La città del sole-Civitas solis
 8884193621, 9788884193629

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Tommaso Campanella

LA CITTÀ DEL SOLE CIVITAS SOLIS

Tommaso Campanella

LA CITTÀ DEL SOLE CIVITAS SOLIS il manoscritto della prima redazione italiana (1602) e l’ultima edizione a stampa (1637)

con traduzione, apparati critici, note a cura di Tonino Tornitore

Nino Aragno Editore

© 2008 Nino Aragno Editore sede legale corso Vittorio Emanuele II, 68 - 10121 Torino sede operativa strada Santa Rosalia, 9 - 12038 Savigliano ufficio stampa tel. 02 34592395 fax 02 94591756 e-mail: [email protected] sito internet. www.ninoaragnoeditore.it

ai miei indimenticabili Maestri Michel David e Edoardo Sanguineti, con immutato affetto

NOTA EDITORIALE

Rispetto all’impianto dell’edizione milanese del 1998, rimasto sostanzialmente invariato (complanarità di Città e Civitas con a fronte traduzione di quest’ultima, lievemente ritoccata in alcuni punti; note a pie’ di pagina e a fondo testo), oltre alla necessaria revisione integrale degli apparati di servizio, sono state eliminate le Appendici tematiche, rifuse nelle Note di commento, e sono stati aggiunti, all’Indice dei nomi di persone e di luoghi menzionati in CS, due nuovi indici: l’Indice dei nomi di persona e l’Indice dei luoghi, citati negli scritti di servizio (Introduzione, Note). Nella traduzione di Civitas, l’asterisco rinvia alle note dell’Autore, i numeri in esponente alle note a pie’ di pagina del curatore (distinguibili anche per il corpo minore); e a fondo testo le Note di commento a Civitas sono identificate attraverso il rinvio a pagina.rigo (eventualmente seguita da una lettera alfabetica, nei rari casi in cui nello stesso rigo di Civitas vi fossero più note), e sono accompagnate dagli estremi testuali cui la singola nota si riferisce.

ABBREVIAZIONI

campan. cfr complem. ed., ediz. es. f.p. ms mss n. nn. p. partic. pp. prec. sg v.

campanelliano (/-a; /-i; /-e) confronta (rinvio a passi non presenti in questo testo) complementare (si riferisce alla nota a fondo testo, che integra quella a fondo pagina facente capo alla stessa stringa testuale) edizione esempio [nota a] fondo pagina manoscritto manoscritti nota note pagina particolare (solo nell’espressione ‘in particolare’) pagine non sequenziali precedente seguente (/-i) vedi (rinvio a passi presenti in questo testo)

Au. C. Esp. Fr.

Autore Campanella Tommaso Esposizione (le note di commento di C. alle sue poesie) Civitas Solis, in: Realis philosophiae epilogisticae..., a Th. Adami nunc primum editae, Francofurti, Tampachii, 1623 L. ms Lucchese P. Civitas Solis, vel De Reipublicae idea, in: Philosophia realis, Parisiis, Houssaye, 1637 R. ms Riccardiano T. ms Trentino (qui edito) T. pagina.rigo es. T. 12.24: rigo 24 della colonna del testo del ms Trentino di Città di p. 12; invece: 12.24 (senza T.) corrisponde a rigo 24 della colonna del testo di Civitas di p. 12. Per le abbreviazioni delle opere di C. e di altri autori v. BIBLIOGRAFIA

LA CITTÀ DEL SOLE DI TOMMASO CAMPANELLA (1568-1639)*

La storia editoriale della Città del Sole La prima stesura in italiano risale presumibilmente al 1602;1 la prima pubblicazione, tradotta in latino dall’Autore, risale al 1623, quando Civitas Solis appariva come appendice del De Politica alle p. 415-64 della Realis Philosophiae Epilogisticae pubblicata a Francoforte a c. di Tobia Adami; l’ultima edizione, vivente l’Autore che l’aveva direttamente seguita e revisionata, risale al 1637, compresa nella Philosophia realis, pubblicata a Parigi, sempre in appendice alla Politica (p. 145-169). Delle edizioni postume, degne di menzione sono: – Civitas Solis Poëtica. Idea reipublicae philosophicae, Ultraiecti, Apud Ioannem a Waesberge, 1643: è la prima edizione a sé stante dell’opera, in compagnia del Mundus alter et idem di J. Hall e della Nova Atlantis baconiana; – Die Sonnenstadt oder Idee einer philosophischen Republik, Altenburg, 1789 è la prima traduzione (anonima) di Civitas, segnalata da Firpo come ed. rarissima e da lui stesso mai rintracciata; Palumbo indica invece un’ed. curata da Chr. G. Tröbst: Der Sonnenstadt des Dominikaners T.C., * Quanto segue è una rielaborazione dell’Introduzione all’edizione da me curata di: T. Campanella, La Città del Sole / Civitas Solis, Unicopli, Milano, 1998. Continuo a ritenere che il senso di questo dialoghetto riposi non solo e tanto nella delineazione di una società ‘naturale’ (cioè di quale organizzazione sociale sia in grado di dotarsi l’uomo privo sia di Rivelazione sia di corruzione della Ragione, scintilla innata del Divino), ma riposi principalmente nell’afflato profetico: l’Urbe solare è la prefigurazione di quel che sarà a breve l’Orbe terrestre. Per una trattazione sintetica, ma chiara, esaustiva e aggiornata, della complessa e poliedrica bio-bibliografia del filosofo calabrese, si rinvia, dopo le fondamentali ricerche di L. Amabile nell’Ottocento e L. Firpo nella seconda metà del Novecento, a: J. M. Headley, T. C. and the Transformation of the World, Princeton U. P., Princeton, 1997; G. Ernst, Tommaso Campanella, Laterza, Roma-Bari, 2002: l’Autrice, uno dei massimi studiosi attuali del C., oltre ad aver curato e pubblicato svariate opere dello Stilese, dirige, insieme ad E. Canone, la rivista ‘Bruniana & Campanelliana’, che ha ospitato contributi testuali e critici fondamentali. 1 Per la recensione dei 17 mss fino ad allora noti, il tracciamento dello stemma dei codici e l’apparato completo della variantistica cfr l’edizione della Città del Sole a c. di G. Ernst (Laterza, Roma-Bari, 1997). Il numero dei testimoni conosciuti frattanto è salito a diciotto, perché Guerrini 2000 ha rinvenuto nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze alle cc. 49r-85v di un codice miscellaneo una copia della Città del O Sole di fra Thommaso Campanella, da una cui prima esplorazione lo studioso conclude, “almeno ipoteticamente, che la nuova versione dell’opera campanelliana potrebbe essere collocata in uno dei rami più alti della famiglia di codici unificata sotto la sigla β, ma certamente non essere considerata il capostipite dell’intero raggruppamento” (p. 549).

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in: Programm der Realschule zu Weimar…, Weimar, Druk der Hof = Buckdruckerei, 1860; la prima traduzione italiana risale al 1836, eseguita da G.B. Passerini sul testo del 1637 (Tip. Ruggia, Lugano), l’unica esistente (e variamente ristampata nell’Ottocento) fino alla fine del secolo scorso, quando fu pubblicata la traduzione di C. Carena (Milano, 1997) e, parallelamente e indipendentemente, quella a mia cura (Milano, 1998); La Cité du Soleil ou Idée d’une république philosophique è la prima traduzione francese, effettuata dal fourierista Fr. Villegardelle (Levavasseur, Paris, 1840); in Inghilterra il testo dell’edizione parigina è tradotto (lacunosamente e male) per la prima volta in una collettanea curata da Henry Morley per Routledge and Sons (London, 1885), col titolo Ideal Commonwealths, che raccoglie il Licurgo di Plutarco, le utopie inglesi moderne (More, Bacone, Hall) e appunto City of the Sun; la prima traduzione spagnola (sempre del testo del 1637) risale al 1941: La Ciudad del Sol è compresa in Utopias del Renacimiento (con More e Bacone), tradotta da A. Mateos (Mexico-Buenos Ayres, Fondo de Cultura economica); la riscoperta dell’originaria redazione italiana della Città del Sole, malgrado i suoi mss circolassero fin da subito in Europa (e fossero letti da personaggi come Valentin Andreä, Comenio, Bacone), risale alla seconda metà dell’Ottocento, per merito di D’Ancona, Amabile e Croce; quest’ultimo fu forse il primo a rendersi conto che non si trattava di traduzioni di Civitas Solis; ma la prima edizione, molto poco ‘critica’, risale al 1904, a c. di E. Solmi (Tipogr. della Provincia di L. Rossi, Modena); bisogna aspettare il 1941, con la fondamentale edizione di N. Bobbio per l’Einaudi, per avere finalmente un testo criticamente attendibile sia della Città del Sole che dell’edizione parigina della Civitas Solis con in nota le principali varianti rispetto alla Francofortese; qualche anno dopo L. Firpo ripubblicherà la sola Città, arricchita dal contributo del fondamentale ms Trentino, che è la redazione più antica, sebbene, come tutti gli altri mss, non autografa; nell’edizione da me curata, infatti, ho voluto tener conto proprio e solo di questo ms per porlo a confronto con l’ultima stampa autoriale, onde far risaltare meglio continuità e differenze fra quello che era stato il frutto della prima ispirazione, la redazione cioè temporalmente più prossima alla congiura, cui per tanti aspetti essa è legata, e l’edizione ‘ne varietur’ di 35 anni dopo. Dalla Città del Sole è stato tratto anche un film di G. Amelio nel 1973, che, ispirandosi all’opera omonima, svolge il tema del rapporto dell’intellettuale con il potere, rappresentato da uno stato comunistico e teocratico.

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Senso dell’opera I tre cardini su cui poggia la visione del mondo dei Solari, la loro ‘filosofia di vita comunitaria’ (“si risolsero vivere alla filosofica in comune”), sono abbastanza chiari ed espliciti: 1) la legge naturale: non fare agli altri quel che non vuoi sia fatto a te (132.33-5)2; 2) la legge sociale: il tutto ha priorità sulla parte (86.1-2), la collettività viene prima dell’individuo;3 3) la legge economica: a) sradicare l’amor di sé, alias l’egocentrismo, perché con la messa in comune dei mezzi di produzione e riproduzione spariranno tutti i guai e guasti sociali (sia civili che penali: 20.24-36); b) non servire le cose, ma servirsene (56.30-1): la dialettica essere/avere è sì una costante del cristianesimo evangelico, ma è anche una straordinaria anticipazione della teoria marxiana dell’alienazione. Inoltre, in quanto visione del mondo, CS è una sorta di enciclopedia della scienza campanelliana in compendio e in vulgata; donde la scelta della forma del dialogo, non filosofico (il Genovese ammette apertamente: “Io non so disputare”), ma descrittivo (di teorie e pratiche di vita alternative), evenemenzialmente nullo, ma strategicamente molto efficace, sia per catturare il lettore (facendo recitare a un uomo di mare, non di biblioteche, la summa della sua filosofia), sia per schivare il censore, come ripetutamente esorterà Galilei “che trattasse questo suo sistema in dialogo... per assicurarci da tutti ecc.” - anche se quello stratagemma non giovò molto allo scienziato.4 Meno perspicua risulta invece la motivazione che ha indotto C. a vagheggiare questa repubblica filosofica: per un’innata aspirazione umana a fingere paradisi in terra? Per rifugiarsi almeno idealmente in un

2 I rinvii testuali si riferiscono rispettivamente a pagina e, separato dal punto, rigo (o righi) della presente edizione: 132.33-5 significa dunque pag. 132, righi 33-5 di Civitas; invece i rinvii a Città sono preceduti da T. (=abbrev. di ms Trentino) e quindi pagina.rigo (in corsivo). 3 Trascurare questa premessa porta ad uno dei più classici travisamenti: CS sarebbe il prototipo dell’utopia prescrittiva, coercitiva, dominata da un potere onnipresente e onnipotente, in contrasto con l’idea di utopia come libero gioco e anarchica cuccagna. Invece, sotto il profilo ideologico, il trattatello campan., pur dettato da esigenze di giustizia sociale, è da un lato il riflesso della persecuzione, operata in quegli anni dalla monarchia in direzione sempre più assolutistica, contro tutti i particolarismi, e che infatti si traduce in un potere capillare dello stato che tutto regola e dirige; e dall’altro è una prosecuzione dell’‘integralismo’ cattolico medievale, con la sua perfetta congruenza e compattezza dei tre ordini sociali, incarnati dalle tre Primalità: Pon, Sin, Mor. 4 C., Lettere, a c. di V. Spampanato, Laterza, Bari, 1927 (lettere del 1.5 e 5.8.1632); per la forma-dialogo cfr il bel saggio di Ordine.

