La libertà di manifestazione del pensiero

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La libertà di manifestazione del pensiero

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CARLO ESPOSITO

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LA L I B E R T À DI

MANIFESTAZIONE DEL PENSIERO I

NELL’ ORDINAMENTO ITALIANO

M VL7AJ PAVCIS i

AG MI LANO

DOTT. A. GIUFFRÈ - EDITORE 1958

TUTTI

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RISERV ATI

Varese. Via G-. Gozzi, 29

Ca r l o E s po s i t o

LA LIBERTÀ DI MANIFESTAZIONE DEL PENSIERO NELL’ORDINAMENTO ITALIANO *

1. Idee dominanti nella dottrina del diritto pubblico fino a qualche anno fa, distinte le leggi in materiali e formali (le prime creative del diritto, le seconde con contenuto non corrispondente alla forma di atto legislativo creatore del diritto) enumeravano tra le leggi meramente formali le dichiarazioni di principio, le espressioni di concezioni etiche, politiche, scientifiche del legislatore, che, apoditticamente, si dicevano prive di forza o rilevanza giuridica. Oggi pochi giuristi italiani sottoscriverebbero quelle affermazioni. La distinzione tra leggi formali * Questa prolusione al Corso di diritto costituzionale nell’Università di Roma letta il 2 febbraio 1957 è stata preceduta dalle parole che si riportano in questa nota: « Ringrazio vivamente la Facoltà di Giurisprudenza che, dopo la nomina di G. Ambrosini a giudice della Corte Costituzionale, ha accolto la mia domanda di trasferimento a questa cattedra illustrata dal fondatore della Scuola italiana del diritto pubblico e da Santi Romano. Santi Romano mi insegnò (e se non ho appreso la colpa è esclusivamente mia) che cosa sia visione unitaria dei temi del diritto costituzionale, che cosa linearità e chiarezza nella impostazione e nelle soluzioni dei molteplici problemi giuridici. Nè io saprei formulare all’inizio del mio insegnamento migliore augurio di questo: che io possa contribuire ad educare i giovani di questa Facoltà al metodo ed alla serietà negli studi di quel grande Maestro. Rivolgo un saluto affettuoso alle Facoltà che mi hanno finora accolto, ed esprimo la mia riconoscenza a quanti mi hanno confortato con la loro fiducia e il loro aiuto in momenti difficili della mia vita. In particolare a Vincenzo Arangio-Ruiz che mi ebbe allievo a Napoli e che ora trovo qui collega tanto di me maggiore, ad Adolfo Ravà dal quale ho appreso quanto la conoscenza di Kant, di Fichte ed in genere dei grandi classici del pensiero possa giovare all’approfondimento dei problemi giuridici, a Donato Donati che mi espresse il suo favore quando ciò poteva essere atto di coraggio, a Giuseppe Capograssi, l’amico carissimo, che mi pare impossibile ci abbia abbandonati.

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e materiali lia ancora molti seguaci, ma la etichetta di legge formale non si applica più alle dichiarazioni legislative o costituzionali di principio. A queste ultime si attribuisce oggi, sempre più, il medesimo valore che alla formulazione di norme h Ragioni contingenti di questo mutamento di opinione sono state la chiara intenzione del costituente di attribuire valore giuridico obbligatorio ed invalidante od almeno direttivo alle dichiarazioni di principio formulate direttamente nel testo costituzionale o la cui formulazione era rimessa alle leggi, ed inoltre la ferma volontà ed il deciso comportamento di gruppi politici tesi ad ottenere rispetto ed attuazione concreta dei principi formulati nel testo costituzionale o, per lo meno, di alcuni tra di essi. Ma, in verità, a parte le ragioni contingenti del superamento della tesi, spingeva in tal senso la tradizionale opinione che l ’ordinamento giuridico non si dissolve in una somma di puntuali volizioni, ma consta di in complesso sistema di norme da interpretare organicamente come svolgimento di principi, e che delle disposizioni giuridiche può sempre ricercarsi e può sempre indicarsi la ragione, il senso ed il significato, sicché con ogni regola è anche inserito nell’ordinamento il principio giustificativo della regola. Accolta questa tesi, ove siano formulate regole, l’accoglimento del principio è implicito; ove sia formulato il principio, la imposizione delle regole è implicita e da dedurre se non logicamente teleologicamente e finalisticamente da quello, ma nella sostanza le due ipotesi non diversificano. Tutte e due le volte sarebbero imposte regole ed accolte come fondate e valide (e cioè giuridicamente vere) le ragioni delle regole, condannati o approvati determinati atti, ma insieme ripudiate le concezioni che porterebbero a conseguenze contrastanti con quelle imposte. La condanna di queste concezioni, non che derivare da arbitrio o da eccesso di prudenza di qualche legislatore o essere fondata nelle caratteristiche specifiche di qualche ordinamento (per es. di quello canonico), sarebbe imposta dalla logica del diritto, di ogni diritto, che, sempre, oltre che complesso di imperativi o di norme non trasgredirli, sarebbe per natura sistema di principi incontrovertibili, base di quei concreti giudizi di assoluzione e di condanna che seminano gioie e dolori tra gli uomini.

1 Sul punto v. soprattutto C risa fu lli, La Costituzione e le sue dichiarazioni di 'principio, 1952, p. 14. Chi scrive ritiene peraltro, come risulterà dagli svolgimenti del testo, che il principio non sia una « norma considerata determinante di una o più altre » ma bensì la « ragione » di una o più norme « espresse » oppure « poste implicitamente » con la formulazione del principio.

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2. Contro questa tesi apparentemente ineccepibile sta però una constata?ione concreta, per così dire empirica: cbe norme e principi giuridici non solo mutano in fatto, ma in genere sono considerati mutevoli dallo stesso legislatore cbe li impone, o, ad essere precisi, entro lo stesso ordinamento cbe entrano a costituire. Se questa mutevolezza sia connaturata al diritto come modo di organizzazione o componente organizzativa delle viventi comunità umane, oppure sia liberamente creata dalle disposizioni cbe prevedono o disciplinano i modi di produzione del diritto è questione cbe non interessa affrontare in questo momento. In tutte e due le ipotesi resta infatti acquisito cbe la imposizione di una regola giuridica come obbligatoria non significa asserzione della verità assoluta del principio sottostante, ma bensì raffermarsi di un principio pratico contingentemente persuasivo, ma non assolutamente vero, subiettivamente fondato, ma non apoditticamente certo. E resta inoltre acquisito cbe la preordinazione in un sistema giuridico di regole sulla produzione del diritto oltre cbe disciplinare formalmente tale creazione di norme nuove, significa pure cbe le regole dovranno permanere fin quando risultino fondati i principi cbe in esse si esprimono e dovranno essere variate da più adeguata conoscenza delle ragioni teoriche e pratiche favorevoli a diversa regolamentazione. Ma se in ogni ordinamento giuridico (cbe non sia somma di puntuali ed arbitrarie volizioni) va ricostruita ed intesa in tal senso la mutevolezza del diritto, le regole sulla produzione del diritto costituiscono anzitutto un invito a tutti ed a ciascuno ad offrire ogni elemento direttamente od indirettamente utile al miglioramento delle regole giuridiche e della loro applicazione, un appello generale perchè sia espresso consenso, dubbio, incertezza, biasimo sui principi accolti, un invito insomma alle libere manifestazioni del pensiero di ogni genere o specie, perchè nessun pensiero può dirsi a priori irrilevante giuridicamente. Corrispondentemente il riconoscimento della libertà di manifestazione del pensiero darebbe soddisfazione ad una necessità dell’ordinamento, più, o almeno, oltre cbe ad un bisogno dell’individuo. Le molte concezioni diffuse nella dottrina corrente, cbe dichiarano superata la vecchia tesi del fondamento individualistico e liberale della libertà di manifestazione del pensiero come di un diritto inviolabile dell’individuo isolato di fronte allo Stato, oppure ritengono cbe quella tesi sia unilaterale ed incompleta, muovono da queste premesse, coscientemente od incoscientemente.

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tale momento dell’ordinamento, rispetto a quanti agiscono come esecutori o sudditi, sono invocati limiti alle manifestazioni praticamente pericolose per la realizzazione dei principi o delle norme accolte. In sostanza ogni concezione funzionale della libertà di manifestazione del pensiero avanza o giustifica pretese intimamente contradittorie: richiede e giustifica contemporaneamente assoluta libertà e limiti parimenti assoluti della invocata libertà, sia dal punto di vista soggettivo che oggettivo. Sotto il profilo soggettivo tanto pretende o può pretendere che questa libertà sia concessa a tutti (poiché non vi è alcuno che con le sue manifestazioni del pensiero non possa utilmente contribuire alla formazione del diritto), quanto che essa sia limitata solo ad alcuni e cioè ai soli investiti del potere (e tra di essi ai soli investiti del potere legislativo e non di quelli esecutivo e giurisdizionale) 3. Inoltre la concezione funzionale tanto può giustificare la intangibilità soggettiva della libertà, quanto che (come dice una recente costituzione di un Paese democratico) « la Corte costituzionale federale ne pronunci la perdita, e la misura di essa perdita, rispetto a quanti ne abbiano abusato per combattere i principi dell’ordinamento »4, oppure può pretendere che la libertà sia concessa solo a coloro che per natura, per nascita, classe, gruppo o partito cui appartengono diano garanzia di interiore fedeltà e legame all’ordinamento. Pur quando la libertà di manifestazione del pensiero sia concessa a tutti, e cioè sia consentito ad ogni soggetto dell’ordinamento di partecipare alla formazione delle disposizioni manifestando le proprie opinioni, in una concezione funzionale della libertà di manifestazione del pensiero la contemporanea sussistenza delle due qualifiche di sottoposto e di governante in ogni soggetto può giustificare ogni limite alla libertà, poiché garantita ad un governante che contemporaneamente è sottoposto, ed anzi governa proprio perchè sottoposto. Infine, elevate le manifestazioni del pensiero a modo di partecipare alla formazione dei principi dell’ordinamento, elevati tutti i sudditi a membri di un grande Parlamento, che con le sue manifestazioni del pensiero dovrebbe determinare le decisioni e le direttive dell’ordinamento, 3 Interessanti notazioni sul punto in Ch a f e e , Free Speech in the United States, 1954, p. 18 s., 25 s., eco. 4 Legge fondamentale della Repubblica federale germanica, art. 18 (e sulle premesse e sulle conseguenze della disposizione Ri d d e r , Meinungsfreiheit, cit., p. 249 ss., 289 ss; L o f f l e r , Pressrecht, 1955, p. 3 ss. e p. 124, 133 per disposizioni simili, ma più generiche, di stati-membro).

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dovrebbe dirsi giustificata tale penetrante regolamentazione del modo di esercizio della libertà da renderla adeguata al fine. Anche in questo grande Parlamento dei sudditi-governanti, cioè, le manifestazioni del pensiero dovrebbero avvenire non caoticamente, ma disciplinatamente, prima ma non dopo la deliberazione, sugli argomenti posti all’ordine del giorno e non arbitrariamente: e cioè nei modi di esplicazione di una funzione e non di un diritto. Che tutte queste conseguenze non si traggano in genere dai sostenitori di questa tesi, in verità prova assai poco. Prova solo che questi scrittori non sono conseguenti o che non hanno voluto trarre dalle premesse queste conseguenze5. Non dovrebbe invece destare sorpresa che una Costituzione 6 abbia solennemente stabilito che: « In armonia con gli interessi dei lavoratori, ed allo scopo di rafforzare l ’organizzazione socialista, la legge garantisce ai cittadini dell’URSS a) la libertà di parola, b) la libertà di stampa, c) la libertà di associazione, d) la libertà di cortei e di dimostrazioni in piazza...» e che perciò in tal Paese sia previsto che le manifestazioni del pensiero non solo nel campo del diritto o della economia, ma della storia, della scienza, e delle arti tutte non debbano svolgersi secondo un presunto obiettivismo, ma secondo linee geneiali più o meno rigidamente ed autoritariamente prefissate e che critiche, autocritiche e discussioni possano riguardare solo gli sviluppi delle dottrine ufficiali ma non il nucleo di esse, il modo di realizzazione dei principi ma non la loro sostanza, e che corrispondentemente sia disciplinato il modo di svolgimento di tali critiche, affermata la responsabilità personale per ogni manifestazione del pensiero deviazionistico, pur dopo che su di essa si sia esercitato un preventivo controllo politico-ideologico. Tutto ciò dovrebbe solo considerarsi come logica o almeno ammissibile conseguenza di una concezione funzionale della libertà di manifestazione del pensiero, che vuole che essa sia garantita solo nei limiti della sua utilità storicamente determinata. f

4. Ohi legga senza preconcetti l’articolo 21 della Costituzione italiana: « Tutti hanno il diritto di manifestare Uberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione » affermerà 5 Lo sforzo, il nobile sforzo, di evitare queste conseguenze è palese ad esempio nel nostro Mo r t a t i , La libertà di stampa in regime democratico, Cronache sociali, 1947, p. 202 s. 6 Cost. dell’URSS, art. 125; v. anche Cost. Rep. pop. ungherese, art. 55; Cost, rumena, art. 89.

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per molte ragioni che questa dichiarazione non intende attribuire un diritto funzionale all’individuo, ma un diritto individuale. La collocazione dell’articolo nel titolo relativo ai rapporti civili, la attribuzione a « tutti » del diritto e non ai soli cittadini, la mancanza di ogni accenno ad una funzione sociale o politica di questo diritto in contrasto con la esplicita formulazione in altri casi (« L’iniziativa economica privata è Ubera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale... », « La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurare la funzione sociale... », « Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi Uberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la poUtica nazionale » 7), infine i lavori preparatori8 offrono o dovrebbero offrire argomenti decisivi a favore di questa interpretazione individuaUstica della dichiarazione. Che taU diritti individuaUstici esistano nel nostro ordinamento è solennemente affermato dalla nostra Costituzione nel suo secondo articolo quando proclama il fondamentale principio che « La repubbUca riconosce e garantisce i diritti inviolabiU dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociah ove si svolge la sua personaUtà... ». Con ciò non vuol dirsi naturalmente che vi siano diritti riconosciuti dalla comunità statuale che non si svolgano nella comunità statuale, diritti riconosciuti dall’ordinamento al singolo isolato e fuori dall’ordinamento, ma bensì che alcuni diritti sono attribuiti all’« uomo » come tale e a vantaggio deU’uomo, al singolo per ciò che essi rappresentano per esso singolo nelle sue quaUtà universaU o per l’appagamento egoistico dei suoi bisogni e desideri individuah, mentre altri invece sono attribuiti al singolo neUa sua specifica quaUtà di membro o di partecipe di determinate comunità, per le funzioni che in esse il singolo debba espUcare, sicché tale partecipazione determina il contenuto ed i Umiti del diritto. Quando si afferma che la nostra Costituzione garantisce il diritto di manifestazione del pensiero in senso individua7 V. rispettivamente gli artt. 41, 42 cpv. e 49 Cost. 8 Da tali lavori preparatori risulta che secondo la formulazione iniziale dell’articolo in I Sottocommissione il sequestro non doveva essere ammesso per reati politici, e si parlava delle « funzioni speciali della stampa periodica » (v. I Sott., p. 129, 151 ss.), ma queste formule furono abbandonate. Risulta poi che qualche costituente, rispetto alla stessa stampa (anzi in modo particolare rispetto alla stampa) avanzò la idea che essa fosse da considerare mezzo di espressione del pensiero individuale e personale (Do s s e t t i , I Sott., p. 131).

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listico si intende dunque dire che esso è garantito al singolo come tale indipendentemente dai vantaggi o dagli svantaggi che possano derivarne allo Stato, indipendentemente dalle qualifiche che il singolo possa avere in alcuna comunità e dalle funzioni connesse a tali qualifiche; si vuole dire che esso è garantito perchè l’uomo possa unirsi all’altro uomo nel pensiero e col pensiero 9 ed eventualmente insieme operare: i vivi con i vivi ed i morti con i vivi 10Il e non per le utilità sociali delle unioni di pensiero. Rispetto allo Stato, allo svolgimento della vita dello Stato, il diritto così riconosciuto a volte apporterà dunque bene, a volte male, a volte rafforzerà un regime, a volte ne corroderà le basi e ne prepa9 Contro la ricostruzione non varrebbe osservare che la disposizione sotto questo profilo dovrebbe garantire le sole manifestazioni nominate del pensiero, ma non quelle anonime (prevalenti nella stampa politica e di informazione che la Costituzione in più particolari regole mostra di ritenere garantita). Anche le manifestazioni anonime sono manifestazioni personali sia pure non contrassegnate da quei marchi delle persone che sono nome e cognome, ed anche di esse si può controllare se veramente manifestino il pensiero di una persona (e cioè se siano in buona o mala fede, secondo quel che si dirà infra, p. 36 sg., nota 87). Se mai disposizioni ben più particolari che non sia il principio che la espressione del pensiero è garantita come modo di estrinsecarsi di una personalità, implicano qualche limite alla piena garanzia delle manifestazioni anonime del pensiero o dell’anonimo nelle manifestazioni stesse. Così la statuizione che nelle pubblicazioni a stampa debba esservi indicazione dei responsabili. Tra di essi in base all’art. 27 della Cost., dovrebbe essere in prima linea l’autore dello scritto. Così ancora la disposizione che consente alla legge di imporre che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica, in sostanza, consente che la legge imponga che siano resi noti i veri autori o ispiratori dell’indirizzo della stampa periodica! 10 Quel che si è detto a nota precedente giustifica che nel testo non si parli solo delle manifestazioni del pensiero degli uomini in vita. Del resto in ordinamenti giuridici che ammettono persone giuridiche accanto a persone fisiche, e che tutelano i non ancora nati (concepiti e non concepiti) non come cose ma come soggetti (o per ciò che essi potranno essere come soggetti) e che considerano delitto contro la persona il cagionare la morte del feto durante il parto (c.p. it., art. 578) e delitto contro la persona l’offesa alla memoria del defunto (c.p. it., art. 597), in un’epoca in cui è divenuto luogo comune della dommatica distinguere tra l’uomo nella sua fìsica esistenza e la « persona » soggetto dei diritti, non dovrebbe dar luogo a difficoltà nè sostantive nè ricostruttive lo affermare che l’art. 21 garantisce ai singoli non solo di esprimersi in vita, ma anche di perpetuarsi (conforme a una profonda esigenza della persona) oltre la vita fìsica con i pensieri e con le manifestazioni del pensiero. Comunque, si vedano sul problema le diligenti indicazioni del Re s c i g n o , Il danno da procreazione, in Bivista di diritto civile, II, 1956, p. 626 ss. (pure se il Re s c i g n o tenta della tesi sommaria e sarcastica critica).

