, col. 121 1 .

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privatistico e che il vincolo di comunione che li unisce si basa sul vangelo. Inoltre lo spessore esortativo della lettera dice che il mit­ tente è responsabile del cammino di fedeltà dei destinatari esercitan­ dovi il suo ruolo direttivo con la parola e con l'esempio. Il rapporto dunque non è paritario.13 Senza dire che vi manca il termine speci­ fico di amicizia (philialphilos). Resta comunque vero che vi sono presenti motivi del topos greco dell'amicizia.74 Parimenti la congettura che sia una lettera familiare,75 tesa a ras­ sicurare sulla sorte del mittente (cf. 1,12-26), a essere rassicurati sulla situazione spirituale dei destinatari ( 1,27-2,18) e a informare sui movimenti degli intermediari Epafrodito e Timoteo (2,19-30). non rende ragione di tutto lo scritto, tanto è vero che si riconosce per es. nel c. 3 la presenza di un altro genere, l'omilia. E sempre il brano 4,10-20 ha dato luogo ad altre ipotesi. Paolo sarebbe stato legato alla chiesa filippese non da un vincolo di amicizia o di carattere fami­ liare, bensì da una formale societas stabilita sulla base giuridica e le­ gale dell'obbligo per il primo di propagandare il vangelo e per i se­ condi di sostenerlo finanziariamente. L'imprigionamento dell'apo­ stolo avrebbe fatto decadere il dovere finanziario della chiesa filip­ pese, incerta se continuare o meno ad aiutarlo. Di qui l'origine della lettera mirata a confermare le basi della suddetta societas attraverso l'assicurazione di Paolo che egli è pur sempre impegnato ad annun­ ciare il vangelo.76 Ma le basi dell'ipotesi sono assai fragili, perché le espressioni commerciali come (4,15) e «accusare ricevuta>> (apech6: 4,18) non dimostrano l'esi­ stenza del suddetto rapporto. Altri hanno fatto riferimento alla so13 Ma si fa notare, per es. da STOWERS, •Friends and Enemies», che l'amicizia nel mondo greco·romano aveva connotazioni particolari ed era attestata anche tra supe­ riore e inferiore, tra patrono e clienti. 74 Cf. le conclusioni degli studi citati di Reumann: •la nozione d'influsso del vo­ cabolario di philia o del ropos dell'amicizia su Paolo è meglio supportato "dalla storia della ricerca e dai riferimenti patristici" che una categoria letteraria di epi.stolé phi­ liké» (p. 105) e di Fitzgerald: •In termini di stile, vocabolario, e proposito, perciò. Fi­ lippesi è in parte - davvero in larga parte - una "lettera di amicizia", ma è anche di più, molto di più• (p. 144). Una valutazione critica assai motivata è presente in BoR­ MANN. Philippi. 161-181 . Da parte sua SmweRs, «Friends and Enemies», che definisce Fil •una lettera esortatoria di amicizia» (p. 107), ritiene che ulteriore elemento di con­ ferma è il confronto degli amici con i nemici comuni. nella nostra lettera individuati negli avversari di l ,28 e 3,2. " Cf. lo studio di ALEXANDER, «Hellenistic Letter Form•. " Così CAPPER, •Paul's Dispute with Philippi• che si rifà all'interpretazione di J.P. SAMPLEY, •Societas Christi. Roman Law and Paul's Conception of Christian Community», in God's Christ and Hi.s Peop/e (Fs N.A. Dahl), Osio 1977, 158-174. Vedi la critica di BoRMANN, Philippi, 181-187.

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cietà romana caratterizzata da associazioni fondate sul legame tra pa­ tronus e clientes,77 esistente anche tra l'imperatore e la colonia ro­ mana Filippi. Infine abbiamo la lettura di Petermann alla luce della reciprocità sociale che governava la rete dei rapporti interpersonali nel mondo greco-romano, reciprocità espressa nel testo paolino nel senso che la comunità filippese coopera alla causa del vangelo con il suo aiuto finanziario al missionario, cooperazione stabilita dopo la partenza di Paolo dalla Macedonia (4,15). Di certo Paolo tradisce un'ambivalente reazione all'aiuto avuto dai filippesi: gioia e gratitu­ dine, ma soprattutto spostamento dell'accento dal dono materiale al suo valore simbolico di solidarietà con lui e di meritorio gesto spirituale e addirittura liturgico: >, «del Signore». 95 Vedi qui C. KAHLER, «Konflikt, Kompromiss und Bekenntnis. Paulus und seine Gegner im Philipperbrief», in KD 40(1994). 47·64 che valuta la diversa natura dei contlini con cui Paolo ha avuto a che fare, personali quelli con una parte della chiesa locale della cinà in cui era prigionero e tra Evodia e Sinliche e •dollrinali• con «i cattivi operai>• del c. 3, e la relativa sua diversa reazione allo «scisma» e all'«eresia».

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dia e rivalità negli uni, retta intenzione negli altri; spirito di contesa e agire non santo in quelli, amore per Paolo in questi. Non manca in quanti gli erano ostili l'intento di recargli ulteriore motivo di tri­ stezza. In altre circostanze egli non si sarebbe dimostrato così tolle­ rante: non una parola polemica, nessun attacco verbale, solo la con­ statazione di un fatto. Ma ora è in carcere e ha interesse a dire ai fi­ lippesi come non abbia cessato per questo di essere annunciatore del vangelo; almeno indirettamente, per fas o per nefas l'annuncio di Cristo si compie e si compie per suo influsso. Non ha alcuna rile­ vanza per la causa del vangelo che lo facciano amici suoi o anche suoi nemici e proprio perché sollecitati da questa inimicizia: «Ma che importa? Dopo tutto, in ogni modo, pretestuosamente o sincera­ mente, Cristo viene annunziato» (1,18a). Che egli sia personalmente ferito, e non lo si può dubitare dal momento che insiste sulle inten­ zioni e i moventi dei missionari, passa in second'ordine. Importante è solo il risultato, il vantaggio che ne viene a Cristo. Per questo con­ fessa ai filippesi di gioirne (1,18b)."" Si è rilevato come egli qui dissoci vangelo ed evangelista, mentre troppo spesso, si dice, li ha indissolubilmente legati nella sua per­ sona. Ci basti citare Gal 1 ,9: «Se qualcuno vi annunzia un vangelo in contrasto con quello che avete ricevuto, sia votato alla maledizione divina!>>. Nella stessa direzione va la formula «il mio/nostro vangelo» (Rm 2,16; 16,25; 2Cor 4,3; Gal 1 , 1 1 ; lTs 1 ,5; cf. anche 2Cor 1 1 ,4). In realtà, la suddetta diversa reazione di Fil dipende dal fatto che il contrasto era limitato alla sfera dei rapporti personali e non intac­ cava •> del culto cristiano, non sostanziato da riti specifici né compiuto in tempi prefissati, in breve non qualificato da una rigorosa separatezza dal vivo dell'esistenza mondana, bensì piantato saldamente nella vita «profana», di cui è parimenti testimonianza 4,18 che definisce l'aiuto economico dei filippesi «profumo soave, sacrificio (thysia) ac­ cetto e gradito a Dio>>.100 Ora è in questa prospettiva che egli comu­ nica tutta la sua gioia chiedendo agli interlocutori di parteciparvi e assicurando la sua partecipazione al loro gioire: «ne gioisco e con tutti voi voglio dividere la mia gioia; parimenti anche voi gioite e di­ videte la vostra gioia con me>> (2, 17b-18). La prigionia con l'annessa probabilità di condanna a morte gli offre dunque l'opportunità di uno straordinario atto di culto: l'offerta non di qualcosa, bensì di se stesso a Dio. La sua gioia ha perciò anche una motivazione litur­ gica. 101 Ma pure in rapporto al suo bene personale la carcerazione, con i suoi esiti di condanna o assoluzione, gli si rivela positiva. In ogni modo, dice fiduciosò, contando anche sulla preghiera dei filippesi e sul dono dello Spirito,102 lo sbocco per lui sarà salvifico: ( 1 , 1 9). Appare necessa­ rio conservare a questo vocabolo la sua valenza soterica: non si tratta di liberazione dal carcere, ma di salvezza escatologica, come mostra il contesto. Infatti subito dopo ripete, in termini negativi, quanto ha appena detto: ( 1 ,20). Il verbo usato (ai­ schynesthai) esprime per sé la reazione del condannato al verdetto negativo del giudice finale e sta a indicare di fatto la stessa con­ danna.104 Nella sua attesa escatologica, indicata qui con il vocabolo "'' Una concezione di culto «spirituale• è presente anche in Rm 12.1-2. '0' Cf. S. CIPRIANI, «Aspetti liturgico-cultuali nella lettera ai Filippesi•, in Fs S. Zedda, Edizioni Piemme, Casale Monferrato 1994, 219-234. La gioia sperimentata in carcere spiega che Paolo, anche al di là dell'esortazione a condividere la sua gioia di cui si è detto sopra, ripeta l'invito ai filippesi a gioire. Cf. 3,1: «Per il resto, fratelli miei, gioite nel Signore»: 4,4: «Siate sempre gioiosi nel Signore; lo ripeto: siate gioiosi». Intende «contagiare» i suoi interlocutori del suo gioire. Resta un ultimo passo, 4,10, dove confessa di aver gioito grandemente (megalos) del «pensiero• dei li­ lippesi che lo hanno aiutalo in carcere. 102 Il sintagma epichoregia rou pneumatos ha un parallelo in Gal 3,5 dove ricorre il verbo corrispondente: ho epichoregon pneuma. "' La sua situazione di carcerato. In concreto il pronome riprende la formula ta kat'eme di 1 .12. 104 a. Rm 5,5: •la speranza non delude (kataischynei)•; 9,23: •chi crede in lui

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proprio di speranza ma anche con un termine che dice sollevare il capo per vedere oltre (apokaradokia),105 guarda a un destino posi­ tivo, appunto di salvezza, che avrà nel giorno finale il suo sigillo, ma già ora presente in anticipazioni parziali eppure vere, come apparirà subito nella terza determinazione di quanto fiduciosamente spera e ardentemente attende: «al contrario, come sempre, anche ora (so che) Cristo sarà pubblicamente magnificato (megalynthesetai) nel mio corpo, attraverso sia la vita sia la morte» ( 1,20). La sua sorte sal­ vifica espressa sopra in termini positivi e poi negativi («questo si vol­ gerà a mia salvezza» l «non sarò affatto svergognato») s'intreccia cosl con la manifestazione della grandezza di Cristo nel suo corpo, cioè nella sua persona in strutturale rapporto con Dio, gli altri e que­ sto mondo.106 Il carcere non ha impedito tale epifania cristologica già presente nel suo passato apostolico; la continua non senza renderla più attuale attraverso la condizione di carcerato che ha davanti a sé il doppio esito del processo, la condanna a morte o l'assoluzione e quindi il continuare a vivere: due esperienze diverse ma ugualmente funzionali alla magnificazione di Cristo. Come si può toccare con mano, Paolo esprime qui una sostanziale indifferenza di fronte a vita e morte, perché tutto preso da un altro interesse, quello cristologico, che parimenti si attua nelle due opposte eventualità che lo riguar­ dano. 1 07 Per questo la sua gioia invade anche il domani: (1,18b). Positivo non è solo il presente, ma anche il futuro nonostante la sua costitutiva ambiguità. Sempre sulla linea del suo bene personale nel brano 1 ,21 -23, che ne spiega1011 la suddetta sostanziale indifferenza verso vita e morte, approfondisce la valutazione della propria morte: è un guadagno (kerdos) (v. 21 ) Affermazione paradossale se si pensa che morire si­ gnifica pur sempre perdere la vita e tutto ciò che questa comporta in fatto di ricchezza personale.'09 Ma si comprende nella spiegazione .

non sarà svergognato (kataischynth�setai)•; 1 Cor 1 ,27: •Eppure proprio ciò che è in­ sensato del mondo Dio scelse, per svergognare (kataischyne-i) i sapienti, ciò che è de­ bole del mondo, per svergognare (kataischyne-i) quello che è forte». '"' Vedi in proposito anche Rm 8,19 a proposito dell'allesa del mondo creato. 1116 Su questo significato di corpo vedi sopra la presentazione di 1Cor 6,12-20 e 15,1ss. 107 Si noti che vita e morte non sono intese in senso generale: la vita è un poter continuare ad agire a favore di Cristo o del vangelo, e la morte è un dare la vita per la stessa causa. 11" Cf. la particella gar di 1 ,2 1 . " " Comunque. come ha mostrato S. Vou.ENWEIDER, «Die Waagschalen von Le­ ben und Tod. Zum antiken Hintergrund von Phil 1,21 -26•, in ZNW 85(1994), 93-115, 103ss era questo un topos nel mondo classico greco e romano, a partire da 0MERO che

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successiva: morire vuoi dire levare gli ormeggi e salpare, come si esprime con una plastica immagine nautica (analysai), (v. 23). Già il vivere per lui equivale ad avere Cristo come centro della propria esistenza, sua totale ra­ gion di vita: (v. 21). Anche in Gal 2,20 af­ ferma con grande efficacia di fare esistenzialmente tutt'uno con Cri­ sto: . Una co­ munione che avrà il suo suggello oltre la morte.110 Per questo morire è un guadagno per lui ed è anche il motivo del suo desiderio (epithy­ mia) di sciogliere le vele: vuoi dire navigare verso l'unione indissolu­ bile con il suo Signore. 1 1 1 Però non guarda solo alla propria via crucis, m a anche a quella dei filippesi, fatti oggetto di ostilità da parte dell'ambiente cittadino, che comunque non disgiunge dalla sua. Li esorta a non lasciarsi inti­ midire, perché la loro sofferenza non è pura casualità, tanto meno segno di abbandono da parte di Dio, rientra al contrario nel suo di­ segno: «. a fianco a fianco lottate (synathlountes) per la fede susci­ tata dal vangelo, senza !asciarvi per nulla intimidire dagli avversari, indizio per essi della perdizione e, al contrario, della salvezza per voi. E questo viene da Dio, perché egli vi ha fatto grazia non solo di credere in Cristo, ma anche di soffrire per lui (hyper autou pa­ schein), sostenendo la stessa lotta (ag6n) in cui mi avete visto impe­ gnato e che ora sentite riguardarmi>> ( 1 ,27-30). Forse i cristiani di Fi­ lippi erano turbati dal fatto di pagare un così duro prezzo per la loro adesione cristiana e non riuscivano a darsene pace.112 Comunque, a ..

mette in bocca a Telemaco l'affermazione: essere morti sarebbe •molto più vantag­ gioso» (poly kerdion: Od 20,3!6s). 110 Anche in !Ts 4,17 definisce il futuro ultimo dei credenti con tale categoria: •E cosl saremo sempre con il Signore (syn Kyrio·i esomerha)». Vedi pure !Ts 5,10: «in­ sieme con lui vivremo (syn auro-i zesomen)». Il passo paolino più vicino è senz'altro 2Cor 5,8: «preferiamo essere esiliati dal corpo e andare ad abitare presso il Signore». 111 Si noti in proposito una sorprendente analogia con Sacrate: anch'egli incarce­ rato e processato, si esprime con grande libertà interiore nei confronti della morte, come emerge dalla sua Apologia conservataci da Platone al c. 32. Il grande filosoro ri· tiene infatti che •morire sia un bene», qualunque sia il modo d'intendere la morte. Se la si intende come un sonno prolungato e eterno. allora •deve essere un guadagno meraviglioso (thaumasion kerdos) la morte•. tesi ripetuta poco più avanti: •Se dun­ que tal cosa è la morte, io dico che è un guadagno (kerdos)•. Se invece si crede che sia •una migrazione dell'anima da questo luogo quaggiù a un altro luogo•, •lo per me non una volta soltanto vorrei morire•�; «E ancora, per starsene insieme con Orfeo e con Museo, con Omero e con Esiodo, quanto non pagherebbe ciascuno di noi?•. Na­ turalmente la prospettiva in cui Paolo si colloca lo caratterizza. 112 WALTER, •Die Philipper und das Leiden», 425-428 rileva come fosse una no­ vità assoluta per il mondo pagano che un uomo soffrisse per il suo dio.

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parte tale probabile congettura, resta la valutazione di Paolo: dalla «passione>> (paschein) sofferta devono trarre la conclusione che Dio è all'opera per la loro salvezza mentre i persecutori andranno incon­ tro alla rovina. Non dal successo mondano, né da un'esistenza al ri­ paro da sofferenza e persecuzioni possiamo convincerci per indu­ zione che è salvificamente con noi, ma paradossalmente dalla pro­ pria via crucis, segno dimostrativo (endeixis) di salvezza per quanti credono e di condanna per coloro che la rifiutano rifiutando nello stesso tempo gli aderenti.1 13 Già in lTs aveva tenuto a ricordare che le afflizioni dei credenti di Tessalonica fanno parte di un progetto divino: , cioè dono gratuito di Dio;114 inoltre la collega strettamente con l'ade­ sione di fede. Vuoi dunque dire che quella fa parte integrante del processo di iniziazione cristiana dei filippesi, visto dal versante dell'i­ niziativa divina. Le formule «non solo, ma anche>> stanno a indicare un vertice della grazia di Dio elargita ai filippesi, paradossalmente un privilegio. Si noti però che tale valutazione vale non del pali per se stesso, ma di un soffrire «per CristO>> (hyper autou), a causa sua. In altre parole, la sofferenza è grazia in quanto modalità di adesione a Gesù: un'adesione sofferta dunque, a caro prezzo.1 15 Non è tutto: il pali dei filippesi non ha nulla di passivo; è una lotta combattuta (agon);116 si tratta di «passione>> agonistica e mili­ tante, la stessa dell'apostolo. Mittente e destinatari dello scritto sono uniti nella dura battaglia sostenuta da questi contro «avversari>> (an­ tikeimenoi: 1 ,28) e da quello contro persecutori attivi già a Filippi ma soprattutto responsabili della sua traduzione in carcere e davanti a un tribunale. Non solo contro, ma anche e ancor più un «agone>> a favore di Cristo e della sua causa, come emerge dal contesto.111 11 3 L'antitesi salvezza e condanna, essere salvati e finire condannati appare an­ che in lCor 1 . 1 8: 2Cor 2,15. ' " Il verbo eucharisthé (vi è stata fatta grazia da Dio) motiva (cf. hoti causale) l'affennazione precedente dell"origine divina del loro soffrire: touto apo theou. 115 In proposito si veda il limpido parallelismo delle proposizioni «Credere in lui» l •soffrire per lui», che specificano la proposizione «vi è stata fatta grazia to hyper Christou» con l'infinito sottinteso paschein, che appare alla fine del periodo e che se­ gnala la particolare sottolineatura di Paolo. 116 Lo stesso tennine di timbro militare è presente anche in l Ts 2,2, riferito però a Paolo annunciatore del vangelo a Tessalonica en pollo-i agoni. 117 Cf. in proposito E.M. KRE�lZ. •Military Language and Metaphors in Philip­ pians>>, in Origins and Method. Towards a New Undersranding ofJudaism and Chri· stianity. Essays in Honour of John C. Hurd, Sheffield 1993, 105-127.

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Infine non sembra casuale ciò che nell'inno di 2,6-1 1 è detto del punto di arrivo dell'«incarnazione» di Cristo: >. Senza interruzione dunque; neppure il carcere ha impedito tale partecipazione, evidenziata dall'aiuto fi­ nanziario dei filippesi a lui, chiamato a difendere e rafforzare il van­ gelo. Questo supporto però non esaurisce la loro azione missionaria, come Paolo stesso riconosce a proposito di diversi membri della co­ munità: Epafrodito è > (4,15). I termini usati sono di timbro commerciale, indicativi di un conto corrente comune con dare e avere: Paolo dà di suo la predicazione del vangelo nel mondo, sostenuto dai loro aiuti finanziari. In una parola, è uno scambio, un patto di reciprocità tra apostolo e la sua comunità nella comune causa evangelica.121 E i fi­ lippesi sono stati fedeli all'impegno: non solo a Filippi gli furono di aiuto ma anche a Tessalonica «più di una volta>> gli mandarono quanto aveva bisogno (4,16). L'aiuto ricevuto in carcere dunque è solo l'ultimo di una serie e il segno dimostrativo che essi sono stati fedeli all'accordo di «associati>> per il vangelo. Che poi tra tutte le chiese paoline siano stati gli unici accresce la preziosità del legame «associazionisticO>> con Paolo. Da parte sua assicura che il suo Dio «Con magnificenza vi col­ merà di tutto ciò di cui avete bisogno, a misura della sua ricchezza in Cristo Gesù» (4,19). Ma ci si domanda se i filippesi avessero bisogno di beni materiali, oppure di beni-spirituali. Non mancano esegeti che sostengono la prima ipotesi, persuasi che i credenti di Filippi fossero assai poveri, data la testimonianza di 2Cor 8,2 che parla di > (2,16).122 Si aggiunga che non solo li vuole rassicurare sulla sua sorte di missionario (cf. 1 ,12-26), come si è visto, ma esserne rassicurato in una mutua rassicurazione. Per questo spera di mandare presto Ti­ moteo a Filippi > sia il beneficio spirituale che ne verrebbe ai filippesi. La loro traduzione di 1 ,25 è dunque que­ sta: ( 1,4.7bis.8.25; 2,17): Paolo non parteggia per questo o quel fronte. ma la sua parola è rivolta a tutti e intende cooperare a far sl che la chiesa filippese sia veramente una totalità unita. Si aggiunga la presenza della particella > (2,2), (sympsychoi) (2,2). La prima esortazione formale in proposito (1,27-30) riguarda la necessaria fermezza dei filippesi di fronte a un ambiente ostile. 131 a. soprattutto PETERLIN, Pau/'s Letter IO the Philippians.

m Più numerosi comunque sono i composti con syn che indicano, come abbiamo visto sopra. la comunione di Paolo e dei filippesi.

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Paolo si augura che siano saldi (srekein)134 e non si lascino intimidin: dagli avversari; ma è una lotta da condurre compatti e uniti, facendo fronte comune: >, in ZNW 55(1964), 63-78 e Collange. '"' In questo secondo senso vedi P. GRELOT, ,161 che Fil 2,6 vedrebbe realizzato in Cristo (Murphy-O'Connor); 6) la figura mitica del salvatore di marca gnostica sceso in terra per coscientiz­ zare le anime smemorate della loro origine e risalito nelle sfere cele­ sti (Kiisemann e Bornkamm). Infine se in passato era opinione comune definire Fil 2,6-11 un inno, prepaolino o anche composto da Paolo, oggi la si mette in dub­ bio, perché il brano non verifica la natura specifica dell'inno, canto di lode a Dio.162 D'altra parte se ne determina il genere retorico, pro­ pendendo però gli uni per il genus de/iberativum, pagina finalizzata a esortare, e gli altri per il genere epidittico o egkomion, cioè di lode di Cristo.163 Per il nostro scopo s'impone l'obbligo di leggere il brano nel con­ testo della lettera paolina, evidenziandone articolazione, unità in­ terna, legame con quanto precede e segue. Appare evidente la divi­ sione in due unità letterarie all'insegna del duplice movimento di ab­ bassamento (vv. 6-8) e innalzamento (vv. 9-1 1 ),164 collegate dalla congiunzione «e perciò» del v. 9 e caratterizzate non solo dal contra-

"" G. BoRNKAMM, •Zum Verstandnis des Christus-Hymnus Phil 2,6-11», in Sa.· dien zu Antike und Chrisrentum, Miinchen 1963, 177-187; 161 Una variante testuale recita: >, nella seconda Dio che ri­ sponde all'iniziativa di quello.105 6-8 poi inizia con una proposizione participiale: , espressiva dell'ante­ fatto della vicenda, e prosegue con tre verbi principali: > (p. 60). IMI Passo parallelo di to einai isa the6-i è Gv 5,18: ison heauton-i poiOn t6-i theiJ-i. Plinio il Giovane attesta nella sua famosa lettera a Traiano che i cristiani avevano l'a­ bitudine •di riunirsi in un giorno stabilito. prima dell'alba. e di cantare alternativa­ mente un inno a Cristo come a un dio (quasi deo)>> (10,96,7). Cit. in R. PENNA, L 'am­ bierue storico-culturale delle origini cristiane, EDB. Bologna -'1991 . ad /ocum. '" SPREARCO, •Theos/Anthropos•, richiama l'auenzione sull'abbinamento del sistema spaziale alto-basso e di quello qualitativo insito nell'antitesi theo l doulos­ anthr�os. 1 La specificazione «dico sino alla morte in croce!» si rivela funzionale alla lo­ gica del brano; per questo non può essere ritenuta un'aggiunta. 169 Bengel, citato nel commentario di Lomeyer, p. 96, dice bene: Sta/US exinani­ lionis gradatim profundior.

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(«non considerò>>), volontario «svuotamento» e abbassamento, 1 70 obbedienza. In breve, non è stato umiliato da altri, neppure da Dio, ma si è umiliato.171 I vocaboli usati per indicare l'umanizzazione del «divino» Gesù non sono di carattere essenzialistico;172 indicano ciò che appare in un essere, la sua figura, aspetto e somiglianza che balzano agli occhi (morphelhomoiomalschema), ma non attenuano un processo «tra­ sformativo» profondo e radicale, ne segnalano invece l'osservabilità: è diventato uomo a tutti gli effetti e come tale appare. Sono gli stessi termini che nel mondo greco servivano a indicare le apparizioni umane degli dèi, che però di umano assumevano solo l'apparenza. 173 Si può supporre174 che il brano vi si sia ispirato per esprimere l'origi­ nale credenza nell'incarnazione reale dell'essere divino Gesù, che non ha cessato però di essere alla pari di Dio, parità vissuta per li­ bera scelta nella privazione del suo splendore e dei suoi privilegi. In ogni modo, al di là della terminologia, per se stessa passibile di una lettura di puro ed esterno rivestimento umano, tipica in tempi suc­ cessivi del docetismo, indubbiamente vi si presenta un radicale coin­ volgimento umano di colui che sussiste nella forma divina ed è alla pari di Dio: vero uomo mortale, mentre gli dèi sono per definizione immortali (athanatoi), addirittura uomo crocifisso, che solo un para­ dosso può affermare pari a Dio. 175 Sorprende, ma soltanto a prima vista, che della >.1AA Degni di rilievo sono i primi due passi: Dio esalterà chi si abbasserà umi­ liandosi, la stessa reazione divina presente in Fil 2,9-1 1, con la diffe­ renza importante dei tempi: aoristi nel caso di Gesù e futuri qui; là .una storia, in questi testi una regola sapienziale. Che il brano cristologico sia contestualizzato nella sezione l ,272.18 a motivare la parenesi è indubbio e ammesso da tutti. A noi sembra preferibile la lettura etica o esemplare: l'umile sentire (tapei­ nophrosyne) raccomandato alla comunità filippese (2,3) trae ispira­ zione dalla scelta di umile abbassamento (etapeinosen) di Gesù. L'e­ sortazione paolina all'abnegazione di 2,3b-4 trova un punto di riferi­ mento nella sua decisione di non sfruttare a proprio vantaggio la condizione paritaria con Dio (v. 6). E già si è detto che il motivo

184 sarx indica la condizione umana mortale. '" Delle analogie con Eb 5,5-10 si è occupato nel suo studio citalo Manzi che vi legge lo schema solidarietà-esaltazione (come sommo sacerdote). 186 In realtà si riprende qui uno schema dell'AT: •ciò che è basso sarà elevato» e viceversa (Ez 2 1 ,31): •io sono il Signore, che umilio l'albero alto e innalzo l'albero basso• (Ez 17,24).

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della sua obbedienza è ripreso in qualche modo al v. 12 dove Paolo parla dell'obbedienza dei filippesi, esigenza valida anche quando lui è assente. In breve, il Cristo della nostra pericope è un esempio tra­ scinante di umiltà e abnegazione per la chiesa filippese che ne ha bi­ sogno per superare le divisioni interne. Resta la difficoltà della se­ conda parte dell'inno (vv. 9-1 1 ) che non sembra avere, in questa in­ terpretazione, alcuna ragion d'essere. Ma nell'ipotesi che si tratti di un testo prepaolino qui citato, non si può pretendere che tutto qua­ dri con il contesto. Comunque si deve soprattutto osservare che la ri­ sposta di Dio all'autoumiliazione di Cristo indica come questa porti il sigillo dell'approvazione divina e non rappresenti l'ultima parola sul destino degli interessati. Pertanto l'esortazione paolina all'umiltà trova nella vicenda di Cristo narrata in 2,6- 1 1 non solo un esempio trascinante, ma anche la certezza che Dio è con quanti si umiliano per esaltarli a sua gloria.187 Una certezza che non può nori incidere sull'esortazione. Oltre a questo esempiò eccellente Paolo ·sembra riferirsi nella sua parenesi anche all'esemplarità del comportamento di Timoteo e Epafrodito. Certo i passi 2,20-24 e 2,25-30 appartengono al genere della raccomandazione: l'apostolo ne'vanta i meriti davanti ai filip­ pesi, perché sia loro riservata un'accoglienza favorevole. Ma non si può negare che il loro ritratto sia qui di exempla a cui essi devono guardare con ammirazione e soprattutto con spirito di emulazione. Tanto più che l'esemplarità dei due ha strette connessioni con resor­ tazione paolina ad atteggiamenti di disinteresse personale e di altrui­ smo, che favoriscono l'unione della comunità. Così Timoteo è il solo della cerchia di Paolo . Altrettanto vale di Epafrodito meritevole di onore, perché «per l'opera di Cristo giunse vicino a morire, mettendo a repentaglio la sua vita, per compiere quel servizio che a voi ancora mancava di ren­ dermi>> (2,30).189 In breve, un esempio di estrema disponibilità di sé per gli altri, necessario per la concordia ecclesiale. "" Senza dire che nell'ipotesi dì Kllsemann e seguaci, che ritengono il riferi­ mento a Cristo come luogo di salvezza in cui i credenti sono ammessi, non si spiega il silenzio dell'inno sulla dimensione soteriologica dell'evento cristologico. 188 Il verbo merimnan è qui usato in senso positivo. 189 Peterlin nella sua monografia basandosi sul termine leitourgos con cui è defi-

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Infine in 4,2-3 Paolo esorta espressamente Evodia e Sintiche a essere concordi (to auto phronein). Oltre all'esortazione personaliz­ zata originale appare il fatto che egli chieda l'aiuto di un innominato collega: interponga i suoi buoni uffici perché le due credenti supe­ rino il contrasto, raggiungendo un accordo necessario per quanti sono nella sfera d'influsso di Cristo (en Chri.sto-i). Dunque un'u­ nione ecclesiale che affonda le sue radici nell'unione dei credenti con il Signore.190

4.3. Paolo esempio paradigmatico di autentica vita cristiana

(c. 3)

Bib/. BAUMBACH, �Die ZukunftseJWartung nach d e m Philipperbrief•: BECKER. Paulus, 340·350; W. CoTTER, •Our Politeuma is in Heaven: The Meaning of Philip· pians 3.17·21•, in Origins and Method. Towards a New Understanding ofJudaism and Christianity. Essays in Honour offohn C. Hurd. Sheffield 1993. 92·104: KoPERSKI, The Knowledge of Christ Jesus the Lord: J. LAMBRECHT, «Our Commowealt is in Heaven•. in Pauline Studies. Leuven 1964, 309·315; A.T. LINCOLN, Paradiso ora e non ancora, Paideia. Brescia 1985 {orig. 1981). 151-187; PH. PERKINS, •Theology for the Heavenly Politeuma•. in J . M . BASSLER (a cura di), Pauline Theology, Minneapolis 1991. I, 89104: H. ULONSKA, •Gesetz und Beschneidung. Oberlegungen zu einem paulinischen Ablfisungskonllikt•, in FS W. Marxsen, GUtersloh 1989, 314-331.

Come rileva Peterlin, gli oppositori del c. 3 non attaccano Paolo, né contestano la sua apostolicità, neppure c'è una diretta disputa con loro o con i filippesi su qualche punto dottrinale; l'apostolo li consi­ dera antagonisti della vera fede cristiana.'91 Si aggiunga che li pre­ senta qui come exemp/um negativo, contrapponendovi se stesso quale exemplum positivo. Il suo intento non è polemico, nonostante il tono offensivo di 3,2. 18, ma esortativo: richiamare l'attenzione de-

nilo il servizio di Epafrodito. ipotizza che questi abbia pagato di tasca sua e sopperito all'es!Muità del dono dei filippesi (pp. 200ss). 1 Le formule en Chris/6-i l en KyriO-i ricorrono spesso in Fil a significare ru­ nione di Paolo e della sua comunità con Cristo. Questi è Io spazio di vita in cui il cre­ dente è inserito e fa esperienze positive. Così l'apostolo può constatare che i cristiani di Efeso traggono coraggio •nel Signore• proprio dalla sua prigionia (1,14), si augura di poter far visita ai filippesi perché la loro fierezza in lui riposta aumenti «in Cristo• (1 ,26), li esorta ad accogliere •nel Signore• Epafrodito (2.29) , a gioire •nel Signore• (3,1; 4,4). Lui stesso ha gioito «nel Signore• quando ha ricevuto i donativi dei suoi in· terlocutori (4,10). È •nel Signore (Gesù)• che spera di mandare Timoteo a Filippi (2,19) e confida di poterei venire egli stesso presto (2,29). Vedi in proposito la disa­ mina attenta e precisa di MARSHALL, �The Tbeology of Philippians», 138-144. '" PauJ's Leuer to the Phi/ippians, 77-79.

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gli interlocutori su modelli devianti da respingere e soprattutto sulla sua persona come polo da imitare (vv. 15ss). Già sopra si è detto, e nella lettura del c. 3 se ne avrà una conferma, che la loro più proba­ bile identità è di giudeo-cristiani conservatori, che enfatizzavano la circoncisione e la legge192 e, a detta di Paolo, meritano di essere chia­ mati «nemici della croce>> (v. 18). Egli s'introduce con un ripetuto «Guardate>>,193 mentre non po­ chi interpretano l'imperativo greco blepete come una messa in guar­ dia: «Guardatevi>>.194 In ogni modo li definisce con tre denomina­ zioni spregiative: «cani», lo stesso vocabolo usato dai giudei per squalificare gli incirconcisi;195 nella formula «cattivi operai>> si na­ sconde una probabile autodefinizione degli interessati, comunque di certo operai vuoi dire missionari196 e «cattivi>> esprime un giudizio negativo sulla loro condotta di nostalgici dell'eredità giudaica; «mu­ tilati>>197 è una sarcastica denuncia della pretesa di fare della (loro) circoncisione titolo di vanto in campo religioso. Che i filippesi se ne guardino, è lo scopo manifesto di questa denuncia impietosa. Ma Paolo va oltre a tale espediente polemico: gli interlocutori devono prenderne le distanze coscienti della propria identità cri­ stiana. In concreto egli fa un'impegnativa affermazione in «noi>>, in realtà è un'autoaffermazione dei credenti:19R «Siamo noi in effetti i circoncisi,199 che offriamo il culto mediante lo Spirito di Dio e ci glo­ riamo in Cristo Gesù invece di riporre la nostra fiducia in noi stessi (lett. nella carne)>>. Lo schema di pensiero è . Il contrasto non è tra culto rituale e culto della vita, bensì tra culto di chi è animato dallo Spirito e culto estraneo a tale animazione; questa è la diversità, secondo l'apostolo, tra culto giudaico e culto cristiano. In secondo luogo essi si vantano sì, ma di Gesù Cristo, cioè della sua azione di grazia operante in loro.202 La formula negativa: >, che è in realtà riconoscimento della signoria di Cristo sulla propria esistenza, in cui Paolo ha fatto consistere la sua conversione nel v. 8.227 L'asserita conoscenza cristologica è da leggersi, secondo la più consolidata tradizione ebraico-biblica, in senso esperienziale-partecipativo, non in maniera puramente noe­ tica, senza comunque opporre i due aspette211 «Lo scopo è di cono­ scerlo (tou gn6nai), sperimentando la potenza della sua risurrezione e partecipando alle sue sofferenze fino a conformarmi (symmorphi­ zomenos) alla sua morte, per giungere possibilmente alla risurre­ zione dal regno dei morti» (vv. 10- 1 1 ). Aderire a Cristo e conoscerlo vuoi dire partecipare ai due eventi essenziali della sua vicenda: pas­ sione/morte e risurrezione.229 Ma mentre nel primo Paolo raggiunge qui una attuale conformazione, nel secondo al presente egli speri­ menta la potenza vivificante del Risorto; in altre parole, muore con Cristo ma ancora non risorge con lui. Dunque, condivisione dell'a­ zione del Risorto, non della sua risurrezione. Questa appartiene al suo futuro, certo per la fedeltà di Dio, però non tale dal punto di vi­ sta dell'uomo incamminato sì verso questo traguardo, ma tra insidie e rischi.230 Analogo è quanto dirà Rm 6,3-5: «O ignorate che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, nella sua morte siamo stati bat­ tezzati? Mediante il battesimo dunque fummo sepolti con lui per la morte, affinché, come Cristo fu risuscitato dal regno dei morti in virtù della gloria del Padre, così anche noi potessimo condurre una 226 KoPERSKI, The Knowledge of Christ Jesus the Lord. 236 rileva: «>: indica errore dottrinale - unilaterale attenzione alla gloria del Risorto - oppure un vivere pratico estraneo e contrario alla prospettiva del crocifisso, e questo da libertinisti oppure come giudeo-cristiani fedeli alla legge e alla circoncisione? La nostra pre­ ferenza va a quest'ultima lettura, in linea con l'opinione che qui Paolo si riferisce ai > di 3,2. Seguendo quindi un collaudato cliché della polemica antieretica ne preannuncia la rovina eterna, non senza bollarli di nuovo con giu­ dizi negativi: «La rovina eterna sarà la loro fine, essi che hanno il ventre per Dio e si gloriano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi fis­ sando il pensiero alle realtà terrene>> (v. 19).247 Le proposizioni «hanno il ventre per Dio» e «Si gloriano di ciò di cui dovrebbero ver­ gognarsi>> non sono perspicue.246 Pare preferibile vederci rispettiva­ mente le osservanze alimentari della legge giudaica e la circonci­ sione. Invece il motivo dell'attenzione alle realtà terrene è funzio­ nale allo sviluppo escatologico dei vv. 20-2 1 : l'antitesi con quelli che impersonano un exemplum negativo poggia sulle categorie spaziali terra-cielo: «La nostra organizzazione politica249 infattj25" sta nei cieli» (v. 20a). I credenti, come indica il noi generale, hanno un'altra tatori di Paolo e del Signore ( 1Ts 1,5), nonché delle chiese perseguitate di Giudea (1Ts 2,14). "" È un •noi• che comprende Paolo e i suoi coUaboratori. 247 Passo parallelo è Rm 16.18: •Sono infatti persone al servizio non di Cristo, nostro Signore, ma del loro ventre e con belle parole e adulazioni seducono i cuori dei semJ?:IiCi». "' Cf. la discussione nel commento di O'Brien. 249 Politeuma è inteso diversamente: cittadinanza, colonia, patria, stato o comu­ nità. Quest'ultimo significato si fa preferire: lo stato che governa la vita dei credenti è in cielo. Vedi in proposito gli studi citati di CoTrER. «Our Politeuma is in Heaven,); LAMBRECHT, «Our Commowealt is in Heaven»; LINCOL:--.1 , Paradiso ora t non ancora. 167-174; PERKINS, «Theology for the Heavenly Poli/elmta». 250 Paolo spiega perché gli interlocutori devono comportarsi in maniera dissimile da questi •nemici della croce di Cristo• i cui intenti sono rivolti alle realtà terrene.

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appartenenza: sono cittadini di questo o quello stato terreno, ma de­ cisiva è la loro integrazione di cittadini del cielo, sfera in cui regna Cristo e da cui viene la loro salvezza finale. L'accento cade di fatto su questa prospettiva escatologica: «cielo>> è una sigla espressiva della dimensione in cui Cristo esercita al presente il suo potere di ri­ sorto in attesa dell'exploit finale di salvatore dei credenti: «da dove25 1 pure aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, che secondo la forza attiva (energeia) con cui è capace anche di assoggettare a sé l'universo, trasfigurerà il nostro misero corpo, per renderlo con­ forme al suo corpo glorioso» (vv. 20b-21 ).252 La speranza cristiana è qui espressa in termini di viva attesa (apekdechometha): i credenti, ancora in cammino (cf. vv. 13-14), sono protesi verso il compimento, in concreto verso la venuta di Cri­ sto.253 La scenografia è la stessa di lTs 1 ,9a: «attendere dai cieli (ana­ menein ek ton ouranon) il suo figlio>> e pari è lo scopo salvifico del­ l'evento: in Fil , vocabolo che ricorre solo qui nelle lettere autentiche paoline, mentre diverrà usuale nelle Pa­ storali e in 2Pt - una quindicina di volte con prevalente applicazione cristologica -; in I Ts . Non sappiamo direttamente dove abitasse, ma lo si può de­ durre: se la patria di Onesimo era Colossi, è logico pensare che an­ che il suo padrone vivesse in questa città.6 Inoltre Archippo, mem­ bro importante della comunità domestica di Filemone e per questo codestinatario della nostra lettera (v. 2), faceva parte della chiesa co­ lossese, come attesta Col 4,17. È la seconda ragione che spinge a ri­ tenere che anche Filemone fosse di Colossi, città della valle del Lico, affluente del Meandro.7 Di lui Paolo tesse nella nostra lettera un grande elogio: gli dà atto di zelo missionario, chiamandolo appunto ••nostro collabora­ tore>> (v. l). di fedeltà cristiana e soprattutto di premuroso e fattivo amore per i fratelli (vv. 5.7). Riconoscimento di certo funzionale allo scopo che l'apostolo persegue: attenerne l'assenso alla proposta di questi, e che la lettera di Paolo avesse lo scopo di riconciliare i due fratelli divisi non ci sembra fondata. ' Nello scritto però non è mai chiamato padrone; lo si deduce dal rapporto con lo schiavo Onesimo. • !': stata invece ipotizzata da Schenk la città di Pergamo. ' Dove Filemone abbia incontrato Paolo non è certo. A Efeso, ritengono quanti sono dell'avviso che Paolo non evangelizzò di persona la regione né fondò la chiesa colossese. nata per opera del collaboratore Epafra, come sembra annuire Col 1,7: «come avete imparato da Epafra ... che è fedele ministro di Cristo al posto nostro» ( 1 .7; cf. anche 4,12·13). Ma non manca chi, come Binder, ritiene che invece sia stato Paolo a fondare la chiesa colossese; di conseguenza questi incontrò e convenì File­ mone a Colossi.

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accogliere Onesimo come fratello; ma non per questo è possibile contestarne la fondatezza. Di fatto egli ospitava nella sua casa la co­ munità cristiana locale e doveva esercitarvi un ruolo di guida, forse insieme con Appia e Archippo, entrambi leader della comunità, co­ destinatari della lettera (v. 2). Il seguito e il centro della storia invece trova diverse ricostru­ zioni. Secondo la più tradizionale, sostenuta ancor oggi con forza. per es., da Barclay e Nordling, Onesimo era uno schiavo fuggiasco (jugitivus) approdato, non si sa bene come, da Paolo che si trovava in prigione.8 Fughe di schiavi erano allora all'ordine del giorno. Le cause erano varie: anelito alla libertà, rapporti difficili con il pa­ drone, comportamenti negativi e il conseguente timore di castighi. Comunque fuggire era un grave rischio per gli schiavi: erano attiva­ mente ricercati dal padrone, di regola mediante un fugitivarius, che per mestiere cercava e riconduceva a casa gli schiavi fuggiti, ma an­ che l'autorità politica vi collaborava, essendo un problema di ordine sociale. Le possibilità di farla franca non erano molte: lavorare da giornalieri nelle campagne, ma col pericolo di essere riconosciuti e denunciati: mimetizzarsi nelle grandi città vivendo di espedienti o di furti; rifugiarsi in quei santuari che avevano il privilegio del diritto d'asilo, come il tempio di Artemide (Artemision) di Efeso, il The­ seion di Atene, il Serapeum di Memfi, dove potevano trovare acco­ glienza come servitori, o essere rimandati al padrone dietro previa assicurazione di clemenza, oppure ancora venir venduti a un altro padrone." Uno schiavo fuggito e ripreso veniva punito a discrezione del padrone, che poteva, in casi limite, condannare il malcapitato an­ che alla pena di morte come misura di deterrenza. 10 In vista di un ri­ torno presso il padrone c'era anche la possibilità di rifugiarsi da qualche suo amico, supplicandolo d'intercedere a proprio favore. Ma lo scritto non parla mai di fuga di Onesimo. Inoltre come spiegare che sia approdato in carcere da Paolo? È stato catturato dalle autorità e rinchiuso nella stessa prigione? Ma allora non era in potere dell'apostolo disporne il rinvio al padrone. Vi è giunto por8 Circa la schiavitù nel mondo romano e la fuga degli schiavi vedi gli studi citati di Sordi e Scarpa! e il prezioso excursus di Gnilka nel suo commento a pp. 54-81. ' Questo era l'uso solo in oriente. Nel mondo romano valeva il rifugio presso la statua dell"imperatore. 10 In concreto le pene previste dalla legge: crocifissione. damnatio ad bestias o anche pene corporali. come è testimoniato in Satyricon 28 di Petronio: Quisquis ser­ vus sine dominica iwsu foras exierit, accipiet plagas centum. Ci t. in NoRDLTNG, "Oncsi­ mus Fugitivus», 116. 384

tato da altri o per sua iniziativa, forse perché ne aveva sentito par­ lare nella casa del padrone? Ma come Paolo poteva essergli un «asilo» e perché Io ha trattenuto, sfidando le leggi che ritenevano corresponsabili della fuga quanti proteggevano il fuggiasco?1 1 Secondo una variante assai recente di questa Iettura12 Onesirno non era giuridicamente un fugitivus, definito dalla sua intenzione di non far più ritorno al padrone,D ma uno schiavo che, avendo man­ cato gravemente nei confronti del padrone con un furto (v. 18), si ri­ fugia da Paolo quale amicus domini, capace di intercedere per lui e fargli avere un'indulgente accoglienza nella casa padronale. Un pre­ cedente è testimoniato nella lettera di Plinio all'amico Sabiniano, il quale intercede per un liberto di questi rifugiatosi da lui in cerca di protezione e intercessione. Un'ipotesi che spiega bene come One­ simo giunse da Paolo e perché nello scritto non si parla di fuga, trat­ tandosi non di vera e propria fuga. Ultimamente si è affermata però una seconda ricostruzione, as­ sai diversa, della storia:14 Onesimo fu mandato da Filemone e dalla chiesa colossese o a portare una missiva e aiuti per l'apostolo, op­ pure, meglio, ad assistere Paolo nella sua prigionia, un po' come fece Epafrodito che, in nome della comunità di Filippi, stette vicino all'a­ postolo prigioniero (cf. Fil 4,10-20). Dunque nessuna fuga e quindi nessuna perorazione di Paolo a favore di Onesimo, ma la richiesta di riaverlo come aiuto (diakonein) per la causa del vangelo (v. 13). Ma più di un'obiezione può essere avanzata: in questa ipotesi come Paolo può dire di Onesimo, mandato con un incarico tanto delicato: «lui in passato a te inutile, ma adesso utile sia a te sia a me>> (v. 1 1) ? Parimenti non avrebbe senso l'ipotesi che i l mittente s i fa nel v. 18: «Se poi in qualche cosa ti ha nuociuto o ti è debitore>>. E la prospet­ tiva fatta balenare a Filemone di riavere Onesimo per sempre dopo averlo perduto per breve tempo (v. 15), non si concilia con questa ipotesi. Senza aggiungere che la speranza di Paolo di essere liberato

11 La legge romana era chiara: Fugitivi... dominis reddendi suni (Dig. 1 1 ,4,4. Cal­ listratus 193-200 d.C.). Cit. in NoRDUNG, •Onesimus Fugitivus». 115. 12 Vedi Lampe e Rapske. " Lampe cita in proposito Proculus del I sec. d.C.: fugitivum non esse, sicuri ne eum quidem, qui cum dominum animadverterel verberibus se adficere, praeripuisset ad amicum, quem ad precandum perduceret (Dig. 21.1,17,4) e il motivo è espresso con chiarezza: quia non fugiendi animo hoc [acir (Dig. 21,1,17,12: Paulus del 11/111 sec. d.C). " Vedi sopraltutto gli studi citati di Winter e Wansink. L'ipotesi però risale in sostanza a J. KNox, Philemon among rhe Letters o[ Pau/, Chicago 1935.

