La Bibbia dei pagani. Testi e documenti [Vol. 2]
 8810402669

Citation preview

Il rapporto tra cristiani e pagani nei primi quattro secoli è di solito af­ frontato privilegiando, in base all'esperienza della nuova religione, il concetto di persecuzione/tolleranza. Tale impostazione privilegia il rapporto istituzionale con l'amministrazione dell'Impero, mentre la reazione pagana coinvolse il complesso mondo della cultura, rappre­ sentato soprattutto dai filosofi e dai letterati. La presente ricerca, in due volumi, analizza i documenti e le testimo­ nianze che ci trasmettono gli argomenti usati dai pagani contro i cri­

stiani e, in particolare, contro il loro uso della Bibbia, in quanto testo autorevole della fede. In tal modo il conflitto tra paganesimo e cristia­ nesimo nei secoli II-IV dell'Impero è allargato nella percezione di un conflitto tra due universi culturali. Il primo volume - Quadro storico - traccia un profilo dei principali oppositori pagani al cristianesimo e delle argomentazioni da loro svi­ luppate. Il secondo volume- Testi e documenti- presenta 715 brani di autori pagani, con indicazione bibliografica di reperimento, ambien­ tazione storico-letteraria e traduzione italiana. Il tutto costituisce un vasto capitolo sullo scontro tra la cultura classica, la tradizione giudaica e la fede cristiana. Un capitolo da rivedere, per­ ché gli storici hanno finora approfondito la documentazione patristica e rabbinica, in piccola parte quella gnostica, quasi niente quella pagana.

GIANCARLO RrNALDI, nato a Napoli ne11952, si è laureato in Filosofia nel1974 con una tesi in Religioni del mondo classico. Ha lavorato come assistente presso la Cattedra di Storia greca e romana nel­ l'Università degli studi di Napoli «Federico II» e successivamente come ricer­ catore presso il Dipartimento di Discipline storiche (sezione Studi storico­ religiosi). È dal1994 in servizio presso l'Istituto Universitario Orientale di Na­ poli. La sua specializzazione è la storia religiosa dell'Impero romano con par­ ticolare riguardo al cristianesimo antico.

È stato Visiting Professar presso l'European Nazarene Bible College e negli USA. È presidente della Confederazione nazionale delle Università popolari italiane (CNUPI). Dal1994 è membro del Consiglio direttivo della Società Bi­ blica in Italia. Ha pubblicato ricerche sulle seguenti riviste scientifiche: Sileno, Koinonia, Augustinianum, Annali di storia dell'esegesi, Servitium, Orpheus, Rivista Bibli­ ca Italiana, Vetera Christianorum, Protestantesimo e inoltre ha pubblicato Bi­ blia Gentium. Primo contrib11to per un indice delle citazioni, dei riferimenti e delle allusioni alla Bibbia in autori pagani, greci e latini di età imperiale, Roma 1989; Le sette lettere dell'Apocalisse di Giovanni. Problemi storici e testimo­ nianze archeologiche, Roma 1984. In copertina: «Alexamenos adora ( il suo) Dio>> è la scritta che accompagna questa raffi­ gurazione caricaturale pagana di un cristiano che venera con un bacio un crocifisso con la testa d'asino. Il graffito risale al III secolo d.C. ed è stato trovato a Roma nel paedago­ gium del Palatino.

ISBN 88-10-40266-9

9

78881 o 402665

collana LA BIBBIA NELLA STORIA diretta da Giuseppe Barbaglio

La collana si caratterizza per una lettura rigorosamente storica delle Scritture sacre, ebraiche e cristiane. A questo scopo, i libri biblici, oltre che come documenti di fede, saranno presentati come espressione di determina­ ti ambienti storico-culturali, punti di arrivo di un lungo cammino di espe­ rienze significative e di vive tradizioni, testi incessantemente riletti e re­ interpretati da ebrei e da cristiani. Si presuppone che la religione biblica sia essenzialmente legata a una st01ia e che i suoi libri sacri ne siano, per definizione, le testimonianze scrit­ te. Più da vicino, ci sembra fecondo criterio interpretativo la comprensione, criticamente vagliata, della Bibbia intesa come frutto della storia di Israele e delle primissime comunità cristiane suscitate dalla fede in Gesù di Nazaret e, insieme, parola sempre di nuovo ascoltata e proclamata dalle generazioni cristiane ed ebraiche dei secoli post-biblici. Il direttore della collana, i collaboratori e la casa editriçe si assumono il preciso impegno di offrire volumi capaci di abbinare alla serietà scientifica un dettato piano e accessibilç: a un vasto pubblico. Questi i titoli programmati: l. L'anibiente stotico-culturale delle Scritture ebraiche (M. Cimosa) 2. Da Mosè a Esdra. I libri stotici dell'antico Israele (E. Cortese: 1985) 3. I profeti d'Israele:, voce del Dio vivente (G. Savoca: 1985) 4. I sapienti di Israele (G. Ravasi) 5. I canti di Israele. Preghiera e vita di un popolo (G. Ravasi: 1986) 6. La letteratura intertestamentaria (M. Cimosa: 1992)

7. L'ambiente storico-culturale delle origini cristiane. Una documentazione ragionata (R. Penna: 31991) 8. Le prime comunità cristiane. Tradizioni e tendenze nel cristianesimo del­ le origini (V. Fusco: 1996) 9. La teologia di Paolo (G. Barbaglio) 10. Evangelo e Vangeli. Quattro evangelisti, quattro vangen quattro destinatari (G. Segalla: 1993) 11. Gesù di Nazaret (G. Barbaglio) 12. Gli scritti della tradizione paolina (R. Fab1is) 13. Omelie e catechesi cristiane nel I secolo (G. Marconi: 1994) 14. L'Apocalisse e l'apocalittica del Nuovo Testamento (B. Corsani: 1997) 15. La Bibbia nell'antichità cristiana (a cura di E. Norelli) I. Da Gesù a Origene (1993) II. Dagli scolari di Origene al V secolo 16. La Bibbia nel Medioevo (a cura di G. Cremascoli- C. Leonardi: 1996) 17. La Bibbia nell'epoca moderna e contemporanea (a cura di R. Fabris: ·

1992) 18. La lettura ebraica delle Scritture (a cura di S.J. Sierra: 21996) 19. La Bibbia dei pagani. I. Quadro storico (G. Rinaldi: 1998) 20. La· Bibbia dei pagani. II. Testi e Documenti (G. Rinaldi: 1998)

Giancarlo Rinaldi

LA BIBBIA DEI PAGANI II

Testi e Documenti

EDIZIONI DEHONIANE BOLOGNA

@

1998 Centro editoriale dehoniano Via Nosadella, 6 - 40123 Bologna

ISBN 88-10-40266-9 Stampa: Grafiche Dehoniane, Bologna 1998

Abbreviazioni

PUBBLICAZIONI PER10DICHE

AAT AB AbhLeipziger AC AÉ AEHE V" AHR AJAH AJPh AJSReview AlTh AmerStudPap AncSoc APAW APF A&R ArchPap 'AQX· 'E. ARW ASE ASNP AuC AugSt AusCaRec BA BAGB BAR BASOR BCH

Atti della Regia Accademia delle Scienze di Torino Analecta Bollandiana Abhandlungen der Siichsischen Akademie der Wissen­ schaften. Leipzig L'Antiquité Classique L'Année épigraphique Annuaire de l'École pratique des Hautes Études, V" sec­ tion, Se. Relig American Historical Review American Joumal of Ancient History American Joumal of Philology Association for Jewish Studies Review American Journal of Theology American Studies in Papyrology Ancient Society Abhandhmgen der kgl. Preussischen Akademie der Wis­ senschaften Archiv fllr Papyrusforsc/umg Atene e Roma Archiv· fiir Papyrusforsc/umg . 'AQXULOÀOYL'X.TJ 'E'lli-I.EQ(.ç Archiv ftir Papyrusforschung und verwandte Gebiete Annali di Storia dell'Esegesi Annali della Scuola Normale di Pisa Antike und Christentum Augustinian Studies Australasian Catholic Record Biblica[ Archaeologist Bulletin de l'Association G. 13udé Biblica[ Archaeology Review ' Bulletin of the American Schools of Orientai Research Bulletin de Correspondance Hellénique 5