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rerà la fine. Ma la comunicazione e la divulgazione di pensieri relativi allo Stato, o relativi a concreti ed attuali problemi politici per il fatto che dallo Stato esse sono garantite, non si troverà riconosciuta in misura diversa, maggiore o minore (per i vantaggi11 o per i danni che essa possa apportare alle comunità statale 112) di ogni altra manifestazione relativa ad altri oggetti; ed ogni limitazione, anche nei confronti dello svolgimento della vita statuale, lungi dal potersi dedurre dalla natura del diritto riconosciuto, dovrà trovare fondamento in particolari disposizioni che ne giustifichino la affermazione 13. 11 Tali vantaggi sono stati posti in luce all’inizio di questo nostro discorso. Su di uno di essi, e cioè sul vantaggio che tali manifestazioni e la loro contrapposizione rappresentano come correttive e sostitutive in politica della lotta violenta tra le fazioni ha scritto di recente pagine suggestive il D e w e y , L ibertà e cultura, trad., 1953, p. 147. 12 A base del riconoscimento della libertà di manifestazione del pensiero non sta infatti solo la fede che la libertà riconosciuta apporti bene, ma anche la idea che quella libertà come tale sia un bene, anche se essa apporti mali specifici (sul punto v. peraltro riguardo ai limiti della libertà di manifestazione del pensiero nel nostro ordinamento positivo, ad evitare l’avverarsi di specifici mali, infra, p. 54). 13 Le considerazioni svolte per la dichiarazione iniziale dell’art. 21 valgono anche per quelle che ad essa accedono e che con essa si fondono in ideale unità (su di che v. sotto il profilo esegetico anche nota seguente). In particolare la stampa, per la parte in cui essa è disciplinata dalla nostra Costituzione, non viene in considerazione come istituto democratico, ma come strumento attraverso cui gli individui possono esprimere il proprio pensiero, seppure questo mezzo possa avere profonda rilevanza per la organizzazione democratica dello Stato, e seppure nelle leggi ordinarie, una volta rispettato il principio costituzionale, possa venire in considerazione anche tale rilevanza e in suo nome possano essere offerti alla stampa ulteriori garanzie e privilegi (ma non mai imposti limiti), oltre quelli che possano derivare da ciò che essa è mezzo per la libera manifestazione del pensiero individuale. In genere le recenti trattazioni sul diritto di stampa muovono invece dalla idea della stampa come istituto democratico e svolgono questa idea riallacciandosi alla vecchia tesi della stampa come 4° potere nello Stato. V., p. es., B o u r q u i n , La liberté de la presse, 1950, p. 48, 188 ss.; Ki d d e r , Meinungsfreiheit, cit., p. 250 s., 259 ss., 269 ss. (che però pone in luce, a pag. 250, come diversa soluzione sia da ritenersi accolta in ordinamenti costituzionali diversi da quello di Bonn); L ò f f l e r , Pressrecht, cit., p. 66 (che però distingue la libertà formale di stampa come istituzione a vantaggio della collettività, dalla libertà materiale di stampa che avrebbe ad oggetto il diritto subiettivo del singolo ad esprimere il proprio pensiero). In Italia, tra i tanti, v. Le n e r , in Civiltà Cattolica, 1952, II, 7 ss.; Cu o mo , Libertà di stampa ed impresa giornalistica, 1956. Ma in verità quello che può essere « pericolosamente » esatto rispetto ad altre Costituzioni e ad altri Paesi, « per fortuna » non è esatto rispetto alla Costituzione italiana!

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Una siffatta interpretazione dell’art. 21 della Costituzione14 esclude dunque ogni nesso praticamente rilevante tra l’articolo stesso e la proclamazione della democraticità dello Stato italiano e ritiene errati i diffusi tentativi di configurare questo diritto (allo stesso modo di quello di iscrizione ai partiti) come « essenzialmente » diretto a garantire ai singoli la possibilità di concorrere a determinare la politica nazionale 15. Non si nega, sia detto ad evitare equivoci, che, sotto il profilo ideale, un regime nel quale si riconosce al cittadino la capacità di creare diritto e nel quale si vuole che chi governa consideri il suddito come potenziale governante e che non vi siano duci e seguaci, e che sia riconosciuta ad ogni cittadino capace di curare il proprio interesse la potestà di collaborare alla determinazione del comune destino, e che afferma la sovrana dignità di ogni cittadino... non si nega che tale ordinamento pretenda che in via di principio sia riconosciuta innanzi tutto 14 Che costituisce un tutto unitario. La tesi che il primo ed il sesto comma dell’articolo si riferiscano alla libertà civile di manifestazione del pensiero, il 2°, il 3°, il 4° e il 5° comma alla attività di « stampa periodica » politicamente rilevante (Cu o mo , op. cit., p. 192), a parte la facile dimostrazione della inesattezza della affermazione che per stampa in tali ultimi commi si intenda sempre e solo quella periodica, non pare fondata. Esatto è solo che nell’art. 21 è proclamata la libertà di manifestazione del pensiero e disciplinato insieme l’istituto della stampa, considerato, secondo tradizione e per motivi oggettivi (sul punto v. nota 37), principale strumento, a portata di tutti, per la diffusione del pensiero. Naturalmente, ammesso e sancito (come la nostra Costituzione ammette e sancisce) che le garanzie formali alla libertà di stampa, come tali, sono utile strumento per la libertà di manifestazione del pensiero, il concreto stampare, pubblicare e diffondere potrà risultare garantito indipendentemente dalla concreta prova che esso sia strumento di manifestazione del pensiero, e anche se il contenuto dello stampato, secondo Costituzione, vada rubricato diversamente che come manifestazione del pensiero. Per es., ne potranno risultare garantiti anche stampati reclamistici, che pur sono svolgimento di attività economica prevista e disciplinata dall’art. 41 della Cost, e non dall’art. 21, 1° comma. Tuttavia altra cosa è questo, altro è che la ragione giuridica delle garanzie formali offerte alla stampa non sia nel 1° comma dell’articolo 21, e che tu tti i commi seguenti non si riallaccino al primo. 15 Per tali tesi e riavvicinamenti v. tra i molti, Ri d d e r , op. cit., p. 257; He i n i t z , I limiti della libertà di stampa, in La politica parlamentare, 1956, p. 56; Ma n g o l d t , Las Bonner Grundegesetz, 1955, p. 243 s.; L ò f f l e r , Pressrecht, 1955, p. 4; Cu o mo , op. cit., p. 164, 192, 250 ss., 284 (secondo cui, a quel che pare, sarebbe tale però, come si esprime l’A.a p. 164, solo il diritto di stampa periodica). Queste tesi, se pure rispondono a ordinamenti costituzionali stranieri, non sono esatte nella costituzione italiana.

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la possibilità di manifestare il proprio pensiero 16. Si vuole solo affermare che non la democraticità dello Stato ha per conseguenza il riconoscimento di quella libertà, sicché possa determinarne la funzione ed i limiti, ma che le ragioni ideali del riconoscimento di quella libertà (e cioè del valore della persona umana) porta tra le tante conseguenze anche alla affermazione dello Stato democratico. Una diversa interpretazione sminuirebbe il significato della proclamazione dell’art. 21, si porrebbe in contrasto con le ragioni storiche della rivendicazione del diritto individuale di manifestazione del pensiero, immiserirebbe il senso della dichiarazione costituzionale (come che essa garantisca la sola manifestazione del pensiero politico o politicamente rilevante), senza alcun risultato pratico. Perchè, in sostanza, sotto il profilo pratico, anche ammesso che nella nostra Costituzione esista un nesso inscindibile tra la proclamazione della democraticità dello Stato e quella della libertà di manifestazione del pensiero, il nesso non può essere che questo: che quella libertà nella sua pienezza, come specificamente proclamata e riconosciuta, e con i soli limiti che ad essa siano spe cificamente imposti da particolari disposizioni costituzionali, è ritenuta incontrovertibilmente utile allo svolgimento di una vita democratica, e che perciò la generica dichiarazione che lo Stato è democratico, niente aggiunge e niente toglie alla solenne e specifica proclamazione di libertà. 5. In contrasto con la solenne proclamazione costituzionale che sembra affermare, senza altro limite espresso che quello del rispetto del buon costume, la libertà di manifestazione del proprio pensiero e sembra garantire tanto la diffusione di affermazioni manifestamente errate e lesive dell’altrui onore o pericolose per il prestigio delle autorità e per la pace pubblica, quanto di opinioni fondate, utili, riguardose, comunemente accolte e comunque pacifiche, sta la realtà delle nostre leggi ordinarie che, conforme a lunga tradizione, consacrata in molti ordinamenti contemporanei, conosce molteplici limiti della libertà proclamata a tutela dell’altrui onore, del prestigio delle autorità, della pacifica convivenza, della conservazione dello Stato e del rispetto delle sue leggi. Si spiega perciò come si sia tentato di conciliare la solenne dichiarazione costituzionale con il diritto positivo delle leggi ordinarie, so16 V. infatti il nostro Commento all'art. 1 della Cost., in La Costituzione italiana, 1954, p. 1 ss.

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sostenendo di volta in volta che alla dichiarazione dovesse attribuirsi il significato di un principio, di un ideale, di un programma, di una utopia affermata ma non imposta dal legislatore; oppure che nella dichiarazione sia implicito un rinvio al legislatore a disciplinare negativamente e positivamente (a tutelare cioè contro le offese e a limitare contro gli abusi) il diritto proclamato; o infine che la proclamazione intenda tutelare la libera manifestazione del pensiero dalla possibilità di impedimenti giuridici, e cioè il fatto materiale della manifestazione e diffusione del pensiero. Ma la dichiarazione non intenderebbe escludere discriminazioni tra i pensieri manifestati ai fini della responsabilità per le manifestazioni e diffusioni avvenute. Queste affermazioni, che riecheggiano vecchie tesi e vecchie soluzioni e tutta la tormentata storia della costruzione e della ricostruzione individualistica di questo diritto, debbono essere attentamente vagliate, non meno di quelle concezioni che nel legame tra libertà di manifestazione del pensiero e democrazia (e perciò in un falso « perchè ») credono di trovare la indicazione del « fin dove » si estenda la libertà di manifestazione del pensiero proclamata dalla nostra Costituzione. Orbene: la idea di un valore puramente programmatico della dichiarazione dell’art. 21, prevalente nella nostra giurisprudenza17 fino a che non ha iniziato la sua attività la Corte Costituzionale 1718, si risolve in un circolo vizioso, o peggio ancora in una inversione logica, poiché non misura dalla sovraordinata dichiarazione costituzionale la validità delle leggi ordinarie, ma, viceversa, secondo una supposta validità delle leggi ordinarie statuisce il significato della Costituzione. Nè è qui da ripetere quello che già altri ha ben dimostrato 19, 17 Ampie indicazioni in Giurisprudenza Costituzionale, I, 1956, p. 302 ss. 18 Fondamentale la dee. della Corte Costituzionale, 14 giugno 1956, n. 1, in Giur. Cost., 1956, p. 7. Tale decisione, in verità, non escludeva che la dichiarazione del 1° comma dell’art. 21 fosse programmatica, ma affermava che anche il contrasto con norme programmatiche dà luogo ad incostituzionalità delle leggi. Tuttavia poiché programmaticità di una disposizione aveva significato nella giurisprudenza inettitudine di una regola costituzionale non solo ad abrogare, ma in genere ad invalidare disposizioni di legge contrastanti, così praticamente la decisione negava la natura programmatica della dichiarazione dell’art. 21 (così come essa era stata intesa dalla giurisprudenza). Si vedano poi le dee. 26 gennaio 1957, n. 31 e 33, in Giur. Cost., 1957, p. 422, 431; 8 luglio 1957, n. 120 e 121, in Giur. Cost., 1957, p. 1086, 1092. 19 Y. per tutti, Cr i s a f u l l i , in La Costituzione e le sue dichiarazioni di principio, 1952, p. 87 ss., 99 ss.

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e cioè che formula costituzionale e lavori preparatori sono contrari a siffatta interpretazione. È peraltro da aggiungere in via generale che la norma programmatica, che si rivolge al legislatore o alla legislazione per la disciplina di determinata materia invece di regolarla immediatamente, è ammissibile o dove la attuazione del principio apra la via a più modi di regolamentazione legislativa o esecutiva, oppure dove la dichiarazione si proponga il raggiungimento di risultati materiali, la soddisfazione di esigenze di fatto e perciò svolgimento di attività legislativa o esecutiva, adeguantesi, secondo la mutevolezza delle circostanze, al raggiungimento del fine. Invece la dichiarazione, il riconoscimento di una libertà giuridica non richiede specifica attività legislativa per tradursi in atto, ma (come libertà di diritto) che le leggi si astengano dal disporre contro la riconosciuta libertà, e che gli organi esecutivi e giurisdizionali condannino o impediscano ogni lesione di essa libertà. Non richiedono dunque le libertà giuridiche specifica regolamentazione, ma astensione dalla regolamentazione, e che non si svolga attività delle autorità o dei privati che conculchi o neghi la libertà. Perciò le libertà giuridiche o sono riconosciute ed allora le proposizioni che le proclamano non sono programmatiche ma norme e regole che consacrano una situazione giuridica di libertà garantita; oppure non sono riconosciute ed allora la proposizione che proclama una libertà non formula neanche un programma da realizzare, ma si risolve in una platonica affermazione del valore ideale e non giuridico di una libertà, in una dichiarazione priva di senso giuridico, anche se contenuta in un testo costituzionale. Il vero è che chi ha sostenuto il valore programmatico della dichiarazione di libertà di manifestazione del pensiero non intendeva dire che essa fosse priva di senso giuridico, ma una cosa diversa ed astrattamente sensata: e cioè che il nostro testo costituzionale, pur riconoscendo la libertà di manifestazione del pensiero, consentiva però al legislatore di porvi limiti secondo necessità e perciò, a parte le parole, non dichiarava programmatica la libertà, ma bensì i limiti ad essa, ed intangibili, o comunque conformi a costituzione, i limiti preesistenti, perchè preventiva esecuzione del programma. 6. La tesi che la dichiarazione dell’art. 21 abbia valore programmatico si converte dunque nell’altra che il riconoscimento della libertà di manifestazione del pensiero non esclude il potere della legge e della sola legge di porvi limiti materiali. E questa tesi, a prima vista, pare

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possa richiamare in suo favore argomenti testuali20 e le molte ragioni sostantive dalle quali per tradizione si deduce che la riserva di legge costituisce una garanzia delle libertà, e cioè che, poiché ogni libertà deve incontrare limiti 21, quella riserva esclude però arbitrarie limitazioni dell’esecutivo e quelle dello stesso legislativo, poiché la legge è per sua natura norma generale o per lo meno non personale 22; e che essa dà luogo solo a limiti autonomi, poiché la legge è consentita da coloro stessi che vi sono sottoposti direttamente o attraverso gli organi che li rappresentano. Questi argomenti sostantivi, però, se pure hanno persuaso in passato, non convincono più oggi, poiché l’esperienza ha mostrato che peggiore dell’arbitrio dell’esecutivo può essere la oppressione instau20 II principale dei quali, offerto dall’art. 21 stesso, sarebbe che il terzo comma prevede sequestro in caso di delitto. La Costituzione ammetterebbe dunque che la legge possa disciplinare le manifestazioni del pensiero a mezzo della stampa ed elevarne alcuna a delitto secondo la riserva dell’art. 25 cpv.! Contro tale argomentazione v. però, infra, nel testo. 21 Questo motivo, che per la verità riecheggia un luogo comune, si trova spesso riaffermato, e proprio rispetto alla libertà di manifestazione del pensiero, dalla Corte Costituzionale (v. per es., Sent. 14 giugno 1956, n. 1, in Giur. Cost., 1956, p. 8; 8 luglio 1957, n. 120 e 121 in Giur. cost., 1957, p. 1091, 1098). Ma la affermazione è pericolosamente falsa se da mera, banale constatazione di fatto sia elevata a proposizione normativa che giustificherebbe in via generale limiti delle libertà costituzionalmente garantite ed in particolare della libertà di manifestazione del pensiero. E non si dica che la Corte non muove dalla affermazione che ogni diritto per sua natura incontra limiti sostantivi, ma bensì che le modalità di esercizio dei diritti riconosciuti possono sempre essere regolamentate. Rispetto alle manifestazioni del pensiero questa affermazione dovrebbe significare che mentre di nessun pensiero si può vietare la manifestazione per ragioni di contenuto (salvo testuale disposto della Costituzione), è ammissibile (una volta esclusa ogni discriminazione nel contenuto), che siano disciplinate le modalità di manifestazione del pensiero in generale (in tal senso v. in qualche modo soprattutto la decisione 121 sub 5). Ma la speranza che in tale senso esatto debba intendersi la affermazione della Corte è fugata dalla constatazione che nella applicazione del principio si precisa che la Costituzione non può avere garantito manifestazioni che turbino la tranquillità pubblica o manifestazioni contrarie all’altrui diritto, oppure esplicitamente si ammette che da quel principio derivano o possono derivare limiti sostantivi della libertà, e che tutto ciò è ben ammissibile perchè il concetto del limite è insito nel concetto stesso del diritto. Quest’ultima proposizione (normativamente intesa) potrebbe giustificare, solo che la Corte o le autorità vogliano, qualsiasi limite materiale della libertà di manifestazione del pensiero! 22 Sul lato esatto di questa affermazione nel nostro ordinamento v. E s po in La Costituzione italiana, cit., p. 53 ss.

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rata dalla legge o divenuta legge, e che la generalità, se pure è caratteristica della legge e limita l’arbitrio del legislatore23, non costituisce obiettiva garanzia della libertà, ma solo e se mai del principio di eguaglianza nelle limitazioni della libertà (che è cosa profondamente diversa), e che infine la cosiddetta autonomia delle leggi e la coincidenza tra consenso e legge, pur in regime parlamentare o di democrazia diretta, può essere solo artificiosamente affermata ma non effettivamente dimostrata, finché decisioni legislative in limite delle libertà siano prese a maggioranza invece che alla unanimità, e, come è inevitabile in ogni legge, si impongano per la autorità di un consenso passato indipendentemente dal consenso attuale24. D ’altra parte, superati questi argomenti di natura generale a favore della sussistenza di una potestà della legge, non pare che si possa argomentare in modo più contingente che tale potere sia riconosciuto implicitamente lì dove la Costituzione ammette (all’art. 21) una legge sulla stampa, e delitti di stampa, e potestà della legge a provvedere per prevenire e reprimere manifestazioni contrarie ai buoni costumi, poiché non si tratta di vedere se la Costituzione abbia ammesso che un certo mezzo di manifestazione e diffusione del pensiero possa essere disciplinato con legge e se determinate manifestazioni (per esempio di pensiero non rispondente alle interiori persuasioni e perciò non garantite, o contrarie ai buoni costumi e perciò direttamente vietate dalla Costituzione) possano essere elevate a defitto. Il problema è se esista un generale potere della legge di elevare a defitto manifestazioni del pensiero o di vietarle secondo opportunità. Che in altri tempi la legge abbia avuto tale potere può bene ammettersi, che essa abbia tale potere in altre costituzioni vigenti è parimenti da riconoscere 25 e può anzi dirsi che in ogni costituzione flessibile alla legge è rico23 Su ciò v. particolarmente lo scritto cit. a nota precedente, p. 54. 21 Penetrante e suggestiva trattazione di questi problemi in Ke l s e n , Democrazia e cultura, trad., 1955, p. 7 ss. 25 Tale potere è riconosciuto alle leggi con formule varie: a volte affidando ad esse di disciplinare l ’esercizio del diritto riconosciuto (v. ad es., Cost, argentina del 1949, art. 26) oppure (secondo la formula tradizionale su cui v. infra, p. 18 sg.) affidando ad essa di vietare o punire gli abusi; a volte attribuendo il diritto nei limiti della legge (v. ad es., Cost, cecoslovacca, del 1948, § 18, ma v. anche § 20, 21), oppure purché si osservino le leggi dello Stato (v. ad es., Cost, greca, 1951, art. 14). Notevoli le costituzioni che (come quella di Weimar, art. 118, o di Bonn, art. 5) proclamano il diritto nei limiti delle leggi generali, e che, secondo le varie interpretazioni, attribuiscono tale potere alle sole leggi che tutelino valori fondamentali correnti, oppure che tu-

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noscrato per implicito (con la potestà di mutare la costituzione) la possibilità di limitare diritti e potestà garantite. Ma in una costituzione rigida la situazione è profondamente diversa. Qui spetta alle sole leggi costituzionali di limitare il senso, la portata eie conseguenze di ogni dichiarazione di libertà, sicché occorre esplicito rinvio alla legge ordinaria (rinvio che, nella specie, nella nostra Costituzione manca) perchè questa abbia reale potere. Non varrebbe argomentare che, poiché il nostro ordinamento ammette che la stessa libertà personale possa essere limitata con legge (o secondo previsione di essa) e che possano essere limitate con legge la libertà di domicilio e la libertà di soggiorno e la libertà di comunicazione e di corrispondenza e la libertà dalle prestazioni person ali26, abbia implicitamente ammesso che anche la libertà di manifestazione del pensiero possa essere limitata legislativamente. Questi ragionamenti sarebbero inesatti per due motivi: innanzi tutto perchè, una volta ammessa una pluralità di individuate libertà, anche le limitazioni apposte a ciascuna di esse debbono essere specifiche, sicché dai limiti dell’ima niente può dedursi circa i limiti delle altre; in secondo luogo perchè un rinvio generale, o il riconoscimento di un generico potere della legge di porre limiti alla libertà di manifestazione del pensiero, renderebbe, in questo caso, solo apparente la garanzia e anzi la muterebbe nel suo opposto 27. Esso, sostituendo il principio della autorità a quello della libertà, significherebbe nientemeno che hanno diritto telino l ’ordine e la sicurezza pubblica, oppure che disciplinino la forma e i modi della manifestazione come tali, indipendentemente dal contenuto specifico di tali manifestazioni, oppure alle leggi che non inibiscano il puro effetto spirituale delle manifestazioni del pensiero, ecc. (v. Sm e n d , in Staatsrechtliche Abhandlungen, 1955, p. 97; R i d d e r , op. cit., p. 281; e, per chiaro riassunto schematico delle varie opinioni, Ma n g o l d t -K l e i n , Das Bonner Grundegesetz,

I, 1955, p. 250). 26 V., rispettivamente, gliartt. 13, 14, 16, 15, 23. Rispetto a questo ultimo articolo in particolare è da escludere che esso attribuisca alle leggi di imporre qualunque prestazione (e perciò, per es., di imporre con legge come prestazione di manifestare oppure di non manifestare il proprio pensiero). Esso stabilisce solo che nei casi in cui la imposizione di una prestazione non urta contro una specifica garanzia costituzionale, tale imposizione va fatta in base alla legge. L ’art. 23 (che a nostro parere non si riferisce alle sole « imposte », ma stabilisce e consacra in generale il principio di «legalità») statuisce una riserva di legge in senso lato, ma non conferisce una «generale » ed « assoluta » potestà alla legge. 27 Chiara visione di tale effetto ebbero i membri della Convenzione in Francia (v. art. VII dich. Cost. 1793 e art. 122 Cost.). Sul punto consulta B o u r q u i n , La liberté de la presse, 1950, p. 71.