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suo mondo sognato, dopo il tragico fallimento del tentativo di cambiare il mondo reale? Ma a che gioverebbe tratteggiare un ennesimo nonluogo? È un’obiezione - la superfluità del genere utopistico - che si è posto l’Autore stesso in apertura alla IV delle Quaestiones Politicae, proprio a proposito dell’opportunità di allegare CS alla Politica: “Infatti ciò che non è mai esistito, né mai esisterà, né si può sperare che esista, è impossibile e vano; ma un tale modo di vivere in comunità e senza peccato è impossibile e non si è mai visto né mai si vedrà: dunque è vano parlarne”.5 È un’obiezione classica contro le utopie, nata con le utopie stesse, da Aristofane a Luciano che irridevano la Repubblica platonica.6 C. si difende adducendo gli esempi di More e di Platone, ma anche quelli meno ovvi di Aristotele e di Cristo, tutti teorizzatori di stati più o meno ideali: il fatto però che sia arduo metterli in pratica non significa che le loro opere siano prive di valore - chi riuscirebbe mai a imitare la vita di Cristo? E con questo si dovrebbe concludere che “i Vangeli furono scritti inutilmente?” (Quaest. pol. IV I, p. 101). Ma un puro predicare il dover essere non basta; una pulsione asintotica è un tensore che può catalizzare e orientare energie, valori... ma non basta ancora. Proviamo allora ad elencare i possibili motivi che sono alla base della stesura di CS: 1) Dopo tutte le calunnie rovesciategli addosso da delatori prezzolati o traditori interessati (a salvare la propria pelle anche a scapito di quella altrui), una volta raggiunta la certezza della salvezza attraverso l’eroica finzione della pazzia, il Filosofo rivela l’obbiettivo reale della congiura calabrese: altro che libertinismi, espropri, saccheggi! Il modello è il cenobio: Città del Sole è anzitutto un grande convento armato. Firpo ricorda un “frammento di una lettera che C. scrive al suo luogotenente, fra’ Dionisio Ponzio, un altro domenicano come lui, il ‘numero due’ del gruppo dirigente della congiura; a questo frate il Filosofo scrive: ‘loquebaris quae minus intelligebas’, parlavi di cose che non avevi capito affatto, cioè avevi snaturato e avvilito un sogno gigantesco, nobile, di rigenerazione e di liberazione. Ecco allora che CS viene scritta come una 5

Le quattro Quaestiones politicae apparvero nell’edizione parigina della Philosophia Realis (1637; p. 100-12); il testo e la traduzione della IV, dedicata a problematiche ‘Solari’, adesso la si può leggere in appendice all’edizione di CS, a c. di G. Ernst (BUR, Milano, 1996, p. 97). 6 Più recentemente A. Brucioli diceva che bisogna sforzarsi di trovare “come doverrieno essere fatte et instituite quelle città, che veramente si potessino chiamare Republiche, secondo quelle, dico, che sono state o che possano essere, e non secondo quelle impossibili che d’alcuno sono state imaginate, più presto secondo le favole de’ Poeti” (Dialogi, Venezia, per B. de Zanetti, 1538 [rist.: Napoli, 1983], VI, c. 26v).

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fiera risposta, non senza una certa tendenza all’idealizzazione, e come la rivendicazione di un ideale tradito”.7 Ma vi sono anche altre testimonianze autobiografiche, che ci fanno intuire come CS sia potuta essere originariamente (e indirettamente) anche una specie di resa dei conti del capo verso i suoi ex-adepti; ad es. la coppia di sonetti dedicati ‘A certi amici uficiali e baroni, che, per troppo sapere, o di poco governo o di fellonia l’inculpavano’: in pratica, C. era stato accusato di aver fatto fallire la congiura per colpa della sua saccenza, o della fiducia nelle sue qualità intellettuali, e poi, alla prova del fuoco, aveva mostrato scarse doti di coraggio. Anche costoro, evidentemente, meritavano una risposta più articolata e infatti alla questione dedicherà un intero paragrafo intitolato appunto “Num sapientes sint apti regno” (30.12). L’adiacenza temporale alla fallita insurrezione del 1599 suggerisce dunque che CS sia un memoriale, filosoficamente idealizzato, di difesa dagli attacchi provenienti sia dal fronte degli ex-congiurati sia da quello del potere imperiale e papale. 2) L’altra adiacenza temporale, quella con la stesura degli Aforismi politici (1601), a cui CS sarà poi asservita come appendice, suggerisce un’ulteriore ipotesi interpretativa: CS è un esperimento ‘in vitro’ di quel che il trattato politico teorizzava. Dopo la rifondazione della scienza politica, su basi alternative a quella di Machiavelli (e di Sarpi), l’Autore procede ad un’esemplificazione ‘pratica’, alternativa anch’essa (e anzi “superiore”) a quelle di Platone e di More.8 Si consideri un uomo allo stato di natura, cioè non condizionato né negativamente dalla corruzione della civiltà (come quella occidentale) né positivamente dalla Rivelazione: quest’uomo, con l’ausilio della sola ragione, fonderebbe una società ‘giusta’ analoga a quella dei Solari. Ciò comproverebbe varie e importanti teorie: se a questa società, per esser definita cristiana, mancano solo i Sacramenti, vuol dire che l’uomo naturale è ‘naturaliter’ cristiano; che la ragione, lungi dall’esser in contrasto o d’impaccio per la fede, è la testimonianza più probante della scintilla del Divino in noi; e che, insomma, fra la vita degli Apostoli e quella sorta di convento armato che è la Città del Sole, l’unica differenza è l’autoconsapevolezza fornita ai Cristiani dalla Rivelazione.9 La scelta del modello cenobitico 7

Per una definizione di ‘utopia’, in: Utopie per gli anni Ottanta, a c. di G. Saccaro Del Buffa e A. O. Lewis, Gangemi, Roma, 1986, p. 809. 8 “Scripsi praeterea Aphorismos politicos… et politicam scientiam condidi… adiecique ideam reipublicae quem voco Civitatem Solis, longe praestantiorem quam sit Platonica aut alia quaevis” (De libris propriis et recta ratione studendi Syntagma, a c. di G. Naudé, Paris, 1642, I III [recentemente riedito e tradotto, in: Tommaso Campanella, testi a c. di G. Ernst, introd. di N. Badaloni, Ist. Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma, 1999, p. 361]). 9 Nella prima glossa dell’edizione parigina di CS C. annota che questo dialogo “contiene la

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non è banale riflesso autobiografico (quale struttura sociale ci si può aspettare da chi fin da piccolo ha conosciuto quasi solo le mura del convento?), ma rispecchia una precisa filosofia della storia: la comunità perfetta è quella fondata da Cristo e dagli Apostoli; purtroppo, per la congenita insufficienza (‘nullità’, direbbe C.) umana, quel modello è ormai perduto, ma non inimitabile; anzi, è praticato tuttora nei conventi. Dunque non resta che esportarlo a livello laico, per poi universalizzarlo: dall’urbe solare all’orbe mondiale. 3) Questo modello di società ‘naturale’ non si limita però solo a una critica dell’esistente (come dovrebbe andare il mondo, a fronte di come invece è – e quindi quanto si corrompa la società, quando si allontana dalla purezza originaria razional-evangelica); CS, a differenza delle utopie classiche e moderne, non è confinata nell’iperuranio delle idee belle e impossibili né in un passato edenico irrecuperabile, ma vuol essere la prefigurazione di quel che ineluttabilmente accadrà: i Solari “dicono che il mondo si riducerà a vivere com’essi fanno” (T.84.28-30); donde l’implicito monito ad assecondare questo processo storico-sociale ed insieme escatologico, che conduce cioè alla fine della storia10. La morale della favola bella narrata dal Genovese, come ogni morale che si rispetti, è enunciata nel finale. O meglio: avrebbe dovuto esserlo. Il finale infatti è tronco, interrotto com’è da una reiterata dichiarazione d’impossibilità: Genovese: “Ma di quanto è per seguire presto nel mondo te ‘l dirò un’altra fiata […]”; Ospitaliero: “Di grazia non ti partire; segui quello che mi prometti, adesso che è tempo, ché mi sarà di soma

dottrina pagana propedeutica [= “catechismum”] al buon governo e alla fede cristiana schiettamente apostolica” (2.16-21), rinviando alla IV Quaest. pol.: i Solari “sono quasi come catecumeni del Cristianesimo, come Cirillo dice nel Contro Giuliano che ai Gentili è stata data la filosofia quasi come introduzione [=catechismus] alla fede evangelica. Quindi noi, con l’esempio di questa Città, insegniamo agl’infedeli a vivere rettamente, se non vogliono esser abbandonati da Dio, e persuadiamo i Cristiani che la vita di Cristo [cioé il Vangelo] è in armonia con [le leggi del]la natura, come fa S. Clemente Romano con la repubblica socratica” (I, p. 101). Quindi: “la filosofia dei pagani è soltanto un catechismo, la nostra è una completa dottrina... Delle teorie dei pagani ci avvaliamo solo perché hanno mutuato la loro razionalità dalla ragione prima, che è Cristo; e benché essi non credano nelle cose soprannaturali, non per questo in quelle naturali risultano non essere partecipi di Cristo” (Apologia pro Galileo [Francoforte, 16221], III, pp. 16, 20 e 25; l’ediz. più recente e attendibile è quella curata da M.-P. Lerner, Les Belles Lettres, Paris, 2001). 10 Già Tobia Adami aveva riconosciuto che la superiorità di questo modello di repubblica ideale rispetto a quelle passate consisteva nel suo ispirarsi al modello della natura: “In effetti il rinvio alla natura, intesa come espressione dell’intrinseca arte divina, e la critica della società esistente, infelice e ingiusta proprio perché si allontana da quel modello, o non lo imita in modo corretto, è la chiave di lettura più semplice e persuasiva dell’utopia campanelliana” (Ernst 2002, p. 90).

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grazia.”; Genovese: “Non posso, non posso”. Che cosa davvero ‘non può’ dire il Genovese? Lasciamo da parte, infatti, l’escamotage dell’improrogabile partenza; l’impossibilità vera del Genovese è dovuta all’ineffabilità del presagio; profezie come quelle non si possono enunciare brevemente e, di più, impunemente. Infatti quel che il Genovese promette che dirà “un’altra fiata” sarà l’oggetto di un’opera di poco posteriore: gli Articuli prophetales, una cui prima anticipazione era già contenuta in un trattatello (perduto), il Prognosticum astrologicum de his quae mundo imminent usque ad finem stilato nel 1603, nonché “ampio sviluppo della Secunda delineatio defensionum, nella quale C. per giustificare la propria azione in Calabria, alludeva agli autori, teologi, profeti sacri e profani, astrologi che avevano profetizzato una profonda riforma della Chiesa” (Ernst, p. 386n del Syntagma). Le memorie difensive, non più presentate da C. che nel frattempo era ricorso allo stratagemma della pazzia per salvarsi, erano rimaste nelle mani degli amici, e “verranno riordinate da un ignoto amanuense per mano di Vincenzo Ubaldini di Stilo e da fra Pietro Ponzio che si occupa degli scritti d’ispirazione profetica” (Formichetti 1999, p. 115-6). Si possono, a questo punto, fare le più disparate ipotesi: ad es. che il nucleo dei futuri Art. proph. (identificabile nell’ultimo capitolo) avrebbe dovuto costituire l’originario finale di CS e restituire le motivazioni profonde dell’operato (la prassi!) di un frate dipinto nel processo come un rivoluzionario, un traditore alleatosi con i Turchi, un eretico che voleva farsi passare per novello Messia rivelatosi, dopo la cattura e la condanna, un vigliacco che non aveva saputo assumersi la responsabilità del gesto velleitario costato tante vite e sofferenze ai suoi seguaci; ebbene, proprio nel cit. capitolo degli Art. proph. (il XVII), C. si presenta come un profeta disarmato, come un redivivo Noè, che, nell’imminenza della catastrofe presagita, traghetta i superstiti al riparo su una montagna (il monte Consolino di Stilo?), non diversamente da come avevano fatto i Veneziani, per salvarsi dalle invasioni barbariche, senza per questo esser tacciati di ribellione all’Impero: “nulla osta a che io confessi di aver voluto predicare questa desiderata repubblica, se fatalmente fosse sopraggiunta la rovina per il regno e la provincia, raccogliendo i superstiti sui monti; non enim haeresim aut rebellionem confessus sum, sed voluisse uti malo eventu in bonum” (Art. proph., p. 297):11 nel finale di CS, come nel finale di Art. proph., il profeta voleva mostrare di essere stato non un eretico eversore ma un eroico salvatore della patria.12 11

Articuli prophetales [1603-6], ed. crit. a c. di G. Ernst, La Nuova Italia, Firenze, 1976, p. 297. È C. stesso ad ammettere le sue eterodossie, oltre che nei verbali dei processi, in svariati altri luoghi, raccolti da Amerio (R. A., Un’altra confessione dell’incredulità giovanile del C., ‘Rivista