BenMschr Bibl BIFAO BiLeb BiRes BLE BSAF BuisrExplSoc ByzJ ByzSlav ByzZ BZ ccc

CE C&M ChH CISA Cl

CPh CQ CQR CR CRAIBL CrSt cw

DHA DLZ I) QP

DR DRwt E& W EHR ET ETL GIF GRBS HAR HStCLPh HThR HUCA 6

Benediktinische Monatsschrift zw· Pflege religiè;isen wtd geistigen Lebens Biblica Bulletin de l'institut français d'archéologie orientale Bibel und Leben Biblica[ Research Bulletin de Littérature Ecclésiastique Bulletin de la Société des Antiquaires de France Bulletin of tlte Israel Exploration Society Byzantine Joumal Byzantinoslavica. Revue intemationale des études byzan­ tines Byzantiitischen Zeitschrift Biblische Zeitschrift Civiltà. Classica e Cristiana Chronique d'Égypte Classica et Mediaevalia Church History Contributi dell'Istituto di Storia antica dell'Università Cattolica çlel Sacro Cuore di Milano Classica[ Journal Classica[ Philology Classica[ Quarterly Church Quarterly Review Classica[ Review Comptes rendus de l'Académie des Inscriptions et Belles­ Lettres Cristianesimo nella storia The Classica[ World Dialogues d'Histoire AncieJtne Deutsche Literaturzeitung ftlr Kritik der internationalen Wissenschaft Dumbarton Oaks Papers Downside Review Deutsche Ru.ndschau East and West English Historical Review Expository Times Ephemerides Theologicae Lovanienses Giornale Italiano di Filologia. Rivista trimestrale di cul­ tura Greek, Roman and Byzantine Studies Hebrew Annua[ Review Harvard Studies in Classica[ Philology Harvard T/teologica[ Review Hebrew Union College Anmtal ·

·

IntRevMiss JbAC JEH JJP JJS JQR JR JRS JSJ JSNT JThS LÉ C MB MCom MGWJ MH

MHA MSR MilTZ NAWG ND NKZ NT NTS oc

OrChrP os

PCA PdP POC ProcBritAcad QC RBi RC RÉA R ÉAug RecAug RecSR RÉJ R ÉL

' International Review of M{ssion Jahrbuch flir Antike & Christentum Journal of Ecclesiastica[ History Joumal of Juristic Papyrology Journal of Jewish Studiès Jewish Quarterly Review Joumal of Religion Joumal of Roman Studies The Journal for the Study of Judaism Journal for the Study of the New Testament Journal of Theological Studies Les Études Classiques Musée Beige Miscelanea Comillas. Revista de· estudios hist6ricos Monatsschrift flir Geschichte und Wissenschaft des Ju­ dentums Museum Helveticum. Memoiras de Historia Antigua Mélanges de Science Religieuse Miinchener Theologische Zeitsc!trift Nachrichten der Akademie der Wissenschaften in Gottin­ gen, Philol. - Hist. Klasse Nuovo Didas.caleion Neue Kirchliche Zeitsc!trift Nuovo Testamento . New Testament Studies Oriens C!tristianus. Hefte flir die Kunde des c!tristlichen Orients Orientalia Christiana Periodica L'Orient Syrien Proceedings of the Classica[ Association La Parola del Passato Proche Orient Chrétien Proceedings of the British Academy Quaderni Catanesi Revue Biblique Revue critique d'histoire et de littérature Revue des Études Anciennes Revue des Études Augustiniennes Recherches augustiniennes Recherc!tes de §cience Religieuse Revue des Études Juives Revue des Études Latines ·

7

Re!StR RelStud Rend. PARA RET RevBen RFC RFIC RFN RH RHDFE RHE RhM RHPhR RHR RicStBib RicStRel RIL RivA C RivBib ROC RPAA RPh RQA RQH RR RSA RSCI RSI RSLR' RSPh RSR RStCZ

RThPh R UB SAB SCI Scuole SDHI SecC SEG SEJG SIFC 8

Religious Studies Review Religious Studies Atti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia; s. III, rendiconti Revista espanola de Teologia Revue Bénédictine Rivista di Filologia Classica Rivista di Filologia ed Istruzione Classica Rivista di Filosofia Neoscolastica Revue historique Revue historique de Droit françois et étranger Revue d'histoire ecclésiastique Rheinisches Musewn Revue d'Histoire et de Philosophie Religieuses Revue de l'Histoire des Religions Ricerche Storico Bibliche · Ricerche di Storia Religiosa Rendiconti dell'Istituto Lombardo, Classe di Lettere, Scienze morali e storiche Rivista di.Archeologia Cristiana Rivista Biblica Italiana Revue de l'01·ient chrétien " Rendiconti della Pontificia Accademia di Archeologia Revue philologique Romische Quartalschrift fllr chriStliche Altertumskunde wtd fllr Kirchengeschichte Revue des questions historiques Revue Réformée Rivista storica dell'antichità Rivista di Storia della Chiesa in Italia Rivista Storica Italiana Rivista di Storia e Letteratura Religiosa Revue des Sciences Philosophiques et Théologiques Revue des Sciences Religieuses Rivista di Studi Classici Revue de Théologie et de Philosophie Revue de l' Université de Bruxelles Sitzungsberichte der Deittschen Akademie der Wissen­ schaften zu Berlin Scripta Classica Isfaelica La Scuola· Cattolica Studia et Documenta Historiae et Iuris The Second Century Supplementum Epigraphicum Graecum Sacris Erudii-L Jaarbo.ek voor Godsdienstwetenschappen Studi italiani dì filologia classica ·

·

SMSR

so

StPatr StStor StTh Th& Gl ThBl ThLZ ThQ ThSK ThZ TPAPhilolAss TS VD VetChr VigChr ViPe VT ZKG ZKTh ZNTW ZPE ZPhF ZTK ZWT

Studi e materiali di storia delle religioni Symbolae Osloenses Studia Patristica Studi Storici Studia Theologica TheoÌogie und Glaube Theologische Bliitter Theologische 4iteraturzeitzmg Theologische Quartalschrift Theologische Studien zmd Kritiken Theologische Zeitschrift Transactions and Proceedings of the American Philolo­ gical Association Theological Studies Verbum Domini Vetera. Christianorum Vigiliae Christianae Vita e Pensiero Vetus Testamentwn Zeitschrift ftlr Ktrchengeschichte Zeitschrift fiir Katholische Theologie Zeitschrift filr Neutestamentliche Wissenschaft Zeitschrift flir Papyrologie wtd Epigraphik Zeitschrift fiir Philosophische Forschung Zeitschrift fiir Theologie wtd Kirche Zeitschrift fiir wissenschaftliche Theologie ·

1 VOLUMI, COLLEZIONI, SAGGI VARI

AoLER = M. ADLER, «The emperor Julian . 591-651

and the Jews»,

in JQR 5(1893),

1 Le bibliografie presentate in questo lavoro no.n hanno pretese di completezza (esistono bibliografie complete?); esse, invece, perseguono, più realisticamente, il fine dell'utilità per il lettore. Chi scrive è grato alla Direzione ed al personale delle se­ guenti prestigiose e ben funzionanti biblioteche di Roma senza la cui frequentazione questa ricerca sarebbe stata irrealizzabile: Pontificio Istituto Biblico, Deutsches Ar­ chliologisches lnstitut, lnstitutum Patristicum Augustinianum, Abbazia di San Nilo a Grottaferrata. È evident e che il lettore desideroso di ampliare ed aggiornare il panorama biblio­ grafico qui accennato farà ricorso ai clas sici repertori uiilizza,bili per i relativi settori. Studi biblici: Elenchus Bibliographicu.s Biblicu.m; mon do classico: Année philologi­ qlte; studi patr istici: Bibliographia Pat1'istica. La rivista A1tnali di Storia dell'Esegesi cost itui sc e uno strumento di aggiornamento anche b ibliografico indis pens abile per que sto àmbit o disciplin are.

