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Interlingue Pages LXXIX, 1634 [857] Year 1996
TUCIDIDE
L a guerra del Peloponneso E D I Z I O N E CON T E S T O G R E C O A F R O N T E A C U R A DI L U C I A N O C A N F O R A
EINAU D I-GALLIM ARD
QUESTO VOLUME CONTIENE
Tucidide e Atene di Luciano Canfora Vita di Tucidide Bibliografia Nota al testo
libro
1
Traduzione di Luciano Canfora
LIBRI II-III Traduzione di Mariella Cagnetta
LIB RO IV Traduzione di Andrea Favuzzi e Stefania Santelia
LIBRO V Traduzione di Luciano Canfora e Andrea Favuzzi
LIBRI VI-VII Traduzione di Aldo Corcella
Libri vi, vii (tranne introduzione): su licenza Manilio editore, © Venezia 1996. Libri 1,11, ili, iv, v, vili (compresa Bibliografia e Nota al testo): su licenza Gius. Laterza e figli, © Roma-Bari 1986,1992. © Einauiì-Gallimard, Torino 1996.
LIBRO V ili Traduzione di Mariella Cagnetta
Vili
Sommario Introduzioni e note di Mariella Cagnetta, Luciano Canfora, Aldo Corcella, Andrea Favuzzi e Stefania Santelia La tradizione indiretta di Angela Todisco
TU CID ID E E A T E N E
i. La storia di un evento memorabile merita di essere narrata perché giova alla comprensione, in futuro, di even ti «uguali o simili, in ragione della natura umana» (kata to anthropinon). Cosi Tucidide motiva (I.22) la sua scel ta di investire gran parte della propria esistenza nel raccon to d el conflitto tra Sparta e Atene per Γ egemonia ( 4 3 1/ 404 a. C.) : un conflitto durato quasi trent’ anni, a l cui rac conto Tucidide si è consacrato «sin dalle prime avvisa glie», e che tuttavia ha lasciato incompiuto. Saremmo curiosi di sapere quanto lontano dal presente Tucidide immaginasse il «futuro». Siamo però portati a pensare che anche lui, come tanti pensatori proclivi alla previsione storica, riuscisse in realtà ad immaginare un f u turo non molto remoto né molto dissimile dal presente. Comunque, la nozione, in qu el contesto richiamata, di «natura umana» non giova a risolvere la questione .Dato «immutabile» per eccellenza, essa costituisce il troppo ov vio presupposto della teoria della ripetizione e conseguen te prevedibilità degli eventi anche ad una grande distanza di tempo. Anche la descrizione dei sintomi della peste (II.4 8 -5 1) consentirà - secondo lo storico —, «se il contagio ritorna», di poterlo identificare in tempo (II.48.3). Su altro piano, non clinico ma polìtico, anche la sintomatologia della
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guerra civile (III.8 2-83) è ispirata a l concetto di necessaria ripetizione dei medesimi comportamenti in situazioni analoghe. Con una precisazione : «finché la natura umana sarà la medesima» (III.8 2.2). E lecito chiedersi se questa espressione debba ritenersi equivalente a quelle usuali nei giuramenti e nelle proclamazioni solenni (Sofocle, Filottete o : «finché il sole sorgerà da Oriente»), se cioè esprima nel modo piu ineluttabile la fissità, o se invece con templi, sia pure remotamente, l ’ idea del mutamento, di un lentissimo ma possibile mutamento persino dei presuppo sti «naturali». Quasi una intuizione della «lunga durata». Ma forse non è qui la maggiore novità della riflessione tucididea, quanto piuttosto nella scoperta che, dunque, la politica —Vunica realtà che a Tucidide paia degna di me ditazione - ha sue proprie leggi. Certo, anche questo è un portato d ell’ idea della ripetibilità e possibile previsione degli eventi -.altrimenti non vi sarebbero «leggi». Ma è nel la concreta individuazione di ciò che tende a ripetersi (i modi della politica) che consiste la novità della riflessione. Non è tanto importante insomma che Tucidide abbia sco perto che la politica ha delle leggi, e delle leggi stabili, quanto piuttosto cercare di capire che cosa a lui sia appar so tale. Orbene egli è, per noi, i l primo che abbia colto i l nesso tormentoso tra parola e politica. Quel nesso onde,per pro gressivi, impercettibili, slittamenti, la medesima parola, detta dalle medesime persone, o da persone che pretendo no di parlare allo stesso modo o vogliono che si creda che esse continuano a parlare allo stesso modo, finisce col si gnificare altro. I l che risulta, in genere, tanto più chiaro quando si accostino immediatamente stadi o momenti tra loro distanti dello stesso processo. Egli è forse il primo che abbia organicamente riflettuto sulfenomeno per cui certe parole usuali nel linguaggio politico, indicanti valori qua li amicizia, lealtà, prudenza, moderazione, viltà, coraggio ecc .fungono piuttosto da schermo che da rivelatore di de terminati comportamenti (III £ 2 ) .«Vera vocabula rerum amisimus», dirà il Catone di Sallustio nel Bellum Catilinae (52 .ir ) nel quadro di una riflessione schìettamen-
te tucididea sullo stravolgimento d el lessico politico ro mano. In ragione perciò di una cosi vigile attenzione allo slitta mento semantico delle parole politiche, Tucidide è anche fortemente attratto dal fenomeno della «propaganda» .Si sottrae perciò a l riflesso condizionato della città democra tica (che prende per vera la propria propaganda) e fa affio rare piti volte la natura strumentale d el ricorso, per fin i di dominio, ad un patrimonio etico-politico fondante per la rappresentazione ideologica di Atene : in primis la sempre più lontana nel tempo benemerenza acquisita con le vitto rie sui Persiani adoperata ogni volta, da Atene e dai suoi politici, come mezzo di legittimazione delpredominio im periale conseguito dopo quella vittoria .I l co Imo è far sma scherare il carattere ideologico di quella pretesa dagli Ateniesi stessi in apertura del drammatico dialogo coi Meli (V.89). Ma è soprattutto i l conflitto tra legge morale e necessità politica che occupa la sua riflessione. E il dilemma che campeggia —chiave di lettura di tutto il libro —al principio del capitolo x v m del Principe ; «Quanto sia laudabile in uno principe mantenere la fede e vivere con integrità e non con astuzia, ciascuno lo intende;nondimanco, si vede per esperienza ne’ nostri tempi quelli principi avere fatto gran cose che della fede hanno tenuto poco conto,e che hanno saputo con l ’astuzia aggirare e cervelli de Ili uom ini; e alla fin e hanno superato quelli che si sono fondati in su la lealtà». Donde la enucleazione, da parte del Machiavelli, di «dua generazioni di combattere : l ’uno con le leggi, Val tro con la forza», prerogativa, quest’ ultima, delle «be stie», e la assunzione celebre e sconcertante d e l modello «Chirone centauro», «mezzo bestia e mezzo uomo». E questo per Tucidide il problema dominante, e profonda mente inerente a ll’evento su cui si impernia il racconto : la fine violenta di un impero, quello di Atene, costruito e af fermato con la violenza. N el suo sforzo di capire questa f i ne —la fine di un mondo che anche a lui parve affascinan te se l ’epitafio perìcleo (II.35-56) non è mero esercizio re torico —affiora sovente la percezione appunto della neces
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sità;necessaria è stata la guerra, anzi «inevitabile» perché non vi è altro modo di dirimere i conflitti tra potenze ten denti entrambe all’egemonismo nella stessa area geopoliti ca; necessaria è la conclusione distruttiva per una delle due parti perché i conflitti di potenza vengono procrastinati, non risolti, dalle paci di compromesso. Di questa neces sità lo sguardo dello storico cerca di scorgere le leggi, affi sandosi appunto non su di un flusso infinito e informe di eventi, alla maniera di Erodoto, ma su di un singolo evento, contemporaneo e appunto perciò (secondo Tucidide) p ie namente conoscibile. Ma di contro a questa scientifica ri cerca di leggi che danno bensì conto della necessità ma f i niscono col risultare limitative d ell’arbitrio dei singoli, si pone, inconciliabile, nella visione tucididea, Valternativa della responsabilità : responsabilità, appunto, dei compor tamenti, non compatibile con l ’ idea che le leggi ferree e necessarie della politica trascendano, determinandoli, gli atti dei sìngoli. I l dilemma ha preso, ad un certo punto, la forma di vero e proprio dialogo drammatico : un dialogo che Tucidide immagina verificarsi in una situazione emblematica ed estrema : quella della grande potenza (Atene) che, per riaf fermare di fronte agli avversari e ai sudditi il domìnio indi scusso dei mari, deve assoggettare una piccola e innocua isola neutrale, M elo, gelosa della propria anomala neutra lità. Non importa qui rilevare (come vedremo nel com mento a l dialogo) che la vera situazione politico-giuridica venga forzata da Tucidide a lfin e di consentire e rendere sommamente didattico i l gioco dialettico della riflessione. La genialità artistica di Tucidide consiste nell’immagina re che aggressori e aggrediti discutano, totalmente assorbiti dal gioco dialettico, su ciò che sta per accadere, e di cui es si stessi saranno tra breve protagonisti e vittime. È una pausa fuori d el tempo, in cui i protagonisti parlano dì se stessi come se parlassero di altri :protesi unicamente a l gio co affascinante di escogitare l ’argomento vincente (V .841 1 6 ) . Orbene l ’aspetto inquietante di questo testo capita le è che —come nel dibattito prò e contro la democrazia, che si svolge tra Teseo e l ’araldo tebano nelle Supplici di
Euripide (399-462) - anche qui nessun ragionamento ri sulta infine davvero vincente. Irrisolta resta, com ’era al principio del dialogo, la contraddizione tra chi, come i M eli, si richiama alla giustìzia o alla speranza o agli dei, e chi, come gli Ateniesi, porta la riflessione al punto estre mo, là dove sostengono che non solo tra gli uomini ma ad dirittura tra gli dei vige il principio del dominio del più forte. Questa legge —osservano —non Vabbiamo stabilita noi, né siamo stati i primi avvalercene;l’abbiamo ricevu ta da chi ci ha preceduti e a nostra volta la consegneremo a chi verrà, ed essa ha valore eterno;e sappiamo bene che an che voi, se vi trovaste a disporre di una forza pari alla no stra, vi comportereste come noi. G li dei non disturbano il sistema senza luce e senza spe ranza delineato dagli Ateniesi. Ogni spazio concesso al l ’ imponderabile soprannaturale, siano gli dei o il Caso po co importa, avrebbe vanificato Γ affidabilità delle leggi scoperte, avrebbe infranto il presupposto stesso della cono scibilità e prevedibilità della politica. G li dei, proprio in quanto simbolo della imprevedibilità del reale, non hanno posto in questa costruzione. E Γ esatto contrario del bilan cio che Erodoto, non di molto più anziano di Tucidide, traeva dalla propria riflessione sulla vicenda umana, e affi dava anche lui ad un dialogo: a l dialogo tra Creso e Solone, dove alla fin e Solone enumera a Creso, esterrefat to, ì giorni e i mesi di cui è intessuta la vita media di un uo mo, e conclude che «nessun giorno porta a ll’ uomo cose si m ili a l giorno seguente» (I.32). Quale formulazione più radicalmente negatrice della prevedibilità della vicenda umana, cosi ostentatamente affermata da Tucidide come conquista del pensiero ? Sono le due strade che batteranno gli storici a venire: l ’ una dubbiosa sulla possibilità stessa di afferrare «ilsenso della storia», l ’altra fiera dì aver fatto sprigionare dall’ in terno degli eventi le leggi che li governano. L ’ una sempre in pericolo dì scivolare sulla china dell’inconoscibilità del reale, l ’altra esposta, ciclicamente, alla prova disvelante, e qualche volta spossante, delle «repliche della storia».
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2. L ’evento cui Tucidide dedica il più ampio racconto, nella sua storia, è il colpo di Stato oligarchico del 4 1 1 a. C. Quasi per intero il libro V ili (almeno i capitoli 4598, ma bisogna tener conto anche dei capitoli iniziali di quel libro) è occupato dal racconto dei prodromi remoti, delle premesse militari e psicologiche, della concreta e complicata trama che culminò nell’abbattimento di un re gime politico, la democrazia, durato — nota Tucidide (V ili.68.4) con qualche semplificazione—per circa un se colo : ininterrottamente dalla caduta dei Pisistratidi (5 10 a. C., ma le rìforme clisteniche incominciarono, dopo una crisi politico-istituzionale, n el508/507) a ll’avventura oligarchica dell’anno 4 1 z . Tucidide non nasconde ammira zione per l ’ impresa compiuta dai capi della congiura. Dedica loro un articolato ritratto, che mira a fa r risaltare le loro qualità, e sorregge la deduzione che subito ne con segue: «Non è senza ragione che l ’impresa (cioè i l colpo di Stato), per quanto grande, andò a buon fine: fu infatti por tata a compimento da uomini non solo numerosi, ma in telligenti e capaci (xyneton : che significa anche “pieni di senno”)» (V ili.68.4). In particolare ad Antifonte — la «mente» del complotto, come egli rivela —Tucidide dedi ca un ritratto amplissimo (V ili.6 8 .1-2), che trova l ’ ugua le soltanto nei memorabili profili dei due massimi prota gonisti della guerra -.Pericle (II.65) e Alcibiade (VI.15 ) . Antifonte «non è secondo a nessuno degli uomini del suo tempo quanto a virtù farete)» ed è « capacissimo di concepire un disegno (enthymethenai)» e di «darforma oratoria ai suoi concepimenti» (V ili.6 8 .1). Due caratteri stiche cardinali del ritratto di Temistocle ( I .i38 .3). I l che non può essere senza significato, quale che sia la distanza di tempo che divide - nel corso della composizione tucididea —il ritratto di Temistocle,figurante negli excursus dì storia arcaica che costellano ilprim o libro, e il ritratto di Antifonte, che figura nel momento culminante della cro naca del colpo di Stato. Inoltre Antifonte è uno spregiatore d ell’ assemblea: «non saliva alla tribuna davanti a l po polo», e nemmeno «di sua volontà» si presentava in tribu nale Il popolo lo considerava «con sospetto» proprio «per
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la fama della sua bravura» (deinoteta : termine che si rife risce in primo luogo e soprattutto a ll’ oratoria). Egli però, se richiesto di consigli, metteva la sua arte a disposizione dì chi dovesse affrontare un cimento o in tribunale o davanti a ll’assemblea, e in tale veste risultava giovevole più di chiunque altro. Qui Tucidide anticipa la conclusione del tentativo oligarchico -.quando, in seguito, «iquattrocento caddero, e venivano perseguitati (ekakouto) dal popolo» —l ’ espressione è apertamente critica verso tale «violenza» popolare —, anche Antifonte fu portato sotto processo « con l ’accusa di aver contribuito ad instaurare (xynkatestese) Toligarchia» (e di questa formulazione del l ’accusa Tucidide non può non sorrìdere visto che sa, e qui rivela, che ben altro, ben altrimenti direttivo, era stato il ruolo di Antifonte), ebbene allora Antifonte celebrò, se condo il giudizio di Tucidide, il suo maggiore trionfo. «Pronunziò la migliore autodifesa in processo capitale che, fino al tempo mio (mechri emouj, sia mai stata pro nunciata» (V ili.68.2). Quello del ruolo di Antifonte non è il solo arcanum del colpo di Stato che Tucidide sveli n el suo racconto di que gli eventi memorabili. Un altro «arcano» che viene qui di chiarato è che la lista dei «Cinquemila» - i l corpo civico ristretto e a base censitaria che gli oligarchi avevano in ani mo di sostituire a ll’assemblea popolare —non era mai sta ta approntata (V ili.9 2 .1 1) . Qui Tucidide è chiarissimo : « i Quattrocento non volevano né che i Cinquemila ci fos sero (cioè che ne venisse fissata la lista) né che sì venisse a sapere che in realtà non c ’ erano». E vano contrapporre a questa rivelazione tucididea l ’ incerta notizia di Aristotele (Costituzione di Atene 3 0 .1 e 3 2 .3 , dove peraltro si leg ge che i Cinquemila furono scelti «solo apparentemen te») . Tucidide non ha difficoltà a mostrare di sapere che della congiura facevano parte anche persone insospettabili (V ili.66.5) ;è perentorio : «erano implicate anche persone che nessuno avrebbe mai creduto che si sarebbero orienta te in favore dell’ oligarchia». Non meno significativo è che egli sappia per certo e proclami : « i congiurati erano piu numerosi di quel che la gente pensasse» (V ili.6 6 .3); che
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sappia che i discorsi che venivano pronunciati a ll’assem blea nelle settimane precedenti Vattuazione del progetto dei congiurati erano letti e approvati preventivamente dai capi della congiura (6 6 .1); che dichiari senza esitazione che sin dall’origine i l proposito di non attuare per nulla un passaggio dei poteri ai Cinquemila era ben saldo nella mente dei veri protagonisti (66.1). E dice questo quando descrìve i l clima delle settimane che precedettero l ’uscita allo scoperto dei congiurati : il che rende ancora più preziosa la sua rivelazione. N é si li mita a questo. Ciò che ancor piu inquieta è la nettezza con cui mette in relazione una serie di omicìdi misteriosi e mai puniti, anzi nemmeno perseguiti, e la preparazione del col po di Stato ( V ili.65-66). Omicidi a proposito dei quali al lude, senza concedere altri chiarimenti, ai modi «adegua ti» (ek tropou tinos epitedeiouj con cui venivano fatte scomparire le vittime nel periodo di preparazione e incu bazione del complotto (V ili.66.2). Quello che colpisce è la sicurezza con cui Tucidide dà informazioni su omicidi su cui —come egli stesso mette in rilievo —non si faceva né chiasso né inchieste : coloro che ammazzarono Androcle, un capo popolare particolarmen te inviso ad Alcibiade, erano «i giovani» delle eterie, e fu rono gli stessi che «fecero fuori anche altri soggetti fasti diosi (anepitedeiousj alla stessa maniera e senza farsi sco prire dcrypha)». I l linguaggio adoperato è qui quasi com plice : «soggetti fastidiosi», fatti fuori «in modo adegua to». È come se Tucidide facesse proprio non solo i l lin guaggio ma il 'punto di vista’ degli oligarchi .Sintomatica, a questo riguardo, Γ osservazione secondo cui contro il colpo di Stato e contro la cacciata dei buleuti dal Bouleuterion «gli altri cittadini non presero alcuna ini ziativa sovversiva (ouden eneo tenzoni» (V lII.jo .1) :espressione quasi paradossale, che definisce «sovversione» l ’eventuale tentativo di ritorno alla legalità. Tucidide racconta il colpo di Stato diali’ interno. Questo si osserva bene nel minuzioso racconto che dà del dibatti to via via svoltosi a ll’interno del Consiglio dei Quattrorenio, Γ organismo installatosi al potere con la liquidazio
ne degli organismi —assemblea popolare e Consiglio dei Cinquecento - costitutivi della democrazia. Si può anzi dire che, in buona misura, il racconto, ricchissimo, della vicenda dei Quattrocento, spropositato rispetto a ll’econo mia narrativa, un racconto nel racconto, è dedicato alla Cronaca dal Bouleuterion. Quello è il punto di osserva zione: i fatti vengono raccontati in rapporto alla eco che sortiscono nel Bouleuterion, e le reazioni del Consiglio dei Quattrocento agli avvenimenti sono l ’asse del racconto, anzi sono gran parte dei «fatti» narrati. Ciò è visibile già subito, nella scena della cacciata dal Bouleuterion del Consiglio dei Cinquecento, dei cinque cento eletti a sorte in carica nel momento del colpo di Stato. Vengono forniti tutti i dettagli sulla dinamica di qu ell’atto di forza -.quanti mazzieri furono impiegati, co me e dove erano stati reclutati ecc.
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Ecco come agirono. Quel giorno lasciarono andar via come di consueto i cittadini estranei alla congiura, men tre i congiurati furono avvisati di non ritornare alle po stazioni armate [tutti i cittadini adulti erano impegnati in posti di guardia o in altre urgenze belliche], ma di te nersi in attesa, ad una certa distanza e di intervenire, ar mi in pugno, se qualcuno avesse osato opporsi all’atto di forza. Tra gli armati scritturati a questo scopo c’erano anche uomini di Andro e di Teno, e trecento uomini di Caristo e coloni di Egina, giunti apposta dall’isola, mu niti delle proprie armi, e a cui erano state date le stesse istruzioni. Disposti cosi questi armati, i Quattrocento giunsero, ciascuno con un pugnale nascosto, insieme con i centoventi giovani di cui si servivano quando era ne cessario far fuori qualcuno (ei tipou deoi cheirourgetrì). Piombarono addosso (epestesan) ai consiglieri tirati a sor te, che erano nella sala del Consiglio (Bouleuterion), e in timarono loro di prendere la paga e andarsene: avevano portato loro la paga spettante a ciascuno per la restante parte del mandato, e la distribuirono ai consiglieri via via che questi uscivano (V ili.69.2-4).
È il momento più critico, il momento in cui i congiura ti infrangono la legalità apertamente (le decisioni prese f i no a qu el momento, anche se liquidatorie d e ll’ordina mento democratico, erano pur sempre prese dall’assem blea, per quanto intimidita e coartata) :e perciò Tucidide
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dedica un cosi accurato resoconto a l film degli avveni menti, registra ogni atto e ogni retroscena, ivi comprese le istruzioni segrete date a quegli uomini che non entrarono in scena perché non ve ne fu bisogno, ed i cui eventuali compiti criminali erano noti solo ai capi della congiura. D al racconto dei fatti di «quelgiorno», come Tucidide si esprime in tono quanto mai cronachistico, incomincia il resoconto dell’attività e delle discussioni nelBouleuterion : a partire dai primi atti successivi all’insediamento, ivi com presa T eliminazione fisica di «alcuni cittadini —non mol ti —che parve loro utile togliere di mezzo (epitedeioi hypexairethenai)». Tutto fa capire che qui siamo dinanzi ad un livello di informazione che trascende, oltre che gli osser vatori esterni o comuni, anche i Quattrocento come tali, e riguarda i veri capi dell’ operazione, la ristretta élite dei ca pi oligarchici, i l «livello superiore» della congiura. I l che vale per l ’ organizzazione segretamente disposta ma non en trata nella fase operativa in occasione d ell’assalto al Bouleuterion cosi come per la rivelazione sul ruolo domi nante di Antifonte e sul suo antico (ek pleistouj concepi mento della trama antidemocratica. E evidente insomma che Tucidide sa quello che gli altri non sanno. Molto indi cativa, nell’episodio ora descritto, la distinzione tra i molti armati che hanno avuto l ’ordine di intervenire in caso di resistenza da parte dei Cinquecento ed ì centoventi «giova notti» (neaniskof), guardie del corpo «esplicite» che i Quattrocento si portano dietro quando irrompono nel Bouleuterion. E significativo i l riferimento ad un partico laresegreto e rimasto inoperante : il coinvolgimento opera tivo degli armati appostati nei pressi del Bouleuterion non c ’è stato;illoro segreto coinvolgimento è rimasto non visi bile per chi osservasse gli avvenimenti dall’esterno. Si trat ta di un fatto che avrebbe potuto accadere ma non si è veri ficato ;ma Tucidide narra anche quello. Il resoconto del serrato, e quotidiano, dibattito politico che si è svolto nel cuore del potere oligarchico, cioè nel Bouleuterion dove si sono insediati i Quattrocento, non viene formalmente annunziato o segnalato. A l contrario esso rappresenta la «cornice» in cui naturalmente ìlnana-
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tore colloca T esposizione di questi fatti. Solo ad un certo momento (V ili.89) il lettore si rende conto d el fatto che l ’orizzonte narrativo si è decisamente ristretto, e che si sta dando conto unicamente della discussione prò o contro Teramene —l ’astuto leader oligarchico che sta prendendo tempestivamente le distanze da un esperimento votato al fallimento - divampata all’ interno del Bouleuterion. E gli stessi fatti militari, cioè gli eventi capitali che segnano la caduta d e ll’ oligarchia (ilfallimento della missione invia ta a Sparta per una pace immediata, la torbida vicenda del muro di Eezionea, la defezione d ell’ Eubea), vengono det ti e commentati attraverso i l prisma d el Bouleuterion : si racconta essenzialmente come vengono l i recepiti dai di versi schieramenti e che effetto producono. Questo è uno dei fenomeni che rendono particolarmente difficile attri buire ad un «informatore» (reporter,), cui Tucidide avrebbe attinto, Torigine di un siffatto racconto. Come inavvertitamente, per cosi dire, il lettore si trovi immerso nella discussione sviluppatasi nel Bouleuterion fino a l momento della resa dei conti tra le due fazioni oli garchiche, lo si può cogliere nel capitolo V ili.89 : un capi tolo molto importante per le considerazioni generali che li Tucidide formula sulle ragioni per cui è fragile «un’ oligar chia nata dalla crisi di un regime democratico» ("oligar chia ek demokratias genoméne), e perciò letto e medita to da Aristotele, il quale vi fa cenno abbastanza chiara mente nella Politica (V .1 3 0 ^ 2 2 - 3 0 ) quando riflette ap punto sulle cause di dissoluzione delle oligarchie. Tutto incomincia con il rientro della delegazione oligarchica re catasi a Samo, rientrata con un messaggio di Alcibiade il cui succo era : resìstete, non vi arrendete ai nemici, riconci lierò con voi l ’esercito e vi porterò alla vittoria contro i Peloponnesiaci ( V ili .89.1). A quel punto «incominciaro no a riunirsi e a criticare la situazione avendo come uomi ni di punta Teramene e Aristocrate» (89.2). «Incomin ciarono a riunirsi» vuol dire senza dubbio «incominciaro no a riunirsi nel Bouleuterion» : non si tratta di conventicole di oppositori che sì raccolgono da qualche parte in città; sono i Quattrocento che, nella loro sede, comin
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ciano a dividersi apertamente e riproducono a l loro inter no quello scontro politico che avevano creduto di sedare o spegnere con i l colpo di Stato. D i qui la considerazione tucididea sulle oligarchie «nate da democrazie», e dunque portate a riprodurre a l proprio intemo i «vizi» della de mocrazia, primo tra tutti lo scontro delle fazioni. Via via che i l racconto procede si capisce che la discussione di cui viene dato conto, e che ha momenti drammatici come quando si sparge la notizia che a l Pireo gli opliti hanno ar restato uno stratego molto vicino a ll’ala oltranzista, si sta svolgendo, anzi si è svolta dal primo momento, nelBouleuterion. Ma questo non viene neanche detto esplicita mente: è ovvio, per i l narratore, che vede e commenta ì fatti dall’ interno di quel consesso. E perciò Tapparente mente ambiguo «come dissero» dì 89.2, non è da inten dersi come una «voce» corrente a ll’epoca .significa come Teramene e Aristocrate dissero n el corso d el dibattito nel Consiglio. Un altro caso in cui i l racconto trapassa de plano dall’evolversi dei fatti esterni al dibattito in Consiglio, senza che i l lettore ne sia esplìcitamente avvertito, è in V ili.92. L ’evento che semina allarme è la manovra sempre piu rav vicinata della flotta spartana alla costa attica e a ll’isola di Egina. «Allora Teramene dichiarò che non era logico che navi dirette verso l ’Eubea entrassero nel golfo di Egina per poi tornare agli ormeggi ad Epidauro! » (9 2 .3). Queste pa role Teramene le pronunzia davanti a l Consiglio (non si vede dove altro avesse senso pronunziarle), ed è su di esse che «si sviluppa una serie di ulteriori interventi e contesta zioni» (92.4: pollon kai stasiotikon logon kai hypopsion prosgenomenonj. Tutto suggerisce che questi «di scorsi rissosi che si aggiungevano ('prosgenomenoU» a quanto Teramene aveva detto venissero pronunciati nel l ’occasione appunto in cui Teramene aveva parlato. Cosi come è preferibile intendere che è in quella medesima se duta del Consiglio che si produce la svolta drammatica d e ll’annuncio d e ll’arresto di un alto esponente oltranzi sta, Alessìcle, da parte degli opliti impegnati a costruire la inutile e sospetta fortificazione di Eezionea : la reazione
della parte oltranzista del Consiglio è di dare addosso a Teramene ed ai suoi sostenitori (92 .6 : toi Theramenei kai tois met’ autou-epeilounk mentre Teramene, da par suo, sceglie la strada spericolata e alquanto ipocrita di pre cipitarsi a l Pireo proclamando di voler liberare lui il pove ro Alessicle! Ed è nel bel mezzo di questa movimentata scena, che ha un seguito ancor più movimentato alPireo, che Tucidide ricorda parenteticamente (92.6) che mentre affluivano le drammatiche notìzie dal Pireo «essi erano in riunione nelBouleuterion». Che le riunioni nel Bouleuterion fossero quotidiane —il che rende ragione della scelta tucididea di fare del Consiglio il punto d ’osservazione e di quelle discussioni Tasse narrativo del proprio resoconto —si ricava per incidens. Dopo aver dato conto, momento per momento, del la corsa di Teramene, accompagnato da «uno stratego che stava dalla sua parte», a l Pireo, del disordine in città, della fìnta indignazione di Teramene, al cospetto degli opliti, per l ’arresto di Alessicle, della subitanea svolta d el suo at teggiamento dì fronte alla richiesta degli opliti di distrug gere la fortificazione di Eezionea (considerata uno stru mento volto ad agevolare uno sbarco a sorpresa degli Spartani), dopo il colpo di scena d e ll’immediato avvio della demolizione del controverso muro e T esplodere del la richiesta aperta di passare il potere ai Cinquemila, Tuci dide incomincia il racconto della «seduta del giorno do p o »: « I l giorno dopo, i Quattrocento tornarono a riunirsi nel Bouleuterion, anche se profondamente turbati» (V ili.9 3 .1). Una notazione che allude appunto alla ‘nor malità’ di tali sedute quotidiane dell’ organismo oligarchi co . Questa giornata è ancora più movimentata della prece dente. Vengono descritti passo passo gli spostamenti e i comportamenti degli opliti che avevano bensì liberato Alessicle, ma anche demolito il muro : prima si recano a Munichia e si radunano in assemblea (ekklesiasanj nel tempio di Dioniso, poi salgono in città (es to asty) e si ac campano armati nel tempio dei Dioscuri, dove emissari dei Quattrocento, allarmati, li raggiungono e cominciano a trattare e a fare concessioni, che Tucidide riferisce minu
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Tucidide e Atene
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ziosamente (93.2-3). Concessioni che rappresentano un indebolimento serio dei Quattrocento, costretti addirittu ra a promettere un ’assemblea «di riconciliazione» (93.3) da tenersi nel tempio di Dioniso in un giorno concordato. Assemblea di riconciliazione, che invece segna, per l ’ imprevisto precipitare degli eventi bellici (defezione dell’ Eubea), i l crollo dei Quattrocento, l ’ instaurarsi di un (effimero) ordinamento fondato, per quanto confusa fosse tale nozione, sui «Cinquem ila», e la fuga, o l ’arresto, di quei capi d e ll’ oligarchia che maggiormente si erano espo sti nella difesa ad oltranza del potere assoluto ed esclusivo dei Quattrocento. Con ogni possibile dettaglio Tucidide ci informa sulla giornata cruciale d ell’imprevisto crollo del l ’ oligarchia, e altrettanto minuziosamente sui destini dei singoli —Pisandro, Alessicle, Aristarco —che avevano in carnato la linea oltranzista. E degno di rilievo come si sfor zi di fa r emergere in modo chiaro che i l passaggio ai «Cinquemila» —cioè a ll’ organo che i Quattrocento ave vano previsto come sovrano —rappresentasse in realtà, ri spetto a l breve governo dei Quattrocento, un vero e pro prio cambio di regime. Parla di un nuovo e finalmente positivo politeuesthai, in qu ell’ occasione, in Atene ( V ili.9 7 .2), e addirittura azzarda un giudizio generale: «fu, a mia esperienza (epi ge emou) il primo momento di buongoverno (eu politeusantesj in Atene» (97.2). E un altro caso, n ell’ambito del racconto tucidideo dell’avven tura oligarchica, in cui lo storico si richiama alla propria ili retta e personale esperienza di quei fatti. Si può anzi os servare che il racconto si apre e si chiude con tali richiami alla propria diretta esperienza d ell’accaduto : a ll’inizio, quando presenta i protagonisti e ricorda, ammirato, l ’apo logià di A ntifonte, e la definisce « il miglior discorso difen sivo in un processo capitale ton mechri emou» (68.2);al la conclusione, quando definisce il governo dei Cinque mila «ilprim o momento di buongoverno in Atene epi ge emou» (97.2). E , a ben vedere, il giudizio sul governo dei Cinquemila, espresso in qu el modo, ha senso esprimerlo — specie in quella forma cosi impegnativa! —solo in quanto frutto di diretta esperienza. E pi ge emou è espressione in
sensata se detta da un assente: che credibilità avrebbe un giudizio del genere se espresso da uno che non c ’era?
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3 . I l giudizio entusiastico sull’apologia di Antifonte (V ili.68.2), posto a l termine di un ritratto che non può es sere quello di un uomo non più visto a ll’ opera da oltre dieci anni o descritto cosiper sentito dire, fu ripreso e valo rizzato da Aristotele nella parte dedicata ad Antifonte del la Technon Synagoge (fr. 13 7 Rose = 1 2 3 Gigon). Le pa role di Aristotele le conosciamo dalla parafrasi che ne die dero Cicerone (Brutus 47) e Quintiliano ( 3 . 1 . 1 1 ) . En trambi attingono con ampiezza allo scrìtto tecnico del grande pensatore : Cicerone con maggiore aderenza, come si arguisce dall’ esplicito riferimento alla fonte adoperata (46 : «itaque ait Aristoteles»). Entrambi riprendono, qua si negli stessi termini, le parole di Aristotele, il quale evi dentemente presentava Antifonte non solo come autore di una Téchne ma anche come protagonista della memorabi le autodifesa nel processo capitale del 4 1 1 : a) Cicerone: «Huic (seti. Gorgiae) Antiphontem Rhamnusium similia quaedam habuisse conscripta; quo neminem umquam melius ullam oravisse capitis causam, cum se ipse defenderet, se audiente locuples auctor scripsit Thucydides»; b) Quintiliano: « Antiphon quoque, qui et orationem primus omnium scripsit et nihilo minus Artem et ipse composuit, et prò se dixisse optime est creditus».
È escluso che Quintiliano risalga al trattato aristotelico attraverso 2/Brutus ciceroniano: dà infatti altri dettagli, qui e nel contesto, che in Cicerone non sono presenti. È dunque molto probabile che Aristotele non soltanto segnalasse la memorabile apologia «in capitis causa», ma che la elogias se —com’è chiaro dalla citazione ciceroniana —appunto con le parole di Tucidide. L ’elogio («neminem umquam melius ullam oravisse capitis causam»;più breve Quintilia no «prò se dixisse optime est creditus») è quello espresso da Tucidide. Dunque il rinvio a Tucidide era già in Aristotele. Ciò non dovrebbe piu stupire. E assodato che Aristotele co nosca e metta a frutto l ’ opera dì Tucidide. Basti pensare al la ripresa (Politica i2Ó8b4o) del motivo tucidideo del si-
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(leroplìoreisthai («andare in giro armati») in epoca arcaica t\ìn tempi più recenti, nelle aree marginali (I.3.3). Ma i luo ghi piti significativi, ai fini della nostra riflessione, sono i ca pìtoli ì .'-j j della Costituzione degli Ateniesi, dove Λ vistotele mette a frutto e verbalmente cita (senza però no minare esplìcitamente Tucidide) proprio il capitolo Vili.6#, dove Tucidide delinea il ritratto di Antifonte e for mula l ’elogio della sua apologia «in capitis causa». E di l ìieidide riprende anche il giudizio lusinghiero sull’espe rienza dei Cinquemila (cap.33 = V ili.97.2), attratto, è da pensare, proprio dal motivo della «mescolanza» tra i diversi « tipi» costituzionali, realizzatasi, a giudìzio dello storico, appunto con l ’effimera esperienza dei Cinquemila. Che la citazione ed il rinvio a Tucidide in Brutus 47 ri salgano ad Aristotele, fonte di Cicerone in quel passo, lo prospettò, con prudenza, il Wilamowitz, Arìstoteles und Athen, I, Berlin, 1893, p. 99, nota 1. Il quale segnala la presenza di Tucidide (capitoli sul colpo di Stato) anche nella aristotelica Costituzione (Lì Atene 32-33 (si veda, nella stessa pagina, la nota 2). È sorprendente osservare la fortuna ai cui ha goduto, per molto tempo, il brutale intervento testuale di Johann Christian Friedrich (lampe, il quale eliminò da Brutus 47 le parole «se au diente», perché - notava - Tucidide non potè udire An tifonte visto che non era ad Atene nel 4 1 1 , esiliato com’era, per vent’anni, dal 424 a. C. In tempi piu recen ti (si veda ad esempio il commento di Douglas al Brutus, ( Ixford 1966, p. 38; ovvero il commento di Andrewes e Dover aTucidide, Oxford 198T, V, p. r7Ó) il comporta mento degli studiosi moderni si è ingentilito: e perciò pensano ad un errore, o come dice Dover «errore piu che 11:11 tirale», di Cicerone, il quale avrebbe sovrainterpretalo mechri emou. Non si rendono conto che li non è Cice rone ma Aristotele che legge e interpreta Tucidide in 111 lei modo. Il che significa che ad Aristotele non faceva dillicoltà un Tucidide presente in Atene nel 4rr; che 1 inè non si era ancora affermata una vulgata biografica mi Tucidide incentrata sulla deduzione dal «secondo pioemio» (V.26) di un ventennale esilio di Tucidide a seguito dell’insuccesso nella difesa di Amfipoli (inverno I /. 1/423). La cronaca del colpo di Stato del 4 21, cosi co me la memorabile descrizione tucididea della temperatu111 assembleare che portò alla votazione, a larghissima maggioranza, del decreto sulla spedizione in Sicilia, 1111Ί tono in crisi tale deduzione e impongono un ripensa
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mento di V.26. Il racconto tucidideo di quei grandi tor nanti della politica interna di Atene - e vi si dovranno includere anche le pagine sul regime di terrore e di so spetto creatosi con gli scandali religiosi del 4 t5 - non possono essere «di seconda mano». A meno che non si voglia immaginare un «doppio» di Tucidide, il suo repor ter, come è stato chiamato da Dover e Andrewes, la sua fonte occulta: un «doppio» al quale saremmo dunque debitori delle parti forse piu pregevoli del suo racconto. Torneremo piu oltre sulla natura del «secondo proe mio», che già ad Eduard Schwartz (Das Geschichtswerk des Thukydides, Bonn 19 19 , pp. 59-60) parve compila zione redazionale.
E ’attenzione riservata da Aristotele a l processo di Antifonte è testimoniata anche da un passo d e ll’E tica Eudem ia; « Il magnanimo si occupa dì poche cose, e tutte grandi (...) L ’ uomo magnanimo si preoccuperà di piu delΓ opinione di una sola persona virtuosa che non di quella ' di molte persone qualunque, come appunto disse Anti fonte, quando fu condannato, ad Agatone, che elogiava il suo discorso di difesa» (12320 4-9 ). E del suo studio ap profondito della vicenda dei Quattrocento, in particolare dei processi che avevano aspramente concluso quella crisi, è prova un altro cenno, per noi prezioso, presente —addot to come esemplificazione di concetti generali —nella R e torica ( 14 19 0 2 0 -30 ). Qui si tratta delprocesso intentato a Lisandro, al momento del suo rientro in Atene .Pisandro volle coinvolgere, con una sorta di chiamata di correo, il vecchio e glorioso Sofocle, che era stato eletto probulo nel 4 13 / 4 12 e dunque recava una corresponsabilità almeno morale n ell’ instaurazione dell’ oligarchia. Aristotele co nosce il diverbio svoltosi in tribunale tra Pisandro e Sofo cle : Pisandro chiese a Sofocle se avesse dato anche Im p o rne gli altri probuli, la sua approvazione a ll’ instaurazione dei Quattrocento ; Sofocle ammise di si; Pisandro incalza va :E allora non ti sembrava cosa nefasta? Sofocle ammise di si;e Pisandro: Allora hai contribuito anche tu a fare co sa nefasta? E Sofocle: Si, ma non c ’era, al momento, alter nativa migliore. Donde Aristotele ricavasse una cosi ricca documenta zione sulla fin e dei Quattrocento (e si dovrebbe dire su
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tutta la vicenda dei Quattrocento visto che nella Costitu zione di Atene egli è in grado di fornire e trascrivere docu menti dell’attività ‘ legislativa’ dei Quattrocento quali so no i progetti costituzionali «per Timmediato» e «per l ’av venire») lo si può arguire pensando alla presenza dei docu menti sulla condanna di Antifonte nella Psephismaton Synagoge dì Cratero, scolaro di Aristotele e raccoglitore della documentazione politico-giudiziaria sulla storia di Atene. Cratero aveva incluso, e dì certo commentato —co me era suo uso (Plutarco, Aristide 26 ) —i decreti che san cirono la condanna di Antifonte, inflittagli nonostante la straordinaria efficacia del suo discorso apologetico. Insomma sulla fin e d ell’ esperimento oligarchico, sulla fine personale dei singoli oligarchi, e in particolare sulla vicen da del loro «capo», Antifonte, ilfilosofo e studioso della politica aveva a lungo meditato e ricercato. C ’era, nella scuola, un buon accumulo di erudizione su ll’argomento. Le tracce che ce ne restano sono scarse, ma eloquenti: il passo dell’Etica Eudemia ricordato prima, la voce Andron nel Lessico di Arpocrazione, da cui sappiamo che Cratero, nel quinto (o nono?) libro della sua Synagogé indicava appunto in Andron i l promotore del decreto dì condanna contro Antifonte; la vita pseudo-plutarchea dì Antifonte (Vite dei dieci oratori 8 ))e-8 )4ab ), che ci dà, cavandoli ovviamente da Cratero, il testo di Andron e la formula conclusiva della condanna. Rendersi conto di tutto questo consente dì non commet tere l ’ingenuità dì espungere «se audiente» dalla citazione ciceroniana o dì bollare quella preziosa indicazione come «errore fin troppo naturale» di Cicerone. Che Aristotele avesse un siffatto e acuminato interesse per la vicenda dei Quattrocento, ed in particolare di Antifonte (il quale era anche un rinomato sofista, un maestro di retorica ed ilpresunto iniziatore dell’ oratoria scritta) è ben comprensibile, se solo si considera che il fenomeno dell’ instaurazione del l ’ oligarchia in Atene dopo un cosi prolungato periodo di regime democratico è, per Aristotele studioso e teorico del la politica, un argomento di interesse capitale .Perché, ap punto, quella inaudita svolta - sorprendente ed entusia
smante per il contemporaneo Tucidide —era per lui un esempìo assai significativo di un processo, quello del passag gio da un tipo costituzionale ad un altro, visto non piu solo in astratto ma alla luce di una vicenda e di una documenta zione concreta e relativa alla città per eccellenza interessan te ai fin i dello studio della politica, qual è per lui Atene. E inoltre un caso concreto —e tanto più degno di interesse —di un meccanismo ben determinato, e per Aristotele di som mo interesse, quello dell’ insorgere di un’ oligarchia da un preesìstente ordine democratico. È infine un esempio in corpore vili di come una siffatta oligarchia sia fragile: don de il cenno, assai chiaro, che Aristotele (Politica 13050 2230) fa alle parole di Tucidide (V ili.8^.3) sull’ inevitabile esplosione di contrasti tra oligarchi, caratteristica appunto di una oligarchia ek demokratias genomene, e che proprio perciò, per usare ancora le parole di Tucidide, apollytai ,«si disfa», dilaniata dal contrasto dei capi, portati a trasferire nell’ oligarchia la caratteristica rissosità democratica. Tutto questo sta dietro a ll’ impiego frequente, da parte di Aristotele, delle pagine tucididee (ivi compreso il giudi zio su ll’apologia di Antifonte). Tucidide era la fonte più ampia, più profonda, non solo coeva, ma direttamente spettatrice dei fatti : se audiente, appunto. E c ’ erano forse anche altre ragioni di tanto interesse. Franz Wolfgang Ollrich, l ’autore dei Beitrage zur Erklàrung des Thukydides (18 46 ), che hanno un posto di ri lievo nella storia della «questione» tucididea, ravvisò nel l ’elogio del discorso di Antifonte di fronte ai suoi giudici, da parte di Tucidide, una implicita, polemica, contrappo sizione rispetto alla vicenda del processo di Socrate e della non meno memorabile sua apologia. È possibile, anche se lo scetticismo dei moderni ha in genere rifuggito da una ta le ipotesi. E tanto più è possìbile che il raffronto tra i due processi sia presente alla mente di Aristotele, platonico di formazione e ben familiare con il culto di Socrate e della sua fin e gloriosa in contrasto con la città. I due scolari — Tucidide e Fiatone —avevano esaltato la coraggiosa fine dei rispettivi maestri, Antifonte e Socrate (cosidiversi), co si simile per tanti versi. E questo non poteva non interessa
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re in profondo Aristotele (il quale poi non fu estraneo a ri schi del genere, a l tempo suo). Tucidide è autore che Aristotele ha meditato. Ha medi tato sulla cosiddetta archaiologia, su qu el profilo d e ll’ evoluzione del mondo greco che Tucidide premette a l rac conto della guerra alfin e di collocare quest’ultima a ll’apice d ell’evoluzione : un profilo che assume però anche il valore di schema d ell’evoluzione sociale in generale, e che perciò ha rilievo agli occhi di Aristotele, il quale ugualmente concepisce la riflessione sulla politica come una riflessione sull’ evolversi da forme più semplici a forme via via più complesse d ell’ associazione umana. Ecco per ché la citazione di peso tratta da Tucidide (1.6) - esiderophorounto te gar hoi Hellenes - figura, nella Politica, nel bel mezzo della pagina del libro II (i2&8h)^-4o) dedi cata a l tema della trasformazione della legge, del fenom e no, su cui Aristotele riflette considerando Tevoluzione umana dagli stadi barbarici a quelli ‘civilizzati ’ , del kineen tous nomous, della mutazione storica, nella storia, dei nomoi. In questo Aristotele non è solo. A torto è passata inos servata la ripresa del tucidideo chronou plethos (I.i) nel prologo del terzo libro delle Leggi, dove Platone affronta (6 jó b ) un tema che è molto vicino alla riflessione aristo telica sul kinein tous nomous : il nesso cioè tra Torigine delle costituzioni e lo sviluppo societario del genere uma no (Tevoluzione umana spiega Γ origine delle costituzio ni) . Questo è il Platone postremo, il Platone delle Leggi; ma il Platone di molti decenni prima, «e/Menesseno, aveva, del pari che Isocrate ne /Panegirico (380 α. C.),m a con intento implacabilmente parodico, preso di mira il monumento di Tucidide a ll’ Atene periclea: Vepitafio del secondo libro, ed in particolare la tortuosa definizione di «democrazia» che Tucidide azzarda, e che Platone stra volge tenendo d ’ occhio anche la definizione tucididea dei poteri di Pericle (II.6 3 .9/ principatus,). «Qualcuno la chiama democrazia, altri come altro gli aggrada, è però in verità una aristokratia con Tapprovazione della massa (met’eudoxias plethous)» (Menesseno 2 j8 d ) . In realtà è
tutta Vimpostazione tucididea che viene combattuta alla radice da Platone, in particolare nel Gorgia, dove proprio Pericle, esaltato da Tucidide (II.63) come modello e cam pione di oratoria anti-demagogica e controcorrente, e per ciò da Tucidide considerato educatore del popolo, viene da Platone annoverato tra i grandi corruttori del demo, e perciò coerenti interpreti del sistema democratico -.sistema irrecuperabile, a suo avviso, comunque, quale che sia la leadership volta a volta chiamata a dirigere il sistema. La forza polemica del Gorgia, per quanto attiene alla inter pretazione della politica ateniese d el secolo precedente, è tutta rivolta contro la ricostruzione e la valutazione tuci didea di responsabilità, di ragioni, di torti. E se per Platone il rifiuto di quella lettura della storia di Atene è totale, senza mediazioni, non meno duro, sia pure per tutt'altre ragioni, è il giudizio dell’ altro grande interprete del grande secolo ateniese, Isocrate: del quale non può sfuggire, nel Panegirico (100-114)-, la confutazione polemica del luo go comune, corrente ancora al tempo suo, che poneva in relazione la condanna dell’impero di Atene col giudizio di colpevolezza senza attenuanti per la repressione e la strage di M elo. Se infine si considera quanto strettamente Senofonte abbia intrecciato il proprio nome di storico a quello di Tucidide ponendo le Elleniche nel solco dell’ opera tu cididea innalzata cosi a modello del genere «Elleniche», ben si comprende come tutti e quattro i grandi d el secolo quarto abbiano per una ragione o per l ’altra scelto di mi surarsi, contrapporsi, fare i conti comunque con l ’ opera di Tucidide. Non abbiamo motivo di dubitare della notizia, che leg giamo in Pozzo (Biblioteca, i 2 i a 2 7-29), secondo cui fu Isocrate a suggerire a Teopompo il tema della continua zione di Tucidide come primo cimento storiografico. Notizia che con ogni probabilità Pozzo leggeva in un proemio di Teopompo. Isocrate che suggerisce a Teo pompo di continuare Tucidide è un punto di svolta capi tale nella storia della storiografia greca. Isocrate non ha scritto di storia, ma ha costruito un prodotto intellettuale nuovo, che a lui dobbiamo, l ’oratoria fittizia di argomen-
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to storico-politico : dove la storia è il nutrimento, la mate ria di riflessione, la pietra di paragone della riflessione e della ricerca politica. E anche i l terzo grande testimone diretto della guerra del Peloponneso, da lui vista e vissuta n ell’ ultima e decisiva fase. Non ha scritto di storia ma ha nutrito la sua opera di riflessione storica; ha fatto propria la lezione principale di Tucidide - l ’ intreccio indissolubi le storia/politica ha avversato Senofonte, che per ragio ni che ci sfuggono sì trovò a divulgare T opera di Tucidide, e di Senofonte ha forse anche inteso correggere la maniera frettolosa con cui aveva messo in circolazione quanto re stava del racconto conclusivo del grande predecessore. Di qui, io credo, l ’ incitamento a Teopompo a tentare un’al tra e diversa integrazione d ell’ opera tucididea .Integrazio ne che Teopompo darà con le sue Elleniche, le quali spostando a Cnido e alla fine dell’ effimera egemonia spar tana il nuovo punto d ’arrivo del racconto —mettevano in crisi l ’idea di base che sorregge l ’ opera tucididea e la sua concezione d e ll’ unità del conflitto. È unico il conflitto che —seguendo Tucidide —collochiamo tra i l 4 3 1 e i l 404 perché assumiamo non solo che la posta in gioco fosse Tintollerabilità di due superpotenze contrapposte nella stessa area geopolitica, ma anche che la sconfìtta ateniese del 404 avesse chiuso per sempre quella contrapposizione epocale con i l definitivo tramonto della anomalia di un impero democratico. Ma se i l secondo di questi parametri viene meno e la rapida ripresa di vitalità di Atene, ancora una volta aiutata dalla Persia, unitamente al crollo a Cnido del sogno spartano di essere subentrati alla rivale nel dominio del mare, tolgono carattere epocale alla data del 404, allora la periodizzazione tucididea viene a frana re, e giustamente Teopompo dimostra possibile col suo stesso racconto un’ idea ancora piu lunga del conflitto per Vegemonia : un ’idea che si spinge di dieci anni in avanti e che si apre su di uno scenario non compiuto, dal quale probabilmente Teopompo stesso si è ritratto - come osser vava con tono non benevolo Polibio (8 .13 .3 ) - perché preso ormai d all’urgenza di considerare e comprendere al tre e più attuali egemonìe. È con Teopompo che quelpas-
saio diventa veramente passato: è con lui, il più tucidideo, che si compie il vero distacco da Tucidide. Fino a lui ed alla sua rottura ‘in favore' della grandezza di Filippo di Macedonia, tutto il quarto secolo ruota intorno a Tuci dide.
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4 . Ma chi era dunque polìticamente Tucidide, se intor no a lui sì svolge per tutto il secolo seguente una accesa ri flessione che vede porsi in atteggiamento critico nei suoi confronti sia negatori dell’esperienza politica ateniese, co me Platone, sia abili difensori della tradizione ateniese, come Isocrate ? È il momento di raccogliere i fili sin qui sparsi e di tornare a Tucidide ed alla sua scelta di immette re nella storia della guerra «grandissima» ed emblematica il racconto della vicenda dei Quattrocento : un investimen to storiografico ed emotivo che va meglio compreso. Aris totele in questo ci aiuta, soprattutto là dove fa risaltare ì punti che a lui sono parsi più rìTevanti del lunghissimo rac conto tucidideo: il giudìzio sugli artefici del Putsch, il giu dizio sul carattere effimero di una oligarchia ì cui uomini hanno radici n ell’esperienza democratica (e ne serbano ì tratti o i vizi), l ’ammirazione per un «tipo» costituziona le (i « Cinquemila») che superi la gabbia della democrazia assembleare senza cadere n ell’arbitrio dì un onnipotente manìpolo di capi. E la questione è allora : come si accorda questo Tucidi de con l ’ammiratore di Pericle, con l ’ideatore di quel sin golare e anomalo epitafio che del ritratto di Pericle è il complemento e per cosi dire la proiezione oratoria ? Si sa che è un azzardo avventurarsi a ricercare le tracce della stratificazione compositiva (che certo ci fu in un’ o pera di cosi lunga lena, dedicata a narrare un evento quasi trentennale) n ell’ambito d ell’ opera tucididea come noi la leggiamo. Eppure alcuni punti ferm i vanno assunti, pur in assenza, temo, della possibilità di fornire una dimostrazio ne analitica. Assumo che la cronaca che abbiamo definito «dalBouleuterion», i l racconto dall’interno della vicen da (enfatizzata oltre ogni dire) del colpo di Stato, è un rac conto redatto a ridosso dei fatti : rispecchia cioè la diretta
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conoscenza di quegli avvenimenti sconvolgenti da parte di Tucidide ma anche il suo stato d ’animo ed i suoi giudizi in quel momento. Questo vale in particolare per l ’inno alla bontà d ell’esperimento costituzionale detto dei «Cinque mila», che, visto invece alla dovuta distanza e ridimensio nato nella più equa ottica che discende dal distacco tem porale, non avrebbe probabilmente avuto lo spazio e l ’en fasi che in quei capitoli possiamo osservare. Assumo altre sì che molti discorsi (non necessariamente tutti) sono nati dopo .·tale sembra a me i l caso dell’epitafio pericleo, dove abbiamo, credo, i l più maturo pensiero di Tucidide, Usuo bilancio conclusivo, indissolubile dal lungo capitolo di bi lancio su Pericle (II.65), per tanti versi consonante con ciò che Pericle stesso dice n ell’epitaf io che Tucidide gli attri buisce. Profilo postumo di Pericle che è anche un lungo excursus «anticipativo» (cosi lo definìPaulMaas) su tut to il resto della guerra e sulla sua conclusione. Orbene, in questo denso e conclusivo bilancio non una parola vi è di condanna o di presa di distanze dal colpo di Stato e dai suoi artefici, e tanto meno sugli effetti militari negativi della loro esperienza. A l contrario Tucidide ci prospetta un giudizio complessivamente negativo sull’in sieme del ceto politico ateniese post-pericleo, che non sa rebbe stato, a suo giudizio « a ll’altezza». Tutti condussero una politica egoistica e personalistica : anzi, quella che in V ili.89.3 era una accusa riferita specificamente ai capi dell’oligarchia —di aver ciecamente lottato per Tegemonia personale mandando a picco Tesperimento - viene qui esteso a ll’ intero personale politico post-pericleo, volto ap punto a perseguire un tale personalistico tornaconto .Salva gli oligarchi da ogni responsabilità nella sconfitta, così co me salva i promotori d ell’impresa siciliana (cioè A lcibia de, anche se non lo nomina) : non fu un errore in quanto progetto, semmai lo fu per la conduzione dell’ impresa, «per come agirono verso i partenti coloro che lì avevano inviati» (chiaro rimprovero a coloro che avevano persegui tato Alcibiade) (II.6 5 .1 1 ) . N é deve trarre in inganno la frase, molto spesso ricordata ma non sempre rettamente in tesa, «era impresa grave fchaleponj togliere la libertà al
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popolo ateniese cent’anni dopo la cacciata dei tiranni» (V ili .68.4) ; perché la frase non finisce lì, ma séguìta con un chiarimento che rende evidente quanto poco commen devole fosse l ’ uso di quella «libertà» da parte del «popolo ateniese», «abituato - così prosegue - per oltre la metà di quel tempo a comandare sugli altri». E il motivo polemico anti-democratico che conosciamo bene da/Z’Athenaion Politela dello pseudo-Senofonte : il motivo del demo sfrut tatore degli alleati-sudditi, che su tale sfruttamento fonda la propria felicità materiale. C ol colpo dei bravissimi oli garchi del 4 1 1 ilpopolo di Atene perdeva insomma, lascia intendere Tucidide, la libertà di sfruttare gli altri. Tale ge nere di libertà fu abrogato da Antifonte e Teramene. E la stessa diagnosi conclusiva dì II.65, tutta incentrata sui «dissensi egoistici» (6 5.12: kata tas idias diaphoras) è un modo di porsi in sovrana equidistanza sì da annullare le responsabilità specifiche degli uni o degli altri. Su tutti giganteggia Pericle. Ma quale Pericle? Thomas Hobbes, appassionato ammiratore e traduttore (16 29 ) di Tucidide, così commenta la celebre definizione tucididea (II.65.9) della posizione costituzionale dì Pericle («di no me era una democrazia, di fatto però il potere era nelle ma ni d el primo cittadino») : «Tucidide mostra dì apprezzare il governo di Atene quando esso consisteva nella mesco lanza dei pochi e dei molti [Tallusione è a V ili.9 7]; ma ancor piu mostra di apprezzarlo quando regnava Pisistrato (...) e quando, agli inizi della guerra, il governo sotto Pericle era democratico di nome, ma in effetti monarchi co» (O f thè Life and History of Thucydides = The English W orks of Thomas Hobbes, V ili, 18 4 5 , p. xvn ). La traduzione di Lorenzo Valla, rivista da Enrico Stefano, era, dalpunto di vista politico-costituzionale, molto chia ra, e certo Hobbes l ’aveva tenuta presente : «Denique ver bo quidem, popularis status, re autem ipsa, penes primarium virum principatus erat». Una tale traduzione parve particolarmente pertinente ed efficace ad un lettore prepa rato ed esigente quale Pierre Bay le (Dictionnaire historique et critique, voi. X I, ed. Paris 18 2 0 -2 4 , p. 593)■ I l quale trovava che Plutarco aveva bene interpretato Tuci
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dide là dove definisce «aristocratica» (Pericle 9) la con dotta politica di Pericle. Ma Plutarco va inteso tenendo conto d ell’altra celebre parafrasi delle parole tucididee in torno alla natura dei poteri di Pericle : la parafrasi parodi ca d ell epitafio di Aspasia nel Λ1 enesseno platonico, do ve si legge che i l regime ateniese, quale che fosse i l nome volta a volta vigente, era sempre stato ««'aristokratia (23 7cd), nonché alla luce della nozione aristotelica secon do cui, in ultima analisi, i modelli costituzionali sono due, demos (con tutte le sue varianti) e oligarchia (con tutte le sue varianti, tra le quali /'aristokratia e la stessa monarchia) . 1 1 che significa che, in sostanza, la connota zione di Pericle come princeps - non vedrei altra possìbi le traduzione di tou protou andros arche, e ben rese Valla con principatus - colloca i l suo regime sul versante dei «pochi», non sul versante del «popolo»: e perciò riscuote Γ approvazione tucididea. L'«ultim o» Tucidide, cui ritengo debba ascriversi Vepi tafio pericleo non meno che i l lungo excursus anticipatìvo di II.65, è ormai psicologicamente e politicamente lon tano dall’esperienza bruciante d e l4 1 1 . La sua riflessione sulla migliorforma di governo sì è ‘assestata ’ e ancorata a l modello pericleo : un modello letto dallo storico, forse non a torto, come un superamento della forma democratica in direzione di un potere personale (principatus per usare an cora l ’interpretazione del Valla) sorretto dal consenso ma niente affatto asservito ’ a l consenso, da conseguire ad ogni costo, anzi pronto sempre ad una contrapposizione antì-demagogica nei confronti del dem o. Contrapposizione anti-demagogica che Tucidide fa emergere in modo chiaro nelle righe che dedica a ll’ oratoria periclea. Ma tra i l ‘placamento’ del conclusivo ancoraggio a l mo dello pericleo e l ’esperienza della ‘rivoluzione’ oligarchi ca c è un periodo intermedio, per i l quale siamo assai scar samente informati. Certo non manca qualche indizio, che andrà messo in relazione colfatto politico principale, che si produce in quegli anni in Atene, e cioè la restaurazione piena d el sistema democratico, che i Quattrocento aveva no pensato di abbattere e che i Cinquemila avevano evita
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to di ripristinare. La restaurazione democratica,propizia ta dalle grandi vittorie navali negli stretti —Sesto, Abido, Cizico (marzo 4 1 0 ) - , solennizzata nella cerimonia collet tiva del giuramento di fedeltà alla democrazia in occasio ne delle Dionisie del 4°9 (IG I 2 r i o ) , è il fatto centrale che caratterizza gli anni febbrili d e ll’ultima fase del con flitto, divisi tra speranze (dopo le Arginuse) e scoramenti, fino a l disastro finale. Toma la democrazia radicale ;toma per brevissimo tempo Alcibiade, presto indotto a lasciare nuovamente Atene ; tornano ì capi popolari. E i l periodo in cui predomina Cleofonte, che di Cleone ha l asprezza, non certo le capacità, visto che, tra l altro, non si misura nemmeno sul terreno militare :fa solo politica, ed in modo cosi cieco da avallare, credendo con ciò di assumere una posizione squisitamente «popolare», quella che probabil mente è la piu micidiale manovra teramenìana : la liquida zione, tramite processo popolare, degli strateghi vincitori alle Arginuse. Insomma VAtene del dopo restaurazione democratica non può non apparire, a ll’estimatore dì Anti fonte e degli «uomini di valore» (xynetoi) che «avevano tolto la libertà a l popolo» cent’anni dopo la cacciata dì Ippia, come un regime invivìbile. Orbene una controversa testimonianza di Prassìfane (Marcellino, V ita di Tucidide 29 = F io Brink) colloca, abbastanza chiaramente, Tucidide in Macedonia, insieme con altri letterati presenti in qu el torno di tempo in Macedonia, e lo pone in relazione con Archelao. L ’ipote si che si prospetta è che, come altri (Euripide, Agatone), anche Tucidide abbia deciso di allontanarsi da Atene or mai sotto il predominio di Cleofonte. E questa drastica decisione potrebbe anche aiutare a comprendere perché per il periodo successivo al 4 1 1 / 4 1 0 , Tucidide non abbia più proceduto ad una ordinata e ricca stesura ma abbia, probabilmente, lasciato niente altro che quei materiali che ritroviamo più o meno redazionalmente rabberciati al principio delle Elleniche senofontee. Contrariamente a quanto immagina la tradizione biografica affermatasi tardivamente, e ruotante intorno a ll’ idea di un ventenna le esilio dello storico da Atene (429/404), l ’ esilio, la lon
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tananza dalla città centro d ell’ impero ed epicentro della guerra, non è una condizione favorevole alla stesura del l ’ opera storica specie mentre i fatti sono in pieno svi luppo, è, semmai, un serio e forse insormontabile impedi mento . I l secondo allontanamento (questa volta ‘sponta neo ’) di Alcibiade dev ’essere stato l ’evento che ha spinto i critici, da sempre, della democrazia radicale a disperare. Tanto piu se riteniamo —come la «cronaca dal Bouleuterion» induce a ritenere - che Tucidide è stato molto vi cino ai Quattrocento nel periodo d el loro effimero gover no : e questo non era certo un elemento rassicurante ora che, tornata la democrazia, neanche A lcibiade, pur onu sto di successi militari indiscutibili ed ammirati, riusciva a convivere con essa. Se le cose stanno in questi termini, ancor più è giusto dire che Tucidide è stato ‘segnato ’ dal l ’esperienza dei Quattrocento e dalle sue conseguenze. S ’intende che ci muoviamo su di un piano indiziario e congetturale, e per giunta a fronte di una tradizione bio grafica che, per quanto contraddittoria e inconsistente, fa capo tuttavia ad una attestazione - quella di V .26 sull’e silio ventennale —che è usuale ricondurre a Tucidide. Lo sforzo che qui si compie è invece di mettere in luce che la biografia tucididea tradizionale costruita sul puntello turi’altro che inattaccabile d el «secondo proemio» [vedi Vita di Tucidide, pp. x l i sgg.] entra in contraddizione con quel che può ricavarsi dall’analisi del racconto tucidideo delle vicende interne ateniesi/e che, a l contrario, pro prio partendo dall’analisi interna d e ll’ opera (non ultimo dato essendo i l «vuoto» narrativo dopo H 4 11) si può ap prodare ad una ricostruzione biografica tutt’affatto diver sa, che deve di necessità prescindere dal cosiddetto «secon do proemio» e spinge perciò piu che mai a riferire que st’ ultimo alla persona del redattore-editore : di Senofonte, appunto, che secondo la notizia erudita nota a Diogene Laerzio, tratta forse da Demetrio di Magnesia, ha «pubbli cato le inedite carte di Tucidide piuttosto che appropriar sele» (2.57). D el «secondo proemio» diremo d e ll’altro nella nota biografica posta di seguito a queste pagine intro duttive. Qui torniamo invece alla testimonianza di
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Prassifane: anche lui di ambiente peripatetico, anche lui informato su Tucidide come del resto Aristotele, e Teofrasto, di cui Prassifane fu diretto scolaro. Prassifane, a giudicare da quanto riferisce Marcellino, stabiliva in un’ opera Sulla storia (di cui non sappiamo al tro) un sincronismo tra Tucidide ed una serie di autori: Platone comico, Agatone tragediografo, Cherilo di Samo, Nicerato, M elanippide. Quindi soggiungeva una notizia, che è stata molto bistrattata e variamente corretta dai mo derni: «Finché visse Archelao, Tucidide rimase adoxos per lo più, ma poi fu ammirato straordinariamente». Se si considera che dei personaggi ricordati come «coevi» di Tucidide (iynechronise), almeno due —Cherilo e Agato ne —si erano ritirati in Macedonia, presso Archelao, e che lo stesso Prassifane, nello stesso contesto, metteva in rap porto con le date di Archelao l ’andamento della rinoman za di Tucidide, è altamente probabile che dunque con quel «sincronismo» Prassifane intendesse stabilire un nes so tra Tucidide e quegli scrittori, rappresentanti di varie ‘specialità’ (epica, commedia, tragedia) che sì erano, ad un certo punto, raccolti intomo ad Archelao. Peraltro non può essere senza motivo che Tucidide dedichi ad Archelao un grande elogio (II.zoo), e che la tradizione, a torto o a ragione, attribuisse a luì un epigramma in onore di E u ripide, morto in Macedonia (Antologia Palatina 7.43) ■ Sulla natura dello scritto in cui Prassifane dava queste no tizie i moderni hanno ampiamente e vanamente discusso:i dati sono troppo scarsi per considerare plausibile l ’ una o Valtra ipotesi, anche se non manca di fascino l ’idea del Wilamoivitz secondo cui potè trattarsi di un dialogo, in cui quegli autori intervenivano come interlocutori sul te ma della storia. (Ancora in tempi recenti pensa ad un di battito in forma dialogica Flashar, nel rifacimento dello Ueberweg, Antike,3 , Basel 19 83 ,p . 568). Finire in Macedonia in quegli anni non era una scelta come un ’altra. Euripide non si sarà allontanato da Atene, e recato dal sovrano fautore delle lettere e filoellèno, sem plicemente per Tinsuccesso d ell’ O reste (dove, ad ogni modo, non mancano gli attacchi a Cleofonte: 9 02-916).
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Egli è pur sempre i l tragediografo che Aristofane (Rane 7) può accusare —n e l40 3, cioè quando Euripide non è piu in vita —di essere stato «maestro» di Teramene e di Clitofonte (entrambi protagonisti d ell’ oligarchia del 4 a ) · Agatone, raffinato e svagato quanto si vuole, è pur sempre colui che, secondo Aristotele nell’Etica Eudemia (12320 4 -9 ), si era congratulato con Antifonte per l ’apo logià pronunciata nel processo celebrato alla caduta dei Quattrocento, unica voce dissenziente e tanto più apprez zata dall’ oligarca condannato ma inflessìbile n ell’ante porre « l ’apprezzamento di un solo spoudaios alla con danna da parte dei molti qualunque» anche in qu el mo mento estremo. D altro canto in Atene le rese dei conti duravano a lun go, nonostante i propositi di pacificazione. Da vari indizi riusciamo a capire che a ll’ indomani del secondo allonta namento di Alcibiade i l clima dev ’essersifatto daccapo pe sante, e debbono essere ricominciati i processi contro colo ro che si erano compromessi con l ’oligarchia d e l4 1 1 . Crizia, figlio di Callescro (uno dei capi dei Quattrocento),aveva partecipato anche lui a ll’avventura (Demostene, Contro Teocrine 67), poi si era dato da fare per i l rientro di A Icìbiade presentando proprio lui i l decreto per i l ritor no dell’ingombrante esule (Plutarco, Alcibiade 3 3 .1 ) , ma quando l ’egemonia politica è passata a Cleofonte e A l cibiade si è ritirato, Crizia è stato perseguito proprio da Cleofonte (Aristotele, Retorica 13 7 3 0 3 2 : si tratta quasi certamente di un processo) ed è fuggito in Tessaglia (è già li a l tempo delprocesso delle Arginuse : Senofonte, Elleniche 2.3.36 ). Aristarco, anche lui protagonista d ell’oligarchia, fuggito tempestivamente da Atene al momento dell’instau razione dei Cinquemila e del governo di Teramene p e r a l tro ostinato avversario d el popolo a l punto di consegnare Oinoe ai Tebani a l momento in cui è fuggito da Atene (Tucidide V ili.98), ad un certo punto —forse ancora sotto Teramene, forse dopo - è rientrato, ed è stato processato (Senofonte, Elleniche 1.7 .2 8 ) e ucciso (Licurgo, Leocratea 1 1 3 : da questo passo sembra di capire che analoga sor te è toccata ad Alessicle). E anche Pisandro, fuggito in un
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primo momento, è poi rientrato, e la scena che riguarda il drammatico dialogo tra lui e Sofocle (Aristotele, Retorica i4 i9 a 2 3 -3 o ) non può che inquadrarsi in un dibattimento pubblico, dinanzi ad un tribunale o addirittura dinanzi al l ’assemblea, se l ’accusa fu di alto tradimento. Insamma, com’è chiaro, ad un certo punto sono ricominciati iproces sile comunque ancora a ll’inizio del 403, quando furono messe in scena le Rane di Aristofane, ì cittadini sospettati di aver sostenuto in qualche modo l oligarchia del 4 1 1 («vìnti dagli inganni di Prìnico», dice Aristofane :v .689) erano tuttora privi dei diritti politici, e Aristofane chiede per loro «uguaglianza» (v . 688). Solo alla vigilia del disa stro, per iniziativa di Patrocleide saranno ripristinati nella piena cittadinanza (Andocide 1.73-80). Io credo che in questo clima Tucidide si sia allontanato da Atene, spontaneamente ritirandosi, dopo la seconda ca duta di Alcibiade e la ripresa delle persecuzioni giudiziarie contro gli uomini del 4 1 1 , nei suoi possedimenti in Tracia, non disdegnando soggiorni a Pella (Skapté H yle, dov era no le miniere di cui aveva l ’appalto, è sul confine macedo ne) . D el resto l ’espressione che adopera in II. 10 0 , a propo sito delle costruzioni dovute ad Archelao, «che tuttora sono nel paese» (100.2), fa pensare inequivocabilmente ad autopsìa. Con questa ipotesi concordano alcuni dati: a) la buona e diretta informazione su Archelao e le sue rifor me; b) la notìzia dì Prassifane che mette chiaramente Tu cidide in rapporto con Archelao e con la vita intellettuale che si svolgeva alla sua corte; c) la solida tradizione sulla morte di Tucidide nei suoi possedimenti in Tracia (Plu tarco, Cimone 4.2). È peraltro assai difficile immaginare Tucidide che giura fedeltà alla democrazia nella solenne cerimonia delle Dionisie del 409 '.alla luce di quanto det to sin qui lo immaginiamo piuttosto nel campo di coloro che soltanto il tardivo decreto di Patrocleide restituì alla pienezza della politela. I
LUCIANO CANFORA.
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o. Essendo i trent’anni l’usuale età minima per rivestire la carica di stratego, Tucidide non può essere nato piu tardi del 455 (fu eletto stratego per l’ anno 424/423). Ma probabil mente per una carica come la strategia l’elezione all’età mini ma non doveva essere usuale: di Alcibiade, stratego per la prima volta nel 420, cioè quando era trentenne, si diceva che tosse «troppo giovane» (Tucidide V .43.2; V I .12 .2 e 17 .1). Ma anche le prime parole dell’opera tucididea possono rap presentare un indizio relativo all’ anno di nascita, là dove lo storico rivendica la propria matura intuizione storico-politi ca intorno alla gravità dell’imminente conflitto già ai primi sintomi, cioè di fronte alla crisi corcirese (iniziatasi nel 436). Già questo induce ad arretrare un po’ rispetto all’anno 455 (calcolo minimo in base all’ anno della strategia). Se poi si considera che l’interesse per la crisi che si veniva maturando coglie Tucidide intento ad altri progetti storiografici (si veda su ciò l’ Introduzione allibro I, pp. 12 0 1 sgg.), questa consta tazione (se, come credo, coglie nel segno) dovrebbe far risali re ancora piu indietro la data di nascita. Il nome del padre, Oloro, è fornito dallo stesso Tucidide (IV. 104.4). Il nome della madre, Egesipile, viene dalla tradi zione biografica. Tucidide aveva possedimenti in Tracia (se condo Marcellino, 19, queste ricchezze gli venivano dalla mo glie), inoltre l’appalto delle miniere d’oro del Pangeo, ed ave va grande autorità tra le maggiori famiglie della zona (IV .ro 5.i). Tutto ciò potrebbe confermare quel legame con la famiglia di Milziade e Cimone che la tradizione biografica antica dava per certo.
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i. Anche per Tucidide la biografia antica è autoschediastica e alquanto fantasiosa: o rielabora dati ricavati dall’opera o lavora sugli elementi deducibili da quella che Polemone di ilio (il a. C.) ritenne di identificare come tomba di Tucidide L9 ~20 Hude), che ben coglie il nesso strettissimo esiho/Peloponneso. Ciò, oltre tutto, in riferimento a Tucidide non ha molto senso: dal 421 al 4 13 , quando era in vigore la pace di Nicia, qualunque Ateniese poteva recarsi nel Pelo ponneso. Ben diverso è il caso di Senofonte, il cui esilio consi stette nell’integrarsi nel mondo peloponnesiaco (che è il valore pieno, pregnante, della frase che leggiamo in V.26.5). Ma torniamo a meta ten es Amphipolin strategian. Se dunque gli interpreti stentano a dare adeguato conto di quella espressione, cosi incongrua rispetto a ciò che Tucidide narra e vuol mettere in rilievo della sua strategia quando ne racconta le vicende, e poiché d ’altra parte tutto il resto del cosiddetto «secondo proemio» (V.26) stenta a quadrare con ciò che, dalla sua opera, sappiamo di Tucidide e si adatta in vece a ciò che sappiamo per certo di Senofonte (che cioè Pesilio lo mise in stretto contatto coi Peloponnesiaci, e che la sua esperienza del grande conflitto venne approfondendosi via via col tempo), allora è lecito ripensare meta ten es Amphipolin strategian, e chiedersi se anch’essa non rientri tra gli elementi che ci conducono a Senofonte come autore di V. 26. Nel corso del tempo sono ritornato piu volte su questo pun to, prospettando exempli gratta diverse soluzioni: dall’inizia le (1970) proposta di espungere es Amphipolin (e in quel caso Senofonte, col semplice e alquanto generico meta ten strate gian alluderebbe al suo comando dei Diecimila) al macchinoso
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ano polin (cioè Babilonia, meta della campagna in cui erano stati ingaggiati i Diecimila), alla suggestione - ricavata dagli sforzi ermeneutici del Dover - di leggere epi Thrakes in luogo di es Amphipolin (e il riferimento sarebbe, in quel caso, alla lunga campagna condotta in Tracia, al servizio di Seuthes, da parte di Senofonte, e da lui narrata nell’ultimo libro άύΥAna basi). Non credo che debba sorprendere il fatto che un testo cosi arduo e problematico venga saggiato più e piu volte nel tempo nel reiterato tentivo di meglio intenderlo. Da ultimo la collazione sistematica della tradizione mano scritta tucididea mi ha offerto l’opportunità di constatare che la tradizione superstite offre una alternativa, e lo spunto per una possibile via d’uscita. Mi riferisco ad un gruppo di mano scritti il cui rilievo è stato segnalato da G. B. Alberti {Que stioni tucididee, V ili, « Bollettino del Comitato per 1 Edizione nazionale dei Classici greci e latini», IX , 19 6 1, n.s., pp. 5966), sulla cui scia si è posto A. Kleinlogel (Geschichte des Thukydidestextes im Mittelalter, Berlin 1965, pp. 50-65): Athos, Lavra H 99; Ottoboniano gr. 2 1 1 ; Paris. Suppl. grec 256; la datazione al principio del XIV secolo sembra, per il codice atonite, la piu probabile. Orbene di questi tre manoscritti, il pri mo reca meta ten amphipolin strategian-, il terzo presenta la stessa lezione ma anche un es sulha di amphipolin; il secondo presenta es nel testo. Nel modello —si sarebbe portati a pensa re - es doveva essere sul margine o comunque in una colloca zione tale da indurre il copista che da tale modello dipendes se ad omettere es. E altresì chiaro che la variante meta ten amphipolin strategian, se la immaginiamo (com’è ovvio) in scriptio continua ed in maiuscole prive di segni diacritici, può essere letta: meta ten amphi polin strategian. Il semplice polis (con o senza articolo) per indicare l’ agglomerato urbano cen trale dell’Attica, il cosiddetto asty, in opposizione al contado ed al Pireo, è usuale, in particolare a proposito della guerra ci vile del 404/403, le cui fasi sono scandite appunto, come si sa, in riferimento all’asty : «quelli che rimasero in città» sono in fatti, nel linguaggio ateniese dell’epoca e per tanto tempo do po (si pensi agli scritti di Isocrate o a Demostene), coloro che accettarono di restare in città (cioè nell’asty) sotto il governo dei Trenta, e non si unirono a Trasibulo e agli uomini del Pi reo; «rientrare in città» è peraltro l’espressione usualmente indicante, nel linguaggio politico ateniese, la vittoria dei de mocratici conseguente alla pacificazione e alla resa degli oli garchi; «quelli del Pireo» sono, per converso, i democratici di Trasibulo; «andar via dalla città» è il gesto, spontaneo ma in alcuni casi coatto, che i Trenta provocarono durante la loro dittatura. Per il semplice polis (che significa anche « l’a cropoli», quand’è senza articolo, nei documenti ufficiali atti ci) si veda ad esempio Tucidide V i l i .67.2. E allora evidente
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che «la campagna per il controllo dellW y» (ten amphipolin strategian) può ben essere un modo a tutti chiaro di indicare la guerra civile del 404/403: nella quale tutti sapevano che Se nofonte si era impegnato, militando nella cavalleria dei Tren ta, probabilmente con un ruolo direttivo. Che 1 esilio di Senofonte abbia la sua radice nella guerra ci vile e non nella sua partecipazione, nel 394, a Coronea, tra le truppe di Agesilao, ad una battaglia in cui dall’altra parte c’e rano truppe ateniesi, è un dato che si ricava in tutta chiarezza dalla Vita di Senofonte diogeniana (Vite dei filosofi 2.5 r). La successione dei fatti riferiti da Diogene è: partecipazione al1 impresa di Ciro e poi dei Diecimila, campagna con Seuthes in Tracia, ritorno in Asia al comando degli Spartani ed esilio «in quel medesimo torno di tempo», ritorno dall’Asia con Agesilao, partecipazione alla campagna in Beozia (Coronea), concessione a Senofonte della prossenia da parte degli Spar tani, trasferimento di Senofonte a Scillunte. (Il sovvertimen to della cronologia dell’esilio suggerito dal Wilamowitz, Antigonos von Karystos, Berlin 18 8 1, pp. 330-32, è diventato poi articolo di legge; ma è accantonato, in favore del testo, inattaccabile, di Diogene, dal maggior biografo di Senofonte, Ed. Delebecque, Essai sur la vie de Xénophon, Paris 1957, pp. H 7-23; cfr. Tucidide continuato cit., pp. 163-73). Π fatto è che Senofonte ha preso parte allo scontro di Coronea nell’e sercito di Sparta contro le truppe della sua città perche era già un esule: è stravagante pensare il contrario, che cioè abbia compiuto, da cittadino ateniese, una tale «leggerezza», e ne abbia poi patito le conseguenze. Tutto il comportamento di Senofonte - dal momento ih cui si arruola, eludendo Socrate, con i mercenari greci di Ciro, fino all’arruolamento agli ordi ni dei capi spartani in Asia - si spiega unicamente se si parte dal presupposto che Senofonte sin dal 401 (quando sono stati definitivamente liquidati i capi oligarchi di Eieusi: Elleniche A- 4 -43 Ì ha voluto lasciare Atene: evidentemente perché gli era ben chiaro che non gli conveniva piu restarci. E la frase che leggiamo in Anabasi V II.7.57 («non era ancora stato messo ai voti il suo esilio») - su cui ha portato luce Delebecque nelle pagine citate prima - significa chiaramente che il problema della punizione da infliggere a Senofonte aveva preso avvio 8/à prima che Senofonte partisse. Il che suggerisce di pensare che.la condanna lo colpi tra la fine dell’avventura dei Die cimila ed il passaggio al servizio dei generali spartani operanti in Asia, esattamente come riferisce Diogene. La frase «non era stato ancora messo ai voti il suo esilio» è destinata ad un lettore che già sa della vicenda. Senofonte, personaggio assai noto, amico di Ciro e di Agesilao, esaltato da tanti poeti per il sacrificio di suo figlio Grillo in battaglia, sa di poter contare su di un pubblico che è al corrente della
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sua vicenda. Lo stesso tipo di allusività cogliamo in V.26.5 (se leggiamo meta ten amphi polin strategian): «mi accadde di esse re nella condizione di esule per vent’ anni dopo la campagna per 1’asty» (cioè: dopo la guerra civile). E proprio il chiaro ma discreto, asettico e totalmente a-partitico riferimento alla guerra civile ben si colloca nel contesto del «secondo proe mio». Esso rivendica, all’editore-continuatore che sta ren dendo noto l’inedito Tucidide, la competenza specifica che quelle esperienze di vita (prima la guerra civile e poi l’esilio) avevano prodotto: nella guerra civile Senofonte è stato vicino ai protagonisti ateniesi deH’ultima parte del conflitto; dopo di che, nel corso del lungo diversivo asiatico e poi nel Peloponneso fino al tempo dì Leuttra, e stato a stretto contat to con quegli spartani (a cominciare da Clearco, per non p£irlare di Dercillida, e dello stesso Agesilao il quale aveva ben conosciuto Lisandro) che avevano vissuto, dal cote spartano, Γultima fase del conflitto. . Non va dimenticato che la eco della guerra conclusasi nel 404 è ancora ben viva tra i Greci raccogliticci e rissosi del contingente dei Diecimila: com’è chiaro, per fare un esempio conosciuto, dal lungo e appassionato discorso che Senofonte svolge in Anabasi V I I .1.2 5 -31, e piu in generale dalla latente e non di rado affiorante tensione spartano-ateniese che per corre il viaggio dei Diecimila. A conforto dell’ipotesi qui prospettata (meta ten amphi po lin strategian) è utile rievocare qui brevemente la descrizione senofontea della conclusione della guerra civile. La campagna per la conquista dell’asfy è descritta, nei suoi vari scontri, in modo minuzioso, in Elleniche II.4 (specie 33-39, per quel che riguarda gli ultimi sviluppi). L atto finale di questa campagna - non certo vinta dai «liberatori» sul campo, ma,^ come Senofonte ben sa, grazie all’ appoggio di Pausania - e 1 ascesa dei vincitori armati sull’acropoli (II.4.39). Quando ne discen dono, essi tengono un comizio, ai piedi dell’acropoli (II.4.40), rivolto ai combattenti di entrambe le fazioni, aperto da Trasibulo con l’ apostrofe aglie& tou asteos andres, i vinti. 8. Si è osservato prima (§ 3) ebe intorno a Tucidide si eta no formate due diverse tradizioni biografiche, e che l’idea di un Tucidide esiliato si è affermata in rapporto con una tradi zione manoscritta in cui si era perduta la traccia della presen za editoriale di Senofonte (e quindi dell’attribuzione a lui dei dati autobiografici contenuti in V.26). Qui aggiungiamo un altro dato. Demetrio Falereo, scolaro diretto di Teofrasto, nella Archonton Anagrapbe, segnalava l’amnistia per il rientro degli esuli, emanata «dopo la sconfitta in Sicilia» (FGrHist 228 F 3 = fr. 152 Wehrli). E una notizia che aveva, ovvia mente, un fondamento documentario; e che non va deturpa
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ta con l’espunziorte delle parole «dopo la sconfitta in Sicilia» al solo fine di conciliare la notizia del dotto peripatetico con 1 immaginato esilio ventennale di Tucidide. (Infatti sorgereb be la domanda senza risposta: perché Tucidide non tornò già valendosi di quella amnistia ?) Se si considera che Aristotele (fr. 13 7 Rose = 125 Gigon) dava esplicitamente Tucidide co me presente in Atene al momento del processo contro Anti fonte del 4 1 1 , e che Prassifane (Marcellino 29) parlava di Tucidide in Macedonia, ignaro - si direbbe - della tradizione sull esilio trascorso a Skapté Hyle, se ne ricava che la tradizione biografica peripatetica non presupponeva V.26 come au tobiografia tucididea, e si esprimeva perciò ignorando un esilio tucidideo negli anni 423/404-403. Questa importante tradizione erudita di matrice aristotelica ebbe una sua vitalità e durevolezza, anche dopo che si £u affermato il grande faro della dottrina alessandrina (che comunque solo in un secondo momento si dedicò ai grandi prosatori di epoca classica). Cosi Filocoro (vissuto all’incirca tra il 340 e il 260), nella sua Atthis (FGrHist 328 F 137) ripeteva la notizia di Demetrio sull’amnistia generale dopo la Sicilia. E Cicerone, a contatto con 1 erudizione aristotelica (Technon Synagoge) scrive senz altro (Brutus 47) che Tucidide aveva ascoltato Antifonte difendersi nel 4 1 1 . E ancora Didimo discuteva le vedute di Demetrio e di Filocoro, e sbeffeggiava Timeo che immaginava Tucidide fosse morto in Italia (Marcellino 33). Nulla esclude che la lezione testimoniata dal codice Lavra H 99 rispecchi la genuina tradizione (meta ten amphi polin strategian), che potè coesistere e circolare con l’altra (meta ten es Amphipolin strategian). Ciò non sorprende se si considera che la tradizione testuale dei grandi autori non potè mai esse re unificata del tutto: e una tradizione ateniese seguitò anche dopo Alessandria, e potè anche essere ‘riscoperta’ in epoca di culto di Atene. (Anni addietro segnalai che Plutarco cita un episodio del settimo anno di guerra come rientrante nel «set timo libro» di Tucidide: rispecchia cioè l ’originaria divisione in libri pre-alessandrina: Tucidide continuato cit., pp. 36-38: il luogo plutarcheo è Moralia 207 F). Rivoli delle tradizioni perdenti non hanno mai cessato del tutto di scorrere e pote rono essere riscoperti in determinati momenti della ricerca, a Bisanzio, dei libri antichi. Quanto alla ‘concorrenza’ tra le due varianti (meta ten amphi polin e meta ten es Amphipolin) è evidente che, persasi la traccia della presenza senofontea, amphi polin non poteva che essere letto amphipolin e messo in relazione con il raccon to tucidideo della caduta di Amfipoli, di pochi capitoli prece dente. Comunque la nozione di un Tucidide esiliato non do vette prevalere in modo totalitario: la troviamo nel De exilio di Plutarco ma non nell’analogo scritto di Favorino.
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9. Nel 1983-85 è stata valorizzata da J. Pouilloux e F. Salviat («Comptes rendus de l’Académie des Inscriptions et Belles Lettres», 1983; «Revue de Philologie», 59, 1985) una testimonianza epigrafica già nota ma sino ad allora non com piutamente interpretata: la lista degli arconti di Taso. Se, co me è stato suggerito, il personaggio di nome «Lichas figlio di Arcesilao», che li figura come arconte nell’anno 398/397, è il medesimo Lichas figlio di Arcesilao ricordato piu volte da Tucidide, il quale ne menziona anche la morte (V ili.84.5), ne dovrebbe discendere che, a sua volta, la morte di Tucidide va collocata dopo quella data. Contro una tale identificazione (approvata, per esempio, da S. Hornblower, Thucydides,.John Hopkins University Press, 1988, p. 4) si sono espressi, con molta nettezza, Jeanne e Louis Robert («Revues des Etudes Grecques», 97, 1984, pp. 468-70). Ma la questione è aperta: la coincidenza anche del patronimico riduce non poco la pos sibilità che si tratti - come pensavano i Robert - di mera omqnimia. E comunque evidente che la non improbabile identificazio ne dei due Lichas comporta - se coglie nel segno - il crollo di un altro pezzo della tradizionale biografia tucididea: quello che soleva porre in relazione il rientro di Tucidide (dal ven tennale esilio ! ) con la sua morte violenta. Cosi Tucidide veni va ucciso o quando era ancora a Skapté Hyle (Plutarco, Cimone 4; «alcuni» presso Marcellino 3 1), o al ritorno in Atene (Didimo presso Marcellino 32), o lungo la strada che lo ripor tava dalla Tracia in Atene (Pausania I.2 3 .9: per l’esatta inter pretazione delle parole «quando rientrava», hos kateei, in questo luogo di Pausania si veda il commento di Domenico Musti, ed. Fondazione Valla, 1982, p. 348). Eppure sarebbe bastato quanto si legge in V .26.5 («mi accadde di essere in condizione di esule per vent’ anni» ecc.) per escludere che il morto, ucciso appena rientrato dall’esilio (o addirittura men tre rientrava) potesse esprimersi in quel modo. (Lo aveva rile vato Henry Dodwell, Annales thucydìdei et xenophontei, Oxford 170 2, pp. 28-29, il quale, per far quadrare ciò che si ricava da V. 26 - che cioè chi scrive è ormai remoto dalla fine di quell’esilio - con il dato della sconcertante incompiutezza dell’opera tucididea, coniava l’ipotesi di una stesura dell’ope ra, da parte di Tucidide, tutta successiva alla fine dell’esilio.^ E ciò, nonostante la consistente tradizione sulla stesura dell’o pera durante l’esilio, rispecchiata da Cicerone, De oratore 2.56: «et hos ipsos libros tum scripsisse dicitur, cum [...] in exsilium pulsus esset»). 1 o . Certamente Tucidide ha visto la conclusione del con flitto e ha avuto tutto il tempo per riflettere sulle ragioni del
Vita di Tucidide
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la sconfitta, com’è chiaro dal bilancio che traccia in II.65 sul le vere cause del disastro. Se, come a me pare probabile, i due «Lichas figlio di Arcesilao» sono la stessa persona, allora l’im magine di un Tucidide sopravvissuto di vari anni alla fine del conflitto si rafforza. Il fatto che Tucidide parli della morte di Lichas ci allontana ulteriormente dal 398/397, anno in cui Li chas era in carica a Taso come arconte. (Che poi sappia tanto su Lichas potrebbe addirittura costituire una conferma che si tratti del Lichas magistrato a Taso: Taso, posta di fronte alla costa dov’erano i suoi possedimenti, e dove con ogni probabi lità si è ritirato, è sotto la sua osservazione, e lo interessa non poco).
Tucidide sulla vicenda dei Trenta. Non cessiamo di stupirci della mancanza, in Tucidide, di qualunque cenno alla fine di Teramene (laddove non manca un riferimento alla fine del ben pili trascurabile Lichas): il fatto è che Tucidide non ha vi sto i Trenta all’opera, e perciò non ne parla mai; la sua rifles sione di storico non è stata sollecitata da quella vicenda. Ha continuato invece a limare e rielaborare il racconto del con flitto, e a riflettere sulle cause di quell’esito. Ma il riaprirsi di dinamiche non prevedibili, oltre che la prolungata lontananza dalla scena della politica, debbono aver rallentato, e forse alla fine fermato, quell’opera di reda zione definitiva. Un’opera che puntava ad essere un paradig ma politico fondato su di una esperienza esemplare, veniva messa in crisi se l’esito stesso di quella vicenda cominciava ad apparire, col passar del tempo, sotto una luce diversa (e il ca rattere epocale del 404 a ridimensionarsi). Ecco perché - è le cito ipotizzare - la parte finale del racconto, che va cercata in Elleniche I-II.3. io , è rimasta un «torso». Un «torso» che Senofonte, entrato in possesso di quelle car te a seguito di eventi che ci sfuggono, si limitò a rendere leggi bili, assicurandone poco piu che una ordinata trascrizione.
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r i . Poiché la connessione anche editoriale tra l ’opera di Tucidide e Senofonte è dichiarata dall’intreccio indissolubile delle loro opere (oltre che ben nota alla tradizione erudita confluita nelle Vite diogeniane), ci si può prospettare - su di un piano puramente ipotetico - che il contatto tra i due sarà avvenuto quando Senofonte, di ritorno dall’Asia con Agesi lao (394 a. C.), ha fatto tappa ad Amfipoli (Elleniche IV .3.1). Tucidide era ancora li in quell’ anno ? La conoscenza diretta tra i due è fuori discussione: Senofonte, in quanto cavaliere, neJ 4 11 sarà stato sicuramente tra i Cinquemila, e forse tra i piu in vista, appunto in quanto cavaliere. Quanto a Tucidide, va ricordato il suo cenno alla piu recente configurazione urba nistica di Amfipoli (in V . n osserva che Brasida, nel 4 21, venne sepolto «davanti al luogo dove ora è l ’agorà»): accenna cioè ad una modifica che si direbbe profonda della configura zione urbanistica della città; realizzatasi - si dovrà arguire da V. 1 1 - alquanto dopo la morte di Brasida. Né stupisce questo tipo di attenzione ad un dettaglio del genere, da parte di un Tucidide stabilmente ritiratosi nei suoi possedimenti in Tracia, esattamente in quella zona. Quel cenno può essere un’altra traccia della presenza tucididea in quei luoghi. L immagine dell’ultimo Tucidide che sembra emergere, sulla base di questi fili sottili e purtuttavia congruenti, è dun que coerente con quanto si è ritenuto di ricavare dall’analisi del resoconto tucidideo della crisi del 4 1 1 , nonché dalla tradi zione biografica di ambiente peripatetico sul rapporto tra Tucidide ed Archelao: il ritiro nei suoi possedimenti traci sarà stata la cornice materiale in cui Tucidide ha atteso alla rielaborazione della sua prima e «diaristica» stesura del rac conto della guerra. (Tucidide che scrive nel ritiro di Skapté Hyle, come lo immagina la tradizione nota a Marcellino [47, 2 5 : «sotto un platano»], può ben essere autentico, ma non an drà certo collocato li nel pieno del conflitto, lontano dai prin cipali teatri di operazioni!) La definitiva lontananza da Atene spiegherà meglio di altre ipotesi il silenzio assoluto di
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12 . In realtà le notizie essenziali sulla storia del testo tuci dideo sono nel cosiddetto «secondo proemio», non a caso fi gurante tra i capitoli che non recano la regolare e annuale «fir ma» di Tucidide e dunque già per questo da ritenersi non ulti mati da lui ma fatti trascrivere da un redattore: «Anche que sta parte l’ha scritta il medesimo Tucidide Ateniese, di segui to, come ogni cosa avvenne, per estati e inverni, fino all’ ab battimento dell’impero da parte degli Spartani e dei loro al leati e all’ abbattimento delle Grandi Mura e del Pireo» (V.26.1). Con queste parole, chi scrive avverte che le carte che sta pubblicando sono di Tucidide e che, per l’appunto, es se giungevano sino al termine del conflitto. Forza il testo, ma mostra di avvertire il problema posto da una dichiarazione co si circostanziata e perentoria, il Wilamowitz, Thukydideslegende, «Hermes», 12 , 1877, p. 326, quando parafrasa cosi: « Tucidide dice di se stesso [...] che dopo il 404/403 si sentiva laforza intellettuale di narrare fino alla fine la storia della guer ra del Peloponneso, che aveva iniziato proprio allo scoppio della guerra». «Sentirsi la forza di scrivere» è un escamotage, non è una traduzione: li c’è scritto inequivocabilmente che Tucidide ha scritto giungendo fino alla resa di Atene (gégraphe è un granitico e ineludibile perfetto). Ma il materiale tucidi deo relativo al 411-4 0 7 non era svanito nel nulla: esso va ri cercato al principio delle Elleniche (I-II.3.10), com’è chiaro dal nesso narrativo profondo che rende indissolubili il finale dell’ottavo libro tucidideo e il principio delle Elleniche se-
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nofontee. (Leggere il principio delle Elleniche come se si trat tasse di un’opera autonoma, che può star da sola,è impossibi le - notò Delebecque, Xénophon, Hellénique, Livre I, Paris *964. P· r 3 : sarebbe come «tenter la lecture du cinquième acte d’une tragèdie en ignorant du quatrième»). Quando parla di sé, nel cosiddetto «secondo» proemio, Senofonte parla in vece in prima persona (lo stesso passaggio dall’iniziale riferi mento all autore continuato ad una autobiografica prima per sona) Senofonte lo compie nel proemio del Peri Hippikes: Synegrapse oun kai ho Simon ... hosa deparelipen hemeis peirasometha delosai). E fornisce informazioni non eccelse (come ad esempio che il conflitto durò ventisette anni, proprio come una profezia insistentemente ripetuta aveva previsto). Ma omette di ricordare, quando traccia il quadro complessivo del conflitto, la spedizione in Sicilia (! ), che invece nel profilo del conflitto offerto da Tucidide (II.6 5 .11) è ben presente. E di ce, quando parla di Tucidide, «il medesimo Tucidide Ateniese»,, perché quelle sono le parole di un altro (Senofonte) che sta parlando di Tucidide, e si discosta, per ciò, com’è ovvio, dalla formula fissa adoperata da Tucidide per «fumare», uno per uno, gli anni di guerra. [L’importanza ed il significato librario delle «firme» annuali tucididee, non ché della loro assenza in alcune parti dell’opera, fu intuito da B. Hemmerdinger, «Revue des Etudes Grecques», 6 1, 1948, pp. 10 4-17: bene apprezzato da A. Dain, Les manuscrits, Pa ris 19642, pp. 105 e i n ] . D ’altro canto che bisogno avrebbe avuto Tucidide di avver tire che «anche qui» il raccpnto è scandito dalla successione delle estati e degli inverni ? E ovvio che Tucidide si attenga al sistema cronologico adottato sin dal principio e annunciato, all inizio del racconto (II. i), con parole che hanno evidente validità per l’intera opera. In V.26 è Senofonte che riprende la formula tucididea di IL 1 per dire che il sistema cronologico, nelle parti nuove che sta pubblicando, è il medesimo che nel resto dell opera tucididea. Avendo Senofonte composto il rac conto della guerra civile, che si collega anche formalmente al la conclusione del racconto della resa di Atene, e poi ripreso, nelle Elleniche, il racconto dei fatti successivi, via via proce dendo fino a Mantinea, è del tutto comprensibile che la parte finale, non «firmata» da Tucidide, del racconto della guerra (4 r 1-404) sia stata ad un certo momento accorpata con le Elleniche. Di qui la cesura tra un Tucidide tronco in fine ed Elleniche che incominciano ex abrupto, in modo insostenibile per un’opera destinata a circolare autonoma. In alcuni mano scritti medievali le Elleniche continuano ad essere intitolate Xenophontos Thoukydidou Paraleipomena (li ho elencati in «Quaderni di storia», 6, 1977, p. 35,12). Il fenomeno non era sfuggito a Niebuhr. Non è da trascura
re un dato che conferma l’ipotesi di una originaria circolazio ne unitaria: la cesura tra Tucidide e le Elleniche non è stata posta sempre nello stesso punto; Diodoro Siculo asserisce ri petutamente (X II.37.2; X III.42.5) che l’opera di Tucidide comprende ventidue anni di guerra (laddove i nostri mano scritti si arrestano prima della fine del ventunesimo). E infat ti Stefano di Bisanzio, alla voce Eione cita Elleniche 1. 1.5 co me luogo tratto da Tucidide («Rheinisches Museum», 128, 1985, pp. 360-63).
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NOTA BIBLIOGRAFICA
«Al tempo in cui si costituì il nucleo fondamentale della tradizione storico-letteraria relativa ai classici greci, cioè nel secolo III a. C ., non si disponeva di nessun altro dato sulla vi ta di Tucidide, tranne una sola eccezione. In piu c’era soltan to quello che si pensava di poter dedurre dallo stato e dal carattere della sua opera». Cosi il giovanissimo Wilamowitz al principio di Thukydideslegende (cit., p. 327), saggio acerbo e iconoclastico ma salutare per lo scossone che inflisse^ tante credenze consolidate ed infondate. Non è esatto però che si fosse davvero messo a frutto quanto si poteva dedurre «dallo stato e dal carattere dell’opera». Addirittura il piu macroscopico dei problemi posti dallo «stato dell’opera» - perché mai il racconto, intrapreso tanto per tempo, si interrompa all’anno 4 1 1 lasciando fuori gli anni decisivi e conclusivi - aveva smesso da tempo, quando il gio vane 'Wilamowitz scriveva, di essere sentito come problema, mentre invece aveva offerto lo spunto, al principio del secolo, ad una viva e spregiudicata discussione ricca di ipotesi audaci tra i maggiori grecisti francesi dell’età di Napoleone e della Restaurazione: Gail, Letronne, Didot. Tornerà a proporre la rilevanza del problema, e a rilevare la singolarità della totale assenza di carte tucididee relative agli anni 4 11-4 0 7, Eduard Schwartz, in uno scritto divulgativo {Charakterkòpfe derantiken Literatur, 1902, i9o62,p . 28), che precede di alcuni anni il suo grande libro del 19 19 . E appro derà alla deludente constatazione di trovarsi di fronte ad un «indovinello» {ein Ràtsel). Chi per lo meno si era posto alcuni interrogativi era un grande dotto francese di epoca napoleonica (vissuto fino al 1848), Jean-Antoine Letronne, in uno scritto che i filologi professionali (con loro danno) non leggono: l’articolo Xéno phon per la Biographie universelle del Michaud (voi. LI, 1828, pp. 369-96), riprodotto in parte da Ambroise Firmin Didot
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nelle Observations préliminaires al suo Tucidide (I, Didot, Paris 18 3 3 , pp. l x v i i i -l x i x ). Ma Letronne, pur ponendosi la questione, approdava ad una petìtio prìncipiì·. era evidente a suo dire - che Tucidide non era andato oltre l’ottavo libro, altrimenti Senofonte non avrebbe incominciato là dove il suo racconto prende avvio. «A moins d’admettre - aggiunge va - comme on a été tenté de le faire (Gail, «Philologue», III, 30 1-10 ), que Xénophon aurait supprimé le reste». «Supposition étrange», concludeva, utile a capire quanto fuori strada può andare la ricerca. Fu proprio questo fuggevo le, e non cordiale, rinvio a Gail ad incuriosirmi. La potente e influente bibliografia tedesca su Tucidide, da Karl Wilhelm Kriiger a Eduard Schwartz, per non fare che i nomi maggiori, non concedeva neanche un cenno all’opera e all’ipotesi del Gail (sebbene, per esempio Schwartz, giungesse, per intima coerenza, ad ipotesi non meno spericolate). La damnatio memoriae di Gai! meriterebbe una trattazione a parte. Qui basteranno pochi cenni. Se si consulta la piu im portante e più vasta enciclopedia mai concepita dal mondo occidentale, la Allgemeine Enzyklopaedie der Wissenscbaften und Kiinste di Ersch e Gruber (varie centinaia di volumi di grande formato, che attraversano il secolo XIX fino agli anni Ottanta, con voci, spesso immani, affidate ai maggiori specia listi, della statura per esempio di un Karl Otfriea Miiller), ci si imbatte in una amplissima voce su Gail, scritta da Bahr. Il che, in verità, è ovvio, visto che Gail è, insieme con Villoison, Chardon de la Rochette, Levesque, Courier, Letronne ecc. tra i grandi ellenisti francesi tra Rivoluzione e primo Impero: periodo di straordinaria fioritura. La sua opera torrenziale, quasi sempre diffusa in auto-edizione (chez G ail neveu), si consacra alla prosa greca, con particolare attenzione ai tre storici del v/iv a. C., dei quali Gail diede anche edizioni (immetodicamente ancorate ai soli manoscritti parigini) e tradu zioni, non sempre impeccabili ma spesso acute. (Il Tpcidide era dedicato, dopo Tilsit, ad Alessandro I di Russia). E la po lemica ferocissima di Paul-Louis Courier che ha contribuito a «demolire» Gail. «Vous avez sans doute su que Gail a été re£u de l’Institut avant moi: c’est une excellente acquisition, il est le seul qui nous fasse rire»; oppure: «tu t’.y entends com me Gail au grec». Queste, e infinite altre frecciate e critiche non sempre equanimi, hanno lasciato il segno, cosi come, ov viamente, il rapido rinnovarsi degli studi tucididei, soprattut to sul piano testuale (di li a poco comincia a uscire Poppo, e poi Kriiger). «Le Philologue» è la rivista che Gail scrisse, da solo, per una quindicina d’anni (circa 1814-28). Oltre venti tomi che trattano di filologia formale, di antiquaria (geografia e storia militare soprattutto), di grammatica. Il saggio di Gail cui Le-
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tronne faceva riferimento si intitola appunto Mémoire sur cette questìon : Thucydide avoit-il composé la totalìté de l Histoire de la Guerre du Peloponnèse? Gail aveva il merito in questo saggio, pur tra tante ingenuità, di riprendere e valorizzare la notizia di Diogene Laerzio (II.57) sulle carte inedite di Tuci dide pubblicate da Senofonte, e soprattutto di imporre all at tenzione degli studiosi il dato di partenza (dichiarato da Tu cidide sin dai primi righi): che cioè lo storico ateniese si era messo a lavorare alla sua opera sin dai primi sintomi del lun ghissimo conflitto. Insomma - concludeva Gail - «Thucydi de n’a pas travaillé vingt-neuf ans sur un fragment d histoire». Per altro verso Gail si avventurava in ipotesi spericolate che screditavano l’intuizione felice. Pensava che la distruzio ne della parte finale dell’opera di Tucidide fosse dovuta ad un qualche intervento censorio di Sparta («interessee à punir Thucydide de ses révélations», riguardanti, sospettava, il comportamento di Lisandro ad Atene dopo la vittoria), e im maginava che Senofonte avesse dovuto perciò riscrivere la parte mancante. In questo modo lasciava cadere 1 ipotesi, for mulata nelle pagine precedenti, che proprio Senofonte avesse soppresso, per filo-laconism oil finale tucidideo. (Dunque Letronne non aveva letto sino in fondo il memoìre ... Ed e si gnificativo come lo stesso Didot, nelle Observations preltmtnaìresypp. VII-IX, pur facendo sua l’idea che Tucidide avesse completato il racconto, non rinvìi mai a Gail, a questo propo sito. Forza dell’ostracismo imposto dai sarcasmi di Courier).
