La sezione aurea. Storia di un numero e di un mistero che dura da tremila anni 9788817095105

Ci sono numeri che da millenni affascinano chiunque si accosti alla matematica. Uno è pi greco: 3,1415... Un altro - men

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La sezione aurea. Storia di un numero e di un mistero che dura da tremila anni
 9788817095105

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Mario Livio

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L'equazione impossibile

un genio della matematica ha scop erto il linguaggio della simmetria �rradttzione di Sm"n B,ltrame, Emanuela Cervini f Andrea Zucclutti

Un autentico thriller scientifico narrato con sorprendente levità ed eccezionale verve divulgativa, alla scoperta dell'equazione di quinto grado negli sconfinati territori della simmetria. Saggi. Pagine 416· ISS:-': 17nl�4K

Mar;o L;v;o LA SEZIONE AUREA Storia di un numero e di un mistero che dura da tremila anni

l U,. Br:�l� SCIENZA

Proprietà letteraria riservata

© 2002 by Mario Livio published by arrangement with Broadway, a division of the Doubleday Broadway Publishing Group, a division of Random House inc.

© 2003 RCS Libri S.p.A., Milano ISBN 978-88-17-01635-3 Titolo originale dell'opera:

The golden Ratio Traduzione di Stefano Galli

Prima edizione Rizzoli 2003

Quinta edizione BUR Scienza aprile 2009

Per conoscere il mondo BUR visita il sito www.bur.eu

La sezione aurea

In memoria di mio padre Robin Livio

P R E F A Z I ONE

La sezione aurea è un libro che tratta di un numero. Un nu­ mero molto speciale. Da un lato, lo incontrerete in confe­ renze di storia dell' art�; dall'altro, esso figura nelle classifiche dei «numeri preferiti» compilate dai matematici. Non meno notevole è il fatto che questo numero sia stato oggetto di nu­ merosi esperimenti psicologici. Ho cominciato ad appassionarmi alla sezione aurea molti anni or sono, preparando una lezione sull'estetica della fisi­ ca (proprio cosi, non è un ossimoro), e da allora questo inte­ resse non mi ha abbandonato. Molti più colleghi, amici e studenti di quanti io sia in gra­ do di menzionare, versati in molte discipline, hanno contri­ buito direttamente e indirettamente a questo libro. Qui vor­ rei ringraziare in modo particolare Ives-Alain Bois, Mitch Feigenbaum, Hillel Gauchman, Ted Hill, Ron Lifschitz, Ro7

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ger Penrose, Johanna Postma, Paul Steinhardt, Pat Thiel, Anne van der Helm, Divakar Viswanath e Stephen Wolfram per avermi fornito informazioni e scambi di idee di inesti­ mabile valore. Sono grato anche ai colleghi che mi hanno assistito nelle traduzioni: Daniela Calzetti, Stefano Casertano e Massimo Stiavelli per quelle dal latino e dall'italiano; Claus Leitherer e Hermine Landt per quelle dal tedesco; Patrick Godon per quelle dal francese. Sarah Stevens-Rayburn, Elizabeth Fraser e Nancy Hanks mi hanno fornito una preziosa collaborazio­ ne in campo bibliografico e linguistico. Nutro particolare ri­ conoscenza verso Sharon Toolan, per l'aiuto nella prepara­ zione del manoscritto. Sono molto in debito anche verso il mio agente Susan Ra­ biner, per il continuo incoraggiamento prima e durante la re­ dazione del libro, e verso il mio redattore alla Doubleday Broadway, Gerald Howard, per l'attenta lettura del mano­ scritto e i perspicaci commenti. I miei ringraziamenti vanno inoltre a Rebecca Holland, direttore editoriale della Double­ day Broadway, per la sua costante assistenza durante la rea­ lizzazione di quest' opera. Infine, solo la continua ispirazione e il paziente sostegno di Sofie Livio mi hanno permesso di portare a termine il pre­ sente lavoro.

CAPITOLO I

Preludio

a

un numero

Innumerevoli sono le meraviglie del mondo. SOFO C L E

(495-405 A.C.)

Il celebre fisico britannico WilIiam Thomson (Iord Kelvin; 1 824- 1 907) , che ha dato il nome ai gradi della scala assolu­ ta delle temperature, disse una volta durante una conferen­ za: «Quando non possiamo esprimerla con i numeri, la no­ stra conoscenza è povera e insoddisfacente». Senza dubbio, egli pensava soprattutto al progresso scientifico. Ma i nume­ ri e la matematica hanno anche una curiosa tendenza a con­ tribuire alla comprensione di aspetti della realtà che sono, o sembrano, molto lontani dalla scienza. Nel racconto Il mi­ stero di Marie Rogèt, di Edgar Allan Poe, il detective Auguste Dupin (una delle più felici creazioni di Poe) dichiara: «Ab­ biamo trasformato il caso nel risultato di un calcolo preciso. Abbiamo assoggettato l'invisibile e l'inimmaginabile alle for­ mule matematiche delle scuole». Ancora più semplicemente, pensate a questo problema in cui vi potete imbattere rice-

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vendo degli amici: avete una tavoletta di cioccolato da dodi­ ci barre; quante volte si deve romperla per separare tutte le barre? La soluzione non è difficile: a ogni rottura, i pezzi di cioccolato aumentano di un'u nità. Poiché partiamo da un pezw (la tavoletta intera) , la risposta è undici, cioè i pezzi vo­ luti meno uno (provare per credere) . Se non vi piace il cioccolato, consolatevi. È chiaro che si tratta di una regola generale, applicabile a ogni sorta di ali­ menti e circostanze. Cioè si tratta di un calcolo, anche se estremamente semplice. Ma la matematic� non è solo for­ mule e sistemi di calcolo (molti dei quali, peraltro, tendia­ mo a dimenticare se solo stiamo un po' di tempo senza usar­ li) . Esiste un piccolo gruppo di numeri particolari che ri­ corrono spesso, attirando la nostra attenzione e risvegliando la nostra curiosità. Il più noto di questi numeri è pi greco (1t), pari al rapporto tra la circonferenza e il diametro di un cerchio qualsiasi. Il valore di 1t, 3 , 1 4 1 59 . . , ha affascinato generazioni di matematici. Pur essendo stato definito in un contesto geometrico, esso compare molto spesso, in modo inatteso, nel calcolo delle probabilità. Uno degli esempi più noti è l'«ago di Buffon», cosi chiamato dal matematico fran­ cese George-Louis Lederc, conte di Buffon ( 1 707- 1 788) , il quale formulò e risolse questo problema di calcolo delle probabilità nel 1 777. Spiega Lederc: mettiamo sul pavi­ mento un grande foglio di carta, con righe parallele situate a una distanza fissa. Un ago di lunghezza esattamente ugua­ le alla distanza delle righe viene gettato a caso sul foglio. Qual è la probabilità che l'ago si fermi in modo tale da in­ tersecare una delle righe (per esempio come mostrato nella .

lO

PTtludio

a

un numtTO

Figura l)? La risposta, decisamente imprevista, è: 2/x. Quindi, in teoria si potrebbe determinare il valore di x get­ tando più volte l'ago su un foglio come quello descritto, e calcolando il rapporto tra i lanci e le occasioni in cui l'ago intercetta una riga. (Fortunatamente, esistono modi assai meno noiosi per trovare il valore di questo numero.) Pi gre­ co è diventato un nome cosi familiare anche ai non specia­ listi che nel 1 998 il regista Darren Aronofsky ne ha tratto lo spunto per un raffinato thriller. Meno noto di pi greco è cl> (Phi) , un numero per molti versi ancora più miste­ rioso. Che cos'hanJ;lo in comune la mira­ bile disposizione dei petali di una rosa, il celebre Sacramento dell'Ultima Cena di Salvador Dali, l'armoniosa spirale di alcu­ ne conchiglie e l'allevamento dei conigli? Figura 1 Per quanto possa sembrare strano, queste realtà cosi disparate condividono un numero, o una propor­ zione geometrica, noti fin dall'antichità e designati nell'Ot­ tocento con una serie di definizioni che alludono all'oro, simbolo di ciò che è nobile, inalterabile e prezioso: «numero aureo», «rapporto aureo» .e «sezione aurea» . Prima ancora, un importante trattato scritto e pubblicato in Italia all'inizio del Cinquecento era giunto a definirli «divini» . Normalmente, usiamo il sostantivo ((proporzione» per identificare un rapporto tra cose - o parti di esse - conside­ rate secondo la grandezza o la quantità; oppure un rapporto tra cose o parti di esse che appaia caratterizzato da una par­ ticolare armonia. In matematica, con ((proporzione» si inIl

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tende di solito un'uguaglianza del tipo: 9 sta a 3 come 6 sta a 2. Vedremo che il rapporto aureo è un interessante amal­ gama dei due significati, quello quantitativo e quello esteti­ co, perché pur essendo definito matematicamente gli viene attribuita la capacità, se applicato a oggetti che colpiscono i sensi, di renderli piacevolmente armoniosi. La prima chiara definizione del rapporto che sarebbe stato chiamato ((aureo» fu formulata, circa tre secoli prima di Cristo, dal fondatore della geometria in quanto sistema dedunivo: Eu­ clide, il matematico greco vissuto ad Alessandria. Torneremo a Euclide e alla sua insuperata impresa intellettuale nel Capitolo 4; per il momento permenetemi di osservare che questo pensatore dell' antichità ha goduto e gode di tale prestigio, che nel 1 923, millenni dopo la sua morte, la poetessa Edna St. Vincent Millay ha composto una lirica dal titolo Euclid Alone Has Looked on Beauty Bare (Solo Euclide ha contemplato la nuda bellezza) . Ab­ biamo anche il quad�rno di appunti del corso di geometria eu­ clidea seguito dall' autrice. Euclide si è soffermato su un partico­ lare rapporto di lunghezze, onenibile in modo relativamente semplice dividendo una linea secondo quella che chiamò la sua ((proporzione estrema e media». Ecco cosa scrisse: Si può dire che una linea retta sia stata divisa secondo la pro­ porzione estrema e media quando l'intera linea sta alla parte maggiore cosi come la maggiore sta alla minore. .4

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Figwa2 12

B

Prdudio

a

un numero

In altre parole, se osserviamo la Figura 2 è chiaro che la linea AB è più lunga del segmento AC, e, allo stesso tempo, che il segmento AC è più lungo del segmento CB. Se il rapporto tI�a AC e CB è uguale a quello tra AB e AC, si può dire che la linea è stata divisa secondo la «proporzione estrema e me­ dia», ovvero secondo il suo rapporto aureo. Chi avrebbe immaginato che questa sezione dall'aspetto innocuo, definita da Euclide a fini esclusivamente geometri­ ci, avrebbe avuto conseguenze in rami dello scibile che vanno dallo studio della disposizione delle foglie in botanica a quel­ lo degli ammassi di galassie in astronomia, e dalla matemati­ ca pura alla critica d'arte? Il rapporto aureo è uno splendido esempio di quel profondo senso di meraviglia cui il grande Einstein attribuiva tanta importanza. Secondo Einstein, «quella del mistero è la più straordinaria esperienza che ci sia dato di vivere. È l'emozione fondamentale situata al centro della vera arte e della vera scienza. Da questo punto di vista chi sa e non prova meraviglia, chi non si stupisce più di nien­ te è simile a un morto, a una candela che non fa più luce». Come spiegherò a suo tempo, il valore esatto del rappor­ to aureo (il rapporto AC/CB nella Figura 2) corrisponde al numero 1 ,6 1 80339887 . . " con infinite cifre decimali prive di sequenze ripetitive; un numero «interminabile» che ha incu­ riosito gli uomini fin dall'antichità. Si racconta che, quando il materriatico greco Ippaso di Metaponto scopri, nel V seco­ lo a.c. , che il rapporto aureo non appartiene né alla famiglia degli interi (i «numeri» per antonomasia: l, 2, 3 . . ) né a quel­ la dei rapporti tra gli interi (come le frazioni 1 /2, 2/3, 3/4 . . . note anche come «numeri razionali») , tale novità fu u n vero .