9

ALFOLDI = A. ALFOLDI, «A Festival of Isis in Rome under the Christian Emperors of the Ivth Century», in Diss. Pannon. , serie II, 7, Budapest 1937 ALLARD = P. ALLARD, Julien l'Apostat, Paris 1906-1910, 3 voll. ALTANER = B. ALTANER, Patrologia, tr. it., Torino 41968, 71977 ALTiiEIM = F. ALTHEIM- R. STIEHL, «New Fragments of Greek Philo­

sophers. IL Porphyry in Arabic and Syriac Translation», in E& W 13(1962), 3-15 ANASTOS = M.V. ANASTOs, «Porphyry's attack on the Bible», in The Classi­ ca[ Tradition.. LiteraJy and historical studies in honour of H Caplan, a cura di L. WALLACH, Ithaca, U.S.A., 1966 ANDRESEN = C. ANDRESEN, Logos und Nomos. Die Polemik des Kelsos wi­ der das Christentum, (Arbeiten zur Kirchengeschichte 30), Berlin 1955 ANR'W = Aufstieg und Niedergang der romischen Welt. Geschichte und Kul­ tur Rom.s im Spiegel der neueren Forschung, Berlin-New York 1 972 ss APPLEBAUM = S. APPLEBAUM, Judaea in Hellenistic and Roman Times Histo­ rical and Archaeological Essays, (Studies in Judaism in late Antiquity XL), Leiden 1989 ARCE = I. ARCE, Estudios sobre el Emperado r FL CL Juliano (Fuentes literarias. Epigrajfa. Numismatica), Madrid 1984 ARNHEIM = M.T.W. ARNHEIM, The Senatorial Aristocracy in the Later Ro­ man Empire, Oxford 1972 AsMus = R. AsMus, Julianus· Galillierschrift im Zusammenhang mit seinen iibrigen Werken, (Beilage zum. Jahresbericht des Grossherzoglichen Gymnasium zu Freiburg i Br.), Freiburg i Br. 1904 AT = Antico Testamento ATHANASSIADI =P. ATHANASSIADI FoWDEN, Julian and Hellenism. An Intel­ lectual Biography, Oxford 1981 AUBÉ = B. AUBÉ, Histoire des persécutions de l 'Église. La polémique pai"emt� à la fin du Il" siècle, Paris 21878 AuooLLENT = A. Auoo LLENT, Defixioiwm tabellae quotquot innotuenmt tam in Graecis Orientis q uam in totius Occidentis partibus, praeter Atti­ cas in CIA editas, Parisii 1904 Avr-YoNAH = A. Avr-YoNAH, The Jews of Palestine. A Politica[ Histo1y front the Bar Kokhba War to the A rab Conquest, tr. ingl., Oxford 1976 AzrZA = C. AzrZA, «Julien et le Judatsme», in L'Empereur Julien. De l'hi­ stoire à la légende, a cura di R. BRAUN e J. RICHER, Paris 1978, I, 141-158 BAARDA, «Tatian» =T, BAARDA, «LliA>, in OIKO UMENE 1964, 523-533

CoRSARO

=

Scritture», in

14

Quaestiones = F. CoRSARO, Le Quaestiones nell'«Apocritico» di Macario di Magnesia, Catania 1968 CORSARO, «Reazione» =F. CoRSARO, «La reazione pagana nel IV secolo e l'Apocritico di Macario di Magnesia», in QC 6(1984), 173-195 CoRSINI =E. CoRSINI, «L'imperatore Giuliano tra Cristianesimo e neoplato­ nismo», in Il «Giuliano l'Apostata» di A. Rostagni. Atti dell'incontro di studio di Muzzano del 18.10.1981 , a cura di I. LANA, Torino 1983, 45-56 ·CouRCELLE = P . CoURCELLE, «Critiques exégétiques et arguments antichré­ tiens rapportés par Ambrosiaster», in VigChi· 13(1959), 133-169 CouRCELLE, «Consultationes» = P. CouRCELLE, «Date, source et genèse des "Consultationes Zacchaeì et Apollonìi">>, in RFIR 146(1954), 174-193 CoURCELLE, «Les Sages» = P. CouRCELLE, «Les Sages de Porphyre et les "Viri novi" d'Arnobe», in REL 31(1953), 257-271 CouRCELLE, Lettres grecques = P. CouRCELLE, Les lettres gtecques en Occi­ dent de Macrobe à Cassiodote, Paris 1943, 21948 CoURCJ?LLE, «Polemiche anticristiane» =P. CouRCELLE, «Polemiche anticri­ stiane e platonismo cristiano: da Arnobio a sant'Ambrogio», in MoMI­ GLIANO, Conflict, 165-197 CouRCELLE, «Propos antichrétìens» =P. CouRCELLE, ·«Propos antichrétiens rapportés par saint Aùgustin», in RecAug 1(1958), 149-186 CPG = M. GEERARD, Clavis Patrum Graecorum, Turnhout 1974ss CPl = V.A. TCHERIK9YER A. FuKS et Alii, Corpus Papyrorum Judaicarum, Cambridge, Mass., I, 1957; II, 1960; III, 1964 CPL = A. DEKKERS, Clavis Patrum Latinorum, Steenbrugis 1995 CPS. G = Cotona Patrum Salesiana. Serie Greca, Torino CRAcco RuGGINI =L. CRAcco RuGGINI, «Pagani, ebrei e cristiani: odio so-· ciologico e odio teologico nel mondo antico», in Gli ebrei nell'Alto Me­ dioevo, (S�ttimana di Studio del Centro Italiano di Stu�i sull'Alto Me­ dioevo, XXVI), l, Spoleto 1980, 13-101 .CRAcco RuGGINI, «Ambrogio» =L. CRAcco RuGGINI, «Ambrogio e le op­ posizioni anticattoliche fra il 383 e il390», in Augustinianum 14(1974), 409-449 CRAcco RuGGINI, «Cinquantennio» = L. CRAcco RuGGINI, «Un cinquanten­ nio di polemica antipagana a Roma», in Paradoxos Politeia. Studi patri­ stici in onore di G. Lazzati, Milano 1979, 119-144 CRAcco RuGGINI, >, in ND 3(1949), 41-56 FRASSINE'ITI, «Porfirib. esegeta>> P. FRASSINETTI, «Porfirio esegeta del pro­ feta Daniele», in RIL 86(1953), 1 94-210 FREDA ,;, GIULIANO AuousTo, Discorsi contro i Galilei, trad. G. Freda, Pa­ dova 1977 FREND W H C. FRENO, «Prelude to the Great Persecution: The Propa­ ganda War», in JEH 38(1987), 1-18 FREND, Church W.H. C. FREND, The Church in the Reign of Constantius Il (337-361). Mission Monasticism - Worship, (Entretiens sur l'Antiquité C!assique XXXIV) , Vandoeuvres-Genève 1989, 73-11 1 FREND, «Links» = W.H. FREND, «Some Links between Judaism an d the Early Church», in JEH 9(1958), 141-158 FREND, «Monks» = W H C FREND, «Monks and the end of Greco-Roman Paganism in Syria and Egypt», in CrSt 11(1990), 469-484 FUNI< = F.X. FuNK, Patres Ap ostolici, Il, Tubingae 1901 GABBA = E. GABBA, Iscrizioni gre che e latine per lo studio della Bibbia, To­ rino 1958 GAGER = J. GAGER, «The Dialogue of Paganism with Judaism: B ar Cochba to Julian», in H UCA 44(1973), 89-118 GAGER, A n ti semitism = J.G. GAGER, The Origins of an ti semitism Attitudes '' . toward Judaism in Pagan and Christian Antiquity, New York-Oxford 1983 ==

==

·

==

==

==

.