BIBLIOGRAFIA
Utili bibliografie sommarie forniscono W. Schmid, Geschichte der eriechischen Literatur («Handbuch der Altertumswissenschaft», V II, 1,5 ), Miinchen 1948, e A. Lesky, Geschìchte dergriechischen Literatur, Bern-Munchen 19 7 13, nei rispettivi capitoli su Tucidide; nonché O. Luschnat, Thukydides derHistoriker, «Realencyclopadie Pauly-Wissowa», suppl. VII, 1970, coll. 1323-338; suppl. X IV , 1974, coll. 771-72. Ampie bibliografie anche in: Η. P. Stahl, Thukydides, DieStellungdes Menschen im geschichtlìchen Prozess, «Zetemata», X L , Mun chen 1966, pp. 172-80; G . Donini, La posizione di Tucidide verso il governo dei Cinquemila, Torino 1969, pp. IX-XII e 10816; Ch. Schneider, Information und Absicht bei Thukydides, Gòttingen 1974, pp. 173-220. Da segnalare infine, per una in formazione complessiva, la scelta di saggi tucididei a cura di H. Herter, Thukydides, «Wege der Forschung», X C V III, Darmstadt 1968. 1. Per la biografia tucididea un buon orientamento è forni to da G. Busolt, Grìechische Geschichte bis zur Schlacht bei Chaeroneia, III, 2, Gotha T904, pp. 616-32; iniziatore della ricerca moderna sulla biografia tucididea può considerarsi K. Kriiger, XJntersuchungen ùberdas Leben des Thukydides, Berlin 1832, mentre una prima sistemazione cronologica era negli Annales Thucydidei et Xenophontei di H. Dodwell (Oxford 1702). La critica radicale della tradizione biografica antica è nel brillante saggio giovanile di U. von Wilamowitz-Moellendorff, Die Thukydideslegende, «Hermes», 12 , 1877, pp. 326-67; un diverso apprezzamento della qualità di tale tradi zione suggerisce F. Jacoby nella voce Herodotos per la «Realencyclopàdie» (suppl. II, 19 13 ). Piuttosto fantasioso, anche
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Bibliografia
se ricco di spunti, H. Miiller-Striibing, Aristophanes und die historische Kritik, 1873; un elemento nuovo per la biografia tucididea ha creduto di segnalare Η. B. Mayor, The strategi at Athens in thè Fifth Century, «Journal of Hellenic Studies», 59, τ 939 ι PP- 45-64. Per la prosopografia, un moderno tentativo di ricostruzione presso E. Cavaignac, Miltiade et Thucydide, «Revue de Philologie», 55, 3929, pp. 281-85; un recente bi lancio in: J. K. Davies, Athenian Propertied Families 600-300 B.C., Oxford 19 7 1, pp. 230-37 (sostituisce sotto ogni rispet to la voce di J . Kirchner, Prosopografia Attica, Leipzig 19 0 1, n. 7267); L. Canfora, Tucidide non esiliato e la testimonianza di Aristotele, «Bollettino dell’Istituto di Filologia greca del l’Università di Padova», 4, 1977-78, pp. 35-43. L. Picirilli, Storie dello storico Tucidide, Genova 1985; J. Pouilloux e Fran9ois Salviat, Lichas Lacédémonìen, archonte à Thasos et le livre V ili de Thucydide, «Comptes rendus de l’Académie des Inscriptions et Belles Lettres», 19 83, pp. 376-403; Id., Thucydide après l ’exil et la composition de son histoire, «Revue de Philologie», 59, 1985, pp. 13-20; S. Flornblower, Thucydides, John Hopkins University Press 3:987; W . Lapini, Tucidide rimpatriato, «Studi italiani di filo logia classica», serie III, 9, 19 9 1, pp. 9-51. L ’edizione completa piu valida è tuttora quella «massima», di K. Hude, Thucydidis Historiae, voli. I-II, Leipzig 189819 0 1 (con l’indicazione della tradizione indiretta); le princi pali edizioni d’uso - oltre quella «maggiore» di Hude («Bibliotheca Teubneriana», I, 19 13 ; II, 1925) - sono quella a cu ra di H. S. Jones, rifatta d a j. Powell («Bibliotheca Oxoniensis», 1942) e quella a cura di Jacqueline de Romilly e R. Weil (nella «Collection des Universités de France», voli. I-V, I 953 -7 2 *)· O. Luschnat ha intrapreso la nuova edizione teub neriana (1954, 1960*'), per ora per i primi due libri. Dopo nu merosi lavori preparatori, G . B. Alberti ha intrapreso nel 1972 la prima edizione critica italiana (Thucydidis Historiae, I, Roma 1972; II, 1992; III, 1996), con ampio apparato e nuova raccolta della tradizione indiretta: il primo volume compren de i libri I-II; il secondo i libri III-V e il terzo i libri V I-V ili. Il solo primo libro, con apparato sommario, a cura di A. Mad dalena, Firenze 1951-52. 2. Dei commenti, tuttora insostituibile quello di K. W. Kriiger (Berlin 1846, 18605 [I-II], 18582 [III-VI], 18 6 12 [VIIVIII]): «per brevità e chiarezza - scrisse Wilamowitz - que sto commento si lascia indietro quelli di Poppo e di Classen» (Geschichte der Philologie, p. 66); quello di E. F. Poppo (Leip zig 1821-38) - rifatto da J. Stahl (1875-83, i primi due libri in terza edizione, 1886-89) - raccoglie le «notae variorum», dal Cinque al Settecento, una preziosa storia dell’interpretazio-
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ne tucididea; quello di J. Classen (Berlin 1862-78), «uomo di scuola simpatico e rispettabile», come lo definiva Wilamo witz, fu profondamente rifatto e ampliato da J. Steup (Berlin 1892-1922). Prezioso il «commento storico», di A. W. Gomme (Oxford, voli. I-V, 19 45-81, il IV e il V, a cura di A. Andrewes e K . J. Dover). Piu recente S. Hornblower, A Commentary on Thucydides, Oxford University Press 19 9 1. Dei commenti a singoli libri vanno segnalati almeno W. H. Forbes (Book I, Oxford 1895) e W. G. Rutherford (The fourth Book, London 1889). 3. La migliore traduzione è sempre quella latina di Lorenzo Valla, apprestata dal 1448 al 1452 su richiesta di Niccolò V: l’archetipo è il Vaticano latino 18 0 1, che ha valo re di autografo (Hemmerdinger ha dimostrato che, per giun ta, questa traduzione ha anche valore di testimonio indipen dente, per quel che riguarda la costituzione del testo). Su quella del Valla si fondano esplicitamente le successive tradu zioni latine, tra cui vanno segnalate quella di I. Bekker (Oxford 18 2 1) e quella di F. Haase (Paris 1840). In inglese: dopo la classica traduzione di un tucidideo quale Th. Hobbes (1628), B. Jowett (I-II, Oxford 1900) e C. F. Smith (I-IV, London, «Loeb Library», 1919-23). In francese: A.-F. Didot (Paris 1883); E. A. Bétant (Paris 1863); Jacqueline de Romilly, L. Bodin e R. Weil (Paris 1953-72). In italiano: A, Peyron (Torino 1861); P. Sgroi (Napoli 1952); C. Moreschini (Torino 1963, rist. Firenze 1967, Milano 1985); E. Savino (Milano 1978); G. Donini (Torino 1982); M. Moggi (Milano 1984). In tedesco: G . P. Landmann (Ziirich 1959); A. Horneffer e H. Strasburger (Bremen 1957). 4. Studi d’insieme: F. W. UUrich, Beitràge zur Erklàrung des Thukydides, Hamburg 1849; E . Schwartz, Das Geschichtswerk der Thukydides, Bonn 19292; W. Schadewaldt, Die Geschichtsschreibung des Thukydides, Berlin 3929; G . B. Grundy, Thucydides and thè History o f bis Age, Oxford, I, 1 9 1 1 , II, 1948; G . De Sanctis, Storia dei Greci, II, Firenze 1939, pp. 409-36; Jacqueline de Romilly, Thucydide et Γ impérialìsme athénien, Paris 1947, 19 5 1 2; Histoire et raison chez Thucydide, Paris 1956; A. Momigliano, Storiografia su tradi zione scrìtta e storiografia su tradizione orale, «Atti dell’A c cademia delle Scienze di Torino», 96, 1961-62, pp. 186-97 (= Terzo contributo alla storia degli studi classici e del mondo antico, Roma 1966, pp. 13-22), F. E. Adcock, Thucydides and bis History, Cambridge 1963, Η. P. Stahl, Thukydides. Die Stellung des Menschen im geschichtlichen Prozess, Munchen 1966; S. Mazzarino, Ilpensiero storico classico, I, Bari 1966, pp. 243-308; K. von Fritz, Die griechische Geschichts-
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Bibliografìa
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la natura di carte tucididee edite, postmortem, da Senofonte (come sapeva Diogene Laerzio, II.57) di Elleniche, I-II.3.10 (perciò in prefazione si parla di Elleniche I I .3 .1 1 come «ini zio», delle Elleniche senofontee). Su ciò si può vedere: L. Can fora, Tucidide continuato, Padova 1970; Id., Storia antica del testo di Tucidide, «Quaderni di storia», 6, 1977, pp. 1-4°· Per la storia del testo, oltre ai lavori dell’Alberti («Bolletti no del comitato per la preparazione dell’edizione nazionale dei classici greci e latini», 1957-67): Essai sur Thistoire du texte de Thucydide (Paris 1955) di B. Hemmerdinger; Geschichte des Thukydidestextes im Mittelalter (Berlin 1965) di A. Kleinlogel. S. Hornblower, The fourth-Century and Hellenistic Reception o f Thucydides, «Journal of Hellenic Studies», 1 1 5 , 1995, pp. 47-68; e inoltre: H. D. Westlake, The Two «Second» Prefaces o f Thucydides, «Phoenix», 1972 (=Studies in Thucydides and Greek History, Bristol Classical Press 1989, pp. 97-102; L. Canfora, L ’Apologie d ’Alcibiade, «Revue des Etudes Grecques», 95, 1982, pp. 140-44; Id., Bilancio della discussione, in G . Maddoli (a cura di), L ’Athenaìon Politela di Aristotele 18 9 1-19 9 1, Napoli 1994» PP- 295 -3 ° 4 ; Id., Per una storia del testo di Tucidide in epoca tardorepubblìcana, «Bol lettino dei classici», serie III, 15 , 1994; PP· m - 22· Sulla presenza di Tucidide in Demostene: Demostene, Terza Fi lippica, a cura di L. Canfora, Palermo («La città antica», n. 11) 1922, pp, 1 1 -21. La Liste des manuscrits de Thucydide di A. Dain, in «Revue des Etudes Grecques», 44, 19 33, pp· 2028, è superata dalla lista fornita dall’Alberti in prefazione (pp. ix -xx x ix ). Sui «Paralipomeni» senofontei in rapporto all’opera di Tu cidide: E. Delebecque, Essai sur la vie de Xénophon, Paris 1:957, PP- 48-54; W. P. Henry, Greek HistoricalWriting, Chi cago 1967. , . Sulla genesi e sul modo di procedere della composizione tu cididea è fondamentale la breve nota di P. Maas, Vorgreifende Exkurse bei Thukydides, «Sitz.-Berichte Philol. Verein Ber lin», 1930 (=P. Maas, Kleine Schriften, a cura di W. Buchwald, Miinchen 1973, p. 67). 6. Sull’«Archeologia», tucididea come visione dello svi luppo delle forze materiali va visto il saggio di E . Taubler, Die Archaeologie des Thukydides, Leipzig 1927; inoltre J. de Romilly, Thucydide et l ’idée de progrès, «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa», 35, 1966, pp. 14 3-9 1; Id., Histoire et raison chez Thucydide, Paris 1956, pp. 240-98; R. Aron, Thucydide et le récit préhistorique : Dimensions de la conscience historique, Paris 19 6 1, pp. 124-67; Antonis Tsamakis, Thukydides und die Vergangenheìt, Tiibingen («Classica Monacensia», 11) 1995 (lo studio, molto ricco, riguarda tutti gli
Bibliografia
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excursus tucididei, compresa la «Pentecontetia» e la fine di Ipparco nel libro VI).
55y-y5; F. Schachermeyr, Das Perikles-Bild bei Thukydides, in Antike und Universalgeschichte. Festschrift Hans Erich Stier zum jo . Geburtstag, a cura di R. Stiehl e G. A. Lehmann, Miinster 1972, pp. 176-200. Per il problema del rapporto Tucidide-Alcibiade: E. Delebecque, Thucydide et Alcibiade, Aix-en-Provence 1965, L. Canfora, L apologia di Alcibiade, «Sileno», 5/6, 1980, pp. 257-63.
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7. Sulla «storia di Temistocle», nel primo libro tucidideo: U. von Wilamowitz-Moellendorff, Aristoteles und Athen, I, Berlin 1893, pp. 144-52 («Die Geschichte des Themistokles»). Sugli excursus tucididei: K. Ziegler, Der Ursprung der Exkurse ìm Thukydides, «Rheinisches Museum», 78, 1929, pp. 58-67; H. Miinch, Studien zu den Exkursen des Thukydìdes, Heidelberg 1935; A. Momigliano, L ’excursus di Tucidide in VI.54-59, «Studi in memoria di Leonardo Ferrerò», 19 7 1, pp. 3 1-3 5 (= Quinto contributo alla storia degli studi classici' Roma 1975, pp. 677-81). 8. Sui testi documentari in Tucidide: A. Kirchhoff, Thu kydides undsein Orkundenmaterial, Berlin 1895; U. von WÉamowitz-Moellendorff, Oer Waffenstillstandsvertrag von 423 v. C., « Sitzungsberichte Preuss. Akad. Wiss.», Berlin 19 15 , pp. 607-22; C. Meyer, Die Urkunden im Gescbichtswerk des Thukydides, Miinchen 19 55, 19 70 2; L. Canfora, Trattati di Tucidide, in L. Canfora, N. Liverani e C. Zaccagnini (a cura di), I trattati nel mondo antico, Roma 1990, pp. 193-216. 9. Sull’atteggiamento di Tucidide verso il ‘patriottismo’ della tradizione ateniese: H. Strasburger, Thukydides und die politischeSelbstdarstellungder Athener, «Hermes», 86, 1958, pp. 17-40 (= Thukydides, antologia a cura di H. Herter, pp. 488-530, con aggiunte). Sulla nozione di necessità come con cetto politico-filosofico: H. Herter, Treiheit und Gebundenheitbeì Thukydides, «Rheinisches Museum», 93, t95o, pp t 33 -5 3 -io . io . Sulla strategia bellica di Sparta e Atene: J. de Romilly, Les infentions d ’Archidamos et le lìvre IId e Thucydide, « Revue des Etudes Anciennes», 64, 1962, pp. 287-99; D. W. Knight, Thucydides and thè WarStrategy o/Perikles, «Mnemosyne», 23, 1970, pp. 150 -6 1; G . Cawkwell, Thucydides’ Judgementof PericleanStrategy, «Yale Classical Studies», 24, I 975> PP· 53 -7 p; Tucidide, Settantadue giorni a Sfacteria, acu ra di S. Valzania e S. Santelia, Palermo («La città antica», n. 18) 1993; S. Valzania, L ’esercito spartano nelperiodo dell’ege monia, «Quaderni di storia», 43, gennaio-giugno 1996, pp. 19-72· Per la valutazione data da Tucidide delle scelte strate giche, oltre che politiche, di Pericle, si vedano inoltre: Μ. H. Chambers, Thucydides and Pericles, «Harvard Studies in Classical Philology», 62, 1957, pp. 79-82; T. de Romilly, L ’optunisme de Thucydide et le jugement de l ’historien sur Périclès (T h u c.il65), «Revue des Etudes Grecques», 78, 1965, pp.
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1 1 . Sulla polarità Atene-Sparta: H. Gundert, Athen und Sparta in den Reden des Thukydides, «Die Antike», 16, 1940, pp. 9 8 -114 (= Thukydides, a cura di H. Herter, «Wege der Forschung», X C V III, Darmstadt 1968, pp. 114-34); P . Cloché, Thucydide et Lacédémone, «Les Etudes Classiques», 12, 1:943, pp. 8 1- 113 ; P. J. Fliess, Allianceand Empire in aBipolar World. Athenian Imperialism during thè Peloponnesian War, «Archiv fur Rechts- und Sozialphilosophie», 47, 19 6 1, pp. 8 1-10 3 ; Id., Thucydides and thè Politics o f Bipolarity, Baton Rouge 1966; L. Canfora, La dichiarazione di guerra. Una ana lisi oligarchica della strategia periclea, in Studi in onore di Ari stide Colonna, Perugia 1982, pp. 75 "7 7 - Fondamentale G . E. M. de Ste. Croix, The Origins o f thè Peloponnesian War, Lon don 1972. 12 . Sull’epitafio pericleo: J. Th. Kakridis, Epitaphios-Interpretationen, «Wiener Studien», 56, 1938, PP· 17-26; Id·, Der thukydideische Epitaphios, «Zetemata», X X V I, Munchen 19 6 1 (soprattutto attento all’aspetto stilistico); H. Flashar, Der Epitaphios des Perikles. Seìne Funktìon im Geschichtswerk des Thukydides, « Sitzungsberichte der Heidelberger Akademie der Wissenschaften, Philos.-Hist. Klasse», Heidelberg 1969, G. P. Landmann, Das Lob Athens in der Grabrede des Perikles. Thukydides I I 3 4 -4 1, «Museum Helveticum», 3 1, 1974, PP· 65 ~95 i K . Gaiser, D&S Stadtstfiodcll des Thukydides. Zur Rede des Perikles fu r die Gefallenen, Hei delberg 1975; D. Nickel, DasgesellschaftlicheLeitbildder Gefallenenrede des Perikles bei Thukydides, in Der Mensch als Mass ailer Dinge. Studien zum griechischen Menschenbild in der Zeri der Biute und Krise der Polis, a cura di R. Muller, Berlin 3:976, pp. 167-87; O. Longo, La morte per la patria, «Studi italiani di filologia classica», 49, i 9 7 7 >PP· 5-36; N. Loraux, Sur la «transparence» démocratique, «Raison Presente», i 979 > pp. 3 -13 ; Id., L ’invention d ’Athènes. Histoire de Toraison funebre dans la «cité classique», Paris i9 8 i;J . E. Ziolkowski, Thucydides and thè Tradition o f Funeral Speeches at Athens, New York 19 8 1; D. Musti, Demokratia. Origini di un’ idea, Roma-Bari 1995 (il cui primo capitolo è tutto dedicato ad una interpretazione dell’epitafio, molto utile la dove rettamente intende ta idia diaphora in I L 3 7 .1, come «divergenze priva
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te», ma non condivisibile là dove vanifica l’opposizione isti tuita da Pericle, in quel capitolo, tra la parola «demokratia» e la prassi di «libertà» caratteristica secondo Pericle del regime politico ateniese). E inoltre: H. Herter, Comprensione ed azìone polìtica. A proposito del capitolo 40 dell’Epitafio pericleo, in Studi in onore di Gino Funaioli, Roma 1955, pp. 133-40; H. Vretska, Perikles und die Herrschaft des Wurdigsten - Thuk. II 3 7 . j , «Rheinisches Museum», 109, 1966, pp. 108-20; O. Longo, La «Consolatio adparentes» di Pericle (Tucidide I I 44), «Rivista di cultura classica e medioevale», 19, 1977, Miscel lanea di studi in memoria di Marino Barchiesi, pp. 451-79; Id., La morte per la patria, « Studi italiani di filologia classica», 4 9 , I 97 7 . PP· 5-36; R. Tosi, Notea Tucidide, «Museum Criticum», 10 -12, 1975-1977, pp. 155-63.
geschichte im Spektrum. Festschrift zum 65. Geburtstag von Jo hannes Steudel, a cura di G . Rath e H. Schipperges, Wiesbaden 1966 (Sudhoffs Archiv Beiheft 7), pp. 58-69; H. Erbse, Thukydides ùber die Àrzte Athens (2, 4 j, 4 - 4 8,3), «Rheini sches Museum», 124, 19 8 1, pp. 29-41.
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13 . Sulla descrizione tucididea della peste: D. L. Page, Thucydides’ Description o f thè GreatPlague atAthens, «Clas sica! Quarterly», n.s. 3, 19 53, pp. 9 7 -119 ; W. P. Mac Ar thur , The Plague at Athens, « Bulletin of thè History of Medi cine», 32, 1958, pp. 242-46; F. W. Mitchel, The Athenian Plague. New Evidence invitingMedicaiComment, «Greek, Ro man and Byzantine Studies», 5, 1964, pp. 10 1-12 ; M. C. Mittelstadt, The Plague in Thucydides : an extended Metaphor?, «Rivista di Studi Classici», 16, 1968, pp. 145-54; R. J. e M. L. Littmann, The Athenian Plague. Smallpox, «Transactions and Proceedings of thè American Philological Association», 100, 1969, pp. 261-75; A. Parry, The Language o f Thucydides' Description o f thè Plague, «Bulletin of thè Institute of Classical Studies of thè University of London», 16, * 969 ) PP· 106-18; A. Gervais, Apropos de lapeste d ’Athènes. Thucydide et la littérature de Γ épidémie, «Bulletin de l’Association G . Budé», 1972, pp. 395-429; H. Herter, Die Pestschilderung des Thukydides, in Griechisch in derSchule. Didaktik, Pian und Deutung, a cura di E. Romisch, Frankfurt am Main 1972, pp. 122-35; S. L. Radt, Zu Thukydides’ Pestbeschreibung, «Mnemosyne», 3 1, 1978, pp. 233-45; A. J· Holladay e J. C. F. Poole, Thucydides and thè Plague o f Athens, «Classical Quarterly», 29, 1979, pp. 282-300; J. Longrigg) The Great Plague o f Athens, «History of Science», 1980, pp. 209-25; J. W. Allison, Pericles’ Policy and thè Pla gue, «Historia», 32, 1983, pp. 14-23. In particolare, per i rapporti fra Tucidide e la medicina ippocratica: Ch. Lichtenthaeler, Thucydide et Hippocrate vus par un historien-médecin, Genève 1965; G . Pugliese Carratelli, Ippocrate e Tuci dide, in Id., Scritti sul mondo antico. Europa e Asia. Espansione coloniale, ideologie e istituzioni politiche e religiose, Napoli J 97 6, pp. 460-73. Per l’opera svolta dai medici durante la pe ste: H. Herter, Àrtzliche Areté bei Thukydides, in Medizin-
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14 . Sulla vicenda della defezione di Mitilene: B. D. Me riti, Athenian CovenantwithMytilene, «AmericanJournal of Philology», 75, 1954, PP· 359-68; D. Gillis, The Revolt at Mytilene, ivi, 92, 19 7 1, pp. 38-47 (con ampia bibliografia sul l’argomento); H. D. Westlake, The Commons at Mytilene, «Historia», 25, 1976, pp. 429-40. In particolare, per l’agone mitilenese: L. Bodin, Diodote cantre Cléon. Quelques aperqus sur la dialectique de Thucydide, «Revue des Etudes Anciennes», 42, 1940 (Mélanges Radet), pp. 36-52; P. Moraux, Thucydide et la rhétorique. Etude sur la structure de deux discours (IIL37-48), «Les Etudes Classiques», 22, 1954 pp. 323; D. Ebener, Kleon und Diodotos. Zum Aufbau undzurGedankenfiihrung eines Redepaars bei Thukydides (Thuk. Ili , 3 7~ 48), «Wissenschaftliche Zeitschrift der Martin-Luther-Universitàt Halle-Wittenberg», 5, 1955-56, pp· 1085-160; F. M. Wassermann, Post-Periclean Democracy in Action : The Mytilenean Debate (Thuc. I l i 37-48), «Transactions and Procee dings of thè American Philological Association», 87, 1956, pp. 27-41; A. Andrewes, The Mytilene Debate. ThucydidesIII 36-49, «Phoenix», 16, 1962, pp. 64-85; R. P. WinningtonIngram, Τ Α Δ Ε Ο Ν Τ Α Ε ΙΠ Ε ΙΝ . Cleon and Diodotus, «Bul letin of thè Institute of Classical Studies of thè University of London», 12 , 1965, pp. 70-82; D. Kagan, The Speeches in Thucydides and thè Mytilene Debate, «Yale Classical Studies», 24, 19 7 5 ,pp· 71-94; C. Macleod, Reason and Necessity .Thu cydides III 9-14, 37-48, «Journal of Hellenic Studies», 98, 1978, pp. 64-78; M. Cagnetta, G li «agoni intrecciati» nell’o pera di Tucidide, «Rivista di Filologia e di Istruzione Clas sica», i n , 1983, pp. 422-34. Sulle figure di Cleone e Diodoto: M. L. Paladini, Considerazioni sulle fonti della storia di Cleone, «Historia». 7, 1958, pp. 48-73; A. G . Woodhead, Thucydides’ Portrait o f Cleon, «Mnemosyne», 13 , i960, pp. 289-317; M. Ostwald, Diodotus, Son o f Eucrates, «Greek, Roman and Byzantine Studies», 20, 1979, pp. 5-1 3 ; B· Manuwald, Der Trug des Diodotos (zu Thukydides 3 , 42-48), «Hermes», 107, 1979, pp. 407-22. Per i difficili rapporti fra Atene e città alleate: D. W. Bradeen, The Popularity oftheAthenian Empire, «Historia», 9, i960, pp. 257-69; T. J. Quinn, Thucydides and thè Unpopularity o f thè Athenian Empire, «Historia», 13 , 1964, pp. 257-66; J. de Romilly, Thucydides and thè Cities ofthe Athenian Empire, « Bulletin of thè Institute of Classical Studies of thè University of Lon
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1 6. Sulle vicende di Melo, un ampio dibattito fu suscitato dal saggio di M. Treu, Athen und Melos und der Melierdialog des Thukydides, «Historia», 2, 1954, pp. 253-73: si vedano, tra gli altri, W. Eberhardt, Der Melierdialog und die Inschriften A T L A 9 (IG P 63) und IG I2 97, «Historia», 8 , 1959» PP· 284-314; W. Kierdorf, Zum Melierdialog des Thukydides, «Rheinisches Museum», 105, 1962, pp. 253-56; A. E. Raubitschek, War Melos tributpflichtig?, «Historia», 12, 1963, pp. 78-83; M. Amit, TheMelian DialogueandHistory, «Athenaeum», 46, 1968, pp. 216-35. Sulla natura e composi zione del dialogo tra Meli e Ateniesi: L. Canfora, Per una sto ria del dialogo dei Melii e degli Ateniesi, «Belfagor», 26, 19 7 1, pp. 409-26. E inoltre: C. W. Macleod, Form andMeaning in thè Melian Dialogue, «Historia», 23, 1974, Pp. 385-400; D. Gillis, Murderton Melos, «Rendiconti dell’Istituto Lom bardo», r i2 , 1978, pp. 18 5 -2 11; L. Canfora, Tucidide e Tim pero, La presa di Melo, Roma-Bari 1992; Id. (a cura di), Tucidide, Il dialogo dei Melii e degli Ateniesi, Venezia 19922.
15 . Sulla stasis di Corcira: I. A. F. Bruce, The Corcyraean CivilW ar o f 427 B .C ., «Phoenix», 25, 19 7 1, pp. 10 8-17; L. Edmunds, Thucydides’ Ethics as reflected in thè Description o f Stasis ( 3 .82-83), «Harvard Studies in Classical Philology», 79 > I 9 7 5 >PP- 73 ; 9 2; C. Macleod, Thucydides on Faction (3. 82-83), «Proceedings of thè Cambridge Philological Society», 25 > I 979 >PP· 52-68 ; M. A. Barnard, Stasis in Thucydides .Nar rative and Analysis ofFactionalism in thè Polis, Diss., Universi ty of North Carolina, Chapel Hill 1980. Sul «cambiamento del significato delle parole», nel corso della stasis: W. Mueri, Politische Metonomasie (zu Thukydides I I I 82 4-3), «Museum Helveticum», 26, 1969, pp. 65-79; J. T. Hogan, Theaxiosisof Words at Thucydides3 .8 2 .4 , «Greek, Roman and Byzantine Studies», 2 1, 2980, pp. 139-49; J. Wilson, «The Customary Meanings o f Words were changed» - or were they? A Note on Thucydides3 ,8 2 ,4 , «Classical Quarterly», n.s., 32, 1982, pp. 18-20. Per il problema dell’autenticità del capitolo III.84: G. Jachmann, Eìn Kapiteldes Thukydides, «Klio», 33, n.s., 15 , I 94 °> PP· 235 ' 44 ! E. Topitsch, DiePsychologie derRevolution bei Thukydides (Die Frage der Echtheit von Kapitel III 84), «Wiener Studien», 1942, pp. 9-22; E. Wenzel, Zur Echtheitsfrage von Thukydides III 84, «Wiener Studien», n.s., 2, 1968, pp. 18-27; A. Fuks, Thucydides and thè Stasis in Corcyra : Thuc., Ili, 82-3 versus [Thuc.], III, 84, «American Journal of Philology», 92, 19 7 1, pp. 48-55. Sul blocco narrativo triparti to che domina il quinto anno di guerra: M. Cogan, Mytilene, Plataea, and Corcyra. Ideology and. Policy in Thucydides, Book three, «Phoenix», 35, 19 81, pp. 1-21.
17 . Sulla Entstehungsgeschichte dei libri V I e V II, a parte le opere generali di Schwartz e Schadewaldt già indicate, ancora utile A. Rehm, tìber die sizilischen Biicher des Thu kydides, «Philologus», 89, 19 34 » PP· 133-60 (la seconda parte sulla topografia di Siracusa); piu di recente, è da ve dere K. Ziegler, Zur Datierung der sizilischen Bucher des Thukydides, «Gymnasium», 74, 1967, pp. 327-42, e so prattutto le puntuali osservazioni ai passi cruciali di K. J. Dover nel commento del Gomme. Sulla storia della coloniz zazione della Sicilia tracciata in V I .2-5: R. van Compernolle, Etude de chronologie et d ’ historìographie sìciliotes. Recherches sur le système chronologique des sources de Thucy dide, Bruxelles i960; K . J. Dover, La colonizzazione della Sicilia in Tucidide, «M aia», 6, 19 5 3 , PP· 1-20. Sulle vicen de della spedizione ateniese in Sicilia del 4 15 : H. Wentker, Sizilien und Athen. Die Begegnung der attischen Macht mit den Westgriechen, Heidelberg 1956; U. Lami, La spedizione ateniese in Sicilia d e l4 1 5 a. C., «Rivista Storica Italiana», 82, 1970, pp. 277-307. Sui vari aspetti del racconto tucidideo sulla spedizione: W. Liebeschutz, Thucydides and thè Sicilian Expedition, «Historia», 17 , 1968, pp. 289-306; G. Caiani, Nicia e Alcibiade. I l dibattito sull’arce alle soglie del la spedizione in Sicilia (analisi lessicale di Thuc. 6, 9-78), «Studi Italiani di Filologia Classica», 44, 19 7 2 , pp. 14583; H . C. Avery, Themes in Thucydides’ Account ofthe Sici lian Expedition, «Hermes», 1 0 1 , 19 73, pp. 1 - 1 3 ; Η. P. Stahl, Speeches and Course ofEvents in Books Six and Seven o f Thucydides, in Speeches in Thucydides, a cura di Ph. Stad-
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gnetta, Fonti oligarchiche nell’ V ili libro di Tucidide, « Sileno », 3> r 977 >PP· 215-19 ; Id., Due agoni nell’ottavo libro di Tucidi de, «Quaderni di storia», 12 , 1980, pp. 249-58. In par ticolare su Frinico e i suoi intrighi: H. D. Westlake, Phrynichos and Astyochos (Thucydides VITI.50 -1), «Journal of Ifel lonie Studies», 76, 1956, pp. 99-104; U. Schindel, Fhrynichos und dìe Ruckberufung des Alkibiades, «Rheinisches Museum», 1 1 3 , 1970, pp. 281-97.
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18. Suìl’excursus sui tirannicidi (VI.54-59): Ch. W. Fornara, The Cult ofHarmodius and Arìstogeiton, «Philologus», r 14, 1970, pp. 155-80; A. Momigliano, L ’excursus di Tuci dide in VI.54-59, in Studi in memoria di Leonardo Ferrerò, To rino 19 7 1, pp. 31-35 (= Quinto contributo alla storia degli stu di classici, Roma 1975, pp. 677-81); K. H. Kinzl, Zu Thukydi des ùber Peisistratìdaì, «Historia», 22, 19 73, pp. 504-7; R. Vattuone, L ’excursus nel VI libro delle Storie di Tucidide, « Ri vista di Storia Antica», 5, 1975, pp. 173-84; M. W. Taylor, The Tyrant Slayers. The Heroic Image in Fifth Century B.C. Athenian Art and Politics, New York 19 8 1 (con le osservazio ni di G. Tedeschi in «Quaderni di storia», 20, 1984, pp. 297303); Tucidide, La disfatta a Siracusa, a cura di Aldo Corcella, Venezia 1996. 19. Sulla composizione e struttura dell’ottavo libro, i pro blemi principali furono impostati da L. Holzapfel, Doppelte Relationen im V ili. Buche des Thukydides, «Hermes», 28, 1893, pp. 435-64, e da U. von Wilamowitz-Moellendorff' Thukydides V ili, «Hermes», 43, 1908, pp. 578-618; la ricer ca è stata poi approfondita nell’ambito dei citati studi di Schwartz, Hemmerdinger, Canfora sulla composizione del1 opera tucididea. Sul colpo di stato del 4 1 1 e la narrazione e il giudizio tucididei: U. Wilcken, Zur oligarchischen Revolution in Athen vom Jahre 4 1 1 v. Chr., Berlin 19 35; M. Lang, Revolution o f thè 400 : Chronology and Constitutions, «Ameri can Journal of Philology», 88, 1967, pp. 176-87; G. Donini, La posizione di Tucidide verso il governo dei Cinquemila, Torino 1969; G. M. Kirkwood, Thucydides' Judgement o f thè Constìtution o f thè Five Thousand (V ili, 97, 2), «American Journal of Philology», 93, 1972, pp. 92-103; H. D. Westlake, The Subjectìvìty o f Thucydides. His Treatment o f thè PourHundred at Athens, «Bulletin of thè John Rylands Library», 56, J 9 7 3 >PP· i 93 ' 19 *2 I 8 ; D. Flach, Der oligarchische Staatsreìch in Athen vom Jahr 4 1 1 , «Chiron», 7, 19 77, pp. 9-33; M. Ca-
LXXV
20. In generale sul pensiero politico tucidideo: Thomas Hobbes, Introduzione a «La guerra del Peloponneso» di Tu cidide (1629), a cura di Gianfranco Borrelli, Napoli 1984; W . Schadewaldt, Die Geschichtsschreibung des Thukydides, Berlin 1929; W. Jaeger, Paideia, I, Berlin 19 3 3, trad. it. 1946, pp. 559-98; H. Berve, Thukydides, Frankfurt am Main 1938 (noto per l’equiparazione Tucidide-Hitler, p. 49: «in frappanter Weise an Gedanken erinnert, wie sie Adolf Hitlers Mein Kampf durchziehen»); F. De Sanctis, Storia dei Greci, II, Firenze 1939, pp. 409-36 (tende ad attribuire a Tu cidide la nozione di «provvidenza»: pp. 433 ' 34 ); Id., Studi ai storia della storiografia greca, Firenze 19 5 1, pp. 73‘ 83 (Postille tucididee)·, W. Schmid, Geschìchte der griechischen Literatur («Handbuch der Altertumswissenschait», V II, 1, 5), Munchen 1948, pp. 107-26; J. de Romilly, Thucydide et l ’impérialisme athénien, Paris 19 5 12; M. F. McGregor, ThePolitics of thè Historian Thucydides, «Phoenix», io , 1956, pp. 93-102; A. W. Gomme, More Essays in Greek History and Literature, Oxford 1962, pp. 112-9 3 (su: Tucidide e Cleone, Tucidide e il pensiero politico del IV secolo, concetto di liberta, politica internazionale e guerra civile, democrazia ateniese); F. E. Adcock, Thucydides, Cambridge 1963; H. Montgomery, Gedanke und Tat, Lund 1965; O. Luschnat, Thukydides der Historiker, «Realencyclopàdie Pauly-Wissowa», suppl. X II, 1970, coll. 1085-354 (con aggiunte nel suppl. X IV , 19 14 , coll. 760-86); K. H. Volkmann-Schluck, Politische Philosophie, Thukydides Kant Tocqueville, Frankfurt am Main 1974; A. Rengakos, Form und Wandeldes Machtdenkens derAthener bei Thukydides, Wiesbaden-Stuttgart 1984; L. Strauss e J. Cropsey, Storia della filosofia politica, a cura di C. Angelino, Genova 1993, pp. 69-105; C. Orwin, The Humanity o f Thu cydides, Princeton University Press 1994. 2 1. Sul rapporto tra politica e morale nel pensiero tucidi deo - che è problema strettamente connesso al rapporto di Tucidide con la sofistica - sempre utili i vecchi saggi di W . Nestle sui «Neue Jahrbiicher fiir das klassische Altertum»: Politìk und Aufklarung in Griechenland (XII, 23, 1909, pp. 122), Thukydides und die Sophistik (XVII, 33, 1914» PP· 649-
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Bibliografia
685 = Grìechhche Studien, Stuttgart 1948, pp. 321-73), Politik undMoralim Altertum (XX I, 4 1, 19 18 , pp. 225-44); cfr. anche D. Tagliaferro, La storiografia di Tucidide nella problematica dei sofisti, «Rendiconti dell’Istituto Lombardo di Scienze, Lettere e Arti», 92, 1958, pp. 581-96; H. J. Diesner, Thukydides und Thomas Hobbes, «Historia», 1980, pp. 1-16 . Per aspetti particolari: J. M. Schram, Prodìcus PiftyDrachma Show-Lecture and thè My tilene Debate ofThucydides, «Antioch Review», 25, 1965, pp. 105-30; J. de Romilly, La condamnation du plaisir dans Γ oeuvre de Thucydide, «Wiener Studien», 79 (1966), pp. 142-48 (a proposito del piacere del la parola). NO TA A L TESTO
Colonna A: testo oxoniense a cura di Jones e Powell. Colonna B: testo adottato per questa traduzione. A
B
πολλήσι νήσοισι καί ’Άργεϊ παντί άνάσσειν έκράτησαν των προσόδων μειζόνων γιγνομένων αγνοούντες εκτεινον
«πολλησιν νήσοισι καί ’Άργεϊ παντί άνάσσειν» έκρατήθησαν [των προσόδων μειζόνων γιγνομένων] [άγνοούντες] εκτεινον coi Κερκυραϊοι> (επέπλεον γάρ μάλλον έκ τού α φανούς) τεσσάρων άλλος ξυμβολιμαίαις άλλων δέ τινων τριήρεις μέν [καί πόλεις τοσάσδε ύπό μιας κακοπαθεΐν] [ούτε οι έχθροί ού τε ή πάσα πόλις]
LIBRO I
9.4 rigo 5 1 1 . 1 rigo 5 13 .1 rigo 4 50 .1 rigo 6 50.1 rigo 6 5 1.2 righi 1-2 57.6 67.3 7 7 .1 9 1.1 10 0 .1 100.2 122.3
rigo 5 rigo 2 rigo 1 righi 2-3 rigo 5 rigo 4 righi 2-3
13 2 .1 rigo 2
επέπλεον γάρ μάλλον έκ τού α φανούς t δέκα t άλλο ξυμβολαίας των δέ άλλων τριήρεις μέν κα'ι πόλεις τοσάσδε υπό μιας κακοπαθεϊν ούτε οΐ εχθροί ού τε ή πάσα πόλις
L X X V III
Σ34·4 rigo 2 136.4 rigo 4
Nota a l testo [ούπερ τούς κα κούργους] άσθενεστέρου
Nota al testo ούπερ τούς κα κούργους ασθενέστερος
40.1 righi 3-4
LIBRO II
15.4 rigo 6 22.3 rigo 4
[τη δωδεκάτη] [Παράσιοι]
τή δωδεκάτη Πειράσιοι
ές τήν άρχήν όμοιους
[ές τήν άρχήν] ομοίως
49.1 righi 5-6 96.3 rigo 6 10 5 .1 righi 3-4 12 0 .1 rigo 1
τεσσαράχοντα τοΰ πολέμου τό τε έν τή Μεσσή νη καί έν τώ 'Ρηγίω [Κορινθίους] αυτοί Ακαρνάνες οίκήτορας οϊπερ διεφθάρησαν Θεσπιών κτήσίν τε έχειν τών χρυσείων μετάλ λων έργασίας αις έπήρχοντο
πεντήκοντα τοΰ πολεμίου [τό τε έν τή Μεσσή νη καί έν τώ 'Ρηγίω] Κορινθίους αύτοί Ακαρνάνες οίκήτορες [οϊπερ διεφθάρησαν Θεσπιών] κτήσίν τε έχειν τών χρυσείων με τάλλων έργασίας [αίς έπήρχοντο]
διελέλυντο τήν ές Αμφίπολιν στρατηγίαν
διεγένοντο τήν άμφί πόλιν στρατηγίαν
προσγεγενημένοις τά γάρ διά ... δόντα. εί δέ ... έπιθοΐντο. (αυτών δ1 “Α θηναί ων [Αθηναίο ις] έώρων, τη δψει άνεθάρσουν πρώτη πείθων, τούς δέ τά
προγεγενημένοις εί δέ ... έπιθοΐντο. τά γάρ διά ... δόντα. αυτών Α θηναίων, ών Αθηναίοις έώρων τη δψει, άνεθάρσουν [πρώτη] πείθων τούς τά
LIBRO V
1 . 1 rigo 2 26.5 rigo 4
25.2 rigo 4 26.1 righi 4-5 3 1 .1 rigo 5 3 1 .1 rigo 7 38.4 rigo 4
l ib r o
2.4 4.1 7.1 28.2 48.6 49.1
VII
rigo 3 rigo 3 rigo 5 righi 3-4 rigo 2 righi 6-7
49.2 rigo 4 7 1.7 rigo 2
[τοΰ κύκλου] τοΰ κύκλου τό έγκάρσιον τό * εγκάρσιον μέχριτοΰ μέχρι * τοΰ που t ποιούμενοι t Τ ψ ών θαρρών, η πρότε μάλλον ή πρότερον ρον έθάρσησε έθάρσησε κρατήκρατηθείς, σειν. αυτούς αύτοϋ ξυμπασών
ξυμφορών
πρώτον τής ηπείρου
πρώτος [τής ηπείρου]
LIBRO V ili
LIBRO VI
6.X rigo 6 n . 4 righi 4-7
97.1 righi 1-3 104.2 righi 3-4
LIBRO IV
13.2 righi 2-3 19.2 righi 3-4 25.2 rigo 3
41.4 righi 4-5 62.5 rigo 2 82.2 righi 3-4
LIBRO III
1 1 .3 righi 2-3 40.3 rigo 2
39-2 righi 6-9
86.4 rigo 5 10 1.2 rigo 4
L X X IX
τοιαϋτα μηχανωμέ- τοιαϋτα μηχανωμένους κολάζειν νους κολάζωv εί μή μανθάνετε ... - εί μή μαν θάνετε ... τολμάτε τολμάτε. ώνπερ τό τής πό[ήπερ το της πόλεως πλήθος λεως πλήθος] (τά δέ καί ... οϊσοτά δέ καί... οϊσομεν). μεν. περιέπεμψαν περιέπλευσαν δντες Πελοποννη- δντες Πελοποννησίοις σίοις της νυκτός τη τής νυκτός τή επιέπιγιγνομένη ... ε γιγνομέη ... καί κείνοι έλαθον έλαθον καί την τοΰ πατρός κατά την τοΰ πατρός ποτέ άνανεωσάμενος
LA GUERRA DEL PELOPONNESO
ΙΣΤΟΡΙΩΝ A χ
Θουκυδίδης Α θηναίος ξυνέγραψε τον πόλεμον των Πελοποννησίων καί Αθηναίων, ώς έπολέμησαν προς άλλήλους, άρξάμενος ευθύς καθιστάμενου καί ελπισας μεγαν τε εσεσθαι καί άξιολογώτατον τω ν προγεγενημένων, τεκμαιρόμενος δτι άκμάζοντές τε ησαν ές αυτόν άμφότεροι παρασκευή τη πάση καί τό άλλο Ελληνικόν όρων ξυνιστάμενον πρός έκατέ2 ρους τό μέν ευθύς, τό δέ καί διανοούμενον, κίνησις γάρ αΰτη μεγίστη δή τοΐς Έ λλησιν εγένετο καί μέρει τινί των βαρβάρων, ώς δέ είπεΐν καί επί πλεΐ3 στον ανθρώπων, τά γάρ προ αύτών καί τά έτι παλαίτερα σαφώς μέν εύρείν διά χρόνου πλήθος αδύνατα ήν, έκ δέ τεκμηρίων ών επί μακρότατον σκοποϋντί μοι πιστεΰσαι ζυμβαίνει ού μεγάλα νομίζω γενέσθαι ούτε κατά τούς πολέμους ούτε ές 2 τά άλλα, φαίνεται γάρ ή νυν Ελλάς καλούμενη ού πάλαι βεβαίως οικουμένη, άλλα μεταναστάσεις τε ούσαι τά πρότερα καί ρρδίως έκαστοι τήν έαυτών άπολείποντες βιαζόμενοι υπό τινων αίεί πλειό2 νων. τής γάρ εμπορίας ούκ ούσης, ούδ’ έπιμειγνύντες άδεώς άλλήλοις ούτε κατά γήν ούτε διά θαλάσσης, νεμόμενοί τε τά αύτών έκαστοι δσον άποζήν καί περιουσίαν χρημάτων ούκ έχοντες ούδέ
LIBRO PRIMO ι
Tucidide Ateniese ha narrato la guerra tra i Pelo ponnesiaci e gli Ateniesi. Si mise all’opera subito, ai primi sintomi, immaginando che sarebbe stata gran de e la piu memorabile rispetto a tutte le precedenti: 10 arguiva dal fatto che entrambi affrontavano la guerra mentre erano al culmine delle loro forze in ogni settore dell’apparato bellico, e dalla constatazio ne che il resto del mondo greco si schierava o con gli uni o con gli altri, chi subito e chi nelle intenzio-
2 ni.
Fu il più grande sconvolgim ento prodottosi nel mondo greco e, in certa m isura, in quello non greco:
3 insomma per la gran parte deU’umanità. Giacché gli avvenimenti precedenti e quelli ancora piu anti chi era impossibile «trovarli» per il gran tempo tra scorso; però, in base agli indizi che stimo credibili spingendomi il più possibile indietro nel tempo, non 11 ritengo grandi né per quel che riguarda le guerre 2 né per il resto. Risulta infatti che quella che oggi viene chiamata Grecia non fosse anticamente abita ta in modo stabile: al principio ci furono migrazioni, e spesso accadeva che ciascuno lasciasse la propria terra spinto da altri di volta in volta piu numero2 si. Cambiavano sede senza troppa pena giacché non c’era commercio, le comunicazioni per mare e per terra erano pericolose, inoltre ciascuno coltiva va il proprio terreno quel poco che era necessario al la mera sopravvivenza, non si verificava perciò ac-
4
Libro primo, 3
La guerra del Peloponneso
γην φυτεΰοντες, άδηλον δν οπότε τις έπελθών καί ατείχιστων άμα δντων άλλος άφαιρήσεται, της τε καθ’ ημέραν αναγκαίου τροφής πανταχοϋ αν ηγού μενοι έπικρατεΐν, ού χαλεπώς άπανίσταντο, καί δι’ αυτό ούτε μεγέθει πόλεων ϊσχυον ούτε τη άλλη πα3 ρασκευή. μάλιστα δέ τής γής ή άρίστη αίεί τάς μεταβολάς των οικητόρων ειχεν, ή τε νΰν Θεσσαλία καλούμενη καί Βοιωτία Πελοποννήσου τε τά πολλά πλήν Α ρκαδίας, τής τε άλλης δσα ήν κράτι4 στα. διά γάρ αρετήν γής αΐ τε δυνάμεις τισί μείζους έγγιγνόμεναι στάσεις ένεποίουν έξ ών έφθείροντο, καί άμα ΰπδ άλλοφύλων μάλλον έπεβου5 λεΰοντο. τήν γοϋν Α ττικήν έκ τοΰ έπί πλεΐστον διά τό λεπτόγεων άστασίαστον ούσαν άνθρωποι φ6 κουν οι αυτοί αίεί. καί παράδειγμα τόδε τοΰ λόγου ούκ έλάχιστόν έστι διά τάς μετοικίας ές τά άλλα μη ομοίως αύξηθήναι- έκ γάρ τής άλλης Ελλάδος οί πολέμω ή στάσει έκπίπτοντες παρ’ Αθηναίους οί δυνατώτατοι ώς βέβαιον δν άνεχώρουν, καί πολϊται γιγνόμενοι ευθύς άπό παλαιού μείζω έτι έποίησαν πλήθει ανθρώπων τήν πόλιν, ώστε καί ές Ιω νία ν ύστερον ώς ούχ ικανής ούσης τής Αττικής αποικίας έξέπεμψαν. 3 Δήλοι δέ μοι καί τόδε τών παλαιών ασθένειαν ούχ ήκιστα- προ γάρ τών Τρωικών ούδέν φαίνεται πρό2 τερον κοινή έργασαμένη ή Ελλάς· δοκεΐ δέ μοι, ουδέ τούνομα τοΰτο ξΰμπασά πω ειχεν, άλλα τά μέν προ Έλληνος τοΰ Δευκαλίωνος καί πάνυ ούδέ είναι ή έπίκλησις αΰτη, κατά έθνη δέ άλλα τε καί τό Πελασγικόν έπί πλεΐστον άφ’ έαυτών τήν έπωνυμίαν παρέχεσθαι, 'Έλληνος δέ καί τών παίδων αύτοΰ έν τή Φθιώτιδι ίσχυσάντων, καί έπαγομένων αυτούς έπ’ ώφελίρ ές τάς άλλας πόλεις, καθ’ έκάστους μέν ήδη τή όμιλίςχ μάλλον καλεΐσθαι Έλληνας, ού μέντοι πολλοΰ γε χρόνου [έδύνατο] καί άπασιν έκνική3 σαι. τεκμηριοΐ δέ μάλιστα "Ομηρος· πολλφ γάρ
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cumulazione né seminavano la terra per l’incubo che, in assenza oltre tutto di mura difensive, soprag giungesse qualcuno a saccheggiare: del resto pensa vano di potersi procurare in qualunque luogo il ne cessario. E appunto per questa disposizione al no madismo non avevano né grandi città né altre consi3 stenti risorse difensive. Soprattutto le terre mi gliori mutavano frequentemente abitanti: quella che ora si chiama Tessaglia, la Beozia, gran parte del Peloponneso tranne l’Arcadia, e quanto vi era di 4 meglio nel resto del paese. Per la buona qualità della terra infatti alcuni diventavano più ricchi: il che provocava conflitti che causavano la loro rovi na; e soprattutto venivano insidiati da altre popola5 zioni.
L ’A ttica invece l ’ abitò sempre la stessa gen te: proprio perché da più gran tempo che altre regio ni fu esente da tali con flitti, in virtù della scarsa fer-
6 tilità della terra. Prova ne sia il fatto che le migra zioni non determinarono altrove cogl come in Attica un incremento della popolazione. E in Atene infat ti, come in luogo più sicuro, che i ricchi si rifugiava no dal resto della Grecia, scacciati a causa di guerre o di conflitti civili dal proprio paese: diventando cit tadini subito, dall’età più remota, causarono un grande incremento demografico della città, di modo che in seguito, non bastando più l’Attica, dovettero inviare colonie in Ionia. 3 Anche questo, secondo me, dimostra chiaramente l’antica debolezza: che prima della guerra troiana la Grecia non risulta aver compiuto alcuna grande im2 presa comune. Secondo me, anzi, non aveva nean che questo nome come toponimo complessivo indi cante l’intera regione. Al contrario, prima di Elleno figlio di Deucalione, non esisteva nemmeno una ta le denominazione: erano le singole popolazioni, ed in particolare i Pelasgi, che davano il nome ad ampie regioni. Quando poi Elleno ed i suoi figli si insedia rono e si consolidarono nella Ftiotide, e venivano chiamati in aiuto nelle varie città, queste una dopo l’altra cominciarono a chiamarsi, in ragione dell’as siduo contatto, «Elleni»: e tuttavia ancora per mol to tempo questo nome non riuscì ad affermarsi in 3 modo generalizzato.
L ’ indizio principale lo forni-
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La guerra del Peloponneso
ύστερον έτι καί των Τρωικών γενόμενος ούδαμοΰ τούς ξύμπαντας ώνόμασεν, ούδ’ άλλους ή τούς μετ’ Άχιλλέως έκ τής Φθιώτιδος, οί'περ καί πρώτοι "Ελληνες ήσαν, Δαναούς δέ έν τοΐς έπεσι καί Ά ρ γείους καί Α χαιούς ανακαλεί, ού μήν ούδέ βαρ βάρους εϊρηκε διά τό μηδέ "Ελληνας πω, ώς έμοί δοκεΐ, αντίπαλον ές εν δνομα άποκεκρίσθαι. οί δ’ ουν ώς έκαστοι "Ελληνες κατά πόλεις τε δσοι άλλήλων ξυνίεσαν καί ξύμπαντες ύστερον κληθέντες ούδέν προ τών Τρωικών δι’ ασθένειαν καί άμειξίαν αλλήλων άθρόοι επραξαν. αλλά καί ταύτην τήν στρατείαν θαλάσση ήδη πλείω χρώμενοι ξυνεξήλθον. 4 ^ Μίνως γάρ παλαίτατος ών ακοή ϊσμεν ναυτικόν έκτήσατο καί τής νΰν Ελληνικής θαλάσσης επί πλεΐστον έκράτησε καί τών Κυκλάδων νήσων ήρξέ τε καί οικιστής πρώτος τών πλείστων έγένετο, Κάρας έξελάσας καί τούς έαυτοΰ παΐδας ηγεμόνας έγκαταστήσας· τό τε ληστικόν, ώς εί,κός, καθήρει έκ τής θα λάσσης έφ’ όσον έδύνατο, τού τάς προσόδους μάλ5 λον ίέναι αύτώ. οι γάρ "Ελληνες τό πάλαι καί τών βαρβάρων οϊ τε έν τη ήπείρφ παραθαλάσσιοι καί δσοι νήσους ειχον, έπειδή ήρξαντο μάλλον περαιοϋσθαι ναυσίν έπ’ άλλήλους, έτράποντο πρός ληστείαν, ηγουμένων άνδρών ού τών άδυνατωτάτων κέρδους τοΰ αφετέρου αυτών ένεκα καί τοΐς άσθενέσι τροφής, καί προσπίπτοντες πόλεσιν ατειχίστοις καί κατά κώμας οίκουμέναις ήρπαζον καί τον πλεΐστον τοΰ βίου έντεΰθεν έποιοΰντο, ούκ έχοντός πω αισχύνην τούτου τοΰ έργου, φέροντος δέ τι καί δόξης μάλλον δηλοΰσι δέ τών τε ήπειρωτών τινές έτι καί νΰν, οίς κόσμος καλώς τοΰτο δραν, καί οί παλαιοί τών ποιητών τάς πύστεις τών καταπλεόντων πανταχοΰ όμοίως έρωτώντες εί λησταί είσιν, ώς ούτε ών πυνθάνονται άπαξιούντων τό έργον, οις τε έπιμελές εί'η είδέναι ούκ όνειδιζόν-
L ib r o p r im o ,
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sce Omero: il quale pur essendo vissuto molto dopo la guerra troiana, non chiama mai i Greci con un unico termine e chiama «Elleni» soltanto Achille ed i suoi - i quali provenivano dalla Ftiotide ed era no stati appunto i primi denominati «Elleni»; ado pera invece nel poema altri termini: Danai, Argivi, Achei. E perciò non adopera mai neanche il termine «barbari», secondo me appunto perché neanche gli Elleni si erano ancora caratterizzati, con un unico 4 termine che si opponesse agli altri popoli. Orbene le singole popolazioni elleniche e quanti, ancora di visi tra singole città, parlavano nondimeno la stessa lingua e successivamente si chiamarono con un uni co termine, prima della guerra troiana non avevano compiuto alcuna impresa in comune, a causa della loro debolezza e assenza di contatti reciproci. E co munque anche a questa impresa si volsero quando oripai avevano maggiore familiarità col mare. 4 E Minosse il personaggio piu antico del quale sappiamo, per tradizione orale, che ebbe una flotta ed estese il suo impero su gran parte dell’attuale ma re greco e dominò le Cicladi e fu primo colonizzatore della gran parte di esse, dopo aver cacciato i Cari ed installato come capi i propri figli. Com’è ovvio tentava nei limiti del possibile di eliminare la pira teria dai mari, per incrementare le proprie entra5 te. Giacché anticamente i Greci e quei barbari che abitavano lungo le coste o nelle isole, quando si erano ormai intensificati i reciproci rapporti marit timi, si volsero alla pirateria: li comandavano indivi dui non certo dei meno influenti, animati sia dal fi ne del proprio lucro sia dal proposito di dare sosten tamento ai piu deboli: piombando su città sguarnite di mura e costituite di vari agglomerati sparsi in for ma di villaggi, le devastavano e cosi per larga parte si sostentavano. Una tale pratica non recava vergo2 gna, anzi, piuttosto buon nom e, com ’ è chiaro an cora oggi presso alcune popolazioni del continente, per le quali è m otivo di m erito svolgere abilm ente tale attività; e lo dim ostrano anche gli antichi poeti, presso i quali è normale far chiedere ai navigan ti se siano pirati - ed è chiaro che né chi si sente rivolgere quella dom anda ritiene indegna quella attività né
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3 των. έλήζοντο δέ καί κατ’ ήπειρον άλλήλους. καί μέχρι τοΰδε πολλά τής 'Ελλάδος τώ παλαιφ τρόπψ νέμεται περί τε Λοκρούς τούς Όζόλας καί Αίτωλούς καί Ά καρνάνας καί τήν ταύτη ήπειρον, τό τε σιδηροφορεΐσθαι τούτοις τοΐς ήπειρώταις άπό τής πα6 λαιάς ληστείας έμμεμένηκεν πάσα γάρ ή Ελλάς έσιδηροφόρει διά τάς άφάρκτους τε οικήσεις καί ούκ ασφαλείς παρ’ άλλήλους έφόδους, καί ξυνήθη τήν δίαιταν με#’ οπλών έποιήσαντο ώσπερ οί βάρ2 βαροι. σημείον δ’ έστί ταϋτα τής Ελλάδος ετι οΰτω νεμόμενα των ποτέ καί ές πάντας όμοιων διαιτημάτων. 3 Έ ν τοΐς πρώτοι δέ Αθηναίοι τόν τε σίδηρον κατέ#εντο καί άνειμένη τή διαίτη ές τό τρυφερώτερον μετέστησαν, καί οί πρεσβύτεροι αύτοΐς των ευδαι μονίαν òià τό άβροδίαιτον ού πολύς χρόνος έπειδή χιτώνάς τε λινούς έπαύσαντο φοροϋντες καί χρυσών τεττίγων ένέρσει κρωβύλον άναδούμενοι τών έν τή κεφαλή τριχών· άφ’ ού καί Ίώνων τούς πρεσβυτέρους κατά τό ξυγγενές έπί πολύ αυτή ή σκευή 4 κατέσχεν. μετρίςι δ’ αύ έσθήτι καί ές τόν νυν τρό πον πρώτοι Λακεδαιμόνιοι έχρήσαντο καί ές τά άλ λα προς τούς πολλούς οί τά μείζω κεκτημένοι ί5 σοδίαιτοι μάλιστα κατέστησαν, έγυμνώθησάν τε πρώτοι καί ές τό φανερόν άποδΰντες λίπα μετά τοϋ γυμνάζεσθαι ήλείψαντο· τό δέ πάλαι καί έν τώ ’Ολυμπικώ άγώνι διαζώματα εχοντες περί τά αιδοία οί άθληταί ήγωνίζοντο, καί ού πολλά ετη έπειδή πέπαυται. έτι δέ καί έν τοϊς βαρβάροις εστιν οις νϋν, καί μάλιστα τοΐς Άσιανοΐς, πυγμής καί πάλης άθλα 6 τίθεται, καί διεζωμένοι τούτο δρώσιν. πολλά δ’ αν καί άλλα τις άποδείξειε τό παλαιόν Ελληνικόν ομοιότροπα τώ νϋν βαρβαρικφ διαιτώμενον. 7 Τών δέ πόλεων δσαι μέν νεώτατα φκίσθησαν καί ήδη πλωιμωτέρων δντων, περιουσίας μάλλον έχουσαι χρημάτων έπ’ αύτοΐς τοΐς αίγιαλοΐς τείχεσιν έκτί-
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3 chi pone la domanda intende offendere. E anche per terra si depredavano reciprocamente con atti di brigantaggio. Del resto fino all’età nostra molte zone dell’Ellade hanno serbato gli antichi costumi: in Locride Ozolia, in Etolia, in Acarnania e nel continente circostante. Per esempio il costume di andare in giro armati è rimasto, tra queste popo lazioni, proprio in conseguenza dell’antico brigan6 taggio. Anticamente infatti il costume di andare in giro armati vigeva in tutta la Grecia appunto a causa delle abitazioni indifese e dei contatti poco si curi: donde l’abitudine di vivere armati come i bar2 bari. Dunque queste regioni del mondo greco do ve tali costumi durano ancora, sono la traccia di un’epoca precedente in cui tali costumi erano dif fusi universalmente. 3 Tra i primi furono gli Ateniesi a deporre le armi, e si volsero ad una maggiore mollezza, in uno stile di vita più rilassato. E non è molto che ad Atene i vec chi tra i ricchi hanno smesso di portare - ciò che era segno di particolare mollezza - chitoni di lino e di annodare i capelli con cicale d’oro (onde anche tra gli Ioni questo medesimo costume ebbe molto segui to tra gli anziani, a causa dell’affinità di stir4 pe). Modi di vestire piu modesti e simili a quelli attuali li adottarono per primi gli Spartani, ed anche per quel che riguarda gli altri aspetti del costume i piu ricchi assunsero li abitudini simili a quelle del 5 popolo. Furono i primi a denudarsi, e, scoprendo si in pubblico, si ungevano di grasso in occasione de gli esercizi ginnici. Anticamente, anche nelle gare olimpiche gli atleti gareggiavano portando cinture in torno all’inguine: non sono molti anni che è stato ab bandonato questo costume. Ancor oggi presso alcuni barbari - soprattutto in Asia - ci sono gare a premi di lotta e di pugilato e gli atleti combattono muniti di 6 tali cinture. Si potrebbero indicare molti altri cam pi nei quali il mondo greco arcaico aveva costumi af fini a quelli tuttora vigenti presso i barbari. 7 Le città fondate più di recente quando ormai i mari erano più transitabili, disponendo di maggiori ricchezze accumulate, venivano fondate proprio in prossimità delle coste, cinte di mura; in tali cerehie
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ζοντο καί τούς ισθμούς άπελάμβανον εμπορίας τε ενεκα κα ί της προς τούς προσοίκους έκαστοι ισχύοςα ί δέ π α λ α ια ί δ ιά τή ν ληστείαν έπ ί πολύ ά ντίσ χο υσαν α π ό θαλάσσης μάλλον φ κίσθησαν, α ϊ τε έν ταΐς νήσοις καί έν ταΐς ήπείροις (εφερον γάρ άλλήλους τε κ α ί τω ν άλλω ν δ σ ο ι δντες ού θ α λ ά σ σ ιο ι κάτω φ8 κ ουν), κ α ί μέχρι το ΰ δ ε ετι ά νφ κ ισ μ ένοι είσίν. καί ούχ ησσον λησταί ήσ α ν οί νησιώ ται, Κ ά ρ ες τε δντες κ α ί Φ οίνικες- ούτοι γά ρ δή τάς πλείστας τω ν νήσω ν φ κ η σ α ν. μ α ρ τύ ρ ιο ν δέ- Δήλου γά ρ κ α θ α ιρ ο μ ένη ς ύ π ό Α θ η ν α ίω ν έν τφ δ ε τφ πολεμώ κ α ί τω ν θ η κ ώ ν άναιρεθεισώ ν δσαι ήσαν των τεθνεώ τω ν έν τη νήσω, υ π έρ ήμ ισ υ Κ ά ρ ες έφ ά νησ α ν, γνω σ θ έντες τη τε σκευή τω ν δπλων ξυντεθαμμένη κ α ί τφ τρόπφ ω ν ϋ ν 2 έτι θ ά π το υ σ ιν . κ α τα σ τά ντος δέ τού Μ ίνω ν α υ τικού πλωιμώτερα έγένετο παρ’ άλλήλους (οί γάρ έκ τώ ν νήσω ν κακούρ γο ι άνέστησαν ύ π ’ αυτού, δτεπερ 3 κ α ί τά ς πολλάς α υ τώ ν κ α τφ κ ιζε), κ α ί ο ί π α ρ ά θ α λ α σ σ α ν ά ν θ ρ ω π ο ι μάλλον ήδη τή ν κτήσ ιν τώ ν χρημά τω ν ποιούμενοι βεβαιότερον ω κουν, κα ί τινες κ α ί τείχη π εριεβ ά λλ οντο ώς π λ ο υ σ ιό τ ε ρ ο ι έα υτώ ν γιγνόμενοι- έφ ιέμενοι γά ρ τών κ ερ δώ ν ο ϊ τε ήσσους ύ π έμ ενο ν τή ν τώ ν κ ρ εισ σ ό νω ν δο υλ εία ν, ο ϊ τε δ υ ν α τ ό τ ε ρ ο ι π ερ ιο υ σ ία ς έχοντες π ρ ο σ επ ο ιο ύ ντο 4 υ π η κ ό ο υ ς τάς έλάσσους πόλεις, κ α ί έν το ύτω τφ τρ όπ φ μάλλον ήδη δντες ύστερον χρόνφ έπ ί Τ ρ οία ν έστράτευσαν.
Αγαμέμνων τέ μοι δοκεΐ τών τότε δυνάμει προύχων καί ού τοσοΰτον τοϊς Τυνδάρεω δρκοις κατειλημμένους τούς Ελένης μνηστήρας άγων τόν 2 στόλον άγεϊραι. λέγουσι δέ καί οί τά σαφέστατα
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murarie comprendevano anche il territorio degli ist mi: e questo sia per ragioni commerciali sia per af fermare ciascuno la propria egemonia sui vicini. Le città antiche, invece, a causa della pirateria, che durò a lungo, furono preferibilmente fondate lonta no dal mare sia quelle nelle isole che quelle sulla ter raferma. I pirati, infatti, non solo si depredavano reciprocamente ma depredavano anche quanti, pur non essendo gente di mare, abitavano lungo le co ste. Fino al tempo nostro queste città sono rimaste 8 nell’interno. Soprattutto gli isolani si davano alla pirateria - essenzialmente Cari e Fenici: giacché queste genti appunto abitavano la gran parte delle isole. E lo si può provare. Quando, durante questa guerra, Deio fu purificata, su iniziativa degli Ateniesi, e furono portate via tutte le tombe di colo ro che erano morti nell’isola, risultò che oltre la metà erano Cari, riconoscibili dalle armi del corredo funerario e dal modo della sepoltura, che è quello 2 ancora usuale in Caria. Col sorgere della flotta di Minosse, le relazioni marittime divennero più in tense: questi, infatti, snidò gran parte dei pirati dal3 le isole e di queste colonizzò la maggior parte. Al tempo stesso gli abitanti del litorale, potendo ormai arricchirsi, occupavano le loro sedi in condizioni di maggiore sicurezza, e alcuni addirittura costruirono mura intorno alle loro città come era da aspettarsi da chi vedeva ormai accrescersi la propria ricchezza. La situazione infatti era ormai questa: per ottenere i vantaggi materiali derivanti dalla nuova sicurezza, i piu deboli accettavano di asservirsi ai piu forti, mentre i piu potenti, appunto in virtù dell’accumu lazione, erano in grado di sottomettere le città più 4 deboli. Una tale condizione ormai si era generaliz zata quando, dopo qualche tempo, mossero contro Troia. 9 Quanto poi a questa spedizione, io credo che sia stato Agamennone a raccogliere intorno a sé il corpo di spedizione e abbia guidato lui i pretendenti di Elena (ed essi lo abbiano seguito) più per il fatto che, all’epoca, egli era militarmente il più forte, che non perché essi fossero legati al giuramento reso a 2 Tindaro. Dicono infatti coloro che hanno eredita-
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Π ελ ο π ο ννη σ ίω ν μνήμη π α ρ ά τω ν π ρ ότερο ν δεδεγμένοι Π έλοπά τε πρώ τον πλήθει χρημάτω ν, ά ήλθ ε ν εκ τής Α σ ία ς εχω ν ές α ν θ ρ ώ π ο υ ς ά π ορ ο υς, δύνα μ ιν περιποιησάμενον την έπ ω νυμίαν τής χώρας επ η λυν δντα δμως σχεΐν, κα ί ύ σ τερ ον τοΐς έκγόνοις ετι μ είζω ξυ ν ε ν ε χ θ ή ν α ι, Ε ύ ρ υ σ θ έ ω ς μέν έν τη Α τ τ ικ ή ύ π δ Ή ρ α κ λ ειδώ ν άπ οθανόντο ς, Ά τρ έω ς δέ μητρδς άδελφ οΰ δντος α ύτώ , κ α ί έπ ιτρ έψ α ντο ς Ε ύ ρ υ σ θ έ ω ς , δ τ’ έσ τρ ά τευε, Μ υ κ ή να ς τε κ α ί την α ρ χ ή ν κ α τά τό ο ίκ εΐο ν Ά τ ρ ε ΐ (τυ γ χ ά ν ειν δέ α υ τό ν φ εύγοντα τον πατέρα διά τδν Χ ρύσ ιπ π ο ύ θάνατον), κ α ί ώς ούκέτι άνεχώ ρησεν Ε ύ ρ υ σ θ εύ ς, βουλομένων κ α ί τω ν Μ υ κ η να ίω ν φόβω τω ν Ή ρ α κ λ ε ιδ ώ ν κ α ί ά μα δυνα τό ν δο κο ϋντα είνα ι κα ί τό πλήθος τεθεραπ ευ κ ό τα τώ ν Μ υ κ η να ίω ν τε κ α ί δσ ω ν Ε ύ ρ υ σ θ ε ύ ς ήρχε τή ν β α σ ιλεία ν Ά τ ρ έ α π α ρ α λ α β εϊν, κ α ί τώ ν Π ερ σ ειδ ώ ν το ύς Π ελ ο π ίδ α ς μ είζο υ ς καταστή3 ναι. ά μοι δ ο κεϊ Α γ α μ έ μ ν ω ν π α ραλαβ ώ ν καί ναυτικ ώ [τε] ά μ α έπ ί πλέον τώ ν άλλω ν ίσ χύσ ας, τήν σ τρ α τεία ν ού χ ά ρ ιτι τό πλέον ή φόβω ξ υ ν α γ α γ ώ ν 4 π οιή σ α σ θα ι. φ α ίνετα ι γάρ ν α υ σ ίτ ε πλείσταις αύτδς ά φ ικόμ ενο ς κ α ί Ά ρ κ ά σ ι π ρ ο σ π α ρ α σ χώ ν, ώς “ Ο μηρος τούτο δεδήλω κεν, εϊ τφ> ικανός τεκμηριώ σαι. κ α ί έν τού σκήπτρου άμα τη π α ρ α δόσ ει εϊρηκεν α ύ τδ ν πολλήσι νή σ ο ισ ι κ α ί “Α ρ γ ε ί π α ν τί ά νά σ σ ειν· ο ύ κ ά ν ο ύ ν νή σ ω ν έξω τώ ν π ερ ιο ικ ίδ ω ν (α ύ τα ι δέ ο ύ κ ά ν π ολ λαί εΐεν) ή π ειρώ τη ς ώ ν έκ ρ ά τει, εί μή τι κ α ί ν α υ τ ικ ό ν εϊχεν. είκ ά ζ ε ιν δέ χρή κ α ί τα ύτη τη στρατείοι οια ήν τά π ρ δ αύτής. ίο Κ α ί δ τι μέν Μ υ κ ή ν α ι μικρ όν ήν, ή εί τι τώ ν τότε π όλισμα ν ύ ν μή α ξιό χρ εω ν δο κεΐ είνα ι, ούκ άκριβεΐ
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to oralmente dalle generazioni precedenti le piu si cure tradizioni peloponnesiache che Pelope per pri mo si sia costruito una sua forza politica in virtù del denaro che aveva abbondantemente con sé venen do, dall’Asia, tra gente povera e che, pur straniero, abbia dato nondimeno lui il nome alla contrada; che successivamente queste ricchezze furono accresciu te dagli eredi in seguito all’uccisione di Euristeo, in Attica, da parte degli Eraclidi. Orbene, quando Euristeo era partito per la guerra, aveva affidato ad Atreo, suo zio materno, sia Micene sia il regno, dato il loro rapporto di parentela; al momento della mor te di Euristeo, Atreo era esule, fuggiva l’ira paterna dovuta all’uccisione di Crisippo; quando fu chiaro che Euristeo non sarebbe piu ritornato, Atreo ere ditò il regno di Micene e delle altre terre su cui ave va regnato Euristeo: e l’ottenne con il consenso de gli abitanti di Micene, concordi nel volerlo per ti more degli Eraclidi ma anche perché lo ritenevano potente e lui d’altra parte si era guadagnato il favo re del popolo. Cosi i discendenti di Pelope divenne 3 ro più potenti dei discendenti di Perseo. Ecco la potenza militare che, a mio avviso, Agamennone ereditò: e in ragione appunto di essa e della crescita della sua potenza navale rispetto a quella degli altri, non dunque perché particolarmente gradito ma per ché incuteva paura, fu lui a raccogliere il corpo di 4 spedizione ed a guidarlo nell’impresa. Risulta in fatti che giunse a Troia con il più grosso contingen te di navi e che fu anche in grado di fornirne agli Arcadi: su questo punto c’è l’attestazione di Ome ro, ammesso che da Omero si possano ricavare indi zi. Nella «consegna dello scettro» infatti dice di lui che «su molte isole e sull’Argolide intera regna». E certo non avrebbe potuto, dalla terraferma, domina re su altre isole oltre quelle immediatamente vicine (che comunque non sarebbero «molte»), se non avesse avuto una grande flotta. A sua volta anche que sta spedizione costituisce un indizio in base al quale arguire la grandezza delle imprese precedenti. io Certo, dubitare che quella spedizione fosse della grandezza di cui narrano i poeti e la tradizione adducendo che Micene era una piccola città (come del
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αν τις σημείο} χρώμενος άπιστοίη μή γενέσθαι τον στόλον τοσοΰτον όσον οϊ τε ποιηταί είρήκασι καί ό λόγος κατέχει. Λακεδαιμονίων γάρ εί ή πόλις έρημωθείη, λειφθείη δέ τά τε ιερά καί της κατασκευής τά έδάφη, πολλήν αν οιμαι απιστίαν της δυνάμεως προελθόντος πολλού χρόνου τοΐς επειτα προς τό κλέος αυτών είναι (καιτοι Πελοπόννησου τών πέντε τάς δύο μοίρας νέμονται, της τε ξυμπάσης ηγούνται καί τών εξω ξυμμαχων πολλών όμως δέ ούτε ξυνοικισθείσης πόλεως ούτε Ιεροΐς καί κατασκευαΐς πολυτελέσι χρησαμένης, κατά κώμας δέ τφ παλαιφ τής Ελλάδος τρόπψ οίκισθείσης, φαίνοιτ’ αν υποδεέ στερα), Αθηναίων δε το αυτό τούτο παθόντων διϊΐλασίαν άν τήν δύναμιν είκάζεσθαι άπό τής φα νερός οψεως τής πολεως η έστιν. ούκουν άπιστεΐν είκός, ούδέ τάς όψεις τών πόλεων μάλλον σκοπεΐν ή τας δυνάμεις, νομίζει,ν δέ τήν στρατείαν εκείνην μεγίστην μέν γενέσθαι τών προ αυτής, λειπομένην δέ τών νύν, τή Όμηρου αΰ ποιήσει εϊ τι χρή κάνταΰθα πιστεύειν, ήν εικός επί τό μεΐζον μέν ποιητήν όντα κοσμήσαι, όμως δέ φαίνεται καί ούτως ένδεεστέρα. πεποίηκε γαρ χιλίων καί διακοσίων νεών τάς μεν Βοιωτών είκοσι καί εκατόν άνδρών, τάς δέ Φιλοκτήτου πεντήκοντα, δηλών, ως έμοί δοκεΐ, τάς μεγίστας καί ελαχίστας· άλλων γοΰν μεγέθους πέρι έν νεών καταλόγφ ούκ έμνήσθη. αύτερέται δέ ότι ησαν καί μάχιμοι πάντες, έν ταϊς Φιλοκτήτου ναυσί δεδήλωκεν τοξότας γάρ πάντας πεποίηκε τούς προσκώπους. περίνεως δέ ούκ είκός πολλούς ξυμπλεΐν έξω τών βασιλέων καί τών μάλιστα έν τέλει, άλλως
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resto qualunque altra di quel tempo in confronto al le attuali dimensioni urbane) significherebbe servir si di un falso indÌ2Ìo. Perché allo stesso modo an che dell’odierna Sparta - se fosse ridotta ad una città morta e ne sopravvivessero soltanto i templi e le fondamenta degli edifici - difficilmente, a distan za di tempo, i posteri le attribuirebbero la potenza militare di cui la tradizione serberebbe il ricordo. Eppure gli Spartani occupano due quinti del Pelo ponneso e dominano sull’intera regione e su molti alleati fuori di essa: ma, appunto, Sparta sembre rebbe inferiore alla sua effettiva grandezza dal mo mento che non consiste in una concentrazione urba na ricca di templi e di sontuosi edifici ma è un inse diamento per villaggi secondo lo schema arcaico del mondo greco. Inversamente, riferiamo la medesima ipotesi ad Atene: in base all'aspetto esterno della città i posteri sarebbero indotti a congetturare una forza militare doppia rispetto a quella di cui Atene effettivamente dispone. Ne consegue che l’indi zio preso in considerazione non è degno di fede e che indizio valido è invece la forza militare piutto sto che l’aspetto visibile delle città. Per tornare quindi alla spedizione contro Troia, rivolgiamoci piuttosto alla testimonianza omerica: se anche in questo caso le si deve prestar fede, effettivamente tale spedizione fu la più grande rispetto a tutte le precedenti, meno grande, ovviamente, rispetto a quelle attuali: s’intende che, in quanto testimonian za poetica, quella omerica tende ad enfatizzare la grandezza, e nondimeno anche alla luce di tale testi monianza quella spedizione appare ridimensiona ta. Infatti Omero dice che l’intero corpo di spedi zione era di milleduecento navi, che le navi dei Beoti avevano centoventi uomini, quelle di Filottete cinquanta, intendendo, credo, indicare le navi più grandi e le più piccole: per lo meno non dà altre misure, nel «catalogo delle navi». E che tutti fosse ro al tempo stesso rematori e combattenti lo dimo stra il modo in cui si esprime a proposito delle navi di Filottete, giacché definisce «arcieri» tutti i rema tori. D ’altra parte non è probabile che si fossero im barcati molti altri oltre i sovrani ed i maggiorenti,
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τε καί μέλλοντας πέλαγος περαιώσεσήαι μετά σκευών πολεμικών, ούδ’ αΰ τά πλοία κατάφαρκτα έχοντας, αλλα τφ παλαιφ τρόπφ ληστικώτερον παρεσκευασμένα. προς τάς μεγίστας δ1 ούν καί έλαχιστας ναϋς το μέσον σκοποΰντι ού πολλοί φαί νονται ελυ-οντες, ώς άπό πάσης τής Ελλάδος κοινή πεμπομενοι. ιι ^ Αίτιον δ’ ήν ούχ ή όλιγανθρωπία τοσοΰτον δσον ή αχρηματια. τής γάρ τροφής άπορίρ τόν τε στρατόν ελασσω ηγαγον καί δσον ήλπιζον αύτόϋεν πολεμουντα βιοτεΰσειν, έπειδή δέ άφικόμενοι μόνη εκρατησαν (δήλον δέ· τό γάρ έ'ρυμα τφ στρατοπέδω ουκ αν ετειχισαντο), φαίνονται δ5 ούδ’ ένταΰθα πασί) τή δυνάμει χρησάμενοι, αλλά προς γεωργίαν της Χερσονήσου τραπόμενοι καί ληστείαν τής τροφής αποριρ. η καί μάλλον οί Τρώες αυτών διε2 ® παθμενων τά δέκα έτη άντειχον βίρ, τοϊς αίεί ύπολειπομενοις αντίπαλοι δντες. περιουσίαν δέ εί ήλάον εχοντες τροφής καί δντες ά^ρόοι άνευ ληστείας και γεωργίας ξυνεχώς τον πόλεμον διέφερον ρρδιως αν μάχη κρατούντες ειλον, οί' γε καί ούχ ασροοι, αλλά μέρει τφ αϊ,εί παρόντι άντειχον, πολιορκιρ δ5αν προσκαύεζόμενοι έν έλάσσονί τε χρόνφ και απονώτερον τήν Τροίαν είλον. άλλά δι’ αχρηματιαν τά τε πρδ τούτων άσθενή ην καί αύτά γε δη ταϋτα, όνομαστότατα τών πριν γενόμενα, δηλουται τοϊς εργοις υποδεέστερα δντα τής φήμης καί του νυν περί αυτών διά τούς ποιητάς λόγου κατεIX σχηκοτος· έπεί καί μετά τά Τρωικά ή Ελλάς έτι μετανιστατό τε καί κατφκίζετο, ώστε μή ήσυχάσρσαν αυξηθήναι. ή τε γάρ άναχώρησις τών Ε λλή νων εξ Ιλιου χρονιά γενομένη πολλά ένεόχμωσε, καί
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soprattutto se si considera che si erano accinti alla traversata con tutta l’attrezzatura militare e che le navi di cui disponevano non erano « catafratte » ma, piuttosto, attrezzate arcaicamente alla maniera dei 5 pirati. Se dunque si fa una media tra le navi piu grandi e quelle piu piccole, risulta che ad imbarcarsi non furono poi tanti, specie se si considera che pro venivano da tutta quanta la Grecia, ιι E ciò non tanto a causa della scarsezza di uomini quanto, piuttosto, per la mancanza di ricchezze. Giacché è per scarsità di approvvigionamenti che essi misero in campo un esercito di proporzioni mi nori e tale da potersi mantenere - cosi speravano rifornendosi sul posto combattendo. Quando poi, una volta giunti, furono vinti in un primo scontro (è chiaro che andò cosi: altrimenti non avrebbero co struito il muro intorno all’accampamento), neanche allora adoperarono tutto intero il corpo di spedizio ne per le operazioni militari, ma in parte si volsero a coltivare il Chersoneso e alla pirateria: sempre per scarsezza di approvvigionamenti. Onde, tanto piu facilmente, proprio per tale dispersione dei Greci, i Troiani poterono affrontarli in armi e resistere du rante i famosi dieci anni, non trovandosi mai di 2 fronte a forze preponderanti. Se invece i Greci fossero venuti con adeguati rifornimenti ed avesse ro condotto la guerra tutti insieme senza doversi de dicare all’ agricoltura e alla pirateria, facilmente avrebbero preso Troia dopo una vittoria sul campo, loro che avevano saputo reggere anche senza com battere tutti uniti ma con i contingenti volta a volta presenti: stringendo d’assedio Troia, in molto meno tempo e con meno fatica l’avrebbero presa. Ma, ap punto, fu la scarsezza di risorse che rese deboli non solo le imprese precedenti, ma anche questa: la qua le - pur rinomata piu di tutte le altre - risulta, per le gesta che in essa furono compiute, inferiore alla sua fama ed alla leggenda che tuttora, per opera dei poeix ti, la riveste. Del resto anche dopo la guerra troia na la Grecia subì migrazioni e colonizzazioni, sicché 2 non potè svilupparsi in pace. Infatti il ritorno dei Greci da Ilio fu lento e tormentoso sul piano degli equilibri sociali: un po’ dovunque nelle città si prò-
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στάσεις έν ταΐς πόλεσιν ώς επί πολύ έγίγνοντο, άφ’ 3 ών έκπίπτοντες τάς πόλεις έκτιζον. Βοιωτοί τε γάρ οί νΰν έξηκοστφ έτει μετά Ιλίου άλωσιν έξ ’Άρνης άναστάντες υπό θεσσαλών τήν νυν μέν Βοιω τίαν, πρότερον δέ Καδμηίδα γην καλουμένην φκισαν (ήν δέ αυτών καί άποδασμός πρότερον έν τη γη ταύτη, άφ’ ών καί ές Ίλιον έστράτευσαν), Δωριής τε ογδοηκοστφ ετει ξυν Ήρακλείδαις Πελοπόννησον 4 έσχον. μόλις τε έν πολλφ χρόνω ήσυχάσασα ή Ε λ λάς βεβαίως καί ούκέτι άνισταμένη άποικίας εξέπεμψε, καί Ίω να ς μέν Α θηνα ίοι καί νησιωτών τούς πολλούς φκισαν, Ιταλίας δέ καί Σικελίας τό πλεΐστον Πελοποννήσιοι τής τε άλλης Ελλάδος έστιν α χωρία, πάντα δέ ταΰτα ύστερον τών Τρωικών έκτίσθη. ΐ 3 Δυνατωτέρας δέ γιγνομένης τής Ελλάδος καί τών χρημάτων τήν κτήσιν ετι μάλλον ή πρότερον ποιού μενης τά πολλά τυραννίδες έν ταΐς πόλεσι καθίσταν το, τών προσόδων μειζόνων γιγνομένων (πρότερον δέ ήσαν επί ρητοΐς γέρασι πατρικαί βασιλεϊαι), ναυ τικά τε έξηρτύετο ή Ελλάς, καί τής θαλάσσης μάλ2 λον άντείχοντο. πρώτοι δέ Κορίνθιοι λέγονται εγ γύτατα τού νυν τρόπου μεταχειρίσαι τά περί τάς ναΰς, καί τριήρεις έν Κορίνθω πρώτον τής Έ λ3 λάδος ναυπηγηθήναι. φαίνεται δέ καί Σαμίοις ’Αμεινοκλής Κορίνθιος ναυπηγός ναΰς ποιήσας τέσσαρας· έτη δ5 έστί μάλιστα τριακόσια ές τήν τε λευτήν τοΰδε τού πολέμου δτε Άμεινοκλής Σαμίοις 4 ήλθεν. ναυμαχία τε παλαιτάτη ών ϊσμεν γίγνεται Κορινθίων προς Κερκυραίους· έτη δέ μάλιστα καί ταύτη έξήκοντα καί διακόσιά έστι μέχρι τοΰ αύτοΰ 5 χρόνου, οίκοϋντες γάρ τήν πόλιν οί Κορίνθιοι έπί τοΰ Ίσθμοΰ αίεί δή ποτέ έμπόριον ειχον, τών Ελλή νων τό πάλαι κατά γήν τά πλείω ή κατά θάλασσαν, των τε έντός Πελοποννήσου καί τών έξω, διά τής ε κείνων παρ’ άλλήλους έπιμισγόντων, χρήμασί τε δυ νατοί ήσαν, ώς καί τοϊς παλαιοΐς ποιηταϊς δεδήλω-
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dussero tensioni, in conseguenza delle quali gli esu3 li andavano a fondare nuove città. Ad esempio i Beoti, quelli che oggi si chiamano Beoti, cacciati da Arne ad opera dei Tessali sessant’anni dopo la pre sa di Ilio vennero a stabilirsi nell’odierna Beozia che un tempo si chiamava «Cadmea» (un tempo in questo territorio risiedeva una parte di loro, che contribuì con un contingente alla spedizione con tro Troia); ottant’anni dopo la presa di Ilio i Dori, guidati dagli Eraclidi, occuparono il Peloponne4 so. Segui in Grecia un lungo periodo sostanzial mente tranquillo, non piu caratterizzato da migra zioni, nel corso del quale inviarono colonie: gli Ateniesi colonizzarono la Ionia e gran parte delle isole, i Peloponnesiaci gran parte dell’Italia e della Sicilia ed alcune zone del resto della Grecia. Tutte queste fondazioni avvennero successivamente alla guerra troiana. 13 La Grecia diveniva piu potente e accresceva an cor piu che per il passato le sue risorse finanziarie: allora sorsero un po’ dovunque tirannidi nelle città (prima c’erano monarchie ereditarie con prerogati ve ben determinate); i Greci equipaggiarono flotte, 2 e si volgevano sempre più al mare. Si dice che per primi i Corinzi abbiano praticato la tecnica navale secondo sistemi molto vicini a quelli attuali, e che a Corinto siano state costruite le prime triremi 3 greche. Sembra anche che a fabbricare quattro navi per i Sami sia stato il costruttore di navi corin zio Aminocles che si era recato presso i Sami circa 4 trecento anni prima della fine di questa guerra. E anche la più antica battaglia navale di cui si abbia notizia ebbe luogo appunto tra Corinzi e Corciresi: calcolando anche in questo caso rispetto alla fine di questa guerra, possiamo porre quella battaglia circa 5 duecentosessanta anni prima di tale data. Il fatto è che, data la sua posizione sull’ Istmo, Corinto ave va sempre rappresentato un nodo commerciale, dal momento che i Greci commerciavano piu per terra che per mare e i contatti tra i Greci al di qua e al di là dell’Istmo avvenivano appunto attraverso il terri torio dei Corinzi; inoltre essi erano economicamen te potenti, come mostrano anche gli antichi poeti, i
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τα ι· ά φ νειόν γά ρ έπ ω νό μ α σ α ν το χω ρίον. έπ ειδή τε ο'ι "Ε λλ ηνες μάλλον επ λ ω ζον, τά ς ν α ΰ ς κτησ άμενοι τό λη στικό ν κ α θ ή ρ ο υ ν , κ α ί έμ π ό ρ ιο ν π α ρ έχ ο ντες ά μφ ό τερα δ υ να τή ν έσ χο ν χρ η μ ά τω ν π ρ ο σ ό δ φ τήν πόλιν. κα ί ’Ίω σ ιν ύστερον πολύ γίγνετα ι να υτικό ν έπ ί Κ ύ ρ ο υ Π ερ σ ώ ν π ρ ώ του β α σ ιλεύοντος κα ί Κ α μ β ύ σ ο υ τού υίέο ς α υ το ύ , τής τε κ α θ ’ έα υτο ύς θα λά σσ ης Κ ύ ρ ω π ολεμοϋντες έκρ ά τη σ ά ν τινα χρ ό νον. κ α ί Π ολυκράτης Σ άμου τυ ρ ά ννω ν έπ ί Κ α μ β ύ σου να υτικφ ισχύω ν άλλας τε τω ν νήσω ν υπ ηκό ους έπ οιήσατο καί 'Ρ ή νεια ν έλών ά νέθ η κ ε τώ Ά π ό λ λ ω ν ι τώ Δ η λίω . Φ ω κ α ή ς τε Μ α σ σ α λ ία ν ο ίκ ίζο ν τε ς ΐ 4 Κ α ρ χη δ ο νίο υς ένίκω ν ναυμ α χοϋντες· δυνατώ τατα γ ά ρ τα ΰ τ α τω ν ν α υ τ ικ ώ ν ήν. φ α ίν ε τα ι δέ κ α ί τα ΰ τα πολλαΐς γενεα ϊς ύσ τερ α γενό μ ενα τω ν Τ ρω ικω ν τριήρεσι μέν όλίγαις χρώ μενα, π εντηκοντόροις δ έτι κ α ί πλοίοις μακροΐς έξη ρ τυ μ ένα ώ σπ ερ έκεΐ2 να . ολίγον τε προ τω ν Μ η δικ ώ ν κ α ί τού Δ α ρ είο υ θ α ν ά τ ο υ , δς μετά Κ α μ β ύ σ η ν Π ερ σ ώ ν έβ ασ ίλ ευσ ε, τρ ιή ρ εις π ερ ί τε Σ ικ ελ ία ν τοϊς τυ ρ ά ννο ις ές π λή θος έγένοντο κ αί Κ ερκυραίοις· τα ΰτα γάρ τελευταία προ τής Ξ έρ ξο υ σ τρ α τεία ς ν α υ τ ικ ά α ξιό λ ο γ α έν τή 3 Έ λ λ ά δ ι κατέστη. Α Ιγινή τα ι γάρ κ α ί Α θ η ν α ίο ι, καί ε ϊ τινες άλλοι, β ρ α χέα έκέκτηντο, κ α ί το ύ τω ν τά πολλά π εντη κ ο ντό ρ ο υς· όψ έ τε άφ ’ ου Α θ η ν α ίο υ ς Θ εμιστοκλής έπ εισεν Α ιγ ιν ή τ α ις π ολ εμο ΰντας, κα ί ά μ α το ύ βαρ βάρ ο υ π ρ ο σ δ ο κ ίμ ο υ δντος, τά ς να ύ ς π ο ιή σ α σ θ α ι α ισ π ερ κ α ί έν α υ μ ά χ η σ α ν · κ α ί α ΰ τα ι οΰπω εΐχον διά πάσης καταστρώ ματα. ΐ5 Τ ά μέν ούν να υ τικ ά τώ ν Ε λ λ ή ν ω ν το ια ύ τα ήν, τά τε π α λ α ιά κ α ί τά ύσ τερ ον γενόμ ενα . ίσχύν δέ περιεπ ο ιή σ α ντο όμω ς ο ύ κ έλαχίσ την ο ί π ρ οσ σ χόντες α υτοΐς χρημάτω ν τε π ροσ όδω κ α ί άλλων άρχή· έπιπλέοντες γάρ τάς νήσ ους κατεστρέφ οντο, κα ί μάλι2 στα δ σ ο ι μή διαρκή εΐχον χώ ραν, κ α τά γή ν δέ π ό λεμος, δ θ ε ν τις κ α ί δ ύ να μ ις π α ρ εγ ένετο , ο ύδ είς
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quali attribuiscono a Corinto l’epiteto di «opulen ta». Quando poi i Greci si familiarizzarono di piu con la navigazione, i Corinzi, allestita una flotta, eliminarono la pirateria, e la loro citta fu potente per ché offriva un emporio commerciale sia per terra che per mare, e beneficiava cosi di un notevole flus6 so di entrate. Successivamente anche gli Ioni eb bero una grande flotta, al tempo di Ciro, primo re dei Persiani, e di suo figlio Cambise, e per qualche tempo ebbero il controllo del mare antistante la loro costa combattendo contro Ciro. Anche Policrate, ti ranno di Samo al tempo di Cambise, forte della sua flotta, sottomise altre isole e conquistò Rheneia, che dedicò ad Apollo Delio. Infine i Focesi quando fondarono Marsiglia sconfissero in battaglia navale 14 i Cartaginesi. Queste furono le maggiori flotte: ma, appunto, vennero varie generazioni dopo la guerra di Troia e disponevano di poche triremi; per lo piu avevano —come al tempo della guerra troiana — 2 navi a cinquanta remi e navi lunghe. Poco prima delle guerre persiane e della morte di Dario - il quale fu re dei Persiani dopo Cambise -, ebbero triremi in gran numero sia i tiranni siciliani che i Corciresi. Queste furono in Grecia le flotte più recenti degne di 3 nota prima della spedizione di Serse: giacché gli Egineti, gli Ateniesi ed altri ne avevano di modeste (in gran parte composte di pentecontori) e comun que le ebbero tardi: da quando cioè Temistocle riu scì a persuadere gli Ateniesi, al tempo della guerra con Egina e nell’attesa ormai dell’attacco persiano, a costruire le navi con cui poi combatterono. E co munque queste navi non avevano ancora il ponte per tutta la lunghezza. xì Tale dunque fu l’entità delle forze navali dei Greci, di quelle piu antiche e di quelle formatesi successivamente. Comunque coloro che si erano in dustriati per costruirsi una flotta conseguir forza rilevante: sia per l’afflusso di ricchaK ^Q » per il predominio conseguito sugli altri. 1 prattutto coloro che non avevano un territ®)®) sufficiente attaccavano per mare le isole ttit sOtiggpi? ^ 2 mettevano. Invece per terra conflitti targete prò- r durre l’affermarsi di una qualche potenza n ott^efn yj^
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|υνέστη· πάντες δέ ήσαν, όσοι καί έγένοντο, προς Ομορους τους σφετέρους έκάστοις, καί έκδήμους στρατειας πρλύ άπό της έαυτών έπ’ άλλων κατα στροφή ουκ έξήσαν οί "Ελληνες, ου γάρ ξυνειστήκεσαν προς τάς μεγίστας πόλεις υπήκοοι, ούδ’ αυ τήζ ’ι®ης κοινός στρατειας έποιοΰντο, κατ’ αλληλους δέ μάλλον ώς έκαστοι οί άστυγείτονες έπολεμουν. μάλιστα δέ ές τον πάλαι ποτέ γενόμε^ ,ν, πολε,μοΥ Χαλκιδέων καί Ερετριών καί τό άλλο ι6 Ελληνικόν ες ξυμμαχίαν έκατέρων διέστη. επεγένετο δέ άλλοις τε άλλοθι κωλύματα μή αύξηθήναι και ’Ίωσι προχωρησάντων επί μέγα των πραγμάτων Κύρος και η Περσική βασιλεία Κροΐσον καθελοΰσα και οσα εντός "Αλυος ποταμού πρός θάλασσαν επεστρατευσε καί τάς έν τη ήπείρω πόλεις έδούλωσε, Δαρείος τε ύστερον τώ Φοινίκων ναυτικώ κ ρατών καιτάς νήσους, τύραννοί τε óool ήσαν έν ταΐς Ελληνικαΐς πόλεσι, τό έφ’ εαυτών μόνον προορώμενοι ες τε τό σώμα καί ές τό τον ίδιον οίκον αυξειν δι ασφαλείας δσον έδύναντο μάλιστα τάς πόλεις φκουν, επράχθη δέ ούδέν απ’ αύτών έργον αξιολογον, εί μή εϊ τι πρός περίοικους τούς αύτών εκαστοις· οι γάρ έν Σικελίςι έπί πλεΐστον έχώρησαν δυναμεως. ούτω πανταχόθεν ή Ελλάς έπί πολύν χρονον κατείχετο μήτε κοινή φανερόν μηδέν κατεργαζεσθαι, κατα πόλεις τε άτολμοτέρα είναι. 1 ”ΐ οι τε ^ θηνα ίω ν τύραννοι καί οί έκ τής άλλης Ελλάδος έπί πολύ καί πριν τυραννευθείσης οι πλεΐστοι καί τελευταίοι πλήν τών έν Σικελίςι υπό Λακεδαιμονίων κατελύθησαν (ή γάρ Λακεδαίμων μετά τήν κτισιν των νύν ένοικούντων αυτήν Δωριών επί πλευστόν ων ί'σμεν χρόνον στασιάσασα δμως έκ παλαιτατου καί ηύνομήθη καί αίεί άτυράννευτος ην· ετη γαρ.εστι μάλιστα τετρακόσια καί όλίγω πλειω ες την τελευτήν τοΰδε τού πολέμου άφ’ ου Λακε-
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furono. Quei pochi che ci furono venivano combat tuti da ciascuno contro i propri vicini: i Greci in quell’epoca non intraprendevano - per sottomette re altri - spedizioni terrestri tali da portarli molto lontano dal loro territorio. Il fatto è che non si era no formate coalizioni nelle quali fossero egemoni le città piu grandi, e neanche conducevano in prima persona, su di un piede di parità, campagne comuni, ciascuno combatteva piuttosto contro i propri vicini. Soltanto nella guerra scoppiata, un tempo, tra Calcide ed Eretria accadde che tutto il resto del mondo greco si dividesse schierandosi in alleanza con uno dei due contendenti. Si aggiunsero poi, dove per un motivo dove per l’altro, altri fattori che impedirono la crescita; per esempio nel caso degli Ioni: la loro potenza era parecchio aumentata, quan do furono aggrediti da Ciro e dall’impero persiano dopo che i Persiani avevano abbattuto Creso e con quistato tutto il territorio dal fiume Alis al mare; successivamente Dario, con l’aiuto della flotta fenieia, conquistò anche le isole. Quanto poi ai tiran ni che dominavano nelle città greche, attenti esclu sivamente al proprio utile per quel che riguarda sia le loro persone che il rafforzarsi della loro casata, si assicurarono bensì il massimo di sicurezza nelle ri spettive città, ma neanche loro compirono imprese memorabili, al più sostennero qualche conflitto con le città confinanti. Furono invece i tiranni di Sicilia ad attingere il massimo di forza. Cosi, per ragioni molteplici, la Grecia fu a lungo impedita dal com piere significative imprese collettive e costretta a re stare - senza iniziative - nella sua frantumazione municipalistica. Ma i tiranni - sia quelli di Atene sia quelli delle al tre città greche, rette già prima per lo piu da tirannidi - furono alla fine in gran parte abbattuti dagli Spartani (tranne quelli di Sicilia). Giacché Sparta dopo la colonizzazione ad opera dei Dori, suoi at tuali abitatori, fu la città che, dopo un lunghissimo periodo di conflitti civili - il più lungo di cui si abbia notizia - , da piu gran tempo fu retta secondo giusti zia e fu ininterrottamente libera da tiranni: sono ol tre quattrocento anni, a partire dalla fine di questa
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δαιμόνιοι τή αυτή πολιτείρ χρώνται, καί δι’ αυτό δυναμενοι και τα εν ταΐς αλλαις πόλεσι καθίσχασαν), μετά δε τήν των τυράννων κατάλυσιν έκ τής Ε λ λ ά δος ού πολλοΐς ετεσιν ύστερον καί ή έν Μαραθώνι 2 μάχη Μήδων προς Αθηναίους έγένετο. δεκάτψ δέ ετει μετ αυτήν αυθις ό βάρβαρος τω μεγάλω στόλφ επι τήν Ελλαδα δουλωσομενος ήλθεν. καί μεγάλου κινδύνου έπικρεμασθέντος οϊ τε Λακεδαιμόνιοι των ξυμπολεμησάντων Ελλήνων ήγήσαντο δυνάμει προύχοντες, καί οί Α θηναίοι έπιόντων των Μήδων διανοηθέντες έκλιπεΐν τήν πόλιν καί άνασκευασάμενοι ες τάς ναϋς έσβάντες ναυτικοί έγένοντο. κοινή τε άπωσάμενοι τον βάρβαρον, ύστερον ου πολλώ διεκρίθησαν πρός τε Α θηναίους καί Λακε δαιμονίους οϊ τε άποστάντες βασιλέως "Ελληνες καί οί ξυμπολεμήσαντες. δυνάμει γάρ ταΰτα μέγιστα διεφάνη· ϊσχυον γάρ οί μέν κατά γήν, οί δέ ναυ3 σίν. καί ολίγον μέν χρόνον ξυνέμεινεν ή όμαιχμία, έπειτα διενεχθέντες οί Λακεδαιμόνιοι καί Αθηναίοι έπολέμησαν μετά των ξυμμάχων πρός άλλήλους- καί των άλλων Ελλήνω ν εϊ τινές που διασταϊεν, πρός τούτους ηδη έχώρουν. ώστε από των Μηδικών ές τόνδε αίεί τόν πόλεμον τα μέν σπενδόμενοι, τά δέ πολεμούντες ή άλλήλοις ή τοΐς έαυτών ξυμμάχοις άφισταμένοις ευ παρεσκευάσαντο τά πολέμια καί έμπειρότεροι έγένοντο μετά κινδύνων τάς μελέτας ΐ 9 ποιούμενοι, καί οί μέν Λακεδαιμόνιοι ούχ υποτε λείς έχοντες φόρου τούς ξυμμάχους ηγούντο, κατ’ ολιγαρχίαν δέ σφίσιν αύτοΐς μόνον έπιτηδείως δπως πολιτευσουσι θεραπευοντες, Λ θηναΐοι δέ ναύς τε των πόλεων τω χρόνω παραλαβόντες πλήν Χίων καί Λεσβίων, καί χρήματα τοΐς πάσι τάξαντες φέρειν. καί έγένετο αύτοΐς ες τόνδε τόν πόλεμον ή ιδία πα ρασκευή μείζων ή ώς τά κράτιστά ποτέ μετά ακ ραιφνούς τής ξυμμαχίας ήνθησαν. ίο Τά μεν ούν παλαιό τοιαΰτα ηύρον, χαλεπά όντα π αντί εξής τεκμήρια) πιστεύσαι. οί γάρ άνθρωποι τάς άκοάς των προγεγενημένων, καί ήν έπιχώρια
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guerra, che gli Spartani godono dello stesso regime: donde la loro forza e i loro efficaci interventi nella politica delle altre città. Dunque appunto non molti anni dopo la cacciata dei tiranni dalla Grecia avven ne la battaglia di Maratona fra Persiani e Atenie2 si. Dieci anni dopo il barbaro ritornò, con il gran de corpo di spedizione, per asservire la Grecia. Di nanzi all’incombente, grave, pericolo, gli Spartani essendo i più forti militarmente capeggiarono la coalizione dei Greci; quanto agli Ateniesi - sotto l’incalzare degli invasori - pensarono di abbandona re la città e, raccolte le loro cose, si imbarcarono sul le navi; e fu cosi che diventarono esperti marinai. Insieme respinsero il barbaro. Non molto dopo i Greci si divisero tra Ateniesi e Spartani: sia quelli che si erano ribellati al gran re, sia quelli che aveva no combattuto al loro fianco. Giacché appunto Spartani e Ateniesi parvero subito le due grandi po tenze: gli uni egemoni per terra, gli altri sul ma3 re. La fraternità di armi durò poco; poi Spartani e Ateniesi si divisero e si combatterono sostenuti dai rispettivi alleati; anzi ogni volta che da qualche par te sorgeva un conflitto fra Stati greci, ormai era agli Spartani e agli Ateniesi che facevano ricorso. Di modo che, nel periodo che va dalle guerre persiane a questa guerra - ora stipulando paci, ora combatten do (o tra di loro o contro gli alleati ribelli) - si adde strarono egregiamente alla guerra, facendo espe19 rienza nel vivo dei pericoli. Gli Spartani capeggia vano i loro alleati senza sottoporli a tributo: loro unica preoccupazione era che, retti da governi oligar chici, serbassero un regime politico conveniente agli interessi di Sparta. G li Ateniesi invece si fecero progressivamente consegnare le navi dai loro alleati - tranne che da Chio e da Lesbo - ed a tutti impose ro il tributo. E cosi la loro rispettiva preparazione alla guerra crebbe via via che ci si avvicinava a que sto conflitto, fino a superare il massimo livello di forza militare mai raggiunto quando le rispettive le ghe erano intatte. zo Tale, in base alla mia indagine, l’entità degli even ti del passato: in riferimento ai quali è arduo prestar fede indiscriminatamente ad ogni indizio. Acritica-
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σφίσιν ή, ομοίως άβασανίστως παρ’ άλλήλων δέχον2 ται. ^ Αθηναίων γοΰν τό πλήθος “Ιππαρχον οϊονται υφ Αρμοδίου καί Αριστογείτονος τύραννον δντα άποθανεΐν, καί ούκ ί'σασιν δτι 'Ιππίας μέν πρεσβύτατος ών ήρχετών Πεισιστράτου υίέων, "Ιππαρχος δέ και Θεσσαλος αδελφοί ησαν αυτού, ύποτοπήοαντες δέ τι έκείνη τη ήμέρςι καί παραχρήμα 'Αρμόδιος καί Αριστογείτων έκ τών ξυνειδότων σφίσιν Ιπ π ία μεμηνύσθαι τού μέν άπέσχοντο ώς προειδότος, βουλόμενοι δέ πριν ξυλληφθήναι δράσαντές τι καί κινδυνεύσαι, τώ Ίππάρχφ περιτυχόντες περί τό Λεωκορειον καλού μενον την Παναθηναϊκήν πομ3 πήν διακοσμούντι άπέκτειναν. πολλά δέ καί άλλα ετι καί νύν δντα καί ού χρόνφ άμνηστούμενα καί οί άλλοι “Ελληνες ούκ όρθώς οϊονται, ώσπερ τούς τε Λακεδαιμονίων βασιλέας μή μιςί ψήφω προστίθεσθαι εκάτερον, αλλα δυοΐν, καί τον Πιτανάτην λό χον αύτοΐς είναι, δς ούδ’ έγένετο πώποτε. ούτως αταλαίπωρος τοϊς πολλοΐς ή ζήτησις τής άληθείας, 2ΐ καί έπί τα έτοιμα μάλλον τρέπονται, έκ δέ τών ειρημένων τεκμηρίων δμως τοιαύτα άν τις νομίζων μάλιστα ά διήλθον ούχ άμαρτάνομ καί ούτε ώς ποιηται υμνηκασι περί αυτών επί τό μειζον κοσμοΰντες μάλλον πιστευων, ούτε ως λογογράφοι ξυνέθεσαν επί τό προσαγωγότερον τή άκροάσει ή αληθέστε ρη» οντα ανεξέλεγκτα καί τά πολλά υπό χρόνου αυτών απίστως επί τό μυθώδες έκνενικηκότα, ηυρήσθαι δέ ηγησόψ,ενος έκ τών έπιφανεστάτων ση2 μείων^ώς παλαιό είναι άποχρώντως. καί ό πόλε μος ουτος, καιπερ τών ανθρώπων έν ω μέν άν πολεμώσι τον παρόντα αιει μέγιστον κρινόντων, παυσαμένων δέ τά αρχαία μάλλον θαυμαξόντων, απ' αυτών τών έργων σκοποΰσι δηλώσει δμως μείξων γεγενημένος αυτών.
