La scienza e le cause a partire dalla Metafisica di Aristotele

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La scienza e le cause a partire dalla Metafisica di Aristotele

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LA SCIENZA E LE CAUSE A PARTIRE DALLA METAFISICA DI ARISTOTELE a cura di

FRANCESCO FRONTEROTTA

BIBLIOPOLIS

ELENCHOS Collana di testi e studi sul pensiero antico

Direttore: ENRICO BERTI

Comitato scientifico: FRANCESCA ALEssE, ENRico BERTI, ALno BRANCAccr, GIUSEPPE CAMBIANO, ANNA MARIA IOPPOLO, CLAuDio MoRESCHINI, RiccARDO Pozzo, MARio VEGETTI

IsTITUTo PER IL LEssico INTELLETTUALE EuROPEo E SToRIA DELLE IDEE

LA SCIENZA E LE CAUSE A PARTIRE DALLA METAFISICA DI ARISTOTELE

a cura

di

FRANCESCO FRONTEROTTA

BIBLIOPOLIS

Volume pubblicato con il contributo del Dipartimento di Filosofia e Scienze Sociali dell'Università del Salento e dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli

II volume è stato sottoposto all'approvazione di

Giuseppe Cambiano e Bruno Centrane

Proprietà letteraria riseroata

ISBN

978-88-7088-582-8

Copyright C 20 10 by C .N . R . , Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle Idee

INDICE INTRODUZIONE FRANCO FERRARI: Dinamismo causale e separazione asimmetrica in Platone SARAH BROADIE: Divine and N a turai Causation in the Timaeus: the Case of Mortai Animals FRANCESCO FRONTEROTTA: La critica aristotelica alla funzione causale delle idee platoniche : Metaph. A 9. 991a8-b9 GAIL FINE : Aristotle on Knowledge MICHEL CRUBELLIER: L'explication e t l e temps: Seconds Analytiques II 1 2 WALTER LESZL: Lo studio dell'oùcria e l'indagine circa le cause, i principi e gli elementi nella

Metafisica DAVID SEDLEY: Teleology, Aristotelian and Platonic ENRICO BERTI: Il rapporto tra causa motrice e causa finale nella Metafisica di Aristotele PIERRE-MARIE MoREL: Ame, action, mouvement . Responsabilité psychique et causalité motrice chez Aristote

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MARIO VEGETTI: Le corna, i reni, la milza: casi di spiegazione causale imperfetta nel De partibus

animalium

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INDICE

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INDICI Indice delle fonti Indice dei nomi antichi Indice dei nomi moderni

INTRODUZIONE

I saggi raccolti in questo volume derivano dalla rielabora­ zione delle comunicazioni presentate in occasione di un Con­ vegno internazionale svoltosi presso l'Università di Lecce dall' 1 1 al 13 maggio 2006 e dedicato al tema "La scienza e le cause. Sulla Metafisica di Aristotele". Il programma di tale convegno, da me organizzato con il patrocinio del Magnifico Rettore dell'Università di Lecce e grazie al sostegno finanzia­ rio del Dipartimento di Filosofia e scienze sociali, con contri­ buti supplementari del CNR (Programma: "Promozione del­ l' attività di formazione di giovani ricercatori e della pubbli­ cazione di opere editoriali di rilevante interesse culturale nel campo delle scienze umane" , anno 2005 ) , dell'Amministra­ zione Provinciale di Lecce, dell'Istituto di Culture mediterra­ nee della Provincia di Lecce e della Regione Puglia, contem­ plava la presenza dei seguenti studiosi: Franco Ferrari (Asim­ metria antologica e causalità in Platone e Aristotele), Sarah Broadie (Divine and Natura! Causation in the Timaeus), Gail Fine (Aristotle on Knowledge), Miche! Crubellier (L'explication et le temps: Seconds Analytiques II 12), W alter Leszl (Le inda­ gini concernenti l'oùcria sono ricerche della causa nel senso della fisica?), David Sedley (Aristotle's Global Teleology), Enrico Berti (Il rapporto tra causa motrice e causa finale), Christof Rapp (Principles and Causes of oùcria), Bruno Centrane (La causalità dei motori immobili nei processi biologici), Pierre-Ma­ rie Morel (Moteur psychique et principe organique dans le De motu animalium) e M ario Vegetti (Le corna, i reni, la milza: casi di spiegazione causale imperfetta nel De partibus anima-

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lium) . Parteciparono inoltre alla discussione Francesca Alesse, Annalisa Arei, Walter Cavini, Ferruccio Franco Repellini, Terence Irwin, Silvia Gastaldi, Giovanna Giardina, Alessan­ dro Linguiti, Jean-François Pradeau e Diana Quarantotto. Il volume compare oggi con qualche ritardo, scontando l' assenza di alcuni contributi che gli autori non hanno ritenuto di poter fornire e con l'aggiunta di un saggio del sottoscritto, intitolato La critica aristotelica alla funzione causale delle idee platoniche: Metaph. A 9. 991a8-b9. Il tema del Convegno, che ruotava intorno al problema della causalità e dello statuto delle cause, con particolare rife­ rimento alla Metafisica aristotelica, è stato articolato in effetti seguendo linee di riflessione e di indagine eterogenee e toc­ cando perciò ambiti teorici fra loro distinti: dal rapporto con Platone e dal confronto, tanto serrato quanto fitto di venature polemiche, con la teoria causale platonica (sia sul piano del ruolo causale attribuito all' ambi t o intellegibile sia sul piano dell'azione causale operativa nell'ambito del sensibile), all'e­ stensione della nozione stessa di causa nel contesto logico ed epistemologico della teoria della conoscenza e della spiegazione scientifica, per esaminare in seguito la relazione stabilita da Aristotele fra l'indagine sull'oùcria e la ricerca delle cause delle cose che sono come oggetto proprio e filo conduttore dell'ana­ lisi svolta nella Metafisica; di tale analisi non si è mancato di considerare un capitolo particolarmente controverso, vale a dire quello del genere di causalità che, in alcune pagine cruciali del libro Lambda, viene attribuito al primo motore immobile, come principio del movimento del tutto. Infine, e a completare il quadro , sono stati presi in esame alcuni spunti dell' applica­ zione della teoria aristotelica delle cause in ambito psicologico e biologico . Prima di provvedere a una sintetica e schematica descrizione dei contributi presenti nel volume, sarà opportuno tentare di mettere a fuoco, almeno in termini generali, quale sia stato o abbia inteso essere, nei saggi raccolti qui come nelle

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discussioni che ebbero luogo nel corso del convegno, l'apporto teorico fornito all'assai ampio dibattito critico e in terpretativo sulla concezione aristotelica della causalità . È noto come, a partire d a u n influente articolo di Michael Prede e, prima ancora, da uno studio di Gregory Vlastos de­ dicato espressamente alla natura e allo statuto delle cause nel Pedone platonico 1, sia stata efficacemente messa in rilievo l'ambiguità semantica sottesa al termine greco ai·ria, di signi­ ficato assai più ampio ed eterogeneo del corrispettivo "causa" che ne rappresenta tuttavia la traduzione ordinaria nelle lin­ gue moderne. Ben esemplificativi di questa ambiguità sono alcuni esempi proposti da Vlastos: (l) Perché i Persiani invadono l'Attica? Perché gli Ateniesi hanno aggredito Sardi. (2) Perché questa statua è così pesante? Perché è fatta di bronzo. (3) Perché si va a passeggio dopo cena? Perché fa bene alla

salute. (4) Perché un angolo inscritto in un semicerchio è retto? Per­ ché è la metà di due angoli retti 2•

' Mi riferisco a G. VLASTOS, Reasons and Causes in the Phaedo, "Philosophical Review", 78 ( 1 969) pp. 29 1-325 (riedito in Plato I: Meta­ physics and Epistemology, ed. by G . VLASTOS, New York 197 1 , pp. 1 3 266; e in In., Platonic Studies, Princeton 1 973 [ 1 9 8 1 2], pp. 76-1 10), e a M. FREDE, The Origina! Natio n o/ Cause, in Doubt and Dogmatism: Studies in Hellenistic Epistemology, ed. by M . ScHOFIELD-M. BURNYEAT-]. BARNES, Oxford 1980, pp. 2 1 7-49 (riedito in M. FREDE, Essays in Ancient Philo­ sophy, Oxford 1987, pp. 125 -5 0, da cui cito). Mi limito a citare questi lavori, nell'ampio panorama critico degli studi platonici e aristotelici, in quanto ben rappresentativi di una linea di tendenza che soltanto negli ultimi anni comincia a essere rimessa in discussione. ' Cfr. G. VLASTos, Reasons and Causes in the Phaedo, cit., pp. 7881. Gli argomenti sono tratti da Aristotele, An. Post. B 1 1 . 94a2095a25; Phys. B 3. 1 94b20-195a10.

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Ora, è facile constatare che, nell'esempio ( 1 ) , l' aggressione ateniese di Sardi costituisce la (supposta e ipotetica) condi­ zione sufficiente dell'invasione persiana dell'Attica; nell'e­ sempio (2) , la conoscenza della natura del bronzo, del suo peso specifico, permette di affermare in anticipo che un og­ getto costruito in bronzo risulterà pesante o più pesante dello stesso oggetto costruito in legno; nell'esempio (3 ), la salute o, meglio, la conservazione e il miglioramento della salute, forni­ scono la causa "finale", lo scopo in vista del quale conviene passeggiare dopo i pasti; nell'esempio (4), infine, il fatto che un angolo retto sia la metà di due angoli retti consente di dimostrare che un qualunque angolo inscritto in un semicer­ chio è retto: abbiamo qui un caso evidente di ragionamento analitico, nel quale da una determinata premessa discendono alcune necessarie conseguenze. Pertanto, la premessa rappre­ senta la "causa" delle sue conseguenze in quanto ne manifesta la "ragione" o il "principio " . Ma, una volta riconosciuta l'am­ pia estensione semantica del termine aÌtia, che coincide tout court con il "perché" (rò ùtà ri) di qualunque cosa o di qua­ lunque evento, e non soltanto con la sua causa "motrice" o "efficiente" in senso proprio, cosa significa attribuire a un ente (per esempio all'idea platonica o alla forma aristotelica) la funzione di aìria di un altro ente (per esempio di una cosa sensibile platonica o di una sostanza fisica aristotelica) e delle sue caratteristiche e proprietà? A quale dei molteplici signifi­ cati del termine ahia bisogna dunque riferirsi per compren­ dere e spiegare tale "causalità"? A parere di Vlastos, e in riferimento alle idee platoniche, è opportuno respingere in­ nanzitutto l'interpretazione secondo cui le idee si configurano effettivamente come la causa " efficiente" del mondo sensi­ bile, soprattutto perché si finirebbe per attribuire alle idee eterne e immutabili, di per sé collocate al di fuori dello spazio e del tempo, un ruolo attivo e diretto nella generazione delle cose sensibili, delle loro caratteristiche e relazioni, provocan­ done così inevitabilmente il coinvolgimento nella vicenda spa-

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zio-temporale della realtà in divenire 3 • Piuttosto, Vlastos pro­ pone un esempio: a chi chieda "perché questa figura è un quadrato?", è possibile rispondere: "perché ha quattro lati e quattro angoli uguali" , il che, nei termini utilizzati da Platone, si traduce come segue: "In virtù di cosa questa figura può essere legittimamente definita quadrato ?" - " In virtù del fatto che ha quattro lati e quattro angoli uguali " . La defini­ zione corretta di un oggetto, applicata per analogia a tutti gli oggetti simili al primo, è la "causa" logica della classificazione di un'intera classe di oggetti . Ed ecco in che senso le idee sarebbero ai ·dm delle cose sensibili: la definizione che de­ scrive essenzialmente e perfettamente le idee si adatta anche, accidentalmente e imperfettamente, a tutte le cose sensibili che alle idee assomigliano . Alle idee appartiene quindi una "causalità" metafisica e logica a un tempo rispetto alle cose: metafisica, perché esclusivamente delle idee, in ragione del loro statuto ontologico di supreme realtà eterne e immutabili, si può formulare una definizione vera; logica, perché la condi­ zione di universale definiendum propria delle idee permette loro di adempiere a una funzione "esplicativa" e paradigma­ tica (explanatory work) rispetto alle cose sensibili 4• Procedendo lungo un' analoga linea teorica, ma amplian­ done significativamente la prospettiva, Prede ha argomentato in favore di una concezione essenzialmente "esplicativa " , e non "attiva", delle principali teorie antiche della causalità antecedenti la fisica stoica 5, nell'ambito della quale emerge' Cfr. G. VLASTOS, Reasons and Causes in the Phaedo, cit . , pp. 8890: "And how could Plato have so particularized his Forrns as causai agents in the world of space and tirne without fouling up the rnost fun­ darnental of his rnetaphysical principles?" . 4 Cfr. ivi, p . 92 . 5 Cfr. M. F R ED E The Origina! Notion o/ Cause, cit . , pp. 125-8: "Aristotle's notion of cause, then, is quite different frorn ours. But it is by no rneans peculiar to Aristotle. The sarne difficulties we have with Aristotle and the Peripatetics we also have with Plato or Epicurus. ,

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rebbe invece una nozione di "causa" paragonabile, dal punto di vista concettuale come dal punto di vista funzionale, a quella caratteristica del pensiero moderno, che pare limitare l' appli­ cazione del termine "causa" a una forma di azione causale efficiente e propriamente produttrice di un determinato ef­ fetto. Ciò dipenderebbe in gran parte, secondo Prede, dal fatto che, parlando di "cause", tanto Platone quanto Aristotele si riferiscono a "entità", a "cose" in senso proprio, e non invece a "eventi" o "fatti" capaci di produrre come effetti altrettanti "eventi" o "fatti" connotabili e connotati in senso attivo e produttivo, cioè come esito di un' azione produttrice e genera­ trice: l'interesse prevalente in questa ricerca delle cause riguar­ derebbe perciò l'individuazione della corretta spiegazione di un determinato effetto, fatta risalire all' entità cui occorre ri­ ferirsi per fornire quella spiegazione (per esempio, la causa della bellezza di qualcosa risiede nell 'idea del bello, non però in quanto questa susciti o produca effettivamente la bellezza della cosa in esame, ma nella misura in cui l'idea del bello è ciò a cui si deve guardare, come a un modello o a un parametro esplicativo, appunto per spiegare e definire la bellezza di qua­ lunque cosa); per primi gli Stoici, in base alle testimonianze in nostro possesso, avrebbero invece sottolineato, nella ricerca delle cause, la nozione di "responsabilità" di un agente cui far risalire l'origine di un determinato effetto 6• Sarebbe questo ulteriore passaggio a far emergere esplicitamente la nozione di Ideas do not seem to be the kind of thing that could cause anything, nor does the void. But how did it come about that people got to think that a cause has to be the kind of item which can do something or other so as to bring about an effect?" (p. 126). ' Cfr. ivi, pp. 1 2 8-38: "The generai notion of a cause, properly speaking, according to the Stoics, then, seems to be the following: a cause is a body which does something or other and by doing so brings it about that another body is affected in such a way that something comes to be true of it. It may very well be the case that the Stoics think that this is just a characterization of the common notion of a cause" (p. 1 3 8) .

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una causalità attiva e, assumendo così come discriminante il criterio dell' " attività" o "produttività" di una causa, a portare in primo piano in modo esclusivo, nel contesto dei significati del termine "causa", la causa "efficiente", progressivamente emarginando dal dibattito filosofico i significati e le implica­ zioni non attivi delle "cause" platoniche o aristoteliche. Anche gli Stoici, secondo Prede, avrebbero distinto, nell'ambito di questa generale e unificante definizione di causa attiva, aspetti operativi o sfumature semantiche diverse, ma, lasciando da parte tali sviluppi della sua indagine 7, occorre piuttosto con­ centrarsi qui sulla premessa del ragionamento, chiedendosi se sia davvero assente, nelle dottrine precedenti lo stoicismo, la nozione di una causalità attiva o produttiva, quale che sia la ragione di questa assenza e anche ammettendo che, nelle dot­ trine causali di Platone e di Aristotele, le cause si configurino come "entità" e non come " eventi", così determinando la mancanza di un' attitudine espressamente motrice cui ricon­ durre !"'efficienza" dell' azione causale e, dunque, di ogni po­ tenza propriamente produttrice e generatrice, attestandosi perciò sul riconoscimento alle cause di una capacità soltanto esplicativa o, come la definiva Vlastos per le idee platoniche, logico-metafisica e fondamentalmente inferenziale. Senza en­ trare nei dettagli di un dibattito imponente, si può osservare che gli studi degli ultimi due decenni almeno hanno messo via via in discussione l'ipotesi di Prede, non tanto contestandone le conclusioni, quanto piuttosto svelando il possibile circolo vizioso su cui poggiano le sue premesse, nella misura in cui essa assume per immediatamente evidente !"'inerzia" o l' "inefficienza" causale delle cause platonico-aristoteliche, semplicemente basandosi sulla constatazione della pluralità di significati e funzioni riconducibili all'impiego del termine ahia e, altrettanto semplicemente, associando l'introduzione della nozione di un' attività causale propriamente operativa e ' Cfr. ivi, pp. 1 3 8-5 0 .