.

==

-

.

-

.

.

-

19

Moses = J.G. GAGER, Moses in Graeco-Roman Paganism, Nash­ ville-New York 1972 GAGER, Tablets = J. G . GAGER, Curse Tablets and Binding Spells from the Ancient Worlcl, New York-Oxford 1992 GALLAGHER = E. V. GALLAGHER, Divine man or magician? Celsus and Ori­ gen on Jesus, (Soc. Bibl. Let. Dissert. Series 64), Chico 1982 GARDNER = A. GARDNER, Julian, philosopher and emperor, and the last struggle of Paganism against Christianity, New York-London 1895 GAUDEMET, «Législation» = J. GAUDEMET, «La législation anti-pa'ienne de Constantin à Justinien», in CrSt 11(1990), 448-468 GCS = Die griechischen christlichen Schriftsteller, Leipzig-Berlin 1897ss GEFFCKEN = J. GEFFCKEN, Der Ausgang des griechisch-romischen Heiden­ tums, Heidelberg 21929, (tr. ingl., Amsterdam-New York-Oxford 1978) GEFFCKEN, Zwei griech. ApoL = J. GEFFCKEN, Zwei griechische Apologeten, Leipzig7Berlin 1907 GIGON = O. GmoN, Die antike Kultur und das Christentum, Giitersloh 1966, tr. sp., Madrid 1970 . GINZBERG = L. GINzBERG, The Legends of the Jews, Philadelphia,' USA, 1913-1938, voll. I-VII GLNT = Grande Lessico del Nuovo Testamento, tr. it. del Theologisches Worterbuch zum Neuen Testament, a cura di G. KrrrEL e G. FRIEDRICH, Stuttgart 1933ss, Brescia 1965ss . GLOVER = T.R. GLOVER, The Conflict of Religions in the Early Roman Empire, London 91920 GOLDSTEIN = N.W. GOLDSTEIN, «Cultivated pagans and ancient antisemi­ tisrn», in JR 19(1939), 346-364 GooDENOUGH = E.R. GooDENOUGH, Jewish Symbols in the Greco-Roman Period, 13 voll., New York 1953-1968 OooDMAN = M. GooDMAN, Il proselitismo ebraico nel primo secolo, in LIEU ­ NoRTH - RAIAK, 81410 GouGAUD = L. GouGAUD, «Les critiques formulées contre les premiers moi­ nes d'Occident», in Revue Mabbilon 24(1934), 145-163 GoULET = R. GouLET, «Porphyre et Macaire de Magnésie», in StPatr 15(1984), 448-452 GOULET, «Intellectuels» = R. GouLET, «Les Intellectuels pa'iens dans l'Em­ pire chrétien selon Eunape de Sardes», in AEHE, ve sect. 88 (19791980), 313-316 GouLET, «Porphyre et la datatiom> . = R. GoULET, >, in Die Religion in Ge­ schichte und Gegenwart, Tllbingen 3 1957, I, 436-449 LACHS = S.T. LACHS, «Rabbi Abbahu and the Minim», in JQR 60(1970), · 197-212 LANATA = CELSO, Il discorso vero, a cura di G. LANATA, Milano 1987 LANATA , «Addendum>> = G. LANATA, «Il discorso vero di Celso. Un adden­ dum bibliografico», in Paideia 48(1993), 277-282 LANATA, >, in JPFC, I, 1101-1159 SmUBBE J.H.M. SmuBBE, «Curses Against Violation of the Grave in Je­ wish Epitaphs from Asia Minor», in Studies in Early Jewish Epigraphy, a cura di J.W. VAN HENTEN - P.W. VAN DER HoRsT, (Arbeiten zur Ge­ schichte des antiken Judentums und das Urchristentum .21), Leiden 1 994, 70-105 SuKENIK = E.L. SuKENIK, Ancient Synagogites in Palestine and Greece, (The Schweich Lectures of the British Academy), London 1934 TCGNT = B.M. METZGER et Alii, A Textual Commentary on the Greek New

STEIN, «Bibelk.ritik»

=

Testament. A Companion Volume to the United Bible Societies Greek New Testament London-New York 1971 THORNTON = T C G . ThoRNTON, «The Destruction of ldols - Sinful or meri­ ,

.

.

torious», in JThS 37(1986), 121-129

TRE

=

Theologische Realenzykloplidie, Berlin-New York 1976ss

TREBILCO = P. TREBILCO, Jewish Communities in Asia Minor, (S oc. for NT S tudies Monograph Series 69), Cambridge 1 991 TROIANI = L. ThoiANI, Commento storico al «Contro Apione» di GiLtseppe, .

Pisa 1 977 · = F. TROJviBLEY, Hellenic Religion and Christianization c. 370529, Il, Leiden 1994 TU = Texte und Untersuchungen zur Geschichte der altchristlichen Litera­ tur, Leipzig-Berlin 1882 VACCARI A. VACCÀRI, «La "teoria" esegetica della scuola antiochena», in In., Scritti di erudizione e di filologia, Roma 1952, I VAGANAY = L. VAGANAY , s.v. «Porphyre»; in D ThC, 1 935, XII, 2555-2590 VARONE = A. VARONE, Presenze giudaiche e cristim�e a Pompei, (Quaderni dell'Associazione p er lo Studio e la Divulgazione dell'Archeologia Biblica 1), Napoli 1979 VERMANDER = J.M. VERMANDER, «Th éophile d'Antio che contre Celse: A Autolycos III», in REA 17(1971), 203-22$ VERMAND ER,

. Cf. anche la nota al n. 91. Sul feno­ meno delle eversiones dei templi pagani, che costituisce la principale denun­ cia di questa orazione di Libanio, cf. vol. I, pp. 365ss. •

11. Numenio ritiene possibile l'interpretazione allegorica delle Scritture NUMEN., de bono ap. OR., Ce/s. 4,51

=

fr. lOa Des Places.

Egli ( Numenio) cita pure la storia di Mosè, di Jannes e di Jam­ bres, e sebbene in essa noi non siamo certo magnificati, pure stimia=

50

mo Numenio più di Celso e degli altri greci, dacché ha voluto esami­ nare con animo erudito ( LÀ.O!J.C1.0&ç) anche le nostre Scritture, ed è stato indotto a considerarle suscettibili di allegoria (JtEQL 'tQO:JtoÀo­ you �-t évrov) , non piene di idee strambe. Il brano di Numenio al quale qui si allude è quello riportato al n. 125 al quale pertanto rimando anche per quanto riguarda il commento. La biblio­ grafia relativa al pensiero filosofico e teologico di Numenio è raccolta e di­ scussa da C. MAzzARELLI, «Bibliografia medioplatonica. III. NuÌnenio di Apamea», in RFN 74(1982), 126-159. Sul brano qui riportato in particolare cf. AUBÉ, 217, 241; CHADWICK, 226; CROUZEL, 123; DE LABRIOLLE, Réaction, 160; Dss PLACES, «Numénius et la Bible», 500 nota 19 (su 'tQO:JtOÀ.oye'Lv); Eo­ WARDS, 67-68; GAGER, 105; lo., Anti-semitism, 104-105; HADOT, 236-237; Hu­ LEN, 26; MARTANO, 91-99; MEREDITH, 1 137; PÉPIN, ,Mythe, 459-460. La conti­ nuazione di questo brano è al n. 305.

