La relatività generale. Fondamenti fisici della teoria

Table of contents :
Indice

Prefazione

1 Il Problema dell'Inerzia
Introduzione.
Sistemi di riferimento inerziali.
Sistemi di riferimento non inerziali.
Forze inerziali.
Spazio assoluto.

2 Le sorgenti delle forze inerziali
Introduzione.
La teoria di Berkeley.
Il principio di Mach.
Perché l'accelerazione?

3 La legge dell'induzione inerziale
Introduzione.
Dipendenza da proprietà intrinseche della materia.
Dipendenza dal moto relativo.
Dipendenza dalla distanza.
Dipendenza dall'inverso della prima potenza.
Il gas intergalattico.
Conclusione.

4 Il principio di equivalenza
Introduzione.
Come si rivela l'interazione statica.
Il principio di equivalenza.

5 Lo spostamento einsteiniano verso il rosso
Introduzione.
Gravitazione e lunghezza d'onda della luce.
Lo spostamento einsteiniano verso il rosso nel Sole.
Le nane bianche.
Prove di laboratorio.
Lo spostamento einsteiniano come effetto dell'energia.

6 Le equazioni di campo di Einstein
Introduzione.
Non linearità dell'interazione gravitazionale inerziale.
Il punto di vista del campo.
Le leggi di campo.
7 Il moto della luce nel campo gravitazionale del Sole
Introduzione.
Forze inerziali e cammino della luce.
Forze gravitazionali e cammino della luce.
La prova del radar.

8 Il moto di un pianeta nel campo gravitazionale del Sole
Introduzione.
L'avanzamento del perielio. Implicazioni della
soluzione esatta di Schwarzschild.

9 Le onde gravitazionali
Introduzione.
Onde elettromagnetiche.
Onde gravitazionali.
Le onde gravitazionali nella teoria non lineare.
Gli esperimenti di Weber.

10 La curvatura dello spazio-tempo.
Introduzione.
La geometria di un disco scaldato.
La geometria di un disco rotante.
Curvatura e geometria non euclidea.
Le equazioni di campo di Einstein in forma geometrica.

Indice analitico

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è nato a Manchester nel 1926. Allievo di P. A. M. Dirac, ha conseguito il titolo di Ph. D. (Philosophiae

Dennis W. Sciama

Doctor) presso l'Università di Cambridge nel

1952.

Da allora

è membro dell'Institute for Advanced Study di Princeton e

dell'Università di Harvard come Agassiz Fellow. Dopo essere stato ricercatore presso il Trinity College di Cambridge è attual­ mente docente presso il Dipartimento di matematica applicata e fisica teorica dell'Università di Cambridge: qui ha formato un gruppo di studiosi che lavora sulla relatività generale, la cosmologia e l'astrofisica. È autore di numerosi articoli comparsi

Scientific American e Nature e del The Unity of the Universe tradotto anche in italiano (L'Unità dell'Universo, Torino, Einaudi, 19632).

su riviste scientifiche, come

libro

Biblioteca di Monografia Scientifiche

Collana diretta da Delfino /nso/era

40

La Relatività Generale

La Biblioteca di Monografìe Scientifiche

I volumetti di questa Biblioteca di Monografie Scientifiche fanno parte di una analoga collezione pubblicata negli Stati Uniti d'America con il titolo generale di Scienee Study Series. Scopo di questi libri è presentare le idee fondamentali e i pro­ blemi piu appassionanti della fisica e delle scienze affini, in modo comprensibile ai giovani studenti delle scuole secondarie superiori e a tutti coloro che, profani di scienze, hanno tutta­ via la curiosità di conoscere il lavoro e i risultati degli scien­ ziati moderni. Gli autori, il cui nome è spesso ben conosciuto nel mondo dei ricercatori, sono stati scelti sia per la loro qualità di esperti degli argomenti che trattano, sia per la loro capacità di comu­ nicare le proprie conoscenze di specialisti in modo chiaro e interessante. Molti di questi libri, speriamo, incoraggeranno il lettore a intraprendere qualche sua ricerca personale sui feno­ meni della natura.

Questa collezione di volumetti è nata come parte di un piu vasto programma di attività, con l'obiettivo di impostare su basi nuove l'insegnamento e lo studio della fisica. Nel 1 956, presso il Massachusetts Institute of Technology, un gruppo di fisici, di insegnanti di scuole secondarie superiori, di gior­ nalisti, di progettisti, di produttori cinematografici e di altri specialisti, organizzò il PSSC, ossia il Physical Science Study Committee (Comitato per lo Studio della Scienza Fisica). Questi uomini misero in comune le loro conoscenze e la loro esperienza, al fine di progettare e realizzare una serie di stru­ menti per l'apprendimento della fisica. Il PSSC ha preparato per le scuole secondarie superiori un sistema integrato per un moderno insegnamento della fisica che, insieme con la presente Biblioteca di Monografie Scien-

tifìche, comprende : un libro di testo 1, una collezione di film didattici 2, una guida agli esperimenti in laboratorio 3, una serie di apparecchi appositamente progettati per gli esperi­ menti, un libro co mplementare per gli insegnanti 4• Questo programma è stato lungamente sperimentato nelle scuole ame­ ricane, e si sono sistematicamente raccolti giudizi e critiche, di cui si è tenuto conto nell'elaborazione definitiva di libri e strumenti. Il lavoro del PSSC è un processo in continuo sviluppo, che si esplica nella produzione di nuovi libri e di tecniche d'insegnamento. L'impresa del PSSC ha suscitato vivo interesse in tutto il mondo : questa collezione di monografie si sta pubblicando in piu di venti lingue, e molti paesi diversissimi, dalla Colombia al Giappone, dalla Svezia a Israele hanno tradotto e adottato per le loro scuole i libri del PSSC. Anche la scuola italiana si è interessata al programma e ai metodi proposti dal PSSC, li ha accolti e li sta mettendo alla prova.

l Traduzione italiana: Fisica, a cura del PSSC, 2 voli., Bologna, Zani· chelli, 1963. 2 Traduzione italiana a cura della Esso Standard Italiana, Genova. 3 Traduzione italiana: Guida del laboratorio di Fisica, a cura del PSSC, 2 voll., Bologna, Zanichelli, 1963. 4 Traduzione italiana: Fisica, a cura del PSSC, Libro di consultazione e guida per gli insegnanti, 4 voll., Bologna, Zanichelli, 1963.

Titolo originale The Physical Foundations of Generai Relativity Copyright © 1969 Doubleday & Company, Inc. L'edizione originale di quest'opera fa parte della «Science Study Series» pubblicata dalla Anchor Books Doubleday & Company, Inc., Garden City, New York Traduzione di Flavio Strada Copyright © 1972 Nicola Zanichelli S. p. A., Bologna

Ristampa febbraio 1977

Illustrazioni adattate da ]oyce A. Lake Copertina di Paolo Sala Redazione: Laura Felici

Dennis W. Sciama

La Relatività Generale Fondamenti fisici della teoria

Zanichelli Bologna

Ai miei genitori

I n d i ce

p.

9 11

Prefazione

1 Il oroblema dell'Inerzia Introduzione. Sistemi di riferimento inerziali. Sistemi di riferimento non inerziali. Forze inerziali. Spazio assoluto.

26

2 Le sorgenti delle forze inerziali Introduzione. La teoria di Berkeley. Perché l'accelerazione?

32

Il principio di Mach.

3 La legge dell'induzione inerziale Introduzione. Dipendenza da proprietà intrinseche della materia. Dipendenza dal moto relativo. Dipendenza dalla distanza. Dipendenza dall'inverso della prima potenza. Il gas intergalattico. Conclusione.

45

4 Il principio di equivalenza Introduzione. Come si rivela l'interazione statica. Il principio di equivalenza.

55

5 Lo spostamento einsteiniano verso il rosso Introduzione. Gravitazione e lunghezza d'onda della luce. Lo spostamento einsteiniano verso il rosso nel Sole. Le nane bianche. Prove di laboratorio. Lo spostamento einsteiniano come effetto dell'energia.

65

6 Le equazioni di campo di Einstein Introduzione. Non linearità dell'interazione gravitazionale­ inerziale. Il punto di vista del campo. Le leggi di campo.

75

7 Il moto della luce nel campo gravitazionale del Sole Introduzione. Forze inerziali e cammino della luce. Forze gravitazionali e cammino della luce. La prova del radar.

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Indice

p. 86

8 Il moto di un pianeta nel campo gravitazionale del Sole

Introduzione. L'avanzamento del perielio. soluzione esatta di Schwarzschild.

98

Implicazioni della

9 Le onde gravitazionali Introduzione. Onde elettromagnetiche. Onde gravitazionali. Le onde gravitazionali nella teoria non lineare. Gli esperi­ menti di Weber.

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10 La curvatura dello spazio-tempo. Introduzione. La geometria di un disco scaldato. La geo­ metria di un disco rotante. Curvatura e geometria non euclidea. Le equazioni di campo di Einstein in forma geometrica.

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Indice analitico

Prefazione

Vi sono molti modi di esporre la Relatività Generale: c'è un punto di vista fisico, uno matematico e uno filosofico. Io credo che essa sia soprattutto una teoria fisica: perciò in questo libro ne ho posto in risalto eminentemente il signi­ ficato fisico. Il punto da cui parto è semplice: le leggi del moto di New­ ton sono di per sé incomplete dal punto di vista logico, e i problemi che sollevano portano, per gradi, alla Relatività Generale nella sua piena complessità. Questo senza che in alcun punto vi sia arbitrarietà, ogni gradino essendo la con­ seguenza del precedente. Dunque, la Relatività Generale non va vista come una teoria splendida, ma irrilevante per il resto della fisica; al contra­ rio, essa è indispensabile per dare pieno significato ai con­ cetti piu elementari e piu fondamentali su cui si basa tutto il resto della fisica. Con questa convinzione ho scritto il libro, per coloro che non si accontentano di un'analisi superficiale del mondo fi­ sico. Nello scriverlo, ancora una volta ho dovuto stupirmi del genio di Albert Einstein, che con questa teoria diviene quasi simbolo dell'enorme potere creativo del pensiero uma­ no. Possa il suo spirito ispirare quelli che sono alle prese coi grossi problemi d'oggi. Il mio interesse per i fondamenti fisici della Relatività Ge­ nerale fu risvegliato per la prima volta da Hermann Bondi e Thomas Gold, nel 1 950, quando ero studente ricercatore presso l 'università di Cambridge. Fu prezioso per me il loro insistere sull'importanza e sul significato del Principio di Mach, in un momento in cui simili problemi non erano nel-

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Prefazione

l'aria. Sono grato inoltre a Thomas Gold per molte discus­ sioni avute insieme sul progetto di questo libro, e per le mi­ nuziose critiche da lui fatte su una prima stesura. Se il libro avrà qualche valore, lo dovrà in gran parte a lui ; di errori, omissioni e confusioni, sono responsabile io solo. D. W. Sciama Dipartimento di Matematica Applicata e Fisica Teorica, Cambridge.

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Il problema dell'inerzia

I ntro d u z i o n e.

Abbiamo tale familiarità con le proprietà inerziali della ma­ teria che potremmo dimenticare quanto in realtà esse siano problematiche. Newton stesso le trovò oscure, e si sforzò non poco per ca­ pirle. Giunse a una soluzione con la frase: « eppure la cosa non è del tutto disperata » ; tale soluzione tuttavia, anche se coerente con lo spirito scientifico di allora, non è accetta­ bile oggi. Qui prendiamo in esame un'alternativa piu accet­ tabile, impostata dal vescovo Berkeley, e ripresa da Ernst Mach e Albert Einstein. Questo tipo di approccio culmina nella Teoria della Relati­ vità Generale, una delle piu stupende e profonde creazioni della mente umana, e a tutt'oggi la teoria piu completa dal punto di vista logico e piu soddisfacente che esista. In questo primo capitolo spiegheremo in che cosa consiste esattamente il problema, ne descriveremo la soluzione data da Newton e vedremo perché è insoddisfacente. Il capitolo si conclude con un accenno a una soluzione mi­ gliore, accenno che verrà sviluppato nei prossimi capitoli . S i ste m i d i riferi m e nto i n erzial i .

Poiché l e proprietà inerziali della materia sono descritte dalle leggi del moto di Newton, sarà bene cominciare con l'enun­ ciare queste leggi, per quanto note esse siano . Prima legge di Newton. Un corpo su cui non agiscono forze rimane in quiete o si muove con velocità costante. Seconda legge di Newton. L'accelerazione di un corpo è pro­ porzionale alla forza che agisce su di esso .

12

Il problema dell'inerz.ia

Terza legge di Newton. Azione e reazione sono uguali e con­ trarie. Uno dei problemi sollevati da queste leggi è il seguente : in che modo possiamo dire che una forza agisce su un corpo se non facendo uso delle leggi stesse, nel qual caso esse sono, almeno in parte, tautologiche ? Il problema diverrà impor­ tante in seguito; per il momento ammettiamo di poter rico­ noscere se una forza agisce o meno su un corpo ricercando le sorgenti della forza ( qualcosa come una corda o un ma­ gnete nelle vicinanze ). Un altro problema ci interessa immediatamente : le prime due leggi non sono evidentemente valide in generale, perché per poter misurare la velocità di un corpo noi dobbiamo sce­ gliere un riferimento che consideriamo in quiete ; niente d'al­ tra parte ci impedisce di misurare la velocità del corpo da diversi riferimenti, in accelerazione l'uno rispetto all'altro. Chiaramente il corpo esente da forze della prima legge non può avere velocità costante rispetto a tutti questi riferimenti . Dunque, le prime due leggi andrebbero in realtà completate con quest'aggiunta : esiste un sistema di riferimento, da con­ siderare in quiete, rispetto al quale l'enunciato iniziale delle leggi è vero. Una volta trovato un sistema siffatto, ogni altro sistema che si muova rispetto ad esso con velocità costante soddisferà le leggi, e saranno dunque solo i sistemi accele­ rati a causare guai. Alla classe di sistemi di riferimento pri­ vilegiati in cui le leggi di Newton sono valide si dà il nome di sistemi di riferimento inerzia/i. Possiamo ora guardare la situazione in un altro modo , e dire che le leggi della dinamica sono le stesse in tutti i sistemi di riferimento inerziali. Questa nuova formulazione fa na­ scere l'idea che osservatori differenti possano osservare lo stesso insieme di fenomeni e descriverlo mediante le stesse leggi : la trasformazione da un osservatore a un altro lascia immutate le leggi. Questa descrizione astratta della situazione si chiama principio di relatività. Un principio di relatività coinvolge due cose : il tipo di fenomeni (nel nostro caso quelli dinamici ) e la classe di osservatori o sistemi di riferi-

U problema dell'inerzia

13

mento (nel nostro caso quelli inerziali ). Chiaramente, una generalizzazione è concepibile in due direzioni : l) estenden­ do la classe dei fenomeni ; 2) estendendo la classe degli os­ servatori. Il primo tipo di generalizzazione fu raggiunto nel 1905 da Einstein, il quale dimostrò, nella sua Teoria della Relatività Ristretta, che tutti i fenomeni fisici, e non solo quelli dina­ mici, obbediscono alle stesse leggi per tutti gli osservatori inerziali. Questa estensione esula dai nostri propositi : è stata ampiamente trattata nel volume La relatività e il senso co­ mune di H. Bandi *. Il secondo tipo di generalizzazione, quella che estende la classe degli osservatori a tutti gli osservatori fu raggiunto anch'esso da Einstein e, come vedremo nei capitoli succes­ sivi, porta diritto alla relatività generale. Per poter afferrare pienamente il significato di un principio di relatività è indispensabile esser chiari sulla distinzione che c'è fra leggi che governano un sistema fisico e valori riscon­ trati dei parametri che descrivono lo stato del sistema: due osservatori inerziali con differenti velocità non misureranno lo stesso valore per la velocità di un dato corpo, o per le differenti velocità di parti di un sistema fisico ; ciò che essi troveranno di identico sono alcune relazioni fra i differenti parametri di un sistema, quelle relazioni che costituiscono le leggi che governano il sistema. Questa distinzione è importante in riferimento al cosiddetto principio di impotenza inerente a ogni principio di relati­ vità: se una legge fisica soddisfa un principio di relatività ri­ spetto a una determinata classe di osservatori, allora noi non possiamo, semplicemente verificando che quella legge vale, determinare quale membro della classe noi siamo. Piu con­ cretamente, noi non possiamo, ad esempio, determinare la nostra velocità per il fatto che abbiamo trovato valide le leggi di Newton; tutto ciò che possiamo dedurre è che apparte­ niamo alla particolare classe degli osservatori inerziali. Que* HERMAN BoNDI, La relatività e il senso comune, in questa stessa collana, BMS 12 ( trad. dall'inglese).

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Il problema dell'inerzia

sto fatto si esprime talvolta dicendo che se fossimo confinati dentro una cabina ermeticamente chiusa che si muove di moto uniforme sulla superficie della Terra non potremmo af­ fermare, sulla base di esperimenti condotti dentro la cabina, che ci stiamo muovendo relativamente alla Terra. Ciò può dar luogo a equivoci, perché mentre le leggi che ab­ biamo scoperto non ci darebbero informazioni sulla nostra velocità, i valori di certi parametri invece ce la rivelerebbero . Per esempio, nella nostra cabina in movimento il campo ma­ gnetico terrestre avrebbe una componente elettrica * il cui valore ci rivelerebbe la nostra velocità . Pertanto è essenziale sapere che cosa è legge e che cosa è valore di un parametro per poter definire bene un principio di relatività . Questo punto sarà di importanza decisiva in seguito. Siste m i di riferi m e nto n o n i n erzial i .

Abbiamo ricordato poco f a che Einstein riusd a generaliz­ zare il principio di relatività in modo da estenderlo a ogni classe di osservatori. Prima di vedere come ciò sia stato pos­ sibile, dobbiamo aver ben chiaro il punto di vista newto­ niano, che adotteremo ora per tutto il resto del capitolo ( ec­ cetto che alla fine ). Secondo tale punto di vista, è un fatto essenziale che le leggi di Newton valgono solo per osservatori inerziali; cosi, rile­ vando in quale misura queste leggi cessino di funzionare, un osservatore può determinare la propria accelerazione rispetto a un sistema inerziale, e il principio di impotenza non è piu valido. Per esempio, il fatto che la Terra ruota attorno a un asse che passa per il suo centro può essere dedotto dallo schiacciamento ai poli e dal rigonfiamento all'equatore : una simile distorsione dalla forma sferica è incompatibile con le leggi di Newton applicate a un corpo autogravitante, se si prende come sistema di riferimento il corpo stesso. Dunque, le leggi di Newton non valgono, e perciò la Terra deve es* Cfr. La relatività e il senso comune, cit.

Il problema dell'inerzia

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sere un sistema di riferimento non inerziale. Ma c'è di piu : uno può dire quanto non inerziale essa sia. L'asse della di­ storsione determina l'asse di rotazione, e l'entità della distor­ sione determina la velocità angolare di rotazione. Newton dimostrò la rotazione della Terra anche lasciando cadere un corpo dall'alto e mostrando che esso non atterrava al piede della verticale calata dal punto di partenza, ma un po' piu a est, possedendo una velocità trasversale maggiore di quella del suolo : il moto del corpo rispetto alla Terra chia­ ramente non obbediva alla seconda legge, e, inoltre, la dire­ zione e l'entità della deviazione rivelavano l'asse e la velocità angolare di rotazione della Terra. Il pendolo di Foucault è basato sullo stesso principio. Consiste di un corpo pesante tenuto sospeso in modo da esser libero di oscillare in qual­ siasi direzione. Per semplicità, consideriamo un pendolo del genere in oscillazione su uno dei poli ( ad altre latitudini avrebbe un moto piu complicato, ma il principio è lo stesso) . Poiché i l pendolo è appeso a u n giunto universale, i l piano di oscillazione rimarrà fisso nello spazio assoluto, mentre la Terra gli ruota sotto (fig. 1 ). Per un osservatore posto sulla

Fig. l. Un pendolo di Foucault in oscillazione al Polo Nord: si muove mantenendosi su un piano fisso mentre la Terra ruota sotto di esso. Terra, il piano di oscillazione del pendolo compirà una ro­ tazione completa in ventiquattro ore (fig. 2): questo moto del pendolo rivela la rotazione terrestre. Un corpo che ruota è un esempio particolarmente interes-

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Il problema dell'inerzia

sante di sistema di riferimento non inerziale, perché, in as­ senza di attrito, non è necessaria alcuna forza, o coppia di forze, per mantenere la rotazione- il corpo è libero. Ma gli stessi principi valgono anche quando il sistema di riferi-

Fig. 2. Come un osservatore sulla Terra vede il piano del pen­ dolo ruotare. mento non inerziale è un corpo la cui accelerazione debba essere mantenuta da agenti esterni : per esempio, oltre a ruotare attorno al proprio asse, la Terra compie un giro attorno al Sole una volta all'anno sotto l'azione del campo gravitazionale solare. Rispetto alla Terra è il Sole a compiere un giro una volta all'anno, ma a questo punto le leggi di Newton cessano di valere : perché ora la Terra non subisce alcuna accelerazione, nonostante l'azione che su di essa com­ pie la gravità solare, mentre il Sole presenta un'accelerazione senza che alcuna forza agisca su di esso * . Una volta di piu ne deduciamo che dobbiamo trovarci in un sistema di riferi­ mento non inerziale. Ecco dunque la nostra conclusione generale: con l'osserva­ zione di deviazioni dalle leggi di Newton possiamo determi­ nare la nostra accelerazione, ma non la nostra velocità. Forze in erziali.