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Ma questa è solo una faccia della medaglia; è la faccia di CS rivolta a un passato col quale C. chiude i conti. E verso il passato un testardo orgoglioso come lui sarebbe disposto ad accettare soltanto una critica: essersi illuso di poter coinvolgere protagonisticamente le masse, con la conseguenza di farsi travolgere da un libertinaggio avido e dissoluto e aver fatto fallire il moto insurrezionale.13 Poiché la sua proposta di una società comunitaristica non si basa né su un’analisi sociale (la disuguaglianza) né su una economica (il plusvalore), ma etica (questo è il motivo fondamentale per cui i Solari sono ‘comunitaristi’ e non ‘comunisti’), essa deve necessariamente far leva solo sull’élite dei ‘sapienti’. Gli ‘ottimati’ sono gli altruisti - “optimi autem viri qui totum parti anteponunt” -, coloro cioé che hanno una visione corretta del vero bene, e perciò antepongono la specie all’individuo, l’interesse collettivo al privato; mentre i “mediocres”, per difetto di sapienza, non sanno elevarsi al di sopra del ‘particulare’, del loro gretto e ristretto ‘io’. Quest’aristocrazia non è composta né dai più forti né dai più capaci né, tanto meno, dai più blasonati, ma dai più sapienti, secondo la platonica corrispondenza ‘sapere è valere’; ovvero dai (veri) filosofi, coloro i quali sono i depositari del (vero) bene, al cui esempio e al cui traino aggiogare il carro delle masse.14 Pertanto, a correzione dello sbaglio demagogico commesso di filosofia neo-scolastica’, gennaio-febbraio 1953, p. 75-6); la sua principale eresia consisteva nell’aver predicato una religione naturale; donde l’importanza retrospettiva attribuita alla religione Solare, secondo il già enunciato principio che chi segue la legge di natura è ‘naturaliter’ cristiano, salvo i Sacramenti (T.134.7-16). 13 In un gruppo di sonetti scritti proprio nello stesso torno di tempo in cui attendeva alla stesura di CS, polemizza con la plebaglia che patisce ogni insulto senza ribellarsi, ignara che “Tutto è suo quanto sta fra cielo e terra,/... e se qualche persona/ di ciò l’avvisa, e’ l’uccide ed atterra” (33, 12-4); ma, a scanso di fraintendimenti: C. non disprezzava i dannati della terra, proprio lui, figlio di un ciabattino semianalfabeta, giunto a stento all’autocoscienza politica, come ricordava Firpo: “Qui è la più profonda radice di questo libro: nella consapevolezza del millenario patire dei diseredati... che raggiunge la soglia della coscienza ed esige con una sua perentoria rudezza l’instaurazione di una società giusta e solidale, libera dall’oppressione e dalla miseria” (La Città ideale di C. e il culto del sole, in: ‘Ricerche storiche ed economiche in memoria di C. Barbagallo’, a c. di L. De Rosa, ESI, Napoli, 1970, II t., p. 382). È però stata avanzata un’altra ipotesi altrettanto stimolante, che si fonda non sull’estrazione sociale ma sulla formazione clericale del promotore della congiura: secondo la Yates si deve “porre l’insurrezione calabrese del 1599 in rapporto con l’insofferente comportamento dei domenicani napoletani che quattro anni prima, armi in pugno, resistettero nel convento di San Domenico contro un gruppo di riformatori inviati da Roma per imporre loro una condotta di vita più regolare... [e che quindi] le idee rivoluzionarie di Bruno e C. non fossero peculiari di quei filosofi, ma avessero la loro radice in una certa mentalità generalmente diffusa, nel Meridione, tra le fila dell’ordine. La rivolta calabrese può essere stata l’ebollizione finale di quelle forze che spinsero sia Bruno che C. ad intraprendere la loro pericolosa carriera” (F. Y., Giordano Bruno and Hermetic Tradition, London, 1964 [Giordano Bruno e la tradizione ermetica, Laterza, Bari, 1969, p. 394]). 14 “Sciunt enim paucos esse viros, qui non nisi coacti servent iustitiam... Oportet ergo, quo-

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nella congiura, la Città del Sole sarà fondata e retta da un’aristocrazia intellettuale, cioè sarà una ‘Repubblica di filosofi’.15 Poi c’è l’altra faccia, quella rivolta al futuro prossimo venturo: che cosa sta “per seguire presto nel mondo” (T.160.1)? Qualcosa lo si intuisce già nel corso del dialogo; una delle affermazioni meno vaghe è a T.136.26sg: dopo aver lasciato balenare grandi novità (T.136.4: “E se sapessi che cossì [=cosa] dicono per astrologia e per li stessi profeti nostri...”) connesse all’avvento di una “gran monarchia nova e di leggi reforma”, precisa: “ma prima si svelle e monda, poi s’edifica e pianta”. La ricostruzione (o ‘renovatio’) non sarà dunque indolore, perché essa avverrà sulle macerie del passato. Ma tutta la terribilità di quell’“evelli et extirpari” (138.2) resta impregiudicato, perché sospeso dall’incombente approssimarsi della partenza del Genovese (“ho da fare”). Vi è tuttavia una serie di indizi (e null’altro) che incoraggiano a ipotizzare che originariamente l’Autore forse voleva svelare gli arcani dei presagi proprio nell’explicit di CS: a) Un primo dato curioso: le ultime due battute del dialogo nel ms Trentino sembrano di altra mano rispetto a quella che ha (tra)scritto il testo fino a “… prima Ragione, sempre laudanda. Amen” (T.160.8-10; v. fig. 2); fra le tante cause ipotizzabili, si potrebbe annoverare anche un ripensamento repentino: o C. inizialmente aveva in mente di fermarsi proprio lì (del resto, quale miglior congedo di quell’“Amen” di T.160.10?); oppure l’“Amen” era semplicemente l’explicit della battuta, non dell’intero dialogo, il quale avrebbe dovuto proseguire narrando quel che presto sarebbe accaduto nel mondo; ma l’Autore cambia idea e in luogo della profezia, confeziona un finale posticcio, la cui anodinità16 è il segnale più chiaro dell’(auto)censura impostasi; una controprova che si tratta di finale arrabattato (per rimediare a un ripensamento dell’ultima ora, di qualunque genere esso sia stato), la fornisco-

niam omnes sumus mali ex amore proprio nimioque, viros bonos ita vivere, ut alii ex pudore et honore et amore boni communis exacto, quem in eis inspiciunt, sic vivant, ut aliis sint commodi, totumque corpus Reipublicae ita coalescat, ut omnia membra sint proficua consonentque omnibus membris” (Quaestiones Oeconomicae III, I; in: Philosophia Realis, Parisiis, 1637, p. 181). 15 L’altro caposaldo dell’eticità di questo stato poggia sulla sua ‘aurea medietas’: “abbiamo sfuggito gli estremi, e ridotto tutto al giusto mezzo, dove sta la virtù, e perciò non è possibile immaginare una repubblica più felice o più semplice” (Quaest. Pol. IV I, p. 102). 16 Genovese: “Non posso, non posso”: perché assolutamente non può? Perché urge la partenza? O c’è qualche motivazione più grave e sostanziale legata al contenuto delle profezie? L’insistenza dell’Ospitaliero e l’‘impotenza’ del Genovese non lasciano forse intendere che il non detto è insieme più importante e più indicibile di quanto fin lì era stato detto?

XX

LA CITTÀ DEL SOLE

no le successive redazioni del testo italiano, a partire dal ms Riccardiano (1604), dove l’ultima frase pronunciata dall’Ospitaliero si riduce a un semplice “Aspetta, aspetta”, cancellando la reiterazione della richiesta di lumi sul futuro incombente. In sintesi: mentre nel Trentino forse sorprendiamo l’Autore proprio nel momento in cui ha deciso di cambiare il finale, omettendo quella parte che diverrà il cit. Prognosticum astrologicum, nelle redazioni successive, quando il Prognosticum non solo è già stato scritto, ma addirittura sta per dilatarsi negli Art. proph., il finale si stabilizza nel brusco troncamento dettato da fretta di partire. b) In alcuni mss deteriori (risalenti al 1607-9) compare un lungo sottotitolo: Dialogo di Republica nel quale si disegna l’idea di riforma della Republica cristiana, conforme alla promessa da Dio fatta alle Sante Caterina e Brigida; oltre a cercare nelle due Sante un avallo autorevole, l’Autore intende suggerire che il suo progetto di “riforma” è conforme ai disegni divini comunicati a Caterina e Brigida, che minacciano lacrime e sangue per la Chiesa e specie le sue alte gerarchie, macchiatesi di vari “abusi” (donde la rischiosità nel propalare tali ‘promesse’).17 c) Dopo la riuscita finzione della pazzia, C. era stato semplicemente ‘dimenticato’ in carcere; ma il prigioniero non voleva esser sepolto vivo; e dunque da un lato cercava di destare interesse per il suo caso umano (il suo principale obbiettivo era quello di farsi trasferire dai castelli napoletani alle carceri del Sant’Uffizio romano), e dall’altro di negoziare la sua libertà dimostrando, nei Memoriali indirizzati ai Potenti, che non solo era innocuo, ma addirittura che, una volta libero, avrebbe potuto render loro, grazie alla sua scienza e pre-scienza, innumerevoli servigi: “At etsi diabolus essem, inauditus mori contra Canones et Leges non debeo: praesertim cum pollicear ecclesiae Dei tot tantaque beneficia ipsique Regi”18. Tuttavia scrive anche di voler riservarsi di comunicare a voce direttamente all’illustre destinatario “segreti d’importanza” privati, tecnico-scientifici, ma essenzialmente profetici, ricavati dai segni celesti e terrestri, sul futuro del mondo e della Chiesa in partic.; e questo 17 Illuminante il caso di un’altra sua opera, l’Atheismus triumphatus, che, pur avendo subìto svariate censure (in partic. dovette espungere un passo “de Ecclesiae instauratione”), dopo sei mesi (1631) viene ritirata dalla circolazione; nell’edizione successiva (apud Tussanum Dubray, Parisiis, 1636), tuttavia, non poté fare a meno di precisare: “Scripseram in hoc Astrologicum prognosticum pro Eccle. non discordans a vatilinio [sic] S. Vincen., Brigid., Cath. Carthusiani: sed prudentia summi pontificis iussit deleri quamvis cum protestatione ne demus ansam Astrologiae... et hoc ipse dixit S. Brigidae: ‘Quod si homo siderum motum consideraret, de providentia Dei nil dubitaret’” (p. 209); la stessa autocensura su pronostici e profezie sul futuro del cristianesimo, che i Solari hanno riferito al Genovese (136.4sg), la ritroviamo a 154.9-11: “prognostica nec recitare volo quoniam sapientissimus Papa noster iustis de causis vetuit”. 18 Ad Casparum Schoppium (giugno 1607; in: Lettere, p. 100-1).

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XXI

non solo nei Memoriali, ma anche in opere trattatistiche19 e addirittura negli stessi Art. proph.: “Hic autem celo multa tempore suo et loco dicenda, quae adhuc sapientibus nationum clam fuerunt” (p. 181). Vi sono dunque alcuni indizi che potrebbero far ipotizzare che all’atto della prima stesura di CS l’Autore è tentato a narrare quanto sarebbe accaduto “presto nel mondo” per sommi capi, forte della scusante della fretta di partire dell’Ospitaliero. Per ragioni di opportunità abbastanza ovvie (profetare, e per giunta predire sciagure alla Chiesa, era molto rischioso nelle sue condizioni), decide di limitarsi a vaghe allusioni e, tagliato il finale, rimandare ad “altra fiata’ – ed altre sedi meno compromettenti. Il tempo di profetare non è ancora giunto: anche un’altra opera scritta in questi anni cruciali (fine 1604), Il senso delle cose e la magia, riserva l’ultimo capitolo all’astrologia, accennando brevemente alle questioni principali, ma, come in CS, omettendo qualsiasi pronostico rinviato esplicitamente a un’altra opera in fieri: “di tutte quest’arti farò un libro se Dio vorrà”: l’Astrologia, certo, ma pure Art. proph. Ancora: nel sonetto 57, troncato anch’esso su una promessa di vaticinio, troviamo la possibile motivazione: dopo che si sarà verificata la grande congiunzione astrale del 1603, “Ecco ceder le sètte empie e nefande / al Primo Senno; e, s’io fuor di periglio sarò, predicherò cose ammirande”. Ciò spiegherebbe, oltre a finali troncati e rabberciati alla meglio, il fatto che anche nelle successive redazioni di Città (ed edizioni di Civitas), il finale sia rimasto immutato: Art. proph. era diventato addirittura imbarazzante per il suo smaccato filo-ispanismo (con un Filippo III imperatore mondiale e C. il suo profeta); e il fatto che nel finale della Civitas parigina abbia svelato un altro ‘segreto d’importanza’ (le navi mosse non dal vento o dai remi, anch’esso spesso sbandierato nei memoriali a fini ‘contrattuali’), ma di natura tecnico-nautica, comproverebbe che comunque l’explicit era originariamente la sede dello svelamento di un segreto; ma il vero segreto ancora una volta andava rinviato ad altra sede, perché era stato recentemente e severamente rinnovato il divieto papale di effettuar pronostici specie riguardanti il papa e la Chiesa, divieto su cui appunto si sofferma lungamente nella parte aggiunta dell’edizione parigina (142.25sg).

