La cura del sé traumatizzato. Coscienza, neuroscienze, trattamento
 0686703720, 9788898991440

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PAUL FREWEN RUTH LANIUS

LA CURA DELSE = af TRAUMATIZZATO) Coscienza, neuroscienze, 4 trattamento dr : pron

aiar FiORITI 1 EDITORE

Le persone con gravi e cronici disturbi psicologici correlati al trauma manifestano spesso varie forme di sofferenza e dissociazione, come il PTSD e i disturbi dissociativi. La cura del sé traumatizzato descrive un nuovo modello quadridimensionale di dissociazione correlata al trauma (modello 4-D) per classificare i sintomi dello stress post-traumatico, sia che siano di natura intrinsecamente dissociativa sia che non lo siano, in modo da rispecchiare le quattro dimensioni sia nella forma di stati alterati di coscienza correlati a traumi (TRASC) sia di coscienza normale in stato di veglia (CNV). Il modello 4-D è stato sviluppato facendo riferimento agli studi fenomenologici e a quelli neuropsicologici degli stati alterati di coscienza. Nella sostanza, questo modello descrive sintomi clinicamente rilevanti lungo dimensioni che appartengono alla sfera del tempo, del pensiero, del corpo e delle emozioni negli stati di coscienza normale in stato di veglia e negli stati alterati di coscienza correlati a traumi. Le tipiche manifestazioni di TRASC includono: flashback, sentire voci,

depersonalizzazione e ottundimento emozionale.

In questo libro gli autori enfatizzano l’importanza del modello 4-D

e ne raccomandano l’uso nel processo di valutazione e trattamento delle persone con disturbi correlati al trauma. Il libro è arricchito da nu-

merosi casi clinici, da disegni e da poesie, e sarà di grande utilità per tutti i clinici — psicologi, psichiatri, assistenti sociali e psicoterapeuti — che

lavorano

con

pazienti

con

traumi complessi.

Foto di Bruno Deroose - Archivio Stockvault

Progetto grafico di Tiziano Zuliani

SCIENZE

Medicina, Psichiatria, Psicopatologia, Psicologia e Psicologia clinica, Psicoanalisi, Cognitivismo clinico, Polis, Psichiatria e Psicologia dell’Età evolutiva,

Psicotraumatologia, Scienza Psicotraumatologia: diretta da Vincenzo Caretti, Giuseppe Craparo e Adriano Schimmenti

Titolo originale dell’opera: Healing the Traumatized Self. Consciousness, Neuroscience, Treatment

Copyright © 2015 by Paul Frewen and Ruth Lanius First published © 2015 W. W. Norton & Company, Inc., 500 Fifth Avenue, New York,

NY 10110 La cura del sé traumatizzato. Coscienza, neuroscienze, trattamento di Paul Frewen, Ruth Lanius

© 2017 Giovanni Fioriti Editore s.r.l.

Traduzione di Daniela Rabellino (prefazione, capitoli 1, 3, 7); Eleonora Pellegrini (presentazione, capitoli 4 e 5, appendici); Giovanni Tagliavini (capitoli 2 e 6).

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Giovanni Fioriti Editore s.r.l. Via Archimede 179 — 00197 Roma Tel. 068072063, Fax 0686703720 [email protected] www.fioriti.it

www.climicalneuropsychiatry.org ISBN: 978-88-98991-44-0

I diritti di memorizzazione elettronica, di riproduzione e

di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati.

Paul Frewen Ruth Lanius

La cura del sé traumatizzato Coscienza, neuroscienze, trattamento

Edizione italiana a cura di

Giovanni Tagliavini

Giovanni Fioriti Editore Roma

Ai nostri pazienti, che saranno da sempre e per sempre i nostri insegnanti

Indice

INTRODUZIONE ALL’EDIZIONE ITALIANA di Daniela Rabellino, Eleonora Pellegrini, Giovanni Tagliavini

VII

INTRODUZIONE

di David Spiegel

XII

INTRODUZIONE

di Bessel van der Kolk PREFAZIONE Il carcere interiore del sé traumatizzato RINGRAZIAMENTI

XVII

XXVII DOSI

CarrroLo 1.

LE VARIE FORME DELL'ESPERIENZA POST-TRAUMATICA Un modello quadri-dimensionale

]

CAPITOLO 2. Com'È? La neurofenomenologia come metodologia per la psicotraumatologia

ori

CAPITOLO 3. LA COSCIENZA DEL TEMPO Quando “adesso” rallenta e “allora” diventa adesso

TA

CAPITOLO 4. LA COSCIENZA DEL PENSIERO Contenuti negativi, trame frammentate e prospettiva alterata

102

VI.

La cura del sé traumatizzato

CAPITOLO 5.

LA COSCIENZA DEL CORPO Depersonalizzazione e derealizzazione — Quando il mondo è strano e il corpo è estraniato

l'o9

CAPITOLO 6.

LA COSCIENZA DELLE EMOZIONI Sentire troppo, sentire troppo poco

196

CAPITOLO 7. LIBERARE IL SÉ TRAUMATIZZATO

Resilienza e processo di guarigione

283

APPENDICE

Casi clinici di stati alterati di coscienza correlati a traumi —

Un'indagine fenomenologica sul sé traumatizzato

330

BIBLIOGRAFIA

383

INDICE ANALITICO

431

INTRODUZIONE

ALL’EDIZIONE

ITALIANA

Per chi lavora nel campo della psicotraumatologia questo lavoro rappresenta una grande opportunità per comprendere come unire pratica clinica, neurobiologia e fenomenologia della coscienza. Questi tre aspetti sono intrecciati in modo profondo e articolato: soprattutto nei casi di traumatizzazione complessa è difficile trovare una bussola che possa fare da guida in modo sufficientemente efficace. Chi avrà la disponibilità e la pazienza di conoscere cosa propongono Paul Frewen e Ruth Lanius troverà questa bussola, insieme a vari “gioielli” di pratica clinica e a un sincero rispetto verso le persone sopravvissute a vicende umane eccessive e insopportabili nella loro gravità. Alla base della proposta degli autori vi è il recupero di un’attenzione di fondo alla coscienza e ai suoi disturbi, con particolare riferimento agli stati alterati di coscienza derivanti da vissuti traumatici, da loro definiti

con l’acronimo TRASC. Questa “sensibilità verso la dissociazione” è stata saldamente presente e talora fondamentale nel lavoro svolto a fine Ottocento da pionieri come Pierre Janet e Sigmund Freud, per poi venire quasi completamente persa nella prima metà del secolo scorso. Studiare e conoscere sempre meglio come la coscienza reagisce e si plasma a contatto delle esperienze traumatizzanti, soprattutto se gravi, ripetute e precoci, è uno dei compiti principali della psicotraumatologia contemporanea.

Per studiare la coscienza,

nostra e altrui,

è necessario

innanzitutto aprirsi all’ascolto e al dialogo e sviluppare una modalità (gli autori scelgono la tradizione fenomenologica) che strutturi e sviluppi tale apertura. Non a caso, nel capitolo 2 troviamo questa precisa affermazione: Dal nostro punto di vista, i resoconti in prima persona riguardanti i TRASC

(stati alterati di coscienza correlati a traumi) [...] sono

da ritenersi tra le pietre angolari della psicotraumatologia. Solo ascoltando in modo aperto e disponibile le storie di vita dei sopravvissuti a traumi possiamo iniziare a comprendere la natura del sé traumatizzato [...] e possiamo iniziare ad apprezzare

quanto difficile e minaccioso sia anche solo immaginare, e ancor più raggiungere, un nuovo senso di sé, che dia un senso di protezione, sicurezza e controllo, che venga accettato e che sia compassionevole, curioso, gioioso e trionfante.

VIII

Daniela Rabellino, Eleonora Pellegrini, Giovanni Tagliavini

Grazie a questo approccio viene per la prima volta delineato un percorso che unisce la neurofenomenologia alla psicotraumatologia. Entrambi i campi di conoscenza e di applicazione empirica ne hanno da guadagnare: la neurofenomenologia in termini di maggiore applicabilità e utilità per la popolazione clinica, la psicotraumatologia in termini di migliori fondamenti scientifici e di nuove prospettive applicative. All’interno del percorso nel sé traumatizzato incontreremo i contributi di molti clinici e studiosi della dissociazione post-traumatica che hanno sottolineato l’importanza di aspetti come la désagrégation nel senso portato da Pierre Janet (1901), la dis-integrazione dei funzionamenti superiori della coscienza descritta da Liotti

e Farina (2011) e da vari studiosi

dell’attaccamento disorganizzato e dei traumi dell’attaccamento, fino ad

arrivare ai fenomeni di compartimentalizzazione che hanno nella teoria della dissociazione strutturale della personalità un vertice osservativo imprescindibile

(Van der Hart et al. 2006). La grande novità dello

sguardo di Frewen e Lanius è rappresentata dalla capacità di riassumere i precedenti

contributi

teorici, di misurarli

neurobiologicamente

e di

utilizzarli a livello clinico: in passato ognuno di questi elementi era già stato considerato, ma separatamente, e mai insieme come nel presente modello che aiuta a identificare in modo preciso e multifattoriale gli stati alterati di coscienza. Questo approccio permette di distinguere quale sia la parte francamente patologica dei fenomeni dissociativi, comprendendo le dinamiche di traumatizzazione, dalle più semplici alle più complesse. Non è un caso che proprio Frewen e Lanius siano stati tra i principali sostenitori, in termini di studi teorici, di neurotmaging e di popolazione, dell’introduzione del sottotipo dissociativo all’interno della diagnosi DSM-5 di PISD (American Psychiatric Association 2013). I lettori potranno notare che questo volume, pur mantenendo e rispettando il costrutto diagnostico di PISD, descrive molti altri elementi cruciali che, in modo più ampio, caratterizzano l’intera area dissociativa. Viene proposto un modello quadridimensionale molto convincente, detto

modello

4-D,

che

organizza

e interpreta

molte

manifestazioni

della sintomatologia traumatica mediante l'osservazione di quattro dimensioni rappresentate da tempo, pensiero, corpo ed emozioni. Questa quadripartizione nasce dalla proposta fenomenologica di Thompson e Zahavi (2007) sulla natura della coscienza. Da notare che l’esperienza

dissociativo-traumatica è trasversale rispetto alle quattro dimensioni: per esempio, un flashback, ovvero un salto temporale all’indietro nel passato traumatico, viene vissuto anche nel corpo e induce emozioni e pensieri relativi all’evento. Per quanto riguarda la dimensione temporale gli autori partono dalla distinzione tra ricordare un evento (modalità comune) e riviverlo (stato

alterato di coscienza a valenza dissociativa) e descrivono l’esperienza della distorsione temporale, con particolare riferimento ai flashback, fenomeni che riportano il soggetto a rivivere il momento dell'evento traumatizzante e non a ricordarlo. Indagando invece la dimensione pensiero sono

Introduzione all'edizione italiana

IX

evidenziabili stati di coscienza in cui è alterato il vissuto di sé in quanto persona nel mondo: per studiarli è utile la distinzione tra prospettiva auto-referenziale

e

riflessione

sull'altro,

presentata

nel

capitolo

4.

Questo approccio con i suoi risultati ben si integra con la visione di una dimensione interpersonale della coscienza (Liotti 2005), e ne supporta la natura relazionale. Inoltre, attraverso la léttura del testo, si comprende

come lo stato dissociativo rappresenti una minaccia per la coscienza del sé, inteso sia come sé minimale o nucleare (come descritto da Gallagher

[2000] e Damasio [2010] in quanto esperienza immediata del soggetto, atemporale) che come

sé narrativo caratterizzato da un passato, da un

futuro e dalla storia di sé con gli altri. Grande impatto ha poi l’attenzione per gli aspetti corporei dell'esperienza dissociativa, che tanto influiscono sulla quotidianità e che spesso generano, in quanto segnali di sofferenza, la motivazione alla ricerca di aiuto. Purtroppo tali esperienze somatiche rischiano di essere trattate con un approccio esclusivamente medico internistico, ostacolando e ritardando un'accurata diagnosi psicologica e psichiatrica: questo accade tuttora, nonostante la correlazione tra trauma infantile e malattie fisiche sia stata ampiamente studiata e confermata da ricerche su vasta scala, a partire dallo studio ACE sulle esperienze sfavorevoli infantili (Felitti et al. 1998). Il corpo viene descritto come spazio nel quale la dissociazione prende forma e si manifesta, attraverso, per esempio l’anestetizzazione dell'esperienza percettiva e la fuga del sé cosciente dalla sede (il corpo stesso) di una sofferenza insopportabile, fuga tuttavia impossibile, che rischia in realtà di rinchiudere il paziente in un carcere interiore. La quarta dimensione, quella emozionale, gioca un ruolo cruciale nell'esperienza post-traumatica e dissociativa: il capitolo 6 spiega bene come gli sviluppi della recente psicotraumatologia abbiano permesso di allargare la visuale iniziale, che collegava gli eventi traumatici solamente a paura e terrore, ampliando la ricerca e l’intervento clinico ad altri stati emozionali pervasivi come vergogna, colpa e ottundimento emozionale (numbing).

Tutto il libro è costantemente punteggiato dalle parole e dalle riflessioni riportate dai pazienti stessi, rintracciabili lungo il testo ma soprattutto in Appendice sotto forma di estratti da colloqui clinici: è un materiale che costituisce una grande ricchezza sia per i terapeuti che per i ricercatori, da cui risulta tragicamente evidente come la complessità e la pervasività dei sintomi conduca il paziente a perdere il contatto con la realtà e con se stesso, verso una prigionia che si auto-alimenta. Oltre alle descrizioni verbali, vengono presentati vari tipi di produzioni artistiche: si riferiscono a un ulteriore livello di comunicazione dell’esperienza, capaci, mediante un quadro, un disegno o una poesia, di riassumere passato, presente € futuro, con le relative sensazioni, emozioni e pensieri.

Risulta ammirevole la disponibilità dei pazienti stessi che, riconoscendo l’importanza della condivisione, fanno, per i clinici e per gli altri pazienti che vivono la loro stessa esperienza, il grande sforzo di ripercorrere 1

X

Daniela Rabellino, Eleonora Pellegrini, Giovanni Tagliavini

propri vissuti attraverso le nuove risorse che hanno appreso in terapia. Il risultato è una descrizione dettagliata e sincera di emozioni, pensieri e stati corporei che avvengono quando il proprio senso del sé tende a dissolversi e quando riprende a ri-costituirsi. Nell'ultimo capitolo troviamo un'articolata proposta di intervento terapeutico per i pazienti che ricevono una diagnosi di PISD, PISD complesso e/o disturbo dissociativo. Vengono esplorati percorsi di trattamento che, attraverso vari stadi, puntano alla costruzione di un sé

narrativo che consideri e sappia integrare il sé nel mondo. La fiducia e il senso di sicurezza ricostituiti all’interno della relazione terapeutica rappresentano le basi per iniziare l’impegnativo percorso verso la liberazione e la rinascita del sé. Qual è dunque il valore aggiuntivo, il messaggio ultimo che si riceve dalla lettura di questo libro? Il primo messaggio, per tutti, è che esiste la possibilità di avere solide basi per credere nella guarigione dai disturbi traumatici e dalla sintomatologia che caratterizza l’area dissociativa. Viene trasmesso un messaggio di concreta speranza e vengono messe in discussione le etichette prognostiche negative, di cronicità dei sintomi che portano a vedere le persone con traumatizzazione complessa come “difficili”, “reticenti” o addirittura “manipolatorie”. Al contrario, viene suggerito che i pazienti, insieme ai loro terapeuti, possono mirare alla liberazione dal carcere interiore del sé dissociato, per ritrovare un pieno contatto con la realtà del mondo e con le altre persone, sperimentando nuovi equilibri, nuove soddisfazioni e godendo di ciò che offre l’esistenza. Per i terapeuti l’indicazione è quella di porre attenzione al fatto che per i sopravvissuti a traumi precoci e ripetuti la causa primaria della sofferenza risiede nelle relazioni affettive che avrebbero normalmente dovuto favorire la progressiva integrazione delle esperienze interne ed esterne nel corso dello sviluppo umano: questa situazione porta a vari tipi di dis-integrazione del sé e delle sue funzioni. Per una cura efficace sarà quindi necessario conoscere e saper ascoltare le esperienze di disintegrazione del paziente, variabili da persona a persona e da momento a momento, tenendole nella cornice di una relazione terapeutica che può essa stessa rischiare di essere dis-integrante, ma contemporaneamente diventare un’occasione di parziale ma progressiva e continua reintegrazione. La nostra speranza è che queste pagine possano essere per i lettori, come lo sono per noi, fonte di ispirazione e di buone pratiche per il lavoro clinico e di ricerca.

Daniela Rabellino Eleonora Pellegrini Giovanni Tagliavini

Introduzione all'edizione italiana

XI

Bibliografia American Psychiatric Association (2013). Diagnostic and statistical manual of mental disorders (5th ed.). American

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Norton,

New

Voki

Fantasmi nel sé - Trauma e trattamento della dissociazione strutturale. Raffaello Cortina, Milano 2011.

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INTRODUZIONE

David Spiegel

Questo libro è un'importante sfida clinica e scientifica che è stata mirabilmente raccolta da Frewen e Lanius con la loro abilità di integrare compassione e neuroscienze, psicoterapia e traumatologia, cuore e mente. Il trauma, che raffigurano così vividamente, è un’esperienza disumanizzante, qualcosa che riduce chi vi capita allo stato di oggetto, la vittima della rabbia di qualcun altro, dell’indifferenza della natura, della

sfortuna o della disavventura. Comporta l’essere gettati in uno stato di impotenza e, come osservano gli autori, la dissociazione può essere un mezzo potente per mantenere il controllo mentale in un momento in cui quello fisico è perduto (Spiegel e Cardefia 1991). La dissociazione, dis-integrazione

della

coscienza,

della

memoria,

dell’emozione

e

dell'esperienza somatica, può attutire l’esperienza del trauma — una vittima di stupro ha detto “ho sentito qualcuno gridare e mi sono resa conto che ero io” — ma può anche fornire un modello di vita traumatizzata e un’incapacità di comprendere se stessi che impedisce di guarire. Frewen e Lanius, attraverso decenni di attenta esperienza clinica e scientifica, descrivono il problema e propongono un metodo per trattarlo in maniera efficace. C'è un crescente riconoscimento di come siano intrecciati tra loro il trauma e la dissociazione. La nuova quinta edizione del Manuale Statistico Diagnostico dei Disturbi Mentali (DSM-5) (APA 2013) ha collocato il capitolo

sui Disturbi Dissociativi adiacente a quello sui Disturbi connessi a Trauma e Stress proprio per evidenziare questo. Inoltre, incluso in questi ultimi si trova un nuovo Sottotipo Dissociativo del Disturbo da Stress Posttraumatico (PTSD), definito da tutti i sintomi del nuovo

PITSD con in

più depersonalizzazione e/o derealizzazione (Lanius et al. 2012). Questo cambiamento è stato basato su tre categorie di dati. La prima è stata il lavoro di Lanius e colleghi che ha dimostrato con tecniche di neuroimaging

funzionale che un sottogruppo di persone con PITSD rispondeva a immagini traumatiche con iperattività della corteccia prefrontale e inibizione di quella limbica, quindi proprio all'opposto dei sintomi tipici di iper-arousal che sono accompagnati da ipofrontalità e attivazione

XIV

David Spiegel

limbica (Lanius et al. 2010). Secondo, analisi delle classi latenti su dati

riguardanti sintomi di PISD mostrano un sottogruppo relativamente distinto con sintomi dissociativi supplementari, oltre a flashback, amnesia e ottundimento che sono più tipici (Wolf, Lunney et al. 2012; Wolf, Miller et al. 2012). Terzo, i recenti dati epidemiologici dimostrano che le persone con PTSD e depersonalizzazione/derealizzazione hanno storie di trauma e abuso più gravi e precoci e sono i più a rischio di suicidio (Stein et al. 2013). Questa base empirica pluriramificata evidenzia il fatto che il ruolo della dissociazione nel trauma è scientificamente assodato e non solo teoricamente sostenuto. Possiamo essere di maggiore aiuto ai nostri pazienti quando riusciamo a capirli profondamente e a comprendere quello che stanno vivendo. Diagnosticare e curare la dissociazione non vuol dire accettare la visione che il paziente ha di sé e del mondo più di quanto lavorare con qualcuno con la schizofrenia significhi credere alle sue allucinazioni. La posizione più appropriata è quella che il ben noto psichiatra interpersonale Harry Stack Sullivan chiamava “osservazione partecipante” (Sullivan 1953). Il terapeuta crea una relazione autentica e significativa con il suo paziente, ma senza mai avvicinarsi tanto da non poter fare un passo indietro e osservare; si tratta al contempo di connessione e di valutazione. Frewen e Lanius saggiamente descrivono la coscienza dissociata in una maniera che consente ai clinici di incontrare questo tipo di pazienti là dove si trovano e di condurli usando il potere della relazione terapeutica, verso incorporando il loro passato dissociato nel loro più presente e futuro. Alcuni autori sviluppano psicoterapie

con gentilezza, l'integrazione, comprensibile focalizzate sul

trauma che evidenziano l’importanza di un’esposizione graduale ai ricordi collegati al trauma (Foa et al. 1999, Schnurr et al. 2009). Tuttavia, queste psicoterapie basate sull’esposizione possono essere meno efficaci per i pazienti con sintomi dissociativi predominanti, che potrebbero venire ritraumatizzati nel corso dell'esposizione; gli autori in questo caso fanno ricorso alle tendenze correnti della psicoterapia orientata in fasi per i sopravvissuti a traumi (Cloitre et al. 2011, Resick et al. 2012) con la sua enfasi sulla stabilizzazione, sul lavoro attento nell’ambito del materiale

legato al trauma e sulla prevenzione delle ricadute, facendo riferimento all'importante lavoro sulla potenza della mentalizzazione nell’aiutare coloro che hanno un’instabilità relazionale e affettiva (Bateman e Fonagy 1999). Questo libro mostra quanto siamo arrivati lontano rispetto al tempo in cui Freud interpretava i ricordi incestuosi come fantasie infantili, nonostante avesse anticipato in un brillante articolo, “Ricordare, ripetere ed elaborare”, molto di quello che poi è seguito nella psicoterapia delle esperienze traumatiche,

usando

l'elaborazione

delle istanze transferali

legate al trauma come focus. L’analisi e l’elaborazione psicoterapeutica del trauma comporta anche il lavoro sul lutto, sul riconoscimento, sul sostegno e sulla capacità di mettere in prospettiva i nostri limiti e le nostre

Introduzione

XV

perdite per liberare la nostra psiche, in modo da poterci impegnare in nuove relazioni e aspetti della vita, come ha descritto Lindemann nel suo notevole saggio sulle conseguenze del tragico rogo al nightclub Coconut Grove di Boston (Lindemann 1944/94). Frewen e Lanius ci mostrano

che siamo andati anche oltre (Dalenberg et al. 2012) le recenti e false affermazioni che trauma e dissociazione sarebbero legati perché coloro che dissociano sono “inclini alla fantasia” (Giesbrecht et al. 2008). Chi soffre di dissociazione soffre di un eccesso di realtà e non per un difetto di quest'ultima. “Guarire il sé traumatizzato” presenta una psicoterapia complessa, focalizzata sul problema, radicata nell’evoluzione della psicoterapia

moderna

e della scienza psicologica. È scritto in maniera chiara e

ponderata e sarà di aiuto sia per gli psicoterapeuti sia per i sopravvissuti a traumi per curarsi, riprendersi e riemergere più forti.

Bibliografia American

Psychiatric Association

(2013). Diagnostic and statistical manual of mental

disorders (5th ed.). American Psychiatric Association, Washington. Tr. it. DSM-5: manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Raffaello Cortina, Milano 2014.

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Evidence

for a dissociative

INTRODUZIONE Bessel van der Kolk

Che cosa vedete quando vi guardate allo specchio? Che cosa sentite nel corpo quando fate una verifica interna con voi stessi? Quello che vediamo e che notiamo è in larga parte il risultato a lungo termine delle relazioni che abbiamo avuto con i nostri caregiver, in modo particolare nei primi anni della nostra vita. I bambini sono fortemente sociali fin dall’inizio; sono attratti dalle facce e dalle voci. Fin dalla nascita sono sensibili in maniera speciale all’espressione del viso, alla postura, al tono della voce, ai mutamenti fisiologici e al ritmo del movimento. Questa capacità innata di sintonizzazione, di essere in grado di abbinare la loro esperienza interna con quella di coloro che gli stanno intorno, è un prodotto dell'evoluzione, essenziale per la sopravvivenza della nostra specie. Ibambini sono anche programmati per scegliere un particolare adulto (0 tutt'al più un paio) con il quale sviluppare il loro sistema di comunicazione naturale. Questo crea un profondo legame di attaccamento e i bambini mostrano quale sia la loro figura di attaccamento principale mettendosi a piangere quando questa se ne va e rallegrandosi quando ritorna. Da questo intimo dare e ricevere i bambini apprendono che altre persone hanno emozioni e pensieri che possono essere diversi dai loro. È tramite un attaccamento sicuro che sviluppano gradualmente la coscienza di sé, l’empatia, il controllo degli impulsi e l’automotivazione per aiutarli a diventare membri collaborativi delle loro famiglie e di conseguenza partecipi della più ampia cultura sociale. La ricerca nelle neuroscienze ha confermato che i nostri cervelli e il nostro senso del sé sono plasmati dalle interazioni con gli altri. Quelle precoci interazioni danno forma a quello che vediamo quando ci guardiamo intorno e quando avvertiamo ciò che sta avvenendo internamente. Le nostre prime relazioni strutturano chi siamo e le mappe interiori del mondo che ci circonda. Siamo biologicamente predisposti per condividere i nostri piaceri l’uno con l’altro e per rispondere allo stress cercando conforto dalle persone in cui abbiamo fiducia. Impariamo

a regolare le nostre emozioni quando veniamo consolati/calmati da

XVIII

Bessel van der Kolk

qualcuno che ci culla quando piangiamo, che ci nutre quando abbiamo fame o che ci copre con una coperta quando abbiamo freddo. E sono proprio queste le qualità che vengono dolorosamente a mancare nei pazienti che vediamo al Trauma Center di Boston e che Paul Frewen e Ruth Lanius hanno contribuito in maniera così monumentale nell’aiutarci a capire e curare. Se nessuno ti ha mai guardato con occhi amorevoli o si è aperto in un sorriso quando ti vede o è corso in tuo aiuto quando eri in difficoltà (invece di dire “smettila di piangere o ti darò una buona ragione per farlo!”), allora sei incline allo sviluppo di una relazione con te stesso che sarà disorganizzata e frammentata. Sei costretto a scoprire modi alternativi di prenderti cura di te. Quando nessuno ti aiuta a farlo, è probabile che tu possa sperimentare qualunque cosa per ottenere sollievo (droghe, alcol, abbuffate alimentari, ferirsi con

oggetti taglienti o semplicemente ritirarsi in sé e arrendersi). Se nessuno ti ha mai visto per quello che sei o considerato una persona speciale o si è assicurato che tu stessi bene, quando mai ti sarà possibile aprire il tuo cuore a te stesso o agli altri? È possibile creare un insieme di aspettative diverse e imparare a concepire nuove possibilità quando tu non hai alcuna idea di come ci si senta a essere apprezzati? Queste sono alcune delle domande nelle quali Frewen e Lanius si sono imbattuti nel corso della loro pratica clinica e sulle quali hanno fatto ricerca con l’aiuto della tecnologia più avanzata. Gli autori creano una combinazione speciale di capacità che caratterizza tutti 1 grandi innovatori nel campo della psicologia e della psichiatria: contatti frequenti e approfonditi con i pazienti (nel loro caso pazienti che combattono

con gli effetti

a lungo termine

di traumi, abbandono

e trascuratezza), intrecciandoli con competenze sulle più recenti metodologie scientifiche. Questa combinazione è rara; la stragrande maggioranza dei ricercatori vede solo i pazienti che partecipano ai loro studi di ricerca (soggetti di ricerca che fanno segni di spunta in lunghi elenchi di domande predeterminate) e solo pochi clinici sono in possesso delle capacità necessarie per la ricerca e delle competenze tecniche per esplorare scientificamente le questioni che devono quotidianamente affrontare nella loro pratica. Frewen e Lanius hanno cominciato rendendosi conto che i loro pazienti traumatizzati non erano alla ricerca di un aiuto psichiatrico a causa dei sintomi classici del PISD, come intrusioni, evitamento e iperarousal. Piuttosto chiedevano aiuto perché non riuscivano a sentirsi al sicuro in compagnia di altri esseri umani o persino di sé stessi. Non erano in grado di negoziare l’ordinario dare e ricevere delle relazioni,

comprese quelle con i loro terapeuti. Il coinvolgimento con i loro dottori spesso contribuiva ad aggravare il loro senso di sé già profondamente danneggiato e la terapia talvolta finiva per peggiorare le cose invece di migliorarle. Come

clinici, Frewen

e Lanius si trovavano

costantemente

a dover

Introduzione

XIX

affrontare interessanti questioni che di rado sono menzionate nei libri di testo. Per esempio, pazienti che dichiaravano di non riconoscersi quando si guardavano allo specchio o che riferivano di sentirsi come

fluttuare al di sopra della scena quando erano fisicamente intimi con

altri o pazienti che picchiavano i loro bambini. Altri dichiaravano di non provare alcuna sensazione in ampie zone del loro corpo e di non sentire alcuna connessione emotiva con i propri figli. Altri ancora al risveglio si ritrovavano pieni di tagli e bruciature sul corpo senza alcun ricordo di come questo fosse accaduto. Frewen e Lanius hanno presto compreso che tali pazienti stavano solo cercando di sentirsi meglio nel modo migliore che sapevano fare. Tuttavia, questi sintomi caratteristici del non riconoscere se stessi e di non essere coscienti di aspetti rilevanti della propria esperienza sono raramente menzionati nei trattati sulla depressione o sull’ansia e altrettanto raramente nei manuali per il trattamento del PISD. Alcuni scienziati. pensano allo stress. traumatico come a un malfunzionamento del circuito cerebrale della paura. Tuttavia Frewen e Lanius si sono resi conto che la ragione per cui i loro pazienti erano cronicamente sopraffatti non era semplicemente perché erano terrorizzati, ma perché il loro cervello aveva subito un mutamento in seguito alle loro esperienze terrificanti. Questo fenomeno era stato osservato fin dal 1893, quando Sigmund Freud e Joseph Breuer avevano notato che il trauma non agisce semplicemente come un agente di rilascio di sintomi; è piuttosto il ricordo del trauma che agisce come un corpo estraneo che, ben dopo la sua entrata, continua a essere un agente al lavoro (Freud e Breuer 1893). Come una scheggia che causa un'infezione, è la risposta del corpo all'oggetto estraneo che diventa il problema, più dell'oggetto stesso. In una serie di brillanti articoli e libri scientifici il neuroscienziato Antonio Damasio ha chiarito le relazioni tra stati corporei, emozioni e sopravvivenza. Inizia mettendo in risalto il profondo divario tra il pensiero cosciente e la vita sensoriale del nostro corpo, come spiega in maniera poetica: Talvolta usiamo le nostre menti non per scoprire fatti ma per nasconderli... Una delle cose che lo schermo nasconde con più successo è il corpo, il nostro stesso corpo, nel senso del suo contenuto,

del suo interno. Come

un velo gettato sopra la pelle

per proteggerne il riserbo, lo schermo rimuove parzialmente dalla mente gli stati interni del corpo, quelli che costituiscono il flusso della vita nel suo girovagare giorno per giorno (Damasio 2012).

Basandosi sul lavoro di un secolo fa di William James, Damasio sostiene che il nucleo della nostra auto-coscienza riposa sulle sensazioni fisiche che trasmettono gli stati interni del corpo:

XX

Bessel van der Kolk

Le sensazioni primordiali forniscono un'esperienza diretta del proprio corpo vivente, senza parole, disadorna e connessa a nient'altro che alla pura e semplice esistenza. Queste sensazioni primordiali riflettono lo stato corrente del corpo lungo diverse dimensioni, ... lungo la scala che varia dal piacere al dolore, e hanno origine a livello del tronco encefalico piuttosto che nella corteccia cerebrale. Tutte le sensazioni delle emozioni sono complesse variazioni musicali su sensazioni primordiali (Damasio 1999).

Il nostro mondo sensoriale prende forma ben prima della nascita. Nell’utero avvertiamo sulla nostra pelle il liquido amniotico, udiamo i suoni indistinti del sangue che scorre e di un tratto digestivo al lavoro, beccheggiamo e rotoliamo con i movimenti di nostra madre. Dopo la nascita le nostre sensazioni fisiche definiscono la relazione con noi stessi e con il nostro ambiente circostante. Fin dall’inizio noi siamo il nostro essere bagnati, la nostra fame, l'essere sazi e l'avere sonno. Una cacofonia di suoni e immagini incomprensibili sollecita il nostro immacolato sistema nervoso. Anche dopo aver acquisito coscienza e linguaggio il nostro

sistema di percezione corporea ci fornisce dei feedback fondamentali su come stanno andando le cose per noi. Il suo ronzio costante ci comunica i mutamenti

nei nostri visceri

e nei muscoli del viso, del dorso e delle

estremità che segnalano dolore o benessere, così come impulsi quali la fame o l’eccitazione sessuale. Il compito del cervello è di monitorare e valutare costantemente ciò che sta accadendo al nostro interno e nell'ambiente circostante. Queste valutazioni vengono trasmesse per mezzo di messaggi chimici nel flusso sanguigno e di impulsi elettrici nei nostri nervi, provocando cambiamenti sottili o incisivi in tutto il corpo e il cervello. Queste trasformazioni avvengono in genere senza input coscienti o consapevolezza; le regioni sottocorticali del cervello sono notevolmente efficienti nella regolazione del respiro, battito cardiaco, digestione, secrezione ormonale

e sistema

immunitario. ‘l'uttavia, questi sistemi possono andare in sovraccarico se siamo continuamente esposti a una minaccia costante o anche solo alla percezione di una minaccia. Questo spiega l'ampia gamma di problemi fisici che i ricercatori hanno documentato nelle persone traumatizzate. Inoltre,

anche

il nostro

sé cosciente

gioca

un

ruolo

vitale

nel

mantenimento del nostro equilibrio interno. Abbiamo bisogno di renderci conto e di agire in base alle nostre sensazioni fisiche per mantenere il nostro corpo al sicuro. Quando ci accorgiamo di aver freddo questo ci spinge a coprirci con un maglione; sentirsi affamati o storditi ci dice che il livello di zuccheri nel sangue è basso e ci sprona a fare uno spuntino; o ancora la pressione di una vescica piena ci spedisce in bagno. Tutte le strutture cerebrali che registrano le sensazioni di fondo sono localizzate vicino alle aree che controllano le funzioni di regolazione di base quali

Introduzione

il respiro, l'appetito, l’evacuazione e i cicli sonno/veglia.

Come

XXI

scrive

Damasio (1999), “questo è così perché le conseguenze dell’avere emozione e attenzione sono strettamente correlate al lavoro di fondo di gestione della vita all’interno dell'organismo. Non è possibile gestire la vita e mantenere l’equilibrio omeostatico senza avere dati sullo stato corrente del corpo organismico”. Damasio definisce queste aree di regolazione del cervello il “proto-sé”, perché creano la “conoscenza senza parole” che sta alla base del nostro senso del sé cosciente. Nel 2000 Damasio e i suoi colleghi hanno pubblicato un articolo in una delle principali riviste scientifiche del mondo (Damasio et al. 2000), che dimostrava che rivivere una forte emozione negativa provoca mutamenti significativi nelle aree cerebrali che ricevono impulsi nervosi dai muscoli, dalle viscere e dalla pelle. Tali aree sono cruciali per la regolazione delle funzioni corporee di base. Richiamare alla memoria un evento emotivo dal passato fa sì che ri-viviamo davvero le sensazioni viscerali che abbiamo provato durante il fatto originario. Ogni emozione ha prodotto uno schema (pattern) caratteristico, diverso dagli altri. Per esempio, una zona particolare del tronco encefalico era “attiva nella tristezza e nella rabbia ma non nella gioia o nella paura”. Riconosciamo il loro coinvolgimento ogni volta che utilizziamo una delle espressioni comuni che collegano emozioni

forti al corpo: mi fai star male; mi ha fatto accapponare la pelle;

avevo un nodo alla gola; ho avuto un tuffo al cuore; mi si è rizzato il pelo. L’elementare sistema del sé nel tronco encefalico e nel sistema limbico viene massicciamente attivato quando le persone vengono messe di fronte all’annientamento. Il risultato di ciò è un travolgente senso di paura e terrore che si accompagna con un'intensa attivazione fisiologica. Per coloro che stanno rivivendo un trauma niente ha più senso; si trovano intrappolati in una situazione di vita o morte — in uno stato di paura paralizzante o di rabbia cieca. Mente e corpo sono costantemente attivati come se si trovassero in un imminente pericolo. Sobbalzano in risposta al minimo rumore e si sentono frustrati da piccole irritazioni. Il loro sonno è cronicamente disturbato e il cibo spesso perde il suo aspetto piacevole. Questo, a tratti, può innescare tentativi disperati di sopprimere quelle sensazioni cadendo in uno stato di congelamento (freezing) o di dissociazione (Nijenhuis et al. 2002). Abuso,

trauma,

trascuratezza

interferiscono

con

il funzionamento

appropriato delle aree cerebrali che gestiscono e interpretano quelle esperienze, come la corteccia prefrontale mediale, il cingolo anteriore, la corteccia parietale, il talamo, il precuneo e il cingolo posteriore, solo per nominarne alcune. Un solido senso del sé dipende da un'interazione reciproca sana e dinamica tra queste aree. Una delle scoperte più valide nelle neuroscienze sull’abuso e la trascuratezza nella prima infanzia è che i ragazzini che devono gestire le loro emozioni completamente da soli imparano a scindere la loro esperienza interna dalla coscienza di sé impedendo di fatto lo sviluppo di un solido senso di sé.

XXII

Bessel van der Kolk

In un brillante studio di ricerca, Ruth Lanius e i suoi colleghi (Lanius et al. 2005, Bluhm et al. 2009) hanno mostrato come, nel tentativo di

affrontare e gestire i traumi, i pazienti cronicamente traumatizzati hanno imparato a disattivare quelle aree cerebrali che trasmettono le sensazioni viscerali e le emozioni che accompagnano e definiscono il terrore. Questo li ha probabilmente aiutati a non sentirsi completamente sopraffatti, ma a caro prezzo. Nella vita di tutti i giorni, queste stesse aree cerebrali sono responsabili della registrazione di emozioni e sensazioni che creano la base del nostro senso di chi siamo. In altre parole, adattarsi a percepirsi sistematicamente come ignorati e non visti smorza la capacità di sentirsi pienamente vivi. Questo spiega perché così tante persone traumatizzate perdono il senso dello scopo e della direzione nella vita; la relazione con la loro realtà interna è compromessa. Come si può prendere una decisione o mettere in atto un piano se risulta impossibile definire cosa vogliamo o cosa stanno cercando di dirci le sensazioni del nostro corpo, cioè la base di tutte le emozioni? Se i pazienti con storie di trauma e trascuratezza soffrono di disconnessioni estreme dal loro corpo, in che modo possiamo aiutarli?

La formazione professionale della maggioranza degli psicologi, psichiatri e di altri clinici della salute mentale si focalizza sulla comprensione e l'intuizione e ignora bellamente l’importanza del corpo che vive e respira, del fondamento del nostro sé. Capire da dove provengono gli impulsi a tagliarsi, ad abusare di sostanze, ad abbuffarsi e vomitare fa poca differenza; per curare è necessario riconfigurare la relazione con se stessi dei nostri pazienti, con l’organismo fisico che sta alla base. Antonio Damasio ha detto “la coscienza è stata inventata perché noi potessimo conoscere la vita” (Damasio 2012), ma cosa succede se diventa insopportabile guardare alla realtà di ciò che sta avvenendo? Uno prova a chiudersi, a ignorare quello che sta succedendo

e a ottundere la sua

coscienza. In questo libro Frewen e Lanius hanno organizzato gli effetti estremamente complessi e fino ad ora non sistematizzati del trauma nel contesto di gravi interruzioni nelle relazioni di attaccamento, in quattro

dimensioni: alterazioni nella coscienza 1) del tempo (cronologico), 2) del pensiero, 3) del corpo e 4) delle emozioni. Tutti questi stati alterati di coscienza correlati a traumi (o TRASC,

Trauma-Related Altered States

of Consciousness) hanno una ripercussione nei cambiamenti dell’attività cerebrale e tutti quanti traggono le loro origini dall’aver reso tollerabili esperienze soverchianti di abuso, abbandono

e trauma.

In altre parole,

hanno tutti avuto inizio come meccanismi psicologici di fuga laddove una fuga fisica vera e propria era impossibile. Frewen e Lanius propongono inoltre una metodologia per lo studio, la valutazione e la cura dei TRASC nelle persone sopravvissute a traumi, che hanno chiamato neurofenomenologia. Questa metodologia integra lo studio dell’esperienza in prima persona di un individuo con misurazioni neurofisiologiche oggettive. Ma non si fermano qui; in quanto clinici hanno accesso anche

Introduzione

XXIII

a resoconti meravigliosamente dettagliati delle esperienze soggettive dei loro pazienti, delle loro risposte ai trattamenti e delle loro produzioni mentali e artistiche, sia a parole sia per immagini.

Essere padroni della propria vita In che modo

le persone

riprendono

il controllo quando

il loro

cervello è rimasto bloccato in una lotta per la sopravvivenza? Se quello che sta accadendo nel profondo del nostro cervello detta il modo in cui ci sentiamo e se le nostre sensazioni corporee sono orchestrate dalle strutture cerebrali sottocorticali (subconsce), quanto controllo possiamo davvero esercitare? “Agentività” (o agency) è il termine tecnico per definire l’essere padroni della propria vita, sapendo qual è il proprio posto, sapendo di avere voce in capitolo su quello che ci accade, sapendo di avere delle capacità per modellare le nostre circostanze. L’agentività ha inizio con l'essere consapevoli dei nostri sottili sentimenti sensoriali basati sul corpo. Maggiore è la nostra consapevolezza e maggiore sarà il potenziale di controllo sulla nostra vita. Sapere cosa stiamo provando è il primo passo per sapere perché ci sentiamo in quel modo. Se siamo coscienti dei cambiamenti costanti nel nostro ambiente interno ed esterno, ci possiamo mobilitare per gestirli. Ma non possiamo fare ciò a meno che la nostra torre di vedetta, la corteccia prefrontale mediale (CPFM), non

impari a osservare quello che sta succedendo al nostro interno. Questa è la ragione per cui la pratica della mindfulness, che rafforza la CPFM, è una pietra angolare della guarigione dal trauma. Senza terapia, il trauma arrivato da fuori continua a vivere all’interno

del sopravvissuto. Il prezzo per evitare la consapevolezza delle sensazioni collegate al terrore e all’impotenza è la perdita della consapevolezza di se stessi e la rinuncia alla capacità di provare qualunque tipo di piacere sensoriale. Tuttavia le persone traumatizzate si sentono cronicamente non al sicuro all’interno del proprio corpo. Il passato è vivo nella forma di un tormentoso disagio interiore. I loro corpi sono costantemente bersagliati da segnali viscerali di pericolo e, nel tentativo di controllare questi processi, diventano esperti nell’ignorare le loro sensazioni viscerali e la consapevolezza intorpidita di quello che sta avvenendo all’interno; hanno imparato a nascondersi da loro stessi. “Pietrificato dalla paura” e “congelato dalla paura” (collassare e trovarsi in uno stato di ottundimento) descrivono con precisione come ci si sente nel trauma e nel terrore. Questi descrittori sono il loro fondamento viscerale. L’esperienza della paura deriva dalle risposte primitive alla minaccia, quando la via di fuga è in qualche modo impedita. Chi soffre a causa del trauma sarà tenuto in ostaggio dalla paura finché non cambierà la sua esperienza viscerale. Sopprimere le emozioni può rendere possibile il gestire la situazione, ma a caro prezzo. I sopravvissuti a traumi complessi hanno imparato a

XXIV

Bessel van der Kolk

segregare le loro emozioni e come risultato non sono più in grado di riconoscere quello che sentono. Paul Frewen ha raccolto una serie di scansioni cerebrali di persone con PTSD che soffrivano di alessitimia. Uno dei partecipanti gli aveva detto “non so quello che sento; è come se la mia testa e il mio corpo non fossero connessi tra loro. Vivo come in un tunnel, nella nebbia, non ha importanza quello che succede, c'è sempre la stessa

reazione:

ottundimento,

nulla.

Farsi un

bagno

immersi

nel

bagnoschiuma o venire bruciati o violentati sono la stessa sensazione. Il mio cervello non sente niente”. Frewen e Lanius hanno scoperto che più le persone erano disconnesse dalle loro sensazioni e minore era l’attività riscontrata nelle aree cerebrali della percezione di sé (Frewen et al. 2008).

Poiché le persone traumatizzate hanno problemi nel percepire quello che sta accadendo nel loro corpo, rispondono allo stress entrando in uno stato di distacco (con la testa completamente svuotata) o di ottundimento,

oppure possono reagire con un eccesso di rabbia e impulsività. In qualunque modo essi reagiscano, non sono comunque in grado di dire cosa li abbia davvero turbati. Le persone che soffrono di alessitimia possono migliorare solo imparando a riconoscere la relazione tra le loro sensazioni fisiche e le loro emozioni, un po’ come per chi è daltonico entrare nel mondo dei colori imparando a distinguere e apprezzare le diverse sfumature del grigio. Un obiettivo per la guarigione: fare amicizia con il corpo

Le neuroscienze della ipseità e dell’agentività convalidano i tipi di terapie somatiche che i nostri colleghi Peter Levine e Pat Ogden hanno messo a punto. In sostanza lo scopo di queste terapie è triplice:

e evocare l'informazione sensoriale che è bloccata e congelata dal trauma e aiutare i pazienti a rendersi amiche (invece che sopprimere) le energie sprigionate da quella esperienza interna e completare le azioni fisiche di auto-protezione che sono state impedite quando si trovarono intrappolati, trattenuti o immobilizzati dal terrore. Le vittime di traumi non si possono riprendere fino a che non familiarizzano e diventano amiche con le sensazioni del loro corpo. Essere spaventati significa vivere in un corpo sempre in allerta. Le persone arrabbiate vivono in un corpo arrabbiato. I corpi dei bambini vittime di abusi sono sempre tesi e sulla difensiva fino a quando non trovano il modo di rilassarsi e sentirsi al sicuro. Per poter cambiare le persone hanno bisogno di diventare consapevoli delle loro sensazioni e del modo in cui il loro corpo interagisce con il mondo circostante. La consapevolezza fisica di sé è il primo passo per liberarsi dalla tirannia del

Introduzione

XXV

passato. Notare le sensazioni per la prima volta può essere piuttosto stressante; può accelerare la comparsa di flashback in cui i pazienti si rannicchiano o possono assumere posture difensive. Queste situazioni sono riattualizzazioni (re-enactment) somatici del trauma non elaborato.

Immagini e sensazioni fisiche possono inondare i pazienti in questo modo e il terapeuta deve essere competente riguardo ai modi di arginare questi torrenti di sensazioni ed emozioni. Alcuni insegnanti di scuola,

infermiere, poliziotti e istruttori di yoga sono estremamente dotati nel calmare reazioni di terrore, perché quasi quotidianamente si trovano ad affrontare persone fuori controllo o disorganizzate dal dolore. Fin troppo

di frequente,

tuttavia,

farmaci

come

Prozac,

Zyprexa,

Seroquel e altri vengono somministrati invece di insegnare alle persone le competenze per gestire reazioni fisiche così stressanti. Di sicuro i farmaci alleviano tali sensazioni, ma non fanno nulla per risolverle o trasformarle

da agenti tossici in alleati. La mente ha bisogno di essere rieducata a percepire le sensazioni fisiche e il corpo ha bisogno di essere aiutato a tollerare e a godere del conforto del contatto fisico. Con la pratica questi pazienti possono imparare a connettere le loro sensazioni fisiche agli eventi psicologici e a riconnettersi lentamente con loro stessi.

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XXVI

Bessel van der.Kolk

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PREFAZIONE

Il carcere interiore del sé traumatizzato

La nostra normale coscienza in stato di veglia, la coscienza razionale, come la chiamiamo, non è altro che un tipo speciale di coscienza, mentre tutt’attorno a essa, separate dal più trasparente degli schermi, vi sono forme potenziali di coscienza del tutto diverse. Possiamo attraversare tutta la vita senza sospettarne l’esistenza; ma, presentandosi lo stimolo adeguato, alla minima pressione appaiono in tutta la loro completezza vari tipi di strutture spirituali, che probabilmente hanno in qualche luogo il loro campo d'applicazione e d’adattamento. Nessuna visione dell’universo nella sua totalità può essere definitiva, quando lascia fuori queste altre forme di coscienza.

William James!

Questo celebre passaggio di William James, da molti ritenuto il padre fondatore della psicologia filosofica e dello studio psicologico degli stati alterati di coscienza, descrive la sua convinzione

secondo la quale

la “coscienza normale in stato di veglia” rappresenti solo una frazione della gamma di possibili modalità di consapevolezza soggettiva a nostra disposizione. Tre punti meritano di essere sottolineati al presente scopo. Innanzitutto, James distingue tra una “veglia normale” o (forma di) coscienza “razionale” e varie altre forme di coscienza. Queste altre forme di coscienza sono quindi, per definizione, considerate non “normali”, e sono quelle alle quali al giorno d’oggi ci riferiamo con “stati alterati di coscienza” (Vaitl et al. 2005). Secondo, James descrive gli stati alterati di coscienza come rafforzati da specifiche condizioni psicofisiologiche: “Presentandosi lo stimolo adeguato, alla minima pressione appaiono in tutta la loro completezza”. Terzo, James sospettava che la nostra capacità di esperire stati alterati di coscienza fosse probabilmente atta a uno scopo. ! Da William James (1902). The varieties of religious experience: A study in human nature. Longmans, Green & co, New York. Tr. it. Le varie forme dell'esperienza religiosa:

uno studio sulla natura umana. Morcelliana, Brescia 1998, p. 334.

XXVIII

La cura del sé traumatizzato

In altre parole, presumeva che gli stati alterati di coscienza servissero probabilmente a una qualche funzione adattiva ancora sconosciuta, riferendosi quindi a essi come “vari tipi di strutture spirituali, che probabilmente hanno in qualche luogo il loro campo d’applicazione e d’adattamento”. Il passaggio che abbiamo citato è estratto dal famoso trattato su “Le varie forme dell’esperienza religiosa”. In tale scritto, l’attenzione di James è rivolta agli stati mentali spirituali positivi, che potrebbero essere genericamente definiti estatici, trascendenti e/o di natura mistica. Insieme a questo, James indaga anche l’aspetto talvolta terrificante e triste dell'esperienza religiosa. Egli riteneva inoltre che lo studio della psicopatologia fosse centrale alla comprensione della struttura e delle funzioni della soggettività umana. Di conseguenza, nella sua opera James ci chiede di indirizzarci anche verso “lo spiacevole compito di ascoltare ciò che le anime malate... hanno da dire dei segreti del loro carcere interiore, della loro peculiare forma di coscienza” (tr. it. p. 131). Nel rispondere a tale richiesta, nel presente testo trattiamo degli stati mentali imprigionati vissuti dalle persone gravemente traumatizzate psicologicamente. Descriviamo come le esperienze soverchianti, inclusi gli atti estremi di violenza,

tortura e abuso, che spesso avvengono

all’interno di (o sono

preceduti da) un contesto di sviluppo caratterizzato da una grave rottura nella relazione di attaccamento tra il bambino e il suo primo caregiver, possono alterare le quattro dimensioni della coscienza nei sopravvissuti a traumi: la coscienza (1) del tempo, (2) dei pensieri, (3) del corpo, (4)

delle emozioni. È stato suggerito che la funzione principale di questi stati alterati di coscienza correlati a traumi (TRASC) sia rendere più tollerabile

la sopravvivenza rispetto alle soverchianti esperienze traumatiche, ovvero permettere la fuga mentale quando la fuga fisica non è possibile. Tuttavia, la persistenza di TRASC a lungo termine dopo il trauma è tipicamente considerata come segno di psicopatologia. Qui suggeriamo per lo studio, la valutazione e il trattamento dei TRASC nei sopravvissuti a traumi: la neurofenomenologia. Tale metodologia integra lo studio dell'esperienza in prima persona dell'individuo con misure neurofisiologiche oggettive. Infine, nel corso del libro presentiamo alcuni esempi dei casi più gravi di TRASC che abbiamo incontrato nella nostra ricerca e pratica clinica con persone traumatizzate. Nel capitolo 1 iniziamo introducendo un modello teorico per classificare la sintomatologia dello stress post-traumatico distinguendo forme dissociative-alterate versus forme non dissociative-normali delle quattro dimensioni della coscienza. Le quattro dimensioni della coscienza alle quali il nostro modello fa riferimento sono le dimensioni di: (1) tempo (vale a dire un periodo di tempo o le sue declinazioni in presente, passato e futuro), (2) pensieri (vale a dire la struttura narrativa dei pensieri verbali

simile a una storia, in quanto incorpora contenuto, prospettiva e trama), (3) corpo (vale a dire l’embodiment, il senso incorporato di possedere un

Prefazione

XXIX

Corpo, essere coscientemente all’interno di esso e appartenervi), (4) emozioni (l’esperienza affettiva delle sensazioni emozionali). Questo modello a quattro dimensioni, a cui ci riferiamo col nome di “modello

4-D”, classifica i sintomi dello stress post-traumatico sia che siano di natura intrinsecamente dissociativa sia che non lo siano, in modo da rispecchiare le quattro dimensioni sia nella forma di stati alterati di coscienza correlati a traumi (TRASC) sia di coscienza normale in stato di

veglia (CNV). Il modello 4-D considera anche i processi attraverso i quali i TRASC si sviluppano all’interno di un contesto di esposizione a traumi.

All’interno del capitolo 2 delineiamo un quadro generale dell'approccio metodologico che raccomandiamo per uno studio sistematico delle forme di coscienza caratterizzate da traumi psicologici, vale a dire la neurofenomenologia. In breve, la neurofenomenologia integra l'indagine sistematica dell’esperienza soggettiva momento per momento in prima persona con le registrazioni neurofisiologiche, in qualità di duplice strumento interattivo e integrativo per descrivere in modo sistematico la struttura, i processi e la funzione della coscienza umana. Si può per esempio incoraggiare la persona a elaborare e descrivere momento per momento la sua esperienza in prima persona mentre ricorda o rivive un evento traumatico e al tempo stesso si registrano misure neurofisiologiche; l’interpretazione del significato psicologico delle misure neurofisiologiche terrà poi in considerazione il racconto esperienziale in prima persona fornito dalla persona. L'esame neurofenomenologico della coscienza nelle sue forme normali e anormali, come quelle affette da grave stress, dovrebbe portare alla luce l’altro lato del “più sottile tra gli schermi” di James, ovvero l’area all’interno della quale presumiamo che sia da cercare la natura della soggettività vissuta dalla persona cronicamente traumatizzata. Ci teniamo tuttavia a sottolineare chiaramente che vi è un limite nel fatto che le misure neurofisiologiche che discutiamo e che associamo alla fenomenologia in questo libro sono in quasi tutti i casi circoscritte al neuroimaging. In altre parole, gli studi condotti a livello di analisi genetica, molecolare, neuroendocrina e neuroimmunologica ricevono poca attenzione nel presente testo, se non addirittura nessuna. Ciò è in parte dovuto al fatto che il neuroimaging rappresenta il metodo di ricerca del quale abbiamo maggiore competenza personale, ma, in modo più sostanziale, dipende anche dal fatto che non sono ancora state condotte le indagini empiriche a quel livello di analisi neurobiologica, visto che la neurofenomenologia cerca di indagare l’inter-causalità tra esperienza soggettiva in prima persona e registrazioni neurofisiologiche e dato che le misure dei cambiamenti momento per momento in marker molecolari e neurochimici sono difficilmente disponibili negli esseri umani. I capitoli 3-6 descrivono la sintomatologia dello stress post-traumatico a seconda di come si correla con le forme della coscienza del tempo (capitolo 3), dei pensieri

(capitolo 4), del corpo

(capitolo 5) e delle

XXX

La cura del sé traumatizzato

emozioni (capitolo 6), suddivise in forme della coscienza normali versus forme alterate. Infine, nel capitolo 7 prendiamo in considerazione il processo di guarigione dal trauma a partire dagli stati alterati di coscienza correlati a traumi (TRASC) fino a un senso di sé sano e integrato, così come

avviene nella psicoterapia focalizzata sul trauma. Abbiamo incluso anche un’appendice che fornisce ulteriori esempi di TRASC rispetto a tempo, pensieri, corpo ed emozioni: sono risposte che persone sopravvissute a traumi hanno fornito durante colloqui clinici. Sottolineiamo che questi esempi clinici rappresentano casi relativamente gravi e prototipici. Nel corso di questo libro argomentiamo il fatto che sia il terapeuta che il ricercatore dovrebbero distinguere tra due forme di coscienza che frequentemente si presentano dal punto di vista clinico con persone che soffrono di disturbi correlati a traumi: (1) stati di grave stress che non sono

intrinsecamente dissociativi: in questi stati presumiamo, per parsimonia, che venga mantenuto lo stato di coscienza normale in stato di veglia (CNV); (2) stati di grave stress che rappresentano la quintessenza della natura dissociativa e che formano gli stati alterati di coscienza correlati a traumi (TRASC). La distinzione tra forme CNV e forme TRASC di stress

traumatico potrebbe essere di tipo qualitativo (ovvero categorico) e in tal caso le due forme si differenzierebbero, in senso filosofico, come Hpologre. Visti in questo modo, questi due stati sarebbero realmente separati da ciò che James chiamò il “più sottile degli schermi”. In questo momento, tuttavia, preferiamo non scartare la possibilità teorica che questi stati differiscano in modo meno netto, cioè solo in grado e in senso quantitativo. In ogni caso, la tesi principale di questo libro è che la teoria, la ricerca e

le osservazioni cliniche raccolte fino a oggi sostengono la validità della distinzione tra la presenza di un tipo di stress grave dissociativo e un tipo di stress grave non-dissociativo, dei quali solo il primo viene definito dai TRASC. James (1902/2002)

ha inoltre messo

in evidenza

in Le vane forme

dell'esperienza religiosa che: Le condizioni anormali hanno questo vantaggio, che isolano particolari fattori della vita mentale e ci consentono di esaminarli senza la maschera costituita dal loro ambiente più abituale. Esse recitano, nell’anatomia mentale, la parte del bisturi e del microscopio nell’anatomia del corpo. Per comprendere correttamente una cosa abbiamo bisogno di vederla sia all’interno sia al di fuori del suo ambiente, e avere una certa conoscenza dell’intera gamma delle sue variazioni (tr. it. p. 39).

Presentiamo quindi il nostro pensiero a favore dell’importanza di una sintesi teorica della psicotraumatologia, che utilizzi gli sviluppi ottenuti nel campo degli studi sulla coscienza come mezzo di comprensione degli stati non solo normali, ma anche alterati, della coscienza. Sosteniamo

Prefazione

XXXI

inoltre la rilevanza del paradigma neurofenomenologico come approccio metodologico per la comprensione degli effetti del trauma complesso. In sintesi, proponiamo che il paradigma neurofenomenologico negli studi sulla coscienza fornisca una cornice metodologica utile per indagare gli effetti del trauma psicologico; a sua volta, la psicopatologia correlata a traumi fornisce un modello eccellente’ per ulteriori comprensioni della coscienza umana, dell’esperienza soggettiva e delle sue anomalie, come quelle scatenate da stress estremi nel corso della vita. La nostra comune esperienza clinica e di ricerca nel lavoro con sopravvissuti a traumi suggerisce precisamente che i fenomeni psicologici dello stress peri-traumatico e post-traumatico rappresentano potenti modelli teorici,

empirici e clinici per lo studio della complessità dell’esperienza umana soggettiva, sia nella forma di coscienza normale in stato di veglia (CNV) che di stati alterati di coscienza (TRASC). Proponiamo, in effetti, che le esperienze di trauma psicologico grave possano agire come “stimolo adeguato” (come definito da James) affinché si manifestino stati alterati di coscienza, che “alla minima pressione appaiono in tutta la loro completezza”.

Inoltre, sosteniamo

che il significato clinico del trauma

psicologico non possa essere compreso adeguatamente senza capire gli effetti che gli eventi traumatici possono avere nell’alterare gli stati della coscienza normale in stato di veglia, ovvero, citando ancora James: “Nessuna

visione

dell’universo

nella sua totalità può essere

quando lascia fuori queste altre forme di coscienza”.

definitiva,

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RINGRAZIAMENTI

L'idea per questo libro è nata da un invito di Allan Schore a scrivere un contributo per un volume su trauma e dissociazione che sarebbe comparso nella collana sulla neurobiologia interpersonale dell’editore Norton. Poco dopo, nel 2009, abbiamo partecipato a un gruppo di lavoro tra esperti nato dopo la conferenza sul trauma organizzata annualmente da Bessel van der Kolk: questo incontro ci diede l’ispirazione per considerare la dissociazione legata a traumi da una prospettiva dimensionale e neurofenomenologica: tutto questo è culminato nel presente volume. Siamo in debito con tutti i nostri colleghi e collaboratori per il loro sostegno, il loro insegnamento e le loro ricerche. Un ringraziamento speciale va a Robyn Bluhm, Jim Hopper, Clare Pain e Mischa Tursich per il loro commenti su precedenti versioni di questo testo. Vorremmo anche esprimere la nostra gratitudine ai nostri studenti che hanno sempre messo in discussione le nostre riflessioni e ci hanno aiutato a crescere come scienziati clinici. Franziska

Unholzer,

Carolin

Steuwe

e

Mischa

Tursich

hanno

partecipato a varie interviste fenomenologiche che sono riportate lungo tutto il volume. Suzy Southwell, Stephanie Nevill e Julia MacKinley ci hanno aiutato con l’organizzazione e la trascrizione delle interviste. Abbiamo un debito particolare con Erica Lundberg e Nancy Mazza per il loro straordinario supporto amministrativo. Un grazie speciale per

Tanaz Javan che è l'autrice della copertina. Vogliamo ringraziare anche tutto lo staff dell’editore Norton per la pazienza e il sostegno infaticabile lungo tutto il processo di scrittura e pubblicazione. Siamo in particolare grati a Deborah Malmud per il suo incoraggiamento e la sua fiducia in noi come autori. La nostra più profonda gratitudine va alle nostre famiglie e ai nostri amici per la pazienza e il sostegno durante la scrittura del volume. Paul Frewen desidera ringraziare in particolare, per il loro amore e il loro sostegno, la moglie Kim, i figli Nathan, Kaylin, Liam e Mya, i genitori e il resto della famiglia. Ruth Lanius desidera ringraziare in particolare, per il suo amore e il suo sostegno, il marito Derm e il resto della famiglia. Soprattutto vogliamo ringraziare tutte le persone che, attraverso il dialogo, le loro opere d’arte e la loro poesia hanno condiviso con noi

XXXIV

La cura del sé traumatizzato

le loro esperienze vissute di sofferenza umana, di perseveranza e di resilienza. Le loro storie sono state la principale ispirazione per questo lavoro. Speriamo che la teoria, la ricerca clinica e la pratica terapeutica nel campo del trauma e della dissociazione continui a crescere, ad approfondirsi e a maturare. Se il nostro obiettivo è comprendere veramente come avviene il processo di cambiamento e di guarigione di un sé traumatizzato, crediamo che sia necessaria una disciplinata integrazione degli studi dai campi della coscienza, delle neuroscienze e della clinica. Abbiamo ancora tanto da imparare. Paul Frewen e Ruth Lanius

CAPITOLO

1

Le varie forme dell’esperienza post-traumatica. Un modello quadri-dimensionale

Stati estremi indotti da stress e traumi differiscono notevolmente rispetto alle variabili che definiscono lo stato (ossia, stati dissociativi) dai normali stati di coscienza. Quanto più grave è il trauma, almeno sulla base di certi indici, tanto maggiore è la probabilità che l’individuo sia spinto in uno stato alterato di coscienza. Traumi cronici 0 ripetuti portano a un maggior numero di stati alterati che coevolvono col tempo.

Frank Putnam!

CASO l: UN SÉ TRAUMATIZZATO: STRESS GRAVE ASSOCIATO NORMALE IN STATO DI VEGLIA (CNV)

A COSCIENZA

“Kaylin” è una donna sposata di mezza età con tre figli piccoli, due avuti da un precedente matrimonio. Attualmente lavora e frequenta un college part-time. Descrive il suo attuale (secondo) marito, padre del suo terzo figlio, come amorevole e supportivo. Kaylin è cresciuta in una casa emotivamente fredda, severa € rigidamente religiosa. Il padre era emotivamente e fisicamente abusante, mentre la madre era introversa ed emotivamente non supportiva. Venne ripetutamente abusata sessualmente in giovane età da un membro della sua chiesa. Si sposò relativamente presto, trasferendosi di continente. Nel suo nuovo paese di residenza, non sapendo parlare la lingua locale, Kaylin si trovò socialmente

isolata. Inoltre, il suo primo marito era alcolista,

! Da Putnam EW. (1997). Dissociation in children and adolescents: a developmental Guilford Press, New York. Tr. it. La dissociazione nei bambini e negli

perspective.

adolescenti: una prospettiva evolutiva. Astrolabio, Roma 2005, p. 199.

2

La cura del sé traumatizzato

estremamente abusante sia emotivamente che fisicamente. Chiese aiuto ai genitori, ma il padre le rispose: “Ti sei costruita il tuo letto, ora ci devi dormire”. Poco dopo aver avuto il secondo figlio, si separò e ritornò in Canada. L’ex-marito tentò di rapire i bambini; fortunatamente furono recuperati illesi e lui fu incriminato. Successivamente Kaylin divorziò legalmente; al riguardo il padre le disse che ora era destinata all’inferno. Si trovò in seguito coinvolta in una serie di relazioni abusanti, nella più significativa delle quali ricevette ripetute minacce di morte, compresa una minaccia con coltello alla mano nel caso in cui avesse messo fine alla relazione. Trovò infine un partner affidabile e si risposò; come detto in precedenza, il suo attuale marito è supportivo. Kaylin sperimenta frequentemente ricordi intrusivi degli eventi traumatici passati, in forma di pensieri, sensazioni e immagini. Riporta di non aver dormito neanche una notte, in decenni, senza incubi. I suoi sogni

rimettono direttamente in scena i ricordi traumatici oppure riguardano la fuga da qualche pericolo indescrivibile, mentre urla per chiedere aiuto senza però essere mai udita. I sogni comprendono spesso tematiche di impotenza e abbandono. Mostra sintomi di costante iper-arousal, mentre altre volte prova sentimenti disforici cronici, sentendosi rifiutata e immeritevole. Si rende conto di non essere in grado di vedere se stessa in modo positivo, vive icomplimenti e l’affetto nelle relazioni interpersonali come minacciosi e svalutanti e ritiene di non meritare mai la compassione e l'amicizia altrui. Alla richiesta di descriversi a parole, riporta di non piacersi e di vedere se stessa come una persona moralmente cattiva. Queste visioni negative di sé sono state le più resistenti al cambiamento in psicoterapia, sia utilizzando approcci cognitivi che focalizzati sulle emozioni che attraverso metodi basati sulla mindfulness. Kaylin non ha, tuttavia, riportato o mostrato alcun chiaro segno di grave dissociazione o di stati alterati di coscienza correlati a traumi (TRASC,

Trauma-Related Altered States of Consciousness). Riporta di non

avere esperienza di flashback degli eventi traumatici. In altre parole, sebbene i suoi ricordi traumatici siano intrusivi, sconvolgenti e causino comportamenti evitanti e un livello significativo e grave di stress, non ha mai riportato di essere stata così tanto assorbita da un ricordo traumatico da aver perso parzialmente o completamente consapevolezza dell’ambiente circostante, o di aver avuto l’esperienza che il ricordo stesse

accadendo di nuovo nel tempo presente. Non ha mai riportato nessuno dei vari € tipici sintomi dissociativi dell’identità. Sebbene non si piaccia moralmente e fisicamente (per es. non ama la forma del suo corpo), si riconosce completamente allo specchio, e riporta di sapere chi lei sia. Nega di sentire voci nella sua testa e riporta di non aver mai avuto esperienze extra-corporce 0 di depersonalizzazione. Inoltre, non ha mai provato distorsioni significative del suo schema corporeo come l'impressione di sentire che il suo corpo, o parti di esso, non le appartengano. Kaylin prova molte emozioni difficili e oscilla tra paura, rabbia, colpa e vergogna. Ciononostante, è di solito consapevole delle sue emozioni:

1. Le varie forme dell'esperienza post-traumatica

3

se le viene chiesto che cosa sente, non ci si aspetta che lei provi un senso marcato di non sapere, o di non essere în grado di sapere. Inoltre, riconosce

le sue sensazioni come proprie, e dopo averci riflettuto, anche durante le sedute, è di solito in grado di identificare le cause o i fattori scatenanti

delle sue risposte emozionali. Al contrario, non ha mai riportato l’esperienza di reazioni emozionali che non le sembrino “e proprie”, o

reazioni affettive che emergano apparentemente senza alcun contesto conosciuto. Non ha mai neanche riportato la sensazione di sentirsi così intorpidita da perdere effettivamente tutte le sensazioni corporee o di sentirsi come se fosse già morta o di “non avere sensazioni”. CASO 2: UN ALTRO SÉ TRAUMATIZZATO: STRESS GRAVE ASSOCIATO A STATI ALTERATI DI COSCIENZA CORRELATI A TRAUMI (TRASC) “Mya” è una donna di mezza età sposata da giovane ma divorziata da diversi anni. Attualmente è in formazione per diventare assistente sociale. Da bambina suo padre era emotivamente freddo ma non abusante, né fisicamente né sessualmente; era spesso assente da casa, sia per il lavoro che a causa del suo alcolismo. La madre era assorbita da se stessa e spesso assente anche come caregiver. Mya lasciò casa da adolescente, si fece coinvolgere nello spaccio di strada e fu ripetutamente abusata sessualmente da maschi adulti nel contesto dell’uso di droga. Essendo cresciuta in un paese politicamente ostile, nel quale faceva parte di una minoranza etnica con status sociale privilegiato, fin dalla giovane età Mya ha vissuto in prima persona atti di violenza sociopolitica e di comunità. Per esempio, nel contesto di rivolte etniche, fu in più occasioni inseguita e minacciata da persone con armi da taglio. È stata anche molte volte minacciata fisicamente a livello personale e una volta è stata rapita e tenuta prigioniera per diversi giorni. Da ragazza Mya è diventata dipendente da crack. È stata vittima di traffico sessuale tramite il controllo del suo accesso alle droghe pesanti. Da allora si è astenuta dall’uso di droga per più di 5 anni. Così

come

Kaylin,

anche

Mya

ha spesso

ricordi

intrusivi,

incubi

riguardanti gli eventi traumatici passati e sintomi cronici di iper-arousal. Inoltre, sente di non meritarsi sentimenti positivi, in particolare l’amore

di un altro essere umano. Al contrario di Kaylin, però, Mya manifesta frequentemente segni di dissociazione e di TRASC. Per fare un esempio, vive regolarmente tipiche esperienze di flashback di eventi traumatici. Durante tali episodi, perde effettivamente la piena consapevolezza dell'ambiente circostante e ha alterazioni percettive (sente e vede cose che riguardano l'evento passato) e le può capitare di parlare o muoversi nel contesto di tali impressioni (per es. serrare i pugni o alzare le mani come per proteggere il viso da una minaccia). Presenta inoltre i classici segni gravi del disturbo dell’identità: per esempio evita di guardarsi allo specchio e non si riconosce quando lo fa (più precisamente, racconta

4.

La cura del sé traumatizzato

di “sapere logicamente che quella devo essere io, ma c'è qualcosa di sbagliato,

e non mi sembra che sia 10”). Mya racconta anche di sentire

voci dentro la testa, più spesso quelle dei suoi genitori o degli aggressori del passato. Ha frequentemente esperienze extra-corporee, come per esempio quella di vedersi dall’alto, soprattutto nei periodi di grave stress. Mya riporta anche frequenti distorsioni nel suo schema corporeo,

emerse in psicoterapia durante le pratiche di meditazione mindfulness (per es. esercizi di “body scan”): ha, per esempio, l’impressione che le sue mani non siano attaccate alle braccia. Presenta non solo i segni fondamentali della disregolazione emozionale, ma spesso racconta anche di essere totalmente inconsapevole di cosa stia provando, al punto di sentirsi così totalmente intorpidita da non essere in grado di sentire “nulla”. Inoltre si sente spesso così poco in controllo rispetto ad alcune reazioni emozionali (in particolare rabbia/collera), che viverle le dà l'impressione che non siano “le sue”. Infatti, dopo essersi arrabbiata, ha raccontato di sentirsi

come se non fosse più se stessa: “È come se non fossi più lì; diventa solo tutto rosso e non sono più in me”. Questi casi illustrano come l’esperienza traumatica possa portare, sul lungo periodo, a due tipi distinti di adattamento post-traumatico: una manifestazione intrinsecamente dissociativa, che comprende l’esperienza di stati alterati di coscienza correlati a traumi (TRASC), e una manifestazione

che non presenta palesi elementi dissociativi e, pur implicando un significativo stress e malessere dal punto di vista clinico, si presume appartenga a stati di coscienza normale în stato di veglia (0 CNV). Come illustrato nel caso di Kaylin, la prima manifestazione clinica comprende una sintomatologia post-traumatica che, sebbene stressante, severa, cronica e disabilitante, risulta cionondimeno non così palesemente, o almeno non intrinsecamente, dissociativa nella sua natura. A confronto,

come esemplificato da Mya, altri casi sono preminentemente dissociativi, includendoisegniei sintomi fondamentali dei TRASC che, nel caso di Mya,

comprendono: alterazioni della percezione del tempo, quando confonde il passato col presente attraverso flashback dissociativi; alterazioni nella struttura e nel processo dei pensieri come esemplificato dalla presenza di voci interiori; alterazioni nella percezione del corpo come

dalla che

depersonalizzazione; comportano

sentimenti

alterazioni di marcato

mostrato

dell’esperienza

emozionale

ottundimento

emozionale

e la disidentificazione con l’esperienza della rabbia. In questo libro introdurremo vari argomenti che aiutano a distinguere le manifestazioni di stress post-traumatico intrinsecamente dissociative rispetto alle manifestazioni presumibilmente non dissociative. Proponiamo una cornice teorica verificabile, che definiamo Modello 4-D, per classificare la sintomatologia del disturbo post-traumatico da stress nelle sue varianti intrinsecamente dissociative rispetto a quelle non dissociative, sulla base di quattro dimensioni fenomenologiche della coscienza e a seconda che si presentino nella forma di coscienza normale in stato di veglia (CNV)

1. Le varie forme dell'esperienza post-traumatica

5

o come stati alterati di coscienza correlati a traumi (TRASC). Le quattro

dimensioni della coscienza alle quali il modello 4-D fa riferimento sono la consapevolezza

individuale

(1) del tempo,

(2) dei pensieri, (3) del

corpo, (4) delle emozioni. Descriviamo inoltre un modello di processo

attraverso il quale i TRASC possono evolversi, nel contesto di esposizioni ripetute e in particolare nel corso dello sviluppo, attraverso tentativi di regolazione emozionale. Inizieremo riassumendo brevemente le attuali teorie psicologiche e le ricerche riguardanti il costrutto di dissociazione, per poi passare al modo in cui il nostro quadro di riferimento si adatta, in particolare focalizzandoci sull’attuale comprensione dei TRASC.

Dissociare “Dissociazione” da “Dissociazione”: disintegrazionecompartimentazione versus distacco-stati alterati di coscienza

Significativi progressi sono stati raggiunti negli ultimi anni rispetto alla comprensione della sintomatologia, dei processi neurobiologici sottostanti tipici dell’eziologia traumatogena e del trattamento efficace dei disturbi dissociativi e della dissociazione correlata a traumi (Boon et al. 2011; Brand et al. 2012; Chu 2011; Courtois e Ford 2009; Dalenberg et al. 2012; Dell e O’Neil 2009; Forgash e Copeley 2007; Howell 2005; Kluft 2013; Meares 2012; Paivio e Pascual-Leone 2010; Ross e Halpern 2009; Silberg 2012; Sinason 2011; Spiegel et al. 2011, 2013; van der Hart et al. 2006; Vermetten et al. 2007; Wieland 2011). Nonostante tali

progressi, gli studiosi contemporanei lamentano spesso il fatto che ciò a cui gli autori fanno riferimento (sia a livello accademico che clinico)

quando usano il termine dissociazione vari ampiamente, portando a grande confusione e disaccordo. Come esempio di tentativo relativamente recente e influente di rimediare al problema delle definizioni multiple di dissociazione, Holmes e colleghi (Holmes et al. 2005) hanno condotto una rassegna sistematica su diverse definizioni date da eminenti teorici: hanno evidenziato che molti elementi di queste definizioni potrebbero venire validamente inseriti in una delle due categorie che loro definiscono, seguendo Allen (2001) e altri (per es. Putnam 1997), “compartimentazione” e “distacco”. Holmes et al. (2005) hanno anche notato che tende a supportare tale distinzione concettuale anche l’analisi fattoriale delle percentuali di risposta valida sugli tem della DES

(Dissociative Experiences Scale; Bernstein

e Putnam

1986), il questionario auto-somministrato più utilizzato per i sintomi dissociativi. Nello specifico, le percentuali di risposta valida agli item della DES tendono a differenziare tra un sottoinsieme che sembra misurare

l’esperienza di episodi amnesici, considerati da Holmes e colleghi come esempi di compartimentazione, e un altro gruppo di item che sembra valutare l’esperienza di depersonalizzazione-derealizzazione, considerata dagli autori come risultato del distacco. Come tali, compartimentazione e distacco (per esempio legati, rispettivamente, a disturbo di

6.