In pratica è spesso conveniente usare un sistema di riferi­ mento non inerziale, ad esempio la Terra in rotazione. In tal caso le leggi del moto di Newton non sono valide, ma è di * L'azione gravitazionale della Terra è inessenziale a questo punto, perché potremmo sostituire la Terra con un corpo di gravità arbitra­ riamente piccola.

Il problema dell'inerzia

17

solito molto semplice ristabilirne la validità supponendo che oltre alle forze agenti note siano presenti alcune « forze» addizionali. Possiamo scrivere la seconda legge di Newton nella forma

F=ma,

( l)

dove la forza esterna F è proporzionale all'accelerazione a, e la costante di proporzionalità m è detta massa inerziale. Questa legge vale in un sistema di riferimento inerziale. Ora, supponiamo di usare il corpo stesso su cui agisce la forza come sistema di riferimento in quiete. Possiamo scri­ vere adesso

F - ma = O.

(2)

Algebricamente il passaggio da (l) a ( 2 ) è banale; ma dal punto di vista fisico è estremamente significativo, perché la ( 2 ) può essere la seconda legge di Newton nel sistema di riferimento non inerziale, se consideriamo - ma come una delle forze agenti sul corpo. Naturalmente la forza - ma dif­ ferisce dalla forza F in quanto non ha sorgenti fisiche : nes­ suna fune o nessun magnete entra in azione quando passia­ mo al riferimento accelerato. Per sottolineare il fatto che questa nuova forza non è fisica nel senso in cui lo è F, ma dipende solamente dalla scelta di un sistema di riferimento non inerziale, essa è a volte chiamata forza fittizia, oppure forza inerziale. Nello schema newtoniano ciò costituisce sem­ plicemente una scappatoia formale per continuare a usare le note leggi del moto in situazioni in cui esse si sono dimo­ strate in effetti non valide . I piu noti esempi di forze inerziali sono le forze cui si fa ricorso in un sistema di riferimento in rotazione. Per prima viene la forza centrifuga, che, come dice il nome, agisce dall'asse di rotazione verso l'esterno. La necessità della sua introduzione è illustrata nella figura 3: un satellite SYN­ COM compie un'orbita sopra l'equatore terrestre ogni ven­ tiquattro ore, e dunque sta costantemente fisso sulla verti-

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Il problema dell'inerzia

cale sopra un dato punto della superficie terrestre. Relati­ vamente alla Terra il satellite è fermo, malgrado l'azione che su di esso esercita il campo gravitazionale terrestre : una persona che si trovasse verticalmente sotto al satellite, se lo vedrebbe restar sospeso sopra la testa senza l'aiuto di alcun supporto visibile. Dobbiamo perciò introdurre un invisibile supporto : una forza inerziale che lo tiene lontano dall'asse di rotazione della Terra. È questa la forza centrifuga. Essa agi­ sce sulla Terra stessa, « causando » l'appiattimento ai poli e il rigonfiamento all'equatore. Per calcolarne l'intensità, riscriviamo dapprima la ( l ) per il sistema inerziale in cui il satellite ruota attorno alla Terra con velocità v e velocità angolare w :

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Fig. 3. (a) Un satellite che ruota parallelamente all'equatore con un periodo di ventiquattro ore. (b) All'equatore il satellite ap­ pare costantemente sospeso sulla verticale di un punto senza che vi siano supporti visibili.

Il problema dell'inerzia

19

Nel sistema non inerziale della Terra l'equazione diventa

F - mwv = O.

(4)

Dunque la forza centrifuga vale mwv e d è diretta dall'asse di rotazione verso l'esterno . Una seconda forza inerziale va introdotta in un sistema di riferimento rotante se abbiamo a che fare con un corpo che si muove rispetto a quel sistema. La figura 4a mostra un

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Fig. 4. Necessità dell'introduzione della forza di Coriolis: (a) Un corpo libero in moto rettilineo con velocità costante v, visto da un sistema di riferimento inerziale: nel tempo t esso copre la distanza vt fino al punto A. (b) Un sistema di riferimento ruo­ tante con velocità angolare w ruota di un angolo wt nel tempo t, portando in A' il punto che si trovava inizialmente in A. (c) Re­ lativamente al sistema ruotante, A' è fermo, e il corpo si muove obliquamente per arrivare ad A: per spiegare questo moto obli­ quo occorre introdurre una forza, la forza di Coriolis. Quando il corpo si muove nel verso opposto, la deflessione avviene sul lato opposto (d, e, f).

20

Il problema dell'inerzia

corpo libero che si muove di moto rettilineo con velocità co­ stante v relativamente a un sistema di riferimento inerziale; nella figura 4b il corpo è visto da un sistema che ruota in senso orario con velocità angolare costante co attorno a un asse perpendicolare alla velocità v. In un sistema simile la traiettoria del corpo si scosterà da una linea retta, come mo­ strato, quantunque nessuna forza agisca sul corpo ( fig. 4c). Se il corpo si muove nel senso opposto, come nella figura 4d, la traiettoria devia in direzione opposta (figg. 4e e 4f). Per­ tanto dobbiamo introdurre un'altra forza inerziale che agisca perpendicolarmente sia all'asse di rotazione che alla velocità del corpo. Questa forza, detta forza di Coriolis, si può cal­ colare, e il suo valore è

2mco v ,

(5)

o, con notazione vettoriale, che dà l a direzione e il verso della forza, oltre alla sua intensità,

2mwAv. È questa forza di Coriolis che agiva sul corpo lasciato cadere da Newton e ne « causava » la deviazione verso est. Analo­ gamente, è la sua azione trasversale che fa ruotare il piano di oscillazione del pendolo di Foucault. Essa è necessaria anche per spiegare il moto quotidiano del Sole attorno alla Terra (fig. 5 ) . Questo moto infatti implica che l'accelerazione del Sole sia diretta verso la Terra; ma la forza centrifuga che agisce nel sistema di riferimento terrestre è diretta dalla Terra verso l'esterno, e, per la (4), ha intensità mcov. La si­ tuazione si salva ricorrendo alla forza di Coriolis, che agisce sul Sole diretta verso la Terra; di piu, il fattore 2 nella ( 5 ) ci assicura che la forza inerziale risultante è mcov ed è diretta verso la Terra : questa ha esattamente l'intensità che occorre per giustificare l'accelerazione del Sole in quel senso, che è cov. Dunque, noi possiamo mantenere valide le leggi del moto di

Il problema dell'inerzia

21

Newton in un sistema di riferimento non inerziale solo ri­ correndo all'introduzione di forze addizionali, che non hanno origine in oggetti fisici, ma hanno un significato puramente formale.

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Fig. 5. Il moto quotidiano del Sole attorno alla Terra comporta un'accelerazione del Sole diretta verso la Terra. La forza di Co­ riolis diretta verso la Terra ha in questo caso intensità doppia della forza centrifuga diretta verso l'esterno, e la forza risultante dà ragione dell'accelerazione verso la Terra. Spaz i o assoluto.

Il fatto che le sue leggi del moto avessero una validità cosi ristretta dava molto fastidio a Newton . Perché i sistemi di riferimento non dovevano essere tutti equivalenti ai fini della descrizione dei fenomeni dinamici ? Per prendere un esempio concreto, immaginiamo un gran numero di sfere ruotanti l'una rispetto all'altra attorno a un asse comune. A prima vista uno si aspetterebbe che esse fossero tutte equi­ valenti; ciascuna sfera vede tutte le altre ruotare, a diffe­ renti velocità. Eppure, di fatto, esse hanno tutte diversi gradi di « appiattimento ai poli e rigonfiamento all'equato­ re », e una soltanto, forse, non è distorta affatto. Che cos'ha di speciale quest'ultima ? Qual è il procedimento di sele­ zione attuato dalla Natura ? La risposta di Newton a queste domande fu la supposizione che lo spazio stesso avesse proprietà fisiche intrinseche, co­ sicché l'accelerazione relativa allo spazio assumeva un signi­ ficato fisico . Da questo punto di vista i sistemi inerziali sono

22

Il problema dell'inerzia

quelli che non presentano accelerazione rispetto allo spazio. La sfera senza distorsione è dunque la sola che non presenta rotazione assoluta, come diceva Newton. Poiché ci avviamo a criticare questa risposta, sarà bene esaminare le parole con cui Newton si espresse in proposito. Fra l'altro il passo dei Principia (pubblicati nel 1687) è di importanza storica in quanto si pone come punto di partenza della grande con­ troversia sulla distinzione fra moto relativo e moto assoluto. Newton scrive * : Gli effetti per cui si distingue il moto assoluto dal relativo sono le forze con cui i corpi girevoli cercano di allontanarsi dall'asse del loro moto. Perché nel moto circolare puramente relativo tali forze sono nulle, nel moto circolare vero e assoluto sono mag­ giori o minori secondo la quantità di moto del corpo ruotante. Supponiamo che si attacchi un vaso all'estremità di un filo, e si faccia ruotare finché il filo stesso - per effetto della contorsione non divenga rigido. Allora, se si riempie d'acqua il vaso e si fa si che tanto il vaso quanto l'acqua assumano la loro posizione di riposo, lasciando poi libera la corda di storcinarsi, il vaso as­ sumerà uno stato di moto circolare, e vi persevererà a lungo; al principio di tale moto la superficie dell'acqua sarà piana, come lo era quando si trovava in riposo. Ma in seguito il moto del vaso si comunicherà gradatamente all'acqua e l'acqua comincerà an­ ch'essa a girare, a innalzarsi verso i bordi del vaso, e ad assu­ mere una figura concava (come io stesso ho sperimentato); e aumentando il suo moto sempre piu sl innalzerà ai bordi, rag· giungendo il massimo allorché essa avrà un moto circolare eguale a quello del vaso, e si troverà, cosi, in quiete relativa rispetto a quest'ultimo. L'innalzarsi dell'acqua verso i bordi del vaso mani­ festa lo sforzo che essa compie per allontanarsi dal centro del suo moto, e per mezzo di tale sforzo si può conoscere e misu­ rare il moto circolare vero ed assoluto dell'acqua, che è proprio contrario a quello relativo. Infatti al principio, quand'era mas­ simo il moto relativo dell'acqua rispetto al vaso, tale moto non provocava nell'acqua nessuno sforzo inteso ad allontanarla dal­ l'asse del moto: l'acqua non si elevava affatto ai bordi del vaso, * Pagina 47 dell'edizione dei Principia, curata da F. Enriques Forti per la Casa Editrice Stock, 1922 (N.d.T.).

e

U.

Il problema dell'inerzia

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ma rimaneva piana, e perciò non era ancora animata da nessun movimento vero e assoluto. Ma mentre il moto relativo dell'ac­ qua diminuiva, il suo elevarsi ai bordi del vaso manifestava lo sforzo da essa compiuto per allontanarsi dall'asse del moto; e tale sforzo - che andava sempre aumentando - indicava l'au­ mento di moto circolare assoluto. Tale moto divenne infine mas­ simo allorché l'acqua si trovò in quiete relativa rispetto al vaso. Dunque lo sforzo dell'acqua per allontanarsi dall'asse del moto non dipendeva dalla sua traslazione rispetto al corpo ambiente, e perciò il moto circolare vero non può essere determinato da tale genere di traslazione. Il moto circolare vero di ogni corpo che ruoti è unico, e corrisponde, come a proprio e adeguato ef­ fetto, ad un unico sforzo: invece i moti relativi, secondo le varie relazioni che i corpi hanno con corpi esterni, sono innumerevoli; e tutti questi movimenti - i quali sono costituiti, appunto, da semplici relazioni - hanno degli effetti reali solo in quanto par­ tecipano al moto vero e unico.

Possiamo riassumere l'interpretazione dell'esperimento data da Newton col dire che la rotazione assoluta non ha niente a che fare con le rotazioni relative, che si osservano diretta­ mente, e tuttavia noi possiamo determinare sperimental­ mente il valore della rotazione assoluta che un corpo possie­ de : tutto quello che dobbiamo fare è misurare la curvatura della superficie di una massa d'acqua che ruoti col corpo ; vale a dire, determinare se è o no in azione una forza cen­ trifuga. In modo del tutto analogo potremmo cercare se è presente un'eventuale forza di Coriolis . Cosi la velocità di rotazione assoluta della Terra, per esempio, può essere mi­ surata mediante osservazioni limitate alla sua superficie, e non c'è alcun bisogno di ricorrere a qualche altro corpo rispetto al quale dover misurare la rotazione . Il concetto newtoniano di spazio assoluto presenta diversi aspetti insoddisfacenti. In primo luogo, non si può pensare a uno spazio assoluto come a una sorta di « roba » che permea l'universo, perché allora dovremmo aspettarci che anche la velocità assoluta abbia un significato fisico, come l'accelera­ zione assoluta, nel qual caso non vi sarebbe alcun principio

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Il problema dell'inerzia

di relatività, di nessun genere, né alcuna equivalenza degli osservatori inerziali. Come si può capire che il moto uni­ forme nello spazio assoluto non abbia effetti osservabili, mentre l'accelerazione ne ha? La ragione per cui Newton non avrebbe potuto dar risposta alla domanda sta nel fatto che l'introduzione dello spazio assoluto non è una spiegazione fisica del ruolo privilegiato dei sistemi di riferimento inerziali : è semplicemente una riaffermazione della loro esistenza. Per la stessa ragione si giunge al paradosso fisico che lo spazio assoluto può agire sulla materia mediante le forze inerziali senza che la materia agisca su di esso, giacché nella concezione newtoniana le pro­ prietà dello spazio assoluto sono fissate a priori, indipen­ dentemente dalla materia in esso contenuta. Per costruire una teoria piu fisica dell'inerzia possiamo pro­ cedere in due modi. Se consideriamo lo « spazio » come sor­ gente delle forze inerziali, noi dobbiamo attribuirgli pro­ prietà fisiche, nel senso che esso non deve essere assoluto e fissato a priori, ma deve avere proprietà variabili, per la reazione che la materia su cui esso agisce esercita a sua volta su di esso. Questo punto di vista, piuttosto astratto, corrisponde a quella che è la teoria di campo delle interazioni fisiche : per essa, due cariche elettriche, per esempio, interagiscono non direttamente, ma attraverso un campo elettrico prodotto dal­ l'una agente sull'altra. Qui sono posti in rilievo gli aspetti locali dell'interazione : la forza elettrica che agisce su una carica dipende soltanto dal campo elettrico nelle immediate vicinanze. È vero che li ( nelle immediate vicinanze) il campo dipende a sua volta dal campo un po' piu lontano, e cosi via, fino a giungere all'altra carica, cosi che alla fine le due cariche si trovano ad interagire, ma l'idea di fondo è pur sempre quella che ciascuna carica è influenzata direttamente solo dal campo nelle sue immediate vicinanze. Allo stesso modo potremmo considerare le forze inerziali che agiscono su un corpo come dipendenti solamente dalle proprietà fisi­ che dello spazio nelle sue immediate vicinanze. La relazione

Il problema dell'inerzia

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fra queste proprietà e l'esistenza di altri corpi diviene per­ tanto una questione secondaria. Questo fu proprio il punto di vista adottato da Einstein ; tuttavia, per ragioni �toriche, e anche per chiarezza di espo­ sizione, è meglio prendere in esame prima il punto di vista alternativo, in cui l'attenzione si concentra sull'interazione diretta fra corpi. Nel caso dell'elettricità ciò è esemplificato dalla legge di Coulomb F = ete2/r ( in opposizione al punto di vista del campo esemplificato dalle equazioni di Maxwell). Nel caso dell'inerzia dovremo dire che le forze inerziali sono esercitate non dallo spazio, ma da altri corpi. Se ha senso dir questo, allora le forze inerziali non sarebbero affatto fit­ tizie, ma fisiche, come ogni altra forza. Di conseguenza le leggi del moto di Newton varrebbero in tutti i sistemi di riferimento, e il problema del ruolo privilegiato dei sistemi inerziali sarebbe risolto : essi sono proprio quei sistemi in cui le forze inerziali sono nulle; vale a dire, quelli disposti in un qualche modo particolare rispetto ai corpi responsabili delle forze inerziali . Ma quali sono questi corpi? È la questione che esamineremo nel prossimo capitolo .

2

Le sorg e nti delle forze in erziali

I ntrod u z i o n e .

In questo capitolo cercheremo di individuare e localizzare i corpi che potrebbero essere eventualmente sorgenti delle forze inerziali. Prima di tutto però è bene riprendere un punto che, come forse il lettore avrà notato, abbiamo trala­ sciato alla fine del capitolo l. Nel suggerire che la materia stessa poteva essere la fonte delle forze inerziali, abbiamo trascurato il fatto che Newton aveva già considerato questa ipotesi, e l'aveva rigettata sulla base di fatti sperimentali. Nel resoconto dell'esperienza del secchia d'acqua ruotante, Newton aveva sottolineato con insistenza che la forma as­ sunta dalla superficie dell'acqua era indipendente dal moto del secchio rispetto all'acqua. Conseguentemente egli ne aveva dedotto che la materia circostante non aveva niente a che fare con la presenza o assenza di forze centrifughe, e che quindi la rotazione constatata era assoluta: cioè relativa a uno spazio assoluto su cui la materia non esercita alcuna influenza. Come sostenere, a questo punto, che la materia ha influenza? A vent'anni dalla pubblicazione dei Principia, il vescovo Ber­ keley, grande filosofo irlandese (1685-1753), diede una sua risposta al problema.

La teoria di Berkeley.

Per Berkeley il problema era di natura essenzialmente quan­ titativa; il secchia poteva benissimo esercitare un'influenza, contribuendo però in modo impercettibile alle forze inerziali che agiscono sull'acqua perché, nonostante la vicinanza ad

Le sorgenti delle forze inerzialì

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essa, era fatto di una piccola quantità di materia. Ci si può allora porre la domanda: c'è qualche altro corpo materiale, oltre al secchio, con la proprietà che la superficie dell'acqua s'incurva solo quando l'acqua è in rotazione rispetto ad esso? La risposta di Berkeley è ovvia : le stelle. Sappiamo che le stelle compiono un giro ogni ventiquattr'ore intorno alla Terra. Con grande precisione. questa è anche la velocità di rotazione della Terra cosi come è dedotta da misurazioni lo­ cali di forze centrifughe e di forze di Coriolis : ciò significa che tali forze inerziali si manifestano soltanto quando siamo in rotazione relativamente alle stelle. Dunque l'esperienza di Newton, lungi dal dimostrare che la presenza di forze inerziali è indipendente dalla rotazione rispetto ad altra ma­ teria, dimostra esattamente il contrario. Secondo Berkeley le stelle danno un contributo maggiore del secchio alle forze inerziali perché l'effetto della loro maggiore massa supera di gran lunga quello della maggiore distanza. È interessante come Berkeley approdasse a questa teoria fisica, e piuttosto « moderna », partendo da ragioni di ordine filosofico. Si oppose all'idea di uno spazio assoluto perché questo non era osservabile : se vi fosse un solo corpo nel­ l'universo, non avrebbe senso parlare di una sua rotazione ; occorre che esistano altri corpi- le stelle - rispetto ai quali la rotazione possa essere misurata, e dunque è chiaro, sul piano fisico, che le stelle devono essere responsabili degli effetti fisici che accompagnano la rotazione. Ecco, sulla que­ stione, alcune sue argomentazioni : Se ogni luogo è relativo allora ogni moto è relativo, e come il moto non può essere descritto senza che se ne determini la direzione, cosi quest'ultima non può essere descritta se non in relazione al nostro o a qualche altro corpo. Su, giu, destra, sini­ stra, tutte le direzioni e i luoghi si fondano su una qualche rela­ zione, ed è necessario supporre l'esistenza di un altro corpo, distinto da quello di cui si considera il moto ... dunque il moto è per sua natura relativo, cioè non può essere descritto finché non sono dati i- corpi in relazione ai quali esiste, ovvero, in gene-

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Le sorgenti delle forze inerzia/i

rale, non può esservi alcuna relazione se non ci sono oggetti da mettere in relazione. Perciò se supponiamo che ogni cosa venga annullata eccetto un globo, sarebbe impossibile immaginare qualsiasi movimento di quel globo. Immaginiamo due globi, e supponiamo che, oltre ad essi, non vi sia altra materia: allora il moto in circolo dei due globi at­ torno al loro centro comune è inimmaginabile. Ma supponiamo che si crei improvvisamente il cielo delle stelle fisse: allora noi saremo in condizione di immaginare il moto dei due globi tra­ mite le loro posizioni relative alle differenti parti del cielo.

Con questo scritto Berkeley dimostrava di essere avanti di molti anni rispetto al suo tempo : un suo grande contem­ poraneo, il matematico svizzero Leonardo Eulero (1707-83) , per esempio, considerava l'invocata influenza delle stelle fisse come « molto strana e contraria ai dogmi della metafi­ sica » . Questo punto di vista fu condiviso da molti, ma niente di interessante fu aggiunto alla discussione fino a un secolo e mezzo piu tardi, quando entrò in scena Ernst Mach. Il pri n c i pi o d i Mac h .

Mach affrontò il problema dell'inerzia i n u n modo che costi­ tuisce appena una lieve elaborazione di quello di Berkeley; la sua importanza sta soprattutto nell'aver stimolato una ti­ discussione del problema in un'epoca in cui l'autorità di Newton era indiscussa. La critica machiana delle leggi del moto di Newton è piu minuziosa di quella di Berkeley, ma riguardo alla forza cen­ trifuga il discorso è identico. Nel 1872 Mach scriveva, in

Storia gia:

e

fondamenti del principio di conservazione dell'ener­

Per me esistono solo moti relativi... Quando un corpo ruota relativamente alle stelle fisse, si producono forze centrifughe; quando ruota relativamente a qualche altro corpo e non alle stelle fisse, non si produce alcuna forza centrifuga. Non ho al·

Le sorgenti delle forze inerzia/i

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cuna obiezione a chiamare il primo moto rotazione, purché sia ben chiaro che si intende soltanto rotazione relativa alle stelle fisse.