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trauma per i seguaci del leggendario Pitagora (i cosiddetti «pitagorici») . La loro visione del mondo (che sarà esposta in modo più dettagliato nel Capitolo 2) era permeata da una profonda ammirazione per l'arithmos - il numero come quantità, figura e relazione - e per la sua presunta funzione cosmica. La scoperta che esistono numeri che, come il rap­ porto aureo, si prolungano indefinitamente senza alcuna ri­ petizione o schema causò una vera crisi filosofica. Una leg­ genda vuole che, abbagliati dalla stupefacente novità, i pita­ gorici sacrificarono cento buoi per celebrarla, ma il racconto appare poco credibile, visto il rigido regime vegetariano del­ la setta. Desidero sottolineare fin d'ora che molti di questi racconti sono semileggendari, e le loro basi storiche sono in­ certe. La data della scoperta di quei numeri che non sono né interi né frazionari, cioè i «numeri irrazionali», non è nota con precisione. Ciò nonostante, alcuni studiosi collocano l'evento nel V secolo a.c., un'ipotesi per lo meno compati­ bile con i racconti di cui si è detto. È chiaro, comunque, che l'idea dell' esistenza di simili numeri fu accolta dai pitagorici con grande angoscia; ed è verosimile che l'abbiano conside­ rata il.segno di un'imperfezione cosmica da tenere il più pos­ sibile segreta. Il fatto che la sezione aurea non si possa esprimere per mezzo di una frazione (cioè come un .t1antide quanto a numero di saggi a essa dedicati, non desterà troppa meraviglia che non sia il solo numero speciale chiamato in causa dalla piramidologia. Laltro è 1t. La teoria su 1t e la Grande Piramide comparve per la pri­ ma volta nel 1 838 in Letterfrom Alexandria, on the Evidence

ofthe Practical Application ofthe Quadrature ofthe Cire/e, in the Configuration of the Great Pyramids ofEgypt (Lettera da Alessandria sulle prove dell' applicazione pratica della qua­ dratura del cerchio nella configurazione delle Grandi Pira­ midi d'Egitto) di H. Agnew; anche questa era una teoria ge­ neralmente attribuita a Taylor, sebbene questi si sia limitato a ripetere le argomentazioni di Agnew. La tesi è che il rap­ porto del perimetro della base (8a se consideriamo i simboli della Figura 1 7, in cui a indica un semi/ato della base) con l'altezza della piramide (h) sia uguale a 21t. Sostituendo le dimensioni reali della Grande Piramide si ottiene: 8a/h 4 X 230,37/ 1 46,73 6,28; un'approssimazione di 21t decisa­ mente buona, con un errore pa�i a circa lo 0,05%. È bene ribadire, innanzitutto, che di per sé le dimensioni =

=

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Sotto una piramide orientata alle sulle?

della Grande Piramide non permettono di chiarire se , 1t, entrambi o nessuno dei due, vi si ritrovino per volontà dei progettisti. Tanto vale seguire il consiglio del colonnello R. S. Beard di Berkeley, California, che in un articolo pubbli­ cato nel 1 968 dal «The Fibonacci Quarterly» consigliava: «Dunque tirate i dadi e sceglietevi la vostra teoria». Dovendo scegliere tra 1t e quali possibili determinanti della struttura della piramide, il primo presenta evidenti vantaggi rispetto al secondo. Innanzitutto il Papiro Rhind (Ahmes) , una delle nostre fonti principali sulla matematica egizia, ci informa che gli egizi del XVII secolo a.c. conosce­ vano, almeno in forma approssimata, il valore di 1t, mentre manca qualunque indizio che fossero a conoscenza di . Si ricordi che Ahmes copiò questo «manuale di matematica» al tempo dei cosiddetti «re pastori» hyksos, verso il 1 650 a.c. Tuttavia l'originale è fatto da lui risalire al tempo del re Ame­ nemhet III, della dodicesima dinastia, e forse non è impossi­ bile (benché improbabile) che il contenuto del documento fosse già noto al tempo della costruzione della Grande Pira­ mide. Il papiro contiene ottantasette problemi matematici preceduti da una tavola delle frazioni. Una serie di indizi (sotto forma di altri papiri e documenti) fa pensare che la ta­ vola sia stata poi consultata per quasi duemila anni. Nell'in­ troduzione, Ahmes descrive il papiro come «l'ingresso alla conoscenza di tutto ciò che esiste e di tutti gli oscuri segre­ ti». La stima egizia di 1t compare nel problema numero 50 del Papiro Rhind. Si tratta del problema della determinazio­ ne dell' area di un campo circolare, per la cui soluzione Ahmes suggerisce: «Si tolga 1 /9 del diametro, e si faccia il 93

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quadrato del rimanente». Da ciò s i può dedurre cne gli egizi erano in grado di approssimare 1t con la frazione 256/8 1 , che è pari a 3, 1 6049 . . La differenza rispetto a 3, 1 4 1 59 . . . , valore esatto di 1t, è inferiore all' l %. Un'altra circostanza che dà a 1t un vantaggio su cp è un'in­ teressante teoria, secondo la quale i costruttori della Grande Piramide avrebbero potuto inserire 1t nelle sue dimensioni anche senza conoscerne il valore! Questa teoria è stata pro­ posta da Kurt Mendelssohn nel suo libro L'enigma delle pira­ midi. Il ragionamento di Mendelssohn è il seguente: poiché tutto fa pensare che le nozioni matematiche degli egizi del­ l'Antico Regno fossero esclusivamente di tipo rudimentale, la presenza di 1t nella geometria della piramide deve dipen­ dere da scelte costruttive di origine non astratta, ma pratica. In particolare, l'autore suggerisce che gli egizi utilizzassero due sistemi di misura diversi per le distanze orizzontali e ver­ ticali: corde di fibre di palma per quelle vert icali (col cubito come unità di misura) e rulli di un cubito di diametro per lunghezze come i lati della base di una piramide. Le dimen­ sioni orizzontali sarebbero state misurate contando le rivolu­ zioni dei rulli, cioè per mezzo di un'unità che potremmo chiamare «cubito rotante». In altre parole, decidere la pen­ denza della piramide significava per l'architetto egizio stabi­ lire di quanto gli operai dovessero alzarla, per ogni cubito ro­ tante di spostamento orizzontale. Poiché, per ragioni geo­ metriche, un «cubito rotante» è pari a un cubito lineare mol­ tiplicato per 1t (cioè alla circonferenza di un rullo del diame­ tro di un cubito) , questo metodo di costruzione avrebbe im­ messo 1t nella struttura della piramide indipendentemente .

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Sotto una piram ide orientata alle stelle'

da qualunque nozione sull' esistenza e il valore di 1t da parte dei costruttori. Naturalmente l'ipotesi di Mendelssohn non è suscettibile di verifica sperimentale diretta. In compenso, secondo alcu­ ni egittologi ci sono prove dirette del fatto che né il rappor­ to aureo né pi greco furono utilizzati, sia pure involontaria­ mente, nel progetto della Grande Piramide. Questa teoria si basa sul concetto di seked, che era semplicemente una misu­ ra dell'inclinazione delle superfici laterali; per l'esattezza es­ so corrispondeva al numero di cubiti orizzontali da percor­ rere, per ogni cubito di aumento della misura verticale. È chiaro che si trattava di un concetto di grande importanza pratica per i costruttori, che dovevano mantenere costante la pendenza man mano che i blocchi di pietra erano aggiunti a una piramide. I problemi dal 56 al 60 del Papiro Rhind ri­ guardano i calcoli del seked, e sono descritti con dovizia di particolari da Richard J . Gillings nel suo ottimo libro Mathe­ maties in the Time of the Pharaohs. Larcheologo sir Flinders Petrie scoprì nel 1 883 che la scelta di un particolare seked (o pendenza del lato triangolare) dà per la Grande Piramide la proprietà del «rapporto del perimetro della base con l'altez­ za uguale a 21t» con alta precisione, senza che 1t abbia parte alcuna nel progetto. I sostenitori dell'«ipotesi del seketb' sot­ tolineano che esattamente lo stesso seked si trova nella pira­ mide a gradini di Meidum, costruita poco prima della Gran­ de Piramide di Giza. Non tutti apprezzano questa teoria. Kurt Mendelssohn, che ha suggerito l'ipotesi dei rulli, scrive in L'enigma delle pi­ ramidi: «Spiegazioni matematiche sono state proposte in 95

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gran numero, compresa quella d i un insigne archeologo [Pe­ triel , secondo il quale i costruttori avrebbero casualmente utilizzato il rapporto 1 4/ I l [molto vicino a 4/1tl , che rima­ ne, purtroppo, assai poco convincente» . D ' altra parte Roger Herz-Fischler, che ha esaminato non meno di nove teorie sul progetto della Grande Piramide, è giunto alla conclusione, esposta in un articolo p 'u bblicato nel 1 978 dal periodico «Crux Mathematicorum» , che quella del seked sia l'ipotesi che ha le maggiori probabilità di essere esatta. Comunque, per quanto riguarda l'argomento di questo li­ bro, se una qualunque delle due ipotesi - quella dei rulli o quella del seked - è esatta, allora il rapporto aureo non ha avuto alcun ruolo nel progetto della Grande Piramide. Possiamo quindi affermare che oggi , trascorsi quattro mil­ lerìni e mezzo, il caso «rapporto aureo-Piramide di Cheope» è tìnalmente chiuso? Sarebbe auspicabile, ma la storia ha purtroppo dimostrato che il fascino mistico della piramide e della «numerologia aurea» è più forte delle più solide dimo­ suazioni. Da decenni i ragionamenri dei Petrie, Gillings, Mendelssohn e Herz-Fischler sono a disposizione degli ap­ passionati della materia; ciò non ha impedi to che ancor og­ gi numerosi libri continuino a incorrere nell' «errore del rap­ porto aureo». Per quanto ci riguarda, ci senriamo di gi udicare altamen­ te improbabile che i babilonesi e gli egizi conoscessero il rap­ porto aureo e le sue proprietà; l'onore di questa scoperta fu lasciato ai matematici greci .

CAPITO L O

4

I l secondo teso ro La geometria possiede due grandi tesori : uno è il teorema di Pitagora; l' altro la divisione di una linea secondo il rappono estremo e medio. Possiamo pa­ ragonare il primo a una cena quanti tà d'oro, e defi­ nire il secondo una pietra preziosa. K E P L E RO

(157 1-1 6 3 0 )

È indubbio che chiunque sia cresciuto nel contesto della

civiltà occidentale o mediorientale sia un discepolo degli antichi greci per tutto ciò che riguarda la matematica, le scienze , la filosofia, \'arte e la leneratura. L'aforisma di Goethe, « ua tuni i popoli, nessuno ha sognato meglio dei greci il sogno del\' esistenza» , è un omaggio fi nanche mo­ derato agli antichi abitanti del lembo d' Europa p roteso verso la Turchia, che leneralmente inventarono, e a lungo monopolizzarono, quasi tuni i settori dì ciò che oggi chia­ m iamo «cultura» . Ma perfino le conquiste dei greci in alui ambiti appaiono poca cosa se paragonate a quelle realizzate nella matematica; conquiste che ancora oggi ispirano un timore quasi reveren­ ziale. Basti pensare che in soli quatuo secoli, dal tempo di làlete (nel 600 a.c. circa) al «grande geometra» Apollonio di 97

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Perga (nel 200 a . c . circa) , essi elaborarono l e nozioni essen­ ziali della geometria in quanto sistema teorico. Leccellenza greca nella matematica fu in larga misura la conseguenza diretta della passione di quel popolo per la co­ noscenza in quanto tale, piuttosto che per le applicazioni pratiche di cui era suscettibile. Si racconta che quando un giovane, che con l'aiuto di Euclide aveva compreso una no­ zione geometrica, chiese: «Ma cosa ricavo dal saperlo?», Eu­ clide gli fece regalare una moneta da uno schiavo, chiuden­ do con sbrigativo disprezzo la questione del guadagno ma­ teriale. Al tempo di Platone, il bagaglio culturale raccomandato a chi aspirava al governo della cosa pubblica includeva \' arit­ metica, la geometria piana e solida, l'astronomia e la musica - disciplin e che, come precisato dal pi tagorico Archita, rien­ travano tutte nella detìnizione generale di «matematica» . Narra un alrro aneddoto che quandn Alessandro Magno chiese al prece ttore Menecmo (al quale è attribuita la sco­ perta, o l'invenzione, di ellisse, parabola e iperbole) se esi­ stesse qualche scorciatoia per l'apprendimento della geome­ rria, questi rispose: "Altezza, per viaggiare nel paese ci sono vie regie e vie per le persone qualunque; ma nella geometria la srrada è una sola per tutti » . Platone

È in

questo

contesro inrd lerruale che dobbiamo c ol l oc a re

P l a t o n e ( 4 2 8 / 7 - 3 4 8 / 7 a . c. ) , u n o d e i p i ll intluen ti pellsato­

ri dell'ant ica G recia

e

d ell i n t e r a civiltà occiden tale. Si d i ce '

Il secondo tesoro

che egli avesse studiato la matematica sotto la guida del pi­ tagorico Teodoro di Cirene, il primo ad aver dimostrato che non solo la radice quadrata di 2, ma anche n umeri co­ me 3, 5 e altri fino a 1 7 sono irrazional i . (Perché si sia fer­ mato a 1 7 non è noto; ma è chiaro che non riuscì a elabo­ rare una dimostrazione di tipo generale.) Secondo alcuni studiosi, Teodoro potrebbe anche aver fatto ricorso a una linea divisa secondo il rapporto aureo per costruire quella che è considerata la più semplice dimostrazione dell'in­ commensurabilità. (:L idea è i n sostanza la stessa di cui si dà spiegazione nell'Appendice 2.) Nella Repubblica, Platone giudica indispensabile la cono­ scenza della matematica per qualunque filosofo e uomo di governo. Ed è proverbiale che l'ingresso dell'Accademia (la scuola filosofica da lui fondata ad Atene) fosse sovrastato dal monito: «Non varch i questa soglia chi ignora la geometria» . Lo srorico della matematica David Eugene Smith considera questo avvertimento , nel suo libro Our Debt to Greece and Rome, il primo esempio conosciuto di numero chiuso uni­ versitario. :Lalta considerazione in cui Platone teneva la ma­ tematica traspare anche dalla punta d' invidia con cui egli ac­ cenna al sapere degli egizi, presso i quali «gli indovinelli arit­ metici sono stati escogitati per i bambini, che imparano a ri­ solverli divertendosi e come per gioco». Nel discUtere il ruolo di Platone per quanto concerne la matematica in generale, e il rapporto aureo in particolare, dovremo soffermarci non solo sui suoi contribUti stretta­ mente matematici, la cui importanza è modesta, ma anche sull' effetto del suo pensiero e dei suoi suggerimenti sui con99