La cura del sé traumatizzato

conversione e a disturbo di depersonalizzazione) sono stati identificati in base al loro insieme caratteristico di sintomi osservabili e disponibili all’autovalutazione e alle attuali pratiche di diagnosi. Teniamo tuttavia a sottolineare che, piuttosto che differire meramente in qualità di sintomi osservabili così come diagnosticati da autovalutazioni o da colloqui clinici, la compartimentazione e il distacco differiscono anche presumibilmente in quanto processi psicologici parzialmente distinti. In termini neurofenomenologici, Holmes et al. (2005) hanno definito il distacco come uno “stato alterato di coscienza caratterizzato da un senso di separazione (o “distacco”) da certi aspetti dell'esperienza quotidiana, sia quando riguarda il proprio corpo (come nelle esperienze extra-corporee), il proprio senso di sé (come nella depersonalizzazione) o il mondo esterno (come nella derealizzazione)” (p. 4). Brown (2006, p. 12) elabora ulteriormente questa definizione, estendendola anche alle esperienze emozionali (come nell’ottundimento emozionale). Sebbene

tale definizione enfatizzi pienamente gli aspetti fenomenologici, Holmes e colleghi si rifanno al modello

di Sierra e Berrios (1998) che vede

nell’iper-inibizione dell’arousal emozionale il meccanismo del processo che potenzialmente media le esperienze di distacco. Holmes et al. hanno invece definito il fenomeno della compartimentazione usando una terminologia legata ai processi: “Un deficit nell’abilità di controllare deliberatamente i processi o le azioni che sarebbero normalmente soggette a tale controllo” (p. 7). Ricadendo in linea generale all’interno della categoria che Holmesetal. (2005) chiamano compartimentazione, è verosimile che l’attuale paradigma teorico dominante nel campo della dissociazione sia quello di definire la dissociazione come disintegrazione all’interno di (o trasversalmente a) uno o più aspetti del funzionamento psicologico, includendo (ma non solo) identità, memoria, percezione, emozione e comportamento motorio. Da notare anche qui che la dissociazione viene definita come processo psicologico che dà luogo a sintomi identificabili. In parole povere, dal punto di vista di questo processo, la dissociazione diventa attiva quando “in sostanza, gli aspetti del funzionamento psicobiologico che dovrebbero essere associati, coordinati e/o collegati, non lo sono” (Spiegel et al. 2011, p- 826). Quindi la dissociazione definita in questo modo si riferisce a un processo attraverso il quale le funzioni psicologiche, che normalmente operano insieme, lavorano invece in modo relativamente indipendente; in questo modo si potrà avere come effetto una divisione e frammentazione dell’esperienza cosciente invece che una sua integrazione e unificazione. Dell ha enfatizzato come l’esito fenomenologico principale dei processi dissociativi, in quanto tali, sia l’esperienza delle intrusioni all’interno del proprio senso primario del sé: in tal modo, vari fenomeni comunemente descritti come stati alterati di coscienza si associano alla normale coscienza vigile (Dell 2006a, 2009a, 2009b). Da questo punto di vista, è importante notare che l’esperienza delle intrusioni dissociative all’interno della

1. Le varie forme dell'esperienza post-traumatica

7

propria esperienza personale richiede innanzitutto che la persona viva un senso di sé come sfondo, al di sopra del quale si presenta l’intrusione dissociativa:

Il locus esperienziale della dissociazione patologica è il sé — specificamente, il sé cosciente. Solo il sé cosciente può esperire e notare

le intrusioni dissociative all’interno della funzione esecutiva e del senso del sé. Niente sé, niente intrusioni... In breve, i sintomi dissociativi patologici sono ontologicamente basati su un sé cosciente che sente, riconosce ed è a conoscenza delle proprie esperienze. Solo il sé può sentire la qualità involontaria, estranea all’io e l’intrinseca

stranezza delle esperienze dissociative patologiche. E solo il sé può venire disturbato e messo in confusione da tali esperienze (Dell 2009a, p. 233, corsivo nell’originale).

E inoltre importante notare che, da questa prospettiva teorica, la dissociazione si riferisce a un processo o meccanismo che è di dominio relativamente generale nella sua applicazione a contenuti particolari; infatti alcuni studiosi hanno chiaramente sottolineato che i processi dissociativi possono venire potenzialmente applicati a qualsiasi funzione psicologica. Per esempio, Dell (2009a) afferma ancora esplicitamente che “il domimo della psicopatologia dissociativa è tutta l’esperienza umana. Non vi è alcuna esperienza umana che sia immune all'invasione da parte dei sintomi della dissociazione patologica. La dissociazione patologica può (e spesso lo fa) influenzare la vista, l'udito, l’odorato, la conoscenza, le convinzioni, le capacità di riconoscimento, la memoria, e così via” (Dell 2009a, p. 228, corsivo nell’originale).

Fatto salvo questo punto, coerente con l’importanza data da Holmes et al. (2005)

alla definizione

di compartimentazione

come

“deficit

nella capacità di controllare deliberatamente i processi o le azioni che sarebbero normalmente soggette a tale controllo” (p. 7), una variante particolarmente angosciosa delle funzioni disintegrate e compartimentate implica la separazione percepita tra volontà e azione, vale a dire la compartimentazione dissociativa dell’agentività percepita. In altre parole, una persona vive una mancanza del normale e previsto controllo volontario cosciente sulle proprie funzioni cognitive e comportamentalimotorie, con azioni che vengono quindi attuate apparentemente al di là della volontà della persona stessa. Per esempio, una paziente traumatizzata

descrisse di assumere dosi molto alte (anche se per fortuna non letali) di farmaci,

sotto

comando,

“contro

la sua

volontà”.

Nello

specifico,

nonostante le sue migliori intenzioni, lei aveva spesso l'impressione di non riuscire a smettere di assumere le medicine, un’esperienza analoga ad avere l’impressione che i suoi pensieri e le sue azioni fossero sotto un duplice controllo. Un altro paziente traumatizzato ha descritto l’esperienza di trovarsi senza controllo volontario per fermare gli atti di

8.

La cura del sé traumatizzato

auto-mutilazione, situazione che può, dopo successiva compresa come motivata da odio per se stessi e come concreta dell’aggressività verso di sé. A confronto, nelle persone con trauma complesso l’inibizione eccessiva o la soppressione della rabbia di

riflessione, essere rappresentazione si osserva anche fronte qualunque

segno di scontro sociale, oppure, al contrario, la mancanza

di controllo

percepito rispetto ad atti esplosivi di aggressività e violenza. Per fare un esempio, una persona mostrava di essere incapace a muovere la propria

mano; dopo averci riflettuto, scoprì che tale incapacità era legata alla paura di chiudere involontariamente la mano a pugno e attaccare una persona vicina, erroneamente percepita come l’ex-carnefice di un passato abuso (in questo caso la madre). Fortunatamente

il controllo

volontario percepito sulle azioni può essere migliorato mediante la psicoterapia. Una persona traumatizzata riferì per esempio che grazie a una psicoterapia di lunga durata cominciava a sentire la possibilità di esercitare effettivamente un controllo volontario sulle proprie azioni, anche se da una prospettiva depersonalizzata. In particolare, descriveva di essere ora in grado di orientare volontariamente le proprie azioni, ma solo mantenendo un punto di vista esterno, guardando se stessa come se fosse in piedi dietro al suo corpo. Sull’altro versante rispetto alla nozione di dissociazione come dis/ integrazione o compartimentazione delle funzioni psicologiche, gli studiosi spesso utilizzano il termine dissociazione anche per riferirsi all'esperienza di stati alterati di coscienza: questo approccio sembra rientrare nella costellazione di esperienze che Holmes et al. (2005) hanno definito “distacco” (detachment). Pur riconoscendo che i processi

dissociativi possono applicarsi, almeno in via potenziale alla totalità dell’esperienza umana cosciente, viene riconosciuto un gruppo o dominio identificabile di fenomeni psicologici (Cardena 1994) che testimoniano l'operato dei processi dissociativi in corso: questi fenomeni comprendono le esperienze di depersonalizzazione e derealizzazione, i flashback, gli stati di trance, l’assorbimento marcato e la confusione o l’alterazione dell'identità. Ciò che queste esperienze verosimilmente hanno in comune, innanzitutto, è il fatto che ciascuna rappresenta un’alterazione identificabile di una situazione di coscienza normale in stato di veglia (CNV). In effetti Cardena (1994, p. 23) ha descritto tali stati dissociativi

come “deviazioni qualitative dai propri usuali modi di vivere l’esperienza, all’interno delle quali avviene, come aspetto centrale dell'esperienza, un'insolita disconnessione o distacco dal sé e/o dall’ambiente circostante”. Seguendo questa descrizione, il termine stati alterati di coscienza si riferisce a deviazioni caratteristiche dal normale modo in cui le persone tendono a percepire loro stesse, gli altri, e il mondo attorno a loro (vedi anche Spiegel e Cardena 1991). In effetti, una tale rappresentazione del costrutto di dissociazione serve a renderla in qualche modo meno generica in termini di dominio di applicazione e sottolinea che forme particolari di stati

1. Le varie forme dell'esperienza post-traumatica

9

alterati di coscienza possano essere esiti prototipici, che si suppone essere

il risultato della presenza di processi dissociativi.

E stato riconosciuto, tuttavia, che la definizione dei fenomeni dissociativi

appena menzionata continua a rimanere piuttosto eterogenea. A supporto di tale affermazione, analisi fattoriali dei questionari sui sintomi dissociativi sostengono la tesi che le esperienze dissociative che includono gli stati alterati di coscienza hanno una struttura multifattoriale; ovvero,

diverse forme o dimensioni degli stati alterati di coscienza possono essere vissute in modo più o meno indipendente. Per esempio, il MID (Multidimensional Inventory of Dissociation; Dell 2006b) è uno strumento psicometrico tenuto in grande considerazione, specificamente creato per fornire una valutazione completa e valida statisticamente delle esperienze più comunemente osservate nelle persone con disturbo dissociativo dell'identità. Molti tem del MID rappresentano descrizioni esemplari degli stati alterati di coscienza

(come

depersonalizzazione,

derealizzazione,

flashback post-traumatici e stati di trance, descritti complessivamente in precedenza da Dell [2001] come

La scoperta

aspetti di “dissociazione pervasiva”).

di Dell che tipi specifici di alterazioni

possono venire distinti non solo concettualmente,

della coscienza

ma anche in termini

di correlazioni tra punteggi di risposta positiva agli item riguardanti i sintomi (Dell 2006b, Dell e Lawson

2009), fornisce una conferma forte

all’ipotesi che la nozione di “distacco” dissociativo possa essere, allo stesso tempo, troppo eterogenea (nei riferimenti che enuncia) e non abbastanza inclusiva (riguardo alle esperienze che non riesce a descrivere), in riferimento ai vari tipi di alterazioni della coscienza spesso vissute da persone gravemente traumatizzate. Anche Briere e colleghi, tramite la loro ricerca con un’altra scala multifattoriale sulla dissociazione, VMDI

(Multiscale Dissociation Inventory) hanno individuato ragioni forti per distinguere differenti tipologie di esperienze dissociative (Briere et al. 2005). È necessario anche notare che alcuni autori preferiscono riservare il termine dissociazione a esperienze o comportamenti che emergono da parti differenti di una struttura di personalità frammentata, suggerendo che l'alterazione dell'identità dovrebbe essere sia necessaria che sufficiente per definire i fenomeni dissociativi (Nijenhuis e van der Hart 2011). La teoria della dissociazione strutturale della personalità di van der Hart, Nijenhuis e Steele (2006) considera lo spettro dei disturbi dissociativi in termini di aumento della divisione e della molteplicità all’interno dell'esperienza in prima persona dell’agentività e del senso di sé: in accordo a ciò Steele e colleghi hanno proposto che la disintegrazione dissociativa dell'esperienza e l'alterazione dell’identità, da una parte, e le

alterazioni della coscienza, dall’altra, rappresentano fenomeni psicologici correlati ma distinti (Steele et al. 2009). Questi autori hanno sottolineato che, sebbene accadano spesso insieme e si confondano tra loro all’interno di ciascun momento specifico, “in teoria è semplice distinguere tra sintomi

10.

La cura del sé traumatizzato

di dissociazione strutturale da una parte e ambiti e livelli patologici della consapevolezza cosciente dall’altra: i primi hanno alla base una divisione della personalità e i secondi no” (Steele et al. 2009, p. 160). Inoltre, Steele e colleghi (2009) hanno acutamente affermato che, in

molti casi ma non in tutti, le alterazioni della coscienza rappresentano chiari casi di psicopatologia. Non concordano quindi con le teorie che posizionano gli stati alterati di coscienza all’estremo “normale” di un unico continuum, mettendo le divisioni strutturali della personalità all’altro estremo (patologico) del continuum. Hanno inoltre segnalato che coloro che manifestano una divisione strutturale della personalità hanno di solito stati alterati di coscienza, mentre relativamente poche persone che vivono stati alterati di coscienza hanno anche divisioni strutturali della personalità. Per chiarire la distinzione, Steele e colleghi preferiscono riservare i termini dissociazione e dissociativo ai casi di divisione strutturale della personalità, riferendosi invece agli stati alterati di coscienza semplicemente come tali (vedi anche Nijenhuis e van der Hart 2011) e hanno sollecitato ulteriori ricerche riguardanti le basi psicologiche e neurobiologiche sia delle alterazioni patologiche della coscienza che della divisione strutturale della personalità.

Elaborazione dissociativa correlata processuale (non) auto-referenziale

a traumi:

un

modello

Labreve panoramica sulle ricerche recenti che riguardanola tassonomia della dissociazione comprova come le teorie esistenti sottolineano in modo variabile iprocessi, la sintomatologia e gli esiti osservati, dando importanza o centralità diverse, per comprendere il costrutto di dissociazione, alle componenti legate alla disintegrazione-compartimentazione, al distacco/ stati alterati di coscienza e all’alterazione dell’identità (auto-referenzialità alterata). Tuttavia,

gli attuali

modelli

multifattoriali

di dissociazione,

sebbene cerchino di mettere insieme i vari processi psicologici sottostanti che mediano i sintomi dissociativi, rimangono descrittivi per loro natura,

essendo limitati a definizioni e a sistemi di classificazione (per es., vedi Beere 1995, 2009; Brown 2002, 2004, 2006; Dell 2009b): le eccezioni sono

relativamente poche. In altre parole, la maggior parte dei modelli ignora la distinzione tra mezzi esplicativi e percorsi di mediazione attraverso i quali i processi dissociativi si realizzano. Viene in particolare ignorato come le esperienze traumatiche, che è risaputo siano un robusto fattore di rischio causale per lo sviluppo di disturbi dissociativi (Dalenberg et al. 2012), intervengano nel causare la dissociazione. Pertanto la maggior

parte degli attuali modelli di classificazione della dissociazione tentano di categorizzare le mele con le mele (disintegrazione-compartimentazione) e le arance con le arance (distacco-stati alterati di coscienza), ma spesso

non sono all'altezza di spiegare in modo specifico come tali esperienze

avvengano,

e in particolare

come

le esperienze

traumatiche

diano

1. Le varie forme dell'esperienza post-traumatica

11

luogo agli svariati fenomeni che ricadono all’interno del dominio della dissociazione. Nello schema della figura 1.1. riassumiamo il nostro attuale pensiero sui processi che sottostanno alla dissociazione correlata a traumi. Precisiamo che questo quadro teorico viene condiviso solo in quanto ipotesi verificabile attraverso future ricerche, e non come risultato già confermato empiricamente o come dato di fatto teorico. Il modello nella figura 1.1 è forse più facilmente comprensibile se riferito a un caso reale, per esempio la situazione di una donna violentata da un uomo. Nel caso tipico di coscienza normale in stato di veglia (CNV), il modello suggerisce che gli eventi di vita, situazioni traumatiche

incluse, vengono normalmente codificati in modo auto-referenziale, ovvero attraverso una prospettiva in prima persona, come visualizzato nel percorso A della figura 1.1 Nel suo significato più elementare (e in qualche modo colloquiale), l'elaborazione auto-referenziale (o SRP, self referential processing), include la prospettiva in prima persona e aggiunge all'esperienza sensoriale (che sarebbe altrimenti completamente impersonale), una ‘etichetta’ che effettivamente dice: “Questo sta accadendo a me”. Quindi, all’interno della coscienza normale di veglia,

la donna violentata è del tutto auto-referenzialmente consapevole che lo stupro stia accadendo a lei; a causa del filtraggio intrinseco della coscienza attraverso i processi auto-referenziali, lei sarà intrinsecamente consapevole di essere lei stessa a essere violentata, e non qualcun’altra. Figura 1.1. Un modello processuale (non) auto-referenziale di dissociazione

Evento traumatico

fini AMNESIA (riferita al “Sé”)

Non-Sé/ “Altro”

SRI

auto-referenziale

(o SRP)

(Elaborazione altrui-

0ORP) 7F)intrusioni __|referenziale,

(G) Regolazione Em.

Il riquadro

a sinistra

e le frecce

A, B, C e G indicano

i processi

potenzialmente non dissociativi e la coscienza normale in stato di veglia (CNV), mentre il riquadro a destra e le frecce D, E ed F indicano processi

intrinsecamente dissociativi (stati alterati di coscienza correlati a traumi, o TRASC).

12

La cura del sé traumatizzato

Il percorso

B,

della

figura

1.1,

illustra

invece

il fatto.

che

le

rappresentazioni precedentemente codificate come riferite a Sé risulteranno per lo più adattive per la maggior parte delle persone sane e forniranno motivazione a perseguire obiettivi che aumentino il piacere ed evitino il dolore. In questo modo, seguire il percorso B suggerisce l’ovvio: la maggior parte delle persone saranno motivate a evitare lo stupro e, se possibile, le elaborazioni auto-referenziali suggeriranno un coping € una regolazione emozionale attive, come per esempio un tentativo fisico di fuga (simile a una risposta attacco-o-fuga) facilmente identificabile sia a livello comportamentale che attraverso segnali periferici del sistema nervoso autonomo, come un aumento del battito cardiaco, della

respirazione e del tono muscolare. Nella figura abbiamo rappresentato un dell’elaborazione auto-referenziale nei percorsi A e B, ma che entrambi i percorsi varino a seconda di quanto siano consapevole o in modo automatico/inconscio, ovvero, da processi neurali corticali piuttosto che da processi utile

inoltre

notare

che

la persona

cronicamente

coinvolgimento presupponiamo mediati in modo rispettivamente, sottocorticali. È

traumatizzata,

che

è arrivata a considerarsi come intrinsecamente “cattiva” e a vedersi in termini marcatamente negativi (per es. come “rifiutata”, “non amabile”, “spregevole”,

“disgustosa”,

“scandalosa”;

Frewen

et al. 2011b),

può

risultare più propensa ad assimilare l’esperienza di eventi traumatici attraverso il percorso A senza considerare alcuna concomitante risorsa difensiva (percorso B). Per esempio, una donna traumatizzata può credere di meritarsi la violenza sessuale come punizione e che l'evento traumatico dello stupro sia completamente colpa sua, azzerando qualsiasi motivazione che le faccia invece seguire il percorso B, a favore della regolazione emozionale degli eventi traumatici. Tale risposta è analoga all’impotenza acquisita e può essere associata a varie risposte del sistema autonomo, per esempio un aumento meno significativo o addirittura un decremento nel battito cardiaco al momento dell’evento traumatico (Schauer e Elbert 2010). I ricercatori hanno in effetti notato come molti

sopravvissuti a traumi sembrino a volte addirittura ricercare un'ulteriore traumatizzazione attraverso riattualizzazioni e rivittimizzazioni autodistruttive, forse simili per alcuni aspetti a una forma di dipendenza (Briere e Runtz 1987, 1993; Chu 2011; Courtois 2004; Myrick et al. 2013;

van der Kolk 1989).

Nel caso in cui la fuga sia una motivazione presente e importante ma fisicamente impossibile, il percorso C nella figura 1.1 suggerisce che l'elaborazione auto-referenziale indurrà in modo naturale risposte più passive dal punto di vista comportamentale e un coping interno: nella letteratura contemporanea sulle neuroscienze affettive questa situazione viene sempre più considerata un esempio di “regolazione emozionale” (Diekhof et al. 2011, Ochsner e Gross 2005, Ochsner et al.

2002). Tipologie cardine di regolazione emozionale come soppressione,

1. Le varie forme dell'esperienza post-traumatica

distrazione, rimozione,

decentramento

13

e rivalutazione cognitiva (Aldao

et al. 2010) vengono tipicamente considerati e studiati come processi top-dowun di regolazione emozionale, mediati a livello centrale (vedi per es. Ochsner e Gross 2005), nonostante venga riconosciuto dai ricercatori l’importanza e la frequenza anche dei processi di regolazione emozionale bottom-up che sono automatici, non-consapevoli o meno-consapevoli (Gyurak et al. 2011, Mauss et al. 2007). Particolarmente influenzata dalla ricerca di Gross e colleghi (Gross

1998, 2002, 2013), la teorizzazione

contemporanea tende a suggerire che, perlomeno all’interno del contesto di comuni e lievi fattori di stress quotidiani (un ritardo a un appuntamento, una piccola discussione con un amico, bruciare un toast), certe strategie di regolazione emozionale come la rivalutazione cognitiva sono di solito più efficaci di altre (come la soppressione) nel ridurre le emozioni negative e l’arousal psicofisiologico. Di conseguenza la ricerca sulle neuroscienze affettive si è orientata in modo netto verso lo studio dei processi di rivalutazione cognitiva rispetto ad altre forme di regolazione emozionale (Diekhof et al. 2011, Ochsner e Gross 2005). Cionondimeno,

è Importante sottolineare che, nel contesto di fattori stressanti più gravi, quali uno stupro, l’efficacia di alcune strategie di regolazione emozionale rispetto ad altre può risultare

meno

chiara,

in termini

di risultante

adattamento. Tornando al nostro esempio di evento traumatizzante (violenza sessuale), le vittime spesso tentano di mettere in atto varie strategie di regolazione emozionale sia durante che subito dopo lo stupro. Queste sono alcune descrizioni testuali tratte dalla vita reale di vittime di violenza sessuale che abbiamo avuto in trattamento: “Ho provato a fare in modo di non sentire, chiudendo me stessa fuori” (soppressione); “guardavo da un’altra parte, cercando di focalizzarmi su qualcos'altro” (distrazione); “ho cercato di cancellarlo dalla mia mente, di dimenticare che sia accaduto” (rimozione); “mi sono distanziata da me stessa, un po’ come se

mi portassi fuori da ciò che stava accadendo” (decentramento). Dal punto di vista del presente quadro teorico sull’elaborazione, viene riconosciuto come ciascuna di queste strategie di regolazione emozionale abbia un chiaro effetto di diminuzione della rilevanza emozionale auto-referenziale dell’evento traumatico. In altre parole, queste strategie di regolazione emozionale rappresentano ciascuna tentativi diretti e, in modo variabile,

consapevoli di alterare momentaneamente la propria coscienza normale in stato di veglia (CNV) e il senso di sé: servono a rendere l’esperienza di per sé meno importante nell’immediato, oppure meno importante dal punto di vista emozionale. L'esito può essere analogo alla traduzione di un’esperienza traumatizzante in un’esperienza che sia di natura meno auto-referenziale, o più vicina a ciò che definiamo come “elaborazione non-auto-referenziale”, poiché avviene nella prospettiva del racconto in terza persona (per es. “lo stupro [non] sta accadendo” rispetto a “mi stanno stuprando”).

14.

La cura del sé traumatizzato

tipicamente

Da notare, al contrario, che gli esempi che vengono forniti quali definizioni

di “rivalutazione

cognitiva”— nello specifico, i

tentativi di interpretare gli eventi negativi e gli stimoli avversi in modo meno negativo o addirittura positivo — sarebbero decisamente meno applicabili nel contesto traumatico di uno stupro e potrebbero addirittura risultare disadattivi: è abbastanza evidente che incoraggiare una persona a tentare di interpretare un’esperienza traumatica quale una violenza sessuale come qualcosa di non negativo o addirittura positivo sarebbe moralmente assai sospetto. Riteniamo che chiunque sia sufficientemente sano a livello psicologico non prenda in considerazione questo approccio in modo naturale; è certamente vero, al contrario, che un abusante può

tentare di influenzare tale rivalutazione dell’evento nella sua vittima (per es., raccontandole che a lei piace l'aggressione o che la desidera). Come strategia di regolazione emozionale, la rivalutazione cognitiva è inapplicabile nei casi di trauma psicologico più grave? Crediamo che ci sia almeno un derivato della rivalutazione cognitiva che la vittima potrebbe provare a utilizzare: la rivalutazione cognitiva dell’alterazione dell’identità. Per quanto a noi noto, questa particolare applicazione teorica della rivalutazione cognitiva non è mai stata esplicitamente adottata nella letteratura sul trauma. Come notato in precedenza, le strategie di regolazione emozionale quali la soppressione, la distrazione, la rimozione e il decentramento sono state considerate come modalità di riduzione emplicita della natura auto-referenziale dello stupro. Al contrario,

tuttavia, attraverso

un

processo

di alterazione

dell’identità,

la donna potrebbe esplicitamente rivalutare la situazione come non autoreferenziale, ricostruendo con l'immaginazione l'evento come se non stesse accadendo a lei, ma come se stesse accadendo a qualcun altro. In

quanto tale, la sua rivalutazione riduce esplicitamente la natura autoreferenziale

dell'evento

traumatico,

trasformandolo

in un

evento

che

comprende “l’elaborazione altrui-referenziale” (Frewen e Lundberg 2012); utilizzando le parole di una persona sopravissuta a traumi: “Ho fatto in modo che stesse accadendo a qualcun altro”. A tal proposito,

l’alterazione

dell’identità,

attraverso

un'estensione

della metodologia della semplice rivalutazione cognitiva, spicca a confronto di altre strategie di regolazione emozionale per il fatto di essere esplicitamente (piuttosto che solo implicitamente) di natura non auto-referenziale: non solo è rappresentata da un esito, ma è anche un processo. Per estendere la rivalutazione cognitiva in modo da poter avere un'alterazione dell'identità (vedi figura 1.1, riquadro in basso a destra: Non-Sé/

“Altro”

- Elaborazione

altrui-referenziale,

o ORP)

è infatti

necessario utilizzare l’immaginazione per creare e costruire un “altro”:

questo processo è del tutto assente nelle altre forme di regolazione emozionale elencate precedentemente. Non deve essere in particolare sottovalutato il significato potenziale della trasformazione della prospettiva dalla prima alla seconda/terza persona nel momento in cui ci si orienta verso l’evento traumatizzante:

1. Le varie forme dell'esperienza post-traumatica

15

molte ricerche hanno infatti misurato chiari cambiamenti neurofisiologici

associati a tali manipolazioni dell’attenzione, associati inoltre a cambiamenti soggettivi a livello emozionale. Il primo di tali studi è stato condotto da Ruby e Decety (2001), che in alcune prove sperimentali chiesero ai partecipanti di immaginare se stessi nell'atto di compiere un'azione (prospettiva in prima persona: “Sto versando del caffè in una tazza”), mentre in altre prove dovevano immaginare un’altra persona compiere la stessa azione (prospettiva in terza persona: “Lui sta versando del caffè in una tazza”). Ruby e Decety hanno scoperto che assumere una prospettiva in prima persona comporta principalmente risposte all’interno del lobo parietale inferiore sinistro, dell’insula posteriore e del giro post-centrale bilaterale, mentre assumere una prospettiva in terza persona comporta principalmente risposte nella corteccia cingolata posteriore, nel precuneo e nel polo frontale mediale destro. Uno studio successivo degli stessi autori ha messo a confronto

i correlati neurali relativi a immaginare, data la stessa situazione emozionale, come risponderemmo in riferimento a noi stessi rispetto a come risponderemmo se nostra madre fosse nella stessa situazione (“io sono in ritardo per un appuntamento importante” [prospettiva in prima persona] versus “tua madre è in ritardo per un appuntamento importante” [prospettiva in terza persona]). Di nuovo i risultati hanno mostrato che la corteccia prefrontale mediale era attivata preferenzialmente durante la prospettiva in terza persona, così come il lobo parietale inferiore destro e il polo temporale sinistro (Ruby e Decety 2004). Numerosi studi hanno da allora esaminato 1 correlati neurali relativi alla manipolazione della prospettiva narrativa, che implicano una momentanea assunzione del punto di vista di un’altra persona. Diversamente dagli studi precedenti che enfatizzavano la risposta all’interno della corteccia prefrontale mediale (CPFm) e cingolata anteriore, una meta-analisi condotta da van

Overwalle (2009), utilizzando un approccio che si focalizza sulle regioni cerebrali di interesse, ha evidenziato come il manipolare la prospettiva nel corso di un’azione, negli studi sull’intenzionalità, evoca una risposta preferenzialmente all’interno della giunzione temporoparietale sinistra: questi risultati confermano altri studi che hanno trovato una maggiore risposta all’interno della giunzione temporoparietale destra e della corteccia prefrontale bilaterale. Una meta-analisi di Qin e Northoff (2011a, 2011b) ha permesso di

notare che prendere in considerazione la prospettiva di un’altra persona durante compiti sociocognitivi, in confronto a prendere una prospettiva in prima persona, tende a evocare più comunemente una risposta all’interno della giunzione temporoparietale destra, della corteccia cingolata posteriore e del precuneo. Dato che la risposta all’interno della CPFm viene comunemente associata sia con l'elaborazione auto-referenziale (Northoff et al. 2006) che con l’inibizione della paura (Pitman et al.

2012), alterare l'elaborazione dell’informazione a partire dall'interno della corteccia mediale anteriore passando preferenzialmente attraverso

16.

La cura del sé traumatizzato

le regioni parietali posteriori sulla linea mediana o laterale, così come verso la corteccia frontale laterale bilaterale, suggerisce chiaramente che

differenti meccanismi di elaborazione cognitivo-emozionale hanno luogo quando si prende una prospettiva in prima piuttosto che una prospettiva in terza persona. In modo acuto, Reinders e colleghi hanno applicato analoghi paradigmi sperimentali agli studi sui ricordi traumatici in individui con disturbo dissociativo dell’identità. I correlati neurali raccolti durante l'esposizione a copioni traumatici da una prospettiva in prima persona (“autonoetica”), in cui il ricordo traumatico era recuperato come evento

autobiografico, sono stati confrontati ai correlati neurali raccolti da una prospettiva in terza persona, quando il copione traumatico non veniva considerato dal partecipante come un proprio ricordo: solo la prospettiva in prima persona attivava una veloce risposta, in iper-arousal, del sistema nervoso autonomo, come evidenziato dall'aumento del battito cardiaco e delle risposte nella conduttanza cutanea. Inoltre, nel loro primo

studio, l'assunzione di una prospettiva in prima persona veniva associata a una maggiore riposta nell’insula sinistra e nell’operculum parietale sinistro, mentre una prospettiva in terza persona risultava associata a una maggiore risposta nella corteccia frontale superiore destra, nel giro frontale medio, bilateralmente, e nella giunzione temporoparietale, bilateralmente (Reinders et al. 2003). In una replica ed estensione dello

studio, la prospettiva in prima persona è risultata associata a una maggiore risposta all’interno dell’amigdala bilateralmente, del caudato e dell’insula sinistra, mentre la prospettiva in terza persona è risultata associata a una maggiore risposta all’interno della corteccia prefrontale dorsomediale (CPFdm), della corteccia cingolata anteriore e posteriore, del precuneo, del giro paraippocampale e delle giunzioni temporoparietali sinistra e destra (Reinders et al. 2006). Infine, Reinders, Willemsen, Vos, den Boer e

Nijenhuis (2012) hanno dimostrato che le risposte neurali che avvengono

in persone con disturbo dissociativo dell'identità possono venire distinte dalle risposte che avvengono in un gruppo di controllo che simulava tale disturbo, suddividendo quest'ultimo in due sottogruppi, a seconda del livello di propensione alla fantasia; differenze tra gruppi sono emerse in varie aree e in particolare nel precuneo, nell’insula sinistra e nell’amigdala sinistra. In letteratura vi sono anche casi clinici singoli, studiati con neuroimaging, sulle variazioni indotte dalla prospettiva in prima persona in pazienti con disturbi dissociativi (Savoy et al. 2012, Tsai et al. 1999).

Va sottolineato che nella letteratura sulla dissociazione vi è accordo sul fatto che un individuo possa sviluppare un numero di rappresentazioni “simil-sé” sempre più complesse e che si riferiscono a identità “alter”, accompagnate da prospettive in prima persona multiple e indipendenti: questo avviene in proporzione a quanto l’esposizione ripetuta a stressor traumatici sovrasta continuamente le risorse di coping associate a elaborazione auto-referenziale primaria (SRP) e a quanto stati secondari della propria identità vengano ripetutamente e abitualmente invocati

1. Le varie forme dell'esperienza post-traumatica

17

come rivalutazioni cognitive e come strumenti di coping. In questo modo, una persona può orientarsi nei confronti degli eventi, come prima risposta, non attraverso SRP ma piuttosto direttamente attraverso un'elaborazione non-auto-referenziale/altrui-referenziale (percorso D nella figura 1.1). All’interno di questa cornice, se ci si riferisce al senso primario di sé (riquadro in basso a sinistra nella figura 1.1), gli episodi amnesici sono considerati come periodi durante i quali un individuo assume una prospettiva in prima persona di uno stato identitario alternativo (Dell 2009a, 2009b; Nijenhuis 2013; Nijenhuis e van der Hart 2011). Ci si può inoltre aspettare che una persona in tali circostanze viva una dissonanza marcata, con discordanza e confusione, quando gli obiettivi della prospettiva primaria e della prospettiva alternativa in prima persona confliggono (percorso B ed E nella figura 1.1). Anche il modo attraverso il quale le strategie di regolazione emozionale nella loro totalità vengono influenzate dai processi dissociativi merita considerazione. Possiamo notare che le strategie di regolazione emozionale, in tutti i casi, rappresentano tentativi di alterare (o “dissociarsi” da) alcune reazioni precedentemente dominanti o da esperienze coscienti. In effetti, il compito della regolazione emozionale è quello di “far fare un passo indietro” rispetto all'esperienza e, almeno in parte, di “togliere se stessi” dal modo attuale di sentirsi e dall'ambiente circostante, portandosi verso una situazione meno stressante. L’analogia del “fare un passo indietro”, come messa in atto di un’esperienza caratterizzata da maggiore distanza soggettiva o distacco tra se stessi e uno stimolo o un evento emozionale, è particolarmente chiara nel caso

della strategia di regolazione emozionale che nella letteratura recente è stata definita “decentramento” (Ayduk e Kross 2010; Fresco, Segal, Buis e Kennedy 2007; Fresco, Moore et al. 2007; Kross 2009). In un precedente

articolo abbiamo notato che vi sono fenomenologia degli stati di distacco lievi) e le istruzioni date ai partecipanti come decentrarsi e distanziarsi rispetto

sorprendenti similitudini tra la dissociativo (quantomeno quelli di esperimenti di neuroîmaging su a lievi scosse elettriche e rispetto

alla visione di film tristi (Frewen e Lanius 2006a, 2006b):

Ai soggetti veniva data l'istruzione di rivalutare gli stimoli prendendo distanza da essi, vale a dire, diventando osservatori distaccati [...] Per fare ciò, a ogni soggetto veniva detto di immaginarsi mentalmente all’interno di un cinema, e di guardare se stesso sul grande schermo mentre reagiva emotivamente, per poi sentirsi dissociato, come se la persona sullo schermo non avesse alcuna relazione con lui (Lévesque et al. 2003, p. 362, corsivo

aggiunto; vedi anche Kalisch et al. 2005). Crediamo

in effetti che decentramento,

distanziamento

e distacco

siano il risultato dall’influenza, a vari livelli, di ogni strategia di regolazione

18.

La cura del sé traumatizzato

emozionale. Tali strategie sono del tutto sane, sono modi normali di gestire e tollerare lo stress quotidiano, finché la persona non fa un passo indietro “troppo lungo e troppo spesso”. Nel secondo caso il ricorso ripetuto e sempre più abituale a forme sempre più marcate di distacco a servizio della regolazione emozionale può portare a un’automatizzazione di tali strategie: questo fa diminuire il grado in cui tali esperienze vengono vissute come guidate dal controllo esecutivo consapevole. Abbiamo notato in precedenza che il livello di controllo esecutivo consapevole percepito dalle persone rispetto all’utilizzo di strategie di regolazione emozionale è in effetti variabile (Gyurak et al. 2011, Mauss et al. 2007). Mentre a volte

il soggetto si percepisce come se avesse attivamente scelto o messo in atto una strategia di regolazione emozionale (ad es., “ho fatto andare via me stesso”, situazione che attribuiremmo all’attraversamento del percorso C

nella figura 1.1), altre volte la risposta sembra essere più automatica, con il soggetto che descrive l’esperienza come se le stesse semplicemente accadendo (per es. “ho iniziato ad andare via...”). Dal punto di vista della nozione di “compartimentazione” (Holmes et al. 2005),

potrebbe

essere

preferibile

riservare

la definizione

di

processo dissociativo alle situazioni esemplificate dall'ultimo caso, che sembrano coinvolgere una perdita percepita dell’agentività volontaria e del controllo esecutivo cosciente sull’azione e sull'esperienza. Questi casi potrebbero essere propriamente rappresentati dal percorso D nella figura 1.1, ovvero da una “via diretta” all’elaborazione non-auto-referenziale. In accordo con tale interpretazione, Dell (2009b) ha notato, paragonando la rimozione freudiana alla dissociazione janetiana, che la rimozione descrive una strategia di regolazione emozionale completamente disponibile alla coscienza normale in stato di veglia (CNV; percorso C nella figura 1.1). In confronto, la dissociazione janetiana è intrinsecamente rappresentativa del processo dissociativo, in quanto per sua natura involontario, dal momento che avviene al di là del controllo volontario della persona. Possiamo dire che la persona sopravvissuta a traumi sia stata resiliente nei casi in cui strategie di regolazione emozionale come soppressione, distrazione,

rimozione,

decentramento

e rivalutazione

cognitiva

siano

state pienamente efficaci nel ridurre in modo adattivo lo stress associato a un numero limitato di eventi traumatici. Riferendosi di nuovo all’esempio di stupro, in tali circostanze si può dichiarare che l’evento orribile sia finalmente finito solo se la donna attraversa i percorsi A, B e C della figura 1.1. Tuttavia, crediamo che la natura terrorizzante e umiliante di alcune

esperienze traumatiche ripetute alteri l’elaborazione auto-referenziale stessa, attraverso codificazioni ripetute (ripetizione del percorso A) e, in congiunzione con il ricorso sempre più automatico ad alterazioni della propria coscienza come mezzo di coping (percorso C e D), porta a creare uno stato di sé sempre più cronicamente traumatizzato. Questo stato alterato del sé (in linea con l’importanza data da Dell [2006a, 2009a,

2009b] alla fenomenologia della dissociazione come intrusione nel senso

1. Le varie forme dell'esperienza post-traumatica

19

primario di sé di una persona) verrebbe vissuto nella forma di intrusioni progressivamente più frequenti nella coscienza normale in stato di veglia (CNV) da parte degli stati alterati di coscienza correlati a traumi (TRASC),

indotti da ricordi traumatici o da eventi traumatici in corso (percorso F). Inoltre, nei casi più gravi, può avvenire l’instaurarsi crescente di una

nuova situazione di base caratterizzata da elaborazioni auto-referenziali anormali, vale a dire caratterizzate da un senso di sé cronicamente alterato

dal punto di vista dei principi della CNV e infuso di TRASC (percorso D). Un individuo così ripetutamente traumatizzato può cronicamente orientarsi verso se stesso, Verso gli altri e verso il mondo

attorno a sé

mediante un senso sempre più alterato del tempo, dei pensieri, del corpo e delle emozioni. La natura sempre più disturbante dell’esperienza vissuta da questa persona può portarla a impegnarsi in ulteriori tentativi di alterazione degli stati di coscienza (percorso G nella figura 1.1). Dopo il fallimento nell’uso di forme sane di regolazione emozionale, i tentativi alternativi spesso prendono la forma di strategie secondarie e disadattive di regolazione emozionale, come alcolismo o altre forme di abuso di sostanze, etero-aggressività, auto-lesionismo, forme alternative di auto-

abuso (per es., inutile assunzione di rischi) e auto-punizione. L’esito sfortunato di queste strategie secondarie di regolazione emozionale è spesso l'aumento piuttosto che la diminuzione della crescente tendenza individuale verso la dissociazione e verso l’esperienza dei TRASC.

Un sottotipo dissociativo del Disturbo da Stress Post-traumatico Insieme ad altri studiosi abbiamo proposto di distinguere un sottotipo dissociativo del disturbo da stress post-traumatico (PISD) come modalità per riconoscere la sintomatologia preminentemente dissociativa in certi casi di PISD,

dall'assenza)

in precedenza definita solamente dalla presenza (0

di esperienze

di depersonalizzazione

e derealizzazione

(Bremner 1999; Ginzburg et al. 2006; Lanius et al. 2010; Lanius et al. 2012; Stein et al. 2013; Steuwe et al. 2012; Wolf, Lunney et al. 2012;

Wolf, Miller et al. 2012). Tale proposta è stata incorporata nella quinta edizione del Diagnostic and Statistical Manual for Psychiatric. Disorders (DSM-5; American Psychiatric Association 2013). Il sottotipo dissociativo di PISD riconosce il significato clinico del differenziare le persone con PISD che mostrano segni evidenti di derealizzazione (percezione alterata dell'ambiente e delle altre persone, per es. percepire gli altri come se non fossero reali o come se il mondo fosse come “in un sogno” o “attraverso una nebbia”) e di depersonalizzazione (percezione alterata del sé corporeo; per es., esperienze extra-corporee). Il termine derealizzazione si riferisce esplicitamente alla sensazione o percezione che il mondo non sia reale, oppure riguarda esperienze associate

a un ambiente esterno che sembra esistere come

in un sogno,

nella nebbia, senza vita o visivamente distorto (American Psychiatric

20.

La cura del sé traumatizzato

Association 2013, World Health Organization 2003). Per fare un esempio,

una persona con PTSD, arrivando nell’ambulatorio dell'ospedale dove era stata seguita per diversi mesi con una psicoterapia focalizzata sul trauma, riferì: “Mi sento come se non conoscessi questo posto. Voglio dire, lo so dove sono.

Però non

sembra reale, lo sento diverso, strano”. Un'altra

persona sopravvissuta a traumi, nonostante le funzioni cognitive fossero intatte, chiedeva ripetutamente “questo posto è reale? Io sono reale?”. A confronto, nel linguaggio psichiatrico il termine depersonalizzazione è spesso scambiato con la descrizione di esperienze extra-corporee, ma bisognerebbe riconoscere che la definizione di depersonalizzazione ha un’applicazione considerevolmente più ampia: più precisamente, la depersonalizzazione è stata definita in modo da includere esperienze come sentirsi un osservatore esterno di ciò che accade a se stessi o al proprio corpo, come avviene in caso di alterazioni percettive, senso alterato del tempo, intorpidimento sensoriale o emozionale o alterazioni del senso di sé (American Psychiatric Association 2013). Inoltre, alcune

persone possono lamentarsi di ‘sentirsi distanti’ o ‘non realmente qui’. Per esempio... “che le loro emozioni, sentimenti o esperienze del profondo senso di sé siano distaccate, strane, non proprie, o spiacevolmente perdute, o che le loro emozioni o movimenti sembrano appartenere a

qualcun altro” (World Health Organization 1993, p. 110). Una persona traumatizzata ha descritto la depersonalizzazione in questo modo: “Sembra

come

se io sia dietro ai miei occhi, o a volte è come

se sono

di fianco a me stesso. Posso vedere il mio corpo, posso vedere cosa sto facendo, ma non sono io. È disconnesso”. L'idea che potesse esistere un sottotipo dissociativo di PISD è inizialmente sorta mentre studiavamo le basi cerebrali della memoria nei ricordi traumatici usando il metodo della rievocazione immaginativa tramite copione. Questo metodo comprende l’ascolto di una registrazione audio che ripercorre cosa è accaduto durante un evento traumatico personale del passato (Pitman et al. 1987). La nostra ipotesi originale era che persone traumatizzate con PTSD avrebbero invariabilmente rivissuto l'evento traumatico con un concomitante aumento nell’iper-arousal, come evidenziato da elevato battito cardiaco: numerosi ricercatori avevano già scoperto tale dinamica (rassegna di Pole 2007). La prima partecipante del nostro studio, tuttavia, mentre ascoltava il copione del suo trauma personale, rispose in modo molto diverso da quanto ci aspettavamo. Al

contrario di quanto atteso, la sua frequenza cardiaca infatti diminuì di circa quattro battiti al minuto rispetto alla condizione di base. Inoltre, quando in seguito la intervistammo rispetto alla procedura riferì che, piuttosto che rivivere l’evento traumatico: “Mi sono disconnessa dal corpo e mi guardavo da sopra. È stato come in un sogno. Era troppo difficile tornare là”. Ci è quindi apparso chiaro che le risposte di depersonalizzazione-

derealizzazione

andassero

tenute

in considerazione

all’interno

dei

1. Le varie forme dell'esperienza post-traumatica

21

disegni di ricerca che utilizzano la rievocazione immaginativa tramite

copione. Di conseguenza abbiamo rivisto gli obiettivi del nostro studio in modo da paragonare i correlati neurofisiologici della già nota risposta

di riviviscenza in iper-arousal con la risposta di depersonalizzazione-

derealizzazione che avevamo constatato. Al termine, i risultati dello studio

mostrarono che, mentre il 70% circa dei partecipanti con PTSD esibiva la

prima risposta, caratterizzata dal rivivere l’esperienza, di solito congiunta

ad aumento della frequenza cardiaca, il rimanente 30% del campione riportava

sintomi

prototipici

di depersonalizzazione-derealizzazione,

senza accelerazione della frequenza cardiaca o con una decelerazione della stessa (rassegna in Lanius et al. 2006). Inoltre, i dati di neuroimaging funzionale hanno mostrato che queste risposte, qualitativamente differenti dal punto di vista fenomenologico e cardiovascolare,

hanno anche basi cerebrali apparentemente

diverse.

In confronto a persone sane esposte a eventi traumatici, coloro che riportavano una risposta caratterizzata da reviviscenza e iper-arousal esibivano una risposta minore nella corteccia prefrontale mediale (CPFm) e nell’adiacente corteccia cingolata anteriore (CCA) perigenuale: sono regioni cerebrali conosciute per essere coinvolte nell’elaborazione autoreferenziale e nella regolazione emozionale, inclusa l’inibizione della risposta all’interno dell’amigdala, zona del cervello conosciuta per essere coinvolta nella reazione di paura (rassegna in Pitman et al. 2012). AI contrario, coloro che riportavano sintomi di depersonalizzazionederealizzazione esibivano una maggiore risposta all’interno della CPFm e della CCA perigenuale: questo dato è coerente, a livello interpretativo, con la previsione di Sierra e Berrios (1998) che tale risposta sia associata a un’iper-inibizione di centri del sistema limbico quali l’amigdala, effetto che in seguito abbiamo chiamato sovramodulazione della responsività emozionale (per una rassegna vedi Lanius et al. 2010). Le evidenze che da allora abbiamo raccolto e sistematizzato tendono a validare queste iniziali impressioni cliniche. Infatti l’argomentazione secondo la quale il PISD e i sintomi dissociativi spesso si presentano insieme dovrebbe ormai essere ritenuta consolidata. Per esempio, la meta-analisi di Carlson e colleghi su 17 studi ha mostrato che circa il 50% della varianza viene condivisa tra PTSD e sintomi dissociativi (media r = .71; Carlson et al. 2012). Di recente abbiamo anche dimostrato che, se

i ricercatori includono la derealizzazione e la depersonalizzazione tra i sintomi di PTSD sottoposti all'analisi fattoriale, viene massimizzato il fit dei modelli di analisi fattoriale dei sintomi di PTSD quando i sintomi di depersonalizzazione e derealizzazione vengono calcolati come un'unica dimensione, che permette la correlazione con altri fattori relativi ai sintomi di PTSD (Steuwe et al. 2012). In confronto, il fit è più povero quando tali sintomi, a livello statistico, vengono caricati direttamente sui fattori che

rappresentano gli altri sintomi di PISD: abbiamo proposto che questa seconda ipotesi sarebbe stata più coerente se i sintomi dissociativi fossero

29.

La cura del sé traumatizzato

risultati ridondanti, oppure se fossero già stati tenuti in considerazione mediante il calcolo dei fattori relativi ad altri sintomi di PTSD. Inoltre, un

altro modello che postulava il fattore dissociazione come non correlato alle dimensioni dei sintomi di PISD ha mostrato un fit povero: questo dimostra che più un individuo vive sintomi di PTSD, più è probabile che la presenza di sintomi dissociativi venga confermata. Questi risultati sostanziano le esperienze dissociative come esperienze frequenti tra i sintomi di una persona traumatizzata con PTSD. Esistono inoltre prove evidenti dell’associazione tra dissociazione clinica ed esposizione a stress traumatico (cfr. la rassegna di Dalenberg et al. 2012). A nostro parere il riconoscimento di un sottotipo dissociativo di PISD permette una descrizione clinica e una diagnosi più parsimoniose rispetto a diagnosticare un PTSD in comorbilità con un disturbo, indipendente, di depersonalizzazione. Nello specifico, il sottotipo dissociativo di PTSD riconosce intrinsecamente l’eziologia traumatogena delle esperienze di depersonalizzazione e derealizzazione

di una persona, cosa che non fa

il modello di comorbilità (cfr. Carlson e Dalenberg 2012). Vari esperti sottolineano che il disturbo di depersonalizzazione, al contrario di altri disturbi dissociativi, non è stato associato causalmente in modo robusto all'esposizione a eventi traumatici (rassegna di Dell 2009b, Simeon e Abugel 2006). Oltre a includere l’esposizione a traumi come fattore eziologico generale, il sottotipo dissociativo di PISD riconosce almeno implicitamente che le esperienze di depersonalizzazione e derealizzazione sono spesso direttamente indotte dall’esposizione a stimoli legati a eventi traumatici passati, come dimostrato, per esempio, dalla risposta della nostra prima paziente al metodo della rievocazione immaginativa tramite copione (Frewen e Lanius 2006a, 2006b; Lanius et al. 2006; Lanius et al.

2010). E importante notare che l'argomento a favore del riconoscimento di un sottotipo dissociativo sottolinea che, sebbene molti individui con PISD esibiscano sintomi di depersonalizzazione e derealizzazione, non a tutti questo succede: per questo, distinguere le persone con PTSD le quali 2n effetti vivono esperienze dissociative da coloro che non le vivono è clinicamente importante. Di fatto, una serie di analisi delle classi latenti

di campioni relativamente ampi suggerisce che, tra le persone con PISD, forse solo circa il 12-15% degli uomini e il 25-30% delle donne mostrano sintomi clinici significativi di derealizzazione e depersonalizzazione (Stein et al. 2013; Steuwe et al. 2012; Wolf, Lunney et al. 2012; Wolf, Miller et

al. 2012). Nello studio più ampio condotto finora (N = 25.018), il sottotipo dissociativo è stato osservato nel 14% degli individui con PTSD

è stato associato

con

eventi

sfavorevoli

nell’infanzia,

grave

ed

deriva

sociale e tendenza al suicidio (Stein et al. 2013). Inoltre, l'associazione

tra PISD e sintomi dissociativi è riconosciuta come non equamente bidirezionale: mentre la maggior parte degli individui che riferiscono di avere sintomi dissociativi significativi riporta anche sintomi di PTSD,

1. Le varie forme dell'esperienza post-traumatica

23

è chiaro che la maggior parte delle persone con sintomi di PTSD non ha livelli di dissociazione clinicamente significativi. Per esempio, nello studio di Waelde,

Silvern e Fairbank

(2005) su 316 veterani maschi

esposti a eventi potenzialmente traumatizzanti, dei quali 76 avevano una diagnosi di PISD e 30 esibivano segni patologici di dissociazione (come riconosciuto dal DES-Taxon; Waller e Ross 1997), 180% (24/30) di coloro

che

presentavano

sintomi

clinicamente

significativi

di dissociazione

rispondeva ai criteri di diagnosi di PTSD, mentre solo il 38% (30/76) degli individui con PTSD riportava segni patologici di dissociazione. In sintesi, non solo campioni clinici relativamente ampi ma anche prove epidemiologiche internazionali su più ampia scala (Stein et al. 2013) suggeriscono che, quando misurati in modo dimensionale, i sintomi di PISD e di dissociazione spesso correlano tra loro in modo significativo. Tuttavia, quando sono misurati in modo categoriale (presenza o assenza), sebbene i sintomi dissociativi siano spesso presenti in individui con PTSD, il numero di casi rappresenta purtuttavia una minoranza all’interno della popolazione PTSD totale, arrivando probabilmente all'incirca tra un caso ogni sette a un caso ogni tre (vale a dire circa il 15-33%; Stein et al. 2013; Steuwe et al. 2012; Waelde et al. 2005; Wolf, Lunney et al. 2012; Wolf,

Miller et al. 2012).

È tuttavia necessario notare in questo contesto che la prevalenza dei sintomi dissociativi nei campioni di persone con PISD varia probabilmente a seconda di come la dissociazione di per sé venga definita e misurata. Per esempio, in accordo con Wolf e colleghi (2012), nel nostro studio sulla prevalenza del sottotipo dissociativo (Steuwe et al. 2012) abbiamo escluso dalle misurazioni ciò che consideriamo essere relativamente aspecifico e paragonabile a esperienze dissociative meno significative dal punto di vista clinico, come la ridotta consapevolezza dell’ambiente circostante (per es. “sentirsi storditi”, o avere un “intontimento generale”). Riteniamo che

la fenomenologia di queste esperienze sia troppo simile a casi di generica confusione

associata

a PTSD

non

dissociativo

(e anche

a molti altri

disturbi affettivi e d’ansia) e non permette di demarcare chiaramente un “sottotipo” all’interno della popolazione con PTSD. È inoltre importante riconoscere che esperienze come “sentirsi storditi” e “intontiti” non sono intrinsecamente patologiche né chiaramente indicative di stati alterati di coscienza

correlati a traumi

(TRASC).

Al contrario,

diversi

studiosi considerano tali esperienze come prototipi della cosiddetta “dissociazione normativa”, ovvero esperienze che avvengono all’interno della popolazione generale e che non sono necessariamente associate a precisa psicopatologia (Butler 2004, 2006; Dalenberg e Paulson 2009; Dell 2009b). Riteniamo che il significato clinico della distinzione di un sottotipo dissociativo di PTSD stia nella sua specificità rispetto alle forme di presentazione non dissociativa, in quanto riguarda un distacco marcato ed evidente rispetto alla coscienza normale in stato di veglia (CNV). Raccomandiamo pertanto di non includere i vari casi di “dissociazione normativa” nella diagnosi di PTSD, sottotipo dissociativo.

24.

La cura del sé traumatizzato

Gli studi di psicofisiologia hanno cercato di fornire un supporto preliminare alla validità della differenziazione tra persone con PISD che

esibiscono,

o

meno,

stati

e

tratti

dissociativi

prevalenti,

come

depersonalizzazione e derealizzazione. L'aumento medio della frequenza cardiaca in risposta a stress e ricordi traumatici è stato riscontrato in molti individui con PTSD (Pole 2007) e indica non solo l’attivazione del sistema

simpatico ma anche una significativa riduzione dell'attività parasimpatica (Hopper et al. 2006, Sack et al. 2004); al contrario la maggioranza degli studi sulle manifestazioni dissociative, sia di stato (Lanius et al. 2005,

2002) che di tratto (Bonanno et al. 2003, Koopman et al. 2004, Sierra et al. 2002, Sierra et al. 2006, Simeon et al. 2008) dimostrano una diminuzione

del battito cardiaco e della reattività nella conduttanza cutanea nel corso di induzione sperimentale di stress. Hauschildt e colleghi (2011) hanno anche osservato in questo sottogruppo una diminuzione nella variabilità della frequenza cardiaca (o HRV) nei partecipanti che guardavano alcuni video con materiale traumatico, così come previsto dalle ipotesi sulla dissociazione sia di tratto che di stato. Vari studiosi hanno sottolineato che i segnali psicofisiologici della dissociazione possono essere compresi nel contesto di modelli animali sull’elaborazione della minaccia tipo predatore-preda. Anche gli studi di neuroîimaging dei meccanismi sottostanti alle risposte dissociative hanno fornito ulteriori evidenze riguardo alla mancanza dell'aumento nella risposta cardiovascolare che spesso si osserva in individui con alti livelli di dissociazione, attribuendola all'aumento del controllo top-down (0 sovramodulazione) da parte delle regioni limbiche del cervello (Frewen e Lanius 2006a, 2006b; Hopper et al. 2007; Lanius et al. 2002, 2012; Lanius

et al. 2010; Lanius et al. 2005; Sierra e Berrios 1998). Per esempio, quando sono indotti da trigger traumatici, gli stati dissociativi si accompagnano di frequente a ridotta sensibilità al dolore: questi stati dissociativi sono stati correlati ad aumentata risposta della corteccia cingolata media e dell’insula in individui con disturbo borderline di personalità in comorbilità con PTSD (Ludàscher et al. 2010). Inoltre, i tratti dissociativi

predicono una risposta ridotta all’interno dell’amigdala destra durante il recupero di ricordi traumatici in contemporanea a stimolazione dolorosa in individui con diagnosi unica di PISD (Mickleborough et al. 2011). Il tempo ci dirà se queste prime osservazioni riguardanti le diverse risposte sia esperienziali che neurofisiologiche allo stress reggeranno alla prova di ulteriori replicazioni e indagini scientifiche. Rendere ampliata

la depersonalizzazione

più

personale:

una

definizione

Sebbene le definizioni psichiatriche di depersonalizzazione siano In gran parte state sinonimi di esperienze extra-corporee parziali o totali, un ampliamento della definizione di depersonalizzazione è stato

1. Le varie forme dell'esperienza post-traumatica

25

proposto (Spiegel et al. 2011, 2013) e incorporato nel DSM-5 (American Psychiatric Association 2013). Oltre a riconoscere le esperienze extracorporee come sintomatiche del disturbo di depersonalizzazione, altre esperienze come “sentirsi come in un sogno”, vivere un senso di irrealtà o di assenza di un sé, alterazioni percettive, ottundimento emozionale e fisico e un senso distorto del tempo sono state considerate come indicative di fenomeni di depersonalizzazione (Spiegel et al. 2011, 2013). Per fare un esempio, un partecipante a una ricerca ha descritto l’esperienza di depersonalizzazione in questo modo: “Tutto sembra strano. È difficile da descrivere. Mi sento come se dovessi ricordare a me stesso chi sono... Vivo in un sogno. Mi sento come intrappolato in un corpo a caso. Non so chi sono. Non ho ricordo di me stesso prima che avessi la depersonalizzazione”.

Questa definizione ampliata, dal momento che tratta i vari fenomeni elencati come istanze di una comune esperienza, è coerente con le attuali

pratiche diagnostiche. Infatti gli strumenti psicometrici sulla dissociazione peritraumatica (per es. Marmar et al. 1997) e sulla dissociazione di stato (per es. Bremner

et al. 1998) misurano

tipicamente un insieme

eterogeneo di esperienze, come: avere un’esperienza distorta del senso del tempo, avere alterazioni percettive, sentirsi fisicamente separati dal proprio corpo, sentire di non essere reali o intorpiditi fisicamente ed emozionalmente. Il fatto che tali strumenti abbiano spesso un’alta coerenza interna o una struttura unifattoriale suggerisce che queste esperienze possono rappresentare un comune fenomeno psicologico. Tuttavia queste scale non sono state disegnate per distinguere tra stati dissociativi potenzialmente differenti, poiché solamente un ridotto numero

di item (a volte uno solo) è stato dedicato alla misurazione di

ciascuna delle varie esperienze fenomenologiche. Questo rende molto difficoltosa la disambiguazione tra i vari fenomeni psicologici più specifici,

al netto dall’errore di misurazione. Da parte nostra consideriamo affascinante l'ampliamento del concetto di depersonalizzazione, suggerito da Spiegel et al. (2011, 2013) e incorporato nell’attuale DSM, dal momento che può aumentare il potere esplicativo e il significato clinico dei fenomeni di depersonalizzazione. Inoltre, i criteri diagnostici rivisti possono incoraggiare una maggiore attenzione alla prevalenza degli stati alterati di coscienza correlati a traumi (TRASC) nelle persone con trauma complesso, insieme all’elenco suggerito di sintomi esemplificativi che sono altamente rappresentativi dei tipici fenomeni psicologici osservati nella pratica clinica. Ciò nonostante, riteniamo che la validità dei contenuti di questa lista avrebbe un miglior sostegno se la valutazione diagnostica fosse intenzionalmente

organizzata attorno alle dimensioni dell'esperienza che sono riconosciute come centrali nell’ambito interdisciplinare degli studi sulla coscienza €,

26

La cura del sé traumatizzato

in particolare, degli studi sulla fenomenologia della coscienza. Dimensioni dissociative: stati alterati di coscienza correlati a traumi

(TRASC) Come osservato nella popolazione sana/normale, gli indicatori qualitativi generali degli stati di coscienza comprendono la distinzione “attenzione focalizzata su un compito versus attenzione non focalizzata su un compito” e la distinzione “relativa vigilanza versus sonnolenza”. Nei modelli dimensionali, tuttavia, gli stati alterati di coscienza vengono classificati in base a un numero finito di assi. Per esempio, Vaitl et al. (2005) hanno differenziato gli stati alterati di coscienza rispetto a quelli normali secondo le quattro caratteristiche fenomenologiche che seguono: (1) livello di attivazione dell’arousa/ (riferendosi alla prontezza di un organismo a interagire con l’ambiente fisico e sociale); (2) ampiezza della consapevolezza (ristretta e focalizzata versus ampia ed estesa); (3)

estensione dell’auto-consapevolezza (a quale livello il sé rappresenta un focus preminente all’interno della consapevolezza);

(4) dinamiche

sensoriali (intensità percepita della sensazioni fisiche, per esempio la luminosità dei colori o il volume dei suoni).

Come definito da Vaitl e colleghi (2005), il livello di attivazione può variare da alto arousal, con agitazione, a basso arousal, con rilassamento

o inerzia. Ovviamente abbassare l’attivazione sotto una certa soglia può risultare incompatibile con la consapevolezza dell'ambiente esterno (come nel sonno profondo o nell’anestesia). In riferimento a persone traumatizzate con disturbi dissociativi, costoro possono mostrare, curiosamente, un’attivazione/arousal molto alto ma anche un’attivazione/ arousal molto basso in momenti e circostanze diverse; a volte ci si riferisce

ai livelli estremamente bassi di arousal coi termini stupor dissociativo © catatonia dissociativa (Schauer e Elbert 2010).

Il range di ampiezza della consapevolezza va dall'essere ristretta e focalizzata (per esempio, mentre guardiamo il tremolio della fiamma di una candela) ad ampia ed estesa (per esempio, osservare l’oceano, contemporaneamente consapevoli del suono delle onde, del volo dei gabbiani e della brezza fresca contro il viso). Le persone traumatizzate e altamente dissociative possono talvolta presentarsi con stati iperfocalizzati, ipervigili e concentrati in modo intenso su particolari aspetti dell'ambiente esterno che potrebbero rappresentare segni potenziali di minaccia. Ciononostante anche in questo caso è risaputo che le persone traumatizzate, paradossalmente, esibiscono modelli di comportamento con caratteristiche opposte a seconda del momento e del luogo, come anche assenze totali di risposta, anche in reazione al più focalizzato degli stimoli, incluse le stimolazioni nocicettive. Mentre l'ampiezza della consapevolezza sì riferisce all'attenzione verso cose

esterne

al sé, l'estensione

dell’auto-consapevolezza

si riferisce

al

1. Le varie forme dell'esperienza post-traumatica

27

grado rappresentato dal sé come focus preminente all’interno della consapevolezza. Per esempio, mentre si guarda un film o si legge un romanzo, CI sl può ritrovare così assorbiti o immersi nell’attività da sperimentare una relativa “perdita di auto-consapevolezza”. A confronto, durante un discorso in pubblico, si può vivere un alto grado di autoconsapevolezza, essendo ansiosamente preoccupati di quale impressione

stiamo dando. Un esempio più estremo di perdita di auto-consapevolezza riguarda una persona che non si riconosce allo specchio, fenomeno osservato frequentemente in persone gravemente dissociate (Bernstein e Putnam 1986, Frewen et al. 2011b). Infine, le dinamiche sensoriali si riferiscono semplicemente all'intensità

delle sensazioni fisiche soggettivamente percepite, come la luminosità dei colori o il volume dei suoni. Mentre le persone traumatizzate e con dissociazione talvolta si presentano come ipersensibili a certi suoni o alla brillantezza della luce all’interno di una stanza, altrettanto spesso riferiscono esattamente l’opposto: per esempio i suoni vengono percepiti come generalmente attutiti, vuoti o distanti, oppure il mondo risulta “Ingrigito” o confuso, come se fosse visto attraverso una lastra di vetro o un velo di nebbia (Bernstein e Putnam 1986). Vaitl et al. (2005) hanno notato come, oltre a mezzi fisiologici diretti

quali l’ingestione di sostanze psicoattive, sono stati scientificamente validati diversi metodi psicologici affidabili e manipolazioni ambientali per l’induzione di stati alterati di coscienza. Questi includono sia la deprivazione sensoriale che il sovraccarico sensoriale. Durante la deprivazione sensoriale, lo stimolo

sensoriale

esterno viene minimizzato,

come quando si viene fisicamente costretti in uno spazio ristretto (quindi con possibilità limitata di movimento) e deprivati di stimolazioni visive, uditive e tattili. Vaitl et al. hanno riesaminato le prove che suggeriscono che tali pratiche possano significativamente alterare funzioni fisiologiche misurate attraverso i livelli di adrenalina, noradrenalina, beta-endorfine

e ormoni dello stress, nel sangue e nel plasma. Il sovraccarico sensoriale è invece caratteristico di un ambiente nel quale la stimolazione sensoriale viene massimizzata al punto da divenire altamente spiacevole e intrusiva (per esempio luci lampeggianti ripetitive, suoni forti, striduli o urla). Sebbene non direttamente considerati nella revisione di Vaitl et al. (2005), alcuni eventi traumatici esemplificano piuttosto chiaramente casi di deprivazione sensoriale o di sovraccarico sensoriale. Per fare un esempio, eventi traumatici che comprendono restrizione fisica prolungata o trascuratezza (per es., negazione di cure di base come cibo e semplici indumenti) sembrano costituire forme di deprivazione sensoriale. A confronto, altri eventi traumatici sembrano costituire forme di sovraccarico

sensoriale, come osservare in prima persona atti estremi di violenza, esserne oggetto o parteciparvi forzatamente; essere ripetutamente oggetto di abusi diretti, minacce e maltrattamenti; essere soggetti ad altre forme di crudeltà umana e degradazione, deumanizzanti e sadiche.

28.

La cura del sé traumatizzato

Di conseguenza, secondo la teoria di Vaitl et al., gli eventi traumatici dovrebbero, in quanto tali, rappresentare dei potenziali modulatori della coscienza negli esseri umani. Noi suggeriamo inoltre che, quando un individuo viene ripetutamente sottoposto a tali eventi per un periodo prolungato di tempo, in particolare all’inizio dello sviluppo e prima che i modelli di coscienza normale in stato di veglia (CNV) dell’adulto siano stabilmente formati, le forme di coscienza alterata possano diventare più sensibili, costanti e assumere caratteristiche di tratto.

Steele e colleghi (2009) discutono due dimensioni nella loro descrizione delle basi degli stati alterati di coscienza in persone traumatizzate. La prima è il “campo della coscienza” definito come “la quantità di stimoli interni ed esterni mantenuti nella consapevolezza cosciente in un dato momento” (p. 157). Questo concetto sembra sovrapporsi a quello di “ampiezza della consapevolezza” come descritto da Vaitl et al. (2005). La seconda

dimensione discussa da Steele etal. è il “livello di coscienza” che viene inteso come riferito a tipologie qualitativamente differenti di funzioni mentali. Steele e colleghi elencano come esempi il sonno rispetto al rilassamento profondo, la sonnolenza, lo stupor, il coma e la depersonalizzazionederealizzazione. È chiaro che stati come il rilassamento da svegli, gli stadi del sonno e il coma siano qualitativamente distinti in neurologia, non solo in termini di fenomenologia ma anche oggettivamente, come mostrato attraverso i profili dell’elettroencefalogramma (EEG). Sembra inoltre ragionevole descriverli come lvelli, ma in questo modo tale distinzione porta a suggerire una differenza quantitativa piuttosto che qualitativa (come nel caso della proporzione tra ritmi beta e alpha, theta e delta sull’EEG). La nostra lettura dell’utilizzo del termine di “livello di

coscienza” suggerisce una sovrapposizione concettuale con il concetto di arousal/attivazione come descritto da Vaitl et al. (2005). Interpretiamo quindi il concetto di “livello di coscienza” di Steele et al. come rappresentativo di una variabile quantitativa piuttosto che qualitativa. Tuttavia, troviamo poco adatto il fatto che ci si debba necessariamente

riferire alla depersonalizzazione e alla derealizzazione come a “livelli bassi” di coscienza.

In particolare, non è necessariamente

scontato che

cosa abbiano in comune la depersonalizzazione e la derealizzazione con stati quali il sonno, il rilassamento profondo, la sonnolenza, lo stupor o il coma. Bisognerebbe anche notare che in certe pratiche e tradizioni

spirituali, mistiche e di relazione mente-corpo (per es. la meditazione) gli stati di depersonalizzazione sono stati di coscienza fortemente ricercati e valorizzati come più elevati,

e non come inferiori.

Ciononostante, concordiamo pienamente con quello che deduciamo essere l’argomentazione principale di Steele e colleghi (2009), vale a dire che vi sia una validità teorica e un’utilità clinica nel differenziare tra stati di coscienza normale e stati di coscienza alterata nelle persone traumatizzate. In accordo con l’analisi di Steele e colleghi vorremo suggerire che gli stati alterati di coscienza comprendono la depersonalizzazione e la

1. Le varie forme dell'esperienza post-traumatica

29

derealizzazione, ma non sono limitati a esse. Di conseguenza, rileviamo

che vi sia la necessità di cercare uno schema di classificazione alternativo,

maggiormente

inclusivo

e integrativo

rispetto

implicato dal concetto di “livelli di coscienza”.

al raggruppamento

Un modello a quattro dimensioni del sé traumatizzato Fortunatamente, al di là dei concetti quantitativi di livello di arousal/ attivazione, ampiezza della consapevolezza, estensione dell’auto-

consapevolezza e dinamiche sensoriali (Vaitl. et al 2005), gli studiosi di fenomenologia riconoscono un certo numero di ulteriori dimensioni qualitative attraverso le quali le esperienze della coscienza possono venire classificate. Rappresentativo di una più ampia letteratura, l'inquadramento di Thompson e Zahavi (2007), per esempio, differenzia quattro dimensioni qualitative attraverso le quali classificare la natura di particolari esperienze soggettive: (1) la temporalità (il senso del tempo); (2) la narrativa (il pensiero come racconto che incorpora contenuto, prospettiva e struttura); (3) l’embodiment (la sensazione di avere un corpo,

di essere consapevolmente in un corpo e di appartenere a un corpo); (4) l’affettività (l’esperienza del sentire le emozioni). A favore di una maggiore semplicità, ci riferiremo a queste quattro dimensioni rispettivamente come coscienza: (1) del tempo, (2) dei pensieri, (3) del corpo, (4) delle

emozioni. Anche se non proponiamo che queste quattro dimensioni rappresentino necessariamente una lista esaustiva di tutte le dimensioni della fenomenologia verosimilmente rilevanti per la psicotraumatologia, condividiamo la posizione teorica che vede queste dimensioni come modalità promettenti per spiegare gran parte della sintomatologia riportata dalle persone che sono state cronicamente esposte a stress traumatico grave. Descriveremo quindi in maggior dettaglio ciascuna di queste dimensioni, insieme al nostro modello di classificazione della sintomatologia correlata a traumi, che si basa su queste quattro dimensioni. Più precisamente, il nostro modello divide i sintomi correlati

a traumi in tipi appartenenti alla coscienza normale in stato di veglia (CNV) e in tipi appartenenti a stati alterati di coscienza correlati a traumi (TRASC), con riferimento alle dimensioni di tempo, pensiero, corpo ed emozione. Una quinta dimensione descritta da Thompson e Zahavi, l’intersoggettività, riguarda l’esperienza interpersonale in relazione ad un’altra persona. Sebbene il nostro modello 4-D non includa direttamente questa dimensione, nel capitolo finale di questo volume discuteremo il processo della psicoterapia per il trauma come pratica intersoggettiva mediante la quale i TRASC possono iniziare a venire normalizzati e il senso di sé del sopravvissuto può venire curato e riparato. Detto in modo semplice, il principio fondamentale del modello 4-D per la classificazione della sintomatologia correlata a traumi è il seguente:

30.

La cura del sé traumatizzato

i sintomi espressi da persone traumatizzate possono essere classificati 0 come forme di coscienza normale în stato di veglia (CNV) 0 come stati alterati di coscienza correlati a traumi (TRASC),

in riferimento alle dimensioni di tempo, pensieri,

corpo ed emozioni?. La figura 1.2 raffigura visivamente il modo in cui il modello 4-D classifica la sintomatologia correlata a traumi all’interno di ciascuna delle quattro dimensioni di coscienza del tempo, del pensiero, del corpo e dell’emozione, distinguendo tra forme CNV versus forme TRASC.

Nella metà inferiore della figura 1.2 le dimensioni sono definite nella loro forma di coscienza normale in stato di veglia (CNV) come sintomi vari rappresentativi di grave stress post-traumatico. Questa sintomatologia è rappresentata da segni ben conosciuti e relativamente aspecifici legati a stress cronico generale, a emotività e cognitività negative e a disadattamento interpersonale, tutti segni evidenti in gran parte dei casi di PTSD, così come attualmente diagnosticato in psichiatria e psicologia clinica. Questa sintomatologia si sovrappone ampiamente con quella di altri disturbi, affettivi e d'ansia. Il modello 4-D afferma esplicitamente che la presenza di questi indicatori e sintomi di stress grave in persone traumatizzate non è intrinsecamente costitutiva della presenza di stati alterati di coscienza correlati a traumi (TRASC). Come tale, in assenza

di evidenza certa di altri processi dissociativi coinvolti nell'espressione di tali esperienze, i sintomi riportati nella parte inferiore dei rettangoli dovrebbero essere considerati, per parsimonia, come forme generali di stress grave, all’interno della CNV. Al contrario, le stesse quattro dimensioni vengono presentate nella metà superiore della figura 1.2 nella forma di ciò che consideriamo come stati alterati di coscienza correlati a traumi (TRASC). Riteniamo

che questi siano gli indicatori e i sintomi di un sottotipo dissociativo della sintomatologia post-traumatica che, fenomenologicamente, è più disturbata e complessa. Abbiamo tuttavia disegnato uno sfondo sfumato per ogni rettangolo, come se parte superiore e parte inferiore si mescolassero l’una all’altra: vogliamo con questo rappresentare il fatto che, attualmente, non sappiamo se la differenza tra coscienza normale in stato di veglia (CNV) e forme di TRASC sia di tipo qualitativo (categoriale) ° Sebbene passiamo in rassegna sia gli studi clinici che quelli neurofenomenologici per sostenere la validità di ognuna delle quattro dimensioni, sottolineiamo che, al momento presente, la base sulla quale differenziamo una dimensione dall'altra è puramente concettuale e pragmatica. Dunque, per semplicità e chiarezza espositiva descriveremo singolarmente il significato teorico e clinico di ogni TRASC. Cionondimeno, in termini di modelli statistici, siamo aperti sia a future scoperte empiriche che possano suggerire una fusione di ciascuna delle quattro dimensioni (che al momento

teniamo distinte), sia a schemi concettuali alternativi

che suggeriscano come distinguere fattori sopraordinati sulla base di combinazioni multiple delle quattro dimensioni. In effetti, nel corso del volume, discuteremo alcuni possibili adattamenti delle dimensioni presentate, frequentemente emersi nel corso della nostra ricerca e delle nostre osservazioni cliniche.

1. Le varie forme dell'esperienza post-traumatica

31

o solo quantitativo (dimensionale). È soprattutto importante sottolineare che le persone traumatizzate possono sperimentare entrambi i gruppi di sintomi, vale a dire sia stress nella CNV

che TRASC,

in momenti

diversi e in circostanze differenti, spesso provocati da una fonte di stress percepito dall’esterno. Vogliamo inoltre sottolineare esplicitamente che le esperienze dei TRASC, così come qui descritte, non sono da considerarsi di natura psicotica. Infine, sosteniamo anche che i sintomi dei TRASC possano essere vissuti all’interno o all’esterno del contesto di concomitanti alterazioni dell'identità come accade in persone con disturbo dissociativo dell'identità (DDI): è nostro parere, in altri termini,

che i TRASC non siano necessariamente diagnostici di DDI. Suggeriamo invece che tali stati siano transdiagnostici, che vengano spesso vissuti da persone con altri disturbi correlati a traumi (per es. il disturbo borderline di personalità) e di conseguenza possono servire a estendere la nozione

di sottotipo dissociativo non solo al PISD ma anche ad altri disturbi correlati a traumi. Figura 1.2. /l modello 4-D del sé traumatizzato

Flashback, Reviviscenza,

Sentire voci

|

|Depersonalizzazione

Frammenta-

zione

Le linee in basso e la parte inferiore dei riquadri e delle frecce denotano i processi potenzialmente non dissociativi e la coscienza normale in stato di veglia (CNV). Le linee in alto e la parte superiore dei riquadri e delle frecce denotano processi intrinsecamente dissociativi (stati alterati di coscienza correlati a traumi, o TRASC). ET = esposizione a traumi.