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produttiva a una prospettiva fisica sostanzialmente materiali­ sta e determinista, come quella stoica, che vincola ogni evento naturale all' azione "responsabile" , cioè causalmente determi­ nata, di un agente, stabilendo così una prospettiva normativa rigorosa che ricollega il prodursi di ogni evento , in senso am­ pio, all'applicazione di una legge causale. In estrema sintesi, infatti, si può notare come la letteratura recente abbia con sempre maggiore insistenza sottolineato il fatto che l'innega­ bile ambiguità semantica sottesa all'impiego del termine e della nozione di "causa" , nell' ambito delle dottrine causali plato­ nico-aristoteliche, non impedisca che, fra i molteplici signifi­ cati e le molteplici funzioni ascrivibili alle "cause" , una posi­ zione di primo piano spetti proprio a una forma di causalità attiva e produttiva, sicché avremmo a che fare quantomeno con un sistema causale articolato e plurale non incompatibile con l'intervento, se non con ! ' " emergenza", di una concezione causale a pieno titolo generatrice ed efficiente . Particolarmente rispetto a Platone, infatti, è stato per esempio notato come il linguaggio che designa la causalità ei­ detica, fin dai dialoghi giovanili e in modo particolarmente netto a partire dal Pedone, sia assai esplicito nell'attribuire alle idee un ruolo causale attivo o "poietico ": degli intellegibili non si dice solo che "fanno" (7tou:iv) qualcosa, ma anche che si "aggiungono" (7tpocryi')'VOJ.1at/7tapayiyvof.1Ut, cfr. per esempio Hipp. ma. 289d4 , d8; Phaed. 100d6) alle cose sensibili , che ne sono la "causa" (ahia/atnov, cfr. per esempio Hipp. ma . 269e9, 297al-4, a8, b l-2 , c2 ; e ancora Phaed. 100b l-e3 ) , il "produttore" (1ò 7tOtouv) o, infine, perfino il "padre" (7tU1�P, cfr. Hipp. ma. 297b9), mentre il loro prodotto o effetto è qualificato come 1Ò y t')' VO JlEv ov (cfr. ivi, 297c2 ) . Pure a voler concedere l' ambiguità di termini come 7tOtEÌV o at1ia/a1nov, pare difficile intendere la relazione fra il padre e il figlio o fra il produttore e il prodotto generato diversamente da un rapporto di causalità che implica un'azione produttiva. Del resto, che il 7totEiv delle idee abbia un senso eminentemente produttivo e

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non il significato assai ampio e vario, e potenzialmente meta­ forico, che le lingue moderne attribuiscono al verbo "fare" , trova conferma nel fatto che, quando s i trova in u n contesto causale e assume un significato connesso all' azione causale, il 1tou:ìv pare rimandare necessariamente a un processo produt­ tivo o generativo . Possiamo ricordare in proposito Soph. 2 1 9b (ma cfr. anche 265b), che contiene una delle più limpide espo­ sizioni del principio che ispira la concezione platonica dello statuto delle cause e che governa il conseguente meccanismo della causalità: ovunque si constati un passaggio dal non essere all'essere, una generazione (e verosimilmente, per analogia, un passaggio dall'essere al non essere, una corruzione), bisogna supporre l'intervento di un " agente" (nç . . . liyl]); in tal caso, si dovrà denominare "produttore" (-rò Jtotouv) l'agente, "pro­ dotto" (tò 1tOtoUj.H:vov) l'evento o la condizione verificatisi, "produrre" ed "essere prodotto" (1totdv, 1totdcr9at) l' atto pro­ duttivo compiuto dell' agente produttore e subito dal prodotto. È del tutto chiaro qui il riferimento a un genere di causalità che, a partire dalla Fisica e dalla Metafisica di Aristotele, verrà denominata "motrice" , "produttiva" o, più esplicitamente an­ cora, "efficiente", non solo in quanto sono esplicitamente in gioco in questo passo procedimenti generativi e produttivi, ma anche perché tale principio di causalità viene introdotto per giustificare, nel seguito immediato, l'individuazione di una tecnica, appunto, "produttiva" (2 1 9b l l -2), ossia di una com­ petenza o di un sapere nell' ambito del quale "tutte le cose che proprio adesso elencavamo" (2 1 9b8-9) - l'agente produttore che conduce qualcosa all' essere e il prodotto che è condotto all'essere - esplicano la loro 80vaj.nç , la loro capacità o pro­ prietà essenziale. Il 1totdv sembra insomma indicare, in un contesto causale, un' azione riconducibile proprio alla causa efficiente 8• Queste considerazioni, unitamente a un'esplora' Nell'ambito degli studi degli ultimi decenni sulla concezione pla­ tonica della causalità, si possono segnalare, a puro titolo indicativo e

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zione sistematica dei dialoghi pertinenti, in cui viene posta a tema la questione dell 'azione causale delle idee intellegibili nel mondo fisico (vale a dire, in primo luogo, il Parmenide e il Timeo) , hanno rappresentato una b ase di partenza per un rie­ same complessivo della dottrina platonica della causalità. Anche nell'ambito degli studi aristotelici il problema ha continuato a costituire un oggetto di analisi in qualche misura privilegiato, benché raramente, e comunque non in maniera significativa, ci si sia discostati, specie nella letteratura anglo­ sassone, dall' impostazione canonica dell'interpretazione sta n­ dard, ben esemplificata dalla ricostruzione di Michael Prede evocata poco sopra, che rifiuta l'at tribuzione ad Aristotele di una teoria della causalità propriamente "attiva" o "produt­ tiva" o quantomeno esita nel riconoscere nella riflessione dello Stagirita una chiara identificazione della nozione e del concetto di "causa" nel senso "generativo" o "efficiente" che

senza alcuna pretesa di esaustività, G. FI�E, Forms as Causes, Plato and Aristotle, ora in EAD . , Plato un Knowledge and Forms. Selected Essays, Ox­ ford 200 3 , pp. 3 5 0-96; D. SEDLEY , P/atonie Causes, "Phronesis" , 4 3 ( 1 998) pp. 1 14-32; R.]. HANKINSON, Cause and Explanation in Ancient Greek Thought, Oxford 1 998; espliciti nell'attribuzione alle idee di una causalità efficiente sono inoltre C. NATALI, La forma platonica è una causa formale?, in Platon und Aristoteles - sub ratione veritatis. Festschrift fiir W . Wieland zum 70 . Geburtstag, hrsg. v. G. DAM­ Gottingen 200 3 , pp. 158-7 3 , e F. FERRARI, Questioni eidetiche, "Eienchos", 24 (2003) pp. 93- 1 1 3 . Rinvio infine a una serie di lavori da me dedicati a questo problema: MEBEEII. La teo­ SCHEN-R. ENSK AT-A. VIGO,

ria platonica delle idee e la partecipazione delle cose empiriche. Dai dialoghi giovanili al Parmenide, Pisa 200 1, pp. 195-222 e 3 8 1-95; The Develop­ ment of Plato's Theory of Ideas and the 'Socratic Question', "Oxford Stu­ dies in Ancient Philosophy " , 32 (2007) pp. 3 7-62; Chiusura causale della fisica e razionalità del tutto: alcune opzioni esegetiche sull'efficienza causale delle idee platoniche, "Plato. The electronic Journal of the International Plato Society", 8 (2008) http://gramata.univ-paris l .fr/Plato/; e Nature and Structure of the Cause in Philebus 26el-27b3, in Plato's. Philebus. Se­ lected Papers /rom the VIII Symposium Platonicum, ed. by J. DILLON-L. BRISSON,

Sankt Augustin 2 0 1 0 , pp. 266-7 1 .

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il pensiero moderno tende a privilegiare9• Non sono tut tavia mancati i tentativi di sottrarsi e di contrapporsi alla linea dominante che valorizza uno schema "logico-esplicativo" nel­ l'interpretazione della causalità aristotelica, facendo emergere come, nella multivocità dei loro significati, i termini aì:noç e ahia indichino certamente, oltre alle "ragioni" che spiegano e giustificano il verificarsi di un fenomeno o di uno stato di cose, anche la condizione di "responsabilità", originariamente legata a un contesto giuridico e morale, di chi o di ciò che determina (attivamente) il prodursi o il realizzarsi di un feno­ meno o di uno stato di cose, dunque facendo riferimento a un concetto assai concreto di "causa" , come avviene nel caso di un esempio, del resto evocato di frequente nel corpus aristo­ telico, come quello del rapporto causale stabilito fra il padre che genera e il figlio che è l'effetto o il prodotto generato; sicché " . . . la causa è per lui [sci!. , per Aristotele] sì una spie­ gazione che conduce a una conoscenza epistemologicamente fondata, ma anche e soprattutto il fattore di una connessione reale, concreta di cose o di fatti" 10• 9 Ricordo solo, ancora una volta a titolo rappresentativo, i saggi di M. HocUTT, Aristotle's Four Becauses, "Philosophy", 49 ( 1 974) pp. 38599; J . ANNAS, Aristotle an Inefficient Causes, "The Philosophical Quar­ terly" , 32 ( 1 9 82) pp. 3 1 1-26; e, nuovamente, G. FINE, Forms as Causes, Pkito and Aristotle, cit. 10 Più possibilisti e problematici, rispetto a un ripensamento della li­ nea interpretativa tradizionale, gli studi di C. NATALI, AITIA in Aristotele. Causa o spiegazione?, in Beitriige zur Antiken Philosophie. Festschrift fiir W. Kullmann, hrsg. v. H . - C . GuNTHER-A. RENGAKOS, Stuttgart 1 997, pp. 1 1 3-24, e Problemi delki nozione di causa in Aristotele, con particokire attenzione alki causalità finale, "Quaestio", 2 (2002) pp. 55-75; M. VE­ GETTI, Le origini delki teoria aristotelica delle cause, in La Fisica di Aristotele oggi. Problemi e prospettive, a cura di R . L. CARDULLO-G . R . GIARDINA, Ca­ tania 2005, pp. 21-31; G . GIARDINA, La "causa motrice" in Aristotele, Phys. III 1-3, ivi, pp. 1 1 1-5 0 . Si vedano inoltre i successivi studi di J.M.E. Mo­ RAVCSIK, Aristotle an Adequate Expkinations, " Synthèse", 28 ( 1974) pp. 317; Aitia as Generative Factor in Aristotle's Philosophy, "Dialogue", 14 (1975) pp. 622-38; e The Philosophical Background of Aristot!e's Aitia, in

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Ora, fissate tali generalissime coordinate, teoriche e criti­ che, mi pare si possa sostenere che il presente volume si col­ loca precisamente, e a pieno titolo, nell' ambito di questo di­ battito, dal momento che la quasi totalità dei contributi di seguito proposti approfondiscono fra l'altro, con approcci e da punti di vista diversi, l'una o l'altra delle principali prospet­ tive interpretative evocate relative alla concezione aristotelica della causalità; inoltre, in molti di essi, e ancora una volta nella peculiarità e nella diversità delle posizioni esegetiche da ciascuno difese, si manifesta tuttavia con forza, almeno in forma problematica, il comune riferimento alla natura at­ tiva e alla funzione propriamente operativa che la nozione di "causa" e la stessa azione "causale" come tale giocano, se­ condo Aristotele, nei processi fisici, psicologici, biologici e perfino nell'ambito sovrasensibile del ruolo attribuito al primo motore immobile nei capitoli 6-10 del libro Lambda della Me­ tafisica . Credo sia legittimo e opportuno parlare, a questo proposito, di una vera e propria "emergenza" della causalità motrice ed efficiente nella teoria aristotelica delle cause, che sembra resistere a ogni riduzione sistematica precostituita e che lascia trasparire perciò una tensione concettuale non de­ finitivamente risolta e risolvibile, tanto nel contesto funzio­ nale della causalità operante nel mondo fisico, quanto, even­ tualmente, nel contesto dell 'azione causale esercitata dalle sostanze sovrasensibili. Procedo a questo punto a un breve resoconto dei saggi presenti nel volume. I contributi di Franco Ferrari (Dinami­ smo causale e separazione asimmetrica in Platone, pp. 3 3 -72) e

The Crossroads of Norm and Nature: Essays an Aristotle's Ethics and Meta­ physics, ed. by M. SIM, Lanham 1 995 , pp. 237-46. Un ottimo status quae­ stionis critico e bibliografico sulle principali tendenze recenti si trova in­ fine in G.R. GIARDINA, I fondamenti della causalità naturale. Analisi critica di Aristotele, Phys. II, Catania 2006, pp. 137-84, partic. pp. 15 0-60 (la ci­ tazione nel testo è appunto tratta da questo volume, p. 160).

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del sottoscritto (La critica aristotelica alla funzione causale delle idee platoniche: Metaph. A 9. 991a8-b9, pp. 93 - 1 1 9) esa­ minano nel loro insieme le critiche rivolte da Aristotele alla funzione causale delle idee platoniche nei capitoli 6 e 9 del libro Alpha della Metafisica, individuando nell'assunto del X ffiptcrlloç, della separazione delle idee dalle cose sensibili, la ragione principale dell'assoluta "inefficienza" causale, se­ condo Aristotele, degli intellegibili platonici. Ferrari, in par­ ticolare, si concentra sulle modalità secondo le quali occorre intendere tale separazione, che, nella presentazione aristote­ lica, verrebbe concepita come perfettamente reciproca e sim­ metrica: così come le idee sussistono autonomamente e sepa­ ratamente dai sensibili, analogamente i sensibili sussistono autonomamente e separatamente dalle idee, il che determina la paradossale conseguenza di costituire due gruppi di so­ stanze distinte e indipendenti, prive di relazioni reciproche e dunque incapaci di stabilire un rapporto causale che faccia delle prime le cause delle seconde e delle seconde gli effetti delle prime; mentre, facendo riferimento ad alcuni passi del Parmenide ( 1 33b- 1 3 5b) e del Timeo (da 4 8 a 50), Platone avrebbe invece stabilito una fondamentale asimmetria antolo­ gica, in virtù della quale, se è vero sostenere che le idee sussi­ stono indipendentemente e separatemente dalle cose sensibili, le cose sensibili, a causa del loro statuto antologico di semplici immagini o riproduzioni delle idee, non sussistono invece in­ dipendentemente e separatamente dalle idee: ciò impliche­ rebbe che, diversamente dalla rappresentazione che ne forni­ sce Aristotele, la causalità eidetica elaborata da Platone non impone di porre una relazione fra gruppi di entità distinte e autonomamente sussistenti, con i paradossi che ne derivano, ma suppone l' attribuzione alle idee di una potenza causale "unificata" e "compatta" , di carattere eminentemente effi­ ciente e generativo, che è di fatto immune dal rischio di essere resa inefficace dall'assunto del Xffiptcr116ç, appunto nella mi­ sura in cui tale assunto si limita a sancire la perfezione e

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l'auto-sussistenza delle idee, ma non la loro separazione sim­ metrica dalle cose sensibili di cui sono le cause. Il sottoscritto esamina invece il passo 9 9 1 a8-b9 del capitolo 9 del libro Alpha della Metafisica, per verificare inizialmente quali genere di cause, secondo Aristotele, sarebbero operanti nella teoria pla­ tonica delle idee, passando in seguito a ricostruire la sequenza critica degli argomenti che egli le rivolge da questo punto di vista. L'ipotesi formulata consiste essenzialmente nell'indivi­ duare nella separazione fra le idee e i sensibili la principale difficoltà segnalata da Aristotele rispetto all'inefficienza cau­ sale delle idee platoniche nel mondo fisico, vale a dire come cause e principi delle realtà naturali, e nel proporre allo stesso tempo, come possibile soluzione di questa difficoltà, un mo­ dello causale fondato sulla "contiguit à", logica o spazio-tem­ porale, della causa al suo effetto, secondo il principio che stabilisce che "nel quadro del mondo fisico - ed esclusiva­ mente in tale ambito, lasciando perciò da parte ogni possibile riferimento a eventuali sostanze non fisiche, cioè immateriali - una causa non può suscitare un effetto se non a condizione di essere "contigua" all'effetto stesso che si produce" . Chi scrive cerca di mostrare come un simile modello causale, in­ compatibile con l' assunto della separazione fra le cause intel­ legibili, le idee, e gli effetti sensibili, le realtà naturali, da Aristotele attribuito a Platone, sia inoltre posto alla base del­ l' articolazione della teoria aristotelica delle cause e della ri­ flessione dello Stagirita sul sistema causale operante nel mondo fisico e come, in aggiunta, esso induca a considerare la causalità motrice o efficiente come in qualche modo "emer­ gente" e prioritaria rispetto agli altri generi di causa ammessi da Aristotele. Alla dottrina platonica della causalità è dedicato infine l'articolo di Sarah Broadie (Divine and Natura! Causa­ tion in the Timaeus: the Case ofMorta! Animals, pp. 73-92), che si sofferma sulla natura e i modi dei processi causali naturali che, nel Timeo, presiedono alla costituzione dei viventi mor­ tali, ponendoli a confronto con la teoria aristotelica della ge-

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nerazione naturale. I passi pertinenti del dialogo (particolar­ mente le pagine da 40 a 47, da 69 a 73 e da 77 a 8 1 ) sono sottoposti a esame e messi in relazione con l'esposizione del­ l' azione causale divina nella produzione e disposizione del cosmo, nello stesso Timeo, che suscita il ben noto problema dell'interpretazione complessiva, letterale o metaforica, del racconto di Timeo, e, più brevemente, con il resoconto ari­ stotelico, in De anima II 4, delle funzioni nutritive dell'anima dei viventi, che è preposta al controllo e alla buona organiz­ zazione della struttura e di ogni aspetto vitale dell'organismo. La sezione seguente comprende due saggi rivolti all'inda­ gine sul ruolo dei meccanismi causali in ambito epistemologico e precisamente dal punto di vista della natura e dello statuto della conoscenza e della spiegazione scientifica. Gail Fine (Aristotle on Knowledge, pp. 1 2 1 -55) si concentra sulla defini­ zione della conoscenza che viene fornita da Aristotele in Ana­ litici secondi I 2 secondo la quale "conosciamo qualcosa quando riteniamo di sapere la spiegazione (ai!ia) del perché la cosa è, di sapere che quella è la spiegazione della cosa in questione e di sapere che non può essere altrimenti " -, stu­ diandone le implicazioni tanto rispetto all'epistemologia aristo­ telica di questa opera, quanto in relazione al Menone platonico (e ricollegandosi, da tale punto di vista, al suo precedente articolo Knowledge and True Belief in the Meno, «Oxford Stu­ dies in Ancient Philosophy», 2 7 (2004) pp . 4 1-81). In questa prospettiva, Fine attribuisce ad Aristotele la tesi che la cono­ scenza consista in "un'opinione vera accompagnata da una giustificazione" (a justi/ied true belie/) , precisando che tale "giustificazione" risiede propriamente nella "spiegazione" (ai­ !ta) che, di quella opinione, è possibile produrre e che coincide in qualche misura con la sua dimostrazione; con un esempio, se l'epistemologia contemporanea considera abitualmente che, per formulare un'opinione giustificat a sulla verità di una pro­ posizione, è sufficiente disporre di un buon argomento in suo favore, Aristotele stabilisce un requisito più stringente, vale a -