1. .\ S E Z i O N E A U R F. .�

tributi matematici aluui, sia al s u o tempo sia in epo c h e s uc­ un ceno se n s o , P lawne deve essere consideraw uno dei p r imi difensori del « p ensi ero as trano» come oggi lo imendiamo. Un buon esempio è fornico d al suo an eggi a ­ m e lH o nei c o nfrom i dell'as tro nomia, al cui p r o p o s i co e gl i invitava, pitl che a oss erv are instancabilmeme il moco degl i aS(fi , a . Il 1 70

Figlio di una buona disp osizione

petalo l è a un 0,6 1 8esimo (la parre decimale di l X q,) di gi­ ro dal petalo O; il petalo 2 è a un O,236esimo (la parte deci­ male di 2 X q,) di giro dal petalo 1 , e così via. Tale descrizione mostra che il millenario enigma dell' ori­ gine della fillotassi si riduce a un solo interrogativo fonda­ mentale: perché la successione ci rcolare delle foglie si basa sull'angolo aureo d i 1 37 , 5 ° ? I ten tativi di rispondere a que­ sta domanda sono riconducibi li a due «scuole» : quella che si concentra sulle proprietà geom etriche delle di sp os izio n i , e quella che considera i fenomeni geometrici come altrettante ma­ nifestazioni di cause sottostanti di natura non geometrica. Per quanto riguarda la prima scuola, ricerche fondamentali (effettua­ re, tra gli altri , dai maremar ici 2 Harold S . M . Coxeter e l . Adler e dal cristallografo N . Rivie r) hanno rivelato che germogli poFigura 34 sti lungo la spirale generatrice ri­ sultano più fitti e usano lo spazio con più efficienza se separari da a ngoli aurei . In parte, il mo­ rivo è facile da capire. Se l'angolo di divergenza avesse, po­ niamo, un'ampiezza di 1 20° (3 60°/3) , o di qualunque altro prodorto razionale di 360°, le fogl ie si allineerebbero in mo­ do radiale (lungo tre linee, nel caso dell' angolo di 1 20°) la­ sciando inutilizzata una grande quantità di spazio tra una li­ nea e l'altra. D'altra pane un a ngolo di divergenza come quello aureo ( m ultiplo irrazion ale di 360°) assicura che i ger171

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mogli non s i allineino, riducendo a l minimo l o spreco di spazio. L angolo aureo è in quesro preferibile ad altri multi­ pli irrazionali di 3600 perché il rapporto aureo è «il più irra­ zionale» dei numeri irrazionali, in quesro senso: ricorderete che 4> può essere espresso come una frazione continua che non contiene altri numeri oltre a l ; e ricorderete che una fra­ zione continua di quesro tipo wnverge più lentamente di qualsiasi altra. Il rapporto aureo è quindi più lontano di qua­ lunque altro irrazionale dal poter essere espresso come fra­ zIOne. In uno scritro apparso nel 1 984 sul «Journal de Physique» , un gruppo di scienziati coordinati da N . Rivier, dell'Université de Provence in Marseille, ha usato simulazioni computerizzate per provare che con angoli di accrescimento uguali all'angolo aureo era .possibile ottenere strutture grafiche molto simili a quelle dell'infiorescenza del girasole (Figura 3 5 ) . Secondo Rivier e i suoi collaboraro­ ri, si era così risposro alla domanda formulata nel classico studio del biolo­ go sir D'Arcy Wentwocth Thompson. Nel suo mo­ numentale Cr-escita e for­ ma (inizialmente pubbli­ caro nel 1 9 1 7, e rivisro nel 1 942) , Thompsoll si domandava a un certo punto: «E tra le proprietà [della fillotassi] , non è tra Figura 3 5 1 72

Figlio di u n a b u o n a disp o5izio n e

le meno curiose il numero limitato, perfino angusto, delle pos­ sibili disposizioni che osserviamo e riconosciamo». Il gruppo di Rivier ha scoperto che le esigenze dell' omogeneità ( che la strut­ tura sia ovunque la s tessa) e dell' autosomigLianza (che la Strut­ tura, ingrandita o rimpicciolita, conservi lo stesso aspetto) li­ mitano in modo drastico il numero di strutture possibili. Que­ ste due esigenze possono essere sufficienti a s p i elare la preva­ lenza dei numeri di Fibonacci e del rapporto aureo nella fillo­ tassi; ma ancora non ne mostrano la causa. Lindizio più i meressante su una possibile causa dinamica della fìllotassi non è ven uto dalla botanica, ma da esperi­ menti fisici effettuati da L. S. L ev i r ov (nel 1 99 1 ) , e da Stephane Do uad y e Yves Couder (nel 1 992-96) . Lesperi­ mento di Douady e Couder è particolarmente affascinante: u n p i a tt o p i e n o d i l u o r ific a nte sii iconico è stato posto in un ca m po magne t i co p i il intenso alla p er ife r ia del recipiente che al cent ro. Gocce di un fluido m agn e t i co che si comporta co­ me una miriade d i ag hi magnetizzati sono state lasciate ca­ d e re a reg ol a ri in tervalli di tempo nel centro del piatto. I mi­ n u s co li mag n e t i si respingevano recipro camen t e, ed erano ulteriormente sospinti in senso radiale dal gradiente del campo magnetico. Durante l'esperimento, Douady e Cou­ der hanno osservato schemi che oscillavano intorno a, ma in generale convergevano verso, una spirale in c u i angoli aurei separavano l e gocce successive. I sistemi fisici sono soliti as­ sestarsi nella condizione che rende minima la loro energia. Viene p e r ci ò spontaneo inferire che le disposizioni della fil­ lotassi rap p re s e nt i n o condizioni di energia minima per gem­ me che si « res p ingono » reciprocamente. Anche altri model-

LA S E Z I O N E A U R E A

l i , in cui l e foglie compaiono n e i pumi di p i ù alta concen­ trazione di un certo tipo di sostanza nutrieme, tendono a produrre separazioni uguali all'angolo aureo. Spero che la prossima volta che gusterete una fetta di ana­ nas, manderete delle rose a una persona cara o ammirerete i Girasoli di Van Gogh, il piacere che ne trarrete sarà arricchi­ to d�la consapevolezza che dietro' ai loro pregi estetici si ce­ lano le misteriose proprietà numeriche di $. Non bisogna dimemicare, tuttavia, che la crescita delle piame è legata an­ che a fattori diversi dall'uso ottimale dello spazio. Perciò, le regole di fillotassi appena descritte non valgono in ogni caso e circostanzil, come le tipiche leggi fisiche. Si tratta piutto­ sto, per usare le parole del matematico canadese Harold Coxeter� di « affascinami e prevalemi tendenze» . La botanica non è il solo ambito naturale in cui il rappor­ to aureo e i numeri di Fibonacci appaiono come in filigrana. La loro presenza si può riscontrare su scale di grandezza che vanno dal mondo microscopico alle galassie. E non di rado tale presenza assume la forma visibile di spirali particolar­ mente armonIOse. Eadem mutato res llrgo Nessuna tàmiglia nella storia della matematica può vamare un cosÌ gran numero di illusrri cultori di questa disciplina (rredici in (Uno!) come i Bernoulli. Terrorizzati dal saccheg­ gio del paese da parte delle truppe di Filippo II d'Asburgo, i Bernoulli lasciarono i cattolici Paesi Bassi spagnoli per rifu­ giarsi nella città svizzera di Basilea. Tre membri della famiglia, 1 74

Figlio di una b uona disposizion e

i fratelli Jacques ( 1 654- 1 70 5 ) e Jean ( 1 667- 1 748), e il secon­ dogeniro di Jean, Daniel ( 1 700- 1 782) spiccano notevolmen­ te tra tutti gli altri . Stranamente, i Bernoulli sono famosi per le aspre rivalità personali quasi quanto per il loro ingegno ma­ tematico. In almeno un caso, quello dei fratelli Jacques e Jean, la polemica fu particolarmente velenosa. Oggetto della di­ sputa fu il merito della soluzione di un noto problema di meccanica. Noro come problema della «brachistocrona» (dal greco brachistos, più corro, e chronos, tempo) , cdhsisteva nel trovare la curva lungo la quale una particella soggetta alla for­ za di gravità passa nel tempo più breve da un punto a un al­ tro. I due fratelli proposero indipendentemente la stessa so­ luzione, ma la derivazione di Jean era sbagliata, e in seguiro egli tentò di far passare per propria la derivazione di Jacques. La triste conseguenza di questa catena di eventi fu che Jean non mise pitl piede a Basilea fino alla morte del fratello. Il legame di J acques Bernoulli col rapporto aureo passa per un'altra celebre curva. Egli dedicò un trattato intitolaro Spi­ ra mirabilù (La spirale meravi­ gliosa) a un particolare tipo di curva avvolta su se stessa. Jac­ ques fu così colpito dalla bellez­ za della curva nota come «spira­ le logari tmica,) (Figura 3 6 ; il no­ me deriva dal modo in cui il rag­ gio cresce ruotando in senso an­ tiorario) da dare disposizio ni af­ Figura 36 finché tale figura, insieme al 1 75

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motto « Eadem muraro resurgo» (Trasformato) risorgo ugual­ menre) tosse incisa sulla sua lapide. Il mono descrive una fondamenrale proprietà della spirale logaritmica che si rirrova solo in questa parricolare curva: cre­ scendo, non ctlmbill forma. Questa proprietà è nota come « au­ rosomiglianza» . Stregaro da questa proprietà, ]acques Ber­ noulli scrisse: «Si può usarla come simbolo sia della forza e co­ stanza nelle avversità, sia del corpo umano che, dopo tuni i cambiamenri, e perfino dopo la morte, è restituiro al suo pre­ ciso e perfetro Sé» . Ma se ci pensate un momenro, questa è precisamenre la proprietà richiesta da molti fenomeni di ac­ crescimenro naturale. Per esempio (Figura 4) il naurilo nella sua conchiglia aumenra in grandezza e si cosrruisce camere sempre più spaziose, abbandonando e sigillando quelle iI1llti­ lizzabili perché troppo piccole. Mentre la conchiglia si allun­ ga, il raggio aumenra in proporzione, cosicché la forma del gu­ scio resta immurata. In tal modo il mollusco, pur ampliando­ la, rrascorre in un cerro senso tuna la vita nella stessa dimora e non ha bisogno, per esempio, di correggerne l'equilibrio col passare del tempo. Lo stesso principio vale per i montoni, le cui corna hanno la forma di una spirale logaritmica (anche se i [fatti della spirale non giacciono tutti sullo stesso piano) , e per le zanne dell' elefanre. Crescendo, per cosÌ dire, per accumulazione interna, la spirale logaritmica diviene sempre più ampia e la distanza tra un giro e i successivi aumenra man mano che ci si allonrana dall'origine, detta «polo » . In parricolare, avanzando secondo angoli della medesima ampiezza, la distanza dal polo au­ menra con una proporzione costante. Se con l'aiuro di un 1 76

Figlio di una buona dùpò,izi{}ne

microscopio ingrandissimo la parte di spirale così vicina al polo da non essere visibile a occhio nudo, fino alle dimen­ sioni della Figura 36, questa si sovrapporrebbe alla perfezio­ ne alla parte più grande. Questo distingue la spirale logarit­ mica da un'altra spirale, detta «di Archimede» dal grande matematico di Siracusa (c. 287-2 1 2 a.c.) che l'ha discussa ampiamente nel trattato Sulle spiraLi. Si può osservare la spi­ rale di Archimede in un rotolo di tovaglioli, o in una corda che giace a terra avvolta su se stessa. In ques 'j> tipo di spira­ le, diversamente da quella logaritmica, la distanza tra i giri è sempre la stessa. In seguito a un errore che avrebbe sicura­ mente rattristato Jacques Bernoulli, lo scalpellino che pre­ parò la pietra tombale vi incise non una spirale logaritmica, ma una comune spirale di Archimede. La natura ama le spirali ) ogaritmiche: dai girasoli alle con­ chiglie, dai vortici agli uragani alle immense spirali galatti­ che, sembra che la narura abbia scelto quest'armoniosa figu­ ra come proprio ornamento favorito. La forma costante del­ la spirale logaritmica in ogni scala di grandezza si mostra in tutto il suo enigmatico splendore nelle forme di minuscoli fossili od organismi unicellulari noti come «foraminiferi». Anche se in questo caso le conchiglie a spirale sono struttu­ re composte (e non un condotto continuo) , le immagini a raggi X della struttura interna di questi fossili mostrano che la forma della spirale logaritmica è rimasta sostanzialmente immutata per milioni di anni. In un saggio diventato un classico, dal titolo The Curves 01 Lifè ( I 9 1 4) , l'autore ed editore inglese Theodore Andrea Cook fornisce numerosi esempi di comparsa di spirali (non

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solo logaritmiche) nella natura e nell'arte. Cook discute le spirali in ambiti diversi come i rampicanti, l'anatomia uma­ na, l'architettura delle scale e i tatuaggi maori. Spiegando i motivi che lo hanno indotto a scrivere il trattato, egli di­ chiara: « Per l'esistenza di questi çapitoli sulla formazione del­ le spirali non occorre presentare scuse diverse dall'interesse e dalla bellezza dell'investigazione». ,

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Figura

37

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Figura 38

Anche agli artisti non è sfuggito il fascino delle spirali loga­ ritmiche. Nello studio di Leonardo da Vi nci sul soggetto mi­ tologico di Leda e il cigno, per esempio, egli im magi na i ca­ pelli raccolti a formare una spirale che appare di questo tipo (Figura 37) . Si tratta di una figura evocata più volte da Leo­ nardo in studi di spirali nelle nubi e nell'acqua, e nell'im­ pressionante serie di schizzi sul Diluvio. In quest'opera si mescolano osservazioni scientifiche di paurose inondazioni e

1 78

Figlio di una b u o n a disp osizio ne

aspetti allegorici di forze distruttive di origine celeste. De­ scrivendo la violenta irruzione delle acque, Leonardo scrisse: «Le acque irrompono all' improvviso negli avvallamenti che le accolgono, investendo i numerosi ostacoli con rapidi vor­ tici. L impeto delle onde circolari che si alzano dal punto di impatto le proietta verso altre onde circolari che avanzano in senso oppostO» . Il disegnatore del XX secolo Edward B . Edwards h a sviluppato centinaia d i temi decorativi basati sulla spirale logaritmica, molti dei quali ripr6Kiotti nel suo li­ b ro Pattern and Design with Dynamic Symmetry (un esempio è m ost rat o nella Figu ra 38) .