32.

La cura del sé traumatizzato

Il modello 4-D include quattro ipotesi secondarie, anch'esse raffigurate nella figura 1.2. Due di esse si basano sul concetto dell’esistenza di uno stato di “coscienza normale in stato di veglia” (CNV) come generalmente accettata negli studi di filosofia e psicologia della coscienza. Primo, se si definisce CNV come lo stato psicologico tipico e previsto nell’essere umano in termini di semplice frequenza o prevalenza, ne consegue che le quattro dimensioni di coscienza specificate dal modello 4-D saranno osservate meno frequentemente come stati alterati di coscienza correlati a traumi (TRASC) che come forme di stress appartenenti alla CNV. Questo è coerente

anche con le ricerche, viste in precedenza,

sulla frequenza

inferiore del sottotipo dissociativo di PISD rispetto alla presentazione clinica non dissociativa. Di conseguenza, abbiamo raffigurato questa ipotesi nella figura 1.2 aggiungendo una freccia in direzione di una diminuzione della frequenza andando dal basso (presentazione non dissociativa; CNV) verso l’alto (presentazione dissociativa; TRASC).

Secondo, e sempre coerentemente con il concetto di base che esista una coscienza normale in stato di veglia (CNV), ipotizziamo che, se definiamo la CNV come assenza di stati alterati di coscienza, la presenza contemporanea di due dimensioni qualunque di stress normale, CNV, non

dissociativo, accadrà più spesso in tempo reale momento per momento che non la presenza contemporanea di due dimensioni qualunque di stati di coscienza alterata correlati a traumi (PRASC). Abbiamo rappresentato questa ipotesi nella figura 1.2 disegnando gli archi che collegano le quattro dimensioni nella forma di CNV con un grassetto più spesso, rispetto agli archi che collegano le forme TRASC (grassetto meno spesso). In sintesi, in ogni dato momento, ipotizziamo che vi potrà essere maggiore correlazione tra dimensioni sintomatologiche non dissociative appartenenti alla CNV che tra dimensioni TRASC dissociative. Questa ipotesi è in sintonia anche con il fatto che le dimensioni dell’esperienza sono più “compartimentate” nei TRASC rispetto alla loro forma appartenente alla CNV. Sottolineiamo tuttavia che questa ipotesi si applica in modo più convincente quando le dimensioni vengono misurate in tempo reale, ovvero come stati fenomenologici discreti, momento per momento e con limiti di tempo. E probabile che, mettendole a confronto e valutandole in termini di tratto (per es. la frequenza nell’ultima settimana/mese/più a lungo), queste correlazioni diventino meno significative in termini differenziali. In effetti, sebbene continuiamo a sostenere che alcuni sopravvissuti a traumi tenderanno a presentare una sola delle quattro dimensioni dei TRASC,

o un suo sottoinsieme (sottolineando in questo modo l’importanza di distinguere tra di esse), le osservazioni cliniche suggeriscono anche che, soprattutto in persone altamente dissociate, si trovano spesso tratti appartenenti a tutte e quattro le dimensioni dei TRASC che si presentano insieme, rilevabili a condizione che tali persone siano sufficientemente

capaci di auto-consapevolezza e auto-monitoraggio riguardo alla loro

1. Le varie forme dell'esperienza post-traumatica

presenza?. Una terza ipotesi secondaria dimensioni

della coscienza,

del modello

misurate

sotto

4-D

forma

33

è che le quattro di stati alterati

di

coscienza correlati a traumi (TRASC) verranno più spesso osservate empiricamente in individui che hanno anche esperienza di disintegrazione O compartimentazione

delle funzioni

psicologiche,

nonostante

che la

misurazione dei TRASC sia distinta concettualmente dalla misurazione della dissociazione intesa come disintegrazione o compartimentazione delle funzioni

psicologiche

(Holmes

et al. 2005, Steele et al. 2009).

Questa osservazione è stata raffigurata nella figura 1.2 includendo una freccia con la scritta dissociativo che aumenta dal basso (presentazione non dissociativa; coscienza normale in stato di veglia [CNV]) verso l’alto

(presentazione dissociativa; TRASC). È importante chiarire che questo non significa che le misure di dissociazione non possono correlare con le forme di stress grave a forma CNV, ma piuttosto che è probabile che coloro che non hanno alcun chiaro segno di sintomatologia dissociativa, solo di rado (se non mai) confermeranno di avere esperienze di TRASC.

Per questo motivo ipotizziamo che i sintomi di TRASC siano indicatori più specifici di processi dissociativi, mentre ipotizziamo che i sintomi di stress grave associati con la CNV siano indicatori più sensibili di disturbi correlati a traumi nel loro complesso (persone traumatizzate con sintomi non dissociativi + persone traumatizzate che mostrano sintomi intrinsecamente dissociativi).

Infine gli studiosi hanno sospettato per lungo tempo, e gli studi empirici hanno dimostrato in modo sempre più preciso, che l’eziologia della dissociazione post-traumatica spesso coinvolge esperienze di 3. Perché ipotizziamo che le dimensioni saranno maggiormente correlate quando rispecchiano stati di coscienza normale in stato di veglia (CNV) piuttosto che stati alterati di coscienza correlati a traumi (TRASC)? La risposta diventa chiara se si riconosce che qualsiasi stato distinto di CNV è effettivamente definito come un tipo di coscienza che attraversa tutte le dimensioni. In altre parole, una CNV viene definita come una normale esperienza di tempo (per es. velocità regolare, direzione in avanti

e continua, insieme a una chiara differenziazione tra presente, passato e futuro), una normale esperienza del pensiero (per es. la prospettiva in prima persona), la normale esperienza del corpo (per es. l’esperienza incarnata) e la normale esperienza dell’emozione (per es. una normale gamma di esperienze emozionali). A confronto, la coscienza viene definita come alterata se una qualsiasi delle dimensioni risulta anormale; in altre parole non si richiede che tutte o anche più dimensioni siano anormali per poter considerare la coscienza come alterata nel suo complesso, è sufficiente che lo sia almeno

una singola dimensione.

Si dovrebbe notare, tuttavia,

che in persone con disturbi dissociativi gravi le alterazioni di più dimensioni della coscienza spesso avvengono contemporaneamente, sia a livello di stato che di tratto. Di conseguenza, questo principio non afferma che le quattro dimensioni saranno non correlate nella loro forma TRASC a livelli di stato o di tratto: si ipotizza solamente che le correlazioni osservate tra le quattro dimensioni siano in media di minore grandezza nella loro forma di TRASC che nella loro forma di CNV. Di nuovo, laddove all’interno della CNV si può per definizione fare esperienza simultaneamente di un normale senso del tempo, del pensiero, del proprio corpo e dell’emozione, un TRASC viene definito dalla presenza di almeno una dimensione alterata.

34.

La cura del sé traumatizzato

traumatizzazione ripetuta, che hanno origine nel corso dello sviluppo. Questo significa che la dissociazione post-traumatica richiede che vi sia

stata un’esposizione ripetuta a traumi, in particolare con un'età di esordio precoce, quando il cervello del bambino è naturalmente più aperto ad alterazioni che avvengono durante la coscienza normale in stato di veglia (CNV), che per esempio i bambini normalmente mostrano durante i giochi d’immaginazione appropriati alla fase di sviluppo. Per questa ragione la quarta ipotesi secondaria del modello 4-D è raffigurata come una freccia nella figura 1.2, chiamata E7 (esposizione a traumi) ripetuta/nel corso dello sviluppo, che aumenta dal basso (presentazione non dissociativa; CNV) verso l’alto (presentazione dissociativa; stati alterati di coscienza correlati a traumi [TRASC]). Come per la precedente ipotesi, suggeriamo di non vedere in questo una correlazione semplice, ma piuttosto un'ipotesi che differenzia tra sensibilità e specificità. Più precisamente, ipotizziamo che le forme di stress grave associate alla CNV avranno una maggiore sensibilità

rispetto all’esposizione

a traumi,

mentre

le forme

di stress

grave associate ai TRASC avranno una maggiore specificità, in particolare rispetto all’esposizione ripetuta e precoce. Lo sfondo teorico ed empirico a supporto di questa quarta ipotesi viene illustrato nel prossimo paragrafo. Lo sviluppo neurale di un sé traumatizzato

La CNV, coscienza normale in stato di veglia (ovvero l’esperienza del tempo come non ripetitivo, le esperienze di pensiero limitate alla prospettiva in prima persona, l’esperienza di se stessi come incarnati in un corpo ed esperienze motivate e connotate da una gamma emozionale sana), può essere considerata come un orientamento alla realtà che si è cristallizzato nel corso dello sviluppo infantile e adolescenziale insieme al caregiver, ai fratelli e ai coetanei. Tuttavia, può essere avvenuto un fallimento nel pieno sviluppo di questa CNV in presenza di cure parentali povere o negligenti o di esperienze che hanno cronicamente minacciato la sicurezza e la tranquillità del bambino. Teicher e colleghi hanno mostrato che non solo il maltrattamento fisico e sessuale ma anche l’abuso verbale ed emozionale e la trascuratezza materiale grave possono avere serie conseguenze nello sviluppo del senso di sé nel bambino, portando a una maggiore probabilità di sintomatologia ansiosa, depressiva e dissociativa in età adulta (Teicher et al. 2006).

Le ricerche suggeriscono che il senso di sé e il senso della propria identità,

caratteristici

dell'età

adulta,

nel

bambino

piccolo

e anche

nell’adolescente devono ancora emergere, in parte come conseguenza delle traiettorie di sviluppo e crescita strutturale e funzionale del cervello, traiettorie che comprendono in particolare la corteccia prefrontale mediale e posteriore, le cortecce temporoparietali e il polo temporale

(rassegna in Pfeifer e Peake 2012). Alcuni studi hanno per esempio scoperto che lo spessore della corteccia nelle regioni mediali prefrontali

1. Le varie forme dell'esperienza post-traumatica

35

aumenta in modo significativo arrivando agli 8-10 anni, in seguito a uno sviluppo cerebrale progressivo che va dal basso all’alto e da davanti a dietro. A questa maturazione si accompagnano aumenti (tra infanzia/

adolescenza ed età adulta) nella risposta funzionale, durante compiti di

elaborazione

auto-referenziale,

all’interno

della

corteccia

prefrontale

anteromediale e in modo differente rispetto a quella dorsomediale (Pfeifer e Peake 2012, Shaw et al. 2008). Lo spessore corticale in altre regioni cerebrali di particolare interesse per lo sviluppo del sé, come le strutture mediali posteriori, può seguire una progressione di sviluppo dall’alto al basso e da posteriore ad anteriore dopo gli 8-11 anni, mentre lo spessore della corteccia in altre regioni cerebrali può raggiungere livelli di maturazione in epoche precedenti (per es. intorno ai 9 anni di età nella giunzione temporoparietale, approssimativamente 1 anno prima nell’emisfero sinistro rispetto al destro) o più avanti, per es. fino a circa 13 anni di età nella corteccia cingolata dorsale anteriore e fino ai 18 anni nell’insula (Pfeifer e Peake 2012, Shaw et al. 2008).

Le ricerche hanno dimostrato che un'esposizione a eventi traumatici precoci, soprattutto se in modo cronico e all’interno di relazioni di attaccamento, può alterare il neurosviluppo presumibilmente attraverso processi plastici di maturazione dipendenti dall’esperienza (cfr. Perry et al. 1995). Schore (2012) fornisce rassegne estese di questa letteratura e sottolinea che l’abuso e la trascuratezza grave nell’infanzia possono avere notevoli conseguenze per lo sviluppo della regolazione affettiva e del senso di sé nel bambino. De Bellis e colleghi hanno condotto numerose ricerche su casi di PISD correlato a maltrattamento in età pediatrica, misurando lo spessore della corteccia in regioni cerebrali di presupposto interesse per la sintomatologia PTSD. Tra le varie scoperte, De Bellis e colleghi hanno osservato che persone giovani maltrattate avevano un volume totale inferiore nella corteccia prefrontale e nel corpo calloso (De Bellis

e Keshavan 2003), un volume inferiore nel cervelletto (De Bellis

e Kuchibhatia 2006), un volume maggiore nell’ippocampo (soprattutto la materia bianca; Tupler e De Bellis 2006), un volume maggiore nel giro temporale superiore (soprattutto all’interno dell’emisfero destro; De Bellis et al. 2002) e un volume maggiore delle ghiandole pituitarie (solo in adolescenti in pubertà o prepubertà; Thomas e De Bellis 2004). Andersen e colleghi hanno inoltre dimostrato che l'esposizione ad abusi in infanzia può influenzare in modo differenziale il neurosviluppo a seconda di specifici periodi critici della maturazione cerebrale a livello regionale (Andersen et al. 2008). Il lavoro del gruppo di ricerca di Teicher è particolarmente significativo poiché ha dimostrato che gli effetti del maltrattamento sul neurosviluppo possono essere in qualche modo distinti tra esposizioni a diversi tipi di eventi traumatici, includendo esperienze studiate meno frequentemente, come essere testimoni di violenza tra i partner (che influenza il fascicolo longitudinale inferiore,

un tratto fibroso che collega le cortecce occipitale e temporale e che si

36

La cura del sé traumatizzato

pensa rappresenti la via visuale-limbica primaria utilizzata dai processi emozionali, di apprendimento e dalla memoria legata a stimoli visivi; Choi et al. 2012) o come essere vittime di severe punizioni corporali (che influenza le vie dopaminergiche, misurate attraverso il metabolismo a riposo nel caudato e nel putamen; Sheu et al. 2010). Diversi studi hanno investigato lo sviluppo dell’orientamento normale alla realtà e del senso di sé nei bambini in associazione alla loro fantasia e al loro gioco immaginativo. Per esempio, quando venivano loro presentati degli scenari emozionali che includevano o escludevano elementi di fantasia (per es. mostri) e veniva loro chiesto di indicare quale

storia “potrebbe succedere nella vita reale”, i bambini di 3 anni erano meno capaci di quelli di 5 a discernere la realtà dall’irrealtà, effetto che si correlava solo lievemente con le differenze di intelligenza generale legata all’età. In effetti le ricerche suggeriscono che l’orientamento alla realtà non raggiunge i livelli dell'adulto fino all’età di 7 o 8 anni (Martarelli e Mast 2013). Inoltre, i bambini almeno fino ai 5 anni mostrano un bias

nella risposta emozionale che favorisce la credibilità di storie fantastiche che abbiano valenza neutra o felice rispetto alle storie che raffigurano personaggi spaventati o arrabbiati (cfr. per es. Carrick e Quas 2006, Carrick

e Ramirez

2012,

Harris

2000,

Samuels

e Taylor

1994).

Le

basi cerebrali dello sviluppo dell’orientamento alla realtà nel corso dell’infanzia rappresentano un argomento importante per studi futuri. I ricercatori hanno scoperto che l'orientamento alla realtà può spesso svilupparsi lungo un percorso alterato nei bambini che sono stati maltrattati in tenera età. Per esempio, Carrick, Quas e Lyon (2010) hanno scoperto che, a confronto con bambini non maltrattati, i bambini

che erano stati abusati o gravemente trascurati (così come comprovato dai servizi sociali) erano più soggetti a credere che le storie di paura che comprendevano elementi di fantasia (per es. giganti spaventosi, draghi sputafuoco) potessero “accadere nella vita reale”. Era inoltre più probabile che credessero a storie di paura prive di elementi fantastici, forse come risultato diretto della loro maggiore esposizione a esperienze spaventose simili (Carrick et al. 2010). Le ricerche suggeriscono che i bambini che mostrano reazioni emozionali più forti alle storie di fantasia di natura spaventosa o rabbiosa sono anche coloro che con più probabilità negano che tali storie “possano accadere nella vita reale” (Carrick e Quas 2006, Carrick e Ramirez 2012,

Samuels e Taylor 1994). Questi risultati sono stati interpretati come capacità a utilizzare efficaci strategie di regolazione emozionale: i bambini possono provare a regolare le loro reazioni emozionali negative alle paure del paranormale rifiutando volontariamente che siano reali. I ricercatori

hanno in effetti notato che i caregiver spesso educano esplicitamente i loro figli a regolare le emozioni negative rifiutando le basi delle paure dei loro

bambini nella realtà (per es. “non ti preoccupare, è solo un sogno”, “è solo un film”, “è solo nella tua immaginazione”, “non è reale”).

1. Le varie forme dell'esperienza post-traumatica

37

E possibile che i sopravvissuti a traumi usino la rivalutazione e altre strategie di regolazione emozionale nel periodo peri-traumatico per scopi simili, come descritto dal modello di elaborazione (non)-auto-referenziale

di dissociazione che abbiamo introdotto in precedenza. Per esempio, per superare l’abuso sessuale avvenuto all’età di 8 anni e messo in atto da un maestro di scuola, una sopravvissuta a traumi che abbiamo intervistato ha notato: “Era come se lo facessi accadere a qualcun altro. Così era meno reale, come se non stesse più accadendo. Così non ho dovuto sentirlo”. Un altro esempio è stato fornito da Mya, presentata all’inizio del capitolo, la quale ha fatto notare che lei spesso “dissocia” quando le viene chiesto di raccontare la storia delle sue esperienze traumatiche passate: questo successe anche durante il colloquio per la diagnosi di PTSD: “Mi dissocio a raccontare... ed è una decisione cosciente. Prendo me stessa, la mia parte interiore, il mio ego o in qualunque modo tu voglia chiamarla, e la metto là [fa movimenti di fianco a se stessa]. E

poi questa parla [movimenti verso il corpo]. E [dopo che il racconto è finito], posso riportarlo [il suo “sé”] indietro, mi manca un modo

di spiegarlo meglio. Perché quella parte è la parte che sentirebbe la vergogna, quella è la parte che non è in grado di parlarne”.

Rispetto all’adulto tipico, la cui abilità di modulare la coscienza è comunemente considerata meno flessibile, la maggiore capacità del bambino e la sua tendenza nei confronti della fantasia e del gioco immaginativo, congiunti a un senso di sé meno cristallizzato, possono predisporlo a utilizzare alterazioni della coscienza come meccanismo di coping quando affronta eventi traumatici, in particolare quando la fuga fisica non è possibile. Dalenberg et al. (2012) hanno condotto una revisione delle prove che suggeriscono che l’esposizione a traumi precoci rappresenta un serio fattore di rischio per i processi dissociativi, includendo (ma non limitandosi a) l’uso della fantasia come strategia di coping basata sull’evitamento durante le esperienze traumatiche. Per contrasto, non hanno trovato alcun sostegno empirico per un modello alternativo che concepisce la tendenza a fantasticare come causa di falsi ricordi di eventi traumatici. Un altro fattore di vulnerabilità per lo sviluppo di livelli clinici di dissociazione nel contesto di esposizioni ripetute a traumi potrebbe essere rappresentato dalla normale variabilità tra persone nelle tendenze innate verso la dissociazione e le alterazioni della

coscienza,

così come

segnalato

dalle

differenze

individuali

nei

tratti di ipnotizzabilità e secondo un modello diatesi-stress (Butler et al. 1996, Dell 2009b). I ricercatori hanno spesso notato similitudini tra le

esperienze tipiche della sintomatologia post-traumatica e le alterazioni della coscienza osservate nel contesto dell’ipnosi, anche mediante la manifestazione fisiologica all’interno di cervello e del corpo durante queste situazioni (Spiegel e Vermetten 1994, Vermetten e Bremner 2004).

38.

La cura del sé traumatizzato

Uno studio esemplare degli effetti longitudinali e intergenerazionali dell'abuso

sessuale

infantile

(CSA,

Childhood

Sexual

Abuse)

sul

funzionamento psicobiologico è rappresentato dal lavoro di Putnam e Trickett (1987, 1993) che hanno valutato bambini e adolescenti (6-16

anni) con e senza storie di CSA, avvenute in famiglia e documentate dai servizi di protezione per l'infanzia. Hanno valutato anche gli attuali e i precedenti caregiver (di solito le madri) di questi bambini e adolescenti.

Lo studio è stato condotto longitudinalmente, permettendo alla fine la raccolta di dati sulla prole dei bambini stessi; in questo modo al termine dello studio erano disponibili dati riguardanti tre generazioni.

I risultati iniziali che mostravano un livello maggiore di dissociazione nel campione con CSA (Putnam et al. 1993) si sono rivelati affidabili e

sono stati confermati da ricerche longitudinali. Sono stati inoltre raccolti moltissimi dati relativi alla salute mentale che mostrano aumentato rischio nel gruppo CSA non solo per disturbi psichiatrici (per es. depressione e abuso di sostanze, Noll et al. 2009) ma anche per altre conseguenze negative a livello psicologico e interpersonale, compresi comportamenti sessualizzati rischiosi e insoliti, rivittimizzazione, autolesionismo, ideazione suicidaria, difficoltà nella performance cognitiva e

compromissioni dello sviluppo psicobiologico e della salute fisica (per es. rischio di obesità e sviluppo puberale accelerato, revisione di Trickett et al. 2011). Inoltre, tra i molti altri risultati, ibambini di madri che hanno

avuto esperienza di CSA hanno mostrato un attaccamento più ansioso alle loro madri (Kwako et al. 2010) e avevano molta più probabilità di

venire trascurati, come comprovato dai servizi di protezione all’infanzia (Noll et al. 2009). Mentre la ricerca di Putnam e Trickett si è focalizzata

sugli esiti longitudinali del CSA, ulteriori studi longitudinali ben condotti sui predittori di sintomatologia dissociativa hanno mostrato che, indipendentemente dall'abuso diretto, anche la qualità della relazione precoce madre-figlio (misurata per esempio attraverso la disponibilità emozionale materna) è predittiva dello sviluppo di dissociazione in campioni ad alto rischio psicosociale (Dutra et al. 2009, Ogawa et al. 190%: In sintesi, le precedenti ricerche forniscono una cornice all'ipotesi che sia possibile osservare con maggiore probabilità stati alterati di coscienza correlati a traumi (PRASC) in persone che sono state vittime di abusi o di grave trascuratezza nelle relazioni di attaccamento a partire dall’infanzia, ovvero

in coloro che hanno

avuto

esperienza

di eventi che hanno

probabilmente disturbato nel bambino lo sviluppo (e il neuro-sviluppo) del senso di sé e dell’orientamento alla realtà e il progresso verso forme adulte della coscienza normale in stato di veglia (CNV).

1. Le varie forme dell'esperienza post-traumatica

Le NEL

dimensioni

della

coscienza

influenzate

dal

39

trauma

psico 0gtco

Introdotta la struttura fondamentale del modello 4-D, torniamo ora a

una breve introduzione iniziale riguardante i singoli elementi, vale a dire

le quattro dimensioni della coscienza relative a: (1) tempo, (2) pensieri, (3) corpo, (4) emozioni. I capitoli 3-6 descrivono ciascuna dimensione in maggiore dettaglio: comprendono l’analisi della fenomenologia clinica,

i dati delle neuroscienze ed esempi di casi clinici; le seguenti descrizioni introduttive

sono,

al contrario,

necessariamente

brevi. Tuttavia,

come

mezzo iniziale per basare la presente introduzione sull’attuale letteratura sulla dissociazione, utilizzeremo alcune voci di questionario tratte dalla DES (Bernstein e Putnam 1986) che, oltre a superare la prova di validità,

sembrano ben rappresentare ciascuna delle quattro dimensioni della coscienza alle quali il modello 4-D si riferisce. Considerato che la DES rappresenta il test auto-somministrato usato più frequentemente per la sintomatologia dissociativa, il lettore potrà notare che i tipi di stati alterati di coscienza correlati a traumi (TRASC) specificati dal modello 4-D sono

ben rappresentati dalle teorie esistenti e dagli approcci valutativi nel campo della dissociazione. Prima dimensione: la coscienza del tempo (temporalità) I fenomenologi descrivono la dimensione della temporalità della coscienza come il fluire e rifluire della coscienza nel tempo. Ci sono almeno tre principi che governano le proprietà caratteristiche della coscienza del tempo nell’esperienza direzione, (3) la continuità.

normale:

(1) la velocità,

(2) la

Il principio che governa la prima proprietà, la velocità, chiarisce che la coscienza normale ha una velocità soggettiva caratteristica. Il principio descrive per quanto tempo l’esperienza di “adesso” o “il presente” sembrino durare, in quanto opposti per natura sia al passato che al futuro soggettivi. Per quanto tempo gli esseri umani pensano duri l’*adesso”? Gli studi condotti dalle neuroscienze cognitive stimano che ciò che viene solitamente considerato come parte dell’esperienza dell’“adesso” negli esseri umani si estende approssimativamente per 2-3 secondi (vedi

revisioni di Pòppel 1997, 2004, 2009). In altre parole, oltre la finestra rappresentata da questi 2-3 secondi, gli eventi temporali sono percepiti come nel passato o nel futuro. Il principio della seconda proprietà, la direzione, denota che nello stato di coscienza normale il tempo viene percepito come un movimento che avanza. Detto in modo semplice, il tempo non torna indietro e non si ripete; si muove solo in avanti. Infine, il principio della terza proprietà, la continuità, chiarisce che la coscienza viene vissuta come continuativa: il momento presente 0

40.

La cura del sé traumatizzato

l'“adesso” transitano verso il prossimo momento senza interruzioni. In altre parole, normalmente abbiamo l’esperienza che questo momento fluisca direttamente e senza interruzioni nel prossimo momento. Tranne che nel caso del sonno, non abbiamo esperienza di transizioni brusche o di vuoti tra il momento presente e il successivo. La nostra argomentazione, tuttavia, è che rispetto a tutti e tre i principi, gli eventi traumatici hanno il potere di modulare la natura fondamentale della coscienza del tempo, sia durante l’evento traumatico (ovvero nel periodo peri-traumatico) sia nel periodo successivo (ovvero nel periodo post-traumatico). Rispetto al principio della velocità, durante gli stati di arousa/ particolarmente alto o basso, come spesso avviene sia durante l’evento traumatico stesso sia durante il suo ricordo (come nei

sintomi di reviviscenza), le persone spesso riportano un’alterazione nella loro percezione soggettiva del tempo che passa. In particolare, le persone riferiscono spesso di percepire che il tempo sembra muoversi più lentamente o più velocemente rispetto a come viene percepito di solito o “normalmente”. Riguardo ai principi di direzione e continuità, la coscienza del tempo viene alterata anche nel corso dell’esperienza dei flashback, durante i quali gli individui riportano che il passato (per es. un ricordo) si inserisce così pienamente nella loro coscienza del presente da perdere il contatto esperienziale con l’ambiente circostante; il ricordo traumatico viene effettivamente vissuto come se lo si stesse rivivendo. Quando hanno esperienze di flashback, le persone spesso riportano di sentirsi come se fossero veramente “allora, là, indietro nel tempo”, come se l’episodio stesse accadendo di nuovo nel qui e ora. Per esempio, una persona potrebbe rivivere un ricordo infantile traumatico in modo così vivido che il proprio senso soggettivo di sé regredisce temporaneamente a un precedente stato dell’essere, dato che l’adulto percepisce se stesso come se fosse un bambino piccolo. Un item esemplificativo, selezionato dalla DES e che risulta congruo con questo TRASC è: “Alcune persone a volte ricordano un avvenimento del passato in modo estremamente vivido, come se lo stessero rivivendo nel presente.” Il capitolo 3 ripercorre in maggiore dettaglio la letteratura riguardante gli effetti del trauma sulla coscienza del tempo. Seconda dimensione: la coscienza del pensiero (narrativa)

I fenomenologi hanno rilevato che l’organizzazione strutturale della coscienza umana è tipicamente “simile a una storia”, o dimensione narrativa della coscienza: come in una storia, i nostri pensieri generalmente includono

un contenuto,

narratore. I filosofi natura

modo,

una

trama

(organizzazione

strutturale)

e un

hanno a lungo evidenziato che la coscienza è per verso un qualche oggetto d’attenzione. In questo la coscienza è sempre considerata “riguardo a qualcosa”, ha diretta

1. Le varie forme dell'esperienza post-traumatica

41

necessariamente un con/enuto. In filosofia ci si riferisce a questo aspetto come alla proprietà dell’intenzionalità. In parole semplici, la coscienza

è intrinsecamente referenziale: non è ragionevole considerare qualcuno cosciente o consapevole se non è cosciente di o consapevole di qualcosa,

sia che si tratti di una sensazione, di un’immagine, di un pensiero o di

un'azione. In generale, viene di solito operata una distinzione tra la nostra consapevolezza rispetto a cose al di fuori di noi (esterocezione) e la nostra auto-coscienza, riferendo quest'ultima sia a sentimenti e sensazioni interne (enterocezione) che a pensieri verbalizzati (introspezione). Per

i nostri scopi, la coscienza narrativa si riferisce solo alla coscienza dei

pensieri verbalizzati. Nel capitolo 4 discutiamo di come gli eventi traumatici trasformino frequentemente il contenuto della coscienza del pensiero, portando spesso la coscienza a essere involontariamente diretta verso particolari contenuti o oggetti, specie quelli che simboleggiano temi legati agli eventi traumatici passati. La persona traumatizzata fa quindi spesso esperienza di pensieri e ricordi intrusivi del passato, e frequentemente agisce nel proprio ambiente in modi stereotipati che simboleggiano ancora di più la propria storia di vita (si comporta per esempio con rabbia, violenza, auto-lesionismo o comportamenti a rischio). Non solo le nostre esperienze hanno un contenuto, ma il contenuto viene normalmente organizzato in modo coerente. In altre parole, alcuni fatti avvengono nella nostra esperienza, e l’ordine nel quale avvengono (il corso della nostra esperienza nel suo svolgersi) può essere visto come la trama della storia nel suo divenire. Riferendoci poi alla continuità della coscienza, passeremo in rassegna alcuni studi che mostrano come sia i ricordi degli eventi traumatici che la propria consapevolezza degli eventi presenti possono venire alterati dal trauma psicologico. Nello specifico, le persone traumatizzate spesso riportano che la loro esperienza sembra slegata e discontinua; può capitare che descrivano di vivere sia gli eventi del presente che alcuni frammenti di ricordi degli eventi traumatici passati, talvolta inframmezzati da “buchi”, tipo schermo bianco. Ogni storia ha una prospettiva narrativa, in prima, seconda o terza persona. La fenomenologia rivela che la coscienza viene normalmente vissuta da una prospettiva in prima persona. Assumere una prospettiva in prima persona verso i propri pensieri è analogo al vissuto di possedere i propri pensieri: i miei pensieri sono miei. La prospettiva in prima persona fornisce una base esperienziale per differenziare accuratamente me dagli altri. Se tu e io siamo testimoni dello stesso evento (per esempio una mongolfiera che decolla), io comunque non mi confondo sul vissuto di chi sta avendo l’esperienza: la mongolfiera che sto vedendo è la mia esperienza del decollo, non la tua. La nostra esperienza dell’evento può essere simile, per la maggior parte, ma normalmente non confonderò il fatto che l’esperienza che sto vivendo è la mia e non

la tua. Infatti,

per definizione, può essere solo la mia esperienza quando dico: “Vedo la mongolfiera decollare”. Seguendo questo tipo di riflessione è da

42.

La cura del sé traumatizzato

notare come la nozione dell’essere un “sé” è in parte una conseguenza: si presume che il senso del sé abbia, come parte delle sue fondamenta,

un orientamento in prima persona che culmina nel possesso di pensieri, emozioni, sensazioni e azioni, situazione che nel nostro modello viene definita col termine di elaborazione auto-referenziale (SRP, self-referential

processing; NorthofFf et al 2006). Nel capitolo 4 passeremo in rassegna i risultati di ricerche che mostrano come i pensieri delle persone traumatizzate siano spesso vissuti non da una prospettiva in prima persona, come sarebbe normale, ma da una prospettiva in seconda persona, simile al percepire i pensieri come voci di altri nella propria testa. In quanto tali, i pensieri vengono personificati come

voci che provengono

da altri internalizzati.

Per esempio, alcune

persone possono in effetti sentire all’interno della propria testa la voce di un genitore che in passato è stato abusante, e che commenta o guida i loro pensieri, le loro emozioni e loro azioni (per es., sentire

effettivamente la voce della propria madre che dice: “Sei così stupido, non farlo!” nella propria testa). Descriveremo come questa esperienza sia fenomenologicamente diversa dal semplice essere consapevoli di un pensiero che riguarda quale opinione un genitore probabilmente avrebbe su una particolare circostanza in atto (per es. “mamma penserebbe che sarei stupido se lo facessi”). Un item della DES che si riferisce a tali fenomeni afferma: “Alcune persone a volte si accorgono di sentire delle voci nella propria testa che dicono loro di fare delle cose o che commentano quello che stanno facendo.” Nel capitolo 4 riassumeremo la letteratura riguardante gli effetti del trauma sulla coscienza del pensiero. Terza dimensione: la coscienza del corpo (embodiment) La coscienza ha una natura radicata nel corpo (embodiment) che chiarisce gli aspetti della soggettività situati spazialmente. I fenomenologi concordano nell’affermare che una caratteristica normale della coscienza sia il fatto che sembri emanare da un particolare punto dello spazio fisico, ovvero all’interno del corpo fisico, e tipicamente dentro la testa. In altre parole, ci sembra che normalmente il punto di origine dei nostri pensieri sia da qualche parte in prossimità del nostro corpo e, almeno nelle culture moderne, specialmente all’interno della testa. Inoltre, la forma del pensiero può in qualche modo riflettere ed essere in qualche modo limitata dall’organizzazione fisica del corpo umano. Se quindi immagino me

stesso in un momento

e in un luogo particolare, o in movimento,

immagino naturalmente un corpo umano in quelle posizioni fisiche: non immagino con naturalezza me stesso in altre forme corporee (0 non corporee). Di nuovo, il fatto che il pensiero sia fisicamente incorporato probabilmente media, almeno in parte, la sensazione che io possiedo i miei pensieri, riferendo la mia esperienza a un essere fisico, cosa che, a sua volta, facilita l’esperienza di essere o di avere un “s@”.

1. Le varie forme dell'esperienza post-traumatica

43

Documentate allo stesso modo da neurologi, psichiatri e psicologi, le “esperienze extra-corporee” descrivono efficacemente situazioni nelle quali il pensiero e l’esperienza sembrano originare da un luogo totalmente fuori dal corpo fisico, spesso accompagnate dalla visione del proprio corpo fisico in un punto sottostante, di fianco o di fronte rispetto alla posizione fisica sperimentata dal sé. Mentre udire le voci può essere considerato come avere pensieri nella prospettiva in seconda persona, questi stati di autoscopia/dis-embodiment possono venir considerati come l’esperienza di un sé corporeo da una prospettiva in terza-persona, in cui l’esperienza corporea, invece che essere in prima persona, viene decentrata e rinnegata. Per esempio, quando si afferra un oggetto come una tazza da caffè, invece di avere l’esperienza “io sto tenendo questo oggetto in mano”, una persona potrebbe avere l’esperienza “questo oggetto viene tenuto in mano”: in quest'esperienza è deficitario il senso di auto-appartenenza e sta avvenendo una forma di dis-embodiment, più lieve rispetto a una esperienza extra-corporea che rappresenta invece la versione più estrema di dis-embodiment. Oltreavivere frequentemente l’esperienza distaticompletamente extracorporei, le persone traumatizzate spesso riportano sintomi conversivi che in questo volume consideriamo come forme di dis-embodiment in cui il sé viene percepito come all’interno del corpo fisico, ma il corpo, o parte di esso, viene vissuto come

estraneo

o strano.

Riferendoci

all’esempio

precedente riguardo all’esperienza di afferrare un oggetto senza la percezione che “lo sto facendo io”, a una persona potrebbe sembrare che “queste non sono le mie mani” o che “qualcun altro sta tenendo in mano questo oggetto”; l’esperienza può anche essere accompagnata da analgesia o insensibilità al tatto (soggettiva o anche oggettiva) nella parte del corpo rinnegata. Inoltre, le persone traumatizzate possono percepire il loro corpo, nel suo insieme, come estraneo o strano, fino al punto che il loro movimento risulta scoordinato, rallentato, laborioso o “robotico”. Anche le esperienze percettive che si riferiscono al corpo possono risultare alterate. Per fare un esempio, l’esperienza di alcune persone traumatizzate rispetto al guardarsi allo specchio risulta in qualche modo notevolmente alterata. Pur sapendo logicamente che l’immagine che vedono è la loro stessa immagine, riportano che tuttavia non la sentono come tale. Item tratti dalla DES che rappresentano TRASC legati alla corporeità sono: “Ad alcune persone capita di guardarsi allo specchio e non riconoscersi” e “ad alcune persone capita di avere la sensazione che il proprio corpo non appartenga loro”. Passeremo in rassegna le ricerche riguardanti gli effetti del trauma sulla coscienza del corpo nel capitolo 5.

Quarta dimensione: la coscienza dell’emozione (affettività)

I fenomenologi riconoscono che la coscienza comprende tipicamente una valenza o dimensione emozionale (ovvero una persona può

44

La cura del sé traumatizzato

descrivere la propria esperienza, in modo solitamente inequivocabile, come piacevole o spiacevole) e una dimensione di attivazione fisiologica (arousal) che può essere lieve, neutra o intensa. Al di là di questi due aspetti, la dimensione emozionale della coscienza chiarisce la natura più complessa di singoli sentimenti emozionali. Non è controverso il fatto che molte persone traumatizzate mostrino alternativamente segni di arousal sia aumentato che diminuito, entrambi a valenza tipicamente negativa; per esempio, provano alternativamente paura, ansia, senso di colpa e vergogna. È tuttavia importante notare che, quando gli stati emozionali sono particolarmente intensi, il senso di sé può risultare rapidamente alterato, al punto che l’individuo si vive come se fosse “qualcun altro”. Nella nostra esperienza clinica questo tipo di alterazione avviene più spesso durante gli attacchi di rabbia. Usando le parole di un sopravvissuto a traumi: “Quando mi arrabbio molto, non sono più lì”. Un item dalla DES che in parte descrive tali fenomeni è: “Alcune persone si accorgono che in alcune situazioni si comportano diversamente, tanto da sentirsi quasi due persone differenti”. Suggeriamo inoltre che, nella loro forma estrema, i segnali di ottundimento emozionale implicano la presenza di uno stato alterato di coscienza correlato a traumi (TRASC) legato alle emozioni. Pensiamo che negli stati marcati di ottundimento e spegnimento emozionale la persona viva essenzialmente uno stato “senza emozioni”, che riteniamo

essere al di fuori dei confini della coscienza normale in stato di veglia (CNV); nei CNV gli stati emozionali di base sono invece considerati ampiamente

e

continuamente

presenti

(Russell

1980,

2003,

2005,

2009; Russell e Carroll 1999). Definiremo come processo dissociativo anche l’esperienza di compartimentazione delle emozioni mediante sensi del sé divisi. Nel presentare i disturbi emozionali nei disturbi correlati a traumi prenderemo inoltre in considerazione ulteriori manifestazioni emozionali, in particolare le emozioni sociali (come la colpa e la vergogna), il disturbo nel controllo della rabbia, l’anedonia (ovvero l'incapacità di provare emozioni positive) e l’alessitimia (ovvero l'incapacità di identificare e definire gli stati emozionali). Il capitolo 6 passerà in rassegna la letteratura riguardante gli effetti del trauma sulla coscienza delle emozioni. Riassunto: un modello a quattro dimensioni del sé traumatizzato

L'ipotesi fondamentale di questo volume è che esistono almeno due tipi distinti di esperienza peri-traumatica e post-traumatica da ricercare nelle persone con trauma complesso. Una di queste, che potremmo chiamare

“stress grave non dissociativo”, è esemplificato dal caso di Kaylin all’inizio

del capitolo e può essere pienamente descritto senza oltrepassare i confini

della coscienza normale in stato di veglia (CNV). La descrizione clinica di

Kaylin, per quanto possa essere sintomatica e caratterizzata da grave stress,

1. Le varie forme dell'esperienza post-traumatica

45

è rappresentata da una forma non dissociativa, all’interno della CNV, con emozioni negative e disadattamento interpersonale. A confronto, abbiamo avanzato l’ipotesi che le manifestazioni cliniche come quelle di Mya, che chiaramente coinvolgono stati alterati di coscienza correlati a traumi

(TRASC)

descrivono

manifestazioni

intrinsecamente

dissociative

della psicopatologia post-traumatica. Il nostro modello 4-D descrive la sintomatologia post-traumatica nella forma CNV versus sintomatologia in forma

TRASC,

attraverso

le quattro

dimensioni

fenomenologiche

di tempo, pensieri, corpo ed emozioni (figura 1.2). Sotto condizioni di trauma prolungato ed estremo, pensiamo che le persone possano avere

esperienze

di dissociazione

dalla CNV,

dalla realtà sia interna

che esterna, riguardo a se stessi, gli altri e al mondo circostante, e che possano quindi avere esperienze di TRASC. Bisogna notare che sebbene i TRASC possano talvolta essere adattivi per la sopravvivenza durante l’esperienza traumatica in corso, come spiegato dal modello di processo sintetizzato nella figura 1.1, la persona ripetutamente traumatizzata può arrivare a essere incapace di tornare alla CNV una volta terminato o terminati l’evento/i traumatico/i. Le persone che hanno avuto esperienze di traumatizzazione cronica possono quindi rimanere (1) senza la capacità di vivere

nel vero

presente,

in modo

cosciente,

avendo

l’esperienza

di un senso continuo del tempo che sia separato dai costanti flashback provenienti dal passato traumatico; (2) senza la capacità di comunicare la loro storia e i loro traumi attraverso una narrazione coerente, rimanendo

in una prospettiva in prima persona; (3) senza il senso di avere un corpo, di essere coscientemente all’interno di esso e di appartenervi, perdendo anche la consapevolezza enterocettiva correlata; (4) senza un’esperienza sana del sentire emozionale: si percepiscono invece come costantemente in bilico tra stati di iper-arousal e disregolazione emozionale e sensazioni di cronica mancanza di emozioni, avendo perso qualsiasi percezione emozionale. Assumiamo quindi la posizione teorica che la solida e fitta trama della coscienza normale in stato di veglia (CNV) e gli intrecci di tempo, pensieri, corpo ed emozioni che la tengono insieme vengono spesso interrotti e mandati in fumo da ripetute esposizioni a traumi psicologici. Nei casi di traumatizzazione marcata, cronica, ripetuta e in particolare per i traumi avvenuti durante lo sviluppo, gli stati alterati di coscienza correlati a traumi (TRASC) possono arrivare a rappresentare il filo che collega i vari aspetti della vita quotidiana della persona traumatizzata, come abbiamo illustrato nel modello di processo in figura 1.1. Nei capitoli 3-6 esamineremo in maggior dettaglio come la consapevolezza di tempo, pensieri, corpo ed emozioni può presentarsi clinicamente, in persone con trauma complesso, sia come forme relativamente normali di stress grave

(CNV) o in alternativa nella forma di stati intrinsecamente dissociativi

(TRASC). Attraverso gli studi di neuroîmaging riassumeremo quali sono le attuali conoscenze riguardo alle basi neurobiologiche di ciascuna

46.

La cura del sé traumatizzato

dimensione della coscienza sia persone traumatizzate. Infine, sé traumatizzato attraverso la Rivolgiamoci ora al capitolo 2, il metodo

congiunto,

nella forma CNV che come TRASC nelle nel capitolo 7 esamineremo la cura del pratica psicoterapeutica intersoggettiva. che descrive la neurofenomenologia, ovvero

clinico-sperimentale,

che raccomandiamo

migliore metodologia per la valutazione e lo studio dei TRASC sopravvissuti a traumi psicologici.

come

nei

CAPITOLO 2

Com'è?

La neurofenomenologia come metodologia per la psicotraumatologia

[Rispetto allo studio neuro-J scientifico’ della coscienza... al punto in cui siamo oggi non ci saranno realmente di aiuto né pezzetti di correlati empirici né principi puramente teorici. Dobbiamo rivolgerci verso un'esplorazione sistematica dell’unico collegamento tra mente e coscienza che sembra essere sia ovvio che naturale: la struttura dell'esperienza umana stessa.

Francisco Varela!

Com'e’ essere intrappolati nella prigione della coscienza del sé traumatizzato? Le nostre osservazioni cliniche e i nostri colloqui con sopravvissuti a traumi ci suggeriscono che la persona con trauma complesso si vive spesso come imprigionata, disperata, rassegnata a una vita priva di ogni forma di libertà. In effetti l’idea di libertà personale è un concetto estraneo a molte persone traumatizzate, che spesso riportano di viversi come perse, disorientate e impotenti; si sentono continuamente al buio, senza fonti di calore. Frequentemente riferiscono di sentirsi distaccate dagli altri a livello esperienziale, percependosi distanti, lontane e irraggiungibili. Descrivono la loro esperienza come un muro impenetrabile o come sbarre di ferro che le separano dagli altri e dal mondo circostante. Dall’interno di una cella vuota, vivono se stesse come senza volto, senza nome, ammutolite e dimenticate. Possono

a volte arrivare a sentirsi non umani o come se avessero cessato di vivere e si percepiscono abbandonati, insignificanti, soli e non meritevoli di contatto umano normale. Riportano che sperimentare emozioni è diventato per loro una cosa inutile e che i loro stati emozionali non ! Varela F.J. (1996). Neurophenomenology:

A methodological

remedy for the

hard problem. Journal of Consciousness Studies 3, 4, 330-349. Utilizzato su permesso di Imprint Academic.

48.

La cura del sé traumatizzato

portano più all’azione. sensazioni corporee ed emozionale, in alcuni piacere, trionfo e tutto

Frequentemente ne deriva una disconnessione tra emozioni: descrivono sensazioni di ottundimento come se fossero già morti. La capacità di gioia, il senso di curiosità hanno cessato di esistere. Un

dipinto di un sopravvissuto a traumi, che chiameremo

Gregory, illustra

come ci si sente a essere tenuti prigionieri all’interno del carcere del sé traumatizzato, dentro a stati alterati di coscienza correlati a traumi (nel

seguito del capitolo: TRASC, Trauma-Related Altered States of Consciousness). In modo molto opportuno, Gregory ha intitolato il suo dipinto “Fatemi uscire!” (figura 2.1, vedi la frase scritta [Let me out!]).

Figura 2.1. Dipinto di Gregory (2006): “Let me out!”. Su permesso dell'autore nana

et me uri Anche il seguente scritto di una paziente che chiameremo Kim descrive come sia vivere TRASC e sentirsi imprigionati all’interno del sé traumatizzato. Kim descrive uno stato di totale isolamento, disperazione,

impotenza, abbandono e afflizione. È sola nel buio della sua angoscia e della sua sofferenza: le parole scalfiscono solo la superficie della sua agonia e del suo dolore interiore. Col tempo si è abituata al buio. Vi è un senso di appartenenza ad esso e sente di meritarselo: il buio diventa tutto ciò che conosce. Tuttavia, al termine del suo scritto siamo portati in alto,

nella luce della presenza e dell'aiuto di altri che riescono ad avere cura ed empatia. Le righe conclusive terminano con un'eccezionale capacità di resilienza, ispirazione e speranza: Kim abbraccia “la luce” e trova in essa conforto, non sentendosi più parte dell’oscurità:

2. Com'è?

Immagina di essere buttata e tenuta prigioniera in un buco cavernoso, profondo e buio. Il buco è profondo più di mille metri e ha muri umidi e scivolosi. Fa molto, molto freddo.

In principio inizi a urlare, preghi che qualcuno ti possa sentire. Urli a squarciagola, fin quando a un certo punto ti fermi, rendendoti conto che non c’è nessuno che ti ascolta. Spinta dalla frustrazione, ti lanci contro i muri aggrappandoti disperatamente, cercando di fissare un piede, ma senza riuscire a

fare un passo verso l’alto. La luce dall'alto diventa solo un minuscolo segnale luminoso che ti richiama. Ti punzecchia e ti sfida a cercare di fuggire. Dopo un po’ collassi e crolli a terra, appesantita da un esaurimento totale. ‘Ti appallottoli su te stessa, sognando la luce che un tempo amavi e che ora desideri ardentemente. Altro tempo passa, forse ore, o addirittura giorni, e ti abitui a quella oscurità. Anche i tuoi occhi ci hanno fatto l'abitudine e il buio porta un senso di familiarità e di comfort. Dimentichi come sia vivere nella luce e credi di essere sempre appartenuta all’oscurità. Poi un giorno senti un rumore: all’inizio indistinguibile, poi, incredibilmente... voci! C'è qualcuno! La caverna è all'improvviso inondata di luce e in un istante il tuo

mondo

cambia

drasticamente.

Ti rintani

in un

angolo,

schermandoti il viso. Hai paura di tutta quella luce e la senti come una minaccia, una forza terrificante, da temere e dalla quale nascondersi: ti brucia gli occhi. Non riesci a vedere e non riesci a rispondere a chi chiama il tuo nome. Ora desideri proprio l'oscurità alla quale ti sei abituata. Le persone che ti cercano guardano nella grotta e ti vedono in difficoltà. Abbassano la luce e la caverna diventa come al crepuscolo, né illuminata, né buia. Osi aprire gli occhi, in principio esitando e battendo le palpebre per permettere agli occhi di abituarsi all'improvviso cambiamento di luminosità. Alla fine riesci a vedere. Riesci a vedere la caverna per ciò che è in realtà: la tua orrenda prigione personale. I muri sono freddi e viscidi. Sono coperti dal tuo sangue, il sangue del tuo sudore e delle tue lacrime. Improvvisamente vuoi uscire dalla prigione. Più di tutto al mondo tu vuoi vita. E così chiami a voce alta e ti sentono. I soccorritori ti portano su, lentamente, e per ogni centimetro che vieni portata su, inizi a sopportare la luce. Pian piano, pezzo per pezzo, scopri che eri fatta per vivere nella luce e non nell’oscurità

e combatti per andare avanti. Alla fine sei in alto, totalmente nella luce e questo dà conforto. Voglio essere in quella luce.

49

50.

La cura del sé traumatizzato

Dal nostro punto di vista, i resoconti in prima persona riguardanti i TRASC (stati alterati di coscienza correlati a traumi), come i disegni di Gregory e gli scritti di Kim, sono da ritenersi tra le pietre angolari della psicotraumatologia. Solo ascoltando in modo aperto e disponibile le storie di vita dei sopravvissuti a traumi possiamo iniziare a comprendere la natura del sé traumatizzato, che è spesso cavernosa e ridotta in schiavitù,

e possiamo iniziare ad apprezzare quanto difficile e minaccioso sia solo immaginare, e ancor più raggiungere, un nuovo senso di sé, che dia un senso di protezione, sicurezza e controllo, che venga accettato e che sia compassionevole, curioso, gioioso e trionfante.

Seguendo questa traccia, il presente capitolo ha il compito di introdurre il tema della fenomenologia, un approccio filosoficopsicologico all'acquisizione della conoscenza, che considera le descrizioni delle esperienze vissute dai soggetti come base fondamentale della comprensione sulla natura della coscienza. La fenomenologia cerca anche di insegnare e allenare i partecipanti a descrivere meglio le loro esperienze. In questo senso la pratica della fenomenologia può avere un potenziale terapeutico, migliorando le capacità riflessive, la mentalizzazione e l’empatia e potenziando la piena consapevolezza (mindfulness) del tempo, dei pensieri, del corpo e delle emozioni, così come si sviluppano momento per momento. La neurofenomenologia è la branca della fenomenologia che studia la correlazione e il nesso di mutua causalità tra mente-corpo-cervello ed esamina simultaneamente sia l’esperienza soggettiva in prima persona che le funzioni oggettive corpo-cervello in terza persona, in modo da poter comprendere meglio entrambe. Ai partecipanti di uno studio, per esempio, possono venire fatte domande mentre si misura l’attività del loro sistema nervoso centrale e autonomo, tramite misure neuroendocrine, di psicofisiologia periferica, di neuroimaging o mediante elettroencefalogramma (EEG). La nostra opinione è che la neurofenomenologia fornisca un paradigma metodologico particolarmente solido per gli studi sulla coscienza e per la psicotraumatologia in particolare.

La domanda fenomenologica su cui torneremo più volte è “Com...?” sperimentare la vita attraverso gli occhi del sé Ci porremo anche la domanda neurofenomenologica cervello-mente e il corpo...?” quando le persone traumatizzate

in questo libro traumatizzato. “Come sono il sperimentano

i TRASC (stati alterati di coscienza correlati a traumi). Queste domande (e

le metodologie che riteniamo essere le migliori per trovare delle risposte) sono il tema delle prossime pagine.

Gli studi sulla fenomenologia com'è (13

e sulla coscienza:

descrivere

INI

Thomas Nagel, filosofo della scienza e ricercatore nel campo della

2. Com'è?

51

coscienza, fece nel 1974 la famosa osservazione che, per essere conscio, un organismo deve avere “qualcosa che rappresenti ‘com’è essere quell’organismo’ e che lo rappresenti per quell’organismo” (p. 436). In altre parole, Nagel ha sottolineato che, al fine di avere coscienza, per un organismo deve esservi qualche modalità soggettiva attraverso la quale il mondo appare, dal punto di vista esperienziale dell'organismo stesso. La fenomenologia è la scienza e la pratica filosofica che studiano la coscienza dalla prospettiva in prima persona dell'organismo che presumibilmente è conscio. Rappresenta quindi lo studio dell’esperienza cosciente attraverso la raccolta e l’analisi di resoconti in prima persona riguardanti “com'è” avere particolari esperienze. È uno dei metodi di indagine utilizzati sia negli studi filosofici che in quelli psicologici e ha le sue radici teoriche in particolare nel lavoro del filosofo Edmund Husserl (1900/1901). La pratica della fenomenologia come metodologia di ricerca è rappresentata, essenzialmente, dalla raccolta sistematica di resoconti in prima persona riguardanti l’esperienza di “com’è” qualcosa che sta accadendo, descritto dal punto di vista della persona stessa. La fenomenologia, quindi, riguarda lo studio di “com'è” qualcosa, dalla prospettiva di una persona alla quale quel qualcosa sta accadendo. In termini semplici, la fenomenologia chiede a una persona che sta avendo un’esperienza,

di descriverla.

È tuttavia

importante

sottolineare

che

la descrizione deve essere data in un modo che si basi esclusivamente sull’esperienza personale, così come essa sta affiorando nel momento presente, ovvero così come

sta avvenendo

nell’attimo in cui succede, e

momento per momento. La fenomenologia considera l’esperienza immediata dell’individuo come fondamento primario delle conoscenze riguardanti la coscienza, senza presunzioni né teorie riguardanti interpretazioni 0 causalità. Sebbene i dati raccolti siano soggettivi e in prima persona, si presume che aspetti comuni emergeranno mettendo insieme i resoconti di diverse persone che hanno tipi di esperienze simili. La fenomenologia, in questo modo, cerca di descrivere in modo sintetico le basi strutturali

dell'esperienza conscia, comuni a tutti gli individui, che i fenomenologi definiscono invarianti intersoggettive (Depraz et al. 2003; Lutz e Thompson 2003). Tra queste invarianti vi è lo “sfondo” strutturale dell'esperienza contro il quale si presentano in primo piano gli stimoli emergenti. Come metodologia, la pratica disciplinata della fenomenologia cerca di sviluppare, in chi partecipa, la capacità di essere consapevole in modo riflessivo rispetto alla propria esperienza e, in seguito, di descriverla. Si dà per scontato che la persona comune non abbia, in partenza, le capacità necessarie per descrivere la propria esperienza in modo sufficiente da fornire dati adeguati per una comprensione approfondita della coscienza. Per questo motivo la fenomenologia cerca, mediante vari tipi di training e “allenamenti”, di migliorare le difficoltà che limitano l’accesso

esperienziale agli stati coscienti, presenti nei partecipanti alle prime armi (vedi, per es., Ginsburg 2005). A volte è necessario incoraggiare una

52.

La cura del sé traumatizzato

modalità di osservazione della propria esperienza che sia leggermente distaccata: per esempio, per descrivere l’esperienza di sentire voci interne, è possibile incoraggiare la persona ad “ascoltare” il contenuto del proprio dialogo interno, senza agirlo, per poi descrivere la natura, il contenuto e la collocazione della voce, o delle voci, che sta sentendo.

Rispetto agli obiettivi di sviluppo delle abilità personali riguardanti l’accesso esperienziale ai propri stati consci, la fenomenologia è simile alle pratiche orientali di meditazione di consapevolezza: entrambe le discipline infatti implicano lo sviluppo di una forma di consapevolezza coinvolta, aperta, ricettiva e non giudicante. La letteratura sulla mindfulness

chiama questa forma di consapevolezza “pura attenzione” o “mente del principiante” (Wallace e Shapiro 2006; Wallace 2007; vedi anche i concetti fenomenologici di “epoché” e di “riduzione fenomenologica”; Depraz et al. 2003; Lutz e Thompson 2003). Per raggiungere questa forma di pura consapevolezza è necessaria la capacità di mettere da parte, o “tra parentesi” la propria “tendenza naturale” verso le esperienze vissute, come per esempio il pensiero “non dovrei sentire o pensare così”. Solo in questo modo una pura descrizione dell'esperienza potrà emergere, inalterata da nozioni preconcette. Oltre a questo, entrambe le discipline incoraggiano i praticanti a descrivere le esperienze che emergono in loro, utilizzando una modalità che sia il più possibile fedele alle originarie esperienze che hanno vissuto. La fenomenologia si distingue dalla introspezione in quanto quest'ultima è un approccio attivo, riflessivo e interpretativo dell’esperienza e riguarda la ricerca di una risposta a una particolare domanda sulla propria coscienza. È quindi diversa dalla pratica fenomenologica che, come la meditazione di consapevolezza, o mindfulness, riguarda un atteggiamento passivo, ricettivo e semplicemente descrittivo: “Si passa dal ‘cercare qualcosa’ a ‘lasciare che qualcosa arrivi a te” e che ‘qualcosa si riveli’ [...] Ci si allontana da quel tipo di intenzionalità attiva che cerca l’interiorità [soggettiva] e si va verso un’accettazione ‘passiva’, un lasciar-arrivare” (Depraz et al. 2003, pp. 31, 37). Dobbiamo tuttavia sottolineare che sia la fenomenologia che l’introspezione vengono definite in modi diversi a seconda degli autori: non sempre è facile, né utile a livello pratico, fare distinzioni tra le due (Bayne 2004; den Boer et al. 2008).

In generale, è da oltre un secolo che sono stati riconosciuti i limiti dell’introspezione cognitiva come base per una conoscenza psicologica oggettiva. Innovazioni nei metodi fenomenologici mirano a migliorare l'affidabilità dei resoconti personali riguardanti l’esperienza conscia (Hurlburt e Heavey 2001): per esempio, il metodo della campionatura descrittiva dell'esperienza, sviluppato da Hurlburt e colleghi, chiede ai partecipanti di rispondere a segnali sonori (beep) che avvengono casualmente, mentre vivono la quotidianità dei loro ambienti naturali. AI momento dei beep, ai partecipanti viene chiesto di descrivere liberamente l’esperienza che stanno vivendo. Per raggiungere una comprensione più dettagliata dell’esperienza i ricercatori, 24 ore dopo, hanno di nuovo

2 Gomiér

È(G).(S°

chiesto ai partecipanti cosa è avvenuto in ogni momento campione (Hurlburt 2011; Hurlburt e Akhter 2006; Hurlburt e Heavey 2006). Questo metodo fenomenologico ha fornito alcuni insight sulla natura

delle emozioni fisiche, come per esempio la frequenza con la quale le esperienze emozionali sono accompagnate da sensazioni corporee o

quanto queste esperienze siano semplici, miste, o complesse, oppure quanto siano vaghe oppure chiare (per una rassegna, vedi Heavey et al. 2012). Fortunatamente anche in psicotraumatologia si sta iniziando a utilizzare queste metodologie longitudinali, basate sulla raccolta ripetuta delle esperienze individuali: Suvak e colleghi, per esempio, hanno mostrato che, in sopravvissuti a stupro o rapina, i cambiamenti postevento dei sintomi di evitamento e dei ricordi intrusivi erano correlati prospetticamente in modo robusto a cinque punti temporali separati, distanti circa 3 mesi l’uno dall’altro (Suvak et al. 2009).

Fenomenologia e modello 4-D La tabella 2.1 fornisce esempi da strumenti standardizzati che descrivono vari tipi di esperienze fenomenologiche presenti nel modello 4-D (vedi capitolo 1), ovvero i TRASC riguardanti tempo, pensieri, corpo ed emozioni. Le voci di questionario (item) inclusi nella tabella 2.1 sono

state raccolte da scale che vengono utilizzate comunemente a livello clinico e di ricerca come misure di dissociazione. Questi item si basano semplicemente sulla validità nominale e descrivono alterazioni nelle quattro dimensioni della coscienza, ulteriormente specificate nel modello 4-D. Suggeriscono inoltre la qualità dissociativa delle dimensioni alterate di coscienza descritte nel modello 4-D. Tabella 2.1. Validità nominale di voci di questionario (item) esemplificative, raccolte da strumenti sulla dissociazione che potenzialmente possono misurare 1 TRASC riguardanti tempo, pensieri, corpo ed emozioni Tempo

Esempi di item dal questionario

P-DEQ

“Cambiamento nel senso del tempo — le cose avvengono al rallentatore”. “Ci sono stati momenti in cui non ero sicuro di dove ero o di che ora era.” “Ti sembra che le cose si muovano al rallentatore?” “Durante questa esperienza ti è mai capitato di avere la testa totalmente vuota, o di avere perso in qualche modo ilcontatto con ciò che stava succedendo?”

Fas DES MID

“Hai avuto la sensazione che l'episodio stava succedendo di nuovo, come se tu lo stessi rivivendo?” “Alcune persone a volte ricordano un avvenimento del passato in modo così vivo, come se lo stessero rivivendo nel presente”. “Rivivere un evento traumatico in modo così vivido da perdere totalmente il contatto con il luogo in cui sei effettivamente (cioè pensare di essere di nuovo ‘là e allora’)”. “avere la sensazione che il tempo rallenti o si fermi”.

54.

La cura del sé traumatizzato

Tabella 2.1. Continua Pensieri CADSS

DES

b MID

Esempi di item dal questionario “Hai la sensazione che vi siano parti diverse di te che non riescono ad ‘andare bene insieme’?” “Hai la sensazione di avere più di un'identità?” | “Alcune persone a volte si accorgono di sentire delle voci nella propria testa che dicono loro di fare delle cose o che commentano quello che

stanno facendo”. “sentire voci nella testa che discutono o conversano tra loro”. “Sentire una voce nella testa che cerca di dirti cosa fare/ che vuole che tu ti faccia del male/ che vuole che tu muoia, o altro”. “Sentire una voce nella testa e, allo stesso tempo, vedere un'immagine

di quella ‘persona’ o di quella voce”. “sentire una voce nella testa che dice cattiverie contro di te (per es. pappamolle, stupido, buono a nulla, inutile, fallito, bugiardo, maiale,

MDI

|

cagna, puttana ecc.)”. “Sentire come se vi sia più di una persona dentro di te”. “Avere persone diverse dentro di te, con differenti nomi”. | “Persone diverse che prendono il controllo dentro alla tua mente”.

Corpo P-DEQ

Esempi di item dal questionario “Sentirmi come

uno spettatore di ciò che mi sta succedendo, come

se galleggiassi al di sopra della scena, osservandola sentirmi disconnesso dal mio stesso corpo”.

dal di fuori...

CADSS

“Hai la sensazione di guardare le cose come se tu fossi al di fuori deltuo corpo?” “Il senso del tuo corpo cambia? Per esempio, senti il tuo corpo come se fosse insolitamente grande o piccolo?”

RSDI

“Ti sei sentito disconnesso dal tuo corpo?” “Ti sei sentito come uno spettatore che guardava cosa ti stava succedendo, come se tu fossi un osservatore o al di fuori della situazione?”

DES

“Alcune persone, a volte, hanno la sensazione di stare in piedi vicino a se stesse o guardarsi mentre fanno qualcosa e realmente si vedono come se stessero guardando un’altra persona”. “Ad alcune persone capita di guardarsi allo specchio e non riconoscersi”. “Ad alcune persone capita di avere la sensazione che il proprio corpo non appartenga loro”.

MID

“Stare al di fuori del tuo corpo e guardare te stesso come se tu fossi un’altra persona”. “Guardarsi in uno specchio e vedere un’altra persona, non te stesso”. “Sentire che una parte del tuo corpo è disconnessa (staccata) dal resto del tuo corpo”.

MDI

“Improvvisamente sentire che il tuo corpo non è veramente tuo”. “Sentire il tuo corpo come se fosse di qualcun altro o che tu non appartieni al tuo corpo”. “Sentire le tue mani o i tuoi piedi non collegati al resto del tuo corpo”. “Sentirti al di fuori di te stesso”.

2. Com'è?

55

Tabella 2.1. Continua [Emozioni

CADSS

Esempi di item dal questionario “Hai qualche tipo di esperienza che ti separa da ciò che sta avvenendo? Per esempio, ti senti come dentro un film o uno spettacolo teatrale, o come se tu fossi un robot?” “Le persone ti sembrano senza movimento, morte o meccaniche?” “Hai la sensazione di guardare il mondo come attraverso una nebbia e perciò le persone e gli oggetti ti appaiono lontani e indistinti?”

DES

“Alcune persone si accorgono di essere capaci di non sentire il dolore”.

MID

“Avere un'emozione (come paura, tristezza, rabbia, gioia) che non senti essere ‘tua’”. “Emozioni molto forti (come paura, rabbia, malessere o dolore emozionale) che improvvisamente scompaiono”.

MDI

“Sapere che dovresti essere turbato, ma non essere in grado di sentirlo”. “Non avere alcuna emozione in un momento in cui dovresti essere emozionato o turbato”. “Non essere in grado di sentire emozioni”. “Sentirsi congelati dentro, senza emozioni”.

Nota: Alcuni item molto simili tra loro sono stati combinati e/o leggermente cambiati a scopo di brevità. CADSS: Clinician Administered Dissociative States Scale. Da: J. Douglas Bremner,

John

H. Krystal,

Frank

W.

Putnam,

Steven

M.

Southwick,

Charles

Marmar,

Dennis S. Charney e Carolyn M. Mazure (2005), “Measurement of dissociative states with the Clinician-Administered Dissociative States Scale (CADSS)”, Journal of Traumatic Stress, 11, 125-136, su permesso di John Wiley and Sons. ©1998 International Society for Traumatic Stress Studies; MDI: Multiscale Dissociation Inventory. Utilizzato su permesso di John Briere. Gli item sono stati raccolti da un test protetto da copyright. Non utilizzare senza il permesso dell’autore, contattabile mediante il sito http://johnbriere.com; MID:

Multidimensional Inventory of Dissociation. Utilizzato su permesso di Paul F. Dell; P-DEQ: Peritraumatic Dissociative Experiences Questionnaire. Da: C.R. Marmar, D.S. Weiss e T.J. Metzler (1997). The Peritraumatic Dissociative Experiences Questionnaire. In: J. P. Wilson e T. M. Keane (a cura di), Assessing psychological trauma and PTSD. New York: Guilford Press. Su permesso di Guilford Press, gestione copyright mediante Copyright Clearance Center, Inc.; RSDI: Responses to Script-Driven Imagery Scale. Da: James W. Hopper, Paul A. Frewen, Martin Sack, Ruth A. Lanius, Bessel A. van der Kolk (2007) “The Responses to Script-Driven Imagery Scale (RSDI): Assessment of State Posttraumatic Symptoms for Psychobiological and Treatment Research”, Journal of Psychopathology and Behavioral Assessment, 29(4), 249-268. Su permesso di Plenum Publishers, gestione copyright mediante Copyright Clearance

Center, Inc.; DES:

Dissociative

Experiences Scale. Da: Bernstein

E.M., Putnam

F.W. (1986). Development, reliability, and validity of a dissociation scale. Journal of Nervous and Mental Disease, 174(12), 727-735. Traduzione italiana di E. Mazzotti, R. Cirrincione, P. Pasquini. TRASC: Trauma-Related Altered States of Consciousness (stati alterati di coscienza correlati a traumi).

Nel capitolo 1 abbiamo citato alcuni item che descrivono le dimensioni del modello 4-D, raccogliendoli dalla DES (Dissociative Experiences Survey;

Bernstein

e

Putnam

1986).

Tuttavia

la DES

non

è l’unico

56

La cura del sé traumatizzato

questionario autosomministrato in cui sono descritte le quattro dimensioni dei TRASC. L'analisi di due consolidate scale di misura multifattoriale Dissociation della sintomatologia dissociativa, la MDI (Multiscale Inventory; Briere 2002; Briere et al. 2005) e la MID (Multidimensional

Inventory of Dissociation; Dell 2006b) suggerisce che anche questi strumenti contengono riferimenti ripetuti alle quattro dimensioni dei TRASC, così come specificate nel modello 4-D. Per esempio, nel caso dei TRASC riguardanti il tempo, la MID valuta l’esperienza di “rivivere un evento traumatico in modo così vivido da perdere totalmente il contatto con il luogo in cui sei effettivamente (cioè pensare di essere di nuovo ‘là e allora’)”. L'esperienza descritta da questo

item, che rappresenta l'essenza del flashback di un ricordo traumatico, viene descritta dal modello 4-D come un TRASC riguardante il tempo e in questo senso viene considerata come distinta a livello fenomenologico da forme intrusive di recupero di ricordi traumatici e di eventi stressanti che non includono un’intensa sensazione di rivivere la situazione (vedi

capitolo 3). Nel caso dei TRASC di “sentire come se vi include il fenomeno di contro di te (per es.,

riguardanti i pensieri, la MDI valuta l’esperienza sia più di una persona dentro di te” e la MID “sentire una voce nella testa che dice cattiverie pappamolle, stupido, buono a nulla, inutile,

fallito, bugiardo, maiale, cagna, puttana ecc.).” Nel modello 4-D anche

l’esperienza di sentire voci è descritta come TRASC, riferendosi in questo caso alla coscienza e consapevolezza di pensieri (verbali). Nello specifico, il modello 4-D differenzia l’esperienza di sentire voci, caratterizzandola come pensieri che prendono la forma della prospettiva in seconda persona, (per es. sentire una voce udibile che dice “sei sporco, fai schifo”) e distinguendola dall'esperienza di pensiero che, nella situazione di coscienza normale in stato di veglia (CNV), avviene nella prospettiva in prima persona (per es. avere il pensiero “sono sporco, faccio schifo”, vedi capitolo 4). Per quanto riguarda i TRASC riguardanti il corpo, la MDI descrive l’esperienza “sentire il tuo corpo come se fosse di qualcun altro o che tu non appartieni al tuo corpo” e “sentire le tue mani o i tuoi piedi non collegati al resto del tuo corpo”. La MID descrive l’esperienza di “stare al di fuori del tuo corpo e guardare te stesso come se tu fossi un’altra persona” e “sentire che una parte del tuo corpo è disconnessa (staccata) dal resto del tuo corpo”. Queste esperienze fuori dal corpo, rispettivamente parziali e totali, avvengono spesso in momenti di intenso stress e sono descritte nel modello 4-D come TRASC connessi all’embodiment, differenziandole da forme di ansia e malessere situati nel corpo, come gli attacchi di panico,

O la tensione o l’agitazione generica (vedi capitolo 5). Infine, la MDI valuta l'esperienza di “non essere in grado di sentire emozioni” e di “sentirsi congelati dentro, senza emozioni”. Sembra che

queste descrizioni fenomenologiche caratterizzino una forma incapsulata

2. Com'è?

57

di emozionalità e più nello specifico, esperienze di ottundimento fisico ed emozionale che, in forma grave, vengono considerate nel modello 4-D come TRASC riguardanti le emozioni. Per le situazioni estreme, il modello 4-D opera una differenziazione tra stati marcati di ottundimento emozionale e forme di coscienza emozionale in situazione di coscienza normale in stato di veglia (CNV), includendo la maggior parte delle modalità

di malessere

colpa, vergogna

emotivo

generale, come

paura,

ansia, senso

di

(vedi capitolo 6). Sono inclusi nella tabella 2.1 altri

esempi di esperienze fenomenologiche che possono essere codificate dal modello 4-D come TRASC dissociativi, prendendoli da altre scale ben validate utilizzate per misurare tratti e stati dissociativi?. In sintesi, la fenomenologia è un metodo filosofico e psicologico per descrivere la natura della coscienza. La fenomenologia include la formazione dei partecipanti, che ha lo scopo di migliorare le capacità di descrizione elaborativa dell’esperienza; in seguito raccoglie i resoconti individuali, soggettivi e in prima persona, dell’esperienza vissuta, di solito in maniera aperta. Questi resoconti riguardano “come è” essere consci di vari stimoli ed eventi. Anche i questionari valutano la frequenza di vari tipi usuali di esperienze riportate da persone traumatizzate: l’analisi contenutistica di tali questionari sulla dissociazione (come presentata nella tabella 2.1) suggerisce che spesso queste esperienze riguardano TRASC di tempo, pensieri, corpo ed emozioni, congrui al modello 4-D. A differenza della fenomenologia, le neuroscienze scelgono la misurazione

oggettiva di processi neurofisiologici come strada per giungere alla comprensione delle basi della coscienza. Vi potrà essere un modo per integrare la fenomenologia con le neuroscienze nel nostro studio sui sensi del sé traumatizzato?

Neurofenomenologia e studio della coscienza: “com'è” sia nella mente che nel cervello-corpo

descrivere

La neurofenomenologia è giustamente considerata come la sottodisciplina ola branca degli studi fenomenologici che è particolarmente interessata alla comprensione delle correlazioni e dei nessi causali mentecervello-corpo (den Boer et al. 2008; Laughlin et al. 1992; Lutz et al. 2002; Lutz e Thompson 2003; Northoff e Heinzel 2006; Petitot et al. 1999; Varela 1996, 1997, 1999; Varela e Shear 1999). La neurofenomenologia

mette insieme registrazioni neurofisiologiche e osservazioni disciplinate dell’esperienza attraverso metodi in prima persona. I resoconti in prima persona di esperienze fenomeniche soggettive forniscono struttura all’analisi dei marker neurofisiologici, come nella suddivisione post-hoc di registrazioni neurofisiologiche in segmenti temporali che si riferiscono 2? Le scale incluse nella tabella 2.1 rappresentano modalità di misura utilizzate

spesso nella letteratura scientifica e nella pratica clinica, ma la lista non deve essere assolutamente ritenuta come esaustiva.

58.

La cura del sé traumatizzato

a transizioni tra “esperienza soggettiva X” ed “esperienza soggettiva Y”. Per esempio, Lutz e colleghi (2002), in quello che è considerato il primo studio che utilizza esplicitamente il metodo neurofenomenologico, formarono quattro uomini a descrivere in dettaglio le loro esperienze riguardantilavisione diautostereogrammi (un’immagineinduedimensioni disegnata in modo da creare l'illusione visiva della terza dimensione). Il training ripetuto portò ognuno dei partecipanti a sviluppare un numero regolare di categorie distinte della loro esperienza, che Lutz e colleghi denominarono “cluster fenomenologici”. Più precisamente, il protocollo sperimentale chiedeva ai partecipanti di guardare uno schermo fisso sul quale si aspettavano che sarebbe stato proiettato un autostereogramma. Poi, per ogni ripetizione, descrivevano verbalmente questo stato di preparazione allo stimolo target, utilizzando cluster fenomenologici che distinguevano stati di “preparazione stabile”, di “preparazione frammentata”, di “impreparazione spontanea” e di “impreparazione auto-indotta”. Questi stati servivano in seguito da guida per l’analisi di dinamiche neurali misurate, per ciascun tentativo, attraverso EEG. Lutz e

colleghi riscontrarono che l’energia di banda gamma aumentava a livello degli elettrodi frontali, che le frequenze più basse (8-16 Hz) diminuivano prima dell’inizio dello stimolo e che aumentava la sincronia tra gli elettrodi posteriori durante la presentazione dello stimolo quando il partecipante riferiva uno stato di preparazione rispetto a uno stato di impreparazione. Questi risultati dimostravano l’utilità dei report soggettivi per guidare l’analisi di dati oggettivi riguardanti funzioni cerebrali. I neurofenomenologi sono interessati a esaminare la causalità bidirezionale e i vincoli reciproci tra descrizioni fenomenologiche della coscienza e relative misurazioni neurofisiologiche oggettive (Varela 1996). L’assunto della causalità bidirezionale significa che l’esperienza e la neurofisiologia sono intercausali: l’esperienza causa il cambiamento neurofisiologico e la neurofisiologia causa il cambiamento esperienziale. Il principio dei vincoli reciproci può essere illustrato dall’analogia con una moneta: ciò che si conosce grazie a un lato della moneta (per es. “testa”) serve a ridurre il numero di modi che si hanno a disposizione per interpretare ciò che può essere potenzialmente osservato sull’altro lato della moneta (ovvero: poiché da questo lato la moneta è “testa”, dall’altro lato la moneta dovrà essere “croce”). Applicando alla neurofisiologia il principio dei vincoli reciproci si evince che, per ogni resoconto esperienziale di partenza, ci si può aspettare un numero finito di potenziali interpretazioni dei correlati neurofisiologici, e viceversa. Gli esempi clinici che seguono possono aiutare a illustrare come un approccio valutativo di tipo neurofenomenologico possa arricchire la nostra comprensione terapeutica della natura della coscienza nelle persone traumatizzate.