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ad esprimersi solo le opinioni conformi alle leggi e perciò conformantisi alle opinioni, ai pregiudizi, alle certezze dommatiche dei singoli, dei pochi o delle masse, che, acquisito il potere, dettano legge. Sta però in fatto che non la diffusione di queste opinioni, accette ai dominanti o dei dominanti, abbisogna di garanzia, ma soprattutto 28 la diffusione di opinioni non accette a legislatori ed autorità. Perciò, a parte la questione se proclamandosi che la repubblica riconosce i diritti inviolabili dell’uomo si sia inteso escludere la stessa potestà delle leggi costituzionali a negare o limitare questi diritti29, ed in particolare quello della diffusione del pensiero, così come esso è stato riconosciuto nel testo costituzionale, o se per lo meno non si sia stabilito che la limitazione anche ad opera di legge costituzionale possa avvenire solo modificando o abrogando esplicitamente la dichiarazione della inviolabilità, vi sono ragioni specifiche per sostenere che la mancanza di ogni rinvio a leggi limitatrici non deriva da incompletezza della formula, ma da necessità o da natura intrinseca del diritto proclamato intimamente diverso da quelli garantiti con rinvio alla legge per regolamentazione o delimitazione. 7. Con le osservazioni così svolte si è anche criticata per implicito la tesi tradizionale che la proclamata libertà di manifestazione del pensiero consista in una puntuale libertà dalle leggi e dai vincoli legislativi nel momento della manifestazione del pensiero, in una materiale possibilità di diffondere pensieri senza sottoposizione a censure preventive, e di parlare, di scrivere e di stampare senza autorizzazione, ma non in un diritto sostantivo a non essere giudicato dalle leggi o in forza di legge per le manifestazioni del pensiero30. Che libertà sia questa minacciata 28 Sul pericolo che le limitazioni alla libertà di manifestazione del pensiero e le imposizioni del conformismo arrestino lo stesso manifestarsi del pensiero dei pusillanimi benpensanti v. peraltro qualche opportuna considerazione in Ch a f e e , Free Speech, cit., p. 241. 29 II problema, posto che in via di principio limiti delle leggi costituzionali o di revisione della Costituzione (non « naturali » come oggi spesso si sostiene, ma di diritto positivo) siano ammissibili (su di che v. E s po s i t o , La validità delle leggi, 1934, p. 197 ss.) è se con la «inviolabilità» stabilita dall’art. 2 si sia inteso anche sancire (come per es., nella Cost, di Bonn) la immodifìcabilità di questi diritti. 80 Solo in modo approssimativo questa interpretazione potrebbe richiamarsi alla tradizionale formula che riconosceva il diritto di parlare, scrivere o pubblicare le opinioni, salvo a rispondere dell’abuso del diritto (così la Dich. dei diritti dell’uomo dell’89 e le posteriori dichiarazioni e costituzioni francesi dell’epoca; così lo Statuto Albertino del 1848 e le numerose costituzioni del

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dalle pene31, clie leggi penali siano queste che non consentono di nostro Risorgimento; così varie costituzioni degli stati-membri degli S.U.; così la Cost, svizzera, etc.). Tale formula esprimeva l’idea che « in natura » fossero incontrovertibilmente fìssati i casi di abuso del diritto di manifestazione del pensiero, e che perciò alla legge non spettasse di «creare» gli abusi, ma bensì solo di fissare le pene per gli abusi. Nel nostro ordinamento vigente l’unico argomento testuale a favore della tesi, esposta in via dialettica e ricostruttiva nel testo, e che peraltro fu esplicitamente proposta da qualche costituente (v. per es. D e V i t a , L o mb a r d i , Ma n c i n i , in I Sott., p. 132, 141 ss., 145 ss., e P e r s i c o , in Ass. cost., p. 2805; ma contra v. Ca r i s t i a , Ce v o l o t t o , L u c i f e r o , Mo r o , p. 132 ss., p. 136, 143 s., 156 ss.) potrebbe trarsi dal combinato disposto dell’articolo 21, 3‘ comma, Cost, (che presuppone delitti di manifestazione del pensiero) e dell’art. 68 Cost, secondo cui « I membri del Parlamento non possono essere perseguiti per le opinioni espresse ... nell’esercizio delle funzioni ». Il fatto che quest’ultima garanzia è offerta in modo particolare ai soli membri del Parlamento, a prima vista, può parere costituisca prova che la garantita libertà di manifestazione del pensiero non escluda in genere (salvo per i parlamentari) pene per i pensieri manifestati e che insomma alle leggi sia solo vietato di impedire o di prevenire, ma non di punire per le manifestazioni del pensiero. In verità, però, il disposto dell’art. 68, non significa né implica che le leggi abbiano una generale potestà di punire per le opinioni manifestate, ma bensì solo che, nei casi eccezionali in cui la Costituzione consente alle leggi punizioni (e perciò divieti) di manifestazioni, le punizioni non sono ammissibili per i parlamentari. Inoltre la disposizione può, forse, significare che su tali membri del Parlamento non possono incidere le conseguenze civili negative da manifestazioni del pensiero o che non può stabilirsi la traslazione del danno nei loro confronti. Tale traslazione potrebbe invece sancirsi dalla legge rispetto ad ogni altro soggetto pure rispetto alle manifestazioni del pensiero, il cui libero svolgimento è garantito dall’ordinamento (su di che v. anche nota seguente). 31 Per approfondito svolgimento dell’argomento v. soprattutto Ch a f e e , Government and Mass Communications, I, 1947, p. 70; Free Speech in The United States, 1954, p. 9 ss., 509 ss. In tale Autore è ampia critica delle concezioni del B l a c k s t o n e e di quanti lo hanno seguito o lo seguono sul punto, così come vi sono indicazioni dei precedenti dottrinali e giurisprudenziali in critica della tesi Blackstoniana. Naturalmente la critica in sede logica non esclude il riconoscimento del significato pratico che raffermarsi del principio della libertà dalle misure preventive e la limitazione del potere della legge alle sole misure punitive (il riconoscimento, come oggi si dice, della libertà formale di manifestazione del pensiero) ha potuto assumere in sede storica. Quel che in sede logica vale contro la ammissibilità di pene per l’uso del pur garantito diritto di manifestazione del pensiero, non potrebbe poi ripetersi contro la ammissione del risarcimento, delle riparazioni o della traslazione del danno per l ’uso della garantita libertà di manifestazione del pensiero, ove essa abbia dato luogo a danno economico. Infatti, mentre la sottoposizione a pena di un comportamento presuppone e significa « divieto » di tale comportamento, la traslazione del danno o la determinazione giuridica del soggetto su cui debba incidere il danno nè presuppone, nè implica divieto del comportamento.

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impedire i reati32, in verità, non si riesce a dire, nè a costruire. Comunque questa concezione dimentica che le classiche ragioni sempre addotte contro le misure preventive, le censure e gli impedimenti al libero uso dei mezzi di diffusione del pensiero (e cioè la fallibilità dei censori, la inutilità delle censure 33345, la incertezza della distinzione tra vero e falso M, la non pericolosità delle manifestazioni di opinioni ^ la incongruenza di ogni soluzione autoritaria dei problemi del pensiero) 36, nei limiti in cui sono valide, non provano solo contro le censure o le misure preventive, quanto in maniera più generale contro la ammissibilità di poteri del legislatore sul contenuto delle manifestazioni del pensiero e contro le discriminazioni autoritarie di esse. Perciò, in via di principio, non esistendo esplicita disposizione contraria, il divieto di misure preventive sui mezzi di diffusione del pensiero, se pure fosse Tunica esplicitamente sancita nel nostro testo costituzionale, dovrebbe interpretarsi come escludente pure il potere della legge a giudicare del contenuto dei pensieri espressi. Ma, soprattutto, la concezione criticata oltre che con lo spirito sarebbe in contrasto con ogni parola della proclamazione della libertà nel nostro testo costituzionale. Questo contempla un solo limite al contenuto del diritto sostantivo, e cioè vieta le manifestazioni contrarie ai buoni 32 Su questo punto esattamente insiste la nostra Corte Costituzionale nelle decisioni già citate a p. 13, nota 18. Inammissibile è infatti che il senso dell’art. 21 della Costituzione sia quello di garantire pure la libertà di commissione di delitti di manifestazione del pensiero. Da lamentare è tuttavia che la Corte Costituzionale non abbia nè visto, nè intravvisto (e comunque non abbia avuto modo di trattare...) il problema della ammissibilità (o dei limiti della ammissibilità) che nel nostro ordinamento, che riconosce libertà di manifestazione del pensiero, le leggi elevino a delitto manifestazioni del pensiero. Sul punto v. infra. 33 Sono le argomentazioni svolte in modo ancora oggi suggestivo ed insuperato dal Mi l t o n , Areopagitica, p. 44 ss., 95 (tr. it.). 34 Tra le più significative, classiche ed efficaci variazioni di questo tema v. V o l t a i r e , Dizionario filosofico, voce « Tolleranza »; F i c h t e , Rivelazione della libertà del pensiero, tr. it., 1945, p. 95 ss. Ma, v. in genere i molti autori riferiti dal B u f f i n i , La libertà religiosa, I, 1901, cui possono aggiungersi le estremamente interessanti considerazioni del Ma r x , in Scritti politici giovanili, tr. it., p. 26 ss., 96 ss. (che peraltro svolge, a p. 109 ss., la tesi, puntualmente opposta a quella del testo e tradizionale, che giudici e censori siano contrapponibili). 35 V. infra, p. 53. 36 Per drastiche considerazioni sul punto v. ancora oggi B a y l e , Commentaire philosophique, p. II, ch. 5 (p. 412 dell’ed. Oeuvres diverses, Haye, 1737).

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costumi, ed in quest’unico caso autorizza esplicitamente le leggi alle misure preventive oltre che repressive, e disciplina in maniera particolare un solo mezzo di manifestazione di pensiero e cioè la stam pa37, e rispetto ad esso, pur escludendo autorizzazioni e censure 38, non solo ammette la misura preventiva della indicazione dei responsabili39, ma consente in caso di delitto il sequestro degli stam pati40 e cioè un provvedimento che, successivo alla manifestazione del pensiero, 37 Conformandosi in ciò ad una tradizione, superata peraltro in qualche recente testo costituzionale. Il rispetto di questa tradizione non pare però che dipenda solo da pigrizia come spesso si afferma, oppure dalla idea diffusa soprattutto nella letteratura americana che la parola stampa (Press) nei testi giuridici sia oramai comprensiva di ta tti i mezzi di diffusione del pensiero, oppure dalle particolari finalità (politiche) della stampa, o dalla idea che la stampa sia il vero, il « puro » mezzo di trasmissione del pensiero, mentre gli altri c.d. mezzi di tale trasmissione avrebbero natura ibrida, ma, forse, più semplicemente dalle conseguenze particolarmente gravi che censura e altri provvedimenti preventivi avrebbero rispetto alla stampa (su di che v. anche infra, p. 25, nota 50). 38 Sulle varie forme storiche di realizzazione dell’istituto v. Ar a n g i o E u i z , I l diritto di stampa, 1905, p. 2, 17, 38 ss., 79, 83, 85 ss., 105. V., inoltre, utilmente, riassuntive indicazioni in opere divulgative (es. Enciclopedia Cattolica, voce « Censura »). 39 Tale misura è preventiva non solo nel senso che è « anteriore » al pubblicare e che ha carattere precauzionale (su di che v. A rangio -Ruiz, Il diritto di stampa, cit., p. 65 ss., 88 ss., 116 ss.) ma anche perchè la preventiva indicazione dei responsabili è misura psicologicamente atta a trattenere dalle pubblicazioni vietate. D’altra parte, come spesso viene posto in luce (v. per es., Mannh e im , Pressrecht, 1927, p. 47), la circostanza che (accanto, invece od oltre che l’indicazione dell’autore dello scritto sia prevista formale indicazione dei responsabili delle pubblicazioni a stampa, si risolve in pratico riconoscimento di un potere di censura di tali responsabilità sul pubblicando. 40 Con atto motivato dell’autorità giudiziaria od in caso di urgenza, rispetto alla stampa periodica, della polizia giudiziaria, sicché la disposizione del D. 31 maggio 1946, n. 561, che richiedeva sentenza irrevocabile dell’autorità giudiziaria, risulta superata e abrogata dalle statuizioni dell’art. 21, 3° e 4° comma, che, se rinviano alla legge sulla stampa — ma sul punto v. Rossi, Diritto penale costituzionale, 1953, p. 113 ss. — per elencazione dei delitti pei quali è ammissibile sequestro, non delimitano però gli atti dell’autorità giudiziaria aventi potestà di disporre il sequestro. La disposizione costituzionale del resto non va solo oltre la 1. citata del 1946 ma anche al di là delle leggi prefasciste (v., ad es., L. 28 giugno 1906, n. 278) che ammetteva sequestro in via amministrativa solo di pubblicazioni pornografiche. Sul punto v. l’intervento del P e r a s s i , in Mss. Cost., p. 2850, e per indicazioni delle reazioni politiche alla disposizione della Costituzione (che peraltro, secondo il testo approvato in Assemblea, modificato poi dal comitato di coordinamento, prevedeva sequestro

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impedisce la diffusione o la ulteriore diffusione41 parimenti garantita 42. Degli altri mezzi particolarmente enumerati43, poi, la parola parlata (come immediata e diretta espressione del pensiero) non tollera per sua natura controlli e censure preventive. Tuttavia la disciplina costituzionale dei modi di limitazione della libertà personale ad opera delle autorità giudiziarie o di pubblica sicurezza indica la via per le eventuali misure impeditive dell’uso di tale mezzo, nella ipotesi che la dichiarazione in atto o attuantesi per il suo contenuto risulti direttamente o mediatamente vietata dalla Costituzione44. Ed infine della stampa periodica ad opera della autorità di P.S.), D e Ca r i a , La libertà di stampa, 1949, p. 35. Sul problema poi della legittimità costituzionale di disposizioni di legge che prevedono sequestro di stampati fuori dalle ipotesi di delitti, v. B a r i l e , Il soggetto privato nella Costituzione italiana, 1953, p. 118. 41 Su questo profilo preventivo del sequestro degli stampati Ar a n g i o Ru i z , Il diritto di stampa, cit., p. 256. Naturalmente chi pone in luce il profilo preventivo della ulteriore diffusione del sequestro degli stampati non esclude che esso sia confìgurabile come impeditivo del perdurare della manifestazione, o diretta a fare cessare tale perdurare e che perciò si possa parlare anche di misura repressiva o soffocatrice del flagrante reato di manifestazione o diffusione (v. peraltro Ra n e l l e t t i , Polizia di sicurezza, in Or l a n d o , Trattato di diritto amministrativo, IV, 1, pp. 339, 376 ss., che, conforme a tradizione, considera tali casi come di mera repressione). 42 Tale garanzia deriva dal 1° comma dell’art. 21 che proclama il diritto di manifestare «con ogni... mezzo di diffusione» e perciò garantisce sia pure con formula equivoca non solo la manifestazione ma anche la diffusione, così come con formula più esplicita fanno altre Costituzioni (v. per es., Cost. Bonn, art. 5, su cui peraltro sono state espresse divergenti opinioni dal Ma n g o l d t , Das Bonner Grundegesetz, cit., p. 240, e ivi citati). Altra cosa è però che la nostra Costituzione garantisce la libertà di manifestazione e quella di diffusione del pensiero (l’una puntualmente definita, l’altra indefinita o mai finita), altra è che le due cose non siano concettualmente distinte o distinguibili (come pare affermi la Corte Costituzionale in Dec. I del 14 giugno 1956, in Giur. Cost., 1956, p. 8). La seconda tesi è inesatta, anche se sotto il profilo oggettivo (diversamente da quello soggettivo che dà luogo a permanente e inesauribile libertà positiva di diffusione del singolo pensiero) possano distinguersi pensieri ormai diffusi da quelli che non lo sono e la distinzione possa avere rilievo giuridico e pratico (su di che v. A s c a r e l l i , Teoria della concorrenza, 1956, p. 199). 43 I mezzi di diffusione non sono tu tti enumerati nell’art. 21, ma tuttavia presi in generale considerazione con le parole « con ogni altro mezzo di diffusione ». Pare, però, che non la mera attitudine di un mezzo alla diffusione, bensì il riconoscimento « sociale » di tale attitudine sia essenziale perchè il mezzo goda della relativa garanzia costituzionale. 44 V. art. 13 Cost. Si può aggiungere che poiché l’art. 15, 2° comma, non si riferisce al solo comunicare attraverso lo scrivere (su cui v. le considerazioni

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la disciplina costituzionale della libertà e del segreto delle comunicazioni e della corrispondenza mostra come pure qui sia prevista possibilità di controllo preventivo od impeditivo se non dello scrivere, del comunicare attraverso lo scrivere45. In sostanza dunque la tesi che in Italia la garanzia costituzionale del diritto di manifestazione del pensiero si limiti a sancire la libertà dall’azione preventiva dei censori, della polizia, dei giudici o delle leggi, ma non la libertà dalla disciplina o dalle limitazioni sostantive del diritto è doppiamente inesatta: per ciò che afferma e per ciò che nega. Non è esatto che sia vietato alle leggi, in modo specifico, di impedire, le manifestazioni vietate, perchè in via di principio quando una manifestazione è vietata, le leggi hanno questo potere. Non è esatto che la Costituzione attribuisca alle leggi potestà di discriminare pensiero da pensiero e di vietare le manifestazioni per il loro contenuto, perchè in via di principio proprio questo potere è negato alle leggi. 8. Il vero è che il potere delle leggi di impedire le manifestazioni condannate o condannabili in base alla Costituzione, nei limiti in cui possa correttamente ammettersi, rientra nel più generale ed incontrovertibile potere della legge di disciplinare (e garantire) le modalità di uso dei mezzi di diffusione del pensiero 46, e di statuire sulla loro organizzazione svolte immediatamente nel testo), ma anche al parlare o al trasmettere parole attraverso strumenti meccanici, risultano consentiti dalla Costituzione ancora altri limiti al « manifestare » a mezzo della parola in aggiunta a quelli ammissibili secondo l’art. 13. 45 V. art. 15 Cost., 2° comma (e R.D. 27 febbraio 1936, n. 645, art. 12; C.P., art. 338; c.p.p. art. 226). Sul problema della interpretazione di queste disposizioni di legge e per le modifiche (sostantive) apportate in sede di coordinamento alla primitiva formula costituzionale v. Rossi, Diritto penale costituzionale, 1953, p. 102. A chiarimento del richiamo in testo dei limiti ai mezzi di comunicazione del pensiero in una con i limiti ai mezzi di diffusione sta la idea che l ’art. 21 si riferisce ad ogni sorta di manifestazione del pensiero con destinatario individuato o incerto, singolo o plurale, concreto o generale; e che, nel contenuto, la garanzia riguardi manifestazioni su fatti privati e pubblici, astratti e concreti, con rilievo teorico o strettamente pratico. Non pare perciò da seguire la tesi diffusa e autorevolmente accolta dal Mo r t a t i , Istituzioni di diritto pubblico, 1955, p. 568 ss., che non considera la libertà di comunicazione come sottospecie di quella di manifestazione, ed afferma che si tratti di libertà separata che si individua per la natura privata del pensiero comunicato. 46 Che esista un tale potere è affermato dalla Corte Costituzionale nelle decisioni citate a nota 20. Ma la Corte ammette pure la autonoma potestà della legge di porre limiti sostantivi alle manifestazioni del pensiero.