Figura 3 9

Figura 40

Il collegamento (l'a spi rale logaritmica e rapporto aureo è as­ sai srretto. Torniamo alla serie di rettangoli an nidati che si ottengono s o n r a e n tl o un quadrato a un rettangolo aureo (Fi­ gura 3 9 ; avevamo inconrraro la proprietà in questione nel Capitolo 4) . Se si congiungono i punti in cui questo «vorti1 79

1..
. Non si può escludere, di conseguenza, che gli autori ab­ biano semplicemente seguito il precetto vitruviano di utiliz­ zare rapporti · semplici, cioè uguali al quoziente di due nu­ meri interi. Quanto al rettangolo interno della Madonna di Ognissanti (Figura 64) , l'impressione che si ricava da un suo esame è altrettanto ambigua. Non solo nelle discussioni sul rapporto aureo i contorni sono tracciati con linee piuttosto spesse (per esempio nel libro di Trudi Hammel Garland Fa­ scinating Fibonaccis) , rendendo incerte le misure, ma il lato orizzontale superiore è spesso tracciato in modo piuttosto arbitrario. Ricordando i rischi dell'affidarsi soltanto alle misure, dobbiamo chiederci se ci siano altre ragioni per pensare che gli artisti citati abbiano deciso di includere il rapporto aureo nelle loro opere. Sembra che la risposta debba essere negati­ va, a meno di pensare che ciò sia avvenuto non per una de­ cisione cosciente, ma per un'inconscia attrazione estetica esercitata su di loro dal rapporto aureo (una possibilità che sarà discussa più avanti nel capitolo) . Non si dimentichi che le tre Madonne furono..dipinte oltre due secoli prima che la pubblicazione del De divina proportione procurasse notorietà al rapporto aureo anche tra i non matematici. Il pittore e scrittore francese Charles Bouleau ha espresso un differente punto di vista nel suo libro del 1 963 La geo­ metria segreta dei pittori. Senza citare Giotto, Duccio o Ci­ mabue in particolare, egli ha sostenuto che il trattato di Pa238

Pittori ( poni hanno uguale licenza

cioli non fu un inizio, ma la conclusione di un' epoca. A suo giudizio i� De divina proportione ha solo «manifestato un sa­ pere che esisteva da secoli sotto forma di tradizione orale»; secoli nei quali il rapporto aureo sarebbe stato «considerato la perfetta espressione della bellezza». Se fu davvero così, al­ lora Cimahue, Duccio e Giotto possono realmente aver de­ ciso di adottare un canone di perfezione largamente accetta­ to. Sfortunatamente, però, non ho trovato nessun dato o­ biettivo a sostegno della tesi di Bouleau. Al contrario, la sto­ ria documentata del rapporto aureo è in conflitto con l'idea che il fascino di fosse particolarmente sentito dagli artisti secoli prima della pubblicazione del trattato di Pacioli. Inol­ tre, tutti gli studi più prestigiosi sulle opere dei tre pittori ci­ tati, firmati da specialisti della materia (dal Giotto di France­ sca F10res d'Arcais al Cimabue di Luciano Bellosi) non men­ zionano mai la possibilità che uno di loro si sia servito del rapporto aureo. La tesi del suo uso sembra trovarsi solo nel­ le pagine degli appassionati a questo numero, e si basa esclu­ sivamente su misurazioni non confortate da altri dati di fat­ to o prove. Un altro nome che quasi immancabilmente compare ove si discute dei rapporti tra arte e numero aureo è quello di Leonardo da Vinci. Alcuni autori arrivano ad attribuire a Leonardo l'i nvenzione dell'espressione «proporzione divi­ na». Di solito, la discussione si impernia su cinque opere del genio di Vinci: la tela incompiuta del San Girolamo; le due versioni della \térgine delle Rocce; il disegno della Testa di vec­ chio; e, ovviamente, la Monna Lisa. Ignorerò l'ultimo dipin­ to per due ragioni: in primo luogo esso è l'argomento di un 239

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tale. numero di scritti, sia specialistici che divulgativi, da ren­ dere pressoché impossibile giungere a conclusioni non am­ bigue; e inoltre si suppone che il rapporto aureo si celi nelle dimensioni di un rettangolo immaginario che racchiudereb­ be il volto della Gioconda. In mancanza di qualunque chia­ ra e documentata indicazione di come questo rettangolo do­ vrebbe essere tracciato, una tesi simile rappresenta un chiaro invito ai giochi di prestigio numerici. Intendo tuttavia tor­ nare sull' argomento più generale delle proporzioni dei volti in Leonardo trattando della Testa di vecchio. Il caso delle due versioni della �rgine delle Rocce (una a Parigi, al Louvre, r al tra a Londra, alla National Gallery; Fi­ gure 65 e 66) non è particolarmente convincente. Il rappor­ to dell' altezza con la larghezza del dipinto che si pensa esse­ re stato eseguito per primo (Figura 65) è di circa 1 ,64, men­ tre lo stesso rapporto nel dipinto ritenuto successivo è di 1 ,58; entrambi i valori sono ragionevolmente vicini a phi, ma anche al semplice rapporto 1 ,6. Il problema della datazione e dell' autenticità delle due �rgine delle Rocce impone una svolta interessante alla que­ stione della presenza del rapporto aureo. Gli esperti che han­ no studiato i due dipinti sono giunti alla conclusione che, senza alcun dubbio, la versione del Louvre sia stata eseguita interamente da Leonardo in persona, mentre da questo pun­ to di vista il dipinto di Londra è ancora oggetto di contro­ versia. La versione del Louvre è ritenuta una delle opere più perfette tra quelle eseguite dall'artista a Milano, probabil­ mente tra il 1 483 e il 1 486. Il motivo per cui queste date possono essere importanti è che proprio a Milano, alla corte 240

Pittori e poeti hanno uguale licenza

Figura 65

Figura 66

ducale, Leonardo incontrò per la prima volta Pacioli. Il set­ tantunesimo capitolo del De divina (che conclude la prima parte dell'opera) fu, nelle parole dell'autore, «terminato in questo giorno 14 dicembre a Milano nel nostro quieto chio­ stro l'anno 1 497» . La prima versione (quella sulla cui auten­ ticità non sussistono dubbi) della Vt>rgine delle Rocce fu quin­ di portata a termine circa dieci anni prima che Leonardo avesse potuto sentir parlare di « divina proporzione» dall'in­ ventore stesso della definizione. In altre parole, sostenere che Leonardo abbia utilizzato la « divina proporzione» in quel di­ pinto significa ipotizzare che l'abbia impiegata prima dell'i24 1

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nizio della collaborazione con Pacioli; e sebbene non sia im­ possibile, una simile interpretazione non ha alcun dato cer­ to a propria conferma. Entrambe le versioni della V�ne sono considerate era le più alte realizzazioni artistiche di Leonardo. Forse in nessun' altra opera egli applicò con maggiore efficacia la propria formula poetica: «Ogni corpo opaco ha la propria superficie circondata e rivestita da ombra e luce». Le figure del dipinto mirano a coin­ volgere lo spettatore non solo sul piano estetico, ma anche su quello emotivo. Sostenere che la forza di un simile capolavoro dipenda in misura significativa dal mero rapporto delle dimen­ sioni orizwntale e verticale significa banalizzare senza ragione la struttura del quadro e il genio del suo autore. Non inganniamQ noi stessi: la riverente ammirazione che proviamo davanti alla V�ne de/k Rocce deve ben poco alla circostanza che il rappor­ to della sua altezza con la sua larghezza sia o meno uguale a $. Un'analoga incertezza sussiste a proposito dell'incompiu­ to San Girolamo (Figura 67) . Non solo il dipinto è datato 1 483, e quindi è ampiamente precedente l'arrivo di Pacioli a Milano, ma l'affermazione contenuta in alcuni libri (come La matematica di David Bergamini) che «un rettangolo au­ reo trova posto cosÌ precisamente intorno a San Girolamo» richiede un' abbondante dose di wishful thinking. I lati del rettangolo «mancano» completamente il corpo (specialmen­ te a sinistra) e la testa del santo, mentre le braccia si esten­ dono ben al di là di esso. Lultimo esempio di un possibile uso del rapporto aureo da parte di Leonardo è la Testa di vecchio (Figura 68). Il pro­ filo e il diagramma delle proporzioni furono eseguiti a pen242

Pittori



poeti hanno uguale licenza

na intorno al 1 490. Due studi di uomini a cavallo in gesset­ to rosso, ritenuti collegati alla Battaglia di Anghiari, furono aggiunti alla stessa pagina intorno al 1 503-04. Se la «griglia» sovrapposta al profilo del vecchio non lascia dubbi sul fatto che Leonardo fosse interessatD alle proporzioni del volto umano, trarre conclusioni detìnitive sull'uso del rapporto aureo è, ancora una volta, difficile. Per esempio, uno dei ret­ tangoli centrali, un po' a sinistra, è approssimativamente un rettangolo aureo, ma i contorni non sono abbastanza precisi per esserne sicuri. Il disegno è comunque la prova più con­ vincente che Leonardo abbia usato dei rettangoli per stabili­ re le proporzioni dei soggetti da disegnare o dipingere, e ab­ bia potuto prendere in considerazione, in tale contesto, an­ che l'uso del rapporto aureo.

Figura 67

Figura 68 243

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Linteresse di Leonardo per le proporzioni del volto può ave­ re avuto un' altra interessante manifestazione. In un articolo apparso nel 1 995 su «Scientific American», lo storico del­ l'arte e artista di computer-graphic Lillian Schwarz ha avan­ zato un'ipotesi interessante. A suo avviso, in assenza del mo­ dello per la Monna Lisa Leonardo avrebbe usato i suoi stessi lineamenti per portare a termine il ritratto! L ipotesi è scatu­ rita da un confronto computerizzato tra le dimensioni del volto di Monna Lisa e quelle di un disegno in gessetto rosso considerato da molti (ma non da tutti) il solo autoritratto di Leonardo. Ma, come sottolineato da altri studiosi, la somi­ glianza delle proporzioni può rispecchiare semplicemente il fatto che egli si servisse di alcune formulae fisse di rapporti (che potevano comprendere, oppure no, il rapporto aureo) . In effetti, la stessa Schwarz osserva che perfino nelle sue «grottesche» - una raccolta di volti bizzarri, con menti, nasi, bocche e fronti dalle proporzioni esagerate - Leonardo usò le medesime proporzioni della Testa di vecchio. Se è lecito dubitare che Leonardo, un amico personale di Pacioli e l'illustratore del De divina proportione, abbia mai usato il rapporto aureo, bisogna forse concludere che nessun artista se ne sia mai servito? No di certo. Col diffondersi del­ la letteratura accademica sul rapporto aureo verso la fine del­ l'Ottocento, l'interesse per tP crebbe anche tra gli artisti. Tut­ tavia, prima di parlare di quelli che usarono realmente il rap­ porto aureo c'è un'altra diceria di cui sarebbe bene liberarsi. Nonostante molte affermazioni del contrario, Georges Seurat ( 1 859- 1 89 1 ) , il celebre pittore francese e teorico del « puntinismo», probabilmente non adottò il rapporto aureo 244

Pittori e poeti hanno uguale lianza

nei suoi dipinti. Seurat era interessato alla percezione dei co­ lori e alle combinazioni cromatiche, e utilizzò la tecnica pun­ tinista per avvicinarsi il più possibile al carattere scintillante, vibrante della luce come è percepita nella realtà. Più avanti nella vita si preoccupò anche del problema di esprimere par­ ticolari emozioni con mezzi pittorici. In una lettera del 1 890, Seurat descrive sinteticamente alcuni suoi punti di vi­ sta sul proprio lavoro: L'arte è armonia. L'armonia è l'analogia delle contraddizioni, l'analogia dei simili, in tono, gradazione, linea, giudicata se­ condo gli aspetti di volta in volta dominanti e sotto l'in­ fluenza di un gioco di luce in arrangiamenti che risulteran­ no di volta in volta allegri, lievi, tristi. Le contraddizioni sono . . . , rispetto alla linea, quelle che formano un angolo retto . . . Le linee allegre sono linee sopra l'orizzontale; la calma è la linea orizzontale; la tristezza, le linee dirette verso il basso. Seurat applicò esplicitamente queste idee ne La parade (Fi­ gura 69) . Si noti in particolare l'angolo retto formato dal­ Ia balaustra con la linea verticale un po' a destra del centro del dipinto. L'intera composizione è basata su princìpi adottati da Seurat in segui to alla lettura de/ libro di David Sutter La philosophie des Beaux-Arts appliquée à la peinture ( 1 870) . Scriveva Sutter: « Quando la dominante è orizzon­ tale, una successione di oggetti verticali può esserle so­ vrapposta in quanto tale serie andrà d'accordo con la linea orizzontale» .