Quanto al fatto che responsabili delle forze inerziali dove­ vano essere le stelle, Mach fu piu esplicito di Berkeley, e scrisse : Ovviamente non ha importanza che noi pensiamo alla Terra ruotante attorno al proprio asse, oppure alla Terra in quiete, mentre le stelle fisse le girano intorno. Dal punto di vista geo­ metrico i due casi sono identici: si tratta di una rotazione rela­ tiva della Terra e delle stelle fisse. Se però pensiamo la Terra in quiete con le stelle fisse che le ruotano intorno, non esiste piu alcun appiattimento della Terra ai poli, non è piu possibile al­ cuna esperienza di Foucault, e cosf via - almeno secondo la no­ stra comune concezione della legge d'inerzia. Ora, la difficoltà può essere risolta in due modi: o dicendo che ogni moto è as­ soluto, oppure ammettendo che la nostra legge d'inerzia è espres­ sa male. Io sono per questa seconda soluzione: la legge d'iner­ zia deve essere concepita in modo che si giunga esattamente allo stesso risultato, sia che si parta dalla prima che dalla seconda supposizione. Con questo è evidente che nella sua formulazione devono intervenire le masse dell'universo.

Per Mach, dunque, sono sistemi inerziali quelli che non sono accelerati rispetto alle « stelle fisse »: vale a dire, ri­ spetto a una media, opportunamente definita, di tutta la materia dell'universo. Di piu, la materia possiede inerzia solo in quanto c'è altra materia nell'universo. Con Einstein, chiameremo queste affermazioni « principio di Mach ». Perché l ' acceleraz i o n e?

Un vantaggio del principio di Mach sul concetto newtoniano di spazio assoluto sta nel darci il modo di capire perché è l'accelerazione, e non la velocità, che può essere rilevata lo­ calmente. Supponiamo che vi sia lo stesso numero di stelle in ogni direzione: allora, se ci troviamo in quiete rispetto

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Le sorgenti delle forze inerziali

alle stelle, qualsiasi forza inerziale che esse potrebbero eser­ citare deve annullarsi per simmetria. Quello che dobbiamo spiegarci è perché se le stelle si muovono di moto uniforme rispetto a noi la forza inerziale risultante è ancora zero , mentre se acceleriamo la risultante non è piu zero . Questo comportamento deve evidentemente risultare dalla legge che dice in che modo una forza inerziale dipende dal moto della sorgente della forza stessa. La legge verrà di­ scussa nel prossimo capitolo. Qui ci interessa semplicemen­ te sottolineare che abbiamo la possibilità di capire la pro­ fonda differenza di significato che esiste, in dinamica, fra velocità e accelerazione, se riusciamo a riferirla alle pro­ prietà di un'interazione. Nella visione newtoniana resta inspiegabile perché non si possa determinare la velocità ri­ spetto allo spazio assoluto . Questo punto è cosf importante che vale la pena di soffer­ marsi un attimo a considerare cosa sarebbe la fisica nel caso che esistesse un'interazione dipendente dalla velocità fra materia locale e stelle lontane: in tal caso, se le stelle si muovessero di moto uniforme rispetto a noi, produrrebbero un effetto misurabile. È interessante notare che nel 1963 si ipotizzò l'esistenza proprio di un'interazione del genere ; e anche se l'ipotesi fu presto smentita sperimentalmente, essa illustra tuttavia molto bene come si debba fare una precisa distinzione- e noi l'abbiamo fatta a pagina 13 -nel formu­ lare un principio di relatività, fra leggi che governano un sistema e valori dei parametri che descrivono lo stato del sistema. Se la materia è distribuita per tutto l'universo, uno dei parametri suddetti è la velocità relativa fra sistema locale e materia distante : la possibilità di misurare questa velocità per mezzo di osservazioni limitate al sistema locale è allora compatibile col principio di relatività ristretto . L'ipotesi dell'interazione dipendente dalla velocità fu fatta per dar conto del decadimento di un particolare tipo di par­ ticella elementare, detta mesone K, in due altre particelle elementari dette mesoni n ( il decadimento avrebbe altri­ menti contraddetto una proprietà di simmetria delle parti-

Le sorgenti delle forze inerzia/i

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celle elementari che faceva molto comodo ). Nella supposta interazione il mesone K sarebbe stato accoppiato alla mate­ ria in tutte le stelle, in modo tale che la velocità del suo

decadimento nei due mesoni n dipendesse dalla velocità del mesone K relativa alle stelle. La teoria fu confutata perché

questa dipendenza non venne riscontrata sperimentalmente, ma è chiaro che se si fosse rivelata corretta, ne sarebbe disceso come conseguenza che la velocità di un moto uni­ forme sarebbe stata rilevabile. È anche chiaro che se la velocità di decadimento fosse stata realmente dipendente dalla velocità del mesone K rispetto alle stelle, e se questa dipendenza fosse stata scoperta prima che venisse postulata la nuova interazione, un fisico newto­ niano ne avrebbe dedotto che non esiste alcun principio di relatività, e che la velocità assoluta, come l'accelerazione as­ soluta, ha un significato non ambiguo. Postulata la nuova interazione, noi capiremmo che le stelle agiscono sul me­ sane K, continueremmo cosf a ritenere valida la relatività ristretta e diremmo che la velocità del mesone K rispetto alle stelle è misurabile perché è una velocità relativa interna al sistema totale. Le leggi potrebbero essere ancora le stesse per tutti gli osservatori inerziali. Allo stesso modo il prinicpio di Mach ci insegna che le leggi della dinamica possono essere valide in tutti i sistemi di rife­ rimento, compresi quelli non inerziali. Le forze inerziali che appaiono in un sistema di riferimento non inerziale sono effetti fisici dovuti alle stelle, la qual cosa ci permette di determinare l'accelerazione relativa alle stelle, che è un'acce­ lerazione interna al sistema totale. In altre parole, abbiamo cambiato il significato delle forze inerziali : invece di forze la cui esistenza smentisce le leggi di Newton, sono diventate il mezzo mediante il quale possiamo misurare un'accelera­ zione relativa alle stelle ; non sono piu parte di una legge, sono semplicemente valori di un parametro . Per giustificare questo nuovo punto di vista ci occorre una teoria particola­ reggiata dell'interazione inerziale della materia con la mate­ ria ; ad essa dedicheremo il prossimo capitolo.

3

La legge dell'induzione iner­ ziale

I ntrod u z i o n e .

Nostro scopo, in questo capitolo, è trovare la legge che de­ termina la forza inerziale esercitata da un corpo su un altro . Come si verifica per altri tipi di forze (gravitazionale, elet­ tromagnetica ), la forza inerziale dipenderà dalle proprietà intrinseche dei due corpi, dal loro moto relativo, e dalla distanza che li separa. Vedremo che disponiamo di informa­ zioni sperimentali sufficienti per poter determinare tutte queste caratteristiche della forza inerziale tra corpi. Dipendenza da proprietà i ntri nseche della m ateria.

Consideriamo per prima cosa la domanda : su quale pro­ prietà di un corpo agisce una forza inerziale? La risposta è (per definizione) : sulla sua massa inerziale. Questo è enun­ ciato formalmente nelle equazioni (2), (3) e (5) del capi­ tolo l, da cui si ricava che la forza inerziale che agisce su un corpo è proporzionale alla massa inerziale del corpo stesso. Fin qui è una questione di definizioni, perché l'espressione delle forze inerziali si ricava immediatamente dalla seconda legge di Newton, mediante la quale restano definite le pro­ prietà inerziali della materia. Imbocchiamo invece un sen­ tiero del tutto nuovo se ci chiediamo : quale proprietà di un corpo è all'origine della forza inerziale che quel corpo eser­

cita? La stessa domanda nasce anche per altri tipi di forze. Sap­ piamo, ad esempio, che la forza elettrica che agisce su un corpo dipende dalla carica del corpo : ma sappiamo anche che la forza elettrica esercitata da un corpo dipende, essa

La

legge dell'induzione inerziale

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pure, dalla carica di quel corpo. Dunque la carica ha due ruoli, uno passivo e uno attivo . La ragione di fondo di ciò sta nella terza legge del moto di Newton, che afferma che le forze che due carièhe esercitano l'una sull'altra sono uguali e di segno opposto. In simboli,

relazione che è simmetrica fra le due cariche. Per la stessa ragione dobbiamo supporre che la massa iner­ ziale abbia contemporaneamente un ruolo attivo e uno pas­ sivo, e dunque la forza inerziale che si esercita fra due corpi di massa mt e m2 dovrà seguire la legge

Dunque la sorgente delle forze inerziali è la massa inerziale.

Dipe n d e n za dal m oto relativo.

Anche qui è utile partire dal problema analogo della forza fra due cariche elettriche. Se le cariche sono in moto l'una rispetto all'altra, la forza che si esercita fra di esse dipende, in modo piuttosto complicato, dal loro moto relativo . Esiste un effetto dovuto non solo alla velocità, ma anche all'acce­ lerazione. Il termine dipendente dall'accelerazione è pro­ porzionale all'accelerazione a :

Insistiamo sull'accelerazione perché, come abbiamo visto nel capitolo precedente, ci aspettiamo che su un corpo si eser­ citino forze inerziali quando le stelle si muovono di moto accelerato rispetto a quel corpo, ma non altrimenti . Perciò , se l'interazione inerziale contenesse, nella sua f� rmulazione, termini dipendenti solo dalla posizione o dalla velocità delle stelle, dovremmo imporre alla somma algebrica di questi termini di annullarsi, presumibilmente a causa della simme-

34

La legge dell'induzione inerzia/e

tria nella distribuzione delle stelle che ci circondano . Questo ragionamento non dice se questi termini sono presenti o no : dice però che, per analogia con il caso elettrico, deve es­ serci un termine dipendente dall'accelerazione. Dunque pos­ siamo scrivere a questo punto, per l'interazione inerziale, la seguente relazione :

Di p e n d e n z a dalla d istanza.

Rivolgiamo un ultimo sguardo al caso dell'elettricità: la forza elettrica che si esercita fra due cariche stazionarie di­ pende dalla distanza secondo una legge del tipo « inverso del quadrato », come è espresso nella legge di Coulomb; invece il termine dipendente dall'accelerazione è inversa­ mente proporzionale alla prima potenza della distanza :

Si tratta di una differenza decisiva, perché proprio questo cambiamento di potenza (dalla seconda alla prima) corri­ sponde al fatto che una carica accelerata emette una radia­ zione elettromagnetica, il flusso di energia irradiata attraverso la superficie di una sfera di raggio r essendo indipendente da r. Adotteremo la stessa dipendenza dalla distanza per la nostra forza inerziale ? In altre parole, dobbiamo scrivere (6) I l numeratore a l secondo membro d i questa relazione è facil­ mente giustificabile, perché discende direttamente dalla de­ finizione di forza inerziale, e non è altrettanto facile dire quali considerazioni portano al denominatore.

La legge dell'induzione inerzia/e

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Fortunatamente abbiamo un'indicazione, ed è la deduzione che Newton trasse dall'esperienza col secchia d'acqua ruotan­ te: quando un corpo posto nelle vicinanze (in quel caso il secchia) si muove di moto accelerato, la forza inerziale che esso esercita è troppo piccola per essere individuata. Dob­ biamo perciò trovarci di fronte a una forza a lungo raggio, una forza per cui i corpi distanti sono piu importanti dei corpi vicini, perché il fatto che la loro massa è grande è piu rilevante della grande distanza a cui sono posti . Cerchiamo ora di rendere quantitativo questo discorso, e ve­ dremo che l'equazione (6 ) è in effetti giustificabile. La prima cosa da fare è fissare un limite superiore numerico per la forza inerziale esercitata da un corpo vicino. L'espe­ rimento di Newton si rivela, di fatto, scarsamente « sensi­ tivo ». Nel 1896 i fratelli B. e T. Friedlander ne allestirono una versione perfezionata; essi tentarono di individuare forze centrifughe e di Coriolis in un pesante volano fatto ruotare velocemente, ma sempre senza successo. Una prova ancora piu « sensitiva » è data dal movimento annuo del Sole at­ torno alla Terra. Se il Sole fosse la principale sorgente del­ l'inerzia, ci si dovrebbe aspettare, per esempio, che un pen­ dolo di Foucault che cominciasse a oscillare in direzione del Sole continuasse a essere rivolto verso il Sole ; rispetto alla Terra, esso avrebbe cosi una rotazione annua, oltre che una diurna. Di fatto, il pendolo di Foucault non si comporta in questo modo, e il sistema di riferimento locale non ruotante segue le stelle con un divario di meno di qualche secondo d'arco per secolo ( anche se per raggiungere questa precisione in genere si studia il moto della Luna anziché quello di un pendolo di Foucault ). Sceglieremo dunque la nostra legge di dipendenza dalla distanza in modo che il contributo del Sole alla forza inerziale sia una frazione del totale inferiore a 5

2n X 2 X 105 X 100

ovvero

4 X 10-8•

Esamineremo dapprima una legge del tipo « inverso del qua­ drato », e vedremo che questo tipo può essere quasi certa-

36

La legge dell'induzione inerziale

mente scartato, in quanto troppo a corto raggio. Una legge dell'inverso del quadrato è molto comoda se abbiamo a che fare con una distribuzione di stelle abbastanza uniforme. In tal caso il numero delle stelle contenute in uno strato sferico posto a distanza r è proporzionale a r, mentre il contributo di ciascuna stella è inversamente proporzionale a r: cosi ogni strato dà quantitativamente lo stesso contributo. Se la distribuzione delle stelle è molto estesa avremo contributi da un gran numero di strati, e le deviazioni particolari delle singole stelle dall'uniformità tenderanno a compensarsi a vi­ cenda. Se la distribuzione di stelle ha un raggio R e lo spes­ sore di uno strato è r0, il numero di strati è R/r0 e il volume di uno strato che si trova a distanza r è 4:nrr0• L'effetto ri­ sultante * di tutte le stelle è allora proporzionale a m

R

4:nrron X -"I X r0 ' cioè a

4:nnmR, dove n è il numero di stelle per unità di volume e m è la massa media di una stella. Dobbiamo confrontare ora quest'effetto con l'effetto del Sole. Attribuendo al Sole la massa di una stella media, il suo ef­ fetto sarà proporzionale a

m/tl, dove

a

è la distanza Terra-Sole. Il rapporto fra i due effetti è

4:nnRtl ,

(7)

e noi richiediamo che esso superi 1/( 4 X 10-8), vale a dire

2,5 X 10 7 •

Per calcolare il rapporto (7) occorre conoscere n e R. Ora, R è il raggio della distribuzione stellare, e a questo punto occorre riconoscere che le stelle che vediamo a occhio nudo * Vedremo nel capitolo 6 che non è del tutto corretto sommare sem­ plicemente i contributi di tutte le stelle ; la teoria finale è non lineare. Tuttavia, per arrivare, come qui, a stime approssimative, una legge li­ neare risulta sufficiente.

La legge dell'induzione inerzia/e

37

appartengono alla nostra galassia, la Via Lattea, ma che l 'universo appare riempito da una distribuzione di galassie . Per l'importanza che hanno nel contributo totale gli strati distanti non possiamo ignorare queste altre galassie. Anzi, potremmo sostituire, nel calcolo precedente, alla parola stella la parola galassia e il calcolo varrebbe lo stesso, tenuto conto tuttavia che il Sole non ha la stessa massa di una galassia. E poiché si pensa che la maggior parte della materia nell'u­ niverso sia costituita da idrogeno, è in qualche modo piu conveniente prendere un atomo di idrogeno, anziché una stella o una galassia, come sorgente individuale dell'inerzia; in questo caso dobbiamo tener conto del fatto che il Sole contiene un gran numero di atomi di idrogeno. Per i nostri scopi possiamo tranquillamente supporre che il Sole sia co­ stituito interamente da idrogeno, e poiché la sua massa è 2 X 1033 grammi e la massa di un atomo di idrogeno è 1 ,7 X 10-24 grammi, ne segue che il Sole contiene circa 1057 atomi di idrogeno. Pertanto l'effetto di tutta la materia del­ l'universo supera quello del Sole di un fattore

4n X l0-57 n HRal.

(8)

dove ora nH è il numero medio di atomi di idrogeno per unità di volume nell'intero universo, e R è il raggio dell'u­ niverso. A prima vista questa formula appare sconcertante, perché potremmo ragionevolmente aspettarci che l'universo avesse un raggio infinito. Ci salva il fatto che le galassie distanti si allontanano da noi, come è mostrato dal famoso spostamento verso il rosso che appare nei loro spettri. Se si interpreta questo spostamento verso il rosso come dovuto a effetto Dop­ pler, si trova che la velocità di recessione di una galassia è proporzionale alla sua distanza da noi . Questa relazione, nota come legge di Hubble, si scrive solitamente nella forma r V = -, T

dove T, costante di Hubble, risulta, da osservazioni, essere circa 1010 anni. Per distanze cosf grandi che v si approssima

38

La legge dell' induztone tnerztale

alla velocità della luce, la legge di Hubble va modificata sulla base di effetti relativistici; ma senza entrare nei particolari di questi effetti, possiamo aspettarci che l'universo abbia un raggio « efficace » cr, valore per il quale nella legge semplice ( non relativistica ) di Hubble la velocità di recessione eguaglia quella della luce. Il nostro calcolo dell'effetto globale dell'universo non teneva conto della recessione delle galassie ; possiamo aspettarci che questa recessione indebolisca il contributo di una galassia di­ stante, proprio come succede per lo splendore (che d'altra parte segue esso pure una legge dell'inverso del quadrato ). L'indebolimento sarà tanto maggiore quanto piu velocemente la galassia si allontana e perciò quanto piu è distante : ciò complica il calcolo dell'effetto risultante di tutte le galassie. Fortunatamente, nell'ambito del nostro discorso è sufficiente una stima approssimata, limitata agli ordini di grandezza, per cui possiamo trascurare questo indebolimento e compensarlo prendendo il valore limite cr come raggio R dell'universo. Dunque, prendendo R - 1028 cm, ed essendo a - 1 ,5 X 1013 cm, troviamo per il rapporto (7) 2 ,5 X 10-2 nH, con nH in atomi/cm3• Questo valore deve superare 2 ,5 X 107; dobbiamo perciò richiedere che sia nH > 109 atomi/cm3. È una richiesta ragionevole? Se sparpagliassimo per l'universo tutta la materia che si trova compressa nelle galassie, otterremmo una densità di atomi di idrogeno compresa fra 10-7 e 10-6 cm-3• Cifra al­ quanto aleatoria, che però vediamo subito essere di molto inferiore a quanto richiediamo . È vero che può esserci effet­ tivamente piu materia fra le galassie che nelle galassie stesse ( si veda oltre ), ma nessuna forma conosciuta di materia po­ trebbe avere una densità intergalattica equivalente a 109 ato­ mi di idrogeno per centimetro cubo senza essere già stata ri­ velata. Piuttosto che introdurre forme sconosciute di mate­ ria preferiamo rifiutare una legge di proporzionalità all'in­ verso del quadrato della distanza per l'induzione inerziale.

La legge dell'induzione inerzia/e

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Essendo troppo a corto raggio, questa legge può sopprimere l'influenza del Sole sul sistema di riferimento inerziale locale solo facendo ricorso all'esistenza di enormi e ingiustifìcati ammassi di materia distante. Dobbiamo perciò ricorrere a leggi di forza piu a lungo raggio. D i p e n d e n z a dal l ' i nverso d e l l a pri m a pote n z a.

Se restringiamo, per semplicità, la nostra ricerca agli inversi di potenze intere, quello che viene subito dopo è l'inverso della prima potenza, che già ci è stato suggerito dall'analogo elettrico delle forze inerziali. Gli strati distanti sono ora piu importanti di quelli vicini, per­ ché il numero di sorgenti aumenta con la distanza piu rapi­ damente di quanto non diminuisca la forza dovuta a ciascuna sorgente. Non sottovaluteremo perciò di molto l'effetto ri­ sultante dell'universo se supporremo che tutti gli atomi di idrogeno in esso presenti si trovino a una distanza cr da noi. Il numero totale di atomi è ( 4n/3 ) (cr)l nH, e il loro effet­ to *, per una legge di proporzionalità inversa alla prima po­ tenza, sarà all'incirca proporzionale a

- (cr)2 nH . 4n

3

L'effetto del Sole è in tal caso proporzionale a

1057 . a

--

Il rapporto fra questi due effetti risulta

4n

3 x 10-57 nH (cr'fa, ovvero

* Vedi nota a pag. 36.

40

La legge dell'induzione inerzia/e

Poiché esso deve essere superiore a 2,.5 X 1 07, troviamo, per nH, la seguente disuguaglianza :

nH > 4 X 10-6 cm-3 ( = 7 X 10- 30 cm-3 ) . Come supponevamo, basta ora una quantità molto inferiore di materia nell'universo per superare in misura sufficiente il contributo solare all'inerzia. Di fatto, il nostro limite infe­ riore è adesso notevolmente vicino alla stima della quantità di materia contenuta nelle galassie. Non è chiaro se esista ancora una discrepanza significativa, perché sia il nostro cal­ colo sia le osservazioni effettuate sono soltanto approssima­ tivi, tuttavia è interessante considerare la possibilità che la teoria ric;hieda la presenza nello spazio intergalattico di una quantità di materia maggiore di quella presente nelle galas­ sie stesse. Supponendo, per semplicità, che questa materia sia sotto forma di gas intergalattico, possiamo porci la do­ manda : qual è la massima densità che potrebbe avere que­ sto gas, essendo finora sfuggito all'osservazione? Il g as i nterg alatti co.