19

Ad es. nella Monarchia di Spagna: “Questo poi sarebbe facile facendo predicare la fine del mondo vicina, e che sarà unum ovile sotto il Papa, e che egli è posto come Ciro a congregarlo... e altre cose che meglio a bocca che per scrittura dir voglio” (in: Monarchie d’Espagne et Monarchie de France, éd. et ann. par G. Ernst, trad. par N. Fabry et S. Waldbaum, Presses Universitaires de France, Paris, 1997, p. 52).

XXII

LA CITTÀ DEL SOLE

Ma cosa contiene di tanto terribile questa profezia? L’ultimo capitolo del XXV vol. della Theologia è dedicato proprio alle profezie sulla Chiesa, la diciassettesima delle quali si rifà a una visione di Dionigi Cartusiano, secondo la quale Roma sarebbe stata conquistata dai Maomettani, “e questa rovina sarebbe risultata a vantaggio e salute della Chiesa per mondarla di gravissimi peccati”; commentandola, C. la considera non solo avverabile, ma addirittura “dimostriamo che dalla setta di Maometto ci verrà il soccorso... Può accadere che quando i Cristiani si saranno indeboliti con mutue stragi, il re dei Turchi riesca a conquistare Roma”.20 Dopo che l’incombente Anticristo21 avrà fatto tabula rasa, la Chiesa risorgerà dalle sue ceneri, riprenderà il vigore e la purezza delle sue radici apostoliche e, una volta riunificato tutto il mondo sotto un unico capo spirituale, finalmente ritornerà l’età aurea. In altri termini: la repubblica solare diverrà fatalmente una teocrazia mondiale dopo l’ultimo colpo della coda diabolica dell’Anticristo, necessaria a spazzar definitivamente le distorsioni e deviazioni dalla retta via tracciata dal Vangelo. Come lascia intendere, direttamente (84.23-4) o indirettamente (134.5-13), la Città non è un sogno della ragione, ma è la prefigurazione di un futuro più o meno prossimo: nel mondo, cauterizzato dalle fiamme del Male, s’instaurerà un regime di vita comunitario analogo a quello attribuito ai fantasmatici Solari (e a quello che volevano attuare i congiurati calabresi). CS non è affatto, dunque, un afflato etico asintotico, un ‘dover essere’ astratto; ma è la prefigurazione, la profezia, di quel che indubitabilmente sarà il mondo subito dopo la ‘Renovatio’ e subito prima del Giudizio Universale, ovvero l’eden prossimo venturo: nei Discorsi universali esordisce affermando che “non si è vista ancora in terra republica senza ingiustizia”, ma che “si vederà il secol d’oro cantato da’ poeti, l’ottima republica descritta da’ filosofi... quando saranno evacuati tutti i principati mondani e regnarà per tutto il mondo solo il vicario di Cristo... Sono preceduti li segni di questa futura republica felice, descritta da me altrove”.22 Perciò CS non è un’utopia. È un’appendice della Politica nel senso che il suo avvento segna il superamento di ogni politica; ma se CS è

20

Theologicorum libri XXX, a c. di R. Amerio, Edizione nazionale dei classici del pensiero italiano, II serie, Roma, 1949-, XXV, pp. 205 e 217. 21 Nell’aprile del 1607, infatti, C. scriveva alla Curia che, in base alle profezie, in partic. di Gioacchino da Fiore, che prediceva la venuta dell’“Antichristus magnus” trent’anni dopo Lutero, “iam praesens est, vel anno 1630 revelabitur, videlicet triginta annis post hoc centenarium: et hoc tempore luna convertetur in sanguinem et sol in tenebras... tunc apparebit Antichristus” (Lettere, p. 62). 22 Discorsi universali del Governo Ecclesiastico per far una gregge e un pastore [1631], in: Opere di G. Bruno e T. C., a c. di A. Guzzo e R. Amerio, Ricciardi, Milano-Napoli, 1956, p. 1117.

INTRODUZIONE

XXIII

un’appendice dalla Politica, a maggior ragione Art. proph. è un’appendice di CS (o meglio il corollario). L’‘equivoco’, diciamo così, di scambiar per un testo utopistico quel che invece è una teoria dello stato e insieme uno scritto messianico, nacque quando CS era ancora in circolazione manoscritta, con la Christianopolis di Valentin Andreä, che vi si ispira; e persistette nell’edizione del 1643, quando fu stampata insieme a scritti, quelli sì, utopistici. CS ha in comune con le utopie (di Platone, More, Doni) solo la forma; ma, per quanto riguarda il contenuto, dal punto di vista autoriale, CS “non introduce tanto in un’utopia quanto, semmai, in un’eucronia: in un evento che, lungi dal non accadere in nessun luogo, trova giustificazione nelle profezie divine ed astrali, e si colloca in un futuro giudicato imminente. Mentre il genere utopistico possiede una caratterizzazione spaziale, la Città è garantita da una cornice profetica”23.

23

V. Frajese, ‘Introduzione’ a: T.C., La Monarchia del Messia, Ed. di Storia e Letteratura, Roma, 1995, p. 24.

NOTA AL TESTO ITALIANO

Il testo italiano è quello riportato dal ms 1538 della Biblioteca Comunale di Trento (=T.), scoperto da Firpo nel 1943 (Firpo 1947, pp. 291-2 e 296) e considerato unanimemente (Firpo 1948; Bobbio1, p. 7; Ernst 1997a, pp. 82 e 88; Tornitore, p. 183) copia della stesura più antica a noi pervenuta della Città del Sole1, che risale presumibilmente al 1602. Questo ms è stato confrontato con quello della Biblioteca Riccardiana di Firenze, ms 2505 (=R.) e col ms 2618 della Biblioteca Comunale di Lucca (=L.). Quasi esclusivamente su questi due, e soprattutto su L., copia dell’ultima stesura in italiano, si è basato Bobbio per la sua edizione critica del 1941, risultando gli altri nove allora noti in posizioni basse dello stemma da lui tracciato, e rivelandosi copie assai deteriori2 (ricordiamo che nessuno dei mss è autografo). Esauritasi presto l’edizione einaudiana, e in seguito alla scoperta di T. segnalatagli da Firpo, Bobbio ne progettò una riedizione, predisponendo una nuova Nota critica (=Bobbio1), riedizione che, per gli eventi bellici, non poté esser realizzata. Firpo, per la sua edizione del 1949, accettò l’impostazione redazionale di Bobbio, limitandosi a correggere alcune mende sulla base appunto di T. Questa edizione è stata da ultimo riproposta per la cura di Germana Ernst, la quale ha stilato anche l’apparato di varianti sugli attualmente noti 17 mss, collocati in uno schema, che, pur ridisegnando quello tracciato da Bobbio e Firpo, vede confermati gli assunti fondamentali avanzati mezzo secolo fa dai due studiosi torinesi; stemma, che qui riportiamo in una versione semplificata, limitatamente alle finalità di questa nostra edizione (lo stemma completo è in Ernst 1997a, p. 88):

1 In un primo momento fu scambiato per una traduzione di Civitas: al codice è stato “infine aggiunto un elenco degli Hospedali di Venezia, ed una versione in italiano della De civitate Solis di T. Campanella” (Sorbelli, p. 36 - il primo a renderne pubblica l’esistenza). 2 Sono stati analizzati anche altri 9 mss, tre dei quali Bobbio e Firpo non avevano potuto studiare, sia per difficoltà a reperirli (Londinese e Yelverton), sia perché all’epoca ignorati (Kansas). È risultata confermata la loro posizione bassa nello stemma, come già avevano ipotizzato gli studiosi torinesi, e dunque la loro irrilevanza in questa sede (cfr. Tornitore, p. 183; Ernst 1997a ha collazionato altri due mss, segnalati da Kristeller a Costanza e ad Amsterdam, appartenenti anch’essi però alla posteriore e deteriore famiglia β).

XXVI

LA CITTÀ DEL SOLE

α

T[1602]

α1 R[1603]

α2

α3

β

Civitas [1614]

L[1611]

(restanti mss) È confermata dunque la basilarità della tradizione T.R.L., nonché la priorità di T. sui restanti mss (che sono variamente articolati in maniera complessa e, in qualche snodo, ancora problematica). Dalla prima redazione di Città fu ricavata la copia T. (portata a Trento forse da Schoppe, come già ipotizzava Firpo in una lettera a Bobbio [Bobbio 1997, p. 108]); poco tempo dopo l’Au. rielabora α (→α 1), e dall’archetipo α1 viene copiato prima R. e, con qualche altro ritocco, β, “capostipite del testo vulgato” (Firpo 1948, p. 245; ivi sono indicate anche le date delle principali redazioni); circa un decennio dopo la prima stesura, in vista di una pubblicazione dei suoi scritti, C. rivede la copia α1 rimasta in suo possesso (→α3) e su di essa viene esemplata prima L. e poi la traduzione. Firpo insisteva sulla buona qualità di T. e sulla diligenza di trascrizione dell’amanuense; Bobbio notava anche la curiosa circostanza per cui “R. e T. sono i soli mss della Città che non si trovino rilegati con altre opere del C.” (Bobbio1, p. 7), ma stiano insieme a testi di tutt’altra natura. In particolare, per quanto riguarda T., è opportuno riportare la descrizione del codice, in cui era prima inserito, fatta da Firpo nel 1948, anche perché oggi le trenta carte di Città sono rilegate autonomamente. Scriveva dunque Firpo: “Trattasi di un codicetto cartaceo di 162 carte (mm 215 x 155) in legatura di cartone assai guasta, contenente una copia di mano cinquecentesca d’una cronaca di Venezia dal 1297 al 1582 seguita da un elenco degli ‘Hospedali di Venezia’. Solo questa scrittura è indicata a penna sul dorso del volume, ma in fondo ad esso trovasi cucito un fascicoletto di 30 carte in formato minore (mm 200 X 125) numerate indipendentemente e contenenti una copia adespota della Città del Sole, di mano nitida, in caratteri serrati, senza un a capo”3.

3 Ernst 1997a, p. 82 ne fornisce invece la descrizione più aggiornata (e accurata): “Il ms è pervenuto alla Biblioteca [Comunale di Trento] in seguito al lascito del barone Antonio Mazzetti (1781-1841)... In seguito al restauro cui è stato sottoposto nel 1980, è legato in piena per-

Fig. 1 - La carta 13r del ms Trentino (qui a T.60.9-62.37)

Fig. 2 - Ultima carta del ms Trentino

NOTA AL TESTO ITALIANO

XXIX

Questa collocazione e il fatto che si trattasse di copia adespota, potevano essere considerati un tentativo di celare un’opera del C., personaggio ancora troppo compromettente. Curioso è anche il fatto che le ultime tre righe del ms forse erano originariamente assenti; sono infatti di mano e inchiostro diversi, e l’operetta terminava con la parola Hosp, abbreviazione di Hospitalario, ma anche di Hospedali (invece, stranamente – a differenza di utopie coeve, come ad es. quella del Doni – in CS non si allude mai a ospedali). I ritocchi apportati alle successive redazioni italiane sono di natura stilistica o chiarificativi del contesto, salvo il caso dei passi astrologici che subiscono una profonda rielaborazione; ma quasi mai intervengono modifiche sostanziali. Dato quindi il particolare taglio della presente edizione (parallelismo delle redazioni cronologicamente estreme), si è fatto ricorso ai mss R. e L. principalmente per correggere alcuni piccoli errori di T. elencati qui di seguito (e in gran parte già segnalati da Firpo 1948), mentre nelle note esegetiche sono state indicate alcune varianti di qualche rilievo. I nostri – di Daniele Malus (che nel 1993 ha eseguito una prima copia del codicetto) e miei – criteri di trascrizione sono stati tendenzialmente conservativi, proprio per cercare di restituire, non tanto vezzi grafemici di un qualche oscuro copista, ma la coloritura dialettale di questa prima versione com’era sgorgata, la prima volta, dalla penna, se non proprio dalle stesse labbra del Filosofo calabrese, che, ancor troppo prostrato dalle torture, forse può averla dettata all’amanuense (la conservatività di Città è ampiamente controbilanciata, del resto, dalla traduzione di Civitas). Gli interventi si sono limitati ai consueti ritocchi: – Si è distinta la ‘u’ dalla ‘v’ – La ‘ti’ etimologica è diventata ‘z’ – Si è fatta cadere l’‘h’ etimologica e pseudoetimologica, la ‘c’ iniziale di “cqui” e la ‘j’ finale nei plurali ‘-ij’ – È stato segnato il troncamento – Punteggiatura e corpi grafici (maiuscolo, minuscolo, tondo, corsivo) seguono l’uso moderno – Sono state sciolte tutte le abbreviazioni (‘&’ → ‘e’ o ‘ed’) e trascritti gamena con cartoni. Cartaceo, si compone di due unità codicologiche distinte, riunite in tempi successivi alla loro scrittura. La prima (cc. 1-142) contiene una cronaca di Venezia dal 1297 al 1582; la seconda il testo della Città del Sole. Il secondo fascicoletto è costituito da 30 cc., con numerazione coeva nell’angolo superiore destro; mm. 196 x 129, rigatura a matita di piombo; unica mano della fine del XVI-inizi del XVII secolo” (per quanto sto per dire, dissento dall’ultima frase: le due battute finali del dialogo mi sembrano aggiunta di altra mano; v. fig. 2).