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AUREA

Figura 69

Gli appassionati al rapporto aureo offrono spesso analisi de La paratie (e di altre opere, tra le quali Il circo) per «illustra­ re» l'uso di (j). Perfino nel bel libro La matematica di David Bergacnini e dei curatori di «Life Magazine» troviamo affer­ mazioni come «La Parade, realizzato nel tipico stile a piccoli punti di colore dell'impressionista francese Georges Seurat, contiene numerosi esempi di proporzioni auree». Il libro si spinge anche oltre in una citazione (attribuita a un « esperto di belle arti») secondo la quale Seurat avrebbe «affrontato ogni (nuova) tela con la sezione aurea». Si tratta, purtroppo, di asserzioni prive di fondamento, una leggenda diffusa ini­ zialmente dal prelato e scrittore Matila Ghyka ( 1 88 1 - 1 965), romeno di nascita, che è anche l'« esperto di belle arti» citato da Bergamini. Ghyka ha pubblicato due opere influenti, 246

Pittori t poeti hanno ugualt licenza

Esthétique des proportiom dam la nature et dans les arts, del 1 927; e Le nombre dor: rites et rythmes pytagoriciem dam le développement de la civilisation occidentale, del 1 93 1 . En­ trambe le opere contengono interpretazioni misticheggianti della matematica. Insieme a descrizioni corrette delle pro­ prietà matematiche del rapporto aureo, le pagine di Ghyka propongono purtroppo una collezione di erroneo materiale aneddotico sulla presenza di 'I> nelle arti e nell' architettura (Parten!> ne e templi egizi compresi) . E la loro influenza è sta­ ta notevole quanto inesplicabile. Per quanto riguarda in particolare La parade, mentre è ve­ ro che la dimensione orizzontale è interrotta secondo pro­ porzioni prossime al rapporto aureo, lo stesso non si può af­ fermare di quella verticale. Un'analisi dell'intera composi­ zione di questo e di altri quadri di Seurat, oltre che di opere del pittore simbolista Pierre Puvis de Chavannes ( 1 8241898), ha indotto perfino un paladino del rapporto aureo come il pittore e scrittore Charles Bouleau a concludere: «Non credo che possiamo, senza recare violenza ai fatti, guardare alle sue [di Puvis de Chavannes] composizioni co­ me a opere basate sul rapporto aureo. Lo stesso vale per Seu­ rat». Un'analisi dettagliata da parte del matematico e autore Roger Herz-Fischler di tutti gli scritti di Seurat, nonché dei suoi schizzi e delle sue tele, ha portato alla stessa conclusio­ ne. È importante, alla luce di tutto questo, che nel 1 890 il matematico, filosofo e critico d'arte Charles Henry ( 1 8591926) abbia affermato testualmente che il rapporto aureo era «del tutto ignorato dagli artisti contemporanei». Chi, allora, ha fatto uso del rapporto aureo nella teoria 247

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estetica o nella realizzazione d i opere d'arte? I l primo impor­ tante artista e teorico dell'arte a impiegare cl> fu probabil­ mente Paul Sérusier ( 1 864- 1 927). Sérusier nacque a Parigi, e dopo studi di filosofia entrò nella nota scuola d'arte «Acadé­ mie Julian» . Un incontro con i pittori Paul Gauguin ed Émi­ le Bernard lo convertÌ al loro uso espressivo del colore e alla loro poetica simbolista. Con i post-impressionisti Pierre Bonnard, Édouard Vuillard, Maurice Denis e altri, Sérusier fu tra i fondatori del gruppo detto dei Nabis, dal vocabolo ebraico che significa «profeta». Un nome che alludeva, in modo temperato da una lieve autoironia, alla tendenza di questi artisti a considerarsi persone fuori dal comune, il cui stile rispecchiava una sorta di illuminazione religiosa. Del gruppo faceva parte anche il compositore Claude Debussy. È probabile che Sérusier avesse sentito parlare per la prima vol­ ta del rapporto aureo durante una delle visite, tra il 1 896 e il 1 903, a un amico pittore, l'olandese Jan Verkade ( 1 8681 946) . Questi era novizio al monastero benedettino di Beu­ ron, nella Germania meridionale, dove un gruppo di mona­ ci-pittori stava eseguendo composizioni religiose, per la ve­ rità non particolarmente interessanti, basate sulle « misure sa­ cre» teorizzate da Padre Didier Lenz. Secondo Padre Lenz, i capolavori artistici dell'antichità (dall'arca di Noè ai templi egizi e cosÌ via) si basavano tutti su semplici figure geometri­ che come il cerchio, il triangolo equilatero e l'esagono. La semplicità di questa concezione piacque a Sérusier, che scris­ se a Verkade: «Come potete immaginare, ho molto parlato delle vostre misure». Il pittore Maurice Denis ( 1 870- 1 943) ha scritto alcune note biografiche su Sérusier, dalle quali ap248

Pittori e poeti hanno uguale licenza

prendiamo che tra le «misure» utilìzzate da Padre Lenz c'era il rapporto aureo. Anche se Sérusier ammise che all'inizio lo studio della matematica di Beuron fu per lui tutt'altro che una «tranquilla navigazione», il rapporto aureo e la storia del­ la sua ipotetica relazione con la Grande Piramide e l'arte gre­ ca trovarono posto anche nell'importante manuale di pittura da lui pubblicato col titolo L'ABC de la peinture. Se l'interesse di Sérusier per il rapporto aureo sembra es­ sere stato più filosofico che pratico, è certo che egli fece uso di questa proporzione in alcune opere, soprattutto per «con­ trollare, e in qualche caso disciplinare, le sue invenzioni for­ mali e compositive». Dopo Sérusier, il concetto di rapporto aureo si diffuse in altri ambienti artistici, in particolare tra i cubisti. Il nome «cubismo» fu coniato dal critico d'arte Louis Vauxcelles (al quale, en passant, va attribuita l'invenzione di altri due cele­ bri «etichette» pittoriche: «espressionismo» e «fauvismo») dopo che questi ebbe visitato, nel 1 908, un'esposizione di opere di Georges Braque. Il movimento fu inaugurato da due quadri, Les demoiselles d'Avignon di Picasso e un Nudo di Braque. Ribellandosi all'uso emotivo di colore e forma da parte dell' espressionismo, Picasso e Braque svilupparono uno stile austero, quasi monocromo, che rifuggiva coscien­ temente da qualunque soggetto capace di suscitare associa­ zioni emotive. Temi come gli strumenti musicali e perfino le figure umane erano sottoposti a una «vivisezione» immagi­ naria tramite piani geometrici, e variamente ricombinati. Questa tecnica di scomposizione formale, mirante a trasferi­ re su un piano la struttura degli oggetti tridimensionali, era 249

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anche una buona occasione per valorizzare concetti geome­ trici come quello di rapporto aureo, ed effettivamente alcu­ ni dei primi cubisti, come Jacques Vìllon, suo fratello Mar­ cel e Raymond Duchamp-VilIon, insieme ad Albert Gleizes

g

e Francis Picabia, organ�zzarono a Pari i nell' ottobre del

1912

un'intera mostra intitolata « Section d'Or» . Nonostan­

te il nome molto suggestivo, nessuno dei dipinti esposti si basava su

cl> per l'organizzazione della propria composizione.

Il nome nasceva semmai dal desiderio degli organizzatori di manifestare il loro interesse generale per questioni che colle­ gavano l'arte alla scienza e alla filosofia. Ciò nonostante al­

( 1 887- 1 927) Lipchirz ( 1 89 1 -

cuni cubisti, come il pittore spagnolo Juan Gris e lo sculrore lituano Jacques (Chaim Jacob)

1 973)

usarono il rapporto aureo in alcuni lavori successivi.

Ha scritto Lipchitz:

«A quel tempo ero molto interessato al­

le teorie delle proporzioni matematiche, come altri cubisti, e tentai di applicarle alle mie sculture. Provavamo tutti una grande curiosità per quell'idea di una regola aurea, o sezione aurea, un metodo che si diceva fosse stato alla base dell' arte e dell'architettura dell'antica Grecia» . Lipchirz aiutò Juan Gris nella costruzione della scultura Arlequin, per la quale i due artisti hanno usato il triangolo di Keplero (basato sul rapporto aureo; Figura

5 1) per ottenere le proporzioni desi­

derate. Un altro artista che ha usato

il rapporto aureo all'inizio degli

anni Venti è stato il pittore italiano Gino Severini Egli tentò

(1 883- 1 966).

di conciliare nel suo lavoro i propositi in parte con­

trastanti del futurismo e del cubismo. Il futurismo rappresentò lo sforzo di un gruppo di intellettuali italiani attivi nella lettera-

250

Pittori � po�ti hanno ugua/� /iemza

tura, nelle ani figurative, nel teatro, nella musica e nel cinema di ringiovani­ re il panorama culturale italiano. Nelle parole di • Severini, «abbiamo deciso di concentrare la nostra attenzione sugli oggetti in movimento, perché la no- ' stra sensibilità moderna è particolarmente adatta ad afferrare l'idea della velo- . cità» . Il primo manifesto dei pittori futuristi fu fir­ mato nel 1 9 1 0 ed esorta­ va i giovani anisti italiani a «disprezzare profonda­ Figura 70 mente tutt.e le forme di imitazione». Benché ancora futurista egli stesso, Severini trovò nel cubismo una «nozione di misura» adatta alla sua ambizione di «creare, per mezzo della pittura, un oggetto con la stessa per­ fezione anigianale con cui un maestro ebanista crea un mobi­ b. Questa ricerca della perfezione geometrica indusse l'anista a servirsi della sezione aurea nei disegni preparatori di alcuni di­ pinti (come la Maternità; Figura 70). La pittrice cubista russa Maria Vorobeva, detta Marevna, rappresenta un interessante esempio del ruolo ricoperto dal rapporto aureo nell' arte cubista. Il libro della Marevna, sui cosiddetti «pittori de La Ruche» è un racconto affascinante 25 1

LA

SEZIONE AUREA

della vita e delle opere dei suoi amici personali - tra i quali i pittori Picasso, Modigliani, Soutine, Rivera (dal quale ebbe una figlia) e altri, nella Parigi degli anni Venti. Anche se la Marevna non ci fornisce alcun esempio specifico, e alcuni dei suoi commenti storici sono imprecisi, il testo allude al fatto che Picasso, Rivera e Gris utilizzarono tutti il rapporto aureo come « un altro modo di dividere i piani, più comples­ so e capace di attrarre menti esperte e. curiose» . Un altro teorico dell' arte molto interessato al rapporto au­ reo all'inizio del XX secolo fu l'americano Jay Hambidge ( 1 867 - 1 924) . In una serie di articoli e libri, Hambidge de­ finì due tipi di simmetria nell'arte classica e moderna. Uno, da lui chiamato «simmetria statica», si baserebbe su figure regolari come il quadrato e il triangolo equilatero, e potreb­ be produrre solo un'arte senza vita. Nell'altro, da lui chia­ mato «simmetria dinamica», il rapporto aureo e la spirale 10garitmica avrebbero un ruolo decisivo. Il nocciolo della tesi di Hambidge è che l'uso della «simmetria dinamica» nella fa­ se preparatoria permetterebbe di realizzare opere vibranti e che esprimono movimento. Peraltro, pochi oggi prendereb­ bero sul serio una simile concezione. Uno dei più decisi fautori dell'applicazione del rapporto aureo all'arte e all'architettura fu il celebre architetto e pitto­ re svizzero-francese Le Corbusier (Charles- Édouard Jeanne­ ret; 1 887- 1 96 5 ) . ]eanneret nacque a La Chaux-de-Fonds, in Svizzera, dove studiò arte e tecnica dell'incisione. Suo padre lavorava nel­ l'industria dell'orologeria come smaltatore, ma fu soprattut­ to la madre, pianista e insegnante di musica, a incoraggiare 252