Se il gas fosse fatto di idrogeno atomico neutro, tenderebbe ad assorbire la radiazione emessa dalle galassie lontane. L 'as­ sorbimento sarebbe forte in due particolari regioni di lun­ ghezze d'onda. Una è la lunghezza d'onda radio di 21 cm, lunghezza a cui la radiazione induce nell'atomo d'idrogeno un'inversione di spin, per cui gli spin dell'elettrone e del protone passano dallo stato antiparallelo allo stato parallelo . Nessun assorbimento del genere è mai entrato nell'ambito delle osservazioni nei limiti di sensibilità dei nostri stru­ menti. Il limite superiore che ne risulta per la densità del­ l'idrogeno atomico intergalattico è circa 3 X 10- 6 cm-3, molto vicino al limite inferiore di 4 X 10-6 cm-3 cui siamo giunti qui sopra. Recentemente sono state fatte osservazioni molto piu « sensi­ tive » nella seconda regione di lunghezze d'onda : si tratta del­ la lunghezza di l 2 1 6 A, nell'ultravioletto lontano, lunghez-

La legge dell'induzione inerzia/e

41

za a cui la radiazione ecciterebbe l'atomo di idrogeno, facen­ dolo passare dallo stato fondamentale al primo stato eccitato principale ( transizione a di Lyman ). Di norma questo assor­ bimento non sarebbe rilevabile a terra, perché l'atmosfera trasmette una parte trascurabile dell'ultravioletto lontano ; tuttavia, se una sorgente di radiazione ultravioletta presen­ tasse uno spostamento verso il rosso abbastanza grande, la radiazione rientrerebbe nella regione visibile, e se il gas as­ sorbente presentasse anch'esso un ampio spostamento verso il rosso, anche la lunghezza d'onda a cui si verifica l'assorbi­ mento risulterebbe spostata (fig. 6 ). Sorgenti di questo genere sono oggi note (le famose « sor­ genti-quasi-stellari » o quasar), eppure non si rileva alcun as­ sorbimento. Ciò impone alla densità dell'idrogeno atomico intergalattico un limite molto piu stretto di quanto non com­ porti l'assenza di assorbimento nella regione di lunghezza d'onda 2 1 cm, perché l'idrogeno atomico è molto piu opaco a l 2 1 6 A che a 2 1 cm . Il limite superiore che ne risulta è circa I 0-12 cm-3, di gran lunga inferiore al nostro precedente limite di I0-6 cm-3• s o rg e n t e c o n s p o s t a m e n t o verso i l r o s s o

3).

"i =

Z

---+-!--- strato c o n s p o s t a m e n t o v e r s o il r o s s o ---+-!--- z (O < z < Z) a s s o r b e nte a ì. = 1 21 6 A

V-/ V

il ricevitore o s s erva l ' a s s or b i m e n t o a

).

=

1216

(1 + z) A

Fig. 6. L'assorbimento intergalattico a una lunghezza d'onda a riposo di l 216 A (Lyman-a.) produce nello spettro di una sor­ gente con spostamento verso il rosso oÀ/À= Z un assorbimento fra le lunghezze d'onda 1 216 A e 1 216 (1 + Z) A.

42

La legge dell'induzione inerzia/e

Siamo perciò costretti a supporre che se esiste idrogeno in­ tergalattico con densità - 1 0-6 cm-3, esso deve essere ioniz­ zato, o altrimenti distribuito in modo assai irregolare, come potrebbe essere se fosse, ad esempio, addensato principal­ mente in ammassi di galassie . Nel primo caso, ammettendo che il gas sia omogeneamente distribuito e ionizzato, dobbiamo assicurarci che non piu di una particella su - 1 06 sia neutra in qualsiasi istante. Come può essere mantenuto un grado cosf alto di ionizzazione ? La risposta piu ragionevole è che il gas possegga una elevata temperatura cinetica, che permetta collisioni tra le particelle tanto energiche che esso ne resti permanentemente ionizzato . La temperatura minima che occorre perché si verifichi una situazione simile è circa 7 X 1 05 °K per una densità - 10-5 cm-3, e temperature piu elevate occorrono per densità mag­ giori. La temperatura non può essere tuttavia molto piu elevata di questa, perché a temperature superiori il gas emetterebbe un copioso flusso di raggi X, che, pur assorbiti dall'atmosfera terrestre, verrebbero rivelati dai razzi inviati oltre l'atmo­ sfera. Il basso livello di fondo di raggi X extra-terrestri chè risulta dalle osservazioni impone un limite superiore di - 106 °K alla temperatura del gas intergalatticci, supposto che la sua densità sia realmente - 1 0-5 cm-3• Eventuali osservazioni future di raggi X piu morbidi ( di fre­ quenza piu bassa) permetteranno o di individuarne l'emis­ sione da parte del gas intergalattico oppure di imporre un limite superiore di - 3 X 1 05 °K alla temperatura del gas stesso * . Questo è probabilmente il limite ultimo a cui si può giun­ gere con questo metodo, perché raggi X ancora piu morbidi verrebbero assorbiti dal gas presente nella nostra galassia ; tuttavia tale limite sarebbe sufficiente a provare l'esistenza di un gas intergalattico uniformemente distribuito con n-

1 0-5 cm-3•

* Osservazioni preliminari di raggi X morbidi appaiono compatibili con un gas intergalattico di densità - ro-s cm-• a temperatura - 5 X r o-s •K.

La legge dell'induzione inerzia/e

43

Dunque attualmente possiamo ammettere l'esistenza di un gas intergalattico con questa densità, a patto che la sua tem­ peratura si mantenga su valori attorno a 1 06 0K. È ragione­ vole supporre, per un gas intergalattico, una temperatura cosi elevata? Dipende dall'introduzione di calore nel gas, sulla quale ben poco si sa : ma possiamo dire con sicurezza che un flusso di raggi cosmici nello spazio intergalattico che fosse solo un millesimo del flusso rilevabile nella nostra ga­ lassia basterebbe a riscaldare il gas fino ai richiesti l 06 oK . Ora, quale sia effettivamente il flusso di raggi cosmici inter­ galattici non si sa, ma stime approssimative della dispersione di raggi cosmici dalle galassie avevano già suggerito la fra­ zione 1 0-3, ancor prima che sorgesse la questione del riscal­ damento del gas intergalattico . Se anche osservazioni future dovessero dimostrare che la densità del gas intergalattico (supposto uniformemente di­ stribuito) è sensibilmente inferiore a quello che noi avevamo stimato essere il limite inferiore, 4 X 1 0-6 cm-3, non è detto che dobbiamo abbandonare la legge dell'l/r per l'induzione inerziale. Per prima cosa, possiamo supporre che la quantità di materia necessaria per giustificare la legge, anziché in modo uniforme, sia distribuita in modo irregolare, molto probabilmente addensata in ammassi galattici ; nel qual caso il gas sarebbe difficilmente rilevabile, nonostante gli astro­ nomi stiano vagliando diverse possibilità. Secondo, i termini non lineari che abbiamo trascurato potrebbero permettere per l 'universo una densità piu bassa, prossima al valore - 1 0-6 cm-3, che corrisponde alla densità delle galassie uni­ formemente distribuite (cioè al rapporto fra la massa di tutte le galassie e il volume dell'universo ). A questo punto il lettore comincerà a chiedersi se non era meglio adottare una forza a raggio ancor piu lungo di quella proporzionale all'inverso della prima potenza della distanza, in modo da evitare ogni problema di insufficienza di materia. La difficoltà in questo caso, però, starebbe nel fatto che se noi supponiamo che l'universo sia in realtà infinito e che il valore finito adottato per il raggio provenga da una specie

44

La legge dell'induzione inerziale

di taglio dovuto allo spostamento verso il rosso, con una forza troppo a lungo raggio il taglio non sarebbe piu cosf efficace, e l'effetto risultante di tutta la materia contenuta nell'universo potrebbe diventare infinito. Poiché un gas in­ tergalattico che abbia la densità limite richiesta può di fatto conciliarsi con l'astrofisica odierna, e poiché l'effetto dei ter­ mini non lineari non è ancora completamente chiaro, prefe­ riamo per ora adottare la legge dell'inverso della prima po­ tenza per l'interazione inerziale. Conclusione.

La nostra forza inerziale ha provvisoriamente la forma

posto che l'universo abbia una densità media di materia 7 X 10-30 g cm-3•

-

4

Il princ i pio d i equ ivalenza

Introd u z i o n e.

La discussione fatta fino ad ora ha un grosso limite : le pro­ prietà inerziali della materia rivelano solo quella parte del­ l'interazione inerziale a lungo raggio che dipende dall'acce­ lerazione; per analogia col caso elettrico dovremmo aspet­ tarci che, assieme all'interazione

agisca anche un'interazione statica

(9 ) e forse anche un'interazione dipendente dalla velocità. In questo capitolo esamineremo le conseguenze che derivano dall'ipotesi che esista effettivamente l'interazione statica. Co­ me il lettore avrà già intuito dalla forma della (9), un'iute­ razione simile si può plausibilmente identificare con la gravi­ tazione. L'identificazione fu fatta da Einstein nel 1907, ed è ora di solito nota come Principio di equivalenza (delle forze inerziali e gravitazionali ).

Come si rivela l ' i nteraz i o n e stati ca.

Dimentichiamo per un momento questa identificazione e chiediamoci semplicemente se la supposta interazione sta­ dca ( 9 ) potrebbe essere rivelata. Poiché interviene una forza proporzionale all'inverso del quadrato, la discussione da noi

46

Il principio di equivalenza

fatta precedentemente dice chiaramente che il Sole è in que­ sto caso una sorgente piu importante dell'intera nostra ga­ lassia, o di tutte le altre galassie messe assieme, inclusa la materia intergalattica (anche se comunque c'è da aspettarsi che nella maggior parte queste sorgenti extragalattiche si neu­ tralizzino fra loro per simmetria ). Con argomentazione simile, il contributo principale alla forza che agisce su un laboratorio terrestre dovrebbe provenire dalla Terra ( mT/rT = 1 ,5 X 1 010 g/cm2) piuttosto che dal Sole ( m5/tÌ' = 9 X 1 06 g/cm2). Il nostro problema perciò si riduce a determinare se la forza statica (9) della Terra sia abbastanza grande da poter essere rivelata. Conosciamo la massa della Terra e la distanza superficie-cen­ tro ( il suo raggio ), ma non siamo in grado di calcolare la forza finché non conosciamo la costante di proporzionalità che è implicita nella ( 9). Per risolvere il problema è utile ancora una volta rifarsi al caso dell'elettricità. Qui l'intera­ zione statica si esprime nella legge di Coulomb

dove k è la « costante dielettrica dello spazio vuoto » . La for­ za dipendente dall'accelerazione è F

= k e 1 e2 e

c?r

a

'

dove c è la velocità della luce nel vuoto, e e esprime la di­ pendenza angolare della forza, nella quale compare l'angolo fra la direzione della sorgente e la direzione dell'accelerazione della sorgente stessa ( si veda la figura 7). Sembra ragionevole avanzare l'ipotesi che l'interazione iner­ ziale abbia una struttura simile; avremmo dunque, per la parte statica, F

km1m rz

2

Il principio di equivalenza

47

e per la parte dipendente dall'accelerazione

Km mz F = àl a ,

( 10 )

e, '---t>

Fig. 7. Una carica accelerata esercita su una carica esploratrice una forza (in aggiunta alla forza di Coulomb) che: l) giace nel piano contenente il vettore accelerazione e la carica esploratrice; 2) è trasversale alla retta che congiunge le cariche; 3) è propor­ zionale alla componente trasversale dell'accelerazione. dove li> dà la dipendenza angolare . Anche qui come nel caso elettrico abbiamo bisogno del fattore ? per ragioni dimen­ sionali, ma non è detto che la dipendenza angolare rappre­ sentata da li> sia uguale a quella rappresentata da e. In realtà ci accontenteremo, in questo capitolo, di stime ap­ prossimative, per cui porremo provvisoriamente li> uguale al­ l'unità. Possiamo ora valutare K servendoci della condizione che la forza inerziale risultante che agisce su un corpo stazionario di massa inerziale mz è mza, dove a è l'accelerazione delle galassie rispetto al corpo. Dobbiamo perciò sommare * i contributi di forze F, espressi dalla ( 1 0 ), per ciascuna sorgente m in tutto l'universo. Ab­ biamo già fatto somme simili nel precedente capitolo, e sap*

Vedi nota a pag. 36.

48

Il principio di equivalenza

piamo che si commette una leggera sottostima se si suppone che tutta la materia di densità uniforme !! distribuita in una sfera di raggio R sia posta proprio alla distanza R. La massa totale risulta dunque ( 4n/3 ) R3e e la forza risultante dipen­ dente dall'accelerazione sarà circa K

c2

( 4n/3 ) R3emza R

in cui abbiamo fatto un'ulteriore approssimazione, ponendo

- 1 0-29 gcm-3. Questo limite inferiore per e, se accettato come valore esatto della densità, già richiede che vi sia circa cento volte piu materia nello spazio intergalattico che nelle galassie: quindi, per essere prudenti, prenderemo questo limite inferiore come valore effettivo di e, almeno finché ci teniamo nell'ambito dell'approssimazione lineare. Dunque

valore da ritenersi una stima un po' in eccesso . Ora che ab­ biamo questo valore approssimato di K possiamo calcolare la forza statica esercitata dalla Terra.

Il principio di equivalenza

49

e, per la seconda legge di Newton, induce un'accelerazione

che vale

Tale valore, date le nostre approssimazioni, dovrebbe essere un po' in eccesso. Non solo questa accelerazione è abbastanza elevata da poter essere rivelata : è stata già rivelata, solo che è passata sempre sotto un altro nome : accelerazione di gra­ vità. Siamo dunque condotti a fare la seguente identifica­ zione : la gravitazione è la parte statica dell'interazione iner­

ziale.

Se questa identificazione è corretta, K dovrà essere la co­ stante newtoniana di gravitazione, di cui abbiamo a dispo­ sizione un valore piu preciso,

La nostra stima 2 X 1 0-7 cm3 g-1 sec-2 ( approssimata per ec­ cesso ) è abbastanza precisa da indicarci che avevamo preso un valore ragionevole per la densità - e nella nostra approssima­ zione lineare. Il valore corretto secondo la teoria completa non lineare non è ancora noto.

I l pri n c i p i o d i eq u i valen za.

Fu Einstein il primo a suggerire che vi fosse una stretta re­ lazione tra forze inerziali e forze gravitazionali, anche se non giunse a questa intuizione attraverso lo stesso itinerario che noi abbiamo percorso. Al tempo in cui Einstein lavorava al problema ( 1 905- 1 5 ), poco si sapeva della struttura dell'uni-

50

Il principio di equivalenza

verso in grande scala : s1 rlteneva anzi diffusamente che la Via Lattea comprendesse l'intero universo e gli astronomi avevano soltanto le piu vaghe idee sulla quantità totale di materia esistente. Ciò che colpi Einstein come particolarmente significativo fu il fatto che le forze gravitazionali sono proporzionali alla massa inerziale del corpo su cui esse esercitano la loro azione, cosi che esse imprimono la medesima accelerazione a corpi differenti. Questa notevole proprietà delle forze gravitazio­ nali era stata scoperta da Galileo, anche se, secondo gli sto­ rici moderni, non facendo cadere corpi diversi dalla Torre di Pisa. In ogni caso, egli aveva certamente capito che l'accele­ razione di gravità è la stessa per corpi di differente massa e differente composizione. Questo fatto costituf un problema per Newton, che elaborò accurati esperimenti per verificare con quanta precisione valesse. Esperimenti ancora piu accu­ rati sono stati fatti successivamente da vari fisici, come Bes­ sei e Eotvos, e sono culminati nel recente lavoro di Dicke e dei suoi collaboratori a Princeton, che hanno trovato che corpi fatti di materiali diversi hanno la stessa accelerazione entro una precisione di una parte su 101 1 • Questa proprietà della gravitazione è in stridente contrasto con l 'azione delle forze elettrica e magnetica, che non indu­ cono la stessa accelerazione in tutti i corpi. Anzi, alcuni corpi sono neutri dal punto di vista elettromagnetico . Questa diffe­ renza tra gravitazione ed elettromagnetismo era naturalmente ben nota ai fisici fin dal tempo di Galileo, ma nessuno ne aveva colto il senso fisico, fino al 1907. In quell'anno Einstein fece notare che esiste un altro tipo di forze che, come la gravitazione, sono proporzionali alla massa del corpo su cui agiscono, e cioè le forze inerziali, da noi de­ scritte al capitolo l. Come abbiamo sottolineato in quell'oc­ casione, l'intensità della forza inerziale che agisce su un corpo è proporzionale alla massa del corpo ; sotto questo aspetto, dunque, le forze inerziali sono simili alle forze gravitazionali, e dissimili dalle forze elettriche o magnetiche. Einstein capi che questa somiglianza tra forze inerziali e gra-

Il principio di equivalenza

51

vitazionali rende impossibile distinguerle. La cosa si chiarisce meglio pensando come le forze gravitazionali si possano di­ stinguere dalle forze elettriche o magnetiche. Supponiamo che ci dicano che c'è un campo di forze presente e ci chie­ dano di scoprire quale parte del campo è gravitazionale e quale è elettrica. Tutto quel che dobbiamo fare è misurare l'accelerazione di un corpo neutro e di uno carico : l'accele­ razione del corpo neutro dà l'intensità della componente gra­ vitazionale del campo ; questa componente induce sia nel cor­ po neutro che in quello carico la medesima accelerazione, e la differenza fra le accelerazioni dei due corpi darà la misura dell'intensità della componente elettrica. Ora supponiamo di provare a usare la stessa tecnica per di­ stinguere una forza gravitazionale da una inerziale : poiché entrambe queste forze sono proporzionali alla massa del corpo su cui agiscono, non riusciremo mai a fare una qual­ siasi distinzione. Quale che sia il corpo usato per misurare la forza, l'accelerazione finale sarà comunque la stessa : pos­ siamo determinare l'intensità complessiva della forza, ma non possiamo dire quale parte di essa sia gravitazionale e quale inerziale. Einstein amava illustrare questo stato di cose nel modo se­ guente : consideriamo un uomo chiuso in una cabina posta in qualche punto dello spazio molto lontano da forze gravi­ tazionali, e supponiamo che la cabina venga improvvisamente sollevata da una corda, in modo che presenti un'accelerazione rispetto a un sistema inerziale (fìg . Sa). L'uomo dentro la cabina può scegliere di considerare se stesso in quiete nel corso dell'esperimento, ma allora la cabina diventa un sistema di riferimento non inerziale, e di conseguenza agirà su di essa una forza inerziale. L'esistenza di una forza del genere risul­ terà ovvia all'uomo nella cabina : se egli lascia andare un og­ getto, questo si allontana da lui con moto accelerato (fìg. 8b ). Il punto importante è che l'accelerazione risulterà identica per qualsiasi oggetto che egli lascerà andare, poiché è esatta­ mente uguale ed opposta all'accelerazione dell'uomo rispetto a un sistema inerziale.

52

Il principio di equivalenza

ecu

rt

m

�w 4 l C)

Fig. 8. (a) Un uomo in una cabina nello spazio cosmico. La ca­ bina viene improvvisamente sollevata da una corda. L'uomo balza in su con la cabina, ma le sfere che erano vicino alle sue mani restano dov'erano. (b) Stessa situazione vista dall'uomo nella cabina: egli sente una forza inerzia/e che agisce verso il basso; questa forza agisce anche sulle sfere inducendo in esse, che pure hanno masse diverse, la medesima accelerazione. Tale accelerazione è uguale e opposta all'accelerazione dell'uomo nel caso (a) . (c) Una situazione diversa, che però all'uomo sembra identica alla precedente: l'uomo cade verso un corpo gravitante, e poi si ritrova fermo alla sua superficie, mentre le sfere conti­ nuano a cadere con la stessa accelerazione.

Il principio di equivalenza

53

Ma proprio lo stesso succederebbe se, anziché essere tirata da una corda, la cabina fosse soggetta all'azione di una forza gravitazionale (fig. 8c). Ciò significa che l'uomo non sarà in grado di dire quale delle due eventualità è quella giusta. Finora questa conclusione si è basata interamente sulla somi­ glianza di risposta a una forza gravitazionale osservabile in corpi dotati di massa : ma è chiaro che potrebbe esserci qual­ che altro criterio capace di distinguere una forza inerziale da una gravitazionale; per esempio, nel comportamento della luce, o in qualche finissimo fenomeno atomico a livello mi­ croscopico. Einstein, elevando a principio l 'esperienza di Ga­ lileo (il famoso principio di equivalenza), stabili che non c'è alcun criterio, di nessun genere, per mezzo del quale si possa distinguere una forza inerziale da una gravitazionale. Possiamo notare la differenza fra questa impostazione e la nostra precedente considerando questa come locale invece che globale; vale a dire, qui ci interessiamo non alle sorgenti di forza ma soltanto agli effetti immediati che esse produ­ cono sui corpi su cui agiscono. Da questo punto di vista non siamo in grado di distinguere, localmente, tra la forza gravi­ tazionale statica e la forza inerziale dipendente dall'accelera­ zione, poiché sono entrambe parti della stessa interazione totale. Per poter fare questa distinzione dobbiamo conside­ rare, globalmente, le sorgenti, per vedere se esse si muo­ vono o no di moto accelerato. Allo stesso modo, non pos­ siamo distinguere fra la parte statica e la parte radiante del campo elettrico se limitiamo l'indagine a osservazioni locali. È importante notare, tuttavia, che esiste 1,1n modo per di­ stinguere tra forza gravitazionale e forza inerziale che è a metà fra il livello locale e il livello globale. Si trova illustrato nella figura 9 . Quando la cabina è in quiete sulla superficie terrestre, i corpi rilasciati dall'uomo che sta dentro si muo­ vono ciascuno in direzione del centro della Terra, e perciò l'uno verso l'altro, mentre se la cabina si trova nello spazio cosmico e viene tirata da una corda, i corpi rilasciati man­

tengono la stessa distanza fra loro.