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e venire presto dagli interlocutori (v. 22) cozza con il presunto suo intento di riavere Onesimo come aiutante. Si può ritenere che la prima lettura, forse integrata e corretta se­ condo l'ipotesi non di una fuga dello schiavo Onesimo bensì di un suo allontanamento dalla casa del padrone per sfuggire a una puni­ zione e trovare in Paolo un amico di Filemone disposto a intercedere per lui e risparmiarg]i la pena, sia ancora la migliore. È certo invece che l'incontro in carcere con l'apostolo cambiò la vita di Onesimo, che si convertì alla fede cristiana, come scrive Paolo ricorrendo all'immagine fisiologica della generazione, presente an­ che altrove nell'epistolario paolino (cf. lCor 4,15): > che ricorre due volte in testa (vv. 9 e 10: paraka/6), presente più volte nelle lettere paoline per introdurre brani esortativi. Paolo rinuncia volutamente al comando, cioè a far sfoggio del suo innegabile potere, ma non per scegliere l'in­ tercessione, bensì per esortare e sollecitare Filemone, da cui si aspetta che reagisca facendo ciò che deve (to anekon: v. 8). Non si ap­ pella alla sua bontà d'animo e indulgenza; non fa leva affatto sul pen­ timento di Onesimo, di cui tace del tutto; e se nel v. 18 accenna in forma ipotetica all'ingiustizia da lui perpetrata, è solo per offrirsi a saldare di tasca propria il debito.29 Da Filemone si aspetta una libera decisione di accogliere lo schiavo non più da schiavo, bensì da fratello carissimo (v. 16), come accoglierebbe lui stesso (v. 17). Alcuni autori hanno parlato di genere deliberativo'" e a ragione, se coniugato con quello esplicito di , perché la parola di Paolo è un'esortazione motivata: oltre a dire che cosa Filemone do­ vrà fare, il mittente espone anche e soprattutto le ragioni che mili­ tano a favore del suggerimento dato, come si è visto sopra. Ha di proposito rinunciato a far valere la sua indiscussa autorità per ricor­ rere alla forza suasiva dell'amore: «Perciò, pur avendo in Cristo am-

29 Più che a un furto da parte di Onesimo si deve pensare al furtum sui, come si esprime il Dig. 47,2,61, cioè alla perdita di uno schiavo che era valutato dalle 150 alle dramme, afferma Binder (p. 34). 30 Vedi CHURCH, «Rhetorical Structure»; MARTIN, «The rhetorical Function>), 322-324; PJTIA, •Come si persuade un uomo?•, 102. 200

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pio potere di comandarti quanto è tuo dovere fare, preferisco esor­ tarti in nome dell'amore>> (vv. 8-9a). Dunque si parli pure di genus deliberativum, purché sia inteso riferito non all'intercessione ma ali 'esortazione.31

" La lettera è attestata nel canone di Marcione della metà del li secolo, che nelle dieci lettere di Paolo elenca al penuhimp posto quella a Filemone (cf. EPIFANIO, Pana· rion 42,9.3·4). La conferma della sua presenza nel canone marcionita ci viene da TER· TULLIANO, che in Adversus Marcionem 5,21 afferma: •A questa sola epistola giovò la sua brevità, cosi da scampare alle mani falsificatrici di Marcione• (Soli huic episrolae brevitas sua profuil, ut fu/sariJJs manus Marcionis evaderei). Il catalogo muratoriano dopo aver elencato le lettere alle sette chiese di Corinto, Efeso. Filippi. Colossi, Gala· zia, Tessalonica e Roma, aggiunge quelle indirizzate a singoli individui, in primis a Fi· lemone: > (vv. 1.9).42 Sol­ lecita per il suo figlio, che lui ormai vecchio ha generato in catene (v. 10), e gioca sul significato del nome (v. 1 1). Non intende sottrarlo a Filemone; glielo manda (v. 13); tutto dipende dalla decisione libera di questi (v. 14). È un vantaggio anche per lui: può averlo per sempre come fratello carissimo, non più come schiavo (vv. 15-16). E, ultima forma di dolce pressione, la promessa di una prossima visita nella casa ospitale di Filemone (v. 22), dove potrà costatare de visu che la sua richiesta non è stata vana. Comunque alla fine chiede un atto di obbedienza (hypako€) (v. 21).43 Una precisazione s'impone subito: Paolo non contesta44 l'istitu­ zione della schiavitù, né affronta tale dato socio-economico che era 38 Cf. per es. Stuhlmacher: ·Ma egli lo lascia alla libera decisione di Filemone• (p. 57). " Vedi la conclusione di MARSHALL, •The Theology of Philemon•, 190: • .. .l'im­ plicazione del pensiero di Paolo qui è che la fede cristiana è incompatibile con il pos­ sesso di schiavi. Lò stesso Paolo può non essere giunto a questa realizzazione, ma egli ha ageno una strada che conduce a questo traguardo•. Così lo studio citato di Wilson. 41 Pre.'ibytes è letto spesso. per es. da Petersen, con il significato di ambasciatore. ma impropriamente. Per il significato scelto vedi lo studio convincente di Wansink. 42 Qui Paolo ricorre alla risorsa retorica del pathos: suscita commozione e questa spin�e a non dirgli di no. ' L'ambiguità dei tennini dell'oggetto dell'esortazione paolina dipenderebbe, secondo Barclay, dalla difficoltà stessa di Paolo di chiedere la liberazione dello schiavo. Liberando Onesimo Filemone non avrebbe dovuto liberare anche gli altri schiavi che presumibilmcnte aveva e questi non sarebbero stati spinti a convertirsi per ottenere anch·essi la liberazione? E senza schiavi come Filemone avrebbe potuto far fronte ai bisogni concreti della comunità domestica di Colossi? D'altra pane. come rapportarsi a Onesimo da fratello tenendolo in schiavitù? Se i credenti sono esortati alla correzione fraterna (cf. Gal 6,1), come pensare che Onesimo corregga il suo pa­ drone senza che appaia un attentato al/'obsequium et reverentw a lui dovuti? " Spesso si fa riferimento a ICor 7,18-24 come a passo parallelo; in realtà qui il

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un'evidenza del tempo; neppure è in questione il fatto che un pa­ drone cristiano come Filemone si tenga i suoi schiavi e li tratti come tali. Fm s'interessa al cambiamento che deve fare il padrone cri­ stiano di fronte al cambiamento intercorso nel suo schiavo fattosi nel frattempo cristiano. Questi è diventato un essere nuovo: figlio e fra­ tello di Paolo (vv. 10 e 16), fratello di Filemone (e degli altri cre­ denti) (v. 16), che, al pari di tutti «i santi» (v. 5), ha in Dio il suo Pa­ dre e in Cristo il suo Signore (vv. 3.25). Un'identità che Filemone è esortato a riconoscere: trattarlo per quello che è al presente: «non più come schiavo, ma come uno che è più di uno schiavo, appunto come un fratello carissimo>>. Non è forzata la lettura di quanti fini­ scono per dire: trattalo con le forme dovute a chi non è schiavo, an­ che se Onesimo resta tale? Con la formula (PREISS, •Vie en Christ», 72).

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chino loro di riguardo, perché sono fratelli; li servano invece con maggior zelo, perché sono credenti e amati quelli che ne ricevono in beneficio i servigi»; Tt 2,9: «Esorta gli schiavi a stare sottomessi in tutto ai loro padroni, a compiacerli e non contraddirli». Spesso si dice che il tema teologico di Fm sia l'impatto del van­ gelo sulla schiavitù. Per es. Marshall intitola così il suo lavoro sulla teologia di Filemone: > con cui Paolo si rivolge agli interlocutori in 3,1. Come avrebbe potuto chiamare in questo modo degli abitanti della Pisidia e della Licaonia, denominati appunto pisidi e licaoni? Si aggiunga che le comunità di Pisidia e Licaonia avevano come membri anche dei giudei (At 13-14), mentre gli interlocutori di Paolo in Gal sono gentili, come si dirà subito. Per questo la teoria nord-galatica è pre­ feribile e può contare su una chiara maggioranza di sostenitori.8 Un secondo dato della testimonianza di Gal, questa volta inequi­ voco, è l'appartenenza dei galati al mondo degli idolatri o dei gentili: «Nel vostro passato d'ignoranza di Dio, invece, foste asserviti a dèi che tali non sono per natura» (4,8). Un politeismo consistente nell'a­ dorazione delle forze elementari della natura, aria, fuoco, terra, ac­ qua (4,3.9).9 Che fossero degli incirconcisi si deduce anche dal fatto che erano sollecitati a farsi circoncidere. Nella lettera, inoltre, abbiamo un brano rievocativo della pre­ senza missionaria di Paolo in terra galata (4,12-20). Aveva adeguato il suo modo di vivere a quello dei galati rinunciando al proprio di giudeo (4,12) ed era stato fortuitamente missionario in mezzo a loro: 6 Così F.F. BRUCE, «Galatians Problems, Il: North or South Galatians?•, in BJRL 52(1969-70), 243-266; lo., •Galatians Problems, IV: The Date of the Epistle•. in BJRL 54(1971-72). 250-267. e anche J.D.G. DuNN, The Theology of Pa11l's Letter to the Galatians, Cambridge 1993. 16: «Paolo scrive da Corinto alle chiese del sud Gala­ zia •rli inizi degli anni 50•. Forse un'allusione è presente anche in Gal 4.13: «Come sapete, fu in occasione di una malania che per la prima volla (proteron) vi annunziai il vangelo•. Altri leg­ gono l'avverbio in modo diverso: «Un tempo». ' Cosi per es. i commenti di Corsani. Mussner. Pina, Schlier. ' Su tale significato del sintagma •clementi del mondo>> vedi ultimamente D. RusAM, «Neue Belege zu der stoicheia tou kosmou (Gal 4,3.9; Kol 2,8.20)•, in ZNW 83(1992), 119-125.

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> ( 1 ,6); (3,1; cf. pa­ rimenti 3,3). Ancor più forte è il biasimo per i sobillatori, come si è visto (cf. 1,9; 5,12; 6,12-13). Loda invece se stesso come araldo e di­ fensore della verità del vangelo (1,13-2,21 ) e anche i galati, ma solo limitatamente alla passata accoglienza (4,12-20). E tutto questo allo scopo di arrestare il cedimento delle chiese galate, che vuole ripor­ tare all'adesione di mente e di cuore al suo vangelo libero dall'ob­ bligo della legge mosaica.40 Ma biasimo e lode latitano in gran parte di Gal (cf. 3,6-4,1 1.21-3 1 ), compresa buona parte dei cc. 5--6.41 Forse è meglio vederci un genere misto. Di fatto l'autobiografia di 1 , 1 3-2,21, per gli uni - tesi tradizionale - di timbro apologetico;2 per altri autopresentazione, da parte di Paolo, delle sue credenziali e di quelle del suo vangelo;' per Jegher-Bucher prova (pistis) della le­ gittimità dell'apostolo e del suo ann�ncio,44 senza contare quanti vi scorgono la presentazione di un exemplum o modello;5 sta accanto al genus deliberativum finalizzato a convincere gli interlocutori. In"' Simile è la posizione di A.B. Du Torr, «Alienation and Re-identification as Pragmatic Stralegies in Galalians••, in Neotestamentica 26(1992), 279·295: Paolo ri­ corre alla laudatio, ma ancor più alla vituperatio. 41 VJELHAUER, Geschichte der urchristlichen Literatur, 1 12-113 invece parla di let­ tera polemica (Kampfbriefj e insieme dottrinale (Lehrbriefj. Per Corsani Gal •ha an­ zitutto uno scopo polemico, rivolto a combattere le tesi degli avversarh>, ma «anche una preoccupazione pastorale dell'apostolo per le sue comunità• (Leuera ai Galati, 31). J. SCHOON·JANSSEN, Umstrittene •Apologien• in den Paulusbriefen, Gottingen 1991. 66-113 legge i cc. 1-2 come apologia. mentre il resto è di genere epidittico e deli· berativo con quest'ultimo predominante in 5,1�.10. " Cf. per es. EcKERT, Die urchristliche Verkiindigung: «presentazione polemico· apologetica• (p. 233) e ultimamente L. WEHR, Petrus und Paulus Kontrahenten und Partner. Die beiden Apostel im Spiegel des Neuen Tes10ment.r, der Apostolischen Viiter und friihen Zeugnisse ihrer Verehrung, Mllnster 1996, 2940: nei primi due cc. Paolo difende il suo apostolato da attacchi. 43 HoNG, The Law in Galatians, 106: in 1,11-2,21 Paolo non è impegnalo in un di­ battito teologico con gli oppositori, ma cerca di stabilire l'autorità divina del suo van­ gelo e del suo ministero apostolico prima di attaccare a fondo la teologia dei suoi op­ positori nella sezione argomentativa. Cf. anche STENGER, �Biographisches und ldeal­ biographisches in Gal 1.1 1-2,14•. " Der Galaterbrief, 1 20-128. 45 PITTA, Lettera ai Galati, 48: «Paolo si presenta soprattutto come modello di adesione alla grazia divina•: CosoaovE, The Cross and the Spirit, 145 parla a propo­ sito di 2,1 lss di ethos esemplare di Paolo. Vedi sopratlullo B.R. GAVENTA, •Galatians l and 2: Autobiography as Paradigm», in NT 28(1986), 309-326: •offre se stesso come wt paradigma dell'opera del vangelo• (p. 326) presentato all'imitazione dei galati; e LYoNs, Pauline Autobiography: Paolo presenta la sua autobiografia come un para­ digma del vangelo della libertà di Cristo (p. 174); vuole «Stabilire il suo ethos come wt"'incamazione" del vangelo di Gesù Cristo• (p. 226).

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fatti lo scritto fa leva sui vantaggi (utilitas) che ad essi ne vengono dalla fedeltà al vangelo paolino: «Riconoscete dunque che figli di Abramo sono proprio i credenti ... Ne consegue che sono i credenti ad ottenere la benedizione insieme con il credente Abramo•• (3,7 e 9); «Ora voi, fratelli, alla stregua di Isacco siete figli della promessa» (4,28); «noi pure abbiamo creduto in Cristo Gesù per essere giustifi­ cati per la fede in Cristo e non per le opere della legge» (2,16); >. La presenza poi di questo titolo cristologico69 non è senza significato, avendo il motivo della figliolanza divina grande rilievo in Gal (cf. 4,1-7). Ma anche il motivo della rivelazione o dell'apocalisse attira la nostra attenzione. Indica il disvelamento per grazia del mondo mi­ sterioso divino atteso dagli apocalittici per il tempo ultimo. In questa proiezione finale è testimoniato anche nelle lettere paoline: i corinzi sono in attesa dell'apocalisse del Signore Gesù (1Cor 1 ,7); il mondo creato attende ansiosamente il disvelamento glorioso dei figli di Dio (Rm 8,19). Ma ancor più Paolo conosce la rivelazione divina attuale: ai «perfetti>> Dio mediante lo Spirito ha disvelato la sua sapienza na­ scosta (1Cor 2,10) e nel vangelo disvela la sua giustizia salvifica (Rm 1,17); rivelazione poi è chiamata in Gal anche la svolta epocale della storia con la chiusura dell'era della legge e l'inaugurazione di quella della fede (Gal 3,23). In realtà per lui è giunta la pienezza dei tempi (Gal 4,4). Il nostro passo s'inserisce in questa rilettura prolettica del•••

67 In 2Cor 12,1 una formula assai simile è al plurale: apokalypseis Kyriou e arric­ chita dal vocabolo analogo c (optasiai). " L'omissione di «Dio• in P"' e B rende incerto il testo. Indubbio comunque è il riferimento a Dio che lo ha selezionato (ho aphorisas). "' Cf. i seguenti passi paralleli paolini Rm 1,3.4.9; 5,10; 8,3.29.32; lCor 1,9: 2Cor 1,19; Gal 2,20; 4,4.6; 1Ts 1 .10.

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l'apocalisse divina: gli è stato rivelato il vangelo di Cristo, grandezza escatologica e dunque celeste, non terrena né umana. In sintesi, >, «per quale via notificativa arriva>> segna­ lano tre aspetti della trascendenza del vangelo paolino, che il seguito mostrerà. Ma se nella tesi abbiamo in primo piano il vangelo colto nel suo spessore di grandezza divina per origine, natura e comunicazione, non vi manca lo stesso Paolo che ne è il portatore autorizzato, per­ ché beneficiario della sua apocalisse divina. I due aspetti della tesi sono inscindibilmente uniti e come tali resteranno nella probatio successiva, anche se l'accento cadrà ora sull'uno ora sull'altro. Nel dimostrare l'asserto l'apostolo procede non per argomenta­ zioni dialettiche, bensì narrativamente, raccontando la sua storia, vi­ sta all'insegna dell'iniziativa di grazia di Dio che gli ha affidato il vangelo, come riconosceranno «le colonne» di Gerusalemme (cf. 2,7). Nessuna completezza storica del racconto, ma una narrazione «parziale», mirata allo scopo.70 L'autobiografia è divisa in sei quadri, dei quali solo gli ultimi due sono abbastanza estesi: passato di fedeltà giudaica ( 1 ,13-14), introdotta da: «Avete infatti sentito parlare del mio comportamento giudaico di un tempo» (v. 13); chiamata e mis­ sione divina e primi passi di missionario (1,15-17); prima salita a Ge­ rusalemme (1,18-20); in Siria e Cilicia (1,21-24);71 seconda andata a Gerusalemme (2,1-10);72 scontro di Antiochia (2,11-21).73 La sua vicenda di fedele giudeo, nota agli interlocutori, è presen­ tata in netta antitesi con il presente di proclamatore del vangelo. Un tempo (pote), anni lontani non solo cronologicamente, egli era ze­ lantissimo per l'eredità religiosa del giudaismo, cioè non solo osser­ vante scrupoloso ma anche difensore delle tradizioni dei padri,74 e accanito persecutore della chiesa di Dio, due aspetti strettamente collegati, come mostra il dettato con le due coordinate: «persegui­ tavo la chiesa di Dio e progredivo nel giudaismo... zelante per le tra­ dizioni dei miei padri» (vv. 13-14). In breve, è stato lo zelo per le

70 Ciò impedisce di ricavame storicamente un seguito esatto e completo di tappe della sua storia. Cf. in particolare HAu.. «Historical lnference and Rhetorical Effect». 71 Dal punto di vista formale si notino gli avverbi temporali che introducono 15-17 (hote); 18-20 (epeira); 21 -24 (epeira). 72 Anche questa unità è introdotta da un avverbio di tempo: epeira. " Qui gli avverbi di tempo sono più numerosi e caratterizzano 1 1-14: hore (vv. 1 1.12b.l4): pro (v. 12a). " Cf. nella tradizione ebraica i grandi modelli di •zelo• Pincas (Nm 25,11.13), Elia (IRe 19.10.14) e Giuda Maccabeo ( IMac 2,15-69).

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norme del vivere giudaico75 a spingerlo a perseguitare i credenti/6 che evidentemente le disattendevano.77 Dunque non solo estraneità ma anche avversione al vangelo; niente ve lo avvicinava, tutto lo al­ lontanava. Solo Dio poteva volgerlo verso l'annuncio di Cristo e fame il predicatore: è ciò che sottolinea al v. 15, introdotto con un'avversativa: «Ma quando Dio si compiacque>>. Una nuova sta­ gione si apre per lui ed è per iniziativa divina che comincia la sua vita di messaggero del vangelo. A prima vista appare sorprendente che l'azione divina rivelatrice di Cristo sia espressa con proposizioni se­ condarie, mentre la principale parla della sua risposta: , tra «un tempo (pote) ci perseguitava» e «annuncia ora (nyn) quella fede che allora cercava di distruggere», come si esprimono i credenti di Giudea che per questo innalzano un canto di lode a Dio (vv. 23-24). Per dire che la svolta non si spiega umanamente, diventato annunciatore del van­ gelo per istituzione divina, e che l'annuncio da lui portato viene da Dio. Nello stesso tempo può sottolineare la sua pronta adesione al­ l'incarico ricevuto, senza alcun intervento esterno a consigliarlo, tanto meno a dirigerlo. Certo, dopo tre anni, salì a Gerusalemme a fare la conoscenza79 di Cefa, fermandovisi quindici giorni,80 in cui

" loudaismos con i relativi ioudaikoslioudaizein (Gal 2,14) e ioudaios (Gal 2,13.14.15) caratterizza questa sezione di Gal e serve a evidenziare il contrasto con i gentili. Cf. DESTRo-PEsCE, Antropologia delle origini cristiane. 131-146. Da parte sua DuNN, «Paul's Conversion», sottolinea come il termine esprima la separatezza degli israeliti dai gentili e anche dai giudei non osservanti. 76 Cf. il passo parallelo e ancor più chiaro di Fil 3,6: •persecutore della chiesa in fatto di zelo•. n T.L. DONALDSON, •Zealot and Convert. The Origin of Paul's Christ-Torah An­ tithesis•, in CBQ 51(1989), 655-682 ha mostrato come già prima della conversione Paolo avesse maturato la convinzione di una netta contrapposizione tra legge e Cristo e che questa fosse la ragione della sua attività persecutoria. Ma così già anche J. Du­ PUNT. «La conversion de Paul et son infiuence sur sa conccption du salut parla foi», in Foi et salut selon S. Paul (tpilre aux Romains 1,16), Rome 1970, 67-100. Altri insi­ stono invece sul fatto di un crocifisso proclamato messia. '" È deviante l'interpretazione del suo ritiro nel deserto a meditare prima di darsi alla missione. Il testo sottintende che egli si muove subito come evangelista del­ l'annuncio ricevuto; e l'Arabia era la regione del regno nabateo, nel sud della Pale­ stina, dove fiorivano città importanti. Cf. J. MuRPHY O'CoNNOR, «Pau! in Arabia•, in CBQ 55(1993), 733-737 che spiega con l'avversione tra nabatei e giudei la brevità della sua permanenza. "' Su questo significato di histori!sai vedi ultimamente WEHR, Petrus und Paulus

428

ebbe modo di vedere anche Giacomo (v. 19). Ma tutto questo non inficia quanto affermato ai vv. 15-16: come evangelista è stato legitti­ mato da Dio e il suo annuncio ha origine divina, non umana.81 Non dice però positivamente a che scopo abbia voluto incontrare Pietro e Giacomo; gli basta aver escluso una possibile interpretazione ten­ denziosa, come se da loro derivasse la sua autorità di evangelista: ben tempo addietro era stato incaricato da Dio. Il racconto della sua vocazione 82 nel v. 15 appare di grande densità teologica, superiore in questo ai passi paralleli di 1Cor 9,1; 15,8ss; 2Cor 4,6; Fil 3,7ss. Le categorie teologiche interpre­ tative messe in atto per presentare il fatto di Damasco sono elezione divina (),83 predestinazione (),84 vocazione (>. Il tentativo di co­ stringere (anagkazein) Tito, figura qui rappresentativa, perché fosse circonciso, ha il suo corrispondente esatto in ciò che stanno facendo i sobillatori di Galazia: «cercano di costringervi (anagkazousin) alla circoncisione>> (6,12). In 2,4 poi specifica la posta in gioco tra i falsi fratelli e lui con l'antitesi libertà-schiavitù (eleutherialkatadouloun), la stessa che definisce l'alternativa di Galazia, come appare paradig­ maticamente nella lettura «allegorica>> delle mogli di Abramo, la schiava e la libera, che hanno generato l'una >, che nel contesto si identifica con «la nostra libertà che abbiamo in Cristo Gesù>>, libertà dalla schiavitù della circoncisione e della legge mosaica (vv. 4-5).105 Ne fa fede il v. 5: «Neppure per un istante ce­ demmo alla loro pretesa di sottometterei>>. Con la stessa resistenza ora si oppone al tentativo degli agitatori di Galazia, e anche i galati, prendendo esempio da lui, devono fare altrettanto: non cedere; resi­ stere su tutta la linea. A nostro avviso non è la chiave interpretativa primaria del presente brano, 106 ma lo diventa, di certo, nella pericope seguente dello scontro antiocheno, al centro del sesto quadro del­ l'autobiografia (2,11 -21 ). Se a Gerusalemme Paolo e Pietro facevano fronte comune con­ tro i falsi fratelli, ad Antiochia entrano in conflitto. Gli schieramenti si sono diversificati: anche Barnaba si stacca da lui e aderisce, con tutti gli altri giudeo-cristiani presenti nella chiesa antiochena, alla posizione di Pietro.107 Paolo è rimasto solo, ma dalla sua ha la con102 Per K. KERTELGE, •The Assertion or Reveleated Truth as Compelling Argu­ ment in Galatians 1:10-2:2 1>•. in NeotestamentiCil 26(1992), 339-350 invece si tratta sempre di un solo vangelo, essendo quello tes peritomés affidato a Pietro un vangelo diverso solo per la sua destinazione ai giudei. IOJ STOWASSER. •Konnikte und Konniktltisungen•. 64: in 1 ,13-2,20 Paolo vuoi dire che i suoi anuali avversari in Galazia e le autorità della chiesa gerosolimitana sono di diverso avviso. "" HOBNER, Die Theologie des Paulus, 63: in 2,1-10 Paolo vuole dimostrare •la concordanza teologica dei gerosolimitani con lui>). 10·' Quesl'uhima specificazione del motivo della riduzione in schiavitù (katadou­ loun) del v. 4 è legittima nel contesto immediato del brano e in quello più generale della lellera. Cf. sul tema HERMAN, Liberi in Cristo, 12-28. 1116 In senso contrario si è espresso Pilla che definisce tutta la sezione •periauto­ logia• •vanto di sé» (Lellera ai Galati, 89). ul 1 Oltre al la bibl. precedente vedi S. AaouRIDES, •Peter and Pau! in Anlioch (Galatians 2,1 1 -21 )•. in LAMBRECHT (a cura di), The Truth ofthe Gospel, 59-76; J.D.G. DuNN, «Echoes or lntra-Jewish Polemic in Paul's Leller lo the Galatians•. in l BL �12(1993), 459-477; soprallullo A. WECHSLER, Geschichtsbild und Apostelstreit. Eine

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vinzione di essere nel giusto, mentre meritevoli di condanna sono i suoi oppositori. Rispetto all'accordo di Gerusalemme sono loro che hanno cambiato fronte; lui è rimasto a difendere «la verità del van­ gelo» (v. 14), la stessa difesa allora (cf. v. 5), cioè la libertà dei gentili dal modo di vivere dei giudei implicante la circoncisione (v. 14). Non per nulla la costrizione esercitata allora sull'incirconciso Tito ri­ torna, a suo avviso, qui nel comportamento di Pietro: «Come puoi co­ stringere (anagkazein) i gentili a giudaizzarsi?>> (v. 14b). Il con­ fronto108 con il comportamento di Pietro è tutto a suo vantaggio ed egli ne emerge con l'aureola di strenuo difensore del vangelo di Cri­ sto, divinamente incaricato di proclamarlo ai gentili. Il racconto è al­ l'insegna di questa strategia retorica di persuasione degli inlerlocu­ tori. Per questo tace sulle ragioni che hanno mosso Pietro, privato nel racconto di replica: deve apparire sotto cattiva luce, perché per contrasto risalti il suo ethos. Il problema concreto era quello della comunione della mensa in una comunità mista. Pietro, venuto ad Antiochia, in primo tempo «mangiava109 insieme con i gentili>> rifiutando le prescrizioni della legge mosaica sui cibi kasher; ma poi, sotto l'influsso di alcuni dele­ gati di Giacomo sopravvenuti nella capitale della Siria, 110 «cominciò a battere in ritirata e separarsi per timore dei circoncisi>> (v. 12).111 Un comportamento riprovevole, che Paolo gli contesta pubblica­ mente: : «E insieme con lui gli altri giudei fecero il doppio gioco (syn-ypekrithesan), tanto che persino Barnaba si lasciò trascinare nella loro doppiezza (té-i hypokrisei)>> (v. 13).1 1 3 Hanno cambiato condotta: prima insieme, poi appartati, e questo non per convinzioni nuove maturate, ma perché incapaci di contrastare i delegati di Ge-

forschungsgeschichtliche und exegetische Studie l.iber den antiochenischen Zwischen­ fa/1 �Gal 2,11·14), Berlin-New York 1991. "' Pitta annota, a ragione, che il brano è una sygkrisis (Letrera ai Galati, 129). "" La forma verbale dell'imperfetto indica un comportamento continuato. 110 Il sintagma apo JakObou se collegato strettamente con il verbo «venire» dice che si tratta di una delegazione mandata da Giacomo; in caso contrario se ne indica solo l'appanenenza al suo gruppo. 111 Si può ritenere che siano da identificare con i delegati di Giacomo. 112 WECIISLER, Geschichtsbild und Apostelstreit, 314s annota che il passivo del verbo greco è teologico; dunque Pietro è meritevole di condanna divina, infedele alla grazia di Dio che giustifica i credenti al di fuori della legge mosaica. 113 WECHSLER, Geschichtsbild und Apostelstreit, 340 dice che Paolo rimprovera Pietro di •incoerenza teologica».

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rusalemme. A parte questa colpa morale, soprattutto Paolo rimpro­ vera loro di non comportarsi rettamente (ouk orthopodousin) 1 14 nei confronti della verità del vangelo1 15 (v. 14). In concreto vede nel loro comportamento un attentato al vangelo degli incirconcisi, vangelo della loro libertà dalla circoncisione e dalle relative prescrizioni della legge mosaica, sancito a Gerusalemme. Nei fatti sconfessano quanto hanno sostenuto a parole. Questo infatti è rimproverato a Pietro con la domanda retorica del v. 14, che riprende specificandolo il rimprovero del v. 1 1 , cui è assegnata all'interno del brano la fun­ zione di intestazione o anche di sintetica presentazione del fatto: fi­ nisce per costringere, costrizione morale e indiretta, gli etnico-cri­ stiani a giudaizzarsi, pena altrimenti la loro ghettizzazione nella co­ munità. È qualcosa d'incredibile, come indica la domanda retorica con risposta negativa: non è possibile che si sia giunti a tanto. Come Pietro ha potuto fare questo, lui che, dopo tutto, aveva fatto proprio il modo di vivere dei gentili?1 1 6 Ecco l'enormità dell'accaduto: un giudeo che vive da gentile e spinge i gentili a vivere da giudei! 1 17 Non vi si parla espressamente di circoncisione,118 ma vi appare implicata nel vivere alla maniera giudaica (ioudaik6s). Se Pietro fa­ ceva di fatto una certa pressione sugli etnico-cristiani perché osser­ vassero le norme alimentari, nella lettura di Paolo la costrizione a giudaizzarsi, correlata a quella dei sobillatori di Galazia, investe la li­ bertà dei gentili dalla legge mosaica. In breve, gli etnico-cristiani de­ vono diventare proseliti; ecco il punto nevralgico dello scontro di Antiochia, appunto come in Galazia: anche in quelle comunità si vo­ gliono costringere (anagkazein in 6,12 che richiama 2,14) i gentili a giudaizzarsi, contraddicendo alla verità del vangelo, che è vangelo della libertà dei gentili (cf. 2,4-5). E se Paolo si è opposto allora ad Antiochia, come del resto già nei confronti dei falsi fratelli di 2,4-5, '" Abbiamo dunque qui la figura tradizionale del camminare inteso come con­ dotta. In questo senso traslato Paolo usa di regola il verbo peripatein e lo fa 16x. "' Il tema della verità del vangelo unisce il nostro brano al precedente di 2,1-10. '" Come spiegare il presente: «tU che vivi da gentile•? Forse Paolo si riferisce al tempo in cui Pietro così si comportava. Oppure si può pensare che solo accidental­ mente Pietro si sia ritirato; vivere da gentile era il suo vero modo abituale di compor­ tarsi, interrotto ad Antiochia per timore dei delegati di Giacomo. Secondo DuNN, «Echoes of Intra-Jewish Polemic•, 460-462 Paolo riporterebbe qui il rimprovero dei giudeo-cristiani tradizionalisti a Pietro. 117 Il verbo ioudaizein è usato in Est 8,17 LXX: «molti dei gentili si facevano cir­ concidere e vivevano alla maniera giudaica (ioudilizon)•. 118 Il termine è attestato però al v. 12 in una formula indicativa dell'identità di quelli che hanno incusso timore a Pietro: «quelli della circoncisione•, con probabilità i delegati di Giacomo.

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lo sta facendo anche adesso nella sua lettera, e invita i galati a fare altrettanto. Si noti che qui Paolo va oltre nelle sue richieste a quanto fu stabi­ lito a Gerusalemme: non solo i gentili non sono tenuti alla circonci­ sione e alla conseguente osservanza della legge, ma i giudeo-cristiani in comunità miste devono rinunciare al loro modo di vivere giudaico per favorire la coesistenza con gli etnico-cristiani. Non sono questi che devono rinunciare ai loro costumi, ma quelli. È un problema nuovo, nato dopo l'assise gerosolimitana.

2.

G IUSTIFICAZIONE PER SOLA FEDE

Bibl. AMADI·Azuoou, Pau/ and the Law in the Arguments of Ga/atians; BACH­ MANN, Sunder oder Obertreter, J.D.G. DuNN, The Theology of Paul the Apost/e, Edin­ burgh 1998, 334-389; HERMAN, Liberi in Cristo, 76-94; C.G. KRUSE, Pau/, the Law and Justification, Leicester 1996, 54-1 14; J. LAMBRECHT, «Transgressor by Nullefying God's Grace. A Study of Gal 2.18-21», in Bib 72(1991 ). 217-236: Io .. •Paul's Reaso­ ning in Galatians 2:11-21», in DuNN (a cura di), Pau/ and the Mosaic Law, 53-74; B. W. LoNGENECKER, •Defining the Faithful Character of the Covenant Community: Gala­ tians 2.15-21 and Beyond», in DuNN (a cura di), Pau/ and the Mosaic Law, 75-97; MER­ KLEIN. •''Nicht aus Werken des Gesetzes... "»; S. ZEDDA, •"Morto alla legge mediante la legge" (Gal 2,19a). Testo autobiografico sulla conversione di San Paolo», in RivBib 37(1989), 81-95.

Con il brano 2,15-21 si passa dall'autobiografia all'esposizione dottrinale, che nel pensiero di chi scrive evidenzia, sul piano retorico e non storico, il nucleo teologico dello scontro di Antiochia, ma an­ dando oltre.119 La prima parte è caratterizzata dal «noi•• e dal motivo tematico della giustificazione per fede e non per le opere della legge (vv. 15-17); nella seconda il soggetto è l'io di Paolo, quindi in qual­ che modo l'autobiografia continua, un io però che travalica i limiti individuali per investire l'esperienza del credente, che muore alla legge per vivere di vita nuova in unione a Cristo crocifisso (vv. 1821). Nell'una e nell'altra unità, comunque, la prospettiva è soteriolo­ gica. In realtà Paolo inizia la sua presentazione dei contenuti del vangelo affidatogli da Dio e la cui verità ha difeso ad Antiochia, pro­ seguendola soprattutto nella parte argomentativo-dottrinale di 3,1-

119 In termini retorici Piua lo definisce «mimesh), cioè rappresentazione verbale dell'accaduto di Antiochia (Lettera ai Galati, 130). EcKSTEIN, Verheissung und Gesetz, 79: il brano appartiene formalmente al racconto del conflilto di Antiochia; nella realtà e concettualmente invece è inOuenzato dalla situazione delle chiese galatiche.

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4,21, ma anche in quella parenetica di 5,1--6,10. Non si cura però di

precisare i beni salvifici portati dall'annuncio cristiano, bensì di de­ terminare per quale via se ne entri in possesso e da quale fonte sca­ turiscano. In questo appunto sta la quaestio con i galati e indiretta· mente con gli agitatori di Galazia, ma già anche con Pietro ad Antio­ chia. In breve, il brano presente fa da inconfondibile antesignano della prospettiva teologica di Gal. Prima di cominciare l'analisi del testo mi sembra utile precisare il quadro teologico di massima presente nella sua argomentazione lungo tutta la lettera. Di fatto egli sviluppa due certezze di fede che lo ispirano: Dio persegue la salvezza degli uomini in Cristo e vuole efficacemente la salvezza di tuili, non solo dei giudei, ma anche dei gentili. In realtà, tutti i cristiani, anche i sobillatori di Galazia, le con­ dividevano. Parimenti non era in questione la natura della salvezza. compresa con diverse formule tradizionali: il perdono dei peccati (1,4), il dono dello Spirito (3,2-5), la giustificazione dell'uomo da· vanti a Dio (2,16.17.21; 3,8. 1 1.21.24; 5,4-5), la liberazione da questo mondo malvagio (1 ,4), l'ingresso nel regno di Dio (5,2), la vita eterna (6,8), la benedizione (3,9.14), l'eredità promessa ad Abramo e ai discendenti (3,18.29; 4,1.7), la figliolanza divina (4,4-7). L'origi­ nalità del suo approccio teologico consiste in una radicale compren· sione delle suddette certezze soteriologiche. Anzitutto è in Cristo e solo in Cristo che Dio ha provveduto, in via definitiva, alla salvezza umana. In Gal egli si basa appunto su tale esclusività cristologica. negando di conseguenza alla circoncisione e, più in generale, alla legge mosaica ogni valenza salvifica. Se queste l'avessero, come fini­ scono a suo avviso per dire logicamente i giudaizzanti, Cristo non sa­ rebbe più il salvatore (esclusivo) degli uomini (cf. 2,21; 5,2.4). La so­ luzione dei suoi antagonisti può essere caratterizzata da et-et: e Cri­ sto e la circoncisione sono necessari per ereditare la benedizione sal­ vifica promessa già ad Abramo c ai suoi discendenti; la sua invece consiste in un rigido aut-aut: o Cristo o la legge mosaica.120 «Dunque, se gli oppositori erano guidati da una prospettiva di compromesso e di conciliazione, egli vedeva le cose in chiave di alternativa e di con­ trapposizione. A suo parere, bisogna scegliere. Perché i due fattori si '"' Un aut aut già presente nel Paolo anticristiano, come ha proposto DoNALO· SON, •Zealot and Convert•, solo che adesso la scelta è per Cristo e contro la legge. Se· condo altri l'alternativa è nata con la sua conversione. mentre una terza posizione ri­ tiene che sia frutto della polemica ingaggiata con i giudeo-cristiani tradizionalisti che stanno sullo sfondo di Fil 3 e soprattutto di Gal.

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escludono l'un l'altro. E se è così, la scelta non può cadere che su Cristo, unica ed esclusiva via di salvezza per l'umanità. Lo esige il vangelo cristiano>>.121 È una comprensione di Cristo e della sua azione salvifica come evento escatologico che ha segnato la caduta del vecchio mondo e la nascita del nuovo (cf. 1,4 e 6,15). Mettergli accanto un secondo fattore salvifico lo negherebbe come via defini­ tiva alla salvezza, riducendolo a uno dei tanti mediatori dell'azione di Dio nel mondo, mentre è il mediatore della pienezza del tempo (cf. 4,4). Inoltre, stare abbarbicati all'economia della legge vuoi dire negare la svolta epocale del mondo avvenuta in Cristo con la nascita della nuova creazione: un anacronismo bell'e buono, che si traduce in infedeltà concreta al disegno di Dio e alla sua azione escatolo­ gica.122 Anche la prospettiva universalistica era da lui interpretata in maniera particolare, come attuale apertura incondizionata al mondo dei gentili. 123 Per essere accolti nella chiesa di Cristo, aggregazione di quanti sono indirizzati alla salvezza definitiva, non devono giudaiz­ zarsi con il segno della circoncisione e la conseguente osservanza della legge mosaica; basta che credano nel Signore Gesù, la sola con­ dizione di ingresso valida parimenti per giudei e pagani.124 La sua è m BARBAGLIO, «Alle comunità di Galazia». 35. Così anche B . R . GAVENTA, •The Singularity of The Gospel. A Reading of Galatians», in J .M . BASSLER (a cura di), Pau­ fine Theology, Minne•polis 1991, 1, 153 (147-159): •Compromesso è la cosa che Paolo

non può fare - e ciò non per motivi psicologici o sociali ma per ragioni profonda­ mente teologiche - ... Si può essere sotto la legge o si può essere in Cristo, ma è impos­ sibile essere l'uno e l'altro». Alle pp. 151-152 1o stesso autore aveva parlato degli agi­ tatori di Galazia e dei loro adepti galati come di compromisers. · 122 Sull'orizzonte apocalittico della teologia paolina di Gal hanno insistito con forza J.L. MARTIN, «Events in Galatia», in BASSLER (a cura di), Pauline Theology, l, 160-179 e R.G. HALL, >, espressivo del suo rap­ porto stretto con il Padre, e soprattutto sottolinea l'azione salvifica, intesa in termini interpersonalistici come amore ablativo sino alla morte. L'apostolo interpreta così la formula tradizionale del credo cristologico: «Cristo morl per i nostri peccati>> ( l Cor 15,3). Non una morte forzata, ma una volontaria scelta di autodonazione,153 fatta per amore. Nella fede il credente aderisce per grazia, in forza cioè 150 Non sembra probabile che Paolo assuma diverse valenze di legge: morte alla legge �iudaica mediante la legge di Cristo. u �>.154 Concludendo nel v. 21 Paolo ritorna a riaffermare il principio dell'esclusione della giustificazione mediante la legge, specificando, nello stesso tempo, la ragione della negatività di chi volesse regre­ dire all'osservanza della legge e la positività della scelta di quanti, come lui, si attengono fedelmente al principio della giustificazione mediante la sola fede in Cristo: «Non annullo la grazia di Dio; se in­ fatti si ottiene la giustificazione mediante la legge, allora Cristo è morto inutilmente>>. Sono in gioco la grazia di Dio, non la grazia di­ vina in generale, bensì la specifica gratuita iniziativa salvifica del Pa­ dre in Cristo e la portata soteriologica della morte di Gesù, due aspetti dello stesso evento, insieme teologico e cristologico. In chiusura sembra legittimo trarre un'importante conclusione dal testo paolino. «La teologia paolina della giustificazione mediante la sola fede non si può dunque confinare nell'ambito delle specula­ zioni sottili o in quello di diatribe datate e superate. Costituisce in­ vece un'esplicitazione del credo cristiano elementare in cui si con­ fessa: Cristo è morto per noi (cf. 1 ,4)»155 e Dio ha mandato il suo fi­ glio per liberarci e farci suoi figli (4,4-5). La teologia paolina di Gal mira a salvare la significatività e la verità per i credenti del credo cri­ stologico e teologico nella situazione concreta di Galazia, quando si tentava d'imporre agli etnico-cristiani circoncisione e piena giudaiz­ zazione.

3. l BENI SALVIFICI «PER FEDE)),

«NON IN BASE ALLE OPERE DELLA LEGGE))

(3,1-4,21) Bibl. BACHMANN, •Rechtfertigung und Gesetzeswerke bei Paulus»; BEcKEA, Pau­ lus. Der Aposte/ der Volker. 286-321 ; A.M. BuscEMI, «> (4,4). Figli liberi di Abramo avuti dalla donna libera sono i credenti, mentre quelli che hanno la legge come base della loro esistenza sono raffigurati dal figlio

'" HANSEN, Abralwm in Ga/atians, 116: inclusione dei gentili credenti nello spa­ zio della benedizione di Abramo ed esclusione di hosoi ex ergon nomou.

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schiavo della donna schiava (4,21 -31). Libertà acquisita per inter­ vento di Cristo, messa in discussione se ci si sottomette al (5,1 -2), che il contesto seguente specifica anche come giogo della legge. Infine, nella parte parenetica, ritornando al problema specifico di Galazia, come è da lui letto, Paolo riafferma la sua tesi circa la giustificazione non «mediante la legge» (en nom6-i). altrimenti si rompe con Cristo e si abbandona lo spazio salvifico creato in noi dalla grazia di Dio, bensì «in base alla fede» (ek pisce6s) (5,4-5). In sintesi, giustificazione, dono dello Spirito, discendenza o fi­ gliolanza, benedizione, eredità, promessa abramitiche - quest'ultima identificata con lo Spirito -, figliolanza ed eredità divina sono donati da Dio in Cristo «mediante la fede», «non in base alle opere della legge». Paolo ce ne offre una complessa e articolata argomentazione in 3,1--4,2 1 , ma il suo scopo non è puramente teorico; intende dissua­ dere i galati dall'affidarsi alla circoncisione e alla legge, via preclusa. e convincerli ad attenersi alla sola fede in Cristo, di cui finirebbero per misconoscere il ruolo esclusivo di salvatore se ritornassero «an­ cora agli elementi deboli e miseri con la volontà di esserne di nuovo schiavi» (4,9). In stretto rapporto con il motivo della fede sottolinea poi con particolare forza la decisività dell'azione salvifica divina mediata da Cristo, che diventa esperienza viva in quanti credono. Credere in­ fatti esprime per lui l'adesione adeguata del soggetto, suscitata per grazia, all'evento di salvezza di cui sono protagonisti Dio e Cristo e che coinvolge gli uomini in senso partecipazionistico. Nell'indirizzo. come si è detto, accenna alla risurrezione di Cristo dal regno dei morti (1,1), 158 evento tradizionalmente collegato ai tempi finali, ma soprattutto evidenzia la valenza liberante della morte di Gesù (l ,4 ) . In 2,19-21 l'accento cade sul coinvolgimento dell'io di Paolo, io rap­ presentativo dei credenti, nella morte, sostenuta per amore, di Cri­ sto crocifisso: «sono morto alla legge per vivere per Dio. Sono stato crocifisso insieme con Cristo ... la mia vita mortale al presente è vita di fede nel figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me». Altrettanto vale di 6,14, dove afferma: è in forza di Cristo crocifisso che «il mondo è stato crocifisso per me e io per il mondo». D'altra parte, dice, dato esperienziale dei galati è che Dio ha donato e dona

"' In Gal però è la morte e crocifissione di Cristo ad essere l'evento salvifico per eccellenza.

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loro il suo Spirito (3,2.5). In 3,13, presupposto che quanti hanno la loro radice nella legge (hoi ek nomou) sono maledetti, affenna che . Il versante teologico dello stesso evento salvifico è presentato invece in 4,4-5: >.174 In concreto, fa sue le premesse degli avvocati della circoncisione di Galazia: è necessario collegarsi con Abramo, diven­ tando suoi figli ed eredi; ma a un Abramo osservante della legge contrappone un Abramo credente e giustificato per fede. Di conse­ guenza se ne diventerà figli ed eredi non attraverso la circoncisione e l'osservanza della legge, ma credendo in Cristo, che ne è il discen­ dente per antonomasia. È l'asse portante dell'esegesi paolina dei te­ sti genesiaci sul grande patriarca. In attesa però di dimostrare tale tesi passa a sviluppare un se­ condo aspetto della figura di Abramo, fonte di benedizione per i po­ poli, a cui, come abbiamo appena visto, si riferiva anche il giudaismo (vv. 8-14). E cita Gen 18,18 dove oltretutto trova il legame tra Abramo e i gentili: >, in NTS 36(1990). 481-51 1 . 3,10 che comincia con u n gar ba questo seguito: le opere della legge non danno benedizione; •infatti>> quelli che vi si riferiscono ricevono maledizione. 1 1

182

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citazione di diversi passi presi non a sé stanti ma combinati e dialetti­ camente giocati. Che quanti si fondano sulla legge siano sotto la ma­ ledizione è provato da Dt 27,26, esplicitamente citato: «Maledetto chiunque non persevera nel fare (poiesai) tutto ciò che è scritto ne/ li­ bro della Legge». 183 Non è chiara la consequenzialità della prova scritturistica perché il passo citato collega la maledizione con il non­ fare, mentre Paolo intende dimostrare che sono maledetti quanti nella loro vita si basano sulla legge. Sembra di dover ritenere che vi sia sottintesa la convinzione paolina secondo cui nessuno di fatto «persevera nel fare tutto ciò che è scritto nel libro della Legge».184 Se ne discuterà più a fondo in seguito; ora seguiamo il ragionamento di Paolo che passa al motivo della giustificazione per ribadire che non la si ottiene mediante la legge (cf. sopra 2,16), tesi dimostrata indi­ rettamente ex sacra Scriptura. In concreto egli cita Ab 2,4: Chi è giu­ sto in forza della fede ( ek pisteòs) avrà la vita. 1 85 Il legame tra giusti­ zia e fede è da lui inteso in senso esclusivo: la giustificazione non si ha mediante la legge, perché questa, basata sulla pratica delle sue prescrizioni, ha uno statuto diverso da quello del credere. Lo prova Lv 18,5: Chi li praticherà, i precetti, vi troverà la vita. Qui Paolo non prende in considerazione ciò che pure il testo biblico afferma (me­ diante la pratica della legge si giunge alla vita); il suo intento è di mostrare che la legge è toto coelo diversa dalla fede, unica via alla giustizia secondo Ab 2,4. 1 116 Ora per coloro che sono sotto la maledizione la via alla benedi­ zione divina potrà essere aperta solo da un evento di liberazione. Di

"' La diversità più significativa è che Paolo allarga al libro della legge mosaica quello che il DI restringe ai comandamenti del patto a Sichem. '" Così recentemente Wilckens, Merklein, Lambrecht, Hong e Eckstein. Altri ritengono che per Paolo lo stesso fare in conformità alla legge conduca alla maledi· zione. Senza dire di Sanders per il quale la citazione è stata fatta solo perché vi ricor­ revano. collegate, legge e maledizione. Le letlure recentissime di Bonneau e Garling­ ton, che collegano il nostro passo a 2,1 1-21, non ci sembrano convincenti. Lo stesso giudizio merita lo studio di Stanley che interpreta condizionalmente il v. IO: di quanti si affidano alla legge solo coloro che non praticano tuili i precetli della legge incor· rono nella maledizione. Secondo DuNN, The Theology ofPau/ che Aposrle. 361s la ma­ ledizione dipende non dalla infedeltà pratica alla legge, bensì dall"insistenza sul privi­ legio d'Israele e la separazione dai gentili, !"uno e !"altro indicati dalla formula «opere della legge•. '" Sembra preferibile connettere giustizia e fede invece d'intendere che la vita si ha per fede. Paolo intende dimostrare che la giustificazione avviene non per la legge, ma per la fede. E questo testo vale in generale, non del solo Abramo. 106 Sandcrs invece pensa che nel testo biblico Paolo veda una reale prospettiva di giustificazione o vita, come appare del resto in Fil 3, ma anacronistica, perché con Cri­ sto l'unica che vale di fronte a Colui che lo ha mandato (cf. 4,4) è quella per fede.