Pittori e poeti ha nno uguale licenza

il figlio a coltivare la musica e ad ampliare il proprio oriz­ zonte culturale. Charles- Édouard iniziò gli studi di architet­ tura nel 1 90 5 , intraprendendo un cammino che avrebbe fat­ to di lui una delle personalità più influenti della moderna ar­ chitettura. Nell'inverno 1 9 1 6- 1 7, Jeanneret si trasferì a Pari­ gi, dove conobbe Amédée Ozenfant, ben introdotto nel haut monde parigino degli artisti e degli intellettuali. Attraverso Ozenfant, Jeanneret conobbe i cubisti e dovette tener conto della loro eredità. In particolare, fu contagiato - soprattutto tramite Juan Gris - dal loro interesse per l'uso sistematico delle proporzioni e per il loro ruolo nell' estetica. Nell' autun­ no del 1 9 1 8, Jeanneret e Ozenfant esposero insieme alla Galérie Thomas. (Per la precisione, due tele di Jeanneret fu­ rono esposte con molte più opere di Ozenfant.) Essi si defi­ nirono «puristi», e intitolarono il loro catalogo Après le Cu­ bisme (Dopo il cubismo) . Il purismo intendeva ispirarsi a Piero della Francesca e alla teoria estetica platonica, come ri­ velato da asserzioni quali: «Il mondo dell'arte non dev'essere accidentale, eccezionale, impressionistico, inorganico, pro­ testatario, pittoresco, ma, al contrario, generale, statico, espressivo dell'immutabile». ]eanneret non prese il nome di Le Corbusier (da alcuni antenati di parte materna, i «Lecorbesier») finché non fu trentatreenne, ben inserito nell'ambiente parigino e certo dei suoi obiettivi a lungo termine. Fu come se il cambiamento di nome avesse anche lo scopo di cancellare le incertezze del­ l'inizio della carriera, e di alimentare il mito di una genialità manifestatasi fin dal principio con forza. All'inizio, Le Corbusier aveva espresso idee piuttosto scet253

LA

S E Z I O N E AU REA

tiche, per non dire negative, sull' applicazione del rapporto aureo all'arte, invitando a non limitarsi a «sostituire la sezio­ ne aurea alla mistica della sensibilità». Ed effettivamente un esame esauriente dei progetti architettonici di Le Corbusier e dei quadri «puristi» da parte di Roger Herz-Fischler rivela che fino al 1 927 l'artista non utilizzò mai il rapporto aureo. Questa situazione cambiò in modo drammatico dopo la pubblicazione dell'influente libro di Matila Ghyka, Esthéti­ que des proportions dans la nature et dans /es arts, e della se­ conda opera dello stesso autore, L.e nombre d'or: rites et ryth­ mes pytagoriciens, che accentuò ulteriormente l'interpretazio­ ne mistica di cp da parte dell'autore. Ma la viva curiosità di Le Corbusier per l'Esthétique e il rapporto aureo rimanda ad almeno due suoi interessi precedenti: quello per le strutture sottostanti agli oggetti naturali, da un lato; e dall'altro, poi­ ché proveniva da una famiglia che incoraggiava lo studio e la pratica della musica, la coscienza dell'importanza cruciale dei rapporti numerici per almeno una forma di armonia, quella acustica. Come scrisse egli stesso: «In questi trent'an­ ni e più, la linfa della matematica è fluita nelle vene del mio lavoro, sia di architetto che di pittore; perché la musica è sempre stata presente dentro di me» . La ricerca di Le Cor­ busier di una proporzione standardizzata culminò nell'intro­ duzione di un nuovo sistema proporzionale chiamato «Mo­ dulor». Si presumeva che il Modulor fornisse « alla scala umana una misura di armonia, universalmente applicabile all'archi­ tettura e alla meccanica». Questa citazione è in fondo una parafrasi dell'antico detto di Protagora, risalente a oltre due 254

Pittori t po(/i hanno ugualt liunza

millenni prima, secondo il quale «l'uomo è la misura di tut­ te le cose». Perciò, nello spirito dell'uomo vitruviano e del generale impulso filosofico alla ricerca di un sistema di pro­ porzioni conforme alla creazione naturale, il Modulor si ba­ sava sulle proporzioni umane (Figura 7 1 ) . Un uomo alto circa 1 83 cm, vagamente simile al pubblicitario «ornino Michelin» e con un braccio alzato (a un'altezza di 226 cm) era inserito in un quadrato (Figura 72) . Il rapporto tra la statu­ ra deU'uomo ( 1 83 cm) e la distanza dall' ombe­ lico al suolo ( 1 1 3 cm) era esattamente pari a '1>. Anche l'altezza totale Figura 7 1 (dai piedi all'estremità del braccio alzato) era divisa secondo il rapporto aureo ( 1 40 e 86 cm; Figura 72) a livello del polso dell'altro braccio, che pendeva liberamente verso il basso. I due rapporti ( 1 1 3/70 e 1 40/86) erano ulteriormente suddivisi in dimensioni mino­ ri secondo la serie di Fibonacci (essendo ciascun numero uguale alla somma dei due precedenti; Figura 73) . Nella ver­ sione finale del Modulor (Figure 7 1 e 73) furono quindi in­ trodotte due scale dimensionali basate sulla successione di Fibonacci (le « serie rossa e blu») . 25 5

LA

SEZIONE

AU REA

226 18.1 '" "" ""

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113 -





da parte dell' autore. Le composizioni musicali non sono state esentate da tali indagini, con risultati, peraltro, molto simili a quelli fin qui descritti: accanto a pochi usi incontestabili del rapporto aureo come criterio proporzionale, ve ne sono molti che con ogni probabilità esistono solo nella fertile im­ maginazione dei presunti scopritori. Paul Larson, della Tempie University, ha sostenuto nel 1 978 di aver rinvenuto il rapporto aureo nel più antico esempio di musica occidentale annotata: i «Kyrie» della col­ lezione di canti gregoriani noti come Liber usualis. La rac­ colta include trenta Kyrie e copre un arco temporale di oltre seicento anni, a partire dal X secolo. Larson ha affermato di aver riscontrato un «evento» significativo (come l'inizio o la fine di una frase musicale) nel punto di sezione aurea di 1 05 delle 1 46 sezioni di Kyrie da lui esaminate. Ma in mancanza di qualunque testimonianza storica su ragioni teoriche per l'impiego del rapporto aureo, è da temere che la «scoperta» di Larson non sia che un ulteriore esercizio di manipolazio­ ne numenca. In generale, non è raro che il computo di note e battute rispecchi qualche tipo di relazione numerica tra le parti di una composizione musicale, ed è comprensibile che chi ha effettuato il calcolo sia tentato di concludere che la relazione sia stata consapevolmente introdotta dal compositore. Ma 275

LA

S E Z I O N E AU REA

senza il sostegno di una precisa documentazione (che molto spesso è inesistente) , il massimo che si può dire è che tale eventualità, la cui probabilità è impossibile da stabilire, non può essere scartata a priori. Nel 1 995 il matematico John F. Putz, dell'Alma College, ha tentato di chiarire se Mozart ( 1 756- 1 79 1 ) abbia utilizza­ to il rapporto aureo nei ventinove movimenti delle sue sona­ te per pianoforte formate da due distinte sezioni. In genera­ le, tali sonate consistono di due parti: l'esposizione, in. cui è introdotto il principale tema musicale, e lo sviluppo e rica­ pitolazione, in cui il tema è ampliato e infine rivisitato. Poi­ ché i brani musicali sono divisi in unità minime di uguale durata dette misure o battute, Putz ha proceduto al calcolo dei rapporti tra i numeri di battute delle due sezioni delle so­ nate. Mozart, che (secondo la sorella) al tempo della scuola «non parlava che di numeri e non pensava che ai numeri», è probabilmente uno dei migliori candidati all'uso di enti strettamente matematici nella composizione. Ed effettiva-,. mente in vari articoli era già stato sostenuto ch e il rapporto aureo svolgeva una funzione importante nell' architettura delle sue sonate. I primi risultati di Putz apparivano molto promettenti. Nella Sonata n. 1 in do maggiore, per esempio, il primo movimento consiste di sessantadue battute di svi­ luppo e ricapitolazione e trentotto di esposizione; e 62/38 è uguale a 1 ,63 una buona approssimazione del rapporto au­ reo. I..:insieme dei risultati della sua analisi, tuttavia, ha con­ vinto Putz che Mozart non si sia basato sul rapporto aureo per stabilire la lunghezza delle parti delle sue sonate; per la verità, non è nemmeno sicuro che il rapporto dei numeri di -

276

Pittori



poeti hanno uguale licenza

battute delle principali sezioni di un brano musicale possie­ da delle qualità estetiche. Se, come $, la musica di Mozart merita di esserne definita «divina», l'uso del rapporto aureo non se J!lbra esserne una delle ragioni. Un celebre compositore che potrebbe avere fatto largo uso del rapporto aureo è l'ungherese Béla Bart6k ( 1 88 1 - 1 945). Virtuoso del pianoforte e pioniere della musicologia etnica, Bart6k ha fuso l'eredità dei maestri classici a lui più vicini (Strauss, Liszt e Debussy) col folclore musicale mitteleuro­ peo e balcanico, creando uno stile estremamente personale. Come disse egli stesso: «Il mondo melodico dei miei quar­ tetti per archi non differisce in modo sostanziale da quello delle canzoni popolari». Oltre alle melodie, la forza ritmica della sua musica e un uso sagace delle simmetrie formali con­ tribuiscono a fare di questo musicista uno dei compositori più originali del XX secolo. Il musical ago ungherese Erno Lendvai ha instancabil­ mente studiato la musica di Bart6k, e pubblicato molti libri e articoli sull' argomento. Orbene, per usare le parole di Lendvai: «Sulla base di analisi stilistiche della musica di Bart6k sono giunto alla conclusione che la caratteristica principale della sua tecnica cromatica sia l'ubbidienza, in ogni circostanza, alle leggi della sezione aurea». Secondo Lendvai, la gestione del ritmo è un ottimo esem­ pio dell'uso di $ da parte del maestro magiaro. Analizzando il primo movimento (una « fuga») della Musica per archi, per­ cussioni e celesta, Lendvai sottolinea per esempio che le ot­ tantanove battute del movimento sono divise in due parti, una da cinquantacinque battute e una da trentaquattro, dal 277

LA

SE Z I O N E A U R E A

punto di massima intensità sonora. Ulteriori suddivisioni corrispondono all'aggiunta e rimozione delle sordine (dispo­ sitivi applicati agli strumenti per smorzare il suono) e ad al­ tri cambiamenti timbrici (Figura 78). Tutti i numeri delle battute sono numeri di Fibonacci, coi rapporti tra le parti principali (per esempio, 55/34) che si approssimano al rap­ porto aureo. In modo analogo, nella Sonata per due pia­ noforti e percussioni, i temi si sviluppano secondo un ordine basato sulla successione di Fibonacci e il rapporto aureo per quanto riguarda il numero dei semitoni (Figura 79) . Non tutti i musicologi, d'altra parte, condividono le conclusioni di Lendvai; il quale, del resto, ammette che Bart6k non amava parlare del proprio metodo di composi­ zione, tanto da dichiarare: «Sia la mia musica a parlare per se stessa; non pretendo di essere il più adatto a commenta­ re le mie composizioni». Il fatto che egli non abbia lasciaro 89 battute totali punto di massima intensità sonora

l

55 battute gli archi rimuovono la sordina

34 battute

-21 battute (tema)

l

21 battute

gli 8f1'hi rimettono la sordina

: 13 battute l

------.,.... � ! .......--.. -----

/

21 battute

� -------

------- -

13 8 batbattute tute il timbro cambia

Figura 78 278

34 battute

Pittori e poeti hanno uguale licepza

appunti sulle possibili basi numeriche dei suoi ritmi e del­ le sue scale rende ipotetica, nel migliore dei casi, ogni af­ fermazione in proposito. Inoltre, anche ammettendo che la presenza di rapporti prossimi a cp non sia casuale, restereb­ be da stabilire se Bart6k li abbia introdotti intenzional­ mente, e in quanto tali, nella sua musica. Tutro questo aiu­ ta a comprendere come sia possibile che il musicologo La­ szlo Somfai, anch' egli ungherese, nel libro del 1 996 Bé/a BartOk, Composition, Concepts and Autograph Sources (Béla Bart6k, composizioni, concetti e fonti autografe) sostenga la tesi opposta a quella di Lendvai, escludendo che il com­ positore abbia mai fatro uso del rapporto aureo. Sulla base di un' analisi sistematica e molto ampia (un lavoro durato trent' anni la cui esposizione occupa qualcosa come tremi­ laseicento pagine) , Somfai conclude che Bart6k compose senza schemi precostituiti. Altri musicologi, come Ruth

leitmotiv tema principale tema secondario

3+5= 8 5 + 8 = 13 13,2 1

Figura 79 279

LA

S E Z I O N E AU REA

Tatlow e Paul Griffiths, definiscono «contestabile» lo stu­ dio di Lendvai. Nell'interessante libro Debussy in Proportion (Debussy in proporzione) , Roy Howat dell'Università di Cambridge so­ stiene che il musicista francese Claude Debussy ( 1 8621 9 1 8) , le cui innovazioni armoniche hanno profondamente influenzato generazioni di compositori, si è servito del rap­ porto aureo in numerose occasioni. Per esempio, nel pezzo per pianoforte solo Reflets dam l'eau, contenuto nella .serie lmages, la prima ripresa del rondò giunge dopo trentaquat­ tro battute, che segnano il punto di sezione aurea tra l'inizio del brano e la sua parte culminante a partire dalla cinquan­ tacinquesima battuta. Naturalmente, 34 e 55 sono due nu­ meri di Fibonacci e 34/2 1 è una buona approssimazione di . La stessa struttura è riscontrabile nella seconda parte, di­ visa secondo il rapporto 24/ 1 5 (semplificabile in 8/5, altri due numeri di Fibonacci e un altro quoziente prossimo a ; Figura 80) . Analoghe suddivisioni sono state rilevate da Howat nei tre schizzi sinfonici intitolati La mer, nella com­ posizione per pianoforte solo Jardim sous la pluie e in altre opere. Devo ammettere che, data la storia di La mer, mi è un po' difficile credere ch� , scrivendolo, Debussy si sia divertito a infarcirlo di astratte proprietà matematiche. Questa compo­ sizione fu iniziata nel 1 903, e in una lettera all' amico André Messager l'autore scrisse: «Forse non sai che ero destinato a una vita da uomo di mare, ed è stato quasi un caso se ho pre­ so un'altra direzione. Ma l'amore per il mare mi è sempre ri­ m asto». In ogni caso, quando nel 1 905 egli scrisse le ultime 280