54

Il principio di equivalenza

In altre parole, una forza gravitazionale è non uniforme, mentre la forza inerziale totale è uniforme : dunque, se si compiono osservazioni su una regione abbastanza vasta da poter notare la non uniformità, si può fare una distinzione tra le due forze senza bisogno di osservare le sorgenti . Per­ ciò il principio di equivalenza vale solo per osservazioni stret-

l

l

l l l l l , , I l

l l

l

c e ntro d e l l a

� · Terra

Fig. 9. (a) Un uomo in quiete sulla superficie terrestre lascia cadere due sfere: ciascuna di •esse si muove in direzione del cen-. tro della Terra, e pertanto entrambe si muovono l'una verso l'altra. (b) Un uomo soggetto a un'accelerazione nello spazio libero lascia cadere due sfere: esse si muovono in direzioni parallele.

tamente locali. Malgrado questa restrizione il principio è tut­ tavia di grande importanza, non solo storicamente, in quanto prima individuazione di un nesso fisico tra gravitazione ed inerzia, ma anche in senso scientifico : possiamo sempre cal­ colare in maniera diretta l'effetto di forze inerziali su qual­ siasi sistema fisico, e ciò fornisce di conseguenza l'effetto di un campo gravitazionale, prescindendo dalle sue non unifor­ mità, che del resto sono spesso molto limitate ( come nel caso della figura 9 ) . I l prossimo capitolo è dedicato a u n importante esempio di questo modo di procedere.

5

Lo spostam e nto ei n stei n i a n o v e rso il rosso

I ntro d u z i o ne.

Il grande vantaggio del principio di equivalenza sta nel fatto che esso ci fornisce gli effetti prodotti da un campo gravita­ zionale uniforme senza che ci sia bisogno di una teoria della

gravitazione.

Una teoria del genere è necessaria solo per calcolare gli effetti di un campo non uniforme . Questo perché un campo gravitazionale uniforme produce gli stessi effetti delle forze inerziali, forze che possiamo calcolare in modo diretto . Basta supporre che il sistema che di volta in volta si considera sia accelerato rispetto a un sistema di riferimento inerziale. Gravitaz i o n e e l u n g hezza d ' o n d a d e l l a l u ce.

L'esempio piu famoso del modo di procedere sopra descritto è il calcolo della variazione che subisce la lunghezza d'onda della luce nel propagarsi sotto l'effetto di forze gravitazio­ nali. Supponiamo che la luce giunga al pavimento di un labora­ torio partendo dal soffitto, come mostra la figura 1 0 . Poiché l'altezza d i u n laboratorio è di pochi metri, po,ssiamo trascurare il fatto che la gravità è piu debole al livello del soffitto che al livello del pavimento, e possiamo considerarci perciò in presenza di un campo sostanzialmente uniforme. Ciò permette di « eliminare » il campo gravitazionale imma­ ginando che all'istante in cui la luce viene emessa, al labo­ ratorio venga impressa un'accelerazione g verso l'alto ( rela­ tivamente a un sistema di riferimento inerziale ). Per il prin­ cipio di equivalenza, ciò non comporterà alcuna differenza nei fenomeni che hanno luogo nel laboratorio.

56

Lo spostamento einsteiniano verso il rosso

È possibile ora calcolare la variazione di lunghezza d'onda che subisce la luce nel percorso dal soffitto al pavimento. Se h è l'altezza del laboratorio, la luce impiega un tempo pari a circa h/c per coprire la distanza : il tempo effettiva,

a c c e l e r az i o n e g

;JJ\\;

l l

1 j

l

��\'

tempo t

l

l l

0 �

l

h/c

l

h

l

l

i l

l

1'

l



v e l o c ità v � g t � g h/c

Fig. 1 0. (a) La luce cade dal soffitto di un laboratorio terrestre fino al pavimento. (b) Situazione equivalente, in cui la Terra è rimossa e al laboratorio viene impressa un'accelerazione verso l'alto: mentre il raggio di luce si muove, il pavimento sviluppa una velocità verso l'alto.

mente impiegato è leggermente inferiore, perché il pavi­ mento del laboratorio si sposta verso l 'alto, e quindi la luce copre una distanza minore di h ; tuttavia il nostro scopo qui non è quello di ottenere una risposta rigorosamente esatta, e cosi possiamo trascurare questa complicazione. Ciò che non possiamo trascurare invece è il fatto che mentre la luce sta viaggiando, il pavimento sviluppa una velocità diretta dal basso verso l'alto, e ciò fa si che compaia un effetto Dop­ pler* nella lunghezza d'onda della luce misurata al livello del pavimento. *

Cfr. La relatività

e

il

senso comune,

cit.

Lo spostamento einsteiniano verso il rosso

57

Quanto vale questo effetto Doppler? Se la velocità del pavi­ mento all'istante in cui la luce vi giunge è v, la variazione di lunghezza d'onda è data da oÀ.

v

= T - �· Stiamo facendo qui un'altra approssimazione, che consiste nel trascurare l'effetto Doppler del secondo ordine . Il segno meno sta a indicare il fatto che, muovendosi il ricevitore verso la sorgente, la lunghezza d'onda della luce risulta ridotta (corrispondendo a uno spostamento verso il blu }. La velocità v si determina considerando che il pavimento ha un'accelerazione g per un tempo h/c: abbiamo perciò

gh

v = -. c

Lo spostamento per effetto Doppler è dunque uno sposta­ mento verso il blu di ampiezza

gh

7" Se ora torniamo al punto di vista gravitazionale, notiamo che gh è la differenza di potenziale gravitazionale che c'è fra sorgente e ricevitore. Se indichiamo questa differenza con 'òq;, vediamo che la luce, viaggiando attraverso una dif­ ferenza di potenziale gravitazionale �q;, subisce una varia­ zione di lunghezza d'onda òq;/ c'l. Questo effetto viene solitamente indicato come spostamento einsteiniano verso il rosso . L'espressione verso il rosso venne usata originariamente per­ ché i primi tentativi di individuare l'effetto di spostamento vennero fatti sulla luce proveniente dal Sole e da un par­ ticolare tipo di stelle, le nane bianche; in questi casi la luce viaggia prevalentemente in senso contrario alla gravità, per cui la variazione di lunghezza d'onda appare come uno spo­ stamento verso il rosso .

.58

Lo spostamento einsteiniano verso il rosso

Lo sposta m e nto e i n stei n i a n o verso i l rosso n e l S o l e .

I risultati di quei primi tentativi erano un tempo considerati positivi, e come tali sono indicati nei piu vecchi trattati sulla relatività. Ora si sa che quelle osservazioni o sono di per se stesse incerte, oppure sono difficili da interpretare, per l'in­ tervento di complicazioni di natura prettamente astrofisica. Questa incertezza è davvero malaugurata, perché, in via di principio, l'effetto è abbastanza grande da poter essere misura­ to. Per esempio, il potenziale alla superficie del Sole è GM/R, dove G , costante gravitazionale, è 6,7 X 10-8 cm3 g-1 sec-2, la massa del Sole, M, è 2 X 1033 g, e il raggio solare, R, è 7 X 1010 cm. Dunque, il potenziale è circa 2 X 1 015• Poiché la distanza Terra-Sole è 1 ,5 X 1013 cm, il potenziale solare alla superficie della Terra vale 1013• Il potenziale della Terra stessa alla propria superficie è l 012 (la massa della T erra è 6 X 1027 g, il suo raggio 6 X 108 cm). La differenza di potenziale èrp fra la superficie del Sole e la Terra è pertanto 2 X 1 015 ( a questo scopo la Terra è pratica­ mente a potenziale zero ) . In termini rigorosi, il campo gravi­ tazionale del Sole è !ungi dall'essere uniforme, poiché dimi: nuisce inversamente al quadrato della distanza; dobbiamo perciò fare alcune supposizioni circa gli effetti di questa non uniformità sulla lunghezza d'onda della luce . Per sem­ plicità supponiamo che non vi sia alcun effetto di questo genere. Lo spostamento verso il rosso previsto OÀ. è di conseguenza dato da -

-

2 x 10-6 valore che indica invero uno spostamento piccolissimo di lunghezza d'onda. Ma quando si analizza la luce proveniente dal Sole, appaiono nello spettro righe scure la cui lunghezza d'onda può essere misurata con grande precisione. Queste righe si presentano secondo schemi caratteristici che rendono possibile l'iden-

Lo spostamento einsteiniano verso il rosso

59

tificazione degli elementi chimici che le generano . Confron­ tando le lunghezze d'onda delle righe solari con quelle ori­ ginate dagli stessi elementi in laboratorio, si dovrebbe avere un riscontro sperimentale dello spostamento verso il rosso previsto dalle teorie. O almeno cosf si sperava. In effetti si nota sf uno spostamento verso il rosso, ma la sua ampiezza di solito varia a seconda della zona del Sole da cui proviene la luce : l 'ampiezza è minima quando si guarda direttamente il centro del disco solare, massima quando si guarda il bordo estremo. La natura del fenomeno non è completamente chiara, ma non è detto che esso sia in contraddizione con il principio di equivalenza. Anche diversi altri fenomeni, pura­ mente astrofisici, sono causa di spostamenti verso il rosso, e non c'è ragione perché tali fenomeni non debbano variare al variare della posizione sul Sole. Un'ulteriore complica­ zione è aggiunta dal fatto che le righe hanno una forma asimmetrica che varia a sua volta con la posizione sul Sole. Lo spostamento verso il rosso osservato è certamente dello stesso ordine di grandezza dello spostamento predetto da Einstein, ma finché non si conosce qualcosa di piu sulle con­ dizioni fisiche che sono all'origine delle righe, le osservazioni esistenti non costituiscono una verifica ottica veramente de­ cisiva del principio di equivalenza. Le n a n e bianche.

Il tentativo di usare le nane bianche per una verifica del principio di equivalenza fu romantico ma deludente . La sto­ ria delle nane bianche ha inizio oltre un secolo fa, quando l'astronomo Besse!, il primo a misurare la distanza di una stella dalla Terra, notò che Sirio si spostava avanti e indie­ tro nel cielo come se risentisse dell'azione gravitazionale di una stella compagna. La compagna fu scoperta nel 1 862, nei pressi della posizione prevista ; la sua massa, dedotta facil­ mente dall'effetto gravitazionale che si riscontrava su Sirio, risultò pressoché uguale a quella del Sole. Una stella non particolarmente interessante, si direbbe. Ma nel 1 9 1 5 Adams riuscf, con un metodo indiretto, a misurarne il raggio, che

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Lo spostamento einsteiniano verso il rosso

risultò soltanto un cinquantesimo del raggio solare : la stella era una vera nana. Fatto ancor piu interessante, la densità della stella risultava 1 05 g/cml, ovvero cento tonnellate per decimetro cubo. A questo risultato si guardò naturalmente con una buona dose di sospetto. Esso fu tuttavia spiegato su basi razionali nel 1924 da Eddington, che mostrò come tali elevate densità siano perfettamente compatibili con la struttura atomica della materia. Ciò che di solito rende difficile la compressione della materia fino a densità come queste sono le nubi elettroniche che circondano ciascun atomo, e che si respingono a vicenda ; alle altissime temperature che si riscontrano nelle stelle, le nubi elettroniche vengono strappate dagli atomi, e quando ciò si verifica i nuclei possono venire spinti fino ad avvici­ narsi molto fra loro : gli elettroni ci sono ancora, ma girano intorno a tutti i nuclei, senza appartenere ad alcuno in par­ ticolare. Lo stato altamente condensato della materia fu una scoperta meravigliosa, e fu una vera manna per Eddington, che si accaniva a cercare supporti sperimentali al principio di equi­ valenza. Poiché Sirio B ha la stessa massa del Sole e solo un cinquantesimo del suo raggio, il potenziale gravitazionale alla sua superficie è cinquanta volte piu grande di quello alla superficie del Sole. Ci si dovrebbe aspettare dunque uno spostamento verso il rosso cinquanta volte maggiore. Se­ guendo il suggerimento di Eddington, Adams misurò lo spo­ stamento. Naturalmente, doveva apportare opportune cor­ rezioni, per tener conto dello spostamento Doppler prodotto dal moto della stella attorno a Sirio. Fatte le debite corre­ zioni, egli annunciò che lo spostamento risultante era pros­ simo a quello previsto teoricamente. Il risultato venne accolto con entusiasmo, e riportato nella maggior parte dei testi scolastici. Sfortunatamente, esso non sopravvisse a un serio esame critico. Studi posteriori mo­ strarono due cose : che il valore dato da Adams al raggio di Sirio B era inattendibile, e che lo spettro di Sirio B era cosi inestricabilmente mischiato con lo spettro di Sirio

Lo spostamento einsteiniano verso il rosso

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stessa che lo spostamento nelle righe di Sirio B non poteva essere misurato con sicurezza. La stessa triste storia si verificò per le poche altre nane bianche prese in esame * . Prove d i laboratorio.

Questa situazione frustrante durò fino al 1960, anno in cui due gruppi di sperimentatori, uno a Harwell, in Inghilterra, e uno a Harvard, negli Stati Uniti, si apprestarono a misu­ rare lo spostamento verso il rosso in laboratorio. Era stata considerata un'impresa totalmente priva di speranze, poiché se la luce cade sotto l 'effetto della gravità per pochi metri, oÀ/À ( che è uguale a gh/�) risulta soltanto dell'ordine di 1 0-15 (cioè piu di 1 09 volte piu piccolo dello spostamento che si dovrebbe avere nella luce solare) . Tuttavia nel 1958 un giovane fisico tedesco, Mossbauer, aveva fatto una sco­ perta straordinaria : aveva trovato che in determinate circo­ stanze i solidi emettono raggi gamma le cui lunghezze d'onda sono fissate con estrema precisione, differendo l 'una dall'al­ tra in alcuni casi per meno di una parte su 1 012• Inversa­ mente, raggi gamma di questo tipo possono essere rivelati da quelle sostanze solo se le loro lunghezze d'onda differi­ scono dal valore fissato per meno di uno su 1 012• Misurando la riga in dettaglio, è possibile in pratica rivelare anche uno spostamento di frequenza che sia solo l'un per cento della larghezza della riga, vale a dire di poche parti su 1 015• Que­ sta è proprio la precisione che occorre per poter determinare in laboratorio lo spostamento einsteiniano. L'idea fu raccolta dai due gruppi di Harwell e Harvard contemporaneamente, in amichevole competizione. I primi a pubblicare un risultato furono quelli di Harwell, nel feb­ braio 1 960 . I raggi gamma da essi analizzati erano pre­ cipitati per 1 2 ,5 metri, a cui corrispondeva un oÀ/À di * Recentemente Greenstein e Trimble (Astrophysical Journal 149, 283, 1967) hanno riferito di aver verificato la presenza dello sposta­ mento einsteiniano verso il rosso nelle nane bianche.

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Lo spostamento einsteiniano verso il rosso

1 ,36 X 10-15• Lo spostamento da essi osservato era 0,96 + 0 ,45 volte lo spostamento determinato teoricamente. Ma c'erano guai in agguato. Nell'aprile dello stesso anno uno studente dell'Università di Cambridge, B. D. Josephson, fece notare che la temperatura della sorgente e del rivelatore giocava un ruolo importante nel risultato dell'esperimento : infatti gli atomi che emettono e che assorbono vibrano nei rispettivi solidi, tanto piu in fretta quanto piu alta è la temperatura, e queste vibrazioni producono loro propri spostamenti Doppler. Ora, noi sappiamo dalla Relatività Ristretta * che c'è uno spostamento Doppler del primo ordine proporzionale alla velocità, e uno spostamento del secondo ordine proporzio­ nale al quadrato della velocità ; poiché gli atomi vibrano molte volte su e giu mentre vengono emessi i raggi gamma, l'effetto del primo ordine si annulla da solo : infatti ci sa­ ranno tanti spostamenti verso il blu quanti verso il rosso, e dunque in media l'effetto del primo ordine è zero . Ma l'ef­ fetto del secondo ordine è comunque uno spostamento verso il rosso, sia che la sorgente si muova in su, sia che si muova in giu ([- vf = v2 ). Ora, se sorgente e rivelatore sono alla stessa temperatura, i raggi gamma, arrossati all'atto dell'emissione, saranno rossi esattamente quanto basta per poter essere individuati ( te­ nuto conto dell'effetto Einstein) ; ma se sorgente e rivelatore sono a temperature differenti, non sarà piu cosi . Di fatto, Josephson calcolò che una differenza di temperatura di un solo grado avrebbe portato a uno spostamento di lunghezza d'onda misurato, pari a 2 parti su 1 0-1S, che è addirittura piu grande del previsto spostamento einsteiniano. Dunque era necessario un accurato controllo della temperatura, cosa che nell'esperimento di Harwell non si era fatto. Quelli del gruppo di Harvard (R. V. Pound e G. A. Rebka ) si accorsero dell'effetto della temperatura indipendentemente da Josephson, e lo segnalarono nel marzo 1960, verifìcan­ done anche sperimentalmente l'esistenza. Quindi, in aprile, pubblicarono i loro risultati sullo spostamento di Einstein. * Cfr. La relatività

e

il

senso comune,

cit.

Lo spostamento einsteiniano verso il rosso

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I loro raggi gamma erano precipitati per un tratto di 7 4 piedi all'interno della torre del Jefferson Physical Labora­ tory. Lo spostamento 'òì../ì.. previsto era 4,92 X 10-15 ; quello osservato * risultò ( 5 , 1 3 + 0 ,5 1 ) X 1 0 -15• Dopo tante vicissi­ tudini, lo spostamento di Einstein era infine stato rilevato sperimentalmente. Lo

s posta m e nto

e i n stei n i ano

come

effetto

del·

l ' e n erg ia.

Per arrivare allo spostamento verso il rosso di Einstein noi avevamo « spento » il campo gravitazionale e « inserito » una corda accelerante : l'effetto Doppler che ne risultava ci dava lo spostamento einsteiniano. Si tratta di un'applicazione del principio di equivalenza perfettamente legittima, ma essa tende a occultare l 'azione diretta del campo gravitazio­ nale. Quando un corpo materiale cade sotto l'effetto della gravità guadagna energia; non possiamo renderei conto dello spostamento einsteiniano da questo punto di vista? Possiamo, certo. Ma dobbiamo premettere una considera­ zione : il guadagno di energia di un corpo materiale si rivela sotto forma di aumento della sua velocità; il guadagno di energia della luce, invece, si mostra come una diminuzione di lunghezza d'onda. Ciò non è inaspettato, se pensiamo cosa succede quando, nella relatività ristretta, due osserva­ tori in moto relativo misurano l'energia. Se l'energia è sotto forma di oggetto materiale, la velocità dell'oggetto è diversa per i due osservatori, e cosi è, ovviamente, la sua energia cinetica. Se, invece, l'energia è sotto forma di luce, la velocità è la stessa per entrambi gli osservatori, mentre la lunghezza d'onda della luce varia da osservatore a osserva­ tore. Se ci raffiguriamo la luce come costituita da particelle ( fo­ toni ) aventi energia E, allora la frequenza v e la lunghezza * Un piu recente esperimento condotto da Pound e Snider ha verifi­ cato la previsione di Einstein entro una p1ecisione dell'un per cento (Physical Review Letters, 1 3 , 539, 1 964 ).

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Lo spostamento einsteiniano verso il rosso

d'onda À. della luce sono legate a E secondo la formula di Einstein *

E = hv =

be

>:·

Qui h è la costante di Planck, che si sa essere uguale per entrambi gli osservatori . Ciò significa che quando un fotone guadagna energia nella caduta, la sua lunghézza d'onda dimi­ nuisce. Il fatto che l 'energia di un fotone sia influenzata dalla gravitazione è un esempio specifico di una situazione gene­ rale. Sappiamo, dalla relatività ristretta, che l'energia, in ogni sua forma, ha una massa inerziale; sappiamo anche, dal principio di equivalenza, che le forze gravitazionali sono proporzionali alla massa inerziale su cui agiscono . Se met­ tiamo insieme i due principi vediamo che ogni forma di energia risente della gravitazione. Possiamo porre quest'affermazione in una forma ancora piu drastica : un sistema fisico ha energia perché ha massa iner­ ziale. Questa massa fa si che il sistema opponga resistenza alle accelerazioni, poiché si devono vincere le forze inerziali. Ora, noi abbiamo ricondotto questa resistenza, queste forze inerziali, a forze gravitazionali; perciò invece di dire sem­ plicemente che ogni forma di energia risente della gravita­ zione possiamo dire : un sistema ha energia perché risente della gravitazione.

* Cfr. La relatività e il senso comune, cit.

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Le eq u azio ni d i cam po di Ei nstein

I ntrod u z i o n e.

Finora nel corso della nostra discussione non abbiamo cer­ cato di formulare una legge precisa per descrivere l'intera­ zione gravitazionale-inerziale. Abbiamo separato, esaminan­ dole singolarmente, la componente statica e la componente dipendente dall'accelerazione, senza considerare la compo­ nente dipendente dalla velocità, e nemmeno la dipendenza angolare. In realtà, Einstein riusd a formulare una legge tanto generale da specificare tutte queste proprietà dell'inte­ razione. In questo capitolo descriveremo le considerazioni che portano alla formulazione di questa legge generale. L'aspetto nuovo che va considerato principalmente non è tanto il far rientrare tutte le particolarità summenzionate che erano state precedentemente omesse, quanto piuttosto una proprietà dell'interazione gravitazionale-inerziale che non ha corrispettivo nell'elettricità, la proprietà di essere

non lineare. N o n l i n earità d e l l ' i nteraz i o n e g ravitaz i o nale- i n er­ ziale.