l2. Numenio interpreta allegoricamente

gli scritti di Mosè

fr. le Des Places. E non ignoro neanche che Numenio, il filosofo pitagorico, il qua­ le ha commentato Platone con acume veramente notevole ed ha ap­ profondito le dottrine pitagoriche, in molti punti delle sue opere cita gli scritti di Mosè e dei profeti (-&ù Mwuaéwç ?V­ 'tctt JtCl)ç &.À.À.11YOQEL'V a'Ò'ta); però alcune non sono suscettibili di un'interpretazione allegorica, ma sono puri e semplici racconti mito­ logici e dei più triviali. .. In ogni caso le allegorie scritte, sembra, su questi racconti sono molto più vergognose e inverosimili dei racconti stessi, quando collegano con una follia stupefacente e del tutto in­ sensata cose che non possono essere conciliate in nessun modo e sot­ to nessun aspetto. Qui Celso si .riferisce ai primi racconti biblici, dalla creazione alla fuga dall'Egitto. In un altro brano Celso, accomunando cristiani e gnostici, con­ danna ancor più il ricorso all'esegesi allegorica delle Scritture: « ... che errore ha commesso il legislatore dei giudei (= Mosè)? E come mai accetti la sua cosmogonia, se presa, come dici in modo genericamente allegorico (-co'Òç; 'tQo:rcoÀoyoiivtaç; 1tat àÀ.ÀrJYOQoii-caç;), o anche la legge dei giudei e lodi tuo malgrado ... il demiurgo di questo mondo ... e poi viceversa lo insulti?», OR., Cel. 6,29. Queste critiche s'intendono alla luce delle metodologie esegetiche (giudaiche, cristiane e gnostiche) che ad Alessandria ebbero il loro centro

52

propulsore. Non è certo il ricorso all'allegoria in sé che turba Celso, ma è l'applicazione di questa ai testi sacri giudaici e cristi"ani. Per Omero tale tipo di esegesi era ben proponibile, secondo le migliori tradizioni alessandrine, ma testi «>); Dooo, 123, 220-221; Scorr, 82 ( «It is possible that be was thinking of Gen 1,2. . . » ) .

27. Lo spirito di Dio che aleggia sulle acque Gen 1 ,2.

Nu�en. ap .

PORPH., antr. lO

=

fr.

30 Des Places.

(I giudei), infatti, credono che le anime dimorano sull'acqua ani­ mata da un soffio divino (8eorcv6cp ) , come afferma Numenio, il qua­ le asserisce pure che per tale motivo il profeta (rcQo 0eéil 0eòç 'X.Ct1:TJQetf.Lévoç), perché questo gli avrebbe prestato la luce?

Qui Celso polemizza contro l'interpretazione ofita del racconto biblico della creazione. Gli ofiti (sui quali cf. la nota al n. 49), di cui lo stesso autore ci tramanda il «diagramma» e alcuni particolari sul rito dell'iniziazione (cf. OR., Cels. 6,25.27), ritenevano che il dio creatore fosse un «dio maledetto» da identificare con il Dio creatore dell'Antico Testamento, cf. il n. 62. Cf. 0-IADWICK, 368; GAGER, Moses, 100; RouoiER, 231.

31 A. D dio «che separa»

in un

giuramento misterico

Gen 1,5ss. PSI 10, 1162. ' [Nel nome del dio che ha se]parate:> la terra dal cielo, [la luce dal­ le tenebre] ed il giorno dalla notte, [ed il cosmo dal c]aos, e la vita dalla mor[te e la nascita dalla] distruzione. Giuro [in fede si]ncera di osservare [e di custodire] i misteri trasmessimi... Il testo, restituitoci da u n papiro d'Ossirinco databile nel III sec. d.C. e che misura c1Il 15,5 x 8,5, fu edito dapprima da V. Bartoletti nella raccolta dei PSI; esso è stato successivamente integrato da V. Wilck en in APF 10(1932), 257-259 e, quind i, commentato con nuovi suggerimenti di integra­ zione da A. MoMIGLIANO, «Giuramento di �aQàmacrtaL? Con tributo alla storia del sincretismo ellenistico», in Aegyptus 13(1933), 179-186. Il primo editore pensò che l'autore fosse un giudeo; F. CuMONT ritenne più probabile identificarlo con un inizia to ai misteri di Mitra (cf. PSI 10, p. XVII ) segulto in ciò da M.J. VERMAS.EREN, Mithras the secret God, Leiden 1963, 130-131 . Il Momigliano ha invece ritenuto che il testo ci riporti la formuia di giuramen­ to utilizzata nelle iniziazioni al culto di Serapide, giungendo quindi alla se­ guente conclusione: « ... nel nostro giuramento appaiono due formule ("che separa il giorno dalla notte"; "la luce dall'oscurità") che sono identiche a quelle che si trovano nel Genesi e quindi nella liturgia giudaica; la quale poi, com'è noto, per la grande (e non ancora degnamente studiata) importanza che dà al concetto del Dio "separatore" ha poi creato altre formule analo­ ghe (ad es. "che separa il giorno sacro dal giorno profano" ecc.)». Un amu l et o magico sincretistico proveniente da Cartagine e data t o nel I-III sec. d.C. contiene delle invocazioni miranti a danneggiare nelle corse dei cavalli il corridore Victorius tra. le quali leggiamo « ... ti invoco per il dio che è al di sopra del cielo, che è assiso sui cherubini, che ha diviso la terra ed ha separato il mare.. .» . n testo è greco anche se reca in latino i nomi propri 77

ed è stato trovato nella sepoltura di un ufficiale romano; cf. GAGER, Tablets, 65. Una invocazione al dio «che ha separato la luce dalle tenebre» la trovia­ mo nel testo magico di Adrumetum di cui in nota al n. 165.

32. La creazione dell'uomo Gen 1,26-28. IuL., Galil., fr. 9

=

172,13 - 173,5 Neumann.

Mettiamo solo a confronto punto per punto quale discorso e di che tipo fa dio secondo Mosè e quale secondo Platone. «E dio cl}sse: facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza. Ed abbia dominio sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sulle be­ stie e su tutta la terra e su tutti gli esseri che si muovono sulla terra. E dio creò l'uomo e lo fece ad immagine di dio; maschio e femmina li fece, dicendo: crescete e moltiplicatevi e riempite la terra e assogget­ tatela. E abbiano dominio sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo, su tutte le bestie e su tutta la terra».

Nel seguito del suo discorso l'imperatore riporta il racconto della crea­ zione secondo PLATO, Tim. 41AD. Sembra che il comandamento «crescete e moltiplicatevi» sia stato conosciuto dal neopitagorico del II sec. a.C. Ocello Lucano; costui, infatti, argomentando che l ' istinto sessuale era finalizzato non al semplice piacere ma alla continuità della specie, affermò che l ' uomo doveva riempire la terra con una buona progenie: l'espressione nJ..elov a ,;Tjç yii ç 3tÀT]QOiicr0aL (de univ. nat. 45 ) è infatti considerata una reminiscenza di Gen 1,28: ail !;av ecr0 e ?tc.tt nÀT]0ùvecr8e ?tat nÀTJQdlcrCt1:e ,;Tjv yiiv , cf. STE�, I, 131-133 (testo e bibliografia specifica); Io., «Jews», 1139. Sul brano giulia­ neo qui riprodotto cf. ADLER, 605; AsMus, 7, 10-11 (sul paragone tra Mosè e Platone); ATHANASSIADI, 164; AzrzA, 1 47; CoRBIÈRE, 100; DE LABRIOLLE, Réaction, 400-401; MALLEY, 56ss; MEREDITH, 1144; NEUMANN, 109; SIHLER, 208-209.

33. L'uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio Gen 1,26-27. Cels. ap. OR.,

Cels.

4,30

=

II, 254, 1-11 Borret.

Di poi, a me sembra che Celso abbia frainteso anche l'espressio­ ne: «Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza» e per que­ sto abbia espresso dalla sua fantasia quei vermi che dicono: «creati da Dio noi siamo in tutto simili a lui (a:frccp 5�-toLoL)». Se difatti egli avesse compreso la differenza fra il creare l'uomo «ad immagine»

78

(xa't" etx6va)

di Dio, e «a somiglianza» (xae· O!J.olroow) di Dio, e avesse b adato che secondo la Scrittura Dio ha detto: «Facciamo l'uo­ mo a nostra immagine e somiglianza», e che Dio ha fatto l'uomo semplicemente «a sua immagine» e non già «a sua somiglianza», al­ lora Celso non ci avrebbe fatto dire che noi «siamo in tutto simili a Dio» .