XXX

LA CITTÀ DEL SOLE

per esteso i simboli astrologici (il ‘sole’ astro però ha l’iniziale minuscola, per distinguerlo da ‘Sole’ sommo sacerdote) – Non si è uniformata la diversa grafia delle stesse parole, né si è intervenuti sulle doppie e neppure sull’apostrofatura. Apparato delle varianti di α Le varianti riguardano solo la tradizione principale α cui fa capo T. Questo lavoro era stato già approntato da Daniele Malus e dallo scrivente prima dell’ultima edizione di Città (Ernst 1997a), che contiene l’apparato variantistico dei 17 mss attualmente noti, apparato di cui, in questa sede si è tenuto conto relativamente ai soli mss ivi considerati (T., R., L.)4. Titolo: Città del Sole – Ospitalario, Genovese marinaro (R aggiunge: di F.T.C.D. [= Fra Tommaso Campanella Domenicano]) L: Appendice della politica detto La Città del Sole di Fra Tomaso Campanella. Dialogo poetico. Interlocutori: Hospitalario e Genovese nochiero del Colombo 2.4: v’ho – L: t’ho 4.19: tanto grosso è terrapieno 6.1: E cossì – L: Appresso 6.8: colonne e di sotto e di sopra belle – L: colonne [] di sotto e di sopra con belle 6.19: insensibili RL: invisibile 8.1: Seguita in cortesia – R: Di’, di’ mo, per vita tua. – L: Dì mo, per vita tua. 8.19: il tempio, vi siano sedie portatili assai – L: tempio insieme, non manchino sedili portatili [] 10.4: li chiostri, e qui – R: chiostri. E qui 10.6: quaranta. – L: quaranta, ecc. 12.27: finti – RL: pinti 14.11: infirmità – L: infirmità quasi. 14.20: oh – RL: sì 14.23: sono questi cossì tra – RL: sono queste cose tra 16.12: che pensiamo – L: che non pensiamo 16.22: distintamente – RL: dottamente

4

Soltanto in questo e nel successivo paragrafo i mss TRL sono privi di punto abbreviativo; le osservazioni curatoriali sono comprese fra >; le varianti di mss dentro la stessa stringa testuale sono comprese fra { }, le lacune fra [].

NOTA AL TESTO ITALIANO

XXXI

16.30: Trovasi – RL: trovai 18.1: onorato – R: lontano 18.23: d’unir – L: con unir 20.14: Mogori – L: Magori 20.22: in mano d’officiali che le dispensano, – RL: in mani d’officiali [] le dispense, 20.31: l’amor proprio – R: ambizione propria 22.4: che non si – RL: che [] si 24.21: far all’altro – RL: all’altro far 24.25: l’officio – L: l’offiziale 24.32: e a ciascun – R: e [] ciascuno 24.41: vuol piacere – L: vuol far piacere 26.2: e questi son privati per li peccati della mensa comune – RL: e questi rei per pena sono privati della mensa comune 26.6: per emendarli – L: per ammendarli. 26.7: come si fan – L: come [] fan 26.11: Primo – RL: prima 26.11: l’uomini e donne – R: le donne e gli uomini 26.25: scapigliati – RL: scapigli 26.29: Dopo il settim’anno vanno alle – R: dopo il 7 hanno le – L: dopo li 7 anni vanno alle 26.38: Poi alli dieci si – R: poi [] si – L: poi tutti si 26.44: dove più riuscirono – R: dove poi ben riusciro – L: dove miglior profitto fanno, 28.13: servidori. – RL: servidori con roina della republica. 28.21: appone – L: oppone 28.26: Poi – R: Però 28.30: o – RL: e 30.2: mariteme – RL: marine 30.3: molto ne’ – L: molto bene ne’ 30.12: può saper governare – R: può [] governare 30.16: siamo – L: semo 30.19: sian’atti; e sia – RL: atti perché son nati signori, o eletti da fazione potente. Ma il nostro Sole [] sia 30.22: tiranno chi – R: tiranno un chi 30.28: dove – R: nel che; L: al che 32.4: all’ingegni pronti – L: alli pronti d’ingegno 32.6: come bisogna – RL: è bisogno 32.18: hann’essi tre – RL: hanno da essere tre 32.25: or una schiera e or un’altra – RL: mo una schiera, [] mo un’altra di loro. 32.30: appartengono – L: partengono 32.37: di guerra machine, – L: machine di guerra, 34.2: comuni e belli letti – R: communi con belli letti – L: comuni, dormitorii, [] letti 34.16: pascer li armenti; però nell’aia, nella vendemia, nel formare il cascio e mungere l’uberi si soleno le donne – RL: pascere le pecore, operar nell’aia, nel-

XXXII

LA CITTÀ DEL SOLE

la vendemmia, ma nel formare il cascio e {L: nel} mungere [] si soleno pur {L: []} le donne 34.21: erbe. L’arti – RL: erbe ed essercizi minimi {L: facili} Ma universalmente l’arti 34.26: fuor – RL: altro 34.28: E ch’è – RL: Pur chi è 34.29: La musica però è delle – RL: musica [] è solo {L: solo è} delle 34.32: Fanno le – RL: Fanno anche le 34.36: di venti uno anno. – RL: di vinti anni. 34.38: Stanno – RL: Hanno 36.25: fratelli – RL: frati 36.28: ciascuno il suo piatto – L: ciascuno, secondo il suo esercizio, piatto; 36.29: piatto; e li – R: piatto di porzione e menestra; e li – L: piatto di pitanza e minestra, frutti, cascio; e li 36.34: l’officiali hanno la miglior parte, e mandano spesso in tavola del loro a chi – R: offiziali si dan meglior parti, e {L aggiunge: questi} mandano spesso del loro in tavola a chi 36.41: cantar in musica – R: cantar [] musica 38.2: cocina, e nelle stanze, nelle strade, nelli vasi e nelle vestimenta stimano assai la polizia. – RL: cucina, e alli refettori e stimano assai la nettezza nelle strade, nelle stanze, nelli vasi e nelle vestimenta. {L aggiunge: e nella persona.} 38.7: lino, sopra un vestito con giuppone e calze intiere, – RL: lino, poi un vestito ch’è giubbone e calza insieme, 38.12: fin – R: sin – L: insino 38.13: pedale grande come bolzacchino – R: pedal [] bolzacchino 38.15: ben – R: bell’ 38.19: volte: – RL: volte varie: 38.23: decenza – RL: procerità 38.29: tutti – R: tutto 38.31: bugata – RL: bucato 38.35: vivandarî – RL: refettori 38.44: sorgente, molta nelle – R: sorgente, e molta nelle – L: sorgente molta, e nelle 40.29: quelli molestati da Venere. Ma – RL: quelli più molestati da Venere. Li provedono, ma 40.39: testa. – L: testa, e la seconda volta crescen la pena finché diventa capitale. {RL:} Ma chi si astiene {L: ritiene} fino alli 21 anno d’ogni coito è celebrato con alcuni onori e canzoni. 42.2: lotta – RL: lotta, come i Greci antichi, 42.4: ch’è impotent’al – RL: chi è impotente o no al 42.5: con quali si – L: con [] si 42.17: se non han – L: non quando han 42.20: pitture – L: statue 42.28: stanza – RL: cella

NOTA AL TESTO ITALIANO

XXXIII

42.34: mirati da Marte di buono aspetto e da Saturno così – RL: mirati da Giove di buono aspetto e da Saturno e Marte così 44.9: sorte. – L: sorte, dependente dall’armonia del tutto con le parti. 44.12: solo nella fondazione della – R: solo nella complessione, nella 44.15: Saturno. RL: Saturno, se non con buone disposizioni. 46.9: arte, e che – L: arte, e che difficilmente senza disposizione naturale può la virtù morale allignare, e che 46.15: principale – R: possibile 46.21: mutano – L: mettono 46.27: perch’essa non procuri – R: perché nessuna si procuri 46.44: lottare o vero alle – RL: lottare e alle 48.5: e dopo di questo si – RL: e poi si 48.14: costumi. – L: costumi e questa è concordia stabile nella republica. 48.16: l’altro. – R: l’altro, e questa concordia stabilisce la republica. 48.21: si chiama – L: chiamano 48.25: eccellenti – RL: valenti 48.25: nell’arte loro o fanno – R: nell’arte [] e fanno 48.37: Tortelio ecc. E questi nomi s’aggiungono – RL: Tortelio o simili altri. E questi cognomi s’aggiungono 50.5: dolore che non sia fatto generatore? – RL: dolore a chi non è {L: sia} fatto generatore > o quel che ambisce? 50.7: Signor no, – R: [] Non, 50.13: Né ci bisogna inganno – R: Platon disse che si doveano gabbare li pretendenti a belle donne immeritamente, con far uscir la sorte destramente secondo il merito; il che qui non s’osserva Né ce bisogna inganno – L: Platone..., il che qui non bisogna far con inganno 52.7: grandezza – L: e vivezza e 52.8: bellezza – RL: beltà 52.9: in bellettar – RL: imbellettarsi 52.13: tampoco comodità di – RL: comodità manco di 52.14: chi le daria loro? R: li daria []? L: ci li daria []? 52.19: colori, di pianelli – L: colori e alte pianelle 52.20: belle. – RL: belle per tenerezza e così guastano la propria complessione e della prole. 54.13: eroi la – RL: eroi ed eroisse la 54.27: che si commette. – R: che la commise. – L: che l’ha commesso. 54.39: Genova – RL: Napoli 54.39: sono settantamila anime e non faticano se non le diece o quindici mila – L: son da trecento milia anime, e non faticano cinquanta milia 56.1: lussuria – RL: lascivia 56.25: menzognari – L: bugiardi 56.34: servire in ogni cosa, se bene ogni – RL: servire alle cose, ma ogni 56.36: le religioni – R: la religione 56.39: Bella e santa cosa mi par questa, ma – RL: È bella cosa questa e santa; ma

XXXIV

LA CITTÀ DEL SOLE

56.41: par ardua – L: pare dura e ardua 58.2: glosa. – RL: glosa, ch’i Cristiani antichi tutto ebbero commune {L: commune ebbero}, altro che le mogli, ma queste pur fûro communi nell’ossequio. 58.4: l’ossequio delle donne e insieme il letto – R: l’ossequio commune delle donne e [] il letto – L: l’ossequio delle donne e [] il letto 58.9: Socrate, Catone, Platone – R: Socrate, [] Platone 60.11: migliorano. – L: migliorano, e quando sapranno le ragioni vive del Cristianesmo, provate con miracoli, consentiranno perché son dolcissimi. Ma fin mo trattano naturalmente senza fede rivelata; né ponno a più sormontare. 62.7: cardar – RL: carminar 62.11: membro solo ha – L: uno solo membro ha 62.12: serve; ma questi stanno (se non sono illustrissimi della città) nelle ville – L: serve [] nelle ville 62.13: sono – R: fûro 62.17: Dimmi ti prego per ora della – RL: Di’ mo della 62.22: armi, dell’artelleria – L: armi, un altro dell’artellaria 62.25: maestri – R: capimastri 62.37: spada, a saettare di lancia – RL: spada, di lancia, a saettare, 62.40: donne imparan’anch’esse quest’ – R: donne imparano pure queste; L: donne pure imparano queste 64.4: assalto straniero, difender le – RL: assalto [], difendeno le 64.10: quelle – RL: quei 64.16: siano Bragmani – RL: siano stati Bragmani 64.21: ferire il nemico ribello, nemico della ragione – RL: ferire l’inimico ribello della raggione che 64.39: Vi sono quattro Reggi nell’isola – RL: Se mai non avessero guerra, pure s’esercitano all’arte di guerra e alla caccia per non impoltronirsi e per quel che potria succedere. Di più vi sono quattro Reggi {L: Regni} nell’isola 64.42: desiderano – R: desideriano 66.23: e’ – RL: costui 68.12: l’archebugi – RL: gli artiglieri 68.14: guerra, e cossì – L: guerra e n’han pur di legno nonché di metallo, e cossì 68.37: loro secondo insieme si consigliano – RL: secondo prima insieme si [solo L:] consigliôrno 70.8: ha in – RL: ha dopo in 70.21: perciò fanno gran passata, – RL: per questo passano ogni armatura, 70.26: non potendosi ferire una armatura con spada o con pistola, assaltano – RL: non potendo un’armatura ferrea penetrare con spada o con pistola, {L aggiunge: sempre} assaltano 70.34: nemico, tirano – RL: nemico, lo cingono, tirano 72.9: e contra – L: a contrario 72.18: aretrandosi – L: ritirandosi 72.22: spade all’ultima prova – RL: spade sono l’ultima 74.10: dimandi la – R: domanda in grazia la 74.13: indulgenza, e se non v’è – RL: indulgenza, [] se non quando ci è 74.17: si pone – L: mette