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dire la spiegazione o la dimostrazione per cui si può affermare che quella proposizione è vera, sancendo così il carattere ne­ cessario della verità di quella proposizione e della giustifica­ zione dell'opinione che la riguarda. Acquisito ciò, Fine va oltre, sollevando l'ulteriore problema di capire se, così defi­ nita, questa sia l'unica ed esaustiva forma di conoscenza di­ sponibile o se, invece, sia lecito assumere altre forme, plausi­ bilmente più deboli, di conoscenza, giungendo, attraverso un' analisi serrata di non pochi passi aristotelici e di argomenti controversi, a una conclusione prudentemente affermativa: per quanto sia arduo fissare i limiti esatti dell'estensione della concezione aristotelica della conoscenza, vi sono almeno dei casi in cui egli ritiene che si possa avere conoscenza di qual­ cosa, senza tuttavia conoscerne la spiegazione o la dimostra­ zione. Il saggio di Michel Crubellier (L'explication et le temps: Seconds Analytiques II 12, pp . 15 7-86) è interamente dedicato all' analisi del capitolo 12 del libro II degli Analitici secondi, che contiene la celebre tesi secondo la quale la spiegazione causale in ambito scientifico non ha mai un carattere predit­ tivo, perché "non si dà inferenza (m.JA.Aoytcrll6ç) a partire da un fatto anteriore verso un fatto posteriore". Benché forte­ mente controintuitiva (e lo stesso Aristotele, infatti, evoca casi in cui un esperto è in grado di effettuare, in base alla sua competenza ed esperienza, previsioni sull'esito di un fe­ nomeno), la tesi aristotelica si basa sull'idea che l'implicazione del tempo, e precisamente di momenti di tempo fra loro di­ stinti - passati, presenti e futuri - impedisce di formulare un'inferenza relativamente a fenomeni che non si siano ancora verificati: una spiegazione causale è insomma possibile solo a posteriori, mentre una previsione implica un riferimento a fe­ nomeni non ancora verificatisi e perciò incerti, sicché la spie­ gazione causale rappresenta in questo caso una condizione necessaria, ma non sufficiente, del verificarsi del fenomeno in questione nel futuro. Le conseguenze di un simile assunto sono esaminate nel dettaglio e in riferimento ad altri passi del

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corpus aristotelico (particolarmente De generatione et corrup­ tione II 1 1 ), per esempio in rapporto con i processi causali e esplicativi che si pongono in ambito cosmologico, dunque in relazione con percorsi ciclici la cui validità pare avere carat­ tere universale. Seguono tre articoli dedicati, rispettivamente, allo statuto della ricerca aristotelica delle cause in stretta relazione con l'indagine sull'essere e sull' oùcria, che costituisce l'oggetto, o uno degli oggetti, della Metafisica; al sistema teleologico co­ struito da Aristotele, posto a confronto con quello elaborato da Platone, prestando speciale attenzione al capitolo 10 del libro Lambda della Metafisica; e ai generi di causalità che, in generale nella Metafisica e in particolare, ancora una volta, nei capitoli conclusivi del libro Lambda, sono prospettati da Ari­ stotle, attraverso un esame complessivo del rapporto fra causa motrice e causa finale nell'insieme dell'opera. Il lungo saggio di W alter Leszl (Lo studio dell'oùaia e l'indagine circa le cause, i principi e gli elementi nella Metafisica, pp. 187-3 12) contiene un'imponente rassegna dei passi della Metafisica in cui sono evocate, a titolo e in contesti diversi, le indagini sulle cause, sui principi e sugli elementi nei loro rapporti con la concezione generale della scienza. Uno degli aspetti di maggior interesse che emergono dall'analisi consiste nella conclusione che la gran parte dell'esame condotto intorno all'oùcria nel libro Zeta e in sezioni significative del libro Eta non pare avere un carattere causale, perché affronta il problema (specie ri­ spetto alla concezione dell'oùcria come quidditas) da un punto di vista essenzialmente logico, senza che, insomma, sia chia­ mato in causa un meccanismo di tipo propriamente causale; non vi è dubbio che l'indagine sull'oùcria debba essere lì com­ pletata attraverso una ricognizione delle cause e dei principi delle sostanze, ma t ale indagine sembra complementare alla precedente e non giunge perciò a sostituirla né a inglobarla in sé . Analogamente, se è vero che, per quel che concerne le sostanze sovrasensibili, bisogna ammettere che Aristotele ri-

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conosce l'esigenza di una ricerca specifica dei loro principi, questo riconoscimento si trova in parte ridimensionato dalla constatazione che tale ricerca viene in effetti condotta sempre assumendo come punto di partenza le sostanze sensibili, sic­ ché viene stabilita una corrispondenza fra questa indagine e quella che viene condotta dai Platonici sui principi e sugli elementi delle sostanze non sensibili come sono da essi conce­ pite, una corrispondenza, però, resa appunto possibile dal fatto che Aristotele tende a non distinguere chiaramente, se non a sovrapporre, i piani del sensibile e del sovrasensibile cui vengono talora associati l'ambito del corruttibile e dell'incor­ ruttibile. In sintesi, secondo Leszl, Aristotele individua quat­ tro tipologie principali di indagine riguardante i principi, le cause e gli elementi: (l) l'indagine condotta dai naturalisti (i Presocratici) a partire dall' ammissione che la sostanza e l' es­ sere sono il corpo, che induce a far coincidere i principi dei corpi con i principi degli enti; tale indagine costituisce però l'oggetto della fisica; (2) l'indagine che egli stesso svolge nelle sue opere zoologiche, che rientra anch'essa nelle competenze della fisica, ma a condizione di ridefinire ed estendere (entro certi limiti) i compiti e l' applicazione di quest'ultima anche all ' aspetto formale delle sostanze naturali corporee; (3 ) l'inda­ gine condotta dai Platonici, che Aristotele critica soprattutto negli ultimi due libri della Metafisica e che implica l' introdu­ zione di (due) principi o elementi dei numeri che, come tali, sono a loro volta principi o elementi di tutto ciò che da essi deriva e quindi anche, indirettamente, delle sostanze sensibili; (4) l'indagine, infine, che lo stesso Aristotele conduce, che non si limita alle sostanze sensibili e che, in questa misura, risulta alternativa alla precedente, in quanto ricerca i principi non sensibili di sostanze che sono sensibili, ma non corrutti­ bili. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, queste indagini non appaiono tuttavia, nella Metafisica, come parti­ colarmente estese, giacché occupano invece solo alcune parti dell'opera, precisamente quelle (come la seconda parte del

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libro Lambda) i n più diretto rapporto con l a Fisica oppure, ancora, quelle specificamente rivolte alla critica dei Platonici, che hanno perciò l'intento di chiarire quali sostanze esistano oltre a quelle sensibili. Pare lecito concluderne che la Metafi­ sica sia caratterizzata piuttosto, in misura ben maggiore, da quella peculiare tipologia di indagine che riguarda la sostan­ zialità delle cose sensibili e che suppone una ricerca delle cause nel tentativo di definire i requisiti generali che devono essere soddisfatti dalle spiegazioni di tipo causale. David Sedley (Teleology, Aristotelian and P/atonie, pp. 3 1 3 -49) pone a confronto la teleologia platonica, fondata, come a suo avviso ogni altra teleologia antica e moderna, su un' associazione fra individuazione e stabilimento dei fini della realtà e l'intervento di un'intelligenza cosciente che li ha pro­ gettati, e la teleologia aristotelica . La principale differenza fra i due pensatori pare a prima vista dipendere dalla significativa constatazione che, mentre Platone (stando però a un'interpre­ tazione strettamente letterale dell'esposizione cosmologica del Timeo) avrebbe attribuito all' azione di una divinità creatrice, il demiurgo, la generazione di un cosmo finalisticamente strut­ turato, in modo che, dunque, tale struttura finalistica deriva dal progetto provvidenziale di un agente, Aristotele afferma invece che il mondo è eterno e non richiede periò l'intervento di nessuna divinità che gli dia origine e che gli conferisca la sua forma e struttura, sicché il sistema dei fini, comunque presente e operante a ogni livello del reale - t anto sensibile quanto non sensibile - risulta in questo caso indipendente da una sua eventuale pianificazione intelligente e originaria. Se­ dley suggerisce tuttavia una correzione, o almeno una restri­ zione, di questa prospettiva, attraverso un esame che si ri­ volge specialmente ai capitoli conclusivi del libro Lambda della Metafisica, in cui si troverebbe il culmine della "teologia" aristotelica: qui, infatti, si assisterebbe al tentativo, da parte di Aristotele, di estendere il sistema dei fini, costruendo una teleologia "globale" che attribuisce un carattere divino alla

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natura del tutto. Il problema principale posto da queste pagine del libro Lambda risiede nella difficoltà, che i commentatori hanno di frequente rilevato, di conciliare tale sistema globale, che ricondurrebbe anch'esso, come avveniva nella prospettiva platonica, l'intera costruzione teleologica a una divinità prima, intelligente e pensante, con il finalismo apparente­ mente "interno" e autonomo operante nei processi fisici, per esempio nell'ambito dei meccanismi biologici che regolano la struttura dei viventi: come è possibile tenere insieme , per esempio, l'affermazione secondo la quale la presenza di alcuni animali serve (a un livello globale) al nutrimento e al sosten­ tamento degli uomini che se ne nutrono, ma anche (a un livello inferiore) alla realizzazione e al benessere della loro specie? A parere di Sedley, questa difficoltà è soltanto apparente e può essere sciolta facendo riferimento al duplice punto di vista, particolare e generale, eventualmente assunto dall'indagine sui fini: sul piano più immediato e "di base" del funziona­ mento di tutte le cose, non vi è dubbio che il fine sia, per ogni individuo e per ogni specie, la conservazione e la realizzazione di sé; ma ciò non impedirebbe, nell' ottica generale, o globale, garantita e in ultimo sancita dalla presenza della divinità prima, che ogni individuo e ogni specie possano anche contri­ buire, indipendentemente dai propri fini e meccanismi di fun­ zionamento particolari e "in terni " , al buon equilibrio del tutto. Questa duplicità di punti di vista non può, per Sedley, essere fortuita e deve dipendere, sul piano globale, dal gene­ rale orientamento al bene di cui la divinità prima si fa in qualche modo garante. In significativo, benché conflittuale, dialogo con l ' articolo di Sedley si colloca il saggio di Enrico Berti (Il rapporto tra causa motrice e causa finale nella Metafi­ sica di Aristotele, pp. 3 5 1 -82) , che solleva il problema di com­ prendere se, nell' ambito della distinzione aristotelica tra i quattro generi di cause, esistano casi di coincidenza tra la causa motrice e la causa finale, tali da giustificare la famosa interpretazione del primo motore immobile come causa mo-

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trice e al tempo stesso anche finale, interpretazione risalente ai primi commentatori della Metafisica e ripetuta oggi da quasi tutti i commentatori moderni (tra i quali appunto anche Se­ dley). Berti esamina dapprima, per grandi linee, il modo in cui la questione è posta in alcuni blocchi di libri dell'opera: nei libri da A lpha a Epsilon, che si possono considerare introdut­ tivi perché determinano l'oggetto e lo scopo della filosofia prima, cioè rispettivamente la sostanza e le cause prime di essa; nei libri da Zeta a Theta, che sono quelli centrali, in cui si determinano le cause prime delle sostanze corruttibili; e infine nei libri da Lambda a Nu, che sono quelli conclusivi, in cui si determinano le cause prime delle sostanze incorrutti­ bili. Il culmine dell'indagine è rappresentato dalla trattazione del primo motore immobile , a proposito del quale, appunto, si pone con particolare acutezza la questione della natura della sua azione causale, finale ed efficiente insieme (o appunto efficiente in quanto finale) oppure essenzialmente efficiente. Dall'intera Metafisica, secondo Berti, risulta che la causa effi­ ciente non coincide mai. numericamente, con la causa finale, ma può coincidere con essa specificamente, come nel caso delle sostanze generabili e corruttibili, in cui il genitore pos­ siede già in atto la forma che costituisce il fine del generato, o l' artefice possiede nella sua mente la forma che costituisce il fine del prodotto. Nel caso delle sostanze ingenerate e incor­ ruttibili, quali le sfere e i corpi celesti, il motore immobile non coincide né numericamente né specificamente col fine di ciò che è mosso, il quale è il bene di quest'ultimo, cioè il suo essere mosso di moto circolare ed eterno. Si può ammettere al massimo, riprendendo in tal modo l'interpretazione di Anassagora suggerita dallo stesso Aristotele, che il primo mo­ tore immobile sia un' Intelligenza, che muove tutte le cose allo scopo di realizzare un ordine ad essa stessa intrinseco, cioè ad essa presente come l'idea della salute è presente alla mente del medico ed è la stessa scienza medica. Naturalmente Aristotele non esclude che il primo motore immobile, cioè il motore del

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primo cielo , sia anche un bene, anzi, che sia il bene supremo: egli pone esplicitamente questo problema nel capitolo 1 0 del libro Lambda, chiedendosi come la natura dell'universo pos­ sieda il bene supremo, se cioè lo possieda come una realtà separata o come l'ordine. La risposta, come è noto, è desunta dal paragone con l' esercito, il cui bene è riposto sia nell'ordine che nello stratego, ma di più in quest 'ultimo, perché "non questi è a causa dell'ordine, ma quello è a causa di questo" ( 1 075 a 1 5 ) . La causa in questione non può essere una causa finale, perché non avrebbe senso dire che l'ordine dell'esercito ha come fine lo stratego; il fine dell 'esercito, infatti, sarà la vittoria, o qualcosa di analogo . Lo stratego dunque è una causa motrice, o efficiente, perché ha senso dire che l' ordine dell'e­ sercito ha come artefice lo stratego. Allora il bene supremo dell'universo non è la sua causa finale, ma la sua causa mo­ trice, e il primo motore immobile è il bene supremo in quanto è la causa efficiente di quel bene che è l'ordine che dell'uni­ verso. Quest 'ultimo, cioè l'ordine, è semmai la causa finale, ma esso è diverso dal primo motore immobile, che è la sua causa efficiente. Gli ultimi due saggi prospettano una significativa esten­ sione dell'esame relativo alla dottrina aristotelica della causa­ lità all' ambito psicologico e all'ambito biologico . Pierre-Marie Morel (A me, action, mouvement. Responsabilité psychique et causalité motrice chez Aristate, pp. 3 83-4 1 2) si propone di va­ lutare il ruolo della responsabilità psichica nella spiegazione del movimento degli animali, vale a dire, in senso ampio, la funzione che l' anima ricopre come causa del movimento del corpo che anima. Il problema presenta un duplice versante, perché si tratta, per un verso, di cogliere l' aspetto fisico di questa azione causale, ma, per l'altro, di comprendere anche la natura di quella peculiare forma di movimento, anch'essa ri­ salente all'anima, in cui consiste l' azione umana, che dipende da una deliberazione e da una decisione. A complicare ulte­ riormente un simile quadro teorico, Aristotele introduce, nel

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De anima come nel De m otu animalium, la tesi di un motore intermedio di cui l' anima fa uso per suscitare il movimento nel corpo, sicché non basta ricondurre all' anima, sic et simpliciter, l'origine del movimento, ma occorre formulare l'ipotesi ag­ giuntiva di un principio organico, nel corpo, che, mosso dal­ l' anima, dia a sua volta impulso al movimento del corpo. Esa­ minando la tesi aristotelica di questo motore intermedio, Mo­ rel s'interroga sulle conseguenze che essa produce rispetto all'effettiva attribuzione all'anima di un'azione causale capace di suscitare il movimento fisico nel corpo e quel peculiare genere di movimento in cui consiste l' azione deliberata. Mario Vegetti (Le corna, i reni, la milza: casi di spiegazione causale imperfetta nel De partibus animalium, pp. 4 13 -26) , infine, prende le mosse dalla constatazione che si pone una differenza fra la teoria aristotelica della causalità in generale, come emerge per esempio nel libro II della Fisica, e le forme che la spiegazione causale assume nel caso della natura vivente, che appaiono più semplici e meno articolate. A fronte di quel complesso schem a teorico che prevedeva una ricognizione completa dei diversi modi in cui è possibile rispondere alla domanda relativa al "perché?" di qualcosa, nell'ambito ri­ stretto della natura vivente la spiegazione causale non ha tanto il compito di individuare motivi e ragioni per cui si producono fenomeni ed eventi, quanto quello di giustificare la struttura di realtà esistenti, cioè di mostrare le "buone ragioni" (Aristotele ricorre spesso in questi contesti al con­ cetto di d\Aoyov) , dal punto di vista dell'ordine della natura, per le quali esse sono così come sono. In linea di principio, questo non modifica la complessità della teoria dei quattro tipi di spiegazione causale, ma di fatto essa risulta semplificabile e traducibile in uno schema più compatto.

