La letteratura italiana. Storia e testi. Illuministi italiani. Opere di Ferdinando Galiani [Vol. 46.6]

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LA LETTERATURA ITALIANA STORIA E TESTI DIRETTORI RAFFAELE MATTIOLI • PIETRO PANCRAZI ALFREDO SCHIAFFINI

VOLUME

46 •

TOMO VI

ILLUMINISTI ITALIANI TOMO VI

OPERE DI FERDINANDO GALIANI

ILLUMINISTI ITALIANI TOMO VI

OPERE DI

FERDINANDO GALIANI A CURA DI FURIO DIAZ E LUCIANO GUERCI

RICCARDO RICCIARDI EDITORE MILANO · NAPOLI

TUTTI I DIRITTI RISERVATI • ALL RICHTS RBSERVED PRINTED IN ITALY

ILLUMINISTI ITALIANI TOMO VI

OPERE DI FERDINANDO GALIANI

INTRODUZIONE di Furio Diaz

IX

BIBLIOGRAFIA di Luciano Guerci

CVII

TAVOLA DELLE ABBREVIAZIONI

CXXVIII

I.

DELLA MONETA (a cura di Furio Diaz)

II.

DELLE LODI DI PAPA BENEDETTO XIV (a cura di Fu-

rio Diaz)

I

315

Ili. DIALOGUES SUR LE COMMERCE DES BLEDS (a cura di

Furio Diaz) IV.

CROQUIS D'UN DIALOGUE SUR LES FEMMES (a cura

di Luciano Guerci) V.

345

613

DE' DOVERI DE, PRINCIPI NEUTRALI (a cura di Lucia-

no Guerci) VI.

SCRITTI VARI E INEDITI (a cura di Furio Diaz)

683

VII. EPISTOLARIO (a cura di Luciano GueTci)

NOTA AI TESTI

1163

INDICE DEI NOMI DI PERSONA

1165

INDICE

1191

INTRODUZIONE

INTRODUZIONE

Benedetto Croce, che cosi efficacemente ci ha ammonito contro la storia dei «se», proprio riguardo a Galiani sembra aver fatto una giustificata eccezione. Cosa sarebbe avvenuto dell'abate napoletano cc se fosse rimasto in Napoli», invece di esser destinato, nel 1759, alla carica di segretario dell'ambasciata del Regno a Parigi? «Si sarebbe assai probabilmente perduto per mancanza di materia su cui lavorare, e di stimoli efficaci ... » scriveva Croce; «si sarebbe lasciato andare all'ozio, ai giochetti accademici, agli scherzi leggieri, e perfino alle buffonerie triviali» ecc. ecc. Insomma, senza il tuffo nell'ambiente spregiudicato di Parigi, senza la sollecitazione della discussione culturale e civile suscitata dalle lumières nei salotti letterari e nei circoli diplomatici che egli frequentò durante i dieci anni del suo soggiorno parigino, Ferdinando Galiani non avrebbe trovato «le condizioni propizie a svolgere le migliori e più schiette forze del suo ingegno»; soprattutto, intanto, aggiungiamo noi, non avrebbe scritto i Dialogues su, le commerce des bleds che restano pur sempre il suo capolavoro, e che solo dalla diretta esperienza dell'insegnamento della scuola fisiocratica e delle discussioni e reazioni da esso provocate potevano prendere origine. E la pubblicazione dei testi raccolti in questo volume, mostrando la produzione anche inedita del Galiani funzionario borbonico negli anni che vanno dal ritorno in patria alla morte (1769-1787), non può che confermare un'impressione, che va oltre le parole del Croce, come di due Galiani: quello che per molti aspetti egli fu sempre, in parte anche durante il soggiorno parigino, più strettamente aderente e al suo temperamento pigro e gaudente e alla tradizione culturale entro cui in patria si era formato e all'atmosfera intellettuale e politica piuttosto arida e stantia che regnava alla corte di N apoli e nelle stesse élites di uomini di cultura e alti funzionari della capitale; e quello invece che nel suo grande libro e nelle lettere a Bernardo Tanucci e nella «corrispondenza francese», echi contemporanei e postumi di quella conversazione spiritosa e intelligente che lo fece l'idolo dei salotti parigini, egli ci appare. Non senza che, ovviamente, i due personaggi s'intreccino e confondano di continuo, sicché ad un certo momento il Galiani funzionario del Regno mostrerà di utilizzare proprio in que-

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INTRODUZIONE

ste sue mansioni i risultati migliori della sua esperienza parigina. Non sarebbe quindi giustificata una linea di ricostruzione biografica che, quasi dipartendosi da una qualifica precostituita, perseguisse il ritrovamento di due diverse personalità lungo una vita tutta siglata da tratti tanto originali d'intelletto e di temperamento. Ma, semplicemente, tener presente l'intreccio dei due distinti filoni varrà a rivelarci meglio la complessa vitalissima figura di chi, certo senza avere la sincera vocazione illuministica, la schietta adesione ai principi di rinnovamento e di riforma che caratterizzano altri nostri autori settecenteschi, in pochi anni seppe conquistarsi nel centro stesso delle lumières europee una fama e una considerazione che nessun altro italiano, salvo Cesare Beccaria, raggiunse. Del resto, molto sembra esser spesso riservato al caso nella vita di colui che gli amici francesi chiameranno Machiavellino. Fin dal luogo della nascita, avvenuta il 2 dicembre 1728 a Chieti, dove il padre Matteo Galiani, «gentiluomo» di Foggia, si trovava allora in qualità di regio uditore. Di là passato a Trani con la carica di fiscale (e nel 173 6 sarà trasferito alla fiscalia di Lecce), Matteo Galiani nel 1735 inviò a Napoli Ferdinando, perché venisse educato presso il fratello Celestino, che dal febbraio 1732 era divenuto cappellano maggiore del Regno (una carica che univa attribuzioni da ministro dell'Istruzione, in primo luogo la direzione dell'Università di Napoli, ad altre da ministro dei culti, sia per le cerimonie religiose della corte sia per i rapporti con la Curia di Roma), e che già nello stesso 1732, anno in cui da arcivescovo di Taranto era passato all'alta funzione nella capitale, aveva preso con sé il fratello maggiore del nostro abate, Berardo (1724-1774), destinato a divenire archeologo e critico di architettura, traduttore e commentatore di Vitruvio. Sulla educazione dei due fratelli prima nella casa dello zio a Sant' Anna di Palazzo, poi, quando Celestino nel 1737 si trasferi a Roma per le trattative del Concordato, nel monastero dei Celestini di San Pietro a Maiella, sui maestri che essi vi ebbero, sulla élite di letterati e dotti che poterono frequentare nel salotto dello zio (tornato definitivamente a Napoli nel luglio 1741), ha scritto ampiamente Fausto Nicolini. Qui sarà da notare che «la puerizia e l'adolescenza» di Galiani sono assai illuminanti sulla sua personalità futura. Adolescente sveglio e irrequieto, curioso di noti-

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zie erudite e di aneddoti civili e culturali, verseggiatore mediocre, presto versatissimo nel latino e poi anche nel greco e nell'ebraico, insieme al fratello Berardo divenne coltissimo in archeologia, e insieme a lui studiò diritto civile e canonico presso Marcello Cusano (ma Ferdinando consegui il dottorato nella materia solo in età matura, nel 1766, durante il suo soggiorno a Napoli, in licenza dall'incarico diplomatico parigino, quando la laurea in diritto gli fu necessaria per la carica a consigliere del Supremo Magistrato del Commercio). Sono gli studi che già nel 1747-48 consentiranno a Galiani di scrivere la dissertazione Sullo stato della moneta ai tempi della guerra troiana per quanto ritraen dal poema di Omero (che di recente è stata interamente pubblicata, valendosi anche del precedente lavoro del Nicolini, da Alberto Caracciolo in appendice alla sua edizione del Della moneta). Ma come andò che, invece di seguire ancora il fratello nel lavoro di erudizione, magari nell'ambito di quell'Accademia Ercolanese della quale anch'egli, nel 1755, sarà nominato socio, Ferdinando Galiani, che nel 1745 aveva preso gli ordini minori divenendo abate di Santa Caterina a Celano, già nel 1751 compieva il suo primo eccezionale exploit pubblicando, anonimo, il Della moneta? Gli anni fra il 1744, quando tradusse dall'inglese Some Considerations of the Consequences of the Lowering of lnterest and Raising the Value of Money del Locke (ma il lavoro rimase inedito, forse anche perché Galiani seppe che si stava preparando la traduzione di Giovanni Francesco Pagnini), e il 1751, quando apparve la prima edizione del Della moneta, restano ancora i meno noti della biografia intellettuale del nostro autore. Naturalmente, c'è l'influsso di Bartolomeo Intieri e Alessandro Rinuccini, frequentatori, come l'ormai stanco Vico, e Giuseppe Pasquale Cirillo, Nicola Fraggianni, Alessio Simmaco Mazzocchi, l\1atteo Egizio, Giacomo Martorelli, Gioacchino Poeta, Agnello Fiorelli, Domenico Sanseverino, Nicola e Pietro De Martino, Francesco Serao, ecc., della casa di Celestino Galiani. E chi rilegga le belle pagine di Franco Venturi (nel tomo v degli lllumi1listi italiani, in questa stessa collana) sull'opera di incoraggiamento degli studi economici svolta dall'lntieri fino alla fondazione della cattedra di «meccanica e commercio», che permise ad Antonio Genovesi la elaborazione delle sue Lezioni di commercio, si renderà conto di come, dal contatto con questo toscano

XIV

INTRODUZIONE

entusiasta promotore della ricerca di tutti i mezzi atti a incrementare la vita economica, la produzione di beni e la circolazione delle ricchezze, Ferdinando Galiani dovette essere spronato ad approfondire quei problemi economici cui già il suo talento lo inclinava. Ma il periodo del maggiore scambio d'idee fra l'ormai ricco e influente toscano e il giovane abate sembra essere stato quello successivo alla pubblicazione del Della moneta, la cui apparizione, come vedremo dalla sua corrispondenza, colse di sorpresa lo stesso Intieri; e anche dopo la morte di Celestino Galiani, può esser frutto della collaborazione tra Ferdinando e il vecchio amico dello zio la pubblicazione, nel 1754, del Della perfetta conservazione del grano, di cui Galiani si è dichiarato autore in vari luoghi (cfr. ad esempio, in questo volume, Sull'annona di Genova, p. 740), e che anche in occasione della sua traduzione francese, nel 17jo, venne attribuita al nostro abate. Pur se l'opuscolo, che descrive una stufa per la conservazione del grano ideata dall'Intieri nel 1728 e da lui fatta costruire nel 1731, ha nella impostazione robustamente tecnica e nello stile stesso del discorso un andamento tipicamente« intieriano », tale da far pensare a una partecipazione galianea di molto minor rilievo di quella che il vanitoso Ferdinando si attribuirà. Se dunque, nella casa di Celestino, e forse anche nella villa dello stesso lntieri a Massa Equana, Galiani respirò l'atmosfera della fervida discussione di cose economiche che preparava nella Napoli di quegli anni il fiorire della lezione di Genovesi e il sorgere di quella che può chiamarsi la sua scuola, peraltro il cammino che dalle composizioni pur sempre umanistico-erudite, come la citata dissertazione sulla moneta all'epoca della guerra di Troia e il di poco precedente saggio Dell'antichissima storia delle navigazioni nel Mediterraneo (1746), conduce a un lavoro eccezionalmente specialistico come il Della moneta, il nostro abate lo percorse in gran parte da solo, con quel caratteristico sbrigliarsi della sua mente, fecondissima d'improvvise intuizioni, di rapide assimilazioni e di lucide elaborazioni, che dovrà, appunto a cominciare dall'improvvisa comparsa del suo libro nel '51, meravigliare spesso i contemporanei. Certo, se c'è motivo per una contrapposizione dei« due Galiani », anche prima del periodo francese, in certa bipolarità del temperamento, degl'interessi, della dimensione intellettuale del nostro aba-

INTRODUZIONE

xv

te, questo ci è dato in maniera singolare dal periodo appunto che dalle sue prime esercitazioni in quella Accademia degli Emuli, che era poi un periodico riunirsi, per discutere argomenti letterari, nella casa del gentiluomo napoletano Girolamo Pandolfelli, va al 1751. Non che almeno nella cclezione accademica» più di rilievo tenuta in quella sede, che sia rimasta fra le sue carte, relativa ali' amore (1746), non si ritrovino spunti che vanno al di là della mera esercitazione retorica, per impostare alcuni problemi di un certo impegno culturale e filosofico. Si ha già così un tema che tornerà spesso nelle meditazioni dell'abate, quello del valore della espressione linguistica, della sua influenza nell'articolazione e manifestazione delle idee. «Io ho sempre creduto» scriveva il giovane accademico «che se non tutte, almeno quasi tutte le quistioni che in ogni scienza ed in ogni cosa si fanno, siano questioni di voci, onde siegue che definite queste debbano esse necessariamente finire, o dilucidarsi. È ben vero però, che dopo più esatta ricerca io non saprei dire se sarebbe util cosa, o no che tante questioni e dispute si perdessero in tutto, e tante se ne dilucidassero, poiché molte scienze, alcune delle quali sono non poco utili alla bellezza, all'armonia, ed al gran giro di questo mondo, si perderebbero e sparirebbero affatto, ed il dilucidare alcune arrecherebbe forse non piccol danno a quanto credono aver di più caro gli uomini in questa vita». Che era per buona parte una sorta di nominalismo superficiale; ma al fondo spuntava il senso del valore creatore della elaborazione mentale in sé, qualcosa tra lockiano e vichiano, con un certo generico presentimento del rilievo che l'illuminismo darà al peso delle idee, della stessa discussione culturale nella globalità della vita umana. Altrove, poi, alcune notazioni di sapore materialistico e sperimentalistico, come quella circa la necessità di conoscere meglio la «struttura del cerebro», per discutere della volontà, del giudizio e delle passioni, o sull'origine puramente «machinale» di molti moti d'amore, che magari «taluni credono effetto della santità del sagramento », preannunziavano il Galiani realistico osservatore e spregiudicato analista delle concrete motivazioni delle azioni umane, che troverà fecondo campo di applicazione nell' esame della vita economica. Resta che la maggior parte di quella ventina di fogli fittamente manoscritti era dedicata alla piuttosto vana disquisizione circa le varie specie, forme, manifestazioni dell'amore, circa i loro incentivi e le loro conseguenze nella vita civile,

XVI

INTRODUZIONE

secondo una psicologia di maniera. Né certamente si poteva pretendere di più da un giovane di diciotto anni. Come, e ancor più, serbano il carattere di esercitazione retorica l'altro componimento, Sopra la morte di Socrate, non datato, ma certamente, e per la collocazione fra le carte dell'abate, e per il tema e lo stile, da porsi tra il 1746 e il '50, e cosi quello Sull'amor platonico, che per la menzione fattane in una lettera del conte di Punghino al Galiani, del 2 dicembre 1748, dovrebbe appunto ascriversi a quest'ultimo anno. Si tratta di studi nell'ambito dell'apprentissage classico del giovane abate, secondo i canoni della cultura dell' epoca. Neppur qui manca certo quella vivacità d'ingegno che renderà famoso Galiani. O che, in una lettera che si finge scritta da Atene, alcuni anni dopo la morte di Socrate, da un pitagorico (Eutrephon) a un suo amico residente nella Magna Grecia (Theognetes), l' esaltazione della grandezza del filosofo e della nobiltà della sua fine apra la via a un colorito tratto contro lo spirito di persecuzione e la bassa furbizia dei preti: «I preti nella generai confusione, dopo il sacco dato da' Lacedemoni alla città, corsero esclamando contro di Socrate, e tutte le pubbliche e private calamità attribuivano allo sdegno degli Dei, che pretendevano essi d'essere stato da lui mosso coi suoi continovi presuntuosi discorsi contra di loro». O che la dissertazione sull'amor platonico, tenuta ancora all'Accademia degli Emuli e richiamantesi alla precedente sull'amore in genere, sbocchi nella presa in giro, gaiamente cinica, degli amanti platonici, qualificati come coloro che, disgraziati nell'amore reale, perché respinti da una donna o incapaci di trovar chi li ami, o li faccia felici magari con l'inganno, trovano un'altra sorta d'inganno beatificante nella esaltazione filosofico-poetica delle incredibili bellezze e virtù dell'amata: «••• quell'infelice che dalla sua donna non riceve altro che ripulse, disprezzo, crudeltà e rigori, che volete ch'ei faccia? La sua donna non vuole in cosa alcuna ingannarlo. Dunque dovrà egli restare sempre infelice perché non ingannato? No, la provvidenza e la natura stessa, che noi alla nostra felicità spinge sempre e conduce, fa che insensibilmente l'uomo che non trova chi lo voglia ingannare e rendere felice, s'inganni e si feliciti da sé medesimo. Quindi comincia egli a dire che nella sua donna egli ama le grazie, gli amori, le veneri tutte raccolte insieme, ma principalmente le virtù tutte, che in lei quasi in propria sede si posano e si annidano».

INTRODUZIONE

XVII

Gaio, spregiudicato, un po' cinico realismo. Sotto le auliche sembianze dell'abatino studioso dell'antichità classica o colto oratore in un'accademia letteraria appaiono già i tratti del futuro Machiavellino. Ma, al di là dell'intreccio delle inclinazioni di temperamento e delle componenti formative di Galiani, il problema storico che qui si pone resta quello: come proprio negli anni in cui, pur con questi spunti originali di realismo anticonformista (e tipico in questo senso è lo scherzo antiaccademico dei Componimenti varii per la morte di Domenico Ian,uzccone Carnefice della Gran Corte della Vicaria, raccolti e dati in luce da Giannantonio Sergio Aooocato N apoletano, composto nel 1749 insieme a Pasquale Carcani), egli sembra prevalentemente occupato intorno a temi della tradizionale cultura letteraria, filosofica, d'impronta umanistico-retorica, può invece anche preparare un saggio specialistico di economia monetaria? Problema, s'intende, di ambiente culturale e civile, oltre che di fonti e d'informazione personale. Ovvio il riferimento alle condizioni della vita economica e finanziaria a Napoli nel 1749 e ai testi da Galiani stesso citati, Bernardo Davanzati, Antonio Serra, Carlantonio Broggia, Troiano Spinelli. E in fondo la storia migliore della genesi del Della moneta l'ha fatta Galiani stesso nell' Aooiso premesso alla seconda edizione del suo libro, del 1780, parlando dei timori che in quell'anno '49, tornata la pace col trattato di Aquisgrana, avevano fatto sorgere nel Regno l'aumento dei prezzi e insieme la scarsa disponibilità di liquido, il calo di certe ricchezze mobiliari, ecc., e mostrando nel suo saggio la spiegazione in termini realmente economici di quei fenomeni, la risposta a quei timori, nel ricordare la dimestichezza con Rinuccini e Intieri, oltre che la conoscenza dei trattati di Broggia e di Spinelli, come gli antecedenti diretti del suo lavoro. Ma ove accolta così letteralmente, come ad esempio faceva il suo primo biografo, Luigi Diodati, questa ricostruzione fatta da Galiani delle origini storiche e intellettuali del suo libro può peccare insieme per eccesso e per difetto. Per eccesso, perché forse, data la posizione complessivamente critica da lui assunta verso Broggia, ne può uscire diminuito il senso del valore degli studi di queseultimo, dell'influenza che essi dovettero avere nelle riflessioni di quel circolo di studiosi di cose economiche che si raccoglieva appunto intorno all'Intieri, e ai quali peraltro, come al nostro stesso

XVIII

INTRODUZIONE

abate, il nome del Broggia non tornava troppo gradito per la loro fondamentale divergenza d'idee, e forse, a causa della disgrazia in cui nel 1755 egli era incappato da parte di Carlo III e di Leopoldo Di Gregorio marchese di Squillace, non sembrava onorevole a mettere in evidenza. Per difetto, perché neppure Galiani, in quel breve tratto autobiografico di trent'anni dopo, poteva aver piena consapevolezza di alcune linee distintive, caratterizzanti, del suo saggio rispetto ai precedenti e contemporanei lavori sull'argomento. Basta ancora leggere il Diodati per avvertire come fosse difficile ai contemporanei, almeno al superficiale biografo che scrive nell'anno stesso della morte di Galiani, valutare più in profondità il significato della problematica economico-finanziaria che il Della moneta avviava. Altro che, schivate le conseguenze dannose che la pubblicazione dello scherzoso componimento sul boia lannaccone avrebbe potuto provocargli da parte dell'avvocato Giovanni Antonio Sergio, presidente dell'Accademia presa in giro da Galiani, pensare «di acquistarsi nel mondo letterario un'idea più nobile e vantaggiosa»! In realtà è attraverso libri come il Della moneta che, più o meno consapevolmente, i nostri intellettuali del Settecento rompono le barriere di provincialismo, di gretta tradizione erudito-letteraria, cominciano a rivoluzionare il proprio atteggiamento cultu. raie e civile, assumono una linea di condotta che, avvicinandoli ai philosophes i quali proprio negli anni cinquanta vanno dalla Francia imponendosi come protagonisti sulla scena non solo intellettuale ma politico-civile europea, tende a inserirli nelle strutture dello Stato, al vertice stesso della sua direzione, per un'opera di rinnovamento e di riforma. Se questo è il punto di vista essenziale per la comprensione e valutazione storica del Della moneta, può forse apparire meno significativa, anzi talora leggermente deformante la reale prospettiva storiografica, la ricerca dei precorrimenti che sul piano specifico delle teorie economiche il libro di Galiani può recare. Rapporti fra «rarità» e «utilità» come elementi del valore (Loria), sottolineatura delle caratteristiche del «valore d'uso» (Graziani), intuizione della «teoria della decrescenza della utilità dei beni» (Einaudi), soggettività «del rapporto di equivalenza fra la quantità di una merce e quella di un'altra merce>> e interdipendenza fra rarità della merce e consumo e quindi domanda (Schumpeter), e

INTRODUZIONE

XIX

via seguitando. Sono tutti aspetti realmente presenti nel saggio, sbalorditivamente originale e maturo, del ventitreenne abate napoletano, e aspetti dei quali non si può certo disconoscere il significato, se si vuole d'intuizioni precorritrici, nel processo di formazione di moderni concetti dell'economia e della scienza monetaria. Ma sul piano della specifica interpretazione storica val certo più guardare, anziché al futuro, a ciò che effettivamente il Della moneta nel suo insieme rappresentò nel contesto della sua epoca, nello svolgersi della cultura, delle idee e dei propositi di riforma nella vita economica degli Stati, del Settecento italiano ed europeo. Un colto corrispondente di Messina, il conte di Punghino, che in certi luoghi figura come il conte Toccoli (o anche, come egli stesso si firma, Toccolino de' Lapi), al quale Galiani aveva inviato negli anni quaranta alcune sue composizioni rimaste inedite, come quella sull'Anticristo o quella circa gli «errori commessi sull'opinione del Messia», ci dà un vivo esempio, nelle lettere inviate fra il 1750 e il 1751, del distacco in cui la cultura tradizionale doveva venire a trovarsi di fronte a un libro come il Della moneta. Richiesto da Galiani di un parere circa il valore, arbitrario o meno, e circa l'utilità e l'uso delle monete, il nobile amico in una prima lettera, del 7 dicembre 1750, sembrava venire incontro al corso dei pensieri del giovane autore. Al quesito se la moneta fosse da considerarsi una istituzione arbitraria o no, rispondeva, pur attraverso una discutibile escursione storica di un vichismo molto approssimativo, che le miniere d'oro e d'argento, per quanto casualmente scoperte dagli uomini, avevano ad essi offerto una merce di tale bellezza, comodità, ecc., che si era imposta come misura degli scambi: sicché «non è fuor di proposito il dire che sia stato nella sua prima istituzione un uso economico, in quanto serviva ali' economia della vita e del commercio». Ma poi, stretto dal Galiani a dare più preciso parere circa il valore e l'uso della moneta, il Punghino non mancava di ricadere in una dissertazione utopistico-moralistica, dove l'esaltazione settecentesca dello stato di natura, il mito della felicità dei popoli primitivi si congiungevano con motivi della tradizionale retorica cattolica, di apologia della povertà e del disdegno delle ricchezze, per approdare a una conclusione abissalmente distante dalla impostazione economica del problema della moneta: « Ma le monete non veggo a quale degli umani sensi posson recare giovamento, e qual virtù abbiano in sé stesse .••

xx

INTRODUZIONE

Il gusto, il tatto, l'udito, l'odorato, l'occhio, che gustano, che toccano, che odorano, che odono, che vedono, di grato, palpabile, odoroso, soave e vago, quando ad essi presenti si fanno le monete ? In sé stesse che valore hanno? Che uso potrebbe farne la medicina e tutta l'umana vita, se l'opinione del volgo non avesse attaccato ad esse un merito che in sé non hanno ?». Si era, con questa lettera, al 18 gennaio 1751, e il gran libro del nostro abate doveva uscire di lì a pochi mesi. Non c'è da meravigliarsi se la corrispondenza del Punghino non rechi più traccia di richieste o notizie di Galiani a proposito della moneta, fino a circa un anno dopo, quando il saggio galianeo ormai da tempo pubblicato è atteso anche dall'a... mico messinese, che fra l'altro cosi appare comunque uno dei pochi che conobbero fin dall'inizio chi ne fosse l'autore; e tuttavia il Toccoli, in una lettera del 7 febbraio 1752, mostra di non avere capito perché mai Galiani, fra tanti temi che aveva da trattare, e alcuni anche preso a studiare, abbia scelto poi proprio quello della moneta, per «porre alla gran luce del mondo un'opera, che apparecchiata con cosi grande apparato, come avete fatto voi, saria stata bastante occupazione per la lunghissima vita del più vecchio di quegli stessi antichi vostri Patriarchi, se di quelli il più dotto avesse avuto la menoma parte della vostra erudizione>>. Mentre il Toccoli era rimasto impigliato in un discorso moralistico, ostentando il disprezzo dei filosofi per la moneta, il cui valore era solo effetto dell1 opinione del «volgo », il Galiani si era dedicato seriamente allo studio scientifico dei requisiti della moneta sull'unico piano dove di essa occorre parlare, quello economico. Ma, come si è visto già dall'Avviso della edizione del 1780, solo un uomo di cultura tradizionalistica, angustamente letteraria e umanistica, come doveva essere il Punghino, poteva meravigliarsi del tema scelto da Galiani, a prescindere dalle inclinazioni fino allora manifestate da quest'ultimo nella sua attività intellettuale. Come nel suo bel volume sul Settecento riformatore Franco Venturi ci ha di recente illustrato, il Della moneta di Galiani è solo un pezzo di un vasto mosaico, una voce di quell'ampio « dibattito delle monete» che il 17 agosto 1751 Beltrame Cristiani diceva esser penetrato in tutta Italia come «una specie di fanatismo». Sicché, davvero, a considerarlo ancora in sé, immersi nelle led ira indubitablement nourrir rétranger, l'ennemi peut-etre de la nation, et les sujets du roi mourront de faim: de meme, si vous avez une terre sur une colline formée en pain de sucre et que vous ayez le bonheur d'avoir une source d'eau précisément sur le sommet, tout au milieu de votre terre, laissez-la courir librement, elle arrosera parfaitement votre champ. Si vous voyez qu'il s'en écoule hors de vos limites, soyez tranquille car ce qui en sort est un vrai superflu dont votre terre pleinement arrosée n'a plus aucun besoin. Mais si au contraire la fontaine est placée au bas de la colline sur le bord de votre terre, prenez-y garde; elle s'écoulera toujours suivant sa pente et jamais elle n'arrosera votre terre. Il vous faudra alors des chaussées, des écluses, des pompes pour corriger, pour forcer la nature et combattre son niveau. De meme si vous laissez aller librement le bled de Picardie, il ira en Fiandre, en Hollande, en Dannemarck, et partout où il peut aller par eau plutot que de remonter par un petit espace de transport de terre, puisqu'il n'y a pas de comparaison à faire entre les frais d'un transport maritime et ceux d'un transport par terre. Ainsi vous vous engagerez à nourrir la moitié de l'Europe aussi long-temps qu'elle demandera votre bled, avant que d'en avoir un septier pour donner aux provinces intérieures de votre royaume. LE MARQUIS

On vous reconnoit là. Votre comparaison est lumineuse et me fait entendre clairement le fond de la question; mais si l 'on creusoit un canal? LE CHEVALIER

Voilà précisément où je vous attendois. Vous voyez donc qu'un seul canal peut changer toute la police des bleds d'une province ou d'un royaume entier. Le grand Colbert faisoit des ordonnances et projetoit des canaux, des ports etc. Peut-etre attendoit-il l'achèvement de ses travaux pour changer ses ordonnances. Imitons le grand Colbert et ne le suivons pas. Imiter et suivre sont des choses très différentes, quoique bien des gens s,y méprennent. Faisons ce qu'une bonne tete comme celle du grand Colbert auroit fait aujourd'hui.

PREMIER DIALOGUE

373

LE MARQUIS

En vérité, mon cher Chevalier, vous me tenez dans des transes continuelles. Tantot je vous vois brouillé avec l'exportation. Tantot il me paroit que vous vous raccornrnodez avec elle; je ne puis deviner votre avis, et je tremble que vos idées ne soient pas conformes aux miennes, et que vous ne réussissiez à me prouver que e' est moi qui ai tort. LE CHEVALIER

Il n'y a que votre politesse qui puisse vous faire regarder comme une humiliation de n'etre pas du meme avis que moi. Je serois mieux fondé que vous à avoir la rneme alarme; mais pour nous guérir de ces peurs réciproques, dites-moi, avez-vous des idées qui soient les votres sur cette matière? LE MARQUIS

A vous dire le vrai je n' en ai pas que je puisse en conscience appeler miennes. Je n'y ai jamais réfléchi, je me suis contenté de lire tout ce qui a paro sur cette question et j'ai lu beaucoup à droite et à gauche; il m'a paro quelquefois qu'on me persuadoit; d'autres fois je n'ai pas trop bien compris ce que les auteurs vouloient dire, et fai cru que c'étoit ma faute. Ce n'est pasque je ne me sois aperçu de temps en temps d'une espèce de charlatanerie qui m'a donné de l'ombrage. Entr'autres dans un certain ouvrage où l'on affectoit un style populaire et bas; pour prouver que l'on étoit profond dans la matière, on y parloit un jargon tout-à-fait boulanger. L'auteur se faisoit un scrupule d'écrire autrement qu'en lettres italiques, non seulement les mots sacramentaux, mais les termes meme les plus usités, paùi bla11c, pain bis, pain de ménage, prix chers, petit-peuple, bo,zne récolte, liberté, mouture, boulangerie, approvisionnemens, achats, etc. Tout étoit en lettres italiques, comme si ces mots venoient des Indes et qu'on en fit pour la première fois l'importation en France.' Entr'autres . .. en France: probabilmente l'allusione posta in bocca al marchese si riferisce all'abate Nicolas Baudeau (1730-1792), e al suo scritto Avis au peup/e sttr so,i premier besoin, or, petits traités économiques sur le bled, la fari11e et le pain, pubblicato nelle « Ephémérides du citoyen » del 1768 in forma di tre trattatelli (cfr. tomo I, pp. 75-224, tomo 11, pp. 101-64, tomo 1v, pp. 85-22-i. e tomo v, pp. 98-158), dove effettivamente il fisiocrate, nella sua polemica a favore della libertà frumentaria, per demolire secolari prevenzioni diffuse fra i consumatori assumeva uno stile popolaresco e discettava su argomenti tecnici relativi alla produzione della farina e del 1.

374

DIALOGUES SUR LE COMMERCE DES BLEDS

Cette bigarrure ridicule me déplut; je n'achevai pas le livre, je vis que l'auteur vouloit m'en imposer par sa profonde érudition en boulangerie, tandis que je savois moi qu'il n'avoit jamais acheté une livre de pain dans sa vie. Voilà où j'en suis avec mes idées. LE CHEVALIER

Eh bien moi, Monsieur, je suis plus avancé que vous, car je n'ai rien lu du tout. }'ai réfléchi. J'ignore si d'autres ont écrit des réftexions semblables aux miennes, mais je suis porté à croire que toutes les tetes organisées comme la mienne les auront faites ou les feront. Ainsi si je vous les communiquois, je ne disputerois aucunement vos idées, puisque vous n'en avez point; mon discours seroit la lecture d'un livre de plus, et selon toute apparence celuici ne vaudroit guères mieux que les autres. LE MARQUIS

A tout hasard, commencez. LE CHEVALIER

Cela seroit trop long. LE MARQUIS

Il n'y a de long que ce qui est ennuyeux, et je vous promets que je ne m' ennuierai pas. LE CHEVALIER

Vous vous engagez beaucoup. Après le diner je croirois cela plus .vraisemblable, mais à présent ... LE MARQUIS

Nous avons encore du temps. Commencez, je vous en supplie. Un domestique entre et annonce qu' on a seroi. LE CHEVALIER

Ah, voici une bonne nouvelle qui me tire d 'embarras. Allons manger notre pain avant de décider s'il faut en accorder l'exportation. pane. L'A.vis fu poi pubblicato in opuscolo: Amsterdam e Paris, Hochereau le Jeune, I 768; e venne anche tradotto in italiano: Firenze, Stecchi e Pagani, 1768. Sul Baudeau vedi anche, in questo volume, la lettera di Galiani al d'Holbach del 7 aprile 1770, e la nota relativa.

PREMIER DIALOGUE

375

LE MARQUIS

Mon foible avis seroit de la défendre, quant à celui qui est sur la table. LE CHEVALIER

Et le mien aussi. LE MARQUIS

Donnez-vous la peine de passer. LE CHEVALIER

Vous le voulez, j'obéis. lls vont diner.