Pittori � poni hanno ugua/� lictnza

55

- --11 r1----+--

parte culminante

34

21 34

94

24

15

prima ripresa del rondò

fine

70

seconda ripresa del rondò

Figura 80

battute di La mer, la sua esistenza aveva subito una serie di ulteriori, drammatici cambiamenti di rotta. Aveva lasciato la moglie Lily (il cui vero nome era Rosalie Texier) per l'affa­ scinante Emma Bardac; Lily aveva tentato di suicidarsi, e sia lei che la Bardac avevano promosso azioni legali contro il musicista. Quando ascoltiamo La mer forse la più perso­ nale e intensa tra le opere di Debussy - si ha l'impressione di ascoltare non solo il ritratto musicale del mare e della sua po­ tenza, probabilmente ispirato dall' opera del pittore inglese Joseph Mallord William Turner, ma anche la rievocazione di un periodo tumultuoso della vita dell' autore. Poiché Debussy non ha rivelato molto circa la sua tecnica di composizione, si deve aver cura di distinguere le interpre­ tazioni forzate, imposte alla sua musica più che suggerite da questa, e le vere intenzioni dell'autore (tuttora ignote) . A so­ stegno della sua analisi, Howat si avvale soprattutto di due dati: lo stretto legame tra Debussy e alcuni pittori simbolisti dei quali si sa con certezza che utilizzavano il rapporto aureo; e una lettera di Debussy al suo editore Jacque Durand del­ l'agosto del 1 903 . Nella lettera, che accompagnava le bozze -

28 1

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S E Z I O N E AU REA

corrette dei Jardins sous la pluie, Debussy si sofferma su una battuta mancante della partitura e spiega: « D'altronde, ciò era necessario dal punto di vista numerico; cioè, del numero divino». A quanto sembra, Debussy intendeva che almeno in alcune decisioni che egli prendeva come compositore, un ruolo importante spettava non solo ai numeri in generale, ma a un « numero divino» in cui niente proibisce di vedere un'allusione alla « divina proporzione» . Howat sostiene inoltre che Debussy subiva l'influenza del matematico e critico d'arte Charles Henry, particolarmente interessato alle relazioni tra i numeri da un lato e la melodia, l'armonia e il ritmo dall'altro. E gli scritti di estetica di Henry, come l' Introduction à une esthétique scientifique del 1 885, attribuivano grande importanza al rapporto aureo. Probabilmente non sapremo mai con certezza se quella colonna del modernismo francese sia davvero ricorsa volon­ tariamente a q, per la determinazione di alcuni aspetti quan­ titativi della sua musica. Uno dei suoi pochissimi allievi di pianoforte, mademoiselle Worms de Romilly, ha scritto che Debussy non cessava « di rammaricarsi di non essersi dedica­ to alla pittura anziché alla musica» . La grande originalità del­ la sua poetica musicale può aver ricevuto il contributo, co­ munque modesto, del rapporto aureo; ma certamente non fu questa la sorgente principale della sua creatività. A semplice titolo di curiosità, riferisco che i nomi di De­ bussy e Bart6k sono legati da un aneddoto divertente. Du­ rante un viaggio a Parigi del giovane musicista magiaro, il fa­ moso insegnante di pianoforte Isidore Philipp gli propose di presentarlo al compositore Camille Saint-Saens, allora al cul282

Pittori



poeti hanno uguale liunza

mine della celebrità. Bart6k declinò. Allora Philipp gli pro­ pose un incontro con il noto organista e compositore Char­ les-Marie Widor. Di nuovo, la risposta fu negativa. «Ebbe­ ne,» osservò Philipp «se non desidera conoscere né Saint­ Saens né Widor, allora chi le piacerebbe incontrare?» «De­ bussy» rispose Bart6k. «Ma è un uomo orribile» protestò Philipp. «Ce l'ha col mondo intero, e sarà senz' altro scortese anche con lei. Davvero desidera farsi insultare da Debussy?» «Sì» rispose Bart6k senza esitazione. Nel XX secolo, la nascita delle tecnologie di registrazione e gestione computerizzata della musica facilitò le misurazio­ ni numeriche precise, incoraggiando la creazione di brani basati sui numeri e sui loro rapporti. Il compositore austria­ co Alban Berg ( 1 885- 1 935), per esempio, basò interamente la costruzione del suo Kammerkonzert sul numero 3: in esso, troviamo unità di trenta battute, tritematiche e affidate a tre «voci» strumentali (pianoforte, violino, strumenti a fiato) . Il compositore francese Olivier Messiaen ( 1 908- 1 992) , che trasse ispirazione soprattutto da una profonda fede cattolica e dall'amore per la natura, fece anch'egli un uso consapevole dei numeri per la costruzione ritmica (per esempio per sta­ bilire il numero dei movimenti) . Ciò nonostante, quando nel 1 978 gli fu chiesto in modo specifico del rapporto aureo, egli negò di averlo utilizzato. Il vivace compositore, matematico e insegnante Joseph Schillinger ( 1 89 5- 1 943) esemplificò con la sua personalità e il suo insegnamento la concezione platonica sul rapporto di matematica e musica. Diplomatosi al Conservatorio di San Pietroburgo, e dopo aver insegnato composizione musicale 283

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SEZIONE AUREA

alle Accademie d i Stato d i Charkov e Leningrado, nel 1 928 si trasferì negli Stati Uniti diventando professore sia di ma­ tematica sia di musica presso varie istituzioni, come l'Uni­ versità della Columbia e l'Università di New York. Il com­ positore e pianista George Gershwin, il clarinettista e diret­ tore d'orchestra Benny Goodman, e il coreografo e direttore d'orchestra Glenn Miller furono altrettanti allievi di Schil­ linger. Questi nutriva una profonda fiducia nelle fondamen­ ta matematiche della musica, e in particolare aveva sviluppa­ to un «sistema di composizione musicale», che da lui ha pre­ so il nome, in cui le note successive di una melodia seguono intervalli di Fibonacci se contate in unità di mezzi intervalli (come nella Figura 8 1 ) . Secondo Schillinger, gli intervalli di Fibonacci trasmettono lo stesso senso di armonia che il bo­ tanico prova di fronte alla disposizione regolare delle foglie su uno stelo. Probabilmente, era questa sensibilità matema­ tica a permettere a Schillinger di scoprire lati musicali nelle circostanze più imprevedibili. In }oseph Schillinger: A Me­ moir, la biografia del musicista scritta dalla sua vedova, Fran­ ces, è raccontato un episodio accaduto quando egli era in au­ tomobile con altre persone nel pieno di un acquazzone. Schillinger osservò: «La pioggia ha il suo ritmo, e uno sche-

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'?;i;?o Figura 8 1

284

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Pitrori � poeti hanno ugual� licenza

ma ritmico seguono anche i tergicristalli. È arte inconsape­ vob. Uno dei tentativi di Schillinger di dimostrare che la musica può completamente basarsi sulle formule matemati­ che fu particolarmente divertente. Si mise a copiare su un foglio di carta a quadretti le fluttuazioni dei titoli di Borsa ri­ ferite dal «New York Times» e, trasformando le distanze tra le gobbe e gli avvallamenti del grafico in intervalli musicali, ricavò una composizione che ricordava vagamente lo stile del grande Bach. La conclusione a cui ci ha condotti questo breve viaggio nel mondo della musica è che le ipotesi sull'uso che vari musicisti avrebbero fatto del rappono aureo si basano di solito su un pas­ saggio affrettato dai rapponi nwnerici riscontrati in un brano (tra le lunghezze delle pani, le altezze delle note eccetera) alle ipotesi sulle intenzioni del musicista. Allo stesso tempo, è in­ negabile che il xx: secolo sia stato caratterizzato da un ruolo più imponante dei numeri nella musica. E nel contesto di questa «rinascita del pitagorismo», il rappono aureo ha cominciato ad avere un ceno peso nelle opere di alcuni compositori. Il critico musicale viennese Eduard Hanslick ( 1 8251 904) ha espresso magnificamente il rapporto tra musica e matematica nel suo libro Il bello musicale: La «musica» della natura e quella umana appartengono a due

distinte categorie. Il passaggio dalla prima alla seconda av­ viene tramite la scienza matematica. Una posizione impor­

tante e gravida di conseguenze. Ma sbaglierebbe chi la in­ tendesse nel senso che l'uomo abbia delimitato il suo sistema musicale per mezzo di calcoli eseguiti appositamente, essen-

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S E Z I O N E AU REA

do il sistema scaturito dall'applicazione inconscia di nozioni preesistenti sulla quantità e la proporzione, tramite sottili procedimenti di misura e computo; mentre le leggi generali a cui quelle nozioni ubbidiscono sono state rivelate dalla scienza solo in seguito. Pitagora lo predispose

Con queste parole un grande poeta, l'irlandese William Butler Yeats ( 1 865 - 1 939) , inizia la poesia The Statues. Yeats, che una volta dichiarò: «L'essenza del genio, di qua­ lunque genere, è la precisione», esamina nella poesia il rap­ porto tra i numeri e le passioni. La prima stanza della poe­ sia recita:

Pitagora lo predispose. Perché stava lì, la gente, a rimirare? I suoi numeri, con tutti i loro moti, veri o finti, Nel marmo o nel bronzo, mancavano di carattere. Ma giovani e giovinette, resi pallidi da amori immaginari Di solitari giacigli, sapevano di che si trattava, Che la passione, di carattere, poteva aggiungerne a sufficienza, E a mezzanotte, in qualche piazza o via Labbra vive si posavano su volti misurati dalfilo a piombo. Yeats esprime con eleganza il fatto che mentre le proporzio­ ni delle statue greche, calcolate con cura, possono apparire fredde ad alcuni, i giovani con i loro intensi sentimenti in­ tuiscono in queste forme la più potente espressione delle lo­ ro passioni idealizzate. 286

Pittori t potti hanno uguale licmza

A prima vista, niente sembra più lontano dalla matemati­ ca della poesia. Pensiamo che lo sgorgare dei versi dalla pura fantasia del poeta dovrebbe essere cosÌ spontaneo come sem­ bra lo sbocciare di una rosa. Ma ricorderete come proprio nella disposizione dei petali di questo fiore sia celato un or­ dine rigoroso, sorretto dal rapporto aureo. Perché allora la poesia non dovrebbe rispecchiare lo stesso ordine? Ci sono almeno due modi, in teoria, in cui il rapporto au­ reo e i numeri di Fibonacci potrebbero influenzare la poesia. Si possono immaginare dei versi che si ispirino a cj) e alla suc­ cessione di Fibonacci (come in Media costante di Paul Bruck­ man, di cui si è detto nel Capitolo 4), o a forme e fenomeni strettamente legati a questi enti matematici. I.:altra possibilità è che il rapporto aureo o i numeri di Fibonacci agiscano non sul piano del contenuto ma su quello della forma: cioè della determinazione dei ritmi e degli schemi dell'opera in versi. Esempi del primo tipo di influenza sono una poesia umo­ ristica di J. A. Lindon; il Faust di Goethe; e The Chambered Nautilus di Oliver Wendell Holmes. Martin Gardner ha utilizzato la breve poesia di Lindon come ouverture del capitolo su Fibonacci nel suo libro Circo matematico. A proposito della relazione ricorsiva che defini­ sce la sequenza di Fibonacci, dice la poesia: Ogni moglie di Fibonacci Non mangiando che castagnacci Pesava come

le due precedenti.