È un gradito dovere rivolgere un sincero ringraziamento a tutti coloro i quali hanno partecipato al Convegno leccese, t anto come relatori quanto come attori di una discussione

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che si è mantenuta vivace e stimolante per l'intera durata delle sue diverse sessioni; ai colleghi e agli studenti dell'Università di Lecce che hanno seguito con costanza e interesse i lavori; infine, a chi ha reso possibile la pubblicazione del volume: la dottoressa Francesca Alesse, che si è impegnata perché fosse accolto nella prestigiosa collana "Elenchos" edita da Biblio­ polis, e la dottoressa Maria Cristina Dalfino che, con la sua competenza e disponibilità, si è fatta carico della gran parte del lavoro redazionale e di editing. FRANCESCO FRONTEROTTA

FRANCO FERRARI (Università di Salerno)

DINAMISMO CAUSALE E SEPARAZIONE ASIMMETRICA IN PLATONE

l . La causalità delle idee p latoniche secondo A ristotele

Tra le tematiche più interessanti toccate negli ultimi de­ cenni dal dibattito storiografico relativo alla filosofia antica, quella inerente alla nozione di causa (ahia-aì:nov) occupa cer­ tamente una posizione di primo piano. Gli studiosi si sono interrogati circa il significato di questo concetto, arrivando a constatare, per esempio, che esso presenta un' ampiezza seman­ tica molto maggiore rispetto a quello in uso nella riflessione filosofica ed epistemologica contemporanea, dal momento che comprende sia l'aspetto efficiente (causa come ciò che produce un determinato effetto), sia quello logico-esplicativo (causa come ciò che fornisce la ragione di un certo evento), sia quello più generale connesso alla nozione di responsabilità . In un simile contesto ci si è poi inevitabilmente posti anche il pro­ blema di individuare a chi si dovessero assegnare i differenti aspetti della nozione di causa, senza per altro riuscire raggiun­ gere risultati unanimemente condivisi 1 • 1 Punto d i riferimento d i buona parte del dibattito degli ultimi de· cenni è stato lo studio di M. PREDE, The Origina! Notion of Cause, ora in Essays in Ancient Philosophy, Oxford 1987, pp. 125-50; importante il vo· lume di R.]. HANKINSON, Cause and Explanation in Ancient Greek

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Come era lecito aspettarsi, le ricerche intorno al tema della causa non hanno risparmiato gli studi sul rapporto tra Platone e Aristotele e in particolare quelli dedicati a chiarire il senso della polemica del secondo nei confronti del primo . Uno degli aspetti sui quali si è concentrata la critica aristotelica a Platone concerne, infatti, proprio la questione della causalità esercitata dalle idee, che Platone sembra avere esplicitamente ammesso (ad esempio nel Pedone) , ma che Aristotele ha invece risoluta­ mente negato, in polemica con il suo maestro 2• Se poi si ag­ giunge che gli studiosi non sono affatto pervenuti a un accordo circa la natura della causalità delle idee platoniche, oscillando tra un'interpretazione di stampo logico-analitico (sulla scia di un celeberrimo articolo di Vlastos) 3 e una di carattere dina­ mico-efficiente 4, si comprende bene come la questione di quale

Thought, Oxford 1998; un'eccellente introduzione ai problemi connessi alle prime formulazioni della nozione di causa è fornita da M. VEGETTI ,

Culpability, Responsibility, Cause: Philosophy, Historiography, and Medi­ cine in the Fifth Centul)', in A . A . Lo."J (ed.), The Cambridge Companion to Early Greek Philosophy, Cambridge 1 999, pp. 2 7 1 -89; vale infine la pena consultare il volume curato da C. EsrosiTO e P. PoRRO, La causa­ lità, "Quaestio", 2 (2002), interamente dedicato a questo tema.

2 Sul problema del significato della testimonianza aristotelica rela­ tiva alla concezione platonica della causalità delle idee non si può pre­ scindere dallo studio di G. FINE, Forms as Causes: Plato and Aristotle, in A. GRAE S ER (Hr sg . ), Mathematik und Metaphysik bei Aristate/es. Akten des X Symposium Aristotelicum, Bern-Stuttgart 1987, pp. 69- 1 12 . 3 G . VLAsTos, Reasons and Causes in the Phaedo, ora i n P/atonie Stu­ dies, Princeton 1 9 8 1 , pp. 79- 1 1 0; la posizione di Vlastos viene sostanzial­ mente ripresa da R. BoLTON, Plato's Discovery o/Metaphysics, in J . GENTZ· LER (ed.), Method in Ancient Philosophy, Oxford 1 998, pp. 9 1- 1 1 1 . 4 Una convincente difesa della natura efficiente (e non solamente formale) della causalità delle idee si trova in C. NATALI, La forma plato­ nica è una causa formale?, in G. DAMSCHEN-R. ENSKAT-A.G. VIGO (Hrsgg.), P!aton und Aristoteles-sub ratione veritatis, Festschrift ftir Wolf­ gang Wieland zum 70. Geburtstag, Gottingen 2003, pp. 15 8-73 . Anche F. FRONTEROTTA, MEfJEEII:. La teoria platonica delle idee e la partecipa­ zione delle cose empiriche. Dai Dialoghi giovanili a/ Parmenide, Pisa 2001, pp. 206-22, è incline a riconoscere alle idee una causalità di tipo effi-

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tipo d i causalità esercitino le idee per Platone e d i come Ari­ stotele abbia inteso (o frainteso) la posizione del suo maestro risulti ancora oggi quanto mai intricat a. In questa sede mi propongo di dimostrare che alcune delle critiche che Aristotele rivolge alle idee, e in particolare quelle relative alla loro presunta inefficacia causale, presuppongono un punto di vista filosofico molto simile a quello che Platone attribuisce a Parmenide nel dialogo omonimo. Tuttavia, a dif­ ferenza di quanto comunemente si crede, tale punto di vista non corrisponde affatto alla posizione personale di Platone , bensì esprime un atteggiamento teorico avvertito da lui come sostanzialmente estraneo allo spirito della teoria delle idee. In particolare, come mi propongo di dimostrare nel dettaglio, la tesi dell'inefficacia causale delle idee (sia sul versante episte­ mologico che su quello antologico) comporta l' applicazione di una nozione simmetrica di separazione , la quale contraddice uno dei presupposti fondamentali della concezione delle idee contenuta nei dialoghi centrali e ripresa poi nel Timeo 5 . S i può dunque cominciare questa ricerca prendendo in esame, in modo inevitabilmente sommario, la critica che Ari­ stotele rivolge alla pretesa platonica di assegnare alle idee una funzione causale rispetto all'essere e al divenire delle cose em­ piriche. Ma prima di esaminare i testi più significativi ai quali Aristotele consegna la sua polemica nei confronti della conce­ zione platonica delle causalità delle idee, vale la pena antici­ pare il senso complessivo di questo critica 6 •

dente. S i veda anche I . MuELLER, Platonism and the Study o/ Nature, in J. GENTZLER (ed.), Method in Ancient Philosophy , cit., pp. 67-89. l Per un primo approccio a questo ordine di problemi mi permetto di rinviare a F. FERRARI, Separazione asimmetrica e causalità eidetica nel Ti­ meo, in L.M. NAPOUTANO VALDITARA (a cura di), La sapienza di Timeo. Riflessioni in margine al Timeo di Platone, Milano 2007 , pp. 1 57 -82. 6 La migliore presentazione complessiva della critica aristotelica all a teoria platonica delle idee rimane quella di G. FINE, On Ideas. Aristotle's Criticism of Plato's Theory o/ Forms, Oxford 1993.

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Come è noto, secondo Aristotele Platone avrebbe asse­ gnato alle idee una funzione causale, t ale per cui esse sarebbero atna wìç aÀ.À.otç, cause delle altre cose, ossia dei fenomeni spazio-temporali. Ma, obietta Aristotele, le idee non sono in grado di assolvere al compito principale cui è chiamata un'au­ tentica causa, ossia quello di spiegare il divenire delle cose, vale a dire il fatto che esse si alterano e si modificano. Dal momento dunque che la causa deve essere principalmente causa motrice , ossia efficiente, le idee platoniche non possono risultare cause in senso pregnante. Rimane aperta, almeno in linea teorica, la possibilità che esse siano in grado di assolvere alla funzione di cause formali, vale a dire di principi costitutivi dell'essere delle cose . Ma anche questa possibilità viene di fatto esclusa da Aristotele , il quale osserva che, dal momento che l'essenza di una cosa, ossia la sua forma, deve risultare immanente a ciò di cui è forma, mentre le idee platoniche sono invece trascendenti e separate, neppure questo genere di causalità può venire ad esse riconosciuto. Dunque, anche se ci si limita ad assegnare alle idee la sola funzione di cause formali e essenziali dell'es­ sere-così degli enti fisici, esse risultano inefficaci, appunto perché la causa formale deve risultare immanente a ciò di cui è causa, mentre le idee sono concepite da Platone come sepa­ rate. In conclusione, le idee platoniche non sono per Aristotele cause né in senso forte (motrici) , né in senso debole (formali) . Già all'interno dell'esposizione generale della 1tpay1J.atda di Platone contenuta nel capitolo 6 del libro A della Metafisica Aristotele dichiara che per quest'ultimo gli dòll sono aì:na wìç aÀ.À.mç, ossia cause delle altre cose; quindi, in conclusione del capitolo, egli precisa in che senso le idee sono per Platone cause: «Da quanto detto risulta chiaro che [Platone] ha fatto uso di due sole cause, ossia di quella essenziale e di quella materiale. Infatti le idee sono cause dell'essenza per le altre cose, mentre l'uno lo è per le idee; e alla questione su quale sia la materia che ha funzione di sostrato di cui si predicano le idee nell' am-

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bito dei sensibili e l'uno per l e idee, risponde che è l a diade, cioè il grande e il piccolo ( .

4 9 Tim. 27d6-28a4. La migliore interpretazione del significato di questa dicotomia (che sul piano antologico si riferisce alle differenti mo­ dalità in cui un soggetto si rapporta al predicato che lo descrive) è stata fornita da M. PREDE, Being and Becoming in Plato, "Oxford Studies in Ancient Philosophy", Suppl. ( 1 988) pp. 3 7-52; molto raffinate le osser­ vazioni di T. EBERT, Von der Weltursache zum Weltbaumeister. Bemer­ kungen zu einem Argumentations/ehler im platonischen Timaios, "Antike und Abendland" , 37 (1991) pp. 43-54, partic. pp. 45-7. 50 Tim. 28a4-6. Per un esame dettagliato delle implicazioni di que­ sto principio mi permetto ancora di rinviare a F. FERRARI, Separazione asimmetrica e causalità eidetica , cit. , p. 174 sg. ; molto importanti anche le considerazioni di T. EBERT, Von der Weltursache zum Weltbaumeister, cit . , pp. 47-52.

DINAMISMO CAUSALE E SEPARAZIONE ASIMMETRICA IN PLATON E

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Si tratta, come si è talora osservato, di una sorta di prin­ cipio di causalità, in base al quale tutto ciò che diviene diviene necessariamente in virtù di una causa (o grazie all'intervento di una causa) . Alla formulazione di questo assioma Timeo aggiunge (in modo apparentemente ingiustificato, perché un assioma non richiederebbe di venire spiegato) una spiega­ zione, affermando che è impossibile per qualsiasi cosa (sog­ getta a generazione) avere generazione, ossia divenire, sepa­ ratamente da una causa (xropìç ahiou) . Dal momento che la legge di causalità si riferisce solo al divenire, è evidente che ad esso (e solo ad esso) si debba riferire anche la spiegazione che vi risulta collegata. Essa st abilisce che ciò che diviene ha una causa perché è impossibile che qualcosa abbia generazione, cioè sia sottoposto al divenire, separatamente, ossia in modo indipendente, da una causa. Un simile assunto non può che significare che ciò che diviene, ossia l'ambito dei fenomeni, non è separato dalla sua causa, qualsiasi cosa quest'ultima possa essere. Ora, dal momento che nel Timeo, come negli altri dialoghi, le idee sono concepite come realtà in se stesse (rcav-ré1.1taow Ka9' al.mi) , ossia come separate, è del tutto evidente che la separazione antologica non è simmetrica, dal momento che le idee sono separate, ma i fenomeni non lo sono affatto. Non sembrano poterei essere dubbi sul fatto che Timeo dota il suo discorso proprio di quel principio di separazione asimmetrica di cui sopra si era avvertita l'esigenza. Si tratta di una nozione di xroptcr116ç del tutto solidale a un'antologia destinata a cor­ reggere il vizio equiparazionista che stava alla base dell'espo­ sizione di Parmenide. Nel paragrafo precedente si è cercato di dimostrare , spero con successo, che quella esposta nel Timeo è un'antologia dinamica, nel cui ambito le idee, nella forma del vivente intelligibile (a sua volta identico al demiurgo), giocano un ruolo causale di natura efficiente (metaforizzato per mezzo di una serie di immagini) . Il problema teorico che Platone si propone di affrontare e, nei limiti del possibile, di avviare a

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FRANCO FERRARI

soluzione è quello della partecipazione (J.!É8EI;tç) : l'evento me­ tafisica della partecipazione è complesso, aporetico e difficile da descrivere; ma con certezza si può affermare che esso com­ porta l' assunzione di una nozione antisimmetrica di separa­ zione, che è la sola che possa salvaguardare il ruolo causale delle idee.

8. Il problema della causa tra Platone e Aristotele In conclusione di questo contributo si possono tirare le fila delle analisi fin qui condotte. Aristotele, come è noto, propone una teoria delle cause complessa e articolata, che culmina nel riconoscimento di quattro generi di cause: materiale, formale , efficiente e finale. Non è azzardato vedere in Platone, ad esempio proprio nel Timeo, un' anticipazione significativa di questa concezione (o quantomeno di alcuni aspetti di essa) 5 1 . M a non è questo i l punto che ci s i è proposti d i affrontare in queste sede, anche se su di esso occorrerà fare ritorno più avanti. L'accenno alle quattro cause di Aristotele è importante per comprendere il significato della sua critica alla dottrina 51 M. BALTES, Der Platonismus in der Antike, Bd. IV: Die philoso­ phische Lehre des Platonismus. Einige grundlegende Axiome / Platonische Physik (im antiken Verstandnis) l, Stuttgart-Bad Cannstatt 1 996, p . 3 7 9 sg. , commentando Tim. 28a4- 30a6, osserva come i n questo testo

siano presenti anticipazioni delle quattro cause aristoteliche: quella ef· fidente (nel riferimento alla figura del demiurgo, ossia dell'artigiano di­ vino), quella finale (nel richiamo alla bontà del dio e alla volontà che tutte le cose gli assomiglino), quella materiale (nell' accenno alla condi­ zione di disordine precosmico precedente l'intervento di dio), e quella paradigmatica, che sostituisce la causa formale di Aristotele (nel ri­ chiamo al modello intelligibile) . Sul tema della presenza in Platone di prefigurazioni della teoria delle cause di Aristotele innovativo fu all'e­ poca della sua comparsa il saggio di H .] . KRAMER, Das Verhaltnis von Platon und Aristate/es in neuer Sicht, "Zeitschrift fur philosophische For­ schung", 2 6 ( 1 972) pp. 329-53 .

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platonica, dal momento che, come è noto, egli assume la pro­ pria concezione come paradigma valutativo di quelle rivali. Partendo dalla propria teoria delle quattro cause, Aristotele assegna a Platone una concezione che ricorre a due sole cause, quella formale o essenziale e quella materiale . La prima, come si è visto, viene assegnata alle idee (in rapporto ai sensibili) e all'uno (in rapporto alle idee), mentre la seconda appartiene senz'altro al grande e piccolo, ossia alla diade indeterminata di cui si parla nell'ambito delle celebri "dottrine non scritte " , che assume le vesti del partecipante, ossia del ricettacolo, nel Ti­

meo. Per Aristotele, Platone ha ignorato la causa efficiente, quella destinata, ai suoi occhi, a giocare una funzione decisiva nella spiegazione del divenire delle cose. Leggendo la testimonianza aristotelica sulla teoria plato­ nica delle idee si intuisce, tuttavia, che per Platone le idee sono cause in senso più ampio di quello indicato dalla causa formale di Aristotele. Dunque, il rimprovero che Aristotele muove al suo maestro andrebbe riformulato in maniera un po' diversa e non riguarderebbe tanto l'esclusione della causa efficiente, quanto la pretesa che le idee svolgano una funzione motrice. Nel libro Z della Metafisica questo motivo emerge in modo abbastanza netto. Aristotele, infatti, afferma: ' ou A, ahtov 'T:Ò llÉO"OV È:q>' où B, f:Kì.. Et\fltç 9Eplloi3 nanEì..i] ç. t'màp;(Et ùrì 1:4> r 1:ò B, wu1:

' ou A . yivE'T:at of: KpucrmHoç ytvo11tvou wù B, yqÉv..,,m cf: yqEv11 11tvou, l:crmt o' lcrollÉ­ vou . «Exemples: - Pourquoi y a-t-il eu une éclipse? Parce que la Terre est venue se piacer au milieu . Elle se produit parce que la Terre vient s'y piacer, elle aura lieu parce qu'elle sera entre les deux, et elle a lieu parce qu'elle y est. - Qu'est-ce que la giace? Admettons que c'est de l'eau solidifiée . C l'eau, solidifié A; la cause est le moyen terme B, la disparition complète de la chaleur. Or B s'applique à C , et A, ètre solidifié, s'applique à B. Et la giace se produit parce que B se produit, elle s'est produite parce que B s'est produit, elle sera parce que B sera». ·

=

=

Il n'est pas nécessaire de s ' attarder sur cette section du texte, si ce n'est pour souligner ce que la première phrase peut avoir de surprenant pour un lecteur formé à la science galiléenne et newtonienne. N 'est-il pas évident par soi que le modèle de l'explication doive ètre le mème pour des faits pas­ sés, présents et futurs? Mais si Aristote juge utile de poser expressément que c'est le cas, c' est parce que, précisément, le statut ontologique des trois "phases" du temps n 'est pas le mème, pas plus que le statut épistémologique des propositions concernant des faits passés, présents et futurs. Il faut remarquer en outre que le cadre de la question n'est pas un simple opposition entre le présent d'une part, et de l' autre les temps "absents" (le passé et le futur), puisqu' on trouve aussi dans la liste le cas des faits qui "se produisent " , a u présent (wiç ytvollÉVotç, ligne 1 2 ) , c'est-à-dire ceux qui sont

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SECONDS ANALYTIQUES Il 1 2

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en train de se produire en ce moment méme. On a clone ici deux modalités du présent, ta onta et ta ginomena, qui s'opposent l'une à l'autre comme l 'imperfectif au perfectif. Aristote a tenu à introduire dans son modèle !es processus en cours, au prix d'une petite difficulté qui apparaitra un peu plus loin (95a27) lorsqu'il aura besoin de distinguer, dans chacun de ces trois cas, entre cles événements successifs: car peut-on vraiment poser de l' antérieur et du postérieur dans un processus présent? C'est pourquoi il écrira: KUÌ 1:où yiw:crem ÙÉ, d n EJ.17tpocr9�::v ÈyÉvEw: "et la cause de ce qui est en train de se produire est ce qui pourrait se produire d'abord" . L'opposition initiale est clone entre un modèle d'explication intemporel, et un autre qui prend en compte l'inscription cles phénomènes dans le temps. Pour compléter ces remarques sur la première section, on relèvera enfin que !es deux exemples donnés aux lignes 14-2 1 reprennent les deux voies de l'enquéte scientifique qui ont été présentées au début du livre Il: celle qui recherche le "pour­ quoi" (exemple de l'éclipse) et celle qui recherche le "ce que c'est" (la giace), et que ce sont d es cas d' explication structu­ relle, dans lesquels on rend compte d'une apparence sensible (l'invisibilité de la Lune ou la solidité de l'eau) au moyen d'un fait invisible pour nous. On pourrait objecter que la perte de la chaleur de l'eau est un phénomène immédiatement sensible. Dans ce cas, il faudrait dire que c'est sa relation au fait à ex­ pliquer qui n'est pas immédiate. Cette interprétation implique que l'explication de la giace qui est donnée ici, à la différence de celle de l'éclipse, n'est pas complète et devrait étre poursuivie : pourquoi la baisse de la température produit-elle la solidifica­ don de l'eau (plutòt qu'un changement de couleur, par exem­ ple)? Une autre possibilité, peut-ètre meilleure, serait de sup­ poser que EKÀ.El\j/1'.; 9EpJ-LoÙ 7tUV"tEÀ�ç désigne non pas un phé­ nomène (la giace est froide au toucher), mais un fait qui concerne sa structure invisible : la disparition de la chaleur conçue comme l'un cles traits caractéristiques de certains corps simples.