SECOND DIALOGUE

Après dt11er. LE MARQUIS

Nous voici à présent en état d'accorder l'exportation de tout le pain du monde, au moins jusqu'au souper. Ainsi nous pouvons en délibérer à notre aise. LE CHEVALIER

Comment est-il possible que la bonne chère que nous venons de faire ne nous ait pas chassé de la tete un triste discours de famine? Jouissons du présent, bannissons les idées sombres. Savezvous que la tristesse est tout-à-fait fàcheuse, et que vous y allez par le chemin le plus court? LE MARQUIS

Ce n'est pas tout-à-fait cela. Vous m'avez fait rever, ce qui ne m'arrive pas souvent, et je voudrois, si vous le trouvez bon, continuer le discours. LE CHEVALIER

Si c'est votre gout, j'y consens. LE MARQUIS

J'ai fait réflexion sur ce que vous avez dit, je vois à présent que vous ne tenez aucun compte de l'autorité des exemples, à moins qu'ils ne soient tirés de deux cas exactement semblables. Mais où trouver deux souverainetés qui se ressemblent? Vous ne respectez aucunement les systèmes des plus grands hommes d'~tat, par la meme raison, car il en est des siècles comme des souverainetés, aucuns ne se ressemblent. Les mreurs, les loix, les découvertes physiques, le canal du commerce, les combinaisons politiques, tout a changé, tout change et tout changera. Je n'ai pas osé vous demander ce que vous pensiez des ordonnances de police, des règlemens très nombreux que nous avons sur le seul fait des bleds, craignant toujours la meme réponse. LE CHEVALIER

Sans doute j'aurois toujours fait la meme réponse. Que si les ordonnances et les règlemens ont été faits, parce qu'ils se prati-

SECOND DIALOGUH

377

quoient ailleurs ou parce qu'ils s'étoient pratiqués autrefois, sans autre examen et sans autre motif; c'est un pur hasard si cela vaut quelque chose. Au reste je conviendrai que la plupart des anciens règlemens, lorsqu'ils ont été faits pour la première fois, étoient pleins de sagesse et de raison, parce qu'alors ils ont été faits selon le temps et les circonstances. LE MARQUIS

Oh que j'ai de plaisir à vous entendre parler ainsi! En vérité tous ces auteurs modernes traitent nos ancetres bien durement. A les en croire, on diroit qu'ils marchoient à quatre pattes. On répète à chaque ligne, ils ne connoissoient ni les vrais intérets de la nation, ni la balance du commerce, ni les principes de la bonne administration. 11s ne respectoient ni la probité, ni la liberté. En un mot ils les représentent à mes yeux comme une troupe de tyrans aveugles qui frappoient d'une barre de fer sur un troupeau d'esclaves stupides. Les plus doux et les plus réservés de ces écrivains se contentent de dire que nos bons ancetres étoient un peu betes. Ces propos m'ont toujours fait de la peine par mille bonnes raisons et surtout parce qu'il me paroit à moi incontestable que nous descendons de nos ancetres. LE CHEVALIER

Consolez-vous, Monsieur le Marquis. Ces loix étoient bonnes et vous descendcz de ceux qui les ont faites. Ceux qui les critiquent descendent peut-etre de ceux qui Ics critiquèrent lorsqu'elles parurent. L'histoire, le seul tableau qui nous reste des mteurs passées, nous est garant de la sagesse et de l'utilité d'un grand nombre de loix qui ne sont plus bonnes aujourd'hui, parce qu'elles ne sont plus à propos. Admirons la sagesse de nos pères et tachons de I'imiter en faisant ce qui convient ·à notre siècle. 1

L'l,istoire . .. siècle: contro ogni tentazione di vedere una superiorità •storicistica», di derivazione vichiana, in questa affc1mazione di Galiani, si ricordi, fra i molti esempi che si potrebbero citare, quello che aveva scritto Voltaire nelle Jdées républicainu (1765): «Quand les temps ont sensiblement changé, il y a des lois qu'il fnut changer ... Une loi somptuaire, qui est bonne dnns une république pauvre et destituée des arts, devient absurde quand la ville est devenue industrieuse et opulente» (cfr. atto

III,

dove Or-

TROISIEME DIALOGUB

411

Vous voyez enfin, mon cher Marquis, que la France ne peut pas etre la Hollande ni l'imiter. LE MARQUIS

Et moi je vois ... Savez-vous ce que je vois? Que vous riez sous cape de m'avoir fait rester comme un sot. LE CHEVALIER

Vous voyez mal. Je ne ris pas, je vous plains et ce n' est pas vous seul que je plains. Je plains des nations entières trompées par le zèle de quelques hommes très bien intentionnés qui avoient envie d'etre utiles et se trompoient eux-memes. C'est peut-etre d'après vos écrivains que vous imaginez qu'au moyen d'une liberté entière vous pourrez avoir en France comme en Hollande le bled toujours au meme prue, et ce projet n' est au fond autre chose que celui de mettre toute la France en ports de mer. LE MARQUIS

Chevalier, vous etes implacable contre mes bons écrivains; mais je ne veux pas me charger la conscience. Ce que j'ai dit étoit peut-etre de mon imagination. Peut-etre je les ai, ou mal lus, ou mal entendus; peut-etre ils disent autre chose. LE CHEVALIER

La délicatesse de votre conscience me donne la plus grande édification; mais elle ne di.minue en rien mes soupçons. Oui, la prospérité de la Hollande au milieu d'une liberté entière dans le commerce des bleds est la cause de l'erreur. On n'a fait au fond qu'une petite méprise. On n'a pas averti que les pays stériles n'ont pas de bled qui soit de leur criì, ainsi le bled est leur grande et principale dépense. La navigation et les manufactures leur fournissent le moyen de l'acheter, et ces moyens sont égaux dans toutes les années. Ainsi ils ont pris la dépense pour la recette et confondu le revenu avec l' entretien. Le bled est la richesse et le revenu de tous les habitans des pays fertiles et agricoles. Pour les Hollandois, il est au contraire l'objet le plus fort de dépense nécessaire. Leur revenu n,étant pas exposé aux vicissitudes des saisons, ils n,ont pas besoin de grande prévoyance pour faire marcher la dépense d'un pas constant et réglé. Mais lorsque le revenu est incertain,

412,

DIALOGUES SUR LE COMMERCE DES BLEDS

inégal, variable, il faut une grande prévoyance pour se mettre à rabri de l'indigence. Voulez-vous voir combien cela est vrai? Ces pays qui ne craignent point la famine, craignent infiniment la guerre, parce que la guerre seule troublant leur navigation et interrompant le débit de leurs manufactures, fait varier la recette et leur fait éprouver les horreurs de la misère; tandis que les pays fertiles ne craignent pas autant la guerre lorsqu'elle ne dévaste pas leurs campagnes; puisqu'au milieu de cette guerre ils peuvent avoir une année heureuse qui les rende très riches dans l'instant. LE MARQUIS

Vous croyez clone que mes écrivains ont pris la recette pour la dépense, et la dépense pour la recette ? LE CHEVALIER

Sans doute. LE MARQUIS

Cela s'appelle en bon françois prendre son cui pour ses chausses. Ils doivent à la fin s' etre trouvés diablement loin de leur comptet Mais, Chevalier, avec tout cela je ne les tiens encore ni eux ni moi pour battus; car si je montois sur notre grand cheval de bataille, je vous pousserois vivement et je ne sais pas trop comment vous vous en tireriez. LE CHEVALIER

Je ne vous dirai pasque vous ressembleriez au paladin Astolphe de l'Arioste dont la vaillance étoit dans l'Hipogriphe qu'il montoit; mais je vous demanderai quel est clone ce terrible cheval? LE MARQUIS

L' Angleterre. Ah, si je vous citois son exemple? .•• LE CHEVALIER

Dans les anciens temps vous auriez retiré peu d'honneur de combattre à cheval tandis que je suis à pied. J e ne suis monté sur rien que sur ma raison. Aussi je n'accepterai pas le défi; le combat seroit trop inégal. J e vous demande seulement en gràce de ne point parler de l'Angleterre et qu'il n'en soit jamais question dans notre discours.

TROISIEME DIALOGUB

41 3

LE MARQUIS

Ahi Vous avez peur, je le vois. LE CHEVALIER

J'ai peur de ne pas aller en France où vous voulez que j'arrive; j'ai peur ell.14.n d'embrouiller toutes vos idées plus encore, s'il est possible, que vos écrivains ne l' ont fait. LE MARQUIS

Si cela étoit, je laisserois là l'Angleterre à l'instant; mais je ne sens pas sur quoi votre crainte est fondée. LE CHEVALIER

Daignez faire une petite réflexion et vous verrez si j'ai tort. L' Angleterre est la machine la plus compliquée en politique qui soit à présent en Europe et qui ait peut-etre jamais existé dans le monde entier. Ce pays est à la fois agricole, manufacturier, guerrier, commerçant; il est, malgré son étendue, mis par la nature tout en ports de mer, comme nous disions en plaisantant qu'il faudroit mettre la France. Son gouvemement est le plus mixte, le plus artistement composé qu'il y ait jamais eu. Enfin m~urs, caractères, sol, climat, productions, rapports politiques, force, foiblesse, ressort, tout est particulier à ce pays différent du reste du monde et souvent unique en son genre. Comment étudier une matière en commençant par le plus difficile? Pour vous instruire du mécanisme des montres, commencerez-vous par celles qui sont à répétition et qui indiquent Ics secondes, les jours, les mois, la lune, etc. ? Jamais vous ne pourriez en prendre des idées claires, et vous finiriez par en savoir moins qu'auparavant. Plut à Dieu que vos écrivains n'eussent jamais ni connu, ni cité l'Angleterre, ils se seroient épargné quelques mauvais raisonnemens. 1 Au reste je ne crains Pltlt à Dieu • • . raison,iemens: in realtà i fisiocrati ebbero un atteggiamento piuttosto di diffidenza verso l'Inghilterra, la cui complessa struttura sociale ed economica e la cui libertà politica sembravano loro poco adatte a una legislazione di riforme economiche ispirate radicalmente all'«evidenza • (cfr. in proposito FRANCES AcOMB, Anglopliobia in France, I763-x789, Durham, Duke University Press, 1950, pp. 42-5). Peraltro l'atteggiamento degli «economisti,, non fu esente da oscillazioni in proposito. Lo stesso marchese di Mirabeau che nell'.An1i des hommes aveva criticato le «chimere• 1.

414

DIALOGUES SUR LE COMMERCE DES BLEDS

point d,en parler; fai passé dans ce pays un temps considérable, je crois l,avoir assez bien étudié et assez bien vu; mais je vous réserve ce discours pour le dernier de tous; alors sans me démentir sur au-cun point de ce que je vous ai est en substance qu'un tour de prestesse de main; prévoir et prévenir. Le plus alerte est celui qui seul peut tirer parti de la disette d'argent dans un pays, et de la surabondance dans un autre; il faut savoir, prévoir et .... LE MARQUIS

Chevalier, en grace ne m'en parlez pas. LE CHEV ALIER

Eh bien, voyez combien je suis honnete homme, je ne veux pas agir en juif avec vous; je vous fais remise du change et je parlerai au pair dorénavant; mais ce n' est pas un petit bénéfice que je vous sacrifie là. LE MARQUIS

Je le sens bien, et je vous en suis infiniment obligé. Pour vous en donner une preuve, d'abord j'abandonne une difficulté qui m'étoit survenue et que je ne vous ferai point. LE CHEVALIER

Vos procédés sont dignes de vous. Vous n'etes jamais en reste de bienfaits avec personne; mais pour me faire connottre toute l'étendue de mes obligations, indiquez-la moi en deux mots, et vous me tiendrez quitte d'y satisfaire. LE MARQUIS

Oh rien .•. c'étoit une bagatelle .•. LE CHEVALIER

Mais au moins ••• LE MARQUIS

Ahi si vous l'exigez absolument, la voici. Vous avez attribué à l'esprit économique, frugai, éloigné de toute espèce de luxe, des nations industrieuses et stériles, la prospérité des manufactures, malgré les vivres plus chers chez elles qu'ils ne le sont communément dans les pays fertiles et agricoles.

QUATRIEME DIALOGUE

LE CHBV ALIER

Je l'ai dit. LE MARQUIS

Or je vous avouerai que faperçois bien une différence considérable dans le luxe entre les grands seigneurs et meme les gens aisés de l'un et de l'autre pays. Mais dans le bas peuple,'dans les artisans, les marchands de boutique, fabriquans, je n'aperçois point chez nous un plus grand luxe; au contraire si on examinoit bien de près, je crois qu'on trouveroit que cette classe est plus sujette chez nous à tirer, comme on dit, le diable par la queue. Ainsi je ne vois pas ce que le luxe peut faire de différence en cela. LE CHEV ALIER

Vous avez donc oublié tous les synonimes du luxe? LE MARQUIS

Ah, cela est vrai; je m'en souviens à présent, j'ai tort; je suis honteux de vous avoir voulu faire remise d'un effet sans valeur. LE CHEVALIEB

Ma reconnoissance n'en est pas moins grande. Enfin je venois de vous indiquer un synonime du luxe si étrange et auquel vous étiez si peu accoutumé, qu'il n'est point extraordinaire que vous l'ayez oublié. LE MARQUIS

Ce sourire ironique qui vous échappe, fait un peu de tort à votre générosité; mais je suis bien aise de vous dire que ces marécages de la Hollande ne me conviennent point du tout; plus j'y reste, plus cela va mal; voudriez-vous m'en tirer? LE CHEVALIER

Comme il vous plaira. LE MARQUIS

Que j'en suis aisel Nous irons enfin en France. LE CHEVALIER

En droiture ?

426

DIALOGUES SUR LE COMMERCE DES BLEDS LE MARQUIS

Pourquoi non? LE CHEVALIER

Il faudroit nous embarquer, je crains la mer, prenons le chemin de terre. LE MARQUIS

Pourvu que nous partions. LE CHEV ALIER

Nous passerons par la Fiandre; il seroit bon de nous y arreter un peu. LE MARQUIS

Mais quelle rage avez-vous de me promener ainsi de pays en pays sans me faire jamais arriverà Paris? Voulez-vous que je vous dise vrai? J e soupçonne en cela un peu de pusillanimité. Vous craignez la France et vous voulez éviter d'en parler. LE CHEVALIER

Craindre I et quoi? LE MARQUIS

Que sais-je? Je vois que vous me promenez de république en république pour parler avec liberté ..• LE CHEVALIER

Combien vous etes dans l'erreurl Je ne serai rassuré sur la jouissance de la liberté que lorsque je serai en France. Les républiques accordent ce qu'elles appellent liberté aux étrangers par un bas motif d'intéret; elles veulent se peupler, mais au fond elles ont l'esprit mesquin, concentré, soupçonneux, hargneux; et si la corruption y pénètre une fois, elles sont persécutrices. Mais les grands empires ont un repos naturel, fondé sur la grandeur de leurs forces et la majesté du mépris. Cela est bien autrement rassurant. LE MARQUIS

Pourquoi donc rester en Fiandre?

QUATRIEME DIALOGUE

427

LE CHEV ALIER

Parce que j'y ai affaire. II faut voir à présent un pays agricole, fertile, qui produise du bled pour lui et pour les autres; et meme, si vous le trouvez bon, nous n'examinerons point la Fiandre et nous prendrons pour sujet de notre examen un pays tel que la Sardaigne ou la Sicile, c'est à dire un pays purement cultivateur. Il y a trop de manufactures en Fiandre; elles troubleroient nos recherches. LE MARQUIS

Cela seroit fort bon, j'en conviens; mais je commence à m'impatienter. J e suis vif et je veux aller au fait. LE CHEV ALIER

Monsieur le Marquis, vous m'avez soupçonné d'une malice que je n'avois pas, et vous ne vous doutez pas de celle que peut-etre j'ai. Vous etes comme un jeune homme qui ayant commandé une montre à un horloger va tous les jours presser l'ouvrage. Il le trouve occupé tantot à dresser une roue, tantot à polir un ressort et il s'impatiente; il ne s'aperçoit pas qu'il fait la montre. Les pièces une fois faites, on n'a qu'à la monter, et l'ouvrage se trouve achevé. LE MARQUIS

Diantrel vous etes si fin que cela? m'auriez-vous parlé de la France sans que j'y eusse pris garde? LE CHEVALIER

Je n'en sais rien; c'est à vous à vous en apercevoir; Je vais toujours mon train. LE MARQUIS

Sans m' en avertir? LE CHBV ALIER

Sans vous en avertir. LE MARQUIS

Cela est ma foi trop méchant. Comment voulez-vous que je me ressouvienne de tout ce que vous m'avez dit?

428

DIALOGUES SUR LE COMMERCE DES BLEDS LE CHEV ALIER

Allons, tranquillisez-vous; lorsque nous monterons les pièces, je vous en ferai ressouvenir. LE MARQUIS

Vous serez charmant; en revanche je ne serai plus impatient. Parlez-moi de la Fiandre, parlez-moi de la Sicile, parlez-moi de la Laponie, si vous voulez; je vous écouterai d'autant plus volontiers qu'en m'entretenant des pays agricoles, je vois d'abord que vous vous rapprochez de nous, et puis j' espère que vous en viendrez enfin à ce que j'attends avec tant d'impatience. LE CHEVALIER

Qu' est-ce donc? LE MARQUIS

L'exportation. Vous m'avez parlé jusqu'à présent des villes sans territoire et des pays stériles où il ne peut y avoir d' exportation proprement dite. La sortie des bleds n'y est qu'un transport d'un Iieu d'entrepot à sa destination, ou n'est tout au plus qu'un superfiu qu'on renvoie; età vous dire vrai, puisqu'il faut tout vous dire, je crains que vous ne l'ayez fait exprès. LE CHEVALIER

Vous me soupçonnez toujours de malice et je vous ai assuré que je n'en avois point avec vous. Qu'est-ce donc que j'ai fait exprès? LE MARQUIS

Évité de parler de la grande loi d' exportation que nous avons faite en mil sept cent soixante-quatre1 et qui est aujourd'hui l'Hélène de notre Troyes, le sujet de la dispute; c'est là-dessus que je voudrois. vous entendre. LE CHEVALIER

Ce n'est que cela? LE MARQUIS

Et oui, cela me tient à cceur. En deux mots, la trouvez-vous bonne ou mauvaise cette loi? 1.

Évité . .. quatre: cfr. la nota a p. 367.

QUATRIEMB DIALOGUB LE CHEVALIER

Que ne parliez-vous plus tot? Toutes affaires ccssantes, je vous en aurois dit mon sentiment. LE MARQUIS

Ah, vous me délivrerez d'un grand poids, et puis nous causerons à notre aise de tout ce que vous voudrez. LE CHEVALIER

Comptez sur le désir que j'ai de vous plaire. Mais à propos, Marquis, qu'avez-vous fait de ce superbe habit brodé en paillettes que vous aviez? LE MARQUIS

Je vois ce que c'est. Vous n'avez surement pas envie de m'impatienter, ainsi entendons-nous. Si vous avez des difficultés à vous expliquer sur la loi de l'exportation et que vous trouviez ma demande indiscrète, laissons ce discours et parlons de toute autre chose. LE CHEVALIER

Des difficultésl et pourquoi en aurois-je? LE MARQUIS

Peut-etre des égards •.. des considérations ... Vous comptez beaucoup de gens en piace au nombre de vos amis ... Au reste, vous auriez tort de craindre; nous sommes entre nous, vous pouvez tout dire. Vous etes ici en s0.reté. LE CHEVALIER

lei et partout. On ne pourra jamais me persuader qu'il ne soit pas permis de dire qu 'une loi est mauvaise, dans un pays où on a envie d'en faire de bonnes. Si cette envie n'existoit pas, je ne dirois rien sur celles qu'on va faire et je trouverois bonnes toutes celles qu'on a faites, parce qu'elles sont faites. Mais sous un gouvernement doux, auprès de magistrats qui veulent le bien, qui le cherchent et l'adoptent, je crois que tout homme peut, je dis meme que tout homme doit parler. Et vos écrivains n'ont-ils pas dit que les vieilles loix étoient mauvaises? est-ce qu'elles n'étoient pas émanées de la puissance souveraine? Otez de votre tete toute idée

430

DIALOGUES SUR LE COMMERCE DES BLEDS

d'incertitude, je vous dirai assurément tout ce que je pense. Mais votre habit qu'est-il devenu? Il étoit superbe; un peu trop jeune pour vous, mais de bon gout. LE MARQUIS

Ce n'est donc qu'une simple envie de me faire enrager? Mon habit, je le garde. LE CHEV ALIER

Je croyois que vous l'aviez ou vendu ou donné. LE MARQUIS

Je ne vends point mes habits; et je n'ai point donné celui-ci; je ne l'ai mis que quatre fois tout au plus. LE CHEV ALIER

Mais il ne vous sert de rien; nous avons un deuil de Cour. LB MARQUIS

Quel diable de proposi Le deuil va finir et je compte m'en faire honneur au premier jour de l' an dans mes visites. LE CHEV ALIER

Vous ne regardez donc pas comme superflu quelque chose dont vous comptez vous servir. LE MARQUIS

Non assurément. LE CHEVALIER

Mais voyez combien vous etes mauvais calculateur; vous qui voulez apprendre l'économie politique; il falloit le vendre au commencement du deuil, vous servir de l' argent et ensuite en acheter un autre. LE MARQUIS

Je ne fais pas de ces marchés-là; quand on veut les vendre on n'en retire rien, mais rien vous dis-je. LE CHEVALIER

Les fripiers sont donc bien usuriers?

QUATRIEME DIALOGUE

43 1

LE MARQUIS

Quarante fois plus juifs que les juifs. C'est une ligue entre eux; il n'y a pas moyen de s'en tirer. Le premier y met un prue, vous en appelleriez cent ensuite qu'ils mettroient tous au rabais. C'est au moins ce que mes gens m'ont dit. LE CHEVALIER

Je sais cela. Mais vous ne faites donc jamais de réforme dans votre garde-robe ? LE MARQUIS

Chevalier, plaisanterie à part, avez-vous entrepris d'écrire les chroniques de ma garde-robe? LE CHEVALIER

A-peu-près. LE MARQUIS

Écrivez donc que je donne quelquefois de mes habits à mes valets de chambre. LE CHEV ALIER

Des habits neufs ? LE MARQUIS

Je ne suis pas si magnifique. Je leur laisse ceux dont je ne compte plus me servir. LE CHEVALIER

Parce qu'ils sont fort usés. LE MARQUIS

Parce que ... Parce que ... Parce qu'ils me sont inutiles; ils en font ce qu'ils veulent et ils savent en tirer parti. LE CHEVALIER

Et si les vers s'y mettent avant qu'ils soient usés? LE MARQUIS

Oh pour ceux-là, je vous avoue que je les donne bien à regret.

432

DIALOGUES SUR LE COMMERCE DES BLEDS LE CHEVALIER

Eh pourquoi? LE MARQUIS

Ceci est une affaire de politique relative à mes principes; parce qu'il me paroit que c'est récompenser leur fainéantise et leur négligence, car c'est leur faute si les vers s'y sont mis; s'ils en avoient eu soin, cela ne seroit pas arrivé; ma garde-robe est bien construite, elle est exposée au nord; il n'y ani poele ni cheminée qui en approche; aussi je les gronde, mais je les gronde très fort; je menace de les renvoyer, ce que je n'ai cependant jamais fait. LE CHEVALIER

Et enfin vous leur donnez ces habits ? LE MARQUIS

Eh sans doute, que voulez-vous faire? ... Ah ça, etes-vous satisfait? LE CHEVALIER

Avez-vous beaucoup d'habits? LE MARQUIS

Oui, j'en ai plus qu'il ne m'en faut. J'aime à en changer souvent. C'est un gout de jeunesse, me direz-vous; mais je vous avouerai que je vieillis à regret. LE CHEV ALIER

Vous n' etes pas le seul. Ainsi nous le verrons cet ha bit brodé. LE MARQUIS

En avez-vous encore pour long-temps de ce chien d'interrogatoire qui me désespère ? LE CHEVALIER

Oh non, cela est fini. J'ai su tout ce que je voulois savoir. LE MARQUIS

Dieu soit loué. C'est donc à mon tour à présent d'interroger? LE CHEVALIER

Oui.

QUATRIEME DIALOGUE

433

LE MARQUIS

Cet édit de mil sept cent soixante-quatre sur la libre exportation, le trouvez-vous bon ou mauvais? LE CHEVALIER

Je suis en tout de votre avis. LE MARQUIS

Autre espèce de torture. Mais si je n'ai aucun avis? Si je n'y ai jamais réfléchi? LE CHEVALIER

Pardonnez-moi, vous venez de nous le dire. LE MARQUIS

Moi? LE CHEVALIER

Vous nous avez dit que vous ne regardiez pas comme superflu ce qui pouvoit vous servir encore. Que vous ne regardiez com.me tel, que ce qui ne devoit pas vous etre nécessaire selon le cours régulier des probabilités humaines. Vous nous avez dit que c'étoit un très mauvais marché que de vendre un effet inutile pour l'instant et de le racheter peu de temps après; qu'il falloit se garer des gens qui n'achètent que pour revendre et qui ne vendent que pour acheter; qu'il y avoit une ligue entr'eux, pour acheter toujours au plus bas prix et vendre toujours au plus haut prix possible; qu'il valoit mieux garder ses effets; que si l'on vous disoit que l'effet en question n'est pas de garde, qu'il segate, que les vers s'y mettent, vous attribueriez ce déchet à la négligence et au défaut de soin des gardiens plutot qu'à la nature, surtout ayant pris les précautions nécessaires dans la construction de l'édi.fice destiné à la conservation de ces effets, et que vous ne voudriez pas récompenser cette négligence et I' encourager; que vous voudriez meme la punir, quoique à la fin il falloit bien se résoudre à tirer d'un effet un profit quelconque plutot que de le laisser gAter entièrement. Vous avez dit en outre que vous aimiez à jouir d'une sorte d'abondance plutot que de vous réduire au plus précis nécessaire; que e' est un gout en vous qui tient à la magnificence sans approcher de la folie, et que c'est une espèce d'habitude qui pourtant vous fait plaisir 28

434

DIALOGUES SUR LE COMMERCE DES BLEDS

et que vous quitteriez à regret. Vous avez donc tout dit, et il ne me reste qu'à souscrire à vos sages décisions. Voyez si la loi de 64 s'accorde avec vous ou si elle y est diamétralement opposée, et . Jugez. LE MARQUIS

Ah le traitrel se cacher dans ma garde-robel C'est un guet-àpend; un guet-à-pend dans les formes. Se glisser tout doucement chez moi sous prétexte de voir mes habits, et puis sans que je m'en aperçoive, faire ensorte que ce soit moi qui aie critiqué une loi dont je n'ai jamais voulu parlerl A-t-on jamais vue une pareille perfidie? LE CHEVALIER

C'est votre faute, vous m'avez inspiré des frayeurs, des égards, des considérations que je n'avois pas. J'ai cherché à avoir des complices. A présent si on m'accuse d'avoir blamé la loi, je dirai que c'est vous. LE MARQUIS

Moi? Je n'ai rien dit. C'est vous qui me l'avez fait dire. LE CHEVALIER

N'importe, vous n'en serez pas moins coupable. LE MARQUIS

Tout ceci est une plaisanterie. Mais sérieusement, Monsieur le Chevalier,je suis au désespoir. Je croyois l'édit de 64 bon, excellent. Toutes les brochures qui l'ont précédé et suivi m'en avoient persuadé; mon C. 2 Sono parole da cui risulta con chiarezza come Galiani si ponesse il problema dell'educazione come problema dell'inserimento in una società accettata nel suo immutabile ordinamento gerarchico. L'educazione si configurava, diversamente da quanto accade nel Dialogue sur les femmes, ma con esiti analoghi, come intervento cosciente e volontario volto ad imbrigliare ed amputare le inclinazioni del fanciullo, al fine di allontanare, attraverso l'abitudine all'obbedienza e alla subordinazione, ogni pericolo di sovversione. Se nei philosophes c'è una concezione della natura umana come qualcosa di assoluto e di statico, da attingere al di là dei rivolgimenti e degli accidenti della storia, e se tale natura ha, per contro, delle precise connotazioni storiche in quanto su di essa si proiettano esigenze ed aspirazioni che scaturiscono da una circostanziata realtà, Galiani, in luogo di assolutizzare esigenze riformatrici, assolutizza lo Prefazione a F. GALIANI, Dialogo sulle donne e altri scritti, Milano, Feltrinelli, 1957 1 p. XI. Lo stesso Cases ha giustamente richiamato l'attenzione anche sull'apologo galianeo del cuculo e dell'usignolo, riferito da Diderot nella lettera a Sophie Volland del 20 ottobre 1760 (cfr. ivi, pp. XI e 95-8). Per altri accenni polemici a Rousseau cfr. le lettere alla d'Épinay del 3 aprile 1773, in P.-M., II, pp. 191-2, e del 25 maggio 1771, più avanti in questo volume. Una battuta antirousseauiana è anche nello stesso Dialogru: cfr. qui, p. 641. 2. La lettera è riprodotta più avanti in questo volume. 1.

C.

CASES,

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CROQUIS D•UN DIALOGUE SUR LES FEMMES

statu quo, facendo assurgere il dato empirico e contingente ad istinto immutabile e a necessità strettamente vincolante. Non diremmo, quindi, che egli - come parve al Croce - vada concettualmente oltre i philosophes, proponendo una più matura visione della storia umana. Quel che si manifesta nelle sue riflessioni e valutazioni è non già il presunto superamento di un'altrettanto presunta astrattezza dei philosophes, quanto un partito preso politico, coerente con tutto l'atteggiamento di Galiani dai Dialogues in poi. Questo partito preso politico va colto appWlto in quanto tale, e nella sua specifica dimensione conservatrice, senza lasciarsi fuorviare dall'atteggiamento disinteressatamente speculativo nei confronti della storia che qui Galiani, a guisa di un Vico minore - ironico e sogghignante - sembra assumere. Per Galiani, l'unica «partie d'éducation qui n'est point instinct, qui ne tient point à la nature » è la religione: ,, nous la devons en entier à l'éducation ,,_ Elemento essenziale di differenziazione rispetto agli animali, la religione, intesa come «croyance d'Wl etre invisible », non deriva dall'istinto come «le moral, la justice, la vertu, le sentiment». Scrive l'abate: «j'oserai soutenir contre tout avénant que tout ce qui distingue l'homme de la bete est un effet de la religion: société, politique, gouvemement, luxe, inégalité des conditions, beaux arts etc. Tout nous le devons à cette caractéristique de notre espèce •. 1 Non completamente chiara, ci sembra, è questa influenza decisiva in campo sociale, politico, culturale ecc. che Galiani attribuisce qui alla religione. Non aveva egli forse detto precedentemente che dispotismo, monarchia e repubblica si realizzano grazie ad un'educazione impartita per istinto? Non aveva forse sottolineato l'indipendenza dalla religione della morale, della virtù e del sentimento? e non aveva, 1. Il discorso di Galiani sulla religione andrebbe esaminato più a fondo alla luce, soprattutto, del saporoso dialoghetto Cela revie11t to11jo11rs au mhne, occasionato dalla lettura del Système de la nature di d'Holbach (cfr. F. NICOLINI, Amici e co"ispondenti francesi. dell'abate Galiat1i, cit., pp. 206u, e Il pensiero dell'abate Galiani. Antologia dei suoi scritti editi ed foediti, con un saggio bibliografico, a cura di F. Nicolini, Bari, Laterza, 1909, pp. 253-8), e della dissertazione sul cristianesimo e la Chiesa, che riproduce una conversazione tra Grimm, Diderot e Galiani, alle opinioni del quale ultimo Grimm, ad un certo punto, fa esplicito riferimento. La dissertazione fu inserita nella Co"espondance littéraire, VI, novembre-dicembre 1764, pp. 101-10, u5-2,3 e 127-31. Parzialmente riprodotta dal Nicolini nella citata antologia Il pensiero dell'abate Galiani, pp. 268-87, è stata tradotta, con l'omissione di qualche passo, dal Cases in F. GALIANI, Dialogo s11II« donne ecc., cit., pp. 70-93. Si tengano altresl presenti l'apologo dei dés piph (sul quale cfr. in questo volume la lettera alla d'Épinay del 2,7 gennaio 1770) e gli accenni nei Doveri de' pri11cipi neutrali, qui a pp. 663-4.

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dunque, implicitamente riconosciuto che non nella religione dcv' essere cercato il principio costitutivo della società, delle forme statali, della vita spirituale? Galiani sottolinea giustamente il ruolo sociale della religione, ma, probabilmente per la volontà di condurre fino alle estreme conseguenze ·la polemica contro taluni motivi del pensiero dei philosophes (la religione intesa come impostura e come opera della Jourberie di caste dominanti), è indotto ad accentuare la funzione storicamente positiva della religione stessa. La quale, poi, è considerata come origine e garante di quell'assetto politico-sociale cui Galiani è attaccato e il cui carattere fondamentale è quella «inégalité des conditions » che egli intende mantenere e rafforzare, come dimostra la prospettiva da lui adottata nella polemica antifisiocratica delle sue lettere post reditum. Cosi, essere «animai religieux », cioè • homme », significa accettare lo statu quo, il qui e ora che esclude ogni tensione riformatrice; sl che la battuta contro Rousseau, la quale riecheggia un analogo giudizio di Voltaire (« Il préfère de marcher à qua tre pattes ; c'est son godt »), 1 si configura non tanto come opzione a favore della «socialità,, contro una presunta asocialità vagheggiata dal ginevrino, quanto come opzione a favore di una società data, con elementi dati. Anche il richiamo alla religione tradisce pertanto quell'atteggiamento conservatore che già abbiamo segnalato. Più che l'aspetto vichiano sottolineato dal Croce/' va evidenziata, in queste riflessioni galianee sulla religione, la matrice politica, alla luce della quale l'atteggiamento antirousseauiano, indubbiamente condiviso dal parti philosophique, si scinde dalla lotta per le lumières condotta dai philosoplzes per assumere i tratti di un'allarmata e misoneistica difesa di ciò che è. Movendo dalla meditazione sulle femmes, Galiani è venuto ampliando il suo discorso in una vera e propria ricapitolazione del suo credo politico e, si può ben dire, della sua visione della vita e della storia. Dopo i fermenti degli anni parigini, sono all'ordine del giorno l'accettazione in toto della realtà storicamente data e l'irrisione dei sogni di rinnovamento. Tradizionalmente considerato come divertissen,ent di un ingegno acuto e bizzarro, il Dialogue ntr les f emmes è invece un momento essenziale della meditazione galianea degli anni dell'«esilio napoletano». Al fondo di esso sta lo stesso atteggiamento che ispira la polemica contro gli économistes «sovversivi », contro I' Histoire philosophique di Raynal, contro l'Émile e il Contrat social di Rousseau, contro tutti coloro che si agitano per riformare, 1. Anche nella commedia Les philosopl,es (176o), del reazionario Charles Palissot, Rousseau era raffigurato in un personaggio che entrava in scena carponi. 2. B. CROCE, Una lettera inedita della signora d'2pinay ecc., cit., p. 134.

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cambiare, innovare: è quel «machiavélisme pur, sans mélange, cru, vert, dans toute sa force, dans toute son apreté » che Galiani opponeva all'umanitarismo dell'« homme de bien » Raynal. 1 La razionalità del reale («On est ce qu'on doit etre»), che l'abate napoletano fa valere contro il mito dello stato di natura, si risolve in arcigna e sconsolata difesa dell'ordine costituito: il mondo vada come deve andare, e «peste soit du prochain ».2 Il testo che pubblichiamo è esemplato su una copia manoscritta esistente alla B.S.N.S.P., xxx, C. 12, pp. 212-8. Abbiamo conservato il titolo Croquis d'un dialogue sur les f emmes, che figura in tale copia e che fu ripreso da Grimm, il quale trascrisse di sua mano il dialogo galianeo nella Correspondance littéraire (cfr. infra). Lo stesso titolo è stato adottato da F. Nicolini per la sua edizione del dialogo in Il pensiero dell'abate Galiani, cit., pp. 258-67. L'edizione nicoliniana è stata condotta sul citato apografo della B.S.N.S.P.; abbiamo effettuato la collazione con il testo offerto dal Nicolini, il quale è intervenuto spesso, e non sempre con motivi fondati, sulla grafia e sulla punteggiatura. I nostri interventi sono ridotti al minimo, nell'intento di rispettare il più possibile la stesura galianea, con il suo francese imperfetto e talvolta approssimativo. Spedito alla d'Épinay come allegato alla lettera dell' 11 aprile 1772, il Dialogue sur les femmes rimase, per allora, inedito. Sulle ragioni che indussero la d'Épinay a sconsigliarne la pubblicazione cfr. soprattutto le lettere della stessa a Galiani del 10 ottobre e 30 novembre 1772 (in La si.gnora d'Épinay ecc., cit., pp. 293 e 301-2) e le risposte di Galiani, che dava all'amica francese carta bianca circa la pubblicazione o meno, in data 30 ottobre e 19 dicembre 1772 (P.-M., II, pp. 133-4 e 152). Inserito da Grimm nella Correspondance littéraire alla data 15 maggio 1772, 1x, pp. 498-505), ma rimasto inedito, poiché la Correspondance non era, com'è noto, destinata alla pubblicazione, il Dialogue apparve per la prima volta nel «Journal des gens du monde», II (1784), pp. 65-83. Nel 1789 fu inserito nell'opera miscellanea in 2 volumi Tablettes d'un curiettx, ou Variétés historiques, littéraires et mora/es, Bruxelles, Dujardin-Paris, Defer de Maisonneuve, 1789, 1, pp. 1-22. Nel 1796 fu ristampato a Parigi in Opuscules philosophiques et littéraires, a cura di J .-S. Bourlet de Vauxcelles e J .-B. Suard, pp. 169-85. Presente in tutte le edizioni della« corrispondenza francese» di Galiani, ebbe una ristampa in A.-J .-P. DB I. Cfr. la lettera alla d'Épinay del 5 settembre 1772, più avanti in questo volume. 2. Cfr., più avanti in questo volume, la lettera alla d'Épinoy del 2 gennaio 1773.