Per vedere cosa vuoi dire questa non linearità, consideriamo innanzitutto la situazione opposta, cioè il caso delle forze elettriche, che sono lineari. Ciò implica che la forza risul­ tante dovuta a diverse cariche è semplicemente la somma delle forze dovute a ogni singola carica considerata come agente da sola. Se le forze singole hanno direzioni diverse, dobbiamo sommarie vettorialmente, come è illustrato nella figura l l a : si tratta della comune legge di composizione

66

Le equazioni di campo di Einstein

delle forze ( regola del elementare. Essa sta a una carica singola non cariche. Un'interazione

parallelogramma), nota dalla statica significare che la forza esercitata da è influenzata dalla presenza di altre che abbia questa proprietà di indil l l l

- - - - ----------� l

(a)

(b)

Fig. 1 1 . Addizione di forze, lineare e non lineare. (a) Il metodo comune di composizione delle forze, che corrisponde alla legge della somma vettoriale. (b) Composizione non lineare delle forze. In questo caso, quando due forze agiscono contemporaneamente, la combinazione dei loro effetti non segue la legge della somma vettoriale.

pendenza è detta lineare. Al contrario, un'interazione è non lineare quando la forza risultante dovuta a diversi corpi non è la somma delle forze che ciascun corpo eserciterebbe se fosse solo. Perché è non lineare l'interazione gravitazionale-inerziale ? C'è una ragione fondamentale. Abbiamo visto, alla fine del capitolo precedente, che ogni forma di energia ha una massa e pertanto agisce come una sorgente di gravitazione e di inerzia. Ciò è vero non solo per la materia e la luce ma anche per l 'energia potenziale gravitazionale. Noi sappiamo che questa forma di energia ha un senso fisico concreto : deve essere inclusa nel bilancio dell'energia totale; quando un corpo cade sotto l'effetto della gravità guadagna energia cinetica a spese dell'energia potenziale gravitazionale. La massa associata a questa energia si comporta come una sor-

Le equazioni di campo di Einstein

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gente di gravitazione e di inerzia sia quando l'energia è in forma cinetica sia quando è in forma potenziale. Ciò signi­ fica che quando due corpi agiscono insieme come sorgenti, oltre alle loro masse individuali dovremo considerare come sorgente anche la loro mutua energia potenziale di gravita­ zione. La forza risultante non sarà piu allora la somma delle forze esercitate individualmente da ciascun corpo (vedi figu­ ra l lb). Ne segue che l'interazione esatta fra un numero arbitrario di corpi deve avere una forma complicata. E invero, come vedremo, non è stato possibile formularla in modo esplicito . In conseguenza di ciò, il nostro precedente calcolo della forza inerziale risultante dovuta a tutta la materia dell'uni­ verso non è corretto in senso stretto, e nemmeno è facil­ mente correggibile. Possiamo solo sperare che la nostra ap­ prossimazione lineare dia una soluzione che sia giusta al­ meno come ordine di grandezza. Per considerazioni pura­ mente dimensionali ci aspettiamo di trovare una relazione della forma GeR2 Cl

- 1,

quale ci viene data d alla teoria lineare. Solo il valore al secondo membro è dubbio, e presumibilmente la teoria esat­ ta dovrebbe introdurvi un fattore del tipo, diciamo, 3/(8n). Di fronte a tali difficoltà, come riusd Einstein a formulare una legge abbastanza generale da precisare tutte le proprietà dell'interazione non lineare gravitazionale-inerziale? Egli formulò le proprietà locali dell'interazione, utilizzando il punto di vista del campo. Partendo di qui si possono cal­ colare, in via di principio, le proprietà globali dell'intera­ zione fra corpi distanti, anche se in pratica nessuno è mai riuscito a calcolarle con esattezza, neanche nel caso di due soli corpi, eccetto nel caso limite in cui uno dei due abbia massa trascurabile rispetto all'altro. Tuttavia il punto di vista del campo ha grande importanza, e vale la pena di dedicare ad esso il resto del capitolo .

68

Le equazioni di campo di Einstezn

I l p u nto d i v i sta d e l campo.

Abbiamo già incontrato varie volte, nel corso del libro, il contrasto fra impostazione corpuscolare e impostazione di campo del problema delle interazioni . Nell'impostazione cor­ puscolare si considera direttamente la legge dell'interazione tra differenti particelle quale che sia la loro distanza; nel­ l'impostazione di campo invece si restringe l'attenzione - alle interazioni fra regioni di spazio confinanti. In quest'ultimo caso una particella viene sollecitata dal campo nelle sue vici­ nanze; il valore di tale campo dipende a sua volta dal campo nelle sue vicinanze, e cosf via fino a che si giunge alle altre particelle, che sono quindi da ritenersi le sorgenti del campo. A prima vista questa idea del campo appare piuttosto arti­ ficiosa, ma di fatto rivela molti pregi. In particolare, le leggi che governano le variazioni del campo nello spazio e nel tempo sono spesso piu semplici delle leggi che mettono in relazione direttamente i diversi corpi, e in molti problemi fisici queste leggi semplici possono essere facilmente adope­ rate per ottenere la soluzione desiderata. È certamente cosf anche nel caso dell'interazione gravitazionale-inerziale, dove le leggi di campo, pur complicate, possono almeno essere formulate, mentre non si conosce la forma esatta delle leggi nell'impostazione corpuscolare. Cominciamo il nostro studio dell'impostazione del campo ri­ prendendo la questione della linearità o non linearità di un'interazione. Il fatto che le forze elettriche sono additive si può esprimere dicendo che il campo elettrico risultante prodotto da diverse sorgenti è la somma dei campi prodotti dalle sorgenti individuali considerate come se agissero da sole. Ora noi sappiamo che quando una carica elettrica si muove di moto accelerato, il campo da essa prodotto con­ tiene onde elettromagnetiche che si propagano allontanan­ dosi dalla carica con la velocità della luce. Se un'onda di questo tipo attraversa una regione di spazio che già contiene un campo elettrico, il campo risultante è semplicemente la somma dei due campi : ciò significa che l'onda elettroma-

Le equazioni di campo di Einstein

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gnetica non è influenzata dal campo elettrico. Allo stesso modo quando due onde si incrociano, ciascuna procede nel suo percorso come se l'altra non ci fosse ; si attraversano, semplicemente, del tutto indisturbate. Possiamo esprimere questo stato di cose dicendo che le onde elettromagnetiche sono elettricamente neutre. Se infatti fos­ sero cariche, si influenzerebbero a vicenda (diffonderebbero), proprio come fanno le particelle cariche attraverso la loro in terazione elettromagnetica . In realtà è proprio questo influenzarsi reciproco delle parti­ celle cariche che è in un certo senso inaspettato nell'ambito di una teoria di campo lineare . Secondo questa teoria una carica produce un campo, in accordo con le leggi della teoria stessa, ma il campo non dovrebbe agire su un'altra carica, a meno che non si introduca esplicitamente un'altra legge che giustifichi questo fatto . Per vedere il perché di questo, consideriamo una carica singola che si muova in un certo modo : essa produce un campo elettromagnetico, in accordo con le leggi di campo . Consideriamo poi un'altra carica soli­ taria che si muova in un qualche altro modo : anche questa darà origine a un particolare campo. Ora, supponiamo che le due cariche siano presenti contemporaneamente : poi­ ché le leggi di campo sono lineari, saranno soddisfatte sola­ mente se ciascuna carica si muove esattamente nello stesso modo in cui si muoveva quando era sola, e il campo risul­ tante è la somma dei due campi presi separatamente. Ma ciò equivale a dire che le cariche non si influenzano reciproca­ mente nel loro moto relativo . Perché si ottenga il contrario si deve introdurre un'altra legge, che stabilisce che il campo di una carica esercita una forza sull'altra carica. La cosa è del tutto diversa nel caso dell'interazione gravita­ zionale-inerziale. In questo caso noi sappiamo che le leggi di campo sono non lineari, di modo che il campo prodotto da una massa dipende da quali altre masse sono presenti : dun­ que una massa « avverte » la presenza di altre masse, e per­ tanto è possibile che le leggi di campo siano da sole suffi­ cienti a determinare l'interazione fra masse, senza che vi sia

70

Le equazioni di campo di Einstein

bisogno di introdurre una legge supplementare. Come vedre­ mo piu avanti, le leggi sono sufficienti solo se viene soddi­ sfatta una certa ulteriore condizione, e le leggi di campo di Einstein sono strutturate in modo da soddisfare automatica­ mente tale condizione. Un'altra differenza rispetto al caso dell'elettromagnetismo sta nel fatto che l'onda gravitazionale prodotta da una massa in moto accelerato è influenzata da un campo gravitazionale-che attraversa . Analogamente, due onde gravitazionali verranno diffuse l'una dall'altra. In altre parole, mentre le onde elet­ tromagnetiche sono elettricamente neutre, le onde gravita­ zionali non sono gravitazionalmente neutre : esse trasportano energia, quindi massa, e perciò si comportano come sorgenti di gravitazione. È istruttivo guardare questa auto-interazione del campo gra­ vitazionale da un punto di vista lievemente diverso. La fi­ gura 1 2 a mostra un « raggio » gravitazionale che si propaga come un raggio di luce, in linea retta e alla velocità della luce. La 12h mostra lo stesso raggio visto da un sistema di riferimento ruotante . Come accadeva per il punto materiale A

(0.)

� 0 < bl

(Cl

Fig. 12. (a) Un raggio gravitazionale che si muove in linea retta con velocità costante c, visto da un sistema di riferimento iner­ zia/e: nel tempo t esso copre la distanza et dal centro al pun­ to A. (b) Un sistema di riferimento ruotante con velocità ango­ lare w ruota di un angolo wt nel tempo t, portando in A' il punto che era inizialmente in A. (c) Relativamente al sistema ruotante, A' è fermo e il raggio si muove obliquamente per ar­ rivare in A. Ecco come le forze di Coriolis agiscono sui raggi gravitazionali (cfr. Fig. 4).

Le equazioni di campo di Einstein

71

della figura 4, nel sistema ruotante il raggio si allontana dalla linea retta (cfr. anche figura 13 ) . Rispetto al sistema ruotante la deflessione è dovuta all'azione delle forze di Co­ riolis. Dunque le forze inerziali esercitano un'azione sulle onde gravitazionali; se il principio di equivalenza è corretto, anche le forze gravitazionali dovranno esercitare la stessa azione. Ciò mostra quanto l'auto-interazione della gravita­ zione sia fondamentale : essa è una manifestazione del fatto che la gravitazione agisce su « tutto » . Le l e g g i d i campo.

Ancora una volta, al fine di formulare una legge di campo per l'interazione gravitazionale-inerziale, possiamo prendere come guida la forma che hanno le leggi di campo per altri tipi di interazione. Al di là degli aspetti particolari, che adesso dob­ biamo tenere ben presenti, le altre interazioni forniscono in genere utili analogie. Quel che stiamo cercando è una legge di campo che dia, almeno in via approssimata, un'interazione s tatica fra masse inversamente proporzionale al quadrato della distanza e un'interazione dipendente dall'accelerazione inver­ samente proporzionale alla prima potenza della distanza. La legge di gravitazione di Newton fornisce l'interazione sta­ tica : nel linguaggio dei campi, abbiamo un potenziale gravi­ tazionale la cui velocità di variazione misurata in una qual­ siasi direzione dà il campo gravitazionale in quella direzio­ ne * . La legge di campo per il potenziale ha la forma di un'e­ quazione differenziale che è soddisfatta dal potenziale e in cui la densità di materia agisce come sorgente . Tale equa­ zione è nota come equazione di Poisson * * , ed è strettamente applicabile solo in situazioni statiche. Se le sorgenti sono in movimento, e supponendo che le variazioni nei loro campi gravitazionali si propaghino, come le variazioni elettroma* In linguaggio vettoriale il campo è il gradiente del potenziale ( sca­ lare). ** In linguaggio vettoriale V2 rp = (!·

72

Le equazioni di campo di Einstein

gnetiche, con la velocità della luce, dobbiamo sostituire al­ l'equazione di Poisson l'equazione di d'Alembert * . La situazione in elettromagnetismo è un po' piu complicata perché viene descritta da due campi, il campo elettrico E e il campo magnetico H. Questi campi soddisfano a equa­ zioni differenziali in cui la densità di carica e la densità di corrente agiscono come sorgenti . Se si include il caso non statico, queste equazioni diventano le celebri equazioni di Maxwell. Volendo usare i potenziali, non basta piu, come nella teoria newtoniana, usare un potenziale unico, perché la sua velocità di variazione ci darebbe solo un campo : uno studio approfondito mostra che è necessario far uso di quat­ tro potenziali * * : le leggi del campo si possono esprimere attraverso questi quattro potenziali, ciascuno dei quali sod­ disf::. un'equazione di d' Alembert * * * . Ci occorrono anche quattro valori quantitativi per le sorgenti, uno per ciascun potenziale, e questi sono forniti dalla densità di carica ( un valore ) e dalla densità di corrente ( tre valori, uno per cia­ scuna dimensione dello spazio). Quanti potenziali accorreranno per descrivere il campo gra­ vitazionale-inerziale ? Uno studio dettagliato della struttura delle forze inerziali mostra che ne occorrono dieci. Poiché siamo alla ricerca di leggi che conducano, almeno in via ap­ prossimata, a individuare interazioni fra le masse in qualche modo simili alle interazioni che si esercitano fra cariche, possiamo aspettarci che ciascuno dei dieci potenziali soddisfi un'equazione di d'Alembert. Cosa si può dire delle sorgenti? Finora abbiamo visto solo la massa comportarsi come sorgente, e la massa è una quan-

( - -) 1 a' è af

q; = (! ovvero 02 q; = (!, come viene spesso scritta. ** Un potenziale vettore A e un potenziale scalare q;. *** O' A = J, la densità di corrente, e 02 q; = (!, la densità di carica. I potenziali si devono scegliere in modo che soddisfino la condizione 1 a"P div A + - - � 0, il che può sempre essere fatto. Altrimenti, le equa­ * In linguaggio vettoriale v'

c

at

zioni di campo contengono alcuni altri termini supplementari.

Le equazioni di campo di Einstein

73

tità unica . Tuttavia se consideriamo corpi che hanno esten­ sione invece di particelle puntiformi, le tensioni interne ai corpi giocano un ruolo nel comportamento inerziale del si­ stema, e ci si può aspettare che si comportino come una sor­ gente del campo. In tal modo troviamo che occorrono dieci quantità per specificare la sorgente . Abbiamo dunque il nu­ mero giusto di quantità che ci occorrono come sorgenti per scrivere dieci equazioni di d'Alembert, una per ciascuno dei dieci potenziali. Ma questo non è tutto . Dobbiamo ricordare che lo stesso campo gravitazionale ha energia, e quindi massa, e agisce pertanto come una sorgente di gravitazione . Di nuovo tro­ veremo dieci quantità che descrivono questa sorgente , ed è chiaro che dovremo sommarie alle quantità precedenti . Ab­ biamo cosi un campo gravitazionale auto-interagente che sod­ disfa a una legge di campo non lineare. Ecco come si giunge alle equazioni di campo di Einstein . Vediamo che differiscono dalle equazioni di Maxwell in due punti : l ) vi sono dieci potenziali invece di quattro ; 2 ) il campo gravitazionale agisce esso stesso come sorgente di gravitazione, mentre il campo elettromagnetico non agisce come sorgente di elettromagnetismo . Ancora un punto, per finire : mediante le equazioni gravita­ zionali cosi costruite, si trova che la sorgente si conserva (proprio come, in elettromagnetismo, si conserva la carica ). Questa legge di conservazione corrisponde alla conservazione dell'energia ( e della quantità di moto e della tensione in­ terna) . Poiché la sorgente contiene sia energia gravitazionale che energia materiale, questa legge di conservazione ammette uno scambio di energia fra sistemi materiali e gravitazione, in accordo col dato di fatto elementare che i corpi in caduta guadagnano energia cinetica a spese dell'energia potenziale gravitazionale, e viceversa. Questa legge di conservazione è la condizione finale che ci occorre per assicurarci che l'intera­ zione gravitazionale fra corpi sia già contenuta nelle leggi di campo (vedi pagina 69); in altre parole, non abbiamo biso-

·

74

Le equazioni dt campo di Einstein

gno di un'ulteriore legge, analoga alla legge di forza elettro­ magnetica che descrive l'azione di un campo elettrico E su una carica e :

F = eE. Giungiamo cosf a una terza differenza rispetto alla teoria di Maxwell : 3 ) le equazioni di Einstein, da sole, descrivono l'interazione gravitazionale fra corpi, mentre le equazioni di Maxwell, da sole, non determinano l'interazione elettromagnetica fra corpi.

7

Il m oto della lu c e n el cam po g rav itaz i o n ale del Sole

I ntrod u z i o n e .

Si amo giunti alle equazioni di campo di Einstein sulla base di argomentazioni piuttosto generali, molto potenti, senza dubbio, ma della cui validità non possiamo essere sicuri . Per questo sarebbe desiderabile poter verificare in modo indipen­ dente, attraverso osservazioni, la forma delle equazioni di Einstein. Questa verifica deve andare oltre l'interazione sta­ tica del tipo « inverso del quadrato », caratteristica della teo­ ria newtoniana ; di una teoria cioè basata su un unico poten­ ziale e su un'equazione di campo lineare ( non c'è auto-inte­ razione ) : gradiremmo avere a disposizione osservazioni di­ rette per quel che riguarda l ) i dieci potenziali 2 ) l'effetto gravitazionale della gravitazione . Osservazioni a favore di entrambi questi aspetti della teoria einsteiniana esistono, anche se non sono in alcun modo deci­ sive .. In questo capitolo prenderemo in esame le osservazioni a favore di l ), tra cui rientra la deflessione della luce stel­ lare quando passa vicino al Sole . La proprietà non lineare 2 ) compare nel moto orbitale dei pianeti attorno a l Sole, come verrà spiegato nel prossimo capitolo.

Forze i n erz iali e cam m i n o d e l l a l u ce.

Siamo soliti pensare alla luce come viaggiante in linea retta. Pensando in questo modo, tuttavia, ci impegniamo in realtà a usare un sistema di riferimento inerziale. Rispetto a un sistema non inerziale, infatti, la luce non · si muove piu in linea retta. Dunque, le forze inerziali deflettono la luce, e

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Il moto della luce nel campo gravitazionale d•l Sole

pertanto dobbiamo aspettarci che anche le forze gravitazio­ nali la deflettano. Come vedremo, non possiamo osservare questo effetto in la­ boratorio perché il campo gravitazionale terrestre è troppo debole per deflettere la luce in modo apprezzabile, e dob­ biamo perciò ricorrere alla scala astronomica per trovare un effetto rilevabile. Per vedere che le forze inerziali agiscono effettivamente sulla luce, consideriamo un osservatore seduto su una piattaforma in rotazione (la situazione è illustrata nella figura 1 3 ). Un rag­ gio di luce parte dal centro della piattaforma e si muove in linea retta relativamente a un osservatore non ruotante (vale a dire, inerziale ). Al nostro osservatore ruotante il raggio appare incurvato (fig . 13c). Il lettore ricorderà che la stessa cosa succede quando un oggetto materiale viene lanciato dal centro di rotazione verso l'esterno * ; anche l 'orbita dell'og­ getto è incurvata, e la curvatura viene attribuita all'azione della forza di Coriolis . Questa forza inerziale chiaramente A

A

C) Cct)

Cb l

A'

(C)

Fig. 13. (a) Un raggio di luce che si muove in linea retta con velocità costante c, visto da un sistema di riferimento inerzia/e: nel tempo t esso copre la distanza et dal centro al punto A. (h) Un sistema ruotante con velocità angolare w ruota nel tem­ po t di un angolo wt, portando in A' il punto inizialmente in A. (c) Rispetto al sistema ruotante, A' è fermo e il raggio si muove obliquamente per raggiungere A: le forze di Coriolis agiscono sui raggi di luce (cfr. figg. 4 e 12) . * È cosi anche per un raggio gravitazionale ( si veda a pag. 70).

Il moto della luce nel campo gravitazionale del Sole

77

agisce anche sulla luce, e ne concludiamo che le forze iner­

zia/i possono piegare la traiettoria della luce.

Questa conclusione è importante, ma non inaspettata, né senza precedenti. Dopo tutto, sappiamo di altri casi in cui il cammino della luce è deviato : il piu noto comunemente è il caso della rifrazione che si osserva quando la luce passa dall'acqua all'aria. Si ha rifrazione ad ogni superficie di sepa­ razione tra due sostanze con diverso indice di rifrazione. Nel caso acqua/aria, la luce si muove in linea retta entro cia­ scun mezzo, ma la direzione della retta cambia bruscamente alla superficie di separazione . Una migliore analogia con l'ef­ fetto delle forze inerziali si avrebbe nel caso di un mezzo il cui indice di rifrazione variasse con continuità al variare della posizione (come sarebbe, ad esempio, se la densità del mezzo cambiasse in modo continuo con la posizione ). Un raggio di luce che si muovesse in un mezzo simile risulte­ rebbe piegato in modo da descrivere una curva continua. In virtu di questa analogia possiamo descrivere l'effetto delle forze inerziali sulla luce dicendo che le forze inerzia/i indu­

cono nello spazio un indice di rifrazione variabile. La flessione della luce in un sistema rotante implica che espe­ rimenti ottici possono rivelare uno stato di rotazione ( ma, naturalmente, non uno stato di moto uniforme). Nel 1 9 1 3 fu eseguito con successo d a G. Sagnac u n esperimento con­ siderato l'analogo ruotante di quello di Michelson-Morley * . Lo schema dell'apparato è rappresentato nella figura 1 4 . Una lastra d i vetro semi-argentata divide i n due u n raggio di luce : una parte segue il verso di rotazione, l'altra il verso opposto. I due raggi vengono quindi riuniti e fatti interfe­ rire. Contrariamente a quanto succede nell'esperienza di Mi­ chelson-Morley, la velocità della luce relativamente all'ap­ parato in rotazione non è la stessa per entrambi i raggi. Di fatto, la luce che si muove in senso contrario alla rotazione va piu in fretta, e quindi impiega un tempo minore a com­ pletare il circuito . Come risultato dovremmo aspettarci che * Cfr. La relatività e il senso comune, cit.