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fatto è Cristo che «ci ha riscattati dalla maledizione della legge187 di­ ventando un maledetto per noi, essendo scritto: Maledetto chiunque è appeso a/ legno•• (v. 13). È un'affermazione paradossale: il male­ detto fonte di benedizione. Gesù è diventato un maledetto in quanto confitto in croce, lo attesta la Scrittura.1"8 Una maledizione per soli­ darietà con i maledetti, non per colpa propria, come si dirà più avanti: «Dio mandò il suo figlio, nato da una donna, nato sotto il do­ minio della legge, per riscattare quelli che sono sotto il dominio della legge>> (4,4-5). Ma dove sta l'efficacia salvifica della morte di Cristo? Si è appena detto della sua solidarietà con noi; si aggiunga che egli ci coinvolge nel suo gesto di amore ablativo facendoci morire al nostro passato e vivere di vita nuova (cf. 2,19-20).189 Il «noi>> del nostro passo si riferisce ai giudeo-cristiani che, avendo vissuto in passato in base alla legge (hosoi ek nomou) e sotto il suo dominio (hypo nomon: cf. 3,23; 4,5.21; 5,18), ma infedeli a tutte le sue prescrizioni, ne erano maledetti.190 La loro sorte non era di­ versa da quella dei gentili, estranei a Dio e bisognosi di essere riscat­ tati; su questo non c'era dubbio alcuno in Paolo come nei suoi inter­ locutori succubi dei propagandisti della circoncisione in Galazia. Il problema era se i giudei avessero bisogno di riscatto. Paolo l'afferma per tutti gli uomini, come preciserà in 3,22: «Ma la Scrittura ha rin­ chiuso tutto191 sotto il dominio del peccato (hypo hamartian)>>.1>. 203 Se interferisce la legge, si spezza il legame eredità­ promessa: «Se infatti si ottiene l'eredità in virtù della legge, non lo è più grazie alla promessa. Invece è per mezzo di una promessa che Dio gliene ha fatto dono (kecharistai) ad Abramo>> (v. 18). Non sfugga l'apparizione del nuovo motivo dell'eredità (klero­ nomia), connesso sia con il testamento-promessa, di cui forma l'og­ getto, ma anche con il tema, precedentemente sviluppato, della be­ nedizione divina, con cui in realtà si identifica. Per questo non deve essere intesa in chiave futura, bensì quale esperienza attuale. 204 D'al­ tra parte, come si è visto sopra, benedizione divina e giustificazione si equivalgono e lo Spirito donato ai credenti è il bene promesso da Dio ad Abramo. Lo ripetiamo, le tematizzazioni sono molteplici, ma unico il tema globale dei beni salvifici che si ottengono per fede, non per legge. Il motivo dell'eredità comunque, che soprattutto nella tra­ dizione deuteronomistica era materialmente collegato con il dono della terra, sarà sviluppato più avanti. Una volta salvata la promessa divina fatta ad Abramo e alla sua discendenza da ogni ingerenza della legge mosaica, Paolo afferma che viene data da Dio «ai credenti in virtù della fede in Gesù Cristo>> (v. 22). In realtà nel brano 3,19-22 egli discute direttamente la fun­ zione della legge, che analizzeremo più avanti, per passare poi in 3,23-29 a contrapporre legge e fede come caratteristiche qualificanti di due epoche: (vv. 23 e 25). Ed è qui che giunge a conclusione la sua lunga e complessa dimostrazione (3,7): 2112 Se l 'irrevocabilità del testamento è intesa nel senso di escludere un intervento di altri, appare implicito che la legge mosaica è in qualche modo non divina. "" BARBAGLIO, •Alle comunità di Galazia», 1 10. zo.t Lo sottolinea per es. EcKSTEIN, Verheissung und Gese/Z., 189, mentre SAss. Le­ ben aus den Verheissungen, 342 vi legge un orizzonte futuro e parimenti ritiene che la giustificazione in Gal 3 è vista sopranuno come bene escatologico futuro, mentre at­ tuale è la benedizione divina sperimentata nello Spirito (p. 297).

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(3,29). A parte la diversità puramente fonnale di , tra le due affermazioni !etiche si rilevano due differenze si­ gnificative. La prima: là la discendenza si ottiene per fede (3,7), qui sulla linea della promessa (3,29). Ma al v. 22 Paolo aveva collegato strettamente promessa patriarcale e fede: «perché la promessa fosse concessa ai credenti in virtù della fede in Gesù Cristo». Alla pro­ messa divina corrisponde la fede umana: sono due grandezze corre­ lative; la fede è fiducia nella parola promissoria di Dio. Va da sé l'ar­ ricchimento con il tema della promessa, introdotto e sviluppato cam­ min facendo nell'interpretazione della storia di Abramo. Invece del tutto nuova suona la proposizione condizionale > produce un rivestirsi di Cristo. Il passo paolina più vicino è Rm 13,14: , ma l'imperativo lo colloca nella sfera della parenesi, mentre nel nostro passo il verbo all'aoristo si riferisce all'esperienza salvifica battesimale.208 Nulla di superficiale ed estrinsecistico: l'immagine, per sé inadeguata, di fatto esprime assimilazione profonda a Cristo,

"" Vedi la particella gar che collega il v. 26 al v. 25. "" L'immagine del vestito è attestata anche in !Cor 15 sempre in prospettiva escatologica; l'essere corruttibile e mortale sarà rivestito nella risurrezione finale d'in­ corruuibilità e immortalità (vv. 53-54); come noi abbiamo portato l'immagine del ter­ reno, così porteremo anche l"immagine del celeste (v. 49). Nella stessa prospeuiva ap­ pare in 2Cor 5.2-4 che mischia questa immagine con quella dell'abitazione/tenda: •de­ siderosi di essere sopravestiti (ependysasthai) dell'abitazione che è dal cielo, almeno se saremo trovati vestiti (endysamenoi), non nudi (ou gymnoi). E infatti noi che siamo nella tenda... vogliamo non essere spogliati (ekdysasthai), bensl sopravestiti (ependy­ sasthai), affinché ciò che è mortale sia assorbito dalla vita».

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tale da rendere i battezzati figli di Dio a immagine del figlio. La stessa conseguente relativizzazione delle diversità umane, prive ormai d'in­ cidenza sulla loro nuova condizione, indica la radicalità del cambia­ mento, senza dire della formula lui. Il superamento delle diversità umane qui affermato non deve es­ sere scambiato per «una manifestazione ingenua e follemente entu­ siastica, negatrice del radicamento dell'uomo nella storia e nelle sue contraddizioni e sovvertitrice dei contrassegni insuperabili della na­ tura ... Egli intende affermare che ciò che divide l'umanità, facendo degli uni i privilegiati e degli altri gli handicappati, non ha peso sul loro destino ultimo di vita a cui sono chiamati ... Tutti, allo stesso modo, contano per il nuovo essere acquisito nell'unione a Cristo, nella partecipazione alla sua condizione di figlio di Dio ... Restano le differenze religiose, culturali, sociologiche, tanto più quelle fisiologi­ che e naturali, ma vengono radicalmente ridimensionate e relativiz­ zate. Contano sul piano storico e culturale, ma per se stesse né sal­ vano questo né condannano quello».209 Passo parallelo è 1 Cor 12,13 che parimenti parla del battesimo e dei suoi effetti: «Giacché noi tutti mediante un solo Spirito siamo stati battezzati per formare un solo corpo, sia giudei sia greci, sia schiavi sia liberi>>. Qui però il punto di vista è la coesistenza nello stesso corpo della chiesa di unità (hen soma) e pluralità (polla mele), e non il superamento delle diversità; inoltre i poli contrapposti sono solo due, mancando quello di ma­ schio-femmina. Il topos ritorna nella letteratura pseudopaolina, in Col 3,11 che ha il più grande numero di polarità superate in Cristo: «Qui non c'è greco né giudeo, circoncisione né incirconcisione, né barbaro, né scita, né schiavo, né libero, ma Cristo è tutto in tutti>>.210

3.3. Figli liberi dalla legge e veri eredi (4,1-1 1 .21-31) Centrale è il motivo dell'eredità, anticipato i n 3,18.29, m a ora espressamente tematizzato per mezzo dell'antitesi figlio-schiavo,211 intesa alla luce del diritto testamentario che fa del primo l'unico le-

'" BARBAGLIO, «Alle comunità di Galazia», 115-1 16. '" Vedi anche !Cor 7,17-24 dove Paolo relativizza le due polarità circonciso­ incirconciso, schiavo-libero. 2 11 Parallela è l'antitesi kyrios-doulos di 4,1.

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gittimo erede con esclusione del secondo. Ma a questa antitesi cen­ trale in 4,1-7 con sbocco finale e conclusivo in 4,7: «Così non sei più schiavo, ma figlio; e se figlio, grazie a Dio sei anche erede>>, si so­ vrappone quella tra schiavo-libero, adombrata in 4,8-1 1 sotto forma di esortazione ai galati di non ricadere nella schiavitù, e sviluppata nell'interpretazione «allegorica>> delle due donne di Abramo e so­ prattutto dei loro rispettivi figli di 4,21-31, che termina con l'espressa conclusione di 4,31: «Perciò, fratelli, noi siamo figli non di una schiava, ma della libera>>.212 Inoltre si nota che il comune tema della figliolanza, come già in 3,26-29, ha un duplice referente: a Dio in 4,1 -7, ad Abramo in 4,21-31 dove si accentua la netta distinzione tra figlio della donna libera e figlio della schiava, il primo unico erede del patriarca e i due figure rispettivamente dei credenti liberi dalla legge e di quanti sono ligi alla circoncisione e alla legge mosaica. Si noti l'abbinamento di figliolanza divina e figliolanza abramitica in rapporto stretto e funzionale alla libertà dalla legge, tema che qui riappare dopo la menzione di 2,4 per essere sviluppato debitamente e caratterizzare in seguito la paraclesi dei cc. � come libera­ zione-da e libertà-per. Dell'antitesi legge-fede che domina Gal ora l'apostolo si occupa soprattutto del primo polo per sottolineare la li­ berazione dal suo dominio schiavistico per intervento di Cristo, a cui ci si unisce nel battesimo (3,27) e si aderisce con fede, come hanno fatto i galati, invitati a non regredire (4,8- 1 1 ). 4,1-7m si apre con l'enunciazione di un principio di marca giuri­ dica: il figlio minorenne (nepios), pur essendo potenzialmente pro­ prietario (kyrios), vive in stato di sudditanza, dipendendo da tutori e amministratori, e non può disporre dell'eredità che gli spetta, non dissimile in questo dallo schiavo. La sua però è una condizione tem­ poranea; il giorno fissato dal padre214 potrà usare dei beni ereditari (vv. 1-2). Di questo paragone Paolo precisa il termine di confronto: «Cosi anche noi>> (v. 3). Ma sovrappone all'antitesi minorenne­ maggiorenne l'equiparazione tra minorenne e schiavo. Inoltre il suo 212 Come si è detto sopra, 4,12-20 è un intermezzo rievocativo del felice incontro passato di Paolo con i galati a finalità esortative. 213 Cf. R. PENNA, Lo Spirito di Cristo. Cristologia e pneumatologia secondo un 'o­ riginale formulazione paolina. Paideia, Brescia 1 976, 21 9-235 e J.M. Scorr. Adoption QS Sons of Cod. An Exegetical lnvestigation into the Background of hyiothesia in the Pauline Corpus, Tubingen 1992. spec. 121-186. '" Schlier spiega questo particolare con il •diritto ellenistico che, a quanto infor­ mano i papiri, stabiliva un limite alla tutela dei minori. mentre le fonti giudaiche non ne parlano» (Lettera ai Galati. 197).

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discorso passa dal noi (cf. 3.5b.6b) al voi (v. 6a) e poi alla terza per" sona plurale (v. Sa) per concludersi con il tu (v. 7). L'uso della prima persona plurale per un verso si riferisce ai giudeo-cristiani, il cui pas­ sato era segnato dalla sottomissione schiavistica alla legge, ma per l"altro vale anche degli etnico-cristiani. Infatti il v. 3 parla di schia­ vitù «sotto gli elementi (stoicheia) del mondo>>, che pur compren­ dendo la sottomissione alla legge, come precisa il v. 5, si estende di certo anche ai galati, etnico-cristiani che nel loro passato si erano resi schiavi (douleuein) degli «elementi (stoicheia) deboli e miseri>> (4,9), «asserviti (edouleusate) a dèi che tali non sono per natura>>. Senza dire che al v. 5 Paolo distingue come finalità dell'invio del fi­ glio di Dio il riscatto di quelli sottomessi alla legge (tous hypo no­ mon) e l'adozione a figli di , cioè di tutti i credenti, e al v. 6 con­ tinua riferendosi direttamente ai galati: . D'altra parte l'affermazione conclusiva in seconda persona singolare: 215 mostra che vale di tutti quelli che credono presentati con un «tU>> generalizzante. Dunque nella riconosciuta individualità dei circoncisi e degli in­ circoncisi lo sguardo è rivolto a tutti i credenti, che hanno in comune un passato di schiavitù, gli uni rispetto alla legge mosaica, gli altri al culto idolatrico e all'adozione di un calendario religioso. L'oscura formula «elementi del mondo (ta stoicheia tou kosmou)>>, indicativa con probabilità degli elementi naturali, aria, acqua, terra e fuoco, di cui si compone l'universo, piuttosto che di esseri celesti,216 più adatta a definire il culto idolatrico, adorazione di realtà mondane, in realtà è usata da Paolo per indicare anche la soggezione alla legge. Lo mo­ stra il passaggio insensibile dalla sottomissione agli elementi del mondo del v. 3 alla sottomissione alla legge del v. 4. In comune - ed è l'aspetto preso in esame da Paolo - le due formule (hypo ta stoi­ cheia tou kosmou l hypo nomon: vv. 4.5)2 1 7 e le rispettive due espe­ rienze indicate hanno appunto la preposizione hypo + ace., espres­ siva di sottomissione e dipendenza. 2 18 Senza dire dell'uso dei voca­ boli indicativi di schiavitù che ne specificano le esperienze e, nello stesso tempo, le formule: «eravamo schiavi (dedoul6menoi) sotto il "' Si tratta sempre dell'eredità del testamento-promessa di Dio giurato ad Abramo e alla sua discendenza. '" Cf. invece Schlier nel suo commento a pp. 198ss. '" Cf. anche la formula hypo epirrophous kai oikonomous detta del minorenne. '" Cf. il vocabolario di L. Rocci.

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dominio degli elementi del mondo>> (v. 3);219 con il riscatto di quelli sotto la legge, già per sé significativo di liberazione da uno stato ser­ vite, Paolo può affermare dei credenti: «Così non sei più schiavo (doulos), ma figlio» (v. 7). In breve, egli vede alla luce di Cristo tutta l'umanità in stato di sudditanza schiavistica agli oggetti del suo culto, la legge o gli idoli: una visione catastrofica. L'altra faccia però della medaglia mostra l'evento liberante di Cristo, che ha costituito una svolta epocale nella storia e dal quale Paolo ha dedotto che tutta l'umanità è schiava del peccato:220 «Ma quando il tempo giunse alla sua pie­ nezza» (v. 4).221 Il passaggio non è avvenuto per un processo auto­ nomo di coscientizzazione e autorealizzazione; la cesura cronologica - - è opera dell'ini­ ziativa salvifica divina: . L'invio dello Spirito è connesso a quello del figlio e alla conse­ guente figliolanza divina dei credenti: «E che siate figli lo attesta il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo figlio, il quale grida: Abbà, Padre! » (v. 6) . 220 C'è coerenza piena in questa prospet­ tiva che unisce strettamente pneumatologia, teologia e cristologia: il credente diventa figlio di Dio non solo nel suo essere, ma anche per­ ché animato da spirito filiale creato dallo Spirito, riassunto qui nel grido esclamativo rivolto a Dio: Abbà, Padre!230 Il sintagma «lo Spi­ rito del suo figlio», originalissimo in ambito biblico e giudaico,231 ri­ corrente anche in sostanza in Rm 8,9 (Spirito di Cristo); Fil 1,19 (Spirito di Gesù Cristo),232 esprime uno stretto rapporto tra i due: lo Spirito, non cessando di essere di Dio - infatti ne è inviato -, appar­ tiene al Figlio. La tradizione sinottica conosceva la sua effusione su Gesù nel battesimo (Mc 1,10 par) e Paolo in 1 Cor 15,45 parla del se­ condo Adamo come «spirito vivificante», capace di dare vita escato­ logica. cioè di risuscitare, con la potenza dello Spirito. Il suo invio nei cuori dei credenti233 crea una situazione esistenziale nuova, corri­ spondente al cambiamento ontologico,234 di familiare dimestichezza nel rapporto con Dio. L'invocazione a Dio con l'appellativo di Abbà è tradizionale, come anche dimostra il termine aramaico, risalente senz'altro all'uso delle comunità giudeo-cristiane di Palestina. Ma non è una loro autonoma creazione, perché l'iniziativa di rivolgersi a Dio nella preghiera con questo vocativo confidenziale appartiene a Gesù, come testimonia Mc 14,36. Il suo esempio fu imitato dai cri-

"" Cosl S. ZEDDA, L 'adozione a figli di Dio e lo Spirito Santo. Storia dell'interpre· fazione e teologia mistica di Gal 4,6, Roma 1952, 128-139. Diversa lettura del testo paolino: •E poiché (hoti inteso in senso causale) siete figli, Dio mandò. . . ». 230 Cf. J. JEREMIAS, Abba, Paideia. Brescia 1968. 231 •Mai prima, né nell'A .T. né nel giudaismo extrabiblico, abbiamo trovato un simile ardito accostamento tra lo Spirito e un Figlio di Dio. anzi un'attribuzione del­ l'uno ali"altro; la sola eccezione è data dallo sbiadito 4 QMessAr 1 ,10• (PENNA, Lo Spirito di Cristo, 227). "' In 2Ts 2,8 abbiamo la formula •Spirito della sua bocca• riferito al Signore. m Paolo usa di regola altre categorie come dare (didomi: Rm 5,5; 2Cor 1.22; 5,5; 1Ts 4,8) ed elargire (epichoregein: Gal 3,5; epichoregia: Fil 1,19), per cui lo Spirito abita nei credenti ( [en)oikein: Rm 8,9. 1 1 ; 1Cor 3,16), che lo ricevono (lambanein: Rm 8.15; 1 Cor 2,12: 2Cor 1 1 ,4; Gal 3,3), lo possiedono (echein: Rm 8,23; 1Cor 7,40) e ne sono abbeverati (potizesthai: 1Cor 12,13). "' •Grazie alla sua presenza efficace essi [ i credenti] fanno esperienza di ciò che sono» (BARBAGLIO, •Alle comunità di Galazia», 123).

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stiani di lingua aramaica, estendendosi quindi alle comunità di lin­ gua greca, come appare in questo passo di Gal e in quello analogo di Rm 8,15.235 In Gal 4,21-31236 la conclusione ultima dell'argomento esposto in 4,1-7: è ripresa e sviluppata sul versante della figliolanza abramitica. Nel c. 3 Paolo aveva caratterizzato la discendenza di Abramo come titolo di partecipazione alla benedizione divina per i gentili. Ora essa è vista come titolo di libertà ed eredità. Di fatto l'a­ postolo entra nella questione quale figliolanza abramitica rivendi­ care. In breve, l'aspetto considerato è il seguente: c'è figliolanza e fi­ gliolanza.237 Il grande patriarca ha avuto infatti da due donne due fi­ gli, ma uno solo è il destinatario della promessa divina e beneficiario dell'eredità spirituale del padre, come dicono le Scritture.238 La quaestio dunque si precisa così: chi sono i figli di Abramo in linea con Isacco e quali i discendenti di Ismaele? Le rispettive peculiarità dei due figli dipendono, anzitutto, dalla condizione socio-culturale delle madri, l'una, Sara, mai nominata espressamente, la donna li­ bera,239 l'altra, Agar, la donna schiava. Perciò sarà libero l'uno e schiavo l'altro. D'altra parte, questo secondo, come attesta la Scrit­ tura, è stato escluso dall'eredità. Ed ecco la lettura di Paolo: Isacco, figlio libero ed erede, rappre­ senta i figli liberi - libertà dalla legge - di Abramo e suoi eredi, men­ tre Ismaele, figlio schiavo ed escluso dall'eredità, raffigura gli schiavi della legge mosaica. In concreto, i galati sono chiamati a prendere m J. Jeremias ha dimostrato la particolarità di abbà rispetto al mondo giudaico, dove nelle preghiere era usata la formula Abìi'AbimJ (padre mio. padre nostro). Gli studi successivi ne hanno in parte correlto le tesi. come si può vedere in R. PENNA, l ri­ traui originali di Gesù il Cristo. lni;:,i e sviluppi della cristologia neotestamentaria, 1: Gli inizi, Editrice San Paolo. Cinisello Balsamo 1996, 1 13-118. "" Cf. K. BERGER, «Abraham in den paulinischen Hauptbriefen•. in MuTZ 17(1 966). 47·63 (47·89): G. GALJTIS, «Gesetz und Freiheit. Di Allegorie von Hagar und Sara in Gal 4,21-5,1», in VANHOYE (a cura di). La foi agissant par /'amour, 41-69; HANSEN, Abraham in Ga/atums, 141·154; LINCOLN. Paradiso ora e non ancora, 23·61 (La lettera ai Galati e la Gerusalemme celeste); A.C. PERRIMAN, •The Rhetorical Stra· tegy of Galatians 4:21-5:1». in EvQ 65(1993), 27·42. m DuNN. The Theology ofPaul's Letter to the Galatians, 96 ritiene, ma a tono. il brano una specie di addendum. Da parte sua nella monografia citata Hansen vede il centro del brano nell'imperativo di scacciare i propagandisti della circoncisione in Galazia; dunque Paolo non continua l'argomentazione di 3,1-4,11, ma mira a scopi esortativi. '" Qui Paolo non cita un brano, ma si riferisce a una storia biblica. "' Se la qualifica di schiava (paidiske) è attribuita a Agar, Sara non è chiamata in Gen 21 libera, anche se è sottinteso che lo era, essendo la moglie legittima.

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coscienza della loro identità di discendenti di Abramo ed eredi della promessa divina in quanto liberi dalla legge e a non farsi turlupinare da quanti li vorrebbero ridurre in schiavitù sotto la legge con la con­ seguente perdita dell'eredità abramitica. Lo conferma l'introduzione del brano in cui il mittente provoca i suoi interlocutori ad ascoltare la testimonianza della Scrittura, qui detta Legge per sineddoche, de­ nominazione cioè della parte per il tutto: >, termine espressivo dello spessore mondano e caduco dell'uomo. Per contrasto dunque la promessa è in linea con la grazia divina, con l'intervento gratuito di Dio. Tale lettura paolina ribalta la vulgata interpretazione di segno giudaico che è anche l'interpretazione letterale e storica: i preten­ denti alla figliolanza abramitica sono i circoncisi e gli osservanti della legge mosaica.240 Forse anche per questo i sobillatori di Galazia spingevano i galati a farsi circoncidere e quindi a osservare le pre­ scrizioni mosaiche. Paolo capovolge tale lettura con la sua compren­ sione «allegorica>> del testo: «haec sunt per allegoriam dieta (allego­ roumena)» (v. 24a). Si discute se il termine corrisponda alla catego­ ria interpretativa moderna dell'allegoria, oppure sia più vicina, come appare. alla tipologia, o sia un misto delle due.Z41 In realtà abbiamo una trasposizione di realtà vt sul registro delle attualità nt: Sara e Agar sono le raffigurazioni di due ordinamenti religiosi opposti, chiamati diathekai,242 del Sinai e della Gerusalemme attuale, da una

"" Cf. il libro apocrifo di Giubilei 16,17-18: «Che tutte le discendenze dei suoi fi­ gli (di Abramo) avrebbero formato dei popoli e sarebbero state annoverate Ira i pa­ gani e che, dei suoi figli, solo Isacco sarebbe stato (destinato) a (essere) santa proge­ nie e non sarebbe stato considerato tra i pagani, poiché era (destinato) a (essere) parte dell'Altissimo e fra coloro che il Signore, essendo disceso (in terra), tiene in suo dominio, sl che tutta la sua progenie sia proge nie del Signore , popolo della succes· sione ereditaria fra tutti i popoli, e sia regno, sacerdozio e popolo santo•. 241 Cf. GAuns, «Gesetz und Freiheit•, 52ss. 242 Non è corretto tradurre con «testamenti•, perché Paolo ne conosce solo uno,

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parte, della Gerusalemme celeste dall'altra.243 In ogni modo non sono contrapposti qui direttamente giudaismo a cristianesimo, ma i credenti che vogliono «essere sotto il dominio della legge» (v. 21) e i credenti che ne restano al di fuori. Le due donne di Abramo, in quanto madri, sono, in ultima analisi, figure profetiche del mondo di quanti si affidano alla legge, restandone schiavi, e del mondo di co­ loro che basandosi solo sulla fede ne sono liberi.244 In realtà l'appli­ cazione «allegorica>> prende in considerazione solo Agar; a >. Paolo invece procede a mostrare la corrispon­ denza di Agar con il Sinai: (v. 25). L'altro ordinamento è intro­ dotto direttamente contrapponendovi la Gerusalemme celeste:246 (v. 26). E per mostrarne la maternità prodigiosa nei confronti dei gen­ tili, simile a quella di Sara che era sterile, l'apostolo cita Is 54,1 LXX: (v. 27).247 .

quello a favore di Abramo e della sua discendenza, caratterizzalo dall'unilaterale pro­ messa divina (cf. 3,15-18). 243 Cf. LTNCOLN. Paradiso ora e non ancora9 30: alligore6 significa soltanto «par­ lare con diverso significato» (p. 30). 244 Annota LINCOLN, op. cit. , 31 che l'allegoria di Filone è diversa: Agar e Sara in· dicano i due intelletti dell'apprendimento preliminare e di quello che lotta per vincere la palma della virtù (cf. Co11gr. 180). "' È la lezione preferita in un testo assai tormentato. Sembra che Paolo si basi su un dato geografico: il Sin ai è in Arabia e gli ismaeliti secondo la testimonianza di Gcm 25,12ss erano residenti appunto nell'Arabia del nord. "" Il sintagma è di origine giudaica. Cf. 2 Baruc 4,2-6: «0 forse credi che sia que­ sta la città di cui ho detto: Ti ho tracciato sul palmo delle mie mani? Non (è) questo edificio, edificato ora tra di voi, quello che sarà rivelato presso di me, quello che è pronto qui, (fin) da prima, da quando ho pensato di fare il paradiso ... »; 4 Esdra 7,26: •Ecco infatti che arriverà il tempo, e sarà quando verranno i segni che ti ho dello prima, la città ora nascosta apparirà, si mostrerà la terra che ora rimane celata»; 13.36: «Ma Sion verrà, e si rivelerà a tuttl. approntata e costruita come quel monte che hai visto venire scolpito senza manh) per indicare una grandeua celeste ed escatologica. Nel NT vedi Eb S-10; Ap 3,12; 21.2-3.10- 1 1 ; 22,7. "' Non si identifica la Gerusalemme celeste con la chiesa, che è ambito dei figli generati da quella, che resta grandezza celeste ed escatologica. Lincoln annota che Paolo qui si rivela in antitesi con i passi di Qumran che identificano la Gerusalemme celeste con la comunità attuale dei credenti {LINCOLN, Paradiso ora e non ancora, 43).

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Infine il testo paolino fa l'applicazione della lettura della storia delle donne di Abramo e soprattutto dei loro figli ai galati. Dopo l'invito diretto del v. 26: Ii esorta implicitamente a prendere atto della loro identità di credenti in Cristo: (v. 28). Quindi richiama un altro particolare della storia di Abramo nel rapporto con le sue donne e i rispettivi figli, applicando ai galati l'imperativo di Sara al patriarca, depurato dai riferimenti alla situazione concreta, e evidenziando l'antitesi tra schiava e li­ bera: (v. 30).248 L'impera­ tivo poggia sull'analogia delle situazioni di allora e di oggi messe esplicitamente a confronto: (v. 29).250 Paolo non sembra voler sollecitare tanto i galati a scacciare i sobillatori,2" quanto a tenersi alla larga dalla loro propaganda, se vogliono preser­ vare il loro titolo all'eredità abramitica, essi che ne sono i discen­ denti liberi, essendolo per fede. L'accento della citazione infatti cade sul motivo dell'eredità: (v. 31).

4.

LIBERTÀ RESPONSABILE: «AGITI» DALLO SPIRITO

(cc. 5-6)

Bib/. BARCU.Y, Obeying the Truth; R.B. HAYS, «Christology and Elhik in Gala­ lians: the Law o( Christ�, in CBQ 49(1987). 268-290; K. KERTELGE, •Freiheitsbot­ schafl und Liebesgehol im Galaterbrief», in Fs R. Schnackenburg, Freiburg-Basei­ Wien 1 989, 326-337; B.C. LATEUAN, •ls Pau! developing a specifically Christian Ethics in Galatians?», in Fs A.J. Malherbe, Minneapolis 1 990, 318-328; C PERROT, •La Loi et son accomplissemenl selon Ga 5,13-26•. in VA N HOYE (a cura di). La foi agissant par /'amour, 123-142; A. PITfA, •Esortazione morale e kerygma paolina•. ibid. , 21 9-240; W. ScHRAGE, •Probleme paulinischer Ethik anhand von Gal 5,25-6.10•, ibid., 1 55-194; G. SEGALLA, •Identità cristiana e cammino secondo lo Spirito nella lellera ai Galati». in Teologia 18(1993), 7-63; T. SOOING, Das Liebesgebot bei Paulus; die Mahmmg wr Agape im Rahmen der pau/inischen Ethik, Mtinster 1 994. spec. 187-226; THIELMAN. From Plight to Solwion, 50ss; A. VANHOYE, «Paraclèse et doctrine paulinienne: accord ou désaccord?». in VANHOYE (a cura di), La foi agissant par l'amo11r, 210-218; S. WE­ STERfiOLM, •On Fulfilling the Whole Law (Gal. 5 : 14)>>, in Svensk Exegetisk A rsbok 5152(1 986-87), 229-237.

I riferimenti a situazioni etiche concrete delle chiese di Galazia non sono molti: forse un accenno in 5,15: ; con pro­ babilità possiamo citare 5,26: «Non siamo vanagloriosi, sfidandoci a vicenda e invidiandoci gli uni gli altri>>; si aggiungano 6,1: e 6, 6: «Chi è istruito nella parola faccia partecipe il catechista di tutti i suoi beni>>. Si tratta sem­ pre di rapporti all'interno delle comunità. L'unico grande problema resta il cedimento alla propaganda antievangelica dei sobillatori, che sta al centro di 5,1-15. La paraclesi paolina di Gal, di tono assai generale,252 appare in­ centrata nei motivi della libertà, che si traduce in servitù per amore, e della guida dello Spirito, alternativa al dinamismo della «carne>>, che occupano rispettivamente 5,1-15 e 5,16-26; 6,8-9. Sono motivi "' Opportunamente ScHRAGE, «Probleme paulinischer Ethik», 160-166 rileva eome una parenesi abituale può avere agganci con problemi attuali dei destinatari, per cui non si dà rigida alternativa tra parenesi abituale e parenesi attuale.

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connessi, perché la libertà affermata da Paolo è opposta alla . "' Questa ampia prospettiva appare confermata dal fatto che i cataloghi di vizi e virtù di 5.19·21 e 5.22-23 sono presentati come esemplificazioni delle •opere della carne» e del «frullo dello Spirito>>, non sotto forma di divieti e prescrizioni, «non fate» e «fate>>. �"' In questo senso anche SòmNo, Das Uebesgebot bei Pau/us. 223. Invece, come abbiamo visto sopra. Betz ipotizza l'esistenza di difficoltà morali dei galati alle prese con le sollecitazioni della •carne>> e secondo Cosgrove i galati erano spinti a perfezio· nare con la legge la vita nello Spirito vista nel suo versante carismatico. Anche SuHI., «Die Galater und der Geist• ritiene che nelle chiese galate per innusso degli agitatori si dubitasse della sufficienza dello Spirito. che doveva essere completato in chiave morale con le norme della legge mosaica. Si aggiunga il volume citato di Barclay, che ipotizza il bisogno delle comunità galate di rafforzare la loro identità sociale, essendo state sradicate dall'ambiente pagano, e di avere prescrizioni chiare per il loro ethos; riconosce però che questi due •fattori sociali non sono facilmente rintracciabili nella lettera di Paolo che è focaliuata sulla questione teologica» (BARCLAY, Obeying the Truth, 60). Vedi anche Segalla che si rifà allo studio di Barclay: •Le comunità galate ... con l'andar del tempo e nel confronto concreto con altri oriuonti religiosi, sentivano il bisogno e la necessità di indicazioni pratiche più precise• (SEGALLA, •Identità cri· stiana», 62). Sopra poi è stata scartata la ricostruzione dei sobillatori di Galazia in chiave pneumatica o gnostica, difensori di un libertinismo morale.

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campo da possibili fraintendimenti del suo vangelo della libertà dalla legge mosaica con prevedibili, se non esistenti, accuse di liber­ tinismo e immoralità. Già in 2,17-18 aveva preso in esame, anche se solo per opporvi uno sdegnato , l'ipotesi secondo cui i giudeo-cristiani che cercano la giustificazione per fede sono da con­ siderarsi anch'essi peccatori non diversamente dai gentili privi della legge, riducendo così Cristo a servitore del peccato. Ora, in possesso della ricchezza teologica della molteplice dimostrazione dei cc. 3-4, può affrontare la questione per sviscerarla. Il suo vangelo della li­ bertà non è per nulla un annuncio che canonizzi la licenza o abbia questa come sua conseguenza intrinseca e necessaria. Che gli sia pre­ sente un possibile fraintendimento del suo vangelo della libertà ap­ pare con chiarezza in 5,13: la libertà non deve essere presa a pretesto per vivere . Vuoi dire: non è licenza e non deve essere scambiata per tale; è invece mutua servitù per amore; soprattutto non si pensi che il dono dello Spirito non sia sufficiente a garantire una vita moralmente positiva dei credenti e si richieda il comple­ mento delle prescrizioni della legge mosaica. Ancor più deve aver sentito il bisogno di completare la presenta­ zione del suo vangelo, che comprende l'appello etico a una vita di amore. D'altra parte Io Spirito, donato > di 5,19-23, espressione di va­ lori etici del mondo greco/58 oltre che giudaico, ma anche nelle di­ verse esortazioni settoriali di 5,26-6,10 vicine alle situazioni dei de­ stinatari.

'" Nel suo commento Betz rileva l'originalità di Paolo rispetto all'etica filosofica greca protesa alla paideia dell'uomo impegnato in un costante esercizio della volontà per acquisire le virtù necessarie (p. 257). '" a. lo studio di Lategan e il commento di Betz (p. 33).

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Interessante è il procedimento del dettato dei cc. �: Paolo parte dall'indicativo, riprendendolo in sostanza dai cc. 3--4: «Cristo ci ha liberati» (5,la); (5,13a): > il vero valore che conta nella sfera dei rapporti di unione con Cristo che ha segnato la svolta epocale nella storia (5,6). La parte negativa dell'assioma è ripetuta in Gal 6,15 e 1 Cor 7,19. Di­ versa invece la parte positiva, che nei due passi paralleli suona così: «la nuova creazione>>, «I'osservania dei comandamenti di Dio>>. La formula di 1 Cor 7,19 risente della sensibilità del giudaismo elleni­ stico che privilegiava la parte etica della legge rispetto alla rituale e dice come Paolo, al di fuori di contesti di contrapposizione, dia ri­ sposte diverse al problema dell'osservanza della legge mosaica.272

2611 Cf. qui lo studio di WtLLIAMS, •Justification and the Spiri! in Galatians». "' In Gal 3,8 il presente dikaioi indica il presente storico dei gentili che avendo creduto hanno ottenuto da Dio giustificazione e benedizione. Vedi l'aoristo in Rm 5,1.9 e !Cor 6.1 1 . Sempre l'aoristo appare nella citazione di Gen 15,6: •gli fu compu­ tato a giustizia» presente in Gal 3,6 e Rm 4.3. "" Paolo qui si riferisce alla giustificazione finale, nel giudizio ultimo di Dio. """ Il testo però è dubbio, perché importanti manoscritti omettono hyiothesian. 211 Cf. J.D.G. DuNN, «"Neither Circumcision nor Uncirconcision. but... " (Gal 5.2-12; 6.12-16. Cf. 1Cor 7.17-20)», in VANHOYE (a cura di), La foi agissant par /'a­ mour, 79- 1 10. 271 Cf. SANDERS, Paolo, la legge e ilpopolo giudaico, 155-202 e soprattutto la mo­ nografia di P J. ToMSON, Pau/ and the Jewish La w. Halaklw in the Leners of the Apostle to the Genti/es, Assen-Memphis 1990.

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Quella di Gal 6,15 è di timbro apocalittico: l'evento di Cristo segna il tramonto del vecchio mondo, a cui appartiene anche il privilegio dei circoncisi e dei possessori della legge mosaica e l'handicap dei gen­ tili,273 peccatori per costituzione, e la nascita del nuovo.274 La nostra formula si collega bene con il tema di Gal, che accentua il motivo della fede in Cristo come via esclusiva ai beni salvifici divini, arric­ chendolo però del suo aspetto operativo: è una forza che agisce (energoumene è forma media) mediante l'agape. Una precisazione più che opportuna nella parte paracletica della lettera: il credente è attivato dalla fede nel senso di comportamenti e scelte di amore. La fede giustificante diventa nel giustificato forza operativa sotto la spinta dell'agape. L'antitesi di fondo di Gal fede-legge dunque conti­ nua anche nella terza parte della lettera. Nuova invece rispetto al dettato precedente è l'antitesi tra cir­ concisione e scandalo della croce, affermata in 5,11 : «Quanto a me, fratelli, se ancora predico la circoncisione, perché mai mi si continua a perseguitare? Allora è annullato lo scandalo della croce».275 Di questo ha già parlato in 1 Cor 1 ,23: DuNN, «''Neither Circumcision nor Uncirconcision, but..."», 92ss invece riferi­ sce il lato scandaloso della cosa alla credenza in un messia crocifisso e per questo ma­ ledetto.

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sione per vantarsi della vostra carne (circoncisa)>> (6,23): egli si vanta solo «della croce di nostro Signore Gesù Cristo, in virtù della q u ale il mondo è stato crocifissom per me e io per il mondo>> (6,14).270 II mo· tivo del vanto, presente in 1 Cor (1,29.31; 3,21; 4,7) ma soprattutto in 2Cor (10,8.13.17; 1 1,12.16.30; 12,1 .5.6), ritorna qui con la sua valenza fondamentale: menar vanto di quanto Dio compie nell'esistenza «povera>> dell'apostolo. Vantarsi della croce è vantarsi dell'iniziativa divina di grazia mediata dal crocifisso, iniziativa quanto mai efficace. perché liberatrice dal legame mortificante con questo mondo malva­ gio (cf. 1 ,4) e suscitatrice di un nuovo mondo, in cui perdono del tutto rilevanza le diversità tra circoncisi e incirconcisi (v. 15), cioè il privilegio storico-religioso dei primi e l'handicap dei secondi.279 La seconda esortazione generale, radicata di nuovo nell'evento di liberazione, espresso qui come efficace chiamata divina («siete stati chiamati alla libertà>>),2BO mette in guardia dal malinteso di scambiare la libertà per cedimento alla dinamica della , men­ tre è in realtà schiavitù reciproca per amore (5,13). La formulazione paolina con il verbo douleuein, usato sopra a indicare la dipenden­ za dal culto idolatrico (4,8-9) e il servaggio della Gerusalemme

m La forma del perletto estaurotai dice che l'evento non è racchiuso nel passato. ma a partire da allora fa sentire durevolmente i suoi effetti sul presente. Lo stesso ri· lievo vale di 2,19 in cui Paolo afferma di essere stato concrocifisso con Cristo: syne· stiJuriJmai. ,.,. •Non vi si afferma la morte/crocifissione del mondo visto in se stesso; ciò ch,· è conficcato alla croce è il rapporto tra Paolo e il mondo; non c'è più legame tra loro: egli ha cessato di dipendeme; la sua esistenza ne è liberata e gode di tale libenàn (BARBAGLIO, •Creazione e nuova creazione nella teologia paolina•, 198). Natural­ mente qui mondo ha significato negativo, come in 1,4 dove si parla del presente eone malva�io. 27 È necessario insistere: la croce ba un posto rilevante nella determinazione paolina dell'evento salvifico che sta alla base della riflessione teologica di Gal. Segalla vi scorge addirittura l'idea guida di Gal (•Identità cristiana», 12ss), ma mi sembra ec­ cessivo. Per comodità possiamo riprendere i passi in cui il motivo appare. Per spiegare la sua apostrofe Paolo ricorda come nella sua predicazione avesse presentato ai galati Cristo crocifisso (3,1): hanno perduto proprio la testa (anoetoi) a cedere ai sobillatori. se ciò vuoi dire voltare le spalle alla croce e alla sua valenza salvifica, per cercare al­ trove motivi di fiducia. Un evento quello della crocifissione che coinvolge i credenti nella esperienza di Cristo donatosi per amore: «sono stato crocifisso con Cristo» (2,20). Il crocifisso poi ha scelto di partecipare alla sorte dei maledetti dalla legge ma per liberarli dalla maledizione, aprire la porta della benedizione ai gentili e far sì che tutti i credenti ricevano lo Spirito della promessa patriarcale (3,13-14). Si aggiunga l ,4 in cui Paolo parla della morle per ablazione volontaria di Cristo. 2.11) Il motivo della vocazione divina appare anche in 5.8: > (5,16). Si tratta di due dinamiche interne alla persona che ne definiscono l'agire o di due forze che, sempre dall'interno, la spin­ gono in direzioni operative opposte. Sono in lotta l'una contro l'altra per conquistarsi il terreno conteso, il dominio sull'uomo. Questi re­ sta pur sempre il vero soggetto operativo e responsabile, ma si attua muovendosi sotto la spinta dello Spirito o seguendo quella della . Nel giudaismo rabbinico era conosciuto il dualismo dei due istinti del bene e del male. Non manca una certa analogia, ma solo quanto al secondo, perché egli vi contrappone non un istinto insito nella natura umana, bensì l'influsso dello Spirito di Dio, donato ai credenti e operante in loro. In concreto, sollecita i galati a essere docili allo Spirito con l'ef­ fetto d'impedire che si lascino andare ai loro capricci seguendo, in ultima analisi, la dinamica della «carne>>. Che siano forze non solo diverse, ma anche antagoniste appare con chiarezza al v. 17a: «La

'" Non fare agli altri quello che non si vuole sia fatto a sé; «Questo è tutta la · Tora e tuno il resto è solo spiegazione• (b.Sabb. 31 a) '"' Definisce Lv 18,5 il più grande principio nella Torah: «Amerai il prossimo tuo mme te stesso (Lev. 19,18): questa è una grande regola nella Tora/t• (GenRab 24,7). 291 Secondo HoNG, T!te Law in Galatians. 170ss Paolo ha di mira il reale scopo o intento delle richieste della legge pienamente raggiunto. "' Cf. WESTERHOLM, «On Fulfilling the Whole Law•, 237. Invece THIELMAN, From Plight to So/ution , 50 ritiene che la legge mosaica sia adempiuta ora dai credenti mediante la forza dello Spirito, che ne rende possibile l'osservanza. La liberazione operata da Cristo riguarda la funzione della legge maledicente quanti la trasgredi· vano, fatto questo nonnale nel tempo anteriore alla venuta dei giorni ultimi. 2'.1.\ Il testo paolina ricorre qui, come spesso altrove, all'immagine del camminare (peripatein) per indicare i comportamenti di vita. L'immagine è vt, ma il piglio origi­ nale, perché specificata non con l'abituale formula «camminare nei precetti di Dio» (Es 16,4; Lv 1 8,4; l Re 6,12; Ger 44,23; Ez 5.6-7). bensl con la peculiare determina­ tione pneumatica: «camminate nello Spirito», cioè sotto la sua guida.

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carne infatti nelle sue cupidigie si oppone allo Spirito e lo Spirito ha impulsi contrari alla carne>>.294 Per questo la presenza operante dello Spirito preserva la libertà dallo scadere in un illimitato e capriccioso fare ciò che si vorrebbe (v. 17b),295 che è in linea con un certo ideale greco della libertà, come dice Dione Crisostomo, testimone dell'e­ saltazione di una libertà illimitata: . Esiste un evidente parallelismo con l'antitesi Spirito-, come documenta il confronto con il v. 16b: seguire lo Spirito vuoi dire non dar corso alla cupidigia della «carne». Le due grandezze, una esterna, la legge, l'altra interna, la dallo Spirito. non dominato dal precetto come dalla sua ragion d'essere e di ope­ rare, non succube della sua concupiscenza. In breve, l'influsso dello Spirito è liberante; la responsabilità etica poggia sul dinamismo «spi­ rituale>> capace di opporsi a quello e di fare a meno delle norme legali mosaiche. Paolo poi caratterizza il campo operativo delle due dinamiche, specificato da e , di cui analoghi elenchi sono presenti nel giudaismo e nell'ellenismo, ma anche in altre lettere paoline.296 «Le opere della carne» sono distinte in riferimento a diversi ambiti, sessuale («fornicazione, impurità, dissolutezza>>), religioso («idola­ tria, stregoneria>>), vita comunitaria in prevalenza ( ) ,m tempe­ ranza («Ubriachezze, orge>>). Che non sia un catalogo esaustivo lo

,.. Il vocabolo epithymia per se stesso è neutro; la sua qualifica assiologica di­ pende dalla fonte: è cupidigia se viene dalla «Carne», è desiderio positivo se principio è lo Spirito. Lo stesso verbo epithymein vale delle due dinamiche, ma l'uno è positivo e negtivo l'altro. Vedi BARC"LAY, Obeying the Truth, 1 12ss . ,. Cf. per gli elenchi paolini dei vizi G. SEGALLA, •Il catalogo dei peccati in S. Paolo•, in Studia Patavina 15( 1 968), 205-228. Più in generale vedi S. WtBBING, Die Tu­ gend- und Lasterkataloge im NT und ihre Traditionsgeschichte unter besonderer Be­ rucksichtigung der Qumrantexte, Berlin 1959. 297 Testo incerto per l'aggiunta di «omicidi» subito dopo «invidie» o anche con questa successione: «invidie, faziosità. omicidi».