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Histoire d'un épingle, suivie du Dialogue sur les /emmes par l'abbé Galiani, Paris, Sandré, 1852. Il testo è amputato delle battute conclusive (quelle che seguono la battuta dello chevalier «C'est .•. lui») nell'edizione Dentu della corrispondenza, Paris 1818, II, p. 346, e in quella a cura di E. Asse, Paris, Charpentier, 1881, n, p. 388. Lo stesso dicasi per il testo riprodotto dal Vauxcelles nei citati Opu.scules. Il testo che si legge nella Correspondance littéraire e nell'epistolario a cura di Perey e Maugras, 11, pp. 50-62 è ampliato nella parte conclusiva rispetto al testo dell'apografo. Stesso ampliamento nell'edizione Treuttel et Wilrtz, Paris 1818, 1, pp. c1-c11, dove però, rispetto alla Correspondance littéraire e all'edizione Perey e Maugras, il Dialogue si conclude con una battuta del marquis che suona: « Il faut s'amuser de quelque chose. Adieu, au revoir ». Manca dunque la battuta dello clzevalier «Adieu, joie de mon creur » (lo stesso nelle citate Tablettes d'un curieux, I, p. 22). Inoltre la seconda parte della citata battuta del marquis è, in Correspondance e in P.-M., «adieu, adieu encore n (cfr. qui la nota 3 a pp. 641-2). Ricordiamo che nell'edizione Perey e Maugras il Dialogue è stato pubblicato non come opera a parte, ma come allegato, quale esso era effettivamente, alla lettera alla d'Épinay dell' 1 I aprile 1772. Una traduzione italiana uscì a Napoli, presso il Seguin, nel 1825: Le donne. Dialogo. Li.bera traduzione dal francese di M.D. U., in Opuscoli editi ed inediti dell'abate F. GALIANI. Gli scritti galianei pubblicati in questa raccolta hanno ognuno una numerazione propria. Il traduttore di Le donne è Michele D'Urso. Concordiamo con il Nicolini nel ritenere «una svista n la segnalazione, fatta dal Castaldi, di un'edizione napoletana del Dialogue nel 1778 (cfr. l'antologia curata da F. Nicolini, Il pensiero dell'abate Galiani, cit., p. 411); di tale edizione, infatti, non esiste traccia alcuna. Due traduzioni italiane, con-dotte sul testo dell'edizione Nicolini, si leggono in F. GALIANI, Dialogo n,lle donne e altri scritti, a cura di M. Calcagni, Roma, Palombi, 1944, pp. 23-37, e in F. GALIANI, Dialogo sulle donne e altri scritti, a cura di C. Cases, cit., pp. 1-9. Il testo dell'edizione Nicolini è ri-prodotto anche in Le più belle pagine di F. GALIANI, scelte da F. Flora, Milano, Treves, 1927, pp. 24-32. Numerose sono le varianti che, rispetto all'apografo, presentano tutti i testi - identici, tranne poche varianti di scarsa importanza e tranne le già segnalate diversità nella parte conclusiva - pubblicati prima dell'edizione Nicolini (qui di seguito ci riferiremo al testo edito da Perey e Maugras). In realtà, c'è stato un vero e proprio rimaneggiamento, dovuto forse a Grimm (ma non sono da escludersi interventi di Diderot e della d'Épinay), il quale s'incaricò di trascrivere « de sa main baronique » (come ci informa la d'Épinay nella letSÉGUR,

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tera a Galiani del 16 maggio 1772, in La signora d'Épinay ecc., cit., p. 26 I) il Dialogue n,r les femnzes, «illisible », come scriveva la d'Épinay il 2 maggio 1772 (ivi, p. 260), a causa del pessimo francese dello «scribe » di Galiani (o di Galiani stesso?). Se le modificazioni più vistose riguardano la parte finale, che risulta, rispetto alla copia manoscritta, ampliata e manipolata, anche altrove ci sono aggiunte, sostituzioni e soppressioni. Questi interventi non sono tali da alterare la sostanza dello scritto galianeo, ma talvolta sviluppano fino al paradosso il pensiero dell'abate. È il caso della battuta dello clievalier a p. 216 dell'apografo (qui a p. 640), la quale suona: « La nature ne nous en donne [della religione] aucun instinct; elle n'appartient à aucune classe d'animaux, nous la devons en entier à l'éducation; et c'est bien elle toute seule qui distingue l'homme de la bete. La religion fait notre caractéristique. Au lieu de dire l'homme est un animai raisonnable, il falloit dire l'homme est un animai religieux. Tous les animaux sont raisonnables, l'homme seul est religieux. Le moral, la justice, la vertu, le sentiment sont un instinct; la croyance d'un etre invisible ne l'est point ». In P .-M., II, pp. 58-9, leggiamo invece: « La nature ne nous en a donné aucune trace, aucun instinct; elle n'est absolument propre à aucune espèce d'animaux; c'est un présent que nous devons tout entier à l'éducation, et tout homme qui n'aurait point été élevé, n'aurait à coup sOr aucune sorte de religion; je m'en rapporte aux hommes sauvages trouvés dans les forèts de l'Europe. C'est bien la religion toute seule qui distingue l'homme de la bete; elle fait notre trait caractéristique. Au lieu de définir l'homme un animai raisonnable, il fallait l'appeler un animai religieux. Tous les animaux sont raisonnables, l'homme seul est religieux. La morale, la vertu, le sentiment sont un instinct en nous; la croyance d'un etre invisible ne nous en vient point ». Come si vede, in P .-M., a tacere di mutamenti minori, è aggiunta la frase a et tout homme ... religion », e viene introdotto l'esempio degli «hommes sauvages ». La tesi di Galiani circa il carattere non istintuale della religione riceve un'accentuazione in senso più radicale: ciò che era taciuto ed implicito viene esplicitato, anche con il riferimento a fatti concreti, quali i ritrovamenti di quegli « hommes sauvages • che tanto interesse destavano nei philosophes. A p. 217 dell'apografo (qui a p. 640) l' «etc. » messo da Galiani dopo «impalpables » è precisato con l'aggiunta di «et cependant la cause de quelques phénomènes » (P.-M., n, p. 59). Agli effetti della religione elencati a p. 217 dell'apografo (qui a p. 641) vengono aggiunte in P.-M., 11, p. 60 dopo e, inégalité des conditions » e prima di «beaux arts » - «sciences, idées abstraites, philosophie, géométrie ». Qui ci troviamo di fronte ad un'enumerazione più analitica. Non è detto che l'aggiunta forzi

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arbitrariamente il pensiero di Galiani, ma resta il fatto che questi aveva evitato di sottolineare esplicitamente la dipendenza di scienza e filosofia dalla religione, non senza l'intenzione, forse, di lasciare impregiudicata la questione del rapporto tra la religione e quelle specifiche attività spirituali. Manca parimenti nell'apografo l'affermazione secondo la quale la religione «ne s' établit en nous que par une éducation donnée exprès >> (P .-M., n, p. 60; tutta la battuta del marquis, in cui tale affermazione è inserita, è in P.-M. largamente rimaneggiata). È vero che tale affermazione corrisponde alle idee sulla religione che l'abate espone nel Dialogue, tuttavia egli (ed è un fatto da prendere in considerazione) si era astenuto da una formulazione cosi perentoria. Segnaliamo un ultimo esempio. Alla battuta su Rousseau (p. 217 dell'apografo, qui a p. 641) dopo «quatre pattes » è aggiunto «et en attendant il marche en grands caleçons » (P.-M., II, p. 61): frase che dà nn'ulteriore sfumatura di grottesco all'accenno a Jean-Jacques e che ben s'accorda con l'ostilità al ginevrino del trio Diderot-Grimm-d'Épinay.

CROQUIS D,UN DIALOGUE SUR LES FEMMES LE MARQUIS, LE CHEVALIER

Comment définissez vous la femme? CHEV. Un animai naturellement foible et malade. MARQ. Je conviens qu,elles sont souvent l'un et l'autre, mais je suis persuadé que c'est un effet de l'éducation, du sistème de nos mceurs; et point du tout de la nature. CHEV. Il y a plus de nature, et moins de violation de ses Ioix que vous ne pensez dans ce monde. On est ce qu'on doit etre. C'est des hommes comme des betes: la nature fait des plis, l'habitude y fait le calus. Regardez les mains d'un laboureur; e' est le tableau de la nature. MARQ. Vilain tableau! Vous voulez donc que ce soit la nature qui a fait les femmes foibles; et les sauvagesses? ..• CHEV. Elles le sont aussi. MARQ. Pas tant. CHEV. Oui, je conviens qu'une sauvagesse avec son bàton rosseroit quatre de nos mousquetaires gris; mais prenez garde que le sauvage son mari avec sa massue en assommeroit douze tant gris que noirs 1 ensemble avec six officiers des Gendarmes de la Garde lorsqu'ils marchent en grand uniforme. Mais la différence des proportions reste toujours la meme, et je puis bien dire que la femme est un animai naturellement foible. Plusieurs classes d,animaux ont la meme inégalité. Comparés les coqs aux poules, Ies taureaux aux vaches etc. La femme est d'un cinquième plus petite que l'homme, et elle est presque d'un tiers moins forte. MARQ. Que concluez vous donc de votre définition? CHEV. Je dis que ces deux caractères de foiblesse et de maladie donnent le ton, et l' empreinte de la couleur générale du caractère du sexe. Détaillez à présent et appliquez la grande théorie, et vous déveloperés tout. D'abord leur foiblesse Ies empechera de s'adonner à tous les metiers qui exigent beaucoup de force et beaucoup de santé. Les forges, la maçonnerie, la manceuvre des vaisseaux, la guerre .•• MARQ.

I. mousquetaires gris .•. noirs: erano due compagnie di moschettieri, prima al servizio di Richelieu, poi di Mazzarino, ed infine del re: i nomi derivavano dal colore dei cavalli.

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Vous croyez donc que les femmes ne pourroient pas faire la guerre; moi je crois qu'elles se battroient bien. CHEV. Oui sans doute, mais elles ne coucheroient point au bivouac. Elles ont le courage d'affronter le péril; elles n'ont point la force de soutenir les fatigues d'une campagne. MARQ. Pour ça vous avez un peu raison, c'est bien fatiguant que d'assommer des hommes. }'ai fait des campagnes, et il m'a toujours paru qu'il falloit se donner trop de peine pour tuer son ennemi. Cependant si vous accordez le courage aux femmes, vous conviendrez qu'elles ont de la force aussi. CHEV. Point du tout. Un mourant peut avoir bien du courage sans avoir aucune foree dans ses muscles. Sçavez vous ce que e' est le courage? MARQ. Quoi? CHEV. C'est l'effet d'une grandissime peur. MARQ. Si ce n'est pas là un paradoxe, je veux mourir. CHEV. Paradoxe tant qu'il vous plaira; il n'en est pas moins vrai. On se laisse courageusement couper une jambe parcequ'on a très grande peur de mourir. Tel malade avale une médicine qu'un homme sain n'avaleroit jamais. On se jette dans les flammes pour sauver son coffre-fort parcequ'on a très grande peur de perdre son argent: si on y étoit indifférent, on ne le risqueroit pas. MARQ. Mais si les effets répondent à leurs causes, selon vous le courage sera une maladie d'imagination, tout comme la peur. CHEV. Rien n'est plus vrai. Aussi les gens sages n'ont jamais de courage; ils sont prudents et modérés, ce qui veut dire poltrons. Du plus au moins il n'y a que les foux qui en ayent; me permettrez vous d'ajouter que les Français sont la nation la plus courageuse qui existe. MARQ. Après les Marattes1 des lndes. Vous ne pouviés placer une louange à ma nation plus mal à propos. Mais on vous connoit, on sçait tout ce que vous valez, et vous ne valés pas grande chose. CHEV. Grande merci. Ainsi je soutiens que la femme est foible dans l' organisation de ses muscles: et de là sa vie retirée; son attachement au màle de son espèce qui fait son soutien, son habillement léger, ses occupations, ses metiers etc. MARQ.

Marattes: popolazione dell'India sud-occidentale, nota per coraggio e virtù guerriere. 1.

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Et pourquoi l'appellez vous un etre malade? CHEV. Parcequ'il l'est naturellement. D'abord elle est malade comme tous les animaux jusques à sa croissance parfaite. Alors arrive ce simptòme si connu qui appartient à toute la classe des bi-manes. 1 Elle en est malade au moins six jours l'un portant l'autre par mois, ce qui fait le cinquième de sa vie, ensuite viennent les grossesses, et les nourritures de ses enfants qui sont à les bien prendre deux très longues et très genantes maladies. Elles n'ont donc que des lueurs de santé à travers une maladie continuelle. Leur caractère se ressent de cet état presque2 habituel. Elles sont caressantes et engageantes comme tous les malades, cependant brusques et fantasques par fois comme tous les malades. Aisées à se fàcher, aisées à se raccomoder, comme les malades. Elles cherchent la distraction, l' amusement, et un rien les amuse comme les malades. Elles ont l'imagination frapée constamment, la peur, l'espérance, la joye, le désespoir, le désir, le dégout s'impriment plus fortement dans leurs tetes et s'effacent plus aisément. Elles apprennent avec avidité, et oublient de meme. Elles aiment une langue retraite et dans les intervalles une joyeuse compagnie comme tous les malades. Voyons à présent comme nous les traitons: nous les soignons, nous nous intéressons à elles, nous cherchons à les distraire, à les amuser, nous les laissons dans leurs appartemens, puis nous les visitons, nous les caressons, et puis nous les .•. MARQ. Allons, franchissez le mot; ne vous arretés pas en si beau chemin. CHEV. Oui, nous tachons de les guérir en leur causant quelque nouvelle maladie. MARQ. Ajoutez qu'elles ne s'en fachent pas; au contraire elles prennent cela avec autant de patience que les malades lorsqu' on les saigne, ou qu'on leur applique des caustiques. CHEV. Et c'est par la meme raison qu'ont les malades de croire que tout se fait pour leur bien, et qu'ils s'en porteront mieux à l'avénant. MARQ.

I. la classe des bi-ma11es: cioè gli uomini, come spiegava Galiani nella lettera del 13 giugno 1772 (P.-M., n, p. 86) in seguito ad una richiesta di chiarimento formulata dalla d'Épinay in data 23 maggio 1772. 2. presque: il manoscritto reca «puisque»: si tratta certo di un errore di trascrizione.

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Chevalier, vous avez beau vouloir me persuader que les femmes sont des etres malades par essence, je ne m'accoutume pas aisément à cette idée. Peutetre vos Napolitaines le seront, mais pour mes chères Parisiennes vous avez grand tort. Allez au Vauxhalt, 1 aux Boulevarts, aux Bals de l'Opéra, et voyez moi un peu ces malades qui ont le diable au corps: elles fatigueroient dix grenadiers à danser des nuits entières, à veiller un carnaval complet; elles n'y gagnent pas meme un petit rhume: et vous appellez cela des malades ? CHEV. l\1arquis, vous vous emparés de mes raisons pour m'en faire des objections. C'est précisément tout ce que vous venez de dire qui vous prouve que les femmes sont des etres que nous autres hommes ne pouvons pas mieux définir selon notre intelligence qu' en !es appellant des etres malades; e' est à dire qu' elles nous ressemblent davantage lorsque nous sommes en cet état. N'avez vous pas pris garde que quatre hommes ont de la peine à retenir un malade en convulsion, un fou, un insensé; et qu'en bien des cas les malades ont une force que les bien portants n'auroient pas? Cette force inégale, excessive, irregulière, inconstante, est précisément un sintome de maladie, et un effet d'une irritation immense des nerfs éveillés par l'échaufement de l'imagination. La tension des nerfs supplée à la foiblesse naturelle des muscles. Démontez l'imagination, tout est par terre. Ainsi chassez les violons, éteignez les bougies, dissipez la joye, ces éternelles danseuses auront de la peine à rentrer chez elles en faisant un petit bout de chemin à pied. Elles enverront quérir des fiacres rien que pour traverser le Pont Neuf. MARQ. Vous me battez à votre ordinaire, parceque Dieu le veut ainsi, mais j'ai pourtant une petite objection à vous faire. CHEV. Et c'est s'il vous plait. MARQ. C'est que je ne suis point persuadé du tout de ce que vous venez de dire; je n' en crois pas un mot. Je vois bien que vous avez raison dans l'état actuel des choses, mais tout cela me paroit un effet de l'éducation, et point du tout de la nature, et je crois

MARQ.

1. Vauxhalt: in realtà, Vauxhall: nome dato a giardini pubblici, in cui si davano balli e concerti, creati a Parigi e altrove ad imitazione del celebre Vauxhall di Londra, giardino pubblico situato nei pressi di Kensington, e frequentato dalla più elegante società inglese.

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que si on laissoit la nature sans la giter, les femmes vaudroient autant que nous à la différence près d' etre un peu plus foibles et plus délicates. CHEV. Mon cher Marquis, badinage à part; est-ce que vous croyez tout de bon qu'il y ait une éducation au monde? MARQ. Oh pour le coup le paradoxe est trop fort, je vous conseille en ami de le mitiger, de l' adoucir, ou bien si vous voulez de l'expliquer, bien entendu que ce mot signifie rétracter (comme dans les Déclarations du Roi portantes interprétations des édits précédents). CHEV. Je veux suivre vos conseils, car ils sont bons à suivre, et je m'en suis toujours bien trouvé. Je m'expliquerai sans pourtant me rétracter. On a beaucoup parlé d'éducation, et comme de coutume c'est encore un livre à faire. Les trois quarts de l'éducation sont un instinct, et par conséquent ils sont la nature meme, une nécessité, une loi organique de notre espèce. Il n'y a qu'une partie d'éducation qui n'est point instinct, qui ne tient point à la nature et qui est propre et particulière à la seule espèce humaine, mais ce n'est pas d'elle que dérive cette différence entre l'homme et la femme, ainsi j' ai raison. MARQ. Comment l'éducation est un instinct? CHEV. Oui sans doute. Toutes les classes des betes ont leur éducation. Les unes dressent leurs petits à la chasse; les autres à nager, à connoitre les pièges, les ennemis, leur proye etc. L'homme et la femme élèvent aussi par instinct leurs enfans: ils les dressent à marcher, à manger, à parler; ils les battent et gravent l'idée de la soumission, et jettent par là avec le petit fouet le fondement du despotisme, la crainte. 11s les pomponent, et élèvent l'édifice de la monarchie, l'honneur et la vanité; ils les embrassent, les caressent, jouent avec eux, leur parlent raison, et font naitre en eux les idées républiquaines de la vertu et de l'amour de sa famille qui devient ensuite sa patrie. 1 MARQ. Vous suivez les divisions de Montesquieu, je le vois, continuez. CHEV. Tout le moral est instinct, mon cher ami, de meme que la danse, la musique, le chant, les plaisirs, et tout ce ci n' est point 1. ils •.. patrie: Galiani si rifà, come del resto è esplicitamente indicato dalla successiva battuta del marquis, alla celebre tesi di Montesquieu, Esprit des lois, libro III, capp. III-XI.

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l'effet d'une éducation qui altère la nature, comme les sots le croyent; au contrai re tout est l' effet de la nature meme qui nous pousse à donner cette éducation qui n'en est que le dévelopement. MARQ. Et quelle est cette partie de l'éducation qui ne tient point à la nature, et qui est particulière à l'homme? CHEV. La religion. MARQ. Ah e' est pour cela qu' on la dit surnaturelle, parcequ' elle est hors de la nature. CHEV. Sans doute. La nature ne nous en donne aucun instinct; elle n'appartient à aucune classe d'animaux, nous la devons en entier à l'éducation; et c'est bien elle toute seule qui distingue l'homme de la bete. La religion fait notre caractéristique. Au lieu de dire l'homme est un animal raisonnable, il falloit dire l'homme est un animai religieux. Tous les animaux sont raisonnables, l'homme seul est religieux. Le moral, la justice, la vertu, le sentiment sont un instinct; la croyance d'un etre invisible ne l'est point. MARQ. Vous me faites ressouvenir d'avoir lu quelque part un auteur, qui pour prouver que l'éléphant étoit raisonnable, rapporte qu' on le voyoit rendre une espèce de culte à la lune en allant faire des ablutions à la rivière les jours de la nouvelle et de la pleine lune. CHEV. Cet auteur ne disoit passi mal que vous pensez. Je ne crois pas ce fait vrai, ni que l'éléphant ait un culte; mais si vous voyez un animai d'une figure quelconque, soit un éléphant, ou une tortue, ou un singe aurang autang avoir l'idée de la religion, pariéz que c'est un homme, ou qu'il le deviendra à la troisième génération; et vous gagnerés le pari. MARQ. Et en quoi faites vous consister l'essence de l'idée de la religion? CHEV. Croire à l'existence d'un ou de plusieurs etres qui ne sont apperçus par aucun sens, qui sont invisibles, impalpables etc. MARQ. Et les betes ne croyent pas cela ? CHEV. Non. Du moins elles ne nous en donnent aucun signe. Une bete voit venir un ouragan; elle en a peur, elle se cache. L' homme voit l'ouragan, croit qu'il existe un etre invisible qui cause l'ouragan visible et a peur de l'etre qui cause l'ouragan. Telle est la définition générale de la religion qui comprend la vraie et

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les fausses. Je m'arrete sur les dévelopemens de cette idée, mais j' oserai soutenir contre tout avénant que tout ce qui distingue l'homme de la bete est un effet de la religion: société, politique, gouvernement, luxe, inégalité des conditions, beaux arts etc. Tout nous le devons à cette caractéristique de notre espèce. MARQ. J'allois vous demander si nous avons gagné ou perdu en cela; s'il y a une religion bonne et vraie parmi les mauvaises et fausses; d' où nous vient la première source de cette idée religieuse, puisqu'elle ne tient pas à l'instinct, mais qui se propage par l'éducation; si c'est par la révélation ou par d'autre voye; mais je ne vous en demanderai rien; car si vous définissez l'homme un animai religieux, vous m'avez l'air de vouloir etre fort religieux. CHEV. Ou fort bete. Je n'avois qu'à choisir; c'est une affaire de gout: je le sais bien. J'ai choisi d'aimer à etre homme. Rousseau en pense autrement. Il préfère de marcher à quatre pattes; e' est son gout. 1 Mais vous avez oublié d' où nous sommes partis. Vous voyez que l'éducation proprement dite, c'est à dire l'idée de la religion et du culte nous étant commune avec les femmes, n'influe en rien à la différence de Ieur sexe au notre: elles ont autant de religion que nous. MARQ. Autantl Je croyois qu'elles en avoient bien davantage. CHEV. Elles ont plus de dose de religion; nous en avons plus de dévelopemens. Les résultats sont égaux. MARQ. Avez vous lu l' ouvrage de Thomas qui paroit sur les femmes ?2 CHEV. Non. MARQ. Il n'y a rien de ce que vous venez de me dire. CHJN. Et sçavés vous pourquoi? MARQ. Non. CHEV. C'est parceque je ne dis rien moi de ce qu'il dit lui. MARQ. Ceci est bien clair. 3 Ah ça, il faut que je vous quitte. Je suis 1. Rousseau • •. golJt: cfr. quanto si dice su questa battuta, e in generale sull'atteggiamento di Galiani nei confronti di Rousseau, nei Preliminari a questo dialogo. 2. l'ouvrage . . •Jemmes: si tratta, naturalmente, dell'Essai stlT lu f emmes, del quale si è detto nei Preliminari a questo dialogo. 3. Sui problemi testuali relativi alla conclusione del Dialogue si è accennato nei Preliminari, qui alle pp. 63 I sgg. Riproduciamo in questa nota la parte finale quale si presenta nell'edizione Perey-Maugras, u, p. 6z, avvertendo che essa è sostanzialmente identica alla parte finale che figura nel Dialogue inserito nella 41

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pressé, je dois aller sur les quais acheter des portraits d'homrnes illustres à 24 [sols] la pièce, et qui ne sont pas des tableaux bien mauvais: ils me serviront à completer ma collection. CHEV. Je vous félicite de vos acquisitions, mais il me paroit que vous les payez cette fois plus chers que de coutume; vous ne courés pas autant de risque qu'on vous les enlève. 1 Cependant pressez vous. Allez, à nous revoir. Adieu.

Correspondance littéraire di Grimm, IX, rs maggio 1772, p. 505. «LE MARQUIS. Ceci me parait clair. Ahi ça, il faut que je vous quitte, c'est à regret, mais j'ai tant de choses à faire. - LE ·cHEVALIER. Restez, elles se feront sans vous. LE MARQUIS. Ohi pour cela, non, il faut absolument que j'aille sur les quais acheter des portraits d'hommes illustres, à vingt-quatre sols pièce, et qui ne aont pas, je vous jure, trop mauvais. 11s serviront à compléter ma collection; il est vrai que je ne sais encore où les placer, mais j'y penserai quand je les aurai. Adieu. - LE CHEVALIER. Je vous fais mon compliment sur cette acquisition, mais il me semble que vous les payez cette fois plus cher quc de coutume. Vous. vous ruinez, marquis. - LE MARQUIS. Il faut s'amuser de. quelque chose; adieu, adieu encore. - LE CHEVALIBR. Adieu, joie de mon cceur ». 1. je dois ... enlève: queste parole costituiscono. una trasparente allusione ad una delle innocenti manie del Croismare; cfr. Co"espondance littéraire, IX, 15 maggio 1772, pp. 505-6.

V

DE' DOVERI DE' PRINCIPI NEUTRALI VERSO I PRINCIPI GUERREGGIANTI, E DI QUESTI VERSO I NEUTRALI

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II

9 dicembre 1780 Galiani scriveva a Grimm: «]'ai entrepris un ouvrage de droit public que je publierai en italien, la seule langue que je sache à présent. Son titre est: Des devoirs des Princes neutres vis-à-vis des Princes belligérants. Ce livre sera pesant au point qu'on jurera que c'est Volfius ou Puffendorfius, qui en est l'auteur. Je crains bien de ne pas achever cet ouvrage, tant j'ai l'ime abattue ... Je fais cet ouvrage uniquement pour de l'argent. Calcul fait, s'il réussit à Naples, je puis y gagner, en vendant toute l'édition, quatre cents francs. C'est horriblement peu, comme vous voyez ». Galiani seguitava esponendo un suo progetto per la traduzione francese dell'opera, e si diceva disposto a «partager la moitié du profit avec le traducteur >>. 1 Da questa lettera si ricava che sin dall'So il nostro abate aveva messo in cantiere i Doveri, che, condotti avanti con fiacchezza nel 1781, 2 furono ripresi con lena e terminati nel 1782. Il 25 giugno del 1782 Galiani scriveva a Mehus di essere «impegnato in altro lavoro, come credo avervi scritto», e di voler liberarsi al più presto da « questo inconsiderato impegno, che ho preso. Dico inconsiderato, perché non ho tempo, né quiete di mente, né salute per lavori seri e di lunga lena; ma giacché sono nel ballo, voglio uscirne>>. 3 cr Il mio lavoro serio» leggiamo nella lettera al Mehus del 16 luglio dello stesso anno «sta al foglio 44. Mi lusingo con dieci altri fogli terminarlo. Non mi sarei creduto che mi avesse preso tanto tempo il limarlo, e lo stamparlo, dopo d'averlo sbozzato in poche settimane ».4 Si tratterebbe dunque, stando a ciò che dice Galiani, di un'opera scritta per far denaro e con svogliatezza, crprodotta» da un • irresistibile comando» in alto loco, come lo stesso Galiani scrive nella nota introduttiva Al lettore. Non un autentico interesse avrebbe spinto l'abate a comporre i Doveri, ma una convergenza di elementi estrinseci, sì che ci troveremmo di fronte ad un'opera «a freddo », priva di una reale partecipazione delrautore. Senza dubbio l'interesse mostrato da Galiani per la sua opera sulla neutralità non è in alcun modo paragonabile a quello mostrato per il Della moneta o per i Dialogues: si pensi all'appassionata attenzione prestata alla diffusione e all'accoglienza della Moneta, e alla lucida, insistente polemica condotta a distanza contro i detrattori dei Dz'alogues, quell'«enfant 1. Cfr. P.-M., II, pp. 602-3. 2. Nelle lettere alla d'i;;pinay del 3 febbraio e 22 settembre 1781 Galiani scriveva che la sua opera «de droit public » avanzava «lentement» (P.-M., II, pp. 608 e 624). 3. Ln lettera è riprodotta più avanti in questo volume. 4. Sulle lettere di Galiani a Mehus cfr. l'Epistolario, più avanti in questo volume.

DE• DOVERI DE• PRINCIPI NEUTRALI

posthume » al quale tanto teneva. 1 Tuttavia, il De' doveri, lungi dal1'essere frutto di un'estemporanea improvvisazione, è tutt'altro che estraneo agli interessi di Galiani. Questi già nelle lettere a Tanucci durante il soggiorno parigino si era occupato della questione della neutralità e di problemi, come quello delle visite, che saranno trattati nei Doveri. 2 Nelle Notes au Pacte de Famille, 3 non datate ma certamente del 1761, quando il patto, stipulato il 15 agosto di quell'anno, non era ancora «imprimé dans toute son étendue » e non era «connu du pubblique, que par l' extrait inséré dans la gazette de Paris », Galiani si era soffermato proprio sul problema della neutralità, proponendo l'introduzione di un articolo «principalement relatif awc Roi de Naples età l'lnfant D. Filippe [di Panna]», in base al quale, dato il caso che un Borbone si trovi in guerra, , si afferma che se « Gesù Nazareno n non fu né un conquistatore né un re, come si aspettavano gli Ebrei, pure le conquiste ci furono, un regno terreno ci fu : «Questo regno io lo deffinisco l'imperio sulle idee »; battuta da cui Galiani prende le mosse per una dura polemica contro la Chiesa. La tesi è ardita, ché « l'imperio sulle idee», che ha portato con sé la violenza e l'ignoranza, viene presentato non come un tralignamento dall'autentico spirito della predicazione di Cristo, ma addirittura come il compiersi delle profezie bibliche. I temi discussi con il Punghino (e di tali temi è traccia in altri scritti galianei di quegli anni) non rimangono dunque confinati nell'àmbito di una dotta ed un po' oziosa disputa teologica e morale, ma si colorano di vivaci tratti illuministici, con un gusto tutto galianeo per la battuta maliziosa e per il ragionamento ingegnoso condotto sul filo del paradosso. Anche di altri personaggi siamo costretti ad ascoltare un monologo, sebbene nelle loro lettere si possano cogliere accenni a idee e posizioni dell'abate. Tali lettere - ed è questo un altro motivo dell'interesse che presentano i documenti della B.S.N.S.P. - costituiscono fonti di primaria importanza per la migliore conoscenza di figure talvolta di primo piano della cultura e della politica italiana del Settecento. Una di tali figure è certamente quella di Gaspare Cerati, il dotto provveditore dell'università di Pisa, che Galiani conobbe a Napoli nell'aprile del 1749 e con il quale mantenne per anni una corrispondenza di eccezionale interesse, giuntaci purtroppo sol-

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tanto parzialmente. 1 Il Cerati, amico e corrispondente di Celestino Galiani, discute con il giovane Ferdinando di problemi economici, delle opere di Genovesi e di lntieri, della Moneta; parla con ammirazione di Montesquieu, suo «incomparabile amico»; accenna ad un'opera De re tributaria che Galiani aveva progettato di scrivere; dà notizia di libri di Uztariz, Ulloa, Forbonnais. Temi siffatti rendono tanto più incresciosa l'assenza degli interventi galianei. Di tale assenza ci rammarichiamo anche nel leggere le numerose lettere di Pietro Paolo Celesia, il diplomatico genovese del cui carteggio con Galiani è stato recentemente pubblicato il primo volume.2 Mancano pure le lettere di Galiani a Filippo Argelati, 3 l'erudito editore milanese del De monetis ltaliae, che 1'11 luglio 1753 invitava Galiani ad inviargli il materiale da inserire nel quinto tomo della sua raccolta, così come mancano quelle ad Antonio Menafoglio, l'inquieto patrizio lombardo che fu membro dell'Accademia dei Pugni.4 Sono lettere, queste che abbiamo citate, che oltre ad essere di per sé notevoli rivelano talvolta tratti del carattere di Galiani, gettano luce sui suoi interessi, ci informano di suoi progetti non realizzati. Già si è accennato a quel De re tributaria che rimase tra le tante velleità dell'abate; ed ecco in una lettera di Celesia - già segnalata dal Nicolini e dal Rotta - aprirsi uno spiraglio su una valutazione non benevola di Galiani nei confronti del Beccaria, 5 testimonianza (la lettera è del 7 luglio 1770) di un'involuzione conservatrice del Galiani post reditum (si ricordi che egli aveva lodato il libro di Beccaria ed il gruppo dei philosophes milanesi nella lettera a Tanucci del 25 ottobre 1766).6 Nella lettera del 20 settembre 1754 lo stesso Celesia accusa Galiani di «irresolutezza criminosa»; il libraio ed editore romano Niccolò Pagliarini ed il dotto etruscologo Anton Francesco Gori sollecitano invano scritti di Galiani, rispettivamente per il I. Su Gaspare Cerati cfr. la nota s alle pp. 823-5. 2. Cfr. S. ROTTA, L'illuminismo a Genova. Lettere di P. P. Celesia a F. Galiani, tomo 1, in Miscellanea storica ligure, N.S., a. 111, n. 2, Università di Genova, Istituto di storia moderna e contemporanea, 1973. Le lettere ivi pubblicate sono comprese tra l'ottobre 1752 ed il giugno 1765; amplissime le note del Rotta sia su Celesia e Galiani, sia su fatti e personaggi del Settecento. Su Celesia cfr. qui la nota I a p. 963. 3. Le lettere di Filippo Argelati (1685-1755), del biennio 1752-53, sono in B.S.N.S.P., xxxi, C. 9; su di lui cfr. I. ZICARI, in Dizionario biografico degli Italiani, IV, Roma, Istituto dell'Enciclopedia italiana, 1962, pp. 112-3. 4. Su Atitonio Menafoglio cfr. la lettera che gli scrisse Galiani il 28 aprile 1772, qui alle pp. 1080-3, e le note relative. 5. Il passo riguardante Beccaria si legge nell'edizione Nicolini dei Dialogues, p. 425; cfr. anche S. ROTTA, Documenti per la storia dell'illuminismo a Genova. Lettere di Agostit10 Lomellini a Paolo Frisi, in Miscellanea di storia ligure, I, Università di Genova, Istituto di storia medievale e moderna, 1958, pp. 278-9. 6. Vedila in questo volume. pp. 920-3.

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«Giornale de' letterati» e per la Colombaria, 1 mentre la fastidiosa insistenza con cui Galiani richiede benefici presso la curia romana ci è documentata dalle lettere del cardinale Silvio Valenti Gonzaga e da quelle di Antonio Niccolini.a Di grande interesse dovevano essere le lettere di Galiani al vecchio lntieri. Nelle lettere intieriane3 si discute del palorcio, una macchina inventata da lntieri,4 si accenna a temi come quello dell'annona di Napoli (11 gennaio del 1752), che Galiani riprenderà anni dopo, si menzionano libri sulle monete, tra cui un «noioso librettucciaccio intitolato Delle monete i1z senso pratico e morale, ragionamento [di Girolamo Costantini] diviso in sette capitoli », 5 aspramente criticato (lettera del 4 marzo 1752). Le lettere, importanti anche per le vicende esterne della pubblicazione della Moneta, esprimono più volte l'entusiasmo, tipicamente intieriano, per i progressi, che fanno sperare in ulteriori passi in avanti, dei tempi in cui si vive, e traboccano di lodi sperticate a Galiani, il quale dovette alla fine stancarsi di tanti elogi e farlo capire ad Intieri, se questi, nella già citata lettera del 4 marzo 1752, scriveva: «Sento rimproverarmi da voi come noiosamente unisono, ma io disprezzo simili rimproveri, e bado con attenzione al bene vostro, e della vostra Patria e della Cristianità». Non è possibile qui indicare tutti i corrispondenti di Galiani: oltre ai già menzionati, basti ricordare, tra gli italiani, Appiano Buonafede, Giuseppe Simonio Assemani, Andrea Memmo, Iacopo Facciolati, Pompeo Neri, Celestino Orlandi; tra gli stranieri - oltre a quelli più famosi, come il Diderot, il Grimm, il d'Holbach, il 1. Le lettere del Pagliarini, del 1753, sono alla B.S.N.S.P., XXXI, C. 9; quelle del Gori, del 1752-54, ivi, XXI, B. 17. Alla Biblioteca Marucelliana di Firenze, B. VII, 13, ff. 13r.-26v., sono conservate sette lettere di Galiani ad Anton Francesco Gori degli anni 1752-54. Trattano prevalentemente di questioni erudite. Notevoli i giudizi negativi sul grecista ed archeologo Giacomo Martorelli, che è «ridicolo e inconcludente uomo» (Galiani a Gori, 9 gennaio 1753, f. 17r.). « lo non tratto con lui,» scrive l'abate il J aprile 1753 «ed ho sempre avuto gran meraviglia nel vederlo stimare. Non vi curate della sua amicizia perché vale assai poco» (f. 21v.). Sul Pagliarini e sul Gori cfr. rispettivamente le note 7 e 4 a p. 833 di questo volume, 2. Sul Valenti Gonzaga, sul Niccolini, e sulle loro lettere a Galiani, cfr. qui le note 2 a p. 844, e 3 a p. 843. 3. Le lettere di Intieri a Ferdinando Gnliani (1751-54) sono alla B.S.N.S.P., XXXI, B. 16. Passi di alcune lettere del 1751 a Ferdinando e Celestino Galiani sono stati pubblicati da F. N1couNI, Intorno a F. Galiani a proposito d'una pubblicazione recente, in • Giorn. stor. d. lett. it. », xxvi (1908), voi. LII, pp. 4-7. Sui rapporti GalianiIntieri cfr. qui la nota I a p. 815. 4. Sul palorcio cfr. B. INTIERI, Della perfetta conservazione del grano, Napoli, Raimondi, 1754, capo 111, pp. 42-3. 5. Sull'opera del Costantini cfr. qui, p. 5.