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(ove essi per la loro complessità chieggano o consentano interiore organizzazione giuridica). Nelle statuizioni sui mezzi di diffusione del pensiero47 l’attività legislativa48 incontra un solo limite assoluto e per il resto solo prescrizioni indicative. Il limite assoluto è che non sia riservato l’uso di un mezzo in generale solo a manifestazioni di un determinato contenuto (contro la statuizione costituzionale che stabilisce che i singoli possono liberamente manifestare con ogni mezzo di diffusione il proprio pensiero). La prescrizione indicativa è che la disciplina dei mezzi di diffusione del pensiero sia quanto più è possibile conforme o adeguata al raggiungimento del fine, ed in particolare che nella disciplina dell’uso dei mezzi siano evitate le misure preventive, le censure e le condanne, che, per impedire le poche manifestazioni condannate, intralcerebbero o difficulterebbero le molte manifestazioni garantite dalla Costituzione, e sottoporrebbero in modo generale a restrizioni e ad accertamenti preventivi di conformità al diritto (o, se pare, di conformità alla Costituzione) fatti che in via di principio sono dichiarati dalla Costituzione conformi al diritto. Ma l’invito a trattenersi dagli impedimenti alle manifestazioni del pensiero anche se illecite, o di non procedere ad accertamento preventivo della liceità della manifestazione del pensiero, ha solo una ragion d’essere pratica ma non logica, deriva da ragioni di opportunità e non di assoluta necessità. Essa conseguirebbe in via logica alla dichiarazione che garantisce il diritto sostantivo di manifestazioni del pensiero solo se questo diritto non incontrasse alcun limite costituzionale, solo se i mezzi di manifestazione non potessero essere usati anche per diffondere pensieri non garantiti o stati d’animo diversi del pensiero. Poiché però la realtà delle cose è ben diversa, solo una esplicita disposizione della Costituzione può dare luogo ad assoluto divieto (come è oggi, in virtù del secondo comma dell’art. 21, per alcuni provvedimenti preventivi in materia di stampa), mentre, quando la esplicita disposizione manchi, la esclusione delle misure preventive

47 Istruttivo esame comparativistico della disciplina di tali mezzi nei vari ordinamenti in T e r r o u e So l a l , Le droit de Vinformation, 1951. 48 ... e regolamentare. La regolamentazione, infatti, dei mezzi di diffusione del pensiero non è riservata alle leggi epperciò essa può essere emessa (con salvezza del principio di preferenza di legge) con i regolamenti autonomi del Presidente della Repubblica previsti dalla Costituzione, oppure con regolamenti di altre autorità, ove le leggi ad esse attribuiscano tale competenza.

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contro l’abnso dei mezzi di diffusione in Italia è solo indicativa e superabile 49 ... e tanto più superabile, quanto più le misure preventive non abbiano gli stessi effetti negativi cbe avrebbero rispetto alla stampa 50, e quanto minore sia la possibilità di impedire la diffusione del

49 II che non vuol dire che, poi, la Costituzione in questo caso, come in genere rispetto alle misure amministrative (arbitrarie), non abbia previsto controlli e garanzie. Si pensi soprattutto all’art. 28 della Cost.! 50 Rispetto alla quale o ad una parte della quale (per es. rispetto ai giornali) la censura preventiva impedirebbe la tempestiva manifestazione del pensiero. Invece nelle manifestazioni del pensiero con mezzi diversi dalla stampa (ad es., teatro e cinema) la censura a Ani dell’accertamento della rispondenza della manifestazione ai limiti sanciti in Costituzione o in leggi di attuazione non impedirebbe la tempestività della manifestazione non legata a strette condizioni di tempo, e costituirebbe una certa garanzia per l ’uso del mezzo senza le gravi conseguenze economiche delle condanne successive. Comunque, se la opportunità costituzionale delle misure preventive relative ad espressioni del pensiero con mezzo diverso dalla stampa può essere commisurata in base al criterio indicato nel testo, la legalità è invece indubbia. Bene o male la Costituzione ha eccettuato dalle censure e dalle misure preventive la sola stampa in senso tecnico e ristretto (v. sopra, p. 21) e non è dato all’interprete di estendere arbitrariamente il senso o la portata della regola. Nè varrebbe osservare che l’art. 21 prevede misure preventive solo contro spettacoli e manifestazioni in contrasto con i buoni costumi, poiché da quella disposizione può trarsi solo la conseguenza che la legge «è tenuta od obbligata» in tal caso a tali misure, ma non che essa non «possa» disporre tali misure contro le altre manifestazioni con mezzo diverso dalla stampa (se lesive della Costituzione o di divieti di legge consentiti dalla Costituzione). Le disposizioni della legge 25 giugno 1913, n. 785, che autorizzava il Governo ad esercitare la vigilanza sulle produzioni cinematografiche, quelle del R.D. 24 settembre 1923, n. 3287, e del regolamento annesso non dovrebbero perciò considerarsi incostituzionali nella parte in cui prevedono in genere vigilanza e controllo sulla produzione e proiezione dei films (sul punto v. anche per bibliografìa, B a r i l e , Il soggetto privato nella Costituzione, 1953, p. 138), ma nella sola parte in cui esse dispongano tali controlli anche a fini non tutelati dalla Costituzione contro le manifestazioni del pensiero. Parimenti dovrebbero dirsi costituzionali (a parte la estensione materiale del contenuto del controllo)gli artt. 68 ss. del T.U. di P.S., e 116 ss. del relativo regolamento anche nella parte relativa agli spettacoli teatrali. Nè la circostanza che tali spettacoli e produzioni possono assurgere ad opera d’arte dovrebbe (secondo i concetti svolti a nota 96) avere rilievo in senso contrario. Altra questione (per la verità assai dubbia ed assai variamente risoluta dai vari ordinamenti: su di che v. Te r r o u e t So l a l , Le droit de l'information, cit., p. 223 ss.) è se siano da preferire alle forme di controllo autoritario ed eteronomo quelle dell’autocontrollo.

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pensiero condannato con altre e meno drastiche misure, quali il sequestro 51. Parimenti non c’è dubbio che la solenne proclamazione del dovere della repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della personalità umana52, imponga al legislatore ed alle autorità di disporre ed operare positivamente perchè i mezzi di diffusione del pensiero siano adeguati al fine. Quella proclamazione, infatti, rispetto alla libertà di diffusione del pensiero vuole in via generale che le situazioni economiche di svantaggio o di privilegio non ostacolino la possibilità di concreto esercizio della libertà di manifestazione del pensiero 5354. Vuole poi, più concretamente, che la disciplina, non esclusa quella f i s c a l e d i quanto attenga a tali manifestazioni (e cioè dei fatti materiali in cui esse si concretizzano e così: dei suoni e dei rumori in cui pur consiste la parola parlata 55, oppure degli strumenti materiali e giuridici di manifestazione, e così per esempio della carta e della cellulosa essenziali alla stam pa56, e delle 51 Così, per es., per la Kadio, che dà luogo ad un modo di manifestazione assai simile alla parola parlata in pubblica riunione, l’accertamento preventivo della liceità, a fini di impedimento di manifestazioni illecite, pare unica via adatta ad impedire la diffusione istantanea e contemporanea di manifestazioni vietate dalla Costituzione od in base ad essa dalle leggi, e che ben possono perciò essere portate ad ulteriori conseguenze le disposizioni limitative poste per le riunioni in luogo pubblico. 62 Cost. art. 3. 53 Di qui potrebbero trarre piena e generale giustificazione gli aiuti ed i sussidi dello Stato ai mezzi di manifestazione del pensiero, se spesso, essendo il singolo mezzo concreto destinato in fatto alla manifestazione di determinati pensieri con determinato contenuto, tali sussidi non aprissero poi la via alle autorità per preferire, avvantaggiare o privilegiare alcune manifestazioni a danno delle altre. Il problema della approvazione o della condanna (in merito) di tali provvidenze non può perciò risolversi in astratto come spesso si suole. V., per es., Cu o mo , La libertà di stampa, cit., p. 149. 54 Che per lo meno non dovrebbe colpire i mezzi di manifestazione del pensiero in maniera comparativamente gravosa (o ancora peggio con discriminazione secondo l’orientamento ed il contenuto di esse). 58 V. T.U. P.S., art. 66; C.P., art. 659. Sulla turbativa sensoria dell’ordine pubblico v. Vi r g a , La potestà di polizia, 1954, p. 24. 86 Per esame di tale regolamentazione in rapporto alle esigenze della manifestazione del pensiero v. Te r r o u , Le droit de Vinformation, cit., p. 110 ss.; P i n t o , La liberté d'opinion et d'information, 1956, p. 11 ss., 21 s., 27 s. e ivi citati; Cu o mo , La libertà di stampa, cit., p. 152 e ivi citati. Per la disciplina in Italia, v. D.L. 15 dicembre 1947 n. 1484; D.M. 6 ottobre 1947, artt. 1, 10; L. 13 giugno 1935, n. 1453 (e successive modifiche), art. 2.

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stamperie e della editoria e delle imprese giornalistiche 57, e della radio e delle telecomunicazioni e, se si vuole, della proprietà e dei suoi limiti) sia tale da favorire secondo opportunità, secondo le mutevoli circostanze e la varietà delle situazioni, la espressione e diffusione del pensiero di tu tti58. Ognuno però vede come si tratti di una indicazione estremamente elastica e programmatica e come la determinazione della migliore via per il raggiungimento del risultato pratico e del contemperamento di questo fine materiale con altri fini e con la attuazione di altri diritti, di altre libertà, e di altri interessi, pure essi consacrati dalla Costituzione, possa avvenire solo in base a contingenti criteri di opportunità. Così, per esempio, per venire ad una questione specifica assai agitata in questi ultimi anni, è ammissibile e rispondente al fine l’accentramento in uniche e pubbliche mani di un mezzo di diffusione o la sua nazionalizzazione 59, come è per la stampa del 57 Sulla varie questioni relative all’organizzazione e regolamentazione di tali imprese, v. Te r r o u , Le droit de Vinformation, cit., p. 37 ss.; P i n t o , La liberté d'opinion, cit.,p. 16 ss.; Cu o mo , Libertà di stampa ed impresa giornalistica, cit. In particolare va osservato che, seppure dovessero conservarsi, a fini sindacali e di facilitazione ai giornalisti, albi giornalistici (su tutto il problema v. generali e riassuntive osservazioni in Cu o mo , Libertà di stampa, cit., p. 25, 155, 183, 301 ss.), dovrebbe sempre escludersi la liceità di subordinare ad iscrizione in albo la possibilità di espressione del pensiero attraverso la stampa periodica. D’altra parte il fatto che il direttore della stampa periodica funge da controllore, guida e coordinatore delle altrui manifestazioni del pensiero, sicché queste a lui vanno riportate se anonime, spinge a dubitare della conformità a Costituzione delle disposizioni (v. 1. 8 febbraio 1948, n. 47, art. 3 ed anche 4), che secondo un principio diffuso in numerose legislazioni (v. Te r r o u , Le droit de Vinformation, cit., p. 76 ss.) richieggono la iscrizione in albo o il possesso di determinati requisiti politici per la assunzione o la conservazione della qualità di direttore. 58 È un punto questo (che l ’uso dei mezzi di diffusione del pensiero sia aperto a tu tti e che non sia privilegio o riserva dei pochi) sul quale molto si insiste nelle recenti trattazioni sulla libertà di manifestazione del pensiero (v. per amplissime, seppure non ordinate indicazioni bibliografiche, Cu o mo , Libertà di stampa, p. 24 s., 28, 31, 43, 48 s., 51, 175, 181), sino a dimenticare a volta che l’essenza di questa libertà non è che il singolo abbia possibilità di uso dei mezzi di diffusione del pensiero, ma che egli possa liberamente manifestare ciò che pensa, con i mezzi a propria disposizione. Sul punto v. molto bene B o b b i o , Politica e cultura, 1955, p. 278. 59 La tesi secondo cui le imprese relative a tali mezzi non potrebbero essere secondo Costituzione nazionalizzate in Italia, perchè non rientranti fra quelle rispetto a cui è ammessa nazionalizzazione dall’art. 43 (sostenuta ad

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l’UESS ed, a parte le parole, per la Radio in Italia? 60. Poiché in genere il monopolista o l’unico imprenditore di un mezzo di diffusione del pensiero assume veste di censore o di supremo controllore del pensiero da manifestare, e anzi assai spesso la ragione della istituzione di tali monopoli non è economica o tecnica, ma ideologica (e tende ad escludere le diffusioni di pensieri diversi da quello del monopolista ed a consentire la diffusione solo delle opinioni approvate), così si potrebbe essere spinti ad affermare che la Costituzione, riconoscendo a tutti il diritto di diffondere il proprio pensiero con ogni mezzo di diffusione, abbia escluso la costituzionalità di ogni legge che consenta o istituisca o non ostacoli qualsiasi forma di monopolio 61 e che in particolare siano da condannare pubblici monoes. rispetto alle imprese giornalistiche dal Cuomo, Libertà di stampa, p. 284, per il significato e contenuto politico di tali imprese in cui si svolgerebbe, come l’A. infondatamente ritiene, un diritto politico) sembra tre volte inesatta: e cioè perchè l’art. 43 prevede possibilità di nazionalizzazione di imprese riferentisi a « servizi pubblici », a « situazioni di monopolio » e di « preminente interesse generale ». In verità non argomenti esegetico-formali, ma solo considerazioni sostantive sommariamente accennate nel testo sono rilevanti per decidere il problema della « opportunità » delle nazionalizzazioni dei mezzi di manifestazione del pensiero in generale (e se argomenti testuali vi fossero relativamente alla stampa, essi sarebbero se mai quelli cui si accennerà, tra poche righe, in questo lavoro e non tratti dall’art. 43, ma dallo stesso art. 21 ).

60 In genere, per riassuntiva esposizione dei vari sistemi v. T e r r o u , Le droit de Vinformation, cit., p. 139 ss. In Italia sono riservati allo Stato rim pianto e l’esercizio di comunicazione per mezzo di onde elettromagnetiche senza l’uso di fili conduttori di collegamento (R.D. 8 febbraio 1923, n. 1067, art. 1), salvo facoltà di concessione di impianto ed esercizio ad enti pubblici e privati (R.D. 1923, art. 2; Reg. 10 luglio 1924, n. 1226, spec. art. 22 ss.; D.P.R. 14 gennaio 1954, n. 598). La concessione in esclusiva alla R.A.I., società economicamente controllata, delle radioaudizioni e televisione circolari è disciplinata dalla convenzione approvata con D.P.R. 26 gennaio 1952, n. 180, la quale fa rinvio, per ciò che attiene alla vigilanza e controllo delle Radiodiffusioni al D.L.C.P.S. 3 aprile 1947, n. 428, e successive modifiche. 01 Sul punto v. Ch a f e e , Government and Mass Communications, 1946, II, p. 537 ss. (e particolarmente p. 559 ss., 588 ss., 643) per esposizione critica dei tentativi di una rinforzata applicazione delle leggi anti-trust in materia di diffusione del pensiero pure se, in contrasto con la tesi svolta in questo scritto, si escluda che la libertà garantita abbia natura individualistica. Vero è che, se il monopolio dei mezzi di diffusione del pensiero portasse di per sé, in via logica, al controllo ideologico, alla censura od alla imposizione del contenuto del pensiero da diffondere, il principio che « tu tti » hanno il diritto di diffondere il proprio pensiero implicherebbe specifica ed assoluta condanna di tali monopoli. Poiché

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poli o nazionalizzazioni di questi m ezzi*62, poiché, secondo tradizione, le proclamazioni di libertà tendono a garantire i singoli, piuttosto che di fronte ai singoli, di fronte alle autorità. Si potrebbe aggiungere che in materia di stampa, col vietare autorizzazioni alle imprese e censure sugli stampati, col prevedere che leggi generali possono disporre che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica, la Costituzione ha mostrato concretamente di ritenere che nel settore dei mezzi di manifestazione del pensiero vi sia e debba permanere iniziativa economica privata, senza possibilità che a fini di utilità generale la legge possa riservare originariamente o trasferire allo Stato o ad enti pubblici o a comunità di lavoratori le imprese relative. Senonchè, a parte quel che veramente possa essere stato disposto o presupposto dalla Costituzione in materia di stampa 63, la conclusione eccederebbe largamente le premesse. invece la conseguenza è solo eventuale e probabile, ma può essere evitata con opportune misure, così anche la condanna dei monopoli in tal materia è costituzionalmente lecita, possibile, auspicabile, ma non assolutamente imposta. Pur quando sia provato nel singolo caso che il motivo o il fine della creazione del monopolio non era economico ma ideologico e che Vapprontamento dei mezzi per l’esplicazione del proprio diritto di manifestazione del pensiero, l’esercizio strumentale del diritto, tendeva alla negazione della possibilità di esplicazione dell’altrui pari diritto, questo tipico caso di abuso del diritto (da avvicinare ad altri ancora più. elementari ma parimenti tipici ben colti dallo Spe n c e r , La giustìzia, trad., p. 218) non porterebbe ad assoluta condanna e negazione della situazione monopolistica, ma solo a condanna ed impedimento delle conseguenze di essa. Anche la tesi esatta, e che sempre più si fa strada, che libertà e diritti garantiti dalla Costituzione non sono riconosciuti verso le sole autorità ma anche verso i privati, che la libertà di manifestazione del pensiero non vale solo contro le limitazioni provenienti dall’alto o dalle autorità, ma anche dal basso (secondo la terminologia e l’esemplificazione del Ma n n h e i m , Pressrecht, cit., p. 2, 94 ss.) non porta alla conseguenza che le situazioni di monopolio dei privati per le limitazioni che possano apportare alle altrui manifestazioni dei pensiero siano di per sè inammissibili, ma solo che tali eventuali conseguenze sono condannate e da evitare. 62 Per sviluppi della tesi v. la inglese R o y a l Co mmis s io n o n t h e P r e s s , 1947-1949, Report, p. 155 s., 177. 63 Con disposizioni, perciò, che dovrebbero valere solo per essa, e che comunque non potrebbero estendersi ad altri mezzi di comunicazione ad es. alle imprese Radio che pretendono sia in rapporto alla limitatezza delle lunghezze d’onda (solo parzialmente superabile dividendone la utilizzazione in ore diverse tra diverse imprese, oppure sostituendo alle onde lunghe, medie o corte quelle in modulazione di frequenza), sia in rapporto alla necessità di controllo preventivo dell’uso del mezzo (su cui v. sopra nota 51), pubblicistica organizzazione o penetrante regolamentazione.