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mostra la formula conclusiva (v. 2lb). La minaccia della sanzione di condanna eterna appare funzionale alla paraclesi paolina che, escluse le opere della legge, ammette la necessità per i credenti delle opere buone, criterio del giudizio ultimo. Il campo operativo dello Spirito in realtà è segnato da un elenco non di virtù, bensì di effetti della sua azione influente. In primo piano non abbiamo il soggetto operante del credente bensì quanto produce lo Spirito. Ricorrendo all'immagine agricola della pianta e dei suoi frutti, usa però il singo­ lare: , espressivo di un'unica e complessiva fruttificazione. Nell'elenco svetta al primo posto l'amore. Se sopra questo era oggetto di esortazione (v. 13), ora è indicato come effetto dell'impulso dello Spirito: il credente è chiamato a fare ciò che lo Spirito lo conduce a fare. E contro le elencate non ha nulla da obiettare la legge (v. 23b); dunque Paolo non può essere accusato di anomismo amorale se afferma la sufficienza dello Spirito come fondamento dell'etica, escludendo in pari tempo l'osservanza delle norme della legge. Quello basta per comportamenti positivi e moral­ mente validi e non c'è bisogno di appellarsi a queste. In altre parole, nella sua operosità il credente riceve l'input non dalla legge, ma dallo Spirito. Paolo ritorna a evidenziare l'indicativo dell'evento di salvezza che sperimentano tutti i credenti colto nei suoi effetti: (v. 24). Soggetto attivo della crocifissione sono qui i credenti, mentre in 2,19 Paolo aveva detto che il suo io paradigmatico era con-crocifisso con Cristo. Ma la prima affermazione vale degli appartenenti a Cristo. Dunque resta vera anche qui la prospettiva partecipazionistica: è per unione a Cri­ sto che il credente fa morire il suo essere alla mercé del dinamismo negativo della . Morte, ma anche vita nuova, come completa subito dopo l'apostolo richiamandosi al dono dello Spirito vivifi­ cante l'esistenza dei credenti, richiamo finalizzato a responsabiliz­ zarli: (v. 25).298 In altre parole, tra Spirito e «carne>> i ere-

"" Stoicheò nel NT è sinonimo di peripateò e poreuomai. Cf. G. DELL!NG, in GLNT XII, 1221.

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denti hanno già compiuto una scelta di fondo in forza della grazia: sono stati liberati dalla «carne» nel senso che hanno ricevuto lo Spi­ rito, capace di contrastarla vittoriosamente. Non cessa però la lotta. anzi è suscitata proprio dall'evento salvifico che ha escluso 299 da forza coercitiva qual era. Di qui l'esortazione a lasciarsi condurre dallo Spirito.300 Un ultimo sviluppo dell'antitesi Spirito-«carne» riappare in 6,7b-8 alla luce dell'immagine agricola della semina e del raccolto che si corrispondono: «Ciò che si sarà seminato, questo anche si rac­ coglierà. Chi semina nella carne, dalla carne raccoglierà rovina; chi invece semina nello Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna>>. Come altrove (cf. per es. Rm 2,7), Paolo condivide la tradizione giu­ daica sul giudizio finale, retributore del bene e del male.301 La novità è l'abbinamento con la duplice dinamica della «carne» e dello Spi­ rito, viste nel rispettivo traguardo a cui conducono l'uomo. Infine, passando al capitolo delle esortazioni categoriali (5,266,1 1), di rilievo appare l'imperativo di 6,2, ancor più la sua giustifica­ zione: >. Positiva­ mente poi indica ciò a cui resta vincolato: è •uno dentro la legge di Cristo» (enno­ mos Christou). Xl8 Così nel suo commento Corsani che c:onlinua: �se la chiama "legge di Cristo" e non "legge dello Spirito" è perché la presenza e l'opera dello Spirito nei credenti sono una conseguenza dell'amore di Cristo» (p. 386). 309 BARCLAY, Obeying the Truth, 141. 310 PrrrA , Lettera ai Galati, 380.

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l'impulso dello Spirito, può essere chiamata «di Cristo», al quale si deve quella svolta epocale nella storia che porta al compimento pieno del volere di Dio disvelato già nella legge mosaica ma ora per­ fettamente nel suo figlio.311

5. VALUTAZIONI DELLA LEGGE MOSAICA Bib/. AMADI-AZUOGu, Pau/ and the Law in the Arguments of Galatums; A.M. Bu­ •La funzione della legge (Gal 3,19-25)•. in A. SACCHI (a cura di), Lettere pao­ line e altre lettere, 409-420; C. H. CoSGROVE, «fhe Law has given Sarah no Children (Gal. 4:21-30)», in NT 33(1987), 21 9-235; J. M. DIAz-RoDElAS, Pab/o y la ley. La no­ vidad de Rom 7,7-8,4 en el conjiunto de la reflexion paulina sobre la ley, Estella 1994. spec. 31 -64: DuNN, •Works of the Law»; K. FINSTERBUSCH, Die Thora als Lebens­ weisung fur Heidenchristen. Studien zur Bedeutung der Thora fur die paulinische Ethik, Gouingen 1996; F. HAHN, •Gibt es eine Enlwicklung in den Aussagen Uber die Rechtfenigung bei Paulus?•. in EvTh 53(1 993), 342-366; HoNG, The Law in Ga­ /atians; !.G. HoNG, •Does Pau! Misrepresent the Jewish Law? Law and Covenanl in Gal 3:1-14•, in NT 36(1994), 1 64-182; HOBNE R, La legge in Paolo; LAMBRECHT. « La comprensione della legge i n Paolo•); H. LJCHTENBERGF.R, «Paulus und das Gesetz)>: lo., «Das Tora-Verstandnis im ludentum zur Zeit des Paulus», in DuNN (a cura di). Pau/ and the Mosaic Law, 7-23; D. LuctANI, •Paul et la Loi», in NRT 1 1 5(1993). 40-68; D.J. Moo, •Pau! and the Law in the Lasl ten Years», in Scottish Joumal of Theology 10(1987). 2!!7-307; PENNA , «> (Pro Fiacco 28, 66-

2 Ma anche nell'indirizzo di Fil è assente il destinatario •chiesa•.

' Così PENNA, •Configurazione giudeo-cristiana•, però altre valutazioni la fanno salire a 40/50.000. 4 L'attesta FILONE, Legatio ad Caium 155, che li localizza •al di là del Tevere•.

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n7). Di fatto si ha notizia che nel 4 a.C. più di 8000 giudei accompa­ gnarono davanti ad Augusto una delegazione ebraica di Palestina venuta a Roma per protestare contro Archelao, figlio di Erode il Grande.' Cesare concesse speciali privilegi ai giudei: libertà di asso­ ciazione e di culto, autorizzazione a mandare danaro per il tempio di Gerusalemme, esenzione dal servizio militare, diritto di avere propri tribunali ma solo per cause civili.6 Sotto Tiberio però. per istigazione dell'onnipotente ministro Seiano, ci fu una prima espulsione di giu­ dei da Roma,' seguita da una seconda sotto Claudio, di cui si dirà più avanti. A differenza di Alessandria d'Egitto, a Roma la diaspora giu­ daica non era riunita in un'unica comunità, ma contava più comunità o (Judaeos assidue tumultuantes impulsore Chresto Roma expulit). Si pensa che il grande storico romano si riferisca a Cristo, pomo di discordia nella diaspora giudaica romana, da lui però ritenuto un personaggio vivente e presente nella capitale. Il decreto di espul­ sione è menzionato anche da At che narra dell'arrivo di Aquila e Priscilla a Corinto a causa dell'ordine di Claudio (18,2). Purtroppo non è certa la sua datazione: lo storico Paolo Orosio (Hist. adv. pag. 7,6,15) del V sec. lo fa risalire all'anno nono del governo di Claudio, dunque al 49. Ma Dione Cassio (Hist. 60,6,6) lo colloca all'inizio del suo regno durato dal 41 al 54, dunque nell'anno 41, e ne ridimen­ siona la severità: l'espulsione riguardava solo i fautori di tumulti. Comunque appare certo che il cristianesimo giunse a Roma già negli anni 40 prendendo piede all'interno delle sinagoghe e si può ritenere c:he tra gli espulsi ci fossero anche giudeo-cristiani. Non sappiamo chi vi abbia portato il vangelo di Cristo. Sembra da escludere un grande nome, altrimenti se ne sarebbe conservato il ricordo; tutto invece lascia credere all'iniziativa di anonimi cristiani ' GIUSEPPE FLAVIO, Antiquitates iudaicae 17,1 1 , 1 , n. 300. • GIUSEPPE FI.AVIO, Antiquitates iudaicae 14,10,1-8. 7 GIUSEPPE FLAVIo, Antiquitates iudaicae 18,3,5; nn. 81-84, che precisa come 4000 uomini furono inviati in Sardegna ai lavori forzati.

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giunti nella capitale dell'impero per ragioni commerciali o altri mo­ tivi.8 Quando Paolo scrive ai credenti di Roma a metà degli anni 50, il cristianesimo vi aveva già messo solide radici. Può infatti ringra­ ziare Dio, «perché - dice - la vostra fede è annunciata in tutto il mondo» ( 1 ,8) e rilevare: (15,14). Pietro non doveva essere allora a Roma, perché altrimenti non si spiegherebbe che non sia nominato in Rm; si può ritenere che vi giunse più tardi. Discussa invece è la configurazione del cristianesimo romano del tempo. All'ipotesi di F.C. Baur che vi rilevava la presenza di cristiani di stretta marca giudaica e giudaizzante nonché di orientamento ebionitico,9 si è contrapposta l'opinione che fossero etnico-cristiani emancipati dalla legge mosaica.10 Un certo successo ha avuto poi la ricostruzione di Wiefel: avendo l'editto di Claudio espulso i giudeo­ cristiani, allora ancora confusi tra la minoranza giudaica, nella capi­ tale rimasero i credenti di origine pagana, che si distaccarono dalla sinagoga organizzandosi in comunità cristiane domestiche; dopo la morte di Claudio e l'arrivo al potere di Nerone diversi giudeo­ cristiani fecero ritorno a Roma - tra questi anche Aquila e Prisca che Paolo saluta nella sua lettera e si trovarono a vivere come gruppo emarginato in comunità egemonizzate da pagano-cristiani, i veri destinatari della lettera di Roma esortati a convivere in una stessa comunità con la minoranza di marca giudaica.11 Ma è una co-

• Si può citare in proposito la testimonianza deii'Ambrosiastro nel suo com­ mento a Rm: nulla insignia virtutum videntes, nec aliquem aposro/orum, susceperant [i­ dem Christi (PL 17,46). • F.C. BAUR, «Ober Zweck und Veranlassung des Romerbriefes und die damit zusammenh�ngenden Verhiiltnisse der romischen Gemeindc», in Tabinger Zeitschrìft ftir Theologie 1 832, Heft 3, 59-178. MASON, «"For l am noi Ashamed of the Gospel", concorda con Baur: la lettera rende «impossibile supporre che egli abbia davanti alla mente altri lettori uditori che non siano giudeo-cristiani» (p. 256). A questo scopo si affida all'evidenza esterna - comunità sorta nelle sinagoghe come appare dalla tesli­ monianza di Svetonio - e offre una diversa lettura di quei passi di Rm in cui semhra che Paolo si rivolga a etnico-cristiani: 1,5: i cristiani di Roma sono giudei dispersi nel mondo pagano; 1 , 13: i cristiani di Roma sono accostati non agli altri gentili (kai h6s en tois loipois ethnesin) ma ai restanti gentili, cioè dell'ovest; 1,14-15: il contrasto è con questi rispetto ai gentili delle regioni classiche greche. 1° Cosi già W. LOTGERT, Der R/Jmerbrief als historisches Problem, GUtersloh 1913. 11 Vedi anche W.S. CAMPBELL, «Romans III as a Key to the Structure and Thought of Romans», in DoNFRIED (a cura di). The Romans Debate, 25t-264: nella co­ munità romana c'era un incipiente marcionismo proprio di etnicCH:ristiani che di-

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struzione con fragili basi, come ha rilevato Penna: non è accertato che l'espulsione di Claudio abbia interessato tutti i giudeo-cristiani di Roma, né che Nerone abbia loro permesso di rientrare e neppure che nel frattempo gli etnico-cristiani rimasti abbiano cambiato volto alla chiesa romana, rompendo un precedente equilibrio.12 Allo stato attuale comunque dato acquisito è la composizione mista dei gruppi cristiani di Roma destinatari della lettera, mentre l'affermata prevalenza dei pagano-cristiani è solo un'ipotesi."' Paolo stesso ne è testimone prezioso: si dice apostolo chiamato a suscitare «l'obbedienza della fede tra tutti i gentili, tra i quali ci siete anche voi>> (1 ,5-6) e confessa di essersi spesso proposto di venire a Roma >. in DoNFRJED (a cura di), The Romans De­ bare, 3-15; MAsoN, •"For I am not Ashamed of the Gospel"»; P. SruHLMACHER, «The Purpose of Romans•, in DoNFRJED (a cura di). The Roman Debale, 231-242; F. WAT· SON, •The Two Roman Congregations: Romans 14: 1 - 15:13•. in DoNFRJEo (a cura di), The Romans Debare, 203-215; A.J . M . WEDDERBURN, «Purpose and Occasion of Ro­ mans Again•. in DoNFRIED (a cura di). The Romans Debare, 195-202; WEDDERBURN. The Reasonsfor Romans; U. WrLCKENS, « Ù ber Abfassungszweck und Aufbau des Rèi­ merbriefes•, in Rechrfertigung a/s Freiheil, Neukirchen 1974, 1 10-170.

Se le altre lettere di Paolo sono scritti che manifestamente ri­ spondono a precise situazioni dei destinatari e, a volte, dello stesso mittente, a prima vista Rm pare fare eccezione. Di fatto non sono mancati interpreti che l'hanno letta come doctrinae christianae com­ pendium, per usare una celebre definizione di Melantone.17 Ma è con F.C. Baur,18 fondatore della celebre scuola di Tubinga, che ha avuto inizio una lettura storica di Rm, indirizzata dall'apostolo ai cristiani di Roma difensori di un rigido particolarismo giudaico, cui egli con­ trappone il suo vangelo di apertura incondizionata al mondo dei gentili. Lo scritto dunque non è un'astratta presentazione dottrinale, ma una risposta, sia pure molto meditata e argomentata, a specifici problemi ecclesiali dei destinatari. Di fatto la ricerca più recente si è impegnata a continuare il me­ todo storico di Baur, anche se le non poche e diverse ricostruzioni proposte ne stanno a dimostrare il carattere ipotetico. Si è ritenuto che Paolo si sia rivolto alla maggioranza dei credenti di Roma di ori­ gine pagana affetti da antisemitismo e sprezzanti verso la minoranza giudeo-cristiana (cf. 1 1,17-24). U suo intento sarebbe stato dunque pastorale: riconciliare e pacificare la chiesa romana divisa al suo in­ temo, tanto più che i cc. 14-15 sembrano presentare una situazione

" Su questa linea si è anche attestato nel nostro secolo Nygren che nel suo com­ mento difende la diversità di Rm rispetto alle altre lettere, nel senso che non dipende da circostanziali rapporti con una cena comunità; di conseguenza la legge come espressione di pura teologia (A. NYGREN, Der Romerbrief, Gèittingen '1 965). " 8AUR, «Uber Zweck und Veranlassung des Rèimerbriefes•.

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di tensione tra deboli e forti all'interno della comunità bisognosa dunque di sollecitazione all'unità.t9 Molto originale, ma poco se­ guita, è stata invece l'opinione di G. Klein:20 a provocare la lettera di Paolo è stato il fatto che la comunità di Roma mancava di una fonda­ zione apostolica. Non per nulla nell'indirizzo è sorprendentementc assente il vocabolo (1,13-15). In breve, Roma è stata in passato e lo è an­ cora al presente la città del suo destino di evangelizzatore degli incir­ concisi, incolpevole della sua finora mancata venuta (v. 13).30 In 15,14-33, che formalmente si distingue dall'esordio eucaristico in quanto notificazione dei suoi progetti di viaggio e dell'annuncio della sua prossima parusia, considera conclusa la sua missione in oriente (15,23), perché > (1,9); (1,14). Nello stesso tempo accentua il vangelo di Dio, oggetto della sua missione apostolica, di cui indica subito il carattere profetico: « il vangelo di Dio, da lui promesso in anticipo per bocca dei suoi profeti nelle sacre Scritture>> (1 ,1b-2), e il contenuto cristo­ logico: , in Jews, Greeks, and Christians (Fs W. D. Davies), Leiden 1 976, 271-298, ipo­ tizza che Paolo abbia collezionato nella parte dottrinale di Rm due sue omilie. " È una sorpresa perché Timoteo, con lui a Corinto (Rm 16,21), era stato già co­ mittente in l Ts, Fil e Fm.

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sentazione di Paolo, che vi sottolinea il suo ruolo di apostolo chia­ mato da Cristo e inviato a portare il vangelo ai gentili,36 vangelo spe­ cificato nei contenuti essenziali (vv. 2-4). Il tema della lettera appare qui adombrato, come del resto nel proemio eucaristico ( 1 ,8-15) che anticipa, come si è visto sopra, la ragione vera della lettera e la sua caratterizzazione: in attesa di venire di persona a Roma - il che per altro non è poi così sicuro, se a Gerusalemme l'aspettano avversari pronti a tutto, come chiarirà in 15,30-32 - lo scritto in qualche modo lo sostituisce. Propriamente non si tratta di evangelizzazione per iscritto, come pure si dice/' ma di ampia e precisa esposizione con occhio attento ai dubbi e alle contestazioni presenti anche nelle menti di cristiani romani, comunque tesa a risolvere questioni teolo­ giche ancora aperte ed escludere false deduzioni. In Rm Paolo non è stricto sensu evangelista, bensì teologo di quel vangelo di cui è evan­ gelista ovunque.'" Per questo, dopo aver riportato nell'indirizzo i contenuti cristologici del vangelo, contenuti di certo condivisi dai suoi interlocutori ( 1,3-4), in 1 ,16-17 ne offre in modo sintetico, a modo di propositio genera/is, la sua lettura: il vangelo è potenza sal­ vifica di Dio a vantaggio di chiunque crede, luogo di disvelamento «apocalittico>> della giustizia divina. Senza dire, come vedremo, delle numerose propositiones secundariae disseminate nello scritto, l'una e le altre evidenziate in impegnate probationes. Dell'epilogo·'" si discute l'estensione, se comprende 15,14--16,27 oppure 15,33-16,27. In ogni modo 1 5,14-32 è un brano di parusia apostolica, che riprende quanto Paolo ha detto nell'esordio eucari-

,. Tre sono le sue qualifiche teologiche: •schiavo di Cristo Gesù. apostolo per vocazione, selezionato (aphorismenos) per annunciare il vangelo di Dio» (1,1), di cui solo le prime due sono attestate in altri indirizzi (cf. Fil 1 ,1 : douloi Christou Usou: Paolo e Timoteo; ICor 1 , 1 : k/etos aposto/os Christou tesou: 2Cor 1 , 1 : aposto/os Chri· sto11 /esou; Gal 1 , 1 : apostolos. . . dia Usou Christou). ·17 ELLIOIT, The Rhetoric of Romans, 84 afferma che Rm è •il medium della sua "evangelizzazione" dei Romanh). rilevando in pari tempo come l'assenza del propo­ sito di annunciare il vangelo ai Romani in 15,14ss sia dovuta al fatto che è stato già proclamato precedentemente, appunto con la sua lettera (87). JERVIS, The Purpose o[ Romans, propone di vedere Rm come •esposizione da pane di Paolo del suo vangelo in forma scritta», allo scopo di fare dei credenti di Roma «pane della sua "offena" di gentili "santificati" e "obbedienti"» (p. 1 63). "' HOBNER. Die Theologie des Pau/us, 258: «Secondo Rm 1.14 Paolo vuole an­ nunciare il vangelo ai romani, euagge/isasthai. Ma ciò che quindi fa è che parla a pro­ posito del vangelo... : teologia del vanxelo invece di annuncio del vangelo». " Cf. M. MOLLER, Vom SchltiSs wm Ganzen. Zur Bedeutung des paulinischen Briefkorpusabsch/usses, GNtingen 1997. 207-239 e J.A.D. WEIMA, Neg/ected Endings: The Significance of the Pauline Leuer Closings, Sheffield 1 994, 215-230.

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stico sui progetti di viaggi, ampiandone il quadro e costituendo con 1 ,8-15 la cornice del corpo epistolare.40 Il voto bendicente del v. 33: «Che il Dio della pace sia con tutti voi! Amen!» inizia propriamente le comunicazioni conclusive della lettera, comprendenti inoltre la raccomandazione di Febe ai destinatari ( 16,1-2), quindi una lunga serie di saluti espressa in seconda persona plurale (16,3-16),4t con la menzione di 26 credenti da lui conosciuti e attualmente a Roma, che non solo rappresentano al vivo, come uno spettro, la variegata com­ posizione del cristianesimo romano di quegli anni,42 ma anche, lodati variamente dal mittente con cui sono stati in attivo contatto missio­ nario, lo raccomandano alla chiesa romana a lui finora estranea (vv. 3-16).43 Nei vv. 17-20 mette in guardia (paraka/6) i credenti del­ l'Urbe «dai fautori di divisioni e scandali in contrasto con l'insegna­ mento ricevuto>> (vv. 17-19a),44 si rallegra (chair6) della loro positiva condizione spirituale (v. 19b) e li sollecita con un'esortazione gene­ rale: (v. 19c), promettendo quindi la vittoria di Dio su satana (v. 20a) e anti­ cipando infine il voto benedicente di regola conclusivo della lettera (v. 20b: ). Poi si fa portavoce dei saluti di quanti sono con lui (vv. 21-23).45 Infine il brano 25-27 è una dossologia che molti studiosi ritengono una glossa,46 mentre altri47 ne riconoscono la paternità paolina e l'origi­ naria integrazione alla fine del c. 16 come sintesi del tema epistolare, 40 l'ENNA, •La funzione strutturante di 3,1-8», p. 87, nota 41: •Queste due sezioni ( 1 ,8-15 e 1 5,14-33) funzionano come due vere parentesi, che racchiudono fra le loro braccia il corpo della lenera (1,16-15,13)•. " Riteniamo Rm 16 autentico e appartenente già in origine alla lettera. Cf. ulti­ mamente lo studio citato di Weima. " In proposito si è citato già l'eccellente studio di LAMPE, •The Roman Chri­ stians of Romans 16» che evidenzia del brano il carattere di autoraccomandazione di Paolo che si fa forte delle sue numerose e qualificate conoscenze romane per accredi­ tarsi nella chiesa di Roma. " Cf. qui lo studio citato di Weima. Vedi anche H. GAMBLE, The Textual History ofthe Leller to the Romans, Grand Rapids 1977, 92: •Quelli che vengono distinti con il saluto sono proclamati da Paolo come suoi avvocati all'interno della comunità>>. 44 Non dovevano essere presenti nella chiesa romana, altrimenti Paolo vi si sa­ rebbe confrontato nella sua lettera; si può congenurare che dal di fuori costituissero però pur sempre un pericolo da cui mettere in guardia. ' Il v. 24: •La grazia del Signore nostro Gesù Cristo con tutti voi, amen•, pre­ sente nella Volgata e in altri pochi testimoni testuali, non sembra autentico dopo il voto benedicente del v. 20b. Ma altri, come per es. Jeavts, The Purpose of Romans, 139, la ritengono conclusione autentica della lettera. 46 Fu aggiunta, dicono, come conclusione della raccolta dell'epistolario paolino, in cui Rm occupava l'ultimo posto, come attesta il canone muratoriano. " Tra questi vedi il succitato Weima. 521

il vangelo di Gesù Cristo, disvelato ora come compimento della scritture profetiche e destinato a suscitare l'obbedienza della fede tra i gentili.48 Un epilogo ben integrato nella lettera e finalizzato a sottolineare la legittimità di Paolo araldo del vangelo nel mondo dei gentili e della sua pretesa di esporlo approfonditamente ai romani, nonché l'invito a questi di accogliere lui e la sua lettura vergata per iscritto. Il corpo della lettera (1,16-15,13) tradisce un'evidente divisione binaria: i cc. 1-11 e la seconda parte di 12,1-15,13. In questa, di chiaro carattere parenetico, si distinguono il Leitmotiv di 12,1-2 (of­ ferta di sé a Dio, vero culto non rituale dei credenti), il brano 12,3-R incentrato nelle esperienze carismatiche, 12,9-21 ricco di massime circa i rapporti dei credenti tra loro e all'esterno, la pericope 13,1-7 sui doveri civici, l'unità 13,8-10 riassuntiva delle esigenze etiche nel comandamento dell'amore del prossimo, 13,1 1 -14 che conclude que­ sta prima sezione esortativa con il motivo della vicinanza della sal­ vezza finale; quindi abbiamo la sezione 14,1-15,13, unità compatta in cui Paolo, riferendosi a una situazione della chiesa di Roma, divisa a proposito del mangiare carne o meno e dell'osservare o no uno spe­ ciale calendario, esorta alla fraterna coesistenza dei forti e dei deboli nella stessa comunità.49 Assai discussa invece è la struttura dei cc. 1 -1 1 e non mancano diversità sulla sua connessione con la parte parenetica di 12,1-15,13. Una vasta maggioranza comunque considera come propositio della lettera 1 ,16-17: il vangelo ; e non pochi valu­ tano la parenesi dei cc. 12-15 l'altra faccia del vangelo paolino, ca­ ratterizzato dunque da indicativo e imperativo.50

• La dossologia appare oscillante nella sua collocazione: alla fme del c. 14 (co­ dice Cl> ecc). a conclusione del c. 15 secondo P". ripetuta alla fine sia del c. 14 sia del 15, con omissione del c. 16 (codice minuscolo 1 506). o anche alla fine dei cc. 14 e 16 se­ condo i codd. Alessandrino (A) e di Leningrado (P). per non dire di altri manoscritti (F G 629) che l'omettono del tutto. L'attestano alla fine del c. 16 P"' Alef B C D ecc. 4'>� Non pochi invece, come R.J. KARRIS, (>; del c. 1 1 incentrato nelle domande di 1 1,1 e 1 1 : «Dico dunque: Dio ha forse ripudiato il suo popolo? l Dico dunque: È forse per una caduta definitiva che in­ ciamparono?>>.70 " In merito vedi SmwERS, Die Diatribe and Paul's Letter lo the Romans, che però riduce tutti gli interrogativi a un espediente diatribico, senza la presenza di nes­ sun interrogante rea1e. 70 Si notino le formule stereotipe che introducono spesso gli interrogativi: (v. 3). Come punto di arrivo dell'argomentazione abbiamo la parificazione di giudeo e greco, non essendoci in Dio > (3,29-30).73 Si deve aggiungere che in Rm egli si affida in modo straordinario alla testimonianza scritturistica. A parte le citazioni che sono di nu­ mero proporzionalmente più elevato rispetto alle altre Iettere,74 non si può tacere della rilettura della figura prototipica di Abramo del c. 4 e della storia antitetica del secondo Adamo contrapposto al primo (5,12-21), per non parlare delle figure bibliche richiamate nei cc. 9--1 1 : Abramo e Sara con !sacco e Ismaele (9,7-9), Rebecca e !sacco con Giacobbe ed Esaù (9,10-13), il faraone (9,17), le città di Sodoma e Gomorra (9,29), Elia ( 1 1 ,2). In realtà, ha bisogno di fondare la sua teologia e l'argomento scritturistico è di indiscusso valore e di determinante peso, perché con i suoi interlocutori condivide la credenza nella Scrittura come parola di Dio. Così diventano incontrovertibili. perché biblicamente attestate, le sue tesi di grande rilevanza teologica della giustizia di Dio che giustifica imparzialmente giudei e gentili in base alla fede, non alle opere della legge, e della paternità abramitica, fonte di be­ nedizione divina, per quanti credono, giudei e gentili che siano. Ne fanno fede la citazione di Ab 2,4 in 1,17 e la rilettura della figura di

" Vedi anche 4.9·10: •Questa beatitudine dunque riguarda solo i circoncisi o an· che gli incirconcisi? Noi diciamo: ad Abramo la fede fu messa in conto a giustizia. Come gli fu dunque messa in conto? Da circonciso o incirconciso? Non da circonciso, bensl come incirconciso,• . " Nel testo di Nestle·Aiand sono rilevate 64 citazioni, senza contare le allusioni. B. HAYS, Echoes ofScripture in lhe Letrers of Pau/, New Haven 1989, 34 conta 51 cita­ zioni in Rm di fronte alle 89 di tutte le lettere.

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Abramo nel c. 4. Parimenti le tesi di 9,6: «Non che la parola di Dio sia venuta tneno; infatti non tutti i discendenti d'Israele sono Israele» sono dimostrate da una serie di passi biblici e di riferimenti scritturistici. Altrettanto vale di 10,4: illustrata con due citazioni dalla Legge che attestano due diverse , l'una di Lv 18,5 e l'altra di Dt 30,12-14: >, dimostrata ex Scriptura con le sue numerose dichiarazioni in forma negativa «non c'è nessuno (ouk estin) che sia giusto, neppure uno (oude heis) l nessuno che sia sensato l nessuno che cerchi Dio/ nessuno che faccia il bene, neppure uno>> (3,10-1 1 . 1 2b) e l'afferma­ tiva «Tutti deviarono>> (3,12a); cui corrispondono le tesi conclusive di Paolo: «perché ... tutto il mondo (pas ho kosmos) risulti colpevole davanti a Dio>> (3,19); «tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio>> (3,23). E altrove: « ... il peccato entrò nel mondo e tramite il peccato la morte, e cosi la morte dilagò su tutti gli uomini in quanto tutti peccarono ... » (5,12), affermazione ripetuta in tutto il brano 5,12-20, a volte con la formula corrispondente . Infine si legga 1 1 ,32: tutti gli uomini sono stati rinchiusi nella disobbedienza. L'altra faccia della medaglia, sempre in prospettiva ecumenica, è espressa con ripetute formule universalistiche: salvezza dischiusa dal vangelo a favore di «chiunque crede» (1,16); giustizia di Dio (3,21); giustificazione di (an­ thr6pon) «al di fuori delle opere della legge>> (3,28).82 I termini sono chiaramente universali anche per indicare l'azione del nuovo Adamo antitetico al primo: se la caduta di quello ha causato la con­ danna dell'umanità, la giusta azione di Cristo ha condotto alla giusti­ ficazione di tutti gli uomini (5,18).83 Nella sezione dei cc. 9-1 1 infine

"' La questione del •privilegio• del giudeo, posta chiaramenle da Paolo in 3,1·2. 9 e qui affrontata con risposte sommarie: •Qual è dunque la superiorità (lo perisson) del giudeo o quale l'utilità della circoncisione? Grande sotto ogni aspetto. Anzitutto perché ad essi furono affidate le parole di Dio• / •Che dunque? Ci dobbiamo ritenere superiori? Non del tutto•, sostanzialmente sarà ripresa a largo raggio nei cc. 9--1 1 . " Cf. S . LYoNNET, «Universalità della salvezza•, i n L a storia della salvezza nella lettera ai Romani, 1-21. 82 Altrettanto universale è la corrispondente negativa: •nessuno (ou. .. pasa sarx) sarà ustificato davanti a lui per le opere della legge• (3,20). Vedi anche il passo parallelo di 5,19: •Come infatti per la disobbedienza di un

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leggiamo che il Signore è munifico verso tutti quelli che lo invocano, come dice la Scrittura: chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato (10,12.13), e che il gesto misericordioso del Dio di Gesù è ri­ volto a tutti ( 11 ,32). Non si tratta però di universalità indifferenziata e amorfa; l'uma­ nità è formata da diversi gruppi e popoli con specifiche caratteristi­ che. Per es. in 1 ,14 Paolo si dice «debitore ai greci e ai barbari, ai sa­ pienti e agli incolti». Ma la sua attenzione è soprattutto per la diver­ sità storico-religiosa che divide giudei e gentili. In concreto è lo sta­ tuto teologico particolare del popolo giudaico, con alle spalle una storia originale di elezione divina, discendente da Abramo, deposi­ tario delle promesse divine, legato al suo Dio da un patto sancito sulla base delle clausole della legge mosaica, in particolare della cir­ concisione, che rende la formula ecumenica «tutti••l (2, 1 1).86 Tale abbinamento appare ancor più stretto in 10,12: «Sì, nessuna discrimi­ nazione (diastolé) tra giudeo e gentile» in Dio «munifico verso tutti quelli che lo invocano». Infine in 3,22-24 la stessa negazione: «Non si dà infatti alcuna discriminazione (diastolé)» è dimostrata dalla tesi che, essendo tutti gli uomini peccatori e privi della gloria di Dio, la loro giustificazione è iniziativa gratuita di Dio. La parzialità e la di­ scriminazione, negate, riguardano direttamente il mondo dei gentili. Una semplice variante è la diade «giudei-gentili>> (ioudaioil ethné), dove la diversità è esplicitata spesso dal possesso o meno della legge,87 o anche da circoncisione e incirconcisione (peritomél akrobystia),���< binomio parallelo al precedente che secondo il topos letterario dell'astratto per il concreto sta a indicare appunto i circon­ cisi e gli incirconcisi. In 2,12-17 «i gentili che non hanno la legge•• sono confrontati con il giudeo che vi fa affidamento. La credenza monoteistica tradizionale in 3,29-30 è esplicitata negli interrogativi retorici e nelle relative risposte: > (11,25a),94 presentato in 16,25 nella sua essenziale duplice faccia di grandezza nascosta e poi disvelata: «dall'eternità avvolto nel silen­ zio, ma ora manifestato e, per decreto dell'eterno Dio, fatto cono­ scere a tu Ile le nazioni>>. Il progetto divino consiste nell'indurire una parte d'Israele per portare a salvezza i gentili e quindi, suscitando la loro gelosia, salvare anche gli induriti israeliti ( 1 1 ,25-26). Ancora una volta l'umanità, beneficiaria dell'iniziativa sali fica di Dio, non è massa indifferenziata, ma totalità composta da giudei e gentili colti nella loro specificità religioso-culturale. In 8,29-30 il termine lascia il posto all'analogo voca­ bolo «proposito» (prothesis)95 e si tracciano le grandi tappe del dise­ gno salvifico di Dio, simile a un arco che congiunge i due estremi dell'elezione pretemporale e del traguardo finale della salvezza pas­ sando attraverso la storica vocazione a credere e l'azione giustifica­ trice: «tutto concorre al bene di quelli che amano Dio, dei chiamati secondo il suo proposito. Perché i prescelti (proegn6), li ha anche predestinati (proorisen ) ad essere conformi all'immagine di suo fi­ glio ... ; i predestinati, li ha anche chiamati (ekalesen); i chiamati, li ha anche giustificati (edikaiosen) e i giustificati, li ha anche glorificati (edoxasen)>>. Si noti la concatenazione ferrea delle diverse fasi, tutte espresse all'aoristo, anche quella escatologica della glorificazione fi­ nale: per dire che, ex parte Dei, il suo progetto non potrà che avere successo e realizzarsi pienamente. Un progetto salvifico attivato in lui dal suo amore. In 5,5-8 l'apo­ stolo ne afferma la dimostrazione epifanica in Cristo morto per gli uomini indegni di tale gesto oblativo. Il riferimento è, di certo, alla donazione divina del figlio, la cui storia culminata nella croce ri-

" Cf. R. PENNA. // my.flerion paolina, Paideia, Brescia 1978. OJS Paolo indica «l'originaria primordiale decisione con la quale Dio stabilisce e fa accadere quell'evento salviri co in Cristo che determina e muove la vita della comunità cristiana fino alla glorificazione escatologica» (C. MAURER, in GLNT Xlii. 1 263). Di questo proposito divino Paolo parla ancora in 9,11 dove ne sottolinea il carattere di li­ bera elezione (hì! kat'eklogen prothesis).

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sponde all'iniziativa del Padre. Il passo paolino stringe i due «attori>> in una stessa logica di amore gratuito e d'immeritata oblatività: «Quando noi eravamo ancora infermi, nel tempo stabilito Cristo morì per gli empi. In effetti a stento si trova chi voglia morire per una persona retta; sì, forse per una persona buona c'è chi ha il corag­ gio di morire. Dio invece dà questa prova del suo amore per noi: quando eravamo ancora peccatori Cristo morì per noi>>. Non meno accentuato è il tema in 8,31ss, che esalta il fiducioso abbandono dei credenti in Dio schierato dalla loro parte contro le temibili forze contrarie - «Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?>> (v. 3 1 ) -, per­ ché animato da quell'amore con cui .96 Per questo è un Dio donatore di ogni grazia (v. 32) e che giustifica, anzi­ ché accusare (v. 33). È la ragione per cui l'apostolo osa cantare vitto­ ria tra mille contrarietà: «Ma in tutto questo noi stravinciamo grazie a colui che ci ha amato>> (v. 37), sicuro che nulla «ci potrà separare dall'amore di Dio in Cristo Gesù, nostro Signore>> (v. 39)."' L'iniziativa divina di grazia è caratterizzata pure come azione misericordiosa o anche pietosa.9" Già è stata ampiamente citata l'af­ fermazione di principio di 1 1 ,32: «Dio ha rinchiuso tuili gli uomini nella disobbedienza per avere di tutti misericordia (eleésé-i)>>. Il con­ trasto delle due proposizioni mette in rilievo che si tratta di un gesto di efficace amore per uomini peccatori chiusi nel loro rifiuto di Dio (apeitheia), capace di trasformarli in aderenti e obbedienti."" Lo chiarisce il contesto. Paolo mette in parallelismo la passata disobbe­ dienza degli etnico-gentili abbinata all'attuale disobbedienza di tanti israeliti e l'attuale esperienza di salvezza misericordiosa di quelli ab­ binata alla futura salvezza misericordiosa di questi ( 1 1 ,30-31). 9,15ss invece sottolinea l'assoluta libertà del Dio misericordioso nella sto-

" È possibile il riferimento ad Abramo che non ha risparmiato il suo figlio nel suo slancio di obbedienza a JHWH: •Ora so che tu temi Dio e sei pronto a non rispar­ miare (epheiso) il tuo figlio amatissimo per amor mio• (Gen 22,12). "' Poco sopra si era interrogato retoricamente: •Chi ci separerà dall'amore di Cristo?• (v. 35). È la conferma che l'agape di Dio e quella di Cristo sono correlative e la presenza dell'una comporta la presenza dell'altra. " SPICO, Note di lessicografia neotestamenraria. l, rileva l'originalità della reli­ gione d'Israele •quale culto rivolto ad un Dio di misericordia• rispetto al mondo greco (pp. 546s) e quella di Paolo all'interno delle Scritture ebraiche e cristiane, che ha posto •la misericordia divina al principio ed al termine dell'intero piano di sal­ vezza•, citando in merito proprio i nostri passi di Rm (p. 552). "' Si tratla di disobbedienza teologica e non puramente morale, non per nulla il corrispondente positivo hypakoé in 1,6 e 16,26 è qualificato dal genitivo pisteos.

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ria, il quale non si fa condizionare da nessun fattore umano: è un'ini­ ziativa liberamente elettiva100 e vocante. In concreto Paolo si rifà a Es 33,19: (v. 15) per sot­ tolineare l'assenza di ragioni umane influenti su Dio, mosso unica­ mente dal suo amore misericordioso (v. 16) e concludere con l'affer­ mazione di principio: (v. 18). 1 111 A conclusione dell'unità letteraria l'apostolo infine cita tre testi scritturistici, dei quali il primo si rivela molto importante perché mo­ stra come egli sia passato insensibilmente dalla misericordia di Dio al suo amore, amore appunto per immeritevoli ed esclusi: «Ch ia­ merò mio-popolo quello che non era mio popolo e amata quella che non era amata>> (v. 25).102 Se l'amore e la misericordia sono i moventi della potente azione salvi fica di Dio a favore di giudei e gentili, la fedeltà costituisce il fat­ tore di continuità nella realizzazione del progetto divino e il legame tra l'inizio pretemporale e la fine escatologica. Nessuna possibilità di ripensamento o interruzione: Dio è fedele a se stesso e nell'oscilla­ zione delle scelte e comportamenti umani resta fisso il suo perse­ guire efficacemente la salvezza dell'umanità. Paolo vi insiste perché il rifiuto dei molti giudei di credere in Cristo o di accogliere la giusti­ zia donata da Dio sulla base della fede, mentre i gentili l'ottennero credendo (9,30-32), sembra mettere in discussione la fedeltà divina, l'impegno preso con Israele nelle solenni promesse giurate ad Abramo e alla sua discendenza. Già all'inizio del c. 3 egli si pone il problema, con probabilità spinto da sollecitazioni esterne di critici e dubbiosi: «Che dunque? Se alcuni non furono fedeli, forse che la loro infedeltà potrà annullare la fedeltà (ten pistin) di Dio?>> (v. 3). La risposta è un no sdegnato, seguito dall'affermazione della vera100 Il motivo dell'elezione divina appare più volte nei cc. 9-11 : 9,1 1 ; 1 1,5.7.28. Ci soffermerà più avanti anche in rapporto al tema della chiamata. 101 Nel v. 22 ricorre l'espressione plastica «vasi di misericordia» per indicare il «DOh> dei credenti, da Dio «Chiamati non solo dal mondo giudaico, ma anche da quello dei gentili» (vv. 24-25); espressione contrapposta a «vasi di collera» (v. 22). Il confronto dice che l'iniziativa misericordiosa di Dio consiste nel liberare gli uomini dalla divina collera distruggitrice da essi meritata con la loro disobbedienza. 102 L'apetto tenero, di tenerezza materna, indicato dall'immagine delle viscere materne, dell'amore misericordioso di Dio all'opera nel salvare l'umanità peccatrice, già presente nella citazione di Es 33,19, sopra riportata, ritorna nell'incipil della se· zione paracletica: Paolo si appresta a esortare i fratelli di Roma in nome dei gesti di tenero amore di Dio (diil tòn oiktirmòn tou theou: si noti il plurale), di cui ha argo· mentato nel corpo dottrinale della lettera (12,1). si

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cità divina contrapposta agli uomini menzogneri: «Non sia mai! Al contrario Dio deve risultare verace (aléthés) e menzognero (pseu­ stés) ogni uomo», tesi fondata sulla Scrittura (cf. v. 4). In altre parole la veracità (alétheia) di Dio viene esaltata dalla menzogna (pseusma) umana (v. 7). La questione comunque verrà ripresa nei cc. 9-1 1 con la proposi­ rio di 9,6: «Non è che la parola di Dio sia venuta meno>> e la succes­ siva probatio, ma anche nella propositio di 1 1 ,1-2 espressa prima in forma interrogativa, con risposta sdegnata, e poi con una chiara ne­ gazione: «Dio ha forse ripudiato il suo popolo? Non sia mai! ... Dio non ha affatto ripudiato il suo popolo, da lui prescelto» con succes­ siva dimostrazione. E in chiusura della sezione Paolo ritorna con toni decisi sul progetto divino di salvezza riguardante gli israeliti e i gentili, nel quale Dio «gioca>> prima sull'incredulità di quelli a favore di questi e poi sulla fede dei secondi a favore della salvezza dei primi: «irrevocabili sono i doni di grazia e la chiamata di Dio>> (1 1 ,29). Infine si deve citare 15,8 dove si parla esplicitamente delle promesse divine fatte ai patriarchi, a cui Dio è fedele: «per la fedeltà (alérheia) di Dio Cristo si fece servitore dei circoncisi perché fossero garantite (verho bebaio6) le promesse patriarcali>>, che però valgono anche per i gentili (v. 9). 103 Il motivo della fedeltà appare poi sotteso al tema della giustizia di Dio, centrale nei primi quattro cc. e signifi­ cativamente presente anche nella sezione dei cc. 9-11 , ma se ne trat­ terà a parte. Ora s'impone l'obbligo di evidenziare come la potenza salvifica di Dio a favore di giudei e gentili, dispiegata nel vangelo, si attui nella mediazione di Cristo. Dio mandò il suo figlio liberando l'uomo dall'assoggettamento schiavistico e alienante (cf. 7,24) al peccato (8,3) e avendo risuscitato Cristo dal regno dei morti/04 di conse­ guenza, per solidarietà con lui, «darà la vita anche ai vostri corpi mortali>> (8,1 1 ) . In particolare si noti il costante uso della preposi­ zione dia/«mediantc>> per indicare l'intervento attivo di Cristo nell'a­ gire salvifico di Dio, senza tacere della preposizione greca en con va­ lore strumentale. Dio giustifica gratuitamente (v. l ); «per mezzo del quale abbiamo anche accesso... a questo stato di grazia in cui ci tro­ viamo>> (v. 2); (vv. 9-10). Non di meno è 5,12-2 1 , dove la causalità stru­ mentale di Cristo è contrapposta a quella negativa di Adamo. Il dono gratuito di Dio è accordato (v. 15). Le affermazioni si fanno in­ calzanti: > tutti gli uomini giunsero alla giustizia vivifi­ cante (v. 18); ••per l'obbedienza di uno solo (dia tes hypakoes tou he­ nos)>> la moltitudine umana fu costituita giusta (v. 19); i credenti avranno la vita eterna (v. 21). Si aggiungano 7,4, in cui la liberazione dall'assoggettamento alla legge avviene consegnato alla morte, e 4,25: non solo ad Abramo ma anche al «noi>> dei credenti Dio , lui che glorificò Cristo «consegnato alla morte per i nostri peccati e risuscitato per la nostra giustizia>>, formula binaria di fede che evidenzia la valenza soteriologica dell'e­ vento di Cristo morto e risuscitato. La mediazione cristologica nel progetto di Dio però non ·è limi­ tata al piano dell'efficienza; si estende a quello della causalità for­ male: la salvezza è infatti partecipazione alla morte e risurrezione di Cristo, conformazione al crocifisso risorto, visto come in cui i credenti e battezzati sono collocati per grazia, campo magnetico delle nuove energie di vita del mondo escatologico che li inva­ dono.105 Nel dettato di Rrn subentra così la preposizione synlcon, "" A ragione Sanders ha sottolineato come il pallern religioso paolino sia ap· punto quello partecipazionislico. Ma già Schweilzer nel suo volume sulla misi ica pao· lina aveva accentuato tale carattere mistico della teologia di Paolo, una mistica esca­ tologica, cristologica, aveva precisato, e sacramentaria. Cf. in proposito anche K

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espressiva di comunione e partecipazione e più volte prefisso dei verbi di timbro pasquale a formare verbi composti peculiari a Paolo. Nel battesimo i credenti si sono «Uniti a lui (symphytoi) con la figura della sua morte>> e gli si uniranno «anche con la figura della sua ri­ surrezione» (v. 5). Il loro vecchio uomo fu crocifisso con lui (syne­ staur6the) (v. 6). C'è uno stretto legame tra storia ed escatologia in questa conformazione: «Ma se siamo morti con Cristo (syn Chri­ st6-i), crediamo che pure vivremo con lui (syzesomen)» (v. 8). E al pari di Cristo risorto e come persone che sono , cioè inseriti nella sua sfera d'influsso, partecipi della sua condizione di ri­ sorto,106 vivono una vita nuova > (10,17), ( 1 6,25). In breve ne rappresenta il contenuto essenziale. In 1 ,3-4 Paolo eviden­ zia con una formulazione tradizionale107 che il vangelo di Dio ri­ guarda il suo figlio, definito secondo una duplice dimensione, >; è la giustizia di Dio che dà la salvezza.134 Cremer per primo ha rilevato che giustizia in ambito biblico è un concetto di relazione m Non dice rapporto a una norma, cioè non de­ finisce un comportamento misurato su un principio universale, come invece avviene nel mondo greco. La giustizia si definisce sulla base della fedeltà agli obblighi e alla logica del patto che lega i contraenti tra loro. In concreto, Dio è giusto e agisce con giustizia perché fedele all'alleanza contratta con il popolo, che salva da minacce mortali e li­ bera da violenti oppressori, dimostrandosi tale anche di fronte all'in­ fedeltà e all'ingiustizia del partner umano, che ottiene il perdono con la penitenza e i riti penitenziali previsti. Così comprendiamo, come appare nei passi citati sopra, il parallelismo tra la giustizia di Dio e la sua fedeltà, misericordia e salvezza. L'originalità di Paolo dunque non sta nel parlare della giustizia di Dio - per questo non troviamo in lui alcuna definizione -,136 bensì nel dichiarare che essa si disvela ora nel vangelo e . La prima caratteristica ne fa una realtà , contenuto cioè della rivelazione finale. Di fatto nella tradizione ebraica di stampo escatologico e apocalittico si attendeva per i giorni ultimi che Dio facesse giustizia al suo popolo e anche ai singoli israeliti, membri del patto. Sopra si è citato Is 51 ,5-6 in cui Dio promette per bocca dell'anonimo profeta esilico della consolazione: (cf. 51,8). Nella sua visione celeste il protagonista di Enoc etiopico vede «le abitazioni dei giusti e i luoghi di riposo dei santi ...