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Suard -, Ernesto Luigi ed Augusto di Sassonia-Gotha, il marchese di Mora, il Bourlet de Vauxcelles, il Pellerin, il Sartine. Sono personaggi con cui l'abate si intrattiene delle questioni più diverse, dalle erudite alle letterarie ed alle economiche, sotto lo stimolo cli una mobile ed inquieta curiosità. Passando ora ad esaminare le lettere scritte da Galiani cli cui siamo a conoscenza, desideriamo sottolineare la nostra precisa volontà cli individuare un filone unitario: quello degli interessi economici e politici dell'abate. Non che, come appare anche dai brevi cenni fin qui fatti, manchino lettere non riconducibili a tale filone, che anzi non poche sono quelle dedicate alla carta geografica del Regno cli Napoli cui Galiani lavorò a lungo a Parigi, 1 a discussioni erudite, ad informazioni sulla propria attività o sulla propria vita, ovvero quelle intessute di estrose divagazioni, che ci ripropongono il Galiani motteggiatore, o magari sogghignante, di tanti stereotipi ritratti. Tuttavia, anche se si è tenuto conto che gli interessi di Galiani non si esauriscono in quelli economici e politici, e che pertanto la sua personalità va lumeggiata, pur con episodiche aperture, nelle sue molteplici dimensioni, si è creduto opportuno concentrare l'attenzione sulle lettere che direttamente si connettono, per i temi ed i problemi trattati, alle più fruttuose riflessioni di Galiani: quelle riflessioni che hanno assicurato al nostro autore un posto non trascurabile non solo e non tanto nella storia del pensiero economico, ma anche, e diremmo soprattutto, nel dibattito del tempo suo intorno alle monete, al commercio, alle riforme. E poiché il Galiani dei bons mots e degli apologhi è fin troppo conosciuto, si è pensato fosse lecito e doveroso insistere particolarmente sul Galiani «serio», sul Galiani che, sia pure rapsodicamente e talora in modo più brillante che persuasivo, continua per tutta la vita la meditazione iniziata precocemente con la traduzione del 1744 delle Some Considerations of the Consequences of the Lowering of lnterest and Raising tlze Valtte o/ Money di Locke e con le dissertazioni giovanili. In questa prospettiva si giustificano i semplici accenni alle lettere di pura divagazione scritte alla d'Épinay, che pure costituiscono una parte rilevante dell'epistolario francese, e la cui esistenza non va dimenticata per avere un'immagine convenientemente articolata del Galiani post reditum, con la sua amarezza e le sue fissazioni, con la sua misantropia ed il suo sempre più accentuato scetticismo. Le lettere a Sgueglia, che rappresentano il primo consistente nu1. Della carta geografica del Regno di Napoli Galiani parla in molte lettere a Tanucci e in molte al fratello Berardo; queste ultime sono alla B.S.N.S.P.> XXI, B. 17.

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eleo di lettere che ci sia rimasto, 1 non sono tra le più interessanti di Galiani: esse contengono in prevalenza notizie aridamente cronachistiche sul viaggio in Italia del 1751-52 e spesso trattano cli questioni private di personaggi minori legati a Galiani. Ivla qualcosa che ferma la nostra attenzione c,è. C,è, per esempio, la reiterata raccomandazione al / actotum Sgueglia di esigere con sollecitudine i canoni d'affitto dei benefici, raccomandazione che, considerata contestualmente alle continue richieste di denaro che Galiani rivolge allo stesso Sgueglia, alla ostinazione con cui egli brigò per ottenere benefici, alla costante preoccupazione di evitare le spese di corrispondenza, ci mostra un Galiani se non avido ed avaro, certo assai attaccato al denaro. Ci sono poi le impressioni di viaggio, condensate talvolta in poche battute: Roma è un « infame paese» ed è «impossibile aver termini bastanti a descriverne la bruttezza» (lettera a Sgueglia del 10 dicembre 1751); per Venezia «L'ottima definizione ..• è quella del Boccaccio, "Città d'ogni bruttura raccoglitrice". Quo cuncta undique turpia confluunt, celebranturque» (lettera del 19 luglio 1752). Soprattutto c'è in queste lettere la trepidazione con cui il giovane Ferdinando verifica rampiezza e la consistenza della fama procuratagli dal Della moneta. Egli si informa ansiosamente della diffusione della Moneta, scrive a Sgueglia di inviargli copie del libro affinché possa distribuirle, scruta in quali ambienti ed in quali città il libro stesso potrebbe essere accolto favorevolmente. Le lettere a Sgueglia sono un eloquente documento della comprensibile ambizione del giovane scrittore, del suo desiderio di essere conosciuto e stimato per il libro che all'Intieri era parso un prodigio e che Fraggianni aveva mostrato di apprezzare. Non ci meravigliamo, pertanto, di vedere Galiani esprimere il suo disappunto perché il fratello Berardo non gli ha affatto parlato della Moneta (lettera a Sgueglia del 3 dicembre 1751) e perché Benedetto XIV lo ha lodato non per la sua opera più importante, ma per gli scherzosi e leggeri componimenti per il boia lannaccone (lettera del 17 dicembre 1751). E se Galiani sottolinea con grande compiacimento i « piccoli conci lii monetari» tenuti a Milano con Neri e con Carli (lettera del 12 ago1. Sul carteggio Galiani-Sgueglia cfr. la nota I a p. 820 di questo volume. Alla Biblioteca Marucelliana di Firenze esistono tre lettere di Galinni ai fratelli Bandini: una a Giuseppe (Napoli, 8 settembre 1750), e due nd Angelo Maria (Santa Maria di Capua, 25 ottobre 1750, e Napoli, 24 novembre 1750), Tali lettere, che hanno la segnatura B. I, 27, v, ff. 288r.-295v., sono state scritte sotto lo pseudonimo di Ernesto Freeman, e riguardano l'opera di Angelo Maria Bandini, De obelisco Caesaris Augusti e Campi Martii ruderibus nuper eruto Commentarius (Roma 1750). Per gli interventi galianei sulla questione dell'obelisco cfr. la nota 8 alle pp. 821-2.

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sto 1752), è con una punta di amarezza che egli scrive da Pisa il 27 marzo 17 52: «Finora bisogna che vi confessi, che ho più obbligo della stima che ho alla Raccolta [i versi per Iannaccone], che al libro [il Della moneta]: e tutti i miei studi m'hanno servito meno che il saper sonare il cimbalo»; quasi che fin dalla giovinezza le stesse doti di vivacità, di arguzia, di comunicativa, che lo facevano ricercare quale impareggiabile conversatore, lo condannassero, lusingato sì, ma anche insoddisfatto, a vivere, per cosi dire, tutto proiettato ·all'esterno, per non deludere chi si aspettava dal ed «il muso buffone », come si esprime Alessandro Verri, che lo vide e lo frequentò a Roma nel 1769, 1 le facezie e gli aneddoti raccontati con grazia scintillante. Negli anni che vanno dalla pubblicazione della Moneta alla partenza per la Francia (1751-1759) Galiani ha tra i suoi interlocutori personaggi illustri, che egli «eredita» dallo zio Celestino. Ainici di quest'ultimo ed amici tra loro erano infatti il già menzionato Gaspare Cerati, Antonio Cocchi, Antonio Niccolini, Giovanni Bottari.Z Sono nomi tra i più rappresentativi di quella generazione di uomini di cultura aperti agli influssi innovatori, ma non certamente definibili illuministi, la cui riflessione si esercitò sulla storia ecclesiastica, sulle questioni teologiche, sui problemi morali, sulla riforma della Chiesa (il discorso non vale, o vale solo parzialmente, per Antonio Cocchi, che coltivò soprattutto l'erudizione e la filologia classica a voler tacere, naturalmente, della sua attività principale, quella di medico e di scienziato); uomini accomunati da un preciso atteggiamento antigesuitico e da una ferma polemica contro il temporalismo pontificio, che in Bottari, Niccolini e Cerati fanno tutt'uno, pur nella varietà delle sfumature, con un assiduo travaglio intorno alla problematica del giansenismo. Il Bottari fu, insieme con il Foggini, l'animatore del circolo giansenistico romano dell'«Archetto », con il quale fu in contatto Cerati e che era frequentato da uomini come il già citato Niccolini, il Leprotti, Filippo Martini. 3 Lo stesso Bottari era anche in contatto con Bernardo Tanucci, impegnato con alterna fortuna nella battaglia anticurialista; e proprio a Napoli, tra il 1758 e il '60, fu preparata - auspice Tanucci e con l'ausilio di Bottari - una I. Lettera di Alessandro a Pietro Verri del 29 agosto 1769, in Carteggio di Pietro e di Alessandro Verri, a cura di F. Novati e di E. Greppi, 111, Milano, Cogliati, 1911, p. 46. 2. Su Antonio Cocchi e Giovanni Bottari cfr. rispettivamente le note 1 a p. 831 e 4 alle pp. 838-9. Delle relazioni epistolari di Cerati e Niccolini con Celestino Galiani discorre F. NICOLINI, Un grande educatore ecc., cit., passim; per i rapporti tra il Bottari e Celestino Galiani cfr. ivi, pp. 217-54. 3. Sul Foggini cfr. la nota 2 a p. 841; sul circolo dell'« Archetto» la nota 4 alle pp. 838-9.

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traduzione italiana in cinque tometti del catechismo di Mésenguy, uno dei testi fondamentali del giansenismo settecentesco: traduzione che incorrerà nei fulmini pontifici, dando luogo ad un'aspra contesa tra Napoli e Roma, con echi non trascurabili in Spagna. 1 Si tratta di una generazione che aveva raggiunto la maturità nella prima metà del secolo e che si apprestava a lasciare il posto ad un'altra che, svincolatasi dai temi teologici, rotto il quadro del dibattito giurisdizionalistico, lasciatasi alle spalle la ricerca erudita, andava orientandosi verso i problemi economici, verso i concreti, tentativi di riforma, verso la cultura delle lumières. Che cosa aveva da dire Galiani, che con il Della moneta era parso propendere decisamente per i problemi dei tempi nuovi, ad un uomo come Bottari, le cui inquietudini erano tutte interne ad interessi ecclesiastici, teologici ed eruditi? (diverso, come abbiamo visto, era J>atteggiamento di Cerati). Con Bottari il giovane Ferdinando non discuteva certo di monete e di commercio, 2 né a lui lo accomunava un atteggiamento giansenistico o filogiansenistico, ché è difficile immaginarsi lo scanzonato e scettico abate interrogarsi tormentosamente, come facevano il suo corrispondente ed i personaggi che intorno a lui gravitavano, primo fra tutti il Foggini, sulla grazia e sul peccato, sul rigorismo e sul probabilismo. Non v'era in Galiani, né vi sarà mai, un consapevole atteggiamento filogiansenistico che implicasse la meditazione e la presa di posizione riguardo a problemi dottrinali. Al contrario, sono costantemente rintracciabili in lui insofferenza ed irrisione per le dispute teologiche, e avversione per il «fanatismo» dei giansenisti: a tacere dei giudizi sarcastici o violentemente polemici pronunciati in anni e circostanze diverse sui convulsionari di Saint-Médard3 - giudizi che sembrerebbero colpire gli aspetti più chiassosi e discutibili del giansenismo -, abbiamo il biasimo aperto espresso nella lettera del s ottobre 1767 al cardinale Domenico Orsini,4 dove si accenna ai «fanatici Giansenisti (la più disprezzevole razza di pazzi che io abbia mai conosciuta)»; nella lettera, già ricordata, all'arcivescovo di Palermo Francesco Sanseverino, del 12 aprile I. Su questi fatti cfr. qui la nota 1 a p. 866. 2. Per la verità, la lettera di Bottari del 15 ottobre 1751 parla della Mo11eta, di cui lo stesso Bottari mostra di ignorare l'autore (cfr. qui la nota 4 alle pp. 838-9); tuttavia l'interesse per opere come, appunto, il Della moneta non può certo dirsi preminente nel dotto prelato fiorentino. 3. Cfr., in questo volume, la lettera al Tanucci del 14 aprile 1760. Nella lettera del 2 giugno 1770 alla d'Épinay Galiani bolla come fanatici della stessa razza fisiocrati e • chiens de SaintMédard »; siffatto accostamento è anche nella lettera al Sartine del 27 aprile 1770 (cfr. P.-M., 1, rispettivamente pp. 165 e 114; cfr. anche, qui, la nota s alle pp. 1049-50). 4. La lettera è pubblicata qui alle pp. 942-3.

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1777, leggiamo: « I Giansenisti sono cattivi come tutti i fanatici, e fanatico è sempre chiunque fa dogma di agir per impulso, o questo lo chiami grazia efficace, o lo chiami cacodemone, o lo chiami ispirazione, o lo chiami destino. I vari nomi fanno i Giansenisti, i Galli di Cibele, i Quacqueri, i Maomettani, e Maratti. Sono nomi. Ma il rinunziare alla propria ragione calcolatrice del si e del no è sempre la definizione del fanatismo. Certamente mio zio non fu giansenista; avea troppo N ewtone in corpo ». Erano pertanto l'anticurialismo e l'antigesuitismo ad avvicinare Galiani ai Bottari ed ai Niccolini: un atteggiamento riconducibile ad una dimensione politica in cui venivano significativamente tradotte la tensione morale, la visione di una Chiesa purificata, l'ansia di rinnovamento religioso proprie dei corrispondenti romani del giovane Ferdinando. C'era tuttavia anche dell'altro: in primo luogo il gusto dell'erudizione, che ispirò a Galiani alcune non spregevoli scritture e che s'incontrava con un preciso filone di interessi del Bottari (si ricordi che questi fu uno dei più grandi eruditi del suo tempo). Le lettere di Galiani al dotto prelato fiorentino, infatti, trattano prevalentemente di «antiquaria>> ;1 sono lettere a carattere informativo e cronachistico, che destano l'attenzione non tanto quando contengono notizie - generalmente sommarie - su libri e questioni d'erudizione, ma, piuttosto, quando contengono spunti riguardanti la Per/etta conservazione del grano o la ristampa delle opere di sani>Agostino, ovvero quando parlano di Intieri, delle sue manie e delle sue volubilità di vegliardo, facendo emergere una figura colorita con grande vivacità ed affettuosa simpatia.a Con Antonio Cocchi, il gran medico beneventano-toscano, cultore di studi classici, fine letterato, corrispondente di Voltaire, il Galiani mette a frutto le sue conoscenze di scienziato dilettante parlando della sua raccolta di pietre vesuviane (lettera del 15 aprile 1755), e 1. Gli interessi eruditi sono a fondamento anche delle lettere scambiate in questi anni da G:iliani con il già ricordato Anton Francesco Gori (cfr. qui la nota I a p. 790) e con il celebre orientalista e custode della Biblioteca Vaticana Giuseppe Simonia Assemani (sul quale cfr. qui la nota I a p. 840). 2. Nella lettera del 27 luglio 1754 Galiani dice di aver spedito a Bottari alcuni esemplari della Per/etta conservazione del gra110; il s agosto 1754 scrive: «Qui si pensa a ristampar tutte l'opere del Cardinal Noris. Si va intanto ristampando tutto S. Augustino, e già vi sono 380 associati. Tutto il nostro pagliettismo orna di questo gran libro le sue stanze; non ardirei dire, che ne empia del pari la mente. Si vede per altro in queste due intraprese lo spirito anti-gesuitico, che regna nel nostro Clero• (cfr. L. FELICI, Il carteggio Galiani-Bottari, cit., p. 190); di lntieri si parla nella lettera del 3 agosto 1754 (vedila in questo volume, pp. 841-4).

EPISTOLARIO

s'intrattiene di vari argomenti in lettere in cui la reverenza per l'illustre personaggio non soffoca la vena estrosa e la gaiezza estroversa del giovane autore della Moneta. 1 Di questi anni sono anche alcune lettere a Lorenzo Mehus, l'erudito toscano che Galiani conobbe durante il suo viaggio in Italia e del quale ha tracciato un bel profilo Mario Rosa. 2 Se il Rosa ha messo giustamente in luce come il Mehus sia rimasto per tutta la vita nell' hortus conclusus della filologia e dell'antiquaria, con interventi rarissimi e tardi su temi direttamente connessi alle riforme leopoldine e alla vita politica in genere, non troviamo nelle lettere a lui dirette da Galiani, come forse ci aspetteremmo, soltanto notizie erudite. Queste non mancano, ma sono accompagnate da altre notizie ed osservazioni: la proibizione ed il bruciamento della Perfetta repubblica di Paolo Mattia Doria (13 marzo 1753), 3 l'imminente pubblicazione dell'opera dell'Origlia sull'università di Napoli (10 aprile 1753),4 i lavori relativi al libro galianeo-intieriano sulla conservazione del grano (7 maggio 1753), 5 la fondazione da parte di Bartolomeo Intieri della cattedra di economia politica (28 maggio 1754). 6 Dal carteggio sembra trasparire che l'austero ed umbratile Mehus sia stato indotto dalla spiccata personalità dell'abate napoletano ad abbandonare la ben delimitata ed un po' angusta prospettiva dei suoi studi per trattare di argomenti che testimoniano di interessi più vasti. Vediamo infatti il Mehus parlare, nella lettera del 4 giugno 1754, di «due operette di Voltaire. Una è ristampa, e contiene il Secolo di Luigi. XIV accresciuto, e corretto. L'altra di due tometti in 8° è un Essai di storia da Carlo Magno a Carlo V. In ambedue riconosco Voltaire, cioè gran leggiadria di stile, e gran falsità di fattura•· 7 Pertanto, se le lettere al Mehus degli anni 1753-54 ci mostrano un Galiani curioso ed interessato a ciò che di notevole accade in Napoli dal punto di vista della vita pubblica e degli studi - un Galiani ben 1. Una lettera di Galiani a Cocchi, del 20 febbraio 1753, è pubblicata in questo volume alle pp.831-3. 2. Sul carteggio Galiani-Mehus e sul contributo di Mario Rosa cfr. la nota I alle pp. 834-5. 3. a Oggi è stata brugiata per mano del boia un'opera del morto D. Paolo Doria, che stera cominciata a stampare, ma non ancora publicata né mostrata ad alcuno. Avea per titolo Della per/etta Repubblica. Credo che questo sia il primo esempio nella storia d'un libro bruciato per mano del carnefice, e che non era stato ancora letto da niuno 11. 4. Cfr. quit p. 835. 5. « In questo mentre mi sono occupato a distendere un'opericciuola sulla conservazione del grano, e su dtuna macchina di stufa inventata a questo fine da D. Bnrtolommeo Intieri vostro paesano sotto il nome di cui esce Popern. Credo, che in questa settimana sarà pubblicatat e subito io ve ne farò tener una copia a Livorno in mano del Sig.r Jeckson•. 6. Cfr. quit p. 837. 7. B.S.N.S.P., XXXI, C. 9, f. 310v.; fattura è congettura mia: la parola, al margine destro del foglio, è pressoché illeggibile.

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diverso dal misantropo di anni successivi, che non perderà occasione cli sottolineare, proprio in altre lettere al Mehus, il suo isolamento e la sua avversione per una città giudicata barbara-, le lettere del Mehus rivelano tratti interessanti ed insoliti di quest'ultimo personaggio. 1 Un posto a sé dev'essere attribuito, nella corrispondenza di GaIiani, alle lettere diplomatiche scritte a Tanucci durante il soggiorno francese del 17 59-69. 2 Il carattere ufficiale di tali lettere non è ovviamente senza influenza sul contenuto e sul tono delle lettere stesse. Anche se con il Tanucci, che a Galiani si era interessato fin dal 1749, in occasione dei componimenti per il boia Iannaccone, andarono stabilendosi rapporti che, oltrepassando il burocratico legame da superiore ad inferiore, si configurarono come rapporti di amicizia e di sincera collaborazione, non si può pretendere di trovare, nel carteggio con il potente e tanto più anziano ministro, quell'abbandono e quella libertà di giudizio che costituiscono invece i tratti essenziali della corrispondenza privata. Queste lettere sono tuttavia preziosissime, anche considerando che, purtroppo, non abbiamo altre lettere di Galiani del periodo parigino. Per essere più precisi, possediamo numerose lettere al fratello Berardo, 3 ma esse riguardano quasi esclusivamente le ricerche ed i lavori relativi alla carta geografica del Regno di Napoli, e perciò nulla ci dicono circa le idee politiche ed economiche di Galiani. Abbiamo poi una lettera a Natale Maria Cimaglia dei primi del 1767 e una lettera a Celesia, senza indicazione dell'anno, ma molto probabilmente del 1768.4 Eppure Galiani ebbe certamente, in questo periodo, corrispondenti ben più numerosi. Lo testimonia, tra l'altro, una lettera di Nicola Fraggianni5 del 20 ottobre I 76 I nella quale il noto magistrato giurisdizionalista diceva di 1. Nella lettera del 20 marzo 1753 ci sono alcune righe che, pur nella loro brevità cronachistica, documentano l'interesse di Mehus per problemi politici sui quali egli tornerà più diffusamente molti anni dopo: « Dicono, che sia già fatto il Concordato tra la Santa Sede e la Casa di Toscana, e che sia spedito a Vienna per In ratifica Cesarea. Mi figuro, che abbiano preso molto da quello di Napoli, e di Torino. Se lo produrranno in luce, non mancherò di spedirgliene un esemplare» (B.S.N.S.P., XXXI, C. 9, f. 298v.). 2. Per le notizie relative a questo carteggio rimandiamo alle pp. 848-9 di questo volume. 3. B.S.N.S.P., XXI, B. 17. Non possediamo le lettere al Caracciolo, che al Galinni inviò lettere interessantissime; vedile in F. N1COLINI, Amici e corrispo11denti francesi ecc., cit., pp. 18 sgg. 4. La lettera a Cimaglia è pubblicata qui alle pp. 929-33; quella n Celesia è alle pp. 963-5. Una breve lettera di Galiani a Celesia del 1765 è in Memorie della vita e delle peregrinazioni del fiorentino FILIPPO l\1AZZEI, a curn di A. Aquarone, Milano, l\1arzorati, 1970, 1, p. 157. Una lettera di Galiani allo stesso Mazzei si legge ivi, pp. 176-7. 5. Su Nicola Fraggia11ni cfr. qui la nota 2 a p. 276. Due sue lettere a Galiani (20 ottobre 1761 e 22 gennaio 1762) sono alla B.S.N.S.P., XXXI, C. 13, ff. 136r., 13or.-131r.

EPISTOLARIO

aver ricevuto {probabilmente dallo stesso Galiani) «i due fulminanti arresti contro la compagnia de' Neri» (cioè i Gesuiti) 1 e dava notizie intorno alla propria attività antigesuitica a Napoli, preoccupandosi di farla conoscere all'estero; lo testimoniano anche alc1.U1e lettere del 1759-60 del presidente e avvocato fiscale della Camera della Sommaria Carlo Mauri, 2 il quale non si limitava a parlare con l'abate del ritorno a Napoli che quest'ultimo, nei primi mesi del soggiorno parigino, aveva progettato di effettuare, ma chiedeva che gli fosse spedito il De l'esprit di Helvétius (4 agosto 1759), diceva che avrebbe ricevuto con piacere il Candide di Voltaire (29 settembre e 27 ottobre 1759), accennava a libri sui Gesuiti e sul Portogallo inviatigli da Galiani (26 gennaio 1760). Il che prova l'attiva opera di informazione e mediazione politico-culturale svolta da Galiani in una precisa direzione. Chi volesse cogliere il pensiero del Galiani al di fuori dell'ufficialità cui lo costringe la figura di un interlocutore cosi autorevole come il Tanucci dispone dunque di elementi molto scarsi. Un atteggiamento cauto, una costante attenzione a non urtare l'irascibile ministro, un dire e non dire sono facilmente rintracciabili nelle lettere di cui ci stiamo occupando. È possibile, per esempio, che Galiani, scrittore di cose economiche e assai poco incline al moralismo, condividesse l'opinione tanucciana che llt\ltto mercante è malandrino»? (lettera di Galiani a Tanucci del 14 settembre 1767). Eppure, proprio tale convinzione troviamo affermata più volte, con un'esplicita dichiarazione di consenso alla posizione di Tanucci, notoriamente avverso ai mercanti. 3 Parimenti, non sembra si possa prescindere I. Sono i due arrets adottati dal Parlamento di Parigi il 6 agosto I 761 ; su di essi cfr. J. EGRET, Le procès des Jésuites davant /es Parlements de France (z76z-I770), in « Revue historique 11, LXXIV (1950), pp. 4-5; cfr. anche, in questo volume, la nota I a p. 859. 2. Su Carlo Mauri cfr. P. ZAMBELLI, La formazione filosofica di A. Genovesi, Napoli, Morano, 1972, p. 807, nota II. Le dieci lettere del Mauri a Galiani sono alla B.S.N.S.P., XXXI, C. 13, ff. 8or.-99v. 3. Oltre alla lettera citata nel testo, nella quale si loda Tanucci per aver 11conosciuta questa gran verità, che pochissimi ministri di Stato hanno conosciuto, cioè che i più gran nemici del commercio e dell'industria d'una nazione sono i mercanti», cfr. ad esempio la lettera del 28 settembre 1767: a Oh Dio che abisso di frodi, trappole, mariolizi è la mercatura! I Franzesi che io credevo santi sono più ladri degli altri, col denaro contante si fa tutto bene, e si confutano i demonii. Ora mi sono accorto donde è venuta la morale de' Gesuiti. La morale dc' Gesuiti non è altra che la morale de' mercanti messa per iscritto; credo che sia antica quanto Siro e Cartagine. I Gesuiti se ne mischiarono il male, non volendo, il giorno che aprirono telonio, e forse loro intenzione non era far commercio, ed esser malandrini. Per bisogno delle nascenti l\1issioni dovettero farlo, e poi ci presero gusto• (cfr. qui, p. 941). Quanto nl Tanucci,

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dalla personalità dell'autorevole interlocutore per intendere e valutare il posto quasi trascurabile che hanno nel carteggio le notizie sui philosophes e sull'Encyclopédie. 1 È certamente vero che Galiani difettò di quella tensione morale e di quello slancio entusiastico per le profonde trasformazioni che caratterizzarono i philosophes, sl che probabilmente egli non colse il senso di molte loro battaglie. Ciò tuttavia non basta a spiegare il silenzio pressoché totale su uomini con cui egli fu in assiduo contatto, che divennero suoi amici, e che, sia pure sporadicamente, intrattennero con lui rapporti epistolari dopo il ritorno a Napoli; uomini, inoltre, che egli teneva in altissima considerazione, non foss'altro che per l'altezza del loro ingegno: questo almeno ci dicono le poche lettere che ci rimangono dirette a Diderot, a d'Alembert, a Grimm, a d'Holbach, e i numerosi spunti delle lettere alla d'Épinay in cui si parla dei philosophes. Anche di Voltaire, sul quale il giudizio di Galiani fu pieno di riserve, egli aveva un'opinione ben diversa da quella del Tanucci, chiuso nel suo atteggiamento misogallico e nella sua ostilità agli enciclopedisti. 2 Come dimenticare, infine, che proprio a Diderot (e alla d'Épinay) Galiani lasciò il manoscritto dei Dialogues sur le commerce du bleds perché fosse rivisto e approntato per la stampa? Per spiegare il riserbo di Galiani occorre dunque tener presente proprio l'accennato atteggiamento di Tanucci, uomo di un'altra generazione e di diversa formazione, infastidito ed irritato di fronte alla violenza dissacratrice dell'antitradizionalismo dei philosophes, tenacemente attaccato ad una visione conservatrice del primato italiano in campo culturale. 3 cfr. quanto scriveva il 3 ottobre 1767 rispondendo alla missiva galianea del 14 settembre (il posso è citato qui, alla nota 2 di p. 941). 1. Di Diderot e d'Alembert Galiani parla nella lettera del 12 novembre 1764 (qui alle pp. 913-7). In essa dice, tra l'altro, che Diderot «ha fatte due mediocri commedie 11 (si tratta del Fils naturel e del Père de famille); ben diverso giudizio sul Didcrot drammaturgo esprimerà Galiani nella lettera alla d'Épinay del 16 gennaio 1773 (P.-lVI., n, pp. 157-60). Notizie su d'Alembert, presentato tanto più favorevolmente dall'abate quanto più Tanucci aveva mostrato di apprezzarne le opere (lettera di Tanucci del 18 febbraio 1;69), si trovano nelln lettera del 13 marzo 1769 (qui alle pp. 976-81); dell'Encyclopédie si discorre, oltre che nella citata lettera del 12 novembre 1764, in quella del 24 novembre 1766. Tranne qualche accenno a Voltaire e Mnrmontel, nonché ai libri di Fréret, Boulonger e d'Holbach (lettera del 22 dicembre 1766, qui alle pp. 923-9), sui philosophes non c'è altro. 2. t noto che Tanucci vietò a Napoli tutte le opere di Voltaire; cfr. E. VIVIANl DELLA ROBBIA, Bernardo Ta11ucci ed il suo più importante carteggio, 1, Biografia, Firenze, Sansoni, 1942, p. 108. 3. Significativo, in proposito, il giudizio negativo sulla «Gazette littéraire de l'Europe•, accusata di «dir male degli Italiani D (lettera di Tanucci del 14 luglio 1764; cfr. anche le lettere del 7 e 21 luglio, 25 agosto 1764, ecc.). Queste lettere tanucciane fanno da sfon-

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Con Bernardo Tanucci Galiani discuteva dei rapporti non sempre facili tra la Francia e Napoli, e di circostanziati problemi economici e politici relativi ai due regni; erano argomenti che non solo riguardavano direttamente sia la carica di Galiani sia quella di Tanucci, ma erano anche congeniali all'empirismo tanucciano. Il periodo parigino fu per il nostro abate un periodo di intensa attività e di fervida partecipazione agli avvenimenti francesi e a quelli napoletani, questi ultimi seguiti a distanza, ma con grande attenzione e lucidità; e se gli interventi galianei non sono sostenuti da quell'ampiezza di prospettive rinnovatrici che è uno dei tratti essenziali dell'illuminismo, non si può negare che essi si organizzino intorno ad un preciso nucleo di interessi e rappresentino il limite più avanzato dell'impegno riformatore di un uomo che non aveva né la tempra né l'audacia di chi è proteso a fondare una nuova città terrena. La volontà di cambiare, di cambiare molto, in fretta e bene, Galiani non la ritroverà più. Tornato a Napoli, scriverà consulte ricche di intelligenza sui problemi del Regno, ma si tratterà di scritti di chi, in fondo, si adatta al vecchio edificio, e ad esso vuole apportare soltanto migliorie parziali, puntellandolo e rafforzandolo per non farlo scricchiolare troppo. Al centro delle preoccupazioni del Galiani «parigino,, ci sembra stia il problema della prosperità del Regno di Napoli e dei mezzi più idonei a promuoverla. Dopo i primi mesi, durante i quali l'abate, assai deluso di Parigi, chiese insistentemente di essere richiamato, tanto che il ritorno pareva ormai deciso, Galiani, superato felicemente il disagio dell'ambientamento, si concentrò sulle questioni inerenti alla sua carica, cominciando ad inviare a Tanucci osservazioni, proposte e suggerimenti che, movendo da un attento esame della situazione francese, avevano di mira i problemi economici e politici del Regno di Napoli. Galiani non si limita, come pure avrebbe potuto fare, ad un semplice lavoro di routine, consistente nel fornire notizie sulla politica interna ed estera della Francia; al contrario, le agitate vicende di quegli anni ed i provvedimenti adottati dal governo francese diventano per lui oggetto di costante confronto con ciò che si fa e si potrebbe fare a Napoli. Cosl egli, in una lettera del 3 novembre 1760, loda ula somma semplicità di quel teorema do a quanto scrive Galiani del periodico francese il 6 agosto 1764: •que- , sta gazetta ... è talmente discreditata qui, che dubbito forse se continuerà a farsi dopo il primo anno di saggio, che è voluto farsene» (cfr. qui, p. 912). Se si pensa che lo stesso Galiani collaborò alla« Gazctte littérnire 11, e che egli fu amico di Jean-Baptiste Suard, che la dirigeva insieme con l'Arnaud, si è indotti a ritenere che l'abate la pensasse diversamente da quel che si ricava dalla lettera che abbiamo ricordato.

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aureo che V. E. [Tanucci] mi scrive, cioè che i generi propri debbano aver materia e forma dentro il loro stesso paese, e che dee farsi commercio delle materie formate, e non delle informe. (Parole divine per cui benedico mille volte lddio, che finalmente questa massima pigli per opera di V. E. radice nel nostro governo ...)•; più avanti, nella stessa lettera, si legge: «noi non possiamo far meglio e più terribil guerra agli Inglesi, che con vestirci delle nostre lane. Questa è la guerra di.. fensiva. L'offensiva potressimo anche farla con mandar stoffe e galloni (che noi lavoriamo al pari di Francia) a Cadice o a Lisbona, per di là mandare all'America. Questi commerci con Spagnuoli e Portoghesi desidero che siano a cuore alla Reggenza, quanto è giu.. sto che le siano in odio co' Francesi e Inglesi. Ho inteso da un portoghese che è qui, che qualche stoffa nostra era capitata a Lisbona, ed eravi piaciuta. - Spalanchi questa porta V. E. con levar i dazi a quelle manifatture di seta e d'oro nostro che vanno in Spagna e in Portogallo. Il Re non perde niente, perché niente finora ci è andato, ma il Regno acquisterà milioni, e noi avremo conquistate le Americhe, e levati venti vascelli da guerra agli Inglesi». 1 Sono affermazioni di schietto sapore neomercantilista, dettate dalla constatazione di quella arretratezza manifatturiera del Regno di Napoli che Galiani ebbe sempre presente e che tanto preoccupava Antonio Genovesi. z L'8 marzo 1762 Galiani s'intrattiene su un argomento che più volte fermerà la sua attenzione in anni successivi (cfr. ad esempio la consulta sulla «marineria», degli ultimi anni dell'abate) :3 « Noi piloti non ne possiamo avere perché non abbiamo scuole di nautica. Io direi che i frati, e principalmente i Gesuiti, dovrebbero obbligarsi ad aver scuole di geometria, e de' principii d'astronomia e nautica in tutti i luoghi marittimi del Regno»; continuava citando in propo.. sito l'esempio della Francia, dove i Gesuiti «sono i maestri della nautica •, e osservava che « Intanto per ora bisogna servirsi di piloti stranieri ».4 C'è la richiesta, dunque, che siano le navi napoletane a trasportare le merci napoletane, per impedire che esca denaro dal Regno. Il 7 novembre 1768, mandando a Tanucci a una umile rappresentanza ... sulla necessità di aumentare la navigazione ed il com.. mercio de' Napoletani, con dare ai medesimi la privativa del trasporto di qualche loro merce », Galiani torna ad analizzare il problema della «marineria», ripreso più diffusamente nella lettera del 19 dicembre 1768. 5 Un'altra volta è la possibilità di piazzare vini ed Cfr. qui, pp. 854-5. 2. Cfr. A. GENO~I, Delle lezioni di commercio, parte I, cap. X." della Francia; il 5 marzo 1764 accenna al «lusso• e alla •corruzione• dei Francesi; il I febbraio 1768 scrive: «il sistema delle finanze, che [i parlamentari] hanno voluto attaccare, non lo accomoderanno mai. Qui il male è nella profusione, e questa non si medica altro che dalla volontà d'un sovrano parco e tenace •; il 3 aprile 1769: a Questo guaio delle finanze qui ha cominciato dal '56, si è andato palliando, trattenendo, e non mai medicando. Il corpo gigantesco ha avuta forza, ed ha vivuto. Ma niente essendosi guadagnato ne' sei anni di perfetta pace, ora che è venuta la guerruccia di Corsica, che non lascia d'esser dispendiosa, e che altre se ne preveggono, il male si è scoperto, ed è grande. Un fallimento sonoro mi pare inevitabile. Forse tutte le rendite perpetue saranno ridotte a metà, tutte le vitalizie a due terzi, e cosi si potrà andar avanti altro tempo• (quest'ultima lettera è pubblicata qui: cfr. p. 982); cfr. anche la lettera del 9 aprile 1769.