NOTA AL TESTO ITALIANO

XXXV

74.20: è impossibile – RL: è quasi impossibile 74.24: cosa – RL: avere 74.30: sensa contribuire a spese – R: senza contribuzione e spese 76.7: vigilie – L: veglie 76.19: o altri – RL: o altro danno a’ vinti, 76.29: severamente – L: secretamente 76.35: fa più – RL: fa poi in guerra più 78.6: artefìci – R: artifìci; L: offizi 78.15: fatigose son – L: fatigose e utili son 78.24: arti di – L: arti che sono di 78.25: femine. – L: femine. Le speculative son di tutti, e chi più è eccellente si fa lettore; e questo è più onorato che nelle meccaniche, e si fa sacerdote. 78.33: a finché – R: affinché – L: acciò che 78.35: il vitto che non ponno portare, e fanno venir d’ogni parte – L: il vitto []. Dall’altre parti 78.39: danari – R: donare 78.43: che donano – RL: che quelli donano 80.2: infestino – RL: infettino 80.41: armati per li campi sempre. – RL: armati, che per li campi sempre van vagando {L: girando}. 82.42: attendeno, ed a castrati; – RL: attendeno a caponi ed a castrati ed al frutto; 84.6: di quell’esercizio – R: di questi esercizi – L: di questo esercizio 84.10: in squadra mai soli – R: in squadra, né mai – L: in squadroni, né mai 84.13: disgusto, perché – L: disgusto, e ciò perché 84.29: si reducerà – LR: averà da riducersi 84.43: come mangiano – RL: Chi e come mangiano, 86.16: Mercurio e Venere, e – L: Mercurio [] e 86.17: sole. – RL: sole. Stava Saturno entrando nella quarta, senza far malo aspetto a Marte e al sole. 86.23: Vergine e nell’asside – L: Scorpio e nella triplicità dell’asside 86.27: si curâro – L: [] curano 88.3: carni diverse, mèle – RL: carne, butiri, mèle 88.33: gran necessità – L: necessità grandissima, 88.33: bivono ma con aqua, e – RL: bevono [] con acqua poi, e 88.41: secondo la porzione tassata dal – RL: secondo la stagione dell’anno, quel che è più utile e proprio, secondo provisto viene dal 90.9: chi a far una cosa e chi un’altra; – RL: chi a servire i vecchi, chi in coro, chi ad apparecchiare le cose del commune; 90.16: chiragre, né doglie coliche, né sciatiche, né catarri, né flati – RL: chiragre, né catarri, né sciatiche, né doglie coliche, né flati 90.19: distillazione – R: digestione 90.30: cibo sovvengono – L: cibo e bagni sovvengono 90.36: sudore leva – R: sudore anche leva 90.40: caschi – L: cali 90.44: efimere solo – R: efimere febri solo

XXXVI

LA CITTÀ DEL SOLE

92.7: Raro – R: Di rado; L: Rado 92.17: Quintane, sestane, ottane poche – RL: Quintane, ottane, settane poche 94.11: Macometto, – R: Macometto, Scoto e – L: Macometto, Soto e 94.17: fiore – R: fiori – L: fuori 94.19: con macis – R: con pongono macis – L: [] pongono macis 94.22: annevato, – L: annevato, come li Napoletani, 94.25: l’umori in favor del calore – L: l’umori grossi in favor del natio calore 94.29: stanchezza. Hanno un – L: stanchezza; né contra il soverchio calor dell’aromati augmentato, perché non escono di regola. Hanno pur un 94.32: buon’arte – RL: bell’arte 94.34: dell’officiali, che molto desidero sapere. – RL: degl’officiali []. 96.4: {T: Pot., Sap., Am.} – R: Potestà, Sapienza, Amore – L: Pon, Sin, Mor 96.5: tre offiziali sotto di sé, che sono tredici, e ognuno di quelli tre altri che fan 4 – L: tre offiziali [] che fan {R: son} tutti quaranta; 96.40: raro – RL: rado 98.3: modo – R: mondo 98.9: il Musico, l’Aritmetico, il Poeta, l’Oratore, il Prospettivo, il Pittore – RL: il Musico, il Prospettivo, l’Aritmetico, il Poeta, l’Oratore, [] il Pittore 100.5: per la pariglia – RL: per la pena della pariglia 100.13: Sole – RL: Metafisico 100.23: e poi dal Sole il terzo dì s’aggrazia o condanna, e non può – L: e [] dal Sole al terzo dì si condanna, o s’aggrazia dopo molti dì con consenso del popolo; e nessuno può 100.34: secar – R: seccare; L: resecare 102.4: officiali – RL: officiali maggiori, 102.14: contenersi, e quell’arte – L: contenersi in quell’arte 102.16: par – RL: paion 102.20: da se stesso all’officiali ad accusarsi e dimandar mercede, – RL: da se [] all’officiali accusandosi e dimandando {R: dimandano} ammenda, 102.23: peccato, sia chi si vuole, mentre – RL: peccato, e la commutano, mentre 102.32: giuramento. – RL: giuramento il reo. 104.8: diffinizione: leggi” – L: diffinizione e legge” 104.9: così lo condannano – RL: così poi lo condanna o 104.22: Onde – RL: Talché 104.28: nominare, e li tre si – RL: nominare li peccatori e li tre poi si 106.3: necessario per emendarli – R: necessario per amendarli, – L: necessario [], 106.35: fuori; – L: fuori o si fa sacerdote; 110.2: balli sotto chiostri bellissimi. – RL: balli sotto li chiostri, bellissimi. 110.4: e tutti in – RL: e uniti in 110.16: in Ariete, in Cancro, Libra e Capricorno; – R: in Ariete e Libra in Cancro, Libra e Capricorno 110.22: e ebbero gran vittorie – RL: e quando ebbero [] vittoria, 112.1: perché – RL: e 112.2: mondo. – RL: mondo, che toglie il premio alla virtù e lo dona altrui per paura o adulazione.

NOTA AL TESTO ITALIANO

XXXVII

112.24: ad austro, ed in ultimo a settentrione – R: ad Austro poi a Settentrione – L: a Settentrione poi a Mezzodì 112.28: ed in ultimo ad – RL: e poi ad 114.16: al decimo nono anno, – RL: a dicinove anni, 114.18: capo del Drago – L: [] 114.23: dell’altri); – RL: di lui); 116.8: quando. – L: quando e la sostanza delle stelle e chi ci sta dentro a loro. 116.10: stelle, li quali alli stolti non paiono – RL: stelle, sole e luna, li quali alli stolti non pareno veri, 116.14: di secoli – RL: del secolo 116.18: ruine 118.13: stelle; – R: stelle, com’in altari e nel cielo come tempio; 120.2: sole s’opponeno, o congiungono – R: sole si [] congiongeno 120.4: nelle quadrature e per questo pareno le stelle tarde di Saturno, Giove, Marte, Venere, Mercurio, di retrogradare in questi tempi che fann’alto circolo e nel alzare paiono gire adietro e cossì si veggono, perch’il stellato cielo corre velocemente in 24 ore, ed esse ogni dì restano più adietro, talché sendo passate dal cielo paiono tornare; ma la Luna, velocissima in congiunzione e opposizione non par tornare, ma solo tardare (è alquanto oscura, ma contiene il vero e par bugia; scriverò altrove meglio), perch’il primo cielo non è più di lei veloce, onde non pare retrograda ma solo tarda; e cossì si vede che né epicicli né ecentrici ci voleno a farl’alzare e retrocedere, e cossì pur nel calare si fanno retrogradi perché non correno col primo cielo, ma abbassano, onde restano adietro li tre pianeti primi. Del sole – R: nelle quadrature e nell’opposizione per avvicinarsi a lui. E la luna in congiunzione e opposizione alza per stare sotto il sole e ricever luce in questi siti assai, che la sublima. E per questo le stelle, benché vadano sempre di levante a ponente, nell’alzare paion giri a dietro; e così si veggono (alquanto oscura, ma contiene il vero e par bugia; scriverò altrove meglio), perché il stellato cielo corre velocemente in 24 ore, ed esse ogni dì, caminando meno, restano più a dietro; talché, sendo passati dal cielo, paion tornare. E quando son nell’opposito del sole, piglian breve circolo per la bassezza, ché s’inchinano a pigliar luce da lui, e però caminano inante assai; e quando vanno a par delle stelle fisse, si dicon stazionari; quando più veloci, retrogradi, secondo li volgari astrologi; e quando meno, diretti. Ma la luna, tardissima in congiunzione ed opposizione, non par tornare, ma solo avanzare inanti poco, perché il primo cielo non è tanto più di lei veloce allora c’ha lumi assai o di sopra o di sotto, onde non par retrograda, ma solo tarda indietro e veloce inanti. E così si vede che né epicicli, né eccentrici ci voleno a farli alzare e retrocedere. Vero è ch’in alcune parti del mondo han consenso con le cose sopracelesti, e si fermano, e però diconsi alzar in eccentrico. Del sole 122.10: primo – R: principio 122.16: suo – R: sito 124.17: previsti – R: antevisti 124.19: signore – R: servire,

XXXVIII

LA CITTÀ DEL SOLE

124.36: Hanno – R: Stanno 124.42: infinito, non – R: infinito ente non 126.16: mettemo – R: metteno 128.31: noi. – R: noi, ch’al non essere e disordine declinamo. 130.8: ecc. – R: ecc., e non esser in verità. 130.13: 130.21: Giove; – R: Giove e poi gli altri pianeti; 132.2: l’intravariano. – R: l’intravariano e l’anomalie han gran forza fatale. 132.6: Adamo, – R: Adamo tanto scompiglio, 132.17: punti; – R: punti: generazione ed educazione; 134.14: e che, tolti l’abusi, sarà signora del mondo. – R: e che soli gli abusi sarian signoria del mondo. 134.23: vedo – R: credo 136.16: e com’entrando in Cancro l’asside di Mercurio a tempo che le congiunzioni magne si facevano in Cancro, fece queste cose inventare per la Luna, Giove e Marte, ch’in quello segno valeno al navigare novo, novi regni e nov’armi. Ma entrando l’asside di Giove in Libra pur segno di mutazione, sarà gran monarchia nova e di leggi reforma. E dicono – R: e come entrando Vergine l’asside di Mercurio a tempo che le congiunzioni magne si faceano in Cancro, fece queste cose inventare per la Luna [] e Marte, che in quello segno valeno al navigar novo, novi regni e nove armi; ma entrando l’asside di Saturno in Capricorno e di Mercurio e di Marte in Vergine presto che congiunzioni magne in primo trigono, sarà grande monarchia nova e di leggi riforma e d’arti e profeti e rinovazione. E dicono – L: e come, stando nella triplicità 4a l’asside di Mercurio a tempo che le congiunzioni magne si faceano in Cancro, fece queste cose inventare per la Luna [] e Marte, che in quel segno valeano al navigar novo, novi regni e nove armi. Ma entrando l’asside di Saturno in Capricorno, e di Mercurio in Sagittario, e di Marte in Vergine, e le congiunzioni magne tornando alla triplicità prima dopo l’apparizion della stella nova in Cassiopea, sarà grande monarchia nova, e di leggi riforma e di arti, e profeti, e rinovazione. E dicono 138.9: ecc. – L: ecc, ed aspettano un occhiale di veder le stelle occulte ed un oricchiale d’udir l’armonia delli moti di pianeti. 152.4: in Fiandra, Maria – RL: in Francia, e la Bianca in Toscana, Maria 152.6: in Roma. – RL: in Roma {R: Boema} ed Isabella in Spagna inventrice del mondo novo. 152.10: ecc. – R: ecc. E tutti sono maledici per Marte e per Venere e per la Luna, parlano di bardascismo e puttanesmo. – L: ecc. E tutti sono maledici li poeti d’ogge, per Marte, per Venere e per la Luna parlano di bardascismo e puttanissimo. 152.19: elevazione – L: apogio 152.21: Luna e per Venere – RL: Luna, Marte e per Venere 152.26: Marte le – R: Marte e Giove le 154.8: in tutti questi paesi. – L: in tutte quelle parti e in Tartaria. 154.13: Spagna per Giove ed – L: Spagna [] ed 154.14: sottostamo – RL: sottostanno 154.18: d’ora – RL: di mo

NOTA AL TESTO ITALIANO

XXXIX

154.20: savi, cioé sopra l’asside di Giove in Libra, aereo, mobile, casa di Saturno, e Venere, e Mercurio, padre dell’arti ed invenzioni, e sopra la congiunzione magna che sarà in Sagittario, casa di Giove e del Sole; e sì come per Cancro aqueo se trova la navigazione, cossì per Acquario aereo il volare si trovarà; e perché segueno dopo la congiunzione magna l’eclissi in Ariete e Libra, segni equinoziali, con l’alterazione dell’asside faran – RL: savi circa la mutazion dell’asside de’ pianeti e dell’eccentricità e solstizi ed equinozi e obliquitati, e poli variati e confuse figure nello spazio immenso; e del simbolo c’hanno le cose nostrali con quelle di fuori del mondo; e quanto seque di mutamento dopo la congiunzion magna e l’eclissi, che sequeno dopo la congiunzion magna, in Ariete e Libra, segni equinoziali, con la renovazione dell’anomalie, faran 158.9: di prescia non ti lo potresti imaginare. Un’altra – RL: di prescia []. Un’altra 158.29: prolungò – RL: promulgò 160.11: OSP.: Di grazia non ti partire; segui quello mi prometti, adesso che è tempo, ché mi sarà di soma grazia. – RL: OSP.: Aspetta, aspetta.