RECOMIerENi5O

Caso

1: sTESSO

EVENTO,

ESPERIENZE

DIVERSE:

DUE CASI DI REVIVISCENZA

Come abbiamo già descritto in Lanius, Hopper e Menon (2003), una coppia sposata rimase intrappolata in auto durante un grave incidente stradale causato dalla nebbia, avvenuto

su un’autostrada

ad

alto scorrimento: coinvolse oltre 100 veicoli € vi furono numerosi morti e feriti gravi. La coppia tamponò il veicolo davanti a sé, non visibile a causa della nebbia: nonostante non fossero feriti, rimasero intrappolati nel veicolo per vari minuti, temendo di poter morire. Durante questo periodo sentirono le grida di un’adolescente che non riusciva a liberarsi dall’auto davanti a loro. La ragazza scongiurava che qualcuno venisse a salvarla: morì bruciata viva e la coppia fu testimone del decesso. Quando fu in seguito intervistato, il marito disse che, durante l'episodio,

aveva sentito ansia intensa e che il suo obiettivo primario era pensare un modo per liberare se stesso e la moglie e uscire dall’auto. Al contrario, la moglie riportò di essere stata “in stato di shock, congelata e intontita” e in effetti descrisse che, oltre a essere fisicamente immobilizzata all’interno

dell’auto, era anche incapace psicologicamente di muoversi. Notò che se non vi fosse stata la reazione attiva del marito non sarebbe stata in grado di scappare dal veicolo. Quattro settimane dopo l'incidente, marito e moglie continuavano a essere perseguitati dal ricordo dell’evento. Entrambi avevano flashback visivi e uditivi dell’incidente e frequenti incubi, così come difficoltà a dormire, ipervigilanza e aumento dell’irritabilità. In aggiunta a ciò, avevano entrambi problemi di funzionamento lavorativo causati da mancanza di concentrazione ed evitavano la guida e ogni cosa che potesse ricordare l’incidente. Entrambi avevano sufficienti sintomi per soddisfare la diagnosi di PTSD, valutata mediante interviste cliniche strutturate. Il marito non aveva precedenti problemi psichiatrici, mentre la moglie aveva avuto una depressione postpartum dopo la nascita del primo figlio. In termini di anamnesi psicosociale remota il marito descrisse un’infanzia senza particolari problemi, mentre la moglie aveva avuto varie difficoltà in infanzia e adolescenza. In particolare riferì che la madre aveva lungamente sofferto di frequenti attacchi di panico, che per lei bambina rappresentavano esperienze terrificanti. Ricordava che spesso si “spegneva”, a causa della paura che la madre potesse morire durante uno di quegli attacchi. Il padre morì quando lei aveva 9 anni: questa perdita la fece sentire senza sicurezze poiché, a causa dell’ansia e dell'instabilità della madre, riteneva di non avere più un caregiver con il quale potersi sentire al sicuro. La coppia fu d’accordo a partecipare a uno studio di risonanza magnetica funzionale (fMRI) per valutare le basi neurofisiologiche dei loro sintomi di PTSD: all’interno dello scanner avrebbero ascoltato un audio con la descrizione di alcune delle esperienze vissute durante l'incidente. Nonostante l’evento fosse stato lo stesso, marito e moglie

60.

La cura del sé traumatizzato

ebbero risposte esperienziali e neurofisiologiche molto diverse. Per entrambi, le esperienze che ebbero all’interno dello scanner, mentre ricordavano

l'evento

traumatizzante,

furono

simili

alle reazioni

che

ebbero nel preciso momento dell’incidente. Il marito, ascoltando la descrizione audio coi dettagli dello scontro, riferì di sentire ansia e attivazione emozionale intense; i suoi pensieri erano focalizzati a trovare attivamente un modo per scappare, per sé e per la moglie. Quest'ultima, al contrario, descrisse sensazioni di “ottundimento”,

“congelamento”

e

“shock” mentre ascoltava l’audio. Questa coppia, quindi, mostrò risposte fenomenologiche differenti sia rispetto all'incidente sia in seguito alla descrizione audio che ascoltarono durante l'esperimento. Anche durante la seduta di neuroimaging entrambi ebbero risposte neurofisiologiche molto differenti (vedi figura 2.2). Durante il ricordo dell'evento traumatizzante la frequenza cardiaca del marito salì di 13

battiti al minuto e vi fu un aumento della risposta dipendente dal livello di ossigenazione ematica (BOLD) a livello della corteccia frontale anteriore,

del cingolato

anteriore,

della

corteccia

mediotemporale

(amigdala

destra inclusa), del talamo sinistro e di aree dei lobi parietali e occipitali.

Un aumento della risposta a livello dei lobi temporali e dell’amigdala potrebbe essere legato a iper-arousal emozionale, mentre la risposta fronto-cingolata potrebbe essere collegata allo sforzo di coping e di regolazione emozionale (per es. pianificazione della fuga). Al contrario, la frequenza cardiaca della moglie non cambiò e, rispetto ai livelli di partenza e mostrò aumenti del segnale BOLD solo a livello occipitale (aree di Brodmann

18 e 19). La mancanza

di una

risposta neurale

distribuita rispetto al livello basale, nonostante l’ascolto della descrizione audio dell’incidente, potrebbe essere collegata con le esperienze da lei riportate di sentirsi “intontita” e “congelata.” Entrambi fecero un trattamento psicologico individuale per il PTSD, basato primariamente su esposizione agli elementi attivanti dell’incidente. Dopo 6 mesi il marito non soddisfaceva più la diagnosi PTSD, mentre la moglie continuava a presentare livelli di sintomi clinicamente significativi per PISD, nonostante

avesse ricevuto lo stesso tipo di cura. Riferì che

erano aumentati di frequenza anche i ricordi intrusivi della sua infanzia, di quando si sentiva “intontita e congelata” in risposta agli attacchi di panico della madre e alla morte del padre. In conseguenza a ciò, aveva spesso bisogno di aiuto terapeutico rispetto alla regolazione emozionale e alle capacità di radicamento: senza questo aiuto diceva di sentirsi “spegnere” durante

la seduta, di sentirsi congelata,

obnubilata

e disconnessa

dal

presente, come se fosse “di nuovo là, sul luogo dell’incidente”, o vivendosi di nuovo come una bambina piccola, spaventata e sola. Questo caso è presentato in maggior dettaglio in Lanius, Hopper et al. 2003. Questo caso è significativo perché mostra l’importanza di raccogliere le descrizioni esperienziali in prima persona come mezzo per comprendere il significato psicologico delle registrazioni neurofisiologiche. Senza la

2. Com'è?

61

Figura 2.2. Risposte neurali in marito e moglie a un esperimento mediante

rievocazione immaginativa tramite copione dell’avvenimento traumatico (incidente

automobilistico)

Il marito sperimentò una risposta di paura che lo portò a un coping di fuga, associato a risposte in varie regioni cerebrali, incluse le cortecce frontocingolate, la corteccia prefrontale ventrolaterale e l’amigdala destra. La moglie ebbe una risposta di ottundimento/spegnimento, associata solamente a risposte all’interno della corteccia visiva. Vedi Lanius et al. 2003 per ulteriori informazioni.

raccolta contemporanea di resoconti fenomenologici ampi e a struttura aperta, le due scansioni cerebrali sarebbe apparse solamente come molto diverse tra loro e ci saremmo posti dei quesiti rispetto all'affidabilità della procedura sperimentale. Al contrario, riconoscere l’importanza dei diversi modi attraverso i quali i due partner rispondevano esperienzialmente al ricordo dell'evento ha fornito un'ulteriore criterio per raggruppare le analisi dei pazienti con PITSD attraverso le caratteristiche della loro risposta soggettiva agli stimoli traumatici e non solo mediante diagnosi clinica (Frewen e Lanius 2006a, 2006b; Lanius et al. 2006). Questi criteri sono stati fondamentali per progettare ulteriori studi che hanno esaminato i diversi pattern di risposta a stimoli traumatici in pazienti con PISD cronico (vedi Hopper, Frewen, van der Kolk e Lanius 2007),

portando anche alla proposta di un sottotipo dissociativo di PTSD (vedi Lanius, Vermetten et al. 2010; Lanius et al. 2012).

In senso più generale, i diversi resoconti fenomenologici di reviviscenza traumatica che abbiamo osservato hanno rinforzato in noi l'opinione che considerare tutte le persone con PISD come se fossero casi omogenei raccolti da una singola popolazione può impedire la possibilità di notare l’eterogencità delle risposte neurofenomenologiche agli stimoli traumatici

62

La cura del sé traumatizzato

(vedi Lanius et al. 2006; Foa, Riggs e Gershuny 1995). Soprattutto grazie all’uso della neurofenomenologia come metodologia di ricerca è stato possibile riconoscere queste differenze. Da notare che in questo caso sono

state utilizzate analisi standard di sottrazione fMRI post hoc, basate su un paradigma sperimentale: tuttavia i progressi tecnologici potranno permettere analisi funzionali di neuroîmaging in tempo reale, facilitando la valutazione momento per momento dei cambiamenti spontanei del segnale BOLD, da utilizzare per valutare il significato fenomenologico o per lavorare sulle capacità di autoregolazione (vedi De Charms 2008, LaConte 2011, Weiskopf 2012).

Caso

2: IL CUORE

RIVELATORE:

UN

CASO

DI REVIVISCENZA

La variabilità della frequenza cardiaca (o HRV, Heart Rate Variability)

misurata a riposo viene solitamente ritenuta una misura del tono parasimpatico regolato dal nervo vago. Viene spesso misurata mediante l’aritmia sinusale respiratoria (o RSA, Respiratory Sinus Arrhythmia), cioè mediante la differenza di frequenza cardiaca tra il momento dell’inspiro (transitorio aumento) e dell’espiro (transitoria diminuzione). Un basso

HRV rappresenta un fattore di rischio di mortalità in generale e per fattori cardiovascolari in particolare. Si stanno raccogliendo sempre più dati che legano HRV più alta a vari aspetti di salute psicologica, tra cui capacità emozionali positive e flessibilità psicologica (Appelhans e Luecken 2006, Ode et al. 2010, Oveis et al. 2009). AI contrario, è stato notato che nelle

persone traumatizzate una bassa RSA, sia misurata a riposo (vedi per es., Cohen et al. 1997, 2000; Hopper et al. 2006), in risposta a stimoli traumatici (Cohen et al. 2000, Sack et al. 2004), o a stressor emozionali generici o di laboratorio (e.g., Hauschildt et al. 2011; Hughes et al. 2007;

Keary et al. 2009) o addirittura a stimoli piacevoli (Arditi-Babchuk et

al. 2009) è legata ad aumento dello stress post-traumatico. La ricerca ha anche dimostrato l’efficacia potenziale di “allenare” l’HRV mediante biofeedback in persone con PTSD e problemi di abuso di sostanze in comorbilità (Zucker et al. 2012) e con disturbo di depersonalizzazione

(in via indiretta, utilizzando un protocollo di biofeedback mediante le risposte di conduttanza dermica; Schoenberg et al. 2012). Nello stesso senso, il biofeedback orientato ad aumentare l’HRV è stato utilizzato non solo come intervento per i disturbi cardiorespiratori, ma anche come trattamento aggiuntivo nei disturbi dell’umore, inclusi quelli collegati a PISD (rassegna in Wheat e Larkin 2010).

In questo contesto,

Kaylin, la paziente che abbiamo

conosciuto

all’inizio del capitolo 1, iniziò improvvisamente ad avere bassi livelli di

HRV durante la sua seconda seduta di HRV biofeedback, dopo un periodo lungo di HRV relativamente alto. Questa situazione veniva segnalata

sullo schermo di feedback da una mano che emette una “aura” blu-rossa,

piuttosto che una tonalità verde (vedi figura 2.3). Notando questo, la

terapeuta invitò Kaylin a riportare l’attenzione e la consapevolezza sul respiro: In questo modo la paziente riuscì ad auto-regolare il suo stato

neurofisiologico, ritornando a un livello di HRV più alto. Rivalutando la seduta al termine del biofeedback, Kaylin notò che quando lo stimolo di biofeedback era blu, senza saperlo si era “persa in brutti pensieri dal

passato”. Questa esperienza interna non era evidente per la terapeuta, in termini di comportamento esterno di Kaylin, che appariva orientata verso

lo schermo di feedback e per il resto sembrava respirare normalmente. Era solo la misurazione neurofisiologica (in questo caso il segnale HRV di Kaylin) che stava fornendo l’indicazione di un significativo cambiamento nel suo stato fenomenologico (vedi figura 2.3 per ulteriori descrizioni). Questo caso illustra come un approccio neurofenomenologico può guidare la valutazione momento per momento degli stati psicologici e fisiologici delle persone traumatizzate: brevi cambiamenti nelle misurazioni neurofisiologiche possono stimolare una valutazione fenomenologica e viceversa. Sicuramente questo tipo di processo è utile in particolare per le psicoterapie integrate con biofeedback. CASO

3:

RIDARE

CORPO

AL



USANDO

IL

NEUROFEEDBACK:

UN

CASO

DI

DEPERSONALIZZAZIONE

Una donnadi mezza età, che chiameremo Suzy, descrivevauna tendenza costante a quando fu cronicità e anche dai

vivere stati di depersonalizzazione, iniziati in adolescenza ripetutamente stuprata da un branco, dagli 11 ai 13 anni. La la gravità della sua sintomatologia dissociativa era evidente risultati degli strumenti standardizzati autosomministrati

(MDI e DES; vedi tabella 2.1). Suzy accettò di far parte di uno studio

di neuroimaging che valutava le reti neurali a riposo (salience network e default-mode network) prima e dopo una singola seduta di neurofeedback (biofeedback basato sull’EEG) mirato alla riduzione dell’ampiezza delle onde alfa (Kluetsch et al. 2014; Ros et al. 2013). Nel momento

in cui

partecipò allo studio, Suzy stava facendo una psicoterapia focalizzata sullo stress post-traumatico e sui sintomi dissociativi, con miglioramenti costanti ma senza piena risoluzione da quasi un decennio. Appena uscita dalla macchina per la fMRI e prima della seduta di neurofeedback, Suzy descrisse uno stato di intensa depersonalizzazione,

che si manifestava a livello comportamentale mediante un marcato rallentamento dell’eloquio e del funzionamento cognitivo. Sentiva mani e piedi staccati dal suo corpo e le sembrava di essere “in un sogno”. Sebbene sperimentasse spesso stati di distacco dal corpo, questa manifestazione acuta era particolarmente grave. Fu subito effettuata una registrazione EEG di 3 minuti, a occhi aperti, prima della seduta di neurofeedback e i risultati furono paragonati con un database normativo, rispetto al quale era possibile notare in Suzy un aumento generalizzato del potere spettrale a livello frontale, temporale

64.

La cura del sé traumatizzato

Figura 2.3. Caso clinico in cui l’inizio di un ricordo intrusivo viene indicato da una transitoria diminuzione dell’HRV durante una seduta di biofeedback Feedback da parte

del terapeuta

(variabilità della frequenza cardiaca)

“Torni a notare il È D; suo respiro...

Feedback visivo

HRV in tempo

reale

HRV in tempo

reale cumulativo

La frequenza cardiaca (FC) è stata registrata da un pletismografo applicato al lobo dell'orecchio sinistro (emWave2; www.heartmath. com) e la frequenza respiratoria (FR) è stata dedotta da uno stimolo visivo ritmico; la congiunzione tra FC e FR presunta è stata calcolata come misura dell’HRV. Come indicato dal feedback visivo, una “aura” verde emessa da una mano aperta stava a significare momenti di alto accumulo dell’HRV (le mani destra e sinistra che “tengono un cuore” nel pannello di feedback visivo). La freccia continua che punta in basso nel pannello dell’HRV in tempo reale indica il segnale fisiologico dell’inizio di un periodo in cui l’HRV tende ad accumularsi di meno. In seguito la paziente notò che quello stato neurofisiologico era associato all’inizio di un’intrusione traumatica. Non vi era altro modo né per la paziente né per la terapeuta (osservando il comportamento esteriore della paziente) di essere consapevoli dell’inizio della intrusione traumatica nella paziente. La freccia tratteggiata orientata verso il basso indica il lasso di tempo (circa 20 secondi) necessario affinché questo evento neurofisiologico venisse rappresentato nel feedback visivo, basato sull’HRV cumulativo. Poco dopo l’inizio del feedback visivo, a cui la paziente non aveva risposto, la terapeuta invitò la paziente a riportare l’attenzione e la consapevolezza sul suo respiro: fu capace di lasciare andare l'intrusione, tornando a un livello più alto di HRV cumulativo. La paziente in seguito notò che, se l'intrusione traumatica fosse avvenuta in circostanze usuali, avrebbe probabilmente avuto bisogno di almeno 10-20 minuti solo per “ritornare” al presente; si sarebbe inoltre trovata in uno stato di confusione totale e significativo malessere che, a sua volta, sarebbe durato altre ore.

2Com'epi

65

bilaterale, parietale, occipitale e lungo la linea mediale, in particolare per le bande di frequenza theta (4-8 Hz) e alpha (8-12 Hz). Anche l’attività beta alta (18-25 Hz) era incrementata a livello prefrontale sinistro e frontale

destro (vedi figura 2.4: questi aspetti sono descritti anche in Lanius et al. 2014). Studi precedenti avevano sottolineato che in particolare l’attività theta irregolare (soprattutto in aumento) era una caratteristica dei disturbi dissociativi, degli stati ipnotici (vedi per es. la rassegna di Spiegel e Vermetten 1994), dei fenomeni di depersonalizzazione secondari a epilessia temporale (vedi Lambert et al. 2002) e delle differenze individuali rispetto a tratti dissociativi in studenti di college (Giesbrecht et al. 2006),

sebbene stati dissociativi siano stati recentemente correlati negativamente all'attività theta in uno studio su un campione di pazienti psichiatrici, eterogeneo dal punto di vista diagnostico (Krilger et al. 2011). Figura 2.4. Topogrammi dei poteri spettrali EEG depersonalizzazione in Suzy

durante

un'esperienza di

%

Mappe topografiche dello scalpo che mostrano la probabilità significativa calcolata mediante comparazione statistica del qEEG di Suzy con i corrispondenti parametri di spettro raccolti in un database normativo di registrazioni EEG multicanale da 500 individui sani, dai 18 ai 60 anni. Le mappe mostrano il livello di deviazione (punteggi Z) del potere spettrale assoluto dell’EEG (uV2) per ogni banda rispetto al valore medio calcolato nel gruppo di riferimento di soggetti sani della stessa età (Kropotov 2008). L’ombreggiatura indica che i punteggi Z medi del potere spettrale assoluto dell’EEG differiscono per ciascuna delle sei bande di frequenza: delta (1.5-4 Hz), theta (4-8 Hz), alpha (8-12 Hz), SMR (12-15 Hz), beta 1 (15-18 Hz), beta 2 (18-25 Hz); le scale di riferimento sono presenti alla destra di ciascuna mappa. Anche effettuando test a due code, in tutti i casi le ombreggiature più scure indicano aumenti rispetto ai valori normativi. Le regioni frontali sono rappresentate in alto, i lobi occipitali in basso; a sinistra gli emisferi sinistri.

66.

La cura del sé traumatizzato

Data la preponderanza di attività a onde lente, fu proposto a Suzy di aggiungere alla sua terapia una serie di sedute di neurofeedback che avevano come obiettivo primario la riduzione dell’ampiezza delle onde alfa a livello medio-parietale. In uno studio precedente avevamo mostrato che questo tipo sperimentale di intervento con l’EEG poteva modulare, in una seduta singola, alcune reti neurali associate con la salienza e l'elaborazione auto-riferita (o SRP, self-referential processing) in individui sani (Ros et al. 2013): per questo motivo pensavamo che regolare verso

il basso il ritmo alfa poteva avere qualche vissuta da Suzy. Il neurofeedback consisteva computer dei beep legati alla diminuzione al livello basale. Veniva fornito anche un videogame,

in modo

rilievo per la sintomatologia nel riuscire a far emettere al delle ampiezze alfa rispetto feedback visivo, spesso tipo

da focalizzare l’attenzione visiva e da attivare un

senso di azione volontaria. In Suzy i risultati della terapia aggiuntiva con neurofeedback furono, a dir poco, notevoli: dopo solo quattro brevi sedute in meno di due mesi Suzy riferì di sperimentare una completa normalizzazione dei suoi stati di depersonalizzazione. In seduta, descrisse la sua esperienza in questo modo: Finché non ho avuto quella esperienza, ero disconnessa. Poi ho saputo di essermi completamente associata, ero completamente integrata, ed era un’esperienza veramente fisica. Mi è venuta la testa piuttosto leggera e avevo capogiri e sapevo che se mi fossi messa in piedi sarei caduta, così mi sono seduta proprio lì, dove ero, ho messo giù la testa per un attimo e dopo qualche minuto era come

se ‘ok, le cose sono molto vere, tutto di un botto.’ Era

come se i suoni che stavo sentendo fossero molto più forti. Così, a quel punto, sono al 100% nel mio corpo: non sono sicura che ciò sia mai successo dopo dalla mia infanzia in poi. Sono entrata in gioco ed è stata un'esperienza molto fisica di un’integrazione di corpo, mente, spirito, e tutto si metteva insieme — è stata una

sensazione molto fisica per me.

La riduzione della depersonalizzazione in Suzy è rimasta stabile per 2 anni e di conseguenza la sua vita è cambiata in modo significativo: ora riesce a lavorare a tempo pieno come insegnante e per la prima volta in vita sua, ha sviluppato una cerchia di amici di cui può fidarsi. Ha iniziato anche a valutare la possibilità di iniziare una relazione intima, cosa che

non aveva mai osato pensare in precedenza. Ora è capace di vivere il piacere in modi che prima non era mai riuscita a fare: collega questa capacità al fatto che ora non ha più paura che “se mi sento bene, accadrà qualcosa di brutto”. Interessante notare che questi cambiamenti soggettivi si manifestano anche a livello somatico e comportamentale: per esempio Suzy ora cammina con maggior flessibilità ed elasticità e manifesta una postura molto più eretta, sia quando è in piedi che quando è seduta. Da

2. Com'è?

67

aggiungere che i miglioramenti clinici di Suzy sono associati a riduzioni stabili e clinicamente significativi dei suoi ritmi alfa e theta in stato di veglia, valutati da regolari follow-up con EEG. Suzy ha completato la fase finale della sua psicoterapia, che ha concluso mentre stiamo scrivendo questo capitolo. Dai risultati di un singolo caso si può concludere poco riguardo all'efficacia clinica di questo particolare tipo di neurofeedback, perciò stiamo continuando a esaminare l'efficacia di questo intervento mediante altri studi nel nostro laboratorio. Tuttavia il caso di Suzy illustra certamente come una valutazione neurofenomenologica inaspettata può servire a guidare un'innovazione a livello terapeutico: la valutazione di marker neurofisiologici oggettivi, così come vengono suggeriti da esperienze fenomenologiche particolari e spontanee, può quindi indicare nuovi obiettivi terapeutici. Neurofenomenologia

dei TRASC

(stati alterati di coscienza

correlati a traumi) È stato suggerito, in modo un po’ speranzoso, che “un giorno vi sarà un marker biologico (o una combinazione di marker) che potrà essere lo standard di riferimento per la diagnosi di PTSD, rispetto al quale giudicare l'accuratezza delle misure soggettive” (Pitman et al. 2012, p. 783). Noi crediamo, tuttavia, che per la psicotraumatologia esista un obiettivo più grande a cui aspirare, con la sola eccezione (forse) di contesti in cui vi siano evidenti preoccupazioni legate a vantaggi secondari (e nei quali, di conseguenza, i resoconti soggettivi potrebbero essere considerati sospetti). Più precisamente, seguendo il principio neurofenomenologico dei vincoli reciproci, crediamo che le misurazioni dell’esperienza soggettiva e dei neurobiomarker oggettivi vadano integrati e portati a sintesi nelle nostre descrizioni delle persone traumatizzate e non messi in competizione l’un l’altro come se fossero in conflitto, o tenuti in considerazione in modo non

equo. Se vogliamo tendere a una piena comprensione della natura del sé traumatizzato, crediamo siano necessarie analisi più approfondite, che incorporino sia misure soggettive che misure oggettive. A questo riguardo concordiamo pienamente con l’analisi di Dell (2006a, 2009a), quando afferma che i marker di dissociazione sono intrinsecamente difficili da verificare in modo oggettivo di per sé (per es. a livello comportamentale e neurobiologico): per una psicotraumatologia scientificamente valida risulta della massima importanza portare avanti una contemporanea analisi dell'esperienza soggettiva momento-per-momento delle persone traumatizzate. Dal punto di vista della neurofenomenologia è un peccato che così pochi studi abbiano comparato direttamente i marker neurofisiologici di stress grave in situazione di coscienza normale in stato di veglia (CNV) con marker legati ai TRASC in persone con disturbi dell’area traumatica.

68.

La cura del sé traumatizzato

A sostegno della neurofenomenologia come cornice metodologica per la psicotraumatologia, la figura 2.5 raccoglie i risultati di 10 studi rappresentativi di neuroimaging che hanno studiato i correlati neurali di TRASC dissociativi in risposta al richiamo di ricordi traumatici (Hopper et al. 2007, Lanius et al. 2002, Reinders et al. 2006), alla visione di immagini emozionalmente cariche (Phillips et al. 2001), a un compito di memoria emozionale

(Medford

et al. 2006), all’elaborazione

di stimoli dolorosi

(Ludàscher et al. 2010, Mickleborough et al. 2011), al riconoscimento visivo di se stessi (Ketay et al. 2014), alla visione di espressioni facciali di altri (Lemche et al. 2013) e al movimento direzionato (Weniger et al.

2013). Figura 2.5. Neurofenomenologia di TRASC dissociativi risultati accorpati di 10 studi di neuroimaging funzionale

descritta

mediante

Di Hopper 2007 Lardus 2002 Phillips 200]

inedford 2006 fiizkiebos

2011

iedascher 2010 Katay 2014

lem . “Ti chiamo così perché ti metti in situazioni rischiose con gli uomini e non hai rispetto per te stessa stando con loro. Abusi di te stessa. E quello che succede ora. Non devi più comportarti in questo modo. Possiamo usare le tue forze in modo da favorire la guarigione”. > 3. “Grazie di preoccuparti per la mia sicurezza. Ma non credo di averne assolutamente la forza”. > 4. “Non sono d’accordo. Dato che ti sei spesso trovata coinvolta nella “ricerca di clienti” [prostituzione], a me sembra che tu te la sappia cavare in qualunque situazione, se decidi di farlo. Che ne pensi di questor”. > . “Credo che se la metti così ha un senso”. > . “So che hai una gran paura di quello che non conosci, compresa la EPTO, paura di sentirti meglio con la terapia. Potresti forse usare la forza che ti rende capace di superare qualunque cosa per aiutare il tuo intero sé a sentirsi meglio in terapia e a non sabotare il trattamento?”. > 7. “Ok, ci posso provare”. N

Fare una registrazione audio dell'intervento per ascoltarla in un secondo momento può essere utile, in modo particolare quando il

138.

La cura del sé traumatizzato

giudizio clinico suggerisce che la co-consapevolezza sia debole. Un intervento con obiettivi simili è rappresentato dalla tecnica del tavolo dissociativo, sviluppata da George Fraser (2003). Questa tecnica ha origine nella terapia della Gestalt, ma è stata adattata per l’utilizzo con pazienti gravemente dissociati; viene definita anche come la tecnica della sala riunioni o della sala conferenze (Ross 1988). Viene utilizzata

l’intrinseca capacità di autoipnosi del paziente: l’intervento comincia con un esercizio guidato che porta a immaginare un posto sicuro, seguito

dall’immaginare i differenti aspetti del sé seduti intorno a un tavolo in una stanza protetta, dove ciascuno viene rispettato allo stesso modo. La comunicazione tra i diversi aspetti del sé viene quindi incoraggiata, a condizione che sia stato instaurato un senso di protezione e sicurezza totale. L'obiettivo generale dell’esercizio è di aumentare la capacità di autoriflessione, di mentalizzazione e di insight, al servizio del paziente nella sua interezza. Sono comunque necessarie ricerche sull'efficacia di questi esercizi. La figura 4.9 contiene un altro dipinto di Gregory ispirato dall'utilizzo di questo esercizio terapeutico; il titolo dell’opera è “Tempo”. x

Figura 4.9. Opera di Gregory (2010): “Tempo”. Riproduzione autorizzata

Ai gruppi di persone che sentono voci spesso vengono anche proposte psicoterapie di gruppo che hanno lo scopo di normalizzare e ridurre lo stress associato a tale esperienza e di migliorare nel contempo la qualità della relazione con le voci. Ricordiamo che la riduzione della frequenza delle voci non è necessariamente uno degli scopi di tale intervento. Sfortunatamente la rassegna sulla letteratura pubblicata da Ruddle, Mason e Wykes (2011) ha trovato poco riscontro empirico per i gruppi degli uditori di voci, soprattutto a causa dei pochi studi scientificamente rigorosi pubblicati finora. I ricercatori incoraggiano la messa in opera di

4. La coscienza del pensiero

139

un numero maggiore di ricerche di efficacia ben progettate e di studi più approfonditi sui meccanismi di cambiamento terapeutico.

Al di là del sentire voci: l’esperienza pseudoallucinatoria visiva, olfattiva e tattile

Vari

studi

hanno

documentato

che

i sintomi

definiti

come

pseudoallucinatori (El-Mallakh e Walker 2010, Pierre 2010) siano presenti

tra il 20 e il 65% delle persone con PTSD, a seconda delle caratteristiche del campionamento (per le rassegne vedi Braakman et al. 2009, Moskowitz

e Corstens

2007,

Moskowitz

et al. 2009,

Moskowitz

et al.

2008). Il riconoscimento dimensionale degli aspetti pseudoallucinatori negli individui con PISD si accorda con il dato di alta comorbilità tra esposizione a traumi e PTSD che viene osservata nei pazienti con disturbi psicotici primari (Bernard et al. 2006, Fuller 2010, Hardy et al. 2005, Krabbendam 2008) e con il dato risaputo che l’esposizione a eventi traumatici costituisca un fattore di rischio per i disturbi psicotici primari, come rilevato da ampi studi epidemiologici (Shevlin et al. 2008). La presenza di allucinazioni caratterizza un sottotipo diagnostico della depressione maggiore: questo fornisce un precedente per fare lo stesso in altri disturbi, correlati a traumi. Tuttavia è importante non confondere le pseudoallucinazioni con l’esperienza dei flashback, dal momento che questi ultimi di solito comprendono un’esperienza allucinatoria (Brewin et al. 2010, Hellawell e Brewin 2004). È importante inoltre sottolineare

la natura non psicotica dei sintomi, vale a dire che questi si presentano di frequente, ma in modo transitorio, come percezioni sensoriali alterate,

tipicamente associate a stress intenso. Preferiamo quindi il termine pseudoallucinatorio rispetto a pseudopsicotico, dal momento che quest'ultimo potrebbe suggerire la presenza di deliri e di caratteristiche aggiuntive del disturbo di pensiero che non sono evidenziabili nei disturbi correlati a traumi e potrebbero rappresentare terreni appropriati per diagnosi differenziali tra questi ultimi e i disturbi psicotici (Hamner et al. 1999).

Per esempio, Hamner e colleghi (2000) hanno osservato che le allucinazioni uditive clinicamente gravi erano presenti in modo equivalente in veterani di guerra con PTSD e in individui con schizofrenia: i soggetti con schizofrenia si distinguevano solo per un modo di pensare palesemente delirante e per il disturbo del pensiero. Sautter e colleghi (1999) hanno

ottenuto

esiti simili quando

hanno

messo

a confronto

persone con PTSD e pscudoallucinazioni e un gruppo misto di individui con diagnosi di schizofrenia, disturbo schizoaffettivo o depressione maggiore con tratti psicotici. In ogni caso l'etichetta pseudo che introduce ciascun termine ha l'intenzione di porre una differenza tra questi sintomi e i segni genuini di psicosi. D'altro canto il termine non intende significare “non reale”: è necessaria quindi cautela per assicurarsi che i pazienti non sbaglino l’uso di tale termine, perché questo potrebbe invalidare la

140.

La cura del sé traumatizzato

loro esperienza soggettiva. I fenomeni riconosciuti nella categoria degli aspetti pseudoallucinatori comprendono di solito sentire voci, come già discusso in precedenza, ma anche altre percezioni sensoriali alterate quali allucinazioni visive, olfattive e tattili transitorie. In confronto con le esperienze di udire voci, la fenomenologia degli altri tipi di pseudoallucinazioni in associazione con l'esposizione a traumi è stata esplorata meno

attentamente.

Nelle nostre valutazioni cliniche,

condotte prevalentemente su donne con resoconti originali annoveravano: vedere striscianti” sulla pelle o al disotto di essa; sul pavimento; sentire odori che altre

PTSD legato a traumi infantili, i o avere la sensazione di “insetti vedere topi o scarafaggi correre persone non avvertivano (feci,

urina, puzza di sudore o fumo). Possono venir provate anche allucinazioni

tattili come l’intorpidimento fisico di determinate sensazioni corporee, più spesso nelle mani, come per esempio non essere in grado di sentire le proprie mani, spesso accompagnato da una sensazione di distacco e di non appartenenza delle proprie mani, anche se di solito applichiamo a questi sintomi l’etichetta di segni di depersonalizzazione piuttosto che quella di pseudoallucinazione. I partecipanti inoltre riferiscono spesso di sentirsi sporchi da dentro, vale a dire che non solo la pelle, ma che anche i loro organi interni sono stati resi in qualche modo sporchi e disgustosi. Questa esperienza è particolarmente evidente nel caso di incesto multiplo, dove spesso sembra rappresentare la controparte fisica incarnata del profondo senso di vergogna, rappresentato dall’esperienza di vivere se stessi come “sporchi” e “contaminati”. Queste esperienze sono frequentemente causa di autolesionismo. Allucinazioni olfattive sono generalmente collegate al contenuto di eventi traumatici, ma dovrebbero essere classificate come tali solo quando si verificano al di fuori dell’esperienza riconosciuta di un flashback. Quindi, per esempio, i partecipanti potrebbero avvertire talvolta il forte odore di sigarette o di carburante mentre altre volte no. Sebbene tali stimoli possano essere storicamente significativi per il soggetto, potendo essere per esempio associati a chi ha commesso l'abuso, la consapevolezza della persona nei momenti pseudoallucinatori non necessariamente può causare paura o

riviviscenza. Generalmente

in

accordo

con

queste

impressioni

cliniche,

Teicher e colleghi (1997) hanno suggerito che sintomi simili a quelli pseudoallucinatori potrebbero essere dei segnali di disfunzione del sistema limbico e del lobo temporale nelle persone con traumatizzazione cronica. Questa ipotesi si basa sul fatto che esperienze simili sono frequentemente riferite da pazienti che soffrono di epilessia del lobo temporale

(Teicher

et al.

1993).

Questi

ricercatori

hanno

inoltre

dimostrato che i sintomi pseudoallucinatori sono correlati a esperienze dissociative e che gli individui con storie di eventi traumatici avvenuti in fasi precoci di vita mostrano spesso nell’EEG anormalità non specifiche nel lobo temporale (Teicher et al. 1997). Oltre a correlarsi ad anormalità

4. La coscienza del pensiero

141

nel lobo temporale nell’EEG, la dissociazione è stata correlata anche con

alterazioni del lobo temporale valutate mediante neuroimaging funzionale

(Simeon et al. 2000, Lanius et al. 2002, Hopper et al. 2007, Reinders et al. 2006, Sar et al. 2007, Saxe et al. 1992). È interessante notare a questo

riguardo che anche Penfield e Rasmussen (1950) avevano riferito sintomi

dissociativi (per es. depersonalizzazione) in risposta alla stimolazione del giro temporale superiore e mediano durante interventi di neurochirurgia.

La ricerca futura dovrebbe esplorare ulteriormente l’associazione tra lobo temporale e percezioni sensoriali alterate come allucinazioni visive, olfattive e tattili transitorie in persone traumatizzate. Tale ricerca potrebbe avere importanti implicazioni per la diagnosi differenziale di individui traumatizzati che presentano spesso quadri sintomatici complessi. Sintomi di anormalità nel lobo temporale comprendono: 1) illusioni/allucinazioni

olfattive (per es., avvertire

odori che gli altri

non percepiscono come quello di feci, urina, decomposizione, sudore o fumo); 2) illusioni/allucinazioni gustative (per es., cattivi sapori in bocca, come un gusto metallico, che possono andare e venire senza ragioni particolari); 3) illusioni/allucinazioni ottiche (per es., vedere, nella visione periferica, stelle, insetti, topi, vermi, filamenti); 4) illusioni di movimento

(per es., percepire

movimenti

nella visione periferica);

5) illusioni/

allucinazioni tattili (per es., avere la sensazione di insetti che brulicano

sul corpo o di qualcosa che sfiora la pelle come una ragnatela); 6) acufeni episodici

(tintinnii,

ronzii, fruscii

e rumori

ritmici

nelle orecchie

che

vanno e vengono senza alcuna ragione) (Roberts et al. 1990). Quanto segue fornisce un esempio clinico di pseudoallucinazioni. Caso

1: TRASC

lWcaso

MULTISENSORIALE

dior

una

E PSEUDOALLUCINAZIONI

donna

*di»x (48

IN LORI

lannitche:triteriva

una

complessa sintomatologia con voci e una pletora di altre esperienze pseudoallucinatorie, fornisce l'opportunità di valutare la diagnosi differenziale di sintomatologia pseudoallucinatoria associata a TRASC rispetto a quella associata a psicosi vera e propria. Lori

riferiva

una

storia

dettagliata

di abuso

infantile,

sessuale

e

psicologico, accaduto per mano di un bidello di scuola e di alcuni vicini di casa di sesso maschile, tra i 4 e i 18 anni. Riferiva inoltre di essere stata

trascurata e abusata emotivamente e psicologicamente da sua madre. AI momento della valutazione clinica viveva un legame matrimoniale in cui erano presenti violenze emotive e fisiche e aveva tre figli adolescenti/ giovani adulti di 15, 18 e 22 anni. Sul versante finanziario, era sostenuta

dallo stipendio del marito e dagli assegni della sua invalidità. Aveva lavorato come infermiera fino a quando si era ammalata, 15 anni prima della valutazione clinica. A partire da allora Lori aveva avuto oltre 50 ricoveri psichiatrici di durata variabile tra i 3 giorni e i 6 mesi. In questo periodo le erano state fatte diagnosi di disturbi psichiatrici

142.

La cura del sé traumatizzato

multipli che comprendevano: disturbo schizoaffettivo, disturbo bipolare, depressione maggiore, disturbo d’ansia, disturbo borderline di personalità e disturbo schizotipico di personalità. Aveva inoltre presentato sintomi di distimia nel corso di maggior parte della sua vita, che si inframmezzavano a periodi di depressione maggiore che potevano durare da qualche settimana a mesi, durante i quali era di fatto invalida. Lori affermava che spesso si sentiva come se fosse “sopra a delle montagne russe emotive”,

dal momento che non aveva alcun controllo sulle proprie emozioni. Inoltre lamentava di provare una rabbia intensa che di solito rivolgeva verso di sé con atti di autolesionismo (tagli e bruciature). Questi danni

che si autoinfliggeva non avevano l'intenzione di ottenere l’attenzione degli altri né erano un tentativo di suicidio. Piuttosto si faceva del male con la motivazione esplicita di essere “cattiva” e di “meritarsi una punizione”. Talvolta si ritrovava anche a spendere quantità eccessive di denaro, quando si sentiva particolarmente a disagio con se stessa. Tuttavia negava di aver provato periodi lunghi (più di 1 o 2 giorni) di maggiore energia o mania e negava di avere avuto bisogno di meno ore di sonno durante tali periodi. Tra l’altro non aveva una storia familiare di disturbo bipolare. I suoi cambiamenti di umore si verificavano nel giro di minuti piuttosto che di giorni o settimane, e quindi non venne considerata affetta da un disturbo bipolare. Lori riferì inoltre di non aver avuto problemi di abuso di sostanze, né nel presente né in passato. Venne inviata, per la diagnosi e il trattamento, a una clinica specializzata in traumi, dopo che la sua terapeuta aveva scoperto che Lori aveva una storia di eventi traumatici, gravi, irrisolti e cronicizzati, che sembrava impedire qualunque stabilizzazione mediante i comuni trattamenti psichiatrici che aveva ricevuto prima di allora. Relativamente alla valutazione, Lori confermò sintomi gravi di reviviscenza, di evitamento e di iper-arousal coerenti con la diagnosi di PISD. Era tormentata da flashback visivi, uditivi e somatosensoriali ricorrenti,

durante

i quali si sentiva

come

se stesse

rivivendo

le sue

esperienze traumatiche passate. Lori confermò anche la presenza di attacchi di panico, che si verificavano

almeno

due volte a settimana;

erano di solito innescati da ricordi relativi agli abusi del passato e furono classificati

in maniera

concorde

tra i sintomi

di PTSD.

Oltre

a ciò,

Lori soffriva dei classici segni di dissociazione, per esempio, riferiva di “perdere il filo del tempo” (senza essere in grado di ricordarsi quello che aveva fatto per un’ora o anche più) diverse volte a settimana, così come

talvolta non riusciva a riconoscersi quando si guardava allo specchio. Lori diceva di sentire cinque voci diverse che “litigavano” nella sua testa praticamente quasi di continuo. Affermava che una delle voci sembrava essere quella di una bambina e che spesso la sentiva piangere. Riferiva anche di sentire una voce che la criticava gridando ripetutamente: “Sel così stupida! Non riesci a combinarne una giusta!”. Un’altra voce occasionalmente le forniva rassicurazioni, dicendo “così si fanno le cose”.

4. La coscienza del pensiero

143

Provando a confrontarle con le altre, Lori non fu in grado di specificare la

natura di mia testa a sentire anch'esse

altre due voci, precisando che spesso “il volume delle cose nella diventa così alto che riesco a malapena a sopportarlo”. Oltre voci, Lori riferiva altre esperienze, che vennero considerate di natura pseudoallucinatoria. Vedeva insetti nella sua visione

periferica almeno

una volta al giorno, tuttavia, quando, avvicinandosi,

cercava di vederli meglio, quelli sparivano. Le capitava anche spesso di provare la sensazione di insetti che le strisciavano sulla pelle. A Lori vennero somministrate le interviste cliniche strutturate per il DSM

SCID-I, SCID-II,

SCID-D

per la valutazione

dell’asse I, dell’asse

II e dei disturbi dissociativi e, per la valutazione del PTSD, la CAPS (Clinician Admnistered PTSD Scale). Furono soddisfatti i criteri per cinque diagnosi: PISD, disturbo depressivo maggiore (ricorrente), distimia, disturbo borderline di personalità e disturbo dissociativo non altrimenti specificato. In assenza di segni di altri sintomi psicotici, come deliri, inserzione, furto o trasmissione del pensiero o idee di riferimento e per la presenza di insight riguardo alla natura insolita delle sue esperienze, non furono considerati soddisfatti i criteri diagnostici per un disturbo psicotico. Una teoria emergente afferma che le persone che presentano un disturbo di depersonalizzazione mostrano molta della fenomenologia che in precedenza era stata considerata di esclusiva pertinenza della schizofrenia (Sass et al. 2013). Lori venne poi sottoposta a un EEG in cui non era presente alcuna traccia di epilessia del lobo temporale. Trame discontinue: la struttura delle narrative traumatizzate

Il famosoflusso di coscienza di James (1890) descrive lo scorrere nel tempo del pensiero come normalmente continuo e non casuale (intelligibile). Abbiamo già discusso nel capitolo 3 il fatto che tutti noi tendiamo a vivere gli eventi non come una serie disgiunta di momenti distinti nel tempo ma

con un senso

di continuità, come

un fluire senza

interruzione

da

un passato prossimo, a un presente e a un futuro anticipato. Allo stesso modo abbiamo parlato del fatto che la coscienza somiglia a una storia che presenta una sequenza logica; le nostre storie hanno di solito un’ovvia struttura inizio-centro-fine, con il finale che rappresenta anche l’inizio del momento successivo o della “storia” seguente. Tuttavia, come si evince dai dati di letteratura che seguono, gli studi clinici descrivono

che, nelle persone

traumatizzate,

sia i ricordi

traumatici che le loro esperienze coscienti attuali giorno per giorno non solo includono contenuti auto-referenziali negativi, ma spesso presentano anche una significativa disorganizzazione. Le “storie” dei ricordi traumatici, in particolare, spesso sono vissute e raccontate come un insieme sparpagliato di frammenti sensoriali e di lampi di sensazioni emotive. Tali storie possono contenere alcune informazioni generali e spesso mancano di coerenza o di flusso temporale. Inoltre, nella persona

144.

La cura del sé traumatizzato

con trauma complesso anche i momenti della vita di ogni giorno sono frequentemente costruiti in maniera simile. Alcune delle esperienze stratificate

di

persone

traumatizzate

sono

estremamente

confuse,

disordinate e caotiche. Se vogliamo sviluppare un’analogia per descrivere la struttura dell'esperienza narrativa traumatizzata, non bisogna immaginare una foglia cadente che galleggia sopra il delicato flusso di coscienza di James, mentre segue una corrente organizzata verso una destinazione piena di significato. Dobbiamo piuttosto immaginare delle mani che cercano disperatamente di aggrapparsi a una zattera in frantumi, mentre quest'ultima viene ribaltata da una corrente d’acqua violenta e turbolenta. Nelle narrative di traumi spesso ci schiantiamo contro poderose onde di paura, disgusto, colpa, vergogna e rabbia; possiamo trovarci ad attraversare oceani oscuri di tempo scomparso, con poche e ben distanziate isole di coerenza e di comprensione profonda. Raramente riusciamo ad arrivare a una qualche conclusione che porti chiarezza o senso compiuto. Potendosi appigliare solamente a una zattera rotta l’onnipresente rischio è quello di lasciare la presa e annegare, andando sempre più a fondo. Per la persona con trauma complesso l’esperienza e i ricordi traumatici creano una risacca che afferra la coscienza in maniera potente. Non appena il ricordo o il processo dissociativo prende piede, la coscienza viene sommersa e la persona resta momentaneamente, (anche se sembra per sempre) senza respiro. Gli studi innovativi di van der Kolk e Fisler (1995) e di Foa (Foa, Molnar

et al. 1995) hanno dimostrato in modo oggettivo che il racconto ripetuto di ricordi traumatici da parte di persone traumatizzate spesso non mostra una struttura narrativa coerente. Secondo quanto misurato mediante la loro Intervista sui Ricordi Traumatici (7raumatic Memory Interview) V 11%

degli individui esaminati da van der Kolk e Fisler erano “incapaci di raccontare una narrativa coerente [dell'evento traumatico] che avesse un inizio, una parte centrale e una fine” (p. 517). Inoltre, in accordo

con il presupposto del nostro modello 4-D che la disorganizzazione della narrativa sia indicativa di un TRASC

del pensiero, van der Kolk e

Fisler hanno scoperto che la tendenza a non essere in grado di fornire un racconto coerente di ricordi traumatici era moderatamente correlata con differenze individuali nella dissociazione di tratto. Come da loro osservato, gli eventi traumatici venivano raccontati in un modo metteva in risalto descrizioni sensoriali frammentate e sconnesse,

che che

probabilmente rispecchiano la struttura nella quale il ricordo traumatico stesso è stato codificato. Foa e colleghi (1995) hannosviluppato, inmaniera analoga, uno schema per codificare in modo sistematico il modo in cui vengono organizzati i ricordi traumatici a livello strutturale. Il loro approccio comprende

la misura

della frequenza

di “frammentazione”,

che rispecchia

la

“mancanza di scorrevolezza nel racconto; la codifica [del ricordo] consiste

4. La coscienza del pensiero

145

in ripetizioni, pensieri lasciati a metà e discorsi riempitivi” e in “pensieri disorganizzati” che implicano confusione o modalità di pensiero sconnesse (per es.: “Non so cosa sia successo finché...”) (p. 684). Questi autori hanno

esaminato il cambiamento nella struttura narrativa che si verificava nel corso del trattamento clinico [n.d.t.: NET- Narrative Exposure Treatment]. Utilizzando una terapia di esposizione prolungata hanno osservato che la diminuita frammentazione nel racconto del trauma era correlata con un miglioramento nei sintomi ansiosi e l’accresciuta organizzazione della narrativa era associata con miglioramento dei sintomi depressivi. Molti studi che esaminano la struttura delle narrative del trauma sono stati condotti a partire dalle fondamentali osservazioni di van der Kolk c Fisler (1995) e di Foa, Molnar e colleghi (1995) (vedi le rassegne di Brewin 2011, O’ Kearney e Perrott 2006, Rubin 2011). La ricerca che ha

messo in opera variazioni sulla metodologia originale di Foa e colleghi ha rivelato in modo affidabile la natura disorganizzata delle narrative di eventi traumatici negli individui con PTSD (Halligan et al. 2003, Jelinek et al. 2009, Jelinek et al. 2010, Jones et al. 2007). Jelinek e colleghi (2009) hanno mostrato che la disorganizzazione nella narrativa che risultava più marcata era specifica delle narrative di eventi traumatici e non aveva nulla in comune con altri ricordi in genere spiacevoli (ma non traumatici) di individui con PISD, malgrado il fatto che le persone traumatizzate abbiano percepito entrambi i loro ricordi (generalmente spiacevoli) sia traumatici che non, come disorganizzati. Una relazione di followup della ricerca di Jelinek e colleghi (2010) ha suggerito inoltre che la disorganizzazione narrativa è maggiore durante i momenti percepiti come “peggiori” all’interno del racconto del trauma, in concomitanza con una maggiore sensazione di riviviscenza durante la sua rievocazione, come identificato da un uso più frequente del tempo presente all’interno della narrazione (Jelinek et al. 2010, vedi anche Ehlers et al. 2004). O’ Kearney e colleghi hanno applicato nuove metodologie, derivate dalla ricerca sulla memoria autobiografica e dalle analisi linguistiche, all’indagine sulle narrative traumatiche (O° Kearney et al. 2011). La prima modalità di misura utilizzata da O'Kearney e colleghi è stata definita “coesione narrativa”, calcolata come frequenza oggettiva di connessioni tra frasi e proposizioni che determinano coesione spaziotemporale (per es., “dopo avermi colpito, io...”), coesione causale (per es., “sapevo di dover fare quello che lui mi ordinava, perché se non l'avessi fatto...”), relazioni cumulative (per es., “mi teneva ferma e mi soffocava”) o relazioni

comparative (per es., “mi disse che non mi avrebbe fatto male, ma...”). La

seconda misura è stata denominata “coerenza narrativa” e valuta a che livello le narrative dei partecipanti stabiliscono una storia coerente con un inizio, una parte centrale e una fine. La coerenza narrativa è valutata su una scala di 6 punti, che va da storie che sono evidentemente così “disorientate che chi ascolta non è in grado di capire” o “impoverite, che consistono in un numero insufficiente di frasi per poter riconoscere uno

146.

La cura del sé traumatizzato

schema”, a quelle che risultano maggiormente strutturate dal punto di vista cronologico, integrate e mature (“il racconto si sviluppa fino a un punto saliente, rimane lì, per poi risolversi”) (p. 718).

A differenza degli studi precedenti, O’ Kearney e colleghi non hanno trovato differenze significative tra le narrative di eventi negativi traumatici e quelle di eventi negativi non traumatici. Tuttavia hanno trovato che un maggior uso di congiunzioni causali nei racconti di trauma era associato con una minor frequenza di sintomi intrusivi e di evitamento. O’ Kearney ha tuttavia segnalato che il campione che era stato studiato non aveva sintomi di particolare gravità né esperienze di frequente esposizione a eventi traumatici. L'approccio metodologicamente sofisticato utilizzato da O'Kearney e colleghi dovrebbe quindi essere replicato in campioni dove siano maggiormente rappresentate situazioni di trauma cronico e nelle quali i sintomi dissociativi siano clinicamente significativi. In aggiunta, i ricercatori hanno esaminato misure linguistiche e di rango della coerenza valide per la globalità dei ricordi traumatici, invece di focalizzarsi su specifici “hot spot” (punti caldi) della narrativa, che avrebbero potuto presentare una disorganizzazione maggiore. Levine e colleghi hanno sviluppato il metodo dell’Intervista Autobiografica per valutare in modo sistematico le componenti strutturali della memoria episodica, tra cui per esempio lo svolgersi nel tempo attraverso momenti semidiscreti (Levine et al. 2002). Questa intervista

richiede ai partecipanti di scegliere e descrivere un evento in forma libera, includendo tutte le possibili componenti del ricordo che possono venire espresse. Dettagli specifici dell'evento vengono quindi quantificati nel protocollo trascritto dai ricercatori, con lo scopo particolare di distinguere i dettagli della memoria autobiografica chiaramente semantici rispetto a quelli episodici. La memoria autobiografica semantica si riferisce alla cognizione che qualcosa è accaduto, ma non è associata all’esperienza fenomenologica dell’accaduto. Per esempio, uno potrebbe sapere di essere andato a piedi al lavoro questa mattina, ma non avere sufficiente chiarezza esperienziale

del ricordo da essere in grado di ripetere nuovamente l’esperienza nella propria mente. Al confronto, spesso ci si riferisce alla memoria autobiografica episodica come alla sensazione e all’esperienza interna di sapere che qualcosa è accaduto. In altre parole, la memoria autobiografica episodica tende a coinvolgere l’atto di ricordare nella forma del rivivere in parte l’esperienza nella memoria (Tulving 2005; vedi anche il capitolo 3 sulla coscienza del tempo per un’argomentazione della differenza fenomenologica tra ricordare e rivivere). La memoria episodica è stata definita come un “viaggio nel tempo della mente”, all’indietro, fino al ricordo, in modo da poterlo nuovamente rivivere in una maniera relativamente fedele all'esperienza originale, dettagli sensoriali ed emotivi inclusi (Levine 2004, Tulving 2005). Per ottenere dei resoconti autobiografici episodici, viene richiesto ai

4. La coscienza del pensiero

147

clinici e ai ricercatori che somministrano l’Intervista Autobiografica di esplorare il dettaglio sensoriale ed emozionale, spiegando ai partecipanti:

“Sto cercando di farmi un quadro dell’evento nella mia mente”. La richiesta di dettagli sensoriali può comprendere la percezione di colori, suoni,

odori, sapori, sensazioni fisiche e l'aspetto che avevano le altre persone

(se presenti). Richieste di dettagli spaziali incarnati comprendono la posizione fisica in cui era la persona (per es., in piedi/ seduta/inginocchiata/ sdraiata), includendo la propria posizione rispetto ad altri: in questo modo sì tiene presente della prospettiva incorporata dell’esperienza. Infine,

le richieste di dettagli emozionali possono comprendere domande su cosa la persona stesse pensando c/o provando in vari momenti di tempo durante il corso dell’evento e se abbia la sensazione che siano accadute altre cose ma che non riesce a rammentarle. Il clinico-ricercatore che sta conducendo la valutazione chiede anche se l’evento è stato vissuto da una prospettiva di campo o da quella di un osservatore. Nella prospettiva di campo, una persona vive gli eventi in prima persona, come se fosse parte di quello che sta accadendo. Al confronto, nella prospettiva dell’osservatore, una persona vive gli eventi come un osservatore esterno o distaccato da questi ultimi, come se non facesse parte di ciò che sta accadendo. Per i nostri ScOpi, i termini prospettiva di campo rispetto a prospettiva dell'osservatore si sovrappongono del tutto a quelli, rispettivamente, di prospettiva in prima persona rispetto a prospettiva in terza persona e a quelli di prospettiva centrata rispetto a prospettiva decentrata. Attualmente stiamo utilizzando l’Intervista Autobiografica in uno studio di neuroimaging che esamina la natura dei ricordi traumatici in un campione di militari esposti a combattimenti. Il brano che segue è uno stralcio della descrizione di uno dei partecipanti, che è stato incoraggiato a raccontare la storia dei suoi commilitoni feriti dopo un'esplosione. E un esempio della frammentazione e disorganizzazione traumatica di un ricordo: Ricordo il sapore e l’odore della sabbia. Lo posso sentire ancora oggi. Il calore, è stato incredibile. L'odore del sangue e le barelle dappertutto. Le facce dei miei compagni, il dolore in cui si trovavano. Stavamo cercando di rientrare alla base. Non riesco veramente a ricordare cos'è successo poi. Continuo a pensare al mio compagno più vicino, ce l’ha fatta? E poi la sabbia, mi sembrava come se fosse su tutta la faccia.

Purtroppo, gli studi di newroimaging che utilizzano la metodologia della rievocazione immaginativa tramite copione dell’avvenimento traumatico non hanno esaminato nel dettaglio la struttura narrativa di tali copioni. Di solito questi ultimi sono costruiti in modo da contenere una scarna esposizione introduttiva, entrano nel dettaglio quasi solamente riguardo ai “momenti peggiori” e si concludono nel punto culminante bd bd

c

148.

La cura del sé traumatizzato

dell'evento traumatico. Inoltre, con lo scopo di poterli narrare, i clinici di solito riformulano gli script fornendo presumibilmente una coerenza di struttura spazio-temporale e causale, che potrebbe oltrepassare quella del ricordo così com’è realmente codificato. Gli studi che hanno utilizzato questa metodologia si sono orientati in primo luogo verso la natura dello stimolo che attiva il sintomo (in particolare nella sua parte emozionale e legata all’iper-arousal) e in secondo luogo sull’esperienza di riviviscenza (flashback). Queste ricerche non si sono quindi rivolte direttamente verso la struttura disorganizzata delle narrative di trauma ricercandone i correlati neurali: è necessario dirigere parte della ricerca futura verso questi temi. Riassumendo,

in casi estremi la natura frammentata

delle narrative

traumatiche implica la presenza di un processo dissociativo (van der Kolk e Fisler 1995), tuttavia le prove attuali sulla natura dissociativa della frammentazione narrativa restano per la maggior parte aneddotiche. Il modello 4-D considera solo casi estremi di disorganizzazione narrativa come indicatori inequivocabili di un TRASC di pensiero. Sono necessari ulteriori studi neurofenomenologici prima che tale ipotesi possa essere considerata comprovata. Curare la disorganizzazione narrativa nei ricordi traumatici

La terapia cognitivo-comportamentale tradizionale e le terapie narrative per il PISD possono incrementare l’organizzazione narrativa tramite il racconto ripetuto degli episodi traumatici (per es., Foa et al. 1995). All’interno della parte di approccio narrativo di una terapia d’esposizione e di ricerca di significato potrebbe essere utile, per alcuni pazienti, tracciare esplicitamente un grafico con la sequenza cronologica degli eventi traumatici che vivono come particolarmente disorganizzati. L'utilizzo di una sequenza cronologica costringe ad attenersi a una struttura lineare inizio-centro-fine e in questo modo i “buchi neri” nei ricordi diventano espliciti. Può essere d’aiuto anche incoraggiare i pazienti a segnalare il verificarsi dei “momenti peggiori” e di passaggi emotivamente “caldi”. In maniera più specifica i pazienti possono essere guidati a immaginare di tenere in mano una bacchetta magica, o un telecomando di un videoregistratore con cui possono rivedere, mettere in pausa, tornare indietro o guardare il ricordo a rallentatore o in bianco e nero, ogni volta che vogliono chiarire quello che è accaduto. Questa tecnica può talvolta portare a una sensazione di maggior controllo, che ha

spesso un'utilità terapeutica. Segnali cruciali di guarigione nella terapia

del trauma comprendono una maggiore organizzazione narrativa e una

minore disregolazione emozionale durante la rievocazione di ricordi traumatici. Un esempio di questo intervento è fornito nella figura 4.10.

4. La coscienza del pensiero

149

Figura 4.10. Un esempio di esercizio riflessivo che comprende il recupero di una narralttuva di trauma

SEQUENZA CRONOLOGICA DEL RICORDO TRAUMATICO Gioco con coniglietto di pezza in camera

Nonno entra per raccontare storia della buonanotte “Giochiamo a nascondino sotto le coperte” “Questo è un gioco

MSN addosso

segreto, se lo dici

Guardare in

a mamma e papà

giù dal soffitto.

ti porterò via il

Stringere

Sentire

coniglietto e gli

al petto il

restare in silenzio

Tu non vuoi che gli succeda questo,

freddo,

taglierò le orecchie.

XSTO:



Sapore in bocca

coniglietto

Leggere Cenerentola

La sequenza cronologica del ricordo traumatico può essere utilizzata come aiuto per elaborare il ricordo di un abuso sessuale infantile. Le frecce verso il basso segnano i punti approssimativi nel tempo che specificano momenti particolari del ricordo nel suo complesso. Intervalli ditempo mancanti nel ricordo sono evidenti tra gli ampi spazi che talvolta si verificano tra le frecce. Le ombreggiature della freccia orizzontale indicano i “punti caldi” emotivi nel ricordo. Con una tipica terapia di esposizione e narrazione focalizzata sul trauma, il “resto” della storia potrebbe essere riempito, mantenendo l’attenzione a pensieri, sentimenti e sensazioni fisiche.

Oltre a creare una sequenza cronologica del ricordo traumatico per specifici eventi, può anche essere utile coinvolgere il paziente nella creazione del cosiddetto “esercizio della linea di vita”, che rappresenta una parte della terapia di esposizione narrativa (Schauer et al. 2005). Questo esercizio comporta l'esame di tutti i principali eventi di vita positivi e negativi che sono accaduti nell'arco di vita della persona, in ordine cronologico. Il paziente viene incoraggiato a tracciare una linea che simboleggia la sua vita, con l’inizio (sul lato sinistro del foglio) che segna la sua data di nascita. Gli viene quindi chiesto di segnare ogni evento positivo o negativo in ordine cronologico con dei simboli a scelta; per esempio, una pietra può essere usata per le esperienze negative e una farfalla per quelle positive. Ciascun evento viene discusso man mano che il paziente lo segna sulla “linea della vita”. Questo esercizio può costituire uno strumento importante per l’identificazione di alcune esperienzechiave, sia negative che positive, nella vita di un paziente. Identificare

150.

La cura del sé traumatizzato

esperienze positive è particolarmente utile per i pazienti che hanno una lunga storia di traumi infantili e sintomi dissociativi significativi, che impediscono loro di essere in grado di rievocare la loro vita come una narrazione organizzata che comprende eventi positivi. CASO

2: LAVORARE

INTERNA

CON

LE VOCI

E LA COMPASSIONE

DISSOCIATIVE

PER AUMENTARE

LA SICUREZZA

DI SÉ

Gregory, presentato per la prima volta nel capitolo 2, è un uomo di 58 anni che si presentò lamentandosi di essere tormentato da “voci che urlano nella mia testa”. Descriveva l’esperienza, che durava da una vita, di udire la voce di un bambino che piangeva inconsolabilmente. Inoltre riferiva di sentire spesso la voce di un adulto che urlava “sta’ zitto! Spero che tu muoia!” Nella sua mente le voci si accompagnavano anche a immagini. Nonostante sentisse queste voci, Gregory non mostrava segni di disturbi del pensiero o allucinazioni. Gregory riteneva che la voce infantile rappresentasse una parte bambina di sé, che credeva di vivere ancora nel passato e di venire ancora

sottoposto ad abusi da parte dei genitori e dei nonni. Descrisse che questo “bambino interiore” si sentiva indifeso e disperato, proprio come si era sentito lui quando veniva abusato da ragazzino. D'altra parte, Gregory riferiva che la voce adulta esprimeva un’intolleranza progressiva nei confronti del bambino, perché quest’ultimo richiamava costantemente le difficili esperienze passate. A Gregory venne chiesto se fosse possibile visualizzare il bambino e l'adulto mentre comunicavano tra loro: lo scopo era integrare i reciproci punti di vista, valutando la possibilità che ciascuna delle voci potesse avere una funzione adattiva. Fu in grado di fare questo, anche se inizialmente si sentiva a suo agio solo se il bambino e l’adulto sì trovavano “ai capi opposti della stanza, senza comunicare”. Ciononostante, impegnarsi in questo esercizio di immaginazione portò Gregory a provare una tensione interna significativamente minore nel corso del tempo, ed egli notò che la frequenza con cui sentiva le voci diminuiva ogni volta che praticava l’esercizio. Inoltre, con il tempo, Gregory divenne capace di immaginare il senso di sé adulto e il senso di sé bambino avvicinarsi sempre di più tra loro e persino comunicare verbalmente. Per esempio immaginò che la voce adulta dicesse al bambino: “Il passato è andato. Sei al sicuro ora. Andrà tutto bene”. Questo coincise con una diminuzione dell’intrusività delle voci e Gregory dichiarò: “non urlano più. Ora mi sento molto più tranquillo dentro”.

Man

mano

che la comunicazione

tra la voce

adulta

e quella

infantile continuava a progredire, Gregory cominciò a provare molta più compassione verso se stesso e sentiva di meritarsi la possibilità di coinvolgersi in attività positive, tra le quali dipingere e passare del tempo nei boschi, due dei suoi passatempi preferiti. Gregory dipinse un'immagine che rappresentava la relazione appena scoperta tra il senso

4. La coscienza del pensiero

151

di sé adulto e il senso di sé bambino (figura 4.11). Notò che guardare questo dipinto lo aiutava a provare una maggiore gentilezza verso se

stesso e da allora lo utilizza spesso come risorsa per superare i momenti di stress.

Figura 4.11. L’opera di Gregory (2009): “Adulto e bambino”. Riproduzione autorizzata

Riassunto

In questo capitolo abbiamo paragonato l’esperienza cosciente a una storia raccontata in prima persona. Abbiamo preso in considerazione tre possibili modi in cui la coscienza narrativa delle persone traumatzzate può essere alterata, in termini di 1) contenuto, 2) prospettiva narrativa (vale a dire, prima persona versus seconda persona), 3) organizzazione (ovvero la “trama” della storia). Sono stati passati in rassegna gli studi che mostrano che un’alterazione del mondo interno sia un esito frequente di eventi traumatici. Le persone traumatizzate riportano in genere pensieri autoreferenziali negativi, spesso legati a ricordi che autodefiniscono il sé. Tuttavia, fin quando i pensieri di una persona mantengono la qualità di una prospettiva narrativa in prima persona, il modello 4-D indica che tali esperienze, sebbene disturbanti e stressanti, non sono necessariamente

indicative di un TRASC di pensiero. Quando invece i pensieri vengono

152.

La cura del sé traumatizzato

vissuti attraverso

una prospettiva in seconda

persona,

come

le voci

personificate di altri, il modello 4-D classifica l’esperienza vissuta come

TRASC di pensiero.

Abbiamo fatto una rassegna degli studi che documentano come molte persone psicologicamente traumatizzate vivano l’esperienza di tali voci. Al soggetto sembra che spesso le voci si “rivolgano” a lui secondo modalità

che assomigliano al modo in cui fu trattato in passato. Abbiamo inoltre passato in rassegna i risultati degli studi di neuroîmaging sull’elaborazione autoreferenziale (SRP) e sull'esperienza di sentire voci: da queste ricerche

si evince ulteriormente che l’esperienza del pensare in prima persona scaturisce da processi neurofisiologici distinti da quelli legati all'esperienza di sentire voci in seconda persona. Abbiamo inoltre fornito una panoramica della letteratura che esamina la disorganizzazione narrativa nei ricordi traumatici. È stato osservato che, nelle persone traumatizzate, i ricordi

traumatici e le esperienze quotidiane risultano spesso significativamente disorganizzate: questo fatto può essere considerato come indizio della presenza di un TRASC di pensiero. Abbiamo fatto anche una breve panoramica di altre esperienze pseudoallucinatorie solitamente riferite da persone gravemente traumatizzate, indicative di TRASC di pensiero. Abbiamo preso in considerazione come la coscienza vissuta possa frammentarsi in multiple sensazioni di agency (agentività) e di ipscità: ipotizziamo che questa situazione sia alla base del disturbo dissociativo dell’identità. Abbiamo infine analizzato alcuni interventi psicologici strutturati che potrebbero essere utili per ridurre il malessere e per normalizzare il TRASC di pensiero nelle persone con trauma complesso.

CAPITOLO 5

La coscienza del corpo. Depersonalizzazione e derealizzazione — Quando il mondo è strano e il corpo è estraniato

Il corpo tiene il conto.

Bessel van der Kolk (1994, p. 253) Qualunque cosa accada nella tua mente accade nel tempo e nello spazio relativi all'istante di tempo in cui si trova il tuo corpo e alla regione dello spazio occupata dal tuo corpo [...J. Inoltre, la prospettiva esperienziale non solo aiuta a situare gli oggetti reali ma aiuta anche a situare le idee [...]. Allo stesso modo la titolarietà [ownership] e l’agentività [agency] sono interamente correlate a un corpo, in uno specifico istante e în uno specifico spazio”.

Antonio Damasio (1999, p. 145)! Durante la specifica esperienza dell'essere fuori dal corpo il soggetto si percepisce collocato in qualche altro luogo rispetto a dove sa che è il proprio corpo fisico [... mentre] è concetti di spazio, tempo e ubicazione [continuano] ad avere senso. È inoltre presente la sensazione di non avere contatto con il corpo fisico, una sensazione di temporanea

disconnessione da esso.

Charles Tart (1998, p. 77)°

Quasi tutte le culture occidentali condividono ormai l’idea che mente e

corpo siano connessi all’interno di uno spazio fisico. La nostra esperienza ! Da Damasio A. (1999). The feeling of what happens: Body and emotion in the making ofconsciousness. Harcourt College Publishers, Fort Worth. Tr. it. Emozione e coscienza. Adelphi, Milano 2000. ? Da Tart C. (1998). Six studies of out-of-body experiences. Journal of Near Death Studies 17,77.

154.

La cura del sé traumatizzato

della mente deriva dal cervello, che ovviamente è situato all’interno del corpo nella sua interezza. Certamente esistono anche concezioni astratte del sé che concepiscono forme diverse di esperienza ed esistenza € descrivono sensazioni di titolarietà (ownership) e agentività (agency), che si

estendono al di là dei limiti fisici del corpo individuale. Per citare alcuni esempi semplici esistono teorie che estendono il concetto di sé attraverso l'affiliazione a un collettivo sociale (per es. famiglia, nazionalità) e in molte religioni la nozione centrale è rappresentata dall'idea che noi siamo fondamentalmente essenze spirituali e la nostra coscienza sopravvivrà alla morte dei nostri corpi. Ma rimanendo all’interno del campo della biologia e mettendo da parte per ora nozioni astratte del sé di tipo psicologico, sociale o religioso, non possiamo fare a meno di notare che, nel senso più primordiale, chi siamo è essenzialmente contenuto nella nostra pelle. Tuttavia come suggerisce Damasio (1999), lo spazio fisico non è l’unica modalità all’interno della quale la mente, il corpo e il sé entrano in connessione. Mente, corpo e sé sono collegati anche all’interno dello spazio esperienziale: la nozione che il nostro senso di sé è incarnato nel corpo descrive il fatto che le nostre esperienze coscienti sono fondamentalmente orientate in relazione al corpo. Normalmente la nostra esperienza si rivela a noi sorgendo da un luogo all’interno del nostro sé fisico. Posto che, come specie dotata di coscienza, tendiamo a identificarci con i nostri pensieri (cfr. Cartesio:

“Penso

dunque

sono”),

normalmente

rivendichiamo

il

nostro corpo come propriamente nostro; vale a dire, sperimentiamo un senso di titolarietà sopra il nostro corpo. Di solito ci sembra che la nostra mente sia dov'è il nostro corpo; conseguentemente ci riferiamo al nostro corpo come 20 e mo.

In questo capitolo tuttavia esploriamo modalità attraverso le quali il normale “matrimonio” tra esperienza autoreferenziale e corpo può andare incontro a un divorzio, in risposta a un trauma psichico. L’esito fenomenologico di questa divisione è rappresentata dal fatto che le persone sperimentano se stesse come separate dal loro corpo e vivono il loro corpo, in modo totale o parziale, come qualcosa d’altro rispetto a sé. Esperienze simili vengono riportate comunemente da persone cronicamente traumatizzate, specialmente in periodi di acuti iperarousal, ipo-arousal o stress emozionale; nella nomenclatura psichiatrica questi fenomeni sono chiamati sintomi di depersonalizzazione e conversione, come i sintomi simil-neurologici senza cause neurologiche conosciute. Altri autori, tra cui Charles Tart (1998) che abbiamo citato in apertura di capitolo, le chiamano esperienze fuori dal corpo 0 extracorporee. La figura 5.1 sottolinea la dimensione della coscienza dell’essere un corpo (embodiment) nel modello 4-D. In breve, il modello 4-D sostiene

che le più chiare situazioni di malessere accompagnate da dis-embodiment (senso di essere dis-incarnati) sono rappresentate dalle esperienze extracorporee complete e da altre forme parziali di depersonalizzazione e conversione, come la sensazione di non essere proprietari di un arto

5. La coscienza del corpo

155

o di viverlo come paralizzato. Il modello 4-D suggerisce che questi stati alterati di coscienza correlati a traumi (TRASC) legati al corpo debbano essere distinti da stati di malessere a coinvolgimento corporeo che, a paragone, appaiono più semplici, a livello per esempio fenomenologico e durante i quali viene mantenuta la coscienza normale in stato di veglia (CNV) del corpo: esempi sono le forme di iper o ipo-arousal fisiologico durante le quali vi è la consapevolezza corporea che la respirazione o la frequenza cardiaca stanno aumentando o diminuendo. Descriveremo anche esercizi psicoterapeutici che possono alleviare i TRASC corporei, esercizi basati principalmente su pratiche di mindfu/ness e, tra essi, in

particolare il ‘body-scan’ sviluppato all’interno del protocollo MBSR (Kabat-Zinn 1990). Nel corso del capitolo descriveremo inoltre casi clinici di TRASC legati al corpo. Figura 5.1. // modello 4-D del sé traumatizzato, che distingue stati di grave stress CNV da TRASC (vedi in particolare il riguadro Corpo)

Flashback, Reviviscenza,

Sentire voci .

Depersonalizzazione

Frammenta-

zione

in rassegna le ricerche riguardanti gli stati di Passeremo nei quali il senso del sé e del corpo sono vissuti come zione depersonalizza questi fenomeni hanno suscitato uno spiccato recentemente Solo separati. in seguito alla possibilità di riprodurli neuroscienze, nelle interesse sperimentali usando suggestioni inganni mediante sani in soggetti in questo modo la ricerca multisensoriali: percettive ipnotiche e illusioni

156.

La cura del sé traumatizzato

ha iniziato a identificare i correlati neurologici della depersonalizzazione.

Esamineremo gli studi neurofenomenologici che riconoscono, in queste esperienze, alcuni esiti comuni di traumi psicologici. Discuteremo anche le esperienze correlate di derealizzazione, durante le quali il mondo che circonda il soggetto appare strano o irreale.

La mente nel corpo: emozioni e azioni

l’embodiment

cosciente

di pensieri,

Abbiamo descritto il fatto che, ad eccezione (forse) di qualche strano filosofo scettico e di qualche monaco buddhista illuminato, l’esperienza

cosciente è per la maggior parte di noi di natura intrinsecamente referenziale. Ci sembra normale possedere i nostri pensieri, le nostre emozioni e i nostri comportamenti. Essenzialmente, percepiamo in

modo normale la presenza di un ‘To’ che sta avendo ognuna di quelle esperienze. Abbiamo l’esperienza che questi sono i nostri pensieri, le nostre emozioni e i nostri comportamenti, ovvero riconosciamo che questa è la nostra esperienza. In questo modo, la coscienza accoppia in modo fondamentale gli eventi dell'esperienza a un senso di sé, 0 ego. Esperimenti recenti in soggetti normali suggeriscono che il legame (intrinseco alla normale esperienza fenomenica) tra un soggetto percipiente e le sue percezioni consce può essere parzialmente mediato dall’embodiment della cognizione e dell’auto-rappresentazione (Tsakiris et al. 2007; Tsakiris 2010). Per come la utilizziamo in questo capitolo, la nozione di embodiment afferma che, nella coscienza normale in stato

di veglia, il cervello umano è pianificato per avere l’aspettativa e il sentimento continuo che i pensieri, le emozioni e le azioni emanino da uno spazio interno al sé fisico. In altri termini, all’interno della nostra esperienza è incorporato un segnale di provenienza, definito all’interno di uno spazio ego-centrico: crediamo di stare dove sembra provenire la nostra esperienza.

Se questo è vero, creare la falsa impressione che le nostre esperienze sensoriali emanino da un posto esterno alla loro vera fonte dovrebbe dislocare il senso di noi stessi al luogo della fonte illusoria. Alcuni esperimenti di psicologia e di neuroscienze hanno dimostrato che è in effetti così. Sono state indotte percezioni alterate bottom-up, mediante illusioni multisensoriali, così come attraverso suggestioni ipnotiche, che possono implicare processi top-down.

Modalità bottom-up di “perdita del corpo”: le illusioni percettive multisensoriali Probabilmente il più conosciuto trucco sperimentale per indurre un sentimento di “perdita del corpo” o dis-embodiment partendo dalle

5. La coscienza del corpo

157

sensazioni fisiche, cioè in modo bottom-up, è la cosiddetta “illusione della

mano di gomma”. Per creare questa illusione è necessario sfregare la vera mano del soggetto, ma nascosta alla sua vista, mentre, simultaneamente la persona vede, in piena vista, che viene sfregata una mano di gomma:

l’esperienza che ne risulta è che il soggetto “adotta” la mano di gomma

come se fosse sua (Botvinick e Cohen 1998). L'illusione della mano di

gomma” crea in questo modo una distorsione momentanea nello schema corporeo che è stata studiata in dettaglio con metodi fenomenologici e

psicometrici (Lewis e Lloyd 2010, Longo et al. 2008): è stato dimostrato che questa procedura ha anche effetti su processi fisiologici di base della mano vera (per es. sulla regolazione termica, Moseley et al. 2008). E importante notare che la confusione che sorge come risultato di questa illusione non è solamente una confusione puramente cognitiva e concettuale, ma si produce in modo bottom-up mediante una sensazione

percepita e incarnata: non pensiamo che la mano di gomma sia nostra, ma la sentiamo tale (Kikyo et al. 2002).