"' Vedi anche negli Inni i seguenti passi: •(Opera secondo) la tua giustizia, li­ bera (l'anima del tuo servo)» (I QH' 4,21); «Ogni iniquità ed empietà le distruggi per sempre, e la tua giustizia si rivela agli occhi di tutte le tue opere>> (IQH' 6,15·16); «Mi sono infatti appoggiato alla tua pietà e alla quantità dei tuoi gesti misericordiosi. Sei tu, infatti, che espii il peccato e purifi(chi l'uo )mo daDa sua colpa con la tua giustizia» (lQH' 13,37). '" BETZ, •Rechtfertigung in Qumran», 36. "' Cit. in STUHLMACHER, Gerechtigkeit Goues bei PalliiLS, 46-47. 136 Cf. ALETTI , •Comment Paul voit la justice de Dieu en Rm».

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La giustizia defluiva come l'acqua al loro cospetto e la misericordia come rugiada sulla terra» (39,4-5). Di 1QS 1 1 ,3.5.1 1 -15 poi si è già detto sopra. Paolo invece nella sua tesi l'afferma evento presente (apokalyptetai); la giustizia divina finale è proletticamente anticipala nella storia, in concreto nella predicazione del vangelo di Dio.137 Emerge qui una delle sue profonde convinzioni: con Cristo i tempi finali sono giunti, anche se resta l'attesa del compimento ultimo (cf. Gal 4,4: la pienezza dei tempi: 6,15: la nuova creazione).138 D'altra parte, disvelare la giustizia vuoi dire attuarla; non si tratta di pura e semplice notificazione che esiste una giustizia di Dio, ma di annun­ cio di un evento, evento escatologico e per questo decisivo, che av­ viene. Per questo è efficace ed operativa a beneficio dell'uomo che rende giusto. Non per nulla in 3,26 all'aggettivo «giusto>>, qualifi­ cante Dio, Paolo aggiunge il participio attivo .139 Oggi è superata la concezione della riforma protestante di una giustizia divina puramente forense, che dichiara giusto l'uomo senza cam­ biarlo realmente. Perché, anche se nel concetto di giustizia fosse in­ sila, ma non lo è, una valenza forense, cioè di sentenza giudiziaria,140 si rileva che la parola di Dio realizza ciò che dice: la sua dichiara-

137 Sulla valenza escatologica di apokalyptein vedi A. OEPKE, in GLNT V, 1 16: nota caratteristica della rivelazione veterotestamentaria si manifesta per lo più in riferimento al futuro•; 1 26: «nel NT i nostri vocaboli traggono la loro significazione propriamente dall'escatologia .. ; 134: «Anche nelle lettere il concetto di rivelazione trova il suo vero posto nella escatologia�). "" Per quanto riguarda Rm vedi l'incipit di 3,21 : «Ma ora (nyni) è stata rivelata la giustizia di Diooo: avverbio di tempo indicativo della svolta epocale della storia. •Nel N.T. è per lo più un periodo su cui pesa l"eternità ... in esso anche il futuro è sen­ tito come presenteoo (G. STAHUN. nyn. in GLNT VII, 1478). '" Sulla giustizia di Dio come dono divino. presente di ceno per es. in Fil 3, ha insistito Lohse nel suo articolo citato. 140 P. BovATI, Ristabilire la giustizia. Procedure, vocabolario, orientamenti. PIB, Roma 1986 ha mostrato nell"AT l'esistenza di due diversi procedimenti giudiziari. quello del giudizio (mishpat) o forense che ha luogo nel tribunale e quello della lite o contesa (rfb) teso a risolvere una crisi di rapporti tra due contendenti. dove Dio stesso è parte in causa e tende primariamente alla riconciliazione con il partner. E. PENNA, «Il tema della giustificazione in Paolo>>, 35-36, trasferendo i risultati di Bovati a Paolo. afferma «Che il rapporto Dio-uomo nel processo di giustificazione è semplicemente quello del rib. come si conferma doppiamente. sia dal fatto che mai a questo livello l'Apostolo applica a Dio il lessico del giudizio (infatti. krinein, krites, krima sono ri­ servati soltanto al momento escatologico). sia dal fatto che esclusivamente suo è il les­ sico della riconciliazione. Si tratta di un rib che non si esplica in un mishpat. Se ne può legittimamente dedurre che la giustificazione non è riducibile a un mero atto forense di assoluzione o remissione emesso da un terzo, ma comporta sopratlutto la reintegra­ zione di relazioni interpersonali piene e feconde che riguardano i due panners in causaoo. Invece SEIFRID, Justification by Faith parla della giustizia forense come un dato scontato.

((La

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zione di giustizia a favore dell'uomo fa sì che questi risulti effettiva­ mente giusto. L'adagio luterano che definisce il giustificato simul iu­ stus et peccator è ormai superato presso gli stessi protestanti. La seconda novità paolina, che soprattutto in Gal tradiva un ac­ centuato carattere polemico, è il legame inscindibile ed esclusivo con la fede, essendo messe fuori gioco, come vedremo, le opere della legge. «Da fede a fede» appare una formula accentuativa del fattore esclusivo di fede nel processo di apocalisse della giustizia divina là dove si annuncia il vangelo.141 Già in Gal si è precisato che non si tratta di una condizione posta dall'uomo all'agire di Dio giusto, tanto meno di un contributo umano, come se ci fosse un certo siner­ gismo con un risultato riferibile all'azione divina e alla risposta umana intesa come autonoma performance. In realtà, è la parola del vangelo, in cui Dio si rivela per quello che è, «giusto», che suscita la fede nell'ascoltatore portandolo ad affidarsi all'azione divina giusti­ ficante. La fede è il modo in cui l'uomo diventa giusto: in retto rap­ porto con il Dio di Gesù Cristo è il credente, non il fedele osservante della legge. Rendere giusto o giustificare e fare di un soggetto un credente si corrispondono. In proposito si veda 10,8 dove Paolo parla della parola produttiva della fede (to rhéma tés piste6s), parola da lui proclamata.''' Per ultimo, Paolo adduce a sostegno della sua affermazione di principio una brevissima probatio ex Scripturis citando Ab 2,4 cui già era ricorso in Gal 3,1 1 . 1 43 «Si è discusso se l'apostolo l'abbia inteso fedelmente, oppure attraverso una rilettura radicalmente nuova. In concreto, il dibattito verte sul significato originario di "fede" e di "vita": nei due termini si deve vedere rispettivamente la fedellà alle prescrizioni della legge o l'abbandono fiducioso in Dio, la soprav­ vivenza ad un pericolo di morte oppure la vita come salvezza in senso religioso e ultimo?>>.144 In ogni modo, la tradizione testuale "' Non sembra proponibile la lettura di DAVIES. Faith and Obedience in Romans, 43 che traduce la formula ek pisteos eis pistin dalla fedeltà di Dio alla fedeltà umana. né quella simile del commento di Dunn: dalla fedeltà di Dio alla fede umana, che fa di questa formula il titolo del corpo dottrinale di Rm J ,JS-1 1 ,36 (cf. pp. 43ss). '" Cf. HoFJus, «Wort Gottes und Glaube bei Paulus•. 143 È citato anche in Eb 10.38. Cf. D.A. Kon1 . «Der Text von Hab 2:4b in der Septuaginta und im neuen Testamenl•, in ZNW 76(1985). 68-85, che presenta le tre lezioni septuagintali, di cui la prima è il lesto più antico e originale: ho de dikaios ek piste6s mou zi!setai l ho de dikaios mou ek piste6s zi!setai l ho de dikaios ek piste6s ze· serai e soprattutto R. PENNA, «Abacuc 2.4b e le sue antiche riletture giudaiche e cri­ stiane•. in La parola di Dio cresceva (At l2,24). Scrilli in onore di Carlo MariJJ Martini nel suo 7(1' compleanno, a cura di R. FABRIS, ED B. Bologna 1998, 359-380. "' BARBAOLIO, •Alla chiesa di Roma», 219.

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non è uniforme: in ebraico si afferma che il giusto vivrà per la sua fe­ deltà ('emunah); la traduzione greca dei LXX invece parla di fedeltà di Dio (ek pisteos mou).145 Paolo ha eliminato ogni pronome perso­ nale, comunque appare più vicino al testo ebraico: si tratta della fede del giusto. E l'accostamento con la lesi precedente rende probabile il legame di «per fede» con «Colui che è giustO>>. Solo così appare fon­ data biblicamente l'affermazione che la giustizia di Dio si rivela «da fede a fede». Una prova scritturistica solo abbozzata e che vedrà il suo sviluppo nel c. 4.146

5.1. Rivelazione della collera divina, l'altra faccia della medaglia (1,18-3,20) Bibl. J.N. ALETn, «Rm 1 ,18-3,20. lncohérence ou cohérence de l'argumenta­ tion?•. in Bib 69(1988), 47-62; G. BoRNKAMM, «Giaube und Vemunfl bei Paulus», in Studien zu Antike und Urchristentum, Munchen 1963, 1 1 9-137; G. BoRNKAMM, «Ge­ setz und Natur. R!lm 2,14-16», ibid., 93- 1 1 8; G. BoRNKAMM, «Die Offenbarung des Zornes Go!les (R!lm 1 -3)•. in Das Ende des Gesetzes. Paulusstudien, Milnchen 1 966, 9-33; G.P. CARRAS. •Romans 2,1-29. A Dialogue on Jewish ldeals», in Bib 73( 1992), 1 83-207; C.H. CosaRoVE, oThe Justificalion of the Other. An lnterpretation of Rom l :1 8-4:25», in SBL, Seminar Papers 1992, 61 3-634; DAVIES, Faith and Obedience in Ro­ mans; H.J. EcKSTEIN, •"Denn Go!les Zorn wird vom Himmel her offenbar werden". Exegetische Erw�gungen zu R!lm 1,18», in ZNW 78(1 987), 74-89; A.T. LINCOLN, •From Wrath to Justification. Tradition, Gospel and Audience in the Theology of Romans 1: 18-4:25•. in SBL, Seminar Papers 1993, 194-226; R. PENNA, «Rom 1,1 8-2,29 Ira predicazione missionaria e imprestito ambientale•, in L 'apostolo Paolo, 1 26-134; R. PENNA, •Aspe!li narrativi della le!lera ai Romani•, ibid. , 1 1 1 - 125; W. PoPKES, «Zum Aufbau und Charaktcr von Romer 1 . 1 8-32», in NTS 8(1982), 490-501 ; C.L. PoRTER, «Romans 1 .18-32: lts Role in the Developing Argument•. in NTS 40(1994). 21 0-228; A. SACCHI, «> (v. 32). Ancor più chiara conferma ci viene dal c. 2, dove se dal punto di vista formale domina la diatriba con l'ingresso di un interlocutorc fittizio,159 motivo oggettivo centrale è il giudizio di Dio, di cui si sot­ tolinea l'equità (dikaiokrisia: giusto giudizio) (2,5). Egli «retribuirà ciascuno secondo le sue opere» (2,6), lui che conoscendole «potrà giudicare le azioni segrete degli uomini» (2,16), dando vita eterna a quanti fanno il bene e condanna eterna a coloro che fanno il male (2,7-8). E questo imparzialmente (2,11), trattando allo stesso modo ogni essere umano, sia il giudeo sia il greco (2,8-10). In particolare. del giudizio divino Paolo sottolinea il versante negativo, la sentenza di condanna (lo krirna qui equivalente a katakrirna), di cui pure evi­ denzia la conformità al vero (aletheia), essendo indirizzata a chi commette azioni cattive (2,2; cf. anche 2,3). Il giudizio divino nei suoi due esiti è ancora attestato in 2,12-13: perdizione (apolountai) e condanna (krithesontai) per quanti hanno peccato, siano stati in pos­ sesso della legge mosaica o no; giustificazione (dikaiothesontai) in­ vece per «quelli che mettono in pratica la legge». In breve, la tesi di l ,18 si precisa nei seguenti termini: la collera divina cade su tutti quelli che fanno il male, gentili o giudei. Nel c. 2 Paolo sottolinea con particolare forza l'imparzialità di Dio giudice, davanti a cui la posizione privilegiata dei giudei non può valere da

di Roma•. 229). Più in dettaglio sono annotate le somiglianze nel commento di Wilc· kens, l, 96-97. '" Questo dioti riprende per completarlo il dioti del v. 19 che indicava la condi· zione previa della responsabilità umana, l'accessibilità cioè della conoscenza di Dio: •Perché quello che di Dio si può conoscere è manifesto a loro, avendoglielo egli mani· festato». '" Anche qui in sostanza riappare, sotto altra forma, il motivo della collera di· vina. 159 Lo ha ben mostrato STOWERS, Die DiiJtribe, 154-185.

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lasciapassare. Il suo intento non è qui di dire che tutti gli uomini sono peccatori, gentili e giudei - l'affermerà su base biblica solo in 3,9ss -, ma di affermare che di fronte al giudice divino che emette sentenza senza guardare in faccia a nessuno (prosop6lempsia),u"' il vantaggio storico-salvifico del giudeo non fonda alcun favoritismo da parte di Dio e non costituisce fattore di discrimine per i gentili. Prima di arrivare a dire che tutti gli uomini, non esclusi i giudei, sono peccatori, l'apostolo vuole dimostrare che questi non possono vantare alcun privilegio nel giudizio ultimo; sbarra cosl il passo al loro tentativo di differenziarsi, quanto al destino eterno, dai gentili condannati al fuoco eterno.'"' E lo fa appellandosi all'imparzialità del giudice divino. Di fatto si riferisce a un'evidenza della tradizione biblico-giudaica, come ha ben mostrato Bassler: Dio retribuisce ogni essere secondo le sue opere (2,6; cf. 2,16) e condanna quelli che fanno il male agendo secondo verità (2,2). Decisivo ci sembra in pro­ posito l'interrogativo retorico rivolto in 2,3 a un immaginario inter­ locutore interpellato con un diretto > che cita anche Rm 2,17.23. 169 Cl. Ger 4,4 e soprallullo 9,25: « .. . tutti questi gentili sono incirconcisi quanto alla carne e tuili quelli della casa d'Israele sono incirconcisi nel loro cuore•. Vedi an­ che nella lelleratura qumranica IQS 5,5 dove si parla dell'esigenza di circoncidere la concupiscenza e la dura cervice.

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conclude il c. 2: «La sua lode costui la riceve non dagli uomini, ma da Dio>> (v. 29b). Ma il suddetto livellamento non può non far sorgere interroga­ tivi radicali nella mente di Paolo ancor prima che sulla bocca dei suoi critici, obbligandolo a rispondervi (3,1-8).170 Il brano è intessuto di obiezioni e risposte rapide, in realtà tratta un unico problema, vi­ sto nelle sue diverse sfaccettature: il privilegio teologico dei giudei e la connessa fedeltà di Dio alle promesse giurate ad Abramo e alla sua discendenza, fedeltà divina contro l'infedeltà umana che finisce per esaltarla, non porta forse a giustificare chi agisce iniquamente e a spingerlo a fare il male, comportamento che ridonda a maggior gloria di Dio?171 Si noti nel brano la triplice ricorrenza del periodo ipotetico di primo grado nei vv. 3.5.7: «Se alcuni sono stati infedeli l Se la nostra iniquità mette in rilievo la giustizia di Dio l Se per la mia menzogna la veracità di Dio viene aumentata a sua gloria». Le apo­ dosi in forma interrogativa presentano conclusioni che Paolo di­ chiara false. Non si tratta però di periodi semplicemente coordinati, dipendendo gli ultimi due dalla risposta al primo, cioè dall'afferrna­ zione che la fedeltà divina è innalzata al settimo cielo dall'infedeltà umana. Di fatto l'obiettore si appiglia a quanto ha detto Paolo per trame false deduzioni. Il primo interrogativo è conseguenza formale del dettato del c. 2 che insisteva sull'equiparazione di giudei e gentili. >, affermazione di­ mostrata ex Sacra Scriplura: . Sopra si è rilevato nei passi biblici citati, in specie nei vv. 9-12, il massimalismo delle affermazioni e negazioni: nessun giusto l tutti hanno peccato. «In 13-18 poi si mette in rilievo che il male ha invaso e corrotto la persona in ogni suo organo espressivo: la gola, la lingua, le labbra, la bocca, i piedi, gli occhi>>.184 I vv. 19-20 applicano espressamente la testimonianza biblica ai giudei che vivono nell'ambito della Legge, cioè delle Scritture: de­ vono convincersi che insieme con i gentili formano un mondo in stato d'accusa (hypodikos) presso il tribunale di Dio, privo di ogni possibilità di farsi valere davanti a lui accampando magari posizioni di privilegio ereditario («perché sia tappata ogni bocca>>) (v. 1 9). La tesi basata sulla Scrittura viene ora motivata da un principio teolo­ gico di applicazione universale, a sua volta provato da una tesi pari­ menti generale: «poiché nessuno sarà giustificato (dikaiothésetai) da­ vanti a lui per le opere della legge (ex ergon nomou);1.s mediante la legge (dia nomou) si ha infatti la conoscenza del peccato (epignosis hamartias)>> (v. 20). Il principio universale esclude che le opere della legge, cioè le azioni umane ottemperanti ai dettami della legge mo­ saica e non solo i markers identity circoncisione, riposo sabatico e -

,.., Fitzmyer traduce: «Qual è allora la situazione?». 1111 Ou pant6s è tradotto anche con «per nulla��t«niente affatto», ma in maniera scorretta. 1112 L'unico passo precedente propriamente universalistico in materia è 3,4: «ogni uomo è menzognero». "' Allra originalità paolina del v. 9 rispetto al detlato precedente: gli uomini non solo commettono i peccati. ma anche sono vittime del peccato, potenza schiavistica che. penetrata nella profondità del cuore dell"uomo. ne pregiudica le scelle, come si vedrà nell'analisi dei cc. 5-8. Cf. in proposito R. PENNA, «Apocalittica enochica in s. Paolo: il concetto di peccato», in R. PENNA (a cura di), Apocalittica e origini cri.rtiane, in Ricerche storico-bibliche 7(1995)2. 61-84. ,.. BARDAGLIO, «Alla chiesa di Roma•. 253. '" Paolo qui fa riferimento a Sal 142,2 LXX con l'aggiunta da parte sua di «in forza delle opere della legge•. Ecco il testo vt: ou dikai6thesetai en6pion sou pas z6n.

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norme alimentari restrittive - con cui il giudeo sociologicamente si differenzia dai gentili, come ritiene Dunn,'"" siano una via pratica­ bile per essere in retto rapporto con Dio. Tale massimalistica esclu­ sione trova la sua ragione nella funzione attribuita da Paolo alla legge mosaica: non sbarramento all'invasione del peccato,11!7 ma strumento attraverso cui la potenza del peccato viene sperimentata personalmente."'" Attribuiamo al termine >. Inoltre nel legame stretto tra giustizia di Dio l giustificazione dell'uomo e fede è la fede in Cristo a essere sot­ tolineata, elemento originale della teologia paolina rispetto alla tra­ dizione giudaica che parlava di fedeltà alla legge mosaica. Già nel nostro brano al v. 22 si parla di giustizia di Dio «per tutti quelli che credono>> (v. 22)193 e ai vv. 28-30 la giustificazione mediante (la) fede (pistei l dia téspiste6s) o «per fede>> (ek piste6s) è opposta alla giusti­ ficazione per «le opere della legge>>, due atteggiamenti propri dell'uomo. La stessa antitesi appare centrale nella rilettura paolina di Abramo nel c. 4: contrapposizione tra «per le opere>> (ex ergon) e fede, con specificazione di «al di fuori delle opere>> (vv. 2-6).194 In 9,32 le due formule «per fede>> (ek piste6s) e «per le opere>> (ex er­ g6n) sono antiteticamente accostate.195 In 10,4 infine Gesù è dichia­ rato «fine della legge>> allo scopo di aprire la giustificazione «a chiunque crede>>.196 Rispetto sempre al tenore della tesi di 1 , 1 7 Paolo sottolinea qui l'esclusione della legge e delle sue opere (ch6ris nomou l ch6ris er­ g6n nomou) (vv. 21 e 28), già anticipata per la verità in 3,20. Ora però le escluse osservanze della legge mosaica si estendono anche alla pratica cultuale, esattamente al rito espiatorio, se Paolo attribui­ sce a Cristo la qualifica di «Strumento di espiazione>> (hilastérion). Il perdono dei peccati o la purificazione dai peccati si ha attraverso la

'" Specifica. a nostro parere, il «mediante la fede in Gesù Cristo•, che precede. L'altra lettura vi si basa per dire che le due espressioni si riferiscono a realtà diverse: fedeltà del nazareno e fede umana. '"' Vedi poi in 4. 11 .13 la formula significativa. sempre riferita ad Abramo, di •giustificazione di fede• (dikaiosynè pisceos) . In 4,1 1 inoltre si mette in parallelismo la fede del patriarca e quella cristiana dei gentili presente in persone ugualmente incir­ concise (en tè-i akrobyscia-i l di'akrobyscim). t9S L'opposizione è continuata sul filo di testimonianze scritturistiche nei vv.

5-10. 196 ALEITI intende andare oltre la contrapposizione di genitivo soggettivo e geni· livo oggettivo e parla di genitivo di qualificazione: fede in Dio che si è rivelato defini­ tivamente in Gesù (Commenc Dieu est·il jusre?, 94-98). Anche i commenti di Wilc· kens, Moo e Dunn sono per il genitivo oggettivo.

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sua morte salvifica e solo in forza di questo «Sacramento>>, con esclu­ sione dello strumento sacrificale previsto dalla legge mosaica. L'an­ titesi fede-opere della legge dunque è doppiata da quella corrispon­ dente Cristo-Kippur. Inoltre il riferimento alla singola testimonianza scritturistica di Ab 2,4 di l ,17 è ripreso nella formula più generale > (v. 26); una conferma della valenza soggettiva del genitivo «di Dio>>: si tratta della sua azione giustificatrice, non di una sua statica proprietà es­ senziale.

197 Altra lettura: oggetto di confenna non è la Legge come Scrittura, bensl come codice nonnativo che Paolo confermerebbe neUa sua oggettiva esigenza. Così per es. VALENTINI, •La giustizia di Dio», 459s e soprattutto HOBNER, La legge in Paolo. 239ss. '"' Charis è qui il gesto attivo di Dio, non il dono divinamente fatto agli uomini. Cf. sul tema paolino generale H. CoNZELMANN, in GLNT XV, 58lss. 199 Si noti l'accostamento dcJI'avverbio d6rean al sostantivo chariti: l'accentua­ zione è evidente anche solo dal punto di vista terminologico.

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Lasr but not leasr, il disvelamento (pephanerotai) attuativo della giustizia divina in Cristo fa in modo che tale gesto salvifico di Dio sia manifestato e messo sotto gli occhi dei credenti. Lo esprimono in chiusura di brano le due formule tra loro identiche: (vv. 25-26). Gesù crocifisso > mentre Paolo di solito parla di «CrOCe». Ma oggi si è più cauti, come dice per es. CAMPBELL, The Rhetoric of Righreousness, 57: deve essere abbandonata l'ipotesi di una citazione o interpolazione di 24-26a. mentre ammet­ tiamo che la terminologia di Paolo sia stata influenzata dalla chiesa primitiva. 216 Il verbo kauchaomai ricorre 30 volte nel NT e di queste solo quattro sono estranee alle lettere paoline autentiche (3 in Gc e l in Ef); la percentuale è ancora più alta nei sostantivi kauch�sis e kauchima: 22 volte in tutto e 20 in Paolo. 217 Theologie des NT, 242-243 e GLNT V, 289ss. 218 Cf. J. LAMBRECHT, «Why Is Boasting Excluded? A Note on Rom 3,27 and 4,2•, in Pau/ine Studies, Leuven 1994, 27-31, soprattutto THOMPSON, «Paul's Double Critique of Jewish Boasting•.

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ordinamento (dia poiou nomou)? Delle opere? No, ma in nome del­ l'ordinamento della· fede (dia nomou pisteos)>> (v. 27) .219 Questa, unica, universale ed esclusiva via alla giustificazione di , di cui però s'è già detto sopra. E ciò vale anche dell'obiezione dell'abrogatio legis e della risposta generale di Paolo che dice di sta­ bilirla invece, distinguendo i due significati di >, anche perché criticamente in­ certo. 231 A parte la formula interrogativa, ricorrente spesso in Rm (3.5; 6,1; 7,7; 8,31; cf. in seconda persona singolare 9,14.19.30; 1 1 ,19), non è precisato l'oggetto del trovare. 232 Delle diverse supposizioni la prima sottintende «grazia>> leggendovi un implicito riferimento a Gen 18,3, dove per avvalorare la sua richiesta al Signore Abramo si presenta così: «se ho trovato grazia ai tuoi occhi>>. m Ma non è mai ci­ tato da Paolo e neppure l'espressione ricorre nel suo dettato. La se­ conda ipotesi sottintende la giustizia, menzionata subito dopo nella citazione di Gen 15,6, e mi sembra più vicina al testo, purché si pre­ cisi: si tratta di una giustizia ottenuta per fede, non in forza delle opere, con esclusione dunque del vanto. In questa direzione spinge il v. 2 introdotto da un «infatti», che motiva la risposta negativa impli­ cita nell'interrogativo: Abramo non ha trovato motivo alcuno di vanto, perché, teste la Scrittura, fu giustificato da credente, non come «chi compie opere>>. In questo secondo caso avrebbe avuto di che vantarsi (kauchéma). Ma così non è avvenuto; dunque nessun vanto davanti a Dio.234 230 Su questo aspello, non sen>a unilateralità, insiste HA vs. •A reconsideration of Rom 4:1». 231 Il cod. Vaticano tralascia l'infinito heurékenai facilitando il testo: «Che cosa dun�ue diremo di Abramo. .. ». " Hays ha risolto il problema proponendo una diversa punteggiatura: •Che cosa diremo? Abbiamo trovato Abramo (essere) nostro padre secondo la carne?•. Ma il suo tentativo non ha avuto fortuna. DJ Così per primo Michel nel suo commento. "' Il procedimento logico è un entimema (enthymèmè), cioè un sillogismo abbre-

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Nella lettura di Paolo la citazione di Gen 15,6, introdotta dalla formula tipica: > (v. 14). Si aggiunga la destinazione universale, giudei e parimenti gentili, ed avremo un parallelismo perfetto tra 1-8 e 1 1 -1 2 da parte e 13-17 dall'altra: «Si di­ venta eredi (kleronomoi)156 per la fede (ek piste6s), affinché ciò av­ venga per grazia (kata charin) e la promessa resti in vigore per tutti i discendenti (panti t6-i spermati), non solo a quelli che vivono della legge (ek tou nomou), ma anche a coloro che vivono della fede (ek piste6s) di Abramo, padre di noi tutti>> (v. 16). 257 «La fede... fa sì che sia conservato ai beni promessi il loro carattere gratuito e non sia tolta alla promessa la sua destinazione universalistica. Se fosse le­ gata alla legge, varrebbe solo dei giudei e taglierebbe fuori i pa­ gani>>.158 È universalismo testimoniato scritturisticamente da Gen 17,5: «Come sta scritto: Ti ho costituito padre di molti popoli (poll6n ethn6n),259 di fronte a quel Dio in cui credette (episteusen), il quale dà la vita (z6opoiountos) ai morti e chiama ad esistere l'inesistente (kai kalountos ta me onta h6s onta)>> (v. 17). Un passo che specifica in chi abbia creduto Abramo. Più di un testo giudaico e biblico di­ cono che ci troviamo davanti a formule tradizionali.260 256 Cosi specifichiamo il pronome dimostrativo neutro «queslo)!l con cui inizia il periodo paolino. "' Anche per il concetto di discendenza (sperma) Rm 4 si differenzia in parte da Gal: questa vi vede anzitutto il discendente Cristo (sperma al singolare), e per unione a lui i credenti; quella invece legge sperma come un singolare collettivo. È comune in­ vece alle due lettere che la radice per essere discendenti o figli spirituali di Abramo è la fede. 258 BARBAGLIO, «Alla chiesa di Roma», 284. 259 Se polla o panta ethn€ in Gal (3,8.14) è inteso in rapporto ai gentili, qui vale della moltitudine dei popoli, giudei e gentili. Invece Fitzmyer l'intende solo dei gen­ tili. ""' La seconda delle 18 Benedizioni suona in questi termini: •Benedetto sii tu, JHWH, che dai la vita ai morti». In Giuseppe e Asenet 8,9 leggiamo: •Signore Dio di mio padre Israele, altissimo e forte Dio, che tutto vivifichi (ho zòopoiesas ta punta) e chiami dalle tenebre alla luce. e dall'errore alla verità, c dalla morte alla vita•. Vedi anche nello stesso scritto 20,7: edoxan ton theon ton z.Oopoiounta tous nekrous (glori­ ficarono Dio che vivifica i morti). Baruc siriaco 21,4 esclama: •O tu, quegli che ha fatto la terra..., che ha chiamato (fin) dal principio quel che ancora non era•; ma an-

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Una prova ad hominem dell'esclusione della legge è stata nel frattempo avanzata: essa ottiene il contrario. E qui Paolo ne pre­ senta una valutazione assai negativa: «perché la legge produce la col­ lera divina (orgen). Ma dove non c'è legge non c'è neppure trasgres­ sione (parabasis)» (v. 15). In breve, è fonte di peccati e di conse­ guenza porta alla condanna eterna. Il dettato di Paolo si presenta as­ sai conciso e può essere inteso solo quando più avanti egli ne tratterà ex professo e non en passant come qui. Per questo rimandiamo il let­ tore all'analisi del c. 7. Il rapporto stretto tra promessa e fede è sviluppato, sempre nel caso paradigmatico di Abramo, nei vv. 18-22, anche se spesso si dice che l'unità verte sulla fede esemplare del patriarca, fede da imitare. In realtà, Paolo vi sottolinea la profondità di speranza della fede di Abramo nel suo rapporto con un Dio che gli ha promesso una di­ scendenza numerosa da un figlio naturale. «Egli credette sperando contro ogni speranza (par'elpida ep 'elpidi) che sarebbe diventato pa­ dre di molti popoli secondo ciò che gli era stato detto: Così sarà la tua discendenza» (v. 18; cf. Gen 15,5). Nello studio citato J. Jeremias ha detto ottimamente: «In una situazione interamente senza spe­ ranza egli ha sperato sicuro del fatto suo».261 In concreto, > (vv. 192 1 ). «La situazione disperata in cui versava, invece di farlo vacillare e di precipitarlo nell'incredulità, fu stimolo efficace ad una fede in­ condizionata: si affidò alla parola di Dio, cioè alla sua potenza crea­ trice e risuscitatrice. In questo modo Io glorificò come creatore e su­ scitatore dei morti, appunto per quello che è>>. 26' «Perciò anche gli fu messa in conto (la fede] a giustizia>> (v. 22). Concludendo la lettura di Abramo Paolo ripete la citazione di Gen 15,6 che appena sopra ha connesso strettamente con Gen 15,4-5, la promessa di un figlio naturale e di una discendenza numerosissima. Il binomio promessa-fede con la giustificazione come risultato, non disgiunto da eredità-discendenza, dà unità al brano 13-22, e per­ mette di evitarne una falsa lettura all'insegna dell'esemplarità mo­ rale di Abramo credente. A questo punto non resta a Paolo che esplicitare il fondo della sua argomentazione basata su Abramo, figura carica di destino per gli altri. (vv. 23-24a).2(,. E si specifica l'oggetto di questa fede cristiana: (pasa sarx: 3,20), «l'uomo» (3,28); «tutto il mondo>> (3,19), «la moltitudine dei popoli>> (4,17).27 1 Ora invece subentra, di regola/72 il «noi>> dei credenti che fanno esperienza della grazia di Dio, alternato al «VOi>>;273 ma vedi anche la presenza del vocativo «O fratelli>> (7 ,1.4; 8, 1 2). È il vissuto dei membri delle comunità cristiane ad essere oggetto della sua ri­ flessione teologica. Non per nulla già in chiusura dei cc. 1-4 era stato introdotto il «noi>> (4,23-25), a preparazione della nuova sezione. Non è però un placido fluire di parole, perché Paolo deve af­ frontare anche il problema delle false deduzioni tratte o traibili dalle sue tesi teologiche, come mostrano gli interrogativi di 6,1 .15; 7,7. Ha bisogno di spiegarsi e di respingere illazioni indebite e stra­ volgimenti gravi del suo pensiero, che in questo modo viene com­ pletato e precisato.

6.1 . Pace con Dio (5,1-11)

l

speranza della gloria

Bib/. G. BoRNKAMM, «Paulinische Anakolute im Romerbrief•. in D as Ende des Gesetzes, 78-80 (76-92): R. But.TMANN, «Adam und Christus nach R!lm 5•. in ZNW 50(1959), 145-165; G. HcLEWA , «Riconciliazione divina e speranza della gloria se­ condo Rom 5,1-11». in Teresianum 34(1983), 275-306; L. DE LoRENZl, «La speranza nostro vanto, Rom 5,2c•, in Glaube und Eschatologie (Fs W. G. Kiimme/), TUbingen 1 985, 165-188.

L'incipit del brano: «Giustificati dunque per fede>>, proposizione participiale ripresa in sostanza al v. 9: «giustificati ora per mezzo del suo sangue>>, mostra lo snodo nel dettato paolino: si tratta di conse­ guenze che Paolo intende trarre dalla precedente teologia della giu­ stificazione. Non è però pericope unita a quanto precede;274 l'apo­ stolo passa a una nuova fase della sua esposizione teologica, limitan-

271 Si aggiunga la formula •giudei e gentili•/«giudeo e greco• sottolineata sopra nel § l . 212 Una vistosa eccezione i n proposito è 5 , 1 2ss, dove campeggia di nuovo i l pro­ nome •lutti• (o anche la formula «i molti•). A parte poi si deve considerare 7,7ss in­ centrato in un «iO>> di non facile identificazione. "-' È attestata anche la seconda persona singolare, come in 8,2. 274 Così invece nel suo commento Dunn che vi scorge le prime conclusioni ri­ guardanti l'individuo (5,1-1 1 ) e l'umanità (5,12-2 1 ).

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dosi qui a descriverla nelle sue grandi linee con verbi al presente e al futuro. I primi indicano !"esperienza attuale dei credenti, beneficiari della giustizia divina: «abbiamo275 pace con Dio l abbiamo accesso27" a questo stato di grazia l ci gloriamo della speranza della gloria di Dio ... e nelle afflizioni l ci gloriamo in Dio» (vv. 1 .2.3.1 1).277 I secondi indicano il traguardo ultimo del processo salvifico: «Saremo salvati dal giudizio di condanna l saremo salvati mediante la sua vita» (vv. 9.10). E qui si aggiunga la presenza del sostantivo >, ma anche la proposi­ zione finale che parla di riconciliazione ricevuta grazie a Cristo (v. 1 1). E questa consiste negativamente nel superamento dello stato d'inimicizia con Dio caratterizzante il passato di peccatori dei cre­ denti, superamento dovuto all'iniziativa divina: «essendo noi nemici, siamo stati riconciliati a Dio (per opera sua)>> (v. 10). Non appaia inutile ripetere quanto è stato detto a commento di 2Cor 5,18ss: per Paolo la riconciliazione con Dio non vuoi dire ammansire il dio irato; cosi era per la religione romana con la sua tipica esigenza del placare deos.279 La rottura di rapporti da sanare è quella compiuta dall'uomo, non da Dio, che entra nel processo riconciliativo attiva­ mente: è lui che riconcilia a sé l'uomo superandone, con intervento efficace di grazia, I'inimicizia. 280 Rispetto alla categoria originariamente giuridica di giustifica­ zione Paolo ne usa ora due di marca interpersonalistica: in pace con Dio, riconciliati con lui. Il fatto testimonia la sua versatilità di teo­ logo, che mette in atto più di un registro categoriale per esprimere la ricchezza del vangelo, ma anche la sua originale creatività, se è vero che la teologia della riconciliazione nel NT201 ne porta l'impronta e "" ORAZIO, Carminll 2,14: placare Plutona tauri.s; Lrv1o 8,33,7: preces... deorum iras placant; CICERONE, Dt! legibus 2.22: impila ne audeto placare donis iram deorum. Cf. H. KLEINKNECHT, in GLNT VIII, 1094-1 103. "" Anche per la bibliografia sul tema rimandiamo alla presentazione di 2Cor 5,18ss.

''" Apparirà ancora nelle lettere pseudepigraficbe Col e Ef.

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la sua lettura del motivo è toto coelo diversa dal tema analogo della letteratura classica.282 Paolo nel v. 2 definisce la nuova situazione spirituale del giustifi­ cato in pace con Dio in termini di grazia, intesa però qui in senso passivo: (v. 2b). La speranza, apertura del credente a un futuro esaltante di trasfigurazione per opera di Dio, è qui vista come il fondamento su cui poggia il giustificato (ep'elpidi) per vantarsi ed essere fiducioso.285 «Non solo, ma ci gloriamo anche nelle afflizioni (en tais thlipsesin), sapendo (eidotes) che l'afflizione produce costanza (hypomone), la costanza fedeltà collaudata (do­ kime), la fedeltà collaudata speranza>> (vv. 3-4). Non si pensi, vuoi dire Paolo, a un'esaltazione di folli in fuga da questo mondo e dalle avversità che lo contraddistingono.286 «Il giustificato non è messo al riparo dalle contraddizioni che dilacerano la storia e l'esistenza delle persone. Non è un fortunato esule che vive su un'isola felice. Resta invece sul campo di battaglia in cui le forze del male e della distru­ zione si battono ancora con pericolosità, ma è sorretto da fiduciosa sicurezza. Perché possiede la coscienza di fede che la lotta apre a

"" Cf. C. BREYTENBAcH, «Versohnung, Stellvertretung und SUhne•, in NTS 39(1993), 59-79: J. DuPONT, La Réconciliation dans la chéo/ogie de Saint Pau/, Bruges­ Paris 1953, che rileva come la giustificazione, liberazione dal dominio del peccato. sia il presupposto della riconciliazione. '"J H. CoNZELMANN, in GLNT XV, 586 dice: •Qui appare la connessione fra la grazia come evento e la grazia come possesso o "stato" (Rom. 5,2)•. "" Su questo tema insiste Wilckens che ne fa il titolo della pericope: •Il gloriarsi dei peccatori giustificati•. '" In Fil 3,3 kauchaomai e peirho (sono fiducioso) sono abbinati. Sul tema vedi R. BuLTMANN, in GLNT V, 289-312 e Srtco, Note di lessicografw neoteslamenUiria, l, 874-883. ""' Il termine thlipsis ha connotazione apocalittica: indica le difficoltà cui i fedeli sono esposti nell'attuale trapasso dal vecchio al nuovo mondo. Cf. in generale IovtNo, Chiesa e tribolazione.

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sbocchi positivi. Anzi, proprio per questa sua consapevolezza di cre­ dente non è dimissionario, ma si batte con costanza, affrontando le inevitabili prove, fedele al suo schieramento dalla parte del fronte delle forze della vita. La speranza non si riduce a ottimismo facile, tanto meno a pigra evasione dal presente o a vile fuga. È invece fidu­ ciosa e attiva presenza nel mondo, nonostante tutt0>>.287 Andar fieri delle avversità non è masochismo, ma consapevolezza della possibi­ lità di un'attiva resistenza, che fa del credente un abilitato nella prova (dokimos), con la prospettiva del traguardo della salvezza. Non si pensi però a una vita eroica, esaltata dal mondo greco nella «Virtù>> dell'andreia (virilità ed eroicità), perché qui tutto è dovuto all'azione di Dio mediata da Cristo, come appare nella formula con­ clusiva: «ci gloriamo in Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cri­ sto>> (v. 1 1). «Ma non sarà tutto un'illusione, un miraggio? Il cristiano non so­ miglia per caso ad un donchisciotte ridicolo e ingenuo? Con forza l'apostolo dice: "La speranza poi non delude". Esclude dunque che il giustificato possa andare incontro a vergognose smentite>>288 nel giudizio ultimo. Perché l'amore di Dio, il suo amore, ha invaso il no­ stro intimo (v. 5).289 Non si tratta del dolce sentimento di essere amati da lui, ma del suo gesto di donazione dello Spirito, principio attivo e creativo nel credente di quel futuro sperato ma anche antici­ pato, sia pure parzialmente, se è vero che in 8,23 Paolo lo definisce primizia (aparche) e in 2Cor 1 ,22; 5,5 caparra (arrab6n). La speranza cristiana dunque non sarà smentita perché, !ungi dall'essere vuota attesa, utopia sognatrice priva di qualsiasi fondato motivo, è espe­ rienza di un reale anticipo della pienezza attesa.290 «In breve, si tocca qui il vertice del Dio-per-noi che caratterizza il lieto annunzio cri­ stiano. E se il pensiero umano ne resta sbalordito e incredulo, la fede ne costituisce invece la piena accettazione. In questa prospettiva si può sperare senza timori di andare incontro a delusioni cocenti e amare».291 Nei due versetti finali Paolo chiarisce la fondatezza della spe­ ranza cristiana. La distanza tra la giustificazione ottenuta e la sal-

«Alla chiesa di Roma•, 294s. •Alla chiesa di Roma•. 295. "" Il verbo greco qui usato, ekchyei n (effondere), è spesso usato nei LXX e nel NT �r indicare il dono dello Spirito (Zc 12.10; At 2,1 7-18; 2,33; 10,45; Tt 3,6). Nel c. 8 Paolo svilupperà tutto questo. "' BARBAGLio, •Alla chiesa di Roma•, 296. "" BARBAGLIO, ""' BARBAGLIO,

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vezza futura è minore di quella che separava il peccatore dallo stato di grazia in cui ora vive. La continuità tra presente e futuro, affer­ mata con un a fortiori, non deve essere scambiata per una dinamica immanente ed evoluzionistica, essendo il legame assicurato da Dio; c'è continuità in lui, fedele a se stesso, alla direzione del suo agire e alle linee del suo progetto.

6.2. «Mediante il Signore nostro Gesù Cristo» (5,12-21) Bib/. Bo RN KA MM, •Paulinische Anakolute i m Rllmerbrief•. 80-90 (76-92); BRAN· OENBURGER, Adam rmd Christus; R. BuLTMANN, •Adam und Christus nach R!lm 5», in ZNW 50(1959), 145-165; M.R. Cossv, •Paul's Persuasive Language in Romans 5,, in Fs G.A. Kennedy, 209-226; T. ENGBERG·PEOERSEN, •Galatians in Romans 5·8 and Paul's Const ruction of the Identity of Christ Believers», in Fs L. Hart man, Osio 1995. 477-505; P. GRELOT, •Pour une lecture de Romains 5,12-21», in NRT 116(1994), 495· 512; O. HoFJUS, •Die Adam-Christus-Antithese und das GesetZ>>, in DUNN (a cura di), Pau/ and t he Mosaic Law. 165-206; S. Lvo NNET, «il peccato originale (Rm V),, in La storia del la salv ezza, 65-95; lo., •La problématique du peché origine! dans le NT», in Il mito dell a pena, Roma 1967, 101-108; MoNTAGNINI, Rom 5,12-14 all a luce del dialogo rabbinico; PENN A. •Apocalillica enochica in s. Paolo: il concetto di peccato»; B. RosSI. •Cristo nuovo Adamo (Rm 5,12-21)», in SACCHI el al., Lettere pao/ine e altre lertere. 463-476; R. SCHNACKENBURG, «Die Adam-Christus-Typologie (Rilm 5,12-21) als Vo­ raussetzungen fUr das Taufverstiindnis in Rom 6,1-14», in DE LoRENZI (a cura di). Battesimo e giustizitl in Rom 6 e 8, 37-55 (Discussion: pp. 55-81); U. VANNI, •L'analisi letteraria del contesto di Rm V,12·21», in Riv Bib 11(1963), 1 15-144; Io., •Rm V,12-14 alla luce del contesto•, ibid. 337-366.

L'incipit del brano «Perciò» lo collega strettamente a quanto precede, a 5,1-1 1 , di cui si presenta come conseguenza e dedu­ zione.292 In che senso? Se è vero quanto Paolo ha detto sopra della situazione di pace con Dio e di apertura alla futura salvezza dei cre­ denti, vuoi dire che sono stati riscattati dalle forze del peccato e della morte e inseriti nello spazio della grazia e della vita. E lo devono a Cristo, fattore decisivo di svolta non solo nella loro esistenza ma an­ che nella storia. Non per nulla il >,29" cioè quello che influisce su questi per un legame di solidarietà. Così al v. 12 ab­ biamo le formule riferite ad Adamo ; nel v. 15 a e nel v. 19. 299 Per questo soltanto eccezionalmente ricorre il nome dei due prota­ gonisti, Adamo nel v. 14 (bis), e Gesù Cristo nei vv. 15.17, ma sem­ pre come specificazione di .300 > (v. 15): «il dono di grazia portò (sottinteso) alla giustificazione>> (v. 16); «Si giunse (sottinteso) alla giustizia che dà la vita>> (v. 18); «sovrabbondò la grazia>> (v. 20). Quindi il presente: «così per l'obbedienza di uno solo la moltitudine è costituita303 giusta>> (v. 19): «la grazia mediante la giustizia regni per la vita eterna>>. Infine il futuro del traguardo finale: «mediante il solo Gesù Cristo regneranno nella vita» (v. 17); al presente regna la grazia «in vista (eis) della vita eterna>> (v. 21). Paolo guarda la storia dall'angolo di visuale del credente che, beneficiario di una vita di CO· munione con Dio e in possesso di una fondata speranza (5,1-11 ), può guardare indietro al suo passato tenebroso, parte di un mondo desti­ nato alla rovina, da cui ha ottenuto liberazione per grazia e in virtù di Cristo. Non è però uno schema meccanico e Paolo si dimostra lontano «dalla concezione del mito gnostico che guardava all'umanità come a una massa di vittime ignare e incolpevoli di un tragico destino ori­ ginario» ?04 Egli non considera passivi coloro sui quali influiscono Adamo e Cristo. Così nel v. 12 alla causalità adamitica abbina la de"' BARBAGLIO, •Alla chiesa di Roma•. 302s. Cf. VANNI, «L'analisi letteraria». 142·143. 302 Cf. •il peccato entrò nel mondo /la morte dilagò /la morte regnò /la moltitu­ dine umana andò incontro alla morte l il giudizio portò alla condanna /la morte regnò l si giunse alla condanna per tutti gli uomini /la moltitudine umana fu costituita pec­ catrice l proliferò il peccato l il peccato regnò per la morte•. JOJ Il futuro katasthésontai ha valore logico. 304 BARBAGLIO, •Alla chiesa di Roma•, 303.