Lezioni manoscritte variate Salvo diversa indicazione, la variante corrispondente adottata nel testo è stata ricavata sempre e concordemente da RL; gli scarsi e lievi interventi congetturali del curatore invece sono evidenziati fra < >: 4.20 T: la [ ]di (lac. marcata da sp. bianco; R: la valguardi; L: ha valguardi); 4.32 colossi; 6.8 fa il; 8.34 si noti in; 10.3 grande; 10.22 TL: s’appella .O.; R: 0 (=simb. astrol. del Sole); 12.18 preposizioni; 16.13 sono [] animali; 18.28 cura d’essa; 18.29 medicine, speciarìe (così anche R e L; a mio avviso, invece, “speciarie” è un attributivo: ‘medicine speziali’, che in P. diventa infatti un genitivo specificativo: “medicina pharmacopolae” = dello speziale); 22.6 credo [] li; 26.3 dalla mensa; 28.17 ch’è (il ‘chi’ è apostrofato anche a: 30.5 ch’ha; 34.28 ch’è); 28.22 può [] Sole; 30.1 correspondevoli; 30.25 detto chi; 32.11 si ha; 32.30 Onde hanno; 38.20 entra [] Cancro; 38.32 sottane [] officine; 38.43 essi spicciano; 40.38 TR: perverteno; 42.12 TR: e li macri alle grasse; 42.23 li dona; 44.14 TR: abbin prencipi; 46.12: strugono (v.134.29: “struggere”); 46.19 S’alcuna; 48.12 generazione, li; 50.5 fatta generate (è indubbiamente abbreviaz. di “generazione”, perché identicamente è abbreviata anche “generazione” di r. 9); 54.1: scerzi; 56.33 perché [] s’attaccano (“non” è cancellato in T); 56.41 comune; 62.11 membro solo solo ha (R: membro solo ha; L: uno solo membro ha – v.118.6 infra); 62.38 arte, < > giocando spada; 68.18 saranno le; 68.25 spartata; 68.41 incarnarnarsi; 70.2 carezzi; 70.5 mastrarnosi; 70.13 civita; 70.21 TRL: stretti (ma nel sonetto 27,8: “ritrovate le pistole”);

XL

LA CITTÀ DEL SOLE

70.34 circonda; 70.38 TR: incrocicciata; L: incrocchiata (Civitas: “decussatim”); 72.19 avicenna; 74.1 assenti; 76.8: divise da; 76.30 s’in cose; 78.28 città, [] vi son; 78.42 quando [] i fanciulli; 80.24 TR: e lo; L: e li; 84.18 d’animali [] spesso; 84.28 combatendo; 88.10 TR: bisogna; 88.39 T: Mangiano [] secondo la porzione tassata dal (RL: Mangiano, secondo la stagione dell’anno, quel che è più utile e proprio, secondo provisto viene dal); 94.15 e cossi; 96.6 dodici (R: 13; L: []); 96.8 4 (R: 40; L: quaranta); 96.41 della scienza; 98.30 frustra; 100.32 plaghi; 100.35 dal capo; 104.27 TL: quanto [] strani; R: quanto li strani; 106.2 che s’è; 110.8 barrettino (R: berrettino; L: barettini); 110.12: grande; 112.29 (a margine alcuni segni illeggibili); 112.32 TR: tutte [] genti; 112.34 attentatamente; 114.11 obligo; 114.18 pur < > Capo; 118.6 come come (v.62.11 supra); 118.20 T: Heretici (cancellato ed a fianco scritto: centrici; poche righe dopo il copista scrive “ecentrici”); R: ecentrici; 122.15 excogitano; 124.6 e l’unir; 126.2 Fanno a metafisici; 126.23 procedere; 128.16 dui; 130.22 soccedeno; 130.26 e cinquecento; 132.25 come si; 136.13: stupendo; 152.4 Margarita in Francia; 152.6: TR: El (v.160.2); 158.5 muta tutto il mondo e rinovalo; 158.26 che pur; 158.27 TL: cavaro; R: cavò; 158.28 e a; 160.2 t’el; 160.12 quello < > mi.

NOTA AL TESTO LATINO

Il testo di Civitas Solis è stato ricontrollato, dopo la basilare riedizione di Bobbio, sull’edizione parigina del 1637 [=P.], alle p. 146-67 della III sezione, la Politica, di cui notoriamente Civitas è Appendice (v. figg. 3 e 4: per la descrizione delle edizioni seicentesche di Civitas cfr. Firpo 1940, n°8; Crahay, p. 54-6): si è scelta questa come edizione di riferimento, non solo perché è l’ultima, ma anche perché è l’unica che C. poté sorvegliare direttamente. L’attuale edizione ricalca quasi fedelmente l’ed. Bobbio (p. 117-67)1, a partire dall’ortografia: – quasi identica la punteggiatura (ad es. v. n.8.11-2; invece, mentre B.123,17: “medicina, pharmacopolae”, ritengo essenziale, per il senso [v. n.98.4], rispettare la punteggiatura originale di P.: “medicina pharmacopolae”; analogamente, per fedeltà a P., ho mantenuto la virgola a 42.29: “in domo benigna, in bono aspectu”, assente in B.131,34); in questo gruppo si può includere anche un intervento restaurativo: mentre B.159,12 scrive: “Quod tibi non vis, alteri ne feceris et quae vultis ut fa-

1

Successivamente il testo è stato controllato anche sulla pregevole ed. Crahay, in cui, pur condividendone alcune linee di fondo (come la scelta di P. come base dell’edizione), tuttavia non mancano alcune mende, sulle quali non ci sembra il caso di soffermarci dettagliatamente (anche perché, a causa della sopraggiunta morte di Crahay, la pubblicazione è stata curata da altri); comunque, in generale l’edizione belga si caratterizza perché: a) utilizza un doppio testo a fronte: Civitas (nell’ed. P.) con sotto Città (nella red. di Firpo) nella pagina pari, e la traduzione francese nella pagina dispari; b) a Città e Civitas segue un ‘Annexe’ contenente Quaest. Pol. IV curato da P. Jodogne (p. 26182). In particolare, poi: – la variantistica a pie’ pagina è esemplata principalmente su Fr., ma anche sull’ed. (postuma) del 1643 e su quella di B., della quale dice: “cette édition est soignée; celle qu’on trouvera ici s’en sépare sur quelques points, presque toujours pour écarter une correction qui ne paraît pas s’imposer”, adottando dunque una linea ultraconservativa: “il faut maintenir des aberrations dont il [=C.] est manifestement responsable” (p. 56); – tale conservatività è desumibile fin dalla grafia: mantenimento delle ‘u’ in luogo delle ‘v’ (a partire da “nauigatione” di 2.2) e viceversa (solo nelle capitali del titolo: “DIALOGVS POETICVS”); – numeri espressi in cifre romane, simboli di Hoh e astrologici mantenuti invariati; – espunzione di tutte le glosse qui paragrafate, perché “ne constituent nullement une suite des idées”; invece le “notes de référence... sont incorporées... à celles de la présente édition” (p. 61), pur con alcune mende. Infine alle p. 23-9, riassumendo Crahay 1973, analizza minutamente il latino di Civitas.

XLII

LA CITTÀ DEL SOLE

ciant vobis homines, et vos facite illis”; l’ed. P. (qui ripristinata a 132.33-5) teneva distinte le due massime, per le ragioni dette nella nota a questo passo: “Quod tibi non vis, alteri ne feceris, et Quae vultis ut faciant vobis homines, et vos facite illis”; – identica la disciplina delle maiuscole (rispettando però la volontà di C. di “scrivere il nome di ‘DIO’ in tutte maiuscole” – Gramm. III II, in SL, p. 689 – , qui solo relativamente al nome del Figlio), la normalizzazione della grafia (“&” diventa “et”, e così per il regime delle “u”/”v” e “ij”) e la partizione delle parole (ad es. a p. 149 vi è “sub porticibus” reso in 18.11 con “subporticibus”, e viceversa è disgiunto “Operaepretium” di p. 158 [78.1]); i pochi numeri in cifre arabe sono tradotti, salvo quelli delle indicazioni bibliografiche, nell’espressione verbale corrispondente (es. p. 149: “qui autem viginti duos annos plures habent, vocantur ab eisdem patres, qui pauciores 22, filios [sic]”); per i casi di grafie dubbie, ho seguito due criteri: di conservatività, se nel testo vi è un’unica occorrenza, purché lessicalmente attestata (es. “Cignus”), o, di converso, se è costantemente adottata una certa grafia inconsueta (es. “praelium”, “praeliantur”; così pure per le contrazioni: ad es. Crahay corregge “observarint” di 46.22 in ‘observaverint’, in contrasto con l’‘usus’ campan., testimoniato da 66.2: “usurparint”); ho seguito invece un criterio di normalizzazione nel caso in cui si tratti di allografia rispetto ad altre occorrenze intratestuali (un “faemina” di p. 152 viene corretto in “foemina”, testualmente prevalente), salvo un’eccezione (‘Machomettus’, v. infra n. 2); – scioglimento delle abbreviazioni (“Resp.”, “Videl.”, ecc.); una categoria a parte è costituita dai simboli astrologici. A differenza dei mss italiani, in Civitas vi sono solo tre simboli nell’ultima pagina, tipograficamente molto densa per economia di spazio: Marte, Saturno e Venere (quest’ultimo stampato a rovescio); un caso particolare e curioso è costituito dal Sole, che è insieme stella e nome del principe-sacerdote: nei mss le due entità sono indifferentemente indicati col nome o col simbolo (un cerchietto con un puntino al centro), tanto che alcuni codici lo riportano anche nel titolo. Per sciogliere questi equivoci (grafici o attributivi) Fr. poneva, alla prima occorrenza del nome del Sacerdote, ‘Sol’ (10.18: “sacerdos, quem vocant suo idiomate Sol, nostro autem diceremus Metaphysicum”), e in seguito il segno astrologico; ma, come rilevava B.: “l’espressione suo idiomate, riferita alla trasparente parola latina Sol, e la mancata corrispondenza con la traduzione in ‘Metafisico’ indussero il C. a coniare per la seconda ed. quella parola fantastica Hoh”. In P., dopo il primo (e unico) “HOH”, il capo della Città verrà identificato sedici volte con un cerchietto simile ad una ‘O’ maiuscola’, sette volte con un cerchietto più piccolo con al centro un puntino (tut-

NOTA AL TESTO LATINO

XLIII

ti questi casi sono stati ‘traslitterati’ da B., e così in questa edizione, sulla prima occorrenza), e quattro volte con ‘Metaphysicus’; cioè, stranamente, il sommo sacerdote è quasi sempre indicato con il simbolo astrologico, mentre l’astro solare con le declinazioni di ‘Sol’ (v. n. 10.19). Invece la presente redazione si discosta da quella einaudiana per tre aspetti: 1)per gli interventi sul testo v. la ‘Tavola delle emendazioni’: un solo caso non è stato sanato nel testo (una lacuna a 156.14, sfuggita a tutti), ma in nota, perché a) la frase della corrispondente red. italiana era abbastanza lunga; b) pur essendo certi che occorre un’integrazione, non era detto che fosse proprio quella di Città (v. n.157.5); 2)l’inserzione delle glosse intertitolistiche (anche Lerner ‘raccomandava’ a Crahay, p. 11 di “réproduire les manchettes des éditions originales”, ma invano); infatti a margine di P. (e Fr.) vi sono due tipi di chiose: – quelle di commento e di rinvio bibliografico (a sue o altrui opere), riportate da B. attraverso l’uso di asterischi, e che ho mantenuto con la stessa notazione asteriscata a fondo pagina, ma sciogliendo le abbreviazioni bibliografiche; – quelle che fungono da indicazione della materia trattata nei capoversi successivi, non riportate appunto da B., vengono poste a margine del testo (salvo una che è stata cassata, perché evidente refuso: replica in luogo incongruo [80.5-6] del successivamente pertinente ‘De custodia agrorum’ [80.38-9]); 3)la rinuncia al confronto con Fr., essendo altre le finalità qui perseguite (confronto fra la prima [presunta] e l’ultima redazione dell’opera); ed essendo Fr. edizione non direttamente sorvegliata dall’Au.; tale rinuncia ha comportato due cose: – non segnalare “le varianti sostanziali” tra le due redazioni, come le chiama B. riportandole a fondo pagina (anche perché questo lavoro è stato rifatto, pure per le varianti secondarie, da Crahay); – in vari casi ha preferito adottare una variante desunta dalla Fr.; invece, quando entrambe le lezioni sono accoglibili, ho privilegiato quella di P., e indico qui di seguito i ritocchi effettuati da B. e non accolti, in quanto ritenuti o erronei (per congettura, o per svista del proto einaudiano), oppure volute correzioni campan., o infine perché ispirati a un principio restaurativo, e non, come qui, tendenzialmente conservativo; invece quelli accolti saranno opportunamente segnalati.