Celso qui vuol colpire

la pretesa dei cristiani secondo la quale

nell'eco­

no mi a del cosmo l'uomo sarebbe oggetto di una partic ol are provvid enza di Dio; egli afferma inoltre, secondo un motivo platonico (PLATO, leges

10,903b): «Il mondo visibile non è stato concesso all'uomo, ma ogni cosa na­ sce e muore per la co ns ervazio ne del tu tto ... )). OR., Cels. 4,69 . In realtà nel trattato di Celso viene dato ampio spazio alla critica dell'«antropocentri­ smo)) dei cristiani (cf. OR., Ce/s. 4,74-99) al fine di comb attere l'opinione di coloro i quali «affermano che Dio ha fatto l'universo per l'uomo. L'universo non è stato generato per l'uomo più che per gli animali privi di ragione)), cf. LANATA, 212. Anch e l'a.nonimo pagano confutato da Macario di Magnesia critica la visione antrop o cen tri ca giude o cris ti an a , cf. il n. 661 e NESTLE, 502-

503. Cf. CliA:oWICK, 205; DE LABRIOLLE, Réaction, 165.

34. L'uomo plasmato a immagine di Gen 1,26-27. Cels. ap. OR., Cels. 6,63

=

III, 336,13-14

Dio

B orret.

Egli ( = Dio) non ha neanche fatto l'uomo a sua immagine ( etxo­ va a'Ò't'oii); infatti Dio non è come l'uomo e non è simile ad alcun'al­ tra forma.

Orac. Sib. 3,7, un testo giud aico del I sec. a.C., di provenienza alessan­ drin a e in dirizza to a lettori pagani, si rivolge a tutti gli uomini specificando che essi hanno n ell' asp ett o l 'immagine di Dio (9e6rcì..a.O"tov �xov-.:eç èv sf.x6VL J.l.OQcfl�v). PHILO., opif. 6 9 -7 1 si è posto il problema della difficoltà che po­ teva offrire a un lettore non credente Gen 1,26: « ... Mosè dice che fu ge nera­ to l'uomo a immagine e s omiglianz a di Dio. E ciò è detto assai giustamen te, p erché nulla che sia n a t o d alla terra è più simile a Dio dell'uomo. Nessuno tutt avia s'immagini questa somiglianza se c ond o i c aratteri del corpo: Dio non ha infatti f01ma umana, né il corpo umano ha forma divina. L'"imm agi­ ne" è invece riferita all'intelletto, che è la guid a dell'a:p.ima . . . E poiché non tutte le immagini sono simili al mo dell o archetipico, e anzi molte sono dissi­ mili, Mosè ne ha chiarito il senso aggiungendo all'espressione "a immagi­ ne", l ' espressio ne "a somiglianza" ; per dire che si tra tta di un'immagine per­ fetta, che h a un' impront a pre cis a)), Cf. BENKO, 1101; B oRRET, «L'Écriture)),

79

189;

BURKE, 241-242 (parallelo tra il testo della LXX e quello utilizzato da Celso); DE ANDRÉS HERNANSANZ, 160; GAGER, Moses, 99; LANATA, 232;

MERLAN, 960; NESTLE, 491; STEIN, 214-215; STERN, Il, 227.

35. L'uomo creato a immagine e somiglianza di Dio Gen 1,26-27. Cels. ap. OR.,

Cels. 7,62

=

IV, 158,2-160,29

Borret.

Essi ( = i cristiani) non sopportano la vista di templi, altari e sta­ tue ... Se è perché una pietra o un pezzo di legno o di bronzo o d'oro lavorato dal tale e dal tal altro non può essere Dio, la loro sapienza è davvero risibile. Chi altri infatti, se non una persona assolutamel).te puerile, ritiene che questi oggetti siano dèi, e non piuttosto offerte votive e statue di dèi? Se poi è perché non si può neanche presup­ porre che si tratti di immagini divine, in quanto l'aspetto di Dio è di­ verso,· come credono anche i persiani, essi non si accorgono di con­ traddirsi da soli, quando affermano: «Dio ha fatto l'uomo a propria immagine e di forma simile alla sua». Essi sono disposti ad ammette­ re che si tratti di statue erette in onore di taluni esseri in forma simile o dissimile; però i loro dedicatari non sono dèi, bensì demoni, e chi venera Dio non deve onorare i demoni. Qui Celso tenta di far cadere in contraddizione i cristiani: se le statue degli dèi sono da condannare perché Dio non assomiglia all'uomo, perché poi nella Bibbia si afferma che questo fu fatto «a immagine e somiglianza di Dio»? Il culto aniconico dei giudei attrasse generalmente l'attenzione degli os­ servatori pagani suscitando commenti prevalentemente negativi sia pur con qualche eccezione. Cosl affermò Ecateo di Abdera, secondo la testimonian­ za. di DIOD. S1c., bibl. hist. 40,3,4: «(Mosè) non prescrisse alcuna immagine degli dèi poiché non riteneva che dio avesse sembianze umane». Varrone, ad esempio, si espresse favorevolmente nei riguardi di questa mancanza di immagini cultuali, mettendola in rapporto con una spiritualità di tipo filoso­ fico o con quella della Roma primitiva, cf. Auo. , civ. Dei 4,31 ( = STERN, l, 209). Anche Tito Livio, secondo quanto si legge nella sua epitome, in u.D.a di­ gressione sul culto giudaico e sul tempio di Gerusalemme (probabilmente nel libro 102 delle sue Storie) , avrebbe rilevato il f�tto che colà «ne que ul­ lum ibi simulacrum est, neque enim esse dei figuram putant», cf. Scholia in Lucanum ( = STERN, I, 330), cf. PucCI, 340-341. Dione Cassio, proprio basan­ dosi sul fatto che i giudei non hanno statue del loro dio, afferma che essi lo adorano nella maniera più stravagante che vi possa essere, poiché lo reputa­ no ineffabile e senza forma, cf. 37,17,2 ( = STERN, I, 349). Lucano p arla del dio giudaico come di un «deus incertus», cf. 2,592-593 (= STERN, I, 439). Giovenale ritiene che i giudei non adorino altro se non le nubi e il cielo, cf. 14,97-98 ( = STERN, Il, 102).