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punto di vista della discussione economica, Galiani non reca sostanziali modifiche al quadro da lui delineato nei Dialogues (si tratta soprattutto di approfondimenti tecnici che costituiscono un notevole docwnento dell'interesse che l'abate continuò ad avere per le questioni granarie), ma un elemento emerge con una chiarezza ed un'evidenza che tali non erano nei Dialogues: si tratta della preoccupazione, più volte ribadita, che l'applicazione delle teorie fisiocratiche conduca al disordine ed al passaggio violento dalla monarchia alla repubblica, sconvolgendo quell'assetto politico-sociale cui Galiani si sente attaccato: «Tout pays qui établira et soutiendra la liberté indéfinie des blés » scrive alla d'Épinay il 22 gennaio 1774 riproponendo sinteticamente opinioni espresse a più riprese «sera bouleversé. Sa forme deviendra entièrement républicaine, démocratique, et la classe des paysans deviendra la première et la plus puissante. Nous qui ne bechons pas la terre, nous serions donc bien fous de la laisser établir pour devenir les demiers »; 1 il 2 gennaio 1773, dopo aver osservato che il «paysan riche ... amène ... la fonne républicaine, et enfin l'égalité des conditions, qui nous a couté six mille ans à détru.ire », Gal iani aveva scritto: «J' ai.me la monarchie, parce que je me sens bien plus proche du gouvemement que de la charrue. )'ai quinze mille livres de revenu que je perdrais en enrichissant des paysans ». 2 Egli indica negli économistes dei perturbatori della pubblica quiete, 3 rivelando un astio ed una chiusura conservatrice che sono a loro volta i sintomi di un atteggiamento di fondo caratterizzato da un sempre più accentuato scetticismo, dalla diffidenza e dalla irrisione per chi non lascia che il mondo vada come va.4 1. P.-M., n, p. 290. 2. Cf'r. qui, p. 1094. 3. Cfr. ad esempio la paradossale (ma non tanto) lettera alla d'Epinay del 23 giugno 1770 (P.-M., I, pp. 175-6), che diede l'avvio alla Baga"e galianea contro i fisiocrati (sulla Bagarre cfr. qui la nota 1 a p. 1067). I fisiocrati sono trattati da « pauvres irnbéciles fanatiques » nella lettera a Suard dcll'8 settembre 1770 (qui alle pp. 1047-53; sull'accostamento économistes-ginnsenisti cfr. la nota 3 a p. 794). Nella sua Réfrltation il Morellet (cui nella lettera a d'Holbach del 21 luglio 1770 Galiani attribuisce la volontà di « changer la France en république ») aveva colto acutamente il conservatorismo già presente nei Dialogr,es. A Galiani il Morcllct rimproverava il a: gout très-marqué pour le despotismc », le calunnie contro l'impegno innovatore degli économistes, la paura delle rivolte, « que l' Auteur paroit craindre camme s'il étoit chargé de toute la police du Royaume 11 (cfr. A. MoRELLET, Réfutation de l'ornJrage qui a pour titre Dialogues sur le comrnerce des bleds, Londres [ma Paris] 1770, pp. 3 e 10-2,; su quest'opera cfr. qui la nota 3 a p. 304). Sull'aspetto conservatore delle prese di posizione antifisiocratiche di Galiani nel periodo dell'« esilio napoletano• cfr. qui la nota 3 a p. 1048. 4. Galiani cosi concludeva la già citata lettera del 2 gennaio 1773: « L'abbé Morellet plaide contre les prétres, Helvétius contre les financien, Baudeau contre les fainéants, et

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Le lettere agli amici francesi che vanno dal ritorno a Napoli alla morte ci mostrano un Galiani sempre più misantropo, sempre più disincantato, sempre più sordo alle istanze di profonda trasformazione. Lontano da Parigi, l'abate sembra aver perso quel tanto di tensione spirituale che l'ambiente philosophique di quegli anni memorabili (gli anni dell' Encyclopédie) aveva contribuito ad infondergli. Egli non ha perso la verve ed il gusto della battuta spiritosa; anzi, questi tratti si accentuano al punto che essi, in non poche lettere, si accampano in primo piano, senza essere più sorretti da un nucleo di validi interessi. Si veda la lettera del 30 maggio 1772 alla viscontessa di Belsunce, figlia della d'Épinay, nella quale l'abate s'intrattiene sulla «Histoire des chats, à laquelle je travaille à présent»; si vedano le lettere in cui egli, ostentando la sua bizzarria, parla dei suoi gatti e delle osservazioni che va compiendo su di essi (21 marzo 1772, 29 luglio 1775, 1 I maggio e 12 ottobre 1776). Sembra quasi che Galiani senta l'obbligo di rimanere all'altezza della fama di causeur acquistata a Parigi, senza che si possano escludere la volontà e la vanità di superare costantemente la d'Épinay in arguzia, brio, ingegnosità paradossale. Non ci si sottrae all'impressione che, partendo da una condizione reale (dolore per aver lasciato Parigi, isolamento a Napoli), Galiani si sia egli stesso costruito un personaggio con cui giocare, ai confini tra realtà e finzione: il personaggio di chi dalla vita ha tratto una sconsolante lezione, del giudice smagato di cose e di uomini, dell'eterno enfant terrible che non rinuncia a dire amare verità sotto lo scintillio del paradosso; ed è con una punta di compiacenza, cosi almeno ci pare, che Galiani si presenta come il machiavellico assertore di una morale che è agli antipodi di quella dei philosophes. Si veda come risponde alla d'Épinay, che aveva lodato (lettera del 26 luglio 1772) l' Histoire philosophique et politique des établissemens et du commerce des Européens dans les deux lndes del Raynal: «c'est le livre d'Wl homme de bien, très instruit, très vertueux, mais ce n'est pas mon livre. En politique je n'admets que le machiavélisme pur, sans mélange, cru, vcrt, dans toute sa forcc, dans toute son apreté ». 1 Il gusto di stupire per mezzo della genialità della trovata è rintracciabile più volte: valga come esempio la lettera del 25 maggio 1771, 2 in cui Galiani illustra spiritosamente «les principes fondamentaux de la liberté ». Un'altra volta, informato dell'« ancienne amitié • tra l'attore Carlino (il famoso «arlecchino» Carlo Antonio Bertinaztous pour le plus grand bien du prochnin. Peste soit du prochain. Il n'y

a pas dc prochain. Dites ce qu'il vous faut, ou taisez-vous » (cfr. qui, p. 1095). 1. Cfr. qui, pp. 1087-8. 2. Cfr. qui, pp. 1072-3.

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zi) e Clemente XIV, progetta di scrivere un romanzo epistolare costi• tuito dall'immaginaria corrispondenza tra i due personaggi (lettera del 15 febbraio 1774; risposta della d'Épinay del 27 febbraio 1774). Sparsi in tutte le lettere, poi, sono le sentenze, gli aforismi, le osser• vazioni moraleggianti, 1 pronunciate col tono di chi ha intensamente vissuto e molto imparato: «Vous attribuez la perte de la gaieté à la corruption des mceurs; j'aimerais mieux l'attribuer à l'augmentation prodigieuse de nos connaissances; à force de nous éclairer, nous avons trouvé plus de vide que de plein, et, au fond, nous savons qu'une infinité de choses, regardées comme vraies par nos pères, sont fausses, et nous en savons très peu de vraies qu'ils ignorassent. Ce vide, resté dans notre ame et dans notte imagination, est, à mon avis, la véritable cause de notre tristesse: Le raisonneur tristement s'accrédite; / ah! croyez-moi, l'erreur a son mérite. - Ce sont les plus beaux vers et la pensée la plus sublime enfantés par l'immortel Voltaire». 2 Ed è sempre il richiamo, implicito od esplicito, ad un'esperienza accumulata negli anni che offre all'abate la giustificazione del suo atteggiarsi a profeta o, quanto meno, ad interprete del presente alla luce degli sviluppi futuri. 3 Le riflessioni sul «vide dans notre ame et dans notre imagination » riportate sopra ci riconducono al senso di una vita opprimente, trascinata nella stanchezza e nell'isolamento, chiusa in un'amarezza che si eleva talvolta ad una sconsolata visione dell'umana vicenda: « On a beau faire le reveche contre notre destinée et la loi commune des @tres » scrive alla d'Épinay il 19 giugno 1773, prendendo spunto dal ritratto del marchese di Croismare, morto qualche mese prima. a: Nous mourons, nous et nos physionomies, et nos saillies, et nos portraits, et notre souvenir, et tout doit s'en aller. Quel délire que celui des Romains et des Grecs, que de faire tout pour l'immortalité. Cette prétendue immortalité n'est qu'un terrain disputé à l'oubli, mais bien faiblement disputé ». 4 Galiani dice di voler mettere da parte questa «rèverie sombre et désespérante », ma un sottofondo di tristezza, di rimpianto per anni irrimediabilmente trascorsi, si manifesta spesso. 5 C'è anche qui la volontà di tener fede all'immagine del Galiani «esiliato,, e Napoli, la volontà di sdoppiarsi maliziosamente in un alter ego non del tutto rispondente al Galiani di quel periodo? Certamente c'è, a nostro avviso, anche questo; ma la tetrag1. Se ne trova un'ampia scelta in Il pensiero dell'abate Galiani, cit., pp. 99 sgg. 2. Lettera del 7 novembre 1778. in P.-M., n, pp. 566-7. 3. Anche per le a profezie» di Galiani rimandiamo a Il pensiero dell'abate Galiani, cit., pp. 213-8. 4. Cfr. P.-M., n, p. 216. 5. Ci limitiamo a segnalare la commossa lettera del 9 marzo 1771, scritta dopo la lettura del Sennon di Grimm (P.-rvI., 1, p. 365).

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gine scontrosa e la sensazione di sentirsi uno straniero in patria sono una realtà che non si può ignorare. 1 Esse tornano con insistenza nelle lettere a Lorenzo Mehus, un personaggio nei confronti del quale Galiani non si sentiva certo impegnato a far uso di filtri letterari. Il 7 dicembre 1773 scrive: « In verità, la società di Cannibali, di Antropofagi, di Ciclopi, che mi circonda, mi svoglia affatto dalle lettere ». La denuncia dell'atmosfera stagnante della capitale torna nella lettera del 6 dicembre 1774: «Per ora ogni letteratura in Napoli resta schiacciata sotto il peso d'un artefatto ozio, e d\m forzato letargo»; il 28 novembre 1775 Galiani insiste: «è immensa la distanza che è tra me e il grosso de' miei concittadini ... goderò del loro ineficace odio, che pago con altrettanto disprezzo tranquillissimo ». 2 Una stanchezza al limite della disperazione affiora nella lettera del 14 luglio 1778 : «Io tiro innanzi una noiosa, ed infruttifera vegetazione. Ogni giorno più concerto le mie idee al fisico della vita animale, et cupio dissolvi». Gli anni napoletani non furono soltanto spesi nel vagheggiamento del soggiorno parigino, come talvolta le lettere alla d'Épinay potrebbero far pensare, ma furono anche densi di un'attività svolta con scrupolo ed intelligenza. Sono di questi anni le consulte su vari problemi del Regno, scritture tra le più belle di Galiani, anche se l'orizzonte politico appare piuttosto angusto ed egli si limita a suggerire rimedi parziali; nel 1782 esce il già ricordato De' doveri de' Principi neutrali, mentre le lettere di Celesia aprono spiragli sui persistenti interessi politici ed economici dell'abate. 3 Inoltre le lettere a Mehus I, Il s settembre 1772 Galiani scriveva a Diderot: «je n'ai plus ni le temps ni le gout de la lecture. Lire tout seul, sans avoir à qui parler, avec qui disputer ou briller, ou écouter, ou se faire écouter, c'est impossible. L'Europe est morte pour moi. On m'a mis à la Bastille. }'appartiens au règne végétal à présent, et je me vois dans un désert, cnvironné de souches, de poutres et de ces truncus inutile li'gnum dont je vois faire de temps à autre des Priapes » (cfr. qui, p. 1085). Il 21 settembre 1776 scriveva alla d'Épinay: «j'ai été plongé dans l'cnnui, le chagrin, le dégoilt: voilà les causes de mon silence depuis trois ou quatre semaines » (cfr. qui, p. 1129). Il 25 luglio 1778 affermava: «Les marques de la plus tendre amitié, madame, que vous continuez à me donner en m'écrivant, et de votre main, au milieu de vos souffrances, peuvent seules réveiller ma léthargie, et, pour ainsi dire, me tirer du tombeau. Au reste je suis mort, commc vous savez .•• Je n'écris plus, je ne pense plus, je ne vis plus, je végète » (cfr. qui, pp. 1148-9). 2. Cfr. qui, p. 1122. 3. Il s aprile 1770 Celesia parla di Agostino Lomellini ed accenna ad una confutazione del libro di Beccaria apparsa a Genova; il 28 aprile 1770 fa di sé uno spigliato autoritratto e si pronuncia a favore di una maggiore libertà di circolazione dei grani nel Regno di Napoli; il 7 luglio 1770 parla di Beccaria; il 26 marzo 1771 dice di essersi incontrato con Llano, in viaggio per Parma, e si dichiara scet-

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ci mostrano un Galiani attento a vari problemi, primo fra tutti quello della bonifica della maremma toscana, 1 ed il carteggio con la d'Épinay e gli altri amici francesi provano come l'autore dei Dialogues si tenesse costantemente informato dell'opera di Turgot e di Necker. 2 Occorrerà dunque non insistere troppo nell'accentuare unilateralmente un aspetto della personalità di Galiani, ma, piuttosto, aver cura di cogliere tale personalità nelle sue sfaccettature e sfumature. Pertanto, sarà da tener presente il complesso intrecciarsi di interessi significativi e di senso di vuoto e di noia, di attività e di inerzia, di vaniloquio e di meticoloso lavoro intorno a problemi concreti. Non par dubbio, tuttavia, che effettivamente Galiani sia rimasto come sequestrato dal ribollire di propositi riformatori e di generose speranze della nuova generazione di illuministi. L'« addormentato paese» di cui si lagna in una lettera al Mehus del 26 febbraio 17713 era il paese dei Longano, dei Filangieri, dei Galanti, dei Pagano, che proprio in quegli anni si affacciavano sulla scena della vita politica e culturale. Galiani non sembra nemmeno accorgersi di questi giovani d'eccezione. Soltanto in una lettera al Mehus del 25 giugno 1782 troviamo un accenno a Filangieri e a Galanti: e La libertà è qui generale. Naturalmente porta seco frutti buoni, e cattivi; ma la raccolta de' buoni supera quella de' cattivi; e in tutto noi dobbiamo benetico circa le possibilità di successo dello stesso Llano come primo ministro; il 14 marzo 1772 parla dei Gesuiti; il 9 luglio 1772 manifesta i suoi timori per l'indipendenza di Genova, minacciata dall'imperatore, ed esalta la •libertà genovese»; il 10 aprile 1773 discorre dei disordini annonari di Genova ed accenna al suo incontro con Chastellux (B.S.N.S.P., XXXI, C. 13). Del 1773 è la relazione di Galiani a Giovan Battista Grimaldi sull'annona di Genova (cfr. qui, pp. 735-41). Di non grande importanza (almeno ai fini del discorso su Galiani che qui si tenta) sono le quattro lettere al duca di Villahermosa, edite nel 1894: cfr. M. MENÉmEZ PELAVO, Lettru inédites de Beaumarcl,ais, Galiani et d' Alembert adressées au due de Villahermosa, in a Revue d'histoire littéraire de la France», I (1894), pp. 330-52. Le lettere di Galiani, appartenenti al 1770, sono alle pp. 332-7. 1. Cfr. le lettere al l\!lchus dell'a esilio napoletano» pubblicate più avanti in questo volume: esse ci mostrano un Galiani tutt'altro che intellettUahnente spento e privo di curiosità. 2. Cfr. le lettere pubblicate alle pp. 1109-12, I 125-7 e uso-6 di questo volume, e le note relative. 3. Per la verità, quando scriveva le parole che abbiamo riportate, se già abbastanza noti erano Longano e Pagano, non altrettanto si può dire del Galanti, che pubblicherà nel '72 il suo Elogio di Genovesi, e del Filangieri, la cui Scienza della legislazione comincerà ad uscire nel 1780. Che però il giudizio di Galiani coinvolga anche gli anni successivi al '71 si ricava chiaramente dai passi di lettere che abbiamo citato sopra: inoltre, la definizione galianea testimonia dell'assenza di legami con la nuova generazione, dell'estraneità nei confronti dei giovani che allora andavano formandosi e cercando la propria via, e le cui inquie.. tudini l'abate non riusci a cogliere.

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dire il Governo dello stato di libertà che godiamo, poco gustato altrove. Sicuramente quella stessa impunità che fa vomitar libelli ad un Sarcone, incoragisce un Filingieri, un avvocato Galanti a produrre buoni libri ». 1 Il suo isolamento è reale, anche se non mancano i contatti con il Wilczeck, con gli ambasciatori francesi (prima il Breteuil, poi il Clennont d'Amboise), con gli amici di passaggio (Gleichen, Grimm, Pignatelli ed altri); freddi, invece, erano i rapporti con Tanucci dopo il richiamo del 1769. Chiuso in un mondo tutto suo di ricordi, di interessi, di simpatie ed antipatie, egli non è certo uomo capace di comprendere i fermenti e le aspirazioni che si manifestano intorno a lui, di stabilire rapporti con i giovani che si vanno mettendo in luce, di spronarli e di incoraggiarli. Né i giovani lo cercano: egli, l'illustre autore della Moneta e dei Dialogues, non costituisce né una guida né un punto di riferimento. Anzi, quando Giuseppe Maria Galanti ne fa menzione, è per sottolinearne la gretta acidità di censore. 2 Il Galiani che invecchia non potrebbe essere più diverso da un Bartolomeo Intieri, impareggiabile stimolatore di ingegni e di energie intellettuali fresche, pronto ad entusiasmarsi, a più di settant'anni, per il Della moneta ed il suo autore, inesausto vagheggiatore - e preparatore, per quanto gli fu possibile - di un mondo trasformato dal progresso dei lumi. Morta la d'Épinay nel 1783, venne meno a Galiani la corrispondente abituale, che rappresentava per lui il concreto legame con la Francia. Già negli ultimi anni di vita della d'Épinay il carteggio si era molto diradato, a causa soprattutto delle cattive condizioni di salute della signora. Di coloro che, senza poter essere definiti corrispondenti fissi di Galiani, avevano scambiato con lui delle lettere, il d'Alembert mori nel 1783, il Diderot nel 1784; t>abate rimase in contatto con Grimm, che sopravvisse fino al 1807. 3 I legami con la Francia andavano attenuandosi. Date anche le scarse lettere degli ultimi anni, si potrebbe pensare ad una chiusura ancora maggiore, ad una solitaria e sconsolata attesa della morte; ma a metterci in guardia sino alla fine da ogni schematismo e da ogni caratterizzazione rigida ed univoca sta il viaggio a Venezia intrapreso pochi mesi prima di morire, viaggio durante il quale Galiani rivide vecchi amici come Andrea Memmo, di cui fu ospite, e fece nuove conoscenze, come Tiraboschi.4 1. Cfr. qui, p. 1159. 2. Cfr. G. M. GALANTI, Memorie storicl,e del ,nio tempo, in Illuministi italiani, tomo v, cit., pp. I 102-4. 3. Grimm, che finì per diventare agente e factotum dell'imperatrice di Russia, costitul per Galiani anche il tramite per il quale l'abate entrò in contatto con Caterina II; sui rapporti tra Galiani e la zarina cfr. la nota 2 a p. 1138. 4. Sul viaggio in Italia di Galiani cfr. L. D10DATI, Vita dell'abate F. Galiani, Regio

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L'ultima lettera di Galiani è una dignitosa risposta inviata dal letto di morte alla regina Maria Carolina, che lo invitava, con tono di bigotta devozione, a pentirsi dei suoi peccati. 1 Le indicazioni filologiche relative al testo della corrispondenza Galiani-Tanucci si trovano nel cappello introduttivo alla lettera a Tanucci del 14 aprile 1760, qui alle pp. 848-9. Per la "corrispondenza francese», che inizia con la lettera a madame d'Épinay del 14 agosto 1769 e comprende vari destinatari, rimandiamo al cappello introduttivo a questa stessa lettera, qui alle pp. 986-90. Precisiamo fin d'ora che la • corrispondenza francese» è tratta dall'edizione Perey-Maugras, salvo indicazione contraria, sempre segnalata in nota alle lettere che abbiano fonte diversa. Per tutte le altre lettere comprese in questa scelta dell'epistolario, le note filologiche ai testi sono in calce alla prima delle lettere dirette da Galiani allo stesso destinatario. Le notizie biografi.che sui destinatari si trovano in nota alla prima delle lettere inviate loro da Galiani. Inoltre, per evitare eccessivi richiami, che avrebbero appesantito le note, rimandiamo, per i personaggi citati molto frequentemente nel testo, all'Indice dei nomi alla fine di questo tomo. I nostri interventi sul testo delle lettere in italiano di cui possediamo l'autografo o l'apografo sono ridotti al minimo. Siamo intervenuti soltanto per correggere errori evidenti, oppure là dove, a causa della punteggiatura lacunosa, il testo poteva ingenerare equivoci nel lettore. Abbiamo eliminato talune virgole che, non più conformi all'odierna interpunzione, avrebbero appesantito il testo. Lo stesso vale per la sostituzione di maiuscole con minuscole o viceversa.

Consigliere ecc., Napoli, Orsino, 1788 1 pp. 83-4. Nel corso del suo viaggio Galiani ebbe contatti con l\1elchiorre Cesarotti, il quale probabilmente aveva già conosciuto l'abate un anno primn a Napoli. Una lettera di Galiani a Ccsarotti del 31 luglio 1787 (successiva quindi al rientro di Galiani) si legge in M. CF.SAROTI'I, Opere, x.x.xv (Epistolario), Firenze, l\1olini, Lnndi e Comp., 18n, pp. 33-6; la risposta del Cesarotti, in data 20 agosto 1787, è i"i, pp. 36-9. Entrambe le lettere sono state ristampate da F. N1coLINI, Giambattista Vico e Ferdinando Galiani, in «Giorn. stor. d. lett. it. •, XXXVI (1918), pp. 202-5. La lettera del Cesarotti si legge anche in Dal Muratori al Cesarotti, tomo I\' 1 Critici e storici della poesia e delle arti nel 1econdo Settecento, a curn di E. Bigi, Milano-Napoli, Ricciardi, 1960, pp. 515-6. 1. Lo lettera di Galiani, in dntn 18 ottobre 1787 (egli morrà il 30 dello stesso mese), è stata pubblicata per la prima volta, in traduzione francese, da P.-M., 11, pp. 639-41; la lettera di Maria Carolina è ivi, pp. 635-8. Le due lettere, nell'originale italiano, sono state edite da A. ADEMOLLO, L'abate Galiarri in artic11lo mortù, in • Fanfulla della Domenica•, Roma, 23 ottobre 1881.

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Generalmente si sono sciolte le abbreviazioni: per esempio: P.ne Padrone; Card.le = Cardinale; ultim.e = ultimamente; Arciv. 0 Arcivescovo, e cosi via. Per le lettere in francese di cui possediamo il manoscritto abbiamo seguito, per quanto riguarda l'interpunzione, gli stessi criteri; ma per ulteriori delucidazioni, relative agli specifici problemi posti dal particolare francese di Galiani, cfr. la nota I a p. 1028. Per le lettere a stampa abbiamo seguito il testo delle edizioni da noi indicate, limitandoci a correggere qualche refuso che si presentasse inequivocabilmente come tale, e ad intervenire, in modo assai ridotto, sulla punteggiatura. Rimandiamo comunque, per altre precisazioni, soprattutto al cappello introduttivo alla «corrispondenza francese».

* Desidero rivolgere i miei più sinceri ringraziamenti a tutti coloro (e sono molti) che con indicazioni, suggerimenti ed informazioni hanno contribuito all'allestimento di questa edizione dell'epistolario Galiani - edizione dei cui eventuali difetti solo il curatore, s'intende, porta fintera responsabilità. Un ringraziamento particolare esprimo a Raffaele Ajello, Romeo De Maio, Salvatore Rotta e Franco Venturi, cosi come all'équipe che sta preparando presso la facoltà di Scienze politiche dell'Università di Pisa - sotto la direzione del prof. Mario D'Addio - la pubblicazione dell'intera corrispondenza Tanucci, che mi è stata messa a disposizione nella trascrizione dattiloscritta. Desidero altresl rendere omaggio alla cortesia del prof. Alfredo Parente, direttore della Biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria, il quale mi ha facilitato la consultazione dei manoscritti Galiani. All'ex direttrice dell'Archivio di Stato di Napoli, dott. Guerriera Guerrieri, ed all'attuale direttrice, dott. Jolanda Donsi, va la mia profonda riconoscenza. Di preziose informazioni sono debitore al prof. Franco Strazzullo e all'amico Eluggero Pii. La preparazione di questa silloge di lettere non sarebbe stata possibile senza l'appassionato lavoro della dott. Fiorenza Mazzaroli, che mi ha validamente aiutato sia nelle ricerche sia nella revisione delle bozze.

I A BARTOLOMEO INTIERI 1

[Napoli] A dl I5 luglio z75r.z lo sono persuaso, Intieri carissimo, farvi cosa grata, e dono assai prezioso, inviandovi queste considerazioni, che unicamente per compiacervi a voi3 ho scritte intorno alle streghe e agli incantesimi loro: e di cosi creder fermamente ho molte ragioni. Primieramente la materia è per sé stessa piacevolissima; poiché essendo tra tutti gli studi dolcissimo quello che s'occupa intorno alla considera-zione dell'animo umano, e sulle cause delle opere nostre tanto 1. Questa è l'unica lettera di Ferdinando Galiani a Bartolomeo Intieri che ci rimane (su Intieri cfr. la nota 1 a p. 271). La minuta autografa, seguita dal Proemio del lavoro sulle streghe annunciato nella lettera, è alla B.S.N.S.P., XXXI, C. 14, f. 145r. e v. La lettera è inedita. Avvertiamo che sia l'autografo della lettera, sia, soprattutto, quello del Proemio presentano numerose cancellature, correzioni ed aggiunte, che rendono talvolta difficile decifrare il testo e stabilire una lezione assolutamente sicura. Di seguito alla lettera diamo il Proemio dell'opera sulle streghe, opera della quale non è traccia nelle carte galianee (forse il progetto fu poi abbandonato da Galiani). Noti sono i legami del vecchio Intieri con il giovane Ferdinando, che proprio nel circolo intieriano sviluppò e maturò le sue idee economiche; cfr. F. NICOLINI, La puerizia e l'adolescenza dell'abate Galiani (I735-x745). Notizie, lettere, versi, documenti, in •Archivio storico per le province napoletane•, N.S., IV (1918), pp. 105-32, passim, e la Nota dello stesso studioso in F. GALIANI, Della 111oneta, a cura di F. Nicolini, Bari, Laterza, 1915, pp. 365 sgg.; cfr. anche qui i Preliminari all'epistolario, p. 790. Ricordiamo che i contatti Galiani-lntieri fecero nascere la leggenda che lo stesso Galiani non fosse l'autore deUa Moneta, opera che fu considerata superiore alle capacità e alle possibilità di un giovane di ventitré anni (cfr. L. DIODATI, Vita dell'abate F. Galiani ecc., cit., pp. 13-4). La questione è discussa da F. NICOLINI, Intorno a F. Galia11i ecc., cit., pp. 2-8; sull'argomento cfr. anche, in questo volume, i" Preliminari olla Moneta. Ricordiamo pure che Ferdinando stese il Della perfetta co11seroazione del grano, pubblicato nel 1754 sotto il nome di lntieri (cfr. le note 2 a p. 274 e 2 a p. 1055). Sul circolo intieriano cfr. il vecchio, ma sempre utile libro di G. RAc10PPI, Antonio Ge,1ovesi, Napoli, Morano, 1871 (ristampa dedicata a Raffaele Mattioli, Napoli 1958), cap. v, pp. 86-112 1 e soprattutto F. VENTURI, Alle origini dell'ill,lfninismo ,rapo/etano. Dal carteggio di Bartolomeo Intieri, in «Rivista storica italiana», LXXI (1959) 1 pp. 416-561 e Settecento riformatore. Da Muratori a Beccan·a, Torino, Einaudi, 1969, cap. VIII, La Napoli di Antonio Genovesi. 2. F. NICOLINI, J ,nanoscritti dell'abate Galiani, in •Archivio storico per le province napoletane•, cit., p. 176, riporta erroneamente la data 15 giugno 1751. 3. Nell'autografo, •a voi» è nell'interlinea, sopra • compiacervi •.

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varie, strane, e spesso inaspettate meditando si pasce; non può essere che non vi sia superiore1 e più bello quello che all'esame degli animi feminili si rivolge, i quali quanto più sono da' nostri diversi, tanto sono restati meno conosciuti. Inoltre poiché io veggo che a' corpi già dalla età infiacchiti e debilitati la natura, la quale ha nella conservazione posta la sede d'ogni piacere, toglie l'appetito di quelle voluttà che senza giovenile vigore non si possono impunemente gustare, e richiama l'animo a sentire con più forza, ed a saziarsi in diletti della filosofia e della contemplazione; quale offerta più gradita vi posso io fare di questa opera, che alla disposizione del!'età, e all'animo, ed alla conservazione della salute e della senile ilarità vostra, è tanto conforme? anzi certamente ella sarà da voi portata a leggere là dove avete prudentemente scelta a vivere una tranquilla e beata vita2 mezza tra il mondo, e l'eternità. Voi nella vera filosofia, e nella disinteressata osservazione degli avvenimenti tutti vi pascete, e di contento purissimo vi satollate; e lo potete tanto più perfettamente fare, quanto di uomo vivo avete la sapienza e la memoria delle cose accadute, di morto avete l'animo superiore e la tranquillità. I vi, io spero che di questa fatica, e di me3 come di vostro affettuoso amico e generoso donatore, vi loderete. Né crediate che a me, che giovane sono, si disconvenga d'uniformarmi ai vostri diletti. È vero ch'io non sono già stanco di vivere, anzi mi dolgo di non aver quasi ancora a vivere incominciato. Ma siccome i fanciulli, quando nuotando scherzano la state sulle arene de' lidi, dopo lungo nuoto prendono terra non perché stanchi sieno, e lassi, ma per rivolgersi indietro a rimirare lo spazio percorso, e d'averlo fatto senza spossamento di forze si rallegrano in loro stessi, cosi a me piace fermarmi alcuna volta, ed il cammino fatto, l'altro che resta, e lo stato delle mie forze, co' que' che sono in riposo sul lido godo discorrere, e misurare. Perciò mi sarà carissimo guiderdone, se voi della futura mia vita, dalla già fatta, e dallo stato presente in cui sono, vorreste quasi prenosticando far giudizio, ed io m'ingegnerò poi di convertire il pregnostico in profezia. Nell'autografo, a superiore• è nell'interlinea, sopra «migliore» cancellato. 2. là • •• vita: nella villa di Massa Equana, dove Intieri prevalentemente viveva e dove si radunava un gruppo di uomini d'ingegno vivace e dalle molteplici curiosità: tra essi, Antonio Genovesi e lo stesso Galiani; • tranquilla e beata» è aggiunto nell'interlinea. 3. Nell'autografo, a. questa fatica, e di» è ne!Pinterlinea, sopra • di me». I.

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stata volontà dell'autore della natura sapientissima e commodissima all'uomo, che tutte le create cose avessero negli ordini loro perpetua ed infinita durazione, e siccome le perfezioni del mondo essendo finite, non erano capaci d'avere l'infinito in ampiezza, come in lui che infinito è lo hanno, è stato loro concesso l'averlo nella vicenda e nel circolo, il quale dentro spazio limitato col rivolgersi in sé medesimo si può perpetuare. A legge cosi grande sono sottoposte, e !'opere, e le scienze umane; le quali furono destinate ad essere l'occupazione nostra, e l'istrumento da renderci tra noi, che per origine nasciamo eguali ed amici, diseguali e nemici. Ma con questa dura condizione, che il grado del sapere non accrescendosi mai, s'ha da durare a contendere di quello stesso, che innanzi al nascer nostro tra i nostri maggiori s'era disputato. Così senza potersi alcuna scienza o estendere, o esaurire, quelle stesse piccolissime scintille d'incerta verità servono, e serviranno di trattenimento per tutti i secoli all'uomo. Vero è che, 2 siccome sono di varia natura le scienze, così con diversi mezzi sono state ordinate al sopraddetto fine. Delle scienze altre riguardano i fatti nostri, altre i nostri pensieri, onde io chiamerò storiche l'une, l'altre mentali. Queste si suddividono nelle occupate sulle idee chiare ed astratte, ed in quell'altre, che trattano le idee concrete, cioè le immagini3 che gli uomini s'affaticano concepire simili alle esterne cose, quando di esse, e delle cause loro cercano la verità. Le storiche non potrebbero dare infinita materia, se gli avvenimenti apparissero tutti nelle nostre menti, cosl come sono in natura, o falsi o veri. Ma del falso, e del vero ch'è sempre in natura, non perviene mai dentro al nostro concepimento, e in luogo loro vi stanno il verisimile e l'incerto, de' quali essendo i gradi infiniti un fatto solo di storia si converte subito in una scaturiggine perenne di studi, di contrasti e di fatiche. Le scienze matematiche, per con1. Pubblichiamo qui il Proemio autografo dell'opera sulle streghe (B.S.N. S.P., xxxi, C. 14, ff. 146r.-148r.) cui Galiani accenna nella lettera ad lntieri. Il passo Le storiche ••• non forzata conviz::ione è stato pubblicato da \V. STUMPF, Galiani als Kritiker, Dresden, Dolff, 1925, pp. 135-6. La discussione settecentesca intorno alle streghe, avviata dal Tartarotti nel 1744 (ad essa parteciparono, tra gli altri, il Carli, il Mamachi, il Frisi e so-prattutto Scipione Maffei), era, nell'anno in cui Gnliani scriveva, assai vivace e accesa. Di tale discussione si è ampiamente occupato F. VnNTURI, Settece11to riformatore, cit., pp. 355-83; cfr. anche L. PARINETTO, Magia eragione. Una polemica sulle stregl,e in Italia intorno al I750, Firenze, La Nuo-va Italia, 1974. 2. Nell'autografo, e Vero è che• è nell'interlinea, sopra •Però•· 3. Nell'autografo, •immagini• è sopra •idee» cancellato. 52

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trario, sebbene non si discostino dal vero, pure di lui non trovano mai la fine; si perché d'immagini astratte ciascuno ne può formare infinite, sì perché delrinfinite proprietà d'ogniuna, pochissime ne scuopre la pronta intuizione, il più le manifesta solo la lunga e faticosa dimostrazione. Le filosofiche finahnente, tra le quali come io ho detto di sopra occupa principalissima sede la magia, perché sono di tutte le più sublimi e pregiate, perciò più dell'altre ancora sono state amplificate, ed estese, e tratte fuori de' confini della mente umana. Di tanta ampiezza sono esse debitrici a due cause principali. Alla mancanza di principii certi, e all'ardimento dalle passioni cagionato. La storia dunque al vario grado dell'ansiosa incertezza, le matematiche all'immensità del vero, la filosofia all'oscurità de' principii debbono la loro infinita grandezza. Ecco la cagione che io ho promessa palesare, e che trovo non convenire alla sola magia, ma a tutte le umane cognizioni ancora. In primo luogo nel giudicare si dà eguale forza di assioma solo alle verità dimostrate, ed alle universalmente credute, onde avviene che le balie hanno più parte al nostro sapere che non ne hanno i filosofi ed i maestri, i quali per altro anch'essi la loro balia hanno avuta; in 2° luogo la vena maggiore delle dispute deriva dall'adottarsi raziocinando le conseguenze che provengono da tutti questi principii che s'hanno egualmente per certi, senza avvertire s'essi sono congiunti tra loro, ed incatenati. La verità è un inanellamento, ed una catena, né mai da un principio stesso possono derivare due conseguenze opposte, quando chi argomenta non avesse abbagliato. Ma se voi un argomento lo prendete dall'esperienza, un altro dall'autorità del maestro, un altro ve lo dà l'anticipato giudizio che fino dalla fanciullezza recaste con voi, ed uno finalmente vi viene dalla passione vostra, che confonde la realità co' desideri suoi, e quanto gli giova, tanto vuole che sia cosi, voi non potrete non trovare pareggiate le forze, e divisa in due opposte sentenze quella che voi chiamate verità, e che altro non è che ingiusta, e non forzata convizzione [sic]. Perciò in tutti i filosofi io ravviso questo errore che essP Siccome niuna cosa è che renda nobili e virtuosi gl'animi umani, e che per infinito spazio sopra loro stessi e la loro inferma natura sollevandogli al Cielo gl'avvicini, quanto la vera cognizione della Divinità, cosi la falsa religione gli corrompe, e guasta tanto mostruosamente, che peggiori di quelli d'ogni bestia più vile gli rende. Perché producendogli la natura d'ogni bruttura di vizi e di colpe sozzi e diffonnati, 2 la vera religione altra non è che quella, che di tali macchie gli purga, ed amici tra loro, e alla Divinità simili gli 1. Nell'autografo il periodo rimane sospeso. mati • è sopra «macchiati ,, cancellato.

z. Nell'autografo, «diffor-

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rende. Ma la superstizione per contrario si può giustamente definire quella religione, che non migliora gli animi corrotti, ma dagli animi corrotti è intierarnente generata, e ritiene, quasi frutto di radice infetta, tutte le malignità del principio suo. Perciò chi non si rivolge a conoscere quale naturalmente è l'uomo, non intenderà mai appieno le vere' disposizioni, e forma delle2 superstizioni, le quali essendo varie quasi all'infinito tra loro nelle particolari circostanze d'ogniuna, non sono però che una sola, e costante ed uniforme nel principio, e dirò quasi nello scheletro loro. L'uomo reca con sé nel nascere un animo vile ed abietto; perché è vile, è timido, invidioso, e godente del male altrui. Perché è timido, è vendicativo3 con ogni altro della specie sua, e fuori che la donna e i bambini suoi, che in lui come più forte naturalmente si fidano e s'appoggiano, odia ciascuno, ed è solo di sé stesso ammiratore ed amante. Chi potesse queste quattro principali passioni della timidità, invidia, crudeltà e maleficenza4 quasi in un alambicco distillare, ne trarrebbe certamente fuori per succo la superstizione. Ed acciocché meglio si conosca la verità di questo ch'io dico, non sarà inutile, essendo materia gravissima e poco conosciuta, entrare a discorrere della superstizione, e mostrare come dalle già dette disposizioni dell'animo tragga l'origine sua.