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mente infatti gli uomini si trasmettono le tradizioni avite, apche quando si tratta delle loro tradizioni lo cali. E il caso, per esempio, degli Ateniesi. Ad Atene la massa crede che Ipparco fosse tiranno quan do fu ucciso da Armodio e Aristogitone; e non san no che investito del potere era Ippia, in quanto maggiore dei figli di Pisistrata (Ipparco e Tessalo erano suoi fratelli); e ignorano anche che in quel giorno Armodio e Aristogitone, sospettando che i congiurati avessero rivelato qualcosa ad Ippia, lo evitarono convinti appunto che fosse stato preavver tito, ma, protesi a compiere comunque un gesto e ad arrischiare, prima di essere presi, ammazzarono Ipparco, imbattutisi in lui presso il cosiddetto Leocoreion mentre allestiva la processione panatenaica. Molte altre cose tuttora esistenti e non «can cellate dal tempo» anche gli altri Greci credono er roneamente: come ad esempio che i re di Sparta di spongano non di uno, ma di due voti ciascuno o che a Sparta ci fosse un «battaglione di Pitane» che in vece non è mai esistito. Ecco come i più prendono alla leggera la ricerca della verità e preferiscono ri volgersi alle prime informazioni accessibili. Non dimeno non sbaglierebbe chi - alla luce degli indizi che ho detto - ritenesse che gli eventi da me rievo cati fossero all’incirca della grandezza che ho det to, e non come li cantarono i poeti, che li abbelliro no ingigantendoli né come li narrarono i logografi, i quali avevano di mira il diletto degli ascoltatori piuttosto che la verità - materia, del resto, incontrol labile e per lo più sfociata, per il gran tempo trascor so, nel mito indegno di fede. Chi dunque creda alla mia ricostruzione potrà ritenere che questi eventi siano stati adeguatamente «trovati», in base agli indizi piu evidenti: nei limiti, s’intende, in cui ciò è possibile per fatti cosi remoti. So bene che gli uomini, finché vi sono coinvolti, stimano ogni vol ta grandissima la guerra che stanno combattendo, ma poi - quand’è finita - mitizzano la grandezza del passato. E nondimeno questa guerra, per chi as suma come criterio di valutazione appunto le im prese compiute, apparirà piu grande di quelle pas-
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Καί όσα μέν λόγψ ειπον έκαστοι η μέλλοντες πολεμήσειν η εν αύτφ ήδη όντες, χαλεπόν τήν ακρί βειαν αυτήν των λεχθέντων διαμνημονεΰσαι ήν έμοί τε ων αυτός ήκουσα καί τοϊς άλλοθέν ποθεν έμοί άπαγγέλλουσιν ώς δ’ άν έδόκουν έμοί έκαστοι περί τών αιει παρόντων τα δέοντα μαλιστ’ είπεΐν, έχομένω ότι έγγύτατα τής ξυμπάσης γνώμης των αληθώς λεχ2 θέντων, ούτως εϊρηται. τα δ’ έργα των πραχθέντων έν τφ πολεμώ ούκ έκ του παρατυχόντος πυνθανόμενος ήξίωσα γράφειν, ούδ’ ώς έμοί έδόκει, άλλ’ οις τε αυτός παρήν καί παρά των άλλων όσον δυ3 νατόν άκριβείρ περί έκαστου έπεξελθών. έπιπόνως δέ ηυρίσκετο, διότι οί παρόντες τοΐς έργοις εκάστοις ου ταυτα περί των αυτών ελεγον, άλλ’ ώς 4 έκατέρων τις εύνοιας ή μνήμης έχοι. καί ές μέν ακρόασιν ίσως τό μή μυθώδες αυτών άτερπέστερον φανεΐται* όσοι δέ βουλησονται τών τε γενομένων τό σαφές σκοπεΐν και τών μελλόντων ποτέ αύθις κατά τό ανθρώπινον τοιούτων καί παραπλήσιων έσεσθαι, ωφέλιμα κρίνειν αυτά αρκούντως εξει. κτήμα τε ές αίεί μάλλον ή αγώνισμα ές τό παραχρήμα άκούειν ξύγκειται. *3 Τών δέ πρότερον έργων μέγιστον έπράχθη τό Μηδικόν, καί τούτο όμως δυοΐν ναυμαχίαιν καί πεζομαχιαιν ταχεΐαν την κρισιν έσχεν. τούτου δέ τού πολέμου μήκος τε μέγα προύβη, παθήματα τε ξυνηνεχθη γενεσθαι εν αυτφ τή Έ λλάδι οια ούχ έτερα εν ϊσω χρόνω. ούτε γάρ πόλεις τοσαίδε ληφθεΐσαι ήρημώθησαν, αί μέν ύπό βαρβάρων, αί δ’ ύπό σφών αυτών αντιπολεμουντων (είσί δ 5 αϊ καί οίκήτορας μετεβαλον αλισκομεναι), ούτε φυγαί τοσαίδε αν θρώπων καί φόνος, ό μέν κατ’ αύτόν τόν πόλεμον, ό 3 δέ διά τό στασιάζειν. τά τε πρότερον ακοή μέν
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E quanto ai discorsi che ciascuno pronunciò o nel la fase che immediatamente precedette la guerra o durante il suo svolgimento, era difficile ricordare puntualmente alla lettera le parole dette: sia per me, relativamente ai discorsi che io stesso udii, sia per coloro che me li riferivano attingendo alle varie fon ti. I discorsi li ho perciò scritti - attenendomi be ninteso al senso generale di ciò che fu effettivamen te detto - come a me pareva che ciascuno avrebbe appropriatamente parlato nelle varie circostan2 ze. Quanto invece ai fatti - i quali costituiscono l’altra categoria di eventi relativi alla guerra - non ritenni di doverli scrivere attingendo al primo capb tato, né «come a me pareva» ma vagliando il piu possibile scrupolosamente sia gli eventi di cui ero stato direttamente testimone sia quelli di cui ap3 prendevo da altri. « T ro va re » i fatti è stato fatico so, dal m omento che coloro i quali erano stati testi m oni di ciascun avvenim ento non davano la stessa versione degli stessi eventi, ma in ognuno in terferi vano il favo re per una delle due parti nonché la dif-
ficoltà di ricordare a distanza di tempo. Probabil mente il mio racconto risulterà poco dilettevole in una pubblica lettura proprio perché privo di finalità artistiche. A me però basterà il fatto che lo ritenga no utile quanti vorranno vedere con precisione i fat ti passati e orientarsi un domani di fronte agli even ti, quando stiano per verificarsi, uguali o simili, in ragione della natura umana. Ciò che ho composto è una acquisizione perenne, non un pezzo di bravura mirante al successo immediato. 13 Delle imprese belliche precedenti la più grande tu la guerra persiana: e questa nondimeno trovo una rapida risoluzione in due battaglie navali e due ter restri. Invece la guerra che io narro duro a lungo, e d’altra parte in concomitanza con essa si produssero in Grecia sofferenze quante mai in un uguale lasso 2 di tempo. Mai furono spopolate tante città dopo la conquista - alcune ad opera dei barbari altre ad opera delle stesse parti in lotta (alcune addirittura mutarono abitanti dopo la sconfitta), né mai vi furo no tanti esili ed eccidi dovuti sia alla guerra che ai 3 conflitti civili. E risultarono allora non incredibili 4
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λεγάμενα, έργω δέ σπανιώτερον βεβαιούμενα ούκ άπιστά κατέστη, σεισμών τε πέρι, οϊ επί πλεΐστον αμα μέρος γης καί ισχυρότατοι οί αυτοί έπέσχον, ήλιου τε έκλείψεις, αϊ πυκνότεροι παρά τά έκ τού πριν χρόνου μνημονευόμενα ξυνέβησαν, αύχμοί τε εστι παρ οις μεγάλοι καί απ’ αυτών καί λιμοί καί ή ουχ ήκιστα βλάψασα καί μέρος τι φθείρασα ή λοιμώδης νόσος· ταϋτα γάρ πάντα μετά τοΰδε τού πολέμου αμα ξυνεπέθετο. ήρξαντο δέ αϋτοΰ Α θηναίοι και Πελοποννησιοι λΰσαντες τάς τριακοντούτεις σπονδάς αϊ αύτοΐς έγένοντο μετά Εύβοιας ά5 λωσιν. διότι δ’ έλυσαν, τάς αιτίας προύγραψα πρώτον καί τάς διαφοράς, τοΰ μή τινα ζητήσαί ποτέ εξ δτου τοσοΰτος πόλεμος τοΐς Έ λλησι κατέ στη. την μέν γάρ άληθεστάτην πρόφασιν, άφανεστάτην δέ λόγφ, τούς Αθηναίους ηγούμαι μεγάλους γιγνομένους καί φόβον παρέχοντας τοΐς Λακεδαιμονίοις άναγκάσαι ές τό πολεμεϊν· αί δ’ ές τό φα νερόν λεγόμενοι αίτίαι αϊδ5ήσαν έκατέρων, άφ’ ων λΰσαντες τάς σπονδάς ές τόν πόλεμον κατέστησαν. ^ 4 ^ Επίδαμνός έστι πόλις έν δεξιςί έσπλέοντι ές τόν Ιονιον κολπον- προσοικοΰσι δ3αυτήν Ταυλάντιοι 2 βάρβαροι, Ιλλυρικόν έθνος, ταΰτην άπφκισαν μέν Κερκυραΐοι, οικιστής δ3έγένετο Φαλίος Έρατοκλείδου Κορίνθιος γένος τών άφ’ Ήρακλέους, κατά δή τόν παλαιόν νόμον έκ τής μητροπόλεως κατα κληθείς. ξυνωκισαν δε και Κορινθίων τινές καί τοΰ 3 άλλου Δωρικού γένους, προελθόντος δέ τοΰ χρό νου εγένετο η τών Έπιδαμνίων δΰναμις μεγάλη καί 4 πολυάνθρωπος· στασιάσαντες δέ έν άλλήλοις έτη πολλά, ως λεγεται, απο πολέμου τινός τών προσοίκων βαρβάρων έφθάρησαν καί τής δυνάμεως τής 5 πολλής έστερήθησαν. τά δέ τελευταία προ τοΰδε τού πολέμου ό δήμος αυτών έξεδίωξε τούς δυνα τούς, οι δέ έπελθόντες μετά τών βαρβάρων έλήζοντο τούς έν τη πόλει κατά τε γήν καί κατά θάλασσαν. οι δέ εν τη πόλει οντες Έπιδάμνιοι επειδή έ-
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quei fenomeni naturali di cui si tramandava notizia senza, però, che se ne avesse effettiva conferma: i terremoti, che (durante il periodo della guerra) furo no al tempo stesso diffusi per larga parte della terra e più violenti che per il passato; e ancora le eclissi di sole che si verificarono piu frequentemente di quel le di cui si narrava per l’età precedente; in alcune zo ne esplosero grandi siccità e conseguenti carestie; e poi il contagio pestilenziale, che non poco danno ar recò e in certo senso fu deleterio: appunto tutte que ste calamità si verificarono in concomitanza con la guerra. A iniziarla furono entrambi, Spartani e Ateniesi, dopo aver dichiarato decaduta la pace trentennale, che era stata stipulata dopo la presa dell’Eubea. Quanto alle ragioni per cui denuncia rono quella pace, ho premesso al racconto le cause e i dissensi, perché nessuno un domani debba ricerca re per quali ragioni si sia prodotta in Grecia una guerra cosi immane. Ma la motivazione più pro fonda, sebbene anche la piu inconfessata, io credo fosse un’altra: la crescita della potenza ateniese ed il timore che ormai incuteva agli Spartani resero inevitabile il conflitto. Comunque, le motivazioni che entrambe le parti addussero per giustificare la rottura della pace e l’entrata in guerra, furono le se8 Epidamno è una città posta sulla destra per chi entri nel mare Adriatico. Nei dintorni abitano i bar bari Talanti, una popolazione illirica. La colonia fu fondata dai Corciresi, fondatore fu Fallo figlio di Eratoclide, corinzio della stirpe discendente dagli Eraclidi, fatto venire dalla madrepatria secondo l’antica consuetudine. Alla fondazione presero par te anche coloni Corinzi e delle altre stirpi do riche. Col tempo crebbe la potenza di Epidamno e la città divenne popolosa, ma, afflitti per molti anni da lotte civili, gli Epidamni furono vinti in un conflitto con i vicini barbari e la città perse la sua potenza. Nei tempi immediatamente precedenti questa guerra il demo sconfisse e bandi i ricchi, ma questi, tornati all’attacco con l’aiuto dei barbari, depredarono per terra e per mare quelli che avevano il controllo della città. G li Epidamni che erano in
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πιέζοντο, πέμπουσιν ές τήν Κέρκυραν πρέσβεις ώς μητρόπολιν οΰσαν, δεόμενοι μή σφάς περιοράν φθειρομένους, άλλα τούς τε φεύγοντας ξυναλλάξαι σφίσι καί τον των βαρβάρων πόλεμον καταλΰ7 σαι. ταϋτα δέ ίκέται καθεζόμενοι ές τό "Ηραιον έδέοντο. οί δέ Κερκυραΐοι τήν ίκετείαν ούκ έδέξαντο, άλλ’ απράκτους άπέπεμψαν. aS Γνόντες δέ οί Έ πιδάμνιοι ούδεμίαν σφίσιν άπό Κέρκυρας τιμωρίαν ούσαν έν άπόρω εί'χοντο θέσθαι τό παρόν, καί πέμψαντες ές Δελφούς τον θεόν έπήροντο εί παραδοΐεν Κορινθίοις τήν πόλιν ώς οίκισταΐς καί τιμωρίαν τινά πειρφντ’ άπ’ αυτών ποιεΐσθαι. ό δ’ αύτοΐς άνεϊλε παραδοϋναι καί ηγεμόνας 2 ποιεΐσθαι. έλθόντες δέ οί Έ πιδάμνιοι ές τήν Κ ό ρινθον κατά τό μαντειον παρέδοσαν τήν άποικίαν, τόν τε οικιστήν άποδεικνύντες σφών έκ Κορίνθου όντα καί τό χρηστήριον δηλοΰντες, έδέοντό τε μή 3 σφάς περιοράν φθειρομένους, άλλ’ έπαμϋναι. Κορίνθιοι δέ κατά τε τό δίκαιον ύπεδέξαντο τήν τιμω ρίαν, νομίζοντες ούχ ήσσον έαυτών είναι τήν άποι κίαν ή Κερκυραίων, άμα δέ καί μισεί των Κερκυ4 ραίων, δτι αύτών παρημέλουν όντες άποικοι· ούτε γάρ έν πανηγύρεσι ταϊς κοιναΐς διδόντες γέρα τά νομιζόμενα ούτε Κορινθίφ άνδρί προκαταρχόμενοι των ιερών ώσπερ αί άλλαι άποικίαι, περιφρονοΰντες δέ αυτούς καί χρημάτων δυνάμει όντες κατ’ έκεΐνον τόν χρόνον όμοια τοΐς Ελλήνων πλουσιωτάτοις καί τή ές πόλεμον παρασκευή δυνατώτεροι, ναυτικφ δέ καί πολύ προύχειν έ'στιν ότε έπαιρόμενοι καί κίατά την Φαιάκων προενοίκησιν τής Κερκύρας κλέος έχόντων τά περί τάς ναϋς (ή καί μάλλον έξηρτύοντο τό ναυτικόν καί ήσαν ούκ άδύνατου τριήρεις γάρ είκοσι καί έκατόν ΰπήρχον αύτοΐς ότε ήρχοντο ποχ6 λεμεΐν), πάντων ούν τούτων έγκλήματα έ'χοντες οί Κορίνθιοι έπεμπον ές τήν Έπίδαμνον άσμενοι τήν
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città, avendo la peggio, mandano a Corcira - in quanto loro metropoli - ambasciatori con la richie sta che non si disinteressasse della loro difficile si tuazione, ma che favorisse la riconciliazione con gli 7 esuli e ponesse fine alla guerra coi barbari. Questo chiedevano sedendo come supplici nel tempio di Era. Ma i Corciresi non accettarono la supplica e li rimandarono indietro a mani vuote. 15 Resisi conto che nessun aiuto veniva loro da Corcira, gli Epidamni non sapevano come risolvere la situazione; mandarono messi a Delfi per chiedere al dio se affidare la città ai Corinzi in quanto ecisti e tentare di ottenere da loro un qualche aiuto. L ’o racolo rispose di affidare la città ai Corinzi, di dar 2 loro responsabilità di comando. Recatisi a Corin to, gli Epidamni, conformemente al responso del l’oracolo, posero sotto la loro protezione la colonia argomentando che il proprio fondatore veniva ap punto da Corinto e riferendo il responso chiedeva no inoltre che non li lasciassero rovinare ma venisse3 ro in loro aiuto. I Corinzi accettarono di prestar loro aiuto non soltanto fondandosi sulle motivazio ni giuridiche - stimando cioè che la colonia fosse lo ro altrettanto che dei Corciresi - , ma, non meno, per odio verso questi ultimi, per l’indifferenza che dimostravano nei loro confronti pur essendone co4 Ioni. Giacché i Corciresi non concedevano ai Corinzi nelle feste comuni gli usuali omaggi, né da vano ad un Corinzio le primizie sacrificali - come facevano invece, di norma, le altre colonie -, ma an zi li disprezzavano: come potenziale economico in fatti erano, a quel tempo, sullo stesso piano delle piu ricche città greche, dal punto di vista della prepara zione bellica erano piu forti dei Corinzi e, riguardo alla flotta, si lusingavano talora di essere molto piu forti di loro: ciò anche in relazione al fatto che, pri ma, Corcira era stata colonia dei Feaci, famosi per la loro esperienza marinara (per questo motivo essi avevano con impegno maggiore allestito una flotta e la loro forza in questo campo era tutt’ altro che ir rilevante: quando incominciò la guerra, essi aveva26 no centoventi triremi): insomma, con tutti questi motivi di risentimento nei confronti dei Corciresi, i
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ω φ ελιαν, οικ η το ρ α τε το ν β ο υλό μ ενο ν ιέ ν α ι κελεύοντες καί Ά μ π ρ α κ ιω τώ ν καί Λ ευκ α δίω ν καί έαυ2 τω ν φ ρ ουρ ούς, έπο^ρεΰθησαν δέ π εζή ές Α π ο λ λω νίαν, Κ ο ρ ιν θ ίω ν ο ΰ σ α ν α π ο ικ ία ν , δέει τω ν Κ ερκ υ ρ α ίω ν μή κω λ ΰω ντα ι ύ π ’ α υ τώ ν κ α τά θ ά λ α σ σ α ν περαιούμενοι. 3 Κ ερ κ υ ρ α ΐο ι δέ έπ ειδή ήσ θοντο τούς τε οικήτορας κ α ί φ ρ ο υρ ο ύς ή κ ο ντα ς ές τη ν Έ π ίδ α μ ν ο ν τη ν τε α π ο ικ ία ν Κ ο ρ ιν θ ίο ις δεδο μ ένη ν, έχ α λ έπ α ινο ν· κα ί π λεύσ αντες ευ θ ύ ς π έντε κα ί είκ ο σ ι ν α υ σ ί κ α ί ύ σ τε ρον έτέρφ στόλφ το ύς τε φ εύγο ντα ς έκέλευον κ α τ’ έπ ή ρ εια ν δ έ χ εσ θ α ι α υ το ύ ς (ή λ θ ο ν γά ρ ές τήν Κ έ ρ κ υ ρ α ν ο ί τώ ν Έ π ιδ α μ ν ίω ν φ υγά δες, τάφ ους τε ά π ο δ εικ νύ ντες κ α ί ξ υ γ γ έ ν ε ια ν , ήν π ρ ο ϊσ χό μ ενο ι έδέοντο σφάς κ α τά γ ειν) τούς τε φ ρουρούς οΰς Κ οβ ί α ι ο ι επ εμ ψ α ν κ α ί το ύς ο ικ ή το ρ α ς άπ οπ έμ π ειν. ο ί δέ Έ π ιδ ά μ ν ιο ι ο ύδ έν α υ τώ ν ύ π ή κ ο υσ α ν, άλλα στρατεύουσιν επ ’ αυτούς οί Κ ερκυρ α ΐο ι τεσσαρ α κ ο ντα ν α υ ο ί μετά τώ ν φ υ γά δ ω ν ώς χα τά ξο ντες, 5 καί τούς Ίλ λ υρ ιο ύς προσλαβόντες. π ρ ο σ κ α θ εζό μενο ι δε τη ν π όλ ιν π ρ ο εΐπ ο ν Έ π ιδ α μ ν ίω ν τε τον βουλόμενον κ α ί το ύς ξένο υς α π α θ είς ά π ιένα ι· εί δέ μή, ώς πολεμίοις χρήσεσθαι. ώς δ1 ούκ έπ είθοντο, οί ΐ 7 μέν Κ ε ρ κ υ ρ α ΐο ι (έ'στι δ ’ ισ θμ ός τό χω ρ ίο ν) έπολιό ρκ ο υν τή ν π όλιν, Κ ο ρ ίν θ ιο ι δ ’, ώς α ύτο ΐς έκ τής Ε π ιδ ά μ ν ο υ ηλ θ ο ν ά γγ ελ ο ι δ τι π ο λ ιο ρ κ ο ΰ ντα ι, π α ρ εσ κ ευ ά ξο ντο σ τρ α τεία ν , κ α ί ά μ α α π ο ικ ία ν ές τήν Έ π ίδ α μ ν ο ν έκή ρυσ σ ον έπ ί τή ίση κα ί όμοια τον βουλόμενον ιέναι- εί δέ τις τό π α ρ α υτίκα μέν μή έθέλει ξυ μ π λ εΐν, μ ετέχειν δέ βο ύλ ετα ι τής α π ο ικ ία ς, π εντήκοντα δραχμά ς κ α τα θ έντα Κ ο ρ ιν θ ία ς μένειν. ησ α ν δε κ α ι ο ι π λέοντες πολλοί κ α ί ο ί τά ρ γ ύ ρ ιο ν 2 καταβάλλοντες. έδεήθη σαν δέ καί τώ ν Μ εγαρέω ν ν α υ σ ί σφ άς ξυμπροπέμ-ψ αι, εί ά ρ α κω λ ύο ιντο υπ ό Κ ε ρ κ υ ρ α ίω ν π λ ε ΐν ο ί δέ π α ρ εσ κ ευ ά ξ ο ν το α ύτο ΐς όκτώ να υ σ ί ξυμ π λεΐν, κ α ί Π άλής Κ εφ αλλήνω ν τέσ-
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C o rin zi diedero ben volen tieri il loro aiuto ad Epidam no, inoltre invitarono chiunque lo volesse a stab ilirvisi e con vo lon tari di C o rin to stessa, di A b racia e di Leucade form arono un contingente di 2 presidio. Raggiunsero via terra A pollonia, colonia corinzia, per tim ore che i C orciresi im pedissero i lo ro spostam enti per mare. . . . . 3 I C orciresi, quando seppero che i coloni e il presi dio corinzio erano arrivati ad Epidam no e che la co lonia si era affid ata ai C o rin zi, furono profonda m ente irritati. S i presentarono im m ediatam ente ad Epidam no con venticinque n avi e successivam ente con un altro contingente, con la richiesta perentoria di consentire il rientro in città degli esuli e di ricon ciliarsi con loro (gli esuli di E pidam n o erano venuti a C o rcira e in nome delle tom be e degli avi e del le game di sangue li avevano im plorati di favorire il lo ro rientro), e di rim andare indietro coloni e presidio 4 corinzi. G li E p idam n i non accettarono nulla di tutto ciò, e allora i C orciresi li attaccarono con qua ranta navi, e con l ’ appoggio degli esuli, che avevano intenzione di far rientrare in patria con la forza e va5 lendosi anche dell’ appoggio degli Illiri. M ettendo l ’ assedio alla città, lanciarono un proclam a in base al quale concedevano a chi lo volesse degli E p i dam ni e degli stranieri, di abbandonare indisturba ti la città: altrim enti sarebbero stati trattati come nem ici. A n ch e questa m ossa andò a vu oto. A llo ra i C o rciresi incom inciarono l ’ assedio (la città è posta 2.7 su di un istm o), intanto i C o rin zi —poi che giun sero m essi da E pidam n o ad annunciare che 1^asse dio s ’era iniziato —, allestivano un corpo di spe dizione, e al tempo stesso annunciavano la partenza d i coloni per Epidam n o: chi vo leva poteva recarsi nella colonia con piena uguaglianza di d iritti, chi non vo leva im barcarsi subito, e nondim eno p ar tecipare alla fondazione, poteva rim anere a C orinto pagando cinquanta dracm e corinzie. M o lti furono quelli che si im barcarono e m olti quelli che pagaro2 no. C hiesero anche ai M egaresi di fo rn ire una scorta nell’ eventualità che i C o rciresi volessero im pedire loro la navigazione. I M egaresi si apprestaro no ad accom pagnarli con otto n avi, P ale di C efalo-
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σαρσιν. καί Έ π ιδ α υ ρ ίω ν έδεήθησαν, ο'ί παρέσχον πέντε, Έρμιονής δέ μίαν καί Τροιζήνιοι δύο, Λευκάδιοι δέ δέκα καί Ά μ π ρ α κιώ τα ι όκτώ. Θηβαίους δέ χρήματα ητησαν και Φλειασίους, Ή Λείους δέ ναΰς τε κενάς καί χρήματα, αυτών δέ Κ ορινθίω ν νήες παρεσκευάζοντο τριάκοντα καί τρισχίλιοι όπλΐται. 2.8 Ε πειδή δέ έπύθοντο οι Κ ερ κυρα ΐοι τήν παρα σκευήν, ελθόντες ες Κόρινθον μετά Λακεδαιμονίων και Σικυωνιων πρέσβεων, οΰς παρέλαβον, έκέλευον Κ ορινθίους τούς εν Έ π ιδ ά μ ν φ φρουρούς τε καί οίκήτορας άπάγειν, ως ού μετόν αύτοΐς Έ π ιδ ά 2 μνου. εί δέ τι αντιποιούνται, δίκας ήθελον δούναι έν Πελοποννήσφ π αρά πόλεσιν αις άν άμφότεροι ξυμ β ώ σ ιν οποτερων δ5αν δικασθή είναι τήν αποι κίαν, τούτους κρατεΐν. ήθελον δέ καί τώ έν Δελφοΐς 3 μαντείφ επιτρέψαι. πόλεμον δέ ούκ εϊων ποιεΐν· εί δέ μή, καί αυτοί άναγκασθήσεσθαι εφασαν, εκείνων βιαζομένων, φίλους ποιεϊσθαι οΰς ού βούλονται έτέ4 ρους των νύν οντων μάλλον ώφελίας ένεκα, οί δέ Κ ο ρ ίνθ ιο ι άπεκρίναντο αύτοΐς, ήν τάς τε ναύς καί τούς βαρβάρους από Έ π ιδά μ νο υ άπαγάγω σι, βουλεύσεσθαι- πρότερον δ’ ού καλώς έχειν τούς μέν πο5 λιορκεΐσθαι, αυτούς δέ δικάζεσθαι. Κ ερκυραΐοι δέ άντέλεγον, ήν καί έκεΐνοι τούς έν Έ πιδάμνφ άπα γάγω σι, ποιήσειν ταύτα- έτοιμοι δέ είναι κα ί ώστε άμφοτέρους μένειν κατά χώραν, σπονδάς δέ ποιή2·9 σασθαι έως άν ή δίκη γένηται. Κ ορίνθιοι δέ ούδέν τούτων υπηκουον, αλλ’ επειδή πλήρεις αύτοΐς ήσαν αι νήες καί οί ξύμμαχοι παρήσαν, προπέμψαντες κήρυκα πρότερον πόλεμον προερούντα Κερκυραίοις, αραντες έβδομήκοντα ναυσί καί πέντε δισχιλίοις τε οπλιταις επλεον επι την Έ π ίδα μ νο ν Κερκυραίοις έ2 ναντία πολεμήσοντες- έστρατήγει δέ τών μέν νεών Α ριστεύς ό Πελλίχου καί Καλλικράτης ό Καλλίου καί Τιμάνωρ ό Τιμάνθους, τού δέ πεζού Αρχέτιμός 3 τε ο Εύρυτίμου καί Ίσαρχίδας ό Ίσάρχου. έπειδή
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nia con quattro. Ne chiesero anche ad Epidauro, che ne forni cinque, Ermione una, Trezene due, Leucade dieci e Ambracia otto. Chiesero aiuto in denaro ai Tebani e a Fliunte, agli Elei navi senza equipaggi e denaro. Loro stessi apprestavano trenta navi e tremila opliti. 18 Avuta notizia di questi preparativi, i Corciresi, recatisi a Corinto insieme con ambasciatori di Spar ta e di Sicione che avevano preso con sé, ingiunsero ai Corinzi di ritirare i coloni e il presidio da Epidamno sostenendo che non avevano diritti su Epi2 damno. Se i Corinzi avevano delle pretese, loro erano pronti ad affrontare in territorio peloponnesia co un arbitrato dinanzi alle città che avrebbero po tuto scegliere di comune accordo, e la colonia sareb be stata assegnata sulla base di tale giudizio; erano 3 pronti anche ad affidarsi all’oracolo delfico. Non volevano giungere alla guerra: altrimenti - dicevano - sarebbero stati costretti anche loro - se ci si met teva sul piano della forza - a scegliersi nolenti degli amici diversi da quelli attuali, avendo bisogno di 4 aiuti. I Corinzi risposero che avrebbero preso in considerazione queste proposte se loro avessero riti rato le navi e le truppe barbariche da Epidamno: prima non avrebbe avuto senso che un arbitrato si svolgesse, mentre Epidamno veniva stretta d’asse5 dio. I Corciresi replicarono che avrebbero ottem perato a questa richiesta se anche loro avessero riti rato i loro uomini da Epidamno; si dichiaravano pronti anche ad un’altra soluzione: che entrambi mantenessero sul posto le proprie forze, ma si stabi lisse una tregua finché non ci fosse stato un arbitra29 to. I Corinzi rifiutarono in blocco queste propo ste; e quando le loro navi furono completamente equipaggiate e gli alleati pronti, mandato avanti un araldo ad annunciare la guerra ai Corciresi, partiro no con settantacinque navi e duemila opliti alla vol ta di Epidamno col proposito di combattere contro 2 i Corciresi. A capo della flotta erano Aristeo fi glio di Pellico, Callicrate figlio di Calila, Timanore figlio di Timante, le truppe di terra le comandavano Archetimo figlio di Euritimo ed Isarchida figlio di 3 Isarco. Quando giunsero ad Azio, nel territorio di
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δ’ έγένοντο εν Ά κτίφ της Ανακτορίας γης, ού τό ίερόν του Απόλλωνός έστιν, έπΐ τφ στόματι τοΰ Αμπρακικοΰ κολπου, οι Κερκυραΐοι κήρυκά τε προύπεμψαν αυτοΐς έν ακατίφ άπεροΰντα μή πλεΐν επί Οφάς και τας ναΰς άμα επλήρουν, ζεύξαντές τε τάς παλαιός ώστε πλωίμους είναι καί τάς άλλας έπι4 σκευάσαντες. ώς δέ ό κήρύξ τε άπήγγειλεν ούδέν ειρηναΐον παρά των ΚορινΟίων καί αί νήες αύτοϊς έπεπλήρωντο ούσαι όγδοήκοντα (τεσσαράκοντα γάρ 5 Επίδαμνον επολιόρκουν), άνταναγαγόμενοι καί παραταξάμενοι έναυμάχησαν καί ένίκησαν οι Κερκυραΐοι παρά πολύ καί ναύς πέντε καί δέκα διέφθειραν των Κορινθίων. τη δέ αυτή ήμέρρ αύτοϊς ξυνέβη καί τούς την Επίδαμνον πολιορκοΰντας παραστήσασθαι όμολογίρ ώστε τούς μέν έπήλυδας άποδόσθαι, Κορινθίους δέ δήσαντας έ'χειν έως άν άλλο τι 3° δόξη. μετά δέ την ναυμαχίαν οί Κερκυραΐοι τρο παίου στήσαντες επί τη Λευκίμμη τής Κερκυραίας ακρωτηρίφ τούς μέν άλλους οΰς έλαβον αιχμα λώτους απεκτειναν, Κορινθίους δέ δήσαντες ει2 χον. ύστερον δέ, έπειδή οι Κορίνύιοι καί οί ξύμμαΧ°ι ησσημένοι ταΐς ναυσίν άνεχώρησαν έπ’ οί'κου, τής θαλάσσης άπάσης έκράτουν τής κατ’ εκείνα τα χωρία οί Κερκυραΐοι, καί πλεύσαντες ές Λευκάδα τήν Κορινθίων αποικίαν τής γής έ'τεμον καί Κυλλήνην τό Ήλείων έπίνειον ένέπρησαν, δτι ναΰς καί 3 χρήματα παρέσχον Κορινθίοις. τοΰ τε χρόνου τόν πλεΐστον μετά τήν ναυμαχίαν έπεκράτουν τής θ α λάσσης καί τούς των Κορινθίων ξυμμάχους έπιπλέοντες έφθειρον, μέχρι ου Κορίνθιοι περιιόντι τφ #έρει πέμψαντες ναΰς καί στρατιάν, έπεί σφών οί ξύμμαχοι έπόνουν, έστρατοπεδεύοντο έπί Α κτίφ καί περί τό Χειμέριον τής Θεσπρωτίδος φυλακής έ νεκα τής τε Λευκαδος και των άλλων πόλεων δσαι 4 σφίσι φίλιαι ησαν. άντεστρατοπεδεύοντο δέ καί οί Κερκυραΐοι έπί τή Λευκίμμη ναυσί τε καί πεζφ. έπέπλεον δέ ουδέτεροι άλλήλοις, άλλα τό θέροςτοΰτο
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Anattorio, dove è il tempio di Apollo, all’ imbocca tura del golfo di Ambracia, i Corciresi mandarono loro incontro - in una imbarcazione non da guerra un araldo, con l ’invito a desistere dall’ aggressione: al tempo stesso equipaggiavano le navi, rinforzando con traverse di legno quelle piu vecchie cosi da po terle rimettere in mare e revisionando anche le al4 tre. Quando l ’araldo riportò la notizia che non vi erano segni di pace da parte corinzia - e intanto era no pronte le loro navi in numero di ottanta (con al tre quaranta assediavano Epidamno) - i Corciresi mossero incontro ai Corinzi, si schierarono in ordi5 ne di battaglia e combatterono. Vinsero netta mente i Corciresi e distrussero quindici navi corin zie. Nello stesso giorno ebbero un altro successo: le loro truppe che assediavano Epidamno indussero gli assediati ad un accordo in base al quale essi avrebbe ro venduto come schiavi ai Corciresi gli stranieri e, quanto ai Corinzi, li avrebbero tenuti prigionieri fi30 no a nuova deliberazione. Dopo la battaglia nava le, i Corciresi innalzarono un trofeo a Leucimne, un promontorio del territorio circostante la città, ucci sero quindi tutti gli altri prigionieri, invece quelli 2 corinzi li mantennero in ceppi. Successivamente, dopo che i Corinzi e gli alleati, sconfitti, ripiegaro no tornando nelle proprie città, i Corciresi domina vano ormai su tutto il mare circostante: navigarono quindi alla volta di Leucade, colonia corinzia, ne de vastarono il territorio, incendiarono Cillene, il por to degli Elei, per punire questi ultimi di aver fornito 3 navi e denaro ai Corinzi. G ran parte del tempo successivo alla battaglia, i Corciresi spadroneggia vano sul mare e, con assidui attacchi, danneggiava no gli alleati dei Corinzi, finché questi, ritornata l’e state, reagirono alle continue vessazioni inflitte ai propri alleati con l’invio di navi e di un corpo di spe dizione, e si accamparono ad Azio e nei pressi del capo Cheimerio in Tesprozia, per proteggere Leu4 cade e le altre città loro alleate. A loro volta i Cor ciresi posero l ’accampamento a Leucimne, sia per le navi che per le truppe di terra. N é gli uni né gli altri provocarono scontri, ma passarono tutta questa estate fronteggiandosi in assetto di guerra e, quando
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αντικαθεξόμενοι χειμώνος ήδη άνεχώρησαν επ’ οί κου έκάτεροι. 3ΐ Τόν δ5 ενιαυτόν πάντα τον μετά τήν ναυμαχίαν και τον ύστερον οΐ Κορίνθιοι οργή φέροντες τον προς Κερκυραίους πόλεμον έναυπηγοΰντο καί παρεσκευάζοντο τά κράτιστα νεών στόλον, εκ τε αυτής Πελοπόννησου άγείροντες καί τής άλλης Ελλάδος 2 έρέτας, μισθω πείθοντες. πυνθανόμενοι δέ οί Κερκυραΐοι τήν παρασκευήν αυτών έφοβοΰντο, καί (ήσαν γάρ ούδενός Ελλήνων ένσπονδοι ουδέ έσεγρά■ ψαντο εαυτούς ούτε ές τάς 'Αθηναίων σπονδάς ούτε ες τάς Λακεδαιμονίων) εδοξεν αύτοΐς έλθοΰσιν ώς τούς Α θηναίους ξυμμάχους γενέσθαι καί ώφελίαν 3 τινά πειράσθαι απ’ αυτών εύρίσκεσθαι. οί δέ Κορίνθιοι πυθόμενοι ταΰτα ήλθον καί αυτοί ές τάς Α θήνας πρεσβευσόμενοι, δπως μή σφίσι προς τφ Κερκυραίων ναυτικφ καί τό αύ τών προσγενάμενον έμπόδιον γένηται θέσθαι τόν πόλεμον η βούλον4 ται. καταστάσης δέ εκκλησίας ές άντιλογίαν ήλ θον, καί οί μέν Κερκυραΐοι έλεξαν τοιάδε. 32 «Δίκαιον, ώ Α θηναίοι, τούς μήτε ευεργεσίας μεγάλης μήτε ξυμμαχίας προυφειλομένης ήκοντας παρά τούς πέλας έπικουρίας, ώσπερ καί ήμεϊς νυν, δεησομένους άναδιδάξαι πρώτον, μάλιστα μέν ώς καί ξύμφορα δέονται, εί δέ μή, δτι γε ούκ έπιζήμια, έπειτα δέ ώς καί τήν χάριν βέβαιον έξουσιν εί δέ τούτων μηδέν σαφές καταστήσουσι, μή δργίζεσθαι 2 ήν άτυχώσιν. Κερκυραΐοι δέ μετά τής ξυμμαχίας τής αίτήσεως καί ταΰτα πιστεύοντες έχυρά ύμΐν 3 παρέξεσθαι άπέστειλαν ήμάς. τετύχηκε δέ τό αυτό έπιτήδευμα πρός τε ύμάς ές τήν χρείαν ήμΐν άλογον καί ές τά ήμέτερα αυτών έν τφ παρόντι 4 άξΰμφορον. ξύμμαχοί τε γάρ ούδενός πω έν τώ προ τού χρόνω έκούσιοι γενόμενοι νϋν άλλων τοΰτο δεησόμενοι ήκομεν, καί άμα ές τόν παρόντα πόλε μον Κορινθίων έρημοι 6 l’ αυτό καθέσταμεν. καί περιέστηκεν ή δοκοΰσα ημών πρότερον σωφροσύνη,
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sopraggiunse l’inverno, entrambi gli eserciti torna rono in patria. 31 Per tutto l’anno successivo alla battaglia navale e in quello ancora seguente, i Corinzi, infuriati per il conflitto con i Corciresi, si diedero a costruire navi ed apprestavano un agguerritissimo corpo di spedi zione, raccogliendo rematori dal Peloponneso e dal le altre regioni della Grecia con l’attrattiva di un 2 buon salario. I Corciresi, venuti a sapere di questi preparativi, furono presi da timore, e - poiché non erano legati da patti con nessuno Stato greco, e non si erano voluti schierare né con Atene né con Spar ta - decisero di presentarsi agli Ateniesi, divenire loro alleati e tentare di ottenere da loro un qualche 3 sostegno. Informati di ciò, i Corinzi vennero an che loro ad Atene con propri ambasciatori, per evi tare che la flotta ateniese, aggiungendosi a quella corcirese, impedisse loro di risolvere il conflitto se4 condo le proprie intenzioni. Cosi, dinanzi all’ as semblea ateniese, polemizzarono apertamente. E i Corpiresi tennero un discorso di questo tenore: 32. «E giusto, Ateniesi, che coloro i quali non sono in credito di grandi benefici né possono far riferimen to ad un vincolo di alleanza, quando vengono a chie dere aiuto ad altri - come stiamo facendo noi in que sto momento - , innanzi tutto spieghino a coloro cui si rivolgono che, nel migliore dei casi, quanto chie dono è utile e, comunque, non dannoso; in secondo luogo che promettano sicura gratitudine; se non sa ranno in grado di mostrare chiaramente né l’una né l’altra cosa, non se la prendano se non hanno fortu2 na. I Corciresi ci hanno inviati confidando di po tervi fornire solide garanzie in tal senso unitamente 3 alla richiesta di alleanza. Un medesimo costume infatti, da parte nostra, è risultato incongruente verso di voi, rispetto alla richiesta che vi facciamo e svantaggioso in relazione alla nostra attuale situa4 zione. Finora non abbiamo voluto essere alleati di nessuno, ora veniamo a chiedere ad altri di essere nostri alleati e al tempo stesso, proprio perciò, di fronte alla attuale guerra con Corinto ci troviamo isolati. E di conseguenza quella che un tempo sem brava la nostra saggezza - il fatto cioè di non essere
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το μή έν άλλοχρίςχ ξυμμαχίςχ xrj τοϋ πέλας γνώμη ξυγκινδυνεύειν, νΰν αβουλία καί ασθένεια ςραινο5 μένη. την μέν οΰν γενομένην ναυμαχίαν αύχοί καχά μόνας άπεωσάμεθα Κορινθίους· έπειδή δέ μείζονι παρασκευή άπό Πελοπόννησου καί χής άλλης Ελλάδος εφ3 ημάς ώρμηνχαι καί ημείς άδύναχοι όρώμεν δνχες χή οίκείςι μόνον δυνάμει περιγενέσθαι, καί άμα μέγας ό κίνδυνος εί έσόμεθα ύπ’ αύχοϊς, ανάγκη καί ύμών καί άλλου πανχός έπικουρίας δεΐσθαι, καί ξυγγνώμη εί μή μεχά κακίας, δόξης δέ μάλλον άμαρχία χή πρόχερον άπραγμοσύνη ένανχία χολμωμεν. 33 Γενήσεχαι δέ ύμΐν πειθομένοις καλή ή ξυνχυχία καχά πολλά χής ήμεχέρας χρείας, πρώχον μέν δχι άδικουμένοις καί ούχ έχέρους βλάπχουσι χήν ε πικουρίαν ποιήσεσθε, επειχα περί χών μεγίσχων κινδυνεύονχας δεξάμενοι ώς άν μάλισχα μεχ3αίειμνήσχου μαρχυρίου χήν χάριν καχαθήσεσθε· ναυχικόν 2 χε κεκχήμεθα πλήν χού παρ’ ύμΐν πλεΐσχον. καί σκέψασθε· χίς εύπραξία σπανιωχέρα ή χίς χοΐς πολεμίοις λυπηροχέρα, εί ήν υμείς άν προ πολλών χρημάχων καί χάριχος έχιμήσασθε δΰναμιν ύμΐν προσγενέσθαι, αύχη πάρεσχιν αύχεπάγγελχος άνευ κιν δύνων καί δαπάνης διδοΰσα έαυχήν, καί προσέχι φέρουσα ές μέν χούς πολλούς άρεχήν, οις δέ έπαμυνεΐχε χάριν, ύμΐν δ5 αύχοΐς ίσχύν· ά έν χφ πανχί χρόνφ όλίγοις δή άμα πάνχα ξυνέβη, καί ολίγοι ξυμμαχίας δεόμενοι οις έπικαλοΰνχαι ασφάλειαν καί κόσμον ουχ ησσον διδόνχες ή ληψόμενοι παραγί3 γνονχαι. χον δε πόλεμον, δι3δνπερ χρήσιμοι άν ειμεν, εί' χις ύμών μή οϊεχαι έσεσθαι, γνώμης άμαρχάνει καί ούκ αίσθάνεχαι χούς Λακεδαιμονίους φόβω χω ύμεχέρω πολεμησείονχας καί χούς Κορινθίους δυναμένους παρ3αύχοΐς καί ύμΐν έχθρούς δνχας καί προκαχαλαμβάνονχας ήμάς νΰν ές χήν ύμεχέραν έπιχείρησιν, ϊνα μή χφ κοινώ έχθει καχ3αύχούς μεχ3
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trascinati nei pericoli da decisioni altrui, tenendoci appunto fuori da alleanze con altri - ora appare per 5 quello che è: sconsideratezza e debolezza. Certo, nella battaglia navale che c’è stata, da soli abbiamo messo in rotta i Corinzi. Ma poiché con un apparato bellico ben piu temibile, messo insieme nel Pelopon neso e nel resto della Grecia, ci minacciano e noi ci rendiamo conto di non essere in grado di farcela questa volta con le nostre sole forze e d’altra parte grande è il pericolo se cadiamo in loro potere, è ine vitabile che veniamo a chiedere l’aiuto vostro e di chiunque altro, ed è comprensibile se osiamo cose in contrasto con la nostra precedente inerzia, dovuta non a malizia ma piuttosto ad un errore di calcolo. 33 Se ci date retta, vi converrà venire incontro alla nostra richiesta, per molte ragioni. Innanzi tutto perché verrete in aiuto di gente aggredita, non di ag gressori; in secondo luogo perché, pur accettando di proteggere persone che corrono il rischio supremo, aprirete un credito immenso con un gesto memora bile in eterno; e poi la nostra flotta è la più grande di 2 quelle esistenti fatta eccezione per la vostra. Con siderate: quale colpo di fortuna accade piu raramen te, quale fu mai piu deleterio per il nemico ? Una po tenza militare che voi chi sa quanto avreste pagato per averla alleata, è qui e vi si offre spontaneamen te senza rischi né costi per voi: e per giunta vi pro cura, rispetto ai piu, un’alta considerazione, grati tudine da parte di coloro cui verrete in aiuto, a voi stessi forza. Ottenere tutto ciò in un sol colpo ac cadde in passato a pochi, cosi come ben pochi nel chiedere aiuto hanno recato, a coloro cui si rivolge vano, sicurezza e buon nome non meno di quanto 3 ne ricevessero. Quanto poi alla guerra in vista della quale il nostro aiuto può essere prezioso, se c’è qualcuno di voi che si illude che possa non esserci, si sbaglia e non si accorge, evidentemente, che gli Spartani proprio perché vi temono puntano ormai alla guerra, e che i Corinzi sono molto influenti a Sparta, vi sono ostili ed ora vogliono assestare pre ventivamente un colpo a noi in vista dell attacco contro di voi, al fine di impedire che, per il comune odio, noi ci coalizziamo e per fare in tempo a coglie-
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άλλήλων στώμεν μηδέ δυοΐν φ θάσαι άμάρτωσιν, ή ήμέτερον δέ γ’ αΰ έ'ργον προτερήσαι, των μέν διδόντων, ύμων δέ δεξαμενών τήν ξυμμαχίαν, καί προεπιβουλεύειν αύτοΐς μάλλον ή άντεπιβουλεύειν. 34 Ή ν δέ λέγωσιν ώς ού δίκαιον τούς σφετέρους άποίκους υμάς δέχεσθαι, μαθόντων ώς πάσα αποικία ευ μέν πάσχουσα τιμρ τήν μητρόπολιν, άδικουμένη δέ άλλοτριοΰται· ού γάρ έπ ίτφ δούλοι, άλλ’ έπ ίτώ 2 όμοιοι τοΐς λειπομένοις είναι έκπέμπονται. ώς δέ ήδίκουν σαφές έστιν· προκληθέντες γάρ περί Έ π ιδάμνου ές κρίσιν πολέμφ μάλλον ή τω ϊσιρ έβου3 λήθησαν τα έγκλήματα μετελθεΐν. καί ύμΐν έστω τι τεκμήριον ά προς ημάς τούς ξυγγενεΐς δρώσιν, ώστε απάτη τε μή παράγεσθαι ύπ’ αυτών δεομένοις τε εκ τού ευθέος μή ύπ ουργεΐν ό γάρ έλαχίστας τάς μετα μέλειας έκ τού χαρίξεσθαι τοΐς έναντίοις λαμβάνων 35 ασφαλέστατος άν διατελοίη. λύσετε δέ ουδέ τάς Λ ακεδαιμονίω ν σπονδάς δεχόμενοι ήμάς μηδετέ2 ρων όντας ξυμμάχους· εΐρηται γάρ έν αύταΐς, τών Έλληνίδω ν πόλεων ήτις μηδαμού ξυμμαχεΐ, έξεΐναι 3 παρ’ όποτέρους άν άρέσκηται έλθεΐν. καί δεινόν ει τοΐσδε μέν άπό τε τών ένσπόνδων έ'σται πληρούν τάς ναύς και προσέτι καί εκ τής άλλης Ε λλάδος καί ούχ ήκιστα άπό τών ύμετέρω ν ύπηκόω ν, ήμάς δέ άπό τής προκειμένης τε ξυμμαχίας εϊρξουσι καί άπό τής άλλοθέν ποθεν ώφελίας, ειτα έν άδικήματι θήσονται 4 πεισθεντω ν υμών α δεόμεθα. πολύ δέ έν πλέονι αιτία ήμεΐς μή πείσαντες ύμάς έξο μ εν ήμάς μέν γάρ κινδυνεύοντας καί ούκ έχθρούς όντας άπώσεσθε, τώνδε δέ ούχ δπως κωλυταί έχθρών οντων καί έπιόντων γενήσεσθε, άλλα καί άπό τής ύμετέρας άρχής δύναμιν προσλαβεΐν περιόψεσθε· ήν ού δίκαιον, άλλ“ ή κάκείνων κωλύειν τούς έκ τής ύμετέρας μι4 κακώσαι ημάς η σφάς αυτούς βεβαιώσασθαι.
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re uno di questi due frutti: o danneggiare noi o rafEcco perché conviene prevenirli, noi offrendovi e voi accettando la nostra alleanza, e per primi tendere loro delle insidie anziché dover ri spondere alle loro. 34 Se poi diranno che non è giusto che accogliate co me alleati i loro coloni, imparino che qualunque co lonia finché viene trattata bene rispetta la madrepa tria, ma, se viene calpestata, se ne allontana: giac ché i coloni vengono mandati non perché siano schiavi ma perché siano pari a coloro che restano in 2 patria. Che ci abbiano trattato in modo iniquo, è chiaro. Pur esortati da noi a risolvere con un arbi trato la questione di Epidamno, hanno preferito so stenere le loro rivendicazioni con la guerra piutto3 sto che per vie giuridiche. Sia per voi indizio ciò che fanno a noi con cui pure hanno legami di stirpe: cosi non sarete preda dei loro inganni né benevoli ascoltatori delle loro richieste esplicite. Giacché nel la vita è sicuro chi si procura il minimo di occasioni di pentimento per esser stato compiacente verso il 35 nemico. E nemmeno, accogliendo la nostra ri chiesta di alleanza, violerete il trattato che vi lega a Sparta, dal momento che noi non siamo alleati né 2 degli uni né degli altri: e nel trattato è detto che le città greche non legate da patti di alleanza possono a 3 piacimento allearsi con gli uni o con gli altri. E sa rebbe davvero deplorevole se a costoro fosse con sentito di allestire navi ricorrendo all’ aiuto di Stati legati al trattato (e inoltre all’ aiuto di altri Stati gre ci e addirittura di vostri sudditi), ed a noi invece si precludesse l’ aiuto di cui stiamo discutendo ed ogni altro possibile e si osasse poi presentare come crimi4 ne il fatto che voi accogliate le nostre richieste. Se però non riusciamo a persuadervi, avremo verso di voi ben più pesanti motivi di recriminazione. G iac ché in tal caso ci avrete respinti, nel momento in cui eravamo esposti a pericoli e per nulla vostri nemici, mentre rispetto ai Corinzi, che sono vostri nemici e sono gli aggressori, non solo non li avrete voluti fer mare, ma addirittura li lascerete liberamente attin gere aiuti dal vostro stesso impero. E non è giusto: o dovreste opporre un rifiuto anche a loro ed impe4 forzare se stessi.
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σιτοφόρους ή καί ήμΐν πέμπειν καθ’ ότι άν πεισθήτε ώφελίαν, μάλιστα δέ άπό τού προφανούς δεξαμέ5 νους βοηθεΐν. πολλά δέ, ώσπερ έν άρχή ύπείπομεν, τά ξυμφέροντα άποδείκνυμεν, καί μέγιστον ότι οϊ τε αυτοί πολέμιοι ήμΐν ήσαν, όπερ σαφεστάτη πίστις, καί οΰτοι ούκ ασθενείς, άλλ’ ικανοί τούς μεταστάντας βλάψαι· καί ναυτικής καί ούκ ήπειρώτιδος τής ξυμμαχίας διδομένης ούχ όμοια ή άλλοτρίωσις, άλλα μάλιστα μέν, εί δύνασθε, μηδένα άλλον εάν κεκτήσθαι ναΰς, εί δέ μή, όστις έχυρώτατος, τούτον φίλον έχειν. Κ α ί ότψ τάδε ξυμφέροντα μέν δοκεΐ λέγεσθαι, φο βείται δέ μή δι’ αυτά πειθόμενος τάς σπονδάς λύση, γνώ τω τό μέν δεδιός αυτού ίσχύν έχον τούς έναντίους μάλλον φοβήσον, τό δέ θαρσούν μή δεξαμένου ασθενές όν προς ίσχύοντας τούς έχθρούς άδεέστερον έσόμενον, καί άμα ού περί τής Κέρκυρας νύν τό πλέον ή καί των Α θ η ν ώ ν βουλευόμενος, καί ού τά κράτιστα αύταΐς προνοών, όταν ές τον μέλλοντα καί όσον ού παρόντα πόλεμον τό αύτίκα περισκοπώ ν ένδοιάζη χωρίον προσλαβεΐν ό μετά μεγίστων 2 καιρώ ν οικειούταί τε καί πολεμούται. τής τε γάρ Ιτα λ ία ς καί Σικελίας καλώς παράπλουκεΐται, ώστε μήτε έκεΐθεν ναυτικόν έάσαι Πελοποννησίοις έπελθεϊν τό τε ένθένδε προς τάκεΐ παραπέμψαμ καί ές 3 τάλλα ξυμφορώτατόν έστιν. βραχυτάτω δ’ άν κεφαλαία), τοΐς τε ξύμπασι καί καθ’ έκαστον, τώδ’ άν μή προέσθαι ήμάς μάθοιτε· τρία μέν όντα λόγου άξια τοΐς Έ λλη σι ναυτικά, τό παρ’ ύμΐν καί τό ήμέτερον καί τό Κ ο ρ ιν θ ίω ν τούτων δέ εί περιόψεσθε τά δύο ές ταύτόν έλθεϊν καί Κ ο ρ ίνθιο ι ήμάς προκαταλήψονται, Κ ερκυραίοις τε καί Π ελοποννησίοις
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dire che arruolino mercenari nei territori vostri, o dare aiuti anche a noi nella misura che riusciremo ad ottenere, se non addirittura palesemente sostenerci 5 accogliendoci come alleati. Invece i vantaggi che vi prospettiamo, come abbiamo premesso in princi pio, sono tanti, e soprattutto il fatto che i nemici in questione sono nemici comuni nostri e vostri (il che costituisce la piu limpida garanzia), e non sono ne mici da poco ma anzi· in grado di colpire seriamente chi si stacca da loro. Poiché poi l’ alleanza che vi vie ne offerta è di una potenza navale, non terrestre, non è indifferente alienarsela o conquistarsela: se siete in grado, impedite che chiunque altro si procu ri una flotta, altrimenti abbiate come alleati quelli che sono piu solidi. 36 Chi ritiene che tutto quanto abbiamo detto sia bensì conveniente, però teme che acconsentendo al le nostre richieste, sia messo in pericolo il trattato, cerchi di capire che la sua ansietà, se si accompagna alla forza, farà paura ai nemici, mentre invece la fi ducia derivante dall’averci respinto - essendo in po sizione di debolezza rispetto al rafforzamento dei nemici - apparirà assai meno temibile; consideri inoltre che la decisione che sta affrontando riguarda Atene non meno di Corcira, e che non provvederà certo nel migliore dei modi agli interessi di Atene se - di fronte alla guerra imminente, anzi quasi alle porte - in base ad una miope considerazione esiterà a prendere dalla sua un paese la cui amicizia o osti2 lità comporta vantaggi o svantaggi notevoli. Cor cira infatti si trova in ottima posizione sulla via dell’Italia e della Sicilia: può impedire che di li ven ga un aiuto navale ai Peloponnesiaci e può sostenere una spedizione che di qui muova verso quelle regio3 ni: è preziosa sotto ogni altro rispetto. In breve, le ragioni, specifiche e di carattere generale, che vi do vrebbero convincere dell’opportunità di non re spingerci sono le seguenti: ci sono in G recia tre flotte di rilievo, la vostra, la nostra e quella corin zia; se voi consentirete, senza intervenire, che due di queste tre si uniscano e che i Corinzi vi preceda no nell’ annettersi la nostra forza, voi vi troverete ad affrontare sul mare Corciresi e Peloponnesiaci
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άμα ναυμαχήσετε, δεξάμενοι δέ ημάς εξετε προς αυλούς πλείοσι ναυσί ταϊς ήμετέραις άγωνίζεσθαι». τοιαΰτα μέν οι Κερκυραΐοι ειπον· οί δέ Κορίνθιοι μετ’ αυτούς τοιάδε. 37 τρόπω κατέστη. 9 « = Πρώτον μέν Ή ιόνα την έπί Στρυμόνι Μήδων έχόντων πολιορκία ειλον καί ήνδραπόδισαν, Κίμω2 νος τού Μιλτιάδου στρατηγούντος. έπειτα Σκΰρον τήν έν τώ Αίγαίω νήσον, ήν ωκουν Δόλοπες, ήν3 δραπόδισαν καί ωκισαν αυτοί, πρός δέ Κρυστίους αύτοΐς άνευ τών άλλων Εύβοέων πόλεμος έγένετο, 4 καί χρόνφ ξυνέβησαν καθ’ ομολογίαν. Ναξίοις δέ άποστάσι μετά ταύτα έπολέμησαν καί πολιορκία παρεστήσαντο, πρώτη τε αϋτη πόλις ξυμμαχίς παρά το καθεστηκός εδουλώθη, έπειτα δέ καί τών άλλων 99 ως έκαστη ξυνέβη. αίτίαι δέ άλλαι τε ήσαν τών αποστάσεων καί μέγισται αί τών φόρων καί νεών έκδειαι καί λιποστράτιον εϊ τψ έγένετο· οί γάρ Α θ η ναίοι ακριβώς έπρασσον καί λυπηροί ησαν ούκ ειωθόσιν ουδέ βουλομένοις ταλαυπωρεΐν προσ2 άγοντες τάς άνάγκας. ήσαν δέ πως καί άλλως οί
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magistratura degli Ellenotami, i quali si occupavano della riscossione del «tributo»: cosi fu chiamata la contribuzione finanziaria imposta agli alleati. La prima determinazione del tributo fu nella misura di 460 talenti. Sede del tesoro della lega fu Deio e le a97 dunanze avvenivano nel tempio. Ora narrerò le imprese politiche e militari che essi compirono tra questa guerra e la guerra persiana: sia rispetto al barbaro, sia nei confronti dei propri alleati ribelli, sia nei confronti dei Peloponnesiaci che volta a vol ta trovarono sulla loro strada. In un primo momen to essi guidavano una lega di alleati autonomi le cui 2 decisioni erano prese collegialmente. Ho narrato queste vicende compiendo, cosi, una digressione ri spetto al filo del mio racconto per le seguenti ragio ni: perché tutti quelli che sono venuti prima di me hanno trascurato questo periodo storico ed hanno raccontato o la storia greca dell’età delle guerre per siane o quella precedente le guerre persiane. (L’u nico che ne abbia fatto cenno, Ellanico nella sua Atthis, l’ha fatto in modo sommario e con impre cisioni cronologiche). In secondo luogo perché que sta digressione descrive come sia sorto l’impero ate niese. 98 Per prima espugnarono ed asservirono, sotto il co mando di Cimone figlio di Milziade, Eione allo Stri2 mone, tenuta ancora dai Persiani. Quindi asservi rono e colonizzarono Sciro, l’isola nell’Egeo abitata 3 dai Dolopi. Poi entrarono in conflitto coi Caristii senza l’aiuto delle altre città dell’Eubea e col tempo 4 giunsero ad un accordo. Dopo di che combattero no con gli abitanti di Nasso, che avevano defeziona to e stringendoli di assedio li sottomisero: e fu que sta la prima città alleata da loro asservita contro il fondamento stesso della lega. Poi il fenomeno si ri99 peté in modi specifici, caso per caso. Le cause che provocarono le defezioni erano varie: ma le princi pali furono l’inadempienza nel pagare il tributo e nel fornire il contingente di navi nonché eventuali casi di defezione. Giacché gli Ateniesi erano fiscali nella riscossione dei tributi e insopportabili nell’imporre obblighi a chi non vi era abituato né intende2 va sopportare sacrifici. Anche sotto altri aspetti
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Α θ η ν α ί ο ι ο ύ κ έ τι ο μ ο ίω ς έν η δ ο ν ή ά ρ χ ο ν τες, κα ί ο ύτε ξυ νεσ τρ ά τευ ο ν curò τοΰ ίσ ο υ ρςιδιόν τε προσά γ ε σ θ α ι ή ν α ύτο ΐς το υ ς ά φ ισ τα μ έν ο υ ς . ώ ν α υ το ί 3 α ίτιο ι έγένο ντο οίξύμ μ α χ ο ι- δ ιά γά ρ τήν άπόκνησιν τα ύ τη ν τω ν στρατειώ ν ο ί π λείους αυτώ ν, ί'να μή α π ’ οίκ ο υ ωσι, χρήμα τα έτά ξα ντο α ντί τω ν νεώ ν τό ίκ νο ύ μ ενο ν άνάλω μα φ έρειν, κ α ί τοΐς μέν Α θ η ν α ί ο ις η ΰ ξετο τό να υτικό ν άπό τής δα π ά νη ς ήν εκείνοι Ιυ μ φ έ ρ ο ιε ν , α υ τ ο ί δε, ο π ό τε ά π ο σ τ α ΐεν , α π α ρ ά σ κ ευ ο ι κ α ί ά π ειρ οι ές τον πόλεμον κα θίστα ντο , ιοο Έ γ έ ν ε τ ο δέ μετά τ α ΰ τ α κ α ί ή επ ’ Ε ύ ρ υ μ έ δ ο ν τ ι π ο τ α μ φ έν Π α μ φ υ λ ίρ π ε ζ ο μ α χ ία κ α ί ν α υ μ α χ ία Α θ η ν α ίω ν κ α ί τω ν ξυμ μ ά χω ν π ρός Μ ήδο υς, κ α ί ένίκ ω ν τη αυτή ημέρα άμφ ότερα Α θ η ν α ίο ι Κ ίμω νος τοΰ Μ ιλ τιά δ ο υ σ τρ α τη γο ΰ ντο ς, κ α ί ειλον τρ ιή ρ εις Φ ο ιν ίκ ω ν κ α ί δ ιέ φ θ ε ιρ α ν τά ς π ά σ α ς ές δ ια κ ο 2 σίας. χρ όνω δέ ύ σ τερ ο ν ξυ νέβ η © α σ ίο υ ς α υτώ ν ά π ο σ τή να ι, διενεχθ έντα ς π ερ ί τω ν έν τή ά ντιπ έρα ς Θρςίκη έμπορίω ν κ α ί τοΰ μετάλλου ά ένέμοντο. καί ν α υ σ ί μέν έπ ί Θ άσον πλεΰσαντες ο ί Α θ η ν α ίο ι ναυ3 μα χία έκράτησαν κ α ί ές τήν γη ν άπ έβησαν, έπ ί δέ Σ τρυ μόνα πέμψ αντες μυρίους οίκήτορας αυτώ ν καί τώ ν ξυ μ μ ά χ ω ν υ π ό τούς α υ το ύ ς χ ρ ό νο υς ώς οίκ ιο ϋ ντες τάς τότε κ α λο ύμ ενος Ε ν ν έ α οδούς, νΰ ν δέ Ά μ φ ίπ ο λ ιν , τώ ν μέν Ε ν ν έ α ό δ ώ ν α ύ το ί έκ ρ ά τη σα ν, άς ειχον Ή δ ω ν ο ί, π ροελ θόντες δέ τής Θ ρρκης ές μ εσ ό γειο ν δ ιεφ θ ά ρ η σ α ν έν Δ ρ α β η σ κ φ τή Ή δ ω ν ικ ή ύ π ό τώ ν Θ ρ ρ κ ώ ν ξυ μ π ά ν τω ν , οΐς π ο λέμιον ή ν τό χω ρ ίο ν [αί Ε ν ν έ α οδοί] κτιζό μ ειο ι νον. θ ά σ ιο ι δέ νικηθέντες μάχη κα ί πολιορκούμε ν ο ι Λ α κ ε δ α ιμ ο ν ίο υ ς έπ εκ α λ ο ΰντο κ α ί έπ α μ ύ ν ειν 2 έκ έλ ευο ν έσ βα λόντας ές τήν Α τ τ ικ ή ν , ο ι δέ ύπ έσ χοντο μέν κρ ύφ α τώ ν Α θ η ν α ίω ν κ α ί έμελλον, διεκ ω λ ύθη σ α ν δέ ύ π ό τοΰ γενομ ένου σεισμού, έν ω κ α ί οί Είλω τες αύτοΐς κ α ί τώ ν περίοικω ν Θ ουριάταί τε κ α ί Α ίθ α ιή ς ές Ί θ ώ μ η ν ά π έσ τη σ α ν. π λεΐσ τοι δέ τώ ν Ε ιλ ώ τω ν έγένο ντο οί τώ ν π α λ α ιώ ν Μ εσσηνίω ν
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gli Ateniesi risultavano ormai dei dominatori sgra devoli: non si ponevano sullo stesso piano degli altri nelle imprese condotte in comune ed era facile per loro sottomettere chi disertava. Ma di ciò furono responsabili gli stessi alleati: la gran parte di loro in fatti, data questa riluttanza a prender parte direttamente alle campagne militari, pur di non essere co stretti a lasciare il proprio paese, accettarono che in luogo delle navi venisse stabilito un loro corrispon dente contributo in denaro. In conseguenza del tri buto che essi versavano crebbe la flotta ateniese, mentre loro, quando defezionavano, affrontavano la lotta senza mezzi e senza esperienza. Successivamente ebbe luogo la battaglia - terre ΙΟ Ο stre e navale - presso il fiume Eurimedonte in Pan filia, tra Ateniesi e alleati da una parte e Persiani dall’altra: vinsero sia per terra che per mare e nel medesimo giorno gli Ateniesi, al comando di Cimone figlio di Milziade, catturarono le navi fenicie e le 2 distrussero, in numero di circa duecento. Ac cadde quindi che i Tasi defezionassero, venuti a contesa con gli Ateniesi per gli empori commerciali nell’antistante costa tracia e le miniere che i Tasi 3 sfruttavano. Gli Ateniesi mossero contro Taso con cinquanta navi, li sconfissero in una battaglia navale e sbarcarono sull’isola. Nello stesso periodo inviarono sullo Strimone diecimila coloni ateniesi e alleati con il proposito di insediarsi nella località che allora si chiamava «Nove strade» ed ora Amfipoli: di «Nove strade» si impadronirono (allora era abita ta dagli Edoni), ma quando vollero addentrarsi nel l’interno della Tracia furono sconfitti a Drabesco Edonica dai Traci, coalizzatisi perché sentivano co me ostile nei loro confronti la colonizzazione atenie se della zona. I Tasi, sconfitti in battaglia e stretti ΙΟ Ι d’assedio, si rivolsero agli Spartani e chiesero loro 2 di aiutarli invadendo l’Attica. Di nascosto dagli Ateniesi, gli Spartani promisero che lo avrebbero fatto e già si accingevano, quando ne furono impe diti dal terremoto in occasione del quale gli Iloti e dei Perieci i Turiati e gli Etei defezionarono da Sparta e si arroccarono ad Itome. La gran parte de gli Iloti ribelli erano discendenti degli antichi Mes-
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τότε δουλωθέντων απόγονοι· τ^καί Μεσσήνιοι έκλήθησαν οί πάντες. προς μέν ουν τούς έν Ίθώμη πό λεμος καθειστήκει Λακεδαιμονίους, Θάσιοι δέ τρίτφ ετει πολιορκούμενοι (ομολόγησαν Άθηναίοις τείχος τε καθελόντες καί ναΰς παραδόντες, χρήματά τε δσα έδει άποδοΰναι αύτίκα ταξάμενοι καί τό λοιπόν φέρειν, τήν τε ήπειρον καίτό μέταλλον αφέντες, ιοί Λακεδαιμόνιοι δέ, ώς αύτοΐς προς τούς έν Τθιόμη έμηκύνετο ό πόλεμος, άλλους τε έπεκαλέσαντο ξυμμάχους καί Α θηναίους· οί δ’ ήλθον Κίμωνος 2 στρατηγοΰντος πλήθει ούκ όλίγω. μάλιστα δ’ αυτούς έπεκαλέσαντο δτι τειχομαχεΐν έδόκουν δυ νατοί είναι, τοΐς δέ πολιορκίας μακράς καθεστηκυίας τούτου ένδεά έφαίνετο· βίρ γάρ αν ειλον τό 3 χωρίον. καί διαφορά έκ ταύτης τής στρατείας πρώτον Λακεδαιμονίοις καί Άθηναίοις φανερά έγένετο. οί γάρ Λακεδαιμόνιοι, έπειδή τό χωρίον βία ούχ ήλίσκετο, δείσαντες των Αθηναίων τό τολμηρόν καί τήν νεωτεροποάαν, καί αλλοφύλους άμα ήγησάμενοι, μή τι, ήν παραμείνωσιν, υπό των έν Ίθώμη πεισθέντες νεωτερίσωσι, μόνους τών ξυμμάχων άπέπεμψαν, τήν μέν υποψίαν ου δηλοΰντες, είπόν4 τες δέ δτι ούδέν προσδέονται αυτών έτι. οί δ’ Α θ η ναίοι έγνωσαν οΰκ έπί τώ βελτίονι λόγω άποπεμπόμενοι, άλλά τίνος υπόπτου γενομένου, καί δεινόν ποιησάμενοι καί ούκ άξιώσαντες ύπό Λακεδαι μονίων τούτο παθεϊν, ευθύς έπειδή άνεχώρησαν, άφέντες τήν γενομένην έπί τφ Μήδω ξυμμαχίαν προς αυτούς Ά ργείοις τοΐς έκείνων πολεμίους ξύμμαχοι έγένοντο, καί προς Θεσσαλούς άμα άμφοτέροις οί αυτοί δρκοι καί ξυμμαχία κατέστη. 3
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seni a suo tempo sottomessi: onde furono chiamati tutti Messeni. Gli Spartani erano dunque impe gnati nella guerra con i ribelli di Itome; i Tasi nel terzo anno di assedio si accordarono con gli Ate niesi: abbatterono le mura, consegnarono la flotta e si lasciarono fissare il tributo che s’impegnavano a pagare subito e per il futuro rinunciando inoltre ad ogni pretesa sulla costa tracia antistante e sulle mi niere. Gli Spartani, poiché il loro conflitto con i ribelli di Itome andava per le lunghe, invocarono l’aiuto di altre città, tra cui Atene. E gli Ateniesi vennero con un consistente corpo di spedizione, al comando di Cimone. La ragione principale per cui avevano ri chiesto l’aiuto degli Ateniesi era che sembrava che essi fossero particolarmente abili nell’attacco a for tificazioni; ma agli Spartani la loro capacità parve - nella circostanza di quell’impegnativo e lungo as sedio - del tutto inferiore alla fama (infatti, se fosse ro stati all’altezza, avrebbero preso di slancio la piazzaforte). E in seguito a questa campagna che esplose per la prima volta apertamente il dissenso tra Spartani e Ateniesi. Gli Spartani infatti, veden do che la piazzaforte di Itome non veniva espugna ta, timorosi dell’audacia e dell’intraprendenza ate niese - e tale considerazione veniva rafforzata dalla consapevolezza della loro estraneità di stirpe -, pa ventando infine che - ove fossero rimasti ad asse diare Itome - subornati dagli assediati prendessero qualche iniziativa eversiva, congedarono, di tutti gli alleati, unicamente gli Ateniesi: naturalmente evita rono di manifestare i loro sospetti, dissero semplicemente che non avevano più bisogno di loro. Gli Ateniesi capirono che il loro allontanamento aveva ragioni ben diverse da quelle dette apertamente, e che era subentrato evidentemente qualche sospetto. Mal sopportarono la cosa e ritenendo di non merita re un tale trattamento da parte degli Spartani, subi to dopo il loro rientro, lasciarono cadere l’alleanza a suo tempo stabilita con Sparta in funzione antiper siana e si allearono con gli Argivi nemici di Sparta; un analogo patto di alleanza fu stipulato da Atene ed Argo coi Tessali.
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Ο ί δ ’ έν Ί θ ώ μ η δεκά τω έτει, ώς ο ύ κ έτι έδ ύ να ντο άντέχειν, ξυνέβησαν προς τους Λ α κ εδα ιμ ο νίο υς έφ’ ω έ ξ ία σ ιν έκ Π ελοπ όννησ ου υ π ό σ π ο ν δ ο ι κ α ί μηδέ 2 ποτε έπ ιβ ή σ οντα ι αυτής· ήν δέ τις άλίσκηται, τοϋ λαβόντος είνα ι δοΰλον. ήν δέ τι κ α ί χρηστήριον τοΐς Λ α κ ε δ α ιμ ο ν ίο ις Π υ θ ικ ό ν π ρ ο το ΰ, το ν Ικέτην τοϋ 3 Δ ιός τοϋ Ίθ ω μ ή τα άφ ιέναι. έξή λ θο ν δέ α υ το ί καί π α ΐδ ες κ α ί γυ ν α ίκ ες, κ α ί α υ το ύ ς ο ί Α θ η ν α ίο ι δεξά μ εν ο ι κ α τ’ έχθος ήδη τό Λ α κ ε δ α ιμ ο ν ίω ν ές Ν α ύ π α κ το ν κατώ κισαν, ήν έτυχον ήρηκότες νεω σ τί Λ ο4 κ ρ ώ ν τω ν Ό ζ ο λ ώ ν έχόντω ν. π ρ ο σ εχώ ρ η σ α ν δέ κ α ί Μ εγα ρή ς Ά θ η ν α ίο ις ές ξυ μ μ α χ ία ν Λ α κ ε δ α ιμ ο ν ίω ν ά π οσ τά ντες, δ τι α υ το ύ ς Κ ο ρ ίν θ ιο ι π ερ ί γής δρ ω ν πολέμω κατεΐχον- κ α ί έσχον Α θ η ν α ίο ι Μ έγ α ρα κ α ί Π ηγά ς, κ α ί τά μα κρ ά τείχη φ κ ο δ ό μ η σ α ν Μ εγ α ρ ε ΰ σ ι τά ά π ό τής πόλεω ς ές Ν ίσ α ια ν κ α ί έφ ρούρουν αύτοί. καί Κ ορ ινθίοις μέν ούχ ήκιστα από το ϋ δ ε τό σ φ οδρόν μίσος ή ρ ξα το π ρ ώ το ν ές Α θ η ναίους γενέσθαι. 104 Ί ν ά ρ ω ς δέ ό Ψ α μ μ η τίχο υ , Λ ίβ υ ς , βασιλεύς Λ ιβ ύ ω ν τω ν προς Α ίγύπ τιρ , όρμώ μενος έκ Μ αρείας τής υ π έρ Φ ά ρ ο υ πόλεω ς ά π έσ τη σ εν Α ίγ υ π τ ο υ τά πλείω άπ ό βασιλέως Ά ρ τ α ξ έ ρ ξ ο υ , κ α ί αυτός άρχω ν 2 γεν ό μ ενο ς Α θ η ν α ίο υ ς έπ η γά γετο . ο ί δέ (έτυχον γά ρ ές Κ ύ π ρ ο ν σ τρ α τευ ό μ ενο ι ν α υ σ ί δ ια κ ο σ ία ις α υ τώ ν τε κα ί τώ ν ξυ μ μ ά χω ν) ή λ θ ο ν ά π ολ ιπ όντες τή ν Κ ύ π ρ ο ν , κα ί ά να π λ εύσ α ντες ά π ό θα λά σ σ ης ές τόν Ν είλον τοϋ τε ποταμού κρατούντες κ α ί τής Μέμφ ιδος τώ ν δύο μερώ ν προς τό τρ ίτο ν μέρος δ καλεί τ α ι Λ ε υ κ ό ν τείχος έ π ο λ έ μ ο υ ν ένή σ α ν δέ α υ τό θ ι Π ερ σ ώ ν κ α ί Μ ή δω ν ο ί κ α τα φ υ γό ντες κ α ί Α ιγ υ πτίω ν οί μή ξυναποστάντες. ioy Ά θ η ν α ίο ις δέ ν α υ σ ίν ά π ο β ά σ ιν ές Ά λ ιά ς προς Κ ο ρ ιν θ ίο υ ς κ α ί Έ π ιδ α υ ρ ίο υ ς μάχη έγένετο , κ α ί έν ίκ ω ν Κ ο ρ ίν θ ιο ι. κ α ί ύ σ τερ ο ν Α θ η ν α ίο ι έναυμά χησ α ν έπ ί Κ εκ ρ υ φ α λ εία Π ελ ο π ο ννη σ ίω ν να υσ ί, 2 κ α ί έν ίκ ω ν Α θ η ν α ίο ι, πολέμου δέ κα τα σ τά ντο ς προς Α ίγινήτα ς Ά θ η ν α ίο ις μετά τα ϋτα να υμ α χία γί103
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I ribelli di Itome, nel decimo anno di assedio, poi ché non erano più in grado di resistere, stipularono un accordo con gli Spartani sulla base di questa clau sola: che veniva loro concesso di uscire dal Pelopon neso ma a patto di non rientrarvi mai piu: se qualcu no fosse stato sorpreso ancora nel Peloponneso sa rebbe stato schiavo personale di chi lo avesse cattu2 rato. C ’era poi anche un oracolo pitico reso agli Spartani prima di questa vicenda «di lasciar libero 3 chi li supplicasse in nome di Zeus di Itome». I ri belli con donne e figli lasciarono il Peloponneso e gli Ateniesi li accolsero in odio, ormai, a Sparta e li si stemarono a Naupatto, che avevano appena strap4 pato ai Locresi Ozoli. Anche i Megaresi passaro no all’alleanza con Atene abbandonando gli Spar tani perché i Corinzi li vessavano con una guerra di confine. Cosi gli Ateniesi misero le mani su Megara e Peghe, costruirono per i Megaresi le grandi mura che vanno dalla città a Nisea e le presidiavano diret tamente essi stessi. E fu da questo momento che sorse l’odio profondo dei Corinzi nei confronti degli Ateniesi. 104 II libico Inaro figlio di Psammetico, il quale re gnava sui Libici, popolazione confinante con l’E gitto, avendo come base la città di Marea a nord di Faro, riuscì a sottrarre al dominio del re di Persia Artaserse gran parte dell’Egitto; assunse egli stesso 2 il comando e chiese l’aiuto degli Ateniesi. Questi erano impegnati in una campagna a Cipro con due cento navi proprie e degli alleati; perciò da Cipro si diressero in Egitto e, giuntivi, risalirono - dal mare - il Nilo; presero il controllo del fiume e di due terzi di Menfi e s’impegnarono in combattimenti per conquistare la terza parte della città chiamata «Muro bianco» dove si erano asserragliati i Medi, i Persiani e quella parte degli Egizi che non avevano defezionato. 105 G li Ateniesi sbarcati ad Alie combatterono con tro Corinzi ed Epidauri: vinsero i Corinzi. Succes sivamente (gli Ateniesi) ebbero uno scontro con una flotta peloponnesiaca al largo di Kekrifalea: vinsero 2 gli Ateniesi. Scoppiò quindi un conflitto tra Atene ed Egina: ci fu una grande battaglia navale, nei
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γνεται έπ’ Αίγίνη μεγάλη Αθηναίων καί Αίγινητών, καί οί ξύμμαχοι έκατέροις παρήσαν, καί ένίκων Αθηναίοι καί ναύς έβδομήκοντα λαβόντες αυτών ές τήν γην άπέβησαν καί έπολιόρκουν, Λεωκράτους 3 του Στροίβου στρατηγοΰντος. έπειτα Πελοποννήσιοι άμύνειν βουλόμενοι Αίγινήταις ές μέν τήν Αίγιναν τριακοσίους όπλίτας πρότερον Κορινθίων καί Έπιδαυρίων έπικούρους διεβίβασαν, τά δέ άκ ρα τής Γεράνειας κατέλαβον καί ές τήν Μεγαρίδα κατέβησαν Κορίνθιοι μετά των ξυμμάχων, νομίζοντες αδυνάτους έσεσθαι Α θηναίους βοηθεΐν τοίς Μεγαρεϋσιν έν τε Αίγίνη άπούσης στρατιάς πολλής καί έν Αίγυπτου ήν δέ καί βοηθώσιν, άπ’ Αίγίνης 4 άναστήσεσθαι αυτούς, οί δέ Α θηνα ίοι τό μέν προς Αίγίνη στράτευμα ούκ έκίνησαν, των δ’ έκ τής πόλεως υπολοίπων οϊ τε πρεσβύτατοι καί οί νεώτατοι άφικνοΰνται ές τά Μέγαρα Μυρωνίδου στρα5 τηγοϋντος. καί μάχης γενομένης ίσορρόπου προς Κορινθίους διεκρίθησαν άπ’ άλλήλων, καί ένόμισαν 6 αυτοί έκάτεροι ούκ ελασσον έ'χειν έν τώ έργω. καί οί μέν Α θηνα ίοι (έκράτησαν γάρ δμως μάλλον) άπελθόντων των Κορινθίων τροπαΐον έστησαν· οί δέ Κορίνθιοι κακιζόμενοι ύπό των έν τή πόλει πρε σβυτέρων καί παρασκευασάμενοι, ήμέραις ύστερον δώδεκα μάλιστα έλθόντες άνθίστασαν τροπαΐον καί αύτοί ώς νικήσαντες. καί οί Αθηναίοι έκβοηθήσαντες έκ των Μεγάρων τούς τε τό τροπαΐον ίστάντας διαφθείρουσι καί τοΐς άλλοις ξυμβαλόντες έκράτηιο6 σαν. οί δέ νικώμενοι ύπεχώρουν, καί τι αύτών μέ ρος ούκ ολίγον προσβιασθέν καί διαμαρτόν τής οδού έσέπεσεν ές του χωρίον ιδιώτου, ω έτυχεν 2 όρυγμα μέγα περιεΐργον καί ούκ ήν έξοδος, οί δέ Α θηνα ίοι γνόντες κατά πρόσωπόν τε ειργον τοΐς όπλίταις καί περιστήσαντες κύκλω τούς ψιλούς κατέλευσαν πάντας τούς έσελθόντας, καί πάθος μέ γα τούτο Κορινθίοις έγένετο. τό δέ πλήθος άπεχώρησεν αύτοΐς τής στρατιάς έπ’ οί'κου. ιο7 Ή ρξαντο δέ κατά τούς χρόνους τούτους καί τά μακρά τείχη Α θηναίοι ές θάλασσαν οίκοδομεΐν, τό
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pressi di Egina, tra Ateniesi ed Egineti entrambi so stenuti dai rispettivi alleati: vinsero gli Ateniesi, si impadronirono di settanta navi nemiche, sbarcaro no sull’isola e posero l’assedio alla città al comando 3 di Leocrate figlio di Strebo. In seguito i Pelopon nesiaci, volendo venire in aiuto degli Egineti, sbar carono sull’isola un contingente ausiliario costituito inizialmente di trecento opliti corinzi ed epidauri, mentre i Corinzi e gli alleati occuparono le alture della Gerania e irruppero nella Megaride: erano convinti che gli Ateniesi non sarebbero stati in gra do di accorrere in difesa di Megara mentre gran par te delle loro truppe era impegnata ad Egina e in Egitto; che se poi effettivamente si fossero mossi per aiutare Megara, avrebbero dovuto sguarnire l’asse4 dio di Egina. Gli Ateniesi non spostarono affatto le truppe che assediavano Egina: a Megara venne un loro corpo di spedizione composto dagli elementi le classi più giovani e le classi più anziane - che era5 no rimasti in città, al comando di Mironide. Ci fu una battaglia di esito incerto tra Ateniesi e Corinzi; alla fine i combattenti si divisero e ciascuno ritenne 6 di non aver avuto la peggio nella lotta. Nondime no gli Ateniesi - che in realtà avevano prevalso quando i Corinzi si allontanarono innalzarono un trofeo. I Corinzi, sbeffeggiati dai più anziani rima sti in città, si prepararono e dopo circa dodici giorni ritornarono sul posto e innalzarono anch’essi un trofeo, come se avessero vinto. Gli Ateniesi allora fecero una sortita muovendo da Megara, massacra rono quelli che avevano innalzato il trofeo e, affron106 tati gli altri, li sgominarono. I Corinzi, sconfitti, si ritiravano; un loro contingente non piccolo, spin to fuori strada, andò a cacciarsi nel terreno di un privato circondato da un grande fossato e senza via 2 d’uscita. G li Ateniesi se ne accorsero e li blocca rono frontalmente con gli opliti, tutt’intorno pose ro gli armati alla leggera: e lapidarono tutti, quanti si erano venuti a intrappolare li. L ’episodio porto dolore immenso ai Corinzi. Ma la gran parte delle loro truppe riuscì a tornare in patria. 107 Nello stesso torno di tempo gli Ateniesi intrapre sero la costruzione delle grandi mura da Atene al
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2 τε Φ α λ η ρ ό νδ ε κ α ί τό ές Π ε ιρ α ιά , κα ί Φ ω κ έω ν σ τρ α τευσ ά ντω ν ές Δ ω ρ ιά ς τή ν Λ α κ ε δ α ιμ ο ν ίω ν μητρ όπ ο λιν, Β ο ιό ν κ α ί Κ υ τ ίν ιο ν κ α ί Έ ρ ιν ε ό ν , κ α ί έλόντω ν εν τω ν π ολ ισμ άτω ν το ύτω ν, οί Λ α κ ε δ α ι μ ό νιο ι Ν ικ ο μ ή δ ο υ ς τού Κ λ εομ β ρ ότο υ υ π έρ Π λεισ το ά να κ το ς τού Π α υ σ α ν ίο υ βασιλέω ς νέο υ όντος έτι ηγουμένου έβοήθησαν τοΐς Δ ω ριεΰσ ιν έα υτώ ν τε πεντακοσίοις καί χιλίοις όπλίταις καί των ξυμμάχω ν μυρίοις, κ α ί τούς Φ ω κ έα ς όμολογίς* ά να γκ ά σ α ντες 3 ά π ο δ ο ΰ να ι τήν πόλιν άπ εχώ ρουν πάλιν, κ α ί κατά θ ά λ α σ σ α ν μέν α υτο ύς, διά τοϋ Κ ρ ισ α ίο υ κόλπου εί βούλοιντο π ερ α ιο ΰ σ θ α ι, Α θ η ν α ίο ι να υσ ί περιπλεύσαντες έμελλον κω λύσειν· διά δέ τής Γ ερ α νεία ς ούκ άσφ αλές α ύτο ΐς έφ α ίνετο Α θ η ν α ίω ν έχόντω ν Μ έ γα ρ α κ α ί Π η γά ς π ο ρ εύ εσ θ α ι. δύσ οδό ς τε γά ρ ή Γ ε ρ ά ν ειά κ α ί έφ ρο υρεΐτο α ίεί ΰ π ό Α θ η ν α ίω ν , κα ί τότε ή σ θά νοντο α υτούς μέλλοντας κ α ί ταύτη κωλύ4 σειν. έδ οξε δ’ αύτοΐς έν Β οιω τοΐς περιμείνασι σκέψ α σ θ α ι δτω τρόπ ω ασφ αλέστατα δια π ο ρεύσο ντα ι. τό δέ τι κ α ί ά νδρ ες τω ν Α θ η ν α ίω ν έπ ή γο ν α υ το ύ ς κρύφ α, έλ π ίσ α ντες δήμ ον τε κ α τα π α ύ σ ε ιν κ α ί τά 5 μ α κ ρ ά τείχη ο ίκ ο δ ο μ ο ύ μ εν α . έβ ο ή θ η σ α ν δέ επ ’ α υ το ύ ς ο ί Α θ η ν α ίο ι π α ν δ η μ εί κ α ί Ά ρ γ ε ίω ν χίλ ιο ι καί τω ν άλλων ξυμ μά χω ν ώς έκαστοι· ξύμ π α ντες δέ 6 έγένοντο τετρακισχίλιοι κ αί μύριοι. νομίσαντες δέ ά π ορ εΐν δπ η διέλθω σ ιν έπ εστρά τευσ α ν αύτοΐς, κα ί 7 τι κ α ί το ΰ δήμ ου κα τα λ ύσ εω ς ύ π ο ψ ία . ή λ θ ο ν δέ κ α ί Θ εσ σαλω ν ίπ π ή ς τοΐς Ά θ η ν α ίο ις κ α τά τό ξυμ μαχικόν, οΐ μετέστησαν έν τω έργφ π αρά τούς Λ ακει°8 δα ιμ ό νιο υς, γενομ ένη ς δέ μάχης έν Τ α ν ά γ ρ α τής Β ο ιω τία ς ένίκ ω ν Λ α κ ε δ α ιμ ό ν ιο ι κ α ί ο ί ξύ μ μ α χ ο ι, 2 κ α ί φ όνος έγένετο άμφ οτέρω ν πολύς, κ α ί Λ α κ ε δαιμόνιοι μέν ές τήν Μ εγαρίδα έλθόντες καί δενδροτομήσαντες πάλιν ά π ήλθον έπ’ οί'κου διά Γερ ά νεια ς κ α ί Τ σ θ μ ο ϋ · Α θ η ν α ίο ι δέ δ ε υ τέρ ρ κ α ί έξηκοσ τή ή μ έρ ρ μετά τή ν μάχην έσ τρ ά τευσ α ν ές Β ο ιω το ύ ς 3 Μ υρ ω νίδου στρατηγοΰντος, κ α ί μάχη έν Ο ίνοφ ύτοις το ύς Β ο ιω το ύ ς νικήσ α ντες τής τε χώ ρας έκράτη σ α ν τής Β ο ιω τία ς κ α ί Φ ω κ ίδ ο ς κ α ί Τ α ν α γ ρ α ίω ν
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2 mare: verso il Falero e verso il Pireo. I Focesi mar ciarono contro tre località della Doride, metropoli spartana - Boto, Kytino ed Erineo - e conquistaro no una di queste tre località. Gli Spartani, al coman do di Nicomede figlio di Cleombroto (il quale face va le veci di Plistoanatte figlio di Pausania, ancora troppo giovane), accorsero in difesa dei Doriesi con millecinquecento opliti loro e diecimila opliti alleati e, dopo aver costretto i Focesi ad un accordo in for za del quale essi restituivano la città occupata, tor3 narono indietro. Ma gli Ateniesi erano pronti ad impedire loro il passaggio via mare, nel caso volesse ro attraversare il golfo Criseo; e d’altra parte nean che attraversare la Gerania appariva sicuro dal mo mento che gli Ateniesi occupavano Megara e Peghe. Attraversare la Gerania non era facile tanto più che era continuamente presidiata dagli Ateniesi: ed era chiaro che gli Ateniesi erano pronti a bloccare il lo4 ro passaggio anche da quella parte. Decisero di fermarsi in Beozia e di studiare in che modo potes sero aprirsi un passaggio nelle condizioni di maggior sicurezza. Inoltre alcuni Ateniesi richiedevano se gretamente l’intervento spartano, nella speranza di abbattere il regime democratico e le mura in costru5 zione. Gli Ateniesi mettendo in campo tutte le lo ro forze affrontarono gli Spartani: li affiancavano mille Argivi e contingenti vari di ciascun alleato: in 6 tutto quattordicimila uomini. Li attaccarono con vinti che fossero in difficoltà su come venir fuori dalla trappola, ma anche perché sospettavano che fosse in atto una qualche trama contro la democra7 zia. Ai contingenti ateniesi vennero ad affiancarsi anche cavalieri tessali in base al patto di alleanza, ma durante la battaglia passarono dalla parte degli 108 Spartani. Lo scontro ebbe luogo a Tanagra in Beozia: vinsero gli Spartani e gli alleati, e ci fu gran2 de strage da entrambe le parti. Gli Spartani irrup pero nella Megaride, abbatterono alberi e rien trarono in patria attraverso la Gerania e l’Istmo. Sessantadue giorni dopo la battaglia, gli Ateniesi marciarono contro la Beozia al comando di Mironi3 de e, sconfitti i Beoti ad Enofita, s’imposero nel l’intera Beozia e sulla Focide, abbatterono le fortifi-
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τείχος π ερ ιείλ ο ν κ α ί Λ ο κ ρ ώ ν τω ν Ό π ο υ ν τ ίω ν εκα τόν ά νδ ρ α ς ομ ήρους τους π λο υσ ιω τά το υς ελαβον, τά τε τείχη εα υ τώ ν τά μ α κ ρ ά άπετέλε4 σαν. ώ μολόγησαν δέ κ α ί οί Α ίγ ιν ή τ α ι μετά τα ΰτα τοίς Α θ η ν α ίο ις , τείχη τε π ερ ιελ όντες κ α ί ν α ΰ ς παρ α δό ντες φ όρον τε τ α ξ ά μ εν ο ι ές τό ν έπ ειτα χρό5 νον. κ α ί Π ελοπ ό ννησ ον π ερ ιέπ λ ευσ α ν Α θ η ν α ίο ι Τ ο λμ ίδο υ τοΰ Τ ο λ μ α ίο υ σ τρ α τη γο ΰντο ς, κ α ί τό νεώ ριον τώ ν Λ α κ εδα ιμ ο νίω ν ένέπρησαν κα ί Χ α λ κ ί δα Κ ορ ινθ ίω ν πόλιν ειλον καί Σ ικυω νίους έν άποβάσει τής γης μάχη έκράτησαν. 109 s Ο ι δ’ έν τή Α ίγ ύ π τ ω Α θ η ν α ίο ι κ α ί ο ί ξύ μ μ α χ ο ι επ έμ ενον, κ α ί α ύτο ΐς π ολ λαί ίδ έ α ι π ολέμω ν κατέ2 στησαν. τό μέν γά ρ π ρ ώ το ν έκρ ά το υν τής Α ίγ υ π του ο ί Α θ η ν α ίο ι, κ α ί βασιλεύς π έμ π ει ές Α α κ εδ α ίμονα Μ εγ ά β α ζο ν ά ν δ ρ α Π έρσ η ν χρ ή μ α τα έχοντα , όπω ς ές τή ν Α τ τ ικ ή ν έσβαλεΐν π εισ θ έντω ν τώ ν Π ελ ο π ο ννη σ ίω ν ά π ’ Α ίγ ύ π τ ο υ ά π α γ ά γ ο ι Ά θ η ν α ί3 ους. ώς δέ αύτφ ού π ρουχώ ρει κα ί τά χρήματα άλ λως ά νη λ ο ΰτο , ò μέν Μ εγ ά β α ζο ς κ α ί τά λ ο ιπ ά τώ ν χρημάτω ν πάλιν ές τήν Α σ ία ν άνεκομίσθη, Μ εγάβυζο ν δέ τό ν Ζ ω π ύ ρ ο υ π έμ π ει ά ν δ ρ α Π έρ σ η ν μετά 4 στρατιάς πολλής· δς άφικόμενος κατά γή ν τούς τε Α ιγυ π τίο υ ς καί τούς ξυμ μά χο υς μάχη έκράτησε κ αί εκ τής Μ έμ φ ιδος έξή λ α σ ε το ύς Έ λ λ η ν α ς κ α ί τέλος ές Π ρ ο σ ω π ίτ ιδ α τή ν νή σ ον κατέκλησε κ α ί έπολιό ρκει έν α ύτή έν ια υ τό ν κ α ί εξ μήνας, μ έχρ ι ού ξη ρ ά να ς τή ν δ ιώ ρ υ χ α κ α ί π α ρ α τρ έψ α ς άλλη τό ύδω ρ τάς τε να ΰς επ ί τοΰ ξη ρ ο ΰ έποίησε κ α ί τής ν ή σου τά πολλά ή π ειρ ο ν, κ α ί δ ια β ά ς ειλε τή ν νή σ ον no πεζή, οΰτω μέν τά τώ ν Ε λ λ ή ν ω ν π ράγματα έφ θάρη εξ έτη π ολεμήσαντα· κ α ί ολ ίγο ι ά π ό πολλώ ν πορευόμενοι δ ιά τής Λ ιβ ύη ς ές Κ υρ ή νη ν έσώ θησαν, οί 2 δέ πλειστοι άπώλοντο. Α ίγυ π το ς δέ πάλιν υ π ό βα σιλέα έγένετο πλήν Α μ υ ρ τ α ίο υ τοΰ έν τοΐς ελεσι βασιλέω ς· το ύ το ν δέ δ ιά μ έγεθ ο ς τε τοΰ έλους ούκ έδ ύ να ντο έλεΐν, κα ί ά μ α μαχιμώ τατο ί είσι τώ ν Α ίγ υ 3 πτίω ν ο ί έλειοι. Ίν ά ρ ω ς δέ ό Λ ιβ ύ ω ν βασιλεύς, δς tò
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cazioni di Tanagra e presero in ostaggio i cento cit tadini più ricchi della L o crid e O punzia. N e l fra t tempo portarono a com pimento la costruzione delle 4 loro mura. D opo di che anche gli E g in e ti accetta rono di accordarsi con gli A teniesi in questi termini: abbatterono le proprie fo rtificazion i, consegnarono le n avi e si fecero fissare un tributo da pagare da al 5 lora in poi. Q u in di, al com ando di Tolm ide figlio di Tolm eo, una flo tta ateniese circum navigò il P elo ponneso: in tale occasione gli A ten iesi bruciarono l ’ arsenale navale di Sparta, conquistarono C alcide togliendola ai C orinzi, e, durante lo sbarco, sconfis sero in battaglia i Sicioni. G li A teniesi e gli alleati che erano im pegnati in Eιο9 gitto proseguivano la loro campagna e si trovavano 2 ad affrontare svariate form e di com battim enti. In un prim o momento in fatti essi ebbero il controllo del paese, ed il re di Persia in viò a Sparta un suo messo di nome M egabazo, ben fornito di denaro, col proposito di indurre gli Spartani ad invadere l’A ttica 3 distogliendo cosi gli A ten iesi dall’ E g itto . Poiché però la m issione non ebbe successo ed il denaro fu speso in van o, M egabazo con quel che gli restava delle somme che aveva portato con sé fu richiam ato in A sia, ed il re mandò in E g itto M egabizo, figlio di 4 Z o p iro , con un grosso corpo di spedizione. G iu n to in E gitto M egabizo sconfisse in battaglia cam pa le gli E g iz i e i loro alleati; scacciò da M em fi i G re c i e riu scì ad in trappolarli n ell’ isola di P ro so pitid e; li li assediò per un anno e sei m esi, fin ch é non fece prosciugare il canale e deviaten e le acque altrove, fece arenare le navi, rese terraferm a gran parte del l ’isola, si che gli fu facile attraversare quello che era stato il letto del canale e conquistare l ’isola con la C o si il corpo d i spedizione greco, dopo Ι Ι Ο fan teria. aver com battuto per sei anni, fu d istru tto ; pochi si salvarono riparando, attraverso la L ib ia , a C iren e, i 2 più m orirono. L ’E gitto tornò sotto il dom inio del re di P ersia, tranne A m irteo , che regn ava sulle p a ludi (del basso N ilo). A m irteo non riuscì a prender lo, data l ’ am piezza della zona paludosa, e anche perché li gli abitan ti sono estrem am ente com batti1 vi. Inaro, re dei L ib ici, che aveva fom entato tutta
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τά π άντα επραξε π ερ ί της Α ίγυ π το υ , προδοσία ληφ4 θεις ανεσταυρω θη. εκ δε τω ν Α θ η ν ώ ν κα ί της άλ λης ξυ μ μ α χ ίδ ο ς π εν τή κ ο ντα τρ ιή ρ εις δ ιά δ ο χ ο ι πλεουσαι ες Α ίγυ π το ν εσχον κ ατά τό Μ ενδήσιον κέρας, ουκ ειδότες τώ ν γεγονότω ν ο ύ δ έ ν καί α ύ το ϊς έκ τε γης επιπεσοντες π εζο ί καί έκ θαλάσσης Φ οινίκω ν ν α υ τ ικ ό ν δ ιε φ θ ειρ α ν τάς πολλάς τω ν νεώ ν , α ί δ5 5 έλά σ σους δ ιέφ υ γο ν π άλιν, τά μέν κ α τά την μεγαλην σ τρατείαν Α θ η ν α ίω ν κ α ί τώ ν ξυμ μά χω ν ές Α ίγυ π το ν οΰτως έτελεύτησεν. 111 _κ Θ εσσαλίας Ό ρ έ σ τ η ς ό Έ χ ε κ ρ α τ ίδ ο υ υιός τοΰ Θ εσ σαλώ ν βασιλεω ς φ εύγω ν έπ εισ εν Α θ η να ίο υ ς έα υ τό ν κ α τ ά γ ε ιν κ α ί π α ρ α λ α β ό ντες Β ο ιω το ύς κ α ί Φ ω κ έα ς όντα ς ξυ μ μ ά χ ο υ ς ο ί Α θ η ν α ίο ι εσ τρατευσαν της Θ εσσαλίας επ ί Φ άρσαλον. κ α ί τής μέν γης έκ ρ ά το υ ν δ σ α μή π ρ ο ϊό ντες πολύ έκ τώ ν όπλω ν (οί γάρ ίππης τώ ν Θ εσσαλώ ν εΐργον), τη ν δέ πολιν ουχ ειλον, ο υδ’ άλλο π ρ ουχώ ρ ει αύτοϊς ούδέν ω ν ενεκ α έσ τρ ά τευσ α ν, άλλ’ ά π εχώ ρ η σ α ν π ά λ ιν 2 Ό ρ έ σ τ η ν έχοντες ά π ρ α κ το ι, μετά δέ τ ο ύ τ α ού πολλώ ύστερον χίλιοι Α θ η ν α ίω ν έπ ί τάς ναΰς τάς έν Π ηγα ΐς έπ ιβ άντες (εϊχο ν δ’ α ύ το ί τάς Π ηγάς) π α ρ έ π λ ευ σ α ν ες Σ ικ υ ώ να Π ερ ικ λ έο υς τοΰ Ξ α ν θ ίπ π ο υ σ τρ α τη γο ύντο ς, κ α ι α π ο β ά ντες Σ ικ υ ω νίω ν τούς 3 προσμειξαντας μάχη εκρατησαν. καί εύθύς παραλα βοντες Α χ α ιο ύ ς κ α ι δ ια π λ εύσ α ντες π έρ α ν τής Α κ α ρ ν α ν ία ς ές Ο ίνιάδας έστράτευσαν κα ί έπολιόρκουν, ου μέντοι ειλόν γε, άλλ’ άπεχώ ρησαν έπ’ οίκου. uà Υ σ τ ερ ο ν δέ δια λ ιπ όντω ν ετώ ν τριώ ν σ π ο νδ α ί γίγ ν ο ν τα ι ΓΙελο π οννησ ίοις κ α ί ’Α θ η ν α ίο ις π εντέ2 τεις. κ α ί Ε λ λ η ν ικ ο ύ μέν π ολ έμ ο υ εσ χον ο ί Α θ η ναίοι, ες δέ Κ ύ π ρ ο ν εστρατεύοντο να υ σ ί διακοσίαις α υ τώ ν τε κα ι τω ν ξυ μ μ ά χω ν Κ ίμ ω νο ς σ τρ ατηγόύν3 τος. καί εξήκοντα μέν νήες ές Α ίγυ π το ν άπ ’ αύτώ ν έπλευσαν, Α μ υ ρ τα ίο υ μεταπέμποντος τοΰ έν τοΐς ελεσι βασιλεω ς, α ι δε ά λ λα ι Κ ίτ ιο ν έπολιόρ4 κουν. Κ ίμω νος δέ άπ οθα νόντο ς κ α ί λιμού γενομένου ά π εχώ ρη σα ν α π ο Κ ιτίο υ , κ α ί πλεύσαντες ύπέρ Σ α λ α μ ίνα ς τη ς ε ν Κ υ π ρ φ Φ ο ίν ιξ ι κ α ί Κ υ π ρ ίο ις καί
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la rib ellion e egiziana, cattu rato a tradim en to, fu 4 crocifisso . C in q u an ta trirem i p ro ve n ien ti da A tene e dagli altri alleati, in ro tta verso l ’ E g itto per po rtare truppe di ricam bio, approdarono alla foce di M endes, del tutto ignare d i ciò che era accaduto. Piom barono loro addosso da una parte truppe di terra e dal m are una flo tta fen icia e distrussero gran parte delle navi, un gruppo esiguo riuscì a fug5 gire. E cosi fin i la grande spedizione degli Ateniesi e degli alleati in E gitto . ih O reste figlio di Ech ecratida, re dei Tessali, esule, indusse gli A ten ie si a ricondurlo in patria. A llo ra gli A ten iesi - insiem e coi B e o ti e i F o cesi, in quel m omento loro alleati - m arciarono sulla città tessa la di Farsalo. M a del territo rio intorno alla città conquistarono quel tanto che poterono tenendosi assai vicini all’ accampamento (i cavalieri tessali im pedivano loro di andare oltre); quanto alla città non la presero a ffatto , né riu scì loro alcunché di quello che si prefiggevan o intraprendendo la spedizione. P erciò tornarono indietro insiem e con O reste, con 2 un nulla di fatto. N on m olto tempo dopo mille Aten iesi im barcatisi sulle n avi che erano a Peghe (in quel m om ento gli A ten ie si occupavano Peghe) n a vigaron o lungo la costa alla vo lta di Sicion e sotto il com ando di P ericle figlio di Santippo: sbarcati sul la terraferm a sconfissero in battaglia i Sicio n i che 3 erano venu ti ad a ffro n tarli. Su b ito dopo, presi con sé alleati A ch ei, traversaron o il golfo corinzio, sbarcarono sulla costa di fro n te e m arciarono con tro E n iad e in A carnania: la sottoposero ad assedio, però non riuscirono a conquistarla e tornarono in patria. iiz Trascorsi tre anni, fu stipulato un accordo di pace 2 quinquennale tra A ten iesi e Peloponnesiaci. C osi gli A ten iesi si astennero da co n flitti con altri stati greci, ma mossero contro C ipro con duecento navi 3 proprie e degli alleati, al com ando di C im one. D i questa flotta, sessanta n avi salparono verso l ’ E gitto su richiesta di A m irteo, il «re delle palu d i», le altre 4 assediavano K itio . M a, m orto C im one e scoppia ta una carestia, abbandonarono l ’assedio di K itio ; m essisi in m are, all’ altezza d i Salam ina di C ipro eb-
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Κ ίλ ιξ ιν έν α υ μ ά χ η σ α ν κα ί έπ εζο μ ά χ η σ α ν ά μ α , καί νικήσ αντες άμφ ότερα άπ εχώ ρη σαν έπ’ οίκου κα ί α ί έ | Α ίγ υ π τ ο υ νήες π ά λ ιν [αί] έλ θ ο ΰ σ α ι μετ’ αύ5 τω ν. Λ α κ ε δ α ιμ ό ν ιο ι δέ μετά τα ΰ τ α τον ιερ ό ν καλ ο ύμ ενον πόλεμον έσ τρ ά τευσ α ν, κ α ί κ ρα τήσ α ντες τοΰ έν Δελφοΐς ίεροΰ παρέδοσαν Δελφοΐς- κ α ί αύθις ύ σ τερ ο ν Α θ η ν α ίο ι ά π ο χ ω ρ η σ ά ντω ν α υ τώ ν στρατεύσαντες καί κρατήσαντες παρέδοσαν Φ ω κεϋσιν. UJ Κ α ί χρ όνο υ έγγενο μ ένο υ μετά τα ΰ τ α Α θ η ν α ίο ι, Β ο ιω τώ ν τω ν φ ευγό ντω ν έχόντω ν Ό ρ χ ο μ ε ν ό ν κα ί Χ α ιρ ώ ν ε ια ν κ α ί άλλ’ ά ττα χ ω ρ ία τής Β ο ιω τία ς, έσ τρ ά τευσ α ν έα υ τώ ν μέν χιλ ίοις ό π λ ίτα ις, τω ν δέ |υ μ μ ά χ ω ν ώς έκάστοις έπ ί τά χω ρ ία τα ΰτα πολέμια όντα , Τ ολμίδου τοΰ Τ ο λ μ α ίο υ σ τρ α τη γο ΰντο ς. καί Χ α ιρ ώ ν ε ια ν έλόντες κα ί ά νδ ρ α π ο δ ίσ α ντες άπεχώ 2 ρ ο υ ν φ υλακήν κ α τα σ τή σ α ντες. π ο ρ ευ ο μ ένο ις δ’ α ύτοΐς έν Κ ο ρ ω νεία έπ ιτ ίθ ε ν τα ι ο ι τε έκ τής Ό ρ χ ο μενοΰ φ υγάδες Β οιω τώ ν κα ί Α ο κ ρ ο ί μετ’ α υτώ ν καί Ε ύ β ο έω ν φ υγάδες κ α ί όσοι τής αυτής γνώ μης ήσαν, κ α ί μάχη κρ α τή σ α ντες το ύς μέν δ ιέ φ θ ειρ α ν τω ν 3 Α θ η ν α ίω ν , τούς δέ ζώ ντα ς έλαβον. κ α ί την Β ο ιω τ ία ν έξέλ ιπ ο ν Α θ η ν α ίο ι π ά σ α ν, σ π ο νδά ς π οιη σ ά 4 μενο ι έφ’ φ το ύς ά νδ ρ α ς κ ο μ ιο ΰ ντα ι. κ α ί ο ί φεύγο ντες Β ο ιω τώ ν κα τελ θ ό ντες κ α ί ο ί άλλοι π ά ντες αυτόνομ οι πάλιν έγένοντο. ιΐ4 Μ ετά δέ ταΰτα ου πολλώ ύστερον Ε ύ β ο ια άπέστη ά π ό Α θ η ν α ίω ν , κ α ί ές α ύ τή ν δ ια β εβ η κό τος ήδη Π ερ ικ λ έο υς σ τρ α τιά Α θ η ν α ίω ν ή γγέλ θη α ύ τώ ότι Μ έγα ρα άφέστηκε κ α ί Π ελοποννήσιοι μέλλουσιν έσβαλεΐν ές τή ν Α τ τ ικ ή ν κ α ί ο ί φ ρ ο υρ ο ί Α θ η ν α ίω ν δ ιεφ θ α ρ μ ένο ι είσ ίν ύ π ό Μ εγα ρ έω ν, πλήν όσ ο ι ές Ν ίσ α ια ν ά π έ φ υ γ ο ν έ π α γ α γ ό μ εν ο ι δέ Κ ο ρ ιν θ ίο υ ς κα ί Σ ικυω νίους κ α ί Έ π ιδ α υ ρ ίο υ ς άπέστησαν οί Μ εγαρής. ό δέ Π ερικλής πάλιν κατά τάχος έκόμιζε τήν 2 στρατιάν έκ τής Ε ύβ οια ς, κ α ί μετά τοΰτο ο ί Πελοπ οννή σ ιο ι τής Α τ τ ικ ή ς ές Ε λ ε υ σ ίν α κ α ί Θ ρ ιώ ζε έσβαλόντες έδ ή ω σ α ν Π λ εισ το ά να κτο ς τοΰ Π α υ σ α ν ίο υ βασιλέω ς Λ α κ ε δ α ιμ ο ν ίω ν η γ ο υ μ ένο υ , κ α ί τό π λέον ο ύ κ έτι π ρ ο ελ θ ό ντες ά π εχώ ρ η σ α ν έπ ’ οΐ3 κου. κ α ί Α θ η ν α ίο ι π ά λ ιν ές Ε ύ β ο ια ν δια β ά ντες Π ερικλέους στρατηγοΰντος κατεστρέψ αντο π άσαν,
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bero uno scontro per terra e per mare con Fenici, Ciprioti e Cilici: vinsero in entrambi gli scontri e tor narono in patria insieme con le navi nel frattempo 5 rientrate dall’Egitto. Successivamente gli Sparta ni combatterono la cosiddetta guerra sacra, ed impa dronitisi del tempio di Delfi lo restituirono agli abi tanti di Delfi. Dopo di che, partiti gli Spartani, gli Ateniesi lo riconquistarono e lo riconsegnarono ai Focesi. 113 Dopo un po’ di tempo gli Ateniesi - in seguito al l’occupazione da parte di esuli Beoti di Orcomeno, Cheronea ed altre località della Beozia - marciarono contro tali piazzeforti, a loro ostili, sotto la guida di Tolmide figlio di Tolmeo, con mille opliti e reparti alleati di varia entità. Conquistarono Cheronea e l’asservirono, quindi rientrarono dopo avervi lascia2 to una guarnigione. Durante la marcia però - a Coronea - furono attaccati dagli esuli Beoti e dai Locresi, aiutati da esuli dell’Eubea e da quanti altri erano politicamente della loro parte: gli assalitori vinsero e degli Ateniesi parte li uccisero, parte li 3 presero vivi. G li Ateniesi sgomberarono comple tamente la Beozia e sottoscrissero un accordo al fine 4 di recuperare i prigionieri. Cosi gli esuli Beoti - rientrati nelle loro città - e tutti gli altri riacqui starono l’indipendenza. 114 Dopo poco l’Eubea defezionò da Atene: Pericle era appena sbarcato in Eubea alla testa di un corpo di spedizione, quando si sparse la notizia che anche Megara aveva defezionato e i Peloponnesiaci si ac cingevano ad invadere l’Attica, che il presidio ate niese era stato sterminato dai Megaresi fatta ecce zione per quelli che erano riusciti a scampare a Nisea: i Megaresi avevano defezionato chiedendo l’intervento di Corinto, Sicione ed Epidauro. Immediatamente Pericle riportò le truppe dall’Eu2 bea in Attica. Nel frattempo i Peloponnesiaci in vadevano l’Attica spingendosi sino ad Eieusi e Tria, abbandonandosi a devastazioni sotto il co mando del re Plistoanatte figlio di Pausania. Però non si spinsero oltre ed anzi rientrarono in pa3 tria. G li Ateniesi, sempre al comando di Pericle, poterono ritornare in Eubea e la sottomisero com-
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καί τήν μέν άλλην ομολογία κατεστήσαντο, Έστιαιας δέ έ'ξοι,κισανχες αυτοί τήν γήν έσχον. άναχωρήσαντες δέ άπ’ Εύβοιας ού πολλφ ύστερον σπονδάς έποιήσαντο προς Λακεδαιμονίους καί τούς ξυμμάχους τριακοντούτεις, άποδόντες Νίσαιαν καί Πηγάς καί Τροιζήνα καί Ά χαΐαν· ταΰτα γάρ εϊχον Αθηναίοι Πελοποννησίων.