Studi successivi dimostrano che la stessa esperienza che accompagna l’'“illusione della mano di gomma” può venire suscitata, in modo simile, da illusioni multisensoriali su altre parti del corpo. Una delle più interessanti è quella studiata da Sforza e colleghi che hanno esteso questo fenomeno al riconoscimento del proprio viso (Sforza et al. 2010). I soggetti della loro ricerca sperimentavano una stimolazione tattile facciale (un pennello che accarezzava la guancia), mentre in contemporanea vedevano un altro individuo ricevere lo stesso tipo di tocco: come risultato essi trovavano verosimile considerare l’immagine facciale trasformata dell’altro sé come se fosse pienamente la loro e riportavano esperienze come “ho sentito come se il viso dell’altro fosse il mio viso” (titolarietà facciale alterata) e

“sembrava che il tocco che sentivo fosse causato dal pennello che toccava il viso dell’altro” (sensazione riferita alterata); Sforza e coll. hanno definito la loro illusione “enfacement”, ovvero un embodiment (incarnazione)

della faccia dell’altro. Sebbene nelle “illusioni della mano di gomma” e dell’“enfacement” i partecipanti sono orientati in modo passivo verso l’esperienza, ricevendola, è possibile indurre un senso di agentività o agency corporea, ovvero un senso del controllo percepito sulle proprie azioni corporee, orientato verso oggetti non-self come per esempio un robot: perché ciò avvenga è necessario che i movimenti dell’oggetto siano sincroni con i movimenti corporei desiderati. Ciò fu dimostrato variando in modo sistematico (1) la temporizzazione relativa dei movimenti delle dita nella mano reale e in quella di gomma (per es., temporizzazione sincrona oppure asincrona); 2533

(2) la natura

del movimento

(attivo vs passivo); (3) quali movimenti

venivano messi in atto (attivi vs passivi). Si è scoperto che l’asincronia del movimento aboliva sia il senso di titolarietà (ownership) che quello di agentività (agency). In contrasto, movimenti passivi eliminavano il senso di agentività, ma preservavano il senso di titolarietà, mentre un incongruo

158.

La cura del sé traumatizzato

posizionarsi della mano di gomma diminuiva il senso di titolarietà, ma lasciava intatto il senso di agentività. Per questo motivo si è proposto che ownership € agency siano processi cognitivi coscienti indipendenti, ovvero l’esperienza del soggetto di essere il “proprietario” di un oggetto intorno a sé facendolo diventare parte del proprio sé fisico è distinta dall'esperienza di essere in grado di mettere in atto comportamenti € eseguire azioni attraverso tale oggetto (Kalckert e Ehrsson 2012). Queste illusioni dislocano solamente una parte del sé fisico su un oggetto non-sé equivalente, mentre altri inganni sperimentali possono anche estendere il corpo fisico (per es. accarezzare due braccia esterne mentre sì accarezza simultaneamente un braccio del partecipante produce in quest’ultimo l’esperienza di possedere un secondo braccio destro; Ehrsson 2009), oppure rimuovere una parte dal corpo fisico (per es., accarezzare un manichino nel punto un cui al manichino manca una mano causa nei partecipanti l’esperienza della scomparsa della propria mano analoga, Schmalzl e Fhrsson 2011a, 2011b).

È importante comunque notare che in nessuna delle illusioni menzionate risultava dislocata in modo significativo la specifica posizione

fisica percepita del sé. Per esempio i partecipanti all'esperimento di “enfacement”

di Sforza et al. (2010) non arrivarono ad affermare “ho

sentito come

se la mia faccia si spostasse verso la faccia dell'altro”, né

“sembrava che il tocco che sentivo venisse da qualche punto tra la mia faccia e quell'altra”. Le esperienze che abbiamo descritto comportano quindi una “perdita del corpo” solo parziale: durante tali situazioni il senso del sé mantiene connessioni con il nucleo centrale del corpo, anche se parti dello stesso corpo vengono percepite come dislocate nello spazio fisico o distorte nella forma o nell’immagine. La sensazione di una piena esperienza extracorporea è stata comunque indotta con successo tramite illusioni percettive, ottenute con chiarezza negli esperimenti condotti da Ehrsson (2007) e altri (Lenggenhager et al. 2007, Lenggenhager et al. 2009). Nell’esperimento originale di Ehrsson i partecipanti vedevano una diretta video in tempo reale di loro stessi ripresa da telecamere poste a 2 metri dietro di loro, durante la quale uno sperimentatore posizionato nel campo della diretta li toccava con una bacchetta sul torace e nello stesso tempo toccava la telecamera nella posizione possibile del loro torace se avessero occupato la posizione fisica della telecamera. L'effetto soggettivo di questo esperimento era per i partecipanti l’esperienza di percepirsi nel posto della telecamera, dislocando così pienamente sia il senso fisico che quello soggettivo del sé a 2 metri dietro la loro posizione effettiva. Una variante di questa illusione, denominata body-swap (scambio del corpo), causa nei partecipanti la trasposizione del loro senso del sé nel corpo di un manichino; i soggetti sono cioè capaci di “sentire” il contatto praticato sul manichino e conseguentemente sperimentano quel corpo come il loro (Petkova e Ehrsson 2008, Petkova et al. 2011). Questa illusione

5. La coscienza del corpo

159

è stata ripetutamente suscitata in individui sani attraverso osservazioni di un corpo artificiale mediante occhiali di realtà virtuale connessi a videocamere montate sulla testa di un manichino. La telecamera è

posizionata in maniera da guardare in basso verso il corpo del manichino, nella stessa posizione in cui i soggetti vedrebbero il loro corpo, a seconda dell’orientamento della testa. Seguendo l’inganno visivo, l’illusione di scambio del corpo viene indotta toccando in modo sincrono il manichino e il soggetto. Nel corso di questa esperienza avviene nel soggetto la perdita del senso di titolarietà sul proprio corpo. È sorprendente come questa esperienza extracorporea sia risultata abbastanza forte da ridurre la reazione fisiologica di stress nel momento in cui il corpo vero del

partecipante veniva minacciato con un coltello (Guterstam e Ehrsson 2012). Evidentemente il soggetto arriva a credere che il coltello (di fatto una minaccia potenziale diretta) sia meno preoccupante del suo corpo reale, basandosi sulla falsa presunzione che lui/lei che sta vedendo non

sia più il vero se stesso (Guterstam e Ehrsson 2012).

Suggestione ipnotica: “perdita del corpo” mediante un meccanismo top-down?

(dis-embodiment)

La tecnica multisensoriale della simultanea stimolazione tattile e visiva usata nei metodi descritti precedentemente può essere considerata un approccio bottom-up per alterare la fenomenologia dell’embodiment. Questo accade perché è possibile cambiare l’esperienza corporea percepita modificando le sensazioni in ingresso. In effetti questi inganni rivelano in maniera impressionante come la stimolazione tattile del corpo, insieme a una percezione visiva congruente e plausibile, possa arrivare a ingannare la mente-cervello che a sua volta altera significativamente l’esperienza incarnata del sé. In confronto, l’ipnosi rappresenta un approccio noto da molto tempo a cui viene ampiamente riconosciuta la capacità di evocare significative distorsioni nel senso percepito del sé incarnato. Nel caso dell’ipnosi l’esperienza corporea percepita viene alterata non attraverso vie afferenti dalla periferia (sensazioni) bensì, presumibilmente, mediante vie efferenti

centrali (suggestione). Nell’ipnosi la mente è ingannata direttamente, portando ad effetti sul modo in cui il corpo si esperisce, o solo a livello di rappresentazione centrale, oppure con effetti a valle, sulla periferia corporea mediante vie efferenti che ancora non sono ben conosciute. La storia clinica e scientifica dell’ipnosi, sia come terapia che come metodologia sperimentale di alterazione della coscienza, è ricca € al tempo stesso controversa e non la passeremo in rassegna in questo volume: a questo scopo si rimanda al classico testo del 2004 di Spiegel e Spiegel Trance and treatment. Offriremo solo un rapido un rapido sguardo alla letteratura più recente riguardante ipnosi ed embodiment. Abbiamo assistito negli ultimi dieci anni a una rinascita della ricerca sull’ipnosi

160.

La cura del sé traumatizzato

e questo è dovuto in particolare al fatto che l'ipnosi è riconosciuta, all’interno delle neuroscienze, come una metodologia sperimentale rigorosa e viene sempre più promossa come modalità applicabile per indurre deficit neurocognitivi “virtuali” in soggetti sani, rendendo così testabili i modelli sviluppati per descrivere processi complessi che si pensa siano alla base di disturbi neurologici e neuropsichiatrici (Barnier e Oakley 2009, Cox e Barnier 2010, Oakley at al. 2007, Oakley

e Halligan 2009). Fin dal tempo di Charcot gli studiosi hanno supposto che i processi psicologici che sono alla base delle differenze individuali di ipnotizzabilità, in combinazione a eventi di vita traumatici, forniscono un modello di diatesi-stress per lo sviluppo di sintomi psicopatologici: in questo modello è possibile includere anche i quadri di dissociazione, sia psicoforme che somatoforme. Recentemente questo modello è stato corroborato da ricerche di neurotmaging. In particolare, studi di neuroscienze cognitive hanno delineato l’esistenza di similarità tra (1) i processi coinvolti nei sintomi dissociativi, (2) l’induzione ipnotica, (3) le alterazioni ipnotiche delle sensopercezioni,

incluse le reazioni al dolore. Questi processi comuni sembrano riguardare meccanismi top-down, realizzati primariamente attraverso zone cerebrali coinvolte nell’attenzione esecutiva e nella valutazione della salienza (rilevanza dello stimolo) come la corteccia prefrontale antero-dorsale e dorso-laterale e il cingolato dorsale (vale a dire le cortecce prefrontali dorso-anteriore e dorso laterale e il cingolato dorsale) e nella regolazione emozionale come le aree ventro-frontali (Bell et al. 2012, Hoeft et al.

2012). Inoltre una

maggiore

connettività funzionale

della corteccia

prefrontale dorsolaterale con la rete di salienza, (che include il cingolato antero-dorsale, l’insula anteriore, l’amigdala e lo striato ventrale) è stata

associata a quanto il singolo individuo è ipnotizzabile (Hoeft et al. 2012). La funzione fondamentale del network di salienza è quella di rilevare e integrare quali siano le informazioni più rilevanti (somatiche, autonomiche ed emozionali) nell'ambiente della persona: in questo modo il network di salienza motiva e guida, in modo sovraordinato, le condotte di avvicinamento ed evitamento. In uno studio su sette individui sani con alta suscettibilità ipnotica Réder e colleghi (2007) hanno indotto

nei soggetti esperienze di depersonalizzazione mediante istruzioni mirate a creare “un detachment del sé dal corpo [...] e incoraggiando a vedere il corpo dal di fuori, come nell’autoscopia” (p.116). La percezione

dei partecipanti dell’intensità del dolore si ridusse durante lo stato di depersonalizzazione indotta con ipnosi: questo avveniva sia quando i soggetti erano in stati di controllo vigile che in stati di rilassamento ipnotico. Inoltre la depersonalizzazione indotta con ipnosi risultò associata a una riduzione della risposta nella corteccia somatosensoriale primaria e secondaria, nel putamen controlaterale e nell’amigdala ipsilaterale, mentre i soggetti erano in stato di controllo vigile. A confronto, durante gli stati di rilassamento ipnotico la depersonalizzazione indotta

5. La coscienza del corpo

161

mediante ipnosi risultò associata a ridotta risposta nel giro postcentrale controlaterale, nella corteccia somatosensoriale secondaria, nel cingolato

e nell’amigdala ipsilaterale. Questi risultati forniscono una prova del fatto che l’ipnosi riesce ad alterare la risposta neurale in regioni note per essere coinvolte nella rappresentazione centrale del dolore, nella mappatura somatica e nell’elaborazione emozionale. Offrono inoltre un’ulteriore prova del controllo top-down che si attiva nelle regioni corticali superiori durante la suggestione ipnotica (Réder et al. 2007). Gli effetti dell’ipnosi non si limitano a processi orientati a compiti collegati all’induzione ipnotica stessa: le suggestioni ipnotiche possono infatti modulare anche reti neurali intrinseche esaminate in condizioni di riposo passivo, come il default mode network (DMN; Deeley et al. 2012, Lipari et al. 2012). Il DMN è una delle principali rete intrinseche rilevabili nel cervello in stato di riposo e si è supposto che giochi un ruolo importante nell’elaborazione auto-referenziale (o SRP, Self Referential Processing; Greicius

et al. 2003,

Raichle

2010, Raichle

et al. 2001).

È

stato proposto che un’alterata (ad es. ridotta) connettività metabolica tra i nodi del DMN sia almeno parzialmente alla base delle alterazioni del senso di sé, spesso osservate in individui gravemente traumatizzati (Lanius, Bluhm e Frewen 2011). Il DMN si attiva preferenzialmente quando il soggetto è impegnato nel pensiero libero, indipendente da uno stimolo (revisione in Buckner et al. 2008) e si è teorizzato che il DMN

possa in parte servire a consolidare, stabilizzare e regolare il contesto per

l'elaborazione futura delle informazioni. Una metanalisi ha dimostrato che il DMN viene attivato dal richiamo di ricordi autobiografici, dalla previsione (pensare al futuro) e dai compiti di Teoria della Mente (TAM), legati alla capacità di attribuire a noi stessi e agli altri stati mentali, come convinzioni, intenzioni e desideri, e di comprendere che gli altri hanno convinzioni, desideri e intenzioni che non sono radicalmente differenti

dalle nostre (Spreng et al. 2009, Spreng e Grady 2010). Un numero crescente di ricerche ha misurato la possibilità di alterare l’esperienza soggettiva del sé incarnato mediante induzione ipnotica, e colpisce come semplici procedure di induzione portino a drammatiche alterazioni nell’embodiment della coscienza. Per esempio Foa e coll. hanno indotto significativi stati dissociativi sia in soggetti sani che in soggetti con PISD, per prima cosa domandando loro di scrivere da uno a quattro ricordi di momenti in cui si erano sentiti disconnessi o distaccati rispetto a una situazione di vita emozionalmente carica (per es. perdita di un lavoro, diverbio coniugale): seguiva una fase di incubazione durante la quale venivano create suggestioni ipnotiche (per es. “ora che ti senti distaccato, concentrati su questa sensazione. Sentila diventare forte e sempre più forte; distante e sempre più distante... Permetti a te stesso di sentirti molto disconnesso,

distaccato, lontano...

la testa è vuota...”,

p- 260). Poi la persona leggeva ad alta voce alcuni item del Peritraumatie Dissociative Experiences Questionnaire (versione per il clinico) come per

162

La cura del sé traumatizzato

esempio “mi sento disconnesso dal mio corpo”, “quello che accade mi sembra irreale” (Zoellner et al. 2007, p. 260). Un risultato interessante

dello studio fu che il sottogruppo di persone con PTSD e in associazione, importanti tratti dissociativi, si dimostrarono particolarmente suscettibili a sperimentare stati dissociativi in seguito all’induzione. In un altro studio furono indotte esperienze extracorporee complete mediante protocolli che suggerivano ai soggetti frasi come: “sposta la tua consapevolezza fuori dal corpo... ti muoverai fuori dal tuo corpo... e vedrai che il tuo corpo si rilassa comodamente su questa sedia... noterai che la tua coscienza può facilmente fluttuare, partendo dal posto dove il tuo corpo sta seduto” (Nash et al. 1984, pp. 97-98). Studi recenti in soggetti sani con alta suscettibilità ipnotica hanno esaminato l'ipnosi come metodologia per indurre momentanei

fenomeni che imitano sintomi neuropsichiatrici legati a dissociazione e conversione (Bortolotti et al. 2012, Cox e Barnier 2010). Queste ricerche descrivono stretti parallelismi con i fenomeni psicologici discussi nella sezione precedente a questa, connessi a induzioni bottom-up mediante illusioni

multisensoriali

percettive,

come

nel caso

di deficit

di auto-

riconoscimento allo specchio indotti ipnoticamente in persone altamente ipnotizzabili (Barnier et al. 2008). Nella procedura stabilita da Barnier et al. (2008), dopo aver correttamente identificato loro stessi allo specchio,

i partecipanti chiudono gli occhi, seguono delle induzioni standard di rilassamento ipnotico e vengono portati verso le suggestioni dell’ipnotista, che fornisce questa istruzione: “tra un momento le chiederò di aprire gli occhi e, quando lo farà, lo specchio di fronte avrà le proprietà di un normale specchio, ma con una differenza: la persona che vedrà nello specchio non sarà lei, ma un estraneo” (Barnier et al. 2008, p. 414). La procedura induce un falso auto-riconoscimento in persone ad alta suggestionabilità e il risultato originale di Barnier et al. (2008) è stato replicato in una serie di studi indipendenti: dopo l’induzione i soggetti percepiscono un estraneo nello specchio (Barnier et al. 2011, Connors et al. 2012, Connors et al. 2012). La spiegazione di questo fenomeno in termini socio-cognitivi è che il risultato sarebbe effetto della richiesta dello sperimentatore, che porta il soggetto semplicemente ad assumere “il ruolo richiesto”. Tuttavia è importante sottolineare che vi sono evidenze che contrastano tale interpretazione, a partire dal fatto che molte delle caratteristiche fenomenologiche del falso riconoscimento corrispondono strettamente a quelle descritte nei casi clinici di deliri di riconoscimento su base neurocognitiva, situazioni presumibilmente sconosciute ai partecipanti. Più precisamente, i soggetti si mantenevano fortemente convinti e mantenevano la loro posizione delirante, spesso tramite una confabulazione secondaria e nonostante si fornissero loro prove logiche a disconferma di ciò che dicevano; inoltre mostravano condotte specifiche e atipiche, tra cui il fatto di riferirsi alla loro immagine riflessa in terza persona e mostravano significativa angoscia quando non si riconoscevano

5. La coscienza del corpo

163

allo specchio (Bortolotti et al. 2012, Cox e Barnier 2010). Tramite ipnosi sono state indotte sperimentalmente anche situazioni combinate di perdita parziale (un arto) del corpo (dis-embodiment), perdita della titolarietà del proprio corpo (dis-ownership) e paralisi. Halligan e

colleghi hanno esaminato i correlati neurologici di un caso di disturbo da conversione in una donna comparandoli alla risposta neurale in un uomo ipnotizzato. I risultati hanno mostrato che in entrambi i casi era possibile evidenziare la risposta attesa nella corteccia motoria primaria, ma accompagnata da una attivazione nel cingolato e nella zona orbitofrontale (che sì pensa abbia funzioni inibitorie) nel momento in cui i soggetti tentavano,

in modo

fallimentare, di muovere

la gamba (Halligan et al.

2000). Successivamente, a un gruppo successivo di partecipanti fu data la consegna di fingere una paralisi della gamba: questa situazione produsse una serie differente di correlati neurologici e questo sostiene l’idea che una spiegazione puramente socio-cognitiva di questi eventi (stile ‘attore’) vada esclusa (Ward et al. 2003).

Estendendo i risultati di Halligan et al, Rahmanovic e colleghi indussero in più della metà dei loro partecipanti altamente ipnotizzabili l'esperienza

di

non

titolarietà

di

un

arto

(mano,

piede

o

altro),

accompagnata da perdita del movimento e da alterazioni percettive (per es. “sembra più vecchia”). La procedura sperimentale utilizzata da Rahmanovic et al. comporta, in modo semplice, l’attivazione di uno stato di ipnosi durante il quale viene toccato il braccio non dominante e si suggerisce al soggetto che quell’arto appartiene a qualcun altro (Rahmanovic et al. 2012). Altri ricercatori hanno descritto l’induzione

diretta di esperienze extracorporee (Del Prete e Tressoldi 2005, Irwin 1989,

Nash

et al.

1984,

Tart

1998,

Tressoldi

e Del

Prete

2007)

o

accadute spontaneamente (Meyerson e Gelkopf 2004) durante ipnosi: gli effetti neurofenomenologici di queste procedure richiedono maggiore approfondimento. Riguardo alla nozione di malleabilità del sé narrativo e autobiografico, questioni di diretta rilevanza vengono sollevate da ricerche nelle quali è stato possibile indurre, in soggetti con alta suggestibilità ipnotica, identità alternative accompagnate da ricordi episodici che sostengono la ‘nuova’ identità (Cox e Barnier 2009). Cox e Barnier chiesero ai partecipanti di pensare ad altre persone, più o meno intime e rispetto alle quali si sentivano più o meno simili: poi diedero l’ordine ipnotico di ‘diventare quella persona’ Cox e Barnier 2009, p. 6). Più precisamente, i ricercatori chiesero di impegnarsi in elaborazioni autoreferenziali (SRP) come segue: “Pensa a te stesso ora. Fa’ attenzione a te stesso, a tutto di te. Fai attenzione

a come sei, come ti senti, a quanti anni hai. Fa’ caso a tutti questi dettagli diversi, pensa a loro...”. Diedero quindi istruzione di iniziare a diventare qualcun altro, come segue: “Mentre sei seduto qui, rilassato e sotto ipnosi, voglio che tu cominci a sentire qualcosa di diverso. Voglio che cominci a sentirti sempre di più come tuo [fratello/sorella/amico], sempre di più

164.

La cura del sé traumatizzato

come [nome dell’altra persona], sempre di più come [lui/lei]. Voglio che tu cominci a sentirti sempre di più come lui/lei” (Cox e Barnier 2009, p. 9). Misurazioni oggettive, di tipo cognitivo e comportamentale, tra cui la valutazione utilizzando liste di parole auto-referenziali e la descrizione di ricordi episodici e mediante un test di autoriconoscimento allo specchio simile a quello descritto precedentemente, suggerirono che i partecipanti avevano temporaneamente adottato un’identità alternativa. Molti di loro trovarono l’esperienza angosciosa. È interessante notare che simili risultati furono ottenuti in soggetti altamente ipnotizzabili anche nel contesto di pura immaginazione, ovvero in situazioni durante le quali i partecipanti non erano esplicitamente incoraggiati a entrare in stato ipnotico. In altri termini, rispetto a persone poco ipnotizzabili, i soggetti altamente ipnotizzabili si sono rivelati capaci, in condizioni sia di ipnosi che di semplice immaginazione, di effettuare un’alterazione temporanea nel loro senso di identità, mediante visualizzazioni incarnate (ad es. “ho immaginato le sue mani e ho notato che il mio corpo era come quello di [nome dell’altra persona], in una posizione simile”; “ho sentito di avere uno spazio d’aria tra i miei vestiti

e me stesso”) e mediante altri processi psicologici consapevoli di tipo strategico. Questi risultati suggeriscono un’intrinseca (e probabilmente “auto-suggestiva”) capacità da parte di persone altamente ipnotizzabili di alterare il modo in cui esperiscono loro stessi. È importante sottolineare che tutti gli effetti suggestivi descritti erano facilmente ottenibili solo da individui con punteggi alti nei tratti di ipnotizzabilità. Tutti questi effetti suggestivi erano facilmente annullati mediante controsuggestione.

Fenomenologia della depersonalizzazione Gli studi sperimentali delle distorsioni corporee mediate da strategie bottom-up e top-down rivelano una proprietà fenomenologica fondamentale che la coscienza nella sua forma normale possiede: sperimentiamo la coscienza come situata all’interno del nostro corpo e legata a esso. Abbiamo al tempo stesso mostrato come questa rappresentazione somatocentrica

del sé, che possiamo anche chiamare

“sé incarnato”, o

embodted self sia fortemente vulnerabile e possano accadere modificazioni transitorie: con un semplice strofinìo di un pennello, o con una semplice induzione ipnotica, persone psicologicamente sane sono state indotte a sperimentare significative alterazioni nell'esperienza incarnata di loro stessi, sotto condizioni sperimentali controllate. Blanke

e Metzinger

(2009)

hanno

stilato un

dettagliato

sistema

classificatorio delle illusioni percettive a livello del corpo, così come sono state osservate nei pazienti neurologici con danni cerebrali conosciuti. Nella loro tassonomia le esperienze extracorporee sono definite come situazioni nelle quali la soggettività conscia (per es. la prospettiva in prima persona) viene percepita come localizzata in un punto dello spazio

5. La coscienza del corpo

165

differente dal corpo fisico e dal quel punto il corpo fisico viene osservato. Le esperienze extracorporee vengono distinte dalle allucinazioni autoscopiche, durante le quali la coscienza rimane localizzata all’interno del corpo fisico, e dalle allucinazioni eautoscopiche, nelle quali la coscienza è ubicata simultaneamente o alternativamente nel corpo fisico e in quello illusorio (cioè allucinato). Le allucinazioni autoscopiche sono

definite come la percezione in cui il sé è vissuto come oggetto esterno (con la possibilità di arrivare al delirio di avere un doppio), mentre nelle allucinazioni eautoscopiche il proprio corpo viene visto a una certa distanza. Come approfondiremo in seguito, questi fenomeni neurologici sono stati associati con disturbi funzionali e lesioni in varie aree del lobo parietale. In modo simile alla descrizione delle esperienze extracorporee fornita da Blanke e Metzinger (2009), il DSM-IV ha definito i sintomi

di depersonalizzazione all’interno di un disturbo psichiatrico come “alterazioni nella percezione o esperienza di sé, tali che il soggetto se ne sente distante, come se fosse un osservatore esterno dei propri processi mentali o del proprio corpo” (American Psychiatric Association 2000, p. 530). I correlati clinici di tale esperienza sono stati recentemente descritti in ampie coorti (per es. Baker et al. 2003, rassegna in Hunter et al. 2004) e risultano comunemente resistenti a interventi farmacologici o psicologici (vedi rassegna di Simeon e Abugel 2006). Nella ridefinizione operata nel DSM-5, la depersonalizzazione include anche l’esperienza di essere un osservatore esterno degli avvenimenti della propria mente o del proprio corpo, come esemplificato da sintomi come alterazioni percettive, alterato senso del tempo, ottundimento emozionale e sensoriale, alterazioni nel

senso di sé (American Psychiatric Association 2013, p. 302). Nel DSM-5 è stato significativamente ampliato il costrutto di depersonalizzazione, in modo coerente a un punto di vista multifattoriale sulla depersonalizzazione. Per esempio, l’analisi fattoriale svolta da Sierra e colleghi (2005) su una scala per la depersonalizzazione indica che la depersonalizzazione comprende almeno quattro distinte esperienze, correlate tra loro solo debolmente: (1) esperienza anomala del corpo (per es. “sentire di essere fuori dal corpo”, “sentire il corpo come se non appartenesse a Sé”; (2) ottundimento emozionale (per es. “non sentire emozioni mentre si piange o si ride”, “incapacità di provare affetto verso familiari o amici”); (3) anomalie soggettive nel ricordo (“i ricordi personali sono sentiti come se il soggetto non ne fosse coinvolto”); e (4) alienazione

dall’ambiente (“sentirsi irreali o tagliati fuori dal mondo”, “ciò che circonda il soggetto appare distante o irreale”) (p. 1527; vedi anche Simeon et al. 2008, Blevins et al. 2013).

di l’uso del concetto’ riservare preferiamo Personalmente colleghi, e Sierra depersonalizzazione al primo dei fattori individuati da definito come esperienza anomale del corpo: questo approccio è in continuità con la definizione precedente del DSM-IV e col concetto di esperienza extracorporea, come descritta nella tassonomia di Blanke e Metzinger (2009). Consideriamo invece come parti di altre dimensioni del modello

166.

La cura del sé traumatizzato

4-D (e le discutiamo in altri capitoli) le esperienze di ottundimento emozionale e fisico e di senso distorto del tempo, che il DSM-5

include

nella definizione di depersonalizzazione.

Come abbiamo notato in precedenza, gli stati alterati di embodiment possono coinvolgere il corpo nella sua totalità, come nelle esperienze extracorporee e nella depersonalizzazione, o solo in parte, come nella paralisi o nella perdita di titolarietà di un arto. La figura 5.2 illustra il concetto di perdita del corpo (dis-embodiment) parziale oppure totale, come viene utilizzato in questo volume. Nella figura la localizzazione sperimentata del sé e della coscienza sono disegnati dentro un ovale e con un alone; gli oggetti non-sé sono mostrati fuori dall’ovale e sprovvisti di alone. Il braccio raffigurato nel dis-embodiment parziale (al centro) può anche non essere sentito come fisicamente separato dal corpo, ma solo come se “non facesse parte” del proprio corpo o del proprio sé (perdita parziale di titolarietà sul proprio corpo). In questo caso il braccio può essere sentito come “strano” o “differente da quanto atteso”, o diverso da come il soggetto ritiene che dovrebbe vedersi e sentirsi. Figura 5.2. Fenomenologia parziale o totale (TRASC)

Embodiment totale

dell’Embodiment

(CNV)

Dis-embodiment, parziale

versus Dis-embodiment

Dis-embodiment |

totale

Experienced Location

|

Physical Location

A sinistra: Embodiment totale— il senso di sé è associato con l’esperienza localizzata nel corpo. A/ centro: Dis-embodiment parziale— il senso di sé è associato con l’esperienza localizzata nel corpo, ma parte del corpo è sentito come ‘non-sé’ (per es. un braccio o una gamba è sentito come non proprio, estraneo oppure ‘strano’). A destra: Dis-embodiment totale— il senso di sé è associato a esperienze extracorporee e il corpo in toto è esperito come ‘non-sé’. CNV: coscienza normale in stato di veglia; TRASC: stati alterati di coscienza correlati a traumi.

5. La coscienza del corpo

1 DìN

Fuori dal corpo, fuori dalla mente: fenomenologia della

depersonalizzazione nei disturbi trauma-correlati

Le ricerche sulla coscienza incarnata sono rilevanti per la psicotraumatologia poiché le alterazioni nell’embodiment conscio del sé rappresentano un’ovvia deviazione dalla CNV e sono relativamente comuni nelle persone traumatizzate. Questi TRASC legati al corpo sono spesso vissuti come situazioni molto utili, che aiutano il soggetto a distaccarsi dalla propria esperienza emozionale nel momento in cui avvengono gli eventi traumatici. Suzy, una donna con una storia traumatica infantile di cui già si è parlato nei precedenti capitoli, ha descritto in questo modo la sua esperienza di depersonalizzazione: Per me era come una separazione fisica. Eccomi qui, in alto, ed ecco quel guscio, lì giù, che viene ferito e abusato — ma io non posso sentire, non sento, sono separata da quella persona, sono separata dal mio corpo adesso. Il mio corpo viene ferito, ma io no. Penso che questa sia una di quelle cose che ti fa sopravvivere, perché non sei tu; tu non stai sperimentando il pieno impatto di quanto accade. Lo stai provando, ma non provi tutto l’impatto.

Se tuttavia i sintomi di depersonalizzazione persistono nel tempo, e successivamente all’esperienza traumatica, l'individuo finisce per sentirsi alienato da ciò che lo circonda, incapace di provare emozioni verso la sua famiglia e verso gli amici. I suoi ricordi personali non lo riguardano e sente che il suo corpo non gli appartiene. Un paziente che chiameremo Teddy soffriva di cronici sintomi di depersonalizzazione e annotava: Tutto sembra strano. È difficile da descrivere. Sembra come se dovessi ricordarmi chi sono. È come essere in un sogno, come

se non avessi controllo su quello che faccio. Non sono cosciente di cosa sta accadendo. Sto solo andando attraverso il movimento

delle cose. È come se fossi intrappolato in un corpo casuale. Non so chi sono. Sono giusto quel bambino di Londra. Non ricordo cose di me prima che sia iniziata la depersonalizzazione.

Un altro paziente, Tanaz, che ha sofferto di sintomi cronici legati a dis-embodiment parziale, annota: Non riuscivo a sentire i miei piedi e le mie mani. Non sapevo dove fossero; non erano attaccati a me. Le mani che erano attaccate

non erano le mie — guardarle era come una separazione fisica. Semplicemente, non erano le mie e questo fino al punto che era difficile funzionare perché non sentivo le cose, o non avevo le sensazioni associate con le mie mani.

168.

La cura del sé traumatizzato

Infine Elly, un sopravvissuto all’olocausto di cui abbiamo già parlato nei capitoli precedenti, descrive così l’esperienza di depersonalizzazione: “C'era la vaga sensazione dell’esistenza di un mondo esterno. E che io stessi vedendo me stesso camminare”. Prosegue descrivendo le difficoltà che uno stato di depersonalizzazione può creare in un ambiente in cui il controllo esterno del corpo è fondamentale per sopravvivere: Ma dovevi anche stare molto attento, perché era necessario essere prudenti. Mentre marciavamo, camminando in fila per cinque, cercavo di non essere in fondo, perché se non andavi al passo

una guardia ti veniva addosso e ti colpiva con calci nelle gambe e questo poteva danneggiarti perché se cadevi e non potevi più camminare, allora eri finito. Era così.

Nel campo della psicotraumatologia l’esperienza della depersonalizzazione clinica è stata studiata per lo più come risposta acuta

ad

eventi

traumatici,

con

la denominazione

di dissociazione

peritraumatica. Sono stati condotti numerosi studi sulla dissociazione peritraumatica utilizzando il P-DEO (Perztraumatie Dissociative Experiences Questionnaire; Marmar et al. 1997) che include item che descrivono i caratteristici sintomi di depersonalizzazione (vedi per es. l’item 5: “Mi sento come se fossi uno spettatore che osserva ciò che mi accade, come se stessi fluttuando sopra la scena o la osservassi come un estraneo”; oppure l’item 6: “C'erano momenti in cui la sensazione del mio corpo sembrava

distorta o cambiata. Mi sentivo disconnesso dal mio corpo”.). Rassegne sistematiche e quantitative di studi sia prospettici che retrospettivi hanno mostrato che alti punteggi di P-DEO sono predittivi dello sviluppo di un PITSD (Lensvelt-Mulders et al. 2008, Ozer et al. 2003, van der Hart et al.

2008). Tuttavia la capacità predittiva di PISD riscontrata per le risposte dissociative peritraumatiche diminuisce quando messa in relazione ai livelli di emozioni negative o di altre misure di malessere clinicamente significativo (Lensvelt-Mulders et al. 2008, van der Velden e Wittmann 2008). I sintomi di dissociazione peritraumatica tendono ad avvenire insieme ad altri segni non-dissociativi di distress peritraumatico, inclusi paura ed altre emozioni (Bovin e Marx 2011, Brunet et al. 2001, Rizvi et al. 2008). Anche i sintomi di depersonalizzazione di stato sono stati studiati sperimentalmente come risposta a stimoli che suggeriscono eventi traumatici passati: queste ricerche hanno utilizzato soprattutto la metodologia della rievocazione immaginativa tramite copione dell’avvenimento traumatico (Frewen e Lanius 2006a, 2006b; Lanius et al.

2002, 2005; Laniusetal. 2010). Lanius e colleghi hanno osservato che circa il 30% delle persone con PTSD cronico sperimenta depersonalizzazione acuta dopo essere stato esposto al copione traumatico. Così come descritto da Suzy, gli studiosi hanno ipotizzato che la risposta fenomenologica di

5. La coscienza del corpo

169

depersonalizzazione sia un meccanismo protettivo per la psiche cosciente: attraverso questo meccanismo la mente è sentita come separata dal corpo in modo che il danno al corpo non coinvolga il sé psicologico. Dopo l'utilizzo di un copione traumatico, un sopravvissuto descriveva: “Ero

fuori dal mio corpo e mi osservavo. Era troppo soverchiante richiamare il ricordo del trauma”. Un altro descrisse: “Guardavo il mio corpo mentre stavo rivivendo l’incidente d’auto”. I ricercatori hanno anche considerato la possibilità che i sintomi di depersonalizzazione possano rappresentare la controparte soggettiva del freezing comportamentale (che rappresenta l'opposto della fuga) in animali che stanno vivendo una minaccia inevitabile (situazione di

immobilità tonica; Abrams et al. 2009, Bovin et al. 2008, Humphreys et al. 2010, Lima et al. 2010, Marx et al. 2008, Rocha-Rego et al. 2009,

Zoellner 2008). La RSDI

(Responses to Script-driven Imagery Scale), una

scala psicometrica che abbiamo descritto in precedenza, differenzia la risposta di depersonalizzazione (dissociativa) dalla risposta di riviviscenza e dall’evitamento, utilizzando descrizioni fenomenologiche fornite dai soggetti,

nel contesto

di stimoli che rimandano

all'evento

traumatico

(Hopper et al. 2007). La RSDI predice differenti risposte neurali conseguenti all’applicazione del modello della rievocazione immaginativa tramite copione: tali risultati vengono discussi più avanti in questo volume (Hopper et al. 2007).

Sebbene gli studi sulla depersonalizzazione acuta suggeriscano che l'alterazione nell’esperienza del sé incarnato accada comunemente sia durante gli eventi traumatici (dissociazione peritraumatica) che in seguito a stimoli che rimandino a essi (vedi le risposte dissociative conseguenti alla rievocazione immaginativa tramite copione) è sorprendente che solo poche ricerche abbiano studiato la possibilità che eventi traumatici possano giocare un ruolo eziologico in forme cliniche più croniche di depersonalizzazione. Simeon e colleghi hanno riportato un’elevata prevalenza di storie traumatiche infantili nei casi clinici di depersonalizzazione rispetto a gruppi di controllo (Simeon et al. 1997) e hanno successivamente dimostrato un preminente ruolo eziologico giocato dall’abuso emozionale cronico genitoriale nello sviluppo dei disturbi da depersonalizzazione (Simeon et al. 2001, Simeon et al. 2008). Nonostante questo, all’interno di un ampio campione (N=204) di persone con disturbo di depersonalizzazione solo il 14% riteneva che gli eventi traumatici avessero avuto un ruolo nello sviluppo dei loro sintomi (Baker et al. 2003). La fenomenologia della derealizzazione

Sfortunatamente un numero molto minore di studi ha indagato le basi fenomenologiche della derealizzazione nelle persone traumatzzate. Argomentando il fatto che depersonalizzazione e derealizzazione

170.

La cura del sé traumatizzato

potrebbero

essere

segnali e sintomi

psicopatologia

della medesima

deciso di

sottostante (Spiegel et al. 2011, 2013) è stato recentemente

far confluire nel DSM-5 i fenomeni di derealizzazione nell’ambito di un disturbo combinato di depersonalizzazione-derealizzazione. Riteniamo che si migliori la chiarezza concettuale mantenendo la distinzione fenomenologica tra depersonalizzazione e derealizzazione e descrivendo un’esperienza auto-referenziale (depersonalizzazione) rispetto a un’altra (derealizzazione) non-autoreferenziale (o altro-referenziale o riferita al

mondo circostante). Gli item della. DES che colgono l’esperienza della derealizzazione comprendono: “Ad alcune persone capita di avere la sensazione che le persone, gli oggetti e il mondo intorno non siano reali” e “alcune persone, a volte, sentono come se stessero guardando il mondo attraverso una nebbia e così le persone e gli oggetti appaiono lontani o confusi”. È chiaro, tuttavia che in molti momenti

depersonalizzazione e derealizzazione si verificano giustifica la nuova diagnosi combinata del DSM-5. Caso

l:



ESTERNO

DEPERSONALIZZAZIONE

E

MONDO

INTERNO.

fenomenici

insieme:

L'ESPERIENZA

questo

COMBINATA

DI

E DEREALIZZAZIONE

Un esempio della coesistenza di depersonalizzazione e derealizzazione è descritto nel caso di “Frica”, che nelle prime fasi del trattamento

si

presentava spesso alle sedute di psicoterapia mentre aveva stati acuti di derealizzazione. Erica descriveva la sua esperienza in tali frangenti come se si trovasse nel vuoto o nel nulla; una improvvisa linea fisica separava la sua realtà personale da quella del mondo esterno. Riferiva che il mondo intorno a lei, compreso il terapeuta, diventava momentaneamente distante, estraneo e inattendibile.

Una volta descrisse, in uno

stato di

intenso malessere: “La stanza adesso sta cambiando... tu sei lì e io sono qui [facendo movimenti con le mani e separando lo spazio] e l’intera stanza è...

[pausa]... 10 non sono în questa stanza, anche se so di esserci [logicamente], 10 non sono qui...”. Da un punto di vista diagnostico è importante che Frica abbia sempre dimostrato capacità di insight riguardo alle sue esperienze di derealizzazione, vale a dire che per lei sono sempre state un sintomo. Frica razionalmente

sa che, di fatto, è rimasta fisicamente nella stanza

per tutto il tempo nonostante avesse la sensazione di non essere lì. Erica ha descritto anche anomalie percettive durante queste esperienze di derealizzazione, compresa la sensazione che il mondo sembri inclinato su

un asse di circa 30 gradi, come quando diceva al terapeuta “proprio ora sei dall’altra parte, non sei reale, non hai alcun senso”.

Di contro, all’interno di questo vuoto, Erica è proprietaria dell'esperienza, è la “sua” realtà. Al tempo stesso, in seguito a ulteriori valutazioni, è stato possibile constatare che, durante questi episodi di derealizzazione, Frica occupa tipicamente uno stato caratterizzato

5. La coscienza del corpo

171

da una perdita parziale o completa del corpo. Per esempio, nel corso della stessa esperienza di derealizzazione acuta descritta in precedenza, nella quale la stanza stava cambiando, riferì che le sue mani e braccia erano insensibili, era come se non appartenessero a lei. In una fase precedente della terapia, aveva potuto osservare che quando viveva stati

di derealizzazione spesso strofinava i piedi, senza scarpe, sul pavimento ricoperto dal tappeto: utilizzava questa strategia come un comportamento di radicamento per sentirsi meno dissociata e stressata. Quando questo comportamento venne messo in evidenza in seduta, lei rispose: “Sì sto facendo questo perché i miei piedi stano diventando insensibili. Questo mi fa semplicemente [pausa momentanea, riflette]... sentire che i piedi sono di nuovo qui”. Poté anche

osservare

che, nei momenti

di malessere,

si strofinava

frequentemente le punte delle mani per sentirsi meno depersonalizzata ec commentò: “Faccio questo per tenerle qui [per tenere le sue mani presenti e attaccate]. Perché se non lo faccio, non saranno più qui. Tipo che io non sono qui, qui 0 qui [toccandosi le braccia e il torace e indicando che quelle aree del suo corpo erano vissute come se non fossero presenti]”. Dissociazione

psicoforme

e

dissociazione

dissociazione nella mente e nel corpo

somatoforme:

la

Il sottotipo dissociativo di PISD, proposto da Lanius et al. (Lanius et al. 2010, Lanius et al. 2012) e passato in rassegna nel capitolo 1, mette al centro dell’attenzione le esperienze di depersonalizzazione e derealizzazione. In sintesi, possiamo dire che l’aspetto fondamentale attraverso il quale è possibile distinguere un sottotipo dissociativo è rappresentato dal fatto che, nonostante determinati individui con PISD mostrino

sintomi di depersonalizzazione

e derealizzazione,

non tutti lo

fanno. Questo modello, inoltre, afferma che è clinicamente significativo distinguere coloro che vivono TRASC legati al corpo da coloro che non hanno questa esperienza. Il fondamento logico per riconoscere un sottotipo dissociativo di PTSD è triplice: 1) la ricerca psicometrica suggerisce che i casi di PISD dissociativo possono essere distinti dai casi di PISD non dissociativo indipendentemente dalla gravità dei sintomi del PTSD; 2) risposte dissociative soggettive si accompagnano a un set di risposte psicobiologiche oggettive che sono diverse per caratteristiche da quelle legate al malessere e allo stress generale di

stress generale vissute da altre persone con PTSD; 3) è possibile che i

sintomi dissociativi richiedano trattamenti psicologici ulteriori e specifici rispetto al trattamento standard del PTSD. I dati di ricerca a sostegno di queste argomentazioni sono stati presentati nel capitolo 1. Attualmente il sottotipo dissociativo di PISD viene definito in modo specifico mediante i sintomi di depersonalizzazione e derealizzazione. Di contro, il concetto più ampio di dissociazione ha storicamente

172.

La cura del sé traumatizzato

rappresentato un costrutto unificante e integrativo per comprendere i sintomi

dell’’isteria”,

monostante

sia

stata

fatta

una

distinzione

dissociazione e psicoforme prevalentemente dissociazione tra prevalentemente somatoforme (Nijenhuis e van der Hart 1999, van der Hart et al. 2000). La disintegrazione tra funzioni cognitive di alto livello (tra cui percezioni, memoria episodica autobiografica e identità) viene tipicamente definita come dissociazione psicoforme. Le varie sindromi di conversione e somatizzazione caratterizzano invece la dissociazione somatoforme che, in modo ampio, include perdite di controllo volontario

su alcuni comportamenti

psicomotori circoscritti e su alcuni sistemi

muscoloscheletrici che imitano condizioni neurologiche (conversione) o

anormalità di altri sistemi corporei senza cause biomediche note e che si presume abbiano un’origine psicologica come stress grave o traumi (somatizzazione).

La dissociazione somatoforme viene spesso misurata mediante autodescrizioni raccolte tramite la SDOQ (Somatoform Dissociation Questionnatre; Nijenhuis et al. 1996), dove troviamo item che sembrano sovrapporsi alle esperienze di depersonalizzazione (ad es. “è come se il mio corpo,

o una parte di esso, sia sparita”) o ad aspetti pseudoneurologici (“ho attacchi che somigliano a crisi epilettiche”, “non riesco a sentire/vedere

per un po’ [come se fossi sordo/cieco]” e “sono paralizzato per un po”). La presentazione clinica di cecità/sordità temporanea, paralisi parziale o totale, incapacità di parlare, insensibilità, problemi di equilibrio e coordinazione, crisi pseudoepilettiche e tremori illustrano i variegati fenomeni di perdita parziale del corpo (dis-embodiment) e di perdita temporanea di funzionalità neuropsicologica che si verificano nei disturbi di conversione. Nonostante sintomi di dissociazione siano stati ben descritti e riscontrati frequentemente nei pazienti con disturbi conversivi (vedi la rassegna a cura di Brown et al. 2007), relativamente poche ricerche hanno esaminato in quale grado conversione, depersonalizzazione e derealizzazione si verificano insieme e se i processi psicologici o neurofisiologici sottostanti a questi sintomi sono simili o distinti. Simeon e colleghi hanno riscontrato che pazienti con disturbo di depersonalizzazionenon riportavano sintomi di dissociazione somatoforme in modo significativo (Simeon et al. 2008): questo forse suggerisce che possano esservi meccanismi eziologici distinti. In popolazioni normali, tuttavia, vi è evidenza che dissociazione somatoforme ed esperienze extracorporee

sono

fortemente

correlate

(Irwin

2000).

Altri

studi

suggeriscono che sebbene sintomi di conversione e altri segnali somatici si verifichino spesso insieme a sintomi e a sindromi dissociative, tale associazione potrebbe essere più forte per i sintomi (pseudoneurologici) di conversione rispetto ad altri segni psicosomatici (per es. Espirito-Santo e Pi-Abreu 2009, Guz et al. 2004, Ozcetin et al. 2009, Sar et al. 2004).

Riassumendo, quando il sé è traumatizzato, sia la psiche che il soma

sono feriti. Gravi traumi interpersonali, come nella tortura, nella violenza

domestica ripetuta, nello stupro e nell’incesto, spesso insegnano alle

5. La coscienza del corpo

173

persone che il loro corpo non è sicuro, che non è di loro proprietà o che è un luogo di disgusto e contaminazione, di cui vergognarsi. Il risultato che ne consegue è che spesso le persone cercano di fuggire, rifiutare e abbandonare il loro corpo. Per esempio, chi è sopravvissuto a incesto potrebbe non avere più il desiderio di recuperare la titolarità del suo sé corporeo, ritenendo che la carne sia irrimediabilmente contaminata. Di conseguenza questa persona, consapevolmente o meno, rifiuterà il proprio nucleo corporeo, la sua natura più basilare. Il risultato all’interno della

coscienza sembra essere la separazione dell’io dall'esperienza corporea sentita dalla persona. Quello che resta potrebbe essere la sensazione fisica di essere “niente” o insensibile, oppure portare a esperienze di distacco o dis-embodiment parziale o totale. In effetti, le persone perdono la dimora corporea sentita delle loro esperienze soggettive e così la mente e il corpo diventano estranei. La poesia che segue è stata scritta dalla prospettiva incarnata di una persona sopravvissuta a traumi e ha l'intento di descrivere ulteriormente l’esperienza di un TRASC del corpo utilizzando un’altra forma di prosa. La poesia è intitolata “o contro esso”; l’autore è anonimo. Illustra non solo i processi di depersonalizzazione, ma anche l’amnesia e il recupero dei ricordi, le tensioni interne di tipo aversivo, l’autolesionismo e l’ideazione

suicidaria che si verificano come risposte post traumatiche a ripetuti abusi sessuali nell’infanzia. Io contro esso

Questo è ciò che è successo a esso e a me, quando lui ha abusato di me. “Esso” era il mio corpo... Ero giovane quando è cominciato e non sapevo di cosa sl trattasse. Non sapevo cosa stesse accadendo a esso.

Per lui era suo. Esso non era più mi0. Gli ha fatto fare cose che io non volevo che esso facesse. Ora lui, non io, controllava esso. Lui faceva paura, cosi esso ha iniziato a farmi paura. Non mi piaceva quello che stava succedendo a esso.

Dentro di me ero spaventata. Ma fuori esso non lo mostrava.

Ho provato ad andare via da lui. Ma esso non riusciva.

Così ho trovato un modo per andare via da esso. Dopo di ciò, quello che lui faceva ha smesso di succedere a me, e ha cominciato a succedere solo a esso.

La cura del sé traumatizzato

Dove lui metteva le sue mani diventava non me.

Dove lui metteva le sue parti diventava non me. Ovunque lui mi faceva del male, diventava non me. Non era più me.

Io guardavo mentre esso continuava a venire ferito. Ma 7 ho smesso di sentirlo. A volte guardavo dal di dentro, mentre esso era al di fuori.

Altre volte io guardavo dal di fuori di esso. Più lo bloccavo fuori, meno provavo e meno me importava di esso... Dopo un po’ di tempo, lui se n'è andato, così ho bloccato fuori anche luz,

proprio come prima avevo bloccato fuori esso. E per un po’ di tempo esso è ritornato di nuovo mio e 20 stavo bene.

...Ma in seguito, quando qualcosa è successo a esso, esso mi ha fatto ricordare lui. Mi sono ricordata che quello era successo a me. Ora lui è tornato di nuovo in me.

E ancora zo non riesco ad allontanarmi da lui,

ma questa volta non riesco neanche ad allontanarmi da esso. Esso è stato rotto; anche 20. Esso è stato contaminato; anche 70. Esso

ha la sensazione che sia stata colpa mia. Io provo a fermare esso.

Se faccio del male a esso, me ne posso andare. Ma quando io torno lui è ancora lì. Lui è dentro di esso, perciò io non riesco ad andare via. Non posso liberarmi di esso, quindi non posso liberarmi di lui.

Se permetto a esso di uccidermi, finalmente se ne andrà via anche lui? Permetterò che se ne vada via tutto... Fonte: anonimo

5. La coscienza del corpo

175

Neurofenomenologia della depersonalizzazione: ricerche sui disturbi correlati a traumi Un crescente numero di studi sperimentali indicano che l’elaborazione a livello della giunzione tra lobi temporali e lobi parictali, in modo particolare nell'emisfero destro (giunzione temporoparietale destra,

GTPd),

giochi un

del sé fenomenico.

ruolo

Blanke

significativo

nel mediare

e colleghi hanno

l’embodiment

per esempio

indotto

depersonalizzazione tramite stimolazione elettrica diretta della GTPd in una persona sottoposta a intervento di chirurgia cerebrale per epilessia (Blanke et al. 2002, Blanke e Metzinger 2009) e risultati simili

sono stati ottenuti in un paziente con acufene (De Ridder et al. 2007). Tsakiris e colleghi hanno influenzato i risultati dell’esperimento della mano di gomma applicando una stimolazione magnetica transcranica a livello della GTPd

(Tsakiris et al. 2008); hanno inoltre dimostrato che

le differenze individuali nell’intensità dell’illusione si correlavano con l’intensità della risposta a livello della parte centrale dell’insula destra (Isakiris et al. 2007, vedi anche Ehrsson et al. 2004, Ehrsson et al. 2007).

Un modello neurobiologico proposto da Tsakiris (2010) propone che la GTPd, la corteccia somatosensitiva secondaria e l’insula posteriore destra siano centri fondamentale per l’embodiment fenomenico della coscienza e del senso del sé. La ricerca suggerisce che le strutture corticali lungo la linea mediana anteriore e posteriore siano coinvolte nel sostenere il senso cognitivo-percettivo della titolarietà del proprio corpo (Tsakiris et al. 2010). In accordo con questi autori, Ketay e colleghi (2014) hanno dimostrato che, in soggetti con disturbo di depersonalizzazione, durante compiti di riconoscimento visivo della propria faccia era presente una risposta più intensa a livello del cingolo prefrontale mediale e anteriore rispetto ai controlli. Nella fase di progettazione e di interpretazione degli esperimenti di neuroimaging è importante anche ricordare che circa un terzo dei partecipanti sani sperimenteranno una risposta dissociativa quantomeno blanda, semplicemente come risultato del venire incapsulati nel cilindro dello scanner (Michal et al. 2005).

La figura 5.3 illustra le regioni cerebrali coinvolte nella coscienza del dis-embodiment, come osservato negli studi di neurotmaging. E stato riscontrato che le attività della corteccia prefrontale mediale (mPFC) e

della GTPd sostengono in parte il nostro senso incarnato del sé. In accordo con questo dato, utilizzando la risonanza magnetica funzionale abbiamo dimostrato che la risposta nella mPFC e nella GTPd variava in accordo con le esperienze di depersonalizzazione riportate da soggetti con PISD mentre venivano rievocati eventi traumatici (Hopper et al. 2007; Lanius, et al. 2002, 2005). Inoltre, Lanius e colleghi (2002) hanno osservato in

questi soggetti una risposta più intensa a livello di mPFC e GTPd durante depersonalizzazione indotta dalla rievocazione del trauma, rispetto a persone sane e rispetto a individui con PISD ma che non avevano

176.

La cura del sé traumatizzato

riferito sintomi di depersonalizzazione. Questi risultati sono coerenti con i ruoli svolti dalla mPFC e dalla GTPd nell’embodiment fenomenico del sé cosciente. Alterazioni negli indici metabolici nella corteccia parietale sono state inoltre osservate nei disturbi di depersonalizzazione durante un compito di apprendimento verbale (Simeon et al. 2000). Le scoperte relative alla depersonalizzazione legata a trauma psicologico corroborano

quindi alcuni principi di base dei modelli neurobiologici dell’embodiment della soggettività cosciente, compreso

il coinvolgimento

della

mPFC

e della GTPd. Curiosamente, questo tipo di ricerca ha suggerito che stimolare elettricamente la GTPd potrebbe risolvere i sintomi in pazienti con disturbo di depersonalizzazione (Jay et al. 2014, Mantovani et al. 2010) Figura 5.3. Neuroanatomia della coscienza del corpo (Embodiment). mPFC

=

corteccia prefrontale mediale; PACC = corteccia cingolata perigenuale anteriore; rTP] = giunzione temporoparietale destra Coscienza del corpo i]mPFC

pACC rTPI Insula

Giro postcentrale

Riferendoci in particolare ai fenomeni clinici di perdita parziale del Corpo, è necessario riconoscere anche il probabile ruolo dell’insula destra nel senso di proprietà e di agency degli arti. I pazienti neurologici con anosognosia per emiparesi o plegia (che non riescono a riconoscere, o negano, la paralisi dei loro arti), così come i pazienti che vivono i loro arti come se non appartenessero a loro (asomatognosia) o come se appartenessero a qualcun altro (somatoparafrenia), conseguenza tipica

5. La coscienza del corpo

177

di un ictus, di solito rivelano un danno specifico nell’insula destra, rispetto a pazienti colpiti da ictus senza questi problemi (rassegna a cura di Karnath e Baier 2010, Baier e Karnath 2008). È interessante notare che, parallelamente,

i nostri studi hanno

mostrato correlazioni

negative tra sintomi di depersonalizzazione e attività nell’insula destra in persone con PISD durante la rievocazione di ricordi traumatici (Hopper et al. 2007). Anche il riconoscimento preciso della genesi dei propri movimenti negli esperimenti di neuroimaging con controlli sani rivela il coinvolgimento dell’insula destra (Farrer et al. 2003). Una risposta nella corteccia insulare è spesso accompagnata da una risposta nella corteccia cingolata anteriore: quando attivate insieme, queste aree potrebbero agire come parte di un network che svolge importanti funzioni legate all’individuazione di informazioni riguardanti stimoli biologicamente rilevanti nell'ambiente esterno (sarebbero, in altre parole, coinvolte nell’individuazione della salienza; Menon e Uddin 2010; Seeley et al. 2007). È noto che il cingolato anteriore, così come la corteccia insulare, in parte rappresentano e modulano processi omeostatici del sistema nervoso autonomo

(vedi per es., Critchley et al. 2001, 2002; Critchley et

al. 2003; Critchley et al. 2005). Questi ruoli, specifici e interattivi, giocati dal cingolato anteriore e dall’insula richiedono quindi ulteriore ricerche (Craig 2010, Medford e Critchley 2010, Menon e Uddin 2010).

Potrebbe risultare difficile distinguere il ruolo potenziale della corteccia insulare nel dis-embodiment rispetto al ruolo, già ben riconosciuto, nel mediare stati di malessere generale, come per esempio l’ansia (Etkin e Wager 2007, Paulus e Stein 2006). A questo riguardo potrebbero risultare utili analisi di correlazione che esaminino il nesso tra stress collegato a riviviscenza dei sintomi, risposte di depersonalizzazione durante la rievocazione di ricordi traumatici e schemi di attivazione cerebrale. I nostri dati, per esempio, mostrano che più le persone riconoscono come propria l’esperienza legata alla rievocazione di ricordi traumatici, maggiore è l'attivazione dell’insula destra. Di contro, abbiamo osservato che tanto maggiore è la depersonalizzazione avvertita mentre si rievocano ricordi traumatici, tanto minore è l’attivazione dell’insula destra (Hopper et al. 2007). Questi risultati mettono nuovamente in risalto l’importanza del metodo neurofenomenologico, che esamina l’esperienza in prima persona dell’individuo e la correla con misure oggettive della funzionalità cerebrale. Curare il sé dis-incarnato: mindfulness, yoga e interventi basati sulla somatosensorialità.

Nella nostra esperienza, per curare il sé dis-incarnato risultano essenziali le pratiche di mindfulness, incluso lo yoga sensibile al trauma (YST; Emerson e Hopper 2011), gli interventi derivati da approcci psicoterapeutici di tipo sensomotorio o centrati sul corpo (Ogden et al.

178.

La cura del sé traumatizzato

2006, Rothschild 2003, Levine e Frederick 1997) e gli interventi selezionati

ed empiricamente validati di tipo cognitivo-comportamentale focalizzati sulle emozioni. Così come i traumi insegnano alle persone come scindersi,

rifiutare e fuggire dal nucleo corporeo della loro esistenza, l’obiettivo delle pratiche di mindfulness è quello di “riportare a casa” le persone, nei loro sé somatici, insieme al dono

di un nuovo

senso

di sicurezza,

compassione, valore e rispetto. Il lavoro mirato a rientrare dentro al corpo, rivendicandolo come proprio, può risultare all’inizio terrificante, ma col tempo e grazie a una continua rassicurazione agita all’interno della relazione terapeutica, il corpo di una persona sopravvissuta a traumi può alla fine diventare fonte di piacere, orgoglio e gioia. Per alcune persone questa potrebbe essere la prima volta che provano la sensazione di essere completamente a casa nel loro corpo. Di fatto, uno dei segnali più evidenti di un recupero completo dal trauma è l’esperienza somatica di pace, piacere, gioia e trionfo pienamente incarnati. È assolutamente necessario sviluppare studi oggettivi sull’efficacia degli interventi basati sulla mindfulness e sulla somatosensorialità in popolazioni traumatizzate. Molti interventi psicoterapeutici specifici condividono come loro obiettivo centrale il re-embodiment del sé e in questo capitolo presteremo particolare attenzione a pratiche esplorative, sia passive che attive, mediante body scan consapevole, integrandolo con la creazione di risorse somatiche (per es., allineare la colonna vertebrale, sedersi eretti), seguendo

ciò che si ritiene utile per ciascun paziente (Ogden et al. 2006). Per quanto abbiamo riscontrato nella nostra pratica clinica con alcune persone con traumi complessi, risulta efficace anche la pratica di movimenti gentili e consapevoli, come nelle meditazioni camminate e nel semplice stretching dello yoga, anche se alcune persone potranno ritenerle non sicure e non accettabili. Per le descrizioni teoriche e pratiche riguardo all’YST e alla psicoterapia sensomotoria rimandiamo alla lettura dei testi di Emerson e Hopper (2011) e di Ogden et al. (2006), rispettivamente. Sono necessari

studi sistematici sull'efficacia di questi interventi traumatizzate, con PISD e con disturbi dissociativi.

nelle popolazioni

Body scan e meditazione di mindfulness con pazienti post-traumatici

Il programma di riduzione dello stress basato sulla mindfulness (MBSR) sviluppato da Jon Kabat-Zinn (1990) ha reso disponibili per la psicologia occidentale varie pratiche buddhiste di sviluppo personale. Nel nostro lavoro terapeutico abbiamo riscontrato che tali pratiche possono venire adattate e utilizzate con popolazioni gravemente traumatizzate, sia nella fase di valutazione che nella fase di cura degli stati di perdita del corpo (dis-embodiment). Per quanto riguarda la valutazione degli stati di disembodiment, sembra abbia maggiore validità interna monitorare in tempo reale gli effetti esperienziali di pratiche centrate sul corpo, osservando il comportamento del soggetto e raccogliendo il resoconto su di sé in

5. La coscienza del corpo

179

modo ininterrotto, piuttosto che limitare la propria valutazione facendo

domande al soggetto sui sintomi utilizzando interviste o questionari. Questo tipo aperto di valutazione della risposta iniziale di una persona al body scan fornisce un'indicazione di percorso per ulteriori pratiche guidate, utilizzabili in futuro e che potrebbero avere l’obiettivo di portare il paziente in modo più attivo verso un senso di sé e verso stati di coscienza più incarnati. Nel mondo della salute mentale è presente una certa familiarità con la meditazione

mediante

body scan, secondo

le modalità

utilizzate nel

programma MBSR e approcci connessi: essenzialmente viene chiesto al partecipanti di notare le sensazioni fisiche che essi stanno provando in zone differenti del loro corpo mentre sono seduti o supini. Il clinico guida il partecipante attraverso questo processo esperienziale, seguendo l'anatomia generale del corpo tramite un percorso che di solito è dal basso verso l’alto. Solitamente il body scan inizia dicendo ai partecipanti “permettetevi di sentire qualunque sensazione nelle dita dei piedi, magari distinguendo ogni dito e osservando il flusso di sensazioni in questa zona del corpo”. Le successive istruzioni indirizzano l’attenzione dei partecipanti verso altre aree, di solito muovendosi verso l’alto (dai piedi, alle caviglie, stinchi, ginocchia e così via). Poiché spesso questo intervento viene

svolto

in gruppo,

solo

raramente

viene

raccolto

il resoconto

personale riguardo a ciò che i partecipanti hanno sentito in ogni parte del loro corpo durante il body scan. Si lascia che i partecipanti diventino da soli consapevoli di queste esperienze e le definiscano interiormente, dando per scontato che esse, in gran parte, risulteranno relativamente neutre e non stressanti: questo presupposto non risulta corretto tuttavia per molte persone traumatizzate (e in particolare per chi ha vissuto traumi di tipo sessuale), come approfondiremo più avanti. La pratica del body scan è utile nella psicoterapia con persone gravemente traumatizzate, ma come per ogni intervento psicologico è essenziale informare in modo completo il paziente riguardo a ciò che il body scan comporta, raccogliendo poi il suo consenso. A tal proposito, è importante avvertire in anticipo il paziente che l’esercizio potrebbe essere stressante: in questo modo si dà al paziente la possibilità di dar voce a specifiche preoccupazioni personali che potrebbe avere. In particolare è importante chiedere se specifiche zone del corpo sono particolarmente attivanti a livello traumatico, funzionando da trigger. Il terapeuta può decidere se includere o meno questi punti trigger nell’esercizio del body scan. In generale evitiamo di includere le zone erogene nel body scan, quanto meno durante i primi tentativi. Oltre all'importanza di condurre un consenso informato preciso, abbiamo rilevato che le seguenti modifiche alla pratica generale del body scan, come altre tipicamente usate in altri interventi basati sulla mindfulness, sono utili da prendere in considerazione quando si conduce un body scan con persone gravemente traumatuzzate:

180.

La cura del sé traumatizzato

1. A seconda delle preferenze dei partecipanti, il body scan può venire

svolto da seduti o in piedi nello studio del terapeuta. Noi non facciamo body scan in posizione supina perché questa posizione tende a favorire la reviviscenza di sintomi nei sopravvissuti a violenze sessuali. In ogni caso è possibile incoraggiare il paziente a praticare l'esercizio per proprio conto (vale a dire, a casa) magari mentre è a letto: va innanzitutto fatta psicoeducazione sull’importanza di sentirsi al sicuro nel proprio corpo in ogni postura fisica. La scelta tra posizione seduta e posizione in piedi può anche variare in base al livello di stress percepito dai partecipanti. Di solito guidiamo il body scan mentre il paziente è in posizione seduta, ma completare l’esercizio stando in piedi può essere una variante utile e che certamente rappresenta una posizione fisicamente più attiva. Stare in piedi può risultare particolarmente utile quando è necessaria una maggiore stimolazione fisica per combattere

stati di dis-embodiment.

Allo

stesso

modo,

è

possibile incoraggiare il paziente a portare a termine un body scan sulla sedia, sedendosi leggermente in avanti e con la colonna vertebrale allungata: questa posizione sottolinea la possibilità di incarnare resilienza e padronanza della situazione. 2. Il body scan può essere svolto dal paziente a occhi chiusi o aperti, a seconda della preferenza personale. Tuttavia la prima volta che i partecipanti fanno questo esercizio raccomandiamo loro di tenere gli occhi aperti per tutta la durata del body scan, dal momento che di solito il potenziale di stress è maggiore con la pratica a occhi chiusi. Nelle sedute successive si potrà incoraggiare il paziente a chiudere gli occhi se si sente al sicuro nel farlo. È importante che ipartecipanti sappiano che sono liberi di aprire o chiudere gli occhi in ogni momento se hanno bisogno di regolare lo stress. 3. Il body scan comincia in un punto del corpo che il paziente ha identificato come l’area del suo corpo meno stressante, più sicura, più forte o con la quale si sente più a suo agio. Se una persona non è in grado di identificare una zona di questo tipo, il terapeuta può chiedere se cominciare da un piede può essere accettabile. Suggeriamo questo punto poiché essere consapevoli dei propri piedi è essenziale per sentirsi radicati nel mondo, situazione che rappresenta l’opposto del dis-embodiment. Se tuttavia i piedi rappresentano un trigger emozionale intenso per il paziente, viene scelto un altro punto d’inizio. Mentre guida il body scan, il terapeuta rimane sul punto d’inizio concordato per tutto il tempo che è necessario al paziente per vivere pienamente l’esperienza e descrivere la consapevolezza di qualunque sensazione sia lì presente. 4. Di solito conduciamo il body scan attraversando le varie zone del corpo e procedendo dal basso verso l’alto. Se si inizia da zone vicine al centro del corpo come l'addome, il torace, è meglio fare prima la scansione

5. La coscienza del corpo

181

della metà inferiore del corpo, poi quella superiore. Consigliamo questa sequenza poiché sentire le gambe e i piedi può fornire una sorta di ancora esperienziale per il mondo, mentre focalizzarsi prima sulla parte superiore del corpo può a volte incoraggiare un senso di distacco soggettivo da terra che può a sua volta proseguire verso il distacco esperienziale dal sé corporco, soprattutto in persone che sono predisposte a stati dissociativi, portando a depersonalizzazione 0 a esperienze extracorporee. Mentre guidiamo l’attenzione del paziente verso il suo corpo, incoraggiamo, almeno implicitamente, il senso di titolarietà (ownership) riferendoci al suo corpo in modo diretto e personale, dicendo per esempio “ora, [nome del paziente] prendi (o prenda) consapevolezza di qualunque cosa tu (o leé) stia provando nella tua (0 sua) mano destra”

e non diciamo “...prendiamo consapevolezza di qualunque cosa viene provata nella mano destra”. Mentre guida il body scan il terapeuta procede in modo lento. Come abbiamo già detto, è importante rimanere sul punto del corpo su cui è attualmente focalizzato il paziente fin quando quest'ultimo abbia avuto tutto il tempo necessario per sentire e per descrivere cosa sta attraendo la sua consapevolezza in quel punto. Procedere lentamente crea la giusta aspettativa che si può essere capaci di provare sensazioni o di diventarne consapevoli a livello di tutto il proprio corpo fisico, anche se l’esperienza è quella di sentire “nulla” o di “non essere in grado di sentire” determinate parti del corpo. Inoltre, progredire lentamente plasma uno stato della mente rilassato, che serve a contrastare gli stati di iper-arousal, l'agitazione e l'ansia comunemente provate dalle persone traumatizzate. Un ritmo più lento è inoltre coerente con il messaggio che la pratica della consapevolezza incarnata richiede tempo. / Incoraggiate il paziente a riferire qualunque segnale di malessere. E inoltre essenziale che il terapeuta segua attentamente il paziente in modo da cogliere eventuali segnali di disagio nel corso dell'esercizio. Incoraggiate il paziente a comunicare ad alta voce ciò che prova nel suo corpo durante il body scan, usando un vocabolario adatto per le esperienze e per le sensazioni fisiche (per es., irrigidimento, formicolio, schiacciamento,

tensione,

calore, freddo).

Incoraggiate

la descrizione

e

scoraggiate l’interpretazione: lo scopo del body scan è infatti aumentare la consapevolezza della coscienza incarnata e per questo si pone attenzione su cosa il paziente sta provando; durante il body scan viene messo da parte il perché il paziente sta provando ciò che succede. Tuttavia, una volta terminato il dody scan, è sempre utile elaborare l’esperienza con il paziente. Se vi è un’assenza

uniforme

di sensazioni

(ottundimento)

o un

distacco dissociativo da tutte le sensazioni corporee, proveremo, dopo aver completato la valutazione di tutto il corpo, a creare l’esperienza

182

La cura del sé traumatizzato

di una qualche sensazione di salute e sicurezza tramite suggerimenti o tramite movimento fisico. Per esempio, se il paziente non riesce a

provare alcuna sensazione durante ripetuti body scan, si può suggerire di provare a esercitare con una mano una delicata pressione su una qualunque zona del corpo o di flettere i muscoli e mobilizzare le articolazioni (per es., toccare il pollice con ciascun dito della mano). Se il paziente sente poco e non rientra tra coloro che non provano “nulla” o solo “insensibilità”, è possibile suggerire di immaginare che sia possibile “condividere” tra parti diverse del corpo una sensazione che il paziente è in grado di provare in qualche punto. Per esempio, se il paziente riferisce di riuscire a sentire le mani, ma non le braccia, si

può provare a immaginare che la sensazione provata nelle sue mani, solo se risulta piacevole, sia in grado di diffondersi verso i polsi e gli avambracci, collegandoli così mediante una sensazione gradevole.

10. Idealmente, un body scan andrebbe portato a termine lavorando su tutto il corpo, ma la capacità del paziente di completare questo esercizio potrebbe variare a seconda dei livelli di concentrazione e di ansia. Di solito cerchiamo di non superare una durata 10-12 minuti. 11. Essendo composto da vari momenti in cui ci si occupa di varie parti di un singolo corpo, il body scan incoraggia i partecipanti a vivere il loro corpo nella sua interezza, per quanto possibile, e in questo modo facilita idealmente un’esperienza di integrazione incarnata. Il terapeuta può quindi dire “ora, se ti è possibile, comincia a divenire consapevole del tuo corpo per intero... comincia a divenire consapevole, se possibile, dell’interezza

del tuo sé corporeo,

che si sente

connesso,

intero e

insieme”. 12. Una volta completato il body scan bisognerebbe chiedere al paziente qualcosa riguardo all’esperienza appena vissuta. Il terapeuta dovrebbe indagare su qualunque esperienza che non sia stata verbalizzata in precedenza. Durante questa fase di verifica viene elaborata a livello terapeutico l’esperienza nella sua interezza: questo aiuta il paziente a sviluppare un linguaggio che identifica e descrive le sue sensazioni. Se una persona ha una capacità particolarmente limitata nell’uso delle parole per descrivere le sensazioni corporee, può disegnare una rappresentazione di ciò che ha provato. CASO

2: PERDITA

DEL CORPO

(DIS-EMBODIMENT)

E BODY

SCAN

La trascrizione che segue descrive un esercizio di body scan eseguito con Gregory, un paziente che abbiamo incontrato diverse volte in precedenza. La trascrizione illustra l’utilizzo del body scan sia come valutazione che come trattamento di un TRASC legato, rappresentato in questo caso da dis-embodiment parziale. AI momento di questo body scan, Gregory era in una fase della terapia in cui stava elaborando i ricordi traumatici con facilità e, avendo praticato con regolarità questo esercizio, sia a casa per

5. La coscienza del corpo

183

conto suo sia durante le sedute di psicoterapia, era sempre più capace di occuparsi del suo corpo fisico senza farsi sopraffare dallo stress e senza sperimentare stati dissociativi marcati. Terapeuta: Gregory: Terapeuta: Gregory: Terapeuta:

Gregory: Terapeuta: Gregory: Terapeuta: Gregory:

Terapeuta: Gregory:

Terapeuta: Gregory: Terapeuta: Gregory: Terapeuta: Gregory: Terapeuta:

Gregory: Terapeuta: Gregory: Terapeuta: Gregory: Terapeuta: Gregory:

Terapeuta:

Vogliamo cominciare con un body scan? Sì, certo. Assumi una posizione che sia comoda per te ... Cominciamo con i piedi? Abbiamo cominciato con i piedi l’ultima volta, ma non siamo obbligati. Possiamo cominciare da qualunque parte preferisci. Umm, no, fallo proprio come l’hai fatto l’ultima volta perché quello ha funzionato. Ok. Mi levo le scarpe e basta. Va bene, puoi focalizzare l’attenzione sul tuo piede destro? Sì. Cominciando dalle dita, prendi consapevolezza di qualunque sensazione tu possa sentire lì... Sento un formicolio nelle dita. E poi porta l’attenzione alla pianta del piede... Sì, riesco a sentire la pianta, sento il fondo del mio piede.

Ora porta l’attenzione sul dorso del tuo piede destro... Non è così sensibile come il fondo, ma riesco a sentirlo. Ora spostala sul tallone destro... Sì, posso sentire il tallone destro, ok lo sento solido. Ora risali verso la caviglia destra... Umm,

non

tanto,

sembra

esserci

vagamente,

niente

di

solido. Niente di solido? Sembra esserci un piccolo spazio vuoto fino all’attacco del muscolo del polpaccio. Ok. Il tuo piede destro si sente collegato alla gamba? Parzialmente. Il pezzo di sopra non lo sento lì. La superficie superiore della gamba non la sento molto viva. Cosa succede se muovi il piede destro? Riesco a sentire il movimento

nella caviglia, ma

sembra

esserci una parte mancante intorno alla zona del polpaccio, subito al di sotto. Ok. E ora esaminiamo il tuo piede sinistro, giusto per fare un confronto, cominciando dalle dita ...

184

La cura del sé traumatizzato

Gregory: Terapeuta: Gregory: Terapeuta: Gregory: Terapeuta: Gregory: Terapeuta: Gregory: Terapeuta:

Gregory:

Terapeuta: Gregory: Terapeuta:

Gregory: Terapeuta: Gregory:

Terapeuta:

Posso già sentire le dita. E cosa noti? Che le sento in maniera completamente diversa. In che modo le senti diverse? Le sento solo più solide; non devo neanche pensarci troppo intensamente. Posso sentirlo fino su fino al ginocchio. Ok e cosa riesci a sentire su fino al ginocchio? Riesco a sentire tutti i muscoli su fino al ginocchio. E senti il tuo piede sinistro collegato alla gamba? Sì, sì, sì, lo sento molto connesso. Il destro invece ha ancora

una zona intorpidita. Allora adesso ritorniamo al tuo piede destro e spostati lentamente dalla caviglia in su, verso il ginocchio. Osserva semplicemente quello che senti...

Sento solo come se fosse una spugna; è piena di buchi, come se mancassero delle parti, non ho una sensazione di completezza. E ora facciamo lo stesso con il tuo piede sinistro ... Questo lo sento completo. E ora cominciando dal ginocchio destro e risalendo in su verso l’anca. Cosa noti? Non la sento per niente bene. Cosa noti? Molte zone intorpidite. Non solo sulla superficie, ma va anche in profondità. E ora proseguendo sulla tua gamba sinistra, partendo dal ginocchio e salendo Cosa noti?

su fino all’anca,

molto

lentamente.

Gregory:

Riesco a sentire ogni singolo nervo che si trova lì. È proprio lì. Lo posso sentire.

Terapeuta:

Se immagini di fare un movimento con la tua gamba destra come lo sentiresti? Immaginarlo o farlo?

Gregory: Terapeuta: Gregory: Terapeuta: Gregory: Terapeuta:

L’una o l’altra cosa... Non la sento davvero come parte di me. No. E ora immaginando o provando a fare la stessa cosa con la tua gamba sinistra? [Alza la gamba, la ruota e la rimette giù] Sì, perfetto. È precisa e controllabile. Precisa e controllabile, com'è il confronto con la parte destra?