1. Nell'autografo, • le vere• è nell'interlinea, sopra •quali•· 2. Nell'autografo, •delle• è nell'interlinea, sopra • abbiano le•· 3. Nell'autografo, •vendicativo• è nell'interlinea, sopra •crudele». 4. Nell'autografo, • crudeltà• è nell'interlinea, sopra •viltà• cancellato; • maleficenza » è nell'interlinea, sopra I crudeltà •·

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Il A DOMENICO SGUEGLIA 1

Roma. I7 dicembre I7SI .a Carissimo D. Domenico Non volendo perder tempo, non ho voluto aspettare l'avviso vostro se si potesse stampare il Re Pastore3 inviatovi o no, ed ho 1. Questa lettera e le due seguenti fanno parte delle trentasei - tutte inedite - indirizzate da Galiani a Domenico Sgueglia durante il viaggio per l'Italia del 1751-52. Un passo della lettera del 25 febbraio 1752 è stato pubblicato da F. NICOLINI, Intorno a F. Galiani ecc., cit., pp. 20-1 (cfr. anche S. RoTTA, Lettere di P. P. Celesia ecc., 1, cit., pp. 26-7). Le lettere dell'abate (comprese tra il 3 dicembre 1751, da Roma, ed il 27 ottobre 1752, da Roma), con le risposte di Sgueglia (comprese tra il 4 dicembre 1751 ed il 17 ottobre 1752) e parecchie lettere di Celestino Galiani, sono conservate alla B.S.N. S.P., XXXI, C. 16; le lettere di Ferdinando Galiani vanno dal f. 1r. al f. 71v.; quelle di Sgueglia e di Celestino Galiani dal f. 72r. alla fine del codice. Sul viaggio in Italia Galiani lasciò un diario con appunti piuttosto scarni, ma tutt'altro che privi di interesse (ivi, XXXI, C. 22). Partito da Napoli il 28 novembre 1751 in compagnia di Pasquale Carcani, che lasciò l'amico il I gennaio 1752, Galiani toccò, tra le altre città, Roma, Pisa, Firenze, Bologna, Venezia, Verona, Milano, Torino; il 9 novembre 1752 era di ritorno a Napoli. Durante questo viaggio, che compiva dopo la pubblicazione della Moneta (e della volontà di farsi conoscere, di diffondere il suo libro, di verificare se la sua fama avesse già raggiunto le città via via toccate, è traccia in quasi tutte le lettere a Sgueglia), entrò in contatto o strinse amicizia con personaggi come il Carli, il Neri, il Foscarini, il Lami, il Foggini, il Memmo ecc. A Roma fu ricevuto da Benedetto XIV; a Torino ebbe un colloquio con Carlo Emanuele III. Del viaggio in Italia di Galiani parla F. VENTURI, Settecento riformatore, cit., pp. 504 sgg. Le lettere che pubblichiamo sono ai ff. 7r.-8r., 33r.-34r., 47r.-5ov. del citato ms. XXXI, C. 16. -Domenico Sgueglia fu segretario capo della cappellania maggiore sotto Celestino Galiani, che gli affidò la prima educazione dei nipoti Ferdinando e Berardo. Segui Celestino Galiani nella guerra di successione austriaca in Italia, durante la quale fu fatto prigioniero (cfr. F. NICOLINI, Un gra11de educatori ecc., cit., p. 119). Le lettere di Ferdinando a lui indirizzate ce lo mostrano in veste di amministratore dei possedimenti galianei e di segretario dello stesso Ferdinando. Una lettera di Sgueglia datata Napoli, 23 settembre 1751 (B.S.N.S.P., XXXI, B. 18, ff. 37r.-38r.), in cui si parla dell'incontro tra Celestino Galiani e Nicola Fraggianni a Portici a proposito della Mon~ta, è stata parzialmente pubblicata da F. N1coLINI, Intorno a F. Galiani ecc., cit., p. 8. Notizie sullo Sgueglia in F. N1cOLINI, La pt1erizia e l,adolescen:ra ecc., cit., pp. 105-32, passim. 2. Galiani arrivò a Roma il I dicembre 1751 e vi si trattenne fino al 10 marzo 1752. Sul soggiorno romano cfr. le note stese dallo stesso Galiani nel citato diario di viaggio, ff. 56r. sgg. 3. Il progetto di far stampare a Napoli dal Raimondi Il Re Pastore di Meta .. stasio (cfr. le lettere a Sgueglia del 14 e 29 dicembre 1751), rappresentato il 27 ottobre 1751, non fu poi attuato, avendo Sgueglia risposto (lettere a Ga.. liani del 18 e 22 dicembre 17 s1) che l'opera era conosciutissima a Napoli.

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già fatta la lettera dedicatoria alla Duchessa della Torre, 1 e ve la trasmetto. Se il libro non si stampa è piccola perdita di fatica. In-tanto, se avete stimato che si stampi, vi avviso di non mutare ali' e-dizione romana altro che il frontispizio e la dedica. Potrete intanto mandare Io stampatore a casa del Sig.r Duca della Torre a prender la notizia de' titoli da metter sul frontispizio, giacché io ne scrivo a dirittura a lui facendogli sapere questo desiderio, e son sicuro che non vi repugnerà. lo vi raccomando intanto la sollecitudine, e la pulizia della cosa. Il prezzo dell'opera sarà il solito 5 nn tarl.2 Aspetto ora il vostro avviso per rispondervi più a lungo. Venendo alle nuove, imprimis vi dirò che io ho qui più nemici che uomini. L'invidia, l'odiosità, e le altre brutte passioni figlie della malignità umana, m'aveano preceduto: e la mia presenza le ha forse accresciute. In uno stato così violento figurate come io possa stare.3 Il papa4 da cui fui mercoledi mi lodò grandemente la raccolta di lannaccone ;5 tanto può l'uniformità de' gusti. Del libro6 poi mi disse poco. Molti qui sono poi che me l'hanno lodato; ma niuno più del Cardinal Besozzi.7 Il Padre Boscovich ha stampata la prima lettera del Sig.r Ernesto Freeman con una sua lunghissima risposta: 8 la quale vera1. Tale lettera dedicatoria, datata Napoli, 21 dicembre 1751, si legge nel ms. xxx, C. 12, pp. 4-6 della B.S.N.S.P. La risposta della duchessa della Torre Rospigliosi, in data 4 gennaio 1752, è ivi, XXXI, B. 18, f. 69r. e v. 2. tari: cfr. il Registro delle monete, qui a p. 16; nn è, quasi sicuramente, abbreviazione di •nuovi». 3. io /ao qui .•. stare: già nella lettera a Sgueglia del 10 dicembre Galiani si era espresso negativamente su Roma e l'ambiente romano: • Io sono dato in una malinconia grande in questo infame paese. t impossibile aver termini bastanti a descriverne la bruttezza• (B.S.N.S.P., xxxi, C. 16, f. 4r.). 4. Jl papa: Benedetto XIV, sul quale cfr., dello stesso Galiani, l'Orazione, alle pp. 315-44 di questo volume. L'udienza avvenne il I s mattina (B.S.N.S.P., x.u1, C. 22, f. 6ov.). 5. la raccolta di Iannaccone: cfr. l'Introduzione a questo volume, p. XVII. 6. libro: si tratta, naturalmente, del Della moneta, cui Galiani teneva in modo particolare. 7. Galiani annota, nel suo citato diario del viaggio in I tali a, di essersi recato con l'Assemani, la sera dell'u dicembre, dal cardinale Besozzi, • che mi lodò molto il libro» (f. 59v.). Gioacchino Besozzi (16971755), milanese, entrò a sedici anni nelrordine dei Cistercensi. Versato nella teologia, nelle lingue classiche, nella fisica, ricopri cariche importanti sotto Benedetto XIII 1 Clemente XII e Benedetto XIV. Quest'ultimo lo nominò cardinale il 23 settembre 1743. Il Besozzi diede prova di moderazione e di tolleranza, e negli ultimi anni della sua vita fu anche in contatto con ambienti protestanti. Su di lui cfr. la voce di G. PIGNATELLI nel Di::ionan'o biografico degli Italiani, cit., IX, 1967, pp. 677-9. 8. Il Padre Boscovich ... risposta: sul • Giornale de' letterati• di Roma del 17 50 (ma uscito alla fine del '51) Galiani pubblicò, con lo pseudonimo di Er-

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mente stabilisce la sua prima spiegazione e distrugge quella del Freeman. Ma il fatto sta che lo stesso Freeman aveva mutata opinione in molte altre sue lettere, onde è stata malacreanza senza sua saputa stampargli una lettera e non le altre tutte. Ma da un giesuita che volete aspettare! L'affare di D. Giacomo comincia a pigliar migliore aspetto. 1 Ma non è tempo di rallegrarsi ancora. nesto Freeman, una Lettera ••. al Sig. Abbate Angelo lvlaria Bandini sopra il libro e de Obelisco Caesaris Augusti e Campi Martii ruderibus nuper eruto Commentariusn (cfr. «Giornale de' letterati per l'anno 1750», Roma, Pagliarini, 1751, pp. 129-41). La lettera è datata Napoli, 4 maggio I750 (in realtà, 4 agosto 1750). Il Boscovich rispose con una lettera in più puntate inserite nei numeri dal luglio all'ottobre 1750 del citato cr Giornale de' letterati» (pp. 193-205, 247-56, 277-82, 307-22). Questa lettera fu poi pubblicata a parte: Lettera del P. Ruggiero Boscovich della Compagnia di Gesù al Sig. Abate Angelo Maria Bandini in risposta alla Lettera del Sig. Ernesto Freeman sopra l'Obelisco di Augusto, Roma 1751. La discussione verteva sulla funzione dell'obelisco che, recentemente riportato alla luce a Roma, era stato fatto oggetto di un'opera di Angelo Maria Bandini: De obelisco Caesaris Augusti e Campi Martii ruderibus nuper eruto Commentarius (Roma, Pagliarini, 1750). Galiani tornò ad occuparsi della questione soprattutto nella prima delle tre lettere ai Bandini (citate alla nota di p. 792). Tali lettere contengono precisazioni ed integrazioni rispetto alla Lettera pubblicata da Galiani sul , Giornale de' letterati 11, ma non indicano che egli avesse propriamente mutata opinione. Nessuna delle tre lettere venne pubblicata. Di tutto ciò ha trattato r Ademollo, il quale ha riprodotto lo scritto di Galiani apparso sul « Giornale de' letterati» e ha pubblicato le tre lettere ai Bandini; cfr. A. AnEMOLL0, L'abate Galiani e l'obelisco solare, in Raccolta di scritti varii inviati per nozze Beltrani-Jatta, pubblicati dall'avv. N. Festa Campanile, Trani, Vecchi, 1880, pp. 75-115; cfr. anche S. ROTTA, Lettere di P. P. Celesia ecc., 1, cit., pp. 27-8 e 43. - Il gesuita Ruggero Giuseppe Boscovich (propriamente Rudzer Josip Bo!kovic; 1711-1787), originario di Ragusa, matematico, fisico, astronomo, studioso di problemi geodetici ed idrologici, fu professore a Roma, Pavia e Milano; in quest'ultima città diede un contributo decisivo aU'allcstimento della specola di Brera. Su di lui cfr. Roger Josep/z Boscovich S. J., F.R.S., I7II-I787. St11dies on His Life and Work on the 250th Anniversary of His Birth, ed. by L. L. White, London, Allen and Unvin, 1961, e Atti del Convegno inter11azionale celebrativo del 250° anniversario della nascita di R. G. Boscovich, a cura dell'Istituto italiano per la storia della tecnica, Milano 1963. Molte notizie in G. COSTA, Il rapporto Frisi-Boscovicl, alla luce di lettere inedite di Frisi, Boscovich, Mozzi, Lalande e Pietro Verri, in cr Rivista storica italiano», LXXIX (1967), pp. 819-76. I. Giacomo Catalano era stato incaricato da Celestino Galiani di insegnare i primi rudimenti di latino a Ferdinando (cfr. F. N1coLINI, La puerizia e l'adolescenza ecc., cit., pp. 106 e 108); era tuttora al servizio di Celestino Galiani. A quanto si può capire dalle lettere di Ferdinando Galiani a Sgueglia, il Catalano desiderava ottenere l'autorizzazione ad abbandonare l'ordine dei Silvestrini. Il Galiani si adoperò in tal senso a Roma, ma i suoi sforzi furono vani; cfr. le lettere a Sgucglia del J dicembre 1751 1 4, 11 e 21 gennaio 1752.

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Scrivo quest'oggi al Duca della Torre raccomandandogli Domenico, e D. Savino. 1 Sto imbarazzato per aver un cameriere per compagno. Parlate con Berardo, o pure scrivetegli in mio nome, e indagate se mi darebbe il suo: e se lo stima a proposito. Raccomandate al Padre Caracciolo, che mi faccia avere prestissimo il denaro dal Duca di Casacalende, che matura ai 25 di questo. Salutatemi Ciccio Acuesta, e ditegli che nell'ordinario venturo gli scriverò. Che intanto saluti gli amici. Il mio male d'occhi in quest'umido paese mi pare che vada crescendo. S'aggiunge un fiero dolor di testa che mi assedia. Se non si muta io scapperò via più presto che non avea fissato. Lascio cento cose non dette, e vi dico solo2

III A DOMENICO SGUEGLIA

Pisa 27 marzo I752. 3 Carissimo D. Domenico M'ha sommamente rammaricato il non· aver trovata qui la cambiale desiderata ;4 essendo rimasto senza quattrini affatto, anzi con sei scudi di debito col Cameriere di Monsignor Cerati.5 La diflìcoltà del cambio alto è veramente degna della lesina fiorentina. 1. Domenico Bonucci e Savino Lattarulo, entrambi al servizio di Celestino Galiani, furono, con Sgueglia, tra i primi maestri di Berardo e Ferdinando Galiani. Quest'ultimo indirizzò al Lattarulo, in data 23 novembre 1765, una lettera in stile biblico che è stata pubblicata da F. N1cOLINI, La puerizia e l'adolescenza ecc., cit., p. 128. In tale saggio, passim, si trovano notizie sui due personaggi qui ricordati. Il Domenico cui si accenna potrebbe però anche essere Domenico Amato, sul quale cfr. qui la nota 3 a p. 930. 2. L'autografo della lettera termina a questo punto. 3. Gali:ini si trattenne a Pisa dal 21 marzo al 19 aprile 1752 (in questo periodo fece una puntata a Livorno); si recò poi a Lucca e a Firenze. Notizie sul suo soggiorno pisano si trovano nel citato diario del viaggio in Italia (D.S.N .S.P., XXXI, C. 22, ff. 70v. sgg.); cfr. anche S. ROTTA, Lettere di P. P. Celesia ccc., 1, cit., pp. 28-9. 4. la cambiale desiderata: cfr. le lettere a Sgucglia del 10 mnrzo e 3 aprile 1752. Le richieste di denaro da parte di Galiani sono continue nelle lettere relative al viaggio in Italia. 5. Su Gaspare Cerati (1690-1769), uomo dalle amicizie cosmopolite, legato a Celestino Gnliani, n Intieri, n Bottari e al circolo romano delP«Archetto » (cfr. qui la nota 4 alle pp. 838-9) 1 ammiratore del i\1ontesquieu con il quale fu in corrispondenza, provveditore dell'università di Pisa, cfr. N. CARRANZA, Monsignor Gaspare Cerati provveditore dell'Università di Pisa (x733-x769), in

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Ora non mi resta altro da dirvi se non che vorrei che vi prendeste cura di non farmi mancar il danaro, e non vi fidate di me e de, miei ordini, stante sono troppo lontano. •Bollettino storico pisano•, xxx (1961), pp. 101-290 (ora in Mons. Gaspare Cerati prooveditore dell'Università di Pisa nel Settecento delle riforme, Pisa, Pacini, 1974); notizie anche in E. DAMMIG, Il movimento giansenista a Roma nella seconda metà del secolo XVIII, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1945, pp. 122-30 e passim. Dei suoi rapporti con Montesquieu parla R. SHACKLETON, Montesquieu. A Criticai Biography, Oxford University Press, 1961, passi.m; cfr. anche P. BERSELLI AMBRI, L'opera di Mo,ztesquieu nel Settece11to italiano, Firenze, Olschki, 1960, pp. 16-20 e passim, e S. ROTTA, Montesquieu nel settecento italiano: note e ricerche, in Materiali per una storia della cultura giuridica, raccolti da G. Tarello, I, Bologna, Il Mulino, 1971, pp. II 5-9, dove è citato l'elogio di Montesquieu fatto da Cerati nella lettera a Galiani del 16 marzo 1755. Nella lettera del 2.2 febbraio 1752 Celestino Galiani si compiaceva che il nipote stesse per recarsi a Pisa, dove avrebbe potuto trattenersi per qualche settimana « col nostro amabilissimo, savio, e dotto Monsignor Cerati• (B.S.N.S.P., XXXI, C. 16, f. 123v.). Il Duclos, che s'incontrò con Cerati durante il suo viaggio in Italia del 1766-68, ne parla in questi ternùni: • Ce prélat, vénérable par son age, l'est encore plus par son caractère, ses mreurs douces, l'étendue de ses connoissances en tout genre de sciences et de littérature. C'est un des plus aimables savans, et des plus communicatifs que j'aie rencontrés » (cfr. Voyage en Italie, ou Considérations su, l'ltalie, in CEuvres complètes de DucLos, VII, Paris, De Fain et Compagnie, 1806, p. 21). Galiani conobbe Cerati a Napoli nell'aprile del 1749, come egli stesso dice in un'annotazione in cui ricorda la grande stima che Cerati aveva di Montesquieu (B.S.N.S.P., XXXI, C. 2.2, ff. 149r.-151r.). Interessantissime le numerose lettere di Cerati a Ferdinando Galiani (ivi, XXXI, C. 9, XXXI, B. 18, e XXXI, B. 19): le citazioni da esse potrebbero moltiplicarsi all'infinito. Scrive ad esempio il Cerati il I febbraio 1754, da Pisa: « Se la città di Napoli non avesse ingoiato tutto il Regno col racchiudere dentro di sé tutti li tribunali maggiori, e col tirare a sé tutto il danaro, la provincia d'Otranto colle adiacenti formerebbe una delle più ricche e più deliziose regioni d' Italia» (XXXI, C. 9, f. 216r.); nella stessa lettera manifesta interesse per l'opera del Serao sulla tarantola; sempre nella lettera del I febbraio, e in quelle del 18 marzo e 27 agosto 1754, accenna a un'opera De re tributaria che Galiani aveva progettato di scrivere; nella lettera del 27 agosto 1754 parla con ammirazione di opere di Genovesi e di lntieri (cfr. anche la lettera del 4 novembre 1754): del Discorso sopra il vero fine delle lettere e delle scienze del Genovesi dice che « è ripieno dello spirito del sig.r D. Bartolommeo, ed è composto con soda e sfavillante eloquenza• (ivi, f. 22or.); il 17 febbraio 1755 discute di alcuni libri sul commercio, tra i quali gli Élémens du commerce di Forbonnais, augurandosi che il progresso dei lumi faccia sparire la barbarie; sullo stesso argomento si intrattiene nella lettera del 17 dicembre 1755; il 16 marzo 1755 annuncia la morte del suo a incomparnbile ... amico presidente di Montesquieu»; nella lettera del 15 gennaio 1756 traccia un rapido schizzo di storia economica italiana; il 21 marzo 1757 fo l'elogio di lntieri (tutte le lettere citate finora si trovano nel ms. XXXI, C. 9); il I aprile 1758 informa Galiani del breve soggiorno fiorentino di aMr. Dangeul celebre autore dell'acclamatissimo Libro de' Vantaggi e Svan-

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Se Monsignore1 volesse farmi la grazia di comprarsi egli tutti i restanti corpi della Moneta, o sia di prestarmene il prezzo, mi farebbe gran favore; perché io potrei, a cambio di libri co' librari di Roma, di Siena e di Venezia, provvedermi di molti libri di mio genio da fornire la nostra libreria. Alias fate vendergli quanto citius. I denari da pagarsi a Roma al Procurator Generale2 gli vorrei pagati presto. Sono frati, e tanto basta. Se mi poteste mandare per mare un 6, o 7 corpi del mio Iibro3 diretti a Monsignor Cerati a Pisa, e raccomandati a Monsignor d' Ainaut lnspecteur de la doi.iane de S. M. Impériale, mi gioverebbero assai. Finora bisogna che vi confessi, che ho più obbligo della stima che ho alla Raccolta,4 che al libro: e tutti i miei studi m'hanno servito meno che il saper sonare il cimbalo. Addio. IV A DOMENICO SGUEGLIA

Venezia I7 giugno I752. 5 Carissimo D. Domenico A due vostre rispondo nel tempo stesso. Nella prima ho ricevuto la cambiale di s[cudi] 209, 12 direttami a Venezia; perché della lettera di Bologna non ho nuove. taggi dc' Frnnzesi e degli Inglesi rispetto al commercio 1 (>.AXI, B. 19, f. 109r.). Passi di lettere di Cerati a Galiani si leggono in S. RorrA, Lettere di P. P. Celesia ecc., 1, cit., pp. 28-9, 32 e 153-4. I, 1lt/011signore: Celestino Galinni. 2. Si tratta del Procuratore generale dei Certosini, che era allora Jacques Gaillard: cfr. le lettere di Galiani a Sgueglia, da Roma, del 3 dicembre 1751 e 8 febbraio 1752. 3. mio libro: il 3 aprile 1752 Galiani scriveva da Pisa allo Sgueglia: « qui in Toscana [i libri della Mo11eta] sono quasi ignoti, e tutti desidererebbero averli; ciò che gioverebbe assai ad accrescere ttopinione di me, se li leggessero» (B.S.N.S.P., XXXI, C. 16, f. 35v.). 4. Raccolta: allude ai citati Componimn,ti per il boia lannnccone. 5. Gnliani giunse a Venezia attraverso Ferrara. La prima lettera a Sgueglia da Venezia è questa che qui si pubblica; seguono due lettere da Padova (23 e 30 giugno) e altre tre dn Venezia (8, 15 e 19 luglio). Qualche notizia sul soggiorno veneziano di Galiani si trova nel suo citato diario del viaggio in Italia, in B.S.N.S.P., XXXI, C. 22, ff. 77v. sgg. La città non gli fece un,impressione favorevole; il 19 luglio scriveva infatti a Sgueglia: «L'ottima definizione di Venezia è quella del Boccaccio, "Città d'ogni bruttu'ra raccoglitrice". Quo cuncta urrdique turpia confluunt, celebrantllrq,,e ,.

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Qui sono ricercatissimi i libri della Moneta miei, onde bisogna ad ogni conto mandarne. Non è credibile, e pure è vero, che in

questi due ultimi anni sedici autori nuovi di monete sono comparsi alla luce a dire delle bestialità. 1 Similmente niente vi raccomando più, quanto l'esazione del debito de' miei affittatori.a Col denaro da voi mandatomi io posso arrivare a Milano. lvi ho bisogno di altri s[cudi] 250 per ritornare. Passo a rispondere alla seconda vostra de' 6 corrente: ed a levarvi quelle curiosità che avete intorno al restante del mio viaggio. Ciò che vi scrivo potrete communicarlo a Monsignore.3 Io resterò qui ad aspettare la risposta di questa lettera, che è quanto dire fino alla metà dell'entrante. Indi per Padova, Vicenza, Verona, Mantova e Brescia anderò a Milano. I vi starò tutto l'agosto, e di là passerò a Parma e Piacenza, e poi a Genova; sicché verso la fine di settembre io sarò in istato di ritornare. La mia risoluzione è d'imbarcarmi, e secondo la bontà del tempo e del bastimento o venire a Napoli, o sbarcare a Livorno, donde passerò a Roma ad aspettare che sia finita la mutazione dell'aria, e poi ritirarmi.4 Queste misure sono prese non già sul mio desiderio (mentre voi vedete bene che io lascio di veder Turino, 5 e lo stato della 1. in questi ••• bestialità: cfr. quanto si dice nell'Introduzione a questo volume intorno al dibattito monetario degli anni cinquanta del Settecento. z. Similmente •.. affittatori: Galiani aveva invitato Sgueglia a sollecitare il pagamento degli affitti che gli erano dovuti quale titolare di benefici (cfr. le lettere del 10 marzo 1752 da Roma, 3 aprile 1752 da Pisa, e 12 agosto 1752, da Milano); cfr. anche, qui, la nota 4 a p. 827. 3. Monsignore: Celestino Galiani. 4. Indi ••. ritirarmi: diverso fu l'itinerario poi seguito da Galiani. Abbiamo notizia del suo passaggio da Vicenza e del suo soggiorno a Verona, dove conobbe Scipione Maffei, che gli parlò delle sue contese con il Mamachi e il Concina (B.S.N.S.P., XXXI, C. 2.2, f. 184v.). Partito da Verona il 30 luglio, dopo aver fatto tappa a Mantova giunse a Milano la sera del 4 agosto. Qui ebbe calorose accoglienze, come testimonia la lettera a Sgueglia del 12 agosto 1752: u Il Conte Federico Borromeo, il Conte di Castelbarco, il Principe Trivulzi, ed altri signori della più alta sfera mi vanno l'un dopo l'altro cibando; nel tempo stesso che col Presidente Neri, e col Conte Carli veneziano, ambedue autori di libri sulla moneta, vado facendo de' piccoli concilii monetari» (ivi, XXXI, C. I 6, f. 63r.). Tra il s e il 18 settembre Galiani è a Torino. Di ritorno a Milano, vi resta fino al 10 ottobre. L' 11 ottobre è a Piacenza, il 12, a Parma, il 19 a Bologna, il 20 a Loreto. Il 23 ottobre parte da Loreto per Roma, dove giunge la notte del 26 ottobre; il 9 novembre è a Napoli. Queste notizie si ricavano dalle lettere a Sgueglia e dal citato diario del viaggio in Italia (ivi, XXXI, C. 22., ff. aov., z6v., 5ov.-55v., 87r.-98v.). 5. lascio di veder Turino: come abbiamo visto, invece (cfr. la nota precedente), Galiani andò a Torino, dove ebbe un inte-

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Chiesa), ma su i quattrini che mi restano. Il correr la posta è troppo dispendioso. Nello stato veneto costa quasi un zecchino per posta. Or dunque voi vedete, che o sul principio, o sulla fine d'ottobre io sarò costl. 1 Non ci sarebbe altro che un solo progetto per restar fuori di Napoli fino al venturo maggio, ed è questo. Da Genova imbarcarsi per Marsiglia, e di là andare a Parigi, portando Alfonso, e rimandando Checco,2 ed il galesse per mare. Questo progetto è di tutti i miei amici, come a dire dell'Abate Farsetti, di Monsignor Cerati, del Dottor Cocchi, del Dottor Beccari, e del Marchese Menefoglio. 3 Io non ci ho altro stimolo, se non quella luce di speranza lontanissima, che hanno gli ammalati ippocondriaci. Il male degli occhi, che ogni giorno più cresce, e che a giudizio di Cocchi è cateratta, mi fa desiderare che non abbia io niente da rimproverarmi di cose trascurate. La spesa non è grande: mi basta l'animo di farlo con solo duecento scudi romani di rinforzo, e colle rendite de' miei benefizi4 pagate puntualmente. In questo caso dopo essere stato sette mesi a Parigi tornerei sulla fine del maggio venressante colloquio con Carlo Emanuele III. Il resoconto di tale colloquio, in B.S.N.S.P., X.'\.'XI, C. 22, ff. 87r.-89r., è stato pubblicato da F. VENTURI, Settecento riformatore, cit., pp. 505-6. 1. o • •• costi: Galiani rientrò a Napoli il 9 novembre. 2. Alfonso ... Clzecco: sono i servitori che Galiani si era portati con sé da Napoli. 3. Filippo Farsetti (1703-1774), patrizio veneziano, fu noto per il suo mecenatismo; Galiani Paveva conosciuto a Roma (B.S.N.S.P., XXXI, C. 22, ff. 57v. e 63v.). Su Antonio Cocchi, del quale Celestino Galiani invitava il nipote a fare la conoscenza nella lettera del 25 aprile 1752 (ivi, :\'XXI, C. 16, f. 152r.), cfr. la nota I a p. 831. Iacopo Bartolomeo Beccari (1682-1766), celebre scienziato, professore all'università di Bologna, si segnalò soprattutto per i suoi studi di chimica. Su Antonio Me11cfog/io (o l\llenafoglio) cfr. la lettera che gli scrisse Galiani il 28 aprile 1772, qui alle pp. 1080-3, e le note relative. 4. benefizi: nel 1745 Ferdinando ottenne (per rinuncia del fratello Berardo che si sposava) la badìa di Santa Caterina a Celano (cfr. F. N1COLINI, La pr,erizia e l'adolescenza ecc., cit., p. u5). Due anni dopo gli venne assegnato il a beneficio del luogo di San Lorenzo della Diocesi di Capaccio » e la comn1cnda della badia di Santa Maria degli Angeli di Centola (B.S.N.S.P., XXXI, D. 19, ff. 176r. sgg.; cfr. anche, nello stesso codice, le lettere da Roma di Celestino Orlandi a Celestino Galiani a partire dal 21 febbraio 1747, e altri documenti che seguono tali lettere, fino al f. 194r.). Contratti d'affitto dei possedimenti galianei si leggono ivi, xxx, C. 7. Per i benefici ottenuti successivamente e per le questioni ad essi relative cfr. ivi, xx.X, C. 7 e X.."OCI, C. 17; cfr. anche le lettere da Roma di Luigi Valenti, di Enea Silvio Piccolomini (17 5253) e di Antonio Niccolini (luglio-settembre 1753), ivi, X."OCI, B. 18; e, sullo stesso argomento, la lettera - non firmata, ma certamente di Celestino Orlandi - del 2 ottobre 1754 (ivi, ff. 234t.-235r.). Lettere del segretario di Stato cardinale Silvio Valenti Gonzaga (1753-56) a proposito dei & benefizi» di Galiani si leggono ivi, XX."Europe » (lettera alla d'Épinay del 4 ottobre 1777, in P.-M., 11, p. 529). Sul Rizzi-Zannoni cfr. A. BLESSICH, Un geografo italia110 del secolo XVIII. Giovanni Antonio Rizzi Zannoni, in a Bollettino della Società Geografica Italiana», XXXII (1898), pp. 12-23, 56-69, 183-203, 453-66, 523-37. lvi, passim, si parla dei rapporti con Galiani, cui aveva già accennato L. DIODATI, Vita dell'abate F. Galiani ecc., cit., pp. 49-51 e 75-6; dello stesso BLESSICH cfr. anche L'abate Galiani geografo (I7 57-1787), in a Napoli nobilissima», voi. v (1896), pp. 145-50, e La geografia alla corte aragonese di Napoli (Notizie ed appunti), ivi, voi. VI (1897), pp. 62-3. 4. Su quest'opera di Galiani cfr. l'Introduzione di F. NICOLINI alla citata edizione Ricciardi del Dialetto napoletano.

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trovassi impegnato in altro lavoro, 1 come credo avervi scritto; ma bisogna che prima esca da questo inconsiderato impegno, che ho preso. Dico inconsiderato, perché non ho tempo, né quiete di mente, né salute per lavori seri, e di lunga lena; ma giacché sono nel ballo, voglio uscirne. Riguardo al Socrate immaginario, anche questo è un difficile incarico. 2 Allora che io ne cercai per soddisfare alla vostra richiesta, non fu possibile trovarne, né della prima, né della seconda edizione.3 Ora rinnoverò le premure per vedere di ritrovarne un esemplare. Vi siete stomacato della libertà cinica de' libelli del nostro Segretario,4 ed in questo avete tutta la ragione; ma non l'avete nel 1.

in altro lavoro: il De' doveri de' Principi neutrali, del quale sono pubblicati

alcuni estratti in questo volume, alle pp. 643-81. 2. Galiani aveva promesso di cercare e di mandare a Mehus una copia del Socrate immaginario (su cui cfr. la nota I alle pp. 1120-1): vedi le lettere del 25 settembre e 20 novembre 1781; ma ancora il 16 luglio 1782 affermava che la ricerca non aveva dato alcun frutto. 3. sèconda edizione: il Socrate era stato ripreso nel marzo del 1780, ma non ho trovato traccia di una seconda edizione del libretto. 4. Vi siete ... Segretario: il riferimento è a Michele Sarcone (1731-1797), che fu tutt9altro che un ignorante e uno sprovveduto, quale Galiani ce lo presenta. Medico, scrisse, dedicandola a Tanucci, una Istoria ragionata de' mali osservati in Napoli nell'intero corso dell'anno z764, Napoli, nella Stamperia Simoniana, 1765, dove citava il «gran Verulamio », il Genovesi, definito «un uomo nato a riparare la perdita dei Locki, dei Leibnizi, e dei Wolfii », ul'illustre Cocchi», Haller, di cui si dichiarava seguace, il II dottissimo signor Van Swieten », «l'immortale Morgagni », Boerhaave (uno dei II divini maestri dell'arte nostra») ecc. Segretario della Reale Accademia di Scienze e Belle Lettere fondata a Napoli il 22 giugno 1778 (Galiani ne fu escluso con suo grande disappunto, e se la legò al dito: cfr. la lettera alla d'Épinay del I agosto 1778, in P.-M., II, p. 556), dopo il terremoto del 1783 si recò in Calabria a capo di una commissione incaricata di accertare i danni avvenuti e di predisporre gli opportuni rimedi. L'esperienza fatta gli suggerì alcune lettere al marchese della Sambuca, nelle quali denunciava le disumane condizioni di vita delle popolazioni calabresi; la commissione da lui presieduta pubblicò nel 1784 una relazione dell'inchiesta effettuata (sull'argomento cfr. S. MoNTUORI,

Due lettere inedite di Michele Sarconi sulle condizioni delle Calabrie nel I783, in «Archivio storico per le province napoletane», XXXI, 1906, pp. 139-52., e N. CORTESE, La Calabria Ulteriore alla vigilia della Rivoluzione, nel volume dello stesso autore, Il Mezzogiorno ed il Risorgimento italiano, Napoli, Libreria Scientifica Editrice, 1965, pp. 85-6). Notissima la sua polemica con Galiani a proposito del Dialetto napoletano (cfr. la citata Introduzione di F. N1cOLINI alla sua edizione del Dialetto napoletano, e le osservazioni di E. MALATO nella sua edizione della stessa opera, Roma, Bulzoni, 1970, pp. 331 sgg.). Sul personaggio cfr. l'articolo di B. VULPES in E. DE TIPALDO, Biografia degli Italiani illustri ecc., 1, Venezia, Alvisopoli, 1834, pp. 263-6.