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cisione negativa di tutti gli uomini: «mediante un solo uomo il pec­ cato (he hamartia) entrò nel mondo305 e tramite il peccato la morte, e così la morte dilagò su tutti gli uomini in quanto (eph'h6-i) tutti pec­ carono (hemarton)». L'umanità ha solidarizzato con il suo caposti­ pite nel peccare. Possiamo citare in proposito un testo giudaico di analogo orientamento: «Giacché, se il primo Adamo ha peccato e ha portato la morte·""' su quelli che ancora non erano, tuttavia di quelli che son nati da lui ciascuno ha preparato alla propria anima i sup­ plizi futuri e ciascuno ha scelto le glorie future ... Perché Adamo non è stato causa per sé soltanto, ma in quanto a noi tutti, ciascuno è per se stesso Adamo>> (2 Baruc 54,15.19). In realtà, Paolo mette in campo una duplice causalità a spiegazione della situazione negativa: l'azione influente di uno, la presa di posizione peccaminosa di tutti. Ma non si cura di esplicitare in che rapporto stanno, se di coordina­ zione delle due, o di subordinazione della seconda alla prima. Una scelta in parte dipende dalla lettura della formula greca su accen­ nata. È esclusa l'interpretazione tradizionale di Agostino che vi leg­ geva un pronome relativo riferito ad Adamo e l'esplicita dottrina del peccato originale nel senso di non personale: .307 Inoltre se ne riconosce il valore causale, ma si discute se esprima una causalità secondaria rispetto a quella principale indi­ cata nella formula «mediante un solo uomo>>, come ha ipotizzato Lyonnet, oppure indichi una più generale causa: «perché>>.308 In ogni modo, dalla lettura del testo paolino emerge che è il peccato di Adamo (peccato originario), fonte di peccato e quindi di morte nel mondo, a spiegare che tutti procurandosi così un de­ stino di morte eterna, morte entrata nel mondo a causa del peccato, a sua volta immesso nel mondo «mediante un solo uomo».309

"" Indica il mondo creato, non l'umanità. 306 Non dice che ha portato il peccato. .lU7 Dopo aver escluso che in quo possa riferirsi a morte, AoosnNo afferma: re­ ,·t at, 111 in il/o primo homine peccas se omnes intelligantur (Contra duas episrolas Pela­ gianorllm 4,4,7) . .., Opinione questa largamente sostenuta: cf. per es. BRANDENBURGER, Adam tmd Clr ris t11s . 171 e i commenti di K�semann (138) e di Schlier (162). Da parte sua MoNTAGNINI, Rom 5,12-14 alla luce del dialogo rabbi nico, 65 interpreta così: •ecco perché•, •è per questo che». J09 Così lo studio di Hofius e il commento di Wilckens. Quest'ultimo, opponen­ dosi all'opinione della presenza del peccato originale nel nostro passo e dunque della diversità tra peccato singolo di Adamo, peccato originale di tutti i discendenti e pec­ cati degli uomini, dice: «hè hamartia comprende ogni peccare dall'inizio in poi ... , come peccato del mondo o dell'umanità, hema rton ogni singolo peccare, che, in

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Ancor più fortemente accentuata è la solidarietà personale con Cristo: . Analogamente in lCor 15,45.47 Paolo aveva parlato di > (6,9-10). Per i credenti vale un'analoga definitorietà: la con-crocifissione dell'uomo vecchio, che siamo noi, con Cristo ha fatto sì che «non fossimo più (meketi) schiavi del peccato>> (6,6). È un «non più» che rende imposm Ne è segno il caratteristico syn paolino prefisso dei verbi del morire e vivere (o essere risuscitato), appunto di un morire ed essere risuscitato partecipando alla morte e risurrezione di Cristo. 330 Di symphyt oi rileva PENNA, �Battesimo e partecipazione alla morte di Cristo in Rom 6,1 - 1 1 », 162: «è aggellivo verbale di symphyein (''far crescere insieme, unire. fondere": non da symphyteuein, "compiantare, innestare") e significa "congenito. connaturale"•· E subito dopo: • . . .bisogna intendere il complemento seguente non come un dat ivu.s sociat ivu.s ma come un dat ivu.s instrument i vel causae>>.

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sibile un (6,2). Si aggiungano altri due passi in cui la semplice negativa equivale in realtà a : (6,14); la liberazione elimina la servitù attiva alla legge mosaica: «per poter servire Dio nell'ordine nuovo dello Spirito e non (ou) in quello vecchio della legge scritta>> (7,6). La schiavitù sotto il peccato e la legge scritta infatti ha contras­ segnato il passato del «noi>> che qui si riferisce a Paolo e ai giudeo­ cristiani di Roma. Ritornare a quel passato sarebbe un anacronismo, come rileva Schlier nel suo commento (p. 201). Possibilità incom­ prensibile e anacronistica, ma pur sempre reale: i credenti possono ritornare al passato, fare l'antiesodo. A differenza di Cristo morto e risorto, la morte dei credenti al peccato non è stata semplicemente «Una volta per sempre».331 La definitività qui è di natura esigitiva, sta nel seno della responsabilità umana, come mostra 6,12: «il peccato non (mé) regni nel vostro corpo mortale>>. Questo spiega la presenza importante dell'imperativo: «Così an­ che voi consideratevi332 morti al peccato ma viventi per Dio in Cristo GesÙ>> (6,11); «Il peccato non regni nel vostro corpo mortale l né presentate al peccato le vostre membra quali armi per l'iniquità l presentate invece a Dio voi stessi come viventi>> (6,12-13); «così ora presentatele [le vostre membra] schiave della giustizia per la santifi­ cazione>> (6,19). Ma il tema della nuova responsabilità operativa per i morti al peccato e alla legge mosaica si manifesta anche al di là de­ gli imperativi. È (moralmente) impossibile «ancora viverci>>, nel pec­ cato (6,2). La partecipazione alla risurrezione di Cristo apre la porta al «camminare in vita nuova>> (6,4).333 «Non sia mai>> che ci mettiamo a peccare essendo non sotto la legge, ma sotto la grazia>> (6,15). L'immagine poi dei frutti indica l'operare nuovo del credente (6,21-22 e 7,4-5); ma si veda anche il connesso motivo della santifica­ zione (hagiasmos) in 6,19 e il tema del «Servire>> Dio in forza dello Spirito e non in ottemperanza alla legge scritta (7,6). '" �Paolo dice che essi [i credenti] sono morti al Peccato, non che il Peccato è morto. È potenza sempre temibile e minacciosa. Il dominio perduto può essere ricon­ quistato. Detronizzato, esso opera per risalire sul trono. L'immagine del re sposses­ sato ma impegnato a riconquistare il potere è nel testo paolina: "Dunque il Peccato non regni più" (v. 12)» (BARDAGLIO, «Alla chiesa di Roma», 328). "' È un'autogiudizio di fede implicante, secondo il contesto, coerenza di vita pratica. m Nota ottimamente Wilckens a commento della proposizione finale di 6,4b che vi è contenuto un momento imperativo: apertoci uno spazio di nuova realtà di vita, dobbiamo adeguarvi la nostra condotta (Il, 12-13).

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Del resto, proprio su questo piano operativo si collocavano le obiezioni o false deduzioni dei critici e Paolo non può che giocare in campo altrui, se vuole essere convincente nelle risposte. È chiamato a mostrare che la sua teologia fonda e giustifica una responsabilità morale del giustificato conseguente all'evento di liberazione per so· lidarietà con Cristo, dunque interna allo spazio della grazia divina. In questo senso si parla di stretto rapporto tra indicativo e impera­ tivo, quello fonte di questo e questo conseguente a quello. Paolo lo precisa più volte: distruzione del nostro vecchio uomo (6,6); la morte dei credenti alla legge fa sì che appartengano a Cristo al fine (hina) di portare frutti per Dio (7,4); essi sono stati liberati così (héiste) da servire Dio nell'ordine nuovo dello Spirito (7,6). Il centro della risposta di Paolo sta in una fondamentale ripetuta affermazione: i credenti sono morti al peccato (6,2. 1 1 ) , sono stati li­ berati dal peccato (6,18.22); il vecchio uomo che erano fu crocifisso e distrutto (6,6);334 sono stati colpiti a morte ri­ guardo alla legge (7,4); morti alla legge scritta che li teneva prigio­ nieri, ne sono stati liberati (7,6).335 Detto altrimenti, non sono più

':w Questa espressione indica l'uomo. essere essenzialmente relazionale - questo dice in Paolo il vocabolo «Corpo» - , dominato dal peccato. Analoga espressione è presente in 7,24: f(corpo di morte». "' In 7,1-3 Paolo fa appello alla legge matrimoniale: una donna sposata è legata al marito e alla legge maritale della fedeltà finché questi vive, ma meno il marito ella diventa libera e può sposare legittimamente un altro uomo. La testimonianza che si può addurre in merito non viene dall'AT bensì dalla letteratura rabbinica: «essa ac­ quista la libenà con un libello di divo12io o con la mone del marito• (m.Qidd 1,1 ) . E prosegue: «Così anche voi. fratelli miei». È un paragone che l'apostolo presenta per evidenziare il suo pensiero soteriologico. Ora il tertium comparationis, cioè l'ele­ mento comune. è che dalla morte scaturisce la liberazione-da e la libertà-per: (cin fo12a del corpo di Cristo [corpo crocifisso ] siete stati messi a morte riguardo alla legge per appartenere ad un altro, a colui che fu risuscitato dal regno dei morti. in modo da penare frutti per Dio" (7.4). Un paragone che zoppica. perché nell 'exemplum è la morte fisica di un altro che libera, qui invece la morte «misterica» dello stesso interes­ sato, sia pure per effetto della mone di Cristo. Ma il paragone è solo un espediente dell'argomentazione teologica paolina per risultare convincente, paragone riferilo a una prassi ben nota agli interlocutori cui era familiare la legge mosaica in campo ma­ trimoniale: «Oppure ignorate, fratelli, - parlo a persone che sanno di legge - che la legge ha potere su li" uomo solo per la durata della sua vita?» (v. l ). Non sembra che si riferisca alla conoscenza del diritto romano; il vocabolo «legge• in proiezione giuri­ dica è la legge di Mosè. Nel suo commento invece Wilckens dice che non si tratta di tm paragone e fa leva sulla congiunzione h6sre con cui si apre il v. 4. In generale su 7.1-6 vedi lo studio di HELLHOLM, •Die argumentative Funktion von Romer 7 . 1 -6» che individua come funzione argomentativa del brano quella di «in­ trod uzione tematizz.ante a c:iò che segue», mentre la maniera di argomentare è la

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schiavi del peccato (6,6)336; sono liberi dal peccato (6,7);337 il peccato non domina più su di loro (6,14). Positivamente, sono viventi per Dio (6,11), viventi risaliti dal regno dei morti (6,13), sono diventati schiavi della giustizia e di Dio (6,18.22). E tutto questo è avvenuto per solidale partecipazione al destino di morte e risurrezione di Cri­ sto: sepolti con lui (synetaphemen) per la morte l uniti a lui (symphy­ toi) mediante la figura della sua morte l crocifissi con lui (synestau­ rothe) l morti con Cristo (apethanomen syn Christ6-i)» (6,4.5.6.8).338 Una solidarietà che in 6,3-4 è legata al rito battesimale, ma in seguito le affermazioni della profonda comunione dei credenti con Cristo morto e risorto non ne fanno più menzione. E anche altrove Paolo parla di solidarietà con la morte e risurrezione di Cristo senza men­ zionare il battesimo,339 dando così a intendere che essa si realizza an­ che al di fuori e, possiamo dire, soprattutto al di fuori, visto che i ri­ ferimenti al rito battesimale sono soltanto in Rm 6,3-4.340 In breve, la partecipazione all'evento di Cristo morto e risorto è propria della fede, peraltro non assente qui nel contesto del battesimo, come pos­ siamo leggere in 6,8: · 7 and 8, Louvain 1 992, 29-9 1 ; U. LurK, •Das Gute und das Bose in Romer 7•. in Fs R. Schnackenburg, Freiburg 1 989, 220-237; S. LvoNNET, • La tappe della storia della salvezza (Rom VII)•, in La storia della salvezza nella lettera ai Romani, 97-1 30; P. voN DF.R OsTEN - SAcKEN, •"lch elender Mensch ... ". Tod und Leben als Zentrum der paulinischen Theologie•. in Evangelium und Tora. Aufs/Jtze zu Pau­ lus, MUnchen 1987, 80-102; SANDERS, Paolo, la legge e il popolo giudaico, 122-154; R. ScHNACKENBURG, ((ROmer 7 im Zusammenhang des ROmerbricfes•). in Jesus und Pau­ lus (Fs W.G. Kiimmel). Gottingen 1975. 283-300; Vou.ENWEIDI•R. Freiheit a/s neue Schopfung, 339ss: H. WEDER, •Gesetz und Siinde. Gedanken zu einem qualitativen Sprung im Dcnken des Paulus•. in NTS 31(1985). 357-376 Studi più generali sulla legge in Paolo: W.D. DAVIES, •Pau! and the Law. Reflcc­ tions on Pitfalls in lnterpretation•. in Pau/ and Pau/inism (Fs. C.K. Barrett), London 1 982, 4-16; T.L. DoNALDSON, •Zealot and Convert. The Origin of Paul's Christ-Torah Antithesis•, in CBQ 51(1989), 655-682; J.D.G. DuNN, •Works of the Law and the Curse of the Law (Galatians 3.10-14)•. in NTS 31(1985), 523-542: lo., •The New Per­ spective on Paul: Pau! and the Law», in DoNFRIED (a cura di), The Romans Debate, 299-308; J.D.G. DuNN (a cura di), Pau/ and the Mosaic Law, TUbingen 1996; DUNN. The Theo/ogy of Paul the Apostle. 128-161; K. FINSTERBUSCH, Die Thora als Lebens­ weisung ftir Heidenchristen. Studien zur Bedeutung der Thora fiir die paulinische Ethik, Gèlttingen 1996; R.B. HAYS, •Three Dramatic Roles: The Law in Romans 3-4•. in DuN N (a cura di), Pau/ and the Mosaic Law, 1 5 1 - 164: O. HoFIIJS, •Das Gesetz des Mose und das Gesetz Christi», in Paulusstudien, 50·74: H. HOBNER, La legge in Paolo. Paideia, Brescia 1995; J. LAMBRECHT, •La comprensione della legge in Paolo•. in K. cura di). Saggi esegetici su La legge nel Nuovo Testamento, Edizioni Pao­ line, Cinisello Balsamo (Milano) 1990, 82-120; H. LICHTENBERGER, •Paulus un d das KERTELGE (a

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L'interrogativo di 7,7 fa da Leitmotiv di tutto il brano, detto in termini retorici, costituisce, insieme con il successivo , una propositio che il seguito del brano s'incarica di provare.367 La do­ manda però si riallaccia immediatamente a 7,5: . Sia pure vista in un quadro più completo, la valutazione di Rm non appare poi così lontana dal giudizio più tagliente di Gal.374 Nell'economia della lettera dunque, non meno di 6.1-7,6, il nostro è un brano complementare al c. 5, svolgendo il ruolo di risposta a interrogativi là radicali, una risposta offerta alla luce dell'azione salvifica mediatrice di Cristo, liberatore dal peccato, dalla morte e anche dalla legge. Solo nel c. 8 Paolo ri­ prenderà, non senza richiami alle due unità precedenti, cioè 6,1-7,6 e 7,7-25, la breve descrizione della novità salvifica del noi dei cre­ denti (5,1-11), dono della grazia di Dio e di Cristo (5,12-21), per svi­ lupparla sulla direttrice dell'abitazione e animazione dello Spirito. A parte i motivi del peccato e della morte, che già in 5,12-21 e 6,1-7,6 avevano svolto un ruolo centrale e che qui continuano ad averlo, nel nostro brano grande importanza riveste il tema della cu­ pidigia (epithymia), legata strettamente a quello della carne (sarx ) , a sua volta incistata nel peccato. Invece in 7,6 l'antitesi spirito-legge scritta, abbinata a quella di nuovo-vecchio, sarà ripresa e sviluppata come antitesi spirito-carne nel c. 8, l'altra faccia della medaglia ri­ spetto al quadro dipinto in 7,7ss.m In ogni modo, tutto ruota attorno all'io, protagonista non solo del testo ma della storia che vi è narrata: nel rispondere alla domanda Paolo si sofferma sì sul rapporto legge e peccato, ma guardando all'impatto che quella e questo hanno sull'uomo.376 m Cf. invece Gal 3,19: •Perché allora la legge? Fu aggiunta in vista delle tra· sgressioni». "' Romer 7, t l. Dopo di lui così anche Bomkamm e Kasemann. '" HOBNER, La legge in Paolo, 150 invece accentua la diversità e rileva: «La legge è proprio soltanto la premessa necessaria (nel senso di conditio, non di causa!) per la possibilità di trasgressioni». Ma nel testo paolino, come abbiamo visto, è frequente la preposizione di causalità strumentale dia + gen. Anche Sanders accentua la diversità tra Gal e Rm, limitando però la novità di questa lettera al brano 7,14ss, anche se in 7,7- 1 3 era già espresso che Dio non ha dato la legge per condannare, ma a fini di vita. "' In proposito si noti il parallelismo delle due espressioni «il peccato che abita in me (hé oikousa en emoi hamartia)» (7.17.20), •lo Spirito di Dio abita in voi (pneuma theou oikei en hymin)» (8,9; cf. 8,1 1 ). "' BLANK, •Gesetz und Geist», 93: Paolo scarta una considerazione eggeuivante del male mettendo in primo piano la soggettività.

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È noto quanto sia discussa la sua identificazione.377 Chi vi legge un io individuale, l'io dello stesso Paolo prima della esperienza cri­ stiana o anche dopo, dunque un io autobiografico,'7" per non parlare di quanti fanno riferimento alla figura tipica dell'adolescente giudeo giunto all'età dell'obbligo dei precetti della legge (bar missw6t). Al­ tri si sono pronunciati per un io collettivo, l'io dell'uomo prima o al di fuori dell'incontro di fede con Cristo o anche l'io dell'uomo cri­ stiano.379 Si aggiunga l'ipotesi di quanti, come Lyonnet, vi vedono Adamo, vissuto nel giardino prima senza legge e poi alle prese con il comandamento divino. Per una scelta esegeticamente fondata è ne­ cessario raccogliere in sintesi quanto ne dice il testo. Anzitutto l'io ha alle spalle una storia divisa in due stagioni. cioè senza la legge e con la legge; nella prima aveva la vita, nella seconda il peccato si è vi­ talizzato (vv. 8-9). In questa che ha avuto inizio nel passato per poi stabilizzarsi come attesta il fatto che agli aoristi caratterizzanti 17-13 succedono in 14-25 i presenti, l'io è stato «venduto in potere del pec­ cato» (v. 14), che vi abita come padrone (vv. 17.20), rendendolo un essere corrotto («carnale>>) (vv. 14.18), in balia delle cupidigie (v. 8). destinato alla morte eterna (vv. 10.1 1 .13.24); il tutto strumentaliz­ zando la legge o il comandamento (vv. 8.1 1 . 13),380 grandezza per sé buona e santa (vv. 13.14). L'io però non è un essere totalmente finito e corrotto: tende al bene ma velleitaria mente, e fa il male, in breve è un soggetto scisso (vv. 14ss). Ma al grido disperato dell'io cosciente di non avere in sé le potenzialità per uscirne: «Me infelice! Chi mi li­ bererà dal mio corpo votato a questa morte?>> (v. 24) risponde il suo ringraziamento di uomo graziato: > (v. 12). La moltiplicazione degli aggettivi qualificativi appare pletorica;395 ma mostra la fermezza con cui è re­ spinta l'insinuazione dei suoi obiettori. La legge si contrappone al peccato come grandezza appartenente alla sfera di Dio e alla sua santità; questo dicono gli aggettivi suddetti?'" Senonché questo ampio riconoscimento unito alla riaffenna­ zione del ruolo negativo della legge ripropone, su versante comple­ mentare, il problema: >.400 Quella appartiene alla sfera di Dio: così interpretiamo l'aggettivo, che non ci sembra indicare una grandezza ricca e elargì· trice dello Spirito, come invece diversi ritengono.401 Se così fosse. non si capirebbe che Paolo l'abbia esclusa dal processo di giustifica­ zione, additandola a causa strumentale dei peccati e del destino di morte, asservita all'azione distruttiva del peccato. L'io precristiano dei giudeo-cristiani invece si definisce sulla base dell'appartenenza alla sfera del mondo umano e, in più, è schiavo del peccato.402 Ed è su questa seconda e peggiorativa identità dell'io che Paolo insiste. spiegandola in seguito come incomprensibile spaesamento e insana­ bile frattura tra il volere (thelein), impulso spontaneo e aspirazione profonda e non lucida deliberazione (in greco boulomai), e il fare (poieinlprasseinlkatergazesthai), l'uno in sintonia con la legge di Dio e l'altro invece in antitesi. L'io agisce controvoglia, facendo quanto la propria interiore tendenza rifiuta. «Infatti non capisco403 ciò che faccio: di fatto compio non quello che voglio, bensì quello che odio» (v. 15). L'oggetto del volere e quello del fare vengono subito preci­ sati in senso assiologico ed etico, evidenziando così il campo ogget­ tivo in cui la frattura si realizza: «volere il bene è a mia portata, non però il compierlo l non faccio il bene che voglio, ma compio proprio il male che non voglio l io che voglio fare il bene, è il male ad essere a mia portata>> (vv. 18b.19.20.21 ).404 L'io si rivela così un essere

400 A Qumran è atlestato: •lo sono stato proprietà della mone a causa dei miei peccati e le mie iniquità mi hanno venduto allo Sheol• ( I I QPs' 19,9-10; cit. nel com· mento di Fitzmyer. p. 474). 401 Per es. Schlier nel suo commento traduce geisterful/t e interpreta: legge •alli· vata dal pneuma. contenente il pneuma, auivante il pneuma» (p. 229). Così anche Dunn nel suo commento: è la legge associata strettamente allo Spirito (a.l.). 402 L'antitesi spirituale-carnale. con l'interpretazione del primo termine data so· pra. dice che il secondo elemento è da intendersi come appartenenza al mondo umano e creaturale, e che la successiva determinazione «venduto sotto il potere del peccato• aggiunge una qualifica soteriologicamente negativa. Oll L'io è un enigma anche per lui stesso. "" Non condivido la lellura di BuL TMANN. Der alte und der neue Mensch, che in· terpreta l'anelito al bene e il perseguimento del male non in termini etici, ma in senso transsoggetlivo: l'uomo al di fuori della sfera d'azione di Cristo tende mediante l• legge alla vita, ma giunge alla mone; manca il suo destino vero; il traguardo della su• esistenza è catastrofico. Lo seguono fedelmente LucK, •Das Gute und das Bose in Romer 7» e HOoNER, •Zur Hermeneutik von Rom 7•, mentre Wilckens per es. lo cri· tica, e a ragione. credo. È arduo negare la valenza operativa ed etica delle formule:

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impotente a tradurre in atto le sue positive aspirazioni, mentre le azioni che compie non sono veramente sue. È sollinteso che l'iden­ tità vera dell'uomo sta nel fare, non nel desiderare; di conseguenza l'autenticità e l'alienazione sono determinate rispettivamente dal fare il bene e fare il male, il bene desiderato e il male interiormente rifiutato. Ciò però è solo il presupposto dell'argomentazione paolina che mira a trarne due conseguenze. La prima: l'io dà così atto alla legge che è buona, perché prescrive quelle azioni buone a cui egli aspira (v. 16). La seconda, molto insistita: chi agisce non è l'io ma il pec­ cato: . La frattura è ora indicata nella presenza di due «leggi» antitetiche che vi lottano.407

praticare (prassein), tradurre in opera (kJJtergazesthai), fare (poiein) il bene/il male (kalon e agathonlkJJkon). "" Un passo parallelo nella letteratura latina è presente in Ov1o1o, Metamorfosi, 7,19-21 : trahit invitam nova vis, aliudque cupido, mens a/iud suadet: video meliora, proboque, deteriora sequor. Vedi anche EPITTETO, Dissertationes 2,26,4: ho thelei ou poiei kai ho mé thelei poiei (egli non fa ciò che desidera e fa ciò che non desidera). 406 « .. .designa la parte spirituale dell'uomo, l'uomo stesso in quanlo essere co­ sciell/e che pensa, vuole e seme• (J. BEHM. in GLNT III, 1 00 1 ). L'opposto è l'uomo esteriore (ho exo hémon amhrtJpos), formula attestata in 2Cor 4,16. 'lf1 «E una battaglia da cui l'io non può separarsi, perché l'io non è un estraneo

637

Inoltre, dal punto di vista antropologico, Paolo distingue qui duali­ sticamente nell'io umano l'intelligenza (nous) o anche l'uomo inte­ riore (ho eso anthropos) e le sue membra (mele).4011 La discussione però, come appare ovvio, si è incentrata piuttosto sulla valenza del termine greco nomos. Secondo una certa tendenza attuale, rappre­ sentata per es. da Wilckens,409 si pensa che il riferimento sia sempre alla legge mosaica, diversamente vissuta nell'uomo, ma una lettura attenta del dettato paolino sembra spingere a intendere il vocabolo ora in senso stretto ora in senso lato o anche improprio. Paolo sem­ bra voler giocare sulle parole. Soprattutto si rilevi che parla di , una formula che ritorna solo in 8,7, sempre nel contesto del­ l'obbedire al volere divino. La specificazione tende a non limitare alla legge mosaica la manifestazione della volontà esigitiva di Dio. In particolare, Paolo nel v. 21 rileva che l'io si trova ad essere retto dalla della dissociazione tra il volere il bene e il fare il male: è la sua situazione. Non sembra che si alluda a nessuna legge intesa in senso stretto. Poi invece parla dell'adesione dell'interiorità dell'io alla legge di Dio, cioè a quanto Dio esige dall'uomo, la quale ogget­ tivamente si identifica di certo con la legge mosaica, ma anche con il nomos agraphos, la legge scritta nei cuori di tutti gli uomini, per cui i gentili possono fare ciò che prescrive la normativa mosaica (ta tou nomou) (cf. 2,14-55). E questa consonanza tra l'io interiore o la sua mente (nous) e la legge divina è detta nel v. 23 «la legge della mia mente>>, dove il significato traslato di quel vocabolo appare chiaro.41" Potremmo dire che la mente dell'io si regola in modo da corrispon­ dere oggettivamente a quanto la legge di Dio prescrive: «legge•• della mente appare piuttosto la dinamica che la muove in conformità al volere di Dio. poi è direttamente antitetica a > l vocazione l giusti­ ficazione l glorificazione (vv. 28-30). Una speranza che non può de­ ludere essendo all'opera nel processo di salvezza , il cui amore è più forte di ogni forza contraria (vv. 31-19).

6.5.1. «Lo Spirito ti ha liberato dal peccato e dalla morte» (8,1-4) Venendo ora a leggere più da vicino il dettato paolino, si vede come la connessione di Rm 8 con quanto precede è espressa al v. l da due formule, l'una conclusiva, l'altra di tempo: «Dunque (ara) al presente (nyn) per quelli che sono in Cristo Gesù non c'è alcun mo­ tivo di condanna», affermazione giustificata al v. 2: lo Spirito ti ha li­ berato dal peccato e dalla morte. Più semplice sarebbe la lettura se si capovolgesse l'ordine: sei stato liberato, dunque non puoi finire sul banco dei condannati. E lo si è pure ipotizzato,427 ma senza alcuna base oggettiva di carattere testuale. In realtà, la conclusione del v. l rimanda all'indietro. Un possibile aggancio è con l'eucaristia di 7,25a, a sua volta collegata al drammatico interrogativo precedente: me infelice, chi mi libererà? Ringraziare Dio per la sua azione libe-

"' a. il commento di Michet, 644

188.

rante ha come conseguenza la salvezza del credente dal destino di condanna eterna, altrimenti inevitabile. Ma più probabilmente Paolo vuole riferirsi alla sezione 6,1-7,6 che ha in primo piano l'e­ vento salvifico: i credenti sono morti al peccato per solidarietà con Cristo e alla legge mediante il corpo di Cristo, «servendo» ora Dio nella novità dello Spirito, non secondo il vecchio metro della legge scritta. Ne consegue che sono stati strappati al loro destino di con­ danna eterna. Ma anche e soprattutto 5,12-21 appare sullo sfondo, in particolare i vv. 16 e 18 con il motivo della condanna fatta risalire al peccato di Adamo: il giudizio (to krima) portò alla condanna (eis ka­ takrima) l si giunse alla condanna (eis katakrima) per tutti gli uo­ mini. Ciò mostra che Paolo vuole trarre le debite conseguenze dall'e­ vento di grazia sperimentato dai credenti, illustrando la ricchezza spirituale della loro attuale condizione. Ritorna ad agganciarsi a 5,1-1 1 per svilupparne il duplice tema di un presente positivo e di un promesso futuro di salvezza, dopo aver insistito sulla mediazione so­ teriologica di Gesù che ha sgomberato il campo dal peccato e dalla morte introdotti nel mondo da Adamo (5,12-21), e dopo aver rispo­ sto alle due obiezioni: restare ad maiorem Dei gloriam nella suddi­ tanza operativa al peccato? (6,1-7,6); Paolo non equipara la legge al peccato? (7,7-25). Naturalmente le trattazioni complementari di 5,12-21; 6,1-7,6 e 7,7-25 si fanno sentire nel c. 8 che appare assai più ricco di 5,1 - 1 1 nel compilare la carta d'identità dei credenti, uomini ; solo che nel c. 8, come è stato rilevato. la caratterizzazione ottiene un rilievo eccezionale. Si aggiunga infine la pro645

spettiva della salvezza (5,9-10; 8,24). Nessuna correlazione invece con 5,1 - 1 1 hanno la figliolanza divina (cf. però 9,8) e l'originale esca­ tologia cosmica di 8,18ss. D'altra parte, la discussione di 7,7-25 fa sèntire i suoi effetti in 8,1-4, dove il vocabolo ricorre ben 4 volte, un passo di ardua lettura, come vedremo. E anche 7,6 imperniato sul «servizio>> da ren­ dere a Dio nella novità dello Spirito, contrapposta alla vetustà della legge scritta, appare un punto di riferimento per l'antitesi del nostro brano Spirito-carne.428 L'avverbio «al presente>> indica invece che il tempo escatologico è giunto. L'orizzonte del pensiero teologico di Paolo abbraccia tutto l'arco temporale della vicenda umana, diviso in passato di perdi­ zione, presente di giustizia e futuro di risurrezione. Sul quadrante che scandisce i tempi della storia con Gesù Cristo è suonata l'ora, per altro predetta dai profeti israelitici, che fa da spartiacque, confi­ nando nel passato ciò che era e creando una nuova condizione umana. Già in 3,21 l'apostolo aveva dichiarato: «Ora però ... si è di­ svelata la giustizia di Dio, cui la Legge e i Profeti rendono testimo­ nianza>>. Anche 7,6 è parallelo: «Ora invece, morti alla legge che ci teneva prigionieri, ne siamo stati liberati per poter servire Dio nel­ l'ordine nuovo dello Spirito e non in quello vecchio della legge scritta>>.429 Il nostro passo parimenti contrappone il presente salvifico alla perdizione passata, presente caratterizzato, anzitutto, dalla for­ mula negativa usata: «Nessun motivo di condanna (ouden kata­ krima)>>. Il linguaggio è chiaramente giudiziario, riferendosi alla sen­ tenza inappellabile del giudice divino finale; Paolo vi ricorre per dire che il destino di condanna non tocca i credenti, non essendoci in loro nulla di condannabile. Anche la formula indicativa dei beneficiari di tale situazione di grazia è pregnante: «quelli che sono in Cristo Gesù (tois en Christo-i Iesou)>>, espressiva d'immanenza cristologica o, meglio, di profonda partecipazione alla sfera d'azione del Risorto. Già nel c. 6 Paolo aveva sottolineato tale comunione, interpretan­ dola in chiave di sudditanza e signoria: liberati dal potere del pec­ cato, i credenti sono diventati schiavi di Cristo, dipendenti in tutto da lui e dal suo potere salvante. Non per nulla i cc. 5-7 avevano indi­ cato nella morte il traguardo dell'esistenza degli schiavi del peccato '"' Il polo antitetico della carne era comunque già presente in sostanza in 7,5: •Quando infatti eravamo in balia della carne (en te-i sarki) ... ». 429 Kainotés e palaiotés qualificano il mondo avvenire, anticipato nella storia, e l'attuale. Cf. 6,4.6; 2Cor 3,6.14; vedi anche kaini ktisis in 2Cor 5,17 e Gal 6,15.

646

(cf. 5,12.14.17.21; 6,16.21.23; 7,5.24). Liberati, in virtù di Cristo, da questa potenza tenebrosa, i credenti sono liberati anche dall'esito fi­ nale della sua signoria, immessi nella sfera d'azione di Cristo (c. 6) e quindi finalizzati alla vita (5,10.17.18). alla vita eterna (5,21; 6,22.23). Di sorprendente originalità è l'indicazione del fattore salvante: (8,2). Soggetto attivo del verbo «liberare>> in Paolo è sempre Dio, sottinteso nel pas­ sivo della forma verbale (6,18.22: siete stati liberati; 8,21: sarà libe­ rata), o anche Cristo (Gal 5,1: ci ha liberato).431 Ora liberante è . Ma c'è coordinazione con l'azione salvifica di Cristo risorto nel quale i credenti sono. Il vocabolo è stato imposto dal brano precedente, che offre pure l'espressione antitetica (7,23.25).4.12 La discussione verte sulla sua esatta valenza: c'è chi vi vede la legge mosaica, diversamente vissuta, in rapporto cioè alla presenza operante dello Spirito, oppure al domi­ nio strumentalizzante del peccato;433 altri invece assumono sensu lato il vocabolo sul quale Paolo gioca e intendono semplicemente la realtà dello Spirito che, in quanto datore di vita, vita in senso forte e spirituale, è detto fattore liberante dal dominio del peccato e dal de­ stino di morte eterna; e anche nell'espressione , come in 7,23.25, il vocabolo reggente è inteso in senso improprio.'34 Sembra preferibile questa seconda lettura. La libera-

"" Varianti testuali importanti: •mi•, che riprenderebbe l'io di 7,7ss; •noi•, che anticip,a il frequente •noi• del nostro capitolo. '· 1 CL anche Gal 5.13: siete stati chiamati (efficacemente) alla libertà. 412 La seconda determinazione riproduce in sostanza quanto affermato in gene­ rale in 7.7ss sul destino di morte di coloro che sono succubi del peccato. "' Così per es. HOBNER, La legge in Paolo, 250·260, che parla di liberazione •dalla legge pervertita• o anche dalla •torà abusata• (p. 252) e diversi altri. come LoHSE, •Zur Analyse und lnterpretation von Rom 8.1-17• e Wilckens nel suo com­ mento. che parla di •cambiamento nella legge stessa• (p. 123). Vedi anche il com­ mento di D uN N, che in The Theology of Paul the Apostle. 634-658 afferma come le tre formule •la legge della fede• (Rm 3,27), •la legge dello Spirito» (Rm 8.2), •la legge di Cristo• (Gal 6,2) facciano riferimento alla legge mosaica, sintetizzata nel comanda­ mento dell'amore, che la fede porta a osservare, del cui compimento lo Spirito è prin­ cipio attivo, che Cristo ha insegnato a parole e con l'esempio. Da parte sua LYONNET, •Rom 8,2·4 à la lumière de Jérémie 31 et d'Ézéchiel 35-39• insiste a dire che si tratta di legge intesa non come codice scritto, bensì quale grandezza scritta da Dio nei cuori, lo Spirito appunto, secondo le promesse profetiche. "' Così per es. VoLLENWEIDER, Freiheit als neue Schopfung, 339ss; l'ENNA, •Legge e libertà nel pensiero di S. Paolo•. 265-270 e Fitzmyer nel suo commento (pp. 482s).

647

zione in predicato è quella dal peccato (e dalla morte), presupposto necessario perché si possa escludere nei credenti qualsiasi motivo di condanna. La negazione di 8,1 in realtà funge qui da propositio al­ meno per i vv. 1-4. Della liberazione dal codice mosaico scritto Paolo aveva detto sopra in 7,4-6, per non parlare di 6,14. Ora tratta della liberazione dal destino di morte, collegato strettamente al do­ minio del peccato. È vero che della legge mosaica parla subito dopo, ma per rilevarne l'insufficienza soteriologica, non per rimarcarne la funzione negativa di occasione del dominio del peccato e, come tale, realtà da cui liberare: insufficienza colmata per iniziativa divina di grazia. Lo Spirito poi è presentato in antitesi con la carne, non con la legge strumentalizzata dal peccato. In una parola, la liberazione dalla legge sta ormai alle spalle dell'argomentazione paolina, che ora va ol­ tre introducendo lo Spirito, principio attivo di vita nuova capace di rinnovare il credente contrastando l'influsso perdurante della carne: da un fattore negativo esterno, come era la legge, Paolo è passato a un fattore negativo interno all'uomo, antitetico allo Spirito.435 Nei vv. 3-4 egli motiva la necessità dell'intervento liberatore dello Spirito e mette in campo l'iniziativa di Dio. La legge era impos­ sibilitata a creare giustizia essendo è inteso in senso negativo confondendosi con «carne•>. In breve «Opere del corpo• è formula equivalente a •opere della carne• di Gal 5,19. Non così al v. I l : corpi mortali sono gli uomini visti nella loro caducità e mortalità, corpi «psichich> che nella risurrezione saranno trasformati in corpi «pneumatici», come h;l detto Paolo in ICor 15,35ss. "' Cf. DE LA PoiTERIE, •Le chrétien conduit par l'Esprit dans son cheminement eschatologique•. 4�" Non sembra che si tratti di una paura psicologica: è collegata con la schiavitù del peccato. come indica il contesto del c. 6, ed esprime la situazione oggettiva di t i ­ more del destino di morte che ne consegue. "' L'adozione è una prassi greco-romana ma presente anche nel mondo vt e giu­ daico. Il vocabolo è usato solo da Paolo (cf. Rm 8,15.23; 9,4; Gal 4,5) e dalla pseudo-

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mento, per un verso, è qui a 5,1 (siamo in pace con Dio), per l'altro riprende un dato della tradizione liturgica protocristiana di lingua greca - per questo la parola aramaica è tradotta in greco - che pro­ babilmente riproduce un ipsissimum verbum di Gesù di Nazaret (cf. Mc 14,36).400 L'essere figli di Dio non solo caratterizza la preghiera461 ma tocca anche la psicologia del credente a cui è donata la certezza interiore di questa sua nuova identità di grazia, su cui non può illu­ dersi: «Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio>> (v. 16). «>) e suo stretto rapporto con lo Spirito («che siate figli, lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo figlio»); grido a Dio padre suscitato dallo Spirito («il quale grida: Abbà, Padre!»); antitesi figliolanza-schiavitù («Così non sei più schiavo, ma figlio»); figliolanza ed eredità connesse (>, e la redenzione del loro corpo (v. 23) non può essere separata dalla liberazione del cosmo dalla corruzione (v. 21). In breve, l'apostolo parla del cosmo perché esso partecipa della stessa situazione dei credenti: presente di sofferenza paradossalmente garante della liberazione futura.4'" ' L'immagine dei dolori del parto è introdotta per indicare non la bre­ vità del tempo attuale, bensì il nesso inscindibile tra sofferenza e li­ berazione. Nell'unità connessa dei vv. 28-30, introdotta dalla formula «Sap­ piamo poi che>>, al motivo precedente di fiducia si aggiunge il se­ guente: la coerenza di Dio che tiene fede al suo disegno di salvezza ... VOG1LE, Das Neue Testament und die Zukunft des Kosmos, 208. 490 Dice molto bene BINDEMANN, Die Hoffnung der SchOpfung, 15: la moderna separazione di storia e natura non ha alcuna base in Paolo. E più avanti afferma: l'uomo e il mondo circostante, res cogitaru e res extensa, si ritrovano in qualche modo come res sperans (IS6).

662

(prothesis). «Sappiamo poi che tutto concorre al bene di quelli che amano Dio, dei chiamati secondo il suo disegno (tois kata prothesin kletois). Perché i prescelti (hous proegn6), li ha anche predestinati (pro6risen) ad essere conformi all'immagine (symmorphous tes eiko­ nos) di suo figlio, affinché fosse il primogenito (pr6totokon) di molti fratelli; i predestinati, li ha anche chiamati (ekalesen); i chiamati, li ha anche giustificati (edikai6sen) e i giustificati, li ha anche glorificati (edoxasen)». Che accettando il vangelo i credenti abbiano sperimen­ tato la vocazione divina e siano per definizione «i chiamati>> (hoi kle­ toi: cf. lCor 1 ,24) è solo un anello intermedio qualificante la loro esi­ stenza storica di peccatori per grazia giustificati. In realtà, bisogna ri­ salire, dice Paolo, alla pre-scelta e pre-destinazione divina:401 prima ancora di venire all'esistenza sono stati beneficiari di gratuita ele­ zione. Nessuna speculazione sui decreti eterni di Dio. tipiche dell'a­ pocalittica; nessuna teologia predcstinazionistica di tipo agostiniano e calvinista. Paolo intende sottolineare che l'esperienza esaltante dei credenti è dono gratuito ed evento non casuale, perché parte del progetto eterno di Dio incentrato in Cristo: creare un'umanità a im­ magine del Figlio, primogenito di molti fratelli. II richiamo dell'c­ terno consiglio divino e l'affermazione dell'esperienza salvifica pre­ sente sono però finalizzati a rassicurare sul compimento ultimo. la glorificazione. «Sono momenti concatenati così strettamente che Paolo usa il passato anche per l'attesa salvezza finale: "li ha anche glorificati". La fedeltà divina è garanzia piena. Ci si può affidare, no­ nostante tutto. II presente si presenta crocifiggente e minaccioso? La certezza di fede è che "tutto concorre al bene di quelli che amano Dio: essi che secondo il suo disegno sono i chiamati">>. '92 Si tratta di un motivo conosciuto nella tradizione biblica e giudaica; per es. si veda il seguente detto di r. Akiba: .493 Altrettanto vale della formula , indicativa dei fedeli (cf. Sal 4,25; 6,6; 10,3; 14,1).'94 Ma non si deve misconoscere l'orizzonte cristologico del pensiero paolino: quelli che amano Dio e beneficiano della sua cura sono figli nel figlio, e come tali entrano nel progetto salvifico divino. La fidu­ ciosa certezza dei credenti dunque poggia sulla fedeltà di Dio al suo

491 I verbi proginoskein e proori1.ein sono sinonimi, come avverte BAU, Heilsvertrauen und Welterfahrung. 108. '" BARBAGLIO, «Alla chiesa di Roma•, 384-385. "' Cii. nel commento di Kasemann. 232 . .,. Vedi anche ICor 2,9 (citazione); 8,3.

663

figlio, centro unificante di una nuova umanità. I suoi «fratelli» sono «pre-determinati>> a partecipare al destino del figlio di Dio, essi che al presente partecipano alla sua passione (cf. v. 17b).

6.5.4. Canto

di

vittoria (8,31-39)

Il ricorso a domande retoriche, i cataloghi di avversità e di forze contrarie, lo spirito trionfante che lo percorre, il pathos che anima chi scrive, tutto dice che siamo di fronte a una conclusione, che non diversamente da ciò che precede mira a dar fiducia. Con una partico­ larità: se sopra la gloria finale presupponeva la sofferenza traendone paradossalmente motivo di sicurezza per i credenti, ora il rapporto è all'insegna del «nonostante>>: nonostante tutto un futuro di gloria ar­ riderà loro; trionferanno su avversità e forze contrastanti, avendo Dio dalla loro parte. Possiamo definirlo un canto di vittoria, cantato però non da persone rapite negli spazi celesti, ma da crocifissi anco­ rati a una dura speranza fondata su Dio e Cristo. Per questo .'"' La pericope è composta da due piccole unità (vv. 31-34 e 35-39), introdotte ciascuna da un interrogativo retorico: ; «Chi ci separerà dall'amore di Cristo?>>. La prima domanda fa riferimento a un processo, in concreto al giudizio divino, come appare explicitis verbis negli interrogativi complemen­ tari dei vv. 33 e 34: «Chi accuserà i prescelti da Dio? l Chi li condan­ nerà?>>. Le risposte, pure incalzanti, escludono che Dio e Cristo pos­ sano essere contro i credenti, e non per una ragione di carattere astratto o metafisico, ma per un motivo storico: essi hanno agito a fa­ vore dei credenti. In particolare Dio > (v. 35b),497 illustrate anche da una citazione biblica: «Come sta scritto: Per causa tua tutto il giorno siamo messi a morte, siamo stati considerati pecore da macello>> (v. 36; vedi Sal 43,23). Come parallelo extrabiblico vale il tipo del­ l'uomo stoico che con virilità (andreia) supera le traversie della vita,498 ma Paolo si differenzia in un punto decisivo: il credente si sente sicuro e fiducioso perché è nelle mani di Dio: (v. 37). L'a­ more di Dio qui menzionato fa il paio con l'amore di Cristo, indi­ cato nell'interrogativo iniziale dell'unità, e ha funzione di inclusio: niente «ci potrà separare dall'amore di Dio in Cristo Gesù, nostro Signore>> (v. 39b). Non solo situazioni crocifiggenti, ma anche forze contrarie, non escluse le diaboliche, valgono a travolgere i credenti. Paolo le elenca numerandole di regola a due a due e concludendo con un'indica­ zione generale: «Ne sono certo: né morte, né vita, né angeli, né pote­ stà, né presente, né avvenire, né potenze, né altezza, né profondità,

"" Ci sono analogie manifeste con gli elenchi di 2Cor 6,4ss e 1 1 ,23ss. '" Cf. soprattutto R. HooosoN, «Pau! the Apostle and First Century Tribulation Lis!S», in ZNW 74(1983), 59-80; W. ScHRAGE, «Leid, Kreuz und Eschaton. Die Peri· stasenkataloge als Merkmale paulinischer theologia crucis und Eschatologie•, in EvTh 34(1974), 141-175.

665

né qualsiasi altra forza creata ci potrà separare dall'amore di Dio in Cristo Gesù, nostro Signore>>. L'effetto retorico ottenuto è evidente: da ogni parte l'esistenza cristiana è minacciata e assediata, eppure resta saldamente ancorata all'amore di Dio manifestato nell'evento di Cristo.

7.