Già un suo quinto vi faceva contenti!

287

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S E Z I O N E AU REA

In modo analogo, due versi di una poesia di Katherine O' Brien recitano: Fibonacci non riusciva a dormire Conigli, non pecore, provò a contare.

Goethe ( I 743- 1 832) è uno dei maestri della letteratura di ogni tempo. Il suo genio multiforme è testimoniato dal Faust, una descrizione simbolica della brama umana di co­ noscenza e potere. Il protagonista che dà il nome alla tra­ gedia, un enciclopedico dottore tedesco, vende l'anima a Mefistofele in cambio del sapere, della giovinezza e del­ l'acquisizione di poteri magici. Accortosi del pentagram­ ma Druidenfoss (letteralmen te «Piede di druido») traccia­ to sulla soglia di Faust, Mefistofele non è in grado di usci­ re. I poteri magici attribuiti al pentagramma fin dal tem­ po dei pitagorici (non estranei, come si è visto, alla defini­ zione del rapporto aureo) acquisirono un ulteriore signifi­ cato simbolico col cristianesimo, per via della credenza che i cinque vertici corrispondessero alle cinque lettere del no­ me «Jesus». Si pensava che a causa di questa corrisponden­ za, il pentagramma impaurisse il demonio. Leggiamo nel Faust:

Mefistofele: Ti dirò, c'è un minuscolo intoppo Che m'impedisce di andarmene via: Quel piè di strega sulla soglia . . .

288

Pitto r i � pOfti hanno ugual� liunza

Faust:

È il Pentagramma a darti noia?

dimmi, creatura dell'inferno, Se quello ti è d'ostacolo, com'hai fatto ad entrare? Come si è fatto intrappolare Uno spirito come te? Mefistofele: Guarda bene. Il disegno non è esatto. Uno degli angoli, volto all'esterno È, come vedi, un po' aperto. * Mefistofele deve ricorrere all'astuzia - approfittare di una piccola apertura nel pentagramma - per allontanarsi. È chia­ ro che Goethe non aveva intenzione di alludere, nel Faust, al concetto di rapporto aureo, e che vi incluse il pentagramma solo a causa delle sue proprietà simboliche. Le sue opinioni sulla matematica sono espresse altrove; per esempio, in que­ sto commento ironico: «I matematici sono una sorta di fran­ cesi: quando parlate con loro, quello che dite lo traducono all'istante nella loro lingua; e, in qualche modo, diventa qualcosa di totalmente diverso». Il fisico e scrittore americano Oliver Wendell Holmes ( 1 809- 1 894) ha pubblicato alcune raccolte di divertenti e ar­ gute poesie. In The Chambered Nauti/us egli scopre una mo­ rale nella crescita uguale a se stessa della spirale logaritmica, che caratterizza lo sviluppo del mollusco:

*

Goethe, Faust, trad. di Franco Fortini, Mondadori, Milano 1 970, edizione 1 976. p. 1 07.

III

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LA

S E Z I O N E AU REA

Costruisciti, anima mia, dimore più maestose Mentre scorrono veloci

le stagioni!

Lascia il tuo angusto passato Una volta più ampia ti separi dal cielo Finché libero, finalmente Lascerai una conchiglia troppo stretta per l'inquieta vita del mare.

Molti sono gli esempi di strutture poetiche che fanno largo uso di numeri. La Divina commedia, il grandioso edificio in versi che fa di Dante Alighieri ( I 265- 1 32 1 ) il principale ar­ tefice della lingua italiana, consiste di tre cantiche, a loro vol­ ta formate da trentatré canti basati su gruppi di tre versi (tranne la prima cantica, che ha un canto in più per portare a cento il totale dei canti della Commedia) . La poesia è anzi, probabilmente, l'ambito in cui i nu­ meri di Fibonacci hanno fatto la loro prima apparizione, perfino prima che tra gli omonimi conigli. Una delle cate­ gorie metriche della poesia sanscrita e prakit è nota come matra-vitta. Si tratta di metri in cui il numero di morae (le normali sillabe brevi) è costante, mentre il numero di let­ tere è arbitrario. Nel 1 98 5 il matematico Parmanand Sin­ gh dell'indiano Raj Norain College ha fatto notare che i numeri di Fibonacci e le relazioni che li definiscono com­ paiono negli scritti di tre autorità indiane in tema di matra -vitta prima del 1 202, l'anno di pubblicazione del trattato di Fibonacci. Il primo di questi studiosi di metrica fu Aca rya Virahanka, vissuto tra il VI e l'VIII secolo. Anche se la regola che menziona è un po' vaga, egli accenna alla com-

Pittori e poeti hanno uguale licmza

binazione delle variazioni di due metri precedenti per ot­ tenere il successivo, proprio come nella successione di Fi­ bonacci un termine è ricavato sommando i due termini precedenti . Il secondo autore, Gopala, fornisce la regola in modo specifico in un manoscritto stilato tra il 1 1 33 e il 1 1 3 5 . Egli spiega che ogni metro è la somma dei due me­ tri precedenti e calcola la serie dei metri, che risulta ugua­ le a l , 2, 3, 5 , 8, 1 3 , 2 1 . . . , precisamente la successione di Fibonacci. Infine Acarya Hemacandra, il grande scrittore jain vissuto nel XII secolo che fu sotto la protezione di due re, ha anch' egli affermato chiaramente in un manoscritto risalente all'incirca al 1 1 50 che la « somma dell'ultimo e del penultimo numero [di variazioni] corrisponde [a quel­ lo] del miitrii-vitta successivo» . Sembra però che questa prima comparsa in campo poetico dei numeri di Fibonac­ ci sia sfuggita ai matematici. Nel bel libro Fascinating Fibonaccis, l'autrice Trudi Hammel Garland fornisce un esempio di limerick (una breve poesia umoristica di cinque versi, col primo, secon­ do e quinto in rima tra loro, e il terzo e il quarto in rima tra loro N d. T.) in cui i versi ( 5 ) , gli accenti ritmici in cia­ scun verso (2 o 3) e gli accenti ritmici totali ( 1 3) sono nu­ meri di Fibonacci: A fly and a flea in a flue

(3 accenti)

Wére imprisoned, so what could they do? (3 accenti) 5aid the fly, "Let us flee!» (2 accenti) "Let us fly!» said the flea, (2 accenti) So theyfled through a flaw in the flue. (3 accenti)

29 1

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S E Z I O N E AU REA

(Una mosca e una pulce in una canna fumaria Eran chiuse, dunque che fare? Disse la mosca, «Fuggiamo!» «Involiamoci!>, disse la pulce, E fuggirono da una crepa della canna.) Non si dovrebbe interpretare la presenza di pochi numeri di Fibonacci come una prova che l'autore si sia ispirato al rap­ porto aureo nel costruire la struttura di una poesia. Come la musica, la poesia è stata a lungo, e in parte è ancora, pensata per l'ascolto più che per la lettura. Perciò, proporzioni e ar­ monie piacevoli a udirsi sono un suo importante elemento costruttivo. Ma questo non significa che rapporto aureo e nu­ meri di Fibonacci siano le sole armi dell'arsenale del poeta. George Eckel Duckworth, docente di lettere classiche a Princeton, ha diffuso l'annuncio più drammatico in tema di poesia e rapporto aureo. Nel suo saggio del 1 962 Structural Pattems and Proportions in Vergil's Aeneid (Modelli struttu­ rali e proporzioni nell' Eneide di Virgilio) , egli ha asserito che « Virgilio compose l'Eneide sulla base della proporziona­ lità matematica; ogni libro rivela, nelle unità minori come nelle divisioni principali, il famoso rapporto numerico no­ to come "sezione aurea", "proporzione divina" o "ra"p porto aureo medio"». Virgilio (70- 1 9 a.c.) era figlio di un agiato agricoltore. Cresciuto in campagna, introduce il tema della serenità del­ la vita rustica in molte delle sue prime brevi poesie di carat­ tere pastorale. L Eneide, d'altra parte, è un grande poema epi­ co-patriottico, che in dodici libri narra le avventure del troia292

Pittori



poeti han no uguale licenza

no Enea: la fuga dalla città conquistata dai greci, l'arrivo a Cartagine, la storia d'amore con Didone, fino all'arrivo in Italia e alla fondazione di Roma. Oltre che dalle tipiche virtù dell' eroe epico, l'Enea virgiliano è contraddistinto dalla p ie­ tas: il rispetto per le leggi divine e umane e la coscienza dei propri limiti. Ma come ogni creazione poetica, l'Eneide è forma oltre che contenuto, e alla prima è rivolta l'analisi di Duckworth, che ha misurato con cura la lunghezza di molte sue parti e calcolato i rapporti corrispondenti. In particolare, egli ha con�ato i versi dei passaggi definiti « maggiori», indicandone il numero con M, e dei minori, il cui numero di versi ha in­ dicato con m, calcolando poi il rapporto M/m. Per l'indivi­ duazione delle parti maggiori e minori l'autore si è basato sul contenuto. Per esempio, in molti passaggi la parte maggiore o minore è un discorso e l'altra parte (minore o maggiore, ri­ spettivamente) è di carattere narrativo o descrittivo. La con­ clusione dello studioso è che il poema conterrebbe « centinaia di rapporti di media aurea». Egli ha anche osservato che una precedente analisi (del 1 949) di un'opera di Virgilio (il pri­ mo libro delle Georgiche) aveva dato per il rapporto del nu­ mero di versi di due parti, note come Opere e Giorni, un va­ lore molto vicino a «1>. Purtroppo, secondo il matematico Roger Herz-Fischler l'analisi di Duckworth è probabilmente frutto di un equivo­ co matematico. Poiché si tratta di un equivoco che inficia molte «scoperte» sul rapporto aureo, ne spiegherò breve­ mente la narura. Supponiamo che abbiate una coppia qualunque di interi 293

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S E Z I O N E A U R EA

positivi m e M, con M maggiore di m. Per �sempio, sia M 3 1 7 il numero di pagine dell'ultimo libro che avete letto, e m 1 60 il vostro peso in libbre (una libbra è un po' meno di mezzo chilogrammo N.d T.) . Possiamo rappresentare i due numeri su una linea, divisa in due segmenti di lunghezze proporzionali alla grandezza dei numeri citati, come mostra­ to nella Figura 82. Il rapporto tra la parte corta e quella lun­ ga è m/M, cioè 1 60/3 1 7 0,504, mentre il rapporto della parte lunga rispetto al totale, M/(M+ m) è 3 1 7/477 0,665. Avete forse notato che M/(M+ m) è più vicino a phi di mi M. Si può dimostrare matematicament� che ciò si verifica sem­ pre (provate col vero numero di pagine del libro che avete letto, e col vostro vero peso) . Sappiamo che per la definizio­ ne di «rapporto aureo», se una linea è divisa secondo tale rap­ porto allora m/Mè esattamente uguale a M/(M + m) . Perciò, si può essere tentati di pensare che esaminando una serie di rapporti numerici - per esempio, rapporti di lunghezza di brani letterari - non abbia importanza prendere in esame il rapporto della parte minore con la maggiore, o della parte maggiore col tutto. Tuttavia quello che si è appena dimo­ strato è che, invece, è importante. Ansioso di dimostrare che si nasconde nel rapporto tra il peso di un lettore e il nu­ mero di pagine dei libri che legge, un appassionato al rap­ porto aureo può avvicinarsi a tale risultato presentando i da­ ti nella forma M/(M + m) , sbilanciata a favore di . Ed è pre=

=

=

=

m = 1 60

M = 31 7

Figura 82 294

Pittori e poeti hanno uguale licenza

cisal1)ente quello che ha fatto Duckworth. Con la sfortuna­ ta scelta di usare solo il rapporto M/(M + m) nella sua anali­ si in quanto «leggermente più accurato», egli ha viziato il suo metodo e i suoi dati, togliendo validità statistica ai suoi ri­ sultati. E in effetti, Leonard A. Curchin, dell'Università di Ottawa, e Roger Herz-Fischler dell'Università Carelon han­ no sottoposto i dati di Duckworth a una nuova analisi nel 1 98 1 , usando il rapporto m/M, e hanno dimostrato che non vi sono prove della presenza di � nella struttura dell' Eneide. La loro conclusione è stata che, al contrario, « i valori nume­ rici presi in esame appaiono, nel caso di Virgilio, distribuiti in modo casuale». Inoltre, Duckworth aveva generosamente attribuito a Virgilio la nozione che il rapporto tra due nu­ meri di Fibonacci consecutivi è una buona approssimazione del rapporto aureo. Ma Curchin e Herz-Fischler hanno di­ mostrato in modo convincente che perfino l'alessandrino Erone, più giovane di Virgilio (fu attivo intorno al 60 d.C. N.d. T.) e uno dei migliori matematici del suo tempo, non sapeva nulla del nesso tra rapporto aureo e numeri di Fibo­ naccI. Malauguratamente, le elucubrazioni sul grande mantova­ no e la divina proporzione continuano a trovare posto nella letteratura sul rapporto aureo (compreso il Fascinating Fibo­ naccis della Garland) , confermando, se ce ne fosse bisogno, come sia difficile guardarsi dalle insidie della