80

I cristiani erediteranno le diffidenze ele critiche per un culto senza im­ magini. Celso ha ben presente l'avversione dei cristiani per la statuaria d'i­ spirazione religiosa; egli ricorda il comportamento provocatorio di quei cre­ denti che, per dimostrare la nullità di questi simulacri affermavano: «Guar­ da: mi metto in piedi accanto alla statua di Zeus, o di Apollo, o di qualsivo­ glia altro Dio, e lo copro di ingiurie e di percosse: ed egli non si vèndica di me», cf. OR., Cels. 8,38. Altrove, inoltre, egli collega questa caratteristica dei cristiani col fatto che essi costituiscano una società segreta: «evitano di co­ struire altari, statue e templi: segno sicuro di una società oscura e segreta (à«j>ctvouç xat à:rtOQQ'fJ'to'U xowrovlctç)», ibid. 8,17. Le accuse dei pagani sul disprezzo cristiano di statue, templi e altari sono attestate anche nelle opere degli apologeti: MIN. FEL. 20,2 («Perché non hanno altari, non templi, non statue conosCiute, non parlano mai in pubblico, non si riuniscono mai libera­ mente, se non perché ciò che essi onorano e tengono nascosto è meritevole di castigo o di vergogna»); ARN., nat. 6,1 (�< . siete soliti rinfacciarci, come il massimo delitto di empietà, che non costruiamo templi per le cerimonie di culto, non eleviamo né statue, né simulacri ad alcun dio, non erigiamo altari né are»). È interessante notare come l'abbinamento tra l'aniconicità cristia­ na e l'accusa di società segreta sia attestato tanto in Celso quanto in Minucio Felice. Risale all'epoca di Commodo un'orazione del retore medioplatonico Massimo di Tiro dal litolo Bisogna elevare statue agli dèi? La risposta positi­ va a cui tende tutto il discorso è impostata su un triplice ordine di argomen­ tazioni che, se non abbiamo motivo di ritenere ispirate da finalità anticristia­ ne, sembrano, almeno per il loro contenuto, inserite nel contesto della con­ troversia in parola: l. gli dèi sono distinti dalle immagini che li raffigurano; 2. gli dèi non hanno certamente bisogno che si elevino loro · statue più di quanto non ne abbiano bisogno i buoni cittadini; 3. è tuttavia un opportuno atto di pietà elevare tali statue, per riconoscenza agli dèi, per rendere loro onore ed anche perché, se i filosofi elevano la loro anima al divino senza l'aiuto dei simulacri, la gente più semplice da questi simulacri agli dèi è aiu­ tata a concepire idee alte e aspirazioni alla divinità. Porfirio compose un'o­ pera, Sulle immagini, alla quale non fu estraneo l'intento di difendere i pa­ gani dalle accuse dei cristiani di venerare oggetti materiali, cf. vol. l, p. 152. II canone 36 del concilio di Elvira (circa 306 d.C.) afferma esplicitamente «Placuit picturas in ecclesia esse non debere, ne quod colitur et adoratur in parietibus depingatur». Il motivo principale dell'energico rifiuto di Eusebio da Cesarea a Costanza, sorella di Costantino, che gli aveva chiesto un ritrat­ to del Cristo è costituito, appunto, dalla necessità di non assumere !ltteggia­ menti tipici dei pagani che veneravano le immagini delle loro divinità, cf. Eus., ep. ad Const. edita in PG 20, 1545-1549. Certamente più articolate, e probabilmente connesse a motivazioni di ordine controversistico, sono le considerazioni svolte da Epifanio di Salamina nei suoi tre scritti contro la diffusione del culto delle imm agini, sull a cui autenticità sembra oggi propen­ dere la critica (frammenti raccolti da K. HoLL, «Die Schriften des Epipha­ nius gegen die Bilderverehrung», in SAB [1916], 828-868). Utile repertorio: H.G. 'THOMMEL, Die Frilhgeschichte der Ostkirchlichen Bilderlehre. Texte ..

81

und Untersuchungen zur Zeit vor dem Bilderstreit, (TU 139) , Berlin 1992. Nel IV sec. d.C., quando i cristi ani intraprenderanno la distruzione delle sta­ tue e dei templi, tra i p ag ani ci sarà chi farà notare che né Gesù, né gli ap o ­ stoli in nessun posto delle Scritture hanno p res cri tt o ai loro s egu aci tali di­ struzioni, cf. Auo., cons. evang. 1,16,24; 1,26,40; 1,31,47; Io., ser. 62,12,18. Si legga ancl1e il n. 392 dove un pagano non solo difende il culto delle imm agini religiose ma lo giustifica sulla scorta di Es 31,18. Sul culto delle immagini religiose nella polemica p agano - cris ti an a cf. E. BEVAN, Holy Images. An Inquiry into Idolatry and Image-Worship in An­ cient Paganism and Christianity, London 1940; CH. CLERC, Les théories rela­ tives au culte des images chez les auteurs du II" siècle après l. C., Paris 1915; W. ELLIGER, Die Stellzmg der alten Christen zu den Bildem in den ersten vier Jahrhunderten, Leipzi g 1930; E. KrrzrNGER, The Cult of Images in the Age before Iconoclasm, (Dumb. Oaks Pap ers , VI II) , 1954, 83-150; TH. KLAUSER, «D ie Àu13erungen der alten Kirche zur Kunst, Revision der Zeugnisse, Fol­ gerungen fiir die arch!iologische Forschung», in Atti del VI Congresso Inter­ nazionale di Archeologia Cristiana, Ravenna 23-30 settembre 1962, (Studi di antichità cristiana», 26), Città del Vaticano 1965, 223-238; RouoiER, Con­ flits, 90-102, (Le cult des images et les premiers chrétiens); i brani nn. 10, 137, 255, 392 e vol. I, pp. 365ss (sulle eversiones templad attuate dai cristia­ ni) . Su Giuliano e gli ò.yaA.�La'ta come segno della naQoucrla degli dèi fra gli uomini cf. U. CRrscuoLo, «A proposito di Gregorio di Nazianzo Or. 4,96», in KOINQNIA 11(1 987), 43-52. In generale sulla «teologia» pagana delle im­ magini sacre cf. V. FAzzo, La giustificazione delle immagini dalla tarda anti­ chità al cristianesimo,· L La tarda antichità, Napoli 1977. L'accusa rivolta .ai cristiani di costituire una società segreta che, come abbiamo visto, Celso collega strettamente a quella di non avere statue ed al­ tarj, è ben attestata presso altri pagani. Celso stesso ritorna sul tema a più ri­ prese, quando, ad esempio, sospetta che i credenti in Gesù si obblighino re­ ciprocamente con giuramenti contro le istituzioni: « ...stringono fra loro in segreto dei patti che violano le istituzioni tradizionali. I patti possono essere palesi, quando si fanno in conformità alle leggi, oppure occulti, quando ven­ gono stipulati contro le istituzioni tradizionali», OR., Cel. 1,1; «(i cristiani) praticano e insegnano la loro dottrina in segre to » , ibid. 1,3; «la loro dottrina è segreta», ibid. 1,7. Sul brano qui riportato cf. BORRET, «L'Écriture», 189; LOESCHE, 278; STEIN, 215; Io . , «Bibelkritik», 55-56.

35 A. Creazione dell'uomo Gen 1,26. Co1p. Herm., Asclep. 8

=

305-306, vol. II Nock - Festugière.

, Quando il Signore e creatore di tutte le cose ... ebbe creato secon­ do dopo lui un dio visibile e sensibile... questo gli sembrò bello, poi­ ché era colmo della bontà di tutte le cose ... Poi Dio nella sua gran82

dezza e nella sua bontà volle che vi fosse un hltro essere, che potesse contemplare colui che aveva generato, e immediatamente creò l'uo­ mo, tale che potesse imitare la sua saggezza e la cura che egli ha del­ le sue creature ... Dopo aver dunque creato l'uomo nella sua essenza universale e essersi reso conto che questo non poteva prendersi cura di tutte le cose, se non lo avesse avvolto in un involucro materiale, dette a lui il corpo, come dimora, e prescrisse che tutti gli uomini fos­ sero tali, avendo unito e mescolato nella giusta proporzione ambe­ due le nature in una sola. Così formò l'uomo di anima e di corpo, cioè di natura eterna e di natura mortale, affinché quest'essere vi­ vente, così formato, potesse soddisfare alla sua duplice origine, cioè potesse contemplare e venerare le cose celesti e al tempo stesso cu­ rare e governare quelle terrene.

Cf. CAMPLANI, 382 (Il testo «

•..

potrebbe mutuare l' allusione a Gen 1 ,26 o

da CorpHenn l o direttamente dalla Septuaginta, ciò che non fa meraviglia dal momento che è dimostrato che il suo autore conosce anche I Enoch» ) ; MAHÉ, 37-38; Scorr, III, 46-52.

36. L'uomo creato ad immagine di Dio G en 1 ,26-27.

Anonym. ap. Souter.

AMBROSIAST., quaest. Veteris et Novi Test.

Il testo è riportato al

Cf. BARDY,

24

=

51 ,13-14

n. 53.

«Quaestiones», 1 932, 355.

37. L'uomo come dominatore del creato Gen 1 ,28. Anonym.

Souter.

ap. AMBROSIAST., quaest. Veteris et Novi Test.

46

=

426,16-18

Il testo è riportato al n. 47.

38. Tutto ciò che è crea t o è molto buono ter.

Gen 1,31. Anonym. ap.

AMBROSIAST., quaest. Veteris et Novi Test.