VANGELO DELLA FEDELTÀ DI DIO A ISRAELE

(9-11)

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7.1. Il testo La contestualizzazione del complesso dei cc. 9-1 1 non è facile, tanto più che manca un formale aggancio a quanto precede, mentre d'altra parte costituisce un blocco letterario in sé compatto e, si di­ rebbe, autosufficiente, con introduzione di timbro personalistico (9,1-5), conclusione innica (11,33-36) e corpo imperniato in un pre­ ciso problema > di Dio in rapporto a Israele. La sua non è per nulla distaccata esposizione teologica di un problema, tanto meno un saggio di bravura accademica, ma l'appassionata espres­ sione di conquistate certezze e attese personali da comunicare ai cre­ denti di Roma.513 La teologia s'intreccia dunque con la biografia: sof­ fre per la tragedia dei suoi connazionali, soggetti di una storia di pro­ messe divine, in maggioranza disobbedienti al vangelo di Cristo; è pronto addirittura ad andar incontro alla scomunica da Cristo per loro amore (9,1-3);514 supplica perché giungano a salvezza (10,1 ). Che poi Dio non abbia rigettato il suo popolo basta guardare a lui stesso exemplum di giudeo-cristiano: >. Il invece di 1 1 ,1 7-24 è di marca retorica, anche se non po­ chi vi ravvisano un settore della chiesa romana supponente nei con­ fronti dei fratelli giudeo-cristiani, attribuendo cosl ai cc. 9-1 1 un tono polemico.516 In realtà, se vi si volesse leggere un prezioso alt a un incipiente antigiudaismo cristiano, si tratterebbe di un monito ge­ nerale agli etnico-cristiani. Invece appare probabile che da parte di persone ligie alla tradizione religiosa giudaica si guardasse con so­ spetto alla sua teologia dell'imparzialità divina in campo soteriolo­ gico, che sembrava annullare tutta la storia di Dio con Israele e ri­ durre questo a un popolo qualsiasi della terra (cf. 3,1-8); un sospetto che poteva cadere su lui stesso traditore delle credenze giudaiche più sacre. In questa linea si può spiegare il pathos delle confessioni di 9,1-3 e 10,1, che provano come egli non si disinteressi del suo po­ polo, ma gli stia sommamente a cuore la sua sorte. Paolo dunque presenterebbe qui un'elaborata apologia. Altri invece ritengono che 9-1 1 non affronti un problema dei cristiani di Roma ma dica riferi­ mento piuttosto alla particolare congiuntura missionaria in cui egli si trovava, con Gal alle spalle, la prossima visita a Gerusalemme, il progetto di andare missionario in Spagna,517 il contatto con la chiesa di Roma; senza dire di quanti sono persuasi che siano state le esi­ genze intrinseche alla sua esposizione teologica del vangelo ad averlo spinto.m In realtà, non si deve escludere la combinazione dei due fattori: le voci allarmate risuonanti a Roma (cf. 3,1-8) e l'esi­ genza insita nella logica della stessa argomentazione teologica di Paolo. Chiave decisiva di lettura del testo, comunque, è individuare il nodo del problema, presupposto necessario per comprendere come BARDAGLIO, «Alla chiesa di Roma)•, 397. "' Così per es. BEKER, •The Faithfulness of God and the Priority of Israel». In sostanza concorda SEIFRID, Justification by faith: Paolo ha di mira etnico-cristiani che si vantano di se stessi. "' Così per es. KOmmel e Wilckens. '" Cf. per es. ALETII, Comment Dieu est-il juste?, 202: Rm, i cc. 9-11 compresi, «merita il suo titolo di .. trattato sul vangelo'\•. 515

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sia affrontato e risolto. Tanto più che le diversità in proposito non sono poche: tractatus de Judaeis, cioè esposizione del destino ultimo degli israeliti increduli; tractatus contra Judaeos, cioè messa in stato di accusa dei giudei increduli; teologia della giustificazione applicata al caso (Kiisemann);519 predestinazione divina·, cosl spesso si è cre­ duto nella patristica, come ha mostrato Lyonnet. Il problema ri­ guarda materialmente i di Paolo, quelli della sua razza, che portano il nome carico di pregnanza storico-salvifica di 520 (9,3-4a) e possono legittimamente far valere i seguenti doni di grazia (ta charismata: 1 1 ,29):521 «hanno l'adozione a figli,522 la gloria,523 le al­ leanze,524 la legge,525 il culto,526 le promesse,527 i patriarchi, primi de­ positari della promessa divina, e hanno dato origine a Cristo nella sua esistenza terrena>>, punto di arrivo della storia di grazia di Dio con il suo popolo (9,4b-5a). Più frequente è il vocabolo , che in tutta la lettera appare solo in 9-1 1 ,528 mentre altrove, nei cc. 1-3, Paolo parla di Joudaioi.52" Ma vedi anche le formule «discen­ denti di Israele>> (9,6) e di Abramo (9,7) e «popolo di Dio>> ( 1 1,1) da lui «pre-conosciuto>> ( 1 1 ,2). Ancor più egli vi si riferisce con il pro­ nome personale esplicito o implicito di terza persona plurale, «essi>>.530 Una piccola parte di loro («non tutti>>) ha obbedito al van-

"' Ecco come l'intitola: Die Gottesgerechtigkeit und das Prob/em /sraels. '"' I b'ne lsrael sono gli interlocutori della parola e dell'azione di JHWH. "' Spesso si parla di privilegi, ma è meglio, come ha rilevato anche Sass, affidarsi allo stesso lessico di Paolo. 522 Cf. per es. Es 4.22; Os 11,1. '" Si tratta della presenza maestosa di Dio che ha accompagnato il cammino del popolo nel deserto (Es 16,10; 24,16; 40,34-35) e ha preso fissa dimora nel tempio di Gerusalemme (IRe 8,10-11). '" Al plurale come in Sap 18,22; Sir44,12.18: 45,17; 2Mac 8,15 significano la con­ tinuità della storia all'insegna del patto stretto da Dio con Abramo (Gen 15,18: 17, 1 ss ). con !sacco e Giacobbe (Lv 26,42) e con il popolo al Sinai (Es 19,5; 34,16). m In greco nomothesill, porre la legge in Israele. Il riferimento è certamente al Sinai (Es I 9ss ). ,,. Il complesso della realtà liturgica fatta di sacrifici, riti e preghiere. "' Al plurale anche in 15,8, indicano la parola promissoria di Dio indirizzata ad Abramo. Isacco e Giacobbe, come testimonia la narrazione patriarcale di Gen 12ss. "" Cf. 9,27.31; 10,19.21; 1 1 ,7.25 e pas /srae/ (tullo Israele) in 1 1 ,26. '"' /oudaioi abbinato a ethne è attestato nella nostra sezione in 9,24 e 10.12 (giu­ deo, abbinato a greco). Sul significato di Israele nella sezione vedi CARBONE, «Israele nella lettera ai Romani» e anche la sua monografia La misericordia universale di Dio in Rom 1/,30-32, 80-84. '"' Cf. 9,32: •Urtarono così nella pietra d'inciampo»; 10.1-3: hanno zelo per Dio ma non illuminato, protesi alla «loro�> giustizia e incuranti della giustizia di Dio: l O, 14-18: non invocarono il Signore, non credettero, non obbedirono, anche se ebbero

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gelo (10,16) e sono chiamati con espressione profetica (hy­ poleimmalleimma: 9,27; 1 1 ,5), che insieme con i convertiti gentili co­ stituiscono la chiesa, indicata nel di 9,24: . Lo stesso Paolo è del loro numero ( 1 1 , 1 ). Gli altri invece preferirono la giustizia per legge alla giustizia di Dio (9,31-10,3), furono induriti ( 1 1 ,7.25), inciamparono (1 1,11), caddero ( 1 1 , 1 1 .12.22), furono rifiu­ tati (1 1 ,15), come rami furono recisi ( 1 1 ,17.19.20), essi (11,21 .24 ), disobbedirono ( 1 1 ,31). Ora l'attenzione di Paolo cade soprattutto su questi, che però non so­ no per sé il problema, ma lo fanno nascere, come vedremo subito. È questa situazione spirituale della maggioranza degli israeliti a far sì che Paolo senta una fitta lancinante al cuore (9,1-3); ne va della loro salvezza, per la quale egli supplica (10,1) ed è pronto a sacrifi­ carsi (9,3). In breve, è angustiato per il destino dei suoi , in maggioranza autoesclusi dall'unico spazio di salvezza, Cristo e l'ade­ sione a lui nella fede. In realtà, il nocciolo del problema è squisita­ mente teologico: nel destino del suo popolo è implicato Dio stesso, che gli ha giurato impegnative promesse salvifiche (9,4): Israele è al cuore stesso della parola divina data e mantenuta; ne va della fedeltà divina, che il dato dell'autoesclusione della maggioranza degli israe­ liti dallo spazio della salvezza (Cristo) mette a repentaglio. E se la teologia paolina dell'imparzialità di Dio manifestatosi in Cristo ne compromette la fedeltà verso Israele, non si dovrà concludere che Paolo annuncia un falso vangelo? Quindi gli stessi credenti in Cristo finiscono per esserne toccati; il problema teologico d'Israele è anche problema teologico della chiesa.

7.2. Primo approccio, ancora indiretto ma fondamentale, al problema (9,6-29) Se lo studio della struttura del complesso dei cc. 9-11 dimostra che non è altro il nodo problematico affrontato, la sua articolazione evidenzia il modo di procedere di Paolo nel rispondervi. Lo intro­ duce la pericope 9,1-5, espressiva, come si è detto già, dei suoi inmodo di ascoltare; 1 1 .1 1-24: inciamparono per cadere una volta per tutte? / la loro ca­ duta, diminuzione, pienezza, salvezza, rifiuto, riammissione Il rami dell'olivo buono, divelti ma alla fine reinnestati l essi (ekeinoi); 11,28-31: frequente uso del pronome: disobbedienti, beneficiari della misericordia divina.

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tensi sentimenti per i «fratelli>>,m ma stranamente silenziosa sui mo­ tivi; solo in seguito chiarirà che la maggior parte di essi rifiutando il vangelo mette a rischio il proprio destino finale (9,30-10,21). 1 1,33-36 è una conclusione innica, in cui viene esaltata la straordina­ rietà del sapiente progetto divino teso alla salvezza delle due parti del mondo, giudei e gentili, progetto paradossale consistente non solo nel condurre all'obbedienza i disobbedienti, ma anche nel ser­ virsi della disobbedienza dei primi per portare a salvamento i se­ condi e dell'obbedienza di questi per ricuperare quelli. Di questa sa­ pienza in atto nella storia532 tratta la sezione. Il corpo della sezione (9,6-1 1 ,32) è invece qualificato da una pro­ positio generale che ricorre, con pure varietà terminologiche e gram­ maticali, in 9,6a: «Non è che la parola di Dio sia venuta meno>> e in 1 1,1 e 2: «Dio ha forse ripudiato il suo popolo? Non sia mai!. .. Dio non ha affatto ripudiato il suo popolo, da lui prescelto (hon proe­ gn6)>>.533 Nella prima formulazione Paolo nega che sia stata revo­ cata534 la promessa divina giurata a Israele.535 Nella seconda, formata da interrogativa e relativa risposta, si nega l'effetto del supposto ve­ nir meno della promessa, cioè che il popolo d'Israele da Dio pre­ scelto a beneficiario della parola promissoria, in questo senso , non sia più suo e venga equiparato a tutti gli altri popoli.5:w; La du-

"' Si noli l'applicazione di questo titolo di indubbia valenza cristiana. che sottoli­ nea la comunanza di fede in Cristo, agli israeliti, con cui Paolo esprime la sua parteci­ pazione allo status d'Israele, popolo di Dio. Uno stesso titolo con duplice valenza. come lo sono anche «i doni di grazia>> enumerati in 9,4-5, a cui si deve aggiungere la qualifica di elezione, ora riferita ai credenti in Cristo ( 1 1 ,5.7, ma anche 8,33) e ora agli israeliti in generale, anche a quelli •induriti» ( 1 1 ,28) m S i noti come nel v. 33 siano messi in stretto parallelismo la sapienza e le vie di Dio: «0 profondità della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio: come sono insondabili i suoi giudizi e impenetrabili le sue vie!». La sapienza divina dunque non è una qualità astratta di Dio, ma il suo fare nella storia. "' Cf. anche 1 1 ,28 dove però !"affermazione è una subordinata causale: •perché irrevocabili sono i doni e la chiamata di Dio». Per HoFIUS, «Das Evangelium und Israel», 300 invece due sono le propositiones e due le questioni trattate. in 9,6-1 1 . 1 O e in 1 1 ,1 1-32. E nella sua monografia SiEGERT, Argumentation bei Paulus gezeigr an Rom 9-11, 148 afferma che 10,1-1 1,32 formano un unico complesso che sviluppa il problema del c. 9. Ma non tiene presente il ruolo delle propositiones e delle relative probariones. �34 f:(Ekpip16 è usato in assoluto nell'accezione di cessare d'aver vigore, divenire inoperante, perdere laforza e il diritto, scadere, passare, e va tradotta: "non è vero che la parola di Dio sia divenuta inoperante'"» (GLNT X, 322). "' Che parola di Dio voglia dire la sua promessa appare da 9.4. dove si menzio­ nano espressamente le promesse come «dono di grazia» a Israele. 536 Nell"A T è presente la diade •il popolo ('am}». «i popoli (gojlm ) » : cf. GLNT VI, 103ss.

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plice formulazione della propositio si spiega perché dopo la prima probatio di 9,6-29 Paolo passa a chiarire il caso che dà origine al pro­ blema teologico della fedeltà divina (9,30--10,21). Di fatto essa viene ripresa in 1 1,1-2 per essere finalmente probata nell'unità 1 1 ,1-32. Questo stacco trae motivo dal procedimento retorico dell'argomen­ tazione di Paolo, che dopo l'espressione introduttoria dei suoi senti­ menti in 9,1-5, non ne affronta subito il perché, come sarebbe logico, ma entra ex abrupto nel nodo problematico riguardante Dio, non Israele. E lo fa senza dare ancora una risposta diretta all'interroga­ tivo della fedeltà divina verso gli attuali discendenti di Abramo,537 perché gli preme, in prima battuta, precisare il senso esatto dell'ele­ zione d'Israele e la dinamica interna che muove Dio a scegliere (kat' eklogen prothesis: 9,1 1 ) e chiamare (ek tou kalountos: a causa di Co­ lui che chiama: 9,12), non legato schiavisticamente alla pura discen­ denza carnale, come mostrano gli exempla di Isacco e Ismaele e di Giacobbe ed Esaù, con la scelta divina caduta solo sui primi. JWHW mostra nella storia tale sovrana libertà d'azione misericordiosa,5JS gesto gratuito e indipendente dal fare dell'uomo, che questi non ha alcun diritto di chiedergli spiegazioni o elevare contestazioni, perché nelle scelte e azioni divine esula il fattore umano, vale a dire ciò che è e fa l'uomo; d'altra parte egli agisce secondo il suo progetto di sale vezza misericordiosa.539 È verso se stesso che Dio si trova in debito, non verso di noi. Dunque, in questo primo approccio, la questione è vista unicamente dalla sua parte. Libertà sovrana che si evidenzia, si badi bene, non solo nel sele­ zionare i discendenti carnali di Abramo e di !sacco - «non tutti i di­ scendenti d'Israele sono Israele; né essendo discendenti (sperma) di Abramo sono tutti suoi figli» (9,6-7) , ma anche, ed è la seconda faccia della medaglia altrettanto importante per Paolo, nel (9,18); «> (v. 14; cf. Es 33,19 LXX); si tratta sempre «non della volontà né degli sforzi dell'uomo, ma della mise­ ricordia di Dio>> (v. 16); «Dio sopportò con molta pazienza (en

'" GETIY. •Paul and Lhe Solution of lsrael• ha richiamato l'attenzione sul fatto che Paolo riflette sulla salvezza degli uni e degli altri. 542 Vi insiste per es. ALETII, t> e > (v. 2b). Il loro è stato uno sbaglio · '" Questa specificazione. assente come tale nel testo. s'impone però nel conte­ sto: ciò che si raggiunge per fede e non per le opere è appunto la giustizia. come Paolo ha precisato sopra in 1,17; 3.21-31; 4.lss; 5,1. "" REINBOLD. «Paulus und das Gesetz: Zur Exegese von Rom 9,30-33•, precisa che Paolo non critica qui il modo di osservare la legge. di fare le opere, ritenendole magari, come fa la vulgata lettura luterana. opere per la propria autoesaltazione reli­ giosa o espressione di una concezione legalistica. bensì il fatto che non hanno creduto in Cristo. 561 Cit. in GLNT VI, 736. >62 a. J. JEREMIAS, in GLNT VI. 739ss. "" BARBAGUO, •Alla chiesa di Roma•, 420.

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della mente, più esattamente un'incomprensione, non priva di effetti pratici, delle vie di Dio, diremmo un errore di valutazione: versus (vv. 5 e 6), cui corrispondono le espressioni anti­ tetiche di 9,30-32 menzionate sopra: , 566 che è specificata subito dopo con la formula «per le opere (ex ergon)>> opposta a . In sintesi, al di là delle particolarità formali, abbiamo questa unica antitesi: giustizia di Dio o per fede; giustizia propria o per la legge (per le opere) . L'ab­ baglio degli israeliti che protesi alla giustizia propria hanno respinto quella di Dio è spiegato ultimamente al v. 4: «>: non hanno valutato la novità storico-salvifica di Cristo che ha messo la parola fine al si­ stema che lega giustizia e legge mosaica per aprire orizzonti ecume­ nici, come precisa subito: «affinché la giustizia sia per chiunque crede (eis dikaiosynen panti t6-i pisteuonti)». 567 Si tratta di un brano assai discusso soprattutto nella specifica­ zione dell'errore dell'Israele incredulo e nell'affermazione di 10,4. La lettura tradizionale di marca luterana, i cui alfieri moderni sono Bultmann e Kiisemann, vede nel testo paolino la denuncia di Israele proteso ad affermare autocraticamente se stesso attraverso le per­ formances delle osservanze scrupolose dei precetti della legge mo­ saica: questo il suo peccato «originale>>.568 Altri invece, come Wilc,.. La formula con rutta probabilità, come del resto in 1,17 e 3,21ss, indica l'ini· ziativa di Dio disvelala in Cristo e tesa a rettificare gli empi: genitivo soggettivo, non DUCtoris. ,., Il testo è dubbio; comunque l'aggiunta del sostantivo non cambia le cose, es­ sendoci chiaramente tale riferimento. "' Barrell invece intende il genitivo come aggettivo: legge giusta. '" Si noli un chiaro parallelismo con 1,16: «per la salvezza per chiunque crede (eis s6t�rian panti r6·i pisteuonti)». "" BuLTMANN, «Christ, fin de la Loi»,415s: per il giudeo il valore verso cui si sforza è il valore davanti a Dio; egli mette rutto il suo sforzo per raggiungere questo valore da­ vanti a Dio e la legge ne è il mezzo. Tutto ciò Paolo chiama lo sforzo per raggiungere la propria giustizia. E poco oltre: il peccato propriamente detto non consiste nelle molle· plici lrasgressioni della legge, ma nell'atteggiamento fondamentale dell'uomo, nel suo sforzo per erigere la sua giustizia, per glorificarsi davanti a Dio (p. 419).

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kens, puntano il dito sulla non-osservanza della legge mosaica; gli israelìti sono peccatori né più né meno dei gentili (cf. 3,9ss); per que­ sto la possibilità della giustizia sulla via della legge è puramente teo­ rica; e dicono: lo sbaglio d'Israele è stato quello di persone attaccate onestamente alla legge mosaica che non hanno capito come l'unica giustificazione donata da Dio sia la justificatio impiorum ottenibile solo in Cristo espiatore dei peccati con la sua morte (cf. 3,21-3 1 ).569 Ma ambedue gli schieramenti introducono nel testo paolino un ele­ mento assente, gli uni l'autoglorificazione mediante l'osservanza della legge, gli altri l'incapacità di osservarla. Infatti l'aggettivo > è da intendere in senso materiale: vita di benessere terreno;577 secondo altri, come Wilckens, la prospettiva è quella della vita eterna, ma si tratta di una prospettiva puramente teorica, perché essendo tutti sotto il dominio del peccato di fatto la legge mosaica non è osservata e di conseguenza si fallisce la giustizia. 578 Da parte "' �Quanti infatti si basano sulle opere della legge sono soggetti alla maledi· zione• (3,10); «Perché allora la legge? Fu aggiunta in vista delle trasgressioni» (3.19). Anche altrove in Rm il giudizio paolino sulla legge è fortemente negativo (cf. 3,20; 5,20: 7,5). "' ALETTI. «Saint Pau l exégète de I'Écriture•, afferma che la propositio di 9,30-10,21 è 10,4: Cristo fine della legge; ma mi sembra che la tesi che Paolo intende dimo­ strare è il complesso della posizione degli israeliti increduli presentata in 9,30-33 e 10,2-4. m «Saint Paul exégète de I'Écriture», 56. '"' REFOULt, «Cohérence ou incohérence de Paul en Romains 9-11?•, da parte sua ritiene che vi si esprima una concezione storico-salvifica diversa da quella pre­ sente altrove in Rm. concezione che riconosce nel passato una via alla salvezza legata alla legge, superata ora con la venuta di Cristo. Ma l'autore sembra trascurare che Paolo in diverse situazioni presenta diverse valutazioni, non necessariamente con­ traddittorie.

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mia, propendo invece per una messa fuori gioco di Lv 18,5 che, con­ trapposto alle altre testimonianze scritturistiche interpretate cristo­ logicamente, perde valore e di fatto è eliminato nella lettura erme­ neutica di Paolo: Cristo è il termine di questa prospettiva di vita in forza della legge.579 E questo spiega anche come egli insista soprat­ tutto su Dt 30, 1 1 -14, che testimonia la parola creatrice di fede (to hrema tes pisteos) contrapposta al fare (poiein) proprio della legge. E se si obiettasse che secondo il suo senso originario Dt indica la pa­ rola della legge indirizzata a Israele, come dice la sinonimia presente nel testo tra ed esprime la formula di Dt 30,13: (verbo poiein), non bi­ sogna dimenticare che Paolo legge con libertà il testo vt, non ultimo indizio la selezione nella pericope citata di Dt 30 per evitare il sud­ detto riferimento al fare, e soprattutto per la sua interpretazione cri­ stologica. Le parole della seconda citazione poi, a differenza della prima, sono messe in bocca non a Mosè, bensì a . È una personificazione letteraria, ma non priva di senso, per­ ché tende a identificarla con Dio, con il Dio appunto giusto e giusti­ ficante. Con probabilità il lesto del Dt allude all'epopea del mitico eroe mesopotamico Gilgamesh che per raggiungere l'immortalità ha scalato il cielo e camminato sulle acque dell'oceano della morte.5"0 Lo scopo è di sottolineare che invece agli israeliti non sono richieste imprese eccezionali e strepitose per poter giungere alla salvezza; Dio stesso, infatti, si è fatto vicino con la sua parola creatrice di vita. In­ terpretando in senso cristologico il testo vt Paolo vi scorge la venuta di Cristo e la sua risurrezione. A questo scopo ha anche modificato il passo di Dt sostituendo al cammino oltre le grandi acque la discesa negli inferi e soprattutto ha specificato che la parola salvifica vicina non è la legge, ma l'annuncio evangelico suscitatore di fede. Ecco la citazione: > (4,17). Israele dovrà essere riammesso perché è e resta popolo «santo>>, separato dagli altri popoli e consacrato a Dio come sua proprietà particolare. A tale scopo Paolo si serve prima di un'immagine cul­ tuale appena accennata e poi della metafora dell'olivo, sviluppata in

"" Si discute se questi due vocaboli greci siano da intendere in senso quantita­ tivo, come riteniamo, o in senso qualitativo. w LvoNNET, Quaestiones in epistulam ad Romanos. Series allera, 123: in francese si dice honorer une obbligation. "" L 'azione d'ingclosimento è attribuita a Paolo che però è diakonos di Dio e di Cristo, come ha sottolineato soprattutto in 2Cor (cf. per es. 6,4; 1 1 ,23). Ms Qui salvezza ha significato prettamente missionario: far entrare nella chiesa. comunità di quanti sono incamminati verso la salvezza finale. Che parli di «alcunh) non contrasta affatto con la prospettiva della salvezza di tutto Israele di I 1 ,26, perché questa non dipende di ceno dalla sua missione. .,. Questo significato del vocabolo sembra imporsi dato il parallelismo con am­ missione (M proslempsis). Si noti la presenza delle due preposizioni espressive di mo­ vimenti opposti di allontamento (apo) e avvicinamento (pros). Naturalmente si tratta di un rigetto temporaneo da pane di Dio, come appare dal contesto. Altri interpre­ tano il vocabolo in senso attivo: hanno rifiutato il vangelo, ma è una lettura esclusa dal contesto. 607 Questa espressione ricorre anche in 2Cor 5,19. "" Come spiegare che si rivolga a questi che non erano di ceno i soli credenti di Roma? Forse perché più di altri dovevano essere convinti di questa prospettiva di sal­ vezza di tutto Israele.

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senso allegorico. «Se la primizia è santa, lo è anche tutta la pasta; e se santa è la radice, lo sono anche i rami» (v. 16). Per la prima imma­ gine la corrispondenza affermata trova giustificazione nell'uso litur­ gico dell'AT: si offrivano nel tempio i primi frutti del suolo per espri­ mere simbolicamente che tutta la terra appartiene a JHWH, da lui donata in eredità al suo popolo. Più difficile invece è l'identifica­ zione della primizia e della radice. Con tutta probabilità si tratta dei patriarchi, ne fa fede il v. 28 (), in particolare di Abramo.609 Partecipando della loro «santità», c'è fu­ turo e speranza per i discendenti. Nello sviluppo però dell'immagine botanica dell'olivo (vv. 1 7-24) Paolo si rivolge a un interlocutore retorico, introdotto con un diretto , rappresentativo dei gentili credenti. E lo esorta più volte in modo perentorio: «non ti vantare>> (v. 18); . Con que­ sto vocabolo denso di significato Paolo intende dire, al di là del suo carattere di realtà trascendente nascosta e rivelata, che la prospet­ tiva futura indicata sopra non è l'espressione di una semplice spe­ ranza o attesa personale, bensì dato di certezza divina comunicato per grazia."" Ma non precisa come ne abbia ricevuto la rivelazione: 6" Cf. SANDERS. Paolo. la legge e il popolo giudaico, 275ss che pa rla di «terza E BEKER. «The Faithfulness of God and tbc Priority of Israel•. 332 afferma che in Rm \l-Il Paolo corregge Gal 3 (e anche Rm 4). dove Israele sembra assorbito razza ».

semplicemente nella chiesa. 6" Cosi anche Wilckens nel suo commento: in Rm Il abbiamo un grande cam­ biamento in Paolo. nel suo pensiero storico-salvifico (Il. 1 84s). 611 «Non voglio infatti che ignoriate• è formula stereotipa in Paolo (cf. 1,13; lCor 10,1; 12.1; 2Cor 1 .8; lTs 4.19) seguita dal vocativo «fratelli». "' Cf. la monografia di PENNA. Il mysterion paolino. 6" Per questo si capisce anche la proposizione fmale: «perché non vi affidiate alla vostra sapienza (eauJoi.s phronimoi)• nel valutare la sorte degli israeliti increduli.

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attraverso la parola di un profeta o per esperienza propria nella di­ retta comunicazione divina oppure leggendo tra le righe la Scrit­ tura? Pare migliore quest'ultima supposizione, dal momento che ai vv. 26-27 cita Is 59,20-21 per motivare la prospettiva indicata. Ed ecco il contenuto del mistero: «Israele perdura nell'indurimento par­ zialmente finché non sia entrata la totalità dei gentili (to pler6ma ton ethnon); e così (kai houtos) tutto Israele (pas lsrael) sarà salvato da Dio». Si discute molto della formula : ha valore modale (in questo modo), oppure consecutivo (e ne consegue che), oppure comparativo (come sta scritto ... così)? Paolo di certo vuoi dire che prima deve verificarsi l'ingresso, con probabilità nella comunità di salvezza, come precisa per es. Wilckens, di tutti i gentili,620 una tota­ lità non numerica, cioè non riguardante necessariamente tutti i sin­ goli: un fatto in corso di compimento, se Paolo ha concluso la sua missione in oriente e progetta di venire a Roma e di andare in Spa­ gna, estremo confine occidentale del mondo. La salvezza di tutto Israele seguirà: con valore modale. Più discusso comunque è il senso della formula «tutto Israele>>:621 il nuovo Israele che abbraccia etnico-cristiani e giudeo-cristiani, cioè la chiesa,622 op­ pure solo l'Israele eletto, il resto cioè, oppure giudeo-cristiani e gli israeliti ora induriti? La prima soluzione è da escludere perché nella sezione Israele non ha alcuna connotazione ecclesiale, ma indica solo i discendenti di Abramo e di Giacobbe.623 La seconda non è pro­ babile, perché la formula di totalità e anche per i motivi che sono a favore della terza ipotesi. Nel contesto Paolo menziona Israele in parte indurito624 e sempre nel contesto si parla degli israeliti increduli. La formula però dice riferimento, proprio per la sua totalità, anche agli israeliti che. già credenti, fanno già parte della comunità dei destinati alla sal­ vezza finale: gli uni e gli altri formano tutto Israele. La citazione scritturistica indica un non meglio precisato liberatore e l'io di Dio

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Assumiamo plèr6ma in senso quantitativo. La formula richiama una frase giudaica di Sanh 10,1: •Tutto Israele ha parte al mondo futuro•. 622 Cosi la patristica che inoltre sostiene la tesi della sostituzione della chiesa a Israele («replacement ecclesiology» ). Cf. in merito lo studio e la critica di DoNALOSON, «"Riches for the Gentiles"•. Simile la lettura di JEREMIAS, •Einige vorwiegend spra­ chliche Beobachtungen zu Rom 1 1 .25-36•. 200: il popolo di Dio composto da giudei e gentili, il popolo escatologico di Dio. "' Diverso il caso di Gal 6,16, testo di difficile lettura comunque. "' Altra lettura: Israele indurito parzialmente. 621

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in atto di perdonare: «Da Sion625 verrà il liberatore e toglierà le em­ pietà da Giacobbe; e questa è la mia alleanza con loro, quando to­ glierò i loro peccati>>. Si ritiene con grande verosimiglianza che il li­ beratore sia Cristo, restando pur sempre vero che l'iniziativa princi­ pale è di Dio, lui che libera dai peccati.626 «Se questo è l'orizzonte futuro, si deve dire però che esso non manca di agganci con il presente e il passato. Dio ha fatto cadere la sua scelta sui patriarchi; per questo gli israeliti, in quanto discen­ denti, restano tuttora i prediletti di Dio, anche se, visti dall'angola­ tura del vangelo che hanno rifiutato, sono "nemici di Dio": un'inimi­ cizia che ha favorito la conversione dei pagani. Sì, perché egli è fe­ dele: i suoi doni di grazia ( charismata) e la sua chiamata "sono ir­ revocabili">>.627 Infine Paolo mette a confronto la sorte degli etnico-cristiani e la situazione degli israeliti increduli. Il suo sguardo diventa ecumenico: l'aspetto particolare viene inquadrato nel progetto salvifico divino generale che abbraccia le due metà del mondo, gentili e israeliti: «Come infatti un tempo voi foste disobbedienti a Dio mentre ora vi è stata usata misericordia grazie alla loro disobbedienza, cosi anche questi al presente sono diventati disobbedienti in seguito alla miseri­ cordia a voi usata, per ottenere anch'essi misericordia>>. (vv. 30-31). In sintesi, ecco come Paolo presenta l'azione storico-salvifica divina: , 438. A proposito di questa irrevocabilità O. MtcHEL scrive in GLNT VII. 176: •Il suo sguardo [di Paolo] s"innatza al piano im­ mutabile secondo cui Dio realizza la sua volontà salvifica. malgrado la disobbedienza e la caparbietà degli uomini•. Si può citare in proposito il Rotolo del Tempio: •Essi saranno per me un popolo, e io sarò per loro per sempre e li stabilirò per l'eternità» (l lQTemple 29,7-8).

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persino le loro infedeltà>>.028 S'impone la citazione del passo paral­ lelo di Gal 3,22: . Si noti che la chiusura operata da Dio non equi­ vale a causare il peccato o la disobbedienza, ma consiste nel tener prigionieri nel loro peccato e nella loro disobbedienza per conse­ guire i suoi fini di compimento della promessa a tutti e di salvezza per tutti. Resta da chiarire i contorni di questa «apocatastasi>>. La man­ canza di precisazioni da parte di Paolo, che non nomina Cristo, ha favorito il nascere di diverse letture. L'interrogativo è se la riammis­ sione degli israeliti increduli avverrà per ascolto obbediente della predicazione cristiana, come conversione al vangelo, per adesione a Cristo, oppure in una maniera del tutto particolare? È nota l'ipotesi di Mussner che sarà Dio a salvare direttamente Israele fedele alla legge e alla fede monoteistica, senza bisogno che si converta a Cristo e, ancor meno, obbedisca alla predicazione della chiesa.629 Ma è una posizione che sembra contraddire il filo dell'argomentazione paolina e lo stesso testo. Anzitutto si veda 1 1 ,23: . Inoltre l'antitesi disobbedienza-obbe­ dienza dominante in 1 1 ,28-32 indica nel contesto disobbedienza e obbedienza al vangelo, perché disobbedienza è qui sinonimo di in­ credulità (apistia) come appare in 1 1 ,23, senza dire della formula esplicita di 10,16 in cui Paolo parla dei giudeo-cristiani che >652 non ha valenza propria­ mente cosmologica, ma temporale e antropologica: si tratta di mondo come spazio umano in movimento caratterizzato da sensibi­ lità, orientamenti, azioni di marca negativa. Se ne veda anzitutto la qualirica in Gal 1 ,4: > di segno interiore e mentale della persona, che permette un agire cosciente di conformità al volere di Dio e di perseguimento del bene. Ancor più insistita è l'accentuazione escatologica della paraclesi paolina in 13,1 1-14.655 Paolo si richiama a un dato di fede noto a lui e agli interlocutori: l'attuale è un tempo particolare che sta tra il vec­ chio mondo destinato alla fine, perché vinto in linea di principio, e il nuovo che, già presente e attivo, attende ancora il giorno della sua piena attuazione: (v. lla). Il quadro sopra tracciato trova conferma nelle affermazioni: «Avanzata è la notte e il giorno vicino (he he-

"" In proposito si vedano BAUMGARTEN, Pau/us unti die Apokalyptik; P. HoFF­ MANN, Die Toten in Christus; ScHADE, Apokalyptische Christologie bei Paulu.s. .,, a. VOOTI.E, «Paraklese und Eschatologie nach Rilmer 13,11-14».

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mera eggiken)>> (v. 12); «adesso (nyn) la salvezza ci è più vicina (eg­ gyteron) di quando abbiamo cominciato a credere» (v. 1 1 ). La prima tesi riprende il motivo escatologico protocristiano della prossimità del giorno ultimo, giorno del Signore.656 La seconda introduce una novità, il comparativo di maggioranza dell'aggettivo «vicino»: fa­ cendo il paragone tra due periodi di tempo si afferma che uno è più breve dell'altro. In concreto, Paolo esprime qui una sua persuasione: la vicinanza immediata della fine, questione di pochi anni. Non per nulla altrove si dice persuaso di essere tra i vivi nel giorno della pa­ rusia (lTs 4,17; lCor 15,52), una certezza che dunque l'ha accompa­ gnato fino al termine della sua missione, se l'esprime anche in Rm. Ritornando all'incipit del brano, si tratta di una consapevolezza finalizzata a comportamenti conseguenti. La prima esortazione è in forma obliqua ma chiara: (v. l l b ). L'immagine del sonno e della veglia era apparsa nella paraclesi di lTs 5,6-8 motivata dall'indicativo soteriologico: «Non siamo della notte né della tenebra>>, e consistente in conseguenti imperativi: «Non dormiamo dunque come gli altri, ma stiamo svegli e sobri>>, dove il sonno e la notte indicano un agire moralmente negativo e la veglia e il giorno l'esatto opposto: > (p. 183), e definisce «l'esi· stenza cristiana come un continuo reditus ad baptismum• (p. 191). "' Su questa dinamica vedi in Gal 5 e in Rm 8 l'antitesi carne-spirito.

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Ma quale orizzonte escatologico è posto qui da Paolo alla base della sua paraclesi? La vicinanza del giorno ultimo (v. 12), addirit­ tura una vicinanza tanto prossima da essere misurata con il metro dei giorni trascorsi dalla conversione cristiana (v. 1 1 ), oppure la pro­ spettiva del futuro in quanto tale, a prescindere dalla sua prossimità o meno? La scelta si rivela importante, perché l'attesa a brevissima scadenza di Paolo e del protocristianesimo in generale si è rivelata un'illusione e oggi i cristiani non possono certo condividerla; di con­ seguenza, se fosse la base della paraclesi paolina, questa risulterebbe priva di reale fondamento. In realtà, la lettura del testo dice che dalla credenza di una parusia immediata Paolo deduce solo una nota d'urgenza e immediatezza delle scelte operative, mentre l'esorta­ zione sostanziale a tradurre nel fare la novità soteriologica speri­ mentata la suppone come fondamento e motivazione: la notte è in pratica superata (v. 12), l'ora è ormai giunta (v. 1 1 ) e si è compiuto l'evento battesimale dell'essersi rivestiti di Cristo (cf. Gal 4,28) che sta sullo fondo dell'imperativo di vestirsi di lui. Inoltre il futuro della salvezza, più o meno vicino, a cui il credente è indirizzato (v. 1 1b), lo impegna a un vivere nella luce e non nella tenebra, se non vuole pre­ giudicarlo. In conclusione, l'escatologia paolina è fondamento del­ l'etica da due punti di vista: come affermazione che il nuovo mondo ha fatto irruzione, realmente anche se in modo imperfetto e parziale. nel vecchio, e come speranza che la salvezza è stata promessa ai cre­ denti, una promessa che li responsabilizza. Infine si deve rilevare che il brano è connesso con l'unità prece­ dente dei vv. 8-1 1 , dove Paolo afferma che l'amore reciproco (to ai­ M/ous agapan: v. 8) o anche l'amore dell'altro (ho agapon ton hete­ ron: v. 8) e del prossimo (agapeseis ton p/esion: v. 9) è la piena attua­ zione (p/eromalp/eroo) della legge mosaica (vv. 8 e 10), di cui ap­ punto cita nel v. 10 il comandamento di Lv 1 9,18, e la ricapitolazione (anakephalaiosasthai) dei comandamenti del decalogo e di ogni altro (v. 9). Lo prova l'incipit della pericope escatologica dei vv. 1 1-14: > ( 14,7-8). All'appartenenza dei credenti però risponde una sua signoria non limitata a questi, ma estesa a tutta l'umanità, anche se al di fuori della fede essa non dice parteci­ pazione personale e conscia né accettazione volontaria: .676

676 Il passo 14,17 introduce en passanr, come motivazione dell'esortazione a non attirare discredito sulla comunità (v. 16), la realtà del regno di Dio collegato con il tema del servizio totale a Cristo, senza dire della prospettiva etica generale dell'essere bene accetti a Dio e agli uomini: «perché il regno di Dio non è questione di cibo e di bevanda, ma è giustizia, pace. gioia nello Spirito Santo. Chi in questo serve (ho dou­ leuon) Cristo è accetto (euaresros) a Dio e approvato (dokimos) dagli uomini». In 12,3-8 Paolo esorta i carismatici di Roma a non superesaltarsi e a vivere i cari­ smi ricevuti in spirito di unità; ora in questo contesto di paraclesi ecclesiale o comuni­ taria fa riferimento all'unità del corpo in Cristo, composto da pluralità di membra (v. 5). Ma in proposito si rimanda alla trattazione ben più approfondita di !Cor 12. e co­ munque vedi SANCHEZ BoscH. «Le Corps du Christ et les charismes dans l'épltre aux Romains». Per completezza però vorrei sottolineare nella paraclesi paolina di Rm 12-15 la presenza qualificante della solidarietà fraterna. •Notiamo anzitutto l'uso fre­ quente del pronome alleloi ( = gli uni gli altri) che sottolinea la reciprocità dell'amore (13,8), dell'affetto fraterno (12,10a), della stima (12,10b), della concordia (12,16 e 15.7), dell'impegno costruttivo (14,19), dell'accoglienza (15,7), della rinuncia al giudi­ zio di condanna ( 14, 1 3) . dell'essere membra nel corpo di Cristo (12,5). L'esortazione non è a senso unico. Al contrario, le parti sono ugualmente responsabilizzate. Così chi ama è amato, chi ha stima a sua volta è stimato; accogliere ed essere accolti, non giu­ dicare e non essere giudicati vanno di pari passo. C'è corrispondenza. Si può dunque instaurare un autentico rapporto. La comunità s'invera nello scambio effettivo e pari­ tetico• (BARBAGLIO, •Alla chiesa di Roma•, 454-455).

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Visione d'insieme

Nella contingenza delle comunicazioni epistolari di Paolo, pro­ vocate dai bisogni e dalle richieste dei destinatari ma anche dalle specifiche situazioni dello stesso mittente, s'impone ora l'esigenza di ricercare delle costanti, una possibile linea di continuità negli ab­ bozzi teologici delineati dalle varie lettere. L'identità del comunica­ tore ha spinto di fatto a ipotizzare una profonda unità del suo pen­ siero; in breve, si è tentato di tracciare la teologia di Paolo, ma per­ correndo diverse strade. ' È ormai obsoleto il tentativo di costringere

1 Cf. G. BARBAGLIO, •Saggio critico su alcune teologie paoline•. in SC 95(1967), 95•-t37•; 203-244; K. BARRElT, Pau/. An lntroduction to His Thought, London 1 994 (tr. it. San Paolo, Cinisello Balsamo 1996); J.M. BASSLER, «Paul's Theology: Wence and Whiter?•, in SBL, Seminar Papers 1989, 412-423; J. BECKER, Pau/us. Der Aposte/ der Vo/ker, Tllbingen 1992; J .C. BEKER, Pau/ The Apost/e: The Triwnph of God in Life and Thought, Edinburgh 1980; J.C. BEKER, «Paul's Theology: Consistent or in­ consistent•, in NTS 34( 1988), 364-77; J.C. BEKER, Der Sieg Gottes. Eine Untersuchung lUr Struktur des paulinischen Denkens, Stuttgart 1988 (versione ridotta dell'opera principe); J.D.G. DuNN, «Prolegomena to a Theology of Paul•. in NTS 40(1994). 407432; J.D.G. DUNN, «How Controversia! was Paul's Christology?•, in M.C. DE BoER (a cura di), From Jesus lo John, Sheffield 1993, 148-167; J.D.G. DuNN, «>.6 Ecco dunque la divisione bi­ naria dell'opera, che tratta dell'uomo peccatore davanti a Dio e del­ l'uomo da lui salvato in Cristo, secondo le sue formule: L 'uomo prima della rivelazione della pistis l L 'uomo sotto la pistis. Chiara la chiave di lettura che interpreta, non senza arbitrarie riduzioni, il pensiero paolino come comprensione dell'essere dell'uomo. Ciò spiega la suggestività dell'opera, ma anche la soggettività di un'er­ meneutica influenzata dall'esistenzialismo moderno, cui paga il prezzo di un orientamento individualistico del tutto estraneo alla teologia paolina, incentrata sul salvifico di Dio per il mondo.7 E qui corre l'obbligo di menzionare la reazione di E. Kasemann, diTheo/ogy, /, Minneapolis 1991, 3-14; E.P. SANDERS, Paul, London 1991; N.T. WRIGHT. «Romans and the Theology of Pauh•, in SBL, Seminar Papers 1992, 184·213. 2 Vi ha dedicato il primo volume della sua opera, tranando dell'ambiente dell'al· tività apostolica e leueraria di Paolo. delle spiega1.ioni di carauere storico della sua dollrina. dell'identità dei destinatari delle lellere e delle correnti culturali presenti nelle città in cui vivevano i suoi interlocutori. -' Ha affermato: «lutto converge a questa parte: tullo parte di là e tullo riconduce là. Il Cristo è il principio. il mezzo e il fine di lUllO» e precisato che la prospelliva della cristologia paolina è soteriologica, riassume il tuno nella seguente formula: •Il Cristo salvatore che associa ogni credente alla sua morte e alla sua vita» (F. PRAT, La teolo­ Bia di san Paolo. SEI. Torino 1964, orig. 1920. Il, 10 e 15). • Cf. BARBAGLIO, «Saggio critico su alcune teologie paoline•, 97*-104*. ' Corrispondono ai tre volumi: La théologiR de I' Eglise suivant saint Pau/, Paris 1942: Le Christ dans la théologie paulinienne, Paris 1951; Le chrétien dans la rhéo/ogie paulinienne. Paris 1962. CL BARBAGLio, .14 D'altra parte lo studioso inglese ha organizzato il materiale del suo lavoro sulla base della Lettera ai Romani, ritenuta una presentazione abba­ stanza completa e sistematica del pensiero di Paolo, da lui stesso of­ ferta in uno scritto che, alla fine del suo iter di apostolo e teologo. raccoglie e sviluppa motivi di altre lettere, come Gal e 1 -2Cor, ed ex­ plicitis verbis si propone quale testimonianza del suo vangelo (Rm 1,16-17).15 In pratica ha seguito un criterio di carattere storico­ salvifico - umanità sotto l'accusa divina. il vangelo di Cristo, l'inizio della salvezza, il processo salvifico - mescolato a un secondo di tim­ bro tematico, intitolando le due ultime parti alla chiesa e all'etica. Anche come reazione alla teologia paolina bultmanniana un non minore dibattito si è sviluppato a proposito della prospettiva di fondo del pensiero paolina: cristocentrismo o teocentrismo, atten­ zione cioè primaria a Cristo oppure a Dio? Antitesi che fa il paio con quelle già indicate: riflessione di marca giuridica (giustizia di Dio e giustificazione per fede) o mistica, pensiero personalistico o apoca­ littico? Ma non sono mancate proposte che rifuggendo da un'impo12 A difesa della tradizionale lettura luterana è sceso ultimamente in campo HOBNER. •Pauli theologiae proprium•, che in alternativa al punto di vista di Sanders afferma «la posizione centrale della dottrina paolina della giustificazione• e lenta di dimostrarlo •sul piano esegetico» (p. 449), indicando come le categorie partecipazio­ nistiche siano derivate da quella giuridica di giustificazione e non viceversa. " Cl. per es., oltre al già citato Cerlaux. G. BoNsJRVEN, Il vangelo di Paolo, Pao­ line. Roma 1951 (or. 1946), R. SrHNACKENBURG, -.Christologie des Neuen Testa­ ments>>, in Mysterium Salutis, 311, Einsiede1n-Zilrich-Koln 1 970, 227-338 e J.A. FJTZ­ MYER, Pau/ and His Theology: A Brief Sketch, Eng1ewood Cliffs 1967 che, da parte sua, parla di soteriologia cristocentrica: •Il concelto chiave attorno a cui la totalità della teologia paolina deve essere organizzata è Cristo. La teologia di Paolo è crist­ centrica . .. è la soteriologia cristocentrica>> (p. 16). 14 DuNN, The Theology of Pau/ the Apostle, 723. " DuNN, The Theology of Paul the Apostle. 25-26. Vedi anche il suo art. «Prole­ gomena to a Theology of Paub>.

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stazione alternativa hanno avanzato soluzioni di irenica coordina­ zione, come il citato Plevnik: interpretando la categoria spesso usata di «centro» della teologia paolina come grandezza che non deriva da nessun'altra e da cui deriva il resto, parla dell'azione di Dio Padre nella morte, risurrezione e signoria del Figlio. Più originale e vigo­ roso Beker: l'elemento costante nella varietà del pensiero teologico paolina non è un tema, bensì una prospettiva unitaria, quella apoca­ littica del trionfo di Dio nella storia, che l'apostolo applica diversa­ mente nelle varie lettere.'6 Infine, l'indirizzo del gruppo di lavoro riunito attorno al progetto, curato da J.M. Bassler, di una Pauline Theology sottolinea la necessità di «parzializzare>> la ricerca, atte­ nendosi alle comunicazioni teologiche delle varie lettere, convinti che non esiste prima e al di fuori di esse una teologia paolina.17 Un importante capitolo della ricerca verte sui prestiti culturali di Paolo, con una costante oscillazione del pendolo ora verso il mondo greco - religioni misteriche, culto del kyrios imperiale, filosofia po­ polare del tempo di indirizzo etico - ora in direzione del mondo giu­ daico compreso Qumran - apocalissi, molteplici sviluppi delle cre­ denze bibliche, tecniche di lettura biblica 18 Né è stata ignorata la questione dei rapporti tra Gesù e il suo apostolo, trattata con esito alterno, essendo per gli uni fondamentale l'influsso del primo sul se­ condo, mentre per gli altri non si tratta di una significativa pre-

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16 B EKER. Der Sieg Gorres, 21ss: Paolo non è da intendere anzitutto come un teo­ logo sistematico - così prelendeva Marcione - né come un missionario pieno di sue� cesso, al dire di Atti. bensl come un teologo ermeneutico che nelle sue lellere ha va­ riamente interpretato la verità del vangelo. cioè che in Cristo Dio trionfa sulle po­ tenze del male e della morte. Le categorie quali giustizia di Dio. giustificazione, re­ denzione o riconciliazione sono metafore che rendono significativo il vangelo in una determinata situazione. E precisa alle pp. 59ss: non solo il motivo dell"apocalittica rappresenta il sustrato del pensiero paolina, ma anche e soprattullo è la vittoria apo­ calinica di Dio che costituisce il nucleo del pensiero di Paolo. Di conseguenza, la di­ scussione circa il centro della teologia paolina, sia esso la giustificazione o la mistica escatologica o una struttura gerarchica delle due. presuppone false alternative. poiché la vera coerenza del vangelo paolina è da localizzare nella signoria di Cristo che anti­ cipa la villoria di Dio (p. 86). E conclude affermando con forza il carallere teocen­ trico della teologia paolina. contro l"odierno trionfo della spiegazione antropologica e sociologica. In sintesi, ecco come si esprime lo studioso nella sua opera mai or: Paolo è un teologo apocalittico con prospettiva teocentrica (Pau/ The Aposrle. 362). 17 Cf. qui anche gli apporti di Fumish citati sopra. " Cf. in generale W.G. KOMMEL, Il Nuovo Testamento. Storia dell'indagine scien­ tifica sul problema neotesramentario. Il Mulino, Bologna 1976 e in maniera più speci­ fica J. MuRPHY-O"CoNNOR (a cura di), Pau/ and Q11mran. Studies in New Testament ezegesis, London 1%8. Recentemente hanno fatto il punto della situazione C. TASSJN. «Paul dans le monde juif du l" siècle•, in J. SCHLOSSER (a cura di), Pau/ de Tarse, Paris 1996, 171-193 e S. LÉGASSE, •Pau! et les mystères», ibUL, 223-241.

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senza. 19 Ma non è una problematica che intendo affrontare qui ex professo e per esteso; vi ho accennato nella presentazione delle sin­ gole lettere. Anche il discusso problema dell'evoluzione del suo pen­ siero sull'arco del settennato in cui prendono posto le lettere pao­ line, dalla prima, lTs, del 50, all'ultima, con probabilità quella ai Ro­ mani del 55/56, è stato toccato sopra, confrontando l'escatologia di lTs con quella di lCor 15 e Gal con Rm soprattutto a proposito della valutazione della legge, ma anche circa la comprensione dell'e­ xemplum Abramo. Qui lo riprenderò soprattutto a proposito dei rapporti tra queste due lettere. Da parte mia, sono persuaso che troppo spesso si sia passati so­ pra alle esposizioni del suo pensiero teologico attestato nell'epistola­ rio, ritenute troppo analitiche, protesi a cercare una sua teologia, data come sottesa alle lettere e presente già nella sua mente. È im­ portante denunciare il presupposto non criticamente vagliato che l'apostolo sia stato un teologo per se stesso, al di fuori delle sue let­ tere, che ne sarebbero solo una traduzione parziale e applicata alle situazioni dei destinatari, e che sia possibile ricostruire le linee por­ tanti, o l'ispirazione di fondo, o il centro, come si dice, della sua teo­ logia. I nvece la lettura attenta dei suoi scritti mostra che egli appare piuttosto un teologo in actu exercito, provocato da domande e solle­ citazioni che gli giungevàno dalle sue comunità e da avversari e cri­ tici, ma anche dalla sua mente non soddisfatta da elaborazioni prece­ denti avvertite come parziali e, a volte, incongrue, dunque bisognose di essere riprese e precisate, ma anche corrette. Il caso più eclatante in materia è senz'altro la ripresa in Rm del problema della valuta­ ·zione della legge mosaica data in Gal, ma anche della discendenza abramitica, in Gal applicata solo ai gentili credenti, in Rm 4 invece riferita ai gentili incirconcisi che credono e ai giudei circoncisi che seguono il loro padre anche nella fede. Ancor più Rm 9-1 1 può es­ sere letta come una retractatio di Gal circa il rapporto tra l'economia salvifica inaugurata in Cristo e il passato di elezione divina del po­ polo di Dio. Perciò questa mia «teologia di Paolo» appare piuttosto come l'insieme delle sue «teologie>>, o meglio degli abbozzi teologici parziali, elaborati a risposta dei diversi problemi che erano sul tap­ peto e come reazione ai diversi interlocutori, quando scriveva alla 19 Cl. J.D.G. DuNN, •Jesus Tradition in Paul», in B.D. CH!LTON . C.A. EvANS (a cura di), Studying the Historical Jesus, Leiden-New York-KOin 1994; F. NEIRYNCK, •Paul and the Sayings of Jesus», in A. VANHOYE (a cura di), L 'Apotre Pau/, personna· lité, style, conception du ministère, Leuven 1986, 265-321.