XLIV

LA CITTÀ DEL SOLE

Correzioni di Bobbio non accolte I numeri indicano, per entrambi, pagina/rigo; quando la citazione è seguita da [Fr.], s’intende che Bobbio [=B.]si è basato sulla Francofortese; il segmento testuale in corsivo di B. si distacca, per inserzione o variante, dalla redazione parigina [=P.], e quindi dalla presente, salvo il numero finale sottolineato di 144.29 (=“85”), in cui B. e P. coincidono (=“5”) e qui si corregge. B. 118,33 perystilia 119,21 tametsi et inter 120,26 quot sunt scientiae [Fr.] 122,31 Machomettum 123,34 sunt, at dispensatio [Fr.] 124,25 valet, quoniam non habent [Fr.] 125,10 et ad eiusmodi [Fr.: et ad huiusmodi] 125,25 genu usque utuntur [Fr.] 125,26 mixtim 126,9 mechanicarum etc. 127,6 at vero [Fr.] 127,21 authoris norit [Fr.] 128,17 castramentatione

P. 6.7 peristylia 8.22 tametsi inter 10.40 quot scientiae 18.3 Mahomettum2 20.20 sunt, ac dispensatio 24.2 valet, qui non habent 24.29 ad eiusmodi 26.13 genu utuntur3 26.14 mistim4 28.1 mechanicarum 30.6 et vero 30.28 auctoris novit5 32.33 castrametatione6

2 In C. la grafia a stampa, del nome e dell’aggettivo derivato, è soggetta a tre tipi di oscillazione e loro combinatoria: con/senza ‘c’; con/senza ‘h’; ‘t’ semplice/geminata; infatti, a 94.10: Machomettus; a 140.12: mahometanos (e in altre opere ulteriori combinazioni). Impossibile una normalizzazione della grafia, per cui non resta che limitarsi a registrarne le oscillazioni; B., pur normalizzando in ‘Machomettus’ i primi due casi, poi riporta “machometanos” (160,31). Per ragioni analoghe si mantengono le due grafie di ‘Annibale’: “Annibalem” in 18.9 (così, ad es., anche Mon. Messiae, p. 8) e il più corrente “Hannibalis” in 64.27. 3 L’usque di Fr. sembrerebbe rispecchiare la lezione di Città: “le donn’han la sopraveste fin sotto il ginocchio, e l’uomo sopra” (T.26.14); ma in Civitas ‘usque’ è sempre seguito da ‘ad’ e accusativo. Pertanto, diversamente dalle edizioni moderne (B. e Crahay), la sua espunzione può esser considerata volontaria (e del resto il contesto suggerisce chiaramente che si sta parlando della lunghezza delle vesti). 4 Unica attestazione; tali sono pure: 70.24 “Cignum” (B.140,19 “Cygnum”) [Forcellini, Onomast.]; 90.4 “maratrum” (B.146,21-2 “marathrum”) [Du Cange; Thesaurus]; 118.21 “tropheo” (B.155,11 “tropaeo”) [Forcellini; Du Cange]. 5 Su 20 casi di coniugazioni di ‘nosco’, 14 sono contratte; nella presente edizione, inoltre, è stato normalizzato “authoris”, che, insieme all’“authorem” di 148.30, è diventato “aucto-” perché a 132.29 vi è “auctorem” (v. ‘Tavola delle emendazioni’, dove i casi di normalizzazione vengono segnalati solo alla loro prima ricorrenza). 6 Senza ‘n’ anche in 68.27.

NOTA AL TESTO LATINO

128,24 grabati 129,36 reputantur 130,9 exceptis rimulis [Fr.] 130,12 semichoturnis 130,35 In atriis 131,16 coetu 131,27 orent Deum Coeli. [Fr.] 132,21 Homines sic etiam [Fr.] 133,4 exercentur alphabetis 134,18 in proceritate, vivacitate ac [Fr.] 136,9 *Sanctus 136,12 communitatem uxorum [Fr.] 136,18 quamcumque 138,17 honeste, etc.”, 138,20 felices 139,17 proeliis

XLV

34.2 grabata7 38.35 reputatur 38.11 exceptis vinculis 38.14 semicothurnis 40.9 At in atriis 42.3 caetu8 42.19 orent Deum. 46.3 Homines etiam 46.34 exercentur in alphabetis 52.7 in proceritate ac 56.37 Sanctus9 58.1 communitatem 58.10 quamcunque 64.30 honeste”, 64.34 foelices10 68.7 praeliis11

7 ‘Grabatum -i’: è probabile che sia una reminiscenza evangelica (“Tolle grabatum tuum et ambula” Mr. 2,4-12), anche se non è dalla Bibbia che si può desumere il genere (infatti le Novae Concordantiae riportano sia ‘Grabatus’ che ‘Grabatum’); dai lessicografi si apprende che nel latino classico era maschile, e nel latino cristiano è passato al neutro (Isidoro, XX XI: “Grabatum Graecum est”; tuttavia un suo commentatore lo considera un lapsus o un errore: “Grabatum neutro genere apud antiquiores vix reperietur; Graece est ‘kràbatos’... Ciceroni, Martiali et aliis, masc. gen. grabatus pro lecto humili, in quo mendici cubabant et meretrices diobolares. Fortasse apud Isidorum legendum grabatus” [PL LXXXII, 1049]); e lo stesso Du Cange lo registra solo come neutro (attribuendo al latino classico la forma maschile), citando appunto il summenzionato passo evangelico. In Theol. XIV, p. 33 ricorda che “il vescovo Spiridione riprende il confratello suo Trifillo, che predicando non aveva voluto usare come troppo duro il vocabolo evangelico ‘grabato’ [=grabatum] e l’avesse sostituito con ‘lettuccio’ [=lectulum]”. 8 Anche se i lessici non riportano la forma ‘cae-‘, non s’impone la correzione (accolta anche da Crahay), perché unica attestazione in Civitas, dove questa dittongazione è spesso sui generis (es.: ‘caeterus’; ‘caelestis’ e ‘coelum’). 9 È il sottostante “glossa” (56.40) che va postillato, perché la nota bibliografica campan. rinvia alla “glossa” e non all’epistola di S. Clemente. Un caso analogo poco oltre: al periodo che comincia con “At qui” (62.7), B. appone questa nota: “In margine: ‘Vigor evangelii non potest totus naturaliter nosci’. Nell’ediz. del ’23 manca. Qui è fuori posto: forse andrebbe riferita al passo che precede: ‘Nihilominus mittunt ad explorandum mores nationum et meliores semper amplectuntur’, a cui nel testo italiano segue una frase di contenuto analogo”. In realtà è per mancanza di spazio, a causa di due corpose glosse adiacenti, che il proto seicentesco non ha potuto porre questo commento al margine che gli spettava, e cioè proprio dove B. ha giustamente indicato. Analogamente dicasi a 144.13, ma stavolta dovuto a un’erronea punteggiatura in B. 10 Aggettivo e sostantivo (64.40) sempre dittongati ‘oe’. 11 Dittongo ‘ae’ in tutti i casi sostantivati e verbali.

XLVI

LA CITTÀ DEL SOLE

140,15 machaeram 140,22 deiiciunt [Fr.] 143,22 Ac si 145,3 Cancacinae 146,14 quod a Deo 146,33 exscreare 151,16 criminibus; deinde sua publice confitetur; deinde sacrificium [Fr.] 152,18 naviter 152,30 perystiliis 154,29 in hoc et in multis Aristotelem [Fr.] 156,2 supranaturalibus [Fr.] 159,6 planetarum

12

70.19 macheram12 70.28 deiiciuntque13 80.18 At si 84.31 Caucacinae14 88.34 quando a Deo 90.21 excreare15 106.6 criminibus; deinde sacrificium16 108.20 noviter 110.1 peristyliis 116.18 in hoc Aristotelem 122.2 supernatibus17 132.24 planctarum18

Così anche tre righi sotto. Il “deiiciunt” della Fr., adottato anche da Crahay, p. 142, forse è formalmente più corretto, correlandolo a T.70.35 (“tirano e gettano”; per cui avrebbe potuto essere ‘deiiciunt prosternuntque’) e ad una possibile influenza del “deiiciuntque” di 70.24; tuttavia l’ortografia, pur con tutti i limiti della punteggiatura editoriale seicentesca, sembra voler circoscrivere paradittologicamente i due predicati correlati; donde l’opzione per una soluzione conservativa, sospettando una volontà autoriale sia in questo caso che in quello analogo di 96.19, dove un “aliaque” di Fr. (anch’esso accolto da Crahay, p. 170) è diventato “alia” in P. 14 T., R., L. riportano “Caucacina”, mentre in scritti latini usa: “Cocinchinensium” (SL, p. 528, pur con varie oscillazioni dei mss: cfr Firpo 1954, p. 1308); dunque questa forma potrebbe esser un mero calco dell’italiano, sebbene in SL (p. 962) ci sia un “Cochincina”. 15 V. 54.30: “excrementa excernunt” senza ‘s’. 16 Lacuna o cassatura? Lacuna: è un omoteleuto (come ad es. a 68.11 – v. ‘Tavola delle emendazioni’); cassatura: Fr.: “eiusmodi criminibus; deinde sua publice...”: essendoci una correzione nell’intorno adiacente, qui si accoglie la lezione seriore, anche per ragioni contenutistiche (v. n.104.24-37). 17 Anche Crahay, p. 198 lo mantiene invariato. A 142.29 “supernaturales” (nessun caso invece di ‘supranaturalis’) si riferisce ad eventi trascendentali, mentre in questo caso allude, come dice T., a “cose sopracelesti”, cioè a entità che si trovano al di là del cielo (a quale cielo, poi, C. stia pensando, non saprei indicarlo con sicurezza: può essere quello oltre Saturno, e dunque l’anello zodiacale, in base a un’erronea teoria astrologica che identifica apogei ed esaltazioni dei pianeti; oppure si tratta del cielo delle stelle fisse, perché poco sotto [124.27] i Solari s’interrogano sull’esistenza di altri mondi: e la “simpatia” potrebbe esser un indizio dell’esistenza di tali universi paralleli). L’Au. ripristina in P. la ‘lectio difficilior’; infatti ‘supernas -atis’ significa: proveniente dal ‘mare superum’, cioè l’Adriatico (con es. di Vitruvio), ed estensivamente “qui est supra”, con es. di Plinio (Forcellini); il ricorso a un ‘supernas’ gli permetteva così d’instaurare un duplice sistema oppositivo: da un lato si contrappone a ‘inferiora’, al basso, cioè alla Terra, e dall’altro a ‘supernaturalia’, che alluderebbe a un’oltremondanità non più fisica. 18 “Planctarum” è grafia corrotta per “plantarum” (136.1: “plantas”): naturalmente le piante, e non i pianeti, possono esser dissezionati, come del resto conforta la redazione italiana. 13

NOTA AL TESTO LATINO

161,19 cum seminant... cum putant 161,n. Thomas p. 1, et 3 con. [Gen.] 5 162,33 fundatur 165,37 statuerit

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142.24 cum seminat... cum putat19 144.28 Thomas P[rima] P[ars] et 3 Con[tra Gentiles] 85.20 148.3 fundantur 158.16 statuerat21

Tavola delle emendazioni Sono qui elencate, con sola indicazione di nostra pagina.rigo, le varianti reputate evidenti lacune, errori o disomogeneità di grafia, corrette alla luce generalmente della Fr. e quasi sempre concordanti con la B.; pertanto, per praticità, saranno indicati con [-Fr.] e (-B.) solo i casi in cui la forma emendata non è presente in Fr. e/o non è proposta da B. 2.17 gubernetur