Έ κ τ ω δέ έτει Σαμίοις κ α ί Μ ιλησίοις πόλεμος έγένετο περί Πριήνης, κ α ί οί Μ ιλήσιοι έλασσούμενοι τφ πολέμιρ π α ρ ’ Α θ η ν α ίο υ ς έλ θόντες κ α τεβ ό ω ν τω ν Σ αμίω ν. ξυνεπ ελ άβο ντο δέ κ α ί έξ αύτής τής Σ άμου ά νδρ ες ίδ ιώ τα ι νεω τερ ίσ α ι β ο υλ ό μ ενο ι τή ν πολι3 τείαν. π λεύσ αντες ούν Α θ η ν α ίο ι ές Σ ά μ ο ν να υ σ ί τεσ σ α ρ ά κοντα δημ οκρ α τία ν κατέστησ αν, κ α ί ομή ρους έλαβον τω ν Σ αμίω ν πεντήκοντα μέν π α ιδα ς, ί σους δέ ά νδρ α ς, κ α ί κ α τέθ εντο ές Λ ή μ ν ο ν , κα ί 4 φ ρ ο υ ρ ά ν έγπ α τα λ ιπ ό ντες ά νεχώ ρ η σ α ν. τω ν δέ Σ α μ ίω ν ήσ α ν γά ρ τινες ο ϊ ο ύχ ύ π έμ εινα ν, άλλ’ έφυγο ν ές τή ν ήπειρον, ξυ νθ έμ ενο ι τω ν έν τή π όλει τοΐς δ υ ν α τω τά το ις κ α ί Π ισ σ ο ύ θ νη τφ Ύ σ τ ά σ π ο υ ξυμ μ α χία ν, δς εΐχε Σ ά ρ δεις τότε, επ ικ ο ύ ρ ο υ ς τε ξυλλέξαντες ές έπτακοσίους διέβησαν υπ ό νύκ τα ές τήν 5 Σάμον, καί πρώ τον μεν τφ δ ή μ φ επανέστησαν καί έκ ρ ά τη σ α ν τώ ν πλείστω ν, έπ ειτα το ύς ομ ήρ ους έκκλέψαντες έκ Λ ήμ νου τούς α υτώ ν άπέστησαν, καί τούς φ ρουρούς τούς Α θ η ν α ίω ν κ α ί τούς άρ χοντα ς ο ϊ η σ α ν π α ρ ά σφ ίσιν έξέδ ο σ α ν Π ισ σ ο ύ θ ν η , επ ί τε Μ ίλητον ευ θύ ς π α ρ εσ κ ευά ζο ντο στρατεύειν. ξυνα πέστησαν δ’ αύτοις καί Β υζάντιοι. ιι6 Α θ η ν α ίο ι δέ ώς ή σ θοντο, πλεύσαντες να υ σ ίν έξή κ ο ντα επ ί Σ άμου ταίς μέν έκ κ α ίδεκ α τώ ν νεώ ν ούκ έχρήσαντο (ετυχον γάρ α ί μέν επί Κ αρ ίας ές προσκοπ ήν τώ ν Φ οινισ σ ώ ν νεώ ν οίχόμεναι, α ί δέ έπ ί Χ ίο υ κ α ί Λ έσ β ου π ερ ια γγέλ λ ο υσ α ι β ο η θεΐν), τεσ σ α ρ ά κ ο ντα δέ ν α υ σ ί κ α ί τέσ σ α ρ σ ι Π ερ ικ λ εο ύ ς δεκ ά του αυτο ύ σ τρ ατηγοϋντος ένα υμ ά χη σ α ν προς Τ ρ α γ ία τή νήσ ψ Σ α μ ίω ν ν α υ σ ίν έβ δο μ ή κ ο ντα , ων ησαν α ί είκοσι στρατιώτιδες (ετυχον δέ α ί π ά σ α ι άπό
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pletam ente: per il resto conclusero un accordo, solo nel caso d i E stiea spopolarono e abitarono loro stes il i si la città. R ie n tra ti d all’E u b ea, dopo non m olto, stipularono con gli Spartani e gli alleati la pace tren tennale, in base alla quale restituirono N isea, Peghe, T rezene e l ’A ch aia. Q ueste in fatti erano le zo ne del Peloponneso occupate dagli A teniesi. 2 Sei anni piu tardi scoppiò un conflitto tra Sam o e M ileto a proposito di Priene, e i M ilesi, avendo la peggio in com battim ento, mandarono am basciatori presso gli A ten iesi lam entandosi dei Sam i. Collaboravano anche alcuni esponenti della stessa Sa mo, con il proposito di sovvertire l ’ordinamento po3 litico. Prontam ente gli A ten iesi salparono verso Sam o con quaranta navi e v i instaurarono un regime dem ocratico; inoltre presero in ostaggio, dei Sam i, cinquanta fan ciulli e cinquanta uom ini, li deposita rono a Lem no; quindi, lasciato a Sam o un presidio, 4 ritornarono ad A tene. M a alcuni Sam i non aveva no voluto restare (in tali condizioni) n ell’ isola ed avevano trovato rifugio sulla terraferm a. O rbene co storo, d ’ intesa coi concittadini più p otenti e stretto un patto con P issutne figlio di Istaspe (allora signo re di Sardi), raccolti circa settecento m ercenari 3 sbarcarono nottetem po a Sam o. In prim o luogo insorsero contro i dem ocratici e li m isero quasi del tutto fuo ri com battim ento; quindi si ripresero da Lem no i propri ostaggi e consegnarono nelle mani di Pissutn e la guarnigione ateniese com presi i com an danti che erano a Sam o; dopo di che si prepararono a m arciare contro M ileto. D ’intesa con loro aveva defezionato anche Bisanzio, ii6 N on appena ne furono a conoscenza, gli A ten iesi si m isero in m are alla vo lta di Sam o con sessanta navi. M a di queste, sedici non le adoperarono (alcu ne erano state in viate in C aria a sorvegliare le n avi fen icie, altre a C h io ed a Lesbo per richiedere aiu ti), con le altre quarantaquattro - al comando di P e ricle e degli altri nove strateghi - affro n taro n o presso T ragh ia (un’ isola in possesso d ei Sam i) set tanta n avi sam ie, ven ti delle quali erano addette al trasporto degli uom ini (la flo tta sam ia in fa tti rien trava in quel momento in massa da M ileto): vinsero
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2 Μιλήτου πλέουσαι), καί ένίκων Α θηναίοι, ύστε ρον δέ αύτοΐς έβοήθησαν έκ των Α θηνώ ν νήες τεσσαράκοντα καί Χίων καί Λεσβίων πέντε καί είκοσι, καί άποβάντες καί κρατούντες τω πεζφ έπολιόρκουν τρισί τείχεσι την πόλιν καί έκ θαλάσσης 3 άμα. Περικλής δέ λαβών εξήκοντα ναΰς άπό των έφορμουσών ωχετο κατά τάχος έπί Καύνου καί Καρίας, έσαγγελθέντων δτι Φοίνισσαι νήες έπ’ αυτούς πλέουσιν ωχετο γάρ καί έκ τής Σάμου πέντε ττ7 ναυσί Στησαγόρας καί άλλοι έπί τάς Φοινίσσας. έν τούτω δέ οί Σάμιοι έξαπιναίως έκπλουν ποιησάμενοι άφάρκτφ τω στρατοπέδω έπιπεσόντες τάς τε προφυλακίδας ναΰς διέφθειραν καί ναυμαχοΰντες τάς άνταναγομένας ένίκησαν, καί τής θαλάσσης τής καθ’ εαυτούς έκράτησαν ημέρας περί τέσσαρας καί δέκα, καί έσεκομίσαντο καί έξεκομίσαντο ά 2 έβούλοντο. έλθόντος δέ Περικλεούς πάλιν ταϊς ναυσί κατεκλήσθησαν. καί έκ των Αθηνών ύστερον προσεβοήθησαν τεσσαράκοντα μέν αί μετά 0ουκυδίδου καί'Άγνω νος καί Φορμίωνος νήες, είκοσι δέ αί μετά Τληπολέμου καί Άντικλέους, έκ δέ Χίου 3 καί Λέσβου τριάκοντα, καί ναυμαχίαν μέν τινα βραχεΐαν έποιήσαντο οί Σάμιοι, αδύνατοι δέ δντες άντίσχειν έξεπολιορκήθησαν ένάτιρ μηνί καί προσεχώρησαν ομολογία, τείχος τε καθελόντες καί ομή ρους δόντες καί ναΰς παραδόντες καί χρήματα τά άναλωθέντα ταξάμενοι κατά χρόνους άποδοΰναι. ξυνέβησαν δέ καί Βυζάντιοι ώσπερ καί πρότερον υπήκοοι είναι. 118 Μετά ταΰτα δέ ήδη γίγνεται ού πολλοΐς έτεσιν ύστερον τά προειρημένα, τά τε Κερκυραϊκά καί τά Ποτειδεατικά καί δσα πρόφασις τοΰδε τοΰ πολέμου 2 κατέστη, ταΰτα δέ ξύμπαντα δσα έπραξαν οί “Ελ ληνες πρός τε άλλήλους καί τον βάρβαρον έγένετο έν ετεσι πεντήκοντα μάλιστα μεταξύ τής τε Ξέρξου άναχωρήσεως καί τής άρχής τοΰδε τοΰ πολέμου· έν οις οί Α θηναίοι τήν τε άρχήν έγκρατεστέραν κατεστήσαντο καί αύτοί έπί μέγα έχώρησαν δυνάμεως, οί δέ Λακεδαιμόνιοι αίσθόμενοι ούτε έκώλυον ει μή έπί βραχύ, ήσύχαζόν τε το πλέον τοΰ χρόνου, δντες
2 gli A ten iesi.
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D opo la v itto ria sopraggiunsero in aiuto da A ten e quaranta n avi e inoltre venticinque di C h io e di Lesbo: gli equipaggi sbarcarono, vin se ro uno scontro sulla terraferm a ed intrapresero l ’ as sedio della città cingendola di tre fo rtificazio n i e 3 bloccandola anche dal mare. Pericle scelse sessan ta n avi tra quelle che erano orm eggiate a Sam o e si recò in fretta a Cauno in C aria, alla notizia che navi fenicie stavano muovendo contro di loro: in fatti an che il samio Stesagora ed altri, con cinque navi, era117 no salpati per raggiungere le n avi fen icie. A que sto punto i Sam i, a sorpresa, fecero una sortita con tro l ’ accampamento della flo tta ateniese che non era recintato; inoltre distrussero le navi di sorveglianza e sconfissero in uno scontro navale quelle che so praggiungevano. C o si per q uattordici giorni i Sam i detennero il controllo del tratto di m are antistante la città, e ripristinarono un regolare traffico da e per 2 la città. Il ritorno di Pericle determ inò il ripristino del blocco navale. D a A ten e giunsero nuovi rin fo rzi: quaranta n avi al com ando di T u cidid e, Agnone e Form ione, venti al comando di Tlepolem o e 3 A n ticle, da C h io e Lesbo ne vennero trenta. I Sa mi sostennero per poco uno scontro navale, ma non essendo in grado di resistere, dopo nove mesi di as sedio si arresero e accettarono le seguenti condizio ni: l ’ abbattim ento delle mura, la consegna di ostag gi e delle navi nonché il rim borso in successivi paga m enti delle spese di guerra, dopo aver accettato la stim a che ne era stata fatta . A n ch e B isan zio capi tolò ed accettò di ritornare nella precedente condi zione di sudditanza. 118 N o n m olti anni dopo questi avvenim enti ci fu ro no i fa tti che ho narrato prim a: quelli di C o rcira e di P o tid ea, e gli altri even ti che furono pretesto di 2 questa guerra. T u tti q u esti even ti, riguard an ti i rappo rti tra gli stati greci e tra i G re c i e il b arbaro, si svolsero in circa cin quan t’ anni tra la fuga di Ser se e l ’inizio di questa guerra. D uran te tu tto questo periodo gli A ten iesi raffo rzaro n o l ’im pero ed ac crebbero la loro forza. G li Spartan i si accorgevano di questo processo ma non si davano da fare per bloccarlo se non in m isura m odesta: per lo più rima-
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μέν καί προ τού μή ταχείς ίέναι ές τούς πολέμους, ήν μή άναγκάζωνται, τό δέ τι καί πολέμοις οικείους εξειργόμενοι, πριν δή ή δύναμις των Αθηναίων σα φώς ήρετο καί τής ξυμμαχίας αυτών ήπτοντο. τότε δέ ούκέτι άνασχετόν έποιοϋντο, άλλ’ έπιχειρητέα έδόκει είναι πάση προθυμία καί καθαιρετέα ή ισχύς, 3 ήν δύνωνται, άραμένοις τόνδε τον πόλεμον, αύτοΐς μέν ούν τοΐς Λακεδαιμονίοις διέγνωστο λελύσθαι τε τάς σπονδάς καί τούς Α θηναίους άδικεΐν, πέμψαντες δέ ές Δελφούς έπηρώτων τον θεόν εί πολεμοΰσιν αμεινον έ'σται· ό δέ άνεΐλεν αύτοΐς, ώς λέ γεται, κατά κράτος πολεμοϋσι νίκην έσεσθαι, καί αυτός έφη ξυλλήψεσθαι καί παρακαλούμενος καί H9 άκλητος. αύθις δέ τούς ξυμμάχους παρακαλέσαντες ψήφον έβούλοντο έπαγαγεΐν εί χρή πολεμεΐν. καί έλθόντων τών πρέσβεων από τής ξυμμαχίας καί ξυνόδου γενομένης οϊ τε άλλοι εΐπον ά έβούλοντο, κατήγορουντες οϊ πλείους τών Α θηναίω ν καί τόν πόλεμον άξιοϋντες γίγνεσθαι, καί οί Κορίνθιοι δεηθέντες μέν καί κατά πόλεις πρότερον έκαστων ίδίρ ώστε ψηφίσασθαι τόν πόλεμον, δεδιότες περί τή Ποτειδαία μή προδιαφθαρη, παρόντες δέ καί τότε καί τελευταίοι έπελθόντες έλεγον τοιάδε. ιζ ο «Τούς μέν Λακεδαιμονίους, ω άνδρες ξΰμμαχοι, ούκ άν ετι αίτιασαίμεθα ώς ού καί αυτοί έψηφισμένοι τόν πόλεμόν είσι καί ημάς ές τούτο νΰν ξυνήγαγον. χρή γάρ τούς ηγεμόνας τα ίδια έξ ίσου νέμοντας τά κοινά προσκοπεΐν, ώσπερ καί έν άλλοις έκ 2 πάντων προτιμώνται. ημών δέ δσοι μέν Άθηναίοις ήδη ένηλλάγησαν ούχί διδαχής δέονται ώστε φυλάξασθαι αυτούς· τούς δέ τήν μεσόγειαν μάλλον
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nevano inerti, sia per la loro inclinazione, già prima manifestatasi, a non imbarcarsi rapidamente in un conflitto se non costretti, sia perché impegnati in conflitti locali, almeno finché la potenza militare ateniese non s’accrebbe palesemente e cominciò ad intaccare addirittura il loro sistema di alleanze. Solo allora ritennero la cosa intollerabile, e decisero che si dovesse passare all’ azione con tutto l’impegno, e, se possibile, abbattere quella potenza militare sob3 barcandosi a questa guerra. G li Spartani dunque stabilirono che la pace trentennale era stata violata e che gli Ateniesi si erano posti dalla parte del torto; inviarono perciò una delegazione al santuario delfi co e chiesero al dio se intraprendere la guerra fosse per loro la migliore decisione. Il dio rispose, a quel che si dice, che, se avessero combattuto con impe gno, avrebbero vinto, e soggiunse che li avrebbe as«9 sistiti sia invocato sia non invocato. Convocati nuovamente gli alleati vollero mettere ai voti l’op portunità o meno della guerra. Vennero ambasciatori da tutte le città alleate e si raccolsero in assem blea; i vari delegati si espressero a loro piacimento, i piu accusavano gli Ateniesi e approvavano la guerra. Quanto ai Corinzi, essi avevano già prima della riu nione pregato ogni città singolarmente di votare in favore della guerra (temevano infatti che Potidea cadesse prima che il conflitto si mettesse in moto): erano presenti, ovviamente, anche alla assemblea generale e, saliti alla tribuna per ultimi, dissero all’incirca quanto segue: iìo « Alleati ! Ormai non ha piu senso rimproverare agli Spartani di non essersi già espressi, in prima per sona, in favore della guerra e di averci invece ricon vocati qui per prendere tale decisione. Giacché agli Stati-guida tocca, quando si tratta di questioni particolari, di amministrarle senza prevaricare nes suno, sullo stesso piano degli altri: ma quando si tratta delle questioni di interesse generale essi deb bono darsene cura per primi, cosi come, su altri pia ni, essi sono i primi a ricevere l’omaggio di tutti gli 2 altri. Quanto a noi, coloro che già hanno fatto esperienza degli Ateniesi non hanno bisogno né di spiegazioni né di messe in guardia. Quanto a coloro
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κ α ί μή έν πόρω κα τω κημ ένους είδ ένα ι χρή δτι, τοΐς κάτοψήν μή ά μ ύνω σ ι, χα λ επ ω τέρ α ν εξ ο υ σ ι τή ν κατα κ ο μ ιδ ή ν τω ν ώ ρ α ίω ν κ α ί π ά λ ιν ά ντίλ η ψ ιν ω ν ή θ ά λα σ σ α τή ήπ είρω δίδω σι, κ α ί τω ν ν ϋ ν λεγομένω ν μή κ α κ ο ύς κριτάς ώς μή π ρ ο σ η κ ό ντω ν είνα ι, προσ δ έχ εσ θ α ι δέ π οτέ, εί τά κάτω π ρ όοιντο, κ α ν μέχρι σφώ ν τό δεινό ν π ρ οελ θεΐν, κ α ί π ερ ί α υτώ ν ο ύχ ήσ3 σον ν ΰ ν β ο υλ εύεσ θ α ι. δι’ δπ ερ κ α ί μή οκ νεΐν δει α υ το ύ ς το ν π όλ εμο ν άντ’ ειρ ή νη ς μ εταλ αμβάνειν. ά ν δ ρ ώ ν γά ρ σω φ ρό νω ν μέν έσ τιν, εί μή ά δ ικ ο ΐντο , ήσ υχά ζειν, α γα θ ώ ν δέ ά δικουμένους εκ μέν ειρήνης π ολεμεΐν, ευ δέ π α ρ α σ χ ό ν έκ πολέμου π ά λ ιν ξυμβή ναι, κ α ί μήτε τή κ α τά π όλ εμο ν ευ τυ χ ία έπ α ίρεσ θ α ι μήτε τώ ήσύχω τής ειρ ή νη ς ή δό μ ενο ν άδικεΐ4 σ θ α ι. δ τε γά ρ δ ιά τή ν ή δ ο νή ν ό κ νώ ν τά χ ισ τ’ άν άφ αιρεθείη τής ραστώνης τό τερπ νόν δι5δπερ όκνεϊ, εί ήσ υχάζοι, δ τε έν πολέμιο εύ τυχίρ π λεονά ζω ν ούκ 5 έν τ ε θ ύ μ η τ α ιθ ρ ά σ ε ι άπιστα» έπ α ιρ όμ ενο ς. πολλά γά ρ κακώ ς γνω σ θ έντα ά β ο υλοτέρω ν τω ν ένα ντίω ν τυχόντα κ ατω ρθώ θη, καί έτι πλείω καλώς δοκοΰντα βουλευθήναι ές τουναντίον αίσχρώς περιέστη- ένθυμεϊται γάρ ούδείς όμοια τή πίστει καί έργιρ έπε'ξέρχεται, άλλά μετ’ ασφαλείας μέν δο ξά ζο μ εν, μετά δέους δέ έν τώ έργω έλλείπομεν. ιζ ι Η μ ε ίς δέ ν ϋ ν κ α ί α δ ικ ο ύ μ εν ο ι τό ν πόλεμον έγείρομεν κ α ί ικ α ν ά έχοντες εγκλή μ α τα , κ α ί δτα ν ά μ υ ν ώ μ εθ α Α θ η ν α ίο υ ς , κ α τα θ η σ ό μ εθ α α υ τό ν έν 2 κα ιρ ώ . κ α τά πολλά δέ ήμάς είκός έπ ικ ρ α τή σ α ι, π ρ ώ τον μέν π λ ή θει π ρ ο ύχο ντα ς κα ί έμ π ειρ ίρ π ολ ε μική, έπ ειτα ομοίω ς π άντα ς ές τά π αρα γγελλ όμ ενα 3 ίόντας, να υ τ ικ ό ν τε, ω ίσ χ ύ ο υ σ ιν, άπ ό τής ύ π α ρ -
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che abitano nelle zone interne e non lungo le rotte com merciali debbono sapere che, se non si impegna no a difesa degli abitanti dei paesi costieri, l ’ espor tazione dei loro prodotti stagionali e l ’ importazione di ciò che via mare arriva alla terraferm a sarà più difficoltosa; non siano pessim i giudici d i ciò che ora stiam o dicendo nell’illusione che tali discorsi non li riguardano: se si disinteresseranno di coloro che so no più esposti, debbono aspettarsi che, prim a o poi, il pericolo raggiunga anche loro: la decisione odier3 na li riguarda direttam ente. E cco perché non deb bono esitare a scegliere la guerra in luogo della pa ce. Sono saggi coloro che, se non sono oggetto di provocazione, rispettano la pace, ma sono coraggio si se, provocati, sanno passare dalla pace alla guerra e, alla buona occasione, accettare una com posizio ne pacifica rinunciando alla guerra: evitan do di m ontarsi la testa se la guerra procede favo re vo l m ente, ma evitan d o anche di subire sopraffazio n i cullandosi nella tran quillità che è propria dello sta4 to d i pace. G iacch é colui il quale esita a reagire cullandosi nella sua comoda situazione, se non vorrà rinunciare alla pace, ben presto sarà privato anche della condizione piacevole in ragione della quale esi ta; d ’ altra parte chi, spinto dal successo in guerra, non si im pone una m isura, non si accorge di abban5 donarsi ad una audacia rischiosa. Spesso è accadu to che piani scadenti avessero successo perché gli avversari erano incapaci; ancora piu spesso è acca duto il contrario: che piani all’ apparenza p erfetti siano miseramente falliti. Previsione e realizzazione non sono mai pari a ll’ auspicio: per lo più escogitia mo con sicurezza, ma risultiam o in su fficien ti, per paura, alla prova dei fatti. izi Q uanto a noi, nella situazione presente, non solo facciamo ricorso alla guerra perché provocati e aven do più che su fficien ti m otivi di recrim inazione, ma siamo pronti ad interrom perla al momento opportu no quando avrem o dato una lezione agli Atenie2 si. Per m olte ragioni è presum ibile che la vitto ria tocchi a noi: innanzi tutto perché siamo più forti per numero e per esperienza bellica, inoltre per la nostra 3 rigorosa disciplina. Q uanto alla flo tta - nella qua-
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χούσης τε εκάστοις ουσίας έξαρτυσόμεθα καί από των εν Αελφοις καί Ολυμπία χρημάτων· δάνεισμα γαρ ποιησάμενοι ύπολαβεΐν οιοί τ’ έσμέν μισθφ μείζονι τούς ξένους αύτών ναυβάτας. ώνητή γάρ ή "Αθηναίων δύναμις μάλλον ή οικεία- ή δέ ήμετέρα ησσον άν τούτο πόθοι, τοϊς σώμασι τό πλέον ίσχύουσα η τοϊς χρήμασιν. ^ μια τε νίκη ναυμαχίας κατά τό εικός αλίσκονται· ει δ' άντίσχοιεν, μελετήσομεν καί ημείς έν πλέονι χρόνιρ τά ναυτικά, καί δταν τήν επι στήμην ές το ίσον καταστήσωμεν, τή γε ευψυχία δήπου περιεσόμεθα. δ γάρ ήμείς έχομεν φύσει αγαθόν, εκείνοις ούκ άν γένοιτο διδαχή· δ δ’ εκείνοι επιστήμη προύχουσι, καθαιρετόν ήμΐν έστί μελέτη, χρήματα ^ έχειν ες αυτα, οισομεν ή δεινόν άν ειη εί οί μέν εκείνων ξύμμαχοι επί δουλεία τή αυτών ςρέροντες ούκ απεροΰσιν, ημείς δ’ έπί τω τιμωρούμενοι τούς εχθρούς καί αυτοί άμα σφζεσθαι ούκ άρα δαπανήσομεν καί έπί τω μή ύπ’ εκείνων αυτά άφαιρε12.2. θέντες αύτοΐς τούτοις κακώς πάσχειν. ύπάρχουσι δέ καί άλλαι οδοί τού πολέμου ήμΐν, ξυμμάχων τε άπόστασις, μάλιστα παραίρεσις ούσα τών προ σόδων αις ίσχύουσι, καί έπιτειχισμός τή χώρα, άλλα τε δσα ούκ άν τις νϋν προΐδοι. ήκιστα γάρ πόλεμος επί ρητοΐς χωρεΐ, αυτός δέ άφ’ αύτοϋ τά πολλά τεχνάται προς τό παρατυγχάνον έν ψ ό μέν εύοργήτως αύτω προσομιλήσας βεβαιότερος, ό δ’ οργι στείς περί αυτόν ούκ έλάσσω πταίει. 2 Ενθυμώμεθα δε καί δτι εί μέν ημών ήσαν έκάστοις πρός αντιπάλους περί γης δρων αί διαφοραί, οιστόν άν η ν νΰν δέ προς ξύμπαντάς τε ημάς Α θηναίοι ικανοί και κατα πολιν ετι δυνατώτεροι,
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le prevalgono - cercheremo di metterne in piedi una sulla base dei mezzi di cui ciascuno dispone facendo inoltre ricorso ai tesori di Delfi e di Olimpia. Fa cendo ricorso a prestiti, saremo in grado di attrarre le loro ciurme mercenarie con un salario superiore. Giacché la forza militare degli Ateniesi si compra, non nasce dal loro intimo: non cosi la nostra, dal momento che non si fonda sul denaro ma sugli uo4 mini. Basterà probabilmente una sola sconfitta nel mare per fiaccarli; se invece resisteranno, anche noi, disponendo di piu tempo, ci impadroniremo della tecnica navale: e quando le conoscenze saran no alla pari, il nostro maggior coraggio ci garantirà la vittoria. Ciò che infatti noi abbiamo per natura loro non possono procurarselo con l’apprendimen to, invece ciò in cui loro eccellono per maggiori co noscenze, quello si che possiamo acquisirlo con l’e5 sercizio. Pagheremo contributi onde disporre di fondi a tal fine. Guai se, mentre gli alleati loro non si rifiuteranno di pagare tributi che in realtà rinsal dano le loro catene, noi non vorremo dare quanto è necessario a garantire la nostra salvezza difenden doci dal nemico nonché ad evitare che tale perdita ci sia inflitta da loro quando ci abbiano privati appun t i to di queste ricchezze. Naturalmente ci si aprono altre vie per condurre la guerra: la diserzione dei lo ro alleati - che è il modo più efficace per privarli delle entrate su cui si basa la loro forza - , la costru zione di fortificazioni ai loro confini, ed altro anco ra che non si può neanche prevedere. Giacché di ra do una guerra procede su cammini prestabiliti: al contrario le risorse cui ricorre le escogita via via, di fronte alla concreta situazione che si determina. Ragion per cui chi l’affronta controllando le emo zioni è più al sicuro, mentre chi l’affronta in modo impulsivo per lo più fallisce. 2 Considerate ancora questo. Se le controversie in atto opponessero ciascuno di noi individualmente a nemici di pari forza, e riguardassero semplici que stioni di frontiera, la cosa sarebbe sopportabile. Ma ora la situazione è tutt’altra: gli Ateniesi non solo hanno forza pari a noi tutti messi insieme ma ancor più prevalgono contro ciascuno di noi. Se perciò
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ώ στε εί μή κ α ί ά θ ρ ό ο ι κ α ί κ α τά έθ νη κ α ί έκα σ το ν άστυ μια γνώ μη ά μ υνο ύμ εθ α αυτο ύς, δίχα γε όντας ημάς άπ όνω ς χειρ ώ σ ο ντα ι. κ α ί τη ν ήσ σ α ν, εΐ κ α ί δεινόν τω άκοΰσαι, ιστω ούκ άλλο τι φ έρουσαν ή άν3 τικ ρ υς δ ο υ λ ε ία ν δ κα ί λόγω έν δ ο ια σ θ ή ν α ι α ι σχρόν τη Π ελ ο π ο ννή σ φ κ α ί π όλεις το σ ά σ δ ε ύπ ό μιας κ α κ ο π α θ εΐν. έν φ ή δ ικ α ίω ς δ ο κο ΐμ εν α ν πάσχειν ή διά δειλίαν ά νέχεσ θ α ι κ α ί τω ν π α τέρω ν χείρους φ αίνεσθαι, οι τήν Ε λ λ ά δ α ήλευθέρω σαν, ήμεϊς δέ ο ύ δ ’ ήμΐν α ύτο ΐς β εβ α ιο ΰ μ εν α υτό , τύ ρ α ν ν ο ν δέ έώ μεν έ γ κ α θ εσ τ ά ν α ι π όλιν, το ύς δ= έν μιςί μονάρ4 χους ά ξιο ϋμ εν καταλύειν. κα ί ούκ ϊσμεν δπω ς τ ά δε τριώ ν τω ν μεγίστω ν ξυμφ ορώ ν άπήλλακται, άξυνεσίας ή μαλακίας ή άμελείας. ού γάρ δή πεφευγότες α ύτά έπ ί τήν πλείστους δή βλάψ ασαν καταφ ρόνησιν κεχωρήκατε, ή εκ τοϋ πολλούς σφάλλειν τό έναντίον 12-3 δνομα αφ ροσύνη μετω νόμασται. τά μέν ούν προγεγενη μ ένα τί δ ε ι μ α κ ρ ό τερ ο ν ή ές δσ ο ν τοΐς νυν ζυ μ φ έρ ει α ίτιά σ θ α ι; π ερ ί δέ τω ν έπ είτα μελλόντω ν τοΐς π α ρ οϋσ ι βοηθοΰντας χρή έπ ιταλαιπ ω ρεϊν (π ά τρ ιον γά ρ ύμΐν έκ τω ν π όνω ν τάς άρετάς κτά σ θ α ι), κ α ί μή μεταβάλλειν τό έθ ο ς, ε ΐ ά ρ α π λ ο ν τ φ τε νΰν κ α ί έζο υ σ ία ολίγον προφ έρετε (ού γάρ δίκ α ιον ά τή άπ ορία έκτήθη τή π εριουσία άπολέσθαι), άλλά θαρσ ο ΰ ντα ς ίέν α ι κ α τά πολλά ές το ν π όλ εμ ο ν, τοϋ τε θ εο ΰ χρήσαντος κ α ί αύτοΰ ύπ οσ χο μ ένου ξυλλήψ εσ θ α ι κ α ί τής άλλης Ε λ λ ά δ ο ς ά π ά σ η ς ξυ να γω 2 νιουμένης, τά μέν φόβω, τά δέ ώφελίρ. σ π ο νδά ςτε ού λύσετε πρότεροι, άς γε κα ί ό θεός κελεύω ν πολεμεΐν ν ο μ ίζει π α ρ α β εβ ά σ θα ι, ήδικημέναις δέ μάλλον
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non li affronteremo uniti e animati da un unico pro posito, città e popoli, tutti quanti siamo, facilmente avranno la meglio su di noi attaccandoci separatamente. E la sconfitta, anche se non è piacevole sen tirselo dire, ci porterà né piu né meno che la schia3 vitti. Dinanzi a tale prospettiva esitare già solo a parole è turpe per i Peloponnesiaci [e che cosi nume rose città soffrano per colpa di una sola]. Se questo accadesse, sarebbe chiaro che giustamente abbiamo subito quello che abbiamo subito, o che per viltà ab biamo sopportato una tale fine e che siamo indegni dei nostri padri - i liberatori della Grecia - , noi in capaci di consolidare questa eredità di libertà, ma pronti a consentire ad una città di insediarsi come tiranna sulle altre, mentre poi pretendiamo di abbattere il potere monarchico quando si affermi in 4 questa o in quell’ altra città. Una politica del gene re non potrebbe che farsi risalire a stupidità, o igna via o irresponsabilità. Giacché certo non potete so stenere - scartando quelle tre cause - che il vostro atteggiamento nasca da disprezzo: un atteggiamen to rovinoso e che, in ragione dei disastri che ha pro vocato, ha mutato il nome in quello, opposto, di 1*3 «pazzia». Ma che senso ha continuare a recrimi nare sul· passato, se non nei limiti in cui ciò possa giovare al presente ? Quello che conta è sforzarsi di intervenire efficacemente nella situazione attuale avendo in mente gli sviluppi successivi (è del resto ca ratteristica nostra trarre alimento per il valore dalle difficoltà e dai disagi); né conviene mutar costume sol perché avete progredito un tantino sul piano del la ricchezza e delle risorse materiali (sarebbe iniquo perdere in tempi di prosperità ciò che fu con quistato in tempi di scarsezza); con coraggio piutto sto affrontiamo la guerra. Sono molte le ragioni che ci confortano: il dio di Delfi ha dato il suo responso favorevole alla nostra decisione di combattere ed ha promesso la sua protezione; tutto il resto della Grecia ci aiuterà, parte per paura parte per proprio 2 vantaggio. Non sarete voi ad infrangere per primi il trattato di pace: se il dio vi ha ordinato di combat tere vuol dire che ritiene la pace già violata: piutto sto, voi state per intervenire a difesa di quelle clau-
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β ο ηθήσ ετε· λύ ουσ ι γά ρ ο ύχ ο ί α μ υ ν ό μ ενο ι, άλλ’ οί πρότεροι έπιόντες. 12-4 “ Ω στε π α ντα χό θ εν καλώς ύπ α ρ χο ν ύμΐν πολεμεΐν κ α ί η μ ώ ν κοινή τά δ ε π α ρ α ινο ύ ντω ν, εί'περ βεβαιότατον τό τα ύτά ξυμφ έροντα κα ί πόλεσι κ α ί ίδιώ ταις είν α ι, μή μέλλετε Π ο τ ειδ εά τα ις τε π ο ιε ΐσ θ α ι τιμ ω ρ ία ν ο ύ σ ι Δ ω ρ ιεΰ σ ι κ α ί ύ π ό Ί ώ ν ω ν π ολ ιορ κουμ ένοις, ού πρότερον ήν το υναντίον, κα ί τώ ν άλλων μετελθεΐν τη ν έλευθερίαν, ώς ούκέτι ένδέχεται περιμένοντας τούς μέν ήδη βλάπτεσθαι, τούς δ’, εί γνω σθησ όμ εθα ξυνελθό ντες μέν, ά μ ύ ν εσ θ α ι δέ ού τολμών2 τες, μή πολύ ύστερον τό αυτό πάσχειν· άλλα νομίσαντες ές α νάγκην άφ ΐχθαι, ώ άνδρες ξύμμαχοι, καί ά μα τά δε άριστα λέγεσθαι, ψ ηφ ίσασθε τον πόλεμον μή φ ο β η θέντες τό α ύ τίκ α δεινό ν, τής δ ” ά π 5 α ύτο ϋ διά π λείονο ς ειρ ήνη ς έπ ιθ υ μ ή σ α ντες· έκ πολέμου μέν γά ρ ειρήνη μάλλον β εβ α ιο ΰ τα ι, άφ ’ η σ υ χία ς δέ 3 μή πολεμήσα ι ο ύχ ομοίω ς ά κ ίνδυνο ν. κ α ί τή ν καθ εσ τη κυ ΐα ν εν τή Έ λ λ ά δ ι πόλιν τύρ α ννο ν ήγησάμενοι επ ί π ά σ ιν ομοίω ς κα θεσ τά να ι, ώστε τώ ν μέν ήδη άρχειν, τώ ν δέ δ ια νο εΐσ θ α ι, π α ρ α σ τη σ ώ μ εθα έπελθ ό ν τες, κ α ί α υ το ί τε ά κ ινδ ύ νω ς τό λ ο ιπ όν οίκώ μεν κ α ί το ύς ν ΰ ν δεδο υλ ω μ ένο υς “Ε λ λ η να ς έλευθερώ σωμεν». τοιαΰτα μέν οί Κ ο ρ ίνθ ιο ι είπον. Ο ί δέ Λ α κ ε δ α ιμ ό ν ιο ι έπ ειδή άφ 3 α π ά ν τ ω ν ήκουσαν γνώ μ ην, ψ ήφ ον έπ ή γα γο ν τοΐς ξυμ μά χο ις ά π ασιν δσ οι π αρήσαν έξης, καί μ είζονι καί έλάσσονι πό2 λει· κ α ί τό πλήθος έψηφ ίσαντο πολεμεΐν. δεδογμένον δέ αύτοΐς ευθύς μέν ά δύνα τα ήν έπιχειρεΐν άπαρασκεύοις ούσιν, έκπ ο ρίζεσ θα ι δέ έδόκει έκάστοις ά π ρ όσ φ ορ α ήν κ α ί μή είνα ι μέλλησιν. δμω ς δέ κ α θ ισταμένοις ών έδει ενιαυτός μέν ού διετρίβη, έλασσον δέ, π ρ ιν έσβα λεΐν ές τή ν Α τ τ ικ ή ν κ α ί τό ν π όλεμον
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sole del patto che sono state calpestate. Non sono responsabili della rottura quelli che si difendono ma coloro che per primi aggrediscono. i*4 E allora: poiché da ogni punto di vista, la scelta conveniente è per voi quella di affrontare la guerra, e noi tutti insieme, concordemente, vi esortiamo a ciò, se è vero che il massimo di sicurezza è nella coincidenza di interessi sia tra i privati sia tra le città, allora non esitate ad accorrere in difesa degli abitanti di Potidea, che sono Dori e vengono stretti d’assedio da Ioni (mentre un tempo accadeva il con trario), investitevi senz’ altro della rivendicazione della libertà degli altri: giacché non è più tollerabile che, paralizzati nell’attesa, alcuni siano ormai sotto i colpi del nemico ed altri tra non molto subiscano la stessa sorte non appena si capirà che noi siamo bra vi a riunire assemblee ma non abbiamo il coraggio di 2 reagire. Alleati! Stimando che siamo ormai di fronte ad una scelta necessaria e che quello che sto per dire sia il consiglio migliore, votate in favore della guerra senza timore dei possibili danni nel l’immediato, ma mirando piuttosto alla più durevo le pace che ne seguirà: giacché dalla guerra spesso la pace esce rafforzata, mentre evitare di combattere per non interrompere un periodo di pace non è al3 trettanto privo di pericoli. Considerando poi che la città che si è installata nel bel mezzo del mondo greco afferma il suo dominio ai danni di tutti indi stintamente - si che su alcuni già domina mentre su altri medita di estendere il proprio dominio - ebbe ne contro questa città marciamo per assoggettarla, e per vivere, noi, per l’avvenire, senza pericolo e libe riamo i Greci che attualmente languono in schia vitù». Tale fu il discorso dei Corinzi. 1*5 Ascoltato il parere di tutti, gli Spartani indissero una votazione tra tutti gli alleati presenti, maggiori e minori. La maggioranza si espresse in favore della 2 guerra. Presa questa decisione, non erano in grado di passare subito all’ azione, impreparati com’erano; stabilirono però di procurarsi ciascuno, al più pre sto, quanto fosse necessario, e di non indugiare. Nondimeno nella realizzazione dei preparativi non trascorse un anno, ma quasi, prima che invadessero
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126 άρασθαι φανερώς. έν τούτω δέ έπρεσβεύοντο τφ χρόνφ προς τούς Α θηναίους έγκλήματα ποιούμε νοι, δπως σφίσιν δτι μεγίστη πρόφασις ειη τού πολεμεΐν, ήν μή τι έσακούωσιν. 2 Καί πρώτον μέν πρέσβεις πέμψαντες οί Λακεδαι μόνιοι εκέλευον τούς Αθηναίους τό άγος έλαύνειν 3 τής θεού- τό δέ άγος ήν τοιόνδε. Κύλων ήν Α θ η ναίος άνήρ Όλυμπιονίκης των πάλαι εύγενής τε καί δυνατός, έγεγαμήκει δέ θυγατέρα ©εαγένους Μεγαρέως άνδρός, δς κατ’ έκεϊνον τον χρόνον έτυ4 ράννει Μεγάρων, χρωμένω δέ τώ Κύλωνι έν Δελφοΐς άνεΐλεν ό θεός έν τού Διάς τή μεγίστη εορτή 5 καταλαβεΐν τήν Αθηναίων άκρόπολιν. ό δέ παρά τε τού Θεαγένους δύναμιν λαβών καί τούς φίλους άναπείσας, έπειδή έπήλθεν Ό λύμπια τά έν Πελοποννήσω, κατέλαβε τήν άκρόπολιν ώς έπί τυραννίδι, νομίσας εορτήν τε τοΰ Διάς μεγίστην είναι καί 6 έαυτώ τι προσήκειν Όλύμπια νενικηκότι εί δέ έν τή Αττική ή άλλοθι που ή μεγίστη εορτή εί'ρητο, ούτε έκεΐνος έτι κατενόησε τό τε μαντεΐρν ούκ έδήλου (έστι γάρ καί Ά θηναίοις Διάσια ά καλείται Διάς εορτή Μειλιχίου μεγίστη έξω τής πόλεως, έν ή πανδημεί θύουσι πολλά ούχ ίερεΐα, άλλ’ θύματα έπιχώρια), δοκών δέ όρθώς γιγνώσκειν έπεχείρησε 7 τώ έργιρ. οί δέ Α θ ηνα ίοι αίσθόμενοι έβοήθησάν τε πανδημεί έκ τών άγρών έπ’ αυτούς καί προσκα8 θεξόμενοι έπολιόρκουν. χρόνου δέ έγγιγνομένου οί Α θηνα ίοι τρυχόμενοι τή προσεδρία άπήλθον οί πολλοί, έπιτρέψαντες τοΐς έννέα άρχουσι τήν τε φυ λακήν καί τό παν αύτοκράτορσι διαθεΐναι ή αν άρι στα διαγιγνώσκωσιν τότε δέ τά πολλά τών πολι9 τικών οί έννέα άρχοντες έπρασσον. οί δέ μετά τοΰ Κύλωνος πολιορκούμενοι φλαύρως είχον σίτου τε 10 καί ΰδατος άπορία. ό μέν ούν Κύλων καί ό άδελ-
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l ’A ttica e iniziassero apertam ente le o stilità. D u rante tale periodo in viavan o am bascerie agli A te niesi che form ulavano recrim inazioni propagandi stiche: nell’ipotesi che gli A ten iesi reagissero nega tivam ente tutto questo m irava ad accrescere il piu possibile i pretesti per entrare in guerra. E incom inciarono con una am basceria che esige va dagli A ten iesi che cacciassero le persone m ac chiatesi nei co n fro n ti della dea. Si trattava di que sto: C ilone era un A ten iese vincitore ad O lim pia, un ram pollo di antica fam iglia, nobile e potente: ave v a sposato la figlia di T eagen e, un M egarese che allora era tiranno della sua città. A C ilon e che ave v a in terrogato il dio a D e lfi, il dio rispose che in occasione della m assim a festa di Zeu s si sarebbe im padronito d e ll’ acropoli di A ten e. C ilon e ch ie se uomini a Teagene, ottenne l ’ aiuto dei suoi amici; quando sopraggiunsero i giochi olim pici che si cele brano nel Peloponneso, occupò l ’acropoli, volendo afferm arsi come tiranno: pensò in fatti che quella fosse la «m assim a festa» in onore di Zeus e che l ’oc casione fosse particolarm ente propizia per lui che ad O lim pia era stato un vin citore. Se il riferim ento fosse alla «m assim a festa» attica o di qualche altra regione né a lui venne in m ente di chiedersi, né l ’ o racolo l ’ aveva chiarito: anche in A tene c ’è una festa - le cosiddette D iasie - , la più grande festa in onore di Zeus M eilichios, che si celebra fuori della città, e in occasione della quale fanno, alla presenza di tutto il popolo, molti sacrifici: non di vittim e ma di o ffe r te locali incruente. C om unque C ilon e ritenendo di aver interpretato correttam ente l ’oracolo si accinse all’ im presa. G li A ten iesi se ne avvidero e accor sero in massa dai cam pi contro costoro, si accampa rono ai piedi d ell’ acropoli e li assediavano. Passò del tempo, e in questo assedio gli A ten iesi si logora van o: perciò i piu se ne andarono, affid an d o ai no ve arconti la sorveglianza e lasciando loro mano li b era per risolvere la cosa com e sem brasse loro m e glio. A quel tem po i nove arconti avevan o la m ag gior parte delle resp on sabilità po litich e. I C iloniani - assediati - erano in grave d iffico ltà per 1 m ancanza di acqua e di cibo. C ilone e suo fratello
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φός αυτού έκδιδράσκουσιν οί δ’ άλλοι ώς έπιέζοντο καί τινες καί άπέθνησκον υπό τού λιμού, καθίζουσιν 11 επί τον βωμόν ίκέται τον έν τη άκροπόλει. άναστήσαντες δέ αυτούς οί τών Αθηναίων επιτετραμμένοι την ιρυλακήν, ώς έώρων άποθνήσκοντας έν τώ ίερψ, έφ’ ω μηδέν κακόν ποιήσουσιν, άπαγαγόντες'άπέκτεινα ν καθεζομένους δέ τινας καί έπί των σεμνών θεών τοΐς βωμοΐς έν τη παρόδφ άπεχρήσαντο. καί άπό τούτου έναγεΐς καί αλιτήριοι τής θεού έκεΐνοί τε 12 έκαλούντο καί τό γένος τό άπ’ εκείνων, ήλασαν μέν ούν καί οί Α θηναίοι τούς έναγεΐς τούτους, ήλασε δέ καί Κλεομένης ό Λακεδαιμόνιος ύστερον μετά Αθηναίων στασιαζόντων, τούς τε ζώντας έλαύνοντες καί τών τεθνεώτων τά όστά άνελόντες έξέβαλον κατήλθον μέντοι ύστερον, καί τό γένος αυτών έστιν Ι2 7 ετι έν τή πόλει. τούτο δή τό άγος οί Λακεδαιμόνιοι έκέλευον ελαύνειν δήθεν τοΐς θεοϊς πρώτον τιμωρούντες, είδότες δέ Περικλέα τον Ξανθίππου προσεχόμενον αύτφ κατά τήν μητέρα καί νομίζοντες έκπεσόντος αύτού ραον σφίσι προχωρεΐν τά άπό 2 τών Αθηναίων, ου μέντοι τοσοΰτον ήλπιζον παθεΐν αν αυτόν τούτο όσον διαβολήν οϊσειν αύτω πρός τήν πόλιν ώς καί διά τήν εκείνου ξυμφοράν τό 3 μέρος έσται ό πόλεμος, ών γάρ δυνατώτατος τών καθ’ εαυτόν καί άγων τήν πολιτείαν ήναντιοΰτο πάντα τοΐς Λακεδαιμονίοις, καί ούκ εια ύπείκειν, άλλ’ ές τον πόλεμον ώρμα τούς Αθηναίους. ιι8 Άντεκέλευον δέ καί οί Α θηνα ίοι τούς Λακεδαι μονίους τό άπό Ταινάρου άγος έλαύνειν· οί γάρ Λακεδαιμόνιοι άναστήσαντές ποτέ έκ τού ιερού τού Ποσειδώνος [άπό Ταινάρου] τών Ειλώτων ίκέτας άπαγαγόντες διέφθειραν, δύ ό δή καί σφίσιν αύτοΐς νομίζουσι τον μέγαν σεισμόν γενέσθαι έν Σπάρ2 τη. έκέλευον δέ καί τό τής Χαλκιοίκου άγος έλαύ3 νειν αυτούς· έγένετο δέ τοιόνδε. επειδή Παυσα νίας ό Λακεδαιμόνιος τό πρώτον μεταπεμφθείς υπό
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riuscirono a svignarsela; ma gli altri, ormai stremati (alcuni erano già morti di fame), si raccolsero presso l’altare che è sull’acropoli in atteggiamento di sup11 plici. Quando videro che alcuni di loro morivano nel tempio, gli Ateniesi incaricati di sorvegliarli li fecero alzare promettendo loro l’incolumità, e inve ce, portatili via, li ammazzarono. Alcuni addirittura li uccisero durante il tragitto, sebbene si fossero ri fugiati, supplici, presso l’altare delle due Dee. Da al lora coloro che avevano fatto questo e la loro discen denza furono detti sacrileghi e profanatori della 12 dea. Gli Ateniesi dunque scacciarono questi sacri leghi, in un secondo tempo li scacciò Cleomene spartano con l’aiuto di una fazione ateniese: allonta narono i viventi e gettarono via le ossa dei defunti dopo averle dissotterrate. Nondimeno in seguito ri tornarono e la loro discendenza vive tuttora nella 12.7 città. Ecco il sacrilegio che gli Spartani chiedeva no di riparare: si capisce che la prima motivazione che adducevano era di devozione verso gli dei, ma essi sapevano bene che Pericle figlio di Santippo per parte di madre era connesso con questo sacrilegio e ritenevano perciò che, una volta allontanato lui, gli 2 Ateniesi sarebbero stati piu concilianti. Certo non si facevano illusioni, non è che sperassero che Pericle sarebbe stato esiliato, ma piuttosto cerca vano di metterlo in cattiva luce di fronte alla città, facendo intendere che anche la sua personale vi cenda fosse in parte causa dello scoppio della guer3 ra. Pericle in fa tti era all’ epoca la personalità piu influente, guidava la politica della città e si oppo neva in ogni modo agli Spartani, impediva ogni ce dimento ed incitava gli Ateniesi alla guerra. 128 A loro volta gli Ateniesi replicavano ingiungendo agli Spartani di punire i responsabili del sacrilegio del Tenaro. Gli Spartani infatti, un tempo, avevano portato via alcuni Iloti supplici dal tempio di Posidone e li avevano massacrati: un atto in seguito al quale essi credono che si sia verificato il grande ter2 remoto di Sparta. Gli Ateniesi chiedevano di pu nire anche i sacrileghi profanatori di Atena Cal3 cieco. L ’episodio era questo. Quando lo spartano Pausania fu richiamato una prima volta - dal suo co-
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Σπαρτιατών από της αρχής τής έν Έλλησπόντφ καί κρίσεις υπ αυτών άπελύθη μή άδικειν, δημοσία μέν ουκέτι έξεπέμφθη, ιδία δέ αυτός τριήρη λαβών Έρμιονίδα άνευ Λακεδαιμονίων άφικνεΐται ες Ε λ λήσποντον, τώ μέν λόγω επί τον Ελληνικόν πόλε μον, τφ δέ έργιμ τα προς βασιλέα πράγματα πράσCFsiv, ώσπερ καί το πρώτον επεχείρησεν, έψιέμενος τής^ Ελληνικής αρχής, ευεργεσίαν δέ άπό τοϋδε πρώτον ές βασιλέα κατέθετο καί τοΰ παντός πράγματος αρχήν έποιήσατο- Βυζάντιον γάρ ε λών τή προτέρα παρουσία μετά τήν έκ Κύπρου άναχώρησιν (ειχον δέ Μήδοι αύτό καί βασιλέως προ σήκοντες τινες και ξυγγενεΐς οι έάλωσαν έν αύτώ) τότε τούτους ους έλαβεν αποπέμπει βασιλεϊ κρύφα τών άλλων ξυμμαχων, τώ δε λόγω άπέδρασαν αυτόν, επρασσε δε ταΰτα μετά Γογγύλου τού Ερετριως, ωπερ επετρεψε τό τε Βυζάντιον καί τούς αιχμαλώτους, έ'πεμψε δέ καί έπιστολήν τόν Γόγγυλον φέροντα αύτώ· ένεγέγραπτο δέ τάδε έν αύτή ώς ύστερον άνηυρέθη· «Παυσανίας ό ήγεμών τής Σπάρτης τούσδε τέ σοι χαρίζεσύαι βουλόμενος απο πέμπει δορί έλών, καί γνώμην ποιούμαι, εί καί σοί δοκεί, θυγατέρα τε τήν σήν γήμαι καί σοι Σπάρτην τε καί τήν άλλην Ελλάδα υποχείριον ποιήσαι. δυνατός δέ δοκώ είναι ταΰτα πραξαι μετά σου βουλευόμενος. ει ουν τί σε τούτων άρέσκει, πέμπε άνδρα πι στόν επί θάλασσαν δι’ ου τό λοιπόν τούς λόγους 119 ποιησόμεθα». τοσαΰτα μέν ή γραφή έδήλου, Ξέρξης δέ ήσθη τε τή επιστολή καί αποστέλλει Άρτάβαζον τον Φαρνάκου έπί θάλασσαν καί κελεύει αυτόν τήν τε Δασκυλΐτιν σατραπείαν παραλαβεΐν Μεγαβατην απαλλαζαντα, ος πρότερον ήρχε, καί παρά Παυσανίαν ές Βυζάντιον έπιστολήν άντεπετίθει αυτφ ώς τάχιστα διαπέμψαι καί τήν σφραγίδα αποδεΐξαι, καί ήν τι αύτώ Παυσανίας παραγγέλλη πε£ι εαυτοί» πραγμάτων, πρασσειν ώς άριστα καί πιστότατα, ό δέ άφικόμενος τά τε άλλα έποίησεν ώσπερ ειρητο και την επιστολήν διέπεμψεν* άν~ τενεγέγραπτο δέ τάδε* «ώδε λέγει βασιλεύς Ξέρξης Παυσανία, καί τών άνδρών ούς μοι πέραν θαλάσσης
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mando in Ellesponto - dagli Spartani e, sottoposto a giudizio da loro, fu assolto, in veste ufficiale non gli furono piu affidati incarichi all’estero, lui però - privatamente - con una triremi di Ermione, senza avere con sé degli Spartani, tornò neU’Ellesponto: nominalmente per occuparsi della guerra patriotti ca, di fatto per tramare col re di Persia - come del resto aveva fatto anche prima - desiderando ar4 dentemente il dominio sui Greci. Aveva incomin ciato guadagnandosi benemerenze presso il re, nel modo seguente (e questa fu appunto l’origine di tut5 ta la trama): durante la sua precedente permanen za Pausania aveva conquistato Bisanzio dopo il rien tro da Cipro; Bisanzio era difesa dai Persiani, tra cui alcuni congiunti del re, i quali erano stati presi pri gionieri al momento della resa. Orbene, lui, dopo la cattura, li restituì nascostamente al re, all’insaputa degli altri alleati: la versione ufficiale fu che erano 6 riusciti a sfuggirgli. Tramava tutto ciò con l’aiuto di Gongilo di Eretria, al quale aveva affidato sia Bisanzio sia i prigionieri. Mandò anche una lettera al re di Persia per il tramite di Gongilo; nella lettera, 7 come si scopri poi, c’era scritto questo: «Pausania comandante spartano ti restituisce questi prigionie ri, catturati in guerra, per renderti un favore. Pro pongo - se sei d ’accordo - di sposare tua figlia e di assoggettare a te Sparta e tutto il resto della Grecia. Ritengo di essere in grado di fare questo, col tuo consiglio. Se queste proposte ti piacciono, manda in Asia Minore un uomo fidato con cui io possa prose12.9 guire la trattativa». Questo era il contenuto dello scritto; Serse si rallegrò della lettera e inviò subito in Asia Minore Artabazo figlio di Farnace ordinan dogli di assumersi la satrapia Dascilitide, dopo aver ne allontanato il precedente satrapo Megabate; e lo incaricava di inviare al più presto a Bisanzio una let tera di risposta a Pausania e di mostrargli il sigillo; gli ordinava inoltre di eseguire nel modo migliore e più fidato quanto Pausania potesse ordinargli in re2 lazione alle proprie vicende. Artabazo, non ap pena giunto, fece tutto quanto gli era stato detto ed 3 inviò la lettera. Ecco la risposta di Serse: «Questo dice il re Serse a Pausania. Per gli uomini che mi hai
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έκ Βυζαντίου έσωσας κείσεταί σοι ευεργεσία έν τώ ήμετέρφ οί'κω ές αίεί άνάγραπτος, καί τοίς λόγοις τοΐς από σοΰ άρέσκομαι. καί σε μήτε νύξ μήφ’ ημέρα έπισχέτω ώστε άνεΧναι πράσσειν τι ών έμοί ύ π ισχνή, μηδέ χρυσού καί αργύρου δαπάνη κεκωλύσΦω μηδέ στρατιάς πλήΦει, εϊ ποι δει παραγίγνεσΦαμ αλλά μετ’ Άρταβάζου άνδρός άγαΦοΰ, δν σοι έπεμψα, πράσσε Φαρσών καί τά έμά καί τά σά δπη κάλλιστα καί άριijo σταεξειάμφοτέροις». ταΰτα λαβών ό Παυσανίας τά γράμματα, ών καί πρότερον έν μεγάλω άξιώματι υπό τών Ελλήνων διά την Πλαταιάσιν ηγεμονίαν, πολλφ τότε μάλλον ήρτο καί ούκέτι έδύνατο έν τώ καΦεστώτι τρόπιυ βιοτεύειν, άλλά σκευάς τε Μηδικάς ένδυόμενος έκ τοϋ Βυζαντίου έξήει καί διά τής Θρςίκης πορευόμενον αυτόν Μήδοι καί Αιγύπ τιοι έδορυφόρουν, τράπεζαν τε Περσικήν παρετίΦετο καί κατέχειν τήν διάνοιαν ούκ έδύνατο, άλλ’ εργοις βραχέσι προυδήλου ά τή γνώμη μειζόνως ές 2 έπειτα έμελλε πράξειν. δυσπρόσοδόν τε αυτόν πα ρείχε καί τή όργή οΰτω χαλεπή έχρήτο ές πάντας ομοίως ώστε μηδένα δύνασφαι προσιέναυ δι’ δπερ καί προς τούς ΆΦηναίους ούχ ήκιστα ή ξυμμαχία μετέστη. Ι3Ι Οί δέ Λακεδαιμόνιοι αίσΦόμενοι τό τε πρώτον δι’ αύτά ταΰτα άνεκάλεσαν αυτόν, καί έπειδή τή Έ ρ μιονίδι νηί τό δεύτερον έκπλεύσας ου κελευσάντων αυτών τοιαΰτα έφαίνετο ποιών, καί έκ τοΰ Β υζα ν τίου βία ΰπ’ ΆΦηναίων έκπολιορκηΦείς ές μέν τήν Σπάρτην ούκ έπανεχώρει, ές δέ Κολωνάς τάς Τρφάδας ίδρυΦείς πράσσων τε έσηγγέλλετο αΰτοΐς ές τούς βαρβάρους καί ούκ έπ’ άγαΦώ τήν μονήν ποιούμενος, οΰτω δή ούκέτι έπέσχον, άλλά πέμψαντες κήρυκα οί έφοροι καί σκυτάλην είπον τοΰ κήρυκος μή λείπεσΦαι, εί δέ μή, πόλεμον αύτώ Σπαρ2 τιάτας προαγορεύειν. ό δέ βουλόμενος ως ήκιστα ύποπτος είναι καί πιστεύων χρήμασι διαλύσευν τήν διαβολήν άνεχώρει τό δεύτερον ές Σπάρτην, καί ές μέν τήν ειρκτήν έσπίπτει τό πρώτον υπό τών έφορων
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m andati sani e salvi, da B isan zio , al di là del m are, il tuo nome sarà in eterno iscritto come quello di un b en efatto re nella m ia casa. Q uello che mi scrivi mi piace. N é la notte né il giorno ti inducano a desiste re dal fare ciò che prom etti; non ti siano di im pedi mento problem i di oro o argento o di uom ini (se an che di questi v i è necessità): insiem e con A rtabazo, uom o giusto che in vio presso di te, puoi operare con fidu cia onde disporre nel modo m igliore per te ijo e per me le tue e le mie faccende». U n a volta rice vu ta questa lettera, Pausania - il quale già prim a era tenuto in grande considerazione dai G re c i per il com ando da lu i rivestito a P latea - allora s ’ insu p erbì molto di piu ed era orm ai incapace di condur re il consueto regim e di v ita , ma, indossati abiti persian i, faceva la sua solenne u scita da B isan zio e guardie del corpo egizie e persiane lo scortavano m entre viaggiava attraverso la T racia, si faceva im b an d ire la tavola alla m aniera persiana, insomma non era più capace di contenersi: dalle piccole cose lasciava in travvedere cosa avesse in animo per il fu2 turo su un piano piu im pegn ativo. S i ren deva inaccessibile ed aveva tali esplosioni d ’ ira nei con fro n ti di tu tti in distin tam en te che nessuno era in grado di avvicinarglisi: e fu questa una delle ragioni principali per cui gli alleati passarono dalla parte di A ten e. 131 In form ati di ciò gli Spartan i proprio per queste ragioni lo richiam arono. M a quando lui, con la nave d i E rm ion e, tornò in E llesp on to nonostante il loro d ivieto , e ostentò tali com portam enti ed anzi, dagli A ten iesi scacciato con la fo rza da B isan zio, non ritorn ò a Sparta e invece, installatosi a C oione in T ro ad e, com inciò a intrigare, come si venne a sape re, con i Persiani, e il suo soggiorno li non prom ette v a niente di buono, allora gli Spartan i non ebbero più esitazioni: gli efo ri gli m andarono un messo con la «scitale» e l ’ordine di seguirlo im m ediatam ente, 2 altrim enti lo avrebbero dichiarato nem ico. L u i non volendo assolutam ente risultare sospetto, e confidando di poter dissipare le accuse con il dena ro, tornò per una seconda vo lta a Sparta. In un pri mo momento fu gettato in carcere dagli efo ri (gli
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(έξεστι δέ τοΐς έφόροις τον βασιλέα δράσαι τούτο), έπειτα διαπραξάμενος ύστερον έξήλθε καί καθίστησιν έαυτόν ές κρίσιν τοΐς βουλομένοις περί αυτών ΐ 3ΐ έλέγχειν. καί φανερόν μέν είχον ούδέν οί Σπαρτιαται σημεΐον, οΰτε οί έχθροί ούτε ή πάσα πόλις, δτω αν πιστεΰσαντες βεβαίως έτιμωροΰντο άνδρα γέ νους τε του βασιλείου δντα καί έν τφ παρόντι τιμήν έχοντα (Πλείσταρχον γάρ τον Λεωνίδου δντα βα2 σιλέα καί νέον έτι άνεψιός ων έπετρόπευεν), ύποψίας δέ πολλάς παρείχε τή τε παρανομία καί ζηλώσει των βαρβάρων μή ίσος βούλεσθαι είναι τοΐς παροϋσι, τά τε άλλα αύτοΰ άνεσκόπουν, ει τί που έξεδεδιήτητο των καθεστώτων νομίμων, καί δτι επί τον τρίποδά ποτέ τον έν Δελφοΐς, δν ανέθεσαν οί Ελληνες άπό τών Μήδων άκροθίνιον, ήξίωσεν έπιγράψασθαι αυτός ίδίρ τό έλεγεΐον τάδεΕλλήνων αρχηγός έπεί στρατόν ώλεσε Μήδων, Παυσανίας Φοίβιρ μνήμ’ άνέθηκε τόδε. 3 τό μέν ουν έλεγεΐον οί Λακεδαιμόνιοι έξεκόλαψαν ευθύς τότε άπό τοϋ τρίποδος τοΰτο καί έπέγραψαν όνομαστί τάς πόλεις δσαι ξυγκαθελοΰσαι τον βάρβαρον έστησαν τό ανάθημα- τοϋ μέντοι Παυσανίου αδίκημα καί τότ’ έδόκει είναι, καί έπεί γε δή έν τούτω καθειστήκει, πολλω μάλλον παρόμοιον 4 πραχθήναι έφαίνετο τή παρούση διανοία. έπυνθάνοντο δέ καί ές τούς Είλωτας πράσσειν τι αυτόν, καί ήν δέ ούτως- έλευθέρωσίν τε γάρ ύπισχνεΐτο αύτοΐς καί πολιτείαν, ήν ξυνεπαναστώσι καί τό παν 5 ξυγκατεργάσωνται. άλλ5 ούδ’ ως ουδέ τών Ειλώ των μηνυταΐς τισί πιστεΰσαντες ήξίωσαν νεώτερόν τι ποιεΐν ές αύτόν, χρώμενοι τω τρόπφ ωπερ είώθασιν ές σφάς, αυτούς, μή ταχείς είναι περί άνδρός Σπαρ τιάτου άνευ αναμφισβήτητων τεκμηρίων βουλεϋσαί τι άνήκεστον, πρίν γε δή αύτοΐς, ώς λέγεται, ό μέλλων τάς τελευταίας βασιλεΐ έπιστολάς προς Ά ρτάβαζον κομιεΐν, άνήρ Αργίλιος, παιδικά ποτέ
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efori possono infliggere questo trattamento al re), in un secondo momento però ottenne di uscire e si of ferse al giudizio di chi volesse indagare sul suo ope131 rato. Gli Spartani non avevano alcun indizio chia ro [né i suoi nemici personali, né l’intera città], con fidando nel quale potessero punire un uomo di schiatta reale e tuttora investito di un ruolo presti gioso (in quanto parente era tutore del re Plistarco, 2 figlio di Leonida, ancora troppo giovane): nondi meno le sue trasgressioni e l’ostentata imitazione di costumi persiani facevano sorgere il sospetto che in tendesse porsi su un piano di superiorità. Riconside ravano ogni altro suo atto per vedere se si fosse di staccato già in passato dai costumi patrii e metteva no in luce il fatto che, sul tripode consacrato a Delfi dai Greci come primizia del bottino sui Persiani, egli avesse voluto far iscrivere, per conto suo, questo distico: «Come capo dei Greci, quando ebbe di strutto l’esercito persiano, Pausania a Febo questo 3 ricordo offri». Gli Spartani avevano immediata mente scalpellato già a suo tempo questa epigrafe dal tripode e vi avevano inciso invece il nome delle città che, unite, avevano sconfitto il barbaro ed ave vano innalzato l’ex voto. Nondimeno già a suo tem po questa era apparsa come una forma di sopraffa zione da parte di Pausania ed ora che si era messo in questa situazione ancor più quel gesto veniva assi4 milato alle sue attuali intenzioni. Vennero a sape re anche che si stava muovendo in direzione degli Iloti, ed era vero: aveva promesso loro la libertà e la concessione della cittadinanza, se lo avessero aiuta to nei suoi piani eversivi e gli avessero assicurato u5 na collaborazione completa. Ma neanche a questo punto vollero procedere contro di lui non prestando fede neanche alle delazioni di alcuni Iloti; preferiro no comportarsi con lui come fanno solitamente nei propri confronti, non vollero agire in modo preci pitoso verso uno Spartiate prima di disporre di pro ve inconfutabili. La situazione mutò - a quanto si dice - quando venne a denunziarlo colui che aveva l’incarico di consegnare ad Artabazo le ultime lette re di Pausania dirette al re, un tale di Argilo, uno che era stato suo amasio e persona di sua totale fidu-
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ών αύτοΰ καί πιστότατος έκείνω, μηνυτής γίγνεται, δείσας κατά ένθΰμησίν τινα δτι ούδείς πω των πρό εαυτοΰ αγγέλων πάλιν άφίκετο, καί παρασημηνάμενος σφραγίδα, ϊνα, ήν ψευσθή τής δόξης ή καί έκεΐνός τι μεταγράψαι αίτήση, μή έπιγνω, λΰειτάς επιστολάς, έν αις ύπονοήσας τι τοιοϋτον προσεπεστάλθαι καί αυτόν ηυρεν έγγεγραμμένον κτεί*33 νειν. τότε δή οί έφοροι δείξαντος αυτοί) τά γράμ ματα μάλλον μέν έπίστευσαν, αύτήκοοι δέ βουληθέντες ετι γενέσθαι αύτοΰ Παυσανίου τι λέγοντος, άπό παρασκευής τοΰ ανθρώπου επί Ταίναρον ικέ του οίχομένου καί σκηνησαμένου διπλήν διαφράγματι καλύβην, ές ήν των [τε] εφόρων εντός τινας έκρυψε, καί Παυσανίου ως αυτόν έλθόντος καί έρωτώντος τήν^ πρόφασιν τής ίκετείας ήσθοντο πάντα σαφώς, αίτιωμένου τοΰ ανθρώπου τά τε περί αύτοΰ γραφέντα καί ταλλ’ άποφαίνοντος καθ’ έκα στον, ως ούδέν πώποτε αυτόν έν ταϊς προς βασιλέα βιακονίαις παραβαλοιτο, προτιμηθείη δ5έν ϊσιρ τοϊς πολλοΐς των διακόνων άποθανεΐν, κάκείνου αύτά τε ταϋτα ξυνομολογοΰντος καί περί τοΰ παρόντος ούκ έώντος όργίζεσθαι, άλλά πίστιν έκ τοΰ ίεροΰ διδόντος τής αναστάσεως καί άξιοΰντος ώς τάχιστα ποΐ 34 ρεύεσθαι καί μή τά πρασσόμενα διακωλΰειν. άκούσαντες δέ ακριβώς τότε μέν άπήλθον οί έ'φοροι, βεβαίως δέ ήδη είδότες έν τή πόλει τήν ξύλληψιν έποιοΰντο. λέγεται δ’ αυτόν μέλλοντα ξυλληφθήσεσθαι έν τή όδω, ενός μέν των έφορων τό πρόσώπον προσιόντος ώς είδε, γνωναι έφ’ φ έχώρει, άλλου δέ νεύματι αφανεϊ χρησαμενου καί δηλώσαντος εύνοίρ πρός τό ιερόν τής Χαλκιοίκου χωρήσαι δρόμω καί προκαταφυγεΐν· ήν δ’ έγγύς τό τέμενος, καί ές οϊκηθα °ΰ μέγα δ ην τοΰ ίεροΰ έσελθών, ϊνα μή ύπαίθριος ταλαιπωροιη, ησυχαζεν. οί δέ τό παραυτίκα μέν υστέρησαν τή διώξει, μετά δέ τοΰτο τοΰ τε οική ματος τόν δροφον άφεΐλον καί τάς θύρας ένδον δν-
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eia; costui, riflettendo sulla circostanza che nessuno dei messi che lo avevano preceduto era mai ritorna to, fu preso da paura: contraffece il sigillo - per l’e ventualità che o i suoi sospetti fossero falsi o Pausania gli ridomandasse la lettera per mutarne qual che parte - e apri la lettera: e trovò che - come ap punto aveva sospettato - vi era scritto l’ordine di 133 ucciderlo. A questo punto gli efori, quando l’uo mo mostrò loro la lettera, si confermarono nei loro sospetti, ma vollero udire con le proprie orecchie parole compromettenti dalla bocca di Pausania. Or dirono questo stratagemma: l’uomo si rifugiò come supplice nel tempio di Poseidone sul Tenaro e si fab bricò una specie di capanna divisa da un tramezzo dentro la quale fece nascondere alcuni efori; quando Pausania venne da lui e gli chiese perché mai fosse li come supplice, essi poterono udire tutto chiaramen te: l’uomo che recriminava per ciò che Pausania ave va scritto su di lui e raccontava punto per punto tut to il resto - che in occasione dei servigi resi a lui presso il re di Persia non lo aveva mai tradito, e non dimeno alla pari degli altri messi veniva stimato de gno di morte - , e Pausania che rispondeva ammet tendo tutto e gli chiedeva di non essere in collera per questa vicenda, gli prometteva l’incolumità e lo pregava di mettersi al piu presto in viaggio e di non 134 intralciare l’operazione in atto. Udito tutto per filo e per segno, gli efori sul momento si allontana rono, ma ormai informati appieno organizzarono la sua cattura in città. Si dice che nel momento in cui stava per essere catturato per istrada, Pausania, vi sto il volto di uno degli efori che gli si avvicinava, abbia intuito perché costui gli si facesse incontro, e che, avendogli un altro, per benevolenza, fatto al lusivamente un cenno impercettibile si sia precipi tato di corsa verso il tempio di Atena Calcieco riu scendo a rifugiarvisi precedendo gli altri. Il tempio infatti era li vicino. S ’introdusse in un locale, non grande, che apparteneva al tempio - onde non subi2 re disagi a cielo scoperto - e li si fermò. Gli efori sul momento rimasero indietro nell’inseguimento, ma poi fecero togliere il tetto di quel locale e ne fe cero ostruire le porte, avendo spiato il momento in
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τα τηρήσαντες αυτόν καί άπολαβόντες εσω άπωκοδόμησαν, προσκαθεζόμενοί τε έξεπολιόρκησαν 3 λιμφ. καί μέλλοντος αύτοΰ άποψύχειν ώσπερ ειχεν έν τφ οίκήματι, αίσθόμενοι έξάγουσιν εκ τοΰ ιε ρού έτι έμπνουν δντα, καί εξαχθείς άπέθανε παρα4 χρήμα, καί αυτόν έμέλλησαν μέν ές τον Καιάδαν [ουπερ τους κακούργους] έσβάλλειν· έπειτα εδοξε πλησίον που κατορύξαι. ό δέ θεός ό έν Δελφοΐς τόν τε τάφον ύστερον έχρησε τοΐς Λακεδαιμονίους μετενεγκεΐν ουπερ άπέθανε (καί νϋν κεΐται έν τω προτεμενίσματι, δ γραφή στήλαι δηλοϋσι) καί ώς άγος αύτοϊς δν τό πεπραγμένον δύο σώματα άνθ” ένδς τη Χαλκιοίκφ άποδοΰναι. οΐ δέ ποιησάμενοι χαλκούς Ι 35 ανδριάντας δύο ώς αντί Παυσανίου ανέθεσαν, οί δέ Α θηναίοι, ώς καί τοΰ θεού άγος κρίναντος, άντεπέταξαν τοΐς Λακεδαιμονίους έλαύνειν αύτό. 2 Τοΰ δέ μηδισμού τοΰ Παυσανίου ο'ι Λ ακεδαι μόνιοι πρέσβεις πέμψαντες παρά τούς Α θηναίους ξυνεπητιώντο καί τόν Θεμιστοκλέα, ώς ηϋρισκον έκ των περί Παυσανίαν ελέγχων, ήξίουν τε τοΐς αύτοϊς 3 κολάζεσθαι αυτόν, οί δέ πεισθέντες (έτυχε γάρ ώστρακισμένος καί έχων δίαιταν μέν έν “Αργεί, έπιφοιτών δέ καί ές τήν άλλην Πελοπόννησον) πέμπουσι μετά των Λακεδαιμονίων ετοίμων δντων ξυνδιώκειν άνδρας οις εϊρητο άγειν δπου αν περιτύχω1 36 σιν. ό δέ Θεμιστοκλής προαισθόμενος φεύγει έκ Πελοπόννησου ές Κέρκυραν, ών αυτών ευεργέτης, δεδιέναι δέ φασκόντων Κερκυραίων εχειν αυτόν ώστε Λακεδαιμονίους καί Ά θηναίοις άπεχθέσθαι, διακομίζεται ύπ’ αυτών ές τήν ήπειρον τήν καταν2 τικρύ. καί διωκόμενος υπό τών προστεταγμένων κατά πύστιν ή χωροίη, άναγκάζεται κατά τι άπορον παρά “Αδμητον τόν Μολοσσών βασιλέα δντα αύτφ
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cui egli era dentro e bloccandovelo: lo assediarono e alla fine lo costrinsero alla resa per fame. Nel momento in cui stava quasi per spirare ridotto in tali condizioni dentro il suo rifugio, gli efori se ne accorsero e lo fecero portar fuori dal tempio mentre ancora respirava. Appena portato fuori, Pausania 4 mori. Si accingevano a gettare il suo corpo nella caverna Ceada, dove gettano i malfattori; poi deci sero di seppellirlo in un posto li vicino. Ma il dio di Delfi ordinò agli Spartani di riportare la sua sepol tura là dove lui era morto (e giace infatti tuttora nell’atrio antistante il sacro recinto, come attesta no delle stele iscritte); e poiché il loro compor tamento era stato sacrilego, il dio ordinò di rendere ad Atena Calcieco due corpi anziché uno. Essi allo ra costruirono due statue di bronzo e le dedicarono 135 alla dea come surrogato di Pausania. G li Ateniesi dunque, adducendo il fatto che anche il dio aveva definito questo un «sacrilegio», risposero agli Spartani ingiungendo a loro volta che scacciassero i profanatori. 2 Quanto al «medismo» di Pausania, gli Spartani, mandando ambasciatori ad Atene, accusavano an che Temistocle di intesa con la Persia - ciò che era emerso dalle indagini su Pausania - e chiedevano agli Ateniesi che allo stesso modo anche lui fosse pu3 nito. Gli Ateniesi, persuasi da tale richiesta, man dano alla sua ricerca - insieme a quegli Spartani che erano disposti a dargli la caccia - alcuni cui era sta to ordinato di arrestarlo e portarlo ad Atene dovun que si trovasse (in quel momento infatti Temistocle era ostracizzato e soggiornava ad Argo, ma si spo136 stava anche in altre zone del Peloponneso). A v vertito in tempo, Temistocle fugge dal Peloponneso presso i Corciresi, dato che era stato loro «benefat tore». I Corciresi gli fecero sapere che temevano che un suo soggiorno li procurasse loro l’ostilità sia degli Spartani sia degli Ateniesi: cosi fu aiutato da 2 loro a passare sulla terraferma antistante. Sempre inseguito da coloro che erano stati incaricati di in dagare sui suoi spostamenti, si trova, spinto dalla difficoltà, nella necessità di fermarsi presso Adme to, re dei Molossi, che per lui era tutt’altro che un a3
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3 ου φίλον καταλϋσ αι. κ α ί ό μέν ούκ έτυχεν έπιδημών, ό δέ τής γυναικός ικέτης γενόμενος διδάσκεται ύ π 3 α υτή ς τον π α ΐδ α σφφν λα βώ ν κ α θ έ ζ ε σ θ α ι έπ ί 4 την έστίαν. καί έλθόντος ου πολύ ύσ τερον τοΰ Ά δμήτου δηλοϊ τε δς έστι καί ούκ ά ξιο ι, ει τι άρα αυτός ά ντεΐπεν αύτφ Α θ η ν α ίω ν δεομένφ , φ εύγοντα τιμωρεΐσθαι- κ α ί γά ρ ά ν ύ π 3 εκ είνο υ πολλφ ά σ θενεσ τέρου εν τφ παρόντι κακώ ς πάσχειν, γεννα ΐο ν δέ είναι το ύς όμ οιους ά π ό τοΰ ίσ ο υ τιμ ω ρ εΐσ θ α ι. κ α ί άμα α υτό ς μέν έκείνω χρ εία ς τινός κ α ί ούκ ές τό σώ μα σ φ ζε σ θ α ι έν α ντιω θ ή να ι, έκ εϊνο ν δ ’ άν, εί έκδοίη α ύ τό ν (είπ ώ ν ύφ 3 ώ ν κ α ί έφ3 φ διώ κ ετα ι), σω τηρίας 137 αν τής ψ υχής άποστερήσαι. ό δέ άκούσας άνίστησί τε α ύτό ν μετά τοΰ έα υτοΰ υίέος, ώ σπερ κ α ί εχων α ύ τό ν έκ α θ έζετο , κ α ί μ έγισ τον ήν ίκ έτευ μ α το ΰτο, κ α ί ύ σ τερ ο ν ού πολλφ τοΐς τε Λ α κ ε δ α ιμ ο ν ίο ις κ α ί Ά θ η ν α ίο ις έλθοΰσι καί πολλά είπ οΰσιν ούκ έκδίδωσιν, άλλ3 απ οστέλλει β ο υλό μ ενο ν ώς βασ ιλέα πορ ευ θ ή να ι έπί τήν έτέραν θ ά λα σ σ α ν π εζή ές Π ύδνα ν τή ν Α λ ε ξ ά ν δ ρ ο υ , έν η όλ κά δος τυ χ ώ ν ά να γομ ένης έπ3Ιω ν ία ς κ α ί έπιβάς καταφ έρεται χειμώ νι ές τό "Α θ η να ίω ν σ τρ α τό π εδ ο ν, δ έπ ο λ ιό ρ κ ει Ν ά ξο ν , κ α ί (ήν γά ρ ά γνώ ς το ις έν τή νη ί) δείσ α ς φ ρ ά ξει τφ ναυκλήρω δστις έστί κα ί δι3 α φεύγει, καί εί μή σώσει α ύ τό ν, εφη έρ εϊν δ τι χρ ή μ α σ ι π εισ θ είς α ύ τό ν άγει· τήν δέ ασφ άλειαν είνα ι μηδένα έκβ ήνα ι έκ τής νεώς μέχρι πλοΰς γένηται· π ειθο μ ένφ δ3 α ύτφ χά ρ ιν άπομνήσεσθαι α ξίαν, è δέ ναύκληρος π ο ιεί τε τα ΰτα καί άποσαλεύσας ημέραν καί νύκτα υπέρ τοΰ στρατοπέ3 δου ύ σ τερ ο ν ά φ ικ νεΐτα ι ές Έ φ ε σ ο ν , κ α ί ό Θ εμ ι στοκλής έκεΐνόν τε έθεράπευσε χρημάτω ν δόσει (ήλ θ ε γά ρ αύτφ ύστερον έκ τε Α θ η ν ώ ν π α ρ ά τώ ν φίλων κ α ί έ ξ Α ρ γ ο υ ς ά ύ π εξέκ ειτ ο ) κ α ί μετά τώ ν κάτω
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3 m ico. A dm eto non c ’ era, e allora T em istocle pre sentatosi come supplice presso la moglie del re viene da lei consigliato a prendere il loro bam bino e a se4 dersi come supplice presso il focolare. Poco dopo sopraggiunse A dm eto: Tem istocle gli rivelò la pro pria identità, chiedendogli di non volersi vendicare di lui, supplice, perché a suo tempo si era opposto alle richieste rivolte da A dm eto ad A ten e. In questo momento - prosegui Tem istocle - A dm eto lo avreb be colpito m entre lui era in una posizione di grande in ferio rità: e invece nobiltà vorrebbe che ci si ven dicasse dei propri pari quando si è in una condizione di parità; non solo: ma lui, Tem istocle, gli si era o p posto a proposito di una sua richiesta non certo in una questione di vita o di morte, A dm eto, invece - se lo avesse consegnato ai suoi nem ici (gli spiegò chi e perché gli desse la caccia) - l ’ avrebbe in realtà priva137 to della vita. Adm eto lo ascoltò, lo sollevò mentre aveva ancora in braccio suo figlio (col quale appunto Tem istocle si era seduto presso ii focolare, ciò che co stitu iva una form a particolarm ente solenne di supplica) e, poco dopo, si rifiu tò di consegnarlo agli Spartan i e agli A ten iesi sopraggiunti, nonostante le loro insistenze. Q uindi, poiché Tem istocle intende va recarsi dal re di Persia, lo fece accom pagnare, via terra, all’ «altro m are», fin o a P idn a, la città di A2 le ss andrò. Q ui Tem istocle riuscì ad im barcarsi su di una nave da carico d iretta in Ionia, ma una tem pesta spinse la nave verso l ’ accam pam ento ateniese che assediava N asso. N essuno, sulla nave, sapeva chi lui fosse: Tem istocle, preso da tim ore, rivela al com andante della nave la propria identità e le ragio ni della fuga e aggiunge cbe, se non lo avesse messo in salvo, avrebbe dichiarato che lui, corrotto col de naro, lo stava trasportando: unica v ia di salvezza soggiunse - era che nessuno scendesse a terra finché non fosse possibile riprendere la navigazione; se gli avesse dato retta sarebbe stato degnam ente ricom pensato. Il com andante obbedisce; tenutosi per un giorno e una notte al largo della flo tta ateniese, 3 giunge ad E fe so . E Tem istocle lo com pensò con un generoso dono in denaro (gli erano state inviate nel frattem po le sue ricchezze da A ten e, da parte
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Περσών τίνος πορευθείς άνω έσπέμπει γράμματα προς βασιλέα Άρταξέρξην τον Ξέρξου νεωστί βασι4 λεύοντα. έδήλου δέ ή γραφή ότι «Θεμιστοκλής ήκω παρά σέ, δς κακά μέν πλεϊστα Ελλήνων εϊργασμαι τον ύμέτερον οικον, δσον χρόνον τον σόν πατέ ρα έπιόντα εμοί ανάγκη ήμυνόμην, πολύ δ’ ετι πλείω άγαθά, επειδή έν τω άσφαλεϊ μέν έμοί, έκείνω δέ έν έπικινδύνω πάλιν ή αποκομιδή έγίγνετο. καί μοι ευεργεσία οφείλεται (γράψας τήν τε εκ Σαλαμΐνος προάγγελσιν τής άναχωρήσεως καί τήν των γε φυρών, ήν ψευδώς προσεποιήσατο, τότε δι’ αυτόν ου διάλυσιν), καί νΰν έχων σε μεγάλα αγαθά δράσαι πάρειμι διωκόμενος υπό των Ελλήνων διά τήν σήν φιλίαν, βούλομαι δ’ ενιαυτόν έπισχών αυτός σοι περί 13» ών ήκω δηλώσαι». βασιλεύς δέ, ώς λέγεται, έθαύμασέ τε αυτού τήν διάνοιαν καί έκέλευε ποιειν ούτως, ό δ5έν τφ χρόνω δν έπέσχε τής τε Περσίδος γλώσσης όσα έδύνατο κατενόησε καί των έπιτη2 δευμάτων τής χώρας· άφικόμενος δέ μετά τον ε νιαυτόν γίγνεται παρ’ αύτω μέγας καί δσος ούδείς πω Ελλήνω ν διά τε τήν προϋπάρχουσαν άξίωσιν καί τού Ελληνικού έλπίδα, ήν ύπετίθει αύτφ δουλώσειν, μάλιστα δέ άπό τού πείραν διδούς ξυνετός φαίνεσθαι. 3 Ή ν γάρ ό Θεμιστοκλής βεβαιότατα δή φύσεως ίσχύν δηλώσας καί διαφερόντως τι ές αυτό μάλλον έτέρου άξιος θαυμάσαι· οίκεία γάρ ξυνέσει καί ούτε προμαθών ές αυτήν ούδέν ούτ’ έπιμαθών, των τε παραχρήμα δι’ έλαχίστης βουλής κράτιστος γνώμων καί των μελλόντων έπί πλεΐστον τού γενησομένου άριστος είκαστής· καί ά μέν μετά χεΐρας έχοι, καί έξηγήσασθαι οιός τε, ών δ’ άπειρος εϊη, κρΐναι ίκανώς ούκ άπήλλακτο- τό τε άμεινον ή χείρον έν τφ άφανεΐ έτι προεώρα μάλιστα, καί τό ξύμπαν είπεΐν
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dei suoi amici, e da Argo). Inoltratosi nell’interno della Persia insieme con un persiano della costa, manda una lettera ad Artaserse, figlio di Serse, ap4 pena salito al trono. Questo era il contenuto della lettera: «Io Temistocle vengo da te. Alla tua casa io ho fatto piu male di tutti i Greci, finché ho dovuto di necessità difendermi dagli assalti di tuo padre, ma ancora maggiori benefici gli ho reso durante la ritirata, in un momento cioè in cui non io ma lui era in pericolo. Io sono in credito di un beneficio». (E qui Temistocle rievocava il sollecito preannuncio dato a Serse della ritirata dei Greci da Salamina e la mancata distruzione dei ponti, di cui falsamente si attribuiva il merito). «Ed ora - proseguiva - vengo da te pronto a renderti grandi servigi, braccato dai Greci a causa della mia amicizia verso di te. Ti chie do un anno di tempo per mostrarti le ragioni per cui 138 sono venuto da te». A quel che si dice, il re am mirò molto l ’intenzione di Temistocle e accettò la proposta. Temistocle durante questo periodo di at tesa s’impadronì il piu possibile della lingua persia2 na e dei costumi del luogo. Trascorso l’anno giun ge presso di lui e acquista presso di lui un prestigio quale nessun altro greco mai: sia per la considerazio ne di cui già godeva sia per la speranza, che gli aveva insinuato, di far in modo di sottomettere a lui i Greci, ma soprattutto per l’intelligenza di cui gli da va prova. 3 Temistocle infatti aveva dimostrato di possedere in sommo grado doti naturali e di essere piu di altri degno di ammirazione per questo aspetto. Difatti in virtù della sua naturale intelligenza alla quale non aveva fornito con lo studio né alcuna preparazione preliminare, né incrementi successivi, era abilissimo «gnomone», con deliberazione fulminea, delle si tuazioni da affrontare all’istante, ed era bravissimo - in genere - nel congetturare quale delle cose immi nenti stesse per verificarsi. Ciò che cadeva nell’am bito della sua esperienza era ben capace di spiegarlo, ma non rifuggiva dal giudicare anche ciò di cui non aveva esperienza diretta - e lo faceva in modo ade guato era capace di prevedere il meglio e il peggio quando ancora non erano visibili. Insomma per for-
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φύσεως μέν δυνάμει, μελέτης δέ βραχύτητι κράτιστος δή οΰτος αύτοσχεδιάξειν τά δέοντα έγένε4 το. νοσήσας δέ τελευτά τον βίον· λέγουσι δέ τινες καί έκούσιον φαρμάκψ άποθανεΐν αυτόν, αδύνατον νομίσαντα είναι έπιτελέσαι βασιλεΐ ά ύπέσχε5 το. μνημεΐον μέν ούν αυτού έν Μαγνησίρ έστί τη Α σιανή έν τη άγορςτ ταύτης γάρ ήρχε τής χώρας, δόντος βασιλέως αύτω Μαγνησίαν μέν άρτον, ή προσέφερε πεντήκοντα τάλαντα τού ενιαυτού, Λάμψακον δέ οίνον (έδόκει γάρ πολυοινότατον των τότε 6 είναι), Μυοΰντα δέ δψον. τά δέ όστά φασί κομιαθήναι αυτού οί προσήκοντες οϊκαδε κελεύσαντος εκείνου καί τεθήναι κρύφα Αθηναίων έν τη Αττικήον γάρ έξήν θάπτειν ώς έπί προδοσία φεύγοντος. τά μέν κατά Παυσανίαν τόν Λακεδαιμόνιον καί Θεμιστοκλέα τόν Άθηναϊον, λαμπροτάτους γενομένους των καθ’ έαυτοΰς Ελλήνων, ούτως έτελεύτησεν. ΐ 39 Λακεδαιμόνιοι δέ έπί μέν τής πρώτης πρεσβείας τοιαΰτα έπέταξάν τε καί άντεκελεΰσθησαν περί των έναγών τής έλάσεως- ύστερον δέ φοιτώντες παρ’ Α θηναίους Ποτειδαίας τε άπανίστασθαι έκέλευον καί Αίγιναν αυτόνομον άφιέναι, καί μάλιστά γε πάντων καί ένδηλότατα προύλεγον τό περί Μεγαρέων ψήφι σμα καθελοΰσι μή άν γίγνεσθαι πόλεμον, έν ψ εϊρητο αυτούς μή χρήσθαι τοϊς λιμέσι τοΐς έν τη 2 Α θηναίω ν άρχή μηδέ τη Αττική αγορά, οί δέ Α θηναίοι ούτε ταλλα ΰπήκουον ούτε τό ψήφισμα καθήρουν, έπικαλούντες έπεργασίαν Μεγαρεΰσι τής γής τής ιερός καί τής αορίστου καί ανδραπόδων 3 υποδοχήν των άφισταμένων. τέλος δέ άφικομένων των τελευταίων πρέσβεων εκ Λακεδαίμονος, 'Ραμφιού τε καί Μελησίππου καί Άγησάνδρου, καί λεγόντων άλλο μέν ούδέν ών πρότερον είώθεσαν, αυτά δέ τάδε ότι Λακεδαιμόνιοι βούλονται τήν ειρήνην είναι, εϊη δ’ άν εί τούς 'Έλληνας αυτονόμους άφεΐτε, ποιήσαντες εκκλησίαν οί Α θηναίοι γνώμας σφίσιν αύτοΐς προυτίθεσαν, καί έδόκει άπαξ περί 4 απάντων βουλευσαμένους άποκρίνασθαι. καί πα-
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za di doti naturali e per rapidità di esercizio egli fu abilissimo nel congetturare ciò che fosse volta a vol4 ta appropriato. Mori in seguito ad una malattia. C ’è chi dice invece che si sia ucciso avvelenandosi, convintosi della impossibilità di portare a compi5 mento ciò che aveva promesso al re. Un monu mento funebre in suo onore c’è a Magnesia di Asia, nell’agorà: egli era infatti signore di quel paese per concessione del re. Il re gli aveva dato Magnesia co me «pane» (la città rendeva cinquanta talenti l’an no), Lampsaco come «vino» (era allora, a quanto pa re, la località più ricca di vino), e Miunte come 6 «companatico». ' I suoi congiunti sostengono che le sue ossa furono trasportate in patria, come lui aveva prescritto, e furono sepolte in Attica di nasco sto dagli Ateniesi, dal momento che non era lecito dare sepoltura ad un esule per tradimento. Cosi si concluse la vicenda di Pausania spartano e Temisto cle ateniese, i piu famosi tra i Greci del tempo loro. 139 Questo gli Spartani ingiunsero nella prima amba sceria e si sentirono rispondere a proposito della cacciata di coloro che erano macchiati di empietà. Mandarono poi altri messi ad Atene per chiedere di ritirarsi da Potidea e di lasciare libera Egina, e so prattutto - e nel modo piu chiaro - dichiaravano che la guerra non ci sarebbe stata se gli Ateniesi avessero cassato il decreto relativo ai Megaresi, nel quale era detto che essi non potevano servirsi né dei porti compresi nell’impero di Atene né del mer2 cato attico. Quanto agli Ateniesi non solo rifiuta vano tutte le altre richieste ma si guardavano bene dal revocare quel decreto, rinfacciando ai Megaresi di aver coltivato suolo sacro ed anche «terra di nes suno», nonché di offrire rifugio agli schiavi fuggiti3 vi. Alla fine, quando giunsero da Sparta gli ultimi legati - Ramfia, Melesippo e Agesandro - ed essi non formularono nessuna delle consuete richieste, ma dissero semplicemente che «gli Spartani voglio no la pace, ma essa ci sarà se lascerete liberi i Greci», gli Ateniesi convocarono un’assemblea ed aprirono il dibattito: si decise di dare, dopo adegua ta riflessione, una risposta definitiva su tutte le que4 stioni sollevate. Molti si alternarono alla tribuna
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ριόντες άλλοι τε πολλοί έλεγον έπ’ άμφ ότερα γιγνόμενο ι ταΐς γνώ μ α ις κ α ί ώς χρή π ολεμεΐν κ α ί ώς μή έμ π όδιον είνα ι τό ψ ήφισμα εΙρήνης, άλλά καθελεΐν, κ α ί π α ρ ε λ θ ό ν Π ερικ λή ς ό Ξ α ν θ ίπ π ο υ , άνή ρ κα τ’ έκεΐνον τον χρόνον πρώτος Α θ η ν α ίω ν , λέγειν τε καί πράσσειν δυνατώ τατος, παρήνει τοιάδε. «Τής μέν γνώμης, ώ Α θ η ν α ίο ι, α ίεί τής αυτής έχομα ι, μή εί'κειν Π ελοπ ο ννη σ ίοις, κ α ίπ ερ είδώ ς τους α νθρώ π ους ου τή αυτή όργή άναπ ειθομένους τε π ο λεμεΐν κ α ί έν τώ έ'ργφ π ρ ά σ σ ο ντα ς, π ρος δέ τά ς ξυμφ οράς κα ί τάς γνώ μας τρεπόμενους, όρώ δέ καί νυ ν όμοια καί παραπ λή σια ξυμ βουλευτέα μοι δντα, κ α ί το ύς ά ν α π ε ιθ ο μ έ ν ο υ ς υμ ώ ν δικ α ιώ τοΐς κοινή δόξα ιην, ήν άρα τι κ α ί σφαλλώμεθα, βοηθεΐν, ή μηδέ κ α τορθοϋντας τής ξυνέσεω ς μεταποιεΐσθαι. ε ν δ έ χ ε τ α ι γά ρ τά ς ξυμ φ ο ρ ά ς τώ ν π ρ α γμ ά τω ν ο ύχ ήσ σ ον άμαθώ ς χω ρήσαι ή κα ί τάς διανοίας του ανθρώ πουδι’ δπ ερ κ α ί τήν τύχ η ν, δσα ά ν π α ρ ά λό γο ν ξυμ β ή, είώ θαμεν αίτιάσθαι. Λ α κ εδα ιμ όνιο ι δέ πρότερόν τε δήλοι ήσαν έπιβουλεύοντες ήμ ϊν κ α ί ν ΰ ν ούχ ήκισ τα , είρ η μ ένον γά ρ δίκας μέν τώ ν διαφ ορώ ν άλλήλοις δ ιδό να ι κ α ί δέχεσ θαι, εχειν δέ έκατέρους ά εχομεν, ούτε αυτο ί δίκας πω ήτησ αν ούτε ημ ώ ν δ ιδ ό ντω ν δέχοντα ι, β ο ύλ ο ν τ α ι δέ πολέμω μάλλον ή λόγοις τά έγκλήμ ατα δ ια λ ύ εσ θ α ι, κα ί έπ ιτά σ σ ο ντες ήδη κ α ί ο ύ κ έτι α ίτιώ μ ενο ι π ά ρ εισ ιν. Π ο τειδ α ία ς τε γά ρ ά π α νίσ τα σ θ α ι κ ελεύουσι κ α ί Α ίγ ιν α ν αυτό νομ ον ά φ ιέναι κ α ί τδ Μ εγα ρ έω ν ψ ήφ ισ μα κα θ α ιρ εϊν- ο ί δέ τελ ευ ταίοι οϊδε ήκοντες καί τούς “Ελληνας προαγορεύουσιν α υ το νό μ ο υ ς ά φ ιένα ι. υμ ώ ν δέ μηδείς νομ ίση περί βραχέος άν πολεμεΐν, εί τδ Μ εγαρέω ν ψ ήφισμά μή καθέλοιμεν, δπερ μάλιστα π ρ ούχο ντα ς εί κ α θα ιρ εθ είη , μή ά ν γ ίγ ν ε σ θ α ι τον π όλεμον, μηδέ έν ύμ ΐν
esprim endo pareri contrastanti - chi sosteneva la guerra, e chi diceva che il decreto su M egara non do veva mettere in pericolo la pace, e ne caldeggiavano l ’ abrogazione sali alla tribuna anche Pericle figlio di Santippo, a ll’epoca il personaggio principale ad A ten e, abilissim o nella parola e nell’ azione, ed espresse consigli di questo genere: 140 « L a mia opinione, A ten iesi, è sempre la stessa: di non cedere ai Peloponnesiaci: anche se so bene che gli uom ini non sentono la m edesim a indignazione quando vengono persuasi d a ll’opportunità di com b attere e quando sono nel concreto d e ll’ azione, ed anzi, piuttosto, oscillano, nel loro sentire, in rela zione agli even ti. V ed o nondim eno che anche in questo momento io debbo darvi i medesimi consigli e chiedo che quanti tra voi mi danno ragione sosten gano con im pegno le decisioni com uni, anche se ci tocchi qualche insuccesso: altrim enti non si arroghi no il merito della giusta intuizione quando invece le cose vanno bene. È possibile in fatti che anche lo svolgersi degli avvenim enti proceda in modo ir razionale non meno dei pensieri d ell’uomo: onde siamo anche soliti accusare la sorte di quanto accade contro le previsioni. 2 G ià prima era chiaro che gli Spartani intendevano colpirci, ed ora ancor piu. E ra stato stabilito che si ricorresse ad un arbitrato per le questioni contro verse, ferm o restando lo statu quo delle rispettive posizioni: e in vece, non solo non hanno chiesto un giudizio arbitrale né l ’ hanno accettato quando noi lo abbiam o o ffe rto , ma vogliono addirittura che le recrim inazioni siano risolte con la guerra piuttosto che con le parole: e orm ai si presentano qui a dare 3 ordini, non piu ad accusare. C i ordinano di ritirar ci da Potidea, e di lasciare libera E gin a, e di abroga re il decreto su M egara. Q u esti ultim i am basciatori poi, che sono qui, ci ordinano senza m ezzi term ini 4 di «lasciare lib eri i G re ci» . Sia ben chiaro: nessu no creda alla loro tesi capziosa, secondo cui, se si ar riva alla guerra per il nostro rifiuto di abrogare il de creto su M egara ci si arrivi per una ragione da poco, e non s ’illuda che in vece, se noi lo abrogassim o, guerra non ci sarebbe: non sen titevi intim am ente
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αύτο ΐς α ιτία ν ύ π ο λ ίπ η σ θ ε ώς δ ιά μικρόν έπολεμήσατε. τό γάρ βραχύ τι το ύτο π ά σ α ν υμώ ν έχει την β εβ α ίω σ ή καί π είρ αν της γνώμης, οϊς εί ξυγχω ρήσετε, κ α ί άλλο τι μεϊζον ευθύς έπιταχθήσεσθε ώς φόβω κ α ί το ύτο ύ π α κ ο ύ σ α ντες· ά π ισ χ υ ρ ισ ά μ ενο ι δέ σαφές ά ν κα τα σ τή σ α ιτε α ύτο ΐς άπ ό τού ίσ ου ύ μ ΐν ' 4 1 μάλλον π ροσφ έρεσθαι. α ύ τό θ εν δή δια νο ήθητε η ύ π α κ ο ύ ειν π ριν τι βλαβήναι, ή εί πολεμήσομεν, ώ σ περ έμ ο ιγε ά μ εινο ν δ ο κ εΐ είνα ι, κ α ί έπ ί μεγάλη κ α ί έπ ί βραχεία ομοίω ς π ρ οφ άσ ει μή εϊξοντες μηδέ ξύ ν φόβω έξοντες α κεκτήμεθα· τή ν γάρ αυτήν δ ύνα τα ι δο ύλω σ ιν ή τε μεγίστη κ α ί ελάχιστη δικα ίω σ ις άπ ό των όμοιω ν προ δίκης τοΐς πέλας επιτασσόμενη. 2 Τ ά δε τού π ολέμου κ α ί τω ν έκατέρ οις υ π α ρ χ ό ν τω ν ώς ούκ ά σ θ ενέσ τερ α εξο μ εν γνώ τε κ α θ ’ έκα3 στον άκούοντες. α υ το υ ρ γο ί τε γάρ είσι Π ελοπονν ή σ ιο ι κ α ί ο ύτε ιδ ία ο ΰτ’ έν κοινω χρ ήμ α τά έστιν α ύτο ΐς, έπ ειτα χ ρ ο νιώ ν π ολ έμω ν κα ί δ ια π ο ντίω ν ά π ειρ ο ι δ ιά τό βρ α χέω ς α ύ το ί έπ ’ άλλήλους υ π ό 4 π εν ία ς ε π ιφ έ ρ ε ι, κ α ί ο ί τ ο ιο ΰ το ι ούτε να ύ ς πληρ ούντες ο ύτε π εζά ς σ τρ α τιά ς π ολλάκις έκ π έμ π ειν δ ύ ν α ν τ α ι, απ ό τω ν ίδ ιω ν τε ά μ α απ όντες κ α ί άπό τω ν α υ τώ ν δ α π α νώ ντες κ α ί π ρ ο σ έτι κ α ί θαλά σσ ης 5 είργόμενοι- α ί δε π ερ ιο υ σ ία ι τούς πολέμους μάλ λον η α ί β ία ιο ι εσ φ ο ρ α ί ά νέχο υσ ιν. σ ώ μ α σ ί τε ε το ιμ ότερ οι ο ί α υ το υ ρ γο ί τώ ν α νθ ρ ώ π ω ν ή χρήμα σι π ολεμεΐν, τό μέν π ισ τό ν έχοντες έκ τώ ν κ ινδ ύ νω ν κ α ν π ερ ιγ ε ν έσ θ α ι, τό δέ ου β έβ α ιον μή ου π ρ οα ναλώ σειν, άλλως τε κ α ν π α ρ ά δ ό ξα ν, δπ ερ είκός, ό 6 πόλεμος αύτοΐς μηκύνηται. μάχη μέν γάρ μια προς ά π α ν τα ς Έ λ λ η ν α ς δ υ ν α τ ο ί Π ελ ο π ο ννή σ ιο ι κ α ί οί ξύμ μαχοι άντισχεΐν, πολεμεΐν δέ μή προς όμοίαν άν5
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responsabili di aver accettato la guerra per una ragione da poco. Questo «poco» coinvolge tutta la vostra sicurezza e rappresenta un saggio delle vostre intenzioni: se obbedirete, subito vi saranno dati or dini ancora piu pesanti, poiché si penserà che per paura voi accetterete anche questi. Se invece terre te duro, renderete loro manifesto che debbono agi141 re con voi su di un piano di parità. Ne consegue pertanto che vi conviene obbedire prima di essere danneggiati ovvero, se combattere è necessario, - il che a me sembra il partito migliore - allora bisogna farlo ugualmente per un grande come per un piccolo pretesto, decisi a non cedere e a non difendere tre mebondi ciò che è nostro. Giacché, grande o picco la che sia, una richiesta presentata come un ordine da un proprio pari in luogo di una normale trattativa ha comunque il medesimo valore: schiavitù. 2 Quanto alla guerra e alle risorse di entrambi, ve drete - se mi ascolterete puntualmente - che non 3 siamo per nulla più deboli. I Peloponnesiaci sono costretti a coltivarsi loro stessi la propria terra; non hanno grandi ricchezze né private né statali; inoltre sono privi di esperienza per quel che riguarda guer re di lunga durata o guerre che si combattano al di là del mare, giacché quelle che combattono tra loro, a 4 causa della loro povertà, sono assai brevi. Gente del genere non è in grado di scendere in campo ripe tutamente né armando navi né allestendo truppe di terra, per giunta mentre si verificano contempora neamente queste condizioni: lontananza dalle basi di partenza, costi personali dell’impegno militare, 5 blocco marittimo. Le riserve finanziarie dello sta to, non le contribuzioni forzate sostengono lo sfor zo bellico. E poi coloro che debbono lavorarsi da sé la propria terra sono più disposti ad investire le pro prie persone nella guerra che i propri beni: ai peri coli infatti confidano di poter scampare, quanto al denaro invece possono paventare di finirlo prima che termini la guerra specie se - come è presumibi6 le - la guerra divenga troppo lunga per loro. In ti no scontro singolo, Peloponnesiaci e alleati sono in grado di fronteggiare anche tutti gli altri Greci in blocco, non sono in grado invece di affrontare una 5
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τιπαρασκευήν αδύνατοι, δταν μήτε βουλευτηρίω ένί χρώμενοι παραχρήμα τι οξεως έπιτελώσι πάντες τε ίσόψηφοι δντες καίαινιχ ομόφυλοι τό έφ’ έαυτόν έκα στος σπεύδη· έ| ών φιλεΐ μηδέν έπιτελές γίγνε σθαι. καί γάρ οί μέν ώς μάλιστα τιμωρήσασθαί τινα βούλονται, οι δέ ώς ήκιστα τα οικεία φθεΐραι. χρονιοί τε ξυνιόντες εν βραχεί μέν μορίφ σκοποΰσί τι τών κοινών, τφ δέ πλέονι τά οικεία πράσσουσι, καί έκαστος ού παρά τήν έαυτοΰ αμέλειαν οϊεται βλαψειν, μελειν δέ τινι καί άλλω υπέρ εαυτού τι προϊδεΐν, ώστε τώ αύτώ υπό άπάντων ιδία δοξάσματι λανθάνειν τό κοινόν άθρόον φθειρόμενον. 142 Μέγιστον δέ, τη των χρημάτων σπάνει κωλύσονται, δταν σχολή αυτά ποριζόμενοι διαμέλλωσιν· τού δέ πολέμου οί καιροί ού μενετοί. καί μην ούδ’ ή έπιτείχισις ουδέ τό ναυτικόν αύτών άξιον φοβηθή3 ναι. τήν μέν γάρ χαλεπόν καί έν ειρήνη πάλιν αντί παλον κατασκευάσασθαι, ή που δή έν πολέμια τε καί ουχ ησσον εκείνοις ήμών άντεπιτετειχισμένων- φρούριον δ’ εί ποιήσονται, τής μέν γης βλάπτοιεν αν τι μέρος καταδρομαΐς καί αύτομολίαις, ού μέντοι ικανόν γε έσται έπιτειχίζειν τε κωλύειν ημάς πλεύσαντας ές τήν εκείνων καί, ήπερ ίσχύομεν, ταΐς ναυσίν αμύνεσθαι· πλέον γάρ ήμεΐς έχομεν τού κατά γήν εκ τού ναυτικού εμπειρίας ή εκείνοι έκ τού κατ’ ήπειρον ές τά ναυτικά, τό δέ τής θαλάσσης επιστήμονας γενέσθαι ου ραδίως αύτοΐς προσγενή7 σεται. ουδέ γάρ υμείς μελετώντες αυτό εύθΰς από των Μηδικών έξείργασθέ που πώς δή άνδρες γεωρ-
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forza militare di tipo diverso dalla loro, dal momen to che non riescono ad operare in modo pronto ed efficace in un’unica sede deliberativa ed essendo di diversa stirpe - ma dotati di pari peso nelle votazio ni - perseguono ciascuno un proprio fine: una con dizione nella quale è raro che porti qualcosa a buon 7 fine. Per alcuni il fine è quello di punire a tutti i costi qualche avversario, per altri quello di perderci, personalmente, il meno possibile. Di rado si raduna no, e dedicano poco tempo ai problemi di interesse comune, la maggior parte agli interessi particolari di ciascuno; ciascuno pensa che non sarà la sua propria negligenza a risultare rovinosa e che ci sarà qualche altro che vorrà essere preveggente anche per lui: di conseguenza tutti, ciascuno per proprio conto, fan no questo calcolo e non si accorgono che cosi ne va di mezzo l’interesse comune. 142 Ma le loro maggiori difficoltà verranno dalla scar sezza di mezzi finanziari, quando le loro operazioni si bloccheranno per la lentezza nel procurarseli: e invece in guerra i momenti favorevoli non consento2 no indugi. E poi né le fortificazioni che possono tentare di costruire ai nostri confini, né la loro flot3 ta sono tali da incutere timore. Quanto alle forti ficazioni confinarie, infatti, già in tempo di pace è arduo che una città rivale riesca a costruirne, figu riamoci poi in territorio nemico, e quando anche noi disponiamo di adeguate fortificazioni contro di lo4 ro. Se poi riusciranno a costruire un fortino, certo qualche danno riusciranno ad infliggercelo saccheg giando parte del nostro territorio e provocando fuga di schiavi: ma questo non basterà ad impedirci di creare anche noi teste di ponte nel loro territorio at taccandolo per mare e di danneggiarli in casa loro 5 con la flotta che è la nostra risorsa precipua. Giac ché è maggiore l’esperienza che abbiamo noi della guerra per terra in base alla nostra consuetudine con la marineria, di quanto non possano saper loro delle cose del mare in base alla loro esperienza di guerra 6 per terra. E poi diventare esperti del mare non 7 sarà per loro una facile acquisizione. Neanche voi, del resto, che pure vi tenete in esercizio dal tempo delle guerre persiane, vi siete perfezionati del tutto.