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MICHEL CRUBELLIER

De tels faits de structure sont strictement simultanés avec le fait à expliquer (éi11a yivE'!at, 95 a22), ce qui a deux consé­ quences intéressantes: l) On peut sans difficulté analyser les explications corres­ pondantes au moyen cles schémas syllogistiques, qui sous leur forme standard mettent en jeu l' application d'un prédicat à un sujet. C 'est ce qu'Aristote fait aux lignes 1 7 à 1 9 pour l'exem­ ple de la giace. Une science nous fait connaitre un certain objet à travers ses propriétés nécessaires . Ici A est le phénomène (la congélation en tant que solidification) , C est le sujet-support (l'eau), et B, le moyen terme, est une autre propriété qui rend raison de la première. 2) On peut sans difficulté transposer ces explications dans toutes les phases temporelles. Mais les problèmes apparaissent lorsque l'on envisage cles explications qui relient cles faits écartés dans le temps.

Le cas d'événements distants dans le temps 95a 22-7:

Tò f.lÈV oùv oihwc; ainov KUÌ où a'inov Uf.lU yivE'!at, 8-rav yivTJ­ -rat, Kaì i:crnv, o-rav � Kai È1ti -roi3 yEyovÉvat KUÌ Ì:crEcr9at rocraumc;. È7ti OÈ '!CÒV !l'lÌ éif.lU àp' ì:crn v Èv '!ql cruvqEÌ XPOVql, WV ì:pyrov de la fin (b3 1 -2): cela suggère qu'il faudra malgré tout faire une différence entre le point de vue purement théorique et abstrait qui sera exposé dans les lignes b3 - 1 2 , et la réalité cles phénomènes naturels; mais de quelle nature est cette différence? E t quelles seront ses conséquences épistémologiques? (C'est-à-dire, quelle sera la valeur, scienti­ fique ou simplement pratique, cles inférences qui pourront etre faites "dans la réalité" et qui n'auraient peut-etre pas pu l'etre d'un point de vue strictement théorique?)

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95b 1 3 -2 1 : Il&pì !lÈV oùv toù n&ç uv È c'mò IJ.Écrou est le texte donné par !es manuscrits. Ross, comme la plupart cles éditeurs et traducteurs modernes, lui préfère un correction de Waitz: Ù1t' ÙIJ.Écrou, qui s'appuie notamment sur la ligne b3 1 : àpxJÌ OÈ Kai Èv 't0tl1:0\ç UJ.l.Ecroç ì.:rpn:éa, conçue comme un rappel de la ligne 25 . Mais il n'est pas indispensable de corriger. L'idée, confirmée par le choix cles lettres (voir plus loin pp. 1 80-1), est alors que C est un moyen terme et qu'il est le premier cles moyens termes en comptant à partir de D .

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on l'a dit . Mais il est pourtant nécessaire de commencer par un terme qui soit moyen et premier à partir du "maintenant "». 95b25 -3 1 : Oj!Otffiç òf: KUÌ È1tÌ 'WÙ Ecrtat. d yàp ÙÀ.Tt9Èç dm:ìv on Écrtat tò !!., ùvàyKll 1tpÒtEpov ÙÀ.Tt9Èç d7tEiv on tò A Ecrtat . 'tOUtoU ò' aittOV tÒ r · d j!ÈV yàp tÒ !;. Eo.;, wt'Jwu 8i; Yl::VOjlÉVOU u8wp· "CCU "CC U OÈ YEVOjlÉVOU àvayKTJ PEPPÉx8m 't"TJ V yf] v· 't"où't" o 8' � v 't" ò i:l; àpxiì ç, &cr't"E KUKÀ

> (109 l a l 8-22 ) . =

(Anche s e la ricerca i n questione ha u n esito negativo, il passo suggerisce manifestamente che, in generale, ha senso condurre una tale indagine . ) Nel seguito immediato (che è l'inizio del cap. 4) egli tocca effettivamente la questione della generazione dei numeri. Dopo (a partire da 1 0 9 1 a29) egli si occupa di una questione che per lui è in qualche modo con­ nessa : quella del rapporto del bene e del bello con gli elementi e principi. Si pone la difficile questione se uno dei principi e degli elementi coincide con il bene in sé e l'ottimo oppure se questi ultimi siano generati dopo gli elementi. La questione agli occhi di Aristotele è connessa, appunto perché viene pro­ spettata la possibilità che questi termini siano generati a par­ tire dagli elementi (nel seguito \'iene suggerito che i poeti che offrivano una visione mitica della formazione del mondo con­ sideravano il bene come generato a partire da cose indetermi­ nate, mentre i Platonici erano obbligati piuttosto ad ammet­ tere che il bene sia uno dei due elementi contrari , ma per entrambe le posizioni sono sollevate difficoltà) . C'è ora da commentare che il passo sopra citato mostra che l'interesse prevalente di Aristotele in questa parte è nei "prin­ cipi che si trovano nelle cose immobili" , cioè precisamente quei principi ed elementi, come l'Uno e la Diade indefinita, dai quali i Platonici ritenevano che i numeri e gli oggetti ma­ temat ici in genere sono derivati. Vedremo fra poco che l' anda­ mento complessivo della discussione nei primi quattro capitoli del libro XIV e la conclusione che di tutta questa discussione viene fornita alla fine del cap. 4 suggerisce proprio questo. In altre parole, sembra plausibile ammettere che la discussione in questi quattro capitoli presenti una certa unità che è data dalla

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considerazione di quelli che sono i principi ed elementi di en­ tità, come quelle matematiche, che sono ritenute essere esenti da mutamento. Se è così, la parte sopra considerata, che va da 1 090a2 a 1 090b3 0, deve essere considerata come una sorta di excursus, nonostante l'assenza di una evidente transizione alla fine del passo (ma anche al suo inizio non c'è uno stacco molto chiaro) . In questa parte infatti ci si occupa delle entità mate­ matiche e delle idee considerandole in relazione alle cose sen­ sibili, e non a partire dai loro principi ed elementi 48• Come ho illustrato, in questa parte stessa, a partire grosso modo da 1090b30, si ritorna a quello che è l'argomento principale della trattazione. C 'è un altro pezzo che in qualche modo risponde alla de­ scrizione che in XIII l era stata data della terza indagine. Questo va da cap. 5. 1 092b8 alla conclusione del cap. 6, che è anche la conclusione del libro (dove peraltro c'è anche un cenno alla questione della generazione dei numeri, che con­ cerne l' argomento principale del libro) 49. È abbastanza evi­ dente che in questo pezzo si discute della questione come i numeri possano essere cause (aitioi) delle sostanze e dell'essere (questa è la formulazione che viene adottata all'inizio), dove per sostanze si intendono quelle sensibili. Così egli solleva la questione se possano esserlo alla stregua di limiti definitorii (horoi) degli enti oppure alla stregua di rapporti proporzionali fra le cose. Dal seguito si desume che la risposta alla questione può solo essere negativa, e questo lo porta ad escludere che il numero sia l'essenza (ousia) della cosa e quindi la causa nel senso della forma. Ma in tale connessione viene ugualmente escluso che il numero sia causa in modo efficiente, oppure 48 Pertanto non condivido la suddivisione che di questa parte viene proposta da Julia Annas, la quale inserisce uno stacco prima di 1090a2 (una cosa in qualche misura giustificata, anche se, ripeto, lo stacco non è netto) ed un altro stacco dopo l'inizio del cap. 4, a 109 1 a29. '� Su questo punto sono d'accordo con la Annas, la quale inserisce appunto uno stacco all'inizio di questo pezzo .

LO STUDIO DELL'OY:!JA E L'INDAGINE SULLE CAUSE

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come materia oppure ancora causa nel senso del ciò per cui cioè che il numero sia causa finale (cfr. 1 092b23-5). Nel cap . 6 viene rilevato che il fatto che tutte le cose partecipano del numero non implica che il numero ne sia la causa (cfr . 1093al sgg .). Il fatto per esempio che una serie di oggetti, come le vocali , le corde dell'ottava, le porte di Tebe, le Pleiadi, e così via, siano tutti caratterizzati dal numero sette non deve implicare che il numero sette sia la causa del loro avere questa caratteristica in comune (cfr. 1093a13 sgg.) . Nel seguito viene ribadito che, rispetto alla realtà naturale, i numeri non possono essere le cause in nessuno dei sensi che vengono normalmente distinti di "causa" (aitìon) (cfr. 1 093b7 sgg.) . Nonostante questa insistenza sul motivo della causa, sia pure per escludere che i numeri sia cause rispetto alle cose sensibili, neppure questo pezzo risponde in pieno alla descri­ zione che in XIII l era stata data della terza indagine. Come si ricorderà, ivi la questione era "se i numeri e le idee sono sostanze e principi degli enti" , ma in questa discussione delle idee non si parla, anche perché si prende in considerazione pure la posizione dei Pitagorici, che non le ammettevano, e neppure si discute se i numeri, oltre ad essere cause, sono anche sostanze, di nuovo perché questo non può venire assunto nel coinvolgere la posizione dei Pitagorici. Non è d'altra parte pl�usibile che il riferimento sia al pezzo precedente (quello che inizia alla fine del cap. 2), dato che, come abbiamo visto, esso è un excursus rispetto alla trattazione principale. Pertanto non si può neppure condividere la tesi della Annas che il riferimento sia al libro XIV nel suo complesso. Annas afferma che nel libro XIV non viene fatta distin­ zione fra la questione che viene sollevata a proposito della terza indagine in XIII l e la questione che, in qualche modo, viene sollevata in XIII 9 circa i principi dei numeri (ed even­ tualmente delle idee) come cause delle cose 50. Su questa base è 5° Cfr. J. ANNAS,

Aristotle 's Metaphysics, ci t . , p. 80: "So N does not

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indotta a suggerire che Aristotele non volesse tener distinte le due questioni fin dall'inizio, sicché la terza indagine prospet­ tata in XIII l include la seconda questione e viene di fatto svolta non nel libro XIII (dove, secondo Annas, p. 79, "the long section 1 080a 1 2 - 1 086a2 1 appears to be a digression") ma nel libro XIV . Ora è vero che le due questioni non sono tenute così ben distinte nel libro X IV come sarebbe desiderabile. Ma è anche vero che (come in parte ho già illustrato) la questione riguardo ai principi ed elementi dei numeri viene discussa nei capitoli 1-4 , mentre l'altra questione viene discussa nella parte finale del libro e solo subordinatamente alla prima anche in un passo all'interno di quei capitoli (fine cap . 2 e parte del cap. 3 ) . È bene ricordarsi che qui è in gioco l a differenza fra l ' ap­ proccio causale e l ' approccio "elementaristico" che è stata il­ lustrata in precedenza (sezione 1 1 ) . La questione della causa­ lità entra in gioco solo quando sono prese in considerazione le idee platoniche, oppure anche i numeri, ma in base alla conce­ zione che se ne fanno i Pitagorici . Invece quando ci si occupa dei numeri presi per conto proprio ovvero a partire dai principi che li spiegano, la prospettiva cambia. A questo proposito Ari­ stotele non parla più di cause ma di elementi (stoicheia) oltre che di principi 51. Non si tratta di una differenza solo terminodistinguish the question asked in M l and M 9, ' Can numbers (and/or Forms) be causes (explain things adequately)?' and the question, 'Can the principles of numbers (and/or Forms) be causes (explain things ade· quately)? ' " . Annas non pone la seconda questione in rapporto al passo di XIII 9, ma cita in nota il commento di Ross a quel passo (Aristot!e's Me­ taphysics, cit . , I I , p. 462), dove questi osserv a che Aristotele ivi non tiene distinte le seguenti questioni: " ( l ) whether Ideas and numbers could serve as the elementary principles of things; (2) whether the ac­ count given by the Platonists of rhe principles of Ideas and numbers is satisfactory". 51 Questa differenza è ignorata da Annas che parla sempre di "cau· ses"; viene ignorata anche da Ross, nel passo citato nella nota prece· dente, ma nel senso inverso, quando present a le idee e i numeri alla stre· gua di " elemenrary principles of things" .

LO STUDIO DELL'OYH·\ E L'l:-.JDAG!ì"E SCLLE CACSE

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logica, anche perché Aristotele ritiene che siano gli stessi Pla­ tonici a porre l' accento sul fatto che l'Uno e la Diade indefinita sono da concepire come "elementi" 52 . La differenza, come si ricorderà, sta nel fatto che quei principi ideali, come l'Uno e la Diade indefinita, che fungono da elementi non sono cause al modo in cui lo sono le idee (platoniche) , cioè come modelli da imitare e come essenze formali delle cose sensibili. Essi sono i principi in quanto da essi derivano (per una qualche sorta di "generazione" ) i numeri , e dai numeri il resto . Aristotele, certo, è convinto che, nel trattare come "ele­ menti" quelli che sono anche generi sommi (questo varrebbe per l'uno ma anche per l'essere) , i Platonici non sfuggano alla contraddizione che c'è fra l' adozione di una concezione "ele­ mentarizzante" ed una concezione "generalizzante" dei prin­ cipi . Quest'ultima nasce appunto dal fatto che i principi con­ tinuano ad essere concepiti come idee e come universali (cfr. 8 . 1 084b23 sgg . , con quanto precede immediatamente). Ciò spiega come mai lo stesso Aristotele continui ad avanzare cri­ tiche circa la causalità delle idee, quando queste, una volta che siano ricondotte ai numeri (e dunque inserite in quest'altro quadro), non dovrebbero più avere una causalità per conto proprio. (Notare che solo in un passo, parlando della Diade indefinita, Aristotele dice che questa è la causa (aitia) del fatto che le cose sono molte, cfr. 8. 1 08 3 a 1 3 -4; forse si tratta della stessa confusione, ma in ogni caso non è in gioco la causalità che è tipica delle idee.) (V a osservato ancora che la posizione dei Pitagorici è alle volte associata a quella dei Platonici da questo punto di vista, seppure parlando di una "generazione" del mondo fisico, piut'2 Cfr. 6. 1 080b6-7: sarebbero i Platonici a presentare l'uno come principio e sostanza ed elemento (stoicheion) ; 1 080b3 1-2: "quanti dicono che l'uno è elemento e principio degli enti" ; 7. 1 0 8 1 a 1 5-6: dell'Uno e della Diade indefinita "dicono che sono i principi ed elementi del nu­ mero" ; 1 0 8 1 b3 1-2: "se l'Uno e la Diade indefinita saranno gli ele­ menti" ; X IV L 1087b 12-3 : "i principi che essi chiamano elementi" .

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tosto che dal punto di vista della trattazione dei numeri come proprietà delle cose sensibili - non è chiaro se Aristotele abbia in mente pensatori diversi, oppure assuma, senza esplicitare il punto, una diversità di approcci all'interno del pitagorismo. Cfr. XIII 8. 1 083b8 sgg . ; XIV 3 . 1 090a3 1 sgg . }

22. La principale indagine che viene condotta nel libro XIV Tornando ai contenuti del libro XIV, si può osservare che Aristotele, nei primi quattro capitoli, sottopone a critica ser­ rata la tesi che principi delle cose (sensibili) possano essere quelli che i Platonici "chiamano elementi", cioè l'Uno e la Diade indefinita (cfr . l . 1 08 7b l2 sgg . ) . Una obiezione che viene avanzata nel cap. l è che principi come questi, essendo dei contrari, possono solo essere predicati di un terzo termine che funge da sostrato, sicché non possono essere dei principi in senso forte . Un'altra obiezione che viene avanzata , nel cap. l considerando l'Uno, nel cap . 2 anche con estensione all'essere, è che questi non costituiscono delle nature sostanziali, come se ci fosse qualcosa che può essere uno e nient' altro che uno : l'uno è per esempio ciò che funge da unità di misura rispetto ad una certa serie, quale può essere la scala dei suoni musicali (cfr . 1 087b33 sgg .}. (Questo è un punto che emerge anche nella discussione che dell'uno viene offerta nel libro X, cap . l , della Metafisica.) Inoltre l'uno, come l'essere, ha una funzione pre­ dicativa, per indicare appunto che un certo oggetto risponde ad una certa qualifica (quale quella citata di essere una unità di misura), sicché, di nuovo, non può essere considerato alla stre­ gua di una sostanza, e quindi come un costituente (o "ele­ mento") dei numeri e di altri oggetti. Delle altre due questioni che sono affrontate in questa parte del libro XIV, quella se i numeri e gli altri oggetti matematici sono sostanze e contribui­ scono causalmente alla realtà delle cose sensibili, e quella del rapporto fra gli elementi e principi ed il bene e il bello, si è già