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Rispetto ad alcuni mezzi di diffusione del pensiero il modo di organizzazione del mezzo offerto indiscriminatamente a tutti, il principio del segreto valido di fronte allo stesso imprenditore, eliminano (o dovrebbero eliminare alla radice) la possibilità del controllo ideologico dell’unico gestore del servizio sul pensiero in diffusione M, sicché in tal caso si dovrebbero esaminare solo le questioni della convenienza tecnica della gestione in monopolio e la questione giuridica (esattamente agitata da costituzionalisti stranieri rispetto alla gestione in monopolio dei servizi di corrispondenza e telegrafici o telefonici) della eliminazione degli utili di monopolio, che costituirebbero ingiustificato ostacolo al maggior uso del mezzo di diffusione del pensiero 6465. Rispetto ai mezzi per i quali siano inevitabili scelte dei pensieri da manifestare o da diffondere, poiché molti sarebbero coloro che vorrebbero giovarsi del mezzo e pochi possono essere gli eletti, il problema è certamente più complesso, ed in genere non risolubile in base ai soli elementi del numero o della intensità economica della richiesta dei destinatari o col dare la prevalenza a chi abbia richiesto prima l’uso del mezzo, o a chi ne richiegga più lungo uso, oppure frazionando tra tutti i richiedenti l’uso del m ezzo66. Tuttavia, poiché potrebbe opportunamente evitarsi che le scelte avvengano secondo i criteri ideologici del monopolista 67 e viceversa non può escludersi che il rispetto della libera iniziativa possa restringere ancora più che la nazionalizzazione il numero o la quantità delle idee in grado di giovarsi del mezzo di diffusione 68, anche in questa ipotesi il problema non può risolversi in base ad astratte argomentazioni, ma solo in modo contingente, storico e spesso individuato dalla natura stessa del mezzo. E le

64 Così, per es., rispetto alle comunicazioni del pensiero a mezzo delle poste e telecomunicazioni, in forza dell’art. 15 del nostro testo costituzionale. Ma il problema, anche rispetto a questi mezzi di comunicazione, si presenta ben diversamente in altri ordinamenti (v. per es. la esposizione del problema per gli S.U. in Ch a f e e , Government and Mass Communications, cit., I, p. 276 ss., e in particolare 284 ss.). 65 Trattazione del problema nei commenti all’art. 36 della Cost. Svizzera. 66 Su tutto ciò v. A s c a r e l l i , Teoria della concorrenza, 1956, p. 41 ss. 87 Per indicazione su alcuni di tali rimedi applicati nella prassi, v. F r i e d r i c h , Der Verfassungsstaat der Neuzeit, 1953, p. 617 ss. 68 II rilievo è tanto diffuso da non meritare particolari indicazioni della letteratura. V. comunque, tra gli scrittori più recenti, a prescindere dai marxisti o dai paramarxisti, Te r r o u , La liberté de Vinformation, cit., p. 89; Ka y s e r , Mort d'une liberté, 1955, p. 77 ss., etc.

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soluzioni errate potrebbero dirsi solo inopportune, ma non mai viziate da illegittimità costituzionale. 9. Nulli invece sono i poteri della legge nella determinazione o statuizione primaria dei limiti sostantivi della libertà di manifestazione del pensiero. Sotto il profilo soggettivo, poiché il diritto è garantito a tutti, alle leggi non spetta di discriminare cittadini da cittadini per la particolarità delle qualifiche o dello status, per es. di pubblico impiegato 69 o di militare, o, per modo di dire, di Capo dello Stato e di restringere corrispondentemente in rapporto a tali qualifiche soggettive la proclamata libertà del soggetto in generale o della persona 70. 69 Ampia, ma in verità poco penetrante trattazione del problema, nel recente e voluminoso libro del F o u r r i e r , La liberté d'opinion du fonctionnaire, 1957, nel quale si troveranno copiose (seppure qualche volta affrettate) indicazioni della dottrina e della prassi. Per esplicite dichiarazioni costituzionali della libertà di manifestazione del funzionario v. per es. Cost, di Weimar, § 130, 2; Cost, della Renania-Palatinato del 1947, art. 127; Cost, della Rep. dem. tedesca, art. 9, § 1. 70 L’accenno al Capo dello Stato (rispetto al quale valgono inoltre le considerazioni svolte infra a nota 71) va integrato con due affermazioni: a) che la libertà di manifestazione del pensiero dell’uomo che è Capo dello Stato sussiste giuridicamente ed è garantita a lui dall’art. 21 solo nei limiti in cui la manifestazione (per il modo o per il contenuto) possa seriamente considerarsi come personale del cittadino o dell’uomo che riveste la carica, mentre non si estende a dichiarazioni (pur fìttiziamente fatte « a titolo personale ») del Capo dello Stato rivolte al popolo, o in modo pubblico ad organi dello Stato, o peggio ancora all’estero o all’interno ad organi di Stati esteri relativamente all’esplicazione di funzioni per le quali sia prescritta controfirma ministeriale. In queste ipotesi le dichiarazioni attinenti alla funzione abbisognano della medesima compartecipazione ministeriale necessaria per gli atti, eccettuato solo il caso che esse tendano in modo specifico a giustificare la opposizione o il rifiuto di partecipazione del Capo dello Stato a direttive o ad atti ritenuti di alto tradimento o di attentato alla Costituzione, b) Comunque sia, dal combinato disposto degli artt. 89 e 90 risulta che i comportamenti personali del Capo dello Stato (e cioè effettivamente tali per il contenuto o per la forma, oppure tali perché posti in essere in trasgressione della disposizione della partecipazione dei ministri agli atti della funzione presidenziale) possono essere oggetto di piena, libera discussione, come quelli di qualunque altro uomo o cittadino, poiché in nessun luogo la nostra Costituzione ha proclamato il domma della infallibilità del Capo dello Stato, parli egli ex cathedra o meno. Esse dànno luogo a piena responsabilità del Capo dello Stato per il loro contenuto, anche se il fatto stesso di procedere sistematicamente a tali dichiarazioni, nelle ipotesi in cui non siano ammesse ed ammissibili, non voglia essere considerato di per sè (indipenden-

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Non si esclude che la necessità di esplicazione delle funzioni possa determinare limiti alla possibilità di esercizio del diritto di manifestare il proprio pensiero in determinate forme e m odi71 e che le manifestazioni del pensiero possano costituire uno degli elementi rilevanti per determinare l’attitudine tecnica o la opportunità che il singolo sia destinato alla esplicazione di determinate mansioni72. Ma nell’ultimo caso nessun limite è effettivamente posto alla libertà della persona, come invece sarebbe se fosse imposto a requisito positivo o negativo per la assunzione di pubbliche funzioni in generale la matemente dall’esame del loro contenuto), come attentato alla Costituzione. Problema diverso da quello qui trattato è quello dell’obbligo di riservatezza e della tutela del segreto relativamente ai comportamenti tenuti, e alle tendenze manifestate dal Capo dello Stato nell’esercizio delle funzioni. Tale obbligo che sussiste e vige tanto per il Capo dello Stato che per quanti con lui collabo rino (e in principio cessa solo dove la rivelazione abbia il significato della denuncia di un comportamento illegale), ha fondamento nella disposizione costituzionale che vuole che i ministri siano sempre considerati proponenti degli atti e del contenuto degli atti del Capo dello Stato, sicché non sono ammissibili rivelazioni dirette a smentire il tassativo disposto della norma costituzionale ed a rendere noto che il Capo dello Stato non ha acceduto a una proposta, ma ha proposto lui; o che ha tentato di opporsi a una proposta, e così via. 71 Non solo durante il « tempo » dedicato e da dedicare al servizio, ma anche fuori da esso (come dovere di non creare ostacoli con dichiarazioni o manifestazioni inopportune al buon andamento del servizio. Sul punto v. P i n t o , La liberté d'opinion, cit. p. 240, 242). 72 II problema è stato particolarmente agitato negli S.U., ma in verità assai spesso identificando la questione di cui è parola qui nel testo con quella dalla quale essa viene immediatamente distinta. E la bibliografia è enorme (v. Bibliography of the Communist Problem in the United States, 1955 e la riassuntiva esposizione di H o f m a n n , in Eevue du droit public, 1956, p. 17 ss., 87 ss., anche per la distinzione poi superata dal 1953 [v. riferimenti a p. 35] tra accusa di slealtà portante alla eliminazione del funzionario da ogni ufficio e quella di « rischiosità » per la sicurezza dello Stato che porta eventualmente aH’allontanamento da determinati uffici). Per simili questioni in Francia v. E i s e n m a n n , nella pref. al libro del F o u r i e r , La liberté d'opinion du fonctionnaire, cit., p. X, P i n t o , La liberté d'opinion, cit., p. 245 ss. (e anche p. 258 e s ., per una assai discutibile distinzione delle varie mansioni dei funzionari in Inghilterra). Per l’Italia è da ricordare oggi il D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, sullo Statuto degli impiegati dello Stato, art. 31 cpv., secondo cui l ’impiegato ... « può essere destinato a qualunque altra funzione, purché corrispondente alla qualifica che riveste ed al ruolo cui appartiene », che dovrebbe consentire il trasferimento ad altre funzioni pure per le opinioni espresse. La disposizione va però integrata con le varie sulla inamovibilità di determinati impiegati.

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nifestazione di determinate idee 73; mentre ancor meno il limite è soggettivo, quando sia legato alle necessità di esplicazione di determinate funzioni liberamente scelte oppure imposte da Costituzione o in base alla Costituzione dalle leggi. In sostanza, come malgrado il diritto ad esprimere liberamente il proprio pensiero con la parola non è lecito di parlare sempre ed in ogni luogo, o chi è privato legittimamente della libertà personale in generale può essere privato in pendenza di tale limitazione anche di quella specifica di manifestare il proprio pensiero con la parola o con lo scritto 74, è anche possibile, che, a causa dell’impiego, il pubblico impiegato incontri limiti alla possibilità di lecitamente manifestare il proprio pensiero 75. 73 Questo era implicitamente consentito da disposizioni oramai superate (e così p. es. dal R.D. 30 dicembre 1923 n. 2960, che concedeva al Ministro di negare l ’ammissione ai concorsi con decreto non motivato e richiedeva per la ammissione « la buona condotta civile, morale e politica », mentre invece diversamente dispone oggi il D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 2, al. n. 3, e art. 4. Non varrebbe d’altra parte citare contro la tesi sostenuta nel testo la stessa Costituzione, art. 54 cpv., (che prevede eventuali giuramenti dei cittadini, cui siano affidate funzioni pubbliche). L ’art. 21 della Cost.,secondo quel che si dirà in seguito, delimita il contenuto di tale giuramento, poiché l’art. 51 che riconosce ai cittadini il diritto di accedere ai pubblici uffici subordina tale accesso solo alla sussistenza di requisiti tecnici. Per quel che attiene poi alla perdita della qualità di funzionario in seguito alla manifestazione di determinati pensieri, va osservato che, se pure in altri Paesi fosse esatto (v. riferimenti in H o f f m a n n , cit., p. 28, 90) che poiché non v’è diritto dei cittadini alle pubbliche cariche, la eliminazione dei funzionari dalla carica per avvenute manifestazioni del pensiero non lede alcun diritto, l’argomentazione non varrebbe in Italia. 74 V. Reg. per gli istituti di prevenzione o di pena, 18 giugno 1931, n. 787, artt. 82, 74 (e su di essi Ca r n e l u t t i , Lezioni sul processo penale, 1949, IV, p. 199). Da escludere pare invece che possa essere sancita come autonoma pena o misura di sicurezza di astenersi dal manifestare (con determinati mezzi o forme, professionalmente o meno) pensieri (v. invece He i n i t z , I limiti della libertà di stampa, cit., p. 56; L ò f f l e r , Pressrecht, cit., p. 77, n. 65, rispetto al diritto tedesco). 75 Quello che si è detto per i pubblici funzionari, in base all’art. 51 della Costituzione, può ripetersi anche per i dipendenti privati in base all’art. 4 sul diritto al lavoro (nei limiti in cui esso sia operoso) ed all’art. 3 (che vuole garantite anche in fatto o contro ostacoli di fatto posti anche da privati le libertà proclamate). Non si esclude con ciò che particolari limiti alla libertà (positiva e negativa) di manifestazione del pensiero possano essere volontariamente posti « in condizione » od « in obbligazione » in concreti rapporti o situazioni giuridiche (si pensi a giornalisti, insegnanti di scuole confessionali, e anche ... al vincolante contratto di edizione). Tuttavia la ammissibilità di tali obblighi

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Per gli stessi motivi per i quali non sarebbero ammissibili discrimina­ zioni tra i cittadini, così neanche è ammesso discriminare tra cittadini e stranieri*76. Da un punto di vista strettamente formale, in verità, vi sarebbero altrettanti argomenti per sostenere che ciò sia inammissibile perchè il diritto è concesso dalla Costituzione a tutti (compresi, secondo le intenzioni dei costituenti, gli stranieri), quanto per sostenere che la discriminazione possa essere introdotta perchè è disposto che «La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge ». La dispo­ sizione costituzionale avrebbe perciò al più forza di legge ordinaria o di proclamazione derogabile con legge rispetto agli stranieri. Ma una tale soluzione, se è del tutto conciliabile con la idea di un diritto funzio­ nale alla manifestazione del pensiero che, come quello di partecipazione alla vita dei partiti, cui è stato spesso erroneamente paragonato 77, non potrebbe appartenere agli stranieri, non sarebbe rispondente al fondamento di questa libertà nel nostro ordinamento. Si ammette bene che possano sottoporsi a particolare disciplina, so­ stitutiva di quella che esse avrebbero avuto in Italia, diffusioni di pen-

ed oneri relativi al manifestare (o all’astenersi dal manifestare pensieri) (su cui v. anche C risafu lli, La scuola nella costituzione, in Riv. trim. dir. pubblico, 1956, p. 76.) deve considerarsi subordinata alla condizione della rispondenza (o della permanenza della rispondenza) del pensiero da manifestare (o della astensione da manifestazioni) alla interiore persuasione, e perciò legata per im­ plicito a possibilità di (seria) obiezione di coscienza. Il che non vuol dire che — in eccezionali ipotesi — l’obiettore non possa essere tenuto a sopportare il danno conseguente dall’obiezione. 76 La questione fu discussa in Assemblea Costituente (p. 2803, 2832 s.) ed in essa non si accolse la proposta di usare la dizione: «Tutti i cittadini». Per­ ciò non può neanche pensarsi sotto il profilo letterale (ma sulla questione sostantiva v. anche il seguito del testo) che la parola « tu tti » equivalga a « cittadini » (come sostiene in generale il Terrou, Le droit de l'information, p. 44, 103; ma in senso diverso, esattamente, B ourquin, cit., La liberté de la presse, p. 163 ss. ed ivi citati). Questione diversa da quella fin qui esaminata è se la proprietà di uno strumento di manifestazione del pensiero (aperto anche agli stranieri) possa essere riservato ai cittadini, oppure se l ’uso di uno specifico mezzo possa essere dalle leggi (in base alla Costituzione) riservato ai cittadini (es. art. 17). 77 Sul punto v. sopra nota 16. Non si insisterà mai abbastanza sulla perico­ losità di tali erronei riavvicinamenti, per i limiti che ne deriverebbero (e na­ turalmente non solo per gli stranieri) alla libertà di manifestazione del pen­ siero!

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siero manifestato all’estero al momento della introduzione in Italia 78 e che, forse, particolare disciplina possa esservi per ogni manifestazione in lingua straniera (meno facilmente controllabile dalle autorità ita­ liane) 79. Ma qui la discriminazione non riguarderebbe più i soggetti, bensì i modi di manifestazione che sono opportunamente controllabili dalla legge. 10. I limiti oggettivi della libertà proclamata 80, poi, sono solo quelli stabiliti esplicitamente o implicitamente dalla Costituzione, anche se 78 Y. per qualche indicazione generale Terrou, Le droit de Vinformation, cit., p. 104, 355; B ourquin, La liberté de la presse, cit., p. 353 ss.; N apolitano, La libertà di stampa, 1955, p. 53 ss.; Arangio-R uiz, Il diritto di stampa, cit., p. 153 (nel quale si troverà trattazione ancora oggi pregevole del problema). Secondo quanto è stato precisato in queste pagine si dovrebbero peraltro di­ stinguere gli stampati sottratti ad autorizzazioni e censure, dalle diffusioni con altri mezzi. Rispetto agli stessi stampati può sorgere questione se l’adem­ pimento dell’obbligo della indicazione dei responsabili, nelle forme, nei modi ed alle condizioni (eventualmente di residenza) fissate dalla legge, non si tra ­ muti in condizione per la introduzione in Italia degli stampati. 79 Può del resto dubitarsi se nel riconoscimento della libertà di manifesta­ zione del pensiero con ogni mezzo di diffusione sia implicito il riconoscimento della libertà di diffusione in lingua diversa dalla italiana e cioè straniera ed ancora più convenzionale (sulla seconda ipotesi v. sopra p. 22 nota 43). 80 Che non è solo libertà positiva di manifestare, ma anche libertà nega­ tiva e cioè diritto garantito ad astenersi liberamente dal manifestare il proprio pensiero. Seppure infatti in altri ordinamenti fosse esatto, secondo le teorie colà prevalenti, di riallacciare il diritto «al silenzio» a quello «alla riservatezza» (v. Reppy , Civil Rights in the United States, 1951, p. 74 s.), nel nostro ordina­ mento è certo che la formula che tu tti hanno diritto a manifestare liberamente il proprio pensiero garantisce costituzionalmente (pur in assenza di una tutela costituzionale della riservatezza, su cui v. p. 39 nota 88) il diritto negativo alla manifestazione del pensiero. Va tuttavia ricordato che molte limitazioni imperative di questo diritto negativo (su quelle volontarie v. sopra, nota 75) sono però ammesse dalla Costituzione soprattutto in rapporto alle potestà di accertamento e di inchiesta riconosciute alle autorità giudiziarie e non giudiziarie. Così la potestà conferita alle Camere dall’art. 82 della Costituzione di condurre inchieste con gli stessi poteri delle autorità giudiziarie è estremamente vasta, poiché non è delimi­ tata nell’oggetto (attuazione deH’ordinamento) come quella dell’autorità giudiziaria. Non vi è infatti indagine sul pensiero dei consociati (di alcun sin­ golo consociato), che non possa assumere rilievo a fini di orientamento del legislatore Ordinario o costituzionale (v. B arth, Government by Investigation, 1955, p. 13 ss., 67 ss.). La recente storia degli S.U. mostra quali pericoli possa presentare questo potere del Parlamento! La stessa obbligatorietà del voto, imposta ai singoli come tali, soprattutto se si ritenga che tale obbligatorietà

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la portata o la estensione possa in concreto determinarsi solo in funzio­ ne di elementi fìssati ad altri fini nelle leggi81. Poiché è riconosciuto il diritto a manifestare il proprio pensiero restano escluse dalla garanzia (ma non però direttamente vietate) le manifestazioni che non rispondano alle interiori persuasioni o al­ l’interiore pensiero, le affermazioni o le negazioni che non corrispondano alle effettive convinzioni e valutazioni, e consentito al legislatore ordinario di vietare e punire 82 in vantaggio della fede pubblica in generale, o di più individuati interessi di singoli o di collettività, il

non si limiti ai soli voti in elezione ma possa essere estesa ad ogni consulta­ zione popolare, pone certamente limiti alla libertà negativa di manifestazione del pensiero. Qui solo la circostanza che, con la interpretazione estensiva del dovere di voto, andrebbe estesa alle consultazioni popolari in genere an­ che la garanzia del segreto che rende « impersonali » le manifestazioni richie­ ste o tram uta in manifestazione di un « numero » la espressione di opinione di una « persona », può offrire assicurazione che in pratica la interpretazione esten­ siva dell’art. 48 non può dare luogo a grave e sostanziale negazione della effi­ cacia dell’art. 21. 81 Non mancano per la verità costituzioni le quali procedono ad esaurien­ te enumerazione espressa dei limiti (tra le vecchie costituzioni italiane v. per es. quella della Sicilia del 1848, art. 30; tra le vigenti quella di Norvegia, art. 100, quella della Virginia Occidentale, art. II, 3, 4). Ma il testo costituzionale italiano, che esplicitamente sancisce solo il limite del buon costume non ha seguito tale via. In tale situazione sarebbe in contrasto con la natura scritta della Costitu­ zione ritenere la libertà proclamata sottoposta ai limiti fìssati da tradizione (che poi non si è conservata immota ma ha variato secondo tempi e luoghi); sarebbe in contrasto con l’indole innovativa e polemica del testo costituzio­ nale affermare che la proclamazione abbia fatti salvi o addirittura costituzionalizzati i limiti sussistenti al momento della proclamazione (v. sopra); contrario alla natura « positiva e positivistica » della libertà riconosciuta che i limiti si configurino come determinati da diritto naturale, da natura delle cose o da logica; infine contrasterebbe con la autorità e con la serietà della Costituzione che la determinazione dei limiti si consideri rimessa al prudente giudizio degli interpreti, ossia del legislatore ordinario, dei giudici, delle autorità o dei sottoposti. Le limitazioni del diritto, che possono aggiungersi a quella espressa del buon costume, sono solo quelle che in via di stretta interpretazione ed esplicazione delle formule possano dirsi sancite dalla carta costituzionale. 82 Tali divieti e punizioni, si ripete, sono consentiti ma non imposti dal testo costituzionale. Appunto poi perchè la Costituzione non statuisce nè impone di statuire un generale obbligo di verità, ma si limita a garantire le sole manifestazioni veritiere, i divieti legislativi saranno giustificati solo in rapporto alle concrete finalità pratiche sommariamente elencate nel testo.