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h a gu erra d e l P e lo p o n n e s o
γ ο ί κ α ί ού θ α λ ά σ σ ιο ι, κ α ί π ρ ο σ έτι ουδ έ μελετήσαι έα σ ό μ ενο ι δ ιά τό ύ φ ’ ημώ ν πολλαΐς ν α υ σ ίν α ίεί 8 έφ ορμεΐσθαι, ά ξιο ν αν τι δρφ εν; προς μέν γάρ όλίγα ς έφ ορμούσας κ α ν δ ια κ ινδ υ νεύ σ εια ν π λ ή θ ει τήν ά μ α θ ία ν θ ρ α σ ύ νο ν τες, πολλαΐς δέ είρ γό μ ενο ι ή σ υ χ ά σ ο υ σ ι κ α ί εν τφ μή μελετώ ντι ά ξυ ν ετώ τερ ο ι 9 έσονται κ α ί δι’ αυτό κ α ί οκνηρότεροι τό δέ ν α υ τι κόν τέχνης έστίν, ώ σ π ερ καί άλλο τι, καί οΰκ ενδέχε ται, δτα ν τύχη, εκ π αρ έρ γο υ μελετάσθαι, άλλά μάλ λον μηδέν έκείνω πάρεργον άλλο γίγνεσθαι. 143 Ε ϊ τε κ α ί κ ινή σ α ντες τω ν Ό λ υ μ π ία σ ιν ή Δελφ οΐς χρημάτω ν μισθφ μ είζο νι π ειρ φ ντο ημών ΰπολαβεΐν το ύς ξένο υ ς τώ ν ν α υ τ ώ ν , μή δ ντ ω ν μέν ημ ώ ν α ν τ ι πάλω ν έσβάντω ν α υτώ ν τε κα ί τώ ν μετοίκω ν δεινόν α ν ήν· ν ΰ ν δέ τόδε τε υπ ά ρ χει, καί, δπερ κράτιστον, κ υ β ερ νή τα ς εχομεν π ολ ίτα ς κ α ί τήν άλλην υ π η ρ ε σ ία ν π λείους κ α ί ά μ είνο υς ή ά π α σ α ή άλλη Έ λ 2 λάς. κ α ί έπ ί τφ κ ιν δ ύ ν ψ ο ύ δ είς αν δ έ ξα ιτο τώ ν ξέ ν ω ν τή ν τε α ύτο ΰ φ εύγειν κ α ί μετά τής ήσ σ ονος ά μα έλπίδος ολίγω ν ήμερώ ν ένεκα μεγάλου μισθού δόσεως έκείνοις ξυνα γω νίζεσ θ α ι. 3 Κ α ί τά μέν Π ελ ο π ο ννη σ ίω ν έμ ο ιγε το ια ϋ τα καί π α ρ α π λ ή σ ια δ ο κ εΐ είνα ι, τά δέ ήμ έτερα το ύ τω ν τε ώ νπ ερ έκείνοις έμ εμ ψ ά μ η ν ά π η λ λ ά χ θ α ι κ α ί άλλα 4 ο ύ κ ά π ό τού ίσ ου μεγάλα έχειν. ήν τε έπ ί τή ν χώ ρ α ν ήμ ώ ν π εζή ϊω σ ιν , ήμεΐς έπ ί τή ν έκείνω ν πλευσ ούμ εθα , κα ί ο ύκ έτι έκ τού όμοιου έ'σται Π ελοποννήσ ου τε μέρος τ ι τμ η θ ή ν α ι κ α ί τή ν Α τ τ ικ ή ν άπασ α ν ο ί μέν γάρ ούχ έξο υ σ ιν άλλην άντιλαβεΐν άμαχεί, ήμΐν δ’ έστί γη πολλή καί έν νήσοις καί κατ’ ήπει5 ρ ο ν μέγα γάρ τό τής θαλάσσης κράτος, σκέψ ασθε
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E come è possibile che riescano a fare qualcosa di buono in questo campo, dei contadini che col mare non hanno consuetudine e che per giunta non saran no certo lasciati in disturbati ad esercitarsi giacché noi continuamente li incalzerem o con una flotta im8 ponente ? G iacché certo se si trovassero ad affron tare poche navi forse la prevalenza num erica dareb be coraggio alla loro inesperienza, ma bloccati ogni volta da una flotta imponente rim arranno paralizza ti, e cosi, privi di esercizio, saranno sempre piu inca9 paci e perciò sem pre più esitanti. L a m arineria è più d ’ ogni altra arte un fatto di tecnica: e non è pos sibile diventarne esperti dedicand ovisi di tanto in tanto, in modo estemporaneo, al contrario è u n ’atti v ità totalizzante che semmai non consente di dedi carsi ad altro, sia pure in modo accessorio. J43 Se poi, mettendo le mani sui tesori di O lim pia e di D e lfi, tenteranno di conquistarsi con un salario piu alto gli stranieri che servono nella nostra flotta, que sta sarebbe una eventualità tem ibile se noi non fo s simo in grado di rim piazzarli salendo sulle navi noi stessi e i m eteci: fortunatam ente però noi siamo in grado di fare questo, e, soprattutto, cittadini sono i tim onieri e tutto l ’ altro personale tecnico im barca to, ed essi sono piu numerosi e meglio addestrati che 2 in qualunque altra città greca. E nel momento del pericolo nessuno dei m arinai stranieri accetterebbe di rom pere col proprio paese e collaborare con co storo - pur con minori speranze di successo - unica m ente per la prospettiva di pochi giorni di paga più alta. 3 Q uesta all’incirca mi sem bra la situazione dei P e loponnesiaci. Q uanto alla nostra, credo che non so lo sia priva degli inconvenienti che ho riscontrato in loro, ma che ci siano vari altri elem enti, di notevole 4 peso, in cui noi siamo piu fo rti. Se invaderanno v ia terra il nostro suolo, noi attaccherem o per mare il loro territorio: e non saranno sullo stesso piano una parziale devastazione del Peloponneso ed una, anche totale, d ell’ A ttica. G iacch é loro non potran no disporre senza lotta di un altro Peloponneso, noi abbiam o m olti altri luoghi - nelle isole e sulla terra5 ferm a - che sono «nostro territo rio »: è grande il
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6έ· εί γάρ ήμεν νησιώται, τίνες αν άληπτότεροι ήσαν; καί νΰν χρή δτι έγγύτατα τούτου διανοηθέντας τήν μέν γην καί οΙκίας άφεΐναι, τής δέ θαλάσσης καί πόλεως φυλακήν έχειν, καί Πελοποννησίοις ύπέρ αυ τών όργισθέντας πολλω πλέοσι μή διαμάχεσθαι (κρατήσαντές τε γάρ αύθις ούκ έλάσσοσι μαχούμεθα καί ήν σφαλώμεν, τά των ξυμμάχων, δθεν ίσχύομεν, προσαπόλλυταν ού γάρ ήσυχάσουσι μή ικανών ημών δντων επ’ αύτοΰς στρατεύειν), τήν τε όλόφυρσιν μή οίκιών καί γής ποιεΐσθαι, άλλα τών σωμάτων· ού γάρ τάδε τούς άνδρας, άλλ’ οί άνδρες ταΰτα κτώνται. καί εί ωμήν πείσειν υμάς, αύτοΰς άν έξελθόντας έκέλευον αύτά δηώσαι καί δεΐξαι Πελοποννησίοις δτι τούτων γε ένεκα ούχ ύπακούσεσθε. ΐ 44 Πολλά δέ καί άλλα έχω ές ελπίδα τοΰ περιέσεσθαι, ήν έθέλητε άρχήν τε μή έπικτάσθαι άμα πολεμοΰντες καί κινδύνους αύθαιρέτους μή προστίθεσθαι· μάλλον γάρ πεφόβημαι τάς οικείας ημών 2 αμαρτίας ή τάς τών εναντίων διανοίας. άλλ’ εκεί να μέν καί έν άλλω λόγω άμα τοϊς έργοις δηλωθήσεται· νΰν δέ τούτοις άποκρινάμενοι άποπέμψωμεν, Μεγαρέας μέν δτι έάσομεν άγορςί καί λιμέσι χρήσθαι, ήν καί Λακεδαιμόνιοι ξενηλασίας μή ποιώσι μήτε ημών μήτε τών ήμετέρων ξυμμάχων (ούτε γάρ έκεϊνο κωλύει έν ταΐς σπονδαΐς ούτε τόδε), τάς δέ πόλεις δτι αύτονόμους άφήσομεν, εί καί αύτονόμους έχοντες έσπεισάμεθα, καί δταν κάκεϊνοι ταΐς εαυτών άποδώσι πόλεσι μή σφίσι [τοΐς Λακεδαιμονίοις] έπιτηδείως αύτονομεΐσθαι, άλλ’ αύτοΐς έκάστοις ώς βούλονται· δίκας τε δτι έθέλομεν δούναι κατά τάς ξυνθήκας, πολέμου δέ ούκ άρξομεν, άρχομένους δέ άμυνούμεθα. ταΰτα γάρ δίκαια καί
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vantaggio della talassocrazia. Pensate: se il nostro paese fosse u n ’ isola, chi sarebbe piu im prendibile di noi ? E allora la nostra linea di condotta d e v ’essere il piu possibile simile a quella che terrem m o se abitas simo u n ’isola: lasciar perdere la terra e le case, presi diare la città e il mare, non lasciarsi trascinare dal furore per le perdite subite ad accettare battaglia per terra coi Peloponnesiaci, che sono di gran lunga piu numerosi (anche se li sconfiggessim o per terra ci troverem m o a doverli affro n tare daccapo, non me no numerosi; se invece fossim o sconfitti, perderem mo anche il sostegno degli alleati, che sono la nostra forza): non la terra né le case sono da com m iserare, ma gli esseri um ani, giacché questi procurano quel le, non il contrario. S ’ io pensassi di p o tervi con vin cere v i direi addirittura di farla noi stessi una sorti ta contro il nostro territorio e dim ostrare cosi ai Peloponnesiaci che non è certo in considerazione di questi beni che voi vi piegherete. 144 H o m olte altre ragioni che mi inducono a co n fi dare nella v itto ria : a patto che vo i non preten d iate che la guerra serva ad ingrandire l ’ im pero, e che non vogliate affro n tare risch i gratu iti: tem o piu i 2 nostri errori che la strategia del nem ico. M a que sto lo m ostrerò in un altro discorso, quando saremo nel concreto d ell’ azione. A desso dobbiam o rispon dere a questi am basciatori e congedarli. E la nostra risposta d e v ’ essere la seguente. P rim o: consen tirem o ai M egaresi di accedere al nostro m ercato e ai p o rti d e ll’ im pero se, da parte loro, gli Spartan i cesseranno di praticare l ’ espulsione in m assa di stran ieri a danno nostro e dei nostri alleati - dal m om ento che né il blocco di M egara né le pratiche xen ofob e di Sparta interferiscono con il dettato del trattato. Secondo: accorderem o l ’ autonom ia solo a quelle città d e ll’ impero che erano autonom e al m o mento della stipulazione del trattato e solo quando anche gli S p artan i consentiranno ai loro alleati di reggersi col regim e che vogliono e non con quello gradito agli Spartan i. T erzo : siamo p ro n ti ad a f fro n tare arb itrati come previsto dal tra ttato ; non sarem o noi ad aprire le o stilità ma ci difen derem o da coloro che le inizieranno. Q uesta è una risposta
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La guerra d e l Peloponneso
3 π ρ έπ ο ντα άμα τήδε τη πόλει ά π ο κ ρ ίνα σ θ α ι. είδέν α ι δέ χρή δτι α νάγκη πολεμεΐν, ήν δέ έκοΰσιοι μάλ λον δεχώ μεθα, ήσσον έγκεισομένους τούς εναντίους έξο μ εν, εκ τε τω ν μεγίστω ν κ ιν δ ύ ν ω ν δ τι κ α ί π όλει 4 κ α ί ιδιώ τη μ έγισ τα ι τιμ α ί π ερ ιγίγ ν ο ν τα ι. ο ί γο ΰ ν π α τέρες ή μ ώ ν ύπ ο σ τά ντες Μ ή δ ο υς κ α ί ούκ άπ ό το σ ώ νδ ε όρμώ μενοι, άλλα κ α ί τα υ π ά ρ χ ο ν τα έκλιπόντες, γνώ μη τε πλέονι ή τύχη καί τόλμη μείζονι ή δ υ ν ά μ ει τό ν τε βάρ β α ρ ο ν ά π εώ σ α ντο κ α ί ές τά δ ε π ρ οήγαγον αυτά, ών ού χρή λείπεσθαι, άλλα τούς τε εχ θ ρ ο ύ ς π α ν τ ί τρ όπ ω ά μ ΰ ν ε σ θ α ι κ α ί τοΐς έπ ιγιγνομένοις π ειρ ά σ θα ι αυτά μή έλάσσω παραδοϋναι». *45 Ό μέν Π ερικλή ς το ια ϋ τα ειπ εν, ο ί δέ Α θ η ν α ίο ι ν ο μ ίσ α ντες ά ρ ισ τα σφ ίσι π α ρ α ιν εΐν α υ τό ν έψηφίσ α ντο ά έκέλευε, κ α ί τοΐς Λ α κ ε δ α ιμ ο ν ίο ις άπεκρίνα ντο τη έκείνου γνώ μη, κ α θ ’ έκασ τά τε ώς εφρασε κ α ί τό ξύμ π α ν, ο ύδ έν κελευόμενοι ποιήσειν, δίκη δέ κ α τά τά ς ξυ ν θ ή κ α ς έτοιμ ο ι είν α ι δ ια λ ύ εσ θ α ι π ερ ί τω ν εγκ λ η μ ά τω ν επ ί ϊση κ α ί όμ ο ίρ . κ α ί ο ί μεν άπεχώ ρησαν επ’ οί'κου καί ούκέτι ύσ τερον έπρεσβεύοντο· α ίτία ι δέ α ΰτα ι καί διαφ οραί έγένοντο άμφοτέροις π ρ ό τού π ο λ έμ ο υ, ά ρ ξά μ ενα ι ευ θύ ς ά π ό τω ν εν Έ π ιδ ά μ ν ω κ α ί Κ έρ κ υ ρ α · έπ εμ είγ νυ ντο δέ δμω ς έν α ύτα ΐς κ α ί π α ρ ’ άλλήλους έφ οίτω ν άκηρύκτω ς μέν, ά νυ π ό π τω ς δέ οϋ· σ π ονδώ ν γά ρ ξύ γ χ υ σ ις τά γιγνόμενα ήν κ αί πρόφασις τού πολεμεΐν.
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3 giusta e decorosa per una città come A ten e. B iso gna sapere che la guerra è in evitab ile, ma che quan to piu l ’ accetterem o di buon grado, tanto meno a v vertirem o la pressione del nem ico; e che il massimo onore viene sia alle città che ai singoli dai più gran4 di pericoli. C o si fu per i nostri padri: essi a ffro n tarono l ’urto dei P ersiani, e non certo partendo da posizioni quali le nostre attuali, ma anzi co stretti ad abbandonare quel poco che avevano: con l ’ intel ligenza più che con la fortuna, col coraggio piu che con la forza essi respinsero il barbaro e portarono la città alla attuale grandezza. N o n possiam o essere da meno. D obbiam o respingere in ogni modo il n e mico e far di tu tto per lasciare, a chi v e rrà dopo di noi, intatta quella grandezza». 145 T ale fu il discorso di Pericle. G li A ten iesi si con vinsero che consigliasse per il meglio e votarono le sue proposte. E secondo il suo suggerim ento rispo sero agli Spartan i punto per punto com e lui aveva detto; in sintesi: che non intendevano subire alcuna im posizione ed erano pronti a risolvere le contro versie con un equo arbitrato, come previsto dal trat tato. G li Spartani tornarono in patria e non manda146 rono più am bascerie. Q ueste furono le accuse reciproche e i dissensi precedenti il conflitto, in izia tisi subito dopo le vicende di E pidam no e C orcira. Nondim eno durante tale periodo m antenevano rap porti e contatti reciproci, certo senza araldi ma non senza reciproci sospetti: dal m omento che quanto stava accadendo altro non era che un modo di m et tere in crisi il trattato e creare pretesto per la guerra.
ΙΣ Τ Ο ΡΙΩ Ν Β
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’Ά ρ χ ετα ι δέ ò πόλεμος ένθένδε ήδη Α θ η ν α ίω ν κα ί Π ελοπ ο ννησ ίω ν κ α ί τά>ν έκατέροις ξυμ μ ά χω ν, έν φ οΰτε έπεμείγνυντο έτι άκηρυκτεί π αρ’ άλλήλους καταστάντες τε ξυνεχώ ς έπ ο λ έμ ο υν γέγρ α π τα ι δέ έξης ώς έκαστα έγίγνετο κατά θέρος κ α ί χειμώνα. χ Τ έσ σ α ρ α μέν γά ρ κ α ί δ έκ α έτη έν έμ ε ιν α ν αί τρ ια κ ο ντο ύ τεις σ π ο ν δ α ί αΐ έγ ένο ντο μετ’ Ε ΰ β ο ία ς αλωσιν· τώ δέ πέμπτω καί δεκάτω έτει, έπί Χ ρυσ ίδο ς έν Ά ρ γ ε ι τότε π εντή κ ο ντα δ υ ο ΐν δέο ντα έτη [ερω μένης κ α ί Α Ιν η σ ίο υ εφ όρου έν Σ π ά ρτη κ α ί Π υθ ο δ ώ ρ ο υ έτι δ ύο μήνας άρχοντος Ά θ η ν α ίο ις , μετά τή ν έν Π ο τ ειδ α ία μάχην μηνί έκτω κ α ί ά μ α ή ρ ι άρχομένω Θ ηβαίω ν άνδρες όλίγω πλείους τριακοσίω ν (ηγούντο δέ α υτώ ν βοιω ταρχοΰντες Π υθά γγελ ός τε ό Φ υλείδου καί Δ ιέμπορος ο Ό νη το ρ ίδ ο υ ) έσήλθον π ερ ί π ρ ώ το ν ύ π ν ο ν ξ ύ ν δπ λ οις ές Π λ ά τα ια ν τής 2 Β ο ιω τ ία ς ο ΰ σ α ν Α θ η ν α ίω ν ξυ μ μ α χ ίδ α . έπ η γά γοντο δέ κα ί ά νέω ξα ν τάς πύλας Π λαταιώ ν άνδρες, Ν αυκλείδης τε κ α ί οί μετ’ α ύτοΰ, βουλόμενοι ’ι δίας έ νεκ α δυνά μ εω ς ά νδρ α ς τε τώ ν πολιτώ ν τούς σφίσιν ύ π εν α ν τίο υ ς δ ια φ θ ε ΐρ α ι κ α ί τή ν π όλ ιν Θ ηβαίο ις 3 π ρ ο σ π ο ιή σ α ι. έ π ρ α ξα ν δέ τα ϋ τ α δι’ Ε ΰ ρ υ μ ά χ ο υ τοΰ Λ ε ο ν τ ιά δ ο υ , ά νδρ ό ς Θ η β α ίω ν δ υ να τω τά το υ . π ρ ο ϊδό ντες γά ρ ο ί Θ ηβ α ίο ι ό τι έσοιτο ό πόλεμος έβούλοντο τή ν Π λ ά τα ια ν α ίεί σφίσι διάφ ο ρο ν οΰσ αν έτι έν ειρήνη τε κ α ί τοΰ πολέμου μήπω φ ανερού κα-
L IB R O S E C O N D O O ra dunque ha inizio il racconto della guerra tra i Peloponnesiaci e gli A ten iesi e i risp e ttivi alleati. N el corso di questa guerra i contendenti non ebbero piu rapporti fra loro se non tram ite araldi, e le osti lità fra le due parti, risolute ad andare sino in fondo, non furono m ai interrotte. Il racconto riporta i fatti nell’ ordine in cui si com pirono, per estati e inverni. L a pace trentennale, conclusa dopo la presa dell’ E ubea, durava da quattordici anni quando, al quin dicesimo anno - ad A rgo era sacerdotessa da quaran totto anni Criside, a Sparta era eforo En esia, ad A te ne era arconte Pitodoro, e la sua carica sarebbe dura ta ancora due mesi - , nel sesto mese dopo la battaglia di Potidea, aU’inizio della prim avera; poco piu di tre cento Tebani, ai com andi dei beotarchi Pitangelo f i glio di Filide e Diem poro figlio di O netoride, a notte fond a entrarono arm ati in Platea, città della B eozia alleata di A tene. A chiamarli e aprire loro le porte erano stati alcuni cittadini plateesi, N auclide e i suoi seguaci, che per sete di potere volevano elim inare i loro avversari politici e dare la città in mano ai T eba ni; avevano cosi ordito questa macchinazione d ’in tesa con Eurim aco figlio di Leontiade, personaggio molto influente a Tebe. I T eban i in realtà, p reve dendo che sarebbe scoppiata la guerra, volevano im padronirsi di Platea, l ’eterna nemica, prim a, quando ancora si era in pace e non si era ancora giunti alla
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L a gu erra d e l P e lo p o n n e so
θεστώ τος π ροκαταλαβεΐν. fj κ α ί ρ α ον έλ α θον έσελ4 θόντες, φυλακής ού προκαθεστηκυίας. θέμ ενοι δέ ές τήν α γο ρ ά ν τά δπ λ α τοΐς μέν έπ α γα γο μ ένοις ούκ έπ ε ίθ ο ν το ώ στε ε υ θ ύ ς έρ γο υ εχ εσ θ α ι κ α ί ίέ ν α ι επ ί τάς οικίας των έχθρώ ν, γνώ μην δ ’ έπ οιοϋντο κηρύγμασί τε χρ ή σ α σ θα ι έπιτηδείοις κ α ί ές ξύμ βασ ιν μάλ λον κ α ί φ ιλίαν τή ν πόλιν ά γ α γ εΐν (κ α ί ά νεΐπ εν ό κ ή ρ υ ξ, εϊ τις β ο ύλ ετα ι κατά τά π ά τρ ια τω ν π ά ντω ν Β οιω τώ ν ξυμμαχεΐν, τίθεσ θα ι π α ρ ’ αύτούς τά δπλα), ν ο μ ίζο ντες σφ ίσι ρςχδίως το ύτω τώ τρ ό π ω προ3 σχω ρήσειν τήν πόλιν. οί δέ Π λαταιής ώς ήσ θοντο έν δ ο ν τε δντα ς το ύς Θ ηβ α ίο υς κ α ί έξα π ιν α ίω ς κατειλημμένην τήν πόλιν, καταδείσαντες κ α ί νομίσαντες πολλώ πλείους έσ εληλ υθένα ι (ού γά ρ έώ ρω ν έν τή νυκτί) προς ξύμ β α σ ιν έχώ ρησαν κ α ί τούς λόγους δ εξά μ ενο ι ή σ ύχα ζον, άλλως τε κ α ί επειδή ές ούδένα 2 ούδέν ένεω τέριζον. πράσσοντες δέ πως τα ΰτα κατενόησαν ού πολλούς τούς Θ ηβαίους δντας κ α ί ένόμισαν έπ ιθ έμ ενο ι ρςχδίως κρατήσειν· τφ γά ρ π λή θει τω ν Π λ α τα ιώ ν ού βουλομένφ ή ν τω ν Α θ η ν α ίω ν 3 άφ ίστασθαι. έδόκει οΰν έπιχειρητέα είναι, κ α ί ξυνελέγοντο διορύσ σοντες τούς κοινο ύς το ίχους π α ρ ’ άλλήλους, δπω ς μή δ ιά τω ν οδώ ν φ ανεροί ώ σιν ίόντες, ά μά ξα ς τε άνευ τω ν υ π ο ζυγίω ν ές τάς οδούς καθ ίσ τα σ α ν, ϊν α ά ντί τείχους ή, κ α ί ταλλα έξή ρ τυο ν ή έκα σ τον έφ αίνετο π ρος τά π α ρ ό ντα ξύμ φ ορ ον έσε4 σ θ α ι. έπ εί δέ ώς έκ τω ν δ υ ν α τ ώ ν έτο ιμ α ήν, φ υ λ ά ξα ντες έτι ν ύ κ τα κ α ί α ύτό τό π ερ ίο ρ θ ρ ο ν έχ ώ ρ ο υν έκ τώ ν ο ικ ιώ ν έπ ’ α ύ το ύ ς, δπ ω ς μή κ α τά φώς θαρσαλεω τέροις ούσι προσφέροιντο κ α ί σφίσιν έκ τοϋ ίσ ο υ γ ίγ ν ω ν τ α ι, άλλ’ έν ν υ κ τ ί φ ο βερ ώ τερο ι δντες ήσσους ώ σι τής σφετέρας έμ π ειρίας τής κατά τήν πόλιν. προσ έβαλόν τε εύ θύ ς κα ί ές χεΐρας ήσαν
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guerra aperta; circostanza, questa, che rese loro piu facile entrare in città non visti, dal m om ento che non era stato predisposto alcun servizio di guar4 dia. G iu n ti in piazza, ove si schierarono deponen do le armi, non diedero ascolto all’in vito dei Plateesi loro amici di m ettersi subito all’ opera attaccando le case dei loro avversari, ma decisero di diram are proclam i m iranti alla pacificazione, tentando piu t tosto di portare cosi la città ad un accordo e all’ ami cizia con T ebe. L ’ araldo annunciò che chiunque v o lesse essere loro alleato, secondo le tradizionali nor me della com unità beota, dovesse venire a schierar si al loro fianco: erano con vinti che in tal modo fa cilm ente Platea sarebbe passata dalla loro par3 te. Q uando i Plateesi si accorsero che i T eban i erano penetrati in città e se ne erano im padroniti con un colpo di mano, furono presi dal panico pensando che fossero in numero m olto m aggiore (era notte e non si vedeva nulla); decisero cosi di addivenire ad un accordo e, accettate le proposte fatte , se ne sta vano tranquilli, tanto piu che i Teban i non si rende van o autori di alcuna violen za contro chicches2 sia. N el corso delle trattative però, a un certo punto, capirono che il num ero dei T eb an i non era grande, e pensarono che attaccandoli avrebbero p o tuto sopraffarli facilm ente: il fatto è che la maggior parte dei P lateesi non aveva alcuna intenzione di 3 abbandonare l ’ alleanza con A ten e. D ecisero allo ra di passare a ll’ attacco. P raticati dei fo ri nei muri fra una casa e l ’ altra, perché i nem ici non si accor gessero dei loro m ovim enti, si raccolsero tu tti in uno stesso luogo; poi sbarrarono le vie con carri senza b estie da tiro, che vennero a form are una specie di muro, e predisposero anche tutto il resto come parve 4 meglio per far fronte a una tale situazione. Q uan do, per quel che era in loro potere, fu tutto pronto, colsero il momento in cui era ancora notte e appena com inciava ad albeggiare per lasciare le case e muo vere all’ attacco dei T eban i: l ’intento era di scon trarsi con i nem ici prim a che la luce li rendesse piu sicuri di sé, m ettendoli in condizioni di parità; di notte invece i T eb an i avrebbero avuto piu paura, m entre essi, per la conoscenza che avevano della
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ol δ’ ώς έγνω σαν έξηπατημένοι, ξυνεστρέφοντό τε έν σφίσιν αύτοις κ α ί τάς προσβολής ή π ρ ο σ π ίπ τ ο ιεν ά π εω ΐίο ϋ ντο . κ α ί δίς μέν ή τρις ά π εκ ρ ο ύ σ α ντο , έπ ειτα πολλω θ ο ρ ύ β φ α υ τώ ν τε π ρ οσ β α λ όντω ν κ α ί τω ν γ υ ν α ικ ώ ν κ α ί τώ ν οίκετώ ν ά μα α π ό τώ ν οικιώ ν κ ρ α υγή τε κ α ί όλολυγή χρωμένω ν λίίίοις τε καί κεράμω βαλλόντων, καί ύετοΰ άμα δ ιά νυκ τό ς πολλοΰ έπ ιγενο μ ένο υ, έφ οβή θη σα ν κα ί τραπόμενοι έ'φευγον διά τής πόλεως, άπειροι μέν δντες ο ι πλείους έν σκότιμ κ α ί πηλω τώ ν δ ιό δ ω ν fj χρή σ ω θ ή να ι (κα ί γάρ τελευτώ ντος τοΰ μηνός τά γιγνόμενα ήν), εμπ είρους δέ έχοντες τούς διώ κοντας τού 3 μή έκ φ εύγειν, ώ στε δ ιεφ θ είρ ο ντο ο ί πολλοί, τώ ν δέ Π λ α τα ιώ ν τις τά ς π ύλ α ς fj έσήλ-θον κ α ί αϊπ ερ ήσα ν μόναι ά νεω γμ ένα ι έκλήσε στυρακίω ακοντίου α ντί βαλάνου χρησάμενος ές το ν μοχλόν, ώστε μηδέ 4 τα ύ τη έξο δ ο ν ετι είνα ι, δ ιω κ ό μ ενο ι δέ κ α τά τήν πόλιν οί μέν τινες α υτώ ν επ ί τό τείχος άναβάντες έρρ ιψ α ν ές τό έξω σςράς α υ το ύ ς κ α ί δ ιεφ θ ά ρ η σ α ν οί πλείους, οί δέ κατά πύλας έρημους γυναικός δούσης π έλ εκ υν λ α θό ντες κ α ί δ ια κ ό ψ α ντες το ν μοχλόν έξήλθον ού πολλοί (αϊσύησις γάρ ταχεία έπεγένετο), άλλοι δέ άλλη τής πόλεω ς σ π ο ρ ά δ ες άπ ώ λλυντο. τό δέ π λεϊσ τον κ α ί δσ ο ν μάλιστα ήν ξυνεστραμμ ένον έσ π ίπ το υσ ιν ές οίκημ α μέγα, δ ήν τού τείχους κ α ί α ίϋ ύ ρ α ι ά νεω γμέναι έτυχον αυτού, οίόμενοι πύλας τάς θ ύ ρ α ς τοΰ οικήματος είν α ι κ α ί άντικ ρ υ ς δ ίο δ ο ν ές τό έξω . όρ ώ ντες δέ α υ το ύ ς οί Π λ α τα ιή ς ά π ειλ η μ μ ένο υς έβ ο υλ εύο ντο είτε κατακ α ύ σ ω σ ιν ώ σπερ έχο υσ ιν, έμ π ρή σαντες τό οίκημα, είτε τι άλλο χρήσω νται. τέλος δέ ο ύτο ί τε κ α ί δσοι άλλοι τώ ν Θ ηβαίω ν π ερ ιή σ α ν κ α τά τή ν π όλ ιν πλαν ώ μ ενο ι, ξυ νέβ η σ α ν τοΐς Π λ α τα ιεΰ σ ι π α ρ α δ ο ΰ ν α ι σφάς τε α υτούς κ α ί τά δπ λα χ ρ ή σ α σ θ α ι δ τι άν βούλω νται. οί μέν δή έν τή Πλαταίοι ούτω ς έπ επράγε-
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città, si sarebbero trovati in gran van taggio. A ttac carono dunque di sorpresa e presto incom inciò la 4 m ischia. Q uando i T eb an i si avvidero d ell’ ingan no, si schierarono a ranghi com patti e respingevano gli assalti ovunque si abbattesse l ’im peto dei nemi2 ci. Riuscirono a ricacciarli indietro due o tre v o l te, ma quando poi i Plateesi sferrarono un attacco urlando a squarciagola, m entre le donne e gli schiavi con grida e clamori scagliavano dalle case pietre e te gole, sotto una pioggia caduta a dirotto tutta la not te, furono colti da sgomento e, fatto dietro front, si diedero alla fuga per la città, incapaci i più di orien tarsi nel buio e nel fango e di trovare i passaggi da prendere per m ettersi in salvo - si era in fatti alla f i ne del mese. G li inseguitori però sapevano bene co me precludere loro ogni via di scam po, e cosi essi 3 venn ero uccisi per la m aggior parte. U no dei P la teesi poi chiuse la porta per la quale i T eb an i erano en trati nella città - l ’unica rim asta aperta - serven dosi del puntale in feriore di un giavellotto come di un nasello da inserire nella spranga; cosi anche questa via d ’uscita per loro fu chiusa. In seguiti per tutta la città, alcuni dei T eban i salirono sulle mura e si lanciarono al di fuori, e i piu m orirono sfracellan dosi. A ltri invece riuscirono a fuggire per una porta rim asta incustodita, grazie ad una donna che diede loro una scure, con cui spaccarono la spranga senza essere visti; ma non furono in m olti a salvarsi per questa via perché subito i Plateesi li scoprirono. A l tri ancora trovarono la m orte dispersi qua e là per la 5 città. Il gruppo piu consistente di T eban i, che si era mantenuto a ranghi più serrati, irruppe in un grande edificio addossato alle mura, la cui porta ca sualmente era aperta, pensando che quella fosse una porta della città che conduceva direttam ente a ll’e6 sterno. Vedendo il nemico ormai in trappola, i Pla teesi consideravano se convenisse bruciare i Tebani li dove si trovavano, appiccando il fuoco all’edificio, 7 ovvero fosse meglio seguire u n ’ altra via. A lla fin e però i Tebani rim asti bloccati li, e tutti gli altri che, scam pati alla m orte, si aggiravano per la città, ven nero ad un accordo con i Plateesi, arrendendosi a di8 screzione e consegnando anche le arm i. Q uesto è
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σαν ο ί δ ’ άλλοι Θ η β α ίο ι, οϋς έδ ει έτι της νυκ τό ς π α ρ α γενέσ θ α ι π ανστρατιςί, εϊ τ ι ά ρ α μή προχω ροίη τοΐς έσ εληλ υθόσ ι, τής α γγελ ία ς άμα κ α θ ’ οδόν α ύ το ΐς ρ η θείσ η ς π ερ ί τω ν γεγενη μ ένω ν έπεβοή2 θ ο υ ν . α π έχει δέ ή Π λ ά τα ια τώ ν © ηβώ ν σ τα δίους έβδομήκοντα, καί το ύδω ρ τό γενόμ ενον τής νυκτός έποίησε βρ αδύτερ ον α υτο ύς έλθεΐν· ό γάρ Α σ ω π ό ς π ο τα μ ό ς έρρύη μ έγας κα ί ού ρ α δίω ς δια β α τός 3 ήν. πορευόμενοί τε έν ύετώ κ α ί τον ποταμόν μόλις δ ια β ά ντες ύσ τερ ο ν π α ρ εγ ένο ν το , ήδη τώ ν ά νδ ρ ώ ν τω ν μέν διεφ θ α ρ μ ένω ν, τώ ν δέ ζώ ντω ν έχομέ4 νω ν. ώς δ’ ήσ θοντο οί Θ ηβαίοι τό γεγενημένον, έπ εβ ο ύ λ ευ ο ν τοΐς έξω τής πόλεω ς τώ ν Π λ α τ α ιώ ν ησαν γάρ καί ά νθρ ω π οι κατά τούς αγρούς κ α ί κατα σκευή, ο ια απ ροσ δόκητου κακού έν ειρήνη γενομένο υ · έβ ούλ οντο γά ρ σφ ίσιν, ε ϊτ ιν α λά βοιεν, ύπ άρχειν α ντί τώ ν ένδον, ήν αρ α τύχ ω ο ί τινες έζω γρημέ5 voi. κ α ί οί μέν τα ύ τ α διενο ο ύ ν το , ο ί δέ Π λαταιής έτι δ ιαβο υλευομ ένω ν αυτώ ν ύπ οτοπ ήσ α ντες τοιοΰτό ν τ ι έσ εσ θ α ι κ α ί δείσ α ντες π ερ ί τοΐς εξω κή ρ υκ α έξέπ εμ ψ α ν π α ρ ά τούς Θ ηβαίους, λέγοντες δ τι ούτε τα π επ ο ιη μ ένα δ σ ια δ ρ ά σ εια ν έν σ π ο νδ α ίς σφών πειράσαντες καταλαβείν τήν πόλιν, τά τε έξω έλεγον αύτοΐς μή ά δ ικ ε ΐν εί δέ μή, κ α ί α ύτο ί έφ ασαν αύτώ ν το ύς ά νδ ρ α ς ά π ο κ τενεΐν οϋς έχ ο υσ ι ζώ ντα ς· άναχω ρησάντω ν δέ πάλιν εκ τής γής ά π οδώ σ ειν αύτοΐς 6 το ύς ά νδρ α ς. Θ η β α ίο ι μέν τα ύ τ α λ έγο υσ ι κ α ί έπ ομόσαι φασίν αύτούς· Π λαταιής δ ’ ούχ όμολογοΰσι το ύς ά νδ ρ α ς εύ θ ύ ς ύ π ο σ χ έ σ θ α ι ά π ο δ ώ σ ειν , άλλά λόγω ν π ρ ώ τον γενο μ ένω ν ήν τι ξυ μ β α ίν ω σ ι, κ α ί έ5
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quanto accadde a Platea a quel prim o gruppo di in5 vasori. G li altri T eban i, che dovevan o soprag giungere con il grosso dell’esercito, prim a del sorge re del sole, se l ’ azione dei loro com pagni penetrati nella città non avesse avuto successo, furon o rag giunti m entre erano per strada dalla n otizia d ell’ ac 2 caduto e si affrettaron o a correre in aiuto. L a d i stanza fra Platea e T ebe è di settanta stadi, e la loro avanzata fu resa piu lenta d all’ acqua caduta nel cor so della notte, poiché il fium e A sopo era in piena e 3 non era facile guadarlo. A causa dunque della v io len ta pioggia che ostacolò la m arcia e del d ifficile passaggio del fium e, quando l ’ esercito tebano giun se a Platea era orm ai troppo tardi: parte dei loro uo m ini erano già stati uccisi, e quelli scam pati alla 4 m orte erano stati fatti prigionieri. Q uando i T e b an i com presero l ’accaduto, pensarono di prendere a tradim ento i Plateesi che si trovavan o fu o ri città: nei cam pi in fatti v i erano uom ini e attrezzi - dal m om ento che quello sciagurato attacco era stato sferrato del tutto inaspettatam ente, in periodo di pace - , e se essi fossero riu sciti a catturare un certo num ero di P lateesi li avrebbero usati com e ostaggi da scam biare con i loro concittadini rim asti even tualm ente intrappolati dentro Platea. Q uesto era il 5 loro proposito, ma, m entre ancora ne stavano par lando, i Plateesi ebbero il sospetto di ciò che i nemi ci progettavano e, tem endo per i loro concittadini che erano fuo ri le mura, inviarono un araldo ai T e b an i col seguente m essaggio: il com portam ento te nuto in quell’ occasione, il loro tentativo di impadro nirsi della città sebbene si fosse in pace, già aveva rappresentato una violazione delle leggi d ivine; b a dassero ora a non m acchiarsi d i altre colpe fuori del la città. In caso contrario - venne m inacciato - i lo ro uom ini catturati v iv i sarebbero stati uccisi; men tre, se si fossero ritirati dal territorio plateese, i pri6 gionieri sarebbero stati restituiti. Q uesta è la v e r sione dei fatti che danno i T eban i, e sostengono an che che i Plateesi si im pegnarono con un giuram en to. I Plateesi invece negano di aver prom esso che la restituzione dei prigionieri sarebbe stata im m ediata (in realtà - dicono - avrebbe avuto luogo solo se in
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1 π ομ ό σ α ι ο ν φασιν. έκ δ“ ο ύν τής γης ά νεχώ ρ ησα ν οί Θ η β α ίο ι ο ύ δ έν ά δικ ή σ α ντες· ο ί δέ Π λ α τα ιή ς ε π ειδή τα έκ τής χώ ρ α ς κ α τά τά χ ο ς έσ εκο μ ίσ α ντο, ά π έκ τεινα ν τούς ά νδρ α ς ευθύς, ήσ α ν δέ όγδοήκοντα κ α ί έκα τόν ο ί ληφ θέντες, κ α ί Ε ύ ρ ύ μ α χ ο ς εις 6 α υτώ ν ήν, προς δν έπ ρ α ξα ν οί προδιδόντες. τούτο δέ π οιή σ α ντες ές τε τάς Α θ ή ν α ς ά γγελ ο ν έπ εμ π ο ν κ α ί το ύς νεκρούς ύ π ο σ π ό νδο υς ά π έδο σ α ν τοΐς Θηβαίοις, τά τε έν τή πόλει κ αθίσταντο προς τά παρόν2 τα ή έδ ό κ ει αύτοΐς. τοΐς δ” Ά θ η ν α ίο ις ή γγέλ θη ευ θ ύ ς τά π ερ ί τω ν Π λ α τα ιώ ν γ εγενη μ ένα , κα ί Β ο ιω τώ ν τε π αρ αχρ ήμα ξυνέλ α β ο ν δσ οι ησ α ν έν τή “Α ττικ ή κ α ί ές τή ν Π λ ά τα ια ν έπ εμ ψ α ν κ ή ρ υ κ α , κελεύοντες είπεΐν μηδέν νεώ τερον π οιεΐν π ερ ί τω ν άνδρώ ν οΰς έχουσι Θ ηβαίω ν, πριν α ν τι καί α υτο ί βου3 λεύσ ω σι π ερ ί α ύ τ ώ ν ού γά ρ ή γγέλ θ η α ύ το ΐς δ τι τεθ ν η κ ό τες ειεν. ά μ α γά ρ τή έσ όδω γιγ νο μ ένη τω ν Θ ηβαίω ν ό πρώτος άγγελος έξήει, ό δέ δεύτερος άρ τι νενικη μένω ν τε κα ί ξυνειλημμένω ν· κα ί τώ ν ύσ τε ρον ο ύδ έν ήδεσαν. ούτω δή ούκ είδότες οί Α θ η ν α ίο ι έπ έ σ τ ελ λ ο ν ό δέ κ ή ρ υ ξ ά φ ικόμ ενο ς η ύρ ε το ύς άν4 δ ρ α ς διεφ θαρμένους, καί μετά ταύτα οί Α θ η ν α ίο ι σ τρ α τεύ σ α ντες ές Π λ ά τα ια ν σΐτόν τε έσ ή γα γο ν καί φ ρ ο υ ρ ο ύς έγκ α τέλ ιπ ο ν, τώ ν τε α ν θ ρ ώ π ω ν το ύς αχρειότατους ξύ ν γ υ ν α ιξί καί π α ισ ίν έξεκόμισαν. 7 Γ εγενη μ ένο υ δέ τού έν Π λ α τα ια ΐς έρ γο υ κ α ί λελυμένω ν λαμπρώ ς τώ ν σπ ονδώ ν οί Α θ η ν α ίο ι παρεσ κ ευ ά ζο ντο ώς πολεμήσοντες, π α ρ εσ κ ευ ά ζο ντο δέ κ α ί Λ α κ ε δ α ιμ ό ν ιο ι κ α ί ο ί ξύ μ μ α χ ο ι, π ρ εσ β εία ς τε μέλλοντες π έμ π ειν π α ρ ά βασ ιλέα κ α ί άλλοσε προς τούς β α ρ β ά ρ ο υς, ε ϊ π ο θ έ ν τινα ώ φ ελίαν ή λ π ιζο ν έκά τεροι προσλήψ εσθαμ πόλεις τε ξυμ μ α χίδα ς ποι, ο ύ μ ενο ι δ σ α ι ή σ α ν έκτος τής έα υ τώ ν δυ νά μεως. κ α ί Λ α κ εδα ιμ ο νίο ις μέν προς ταΐς αύτο ύ ύπ αρχούσαις έξ “Ιταλίας καί Σικελίας τοΐς τάκείνω ν έ-
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seguito a trattative si fosse giunti ad un accordo), e contestano di essersi vin co lati con un giuramen7 to. I T eban i com unque si ritirarono dal territorio plateese senza com piere alcuna azione ostile. M a i P lateesi, dopo aver in tutta fretta posto al sicuro i b en i che avevano nei cam pi, uccisero su due piedi gli uomini che avevano catturato; i prigionieri erano centottanta, e fra loro v i era E urim aco, quello con 6 cui i traditori avevano condotto le trattative. D o po di che m andarono un m essaggero ad A ten e, e, in seguito ad accordo, restituirono ai T e b an i i corpi dei caduti; sistem arono inoltre ogni cosa in città nel modo che giudicavano migliore in base alla situazio2 ne presente. G li A ten iesi avevano saputo im m e diatam ente di ciò che era successo a Platea: allora avevan o subito im prigionato i B eo ti che erano in A t tica, e avevano mandato a Platea un araldo con l ’o r dine di in vitare gli alleati ad astenersi - prim a che ad A ten e si fosse deliberato sul caso - dal com piere atti inconsulti nei con fron ti dei T eb an i loro prigio3 nieri. N on avevano ancora avuto la n otizia che i prigion ieri erano già stati uccisi, poiché il prim o m essaggero era uscito dalla città proprio m entre v i entravano i nem ici, ed il secondo era partito subito dopo che i T eban i, sopraffatti, erano stati presi pri gionieri; di quanto era successo dopo non sapevano nulla. G li A ten ie si in viaron o dunque il loro araldo ancora ign ari degli even ti, e quando egli arrivò 4 trovò che i prigionieri erano già stati trucidati. In seguito gli A ten ie si organizzarono una spedizione per rifo rn ire Platea di grano; lasciarono li un p resi d io, e portarono v ia con sé gli uom ini in ab ili, le donne e i bam bini. 7 D opo i fatti di Platea, che costituirono una palese violazione dei trattati, gli A ten iesi si diedero a p re p arativi di guerra, e lo stesso fecero gli Spartan i e i loro alleati, apprestandosi a in viare am bascerie presso il re persiano e in altri paesi barb ari, nella speranza - n u trita dagli uni e dagli altri - di poter ottenere qualche concreto appoggio; strinsero inol tre alleanza con Stati che sino allora erano rim asti 2 fu o ri della loro sfera di influenza. G li Spartan i im posero agli S tati italio ti e sicelioti che si erano
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λο μ ένοις ν α ΰ ς έπ ετά χ θ η π ο ιε ΐσ θ α ι κ α τ ά μ έγεθο ς τω ν πόλεω ν, ώς ές τον π άντα α ρ ιθμ όν πεντακοσίω ν νεώ ν έσ ομ ένω ν, κ α ι ά ρ γύ ρ ιο ν ρ ητόν έτο ιμ ά ζειν, τά τε άλλα η σ υ χ ά ζο ν τα ς κ α ί Α θ η ν α ίο υ ς δεχό μ ενο υς 3 μιςί ν η ί έω ς ά ν τα ϋ τ α π α ρ α σ κ ευ α σ θ ή . Α θ η ν α ίο ι δέ τήν τε ύπ ά ρ χο υσα ν ξυμμαχίαν έξήταζον κ α ί ές τά π ερ ί Π ελ ο π ό ννη σ ο ν μάλλον χ ω ρ ία έπ ρ εσ β εύο ντο , Κ έ ρ κ υ ρ α ν κ α ί Κ εφ α λ λ η νία ν κ α ί Α κ α ρ ν ά ν α ς κα ί Ζ ά κ υ ν θ ο ν , όρώ ντες, εί σ φ ίσι φ ίλια τα ϋ τ’ εί'η βε βαίω ς, π έρ ιξ τή ν Π ελ ο π ό ννη σ ο ν κ α τα π ο λεμ ήσ ον8 τες. ο λ ίγο ν τε έπ ενό ο υ ν ο ύ δ έν άμφ ό τερο ι, άλλ’ ερρω ντο ές τό ν πόλεμον ούκ άπεικότω ς· ά ρχόμ ενοι γά ρ π ά ντες ό ξύτερ ο ν ά ντιλ αμβ άνονται, τότε δέ καί νεότης πολλή μέν ουσ α έν τη Π ελοπ οννήσ ω , πολλή δ’ έν ταΐς Α θ ή ν α ις ούκ άκουσίω ς υπ ό απειρίας ήπτετο τοΰ π ολ έμο υ, ή τε άλλη Ε λ λ ά ς ά π α σ α μετέω ρος 2 ήν ξυ νιο υσ ώ ν τω ν πρώ τω ν πόλεων, καί πολλά μέν λόγια έλέγετο, πολλά δέ χρησμολόγοι ήδον εν τε τοΐς μέλλουσι π ολ εμ ή σ ειν κ α ί έν τα ΐς άλλαις πόλε3 σιν. έτι δέ Δήλος έκινήθη ολίγον προ τούτω ν, πρότερ ο ν ο ΰπ ω σ εισ θ εΐσ α άφ ’ ου "Ε λλ η νες μέμνηνταιέλέγετο δέ κα ί έδ ό κ ει έπ ί τοΐς μέλλουσι γενή σ εσ θα ι σ ημήνα ι. εϊ τέ τι άλλο το ιο υ τό τρ ο π ο ν ξυ νέβ η γενέ4 σ θαι, π ά ν τ α ά ν εζη τεΐτο . ή δέ εύνοια π αρά πολύ έπ ο ίε ι τω ν α ν θ ρ ώ π ω ν μάλλον ές τούς Λ α κ ε δ α ι μονίους, άλλως τε κα ί προειπ όντω ν ότι τήν Ε λ λ ά δ α έλ ευθερο ϋσ ιν. ερρω τό τε πάς κ α ί ιδιώ της κ α ί πόλις ε ί τ ι δ ύ ν α ιτ ο κ α ί λόγφ κ α ί έ'ργιμ ξυ ν επ ιλ α μ β ά ν ειν α ύτο ΐς· έν τούτο) τε κ εκ ω λ ΰ σ θ α ι έδ ό κ ει έκά σ τω τά 3 π ρ ά γμ α τ α φ μή τις αύτός π α ρ έσ τα ι ούτω ς < έν> αργή ειχον οι πλείους τούς Α θ η ν α ίο υ ς , ο ι μέν τής
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schierati dalla loro parte di costruire - in proporzio ne alla grandezza delle singole città - nuove navi, in aggiunta a quelle che già erano nei loro porti, in mo do da raggiungere il num ero com plessivo d i cinque cento navi; e ingiunsero in oltre di approntare una determ inata somma di denaro. Per il resto gli alleati dovevano starsene tranquilli, consentendo agli A te niesi che giungessero ai loro porti con una sola nave d i approdare, fin o a che tu tti i preparativi bellici 3 non fossero stati ultim ati. D al canto loro gli A te niesi esam inavano la situazione della lega di cui era no a capo, e in viavan o am bascerie in altri S tati, so prattutto nelle zone intorno al Peloponneso - Corcira, C efalo n ia, l ’ A carn an ia, Zacin to - b en vedendo che, se si fossero assicurata Γ am icizia d i questi pae si, avrebbero potuto accerchiare e sconfiggere il Pe8 loponneso. D a ambo le p arti non si facevan o che piani grandiosi, e si era pieni di entusiasm o n ell’ an dare incontro alla guerra. Se ne com prende il m oti vo: a ll’inizio ognuno è piu fervid o n ell’im pegno, e poi allora c ’ erano m olti giovan i nel Peloponneso, e m olti ad A ten e, che non conoscevano la guerra, e quindi la affro n tavan o n ien t’ a ffatto a m alincuore. T u tto il resto della G re cia vive va con ansia questo 2 scontro fra le città piu fo rti. M olti erano gli oraco li che circolavano, e m olte le profezie cantate dagli in d ovin i nelle città che stavano per entrare in guer3 ra, ed anche nelle altre. A D eio poi, che a memo ria dei G re c i m ai in precedenza era stata scossa da alcun terrem oto, poco tem po prim a la terra aveva trem ato. Q uello che si diceva, e che trovava credito, era che il sisma fosse un segno prem onitore di ciò che stava per accadere, e si indagava su ogni altro 4 consim ile evento che per caso si fosse dato. Le sim patie generali andavano in prevalenza agli Spar tani, soprattutto perché si erano proclam ati libera tori della G recia. O gni singolo ed ogni Stato si di sponeva con entusiasmo, per quanto era in suo pote re, a dare il proprio sostegno alla loro causa con le parole e con i fatti, e ciascuno pensava che v i sareb bero state delle d iffico ltà li dove non potesse essere 5 presente di persona: tanto era l ’ odio che i piu nu trivano contro gli A ten iesi, animati com ’erano gli u-
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άρχης άπολυθήναι βουλόμενοι, ol δέ μή άρχθώ σι φο βούμενοι. 9 Π α ρασκευή μέν ού ν κ α ί γνώ μη τοιαύτη ώρμηντο, πόλεις δέ έκ ά τερ ο ιτά σ δ ε έχοντες ξυμ μ ά χο υς ές τον 2 π όλ εμο ν κ α θ ίσ τα ντο . Λ α κ ε δ α ιμ ο ν ίω ν μέν ο ϊδε ξύ μ μ α χο ι- Π ελοπ οννήσιοι μέν οί εντός Ισ θ μ ο ύ πάντες πλήν Ά ρ γ ε ίω ν κ α ί Α χ α ιώ ν (τούτοις δέ ές άμφ ο τέρο υς φ ιλία ή ν Π ελληνής δέ Α χ α ιώ ν μ όνοι ξυ ν επ ο λ έμ ο υ ν τό π ρ ώ το ν, έπ ειτα δέ ύ σ τερ ο ν κ α ί άπαντες), έξω δέ Π ελοπόννησου Μ εγαρής, Β οιω τοί, Λ ο κ ρ ο ί, Φ ω κής, Ά μ π ρ α κ ιώ τ α ι, Λ ε υ κ ά δ ιο ι, Ά ν α κ 3 τό ρ ιο ι. το ύ τω ν ν α υ τ ικ ό ν π α ρ είχο ντο Κ ο ρ ίν θ ιο ι, Μ εγα ρή ς, Σ ικ υ ώ ν ιο ι, Π ελληνής, Ή λ εΐο ι, Ά μ π ρ α κιώ ται, Λ ευκ ά διο ι, ιππ έας δέ Β οιω τοί, Φ ω κής, Λ ο κ ροί· α ί δ’ άλλαι πόλεις π εζόν παρεΐχον. αϋτη μέν Λ α 4 κ εδ α ιμ ο νίω ν ξυμ μ α χία - Α θ η ν α ίω ν δέ Χ Ιο ι, Λ έσβιοι, Πλαταιής, Μ εσσήνιοι οί έν Ν αυπά κτφ , Ά κ α ρ νά νω ν οι πλείους, Κ ερκυραΐοι, Ζ α κ ύ νθ ιο ι, κ α ί άλλαι πόλεις α ί υποτελείς ούσ α ι έν έθνεσι τοσοΐσδε, Κ α ρ ία ή έπ ί θ α λ ά σ σ η , Δ ω ρ ιή ς Κ α ρ σ ί π ρ ό σ ο ικ ο ι, Ι ω ν ία , Ε λ λ ή σ π ο ντο ς, τά έπ ί Θ ρρκης, νήσ οι δσαι έντός Πελοπ οννήσου κ α ί Κ ρ ή τη ς προς ήλιον άνίσ χοντα , 5 π ά σ α ι α ί Κ υκ λ ά δες πλήν Μ ήλου κ α ί Θ ήρας, τ ο ύ των ναυτικόν παρείχοντο X ìol, Λέσβιοι, Κ ερκυραΐοι, 6 οί δ’ άλλοι π εζό ν κ α ί χρήματα, ξυμ μαχία μέν αύτη έκατέρων καί παρασκευή ές τον πόλεμον ήν. ίο Ο ί δέ Λ α κ ε δ α ιμ ό ν ιο ι μετά τά έν Π λαταιαΐς ευ θύ ς π εριήγγελλον κατά τή ν Π ελοπ όννησ ον κ α ί τή ν έξω ξυ μ μ α χ ίδ α σ τρ α τιά ν π α ρ α σ κ ε υ ά ζ ε σ θ α ιτ α ΐς πόλεσι τά τε έ π ιτ ή δ ε ια ο ια είκό ς έπ ί έ ξ ο δ ο ν έκ δ η μ ο ν 2 έχειν, ώς έσ βα λοϋντες ές τήν Α τ τ ικ ή ν , επ ειδή δέ έκ ά σ το ις έτ ο ιμ α γ ίγ ν ο ιτ ο , κ α τά τό ν χ ρ ό ν ο ν τό ν είρ η μ ένο ν ξ υ ν ή σ α ν τά δ ύ ο μέρη ά π ό π όλ εω ς έκά3 στης ές τό ν Ισ θ μ ό ν , κ α ί έπ ειδ ή π α ν τό σ τρ ά τευ μα ξ υ ν ε ιλ ε γ μ έ ν ο ν ή ν , Ά ρ χ ίδ α μ ο ς ό β α σ ιλ εύς τώ ν Λ α κ ε δ α ιμ ο ν ίω ν , δσ π ερ ήγεΐτο τής έξό δ ο υ τα ύτης, ξυ γ κ α λ έ σ α ς το ύς σ τρ α τη γ ο ύ ς τώ ν π όλ εω ν π α σ ώ ν
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ni dal desiderio di liberarsi dal loro dom inio, gli altri dalla paura di cadere sotto di esso. 9 T a li dunque erano i preparativi messi in atto, tale lo stato d ’ animo con cui si accingevano all’ impresa. E questi erano gli Stati che le due potenze avevano com e alleati al loro fianco al m omento d ell’ entrata 2 in guerra: alleati degli Spartani: tutti i Peloponne siaci al di qua d ell’ Istm o, tranne gli A rg iv i e gli Acheì (questi ultim i erano in rapporti am ichevoli con entram be le parti in lotta; solo Pellana fra le città achee com battè insiem e agli Spartani fin d all’inizio, poi però, nel seguito della guerra, anche tutte le altre si schierarono al loro fianco), e, fuori del Peloponne so, i M egaresi, i Beoti, i Locresi, i Focesi, gli Ambra3 cioti, i Leucadi, gli A n attori. D i questi fornivano una flo tta i C orin zi, i M egaresi, i Siciorii, i Pelleni, gli E le i, gli A m bracioti, i Leucadi; i B eo ti, i Focesi e i Locresi fornivano truppe di cavalleria, gli altri Stati truppe di fanteria. Q uesti dunque erano gli alleati di 4 Sparta. Q uelli di Atene erano: i C hii, i Lesbi, i Plateesi, i M esseni di N aupatto, la maggior parte degli A carn an i, i C orciresi, gli Z acin ti, e inoltre le città soggette a tributo delle popolazioni seguenti: i C ari della zona costiera, i D o ri confinanti con i C ari, la Ion ia, l ’Ellesponto, la T racia, le isole che si trovano fra C reta e il Peloponneso, verso oriente, tutte le Ci5 d a d i tranne M elo e Tera. D i questi i C h ii, i Lesbi, i C orciresi fornivano una flo tta, gli altri truppe di 6 fanteria e denaro. Q uesti dunque erano gli alleati e gli apparati m ilitari messi in campo da una parte e dall’altra. 10 Subito dopo i fatti di Platea gli Spartan i in viaro no messaggeri in giro per il Peloponneso, e presso le altre città alleate fuo ri del Peloponneso, con l ’ o rd i ne che ogni Stato tenesse pronte le sue truppe, con i v iv e ri necessari per una spedizione fuori del territo rio cittadino, poiché intendevano in vadere l ’A tti2 ca. N on appena ogni S tato fu pronto in viò le sue truppe - i due terzi delle forze cittadin e - che si ra3 chinarono all’ Istm o al m om ento fissato ; quando l ’ intera armata si fu raccolta il re spartano Archidamo, che aveva il comando della spedizione, convocò gli strateghi di tutte le città, insiem e ai personaggi
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κ α ι το ύ ς μάλιστα έν τελεί κ α ί ά ξιο λ ο γω τά το υ ς π α ρήνει τοιάδε. ιι «’Ά ν δ ρ ε ς Π ελ ο π ο ννή σ ιο ι κ α ί ξύ μ μ α χ ο ι, κ α ί οί π α τέρες ημώ ν πολλάς στρατείας κ α ί έν αυτή Πελοπ ο νν ή σ φ κ α ί έξω έπ ο ιή σ α ντο , κ α ί η μ ώ ν α υ τώ ν οί π ρ εσ β ύ τερ ο ι ο ύκ ά π ε ιρ ο ι π ολέμω ν ε ίσ ίν δμω ς δέ τη σ δε ο ΰ π ω μ είζο να π α ρ α σ κ ευ ή ν έχοντες έξήλθομεν, άλλα καί επ ί πόλιν δ υνα τω τά τη ν ν ϋ ν έρχόμεθα 2 κ α ί α υ το ί πλεΐστοι κ α ί ά ρ ισ το ι σ τρ α τεύοντες. δ ί κ α ιο ν ο ΰ ν ημάς μήτε τώ ν π α τέρ ω ν χ είρ ο υ ς φ αίνεσ θ α ι μήτε ήμώ ν α υ τώ ν τής δό ξη ς ένδεεσ τέρ ο υς. ή γάρ Ε λ λ ά ς πάσα τήδε τή ορμή έπήρται καί προσέχει τήν γνώ μην, εύνοιαν έ'χουσα διά τό Α θ η ν α ίω ν εχθος 3 π ρ ά ξ α ι ήμάς ά έπ ινο οϋμεν. ο ΰκ ο υν χρή, εϊ τφ καί δο κο ϋμ εν π λή θει έπ ιένα ι κ α ί ασφ άλεια πολλή είνα ι μή ά ν έλθεΐν τούς έναντίους ήμΐν διά μάχης, τούτω ν εν εκ α ά μ ελέστερ όν τ ι π α ρ εσ κ ευ α σ μ ένο υ ς χω ρεΐν, άλλα κ α ί πόλεω ς έκάστης ή γεμ ό να κα ί σ τρατιώ την το κ α θ ’ α υ τό ν α ίεί π ρ ο σ δ έχ εσ θ α ι ές κ ίν δ υ ν ό ν τινα 4 ή ξειν . άδη λα γά ρ τά τώ ν π ολέμω ν, κ α ί έξ ολίγου τά πολλά κ α ί δ ι’ όρ γή ς α ί έπ ιχ ειρ ή σ εις γίγ ν ο ν τ α ι· π ολ λά κις τε τό έ'λασσον π λ ή θ ο ς δ εδ ιό ς ά μ εινο ν ήμύνατο τούς πλέονας διά τό καταφ ρονοϋντας άπα5 ρα σκ εύους γενέσ θα ι. χρή δέ α ίεί έν τή πολέμια τή μεν γνώ μ η θ α ρ σ α λ έο υ ς σ τρ α τεύ ειν, τφ δ 1 έρ γω δεδιότας π αρεσκευάσθαι· οΰτω γάρ πρός τε τό έπιέναι τοΐς έναντίοις εύψ υχότατοι άν ειεν πρός τε τό έπιχει6 ρ εΐσ θαι άσφαλέστατοι. ήμεΐς δέ ούδ’ έπί α δύνα τον ά μ ύ ν ε σ θ α ι οΰτω π ό λ ιν έρ χό μ εθ α , άλλα τοΐς π ά σ ιν ά ρ ιστα π αρεσ κευασ μένην, ώστε χρή κ α ί π ά νυ έλπίζειν δ ιά μάχης ίένα ι α υτούς, εί μή κ α ί νΰ ν ώ ρμηνται έν φ ο ΰ π ω π ά ρ εσ μ εν , άλλ’ δ τα ν έν τή γή όρ ώ σ ιν
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più em inenti, quelli che ricoprivano le piu alte cari che, e rivolse loro raccomandazioni di questo genere: ii « Peloponnesiaci e alleati ! Anche i nostri padri in trapresero molte spedizioni all’interno del Pelopon neso e fu o ri, ed i più anziani tra noi non sono p rivi di esperienze di guerra. M ai però fino ad ora aveva mo condotto una spedizione con un apparato b elli co piu poderoso d i questo. O ra poi scendiam o in cam po contro una città la cui potenza è enorm e, ed anche la nostra spedizione è eccezionale pei; il nu2 mero e il valore degli uom ini im pegnati. È dun que doveroso per noi non apparire da m eno dei no stri padri né m ostrarci in feriori alla nostra stessa fa ma, poiché la G re cia intera guarda con tensione al l ’ attacco che andiamo a portare, e l ’ odio che nutre per A ten e l’ induce a guardare con favo re alla realiz3 zazione dei nostri piani. Com unque, anche se può sem brare che noi attacchiam o con forze preponde ran ti, e che con ogni certezza il nem ico non accet terà lo scontro, questa non è certo una ragione per procedere senza aver curato la preparazione in ogni suo aspetto. C om andanti e soldati di ogni città, ognuno al suo posto, devono invece in ogni momento 4 essere pronti ad affrontare il pericolo, perché l ’ an damento di una guerra è sempre incerto: gli attacchi vengono condotti per lo più a ll’im provviso, in stato di eccitazione, e spesso un num ero rid o tto di trup pe, rese vigili dal timore, è in grado meglio di respin gere forze preponderanti che presum endo troppo di 5 sé vengono colte im preparate. Q uando si è im pe gnati in una spedizione in territorio nem ico bisogna sempre essere im pavidi nell’animo, ma tim orosi nell ’ agire, avendo cura di prendere tu tti gli opportuni provvedim en ti: è questo il modo per i com battenti di andare all’ attacco del nem ico con piu coraggio, e 6 di sostenerne l ’urto con la massima sicurezza. N oi non muoviamo certo contro una città incapace di re spingere un attacco nem ico, bensì contro una città che ha provveduto col massimo scrupolo ad ogni preparativo: dobbiam o dunque aspettarci con tutta sicurezza - anche se per il m om ento, non essendo noi ancora sul posto, non si sono mossi - che scende ranno in campo contro di noi, e ciò avverrà senz’ai-
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7 ημάς δηο ϋντά ς τε κα ί τάκείνω ν φ θείροντας. π άσ ι γά ρ έν τοΐς δμ μ α σ ι κ α ί έν τφ π α ρ α υ τίκ α ό ρ ά ν πάσ χοντά ς τ ι ά ηθες οργή π ρ ο σ π ίπ τει· κ α ί ο ί λογισ μφ ελ ά χισ τα χρ ώ μ ενο ι θ υ μ φ π λεΐσ τα ές έρ γο ν κ α θ ί8 σ τα ν τα ι. Α θ η ν α ίο υ ς δέ κ α ί π λέον τ ι τω ν άλλω ν είκός το ύτο δράσαι, ο ϊ άρχειν τε τω ν άλλων ά ξιο ΰ σ ι κ α ί έπ ιό ντες τή ν τω ν πέλας δ η ο ΰ ν μάλλον ή τή ν 9 α ίτ ιό ν όρ ά ν. ώς ο υ ν επ ί το σ α ύ τη ν π όλ ιν στρατεΰ ο ν τες κ α ί μ εγίσ την δ ό ξα ν ο ίσ ό μ ενο ι τοΐς τε π ρογόνοις καί ήμΐν αύτοΐς έπ’ άμφότερα έκ τω ν άποβαινόντω ν, έπεσθ’ δπη άν τις ήγήται, κόσμον κα ί φ υ λα κήν π ερ ί π αντός π ο ιο ύ μ ενο ι κ α ί τά παραγγελλόμ ενα ό ξέω ς δεχόμενοι- κάλλιστον γά ρ τό δ ε κ α ί ά σ φ α λέσ τατο ν, πολλούς δντα ς ένί κόσμω χρω μένους φ αίνεσθαι». ΐ2 Τ ο σ α ΰ τ α είπ ώ ν κ α ί δια λ ύσ α ς τό ν ξύλ λ ο γο ν ό Ά ρ χ ίδ α μ ο ς Μ ελήσιππον π ρώ τον αποστέλλει ές τάς Α θ ή ν α ς τόν Δ ιακρίτου άνδρ α Σπαρτιάτην, ει τι άρα μάλλον έν δ ο ΐεν οί Α θ η ν α ίο ι όρ ω ντες σφάς ήδη έν 2 όδφ δντα ς. οί δέ ού π ρ ο σ εδ έ ξα ν το α υ τό ν ές τήν πόλιν ο ύ δ ’ έπ ί τό κ ο ιν ό ν ήν γά ρ Π ερικλέους γνώ μη π ρ ό τερ ο ν ν ε ν ικ η κ υ ϊα κή ρ υκ α κ α ί π ρ εσ β εία ν μή π ρ ο σ δ έχ εσ θ α ι Λ α κ ε δ α ιμ ο ν ίω ν έ ξ ε σ τ ρ α τ ε υ μ έ ν ω ν ά π ο π έ μ π ο υ σ ιν ο υ ν α υ τό ν π ρ ιν ά κ ο ϋ σ α ι κ α ί έκέλ ευον έκτος δρ ω ν είν α ι α υ θ η μ ερ ό ν, τό τε λ ο ιπ όν ά να χ ω ρ ή σ α ντα ς έπ ί τά σ φ έτερα α υτώ ν, ή ν τι βούλω ντα ι, π ρ εσ β εύ εσ θα ι. ξυ μ π έμ π ο υ σ ί τε τ φ Μ ε3 λησίππω αγω γούς, δπω ς μηδενί ξυγγένηται. ό δ’ ε π ε ιδ ή έπ ί τοΐς όρ ίοις έγένετο κ α ί έμελλε δια λ ύσεσ θ α ι, το σ ό νδ ε είπ ώ ν έπ ο ρ εύετο δ τι ήδε «ή ή μ έρ α 4 τοΐς Έ λ λ η σ ι μεγάλων κακώ ν άρξει». ώς δέ άφίκε-
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tro non appena ci vedranno com piere distruzioni e devastare i loro possessi nel territorio tu tt’ intorno 7 alla città, poiché ognuno v a in collera se vede com piere sotto i suoi occhi, e proprio m entre vengo no messe in atto, inaudite violenze ai suoi danni. E quanto meno si indugia a riflettere, con anim osità 8 tanto maggiore ci si butta nell’ azione. G li A ten ie si verosim ilm ente ancora più degli altri si com porte ranno in questo modo, in quanto non solo presum o no che a loro spetti il dominio su tutti gli altri, ma r i tengono anche di dover m uovere all’ attacco e deva stare territo ri altrui piuttosto che vedere devastata 9 la propria terra. Pensando dunque a quanto sia potente la città contro cui m uoviam o, pensando al l ’eccezionaiità della fam a, o vvero d ell’ ignom inia, che conseguirete per i nostri avi e per noi stessi in seguito all’ esito positivo o negativo d ell’impresa, se guite i vostri capi dovunque v i condurranno, badan do soprattutto ad essere disciplinati e vig ili ed ese guendo con prontezza gli ordini: nulla è più bello, o dà anche m aggiori garanzie di sicurezza, di una mol titudine di uom ini che appaiono re tti da u n ’unica disciplina». 12 Q uesto disse A rchidam o, quindi sciolse l ’ aduna ta. P oi per prim a cosa inviò ad A ten e uno spartiate, M elesippo figlio di D iacrito , caso mai gli A ten iesi fossero propensi a m aggiori concessioni ora che ve2 devano gli Spartani già in marcia. M elesippo però non fu fatto entrare in città né fu ammesso alla p re senza delle autorità, poiché in precedenza era stata approvata una proposta di Pericle che vietava di r i cevere araldi e am bascerie una volta che la spedizio ne spartana si fosse messa in m arcia; pertanto lo m andarono indietro senza ascoltarlo, e gli ordinaro no di varcare il confine in giornata, aggiungendo che se in futuro gli Spartani volevano in viare am ba scerie, dovevano prim a ritirarsi nei loro territori. M elesippo venne accompagnato da una scorta che aveva il compito di im pedirgli di incontrarsi con chic3 chessia. Q uando fu al confine, al m omento del congedo, M elesippo disse, prim a di andarsene: « Q uesto giorno per i G re c i segnerà l ’inizio di gravi 4 sciagure». Q uando lo spartiate fu tornato presso
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La guerra d el Peloponneso
το ές τό σ τρ α τό π εδο ν κ α ί έγνω ό Ά ρ χ ίδ α μ ο ς δ τι οί Α θ η ν α ίο ι ο ύδ έν πω ένδώ σ ο υσ ιν, οΰτω δή ά ρ α ς τω 5 στρατω π ρ ουχώ ρ ει ές τήν γη ν αυτώ ν. Β ο ιω τ ο ί δέ μέρος μέν τό σφ έτερον κ α ί τους ιπ π έα ς π α ρ είχο ντο Π ελοπ οννησ ίοις ξυσ τρ α τεύειν, τοΐς δέ λειπομένοις ές Π λάταιαν έλθόντες τήν γην έδήουν. ij Έ τ ι δέ τω ν Π ελ ο π ο ννη σ ίω ν ξυ λ λ εγο μ ένω ν τε ές τον Ισ θ μ ό ν κ α ί έν όδω δντω ν, π ρ ιν έσβαλεΐν ές τήν Α τ τ ικ ή ν , Π ερικλής ό Ξ α νθ ίπ π ο υ σ τρατηγός ώ ν Α θ η ν α ίω ν δέκα τος α υτό ς, ώς έγνω τήν έσβολήν έσομένην, ύ π ο το π ή σ α ς, δτι Ά ρ χ ίδ α μ ο ς α ύτω ξένο ς ών έτύγχανε, μή πολλάκις ή α υτός ιδία βουλόμενος χ α ρ ίζε σ θ α ι το ύς α γρ ο ύς α υτο ύ π α ρ α λ ίπ η κ α ί μή δηώ ση, ή καί Λ α κ εδ α ιμ ο νίω ν κελευσάντω ν έπ ί διαβολή τή εαυτού γένη τα ι τούτο, ώ σπερ κ α ί τά άγη έλ α ύ ν ειν π ρ ο εΐπ ο ν έν εκ α έκ είνο υ , π ρ ο η γ ό ρ ευ ε τοΐς Ά θ η ν α ίο ις έν τή εκκλησία δ τι Ά ρ χ ίδ α μ ο ς μέν ο ί ξ έ νος εί'η, ου μ έντοι έπ ί κακω γε τής πόλεω ς γένο ιτο , το ύς δέ α γρ ο ύς το ύ ς έα υτο ΰ κ α ί ο ικ ία ς ήν ά ρ α μή δηώ σ ω σιν οί π ο λ έμ ιο ι ώ σπερ κ α ί τά τω ν άλλω ν, ά φ ίησ ιν α υτά δ η μ ό σ ια είν α ι κ α ί μ η δ εμ ία ν οί 2 υ π ο ψ ία ν κ α τά τ α ύ τ α γ ίγ ν εσ θ α ι, π α ρ ή ν ε ι δέ κ α ί περί τω ν παρόντω ν άπερ καί πρότερον, παρασκευάζ ε σ θ α ί τε ές το ν π όλ εμο ν κ α ί τά έκ τω ν ά γρ ώ ν έσκομίξεσθαι, ές τε μάχην μή έπ εξιέναι, αλλά τήν πόλιν έσελθόντας φ υλάσσειν, καί τό να υτικό ν, ήπερ ίσ χύου σ ιν, έξ α ρ τ ύ εσ θ α ι, τά τε τω ν ξυ μ μ ά χ ω ν διά χειρός έχειν, λέγω ν τή ν ίσχύν α ύτοίς από το ύτω ν εί ν α ι τώ ν χρ ημά τω ν τής π ρ ο σ ό δ ο υ, τά δέ πολλά τού πολέμου γνώ μ η κ α ί χρ ημ ά τω ν περιούσιοι κρ α τεϊ3 σ θαι. θ α ρ σ εϊν τε έκέλευε π ρ οσ ιόντω ν μέν έξα κ οσίω ν ταλάντω ν ώς έπ ί τό πολύ φ όρου κατ’ ένια υτόν
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l ’esercito accam pato, A rch idam o capi che gli A te niesi per il m omento non avrebbero ceduto affatto , per cui si mise in m ovim ento con l ’ esercito e avanzò 3 invadendo il territorio nem ico. I B eo ti, che ave vano forn ito al corpo di spedizione peloponnesiaco il loro contingente di fan teria e i cavalieri, col resto delle truppe entrarono nel territorio di P latea e lo devastarono. 13 Q uando i Peloponnesiaci ancora si stavano racco gliendo all’ Istm o, ed in seguito, quando erano in m arcia prim a di invadere l ’A ttica , P ericle figlio di Santippo, uno dei dieci strateghi ateniesi, capi che l ’ invasione era im m inente ed ebbe il sospetto che A rchidam o, a lui legato da vin coli di ospitalità, po tesse evitare di far devastare i suoi cam pi per ren dergli un favo re personale, o vvero che gli Spartan i dessero un ordine in questo senso per farlo cadere in discredito; allo stesso modo, sempre per m etterlo in cattiva luce, in precedenza avevano ingiunto che v e nissero cacciati gli autori della profanazione. D i chiarò allora pubblicam ente, davanti agli A ten iesi riu n iti in assem blea, che A rchidam o era si suo ospi te, ma che questa circostanza non si sarebbe risolta in un danno per la città perché, qualora i nemici non avessero devastato le sue terre e le sue case al pari di quelle degli altri, egli avrebbe rinunciato ai suoi di ritti di proprietà e avrebbe ceduto quei beni allo Stato: nessun m otivo di sospetto doveva nascere nei 2 suoi confronti per tale m otivo. C irca la situazione in cui si trovavan o al m om ento, ripeteva i consigli che già aveva dato in precedenza: bisognava prepa rarsi alla guerra, m ettere al sicuro tutti i beni che erano nei cam pi, e non uscire incontro al nem ico ac cettando la battaglia, ma chiudersi nella città e d i fenderla; la flotta, che costituiva la loro forza, anda va potenziata. O ccorreva tenere saldam ente in pu gno la situazione degli Stati alleati poiché - erano le sue parole - la potenza ateniese si fond ava sulle en trate garantite dai loro trib u ti, e il piu delle volte le guerre si vincono grazie alla sagacia e alla sovrab3 bondanza di m ezzi. L i in vitava poi a star di buon anim o, perché, di norma i proven ti della città am m ontavano a seicento talen ti annui, versati come
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aitò τω ν ξυμ μ ά χω ν xfj πόλει άνευ τής άλλης π ρ οσ ό δο υ, υ π α ρ χ ό ντω ν δέ έν τή άκροπόλει, έτι τότε α ρ γυ ρ ίο υ επ ισ ήμου έξα κ ισ χ ιλ ίω ν τα λ ά ντω ν (τά γάρ πλεΐστα τρ ια κοσ ίω ν ά π ο δ έο ντα μύρια έγένετο, άφ ’ ων ές τε τά π ρ ο π ύλ α ια τής άκροπόλεω ς κ α ί τάλλα 4 οικοδομήματα καί έςΠ οτείδαιανάπ ανη λώ θη), χω ρίς δέ χρυσίου άσήμου κα ί α ργυρίου έν τε άναθήμασιν ίδ ίο ις κ α ί δημ οσ ίοις κ α ί δ σ α Ιερά σ κεύη π ερ ί τε τάς π ομ π ός κ α ί τούς αγώ νας κ α ί σκύλα Μ ηδικά καί ει τι τοιουτότροπ ον, ούκ έλάσσονος [ήν] ή πεντακο5 σίω ν ταλ άντω ν, έτι δέ κ α ί τά έκ τω ν άλλω ν ιερώ ν π ρ ο σ ετίθ ε ι χρ ή μ α τα ούκ ολ ίγα , οις χ ρ ή σ εσ θ α ι α υ τούς, κ α ί ή ν π ά νυ έ ξ ε ίρ γ ω ν τα ι π ά ντω ν, κ α ί αυτής τής θ εο ύ τοΐς π ερ ικ ειμ ένο ις χρ υσ ίο ις· ά π έφ α ινε δ’ έχον τό ά γα λ μ α τεσ σ α ρ ά κ ο ντα τά λ α ντα σ τα θμ ό ν χρυσίου άπ εφ θου, κ α ί π ερ ιαιρ ετό ν είνα ι ά π αν. χρησ α μ ένους τε επ ί σ ω τη ρ ίρ έφη χρ ή να ι μή έλάσσω 6 ά ντικ α τα σ τήσ α ι πάλιν, χρήμα σι μέν ούν ούτω ς έθ ά ρ σ υ ν ε ν α υτο ύς, όπ λ ίτα ς δέ τρ ισ χιλ ίο υ ς κ α ί μυρίους είνα ι ά νευ τώ ν έν τοΐς φ ρουρίοις κ α ί τώ ν π α ρ ’ 7 έπα λξιν έξακισχιλίω ν καί μυρίων. τοσοΰτοι γάρ έφ ύλασσον τό π ρ ώ τον οπότε ο ί πολέμιοι έσβάλοιεν, άπό τε τώ ν π ρεσβυτάτω ν κ α ί τώ ν νεω τάτω ν, κα ί μετο ίκ ω ν δ σ ο ι ό π λ ΐτα ι ή σ α ν. το ύ τε γά ρ Φ α λ η ρ ικ ο ϋ τείχους σ τά διοι ήσ α ν π έντε κα ί τριά κοντα προς τον κ ύ κ λο ν τού άστεω ς, κ α ί α υτο ύ τού κύκλου τό φυλασσόμενον τρεις κ α ί τεσσ αράκοντα (έστι δέ αΰτού δ κ α ί ά φ ύλ α κ το ν ήν, τό μ ετα ξύ τού τε μ α κ ρ οΰ κ α ί τού Φ α λ η ρ ικ ο ϋ ), τά δέ μα κ ρ ά τείχη προς τό ν Π ε ι ρα ιά τεσ σ α ρ ά κοντα στα δίω ν, ω ν τό έξω θ εν έτηρεϊτο· κ α ί τού Π ειρ α ιώ ς ξ ύ ν Μ ο υ νιχ ίρ εξή κ ο ντα μέν σταδίω ν ό άπας περίβολος, τό δ’ έν φυλακή δν ήμισυ 8 τούτου, ιππέας δέ άπέφαινε διακοσίους καί χιλίους ξύ ν ίπ π ο το ξό τα ις, έξα κ ο σ ίο υς δέ κ α ί χιλίους το ξόlJ τας, κ α ί τριήρεις τάς πλω ίμους τριακοσίας. τα ΰτα γά ρ ύ π ή ρ χ εν Ά θ η ν α ίο ις κ α ί ο ύκ έλάσσω έκ α σ τα τούτω ν, δτε ή έσβολή τό πρώ τον έμελλε Π ελοποννη-
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tribu to dagli alleati, senza contare le altre rendite; sull’ acropoli c ’ erano ancora seimila talenti di argen to coniato (la cifra massima raggiunta era stata di novem ilasettecento talenti, parte dei quali era stata spesa per i P ropilei dell’ acropoli e per tutte le altre 4 costruzioni, nonché per P otidea), e v i erano in ol tre oro e argento non coniati nelle o fferte di privati o dello Stato, negli arredi sacri usati nelle processio ni e nei giochi, nel bottino strappato ai P ersian i, e poi tutti gli altri oggetti di valore, per un ammonta5 re di non meno di cinquecento talenti. A ggiun ge va inoltre i tesori non piccoli degli altri santuari, cui pure avrebbero potuto attingere, e poi, qualora fo s se stata preclusa loro ogni altra fonte di fin an zia mento, avrebbero sem pre potuto utilizzare gli og getti d ’ oro di cui era ricoperta la dea: sulla statua spiegava - v i era oro zecchino per un peso di qua ranta talenti, e q u est’oro poteva essere tutto tolto. Com unque, se queste ricchezze dovevano essere utilizzate per la salvezza com une - precisava - , le si sarebbe dovute poi rim piazzare con altre di valore 6 non inferiore. C o si dunque li rassicurava circa l ’ a spetto economico. D i opliti ne avevano tredicim ila, senza contare i sedicim ila di stanza nelle guarnigio7 ni o in servizio alle mura: tanti erano in fatti a m ontare la guardia al tem po delle prim e invasioni nem iche - i piu anziani, i piu giovani e i m eteci che avevano l ’ arm atura - giacché il muro del Falero era lungo trentacinque stadi fino alla cinta m uraria d el la città, e di questa cinta la parte sorvegliata era lun ga quarantatre stadi (vi era anche una parte non sor vegliata, quella fra le grandi mura e il muro del F ale ro); le grandi m ura fino al P ireo m isuravano in lun ghezza quaranta stadi, e di esse veniva sorvegliato il lato esterno; in fin e la cinta di mura del P ireo, com presa M unichia, m isurava com plessivam ente ses8 santa stadi, dei quali era sorvegliata la metà. Fece poi il conto dei cavalieri che, con gli arcieri a caval lo, raggiungevano il numero di m illeduecento; degli arcieri, m illeseicento, e delle trirem i in grado di te9 nere il mare, trecento. Settore per settore, queste, e non in feriori, erano le forze a disposizione di A te ne, quando stava per avere luogo la prim a invasione
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σίων εσ εσθαι κ α ί ές xòv πόλεμον καθίσταντο, έλεγε δέ κ α ί άλλα ο ιά π ερ είώ θ ει Π ερικλή ς ές ά π ό δ ε ιξιν τοΰ π εριέσεσθαι τώ πολέμιρ. '4 Οί δέ Α θ η ν α ίο ι άκούσαντες ά νεπείθοντό τε καί έσεκομίζοντο εκ τω ν άγριόν π αΐδα ς καί γυνα ίκα ς καί τήν άλλην κ α τα σ κ ευ ή ν fj κ α τ’ ο ίκ ο ν έχρώ ντο, κ α ί α υτώ ν τω ν οικιώ ν κ α θ α ιρ ο ΰ ντες τήν ξ ύ λ ω σ ιν πρόβατα δέ κ α ί υ π ο ζ ύ γ ια ές τή ν Ε ύ β ο ια ν διεπέμψ αντο κ α ί ές τά ς νή σ ους τάς έπ ικ ειμ ένα ς. χαλ επ ώ ς δέ αυτο ΐς διά τό α ίεί είω θ έ ν α ι το ύς πολλούς ε ν τοΐς IS ά γρ ο ΐς δ ια ιτ ά σ θ α ι ή ά νά σ τα σ ις έγίγνετο. ξυ νεβεβήκει δέ άπό τού π άνυ αρχαίου έτέρων μάλλον ’Α θ η να ίο ις τούτο, επ ί γά ρ Κ έκρ ο π ο ς καί τώ ν πρώ τω ν βασιλέων ή Α ττικ ή ές Θ ησέα α ίεί κατά πόλεις φκεΐτο π ρυτανεία τε εχούσας καί άρχοντας, καί οπότε μή τ ι δ είσ εια ν, ού ξυ ν ή σ α ν βο υλ ευσ ό μ ενο ι ώς το ν β α σιλέα, άλλ’ αυτοί έκαστοι έπολίτευον καί έβουλεύονJ ° καί τινες καί έπολέμησάν ποτέ αύτώ ν, ώσπερ καί Ε λ ευ σ ίνιο ι μετ Ε υμ ο λ π ο υ προς Έ ρ ε χ θ έ α . έπειδή δέ Θ ησεύς έβασίλευσε, γενόμενος μετά τοΰ ξυνετοΰ καί δ υ να τό ς τα τε άλλα διεκό σ μ η σ ε τή ν χ ώ ρ α ν κ α ί κ α τα λ ύσ α ς τώ ν άλλω ν π όλ εω ν τά τε β ο υλευτήρ ια κα ί τάς άρχάς ές τήν ν υ ν πόλιν ούσαν, εν βουλευτήριον ά π ο δ είξα ς κ α ί π ρ υ τα νεϊο ν, ξυ νφ κ ισ ε π ά ντα ς, κ α ί νεμ ο μ ένο υς τά α υ τώ ν έκ α σ το υς άπ ερ κ α ί προ τού ήνά γκα σ ε μια π όλει το ύτη χρ ήσ θαι, ή απ ά ντω ν ήδη ξυ ντ ελ ο ύ ντ ω ν ές α υ τή ν μεγάλη γενο μ ένη παρ εδό θ η ύ π ό Θ ησέω ς τοΐς έπειτα- κ α ί ξυ ν ο ίκ ια έξ έκ είνου Α θ η ν α ίο ι έτι κ α ί ν ΰ ν τή θ εω έορτήν δημοτελή π ο ιο ΰ σ ιν. τό δε π ρ ο τού ή άκρ όπ ολ ις ή νΰ ν ούσα πόλις ην, καί τό ύ π ’ αυτή ν προς νότον μάλιστα τετραμμενον. τεκμηριον δέ- τά γάρ ιερά έν αυτή τή ά κ ρ ο π ό λ ει f κ α ί άλλω ν θ εώ ν έσ τί κ α ί τά έξω π ρος τοΰτο τό μέρος τής πόλεως μάλλον ϊδρυται, τό τε τοΰ
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delle truppe peloponnesiache, al momento dello scoppio della guerra. E d altre spiegazioni ancora, come di consueto, dava Pericle per dim ostrare che la guerra l ’ avrebbero vinta loro. 14 G li A ten iesi si convinsero della giustezza dei suoi argom enti; fecero allora ven ire dalla cam pagna in città donne e bam bini, e inoltre misero al sicuro tu t te le suppellettili di uso dom estico, arrivando p ersi no a staccare dalle case gli in fissi in legno. G re g g i e bestie da soma vennero m andati in E u b e a e nelle i2 sole piu vicine alla costa. L a popolazione si rasse gnò a m alincuore ad operare lo sgom bero; perché i più erano abitu ati da sem pre a vivere in cam pa l i gna. Q uesta costumanza era stata propria degli Ateniesi, più che di altre genti, sin dai tem pi piu anti chi: sotto C ecrope e i prim i re, fino a Teseo, gli ab i tan ti d ell’ A ttica avevano sem pre vissu to sparsi in d iversi agglom erati, ognuno con il suo pritaneo e i suoi m agistrati, e, a meno che non ci fosse qualche m otivo di tim ore, per tenere consiglio non si radu navano presso il re, ma si am m inistravano e delibe ravano in piena autonom ia. In qualche caso contro il re mossero persino guerra, come quando gli Eleu2 sini con Eum olpo si scontrarono con E retteo . M a quando divenne re T eseo, un uomo fo rte oltre che saggio, impose un nuovo ordine al paese: soppresse i consigli e le m agistrature dei vari centri e ne trasferì le funzioni alla città attuale, stabilendo un consiglio e un pritaneo unici; raccolse tu tti in u n ’unica città, costringendoli ad avere cosi una struttura statale ac centrata, anche se ognuno restava a v ivere nelle sue proprietà come per il passato. E a questa città tu tti ormai versavano i loro contributi, si che quando T e seo la lasciò ai suoi successori essa già aveva raggiun to una considerevole grandezza. In ricordo di que sta unificazione ancora oggi gli A ten iesi celebrano in onore della dea la festa delle Sinecie, che viene 3 organizzata a spese dello Stato . Un tem po la città era costituita solo d all’ attuale acropoli con la zona 4 sottostante, rivo lta soprattutto verso sud; p rova ne è che sono sull’ acropoli i templi t e degli altri dei, e che i tem pli che si trovano al di fuori d ell’acropoli sorgono quasi tutti verso questa parte della città: co-
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Διός τού Ό λυμ π ίο υ κα ί τό Π ύ θ ιο ν καί τό της Γης καί το < τοΰ> εν Α ίμ ν α ις Δ ιο ν ύ σ ο υ , φ τά α ρ χα ιό τερ α Δ ιο νύσ ια [τη δω δέκατη] π ο ιείτα ι έν μηνί ’Α νθεσ τηριώνι, ώσπερ και οι α π ' Αθήνακολ' ’Ίω νες ετι καί νϋν νομ ίζουσ ιν. ϊδ ρ υ τ α ι δέ κα ί άλλα Ιερά τα ύτη α ρ χαία. κα ί τη κρήνη τη νΰν μέν τω ν τυρ ά ννω ν οΰτω σκευασάντω ν Έ ν ν ε α κ ρ ο ύ ν φ καλούμενη, τό δέ π ά λα ι.φ ανερώ ντω ν π η γώ ν ούσώ ν Κ αλλιρρόη (ονομα σμένη, εκ είνο ι τε έγ γύ ς οΰση τά πλείστου ά ξ ια έχρωντο, καί νΰν ετι από τοΰ αρχαίου πρό τε γαμικώ ν κ α ι ες άλλα τω ν ιερ ώ ν ν ο μ ίζε τ α ι τω ΰ δ α τ ι χρήσθαι· καλείται δέ διά τη ν π α λ α ιό ν ταύτη κατοίκησιν καί ή άκρ όπ ολ ις μέχρι το ΰ δ ε ετι ύ π ’ 'Α θ η ν α ίω ν ι6 πόλις, τη τε ουν επ ι πολύ κατά την χώ ραν αύτονόμω οίκήσει μετεΐχον οί Α θ η ν α ίο ι, κ α ί έπειδή ξυνφ κίσθησαν, δ ιά τό έθος έν τοίς άγροΐς δμω ς οί π λείους τω ν τε α ρ χα ίω ν κ α ί τω ν ύσ τερ ο ν μέχρι το ΰ δ ε τοΰ πολέμου γενόμενοί τε κ α ί οίκήσαντες ου ραδίω ς πανοικεσίρ τάς μεταναστάσεις έποιοΰντο, άλλως τε καί ά ρ τι άνειληφ ότες τά ς κ α τα σ κ ευ ά ς μετά τά Μ ηδι2 κά· έβ α ρ ύνοντο δε κ α ί χαλεπώ ς εφ ερον οικίας τε κα τα λ είπ ο ντες κ α ί ιερ ά ά δ ιά π α ντό ς ήν α ύ το ϊς εκ τής κατά τό ά ρ χ α ϊο ν π ο λ ιτεία ς π ά τρ ια δ ία ιτ ά ν τε μέλλοντες μεταβάλλειν κα ί ο ύ δ έν άλλο ή π όλ ιν την ΐ 7 αυτού απολείπω ν έκαστος, έπ ειδή τε άφ ίκοντο ές τό άστυ, όλίγοις μέν τισ ιν ΰ π ή ρ χ ο ν οικήσ εις καί παρά φίλων τινάς ή οικείω ν καταφ υγή, οί δέ πολλοί τά τε έρημα τής πόλεω ς ω κ η σ α ν κ α ί τά ιερ ά κ α ί τά ήρφ α π ά ντα πλήν της άκρ οπ όλ εω ς κα ί τού Έ λ ε υ σινίου κ α ί ε ϊτ ι άλλο βεβαίω ς κληστόν ήν· τό τε Πελα ργικόν κα λο ύμ ενον τό υ π ό τή ν ά κρόπ ολιν, δ καί έπ ά ρ α τό ν τε ήν μή ο ίκ εΐν κ α ί τ ι κ α ί Π υ θ ικ ο ϋ μαν-
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si il tempio di Zeu s O lim pio, quello di A pollo Pizio, quello di G ea e quello di D ioniso in Lim ne, in onore del quale si celebrano le D ionisie più antiche nel do dicesim o giorno del mese di A n testerion e, secondo una consuetudine seguita ancora oggi dagli Ioni che discendono dagli A ten iesi. In questa zona sorgono 5 anche altri tem pli antichi. Q u an to alla fonte che attualm ente, da quando i tiranni 1 hanno fatta siste mare in questo modo, ha il nome di Enneacruno, ma che un tem po, quando le sorgenti erano ancora allo scoperto, ven iva chiam ata C allirro e, gli abitanti a quei giorni la utilizzavano per gli scopi piu im por tan ti, giacché era vicin a alle loro case; e ancora ai nostri giorni, seguendo l ’antica usanza, si suole ado perare quest’ acqua prim a delle nozze e per altre ce6 rim onte sacre. L ’ acropoli dunque e la zona di piu antico insediam ento, perciò tuttora viene chiam ata i6 dagli A ten iesi «po lis». G li A ten iesi, dicevo, ave vano in comune l ’ abitudine di vivere per lo più in cam pagna, in cen tri autonom i, e anche quando l ’u nificazione cittadin a fu com piuta la m aggior parte di loro - sia anticam ente che in tem pi piu recenti, e fin o a questa guerra —conservo tu ttavia 1 abitudine di vivere nei cam pi, là dove erano nati e avevano le 2 loro case. C on riluttanza pertan to accettarono di trasferirsi con tutte le m asserizie, soprattutto per ché solo da poco avevano term inato l ’opera d i rico struzione resasi necessaria dopo le guerre persiane; grande era la loro pena, e a m alincuore sopportava no di dover abbandonare case e templi - appartenu ti alla loro stirpe sem pre, sin dai tem pi rem oti della prim itiva costituzione - nonché di dover cam biare ormai vita: in fin dei conti era il proprio paese che o17 gnuno di loro si lasciava alle spalle. Q uando fu ro no in città, solo pochi ebbero a disposizione un al loggio o trovarono rifugio presso am ici o parenti;^ i piu presero dim ora nelle parti disabitate della citta, in tu tti i santuari degli dei e degli eroi, tranne che sull’ acropoli, nell’E leu sin io e in ogni altro luogo ri gorosam ente precluso. O ccuparono anche il cosid detto Pelargico, ai piedi d e ll’ acropoli, nonostante che una m aledizione proibisse di dim orarvi; questa proibizione era espressa anche dalle parole fin ali di
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τείου άκροτελεύτιον τοιόνδε διεκώλυε, λέγον ώς «τό Π ελ α ρ γικ ό ν α ρ γό ν ά μ εινο ν» , δμω ς υ π ό της π α ρ α 2 χρ ή μ α α νά γκ η ς έξψ κ ή θ η . κ α ί μοι δ ο κ ε ϊ τό μαντεϊον το υνα ντίο ν ξυμ β ή να ι ή π ροσ εδέχοντο- ού γάρ διά την π α ράνομ ον ένοίκησιν α ί ξυμ φ οραί γενέσ θα ι τη πόλει, άλλα διά το ν π όλεμον ή ανά γκη της οίκήσεως, δν ούκ δ ν ο μ ά ζο ν τό μ α ντεΐο ν π ρ ο ή δ ει μη επ ’ 3 ά γα θ φ ποτέ αυτό κατοικισθηαόμενον. κατεσκευάσαντο δέ καί έν τοΐς πύργοις τω ν τειχών πολλοί καί ως έκαστος που έδύνατο· ού γάρ έχώρησε ξυνελθόντας α υτούς ή πόλις, άλλ’ ύστερον δή τά τε μακρά τεί χη ω κ η σ α ν κ α τα ν ειμ ά μ ενο ι κ α ί του Π ειρ α ιώ ς τά 4 πολλά, άμα δέ κ α ί τώ ν προς τον πόλεμον ήπτοντο, ξυ μ μ ά χ ο υ ς τε ά γείρ ο ντες κ α ί τή Π ελοπ ο ννήσ ω 5 εκα τόν νεώ ν έπ ίπ λ ουν έξα ρ τύοντες. κ α ί οί μέν έν τούτψ π αρασκευής ήσαν. [8 Ό δέ στρατός τώ ν Π ελ ο π ο ννη σ ίω ν π ρ ο ϊώ ν άφίκετο τής Α τ τ ικ ή ς ές Ο ίνόην π ρ ώ τον, ήπ ερ έμελλον έσβαλεΐν. κ α ί ώς έκ α θ έ ζο ν το , προσβολάς π αρεσ κ ευ ά ζο ντο τφ τείχ ει π ο ιη σ ό μ ενο ι μηχαναΐς τε καί 2 άλλω τρ ό π ω - ή γά ρ Ο ίνόη ο ύσ α έν μ εθ ο ρ ίο ις τής Α τ τ ικ ή ς κ α ί Β ο ιω τ ία ς έτετείχισ το, κ α ί α ΰτφ φρουρίιμ οί Α θ η ν α ίο ι έχρώ ντο οπ ό τε πόλεμος κατα λ ά β ο ι. τάς τε ο ύ ν π ροσ βολάς η ύ τ ρ ε π ίζο ν τ ο κ α ί 3 άλλως έν δ ιέτρ ιψ α ν χρ ό νο ν π ερ ί α υτή ν, α ιτία ν τε ούκ έλαχίστην ’Α ρχίδα μ ος έλαβεν άπ ’ αύτοϋ, δοκώ ν κ α ί έν τή ξυ να γω γή τού πολέμου μαλακός είνα ι κα ί τοΐς Ά θ η ν α ίο ις έπιτήδειος, ού π α ρ α ινώ ν π ροθύμω ς π ο λ εμ εΐν έπειδή τε ξυνελέγετο ό στρατός, ή τε έν τφ Ί σ θ μ φ έπ ιμ ονή γενο μ ένη κ α ί κ α τά τή ν άλλην π ο ρείαν ή σχολαιότης διέβαλεν αύτό ν, μάλιστα δέ ή έν 4 τή Ο ινόη έπίσχεσις. οί γάρ Α θ η ν α ίο ι έσεκομίζοντο έν τφ χρόνιρ το ύτω , κα ί έδ ό κ ο υ ν οί Π ελοποννή-
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un oracolo pitico che suonavano cosi: « il Pelargico è meglio che non sia occupato»; e tu ttavia, sotto l ’ur genza del momento, esso venne adibito interam ente 2 ad abitazione. A me pare che l ’oracolo si sia avve rato in senso contrario a ciò che l ’interpretazione comune faceva supporre: non fu l ’occupazione inde bita del luogo a causare la disgrazia della città, bensì la guerra a determ inare la necessità d ell’ occupazio ne; l ’oracolo non nom inava la guerra, ma prevedeva che quel luogo sarebbe stato abitato in tempi non fe3 bei. M olti si sistem arono anche nelle torri delle mura, ognuno come meglio potè, poiché in città non v i era posto per tu tti quelli che v i si erano raccolti; ma piu tardi i rifugiati suddivisero fra loro e adibiro no ad abitazione anche le grandi mura e la gran par4 te del Pireo. N el frattem po erano im pegnati an che nell’ organizzare l ’ apparato m ilitare: le truppe alleate vennero concentrate, e furono arm ate cento 5 n avi per una spedizione contro il Peloponneso. A questo punto dunque erano gli A ten iesi nei prepara tivi. 18 Intanto l ’esercito peloponnesiaco avanzava: la p rim a località attica toccata fu E n o e, e m uovendo da quel punto i Peloponnesiaci si apprestavano ad invadere la regione. Q uando si furono accampati, si preparavano ad andare all’ assalto delle mura con 2 m acchine da guerra e in ogni altro m odo, giacché E n o e, che si trova al confine fra A ttica e Beozia, era cin ta da mura, e gli A ten iesi in caso di guerra si ser vivan o di quel luogo come di un baluardo. G li Spar tani dunque preparavano l ’ attacco e indugiavano in 3 vario modo li intorno. Per un tale comportamento furono rivolte critiche alquanto severe ad Archidamo, che peraltro, siccome non in citava con entusia smo alla guerra, già alle prim e avvisaglie del con flit to era stato giudicato fiacco e di sentim enti filoate niesi; quando poi si radunò l ’esercito, la lunga sosta all’ Istm o e la lentezza con cui fu coperto il resto del percorso, ma piti di ogni altra cosa l ’inerzia dinanzi ad E n o e, costituivano altrettan ti m otivi di accusa 4 nei suoi con fro n ti, poiché gli A ten iesi in quel pe riodo erano im pegnati a m ettere al sicuro le loro co se, e i Peloponnesiaci erano con vinti che con un ra-
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σ ιοι έπ ελθόντες άν δ ιά τάχους π ά ντα ετι έξω κατα5 λαβεΐν, εί μή διά την εκείνου μέλλησιν. έν τοιαύτη μέν ορ γή ό στρατός το ν Ά ρ χ ίδ α μ ο ν έν τή κ α θ έδ ρ ρ ειχεν. ό δέ π ρ ο σ δεχό μ ενο ς, ώς λέγετα ι, το ύς Α θ η να ίο υ ς τής γης ετι α κ ερ α ίο υ ούσης ένδώ σειν τ ι καί ΐ 9 κατοκνήσειν περιιδεΐν αυτήν τμηθεΐσαν, άνεΐχεν. έπ ειδ ή μ έντοι π ροσ β α λ όντες τή Ο ίνόη κ α ί π ά σ α ν ιδ έ α ν π ειρ ά σ α ντες ο ύ κ έδ ύ ν α ν το έλεΐν, ο ϊ τε Α θ η ν α ίο ι ο ύδ έν έπ εκ η ρ υκ εύο ντο, ο ΰτω δή όρμήσαντες ά π ’ αυτής μετά τά έν Π λαταία [των έσελθόντω ν Θ η βαίω ν] γενό μ ενα ήμέρςχ ο γδο η κο σ τή μάλιστα, θ έ ρ ους κ α ί τοϋ σ ίτου ά κ μ ά ζο ντο ς, έσ έβαλον ές τήν Α τ τ ικ ή ν ήγεΐτο δέ Ά ρ χ ίδ α μ ο ς ό Ζ ευ ξιδ ά μ ο υ , Λ ακε2 δ α ιμ ό ν ιω ν βασιλεύς, κ α ί κ α θ ε ζ ό μ ε ν ο ι έτεμνον π ρ ώ το ν μέν Ε λ ε υ σ ίν α κ α ί το Θ ρ ιά σ ιο ν π εδ ίο ν καί τρ ο π ή ν τινα τω ν Α θ η ν α ίω ν ιπ π έω ν π ερ ί το ύς 'Ρείτους καλούμενους έποιήσαντο- έπ ειτα προυχώ ρουν έν δ ε ξιά έχοντες τό Α ίγ ά λ ε ω ν δρ ος δ ιά Κ ρ ω π ιά ς, έως άφ ίκοντο ές Ά χ α ρ ν ά ς , χω ρίον μέγιστον τής Α τ τικ ής τω ν δήμ ω ν κα λ ο υμ ένω ν, κ α ί κ α θ ε ζ ό μ ε ν ο ι ές α υ τό σ τρ α τό π εδό ν τε έπ ο ιή σ α ντο χρ ό νο ν τε πολύν ζο έμμείναντες έτεμνον. γνώ μη δ ε τοιάδε λέγεται τόν Ά ρ χ ίδ α μ ο ν π ερ ί τε τάς Ά χ α ρ ν ά ς ώς ές μάχην τα ξά μενον μ εϊνα ι κ α ί ές τό π εδ ίο ν έκ είνη τή έσβολή ού 2 κ α τα β ή ν α ι- το ύς γά ρ Α θ η ν α ίο υ ς ή λ π ιζεν, άκμάζο ν τά ς τε νεότη τι πολλή κα ί π α ρ εσ κ ευα σ μ ένο υς ές πόλεμον ώς ούπω πρότερον, ίσω ς ά ν έπεξελθεΐν καί 3 τή ν γή ν ούκ άν π ερ ιιδ εΐν τμ η θ ή ν α ι. έπ ειδ ή ούν α ύ τώ ές Ε λ ε υ σ ίν α κ α ί τό Θ ρ ιά σ ιο ν π εδ ίο ν ούκ άπήντησαν, πείραν έποιεΐτο περί τάς Ά χ α ρ ν ά ς καθή4 μένος εί έ π ε ξ ία σ ιν ά μ α μέν γά ρ α ύ τφ ο χώ ρος έπιτήδειος έφαίνετο ένστρατοπεδεϋσαι, άμα δέ καί οί Ά χ α ρ ν ή ς μέγα μέρος δντες τής πόλεω ς (τρ ισ χίλ ιο ι
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pido attacco avrebbero potuto trovare ancora tutti i loro beni fuori delle mura, in custoditi, e avrebbero potuto pertanto im padronirsene, non fosse stato 3 per il suo tem poreggiare. Tale dunque era l ’irrita zione contro Archidam o che serpeggiava nell’eserci to durante la sosta. M a egli aspettava - a quanto si dice - che gli A ten iesi, finché la loro terra ancora non aveva subito devastazioni, facessero qualche concessione, e che si facessero scrupolo di assistere passivam ente all’opera di distruzione. Q uesto era il 19 m otivo per cui si asteneva d a ll’ agire. D opo però che ebbero lanciato ripetu ti attacchi contro E n o e, ed ebbero tentato in tu tti i m odi di prenderla, ma senza riu scirvi, e senza peraltro che gli A ten iesi avessero inviato loro alcun araldo, i Peloponnesiaci agli ordini di A rchidam o figlio di Zeussidam o, re di Sparta, lasciarono E noe e si misero in marcia per in vadere l ’A ttica. E ran o passati circa ottanta giorni dai fa tti di P latea; si era in estate e il grano era ma2 turo. A ccam patisi, dapprim a devastarono E ieu si e la piana di T ria; misero anche in fuga la cavalleria ateniese presso i cosiddetti R iti. P oi avanzarono, avendo alla propria destra il m onte E galeo , attraver sarono C ropia e giunsero fin o ad A carn e, la piu grande delle località attiche chiam ate « d em i»; là si attestarono e piantarono il campo. S i ferm arono a io lungo, e distruggevano tutte le colture. Quella vol ta, a quanto si dice, se A rchidam o nel corso d ell’in vasione non scese fino in pianura, ma restò ad A car ne con le truppe schierate in ordine di com batti2 m ento, fu in base alla seguente considerazione: gli A teniesi erano allora, secondo i suoi calcoli, al culmi ne della loro potenza per la ricca presenza di forze giovanili nonché per un apparato m ilitare quale mai avevano posseduto in precedenza, e pertanto non avrebbero permesso che venisse devastata la loro ter3 ra, ma forse avrebbero accettato lo scontro; sic com e però non avevano affron tato i Peloponnesiaci ad E ieu si e nella piana di T ria, tentava di provocarli 4 a battaglia accampato ad A carn e, sia perché que sto posto gli sem brava adatto per m ettervi il campo, sia perché a suo parere gli A carnesi, che erano parte notevole della cittadinanza (fornivano in fatti ben
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γά ρ όπ λ ΐται έγένοντο) ού π ερ ιό ψ εσ θ α ι έδ ό κ ο υν τά σφέτερα δια φ θα ρ έντα , άλλ’ όρμήσειν κ α ί τούς πάντα ς ές μάχην, εϊ τε κ α ί μή έ π ε ξέ λ θ ο ιε ν εκείνη τη έσβολη ο ί Α θ η ν α ίο ι, ά δεέσ τερ ο ν ήδη ές τό ύσ τερ ον τό τε π εδ ίο ν τεμεΐν κ α ί προς α υτή ν τήν πόλιν χωρήσ εσ θ α ι· τούς γά ρ Ά χ α ρ ν έ α ς έσ τερ η μ ένο υς τω ν σφετέρω ν ο ύ χ ομοίω ς π ρ οθύμ ο υς εσ εσ θα ι υπ έρ τής τω ν άλλων κινδυνεύειν, στάσιν δ’ ένέσ εσ θαι τή γνώ5 μη. τοιαύτη μέν δ ια νο ία ό Ά ρ χ ίδ α μ ο ς π ερ ί τάς Ά χαρνάς ήν. 2ΐ Α θ η ν α ίο ι δέ μ έχρ ι μέν ου π ερ ί Ε λ ε υ σ ίν α κ α ί τό Θ ριάσιον πεδίον ό στρατός ήν, κα ί τινα έλπίδα ειχον ές τό έγγυτέρω α υτο ύς μή π ρ ο ϊένα ι, μεμνημένοι καί Π λ εισ το ά να κ τα το ν Π α υ σ α ν ίο υ Λ α κ ε δ α ιμ ο ν ίω ν βασιλέα, δτε έσβαλώ ν τής Α τ τ ικ ή ς ές Ε λ ε υ σ ίν α καί θ ρ ιώ ζ ε στρατφ Π ελ ο π ο ννη σ ίω ν π ρ ο το ΰ δ ε τού πολέμου τέσσαρσι κα ί δέκα ετεσιν άνεχώ ρησε πάλιν ές τό πλέον ο ύ κ έτι π ρ ο ελ θ ώ ν (δ ι’ δ δή κ α ί ή φυγή α υτω έγένετο έκ Σ πά ρτης δ ό ξα ν τι χρ ήμα σι π εισθή2 ν α ι [τήν ά να χ ώ ρ η σ ιν])· έπ ειδ ή δέ π ερ ί Ά χ α ρ ν ά ς ειδ ο ν το ν στρ α τόν έξή κ ο ντα σ τα δ ίο υ ς τής πόλεω ς άπέχοντα, ούκέτι άνασχετόν εποιοϋντο, άλλ” αύτοϊς, ως είκός, γής τεμ νομ ένη ς έν τω έμ φ ανεΐ, δ οΰπ ω έοράκεσαν οι γε νεώτεροι, ο ύδ3οι πρεσβύτεροι πλήν τά Μ η δ ικ ά , δ εινό ν έφ α ίνετο κ α ί έδ ό κ ει τοΐς τε άλλοις κ α ί μάλιστα τή νεό τη τι έ π ε ξ ιέ ν α ι κ α ί μή πε3 ρ ιο ρ ά ν. κ α τά ξυ σ τά σ εις τε γ ιγ ν ό μ ε ν ο ι έν πολλή έ ρ ιδ ι ήσ αν, ο ι μέν κελ εύο ντες έ π ε ξιέ ν α ι, ο ί δέ τινες ού κ έώ ντες. χρ η σ μ ο λ ό γο ι τε ή δ ο ν χρ ησ μ ο ύς π αντοίους, ω ν ά κ ρ ο ά σ θ α ι ώς έκαστος ωρμητο. ο ϊ τε Ά χαρνής οίόμενοι π α ρ ά σφίσιν α ύτοϊς ούκ έλαχίστην μ ο ίρ α ν είνα ι Α θ η ν α ίω ν , ώς α ύ τώ ν ή γή έτέμνετο,