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detto sopra. Alla conclusione d i questa parte, cioè alla fine del cap . 4 , Aristotele dichi ara: «Queste sono tutte le difficoltà che si presentano, ( l ) in parte perché considerano elemento ogni principio, (2) in parte per­ ché fanno dei contrari i principi, (3) in parte perché fanno dell'uno un principio, (4) in parte perché fanno dei numen sostanze prime e separate e idee» (1092a5 -8). Mentre ( l ) pare costituire un assunto generale della posi­ zione criticata, (2) , (3) e (4) corrispondono alle trattazioni che sono effettivamente condotte in questa parte del libro (nel caso di (3 ) l'errore di fare dell 'uno un principio discende dalla sua ipostatizzazione come sostanza) . (4) rappresenta una sem­ plificazione, perché non viene considerata la questione dell'ef­ ficacia causale che (nel corso dell'esposizione) viene attribuita ai numeri e alle idee, ma mostra in ogni caso che Aristotele è incline ad associare strettamente questa indagine alle altre. Forse egli sottovaluta la sua peculiarità, o forse imputa ai Platonici una tale sottovalutazione, cioè suppone che essi con­ tinuino ad attribuire una causalità alle idee considerate come tali, pur pretendendo di subordinarle ai numeri e dunque ai due elementi dai quali derivano i numeri stessi come tutto il resto . Comunque sia, l' approccio dominante in questi quattro capitoli è quello "elementaristico" che è suggerito dai punti ( 1 ) , (2) e (3). (Non si può rovesciare questa priorità, come cerca di fare la Annas . ) È evidente che, s e è così, l'indagine che viene condotta in questi primi quattro capitoli del libro XIV presenta diversi punti di contatto con quella condotta nei capp. 6-9 del libro XIII, perché è sempre in gioco la derivazione dei numeri a partire dall'Uno e dalla Diade indefinita, cioè da due principi considerati alla stregua di elementi, e la derivazione del resto della realtà (anche se questa si ferma agli oggetti matematici) a partire dai numeri. La differenza principale è data dal fatto che nel libro XIII ci si sofferma su come i numeri siano concepiti a

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partire dall' ammissione di una loro derivazione, mentre nel libro XIV l' attenzione maggiore è rivolt a al modo in cui i principi stessi debbono essere concepiti, ovvero se è giustifi­ cato considerarli alla stregua di elementi. Ma le due indagini in ogni caso convergono (anche nell'esito negativo che esse hanno per le posizioni dei Platonici che vengono sottoposte a critica), sicché ci sarebbe stata qualche ragione per metterle insieme in un'unica trattazione. C ' è dunque da pensare che i due libri siano stati redatti in tempi differenti e comunque indipenden­ temente l'uno dall' altro e che Aristotele non abbia potuto redigere una sintesi . Non fa ostacolo a questo suggerimento l'inizio del libro XIV : "Intorno a questa sostanza basti quanto si è detto. Tutti considerano i principi come contrari sia nelle cose naturali, sia nel caso delle sost anze immobili" ( 1 087a293 1) . Il secondo periodo serve manifestamente ad introdurre la discussione che segue, la quale concerne (come si è già visto) i principi come contrari nel caso delle sost anze immobili . Quanto al primo periodo, di solito si è ritenuto, da parte degli studiosi, che esso contenesse un riferimento alla trattazione del libro precedente, riguardante la sostanza immobile e im­ materiale. Berti ha giustamente messo in dubbio questa con­ vinzione, rilevando che della sostanza immobile e immateriale ci si continua ad occupare nel resto del libro. Anche l'esistenza di alcuni punti di contatto fra alcuni contenuti del libro XIV e alcuni del libro XII (per esempio il rifiuto della visione "epi­ sodica" dell'universo attribuita a Speusippo) tende ad esclu­ dere che quanto precede possa concernere la sostanza immo­ bile e immateriale . Si può aggiungere che Aristotele, nel libro XIII, si era occupato di oggetti (delle matematiche) e di entità la cui sostanzialità non è da lui stesso ammessa, anche se è sostenuta dai Platonici. Sarebbe quindi curioso se egli avesse chiamato quegli oggetti "questa sostanza" senza alcuna ri­ serva. Dunque è più probabile che la sostanza di cui si fa parola sia quella sensibile, e che il libro XIV si agganci, come il libro XIII, anche se in modo indipendente da esso, alla trattazione

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che della sostanza sensibile era stata offerta nei libri centrali della Metafisica 5 3 .

2 3 . Le varie indagini circa le sostanze non sensibili (oppure eterne) Finora ci si è soffermati sulla trattazione che Aristot ele offre delle posizioni che altri pensatori, e soprattutto i Plato­ nici, avevano adottato circa l' esistenza di sostanze non sensi­ bili, alcune delle quali (ma non tutte) erano concepite come cause delle cose sensibili . Egli, come si è visto, parte dall' am­ missione che la sost anzialità di certe cose sensibili non è in discussione, mentre c'è controversia su quali entità, ritenute essere sostanziali, siano da postulare oltre ad esse, ed eviden­ temente in qualche rapporto con esse. Questo rapporto però è diretto e di tipo causale solo nel caso delle Idee ed eventual­ mente dei numeri intesi in una certa maniera (come proprietà delle cose sensibili da parte dei Pitagorici) . Altrimenti si ritiene che le entità in qualche modo fondamentali consistano nei numeri (ai quali eventualmente riportare le Idee) , e che i nu­ meri stessi siano derivati da due principi o "elementi" , l'Uno e la Diade indefinita. Questi due principi sono principi , in modo diretto, solo dei numeri, ma, quando si ammetta (come ammet­ tevano certi Platonici) una derivazione degli enti geometrici dai numeri, e si ritenga che questi enti siano più sostanziali delle cose sensibili (perché ne costituiscono i limiti o per altre ragioni), si ha che in modo indiretto tutta la realtà è spiegata tramite il ricorso a quei due principi. Come si può vedere, quando viene adottato questo approc­ cio ha senso dire, come fa Aristotele, con riferimento alla posizione dei Pitagorici, in un passo citato sopra (sezione

" Si può rile\'are che, in quesro come in altri contesti, il singolare "sostanza" (ousia) non indica una sostanza individuale, ma ha senso col­ lettivo.

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2 1 ) : "cerchiamo (o indaghiamo) i principi che si trovano nelle cose immobili" (XIV 3 . 1 09 1 a20- 1 ) . Una volta infatti che siano ammesse sostanze differenti da quelle sensibili, ci si può porre delle questioni circa i principi e/o elementi che spiegano queste sostanze stesse. Ovviamente l'indagine che Aristotele con­ duce, da questo punto di vista, nei libri XIII e XIV, ha scopo distruttivo, perché viene a mostrare le difficoltà cui vanno incontro coloro che ritengono che i numeri siano sostanze e che si possano derivare dai due principi citati. Rilevare tali difficoltà costituisce una ragione per escludere che i numeri possano essere trattati alla stregua di sostanze. C'è però da domandarsi se per Aristotele stesso, e riguardo ad altre so­ stanze, distinte da quelle sensibili, ha senso condurre un' ana­ loga indagine riguardante i loro principi. Vedremo fra poco che una risposta positiva a questa do­ manda si può dare solo riconoscendo che la posizione aristote­ lica è più complessa di così. Per il momento va sottolineato che un'indagine concernente l' esistenza di sostanze non sensibili, oltre a quelle sensibili eterne costituite dagli astri, è contem­ plata alla fine di VII 1 6 , dopo una critica che Aristotele rivolge ai Platonici per aver postulato delle sostanze incorruttibili che sono identiche per forma a quelle corrut tibili, delle quali viene detto che sono quelle che conosciamo ( 1 040b3 3 ) ; questa po­ stulazione risiede nel dire che ci sono l'uomo in sé e il cavallo in sé e consiste in nient' altro che nell' aggiungere alle cose sensi­ bili la parola "in sé" . Il passo è il seguente: «Eppure, anche se non avessimo mai visto gli astri, nondi­ meno, io credo, ci sarebbero state delle sostanze eterne oltre a quelle che conosciamo; perciò, anche ora, se non sappiamo quali esse siano, tuttavia è necessario, presumibilmente, am­ mettere che ce ne siano alcune» ( 1 040b34-104 1 a3 ) . Il passo non è esente d a ambiguità, perché d a un lato viene suggerito che già l' esperienza sensibile ci mette a contatto con delle sostanze, gli astri, che non sono corruttibili, dall' altro

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viene suggerito che, anche se di questi non avessimo alcuna esperienza, dovremmo postulare delle sostanze eterne, le quali però, si lascia intendere, sarebbero non sensibili, a differenza degli astri. L'ambiguità concerne anche l' apparente equipara­ zione, nel passo precedente, delle cose sensibili a quelle cor­ ruttibili. Comunque sia, cercare di accertare quali siano le sostanze non corruttibili ed anche non sensibili chiaramente corri­ sponde a quanto troviamo nella seconda metà del libro XII, o piuttosto in alcune sue parti. Per quanto Aristotele, quando parla dell'indagine circa la sostanza non sensibile, nei passi che abbiamo considerato di Metaph. VII ed VIII , si riferisca pre­ valentemente all'indagine concernente le sostanze ammesse dai Platonici, che sono quelle solitamente da lui ivi menzionate (vedi supra, riguardo a VII 2, 1 1 , VIII l , ecc . ) , evidentemente ha in mente anche l'indagine riguardante le sostanze non sen­ sibili da lui stesso ammesse. La tesi, abbastanza diffusa fra gli studiosi, che certi contenuti di XII 6-10 contribuiscono ad un'indagine che è la pars construens rispetto alla pars destruens che è costituita dall'indagine che occupa buona parte dei libri XIII e XIV, probabilmente non è infondata. Ma allora ci si dovrebbe aspettare che ci sia una qualche corrispondenza fra queste due indagini. Questa corrispondenza non ci sarebbe se l'indagine degli ultimi due libri della Metafisica riguardasse la determinazione dei principi ed elementi di sostanze non sensi­ bili mentre l'indagine del libro XII riguardasse le sostanze non sensibili considerate come principi e cause delle sostanze sen­ sibili. Ci sarebbe un'evidente asimmetria fra le due indagini.

2 4 . Le indagini circa la causa prima e circa la sostanza immobile

in Metafisica XII, seconda metà Prima di affrontare in modo diretto la questione sopra sollevata, è opportuno dare uno sguardo ai contenuti della

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seconda metà del libro XII della Metafisica, considerandoli soprattutto dal punto di vista della presenza in essi di un'inda­ gine di tipo causale. Come vedremo, il grosso della trattazione che viene offerta in questo testo si muove sul piano dell'indi­ cazione delle cause effettive di dati processi fisici. Riprendendo un argomento che viene proposto nel libro VIII della Fisica, viene sostenuto che l'eternità del tempo ri­ chiede l'eternità del movimento, ma che questa eternità del movimento trova realizzazione non semplicemente se c'è sem­ pre del movimento ma se c'è un certo movimento che va avanti in eterno. E questo è appunto il movimento che viene attribuito ai corpi celesti (a partire dall' ammissione che essi siano da associare a sfere celesti invisibili che esistono eternamente, come è eterno il mondo tutto) . Una volta ammesso questo si richiede pure che i corpi celesti non si muovano in modo mec­ canico ma per l' azione dell' anima che ciascuno di essi possiede, ma questa azione può avere luogo solo se c'è un oggetto che è ad un tempo oggetto di pensiero e di desiderio cui essi tendono. (\1 a osservato che la celebre affermazione, in 1 072b3 , riguar­ dante il primo motore: "muove come ciò che è amato" , serve in effetti a chiarire il suo rapporto con le anime dei corpi celesti, come è mostrato dall ' aggiunta immediatamente successiva: "le altre cose muovono essendo mosse " , che riguarda appunto l'in­ fluenza causale esercitata da quei corpi celesti sulle cose del mondo sublunare.) Questo oggetto è al di là dei corpi celesti stessi, e viene fatto coincidere con i motori immobili, ammet­ tendo (nel cap . 8) una corrispondenza uno ad uno fra ciascun cielo e ciascun motore immobile (per un totale di 55 cieli e 5 5 motori immobili) . (L' argomento che viene ripreso dalla Fisica si trova all'inizio del cap . 6 , con una ripresa all'inizio del cap. 7 ; il resto di questo secondo capitolo concerne il punto dell' aspira­ zione delle anime celesti, la cui esistenza è qui data per scontata ma affermata esplicitamente in qualche passo del De caelo.) In realtà solo per un certo aspetto l'indagine che viene condotta in questa parte concerne i principi e le cause, perché

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essa viene introdotta, più o meno esplicitamente, come un'in­ dagine volta a stabilire ( l ) che ci sono delle sostanze, gli astri ed altri enti celesti, che sono sempre in movimento, e dunque esistono sempre, (2) che oltre agli astri, e al di là di essi, c'è una sostanza ( tipo di sostanza) immobile che deve essere postu­ lata come causa o principio del loro movimento eterno; (3 ) che questa sostanza immobile presenta certe caratteristiche (come quella di essere pensiero di pensiero); (4) che di questa sostanza immobile c'è un certo numero di esemplari, in corrispondenza con le sfere celesti (invisibili) che sottostanno agli astri. Tutta­ via le indagini al pun t o (2) e al punto (4), e forse anche quella al punto (3 ) , mettono in gioco la questione delle cause e dei prin­ cipi, perché si tratta appunto di identificare quelle sostanze che debbono essere postulate come cause e principi dei movi­ menti che sono presentati dai corpi celesti. Questo risulta con sufficiente chiarezza anche dalle dichiarazioni fatte dallo stesso Aristotele. N el cap. 6 Aristotele, dopo avere rigettato il ricorso dei Platonici alle Idee con l'affermazione che in esse non è pre­ sente un principio (arche) capace di produrre mutamento (cfr. 1 07 1b 1 5 -6), propone la sua alternativa con l' affermazione che "ci deve essere un principio (arche) tale che la sua sostanza (ousia) sia l' atto " ( 1 0 7 1b20) . Nel seguito Aristotele critica certi suoi predecessori, compresi coloro che, come Platone (con evi­ dente riferimento alla sua posizione nel Timeo) e come gli atomisti, avrebbero ammesso un movimento eterno, soste­ nendo che essi hanno peccato per non avere indicato una causa che sia costituita da qualcosa che è in atto ( 1 07 1b29 + b34 ) . Egli critica ugualmente l a postulazione, d a parte d i Platone, di un principio (arche) che sia tale da muovere se stesso (cfr . 107 1b3 7 - 1 072a2 ) . È abb astanza chiaro che queste costitui­ scono delle alternative alla posizione da lui proposta, sicché è sempre in gioco la questione di quale sia il prinrioio del movi­ mento nella realtà, che per Aristotele stesso non può che essere direttamente il principio del movimento degli enti celesti. =

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Conclusione dell'intera esposizione del cap. 6: "che biso­ gno c'è di cercare altri principi?" - anche se non è del tutto chiaro rispetto a quali dei principi da lui stesso ammessi tale ricerca risulta superflua. Nel capitolo 7 la questione viene ripresa, con precisazioni circa il modo in cui ciò che è in completa attualità ovvero il motore immobile esercita la sua azione rispetto ai corpi celesti, fra le quali c'è la ben nota asserzione che esso " muove come amato", dunque è oggetto di desiderio. Che il rapporto in questione sia un rapporto di causalità, presumibilmente solo di tipo finale 54, è mostrato dal passo in cui Aristotele si pre­ occupa di mostrare che la finalità è operante anche nell'ambito delle entità immobili (cfr. 1 072b l sgg.). Al proposito Aristo­ tele afferma che il motore immobile è principio (arche, 1072b l l), aggiungendo poco dopo: "Da un tale principio di­ pende il cielo e la natura" ( 1 072b 1 3 -4 ) . Se si ammette, come ammettono solitamente gli studiosi, che per "natura" egli in­ tende l'ordinamento cosmico complessivo (anche perché que­ sto è quanto viene suggerito dalla trattazione del cap. lO), si ha certamente che il motore immobile è principio di tutto, ma pare significativo che venga menzionato il cielo (ouranos), per­ ché ciò suggerisce che esso è principio in modo diretto del movimento dei corpi celesti e solo in modo indiretto di quanto avviene nel mondo sublunare. Una parte del cap. 7 è dedicata alla presentazione della condizione del motore immobile, affermando che la sua vita è puro pensiero, e in questa connessione si dice espressamente che esso è "il dio" o è divino (cfr. 1 072b 1 4 sgg . ) . Sulla condi­ zione del motore immobile, con la precisazione che il suo pen­ siero è pensiero di pensiero, Aristotele ritorna nel cap. 9, il cui tema è apparentemente (se si guarda a come è introdotto: " ci sono alcune difficoltà circa l'intelletto ") l'intelletto o intelli54 Qui non mi interessa precisare se è così, perché non desidero en­ trare in una controversia che renderebbe questo saggio ancora più lungo.