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subiettivamente falso 83, la menzogna (deformante, reticente, patente, latente) 8485,il dolo, l’inganno, il raggiro o la frode ove sia raggiunta la prova della divergenza della espressione dall’interiore pensiero 86. Ed escluse dalla garanzia debbono dirsi pure diffusioni di pensieri e di notizie e di complessi di pensieri e di notizie che, secondo forma o sostanza, siano considerati giuridicamente altrui87, sicché la diffusione

83 Ma non invece l’obiettivamente erroneo (anche se esso a sua volta possa determinare ulteriori errori, e meriti perciò in senso traslato l’appellativo di falso, v. Carnelutti, Teoria del falso, 1935, p. 3) che dovrebbe in principio essere combattuto con manifestazioni rettificatrici (atte spesso a tramutare per il futuro la affermazione erronea in falsa) e non nelle vie della legge o delle sanzioni legali. 84 Su tali distinzioni e sul loro rilievo giuridico v. B ecker, Der Tatbestand der Luge, p. 5; Grispigni, Diritto penale italiano, II, 1952, p. 167 ss. 85 Per riassuntiva sistemazione dei concreti corrispondenti divieti nelle nostre leggi v. Grispigni, Diritto penale, cit., II, 165 ss., ed anche D ee Vec­ chio, La verità, 1951, p. 36 ss. 86 Risulti la divergenza dalla stessa manifestazione nel suo modo d’essere e nel suo contenuto, risulti aliunde. Così, per es., la divergenza potrà risultare dalla ripetizione di informazioni errate, pur dopo che sia stata data la prova della erroneità delle asserzioni, o si sia proceduto alla loro rettifica, oppure dalla circostanza che nel singolo caso la asserzione è stata effettuata indipen­ dentemente dal rispetto dei metodi e dalle regole sempre o generalmente seguite per esse (su ciò, v. descrittivamente B ourquin, La liberté de la presse, cit., p. 173 ss.). Accettato il principio che il falso debba essere obiettivamente conoscibile ai fini della esclusione di una manifestazione e della garanzia dell’art. 21, l ’ammettere che tale articolo e quanti altri tutelano o hanno tutelato la libertà di manifestazione del pensiero escludono dalla tutela le manifestazioni in mala fede (ammissione sempre fatta pur dalle concezioni individualistiche di quella libertà: su di che v. B idder , Meinungsfreiheit, cit., p. 263) non costi­ tuisce più un pericolo per la libertà di manifestazione del pensiero, non giustifica processi alle intenzioni, nè condanne ed impedimenti delle manifestazioni per le interiori tendenze non manifestate. 87 Vuole qui accennarsi, per quello che riguarda le notizie, che tanto la appartenenza oggettiva del fatto ad una persona o ad un soggetto può costi­ tuire valida giustificazione della dichiarazione di appartenenza della notizia (come riservata o segreta) alla persona o al soggetto, quanto invece la ori­ ginalità nel ritrovamento o nella creazione o « estrazione » della notizia dal fatto (ignoto o mal noto). In tale seconda ipotesi (in conformità del resto di quanto viene subito svolto nel testo che anche le affermazioni di fatto sono pensieri) si versa, ove la proprietà delle notizie sia riconosciuta (il che oggi per es. non avviene secondo l’art. 10 della 1. sul diritto di autore, o avviene solo parzial­ mente e cioè rispetto al diritto di paternità morale relativamente alle notizie divulgate in giornale), in una specie particolare di proprietà letteraria parti-

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è riservata ad altro soggetto o sottoposta all’altriii consenso. Qui, e solo qui, può avere oggi fondamento la tutela della proprietà letteraria (originaria dell’autore o di quella derivata)88. Quivi solo possono trovare giustificazione le norme sull’obbligo del segreto 89 e non invece colarmente disciplinata. Ma in verità si sono affermate in passato (v. Gierke, Deutsches Privatrecht, I, 1895, p. 771) e si sostengono in genere opinioni del tutto diverse (v. Razi, Le droit sur les nouvelles, 1952, p. 82 ss., 127). 88 Da conciliare peraltro la tutela della proprietà letteraria con la tutela della libertà dell’arte e della scienza (art. 33 Cost.) che vogliono, soprattutto la seconda, che il potere di disposizione dell’autore sul proprio pensiero una volta manifestato sia opportunamente limitato. In via più generale va poi osservato che, poiché la Costituzione, garantendo a ciascuno il diritto di manifestare e diffondere liberamente il pensiero proprio e rispondente alle interiori convin­ zioni, ha escluso che le leggi possano arbitriariamente disporre delle diffusioni del pensiero e attribuire arbitrariamente in esclusiva pensieri o diffusione di pensieri a questo o a quel soggetto, così è da ritenere che solo la effettività di un nesso sostanziale o di forma tra un pensiero o un sistema di pensieri e una persona possa giustificare, a termini della Costituzione, che tale pensiero come altrui possa essere sottratto alla libera diffusione da parte di ognuno. Solo all’autore la cui personalità si estrinseca nell’opera di pensiero creata do­ vrebbe perciò potersi riconoscere dalle leggi quella esclusiva nella manifestazione e diffusione del pensiero in cui consiste la proprietà letteraria. La cosiddetta proprietà letteraria di ogni soggetto diverso dall’autore dovrebbe dirsi inam­ missibile o sussistere solo come derivata e subordinata a quella eminente del­ l’autore, o meglio come modo di esercizio indiretto di tale originaria proprietà, e permanere fin dove duri quella proprietà. Queste conseguenze, tuttavia, sono in netto contrasto con i principi della nostra legislazione in materia (e può dirsi delle legislazioni contemporanee) che per es. ammettono originaria proprietà letteraria di non autori (v. per es. art. 111. sul diritto di autore) e « proprietà » di non autori che, pur derivate, sono però assolute e comunque non subordinate alle determinazioni dell’autore (v. peraltro i tentativi del Candian , Il diritto di autore, 1953, 37 ss., di interpretare le disposizioni disciplinanti la ma­ teria in senso quanto più è possibile conforme alla esigenza qui avanzata). Non si esclude che le conseguenze da trarsi dall’art. 21 della Costituzione rispetto alla proprietà letteraria possano apparire sotto vario riguardo inopportune, e si riconosce che l ’articolo non offre la via per la soluzione di molti problemi in caso di coautori o di pluralità di autori (su cui v. per es. l’art. 10 della 1. sul diritto di autore). Tuttavia non è lecito ragionare come se il nostro testo costi­ tuzionale (secondo l’esempio di altre, anche italiane, Costituzioni come quella delle Due Sicilie del 1848, art. 27, Cost. Toscana, art. 9, Cost, dello Stato Pon­ tificio, art. 10) avesse riconosciuto in via di principio accanto alla libertà di manifestazione del pensiero, l’istituto della proprietà letteraria, come si è venuto storicamente foggiando, istituto che sotto vario profilo pone limiti a quella libertà, anche se possa giovare al progresso del pensiero e della cultura. 89 In sostanza, in via di principio, non è consentito alle leggi di stabilire liberamente obblighi di segreto e cioè di vietare la comunicazione di pensieri

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nella idea che la diffusione delle notizie, le dichiarazioni di scienza, non siano costituzionalmente garantite, oppure che le affermazioni

e conoscenze contro la disposizione dell’art. 21. Tali obblighi, in mancanza di disposizioni costituzionali che esplicitamente li sanciscano o consentano (v . per es. artt. 15, 64, 97 etc. della Costituzione), possono essere stabiliti dalle leggi solo se sussista un legame sostantivo tra un fatto e una persona o la fun­ zione di una persona (e susseguentemente di una notizia su un fatto e un per­ sona), sicché ad essa possa essere riservato ricevere e dar notizia del fatto stesso (su di che può consultarsi in senso orientativo la bibliografia in Crespi, La tutela penale del segreto, 1952, p. 10 s.). Così, ad esempio, solo perchè la difesa del Paese è affidata allo Stato e non al cittadino come singolo (malgrado Part. 52 della Costituzione da porre, oggi, in rapporto con Part. 4 della Convenzione di Ginevra sui prigionieri di guerra del 1949, che riconferma del resto le pre­ cedenti convenzioni dell’Aja), può essere giustificata la imposizione del se­ greto in via legislativa generale (art. 256 c.p.), o in base a decisioni particolari (art. 258 c.p.), su ciò che riguardi la difesa del Paese. E questo può ripetersi per fatti attinenti alla giustizia o alla Amministrazione (es. artt. 684, 685 C.P.). Similmente il segreto funzionale e cioè relativo a fatti o notizie acquisite dalla persona come titolare di ufficio privato o pubblico, o in veste funzionale, può essere imposto con legge (su di che v. in diritto positivo italiano, Crespi, cit., p. 28 ss., 98 ss.), proprio perchè notizie (e spesso fatti correlativi) non appar­ tengono in proprio al titolare dell’ufficio, ma all’ufficio. Il che poi non vuol dire che sia sempre opportuno che la possibilità di statuire obblighi di segreto si traduca in realtà (su di che v., in vario senso, E sposito, in La Costituzione italiana, cit., p. 257; E ck, Freedom of Information, 1953, p. 35; Chafee, Go­ vernment and Mass Communications, I, 1947, p. 13 ss., anche per la ampia bibliografìa). Anche rispetto ai fatti « strettamente personali » la Costituzione non riconosce un obbligo di segretezza (o come si dice di « riservatezza ») dei terzi superabile solo ove la persona cui si riferisce il fatto vi consenta. Non riconosce tale obbligo neanche dove essa riconosce i « diritti inviolabili del­ l’uomo », tra i quali oggi si suole porre in solenni dichiarazioni (es. Dich. uni­ versale dei diritti umani delle Nazioni Unite del 1948, art. 12; Convenzione Europea dei diritti fondamentali del 1950, art. 8) il diritto alla riservatezza. La dichiarazione generica relativa ai diritti inviolabili dell’uomo si specifica infatti nella nostra Carta Costituzionale in particolari diritti riconosciuti all’uo­ mo: e tra questi non è il diritto alla riservatezza, ma solo quello a non vedersi lesi nella propria dignità sociale o nel proprio onore sociale (sicché è esatto che la riservatezza è tutelata costituzionalmente solo nei limiti in cui la sua lesione sia lesiva dell’onore. Il che viene spesso affermato in dottrina: v. per es. P ugliese, in Foro it., 1954, I, 119). Tuttavia le leggi ordinarie che tute­ lassero oltre tale limite la « riservatezza » non potrebbero certo dirsi contrarie all’art. 21 poiché il legame tra una persona e un fatto può giustificare che la diffusione della notizia come « propria » di una persona, sia riservata per legge alla persona stessa.

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dell’esistenza dei fatti non siano pensiero 90, o che esista un potere ge­ nerale delle leggi sulle affermazioni di fatto. In base ad esplicita disposizione della Costituzione sono poi vietate (e debbono essere prevenute) le manifestazioni contrarie al buon co­ stume 91. Non spetta perciò all’autorità della legge, ma alla saggezza 90 La tesi si trova spesso ripetuta negli autori tedeschi (ed essa può tro­ vare qualche giustificazione nel fatto che quelle costituzioni garantiscono la libertà di manifestazione delle « opinioni » e non del «pensiero»), ma è sostenuta con gradazioni diverse a incominciare da chi ritiene garantita solo la mani­ festazione di opinioni su problemi fondamentali (Mangoldt, Das Bonner Grundgesetz, 1955, p. 238 s.) per finire a chi, pur sostenendo in astratto la tesi, riconosce poi che la garanzia si estende anche alla affermazione di fatti (quan­ do essi servano di fondamento ad una opinione: L òffler, Pressrecht, cit., p. 67; oppure perchè narrando un fatto si palesa la opinione che esso sia degno di narrazione: Kidder , Meinungsfreiheit, cit., p. 264; oppure perchè non è pos­ sibile distinguere in concreto la espressione di una opinione e la comunicazione di un fatto: H ellwig, in Nipperdey, Die Grundrechte, II, p. 1 ss., 15 ss). Il vero è che pur la dichiarazione di esistenza di un fatto è manifestazione di un pensiero, di uno stato d’animo relativo a tale esistenza (v. D urma, La noti­ fication de la volonté, 1930, p. 84 ss.) e che le affermazioni di scienza, come ma­ nifestazione della opinione di conoscere o non conoscere un fatto, sono garantite dall’art. 21. 91 V. l’ultimo comma dell’art. 21. Estremamente delicato è il problema se a tutela specifica dell’esplicito divieto costituzionale di pubblicazioni con­ trarie ai buoni costumi (ma il problema si presenta anche rispetto ad altri di­ vieti imposti direttamente o consentiti dalla Costituzione), siano ammissibili censure in materia di stampa. Possono in astratto formularsi tre soluzioni (del resto tutte avanzate effettivamente dalla dottrina italiana): a) che l’art. 21 abbia escluso solo la censura preventiva in senso stretto sullo «stampare », ma non sul pubblicare o diffondere gli stampati; b) che l’art. 21 abbia garantito in principio dalle censure non solo lo stampare quanto anche il pubblicare e diffondere gli stampati, ma che esso tuttavia, consentendo alle leggi di preve­ nire oltre che di reprimere pubblicazioni in contrasto con i buoni costumi, am­ metta, a tali stretti fini, la possibilità di censure; c) infine che l’art. 21 abbia esclu­ so per le pubblicazioni a stampa ogni preventiva censura (anche a fini di rispon­ denza di esse ai buoni costumi). Alla legge sarebbero consentite perciò solo misure preventive (diverse dalla censura o dalla autorizzazione) utili o efficaci a tempestivi provvedimenti per impedire la diffusione di stampati in accertato contrasto con i buoni costumi. La prima interpretazione (per quanto possa citare in suo favore l ’argomento letterale che, secondo l’art. 21, sottratta a cen­ sura è la stampa, mentre misure preventive sono consentite contro le pubblica­ zioni a stampa) sembra che in definitiva non sia rispondente alla stessa lettera dell’art. 21 che considera la « stampa periodica » sottospecie della « stampa », sicché questa evidentemente viene in considerazione come istituto di diffusione del pensiero e non solo come fatto meccanico o tecnico dello stampare. La se-

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dell’interprete (sia pure del legislatore come interprete delle parole e dei concetti vaghi della Costituzione) di determinare la estensione del divieto. In tale interpretazione si potrebbe essere spinti a sostenere che il divieto sia da restringere alle sole manifestazioni oscene, dato lo spi­ rito liberale della nostra Costituzione ed, in modo più specifico, dato che in Assemblea Costituente non furono vietate le manifestazioni contrarie a morale in generale 92, e che represse oltre che vietate come contrarie ai buoni costumi, al momento della emissione della Costitu­ zione, erano precisamente le manifestazioni oscene93. D ’altra parte vi potrebbe essere qualche ragione per sostenere che, secondo ne­ cessità concettuale, il divieto si estenda a tutte le manifestazioni in obbiettivo contrasto con le relative costumanze del nostro popolo sorrette dalla convinzione di loro necessità morale 94. Con ogni probaconda tesi sembra dimenticare che per esercitare la censura al fine material­ mente limitato della rispondenza a buoni costumi bisognerebbe in genere sotto­ porre a formale censura gli stampati. Ma proprio questa sottoposizione è esclusa dall’art. 21. Da accogliere sembra dunque la terza tesi, con l’avvertenza peral­ tro che, poiché il diffondere gli stampati è fatto complesso che si effettua (o concretizza) con mezzi molteplici ciascuno dei quali in sé e per sé è regolabile con legge (v. sopra pp. 23 ss,), non è escluso (ma anzi è da ammettere) che tali leggi e tale regolamentazione generale dei mezzi siano così congegnati che mer­ cè loro sia facilitata la possibilità di impedire diffusioni del pensiero in contra­ sto con la Costituzione. 92 In I Sottocommissione (p. 156) fu infatti proposto di «limitare le ma­ nifestazioni del pensiero diverse dalla stampa a tutela della pubblica moralità », oppure si cercò di affermare (p. 485) che ogni uomo ha diritto alla libera pro­ fessione delle proprie idee purché non contrastino con le supreme norme mo­ rali. Ma le proposte furono combattute (p. 486 ss.) ed abbandonate. 93 Ma per la verità nel nostro codice penale, se nel titolo IX del II libro sono rubricati come contrari alla moralità pubblica ed al buon costume delitti contro la libertà sessuale, il pudore e l’onore sessuale, si considerano poi negli art. 718 ss. in contravvenzione alla polizia dei costumi (e perciò contrari al buon costume) ben più lati e diversi atti. 94 Così intesa la disposizione, resterebbero giustificate molte regole delle nostre leggi (p. es. c.p., artt. 533, 565, 718 ss.; gli abrogati artt. 112 e 114 T.U. P.S.; la 1. 8 febbraio 1948 n. 41, art. 15). La interpretazione potrebbe citare in suo favore a) gli orientamenti della nostra Corte Costituzionale (per lo me­ no nella Dee. n. 2 del 1956, in Giur. Cost., 1956, p. 566) che ha ritenuto che a termini deH’art. 16 della Cost., sia limitabile la libertà di circolazione e di sog­ giorno di persone pericolose per la pubblica moralità in generale; b) la circostan­ za che in tal senso la dizione è adoperata nelle leggi civili (v. p. es. artt. 1343, 634, 2035 c.c.). Tuttavia è da osservare in contrario a) che le leggi civili non vietano i

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bilità, però, la tesi esatta è che il 6° comma dell’art. 21 non tanto vieta le manifestazioni contrarie al buon costume come fatto normativo, quanto come fatto psicologico ed effettivamente sussistente e perciò le manifestazioni « in perversione » dei costum i95. In principio perciò il divieto riguarda le manifestazioni oscene (con esclusione delle opere di arte e di scienza 9e) ed inoltre condanna, per la particolare sensicomportamenti da esse ritenuti contrari ai buoni costumi, ma bensì solo de­ terminano gli effetti di tale contrarietà dichiarando la invalidità di negozi (c.c., art. 1418) o la irrilevanza di condizioni contrarie ai buoni costumi (c.c. art. 634), etc. Poiché nell’art. 21 della Cost, comportamenti contrari ai buoni costumi sono vietati (come avviene nelle leggi penali) è fondata la presunzione che la dizione sia adottata nel medesimo senso che nelle leggi penali (e non in quello fatto proprio, a fini diversi, dalle leggi civili); b) se nel nostro sistema in generale e non solo nelle leggi civili la dizione di contrarietà ai buoni costumi dovesse assumere il senso lato proposto per la interpretazione dell’ultimo com­ ma dell’art. 21, tu tti gli atti vietati (penalmente) o la massima parte di essi, poiché condannati anche dalla comune coscienza morale e contrari alle co­ muni costumanze, dovrebbero d’ora in poi rubricarsi come contrari ai buoni costumi, sicché la categoria degli atti o dei comportamenti vietati perchè contrari al buon costume perderebbe ogni contenuto specifico; e) infine la proposta interpretazione estremamente lata della dizione dell’ultimo comma dell’art. 21 attribuirebbe alle leggi una quasi illimitata potestà sul diritto di libera manifestazione del pensiero ed in sostanza priverebbe questa libertà da ogni vera e seria garanzia costituzionale. Il che, per la serietà della nostra Costituzione, non pare da ammettere. 95 Indicazioni comparativistiche su questo significato della formula in Terrou, Le droit de l'information, cit., p. 317. È da avere presente che questa interpretazione del testo costituzionale (che non incontra le difficoltà della tesi esaminata a nota precedente) richiede che esistano un elemento esterno e statico di difformità da ciò che storicamente sia considerato buon costume ed un corrispondente elemento interno o dinamico di opposizione al buon co­ stume perchè la manifestazione possa ritenersi vietata dalla disposizione co­ stituzionale. Poiché prive di obiettiva difformità, manifestazioni in critica dei costumi, che pur si propongano di mutarli o sovvertirli, non possono consi­ derarsi contrarie al buon costume (v. invece R idder , Meinungsfreiheit, cit., p. 285); poiché animate da diverso motivo interiore, da diverso slancio vitale, come si afferma subito nel testo, sfuggono al divieto dell’art. 21 le manifestazio­ ni artistiche. 9* La esclusione (ad accogliere la interpretazione avanzata nel testo) non deriva dall’art. 33 sulla libertà dell’arte e della scienza, ma ha base nella constatazione che le opere artistiche e scientifiche (per lo spirito da cui sono animate, per il rigore con cui sono condotte) non possono caratterizzarsi fi­ nalisticamente come manifestazioni in perversione dei costumi, individualizzabili secondo pericolosità per il buon costume. Da un lato infatti non vi è dubbio che pure manifestazioni aventi pregio di arte e di scienza sono sottoposte alla