5. La coscienza del corpo

Gregory:

È quasi come se la mia gamba destra fosse una sorta di arto fantasma, come se qualcuno non l’avesse cucita bene, alcuni dei nervi sono al loro posto e altri, umm,

Terapeuta:

185

sono stati

strappati, o qualcosa non è lì, la sento irregolare. Ora spostati lentamente nella zona dei glutei, prima sulla destra...

Gregory:

Umm, sì, mi si sta scatenando un forte dolore in quell’area. Uuh, sì, lì è dove mi picchiava mio zio.

Terapeuta: Gregory: Terapeuta: Gregory:

Quindi è una zona che è stata ferita nel passato? Uh, sì, assolutamente.

E com'è il confronto con il tuo gluteo sinistro? Beh, è praticamente lo stesso. Riesco a sentirlo, ma non è a

Terapeuta:

suo agio, è dolorante. Dolorante... e il dolore è simile a quello sulla parte destra o c'è una differenza?

Gregory:

Al momento

Terapeuta:

scambia se ho un brutto incubo. Mi sveglio e so che quella zona mi duole perché sta emergendo il ricordo di mio zio che mi ha fatto quello. Perciò non è intorpidita, ma è dolorante. E il tipo di dolore è differente da una parte all’altra o è simile?

Gregory: Terapeuta: Gregory: Terapeuta: Gregory: Terapeuta: Gregory:

Terapeuta:

mi fa più male il gluteo destro, ma a volte si

È diverso, sì.

In che modo è diverso? Quello a destra è più acuto e quello a sinistra è più bruciante. E cosa succede quando noti il collegamento tra la parte superiore della tua gamba destra e l’area del gluteo destro? È come se qualcuno avesse infilato una lastra di acciaio tra la mia gamba e il gluteo, c'è come una zona senza sensazioni. E com'è il paragone con la sensazione nella tua gamba sinistra e nel gluteo? La sinistra non ce l’ha quella sensazione. Possiamo spostarci dalla zona dei glutei? perché mi stano arrivando dei flashback su mio zio che mi picchia... Sì, certo. Solo ricordati che sei al sicuro, sei nel presente; siamo nel 2013; nessuno ti farà del male. [Radicamento del

paziente] Vedi se puoi permettere a quel ricordo di passare... prenditi il tuo tempo... Gregory:

[dopo un breve momento, fa un cenno) Adesso

Terapeuta: Gregory:

andato via. Va bene se continuiamo? Sì.

sono

ok. È

186.

La cura del sé traumatizzato

Terapeuta:

Ok.

Gregory:

lentamente verso l’alto. Quindi risali lungo la schiena lentamente a un ritmo che per te è comodo... Cosa noti, prima sul lato destro e poi sul sinistro? Riesco a sentire la mia schiena, lungo tutta la colonna vertebrale fino alla base del cranio. E ora spostati sul tuo addome e muoviti lentamente lungo l'addome verso l’alto e poi sul petto...

Terapeuta: Gregory:

Porta

ora

la tua

attenzione

sulla

schiena,

risali

Umm, lo stomaco c'è abbastanza, sebbene non lo senta del

tutto, ummm. La sensazione del mio petto è un po’ come di Terapeuta: Gregory:

Terapeuta: Gregory: Terapeuta: Gregory: Terapeuta: Gregory: Terapeuta: Gregory: Terapeuta: Gregory:

Terapeuta:

Gregory:

Terapeuta:

Gregory:

un fiore cascante, che sta lì lì per perdere i petali. Provi queste sensazioni allo stesso modo su entrambi i lati del petto, o c'è una differenza tra questi due? La parte destra del mio petto si sente molto triste. Cosa succede se poggi una mano sulla parte sinistra del tuo petto? [Poggiando la mano sinistra sul petto] Sì, riesco a sentirlo. Com'è? È confortante.

E cosa noti nel corpo quando succede questo? Lo sento più connesso. E sentendoti più connesso cosa succede alla sensazione cascante a cui ti riferivi prima? L'ha un po’ fermata, è quasi come se gli avesse messo un freno. Riesco a sentire il mio cuore. Com'è sentire il tuo cuore? Posso sentire il battito; non è molto contento. Si sente abbattuto. Cosa succede se poggi anche l’altra mano sopra quella che già sta sul petto? Quella [la mano destra] ha una zona intorpidita intorno al polso, perciò non riesco a dire con precisione dove comincia e dove finisce. È come se avessi cinque dita che tengono l’altra mano e questo riesco a sentirlo e poi è come se sparisse da qualche altra parte nel mio polso e la sensazione non ritorna fino a metà strada tra il braccio e il gomito. È semplicemente vuoto, non sta neanche lì, è praticamente trasparente. E com'è il paragone con la sensazione della tua mano e del braccio sinistro? Il lato sinistro è ... lo posso sentire tutto fino in fondo dalla spalla.

5. La coscienza del corpo

Terapeuta:

Gregory: Terapeuta: Gregory: Terapeuta: Gregory: Terapeuta: Gregory: Terapeuta:

187

Cosa succede dal gomito alla spalla nel tuo braccio destro? Umm,

riesco a sentire che è lì. È un po’ teso, lì è dove ho

avuto un intervento chirurgico, comunque. E ora passiamo a osservare il tuo collo... Il collo lo sento piuttosto normale. Davanti e dietro? SÌ. Ai lati? SÌ. Adesso

prendi

lentamente

consapevolezza

del tuo viso,

cosa noti? Gregory:

Contorto, umm, frammentato. Lo sento estraneo, non so, c'è

Terapeuta: Gregory:

come una palla sulla tempia sinistra, umm, fa pressione, è quasi come un mal di testa ma non proprio, quasi come un palloncino. Ho avuto un sacco di traumi in quell’area. Un'altra zona sensibile quindi... Sì, la sento come se volesse quasi farsi piccola piccola e nascondersi. Ricordati che qui sei al sicuro. Nessuno ti farà del male. Che succede se poggi una mano sulla tua tempia sinistra?

Terapeuta: Gregory: Terapeuta:

Gregory:

[Poggia la mano sulla tempia sinistra] Provo una sensazione di

conforto. Mi sento meglio. E adesso, prima di terminare il body scan, riesci a prendere consapevolezza di una qualunque sensazione che stai provando nella parte posteriore della testa? La parte posteriore della testa, riesco a sentirla fino a metà. La parte in alto sembra mancare, sì, è come un cerchio e la

Terapeuta:

Gregory: Terapeuta: Gregory:

calotta non c'è o qualcosa del genere. Ok. Quindi, riassumendo, durante il body scan c'erano alcune zone del tuo corpo, la calotta della parte posteriore della testa, il polso e l’avambraccio destro e la caviglia e la parte inferiore della gamba destra, nelle quali hai provato un’assenza di sensazioni. Sì, beh ci sono anche altre zone che abbiamo saltato, la zona

dell’inguine è totalmente priva di qualunque sensazione. Vuoi prendere consapevolezza di questa zona oggi oppure no? Dipende completamente da te. Umm, no, oggi no. Lasciamola per un’altra volta. [Notare che, data la sensazione di separazione tra diverse parti del corpo, Gregory, non è stato incoraggiato a completare il body scan e il terapeuta non gli ha suggerito di provare a sentire il suo corpo nella sua interezza].

188.

La cura del sé traumatizzato

La seduta è proseguita con il resoconto di Gregory sulla sua esperienza del body scan e ci si è focalizzati in modo particolare sull’elaborazione dei ricordi traumatici rivissuti nei confronti di suo zio (o meglio, suggeriti da Gregory mentre notava le sensazioni che provava nella zona dei glutei durante l’esercizio del body scan). In modo simile, il body scan era stato usato come punto di accesso per l'elaborazione di altri ricordi traumatici durante precedenti sedute. L'esperienza di Gregory del dis-embodiment parziale, come risulta evidente dalle esperienze che ha riferito durante

il body scan, si è risolta nel corso del tempo. Continuando la terapia, che includeva spesso la pratica del body scan, Gregory è arrivato pian piano a provare una sensazione di minor malessere in presenza di ricordi ed emozioni e inizia a sentire un senso più incarnato e unificato del sé. Gregory ha disegnato un'immagine di sé al termine di vari body scan e in momenti diversi nel corso della terapia. La figura 5.4 mostra la disconnessione vissuta da Gregory nella caviglia e nel polso destro durante il body scan prima descritto. In aggiunta, il suo disegno evidenzia le aree di insensibilità e di dolore sul viso, nella regione dei glutei, nella spalla destra e nell'indice della mano sinistra. È inoltre significativo che Gregory abbia rappresentato se stesso nel disegno senza naso né bocca.

Figura 5.4. Rappresentazione di Gregory di un'esperienza di perdita parziale del corpo durante un esercizio di body scan. Sinistra: vista anteriore; Destra: vista posteriore. Utilizzato su consenso dell’autore

da, ;

È SE

sam

5. La coscienza del corpo Caso

3:

ESERCIZIO

UNO

STATO

DI

RECUPERO

SPONTANEO

DEL

CORPO

DURANTE

189

UN

FISICO

“Tricia” è una donna di mezza età che ha vissuto una storia di abusi infantili. Durante i colloqui diagnostici riferiva sintomi cronici di depersonalizzazione. Al momento della trascrizione che segue, aveva cominciato solo da poco una terapia focalizzata sul trauma: in quel periodo l’obiettivo terapeutico riguardava l'apprendimento di principi basati sulla mindfulness e la pratica dello yoga e di brevi meditazioni, tra cui l'esercizio di prestare attenzione al respiro con lo scopo di sviluppare auto-consapevolezza e modulare le reazioni post traumatiche. In questo trascritto, Tricia descrive un’esperienza piacevole di embodiment temporaneo che attribuisce a ciò che sta imparando in psicoterapia e al fatto di aver iniziato un programma di esercizio fisico (corsa). Tricia:

Sto davvero cercando di creare una trasformazione nella mia vita e una parte di questo avviene tramite la terapia. Sto lavorando sul mio sé mentale, su quello emotivo e su quello fisico. Quindi sto lavorando per arrivare in un luogo dove posso indirizzare queste cose e in un ambiente che possa favorire la trasformazione. Ora sento proprio che sono arrivata in quel posto. Io non sono mai riuscita a essere fisicamente in forma. Non sono mai stata una persona atletica né una persona da palestra: adesso non sono per niente a mio agio né felice del mio stato fisico [immagine del corpo e taglia]... è un po’ che non sono soddisfatta e voglio cambiare tutto questo. Così mi sono comprata un tapis roulant. Ho scoperto che, dopo le nostre sedute

di terapia, mi sono

trovata a riflettere su alcune

delle cose che sono venute a galla mentre correvo sul tapis roulant. Quindi questo [esercizio] è qualcosa di nuovo per me. Mi ci vuole uno sforzo per farlo tutti i giorni, ma c'è una parte di me che sente che questa è proprio la cosa giusta. Così, dopo l’ultima seduta, che ho trovato così utile

Terapeuta:

con le pratiche di immaginazione e meditazione e più tardi la sera, stavo proprio davvero “mettendocela tutta” sul tapis roulant ed era piacevole e ho avuto un'esperienza veramente interessante. Per la prima volta ho davvero sentito il mio corpo. Non era come sentirlo nella mia testa. Potevo veramente sentire il mio corpo in un modo in cui non l’avevo mai sentito prima. Quello è stato un gran momento. È stato piacevole, davvero piacevole. Sembra meraviglioso e hai detto di esserti sentita davvero bene. Cosa hai provato? Com'è stato?

190.

La cura del sé traumatizzato

Tricia:

Potevo sentire i miei polmoni respirare e il mio torace espandersi e ho sentito i muscoli sulla schiena e mi sono sentita davvero nel mio corpo. E mentre ero sul tapis roulant, stavo ripensando ad alcune cose di cui abbiamo parlato [in terapia]... stavo semplicemente

Terapeuta:

correndo

e mi stavo

sentendo davvero bene. Ho provato come un senso di unione, tra il lavoro che stavo facendo qui [in terapia] e il lavoro fisico che stavo facendo sul tapis roulant. Sembra davvero fantastico. E la trasformazione di cui hai parlato prima, quel tipo di trasformazione che stai cercando in terapia, come hai detto, è qualcosa che si può verificare a più livelli. Perché se noi stiamo solo nella nostra mente, quella trasformazione non sarà così profonda come quando avviene nel nostro corpo e nelle nostre sensazioni, come hai detto tu in unione con tutti i nostri sensi del sé. Perciò questa sembra davvero un’esperienza incarnata meravigliosa e integrativa della sensazione “/o sono qui.” Una consapevolezza fisica incarnata nel corpo: ecco i miei polmoni che respirano, ecco il mio torace che si espande, ecco i miei muscoli che si muovono. Sembra una situazione molto salutare e molto viva...

Tricia:

Mm-umm

Terapeuta:

Un senso di essere vivi incarnato fisicamente nel corpo e, come hai detto, in una maniera più piena di quella che di solito provi...

Tricia:

Mm-umm

Terapeuta:

Che esperienza meravigliosa, sono molto contenta che ti sia capitato questo. E ho tutta l'intenzione che ricapiti di nuovo [sorride

Tricia:

[annuendo].

(annuendo).

fiduciosa). CASO 4: UTILIZZARE SENSOMOTORIA

LA MINDFULNESS

PER LAVORARE

CON

E GLI INTERVENTI

UN SENSO

BASATI

SULLA TERAPIA

DI SÉ DIS-INCARNATO

Suzy, una sopravvissuta a traumi di cui abbiamo già parlato nei capitoli precedenti, aveva incontrato, diverse settimane prima, una delle persone che in passato avevano abusato di lei. Da allora aveva iniziato ad avere esperienze sempre più frequenti di depersonalizzazione e derealizzazione. All’inizio della seduta Suzy appariva molto disconnessa rispetto a sé e rispetto all'ambiente: rimaneva seduta sul divano, in una postura collassata e senza essere in grado di mantenere il contatto visivo. La terapeuta le chiese di descrivere cosa stava provando nel corpo mentre faceva il body scan. Suzy mostrò difficoltà significative ad esprimere a parole ciò che stava sentendo, e notò: “Le parole qui non ci

5. La coscienza del corpo

191

sono...” La terapeuta a quel punto le chiese se fosse in grado di disegnare ciò che stava provando. Suzy si mostrò d’accordo e fece un disegno che rappresentava ciò che stava sentendo (vedi figura 5.5, pannello di sinistra). 29

.

.

.

.

Figura 5.5. Raffigurazione di Suzy dell’esperienza di perdita del corpo e di recupero del corpo dopo un esercizio di body scan. Utilizzata su consenso dell’autrice

Il disegno raffigura Suzy mentre vive la sensazione di avere entrambe le mani e i piedi disconnessi dal tronco. In aggiunta, il cervello è raffigurato fuori dal cranio, il cuore in gola e lo stomaco al posto del cuore. Anche gli organi interni sono fuori dal corpo e gli occhi si muovono spontaneamente e con grande velocità in direzione orizzontale e verticale: questo impedisce a Suzy di mantenere un contatto visivo con gli altri. Da notare, infine, che nel suo autoritratto Suzy non ha naso, né

bocca né orecchie. Dopo che Suzy finì di disegnare, la terapeuta le chiese se voleva completare un altro body scan. Suzy notò che guardare il disegno mentre faceva il body scan rendeva molto più facile trovare le parole per descrivere ciò che stava provando. Cominciò riferendo “le mie interiora sono tutte mescolate alla rinfusa. Non sono certa delle mie mani oggi. Non credo siano attaccate. Non credo che lo siano da parecchio tempo”. Mentre esaminava da vicino la sua mano sinistra, Suzy notò: “Sto cercando di sentire se io sono qui oppure no”. Poi continuò: “Sento il mio cuore e lo stomaco come se fossero in gola [lunga pausa]. Credo che le mie gambe

192

La cura del sé traumatizzato

siano qui, ma non sono sicura dei miei piedi. I miei piedi sono intorpiditi e formicolano,

quindi potrebbero

essere parzialmente

qui, ma

le mie

mani non ci sono”. La terapeuta incoraggiò Suzy a prendere una mano, notando che sensazione provava nel punto in cui la mano si attaccava al braccio. Mentre

esaminava

la mano

sinistra, Suzy osservò che sentiva la mano

come se non appartenesse a lei e disse che “si fermava” all’altezza del polso. Poi continuò: “Non sono sicura che sia la mia mano e questo mi rende nervosa perché non so se mi farà del male o quello che farà. Credo che da bambina ho imparato che le mani sono fatte per far del male alle persone. E quando non le sento come le mie mani ho paura che 0 farò del male alle persone”. Quando la terapeuta le chiese se riconosceva le sue mani, Suzy rispose: Hanno un aspetto familiare, ma non mi sembrano attaccate. Sembra come se penzolino. Le ho già viste... [lunga pausa] le vedo quando sono disconnessa. Potrebbero essere le mani di un’altra parte di me. Credo che forse quella parte di me esiste per escludere le cose. Quella parte di me l’ha fatto, in modo che io possa non sentire le cose. Però penso che a volte quella parte di me mi ha fatto del male. Non sono sicura. Quella parte di me porta con sé il dolore. Quando vengo sopraffatta dal dolore, quella parte di me fa male, si taglia o qualcosa del genere. Allora il dolore mentale diminuisce perché ora c'è un dolore diverso, un dolore fisico. È come un sollievo, per un po’ puoi anche dimenticare tutte le cose che hai in testa. C'è un sollievo là. Ma poi ti devi occupare del taglio o della bruciatura, vieni lasciata a raccogliere quei pezzi.

La terapeuta incoraggiò Suzy a riflettere sul ruolo della parte di sé che aveva appena descritto, e Suzy fece un collegamento: quella parte di lei aveva sempre funzionato in maniera protettiva. Tuttavia, quando la terapeuta le chiese se questa parte di lei stava funzionando nel presente, Suzy rispose velocemente che stava ancora funzionando come se stesse nel passato: “Sento come se non avessi scelta, sono congelata nel passato”. Venne discussa l’importanza per Suzy di riuscire a radicarsi nel presente, stabilendo un senso di sicurezza interno e un senso di controllo rispetto al suo senso di sé nella sua interezza. Suzy concordò sul fatto che uno degli obiettivi della terapia doveva riguardare uno stato in cui (1) sentisse sia le mani che i piedi attaccati; (2) si sentisse solidamente ancorata

a terra su tutti e due i piedi; (3) non vi fossero ripetute esperienze fuori dal corpo. Suzy e la terapeuta associarono questi obiettivi all’intenzione di aumentare la capacità di scelta, creandosi opportunità e scegliendo liberamente: tramite un senso più pieno di embodiment avrebbe potuto essere più capace di agire sul suo ambiente, vivendo quindi un miglior senso di agency e di controllo. Suzy si sentì sollevata udendo questi obiettivi

5. La coscienza del corpo

193

terapeutici chiaramente articolati. La sua postura divenne notevolmente più eretta

SICUTO.

e commentò che stava cominciando a sentirsi molto più al

Dopo questo intervento, Suzy descrisse nuovamente provando

nel corpo.

Dichiarò

che, grazie all’esercizio,

ciò che stava le cose

erano

cambiate in modo significativo. Non si sentiva più come se fosse distaccata; si esaminò entrambe le mani e disse che ora le sentiva fermamente attaccate ai polsi. Notò anche che sentiva i piedi ben radicati e che non aveva più sensazioni di ottundimento né di formicolio ai piedi. Commentò che sentiva il suo cervello di nuovo al suo posto all’interno del cranio; il cuore non si trovava più nella parte alta del torace e lo stomaco non era più al posto del cuore. Gli occhi non si stavano più muovendo in senso orizzontale o verticale e il contatto oculare migliorò. Quando le venne chiesto di fare un altro disegno su come rappresentava se stessa più incarnata, Suzy disegnò un'immagine di sé che era molto diversa da quella che aveva disegnato all’inizio della seduta (figura 5.5; pannello destro). Questimmagine mostrava mani e piedi interamente connessi al corpo. Il cervello, il cuore, lo stomaco e gli organi interni non erano più fuori posto. Disegnò anche il suo viso, stavolta con naso e bocca, e con i capelli sulla testa. In questa immagine, successiva al body

scan, Suzy rappresentò se stessa con la divisa da karate. Da notare che Suzy in passato aveva intrapreso un corso di karate per gestire le emozioni travolgenti e per provare un migliore senso di sicurezza nel suo corpo. Caso CON

5:

UTILIZZO

UN SENSO

DEGLI

SCHEMI

DI SÉ E DELL'ARTETERAPIA

PER

LAVORARE

DI SÉ DIS-INGCARNATO

Talvolta abbiamo riscontrato che i pazienti traggono beneficio disegnando o facendo un collage che rappresenti come vedono loro stessi all’inizio della terapia: se si sentono al sicuro a farlo, questo esercizio viene ripetuto a intervalli regolari, facilitando l’incorporazione sia dei processi verbali che dei processi non verbali durante il lavoro sullo schema di sé. La figura 5.6 rappresenta un disegno/collage completato da una paziente che chiameremo Kim in due momenti diversi della terapia. Kim è una donna con sintomi dissociativi significativi, nati in seguito ad abusi

prolungati nell’infanzia. All’inizio della terapia Kim aveva raffigurato se stessa con una linea sottile intorno al suo corpo per illustrare “quanto sono fragile e quanto raramente sono consapevole dei confini del mio corpo”. Il disegno del “Prima” (pannello sinistro) mostra anche l’assenza di occhi, orecchie, naso e bocca. Un rettangolo nero copre il viso di Kim: questo per lei simboleggiava “la totale disconnessione”. Inoltre è possibile notare l'assenza di mani e piedi, modo per Kim di descrivere il fatto che le sue sensazioni non erano “quasi mai radicate”. Kim riportava un senso del sé molto frammentato, che ha raffigurato includendo diverse “parti di sé”

194.

La cura del sé traumatizzato

all’interno del nucleo centrale del suo corpo. Descriveva queste parti di sé come “estremamente separate, incapsulate”. Dopo essersi impegnata in una psicoterapia focalizzata sul trauma utilizzando i vari approcci discussi in questo libro, Kim completò un altro collage (vedi figura 5.6, pannello destro). Il disegno/collage creato al termine della terapia mostra confini molto più chiari intorno all'intero corpo, e la figura possiede mani, piedi e un viso provvisto di occhi, orecchie, naso e bocca. Con questi dettagli Kim voleva comunicare la convinzione, appena scoperta, di “avere ora una. voce” e la sensazione di essere molto più radicata. Riferiva meno frammentazione e “meno caos dentro” e un'’accresciuta consapevolezza dei suoi stati emotivi. Rappresentò queste nuove qualità disegnando se stessa in una maniera più ordinata, con le parti sé meno incapsulate. Il cambiamento tra i due disegni è coerente con il cambiamento clinico, in particolare riguardo a una significativa diminuzione dei sintomi dissociativi. Un'ulteriore diminuzione clinica degli aspetti dissociativi è coincisa con una diminuzione degli atti di rivittimizzazione: a questo punto Kim fu in grado di iniziare a fare volontariato presso un’agenzia per la salute mentale di comunità, e cominciò a creare una sua rete sociale di supporto.

Figura 5.6. // collage del sé di Kim prima e dopo una psicoterapia focalizzata sul trauma. Su consenso dell'autrice

Riassunto

In questo capitolo abbiamo esaminato le modalità attraverso le quali l’esperienza di traumi psicologici può alterare la coscienza dell’embodiment,

5. La coscienza del corpo

195

ovvero il senso di avere un corpo, “di esser consapevolmente dentro esso”, di possederlo e di appartenervi. Abbiamo passato in rassegna due strade attraverso le quali è potenzialmente possibile provocare una “perdita del corpo” (dis-embodiment) in condizioni sperimentali e in persone sane: 1) dis-embodiment bottom-up, come esemplificato dalle illusioni percettive multisensoriali e 2) dis-embodiment top-down, mediante

suggestione ipnotica. Abbiamo illustrato anche la neurofenomenologia della depersonalizzazione

(parziale o completa)

nei disturbi correlati

a traumi. In particolare, il modello 4-D afferma che bisognerebbe distinguere i TRASC collegati al corpo (che avvengono per esempio nelle esperienze di depersonalizzazione) da stati generici di malessere basati sul corpo (come l’iper o l’ipo-arousal fisiologico) che rappresentano situazioni che avvengono nella coscienza normale in stato di veglia (CNV). Abbiamo infine fatto una panoramica di alcuni esercizi terapeutici: abbiamo descritto in particolare le variazioni del body scan (metodo già utilizzato nelle terapie basate sulla mindfulness) e l'uso dell’autoritratto per documentare il grado di embodiment del paziente, che aiuta ad occupare uno stato di sé incarnato più sicuro e stabile, diventandone titolare a tutti gli effetti. Lungo tutto il capitolo sono stati forniti esempi clinici di stati del sé incarnati e dis-incarnati.

CAPITOLO 6

La coscienza delle emozioni. Sentire troppo, sentire troppo poco

Esiste una funzione originaria di monitoraggto all’interno del cervello, che osserva ma non è osservata? Molte persone, tra le quali mi includo, credono che non vi sia una tale entità. Suggerisco semmai il contrario, cioè che vi sia un processo basilare coerente, 0 “auto-rappresentazione”, che non osserva nel senso convenzionale del termine, ma che è osservato 0, quanto meno, è fortemente “intrecciato” con vari processi percettivi di più alto livello. In altre parole, lo schema-sé fornisce input a molti analizzatori sensoriali ed è anche fortemente influenzato dai circuiti emozionali primari. Queste interazioni possono costituire la coscienza emozionale. Questo processo basilare, lo schema-sé primordiale, non è direttamente influenzato da contenuti superiori di coscienza, benché possa venire nettamente e automaticamente modificato da vane altre influenze, come i trigger emozionali condizionati, la meditazione, la musica, la danza e probabilmente da una varietà di altri input e attività sensomotorie ritmiche.

Jaak Panksepp!

In questo capitolo approfondiremo la neurofenomenologia del sentire emozionale, cioè della componente esperienziale della emozionalità, come

si presenta comunemente nelle persone traumatizzate. È ben noto che le persone che hanno vissuto gravi eventi traumatici spesso soffrono di disregolazione emozionale, rimanendo presi tra intensi stati di paura, ansia, perdita, rabbia, colpa e vergogna. Dal punto di vista del modello 4-D, il comun denominatore di questi stati è il grave malessere (distress) ' Da Panksepp J. (1998). Affective Neuroscience:

The Foundations of Human

and

Animal Emotions. Oxford University Press, New York, p. 309. Su permesso di Oxford University Press, USA.

6. La coscienza delle emozioni

197

emozionale: sebbene siano spesso dolorosi, intrusivi e dannosi a livello relazionale

e sociale, non

riteniamo

che questi stati emozionali

siano

di per se stessi dissociativi. In effetti tutti noi sperimentiamo, in vario grado, queste emozioni all’interno dei confini della coscienza normale in stato di veglia (CNV). La loro semplice presenza, quindi, non è di per sé sufficiente per supporre l’esistenza di stati alterati di coscienza correlati a traumi (TRASC) di tipo emozionale. Tutti abbiamo emozioni, ma tutti noi abbiamo

tutte le emozioni?

Considereremo in questo capitolo anche l’esistenza di uno stato affettivo che potrebbe essere intrinsecamente di natura dissociativa e quindi, per definizione, non disponibile alla CNV. Più precisamente, suggeriamo che alcune manifestazioni di ottundimento emozionale o di spegnimento affettivo (uno stato emozionale che è al tempo stesso sia “non-emozionale” che “senza-emozioni”) siano esempi di TRASC di tipo emozionale. Con questo intendiamo affermare che la presenza di ottundimento emozionale marcato, come descritto nel modello 4-D, è di per sé sufficiente per considerare che una persona sia all’interno diun TRASC di tipo emozionale. In aggiunta a ciò, faremo una distinzione fenomenologica tra “avere emozioni” ed “essere un'emozione” come mezzo per comprendere altri stati affettivi disregolati che spesso si manifestano in persone traumatizzate e per poter valutare la compartimentazione dissociativa dell'esperienza dell’emozione, che è analoga all’esperienza di una divisione interna alla struttura del sé che segua le linee dell’emozionalità. La figura 6.1 illustra la dimensione delle emozioni all’interno del modello 4-D. Figura 6.1. /l modello 4-D del sé traumatizzato, che distingue stati di grave stress CNV

da TRASC (vedi în particolare il riquadro Emozioni), ET=esperienze traumatiche

Flashback, | Reviviscenza,

Sentire voci

Depersonalizzazione

Frammenta-

zione

delle emozioni

198.

La cura del sé traumatizzato

Definire il malessere emozionale: classificazione delle emozioni e dell’esperienza emozionale

Alcuni teorici hanno ipotizzato ripetutamente che l’elaborazione emozionale possa aver giocato un ruolo significativo nell'evoluzione inter-specifica della coscienza (cfr. per es. Panksepp 1998; Izard 2007, 2009; Panksepp e Northoff 2009). Tuttavia definire e classificare cosa siano,

di per loro, le emozioni

e l’affettività

è, sorprendentemente,

non così facile come si potrebbe pensare (Izard 2010). Un paradigma dominante, chiamato teoria delle emozioni di base, ipotizza che sistemi neurali specifici (a volte chiamati “programmi affettivi”) siano dedicati alla

mediazione

di comportamenti

emozionali

distinti,

come

quelli

regolarmente coinvolti nei comportamenti e nelle espressioni facciali universalmente riconosciute (per es., rabbia, paura, tristezza e disgusto per Ekman [1999] e paura, panico, rabbia per Panksepp [1998]). L'idea di principio della teoria delle emozioni di base è che le fondamenta cerebrali per le diverse emozioni (per es., paura rispetto a rabbia) includano gruppi di elementi in parte sovrapponibili e in parte distinti. Sebbene siano notoriamente deboli le evidenze riguardo alla natura distinta delle emozioni quando si tenta di raccoglierle in termini di risposta all’interno del

sistema

nervoso

autonomo

degli

umani

(Larsen

et al. 2008),

mediante il neurotmmaging funzionale si stanno raccogliendo sempre più dati che danno sostegno empirico alla presenza di rappresentazioni delle emozioni a livello di sistema nervoso centrale (Murphy et al. 2003, Phan et al. 2002, Vytal e Hamann 2010, Lindquist et al. 2012). La figura 6.2 illustra la neuroanatomia di specifiche regioni cerebrali frequentemente identificate negli studi di neuroimaging sulle emozioni. Vari studiosi tuttavia mettono in dubbio l’ipotesi che le varie emozioni di base elencate siano realmente distinte a livello biologico, nel senso filosofico di “enti di natura” — cioè che le distinzioni categoriali tra le diverse emozioni di base colgano degli snodi essenziali della natura. I costruttivisti, per esempio, affermano che l’apparente unicità delle emozioni di base potrebbe essere semplicemente il prodotto di interpretazioni cognitive post hoc effettuate a partire da distinzioni più rudimentali, nel momento in cui avvengono nel contesto di differenti ambienti fisici e sociali. Queste distinzioni più rudimentali includono, da un versante, positività versus negatività (ovvero piacevole/appetitivo versus spiacevole/aversivo) o gli orientamenti avvicinamento versus allontanamento; oppure alto arousal fisiologico versus basso arousal fisiologico (Barrett 2006a, 2006b, 2009, 2012; Barrett e Gendreon 2009; Feldman-Barrett e Russell 1999; Russell 1980, 2003, 2005, 2009; Russell e Carroll 1999).

Per esempio: lo stesso stato fisiologico negativo ad alto arousal potrebbe venire vissuto come paura nel contesto di una vulnerabilità percepita, ma come rabbia nel contesto di una percepita dominanza. Questi “modelli a due fattori” delle emozioni sono, per definizione, più essenziali e

6. La coscienza delle emozioni

199

parsimoniosi rispetto al punto di vista delle emozioni di base, che divide

le esperienze emozionali in categorie qualitative più distinte. I fattori di valenza e di orientamento dell’azione distinguono le emozioni mediante le caratteristiche, rispettivamente, esperienziali e comportamentali. Divergono tuttavia su alcuni dettagli, per esempio nella categorizzazione della rabbia. La rabbia è tipicamente considerata negativa come valenza esperienziale e viene quindi associata ad altri affetti negativi (come paura e tristezza) rispetto alla cornice di riferimento della valenza. AI tempo stesso, considerando

la direzione

dell’azione,

la rabbia viene valutata

come diretta in avanti, quindi, secondo certi modelli, classificata con altre emozioni

a direzione

simile, come

il desiderio e il volere, nonostante

questi ultimi tendano ad avere valenza positiva (Carver e Harmon-Jones

2009).

Figura 6.2. Neuroanatomia della coscienza delle emozioni Coscienza

delle emozioni DM=)3

PFC

Precuneo incipes© =

Amig-

VACC

dala IPL

Insula

MPFC

icin n

Legenda: DMPFC: corteccia prefrontale dorsomediale; IPL: lobo parietale inferiore; MPFC: corteccia prefrontale mediale; pACC: cingolato anteriore perigenuale; PCC: cingolato posteriore; TP: polo temporale; vACC: cingolato anteriore ventrale; VMPFC: corteccia prefrontale ventromediale.

Molte ricerche suggeriscono che, quando una persona viene valutata in termini di tratti — cioè in termini di come di solito si sente — le cornici

200.

La cura del sé traumatizzato

a due

fattori forniscono

una

delle differenze

individuali

comportamento

(Cacioppo

essenziale

e parsimoniosa

di esperienza

emozionale

descrizione

in termini e Berntson

1994; Cacioppo

e

et al. 1999;

Feldman-Barrett e Russell 1999; Russell 1980, 2003, 2005, 2009; Russell e Carroll 1999; Watson e Tellegen 1985; Watson et al. 1999). In termini

ampi, la ricerca suggerisce che le persone che tendono a sperimentare uno o più affetti negativi, come ansia o tristezza, avranno più probabilità di riportare frequenti esperienze di altri affetti negativi, come rabbia o vergogna. In altre parole, la frequenza con la quale specifici individui vivono specifici stati emozionali negativi è correlata. Parallelamente,

se

una persona riporta di sperimentare spesso un’emozione positiva, come la gioia, avrà più probabilità di riportare frequenti esperienze di altre emozioni positive, come per esempio un senso di relax. Tuttavia da qualche tempo, in contrasto con una cornice di riferimento ancora più semplice che collocherebbe gli affetti positivi e quelli negativi agli estremi opposti di un unico continuum, vari studiosi ritengono che la descrizione delle valenze positive e negative richieda due “contenitori” separati, piuttosto che uno solo: gli affetti positivi e gli affetti negativi vengono considerati due cose diverse piuttosto che i due estremi di un solo continuum. Sono fondamentali per questo approccio alcuni dati consolidati di ricerca secondo i quali la frequenza con la quale una persona riferisce di sperimentare emozioni negative versus emozioni positive è correlata negativamente in modo non robusto. In altre parole, la persona che vive spesso emozioni negative non è necessariamente la stessa persona che vive raramente emozioni positive: gli stati affettivi non vanno “mano nella mano” in modo così netto come l’intuizione potrebbe al contrario prevedere (Watson e Tellegen 1985, Watson et al. 1999). Come neurofenomenologi, tuttavia, siamo primariamente interessati

alla soggettività dei momenti emozionali, per come emergono in tempo reale, cioè come stati emozionali piuttosto che come tratti emozionali. Misurate in termini di momenti distinti nel tempo, le nozioni bipolari di edonicità (ovvero di valenza piacevole/spiacevole) e di attivazione fisiologica o arousal (basso/alto, oppure attivato/disattivato) potrebbero essere più che sufficienti come mezzi per descrivere gran parte dei substrati fisiologici di ciò che chiamiamo esperienza emozionale (Barrett, Linquist, e Gendron 2007; Barrett et al. 2007; Feldman-Barrett e Russell 1999; Russell 2003, 2005, 2009; Russell e Carroll 1999). In accordo con

molti altri, abbiamo affermato che il vantaggio teorico di un modello multifattoriale stia nella capacità di rappresentare emozioni “miste”, nello specifico stati emozionali che appaiono avere valenza sia positiva che negativa (Frewen et al. 2008). Per esempio, i sopravvissuti a uccisioni di massa possono sperimentare sia gratitudine che senso di colpa per il fatto di essere scampati, e al tempo stesso sono addolorati per la perdita dei meno fortunati; senza due valenze a disposizione, bisognerebbe rappresentare questa esperienza, lungo un unico continuum bipolare

6. La coscienza delle emozioni

monofattoriale,

da qualche parte all’interno

di una

metà

201

neutrale

di

un asse che differenzi gratitudine e colpa, senza riuscire in ogni caso a rappresentare il conflitto emozionale interno del sopravvissuto.

E tuttavia possibile che un’analisi temporale più fine dell’esperienza

emozionale possa risolvere l'apparente stallo e dilemma causato, nei modelli bipolari, dalle emozioni miste. Potrebbe per esempio evidenziarsi l’irragionevolezza di descrivere un’emozione mista nell'arco di momenti brevi, tipo 2-3 secondi, mentre differenti emozioni possono essere presenti, in modo instabile, nel corso di periodi più lunghi di tempo, per es. 10 secondi circa, e certamente nel corso di più minuti. Da questo punto di vista non ci stupirebbe assolutamente il fatto che alcuni studenti di college si possano sentire sia felici che tristi nel giorno del diploma (Larsen et al. 2001). In effetti le modalità in cui l’esperienza emozionale

può cambiare momento-per-momento in intervalli relativamente brevi di tempo rappresenta un elemento spesso trascurato negli studi scientifici (Davidson 1998, Kirkland e Cunningham 2012, Koval e Kuppens 2012, Kuppens et al. 2012, Lewis 2005). Yik, Russell e Steiger (2011) hanno portato l’attenzione dei ricercatori sul fatto che gli stati emozionali dei partecipanti a uno studio possono cambiare durante il completamento dei lunghi questionari di ricerca: questo può portare a rilevare uno stato emozionale maggiormente attivato e interessato all’inizio di un test piuttosto che alla fine. Nel prossimo paragrafo esamineremo le differenze tra risposte emozionali legate a eventi esterni (esterocezione) e legate a eventi interni (enterocezione).

Le

emozioni

dentro

e fuori:

la componente

interna

e la

componente esterna dell’emozione Ricollegandosi a Cartesio e, più recentemente, a Brentano i filosofi hanno caratterizzato la coscienza intenzionale riferendosi soprattutto a oggetti definiti al di fuori dei confini del sé conscio (contenuto esterno, diretto dall'oggetto) o alla consapevolezza dell'agente che è conscio (contenuto auto-diretto, interno, o semplicemente, autoconsapevole). In questo modo, la proprietà dell’intenzionalità crea simultaneamente la distinzione molto generale tra cose che sono “me” e cose che sono “non me” e tra un mondo interno (“sé”) e un mondo esterno (“non sé”).

Nel progettare esperimenti di neuroimaging, il campo delle neuroscienze sociali, cognitive e affettive ha sempre di più riconosciuto la differenza basilare tra un “mondo” esterno e uno interno: in questo modo le ricerche hanno studiato i processi neurali che mediano l’attenzione diretta alle cose al di fuori del sé, denominata esterocezione, paragonandola ai processi implicati nell’attenzione diretta a sé, denominata introspezione quando la coscienza riflette su se stessa in modo astratto e “cognitivo” (mediante linguaggio, la logica e la sintassi) o enterocezione quando la coscienza è diretta verso l’esperienza delle emozioni e delle sensazioni corporee (vedi

202

La cura del sé traumatizzato

rassegne di Lieberman 2007, Phan et al. 2003, Wager et al: 2003):

In uno studio diventato classico, il primo a paragonare direttamente l’esterocezione e l’enterocezione di stimoli emozionali, Lane e colleghi chiesero ai soggetti di vedere fotografie sia piacevoli (per es. fiori) che spiacevoli (per es. cimiteri) in ciascuno

un “focus interno”, rappresentato si sentivano

di due diversi modi:

da osservare

in risposta alla fotografia,

e (2) con

(1) con

e poi valutare come un

“focus

esterno”,

rappresentato da osservare e poi valutare se la fotografia rappresentava un ambiente in interni o all’aria aperta (Lane et al. 1997). E importante sottolineare che i partecipanti non “giudicavano cognitivamente” la valenza

delle

fotografie,

in modo

neutro

e distaccato;

al contrario,

valutavano e misuravano come sì sentivano in risposta a esse. Paragonando tra loro i due diversi tipi di focus conscio, Lane e colleghi mostrarono che focalizzarsi internamente sull’esperienza emozionale era associato a un aumento della risposta all’interno del cingolato anteriore perigenuale e ventrale, con estensione alla corteccia prefrontale mediale, a regioni della linea mediana anteriore del cervello e all’insula sinistra. Dopo questo studio, altri dati hanno confermato l’implicazione di queste aree nell’elaborazione emozionale. A paragone, il focus sugli stimoli esterni reclutava in modo netto la corteccia parieto-occipitale bilateralmente, aree che sono state implicate in maniera meno affidabile nell’elaborazione emozionale. Questo studio, quindi, ha mostrato che gli stessi stimoli visivi, quando vengono approcciati in modi differenti, reclutano reti neurali distinte: il focus interno era associato a regioni particolarmente coinvolte nell'esperienza emozionale, mentre il focus esterno si associava a percezioni visive e somatosensoriali. Mentre lo studio di Lane e colleghi ha esaminato gli effetti dell’attenzione verso uno stimolo esterno, dirigendola internamente o esternamente, altre ricerche hanno esaminato le differenze nella risposta emozionale a esperienze emozionali generate esternamente o internamente (per es., emozioni generate come risposta a fotografie o film paragonate a recupero di ricordi carichi emozionalmente o a immaginazione di situazioni descritte in un copione). In generale, i risultati suggeriscono che l’emozionalità generata internamente tende ad avere maggior successo, cioè porta a emozioni di maggiore intensità, rispetto agli stimoli esterni (cfr. per es. Salas et al. 2012): da ciò alcuni ricercatori deducono una stretta associazione tra i processi che mediano, da un versante la memoria episodica e l’immaginazione, e, dall’altro versante, l’esperienza emozionale (Holmes e Matthews 2005, 2010; Holmes, Lang e Deeprose 2009; Holmes, Lang e Shaw 2009; Holmes et al. 2008). Anche le meta-

analisi suggeriscono che le regioni cerebrali coinvolte con la generazione interna dell’esperienza emozionale differiscono da quelle implicate nella generazione esterna. Per esempio, si sa da un certo tempo che l’amigdala tende a rispondere in modo più affidabile a stimoli emozionali esterni, come film, foto e suoni sgradevoli, rispetto a stimoli interni (per es., ricordi o immaginazione; Phan et al. 2002). In aggiunta a ciò, un recente

6. La coscienza delle emozioni

203

studio su un singolo e raro caso di un uomo sottoposto ad ablazione selettiva della corteccia visiva e che tuttavia riesce a immaginare gli eventi visivamente mostra che l'immaginazione visiva non richiede percezione visiva (Bridge et al. 2012).

Stato affettivo di base (Core Affect) e quadrante delle emozioni: un modello del senso emozionale del sé Lo stato affettivo di base (Core Affect) è sempre potenzialmente disponibile, benché possa essere centrato, 0 periferico, 0 così periferico che diventa invisibile. Benché [...] possa arrivare a essere diretto verso un oggetto, il Core Affect di per sé è liberoda-Oggettì, ovvero, nella sua pura forma, fluttua liberamente, è non-intenzionale nel senso filosofico del termine. [Tuttavia] il Core Affect può essere sperimentato solo raramente in questa forma pura (forse i casi più prossimi sono quelli indotti da sostanze), [piuttosto] è tipicamente sperimentato in abbinamento con altri elementi della coscienza, mentre il soggetto interagisce col mondo. Sebbene sia non-intenzionale, il Core Affect è causato, e talora un evento evidente ne è l’ovvia causa [...] Ma spesso affrontiamo molti eventi simultaneamente, ognuno dei quali contribuisce al Core Affect. Per questo vìi sono influenze sul Core Affect aldilà della consapevolezza 0 addirittura della capacità umana di percepire [...] Il Core Affect non è collocato in alcuna parte del corpo, se non nel Core Self [sé nucleare] che è il puro e semplice qui e ora’. Il Core Affect è coscienza non-riflessiva di prim'ordine ed è quindi distinto dal concetto cognitivo e narrativo del sé [...] Sebbene il Core Affect sia cosa antica e non-linguistica, se venisse tradotto in linguaggio sarebbe ‘To sento X° [...] il sentire non può essere ridotto a nessun elemento comportamentale, sensoriale o ancor più basilare: il Core Affect

è un elemento irriducibile della coscienza” (pp. 29-31). James Russell (2005, pp.29-31)?

Il punto chiave dell’integrazione è la realizzazione di una rappresentazione coerente di tutte le condizioni salienti attraverso tutti î sistemi rilevanti in ogni immediato momento

di tempo- un ‘momento emozionale globale’ [...J. La rappresentazione unificata di tutte le condizioni salienti è in effetti una rappresentazione dell’interezza dell ‘individuo [...] a cui facciamo riferimento con la definizione di sé senziente”. Il ? Da RussellJ.(2005). Emotion in human consciousness is reducible to core affect. Journal of Consciousness Studies 12, 8-10, 26-42. Su permesso di Imprint Academic.

204.

La cura del sé traumatizzato

modello cinemascope della consapevolezza [...] è essenzialmente un continuo aggiornarsi (updating) di momenti emozionali globali che spaziano all’interno di un'estensione finita di tempo presente che incorpora rappresentazioni predittive basate su modelli

interni acquisiti [...]J. Così, un

momento

emozionale globale è il sé senziente, o il sé neurale, in ogni momento di tempo. L’ingrediente essenziale di questo modello di un sé senziente è il costrutto neurale per un sentimento, che

rappresenta innanzitutto una condizione sensoriale omeostatica nel corpo” (p. 569). A.D. (Bud) Craig*

Mentre molti modelli descrivono l’esperienza emozionale in termini di “episodi emozionali” distinti, oppure come differenti tipi di “umore”, più duraturi ma comunque passeggeri, il concetto di core affect (0 stato affettivo di base) proposto da Russell (2003) descrive lo sfondo affettivo dell’esperienza momento-per-momento. Secondo questo autore il core affect va considerato latente in ogni esperienza; è la lente attraverso la quale l'individuo sperimenta il mondo, attraverso la quale ogni esperienza viene sentita. Allo stesso tempo, tuttavia, Russell considera che il core affect risieda di solito sullo sfondo della consapevolezza, rimanendo in gran parte impercettibile a meno che non vi si presti attenzione deliberatamente. Si suppone che il core affect vari nel tempo, rispecchiando il cambiamento sempre presente nel mondo intorno a noi. Il concetto di core affect definisce l’esperienza momento-per-momento di se stessi sotto forma di processi omeostatici continui che in genere rappresentano gradi basilari di arousal e di piacevolezza/spiacevolezza percepita. Il core affect definisce il sé come sfondo affettivo: lo stato

affettivo di base agisce come uno schermo attraverso il quale i futuri eventi vengono sentiti. Rappresenta quindi un modello affettivo del senso di sé, continuamente rivisto e aggiornato a ogni momento che passa. Nel modello di Russell, il core affect e il “sé nucleare” (core self) di Damasio (1999) sono considerati concetti ampiamente ridondanti, se non per il fatto che il core affect sottolinea in modo naturale le dimensioni della coscienza emozionalmente rilevanti mentre il concetto di sé nucleare include elementi più basilari della relazione tra organismo e ambiente (Russell 2005). Senza mettere attenzione sul core affect possiamo essere relativamente inconsapevoli di come ci sentiamo, sebbene si ritenga che il core affect rifletta, allo stesso modo, ciò che avviene sia nel milieu fisiologico interno che nel mondo sensoriale esterno. In accordo a ciò, Russell nota che, se ci chiedono come ci sentiamo, siamo di solito istantaneamente

consapevoli della risposta: si ipotizza che questa capacità sia basata sul core affect (Russell 2003, 2005, 2009; Russell e Carroll 1999). ® Da Craig A.D. (2010). The Sentient Self. Brain Structure and Function 214, 5,

563-577. Su gentile concessione di Springer Science and Business Media

6. La coscienza delle emozioni

205

Il concetto di Craig (2010) di “sé senziente” affettivamente sembra

sovrapporsi in modo significativo con la definizione di core affect di Russel. Tuttavia Craig va oltre e propone un modello neuroanatomico per il feeling (capacità di sentire) affettivo di base, collegandolo in modo interessante all’insula anteriore e all’emisfero destro. Craig (2002, 2005, 2010) ha passato in rassegna un’ampia letteratura per giungere all’ipotesi che potrebbe esistere una mappatura somatotopica all’interno dell’insula: l’insula anteriore, con le sue rappresentazioni multimodali del corpo, fungerebbe da base per l’enterocezione conscia e quindi per il sentire soggettivo. Si pensa che tali rappresentazioni, in interazione col cingolato anteriore, forniscano ulteriori basi per la regolazione emozionale conscia,

cioè per la scelta e per i conseguenti tentativi pratici di sentire in modo diverso (per esempio meglio) di quanto ci si senta al momento (Medford e Critchley 2010). In aggiunta a ciò, associazioni tra rappresentazioni nell’insula potrebbero venire comunicate, in parte attraverso il cingolato, alla corteccia prefrontale mediale, dove potrebbero in questo modo influenzare la funzione di uno dei nodi primari del sé narrativo, e di conseguenza partecipare al pensiero riflessivo e al giudizio valutativo. Questo non significa che non si possa strutturare consapevolmente la propria consapevolezza in modo da separare le emozioni dai pensieri: è possibile prevenire in questo modo la genesi di pensieri eccessivamente carichi in senso affettivo, come preoccupazione e ruminazioni (Farb et al. 2007). Come sono gli stati del core affect? Come esempio di un modello a due fattori, Russell (2003) propone che gli stati specifici del core affect possano venire rappresentati da una struttura a quadrante definita da due assi (vedi figura 6.3): piacere (piacevolezza versus spiacevolezza) e attivazione fisiologica o arousal (attivazione versus disattivazione). Le strutture a quadrante permettono di visualizzare intercorrelazioni tra variabili che sono contenute in uno spazio circolare. La maggioranza dei modelli a quadrante demarcano differenti “tipi” di esperienza emozionale mediante la loro collocazione intorno a otto vettori (suddivisi

per incrementi di 45°), sebbene Yik et al. (2011) hanno proposto in modo convincente

di riconoscere

12 vettori nel loro modello.

Il quadrante,

in senso fenomenologico, raffigura il concetto che la somiglianza di un’esperienza emozionale rispetto a un’altra segue un’onda sinusoidale mentre ci si sposta in senso orario o antiorario e intorno al quadrante (per es. avvicinandosi 0 allontanandosi da un vettore, Yik et al. 2011). Yik

e colleghi hanno dimostrato in modo convincente l’adeguatezza di una struttura a quadrante per raccogliere e descrivere il range di variazione nell'esperienza di gran parte delle misure psicometriche attualmente utilizzate

e riguardanti

emozioni,

umore

e variabili

personologiche,

quanto meno per ciò che riguarda popolazioni psicologicamente sane.

206.

La cura del sé traumatizzato

Figura 6.3. // quadrante delle emozioni, da Vik et al. 2011; adattato su permesso. ©2011 American Psychological Association OS

Attivazione

Attivazione

spiacevole 120°

pat

Spiacevolezza attivata

A

Attivazione 60° piacevole

ra

DON LA

Piacevolezza 30° attivata

150 SA

[ Spiacevolezza

90°

sè 0° Piacevolezza

jgg°

7A | nia VA Spiacevolezza 340° ne disattivata

PA

TA

o Piacevolezza vata

Po

Se

Disattivazione iacevole SÒ

Sebbene

330

o 20 Disattivazione

p

non considerata esplicitamente nello studio di Yik et al.

(2011), una notevole osservazione proveniente dai loro dati riguarda la quasi totale assenza di misure emozionali che occupino certi dodicesimi del quadrante, in particolare tra 75° e 105°, e tra 255° e 285°: sono zone che non hanno un forte carico sull'asse orizzontale piacevolezza/

spiacevolezza (cfr. anche la figura 5 nell’articolo di Yik et al. 2011). La nostra ipotesi teorica è che le persone normali e psicologicamente sane quasi sempre sentono almeno qualcosa di buono o di cattivo: è raro sentirsi realmente iper-attivati o dis-attivati senza sentire allo stesso tempo qualcosa di piacevole o di spiacevole. Interpretiamo quindi che le esperienze affettive tra 75° e 105°, e tra 255° e 285°, affini a stati di iper o

ipo-arousal senza una reale impressione di piacevolezza o spiacevolezza, siano esperienze atipiche all’interno della coscienza normale in stato di veglia (CNV). In effetti, potremmo arrivare a proporre che tali stati affettivi possono suggerire la presenza di uno stato alterato di coscienza, punto su cui ritorneremo più avanti. Fino a ora, un limite riguardante la validità esterna del quadrante

delle emozioni di Russell e colleghi è legato al fatto che, al meglio delle nostre conoscenze, non è stata ancora rigorosamente valutata la capacità del modello di comprendere e descrivere stati affettivi legati a grave

6. La coscienza delle emozioni

207

psicopatologia trauma-correlata. Basandoci solo sulla validità nominale

e sull'esperienza clinica, lungo questo capitolo ipotizzeremo delle collocazioni sul quadrante delle emozioni di varie esperienze emozionali di base associate a trauma psicologico. Associandolo a esempi dinici, il modello a quadrante fornisce una guida semplice e intuitiva che aiuta a considerare la questione fenomenologica di come possa essere per la persona traumatizzata sperimentare stati emozionali trauma-correlati.

Trauma ed emozioni sociali: focus su vergogna e colpa La maggioranza dei nostri pazienti riferisce storie di abuso in infanzia e molti raccontano abusi fisici 0 sessuali da parte dei partner anche nella vita adulta. All’inizio del trattamento, la maggioranza soddisfa i criteri per la diagnosi di PTSD [...]. Tuttavia la gran parte di loro non cita i propri sintomi di PTSD come ragione per cercare terapia, che piuttosto è spesso rappresentata da una frattura in qualche relazione, che

aggrava acutamente un senso di sé già profondamente danneggiato.

Durante

i trattamenti,

riscontriamo

ripetutamente che la questione centrale è la vergogna.

Judith Herman (2011, p. 262)!

Mentre il comportamento emozionale è facilmente riconoscibile sia in animali inferiori che in animali superiori, il sentimento soggettivo o la componente conscia dell’emozionalità, in particolare quella che accompagna emozioni sociali complesse come la fierezza e la vergogna, potrebbe essere una componente emergente dell’evoluzione, che si è realizzata solo nel cervello umano

(Williamson e Allman 2011). Per

questo motivo può essere utile considerare di aggiungere, come elemento descrittivo, se gli stati emozionali avvengono nel contesto dell’elaborazione di informazioni

sociali, oltre a tenere

in considerazioni

i fattori, già

citati, di piacevolezza/spiacevolezza (valenza), attivazione/disattivazione (intensità dell’arousal), orientamento dell’azione e interiorità/esteriorità.

In un lavoro del 2011 abbiamo definito la dimensione di soctalità di un’emozione riferendoci al “grado in cui il significato emozionale di uno stimolo o di un incontro deriva dal contesto sociale-cognitivo o dall’elaborazione di informazioni sociali” (Frewen, Dozois et al. 2011a, p- 375; vedi anche Britton, Phan et al. 2006; Britton et al. 2006; Olsson

e Ochsner 2008). Hareli e Parkinson (2008) hanno anche suggerito di

operare una divisione euristica tra emozioni che sono necessariamente ' Da Herman

J.L. (2011). PISD

as a shame

disorder.

In: R.L. Dearing, J.P.

Tangney (a cura di) Shame in the therapy hour American Psychological Association, Washington, p. 262.

208.

La cura del sé traumatizzato

sociali ed emozioni che possono avvenire anche in assenza di elaborazione di informazioni sociali. Le emozioni sociali sono state definite come le emozioni che (1) richiedono la valutazione del significato dei pensieri, delle emozioni o delle azioni di un’altra persona rispetto a sé (il valutante), e che (2) hanno come scopo primario la messa in atto di funzioni sociali evolutivamente significative (Hareli e Parkinson 2008). Le emozioni sociali positive includono l'ammirazione, la gratitudine, l’amore, la compassione e la fierezza; le emozioni sociali negative includono la rabbia, il disprezzo, l’invidia, la gelosia, la colpa e la vergogna. Eventi interpersonali positivi, come ricevere l’affetto o gli elogi di un’altra persona, possono creare fiducia in sé e auto-stima nella persona che li sta sperimentando (vedi, per esempio, sulla fierezza; Tracy e Robins 2007, Tracy et al. 2007). AI contrario, quando veniamo rifiutati o falliamo, possiamo sperimentare rabbia, tristezza o vergognarci di noi stessi. Abbiamo confrontato tra loro i correlati neurali dell’elaborazione di emozioni sociali e non sociali in 20 donne sane, in risposta al compito di immaginare situazioni, definite medianti copioni, riguardanti emozioni sociali oppure non sociali. I risultati dello studio hanno mostrato che i copioni che suscitavano maggiormente le emozioni sociali attivavano regioni cerebrali in precedenza associate alla cognizione sociale, in modo significativamente superiore ai copioni che attivavano meno emozioni sociali (Frewen et al. 2011a). Da notare che questi risultati si sono avuti

indipendentemente rispetto alla valenza, ovvero: le aree cerebrali legate alla cognizione sociale, mentalizzazione inclusa (corteccia prefrontale dorsomediale, cingolato posteriore-precuneo, giro angolare e giunzione temporoparietale bilateralmente, poli temporali destro e sinistro e amigdala destra) erano attivate sia dai copioni che provocavano emozioni di autostima e benessere nelle relazioni (per es. espressioni di amicizia e amore, o avere successo) che dai copioni che favorivano l’emergere di emozioni sociali di segno opposto, come esperienze di rifiuto sociale, critica o fallimento. A paragone, immaginare eventi emozionali solitari, come annegare (paura) o camminare da soli lungo una spiaggia all’alba (rilassamento, piacevolezza) non provocava con la stessa intensità le attivazioni cerebrali descritte in precedenza. Lo studio ha quindi rafforzato ulteriormente la validità della distinzione tra emozioni sociali e non sociali sulla base di risposte all’interno del cervello (Britton, Phan et al. 2006).

Vari studiosi hanno studiato la fenomenologia dell’emozione sociale di vergogna nei sopravvissuti a traumi psicologici, considerando in particolare la distinzione concettuale ed empirica tra vergogna e altri stati emozionali considerati correlati a essa, in particolare la colpa (Blum 2008;

Kim

et al. 2011;

Fletcher

2011;

Lee

et al. 2001;

Lewis

1987;

Nathanson 1987, 1992; Schore 2003a, 2003b; Tangney e Dearing 2003; Wilson et al. 2006). Scritti teorici suggeriscono che sia la vergogna che la colpa emergano nel contesto del fatto di ritenersi colpevole di una

trasgressione morale. Tuttavia si ritiene che la fenomenologia della vergogna differisca da quella della colpa sulla base di vari elementi.

6. La coscienza delle emozioni

209

Innanzitutto la vergogna è tipicamente considerata come uno stato affettivamente più aversivo rispetto alla colpa. Inoltre vi sono differenze

valutative e comportamentali tra le due. Considerando il focus verso sé o verso gli altri, la colpa riguarda primariamente la disapprovazione di sé, mentre nella vergogna, oltre a disapprovarsi, la persona ritiene (o ha prove) che gli altri lo disapprovino. In questo senso, mentre la colpa può essere un'esperienza interamente privata, la vergogna è accompagnata

dalla sensazione di essere pubblica. Inoltre colpa e vergogna differiscono rispetto all’oggetto di biasimo e rispetto al focus presente/passato dell’emozione: la colpa riguarda principalmente il sentimento che il proprio comportamento passato è stato sbagliato (“quello che ho fatto non andava bene”), mentre nella vergogna il sé nella sua interezza viene sentito, nel presente, come meritevole di disapprovazione (“sono io che non vado bene”), nonostante che questa distinzione possa venire complicata dall’utilizzo dell'espressione “vergognarsi di...” che tende a essere utilizzata in riferimento a un particolare evento piuttosto che al sé nella sua interezza (Rizvi 2010).

Anche l'orientamento dell’azione è diverso tra colpa e vergogna: la colpa motiva soprattutto a fare ammenda, mentre la vergogna favorisce l’auto-nascondimento, per esempio mantenendo il segreto, coprendosi il viso ecc. E stato proposto che in quest'ultima osservazione vi sia la chiave per una possibile risoluzione della vergogna: per superarla si dovrebbe in qualche modo raccontare la propria storia, in modo che sia occasione di riscatto e che la persona possa reclamare il proprio senso interiore di dignità. Altra differenza risiederebbe nel fatto che il sentimento affettivo della colpa si limiterebbe a una forma di ansia e alla provocazione della rabbia altrui, mentre il sentimento di vergogna potrebbe includere sia elementi di ansia che di disgusto e provocare disapprovazione e finanche una reazione di disgusto negli altri (Davey 2011, Giner-Sorolla e Espinosa 2011, Blum 2008, Kim et al. 2011, Wilson et al. 2006). Blum (2008) ha

paragonato la vergogna anche con altri stati socio-emozionali come l'umiliazione e l'imbarazzo. Secondo questo autore nell’umiliazione, nonostante la persona sia consapevole di essere disapprovata, riesce a ritenere il giudizio subito come ingiusto. In uno stato di imbarazzo, invece, il soggetto è consapevole che gli altri considerano che ha compiuto un errore, ma l’errore non ha rilevanza morale.

In sintesi, la vergogna segnala l’esperienza di essere visti come cattivi, non solo ai propri occhi, ma anche agli occhi degli altri. L'esperienza della vergogna è qualcosa di più dell'esperienza “non vado bene”; è piuttosto l’esperienza “non vado bene e io so che tu lo sai” (Lewis 1987, T'angney e Dearing 2003). La vergogna rappresenta quindi la quintessenza delle emozioni sociali e auto-coscienti. Un punto finale importante sulla fenomenologia della vergogna riguarda il suo impatto sulle emozioni positive e sullo sguardo diretto. Tomkins (1995) ha proposto che la funzione principale della vergogna sia quella di inibire le emozioni positive, come interesse e godimento: in questo

210.

La cura del sé traumatizzato

senso vergogna e affetti positivi sono considerati come intrinsecamente

incongruenti. In altre parole, si pensa che l’esperienza della fierezza € della gioia sia essenzialmente impossibile in compagnia della vergogna. La vergogna si sviluppa spesso a partire dalla internalizzazione della svalutazione operata da un’altra persona: un bambino che viene guardato sempre in modo torvo, che viene sempre rimproverato e a cui viene spesso detto che è “un ragazzino schifoso, disgustoso e spregevole” potrà arrivare a vedere se stesso nello stesso modo; successivi errori da adulto torneranno a creare l’ombra della precedente vergogna (Schore 2003a, 2003b). L'esperienza della vergogna può avere un tremendo impatto sulla capacità di creare e mantenere il contatto oculare in una relazione interpersonale e spesso porta a deviare lo sguardo (Schore 2003a, 2003b), come notò Jen, una paziente con una lunga storia di abuso infantile e di esperienze di vergogna correlate: “Quando instauro un contatto oculare

con qualcuno, allora possono vedermi — intendo dire che possono vedere come io mi sento rispetto a me stessa — che non sono una buona persona”. Tim, il veterano del Vietnam che abbiamo presentato nel capitolo 3, affermava:

“[Il contatto

oculare] mi spaventa veramente.

Quando

c’è

contatto oculare, sento come se gli altri potessero vedere una macchia sulla mia anima. Sento un senso di vergogna per la situazione in cui sono stato in Vietnam e sento vergogna anche riguardo ad alcune cose di cui sono stato testimone e per le quali non ho fatto niente”. È interessante notare che, in una popolazione adulta con PTSD legato ad abusi infantili, lo sguardo diretto è stato associato con attivazione cerebrale legata a risposte difensive e a diminuzione dell’affiliazione sociale,

mentre

individui

sani mostrano

attivazione

in aree

cerebrali

associate a cognizione sociale, mentalizzazione inclusa (Steuwe et al. 2014). Studi futuri dovrebbero esaminare l'impatto della vergogna su questi pattern di attivazione e i clinici dovrebbero continuare a essere consapevoli dell'importanza di permettere alle persone traumatizzate di spostare il proprio sguardo durante il processo terapeutico in modo da minimizzare l’induzione della vergogna: questo include l’evitare di

sedersi direttamente di fronte al paziente. Basandoci su tali ricerche, descriviamo alcune presentazioni cliniche della vergogna come stati spiacevoli e ad attivazione relativamente alta e proponiamo di collocarli tra 120° e 150° nel quadrante emozionale (vedi figura 6.4): quest'idea è in accordo con i dati di Yik et al. (2010) rispetto alle situazioni “colpevole” e “pieno di vergogna” e con la descrizione di esperienze soggettive fornita da Herman (2011) secondo la quale la vergogna implica: Uno shock iniziale con un’inondazione di emozioni dolorose. La vergogna è uno stato relativamente privo di parole, nel quale il pensiero e l’eloquio sono inibiti. E anche uno stato acutamente auto-consapevole: la persona si sente piccola, ridicola ed esposta. Vi è un desiderio di nascondersi, espresso caratteristicamente dal

6. La coscienza delle emozioni

211

gesto di coprirsi il viso con le mani. La persona desidera di essere inghiottita dalla terra” o di “strisciare in un buco e morire (p. 263).

Figura 6.4. Quadrante delle emozioni con l'indicazione della posizione ipotizzata della vergogna ad alto e a basso arousal. Adattato da Yik et al. 2011, su permesso. ©2011 American Psychological Association Vergogna ad alto arousal

Atvalione

ME

spiacevole 120”o

90° \ aa

LÀ,

Attivazione rasi: ° piacevo pi le /

si O

X ; Piacevolezza

Spiacevolezza attivata

attivata

150°

Spiacevolezza 180°

Spiacevolezza disattivata

210°

g° Piacevolezza

330° Piacevolezza disattivata

x

300°

240°

Vergogna a basso arousal

Disattivazione spiacevole

270°

Disattivazione piacevole

Disattivazione

In aggiunta all'esperienza della vergogna ad alto arousal, vi è anche uno stato disforico di vergogna, a basso arousal, che si presenta come una condizione relativamente cronica o come organizzazione della personalità. Schore (2003a, 2003b) ha suggerito per esempio che l’attivazione dell’arrossire (una risposta fisiologica spesso associata alla vergogna) può rispecchiare un cambiamento di equilibri tra una risposta prevalentemente simpatica verso una prevalentemente parasimpatica associata a coping più passivo e a impotenza percepita. In quanto tale, ipotizziamo la collocazione di questa espressione di vergogna sul quadrante delle emozioni tra 210° e 240° (vedi figura 6.4). Interessante notare che anche gli studi di neuroîmaging funzionale rivelano sia differenze che aspetti in comune tra regioni che mediano l’esperienza di vergogna e aree che mediano l’esperienza di colpa, sebbene in questi studi non sia stata operata una precisa differenza tra “essere in imbarazzo” e “vergognarsi” (Michl et al. 2014, Takahashi et al. 2004): è quindi improbabile che in queste ricerche siano state provocate esperienze di vergogna clinicamente significative, come invece possiamo

212.

La cura del sé traumatizzato

notare frequentemente nelle persone traumatizzate. In generale, è stata osservata una risposta minore in compiti di comparazione che riguardavano l’esperienza della colpa rispetto ad altri che riguardavano l’esperienza della vergogna: questo risultato è congruo con l'ipotesi che, tra i due, la vergogna rappresenti uno stato socioemozionale più intenso, più complesso e maggiormente aversivo. In paragone ai compiti di controllo, leggere frasi che provocano colpa o vergogna era anche associato ad aumentata risposta nella corteccia prefrontale mediale, nel solco temporale postero-superiore sinistro e nella corteccia visiva: vengono quindi coinvolte regioni in generale connesse alla cognizione sociale. Il contrasto vergogna su colpa ha rivelato aumentata risposta nella corteccia temporale e nell’ippocampo in due studi (Michl et al. 2014, Takahashi et al. 2004) e nella corteccia prefrontale dorsomediale,

nel cingolato anteriore e nel giro frontale inferiore destro in uno studio (Michl et al. 2014), mentre il contrasto colpa su vergogna ha rivelato aumento di risposta nell’amigdala destra nel lavoro di Michl et al. (2014). Questi dati sono congrui con l’idea che vergogna e colpa siano associate a orientamento dell’azione e a esperienze rispettivamente di tipo maggiormente internalizzato (vergogna) o maggiormente esternalizzato (colpa). Michel e colleghi hanno anche ipotizzato che la vergogna possa essere maggiormente collegata a processi biofisiologici che variano meno tra culture diverse, mentre la colpa sarebbe più influenzata da standard sociali appresi. È importante sottolineare che, in persone gravemente traumatizzate, la vergogna può presentarsi non solo come stato emozionale acuto, ma anche come aspetto più fondamentale e durevole della struttura di

personalità di un individuo: in molti pazienti traumatizzati l’esperienza della vergogna essenzialmente definisce chi essi siano. In queste persone l’esperienza della vergogna scorre molto profondamente e appare essere elemento fondamentale in ogni aspetto del loro essere. Le figure 6.6 e 6.7 illustrano l’esperienza di una paziente (che chiamiamo Stephanie) di essere permeata da sentimenti di vergogna. Stephanie e Suzy descrivono la loro esperienza di vergogna nel seguente modo: Intervistatore:

Ci puoi dire se provi sentimenti di vergogna? Se sì, ci puoi dire com'è questa esperienza?

Stephanie:

Trovo

che

sia molto

difficile

uscirne

fuori

[dalla

vergogna]. La vergogna è così grande e così schiacciante che diventa parte di chi sono...

Intervistatore:

Ci puoi dire se provi sentimenti di vergogna? Se sì, ci puoi dire com'è questa esperienza?

6. La coscienza delle emozioni

Suzy:

Intervistatore: Suzy:

Intervistatore: Suzy:

213

Sì, li ho ancora. Non vanno mai via. È difficile descrivere la vergogna. La vergogna è come se tu fossi in imbarazzo per chi tu sei e per quello che hai fatto. Ti senti in colpa per quello che hai fatto e ti senti male con te stessa per quello che hai fatto. Non c'è niente di positivo associato alla vergogna. Cosa succede quando provi vergogna? Permea tutto. Tocca tutto, è un pezzo di ogni emozione, di ogni movimento, è una parte fondamentale di te. E sta sempre lì? Sì, è sempre lì, tocca tutto.

Merita notare che gli abusanti utilizzano spesso, insieme al senso di colpa, anche la vergogna per mantenere le loro vittime in una posizione subordinata, limitando in questo modo le probabilità di fuga o di ribellione. Una struttura relazionale di questo tipo è ben descritta dagli studi storici sulla schiavitù, dalle ricerche sui bambini soldato, sull’attuale

commercio internazionale della prostituzione e su altre forme di tratta delle persone umane. In casi gravi l’individuo viene deumanizzato, cioè trattato esplicitamente senza dignità umana, come se fosse meno di una persona, venendo nominato e trattato fisicamente come un animale (per es. un cane) o riferendosi a lui/lei come a un oggetto di basso valore 0 intrinsecamente disgustoso (per es. immondizia, feci). Il valore della persona viene seriamente compromesso, non solo agli occhi dell’abusante, ma anche agli occhi della vittima stessa, che inizia a valutare se stessa come meno di niente. Sottolineiamo che questo non solo diventa una convinzione di base (core belief), ma è anche un'emozione di base: le vittime arrivano a sentire se stesse come orrende e repellenti dall'interno. Da notare inoltre un aspetto rilevante per il modello 4-D: è stato mostrato in due studi che, in persone traumatizzate con storia di abusi

infantili, i sintomi dissociativi sono correlati a tendenza alla vergogna (Dutra et al. 2008, Talbot etal. 2004). Si ritiene anche che l’esperienza della vergogna sia un comune antecedente di suicidio (Wiklander et al. 2012).

Infine, vari autori hanno suggerito che, quando le passate esperienze traumatiche di una persona sono associate maggiormente a vergogna piuttosto che a paura, le terapie basate sull’esposizione potrebbero non essere il trattamento di elezione. Approcci clinici più indicati in questi casi potrebbero essere rappresentati da psicoterapie che abbiano come obiettivo la diminuzione delle tendenze ad auto-biasimarsi e l'aumento della compassione per se stessi (Gilbert 2011, Greenberg e Iwakabe 2011). Come abbiamo notato in precedenza, l’esperienza della fierezza è essenzialmente antitetica alla vergogna e la capacità di mantenere una parvenza di dignità umana e il proprio senso di sé come persona, anche di fronte a terrore e degradazione, rappresenta un segno sicuro di resilienza al trauma. Nelle prossime pagine, Elly, un sopravvissuto all’Olocausto

214.

La cura del sé traumatizzato

che abbiamo intervistato e presentato nei capitoli precedenti, descrive l’importanza di mantenere la propria fierezza e dignità come mezzo per sopravvivere nei campi di sterminio nazisti. La diagnosi di PTSD nel DSM-5 riconosce l’esperienza della vergogna nelle persone traumatizzate e la descrive sotto l'ombrello diagnostico di “stati emozionali pervasivi”. Inoltre, la presenza di vergogna può venire notata indirettamente attraverso la sua influenza nella riduzione degli

affetti positivi, dato che tra i sintomi diagnostici di PTSD è inclusa la “persistente incapacità di provare emozioni positive, come per esempio sentimenti di amore” (Friedman et al. 2011a, p. 759). Nel paragrafo successivo alla storia di Elly discutiamo il concetto di anedonia, definito come deficit e /o incapacità di provare emozioni positive. In effetti le nostre ricerche mostrano che gli stati emozionali negativi classificabili in modo generale come ansia e vergogna interferiscono frequentemente con la capacità di sperimentare emozioni positive: questi risultati implicano associazioni tra anedonia e ansia/vergogna. Caso

l: FIEREZZA,

DIGNITÀ

UMANA

E SOPRAVVIVENZA

Il paziente che chiamiamo Elly è un uomo ebreo, lituano, di 85 anni,

sopravvissuto al campo di sterminio di Dachau in Germania. Sua madre sopravvisse al lager di Stutthof, in Polonia. Elly è stato prigioniero tra i 13 e i 17 anni, iniziando per 3 anni nel ghetto di Kaunas, poi passando un anno nel campo di sterminio di Dachau. Abbiamo avuto l’onore di parlare con quest'uomo saggio, resiliente e profondamente capace di compassione e con la sua amata moglie Esme riguardo alle sue esperienze come giovane prigioniero a Dachau e riguardo alla sua vita da allora in poi. Elly condivide con noi i dettagli di una vita veramente ben vissuta e di una storia fatta di resilienza, carattere e forza interiore. Elly:

L'esperienza più scioccante per una persona è quando improvvisamente la tua vita cambia in modo drammatico. Quello è lo shock più grande. Dopo quello, magari lo shock si estende, o avvengono altre cose terribili, ma lo

shock più grande è diventare improvvisamente un tipo di essere umano totalmente diverso, per esempio essere un prigioniero invece che un uomo libero, o che qualcuno improvvisamente ti spari, con la possibilità di venire ucciso. Questo è ciò che ci è successo. Siamo stati portati via da un ambiente pacifico, avevo 13 anni quando è iniziato, andavo a scuola, facevo volare modellini di aeroplani, mi piacevano le scienze e la storia...

6. La coscienza delle emozioni

215

E lo shock fu essere portati improvvisamente in un ghetto,

circondato da filo spinato — e, al ghetto, la minaccia era stata momento. Tutte le principali c'erano uccisioni per le strade — fuori di casa tua e ti sparavano

ancor prima di arrivare di essere uccisi in ogni uccisioni organizzate — uccisioni — venivi portato di fronte al tuo portone.

Così, all’improvviso questa terribile minaccia di morire — e

da ragazzino mi ha preoccupato a lungo il pensiero di come sarei morto, quello è stato il pensiero per 3 anni. Nel 1941,

ad agosto eravamo nel ghetto e arrivati a ottobre avevano portato via e separato 10000 persone e le avevano uccise. E scoprimmo più tardi come erano state uccise — uccise con le mitragliatrici e i corpi gettati nelle fosse comuni. La paura peggiore era venire colpiti e non rimanere uccisi — morire nella fossa con altri corpi sopra di te. Questa era l’immagine che provavo a dimenticare ma non ci riuscivo. Questo era ciò con cui vivevamo durante quegli anni. Dovevi vivere con coraggio. Dovevi averlo — dovevi giusto andare avanti. Eravamo spaventati, non sono stato sempre coraggioso. Ero spaventato — avevo paura che mi sparassero e di non

rimanere

ucciso.

Queste

furono

paure

orribili,

paure orribili per molto, molto tempo. Però sapevo che questo non poteva durare e vivevamo resistendo. Hitler — lui diceva che stava costruendo uno stato millennario — 1000 anni — ma io non ci ho mai creduto. Dicevo che una tale amarezza, le relazioni umane disastrose

che stava fomentando, non potevano vivere a lungo. E così non gli credevo. Sapevo che la guerra sarebbe finita col loro fallimento. Sapevo che sarebbe giunta a termine. E così c'era speranza di poter sopravvivere, anche se le probabilità erano molto poche. Loro cercavano di assicurarsi che non ci credessimo. L'ultimo comandante a Dachau — abbiamo avuto molti comandanti, ogni tipo di gente pazza — ma l’ultimo era un uomo particolarmente malvagio. Notò che avevamo iniziato a essere troppo felici — stavamo rafforzando la nostra speranza — sapevamo che l’esercito americano non era lontano, così lui disse: “Voi pensate che la guerra possa finire e che possiate essere liberi? Dimenticatevelo. Stiamo tenendo gli ultimi proiettili per voi! Non ce la farete mai, quindi non pensateci neanche”. Intervistatore:

Cosa ti ha aiutato ad andare avanti, Elly? A non arrenderti

o a non perdere la speranza?