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maravigliarvi che se ne permetta la stampa. La libertà è qui generale. Naturalmente porta seco frutti buoni, e cattivi; ma la raccolta de' buoni supera quella de' cattivi; e in tutto noi dobbiamo benedire il Governo dello stato di libertà che godiamo, poco gustato altrove. Sicuramente quella stessa impunità che fa vomitar libelli ad un Sarcone, incoragisce un Filingieri, un avvocato Galanti 1 a produrre buoni libri, ed in questo cambio si guadagna, perché i buoni libri restano, i cattivi imputridiscono sul letamaio che gli avea generati. Cosi avvenne alla lettera dell'istesso illustre Sarcone.a Vi prego de' miei ossequi all'illustre precettore di cotesti Reali Arciduchi. 3 L'illuminatezza de' due Sovrani,4 che l'han prescelto all'educazione di giovani Principi, che hanno sul capo tanti futuri, me lo decidono per uomo degnissimo della mia venerazione. Farò quanto potrò per fargli legger presto qualche cosa mia. Non ho forza di dettar più. Onde abbracciandovi resto tutto vostro. 1. Gaetano Filangieri (1752-1788) è il celebre autore della Scienza della legislazione, pubblicata in sette volumi tra il 1780 e il 1785. Giuseppe Maria Gala11ti (1743-1806) era già noto nel 1782 {data di questa lettera di Galiani) per un Elogio storico di Genovesi (1772), per varie iniziative editoriali, e per la Descrizione dello stato antico ed attuale del Contado di Molise ( I 78 I). Studiò appassionatamente la realtà economica, sociale, geografica e storica del Regno di Napoli: il suo Della descrizione geografica e politica delle Sicilie è stato recentemente ripubblicato nella citata edizione a cura di F. Assante e D. Demarco. Per un cenno ai rapporti GalianiGalanti cfr. i Preliminari all'epistolario, qui alle pp. 811-2. Su Filangieri e Galanti cfr. le pagine loro dedicate da F. VENTURI in Illuministi italiani, tomo v, cit., pp. 601-59 e 939-85. 2. lettera . .. Sarcone: si tratta della Lettera terza. Ammonizione caritativa ali' autore del libro intitolato Del dialetto napoletano, del 1780, nella quale il Sarcone attaccò violentemente Galiani, che gli rispose per le rime (cfr. la citata Introduzione di F. N1cOLINI alla sua edizione del Dialetto 11apoletano, pp. XL sgg.). La citata edizione lvlalato del Dialetto napoletano pubblica, alle pp. 334-9, la lettera di risposta di Galiani a Sarcone (già pubblicata dal Nicolini, ivi). 3. precettore ... Arciduchi: si tratta del conte Franz von Colloredo Waldsee (1736-1806), che era stato nominato precettore dei figli di Pietro Leopoldo di Toscana direttamente dalla Corte di Vienna. Il Colloredo divenne più tardi ministro del governo austriaco. I Reali Arciduchi sono i figli di Pietro Leopoldo: Francesco (1768-1853), che salirà al trono imperiale nel 1792; Ferdinando (17691824), granduca di Toscana dal 1790 al 1801, e di nuovo dal 1814 alla morte; Carlo Ludovico Giovanni (1771-1847), duca di Teschen; Giuseppe (1776-1847), arciduca palatino di Ungheria dal 1796 alla morte. 4. due Sovrani: l'imperatore Giuseppe II e suo fratello, il granduca Pietro Leopoldo di Toscana; a meno che Galiani non intenda riferirsi a Pietro Leopoldo e alla moglie di questi, Maria Luisa, figlia di Carlo III di Spagna.

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xcv A LORENZO MEHUS 1

Napoli 26 ottobre I784. Veneratissimo amico e Padrone Finalmente il Sig.r Cardinale Banditi2 ha trovata occasione per farmi capitare i due esemplari del suo nuovo libro Della legitima sepoltura de' Cristiani. 3 Ne ho rimesso ieri uno al Sig.r avvocato Mattei4 e mi son messo a legger l'altro. Sono alla pagina 80. Una vasta, scelta, e squittinata erudizione, un criterio finissimo, una scrupolosità geometrica nel discutere e nel ragionare, gran chiarezza cli stile, niuna digressione per pompa d'erudizione, moderazione cogli avversari, sodezza d'argomenti, ordine finamente osservato, ne formano il carattere e l'elogio, e producono un libro che esaurisce a parer mio la questione. Mi rallegro con lei di cosi bel lavoro, e più mi rallegrerò se sentirò che il Gran Duca5 ne abbia ricompensata almeno l'enorme fatica che ha dovuto costarle. Io sono stato allontanato dalle lettere, e messo agli antipodi. Crederebbe che per una nuova carica di magistratura addossatami son divenuto impresario d'un teatro ?6 I nunc et versus tecum meditare canoros.1 1. Lettera autografa, conservata alla Biblioteca Riccardiana di Firenze, ms. 3497, f. 133r. e v. Il passo « Finalmente ... Cristiani» e il passo (( Una vasta ... la questione• sono stati pubblicati da M. RosA, Per la storia dell'erudizione toscana ecc., cit., p. 90, nota 169. 2. Francesco Maria Banditi (1706-1796), teatino, celebre oratore sacro, fu preposto generale del suo Ordine dal 1768 al '71. Nominato vescovo di Montefiascone e Cometo nel 1772,, nel '75 fu creato cardinale da Pio VI. Trascorse quasi tutta la sua vita di ecclesiastico a Rimini, dove fu in contatto con lo scienziato ed erudito Giovanni Bianchi. Su di lui cfr. la voce di F. ANDREU in Dizionario biografico degli Italiani, cit., v, 1963, pp. 737-8. 3. Si tratta di Della legittima sepoltura dei. Cristiani nell'Occidente, pubblicato dal Mehus a Firenze, presso Gaetano Cambiagi, nel 1784. Su quest'opera e sulle circostanze della sua composizione cfr. M. RosA, op. cit., pp. 43 e 88 sgg. 4. Su Saverio Mattei. cfr. qui, pp. 956-7 e le note relative. 5. il Gran Duca: Pietro Leopoldo di Toscana. 6. Crederebbe . .. teatro?: il 20 settembre 1784 Galiani era stato nominato assessore alla soprintendenza del Fondo di Separazione dei lucri («ove si ha cura II scrive il Diodati «di buona parte del patrimonio militare 11), carica che comportava anche la gestione del cosiddetto Teatro del Fondo (cfr. L. D10DATI, Vita dell'abate F. Galiani ecc., cit., p. 79). Il Teatro del Fondo fu iniziato nel 1776 e inaugurato nel '79. Fu poi detto Mercadante (cfr. B. CnocB, I Teatri di Napoli ecc., cit., p. 223 e passim). Una rappresentanza di Galiani sul Teatro del Fondo in data I s ottobre 1785 è alla B.S.N.S.P., xxx, C. 6, ff. 14or.-141v. La risposta di Acton, del 21 ottobre 1785, è ivi, XXXI, A. 10, f. 62r. e v. 7. J nunc . •• canoros: cfr. la nota 3 a p. 935.

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Rubo questo momento per scriverle, dovendo andar al teatro a veder come mi eseguiscono un'opera nuova messa in scena avantieri. Sono sempre suo dev.m0 obb.m0 serv.e XCVI

A LORENZO MEHUS 1

Santo Iorio

2I febbraio

I786.

Pregiatissimo amico e Padrone riveritissimo Sono sul mio tavolino le due sue graditissime de' 7 e de' 14 del corrente. Avrei potuto rispondere alla prima fin dal passato ordinario, giacché era già in mia mano il suo nuovo bel libro, 2 ma non volli accusarne la ricezione se prima non lo avessi tutto letto e riletto, come ho poi fatto. Le dico che nel leggerlo mi veniva sempre la voglia di applicare a Lei ciocché disse d'Agricola Tacito: habuitque, quod est difficillimum, in sapientia modum.3 Il più che me ne piaccia è la scelta e ricercata erudizione messa con un giudizio, e con una misura rara a rinvenirsi. Il volgo non ammirerà ma lo leggerà tutto da capo a fondo presto, e senza straccarsi. Ammirerebbe una farragine di citazioni e di erudizione in un libro di cui poi non arriverebbe a voltar dieci pagine. Se il Gran Duca4 distinguerà questo merito nella di lei opera, acquisterb gran concetto di lui anche in linea di erudito. Non è perb da tutti l'accorgersi, che chi ha fatto quel libro poteva egualmente, e senza niuna maggior fatica, farlo in folio, e dieci volte più grosso e impinguato, ma che in sustanza non avrebbe contenuto di necessario a sapersi niente di più. Eccole il mio sincero giudizio, giacché ella me lo richiede. Ho veduto da lei negletti e saltati quasi a piè pari i due ultimi secoli. Non mi è parsa tutta stracchezza, o voglia di publicar I. Lettera autografa, conservata alla Biblioteca Riccardiana di Firenze, ms. 3497, ff. 135r.-136v. Il passo «Le dico che ••• rara a rinvenirsi» e il passo che va da «Ho veduto» fino al termine della lettera sono stati pubblicati da M. RosA, Per la storia dell'erudizione toscana ecc., cit., p. 90, nota 169. 2,. il suo nuovo bel libro: Galiani si riferisce al Dell'origine, progresso, abusi e riforma delle Confraternite laicali, pubblicato dal Mehus a Firenze, presso Gaetano Cambiagi, nel 1785. Per una valutazione di quest'opera nel quadro dell'impegno riformatore del Mehus cfr. M. Rosa, op. cit., pp. 88-92. 3. l,abuitque . .• modum: cfr. la nota 4 alle pp. 3u-2. 4. il Gran Duca: Pietro Leopoldo di Toscana.

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presto l'opera. Ci ho sospettata prudenza ed accorgimento, ed avrei anche io fatto cosl trattandosi di cose estinte, e delle quali è inutile il più ricordarsi. Mi rincresce che questo suo libro non si venda. Certamente qui avrebbe avuto molto smaltimento, come poco ne prevedevo a quell'altra bell'opera sulla sepultura.X Non si pensa qui a dar fastidio ai morti perché universalmente si crede che essi non ne diano a noi; né della loro aria mefitica si ha il minimo timore. Ma le Confraternite c'incomodano assai. Sento che ve ne siano undici mila nel solo Regno di Napoli. Numero che spaventa. Posseggono almeno due milioni di ducati di fondi, e ne esiggono un altro milione e mezzo dalle contribuzioni de' confratelli. La loro utilità non corrisponde di gran lunga a tanto aggravio. Ardisco dire che non vi è paese in Europa che avrebbe più di noi bisogno dell'ottima riforma fatta costì,2 cioè di ridurle tutte ad una sola uniforme. Ma gli assensi della Camera Reale 3 alle lor regole dove andrebbero? I paglietti4 come vivrebbero? Ama me et vale.

1. quell'altra ... sepultura: cfr. la nota 3 a p. 1160. 2. ottima riforma/atta costi: Galiani allude alla soppressione delle confraternite toscane, iniziata nel 1783 nella diocesi di Pistoia ed estesa a tutto il granducato con motu proprio del 21 marzo 1785. In sostituzione delle confraternite (i cui beni furono incorporati ai cosiddetti patrimoni ecclesiastici diocesani) fu istituita in ogni parrocchia una compagnia di carità, con compiti di assistenza materiale e spirituale (cfr. A. ZoBI, Storia civile della Toscana dal MDCCXXXVII al MDCCCXLVIII, II, Firenze, Molini, 1850, pp. 390-4). L'opera del Mehus mirava appunto ad appoggiare e a giustificare la riforma attuat:i dal governo toscano. 3. Camera Reale: la Camera di Santa Chiara, su cui cfr. la nota 3 alle pp. 288-9. 4. I paglietti: cfr. la nota 2 a p. 761.

NOTA AI TESTI

Per tutte le opere raccolte in questo tomo, fatta eccezione per i Dialogues sur le commerce des bleds, l'indicazione dei testi adottati si trova nei Preliminari alle opere stesse. Per quanto riguarda i Dialogues sur le commerce des bleds, è stato riprodotto fedelmente il testo dell'edizione originale, uscita a Londra nel 1770 1 con l'ovvia eccezione degli errori di stampa, sia quelli già emendati nell'errata-corrige della princeps, sia altri sfuggiti ai revisori. Corretti tacitamente gli errori evidenti, e quindi non bisognosi di giustificazione, elenchiamo qui sotto i pochissimi casi più ambigui: p. 369, riga 4 p. 382, righe 4-5 p. 458, riga 16 p. 608, riga I 2

Le Président = Le Marquis un de leur principe fondamental = un de leurs principes fondamentaux à Justi ce = à la Justice aussi salutaire que celui = aussi salutaire que celle

Mantenere le incoerenze grafiche dell'originale, imputabili agli stampatori settecenteschi, ci è apparso scrupolo soverchio; si è quindi ritenuto opportuno procedere ad una normalizzazione, sulla base dell'uso del tempo quale risulta codificato dal Dictionnaire de l'Académie, nell'edizione cronologicamente più vicina al nostro testo (1772). l\llodestissimi sono stati gli interventi sulla punteggiatura, e limitati ali' eliminazione di alcune patenti irrazionalità.

INDICE DEI NOMI DI PERSONA

Abeille Louis-Paul, LII, 999 n., 1039 e n. Abramo, 30 Academo, 701 Accursio, 528 e n. Acomb Frances, 413 n. Acquaviva Troiano, 953 e n., 961 e n. Acton Harold, CXXII Acton John Francis Edward, cv, CVJ, CXVII, 647, 774 e n., 1160 n.

Acuesta Ciccio, 823 Adamo, 124, II 5 5 Addison J oseph, 964 n. Ademollo Alessandro, CXI, 813 n., 822 n., 838 n. Adorno (famiglia), 243 e n. Adriano IV (Nicola Brealcspear), papa. 980 n. Aethelwulf, re anglosassone, 14 Afeltro Michele, 901 n., 951 n. Afflitto Matteo d', vedi D'Afflitto Matteo Agatopisto Cromaziano, vedi Buonafede Appiano Ageno Francesco Maria. 963 e n. Agesilao, re di Sparta, 656 Agnesi Maria Gaetana, 1007 e n. Agostino Aurelio, santo, 795 e n. Agricola Gneo Giulio, 1161 Agrippina, 832 Aguesseau Henri-François d', 619 n. Aiguillon, Emmanuel-Armand de Vignerot du Plessis de Richelieu, duca d', 873 e n.,

Albizi Francesco degli, XXIII Alcibiade, 606, 703 Alcinoo, 28 Alembert, Jean-Baptiste Le Rond, detto d', LV, LX, LXXXIX, CXII, CXXVIII, CXXIX, 349, 379 n., 616, 623, 785 n., 799 e n., 803,811 n., 812, 914 e n., 915 e n., 929 n., 976 e n., 977 e n., 978 e n., 986 n., 988 e n., 1012 n., 1023 e n., 1034, 1059 e n., 1064 e n., 1098 e n., 1099 e n., 1101 n., 1129 n., 1139 n., 1149 n., 1156 n.

Alessandro de' Medici, duca di Firenze, 334 n.

Alessandro Magno, re di Macedonia, 26

n., 32, 33, uo, 122, 672 e n., 860, 1143

Alessandro Severo, imperatore, 133 1 150 Alexandre Noel, 1008 n. Alfonso V il Magnanimo, re d'Aragona, I di Napoli, 102 e n., 108 e n., 289, 293, 298, 299 n., 334 n., 744 n. Alfonso X il Saggio, re di Castiglia e di

Leon, 14 Alfonso XI il Giustiziere, re di Castiglia e di Le6n, 13 Alfonso I il Conquistatore, re di Portogallo, 14

Alfonso, servitore di Ferdinando Galiani, 827 e n.

Alfonso Maria de Liguori, santo, 859 e

n.,

1005 n.

8;4, 880 n., 890 n., 924 n., 925 n., 1018 n., 1036 n.

Algarotti Francesco, 617, 923 n., 1077 n.,

Aimon Jacques, pseudonimo di Voltaire, vedi Voltaire Ainaut, 825 Aine Basile-Gene,·ièvc-Suzanne d', vedi Holbach Basile-Geneviève-Suzanne baronessa d' Aine Charlotte-Suzanne d', vedi Holbach Ch11rlottc-Suzanne baronessa d' Aine Marie-Jcan-Baptiste-Nicolas d', 1065

Aliglùeri Dante, vedi Dante Alighieri Alléon Marie-Marthe, vedi Dupré de SaintMaur Marie-Marthe Almoravidi (dinastia), 14 Amalfi Gaetano, CXI, I 120 n. Amato Domenico, 823 n., 930 e n. Aminta di Macedonia, 672 e n. .Amodeo Federico, 915 n. Amoretti Maria Pellegrina, 617 Anastasia, figlia del governatore della Kam~atka, 1084 n. Andreu Francisco, 1160 n. Anfiarao, 32 Angivillier, Charles-Claude de Flahaut de la Billarderie, conte d', 1099 n. Angivillier, ~lisabeth-Jeanne-Josèphe contessa d', vedi Marchais ~lisabeth-JeanneJosèphe Binet, baronessa di Anhalt Sofia Augusta Federica di, vedi Caterina II Aniello Tomaso, detto Masaniello, 102 n., 112 n. Annibale, 32, 48 n., 936

e n. Ajello Raffaele, 289 n., 814, 873 n., 895 n., 917 n., 929 n., 976 n.

Alagi Gio,·anni, 950 n. Alainville Jean-Frédéric d', 1013 e n. Alatri Paolo, C."CXV Alba, Antonio Alv!rez de Toledo, quinto duca d', 160 e n., 162 Albani Giovan Francesco, 979 n. Alberici Raimondo, 1007 e n. Alberti di Villanova Francesco, XXIII Albertini (Albertino) Giambattista, principe di Cimitile, vedi Cimitile, Giambattista Albertini, principe di

I II9

n.,

II42

n.

1166

INDICE DEI NOMI DI PERSONA

Anquetil-Duperron Abrnham-Hyacinthe, 1078 e n., 1079 n., 1101 n. Ansbach-Bnyrcuth Christian Friedrich Karl Alexander margravio di, vedi Christinn Friedrich Kart Alexander margravio di Ansbach-Bayreuth Anteo, 901 e n. Antoine Michel, 895 n. Antonio abate, santo, 1102 n. Antonio da Padova, santo, 1050 n. Apollo, 32, 281 Aquarone Alberto, 797 n. Aquino Francesco Maria Venanzio d', principe di Caramanico, vedi Caramanico, Francesco Maria Venanzio d'Aquino, principe di Aranda, Pedro Pablo Abarca de Bolea, conte di, 909 n., 1031 n. Arcadio, imperatore, 150 Arcesilao di Pitane, 662 e n. Archinto Alberico, 844 n. Architele Corinzio, 3:2 Ardinghelli Mariangela, 1038 n. Ardore, Gambacorta, duca di, 752, 754 Argelati Filippo, XXI, XXII, XXIV, 6, 789 e n. Argenson, Antoine (Marc)-René de Voyer, marchese di Paulmy, conte, poi marchese d', 192 e n., 193 n. Argenson, René - Louis de Voyer, marchese d', XXI Argento Gaetano, :276 n. Arianna, 730 Arias Gino, CXVIII Ariosto Ludovico, 412, 673, 932 Aristotele, 41 e n., 545, 701, 1070 n. Anninio, re dei Cherusci, 489 e n. Arnaud Alphonse-François, 800 n., 91:2 e n., 1035 e n., 1053 n., 1057 e n., 1073 n., 1139 n. Arnauld Antoine, 850 n., 1006 e n. Arpocrate, 1022 Asburgo (dinastia), LXXI, 123 n., 334 n. Asburgo-Lorena Carlo Ludovico Giovanni d', duca di Sassonia-Teschen, 1159 n. Asburgo-Lorena Giuseppe d', arciduca palatino d'Ungheria, 1159 n. Asburgo-Lorena Maria Giuseppa d', arciduchessa d'Austria, 935 n. Ascolesi Filippo, 829 e n. Assante Franca, 896 n., 1159 n. Asse Eugène, CXII, CXXVIII, 631, 784, 988, 989, 1017 n., 1031 n., 1032 n., 1041 n., I II9 n. Assemani Giuseppe Luigi, 840 n. Assemani Giuseppe Simonio, XXIII, 790, 795 n., 821 n., 840 e n. Assemani Stefano Evodio, 840 n. Assézat Jules, 620 n., 1036 n. Ateneo di Naucrati, 33 n. Aubert Giuseppe, 1005 n., 1107 n. Aubeterre, Joseph - Hervi Boucbard d'E-

aparbès, visconte d', 853 n., 894 e n,, 945 e n., 952 n., 953 e n., 961 e n., 966 n. Auget de Montyon Jean-Baptistc-Robert, vedi Montyon Jean-Baptistc-Robert Auget dc Augusto Gaio Giulio Cesare Ottaviano, imperatore, 12, 15, 67, 89, 364, 367, 560 n., 606, 673, 792 n., 822 n., 832 n., 920 n. Augusto II, re di Polonia, 885 n. Augusto III, re di Polonia, 849 n., 885 n. Aurini Raffaele, 956 n, A verani Giuseppe, 843 n., 928 n. Avitaja Mattia d', 777 Azuni Domenico Alberto, CXI Bacchelli Riccardo, CXXVI Bacco, 897 Bachaumont Louis Petit de, 466 n., 858 n., 891 n., 924 n., 927 n., 968 n., 993 n., 1013 n., 1039 n., 1062 n., 1088 n., 1094 n., 1098 n., 1112 n., 1116 n. Bacone Francesco, barone di Verulamio, 928 n., 1006 n. Badaloni Nicola, CXXIV, cxxv, 1058 n. Badot, vedi Baudeau Nicolas Bagnara, Ruffo, conte di, 752 Balaam, 1023 e n. Balac, re di Moab, 1023 n. Baldasseroni Giovanni Iacopo, XXIII Ballerini Pietro, 8, 254 n. Balsamo Paolo, 308 n. Bandini Angelo Maria, 783 n., 792 n., 822 n., 963 n. Bandini Giuseppe, 783 n., 792 n., 822 n. Bandini Sallustio Antonio, XXIII Banditi Francesco Maria, 1160 e n. Barbagallo Francesco, 772 n. Barbier Antoine-Alexandre, 986 Barckhausen Heinrich Ludwig Willibald, 351 Bardèche Maurice, 61 s n. Baretti Giuseppe, CXXVI, 837 n. Baretti, cancelliere, 1123 e n. Baronio Cesare, 1007 n., 1102 n. Barrèmc Bertrand-François, 576 e n. Barthélemy Jean-Jacques, 856 n. Basquiat Mathieu de, barone di La Houze, 853 e n., 854, 855, 861 e n., 921 e n. Bath Bernard Hendrik Slicher van, 897 n. Battaglia Salvatore, 72 n. Battcux Charles, CXXVIII, 986 n. Baudeau Nicolas, XLVII, LXXI, LXXXIII, LXXXVJ1,348,373n., 374n., 516n., 517n., 518 n., 603 n., 807 n., 997 n., 1011 e n., 1012 e n., 1021 e n., 1022 e n., 1025 n., 1026 e n., 1034 e n., 1036 n., 1095, I 136 n. Baudouin de Guémadeuc Armand-Henri, CVIII, 356, 806, 993 n., 999 e n., 1002 n.,

INDICE DBI NOMI DI PERSONA 1014 e n., 1015 n., 1017 n., 1043, 1046 n., 1068 n., 1089 e n., 1092 n. Bazzoni Augusto, CXI, 784 e n., 848, 969 n. Beaumarchais Pierre-Augustin Caron de, 811 n., 929 n. Beaum0nt Christophe de, detto Beaumont du Repaire, 342 n., 889 n., 890 n., 918 n., 1149 n. Beccari Iacopo Bartolomeo, 827 e n. Beccaria Cesare, XI, XXVIII, LX, I.Xl, LXIII, LXXVIII, LXXXIV,CJI, CXX, CXXIII, 101 23 n., 789 e n., 810 n., 921 n., 1005 n., 1020 n., 1028 n., 1029 n., 1072 n., 1107 n. Bédarida Paul, CXXVII, 785 n. Belaval Yvon, 978 n. Belle-Isle, Charles-Louis-Auguste Fouquet, duca di, 857 n. Dellcpierre de Neuve-tglise Louis-Joseph dc, 1054 n. Bellini Bernardo, 1025 n. Beltoni Gerolamo, XXI, XXVI, 313 e n. Belmontc, Giuseppe Emanuele Ventimiglia e Statella, principe di, 1145 e n. Belsunce Angélique-Louise-Charlotte viscontessa di, CXXVIII, 808, 884 n., 988 n., 1077 n., 1079 n., 1118 e n., 1121 n., 1131 n., 1151 n. Be!sunce tmilie de, 990 n., 1131 e n., 1154 n. Beltrani Giovanni, 1107 n. Benassi Umberto, 958 n. Benedetto XIII (Pietro Francesco Orsini), papa, 821 n., 942 n. Benedetto XIV (Prospero Lambertini), papa, XXIII, XXXV, XXXVI, XXXVII, XLI, CVII, 8, 182 e n., 251 n., 254 e n., 297 n., 311 n., 313 n., 317, 319, 320, 321, 322., 323 e n., 32.5, 32.6 e n., 32.7 e n., 328, 330, 331 e n., 332 n., 333 e n., 335 n., 336 e n., 337 e n., 339 e n., 340 e n., 341, 342 e n., 343, 792, 820 n., 821 n., 838 n., 844 n., 857 e n., 859 n., 942 n., 953 n., 980 n., 1005 n., 1028 n., 1057 e n. Benot Yves, axu, 998 n. Bcnvoglicnti Uberto, 36 Benyovszky (Beniowski) Maurycy August, 1084 n. Bércnger Lnurent, 1029 n. Berisch Heinrich Wolfgang von, 351 Demabò, scultore, 838 Bernis François-Joachim de Pierre de, 857 n., 893 e n., 894 e n., 1153 e n. Bernoulli (Bemouilli)Jakob, 251 e n., 252n. Berryer Nicolas-René, 857 n., 868 e n. Berselli Ambri Paola, CXXVI, 824 n., 843 n., 1106 n. Berta Francesco Ludovico, 962 n., 980 n. Bertelli Sergio, 865 n. Berti Gianlorenzo, XXIII Berti Giuseppe, cxxv, 1137 n. Bertin Henri-Uonard-Jean-Baptiste, LI,

367 n., 741 n., 851 n., 875 n., 888 n., 889 n., 943 n., 1017 e n., 1127 n. Bertin, finanziere, 1017 e n. Bertinazzi Carlo Antonio, detto Carlino, 808-9 Bertolini Stefano, 836 e n., J 106 e n., u23 n., 1124 n., 1125 n. Besozzi Gioacchino, 8:u e n. Bcsterman Theodore, CXXIX, 885 n., 926 n. Bianchi Giovanni, 785 n., 1160 n. Bianchini Lodovico, XXXVIII, cx, 774 n. Bibiena, vedi Galli Bibiena Biennann Wilhelm Eduard, CXIV Bigi Emilio, 813 n. Billy Andrd, 621 n. Bingham Alfred J., 1012 n. Biollay Uon, 935 n. Blanc, vedi Leblanc François Blanqui Jér6me-Adolphe, cx Blanqui Louis-Auguste, cx Blei Franz, CXIV, 351 Blessich Aldo, cxm, 1157 n. Blondel, madame, 1022 n. Bluche François, 891 n. Bobbio Norberto, 654 n. Boccaccio Giovanni, 792, 825 n., 847 e n. Boccage Anne-Marie Le Page Fiquet Du, vedi Du Boccage Anne-Marie Le Page Fiquet Boccanera Giuseppe, CVIII Bodin Jean, cxxv, 94 n. Boerhaave Hermannus, 1158 n. Boesnier de l'Ormc Paul, XLVII Bohm-Bawerk Eugen von, CXIV Boiardi Franco, cxxv Boieldieu François-Adrien, 1084 n. Boiteau Paul, 991 n. Boiteux Lucas-Alexandre, 912 n., 1035 n. Bombelles Marc-Mariede, 1031 n., 111on. Bonanni Filangeri Giuseppe, principe della Cattolica, vedi Cattolica, Giuseppe Bonanni Filangeri, principe di Roccafiorita e della Bonducci Andrea, 279 e n. Bonechi Giuseppe, 1119 e n., 1123 e n. Bonfantini Mario, 243 n. Bonghi Ruggiero, cx Bonora Ettore, 1142 n. Bonpiede, colonnello, 774 Bonucci Domenico, 823 e n. Booy Jean Th. de, 989, 1103 n. Borbone (famiglia), 104 n., 225 n., 269 n., 704, 705, 728, 870 n., 946, 962 e n., 966 n., 967, 968 n., 974 n., 979 e n. Borbone Adelaide di, 1139 n. Borbone Elisabetta di, 1 139 n. Borbone Luigi di, Delfino di Francia, 849 n., 850 n., 918 n. Borbone Luigi Enrico duca di, 197 n. Borbone Luigi Giuseppe Saverio di, duca di Borgogna, 850 e n.

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INDICE DEI NOMI DI PERSONA

Borgia Cesare, 978 n. Borgia Stefano, 1007 n. Borromeo Federico, conte, 826 n. Boscovich Ruggero Giuseppe, 821 e n., Sz:z n., 845 n. Bosher John Francis, 1134 n. Bossuet Jacques-Bénigne, 865 e n. Boswell J ames, LIX Bottui Giovanni Gaetano, XXIII, CXXVII, CXI, CXXVII, 6, 787 e n., 793 e n., 794 e n., '195 e n., 823 n., 833 n., 834 n., 835 n., 838 e n., 839 n., 840 n., 841 e n., 842 n., 843 n., 845 e n., 846 n., 847 n., 866 n., 953 n., 1028 n., 1055 n., 1100 n. Bottari Guido, 839 e n., 840, 841, 844 n. Boufflen Stanislas-Jean de, 1025 e n. Bouguer Pierre, 38 n. Bouissounouse J anine, 977 n. Boulanger Nicolas-Antoine, LXXXIX, 799 n., 927 e n., 928 e n., 932 n., 1029 n. Bourdaloue Louis, 858 e n. Bourde André-Jean 1 1056 n. Bourlet de Vauxcelles Simon-JérOme 1 630. 631, 791, 999 n., 1020 e n., 1075 n. Bousquet Georges-Henri 1 CXXI, 10 Boyle Robert, 72 e n. Boynes Pierre-ttienne Bourgeois de, 1110

n. Brambilla Pietro, cx Branca Vittore, CXXVII Brancone Gaetano Maria, 4 Brauer Walter, CXXVII Brentani Cimaroli (famiglia), 921

n.,

9z:z

e n. Brentano Lujo, CXIV Bresciani-Turroni Costantino, CXXI Breteuil, Louis-Charles-Auguste Le Tonnelier, barone di, 812 1 868 e n., 1029 n., 1087 n., un n., u12 e n. Brigata, vedi Gherardcsca Nino della Briot Nicolas, 131 e n. Brissac, Jean-Paul-Timoléon de Cossé, duca di, 785 n. Broedersen Nicolaus, 250 e n., 251 n., 252 Broggia Carlo Antonio, XVII, XVIII, XXI, XXII, XXXIX, 3, 6, 23 e n., 42 e n., 137 e n., 167, 272 e n., 273 e n., 274 n., 283, 300, 309, 313, 839 n., 922 n. Broglie (Broglio) Victor-Françoia duca di, 856 e n., 919 n. Brueya David-Auguatin de, 1041 n. Brunello Bruno, cxxv Brunet Jacques-Charles, 990 n. Brunetière Ferd.inand, CXII, CXVIII Bruni Leonardo, 834 n. Bruzen de La Martinière Antoine-Augustin, 194 n. Buchanan Michelle, 1o 12 n. Budde (Buddeus, Buddeo) Johann Franz, 669 e n.

Budé (Budeo) Guillaume, 39 e n., 1081 n. Buffon, Gcorges-Louis Leclerc, conte di, 73 n. Buisson de Beauteville J enn-Louia de, 916 n. Buisson de Beauteville Pierre de, 926 e n. Buonafede Appiano (Agatopisto Cromaziano ), 785 n., 790, 835 n., 837 e n. Buonanno (Bonanni), ball dell'Ordine di Malta, 860 e n. Buonarroti Filippo, 945 n., 951 n., 954 n., 955 n., 95'1 n., 958 n. Buonarroti Michelangelo, 838, 1099 Bunnann (Bwmannus, Burmanno) Pieter, 1006 e n. Busembaum Hermann, 859 e n. Busnelli Manlio D., CXXVI Busoni Giovanni Maria Gaspare, 11so e n. Bute, John Stuart, terzo conte di, 983 n. Butel-Dum0nt Georges-Marie, 9 Bynkershoek Comelius van, 674 e n., 676 e n., 679 Cabrospini (Cabrospino) Giovanni di, 151 e n. Caffè Federico, cx Calabritt0, Vincenzo Tuttavilla, duca di, 987 Calcagni Manlio, 631 Cnlefati Alessandro Maria, 314 Caligola, imperatore, LXVII Callixene di Rodi, 33 n. Calonne Charles-Ale:xandre de, 1066 n. Calvino Giovanni, 250 n., 380 n. Campanella Tommaso, 308 n. Campenon François-Nicolas-Vincent, CVIII Campo Donato, 1106 n. Campolongo Emanuele, 956 e n. Camporeale, Pietro Beccadelli Bologna, principe di, 907 n. Camus Nicolas V, 197, 198 n. Candaux J can-Daniel, 925 n. Candida Gonzaga Berardo, 1 140 n. Canosa, Antonio Capece Minutolo, principe di, 956 n. Cantillana, Giuseppe Muia Enrico de Baeza y Vicentelo, conte di, poi marchese di Castromonte, XLI, XLII, XLIII, XLV, 848, 853 e n., 854, 861 n., 869, 871,874,877, 879, 880, 900 n., 904, 905, 911 n., 917, 919 n., 933 e n., 960 n., 961 e n., 966 n., 974 Cnntillon Richard, CXVIII, CXIX Capnsso Bartolomeo, 291 n. Capasso Niccolò, 949 n. Cnpece Antonio, 3 13 n. Capece Galeota Fabio, 307 Capello Pier Giovanni, XXI, XXIV Capobianco Alberto, 866 n. Capperonnier Jean, 919 e n. Capponi Luigi, marchese, 339 n.