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genza in generale, e non esclusivamente quella divina. Comun­ que sia, la questione dell' � ssere causa o principio del motore immobile in questi passi non viene presa in considerazione. Alla conclusione di questa trattazione Aristotele afferma che "è evidente da quanto è stato detto che esiste una sostanza che è eterna e immobile e separata da quelle sensibili" (1 073a3 -5 ) . Come s i può vedere, l a preoccupazione principale, i n questa trattazione, è quella di stabilire l'esistenza di questa sostanza (che può non essere unica). Poiché però stabilire la sua esi­ stenza è legato al riconoscimento che essa costituisce la causa o principio del movimento eterno e costante dei corpi celesti, questo diventa un altro tema che viene considerato nei due capitoli. Questo secondo tema acquista maggiore centralità nel cap . 8, dove il tema che viene proposto dichiaratamente (all'inizio del capitolo) è quello se di sostanze eterne e immobili e sepa­ rate ce ne sia una soltanto o più di una, e, nel secondo caso, quante esse siano. Aristotele però pone queste sostanze in rapporto con i cieli ai quali sono associati i corpi celesti (sulla b ase della teoria eudossiana delle sfere celesti concentriche), e, nel fare questo, le presenta anche come dei principi (cfr. 1 07 3 a23-4: "il principio e il primo degli enti . . . "; 1 074a1 5 : "le sostanze e i principi che sono immobili sono tanti " ; 1 074a3 1 -3 : "se i cieli sono molti come gli uomini, il principio per ciascuno di essi sarà uno nella specie ma [il totale] è molti di numero" ) . Anche il confronto con la teoria delle idee che viene proposto poco dopo l'inizio del capitolo va nello stesso senso: le idee sono esse stesse ciascuna un principio o una causa (an­ che se ciò non viene rilevato in modo esplicito) , ma sono ri­ portate ai numeri, sicché si pone la questione se si deve porre un limite come il numero 10. La trattazione del cap. 8 ha come suo esito la postulazione di una pluralità (relativamente numerosa) di motori immobili, ciascuno associato ad una sfera celeste, ammettendo tuttavia che fra questi motori c'è un certo ordine (quelli associati alla

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sfere più esterne hanno priorità su quelli associati alla sfere più interne del sistema di sfere concentriche) e che uno di questi motori, quello associato alla sfera che ingloba tutte le altre, è in qualche modo il principio dei principi. (È a questo modo, penso, che si può intendere la t esi dell'unicità del cielo, che coincide con la sfera più esterna, e del motore primo e immo­ bile che viene affermata in l 07 4a3 1 sgg. Di motore che è primo e che produce il movimento che è primo, dunque quello della sfera più esterna, si parla anche in 1073a23 sgg. Che il numero complessivo dei motori immobili sia quanto quello delle sfere concentriche, cioè forse 5 5 , viene affermato in modo sufficien­ temente esplicito in 1074al4 sgg . , e sembra ragionevole esclu­ dere che le due tesi siano in contraddizione diretta. )

25 . La spiegazione dell'ordine del mondo e dei processi che in esso

si verificano Per completare il qudro, va rivolto un rapido sguardo all'ultimo capitolo del libro . Aristotele in questo capitolo si preoccupa di sot tolineare che l'ordine dell'universo è giustifi­ cato in modo soddisfacente solo se si ammette un principio che ne costituisce il bene e che è separato da esso, al modo del generale e (a quanto pare) del capo-famiglia. Questo punto, che viene suggerito dall'inizio del capitolo , viene ribadito sia alla conclusione (con richiamo al celebre passo america che afferma che il comandante deve essere unico) sia nel corso dell' esposizione, affermando che, "se oltre alle cose sensibili non ci fosse altro , non ci sarebbe neppure un principio, né ordine né generazione né le cose celesti . . . " ( 1 075b24-6) . Da cenni come questo si può desumere che quello che per Aristo­ tele deve essere spiegato, postulando i motori immobili come cause necessarie (ma non sufficienti), è ( l ) il movimento che è presente nel mondo fisico e che è condizione di ogni altro processo (non a caso nel cap . 6 egli aveva polemizzato con

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quei pensatori, fra i quali menziona espressamente Platone e Democrito, che avrebbero ammesso l'esistenza di un movi­ mento disordinato che sussiste da sempre) , (2 ) l' ordine per il quale il mondo fisico è un "cosmo " . Egli non pare invece ritenere che l'esistenza del mondo fisico abbia bisogno di una spiegazione del genere, perché esso è qualcosa di eterno. Il grosso del capitolo è polemico, perché volto a mostrare che tutte le alternative che erano state proposte dai predeces­ sori di Aristotele non sono soddisfacenti. Una critica che Ari­ sto tele rivolge ad alcuni di essi (presumibilmente i Platonici con la loro postulazione di un principio contrario all'Uno) è di dover ammettere una condizione contraria (sul tipo dell'igno­ ranza) alla "sapienza e alla scienza più alta", mentre egli non deve fare questo, perché non c ' è nulla che sia contrario a ciò che è primo (cfr. 1 075b20 sgg . ) . Il passo pare richiamare uno di Metafisica I 9, dove viene detto che la sapienza è alla ricerca della causa riguardante i fenomeni, ma questa non viene ad­ dotta dai Platonici, perché non dicono nulla della causa che è l'origine del movimento, oltre a non riuscire a precisare quale sia la sostanza che sottostà ad essi (cfr. 992a2 4 sgg . ) . La causa dei fenomeni anche per Aristotele è al di là dei fenomeni, ma è una causa attiva, al modo in cui non lo sono né le Idee né i numeri . Nel libro XII l' adozione di questo punto di vista porta alla postulazione di sostanze soprasensibili che sono i motori immobili che causano il movimento dei corpi celesti . A questo modo essi assicurano (o giustificano) anche l'ordine comples­ sivo del mondo, sicché la ricerca della causa riguardante i fe­ nomeni ha un esito positivo. Le ulteriori ricerche, come ab ­ biamo visto, concernono l' attività che è esercitata dai motori immobili, la causalità che è messa in atto da essi nei confronti delle sfere celesti, e il numero e l'ordine che essi presentano. Dando uno sguardo all'intera trattazione, si può conclu­ dere che, nella misura in cui anche l'indagine che viene con­ dotta da Aristotele nella seconda parte di Metafisica XII ri­ guarda le cause e i principi, essa costituisce in qualche modo

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un' alternativa all'indagine che viene condotta dai Platonici (così come viene descritta negli ultimi due libri dell'opera), perché essa è volta alla ricerca di principi non sensibili (ed immobili ed eterni) di sostanze che sono sensibili ma non cor­ ruttibili (anche se l' approccio aristotelico non è del tutto esente dall' ambivalenza che sarà rilevata più sotto, sezione 28). Si t �atta di un' alternativa all'indagine che viene condotta dai Platonici perché essa si muove comunque nell'ambito di ciò che è eterno o incorruttibile ed è volta all'individuazione di principi e/o cause che appartengono a quest ' ambito. Questi principi, che coincidono con i motori immobili che sono po­ stulati da Aristotele per rendere conto del movimento conti­ nuo degli enti celesti, sono in qualche modo anche i principi del resto della realtà, perché tutti i processi fisici sono condizio­ nati dalla doppia causalità celeste di cui si fa parola nel cap . 6 (e che viene descritta più in dettaglio in De gen. et corr. II 10). Essi corrispondono, da questo punto di vista, ai due "ele­ menti" (Uno e Diade indefinita) che sono postulati dai Plato­ nici, perché questi spiegano in modo diretto la costituzione dei numeri ideali, ed in modo indiretto la costituzione del resto della realtà. L'ammissione di una doppia causalità risponde dichiarata­ mente all'esigenza di spiegare ad un tempo la condizione di ciò che si verifica sempre allo stesso modo, dunque in modo co­ stante, e la condizione di ciò che si verifica in modi differenti . Per esempio la riproduzione dei viventi (che viene considerata nel passo di De gen. et corr. II l O) è sia un processo che si verifica in modo continuo sia un processo che è scandito da certi periodi (animali e piante solitamente si riproducono in primavera) . Come si può vedere, la preoccupazione di Aristo­ tele è di offrire una spiegazione causale che sia aderente ai fenomeni da spiegare, ammettendo due cause quando una non è sufficiente allo scopo. Questa preoccupazione però va oltre la postulazione di due cause come queste, anche se non è esplicitata nel passo ora considerato della Metafisica.

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26. Il requisito di omogeneità fra principi e cose di cui questi sono

i principi Il modo di procedere che viene adottato da Aristotele ri­ sponde ad un requisito che egli formula, nella maniera più chiara ed estrema, in De caelo, I II 7 . 3 06a5 sgg . , e cioè che fra i principi e ciò di cui essi sono i principi ci sia omogeneità, per cui i principi delle cose sensibili sono sensibili, i principi delle cose eterne sono eterni, ed i principi delle cose corruttibili sono corruttibili. Che Aristotele abbia presente questo requi­ sito di omogeneità anche nella Metafisica è abbastanza chiaro da certi passi cui ho fatto riferimento in precedenza. In XII l . 1069b l -2, egli pare assumere che non ci possa essere un princi­ pio comune alle sostanze sensibili e a quelle non sensibili (anche se finisce col trattare i motori immobili come principi di so­ stanze sensibili ma non corruttibili). Il divario fra ciò che è corruttibile e ciò che è incorruttibile è da lui rilevato in Metaph. X 10, ed esso porta al riconoscimento , in XII 10. 1075 b 1 3 -4 , che non s i possono indicare gli stessi principi per cose corrutti­ bili e cose incorruttibili. Infine, nel libro III, viene presentata almeno come una questione aperta se i principi delle cose cor­ ruttibili e di quelle incorruttibili sono gli stessi. Si può rilevare ancora che questo requisito di omogeneità viene fatto valere in An. post. II 12 per le cause nella loro azione nel tempo: le cause di eventi nel presente sono operanti nel presente, le cause di eventi nel passato sono operanti nel passato, le cause di eventi nel futuro sono operanti nel futuro. Può sembrare che Aristotele voglia qualificare ques ta tesi in Metaph. XII 3 . l 070a2 1 sgg . , dove sono le cause formali che sono dette essere contemporanee ai loro effetti, mentre le cause efficienti sono dette precedere gli eventi da esse causate. Tuttavia è possibile che egli intenda dire che per esempio il genitore, che è la causa efficiente del figlio, lo precede nella sua esistenza, ma che nel processo del concepimento si realizza una forma di contemporaneità fra ciò che causa e il suo effetto.

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Comunque sia, il passo degli Analitici secondi è indicativo della tendenza aristotelica ad ammettere una omogeneità nei rap­ porti che si stabiliscono fra un principio e ciò di cui esso è il principio ovvero fra una causa e ciò di cui essa è la causa. È abbastanza chiaro che questo requisito non può valere in modo assoluto, perché altrimenti non si potrebbe sostenere, come Aristotele evidentemente fa, che certe entità eterne e incorruttibili (come sono appunto i motori immobili e i corpi celesti) possano costituire i principi e/o le cause di entità cor­ ruttibili . Ma non si deve neppure ritenere, credo, che il requi­ sito di omogeneità sia senza importanza oppure sia stato ab­ bandonato ad un certo stadio del suo pensiero. Io penso (ma potrei giustificare questa tesi solo con un esame approfondito di testi che non appartengono alla Metafisica, perché è in gioco quello che si può chiamare il dipartimentalismo aristotelico) che Aristotele intenda fare valere questo requisito non in modo assoluto ma quando si tratt a di individuare ciò che co­ stituisce il principio e/o la causa di qualcosa nel modo più diretto. Per esempio (vedremo alla sezione 27 che questo esem­ pio compare in XII 5) se si deve spiegare la generazione di un nuovo vivente, si deve ricorrere in primo luogo ad un principio della stessa specie, secondo il detto frequente che "un uomo genera un uomo". Ma questa spiegazione non è del tutto ade­ guata, e bisogna pure ricorrere a dei principi o cause che ope­ rano in maniera meno diretta, fra le quali c'è il sole con la sua traiettoria. Il sole non costituisce una causa sullo stesso piano del genitore, che è manifestamente una causa omogenea, per­ ché è (almeno agli occhi di Aristotele) una entità incorruttibile, ma la sua introduzione è anch' essa indispensabile, perché la generazione non si verifica senza l' azione del sole. L' approccio corretto sta nell'individuazione in un primo momento delle cause omogenee, che sono quelle che operano nel modo più diretto, in un secondo momento anche delle cause non omoge­ nee che operano in modo non diretto ma che sono anch'esse indispensabili.

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In questa prospettiva non è più sorprendente che Aristo­ tele dedichi la prima metà del libro XII, dopo il primo capitolo, ai principi e alle cause - inoltre agli elementi - delle sostanze sensibili corruttibili e anche di entità non sostanziali. Questo tipo di considerazione risponde per l' appunto all'esigenza di indicare cause che siano omogenee rispetto alle cose di cui sono le cause. Questa omogeneità è in effetti anche segnalata espres­ samente da Aristotele quando per esempio afferma che i prin­ cipi di cose individuali sono essi stessi individuali (cfr. 5 . 107 l a20- 1 ) . Nella seconda metà del libro, dunque i n un se­ condo momento, egli rivolge l'attenzione a principi e cause che, rispetto alle cose sensibili corruttibili, sono tali in modo indiretto . Per altri versi, certo, come sarà da indicare nel se­ guito, non c'è tutta questa continuità fra la trattazione della prima e della seconda metà del libro, perché solo quest'ultima è una ricerca dei principi e delle cause reali delle cose .

2 7 . L'indagine circa le cause, i principi e gli elementi nella prima

metà del libro XII Nel libro XII della Metafisica si parla (come si ricorderà) di una ricerca che riguarda i principi, gli elementi e le cause della sostanza (cfr. 1 069a25 -6) . Il fatto che si parli di elementi (stoi­ cheia), come avviene anche nel seguito, sia pure con riferi­ mento alla sostanza sensibile (cfr. 1 069a32-3) , fa pensare ad un privilegiamento delle cause interne alle sostanze. Nel cap. 2 (procedo in modo schematico) viene sostenuto che, essendoci quattro tipi principali di mutamento (metabole), ed essendo il mutamento sempre un processo che intercorre fra due estremi che sono contrari e che richiede un terzo termine che permane nel mutamento, ci sono tre cause e tre principi (tria ta aitia kai treis hai archai) ( 1 069b32-3) . Due di queste cause o principi (viene aggiunto) sono una coppia di contrari, di cui uno è la ragione e la forma (logos kai eidos) e l' altro la

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privazione. Quanto alla terza causa o al terzo principio, questo è la materia. È quasi superfluo sottolineare che Aristotele non intende sostenere che, alla lettera, ci sono solo tre cause o tre principi che sono all'origine di tutti i processi che coinvolgono le sostanze sensibili. La sua tesi è piuttosto che, in ogni processo dato, noi possiamo individuare tre termini - rappresentati da cose diverse nei casi particolari - che fungono l'uno da forma, l'altro da privazione e il terzo da materia nel processo stesso. Si tratta dunque di chiarire quali sono i requisiti generali (e in qualche modo formali o strutturali) che debbono essere soddisfatti da ogni processo che si prenda in considerazione. (Il fatto che anche la privazione sia considerata alla stregua di una causa conferma la conclusione che il termine si presta ad usi molto vari.) Il procedimento non cambia nel capitolo 3, perché in esso materia e forma sono trattati come i termini ultimi (eschata) che non si generano nel corso del processo, sebbene la materia stessa sia soggetta a mutamento, e sia soggetta a mutamento ad opera di qualche cosa, che è il primo motore 55, e in vista di qualcosa, che è la stessa forma. Il primo motore coincide con le cause motrici delle quali si dice che precedono quanto è causato da esse, mentre della forma viene detto che è causa in contem­ poraneità con quanto è causato da essa. Il capitolo contiene varie altre precisazioni dello stesso genere, per esempio con­ tiene una distinzione rigu ardante i modi di generazione delle sostanze, se per natura o per arte o per caso. Nel capitolo 4 si adotta una distinzione fra elementi e prin­ cipi o cause, che è data dal fatto che i primi sono solo interni alle cose sensibili. Degli elementi si può dire che sono identici per analogia non solo nel caso delle sostanze ma anche nel caso di entità non sostanziali. Per esempio nel caso del colore il bianco è la forma, il nero la privazione, la superficie è la materia; nel caso del giorno e della notte il primo è la forma, la seconda è la 55

"Primo" evidentemente nel senso di "prossimo" .

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privazione, mentre l'aria è la materia. Le cause e i prine1p1 includono, in aggiunta, la causa prima del mutamento. Anche nel loro caso c'è un'identità per analogia, in quanto non sono sempre le stesse cose che fungono da cause. Per esempio, nel­ l' ambito della medicina la salute è la forma, la malattia è la privazione, il corpo è la materia, mentre la causa motrice è l'arte medica. Come si può vedere, Aristotele , in questo modo, rende chiaro che, quando egli dice che gli elementi sono tre e le cause quattro, non sta parlando di tre o quattro fattori che siano all'origine di tutti i processi nel mondo fisico, ma del fatto che in ciascun processo si possono identificare quei tre o quattro fattori, che sono rappresentati da quelle cose concrete che fun­ gono da causa o da elemento in uno dei sensi che sono presi in considerazione . (Va osservato che in questo testo egli fa un uso molto lasco del termine stoicheion, perché non è chiaro in che senso la privazione possa costituire un elemento . ) I l discorso nel capitolo 5 è in continuità con questo. Quello che viene reso esplicito è che delle cause si può parlare sia in universale sia nei casi particolari. L'uomo genera l'uomo, ma è l'uomo Peleo che genera l'uomo Achille. Anche il motivo del­ l' analogia che era stato introdotto nel capitolo precedente viene ripreso. C ' è tuttavia una complicazione. In tutta questa trattazione, come si può vedere, Aristotele non sta offrendo spiegazioni causali riguardo dati processi, ma sta parlando di certi requisiti generali che debbono essere sod­ disfatti da tali spiegazioni causali. Si può aggiungere che alcune delle cose che vengono da lui dette al proposito presentano delle coincidenze con quanto troviamo nella Fisica (libri I e Il) e anche con quanto troviamo nei capp. 7-9 del libro VII della Metafisica oppure (come ho indicato in precedenza) nel cap. 4 del libro VIII. Tuttavia egli non tiene sempre ben distinto questo piano del discorso dalla considerazione delle cause effettive dei processi. Ciò si verifica appunto in un passo del cap. 5, dove egli afferma che, accanto alla materia, alla forma che è propria a quella so-

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stanza e alla causa esterna (esemplificata dal padre), ci vuole, nella generazione di un vivente, anche l'azione del sole e quella del cerchio obliquo (cioè del suo movimento lungo l'eclittica), da lui trattati come cause motrici (cfr. 107 1 al l-7). Su questa azione del sole e del cerchio obliquo egli si dilunga anche nel cap. 6, 1 072a7 sgg. È sufficientemente chiaro che egli ha in mente il quadro delle azioni fisiche che viene da lui descritto più ampia­ mente in De gen. et corr. II 10. Ma in questo caso non si tratta più di parlare di requisiti generali che debbono essere soddisfatti dalle spiegazioni causali nei singoli casi, ma si tratta di indicare le cause effettive di dati processi fisici. Il fatto che queste cause siano condizioni di una larghissima varietà di processi facilita questa confusione di piani che viene compiuta da Aristotele. La trattazione che viene offerta nella seconda metà del libro XII si muove in parte proprio sul piano dell'indicazione delle cause effettive di dati processi fisici, ma il passaggio dalla prima alla seconda metà del libro è favorito dalla confusione di piani. In conclusione, mi pare che si debba riconoscere la diver­ sità che c'è fra la trattazione che viene fornita nella seconda metà del libro XII e quella che viene fornita nella sua prima metà. Solo la trattazione della seconda metà risponde, seppure solo in parte, ad una ricerca delle cause concrete dei processi che si verificano nel mondo fisico, mediante la postulazione di entità che sono extra-fisiche. È una ricerca che appartiene alla fisica, anche se con un passaggio, se si vuole, dalla fisica alla metafisica (nel senso letterale del secondo termine). La tratta­ zione che viene fornita nella prima metà è assai diversa, perché essa risponde ad una indagine di secondo ordine concernente i requisiti che debbono essere soddisfatti dalle cose concrete per fungere da causa in uno dei sensi che sono distinti da Aristo­ tele. Di questa indagine si può sostenere, mi pare, che è di tipo antologico, anche perché pare andare oltre i limiti che sono presentati da una fisica generale (questa deve pur sempre oc­ cuparsi di sostanze naturali). Si può ugualmente sostenere che, nei passi della Metafisica nei quali Aristotele parla di una ri-

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cerca circa i principi e le cause della sostanza o delle sostanze, ha in mente questo tipo di indagine e non quella "fisica" della seconda metà del libro XII. Certamente si deve ammettere che egli non tiene questi piani sempre ben distinti.