216

La cura del sé traumatizzato

Elly:

Sapevo che lui [il comandante] non era nessuno — alla fine lo hanno impiccato; lui e altri 28 di Dachau furono

impiccati dopo la guerra. Ma l’ho sempre guardato dall’alto in basso perché non ho mai pensato che lui

Intervistatore:

Elly:

Intervistatore:

Elly:

rappresentasse un essere umano. Ridevamo di lui. In effetti aveva solo un nome per noi — “stronzi” — che era l’unico nome che usava. Ma noi lo chiamavamo esattamente allo stesso modo. Tra noi era lui lo stronzo. Resistendo abbiamo avuto la nostra piccola vendetta. Perché se non resistevi, morivi. Elly, puoi dirci qualcosa di più di come sei riuscito a resistere? E hanno cercato di sabotare questi sforzi? Non potevano sabotarlo perché sapevamo chi eravamo. Un esempio stupefacente di questo venne da quelli tra noi che erano religiosi — quelli che seguivano le regole religiose. Io non ero una persona religiosa, ma c'erano alcuni che non mangiavano pane per sette giorni durante il periodo di Pasqua, e questo per noi era stupefacente da vedere — stavamo tutti morendo di fame — però alcuni non mangiavamo pane perché non puoi mangiare pane [lievitato] durante Pasqua. Questa per me fu una cosa stupefacente. La resistenza che siete stati capaci di dimostrare, la solidarietà: come siete stati capaci di mantenerla così a lungo? Devi farlo, altrimenti diventi uno schiavo. Eravamo molto consapevoli che... che loro pensavano che noi fossimo schiavi. Ma non lo siamo. Sapevamo che ci stavano trattando come

schiavi, ma

noi non

siamo schiavi. Noi

siamo indipendenti. Noi siamo esseri umani. E sono sicuro che questo era sia consapevole che non consapevole, come ne parlavamo a volte tra di noi. Però vorrei dire che non tutti ci trattavano male. Per esempio avevo una relazione molto buona con la persona (un tedesco) che era incaricata del nostro laboratorio a Dachau. Ero bravo con lui, a lui piacevo, mi dava cibo extra; anche lui non ne aveva molto, ma condivideva. Lui

mi dava parte del suo cibo e apprezzava che facessi bene il lavoro e mi diceva cose belle. Mi dava sempre — non del tu [Du], ma del lei [Sic] - nessuna guardia nazista ti

parlava col Ste, solo Du Jude [tu, ebreo]. Così c'erano delle relazioni umane. Era meraviglioso vedere un uomo che era un tedesco che ci trattava come dei pari... che si è dato la pena di raccogliere un po’ di patate nel campo per noi e ce l’ha portate nelle sue tasche. Intendo dire, questa era una cosa sorprendente.

6. La coscienza delle emozioni

217

E mi salvò la vita — perché una volta ho acceso questa grande macchina stavo correndo e c'è stata una gran fiammata e tutto l’intero macchinario si ruppe — e così io bloccai il lavoro dell’intero cantiere — migliaia di persone — bloccai tutti i lavori perché il corto circuito bruciò il trasformatore principale, e i nazisti arrivarono di corsa. Li sentivo ma non riuscivo a vedere niente perché ero stato accecato dalla luce — dal lampo - e gridavano “sabotaggio! Impiccatelo!” Discutevano di impiccarmi — c'erano impiccagioni nel lager — ma quest'uomo disse che non era colpa mia, e così mi lasciarono andare. E così questuomo mi ha salvato la vita. Era come un maestro che era buono con noi. Prima che lo conoscessi bene, un giorno si ruppe la fibbia della sua cintura — aveva una grande fibbia quadrata in una cintura alta — e gli caddero i pantaloni. Ebbe un problema [sorride]. E non si riuscivano a trovare fibbie nuove nei lager, così si lamentava e gli dissi: “Dammi

la tua fibbia”, ma lui disse

“no, non si riesce ad aggiustare”, ma io gli dissi “dammela”, e la portai in laboratorio. Gli feci dei piccoli buchi, gli misi un chiodo dentro e la scaldai con dello stagno, poi presi della polvere di caffè e la colorai di marrone e gliela diedi indietro. E lui chiese “come l'hai fatto?” e dopo quello fummo amici. Era buono con me —- gli piaceva che [la fibbia] tenesse su i suoi pantaloni — una funzione importantissima [sorride]. Così quell’amicizia, con un uomo del versante nemico, ebbe molto valore per mantenere la mia umanità. Fra la prova che non tutti erano contro di te, che non tutto il mondo intorno a te ti odia. Intervistatore: Elly, puoi parlarci di come è stato venire liberati? Appena prima della liberazione, negli ultimi giorni della Elly: guerra, ero sicuro che stavo perdendo mio padre. Vidi che stava morendo. Sapevo che stava morendo perché avevo visto così tante persone morire. Avevo trasportato così tanti cadaveri che conoscevo tutti gli stadi della morte - dal combatterla, a non dare importanza, ad arrendersi

— e sapevo che mio padre era agli ultimi stadi. Le sue gambe erano gonfie e non riusciva ad alzarsi. Dovevo portargli il cibo perché non riusciva a mettersi in coda. Così sapevo che sarebbe morto — pensavo entro pochi giorni — ed ero molto triste, ricordo che pensavo 4 prego non andare. Negli ultimi giorni, quando sapevamo che gli americani erano molto vicini — sapevamo che tut? coloro che sopravuivevano sarebbero stati liberi — ma temevo che lui non ce la facesse. Non riusciva a mettersi in piedi e ad andare a prendere il cibo, così mi diede il suo piatto

218.

La cura del sé traumatizzato

e disse “vai tu a prenderlo” e provavo a incoraggiarlo, dicendogli “a me non lo daranno, devi andare tu” ma lui

mi diceva “no, no, vai tu a prenderlo per me, e se non te lo danno non mi importa”. Così mi mettevo in coda e prendevo per lui la zuppa e una fetta di pane e gliela portavo. E penso fosse il secondo giorno, quando prese dalle mie mani il piatto con la zuppa, in quel momento sentimmo gente fuori che gridava “gli americani sono qui! Siamo liberi!” Dissi “padre, è finita! Siamo liberi!” e

lui disse “oh, bene — hai preso il pane?”. Quello fu il mio momento di liberazione. Intervistatore: Come ti sei sentito? Com'è stato? È stato... non era gioia. Era solo “è finita, èfinita”. L’orribile Elly: supplizio era finalmente terminato in qualche modo. Quindi non era gioia. Lo era per qualcuno — alcune persone saltavano di gioia — eravamo liberi — ma i malati, e tutte le persone là per terra — da loro non c'era reazione. Molte persone non riuscivano a ridere. E io avevo ancora così tanta paura che mio padre morisse, magari in un paio d’ore. Ma ce la fece. Fummo

liberati il 29 aprile 1945, e,

fosse stato due giorni dopo, lo avrei perso. Era già pronto a morire, ma fummo liberati, e circa due ore dopo si alzò,

prima volta in due giorni, da dove era coricato e disse “e adesso?” e seppi che c'era speranza che sopravvivesse. Mi resi conto del cambiamento in lui; ora sapevo che avrebbe vissuto. E così la liberazione si legò strettamente a mio padre che sopravviveva. Intervistatore: In quale momento, Elly, hai iniziato a pensare al futuro? Elly: In quel momento vivevamo totalmente nel presente. L'unica domanda era cosa succederà ora? E ci daranno cibo? Ma gli americani non sapevano cosa fare con noi — ci diedero mezzo chilo di carne di manzo, ma chi la mangiò

Intervistatore:

Elly:

morì, perché non ne avevamo mangiato da almeno un anno e quindi lo stomaco non riusciva a sopportare questo cibo. Morirono tutti, il loro stomaco lavorò per l’ultima volta e morirono — successe a tanti. E così continuarono a raccogliere corpi per settimane, un tempo lungo. E come fa una persona ad affrontare questo, a essere circondato da così tanta morte? La morte e la vita diventano una cosa sola. Erano entrambe molto simili, nel senso che tu vivi mezzo

morto.

E così,

come per la preoccupazione per mio padre morente, sapevamo di dover mantenere l’istinto di sopravvivenza in noi, quella piccola fiamma deve rimanere accesa per voler vivere.

6. La coscienza delle emozioni

Perché

altrimenti non

sorta di ottundimento

vivi. E nonostante costante,

219

ci fosse una

facevi attenzione

a non

permettere a te stesso di sentire “non mi importa di ciò che succede” perché quando iniziavi a sentire quello, morivi.

Tutti noi lo sapevamo. Intervistatore: Elly, dalla tua personale esperienza, come pensi che le persone possano guarire da traumi come quelli che tu hai vissuto? Elly: Penso che le persone che hanno stress nella loro testa che viene da ciò che gli è successo — anche quando non È più una minaccia ora — e che porta ad avere pensieri circolari, che tu continui solamente a ritornare a quel singolo momento di orrore, o a quel periodo di orrore, o a una vita o a degli anni di orrore, o qualunque periodo sia stato — credo che dovrebbero essere aiutati a iniziare a fare qualcosa che sia molto energetico,

Intervistatore:

Elly:

a cui devono

pensare e su cui devono focalizzarsi, e ottenere dei successi, da cui possono sentire soddisfazione. L’esperienza del padroneggiamento — una persona è capace di completare un compito, ottenendo un qualche successo da esso, un senso di aver raggiunto il risultato... ì. Questo ha delle proprietà benefiche, di guarigione. cl esseri umani si sentono bene quando raggiungono dei successi, anche per cose assolutamente minime. E quando hanno successo possono esserne fieri; hanno fatto qualcosa, è una gioia intellettuale, non solo una soddisfazione del

fisico. E la soddisfazione intellettuale di aver compreso qualcosa. Se raggiungi una nuova comprensione, ne trai piacere, non è vero? Improvvisamente dici: “Ah, non ci avevo mai pensato a questo, ma ora inizio a rendermi conto di qualcosa...”. Ora, se tu prendi un bambino veramente sofferente e gli insegni a volare, ti assicuro che non penserà al suo problema quando sta volando, perché sarà così completamente concentrato sul volo da fare in modo che l’altra cosa faccia un passo indietro, perché lui ha qualcos'altro che la sostituisce. Non possiamo avere sempre a che fare tutto il tempo con la questione, perché la questione continua a ritornare, e così penso che mi ha aiutato fare altre cose — e concentrarmi su di esse e trarne successo, che è il secondo

stadio del fare. E così penso che sia molto importante. Penso che portarti via dalla questione, invece che solo immergerti dentro di essa, può essere un altro modo. Intervistatore: Tornando al fatto di venire liberati, in quale momento hai potuto iniziare a immaginare un altro futuro, o a sentire di nuovo gioia?

220

Elly:

La cura del sé traumatizzato

So che all’inizio ci sono stati pochi sentimenti positivi. All’inizio non riuscivo a sentirli. E sapevo che non ne avevo. All’inizio, per prima cosa mia madre non era stata ancora trovata e mi mancava molto, ma dopo, seconda cosa, la mia mente divenne presto totalmente occupata da un pensiero: l’odio per i tedeschi. Non ho più odio adesso —- ho dovuto liberarmene. Pensavo alla vendetta, a qualsiasi cosa che si poteva far loro, ma dopo un po’ mi resi conto che questo non aveva senso, non avrei fatto niente di tutto ciò. Non so chi è colpevole e non puoi odiare un intero popolo, è ridicolo, è come l’odio che avevano verso di noi - TUTTI GLI EBREI. E mi ricordai come, piuttosto presto da bambino, avevo sviluppato forti sentimenti di compassione per le persone. Mi dispiaceva per gli animali che venivano feriti. Non volevo che nessuno facesse del male. Non mi piaceva che venisse fatto del male alle persone. E così mi sforzai a lasciarlo andare, l’odio. E dopo averlo lasciato andare, fui capace di iniziare

a pensare al mio futuro, a me stesso. Così ho abbandonato l’odio in modo molto cosciente, come sentimento ridicolo;

mi sono liberato da esso. E iniziai a pensare cosa avrei potuto fare della mia vita. Questo dopo l'ospedale — passammo sei mesi là — pesavamo 35 chili entrambi, sia i0 che mio padre, eravamo molto denutriti e molto deboli. Ma quando ritornai abbastanza sano iniziai a cercare un lavoro e iniziai a studiare per diventare ingegnere. Per prima cosa trovai un laboratorio, nel monastero dove era collocato il nostro ospedale e dissi “so lavorare il metallo, mi piacerebbe lavorare”. Dissero “non paghiamo” e io dissi “non voglio essere pagato, voglio solo lavorare” — e questo fu di grande aiuto per me. Mi diede la possibilità di fare in futuro qualcosa che avesse successo. Una volta portarono una serratura molto grande — probabilmente vecchia di 100 anni, di una di quelle grandi porte. E le persone che ci stavano lavorando su, potevo vederlo, non sapevano come aggiustarla. Così dissi “mi permettereste di farlo? So come fare”. E riparai questa serratura; dovetti

farmi da solo la molla necessaria. Fu piuttosto complicato perché il laboratorio era piuttosto indietro rispetto a strumenti fini, ma fui capace di farlo bene, e la serratura tornò a funzionare. Questo mi diede grande soddisfazione, mi fece sentire bene.

6. La coscienza delle emozioni

221

Quindi credo che la strada per migliorare una situazione che è terribile — che occupa la tua mente perché è stata così pervasiva — potrebbe essere forse spingerla via e rimuoverla — no, non rimuoverla, ma spingerla via raggiungendo qualche successo: esercitare controllo e raggiungere il successo. Successo significa che qualsiasi cosa tu abbia fatto ha funzionato. Quindi quella fu la mia soluzione: dovevo lavorare, dovevo studiare. Non potrei dimenticare, e mai lo farò, ciò che è successo. Ma penso che lavorare, e studiare

e interessarsi alle cose e raggiungere la gioia di imparare, di conoscere, di fare, di avere successo — tutto questo è stato

molto importante per me. Penso che mi abbia reso più o meno normale. Così, per me,

la vita doveva

continuare;

dovevi

andare

avanti. E mi è sempre piaciuto pensare alle cose. Mi interessa molto la scienza e la storia e la filosofia e la letteratura e amo la poesia e tanti altri tipi di cose. E ho fatto molte cose, e qualunque cosa abbia fatto mi è piaciuta tremendamente — scalare montagne, andare a cavallo, far volare un aeroplano

(sono un pilota) — e diventare un ingegnere fu molto dura, ho dovuto studiare duramente. Ho fatto tante altre cose, andare a caccia e al poligono — ho imparato a usare il fucile -- tutti mi avevano sempre puntato armi addosso, quindi pensai che avrei dovuto imparare a usarne una. Imparai come sparare e andai a caccia di coccodrilli e altro. Volevo vivere, volevo fare esperienze e volevo fare cose. Avevo molta energia, ero energetico. E ogni volta che mi veniva un’idea per un'invenzione, provavo a farla, non mi limitavo a pensarla. Penso che vi sia del piacere in questo. Così sono molto felice ora. Sono felice della mia vita. Sono felice di quello che mi è successo, di tutto il resto. Questo fu un periodo della mia vita che fu irragionevole, e causato da altri — non l'ho causato io, non ho causato i miei problemi,

non ne sono colpevole, non mi sento in colpa. Ma la gioia di vivere, la scienza dell’investigare le cose, di creare, di

essere fieri nel fare un buon lavoro — la vita è bella. Le cose sono molto interessanti. Quindi mi godo la vita — fa? grusto quello che puoi. Non so cosa questa situazione, il passato, mi ha causato, ma non sento nessuna perdita. Mostra com'è andare all’inferno e poi uscirne, quando dicono “vivere di nuovo”, è tutto quello che devi fare —vivere — e l’ho fatto, e ho

cercato di rimanere felice. So cos'è la felicità.

222.

La cura del sé traumatizzato

Intervistatore: Elly:

Elly, ci puoi dire cosa è per te la felicità? La felicità è non volere nient'altro, niente di più. Essere soddisfatto di ciò che hai, totalmente. E per me la felicità è arrivata attraverso l’amore — tutto il resto non ha importanza per me, ricchezza, denaro, proprietà, non desidero niente di tutto ciò, solo il suo amore

[di

Esme], l’unico amore della mia vita e sento questo molto

intensamente. Sento che è una benedizione che poche persone hanno. È libertà totale, anche libertà dal volere. Non ho bisogno di niente ora. E così sono contento della vita. È una reale fonte di felicità. Se posso condividere una citazione in tedesco, che penso sia veramente una verità fondamentale: Selig wer sich vor der Welt Ohne Haf} verschlieBt, Finen Freund am Busen hat

Und mit dem genieBit. [“Benedetto chi, senza odio, Si ritira dal mondo

Tiene un amico vicino al petto E con lui gode la vita”]. (Nota: Elly condivise in seguito con noi che queste parole furono scritte da Goethe in un cottage non lontano da Buchenwald [Foresta di Querce], vicino a Weimar, il luogo, quasi due secoli dopo, di un campo di sterminio).

Trauma e anedonia: quando non è possibile sentirsi bene e quando sentirsi bene fa sentir male “Angie” è una ragazza di 16 anni con gravi problemi di anedonia, l'incapacità di sperimentare emozioni positive. Durante l’infanzia e l'adolescenza Angie è stata gravemente trascurata a livello emozionale dai genitori. Riteneva che i genitori non l’avessero mai amata e che non avessero mal manifestato alcun tipo di affetto verso di lei. Era stata anche ripetutamente abusata fisicamente dal padre ubriaco. Fu ricoverata per 18 mesi in un reparto di psichiatria per adolescenti a causa di sintomi di PISD, grave depressione e rischio suicidario. All'entrata in ospedale Angie riferiva di sentirsi “morta, intorpidita e senza vita”, con un senso

di perdita dell’esperienza del piacere. Per aiutarla a superare i sentimenti di ottundimento e di morte interiore, le fu chiesto se poteva identificare ricordi positivi nel suo passato, con l’obiettivo di recuperarli e visualizzarli consapevolmente. In particolare le fu chiesto se riusciva a recuperare un momento della

6. La coscienza delle emozioni

223

sua vita in cui si era sentita amata, accudita, apprezzata o capace. Sfortunatamente Angie non riuscì a recuperare nemmeno un ricordo positivo, così come non era in grado di identificare nessuna caratteristica personale positiva. Non riuscì a identificare nessun ricordo neanche quando le fu chiesto se mai qualcuno le aveva fatto un complimento o se aveva avuto qualche buon risultato scolastico che l’aveva fatta sentire

capace e competente. Tuttavia, insistendo, Angie fu infine capace di notare che una delle infermiere del reparto psichiatrico l'aveva fatta sentire accudita e protetta. Accettò di recuperare un'immagine di quell’infermiera per vedere se ciò poteva cambiare i sentimenti di ottundimento emozionale e di morte interiore, ma la prima volta che visualizzò l’immagine vide l’infermiera “girare le spalle e andarsene” via da lei: questa esperienza di abbandono percepito fece sentire a Angie di essere “cattiva”, di non meritare di ricevere buone emozioni, ma piuttosto di essere punita. Nonostante ciò, mediante pratiche ripetute, e disegnando l’immagine dell’infermiera piuttosto che immaginarla (modifica che propose lei stessa), Angie iniziò lentamente a tollerare sentimenti positivi, che descrisse in primis come una leggerissima sensazione “calda e indistinta” nella regione addominale. Col tempo Angie fu capace di identificare e visualizzare altri ricordi positivi, tra i quali vari momenti in cui la nonna

la teneva in braccio con affetto e quando un'insegnante le aveva fatto i complimenti per i suoi risultati in matematica e negli sport. Iniziò così a sentirsi meno “morta” e “intorpidita” emozionalmente e a sperimentare un senso più intenso di gioia. Iniziò a sorridere, comportamento che lo staff non aveva mai notato nei primi mesi di ricovero, e a pianificare cosa avrebbe fatto dopo le dimissioni dall’ospedale. Riferì che si sentiva come se stesse iniziando ad avere una vita che meritava di essere vissuta. Sebbene gran parte della ricerca in campo traumatologico si focalizza sulle risposte di iper-arousal a stimoli minacciosi/aversivi, è ampiamente riconosciuto che le persone traumatizzate spesso manifestano risposte deficitarie o in ipo-arousal a stimoli piacevoli, come fotografie di paesaggi naturali, persone sorridenti, bambini. Viene definita anedonia l'incapacità di sperimentare affetti positivi nel contesto di stimoli ed eventi che dovrebbero normalmente provocarli (Kashdan et al. 2006, 2007). Purtroppo poche ricerche hanno studiato l’anedonia nelle persone traumatizzate. Alcuni studi hanno riscontrato che, in un campione di rifugiati bosniaci (maschi e femmine) con PTSD, fotografie piacevoli venivano valutate come meno attivanti e salienti (Spahic-Mihajlovic et al. 2005).

In uomini

con

PISD

legato a combattimenti

in guerra,

le immagini di donne attraenti provocava meno interesse (misurato attraverso il tempo di visione; Elman et al. 2005) e risultavano diminuite sia l'aspettativa che la soddisfazione in caso di vincita utilizzando un gioco tipo Ruota della Fortuna (Hopper et al. 2008). In un esperimento

224.

La cura del sé traumatizzato

di neuroimaging che utilizzava quest'ultimo compito fu riscontrato che il circuito della ricompensa (nucleo accumbens, caudato e putamen destri) si attivava, nei controlli sani, sia nel caso pensassero di essere sul punto di vincere che quando avevano vinto, mentre nel gruppo dei veterani con PTSD non si aveva nessuno dei due effetti (Elman et al. 2009). In un altro studio, uomini sani che guardavano un cartone animato divertente

mostravano una più intensa risposta nei poli temporali, bilateralmente (aree implicate nella cognizione sociale) mentre gli uomini con PISD mostravano maggior risposta nella parte centrale della corteccia frontale destra, probabilmente associata a inibizione della risposta o a emozioni negative (Jatzko et al. 2006). Abbiamo studiato l’anedonia in donne con PISD e abbiamo trovato evidenze a supporto dell’ipotesi di un’interferenza degli affetti negativi sulla loro capacità di sperimentare affetti positivi (Frewen, Dean e Lanius 2012; Frewen, Dozois e Lanius 2012; Frewen, Dozois, Neufeld,

Densmore et al. 2010). Le partecipanti con PISD in quest’ultimo studio mostravano un considerevole livello di affetti negativi, in particolare vergogna, in risposta allo stimolo di immaginare eventi sociali positivi, come venire elogiate, e (in un altro studio) in risposta a elaborazione auto-referenziale positiva, come per esempio vedere una propria fotografia mentre si ascolta una lista di aggettivi positivi (Frewen et al. 2011b). Nelle persone traumatizzate, quindi, sono state osservate due risposte caratteristiche a stimoli generalmente positivi (DePierro et al. 2014; Frewen, Dean e Lanius et al. 2012; Frewen, Dozois e Lanius 2012). Nel

primo caso, i soggetti riferivano di sentirsi, a livello emozionale, spenti, distaccati o intorpiditi, senza sperimentare gioia o piacere rispetto a stimoli che dovrebbero normalmente provocare tali risposte (per es., ricevere un complimento o un regalo, o il segno dell’affetto e della vicinanza di un’altra persona). Definiamo queste risposte deficit edonici, sottolineando che ipartecipanti non erano in grado di sperimentare affetti positivi. Nel secondo caso, le persone traumatizzate riportavano reazioni emozionali negative a eventi positivi, come sentimenti di vergogna, rabbia, colpa e mancanza di valore. Definiamo questo secondo tipo di risposte interferenze affettive negative sulla capacità edonica, sottolineando in

questo modo che sentimenti negativi come ansia e vergogna intralciano la capacità dell'individuo di sperimentare affetti positivi. E ulteriormente importante notare che associazioni traumatiche a volte interferiscono con risposte gioiose a eventi positivi. Per esempio, Elly (vedi paragrafo precedente sulle sue esperienze in un campo di sterminio nazista) ha descritto i suoi ricordi di uccisioni in massa di

6. La coscienza delle emozioni

225

neonati e bambini ebrei: “Venivano nel ghetto e iniziavano a dare la caccia ai bambini- portavano via i bambini e li uccidevano- e quando gli adulti tornavano a casa dal lavoro e scoprivano che i bambini erano scomparsi- le grida che sentivi in tutto il ghetto non potrei neanche raccontarle”. Da nonno, subito dopo la nascita delle sue nipoti, il terribile dolore degli infanticidi nelle precedenti generazioni ritornò tormentosamente, interferendo con la sua capacità di provare gioia nel periodo della loro nascita: Nacquero le nipoti, le mie nipoti. Le mie prime due erano gemelle, bellissime bambine. E mio figlio uscì dall'ospedale con queste due bellissime bambine in braccio e scoppiai a piangere. Perché? Perché stavo piangendo? Perché l’avevo visto — sapevo cosa era successo a quei bambini, allora. Era il terrore — il terrore di sapere cos'era successo ai bambini — cosa avevano fatto ai bambini — e in questo momento felice per me crollai completamente.

Nonostante capisca la natura della sua reazione, recuperando questo ricordo Elly dolorosamente si giudica e si vergogna ritenendo che i suoi sentimenti siano ingiustificati: È un

sentimento

così orribile

e disturbante,

è un

sentimento

ingiusto. Le mie nipotine sono qui e io sto piangendo — non riesco nemmeno a parlarne! È questo che io voglio lasciare andare, penso che sia un’apparizione, penso sia ingiusta, irrazionale e ingiustificata. Penso sia sbagliato sentirsi così. Ed ero così preoccupato che mio figlio fosse in grado di vedere cosa stavo sentendo.

Noi ipotizziamo che la fenomenologia di due differenti stati affettivi di base, entrambi correlati all’anedonia, possa essere rappresentata sul quadrante delle emozioni (vedi figura 6.5). Sulla base delle nostre ricerche, delle descrizioni dei pazienti e di precedenti risultati, la nostra

ipotesi è che questi due differenti stati affettivi siano rappresentati: (1) dai deficit edonici puri e semplici, cioè senza contemporanee interferenze affettive negative sulla capacità edonic a, che dovrebbero collocarsi all'incirca tra uno stato di disattivazione spiacevole e di spiacevolezza attivata,

o vvero

tra

210°

e 240°;

(2) dall’intenso

stato

emozionale

rappresentato dalle interferenze affettive negative sulla capacità edonica (che si basa soprattutto sull'esperienza di ansia e vergogna) e che può invece essere collocato tra stati di spiacevolezza attivata e attivazione spiacevole, ovvero tra 120° e 150°.

226.

La cura del sé traumatizzato

Figura 6.5. Quadrante delle emozioni con l’indicazione della posizione ipotizzata del deficit edonico (anedonia) e delle interferenze affettive negative sulla capacità edonica. Adattato da Yik et al. 2011, su permesso. ©2011 American Psychological Association Attivazione spiacevole

Interferenze affettive negative sulla capacità edonica

Attivazione

90°

120°

Spiacevolezza attivata

ttivazione 60° piacevole

Piacevolezza 30° attivata 150

0° Piacevolezza

Spiacevolezza 180°

Spiacevolezza

disattivata 210°

330°

240° Disattivazione

Anedonia

270°

c Piacevolezza disattivata

300° Disattivazione piacevole

spiacevole Disattivazione

Nel nostro studio su donne con PISD prevalentemente legato ad abusi infantili, abbiamo ulteriormente distinto tra eventi positivi che sono di natura chiaramente sociale (come ricevere un complimento o avere qualcuno che manifesta apprezzamento) e altri stimoli piacevoli ma non sociali (come fare una bella camminata da soli lungo una spiaggia). Abbiamo riscontrato che, durante l’immaginazione attiva di eventi sociali positivi, le donne traumatizzate mostravano risposte inferiori nella corteccia prefrontale dorsomediale e nel polo temporale sinistro e, in funzione di un’aumentata interferenza affettiva negativa sulla capacità edonica, una diminuita risposta nella giunzione temporo-parietale destra e nel cervelletto. Al contrario, durante l'immaginazione attiva di eventi

positivi non sociali, esse mostravano un aumento di risposta nell’insula sinistra, e sia 1 deficit edonici che le interferenze affettive negative sulla

capacità edonica si associavano a un aumento di segnale cerebellare, ma solo le interferenze affettive negative sulla capacità edonica erano associate con un aumento di risposta nell’area frontale centrale destra e nell’amigdala sinistra. Visti insieme, i nostri studi con donne traumatizzate

6. La coscienza delle emozioni

227

che cercavano, con difficoltà, di immaginarsi in circostanze positive e in una cornice auto-referenziale positiva hanno dimostrato alterazioni nelle regioni cerebrali associate a: elaborazione auto-referenziale e attenzione alle emozioni (corteccia prefrontale dorsomediale); cognizione sociale (poli temporali); esperienza incarnata 0 embodiment (giunzione temporoparietale destra e cervelletto); esperienza emozionale (insula, amigdala, corteccia

frontale destra) (Frewen et al. 2010; Frewen,

Dean,

Lanius

2012; Frewen, Dozois, Lanius 2012).

L'importanza teorica di questi dati riguarda la possibilità di sottolineare che i deficit nel circuito di ricompensa potrebbero non essere sufficienti come cornice per spiegare pienamente l’esperienza dell’anedonia in tutte le persone traumatizzate. Le esperienze emozionali negative, invece, ansia e vergogna incluse, accompagnate da risposte neurali che implicano risposte emozionali di ordine superiore (piuttosto che solo circuiti di ricompensa di livello inferiore) possono interferire con la capacità dell’individuo di provare gioia, piacere e sana auto-stima nel contesto di eventi positivi come il riconoscimento dei loro risultati e l’espressione da parte di altri di affetto relazionale nei loro confronti. Se questo è vero, le implicazioni cliniche sono importanti: in particolare, è improbabile che risultino efficaci in tutti i casi i trattamenti standard per l’anedonia, come l'attivazione comportamentale (per es., pianificare eventi piacevoli). In alcuni sopravvissuti al trauma ci si può aspettare che tali interventi risultino neutri o addirittura controproducenti, esacerbando la tendenza degli individui verso l’ansia e la vergogna in reazione a eventi positivi. Al contrario, in tali casi potrebbero essere più efficaci approcci orientati alla riduzione dell’interferenza affettiva negativa, come quelli che favoriscono la costruzione di risorse, la compassione di sé e la gestione dell’ansia (Frewen, Dean et al. 2012, Frewen, Dozois et

al. 2012; Korn e Leeds 2002). Livelli bassi di compassione di sé sono stati

correlati in modo affidabile a problemi psicologici, disturbi dell'umore inclusi (Macbeth e Gumley 2012); ricercatori clinici stanno sviluppando e validando interventi psicologici esplicitamente mirati allo sviluppo della compassione di sé (Hoffmann et al. 2011). Nelle prossime pagine descriviamo due casi clinici di interferenze affettive negative sulla capacità edonica in sopravvissuti a traumi. Caso 2: Il SENTIMENTO SULLA

CAPACITÀ

DI ESSERE LURIDO:

INTERFERENZA AFFETTIVA

NEGATIVA

EDONICA

Tim, un paramedico veterano del Vietnam, che abbiamo presentato nel capitolo 3 riguardo alle sue esperienze di un flashback di guerra

(attivato dai fuochi artificiali alla fiera della contea), descrive in questo

modo le sue esperienze di interferenze affettive negative sulla capacità edonica:

228.

La cura del sé traumatizzato

Intervistatore:

Tim: Intervistatore: Tim:

Ti è mai capitato di non essere capace di sentire esperienze positive come amore, giola, piacere, o non essere capace di sorridere o ridere facilmente? Sì, mi capita. Ho difficoltà in particolare con lo sperimentare amore. Mi puoi dire di più al riguardo? In un certo senso è invalidante. So fare cose che penso siano amorevoli,

Intervistatore: Tim:

ma mi sembra che là ci sia come

un

punto vuoto. e Sai dirmi di più su questa cosa? Per esempio incoraggio mia moglie. Lei fa parte di un club di lettura, si incontrano

una volta al mese,

e

io la sostengo. Mi sento che sto facendo qualcosa di amorevole quando la sostengo su questo e le faccio sapere che mi fa piacere quando ha quelle attività fuori casa. Il suo gruppo di lettura le dà molto piacere. Aiutarla e incoraggiarla ad andarci sono cose amorevoli che faccio, ma faccio fatica a... [breve pausa] faccio fatica

a sapere cos'è l’amore. A un certo punto mi sono messo a leggere libri sull'amore, cercando di farmi un’idea su cosa fosse l’amore e su come avrei dovuto sentirmi. Ho trovato alcune spiegazioni, ma rimane sempre un sacco di mistero intorno alla questione. Penso di avere un vero problema riguardo al fatto di essere amato — mi sento a disagio, estremamente a disagio. Quando qualcuno scopre che ho servito il paese in Vietnam, quando mi Intervistatore: Tim:

dicono grazie, praticamente mi capovolgo dal disagio. Puoi dirmi di più di com'è sentirti così? Penso... potrei quasi dire imbarazzo, a un livello molto di pancia. Lo sento nella pancia e nello stomaco e posso sentirlo nella testa. Tutto dentro di me urla “no, no,

no!” E nonostante io abbia sviluppato delle tecniche per rispondere “prego” o almeno per comportarmi in modo appropriato, dentro ho ancora questo terribile conflitto. Quando qualcuno dice che apprezza qualcosa di me, sono molto in difficoltà con la situazione. Di base

Intervistatore:

succede ogni volta che una persona dice qualcosa che potrebbe essere interpretata come amorevole. Puoi fare un esempio?

6. La coscienza delle emozioni

Tim:

229

Ho un terribile problema coi regali di compleanno e i biglietti di auguri. Ho problemi a ricevere qualsiasi cosa. Parte di questo riguarda qualcosa che è stato parte della mia esperienza dal Vietnam in poi. C'è una parte di me che ancora sta lì, nel senso di sentire di non valere niente.

Intervistatore: divi

Ci sono un sacco di pensieri ed emozioni collegate col sentire come se il mio governo abbia cercato di buttarmi via. Ci sono un sacco di questioni riguardo a ciò. Se questo è successo, come posso ancora valere qualcosa? Qualcosa lì è fuori equilibrio. Quando sono iniziate le difficoltà rispetto a provare buoni sentimenti come l’amore? Le hai sempre avute? No. Direi che prima del Vietnam mi sentivo in un certo senso all’opposto. Se guardo indietro, ai tempi delle superiori e agli anni di college, direi veramente che mi sentivo di valere. Avevo amici al college, amici stretti — non familiari, ma

una cerchia di amici — e mi sentivo

valorizzato da loro e io valorizzavo loro. Penso che dovrei dire che in quel tempo ero capace sia di ricevere che di dare amore. Ma dal Vietnam in poi questo è stato totalmente ridimensionato. Non mi sento più parte di quel gruppo. Le esperienze che ho avuto in Vietnam... mi sento molto separato. Anche se non si vede, non può essere visto dall'esterno, mi sento lurido internamente

Intervistatore:

e questo mi taglia via dalla popolazione generale [breve pausa] cioè, dico che ho una relazione abbastanza buona con gli altri veterani quando ci incontriamo ai meeting. Mi sento veramente parte di quel gruppo. Ma in altri gruppi non mi sento, come se ne facessi parte: quando sono in gruppi del genere, in molti sensi, sento che sono incompleto. Nelle situazioni sociali mi sento incompleto. Anche se riesco a sopravvivere a quelle situazioni, non mi piacciono. Mi puoi dire di più del fatto di essere capace di vivere buone emozioni e buone relazioni all’interno del gruppo di supporto per i veterani con PISD?

230.

La cura del sé traumatizzato

Tim:

Là per me è più semplice provare quella che chiamerò compassione. Mi sento anche valorizzato in quel gruppo, e questo mi fa sentire bene. Ma penso — e qui sono nella mia testa — penso che sia perché abbiamo condiviso quella esperienza comune di essere in combattimento e che tutti soffriamo di PISD e di tutti i sintomi. Mi sento... per fare un esempio... questa mattina quando sono arrivato là, una persona mi ha detto: “Ecco la tua sedia, c'è il tuo nome sopra” e l’ho preso come un complimento. Mi ha fatto sentire bene.

Intervistatore:

Hai menzionato che in altri gruppi sociali, e in altri tipi di relazioni, provare buone emozioni può essere più difficile. Per esempio, mi parlavi prima [in precedenti colloqui] delle difficoltà che hai avuto quando hai provato a condividere sentimenti di amore con tua moglie. Puoi descrivere com’è condividere amore e affetti all’interno del tuo matrimonio?

Tim:

Beh,

lasciami

iniziare

dicendo

che

è estremamente

misterioso per me. Con misterioso intendo che mi chiedo come mai ho tante difficoltà al riguardo. E un mistero. Non so. Per iniziare,

è veramente un mistero.

Seconda cosa è che l'intimità fisica al di fuori del sesso è molto difficile. Abbracciarsi, farsi le coccole e altre cose

del genere — il motivo per cui mi crea disagio è un vero mistero. Perché sia così, non ne sono sicuro. Se dovessi tirare a indovinare, direi che è la sensazione di essere

lurido. E la migliore parola che ho per descriverlo. Anche qui, non riguarda tanto il fatto di proteggere me stesso da qualcun altro, ma è più proteggere [mia moglie] da me. Sento che sono lurido dentro, e se c'è intimità fisica, sento che in qualche modo anche l’altra persona si sporcherà. Intervistatore:

Questo senso di essere lurido, mi puoi dire di più di

Tim:

com'è per te? È come se la necessità

Intervistatore:

di rompere il contatto sia estremamente alta, e più dura il contatto, più aumenta il disagio. Può iniziare come “ok, lo sto sopportando”, ma pian piano diventa sempre più forte il disagio e devo tirarmi via. Quando dici che ti senti a disagio, puoi descrivere come ti senti nel tuo corpo?

6. La coscienza delle emozioni

Tim:

231

Molte volte arriva dall’area di contatto. Per esempio, se

[lo e mia moglie] ci teniamo per mano, è come se questa cosa emanasse da quel punto di contatto, diffondendosi. E come se si muove lungo il braccio, salendo al petto; divento molto ansioso e il mio livello d’ansia va su e su e su. Man mano che sale lungo il braccio e inizia a scendere

nel petto, inizio ad avere il fiato corto, non

riesco ad avere abbastanza aria e molte volte inizio a sudare. Da un punto di vista fisiologico queste sono le cose che succedono. Se dovessi dare un'immagine — se lo fossi una persona che guarda da fuori me e mia moglie che ci teniamo per mano — sembrerebbe come se, passando il tempo, lei, come dire, iniziasse a infettarsi.

Questo è molto difficile da affrontare. Sembra come se la persona venga coinvolta negativamente, quasi come se, guardandoci da fuori, lei avesse un sorriso sul viso e

io fossi accigliato; e poi come spettatore potrei vedere il suo sorriso diventare un’espressione accigliata. Quello che succede, invariabilmente, è che io rompo il contatto. Una parte dentro di me dice “ok, ho fatto il mio dovere,

è abbastanza”. In un certo senso questo riguarda le mie difficoltà col provare amore, perché mi sembra che le persone che si amano dovrebbero sentirsi a proprio agio in quelle situazioni. Io so che [mia moglie] si sente a suo agio in quei momenti. Ma io faccio molta fatica e mi chiedo se questa situazione cambierebbe se io sapessi cos'è l’amore, o più precisamente, se fossi capace di provare amore. Mi sembra che se io fossì capace di provare amore mentre tengo le mani di [mia moglie], l’esperienza migliorerebbe invece di diventare insopportabile.

Caso 3: DOMARE LA VERGOGNA CURARE L’ANEDONIA

E COLTIVARE

LA COMPASSIONE

DI SÉ PER

Stephanie, la donna di 62 anni che abbiamo incontrato in precedenza in questo capitolo, fu adottata a tre mesi ma si sentì da sempre rifiutata dalla madre adottiva: “La mia madre adottiva ha sempre desiderato che [la madre biologica] mi avesse abortito. Per tutta la vita mi ha detto

ripetutamente quanto brutta, orribile e repellente io fossi. Ho imparato a credere di essere un errore e che non dovevo esistere”. In terapia, Stephanie arrivò a comprendere che queste esperienze formavano la base dei suoi sentimenti di vergogna. Ricordava persone

232

La cura del sé traumatizzato

che spesso commentavano quanto fosse rossa in faccia e quanto sembrasse “fuori luogo”. Tutte le volte che le persone facevano tali commenti, Stephanie provava interiormente sentimenti di “non andar bene” e pensieri come “sono sbagliata”, “non dovrei esistere” e “voglio sparire”. Fece alcuni disegni che esprimevano questa situazione (figura 6.6 e figura 6.7). Solo dopo aver iniziato la terapia Stephanie fu in grado di identificare e definire queste esperienze come vergogna e riconoscere che tali sentimenti le impedivano di sentire emozioni positive. Per esempio, ogni volta che Stephanie riceveva un complimento dai figli, dai nipoti o dai colleghi si sentiva sopraffatta dalla vergogna, tipicamente accompagnata dal sentimento di non meritarsi elogi. Notò che: “Era così insopportabile che io quasi diventavo la vergogna; mi consumava. La sensazione era come se il mio intero corpo fosse sporco e disgustoso”. Stephanie lavorò con impegno in terapia sui suoi sentimenti di vergogna

e, col tempo, iniziò a provare emozioni positive: all’inizio aumentò la tolleranza verso le emozioni positive visualizzando momenti buoni della sua vita, come col suo cane o coi suoi nipoti. Nei primi momenti ebbe grandi difficoltà a sopportare i sentimenti positivi: le visualizzazioni di buoni momenti diventavano negative molto velocemente. Per esempio, quando provò a utilizzare l’immagine positiva del suo cane, si presentò subito l’immagine intrusiva della madre che la umiliava. La terapeuta la incoraggiò a visualizzare l’immagine positiva per periodi relativamente brevi di tempo, finché, con la pratica, fu in grado di sopportare la visione positiva del suo cane per periodi più lunghi di tempo; passò poi a sperimentare visualizzazioni positive dei suoi nipoti. Questa capacità di sopportare stati emozionali positivi coincise col sentire meno tensione interna e una maggiore compassione per se stessa. I pensieri riguardo al fatto di essere immeritevole furono affrontati mediante rivalutazione cognitiva e pratiche affini alla meditazione buddhista sulla Metta, o meditazione dell’Amorevole Gentilezza (Hoffman et al. 2011). I sintomi

di vergogna di Stephanie continuarono a diminuire e si trovò più a suo agio a provare sentimenti positivi. In coincidenza a queste pratiche, notò che iniziava a sentire una sensazione di calore nel cuore ogni volta che i suoi nipoti le si avvicinavano e iniziò a provare sentimenti amorevoli quando li teneva in braccio. Riscontrò anche di sentirsi divertita ogni volta che il suo cane le leccava la faccia. Stephanie commentò che queste esperienze erano inimmaginabili prima di iniziare una terapia centrata sui suoi traumi.

In generale, la raccolta accurata della storia riguardante associazioni e ricordi positivi nella vita dei pazienti rappresenta un primo passo importante per determinare quali possano essere le esperienze più appropriate da utilizzare in esercizi di visualizzazione immaginativa. Queste esperienze possono comprendere, tra molte altre, sentirsi al sicuro

con qualcuno; ricoprire passati ruoli in cui ci si è sentiti competenti (per es. a scuola o negli sport); trovare conforto con un proprio animale (come per Stephanie). Può essere inoltre d’aiuto identificare tratti di resilienza

6. La coscienza delle emozioni

233

Figura 6.6. Disegno di Stephanie (2014): “Vergogna- dentro e fuori I”. Utilizzato su permesso

Figura 6.7. Disegno di Stephanie (2014): “Vergogna- dentro e fuori II”. Utilizzato su permesso

234.

La cura del sé traumatizzato

o “risorse”, includendo anche quelle che hanno permesso di sopravvivere a precedenti eventi traumatici. Spesso è possibile far emergere un posto sicuro (reale o immaginario), un simbolo positivo o un mantra (Korn e

Leeds 2002). Nonostante i pazienti trovino all’inizio difficile ricordare 0 creare associazioni positive, con gentile persistenza del terapeuta la gran parte di loro sarà in grado di identificare almeno un’associazione positiva che potrà essere ampliata e collegata ad altre. Può avere successo anche utilizzare affermazioni positive su di sé, come intervento cognitivo per contrastare l'interferenza affettiva negativa. Per esempio, i pazienti possono creare contro-affermazioni positive rispetto alle (molto ben allenate) interferenze negative, una tra tutte la

convinzione basata sulla vergogna “io non mi merito emozioni positive”. Man mano che la tolleranza per gli affetti positivi cresce, possono venir

utilizzati la pianificazione di eventi piacevoli e altri interventi standard per incoraggiare la cura di sé: questo può valorizzare la già crescente capacità del paziente di provare gioia, piacere e considerazione di sé. Un esempio di attività relativamente innocua e potenzialmente piacevole è la pratica della meditazione camminata come descritta nelle terapie basate sulla mindfulness. Quando si è raggiunto un maggior livello di tolleranza, possono venire praticate meditazioni basate sulla Metta (l’Amorevole Gentilezza di tradizione buddhista), poiché riguardano la capacità di coltivare intenzionalmente sentimenti di compassione e di gentilezza verso se stessi e verso gli altri (Hoffmann et al. 2011). Da ultimo, notiamo che, sfortunatamente, il livello somatico è spesso

trascurato dagli psicoterapeuti. È convinzione sempre più diffusa che la capacità di vivere affetti positivi si manifesta, mediante embodiment, a livello somatico, ed è rappresentata nella struttura e nel movimento del

corpo (per una rassegna dettagliata vedi Ogden et al. 2006, Rothschild 2003). Allineare la spina dorsale, sedersi con una postura dritta e non collassata, spingere con le mani per segnalare la presenza di un confine, sono alcuni tra i molti interventi che possono incoraggiare forza, fiducia in se stessi, assertività ed empowerment.

Alessitimia: il sentimento di “non sapere” Tre persone, Erica, Stephen e Julia, tutte con storia di traumi in infanzia, furono intervistate riguardo all’alessitimia, l’esperienza della difficoltà a identificare e descrivere gli stati emozionali. Intervistatore:

Puoi descrivere come ti stai sentendo ora?

Frica:

Umm, sono qui. Penso di essere triste, non so, penso di essere triste, non so. Come potresti sapere che sei triste?

Intervistatore:

6. La coscienza delle emozioni

Erica:

Non

so, forse se stessi piangendo,

235

ma adesso non

sto

piangendo, quindi non lo so. Umm, oggi per me è dura

capire le cose.

Intervistatore:

Puoi parlarmi della questione di non sentire emozioni?

Stephen:

Quando ho emozioni o cose simili, non le sento davvero.

Posso dire a qualcuno che sento tristezza perché le lacrime scorrono, ma non so cosa sia realmente. Sono solo sintomi fisici.

Intervistatore: Julia:

‘Ti è mai capitato di non sapere che emozioni stavi sentendo? Sempre. È una cosa comune. Non ho idea di cosa... sembra che uno dei miei problemi più grandi sia che non ho emozioni, sentimenti o altro. Mi sembra di non

sapere niente di queste cose. È come dare un esame a un corso che non hai seguito e non sai niente della materia. Intervistatore:

Julia: Intervistatore:

Julia: Intervistatore:

Potrei fare l'esame,

ma

probabilmente

non

azzeccherei nessuna risposta perché non so [la materia]. Posso farti delle domande sull'esperienza di alcune emozioni specifiche? Per esempio, provi spesso vergogna? Non sono sicura di cosa sia. Sai cos'è la vergogna? No, veramente no. Non me ne sono ancora fatta veramente un'idea. Com'è quando ti senti minacciata o spaventata? Conosci questa esperienza?

Julia:

Sì, ma non ho idea di come descriverla.

Intervistatore:

È difficile per te descrive com'è sentirsi minacciati o spaventati?

Julia:

[Non ne ho] nessuna idea.

I ricercatori hanno descritto deficit. nella consapevolezza delle emozioni in persone traumatizzate soprattutto attraverso la valutazione dell’alessitimia (Frewen, Lanius et al. 2008), concetto che si riferisce alle

difficoltà a identificare e nominare

le emozioni

(Taylor et al. 1997).

Questa definizione quindi utilizza una distinzione tra esperienza emozionale primaria e di primo ordine e la nostra meta-consapevolezza, riflessiva e di secondo ordine, di tale esperienza (Frijda 2005, Lambie e

Marcel 2002, Lane et al. 1997). Per esempio una persona può mostrare segni comportamentali (pianto) e psicofisiologici (tachicardia) di

236

La cura del sé traumatizzato

un’emozionalità di cui non è consapevole soggettivamente (Lane et al. 1997). In alternativa, come descrive Frica, una persona può desumere

la propria esperienza emozionale attraverso i segni psicofisiologici ma, quando questi ultimi sono assenti si troverà a non sapere cosa sta provando. Un esempio empirico di tale incongruenza è stato fornito da Orsillo e colleghi: osservarono che, paragonate a individui sani, persone con PTSD mostravano una bassa corrispondenza, in risposta a stimoli emozionali, tra esperienza affettiva riferita e affettività espressa a livello facciale, codificata oggettivamente (Wagner et al. 2003, Luminet et al. 2004, Orsillo et al. 2004).

Storicamente, altre ricerche che mostrano l’associazione tendenziale tra presenza di alessitimia e varie misure di disturbo psicologico (tra cui per esempio depressione, Honkalampi et al. 2000) hanno posto una sfida teorica. Se si suppone che le persone con alessitimia non sappiano cosa stanno sentendo, come mai spesso riportano così tanti sentimenti

negativi? In un importante articolo Lumley (2000) ha ipotizzato che queste associazioni possano avere a che fare con deficit di regolazione emozionale causati dall’incapacità di identificare, descrivere e quindi regolare il malessere: È stata spesso sollevata la questione su come mai le persone alessitimiche da una parte riportino sentimenti negativi, dall’altra siano carenti di emozioni

o emozionalmente

“neutre”

[...]. Io

penso che l’alessitimia predisponga alla valenza emozionale negativa. Mentre le persone non alessitimiche sanno regolare e risolvere le emozioni

causate

da eventi stressanti o conflittuali,

gli individui alessitimici non riescono a farlo; in questo modo l’affettività negativa rimane non modulata e porta a una disforia cronica, anche se indifferenziata (p. 52).

In aggiunta a ciò, è ragionevole pensare che l’esperienza dell’alessitimia in se stessa causi malessere per chi la vive: non sapere cosa sì sta provando può di per sé provocare ansia e disforia. Da un punto di vista metodologico, abbiamo già espresso la nostra preoccupazione riguardo al fatto che alcune delle correlazioni tra alessitimia e malessere psicologico possano essere in parte artificiali e dovute a somiglianza tra item delle scale di valutazione (Frewen et al. 2012). In particolare,

alcuni questionari standard sull’alessitimia includono voci che, a livello di validità nominale, potrebbero rappresentare misure relativamente dirette di sofferenza psicologica generale, come per esempio la voce di

questionario della TAS (Toronto Alexithymia Scale; Bagby et al. 1994) che recita: “Non so cosa stia succedendo dentro di me”. È possibile che futuri studi che utilizzino interviste semistrutturate con persone alessitimiche avranno maggiore sensibilità rispetto a questi problemi di misurazione (vedi per esempio la ‘TAI, Toronto Alexithymia Interview; Bagby et al. 2006). Sono necessarie ulteriori ricerche per discriminare tra queste

6. La coscienza delle emozioni

237

diverse interpretazioni della concomitanza tra alessitimia e sofferenza psicologica: l’ideale sarebbe misurare alessitimia e malessere non solo rispetto a lunghi periodi di tempo (settimanalmente o mensilmente) ma anche utilizzando misurazioni in tempo reale degli stati affettivi, come

per esempio in risposta a stress sperimentale o ambientale, all’interno di disegni di ricerca neurofenomenologici e con la raccolta di singole esperienze (per esempio misurando momenti di emozioni). Inogni caso, l’alessitimia può venire diagnosticata indipendentemente dalla presenza o assenza di malessere emozionale Perciò ipotizziamo due localizzazioni dell’esperienza alessitimica all’interno del quadrante

delle emozioni (vedi figura 6.8). Una prima collocazione, tra 120° e 150°, intende rappresentare uno stato attivato e molto disturbante: implica che non sapere cosa si sta sentendo possa di per sé causare molto malessere, ovvero che stati di grave malessere sono intrinsecamente difficili da identificare e definire (una specie di sottotipo di alessitimia in cui si “prova troppo”). Una seconda collocazione, tra 210° e 240°, rappresenta uno stato a basso arousal, leggermente spiacevole, ma in gran parte “neutro”, che implica soprattutto l’assenza di sentimenti (una specie di sottotipo di alessitimia in cui “non si prova niente”). Figura 6.8. Quadrante delle emozioni con l’indicazione della posizione ipotizzata per l’alessitimia associata a malessere ad alto arousal e per la mancanza di sentimenti

a basso arousal (che si presume sia uno stato affettivo spiacevole). Adattato da Yik et al. 2011, su permesso. ©2011 American Psychological Association ve

Attivazione

Attivazione

Alessitimia ad alto arousal

spiacevole

90°

Attivazione 60° piacevole

au Spiacevolezza attivata

Piacevolezza

Ò 30° attivata

150°

Spiacevolezza 180° PSR

Sx

Spiacevolezza

disattivata 210

="

Xx

ee S&S

o

N

1

330° Piacevolezza

disattivata

iS $

Li

o Disattivazione

240° Disattivazione

Alessitimia a basso arousal

;

270°

spiacevole Disattivazione

piacevole

238.

La cura del sé traumatizzato

Quando è accompagnata da malessere, l’alessitimia è interpretabile in modo abbastanza inequivocabile: il paziente non sa cosa sta provando o è incapace di descriverlo. In effetti l’interpretazione dell’alessitimia “ad alto malessere” è più problematica quando dal paziente non si riescono a evincere segni evidenti di sofferenza emozionale. In tali circostanze, sorge un problema: la persona è realmente in uno stato non-emozionale 0 è invece solo inconsapevole della sua vita emozionale in corso e non la sta manifestando apertamente? Nel corso del processo di guarigione le persone spesso passano da un’incapacità a provare le proprie emozioni a una consapevolezza dei loro sentimenti, che gradualmente cresce. Questo cambiamento può associarsi a un iniziale aumento di malessere, poiché la persona non è abituata a sperimentare emozioni. È quindi probabile che il livello di malessere diminuirà di nuovo solo quando le persone traumatizzate si siano abituate ad avere i loro “nuovi” sentimenti e abbiano imparato a riconoscere e a definire i loro stati emozionali. Risulta importante quindi studiare il corso longitudinale del processo di guarigione dall’alessitimia nelle persone traumatizzate, attraverso ricerche sui trattamenti psicologici, anche tenendo presente il dato ormai stabilito che l’alessitimia è un predittore di scarsa risposta alla psicoterapia (Ogrodniczuk et al. 2011). I brevi trascritti che seguono sono tratti da interviste con Erica e Julia

e illustrano due presentazioni ipoteticamente diverse dell’alessitimia. Gli aspetti alessitimici descritti da Frica sono relativamente facili da interpretare poiché avvengono nel contesto di un’evidente sofferenza emozionale. L'esperienza dell’alessitimia in Frica è accompagnata da significativo malessere che porta a sintomi dissociativi, come

derealizzazione e distacco da emozioni e sentimenti, in parallelo al concetto di Lumley (2000) di “disforia indifferenziata”:

Intervistatore: Frica:

Hai mai avuto l’esperienza di non sapere cosa stai sentendo? Sì, lho sempre.

Mi è successo ieri notte. Ho iniziato

a... © non sapevo se era paura, ansia, panico o... inizio a camminare avanti e indietro e mi tiro i vestiti e io... [mostra un visibile malessere].

Intervistatore: Erica: Intervistatore: Frica:

Intervistatore: Erica:

Intervistatore:

Come ti senti in questo momento? Ci sto quasi ritornando... Cosa senti in questo momento? Ummm,

ah... non lo so, non lo so cosa sto provando

ora, non lo so, non lo so. Com’e sentirsi così? Um... non mi sento reale in questo momento... mi sto intorpidendo, il mio corpo si sta intorpidendo... uh.. Vedo che stai strisciando il piede sul tappeto...

6. La coscienza delle emozioni

Frica:

239

Così ha vita, così posso sentirlo [lo struscìo contro il

tappeto], così diventa più reale. Ma il resto del mio corpo, lo sento come se in questo momento sono una voce senza corpo, e non so da dove vengono queste parole [pausa] meno parlo, più è facile. Più parlo, più divento morta. [Sono stati fatti con Erica esercizi di radicamento; rivalutazione insieme a lei della situazione].

poi

Anche qui vediamo che gli aspetti alessitimici descritti da Erica sono relativamente facili da interpretare poiché avvengono nel contesto di un evidente malessere emozionale, un esempio del “sentire troppo”. A paragone, lo stato affettivo che riguarda le risposte di Julia nel prossimo trascritto risulta meno chiaro. Quando le viene chiesto di parlare dell’esperienza dell’ottundimento emozionale si descrive come costantemente intorpidita: le risposte alle domande dell’intervistatore suggeriscono che, almeno per quanto lei riesca a saperne, le sue esperienze soggettive sono completamente prive di sentimenti affettivi. In più, la situazione suggerisce la presenza di alessitimia poiché Julia è in gran parte incapace di elaborare com'è, per lei, l’esperienza dell’ottundimento emozionale in sé e per sé e la fa equivalere in modo completo a tutta la sua esistenza. Dalle sue parole: “L’ottundimento non è un sentimento che provi, è come io sono”. Al tempo stesso non è completamente chiaro se l’esperienza di essere privi di emozioni è di per se stessa una fonte di malessere significativo per lei. In un certo senso Julia avalla il fatto di non sapere cosa prova (alessitimia) principalmente perché lei non sente niente. Mentre ammette di non avere familiarità con un ventaglio di esperienze emozionali, Julia mostra un malessere o una preoccupazione relativamente poco evidente. Intervistatore: Julia: Intervistatore: Julia: Intervistatore: Julia:

Intervistatore:

Hai mai provato il sentimento di essere intorpidita a livello emozionale? SÌ. Mi puoi dire un po’ di più al riguardo? Com'è per te? Mmmm... non ho indizi. Non ne ho la minima idea. E come... è un senso di niente. Non so cosa sia. Puoi descrivere com'è l’intorpidimento emozionale? Non so. Non so come descriverlo. So cos'è per me, ma non so come metterlo in parole... tranne dire che sei intorpidita. Questo è quello che è. Non so come descriverlo se non che sei intorpidita. È quello cheè. Ci sono altre parole che potresti usare per descrivere il sentimento di intorpidimento emozionale?

240.

La cura del sé traumatizzato

Julia:

L’intorpidimento non è un sentimento, è solo come io sono. Quindi come puoi dire come tu sei? Sez quello 6 basta. È come tu sei. E io sono intorpidita. Penso sia la miglior parola possibile per descriverlo -è quello che sono. E quindi come lo descrivi al di là di questo? È solo intorpidimento, ecco cos'è. Non ho altre parole per descriverlo. È difficile dire cos'è.

Ha rilievo per il modello 4-D chiedersi se l’alessitimia debba essere considerata un processo dissociativo oppure no. I ricercatori hanno ripetutamente mostrato che vi è una correlazione positiva tra alessitimia auto-riferita

e sintomi

dissociativi

di tratto,

di solito con

dimensioni

dell’effetto da piccole a moderate (.30 < r < 50) in differenti campioni clinici, tra cui: (1) soggetti con disturbo di depersonalizzazione (Simeon et al. 2009); (2) soggetti con psicopatologia grave (Clayton 2004, Elzinga et al. 2002, Glover et al. 1997, Grabe et al. 2000, Sayar e Kose 2003, Sayar et al. 2005, Simeon et al. 2009, Tolmunen et al. 2010, Tutkun et

al. 2004); (3) pazienti ambulatoriali con attacchi di panico (Kart-Ludwig et al. 2011); (4) pazienti maschi,

ricoverati, con abuso di sostanze

e

dipendenza da alcol (Evren et al. 2012, Evren et al. 2008, rassegna di Thorberg et al. 2009); (5) pazienti ricoverati con disturbi psicosomatici (Wingenfeld et al. 2011); (6) campioni non specifici, che richiedono

aluto psicologico (Rosik e Soria 2012). Si è anche visto che alessitimia e sintomi dissociativi correlano nella popolazione generale, in adolescenti (Sayar et al. 2005, Tolmunen

et al. 2010), adulti (Maaranen et al. 2005,

Lipsanen et al. 2004) e studenti universitari (Clayton 2004, Elzinga et al. 2002, Irwin e Melbin-Helberg 1997). Importante tuttavia notare che, nonostante siano correlati, sembra emergere dall’analisi fattoriale che

alessitimia e dissociazione probabilmente rappresentano due distinte sindromi (Berenbaum e James 1994, Lipsanen et al. 2004, Wise et al. 2000). Concludiamo constatando che vi sono evidenze insufficienti per suggerire che l’esperienza dell’alessitimia sia di per sé dissociativa in tutti I casi; tuttavia sembra che le persone che riportano un’alta frequenza di esperienze dissociative hanno più probabilità di essere anche alessitimiche. È possibile che in questi casi la fenomenologia dei TRASC dissociativi sia di per se stessa difficile da identificare e descrivere, portando a un’alta positività dei sintomi rilevati dai questionari sull’alessitimia. Teorie passate e presenti propongono che l’alessitimia sia un deficit nell’elaborazione cognitiva dell’emozione, con eziologia neurobiologica o legata allo sviluppo (rassegne in Taylor 2010 e in Taylor et al. 1997). Riguardo all’eziologia legata allo sviluppo, Lane e Schwartz (1987) hanno descritto un modello di consapevolezza emozionale basato su vari livelli, attraverso i quali lo sviluppo dipende da esperienze, influenzate in particolare dalle relazioni precoci coi caregiver. Risultati di ricerca mostrano che aspetti alessitimici sono prevalenti in campioni di persone

6. La coscienza delle emozioni

241

traumatizzate (Frewen, Dozois et al. 2008), includendo anche storie di grave trascuratezza emozionale in infanzia (Frewen, Lanius, et al. 2008)

e osservazioni riguardo al fatto che un basso livello di cure parentali (in particolare materne) predice un aumento nell’alessitimia (Thorberg et al. 2011): questi dati corroborano un’eziologia legata allo sviluppo e basata su esperienze relazionali. Nella nostra esperienza abbiamo notato che la traumatizzazione ripetuta può avere un profondo effetto sullo sviluppo della consapevolezza emozionale. Per esempio, è probabile che un bambino che viene abusato da un caregiver e ha l'impulso di scappare o di contrattaccare impari presto che le risposte di fuga o di difesa sono inutili e spesso aumentano solamente il rischio di venire danneggiati: questo porta a un senso di impotenza appresa. Anche eventi traumatici che avvengono più tardi durante la vita possono far sì che le persone si allontanino dalle loro emozioni come modalità di coping. Vedi per esempio le parole di Esme, moglie di Elly, quando descrive il marito: Elly ha difficoltà con le emozioni. Ha sicuramente emozioni con cui viene in contatto di tanto in tanto. Ma direi che quello è qualcosa che si è perso [a Dachau]. Lo spegnimento delle emozioni. [Quando gli chiedono] ‘Come ti sentì per questa cosa?’ è molto difficile per lui rispondere. [Spesso dice] ‘Mi sento toccato’ o ‘Mi ferisce’ oppure ‘Penso che quella non era una cosa giusta da fare, penso non andasse bene’. Ma l’emozione di per sé, quella è molto difficile per lui esprimerla. Per me, questo è stato un assassinio di guerra.

In aggiunta a ciò, le neuroscienze cognitivo-affettive hanno iniziato a esplorare le basi cerebrali di persone con tratti alessitimici. A questo scopo, è stata data dai neuroscienziati ampia rilevanza al ruolo dell’insula anteriore destra nella consapevolezza enterocettiva, includendo anche i sentimenti, in particolare quelli riguardanti momenti spiacevoli/aversivi (Craig 2002,

2003,

2009a,

2010;

Lamm

e Singer 2010; Wiens

2005).

A sostegno di questo modello, Critchley e colleghi hanno mostrato che l’accuratezza nel notare il proprio battito cardiaco (una misura di consapevolezza enterocettiva: ai soggetti viene chiesto di diventare consapevoli della frequenza del loro cuore senza toccarsi il polso o il collo) ha un rapporto di covarianza con la risposta nell’insula anteriore destra, che a sua volta è predittiva di affettività negativa, sia in senso di stato che di tratto (Critchley 2004, Pollatos et al. 2007, Singer et al. 2009). Più recentemente, è stata confermata la risposta dell’insula anteriore destra, negli stessi partecipanti, nel contesto dell’enterocezione (sempre valutata notando il proprio battito) correlata all'attenzione alla propria esperienza emozionale evocata da film: entrambi i compiti attivavano in maniera preferenziale la corteccia prefrontale dorsomediale e il cingolato, relativamente a ognuna delle condizioni di controllo, sebbene all’interno di regioni non sovrapposte (Zaki et al. 2012).

242.

La cura del sé traumatizzato

Nelle ricerche di neuroimaging è stato riscontrato che la corteccia

prefrontale (CPF) dorsomediale è la regione cerebrale che risponde in modo più affidabile alla stimolazione di emozioni (Kober et al. 2008). Gli attuali modelli teorici propongono una divisione alto (dorsale)-basso (ventrale) nella corteccia prefrontale mediale, indicando ruoli particolari

per la CPF ventromediale (che rappresenterebbe in parte la risposta emozionale

primaria) e per la CPF

metaconsapevolezza

emozionale,

dorsomediale,

secondaria,

©

che medierebbe

la

ri-rappresentazione

(Lambie e Marcel 2002) e la regolazione emozionale, in parte attraverso i network dorsali dell'attenzione (Ochsner e Gross 2005, Lewis e Todd

2005). In sintonia con i dati elencati, utilizzando rievocazione immaginativa tramite copione dell’avvenimento traumatico abbiamo osservato che l'aumento della sintomatologia alessitimica in persone con PTSD prediceva un aumento di risposta nell’insula posteriore destra, ma una diminuzione di risposta nell’insula anteriore, bilateralmente

(Frewen,

Lanius, et al.

2008). La diminuzione di risposta nell’insula anteriore, di solito attiva in risposta ad ansia e malessere in persone con PTSD (Etkin e Wager 2007, Hayes et al. 2012, Patel et al. 2012), potrebbe essere in relazione con una funzione enterocettiva deficitaria durante risposta emozionale (recupero di ricordi traumatici) in individui più alessitimici (Frewen, Lanius et al. 2008). Livelli più alti di alessitimia si associano anche a diminuita risposta nel cingolato anteriore perigenuale, area conosciuta per essere coinvolta nella regolazione autonomica e nell’elaborazione emozionale (Critchley 2005), ma anche a un’aumentata risposta nel cingolato posteriore, area coinvolta nel recupero dei ricordi episodici (Nielsen et al. 2005). Le nostre osservazioni concordano con molti altri studi di neuroimaging svolti su persone alessitimiche, che hanno

identificato alterazioni nella

responsività funzionale del cingolato anteriore ventrale e dorsale (Berthoz et al. 2002, Kano et al. 2003, Lane et al. 1998), nella corteccia prefrontale mediale ventrale e dorsale (Berthoz et al. 2002, Kano et al. 2003),

nella parte centrale dell’insula destra (Kano et al. 2003) e nel cingolato posteriore (Mantani et al. 2005). Un altro studio, che ha la caratteristica

notevole di aver studiato differenze di alessitimia tra gruppi in stato di riposo, tra altre osservazioni, ha riscontrato una riduzione di connettività tra i nodi anteriori del default mode network (DMN), giro del cingolo e giro frontale superiore, e una riduzione di connettività del DMN posteriore con la corteccia prefrontale mediale (Liemburg et al. 2012). Il dato di una ridotta connettività tra nodi anteriori e posteriori del DMN è simile ad altri dati raccolti in persone con PTSD studiate dal nostro gruppo (Bluhm et al. 2009): da notare che questi ultimi riportavano alti livelli di

alessitimia. Si ritene che la riflessione cognitiva di secondo ordine e la consapevolezza orientata intenzionalmente verso esperienze affettive di base possa, in via potenziale, alterare l’intensità dell’esperienza originale (Frijda 2005,

Izard

1993,

Lambie

e Marcel

2009,

Thompson

et al.

6. La coscienza delle emozioni

243

2011) o addirittura arrivare a cambiarne la qualità, come per esempio provare emozioni secondarie di colpa per essersi arrabbiati o intorpiditi

emozionalmente. Si ritiene anche che vi sia variabilità negli individui rispetto al livello di consapevolezza dei propri differenti stati emozionali

(Lane e Schwartz 1987). Unendo i dati si riscontra che la risposta della

corteccia prefrontale dorsomediale da un versante aumenta all'aumentare di tratti di mindfulness come la capacità di osservazione mindful (per es. essere somaticamente consapevoli se il proprio respiro sta rallentando o

accelerando)

e,

dall'altro

versante,

diminuisce

all'aumentare

di

sintomi legati a tratti di ottundimento emozionale: questo sembra essere in accordo con un modello che coinvolge la CPF dorsomediale nell'esperienza soggettiva cosciente della propria risposta emozionale (vedi figura 6.9). Figura 6.9. Associazione, durante evocazione immaginativa, tra risposta nella

corteccia prefrontale dorsomediale (CPFdm) e (1) tratti di ottundimento emozionale (correlazione negativa); (2) tratti di mindfulness (correlazione positiva) Immaginazione emozionale positiva

Pi

Ottundimento emozionale (correlazione negativa)

Mindfulness (correlazione positiva)

Immaginazione emozionale negativa

Nei quadranti superiori è riportata la risposta durante evocazione immaginativa socioemozionale positiva (ricevere affetto o elogi); nei quadranti inferiori è riportata la risposta durante evocazione immaginativa socioemozionale negativa (venire rifiutati o criticati). | sintomi di ottundimento emozionale si associavano a diminuita risposta nella CPFdm in donne con PTSD (quadranti di sinistra; Frewen, Dozois et al. 2012). Differenze individuali riguardanti tratti di mindfulness si associavano ad aumentata risposta nella CPFdm durante evocazione immaginativa in donne sane (quadranti di destra; Frewen, Dozois et al. 2010). Sono illustrati i risultati pertinenti solo alla CPFdm. Illustrazione tratta da Frewen, Dozois et al. 2010, su permesso dell'editore Elsevier.

244.

La cura del sé traumatizzato

Come notato in precedenza, una meta- analisi ha riscontrato che la PFC dorsomediale è la regione cerebrale che si attiva in modo più affidabile durante gli studi di neuroimaging sull’elaborazione emozionale (Kober et al. 2008). Quest'area è anche in parte responsabile dell’elaborazione sociocognitiva (rassegna in van Overwalle 2009) e in maggior modo rispetto

all’elaborazione degli aspetti emozionali sociali rispetto all'elaborazione degli aspetti emozionali non sociali (Frewen et al. 2011). Pur mantenendo il sostegno alla teoria che descrive l’alessitimia come un

deficit cognitivo

nell’elaborazione

delle

emozioni,

va

notato

che

ciò che viene dichiarato in modo specifico dai risultati dei questionari autosomministrati potrebbe non essere chiaro per tutti i casi. Per esempio, abbiamo recentemente determinato che quasi l’intera varianza dei tratti alessitimici riportati da 55 donne con PISD dipende da differenze individuali riguardanti ansia, vergogna e gruppi di convinzioni disadattive a esse associate, che scoraggiavano una libera espressività emozionale (ad es., convinzioni che sarebbero state rifiutate o abbandonate nel caso in cui avessero comunicato i loro sentimenti ad altri;

Frewen et al. 2012).

In altre parole, questi risultati tendono a rigettare l'assunto teorico che i risultati dei se/f-report sull’alessitimia nelle persone con PISD siano spiegabili solamente attraverso deficit neurobiologici o di sviluppo nell’elaborazione emozionale. Proponiamo invece che preoccupazioni basate sul malessere, causate da ansia e vergogna, interferiscano con una libera espressione emozionale in campioni di pazienti con PTSD basato su traumi

infantili.

Ciononostante,

misure

di intelligenza emozionale

raccolte in modo oggettivo, come la LEAS (Levels of Emotional Awareness Scale; Lane et al. 1990) confermano che almeno alcune persone traumatizzate mostrano deficit effettivi nell’identificazione e nella definizione dei loro stati emozionali (Frewen et al. 2008). Sono necessari

studi neurofenomenologici più approfonditi sulla risposta a compiti di elaborazione emozionale in varie popolazioni con disturbi traumatici, che possano determinare quali effetti sono genuinamente legati al compito e quali sono dovuti semplicemente a malessere emozionale. Proponiamo che aiutare i pazienti a identificare una connessione tra esperienze somatiche e stati emozionali possa aiutarli a superare l’alessitimia creando un linguaggio per i loro stati affettivi. Possono per esempio essere incoraggiati a comunicare a voce alta cosa provano nel corpo mentre fanno un esercizio di body scan (contrazione, formicolio,

schiacciamento, cuore che accelera). Se il paziente non riesce a provare nessuna sensazione nel corpo o in parti del corpo dopo ripetuti body scan, si può incoraggiarlo ad applicare una leggera pressione su una qualunque parte del corpo (per esempio con le mani) o a flettere muscoli e articolazioni (per es. congiungendo le dita di una mano col pollice corrispondente) in modo da facilitare l’esperienza di sensazioni fisiche. Dopo che il paziente è diventato capace di identificare più facilmente le sensazioni somatiche, potrete incoraggiarlo a iniziare a collegare le sensazioni fisiche nel

6. La coscienza delle emozioni

245

corpo con differenti stati emozionali. È importante tenere a mente che i

pattern di sensazioni fisiche e i collegamenti con specifici stati emozionali varieranno abbastanza da paziente a paziente. Per una persona, per esempio, la rabbia potrebbe esprimersi attraverso una sensazione di caldo attraverso tutto il corpo insieme a una tensione nel petto e nelle mani, mentre da un’altra persona potrebbe viverla attraverso una tensione alla mandibola e una stretta allo stomaco. Alcuni pazienti possono trovare utile usare diagrammi per identificare o disegnare le differenti sensazioni fisiche che provano durante diversi stati affettivi. Può essere inoltre utile

fornir loro una lista di termini sulle emozioni che li informi su di esse e li aiuti a sviluppare un vocabolario per i loro stati affettivi. Caso 4: INTERROMPERE

LA TRASMISSIONE

INTER-GENERAZIONALE

DEL TRAUMA

La paziente che chiameremo Katie è una donna di 35 anni che riportava confusione di identità e difficoltà nella consapevolezza e nella regolazione delle emozioni. Fra presente una lunga storia di abusi e trascuratezza in infanzia. Riferiva significativo ottundimento emozionale, che, come tipico per molti sopravvissuti a traumi, si esprimeva in parte attraverso una diminuita capacità di provare emozioni positive nel contesto delle relazioni strette. Rispetto a questo problema, era particolarmente disturbata dall’esperienza di non riuscire a provare ed esprimere amore e affetto per suo figlio di 3 anni, “Ben”. Descriveva così il suo stato interno: “È come uno schermo bianco. Penso a mio figlio e non sento niente per lui. Sto lì seduta, sentendomi confusa e intorpidita, e mi chiedo cosa dovrei sentire. È come uno spazio morto... e quando succede ho problemi a usare le parole, a trovare le mie parole, non riesco a parlare”. L’ottundimento emozionale e l’alessitimia di Katie, quindi, influivano in modo significativo sulle sue capacità materne. Inoltre, in altri momenti, si rendeva conto che non riusciva a tenere il figlio vicino a sé, poiché fare questo le ricordava gli abusi e la trascuratezza emozionale che aveva subito da piccola: in effetti, quando era in stretta prossimità col figlio, Katie spesso aveva flashback nei quali era abusata fisicamente. Si sentiva intensamente in colpa per non essere capace di provare ed esprimere sentimenti di amore verso di lui. Fortunatamente, anche per aiutare la famiglia, Ben era stato inserito in un programma di sostegno che includeva giochi e arte-terapia con altri bambini: purtroppo, in questo ambiente, Ben era considerato socialmente ed emozionalmente ritirato.

La terapia di Katie iniziò introducendo esercizi di mindfulness, body scan incluso, con l’obiettivo di aumentare la sua consapevolezza e le sue

capacità rispetto ai sentimenti, in particolare alla possibilità di sentire calore e tenerezza per i suoi cari. Durante i primi body scan riferì di essere “completamente intorpidita” e di non avere consapevolezza di alcuna sensazione nel corpo. La terapeuta valutò se un cambiamento nell'esercizio del body scan mediante l’auto-applicazione di una leggera

246.