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bilità dei destinatari, pubblicazioni e manifestazioni anche semplicemente immorali e diseducative rivolte ai m inori97. disciplina dell’art. 21 nella parte in cui esso disciplina la stampa, oppure nella parte in cui garantisce che ciascuno possa esprimere liberamente solo il proprio pensiero (sicché e soprattutto rispetto ad esse è ammissibile tutela della pro­ prietà letteraria). Dall’altro la dichiarazione della libertà dell’arte e della scienza è formulata nell’art. 33, nel quale sono determinati i compiti positivi dello Stato rispetto all’una ed all’altra ed al loro insegnamento, sicché ne resta precisato il significato: che non esistono nè arte nè scienza ufficiale o di Stato (come è invece formalmente proclamato in qualche Costituzione; per es. in quella ungherese e come in fatto avviene in altri ordinamenti considerati dal B obbio, Politica e cultura, cit., p. 47 ss. 84 ss., in pagine felici da cui possono trarsi elementi illuminanti per la esatta interpretazione della dichiarazione dell’art. 33). Conferma la esattezza della tesi la constatazione che in altri or­ dinamenti, nei quali prima che in Italia fu fatta proclamazione corrispondente a quella dell’art. 33 della nostra Costituzione, e dai quali essa è stata tratta di peso, questo vollero e vogliono significare (v. per analitica indicazione di tali costituzioni K ottgen, Die Frieheit der Wissenschaft, in Die Grundrechte, cit., II, 1954, p. 291 ss. e spec. 302, e, in maniera parzialmente divergente, R idder , Meinungsfreiheit, cit., p. 267). Comunque sia, discenda la garan­ zia particolare offerta alle manifestazioni e pubblicazioni di arte e di scien­ za riguardo al limite del buon costume dall’art. 33 o dallo stesso art. 21 ulti­ mo comma della Cost., resta il problema pratico del miglior modo di accerta­ mento delle qualità artistiche o scientifiche di un’opera o manifestazione e del miglior sistema per attuare la garanzia. Che il miglior sistema sia quello di affidarsi ai giudici (e che tale sistema sia imposto per interpretazione ana­ logica delle disposizioni formulate negli artt. 13, 14, 15, 21, 3° comma, della Cost.) non pare possa affermarsi tranquillamente. Forse (in concordia con la tradizionale richiesta che delitti di manifestazione del pensiero siano sotto­ posti alle giurie e non ai giudici togati) tali giudici dovrebbero essere affian­ cati in tal materia da rappresentanti di istituzioni artistiche e scientifiche e da rappresentanti di quella collettività i cui buoni costumi vogliono essere tutelati. Tali giudici e tali rappresentanti dovrebbero essere dichiarati respon­ sabili in base all’art. 28 della Cost., per decisioni « in lesione » del diritto ga­ rantito ad artisti e scienziati, anche se in tale caso la responsabilità non doves­ se estendersi allo Stato (su tutto ciò v. E sposito, La costituzione italiana, cit., p. 103 ss. e, particolarmente, 130). •7 V. L. 8 febbraio 1948, n. 47, artt. 14 e 15 (e già art. 529 c.p.) in quan­ to le pubblicazioni specificamente dirette ai minori (che in principio sono sot­ toposti a procedimento educativo: Cost., art. 30) debbono essere tali da non turbare questo procedimento, e da non dare luogo a perversione dei costumi se­ condo principio di causalità, anche se le opere secondo essenza non possano dirsi contrarie ai buoni costumi. Dubbio è invece la esattezza della tesi che la parti­ colarità dei limiti discenda dalla incapacità di opinione dei minori oppure dal­ la circostanza che le manifestazioni che tendono al diletto (quali in genere quelle rivolte ai minori) siano escluse dalla garanzia dell’art. 21 relativo al solo di-

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Inoltre certamente tra le limitazioni tradizionali della libertà di manifestazione del pensiero sono ammesse dalla Costituzione quelle relative all’onore delle persone, quando essa proclama la pari dignità sociale dei cittadini98. Questa proclamazione pretende infatti, preci­ samente, cbe la società e ciascun membro di essa non si elevi mai, in buona o in mala fede, a giudice delle altrui indegnità" e cbe non esprima ritto di opinione (v. comunque L ener , in Civiltà Cattolica, 1952, II, 484 ss.; N uvolone, I reati di stampa, 1951, p. 204, ma diversamente in Le leggi penali, 1953, p. 69 nota; Terrou, Le droit de Vinformation, cit., p. 106 etc.). In so­ stanza le limitazioni al diritto di espressione del pensiero nei confronti dei mi­ nori sembrano poggiare nel nostro ordinamento su tre elementi (v. art. 30 Cost.): cbe tali persone sono considerate « educande », cbe vi è un solenne riconoscimento del diritto-dovere di soggetti determinati alla « educazione » e che è attribuito alla legge di provvedere all’assolvimento dei compiti dei genitori nei casi di loro incapacità, o di impossibilità materiale, ad adempierli. Le censure preventive sulla stampa dei ragazzi previste dal progetto di legge Kossi-Federici (cbe sono state oggetto di ripetute critiche), a parte la discu­ tibilità dei particolari, potrebbero bene riallacciarsi a tali elementi. 98 Cost., art. 3. 99 Così intesa la disposizione acquisisce ben preciso significato giuridico. Essa non esprime solo il desiderio cbe siano rimossi mali e miseria materiale e morale che degradano gli uomini nel giudizio degli altri uomini (v. E sposito, La costituzione italiana, cit., p. 61), ma vieta categoricamente ai singoli come semplici membri della società (e cioè in quanto non siano rivestiti di alcuna autorità pubblica o privata, generale o particolare, istituzionale o accidentale) di esprimere giudizi di indegnità sugli altri uomini. Nè è divietato al singolo di esprimere giudizi lesivi dell’altrui onore per le conseguenze cbe essi possano avere per l’estimazione dei colpiti presso gli altri membri della società (cbè se così fosse dovrebbero essere interdette anche le condanne legali delle au­ torità), ma (conforme alla configurazione penalistica delle trasgressioni del divieto come reato di mera condotta) è vietato in modo immediato e diretto, indipendentemente dalle conseguenze eventuali e riflesse (sugli altri membri della società e sul colpito), alla società e cioè ad ognuno come socio, di espri­ mere tali giudizi di indegnità (presente o meno l’offeso, presenti o meno terzi oltre l’offeso). Appunto perchè la Costituzione divieta in maniera diretta e spe­ cifica all’art. 3 giudizi sociali di indegnità (e la pari dignità non è solo un ideale o un fine da raggiungere) quell’articolo esprime un limite alla libertà di manife­ stazione di giudizio e pensiero garantita generalmente dall’art. 21 (sul punto v. anche infra p. 51); appunto perchè il divieto è posto in maniera diretta ed immediata a ciascun singolo socio ciò che importa non è il significato che il singolo giudizio espresso possa assumere nella restante società, ma la sua co­ lorazione e il suo significato per l'animus di chi lo pronuncia. Infine, poiché la dignità tutelata è dichiarata « pari » in tu tti gli uomini, divietate sono solo le manifestazioni contrarie a ciò che storicamente e mutevolmente è consi­ derato essenziale alla dignità dell’uomo (di ogni uomo), ma non il mancato ri-

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con gli atti o con le parole, direttamente o attraverso il riferimento di determinati fatti ritenuti spregevoli, valutazioni negative sulle perso­ ne 10°; e che al giudizio qualificato delle autorità non si aggiungano quindi espressioni del giudizio non qualificato della società, ed alle espressioni di condanna di quelle, nuove espressioni di condanna di questa. In base a questi principi accolti dalla nostra Costituzione, e non alla generica affermazione della democraticità dello Stato od a preconcette seppure diffuse teorie *10101, dovrebbe perciò esaminarsi oggi il problema della estensione e dei limiti del diritto di cronaca e di critica degli innocenti, dei presuntivamente innocenti102 e dei legalmente condannaconoscimento o la negazione delle qualità supererogatorie o dei « meriti » particolari del singolo. Tali manifestazioni non possono essere vietate dalla legge ordinaria quando siano espresse in buona fede, perchè l’art. 21 della Cost, non lo consente. La legge ordinaria può solo stabilire, se crede, che le conse­ guenze patrimoniali negative della espressione di erronei giudizi o della in­ fondata negazione di qualità personali debbano incidere o ricadere su chi li abbia pronunciati. Non è qui il caso di analizzare fino a qual punto il diritto delle leggi ordinarie (da interpretare comunque, fin dove è possibile, in senso conforme alla Costituzione), e particolarmente degli artt. 594 ss. c.p., sia rispon­ dente ai principi qui svolti. 100 Tali persone possono essere specificamente determinate, oppure non formalmente individuate come avviene quando il giudizio abbia ad oggetto immediato enti collettivi, comunità o categorie di persone. Tuttavia, a termini degli artt. 3 e 21 della Costituzione, tali ultimi giudizi possono costituire oggetto di divieto solo se ed in quanto significhino giudizio di indegnità sulle persone. Solo l ’onore e la dignità delle autorità sono tutelabili secondo Costituzione (v. infra p. 46 sg.) indipendentemente e a parte dalle persone fìsiche titolari. 101 Tra le quali è oggi diffusissima quella (consacrata a volte in disposi­ zioni o principi di diritto positivo straniero) che sia decisivo il criterio della « utilità sociale delle critiche ». V. sul punto tra i moltissimi, Terrou, Le droit de l'information, cit., p. 331 ss.; P into, La liberté d'opinion, cit., p. 142 ss.; B ourquin, La liberté de la presse, cit., p. 85, 87, 213; D awson, Law of the Press, 1947, p. 44 ss., e, tra gli italiani. N uvolone, Beati di stampa, cit., p. 120 ss. 102 Cost., art. 27, 2° comma: «L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva ». Questa disposizione, alla lettera, dovrebbe esclu­ dere che mai, prima della condanna definitiva, possa narrarsi o riferirsi che alcuna persona sia autore di fatto delittuoso. Tuttavia il problema va conside­ rato anche in rapporto all’utilità che le affermazioni di privati possano avere per l’accertamento autoritario delle responsabilità e per le condanne legali. Va ricordato che anche in Italia si sono sollevate voci a che l’art. 27, 2° comma, sia portato a più sostantive conseguenze anche sociali, così come ad es. in Inghil­ terra (peraltro sotto il profilo che la formulazione di giudizi sociali preventivi su indicati dia luogo a Contempt of Court).

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t i 103, e degli uomini privati e degli uomini pubblici(clie in verità non costituiscono, come oggi si ritiene, due diverse categorie di uomini di­ versamente tutelati nella dignità e nell’onore104). Si dovrebbero retti­ ficare perciò alla luce delle norme costituzionali le ricostruzioni delle norme vigenti ed a volta le stesse disposizioni di legge ordinaria come quelle relative alla eccezione della verità ed alla falsità dei fa tti105. La verità dei fatti, invero, non dovrebbe avere rilievo ai fini della condanna di manifestazioni contrarie alla dignità sociale delle persone, sempre vietate, vere o false che siano, ma della traslazione del danno (che non è sanzione) per le affermazioni errate, che, pur non ledendo la dignità delle persone, le abbiano tuttavia sotto altro profilo danneg­ giate 106. Ed alla luce di disposizioni costituzionali apparentemente irrilevanti (ma sul cui significato ancora di recente è stata richiamata da qualche pensoso costituzionalista straniero la attenzione degli studiosi107) ed alla luce di approfondite indagini sui rapporti tra « autorità » esplicita­ mente conferita dalla Costituzione e « prestigio » immediatamente leso da manifestazioni in vilipendio, dovrebbe esaminarsi e risolversi il pro-

103 Sul punto va ricordato che altra cosa è il puro e semplice riferimento (o l’adempimento all’ordine di riferimento) di condanna legale, altra è raggiun­ gere per la forma o il modo del riferimento nuova condanna a quella autori­ taria. 104 Contro la distinzione v. qualche acuto rilievo del Santini, in Giu­ risprudenza italiana, 1952, IY, 89 ss. La tesi non è solo largamente sostenuta in dottrina (v., a titolo esemplificativo, N uvolone, Beati di stampa, cit., p. 121; B ourquin, La liberté de la presse, cit., p. 205) ma è accolta esplicitamente in vari sistemi giuridici (v. Terrou, Le droit de l'information, cit., p. 334, 341 ss.) e consacrata in testi costituzionali (es. Baviera, art. 111). Spesso si di­ stingue tra gli « uomini pubblici » quelli che accedono alle cariche mediante concorsi da quelli che vogliono accedervi o vi abbiano acceduto per atto di fi­ ducia o elezione popolare e che sarebbero liberamente discutibili. 105 Disciplinata oggi in Italia dal D.L.L. 14 settembre 1944 n. 288 che ha modificato l’art. 596 c.p. Ma in verità la originaria disposizione era più rispondente al principio sancito nell’art. 3 della Cost. i°g p er soluzioni sulla responsabilità civile tendenzialmente ispirantisi ai principi accennati nel testo v. Chafee, Government and Mass Communi­ cations, cit., I, p. 75 ss. La determinazione della verità di affermazioni lesive della dignità sociale (e perciò sempre da condannare secondo Costituzione), non dovrebbe avere rilievo neanche ai fini della esclusione della responsabilità civile per asserzioni che, pur condannate penalmente, risultassero vere. 107 Smend, Verfassung und Verfassungsrecht, ora in Staatsrechtliche Abhandlungen, 1955, p. 144 s.

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blema del fondamento e della giustificazione delle norme legislative in spregio di simboli della autorità e delle autorità 108 o in vilipendio di istituzioni costituzionali o di corpi politici, amministrativi e giudi­ ziari. Così ancora, alla luce della solenne riaffermazione costituzionale della esclusiva potestà dello Stato e delle leggi di imporre imperativi e prestazioni o di consentirvi (e non alla idea che sia genericamente sal­ vaguardata dalla nostra Costituzione accanto alla libertà personale an­ che la piena indipendenza morale o di autodeterminazione delle persone), dovrebbe essere esaminato il problema della inammissibilità di mani­ festazioni dirette ad esercitare (fuori dai limiti consentiti dalle leggi) violenza morale sulle persone e ad imporsi ad esse in forma imperativa coartandone la volontà109.

108 ... delle autorità italiane. Quanto invece alla condanna del vilipendio di autorità o simboli di autorità straniere, il fondamento dovrebbe trovarsi in disposizioni particolari (art. 7) o generali della nostra Costituzione (art. 10, 1° comma), le quali non formulano solo la generica volontà di pacifica coe­ sistenza internazionale espressa nell’art. 11. La presunta pericolosità di una ma­ nifestazione per il raggiungimento di un fine pur garantito e voluto dalla Co­ stituzione non è infatti titolo sufficiente per giustificare limiti alla libertà (v. infra, p. 93 sg.). Le disposizioni poi degli artt. 402, 403, 406 c.p. sono da porre in rapporto con gli artt. 7 e 8, 3° comma, della Cost, (a parte quel cbe possa de­ dursi in loro favore dalle disposizioni costituzionali sulla tutela della pari dignità dei cittadini, o sui diritti inviolabili dell’uomo, o in garanzia della li­ bertà religiosa). Naturalmente qui si presuppone cbe pure manifestazioni in vilipendio siano configurabili come manifestazioni del pensiero (v. invece, per es., A r a ng io -R u iz , Il diritto di stampa, cit., p. 336). 109 V. art. 421 c.p. (pubblica intimidazione); 610 e 612 c.p. (minaccia); mav. anche artt. 393,519c.p.etc..La tesi corrente secondo cui le minaccie come tali sono vietate dall’ordinamento, perchè lesive della tranquillità delle per­ sone e della loro libera determinazione dimentica da un lato che non ordini e minaccie in generale sono in contrasto con l’ordinamento (poiché ben am­ messi sono quelli che costituiscono manifestazione di riconosciuta autorità) e dall’altro che la libera determinazione della volontà delle persone non è solo ostacolata dalle minaccie, ma anche dalle promesse, non solo dal timore di mali futuri, ma anche dalla speranza di premi. Ma tali premi non sono nella loro genericità condannati dall’ordinamento giuridico! Il vero è che, come è detto nel testo, la nostra Costituzione non tanto condanna il minacciare in genere, quanto afferma e difende la esclusività del comandare e del minacciare delle leggi e degli atti delle autorità (pubbliche e private) fondati sulle leggi. Cor­ rispondentemente, continua ad essere ben giustificato che le leggi penali con­ dannino non solo le minaccie accompagnate da ordine, quanto anche le pure minaccie, e che la condanna sia indipendente dal raggiungimento di effettiva

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11. Attento esame meritano infine i problemi dei rapporti della li­ bertà di manifestazione del pensiero con la tutela dell’ordine pubbli­ co 110 e con l’obbligo di fedeltà allo Stato imposto a tutti i cittadini111. Intesa la libertà di manifestazione del pensiero come funzionale, essa, per sua natura o per definizione, non deve svolgersi nè contro la pace sociale e turbarla, nè contro i principi dell’ordinamento cui deve essere fedele 112. In conseguenza non occorrono esplicite disposi­ zioni della costituzione perchè le leggi abbiano potere di concretare i due limiti, ma all’opposto queste disposizioni occorrono perchè un tale potere sia escluso. Ove invece sia riconosciuta la libertà come dirit-

intimidazione e che insomma sia condannata la condotta minacciante e mi­ nacciosa nelle sue qualità astratte. La giustificazione del divieto di manifesta­ zioni minacciose o accompagnate da previsione di mali futuri dipendenti dalla volontà del manifestante, sta perciò nell’art. 23 piuttosto che nell’art. 13 della Costituzione, che tutela la persona dal costringimento fisico e da quello mo­ rale solo in quanto per intensità ed estensione sia equiparabile a quello fìsico (il punto è poco chiaro nelle decisioni della Corte Costituzionale n. 11 del 3 luglio 1956, in Qiur. cost., 1956, p. 616 s.; 2 del 25 giugno 1956, in Ciur. cost., 1956, p. 564 s., relative alla libertà personale, ma è bene sviluppato in V assalli, La libertà personale, in Studi Calamandrei, p. 4 ss.). Nella ipotesi di minaccia che abbia per oggetto passivo una autorità (v., p. es., artt. 336, 338 c.p.), la condanna è doppiamente giustificata a termini della Costituzione: e cioè perchè la minaccia è in contrasto col monopolio dell’« autorità » di cui è parola in que­ sta nota e perchè direttamente lesiva di una « autorità ». 110 La sussistenza di questo limite, del resto per lungo tempo pacifica­ mente ammesso, si trova riaffermata tranquillamente, nella dec. 1 della Corte Cost. (Ciur. cost., 1956, p. 8) ed in quante decisioni a quella prima si sono riallacciate (v. elencazione sopra a nota 17). Ma forse la tranquillità della Corte sarebbe stata minore, se essa si fosse soffermata sugli sviluppi del proble­ ma nella letteratura e nella giurisprudenza degli S.U. (su cui v. cenno, infra, p. 54, nota 121). Nella nostra Costituzione Cordine pubblico viene in considera­ zione come limite delle manifestazioni del pensiero in riunione (art. 17), ma non come limite generale di esse. Le stesse istigazioni al delitto (le manifesta­ zioni istiganti al delitto) debbono considerarsi vietate non perchè contrarie all’ordine pubblico (così c.p. libro II, titolo V), ma perchè oramai una partico­ lare disposizione della Costituzione le contempla e vieta (v. infra p. 49). 111 Anche questo problema è stato agitato con passione e ricchezza di sviluppi nella letteratura (e nella vita politica) degli S.U. Ampie, riassuntive e recenti indicazioni in H ofmann, L'anticommunisme dans le droit public des Etats Unis, in Revue du droit public, 1956, p. 20 ss. Tra le recenti costituzioni v. esplicito richiamo alla clausola di fedeltà in materia di manifestazione del pensiero, nella Cost, di Bonn, art. 5, § 3. 118 V. indicazioni sul punto in B arile, Il soggetto privato, cit., p. 1 nota 215.