78

Il moto della luce nel campo gravitazionale del Sole

la posizione delle frange di interferenza dipendesse dalla ve­ locità angolare di rotazione : ed è proprio quel che trovò Sagnac. In uno degli esperimenti egli usò un disco del dia­ metro di circa un metro, che ruotava molto velocemente; in St

Fig. 14. L'esperimento di Sagnac. Si tratta di una versione ro­ tazionale dell'esperimento di Michelson-Morley, e vi si osserva un effetto positivo: relativamente al sistema ruotante, le forze inerziali incurvano la traiettoria dei raggi luminosi, cambiando cosi la posizione delle frange di interferenza.

un altro, saH a bordo di una nave che faceva un percorso curvo, e fu in grado di rivelarne l'accelerazione. Un'esperienza ancora piu vicina a quella di Michelson-Morley consisterebbe nell'individuare la rotazione della Terra . È quanto fu raggiunto da Michelson e Gale nel 1 925. Poiché la Terra ruota lentamente (rispetto alla velocità della luce ), essi poterono ottenere un effetto misurabile solo ricorrendo a un cammino luminoso di diversi chilometri * . * Recentemente la rotazione della Terra è stata individuata in labo­

ratorio, ricorrendo ad un laser ad anello.

Il moto della luce nel campo gravitazionale del Sole

79

Naturalmente in questo caso non si può certo rilevare uno spostamento nelle frange di interferenza a rotazione finita: essi confrontarono invece le frange con quelle ottenute in un circuito simile ma con un cammino cortissimo, per cui la luce impiegava pressoché lo stesso tempo a viaggiare in en­ trambi i versi. Il successo dell'esperimento mostra che è possibile rivelare la rotazione della Terra con mezzi ottici. Poiché è la forza di Coriolis ad essere individuata, possiamo considerare l'ap­ parato di Michelson-Gale come l'analogo ottico del pendolo di Foucault. È chiaro, dunque, che le forze inerziali conferiscono allo spazio un indice di rifrazione variabile, e se le nostre idee sulla relazione tra forze gravitazionali e forze inerziali sono giuste, allora anche le forze gravitazionali dovranno confe­ rire allo spazio un indice di rifrazione variabile. Possiamo giungere a questo risultato anche prendendo in esame l' ener­ gia trasportata dalla luce (o dalle onde elettromagnetiche in generale) : questa energia ha associata una ben definita mas­ sa, che sarà sollecitata dalla gravitazione ( oltre a essere essa stessa fonte di gravitazione). Vedremo ora la valutazione quantitativa di questo effetto. Forz e g ravitaz i o n al i e cam m i n o d e l l a l u ce.

È a questo punto che entrano in ballo i dieci potenziali. Se calcolassimo la flessione della luce sulla base della teoria new­ toniana della gravitazione, col suo unico potenziale ( pen­ sando al cammino della luce come identico a quello di una particella materiale in moto con la velocità della luce), tro­ veremmo come indice di rifrazione dello spazio a distanza r da una massa M GM

l +�· Facendo lo stesso calcolo con dieci potenziali, supponendo che gli effetti non lineari siano trascurabili (vedi oltre), tra-

80

Il moto della luce nel campo gravitazionale del Sole

viamo, come indice di rifrazione

l+

2GM à

Alla superficie terrestre esso vale l + 2 X 1 0 -9, e la sua dif­ ferenza da l è troppo piccola per poter essere rilevata. In conseguenza di ciò, Einstein suggeri che l'effetto dovesse es­ sere cercato nella luce stellare che passa in prossimità del Sole. L'ipotesi di Einstein è illustrata nella figura 1 5 . La luce pro­ veniente da una stella S passa vicino al Sole e a causa della gravità solare il cammino s'incurva come si vede nella figura. A un osservatore terrestre la stella apparirà spostata in una posizione piu lontana dal Sole. L'angolo totale di deflessione della luce stellare risulta

4GMs dR

.

.

radianti

R dove Ms è la massa del Sole e la distanza del massimo av­ vicinamento. Secondo la teoria di Newton l'angolo risulte­ rebbe

2GMs dR

--=---

radianti.

Sole T e'" rra """:::--�..-�--

----f4

GM

c" R ----- ------ ----l d i re z i o n e

ap parente della stella

�� s

st e l la

Fig. 15. La traiettoria della luce proveniente da una stella S viene deviata quando la luce passa in prossimità del Sole. Poi­ ché la stella dista dal Sole molto piu della Terra, l'angolo di cui è deviata la luce è pressoché uguale allo spostamento angolare della stella (cfr. Fig. 1 6) .

Il moto della luce nel campo gravita�ionale del Sole

81

Come si vede nella figura, a causa della grande lontananza della stella dal Sole, l'angolo di deflessione è anche molto prossimo all'angolo di cui appare spostata la stella. Lo spostamento è massimo quando R è minimo, vale a dire per un raggio di luce che sfiori il disco solare . R è dunque il raggio del Sole, e il corrispondente angolo einsteiniano è 1 ,75 secondi d'arco. A prima vista si tratta di un risultato molto incoraggiante, perché gli astronomi possono facilmente misurare un angolo di questa apertura. I guai cominciano quando ci si rende conto che, siccome la luce solare viene diffusa dall'atmosfera terrestre, le stelle non sono per niente visibili. Si deve perciò attendere un'eclisse totale di Sole : per una curiosa coincidenza, l'angolo sotto cui è vista la Luna è pressoché uguale a quello sotto cui è visto il Sole (- 1/2°), per cui, in occasione di un'eclisse totale, la Luna copre completamente il disco solare, e le stelle nelle vicinanze divengono visibili, e si possono fotografare. Ora, siccome per le stelle lontane dal Sole R è grande, e corrispondentemente lo spostamento è piccolo, si cerca di individuare lo spostamento, rispetto al fondo stellare, delle stelle vicine al Sole. Naturalmente, per rivelare qualche spostamento, si deve fotografare lo stesso campo di stelle nel seguito dell'anno, quando esse sono visi­ bili di notte e la loro luce non subisce deflessioni. Sfortunatamente lavorare sulle eclissi è difficile, e di fatto i risultati di cui si dispone sono piuttosto scoraggianti. Il pri­ mo tentativo in questo senso fu fatto nel 1 9 1 9 da Eddington e Dyson. La notizia che la spedizione aveva avuto successo fece scalpore nel mondo, in parte per ragioni emotive e scientifiche, in parte perché il mondo restò sorpreso dal fatto che a cosf poca distanza dalla fine della Grande Guerra gli Inglesi si impegnassero a finanziare e condurre una spedi­ zione che aveva lo scopo di verificare una teoria proposta da un Tedesco * . Eddington stesso piu tardi, riferendosi alla * Einstein sctisse sul Times di Londra del 28 novembre 1919: « Con un'applicazione della teoria della relatività ai gusti del lettore, oggi in Germania io sono considerato un uomo di scienza tedesco e in In-

82

Il moto della luce nel campo gravitazionale del Sole

spedizione, la defin1 come « l'evento piu emozionante che io ricordi in riferimento alla mia attività di astronomo ». Quasi per ironia della sorte, vedremo che la previsione di Einstein non era stata verificata in modo cosi decisivo come si cre­ deva all'inizio. Fra il 1 9 1 9 e il 1966 si sono avute meno di trenta eclissi, per un tempo totale di osservazione di non piu di due ore (la durata massima possibile di un'eclisse to­ tale è di 7 minuti e !, e un'occasione del genere si presenta molto raramente ). Molte di queste eclissi non si sono potute utilizzare perché il campo di stelle che circondava il Sole non era adatto o perché l'eclisse durava troppo poco . Per un certo numero di altre eclissi, il maltempo * o circostanze politiche incerte hanno impedito qualsiasi osservazione. Di fatto, sono stati pubblicati i risultati di sole sei eclissi. Per giunta, questi risultati implicano la misurazione asso­ luta di una quantità piccolissima nel corso di un intervallo di tempo particolarmente breve, in condizioni solitamente difficili, quali si ritrovano in stazioni di osservazione prov­ visorie, in qualche parte del globo piu o meno remota. E per di piu ancora, l 'atmosfera esterna del Sole, o corona, nasconde quelle stelle la cui luce sfiora il disco solare, e le stelle piu vicine finora osservate distano, con una sola ecce­ zione, dal centro del Sole piu di due raggi solari. Lo spo­ stamento teorico sarebbe, in questo caso, solo di 0,87 se­ condi d'arco. L'ideale sarebbe poter verificare non solo l'esistenza di uno spostamento, ma anche la sua dipendenza dalla distanza dal Sole, secondo il fattore 1/R. Sfortunatamente, ciò non è mai stato possibile, e tutti gli osservatori hanno semplicemente supposto che questa legge fosse valida, e hanno estrapolato le loro osservazioni fino a giungere a un valore di R uguale a un raggio solare. ghilterra vengo rappresentato come un Ebreo svizzero. Se dovrò es­ sere considerato come una " bete noire ", la descrizione verrà capo­ volta, e diventerò allora un Ebreo svizzero per i Tedeschi e un Tede­ sco per gli Inglesi » (vedi anche : PHILLIP FRANK, Einstein: His Life and Times, London, Jonathan Cape, 1948, pp. 174 sgg.). * :S il mio caso, nel 1954.

Il moto della luce nel campo gravitazionale del Sole

83

I risultati di cui si dispone a tutt'oggi sono elencati nella tabella l . È difficile valutare il loro significato, perché altri astronomi hanno dedotto da una ridiscussione del medesimo materiale risultati differenti. Inoltre, si può a buon diritto sospettare che se gli osservatori non avessero saputo prima quale valore « dovevano » ottenere, i risultati da loro pub­ blicati avrebbero un campo di variabilità molto piu vasto ; vi sono casi in astronomia in cui la conoscenza della risposta Tabella l osservatorio

eclisse

numero di stelle

(raggi solari dal centro)

Tmax

(raggi solari dal centro)

a errore (secondi (secondi d'arco) d'arco)

Tmin

Greenwich (Brasile)

1919 29 mag.

7

2

6

1 ,98

0,16

Greenwich ( Principe)

1919 29 mag.

5

2

6

1 ,61

0,40

Adelaide­ Greenwich ( Australia)

1922 21 set.

1 1-14

2

10

1 ,77

0,40

Victoria ( Australia)

1922 21 set.

18

2

10

1 ,75 1 ,42 2,16

Lick I ( Australia)

1922 21 set.

62-85

2,1

14,5

1 ,72

0,15

Lick II ( Australia)

1922 21 set.

145

2,1

42

1 ,82

0,20

Potsdam I ( Sumatra)

1929 9 mag.

17-18

1 ,5

7,5

2,24

0,10

Potsdam II 1929 ( Sumatra) 9 mag.

84-135

4

15

Sternberg (URSS)

16-29

2

7,2

2,73

0,31

Sendai 1936 ( Giappone) 19 giu.

8

4

7

2,13

1 ,15

Yerkes I (Brasile)

1947 20 mag.

51

3,3

10,2

2,01

0,27

Yerkes II ( Sudan)

1952 25 feb.

9-1 1

2,1

8,6

1 ,70

0,10

1936 19 giu .

84

Il moto della luce nel campo gravitazionale del Sole

« giusta » ha portato a risultati che piu tardi si sono rivelati al di fuori delle possibilità dell'apparecchio usato per ri­ levarli. Sono stati suggeriti vari altri modi per misurare la defles­ sione, ma nessuno appare di fatto praticabile * . La luce che sfiora il pianeta Giove, per esempio, viene deviata di 0,0 1 7 secondi d'arco. Ora, questa quantità potrebbe benis­ simo essere misurata utilizzando le piu raffinate tecniche a disposizione, se non fosse per il bagliore emanato dallo stesso Giove. Molti sono caduti nella trappola di suggerire che la defles­ sione della luce si potesse dedurre dalle orbite delle stelle doppie, le cui componenti passano una dietro all'altra : uno sguardo alla figura 1 6 permette però di constatare che lo spo4 GM

�R�-�S-[ --� dd ii rezs.,i o n e a p p a r e n t e �·-==r)=========�cJ2s� angolo molto piccolo . )4 Gc Sz. M quas1 c"R T



=

Fig. 1 6. La traiettoria della luce proveniente da una componente S1 di una stella doppia viene deviata quando la luce passa in prossimità dell'altra componente, S,. In questo caso la distanza S1S, è molto inferiore a TS1, e lo spostamento angolare di S, è molto piccolo (cfr. Fig. 15) . * Dopo l'uscita della prima edizione di questo libro è stato scoperto un nuovo modo, che consiste nel misurare la distanza angolare fra le sorgenti radio quasi stellari ( quasar) 3C273 e 3C279 nel momento in cui il Sole si approssima alla nostra linea di avvistamento di 3C279. Si sono compiuti due esperimenti indipendenti, a frequenze di 9 602 MHz e 2 388 MHz. Dal primo esperimento è risultata una flessione di 1 ,77 ± 0,20 secondi d'arco (G. A. Seielstad, R. A. Sramek e K. W. Weiler, Physical Re-

view Letters 24, 1373, 1970), dal secondo una flessione di 1,82

� �;ij

secondi d'arco (D. O. Muhleman, R. D. Ekers e E. B. Fomalont, Phy­ sical Review Letters 24, 1377, 1970 ). Entrambi i risultati sono in buon accordo con le previsioni di Einstein. Questo esperimento si può ripetere ogni anno, e possiamo aspettarci presto un aumento nella precisione di un fattore fra 3 e 10.

Il moto della luce nel campò gravitazionale del Sole

85

stamento osservato ha il valore teorico di Einstein solo quando la sorgente di luce è molto distante dalla sorgente di gravitazione e l'osservatore molto vicino a quest'ultima; nella situazione opposta, lo spostamento è piccolissimo (vedi figura 1 6 ) . La prova del rad ar.

Se è vero che l'indice di rifrazione dello spazio risente della vicinanza del Sole, dovrebbe essere possibile accertarsene misurando quanto tempo impiega un'onda radar a venir ri­ flessa da un pianeta come Mercurio o Venere. Questo in­ tervallo di tempo, infatti, dipende dalla posizione del Sole in un modo che si può calcolare e, se sono possibili misure sufficientemente precise, si dovrebbe cosi poter verificare la formula di Einstein per l'indice di rifrazione. Questo tipo di verifica è stato proposto da Irwin Shapiro del Lincoln Laboratory del M.I.T. * : egli ha trovato che se la formula di Einstein è corretta, quando il Sole è vicino, le onde radar dovrebbero venir ritardate di circa 200 microsecondi. Un ritardo simile sarebbe rilevabile, ma in pratica occorre tener conto molto attentamente di altre everttuali fonti di ritardo, come la corona solare, ad esempio, e delle incertezze nella nostra conoscenza dei moti planetari. Un'analisi com­ pleta ed esauriente della situazione è stata fatta da Shapiro stesso, e oggi sembra che l'esperimento sia realizzabile. Può anche darsi che sia già stato tentato al momento in cui que· sto libro esce * * . * I . I . SHAPIRO, Physical Review 145, 1005 ( 1966); nell'articolo sono anche riferimenti a discussioni precedenti. ** Sono stati pubblicati proprio ora alcuni risultati preliminari (Phy­ sical Review Letters 20, 1265, 1968) che sono in accordo con la pre­ visione di Einstein entro una precisione del venti per cento. Fortu­ natamente il metodo è suscettibile di considevoli miglioramenti. Aggiunta dopo la prima edizione del libro : Tali miglioramenti sono stati ottenuti. Shapiro ha riferito, alla 34" Conferenza « Cambridge » sulla relatività a New York, nel giugno 1970, che il ritardo nel caso di Mercurio conferma la previsione di Einstein con una precisione entro il 6 per cento.

8

Il m oto di u n pia n eta n e l cam po g ravitazio n ale del Sole

I ntro d u z i o n e .

In questo capitolo sottoporremo a verifica per mezzo di os­ servazioni l'idea di fondo di Einstein, che un campo gravita­ zionale agisce esso stesso come fonte di gravitazione. Nostro laboratorio sarà quel sistema su cui anche Newton basò la sua legge di gravitazione dell'inverso del quadrato, vale a dire i moti dei pianeti del sistema solare. Essi sono noti con tale precisione che c'è una fondata speranza di osservare effetti non-newtoniani abbastanza piccoli. Quanto piccoli si vedrà tra poco. Come abbiamo visto, le equazioni di Einstein sono costruite in modo che, in prima approssimazione, coincidono con le equazioni di Newton : in tale approssimazione il Sole è sor­ gente di un campo che segue la legge dell'inverso del qua­ drato . Ma questo campo contiene energia potenziale, che agisce essa stessa come sorgente di gravitazione. Questo campo gravitazionale aggiunto agirà a sua volta come una ulteriore sorgente di gravitazione, e cosi via. Nonostante la complessità della situazione, noi conosciamo il campo gra­ vitazionale esatto del Sole (o, per essere precisi, di una massa sferica che, per i nostri scopi attuali, rappresenta adeguata­ mente il Sole). Esso è dato dalla famosa soluzione di Schwarz­ schild delle equazioni di Einstein, che determina in modo completo il moto della luce e di corpi materiali sotto l'in­ fluenza di una massa sferica, almeno finché trascuriamo l'azione gravitazionale esercitata dalla luce e dai corpi mate­ riali sulla massa sferica. In pratica, questa azione per i pianeti è rappresentata con sufficiente precisione dall'ap­ prossimazione newtoniana; inoltre, il campo gravitazionale prodotto dal campo newtoniano del Sole è talmente piccolo

Il moto di un pianeta nel campo gravitazionale del Sole

87

che il campo che esso a sua volta produce si può tranquilla­ mente trascurare. Il massimo che possiamo sperare di osser­ vare nel sistema solare è la non linearità del primo ordine della teoria di Einstein . Come si rivela questa non linearità nell'orbita di un pia­ neta? Il punto decisivo sta nel ricordare che la sorgente del campo gravitazionale aggiunto non è localizzata in un unico punto distante dal pianeta, bensf è distribuita per tutto lo spazio. Se il pianeta si muovesse su un'orbita esat­ tamente circolare, esso risentirebbe dell'influenza di un campo maggiorato, con lo stesso valore in ogni punto del­ l'orbita; se uno non avesse saputo niente della teoria di Einstein, avrebbe semplicemente supposto che il Sole aveva una massa un po' piu grande. Ma se il pianeta si muove piu o meno lungo un'ellisse, esso verrà a trovarsi parte del tempo in un campo piu forte e parte in un campo piu debole, e queste variazioni di campo non corrispondono a una legge dell'inverso del quadrato : questa deviazione dalla legge dell'inverso del quadrato si manifesterà dunque nel­ l'orbita effettiva del pianeta. L'avan z a m e nto d e l peri e l i o .

Quale effetto avrà questa perturbazione sull'orbita newto­ niana ? Nel rispondere alla domanda è importante tener presente che un'orbita newtoniana ha una proprietà note­ volissima, cioè essa si ripete esattamente uguale ad ogni giro. Questa periodicità è condivisa solo da un'altra legge di forza, vale a dire, dalla forza proporzionale alla distanza. Per tutte le altre forze le orbite non si chiudono * . * Chi ha familiarità coi modi normali riconoscerà che ciò accade per­ ché le frequenze dei due modi normali che rappresentano il moto del pianeta sono uguali (degenerano) per queste leggi di forze speciali. Cosi i due modi restano in fase, il pianeta torna al suo punto di par­ tenza dopo un periodo, e l'orbita è chiusa. Una piccola deviazione dalla legge di Newton rompe la degenerazione, i due modi escono di fase, e l'orbita non si chiude.

88

Il moto di un pianeta nel campo gravitazionale del Sole

Nel nostro caso la deviazione rispetto a una legge dell'in­ verso del quadrato è piccolissima (dell'ordine di [GM/à] [GM/r]), e perciò possiamo rappresentare una qualsiasi rivo­ luzione attorno al Sole come un'ellisse, ma è un'ellisse che

Fig. 1 7. L'orbita di un pianeta che si muove nel campo di Schwarzschild del Sole: ogni rivoluzione è quasi un'ellisse, ma l'ellisse lentamente ruota, cosicché si ha un avanzamento del pe­ rielio (il punto di massimo avvicinamento al Sole); la velocità di avanzamento per un pianeta è in realtà molto inferiore a quella che appare nella figura. si sposta lentamente (fig. 1 7 ) , nello stesso verso in cui si muove il pianeta. Possiamo specificare la rapidità del suo moto in base al moto del perielio (il punto dell'orbita in cui il pianeta è piu vicino al Sole ) : in un'orbita newtoniana questo punto reste­ rebbe fisso nello spazio, ma la perturbazione di Einstein fa si che esso ruoti lentamente; ad ogni rivoluzione del pianeta il perielio avanza in una frazione (3GM/cb ) (a/b ) di rivolu­ zione * (a è il semiasse maggiore, b il semiasse minore del­ l' ellisse). * In realtà solo una parte di questa frazione è da attribuirsi alla non linearità: il resto è dovuto al fatto che vi sono dieci potenziali invece di uno.