28. L'ambivalenza dell'approccio aristotelico alle sostanze non

corruttibili Dobbiamo ora tornare ad una questione che era stata la­ sciata in sospeso (vedi supra, sezione 23). Una preoccupazione di Aristotele è quella di mostrare che debbono essere ammesse, accanto a quelle sensibili e mobili, delle sostanze non sensibili ed immobili, che però sono assai diverse dalle idee e dalle altre entità sostanziali non sensibili ed immobili che erano state ammesse dai Platonici. Questo approccio tuttavia sembra in­ tersecarsi con un altro approccio, che parte dall'ammissione che ci sono due indagini che si muovono su piani differenti, quella fisica che concerne direttamente le sostanze sensibili mobili corruttibili e le sostanze sensibili mobili eterne, e quella extrafisica (non qualificata positivamente ma solo negativa­ mente per essere differente dalla prima) che concerne le so­ stanze immobili (ed eterne). Questa distinzione è suggerita in XII l . 1 069a30 sgg . , a partire dall'enumerazione di questi tre tipi principali di sostanze, ma lasciando intendere che l'inda­ gine extrafisica non concerne esclusivamente la sostanza ( tipo di sostanza) ammessa dallo stesso Aristotele ma anche la sostanza separata ammessa dai Platonici, che può essere fatta coincidere con le idee, a loro volta ritenute avere la stessa natura degli enti matematici (è la posizione di Platone), oppure con gli enti matematici da soli (è la posizione di Speusippo), oppure con due classi di entità, in quanto le Idee e gli enti matematici sono tenuti distinti (è la posizione di Senocrate). Il riferimento è dunque all'indagine che, come abbiamo visto, viene condotta negli ultimi due libri della Metafisica . =

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Aristotele dice in quel passo che ci deve essere una scienza o indagine diversa da quella fisica, "se non c'è un principio comune a quei tipi di sostanza" ( 1 069b l -2) , ma ovviamente questo non c'è, se la richiesta è, come pare essere, che ci siano dei principi sia per le sostanze immobili sia per quelle mobili , a prescindere dunque dal fatto che le sostanze immobili stesse possano essere in qualche modo i principi di quelle mobili . Come abbiamo visto, i Platonici effettivamente ammettevano dei principi per le sostanze immobili da essi ammesse. Viene fatto cioè valere il requisito di omogeneità del quale si è fatto parola in precedenza (supra , sezione 26) 5 6 • Quanto all'indagine di tipo fisico, c'è un riferimento ad essa anche nel cap . 8 del libro XII, dove, parlando dell'eter­ nità e continuità del movimento del corpo che si muove cir­ colarmente, cioè delle sfere celesti, viene detto che ciò è stato mostrato nella Fisica (con evidente riferimento al libro VIII dell'opera) (cfr. 1 07 3 a3 1 - 2 ) . Non solo viene tenuto conto di questa argomentazione che si trova in quell' altra opera , ma la descrizione più dettagliata dei rapporti causali che intercorrono fra i corpi celesti e quelli che appartengono al mondo sublunare, a cominciare dai quattro elementi, viene fornita in De gen. et corr. I I , come è già stato rilevato in precedenza. 5 6 Prede concorda nell'ammettere che il "principio comune" ai due (sensibile e non sensibile) o ai tre tipi di sostanza di cui si è fatto parola non può coincidere con uno di essi, ma ritiene di poter ravvisare tale principio comune nel primo motore immobile - primo rispetto ai motori immobili considerati nel cap. 8 e tenuto distinto da essi (cfr. M. PREDE, Metaphysics A l , in M. PREDE-D. CHARLES (eds .), Aristotle's Metaphy­ sics Lambda. Symposium Aristotelicum, Oxford 2000, pp. 5 3-80, partic . pp. 73 -7). Tuttavia nel cap. l si parla esclusivamente di due o tre tipi principali di sostanza, sicché tutti i motori immobili rientrano indistin­ tamente nella sostanza non sensibile ed immobile (considerata collettiva­ mente). Inoltre (come lo stesso Prede deve ammettere) Aristotele non presenta mai il primo motore immobile come un principio per gli altri motori immobili.

LO STIJDIO DELL'OYl!A E L'INDAGINE SULLE CAUSE

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Dobbiamo dunque tenere distinti due approcci. I l primo concerne la determinazione di quali siano i tipi principali di sostanze che debbono essere ammessi e di quale sia l'ordina­ mento che deve essere ritenuto sussistere fra di essi, stabilendo dunque ciò che viene prima in tale ordinamento e che pertanto costituisce il principio. Essa concerne ugualmente l'esclusione delle principali teorie alternative, considerate nella loro genera­ lità (come awiene nel cap. 10 ma anche in altre parti, come alcuni passi dei capp. 6 e 7). Il secondo approccio si articola invece in una indagine fisica concernente le sostanze sensibili (dando per ammessa la loro esistenza e, nel caso dei corpi celesti, anche la loro eternità) e in una indagine extrafisica concernente le sostanze non sensibili. Entrambe le indagini hanno come ob­ biettivo la determinazione dei principi di queste sostanze stesse. C 'è però una complicazione che riguarda il secondo ap­ proccio . Nel caso dell'esame delle posizioni che sono adottate dai Platonici la ricerca si svolge effettivamente, e dichiarata­ mente (cfr . XIV 3 . 109 1 a2 0- 1 , citato sopra), nell'ambito delle cose immobili e soprasensibili, salvo stabilire negativamente che tali cose non costituiscono genuine sostanze. Nel caso invece della ricerca che Aristotele conduce in positivo essa, come abbiamo visto, non si muove esclusivamente nell'ambito delle cose immobili e soprasensibili, perché il suo punto di partenza è costituito dai corpi celesti (cioè dalle sfere concen­ triche cui sono associati gli astri) e solo il suo punto di arrivo è costituito da sostanze immobili e soprasensibili. Aristotele stesso non evidenzia questa disparità rispetto all' altra inda­ gine, ma tende a presentar la come se si muovesse esattamente nello stesso ambito, quando questo non è così, perché una ricerca dei principi del tutto limitata all' ambito del soprasen­ sibile non viene mai da lui prospettata, e neppure è facile immaginarsi quale essa potrebbe essere 57• C'è dunque un' am57 M. FREDE, nell'Introduction a M. FREDE·D . CHARLES (eds.), Ari· stotle's Metaphysics Lambda, cit . , p. 6, si rende conto di questo fatto,

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bivalenza di fondo nell' approccio adottato da Aristotele, della quale egli non pare essere consapevole. Quest'ambivalenza è riscontrabile anche altrove. C ' è da rilevare, in primo luogo, che l'aporia che concerne più diretta­ mente la questione dell'identità dei principi per le sostanze dei vari tipi o livelli, cioè la decima aporia del libro III, è formulata espressamente come la difficoltà se i principi delle cose corrut­ tibili e i principi di quelle incorruttibili sono gli stessi oppure no (cfr. l . 996a2-4 e 4 . 1000a5 sgg . ) . Ma le cose incorruttibili nella prospettiva aristotelica (a differenza da quella platonica) non coincidono con quelle soprasensibili, appunto perché i corpi celesti sono anch'essi ritenuti eterni. Aristotele, come abbiamo visto in precedenza, ha in mente questo divario anche nel cap. lO del libro X della Metafisica, dove viene prospettat a un'opposizione fondamentale fra ciò che è corruttibile e ciò che non è corrut tibile . Tale divario viene richiamato nello stesso libro XII, perché in 10. 1075b13-4, egli critica gli altri pensatori per non avere saputo indicare perché alcune cose sono corruttibili e altre incorruttibili in quanto fanno derivare tutte le cose dagli stessi principi. Nel seguito però (come ab· biamo già visto) egli insiste sul fatto che ci vuole una sostanza al di là di quelle sensibili se si vuole riconoscere un principio adeguato a spiegarle . E questo è anche il tenore dell'esposi­ zione precedente, a partire dal cap . 6. È possibile che un' ambiguità nella presentazione delle que­ stioni da discutere sia riscontrabile nel cap. l del libro. Anche se accettiamo la correzione solitamente adottata dagli studiosi

quando osserva: "And since later in the first chapter we distinguish be· rween two, or three, kinds of substances, respectively, we might rhink rhar, in rhe first part of A, we will get an inquiry into the causes and principles of sensible subsrances and, in the second part , an inquiry into rhe causes and principles of immaterial substances. This expecta· rion is fully met by the firsr part, but sorely disappointed by rhe second parr". Egli non nota l'ambivalenza da me segnalata.

LO STCD!O DELL'OY�IA E L'l:">. Vitally, the building craft is the immaterial form or essence of the building, resident in the builder's soul before he imposes that same essential form on the bricks and mortar. In the light of all this, we can return to the enigmatic pronouncement of Physics II 8, "It is ridiculous for people not to believe that something is coming about for the sake of something if they do not see that the moving cause has delib­ erated. Yet craft too does not deliberate". Aristotle does not mean to deny that the craftsman deliberates. But the crafts2� Notice how Aristotle develops this point without for a moment wanting ro minimize the role of conscious deliberation in the process by which the form is transferred to the external matter. For a builder's deliberation, cf. also De part. anim. I l . 639b25-30.

TELEOLOGY. ARISTOTEUAN AND PLATONIC

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man is not, in the strictest sense, the moving cause. The ulti­ mate moving cause is, as we have seen, the craft itself, identi­ fiable with the essential form of the product resident all along in the craftsman's soul. And that ultimate moving cause does not do any deliberating. Seen in this light , Aristotle's strategy is not, as often thought, to deny that deliberation is on the one hand present in crafts but on the other hand absent from nature. His point is rather that, when you strip down to its hard core the causality by which in each of the two domains the moving cause oper­ ates, the deliberation that occurs in craft becomes a strictly ancillary factor. In craft and nature alike, an essential form serves as a moving cause which brings about its own imposition on the relevant matter. The form of the building, present initially in the builder's soul, prompts the movements which end in that same form's being fully present in the bricks and mortar. The form of pig, present originally in the piglet's father and later progressively in the piglet itself, prompts the movements which end in that same form's being fully realized in the mature adult pig. The use of analogy, such as Aristotle's craft-nature ana­ logy, unavoidably requires that some gap remain between the two compared items . At the same time, however, the greater the number of differences between the analogically related items that can be eliminateci or marginalized the more persu a­ sive and informative the analogy becomes. Differences un­ doubtedly remain between the two processes, and the fact that deliberation plays a part in craft but not in natural pro­ cesses is one of these. But such differences in Aristotle's eyes should not be allowed to mask the underlying isomorphism between the two causai processes. And pointing out that in neither case does the ultimate moving cause, namely the essen­ tial form, do any thinking helps to confirm how deep that isomorphism runs. This is why the causai structure of craft really does enlighten us about the causai structure of nature.

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DAVID SEDLEY

3. Global teleology

Metaphysics Lambda 1 0 is the vital culminating chapter of Aristotle' s theology, and in it h e speaks fairly explicitly of a global teleology, attributing cosmic goodness to what he calls "the nature of the whole" ( 1 075 a l l -25): «We must consider also in which way the nature of the whole (� toù oÀ.ou q>ucnç) possesses the good and the best - whether as something separated and by itself, or as its arrangement . Or is it in both ways, like an army? For an army's goodness is in its ordering, and is also the generai. And more the generai, since he is not due to the arrangement, but the arrangement is due to him. All things are in some joint-arrangement, but not in the same way - even creatures that swim, creatures that fly, and plants. And the arrangement is not such that one thing has no relation to another. They do have a relation: for all things are jointly arranged in relation to one thing. But it is like in a household, where the free have least licence to act as they chance to, but all or most of what they do is arranged, while the slaves and beasts can do a litt!e towards what is communal, but act mostly as they chance to. For that is the kind of principle that nature is of each of them (totau-rfl yàp ÉKacrtou àpxlÌ aùr&v � q>ucnç Ècrtiv) . I mean, for example, that at least each of them must necessarily come to be dissolved; and there are likewise other things in which all share towards the whole». This passage has been unwelcome to Aristotelian scholars who deny that - following Plato' s lead - he advocates a global teleology, and some have sought to show that no such teleol­ ogy is intended. Just what structures he might mean to include in this cosmic nature, if such he intends, is uncertain, and not a topic on which I plan to dwell at length here, but the broader context leaves no doubt that it starts with the divine unmoved mover and the celestial movements it inspires, and that it extends down to terrestrial ecology, with a particular empha­ sis on the kinds of movement manifested at the level of ani-

TELEOLOGY, ARISTOTELIAN ANO PLATONIC

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mals 2 5 . M y aim in this final section is not t o explore the cosmologica! detail, but rather to provide confirmatory evi­ dence that Aristotle really does think there is, in addition to individuai natures, a global nature, causally governed by the unmoved mover. This global nature brings with it a global teleology, an d here once again Aristotle is closer t o his Pla­ tonic roots than is generally conceded. I shall start this time from II 4-6, and from Aristotle's denial there, in response to the atomists, that luck could ever account far the structure of the world t aken as a whole. The atomists' position on this is set aut, with some derision, in chapter 4 ( 1 96a24-35): «Some people consider the fortuitous the cause of this heaven and of ali the worlds, explaining that it was fortuitously that there arose the vortex and the motion which separated things and set the universe in this arrangement. This is pretty amazing. For on the one hand they say that animals and plants neither are nor come to be by luck, but that either nature or intelligence or some other such thing is their cause (it not being just anything that arises from each seed, but an olive tree from this one, a man

25 See fuller discussion in D. SEDLEY, Metaphysics A 1 0, in M. PREDE­ D. CHARLES (eds. ), Aristotle's Metaphysics Lambda. Symposium Aristoteli­ cum, Oxford 2000, pp . 327-50, where I argue in particular that the second

reference to "nature" (retaining unemended the MS reading totaUTTt yàp ÉKacrtou àpxit aùnòv ft cpucrtç Èmiv at 1075a22-3) enables us to recognize a second reference to global nature. l. BonNAR, Teleology across Natures, "Rhizai " , 2 (2005 ) pp. 9-29: 18-9, is right, I think, to reply that the sen­ tence could stili be read as referring to individuai nature. But it becomes much the Iess natura! reading , because "the nature of the whole" is the announced topic. My preferred reading also give the ensuing clause (on which Bodnar does not comment) much more point: that each organism is eventually dissolved is hardly an obvious example of the kind of prin­ ciple its nature is, but nicely illustrates the eternai recycling of the ele­ ments that is part of the global teleology, with a distant echo of Plato's assertion that the matter we are made of has been "borrowed" from the world (Tim. 42e6-43al), implying that it must be duly returned.

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from that one) , yet on the other hand they say that the heaven and the most divine of perceptible things carne to be fortuitously, without any cause comparable to that of animals and plants». Aristotle here finds it inconsistent of materialists to recog­ nize the role of purposive processes and structures within our world, yet to deny an analogous cause of the vastly superior and more ordered 26 structure of the world itself. Now when he speaks of the atomists admitting that animals and plants are the products of "nature or intelligence or some other such thing " , he can hardly be talking about the origin of species, which he knows they would have vehemently denied to be the work of a creative intelligence. He must rather be invoking their agreement that individuai animals and plants today come into being, not by luck, but either through natura! propaga­ tion, or, as implied by his example of olive tre es, thanks to the intelligent operations of farming 27• This is meant to show that they perfectly well understand the notion of luck and correctly avoid applying it to familiar purposive processes, yet misapply it when it comes to the origin of the cosmos. By the dose of chapter 6, Aristotle has developed his own account of luck (tuche) and the fortuitous (to automaton) 2 8 , which for present purposes I shall not keep distinct. Luck is an accidental moving cause. As I understand him, the lucky outcome always has a per se cause: for example, collecting a debt 26 This point about greater orderliness is made explicit in the version of the argument at De part. anim. I l . 641b10-23, discussed below. 27 See R. WARDY, The Mysterious A ristotelian Olive, "Science in Con­ text " , 18 (2005) pp. 69-91, for the complications surrounding the ques­ tion to what extent Aristotle can comfortably regard olive trees and other cultivated varieties as either "natura!" or "artificial". I t seems likely, neverrheless, that at least for dialectical purposes he is here treating the propagation of the olive as artificial (and hence the effect of nous), that of man as natura!. 28 I gratefully borrow this translation of tò aÙtòl!atov from R. W. SHARPLES, Alexander o/ Aphrodisias an Fate, London 1983.

TELEOLOGY, ARISTOTELIA:'\ AND PLATOi'·!IC

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has a s its per se cause the antecedent desire, or need, to collect the debt. When you go to the market place to buy bread and happen to see your debtor, your desire to buy bread accidentally coincides with that desire or need. This reapplies the causai principles we met in §2: when a flute-player builds a building, the flute-player accidentally coincides with the builder, so that the moving cause of the building is per se a builder, and only accidentally a flute-player. Builder and building are (as their very names reveal) suitably correlateci as cause and effect, whereas flute-player and building are not. Likewise the desire to collect the debt is suitably correlateci, as cause, to collecting the debt, as effect , whereas the desire to buy bread is no t. At the end of his excursus on the fortuitous (Phys. II 4-6), Aristotle returns to this theme of the cosmos itself ( 1 98a5 - 1 3 ) : «Since the fortuitous and luck are causes o f things of which intelligence or nature could be the cause, whenever something accidentally becomes the cause of these same things, and since nothing accidental is prior to things that are per se, i t is clear that the accidental cause is no t prior to rhe per se cause either . Hence the fortuitous and luck are posterior to intelligence and nature. So however much it might be true that the fortuitous is the cause of the heaven, it is necessary that intelligence and nature are prior causes, both of many other things and, espe­ cially, of this universe 29». Aristotle means the following. Lucky or fortuitous events are, on his analysis, events that lead to the accidental fulfil­ ment of a pre-existing natural or psychological goal. Hence, 29

Èm:i ò ' Ècrti tÒ aÙl:ÒJ.IUTOV Kai � tUX'l ai'n a cov av � voù; yÉvono al­

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