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to inviolabile del singolo, la difesa della pace sociale, del tranquillo e quieto vivere dei soci e la conservazione dei principi dell’ordinamento, poiché si tratta di interessi diversi da quelli che sono a base del ricono­ scimento della libertà di manifestazione del pensiero, possono essere imposti solo dall’esterno. In mancanza, non solo la astratta e fredda esposizione di pensieri teorici o pratici, ma anche l ’espressione vivi­ ficata dall’interiore adesione al pensiero esposto, e cioè la propagan­ da 113, l’apologià, la pubblica esaltazione e persino la manifestazione isti­ gante alla realizzazione del pensiero espresso debbono dirsi consentite e garantite. Ora, mentre è indubbio che.la speciale disposizione costi­ tuzionale che esclude il diritto di associarsi per fini che siano vietati ai singoli dalla legge penale, secondo spirito e secondo lettera, esclude dalla garanzia le espressioni in istigazione al delitto (che costituiscono modo di concorrere o di associarsi ad esso 114), nessuna disposizione co-

113 La affermazione del testo che anche la propaganda dei propri pensieri sia garantita dall’art. 21 vale peraltro solo se si accolga il concetto di propa­ ganda in esso avanzato, non invece se si creda che essa si caratterizzi «fina­ listicamente » come esposizione artificiosa diretta a provocare l’azione senza passare per la riflessione (secondo le concezioni di quanti penalisti ritengono la propaganda « istigazione indiretta »), oppure se si creda che essa (proprio all’opposto di quel che si dice nel testo) si caratterizzi per la indifferenza del propagandista per la idea propagandata, per il non lasciarsi prendere dal gioco, per il freddo rivolgersi agli impulsi incoscienti dell’uomo (falsando o impedendo lo sviluppo delle libere individualità, creando un tipo d’uomo adatto ai regimi totalitari, onde il contrasto tra propaganda e democrazia: v. su tutto ciò, recentemente E llul, Propagande et démocratie, in Revue fran­ çaise de science politique, 1951, p.480 ss., ed anche D rieucourt, La propagande, 1950, p. 194 ss.). A ritenere che questo sia la propaganda (e la questione è in gran parte di nome), essa non sarebbe garantita dall’art. 21, perchè non si con­ figurerebbe come manifestazione del « proprio » pensiero (v. sopra p. 36). Comunque, anche se, come pare, l’art. 21 garantisce ed approva la diffusione e la propaganda delle idee, esso poiché nega secondo il suo presupposto la esistenza di « verità » ufficiali, nega anche il valore positivo di ogni « propa­ ganda ufficiale ». Secondo lo spirito dell’art. 21 (e dell’art. 33), teoricamente, la propaganda di idee, di pensieri, di programmi di azione dei singoli, dei grup­ pi o dei partiti al potere, le cui convinzioni si traducono in leggi ed attività dello Stato, fin dove è possibile dovrebbe essere svolta sola da tali gruppi e partiti e non direttamente dallo Stato e non dovrebbe gravare su tu tti i cittadini. 114 Cost. art. 18 comma 1°: « I cittadini hanno il diritto di associarsi ... per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale ». Va osservato che questo comma contempla fattispecie ben più ampia del 2° comma dello stesso articolo e consente di vietare (anche se non vieta direttamente) l’associarsi

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stituzionale, salvo quelle relative alle pubbliche riunioni ed alle mani­ festazioni che in esse dovessero avere luogo11S, consente di escludere da quella garanzia, la diffusione, esaltazione e propaganda di afferma­ zioni, pensieri o dottrine che costituiscano un pericolo per l’ordine pubblico e per quello costituzionale. Invece così è stabilito oggi in

in senso lato e dinamico, e cioè non solo Tessersi associati nel delitto ma il venir costituendo la societas sceleris, quella societas sceleris che sussiste in ogni ipotesi di concorso nel reato. Possono perciò formare oggetto di divieto, secondo la disposizione, tanto la istigazione ad individuo determinato quan­ to ad individui indeterminati o in incertain 'personam, tanto la istigazione ac­ colta quanto quella non accolta o non seguita dalla commissione del fatto delittuoso (es. artt. 266, 302, 303, 322, 414, 415 c.p.)... anche se sia da esclu­ dere che nella istigazione come reato autonomo sia in atto alcun « concorso » nel reato. Essenziale è solo che la manifestazione istigante (il subornare, l ’in­ citare, l’indurre) non solo per accidenti, non solo sotto il profilo obiettivo e della causalità eventuale, ma per la intenzione o per l ’animo che vi è imma­ nente sia « in istigazione », e che essa abbia ad oggetto o a fine la commissione di fatto qualificato come delitto. Le manifestazioni istiganti ad a tti non de­ littuosi (es., artt. 266, 415, 531, 532, 580), invece, non dovrebbero formare più oggetto di valido divieto finché gli a tti stessi non siano elevati a delitto. Nè, se sono esatte le considerazioni svolte sopra a p. 000, gli artt. 120, 531 e 532 potrebbero giustificarsi come contemplanti ipotesi di manifestazioni contrarie ai buoni costumi; nè se sono esatte le considerazioni che si svolgeranno tra poco a nota 120 gli artt. 266 e 415 potrebbero giustificarsi in base al disposto degli artt. 52 e 54 della Cost. 115 Le disposizioni in questione (Cost., art. 17) vengono in considerazione sia sotto il profilo della possibilità di divieto di pubbliche riunioni per com­ provati motivi di sicurezza, sia sotto il profilo parimenti elastico della « pacificità » delle riunioni in genere. Il divieto o la possibilità di divieto di riu­ nioni significa anche divieto o possibilità di divieto di manifestazioni in riu­ nione che effettuate diano luogo alle riunioni condannate. La particolare « pericolosità » delle manifestazioni in riunioni (su di che v. le esatte consi­ derazioni di Arangio-Ruiz, Il diritto di stampa, cit., p. 46 ss.) giustifica la particolarità della disciplina costituzionale (che « forse » potrebbe estendersi in via analogica, secondo quel che si è detto a nota 50, per la contemporaneità e istantaneità della diffusione, alle manifestazioni del pensiero a mezzo della Radio). Si leggano, però, le considerazioni del L aski, La libertà nello stato mo­ derno, trad., 1931, p. 72 ss., che, pur ammettendo la tendenziale maggiore peri­ colosità delle manifestazioni in riunione, esclude la fondatezza di un diverso tra t­ tamento generale delle manifestazioni in riunione (quale sembra ammesso dalla nostra Costituzione: v., infatti, B alladore-Pallibri, Diritto costituzionale, 1957, p. 353; ma anche, in dubitativo contrasto con la tesi svolta in questa prolusione, Fois, in Giurisprudenza costituzionale, 1957, p. 1089 ss.)

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norme penali e di polizia116, od in altre regole che a quelle vorrebbero aggiungersi! Non varrebbe dire a favore di queste leggi117 che la proclamazione di libertà di manifestazione del pensiero non esiste unica ed isolata nel nostro testo costituzionale e che essa va conciliata con le molte altre che garantiscono in generale altri interessi, individuali, sociali o statali, e che non importa perciò ricercare se le disposizioni che li contemplano statuiscano direttamente o indirettamente ma in modo specifico che essi vanno tutelati pure nei confronti delle manifesta­ zioni del pensiero 118. Nè varrebbe richiamare che la solenne e generale proclamazione dell’obbligo di fedeltà dei cittadini alla Repubblica da un lato conferma che ogni diritto (ivi compreso quello di manifesta­ zione del pensiero) cessa di fronte a vitali interessi dello Stato, dal­ l’altro impone ai cittadini interiore adesione alle concezioni fondamen­ tali o ai dommi della nostra Repubblica. 119 Si allude, per es., all’art. 272 c.p. che vieta la propaganda ed apologia sovversiva ed antinazionale; all’art. 656 che vieta la pubblicazione o diffusione di notizie (anche solo obiettivamente) false, esagerate e tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico; agli artt. 366 e 415 c.p. nella parte in cui condannano la istigazione a disobbedire alle leggi o alle leggi di ordine pubblico e non alle sole leggi penali (su di che v. sopra p. 49); alla 1. 20 giugno 1952 n. 645, art. 4, che non pare del tutto giustificato dalla X II disp. trans, della Cost. (v. pe­ raltro la dec. 1 della Corte Cost, del 26 gennaio 1957 in Giur. Cost., 1957, p. 5); all’art. 112 del T.U. di P.S.; all’art. 126 del Reg. di P.S. etc. 117 Rispetto alle quali si suole anche ripetere che la ragione giustificatrice della possibilità dei divieti e delle punizioni è nel fatto che le manifestazioni da esse considerate (propaganda ed apologia) non si rivolgono alla mente ma al complesso emozionale del destinatario, non al pensiero attraverso dimo­ strazione ma alla volontà altrui attraverso la persuasione. Altra cosa è infatti che la espressione del pensiero per la sua persuasività sia atta ad influire sulla volontà altrui, altra cosa è che esso sia espresso per influire sulla volontà altrui. Solo nella seconda ipotesi che si verifica nella istigazione, ma non nella apo­ logia o nella propaganda, la manifestazione potrà configurarsi come espres­ sione di intendimento pratico e non di pensiero, di intenzione o di volontà e non di interiore convinzione; e potrà affermarsi che essa per la sua natura complessa va oltre la fattispecie prevista dall’art. 21 della Costituzione e non coincide con il fatto da esso garantito. Ma allora subentra la garanzia dell’art. 18 che ammette che si divieti l’associare a sè altri per il raggiungimento di fini pratici, solo se tale raggiungimento sia vietato ai singoli dalla legge penale. 118 È questo il punto di vista ricorrente nella già molte volte citate dee. n. 1 del 1956 della Corte Cost, e di quante ad esse si sono riallacciate. (Contra v. già sopra p. 48, e infra nel testo). Pregevoli sviluppi sul punto sono in Chafee (specialmente nella prima stesura del I cap. del voi. Freedom of Speech, riportato in Selected Essays on costitutional Law, II, 1938, p. 1046 ss.).

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Contro il tentativo di dedurre dall’obbligo di fedeltà alla Eepubblica la sussistenza di limiti alla libertà di manifestazione del pensiero sta la considerazione cbe solo la arbitraria identificazione della Repub­ blica con un complesso di dottrine potrebbe giustificare in nome della fedeltà all’una l ’obbligo di aderire alle altre, e trasformare lo Stato in una Chiesa con i suoi dommi da garantire contro gli infedeli. Que­ sta identificazione però già inesatta in sè, è specificamente condannata proprio dalla solenne proclamazione della libertà di manifestazione del pensiero. L’obbligo di fedeltà alla Repubblica come realtà pratica non si­ gnifica obbligo di aderire a questa o quella dottrina119120, ma di agire come membro e parte della Repubblica pur quando leggi, e giudici ed esecutori non siano in grado di farne valere coercitivamente la vo­ lontà 12°.

119 A meno che non si sostenga che la nostra Costituzione non formula solo principi pratici relativi ai comportamenti, ma anche principi e dottrine astratte, e che proceda ad affermazioni puramente teoriche, che per il fatto stesso di essere formulate sarebbero imposte come vere e incontrovertibili. Sul punto v. E sposito, La costituzione italiana, cit., p. 50 s., da integrare con gli svol­ gimenti all’inizio di questo scritto. 120 L ’autonomo obbligo di fedeltà si concilia infatti con il principio della certezza degli obblighi giuridici, proprio di ogni Stato di diritto, solo se si ammette che il dovere di fedeltà (come dovere autonomo e non meramente riassuntivo di astratti e certi obblighi legali) entra in considerazione unicamente se l’ordinamento nella sua totalità o il vigore dell’ordinamento divengono in­ certi; solo se si ammette che esso esplica nelle circostanze straordinarie fun­ zione meramente suppletoria ed integratrice dell’obbligo di obbedienza ai pre­ cetti (certi) dell’ordinamento. Nelle situazioni rivoluzionarie, nella ipotesi di occupazione bellica, per il cittadino all’estero, l’obbligo di fedeltà sostituisce od integra quello di obbedienza e la situazione di « sottoposizione » dei cit­ tadini allo Stato. L ’obbligo di fedeltà non dà luogo dunque a particolari do­ veri del singolo da aggiungere a quelli certi statuiti nelle leggi, nè dà luogo ad obbligo o a potestà delle leggi di sancire rispetto ai cittadini la doverosità di comportamenti che in mancanza non potrebbero essere imposti. Alto tra ­ dimento, attentato alla integrità ed alla indipendenza dello Stato, intelligenze con lo straniero in guerra, favoreggiamento bellico possono essere condannati e sono condannati dalle leggi non in virtù della disposizione dell’art. 54 della Costituzione, ma bensì in virtù del principio che alle Camere spetta la potestà legislativa e nessuna norma della Costituzione garantisce ai cittadini il com­ pimento degli atti indicati che sono condannati dalle leggi. Ma quando il com­ pimento di un atto è garantito dalla Costituzione, non è consentito alle leggi, fuori dai casi straordinari, di derogare o sopprimere la garanzia in nome del principio della fedeltà del cittadino alla Repubblica. Del resto, anche ad am-

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Nè maggior credito merita la pur diffusa e autorevolmente riaf­ fermata tesi che la libertà di manifestazione del pensiero incontri un limite generale, naturale, « ordinario » nella necessità di tutela del­ l’ordine pubblico e costituzionale. Proclamando la libertà di manifesta­ zione del pensiero, il costituente, conforme alla tradizione, conforme alle idee care ai grandi teorici di questa libertà, ha espresso la propria fede nel diritto proclamato, ha ritenuto che fuori dai casi direttamente vietati, l’esercizio di questo diritto non costituisca un pericolo ge­ nerale per la saldezza degli istituti, per la conservazione della pace sociale e per la vita della Repubblica, perchè le affermazioni pericolose sarebbero state contraddette da altre che ne avrebbero posto in luce la pericolosità eliminandola, e la propaganda delle idee sovversive sarebbe stata vinta da quella delle idee costruttive e la verità avrebbe illuminato se stessa e l ’errore. Tali essendo i principi consacrati dalla Costituzione non è lecito alle leggi muovere da principi opposti.

mettere che la formula dell’art. 54 relativa all’obbligo di fedeltà alla Repub­ blica sia (secondo il significato tradizionale) approssimativamente riassuntiva degli obblighi sanciti dal titolo I del II libro del C.P. (ma sul punto sono da ricordare i dubbi e le incertezze che tormentano la letteratura giuridica e po­ litica contemporanea quando si tratta di determinare la portata dell’obbligo di fedeltà) e che perciò questi obblighi abbiano oggi fondamento primario nell’art. 54 della Costituzione e solo formulazione ed esplicitazione nel titolo ricordato del C. P., resterebbe comunque certo che la dichiarazione dell’art. 54 come « generica » non potrebbe nè prevalere nè derogare alla esplicita e parti­ colare garanzia offerta al diritto di libera manifestazione del pensiero dal testo costituzionale. Quello che si è detto per l’obbligo di fedeltà potrebbe ripetersi per l’obbligo di obbedienza dei cittadini pur esso formulato nell’art. 54 della Costituzione. A parte le obiezioni che contro la statuizione deH’obbligo di obbedienza si sono sempre avanzate dal punto di vista logico (e cioè che la disposizione pre­ suppone la obbligatorietà delle disposizioni giuridiche invece di darvi fonda­ mento), anche qui dall’affermato obbligo di obbedienza niente può dedursi su ciò che le leggi possono disporre in generale ed in particolare per rendere ef­ fettiva, concreta ed operosa la disposizione che stabilisce che i cittadini sono tenuti ad osservare la Costituzione e le leggi. Nè alcuna singola legge, a tutela della propria obbligatorietà (fondandosi sull’art. 54 Cost.), potrà disporre al­ cunché in contrasto con le garanzie offerte al singolo dalla Costituzione (ed in particolare con le garanzie della libertà di manifestazione del pensiero). Solo quando la obbligatorietà delle leggi e della Costituzione in generale sia in pe­ ricolo, e cioè nelle situazioni straordinarie, quella proclamazione che leggi e Costituzione debbono essere osservate dai cittadini può entrare in azione e giustificare disposizioni e provvedimenti straordinari al fine di impedire il dissolversi dell’ordinamento giuridico.

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Con questo non si esclude che possano darsi manifestazioni che, pur non istigando al delitto, pur non configurando casi individuatamente considerati dalla Costituzione come estranei alla garanzia, tut­ tavia, per imprevedibili circostanze di tempo, di luogo o di ambiente, possano in fatto, se pur non per nominata previsione costituzionale, costituire pericolo evidente, concreto, immediato, imminente, insupe­ rabile 121 per la pace sociale o internazionale122, per l’ordine pubblico e costituzionale, e per la difesa della Patria proclamato sacro dovere dei cittadini, e per la indivisibilità dello Stato, e per la osservanza della Costituzione e delle leggi imposta a tutti i cittadini123. Ma in questi casi non previsti nella loro individuata astrattezza dalla Costi­ tuzione, e perciò non disciplinabili in via astratta e preventiva dalle leggi (contro la Costituzione), si potrà provvedere solo contingentemente e temporaneamente, con decisioni straordinarie ammesse dalla Costi­ tuzione 124. Della saggezza di questa soluzione, unica conforme al nostro or­ dinamento, si è fortemente dubitato in questi ultimi anni e perchè sono parse preferibili le catene perpetue delle leggi agli impedimenti transitori delle situazioni straordinarie, e perchè molti teorici della libertà di manifestazione del pensiero, nell’atto stesso di esaltarne il significato teorico e pratico, con una inconsequenza che nessun arti­ fìcio logico può mascherare, mostrano di temere la libertà di manife­ stazione del pensiero. Corrispondentemente essi invocano l’uso della forza contro la forza, non contro la istigazione al defitto, ma contro la

121 Svolgimenti particolarmente pregevoli su tali qualificazioni del pericolo perchè esso entri in considerazione come limite della libertà di manifestazione del pensiero nella letteratura americana (svoltasi sulla base di una pensosa giurisprudenza). V. riferimenti in Chafee, Government and Mass Communi­ cations, cit., p. 50 ss. (e le precisazioni critiche degli scrittori ivi citati a p. 52, nota 20), 367 ss.; E merson e H aber, Political and civil Bights in the United States, 1952, p. 358, 385, 387, 405 s., 469 s., 474 ss. Con la avvertenza che i criteri addotti nel testo, in genere, non sono richiamati nella letteratura ameri­ cana solo come giustificanti in casi eccezionali concreti limiti a manifestazioni del pensiero in atto, ma come criteri generali sulle caratteristiche delle mani­ festazioni astrattamente limitabili. Inoltre in quella letteratura la ragione della limitabilità della manifestazione del pensiero aventi le caratteristiche indicate viene spesso ritrovata nei principi esposti e criticati sopra a p. 51. 122 Presa in particolare considerazione dall’art. 11 della Cost. 123 y rispettivamente gli artt. 52, 5, 54 della Cost. 124 y gii artt. 77 e 78 della Cost. Sia consentito di rinviare al commento di tali articoli in una nostra pubblicazione in corso.

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diffusione di dottrine sovversive o negatrici del valore della libertà di manifestazione del pensiero. L’esegeta della nostra Costituzione deve però dichiarare da un lato che la eventualità dei casi straordinari e dei modi di farvi fronte è esplicitamente prevista e molto saggiamente disciplinata nel nostro testo costituzionale contro i pericoli di abuso, dall’altro che la procla­ mazione dell’art. 21 della nostra Costituzione, a differenza da altre proclamazioni di altre costituzioni contemporanee, è espressione di fiducia e di speranza; e che perciò in tale spirito va ricostruita, e che non è lecito all’interprete timoroso (si tratti pure del legislatore ordi­ nario) di sostituire a quella fede il proprio scetticismo, la propria sfi­ ducia ed i propri dubbi.