Il moto di un pianeta nel campo gravitazionale del Sole

89

Dobbiamo ora confrontare questa previsione con le osserva­ zioni. Nella seconda colonna della tabella 2 si trova, espres­ so in secondi d'arco, l'angolo oe previsto per lo spostamento dei perieli dei pianeti piu vicini al Sole in cento anni. Tabella 2 pianeta

oe

e oa

Mercurio

4 3 ,03

8 ,847

2 ,95

Venere

8,63

0,059

0 ,03

Terra

3 ,84

0,064

0 ,06

M arte

1 ,35

0,126

0,38

Giove

0,06

0 ,003

?

(secondi d'arco)

(secondi d'arco)

osservabilità relativa

L'effetto è massimo per Mercurio, il pianeta pm vtcmo al Sole, sia perché Ma/b2 nel suo caso è massimo, sia perché il suo periodo è il piu breve, cosicché in cent'anni il pianeta ha effettuato il maggior numero di rivoluzioni (420 ). Ma l'angolo oe non misura ancora la facilità con cui può essere individuato il moto del perielio : se l'orbita fosse quasi circolare, sarebbe impossibile conseguire una qualsiasi precisione nella localizzazione del perielio ; l'entità dello scostamento dell'orbita da un cerchio è dunque una misura della precisione con cui si possono determinare il perielio e il suo moto. Questo scostamento è misurato dall'eccentri­ cità e dell'ellisse, definita dalla relazione

b2 = a2 { 1 - e2).

Per questo nella terza colonna della tabella compare il pro­ dotto dell'eccentricità per il moto del perielio. Per una coin­ cidenza fortunata, Mercurio ha anche l'orbita piu eccentrica, cosicché i vantaggi precedenti non vanno perduti. C'è un ulteriore fattore di complicazione, ed è maggiore o minore difficoltà con cui i pianeti stessi si possono osser-

90

Il moto di un pianeta nel campo gravitazionale del Sole

vare. Da questo punto di vista, Mercurio e Venere sono in svantaggio, data la loro maggiore vicinanza al Solé (rispetto alla Terra ) : quando essi si muovono trasversalmente rispetto alla linea di mira, la loro posizione nel cielo è vicinissima al Sole, e le osservazioni risultano difficili e imprecise; quan­ do, d'altra parte, si vedono distanti dal Sole, si muovono quasi lungo la linea di mira, e l'osservazione della posizione del pianeta dice ben poco sulla sua posizione nell'orbita . Un'ultima difficoltà viene dalla forma del disco visibile del pianeta, che cambia, come quella della Luna, e impedisce all'osservatore di localizzare il centro di gravità con la desi­ derata precisione. Nell'ultima colonna della tabella 2 sono date le stime di Clemence della facilità con cui si può osser­ vare il moto del perielio. Si vedrà che Mercurio rimane di gran lunga il pianeta piu favorevole per l'osservazione. Il confronto con l 'osserva­ zione viene complicato dal fatto che si deve tener conto dell'influenza gravitazionale ( newtoniana) che gli altri pia­ neti esercitano sul moto di Mercurio. Anche le perturba­ zioni cosi provocate portano a deviazioni dalla legge esatta dell'inverso del quadrato, e quindi ad un moto del perielio. Il quale moto, calcolato con metodi newtoniani, appare nella tabella 3, assieme all'effetto dovuto allo scostamento del Sole dalla forma sferica. Gli errori che appaiono nella tabella nascono soprattutto dal fatto che non si conoscono con precisione le masse dei pianeti, specialmente quella di Venere ; per pianeti privi di satelliti le masse devono essere determinate sulla base delle perturbazioni che un pianeta induce sull'altro ( perturbazioni di un tipo per il quale le correzioni di Einstein sono trascu­ rabili ). Il moto del perielio di Mercurio, quale risulta da osserva­ zioni fatte tra il 1 765 e il 1937 è di 574",10±0",4 1 . La discrepanza rispetto al valore da aspettarsi sulla base della pura teoria newtoniana è 42",56 + 0",5. Una discrepanza di questo ordine di grandezza era già ben nota nel dicianno­ vesimo secolo, e già allora ne furono proposte varie spie-

Il moto di un pianeta nel campo gravitazionale del Sole

91

gazioni: nessuna fu accettata generalmente, e oggi noi ve­ diamo che la teoria di Einstein, prevedendo un moto addi­ zionale di 4 3" ,O 3 + O" ,O 3 , fornisce un'ottima spiegazione della discrepanza. E poiché una parte sostanziale di questo moto previsto è dovuta alla non linearità della teoria einstei­ niana, appare cosf confermata l'esistenza della non linearità stessa * . Il secondo pianeta, in ordine di facilità di osservazione, do­ vrebbe essere Marte, ma sfortunatamente la teoria newtoTabella 3 agente perturbatore

perturbazione (secondi d'arco)

errore (secondi d'arco)

Venere

277 ,856

0,27

Terra

90,038

0,08

Marte

2,536

0 ,00

Giove

1 5 3 ,584

0 ,00

Sa turno

7 ,302

0,01

Urano

0,141

0 ,00

Nettuno

0,042

0 ,00

Schiacciamento solare * *

0,0 1 0

0,02

5 3 1 ,509

0,30

Somma totale

* Il grado di schiacciamento è dedotto dall'osservazione della rota­ zione solare. Dicke e Goldenberg hanno di recente misurato lo schiac­ ciamento visibile del Sole ; se la distribuzione di densità segue lo schiac­ ciamento visibile, ne risulterebbe una perturbazione corrispondente di 3",4 per secolo, e ciò romperebbe l'accordo fra la teoria di Ein­ stein e l'osservazione. Tuttavia non è stato ancora dimostrato che la di­ stribuzione di densità segua lo stesso schiacciamento, anzi, considera­ zioni teoriche suggeriscono che potrebbe non essere cosl. ** A meno che il Sole non sia piu schiacciato di quanto comunemente si pensi (vedi nota precedente).

92

Il moto di un pianeta nel campo gravitazionale del Sole

niana del suo moto è imperfetta, tanto da non permettere di ricavarne la rotazione teorica dell'orbita. La teoria è attualmente in revisione, ma non sono ancora disponibili risultati, e l'impresa richiede un considerevole sforzo. Dopo Marte viene la Terra, e qui l'effetto Einstein è stato rilevato in alcuni risultati preliminari . Nella tabella 4 sono esposte le perturbazioni sulla Terra dovute ai pianeti. Tabella 4 agente perturbatore

perturbazione (secondi d'arco)

errore (secondi d'arco)

Mercurio

- 1 3 ,75

2,3

Venere

345,49

0,3

Marte

97,69

0,1

Giove

696,85

0,0

1 8,74

0,0

Urano

0 ,57

0,0

Nettuno

0,18

0,0

Schiacciamento solare

0,00

0,0

Luna

7,68

0,0

1 1 53 ,45

2,5

Saturno

Totale

Lo spostamento del perielio terrestre osservato è 1 1 58" ,05 + ±0,8, e la discrepanza risultante (rispetto alla teoria new­ toniana ) è 4",6±2",7. Lo spostamento deducibile dalla teo­ ria einsteiniana è 3",84, valore che ancora una volta rende conto della discrepanza . È evidente come in questo caso l 'errore sia una frazione considerevole dell'effetto risultante, per cui sarebbe desiderabile ridurlo. L'incertezza principale riguarda la massa di Mercurio, e con tutta probabilità verrà dimezzata in un prossimo futuro.

Il moto di un pianeta nel campo gravitazionale del Sole

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Oltre a queste non si conoscono altre discordanze rispetto alla teoria di Newton, e, stando alla teoria di Einstein, non dovremmo aspettarcene altre. Per un certo tempo si è so­ spettato che vi fosse una discrepanza nel moto di Venere : sembrava che la sua orbita si scostasse da un piano piu di quanto non fosse dovuto alle perturbazioni planetarie . L'ef­ fetto non sarebbe spiegato dalla teoria di Einstein, secondo la quale il moto di un pianeta non soggetto a perturbazioni deve svolgersi su un piano . Nel 1 �55 si mostrò, mediante calcoli eseguiti da un calcolatore elettronico, che in realtà non c'era alcuna discrepanza. Esiste oggi la possibilità di usare un satellite artificiale per sottoporre a ulteriori verifiche la teoria di Einstein, soprat­ tutto perché il satellite può avere un periodo breve e una grande eccentricità dell'orbita. Sfortunatamente, sarà diffi­ cile tener conto con sufficiente precisione di vari fattori di perturbazione, quali l'atmosfera e le irregolarità del cam­ po gravitazionale terrestre * . I m p l i caz i o n i d e l l a s o l u z i o n e esatta d i schild.

S c h warz­

Si è sottolineato, all'inizio del capitolo, che in pratica le orbite dei pianeti potrebbero rivelare al massimo la non linearità del primo ordine della teoria di Einstein, rivelare cioè gli effetti del campo gravitazionale prodotto dal campo gravitazionale newtoniano del Sole. Questo campo, in real­ tà, produce a sua volta un campo gravitazionale, e cosi via. Finché la sorgente materiale si può supporre a simmetria sferica, si conosce una soluzione esatta che rappresenta in forma finita l 'infinita gerarchi à di campi in ogni parte dello spazio esterno al corpo materiale. Si tratta della famosa soluzione di Schwarzschild, che resta una delle poche solu* Recentemente si è mostrato che l'asteroide Icaro ha una precessione del perielio che si accorda con le previsioni di Einstein con una pre­ cisione del venti per cento. Osservazioni future potrebbero ridurre l'incertezza all'otto per cento. ( Shapiro, Ash e Smith, Physical Review Letters 20, 1517, 1968).

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zioni esatte che si conoscano che rappresenti una situazione fisicamente interessante. Non si conosce alcuna soluzione, ad esempio, che rappre­ senti il caso di due corpi dotati di massa (nel problema del moto planetario i pianeti vengono considerati di massa tra­ scurabile, quando ci si occupa delle correzioni relativistiche) . Anche s e potrebbe non avere conseguenze pratiche, è inte­ ressante prendere in esame le orbite di particelle che si ap­ prossimano talmente alla sorgente materiale che gli effetti non-newtoniani diventano rilevanti . Ciò si verificherebbe a distanze tali che il rapporto GM/à sia abbastanza vicino a uno; in tal caso la deviazione del primo ordine dalla teoria newtoniana, che è dell'ordine di ( GM/à) ( GM/r), diviene confrontabile con lo stesso campo newtoniano. Allora le deviazioni di ordine piu elevato non saranno piu trascura­ bili, e si dovrà usare la soluzione esatta di Schwarzschild. Nel caso del Sole, GM/c?r vale uno per r = re - 0 ,75 chilo­ metri. Questa distanza, misurata dal centro, cade certo larga­ mente all'interno del Sole, dove non si applica la soluzione di Schwarzschild : e cosi in questo caso non si hanno forti ef­ fetti non-newtoniani . È possibile tuttavia che esistano oggetti con massa di gran lunga superiore a quella del Sole, e suf­ ficientemente compatti perché punti situati alla corrispon­ dente distanza re siano esterni ad essi . La densità media di un oggetto tale che i punti a distanza re dal centro stiano sulla superficie (cioè il cui raggio sia proprio re = GM/c?) è M (4n/3 ) ( GM/c?)3

'

3�

ovvero ---:---:-

4nG3M2 •

Per un oggetto di massa Ms uguale a quella del Sole que­ sta densità risulta 2 X 1017 g cm-3, valore che supera la densità stessa dei nuclei atomici (- 1 015 g cm-3). Tuttavia, poiché la densità è proporzionale a M-2, un oggetto di 1 09Ms con una densità media inferiore a l g cm-3 potrebbe ancora mostrare forti effetti non-newtoniani nei pressi della super­ ficie. Hoyle e Fowler hanno avanzato l'ipotesi che oggetti di tal massa esistano, e abbiano una qualche connessione con

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le potenti sorgenti di onde radio la cui origine è ancora cosi misteriosa ( si veda oltre). Può pertanto diventare di importanza pratica capire le con­ seguenze della teoria di Einstein in regime di campi gravi­ tazionali particolarmente intensi, per i quali la teoria new­ toniana non costituisce piu una buona guida. Per illustrare le possibilità che ne possono derivare, descriveremo ora al­ cune particolarità delle orbite di particelle e raggi di luce che giungano molto vicini a un oggetto di massa molto grande : l'effetto piu strano è il fatto che il carattere delle orbite cambia completamente quando si giunge a una distanza cri­ tica. Questo non ha riscontri nella teoria newtoniana , in cui le orbite restano dello stesso tipo qualunque sia la distanza dal centro : cerchi, ellissi, o iperboli, a seconda della velocità . La ragione essenziale di questa differenza sta nel fatto che nella teoria newtoniana ( fra altre semplificazioni ) si -consi­ dera infinita la velocità della luce : la quantità GM/2 diviene allora zero, per cui non esiste, nella teoria newtoniana, una scala di lunghezze sulla base della quale si possa determi­ nare a quale distanza dal centro un'orbita cambia carattere. Nella teoria di Einstein una delle distanze critiche è 4GM/c2: non sono possibili orbite ellittiche il cui perielio cada entro questa distanza critica. L'orbita in questo caso precipita a spirale nel centro di forza, e la particella viene prima o poi catturata, comunque piccola sia la sorgente materiale. Una seconda distanza critica è 3GM/2 : qualsiasi particella proveniente dall'infinito e che giunga a 3GM/c2 dalla sor­ gente viene catturata. Ciò significa che se si tentasse di esplo­ rare il campo gravitazionale di questa massa press'a poco come Rutherford esplorò il campo elettrico di un nucleo con le particelle a, cioè bombardando la massa con particelle e studiando le orbite su cui esse emergono, il campo all'in­ terno della distanza 3GM/2 resterebbe indeterminato, per­ ché tutti i proiettili verrebbero catturati, e nessuno ne uscirebbe. La distanza 3GM/2 è critica anche per le orbite dei raggi luminosi. La flessione della luce discussa al capitolo 7 è un

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esempio di orbita di tipo iperbolico, vale a dire aperta. Ma la luce si può muovere anche in un'orbita chiusa; per esem­ pio, si può muovere perpetuamente su un cerchio di raggio 3GM/CZ: vi sono orbite di cattura anche per i raggi di luce . Di fatto, luce proveniente dall'infinito secondo una dire­ zione che passi a meno di 3 v3GM/è- dal centro di attra­ zione gravitazionale assumerà un moto a spirale verso la sorgente e verrà catturata. Fatto abbastanza curioso, le orbite dei raggi luminosi non sono reversibili entro una di­ stanza 2GM/CZ: infatti la luce emessa da un punto che si trovi entro questa distanza non oltrepassa mai la distanza stessa e pertanto non può essere vista dal mondo esterno . Questa situazione diventa plausibile se si considera lo spo­ stamento verso il rosso di Einstein per una sorgente in quiete : la formula precisa è

� = v��;,M .

diversa dalla formula approssimata da noi adottata nel capi­ tolo 5, valida per 2GM/à 2n , al sistema di riferimento solidale con esso raggio e il disco scaldato descritto a pagina 1 1 2 ha curvatura positiva circonferenza < 2n raggio .

(

)

-----

.

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La curvatura dello spazio-tempo

ziali della materia (le sorgenti) . In altre parole, legano la curv� tura dello spazio alle sorgenti. Non possiamo spiegare qui come Einstein sia giunto a questo collegamento, poiché ciò comporta l'uso di tecniche matematiche elaborate che esulano dai nostri propositi. Basti dire che egli ottenne le stesse equazioni (non lineari ) che abbiamo visto al capitolo 6 : anzi, arrivò a queste equazioni prima per via geometrica (i punti di vista del campo e particellare furono escogitati dopo, per riuscire a estrarre il significato fisico della teoria). A questo punto è d'obbligo affrontare la questione : qual è il punto di vista migliore, quello corpuscolare, quello del campo o quello geometrico ? La risposta è : dipende dal pro­ blema che di volta in volta si considera . Se si tratta di inda­ gare sul principio di Mach, è piu adatto il punto di vista corpuscolare; per una chiara rappresentazione fisica del com­ portamento di fenomeni gravitazionali locali, l'immagine del campo si rivela la migliore. Infine, per una rigorosa discus­ sione delle implicazioni della teoria di Einstein, la piu adatta è la rappresentazione geometrica; la sua bellezza, la sua coe­ renza matematica e la sua potenza ne fanno uno strumento di indagine indispensabile per le grandi ricerche generali . Ma il relativista completo userà tutti e tre i punti di vista.

I n d i ce analitico

Accelerazione (cfr. anche Gravita­ zione) geometria di un disco ruotante, 1 17-118 e legge dell'induzione inerziale, 33-34 e principio di equivalenza, 45ss . , 55ss. e problema dell'inerzia, l lss. e sorgenti delle forze inerziali, 29-30 Acqua, e forze inerziali, 23-24, 26-27, 34-35 Adams (astronomo), 59, 60 Adelaide (osservatorio), 83 Azione-reazione, 32-33 e sistemi di riferimento inerzial i , 1 1-12 Berkeley, George, 26-28 Besse! (fisico), 50, 59 Bondi, H., 1 3 Cambridge (Università), 62 Cariche elettriche, 24-25, 32, 33-34, 55-66ss. e principio di equivalenza, 46 Cerchio massimo della sfera, 121- 122 Clemence ( astronomo), 90 Dicke (fisico), 50, 91n Disco geometria di un - in rotazione, 1 17-121 geometria di un - scaldato, 1 121 17 Distanza e legge dell'induzione inerziale, 34-38ss. Dyson (astronomo), 81 Eclissi, 81-83 Eddington ( astronomo), 60, 8 1 Effetto Doppler, 3 7 , 56-57, 60 , 62, 63 Einstein, Albert equazioni di campo di, 65-74, 120, 123-124

e il moto della luce nel campo gra­ vitazionale del Sole, 75ss. e il moto dei pianeti nel campo gra­ vitazionale del Sole, 86ss. e il principio di equivalenza, 45, 49ss . , 120, 123-124 e le curvature dello spazio-tempo, 120, 123-124 Elettroni, 60 Energia, 96 ed equazioni di campo di Einstein, 66ss. e spostamento verso il rosso, 63-64 Ei:itvi:is (fisico), 50 Equatore, 14ss. Equazione di D'Alembert, 72, 73 Equazione di Poisson, 71-72 Equazioni di campo, di Einstein, 6574, 120, 123-124 Equazioni di Maxwell, 72, 73-74 Equivalenza, principio di, (cfr. anche Gravitazione), 45-54, 55ss ., 63 , 65, 120 Esperimento di Michelson e Gale, 78 Euler, Leonhard, 28 Forza centrifuga, 17-18, 20, 23, 28-29 esperimento di Friedlander, 35 Forze di Coriolis, 19-2 1 , 23, 35, 7 1 , 76 Fotoni, 63-64 Fowler (scienziato), 94, 95 Frank Phillip, 82n Friedllinder, B. e T., 35 Galassie, 36-39ss . , 97 e principio di equivalenza, 47-49 Galileo, 50, 53 Gas intergalattico, 40-44 Gauss (scienziato), 1 2 1 Giove, 8 4 , 89ss. Goldenberg (fisico), 9 1 n Gravitazione e curvature dello spazio-tempo, 1 1 1124 ed equazioni di campo di Einstein, 65-74

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Indice analitico

e lunghezza d'onda della luce, 5557 moto dei pianeti nel campo di del Sole, 86-97 moto della luce nel campo di - del Sole, 75-85 e principio di equivalenza, 45-49ss. Greenstein e Trimble, 61n Greenwich (osservatorio), 83 Harwell, Inghilterra, 61 , 62 Hoyle (scienziato), 94, 95 Hubble, legge di, 37-38 Icaro (asteroide), 93n Idrogeno, 37ss. Impotenza, principio di, 13, 14 Inerzia, 1 1 -25 (cfr. anche Equivalenza, principio di; Gravitazione) e cammino della luce, 75-79 legge dell'induzione inerziale, 3244 e principio di equivalenza, 45ss. sistemi di riferimento, 1 1-14 sorgenti delle forze inerziali, 26-3 1 Intergalattico, gas, 40-44 Invar, 1 13 Iperboloidi, 123 Jefferson (Laboratorio Fisico), 63 Josephson, B. D., 62 Legge di Coulomb, 25, 34, 46 Lick (osservatorio), 83 Luce (cfr. anche Spostamento verso il rosso) gravitazione e lunghezza d'onda della, 55-58 e implicazioni della soluzione esatta di Schwarzschild, 94ss. moto nel campo gravitazionale del Sole, 73-85 Luna, 81, 92 Mach, Ernst, e principio di Mach, 28-3 1 , 121 Marte, 89ss. Materia, proprietà della, e induzione inerziale, 32-33 Mercurio, 85, 89-90ss. Mesone K, 30-31 Mesoni n, 30-31 Michelson-Morley, esperimento di, 7778 Mossbauer (fisico), 61

Nettuno, 91, 92 Newton, Isaac (cfr. anche Equivalen­ za, principio di) e la curvatura dello spazio-tempo, 1 1 1-112 e leggi di Newton, 11-14ss., 26, 28, 34-35 e il moto dei pianeti nel campo gravitazionale del Sole, 85ss. e il moto della luce nel campo gra­ vitazionale del Sole, 75ss. e il principio di equivalenza, 50 Orologio, atomico, 97 Pendolo di Foucault, 15-16, 20, 35 Perielio, avanzamento del, 87-93 Pianeti, 85 moto nel campo gravitazionale d