INDICE DEI NOMI DI PERSONA Capra Carlo, 649 n. Capycius Antonius, vedi Capece Antonio Carabba Salvatore, 774, 775, 776, 777 Caracciolo Alberto, XIII, CXVII, CXXIII, CXXVII, IO, 22 n., 31 o., 103 n., 189 n., 202 n., 282 n., 296 n., 313 n., 806 n., Q53 n., n24 n. Caracciolo Domenico, marchese di Villamarina, LIII, LIX, XCI, CXXV, CXXVIII, 274 n., 350, 620 n., 622 n., 797 n., 806 n., 832 n., 884 n., 903 n., 947 n., 968 n., 976 e n., 983 n., 986 n., 988, 1012 n., 1088 n., 1109 n., l II2 e n., II 13 n., II 15, II 16 n., II45 n., II52 e n., n54 e n., 1156 e n. Caracciolo, padre, 823 Carafa Tiberio, XXIII Caramanico, Francesco Maria Venanzio d'Aquino, principe di, 1139 n., II40 n. Carcani Pasquale, XVII, 4, 6, 269 e n., 820 n., 830 n., 848, 908 e n., 928 e n., 941 e n., 977 e n. Cariati, Spinelli, principe di, 752, 754 Carignani Giuseppe, 869 n. Carli Filippo, CXXI Carli Gian Rinaldo, XXI, XXII, XXVI, LIV, 792, 817 n., 820 n., 826 n., 1082 e n. Carlino, vedi Bertinazzi Carlo Antonio Carlo il Temerario, duca di Borgogna, 123 e n., 334 n. Carlo V, re di Francia, 299 n. Carlo VII, re di Francia, 243 n. Carlo VIII, re di Francia, 485 n., 964 n. Carlo J\.,lagno, imperatore, CXIX, 13, 14, 16, 133, 796, I 143 Carlo V, imperatore, xxx, 12, 13, 102, 485 n., 796, 959 e n. Carlo VI, imperatore, 167 n., 299, 334 n., 722 n., 730 n., 731 e n., 829 n. Carlo II, re d'Inghilterra, LXVI, 63 n. Carlo III di Durazzo, re di Napoli, 299 n. Carlo I d'Angiò, re di Sicilia, 12, 284, 289, 298, 299 e n., 300 n., 542 e n., 930 e n., 931

Carlo II d'Angiò, detto lo Zoppo, re di Sicilia, 12, 300 Carlo Il, re di Spagna, V di Napoli, 112 e n., I 15, 289, 732 e n. Carlo Ili di Borbone, re di Spagna, VII di Napoli, XVIII, XXXI, XX.Wlll,XXXIX,XL, XLI, 3, 4, 19, 20 n., 248 n., 269 n., 272 n., 273 n., 276,289 n., 295 n., 331 n., 705 n.,715, 722 e n., 730 n., 731,732,743 n., 746 n., 767 n., 832 n., 849 n., 850 n., 853 n., 860 n., 862 n., 872 n., 877 n., 878 n., 879 n., 881 n., 883 n., 898 n., 900 n., 905 e n., 910 n., 921 n., 941 n., 942 n., 951 n., 958 n., 962 n., 966 n., 967 n., 978 n., 980 n., 1008 n., 1029 n., 1032 n., 1059 n., 1096 n., 1108 n., 1113 n., 1114 n., 1119 n., 1145 n., 1159 n. 74

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Carlo XII, re di Svezia, 495 e n., 885 n. Carlo Emanuele III di Snvoia, re di Sardegna, XXIV, 820 n., 827 n., 958 n. Carlo Eugenio, duca di WUrttemberg, 1095 n. Carneade di Cirene, 662 e n. Carpani Francesco, XXIV Carpio, Gaspar de Haro, marchese del, 62 e n., u7 e n., 157, 159, 162, 166, 294, 298 Carranza Niccola, 823 n. Carulli Giuseppe, 276 Caruso, soprintendente del comune di CastcUamare, 774, 775 Carvalho e Melo Sebastiio J osé de, marchese di Pombal, vedi Pomba!, Sebnstiào José de Carvalho e Melo, conte di Oeiras, marchese di Cary John, 9 Casacalende duca di, 823 Casar Karl Adolph, 649 Cases Cesare, CXXII, 627 e n., 628 n., 631, 989 Casini Paolo, CXXVII, 978 n. Cassandra, 1041 Castaldi Giuseppe, 631, 832 n. Castaldo Salvatore, 309 Castel Charles-lrénée, vedi Saint-Pierre, Ch3rles-Irénée Castel, abate di Castelbarco conte di, 826 n. Castromonte marchese di, vedi Cantillana, Giuseppe Maria Enrico de Baeza y Vicentelo, conte di Catalano Giacomo, 822 e n. Catanti Giacinto, 870 e n., 871 e n., 913 e n., 914 Catello Santillo de, 292 Caterina dc' Medici, regina di Francia, 1020 n. Caterina II la Grande, imperatrice di Russia, XCII, 618,621,647 e n., 812 n., 864 n., 916 n., 101 I n., I 132 n., I 137 n., 1140 e n., 1141 e n., 1142 e n., 1143 e n., 1147 n., I 149 n. Catone Marco Porcio, detto Uticense, 668 e n., 933 n. Cattaneo Domenico, principe di San Nicandro, vedi San Nicandro, Domenico Cattaneo, principe di Cattolica, Giuseppe Bonanni Filangeri, principe di Roccafiorita e della, 886 e n., 887 e n. Caulet J can de, 9 I 6 n. Cazes André, 1 138 n. Cazes Bcmard, 1111 n. Cebe (Cebete) di Tebe, 703 Cecchi Emilio, CXXIV Cclentano Filippo, 305 Celcsia Dorothea, 963 n. Celesia Giuseppe Mnria, 965 n. Celesia Pietro Paolo, XXIV, cv, CXXVII, 6.

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INDICE DEI NOMI DI PERSONA

295 n., 785, 789 e n., 797 e n., 810 e n., 828 n., 829 n., 830 n., 833 e n., 835 n., 847 n., 896 n., 921 n., 923 n., 963 e n., 965 n., 966 n., 972 n., 994 n., 1004 n., 1006 n., 1055 n., 1056 n., 1057 n., 1080 n., 1083 n. Cellini Benvenuto, 831 n.

Centola, Giuseppe Pappacoda, principe di, 907 n., 949 e n.

Centomani Gaetano, 962 n. Cerati Gaspare, XXIII, XXIV, XXXIII, 6, 785, 788, 789 e n., 793 e n., 794, 823 e n., 824 n., 825 e n., 827 1 831 n., 836 n., 838, 839 e n., 840 e n., 843 n., 1004 n., 1005 n., 1055 n. Cerere, 897 Cerisano, Geronimo Senale, duca di, 829 e n., 942 n., 1055 n. Cesare Gaio Giulio, 26, 40, 341, 364, 606, 942 e n., 1088 Cesarotti Melchiorre, 813 n. Chamillart Michel de, 192 n. Chappe d' Auteroche Jean, 1017 e n.

Chartres, Louis-Philippe-Joseph de Bourbon, duca di, vedi Orléans, Louis-Philippe-Joseph de Bourbon, duca d' Chartres, Marie-Louise-Adélaide de Bourbon-Penthièvre, duchessa di, vedi Orléans, Marie-Louise-Adélaide de Bourbon-Penthièvre, duchessa d' Chastellux François-Jcan de, 811 n., 1096 n. Chatelet, Gabrielle-Émilie Le Tonnelier de Breteuil, marchesa Du, vedi Du Chitelet, Gabrielle-Émilie Le Tonnelier de Breteuil, marchesa Chauvelin François-Claude de, 968 e n. Chauvelin Gennain-Louis de, 858 n., 968 n. Chauvelin Henri-Philippe de, 858 e n., 876

e n., 1097 e n. Checco, servitore di Ferdinando Galiani, 827 e n.

Chevert François de, 860 e n. Chiozza Gaetano, 5, 922 e n. Choiseul, Étienne-François conte di Stainville, duca di, XLVI, LVIII, 349,517 n., 806 n., 853 n., 854 e n., 855,856,857 e n., 860, 863 1 868 n., 870 n., 872 e n., 873 n., 878 e n., 879 n., 880 e n., 890 n., 892, 893, 903 e n., 910, 919 e n., 924, 940 n., 951, 958, 96o, 962, 966 n., 968 n., 973 n., 974 n., 979 n., 981 n., 982 n., 984 n., 985 n., 995 e n., 1018 n., 1027, 1029 n., 1031 n., 1063 e n., 1076 n., 1141

Choiseul Jacqucs-Philippe de, conte di StainvHle, vedi Stainville, Jacques-Philippe de Choiseul, conte di Choiseul Louise-Honorinc duchessa di, 940 e n., 1076 n.

Choiseul Renault-Céaar-Louis visconte di, vedi Prulin, Renault-César-Louis visconte di Choiseul, secondo duca di

Choiseul-Beaupré Antoine-Clériadus Il de, 904 e n. Choiseul-Chevigny César-Gabriel conte di, vedi Praslin, César-Gabriel conte di Choiseul-Chevigny, primo duca di Chorley Patrick, CXXIV Christian Friedrich Karl Alexander margravio di Ansbach-Bayreuth, 1095 n., 1129 n.

Ciaburri Anna Maria, 932 n. Cibele, 795, 1144 e n., 1151 Cicerone Marco Tullio, 186 n., 649, 652 e

n., 656 1 662, 665 e n., 903 n., 926 e n., 956 n. Cimaglia Natale Maria, 797 e

n.,

928 n.,

929 e n., 930 n., 954 e n. Cimarosa Domenico, 1121 n.

Cimitile, Giambattista Albertini, principe di, 867 n., 869 e n., 871 e n. Circe, 965 Cirillo d'Alessandria, santo, 890 n. Cirillo Giuseppe Pasquale, xm, xxxvm, 949 e n. Ciro il Vecchio, re di Penia, 120, 948, 1035 e n. Ciureanu Petre, CXXVI Clairaut Alexis-Claude, 1101 n. Claudio, imperatore, 672 n. Clemente VII (Giulio de' Medici), 334 n. Clemente VIII (Ippolito Aldobrandini), 528 n. Clemente XI (Gianfrancesco Albani), 306

n., 341 n., 838 n., 850 n. Clemente XII (Lorenzo Conini), 300 e

n.,

821 n., 838 n., 841 n., 942 n.

Clemente XIII (Carlo Rezzonico), 317, 366 n., 833 n., 838 n., 865 n., 866 n., 918 n., 945 e n., 946, 958 n., 962. n., 973 e n., 978 n., 979 n., 1145 n.

Clemente XIV (Giovanni Vincenzo Ganganelli), 319 n., 809, 833 n., 838 n., 841 n., 894 n., 942 n., 978 n., 980 n., 989, 1005 n., 1096 n.

Clermont d'Amboise Antoinette de Moustier de, 1112 n. Clennont d'Amboise Jean-Baptiste-Charles-François de, marchese di Reynel, 812, 1111 e n., 1130 e n., 1135 n.

Clugny de Nuys Jean-Étienne-Bernard de, 1132 n. Cocceio (von Cocceji) Enrico, 646,658 e n. Cocceio (von Cocceji) Samuele, 646, 658 e

n., 674 e n., 676 e n., 679 e n. Cocchi Antonio, XXIII, CXXIII, 4, 6, 282. n., 793 e n., 795, 796 n., 827 e n., 831 e n., 832, 833 n., 835 n., 836 e n., 897 e n., 1005 n., 1076 n., u58 n. Cocchi Raimondo, 831 n., 968 n. Cocchi Teresa Orsola, 831 n, Cochrane Eric W., 1005 n. Codignola Ernesto, 839 n.

INDICE DEI NOMI DI PERSONA Colbert Jean-Baptiste, LXXII, 164 n., 189 n., 192 n., 370 e n., 372, 456 e n., 460, 465 e n., 466 e n., 468, 582 e n., 938 e n., 1101 n., 1103, 1135 n. Collenuccio Pandolfo, 542 n. Colletta Pietro, XXXVIII, 360 n., 748 n.

Colli Giorgio, CXIV Colloredo Waldsce Franz von, 1159 n. Colomb, 861 Colombo Cristoforo, 30, 35, 65, 280 Colonna Marcantonio, principe di Stigliano e Aliano, 1032 n. Colonna di Sciarra Prospero, 894 e n. Coltellini Marco, 921 n. Commodo Marco Aurelio, imperatore, 34 n. Comneni (dinastia), 12 Compagnino Gaetano, cx, cxxv Concina Daniele, XXIV, 8, 250 e n., 251 e n., 254, 826 n., 844 e n. Condillac Étienne Bonnot de, cxx, 616 e n., 868 n. Condorcet, Marie-Jean-Antoine -Nicolas Caritat, marchese di, 350, 466 n., 616, 1064 n., 1081 n., 1135 n. Conlon Pierre-Marie, 869 n. Conrad Hei.nrich, CXIV, 989 Consiglio Alberto, CXXVI, 1121 n. Consoli Domenico, CO.."VI Coppola, 886 Coriolano Gaio Marcio, 932 Comeille Pierre, 930 Comou François, 1036 n. Corradino di Svcvia, 542 e n., 930 e n. Corrado Pina, 866 n. Correggio, Antonio Allegri, detto il, 278 Corsini (famiglia), 271 n., 8,u e n. Corsini Andrea, 841 n. Corsini Bartolomeo, 911 n. Corsini Lorenzo, vedi Clemente XII Corsini Neri, 838 n., 841 n., 844- n. Corsini Odoardo, XXIII Corte Ilario, XXIV Cortese Nino, 1158 n. Cosconio, vedi Crcsconio Corippo Cossa Luigi, CXIII Costa Gustavo, 822 n. Costantini Girolamo, XXI, xxn, XXIV, XXVI, XXVII, 5, 6, 790 e n. Costantino I il Grande, imperatore, 13, 16, 1144, 1145 n. Cowtanvaux, François-Michel-Caar Le Tellier, marchese di, 1032 n. Covarrubias y Leiva Diego, 42 e n. Coyer Gabricl-François, 627, 7S9 n., 760 n., 1043 e n., 1044 n.

Crébillon Claude - Prosper Jolyot de, 111 I e n. Crébillon Prospcr Jolyot de, I I I I n. Cresconio Corippo, 910 e n. Creso, re di Lidia, 32, 119, 120, 863 Crisafulli J .• CXXI, IO

Criseide, 281 Cristiani Beltrame, XX Cristoforo, santo, 1099 Croce Benedetto, XI, XLVI, cxv,

CXVI, CXVII,

622 e n., 625 n., 628, 629 e n., 649, 650, 783 n., 928 n., 941 n., 956 n., 1038 n., 1081 n., 1121 n., 1160 n. CXIX, CXXII, CXXIV,

Croismare Marc-Antoine-Nicolas marchese di, LXXXVIII, 354, 356, 625 n., 642 n., 809, 1013 n., 1019 n., 1033 e n., 1086 n., 1087 n. Cromwell Oliver, LXVI, 606

Crosaz du Chatel Louise-Honorine, vedi Choiseul Louise-Honorine duchessa di Cruppi Jean, 1072 n. Cucciardi, 886 Cujaa (Cuiacio) Jacques, 528 e n. Cultru Prosper, 1084 n. Cumberland William Augustua duca di, 1114en. Cuomo Luigi, 776 Curchod Louise-Suzanne, vedi Necker Louise-Suzanne Curzio Rufo, Quinto, 672 e n. Cusano Marcello Papiniano, XIII, I 144 n. Cussy, Ferdinand de Comot, b:lrone di, 938 n. Custodi Pietro, CVII, CVIII, CXXIV, IO, 137 n., 289 n., 3S 1, 989, 1024 n., 1025 n., 1026 n., 1027 n. Cybo Camillo, 327 n. D'Addio Mario, 814, 849 D'Afflitto Matteo, 313 e n., 314 Dakin Douglas, 1110 n. Dal Pane Luigi, CXXVI, 272 n., 685 Damiens Robert-François, 330 e n., 1141 n. Dammig Enrico, 824 n., 839 n., 841 n., 843 n., 1007 n., 1146 n. D'Andrea Giulio Cesare, 862 n. Dangeul, vedi Plumard de Danaeul Dante Alighieri, 680, 1156 n. Dario I, re di Persia, 32, 122, 149 Dario III, re di Persia, 119, 120 Darwin Charles Robert, cxv Daubinière madame de, 1018 n., 1053 n., 1059 n. Daun Philipp Lorenz Wierich von, 224 n., 730 n. Dausend Hugo, 1050 n. Davanzati Bostichi Bernardo, XVII, 42 e n., 47 e n., 48 e n., 128, 129 e n., 130, 131, 172 e n., 278 e n., 839 n. Da\'ila Arrigo Caterino, 94 n. De Beauvoir Simone, 621 n., 625 n. De Caro Gaspare, 848, 849 Dc Dominici Bernardo, 846 e n.

Dcffand, Maric de Vichy-Chamrond, marchesa Du, vedi Du Deffand, Marie dc Vichy-Chamrond, marchesa Dei Andrea, 36

1172

INDICE DEI NOMI DI PERSONA

De Leon Ferdinando, 287 e n., 714 e n., 954 n. Delc>Te Alcxandre, LJX, 619 n., 868 n. Delfico Melchiorre, 1038 n. Dclille Jacques, 1035 n. Delisle (de l'Isle) Joscph-Nicolas, 1084 n. Dclisle (de l'Isle) de La Croyère Louis, 1084 e n. Della Torre Giovanni Maria, 881 e n., 919 e n. Della Torre, duca, 821, 823 Della Torre Rospigliosi, duchessa, 821 e n. Del Pace Clemente, 648 Del Rosso Domenico, 941 n. Del Vecchio Gustavo, CXXI De Maio Romeo, 814, 833 n .• 859 n., 949 n., 950 n., 952 n., 960 n .• 1144 n. Demarco Domenico, 896 n., 1159 n. De Maria Giovanni, CXXVII De Martino Nicola, XIII, 915 n. De Martino Pietro, XIII, 915 e n. De Mas Enrico, 836 n. Denis Henri, CXXII De' Paoli Domenico, CXXVI, 1121 n. Dérathé Robert, 675 n. De Rosa Luigi, 892 n. De Ruggiero Guido, CXVII, cxxv De Santis Marco Antonio, 308 e n., 309 De Sariis Alessio, 955 n., 956 n. Descartes René, 845 n. Desmarets Nicolas 1 marchese di Maillebois, 192 e n. Desnos Henri-Louis-René, 873 n. De Soria Giovanni Gualberto, xxm, 1006 e n. Després Jean-Baptiste-Denia, CVIII Dessein ~douard, CXIII De Stefanis Mario, CXXI Destouches Louis-Camw, 977 n. Destouches, Philippe Néricault, detto, 572.

n. De Tipaldo Emilio, CVIII, n58 n. Devèze Michel, 993 n. Diaz Bartolomeo, 37 Diaz Furio, CVII, CXXIII. cxxv, CXXVII, 193 n., 196 n., 350, 364 n., 379 n., 646 n., 647 n., 686, 787 n., 855 n., 904 n., 915 n. 1 920 n .• 925 n., 927 n., 993 n., 10n n. 1 1021 n., 1023 n., 1029 n., 1037 n .• 1042 n .• 1044 n., 1059 n., 1068 n. 1 1072 n., n10 n. 1 n27 n., n32. n., 1138 n. Di Costanzo Ludovico, 1055 n. Didcrot Denis, XLVI, LIII, LIV, LVII, LX, LXVI, LXVJI, LXIX, LXXI, LXXIII, LXXIV, LXXV, LXXVI, LXXVIII, LXXXV, LXXXVIII, LXXXIX, CVIII, CXII, CXIII, CXXII, CXXIII, CXXIV, CXXVIII, CXXIX, 73 n., 193 n., 196 n., 347,

349, 350, 352, 354, 355, 379 n., 459 n .• 538 n., 542 n., 610 n., 616 1 620 e n., 621 e n., 62.2. e n., 62.3, 624, 6.27 n., 628 n.,

631,633,666 n., 783,785 n., 790,799 e n., 810 e n., 812 1 914 e n., 915 n., 916 n., 978 n., 980 n., 983 n., 986 n., 988 n., 989, 991 n., 992 n., 993 n., 996 n., 998 n., 1001 n., 1003 n., 1009 n., 1013 n., 1023 e n., 1029 n., 1036 n., 1037 n., 1046 e n., 1047, 1052, 1055, 1056 n., 1059, 1066 e n., 1078 n., 1083 e n., 1085 n., 1087 n., 1088 n., no4 n., 1126 n., 1127 e n., 1137 n., 1138 n., 1148 n. Didio Giuliano, imperatore, 34 n. Dieckmann Herbert, CXXIV, CXXVII, 3S5, 998 n. Di Gregorio Leopoldo, marchese di Squillace, vedi Squillace, Leopoldo Di Gregorio, marchese di Di Marino V., CXXVI Diocleziano, imperatore, 12, 13 Diodati Domenico, 1038 n. Diodati Luigi, XVII, XVIII, CVII, CVIII, 812 n., 815 n., 969 n., 1055 n., 1057 n., 1058 n., 1120 n., 1143 n., 1146 n., 1154 n., 1157 n., u6o n. Diogene di Sinope, 46, 49 Diomede, 148 e n. Dione Cassio Cocceiano, 1 so Dionisio d'Alica.masso, 150 Dockès Pierre, CXXI Domenici, vedi De Dominici Bemo.rdo Domenico di Guzmm, santo, 1103 Donsl Jolanda, 814 Doria (famiglia), 243 n. Doria Paolo Mattia, 796 e n. Doscot Gérard, 1000 n. Dragonetti Giacinto, 956 e n. Du Barry, Marie-Jeanne Bécu, contessa, LVIII, 908 n., I 141 e n. Du Boccage Anne-Marie Le Page Fiquet, CXXVIII, 617, 986 n., 987, 988, 1077 n., 1119 n., 1156 n. Dubois Auguste, CXIII Dubois Guillaume, 22 n. Du Bois-Reymond Emil, CXIV, cxv Duby Georgcs, 616 n. Du Cange Charles Dufresne, 134 e n., 842 n., 843 e n. Du Chitelet, Gabrielle-tmilie Le Tonnelier de Breteuil, marchesa, 616 e n., 617 Duchct Michèlc, 998 n., 1043 n. Duclos Charles Pinot, 824 n., 918 n., 1001 e n., 1075 n. Du Dcffand, Marie de Vichy-Charnrond, marchesa, 617, 977 n., 1000 e n. Dubamel du Monceau Henri-Louis, 1056 e n. Duhem Jules, 1057 n. Duhct Paul-Marie, 618 n., 621 n. Duisit Lioncl, 1000 n. Dumont Jco.n, 721 n., 7.22 n., 723 n., 725 n., 730 n., 731 n. Duni Egidio Romualdo, 1038 e n.

INDICE DEI NOMI DI PERSONA Dupaty Charles-Marguerite-Jean-Baptiste Mercier, 889 n. Dupont de Nemours Pierre-Samuel, XLVII, LXXI, LXXIII, LXXIV, LXXVII, 347, 348, 349, 419 n., 434 n., 535 n., 1012 e n., 1013 n., 1021 e n., 1027 n. Dupré de Saint-Maur Marie-Marthe, 1062 n. Dupré de Saint-Maur Nicolas-François, 1062 n., 1063 n.

Durand Yves, 895 n. Durante Francesco, 1038 n. Duras, Emmanuel-Félicité de Durfort, duca di, 880 e n., 925 n. Duras, Jean-Baptiste de Durfort, duca di, 880 e n. Durfort (Durefort) Jacques (o Aymeri-Joseph) de, marchese di Duras, poi duca di Civrac, 879 e n., 880, 901 e n., 926 e n. Durfort-Lorge Adélaide-Pbilippine de, 8;9 n. Durini Angelo Maria, 617 D'Urso Michele, 631 Du Tillot Guillaume-Léon, 958 n. Dutot Charles de Fenare, 172 e n. Duval Alenndre-Vincent Pineux, 1084 n. Egizio Matteo, Xlii Egmont-Pignatelli Casimiro, marchese di Renty, conte di, 880 e n., 929 n., 932 e n. Egret Jean, 798 n., 859 n., 873 n., 875 n., 888 n., 890 n., 893 n., 896 n., 904 n., 912 n., 925 n., 982 n., 1018 n., 1068 n.

tguilles Alcxandre-Jean-Baptiste Boyer d', 892, 893 n. Ehrard Jean, 1012 n. Einaudi Luigi, XVIII, cm, CXVII, CXIX, CXX, CXXIV, CXXV

Einecio, vedi Hcinecke Johann Gottlieb Elbeuf Emmanuel-Maurice d', 832 n. Elena di Troia, 428 Elisabetta I, regina d'Inghilterra, 334 n. Elisabetta, imperatrice di Russia, 861 n. Elisabetta Famese, regina di SpaK113, 962 n., 980 n.

Emanuele Filiberto, duca di Savoia, 485 n. Enea, 673 Ennio Quinto, 665 e n. Enrico Ili, re di Francia e di Polonia, 94 e n., 97 Enrico IV, re di Francia, 94 e n., 96, 370 n., 466 n., 485 n., 962 e n. Enrico IV, imperatore, 16 Enville, Maric-Louise-Nicole-tlisabeth de La Rocbefoucauld, duchessa d", 1022 n. ton, Charles de Beaumont, cavaliere d', 884 e n., 903 tpinay, Angélique-Louise-Charlotte Lalive d', vedi Belsunce Angélique-LouiseCharlotte viscontessa di

1173

tpinay Denis-Joseph Lalive d', 990 n. tpinay Louis-Joseph Lalive d', 1115 n. Épinay, Louise-Pétronille Tardieu d'Eaclavcllcs Lalive d', XLVI, LXXVIII, LXXIX, LXXXV, LXXXVII, LXXXVIII, LXXXIX, XC, XCI, XCII, CVI, CXIV, CXV, CXVI, CXXVIII, CXXIX, 274 n., 304 n., 347, 349, 350, 351, 352, 353, 354, 355, 516 n., 617 e n., 619 n., 620 n., 621 n., 622 n., 624 e n., 625, 627 e n., 628 n., 630 e n., 631, 632, 633, 637 n., 645 n., 783, 784 e n., 785 n., 786, 791, 794 n., 799 e n., 806, 807 e n., 808, 809, 810 e n., 811, 812, 813, 869 n., 876 n., 881 n., 909 n., 914 n., 919 n., 955 n., 982 n., 984 n., 985, 986 e n., 987, 988 n., 989 e n., 990 e n., 991 n., 992 n., 993 n., 994 n., 996 e n., 997 n., 998 n., 999 n., 1000 e n., 1001 n., 1002 n., 1003 n., 1009 n., 1012 n., 1013 n., 1014 n., 1018 n., 1019 e n., 1020 n., 1022 n., 1023 n., 1024 e n., 1026 n., 1031 e n., 1032, 1036 n., 1037 n., 1040 e n., 1041 n., 1042. n., 1043 e n., 1044 n., 1046 n., 1047 n., 1048 n., 1050 n., 1053 e n., 1054 n., 1059 e n., 1060 n., 1064 n., 1065 n., 1066 e n., 1067 n., 1068 e n., 1069 n., 1070, 1071 n., 1073 n., 1074 e n., 1076 e n., 1077 n., 1078 n., 1079 n., 1081 n., 1083 n., 1085 n., 1086 e n., 1087 n., 1088 n., 1089 n., 1092 n., 1093 e n., 1094 n., 1095 e n., 1096 n., 1098 n., 1102 e n., u03 n., 1105 n., 1109 e n., 1110 n., 1111 n., 1112 e n., 111s n., 1116 e n., II 17 n., 1118 n., 1120 n., 1121 n., 1123, 1125 1 1126 n., 1129 e n., 1130 n., 1131 e n., 1133 n., 1134 n., 1135 n., 1136 n., 1137 n., 1138 n., 1139 n., 1141 n., 1144 n., 1146 e n., 1148 e n., 1149 n., 1150 e n., 1151 n., 1152 n., 1153 n., 1154 e n., n55 n., 1156 n., 1157 n., 1158 n. Epitteto, 576 Erasmo da Rotterdam, 920 n.

Ercole Rinaldo d'Este, duca di Modena e Reggio, 1140 n. Erizzo Niccolò I, 850 n. Ernesto II Luigi, duca di Sassonia-GothaAltenbur11 791, 998 e n., 1079 n., 1138 n. Erodoto, 29, 30 n., 32 e n., 149 Escalona y AgUero Gaspar de, 65 e n. Esquilache, vedi Squillace, Leopoldo Di Gregorio, marchese di Estaing J can-Baptiste-Charlea-Henri-Hector conte di, 1151 n. Estrées, Louis-César Letellier, conte d', 1114en.

Euclide, 381,668, 1007, 1104 Euclide di Megara, 701 Eurialo, 28 Euripide, 656

INDICE 1174 Fabbrini Giovannantonio, XXI

DEI NOMI DI PERSONA

Fabre Jean, CXXVII, 885 n., 1ou n., 1012 n., 1019 n., 1097 n.

Fabrizi Angelo, CXXVII Facciolati Iacopo, 790 Facea Giorgio, 865 n. Falco Giorgio, 22 n., 503 n. Fanfani Amintore, cxx, CXXI Fantuzzi Gaetano, 980 n. Farnese (famiglia), 730 n., 774 e n., 962 n., 980 n. Farsetti Filippo, 827 e n. Fascitclli Onorato, 290 e n., 291 Fatimidi (dinastia), 16 Fauchery Pierre, 615 n, Faure Edgar, 93S n., 1010 n., 1011 n., 1110

n.,

1112

n., 1115 n.,

1125

D.,

II3S n. Federico V, re di Danimarca e di Norvegia, 729 n. Federico II, imperatore, 121 13, 133, 134 n., 297, 298, 314 Federico Il il Grande, re di Prussia, XLII, 336 n., 648, 658 n., 861 n., 885 n .• 916 n., 977 n., 984 e n., 1065 n., 1097 n., 1103, IIS7 n. Federico III, duca di Sassonia-Gotha-Altenburg, 998 n., 1087 n. Federico III d'Aragona, re di Sicilia, 334 n. Federico Augusto II, elettore di Sassonia, vedi Augusto III, re di Polonia Federico Cristiano, elettore di Sassonia, 885 n. Federico Guglielmo I, re di Prussia, 170 n. Felice Maria Garzia da Napoli, 846 n. Felici Lucio, CXXVII, 787 n., 79S n., 838 n., 839 n., 840 n.," 842 n., 845 n., 846 n., 847

n., 1028 n.

Felloni Giuseppe, 922 n., 936 n., 1032

n.,

uso n. Fellows Otis Edward, 978 n. Fénelon, François de Salignac de La Mothe, 618

Fuard Paul-Louis, 1084 n. Ferdinando il Cattolico, re d'Aragona, di Napoli e di Sicilia, 250 n., 287 n., 288 n., 298, 334 n., 744 n. Ferdinando I, imperatore, 334 n. Ferdinando I d'Aragona, re di Napoli e di Sicilia, 12, 108 n., 1 13 n. Ferdinando Il d'Aragona, re di] Napoli, detto Ferrandino, 14 Ferdinando IV di Borbone, re di Napoli, III di Sicilia, I delle Due Sicilie, XXXI, LXVI, CVI, cxxv, 646, 647, 722 n., 746 n., 770 n., 774 n., 775 n., 849 n., 880 n., 902 n.,

905 n., 930 n., 935 n., 949 n., 959 n., 962 n., 973 n., 980 n., 983 n., 1071 n., 1077 n., 1113 n., 1120 n.

Ferdinando di Borbone, duca di Parma e Piacenza, 879 n., 9S9 n. Ferdinando VI il Saggio, re di Spagna, XL, XLI

Ferdinando Ili d'Asburgo-Lorena, granduca di Toscana, 1 159 n, Ferdinando Carlo Antonio d'Asburgo-Lorena, duca di Brisgovia, 1140 n. Ferrnioli Giuseppe, CXI, 985 n. Ferrand mademoiselle de, 616 Ferrara Francesco, cx, CXXI Festa Campanile Nicola, CXJ, 822 n. Fieschi (famiglia), 243 n. Figes Eva, 618 n. Filangieri Gaetano, XXXVIII, CII, CIII, cxv, 811 e n., 812 1 1144 n., IIS9 e n. Filangieri Serafino, 1144 e n., 1145 n. Filippo Neri, santo, 1007 n. Filippo l'Ardito, duca di Borgogna, 123 n., 334 n. Filippo IV il Bello, re di Francia, 1100 n. Filippo VI, re di Francia, 15, 133 e n. Filippo I, re di Macedonia, 32 Filippo Il, re di Macedonia, 123 Filippo di Borbone, duca di Parma, Piacenza e Guastalla, XL, 646, 705 e n. Filippo II, re di Spagna, xxx, 16, 123 n., 979 e n. Filippo III, re di Spagna, 12, 16 Filippo IV, re di Spagna, 12 Filippo V, re di Spagna, 112 e n., us, 2S9, 730

n., 731

Finoli Anna Maria, CXXVI Fiorelli AgneUo, Xlii Firmian Carlo Giuseppe conte di, XXVIII, LXI, 617, 834 n., 835 n., 837 e n., 920921 e n., 922, 965 e n., 967 e n. Fitz-James Charles de, LVI, LVIII Fitz-James François de, 916 n. Flammennoot Jules, 858 n., 859 n., 875 n., 890 n., 924 n., 925 n., 1068 n. Fleury André-Hercule de, 278 e n., 342 n., 732 e n., 1141 Flora Francesco, CXVIII, 631,648 n., 649,989 Floridablanca,José Moi\ino, conte di, 881 n, Floriot Pierre, 846 n. Fogasses d'Entrcchawi: de La Bastie JeanJoseph de, 874 n. Foggini Pier Francesco, XXIII, 793 e n., 794, 820 n., 838 n., 841 e n., 843 n., 844 e n., 9S3 n. Fogliani d'Aragona Giovanni, XLI, 880 n., II4S n, Foix Gaston de, 485 n. Folena Gianfranco, CXXVI Fonseca Luia Henriques de, 309 e n. Fontenelle Bemard Le Dovier de, 977 n., 1008

e n.,

1098

n.

Fonzi Fausto, 866 n,, 877 n. Forbonnais François-Louis Véron XXXII, LXVIII, LXXII, 789, 824 n,

de,

INDICE DEI NOMI DI PERSONA Fordyce David, 3, 84s n. Forges Davanzati Domenico, 830 n. Fornari Tommaso, CXIII Forti Fiorenzo, 22 n., 503 n. Foscarini Marco, XXIV, 820 n. Foscolo Ugo, CVIII Fossati Antonio, CXXI Fourqueux Anne-Marie-Rosalie Bouvard de, vedi Trudaine de Montigny AnneMarie-Rosalie Fourqueux Marie-Louisc Bouvard dc, 1066 e n. Fourqueux Michel II Bouvard de, 1066 n. Fozio, patriarca di Costantinopoli, 1011 e n. Fraggianni Nicola, XIII, S, 276 e n., 277, 743 e n., 783 n., 792, 797 e n., 820 n., 847

n.

FranC3.villa, Michele Imperiali, principe di, 1077 n., 1145 e n. Francesco d'Assisi, santo, 390, 10s0 n., 1103 Frruicesco I, imperatore d'Austria, 1159 n. Francesco II di Borbone, re delle Due Sicilie, 12 Francesco I, re di Franci:l, 231, 250 e n., 485 n. Francesco I di Lorena, imperatore, 877 n. Francesco Stefruio di Lorena, grruiduca di Toscana, vedi Francesco I di Lorena, imperatore Franchi Carlo, 311 e n. Franco\'ich Carlo, 831 n., 846 n., 1132 n. Franklin Benjamin, 1150 n. Freeman Ernesto (pseudonimo di Ferdinando Galiani), 792 n., 821 e n., 822. e n. Fregoso (famiglia), 243 e n. Fregoso Luigi, 243 n. Fregoso Pietro, 243 n. Fréret Nicolas, 799 n., 926 e n., 927 n., 928 n., 932 n. Fréron ~lie-Catherine, LXXIV, 349, 103s n., 1036 e n., 1045 e n., 1046 n. Frisi Paolo, 817 n., 822 n., 918 n., 940 n., 963 n., 966 n., 974 n., 994 n., 1064 n., 1078 n., 1080 n., 1106 n. Frontino Sesto Giulio, 48 e n. Fubini Enrico, 1139 n. Fubini Mario, CXXII, CXXVI, 921 n. Fuentes, Joaquin Atanasio Pignatelli d'Aragona, conte di, 909 n., 929 n., 958, 961, 962, 974 e n., 995 n., 1031 n., 1073

e n. Fuoco Francesco, CXVII Filntcmberg Franz Friedrich Wilhelm von, 834 n., 835 e n. Gaeta Muzio da, vedi San Nicola, Muzio da Gaeta, duca di Gaetano da Thienc, santo, 1005 e D, Gagnebin Bemard, 991 n. Gaillard Jacques, 825 n.

1175

Galanti Giuseppe Maria, XXXVIII, XXXIX, LXI, cn, CIII, 112 n .• 308 n., 811 e n., 812, e n., 896 n., 898 n., 949 n., 1008 n., 1159 e n. Galasso Giuseppe, CXXVII Galba, imperatore, 1054 e n. Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano, 13 Galeno Claudio, 214 n. Galeota Onofrio, CXVI Galiani Agnese Mcrcadante, 1115 n. Gntiani Berardo, XII, XIII, XLI, 791 n., 792., 797, 820 n., 823 e n., 827 n., 828 n., 829, 831 n., 839 n., 840 n., 842 n., 920 n., 930 n., 938 n., 947 n., 1056 n., uo2 n., uo6 n., 1115 n., 1138 n., II41 n.

Galiani Celestino, xn, Xlii, XIV, XXXIII, LXIV, 4, S, 6, 8, 269 e n., 271 n., 276 n., 302 e n., 743 e n., 785, 789, 790 n., 793

e n., 820 n., 822 n., 823 n., 824 o., 825 n., 826 n., 827 n., 830 n., 831 n., 835 n., 836 n., 837 n., 839 n., 842 n., 8~3 n., 844 n., 922 n., 1100 n., 1144 n. Galiani Gian Lorenzo jr., 990 Galiani Matteo, XII, 932 n. Galiani Settimia, 1122 n. Galilei Galileo, 915 n. Galli Bibiena Antonio, 829 n. Galli Bibiena Ferdinando, 829 n. Galli Bibiena Giuseppe, 829 e n. Gallicno, imperatore, 301 e n. Gama Vasco da, 30, 37, 280 Ganganelli Giovanni Vincenzo, vedi Clemente XIV Gangemi Lello, CXXI Ganzoni Eduard, CXIV Garampi Giuseppe, 785 n. Garat Dominique-Josepb, 1035 n., 1099 n. Garibotto Celestino, 255 n. Garino Canina Attilio, CX.Xl Garro Francesco, XXIV Gassendi Pierre, 927 n. Gastaldi Girolamo, 922 e n., 96s, 966 n. Gatti Angelo, 648, 95S e n., 1036 n., 1037 n., 1053 e n., 1059 e n., 1074 e o., 10;6 e n., 1077 n., 1078, uso e n. Gaudcmet Eugène, CXIII, 1021 n. Genghiz Khin, 228 Genovesi Antonio, XIII, XIV, XXXII, XXXVII, XXXVIII, XXXIX, XLII, LIII, LIV, LV, 1-"