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trem ila opliti), non avrebbero sopportato che venis sero distrutti i loro beni, ma avrebbero incitato tut ti gli altri al com battim ento. Se poi gli A ten iesi du rante quell’invasione non fossero usciti mai loro in contro, ciò avrebbe significato che in futuro l ’opera di devastazione della pianura e l ’ avanzata verso la stessa città di A ten e sarebbero state piu sicure, p o i ché gli A carn esi, privati orm ai di tu tti i loro beni, non avrebbero affron tato con uguale slancio il p eri colo in difesa della terra altrui, e cosi fra gli A teniesi 3 non v i sarebbe piu stata unità di intenti. Q uesti erano gli o b iettivi che A rchidam o si poneva accam pandosi ad Acarne. ix G li A ten iesi, dal canto loro, finché l ’ esercito in vasore era rim asto nella zona di E ieu si e nella piana di T ria, nutrivano ancora qualche speranza che i ne m ici non si avvicinassero ulteriorm ente, memori della spedizione peloponnesiaca guidata quattordici anni prim a di questa guerra dal re di Sparta Plistoanatte figlio di Pausania, quando l ’A ttica era stata in vasa fino ad E ieu si e T ria; allora P listoanatte non era andato oltre e si era poi ritirato, ragione per cui era stato esiliato da Sparta, giacché si era pensato 2 che si fosse fatto corrom pere. Q uando però v id e ro che l ’esercito nemico era giunto sino ad A carne, a soli sessanta stadi dalla città, pensarono che non si dovesse tollerare oltre: non reggevano, com ’è natu rale, alla vista della terra che veniva devastata sotto i loro occhi; mai ancora i piu giovani avevano assisti to a una scena del genere, e neanche i piu anziani, tranne che al tem po delle guerre persiane, e tu tti, ma soprattutto i giovani, erano del parere che non si dovesse piu stare a guardare, ma fosse giusto uscire 3 e affron tare il nemico. S i form arono dei gruppi in fo rte contrasto fra loro: c ’ era chi prem eva perché si andasse a com battere, m entre altri si opponevano. In terp reti di responsi oracolari cantavano profezie di ogni genere, quelle che ognuno vivam ente tende va ad ascoltare. E ran o gli A carn esi soprattutto ad incalzare perché si uscisse incontro al nem ico; era la loro terra che in quel momento veniva devastata, ed essi oltretutto ritenevano di rappresentare la parte non certo meno rilevan te della cittadinanza atenie-
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έν ή γο ν τή ν έξο δ ο ν μάλιστα, π α ν τί τε τρόπ ω άνηρέθ ισ το ή πόλις, κ α ί το ν Π ερ ικ λ έα èv οργή είχ ο ν, κ α ί ω ν π α ρ ή νεσ ε π ρ ό τερ ο ν έμ έμνη ντο ο ύ δ έν , άλλ’ έκ ά κ ιξο ν δ τι σ τρατηγός ώ ν ούκ έπ εξά γ ο ι, α ίτιό ν τε σφίσιν ένόμιζον π άντω ν ων έπασχον. Π ερικλής δέ ορώ ν μέν αυτούς προς τό π αρόν χαλεπ αίνοντας καί ού τά ά ρ ισ τα φ ρ ο νο ϋντα ς, π ισ τεύ ω ν δέ όρ θώ ς γιγνώ σ κ ειν περί τοΰ μή έπ εξιέναι, εκκλησίαν τε ούκ έπ ο ίει α ύτώ ν ούδέ ξύλλογον ο ύδ ένα , τού μή οργή τι μάλλον ή γνώμη ξυνελθόντας έξαμαρτεΐν, τήν τε πόλιν έφ ύλασσε καί δι’ ήσυχίας μάλιστα δσον έδ ύνα το 2 εΐχεν. Ιππέας μ έντο ι έξέπ εμ π εν α ίε ί τού μή π ρ ο δρ ό μ ο υς απ ό τής σ τρ α τιά ς έσ π ίπ το ντα ς ές τούς α γρ ο ύ ς το ύς έγγύς τής πόλεω ς κακουρ γεΐν- κ α ί ιπ π ο μ α χία τις έγένετο βραχεία εν Φ ρ υ γίο ις τω ν τε Α θ η ν α ίω ν τέλει ένί τω ν ιπ π έω ν κ α ί θ ε σ σ α λ ο ΐς μετ’ α ύτώ ν προς τούς Β οιω τώ ν Ιππέας, έν ή ούκ ελασσον έσχον οί Α θ η ν α ίο ι καί Θ εσσαλοί, μέχρι ού προσβοηθ ησ ά ντω ν τοΐς Βοιω τοΐς τω ν οπλιτώ ν τροπή έγένετο α υτώ ν κ α ί ά π έθα νο ν τώ ν Θ εσσαλώ ν κα ί Α θ η ν α ίω ν ού π ολλοί· ά νείλοντο μέντοι α ύ το ύ ς α ύ θ η μ ερ ό ν άσπονδους, καί οί Π ελοποννήσιοι τροπαΐον τή ύστε3 ρ α ίρ έστησαν, ή δέ β ο ή θεια α ϋτη τώ ν Θ εσσαλώ ν κ α τά τό π α λ α ιό ν ξυ μ μ α χ ικ ό ν έγένετο τοΐς Ά θ η να ίο ις , κ α ί άφ ίκοντο π α ρ ’ α ύτο ύς Λ α ρ ισ α ΐο ι, Φ α ρ σ ά λιο ι, [Π α ρ ά σ ιο ι], Κ ρ α ν ν ώ ν ιο ι, Π υ ρ ά σ ιο ι, Γ υρτώ νιο ι, Φ ερ α ϊο ι. ή γο ΰντο δέ α ύτώ ν έκ μέν Λ α ρ ίσ η ς Π ολυμηδης καί Ά ρ ισ τό ν ο υ ς , ά π ό τής στάσεω ς έκάτερος, εκ δέ Φ αρσάλου Μ έ ν ω ν ήσαν δέ κ α ί τώ ν άλ λων κ α τά πόλεις άρχοντες. Ζϊ Ο ί δέ Π ελ ο π ο ννή σ ιο ι, έπ ειδή ούκ έπ ε ξή σ α ν αύτοΐς οί Α θ η ν α ίο ι ές μάχην, άραντες έκ τώ ν ’Α χα ρ νώ ν έδ ή ο υ ν τώ ν δή μ ω ν τινά ς άλλους τώ ν μ ετα ξύ Π ά ρ νη θο ς κ α ί Β ριλησσού όρους, δντω ν δέ α ύτώ ν έν τή γή ο ί Α θ η ν α ίο ι ά π έσ τειλ α ν τά ς έκ α τό ν να ΰ ς
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se. L a città era tu tta in subbuglio, e gli anim i erano esasperati contro Pericle: nessuno si rico rdava più dei suoi precedenti consigli, ma deploravano che co me stratego non facesse uscire l ’ esercito contro il nem ico, e lo ritenevano colpevole di tu tti i loro guai. Pericle vedeva che, indignati com ’erano per la situazione in cui si trovavano, i loro propositi non erano dei piu saggi, ma era convinto che la strategia da lui adottata di non uscire incontro al nem ico fo s se quella giusta; perciò non li radunava in assemblea né convocava alcun’ altra riunione, per evitare che trovandosi tutti insieme si lasciassero guidare dall’i ra più che dal giudizio e commettessero cosi degli er ro ri, ma v ig ilava sulla città e v i m anteneva la calma 2 per quanto possibile. F aceva però uscire di con ti nuo fuori delle mura cavalieri che avevano il com pi to di im pedire ad avanguardie d ell’ esercito nem ico di com piere scorrerie nei cam pi vicin i alla città. V i fu anche presso F rig i una scaram uccia fra pattuglie di cavalleria che vide impegnati da una parte una so la squadra di cavalieri ateniesi, accom pagnati da T essali, e d a ll’altra cavalieri beoti; gli A ten ie si e i T essali non ebbero la peggio fin o a che non furono volti in fuga quando in aiuto dei B eoti sopraggiunse ro gli opliti. I T essali e gli A ten iesi ebbero qualche m orto; poterono tu ttavia recuperare i loro corpi il giorno stesso senza concordare una tregua form ale. Il giorno successivo i Peloponnesiaci eressero un 3 trofeo. G li A ten iesi avevano ricevuto questi rin fo rzi dai T essali in virtù del loro antico trattato di alleanza; cosi erano giunti per schierarsi al loro fian co cavalieri di Larissa, Farsalo, P irasie, C rannone, P iraso, G irto n e e Fere. E ran o giunti con loro quali com andanti da Larissa Polim ede e A risto n oo - uno per ognuna delle due fazion i contrapposte - e da Farsalo M enone; anche gli altri reparti cittadini ave vano ognuno il proprio comandante. 23 I Peloponnesiaci a un certo punto, visto che gli Ateniesi non uscivano loro incontro per affro n tare il com battim ento, se ne andarono da A carn e e d eva starono alcuni altri dem i fra il m onte Parn ete e il 2 monte Brilesso. M entre essi erano in territorio at tico, gli A ten ie si inviarono le cento n avi che erano
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π ερ ί Π ελ ο π ό ννη σ ο ν άσ π ερ π α ρ εσ κ ευ ά ζο ν το κα ί χιλ ίο υς οπ λ ίτα ς έπ ’ α υ τώ ν κ α ί το ξό τα ς τετρ α κοσίους· έσ τρ α τή γει δέ Κ α ρ κ ίν ο ς τε ό Ξ ενο τίμ ο υ κ α ί Π ρ ω τέα ς ό Έ π ικ λ έ ο υ ς κ α ί Σ ω κρ ά τη ς ό Ά ν τ ιγ έ 3 νους, κ α ί οί μέν άραντες τη π αρ ασκευή τα ΰτη περιέπλεον, ο ί δέ Π ελοπ ο ννή σ ιοι χρ ό νο ν έμμείναντες έν τη Α τ τ ικ ή δσ ου εΐχον τά επ ιτή δ εια ά νεχώ ρ η σ α ν δ ιά Β ο ιω τώ ν, ούχ ήπερ έσέβαλον· π α ρ ιόντες δέ Ώ ρ ω π ό ν τή ν γη ν τή ν Γ ρ α ϊκ ή ν καλουμένην, ή ν νέμοντα ι Ώ ρ ώ π ιο ι Α θ η ν α ίω ν υπ ήκοοι, έδήω σα ν. άφικόμενοι δέ ές Π ελοπ όννησ ον δίελύθησ α ν κ α τά πόλεις έκαστοι. Ζ4 Ά ν α χ ω ρ η σ ά ντω ν δέ αυτώ ν οί Α θ η ν α ίο ι φύλακας κατεστήσαντο κ ατά γη ν καί κατά θάλασσαν, ώσπερ δή έμελλον δ ιά π α ντό ς τοΰ πολέμου φ υ λ ά ξ ε ιν κ α ί χίλ ια τά λ α ντα α π ό τώ ν έν τή ά κ ρ ο π ό λ ει χρ η μ ά τω ν έ'δοξεν α ύτοϊς εξα ίρ ετα ποιησαμένοις χω ρίς θ έσ θ α ι κα ί μη άναλοϋν, άλλ’ άπ ό τών άλλων π ολ εμ εϊν ήν δέ τις εϊπη ή επιψήφισή κινεΐν τά χρήματα τα ΰτα ές άλ λο τι, ήν μή ο ί π ο λ έμ ιο ι νηίτη στρ ατώ έπ ιπ λ έω σ ι τή π όλει κ α ί δέη ά μ ύ ν α σ θ α ι, θ ά ν α τ ο ν ζη μ ία ν έπ έθ εν2 το. τρ ιή ρ εις τε μετ’ α υ τ ώ ν εξ α ίρ ετο υ ς ε κ α τ ό ν επ ο ιή σ α ντο κ α τά το ν εν ια υ τό ν έκ α σ το ν τά ς βέλτι στος, κα ί τριηράρχους αΰταϊς, ών μή χρ ή σ θα ι μηδεμιρ ές άλλο τι ή μετά τώ ν χρημά τω ν π ερ ί τοΰ αύτο ϋ κινδύνου, ήν δέη. τ·$ Ο ί δ° έν ταϊς ε κ α τ ό ν να υσ ί π ερ ί Π ελοπόννησον "Α θ η ν α ίο ι κ α ί Κ ε ρ κ υ ρ α ΐο ι μετ’ α υ τώ ν π εν τή κ ο ντα ν α υ σ ί π ρ ο σ β εβ ο η θ η κό τες κ α ί ά λ λοι τινές τώ ν έκ εϊ ξυ μ μ ά χ ω ν άλλα τε έκ ά κ ο υ ν π ερ ιπ λ έο ντες κ α ί ές Μ εθώ νην τής Λ ακω νικής άποβάντες τώ τείχει προσέβα λον ό ντι α σ θ ε ν ε ί κ α ί α ν θ ρ ώ π ω ν ο ύ κ ένόν2 των. ετυχε δέ περί τούς χώ ρους τούτους Β ρα σ ίδα ς ό Τ έλλιδος άνήρ Σ πα ρτιά της φ ρουράν έχων, κα ί αίσ θ ό μ ενο ς έβ ο ή θ ει τοΐς έν τώ χω ρίω μετά οπ λ ιτώ ν εκατόν, δια δρ ομ ώ ν δέ τό τώ ν Α θ η ν α ίω ν στρατόπεδον έσ κεδασμ ένον κ α τά τήν χώ ραν κ α ί προς τό τεΐ-
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state allestite, con a bordo m ille opliti e quattrocen to arcieri, al com ando degli strateghi C arcin o figlio di Senotim o, P rotea figlio di E p icle e Socrate figlio 3 di A n tigen e. Q ueste erano le forze con cui parti rono per la loro missione intorno al Peloponneso. I Peloponnesiaci dal canto loro rim asero in A ttica f i no a quando ebbero viv e ri e poi si ritiraron o, non per la via seguita al momento d ell’invasione, ma at traverso la B eozia. Passando presso O ropo d evasta rono la cosiddetta terra G raica, abitata dagli O ropi, sudditi di A ten e. Q uando furono giunti nel P elo ponneso il corpo di spedizione si sciolse ed ogni re parto tornò alla sua città di provenienza. 24 Q uando si furono ritirati, gli A ten iesi posero del le vedette a sorvegliare terra e m are, come avrebbe ro poi fatto per tu tta la durata della guerra. D ecise ro pure di m ettere da parte mille talen ti del denaro custodito su ll’ acropoli, e di non spenderli: li avreb bero tenuti com e riserva, im piegando per le esigen ze della guerra il denaro restante; per chi propones se o m ettesse ai v o ti di destinare diversam ente que sto denaro - salvo che la città venisse attaccata per m are d all’ esercito nemico e bisognasse organizzare 2 la d ifesa - venne prevista la pena di m orte. In sie me a questa somma stabilirono di m ettere da parte ogni anno le cento m igliori trirem i con i risp ettivi trierarchi; nessuna di queste navi poteva essere usa ta se non, qualora fosse stato necessario, per far fronte al medesimo pericolo unitam ente alla somma di denaro accantonata. 2.5 G li A teniesi in viati con cento navi a com piere una spedizione in torn o al Peloponneso, insiem e ai Corciresi che erano sopraggiunti in loro appoggio con cinquanta navi e ad alcuni altri alleati della zona, nel loro giro arrecarono danneggiam enti di ogni sorta; in particolare, sbarcati a M etone, in Laconia, prese ro d ’ assalto le mura, non molto solide, che erano 2 sguarnite. P er caso era di guardia da quelle parti uno spartiate, B rasida figlio di Tellide, che, accorto si di quanto avveniva, corse con cento opliti in aiuto d i coloro che si trovavan o sul posto: passando di corsa attraverso le truppe ateniesi, sparse per la cam pagna e im pegnate n ell’ assalto alle mura, riu scì
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χ ο ς τετρ α μ μ ένον έσ π ίπ τει ές τή ν Μ εθ ώ νη ν κ α ί ολί γους τινά ς εν τή εσδρομή άπολέσας τώ ν με#5 αυτού τήν τε πόλιν περιεποίησε καί από τ ο ύ το ν τοΰ τολμή ματος π ρώ τος τω ν κ α τά το ν π όλ εμο ν έπ η νέθ η έν 3 Σ πά ρτη. ο ί δε "Α θηναίοι ά ρ α ντες π αρ έπ λ εον, κ α ί σχόντες τής Η λ εία ς ές Φ ειά ν έδήουν τήν γη ν έπ ί δύο ημέρας καί προσβοηθήσαντας τω ν εκ τής κοίλης Ή λιδος τρ ια κ οσ ίους λογαδας κ α ί τω ν α ύ τό θ εν εκ τής 4 π ερ ιο ικ ίδ ο ς Ή λ είω ν μάχη έκράτη σαν. ανέμου δέ κατιόντος μεγάλου χειμαζό μενο ι εν άλιμένω χω ρίψ, οί μέν πολλοί έπέβησαν έπί τάς να ϋς καί περιέπλεον τ ό ν Ί χ θ ύ ν κ αλο ύμενον τήν ά κρ α ν ές τόν έν τή Φ ειά λιμένα, ο ι δε Μ εσ σ ή νιο ι εν το ύτω κ α ί άλλοι τινές οί ού δ υ ν ά μ εν ο ι έπ ιβ ή ν α ι κ α τά γή ν χω ρ ήσ α ντες τήν 5 Φ ειά ν αίροΰσ ιν. κα ί ύσ τερον α ϊ τε νήες περιπλεύσασα ι ά ναλαμβά νουσιν α υτούς κ α ί έξα νά γο ντα ι έκλιπόντες Φ ειά ν, κα ί τω ν Ή λ είω ν ή πολλή ήδη σ τρα τιά προσ εβεβοηθήκει. π α ρ α π λεύσα ντες δέ οί "Α θη να ίο ι έπ ί άλλα χω ρία έδήουν. ζ6 'Υ π ό δέ τόν α υ τό ν χρ όνο ν τούτον Α θ η ν α ίο ι τριάκοντα ναΰς έζέπεμψ αν περί τήν Λ ο κρ ίδα καί Ε ύ βοιας άμα φυλακήν· έστρατήγει δέ αυτώ ν Κλεόπομπ ος ό Κ λ εινίο υ . κ α ί απ οβ ά σ εις π οιη σ ά μ ενος τής τε π α ρ α θ α λ α σ σ ίο υ έστιν ά έδήω σε κα ί Θ ρόνιον ειλεν, ομήρους τε έλαβεν αυτώ ν, κα ί έν "Αλόπη το ύς βοηθήσα ντας Λ οκρ ώ ν μάχη έκράτησεν. 2.J "Α νέστησαν δέ κ α ί Α ίγ ιν ή τα ς τώ αύτω θ έρ ει τ ο ύ τω έξ Α ίγ ίν η ς "Α θ η να ίο ι, α υ το ύ ς τε κ α ί π α ΐδ α ς κ α ί γ υ ν α ίκ α ς, έπ ικ α λ έσ α ντες ούχ ή κ ισ τα τοΰ πολέμου σφίσιν αιτίους είναι· καί τήν Α ίγ ιν α ν άσφαλέστερον έφ α ίνετο τή Π ελ ο π ο ννή σ φ έπ ικ ειμ ένη ν α υτώ ν π εμ ψ αντας επ οίκους έχειν. κα ί έξέπ εμ ψ α ν ύσ τερον 2 ού πολλώ ές α υτή ν τούς οίκήτορας. έκπ εσούσι δέ τ ο ϊς Α ιγ ιν ή τ α ις ο ί Λ α κ ε δ α ιμ ό ν ιο ι έδ ο σ α ν Θ υρ έα ν ο ίκ εΐν κ α ί τή ν γή ν νέμ εσ θ α ι, κ α τά τε τό "Α θη να ίω ν διάφ ορον κ α ί δτι σφών εύερ γέται ήσαν ύ π ό τό ν σει-
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a fare irruzione dentro M etone, e cosi salvò la citta, perdendo solo pochi dei suoi che caddero nel corso d ell’ assalto. P er questa audace im presa egli fu il pri mo nel corso di questa guerra a ricevere un elogio 3 u fficiale a Sparta. G li A ten iesi allora abbandona rono quel luogo e ripresero la navigazione lungo la costa. Sbarcati a Fea, in E lid e , devastarono per due giorni il territorio, ed ebbero la meglio in com batti m ento su una schiera di trecento soldati scelti elei accorsi in aiuto d all’E lid e C ava e dalla stessa zona di 4 F ea. M a prese a soffiare un vento im petuoso e fu rono sorpresi dalla tem pesta in un punto della costa p rivo di porto; la maggior parte allora sali sulle navi e girò intorno al prom ontorio chiam ato Ittio per ri parare nel porto di Fea, m entre i M esseni e alcuni altri che non avevano potuto salire a bordo raggiun3 sero F ea via terra e se ne im padronirono. Piu ta r di le navi, dopo aver com piuto il giro del prom onto rio , li ripresero a bordo e salparono, abbandonando Fea, dove intanto era già arrivato in soccorso il gros so d ell’ esercito eleo. G li A ten iesi continuarono quindi a navigare lungo la costa attaccando e deva stando ancora altre località. A ll’incirca in questo stesso periodo gli A teniesi in viarono verso la Locride trenta navi, che ebbero an che il com pito di vigilare sull’ E ub ea. L e com andava lo stratego Cleopom po figlio di C linia che, effettuati alcuni sbarchi, devastò in piu punti la fascia costiera e conquistò Tronio, dove fece degli ostaggi. E ad Alope vinse in battaglia i Locresi accorsi in aiuto. 2.7 In questa stessa estate gli A ten iesi espulsero gli ab itan ti da E g in a, con donne e bam bini: li accusava no di essere nei con fron ti di A ten e i principali re sponsabili della guerra, e com unque p areva loro piu sicuro - per la posizione d ell’ isola in prossim ità del Peloponneso - esercitare su di essa un dom inio di retto con l ’ in vio di propri coloni; coloni che d ifa tti furono in viati nell’ isola non molto tempo do2 po. A g li E g in e ti cacciati dalla loro terra gli Sp ar tani diedero da abitare T irea, concedendo loro an che l’uso del territorio; lo fecero per ostilità nei con fro n ti degli A ten iesi e perché gli E g in e ti erano stati loro di grande aiuto al tem po del terrem oto e della
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σμόν κα ί τω ν Ε ιλ ώ τω ν την έπ α νά σ τα σ ιν. ή δέ θ υ ρ εά τις γη μ εθ ό ρ ια της Ά ρ γ ε ία ς κ α ί Λ α κ ω ν ικ ή ς έστιν, έπ ίθ ά λ α σ σ α ν καθήκουσα. κ α ί οί μέν α υτώ ν εν τ α ύ θ α φ κησ αν, ο ι δ ’ έσ π ά ρ η σ α ν κ α τά τή ν άλλην Ελλάδα. 28 Τού δ ’ αυτού θέρου ς νου μηνία κατά σελήνην, ώσ π ερ κα ί μόνον δ ο κ εΐ είν α ι γ ίγ ν ε σ θ α ι δ υ να τό ν, ό ήλιος εξέλιπ ε μετά μ εση μβρ ίαν κ α ί π ά λ ιν άνεπληρ ω θη , γενόμ ενος μη νοειδής κ α ί ασ τέρ ω ν τινώ ν έκφανέντων. ^9 ^ Κ α ι εν τώ α υτφ θ έ ρ ε ι Ν υ μ φ ό δ ω ρ ο ν τό ν Π ύ θ εω α ν δ ρ α Α β δ η ρ ίτ η ν , ου είχε τήν α δελφ ή ν Σ ιτάλκης, ο υ ν α μ ενο ν τιαρ α,ντφ μέγα οί Α θ η ν α ίο ι π ρ ότερο ν πολέμιον νο μ ίζοντες π ρ ό ξενο ν έπ ο ιή σ α ντο κ α ί μετεπέμ-ψαντο, βουλόμενοι Σιτάλκην σφίσι τόν Τήρεω, Θ ρακώ ν βασιλέα, ξύμ μαχον γενέσ θαι. ό δέ Τήρης ουτος ό τού Σιτάλκου πατήρ πρώ τος Ό δ ρ ύ σ α ις τήν μεγα λην βασ ιλείαν έπ ί πλέον τής άλλης Θ ράκης έπ ο ίη σ ε ν πολύ γάρ μέρος κ α ί α υ τό νο μ ό ν έστι Θ ρ α κών. Τ η ρεί δέ τώ Π ρ όκνην τή ν Π α νδίο νος ά π ’ Α θ η ν ώ ν σχόντι γ υ ν α ίκ α π ρ ο σ ή κ ει ό Τ ήρης ουτος ούδέν, ουδέ τής αυτής Θ ράκης έγένοντο, άλλ’ ό μέν εν Δαυλιό, τής Φ ω κ ίδο ς ν υ ν καλουμένης γής [ό Τηρεύς] φκει, τότε υπ ο Θ ρακώ ν οικουμένης, καί τό έργ ο ν τό π ερ ί τό ν ’Ί τ υ ν α ί γ υ ν α ίκ ε ς έν τή γή τα ύτη έ'π ρα ξαν (πολλοΐς δέ κ α ί τώ ν π ο ιη τώ ν έν ά η δ ό νο ς μνήμη Δ α υλιάς ή δρ νις έπ ω νό μ α σ τα ι), είκός τε κ α ί το κήδος Π α νδ ίο να ξ υ ν ά ψ α σ θ α ι τής θ υ γα τρ ό ς διά το σ ο ύτο υ έπ’ ώ φελία τή προς άλλήλους μάλλον ή δ ια πολλώ ν ήμερώ ν ές Ό δ ρ ύ σ α ς ό δ οϋ. Τ ή ρη ς δέ ο υ δ έ τό αυτό όνο μα έχω ν βα σ ιλεύς [τε] π ρ ώ τος έν κ ρ α τεί Ό δ ρ υ σ ώ ν έγένετο. ου δή ό ντα τό ν Σιτάλκην οί 'Α θ η να ίο ι ξ ύ μ μ α χ ο ν έπ ο ιο ΰντο , βουλόμενοι σφ ισι τά επ ί Θ ράκης χω ρ ία κ α ί Π ερ δ ίκ κ α ν ξυ ν εξε5 λεϊν αυτόν, ελθώ ν τε ές τάς Α θ ή ν α ς ό Ν υμφ όδω ρος τήν τε του Σιτάλκου ξυμ μ α χία ν έποίησε κα ί Σάδο κο ν τόν υ ιόν αυτού Α θ η ν α ΐο ν τό ν τε έπ ί Θ ράκης
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rivo lta degli Ilo ti. Il territorio di T irea è al confine fra l ’A rgolide e la Laconia, e giunge sino al mare. A l cuni di loro andarono dunque a vivere li, gli altri si sparsero per tutta G recia. 28 N ella stessa estate, una volta che c ’ era luna nuova - il solo m omento in cui sem bra che ciò sia possibi le - v i fu nel pom eriggio u n ’ eclissi di sole. D opo av e r preso l ’aspetto di una m ezzaluna, il sole tornò poi alla sua form a consueta; erano com parse anche alcune stelle. 29 Sem pre in questa stessa estate gli A ten iesi, volen do che Sitalce figlio di T ere, re della T racia, divenis se loro alleato, lo nom inarono loro prosseno e in vi tarono ad A ten e N infodoro figlio di P ite, un cittadi no di A bdera - in precedenza da essi ritenuto loro ostile - la cui sorella era moglie di Sitalce; su suo co gnato N in fo do ro esercitava una grande influen2 za. F u questo T ere, padre di Sitalce, il prim o che estese il grande regno degli O drisi sulla maggior par te di tutta la restante T racia (vi è però una parte n o tevole della popolazione tracia che è ancora autono3 ma). Q uesto T ere non ha nulla a che fare col Tereo che aveva sposato una donna ateniese, Procne fig lia di Pandione; i due personaggi non erano nep pure originari della stessa T racia: T ereo viv e v a a D aulide nella regione oggi chiam ata F o cid e, che al lora era abitata da T ra ci (fu in questa terra che le due donne com pirono contro Iti il loro m isfatto, e per questo m otivo anche m olti p oeti, m enzionando l ’ usignolo, chiam arono l ’uccello «dau lia»); ed è na turale che Pandione col m atrim onio di sua figlia contraesse - a garanzia di un appoggio reciproco un vincolo con qualcuno che abitava a questa mino re distanza, piuttosto che con gli O d risi, che sono a m olti giorni di viaggio. T ere, che non aveva dunque neppure lo stesso nome, fu il prim o re ad esercitare 4 la sua autorità sugli O drisi. D i questo re appunto era figlio Sitalce che ora gli A ten iesi cercavano di rendersi alleato, nell’intento di im padronirsi col suo aiuto delle piazzeforti tracie e di assoggettare Per3 dicca. N in fo do ro si recò ad A ten e e, interponen do i suoi buoni u ffici, riu scì a concludere l ’alleanza con Sitalce, ottenendo per il figlio di lui Sadoco la
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π όλεμον ΰ π εδέχετο κ α τα λ ύ σ ειν π είσ ειν γά ρ Σιτάλκ ην π έμ π ειν σ τρ α τιά ν θ ρ ρ κ ία ν Ά θ η ν α ίο ις Ιππέω ν 6 τε κ α ι πελταστώ ν, ξυνεβ ίβ α σ ε δέ κα ί τον Π ερδίκκα ν τοΐς Ά θ η ν α ίο ις κα ί θ έ ρ μ η ν αύτώ έπ εισεν άποδο ΰ να ι- ξυ νεσ τρ ά τευ σ έ τε ε υ θ ύ ς Π ερ δ ίκ κ α ς έπ ί 7 Χ α λ κ ιδέα ς μετά Α θ η ν α ίω ν κα ί Φ ορμίω νος, οΰτω μεν Σιτάλκης τε ό Τ ή ρεω Θ ρρ κώ ν βασιλεύς ξύμμαΧ °ς έγένετο Ά θ η ν α ίο ις κ α ί Π ερ δ ίκ κ α ς ό Α λ ε ξ ά ν δρου Μ ακεδόνω ν βασιλεύς. 3ο Ο ί δ ’ εν ταΐς έκ α τό ν ν α υ σ ίν Α θ η ν α ίο ι έτι όντες π ερ ί Π ελοπ όννησ ον Σόλλιόν τε Κ ο ρ ιν θ ίω ν πόλισμα α ίρ οϋσ ι καί π αρ α διδόα σ ι Π αλ αιρεΰσ ιν Ά κ α ρ ν ά ν ω ν μόνοις τήν γην καί πόλιν νέμεσ θα ν κα ί Α σ τ α κ ό ν , ής Ε ύ α ρ χ ο ς έτυρ ά ννει, λα βόντες κ α τά κ ρ ά τος κ α ί έξελάσαντες αυτόν τό χω ρίον ές τήν ξυμ μα χία ν προ2 σεποιήσαντο. έπ ί τε Κ εφ αλληνίαν τήν νήσον προσπλεύσαντες προσ ηγάγοντο άνευ μάχης- κεΐται δέ ή Κ εφ αλληνία κατά Α κ α ρ ν α ν ία ν κ α ί Λ ευ κ ά δ α τετράπολις ο ύσ α , Π άλής, Κ ρ ά ν ιο ι, Σ α μ α ΐο ι, Π ρ ο ννα ΐο ι. ύσ τερ ον δ5ού πολλφ άνεχώ ρ ησα ν α ί νήες ές τάς Α θήνας. 31 Π ερ ί δέ τό φ θινόπ ω ρ ον τού θ έρ ο υς το ύτου Α θ η ν α ίο ι π α νδ η μ εί, α υ το ί κ α ί ο ί μ έτο ικ ο ι, έσ έβαλον ές τή ν Μ εγ α ρ ίδ α Π ερ ικ λ έο υς τού Ξ α ν θ ίπ π ο υ στρατη γοΰντος. κ α ί οί π ερ ί Π ελοπ ό ννησ ον Α θ η ν α ίο ι εν ταΐς έκατόν να υσ ίν (έ'τυχον γάρ ήδη έν Α ίγίν η δντες επ ’ οίκο υ ά να κ ο μ ιξό μ ενο ι) ώς ή σ θ ο ντο το ύς εκ τής πόλεω ς π ανστρατιδί έν Μ εγά ρ ο ις όντα ς, έπ λ ευσ α ν 2 π α ρ ’ α υτο ύς κ α ί ξυ νεμ είχθ η σ α ν. σ τρ α τό π εδό ν τε μ έγισ τον δή το ύτο ά θ ρ ό ο ν Α θ η ν α ίω ν έγένετο , άκμ α ξο ύ σ η ς έτι τής πόλεω ς κ α ί ο ύ π ω νενοσ ηκυίαςμυρίω ν γάρ οπλιτών ούκ έλάσσους ήσαν α υτο ί Α θ η ν α ίο ι (χω ρίς δέ α ύ τ ο ίς ο ί έν Π ο τ ειδ α ία τρ ισ χίλιοι ήσ α ν), μέτοικο ι δέ ξυ νεσ έβ α λ ο ν ο ύκ έλάσσους τρισχιλίων οπλιτών, χωρίς δέ ό άλλος όμιλος -ψιλών ούκ ολίγος, δηώ σ αντες δέ τά πολλά τής γής άνεχώ ρη-
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cittadinanza ateniese; si impegnò anche a porre fine alla guerra che gli A teniesi com battevano in Tracia, garantendo che a questo scopo avrebbe indotto Sitalce ad inviare agli A teniesi un esercito tracio costi6 tuito da cavalieri e peltasti. O però la riconciliazio ne fra Perdicca e gli A ten iesi, persuadendo questi ultim i a restituire Term e al re m acedone; e subito Perdicca si schierò a fianco degli A ten iesi che, al co m ando di Form ione, erano im pegnati in una spedi7 zione contro i C alcidesi. C o si Sitalce figlio di Tere, re di Tracia, e Perdicca figlio di A lessandro, re di M acedonia, divennero alleati degli A teniesi. 30 Continuando la loro m issione intorno al Pelopon neso, gli A ten iesi im barcati sulle cento n avi presero ai C orin zi la cittadina di Solito; la città e il suo terri torio vennero consegnati agli A carn an i di Palerò che nc ebbero il possesso esclusivo. Presero poi d ’ as salto A staco, cacciarono il tiranno E varco che v i re2 gnava e accolsero il paese nella loro alleanza. Si di ressero infine all’ isola di C efalo n ia che portarono dalla loro parte senza com battere; C efalon ia si trova di fron te all’A carnania e a Leucade, e su di essa sor gono quattro città: Pale, C ranii, Same e Pronni. N on molto tempo dopo le navi fecero ritorno ad Atene. 31 V erso l ’ autunno, alla fin e della buona stagione di q u est’ anno, gli A ten iesi in massa, com presi anche i m eteci, invasero la M egaride, agli ordini dello stra tego Pericle figlio di Santippo. G li A ten iesi che ave van o com piuto la loro m issione intorno al Pelopon neso con le cento navi stavano tornando in patria ed erano appena giunti ad E g in a quando vennero a sa pere che i loro concittadini con tu tto l ’ esercito si trovavano nel territorio di M egara; allora li raggiun2 sero, unendosi a loro. S i creò cosi la massima con centrazione di truppe ateniesi che mai fosse scesa in campo: la città, non ancora colpita d all’ epidem ia, era allora al culm ine della sua potenza. G li A ten iesi da soli m ettevano in campo non meno di diecim ila opliti (oltre ai trem ila che avevano a Potidea); i me teci che avevano invaso con loro la M egaride erano non meno di trem ila opliti, e a parte andava calcola ta la massa tu tt’ altro che in sign ifican te costituita dalle truppe leggere. D opo aver devastato gran par-
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3 σ α ν \ ^εγέν°ντο δέ κ α ί άλλαι ΰσ τερον έν τω πολέμω κ α τά έτος έκαστον έσ βολαί Α θ η ν α ίω ν ές τήν Μ εγα ρ ίδ α κα ί ιππέω ν κ α ί π ανστρατιά, μέχρι οΰ Ν ίσαια έάλω ύ π ’ Α θ η να ίω ν. 32 Έ τ ε ιχ ίσ θ η δέ κ α ί Α τ α λ ά ν τ η υ π ό Α θ η ν α ίω ν φ ρούριον τοϋ θέρους τού του τελευτώντος, ή επ ί Λοκροϊς τοΐς Ό π ο υντίο ις νήσος έρημη πρότερον οΰσα, τοϋ μή ληστάς έκπλέοντας έξ Ό π ο ΰ ντο ς κα ί τής άλ λης Λ οκρίδος κακουργεΐν τήν Ε ύβ οια ν. Τ α ϋτα μεν έν τω θέρ ει τούτιμ μετά τήν Π ελοποννη33 σίων εκ τής Α ττικής άναχώ ρησιν έγένετο. τοϋ δ3έπιγιγνομένου χειμώνος Ε ΰα ρ χο ς ό Α κ α ρ ν ά ν βουλόμενος ές τήν Α σ τ α κ ό ν κατελθεΐν π είθ ει Κ ο ρ ινθ ίο υ ς τεσ σ α ρ ά κ ο ντα ν α υ σ ί κ α ί π εν τα κ ο σ ίο ις κ α ί χιλίοις όπλίταις εαυτόν κ α τά γειν πλευσαντας, κ α ί αυτός έπ ικ ο ύ ρ ο υ ς τινάς π ρ ο σ εμ ισ θ ώ σ α το · ήρ χο ν δέ τής 2 σ τρ α τιά ς Ε υ φ α μ ίδ α ς τε ό Ά ρ ισ τ ω ν ύ μ ο υ κ α ί Τιμόξενος ό Τ ιμοκράτους καί Ε ΰμαχος ό Χ ρύσιδος. καί πλεύσαντες κ α τ ή γ α γ ο ν καί τής άλλης Α κ α ρ ν α ν ία ς τής π ερ ί θ ά λ α σ σ α ν έστιν α χω ρ ία β ο υλό μ ενο ι προ3 σ π ο ιή σ α σ θ α ι κα ί π ειρ α θ έν τες, ώς ούκ έδ ύ να ντο , ά π έπ λ εο ν επ ’ οίκου, σ χ ό ντες δ ’ έν τω π α ρ ά π λω ές Κ εφ α λ λ η νία ν κα ί ά π ό β α σ ιν π ο ιη σ ά μ ενο ι ές τή ν Κ ρ α ν ίω ν γή ν, ά π α τη θ έντες ύ π ’ α υ τώ ν έξ ομ ολο γίας τίνο ς ά νδ ρ α ς τε ά π ο β ά λ λ ο υσ ι σφ ώ ν α υ τώ ν, έπιθ εμ ένω ν άπροσδοκήτοις τω ν Κ ρ α νίω ν, κα ί βιαιότερον ά ναγαγόμενοι έκομίσθησαν έπ’ οίκου. 34 Ε ν δέ τω αυτφ χειμώ νι Α θ η ν α ίο ι τφ πάτριο) νόμω χ ρ ώ μ ενο ι δημ οσ ίρ ταφ άς έπ ο ιή σ α ντο τω ν έν τφ δε τΦ πολέμα) π ρ ώ τω ν ά π ο θ α ν ό ν τω ν τρόπιρ τοιφ δε. τά μέν οστά π ρ ο τ ίθ ε ν τ α ι τω ν ά π ο γ ενο μ έν ω ν π ρότριτα σκηνήν ποιήσαντες, κ α ί έπιφέρει τω αύτοϋ έκ α σ το ς ήν τ ι βούληται· έπ ε ιδ ά ν δέ ή έκ φ ο ρ ά η, λ ά ρ ν α κ α ς κ υ π α ρ ισ σ ίνα ς ά γ ο υ σ ιν ά μ α ξ α ι, φυλής έκ ά σ τη ς μ ία ν ένεσ τι δέ τά οσ τά ής έκασ τος ήν φ υ λής. μία δέ κλίνη κενή φ έρεται έστρω μένη τω ν άφα-
L ib r o s e c o n d o , 3 te della regione si ritirarono.
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In seguito v i furono ancora ogni anno, nel corso della guerra, invasioni ateniesi della M egaride com piute dalla cavalleria e da tu tto l ’ esercito, fin o a quando N isea non cadde nelle mani di A tene. 32 A lla fin e di q u est’ estate venne m unita di mura e trasform ata in roccaforte A talan ta, u n ’isola sino ad allora deserta, che si trova di fronte alla Locrid e Opunzia: il fine era quello di im pedire che pirati p ro ven ien ti da O punte o da qualche altra parte della Locride andassero a provocare danni in E ubea. Q uesto è quanto accadde nel corso di questa esta te dopo che i Peloponnesiaci si ritiraron o d all’ A tti33 ca. N e ll’ in vern o successivo l ’ acarnano E v a rco , volendo ritornare ad A staco, indusse i C o rin zi a o r ganizzare una spedizione di quaranta n avi e millecinquecento opliti per farlo tornare al potere; as soldò inoltre egli stesso dei m ercenari. L e truppe erano com andate da E u fam id a figlio d i A riston im o, Tim osseno figlio di Tim ocrate ed E um aco figlio di 2 C risid e. L a spedizione ebbe successo e lo riportò al potere. P o i però vollero tentare anche di attirare nel loro schieramento alcune altre località marittim e d e ll’A carn an ia, ma il ten tativo falli e allora fecero 3 ro tta verso casa. N el tragitto fecero sosta a C efalonia e sbarcarono nel territorio dei C ran ii, ma in seguito alla conclusione di un accordo rim asero v it tim e di un inganno di quella gente: v i fu un attacco inaspettato dai C ran ii che costò loro la perdita di al cuni uomini. C ostretti, sotto l ’incalzare del nemico, ad im barcarsi, ritornarono poi in patria. 34 N ello stesso inverno gli A ten iesi, secondo il loro costume tradizionale, tributarono onoranze funebri di Stato ai prim i caduti d i questa guerra. L a cerimo2 nia si svolge nel modo seguente: tre giorni prim a le ossa dei defun ti vengono esposte in un padiglione rizzato per l ’occasione, e ognuno presenta al proprio 3 m orto o ffe rte a suo piacim ento, poi, quando è il momento del funerale, le ossa vengono trasportate su carri, in arche di cipresso; v i è u n ’ arca per ogni trib ù , e i resti vengono deposti secondo la tribù di appartenenza d ’ ognuno. Insiem e vien e portata una b ara vu ota, allestita per i dispersi, i cui corpi al mo-
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4 νώ ν, οι άν μή εύρεθώ σ ιν ές άναίρεσιν. ξυνεκφ έρει δέ ο βουλόμενος κ α ί αστώ ν κα ί ξένω ν, κ α ί γυνα ίκες πάρεισιν α ί προσήκουσαι επί τόν τάφ ον όλοφυρόμε5 ναι. τιθ έα σ ιν οΰν ές τό δημόσιον σήμα, δ έστιν έπ ί το ύ καλλίστου π ρ ο α σ τείο υ της πόλεω ς, κ α ί α ίεί έν α ΰ τφ θ ά π το υ σ ι το ύς έκ τω ν πολέμω ν, πλήν γε τούς έν Μ α ρ α θώ νι· έκείνω ν δέ διαπ ρεπ ή την αρετήν κρί6 ναντες αυτού κ α ί τόν τάφ ον έποίησαν. έπ ειδά ν δέ κ ρ ύ ψ ω σ ι γη, άνή ρ ήρημένος ΰ π ό τής πόλεω ς, δς άν γνώ μη τε δοκή μή άξύνετο ς είνα ι κ α ί α ξιώ σ ει προή7 κη, λέγει έπ’ αύτοΐς έπαινον τόν πρέποντα· μετά δέ τούτο απέρχονται, ω δε μέν θ ά π τ ο υ σ ιν κ α ί δ ιά παντός τού πολέμου, οπότε ξυμβαίη αύτοΐς, έχρώ ντο τω 8 νόμ φ . έπ ί δ ’ ο ΰ ν τοΐς π ρ ώ το ις το ΐσ δε Π ερικλή ς ό Ξ α νθίπ π ου ήρέθη λέγειν. καί έπειδή καιρός έλάμβανε, π ρ ο ε λ ϋ ώ ν α π ό τ ο ν σήμ ατος έπί βήμα υψ ηλόν πεποιημένον, δπω ς ά κούο ιτο ώς έπ ί πλεΐστον τοΰ ομ ί λου, έλεγε τοιάδε. 35 « Ο ί μέν πολλοί τω ν εν θ ά δ ε ήδη είρ η κό τω ν έπ α ιν ο ΰ σ ι τό ν π ρ ο σ θ έντα τω νόμω τό ν λόγον τό νδ ε, ώς κα λό ν έπ ί τοΐς έκ τω ν π ολ έμω ν θ α π το μ έν ο ις άγορ εύ εσ θ α ι αυτόν, έμοί δέ ά ρ κοϋν άν έδόκει είνα ι άνδρώ ν α γα θ ώ ν έργω γενομένω ν έργω κα ί δηλ οΰσ θα ι τάς τιμάς, οια κα ί νυν περί τόν τάφ ον τόνδε δημοσίρ π α ρ α σ κ ε υ α σ θ έν τα όρ άτε, κ α ί μή έν έν ί ά ν δ ρ ί π ολλώ ν ά ρ ετά ς κ ιν δ υ ν ε ύ ε σ θ α ι ευ τε κ α ί χείρ ο ν εί2 π όντι π ιστευθή ναι. χαλεπόν γάρ τό μετρίως είπεΐν έν ω μόλις κ α ί ή δόκησις τής αλήθειας βεβαιοΰται. δ τε γά ρ ξυ νειδ ώ ς κ α ί εΰνους ακροατής τά χ’ ά ν τι ένδεεσ τέρ ω ς π ρός ά β ο ύλετα ι τε κ α ί έπ ίσ τα τα ι νομίσειε δη λ οΰσ θα ι, δ τε ά π ειρ ος έστιν ά κα ί π λεο νά ζε-
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m ento del recupero delle salme non siano stati tro4 vati. C hiunque lo voglia, cittadino o straniero, può seguire il funerale, e sul luogo della sepoltura sono presenti in pianto anche le donne legate ai ca5 duti da vincoli di parentela. A lle spoglie viene d a ta sepoltura nel sepolcro pubblico, che si trova nella località piu bella del circondario di A ten e; i caduti in guerra sono stati sem pre sepolti li, ad eccezione dei m orti di M araton a, ai quali in considerazione d ell’ eccezionaiità del loro valore fu data sepoltura 6 nel luogo stesso del sacrificio. U na volta che siano coperti di terra, un uomo, scelto dalla città, che sia apprezzato per le sue doti intellettuali e goda del massimo prestigio, pronuncia in loro onore l ’elogio funebre che si conviene. Q uindi la cerim onia ha ter7 m ine. C o si si svolgono le esequie; e per tu tta la durata della guerra, ogni vo lta che ciò accadde, se8 guirono quest’uso. In onore di questi prim i caduti fu scelto per tenere l ’orazione funebre Pericle figlio di Santippo. E g li, quando fu il m om ento, lasciò il sepolcro e, fatto si avanti, sali su u n ’ alta tribuna per essere udito il più lontano possibile dalla folla. Q u e sto fu all’incirca il suo discorso: 35 « L a m aggior parte di coloro che sino ad oggi han no qui tenuto l ’orazione funebre rendono lode a chi per prim o introdusse nella cerim onia tradizionale l ’ usanza di questo discorso, perché è bello - dico no - che si pronunci l ’elogio dei caduti in guerra quando viene data loro sepoltura. A me, in verità, parrebbe su fficien te che uom ini i quali hanno dato prova del loro valore con i fatti, con i fatti pure rice vessero gli onori loro dovu ti, come appunto vedete sta accadendo oggi in queste esequie u fficiali: la fe de nel valore di m olti uom ini non dovreb be essere messa a repentaglio dalle maggiori o m inori doti ora2 torie di un singolo. Perché è davvero d ifficile, quando è arduo persino dare solide b asi al concetto che ognuno ha della verità, trovare nel proprio dire la giusta m isura. Poiché se chi ascolta è stato testi mone dei fa tti e nutre sentim enti di benevolenza, può pensare che gli argom enti esposti non rendano un merito adeguato a quel che egli sa e vorrebbe; chi invece non sappia come sono andate le cose può es-
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σθαι, διά φ θόνον, εϊ τι υπέρ τήν αύτοΰ φύσιν άκούοι. μέχρι γάρ το ϋδε α νεκ το ί οί έπ α ιν ο ί είσι π ερ ί ετέρω ν λεγόμενοι, ές δσ ο ν α ν κα ί α υτό ς έκαστος οί'ηται ικ α νός είνα ι δ ρ ά σ α ί τι ώ ν ή κ ο υ σ ε ν τώ δέ ύπερβάλ3 λοντι α υτώ ν φ θονοΰντες ήδη κ α ί ά π ισ τοΰσ ιν. έπειδή δέ τοΐς πάλαι ούτως έδοκιμάσθη ταΰτα καλώς εχειν, χρη κα ί εμέ επ ό μ εν ο ν τώ νόμω π ειρ ά σ θ α ι υμώ ν τής έκαστου βουλήσεώς τε κ α ί δόξης τυχεΐν ώς επί πλεϊστον. ’Ά ρ ξ ο μ α ι δέ άπ ό τώ ν π ρ ογό νω ν πρώ τον· δ ίκ α ιο ν γά ρ α ύτο ΐς κ α ί π ρ έπ ο ν δέ ά μ α έν τώ τοκρδε τήν τιμήν τούτην τής μνήμης δίδοσθαι. τήν γάρ χώ ραν οί α υτο ί α ίεί οίκοΰντες διαδοχή τώ ν έπιγιγνομένω ν μέ2 χρ ι το ΰ δ ε έλ ευ θ έρ α ν δ ι’ αρ ετήν π α ρ έδ ο σ α ν . κα ί έκ είν ο ί τε ά ξ ιο ι επ α ίν ο υ κ α ί έτι μάλλον ο ί π ατέρες η μ ώ ν κτησάμενοι γά ρ προς οις έδ έξα ντο όσην έχομεν α ρ χή ν ούκ ά π ό ν ω ς ήμΐν τοΐς ν υ ν π ροσ κατέλι3 πον. τά δέ πλείω αυτής α υ το ί ήμεΐς οϊδε ο ίν ΰ ν έτι δντες μάλιστα έν τή κ α θεσ τη κυ ία ήλικίςχ έπ ηυξήσαμεν κ α ί τήν πόλιν τοΐς π άσ ι π αρεσ κευά σ α μ εν κ α ί ές 4 πόλεμον καί ές ειρήνην αυταρκεστάτην. ώ ν έγώ τά μέν κ α τά π ο λ έμ ο υ ς έρ γα , οις έκασ τα έκτήθη, ή ε ϊ τι α υτο ί ή οί πατέρες ήμώ ν βάρβαρον ή “Ε λληνα πολέ μιον έ π ιόντα προθύμω ς ήμυνάμεθα, μακρηγορεϊν έν είδ ό σ ιν ου βουλόμενος έάσω- ά π ό δέ οϊας τε έπιτηδεύσεω ς ή λ θο μ εν επ ’ α υ τά κ α ί μ εθ 3 οϊα ς π ολ ιτεία ς καί τρόπω ν έξ οϊω ν μεγάλα έγένετο, τα ΰτα δηλώσας π ρώ τον ειμι κ α ί έπ ί το ν τώ νδε έπ α ινον, νο μ ίζω ν έπί τε τώ π αρόντι ουκ άν άπρεπή λεχθήναι αυτά καί τον π ά ν τα δμιλον κ α ί ά σ τώ ν κ α ί ξένω ν ξύμ φ ορ ον είνα ι έπ α κο ΰσ α ια υτώ ν. 37 Χ ρ ώ μ ε θ α γ ά ρ π ο λ ιτείρ ου ζη λούσ η το ύς τώ ν πέ-
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sere indotto d all’in vid ia, se ciò che ascolta è al di là delle sue forze, a credere che nell’elogio v i sia dell’ e sagerazione. Le lodi rivolte ad altri sono in fatti sop p ortate solo fin o al punto in cui ognuno ritiene di poter essere in grado a sua volta di realizzare qualco sa di quel che ha udito; ciò che invece supera questo lim ite stimola l ’in vid ia inducendo anche alla diffi3 denza. M a dal m omento che presso i nostri padri si afferm ò l ’idea che fosse bello concludere cosi la cerim onia, conviene che anch’io segua questa con suetudine e ten ti di venire incontro il piu possibile ai desideri e alle aspettative di ognuno. 36 Prenderò innanzi tutto le mosse dai nostri antena ti: in una simile circostanza è giusto e doveroso tri b utare loro l ’onore del nostro ricordo, poiché nel susseguirsi delle generazioni essi ci hanno trasm es so, grazie al loro valore, una terra fino ai nostri gior2 ni lib era e abitata sem pre dalla stessa gente. I no stri lontani progenitori sono degni di lode, ma ancor più lo sono i nostri padri che, in aggiunta a quel che avevano ricevuto, acquisirono l ’intero impero su cui esercitiam o il nostro dom inio e penarono per tra3 sm ettere anche questo a noi A ten iesi di oggi. M a la massima espansione d ell’im pero la si deve a noi che oggi siamo ancora nel pieno della nostra età ma tura, e siamo stati noi a provvedere la città di tutto, rendendola autosufficiente sia in caso di guerra che 4 in periodo di pace. M a io tralascerò le im prese di guerra dei padri e nostre, grazie alle quali il nostro im pero si è gradatam ente esteso, o le operazioni di fen sive che hanno visto im pegnati noi o i nostri pa dri nel respingere gli attacchi portati da nem ici b ar b ari o greci - non voglio far lunghi discorsi davanti a chi queste cose le sa già. Prim a di ogni altra cosa voglio invece esporre quali principi ispiratori ci ab bian o mossi per giungere a tanto, sotto quale form a di governo e con quale modo di vivere sia nata la no stra potenza; solo dopo passerò a rendere l ’elogio ai caduti, poiché ritengo che l ’occasione sia particolar m ente adatta per affrontare questi argom enti, e che sia utile farli intendere a tutta la folla di cittadin i e di stranieri che si è radunata. 37 II nostro sistema politico non si propone di imita-
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λας νόμους, π α ρ άδειγμα δέ μάλλον α υτο ί δντες τισίν η μ ιμ ο ύμ ενο ι έτέρους. κ α ί δ νο μ α μέν ólù το μή ές ολίγους άλλ’ ές πλείονας οίκεΐν δ η μ οκρ α τία κέκλητα ι· μ έτεσ τι δέ κ α τά μέν το ύς νό μ ο υς π ρος τα ίδ ια διά φ ορα π ά σ ι τό ίσ ον, κατά δέ τη ν ά ξίω σ ιν, ώς έκα στος εν τφ ευδοκιμεί, ούκ άπό μέρους τό πλέον ές τά κοινά η απ άρετης προτιμάται, ο ύδ’ αύ κατά πενίαν, εχω ν γέ τι α γ α θ ό ν δ ρ ά σ α ι τη ν π όλ ιν, α ξιώ μ α το ς α φανείς» κεκώ λ υτα ι. έλ ευθ έρ ω ς δέ τά τε π ρος τό κ ο ιν ό ν π ολ ιτεύ ομ εν κ α ί ές τη ν π ρ ος άλλήλους τω ν καΟ ημ έρ α ν έπετηδευμάτω ν υ π ο ψ ία ν , ου δ ι’ οργής τό ν π έλας, εί κ α θ ’ η δ ο νή ν τι δρςί, έχοντες, ο υ δ έ άζη μ ίους μέν, λυπ ηρά ς δέ τή δ ψ ει ά χ θ η δ ό να ς π ρ οσ τιθ έμενο ι. ά νεπ α χθω ς δέ τά ίδ ια προσομιλοϋντες τα δημόσια διά δέος μάλιστα ού π αρανομοΰμεν, των τε α ίεί έν αρχή ο ντω ν ά κ ρ ο ά σ ει κ α ί τώ ν νόμ ω ν, κ α ί μάλιστα αυτώ ν δσοι τε επ’ ώφελία τω ν αδικούμενω ν κ εΐν τα ι κ α ί δσ οι ά γρ α φ ο ι δντες α ισ χ ύ νη ν όμολογουμένην φέρουσιν. ϊ* Κ α ί μήν κ α ί τω ν π ό νω ν π λείστας ά να π α ύ λ α ς τή γνώ μη έπορισάμεθα, άγώ σι μέν γε καί θυσ ία ις διετη2 σίοις νομίζοντες, ίδία ις δέ κατασκευαϊς εύπρεπέσιν, ω ν κ α θ ’ ημέραν ή τέρψ ις τδ λυπηρόν έκπλήσσει. έπ εσέρχεται δέ δια μεγεθος τής πόλεως έκ πάσης γής τά π ά ντα , κ α ί ξυ μ β α ίν ε ι ήμΐν μ η δ έν ο ίκ ειο τέρ α τή α π ολ αύσ ει τά αυτο ύ ά γα θ ά γιγνό μ ενα κ α ρ π ο ΰ σ θ α ι ή κα ί τά των άλλων ανθρώ πω ν. 39 Δ ια φ έρ ο μ εν δέ κ α ί ταΐς τω ν π ολ εμ ικ ώ ν μελέταις τω ν ενάντιω ν τοΐσδε. την τε γάρ πόλιν κοινήν παρέχομεν, κ α ί ουκ έ'στιν δτε ξενηλασίαις ά π είργομέν τι-
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re le leggi di altri popoli: noi non copiam o nessuno, piu ttosto siamo noi a costituire un m odello per gli altri. S i chiam a dem ocrazia, poiché n ell’ amministrare si qualifica non rispetto ai pochi, ma alla mag gioranza. L e leggi regolano le con troversie private in modo tale che tutti abbiano un trattam ento ugua le, ma quanto alla reputazione di ognuno, il presti gio di cui possa godere chi si sia afferm ato in qual che campo non lo si raggiunge in base allo stato so ciale di origine, ma in virtù del m erito; e poi, d ’ altra parte, quanto a ll’im pedim ento costituito dalla po vertà, per nessuno che abbia le capacità di operare n ell’ interesse dello Stato è di ostacolo la m odestia 2 del rango sociale. L a nostra tu ttavia è una vita li b era non soltanto per quanto attiene i rapporti con lo S tato , ma anche relativam ente ai rapporti quoti diani, di solito im prontati a reciproco sospetto: nes suno si scandalizza se un altro si com porta come me glio gli aggrada, e non per questo lo guarda storto, cosa innocua di per sé, ma che pure non manca di 3 causare pena. M a, se le nostre relazioni private so no caratterizzate dalla tolleranza, nella v ita pubbli ca il tim ore ci im pone di evitare col massimo rigore di agire illegalm ente, piuttosto che in ubbidienza ai m agistrati in carica e alle leggi; soprattutto alle leggi disposte in favo re delle vittim e di u n ’ingiustizia e a quelle che, anche se non sono scritte, per comune consenso minacciano l’infam ia. 38 N el nostro lavoro abbiam o pro vved u to a creare un gran numero di momenti di riposo per ricreare lo spirito , da un lato introducendo la consuetudine di gare e riti sacrificali che celebriam o per tutto l ’ an no, d a ll’ altro coltivando il gusto di splendidi arredi p riv ati, da cui traiam o un quotidiano diletto che 2 rasserena l ’ animo. L a nostra città è cosi grande che da tutta la terra ci arrivano m erci di ogni tipo, e avvien e che il piacere riservato ci dal godim ento di beni degli altri paesi non ci sia meno fam iliare del gusto dei prodotti della nostra terra. 39 A nche nel modo in cui ci prepariam o alle pratiche di guerra siamo d iversi dai nostri avversari. O ffria mo la nostra città agli altri come un bene da godere in com une, e non accade mai che, decretando l ’ e-
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v a ή μ α θ ή μ α το ς ή θ εά μ α το ς, δ μή κ ρ υ φ θ έν ά ν τις τω ν πολεμίω ν ίδώ ν ώ φεληθείη, πιστεύοντες ού ταΐς π α ρ α σ κ ευ α ΐς τό π λέον κ α ί ά π ά τα ις ή τφ άφ ’ ήμώ ν α υ τώ ν ές τά έρ γα εύψ ύχω - κ α ί έν ταΐς π α ιδ ε ία ις οί μέν έπ ιπ ό νω ασ κήσ ει ευ θ ύ ς ν έο ι δντες τό ά νδ ρ εϊο ν μετέρχονται, ήμεϊς δέ άνειμένω ς δ ια ιτώ μ ενοι ούδέν ησ σ ον επ ί τούς ίσ οπ αλεΐς κ ιν δ ύ ν ο υ ς χω ρ οΰμ εν. 2 τεκ μ ή ρ ιο ν δέ· ο ύτε γά ρ Λ α κ ε δ α ιμ ό ν ιο ι κ α θ ’ έαυτούς, μεθ’ α πάντω ν δέ ές τήν γην ημών στρατεύουσι, τήν τε τώ ν πέλας αύτο ί έπελθόντες ού χαλεπώ ς έν τή άλλοτρίςι τούς π ερ ί τώ ν οικείω ν άμυνομένους μαχό3 μενο ι τά πλείω κ ρ α το ύμ εν. ά θ ρ ό ρ τε τή δ υ νά μ ει ήμ ώ ν ουδ είς πω π ολέμιος ένέτυχε δ ιά τήν τοΰ ν α υ τικ ο ύ τε άμ α έπ ιμ έλ εια ν κ α ί τή ν έν τή γή έπ ί πολλά ημ ώ ν α ύτώ ν έ π ίπ ε μ ψ ιν ήν δέ π ου μορίψ τιν ί προσμ είξω σ ι, κρ α τή σ α ντές τέ τινα ς ήμ ώ ν π ά ν τα ς αύχ ο ϋ σ ιν ά π ε ώ ο θ α ι κ α ί νικ η θ έντες ύφ ’ α π ά ν τ ω ν ήσ4 σήσθαι. καίτοι εί ρ ρ θ υμ ία μάλλον ή π όνω ν μελέτη κ α ί μή μετά νόμω ν τό πλέον ή τρόπω ν ανδρείας έθέλομεν κ ινδυνεύειν, π ερ ιγίγνετα ι ήμιν τοΐς τε μέλλουσιν άλγεινοϊς μή προκάμνειν, κ α ί ές αύτά έλθοΰσι μή ατολμοτέρους τώ ν α ίεί μο χθούντω ν φ α ίνεσ θα ι, καί εν τε τούτοις τήν πόλιν α ξία ν είνα ι θ α υ μ ά ζεσ θ α ι καί έτι έν άλλοις. 4ο Φ ιλ ο κ α λ ο ΰμ έν τε γά ρ μετ’ εύτελ εία ς κ α ί φιλοσοφ οϋμεν άνευ μαλακίας· πλούτω τε έργου μάλλον κ α ιρ φ ή λόγου κ όμ π φ χρ ώ μ εθ α , κ α ί τό π έν εσ θ α ι ο ύ χ ό μ ολο γεϊν τ ιν ί α ισ χρ όν, αλλά μή δ ια φ εύ γειν
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spulsione degli stranieri, allontaniam o qualcuno da u n ’ occasione di apprendimento o da uno spettacolo, anche se Γ assistervi può tornare utile ad un nemico, cui tale visione non sia stata im pedita. In realtà piu che dei preparativi e degli stratagem m i, noi ci fid ia mo del nostro coraggio, di cui diamo prova nell’ a zione. E ugualm ente avvien e n ell’educazione della gioventù: gli altri già da ragazzi tendono a raggiun gere una piena virilità sottoponendosi ad un durissi mo addestram ento, ma noi, nonostante il nostro modo di vivere piu rilassato, non affron tiam o certo 2 con m inore ardire pericoli di uguale gravità. E questa ne è la p rova: gli Spartan i non effettu an o da soli una spedizione contro la nostra terra, ma vengo no con tutti i loro alleati, m entre, quando noi attac chiam o un altro paese, pur com battendo in terra al tru i contro un nem ico che lo tta in d ifesa dei propri ben i, di solito non facciam o fatica ad avere la me3 glio. M ai nessun nem ico si è sinora scontrato con tutte le nostre forze in una vo lta, perché m olti sono im pegnati con la flotta ed altri, contemporaneamen te, partecipano a spedizioni terrestri che hanno di m ira o b iettivi m olteplici. M a se ingaggiano b atta glia con solo una parte di esse, se riportano la v itto ria su alcuni di noi, si vantano di averci m essi in fu ga tutti, e se invece vengono sconfitti, allora - a loro dire - sono stati so praffatti dalle nostre forze riuni4 te. Eppure se ci disponiamo ad affrontare i perico li viven d o in modo disteso più che esercitandoci a sostenere le fatiche, e dando prova di un valore che è fru tto piu di doti naturali che d ell’im posizione delle leggi, ne risulta per noi un vantaggio, quello di non patire in anticipo per le afflizio n i ventu re, e di affrontarle poi senza dim ostrare un ardire minore di quelli che hanno costantem ente penato - è per que ste ragioni che la nostra città m erita di essere ammi rata, e poi per altro ancora. 40 A m iam o il bello, ma non lo sfarzo, e coltiviam o i piaceri intellettuali, ma senza languori. L a ricchezza ci serve come opportunità per le nostre in iziative, non per fare sfoggio quando parliam o. E ammettere la propria povertà non è vergogna per nessuno: ben piu vergognoso è piuttosto non darsi da fare per ve-
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2 εργω α ΐσ χίο ν.
ένι τε τοΐς α ύτο ΐς οικ είω ν ά μ α κα ί π ο λ ιτικ ώ ν επ ιμ ελεια, κ α ί έτέρ οις προς έρ γα τετρ α μ μ ένο ις τά π ολ ιτικά μή ένδεώ ς γνώ να ι· μ ό νοι γά ρ τό ν τε μηδέν τώ νδε μετέχοντα ούκ ά π ρ ά γμ ο να , αλλ α χρ εϊο ν νο μ ιζο μ εν, κα ί ο ι α υ το ί ή το ι κρίνομέν γε ή έν δ υ μ ο ύ μ εδ α όρδώ ς τά π ρ ά γμ α τα , ού τούς λό γο υς τοΐς ε'ργοις βλάβην ηγούμ ενοι, αλλά μή προδι3 δ α χ δ ή ν α ι μάλλον λόγο) π ρ ό τερ ο ν ή επ ί α δ ε ι εργω ελδεΐν. διαφερόντω ς γάρ δή κα ί τόδε έχομεν ώστε τολμάν τε οί α υτο ί μάλιστα κα ί π ερ ί ων έπιχειρήσομεν εκλογίζεσδαι- δ τοΐς άλλοις άμαόι'α μέν δρόσος, λογισμός δέ δκνον φέρει, κράτιστοι δ’ ά ν τήν ψ υχήν δικαίω ς κριδεΐεν οί τά τε δεινά κ α ί ήδέα σαφέστατα 4 γιγ ν ώ σ κ ο ντες κ α ί δ ιά τα ύ τα μή ά π ο τρ επ ό μ ενο ι έκ τώ ν κινδύνω ν, κ α ί τά ές αρετήν ένηντιώ μεδα τοΐς πολλοΐς- ού γάρ πάσχοντες ευ, άλλά δρώ ντες κτώμε3 τους φίλους, βεβαιότερος δέ ό δράσας τήν χάριν ώστε όφ ειλομένην δι3εύ νοιας ω δέδω κε σ ώ ζ ε ιν ό δέ άντοφείλω ν άμβλύτερος, είδώς ούκ ές χάριν, άλλ3 ες οφ ειλημα την α ρ ετή ν α π ο δ ώ σ ω ν. κ α ί μ ό νο ι ού τοΰ ξυμφ έροντος μάλλον λογισμό) ή τής έλευδερίας τώ πιστή) άδεώ ς τινά ώφελοΰμεν. 41 Ξυνελώ ν τε λέγω τήν τε π άσ αν πόλιν τής Ε λ λ ά δ ο ς π α ίδ ευ σ ιν είνα ι κ α ί κ α δ 3έκασ τον δοκεΐν ά ν μοι τόν α υτό ν ά νδ ρ α παρ ημώ ν επ ί πλειστ3 ά ν είδη κ α ί μετά ^ χα ρ ίτω ν μάλιστ α ν ευτρα π ελω ς τό σώμα αυτά ρκες π α ρ έχ εσ δα ι. κα ί ώς ού λόγω ν έν τώ π α ρ ό ντι κόμ πος τά δ ε μάλλον ή έρ γω ν έσ τίν ά λ ή δ εια , α ύτή ή 3 δ ύ ν α μ ις τής πόλεω ς, ην α π ο τώ νδε τώ ν τρ ό π ω ν έκ τη σ ά μ εδ α , σ ημ α ίνει, μόνη γά ρ τώ ν ν υ ν άκοής
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nirne fuori. L a cura degli interessi privati procede per noi di pari passo con l ’ attività politica, ed anche se ognuno è preso da occupazioni diverse, riusciamo tuttavia ad avere una buona conoscenza degli affari pubblici. Il fatto è che noi siamo i soli a considerare coloro che non se ne curano non persone tranquille, ma buoni a nulla. E siamo gli stessi a partecipare al le decisioni com uni ovvero a riflettere a fondo sugli affari di Stato, poiché non pensiamo che il d ibattito arrechi danno a ll’ azione; il pericolo risiede piutto sto nel non chiarirsi le id ee discutendone, prim a di affron tare le azioni che si im pongono. G iacch é anche in questo siamo d ifferen ti: sappiamo dar pro va della m assim a audacia e nello stesso tem po valu tare con distacco quel che stiamo per intraprendere; m entre, per tu tti gli altri, l ’ ignoranza spinge all’ ar dim ento, la riflessione induce ad esitare. M a sareb be giusto riconoscere la m aggior forza d ’ animo a quelli che, pur conoscendo assai bene sia i pericoli che gli aspetti piacevoli della v ita, non per questo si sottraggono al rischio. A nche per nobiltà d ’ animo siamo all’opposto rispetto ai piu; noi non stringiamo le nostre am icizie per ricavarne vantaggi, siamo noi piuttosto a procurarne: il favo re del b en efattore è sempre più costante, poiché un com portam ento b e nevolo garantisce per sem pre la dovuta riconoscen za; chi invece è in debito e deve ricam biare, non è animato da un sentim ento altrettanto vivo , poiché sa bene che i servigi che egli potrà rendere a sua volta non verranno considerati come un favo re sponta neo, ma com e il risarcim ento di un debito. E sia mo i soli a prestare liberam ente aiuto agli altri non tanto per calcolo ma piuttosto in pegno di libertà. In sintesi, afferm o che la nostra città nel suo in sieme costituisce un ammaestramento per la G recia, e, al tempo stesso, che da noi ogni singolo cittadino può, a mio modo di vedere, sviluppare autonom a m ente la sua personalità nei piu d iversi cam pi con grande garbo e spigliatezza. E che queste siano non pompose parole di circostanza ma verità di fa t to, lo prova proprio la potenza della città, che abbia mo raggiunto grazie a queste qualità. O ggi in fatti essa è l ’unico Stato che ad ogni v erifica risulti supe-
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κ ρείσ σω ν ές π είρ α ν έρ χετα ι, κ α ί μόνη οϋτε τφ π ο λέμια) έπελθόντι άγα νάκτησιν έχει ύφ=οϊω ν κακοπ ά θ ε ι ο ϋτε τφ ύ π η κ ό ω κ α τά μ εμ ψ ιν ώς ο ΰχ ύ π =ά ξιω ν 4 ά ρ χετα ι. μετά μ εγάλ ω ν δέ σ ημ είω ν κα ί ού δή τοι ά μάρτυρόν γε τήν δ ύναμ ιν παρασχόμενοι τοΐς τε νϋν κα ί τοΐς έπ ειτα θ α υ μ α σ θ η σ ό μ εθ α , κ α ί ο ύδ έν προσδεόμ ενοι οϋτε Ό μ η ρ ο υ έπ α ινέτο υ ο ϋτε δστις έπ εσι μέν τό α ϋ τίκ α τέρψ ει, τω ν δ’ έρ γω ν τή ν υ π ό ν ο ια ν ή αλήθεια βλάψει, άλλα π άσαν μέν θ άλα σσ αν κ α ί γην έσβα τόν τή ήμ ετέρρ τόλμη κ α τα να γκ ά σ α ντες γενέσθαι, π ανταχοϋ δέ μνημεία κακώ ν τε κ ά γα θώ ν άίδια 5 ξυγκατοικίσαντες. π ερ ί τοιαύτης ουν πόλεως οϊδε τε γεννα ίω ς δ ικ α ιο ΰ ν τες μή ά φ α ιρ εθ ή ν α ι α υτή ν μαχόμενοι έτελεύτησαν, κα ί τω ν λειπομένω ν π ά ντα τινά εΐκός έθέλειν ύπέρ αυτής κάμνειν. 4ΐ Δι° δ δή κ α ί έμ ή κ υ να τά π ερ ί τής πόλεω ς, δ ιδ α σ κ α λία ν τε π ο ιο ύμ ενο ς μή π ερ ί ίσ ο υ ήμΐν είν α ι τό ν ά γώ να κ α ί οίς τώ νδε μηδέν υ π ά ρ χει ομοίως, κ α ί τήν ευλογίαν άμα έφ1 οίς ν ΰ ν λέγω φ α νερόν σημείοις κα2 θ ισ τά ς. κ α ί ειρ η τα ι α υτή ς τά μ έγισ τα· ά γά ρ τήν πόλιν ύμνησα, α ί τώ νδε κ α ί τώ ν τοιώ νδε άρ ετα ί έκόσμησαν, κ α ί ούκ αν πολλοΐς τώ ν Ε λ λ ή ν ω ν ισ ό ρ ρ ο πος ώ σπερ τώ νδε ό λόγος τώ ν έρ γω ν φ ανείη. δο κεΐ δέ μοι δ η λ ο ΰν ά νδ ρ ό ς ά ρ ετή ν πρώ τη τε μ η νύο υσ α κ α ί τελ ευ τα ία β εβ α ιο ΰ σ α ή ν ϋ ν τώ νδε κ ατασ τρ ο3 φή. κα ί γάρ τοΐς τάλλα χείροσι δίκαιον τήν ές τούς πολέμους ύπέρ τής πατρίδος ά νδρ α γα θ ία ν προτίθεσ θ α ι· ά γ α θ φ γά ρ κ α κ ό ν ά φ α νίσ α ντες κοινώ ς μάλ4 λον ώ φ έλησαν ή έκ τώ ν ίδιω ν έβ λαψ αν, τώ νδ ε δέ
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riore alla sua fam a, l ’unico che non susciti nel nem i co che l ’ abbia attaccata un amaro risentim ento nel considerare quale sia la causa delle proprie angustie, né scateni il m alcontento dei sudditi che si vedono 4 dom inati da signori indegni. G ra n d i sono i segni della sua potenza, non certo p riva di attestazioni, che noi abbiam o affid ato all’ am m irazione dei con tem poranei e di quelli che verranno, e non abbiamo bisogno di alcun O m ero che canti la nostra gloria né di chi con le sue parole procurerà un diletto im m e d iato, dando però u n ’ interpretazione dei fa tti che non potrà reggere quando la verità si afferm erà: con la nostra audacia abbiam o costretto il m are e la ter ra in teri ad aprirci le loro vie , e ovunque abbiamo innalzato alle nostre im prese, siano state esse sfor tunate o coronate da successo, monumenti che non 5 periranno. E d è per una tale città che questi uomi ni hanno affrontato nobilm ente la morte in com bat timento, ritenendo che non fosse giusto perderla, ed è naturale che ognuno di quelli che restano volentie ri per essa affronterà ogni travaglio. 4* Q uesto è il m otivo per cui cosi a lungo ho parlato della nostra città: vo levo in fa tti farvi capire, adducendo anche delle prove per dare solide basi al mio elogio di coloro in onore dei quali oggi ho preso la parola, che le ragioni della nostra lotta non sono le stesse che possono anim are quelli che non hanno 2 nulla di tutto ciò. M a d i q u est’elogio il piu è stato orm ai detto, poiché la gloria della città a cui ho sciolto un inno rifulge proprio grazie agli alti servigi che questi uom ini e altri com e loro le hanno reso, e non per m olti G re c i si potrebbe cogliere, come nel loro caso, un p erfetto equilibrio fra fatti e parole. Il valore di questi uom ini è provato, a mio avviso, dal la m orte che ora essi hanno incontrato: essa è stata per g li uni la prim a rivelazion e, per gli altri l ’ ultim a 3 conferm a. E , pure se alcuni non avevano dato per il resto buona prova di sé, è giusto anteporre a tutto la nobiltà d ’ animo da loro m ostrata in guerra, in d i fesa della patria, poiché essi hanno cancellato il ma le col bene, procurando allo Stato un vantaggio m aggiore del danno d erivan te dalle m ancanze com4 messe in am bito privato. N essuno di loro si è mai
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ο ΰτε π λούτου τις την ετι ά π ό λ α υ σ ιν π ρ οτιμ ή σ α ς έμαλακίοθη οΰτε π ενίας έλπίδι, ώς καν ετι διαφ υγώ ν α υ τή ν πλουτήσειεν, άναβ ολήν τού δεινού έποιήσατο· τή ν δέ τω ν έν α ντίω ν τιμ ω ρ ία ν π ο θ ε ιν ο τέ ρ α ν α υτώ ν λαβόντες κ α ί κ ινδύνω ν άμα τόνδε κάλλιστον νομίσαντες έβ ουλήθησ αν μετ' αυτο ύ τούς μέν τιμωρ είσ θα ι, τω ν δέ έφ ίεσ θα ι, έλ π ίδι μέν το αφ ανές τού κ α το ρ θ ώ σ ειν έπ ιτρ έψ α ντες, έρ γω δέ π ερ ί τού ήδη δρω μένου σφίσιν α ύτοϊς ά ξιο ΰντες π επ ο ιθ ένα μ καί έν α ύτφ τφ ά μ ύνεσ θα ι κ α ί π α ίίεΐν μάλλον ήγησάμενοι η [τό] ένδόντες σφ ζεσθαι, τό μέν αισχρόν τού λό γου έφ υγον, τό δ’ έργον τω σώ ματι ύπέμ ειναν κ α ί δι’ ελάχιστου καιρού τύχης άμα ακμή τής δόξης μάλλον ή τού δέους άπηλλάγησαν. 43 Κ α ί οι'δε μέν π ρ οσ η κόντω ς τή π όλει το ιο ίδ ε έγένοντο· τούς δέ λοιπούς χρή άσφαλεστέραν μέν εΰχεσ θ α ι, άτολμοτέραν δέ μηδέν ά ξιο ΰ ν τήν ές τούς π ο λεμίους δ ιά νο ια ν έχειν, σ κ οπ οΰντα ς μή λ ό γ φ μόνω τήν ώ φ ελίαν, ήν ά ν τις π ρος ο ύ δ έν χείρ ο ν α υ το ύ ς υ μ ά ς είδ ό τα ς μ η κύνο ι, λέγω ν δ σ α έν τώ το ύς π ο λεμίους ά μ ύνεσ θα ι α γα θ ά ένεστιν, άλλά μάλλον τήν τής πόλεω ς δ ύ ν α μ ιν κ α θ ’ ήμ έρ α ν έργω θ εω μ ένο υ ς κ α ί έρ α σ τά ς γιγ νο μ ένο υ ς α υτή ς, κ α ί δ τα ν ύμΐν μεγάλη δ ό ξη είνα ι, έν θ υ μ ο υ μ έ ν ο υ ς δ τι τολμώ ντες κ α ί γιγνώ σ κ ο ντες τά δέο ντα κ α ί έν τοϊς έρ γο ις αίσ χυ νό μ ενο ι ά νδρ ες α υ τά έκτήσ αντο, κ α ί οπ ό τε κα ί πείρςχ του σφ αλεΐεν, ο ύκ οΰν κ α ί τή ν πόλιν γε τής σφ ετέρας άρετής ά ξιο ύ ντες σ τερ ίσ κειν, κάλλιστον 2 δέ έρανον αυτή π ροϊέμενοι. κοινή γάρ τά σώ ματα διδόντες ιδία τόν άγήρω ν έπαινον έλάμβανον καί τόν τάφ ον έπισημότατον, ούκ έν φ κεΐντα ιμ ά λ λ ο ν, άλλ’
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com portato da vile preferen do godersi in pace le proprie ricchezze, né ha arretrato dinanzi al rischio per la speranza, che si nutre quando si è po veri, di poter ancora sfuggire a tale condizione di povertà e diventare ricchi. Prendersi la vendetta sul nemico è stato per loro un desiderio più forte delle ricchezze, e questo essi l ’hanno considerato al tem po stesso il rischio piu esaltante da affrontare; e con esso hanno voluto da un lato prendersi la vendetta, d all’ altro esaudire le loro aspirazioni affidan do alla speranza l ’incertezza del successo futuro, ma nell’ azione con creta per l’imm ediato ritenendo giusto confidare so lo in se stessi. E , proprio nel vendicarsi sul nem ico, preferendo affrontare il sacrificio estremo piuttosto che salvarsi grazie a un cedim ento, hanno evitato una fam a vergognosa: hanno fatto fronte all’im presa o ffren d o il proprio corpo. E nel m omento b revissi mo in cui si è com piuto il loro destino ed essi hanno lasciato la vita, non il tim ore ha toccato il culm ine, ma la loro gloria. 43 L a grandezza di questi uom ini è stata quale si con viene alla nostra città; quelli che restano devono si fare voti che i loro propositi contro i nem ici abbiano una sorte m igliore, ma non devono nemmeno rite nere possibile un com portam ento più codardo. N on badate solo alle parole che v i illustrano i vantaggi di un agire m agnanimo: si p otrebbe anche lum eggiarli a lungo - a chi, come voi, li conosce però altrettanto bene - dicendo quanto sia utile difendersi dai nem i ci. M a quel che occorre fare piuttosto è considerare nella realtà, giorno dopo giorno, la potenza della no stra città, e innam orarsene; e se v i sem bra che sia grande, dovete pensare che ad acquisirla fuono uo m ini capaci di osare, consapevoli dei loro doveri, anim ati nel loro agire da un v iv o senso d e ll’ onore. E se pure talora non avevano fortuna in qualche tenta tivo intrapreso, avrebbero ritenuto indegno privare la città del loro valore; gliene facevano quindi dono: 2 era il piu bello che potessero o ffrirle , perché do nando la loro vita per il bene comune ricevevano co me personale com penso l ’ elogio che il passare degli anni non intacca e la piu insigne delle sepolture - che non è quella in cui giacciono i loro corpi, bensì
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έν φ ή δό ξα α υτώ ν π α ρ ά τώ έντυχόντι αίεί καί λόγου κ α ί έρ γο υ κα ιρ φ α ίείμ νησ τος κ α ταλ είπ εται. άνδρώ ν γάρ επ ιφ α νώ ν π ά σ α γη τάφος, κ α ί ου στηλών μόνον έν τη ο ικ εία σ η μ α ίνει επ ιγρα φ ή, άλλα κ α ί έν τή μή προσηκούση άγραφ ος μνήμη παρ’ έκάστω τής 4 γνώ μ ης μάλλον ή του έρ γο υ έν δ ια ιτά τα ι. οΰς νϋ ν υμείς ξηλώ σαντες κ α ί τό εΰδα ιμ ον τό ελεύθερον, το δ’ έλ εύθερο ν τό εΰ ψ υ χ ο ν κρ ίνα ντες μή π ερ ιο ρ ά σ θ ε 5 τούς π ολεμικούς κ ινδ ύ νο υ ς, ου γά ρ ο ί κ α κ οπ ρ α γο ΰ ν τες δ ικ α ιό τερ ο ν ά φ ειδο ΐεν α ν τού βίο υ, οις έλπίς ούκ έστιν α γα θ ο ύ, άλλ’ οις ή έναντία μεταβολή έν τώ ζή ν έτι κ ινδυνεύετα ι καί έν οις μάλιστα μεγάλα 6 τά διαφ έροντα, ήν τι πταίσω σιν. άλγεινοτέρα γάρ ά νδρ ί γε φ ρόνημα έχοντι ή μετά τού [έν τώ] μαλακισ θ ή να ι κάκω σις ή ό μετά ρώ μης κ α ί κοινής έλπίδος άμα γιγνόμενος α ναίσθητος θάνατος. W Δ ι’ δπερ καί τούς τώ νδε ν ΰ ν τοκέας, δσοι πάρεστε, ούκ ολοφ ύρ ομ α ι μάλλον ή π α ρ α μ υ θ ή σ ο μ α ι. έν πολυτρόποις γάρ ξυμφ οραϊς έπ ίσ τανται τραφέντες- τό δ’ ευτυχές, οΐ αν τής εύπρεπεστάτης λάχωσιν, ώσπερ οϊδε μέν νΰν, τελευτής, υμείς δέ λύπης, κα ί οις ένευδ α ιμ ο νή σ α ί τε ό βίος ομοίω ς κ α ί έντελευτήσ αι ξυ ν2 εμετρήθη. χαλεπόν μέν ούν οΐδα π είθειν δν, ών καί πολλάκις έξετε ΰπ ομ νήματα έν άλλων εύτυχίαις, αις ποτέ κ α ί αυτο ί ήγάλλεσθε· καί λύπη ούχ ών άν τις μή πειρασάμενος α γα θ ώ ν στερίσκηται, άλλ’ ου άν έθάς 3 γενόμενος άφ αιρεθή. καρτερεΐν δέ χρή κα ί άλλων π α ίδ ω ν έλ π ίδι, οίς έτι ήλ ικία τέκ νω σ ιν π οιεΐσ θα ιίδίςι τε γά ρ τω ν ούκ δντω ν λήθη οί έπ ιγιγνό μ ενο ί τισιν έσ οντα ι, κα ί τή π όλ ει διχό θ εν, έκ τε τού μή έρη μου σ θα ι καί άσφαλεία, ξυνο ίσ ει- ου γάρ οιόν τε ίσον
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quella ideale in cui la loro gloria resta, sorretta da un ricordo perenne che si rin n ova ad ogni occasione 3 che si dia di parola o di azione. Poiché sepolcro degli uomini illustri è la terra intera, e non è solo l ’i scrizione sulla stele funeraria posta nel loro paese a parlare di loro, ma, anche in terra straniera, un ri cordo di cui non v ’è traccia scritta vive in ognuno, e 4 ne anima lo spirito piu che l ’ agire. Sono questi gli uom ini che v o i ora dovete em ulare: guardate alla li b ertà come alla vera fortun a, al coraggio come alla sola lib ertà, e non d atevi pensiero dei pericoli della 5 guerra. N on dovrebbero essere tanto i falliti, co loro che non si aspettano nulla di buono dalla vita, ad avere buone ragioni per sacrificare la loro esi stenza, quanto coloro per i quali, nella v ita che re sta, c ’ è il rischio di un cambiamento in peggio, quel li su cui, in caso di insuccesso, si farebbe sentire 6 maggiormente la differen za rispetto alla condizione precedente. Poiché per un uomo orgoglioso patire la rovina dando prova di vigliaccheria è cosa ben piu penosa della m orte che giunge in avvertita, addolci ta dalla forza e dalla speranza nella vittoria comune. 44 P er questo a vo i, genitori dei caduti che siete qui ora, non rivolgo parole di com pianto, ma solo di conforto. I padri sanno di essere passati attraverso eventi di varia natura, e che felici possono dirsi solo coloro cui sia toccata, come a questi nostri caduti, la fine più gloriosa, ovvero, come a voi, il dolore piu al to, e coloro la cui vita è stata m isurata si da term ina re proprio quando è stata raggiunta la felicita. So 2 che è d ifficile convincervene se pensate a loro, che spesso v i torneranno in m ente quando vedrete altri raggiungere successi dei quali anche v o i in passato m enavate vanto. Il dolore non nasce dalla privazio ne d i gioie mai gustate, ma dalla perdita di ciò cui si 3 era fatta l ’ abitudine. B isogn a essere fo rti, anche perché - se ancora avete l ’ età per generare - v i resta la speranza di altri figli; la loro nascita nella fam iglia indurrà alcuni a dim enticare chi non c ’ è piu, e per lo Stato implicherà un duplice vantaggio, in primo luo go perché la città non resterà spopolata, e poi perché questo costituirà una garanzia per la sua sicurezza: non è possibile in fatti partecipare alle deliberazioni
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τι ή δίκ α ιον β ο υλεύεσ θαι οι άν μή κα ί π α ΐδα ς εκ τοϋ 4 όμοιου παραβαλλόμενοι κ ινδυνεύω σιν. δσ οι δ’ α ν π α ρ η β ή κ α τε, τό ν τε π λέο να κ έρ δο ς δ ν ηύτυχεΐτε βίον ήγεΐσθε κα ί τό νδε β ρ αχύν έσεσθαι, κ α ί τή τώνδε εύ κλ είρ κ ο υ φ ίξεσ θ ε. τό γά ρ φ ιλότιμον ά γή ρ ω ν μόνον, κ α ί ούκ έν τώ ά χρ είψ τής ήλικίας τό κερδαίνειν , ώ σπερ τενές φ ασι, μάλλον τέρπ ει, αλλά τό 45 τιμ ά σθα ι. π α ισ ί δ’ α ν δσ οι τώ νδε πάρεστε ή άδελφοΐς όρώ μέγαν τόν α γώ να (τόν γάρ ούκ δντα άπας εΐω θ εν έπ α ιν εΐν), κ α ί μόλις ά ν κ α # 1 ύπ ερ β ο λή ν α ρετής ούχ όμοιοι, άλλ’ όλίγω χείρους κριθεΐτε. φθόνος γά ρ τοΐς ζώ σ ι π ρός τό α ντίπ α λ ο ν, τό δέ μή έμπ ο δ ώ ν ά να ντα γω νίσ τω εύ νο ια τετίμηται. εί δέ με δ ει κ α ί γ υ ν α ικ ε ία ς τ ι αρ ετής, δ σ α ι ν ΰ ν έν χη ρ εία έσ οντα ι, μ νη σ θ ή να ι, β ρ α χείρ π α ρ α ιν έσ ει ά π α ν σημανώ . τής τε γά ρ ύ π α ρ χ ο ύ σ η ς φ ύσεω ς μή χείρ ο σ ι γενέσ θα ι ύμΐν μεγάλη ή δό ξα κ α ί ής άν επ’ έλάχιστον αρετής πέρι ή ψ όγο υ εν τοΐς άρσεσι κλέος η. Ε ϊρ η τ α ι κ α ί έμ οί λόγω κ α τά τό ν νόμ ον δσ α εΐχον π ρόσφ ορα, κα ί έργω οί θ α π τό μ εν ο ι τά μέν ήδη κεκόσ μηνται, τά δέ α ύ τώ ν τούς π α ΐδ α ς τό απ ό το ϋδε δημοσία ή πόλις μέχρι ήβης θρέψ ει, ώφέλιμον στέφα νον τοΐσδέ τε κ α ί τοΐς λειπ ομένοις τω ν το ιώ νδε α γώ νω ν προτιθεΐσα· άθλα γάρ οις κεΐται αρετής μέ2 γιστα, τοΐς δέ καί άνδρες άριστοι πολιτεύουσιν. νΰν δέ άπολοφυράμενοι δν προσήκει έκάστω άπιτε». 47 Τ οιόσδε μέν ό τάφος έγένετο έν τώ χειμώ νι τούτωκ α ί διελ θ ό ντο ς α ύτο ΰ π ρ ώ το ν έτος τοΰ πολέμου
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com uni dando un contributo conform e ad equità e giustizia quando non si corre personalm ente un ri schio mettendo in gioco come gli altri la vita dei pro4 pri figli. V o i che invece siete in età orm ai avanza ta, ritenete di aver fatto un guadagno se avete avuto una sorte felice per il periodo piu lungo della vostra vita, mentre quello che v i resta da vivere sarà breve, e alleviate il vostro dolore col pensiero della loro gloria: il desiderio di onori è la sola cosa che non in vecchia mai, e quando l ’età ci ha reso inabili non è il guadagno, come alcuni dicono, il massimo piacere, 45 ma l ’onore. E d ora mi rivolgo a v o i, figli o fratelli dei caduti che siete qui presenti: vedo che una dura gara v i aspetta, poiché a chi non c ’ è più di solito va l ’ encom io generale; difficilm en te vo i, pur dando prove grandissime di valore, potreste essere giudica ti non dico alla loro altezza, ma anche solo di poco in ferio ri, dal m omento che i v iv i nutrono in vid ia contro chi può com petere con loro, ma a chi è ormai uscito di scena sono destinati onori trib u tati con una benevolenza non offuscata da sentim enti di riva2 lità. Se mi tocca, da ultim o, far parola anche della virtù di cui daranno prova quelle donne che ora v i vranno in stato di vedovanza, mi lim iterò ad un p ic colo consiglio: grande è la vo stra gloria se non tra li gnate dalla vostra natura e se fra gli uom ini si parla di vo i - della vo stra virtù o delle critiche che v i si possono rivolgere - il meno possibile. 46 Q uesto è quanto col mio discorso avevo da dire e che la circostanza, secondo la tradizione, richiede va. E d anche coi fatti è stato reso onore ai caduti di cui celebriamo le esequie, in parte già con questa ce rim onia, e poi perché a partire da oggi sarà lo Stato ad allevare i loro figli, a spese pubbliche, sino al rag giungim ento della maggiore età. Q uesta è l ’utile co rona che esso o ffre come prem io di tali gare ai cadu ti in guerra e a coloro che essi lasciano, poiché dove per la virtù sono o fferti i prem i più alti, li vivono an2 che i cittadin i m igliori. E d ora levi ognuno l ’u lti mo lam ento su colui che ha perduto, e poi tornate tutti a casa». 47 C o si si svolse in qu est’ inverno la cerim onia fun e bre per i caduti. E alla fine d ell’inverno si com pieva
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2 τοΰδε έτελεύτα. τοΰ δέ θέρους ευθύς άρχομένου Πελοποννήσιοι καί οί ξύμμαχοι τά δύο μέρη ώσπερ καί τό πρώτον έσέβαλον ές τήν Αττικήν (ηγείτο δέ Άρχίδαμος ό Ζευξιδάμου Λακεδαιμονίων βασι3 λεύς), καί καθεζόμενοι έδήουν τήν γην. καί δντων αύτών ού πολλάς πω ημέρας εν τή Α ττική ή νόσος πρώτον ήρξατο γενέσθαιτοΐς Α θηναίας, λεγόμενον μέν καί πρότερον πολλαχόσε έγκατασκήψαι καί περί Λήμνον καί εν αλλοις χωρίοις, ού μέντοι τοσοϋτός γε λοιμός ούδέ φθορά ούτως ανθρώπων 4 ούδαμοΰ έμνημονεύετο γενέσθαι. ούτε γάρ Ιατροί ήρκουν τό πρώτον θεραπεύοντες άγνοια, άλλ’ αύτοί μάλιστα έθνησκον δσω καί μάλιστα προσήσαν, ούτε άλλη άνθρωπεία τέχνη ούδεμία· δσα τε πρδς ίεροΐς ικέτευσαν ή μαντείοις καί τοΐς τοιούτοις έχρήσαντο, πάντα άνωφελή ήν, τελευτώντές τε αύτών άπέστη48 σαν ύπό τοΰ κακοϋ νικώμενοι. ήρξατο δέ τό μέν πρώτον, ώς λέγεται, έξ Αιθιοπίας τής υπέρ Αίγύπτου, έπειτα δέ καί ές Αίγυπτον καί Λιβύην κατέβη 2 καί ές τήν βασιλέως γην τήν πολλήν. ές δέ τήν Α θηναίων πόλιν έξαπιναίως έσέπεσε, καί τό πρώτον εν τώ Πειραιεΐ ήψατο τών άνθρώπων, ώστε καί έλέχθη ύπ’ αύτών ώς οί Πελοποννήσιοι φάρμακα έσβεβλήκοιεν ές τά φρέατα· κρήναι γάρ ούπω ήσαν αύτόθι. ύστερον δέ καί ές τήν άνω πόλιν άφίκετο, 3 καί έθνησκον πολλώ μάλλον ήδη. λεγέτω μέν ούν περί αύτοΰ ώς έκαστος γιγνώσκει καί ιατρός καί ι διώτης, άφ=δτου είκός ήν γενέσθαι αύτό, καί τάς αττίας άστινας νομίζει τοσαύτης μεταβολής ίκανάς είναι δύναμιν ές τό μεταστήσαι σχεΐν έγώ δέ οίόν τε έγίγνετο λέξω, καί άφ’ ών άν τις σκοπών, εϊ ποτέ καί αυθις έπιπέσοι, μάλιστ3 άν έχοι τι προειδώς μή άγνοείν, ταΰτα δηλώσω αύτός τε νοσήσας καί αύτός ίδών άλλους πάσχοντας. 49 Τό μέν γάρ έτος, ώς ώμολογεΐτο, έκ πάντων μάλι-
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2 il primo anno di questa guerra. Subito all’inizio dell’estate i Peloponnesiaci e i loro alleati ai coman di di Archidamo figlio di Zeussidamo, re di Sparta, invasero l’Attica con i due terzi delle loro forze mi litari, come la prima volta. Li si accamparono e si 3 diedero a devastare il territorio. Non erano anco ra molti giorni che si trovavano in Attica che ad Atene per la prima volta scoppiò l’epidemia; a quanto si diceva, già in precedenza si era abbattuta su molti paesi, a Lemno e altrove, ma in nessun luogo si ri cordava una pestilenza di tale gravità e una tale per4 dita di vite umane. Ché nulla potevano i medici, che non conoscevano quel male e si trovavano a cu rarlo per la prima volta - ed anzi erano i primi a ca dérne vittime in quanto erano loro a trovarsi più a diretto contatto con chi ne era colpito - , e nulla po teva ogni altra arte umana; recarsi in pellegrinaggio ai santuari, consultare gli oracoli o fare ricorso ad al tri mezzi di questo tipo, tutto era inutile. Alla fine, sopraffatti dal morbo, desistettero da ogni tentati48 vo. Il morbo si era manifestato inizialmente, a quanto si dice, nella regione dell’Etiopia oltre l’Egit to, e poi era disceso in Egitto, in Libia e nella mag2 gior parte dei territori del re di Persia. La città di Atene ne fu invasa all’improvviso: i primi ad essere presi dal contagio furono quelli del Pireo, ed essi per ciò dissero che i Peloponnesiaci avevano avvelenato i pozzi (al Pireo allora non esistevano ancora fonti d’acqua sorgiva). Poi il contagio si diffuse anche nella città alta, e il numero dei morti crebbe spaven3 tosamente. Ognuno, medico o profano, potrà esprimere la sua opinione al riguardo: quale ne fu probabilmente l’origine, e quali ritiene che possano essere state le cause in grado di operare un cosi im mane sconvolgimento, capaci cioè di un tale disa stroso effetto; per conto mio, mi limiterò a descrive re il modo in cui il morbo si manifestava e i sintomi che vanno osservati, qualora scoppi una nuova epi demia, per poterlo riconoscere tempestivamente, avendone una qualche esperienza; questo è quanto ri ferirò, dopo essere stato colpito io stesso dal morbo, e aver visto io stesso altri soffrirne. 49 Quello era un anno, a parere unanime, singoiar-
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στα δή έκεϊνο άνοσον ές τάς άλλας ασθένειας έτύγχανεν ο ν εί δε τις καί προύκαμνέ τι, ές τούτο πάντα 2 άπεκρίθη. τούς δέ άλλους άπ’ ούδεμιάς προφάσεως, άλλ’ έξαίφνης υγιείς όντας πρώτον μέν τής κε φαλής θέρμαι ΐσχυραί καί των οφθαλμών έρυθήματα καί φλόγωσις έλάμβανε, καί τά έντός, ή τε φάρυγξ καί ή γλώσσα, ευθύς αιματώδη ήν καί πνεύμα 3 άτοπον καί δυσώδες ήφίει· έπειτα έξ αυτών π ταρμός καί βρόγχος έπεγίγνετο, καί έν ού πολλώ χρόνω κατέβαινεν ές τά στήθη ό πόνος μετά βηχός Ι σχυρού· καί οπότε ές τήν καρδίαν στηρίξειεν, άνέστρεφέ τε αυτήν καί άποκαθάρσεις χολής πάσαι δσαι υπό ιατρών ώνομασμέναι είσίν έπήσαν, καί 4 αύται μετά ταλαιπωρίας μεγάλης, λυγξ τε τοΐς πλέοσιν ένέπιπτε κενή, σπασμόν ένδιδοΰσα ισχυρόν, τοΐς μέν μετά ταΰτα λωφήσαντα, τοΐς δέ καί πολλώ 5 ύστερον. καί το μέν έξωθεν άπτομένω σώμα ούτ’ άγαν θερμόν ήν ούτε χλωρόν, άλλ’ υπέρυθρον, πελιτνόν, φλυκταίναις μικραϊς καί έλκεσιν έξηνθηκός· τά δέ έντός ούτως έκάετο ώστε μήτε τών πάνυ λεπτών ίματίων καί σινδόνων τάς έπιβολάς μηδ’ άλ λο τι ή γυμνοί άνέχεσθαι, ήδιστά τε άν ές ύδωρ ψυ χρόν σφάς αυτούς ρίπτειν. καί πολλοί τούτο τών ήμελημένων ανθρώπων καί έδρασαν ές φρέατα, τή δίψη άπαύστω ξυνεχόμενοι· καί έν τώ όμοίω κάθει6 στήκει τό τε πλέον καί έλασσον ποτόν. καί ή απορία τού μή ήσυχάζειν καί ή αγρυπνία έπέκειτο διά παντός, καί τό σώμα, δσονπερ χρόνον καί ή νό σος άκμάζοι, ούκ έμαραίνετο, άλλ’ άντείχε παρά δόξαν τή ταλαιπωρία, ώστε ή διεφθείροντο οΐ πλεΐστοι έναταίοι καί έβδομαϊοι υπό τού εντός καύμα τος, έτι έχοντές τι δυνάμεως, ή εί διαφύγοιεν, έπικατιόντος τού νοσήματος ές τήν κοιλίαν καί έλκώσεώς τε αυτή ίσχυράς έγγιγνομένης καί διάρροιας άμα ακράτου έπιπιπτούσης οί πολλοί ύστερον δι’ αύτήν 7 άσθενεία διεφθείροντο. διεξήει γάρ διά παντός
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mente immune da altri malanni; ma quali che fosse ro le infermità di cui poteva aver sofferto in prece denza uno, tutte finirono comunque per risolversi 2 in questo morbo. Ma per altri la malattia soprav veniva senza causa alcuna: improvvisamente perso ne sane erano colpite dapprima da un forte calore al la testa, con arrossamento e infiammazione agli oc chi: le parti interne, gola e lingua, erano subito ros so sangue, e ne emanava un fiato irregolare e puzzo3 lente. Successivamente, dopo il manifestarsi di questi sintomi, sopraggiungeva starnuto e raucedi ne, e in breve tempo la malattia scendeva al petto con forte tosse; se giungeva a fissarsi alla bocca del lo stomaco, lo rivoltava, e ne derivavano evacuazio ni di bile di tutte le specie nominate dai medici, e 4 questo causava una sofferenza enorme. La mag gior parte fu colta da conati di vomito a vuoto che causavano spasimi violenti, in alcuni casi dopo che queste evacuazioni erano cessate, e in altri molto 5 dopo. Toccato esternamente, il corpo non si pre sentava particolarmente caldo o giallastro, ma era solo un po’ arrossato, livido, cosparso di piccole pu stole e ulcere; internamente però l’arsura era cosi forte che non si sopportava d’aver indosso i vestiti o i lenzuoli più leggeri, ma si riusciva a resistere solo stando nudi, e il piacere massimo sarebbe stato di gettarsi nell’acqua fredda. E molti di quelli che non erano assistiti lo fecero anche, in preda a una sete inestinguibile, e si buttarono nei pozzi e bere di più o 6 di meno non faceva differenza alcuna. Vi era poi il tormento continuo dell’impossibilità di trovare ri poso e dell’insonnia. Durante tutta la fase acuta del la malattia il corpo non soccombeva al male, ma re sisteva alla sofferenza contro ogni aspettativa, si che i piu o morivano dopo otto ovvero dopo sei gior ni per l’arsura interna, senza essere giunti allo sfini mento estremo, ovvero, se superavano questa fase, il morbo discendeva nella cavità addominale, dove sopravveniva una forte ulcerazione, cui si aggiunge va un’emissione di diarrea acquosa che debilitava l’organismo, e questo stato di debolezza nella mag gior parte dei casi portava successivamente alla mor7 te. Il male, localizzato inizialmente nella testa, at-
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τοΰ σώματος άνωθεν άρξάμενον τό εν τή κεφαλή πρώτον ίδρυθέν κακόν, καί εϊ τις έκ τών μεγίστων περινενοιτο. τών γε ακρωτηρίων άντίληψις αυτού έπεσήμαινεν. κατέσκηπτε γάρ ές αιδοία καί ές άκQQp χεϊρας και ποδας, και πολλοί στεριοκόμενοι τούτων διέφευγον, είσί δ’ ο'ί καί τών οφθαλμών, τούς δέ καί ληθη ελαμβανε παραυτίκα άναστάντας τών πάντων ομοίως, καί ήγνόησαν σφάς τε αυτούς καί so τούς έπιτηδείους. γενόμενον γάρ κρεΐσσον λόγου τό είδος της νόσου τά τε άλλα χαλεπωτέρως η κατά την άνθρωπείαν φΰσιν προσέπιπτεν έκάστω καί έν τφδε εδήλωσε μάλιστα άλλο τι ον η τών ξυντρόφων τι- τά γάρ όρνεα καί τετράποδα δσα ανθρώπων άπτεταμ πολλών ατάφων γιγνομένων η ου προσήει η 2 γευσάμενα διεφθείρετο. τεκμήριον δέ· τών μέν τοιούτων ορνίθων έπίλειψις σαφής έγένετο, καί οΰχ έωρώντο ούτε άλλως ούτε περί τοιοϋτον ούδέν' οί δέ κάνες μάλλον αϊσθησιν παρεϊχον τοΰ άποβαίνοντος διά τό ξυνδιαιτάσθαι. Si ^ Τό μένουν νόσημα, πολλά καί άλλα παραλιπόντι άτοπίας, ως έκάστω έτύγχανέ τι διαφερόντως έτέρφ προς έτερον γιγνόμενον, τοιοϋτον ήν έπί παν τήν ιδέαν, καί άλλο παρελύπει κατ’ έκεΐνον τον χρόνον ούδέν τών είωθότων· δ δέ καί γένοιτο, ές τούτο έτελευτα. εθνησκον δε οι μεν αμελείρμ οί δέ καί πάνυ θεραπευόμενοι, έν τε ουδέ εν κατέστη ίαμα ώς είπεΐν δτι χρήν προσφέροντας ώφελεΐν τό γάρ τφ ξυνενεγκόν άλλον τούτο έβλαπτεν. σώμα τε αυτάρκες όν ούδέν διεφάνη πρός αύτό ισχύος πέρι ή άσθενείας, άλλά πάντα ξυνήρει καί τά πάση διαίτη θερα πευόμενα. δεινότατον δέ παντός ήν τού κακού ή τε αθυμία οποτε τις αϊσθοιτο κάμνων (πρός γάρ τό άνέλπιστον εύθύς τραπόμενοι τή γνώμη πολλω μάλ-
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traversava infatti tutto il corpo, partendo appunto dall’alto, e se si sopravviveva agli attacchi piu vio lenti, ne restavano comunque tracce sulle estremità 8 del corpo, poiché venivano attaccati anche i geni tali e le punte delle mani e dei piedi; e molti la scam pavano con la perdita di queste parti, alcuni anche con quella degli occhi. Altri ancora, non appena si furono ripresi, persero completamente la memoria, e non ebbero piu nozione di se stessi e dei loro ca so ri. La natura dell’epidemia superò le possibilità della parola, e come, per tutto il resto, ognuno ne fu colpito con una violenza che la natura umana non può reggere, cosi, che si trattasse di un evento fuori del comune rispetto ai mali consueti, fu dimostrato da una circostanza in particolare: gli uccelli e i qua drupedi che si cibano di carne umana, anche se vi erano molti cadaveri insepolti, non si accostavano a quei corpi o, se provavano a divorarli, poi moriva2 no. Prova ne è che tali uccelli con tutta evidenza scomparvero: non li si vide piu intenti a un tale pa sto, anzi non li si vide piu del tutto; erano i cani che, vivendo assieme agli uomini, offrivano meglio la possibilità di osservare le conseguenze del contagio, si Tale era dunque, vista nei suoi aspetti piu genera li, e tralasciando molte altre singolarità che faceva no di ogni caso un caso a sé, l’uno diverso dall’altro, la forma tipica assunta dal morbo. In quel periodo la gente non era colpita da alcuna delle malattie con suete, e se pure una se ne manifestava, finiva co2 munque per fare capo a questa. G li uni morivano nell’abbandono, gli altri nonostante fossero loro prodigate tutte le cure. E non c’era un rimedio che fosse uno - per cosi dire - la cui applicazione garan tisse un qualche giovamento, perché lo stesso farma co che si era rivelato utile in un caso, in un altro ri3 sultava dannoso: nessun corpo, forte o debole che fosse, si rivelava in grado di resistere, ma erano mie tuti tutti indistintamente, quale che fosse il regime 4 seguito per curarsi. Ma l’aspetto piu grave di que sto male era da un lato lo scoraggiamento da cui era preso chi si accorgeva di esserne stato colpito, per ché subito ci si abbandonava alla disperazione, si che rapidamente lasciandosi andare non si oppone-