La cura del sé traumatizzato

pressione sul corpo potesse facilitare un aumento delle sensazioni fisiche. Katie scelse di fare pressione sulla fronte con la punta delle dita, poiché riteneva che quella potesse essere un’area che l'avrebbe fatta sentire al sicuro e a suo agio. Disse che stava sentendo la pressione che stava applicando sulla fronte, ma che esitava a fare lo stesso movimento in qualsiasi altra parte del corpo per paura di rimanere soverchiata da sensazioni fisiche dolorose. L’acuta sensibilità di Katie rispetto ai confini e alla sicurezza venne rispettata,

mentre,

in varie

sedute,

continuava

a praticare

questo

intervento a orientamento corporeo: dopodiché si senti abbastanza a suo agio a esplorare sensazioni fisiche in altre parti del corpo. Katie riferì che, mentre aumentava la consapevolezza delle sensazioni fisiche in tutto il suo corpo, aumentava in modo significativo anche il suo malessere. Disse di non sapere cosa fare di “tutte quelle emozioni” che non era capace di definire. Tramite rassicurazione e incoraggiamento, tuttavia, Katie riuscì

man mano a sentirsi sempre più a suo agio mentre faceva attenzione al suo corpo ed esercitava la sua consapevolezza enterocettiva. Gradualmente imparò anche a collegare le sensazioni fisiche nel suo corpo a diverse emozioni, includendo, a volte, anche emozioni positive. Si sentì sollevata

notando che ora era capace di comunicare i suoi sentimenti a parole e iniziò a esprimere nella relazione col figlio la sua migliorata capacità rispetto a un ventaglio di emozioni. Il figlio di Katie si era reso probabilmente conto, a qualche livello, che la madre aveva problemi a essere fisicamente affettuosa verso di lui. Ben, per esempio, presumibilmente per ricevere contatto da Katie, le chiedeva: “Possiamo giocare allo zoo delle coccole? Io faccio il maialino. Così tu mi puoi coccolare”. Katie sentiva rimorso per il fatto di non riuscire a essere affettuosa a livello emotivo e fisico con Ben. Provò ogni possibile strategia allo scopo di elaborare le proprie associazioni traumatiche con le sue figure di attaccamento, per potersi sentire più vicina e più supportiva nei confronti del figlio. La terapeuta suggerì a Katie di tenere la mano di Ben, cercando di sentire e condividere l’amore per lui. Katie chiamò

questo gioco: “Il tocco dell'amore” e, fortunatamente sia per la madre che per il figlio, col tempo Katie provò sempre maggiori sentimenti d’amore, migliorando la capacità di tenere vicino Ben in modo affettuoso e senza sperimentare sintomi acuti di PISD. Notò che, parallelamente all'aumento dei suoi sentimenti d’amore e della sua disponibilità affettiva verso Ben, lui diventò menò ritirato e la sua vita emozionale si illuminò.

Anche alla scuola materna l’insegnante lo descrisse come molto più felice e più interattivo socialmente con i coetanei.

6. La coscienza delle emozioni

247

Trauma e sofferenza emozionale: andare oltre la paura Nonostante gli sforzi di catturare l’essenza della risposta degli individui al trauma, la diagnosi di PTSD non riesce a rendere la complessità dei modi in cui le persone reagiscono a esperienze sconvolgenti [...]. Concentrarsi esclusivamente sul PTSD per descrivere le sofferenze delle vittime non rende giustizia della complessità di quel che effettivamente stanno patendo. Bessel van der Kolk e Alexander Mc Farlane (1996, pp.15-16)?

Ai terapeuti è ben noto che spesso le persone traumatizzate hanno problemi di ansia e paura e, concordemente, la letteratura è piena di rassegne sistematiche e meta-analisi ben condotte che riguardano la neurofisiologia della paura e dei problemi d’ansia negli individui con PISD (vedi per esempio le rassegna di Etkin e Wager 2007, Hayes et

al. 2012, Patel et al. 2012, Pole 2007, Sartory et al. 2013). L'esperienza clinica conferma che le persone traumatizzate sono spesso intensamente in allerta, ipervigili e in apprensione rispetto a segnali di pericolo, specialmente se si manifestano in altre persone. A confronto, molta meno ricerca è stata fatta su altri stati affettivi negativi disregolati che, rispetto a paura e ansia, sono altrettanto importanti nei soggetti cronicamente traumatizzati. Vista la situazione Miller et al. (2009), Resick e Miller (2009) hanno ritenuto necessario portare l’attenzione dei ricercatori sul fatto che le persone con PISD più gravemente traumatizzate spesso vivono una moltitudine di stati emozionali negativi disregolati, non rappresentati solamente da paura e ansia: rabbia, colpa e vergogna vanno inclusi tra i sintomi legati ad affettività generale negativa frequentemente presenti nelle persone con PTSD. La natura molteplice delle esperienze emozionali negative negli individui traumatizzati è stata descritta in almeno tre contesti: (1) a livello peritraumatico, in risposta a trigger e recupero di ricordi legati a eventi traumatici; (2) in risposta a stimoli sperimentali; (3) in risposta a questionari e interviste. In riferimento alle risposte peritraumatiche, risulta sempre più

consolidata l'osservazione che le reazioni emozionali nel momento dell'evento traumatico non si limitino solo alla paura (Bovin e Marx 2011). Un importante strumento di misura delle reazioni soggettive a 5 Da van der Kolk B.A., McFarlane A.C. (1996). The black hole of trauma. In B.A. van der Kolk, A.C. McFarlane, L. Weisaeth (a cura di) Traumatic stress: The overwhelming experience on mind, body and society. Tr. it. Stress traumatico. Gli effetti sulla mente, sul corpo e sulla società delle esperienze intollerabili, pp. 31-32. Magi, Roma 2004.

Pubblicato su permesso di Guilford Publications Inc.

248.

La cura del sé traumatizzato

eventi traumatici acuti, per esempio, include item che valutano non solo la paura e l’ansia ma anche altre forme di malessere emozionale non specifico, come “frustrazione e rabbia,” “tristezza”, “colpa” e “vergogna” (Brunet et al. 2001, Birmes et al. 2005, Fikretoglu et al. 2006). La ricerca

ha anche mostrato che, quando le persone sono esposte a stimoli che fanno ricordare eventi traumatici passati, come nel caso della rievocazione immaginativa tramite copione, la reviviscenza dell'evento traumatico si associa non solo a paura, ma a numerose altre emozioni. Abbiamo per esempio osservato che la rievocazione immaginativa utilizzando narrative personali di eventi traumatici in soggetti con PISD spesso attivava vergogna e colpa, le emozioni sociali e auto-coscienti, in donne esposte ad abuso

emozionale

e sessuale

infantile

(Lanius et al. 2001;

Lanius,

Williamson et al. 2003). Inoltre in persone con PISD legato a guerra (maschi come

hanno

soldati; femmine

osservato

come

che la rievocazione

evocava una riduzione della felicità

infermiere),

Shin et al. (2004)

immaginativa

e un aumento

tramite

copione

di tristezza, rabbia,

paura, disgusto, sorpresa, colpa e di attivazione autonomica (arousal) in risposta a stimoli immaginativi basati su eventi neutri. Rispetto a persone esposte a eventi traumatici ma senza PISD, i soggetti con PTSD vivevano non solo più paura, sorpresa e attivazione autonomica, ma anche livelli più alti di senso di colpa (Shin et al. 2004). Secondo aspetto: i ricercatori hanno mostrato che le persone con PISD rispondono spesso in modo disadattivo a stimoli emozionali differenti da quelli implicati nelle risposte di paura. Per esempio. sia Mcleague

et al. (2010) che Frewen,

Dozois

et al. (2010) hanno

osservato un aumento degli affetti negativi riportati dai soggetti in risposta a copioni standard, il cui contenuto era focalizzato ad attivare rabbia 0 preoccupazioni riguardo alla propria sicurezza (McTeague et al. 2010) oppure rifiuto (Frewen, Dozois et al. 2010). Altri studi hanno invece riscontrato, in persone traumatizzate con disturbi psichiatrici (PTSD, disturbo borderline di personalità, ecc.) una relativa incapacità a diminuire lo stato di malessere in risposta a fotografie sgradevoli. Questo deficit coincide con una diminuita risposta in regioni cerebrali implicate nella regolazione emozionale come la corteccia prefrontale mediale e il cingolato anteriore (Koenigsberg et al. 2009, Lang et al. 2012, New et al. 2009, Schulze et al. 2011). Interessante notare che l'aumento del

riflesso di trasalimento e l’iper-arousal caratterizzano meglio i soggetti con PISD legato a singolo incidente traumatico. A paragone, le persone con multipli eventi traumatici (e in particolare coloro che hanno avuto lunghe vicende di abuso infantile di tipo emozionale, fisico o sessuale)

differiscono meno rispetto alle persone di controllo sane riguardo a questi aspetti di fisiologia di difesa dalla minaccia, nonostante riportino sensazioni soggettive di alto arousal (McTeague et al. 2010). Terzo aspetto: vi è ormai un consolidato accordo sul fatto che le persone traumatizzate riportino, mediante scale, questionari e interviste,

6. La coscienza delle emozioni

249

una grande varietà di intensi disturbi emozionali. Power e Fyvie (2013), per esempio, hanno riscontrato che solo circa la metà di 75 persone con PISD prese in carico consecutivamente nella loro clinica individuavano

la paura o l’ansia come principale stato emozionale invalidante. Interessante il dato legato ai soggetti per i quali paura o ansia non erano le problematiche principali: questo gruppo ebbe esiti peggiori con un trattamento basato sull’esposizione, suggerendo agli autori dello studio la possibilità di individuare un sottotipo di PTSD “paura-ansia” e un altro “non-paura-ansia”. Per quest'ultimo gruppo andrebbero considerate terapie alternative (o in concomitanza) all’approccio con esposizione. I sintomi legati ad affettività generale negativa sono stati anche classificati in base a una natura esternalizzante (come per la rabbia) o internalizzante

(come per la colpa e la vergogna) (Miller et al. 2003, Miller e Resick 2007). In accordo a ciò, i criteri diagnostici per il PISD nel DSM-5, piuttosto che focalizzarsi esclusivamente sui sintomi di ansia e paura, riconoscono esplicitamente la natura eterogenea delle risposte emozionali nei pazienti con questo disturbo (Miller et al. 2009, Resick e Miller 2009) e includono

nella diagnosi stati emozionali pervasivi e negativi come paura, orrore, rabbia, colpa o vergogna (Friedman et al. 2011, p. 759). In effetti le persone con traumatizzazione cronica e complessa raramente hanno difficoltà con un singolo tipo di emozione e la varietà di stati emozionali negativi sperimentati da molte persone traumatizzate suggerisce che molti sopravvissuti a eventi traumatici possano soffrire di problemi nella regolazione degli stati emozionali di base (Frewen e Lanius 2006b; Lanius, Frewen et al. 2010). Nelle prossime pagine consideriamo le difficoltà nella regolazione emozionale e la loro relazione col sé traumatizzato. Disregolazione emozionale e senso di sé: “avere” un'emozione o “essere” un'emozione

Come abbiamo discusso in precedenza, vari studiosi suggeriscono di stabilire una distinzione tra l’esperienza emozionale primaria, di “prim'ordine” e la consapevolezza dell'esperienza emozionale, considerata come una ri-rappresentazione di second’ordine dell’emozione (Frijda 2005,

Lambie

e Marcel

2002,

Lane

et al. 1997).

Questa

distinzione

tra rappresentazioni di primo e di secondo ordine dell’elaborazione emozionale fornisce punti di riferimento, per esempio, per orientarci nei casi di alessitimia nei quali le persone stanno evidentemente provando uno stato emozionale rimanendo tuttavia ampiamente inconsapevoli di esso. Vi sonoaltre considerazioni di ampia applicazione della consapevolezza dell'esperienza emozionale di primo o di secondo ordine. Questa teoria propone infatti che, quando un individuo mette in atto processi introspettivi o enterocettivi di secondo ordine in relazione alle esperienze

250.

La cura del sé traumatizzato

affettive di base di prim'ordine, intrinsecamente,

queste ultime vengono

cambiate,

nella loro qualità (Frijda 2005, Izard 1993, Lambie e

Marcel 2002, Thompson et al. 2011). Taylor e colleghi (2003) hanno probabilmente fornito la prima dimostrazione oggettiva di quest’ipotesi utilizzando i metodi delle neuroscienze affettive e mostrando che valutare il grado di avversione scatenato da fotografie spiacevoli (per esempio applicando a esse una definizione cognitiva, e quindi operando a livello di esperienza emozionale) aumentava la risposta della corteccia prefrontale mediale e del cingolato anteriore e diminuiva l’attivazione dell’amigdala, situazione che non avveniva in caso di visione passiva delle fotografie spiacevoli (esperienza emozionale di prim'ordine). Utilizzando variazioni di questa procedura sperimentale, vari studi hanno da allora replicato l’effetto della definizione esplicita (explicit labeling) sulla riduzione della risposta dell’amigdala (Lieberman et al. 2007). Queste ricerche suggeriscono che il coinvolgimento attivo della volontà, anche se unicamente con lo scopo di definire il significato di stimoli emozionali esterni, può favorire un livello di coscienza di ordine superiore (favorire per esempio la consapevolezza emozionale di second’ordine, che si associa a risposta corticale prefrontale) rispetto alla

reazione passiva allo stimolo che attiva solo la consapevolezza emozionale di prim'ordine, associata a risposta limbica, per esempio nell’amigdala. Oltre che dando semplici definizioni, tutti noi sappiamo che vi sono molti modi attraverso i quali possiamo cambiare (o almeno tentare di cambiare) volontariamente le nostre risposte emozionali agli eventi in corso, attivando

intenzionalmente

la consapevolezza

di second’ordine.

Possiamo per esempio scegliere di mangiare zuccheri e cibi grassi per confortare sentimenti di solitudine, andare a fare una passeggiata per calmare la rabbia, o ascoltare la nostra musica preferita per combattere la noia. Le neuroscienze affettive hanno iniziato da poco a studiare questi complessi comportamenti, sotto l’arco della ricerca sulla regolazione emozionale, brevemente sintetizzata nel capitolo 1.

La rivalutazione cognitiva è uno dei comportamenti di regolazione emozionale meglio studiati: comporta l’interpretazione intenzionale di uno stimolo o di un evento attraverso una modalità che influenzi il suo impatto tipico (Aldao et al. 2010). La ricerca sulla rivalutazione cognitiva, negli esperimenti di neuroimaging, prende di solito la forma della presentazione ai soggetti di fotografie di natura positiva o negativa, chiedendo poi di interpretarle cambiandone la natura: per esempio se normalmente una persona si sente rattristata dalla fotografia di una donna che piange, la rivalutazione cognitiva potrebbe portare a interpretare la reazione della donna come lacrime di gioia, e facendo sì che il soggetto non senta partecipazione per il dolore della donna ma sia piuttosto spinto a condividerne l’allegria. Gli studi finora condotti hanno mostrato che rivalutare cognitivamente gli stimoli in questo modo tende a provocare una risposta in varie regione cerebrali tra cui la corteccia

6. La coscienza delle emozioni

prefrontale

mediale

(ventrale

e dorsale),

251

nel cingolato anteriore,

nel

giro frontale centrale e inferiore e nell’insula, bilateralmente (Diekhof et al. 2011, Ochsner

e Gross

2005, Ochsner

et al. 2002). Anche

in

questo caso, il compito della rivalutazione cognitiva riguarda, di per sé, l'elaborazione

emozionale

di second’ordine:

la reazione normale

e

automatica di rispondere a uno stimolo emozionale (elaborazione di prim'ordine) è scavalcata intenzionalmente attraverso la manipolazione attentiva (elaborazione di second’ordine). Come abbiamo già notato in precedenza, il compito della rivalutazione cognitiva richiede di “fare un passo indietro” rispetto al modo usuale di sperimentare se stessi e il mondo, in modo da percepirlo intenzionalmente in un modo nuovo e più adattivo. Abbiamo mostrato nel capitolo 1 che, in termini fenomenologici, è descrivibile un approccio alla regolazione emozionale abbastanza differente, che riguarda in modo ancora più esplicito “fare un passo indietro”,

decentrandosi,

distanziandosi

o distaccandosi

dallo stimolo

emozionale, assumendo in tal modo più una prospettiva “di osservatore” che “in campo” (Ayduk e Kross 2010; Fresco, Segal et al. 2007; Fresco, Moore et al. 2007; Kross 2009). Queste manipolazioni attentive potrebbero essere anch'esse mediate dai meccanismi cerebrali evocati anche da altre forme di regolazione emozionale come la rivalutazione cognitiva (Kalisch et al. 2005, Lévesque 2003). Durante un nostro esperimento di neurotmaging siamo rimasti colpiti dalla somiglianza tra la fenomenologia degli stati di distacco dissociativo (almeno quelli di moderata intensità) e le istruzioni date ai partecipanti per distanziarsi da lievi scosse elettriche e dal malessere associato alla visione di film tristi (Frewen e Lanius 2006b). Le tendenze di ricerca negli studi recenti

sulla regolazione emozionale includono il paragone diretto delle basi neurali di differenti strategie di regolazione emozionale in risposta agli stessi stimoli, valutando per esempio rivalutazione cognitiva e soppressione (Goldin et al. 2008) e distrazione (Kanske et al. 2010, McRae et al. 2010). Sottolineiamo, di nuovo, che un leggero livello distanziamento e distacco, facilitato dall'utilizzo

di decentramento, di una posizione

attentiva di second’ordine relativa a esperienze emozionali negative di prim'ordine, è probabilmente un fattore comune, in vario grado, a tutte

le forme di regolazione emozionale. Il decentramento può essere una modalità sana per gestire e sopportare forme di malessere, sia di natura internalizzante che esternalizzante, a meno che non si faccia un passo “troppo lontano”. Proponiamo l’utilizzo di due concetti, avere emozioni in contrasto a essere un’emozione, intendendoli come una semplice cornice fenomenologica per applicare in concreto le definizioni di esperienze affettive rispettivamente di second’ordine e di prim'ordine. Il pannello a sinistra nella figura 6.10 illustra l’idea riguardante “avere emozioni”: il sé è disegnato mentre tiene una borsa nella quale gli stati emozionali possono essere contenuti temporaneamente e quindi sentiti. Fortunatamente la borsa ha un foro

252

La cura del sé traumatizzato

Figura 6.10. Fenomenologia dell’avere emozioni rispetto alla fenomenologia dell’essere un'emozione

VETTE Avere emozioni

Disregolazione emozionale: essere un'emozione

Pannello di sinistra: “AVERE EMOZIONI” — illustra il senso del sé mentre tiene una borsa all’interno della quale sono contenuti temporaneamente stati emozionali diversi, che sono quindi vissuti da una prospettiva decentrata. Il sé non si identifica completamente con le esperienze emozionali: sono sentimenti che “il sé ha” e non sentimenti che “il sé è”. È inoltre rappresentato un foro alla base della borsa che permette agli stati emozionali di uscire via, e di non venire più sentiti.

Pannello di destra: “ESSERE UN'EMOZIONE” —illustra il sé nella borsa delle emozioni. In tali esperienze il senso del sé si identifica intensamente con uno stato emozionale e viene da esso soverchiato. Non vi è separazione attentiva tra senso del sé e stato emozionale e quindi quest’ultimo non può venire regolato. Questi sentimenti “consumano il sé” e tali momenti vengono vissuti come perdite di controllo.

sul fondo e quindi raramente strabocca: anche se le emozioni vengono prese e tenute per un momento, in seguito passano attraverso il foro e sono lasciate andare, senza essere più sentite. Quindi il sé viene raramente

sopraffatto dall’esperienza di avere “troppe emozioni”. Un aspetto chiave di “avere emozioni” è rappresentato dal fatto che il sé non si identifica completamente con l’esperienza emozionale, ma è almeno di un “ordine” al di sopra delle emozioni. Il sé porta la borsa delle esperienze emozionali di prim'ordine ed è quindi consapevole a livello esperienziale del loro peso, ma questi stati emozionali non sono esperiti di per loro come “sé”:

6. La coscienza delle emozioni

253

il sé è piuttosto definito, in questa esperienza di second’ordine dell’’avere

emozioni”, come una forma decentrata di attenzione, o come la capacità di essere consapevoli di per sé. Questa concettualizzazione è in sintonia con le pratiche di decentramento che vengono messe in atto nella mindfulness, in cui il praticante percepisce il salire e scendere di ogni “onda” passeggera di pensieri ed emozioni, così come fa per ogni respiro che passa, senza esserne portato via e senza essere coinvolto da processi di identificazione o di attaccamento (Bishop et al. 2004; Brown et al. 2007; Corcoran et al. 2010; Frewen, Evans et al. 2008). Per esempio, item come: “Ho sentito

me stesso come separato dai pensieri e dalle emozioni che passano” oppure: “Ero consapevole dei miei pensieri e delle mie emozioni senza

identificarmi eccessivamente con esse” sono presenti in una scala di valutazione del decentramento mindful, da compilare dopo la pratica

meditativa allo scopo di documentare le esperienze fenomenologiche avvenute durante la meditazione (dalla scala TMQ, Toronto Mindfulness Questionnatre;

Lau et al. 2006). In sintesi, attraverso

il decentramento

mindful, scelto come pratica di regolazione emozionale, il sé si identifica con il più ampio oceano dell’attenzione o della coscienza consapevole, piuttosto che fissarsi su ogni “onda” di emozione: in questo modo il sé è “più grande dell’onda”. Proponiamo che, al contrario, gli stati di disregolazione emozionale comunemente associati a trauma psicologico possano essere affini all'esperienza di essere un’emozione, nella quale il sé si identifica fortemente con uno stato emozionale, almeno in via momentanea:

non

esiste separazione attentiva tra il senso del sé e il senso dell’emozione. In tali circostanze, l’intera attenzione e l’intero senso del sé dell’individuo

sono inghiottiti dall’onda di uno stato emozionale, che può essere paura, dispiacere, vergogna, rabbia o altro. Queste emozioni vengono quindi sentite così pienamente, almeno per un momento, che arrivano a “consumare il sé”: la persona non sperimenta nient'altro che lo stato emozionale e, a tutti gli effetti il senso del sé è lo stato emozionale. Poiché il sé è completamente identificato con lo stato emozionale e quindi non vi è separazione esperienziale tra il sé e l'emozione, l'emozione non può venire regolata, e vi può essere l’esperienza della perdita di controllo. A sua volta, la perdita del senso di controllo e di uno stato sufficientemente

decentrato del sé può essere sentita come una frattura transitoria rispetto al proprio usuale stato di coscienza, e induce il soggetto a pensare (al termine dell’esperienza emozionale) di “non essere stato se stesso” durante l’episodio emozionale e di avere perso il controllo (vedi paragrafi seguenti), una fenomenologia che alcuni studiosi definirebbero come espressione di dissociazione. È importante notare che le espressioni emozionali estreme sono spesso attivate da trigger legati a eventi traumatici passati e, in tal caso, sono da vedersi non tanto come risposte a circostanze presenti in attualità, ma quanto reazioni a esperienze del passato cariche di emozioni, vissute come se stessero accadendo nel presente.

254.

La cura del sé traumatizzato

Il pannello di destra nella figura 6.10 illustra il nostro attuale modo di pensare la disregolazione emozionale, che chiamiamo essere un'emozione. Suggeriamo che, in stati di disregolazione emozionale, i sentimenti provati sono “qualcosa che la persona in quel momento è o che in quel momento diventa, e non sono stati emozionali che la persona ha. Nella figura il sé è dentro la borsa delle emozioni, ovvero l’esperienza del sé è

completamente contenuta dalla risposta emozionale. fuso con uno stato emozionale e quindi non vi è modo quindi la persona trasporta le emozioni come se fossero quella di distanza di un braccio a disposizione quando sentendosi se stessi. In quei momenti le emozioni non

In tali stati, il sé è di posare la borsa, se stesso, e non con si hanno emozioni, sono qualcosa che

abbiamo e che teniamo: sono qualcosa che, momentaneamente, stamo. Un

esempio tipico di questo è rappresentato da ciò che succede nell'attacco di panico, durante il quale l’individuo è completamente dentro uno stato di intensa paura interna e non riesce a uscirne fuori (Dalgleish e Power 2004). Abbiamo discusso in precedenza anche la fusione del senso di sé con la vergogna, durante analoghi “attacchi di vergogna”. Come notava Stephanie, “è molto difficile uscirne fuori [dalla vergogna]. La vergogna è così grande e così schiacciante che diventa parte di chi sono...”. Proponiamo, in aggiunta, che qualcosa di simile avvenga durante gli

“attacchi di rabbia” in molte persone traumatizzate: il senso individuale del sé e i sentimenti di essere in controllo delle proprie azioni possono venire momentaneamente sopraffatti da rabbia intensa, che a volte porta a violenza, come vedremo nel paragrafo seguente. “Essere la rabbia”: la compartimentazione della rabbia Frica fornisce una descrizione succinta della natura della rabbia in una

persona traumatizzata:

Intervistatore:

Erica:

Da dove pensi che venga la rabbia? Che cosa ti porta ad arrabbiarti? È dolore. La rabbia arriva da lì - è dolore. Dolore da ogni cosa del passato. Il dolore scatena la rabbia. E se qualcuno mi porta ad arrabbiarmi, è perché mi ha ferita, facendomi sentire qualcosa che ho sentito in passato e facendomi sentire come se fossi tornata là. È come se non ho controllo di ciò che viene fuori. A volte diventa così forte che potrei fare del male a qualcuno.

Sebbene le ricerche su persone traumatizzate si siano focalizzate in gran parte sulla (dis)regolazione della rabbia e della disforia, molti studi hanno anche scelto di approfondire la fenomenologia della rabbia in questa popolazione, che in effetti è uno stato emozionale di

6. La coscienza delle emozioni

255

particolare rilevanza per il PTSD. Si è ormai stabilito che in media le persone traumatizzate sperimentano frequentemente problemi sia con l’internalizzazione della rabbia che con la sua esternalizzazione (McHugh et al. 2012, Orth e Wieland 2006). Inoltre, mentre le persone con vari tipi di disturbi d’ansia riportano spesso problemi legati a irritabilità e rabbia, la ricerca suggerisce che, in particolare, sia la percezione della perdita di controllo sulla rabbia che distingue la rabbia associata a PISD da esperienze di rabbia associate in maniera altrettanto intensa ai disturbi d’ansia. Siamo solo agli inizi della ricerca con neuroimaging sulle basi neurali dell’inibizione controllata della rabbia mediante regolazione emozionale. Uno studio sulle differenze individuali nelle risposte di rabbia a leggeri insulti sociali (per esempio chiedere al paziente, in modo rude, scostante e altezzoso di parlare più forte, per poi dirgli “ma non riesce a seguire le indicazioni?”) ha riscontrato che l'aggressività di tratto, misurata con

questionari, era associata ad aumento di attività del cingolato anteriore dorsale, struttura considerata dagli autori come componente di un “sistema neurale di allarme” (Denson et al. 2009). Visto che quest'area

è associata con il controllo cognitivo focalizzato e il monitoraggio degli errori, questi ricercatori hanno interpretato l'aumento di attività nel cingolato anteriore dorsale, presente nei soggetti più aggressivi, come un maggiore sforzo inibitorio messo da loro in atto per superare la tendenza naturale e automatica di arrabbiarsi in risposta a leggeri insulti. In questo studio, insieme ad aumenti di attività nel cingolato anteriore,

l’evocazione di sentimenti di rabbia corrispondeva a risposte nell’insula (area associata alle funzioni di attivazione emozionale e all’esperienza emozionale), nella corteccia prefrontale (CPF) dorsomediale

(associata

con l’attenzione alle emozioni e all'esperienza emozionale) e ad altre regioni note per venire attivate dalle risposte emozionali. In uno studio seguente, Denson e colleghi istruirono esplicitamente i partecipanti a tentare di superare ogni emozione aggressiva che poteva venire scatenata dallo stesso tono condiscendente da parte dei ricercatori. Furono replicati i dati riguardanti la risposta del cingolato anteriore dorsale, della CPF dorsomediale e dell’insula, scoprendo ulteriormente che essa variava in proporzione alle differenze tra i partecipanti nei livelli di testosterone e di cortisolo. Inoltre, le risposte co-variavano maggiormente con il livello autovalutato di sforzo a controllare la rabbia piuttosto che con l’intensità della rabbia (Denson et al. 2013).

In seguito all’attivazione della rabbia risultò inoltre aumentata la connettività funzionale tra l’amigdala (ampiamente riconosciuta come regione coinvolta nella percezione degli stimoli emozionali) e un network prefrontale sinistro che includeva la corteccia orbito-frontale (COF), la

CPF dorsolaterale e il cingolato anteriore dorsale. La connettività invece risultava diminuita tra amigdala e regioni del tronco dell’encefalo. Questi risultati forse indicano un aumentato tentativo di inibizione frontale sull’amigdala e una diminuzione dell’eccitazione dell’amigdala

256

La cura del sé traumatizzato

sugli output autonomici e comportamentali in caso di successo nella modulazione top-down della rabbia; le differenze individuali variavano insieme al livello di testosterone e di cortisolo (Denson et al. 2013).

I risultati di Denson e colleghi sono congrui con quelli di un altro studio nel quale la connettività dell’amigdala con la corteccia orbito-frontale (COF) aumentava in funzione dell’aumento della predisposizione (come tratto) a controllare la propria rabbia, anche quando le misurazioni venivano effettuate a riposo (Fulwiler et al. 2012). Colpisce la sensibilità del cervello anche a provocazioni minime, soprattutto in soggetti con tratti di rabbia e predisposti al discontrollo della rabbia. Infatti in altri studi la rabbia è stata provocata semplicemente chiedendo ai partecipanti di ascoltare la parola “No”: i maschi più predisposti ad avere emozioni negative rispetto allo stimolo verbale mostravano una minore risposta nella COF, mentre i maschi più predisposti a controllare la loro rabbia mostravano una maggiore risposta nella COF quando udivano “No” (Alia-Klein et al. 2007).

Fabiansson e colleghi (2012) hanno studiato la regolazione emozionale della rabbia in modo più diretto, chiedendo ai soggetti di recuperare un ricordo associato a sentimenti di rabbia per poi cercare di regolare l'emozione attivata mediante nvalutazione cognitiva (“Pensa all'evento in un modo diverso, più oggettivo e positivo”), ruminazione analitica (“Pensa al ricordo in modo da riportare alla mente le cause e le conseguenze dell'evento”) o ruminazione sulla rabbia (“Pensa ai tuoi sentimenti e agli

aspetti emozionali dell'evento”). Le risposte neurali durante i tre diversi approcci regolatori non differirono tra loro: ognuna mostrò un’aumentata risposta, rispetto al livello di base a riposo, in regioni cerebrali note per essere coinvolte nella risposta e nel controllo emozionale: il giro frontale inferiore, la corteccia orbito-frontale, il putamen, l’insula e l’amigdala. Sì riscontrò un aumento di connettività funzionale tra amigdala e

giro frontale inferiore nei due compiti di ruminazione rispetto alla rivalutazione cognitiva. Sfortunatamente pochi studi di neuroimaging hanno esaminato l’esperienza della rabbia nelle persone traumatizzate. New e colleghi (2009) hanno studiato individui con disturbo borderline di personalità (DBP) e concomitante disturbo esplosivo intermittente, dei quali circa la metà aveva una diagnosi passata o presente di PTSD. I soggetti facevano un gioco durante il quale, in certi momenti, percepivano di aver perso “soldi” a causa delle azioni di un’altra persona e potevano scegliere se rispondere aggressivamente causando, a loro volta, la perdita di “soldi” all’altra persona. I ricercatori riportano l'osservazione aneddotica che i loro partecipanti con DBP “descrivono di sentirsi sopraffatti dalla rabbia, senza accesso né alla capacità di controllare le loro risposte né alla capacità di considerare le conseguenze legate al discontrollo di esse” (New et al. 2009, p. 1112). Fu riscontrato che, durante la provocazione della rabbia (rispetto ad altri momenti del gioco in cui non veniva attivata) i soggetti con

DBP evidenziavano un aumento della risposta nella COF e nell’amigdala,

6. La coscienza delle emozioni

257

mentre nel gruppo di controllo sano era vero il contrario: questi dati possono essere indicativi sia di un’aumentata risposta di rabbia, sia di un controllo emozionale tentato e fallito. Complicano l’interpretazione, tuttavia, osservazioni addizionali di una diminuzione del metabolismo della COF nei momenti di gioco non attivanti: l’esito netto dello studio fu il riscontro che gli individui con DBP differivano dal gruppo di controllo sano rispetto alla funzionalità dell’amigdala e della COF soprattutto in assenza di cause relativamente esplicite di provocazione della rabbia. Analisi di follow-up hanno inoltre riscontrato diminuita risposta nello striato, soprattutto in maschi con DBP, ma non in modo specifico rispetto al vari momenti di gioco (attivanti versus non attivanti) (Perez-Rodriguez et al. 2012).

Anche Spoont e colleghi (2010) hanno paragonato la risposta a rievocazione immaginativa tramite copione di ricordi associati a rabbia in persone con disturbo esplosivo intermittente o con disturbo di personalità associato a episodi di aggressioni; anche qui la codiagnosi di PTSD risultò prominente nella presentazione clinica. In paragone al richiamo di ricordi neutri, furono osservate numerose differenze di gruppo in varie aree cerebrali note per essere coinvolte nella risposta e nel controllo emozionale, tra cui la COF, l’amigdala, il giro frontale inferiore, la CPF mediale, l’insula, il caudato e il cervelletto. Sono necessari ulteriori studi

di neurotmaging con provocazione della rabbia nei disturbi correlati a traumi. È stato notato che il concetto di essere un’emozione potrebbe collegarsi a certi elementi dissociativi, in particolare la nozione di compartimentazione dell’emozionalità. In particolare, durante l’esperienza di rabbia, una persona può provare momentaneamente una perdita di controllo al punto da non sentirsi se stessa: questo può forse significare una risposta dissociativa.

All’interno

del

contesto

dell’elaborazione

della

rabbia,

due studi hanno esplicitamente studiato le correlazioni tra risposta dissociativa e differenze individuali riguardo alla rabbia (Feeny et al. 2000, Kulkarni et al. 2012). Nel primo lavoro, svolto con donne vittime di aggressione, sessuale (n=56) e non sessuale (n=48), la rabbia di tratto

e i sintomi dissociativi erano moderatamente correlati, misurandoli 2, 4 e 12 settimane dopo l’aggressione. Inoltre tale correlazione rimaneva significativa anche dopo aver considerato la gravità dei sintomi di PISD. Nel secondo lavoro, svolto con 214 veterani, 62% dal Vietnam e il resto

dall'operazione Enduring Freedom [Afghanistan] o dall'operazione /raq Freedom, circa tre quarti dei soggetti mostrava un livello clinicamente significativo di rabbia di tratto e sintomi dissociativi: la gravità della rabbia di tratto anche in questo studio era correlata in modo moderatamente alto con sintomi dissociativi di tratto, che, insieme alla rabbia, predicevano insieme, la gravità dei sintomi di PISD. Questi due studi, quindi, hanno descritto il discontrollo della rabbia e i processi dissociativi come forme complementari di sganciamento delle emozioni, implicando, presumibilmente, che, nonostante spesso avvengano insieme, i processi

258.

La cura del sé traumatizzato

sottostanti alla dissociazione e all’espressione della rabbia possano essere relativamente indipendenti. Siamo assolutamente d’accordo sul fatto che i problemi di rabbia, per come si presentano nelle persone traumatizzate, non implichino necessariamente processi dissociativi. Tuttavia proponiamo ulteriormente

che esiste un’altra interpretazione di questa correlazione: il discontrollo della rabbia può rappresentare di per sé un processo dissociativo, almeno in un certo numero di casi. In effetti, in ampi campioni di persone in gran parte traumatizzate con disturbi psichiatrici (disturbo dissociativo dell’identità incluso), Dell e Lawson

(2009) hanno

trovato un fattore

“intrusioni rabbiose”, secondario a un senso generale di confusione del sé, in una gran parte della varianza della risposta al MID (Multidimensional Inventory of Dissociation). In parallelo a questo riscontro, una comune difficoltà lamentata dai pazienti con PTSD è legata alla loro percezione di non essere in controllo rispetto alla loro rabbia. In effetti, persone di ambo i sessi, ma soprattutto maschi, riferiscono che durante gli attacchi violenti di rabbia e di furia “è come se non fossero più loro stessi”. Un paziente, per esempio, notò che, dopo che un’altro automobilista gli aveva tagliato la strada “mi è partita una tale rabbia che era come avessi smesso di pensare — stavo solo agendo — era come se non fossi più lì”. Anche Frica notò la seguente situazione: “Beh, devo dirlo ad alta voce: non farei mai apposta del male a un’altra persona. Ma lo faccio. E l'ho fatto. E ho fatto apposta del male ad altre persone, ma non l'ho fatto, perché non sapevo cosa ne sarebbe venuto fuori, cosa avrei detto o fatto. Ha senso tutto ciò? Non so

da dove vengono queste cose [i sentimenti di rabbia]”. In altre parole, persone che normalmente si identificano con un senso del sé che è nonaggressivo possono considerare (e fenomenologicamente lo provano) che i loro impulsi di rabbia, solitamente inibiti in altre situazioni, siano come

di “qualcun altro”. Altre persone, consapevoli dei loro atti impulsivi avuti in passato, riportano di essere “spaventati dalla loro rabbia”, suggerendo anche in questo caso un livello di discontrollo su di essa, come se la loro

rabbia avesse “una mente sua personale”. Sebbene sia possibile respingere queste espressioni non professionali come meri giri di parole, suggeriamo che, almeno in un certo numero di casi, valga la pena svolgere un’interpretazione letterale di esse, visto anche che l’attuale comprensione dell’emozionalità correlata a rabbia include processi inibitori come componenti primarie. Si pensa che sia necessario un livello di autocontrollo inibitorio sulla rabbia, al fine di diminuirne l’espressione; in assenza di tale livello di autocontrollo inibitorio, si pensa, in un certo senso, che la rabbia venga lasciata a se stessa (Denson et al. 2012). Le competenze (ski//s) di regolazione emozionale sono quindi

universalmente ritenute necessarie allo scopo di inibire l’espressione della rabbia (DeWall et al. 2011, Finkel et al. 2013, Roberton et al. 2012,

Wilkowski et al. 2010). Senza la capacità di mantenere un senso di sé distinto dalla rabbia e quindi capace di regolarne l’espressione, in casi severi di disregolazione di questa emozione una persona può viversi

6. La coscienza delle emozioni

come

se stesse momentaneamente

“diventando”

259

lo stato di rabbia:

questa situazione sembra evocare, in modo più o meno sottile, uno stato

compartimentato di emozionalità dissociativa nel quale l'emozione è effettivamente separata dal senso di sé e di controllo che normalmente la persona ha. Oltre a questo, va notato che in casi diagnosticati di disturbo dissociativo dell’identità (DDI) o di disturbo dissociativo dell’identità non altrimenti specificato (DDNAS), la compartimentazione delle emozioni è una situazione comunemente sperimentata. Come abbiamo già esposto in precedenza, le persone con questo tipo di disturbi vivono loro stesse attraverso sensi di agentività e di ipseità separati e alternanti che possono essere caratterizzati, tra molte altre qualità, anche da tendenze relativamente stabili e simili a tratti riguardo alla valutazione, all’esperienza e alla regolazione di particolari stati emozionali. In effetti un'iniziale presentazione clinica relativamente frequente in questi disturbi è data dalla persona che vive se stessa come “emozionalmente neutra” mentre (a seconda del livello di co-consapevolezza) riconosce e

descrive ciò che viene sperimentato come sensi di sé indipendenti, che tendono

ad avere

ricordi

specifici ed emozioni

correlate a essi, come

rabbia, paura, vergogna, tristezza (vedi figura 6.11) Figura 6.11. Fenomenologia della compartimentazione dell’emozione attraverso

differenti sensi di sé

Rabbia

Un senso primario del sé (in alto) viene identificato tipicamente come neutro rispetto agli stati affettivi. Tendenze verso vari altri stati emozionali, come vergogna, tristezza, rabbia, paura, vengono identificati (dalla prospettiva del senso primario del sé) come differenti sensi di sé.

260.

La cura del sé traumatizzato

Se un processo dissociativo sia o meno

sottostante, almeno in parte,

rispetto all'emergere di stati marcati di disregolazione emozionale (vedi figura 6.10, pannello di sinistra) è un’importante domanda teorica. Tuttavia, a livello logico non è efficiente classificare tutti i casi di evidente

disregolazione emozionale come TRASC di emozioni e riteniamo che, facendo così, si cadrebbe certamente in errore. Ciononostante, è nostra opinione che, attraverso il modello 4-D, vadano classificati di natura

chiaramente dissociativa le alterazioni più lampanti del senso di sé che accompagnano gli stati di emozionalità compartimentata presenti nei disturbi dissociativi gravi, come illustrato nella figura 6.11. Sono necessarie ulteriori ricerche sulla neurofenomenologia dell’esperienza compartimentata delle emozioni, allo scopo di valutare su base scientifica le diverse impressioni cliniche riguardanti il grado di dissociazione dell’emozionalità nei disturbi legati a traumi. Senza emozioni: la natura TRASC. emozionale e dello spegnimento affettivo

dell’ottundimento

Nello stato traumatico vi è una paralisi psicologica che inizia con un blocco praticamente completo della capacità di sentire emozioni, dolore e altre sensazioni fisiche, e che poi procede inibendo altre funzioni mentali. I soggetti stessi sono in grado di osservare e descrivere il blocco delle risposte affettive — circostanza che ha portato a coniare termini come ottundimento psichico, ‘isolamento psicologico” e ‘anestesia affettiva’. Il paradosso, nello stato traumatico, è che l’ottundimento e l’isolamento sono sperimentati come un sollievo rispetto al precedente affetto doloroso, per esempio l'ansia; al tempo stesso questi stati vengono sperimentati anche come la prima parte del morire poiché, insieme al blocco affettivo, vi è il blocco dell’iniziativa e di tutta la cogmitività legata al mantenimento della vita.

Henry Krystal (1988, p. 151)

Abbiamo finora descritto una varietà di stati emozionali che avvengono frequentemente nelle persone cronicamente traumatizzate: paura, ansia, tristezza, rabbia, colpa, vergogna, anedonia e alessitimia. Le turbolente

onde dell'oceano simbolizzano gli stati traumatizzati di disregolazione emozionale (ovvero gli “stati emozionali pervasivi”). Le emozioni si muovono disordinatamente. Paura, vergogna, rabbia: ognuna si solleva, ° Da Rrystal H. (1988). Integration and selfhealing: Affect, trauma, alexithymia. Hillsdale. Tr. it. Affetto, trauma, alessitimia. Magi, Roma 2007. Su

Analytic Press,

permesso di Taylor e Francis Group.

6. La coscienza delle emozioni

261

seguita dalle altre, oppure tutte collidono tra loro. L'attenzione, il senso di sé, il senso di controllo sono momentaneamente sopraffatti e annegano. Le azioni che conseguono a queste emozioni sono spesso auto-distruttive e possono causare anche danno a livello sociale. Riconoscere l'ampia varietà degli “stati emozionali pervasivi negativi” che spesso avvengono nelle persone con PTSD e disturbi affini è un passo nella direzione giusta, poiché riequilibra l’attenzione data finora in modo sproporzionato ai processi specifici di paura e ansia (Friedman et al. 2011). La non specificità della definizione di “stati emozionali negativi” rimane tuttavia un problema se si vuole sostenere l’opinione che le difficoltà sintomatologiche vissute dalle persone traumatizzate possano essere specifiche e uniche; per questo motivo, in un’influente presa di posizione per “salvare il PISD da se stesso”, Spitzer, First e Wakefield (2007) hanno raccomandato di “valutare i sintomi di PTSD nei termini

della loro specificità diagnostica, in modo da

altri

disturbi

d’ansia

e dell'umore,

da differenziare il PTSD

mantenendo

solo

i sintomi

legati a esposizione a traumi gravi” (p. 237). Nello stesso articolo gli autori esponevano il dubbio che “i descrittori sintomatici per il PTSD includono troppi sintomi generali di affetto negativo e di risposte generali a eventi negativi” (p. 237) per poter demarcare confini chiari tra esiti psicopatologici e disadattamenti non patologici a generici stress esistenziali. Concordiamo riguardo a questa preoccupazione. Né i sintomi descritti nella diagnosi di PISD del DSM-IV e nemmeno quelli del DSM5 sembrano segnalare una distinzione di particolare rilievo tra sintomi di malessere generale, emozioni negative e disadattamento sociale. Questo d'altronde vale molto probabilmente anche per altri disturbi traumacorrelati, depressione maggiore e disturbo borderline di personalità inclusi. In ogni caso, per quanto riguarda il modello 4-D, non è efficiente da un punto di vista logico considerare questi stati emozionali come intrinsecamente dissociativi. È infatti evidente che questi stati emozionali sono sperimentati, a vari livelli di intensità, da ogni essere umano come parte integrante della coscienza normale in stato di veglia (CNV). Quindi non esiste niente nell’essenza di stati emozionali come paura, ansia, perdita, tristezza, rabbia, colpa o vergogna che li renda dissociativi, né in ogni caso né nella maggioranza dei casi. Abbiamo tuttavia descritto in modo fenomenologico come questi stati emozionali possano a volte presentarsi in forma compartimentata, dissociati allo stesso tempo sia dal normale senso di sé dell’individuo che dal suo senso di controllo. A questo punto ci chiediamo: può esistere un altro stato affettivo che, in sé e per sé, rappresenti un TRASC legato alle emozioni? in dettaglio la presenza preminente Krystal ha esaminato emozionale nelle persone gravemente ento dell’intorpidimento/ottundim traumatizzate, le quali vengono descritte come “senza emozioni”, “robotiche”,

“morti viventi”

di Glover sull’ottundimento

(Krystal

1968,

emozionale

1988). Gli sem della scala

(Glover Numbing Scale; Glover

262

La cura del sé traumatizzato

et al. 1994, 1997; Clapp e Beck 2009) confermano questa descrizione e includono esperienze come “agire meccanicamente, come un robot”, “sentirsi morti o completamente spenti” e “sentire il corpo paralizzato”. Questo quadro clinico è in forte contrasto con l’idea che i pazienti traumatizzati siano cronicamente ansiosi ed esclusivamente reattivi a livello emozionale. Nel prossimo trascritto Julia ed Erica descrivono le loro esperienze di intorpidimento emozionale. Intervistatore:

Julia:

Julia, puoi farmi un esempio recente di un momento in cui ti sei sentita intorpidita a livello emozionale? Forse mentre venivo in ospedale. Vicino agli ascensori cerano varie persone che stavano entrando e non mi piace avere gente intorno e io... non so come descrivere cosa è. Come un muro intorno e tutti gli altri sono andati via. Niente mi tocca, suoni, odori, rendersi conto

delle persone intorno a me: tutto andato via. Solo intorpidimento. Succede sempre.

Intervistatore:

Erica:

Il sentimento di sentirsi intorpiditi a livello emozionale... E qualcosa che tu vivi? Sì. Penso che sia quando perdo [il senso del] tempo. Penso che divento morta... non è solo un intorpidimento delle emozioni, è un intorpidimento fisico. Semplicemente non Cè niente lì, è vuoto, è... è come se sono in un buco, sono

un grumo di carne, sono un’ameba, non ho... sono una forma di vita priva di vita, o senza vita, o non senziente, o... Esisto e basta, è quasi come... neanche una lumaca.

Intervistatore:

Erica:

Penso che una lumaca abbia almeno degli istinti — non ho neanche quelli — un’ameba —è il modo migliore per descriverlo. Esisto e basta. Non ho altre parole. Hai collegato questa esperienza con la perdita del tempo — com'è il tempo nello stato di intorpidimento delle emozioni? Il tempo è un “non”, “non” è. Non so rispondere perché è un po’ come “riprendere i sensi”, in mancanza di altri modi per dirlo, e potrebbe essere ore dopo. Quindi non 2)

66

lo so, perché non sono cosciente di essere cosciente, se

sono... Esiste una sorta di dilemma in letteratura sull’ambito di utilizzo del termine

ottundimento

emozionale,

rispetto a alessitimia o anedonia,

come

abbiamo discusso in precedenza in questo capitolo (Badura 2003). Dal nostro punto di vista è utile mantenere una distinzione teorica rispetto a questi termini: mentre l’alessitimia riguarda il non sapere cosa si sta

6. La coscienza delle emozioni

263

provando (sia in presenza che in assenza di marcato malessere, sia “sentendo troppo” che “sentendo troppo poco”) e l’anedonia si riferisce alla

diminuzione degli affetti positivi in contesti che dovrebbero normalmente attivarli, riserviamo il termine di esperienza dell’ottundimento emozionale per il sentimento di essere emozionalmente intorpiditi/spenti (Frewen,

Lanius

et al. 2008;

Frewen,

Dozois,

Neufeld,

Lanius

2012;

Frewen, Dozois, Neufeld, Lane et al. 2012). Nonostante suggeriamo di mantenere

queste utili distinzioni concettuali

tra alessitimia, anedonia

e sentimento di essere emozionalmente intorpiditi/spenti, è chiaro che queste esperienze si manifestano in modo simile e sovrapposto: per esempio, la valutazione, da parte del soggetto o del clinico, di sintomi e segni di alessitimia e di ottundimento emozionale sono correlati (Frewen, Dozois, Neufeld, Lane et al. 2012).

Come abbiamo discusso in precedenza, le persone traumatizzate manifestano spesso segni caratteristici di disregolazione emozionale, ma a volte, ancor più dei singoli episodi emozionali, risultano clinicamente significativi i vari sentimenti che fanno da background affettivo, riportati comunemente da questi pazienti, e a cui spesso ci riferiamo, collettivamente, come “ottundimento emozionale”. Queste esperienze sembrano suggerirci che l’ottundimento emozionale possa rappresentare un frequente stato affettivo di base nelle persone traumatizzate. Il seguente poema senza titolo, scritto da un sopravvissuto a traumi, dà l'impressione che l’ottundimento emozionale sia uno stato affettivo di base e forse addirittura un aspetto fondamentale della sua struttura di personalità: “Mi sono spento fin nel profondo. Lo vedi il vuoto? Vedi il buco attraverso la porta dei miei occhi? Puoi dare un’occhiata a quel che sono diventato. Puoi vedere cos'ho fatto e dove sono andato. Così spento. Spento fino al midollo del mio essere, al midollo di tutto, fino al midollo della mia esistenza. Spento alle sensazioni, al tatto e spento al dolore. Spento alle mille emozioni. Spento fin nel profondo del buco che vive in me. Così spento, sono congelato. Congelato fino al midollo. Come sia piangere lacrime, a me è sconosciuto. Come sia sanguinare, come sia sempre stato avere bisogno e volere, a me è sconosciuto.

Perché muoio dentro ma non sento dolore? Chi sei, tu che abiti in me? Perché tu sembri il mio sangue, senza cui io non posso vivere, non posso sopravvivere Spento alle sensazioni, a ciò che è essere vivi.

Tu conosci la mia paura segreta e più profonda. Tu sai chi io sono anche quando scompaio.

264.

La cura del sé traumatizzato

Sono andato lontano mille miglia, per essere solo con le mie paure. Sto vivendo, sto vivendo i miei giorni nella paura... Così spento nel profondo che non so neanche perdere una lacrima Sto vivendo la mia paura segreta più profonda...”

In anni recenti il concetto di ottundimento emozionale ha ottenuto sempre maggiore attenzione nella letteratura, a partire da quando King e colleghi (1998) hanno individuato psicometricamente un sottogruppo di sintomi di PTSD distinguendoli, mediante analisi fattoriale, dalle forme

cognitive e comportamentali di evitamento. Questo lavoro confermava statisticamente precedenti osservazioni cliniche, come per esempio quelle di van der Kolk e McFarlane (1996, p. 28 ed. it.): “Anche se l’apatia [l’ottundimento emozionale] e l’evitamento sono considerati sullo stesso

piano nel DSM-IV è probabile che l’apatia [l’ottundimento emozionale] abbia una fisiopatologia soggiacente diversa da quella dell’evitamento”. Esaminandoli attentamente, i sintomi di ottundimento emozionale, nei

loro casi clinicamente più estremi, suggeriscono la presenza di alterazioni nel senso di sé della persona e marcati disturbi di tipo sociale ed esistenziale. Per esempio, tra i sintomi di PISD attualmente riconosciuti è inclusa l’esperienza di sentimenti di distacco o estraniamento dagli altri (American

Psychiatric

Association

2013).

È stato

recentemente

riscontrato che il sentimento soggettivo di estraniamento sociale, definito anche come alienazione soggettiva, è il predittore più affidabile di PISD, dissociazione e sintomi depressivi in tre campioni, in paragone ad altre cinque conseguenze emozionali post-traumatiche (rabbia, paura, senso di tradimento, vergogna e auto-accusa; DePrince et al. 201 1). È quindi possibile che le persone traumatizzate riferiscano di sentirsi “differenti dagli altri” in modo precipuo, o di sentire che hanno perso lo scopo e il significato della loro vita. In tal senso queste descrizioni fenomenologiche non suggeriscono la presenza di episodi emozionali transitori, ma piuttosto di cambiamenti più profondi e fondamentali nel modo in cui vengono sperimentati il sé e la coscienza. La nozione “sentimenti esistenziali”, sviluppata da Ratcliffe (2005) è un altro concetto utile per comprendere le componenti di tratto dell’ottundimento emozionale, nel modo in cui sono attualmente studiate

in psichiatria e in psicologia clinica. Questo autore ritiene che forme sottili

di sentimenti esistenziali siano probabilmente implicite in ogni stato di coscienza umana. Questi sentimenti sono stati anche chiamati “sentimenti

di sfondo” e appaiono molto simili al concetto di Russell di “stato affettivo di base”, illustrato in precedenza. In particolare, Ratcliffe (2005) descrive il fatto che i sentimenti esistenziali rappresentano “modi di trovare se stessi nel mondo [...] orientamenti di sfondo attraverso i quali si struttura l’esperienza nella sua interezza” (p. 46). Ratcliffe offre esempi illuminanti di sentimenti esistenziali a valenza positiva, come sentirsi completi, energici, in controllo, in pace con la vita, e di sentimenti esistenziali a valenza negativa, come sentirsi persi, sopraffatti, abbandonati,

lacerati,

6. La coscienza delle emozioni

265

disconnessi dal mondo, difettosi, sminuiti, senza valore, vulnerabili, non

amati, vuoti, impotenti, intrappolati, schiacciati (p. 45). Ratcliffe (2005) afferma che i sentimenti esistenziali sono incarnati

nel corpo (embodied) e rappresentano e rispecchiano il grado globale di benessere e di attivazione fisiologica di un individuo in un particolare momento. I sentimenti esistenziali, quindi, sono “stati soggettivi fenomenici” che rispecchiano la qualità della connessione tra una persona e il suo ambiente. Sebbene non siano stati ancora valutati in modo sistematico, l’esperienza clinica suggerisce che molti sentimenti

esistenziali a valenza negativa (elencati in precedenza) combacino bene con le descrizioni di emozioni fornite da molte persone traumatizzate con ottundimento emozionale cronico. Questi complessi stati emotivi negativi a valenza esistenziale non sono ovviamente riducibili a una prospettiva legata a distinte emozioni di base: ciononostante vogliamo proporre l’idea che la maggioranza di essi possa venire collocata sul

quadrante delle emozioni tra 210° e 240°, nell’area degli stati affetti negativi relativamente disattivati, non a caso la stessa delle espressioni a basso arousal di vergogna, anedonia e alessitimia (vedi figura 6.12).

Figura 6.12. Quadrante delle emozioni con l'indicazione della posizione ipotizzata per espressioni particolari di ottundimento emozionale. Adattato da Yik et al. 2011, su permesso. ©2011 American Psychological Association

Iper-arousal dissociativo (“Congelamento/Terrore”) Attivazione

spiacevole

€ Attivazione

120°

Spiacevole: i lezza

f

Attivazione

60° piacevole o

.

; Piacevolezza

aa 3

a

attivata 150° /\

0° Piacevolezza

Spiacevolezza 180° \

3.0.CO;2-O

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INDICE ANALITICO

A AbusoXIV-XXXI,19,38,140,277,285-286, 323-324, 330, 349, 357 auto 19 emozionale 124, 169, 248 e trascuratezza 35 fisico 126 infantile 107, 141,149,207,210,270,345 sessuale 37-38, 294

stati di coscienza 19, 159, 274 Andersen S.L. 35 Anedonia 44, 214, 22, 224-228, 261,

263) 2/78, 392 Arousal 26-28, 29, 44, 75, 81, 198, 200, 204, 211, 237, 248, 273 emozionale 6, 60, 79

iper XIV, XVIII, 2, 3, 16, 20-21, 31, 45, 60, 72, 81, 103, 142, 148, 154, 181, 195, 198, 223, 248, 266, 278 ipo 154, 155, 195, 265-266, 274

sostanze 38, 62, 124, 142, 240

storie di 126 verbale 34 Adams B. 126 Adolescente 3, 34, 59, 134 Affettivi conflitti 85

disregolati 197 disturbi 23, 30

generali 121 sentimenti 239 stati 200, 206, 225, 237, 244-245, 247, 260, 268 Affettività 29, 198, 236 negativa 241, 247-249, 282 Affetto 165, 208, 22-223, 243, 245, 260, 260n6, 267, 272, 376 negativo 112, 261

positivo 112 relazionale 227 relazioni 2 Alessitimia XXIV, 44, 234-244, 260n6, 261, 263, 265, 278, 352 Alienazione soggettiva 264 Alleni]:G.15;:89,93,1127,:285,9011 Allucinazioni XIV 126, 139-140 autoscopiche e eatoscopiche 165 pseudo 139, 140-141 sensi 140-141 Allucinazioni olfattive 140-141 Alterazione 8, 40, 44

collegamenti dei 101 esperienza del sé 169 identità 8-9, 10, 14, 164 livello linguistico 91

percezione del tempo 82 sensoriale 95

psicofisiologico 13 stati 40 Atemporalità 81-82

B Baker D. 165, 170

Barnier A.J. 160, 162-164 Barrett TR. 122, 123-126 Beavan V. 122, 123-126 Berntsen D. 4, 109 Berrios G.E. 6, 21, 24 Betemps E.J. 88 Blanke O. 164, 166, 175 Blum A. 208-209 BOLD (ossigenazione ematica) 60, 62

Bradley M.M. 271 Brentano F.C. 104, 201

BreuerJ.XIX Brewin C.R. 79, 87, 88, 89, 99, 125, 139, 145, 293

Briere ].19, 12, b5n, 56 Bromberg P.M. 102 Brown R.J. 6, 10, 172, 253, 268

Bryant R.A. 88, 109

C CADSS (Clinical Administered Dissociative States Scale) 53-55, 79 CAPS (Clinical Administered Scale) 143 Cardefa E. XIII, 8

Carlson E.B. 21,22 Catatonia 274 dissociativa 26

432.

La cura del sé traumatizzato

Causalità bidirezionale 58 Cervello XIX-XXIV 21, 24, 34, 37, 74-76, 82, 86, 99, 102, 110, 129, 135, 154, 191-193, 196, 202, 207, 256, 273, 319, 314, 353, 370 corpo e 50, 57 mente-corpo-e 50, 57, 308 mente-e 159

CharcotJ. 160

mediale XXI, XXIII, 15, 21, 34, 69, 78, 98-101, 110-112, 117, 134, 175,199, 205, 212, 242, 250, 314 Cox R.F. 160, 164, 290

Craig A.D. 77, 177, 204, 204n3, 205, 241 Craik EI. 110

Critchley H.D. 177, 205, 241-242 Cronestesia 73 CSA (Childhood Sexual Abuse) 38

Cingolato anteriore dorsale 69, 76, 99,

160, 177, 205, 208, 241, 243, 250251, 255 perigenuale 202, 242 posteriore 130, 208, 242, 316

D

comportamentale 148, 164, 178, 317

Daalman K. 123, 126-127 Dalenberg C.A. XV, 5, 10, 22-23, 37 DamasioA.XIX-XXII,153,153n1,154,204 David A.S. 273 De Bellis M.D. 35

controllo 255

DecetyJ. 15

deficit 244 emozionale 16

Deficit edonico 226 Dell PF. 5-7, 9, 10, 17, 18, 22, 23, 37, 55n, 67, 258 den Boer J.A. 16, 52, 57 Deficit 6-7, 160, 162, 214, 224, 226, 227, 235, 240, 244, 290, 303-304 Denson T.F. 255, 256, 258 Depersonalizzazione XIII-XIV, 2, 4, 19, 20-24, 21-26, 31, 62, 64-67, 72, 79, 103, 140-143, 197, 240, 268, 345

Cognitivo 201, 203, 234, 357 affettivo 241

funzionamento 64, 77

grounding 101 neuro 74

percettivo 175 sociale 112, 207

Cognizione negativa 106-107, 121 ColsonJ. 79 Comunità 3, 122, 194, 286, 301, 321 compassionevole 283, 285, 286,

293-296, 313, 320 Consapevolezza XX, XXII-XXV, XXVII,

26, 28, 41, 64, ‘77, 205, 240, 245, 259, 312 auto 26-27, 29, 32, 69, 189, 311 autonoetica 71 contestuale 137 corporea 155 cosciente 10, 84

deficit 235 dell'ambiente 123

del tempo 50 emozionale 240-242, 249-250 enterocettiva 45, 82-83, 241, 246

individuale 5 meta 235 minduful 91, 313

risposte emozionali 69 sensoriale 89 somatosensoriale 272

Conway Y.M. 109, 162 Corteccia prefrontale (PFC) dorsolaterale 160 16, 111, 199, 208, 212, 227, 242-243, 303

dorsomediale

Depersonalizzazione-derealizzazione XIII-XIV, 6, 19, 21-24, 28, 29, 154195, 268, 352, 357 De Prince A.P. 264, 308 Deprivazione sensoriale 27

DES (Dissociative experience scale) 5 Diederen K. 130

Disintegrazione 6, 9, 33, 172 -compartimentazione 5, 10 Dissociazione XIII-XXIII, 3, 5, 5-10, 22-25,

33,37, 39, 45, 53, 141, 240, 253, 268, 271, 277, 288-289, 308, 339 conversione 162

depressione 331, 357 disintegrazione 33 emozionale 260 intrusione 19

Janetiana 18 normativa 23

post-traumatica 33-34 psicoforme e somatoforme 160, 171175

ripetute 133 stati alterati di coscienza 2

Dissociazione patologica 7 Dissociazione psicoforme 171-175

Indice analitico

DMN(defaultmodenetwork)161,314-317

derealizzazione 170 dissociazione 19 embodiment 159, 166

Doray M.J. 125, 126

DozoisD.J.A. 106-108, 113,207, 224, 227, 241, 243, 248, 263, 267

emozione sociale 208, 254

Droit-Volet S. 75, 79

filosofica-psicologica 50 flashback 71, 85,101 “me” traumatizzato 106 ottundimento 268, 352 pensiero intensivo 132 ricordare 90 tempo 72,75 TRASC 241

DSM-5 VII, 19, 25, 87, 165-166, 170, 214, 249, 261 Duke L.A. 88

E EEG 28, 50, 58, 64-67, 140-141, 143 Ehrsson H.H. 158, 159, 175 Finstein A. 283, 283n1 EMDR 98 Emerson D. 178 Emozioni (XVII-XXV), 19, 30-31, 39, 42, 48, 50, 55, 70, 156, 286, 296, 302, 312, 319

compartimentazione 72, 155 coscienza 44, 196-282 fisiche 53 funzionamento 75

Fisler R. 144-145,

148

Flashback XIV, XXV, 2,4,8-9,31,40,45,56, 59, 71-73, 84-101, 139-143, 155, 186, 197, 227, 245, 275, 290, 322, 331 Flusso di coscienza 143 Foa E.B. XIV, 62, 105, 106-107, 144-145, 148, 161 Fonagy P. XIV, 93, 285, 292 Fraser G. 138 Freud S. XIV, XIX Frewen PA. XIIT-XV, XVIIT-XXIV, XXXIII,

12, 14, 17, 22, 25, 27, 5bn, 61, 84, 99; 106-108, 112-114, 162, 169, 199, 207208, 224, 227, 235, 241-244, 248, 249, 251725319263, 2077302

interdipendenti 308 negativa 13, 36, 45, 116, 133, 168

ottundimento 103, 155 positive 116, 133, 291, 337-338

primarie 87 proprie 290

Freytag G. 104 Friedman M. 87, 108, 121, 214,

sentire 29

249, 261 Fyvie C. 249

senza 56 sociali 44, 116-117 Esperienza comune 230, 310 Esperienze emozionali 6, 33, 53, 93, 199,

G Gestalt therapy 138, 319

2027207) 227, 239) 247, 252; 310 Esercizi 4, 81-82, 92, 118-119, 136, 149, 155, 179-195, 234, 239, 244-246, 290 Esperienza post-traumatica 1-3

Gil S. 75, 79 Glover Numbing Scale 262 Grimm S. 112

Esperienze extracorporee 25, 154, 162-163,

Grossi] i]. 12-13-+242325]

164-167, 181, 348-349 Espressioni facciali 68, 75, 106, 198, 305

Ethridge J.B. 122

433

H Heatherton LF. 112 Hellawell S.J. 87-88, 139

F Fabiansson E.C. 256

Herman J.L. 207, 207n4, 210, 284, 285, 291-292

Feeling 205 Fenomenologia dell’

Holmes E.A. 5-6, 33, 202, 292 Honig A. 125-126

avere-essere curiosi 252 clinica 39 compartizione 259 coscienza 26, 50-53 depersonalizzazione 164, 167

Hopper ]J.W. 55n, 59-61, 176-177 HRV (variabilità della frequenza cardiaca) 24, 62-64 Hurlburt R.T. 52-53 Husserl E. 51, 104

434.

La cura del sé traumatizzato

Lindeman N. XV Linden D.E. 129, 130

I Illusioni 141, 155 multisensoriali

156-158, 162

percettive 164

Inconscio 12 Integrazione XIV, XXXIV, 6, 8, 66, 74, 136, 182, 203, 273, 286, 294, 296, 3172320 Intenzionalità 15, 41, 52, 104, 201 Intersoggettività 29, 285-286, 307, 310-313, 317 Introspezione 41, 52, 114, 201

cognitiva 52 Invarianti intersoggettive 5 1 Ipnosi 37, 159-164, 292, 316 auto 138

J

Longden.E. 122-124 Losch M.E. 122 Lumley M.A. 236,233 Lutz A. 51, 52, 57, 58

M Mania 142 Martis B. 113 Mason O. 138

McCarthy-Jones S. 124 McKinnon M. 134 Medford N. 68, 177, 205, Mediazione 10, 198 Neurale 76 Memoria VII, XV, 6-7, 20, 36, 68, 74, 109 autobiografica 84, 145-146

di sé 118 episodica 71, 73, 84, 98, 146, 172, 202

James W. XXVIKXXXI, XXVIII, ‘73, 98,

105, 121, 135, 143-144, 240, 283 Janet P. 102, 234

Jardri R. 127-128 Jelinek L. 105, 145 Jessop M. 124

traumatica 108 Mendelsohn M. 294 Menon R.S. XXV, 59, 177 Mente

-corpo-cervello 50 e corpo XXXI,

K Kabat-ZinnJ. 155, 178 Keane T.M. 55n, 247 Ketay S. 68, 175

King D.W. 264 Koenigs M. 112 Kohut H. 318 Kosillo P. 77 Kraft H.S. 266 Krystal H. 55n, 81, 260, 260n6, 262, 267, 273-274 Kulkarni M. 257

L Lane R.D. 202, 236, 240, 242-244, 249, 263, 267

Lang P.J. 202, 248, 271 Lanius R.A. XIIT-XV, XVIII-XXV, 17, 19, 21-22, 24, 55, 59, 60-62, 65, 68, 79, 100, 101, 141, 161, 169, 171, 176, 224, 241, 242, 248, 249, 251, 263, 302 Lawson D. 9, 258

Lemogne C. 112 Levine B. 146, 178 Levine PA. XXIV

153

teoria della 161 MetzingerT. 164-166, 175 Michal M. 175 Michl P. 211, 212 MID (stati alterati di coscienza correlati a traumi) 9, 53-55, 56, 258 Miller M.W. XIV, XVI, 19, 22, 23, 247, 249 Mindfulness XXIII, 2, 4,50, 52, 73, 82-83, 155, 178, 180, 189, 190, 234, 243, 245, 253, 275, 316 Modello 4-D XXIX, 4-5, 29-34, 39, 45, DIA NSTAMLO22A0O3RIZIE 144, 148, 154-156, 195-196, 240, 260, 261 Modulazione dei sintomi 286 Molnar C. 145

Myers-Schulz B. 112

N Nagel T. 50-51 Narrazione 45, 102, 145 focalizzata 149 intenzionale 92

organizzata 150 Nazarov A. 134, 302, 303

Neufeld R.W.J. XXV, 243, 263, 267

Indice analitico

Neurofenomenologia XXII, XXVII-XXIX, 46, 47, 50, 57, 62, 67-70, 98, 106, 122, 127, 134, 175, 196, 260, 267 Neuroimaging XIII, XXIX, 16-17, 45, 50,

60, 64, 68, 98, 106, 110-113, 147, IO2 MORI 752055257

applicazione 127-131 esperimenti 201, 242, 244 funzionale 21, 62, 68, 77, 141, 198, 211 meccanismi sottostanti 24 percezione temporale 76 sulle emozioni 198 New A.S. 248, 256 Nijenhuis E.R.S. XXI, 9-10, 16, 17, 172 Northoff G. 15, 42, 57, 69, 78, 110-111, 113, 198 Nucleo XIX, 158, 194, 320 accumbens 224 corporeo 173, 178

dorsovagale 274

O Ogden P. XXIV, 92, 178, 234

O'’Kearney R. 145, 146 ORP (Other- related processing) 113-114 Orsillo S.M. 236 Osuch E.A. 99

P Paivio S.C. 5, 136 Palm K.M. 88 PankseppJ. 196, 196n1, 198

Parkinson B. 207-208 Pascual-Leone A. 5, 136 Paulus M.P. 177

P-DEQ (peritraumatic dissociative experiences questionnaire) 168 Penfield W. 141 Personalità borderline 267

PET (positron emission tomography) 99 Peters M. 122 Phan K.L. 106, 110, 198, 202, 207

Porges S.W. 274 Posey.J.B-122 Power M.]J. 249, 254 Pseudoallucinazioni 139-141 caso 141-143 Psicotraumatologia XXX, 29, 47-70, 105, 135, 167-168 Putnam FW. 1, 1n1, 5, 27, 38-39, 55, 125, 284

435

Q OiniPal5-110-10) Quas J.A. 36

R Rabbia XIII, XXI, XXIV, 2, 4,8,41,44,55, 75, 106-107, 133, 142, 196, 198-200, 208-209, 224, 245, 247-249, 252-260, 268 Rasmussen T. 141

Ratcliffe M. 264, 265

Read]J. 123 Resick PA. 118, 247, 249 Ricordare XIV, 25, 59, 71, 84-97, 100, 134, 146, 175,234, 243.276 casl 331-345, 357-372 Rubin D.C. 109, 145 Ruby P. 15, 111, 114 Ruddle A. 138 Russell J.A. 44, 198, 200-201, 203, 203n2, 204-206, 264

S Sanders T. 126

Sautter F.J. 139 Schauer M. 12, 26, 149, 269, 271-273, DT] Schore A.N. XXXIII, 35, 69, 89, 208, 210, 22:38 8990789518 Schwartz G.E. 136, 240, 243 ScoLui]Gali24: Sforza A. 157-158 Sherman N. 266 Shevlin M. 122, 124, 139 Shin L.M. 99, 106, 248 Sierra M. 6, 21, 24, 165 Simeon D. 22, 24, 141, 165, 169, 172,

176, 240 Smith A.T. 75, 77 Sovraccarico sensoriale XX, 27

Speranza 48, 119-120, 215, 278-279, 283-284, 285-291, 299-300, 328-329, IDI-II7 Spiegel D. XIII, XIV, 5, 6, 8, 25, 37, 65, 159, 170

Spitzer R.L. 261 Spoont M.R. 257 SRP (Self-referential processing) 11, 1617, 42, 66, 69, 78, 98, 107-108, 110ISS BNC

T6STS15

05491525615

436

La cura del sé traumatizzato

Steele K. 9, 10, 28, 33 Steiger j.H. 201 Stupro 11-118;53;:17327527/,0991 Sullivan H.S. XIV, XVI

Supporto sociale 293, 296 Sutherland K. 109 Suvak M.K. 53

individuale 60 Trauma interpersonale 315 Trickett P.K. 38 Tsakiris M. 156, 175 Tulving E. 71,71n1, 73, 84, 85, 90, 93, 146 V Vaitl D. XXVII, 26-29

sb

Van der Hart O. 5, 9, 10, 17, 78, 168,

Tart GC. 153, 153n2, 154, 163

Taylor S.F. 36, 235, 240, 250, 260n6, 273 Teicher M.H. 34, 35, 140, 141 Tempo XXII, 103, 149, 155, 197, 314 alterato 19 coscienza del XXIX, 33, 39-40, ZERO

cronologico XXII dimensioni 29-31 distorto 25

esperienza di 34 pensieri, corpo, emozioni 45, 50,

53, 57, 70, 133, 284, 286, 290, 296, 302, 309, 312-313, 315-316, 319, 331

172 Van der Kolk B.A. XVII, 12, 55, 99, 144, 145, 148, 153, 247, 24'7n5, 264, 291 Van der Meer L. 111-112 Van Overwalle F. 15, 69, 303 Van Wassenhove XI. 77-78 Varela F.J. 47, 47n1, 57, 58, 98 Vita XV, XVII, XXIII, 11,20, 41,47, 49 -50,66, 72, 81-82, 98, 105, 109, 117, 142, 150, 161, 189, 214, 238, 241, 246, 260, 265, 284, 287, 293, 313 adulta 207

gestione della XV-XVI linee della 149 mentale XXX

percezione 4-5 presente 2, 145, 204

prime fasi 108, 140

reale 32, 62-64, 158, 179, 200, 237,

quotidiana 45, 144, 266

Trealelllo 36 sensoriale XIX

SI

scaduto 270 Temporalità 29, 39-40 Teoria della mente 161, 302-303 ThompsonE.29,51,52,57,70,73,242,250 Tomkins S. 209 TRASC XXIII, XXVIII-XXXI, 2, 11, 19, 23, 26-29, 30-33, 33n2, 34, 38-39, 40, 44, 48, 50, 53,55-57, 72-73, 7879, 82, 85, 89, 103, 121, 144, 284, 285, 286, 288-230, 308, 313, 331 caso 3-5, 141-143, 183-188 corporei 155, 166, 167, 173 caso 345-351 del pensiero 121, 131-135, 144, 148 dissociativi 240 emozionali 197, 260 caso 357-372 fenomenologia 90

neurofenomenologia 67-70 ottundimento 260-275

tempo e pensieri caso 372-381 Trasmissione intergenerazionale del trauma 304 z Trattamento psicologico 135-139, 285

traumatizzata XIII, 88, 126, 160, 291 Vos H.P. 16

VV-SORP-T (elaborazione referenziale visuo-verbale sé-altro) 114-117

W Wakefield J.C. 261 Whalley M.G. 99-100 Willemsen A.T.M. 16 Wittmann M. 76, 78, 168 Wolf E.J. XIV, XVI, 19, 22-23 Wykes T. 138

Y YikM.201,205-206,210-211,226,237,265 Yoga XXV, 178, 189 Yoshimura S. 113

Z Zahavi D. 19, 70, 73

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Dal catalogo

Ruth A. Lanius, Eric Vermetten, Clare Pain L'impatto del trauma infantile sulla salute e sulla malattia. L’epidema nascosta

Anna Rita Verardo Attaccamento traumatico: il ritorno alla sicurezza. Il contributo dell’EMDR nei traumi dell’attaccamento in età evolutiva

Marilyn Luber I protocolli terapeutici dell’EMDR. Condizioni di base e specifiche

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S.M. Southwick, B.T. Litz, Dennis Charney, M.J. Friedman Resilienza e salute mentale. Le sfide nel corso della vita

Stampato per conto di Giovanni Fioriti Editore srl da Tipografia Giammarioli s.n.c. via E. Fermi 8-10, 00044 Frascati (RM)

La grande novità della proposta di Frewen e Lanius è rappresentata dalla capacità di riassumere | precedenti contributi teorici, di misurarli neurobiologicamente e di utilizzarli a livello clinico: in passato ognuno di questi elementi era già stato considerato, ma separatamente, e mai insieme come nel presente modello che aiuta a identificare in modo preciso e multifattoriale gli stati alterati di coscienza. Daniela Rabellino Eleonora Pellegrini Giovanni Tagliavini

Paul Frewen, PhD e Ruth Lanius, MD, PhD insegnano alla University of Western Ontario e vivono in London, Ontario, Canada. Ruth Lanius è coautrice con E. Vermetten e Clare Pain de L'impatto del trauma sulla salute e sulla malattia. L'epidemia nascosta, Fioriti, Roma 2012.

La dissociazione, dis-integrazione della coscienza, della memoria, dell’emozione

e dell'esperienza somatica, può attutire l'esperienza del trauma — una vittima di stupro ha detto “ho sentito qualcuno gridare e mi sono resa conto che ero io” — ma può.anche fornire un modello di vita traumatizzata e un ‘incapacità di comprendere se stessi che impedisce di guarire. Frewen e Lanius, attraverso decenni di attenta esperienza clinica e scientifica, descrivono ilra € ina un i metodo per trattarlo in maniera efficace. DAVID SPIEGEL

Se nessuno ti ha mai visto per quello che sei 0 considerato una persona speciale 0 sî è assicurato che tu stessi bene, quando mai ti sarà possibile aprire il tuo cuore a te stesso o agli altri? È possibile creare un insieme di aspettative diverse e imparare a ‘ concepire nuove possibilità quando tu non hai alcuna idea di come ci sisenta a essere apprezzati? Queste sono alcune delle domande nelle quali Frewen e Lanius si sono imbattuti nel corso della loro pratica clinica e sulle quali hanno fatto ricerca con l'aiuto ui tecnologia più avanzata. 1 ETNO) GAVINO) Didi(CO)0

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ISBN 978-88-9899]-44Y-

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