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chiesa dei tessalonicesi, a quella di Corinto, ai credenti di Filippi e al carissimo Filemone, alle chiese di Galazia e ai cristiani di Roma. L'occasiona/ilà dei suoi scritti è pure l'occasionalità della sua teolo­ gia, legata strettamente alla contingenza. Ora però appare necessario mostrare, anzitutto, come egli faccia teologia in forma epistolare. Si tratta d'indicare ciò che presuppone e dà per scontato, dati condivisi con gli interlocutori, poi di mostrare come parta da questa base comune per elaborare sviluppi, far emer­ gere implicanze, più in generale interpretarli con una personale let­ tura; e senza trascurare l'esistenza di un ricco patrimonio di fede e di cultura ereditato dalla sua matrice giudaica e facendo attenzione alle risonanze dell'ambiente greco nella sua mente recettiva, ma anche creativa di nuovi e originali significati nella prospettiva di fede. Inol­ tre s'impone l'esigenza di chiarire nei contorni quel punto di par­ tenza, la chiamata divina o l'apocalisse di Cristo sulla via di Dama­ sco, da cui egli ha preso le mosse non solo per un'avventura straordi­ naria di missione evangelizzatrice nel mondo ma anche per co­ struire, se così possiamo dire, la sua , non meno straordi­ naria, di primo e più importante teologo delle origini cristiane: un punto di partenza maturato nel suo significato con il passare degli anni dediti all'azione di evangelista e di pastore d'anime. E in questa delineazione del suo essere teologo in progress o in faciendo appare possibile individuare quella costante di pensiero che lo ha guidato nel rispondere ai diversi quesiti in modo argomentativo e nel met­ tere in atto categorie interpretative caratterizzanti il suo lavoro teo­ logico di marca appunto ermeneutica, come si avrà modo di toccare con mano.20

l. IL

METODO TEOLOGICO DI PAOLO

Entriamo per così dire nella bottega in cui l'apostolo ha co­ struito, volta per volta, la sua teologia, sempre parziale, come rispo­ sta contingente e occasionale, ma non per questo meno motivata sul piano argomentativo, dal momento che egli ricorre non solo alle ri­ sorse dialettiche della logica ma anche a quelle della retorica, capaci d'imprimere al suo scritto forza persuasiva. Per questo si può affer-

., Per la documentazione bibliografica rimando a quella indicata ai passi paolini qui addotti.

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mare che il suo fare teologia ha un marcato timbro dialogico: scam­ bio con i destinatari delle lettere, comunicazione del suo mondo in­ teriore fatto di certezze di fede, ricche eredità religioso-morali di marca giudaica e di segno protocristiano, evidenze culturali, capacità di far esplodere le implicanze insite in posizioni sue e di altri, ani­ mato sempre dall'intento di far maturare spiritualmente gli interlo­ cutori, preservarli da pericoli e minacce, difenderli da subdoli propa­ gandisti cristiani che, a suo avviso, inquinavano la purezza del van­ gelo. Non è dunque errato definire il suo pensiero teologico con la qualifica di pastorale, perché persegue scopi pratici, un modo per ve­ rificare la sua diaconia apostolica ricevuta da Dio e da Cristo. Non un teologo da tavolino dunque, ma un servitore del vangelo che, per necessità di cose, è andato oltre all'annuncio, da lui interpretato come risposta a interrogativi, problemi, esigenze concrete d'intelligi­ bilità degli interlocutori e sue proprie. Ha ragione Dunn nell'affer­ mare che non si può scindere in lui il teologo dal missionario e dal pastore d'anime ?' In realtà si tratta di un rapporto stretto che vede quello subordinato a questo; la sua teologia non è solo in funzione della missione e della cura d'anime, ma anche forma concreta e spe­ cifica della sua azione missionaria e pastorale.

1.1. Interpretazione del vangelo È il primo e primario modo di fare teologia per Paolo, che vi si richiama come a base della sua riflessione di carattere ermeneutico, tesa a mostrarne le implicanze e le ricchezze nascoste, capaci di ri­ spondere ai bisogni dei destinatari delle lettere c alle sue stesse at­ tese di comunicatore. Tre specificazioni erano possesso comune dei credenti: lieto annuncio proveniente da Dio, 22 lieto annuncio procla­ mato da predicatori divinamente autorizzati/3 vangelo riguardante Gesù Cristo, in particolare la sua morte e risurrezione.24

In l Ts Paolo vi si richiama per confortare ed esortare una comu­ nità messa sotto pressione dall'ostilità dell'ambiente (1 ,6; 2,14; 3,3-4)

21

DuNN, The Theo/ogy of Pau/ the Apostle. 6ss. Euaggelion tou theou è formula frequente in Paolo che l'usa come dato scon­ tato er i suoi interlocutori: cf. per es. lTs 2,2.8.9: Rm 1,1. E Vedi i numerosi verbi dicendi con cui è specificato, sopraltulto il verbo ki!rys­ seill presente nella tradizione su Gesù (cf. Mc 1,14; Mt 4,17), in Paolo (!Ts 2,9; Gal 2,2; 1Cor 15,1 1-12), nella tradizione paolina (Col 1,23). " Cf. sopranuno Rm 1.3-4; 1Cor 15,3-5. 22

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e da un forte senso di disperazione per alcuni casi di decesso di per­ sone care (4,13). Non ricorre a parole convenzionali, adduce fondate ragioni di fede, implicite nell'annuncio evangelico da lui proclamato e dai cari tessalonicesi accolto. Anzitutto dal successo della predica­ rione egli trae la conclusione che questi sono diventati oggetto del­ l'elezione amorosa di Dio: «Ringraziamo sempre Dio per tutti voi ... sapendo, fratelli amati da Dio (egapemenoi hypo theou), della vostra elezione (ten eklogen hymiin)» (1,4). L'evangelizzazione di Tessalo­ nica non è stata un'impresa puramente umana né da parte dei predi­ catori né da quella degli ascoltatori. Paolo può rilevare che (4,14a). È una certezza di fede che accomuna mittente e destinatari (noi), non passata ma attuale (verbo al presente). E ne deduce con una propo­ sizione comparativa: «allo stesso modo Dio, mediante Gesù, con­ durrà insieme con lui quelli che si sono addormentati nella morte>> (4,14b). Il ragionamento è «come Gesù così i morti»: accomunati in un destino di morte, lo saranno nel superamento della morte per in­ tervento potente di Dio, che già ha manifestato la sua potenza di vita risuscitando Gesù: «Vi siete convertiti a Dio ... per attendere dai cieli il suo figlio, che egli ha risuscitato dal regno dei morti>> (1,10). Non si tratta di un processo di pura addizione o coordinazione: gli uni ac­ canto all'altro, né di puro paragone: gli uni come l'altro, che pure ap­ pare all'inizio, ma di solidale comunione: Dio condurrà i morti in­ sieme con lui (syn auto-i). Si vedano anche le due conclusioni delle pericopi escatologiche di lTs: > (2,7). In concreto fa appello alla sua esperienza di vocazione e missione divina al pari dei profeti d'Israele nonché di apocalisse di Cristo: «Ma quando Dio, che mi aveva scelto fin dal seno di mia madre e mi aveva chiamato per la sua grazia, si compiac­ que di rivelarmi il suo Figlio perché ne portassi il lieto annuncio tra i gentili ... >> (1,15-16); «l'ho invece ricevuto [il vangelo] per rivelazione di Gesù Cristo» (1 ,12). La sua salita a Gerusalemme non ha voluto dire altro che riconoscimento autorevole del suo carisma da parte dei leader apostolici della città (2,1-10). Ma questa è solo la premessa per il clou dell'argomentazione, che mette in rilievo le conseguenze logiche di tale rivendicazione: non si dà, né si può dare, un altro vangelo, diverso dal suo. Agli in­ terlocutori rimprovera di essere sul punto di aderire a uno pseudo vangelo, un prodotto che usurpa il nome di vangelo: «Mi stupisco che così presto voi stiate passando da Colui che vi ha chiamati nello stato di grazia di Cristo a un altro vangelo. Non che esista un altro 735

vangelo, ci sono però alcuni che gettano turbamento tra voi e vo­ gliono pervertire il vangelo di Cristo>> ( 1,6-7). L'unico vangelo au­ tentico è il suo, vangelo della libertà dalla circoncisione e dalla legge mosaica. È il punto nevralgico dell'ermeneutica teologica di Gal, che fa leva sulla destinazione del vangelo ai gentili o agli incirconcisi per precisarne le implicanze: questi non sono solo i materiali destinatari, ma lo qualificano nel senso della libertà dalla circoncisione e dalla legge mosaica. In 2,4-5 infatti verità del vangelo e libertà dei gentili si corrispondono: «A causa però dei falsi fratelli, veri intrusi infiltra­ tisi a spiare la nostra libertà che abbiamo in Cristo Gesù per farci schiavi (hina hemas katadoul6sousin) ... Neppure per un istante ce­ demmo alla loro pretesa di sottometterei (te hypotage-i}, perché ri­ manesse tra voi la verità del vangelo>>. I suoi oppositori giudeo­ cristiani intendevano il vangelo indirizzato ai gentili come esigenza per questi di circoncidersi se volevano accoglierlo in tutte le sue esi­ genze; Paolo vi oppone un'interpretazione diametralmente opposta: annuncio ai gentili perché da gentili credano ed entrino come tali nello spazio dei destinati alla salvezza finale. È uno scontro tra due ermeneutiche del vangelo, l'una che intende preservarne la verità obbligando gli aderenti alla schiavitù della legge mosaica, come dice Paolo, e l'altra che erige la libertà «che abbiamo in Cristo» a criterio di verità. Ora egli a suo favore può appellarsi a una prova decisiva, l'autorevolissima testimonianza delle Scritture e dell exemplum pa­ radigmatico di Abramo. L'ermeneutica del vangelo, grandezza di­ vina e annuncio di libertà per i gentili, si coniuga così con l'interpre­ tazione dei testi scritturistici e della storia del grande patriarca, ivi narrata, ma di questa si tratterà in seguito. Ancor più è in Rm che Paolo appare grande interprete del van­ gelo. Tutti gli studiosi praticamente concordano nel dire che esso ne costituisce la propositio, enunciata in 1,16-17: «non mi vergogno del vangelo: è potenza di Dio per la salvezza per chiunque crede, per il giudeo prima e poi per il greco. Sì, perché nel vangelo si disvela la giustizia di Dio da fede a fede, come dice la Scrittura: Chi è giusto per la fede avrà la vita». I ntroducendo la serrata argomentazione teologica tipica di Rm egli svela subito la sua interpretazione del vangelo. Se era tradizionale specificarlo con il genitivo soggettivo , annuncio cioè da lui proveniente, Paolo ne specifica il rap­ porto identificandolo anzitutto con la potenza salvifica divina. Non è pura comunicazione verbale di segno notificativo; quanto viene pro­ clamato è Dio stesso che lo proclama, una parola la sua performa­ tiva, che fa ciò che dice, creativa di salvezza. Ne determina poi la de'

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stinazione universale o ecumenica, essendo rivolto parimenti, senza discriminazione, alle due metà del mondo, a giudei e gentili. Ancora: è efficace in senso salvifico sulla base della fede, acco­ glienza da esso efficacemente suscitata negli ascoltatori. Un'ulte­ riore specificazione, che giocherà in maniera determinante nella ri­ flessione teologica di Rm: il vangelo è luogo di apocalisse, dunque evento escatologico anticipato nella storia, della giustizia di Dio, cioè della sua azione di fedeltà alle promesse salvifiche da lui giu­ rate, di cui le Scritture sono ampia testimonianza. E come stralcio significativo egli cita espressamente Ab 2,4, in cui sono coordinate strettamente la giustizia dell'uomo, la sua fede, la promessa della vita escatologica. Il corpo della lettera si occuperà di evidenziare e dimostrare tale sua lettura del vangelo. La potenza di Dio giusto e giustificante sulla base della sola fede, a prescindere dalle opere della legge (choris ton ergon nomou), è il nodo della probatio di 1,18-4,25, incentrata nel­ l'imparzialità divina, ben nota alla credenza giudaica nel versante dell'attività del giusto giudice finale (1 ,18-3,20), ma nuova n è lla pre­ sentazione paolina che l'applica all'iniziativa della giustizia salvifica di Dio operante mediante Cristo (3,21-31), di cui Abramo è caso esemplare e paradigmatico (c. 4), o della sua misericordia fatta indi­ stintamente a tutti gli uomini rinchiusi nel loro peccato ( 1 1 ,32). Di nuovo dunque l'interpretazione del vangelo appare strettamente le­ gata all'ermeneutica della Scrittura o anche della storia di Abramo, da questa narrata. L'intuizione di fede dell'apostolo che legge nel vangelo la potenza salvifica di Dio a favore di tutti sulla base della sola fede trova la sua motivazione giustificante nella parola scritturi­ stica, Ietta da credente in Cristo, mediatore esclusivo della giustizia e misericordia divina. E altrettanto vale dei cc. 9-11 , dove Paolo, sol­ lecitato dallo scandalo del no della maggioranza dei suoi «fratelli>> al vangelo, scende nell'agone dialettico a difendere la fedeltà di Dio verso il suo popolo, eletto per amore di Abramo e di Israele, lui che ha chiamato anche i gentili a far parte dell'olivo scelto e che non mancherà di reinserire gli israeliti rimasti increduli e per questo rami divelti, affinché tutto Israele sia salvato. Una dimostrazione ardua tutta giocata sul filo della testimonianza biblica, che copre più di un terzo del testo paolino, come si è visto. In realtà, ermeneutica del vangelo e interpretazione delle Scritture non sono semplicemente accostate, ma l'una è interna all'altra, due facce della stessa meda­ glia, perché per Paolo il vangelo di Cristo è stato (1,2), anticipato di737

remmo nel pre-vangelo di Abramo come attestato in Gen 15,6; 17,5; 15,5. Sintetizzando, si può dire che Paolo ha interpretato variamente il vangelo. Nel successo della sua predicazione a Tessa Ionica è stato in­ teso come causa esplicativa dell'elezione divina dei credenti di Tes­ salonica (1Ts). Nel suo contenuto cristologico, morte e risurrezione di Cristo, è stato mostrato fondativo della speranza nel rapimento in cielo (1Ts) e nella risurrezione dei morti (lCor 15), ma anche di una theologia crucis derivata dalla lettura staurologica della morte di Gesù (1Cor 1-4). Come messaggio indirizzato ai gentili ha dato luogo alla sua intelligenza di annuncio della libertà dalla circonci­ sione e dalla legge mosaica (Gal). Infine Rm ne ha interpretato il dato di vangelo di Dio, mostrando che è espressione del potere sal­ vante divino a favore indistintamente di tutti gli uomini, giudei e gentili, e luogo del disvelamento della giustizia divina mediata dalla morte espiatoria di Cristo. Naturalmente resta ancora da individuare la chiave interpretativa messa in atto in questi diversi processi erme­ neutici del vangelo e delle Scritture ebraiche che lo preannunciano; me ne occuperò più avanti.29

1.2. Interpretazione dell'evangelista Il vangelo di cui si è fatto interprete appare nelle lettere una grandezza strettamente legata alla sua persona e alla sua attività. Già il fatto di essere un annuncio storico dice che vi è coinvolto ne­ cessariamente un annunciatore umano. Ma si aggiunga che Paolo è stato un missionario, cioè un «attivista>>, e per nulla un pensatore di professione alle prese con problemi ideali della sua fervida mente. Anche per motivi personali dunque vi si è impegnato, tanto più e so­ prattutto perché costretto, dovendosi difendere da attacchi esterni e polemizzare contro missionari concorrenti sul piano personale e ideologico. Così è giunto a presentare se stesso come incarnazione dell'autentico evangelista, di cui nello stesso tempo ha elaborato una profonda interpretazione basata, in ultima istanza, sulla christologia crucis et simul gloriae, evangelista a immagine del crocifisso e in­ sieme del Signore della gloria.30 E siccome per lui la croce di Cristo e

" Non mi sembra che in F"ll e Fm questo lavorio teologico di Paolo sia presente: per 'J.I'esto qui se ne prescinde. Di 2Cor invece si parlerà nel prossimo paragrafo. Su questo secondo versante, importante quanto il primo. per la verità poco si insiste da pane degli studiosi, per lo più presi dalla rheologia crucis.

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la sua gloria di risorto31 caratterizzano essenzialmente il contenuto del vangelo, si può dire che la sua ermeneutica teologica dell'evan­ gelista faccia tutt'uno con quella del vangelo: la figura di questo si sovrappone alla figura di quello, determinandola. Non è inutile insistere sul carattere fortemente personale della sua riflessione, che per questo ha assunto forma apologetica e pole­ mica, non escluse invettive impressionanti e violente. Si tratta di lui in prima persona, del suo «iO>>, che in alcuni passi si allarga al «noi» degli annunciatori del vangelo e, in 2Cor, alla sua équipe. Non è quindi in questione il suo >;36 verissimo, nel senso che egli vi ritrova le prove ex auctoritate delle sue posizioni più caratteristiche, quali la dottrina della giustizia di Dio in base alla fede e non alle opere della legge, il ruolo universale di Cristo salvatore, la valuta­ zione della legge mosaica, la fedeltà divina al popolo dell'elezione (Gal e Rm), ma anche la theologia crucis di 1Cor 1-4 espressa nel­ l'antitesi sapienza umana e sapienza divina e l'interpretazione del servizio al vangelo confrontato con quello mosaico (2Cor 3 ) . A tal fine mette in atto una libera e creativa lettura dei testi vt, simile in tutto, dal punto di vista formale, ai metodi esegetici del giudaismo coevo, originale invece nella sua qualità intrinseca di rilettura o anche cristologica, illuminato dalla realtà nuova dischiusa dal vangelo che fa apparire le Scritture ebraiche pre-vangelo (Gal 3,8: proeuaggelizesthai), pre-promessa (Rm 1,2: proepaggelizesthai), pre-veggenza (Gal 3,8: pro-idein), pre-scrittura (Rm 14,4: progra­ phein), parola intenzionalmente indirizzata al (5,18-19.21). Nello stesso tempo però Paolo sottolinea che non c'è affatto equiparazione tra i due termini del paragone quanto alla qualità della loro azione influente e alla natura dei relativi ef­ fetti, perché l'uno con la sua disobbedienza influisce su tutti come causa di peccato e di morte eterna o condanna ultima, mentre l'altro, obbediente, è portatore di un destino di grazia, giusti,zia e vita. Per­ tanto alla formula affermativa «come ... cosÌ>> abbina quella negativa e opposta (alla): (Rm 5,15-16). L'intelligenza dell'agire salvifico di Cristo dipende qui dalla legge di contrasto, non di analo­ gia: la figura tenebrosa di Adamo illumina l'altra faccia, luminosa, della medaglia. E anche quanto alla loro capacità d'influire su tutti gli uomini, che pure li accomuna, Paolo rileva una disparità nella pa­ rità: l'efficacia dell'influsso è maggiore in Cristo, a favore del quale c'è eccedenza. Ecco dunque l'argomento a fortiori. > (cf. anche 3,20; 7,5.7-8). In 7,10 Paolo però ricono­ sce che la legge è stata data «per la vita>> attribuendo tutta la negati­ vità al peccato che la strumentalizza, contro la sua natura,45 per la morte. La finalità positiva della legge è dunque salva in Rm, anche se per colpa del peccato resta inattuata, mentre negli altri passi indi­ cati Paolo dice che è stata data a fini negativi, per cui in Gal assi­ stiamo al suo tentativo di salvarsi dall'attribuire un cattivo intento a Dio allontanandola, per quanto è possibile, da lui e assegnandola piuttosto all'iniziativa di angeli (3,19). Rm si differenzia ancora da Gal nell'impegno con cui Paolo si è confrontato con Israele e il destino del popolo di Dio (cf. cc. 9-1 1).

" Questa espressione. incontcstabile, è di J.N. ALETil, •lsrael et Saint Paul: Une image caricaturale?•, in Érudes, avril 1998, 499-5 1 1 .

sa

Loi selon

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Allora egli aveva presentato una visione unilaterale della storia an­ tecedente a Cristo: storia di peccato, maledizione e schiavitù anche per effetto della funzione negativa della legge mosaica, in tutto si­ mile alla schiavitù idolatrica dei gentili,46 storia riscattata da Cristo (3,13). A ltrettanto vale di Rm 3,9-20 e 5,12-21, ma deve aver av­ vertito, anche perché forse sollecitato da critiche e accuse - ridu­ zione dello statuto di Israele a quello di un qualsiasi popolo, equipa­ rato ai gentili, negazione della storia di Dio con il suo popolo atte­ stata nelle Scritture, rischio di marca marcionitica di rifiuto del Dio del Sinai e di Mosè -, di essersi spinto per furore polemico oltre l'ac­ cettabile. Di fatto la sua valutazione si corregge, guidata dal criterio dell'elezione divina d'Israeie:7 che non viene meno neppure nel no opposto a Cristo dalla maggioranza degli israeliti fedeli alla legge mosaica,48 e per questo ciechi sulla svolta impressa da Dio alla storia nella vicenda di Cristo, terminativa del tempo della legge (Rm 10,4). Il loro è un attaccamento di tipo anacronistico a Dio, al Dio del Si­ nai, che è diventato ora anche il Dio di Gesù Cristo, manifestatosi in lui in modo definitivo e ultimo, a compimento delle precedenti rive­ lazioni. Tragico abbaglio: perseguono una propria particolare giusti­ zia, collegata con il possesso della legge mosaica e per questo estra­ nea ai gentili che sono per definizione i senza-legge (anomoi), giusti­ zia indicata nella Scrittura come attesta Lv 18,5 citato da Paolo in 10,5: «Mosè scrive a proposito della giustizia che si ha per la legge: L 'uomo che l'attuerà vi troverà la vita»; ma così misconoscono la giu­ stizia di Dio disvelata in Cristo e offerta sulla base della sola fede, dunque indiscriminatamente aperta a tutti, giudei e greci (cf. 9,30-10,4), giustizia che Paolo presenta come direttamente parlante nel testo scritturistico e opposta al suddetto passo di Lv: «Invece la giu­ stizia che si ha per fede parla così...>> (10,6), e qui egli presenta un ricco collage di passi scritturistici, interpretati alla luce della sud­ detta tesi precostituita e con grande libertà. Così l'affermazione deu­ teronomistica: «ti è vicina questa parola>>, originariamente indicante la parola della legge, viene da lui riferita alla parola dell'annuncio 46 Cf. Gal 4,9: •Ora però che avete conosciuto Dio, o piuttosto siete stati da lui conosciuti, come potete ritornare ancora agli elementi deboli e miseri con la volontà di esserne di nuovo schiavi?>). " Paolo non ha mai chiarito bene il rapporto tra elezione divina d'Israele ed ele­ zione in Cristo (lTs 1,4; I Cor 1,27.28; Rm 8,33; 16,13) e altrellanto si può dire del mo· livo connesso di chiamata (ka/ein). '" Paolo riconosce a loro uno zelo positivo per Dio (10,2), salvo rilevare che è uno zelo non illuminato.

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evangelico produttiva di fede (to rhema tes pisteos ho keryssomen) (cf. 10,8).49 E sempre contro il particolarismo o etnocentrismo religioso de­ gli israeliti che per questo hanno rifiutato Cristo, inciampando in lui pietra d'inciampo (9,32-33), Paolo critica nel c. 9 una massimalistica concezione dell'elezione divina d'Israele: «non tutti i discendenti d'Israele sono Israele; né tutti i suoi figli sono discendenza di Abramo>> (v. 6), eredi della promessa dei beni salvifici, come atte­ stano i casi esemplari di Isacco-lsmaele e di Giacobbe-Esaù. D'altra parte, se nella stirpe di Abramo avviene una selezione, che dimostra la libertà eleggente divina, lo stesso Dio chiama anche gli estranei, i gentili: all'azione selettiva corrisponde un'azione estensiva (9,23), come mostra la stessa Scrittura: «Chiamerò "mio-popolo " quello che non era mio popolo e "amata " quella che non era amata» (9,25-26), oracolo di Os 2,25 che Paolo riferisce ai gentili, mentre nel profeta valeva dell'Israele idolatra e dunque rifiutato da Dio, ma poi accolto con amore e grazia. Resta però vero, rileva l'apostolo, che non tutti per amore della legge mosaica hanno respinto Cristo, perché per grazia, come già nella storia passata d'Israele, sussiste un resto santo, i giudeo-cri­ stiani, di cui egli è parte. E questo costituisce già un chiaro indizio capace di escludere l'eventualità che Dio abbia rigettato in toto il suo popolo ( l l ,lss). Ma v'è di più: anche gli israeliti al presente in­ creduli verso Cristo e perciò rami divelti dall'olivo buono, mentre i gentili, rami di un olivastro, vi sono stati inseriti per grazia, saranno reinseriti nell'olivo originario dalla potenza di Dio fedele nono­ stante l'infedeltà umana: > soprannaturali e dalle stesse animata, anche attraverso i doni carismatici. Si può parlare di un'ecclesiologia organica sotto il segno cristolo­ gico e pneumatologico, che Paolo sviluppa però solo in l Cor 12-14 (cf. pure Rm 12,3-8), provocato dalla situazione della comunità co­ rinzia, divisa al suo interno da irrefrenabile fascinazione della glos­ solalia e degli esaltanti fenomeni estatici, con i glossolali che vive­ vano un complesso di superiorità mentre soffrivano di un umiliante complesso d'inferiorità quanti ne erano privi. Nello stesso complesso letterario (1Cor 12-14) e nella medesima contingenza Paolo interviene a precisare la natura dello Spirito, che gli esaltati della chiesa di Corinto tendevano a confondere con il pneuma travolgente delle esperienze estatiche del mondo greco, per es. della Pizia, e sostitutivo dell'intelligenza (nous) umana. Una ridu­ zione, a suo avviso, inammissibile, perché lo Spirito è anzitutto «Spi­ rito di Cristo>>, posseduto pienamente dal Risorto chiamato per que­ sto «Spirito creatore di vita>>, della vita di risorti ( l Cor 15,45), ma an-

" Cf. per es. 1Ts 2.14; 1Cor 4.17; 7.17; 14,4.5 . 1 2.19 ecc.: come riunione in atto; 15,9; 2Cor 1 1 ,8.28; 12,13; Gal 1,13.22; Fil 4,15; Rm 16, passim.

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che principio attivo della confessione cristologica dei credenti «Gesù è il Signore» (1Cor 12,3). Non solo, è fonte dei carismi (doni di gra­ zia non riducibili alla sola glossolalia o estasi), che distribuisce libe­ ramente a ognuno «per il vantaggio>> (1Cor 12,7) e la costruzione della comunità (1Cor 14,3.4.5.12. 17). In ambito pneumatologico si aggiungano i due testi paralleli di Gal 5,16-26 e Rm 8,1-17: lo Spirito è inteso come principio anima­ tore dei credenti e «norma>> del loro agire, soggetti non confrontati con regole e prescrizioni, bensì con un dinamismo nuovo di vita, ap­ punto il dinamismo , che li muove sulla duplice direttiva etica dell'agape e religiosa dell'invocazione a Dio come Abbà. È un approfondimento suscitato dal confronto di Paolo con il problema della legge mosaica, incapace di fronteggiare l'offensiva del peccato, di cui è diventata strumento per la sua traduzione in atti trasgressivi. Lo sfondo antropologico è che, a suo avviso, le forze del male sono penetrate così a fondo nell'uomo e nel mondo da averli devastati spiritualmente. Per questo, come vedremo, non parla tanto dei pec­ cati che gli uomini commettono, ma della signoria del peccato, che li schiavizza.53 Lo Spirito, potenza creatrice di Dio nella tradizione bi­ blica, è inteso da Paolo come principio di vita nuova, liberatore dalla legge del peccato e della morte (Rm 8,2), donato ai credenti quale dinamica alternativa a quella opposta della .54 Questa invece è un impulso al male, simile al yezer ra 'a del rabbinismo giudaico, che resta nel soggetto liberato dal non posse non peccare e per il posse non peccare, essendo il non posse peccare proprio della condi­ zione escatologica finale. Perciò Paolo ignora, in pratica, il motivo della conversione e non si limita a invocare il perdono dei peccati, né si affida moralisticamente a dare norme e divieti da osservare.55 Sa­ rebbe, nella sua visione, come se del malato si curassero i sintomi, non le cause. La fiducia è riposta nello Spirito di Cristo e di Dio, ca­ pace di creare un cuore nuovo, un nuovo centro decisionale nei sog­ getti abilitati così a produrre > (v. 10). Non solo principio 757

di conoscenza, ma anche di congrua espressione verbale: «E di que­ sto parliamo con parole insegnate non da sapienza umana, bensì dallo Spirito, interpretando ciò che è spirituale per le persone spiri­ tuali>> (v. 13). «Si noti come lo Spirito invada tutto il processo della conoscenza e della comunicazione della sapienza, processo intera­ mente «pneumatico»; l'aggettivo infatti qualifica l'oggetto da comu­ nicare (pneumatika l cose spirituali), i soggetti comunicanti (hoi pneumatikoi l gli spirituali) e le relative parole espressive (logoi di­ daktoi pneumatos l parole insegnate dallo Spirito)».56 Quanto alla conèezione dell'uomo l'originalità della riflessione paolina emerge con particolare evidenza in lCor, dove egli si è occu­ pato a fondo dei risvolti antropologici delle sue posizioni teologiche. Ha capito che un'efficace risposta a specifici problemi della comu­ nità corinzia non poteva prescinderne. Così in lCor 6,12-20, dove af­ fronta il libertarismo in campo sessuale di un settore della chiesa di Corinto all'insegna dello slogan «Tutto mi è lecitO>>, punta l'atten­ zione sul modo di concepire il corpo e il sesso. Per i suoi diretti inter­ locutori quello era inteso come puro organismo materiale e questo ridotto a una sua funzione semplicemente organica in tutto simile al mangiare. Dunque niente di male se i maschi frequentano le prosti­ tute della città; la persona non ne è minimamente intaccata, come non lo è dal cibo. Andando oltre a un'esecrazione moralistica facile quanto inefficace, Paolo contesta i presupposti antropologici: il corpo è l'uomo in quanto essere relazionale e il sesso è una manife­ stazione di questa sua essenziale relazionalità, non riducibile come tale a un adiaphoron, grandezza indifferente. Se è manifestazione priva di amore diventa rapporto io-cosa. strumentalizzazione dell'al­ tro, privata della sua vera natura di relazione incarnata io-tu. In ter­ mini di antropologia paolina, scade a relazione «carnale>> e come tale, a differenza del rapporto sessuale matrimoniale, supposto espressivo di amore e di comunione interpersonale, si oppone alla relazione essenziale dei credenti di appartenenza a Dio, a Cristo e allo Spirito. La stessa antropologia è al centro della sezione di lCor 15,35ss. era la questione ineludibile a cui portava la tesi della risurrezione dei morti, dimostrata nella prima sezione. Paolo non si sottrae: l'intelli­ genza del dato di fede è importante per l'adesione cosciente dei ere-

,. BARBAGLIO,

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La prima lettera ai

Corinzi, 179.

denti; e subito precisa che sarà un corpo qualitativamente diverso da quello terreno. Ma non si ferma a questa determinazione ancora troppo generica; afferma che è un corpo spirituale, non nel senso del dualismo greco, secondo il quale la formula appare una contradictio in terminis, bensì nel senso della sua prospettiva antropologica: struttura basica e olistica dell'uomo visto come soggetto di relazio­ nalità verso Dio, gli altri e il mondo, animata dallo Spirito. E al posto dell'antitesi dello spiritualismo dualistico corpo-spirito presenta la contrapposizione corpo spirituale - corpo psichico, indicativa delle sfere soprannaturale e terrena, questa caduca e mortale, quella in­ vece celeste, incorruttibile e immmortale. Di conseguenza afferma che sarà necessaria una profonda trasformazione dell'essere umano: «È necessario infatti che questo essere corruttibile sia rivestito d'in­ corruttibilità e questo essere mortale d'immortalità>> (v. 53). S'im­ pone un salto di qualità: «la carne e il sangue non possono ereditare il regno di Dio, né la corruttibilità può ereditare l'incorruttibilità>> (v. 50). Si tratta però di una discontinuità costruita sulla continuità della persona, meglio del .57 Neanche i passi controversi di 2Cor 5,1-10 e di Fil 1 ,23-24 sono in grado di mettere in dubbio la conce­ zione paolina dell'essenziale somaticità dell'uomo, che è corpo, non ha un corpo, come ha ben detto Bultmann. La teologia paolina poi cammina su due linee complementari, in­ sistendo sulla giustizia di Dio e sulla sua imparzialità di grazia. Non che siano categorie del tutto nuove, al contrario, ma Paolo le ha riempite di contenuti nuovi e originali. Così della giustizia divina in senso salvifico avevano parlato le Scritture e anche gli scritti di Qumran, per !imitarci alle testimonianze più importanti. Egli fa sua tale teologia ma specificandola in modo originale: è giustizia disve­ lata ora in Cristo (Rm 3,21-31), basata sulla fede in lui e indipen­ dente dalle opere della legge, concorrenti con la mediazione cristo­ logica. Anche la prospettiva dell'imparzialità divina era attribuita dalle Scritture ebraiche a Dio giusto giudice, che non guarda in fac­ cia alle persone da lui giudicate secondo il criterio delle opere. Paolo l'assume per mettere fuori campo ogni indebita pretesa dei giudei di appellarsi alla loro elezione divina, ai di popolo dell'al­ leanza e della promessa, per ottenere, rispetto ai gentili, un tratta,., Invece per Paolo la carne è grandezza antropologica negativa, sia come espressione di caducità e monalità (cf. il citato JCor 15,50). sia come dinamica ego­ centrica antitetica al dinamismo agapico dello Spirito. Per questo mai egli avrebbe po­ tuto parlare di risurrezione della carne.

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mento privilegiato nell'ora del giudizio ultimo (Rm 2,1ss). Ma so­ prattutto mette in campo un argomento a pari: l'imparzialità del giu­ dice finale fa il paio con l'imparzialità del Dio di Gesù Cristo che ora disvela la sua giustizia a beneficio di tutti, giudei e gentili, e su piede di parità, cioè mediante la fede (Rm 3,22; 10,12). Rispetto poi alla storia della rivelazione vt egli conosce una nuova e apicale manifestazione di Dio, appunto in Gesù Cristo, cioè la sua apocalisse dei tempi ultimi, attesa e sperata. Ma di questo si parlerà in seguito. E già questo c'introduce nel campo cristologico della teologia di Paolo, che riporta diversi dati della tradizione pro­ tocristiana, lo si è rilevato. Ma già il fatto di selezionare questo aspetto rispetto a quello indica il cammino della sua elaborazione. Di fatto sembra che la messianicità di Gesù non abbia un posto im­ portante in lui;58 basti rilevare come di regola Christos non sia ter­ mine funzionale, ma nome proprio, spesso abbinato a quello di Gesù. Con diverse formulazioni egli esprime una sua prospettiva cri­ stologica di fondo, che può essere definita mistica o partecipazioni­ stica. L'esperienza di giustificazione, riconciliazione, pace e salvezza avviene per partecipazione alla sua morte e risurrezione e questo non solo (e non tanto?) attraverso il sacramento, il battesimo e la cena del Signore, ma anche per fede, sulla via di un transfert da una sfera negativa, da lui definita di peccato e di destino di morte, alla sfera di Cristo risorto, che influisce per la vita in quanto concentrato delle forze vitali del nuovo mondo, che si riassumono nello Spirito. È un rapporto stretto di koin6nia, che Klauck nella sua ricerca sulla Cena del Signore non esita a dichiarare originale rispetto alle culture religiose del tempo, espresso ancor più nelle formule d'immanenza «essere in Cristo l in Cristo Gesù l nel Signore l in lui>>, per un verso, e, per l'altro, di co-unione con i verbi composti «con-morire l con­ essere crocifisso l con-essere risuscitato l con-essere glorificato l con­ regnare>>,59 e di conseguente appartenenza, espressa con la formula «essere di Cristo>> (Rm 8,9; 1 Cor 3,21; Gal 3,29; 5,24), «essere mem­ bra di CristO>> (lCor 6,15). Certo, non mancano formule di tipo cul­ tuale come per es. in 1 Cor 5,7: «il nostro agnello pasquale, Cristo, è stato immolato>> e in Rm 3,25: «È lui che Dio per fedeltà ha proposto come strumento di espiazione nel suo sangue a dimostrazione della

58 Non ignoro che alcuni studiosi invece vi attribuiscono grande rilievo. " Sul piano della realtà finale si notino le formule «essere sempre con il Signore• (JTs 4,17), «Vivere sempre con lui• (lTs 5,10); «essere con Cristo• (Fil 1,23).

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sua giustizia>>; ma sono periferiche nel pensiero teologico di Paolo,60 che invece in Gal e Rm mostra particolare attenzione a categorie espressive di rapporti spezzati e ricreati, come giustizia e giustifica­ zione,61 riconciliazione, pace, categorie di genere sociale e interper­ sonale. Sul piano dell'etica infine, a parte luoghi comuni assai diffusi, come per es. compiere il volere di Dio, fare il bene ed evitare il male, agire in modo dignitoso e non vergognoso, prepararsi a comparire davanti al giudice finale, l'apporto originale più importante di Paolo, oltre all'esigenza di essere dallo Spirito, visto sopra, è il rap­ porto strettissimo stabilito tra indicativo della realtà salvifica ope­ rata da Dio nei credenti e imperativo del vivere in conformità, un imperativo conseguente all'indicativo e questo fonte di quello. In lTs si veda 5,5-8: . E a scanso di equivoci, si deve sottolineare come anche l'imperativo faccia riferimento alla grazia di Dio, che trasforma non solo l'essere ma anche l'agire dell'uomo.

60 Questa è la mia valutazione, mentre sul lato diametralmente opposto sono non pochi studiosi. La diversità si spiega con la lettura della preposizione hyper intesa da essi come •al posto di» nelle formule •egli morì per noi l per voi l per gli empi l per i nostri peccati�, ma. penso. in modo errato. " Si è spesso parlato in proposito di lessico e dottrina giudiziari e forensi; in realtà il riferimento è alla contesa (ebr. rfb) che porta alla composizione dei rapporti.

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2.

PROSPETI1VA UNITARIA DEL TEOLOGO PAOLO

Si può parlare anche di chiave interpretativa, visto che egli si di­ mostra un ermeneuta. In realtà non sono mancati studiosi, come Riiisiinen, che gli hanno strappato di dosso il manto di teologo, rite­ nendolo contraddittorio e razionalmente inadeguato, soprattutto nelle valutazioni della legge mosaica.62 Da parte sua Deissmann era convinto che non appartenesse alla storia della teologia bensì a quella della religione.63 Sanders invece, ammettendo che non è stato un teologo sistematico64 - e come poteva esserlo, se la sua teologia si è espressa in forma epistolare, avendo scritto non lettere-trattati, ma lettere di occasione, anche se più o meno impegnate sul piano dottri­ nale? - ritiene che sia stato coerente con alcune convinzioni di fondo, queste: Dio ha provveduto in Cristo alla salvezza di tutti gli uomini, Dio lo ha chiamato ad annunciare il vangelo ai gentili. Avendogli attribuito vari abbozzi teologici presenti nelle lettere, in particolare nelle quattro grandi, sono convinto che nella vario­ pinta contingenza del suo pensare teologico si possano rilevare due importanti fattori unificanti. Il primo è di natura metodologica: Paolo, come si è visto, nei suoi scritti si mostra costantemente un creativo interprete dei dati essenziali delle prime credenze cristiane a lui giunte, soprattutto del vangelo, ma anche delle Scritture ebrai­ che. Il secondo invece attiene alla spinta che lo ha mosso in questo lavoro ermeneutico. Si potrebbe anche parlare di profonda intui­ zione di fede o anche di meditata basilare convinzione, che lo ha gui­ dato nelle comunicazioni teologiche ai destinatari delle lettere. Ed è quello che voglio ora chiarire. Ancora una volta, Paolo parte da certezze di fede patrimonio co­ mune dei credenti della prima generazione, queste: Dio persegue la salvezza in Cristo e la vuole efficacemente per tutti gli uomini, giudei

" H. RAtsANEN , Pau/ and the Law, Ttlbingen 1983, 266-267: è un errore fonda­ mentale di molta esegesi di Paolo in questo secolo l'averlo presentato come il •prin­ cipe dei pensalori• e il teologo cristiano per eccellenza. È stato veramente un pensa­ Core originale e immaginifico, e le sue lettere sono piene di intuizioni seminali e di suggestioni che provocano al pensiero. Tuttavia egli è anzitutto e principalmente un missionario, un uomo di pratica religione che sviluppa una linea di pensiero per fine concreto. per influenzare la condotta dei suoi lettori. Sembra che sia arrivato per via intuitiva a importanti acquisizioni. " A. DEISSMANN, Licht vom Osten, 327: Paolo non ha una cristologia. ma una cri­ stolatria; è la religione il segno profondo lasciato da lui nel cristianesimo primitivo. "" Così anche WREDE, ((Paulus», in Das Paulusbild in der neueren deut.schen For­ schung, 41: non c'è in lui un sistema teologico.

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e gentili. Ma le approfondisce attraverso una radicale comprensione. Anzitutto, ritiene, è in Cristo e solo in Cristo che Dio ha provveduto, in via definitiva, alla salvezza umana. Tale esclusività cristologica emerge con chiarezza per es. in Gal dove nega, di conseguenza, va­ lore soteriologico alla circoncisione e, più in generale, alla legge mo­ saica. Se queste l'avessero, come finiscono a suo avviso per dire gli avvocati della circoncisione dei galati, Cristo non sarebbe più il sal­ vatore (esclusivo) degli uomini: «Non annullo la grazia di Dio; se in­ fatti si ottiene la giustificazione mediante la legge, allora Cristo è morto inutilmente» (2,21); > non sia secondo il do­ vuto ma secondo il gratuito cita un salmo, in cui Davide proclama beato il peccatore a cui Dio non mette in conto il peccato, ma lo per­ dona (vv. 6-8). Certo, il sistema della legge era all'insegna della gra­ zia di Dio che gratuitamente aveva costituito il patto con Israele, salvo richiedere agli israeliti l'osservanza dei comandamenti per po­ tervi restare. È questo fare che Paolo vede escluso nel sistema della fede, questo apporto umano, mentre l'adesione di fede è da lui in­ tesa non come fedeltà pratica a imitazione di Abramo pronto a sacri­ ficare il figlio (Gen 22), bensì come

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2. La via crucis di Paolo e dei filippesi e i suoi significati 3. Solidarietà tra il prigioniero e la sua comunità . . . . . . 4. Sollecitudine pastorale .......... .... . . . . . . . .. .... ... . . . . ... ..... .. 4.1 . Esortazione all'unità e umiltà . . 4.2. Il brano cristologico di 2,6-11 . . . . . . . . ... 4.3. Paolo esempio paradigmatico di autentica vita cristiana (c. 3) .................................................... .

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AL CARISSIMO FILEMONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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INTRODUZIONE

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ALLE CHIESE DELLA GALA ZIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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INTRODUZIONE

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l . La storia dello schiavo Onesimo . .......................... 2. Lettera esortatoria . . ............ . . . . . . ..... ....... ..... ........... SPESSORE TEOLOGICO

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l . Paolo in Galazia . . ............. .................................... .

2. La crisi 3. La lettera

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CoMUNICAZIONE TEOLOGICA: LA VERITÀ DEL VANGELO DELLA LIBERTÀ

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l . Credenziali del vangelo e sue personali (1,1 1-2,14)

2. Giustificazione per sola fede . . . . . . . . . . . ............ . . . . . . . . . . 3. I beni salvifici (3,1-4,21) 3.1. Il dono dello Spirito per l'ascolto di fede (3,1-5) 3.2. Discendenti ed eredi di Abramo per fede (3,6-29) 3.3. Figli liberi dalla legge e veri eredi (4,1-1 1.21-31) 4. Libertà responsabile: dallo Spirito ( cc. 5-6) . S. Valutazioni della legge mosaica . . . . . . . . . . . . . . . . . ............ .

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Al CREDENTI DI ROMA INTRODUZIONE

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1 . I destinatari della missiva .. .. .......... ... . ... . .. ... .. . . . .. 2. Le ragioni e gli scopi: epistola dottrinale o lettera di oc­ cas10ne ?. 3. La missiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.1. La struuura e il genere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2. Testimonianze antiche . .....

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IL VANGELO ECUMENICO DI pAOLO

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COMUNICAZIONE TEOLOGICA:

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5. Vangelo epifania della giustizia di Dio (cc. 1-4) . . . . 5.1. Rivelazione della collera divina, l'altra faccia della medaglia (1,18-3,20) . . . . . . . . ....... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.2. Rivelazione della giustizia di Dio in Cristo (3,21-31) 5.3. La probatio ex Abraham (c. 4) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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553

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559 573 583

6. Vangelo fonte di esperienze di salvezza (5-8) . . .... . 6.1. Pace con Dio l speranza della gloria (5,1 - 1 1 ) . 6.2. «Mediante il Signore nostro Gesù Cristo» (5,12-21) 6.3. «Morti al peccato, come ancora viverci?» (6,1-7,6) . 6.4. «La legge è peccato?» (7,7-25) 6.5. Vita nuova nello Spirito e auesa fiduciosa della salvezza finale (c. 8) . . . . . ................ . . . . . ................ . .

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7. Vangelo della fedeltà di Dio a Israele (9-1 1 ) ..... ... . 7 . 1 . Il testo . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ..... . . . . . . . . . . . . . . . . .

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1 . Vangelo a favore di giudei e gentili ...... . . . . . . . . . . . . . . . . 2. Vangelo potenza di Dio ................... ..... . . . . . . . . . . . . . . . . 3. Vangelo di Paolo . . . . . . . . .. . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . .................... . 4. Vangelo pre-promesso . . . . . . . . . . . . ................ ................ . .

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7.2. Primo approccio, ancora indiretto ma fondamentale, al problema (9,6-29) . . . . .. . 7.3. Origine del problema: sì alla legge e no a Cristo di molti israeliti (9,30-10,21) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.4. Risposta diretta al problema: trionfo della miseri. . . . .. . . . .. . cordia divina ( 1 1 ,1-32) . . . . . .

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8. Esigenze operative per chi ba accolto il vangelo ( 1 2-15)

8.1 . L 'ideale etico del bene e del bello (Kalonkagathon) 8.2. La prospettiva escatologica ............. . . . . . . . . ......... . 8.3. L 'orizzonte teologico e cristologico .................. .

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. . . . . . . ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.1. Interpretazione del vangelo .. . . . . . . . . .... .. .. .. ... . . . .. . . 1.2. Interpretazione dell'evangelista .. . . . .. . . .. . . . . ... . . . . . .. 1.3. Interpretazione delle Scritture . . . . . . . . . . . . . . .... .. . . . . 1.4. Elaborazione di categorie teologiche . . . . .... . .. . . . .. 2. Prospettiva unitaria del teologo Paolo . . . . . . . . . . . .. . .. . . .

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727 728 738 744 754 762

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771

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VISIONE D'INSIEME

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l. Il metodo teologico di Paolo

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INDICE DEI

NOMI

INDICE TEMATICO

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