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λον προΐεντο σφάς αυτούς και ούκ άντεΐχον), καί ότι έτερος άφ’ έτέρου θεραπείας άναπιμπλάμενοι ώ σπερ τά πρόβατα έθνησκον καί τον πλεϊστον φθό5 ρον τούτο ένεποίει. είτε γάρ μή ’θέλοιεν δεδιότες άλλήλοις προσιέναι, άπώλλυντο έρημοι, καί οίκίαι πολλαί έκενώθησαν απορία τού θεραπεΰσοντος- εί τε προσίοιεν, διεφθείροντο, καί μάλιστα οί αρετής τι μεταποιούμενοι· αισχύνη γάρ ήφείδουν σφών αυτών έσιόντες παρά τούς φίλους, έπεί καί τάς όλοφύρσεις των άπογιγνομένων τελευτώντες καί οί οικείοι 6 έξέκαμνον ύπό τού πολλοΰ κακού νικώμενοι. επί πλέον δ’ δμως οι διαπεψευγότες τόν τε θνήσκοντα καί τον πονούμενον φκτίζοντο διά τό προειδέναι τε καί αυτοί ήδη έν τώ θαρσαλέω είναι· δίς γάρ τόν αυτόν, ώστε καί κτείνειν, ούκ έπελάμβανεν. καί έμακαρίζοντό τε υπό των άλλων, καί αυτοί τώ παραχρήμα περιχαρεϊ καί ές τόν έπειτα χρόνον έλπίδος τι ειχον κούφης μηδ’ αν ύπ’ άλλου νοσήματος ποτέ έτι διαφθαρήναι. Έ πίεσε δ’ αυτούς μάλλον προς τφ ύπάρχοντι πάνω καί ή ξυγκομιδή έκ των άγρών ές τό άστυ, καί 2 ούχ ήσσον τούς έπελθόντας. οικιών γάρ ούχ ΰπαρχουσών, άλλ’ εν καλύβαις πνιγηραΐς ώρα έτους διαιτωμένων ο φθόρος έγίγνετο ούδενί κόσμφ, άλλά καί νεκροί επ' άλλήλοις άποθνήσκοντες έκειντο καί έν ταΐς όδοΐς έκαλινδούντο καί περί τάς κρήνας 3 άπάσας ημιθνήτες τού ύδατος έπιθυμίρ. τά τε ιερά έν οις έσκήνηντο νεκρών πλέα ήν, αύτοΰ έναποθνησκόντων ύπερβιαζομένου γάρ τού κακού οί άνθρωποι, ούκ έχοντες δτι γένωνται, ές ολιγωρίαν έ4 τράποντο καί ιερών καί όσιων ομοίως, νόμοι τε πάντες ξυνεταράχθησαν οΐς έχρώντο πρότερον περί τάς ταφάς, έθαπτον δέ ώς έκαστος έδΰνατο. καί πολλοί ές άναισχύντους θήκας έτράποντο σπάνει τών έπιτηδείων διά τό συχνούς ήδη προτεθνάναι
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va piu alcuna resistenza; dall’altro che, prestandosi l’un l’altro delle cure, si contagiavano e morivano come pecore. E fu questo soprattutto a provocare la 5 moria: perché se, per timore, evitavano di avvici narsi gli uni agli altri, morivano abbandonati - e molte case si svuotarono poiché non ci fu nessuno che prestasse le cure necessarie ma se si accostava no ai malati, cadevano subito vittime del male, so prattutto coloro che aspiravano a guadagnarsi meri to, poiché sentivano l’obbligo morale di non badare a se stessi e andavano a visitare i loro amici, mentre invece persino i parenti alla fine, vinti dalla gran dezza della sciagura, si stancavano dei gemiti dei 6 morenti. Maggiore pietà dimostravano tuttavia verso i morenti e i malati coloro che si erano salvati dall’epidemia, poiché essi conoscevano già quelle sofferenze, e per se stessi non avevano piu nulla da temere: il contagio infatti non colpiva mai due volte la stessa persona, almeno non in forma cosi forte da risultare mortale. Gli altri si felicitavano con loro, ed essi stessi per il giubilo del momento provavano quasi la vana speranza che più nessuna malattia an che in futuro potesse mai portarli alla tomba. 51 Le sofferenze causate dal morbo furono aggrava te, soprattutto per quelli venuti da fuori, dall’affol lamento determinatosi con il trasferimento in città 2 degli Ateniesi che abitavano in campagna: poiché mancavano case, si viveva in tuguri che in quel pe riodo dell’anno erano soffocanti, si che la strage si compiva nel caos più indescrivibile. I moribondi sul punto di spirare erano ammucchiati gli uni sugli al tri, altri mezzo morti si aggiravano per le strade e in torno a tutte le fontane, mossi dalla voglia spasmo3 dica di acqua. I santuari in cui si erano accampati erano pieni di cadaveri, la gente moriva sul posto, poiché nell'infuriare dell’epidemia gli uomini, non sapendo cosa ne sarebbe stato di loro, divennero in differenti alle leggi sacre come pure a quelle profa4 ne. Tutte le consuetudini seguite in passato per le esequie furono sconvolte; ciascuno provvedeva alla sepoltura come poteva. Molti, mancando del neces sario poiché avevano già avuto molti morti, compie vano l’opera di sepoltura in modo vergognoso, uti-
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σ φ ίσιν· έπ ί π υρ ά ς γά ρ άλλοτρίας φ θ ά σ α ντες τούς νήσαντας οΐ μέν έπιθέντες τον έα υτώ ν νεκρόν ύφήπτον, οΐ δέ καιομ ένου άλλου έπιβαλόντες ά νω θ εν δν φέροιεν άπήσαν. 53 Π ρ ώ το ν τε ή ρ ξε κ α ί ές τάλλα τή π όλ ει έπ ί πλέον ανομίας το νόσημα, ραον γάρ έτόλμα τις ά π ρότερον ά π εκ ρ ύ π τετο μή κ α θ ’ η δο νή ν π ο ιειν, ά γχίσ τρ ο φ ο ν την μεταβολήν όρώ ντες τω ν τε εύδαιμόνω ν κα ί alcpνιδίω ς θνησ κόντω ν κα ί τώ ν ο ύδ έν π ρ ότερον κεκτη2 μενώ ν, ευ θύ ς δέ τά κ είνω ν έχόντω ν. ώστε ταχείας τά ς έπ α υ ρ έσ εις κ α ί π ρ ός τό τε ρ π ν ό ν ή ξ ίο υ ν ποιεϊσ θαι, έφήμερα τά τε σώματα κα ί τά χρήματα ομοίως 3 ή γ ο ύ μ ενο ι. κ α ί τό μέν π ρ ο σ τα λ α ιπ ω ρ εΐν τω δόξα ν τι καλφ ούδείς π ρόθυμ ο ς ήν, άδηλον ν ο μ ίζω ν εί π ρ ιν έπ ’ α υτό έλ θ ειν δ ια φ θ α ρ ή σ ετα ι· δ τι δέ ήδη τε ή δύ π α ν τα χ ό θ ε ν τε ές α υτό κ ερ δα λ έο ν, το ύ το κ α ί 4 καλόν καί χρήσιμον κατέστη, θεώ ν δέ φόβος ή α ν θ ρ ώ π ω ν νόμος ούδείς ά π εϊρ γε, τό μέν κρ ίνοντες έν όμοίφ κ α ί σέβειν κ α ί μή έκ τού π ά ντα ς ό ρ ά ν έν ϊσω ά π ολ λυμ ένο υς, τώ ν δέ α μ α ρ τη μ ά τω ν ο ύ δ είς έλπίζω ν μέχρι τού δίκην γενέσ θ α ι βιούς άν τήν τιμω ρίαν αντιδοΰναι, πολύ δέ μείζω τήν ήδη κατεψηφισμένην σφών έπ ικρ εμ α σθήνα ι, ήν π ρ ιν έμπεσεΐν είκός είνα ι τού βίου τι άπολαϋσαι. 54 Τ ο ιο ύ τω μέν π ά θ ε ι ο ί Α θ η ν α ίο ι π ερ ιπ εσ ό ντες έπ ιέξ ο ν το , α νθ ρ ώ π ω ν τ’ έν δ ο ν θ νη σ κ ό ντω ν κ α ί γης 2 έξω δηουμένης. έν δέ τω κακώ οια είκός άνεμνήσ θ η σ α ν κ α ί το ύδε τού έπους, φάσκοντες ο ί πρεσβύτερ ο ι π ά λ α ι α δ ε σ θ α ι « ή ξ ει Δ ω ρ ια κ ό ς π όλεμος κ α ί 3 λοιμός άμ’ αύτφ ». έγένετο μέν ο ύν έρις τοΐς άνθ ρ ώ π ο ις μή λοιμόν ώ ν ο μ ά σ θ α ι έν τω έπ ει ύ π ό τώ ν
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lizzando pire che già erano state innalzate per altri cadaveri: alcuni prevenivano chi aveva provveduto ad accatastare la legna e, deposto sulla pira il pro prio morto, subito appiccavano il fuoco, altri invece gettavano su una pira - mentre già vi ardeva un al tro cadavere - il corpo che avevano portato, e se ne andavano. 53 Anche per altri aspetti la peste segnò per la città l’inizio del dilagare della corruzione. Ciò che prima si faceva, ma solo di nascosto, per proprio piacere, ora lo si osava piu liberamente: si assisteva a cam biamenti repentini, vi erano ricchi che morivano al l’improvviso, e gente, che prima non aveva niente, da un momento all’ altro si trovava in possesso delle 2 ricchezze appartenute a quelli per cui ci si credeva in diritto di abbandonarsi a rapidi piaceri, volti alla soddisfazione dei sensi, ritenendo un bene effimero 3 sia il proprio corpo che il proprio denaro. Nessuno era più disposto a perseverare in quello che prima giudicava fosse il bene, perché - pensava - non po teva sapere se non sarebbe morto prima di arrivarci; invece il piacere immediato e il guadagno che potes se procurarlo, quale che fosse la sua provenienza, 4 ecco ciò che divenne bello e utile. La paura degli dei o le leggi umane non rappresentavano più un fre no, da un lato perché ai loro occhi il rispetto degli dei o l’irriverenza erano ormai la stessa cosa, dal momento che vedevano morire tutti allo stesso mo do, dall’altro perché, commesse delle mancanze, nessuno sperava di restare in vita fino al momento della celebrazione del processo e della resa dei conti. La pena sospesa sulle loro teste era molto piu seria, e per essa la condanna era già stata pronunciata: era naturale quindi, prima che si abbattesse su di loro, godersi un po’ la vita. 54 Gli Ateniesi erano oppressi dalla sciagura cosi ter ribile che li aveva colpiti, poiché all’interno della città gli uomini morivano e all’esterno la campagna 2 veniva devastata. Nella disgrazia, come capita in questi casi, tornava loro in mente anche quel verso che - dicevano i piu vecchi - si cantava un tempo: 3 «Verrà la guerra dorica e con essa la peste». Nac que, a dire il vero, una disputa: in quel verso gli an-
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π α λ α ιώ ν, αλλά λιμόν, ένίκησε δέ επ ί τοΰ π α ρ όντο ς εικότω ς λοιμόν είρ ή σ θ α ι· ο ίγ ά ρ ά ν θ ρ ω π ο ι π ρος α έπ α σχο ν τη ν μνήμην έπ οιοΰντο. ήν δέ γε οιμ α ί ποτέ άλλος πόλεμος καταλάβη Δ ω ρ ικός το ΰ δ ε ύσ τερος κ α ί ξυμ β ή γ ε ν έσ θ α ι λιμόν, κ α τά τό είκός ούτω ς 4 άσονται. μνήμη δέ έγένετο καί τοΰ Λ ακεδαιμονίω ν χρηστηρίου τοΐς είδόσιν, δτε έπερω τώ σιν αύτοΐς τον θ εό ν εί χρή πολεμεΐν άνείλε κατά κράτος πολεμοΰσι 5 νίκ η ν έσ εσ θ α ι, κ α ί α υτό ς εφη ξυλ λ ή ψ εσ θα ι. π ερ ί μέν ούν τοΰ χρηστηρίου τά γιγνόμ ενα ή κ α ζο ν όμοια είνα ι· έσ βεβληκότω ν δέ τω ν Π ελ ο π ο ννη σ ίω ν ή ν ό σος ή ρ ξα τ ο ευ θ ύ ς, κ α ί ές μέν Π ελ ο π ό ννη σ ο ν ούκ έσήλθεν, δτι καί ά ξιο ν είπεϊν, έπενείματο δέ "Αθήνας μέν μάλιστα, έπειτα δέ καί τω ν άλλων χω ρίω ν τά πολ υ α ν θ ρ ω π ό τα τα . τα ΰ τ α μέν τά κ α τά τη ν νό σ ο ν γενόμενα. 5S Ο ί δέ Πελοποννήσι,οι, επ ειδή έτεμον τό π εδ ίο ν, π α ρ ή λ θ ο ν ές τήν Π ά ρ α λ ο ν γη ν κ α λ ο υμ ένη ν μέχρι Λ α υ ρ ε ίο υ , ου τά ά ρ γ ύ ρ εια μέταλλά έσ τιν Α θ η να ίο ις. κ α ί π ρ ώ τον μέν έτεμον τα ύ τ η ν ή π ρ ος Π ε λοπόννησον όρά, έπειτα δέ τήν προς Ε ύ β ο ιά ν τε καί 2 Α ν δ ρ ο ν τετραμμένην. Π ερικλής δέ στρατηγός ών κ α ί τότε π ερ ί μέν τοΰ μή έπ εξιένα ι τούς Α θ η ν α ίο υ ς τήν α υτή ν γνώ μην είχεν ώσπερ κα ί έν τή π ροτέρα έ5 στάσις π ρ οσ χώ ρη σε, κ α ί έδ ο ξε μάλλον, διότι έν τοΐς πρώτη έγένετο, έπεί ύστερόν γε κ α ί π ά ν ώς ειπεΐν τό Ε λ λ η ν ικ ό ν έκινήθη, διαφ ορώ ν ο ύ σ ώ ν έκ α σ τα χο ΰ τοΐς τε τώ ν δήμ ω ν π ρ ο σ τά τα ις
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da Leucade sessanta navi ateniesi. G li A ten iesi le avevan o in viate, ai com andi dello stratego Eurim edonte figlio di T u cle, non appena avevano saputo della sedizione di C o rcira, e che le navi di A lcida 81 stavano per m uovere alla vo lta d ell’isola. In tutta fretta dunque, di notte, i Peloponnesiaci presero la via del ritorno tenendosi vicino alla costa; e trainate le loro navi sull’istm o di Leucade, per non essere 2 scorti mentre costeggiavano, si allontanarono. D al canto loro i C o rciresi, come si furono accorti che le navi attiche si avvicinavan o e quelle nem iche se ne erano andate, presero i M esseni che prim a erano r i m asti fu o ri e li fecero entrare in città; diedero poi ordine alle navi che avevano equipaggiato di compie re il giro fino al porto Illaico. M entre era in corso questa m anovra, uccidevano tutti i nemici che riusci vano a prendere; poi fecero scendere dalle navi tutti quelli che erano stati da loro convinti ad im barcarsi e li passarono per le armi. Infine si recarono al santua rio di E ra , indussero circa cinquanta dei supplici a sottoporsi a giudizio e poi li condannarono tutti a 3 morte. L a maggioranza dei supplici, quelli che non avevano dato loro retta, al vedere ciò che stava acca dendo, si uccidevano l ’un l ’ altro nel santuario stesso; alcuni si im piccavano agli alberi, gli altri si davano la 4 morte ognuno come poteva. D opo l’ arrivo di Eurim edonte, nei sette giorni che egli restò n ell’ isola con le sessanta n avi, i C o rciresi fecero strage di quanti fra i loro concittadini ritenevano nem ici: l ’ accusa rivo lta era di voler rovesciare la dem ocra zia, ma alcuni m orirono anche per inim icizie p riva te, e altri, che avevano dato denaro in prestito, per 5 mano dei loro debitori. S i vid e ogni genere di m orte, e - come accade in sim ili frangenti - nulla ci fu che non si desse, ed altro ancora: il padre uccide va il figlio, i supplici venivano strappati via dai tem pli e subito uccisi, e alcuni morirono persino murati v iv i nel tempio di D ioniso. 82 A tal punto di crudeltà giunse questa guerra civile; e parve ancor più crudele perché fu tra le prim e: in seguito ne fu sconvolto, per cosi dire, tutto il mondo greco; in ogni città v i erano lotte fra i capi del parti to popolare, che chiedevano l’ intervento di A ten e, e
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τούς Α θηναίους έπάγεσθαι καί τοΐς όλίγοις τούς Λακεδαιμονίους, καί έν μεν ειρήνη ούκ άν έχόντων πρόφασιν ούδ’ έτοιμων παρακαλεΐν αυτούς, πολε μουμένων δέ καί ξυμμαχίας άμα έκατέροις τή τών ε ναντίων κακώσει καί σφίσιν αύτοΐς έκ τού αύτοΰ προσποιήσει ρςιδίως αί έπαγωγαί τοΐς νεωτερίζειν τι 2 βουλομένοις έπορίζοντο. καί έπέπεσε πολλά καί χαλεπά κατά στάσιν ταΐς πόλεσι, γιγνόμενα μεν καί αίεί έσόμενα, εως άν ή αύτή φύσις άνθρώπων ή, μάλλον δέ καί ήσυχαίτερα καί τοΐς εί'δεσι διηλλαγμένα, ώς άν έκασται αί μεταβολαί των ξυντυχιών έφιστώνται. έν μεν γάρ ειρήνη καί άγαθοΐς πράγμασιν αι τε πόλεις καί οί ίδιώται άμείνους τάς γνώμας έχουσι διά τό μή ές ακουσίους άνάγκας πίπτειν· ό δέ πόλεμος ύφελών τήν ευπορίαν τού καθ’ ημέραν βίαιος διδάσκαλος καί προς τά παρόντα τάς όργάς 3 των πολλών όμοιοι, έστασίαζέ τε ούν τά των πό λεων, καί τά έφυστερίζοντά που πύστει των προγενομένων πολύ έπέφερε τήν ΰπερβολήν τού καινοϋσθαι τάς διανοίας τών τ’ έπιχειρήσεων περιτεχνήσει 4 καί τών τιμωριών άτοπίςι. καί τήν είωθυΐαν άξίωσιν τών ονομάτων ές τά έργα άντήλλαξαν τή δικαι ώσει. τόλμα μέν γάρ αλόγιστος ανδρεία φιλέταιρος ένομίσθη, μέλλησις δέ προμηθής δειλία ευπρεπής, τό δέ σώφρον τού άνάνδρου πρόσχημα, καί τό προς άπαν ξυνετόν έπί παν αργόν- τό δ’ έμπλήκτως ό|ύ άνδρός μοίρςι προσετέθη, άσφαλείρ δέ τό έπιβου3 λεύσασθαι αποτροπής πρόφασις εύλογος, καί ό μέν χαλεπαίνων πιστός αίεί, ό δ’ άντιλέγων αύτφ ύποπτος, έπιβουλεύσας δέ τις τυχών ξυνετός καί ύπονοήσας έτι δεινότερος- προβουλεύσας δέ δπως μηδέν αυτών δεήσει, τής τε έταιρίας διαλυτής καί τούς εναντίους έκπεπληγμένος. απλώς δέ ό φθάσας τόν μέλλοντα κακόν τι δράν έπηνεΐτο, καί ò έπικε-
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gli oligarchi, che chiedevano quello di Sparta. E mentre in tempo di pace sarebbe mancato loro il pretesto, e neppure sarebbero stati propensi a chia marli, in stato di guerra questi interventi, richiesti da chi intendeva prendere iniziative eversive, veni vano garantiti volentieri all’una come all’altra parte in lotta al fine di nuocere agli avversari e al tempo 2 stesso guadagnarsi alleati. Molte gravi sciagure colpirono le città lacerate dalla guerra civile, quali accadono e sempre accadranno fino a che la natura umana resterà uguale a se stessa, ma che si intensifi cano, si attenuano e prendono forma differente a se conda del prodursi di alterne vicende. In tempi di pace e di prosperità infatti gli Stati e i singoli indivi dui, liberi dalla stretta di imperiose necessità, sono animati da sentimenti migliori. Ma la guerra, por tando via le comodità delle consuetudini d ’ogni giorno, è maestra di violenza, e rende conforme alle 3 circostanze l’indole dei piu. Nelle città dunque in furiava la guerra civile, e quelle che per qualche mo tivo erano giunte a questo solo piu tardi, a cono scenza di ciò che altrove era già avvenuto, andavano molto piu in là nell’escogitare trovate nuove e sem pre peggiori con l’astuzia dei loro attacchi e il carat4 tere inaudito delle loro vendette. Cambiarono a piacimento il significato consueto delle parole in rapporto ai fatti. L ’audacia sconsiderata fu ritenuta coraggiosa lealtà verso i compagni, il prudente indu gio viltà sotto una bella apparenza, la moderazione schermo alla codardia, e l’intelligenza di fronte alla complessità del reale inerzia di fronte ad ogni stimo lo; l’impeto frenetico fu attribuito a carattere virile, il riflettere con attenzione fu visto come un sottile 5 pretesto per tirarsi indietro. Chi inveiva infuria to, riscuoteva sempre credito, ma chi lo contrasta va, era visto con diffidenza. Chi avesse avuto fortu na in un intrigo era intelligente, chi l’avesse intuito era ancora piu bravo; ma provvedere in anticipo ad evitare tali maneggi significava apparire disgregatore della propria eteria, e terrorizzato dagli avversa ri. Insomma, chi riusciva ad anticipare qualcun altro nel macchiarsi di una colpa era oggetto di encomio, come pure chi istigava qualcuno che non ne avesse
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6 λεύσας τον μή διανοούμενον, καί μήν καί το ξυγγενές τού εταιρικού άλλοτριώτερον έγένετο διά το έτοιμοτερον είναι απροφασίστως τολμάν* ού γάρ μετά των κειμένων νόμων ώφελίας αι τοιαύται ξύνοδοι, άλλα παρά τούς καθεστώτος πλεονεξία, καί τάς ές σφάς αυτούς πίστεις ού τφ θείω νόμω μάλλον έκ7 ρατύνοντο ή τώ κοινή τι παρανομήσαι. τά τε άπό των ενάντιων καλώς λεγάμενα ένεδέχοντο έργων φυλακή, εί προύχοιεν, καί ού γένναιότητι. άντιτιμωρησασθαι τε τινα περί πλείονος ην η αύτόν μή προπαθεΐν. καί δρκοι εϊ που άρα γένοιντο ξυναλλαγής, έν τώ αύτίκα προς το άπορον έκατέρφ διδόμενοιισχυον ούκ έχόντων αλλοΟεν δύναμιν έν δέ τφ παρατυχοντι ο ψΦασας θαροησαι, e i l ó o l αφαρκτον, ήδιον διά τήν πίστιν έτιμωρείτο ή άπό τοϋ προφα νούς, καί τό τε ασφαλές ελογιζετο καί δτι άπάττ] περιγενόμενος ξυνέσεως αγώνισμα προσελάμβανεν. ρςίον δ5οί πολλοί κακούργοι δντες δεξιοί κέκληνται η αμαθείς αγαθοί, και τώ μέν αίσχύνονται, επί δέ τώ 8 άγάλλονται. πάντων δ1 αύτών αίτιον άρχή ή διά πλεονεξίαν και φιλοτιμίαν· έκ δ’ αύτών καί ές τό φιλονικεΐν καθιστάμενων το πρόθυμον, οί γάρ έν ταΐς πόλεσι προστάντες μετά ονόματος έκάτεροι εύπρεπούς, πλήθους τε ισονομίας πολιτικής καί αριστοκ ρατίας σώφρονος προτιμήσει, τά μέν κοινά λόγφ θεραπεύοντες άθλα έποιούντο, παντί δέ τρόπω άγωνιζόμενοι άλλήλων περιγίγνεσθαι έτόλμησάν τε τά δεινότατα έπεξήσάν τε τάς τιμωρίας έ'τι μείζους, ού μέχρι τού δικαίου και τί) πολει ξυμφόρου προτιθέντες, ες δέ τό εκατέροις που αίεί ήδονήν έχον ορίζον τες, καί ή μετά ψήφου αδίκου καταγνώσεως ή χειρί κτωμενοι το κρατεΐν έτοιμοι ήσαν τήν αύτίκα φιλο-
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6 alcuna intenzione. Il vincolo di parentela divenne meno forte di quello fra compagni di eteria, poiché in essa si era piu risoluti e pronti ad un’audacia in condizionata: tali sodalizi non miravano all’utilità nel rispetto delle leggi vigenti, ma perseguivano in teressi privati in violazione dell’ordine stabilito. E gli impegni da loro assunti reciprocamente erano ga rantiti non dalla legge divina, ma dalla complicità 7 nell’oltraggio alla legge. Le proposte buone degli avversari le accettavano per salvaguardarsi con i fat ti nel caso prendessero il sopravvento, e non per no biltà d’animo. Poter vendicare un torto valeva più che non averne subito. E se mai vi erano giuramenti di riconciliazione, erano pronunciati da entrambe le parti perché non si vedeva via d’uscita e non valeva no che per il momento, non avendo i contraenti al cun altro modo di aiutarsi, ma, offrendosi l’occasio ne, il primo che prendeva coraggio, nel caso vedesse il suo avversario indifeso, esercitava la vendetta, ap profittandosi della fiducia, con piacere maggiore che a viso aperto, in considerazione e della propria sicurezza, e del fatto che in piu si aggiudicava il pre mio dell’intelligenza, spuntandola grazie a un in ganno. I piu si fanno chiamare piu volentieri furfan ti, ma abili, che onesti, ma poco perspicaci: di una 8 cosa si vergognano, dell’altra si vantano. Causa di tutto ciò erano l’aspirazione al dominio per cupidi gia e ambizione e le ardenti passioni che ne nascono quando si vuole vincere a tutti i costi. Infatti i capi delle fazioni cittadine, facendo uso gli uni e gli altri di parole speciose, preferendo parlare di uguaglian za di diritti politici del regime popolare, e di gover no moderato dell’aristocrazia, a parole servivano lo Stato, in realtà lo consideravano alla stregua del pre mio di una gara; e lottando senza esclusione di colpi per poter avere il sopravvento gli uni sugli altri, essi osarono le azioni peggiori, e compirono vendette ancora piu atroci, proponendosi di attuarle non en tro i limiti di ciò che era giusto e utile per la città: i limiti erano solo quelli del gusto che gli uni e gli altri potevano trarne. Che ne avessero possibilità grazie ad una condanna scaturita da una vittoria ingiusta, ovvero perché si erano impadroniti con la forza del
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ν ικ ία ν έκ π ιμ π λ ά να ι. ώ στε εύ σ εβ εία μέν ο υ δ έτερ ο ι έν ό μ ιζο ν , εύπρ επ είςι δέ λόγου οϊς ξυ μ β α ίη έπιφθόνω ς τι δια π ρ ά ξα σ θ α ι, άμεινον ήκουον. τά δέ μέσα τω ν πολιτώ ν ύπ ’ άμφοτέρων ή δτι ου ξυνη γω νίζο ντο ή φ θάνω τ ο ν π εριεΐναι διεφθείροντο. 83 Ο υτω π ά σ α Ιδέα κατέστη κ α κ ο τρ ο π ία ς δ ιά τάς στάσεις τφ Έ λ λη νικώ , κ α ί τό εΰηθες, ου τό γενναΐον πλεΐστον μετέχει, καταγελασθέν ήφ ανίσθη, τό δέ άντιτετά χθα ι άλλήλοις τη γνώμη άπίστω ς έπί πολύ διή2 νεγκεν ου γά ρ ή ν ò δια λ ύσω ν ο ύτε λόγος έχυρός ο ΰ τε δρ κος φ οβερός, κρ είσ σο υς δέ δντες ά π α ντες λ ο γισ μφ ές τό ά νέλ π ισ το ν τοΰ βεβαίου μή π α θ ε ίν 3 μάλλον π ρ ο υ σ κ ό π ο υ ν ή π ισ τεΰσ α ι έδ ύνα ντο . καί ο ί φ α υλ ό τερ ο ι γνώ μ η ν ώς τά π λείω π ερ ιεγ ίγνο ντο · τώ γά ρ δεδιένα ι τό τε αυτώ ν ένδεές καί τό τώ ν εναν τίω ν ξυνετόν, μή λόγοις τε ήσσους ωσι κ αί εκ τοΰ π ο λυτρό π ου α υτώ ν τής γνώ μης φ θ ά σ ω σ ι π ρ οεπ ιβ ου4 λευόμενοι, τολμηρώς προς τά έργα έχώ ρουν. ο ί δέ καταφ ρονοΰντες καν π ρ ο α ισ θέσ θα ι καί έργω ούδέν σφάς δεΐν λα μ β ά νειν ά γνώ μη έξεσ τιν, ά φ α ρ κ το ι μάλλον διεφθείροντο. *4 [ Έ ν δ ’ ο υ ν τη Κ έρ κ υ ρ α τά πολλά α υτώ ν προυτολμήθη, κ α ί όπόσα ϋβρει μέν άρχόμενοι τό πλέον ή σω φροσύνη ύπ ό τώ ν τήν τιμω ρίαν π αρασχόντω ν ο ί άντ α μ υ ν ό μ ε ν ο ι δ ρ ά σ εια ν, π εν ία ς δέ τής ε ίω θ υ ία ς άπ αλλαξείοντές τινες, μάλιστα δ’ άν ò l ù π ά θ ο υς, έπιθ υ μ ο ΰ ν τε ς τά τώ ν πέλας έχειν, π α ρ ά δ ίκ η ν γιγνώ -
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potere, erano pronti a saziare la bramosia di lotta che li animava al momento. Per cui né gli uni né gli altri si comportavano secondo pietà, ma - in virtù di un uso specioso della parola - chi avesse avuto in sorte di mandare ad effetto un’azione dettata dal rancore, ne guadagnava in reputazione. I cittadini che erano in posizione intermedia fra le due fazioni in lotta cadevano sotto i colpi degli uni e degli altri, o perché si erano rifiutati di prestare aiuto nel con flitto, o perché destava invidia che essi fossero lon tani dal pericolo. 83 Cosi, a causa delle guerre civili, in Grecia si vide ogni genere di pervertimento dei costumi, e il buon cuore, di cui è gran parte la nobiltà d’animo, fu co perto di ridicolo, mentre prevalse di gran lunga la contrapposizione fra gli individui animati da diffi2 denza reciproca: non era possibile infatti arrivare ad una riconciliazione, né ricorrendo ad argomenti ben fondati né a giuramenti terribili, ma, trovando tutti un maggior tornaconto nel non riporre alcuna speranza nella solidità dei rapporti, piuttosto che abbandonarsi a sentimenti di fiducia, prendevano 3 precauzioni per non incorrere in qualche guaio. Il più delle volte erano gli spiriti mediocri a imporsi poiché essi, animati da giusto timore per i limiti loro e le doti intellettuali degli avversari, paventando inoltre di essere inferiori per abilità oratoria, nonché di poter cadere per primi vittime di intrighi escogi tati dalle menti fervide di quelli, audacemente pas4 savano all’azione. Gli altri invece, presumendo di essere in grado di accorgersi per tempo di eventuali minacce e di non aver bisogno di prendere con la forza ciò che si poteva raggiungere in virtù del loro intelletto, non prendevano misure in propria difesa, e cosi era più facile che venissero eliminati. 84 [Fu a Corcira dunque che per la prima volta si osò commettere la maggior parte di tali violenze: quel che potevano compiere per rappresaglia uomini ret ti con protervia più che con saggezza da chi aveva offerto loro motivo di vendicarsi, e quel che contro giustizia potevano concepire alcuni altri, nel deside rio di liberarsi da tutta una vita di stenti, ma soprat tutto per un’appassionata brama dei beni altrui, e
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σκοιεν, ο ι τε μή επ ί πλεονεξίςχ, α π ό ίσ ου δέ μάλιστα έπ ιό ντες ά π α ιδ ε υ σ ία οργής π λεΐσ τον έκφ ερ όμ ενοι ώμώς κα ί απαραιτήτους έπέλθοιεν. ξυνταςκχχί)εν τός τε τοΰ βίου ές το ν κ α ιρ ό ν το ΰ το ν τή π όλ ει κ α ί τω ν νόμω ν κρατήσασα ή ά νθρ ω π εία φύσις, είω θυΐα καί π α ρ ά τούς νόμους άδικεΐν, άσμένη έδήλωσεν ά κ ρατης μ εν οργής οΰσα, κρείσσων δέ τού δικαίου, π ο λέμια δέ τοΰ π ρούχοντος· ού γά ρ ά ν τοΰ τε όσιου τό τιμ ω ρ εΐσ θ α ι π ρ ο υ τίθ εσ α ν τοΰ τε μή ά δ ικ ειν τό κερδ α ίν ε ιν , έν φ μή β λ ά π το υσ α ν Ισχύν είχε τό φθονεΐν. ά ξ ιο ΰ σ ίτ ε τούς κοινούς π ερ ί τών τοιούτω ν οί ά ν θ ρ ω π ο ι νό μ ο υς, άφ ’ ών ά π α σ ιν ελπίς ύ π ό κ ε ιτα ι σφ αλεΐσι κ α ν α υ το ύ ς δια σ ώ ζεσ θ α μ έν άλλω ν τιμω ρίαις π ρ οκαταλ ύειν κ α ί μή ύπ ολ είπ εσθα ι, ει ποτέ άρα τις κινδυνεύσα ς τινός δεήσεται αίιτών], Ο ί μέν ούν κ α τά τή ν πόλιν Κ ε ρ κ υ ρ α ΐο ι το ια ύτα ις όργα ΐς ταΐς π ρ ώ τα ις ές άλλήλους έχρήσαντο, κ α ί ό Ε ύ ρ υ μ έδ ω ν κ α ί ο ί Α θ η ν α ίο ι ά π έπ λ ευσ α ν ταΐς ναυσ ίν ύστερον δέ οί φεύγοντες των Κ ερκυραίω ν (διεσ ώ θ η σ α ν γά ρ α υ τώ ν ές π εντα κοσ ίους) τείχη τε λαβόντες, ά ήν έν τή ή π είρω , έκ ρ ά το υ ν τής π έρ α ν ο ι κείας γής κα ί έξ αυτής όρμώ μενοι έλ ή ζο ντο τούς έν τή νήσφ κ α ί πολλά έβλαπτον, κα ί λιμός ισχυρός έγένέτο έν τή πόλει. έπ ρ εσβεύοντο δέ κ α ί ές τήν Λ α κ εδ α ίμ ο να κ α ί Κ ό ρ ιν θ ο ν π ερ ί κ α θ ό δ ο υ · κ α ί ώς ούδέν α ύτο ϊς έπ ράσ σετο, ύσ τερ ον χρόνω π λο ία κ α ί έπ ικ ο ΰρ ο υς π α ρ α σ κ ευα σ ά μ ενο ι διέβησ α ν ές τήν νή σον έξ α κ ό σ ιο ι μάλιστα ο ί π ά ντες, κ α ί τα π λο ία έμπρήσαντες, όπω ς ά π ό γνο ια ή τοΰ άλλο τι ή κρατεΐν τής γής, άναβάντες ές τό όρος τήν Ίσ τώ νη ν, τείχος ένοικοδομησάμενοι έφ θειρον τούς έν τή πόλει κα ί τής γής έκράτουν. Τ οΰ ο αύτοΰ θέρ ους τελευτώ ντος Α θ η ν α ίο ι είκο σι ν α ΰ ς έσ τειλα ν ές Σ ικ ελ ία ν κ α ί Λ ά χ η τα τό ν Μ ε λανω πού σ τρατηγόν αυτώ ν κ α ί Χ α ρ ο ιά δ η ν τό ν Ε ύ -
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infine le aggressioni che potevano compiere con cru deltà e spietatezza quelli che si scagliavano, e non per avidità, contro avversari loro pari, trascinati da una rabbia incontrollata che non conosceva limi2 ti. La vita della città in quel frangente venne scon volta, e la natura umana, che è solita commettere il male violando le leggi, sulle leggi ebbe la meglio, e si compiacque di mostrare che, incapace di dominare la propria collera, è più forte della giustizia e nemica di ogni piu alto valore: non si sarebbe anteposta la vendetta alle leggi divine, né il lucro al rispetto del le leggi umane, se l’invidia non avesse avuto una 3 forza corruttrice. Gli uomini cosi presumono, per prendersi la vendetta su altri, di poter annullare le leggi generalmente accettate in proposito, su cui ognuno fonda la propria speranza di salvezza qualora abbia la peggio, e di non doverle lasciare in vigore, se mai un giorno uno dovesse nel pericolo avere bi sogno di appellarsi a qualcuna di esse], 8s Con tale ferocia dunque - e fu la prima volta - i Corciresi della città si scatenarono gli uni contro gli altri. E la flotta ateniese al comando di Eurimedon2 te riparti. Successivamente i Corciresi esuli (se ne erano salvati circa cinquecento) si impadronirono di alcune fortificazioni che erano sulla terraferma, riu scendo cosi ad avere il controllo del territorio anti stante l’isola che faceva parte dello Stato corcirese: di li muovevano per compiere scorrerie contro i Corciresi dell’isola causando molti danni; e vi fu in 3 città una grave carestia. Inviarono anche amba scerie a Sparta e Corinto circa il loro ritorno, senza ottenere però alcun risultato. Si procurarono allora truppe mercenarie e imbarcazioni e, attraversato il braccio di mare, sbarcarono a Corcira; in tutto era no circa seicento. Li giunti, bruciarono le imbarca zioni per non avere altra speranza che quella di im padronirsi del paese; salirono poi sul monte Istone, vi costruirono in propria difesa una fortificazione e di li agivano ai danni di quelli della città, avendo il controllo della campagna. 86 Alla fine della stessa estate gli Ateniesi inviarono in Sicilia venti navi al comando degli strateghi La chete figlio di Melanopo, e Careade figlio di Eufile-
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2 φιλήτου. οί γάρ Συρακόσιοι καί Λεοντΐνοι ές πόλε μον άλλήλοις καθέστασαν. ξύμμαχοι δέ τοΐς μέν Συρακοσίοις ήσαν πλήν Καμαριναίων αί άλλαι Λωρί δες πόλεις, αϊπερ καί προς τήν των Λακεδαιμονίων τό πρώτον άρχομένου τοΰ πολέμου ξυμμαχίαν έτάχθησαν, ού μέντοι ξυνεπολέμησάν γε, τοΐς δέ Λεοντίνοις αί Χαλκιδικαί πόλεις καί Καμάρινα- της δέ Ι ταλίας Λοκροί μέν Συρακοσίων ήσαν, 'Ρηγίνοι δέ 3 κατά τό ξυγγενές Λεοντίνων. ές οΰν τάς Α θήνας πέμψαντες οί των Λεοντίνων ξύμμαχοι κατά τε πα λαιόν ξυμμαχίαν καί ότι ’Ίωνες ησαν πείθουσι τούς Αθηναίους πέμψαι σφίσι ναΰς- υπό γάρ των Συρακο4 σίων τής τε γης εϊργοντο καί τής θαλάσσης, καί έπεμψαν οί Αθηναίοι τής μέν οίκειότητος προφάσει, βουλόμενοι δέ μήτε σίτον ές τήν Πελοπόννησον άγεσθαι αύτόθεν πρόπειράν τε ποιούμενοι εί σφίσι δυ νατά εϊη τά έν τή Σικελία πράγματα υποχείρια γενέ5 σθαι. καταστάντες ούν ές 'Ρήγιον τής Ιταλίας τον πόλεμον έποιοΰντο μετά των ξυμμάχων. καί τό θέ ρος έτελεύτα. 8χ Τοΰ δ’ έπιγιγνομένου χειμώνος ή νόσος τό δεύτε ρον επέπεσε τοΐς Άθηναίοις, έκλιποϋσα μέν ούδένα χρόνον τό παντάπασιν, έγένετο δέ τις δμως διοκω2 χή. παρέμεινε δέ τό μέν ύστερον ούκ έλασσον ένιαυτοΰ, το δέ πρότερον καί δύο έτη, ώστε Α θηνα ί ους γε μη είναι δτι μάλλον τούτου έπίεσε καί έκάκωσε 3 τήν δύναμιν· τετρακοσίων γάρ οπλιτών καί τετρακισχιλίων ούκ έλάσσους άπέθανον έκ τών τάξεων καί τριακοσίων ιππέων, τοΰ δέ άλλου δχλου άνεξεύ4 ρετος αριθμός, έγένοντο δέ καί οί πολλοί σεισμοί τότε τής γής, έν τε Α θήναις καί έν Εύβοια καί έν Βοιωτοϊς καί μάλιστα έν Όρχομενώ τώ Βοιωτίφ. 88 Καί οί μέν έν Σικελία Α θηνα ίοι καί 'Ρηγίνοι τοΰ αυτοΰ χειμώνος τριάκοντα ναυσί στρατεύουσιν έπί τάς Αιόλου νήσους καλουμένας- θέρους γάρ δι’ άνυ2 δρίάν αδύνατα ήν έπιστρατεύειν. νέμονται δέ Λιπαραϊοι αύτάς, Κνιδίων άποικοι δντες. οίκοΰσι δ’ έν μια τών νήσων ού μεγάλη, καλείται δέ Λιπάρα· τάς δέ άλλας έκ ταύτης όρμώμενοι γεωργοΰσι, Διδύμην
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to, poiché era scoppiata la guerra fra Siracusa e Leontini. Alleate di Siracusa erano tutte le città do riche, ad eccezione di Camarina; subito all’inizio della guerra esse si erano schierate con la lega pelo ponnesiaca, senza però prendere parte alla guerra. A fianco di Leontini erano le città calcidesi e Camari na. In Italia Locri si era schierata con Siracusa, Re gio con Leontini in base all’affinità di stirpe. La le ga che faceva capo a Leontini inviò dunque ad Atene un’ambasceria, al fine di indurre gli Ateniesi, in no me della loro antica alleanza e dell’appartenenza alla stessa stirpe ionica, a mandare loro delle navi, giac ché Siracusa attuava nei loro confronti un blocco ter restre e marittimo. E Atene inviò loro le navi, col pretesto del vincolo derivante dall’affinità di stirpe; ma il vero scopo era non far più giungere da li grano in Peloponneso. Inoltre facevano cosi un primo ten tativo per vedere se fosse loro possibile prendere il controllo della situazione in Sicilia. Fissarono dun que la loro base a Regio, in Italia, e di li sostenevano i loro alleati nelle operazioni militari. Cosi finiva l’e state. Nell’inverno successivo ad Atene vi fu una nuova epidemia di peste. Il morbo, a dire il vero, non era mai scomparso del tutto, però aveva dato un po’ di tregua. La fase di recrudescenza del male durò non meno di un anno - la precedente addirittura due - e nessuna sciagura risultò più di questa grave per gli Ateniesi, e tale da fiaccarne la potenza: morirono al lora non meno di quattromilaquattrocento uomini delle file degli opliti e trecento cavalieri, oltre al nu mero imprecisabile di vittime che si ebbero nel popo lo minuto. In questo periodo si produssero anche i numerosi terremoti che interessarono Atene, l’Eubea e la Beozia, soprattutto Orcomeno di Beozia. Nello stesso inverno gli Ateniesi impegnati nelle operazioni in Sicilia e i Regini assalirono con trenta navi le isole chiamate Eolie (d’estate l’attacco sareb be stato impossibile a causa della mancanza d’ac qua) . Le isole sono occupate dai Liparei, coloni di Cnido. Una sola di esse, non particolarmente gran de, è abitata, quella che ha nome Lipari; e da essa partono i Liparei per coltivare le altre, Didime,
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3 καί Στρογγυλήν καί Ίεράν. νομίξουσι δέ οι εκείνη άνθρωποι έν τή 'Ιερφ ώς ò "Ηφαιστος χαλκεύει, δτι την νύκτα φαίνεται πΰρ άναδιδοΰσα πολύ καί τήν ημέραν καπνόν, κεΐνται δέ αί νήσοι αύται κατά τήν Σικελών καί Μεσσηνίων γην, ξύμμαχοι δ" ήσαν Συ4 ρακοσίων. τεμόντες δ’ οί Αθηναίοι τήν γην, ώς ού προσεχώρουν, άπέπλευσαν ές τό 'Ρήγιον. καί ο χειμών έτελεύτα, καί πέμπτον έτος τω πολέμφ έτελεύτα τφδε δν Θουκυδίδης ξυνέγραψεν. 89 Του δ’ έπιγιγνομένου θέρους Πελοποννήσιοι καί οί ξύμμαχοι μέχρι μέν τοϋ Ισθμού ήλθον ώς ές τήν Αττικήν έσβαλοΰντες, Ά γιδο ς τοϋ Άρχιδάμου η γουμένου Λακεδαιμονίων βασιλέως, σεισμών δέ γενομένων πολλών άπετράποντο πάλιν καί ούκ έγένε2 το έσβολή. καί περί τούτους τούς χρόνους, τών σει σμών κατεχόντων, τής Εύβοιας έν Όροβίαις ή θά λασσα έπανελθοϋσα άπό τής τότε οΰσης γής καί κυματωθεΐσα έπήλθε τής πόλεως μέρος τι, καί τό μέν κατέκλυσε, τό δ" ύπενόστησε, καί θάλασσα νΰν έστί πρότερον οΰσα γή· καί ανθρώπους διέφθειρεν δσοι μή έδύναντο φθήναι προς τά μετέωρα άναδραμόν3 τες. καί περί "Αταλάντην τήν επί Λοκροϊς τοϊς ’Οπουντίοις νήσον παραπλήσια γίγνεται έπίκλυσις, καί τού τε φρουρίου τών "Αθηναίων παρεΐλε καί δύο. 4 νεών άνειλκυσμένων τήν έτέραν κατέαξεν. έγένετο δέ καί έν Πεπαρήθιμ κύματος έπαναχώρησίς τις, ον μέντοι έπέκλυσέ γε· καί σεισμός τού τείχους τι κατέβαλε καί τό πρυτανεΐον καί άλλας οικίας όλί5 γας. αίτιον δ" εγωγε νομίζω τού τοιούτου, ή ι σχυρότατος ό σεισμός έγένετο, κατά τούτο άποστέλλειν τε τήν θάλασσαν καί εξαπίνης πάλιν έπισπωμένην βιαιότερον τήν έπίκλυσιν ποιεΐν άνευ δέ σει σμού ούκ άν μοι δοκεΐ τό τοιοΰτο ξυμβήναι γενέσθαι. 9 ° ^ Τοϋ δ" αυτού θέρους έπολέμουν μέν καί άλλοι, ώς έκάστοις ξυνέβαενεν, έν τή Σικελία καί αυτοί οί Σικελιώται έπ’ αλλήλους στρατεύοντες καί οί Α θηναίοι ξύν τοϊς σφετέροις ξυμμάχοις· ά δέ λόγου μάλιστα ά ξια ή μετά τών "Αθηναίων οί ξύμμαχοι έπραξαν ή προς τούς "Αθηναίους οί άντιπόλεμοι, τούτων μνη2 σθήσομαι. Χαροιάδου γάρ ήδη τού "Αθηναίων
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3 Strongile e Iera. La gente là crede che a Iera E fe sto abbia la sua fucina, poiché di notte la si vede emettere molto fuoco, e di giorno fumo. Queste isole si trovano in direzione del territorio dei Siculi e dei 4 Messeni, ed erano alleate di Siracusa. G li Atenie si devastarono il paese ma, non riuscendo ad ottene re la resa degli abitanti, se ne tornarono a Regio. Cosi l ’inverno finiva, e con esso il quinto anno di questa guerra la cui storia è narrata da Tucidide. 89 L ’estate successiva i Peloponnesiaci e gli alleati, al comando di Agide figlio di Archidamo, re di Sparta, avanzarono sino all’ Istmo con l’intenzione di inva dere l’Attica, ma il prodursi di numerose scosse tel luriche li fece ritornare indietro e non vi fu alcuna 2 invasione. A ll’incirca in questo periodo in cui vi furono terremoti cosi frequenti, a Orobie, in Eubea, il mare si ritrasse da quella che allora era la co sta e poi con alte ondate tornò ad abbattersi su una zona della città; parte delle acque rifluì, ma altrove l’inondazione sommerse definitivamente la terra ferma, e quello che era terra oggi è mare. Tutti quel li che non fecero in tempo a raggiungere di corsa 3 luoghi elevati persero la vita. Anche nell’isola Atalanta, di fronte alla Locride Opunzia, ci fu un’inondazione analoga che fece crollare parte del forte ateniese e ridusse in pezzi una delle due navi tirate 4 in secco. Anche a Pepareto i flutti marini si ritira rono, senza però che si producesse un’inondazione, e una scossa di terremoto abbatté parte del muro, il 5 pritaneo e poche altre case. La causa di un tale fe nomeno risiede, credo, nel fatto che il mare, li dove il terremoto è piu violento, si ritira e poi, affluendo di nuovo all’improvviso con notevole violenza, pro duce l’inondazione; senza terremoto, a mio parere, un tale fenomeno non si verificherebbe. 9° Nel corso della stessa estate in Sicilia si combatte va, ed erano impegnate negli scontri, secondo le vi cende proprie di ognuna, diverse popolazioni, fra cui gli stessi Sicelioti, che si facevano guerra gli uni contro gli altri, e gli Ateniesi con gli alleati: io però registrerò solo le azioni belliche piu notevoli realiz zate o insieme agli Ateniesi dai loro alleati o contro 2 gli Ateniesi dai loro nemici. Dopo la morte dello
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σ τρ α τη γο ύ τεθ νη κ ό το ς ΰ π ό Σ υ ρ α κ ο σ ίω ν πολέμφ Λ ά χη ς ά π α σ α ν έχων τω ν νεώ ν τη ν άρχήν έστράτευσε μετά τώ ν ξυ μ μ ά χ ω ν επ ί Μ υλά ς τάς Μ εσ σ ηνίω ν. έτυχον δέ δύο φυλαί έν ταΐς Μ υλαΐς των Μ εσσηνίω ν φ ρ ο υρ ο ϋσ α ι κ α ί τινα κ α ί ένέδρ α ν π επ ο ιημ ένα ι τοΐς 3 ά π ό τω ν νεώ ν. ο ι δέ Α θ η ν α ίο ι κα ί οί ξύ μ μ α χ ο ι το ύς τε έκ τής ένέδρ α ς τρ έπ ο υ σ ι κ α ί δ ια φ θ ε ίρ ο υ σ ι πολλούς, κ α ί τω έρύμα τι π ροσβαλόντες ή νά γκα σ α ν όμολογίρ. τή ν τε ά κ ρ ό π ο λ ιν π α ρ α δ ο ύ ν α ι κ α ί επ ί 4 Μ εσ σ ή νη ν ξυ σ τρ α τεΰ σ α ι. κ α ί μετά το ύτο έπελθόντω ν ο ί Μ εσσήνιοι τω ν τε Α θ η ν α ίω ν καί τω ν ξυ μ μάχω ν προσεχώ ρησαν κ α ί αυτοί, όμηρους τε δόντες κα ί τα άλλα πιστά παρασχόμενοι. 9ΐ Τ ο ύ δ ’ α υτο ύ θ έρ ο υ ς ο ί Α θ η ν α ίο ι τρ ιά κ ο ντα μέν ν α ύ ς έσ τειλ α ν π ερ ί Π ελ ο π ό ννη σ ο ν, ώ ν έσ τρ α τή γει Δ ημοσθένης τε ό Ά λ κ ισ θ έ ν ο υ ς κ α ί Π ροκλής ò Θ εο δ ώ ρ ο υ, εξή κ ο ντα δέ ές Μ ήλον κ α ί δισ χιλίο υς όπλίτας· έσ τρ α τή γει δέ α υ τώ ν Ν ικ ία ς ò Ν ικ η ρ ά 2
του. τούς γάρ Μηλίους όντας νησιώτας καί ούκ έθέλοντας ύπακούειν ουδέ ές τό αυτών ξυμμαχικόν
3 ίένα ι έβούλοντο π ρ οσ αγαγέσ θαι. ως δέ αΰτοΐς δηουμ ένη ς τής γής ου π ρ ο σ εχ ώ ρ ο υ ν, ά ρ α ντες έκ τής Μ ήλου αυτο ί μέν έπλευσαν ές Ώ ρ ω π ό ν τής Γραϊκής, ΰπ ό νύ κ τα δέ σχόντες ευ θ ύ ς έπ ο ρεύοντο ο ί όπλΐται 4 ά π ό τώ ν νεώ ν π εζή ές Τ ά ν α γρ α ν τής Β οιω τία ς, οί δέ έκ τής πόλεως π α νδη μ εί Α θ η ν α ίο ι, Ίπ π ο ν ίκ ο υ τε τού Κ αλλίου στρατηγούντος κα ί Ε ύρυμ έδο ντος τού Θ ουκλέους, άπ ό σημείου ές τό α υ τ ό κα τά γή ν άπήν5 των. κ α ί σ τρατοπ εδευσ ά μ ενοι τα ύτην τήν ημέραν έν τή Τ α νά γ ρ α έδήουν καί ένηυλίσαντο. και τή υστε ραία μάχη κρατήσαντες τούς έπεξελθόντας τώ ν Τ α ν α γ ρ α ίω ν κ α ί Θ η β α ίω ν τινά ς π ρ ο σ β εβ ο η θ η κό τα ς κ α ί δ π λ α λα βόντες κ α ί τ ρ ο π α ίο ν σ τήσ αντες άν εχ ώ ρ η σ α ν , ο ί μέν ές τή ν π όλ ιν, ο ί δέ έπ ί τάς 6 να ύς. κ α ί π α ρ α π λ εύ σ α ς ο Ν ικ ία ς ταΐς εξή κ ο ντα να υ σ ί τής Λ ο κ ρ ίδ ο ς τά έπ ιθ α λ ά σ σ ια έτεμε κ α ί άνεχώ ρησεν έπ’ οϊκου.
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stratego ateniese Careade, avvenuta in precedenza nel corso della guerra in uno scontro con i Siracusa ni, Lachete, che era ora l’unico comandante della flotta, portò con gli alleati un attacco alla città messenia di Mile, che si trovava ad essere difesa da due tribù di Messeni. Questo presidio aveva anche teso 3 un’imboscata alle truppe sbarcate dalle navi, ma gli Ateniesi e gli alleati volsero in fuga i soldati in ag guato, uccidendone anche molti, assalirono la for tezza e costrinsero la città a venire ad un accordo in base a cui dovevano consegnare la fortezza e muove4 re con loro contro Messina. Ma quando poi Ate niesi e alleati giunsero a Messina, anche questa città si arrese, consegnò degli ostaggi e diede per tutto il resto garanzie ad Atene. 91 La stessa estate gli Ateniesi inviarono una spedi zione di trenta navi, al comando di Demostene fi glio di Alcistene, e Prode figlio di Teodoro, intorno al Peloponneso, e una spedizione composta da ses santa navi e duemila opliti, al comando di Nicia fi2 glio di Nicerato, contro Melo. Scopo della spedi zione era di costringere i Meli a schierarsi dalla loro parte: nonostante vivessero su un’isola, non voleva no essere sottomessi e rifiutavano di entrare a far 3 parte della lega attica. I Meli però, anche dopo aver subito la devastazione della loro terra, non si ar rendevano, per cui gli Ateniesi partirono di li e fece ro rotta verso Oropo, in Graica; sbarcarono di not te e subito gli opliti scesero dalle navi e si misero in 4 marcia verso Tanagra, in Beozia. Nel frattempo, ad un segnale convenuto, gli Ateniesi uscirono in massa dalla città, al comando di Ipponico figlio di Calila ed Eurimedonte figlio di Tucle, e, via terra, si 5 recarono anche loro li. Accampatisi, nel corso di quella giornata devastarono il territorio di Tanagra; la notte bivaccarono li. Il giorno dopo vi fu una bat taglia contro i Tanagresi usciti dalla città e truppe tebane giunte in appoggio; gli Ateniesi uscirono vin citori dallo scontro, fecero bottino di armi e, dopo aver innalzato un trofeo, si ritirarono: gli uni torna6 rono in città, gli altri alle navi. Nicia prosegui con le sue sessanta navi lungo la Locride, ne devastò le zone costiere e infine ritornò alla base.
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Ύ π ό δ ε τό ν χρόνον τούτον Λ α κ ε δ α ιμ ό ν ιο ι Η ράκ λειον τήν εν Τραχινίρ αποικίαν καθίσταντο άπό τοι2 άσδε γνώμης. Μηλιής οί ξύμπαντες είσί μέν τρία μέρη, Παράλιοι Ίριής Τραχίνιοι· τούτων δ ε οί Τραχίνιοι πολεμώ εφθαρμένοι ύπό Οίταίων ομόρων δντων, τό πρώτον μελλήσαντες Άθηναίοις προσθεΐναι σφάς αυτούς, δείσαντες δέ μη ού σφίσι πιστοί ώσι, η έ μ η ο ν σ ιν ε ς Λ α κ ε δ α ιμ ο ν α , έ λ ό μ ε ν ο ι πρεσβευτήν 3 Τείσαμενόν. ξυνεπρεσβεύοντο δέ αύτοϊς καί Δωριής, ή μητρόπολις των Λακεδαιμονίων, των αυτών δεόμενοι· υπό γαρ τών Οιταίων καί αυτοί έφθείρον4 τ?' , ακούσαντες δέ οί Λακεδαιμόνιοι γνώμην ειχον τήν άποικίαν έκπέμπειν, τοΐς τε Τραχινίοις βουλόμενοι καί τοΐς Δωριεΰσι τιμωρεΐν, καί αμα τοΰ προς Α θηναίους πολέμου καλώς αύτοϊς έδόκει ή πόλις καθίστασθαι· επί τε γαρ τή Εύβοίρ ναυτικόν παρασκευασθήναι αν, ώστ’ έκ βραχέος τήν διάβασιν γί γνεσθαι, τής τε επί Θρρκης παρόδου χρησίμως εξειν. 5 το τε ξύμπαν ώρμηντο τό χωρίον κτίζειν. πρώτον μέν ουν εν Δελφοΐς τον θεόν έπήροντο, κελεύοντος δέ εξέπεμψαν τούς οίκήτορας αυτών τε καί τών πε ρίοικων, και τών άλλων Ελλήνων τόν βουλόμενον εκέλευον επεσθαι πλήν Ίώνων καί Αχαιών καί έστιν ων άλλων εθνών, οίκισταί δέ τρεις Λακεδαιμονίων 6 ηγήσαντο, Λέων καί Άλκίδας καί Δαμάγων. καταστάντες δέ έτείχισαν τήν πόλιν έκ καινής, ή νύν Ηράκλεια καλείται, άπέχουσα Θερμοπυλών σταδίους μάλιστα τεσσαράκοντα, τής δέ θαλάσσης εί κοσι. νεώριά τε παρεσκευάζοντο, καί ειρξαν τό κα τά Θερμοπύλας κατ’ α υ τ ό τό σ τ ε ν ό ν , ό π ω ς εύφύ93 λακτα αύτοϊς εΐη. οί δέ Α θηναίοι τής πόλεως ταύτιΊ5 ξυνοικιζομένης τό πρώτον εδεισάν τε καί ένόμισαν έπί τή Εύβοίρ μάλιστα καθίστασθαι, δτι βραχύς εστιν ό διάπλους προς τό Κήναιον τής Εύβοιας, επειτα μέντοι παρά δόξαν αύτοϊς άπέβη· ού γάρ έγέ9*
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Intorno a questo periodo gli Spartani fondarono la colonia di Eraclea di Trachis. Il loro intento era 2 questo. I Meliei nel loro insieme si dividono in tre popolazioni: Parali, Iriesi e Trachini. Orbene, i Tra chini, duramente provati dalla guerra con la popola zione confinante degli Etei, in un primo momento avevano pensato di schierarsi al fianco degli Atenie si, poi però, temendo che l ’alleanza con Atene non desse loro alcuna garanzia, mandarono un’ambasce ria a Sparta; come ambasciatore scelsero Tisame3 no. Presero parte alla ambasciata anche gli abitan ti della Doride - paese di cui erano originari gli Spar tani - , per avanzare la stessa richiesta, poiché anche 4 loro erano logorati dagli Etei. A ll’udire il messag gio recato dall’ambasceria, gli Spartani decisero di dedurre la colonia, perché volevano garantire il loro aiuto a Trachini e Dori, e al tempo stesso perché la fondazione di questa città pareva favorevole ai loro piani circa la guerra contro Atene: si sarebbe potuta allestire li una flotta contro l’Eubea, avendo in tal modo una traversata più corta, e sarebbe stata quel la un’utile base di partenza per passare in Tracia. Insomma, era loro intenzione fondare questo cen5 tro. Consultarono in primo luogo il dio di Delfi, e ricevutone l’assenso, inviarono sul posto come colo ni spartiati e perieci. Estesero l’invito ad unirsi al gruppo dei coloni anche a chiunque altro fra i Greci lo volesse, con la sola esclusione di Ioni, di Achei e di qualche altra popolazione. Guidavano il gruppo quali fondatori della colonia tre spartani, Leone, Àl6 cida e Damagone. Stabilitisi in quella località, diedero nuove fortificazioni alla città, che si chiama ora Eraclea e dista circa quaranta stadi dalle Termo pili e venti stadi dal mare. Crearono cantieri navali, e costruirono uno sbarramento dalla parte delle Ter mopili proprio in direzione del passo, per agevolar93 ne la difesa. La deduzione in comune di questa co lonia in un primo momento costituì motivo di timo re per gli Ateniesi: credettero che questo centro fos se stato creato soprattutto in vista di un attacco all’Eubea, poiché la traversata di lì al Ceneo in Eubea è breve. In seguito tuttavia le cose non ebbero l ’esi to da loro immaginato, poiché nessun pericolo ven-
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2 νέτο άπ' αυτής δεινόν ούδέν. αίτιον δέ ήν οϊ τε θεσσαλοί έν δυνάμει δντες των ταύτη χωρίων, καί ών έπί τή γή έκτίζετο, φοβούμενοι μή σφίσι μεγάλη ίσχύι παροικώσιν, έφθειρον καί διά παντός έπολέμουν άνθρώποις νεοκαταστάτοις, έως έξετρύχωσαν γενομένους τό πρώτον καί πάνυ πολλούς (πας γάρ τις Λακεδαιμονίων οίκιζόντων θαρσαλέως ήει, βέ βαιον νομίξων την πόλιν)· ού μέντοι ήκιστα οί άρ χοντες αυτών τών Λακεδαιμονίων οί άφικνούμενοι τά πράγματά τε έφθειρον καί ές όλιγανθρωπίαν κατέστησαν, έκφοβήσαντες τούς πολλούς χαλεπώς τε καί έστιν α ού καλώς εξηγούμενοι, ώστε ρςχον ήδη αυτών οί πρόσοικοι έπεκράτουν. 94 Τού δ'αυτού θέρους, καί περί τόν αυτόν χρόνον δν εν τή Μήλω οί Α θηνα ίοι κατείχοντο, καί οί από τών τριάκοντα νεών 'Αθηναίοι περί Πελοπόννησον οντες πρώτον εν Έλλομενώ τής Λευκαδίας φρου ρούς τινας λοχήσαντες διέφθειραν, έπειτα ύστερον έπί Λευκάδα μείξονι στόλφ ήλθον, Ά καρνδσί τε πάσιν, οι πανδημεί πλήν Οίνιαδών ξυνέσποντο, καί Ζακυνθίοις καί Κεφαλλήσι καί Κερκυραίων πέντε 2 καί δέκα ναυσίν. καί οί μέν Λευκάδιοι τής τε έξω γής δηουμένης καί τής έντός τού ισθμού, έν ή καί ή Λεύκάς έστι καί τό ιερόν τού 'Απόλλωνος, πλήθει βιαζόμενοι ήσύχαζον οί δέ Άκαρνάνες ήξίουν Δη μοσθένη τον στρατηγόν τών 'Αθηναίων άποτειχίζειν αυτούς, νομίζοντες ρρδίως γ' άν έκπολιορκήσαι καί 3 πόλεως αίεί σφίσι πολέμιας άπαλλαγήναι. Δημο σθένης δ' άναπείθεται κατά τον χρόνον τούτον υπό Μεσσηνίων ώς καλόν αύτώ στρατιάς τοσαύτης ξυνειλεγμένης Αίτωλοΐς έπιθέσθαι, Ναυπάκτφ τε πολεμίοις ούσι καί, ήν κρατήση αυτών, ρρδίως καί τό άλλο 'Ηπειρωτικόν τό ταύτη Ά θηναίοις προσποιή-
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1 ne loro da quella città. Motivo di ciò fu che i Tes sali e i popoli contro il cui territorio era volta la fon dazione della colonia ebbero timore di avere dei vi cini cosi potenti, e allora si diedero a logorare con continue azioni di guerra la gente che da poco si era li insediata, fino a quando l’ebbero ridotta allo stre mo, nonostante che all’inizio i coloni fossero stati numerosissimi, poiché il fatto che si trattasse di una colonia fondata da Sparta incoraggiava ognuno ad andare a stabilirvisi nella convinzione che la città fosse sicura. Tuttavia furono proprio i magistrati giunti da Sparta, loro soprattutto, a portare alla ro vina la città e a causarne lo spopolamento, perché terrorizzavano la massa della popolazione governan do con durezza, e talora anche in modo poco avve duto. La conseguenza fu che ormai i popoli vicini piu facilmente riuscivano a sopraffarli. 94 Nella stessa estate, e nello stesso periodo in cui gli Ateniesi erano impegnati a Melo, gli Ateniesi delle trenta navi in missione intorno al Peloponneso tese ro innanzi tutto a Ellomeno, nel territorio di Leucade, un’imboscata a soldati che erano li di guarnigio ne uccidendoli tutti, e poi, in seguito, attaccarono Leucade con forze più numerose, poiché si erano lo ro aggiunti tutti gli Acarnani, che, ad eccezione de gli Eniadi, parteciparono alla spedizione in massa, gli abitanti di Zacinto e Cefalonia e inoltre quindici 2 navi corciresi. Gli abitanti di Leucade, nonostan te che venisse devastata la loro terra al di là ma an che al di qua dell’istmo, li dove si trovano pure la città di Leucade e il tempio di Apollo, erano costret ti dalla preponderanza numerica del nemico a subi re senza reagire; ma gli Acarnani chiesero a Demo stene, lo stratego ateniese, di innalzare un muro per bloccare Leucade, credendo di poterla costringere facilmente alla resa e di liberarsi cosi di una città che 3 era stata sempre loro nemica; però Demostene in quel periodo dava retta piuttosto ai Messeni, a dire dei quali sarebbe stato opportuno che egli, avendo messo insieme un cosi grande stuolo, assalisse gli Etoli che erano nemici di Naupatto: se li avesse vinti, avrebbe guadagnato facilmente ad Atene l’appoggio anche di tutte le altre popolazioni di quella zona del-
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4 σειν. το γάρ έθνος μέγα μέν είναι τό των Αίτωλών καί μάχιμον, οίκοΰν δε κατά κώμας ατείχιστους, καί ταύτας διά πολλοΰ, καί σκευή ψιλή χρώμενον ού χα λεπόν άπέφαινον, πριν ξυμβοηθήσαι, καταστραφή5 να ι. έπ ιχ ειρ εΐν δ ’ έκέλευον π ρ ώ το ν μέν Α π ο δ ω τοΐς, έπ ειτα δέ Ό φ ιο ν ε ΰ σ ι κ α ί μετά το ύτου ς Ε ύ ρ υ τά σ ιν , δπ ερ μ έγισ το ν μέρος έσ τί τω ν Α ίτω λ ώ ν, ά γν ω σ τό τα το ι δέ γλ ώ σ σ α ν κ α ί ώ μ ο φ ά γο ι είσ ίν, ώς λέγονται· τούτω ν γά ρ ληφ θέντω ν ρρδίω ς κα ί ταλλα 9 S π ροσ χω ρή σειν. ό δέ τώ ν Μ εσ σ η νίω ν χ ά ρ ιτι π εισ τ ε ίς κ α ί μάλιστα νο μ ίσ α ς ά νευ της τώ ν Α θ η ν α ίω ν δ υ νά μ εω ς τοΐς ή π ειρ ώ τα ις ξυ μ μ ά χ ο ις μετά τώ ν Α ίτω λ ώ ν δ ύ ν α σ θ α ι ά ν κ α τά γη ν έλ θεΐν επ ί Β οιω τούς διά Λ ο κρ ώ ν τώ ν Ό ξο λ ώ ν ές Κ υτίνιο ν τό Δ ω ρ ι κόν, εν δεξιςί έχων το ν Π αρνασσόν, έως καταβαίη ές Φ ω κέας, οϊ προθύμω ς έδόκουν κατά τήν Α θ η ν α ίω ν α ίεί π οτέ φ ιλία ν ξυ σ τρ α τε ύ σ ειν ή κα ν β ίρ προσα χ θ ή ν α ι (κ α ί Φ ω κ εΰ σ ιν ήδη δμο ρο ς ή Β ο ιω τ ία έσ τίν), ά ρ α ς ο ύ ν ξ ύ μ π α ν τ ι τφ σ τρ α τεύ μ α τι ά π ό τής Λ ευ κ ά δ ο ς ά κόντω ν τώ ν Α κ α ρ ν ά ν ω ν παρέπ λευσεν
2 ές Σόλλιον. κοινώσας δέ τήν έπίνοιαν τοΐς Ακαρνάσιν, ώς ού προσεδέξαντο διά τής Λευκάδος τήν ού περιτείχισιν, αύτός τή λοιπή στρατιά, Κεφαλλήσι καί Μεσσηνίοις καί Ζακυνθίοις καί Αθηναίων τριακοσίοις τοΐς έπιβάταις τών σφετέρων νεών (αί γάρ πέντε καί δέκα τών Κερκυραίων άπήλθον νήες), έ3 στράτευσεν έπ’ Αίτωλούς. ώρμάτο δέ έξ Οίνεώνος τής Λοκρίδος. οί δέ Όζόλαι ούτοι Λοκροί ξύμμαχοι ήσαν, καί έδει αύτούς πανστρατιά άπαντήσαι τοΐς Α θηναίοις ές τήν μεσόγειαν δντες γάρ δμοροι τοΐς Αίτωλοΐς καί όμόσκευοι μεγάλη ώφελία έδόκουν εί ναι ξυστρατεύοντες μάχης τε έμπειρίρ τής έκείνων
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4 l’Epiro. Il popolo degli Etoli - asserivano i Messeni - era si grande e combattivo, ma abitava in villag gi sguarniti di mura, e per di più distanti gli uni da gli Stri; e poi era fornito di armamento leggero, per cui non sarebbe stato difficile sottometterli prima 5 che potessero unirsi a difesa. Lo consigliavano di attaccare dapprima gli Apodoti, poi gli Ofionei e dopo di questi gli Euritani, che rappresentano la parte più rilevante degli Etoli, parlano una lingua assolutamente incomprensibile e mangiano carne cruda, stando a quanto si dice: se fossero stati con quistati loro, facilmente anche tutti gli altri sareb95 bero passati dalla parte di Atene. Demostene aderi a questo piano per fare cosa gradita ai Messeni, e soprattutto perché credeva che avrebbe potuto an che fare a meno dell’esercito ateniese e attaccare via terra la Beozia con gli alleati del continente, insieme agli Etoli, attraversando la Locride Ozolia e pun tando verso Citinio, in Doride; il Parnaso sarebbe stato alla loro destra fino a quando non fossero di scesi nella terra dei Focesi, che, in nome dell’amici zia che sempre li aveva legati ad Atene, si suppone va dovessero partecipare con entusiasmo alla spedi zione; e comunque, in caso contrario, sarebbero sta ti costretti a schierarsi al loro fianco con la forza (i Focesi sono già al confine con la Beozia). Lasciò dunque Leucade con tutte le forze di cui disponeva, contro il volere degli Acarnani, e avanzò lungo la co2 sta sino a Solilo. Là comunicò agli Acarnani il suo disegno, cui essi però non aderirono perché non si era attuato il blocco di Leucade. La spedizione con tro gli Etoli fu condotta allora solo con le truppe re stanti, vale a dire Cefalleni, Messeni, Zacinti e tre cento soldati ateniesi imbarcati sulle navi attiche (le 3 quindici navi di Corcira erano ripartite). La base di operazione venne stabilita a Eneone, in Locride. Questi Locri Ozoli erano alleati degli Ateniesi e do vevano incontrarsi con loro nell’interno del paese con tutto il loro esercito: dal momento che erano confinanti degli Etoli e avevano il loro stesso arma mento, la loro partecipazione appariva particolar mente utile per l’esperienza che avevano del modo di combattere degli Etoli, come pure del loro terri-
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96 κ α ί χω ρ ίω ν, α ύλ ισ ά μ ενο ς δέ τώ στρατώ έν τοΰ Δ ιός τοΰ Ν εμείου τφ ίερώ , έν φ Η σ ίο δ ο ς ό ποιητής λέγεται υπ ό των ταΰτη ά π οθα νεΐν, χρησθέν αύτφ έν Ν εμέα το ΰτο π α θ εΐν, άμ α τή εω άρας έπ ο ρεύετο ές 2 τή ν Α ιτω λ ία ν, κ α ί α ίρ ει τή πρώ τη ήμέρα Π οτιδαν ία ν κ α ί τη δευ τέρ α Κ ρ ο κ ύ λ ειο ν κ α ί τή τρίτη Τείχιο ν, έ'μενέ τε α ύτο ΰ κ α ί τήν λ εία ν ές Ε ύ π ά λ ιο ν τής Λ ο κ ρ ίδο ς άπέπεμψ εν· τήν γά ρ γνώ μ ην είχε τά άλλα κ α τα σ τρ εψ ά μ ενος ούτω ς έπ ί Ό φ ιο ν έ α ς , εί μή βούλοιντο ξυ γ χ ω ρ εΐν , ές Ν α ύ π α κ το ν έπ α να χω ρ ή σ α ς στρατεΰσαι ύστερον. 3 Τ ο ύ ς δέ Α Ιτω λ ο ύ ς ούκ έλ ά ν θ α ν ε ν αύτη ή π α ρ α σκευή ούτε δτε τό πρώ τον έπεβουλεύετο, έπειδή τε ό στρατός έσεβεβλήκει, πολλή χειρί έπ εβο ήθουν πάντες, ώστε καί οί έσ χα τοι Ό φ ιο νέω ν οί προς τον Μηλια κό ν κόλπον κ α θ ή κ ο ντες Β ω μ ιή ς κ α ί Κ αλλιής έ97 βοήθησαν, τφ δέ Δ ημοσ θένει τοιόνδε τι ο ί Μεσσήνιο ι π α ρ ή ν ο υ ν δπερ κ α ί τό π ρώ τον άναδιδάσκοντες α υ τό ν τώ ν Α ίτω λ ώ ν ώς εϊη ρςχδία ή α ϊρ εσ ις, ίένα ι έκ έλευον δ τι τά χ ισ τα έπ ί τάς κώ μ α ς κ α ί μή μένειν έως ά ν ξύμ π α ντες ά θρ ο ισ θέντες ά ντιτά ξω ντα ι, τήν 2 δ ’ έν π ο σ ίν α ίεί π ε ιρ ά σ θ α ι α ίρ εϊν. ό δέ το ύτο ις τε π εισ θ είς κ α ί τή τύχη έλπίσας, δ τι ο ύδ έν α ύτώ ήναντιοϋτο, τούς Λ ο κρ ο ύ ς ούκ άνα μ είνα ς οΰς αύτώ έδει π ρ ο σ β ο η θή σ α ι (ψ ιλ ώ ν γάρ α κ ο ν τισ τώ ν ενδεή ς ήν μάλιστα) έχώρει έπ ί Α ίγιτίο υ , κ α ί κατά κράτος αίρεϊ έπ ιώ ν. ύπ έφ ευ γ ο ν γά ρ ο ί ά ν θ ρ ω π ο ι κα ί έκ ά θ η ντο έπ ί τώ ν λόφω ν τώ ν υπ έρ τής πόλεω ς· ή ν γά ρ έφ’ υψ ηλώ ν χω ρίω ν άπέχουσα τής θαλάσσης όγδοήκον3 τα σ τα δ ίο υ ς^ ά λ ισ τα . οί δέ Α ίτω λ ο ί (βεβοηθηκότες γά ρ ήδη ησαν έπ ί τό Α ίγίτιο ν) προσέβαλλον τοίς Α θ η ν α ίο ις καί τοΐς ξυμμάχοις καταθέοντες από τών λόφων άλλοι άλλοθεν κ α ί έσ η κ ό ντιζο ν, κ α ί δτε μέν έπ ίο ι τό τώ ν Α θ η ν α ίω ν σ τρ α τό π εδο ν, ύ π εχ ώ ρ ο υν, άναχω ροΰσι δέ έπ έκειντο- καί ήν έπ ί πολύ τοιαύτη ή
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96 torio. Demostene si accampò col suo esercito nel santuario di Zeus Nemeo (dove si dice che il poeta Esiodo venisse ucciso dalla popolazione locale, se condo la predizione dell’oracolo che questo gli sa rebbe successo a Nemea), e poi sul far del giorno si 2 rimise in marcia verso l’Etolia. Il primo giorno conquistò Potidania, il secondo Crocilio, il terzo Tichio, ove si fermò; il bottino lo mandò a Eupalio, in Locride, giacché era sua intenzione prima ridurre in proprio potere tutte le altre località della zona e poi, forte di quelle conquiste, se proprio gli Ofionei non volessero giungere ad un accordo, tornare a Naupatto e condurre una spedizione contro di loro. 3 G li Etoli però sin dall’inizio, quando ancora il piano di attacco veniva progettato in segreto, non erano all’oscuro di questi preparativi, e poi, quando infine avvenne l’invasione del corpo di spedizione, accorsero tutti in fitta schiera: vennero in soccorso perfino gli Ofionei delle zone piu lontane, cioè i Bomiei e i Calliei, che abitano i territori sino al golfo 97 Maliaco. Ma il consiglio che veniva a Demostene dai Messeni era questo: come avevano fatto già all’i nizio, gli mostravano chiaramente che la conquista dell’Etolia era facile e lo invitavano quindi ad attac care senza indugio i loro villaggi, prima che si unisse ro tutti insieme per affrontarlo, e a tentare di impa dronirsi di ogni centro abitato che capitasse loro di2 nanzi. Convinto che si trattasse di una tattica giu sta e confidando nella sorte che mai gli era stata con traria, mosse contro Egitto senza aspettare i Locresi che dovevano venire in suo aiuto - giacché gli man cavano per l’appunto truppe leggere, armate di gia vellotto -, e la prese al primo assalto, poiché gli abi tanti erano fuggiti e se ne stavano sulle colline sovra stanti alla città: la città si trovava infatti in zona col3 linosa, e distava dal mare circa ottanta stadi. Ma nel frattempo erano giunti in aiuto di Egitio gli Eto li che, scendendo di corsa dalle colline tutt’intorno, attaccarono gli Ateniesi e i loro alleati scagliando giavellotti; e, ogni volta che le truppe ateniesi passa vano all’ attacco, essi indietreggiavano, per poi in calzarle nuovamente quando si ritiravano. A lungo durò il combattimento, condotto secondo una tale
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μάχη, διώξεις τε καί ύπαγωγαί, έν οΐς άμφοτέροις ήσσους ήσαν οί Αθηναίοι, μέχρι μέν ουν οί τοξόται ειχόν τε τά βέλη αύτοΐς καί οίοί τε ήσαν χρήσθαι, οί δέ άντεΐχον (τοξευόμενοι γάρ οί Αίτωλοί άνθρω ποι ψιλοί άνεστέλλοντο)· επειδή δέ τού τε τοξάρχου άποθανόντος οΰτοι διεσκεδάσθησαν καί αυτοί έκεκμήκεσαν καί επί πολύ τφ αύτφ πόνφ ξυνεχόμενοι, οϊ τε Αίτωλοί ένέκειντο καί έσηκόντιξον, οΰτω δή τραπόμενοι έ'φευγον, καί έσπίπτοντες έ'ς τε χαρά δρας άνεκβάτους καί χωρία ών ούκ ήσαν έμπειροι διεφθείροντο- καί γάρ ό ήγεμών αύτοΐς των οδών 2 Χρόμων ό Μεσσήνιος έτύγχανε τεθνηκώς. οί δέ Αίτωλοί έσακοντίξοντες πολλούς μέν αυτού έν τη τροπή κατά πόδας αίροΰντες άνθρωποι ποδώκεις καί ψιλοί διέφθειρον, τούς δέ πλείους των οδών άμαρτάνοντας καί ές τήν ύλην έσφερομένους, δθεν διέξοδοι ούκ ήσαν, πϋρ κομισάμενοι περιεπίμπρα3 σαν· πασά τε ιδέα κατέστη τής φυγής καί τού ολέθ ρου τφ στρατοπέδω τών Αθηναίων, μόλις τε έπί τήν θάλασσαν καί τον Οίνεώνα τής Λοκρίδος, δθεν περ 4 καί ώρμήθησαν, οί περιγενόμενοι κατέφυγον. άπέθανον δέ τών τε ξυμμάχων πολλοί καί αυτών Α θηναίων όπλΐται περί είκοσι μάλιστα καί εκατόν, τοσοΰτοι μέν τό πλήθος καί ήλικία ή αύτή ούτοι βέλτι στοι δή άνδρες έν τώ πολέμω τφδε έκ τής Αθηναίων πόλεως διεφθάρησαν άπέθανε δέ καί ό έτερος 3 στρατηγός Προκλής. τούς δέ νεκρούς υπόσπον δους άνελόμενοι παρά τών Αίτωλών καί άναχωρήσαντες ές Ναύπακτον ύστερον ές τάς Α θήνας ταΐς ναυσίν έκομίσθησαν. Δημοσθένης δέ περί Ναύ πακτον καί τά χωρία ταΰτα ύπελείφθη, τοϊς πεπραγμένοις φοβούμενος τούς Αθηναίους. 99 Κατά δέ τούς αύτούς χρόνους καί οί περί Σικελίαν Α θηναίοι πλεύσαντες ές τήν Λοκρίδα έν άποβάσει τέ τινι τούς προσβοηθήσαντας Λοκρών έκράτησαν καί περιπόλιον αίροΰσιν δ ήν έπί τώ Αληκι ποταμώ. ιοο Τού δ’ αύτοϋ θέρους Αίτωλοί προπέμψαντες πρότερον ές τε Κόρινθον καί ές Λακεδαίμονα πρέσβεις, 98
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tattica di inseguimenti e ritirate, e in entrambe le 98 manovre gli Ateniesi riportavano la peggio. Fin ché gli arcieri ebbero frecce e furono in grado di ti rarle, gli Ateniesi resistettero, poiché gli Etoli, che avevano un armamento leggero, sotto il tiro dei dar di erano costretti ad indietreggiare. Ma quando, in seguito alla morte del loro comandante, gli arcieri si sbandarono e le truppe, costrette com’erano a reg gere da tanto tempo la pressione nemica, furono al lo stremo delle forze, mentre gli Etoli seguitavano ad attaccarli da presso e a scagliare giavellotti con tro di loro, volsero infine in fuga; piombati però in gole senza via di uscita, in luoghi di cui non erano pratici poiché anche chi faceva loro da guida, il messenio Cromone, era stato ucciso, perirono misera2 mente. Gli Etoli, che avevano un armamento leg gero ed erano veloci, restarono loro alle calcagna e mentre erano ancora in fuga ne uccisero molti a colpi di giavellotto ma i piu fra quelli, che avevano sbaglia to strada e si erano rifugiati in un bosco da cui non vi era possibilità di uscire, li fecero morire bruciati do3 po avere appiccato il fuoco tutt’intorno. L ’eserci to ateniese conobbe cosi ogni forma di fuga e di ster minio, e molto dovettero penare i sopravvissuti pri ma di trovare scampo raggiungendo il mare e la città 4 di Eneone, in Locride, donde erano partiti. Molte furono le perdite fra gli alleati, e degli stessi Atenie si morirono circa centoventi opliti. Cosi alto fu in questa occasione il numero dei caduti, tutti giovani e forti, gli uomini migliori che la città di Atene ab bia perduto in questa guerra; e fra i morti vi fu an5 che l’altro stratego, Prode. Gli Ateniesi ottenne ro una tregua dagli Etoli per raccogliere i corpi dei caduti, quindi si ritirarono a Naupatto e fecero poi ritorno con le navi ad Atene. Demostene restò a Naupatto e nelle sue vicinanze perché, dopo quanto era successo, temeva gli Ateniesi. 99 Nello stesso periodo gli Ateniesi che erano in Sici lia mossero contro la Locride; nel corso di uno sbar co ebbero la meglio sui Locresi accorsi a difesa e conquistarono un posto di guardia sul fiume Alece. 100 La stessa estate gli Etoli, che già in precedenza avevano inviato ambasciatori a Corinto e Sparta - l’o-
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Τ ό λο φ όν τε τό ν Ό φ ιο ν έ α κ α ί Β ο ρ ιά δ η ν το ν Ε ύ ρ υ τά ν α κ α ί Τ ε ίσ α ν δ ρ ο ν το ν Α π ο δ ω τ ό ν , π είθ ο υ σ ιν ώστε σφίσι π έμψ αι στρατιάν επ ί Ν α ύπ α κτον διά τήν 2 τω ν Α θ η ν α ίω ν επ α γω γή ν, κ α ί έξέπ εμ ψ α ν Λ α κ ε δ α ιμ ό νιο ι π ερ ί τό φ θ ινό π ω ρ ο ν τρισχιλίους όπλίτας τω ν ξυμμάχω ν. τούτω ν ήσαν π εντακόσ ιοι έ ξ Η ρ ά κ λειας τής έν Τ ρ α χΐνι πόλεως τότε νεόκτιστου οΰσης· Σ π α ρ τιά τη ς δ’ ή ρ χεν Ε ύ ρ ύ λ ο χ ο ς τής σ τρ α τιά ς, καί ξυ ν η κ ο λ ο ύ θ ο υ ν αύτώ Μ α κ ά ρ ιο ς κ α ί Μ ενεδ ά ϊο ς οί ιο ί Σ π α ρτιά τα ι. ξυλλεγέντος δέ τού στρατεύματος ές Δ ελφ ούς έπ εκ η ρ υκ εύετο Ε ύ ρ ύ λ ο χ ο ς Λ ο κ ρ ο ΐς τοίς Ό ζό λ α ις- διά τούτω ν γάρ ή οδός ήν ές Ν α ύ π α κ το ν, κ α ί ά μ α τω ν Α θ η ν α ίω ν έβ ούλ ετο ά π ο σ τή σ α ι αύ2 τούς, ξυνέπ ρ α σ σ ον δέ μάλιστα αύτψ τω ν Λ ο κρ ώ ν Α μ φ ισ σ ή ς δ ιά τό τω ν Φ ω κ έω ν έχθος δεδιότες· κα ί α υ το ί π ρώ τοι δόντες όμηρους κ α ί τούς άλλους έπει σ α ν δ ο ύ ν α ι φ οβ ούμ ενους τό ν έπ ιό ντα σ τρ α τόν, π ρ ώ το ν μέν ο ύ ν το ύς όμ ο ρ ο υς α ύτο ΐς Μ υ ο νέα ς (τα ύτη γά ρ δυσ εσ βο λώ τατος ή Λ ο κ ρ ίς), έπ ειτα Ί π νέας κ α ί Μ εσσαπίους καί Τ ρ ιτα ιέα ς κα ί Χ α λ α ίο υς κ α ί Τολοφ ω νίους κ α ίΉ σ σ ίο υ ς κ α ί Ο ίανθέας. ουτοι κ α ί ξυνεστράτευον πάντες. Ό λ π α ΐο ι δέ όμηρους μέν έδ ο σ α ν, ή κ ο λ ο ύ θ ο υ ν δέ οΰ· κ α ί'Υ α ϊο ι ο ύκ έδ οσ α ν ομ ήρ ους π ρ ιν α υ τώ ν ειλον κώ μην Π ό λ ιν όνο μ α ιο 2 έχουσαν. επειδή δέ παρεσκεύαστο π άντα κ α ί τούς ομ ήρους κ α τέθετο ές Κ υ τίν ιο ν τό Δ ω ρ ικ ό ν, έχώ ρει τώ στρατώ έπί τήν Ν α ύπ α κτον διά τώ ν Λ ο κρ ώ ν, καί π ο ρ ευ ό μ ενο ς Ο ίνεώ να α ίρ ει α υ τώ ν κ α ί Ε ύ π ά λ ιο ν 2 ού γά ρ π ρ οσ εχώ ρ η σ α ν. γ ε ν ό μ εν ο ι δ5 έν τή Ν αυπ α κ τίρ κα ί ο ί Α ίτω λ ο ί ά μα ήδη π ροσβεβοηθηκότες έδ ή ο υ ν τή ν γή ν κ α ί τό π ρ ο ά σ τειο ν ά τείχισ τον ό ν ειλ ο ν έπ ί τε Μ ολύκρειον έλθόντες τήν Κ ο ρ ινθ ίω ν μέν 3 α π ο ικ ία ν , Α θ η ν α ίω ν δέ υ π ή κ ο ο ν, ά ίρ ο ΰ σ ιν. Δ η μοσθένης δέ ό Α θ η ν α ίο ς (έτι γάρ έτύγχανεν ώ ν μετά τά έκ τής Α ιτω λ ία ς π ερ ί Ν α ύ π α κ το ν) π ρ οα ισ θ ό μ ενος τοϋ στρατού κ α ί δείσας π ερ ί αύτής, έλ θώ ν π εί θ ε ι Α κ α ρ ν ά ν α ς , χαλεπώ ς δ ιά τή ν έκ τής Λ ε υ κ ά δ ο ς
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fione Tolofo, l’euritane Boriade e l’apodoto Tisandro - ottennero l’invio di una spedizione contro Nau2 patto, poiché aveva chiamato gli Ateniesi. Verso l’autunno gli Spartani mandarono tremila opliti allea ti, fra cui cinquecento uomini di Eraclea di Trachis, che era stata appena fondata. Il corpo di spedizione era al comando dello spartiate Euriloco: al suo fianco >01 erano gli spartiati Macario e Menedaio. Raccoltosi l’esercito a Delfi, Euriloco inviò dei messi presso i Locresi Ozoli, perché per andare a Naupatto biso gnava attraversare il loro territorio; al tempo stesso e2 ra suo intento staccarli da Atene. Fra i Locresi ap poggiavano i suoi disegni soprattutto i cittadini di Anfissa, animati da timore per i rapporti di ostilità in cui erano con i Focesi; furono loro per primi a dare degli ostaggi e indussero anche gli altri, per paura dell’esercito che avanzava, a compiere tale gesto, primi fra tutti i Mioni, popolazione loro confinante, il cui territorio rappresentava la zona della Locride di piu difficile accesso, e poi Ipnei, Messapi, Tritei, Caleei, Tolofoni, Essii ed Eantei. Tutte queste popolazioni parteciparono anche alla spedizione. G li Olpei invece diedero ostaggi, ma non li seguirono in quella campagna; gli lei non diedero ostaggi fino a che non venne conquistato il 102. loro villaggio chiamato Polis. Quando tutto fu pronto, e gli ostaggi furono al sicuro a Citinio, in Doride, Euriloco marciò col suo esercito contro Naupatto; nella sua avanzata attraverso la Locride conquistò Eneone ed Eupalio, poiché non erano 2 passate dalla sua parte. Quando furono nel terri torio di Naupatto, dove al loro fianco erano ora an che gli Etoli, accorsi a dar man forte, si diedero a de vastare la campagna, e si impadronirono del sobbor go, sguarnito di mura; mossero poi contro Molicreo, colonia di Corinto, soggetta però ad Atene, e la 5 presero. Ma l’ateniese Demostene, che si trovava ancora dalle parti di Naupatto dopo la disfatta su bita in Etolia, aveva saputo in anticipo dell’avanza ta dell’esercito spartano; temendo per la sorte di Naupatto si recò allora presso gli Acarnani e li per suase a portare aiuto alla città, pur penando molto prima di convincerli, a causa della ritirata da Leu-
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4 άναχώρησιν, βοηθήσαι Ναυπάκτω. καί πέμπουσι μετ' αυτοί) επί των νεών χιλίους όπλίτας, οΐ έσελθόντες περιεποίησαν τό χωρίον δεινόν γάρ ήν μή μεγά λου δντος τοΰ τείχους, ολίγων δέ των άμυνομένων, 5 ούκ άντίσχωσιν. Εύρύλοχος δέ καί οί μετ’ αύτοΰ ώς ήσθοντο την στρατιάν έσεληλυθυΐαν καί αδύνα τον δν τήν πόλιν βίρ έλεΐν, άνεχώρησαν ούκ έπί Πελοποννήσου, άλλ’ ές τήν Αίολίδα τήν νΰν καλουμένην Καλυδώνα καί Πλευρώνα καί ές τα ταύτη χω6 ρία καί ές Πρόσχιον τής Αιτωλίας, οί γάρ Ά μ πρακιώται έλθόντες προς αυτούς πείθουσιν ώστε μετά σφών Ά ρ γει τε τω Άμφιλοχικφ καί Αμφιλοχία τή άλλη έπιχειρήσαι καί Α καρνανία άμα, λέγοντες δτι, ήν τούτων κρατήσωσι, παν τό ηπειρωτικόν Λα7 κεδαιμονάης ξύμμαχον καθεστήξει. καί ό μέν Ε ύ ρύλοχος πεισθείς καί τούς Αίτωλούς άφείς ησύχαζε τω στρατώ περί τούς χοίρους τούτους, εως τοΐς Άμπρακιώταις έκστρατευσαμένοις περί τό Ά ργος δέοι βοηθεΐν. καί τό θέρος έτελεύτα. ιο3 Οί δ’ έν τή Σικελία Α θηνα ίοι τοΰ έπιγιγνομένου χειμώνος έπελθόντες μετά των Ελλήνων ξυμμάχων καί όσοι Σικελών κατά κράτος άρχόμενοι υπό Συρακοσίων καί ξύμμαχοι δντες άποστάντες αύτοΐς [από Συρακοσίων] ξυνεπολέμουν, έπ’ ’Ίνήσσαν τό Σικελι κόν πόλισμα, ου τήν άκρόπολιν Συρακόσιοι εΐχον, προσέβαλον, καί ώς ούκ έδύναντο έλεΐν, άπή2 σαν. έν δέ τή άναχωρήσει ΰστέροις Αθηναίων τοΐς ξυμμάχοις άναχωροΰσιν επιτίθενται οί έκ τοΰ τειχί σματος Συρακόσιοι, καί προσπεσόντες τρέπουσί τε μέρος τι τοΰ στρατοΰ καί άπέκτειναν ούκ ολί3 γους. καί μετά τοΰτο άπό τών νεών ό Λάχης καί οί Α θηναίοι ές τήν Λοκρίδα αποβάσεις τινάς ποιησάμενοι κατά τον Καϊκΐνον ποταμόν τούς προσβοηθοΰντας Λοκρών μετά Προξένου τοΰ Καπάτωνος ώς τριακοσίους μάχη έκράτησαν καί δπλα λαβόντες άπεχώρησαν. ιο4 Τοΰ δ’ αύτοΰ χειμώνος καί Δήλον έκάθηραν Α θ η ναίοι κατά χρησμόν δή τινα. έκάθηρε μέν γάρ καί Πεισίστρατος ό τύραννος πρότερον αύτήν, ούχ άπα-
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cade. G li Acarnani inviarono con lui mille opliti a bordo di navi. Fu il loro ingresso a salvare la città poiché, con una fortificazione molto estesa e pochi difensori, vi era pericolo che non si potesse respin5 gere l’ attacco nemico. Quando Euriloco e i suoi vennero a sapere dell’ingresso delle truppe, che ren deva impossibile prendere la città con la forza, si ri tirarono, non però nel Peloponneso, ma in quella che oggi chiamiamo Eolide, cioè a Calidone, a Pleu6 rone, nelle zone vicine, e a Proschio, in Etolia. Il fatto è che gli Ambracioti erano andati da loro e li avevano indotti ad attaccare Argo Anfilochico e tut to il resto dell’Anfilochia, nonché l’Acarnania, con l’ argomento che, se avessero vinto, tutto il territo rio continentale sarebbe venuto a far parte del siste7 ma di alleanze spartano. Euriloco aderì alla pro posta; cosi, congedati gli E toli, se ne rimase quieto in quella zona con l’esercito, in attesa che gli Am bracioti scendessero in campo e ci fosse bisogno di portare loro aiuto per conquistare Argo. Finiva cosi l’estate. 103 N ell’inverno successivo gli Ateniesi che erano in Sicilia, insieme ai loro alleati greci e a quei Siculi che, dominati dispoticamente dai Siracusani e co stretti a far parte della loro alleanza, avevano defe zionato e combattevano ora a fianco degli Ateniesi, mossero all’ attacco e assalirono la cittadina sicula di Inessa, la cui rocca era in mano ai Siracusani; non riuscirono però ad espugnarla, e tornarono indie2 tro. Mentre il corpo di spedizione si ritirava, i S i racusani della roccaforte assalirono le truppe degli alleati, che nell’ordine di marcia seguivano gli A te niesi, e, cogliendoli di sorpresa, una parte ne volse3 ro in fuga, e non pochi ne uccisero. In seguito L a chete e gli Ateniesi attuarono alcuni sbarchi nella Locride: in una battaglia sul fiume Calcino sconfis sero circa trecento Locresi accorsi a difesa al coman do di Prosseno figlio di Capatone; quindi, fatto bot tino di armi, ripartirono. 104 Nello stesso inverno gli Ateniesi purificarono D e io, certo in ottemperanza alle prescrizioni di qual che oracolo. In realtà anche il tiranno Pisistrato in epoca precedente aveva purificato l’isola, non tutta 4
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σαν, άλλ’ δσον άπ ό τοΰ Ιεροΰ έψ εω ράτο τής νήσου· 2 τότε δέ π ά σ α έκ α θ ά ρ θ η το ιώ δ ε τρόπ ω . θ ή κ α ιδ σ α ι ή σ α ν τω ν τεθ νεώ τω ν εν Δ ήλω , π ά σ α ς άνεΐλον, κ α ί τό λο ιπ όν π ρ ο εΐπ ο ν μήτε έ ν α π ο θ ν ή σ κ ε ιν εν τή νήσω μήτε έντίκτειν, άλλ’ ές τήν 'Ρ ήνεια ν διακομ ίζεσ θ α ι. α π έ χ ει δέ ή 'Ρ ή ν εια τής Δ ήλου ούτω ς ολ ίγο ν ώστε Π ολυκράτης ό Σ αμίω ν τύρ α ννο ς ίσχύσας τινά χρόνον να υτικω κ α ί τω ν τε άλλω ν νήσω ν ά ρ ξα ς καί τήν 'Ρ ή νεια ν έλών ά νέθ η κ ε τω Ά π ό λ λ ω ν ι τω Δηλίω άλύσει δήσας προς τήν Δήλον. κ α ί τήν π εντετηρίδα τότε π ρ ώ το ν μετά τήν κ ά θ α ρ σ ιν έπ ο ίη σ α ν ο ί ’Α θ η 3 ν α ΐο ι τά Δ ή λια. ή ν δέ π οτέ κ α ί τό π ά λ α ι μεγάλη ξύ ν ο δ ο ς ές τή ν Δ ή λο ν τω ν Ί ώ ν ω ν τε κ α ί π ερ ικτιόνω ν νη σ ιω τώ ν· ξ ύ ν τε γά ρ γ υ ν α ιξ ί κ α ί π α ισ ίν έθ εώ ρουν, ώσπερ ν ΰ ν ές τά Έ φ έ σ ια ’Ίω νες, κ α ί α γώ ν έποιεΐτο α υ τό θ ι κ α ί γυμ νικός κ α ί μουσικός, χορούς 4 τε άνήγον α ί πόλεις, δηλοΐ δέ μάλιστα “Ο μηρος δτι το ια ϋτα ήν έν τοίς έπεσι τοΐσδε, ά έστιν έκ προοιμίου Α πόλλω νος· άλλ5δτε Δήλω, Φ οίβε, μάλιστά γε θυμόν έτέρφθης, έν θ α τοι έλκεχίτωνες ’Ιάονες ήγερέθονται σύν σφοΐσιν τεκέεσσι γ υ ν α ιξί τε σήν ές άγυιάν· ένθα σε πυγμαχίη τε κ αί όρχηστυΐ καί άοιδή μνησάμενοι τέρπουσιν, δτα ν καθέσω σιν άγώ να. \
5 δ τι δέ κ α ί μουσικής ά γω ν ή ν κ α ί ά γω ν ιο ύ μ εν ο ι έφ οίτω ν έν το ΐσ δε α ύ δηλοΐ, ά έσ τιν έκ τοΰ α ύτο ϋ π ρ οοιμ ίο υ· τό ν γά ρ Δ η λ ια κ ό ν χο ρό ν τώ ν γ υ ν α ικ ώ ν ΰμνήσας έτελεύτα τοΰ έπ α ίνου ές τάδε τά έπη, έν οις κάί έαυτοΰ έπεμνήσθη· άλλ5ά γεθ 5, ίλήκοι μεν Α π ό λ λ ω ν Ά ρ τ έμ ιδ ι ξύν, χαίρετε δ5υμείς πάσαι. έμεΐο δέ καί μετόπισθε μνήσασθ5, όππότε κέν τις έπ ιχθονίω ν ανθρώ π ω ν ένθά δ5άνείρη τα ιτα λ α π είρ ιος άλλος έπ ελ θ ώ ν «ω κοΰραι, τις δ5ΰμμιν άνήρ ήδιστος άοιδώ ν
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quanta, ma solo la parte che si poteva abbracciare con lo sguardo dal tempio; questa volta invece ven ne purificata tutta, nel modo seguente. Le tombe che si trovavano nell’isola vennero tutte portate via, e venne ordinato che per il futuro nessuno dovesse morire nell’isola, e nessuna donna potesse partorir vi, ma per ciò fare si doveva passare sull’isola di Renea. Renea dista cosi poco da Deio che il tiranno di Samo Policrate, il quale ebbe per un certo periodo il predominio sul mare e fu signore anche di tutte le isole, quando prese Renea la dedicò ad Apollo Delio, legandola a Deio con una catena. Allora per la prima volta, dopo la purificazione, gli Ateniesi celebraro no la festa quadriennale delle Delie. M a già anti camente a Deio aveva luogo un grande raduno degli Ioni e degli abitanti delle isole vicine: andavano ad assistere alla festa con donne e bambini, come oggi gli Ioni si recano alle E fesie; si svolgevano per l’oc casione gare ginniche e musicali, e le città inviavano cori. Che cosi fosse è soprattutto Omero a testi moniarlo in questi versi dell’Inno ad A pollo: M a quando da Deio, o Febo, trae il tuo cuore [sommo diletto, allora gli Ioni dai lunghi chitoni si raccolgono con figli e spose sulla via che porta da te; quando a pugilato e danza e canto si danno in onor tuo, per rallegrare te, dando vita alla gara. Che vi fossero anche gare musicali, e ci si recasse sull’isola per concorrere al premio. Omero lo dice poi chiaramente in questi altri versi dello stesso in no: dopo avere celebrato il coro delle donne di Deio, chiudeva l ’elogio con questi versi, in cui fa anche menzione di se stesso: Avanti! mi sia propizio Apollo con Artemide, e a voi tutte salute; ma anche nel futuro di me serbate memoria, quando qui qualcun altro verrà [degli uomini di questo mondo che molto avrà visto e sofferto, ed a voi chiederà: «O fanciulle, quale fra gli uomini che questo [luogo frequentano
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ενθάδε πωλείται, καί τέω τέρπεσθε μάλιστα;» υμείς δ’ ευ μάλα πάσαι ύποκρίνασθαι άφήμως· «τυφλός άνήρ, ο’ικεΐ δέ Χίιο ενι παιπαλοέσση ». 6 τοσαΰτα μέν "Ομηρος έτεκμηρίωσεν δτι ήν καί τό πάλαι μεγάλη ξύνοδος καί έορτή έν τη Δήλφ- ύστε ρον δέ τούς μέν χορούς οί νησιώται καί οί Αθηναίοι μεθ’ ιερών επεμπον, τά δέ περί τούς αγώνας καί τα πλεΐστα κατελύθη υπό ξυμφορών, ώς είκός, πριν δή οί Α θ η να ίο ι τότε τον αγώνα έποίησαν καί ιππο δρομίας, δ πρότερον ούκ ήν. 105 Τού δ’ αυτού χειμώνος Αμπρακκδται, ώσπερ υπο σχόμενοι Εύρυλόχιρ τήν στρατιάν κατέσχον, εκ στρατεύονται επί "Αργος τό Άμφιλοχικόν τρισχιλίοις όπλίταις, καί έσβαλόντες ές τήν Α ργείαν καταλαμβάνουσιν "Ολπας, τείχος επί λόφου ισχυ ρόν προς τή θαλάσση, δ ποτέ Ακαρνάνες τειχισάμενοι κοινώ δικαστήρια» έχρώντο· απέχει δέ άπό τής Α ρ γείο ν πόλεως έπιθαλασσίας οΰσης πέντε καί 2 είκοσι σταδίους μάλιστα, οί δέ Ακαρνάνες οί μέν ες "Αργος ξυνεβοήθουν, οί δέ τής Αμφιλοχίας έν τούτψ τώ χωρίφ δ Κρήναι καλείται, φυλάσσοντες τούς μετά Εύρυλόχου Πελοποννησίους μή λάθωσι προς τούς Αμπρακιώτας διελθόντες, έστρατοπε3 δεύσαντο. πέμπουσι δέ καί έπί Δημοσθένη τόν ές τήν Αιτωλίαν Αθηναίων στρατηγήσαντα, δπως σφίσιν ήγεμών γίγνηται, καί έπί τάς είκοσι ναύς Α θ η ναίων αϊ ετυχον περί Πελοπόννησον οΰσαι, ών ήρχεν Αριστοτέλης τε ò Τιμοκράτους καί'Ιεροφών ό 4 Αντιμνήστου. άπέστειλαν δέ καί άγγελον οι περί τάς "Ολπας Αμπρακιώται ές τήν πόλιν κελεύοντες σφίσι βοηθεΐν πανδημεί, δεδιότες μή οί μετ’ Εύρυλό χου ού δύνωνται διελθεΐν τούς Ακαρνάνας καί σφίσιν η μονωθεΐσιν ή μάχη γένηται ή άναχωρεΐν βουλομένοις ούκ ή ασφαλές.
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è per voi il più dolce dei cantori, chi vi dona il piu [alto diletto?» E voi allora dolcemente a una voce rispondetegli: «E un cieco, e vive nella rocciosa Chio».
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6 Questa è la testimonianza, lasciataci da Omero, che già anticamente avevano luogo a Deio un grande ra duno e una festa; in seguito gli abitanti delle isole e gli Ateniesi seguitarono si a inviare i cori ed anche delle vittime, ma le gare e la maggior parte dei fe steggiamenti vennero, come è naturale, aboliti per le sventure occorse, finché in quell’anno gli Atenie si non ripristinarono le gare; organizzarono inoltre corse coi carri, che prima non c’erano. 105 Nello stesso inverno gli Ambracioti, secondo la promessa fatta a Euriloco quando gli avevano chie sto di non ricondurre il suo esercito in patria, fecero una spedizione contro Argo di Anfilochia con tre mila opliti, invadendone il territorio. Conquistaro no Olpe, una piazzaforte situata su una collina nei pressi del mare, fortificata in passato dagli Acarnani che se ne servivano come tribunale comune; la sua distanza dalla città di Argo, che è sul mare, è di cir2 ca venticinque stadi. Quanto agli Acarnani, una parte di essi corse in aiuto di Argo, mentre altri si accamparono in una località dell’Anfilochia chiama ta Crene, da dove controllavano che i Peloponnesia ci di Euriloco non passassero di nascosto per andare 3 a unirsi agli Ambracioti; inviarono anche messi a Demostene, che aveva guidato la spedizione atenie se contro l’Etolia, con la richiesta di divenire loro comandante, e altri messi presso le venti navi ate niesi, che si trovavano in navigazione lungo le coste del Peloponneso agli ordini di Aristotele figlio di Ti4 mocrate, e Ierofonte figlio di Antimnesto. Anche gli Ambracioti che si trovavano a Olpe inviarono un messaggero nella loro città, per sollecitare i concit tadini ad andare in massa in loro aiuto; il loro timo re era che gli uomini di Euriloco non riuscissero ad attraversare lo schieramento degli Acarnani: in tal caso si sarebbero trovati a combattere isolati ovve ro, qualora avessero deciso di ritirarsi, la manovra sarebbe stata rischiosa.
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Οί μέν οΰν μετ’ Εύρυλόχου Πελοποννήσιοι ώς ήσθοντο τούς έν Ό λπαις Άμπρακιώτας ήκοντας, άραντες εκ τοΰ Προσχίου έβοήθουν κατά τάχος, καί διαβάντες τόν Αχελώον έχώρουν δι’ Ακαρνανίας οΰσης έρήμου διά τήν ές Ά ρ γος βοήθειαν, έν δεξιφ μέν έχοντες τήν Στρατιών ιτόλιν καί τήν φρουράν
2 αυτώ ν, έν άριστερρ δέ τήν άλλην Α κ α ρ να νία ν, καί δ ιελ θ ό ντες τή ν Σ τρ α τιώ ν γη ν έχώ ρ ο υν δ ιά τής Φ υτίας κ α ί α ύθις Μ εδεώ νος π α ρ ’ έσχατα, έπειτα διά Λ ιμναία ς· καί έπέβησαν τής Ά γ ρ α ΐω ν , ούκέτι Ά κ α ρ 3 ν α ν ία ς, φ ιλίας δέ σφίσιν. λα β όμ ενοι δέ τοΰ θ υ ά μου όρους, δ έστιν Ά γ ρ α ϊκ ό ν , έχώ ρουν δι’ αύτοΰ καί κ α τέβ η σ α ν ές τή ν Ά ρ γ ε ία ν νυκ τό ς ήδη, κ α ί διεξελθ ό ν τες μ ετα ξύ τής τε Ά ρ γ ε ίω ν πόλεω ς κ α ί τής έπ ί Κ ρ ή ν α ις Ά κ α ρ ν ά ν ω ν φ υλακής έλ α θο ν κ α ί προσέμειξαν τοΐς έν Ό λ π α ις Ά μπ ρα κιώ ταις. ιο7 Γ ενόμενοι δέ ά θ ρ ό ο ι άμα τή ήμέρρ καθίζουσι.ν έπί τή ν Μ η τρ ό π ο λ ιν κα λ ο υμ ένη ν κ α ί σ τρ α τό π εδ ο ν έπ ο ιή σ α ντο . Α θ η ν α ίο ι δέ τα ίς είκ ο σ ι ν α υ σ ίν ού πολλφ ύσ τερ ον π α ρ α γίγν ο ν τα ι ές τόν Ά μ π ρ α κ ικ ό ν κόλπον βοηθοΰντες τοΐς Ά ρ γ ε ίο ις , κ α ί Δ ημοσθένης Μ εσσηνίω ν μέν έχων διακοσίους όπλίτας, εξήκοντα 2 δέ το ξό τα ς Α θ η ν α ίω ν , κ α ί α ί μέν νήες π ερ ί τάς ’Ό λ π α ς τό ν λόφ ον έκ θ α λ ά σ σ η ς έφ ώ ρμουν· ο ί δέ Ά κ α ρ ν ά ν ε ς κ α ί Ά μ φ ιλ ό χ ω ν ολ ίγο ι (οί γά ρ π λείους ύ π ό Ά μ π ρ α κ ιω τ ώ ν βίρ κ α τείχο ντο ) ές τό Ά ρ γ ο ς ήδη ξυ νελ η λ υ θ ό τες π α ρ εσ κ ευ ά ξο ντο ώς μαχούμεν ο ι τοΐς έν α ντίο ις, κ α ί ήγεμ ό να τοΰ π α ντό ς ξυμ μ α χικ ο ΰ α ίρ ο ΰ ν τ α ι Δ η μ ο σ θ ένη μετά τω ν σφ ετέρω ν 3 στρατηγών, ό δέ π ροσ αγαγώ ν έγγύς τής ’Ό λπ ης έστρατοπεδεύσατο, χαράδρα δ’ α υτούς μεγάλη διεΐργεν. κ α ί ήμέρας μέν πέντε ήσύχαξον, τή δ’ έκτη έτάσσοντο ά μ φ ότεροι ώς ές μάχην, κ α ί (μ εΐζον γά ρ έγένετο καί περιέσχε τό τώ ν Π ελοποννησίω ν στρατόπε δο ν) ό Δ η μ ο σ θ ένη ς δείσας μή κυκ λ ω θή λ ο χ ίξει ές ο δ ό ν τινα κοίλην κ α ί λοχμώ δη όπ λίτας κ α ί ψ ιλούς ξυ ν α μ φ ο τέρ ο υ ς ές τετρ α κ ο σ ίο υς, δπω ς κ α τά τό
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Q uando i Peloponnesiaci agli ordini di E uriloco seppero che gli A m bracioti erano ormai ad O lpe, in tutta fretta lasciarono Proschio per accorrere in loro aiuto. Passarono l ’A ch eloo, attraversarono l ’Acarnania, dove non incontrarono resistenza perché gli abitanti erano accorsi in d ifesa di A rgo ; avevano sulla destra la città di Strato col suo presidio, e sulla 2 sinistra tutto il resto del territorio acarnano. S u perata quindi la cam pagna di Strato , passarono per F itia , poi toccarono m arginalm ente M edeone, at traversando successivam ente Lim nea, e giunsero in fine ad una terra amica, fuori ormai delPA carnania, 3 quella degli A grei. Raggiunto il monte Tiam o, che è nel territorio degli A gre i, lo valicarono, e scesero nel territorio di A rgo che era già notte; riuscirono allora a passare, senza essere visti, fra la città di A r go e gli A carnani che erano di guardia a C rene, e ad O lpe si unirono agli A m bracioti. 107 Com piuta tale m anovra di ricongiungim ento, sul far del giorno presero posizione nella località chia m ata M etropoli e v i si accamparono. Poco dopo nel golfo di A m bracia arrivaron o in aiuto agli A rg ivi ven ti navi ateniesi, e giunse anche D em ostene con duecento opliti m esseni e sessanta arcieri atenie2 si. C osi le n avi bloccavano la collina di O lpe dalla parte del mare, mentre gli A carnani con pochi A n filochi (giacché gli A m b racioti avevano im pedito con la forza a tutti gli altri di partecipare alla lotta) già si erano concentrati in A rgo , e si preparavano ad a f fron tare lo scontro coi nem ici. A capo d ell’ intero schieramento alleato essi posero Dem ostene, affian’ cato dai com andanti dei loro reparti. D em ostene avanzò e si accampò vicin o ad O lpe; un profondo burrone separava gli schieram enti nem ici. P er cin que giorni si fronteggiarono senza intraprendere al cuna azione, ma il sesto giorno i due eserciti si schie rarono a battaglia. L o schieramento delle truppe pe loponnesiache risultò più esteso in lunghezza, si che le sue ali sporgevano rispetto a quelle d ell’ esercito nemico. D em ostene allora, tem endo di essere cir condato, dispose un agguato in una strada incassata fra macchie di cespugli: opliti e truppe armate alla leggera - fra gli uni e gli altri circa quattrocento uo-
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ΰπερέχον των έναντίων έν τή ξυνόδω αυτή έξανα4 στάντες οΰτοι κατά νώτου γίγνωνται. έπεί δέ παρεσκεύαστο άμφοτέροις, ήσαν ές χεΐρας, Δημο σθένης μέν τό δεξιόν κέρας έχων μετά Μεσσηνίων καί Α θηναίω ν ολίγων, τό δέ άλλο Άκαρνάνες ώς έκαστοι τεταγμένοι έπεΐχον, καί Άμφιλόχων οί παρόντες άκοντισταί, Πελοποννήσιοι δέ καί Άμπρακιώται άναμίξ τεταγμένοι ιτλήν Μ αντινέων οΰτοι δέ έν τψ εύωνύμφ μάλλον καί ού τό κέρας άκρον έχοντες άθρόοι ήσαν, άλλ’ Εύρύλοχος έσχατον είχε τό εύώνυμον καί οί μετ’ αύτοΰ, κατά Μεσι°8 σηνίους καί Δημοσθένη, ώς δ’ έν χερσίν ήδη δντες περιέσχον τφ κέρα οί Πελοποννήσιοι καί έκυκλοΰντο τό δεξιόν των έναντίων, οί έκ τής ένέδρας Άκαρνάνες έπιγενόμενοι αύτοΐς κατά νώτου προσπίπτουσί τε καί τρέπουσιν, ώστε μήτε ές αλκήν ΰπομεΐναι φοβηθέντας τε ές φυγήν καί τό πλέον του στρατεύματος καταστήσαι· έπειδή γάρ ειδον τό κατ’ Εύρύλοχον καί δ κράτιστον ήν διαφθειρόμενον, πολλφ μάλλον έφοβοΰντο. καί οί Μεσσήνιοι δντες ταΰτη μετά τοΰ Δημοσθένους τό πολύ του έργου έ2 πεξήλθον. οί δέ Άμπρακιώται καί οί κατά τό δεξιόν κέρας ένίκων τό καθ’ έαυτούς καί προς τό Ά ρ γο ς άπεδίωξαν· καί γάρ μαχιμώτατοι των περί 3 έκεΐνα τά χωρία τυγχάνουσιν δντες. έπαναχωροΰντες δέ ώς έώρων τό πλέον νενικημένον καί οί άλλοι Ά καρνάνες σφίσι προσέκειντο, χαλεπώς διεσφξοντο ές τάς Ό λπας, καί πολλοί άπέθανον αυτών, άτάκτως καί ούδενί κόσμω προσπίπτοντες πλήν Μ αντινέων οΰτοι δέ μάλιστα ξυντεταγμένοι παντός τοΰ στρατού άνεχώρησαν. καί ή μέν μάχη έτελεύτα ές όψέ. ιο9 Μενεδάϊος δέ τή υστεραία Εύρυλόχου τεθνεώτος καί Μακαρίου αυτός παρειληφώς τήν άρχήν καί απορών μεγάλης ήσσης γεγενημένης δτφ τρόπω ή μένων πολιορκήσεται έκ τε γης καί έκ θαλάσσης ταΐς
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mini - sarebbero sbucati dall’agguato nel mezzo del la mischia balzando alle spalle dei reparti nemici che sopravanzavano lateralmente il loro schieramen4 to. Quando da entrambe le parti i preparativi furo no compiuti, lo scontro ebbe inizio. Demostene era all’ala destra con i Messeni e pochi Ateniesi, mentre il resto dello schieramento era occupato dagli Acarnani, schierati reparto per reparto, e dai lanciatori di giavellotto anfilochi presenti sul campo di battaglia; sul fronte opposto Peloponnesiaci e Ambracioti era no schierati senza distinzione fra le loro file. A parte erano i Mantineesi, raggruppati piu sull’ala sinistra, ma non all’estremità: la posizione estrema era infatti tenuta da Euriloco con i suoi uomini, di fronte ai 108 Messeni e a Demostene. Mentre, accesasi ormai la mischia, l’ala dei Peloponnesiaci, con una manovra di aggiramento, tentava di accerchiare l’ala destra dell’avversario, gli Acarnani in agguato piombarono inattesi alle loro spalle e li misero in fuga, con impe to tale che quelli non poterono reggere all’urto e di fendersi, ma, terrorizzati, trascinarono nella fuga anche il grosso dell’esercito. E lo spavento era anco ra maggiore al vedere sopraffatti gli uomini di Euriloco, il nerbo del loro esercito. Principali artefici di quest’impresa furono i Messeni che, assieme a De mostene, occupavano appunto quella posizio2 ne. M agli Ambracioti e le truppe schierate all’ ala destra, sul loro lato, avevano la meglio e si spinsero all’inseguimento del nemico verso Argo: fra le popo lazioni di quelle parti sono infatti i piu bellico3 si. Quando però tornarono indietro, e videro che il grosso delle loro forze era stato sconfitto e che gli al tri Acarnani erano ormai loro addosso, a malapena riuscirono a trovare scampo ad Olpe. Ingenti furono le loro perdite, poiché essi correvano sbandati e sen za alcun ordine, ad eccezione dei Mantineesi, che si ritirarono conservando lo schieramento piu ordinato di tutto l’esercito. La battaglia fini che era sera. i° 9 Morto Euriloco, ed anche Macario, il giorno dopo la responsabilità del comando fu assunta dal solo Menedaio. Dopo la grave sconfitta subita, egli non vedeva come poter restare li a sostenere l’assedio, essendo bloccato per terra, oltre che per mare dalle
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Ά τ τ ικ α ΐς να υσ ίν άπ οκεκλημ ένος ή κα ί άνα χω ρώ ν δ ια σ ω θή σ ετα ι, π ρ οσ φ έρ ει λόγον π ερ ί σ π ονδώ ν κα ί άναχω ρήσεω ς Δ η μ ο σ θ ένει κ α ί τοϊς Ά κ α ρ ν ά ν ω ν 2 στρατηγοϊς, καί περί νεκρώ ν άμα άναιρέσεως. οΐ δέ νεκρούς μέν ά π έδο σ α ν κ α ί τρ ο π α ΐο ν αυτο ί έστησαν κα ί τούς έαυτώ ν τριακοσίους μάλιστα ά π οθανόντας άνείλοντο, άναχώ ρησιν δέ έκ μέν τού προφανούς ούκ εσπ είσαντο ά π ασ ι, κρύφ α δέ Δ ημοσ θένης μετά τώ ν ξυ σ τρ α τή γω ν Ά κ α ρ ν ά ν ω ν σ π ένδ ο ντα ι Μ α ντινεύσ ι κ α ί Μ ενεδα ΐω κ α ί τοϊς άλλοις ά ρ χο υ σ ι τώ ν Πελοπ οννησ ίω ν κ α ί δσ οι α ύτώ ν ήσ α ν ά ξιο λ ο γώ τα το ι ά π οχω ρεΐν κατά τάχος, βουλόμενος ψ ιλώ σ α ι τούς Ά μ π ρ α κιώ τα ς τε κα ί τον μισθοφ όρον όχλον [τόν ξ ε νικόν], μάλιστα δέ Λ α κ εδα ιμ ονίο υς κ α ί Π ελοποννησίους διαβαλεΐν ές τούς εκείνη χρ ή ζω ν "Ελληνας ώς κ α τα π ρ οδ όντες τό έα υτώ ν π ρ ο υ ρ για ίτερ ο ν έποιή3 σαντο. καί οί μέν τούς τε νεκρούς άνείλοντο καί διά τάχους έθαπτον, ώσπερ υπήρχε, καί τήν άποχώρησιν n o κρύφ α οΐς έδέδοτο έπεβούλευον· τώ δέ Δ ημοσ θένει καί τοϊς Ά κ α ρ ν ά σ ιν αγγέλλεται τούς Ά μ π ρ α κ ιώ τας το ύς έκ της πόλεω ς π α νδ η μ εί κ α τά τή ν π ρώ την έκ τώ ν Ό λ π ώ ν α γγ ελ ία ν έπ ιβ ο η θ εΐν δ ιά τώ ν Ά μ φ ιλόχω ν, β ο υλομένους τοϊς έν "Ο λπ α ις ξυ μ μ εΐξ α ι, 2 είδότας ούδέν τώ ν γεγενημένω ν. καί πέμπει ευθύς τού στρατού μέρος τ ι τάς ο δ ούς προλοχιοΰντας καί τά καρτερά προκαταληψ ομένους, καί τη άλλη στραι ι ι τιρ ά μ α π α ρ εσ κ ευ ά ξετο β ο η θ εΐν έπ ’ α υτο ύς, έν τούτω δ’ οί Μ αντινής καί οΐς έσπειστο πρόφ ασιν έπί λ α χα νισ μ όν κα| φ ρ υ γά νω ν ξυ λ λ ο γή ν έξελ θό ντες ύπ α π ησ α ν κα τ’ ολίγους, άμα ξυλλέγοντες έφ’ ά έξήλθ ο ν δ ή θ ε ν π ρ οκεχω ρη κό τες δέ ήδη ά π ω θ εν τής 2 ’Ό λ π η ς θ ά σ σ ο ν ά π εχώ ρ ο υ ν. ο ί δ’ Ά μ π ρ α κ ιώ τ α ι κ α ί ο ι άλλοι, όσ οι f μέν έτ ύ γχ α ν ο ν ούτω ς t ά θ ρ ό ο ι ξυνεξελθόντες, ώς έγνω σαν ά πιόντας, ώ ρμησαν καί α ύ το ί κ α ί έθ εο ν δρ όμ φ , έπ ικ α τα λ α β εΐν βουλόμε-
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navi attiche, né come riuscire a m ettersi in salvo con una ritirata. A van zò allora a D em ostene e agli stra teghi acarnani una proposta di tregua, chiedendo anche che fosse concesso loro di ritirarsi, oltre che 2 di raccogliere le spoglie dei caduti. Q uelli restitui rono i m orti, poi per parte loro eressero un trofeo e raccolsero i propri caduti, trecento circa; u fficial mente però non venne concluso un accordo che per m ettesse la ritirata di tutti. M a in seguito D em oste ne e gli altri capi acarnani fecero un patto con i M an tin eesi, M enedaio, gli altri com andanti pelo ponnesiaci e tutte le persone di riguardo, accordan do loro di andarsene in tu tta fretta: in tal modo v o levano che gli A m b racio ti e la massa dei m ercenari restassero p rivi di aiuto, ma soprattutto desiderava no che gli Spartan i e gli altri Peloponnesiaci cades sero in discredito presso i G re c i di quella regione in quanto li avevano traditi, badando soprattutto a se 3 stessi. I Peloponnesiaci raccolsero dunque i loro m orti e si diedero a seppellirli in fretta, come meglio poterono; e quelli cui era stata segretam ente accor data la possibilità di ritirarsi progettavano la loro no partenza, quando D em ostene e gli A carnani rice vettero la notizia che gli A m bracioti, in seguito alla prim a richiesta di soccorso giunta da O lpe, stavano accorrendo in massa dalla loro città attraverso il ter ritorio di A nfilochia: non sapendo nulla di ciò che e2 ra successo, volevano unirsi a quelli di O lpe. Sub i to D em ostene fece appostare sulle strade una parte del suo esercito, e parte ne in viò anche a occupare prim a dell’ arrivo degli A m bracioti i punti piu sicuri, mentre col resto dell’esercito si preparava ad affroniii tare il nem ico. Intanto i M an tin eesi e gli altri in clusi n ell’ accordo, che erano usciti con la scusa di raccogliere erbaggi e legna da ardere, si allontanava no sempre più di soppiatto, a gruppetti, continuan do tu ttavia nella loro raccolta che era stata il prete sto di quella sortita; ma, quando furono ormai d i stanti da O lpe, presero nella loro ritirata u n ’ andatu2 ra piu celere. G li A m b racio ti e gli altri, quanti erano usciti tu tti insiem e a quello scopo, quando si accorsero che quelli se ne scappavano, anch’ essi di slancio si m isero a correre, e andavano di gran car-
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3 voi. οί δέ Ακαρνάνες το μέν πρώτον καί πάντας ένόμισαν άπιέναι άσπονδους ομοίως καί τούς Πελοποννησίους έπεδίωκον, καί τινας αυτών τών στρα τηγών κωλύοντας καί φάσκοντας έσπεϊσθαι αύτοΐς ήκόντισέ τις, νομίσας καταπροδίδοσθαι σφάς· έπει τα μέντοι τούς μέν Μαντινέας καί τούς Πελοποννησίους άφίεσαν, τούς δ“ Αμπρακιώτας έκτει4 νον. καί ήν πολλή έ'ρις καί άγνοια είτε ΑμπρακιώτιΊ5 τις έστιν είτε Πελοποννήσιος. καί ές διακοσίους μέν τινας αυτών άπέκτειναν· οί δ5άλλοι διέφυγον ές την Αγραΐδα δμορον ούσαν, καί Σαλύνθιος αυτούς ό βασιλεύς τών Αγραίων φίλος ών ύπεδέξατο. ιιζ Οί δ5εκ τής πόλεως Αμπρακιώται άφικνούνται επ’ Ίδομενήν. έστόν δέ δύο λόφω ή Ίδομενή ύψηλώ· τούτοιν τον μέν μείζω νυκτός έπιγενομένης οί προαποσταλέντες ΰπό τού Δημοσθένους άπό τού στρα τοπέδου ελαθόν τε καί έψθασαν προκαταλαβόντες (τον δ“ έλάσσω έτυχον οί “Αμπρακιώται προαναβάν2 τες) καί ηύλίσαντο. ό δέ Δημοσθένης δειπνήσας έχώρει καί το άλλο στράτευμα από εσπέρας ευθύς, αυτός μέν τό ήμισυ έχων έπί τής έσβολής, τό δ’ άλλο 3 διά τών Αμφιλοχικών όρών. καί άμα δρθρω ε πιπίπτει τοις Αμπρακιώταις έτι έν ταΐς εύναΐς καί ου προησθημένοις τά γεγενημένα, αλλά πολύ μάλλον 4 νομίσασι τούς έαυτών είναι· καί γάρ τούς Μεσσηνίους πρώτους έπίτηδες ό Δημοσθένης προύταξε καί προσαγορεύειν έκέλευε, Δωρίδα τε γλώσσαν ίέντας καί τοις προφύλαξι πίστιν παρεχομένους, άμα δέ καί ού καθορωμένους τή δψει νυκτός ετι οΰ5 σης. ώς ούν έπέπεσε τφ στρατει'ιματι αυτών, τρέπουσι, καί τούς μέν πολλούς αυτού διέφθειραν, οί δέ 6 λοιποί κατά τά δρη ές φυγήν ώρμησαν. προκατει λημμένων δέ τών οδών, καί άμα τών μέν Αμφιλόχων εμπείρων δντων τής έαυτών γης καί ψιλών προς όπλίτας, τών δέ απείρων καί άνεπιστη μόνων δπη
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3 riera per raggiungerli. Gli Acarnani dapprima cre dettero che se ne andassero tutti allo stesso modo, senza che fosse stata concordata tregua alcuna, e si diedero ad inseguire i Peloponnesiaci; e, sospettan do un tradimento ai propri danni, vi fu chi scagliò giavellotti contro alcuni degli stessi strateghi, quan do tentarono di fermare l’inseguimento rivelando che con quelli era stato concluso un accordo. Poi però lasciarono andare i Mantineesi e gli altri Pelo ponnesiaci, mentre gli Ambracioti venivano passati 4 per le armi. In molti casi nascevano dispute e non si riusciva a distinguere fra Ambracioti e Pelopon nesiaci. Ne vennero uccisi circa duecento; gli altri si rifugiarono nel vicino territorio degli Agrei, dove furono accolti dal re Salintio che era loro amico. nz Intanto gli Ambracioti della città giunsero a Idomene. Idomene è una località costituita da due colli elevati. Le truppe inviate in avanguardia da Demo stene, scesa la notte, occuparono per prime, senza essere viste, il colle più alto, mentre gli Ambracioti arrivarono per primi sull’altro e vi si accamparo2 no. Ma Demostene col resto dell’esercito si era messo in marcia dopo il pasto, al calar della notte: lui, con metà delle truppe, procedeva in direzione del valico, il resto dei soldati marciava attraverso i 3 monti dell’Anfilochia. L ’attacco venne sferrato sul far del giorno. Gli Ambracioti erano ancora nei loro giacigli: non essendo stati preavvertiti di ciò che era successo, avevano pensato piuttosto che si 4 trattasse dei loro, giacché Demostene a bella po sta aveva schierato in prima linea i Messeni, ordi nando loro di rivolgere la parola ai nemici poiché parlavano dorico, e avrebbero rassicurato le senti nelle avanzate senza pericolo di essere riconosciuti, 5 dato che era ancora notte. Come dunque dettero l’assalto alle truppe nemiche, le misero in rotta: la maggior parte dei soldati fu massacrata sul posto, gli h altri si dettero alla fuga per i monti. Ma le strade erano già in mano ai nemici, e poi gli Anfilochi co noscevano bene la loro terra, oltre al fatto che, ar mati alla leggera, lottavano contro soldati con arma mento pesante, mentre gli Ambracioti non erano pratici dei posti e non sapevano quale strada pren-
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τρ ά π ω ντα ι, έσ π ίπ το ντες ές τε χ α ρ ά δ ρ α ς κ α ί τάς 7 π ρ ολελοχισ μένα ς ένέδρ α ς δ ιεφ θ είρ ο ντο . κ α ί ές π ά σ αν ιδέαν χω ρήσαντες τής φυγής έτράποντό τινες κ α ί ές τήν θάλα σσ αν ου πολύ ά π έχουσ αν, κ α ί ώς ειδ ο ν τά ς Α τ τ ικ ό ς ν α ΰ ς π α ρ α π λ εο ύ σ α ς ά μ α τοϋ έρ γο υ τή ξυ ν τ υ χ ία , π ρ ο σ ένευ σ α ν , ή γ η σ ά μ ενο ι έν τφ α ύτίκ α φόβω κρεΐσσον είνα ι σφίσιν υπ ό τω ν έν ταΐς ν α υ σ ίν , εί δει, δ ια φ θ α ρ ή ν α ι ή ΰ π ό τώ ν βα ρ β ά ρ ω ν 8 κ α ί έχθίστω ν Ά μ φ ιλ ό χω ν. ο ί μέν σ υν ’Α μ π ρ α κιώ τα ι το ιοΰτφ τρόπ ω κ ακω θέντες ολ ίγο ι απ ό πολλών έσ ώ θησ αν ές τή ν π ά λ ιν Α κ α ρ ν ά ν ε ς δέ σκυλεύσαντες τούς νεκρούς κ α ί τρ ό π α ια στήσαντες άπεχώ ρηιΐ3 σαν ές Α ρ γ ο ς , καί αύτοΐς τή ύστεραία ήλθε κήρυξ άπό τώ ν ές Α γ ρ α ίο υ ς καταφ υγόντω ν έκ τής ’Ό λπης Α μ π ρ α κ ιω τ ώ ν , ά να ίρ εσ ιν α ίτησώ ν τώ ν νεκρώ ν οΰς ά πέκτειναν ύστερον τής πρώτης μάχης, δτε μετά τών Μ αντινέω ν καί τώ ν υπ όσ π ονδω ν ξυνεξή σ α ν άσπον2 δοι. ίδώ ν δ’ ό κ ή ρ υ ξ τά δπλα τώ ν άπό τής πόλεως Α μ π ρ α κ ιω τ ώ ν έθ α ύ μ α ζε το πλήθος· ο ν γά ρ ή δει τό 3 π ά θος, άλλ’ ωετο τώ ν μετά σφών είναι, κ α ί τις α υ τόν ήρετο ότι θ α υ μ ά ζο ι καί όπόσοι α ύτώ ν τεθνάσιν, οίόμενος αΰ ό έρω τώ ν είνα ι τον κήρ υκα απ ό τώ ν έν 4 Ίδομεναΐς. ό δ5έφη «διακοσίους μάλιστα», ύπολαβών δ’ ο έρωτών ειπεν « οΰκουν τά δπλα ταυτί φ αίνε τα ι, αλλά πλέον ή χιλίω ν». α ύ θ ις δέ ειπ εν έκεΐνος « ο ύ κ ά ρ α τώ ν μ εθ ’ ημ ώ ν μ α χομ ένω ν έστίν». ό δ’ άπ εκ ρ ίνα το «εϊπ ερ γε υμείς έν Ί δ ο μ ε ν ή χθ ές έμάχεσ θ ε». «άλλ5ημείς γε ο ύ δ εν ί έμ α χό μ εθ α χθές, αλλά πρώ ην έν τή αποχω ρήσει», «κα ί μέν δή τούτοις γε ήμεΐς χθές άπ ό τής πόλεω ς β ο η θ ή σ α σ ι τής Α μ π ρ α 5 κιω τώ ν έμ α χό μ εθ α ». ό δέ κ ή ρ υ ξ ώς ή κ ο υσ ε κ α ί έγνω δ τι ή άπ ό τής πόλεω ς β ο ή θ εια διέφ θ α ρ τα ι, ά-
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dere nella fuga: cosi morirono precipitando in burro ni o andando a cadere nelle imboscate tese in prece7 denza dal nemico. Venne tentato ogni tipo di fuga: alcuni cercarono anche di raggiungere il mare non molto distante, e quando videro le navi attiche che incrociavano sotto costa proprio mentre era in corso la lotta, si gettarono a nuoto verso di esse; nel terro re del momento ritenevano comunque preferibile, se cosi doveva essere, morire per mano degli uomini che erano su quelle navi piuttosto che per mano dei 8 barbari Anfilochi, loro acerrimi nemici. Di tanti che erano, pochi furono dunque gli Ambracioti che, dopo tali vicissitudini, riuscirono a salvarsi e a far ri torno nella loro città. Quanto agli Acarnani, dopo aver spogliato delle armi i cadaveri dei nemici e aver «3 eretto trofei, fecero ritorno ad Argo. Il giorno suc cessivo gli Ambracioti che erano fuggiti da Olpe cercando protezione presso gli Agrei inviarono loro un araldo, con la richiesta di poter raccogliere i cor pi dei caduti, uccisi dopo la prima battaglia, quando essi, che non avevano concluso alcun patto, avevano tentato la sortita dopo i Mantineesi e gli altri cui 2 l’accordo garantiva la ritirata. Quando l’araldo fu dinanzi alle armi tolte agli Ambracioti della città, si stupì vedendone un numero cosi alto, giacché, non sapendo niente della rovina, pensava si trattasse delle armi degli Ambracioti insieme ai quali aveva 3 combattuto lui. Uno allora gli chiese perché mai si stupisse, e quanti dei loro fossero caduti, supponen do da parte sua, nel fare questa domanda, che l’aral do venisse da parte di quelli sconfitti a Idomene. La 4 risposta fu «circa duecento». E l’altro, di riman do: «Non sembrano certo le armi di duecento uomi ni, ma quelle di piu di mille». Al che l’araldo: «E al lora non sono le armi di quelli che si sono battuti in sieme a noi». «E invece lo sono - replicò l’interlocu tore - se è vero che ieri voi avete combattuto a Idomene! » «Ma noi non ci siamo battuti con nessuno ieri! Il combattimento è avvenuto l’altro ieri, du rante la ritirata». «Eppure noi ieri ci siamo scontra ti con questi, che erano accorsi a portare aiuto dalla 5 città degli Ambracioti». Quando l’araldo senti queste parole, e capi che i rinforzi inviati dalla città
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νοιμώξας και έκπλαγείς τφ μεγέθει των παρόντων κακών άπήλθεν ευθύς άπρακτος καί ούκέπ άπήτει 6 τογζ νεκρούς, πάθος γάρ τούτο μια πόλει Έλληνίδι έν ϊσαις ήμέραις μέγιστον δή των κατά τον πόλε μον τόνδε έγένετο. καί αριθμόν ούκ έγραψα των άποθανόντων, διότι άπιστον τό πλήθος λέγεται άπολέσθαι ως πρός τό μέγεθος τής πόλεως. Άμπρακίαν μέντοι οιδα δτι, εί έβουλήθησαν Άκαρνάνες καί 'Αμφίλοχοι Άθηναίοις καί Δημοσθένει πειθόμενοι έξελεΐν, αύτοβοεί αν ειλον νϋν δ’ έδεισαν μή οί Α θηναίοι έχοντες αυτήν χαλεπώτεροι σφίσι πάροικοι ώσιν. ιΐ 4 Μετά δέ ταϋτα τρίτον μέρος νείμαντες των σκύ λων τοΐς 'Αθηναίοις τά άλλα κατά τάς πόλεις διείλοντο. καί τά μέν των Αθηναίω ν πλέοντα έάλω, τά δέ νυν άνακείμενα έν τοΐς Αττικοΐς ίεροΐς Δημοσθέ ν η εξηρέθησαν τριακόσιαι πανοπλίαι, καί άγων αύτάς κατέπλευσεν καί έγένετο άμα αύτφ μετά τήν εκ τής Αιτωλίας ξυμφοράν από ταύτης τής πράξεως 2 αδεεστέρα η κάθοδος, άπήλθον δέ καί οί έν ταΐς είκοσι ναυσίν Αθηναίοι ές Ναύπακτον. Ακαρνάνες δέ καί Αμφίλοχοι άπελθόντων Αθηναίων καί Δημο σθένους τοΐς ώς Σαλύνθιον καί Αγραίους καταφυγοϋσιν Αμπρακιώταις καί Πελοποννησίοις άναχώρησιν έσπείσαντο έξ Οίνιαδων, οιπερ καί μετανέ3 στησαν παρά Σαλυνΰίου. καί ές τόν έπειτα χρόνον σπονδάς καί ξυμμαχίαν έποιήσαντο έκατόν έτη Α καρνάνες καί Αμφίλοχοι πρός Αμπρακιώτας έπί τοΐσδε, ώστε μήτε Αμπρακιώτας μετά Ακαρνάνων στρατεύειν έπί Πελοποννησίους μήτε Α καρνάνας μετά Αμπρακιωτών έπ' Α θηναίους, βοηθεϊν δέ τή άλληλων^ καί άποδούναι Αμπρακιώτας όπόσα ή χωρία ή ομήρους Αμφιλόχων έχουσι, καί έπί Ά νακτόριον μή βοηθεϊν πολέμιον δν Α καρνά4 σιν. ταΰτα ξυνθέμενοι διέλυσαν τόν πόλεμον, μετά δέ ταϋτα Κορίνθιοι φυλακήν εαυτών ές τήν Α μ-
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erano stati annientati, si mise a gemere e, sgomento per l’enormità del disastro, subito, senza condurre a termine la sua missione, se ne andò via, né chiese più 6 la restituzione dei corpi dei caduti. Questa fu la sciagura piu grave occorsa ad una città greca nel giro di cosi pochi giorni. Non ho precisato il numero dei morti perché non si può prestar fede alla cifra altissi ma che ne viene data, sproporzionata alla grandezza della città. So per certo tuttavia che se gli Acarnani e gli Anfilochi avessero voluto dare ascolto a Demo stene e agli Ateniesi, e impadronirsi di Ambracia, l’avrebbero presa al primo assalto; temettero invece che se la città fosse caduta in mano agli Ateniesi, in questi essi avrebbero avuto vicini ben piu molesti. 114 Assegnarono poi agli Ateniesi un terzo delle spo glie, e suddivisero tutte le altre fra le città. La parte toccata agli Ateniesi venne catturata durante il tra sporto in mare, mentre le spoglie ora conservate quali offerte votive nei templi attici - trecento ar mature complete - furono attribuite personalmente a Demostene, che le portò con sé tornando in patria: e il ritorno, dopo il disastro della spedizione in Etolia, fu reso per lui meno terribile dal buon esito di 2 questa impresa. Anche gli Ateniesi con le venti navi tornarono di li a Naupatto. Quando Demoste ne e gli Ateniesi furono andati via, gli Acarnani e gli Anfilochi concessero in base ad un accordo agli Ambracioti e ai Peloponnesiaci che si erano rifugiati in un primo momento presso Salintio, fra gli Agrei, di far ritorno da Eniadi, dove si erano poi spostati la3 sciando Salintio. E per il futuro Acarnani e Anfi lochi conclusero con gli Ambracioti una pace e un’alleanza della durata di cento anni alle seguenti condizioni: né gli Ambracioti dovevano muovere guerra ai Peloponnesiaci unitamente agli Acarnani né gli Acarnani dovevano muovere guerra agli Ate niesi unitamente agli Ambracioti, ma erano tenuti ad un reciproco aiuto in difesa dei loro paesi; gli Ambracioti avrebbero restituito le località e gli ostaggi anfilochi in loro possesso, e non avrebbero re cato aiuto ad Anattorio, città nemica degli Acarna4 ni. Fissati questi termini dell’accordo, posero fine alla guerra. In seguito i Corinzi inviarono ad Am-
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π ρ α κ ίαν άπέστειλαν ές τριακοσίους όπλίτας καί Ξενοκλείδαν τον Ε ύθυκ λέους άρχοντα· οΐ κομιξόμενοι χαλεπώ ς διά της ήπείρου άφίκοντο. τά μέν κατ’ Α μ πρα κίαν ούτως έγένετο. iij ΟΙ δ* έν τη Σ ικελία Α θ η ν α ίο ι τού α ύτοΰ χειμώ νος ες τε τή ν Τ μ ερ α ία ν ά π ό β α σ ιν έπ ο ιή σ α ντο έκ τω ν νεώ ν μετά τω ν Σικελίαν τω ν ά νω θ εν έσβεβληκότω ν ές τά έσ χα τα της Ίμ ε ρ α ία ς , κ α ί έπ ί τάς Α ιό λ ο υ νή2 σους έπλευσαν, άναχω ρήσαντες δέ ές 'Ρ ή γιο ν Π υθ ό δ ω ρ ο ν το ν Ίσ ο λ ό χ ο υ Α θ η ν α ίω ν σ τρ α τη γό ν κατα λ α μ β ά νο υσ ιν έπ ί τάς να ΰς δ ιά δ ο χ ο ν ω ν ò Λ ά χη ς 3 ήβΧε ν · οΐ γάρ έν Σ ικελία ξύ μ μ α χ ο ι π λεύσ α ντες έ π εισ α ν τούς Α θ η ν α ίο υ ς βοηθεΐν σφίσι πλείοσι ναυσ ίν τής μέν γάρ γης α υτώ ν οί Σ υρακό σιο ι έκράτουν, τής δέ θα λά σσ ης όλίγαις να υ σ ίν είρ γό μ ενοι παρεσ κ ευ ά ζο ντο να υ τικ ό ν ξυ να γείρ ο ντες ώς ού περιο4 ψ όμενοι. κα ί έπλήρουν να ΰς τεσσ α ρ ά κοντα ο ί Α θ η ν α ίο ι ώς άποστελοΰντες α ύτοΐς, άμα μέν ήγούμενο ι θ ά σ σ ο ν τον εκεί πόλεμον κατα λ υθήσ εσ θα μ άμα 5 δέ βουλόμενοι μελέτην τοΰ ναυτικού ποιεΐσθαι. τόν μέν ούν ένα των στρατηγίαν άπέστειλαν Π υθόδ ω ρ ον όλ ίγα ις να υ σ ί, Σ οφ οκλέα δέ τό ν Σ ω σ τρ α τίδ ο υ κ α ί Ε ύ ρ υ μ έ δ ο ν τ α τό ν Θ ουκλέους έπ ί τω ν π λειό νω ν 6 νεώ ν ά π ο π έμ ψ ειν έμελλον. ο δέ Π υ θ ό δ ω ρ ο ς ήδη έχων τή ν τοΰ Λ ά χ η το ς τω ν νεώ ν άρχήν έπ λευσ ε τελευτώ ντος τοΰ χειμώ νος έπ ί τό Λ ο κρ ώ ν φ ρούριον δ π ρ ό τερ ο ν Λ ά χ η ς ειλε, κ α ί ν ικ η θ είς μάχη υ π ό τώ ν Λ ο κρ ώ ν άπεχώρησεν. ϊ ι 6 Έ ρ ρ ΰ η δέ π ερ ί α υ τό τό έαρ το ύτο ό ρ ύ α ξ τοΰ πυρά ς έκ τής Α ϊτν η ς , ώ σπερ κ α ί π ρ ότερο ν, κ α ί γή ν τινά έφ θειρε τώ ν Κ α τα να ίω ν, οΐ υ π ό τή Α ϊτν η τώ δ ρει ο ίκ ο ΰ σ ιν, δπ ερ μ έγισ τόν έσ τιν δρ ος έν τή Σ ικε2 λίςμ λέγεται δέ πεντηκοστά) έτει ρ υήναι τούτο μετά τό πρότερον ρεύμα, τό δέ ξύμ π α ν τρις γεγενήσ θα ι τό 3 ρεύμα άφ ’ ου Σικελία ύ π δ Ε λ λ ή ν ω ν οίκεΐται. ταύτα μέν κ α τά τόν χειμ ώ να το ύτο ν έγένετο, κ α ί έκτον έτος τφ πολέμια έτελεύτα τώ δε δν Θ ουκυδίδης ξυνέγραψ εν.
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b ra d a un loro presidio di circa trecento opliti, al co mando di Senoclide figlio di E uticle: essi raggiunse ro la città via terra con una dura m arcia. Q uesti fu rono i fatti che interessarono la città di A m bracia. iis N el corso dello stesso inverno gli A teniesi che.erano in Sicilia effettu aro n o uno sbarco nel territorio di Im era m entre, con azione concordata, i Siculi d all’ interno avevano invaso le zone di confine del territorio di Im era. M ossero un attacco anche con2 tro le isole E o lie . T orn ati a R egio, v i trovarono lo stratego ateniese Pitodoro figlio di Isoloco, succe3 duto a Lachete nel com ando delle navi: gli alleati di Sicilia si erano in fatti recati ad A ten e ed avevano indotto gli A ten iesi ad in viare in loro appoggio un m aggior numero di navi, giacché i Siracusani per terra avevano il controllo della situazione, ma poche n avi b astavano a bloccare le loro vie m arittim e, e quindi si preparavano a radunare una flo tta non in tendendo tollerare ulteriorm ente tale situazio4 ne. G li A ten iesi si diedero ad allestire quaranta navi da inviare agli alleati siciliani, sia nella convin zione che cosi la guerra laggiù avrebbe avuto term i ne piu rapidam ente, sia n ell’ intento di dare in tal 5 modo alla flotta occasione di esercitarsi; in un p ri mo m omento pertanto avevano in viato uno degli strateghi, P itodoro, con poche navi, e successiva mente avrebbero mandato Sofocle figlio di Sostratide ed Eurim edon te figlio di Tucle al com ando del 6 grosso delle navi. Pitodoro intanto, assunto il co mando navale che era stato di Lachete, alla fine del l ’inverno attaccò il fo rte nella Locrid e conquistato in precedenza da Lachete, ma venne sconfitto in com battim ento dai Locresi e si ritirò. 116 In questa stessa prim avera scese dall’ E tn a la cola ta lavica, come già era accaduto in passato, e deva stò una zona del territorio di C atan ia, città che si tro va ai piedi del m onte E tn a , il monte più alto del2 la Sicilia. Si dice che questa eruzione sia avvenuta nel cinquantesim o anno dopo la precedente, e che vi siano state in tu tto tre eruzioni da quando la Sicilia 3 è abitata dai G re ci. Q uesti furono gli avvenim en ti di q u est’inverno, e con esso fin iva il sesto anno di questa guerra la cui storia è narrata da Tucidide.
ΙΣ Τ Ο Ρ ΙΩ Ν Δ
ι
Τ ο ύ δ ’ έττιγι,γνομένου θ έρ ο υς περ'ι σίτου εκβολήν Συρακοσίω ν δέκα νήες πλεύσασαι καί Λ οκρίδες ϊσ αι Μ εσσήνην τήν εν Σ ικελία κατέλαβον, α υτώ ν έπαγα2 γο μένω ν, κ α ί ά π έστη Μ εσσήνη Α θ η ν α ίω ν , έπ ρ α ξα ν δέ το ύτο μάλιστα ο ί μέν Σ υ ρ α κ ό σ ιο ι όρω ντες π ροσβολήν έχον τό χω ρ ίον τής Σ ικελίας κ α ί φο β ο ύ μ εν ο ι το ύς Α θ η ν α ίο υ ς μή έξ α υτο ύ ό ρ μ ώ μ ενο ί ποτέ σφ ίσι μ είζο νι π αρασκευή έπέλθω σιν, ο ι δέ Λ οκ ρ ο ί κ α τά έχθος τό 'Ρ η γίνω ν, β ο υλό μ ενο ι άμφ οτέ3 ρ ω θεν αυτο ύς καταπολεμεΐν. κ α ί έσεβεβλήκεσαν άμα ές τήν 'Ρηγίνω ν ο ί Λ ο κρ οί πανστρατιά, ϊν α μή έπ ιβ ο η θ ώ σ ι τοΐς Μ εσ σ η νίοις, ά μ α δέ κ α ί ξυ ν ε π α γό ντω ν 'Ρ η γίνω ν φ υγά δω ν, ο ϊ ήσ α ν π α ρ ’ αύτοΐς- τό γ ά ρ 'Ρ ή γ ιο ν έπί π ολύγ χρόνον έστασίαζε κ α ί α δ ύ να τα ήν έν τω π α ρ ό ντι ϊο ύ ς Λ ο κρ ούς ά μύνεσ θα ι, ή καί 4 μάλλον έπ ετίθ εν το . δηώ σ α ντες δέ οί μέν Λ ο κ ρ ο ί τω π εζφ άπ εχώ ρη σαν, α ί δέ νήες Μ εσσήνην έφρούρουν· κα ί άλλαι α ί π λη ρούμεναι έμελλον αύτόσ ε έγκαθορμισάμεναι τό ν πόλεμον έντεϋθεν ποιήσεσθαι. z Ύ π ό δέ το ύς α υ το ύ ς χρ όνο υς τού ήρος, π ρ ιν τόν σίτον έν ακμή είναι, Π ελοπ οννήσιοι καί οί ξύμ μ α χο ι έσέβαλον ές τήν Α τ τ ικ ή ν (ήγεΐτο δέ ΤΑ γ ις ό Ά ρ χ ιδ ά -
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L ’estate seguente, quando il grano cominciava a germogliare, dieci navi siracusane e altrettante locresi andarono ad occupare Messina in Sicilia, su ri chiesta dei suoi stessi abitanti: cosi Messina si 2 staccò da Atene. I Siracusani erano intervenuti soprattutto perché si rendevano conto che la loca lità offriva un punto di sbarco per la Sicilia e teme vano che gli Ateniesi, muovendo di li, potessero un giorno assalirli con uno spiegamento di forze anco ra maggiore; i Locresi, invece, per odio contro i Regini, perché volevano impegnarli con una guerra su 3 due fronti. Contemporaneamente i Locresi ave vano invaso con tutto l’esercito il territorio di Re gio per impedirle di accorrere a Messina, e anche per obbedire ad una richiesta di esuli regini che si trovavano presso di loro. Regio infatti era stata a lungo dilaniata dalla guerra civile e attualmente non era in condizione di respingere i Locresi: una ragio4 ne di più perché questi l’assalissero. Dopo il sac cheggio le truppe di terra locresi si ritirarono men tre le navi continuavano a presidiare Messina. In tanto si stavano allestendo altre navi che dovevano raggiungere il porto di Messina e di li iniziare le ostilità. z Nello stesso periodo della primavera, prima che il grano fosse maturo, i Peloponnesiaci e gli alleati in vasero l’Attica (li guidava Agide, figlio di Archida-
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μου Λακεδαιμονίων βασιλεύς), καί έγκαθεξόμενοι έδήουν τήν γην. 2 Α θ ηνα ίοι δέ τάς τε τεσσαράκοντα ναΰς ές Σικε λίαν άπέστειλαν, ώσπερ παρεσκευάζοντο, καί στρα τηγούς τούς υπολοίπους Εύρυμέδοντα καί Σοφοκλέα· Πυθόδωρος γάρ ό τρίτος αυτών ήδη προαφΐκ3 έο ες Σικελίαν, ειπον δέ τούτοις καί Κερκυραίων αμα παραπλέοντας των έν τή πόλει έπιμεληθήναι, οΐ έληστεύοντο υπό τών έν τώ δρει φυγάδων καί Πελοποννησίων αύτόσε νήες έξήκοντα παρεπεπλεύκεσαν τοΐς εν τφ δρει τιμωροί καί λιμού δντος μεγάλου έν τή πόλει νομίζοντες κατασχήσειν ρρδίως τά πρά4 γματα. Δημοσθένει δέ δντι ιδιώτη μετά τήν άναχώρησιν τήν έξ Α καρνανίας αύτφ δεηθέντι ειπον χρήσθαι ταΐς ναυσί ταύταις, ήν βούληται, περί τήν Πελοπόννησον. 3 Καί ώς έγένοντο πλέοντες κατά τήν Λακωνικήν καί έπυνθάνοντο δτι αί νήες έν Κερκύρρ ήδη είσί τών Πελοποννησίων, ό μέν Εύρυμέδων καί Σοφο κλής ηπειγοντο ες την Κέρκυραν, ό δέ Δημοσθένης ές τήν Πύλον πρώτον έκέλευε σχόντας αύτούς καί πραξαντας α δει τον πλοΰν ποιεΐσθαι· άντιλεγόντων δέ κατα τύχην χειμων επιγενόμενος κατήνεγκε τάς 2 ναΰς ες τήν Πύλον. καί ό Δημοσθένης εύθύς ήξίου τειχίζεσθαι το χωρίον (επί τούτο γάρ ξυνεκπλεύσαι), καί άπέφαινε πολλήν ευπορίαν ξύλων τε καί λί θων, καί φύσει καρτεράν δν καί έρημον αυτό τε καί έπί πολύ τής χώρας· απέχει γάρ σταδίους μάλιστα ή Πυλος τής Σπάρτης τετρακοσίους καί έστιν έν τή Μεσσηνίρ ποτέ ούση γή, καλούσι δέ αυτήν οί Λα3 κεδαιμονιοι Κορυφασιον. οί δέ πολλάς έφασαν εί ναι άκρας έρημους τής Πελοπόννησου, ήν βούληται καταλαμβανων την πολιν δαπανάν, τώ δέ διάφορόν τι έδόκει είναι τούτο τό χωρίον έτέρου μάλλον, λιμένος τε προσόντος και τούς Μεσσηνίους οικείους όν τας αύτφ τό άρχαιον και ομοφώνους τοΐς Λακέ-
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mo, re di Sparta); e accampatisi saccheggiavano il paese. 2 Gli Ateniesi, conclusi i preparativi, inviarono in Sicilia le quaranta navi e gli strateghi rimasti: Eurimedonte e Sofocle (il terzo collega, Pitodoro, si tro3 vava già in Sicilia). A costoro diedero l’incarico di provvedere durante il viaggio ai Corciresi della città, vittime delle scorrerie degli esuli che stavano sulla montagna. Oltretutto, sessanta navi pelopon nesiache si erano dirette a Corcira per dar manforte a quelli della montagna; e poiché nella città regnava una grande carestia, pensavano di potersi impadro4 nire facilmente del potere. A Demostene, che do po il suo ritorno dall’Acarnania non aveva incarichi, accordarono invece, su sua richiesta, il permesso di usare queste navi, se lo voleva, per operazioni lungo le coste del Peloponneso. 3 Nel corso della navigazione gli Ateniesi giunsero di fronte alle coste della Laconia: fu allora che ven nero a sapere che le navi dei Peloponnesiaci si trova vano già a Corcira: Eurimedonte e Sofocle, a questo punto, avevano premura di dirigersi verso Corcira, ma Demostene li sollecitava ad approdare prima a Pilo e poi, solo dopo aver realizzato ciò che era ne cessario, a proseguire la navigazione. Mentre i due strateghi esprimevano parere contrario, il caso volle che sopraggiungesse una tempesta e che le navi fos2 sero spinte a Pilo. Demostene desiderava che il luogo fosse immediatamente fortificato (giacché a questo scopo ricordò di essersi unito alla spedizione) e faceva presente che era ricco di legname e di pietre, che era una roccaforte naturale e che sia esso sia gran parte della zona circostante erano deserti: difatti Pi lo - che i Lacedemoni chiamano Corifasio - dista cir ca quattrocento stadi da Sparta e si trova in quella 3 che un tempo era la Messenia. Gli strateghi obiet tavano che molti erano i promontori ugualmente de serti nel Peloponneso, qualora egli desiderasse occu parli e procurare spese alla città. Demostene, però, riteneva che questo luogo fosse piu vantaggioso di qualunque altro: vi era un porto, infatti, e i Messeni, antichi abitatori di quella regione, che parlavano il medesimo dialetto dei Lacedemoni, avrebbero potu-
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δαιμονίοις πλεϊστ’ άν βλάπτειν έξ αύτοϋ όρμωμένους, καί βεβαίους άμα τού χωρίου φύλακας έ'σε4 σθαι. ώςδέούκέπει·θεν ούτε τούς στρατηγούς ού τε τούς στρατιώτας, ύστερον καί τοΐς ταξιάρχοις κοινώσας, ήσύχαζεν υπό άπλοιας, μέχρι αύτοις τοΐς στρατιώταις σχολάζουσιν ορμή ένέπεσε περιστάσιν 2 έκτειχίσαι το χωρίον. καί έγχειρήσαντες είργάζοντο, σιδήρια μέν λιθουργά ούκ εχοντες, λογάδην δέ φέροντες λίθους, καί ξυνετίθεσαν ώς έκαστον τι ξυμβαίνοι- καί τόν πηλόν, εϊ που δέοι χρήσθαι, αγ γείων άπορίρ έπί τού νώτου έφερον, έγκεκυφότες τε, ώς μάλιστα μέλλοι έπιμένειν, καί τώ χεΐρε ές 3 τούπίσω ξυμπλέκοντες, δπως μή άποπίπτοι. παντί τε τρόπω ήπείγοντο φθήναι τούς Λακεδαιμονίους τά επιμαχώτατα έξεργασάμενοι πριν έπιβοηθήσαιτό γάρ πλέον του χωρίου αυτό καρτεράν υπήρχε καί 5 ούδέν εδει τείχους, οί δέ έορτήν τινα ετυχον άγον τες καί άμα πυνθανόμενοι έν όλιγωρίςι έποιοΰντο, ώς, δταν έξέλθωσιν, ή ούχ ύπομενοϋντας σφάς ή ρςιδίως ληψόμενοι βία- καί τι καί αυτούς ό στρατός 2 ετι έν ταϊς Ά θήναις ών έπέσχεν. τειχίσαντες δέ οί Α θ ηνα ίοι τού χωρίου τά προς ήπειρον καί ά μάλι στα έδει έν ήμέραις εξ τον μέν Δημοσθένη μετά νεών πέντε αυτού φύλακα καταλείπουσι, ταΐς δέ πλείοσι ναυσί τόν ές τήν Κέρκυραν πλοΰν καί Σικελίαν ήπεί γοντο. 6 Οί δ’ έν τή Α ττική δντες Πελοποννήσιοι ώς έπύθοντο τής Πύλου κατειλημμένης, άνεχώρουν κατά τάχος επ’ οϊκου, νομίξοντες μεν οί Λακεδαιμόνιοι καί ΤΑγις ό βασιλεύς οίκεΐον σφίσι τό περί τήν Πύλον άμα δέ πρφ έσβαλόντες καί τού σίτου έτι χλω ρού δντος έσπάνιζον τροφής τοΐς πολλοΐς, χειμών τε
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to infliggere a quelli gravissimi danni muovendo pro prio da Pilo e, al tempo stesso, sarebbero stati sicuri 4 custodi della zona. Ma, poiché non riusciva a per suadere né gli strateghi né i soldati (avendo comuni cato il suo progetto, in seguito, anche ai tassiarchi), se ne stava tranquillo poiché la navigazione era im pedita dal maltempo, fino a quando il desiderio di circondare la zona e fortificarla si impossessò pro2 prio dei soldati, che se ne stavano in ozio. Misero dunque mano all’impresa e andavano avanti nel la voro: non avendo scalpelli, sceglievano le pietre da utilizzare e le mettevano insieme a seconda di come ciascuna potesse combaciare con le altre. Quanto al l’argilla, se era necessario utilizzarla in qualche pun to, non disponendo di recipienti, la trasportavano sulle spalle, piegandosi in avanti in modo che potes se starci nel modo migliore, e con le mani intrecciate 3 dietro la schiena, affinché non cadesse. E con ogni mezzo si affrettavano a prevenire i Lacedemoni completando la difesa dei punti piu facilmente espu gnabili prima che essi giungessero in soccorso: infat ti la maggior parte della zona era naturalmente muni5 ta e non aveva bisogno di fortificazioni. In quel momento i Lacedemoni si trovavano a celebrare una festa: appresa la notizia, la giudicavano di poco con to, nella convinzione che, non appena si fossero mos si a battaglia, gli Ateniesi non sarebbero rimasti ad affrontarli, oppure che facilmente avrebbero preso Pilo con la forza. L ’esercito, inoltre, si trovava anco ra nei territori ateniesi: questa circostanza contribui t a a trattenerli. Gli Ateniesi, dopo aver fortificato in sei giorni la zona dal lato della terraferma e quelle parti che lo richiedevano piu di altre, lasciarono a Pi lo come guarnigione Demostene con cinque navi; con il grosso della flotta si affrettavano a riprendere la navigazione verso Corcira e la Sicilia. 6 I Peloponnesiaci che si trovavano in Attica, quan do seppero della occupazione di Pilo, si misero velo cemente in marcia per tornare in patria: i Lacede moni e il re Agide, infatti, ritenevano che la vicenda di Pilo li riguardasse molto da vicino. Tra l’altro, avendo invaso l’Attica troppo presto ed essendo il grano ancora verde, erano privi di viveri per le trup-
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έπιγενόμενος μείζων παρά τήν καθεστηκυΐαν ώραν 2 επίεσε το στράτευμα, ώστε πολλαχόθεν ξυνέβη άναχωρήσαί τε θάσσον αυτούς καί βραχυτάτην γενέσθαι τήν έσβολήν ταύτην· ημέρας γάρ πέντε καί δέκα έμειναν εν τη Αττική. 7 Κατά δέ τον αυτόν χρόνον Σιμωνίδης Αθηναίων στρατηγός Ή ιόνα τήν επί Θράκης Μενδαίων α ποικίαν, πολεμίαν δέ ούσαν, ξυλλέξας Αθηναίους τε ολίγους έκ των φρουρίων καί των έκείνη ξυμμάχων πλήθος προδιδομένην κατέλαβεν. καί παραχρήμα έπιβοηθησάντων Χαλκιδέων καί Βοττιαίων έξεκρούσθη τε καί άπέβαλε πολλούς των στρατιωτών. 8 Άναχωρησάντων δέ των έκ τής Αττικής Πελοποννησίων οί Σπαρτιάται αυτοί μέν καί οί έγγύτατα των περίοικων ευθύς έβοήθουν έπί τήν Πύλον, των δέ άλλων Λακεδαιμονίων βραδυτέρα έγίγνετο ή έφο2 δος, άρτι άφιγμένων άφ’ έτέρας στρατείας. περιήγγελλον δέ καί κατά τήν Πελοπόννησον βοηθεΐν δτι τάχιστα έπί Πύλον καί έπί τάς εν τή Κερκύρς* ναΰς σφών τάς εξήκοντα έπεμψαν, αϊ ύπερενεχθεΐσαι τον Λευκαδίων ισθμόν καί λαθοΰσαι τάς έν Ζακύνθφ Ά ττικάς ναΰς άφικνοϋνται έπί Π ύλον 3 παρήν δέ ήδη καί ό πεζός στρατός. Δημοσθένης δέ προσπλεόντων έτι των Πελοποννησίων ύπεκπέμπει φθάσας δύο ναύς άγγεΐλαι Εύρυμέδοντι καί τοίς εν ταΐς ναυσίν έν Ζακύνθφ Άθηναίοις παρεΐναι ώς 4 τού χωρίου κινδυνεύοντος. καί αί μέν νήες κατά τάχος έπλεον κατά τά έπεσταλμένα υπό Δημοσθέ νους· οί δέ Λακεδαιμόνιοι παρεσκευάζοντο ώς τώ τειχίσματι προσβαλοϋντες κατά τε γήν καί κατά θά λασσαν, έλπίζοντες ρςιδίως αίρήσειν οικοδόμημα διά ταχέων είργασμένον καί ανθρώπων ολίγων 5 ενόντων. προσδεχόμενοι δέ καί τήν από τής Ζ α κύνθου των Αττικών νεών βοήθειαν έν νώ ειχον, ήν άρά μή πρότερον έλωσι, καί τούς έσπλους τού λιμένος έμφάρξαι, δπως μή ή τοίς Άθηναίοις έφορμίσα6 σθαι ές αυτόν, ή γάρ νήσος ή Σφακτηρία κα λούμενη τόν τε λιμένα παρατείνουσα καί έγγύς έ-
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pe; e poi, anche il brutto tempo, sopraggiunto in modo ben piu aspro rispetto alla stagione in corso, 2 tormentava l’esercito. Cosi, per piu di una ragio ne, accadde che i Peloponnesiaci si ritirarono molto rapidamente; questa fu la piu breve invasione del l’Attica: durò infatti solo quindici giorni. 7 Nel medesimo periodo, lo stratego ateniese Simonide, dopo aver raccolto poche truppe dai presidii ateniesi e un buon numero di alleati indigeni, grazie ad un tradimento occupò Eione, la colonia di Men de sulla costa tracia, ostile ad Atene. Poiché, però, accorsero immediatamente in aiuto Calcidesi e Bottiei, Simonide fu nuovamente cacciato da Eione e perse molti uomini. 8 Ritiratisi dunque i Peloponnesiaci che si trovava no in Attica, gli stessi Spartiati e i pili vicini tra i Perieci si affrettarono a portare aiuto a Pilo; piu lenta era invece la marcia di avvicinamento degli altri La cedemoni, tornati proprio allora dall’altra spedizio2 ne. Gli Spartani, intanto, diffondevano anche at traverso il Peloponneso l’ordine di accorrere al più presto in soccorso di Pilo e inviarono un messaggio alle loro sessanta navi che si trovavano a Corcira: es se, superato l’istmo di Leucade senza essere avvista te dalle navi attiche che si trovavano a Zacinto, giunsero nei pressi di Pilo, dove già si trovavano le 3 truppe di terra. Mentre i Peloponnesiaci stavano ancora navigando alla volta di Pilo, Demostene riu scì a far partire segretamente due navi per avvertire Eurimedonte e la flotta ateniese a Zacinto di accor4 rere, poiché la loro postazione era in pericolo. E ie navi fecero vela rapide, secondo gli ordini impartiti da Demostene; gli Spartani dal canto loro si prepara vano ad attaccare la fortificazione per terra e per mare: ritenevano di poter facilmente impadronirsi di una costruzione realizzata in fretta e presidiata da 5 pochi uomini. Tuttavia, in previsione del soccorso delle navi attiche provenienti da Zacinto, progetta vano - qualora non fossero riusciti a prendere Pilo prima - di bloccare le entrate del porto, affinché per 6 gli Ateniesi fosse impossibile approdarvi. Infatti, proprio di fronte al porto e situata molto vicino ad esso, si stende con la sua forma allungata l’isola di
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πικειμένη έχυρδν j t o l e l καί τούς εσπλους στενούς, τη μέν δυοΐν νεοΐν διάπλουν κατά τό τείχισμα των Α θηναίων καί την Πύλον, τη δέ προς την άλλην ήπει ρον οκτώ ή εννέα· ΰλώδης τε καί άτριβής πάσα ύπ’ ερημιάς ήν καί μέγεθος περί πέντε καί δέκα 7 σταδίους μάλιστα, τούς μέν συν εσπλους ταΐς ναυσίν άντιπρφροις βύξην κλήσειν έμελλον· τήν δέ νήσον ταύτην φοβούμενοι μή έξ αυτής τον πόλεμον σφίσι ποιώνταμ όπλίτας διεβίβασαν ές αυτήν καί 8 παρά τήν ήπειρον άλλους έταξαν, οϋτω γάρ τοΐς ’Αθηναίοις τήν τε νήσον πολεμίαν εσεσθαι τήν τε ήπειρον, άπόβασιν ούκ έχουσαν (τά γάρ αυτής τής Πύλου έξω τού έσπλου προς τό πέλαγος αλίμενα όν τα ούχ έξειν δθεν όρμώμενοι ώφελήσουσι τούς αυτών) σφεΐς δέ άνευ τε ναυμαχίας καί κινδύνου έκπολιορκήσειν τδ χωρίον κατά τδ είκός, σίτου τε ούκ ένόντος καί δι’ ολίγης παρασκευής κατειλημμέ9 νον. ώς δ5εδόκει αύτοΐς ταΰτα, καί διεβίβαζον ές τήν νήσον τούς όπλίτας άποκληρώσαντες άπδ πάν των των λόχων, καί διέβησαν μέν καί άλλοι πρότερον κατά διαδοχήν, οί δέ τελευταίοι καί έγκαταληφθέντες είκοσι καί τετρακόσιοι ήσαν καί Είλωτες οί περί αυτούς· ηρχε δέ αυτών Έπιτάδας ό Μολόβρου. 9 Δημοσθένης δέ όρων τούς Λακεδαιμονίους μέλ λοντας προσβάλλειν ναυσί τε άμα καί πεξφ παρεσκευάζετο καί αυτός, καί τάς τριήρεις αϊ περιήσαν αύτφ από των καταλειφθεισών άνασπάσας ύπό τό τείχισμα προσεσταύρωσε, καί τούς ναύτας έξ αυτών ώπλισεν άσπίσι [τε] φαύλαις καί οίσυΐναις ταΐς πολλαΐς· ού γάρ ήν όπλα εν χωρίφ έρήμω πορίσασθαι, άλλα καί ταΰτα έκ ληστρικής Μεσσηνίων τριακοντόρου καί κέλητος έλαβον, οϊ έτυχον παραγενό-
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Sfacteria; essa rende il porto sicuro e gli accessi ad esso stretti: dalla parte della fortificazione ateniese e di Pilo è infatti possibile il passaggio di due navi; ot to o nove invece possono passare dall’altra parte, quella che si protende verso la terraferma. L ’isola, lunga circa quindici stadi, essendo disabitata, era ri7 coperta di boschi ed era priva di sentieri. Gii Spar tani, dunque, avevano intenzione di bloccare gli ac cessi al porto allineando strettamente le navi con la prua rivolta verso il mare aperto; temendo poi che gli Ateniesi potessero usare l’isola come base per porta re loro guerra, vi fecero sbarcare opliti: altri ne schie8 rarono lungo la terraferma. In questo modo - cosi pensavano - sia Sfacteria che la zona continentale sarebbero state ostili agli Ateniesi, non consentendo loro lo sbarco (e le coste della stessa Pilo esterne ri spetta all’entrata del porto, rivolte verso il mare aperto, non offrivano possibilità di approdo e dunque sarebbe stato impossibile, da quella parte, muoversi per portare aiuto ai loro); quanto a loro, invece, sen za uno scontro navale e senza rischio, verosimilmen te avrebbero potuto espugnare, mediante un asse dio, la postazione, non essendoci al suo interno scor te di viveri ed essendo essa stessa stata occupata con 9 una preparazione insufficiente. In ragione di tali considerazioni, trasferivano sull’isola gli opliti, dopo averli estratti a sorte da tutti i lochoi. Diversi contigenti furono fatti sbarcare, in un primo momento in avvicendamento; l’ultimo, quello che fu catturato, era costituito da quattrocentoventi opliti, oltre agli Iloti che li accompagnavano: li comandava Epitada, figlio di Molobro. 9 Quando Demostene si accorse che i Lacedemoni si accingevano ad attaccare contemporaneamente con le navi e le truppe di terra, anche lui si organiz zava: le triremi che gli rimanevano fra quelle lascia te a Pilo, trattele in secco ai piedi della fortificazio ne, le protesse con una palizzata; armò poi i loro equipaggi con scudi alla buona, molti dei quali fatti in vimini: era impossibile, infatti, procurarsi armi in quel luogo deserto; che anzi, le armi in loro possesso le avevano prese da una triacontoro pirata e da una nave leggera di alcuni Messeni, arrivati li proprio al-
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μενοι. όπλίταί τε των Μεσσηνίων τούτων ώς τεσ σαράκοντα έγένοντο, οις έχρήτο μετά των άλ2 λων. τούς μέν οΰν πολλούς των τε αόπλων καί (ο πλισμένων έπί τά τετειχισμένα μάλιστα καί έχυρά τοϋ χωρίου προς τήν ήπειρον έταξε, προειπών άμύνασθαι τον πεζόν, ήν προσβάλη· αυτός δέ άπολεξάμενος έκ πάντων εξήκοντα όπλίτας καί τοξότας ολίγους έχώρει έξω τοϋ τείχους έπί τήν θάλασσαν, ή μάλιστα έκείνους προσεδέχετο πειράσειν άποβαίνειν, ές χωρία μέν χαλεπά καί πετρώδη προς τό πέ λαγος τετραμμένα, σφίσι δέ τοϋ τείχους ταΰτη άσθενεστάτου δντος έσβιάσασθαι αυτούς ήγεΐτο προθυ3 μήσεσθαι- ούτε γάρ αυτοί έλπίζοντές ποτέ ναυσί κρατήσεσθαι ούκ ισχυρόν έτείχιζον, έκείνοις τε βιαξομένοις τήν άπόβασιν άλώσιμον τό χωρίον γίγνε4 σθαι. κατά τοΰτο ούν προς αυτήν τήν θάλασσαν χωρήσας έταξε τούς όπλίτας ώς εί'ρξων, ήν δύνηται, καί παρεκελεύσατο τοιάδε. ίο «Άνδρες οί ξυναράμενοι τοϋδε τοϋ κινδύνου, μηδείς υμών έν τή τοιάδε ανάγκη ξυνετός βουλέσθω δοκεϊν είναι, έκλογιζόμενος άπαν τό περιεστός ήμάς δεινόν, μάλλον ή άπερισκέπτως εύελπις όμόσε χωρήσαι τοΐς έναντίοις καί έκ τούτων αν περιγενόμενος. όσα γάρ ές ανάγκην άφΐκται ώσπερ τάδε, λογι σμόν ήκιστα ένδεχόμενα κινδύνου τοϋ ταχίστου 2 προσδεΐται. έγώ δέ καί τά πλείω όρώ προς ημών όντα, ήν έθέλωμέν τε μεΐναι καί μή τώ πλήθει αυτών καταπλαγέντες τά υπάρχοντα ήμίν κρείσσω κατα3 προδοΰναι. τοϋ τε γάρ χωρίου τό δυσέμβατον ήμέτερον νομίζω, ό μενόντων μέν ήμών ξύμμαχον γίγνεται, ύποχωρήσασι δέ καίπερ χαλεπόν όν εΰπορον έ'σται μηδενός κωλύοντος, καί τόν πολέμιον
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lora. Tra questi Messeni c’erano anche quaranta opliti, che Demostene utilizzò insieme agli al2 tri. Schierò dunque il grosso degli uomini - chi più chi meno forniti di armi - presso i punti meglio fortificati e difesi della postazione dalla parte della terraferma, con l’ordine di respingere la fanteria av versaria in caso di attacco. Quanto a lui, con sessan ta opliti e pochi arcieri scelti fra tutti, procedeva ol tre la fortificazione, verso il mare, li dove soprattut to si aspettava che gli Spartani avrebbero cercato di sbarcare: si trattava certo di una zona aspra e roc ciosa, volta verso il mare aperto, ma, poiché in quel punto la fortificazione era piu debole che altrove, ri teneva che i nemici avrebbero tentato di irrompere 3 proprio di li. Gli Ateniesi difatti, prevedendo che mai sarebbero stati battuti sul mare, non si erano preoccupati di costruire in questo punto una forte difesa: per questo la postazione sarebbe risultata fa cilmente espugnabile se gli Spartani avessero tenta4 to di sbarcare con la forza. Pertanto Demostene, spintosi sino al mare, schierò gli opliti per respinge re, se possibile, il nemico e li esortò in questo modo: io «Uomini che insieme a me affrontate questo peri colo, nessuno di voi, costretto in una tale situazione, voglia far mostra delle proprie capacità intellettive calcolando tutti i pericoli che ci circondano, piutto sto che, pieno di speranza e rompendo gli indugi del la riflessione, correre incontro ai nemici, pensando di poter superare anche prove come questa. Infatti, quando gli eventi volgono ad uno stato di necessità, come la presente situazione, e non concedono asso lutamente spazio ai ragionamenti, impongono che si 2 affronti il pericolo al piu presto. Quanto a me, ve do, per giunta, che i vantaggi maggiori inclinano dalla nostra parte, qualora vogliamo resistere e non venir meno, spaventati dal numero rilevante dei ne mici, agli elementi di superiorità di cui ora godia3 mo. Reputo, infatti, un elemento a nostro favore il difficile accesso al luogo: se resisteremo ci sarà al leato; se invece ci ritireremo, sebbene impervio, l’accesso si rivelerà tuttavia agevole per i nemici, dal momento che non ci sarà nessuno ad opporsi. In questo caso, ci troveremo ad affrontare un nemico
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δεινότερον έξομεν μή ρςχδίας αύτφ πάλιν ούσης xfjg άναχωρήσεως, ήν καί ύφ’ ημών βιάζητ^ι (έπί γάρ ταΐς ναυσί ράστοί είσιν άμύνεσθαι, άποβάντες δέ έν 4 τώ ϊσω ήδη), τό τε πλήθος αυτών ούκ άγαν δει φοβεϊσθαι· κατ’ ολίγον γάρ μαχεΐται καίπερ πολύ δν απορίςι τής προσορμίσεως, καί ούκ έν γή στρατός έστιν έκ τοΰ όμοιου μείζων, άλλ’ από νεών, αις πολλά 5 τά καίρια δει εν τή θαλάσση ξυμβήναι. ώστε τάς τούτων απορίας αντιπάλους ηγούμαι τψ ήμετέρψ πλήθει, καί άμα άξιώ υμάς, Αθηναίους όντας καί έπισταμένους έμπειρίςχ τήν ναυτικήν επ’ άλλους άπόβασιν δτμ εϊ τις ύπομένοι καί μή φόβω ροθίου καί νεών δεινότητος κατάπλου ύποχωροίη, ούκ άν ποτέ βιάζοιτο, καί αυτούς νυν μεΐναί τε καί αμυνόμενους παρ’ αυτήν τήν ραχίαν σφζειν ημάς τε αυτούς καί τό χωρίον». η Τοσαΰτα τού Δημοσθένους παρακελευσαμένου οί "Αθηναίοι έθάρσησάν τε μάλλον καί έπικαταβάν2 τες έτάξαντο παρ’ αυτήν τήν θάλασσαν, οί δέ Λ α κεδαιμόνιοι άραντες τφ τε κατά γήν στρατφ προσέβαλλον τφ τειχίσματι καί ταΐς ναυσίν άμα οΰσαις τεσσαράκοντα καί τρισί, ναύαρχος δέ αύτών έπέπλει Θρασυμηλίδας ό Κρατησικλέους Σπαρτιάτης, προσέβαλλε δέ ήπερ ό Δημοσθένης προσεδέχε3 το. ^ καί οί μέν Α θ ηνα ίοι άμφοτέρωθεν έκ τε γής καί έκ θαλάσσης ήμύνοντο· οί δέ κατ’ όλίγας ναύς διελόμενοι, διότι ούκ ήν πλέοσι προσσχεΐν, καί άναπαύοντες έν τώ μέρει τούς έπίπλους έποιοΰντο, προθυμίςχ τε πάση χρώμενοι καί παρακελευσμφ, εϊ πως 4 ώσάμενοι έλοιεν τό τείχισμα, πάντων δέ φανερώτατος Βρασίδας έγένετο. τριηραρχών γάρ καί ορών τού χωρίου χαλεπού δντος τούς τριηράρχους καί κυβερνήτας, ει που καί δοκοίη δυνατόν είναι σχεϊν, άποκνοΰντας καί φυλασσομένους τών νεών μή ξυν-
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ben più pericoloso, poiché non gli sarà facile la riti rata, anche nel caso in cui lo incalzassimo (infatti è estremamente agevole respingerli finché sono sulle navi, ma, una volta che essi sono sbarcati, ormai 4 combattiamo su posizioni di parità). Né la loro su periorità numerica deve incutere eccessivo timore: sebbene siano molti, infatti, combatteranno pochi per volta a causa della difficoltà dello sbarco; e non è un esercito che in campo aperto a parità di condi zioni è più numeroso, ma un esercito che scende dal le navi, per le quali è necessario che si verifichi sul 5 mare un insieme di circostanze favorevoli. In con seguenza di tutto questo, ritengo che le loro diffi coltà compensino la nostra inferiorità numerica. Al tempo stesso, a voi che siete Ateniesi e sapete per esperienza che lo sbarco dalle navi con la forza non può avere successo contro un nemico che resista e non si ritiri per paura del fragore dei flutti e dell’ap prodo temibile delle navi, a voi dunque io chiedo di restare ora saldi al vostro posto e, respingendo l’as salto presso il limite della riva rocciosa, di salvare noi stessi e la postazione». ii Dopo che Demostene ebbe rivolto loro questa esortazione, gli Ateniesi furono animati da maggiore coraggio: discesero verso il mare e si schierarono 2 proprio sulla riva. I Lacedemoni nel frattempo muovevano all’attacco della fortificazione con le forze terrestri e contemporaneamente con quaran tatre navi: a bordo c’era come navarco lo spartiata Trasimelida, figlio di Cratesicle, il quale diresse l’at3 tacco proprio dove Demostene si aspettava. E g li Ateniesi resistevano da entrambi i lati, da terra e da mare; gli Spartiati, a loro volta, divise le navi in pic coli gruppi, dal momento che non era possibile ap prodare con un numero maggiore, concedendosi a turno una sosta, sferravano i loro attacchi, profon dendo ogni energia e incitandosi, per fare indietreg giare in qualche modo i nemici e impadronirsi della 4 fortificazione. Brasida fu colui che si distinse piu di tutti: era trierarca e vedendo che, a causa della costa impervia, gli altri trierarchi e i timonieri - se pure in qualche luogo sembrava possibile lo sbarco esitavano e risparmiavano le navi per evitare che si
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τρ ίψ ω σ ιν, έβόα λέγω ν ώς ούκ είκός ειη ξύ λ ω ν φειδο μ ένο υς τούς π ολεμίους εν τή χώ ρ ρ π ερ ιιδ εΐν τ ε ί χος π επ ο ιη μ ένους, αλλά τάς τε σφετέρας να ϋ ς βι,αξο μ ένο υς τή ν ά π ό β α σ ιν κ α τ α γ ν ύ ν α ι έκέλευε, κα ί το ύς ξυμ μ ά χο υς μή ά π ο κ νή σ α ι ά ντί μεγάλω ν ευ ερ γεσιώ ν τάς ναΰς τοΐς Λ α κ εδα ιμ ο νίο ις έν τφ π α ρ όντι έπ ιδο ϋνα ι, όκείλαντας δέ κ α ί π α ντί τρόπιρ άποβάνι ι τας τω ν τε άνδρώ ν καί τού χω ρίου κρατήσαι. καί ό μέν τούς τε άλλους το ια ϋτα έπ έσπ ερχε κα ί το ν εα υ τού κυβερνήτην ά να γκάσας όκεΐλαι τήν να ϋν έχώρει επ ί τή ν α π ο β ά θ ρ α ν- κ α ί π ειρ ώ μ ενο ς ά π ο β α ίνειν ά νεκ ό π η υ π ό τω ν Α θ η ν α ίω ν , κ α ί τρ α υ μ α τισ θ είς πολλά έλ ιπ ο ψ ύχη σ έ τε κ α ί π εσ όντος α υ το ύ ές τή ν π α ρ εξειρεσ ία ν ή άσπίς π εριερρύη ές τήν θάλα σσαν, κ α ί έξενεχ θ είσ η ς α ύτή ς ές τή ν γη ν ο ί Α θ η ν α ίο ι ά νελόμενοι ύσ τερον προς το τρ οπ α ΐον έχρήσαντο δ 2 έστησαν τής προσβολής ταύτης. οί δ5 άλλοι προυθ υ μ ο ΰ ν το μέν, ά δ ύ ν α τ ο ι δ5 ή σ α ν ά π ο β ή να ι τω ν τε χω ρ ίω ν χ α λ επ ό τη τι κ α ί τω ν Α θ η ν α ίω ν μ ενόντω ν 3 κ α ί ο υδ έν ύπ οχω ρο ύντω ν. ές το ύτο τε περιέστη ή τύχη ώστε Α θ η ν α ίο υ ς μέν έκ γής τε κ α ί ταύτης Λ α κωνικής ά μύνεσ θα ι έκείνους έπιπλέοντας, Λ α κ ε δ α ι μ ο νίους δέ έκ νεώ ν τε κ α ί ές τή ν έα υτώ ν π ολ εμ ία ν ο ύ σ α ν έπ ’ Α θ η ν α ίο υ ς ά π ο β α ίνειν- έπ ί π ολύ γά ρ έποίει τής δόξης έν τφ τότε τοΐς μέν ήπειρώ ταις μάλι στα είναι κ αί τά π εξά κρατίστοις, τοΐς δέ θαλασσίοις τε κ α ί ταΐς να υσ ί πλεΐστον προύχειν. ΐ3 Τ α ύτη ν μέν ούν τήν ημέραν κ α ί τής υστεραίας μέρος τ ι π ρ οσ βολ ά ς π ο ιη σ ά μ ενο ι έπ έπ αυντο- κ α ί τή τρίτη έπ ί ξύ λ α ές μ η χα νά ς π α ρ έπ εμ ψ α ν τω ν νεώ ν τινάς ές Ά σ ίν η ν , έλ π ίζοντες τό κατά τόν λιμένα τεί χος ύψ ος μέν έχειν, άποβάσεω ς δέ μάλιστα ούσης έ2 λεΐν < ά ν> μηχαναΐς. έν τούτω δέ α ί έκ τής Ζ α κ ύ ν θ ο υ νήες τώ ν Α θ η ν α ίω ν π α ρ α γ ίγ ν ο ν τ α ι τεσ σ α ρ ά -
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fracassassero, gridava dicendo che era irragionevo le, per salvare del legno, tollerare che i nemici aves sero costruito una fortificazione a Pilo. Egli li esor tava, invece, persino a sfasciare le navi pur di tenta re con forza lo sbarco; e si rivolgeva anche agli allea ti, affinché non indugiassero, nella presente situa zione, a sacrificare le navi per i Lacedemoni, ricam biando cosi i grandi benefici ricevuti, e dunque, ap prodati e sbarcati in qualunque modo, ad avere la meglio sui nemici e ad impadronirsi della postazioi ì ne. In questo modo Brasida incitava gli altri e, do po aver costretto il proprio timoniere a spingere ver so terra la nave, correva verso la passerella: ma, mentre tentava di sbarcare, fu respinto dagli Ate niesi e, ferito piu volte, perse i sensi. Cadde sulla sporgenza esterna della nave e gli scivolò in mare lo scudo, che, sospinto verso terra, fu raccolto dagli Ateniesi: più tardi essi lo utilizzarono per il trofeo che 2 eressero in ricordo di questo attacco. Nel frattem po, gli altri Lacedemoni lottavano coraggiosamente ma non riuscivano a sbarcare, sia per la difficoltà della costa, sia perché gli Ateniesi mantenevano le 3 loro posizioni e non indietreggiavano. A tal punto mutarono le sorti che gli Ateniesi si trovarono a re spingere da terra (e da terra laconica, per giunta) gli Spartani che li attaccavano provenendo dal mare; mentre gli Spartani tentavano di sbarcare contro gli Ateniesi su di una terra che, pur appartenendo a lo ro, ora era nemica: a quel tempo, infatti, era parti colarmente grande la fama degli Spartani, perché er rano essenzialmente continentali, dotati delle piu forti truppe terrestri; e degli Ateniesi, un popolo di marinai che esercitava con la flotta il dominio sul mare. 13 Gli Spartani sferrarono i loro attacchi durante tutto quel giorno e parte del successivo, poi si ferma rono. Il terzo giorno inviarono alcune navi ad Asine, affinché recuperassero legname per costruire mac chine: prevedevano, infatti, di poter conquistare, grazie ad esse, il muro pur alto costruito lungo il por to, poiché in quel punto lo sbarco era particolarmen2 te agevole. Nel frattempo giunsero, provenienti da Zacinto, le navi ateniesi, cinquanta in tutto: si e-
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κοντά· προσεβοήθησαν γάρ τω ν τε φ ρουρίδω ν τινές 3 αύτο ΐς τω ν έκ Ν α ύ π α κ το ύ κ α ι Χ ΐα ι τέσσαρες. ως δέ ε ίδ ο ν τή ν τε ή π ειρ ο ν οπ λ ιτώ ν π ερ ίπ λ εω ν τή ν τε νή σ ο ν, εν τε τφ λιμ ένι ο ύσ α ς τά ς να ϋς κα'ι ούκ έκπλεούσ ας, ά π ορ ή σ α ντες όπη κ α θ ο ρ μ ίσ ω ντα ι, τότε μέν ές Π ρω τήν τήν νήσον, ή ού πολύ α π έχει έρήμος ο ύ σ α , έπ λ ευσ αν κ α ί η ύλ ίσ α ντο , τή δ’ υ σ τερ α ία παρασκευασάμενοι ώς έπ ί ναυμ αχίαν άνήγοντο, ήν μέν άντεκπλεϊν έθέλω σι σφίσιν ές τήν ευρυχω ρίαν, εί δέ 4 μή, ώς α υ το ί έπ εσ π λ ευσ ο ύ μ ενο ι. κ α ί ο ί μέν ούτε ά ντα νή γο ντο ούτε α διενο ή θ η σ α ν, φ ά ρ ξα ι τούς έσπλους, έτυχον π οιή σαντες, ή σ υ χά ζο ντες δ’ έν τή γή τά ς τε να ϋς έπ λ ή ρ ουν κ α ί π α ρ εσ κ ευ ά ζο ν το , ήν έσπλέτ) τις, ώς έν τω λιμένι ό ντι ου σμικρω ναυμ αχήΐ4 σοντες. οί δ’ Α θ η ν α ίο ι γνόντες κ α θ ’ έκάτερον τον έσ π λ ουν ώ ρμησαν έπ ’ α υ το ύ ς, κ α ί τάς μέν π λείους καί μετεώ ρους ήδη τω ν νεώ ν κ α ί ά ντιπ ρφ ρους προσπεσόντες ές φ υγήν κατέστησ αν, κ α ί έπ ιδιώ κο ντες ώς δ ιά βραχέος έτρω σ αν μέν πολλάς, π έντε δέ έλαβον, κ α ί μ ία ν το ύτω ν α ύτο ΐς ά νδ ρ ά σ ιν· τα ϊς δέ λοιπαΐς έν τή γή κα τα π εφ ευγυία ις ένέβαλλον. α ί δέ καί π λη ρο ύμενα ι έτι π ρ ιν ά ν ά γ εσ θ α ι εκόπτοντο· καί τινα ς κ α ί ά ν α δ ο ύ μ ε ν ο ι κ ενό ς ειλκον τω ν ά ν δ ρ ώ ν ές 2 φ υγή ν ώ ρμημένω ν. ά όρώ ντες ο ί Λ α κ ε δ α ιμ ό ν ιο ι κ α ί π ερ ια λ γο ΰ ντες τφ π ά θ ε ι, ότιπ ερ α ύ τώ ν ο ί ανδρες άπελαμβάνοντο έν τή νήσω, παρεβοήθουν, καί έπεσβαίνοντες ές τήν θ άλα σσ αν ξύ ν τοΐς όπλοις άνθ εΐλ κ ο ν έπ ιλ α μ β α νό μ ενο ι τω ν νεώ ν· κ α ί έν το ύτω κ εκ ω λ ϋ σ θ α ι έδ ό κ ει έκασ τος ω μή τ ιν ι κ α ί α ύτός 3 έργω π α ρ ήν. έγένετό τε ό θ ό ρ υβ ο ς μέγας κ α ί άντηλλαγμένου τοΰ έκατέρω ν τρόπου περί τάς ναϋς· οι τε γά ρ Λ α κ ε δ α ιμ ό ν ιο ι ύ π ό π ρ ο θ υ μ ία ς κ α ί έκπλήΙεω ς ώς είπ εΐν άλλο ο ύδ έν ή έκ γής έν α υ μ ά χο υ ν, οϊ
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rano infatti aggiunte in loro soccorso alcune navi dei * presidii di Naupatto e quattro di Chio. Quando videro che sia la terraferma sia Sfacteria erano pre sidiate da molti opliti e che le navi spartane erano nel porto e non ne uscivano, non sapendo dove or meggiare, navigarono verso Prote, un’isola che non era molto distante ed era disabitata, e vi si accampa rono. Il giorno seguente presero il largo pronti ad af frontare una battaglia navale, nell’eventualità che i nemici, usciti dal porto, li affrontassero in mare aperto; in caso contrario, ad attaccare essi stessi nel 4 porto. Gli Spartani non mossero le loro navi con tro gli Ateniesi, né attuarono ciò che avevano pro gettato, cioè bloccare gli accessi al porto, ma, stan dosene tranquilli a terra, allestivano le navi e si pre paravano a combattere all’ interno del porto, che certo non era angusto, qualora qualcuno vi pene14 trasse. Quando si resero conto di quello che stava accadendo, gli Ateniesi attaccarono gli Spartani at traverso entrambi gli accessi al porto, piombarono sulla maggior parte delle navi, ormai già lontane dal la riva e con la prua rivolta contro di loro, e le volse ro in fuga; inseguendole - per quanto era possibile data la ristrettezza dello spazio - ne danneggiarono molte e ne catturarono cinque: di una di queste fe cero prigioniero l’equipaggio; poi assalirono le altre rifugiatesi a terra. Le navi che erano in fase di alle stimento furono distrutte prima ancora di poter sal pare: rimorchiatene alcune, gli Ateniesi le trascina rono vuote, poiché gli equipaggi si erano dati alla fu2 ga. Vedendo ciò che stava accadendo, i Lacede moni, profondamente colpiti per quel rovescio - in conseguenza del quale i loro uomini rimanevano bloccati nell’isola - accorrevano in aiuto: scesi in mare armati, si attaccavano alle navi e a loro volta le trascinavano. In questo momento, ciascuno credeva che la situazione sarebbe rimasta bloccata se anche 5 lui non avesse partecipato a qualche azione. Ne nacque un grande scompiglio, anche perché gli uni e gli altri si erano scambiati il modo di combattere con le navi: infatti i Lacedemoni, con una forza che nasceva dallo sbigottimento, non facevano altro, per cosi dire, che una battaglia navale da terra; gli
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τε Α θ η ν α ίο ι κρατούντες κ α ί βουλόμενοι τη π αρούσΤ1 τύ χ η ώς έπ ί π λεΐσ τον έπ εξελ θ εΐν άπ ό νεώ ν έπε4 ζομάχουν. πολύν τε π όνον παρασχόντες άλλήλοις καί τραυματίσαντες διεκρίθησαν, καί οί Λ α κ εδα ιμ ό νιο ι τάς κενός να ΰς πλήν τω ν τό πρώ τον ληφθεισώ ν 5 διέσω σαν, καταστάντες δέ έκάτεροι ές τό στρατόπεδον οί μέν τρ οπ αΐόν τε έστησαν κ α ί νεκρούς άπέδο σ α ν κ α ί ν α υ α γ ίω ν έκ ρ ά τη σ α ν, κ α ί τή ν νήσ ον ευ θ ύ ς π ερ ιέπ λ εο ν κ α ί έν φ υλακή ειχον ώς τω ν άνδρ ώ ν ά π ε ιλ η μ μ έ ν ω ν ο ί δ ’ έν τή ή π είρω Π ελοπονν ή σ ιο ι κ α ί ά π ό π ά ν τω ν ήδη β εβοη θηκότες έμενον κατά χώ ραν έπ ί τή Πύλιρ. iS Έ ς δέ τή ν Σ π ά ρ τη ν ώς ή γγέλ θ η τά γεγενη μ ένα π ερ ί Π ύλ ον, έδ ο ξεν αύτοΐς ώς έπ ί ξυμφορςί μεγάλη τά τέλη κ α τα β ά ντα ς ές τό σ τρ α τό π εδ ο ν β ο υλεύειν 2 π α ρ α χρ ή μ α ό ρ ώ ντα ς δ τι άν δοκή. κ α ί ώς ειδ ο ν α δ ύ να το ν δν τιμω ρείν τοΐς ά νδρ ά σ ι κ αί κ ινδυνεύειν ούκ έβούλοντο ή υπ ό λιμού τ ι π α θ εΐν α υτούς ή υπ ό π λ ή θ ο υς β ια σ θ έντα ς κ ρ α τη θ ή ν α ι, έδ ο ξεν α ύτοΐς προς το ύς σ τρατηγούς τω ν Α θ η ν α ίω ν , ήν έθέλω σμ σ π ο νδά ς π ο ιη σ α μ ένο υ ς τά π ερ ί Π ύλ ον ά π οσ τεΐλ α ι ές τά ς Α θ ή ν α ς π ρ έσ β εις π ερ ί ξυμ β ά σ εω ς κ α ί τούς ι6 ά νδρ α ς ώς τάχιστα π ειρ ά σ θ α ι κομίσ ασ θαι. δεξαμένων δέ των στρατηγώ ν τον λόγον έγίγνοντο σπονδ α ί το ια ίδ ε, Λ α κ εδ α ιμ ο ν ίο υ ς μέν τάς να ΰς έν αις έν α υ μ ά χ η σ α ν κ α ί τάς έν τή Λ α κ ω ν ικ ή π ά σ α ς, δ σ α ι ήσαν μακραί, π α ρ α δ ο ϋνα ι κομίσαντας ές Π ύλον Ά θ η να ίο ις, κ α ί δπ λα μή έπ ιφ έρειν τφ τειχίσ ματι μήτε κ α τά γή ν μήτε κ α τά θ ά λ α σ σ α ν, Α θ η ν α ίο υ ς δέ τοΐς έν τή νήσω ά νδράσ ι σίτον εάν τούς έν τή ήπείρω Λ α κ εδ α ιμ ο νίο υ ς έκ π έμ π ειν τα κ τό ν κ α ί μεμ α γμ ένο ν, δ ύ ο χο ίνικ α ς έκά σ τω Ά τ τ ικ ά ς αλφ ίτω ν κ α ί δύο κοτύλας οίνου κ α ί κρέας, θ ερ ά π ο ν τι δέ τούτω ν ήμίσεα· τα ϋ τ α δέ όρ ώ ντω ν τώ ν Α θ η ν α ίω ν έσ π έμ π ειν κ α ί π λοΐον μηδέν έσπλεΐν λά θρ α · φ υλάσσειν δέ κα ί
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A ten iesi, invece, da una situazione di superiorità e con l ’intenzione di sfruttare al massimo lo stato pre sente, com battevano dalle n avi una b attaglia terre4 stre. Reciprocam ente si danneggiarono e si infersero ferite, poi si separarono: i Lacedem oni riu sci rono a recuperare le n avi vu o te, salvo quelle prese 5 a ll’inizio. T o rn ati entram bi nei risp ettivi accam pam enti, gli A ten iesi innalzarono un tro feo , re sti tuirono i caduti e si im possessarono dei relitti delle n avi nem iche; subito poi navigavano intorno all’ i sola e la tenevano sotto controllo, dal momento che sapevano che gli uom ini li erano orm ai isolati. Q uanto ai Peloponnesiaci sulla terraferm a e a quelli accorsi in aiuto da ogni parte, restavano nelle v ic i nanze di Pilo. 15 Q uando a Sparta giunse la notizia degli avven i menti di Pilo, i Lacedem oni decisero, di fronte ad una disfatta di tale portata, che i m agistrati, recatisi presso l ’ accam pam ento, prendessero decisioni im m ediate rendendosi conto di come fosse opportuno 2 agire. I m agistrati capirono che era im possibile portare aiuto ai loro soldati e non volevan o che quelli corressero il rischio di patire la fam e o di ce dere sopraffatti dalla superiorità numerica del nem i co; decisero di stipulare con gli strateghi ateniesi qualora essi fossero stati disponibili - una tregua ri guardante Pilo, di inviare poi am basciatori ad A tene per negoziare un accordo e di cercare di portar via 16 da Sfacteria al più presto gli uom ini. A ven d o gli strateghi accettato la proposta, fu conclusa una tre gua sulla base di questi accordi: i Lacedem oni, rac colte a Pilo le n avi con cui avevano com battuto e tutte le navi da guerra presenti in Laconia, le avreb bero consegnate agli A ten iesi; si im pegnavano poi a non attaccare la fortificazion e né da terra né da m a re. G li A ten iesi, a loro vo lta, avrebbero perm esso che i Lacedem oni che si trovavan o sulla terraferm a inviassero agli uom ini bloccati a S facteria focacce d ’ orzo in quantità determ inata, due chenici attiche di farina d ’orzo, due cotili di vino e una porzione di carne, per i servi la m età di tutto questo. Q uesti rifornim enti sarebbero stati in viati sotto sorveglian za ateniese e nessuna nave avrebbe cercato di avvi-
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τήν νήσον Α θ η ν α ίο υ ς μηδέν ήσσον, δσα μή άποβαίνοντα ς, κα ί δπ λα μή έπ ιφ έρ ειν τφ Π ελοπ ο ννησ ίω ν 2 στρατφ μήτε κατά γήν μήτε κατά θάλασσαν, δτι δ’ α ν τ ο ύ τ ω ν π α ρ α β α ίνω σ ιν έκάτεροι κ α ί ότιοΰν, τότε λελύσθαι τάς σπονδάς. έσ π εΐσθα ι δέ αύτάς μέχρι ου έπ α νέλ θω σ ιν οί εκ τω ν Α θ η ν ώ ν Λ α κ ε δ α ιμ ο ν ίω ν π ρέσβεις- άποστεϊλαι δέ αυτο ύς τριήρει Α θ η ν α ίο υ ς κ α ί π ά λ ιν κομίσαι. έλ θόντω ν δε τάς τε σπ ονδά ς λελΰ σ θα ι ταύτας κ α ί τάς ναϋς ά π ο δ ο ϋ να ι ’Α θ η να ίο υ ς 3 όμοιας οϊασπερ α ν παραλάβ ω σιν. α ί μέν σ π ονδα ί έπ ί το ύτο ις έγ ένο ντο , κ α ί α ι νήες π α ρ εδ ό θ η σ α ν ούσαι π ερ ί έξήκοντα, καί οί πρέσβεις άπεστάλησαν. άφικόμενοι δέ ές τάς Α θ ή ν α ς έλεξαν τοιάδε. ΐ7 « Έ π ε μ ψ α ν ημάς Λ ακεδα ιμόνιο ι, ώ Α θ η ν α ίο ι, π ε ρί τω ν έν τή νήσω ά νδρ ώ ν π ρ ά ξο ντα ς δτι ά ν ύμΐν τε ω φέλιμον δν το α υτό π είθ ω μ εν κ α ί ήμίν ές τή ν ξυμφ οράν ώς έκ τω ν π α ρ ό ντω ν κόσμον μάλιστα μέλλη 2 οί'σειν. τούς δέ λόγους μα κρ οτέρ ους ου π α ρ ά τό είω θ ό ς μη κυνο ύμ εν, άλλ’ επ ιχ ώ ρ ιο ν δν ήμΐν ού μέν βραχείς άρκώ σι μή πολλοΐς χρ ήσ θαι, πλέοσι δέ έν φ άν καιρός η διδάσ κοντας τι τώ ν προύργου λόγοις τό 3 δέον π ρ ά σ σ ειν. λάβετε δέ α υ το ύ ς μή πολεμίω ς μηδ’ ώς ά ξύ ν ετ ο ι δ ιδ α σ κ ό μ ενο ι, ύ π ό μ νη σ ιν δέ του καλώς βουλεύσασθαι προς είδότας ήγησάμενοι. 4 Ύ μ ΐν γά ρ ευ τυ χ ία ν τή ν π α ρ ο ύ σ α ν εξεσ τι καλώ ς θ έσ θ α ι, εχ ο υ σ ι μ έν ώ ν κρατείτε, προσλαβοΰσι δέ τι μήν κα ί δ ό ξαν, κ α ί μή π α θ εΐν δπερ οί άήθω ς τι α γ α θ ό ν λαμβάνοντες τώ ν α ν θ ρ ώ π ω ν αίεί γάρ τού πλέονος έλπ ίδι ο ρ έγοντα ι διά τό κα ί τά π α ρ όντα άδοκή-
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cinarsi all’isola di nascosto; gli A ten iesi avrebbero sorvegliato Sfacteria non meno di prim a, ma non v i sarebbero potuti sbarcare e non avrebbero cercato di attaccare l’ esercito peloponnesiaco né da terra né 2 d am are. N el caso in cui una delle due parti avesse violato una qualunque di queste clausole, in quello stesso momento la tregua era da considerarsi infran ta. A vreb b ero rispettato la tregua fino al ritorno da A ten e degli am basciatori lacedem oni: sia all’ andata che al ritorno li avrebbero accom pagnati gli A ten ie si con una loro trirem e. U na volta tornati gli am ba sciatori, questa tregua sarebbe cessata e gli A ten iesi avrebbero restituito le navi cosi come le avevano ri3 cevute in consegna. A queste condizioni concluse ro dunque la tregua: i Lacedem oni consegnarono le n avi (circa sessanta) e i loro am basciatori partirono. G iu n ti ad A ten e pronunciarono un discorso di que sto tipo: 17 « I Lacedem oni ci hanno m andato, A ten iesi, per negoziare, riguardo agli uom ini che si trovano nell’i sola, la ratifica di un accordo che a v o i risu lti van taggioso e nel contem po possa a noi, nella sventura, consentire di conservare il m aggiore onore possibi2 le, nei lim iti della presente situazione. Terrem o un discorso piuttosto lungo, senza venir meno alla nostra abituale condotta: presso di noi è consuetu dine, d ifatti, non sprecare m olte parole laddove sia no sufficienti brevi discorsi, ma usarne anche di piu tutte le volte che le circostanze richiedano - d iffo n dendoci a spiegare qualcosa di utile - di realizzare 3 con le parole ciò che è necessario. D unque non ac cogliete il nostro discorso in modo pregiudizialm en te ostile, e tanto meno come se volessimo insegnarvi qualcosa riten en d ovi degli sprovvedu ti; al contra rio, consideratelo come un ammonimento a ben d e cidere rivolto a chi è già avveduto. 4 V i è possibile sfruttare opportunam ente il presen te successo, conservando ciò che possedete, aggiun gendovi onore e gloria, senza com mettere l ’ errore in cui incorrono gli uom ini cui capita una qualche fo r tuna senza che v i siano avvezzi: sem pre in fatti essi sono animati dalla speranza di poter ottenere di piu, poiché già nel presente godono della buona sorte in
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τω ς εύτυχήσαι. οις δέ π λείσται μεταβολαί έπ ’ άμηχιτερα ξυμ β εβ ή κ α σ ι, δ ίκ α ιο ί είσ ι κ α ί ά π ισ τό τα το ι είν α ι ταΐς εύ π ρ α γία ις- δ τη τε ύμετέρςι π όλ ει δι’ έμπ ειρ ία ν κ α ί ήμΐν μάλιστ’ α ν έκ τοΰ είκότος 18 π ροσείη. γνώ τε δέ κ α ί ές τάς ή μ ετέρας ν ΰ ν ξυμφοράς άπιδόντες, οί'τινες α ξίω μ α μέγιστον τώ ν Ε λ λήνω ν έχοντες ή κ ο μ εν π α ρ ’ υμ ά ς, π ρ ό τερ ο ν α υτο ί κυρ ιώ τερ οι νο μ ίζοντες είνα ι δ ο ύ ν α ι έφ’ α νυ ν άφιγ2 μ έ ν ο ιύ μ ά ς α ίτο ύμ εθ α . κ α ίτο ι οϋτε δυνά μ εω ς έν δεια έπ ά θο μ εν α υτό ούτε μ είξονο ς προσγενομένης ΰβ ρ ίσ α ντες, α π ό δέ τώ ν α ίεί υ π α ρ χ ό ν τω ν γνώ μη σφ αλέντες, έν φ π ά σ ι τό α υ τό ομοίω ς υ π ά ρ χει. ώ στε ούκ είκό ς υμ ά ς δ ιά τή ν π α ρ ο ύ σ α ν νΰν ρώ μην πόλεώ ς τε κ α ί τω ν π ρ οσ γεγενη μ ένω ν κ α ί τό 4 τής τύχης ο ϊε σ θ α ι α ίε ί μεθ’ υμ ώ ν έσ εσ θα ι. σωφ ρόνω ν δέ ά νδ ρ ώ ν οιτινες τ ά γ α θ ά ές αμφ ίβολον ασφαλώς έθεντο (καί ταϊς ξυμφ οραϊς οί αυτοί εύξυνετώ τερον αν π ροσφ έροιντο), τό ν τε πόλεμον νομίσω σι μή κ α θ ’ δσον ά ν τις αύτο ΰ μέρος βούληται μετ α χ ειρ ίζειν , το ύτω ξυ ν ε ΐν α ι, άλλ’ ως α ν α ί τύ χ α ι α υτώ ν ήγήσω νται· κ α ί έλάχιστ’ ά ν ο ί το ιο ϋτο ι πταίοντες διά τό μή τω δρ θουμένψ αύτο ΰ πιστεύοντες έπ α ίρ ε σ θ α ι έν τφ εύ τυ χ εϊν ά ν μάλιστα κα τα λ ύοιντο. δ νΰ ν ύμΐν, ω Α θ η ν α ίο ι, καλώς έχει προς ημάς π ρ ά ξα ι, κα ί μή ποτέ ύστερον, ήν άρ α μή πειθόμενοι σφαλήτε, ά πολλά ένδέχεται, νομ ισθήνα ι τύχη κ α ί τά ν ΰ ν π ρ ο χω ρ ή σ α ντα κρ α τή σ α ι, εξ ό ν ά κ ίν δ υ ν ο ν δό κ η σ ιν ίσχύος κ α ί ξυ νέσ εω ς ές τό έπ ειτα καταλιπεΐν. *9 Λ α κ εδαιμόνιο ι δέ υμάς π ροκαλοΰνται ές σπονδάς καί διάλυσιν πολέμου, διδόντες μέν ειρήνην κ α ί ξυμ5
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m odo inaspettato. M a coloro che hanno vissuto m oltissim e vicissitudini, e felici e dolorose, è giusto che siano particolarm ente d iffiden ti di fronte ai suc cessi: è naturale che questo modo di agire dovrebbe essere soprattutto connaturato, grazie all’ esperien18 za, alla vostra come alla nostra città. Siatene con sapevoli, dunque, anche considerando le nostre at tuali d ifficoltà: noi che, pur godendo della piu gran de considerazione tra gli E lle n i, ci rivolgiam o a voi. F in o a poco fa credevam o di essere i principali depo sitari di quelle concessioni che ora siamo venu ti a 2 chiedervi. D ’ altra parte, non ci troviam o in que sta situazione per debolezza m ilitare, né perché ab biam o agito con arroganza dovuta a un increm ento della nostra forza, ma per un errore commesso per ché abbiam o ragionato in base alle condizioni abi tuali: ci troviam o, quindi, in una situazione che, al3 lo stesso modo, può capitare a chiunque. Sicché non è ragionevole che voi pensiate - in forza dell’ at tuale vigore della città e delle annessioni - che la 4 buona sorte sarà sem pre dalla vostra parte. Sono saggi quanti fra gli uom ini non hanno dubbi nel ri condurre la considerazione dei loro successi nella sfera dell’incertezza (e anche nelle sventure essi so no capaci di com portarsi in modo più intelligente): riguardo alla guerra, poi, non ritengono che uno v i sia coinvolto nella misura in cui ha stabilito di parte cip arvi, ma che questo evento sia governato dal ca so. U om ini di questo tipo com m ettono pochissim i errori: d ifa tti non si esaltano, fidando sul loro suc cesso m ilitare, ma in un m om ento favo revo le sono 5 particolarm ente inclini a por fin e al con flitto. Ora, A ten iesi, v i si o ffre una buona occasione per com portarvi cosi nei nostri co n fron ti e perché non si pensi in avvenire - nel caso in cui, non seguendo i nostri consigli, doveste andare incontro al fallim en to (come spesso si verifica) - che anche i vostri at tuali successi sono stati conseguiti per caso; ora, in vece, v i è possibile lasciare ai posteri, e senza corre re alcun pericolo, una testim onianza di forza e di in telligenza. •9 I Lacedem oni v i propongono di stipulare un tra t tato e porre fin e alla guerra: vi offro n o di stabilire, 5
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μ α χ ια ν κ α ι άλλην φ ιλ ία ν π ολ λή ν κ α ί ο ικ ειό τη τα ές αλλήλους ύπάρχειν, άνταιτοΰντες δέ τούς εκ τής νή σου ά νδρ α ς, κα ί ά μ εινο ν η γο ύ μ ενο ι άμφ οτέροις μη δ ια κ ινδ υ νεύ εσ θ α ι, είτε βία δια φ ύγο ιεν παρατυχούσης τινός σωτηρίας είτε καί έκπ ολιορκηθέντες μάλ λον αν χειρω θεΐεν. νομ ίζομέν τε τάς μεγάλας εχθρας μάλιστ α ν δ ια λ υ εσ θ α ι βεβαίω ς, ούκ ήν άνταμυνόμενός τις κ α ί έπ ικ ρ α τή σ α ς τά πλείω του π ολέ μου κα τ’ α νά γκ η ν δρ κοις έγκ α τα λ α μ β ά νω ν μή άπό του ίσου ξυμβή, άλλ’ ήν π αρ όν τό αυτό δράσ αι προς το επ ιεικές κα ί αρετή α υτό ν νικ ή σ α ς π α ρ ά ά προσεδέχετο μετρίως ξυνα λλ αγή. όφ είλω ν γά ρ ήδη ό ενάντιος μή άνταμύνεσ θαι ως βιασθείς, άλλ’ άνταποδο ϋ να ι αρετήν, ετοιμότερος εστιν αισχύνη έμμένειν οις ξυνέθετο. καί μάλλον προς τούς μειζόνω ς έχθροΰς το ύτο δρίδσιν ο ί ά νθ ρ ω π ο ι ή προς το ύς τά μέ τρια διενεχθέντας· π εφ ύκασίτε τοΐς μέν έκουσίως ένδ ο ΰ σ ιν ά ν θ η σ σ ά σ θ α ι μεθ’ η δο νή ς, προς δέ τά ύπεραυχοΰντα καί παρα γνώ μην διακινδυνεύειν. 10 Ή μ ΐν δέ καλώς, εΐ'περ ποτέ, έχει άμφοτέροις ή ξυνα λ λαγή, π ρ ιν τι ά νή κεσ το ν δ ιά μέσου γενό μ ενο ν ήμας κατα λ α βεΐν, ε ν ψ α νά γκ η ά ίδ ιο ν ύ μ ΐν έχ θ ρ α ν π ρός τή κ οινή κ α ί ιδ ία ν έχειν, υ μ ά ς δ ε σ τερ η θ ή να ι ων^νΰν π ρ ο κ α λ ο ύ μ εθ α . έτι δ’ δ ντω ν ά κ ρ ιτω ν καί υμΐν μέν δόξης καί ημετέρας φιλίας προσγιγνομένης, ήμΰν δέ πρό αισχρού τινός ξυμ φ ορ ά ς μετρίως κατατιθ εμ ένη ς δια λ λα γώ μ εν, κα ί α ύ το ί τε ά ντί πολέμου ειρηνην ελώ μεθα κα ί τοΐς άλλοις 'Έ λ λ η σ ιν άνά π α υσιν κακώ ν ποιήσωμεν· οΐ καί έν τούτω υμάς αίτιωτέρους ήγήσονται. π ολεμοΰνται μέν γάρ άσαφώς όπο-
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in modo reciproco, pace, alleanza nonché altri v in coli di stretta amicizia e fraterni rapporti; in cambio v i chiedono gli uomini rim asti a S f acteria, ritenendo preferibile per entram bi non continuare a correre ri schi: sia che essi riescano, con un atto di forza, a fuggire (qualora si presentasse una qualche occasio ne per m ettersi in salvo), sia che, co stretti alla resa, 2 siano ancor piu di adesso in vostro potere. Siam o convinti, in fatti, che profonde inim icizie possano avere term ine in modo particolarm ente sicuro non quando uno dei contendenti, rivalendosi, dopo aver largam ente superato l ’ avversario, lo vin cola sotto costrizione con giuram enti e stipula un accordo a condizioni non eque; ma nel caso in cui, essendo possibile ottenere il medesim o risultato in modo m oderato e avendo superato l ’ avversario anche in generosità, stipula con lui, persino al di là delle sue 3 aspettative, un patto equilibrato. A quel punto, in fatti, l ’ avversario si sente obbligato non a ven d i carsi, come chi ha subito violen za, ma a m ostrarsi a sua volta generoso ed è piu disposto, per un senso di 4 onore, a rispettare i p atti sottoscritti. E gli uom i ni agiscono in questo modo nei confronti di chi è lo ro maggiormente nemico, piuttosto che verso coloro che avversano per contrasti di scarsa entità; e per natura sono condiscendenti a loro vo lta, e di buon grado, verso chi cede spontaneam ente; al contrario, sono disposti a rischiare - anche contro il loro modo di pensare - di fronte alla arroganza. 10 P er noi si presenta, se mai v i fu altra volta, una op portuna occasione di accordo per entram bi, prim a che, nel frattem po, ci colpisca all’im provviso qual cosa di irreparabile: inevitabilm ente, allora, incorre reste nella nostra eterna ostilità, anche personale ol tre che pubblica, e vo i perdereste quanto siamo ve2 nuti a proporvi. M a, finché tutto è ancora incerto, vo i ottenendo la gloria e la nostra am icizia, mentre noi con una soluzione m oderata della sventura e v i tando conseguenze disonorevoli, riconciliam oci, scegliamo da noi la pace piuttosto che la guerra e po niam o fine ai mali degli altri G re ci, i quali, proprio in questa occasione, riterranno vo i i principali arte fici della pace. E ssi, in fatti, com battono senza sape-
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τέρω ν ά ρ ξ ά ν τ ω ν καταλύσεω ς δέ γενομένης, ής νΰν υμείς τό πλέον κ ύ ρ ιο ί έστε, τή ν χά ρ ιν ύμΐν προσθή3 σουσιν. ήν τε γνώ τε, Λ α κ εδα ιμ ο νίο ις εξεστιν ύμΐν φίλους γ ε ν έσ θ α ι βεβαίω ς, α υ τώ ν τε προκαλεσαμέ4 νω ν χαρισαμένους τε μάλλον ή βιασαμένοις. καί έν τούτω τα ένόντα α γα θ ά σκοπείτε δσα είκός είναι· η μώ ν γά ρ κ α ί υμώ ν τα ύ τ ά λεγό ντω ν τό γε άλλο Ε λ ληνικόν ϊσ τε δ τι υ π ο δ εέσ τερ ο ν δ ν τά μέγισ τα τιμ ή σει». μ Ο ί μέν οΰν Λ α κ ε δ α ιμ ό ν ιο ι το σ α ϋ τα ειπ ο ν, νομίζο ντες τούς Α θ η ν α ίο υ ς έν τώ π ρ ιν χρόνιο σ πονδώ ν μέν έπ ιθυμ εΐν, σφών δέ ένα ντιουμ ένω ν κω λύεσθαι, διδομένης δέ ειρήνης άσμένους δέξεσ θα ί τε καί τούς 2 ά νδ ρ α ς άπ οδώ σ ειν. οί δέ τάς μέν σ π ονδά ς, έχοντες τούς ά νδρας έν τή νήσιυ, ήδη σφίσιν ένό μ ιζο ν έ το ιμ ο υς είνα ι, ό π ό τα ν β ο ύλω ντα ι π ο ιε ΐσ θ α ι προς 3 α υ το ύ ς, του δέ π λέονος ώ ρ έγο ντο. μάλιστα δέ α υ το ύ ς ένήγε Κ λ έω ν ό Κ λ εα ιν έ το υ , άνήρ δη μ α γω γός κα τ’ έκεΐνο ν τό ν χρ ό νο ν ώ ν κ α ί τώ π λ ή θ ει πιθ α ν ώ τα το ς· κ α ί έπ εισ εν ά π ο κ ρ ίν α σ θ α ι ώς χρή τά μέν δπ λα κ α ί σφάς α υτο ύς το ύς έν τή νήσω παρ α δόντα ς π ρώ τον κ ομ ισ θή να ι Ά θ ή ν α ζ ε , έλθόντω ν δέ ά π οδ όντα ς Λ α κ εδ α ιμ ο νίο υ ς Ν ίσ α ια ν κα ί Π ηγάς κ α ί Τ ρ ο ιζή να καί Ά χ α ΐα ν , ά ού πολέμιο έλαβον, άλλ’ ά π ό τής προτέρας ξυμ βάσεω ς Α θ η ν α ίω ν ξυγχω ρησ ά ντω ν κατά ξυμ φ ορ ά ς κ α ί έν τω τότε δεόμενω ν τι μάλλον σπονδών, κομίσασθαι τούς άνδρας καί σπον δά ς π ο ιή σ α σ θ α ι όπ όσον άν δοκή χρ όνο ν άμ2.2. φοτέροις. οί δέ προς μέν τή ν ά π όκρ ισ ιν ο ύδ έν άντεΐπον, ξυνέδρους δέ σφίσιν έκέλευον έλέσθαι οϊτινες λέγοντες κα ί άκούοντες π ερ ί έκαστου ξυμ β ήσ οντα ι
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re chi di noi due abbia aperto le ostilità: ma se la guerra avrà term ine, e al presente tale eventualità dipende essenzialmente da vo i, su di v o i riverseran3 no la loro gratitudine. D unque, qualora vo i addi veniate ad una tale opinione, v i è possibile stringere una salda alleanza con i Lacedem oni, m ostrandovi generosi verso di loro, che sono venuti qui a propor 4 vela, piuttosto che usando la violenza. C on side rate anche quali vantaggi è verosim ile che questa si tuazione com porti: di fron te ad un unico linguaggio da noi e da vo i professato, com prendete bene che il resto del mondo greco, che è in condizione di in fe riorità, nutrirà il piu grande rispetto». zi I Lacedem oni dunque pronunciarono un discorso di questo tipo, nella convinzione che gli A ten iesi, i quali nel passato avevano desiderato giungere ad un accordo, ma erano stati ostacolati dalla loro opposi zione, ora, dal momento che ven iva o ffe rta la pace, l ’ avrebbero accolta con piacere e avrebbero restitui2 to gli uom ini. M a gli A ten iesi, avendo in loro po tere gli Spartani bloccati n ell’ isola, pensavano che l ’accordo fosse ormai a loro disposizione, quando avessero deciso di stipularlo con i Lacedem oni, e a3 spiravano a qualcosa di piu vantaggioso. L i istiga v a soprattutto C leone, figlio di C leen eto, un dem a gogo di quegli anni, estrem am ente abile nel persua dere la massa. E g li convinse gli A ten iesi a porre co me prim a condizione che gli uom ini che erano a Sfacteria, consegnate le armi e se stessi, fossero con d o tti ad A ten e; una vo lta giunti, i Lacedem oni avrebb ero dovuto restituire N isea, Pege, Trezene e l ’ A caia - territori di cui si erano im padroniti non con la guerra, ma in base ad un precedente trattato, stipulato quando gli A ten iesi, per i rovesci subiti, avevan o dovuto piegarsi, avendo in quella occasione piu che in qualunque altro m om ento, bisogno di trattare: solo allora sarebbero stati restituiti gli ostaggi e sarebbe stata conclusa una tregua per il pe22 riodo che entram bi reputassero opportuno. I L a cedemoni non ebbero nulla da obiettare alla risposta ateniese, chiesero solo che form assero una com m is sione che, consultandosi con gli interlocutori sui sin goli punti, giungesse con tutta tranquillità alla defi-
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2 κ α τά η σ υ χ ία ν ότι α ν π είθ ω σ ιν άλλήλους. Κ λ εώ ν δέ έν τα ϋθ α δή πολύς ένέκειτο, λέγων γιγνώ σκειν μέν κ α ί π ρ ότερον ο ΰδ έν έν νφ έχοντας δ ίκ α ιο ν αυτούς, σαφές δ’ είνα ι κα ί νϋν, οϊτινες τφ μέν π λή θει ούδέν έθ έλ ο υ σ ιν είπ εΐν, όλίγοις δέ ά ν δ ρ ά σ ι ξύ ν ε δ ρ ο ι βο ύ λ ο ντα ι γίγ νεσ θ α ι· αλλά εϊ τι υ γιές δια νο ο ύ ντα ι, 3 λέγειν έκέλευσεν ά π α σ ιν. όρ ώ ντες δέ ο ι Λ α κ ε δ α ιμ ό νιο ι ούτε σφίσιν οιόν τε δν έν π λ ή θει είπεΐν, εΐ τι κ α ί υ π ό τής ξυμ φ ο ρ ά ς έδ ό κ ει α ύτο ϊς ξυ γ χ ω ρ εΐν, μή ές τούς ξυμ μά χο υς διαβληθώ σ ιν είπόντες κ α ί ού τυ χ ό ντες, ούτε το ύς Α θ η ν α ίο υ ς έπ ί μετρίοις ποιήσ οντα ς α π ρ ο υκ α λ ο ΰντο , ά νεχώ ρ η σ α ν έκ τώ ν Ά *3 θ η νώ ν άπρακτοι, άφικομένω ν δέ α υτώ ν διελέλυντο ευ θ ύ ς α ί σ π ο νδ α ί α ί π ερ ί Π ύλον, κα ί τάς να ΰς οί Λ α κ ε δ α ιμ ό ν ιο ι ά π ή το υ ν, κ α θ ά π ερ ξυνέκ ειτο - ο ί δ 1 Α θ η ν α ίο ι έγκλήματα έχοντες επιδρομήν τε τφ τειχίσ μ α τι π α ρ ά σ π ο ν δ ο ν κ α ί άλλα ο ύκ α ξιό λ ο γα δοκ οΰντα είνα ι ούκ ά π εδίδοσ α ν, ίσ χυρ ιξό μ ενο ι δ τι δή εί'ρητο, έά ν κα ί ό τιο ΰ ν π α ρ α β α θ ή , λ ελ ύ σ θ α ι τάς σπονδάς. οί δέ Λ α κ εδα ιμ ό νιο ι άντέλεγόν τε κα ί α δ ί κημα έπικαλέσαντες τό τω ν νεώ ν άπελθόντες ές πό2 λεμον καθίσταντο, καί τά π ερ ί Π ύλον ύ π ’ άμφοτέρω ν κ α τά κράτος έπ ολεμεΐτο, Α θ η ν α ίο ι μέν δυο ΐν νεοΐν έναντίαιν α ίεί την νήσον περιπλέοντες τής ημέ ρας (τής δέ νυκτός καί ά π α σ α ι περιώ ρμουν, πλήν τά π ρος τό πέλαγος, οπ ό τε άνεμος εϊη· κ α ί έκ τω ν Α θ η νώ ν αύτοΐς είκοσι νήες άφ ίκοντο ές τήν φυλακήν, ώστε α ί π ά σ α ι έβδομήκοντα έγένοντο), Π ελοποννήσιοι δέ έν τε τή ήπείρω σ τρατοπ εδευόμενοι κ αί προσβολάς π οιο ύμ ενο ι τφ τείχει, σ κοπ οΰντες κ α ιρ ό ν εϊ τις π αραπ έσ οι ώστε τούς ά νδρας σώσαι.