9

=

33,3-6 Sou­

Il testo è riportato al n. 77.

83

39. n «riposo» di Dio al termine della creazione Gen 2,2-3. Cels. ap. OR., Cels. 5,59

=

III, 160,1 - 162,10 Borret.·

Identico è dunque il Dio dei giudei e quello di costoro ( dei cri­ stiani) : lo ammettono apertamente gli appartenenti alla grande chie­ sa (ànò J.I.8')'UÀ.1'}ç èxXÀ.1'}crto.ç) , che accettano come veritiera la storia della creazione del mondo diffusa fra i giudei sui sei giorni e sul setti­ mo in cui Dio si riposò. E dicono che il p1imo uomo è lo stesso, e ne tracciano la discendenza al modo degli stessi giudei; e così pure nar­ rano in modo identico a quello dei giudei le insidie reciproche dei fratelli, l es ilio in Egitto e la fuga dal medesimo. =

'

All'epoca di Celso l'accettazione piena dell'Antico Testamento da parte di tutte le componenti che in un modo o nell'altro si appellavano alla tradi­ zione cristiana non era certo una realtà di fatto. Il rapporto dei credenti in Gesù con la sinagoga era tutt'altro che pacifico e ciò si traduceva, grosso modo, in due diversi tipi di atteggiamento: da un lato gli «ortodossi» che, proclamandosi il Verus Israel, di conseguenza, accettavano in pieno l'Antico Testamento come scrittura sacra e riconoscevano le dottrine ivi contenute come patrimonio loro; dall'altro, vari gruppi «gnostici» prendevano le di­ stanze dal giudaismo e dal suo corpus scritturale normativo. In concreto la discussione o, più correttamente, il dibattito su tali temi era portato avanti da una gran quantità di chiese, conventicole, gruppi e 'cenacoli iniziatici. Di tutto ciò Celso è pienamente al corrente e infatti, in OR., Ce/s. 5,61-64, trac­ cia una mappa dettagliata di tali raggruppamenti. Tra questi, tuttavia, egli riesce a distinguere una «Grande Chiesa», il raggruppamento maggioritario che si è posto in continuità nei riguardi della tradizione giudaica. Che questo corpo maggioritario per eccellenza sia da identificare con quella che po­ tremmo definire la chiesa «cattolica» mi sembra proponibile nonostante lo scetticismo di LANATA, 220 la quale ritiene che probabilmente l'espressione «grande chiesa» è ironica e che Celso della chiesa cattolica «in tutto Il di­ scorso vero non mostra conoscenza, mentre il mondo dei cristiani è per lui esseri.zialmente un mondo di sette». Sullo scandalo delle divisioni tra cristia­ ni cf. anche i nn. 678 e 695. Sul brano qui riportato cf. BENKO, 1101; DE LABRIOLLE, Réaction, 126; GLOVER, 253; MERLAN, 960; STERN, II, 304; VERMANDER, 218-219; Vroou­ Roux, 144-145; WrLDE, 66; cf. anche il n. 40 sul «riposo» di Dio.

40. n settimo giorno e il «riposo» di Dio Gen 2,2-3. Ce!s. ap. OR., Cels. 6,61

E in seguito a ciò 84

egli

=

III, 330,9-1 1 Borret.

( = D io ) è sfinito proprio come un cattivo

artigiano e ha bisogno di riposo per prender fiato (ttQòç ò.vfuta.1JOLV Non è lecito che il primo Dio si affatichi, o lavori con le proprie mani o dia ordini.

àQyLa.s Ele,eel.ç) .

·

Origene (ibid. ) poco dopo fa osservare che il testo biblico afferma che

Dio «Si fermò» (%a-cbcauoe) al settimo giorno e non che «si riposò» (àve­ nailoa-co) come Celso intendeva. Auo., cit. 11,8 corregge l'errm:e di coloro

che intendono il «riposo» di Dio durante il settimo giorno come il ristoro eli un op erai o stanco. Anche in RUT. NAM., de red. 1,391-392 è stato proposto di cogliervi un'allusione al clio dei giudei che, secondo la Bibbia, è in ozio. il set­ timo giorno. Infatti l'ebreo oggetto delle invettive del poeta è caratterizzato come colui che «condanna un giorno ogni sei a un letargo infame quasi a molle ritratto del suo dio sfinito (lassati mollis imago dei)»; qui, secondo DE LABRIOLLE, «Rutilius Claudius Namatianus et les moines», in RÉL 6(1928), 38 «Que Rutilius ait lu à l'endroit du récit de la Genèse une arrière-pensée ironiqu e , cela ne me parait guère douteux», Anche per F. CORSARO, Studi rutiliani, Bologna 1981, 61 «La figura del Dio stanco è reminiscenza eli Ge­ nesi (II, 3; cf. anche Ex. XX,8), alle cui parole gli ebrei avevano attribuito un signifi cato troppo letterale)), LANATA, 232 richiama un'affermazione di Platone a commento: «Non dobbiamo mai giudicare Dio più inefficiente degli artefici umani», Leges 1 0, 902d. Cf., inoltre, BARDY, «Contra Celsum», 47, 49; GAGER, Moses, 99100; NESTI.E,

472;

ROUGIER,

231; STEIN, «Bibelkritik», 58; STERN, II, 227,

305.

41. La creazione di Adamo è altri episodi Gen 2,7ss . Cels. ap. OR., Cels. 4,36

=

274,6-16 Borret.

I giudei, acquattati in un angolo della Palestina, totalmente privi e assolutamente ignari del fatto che queste cose erano state cantate nel tempo antico d a Esiodo e da migliaia di altri uomini ispirati, hanno messo assieme storie assolutamente inve­ rosimili e grossolane: che c'erano un uomo pla'smàto dalle mani di Dio e gonfiato dal suo alitq, una donna uscita dal suo fianco, delle prescrizioni di J?io (1:rov 9 eoii JtQOO'tO.YIJ.tl'tWV), e un serpente che si opponeva ad esse, e poi riusciva ad avere la meglio sugli ordini di Dio. Essi raccontano così una sorta di favola adatta alle vecchiette, e fanno un'operazione molto empia, rappresentando Dio fin dall'inidi cultura ( &.ttaLEIE1J'tOL)

85

zio debole e incapace di convincere anche l'unico uomo che egli stes­ so aveva plasmato.

PHILO, de op. numdi 156-157 dopo aver riferito gli eventi dell'Eden si af­ frett a ad affermare che «tutto ciò non è un'invenzione a mo' di favole, di quelle che p iacciono ai poeti e ai sofisti, ma sono esempi di immagini che in­ vitano all'int erpretazione allegorica per portare alla luce significati nasco­ sti». Sul particolare dei giudei «acquattati in un angolo della Palestina» (èv yrov� :n:ou 'tfiç IlaÀmcn:Lv11ç) cf. anche l'espressione di Celso, rip ortata in OR., Cel. 6,78, secondo cui Gesù sarebbe stat o mandato «in un unico angolo della terra». Forse UIJ. riecheggiamento di perplessità dei pagani nei riguardi del carattere periferico (e per giunta giu d aico!) della predicazione e dei fatti relativi a Gesù è da ravvisare in Atti 26,26 dove Paolo insiste con Erode Agripp a II sul fatto che quei fatti «non sono avvenuti in un cantuccio» (o'Ù y6.Q ècn:Lv èv yrovLq.), cf. A. MAcHERBE, «"Not in a corner . Early Greek Apologetic in Acts 26,26», in SecC 5(1985-1986), 196-225. Cf. AuBÉ, 216; BARDY, «Contra Celsum», 47; B oRRET, «L Écriture» , 186-187; DE LABRIOLLE, Réaction, 137, 1 6 0; FREND, 5; GAGER, Moses, 100; LOESCHE, 293; MERLAN, 957-958, 960-961; RoKEAH, 108; ROUOIER, 230-231; SCHROEDER, 194; STEIN, 206-207, 211-212; STERN, II, 301; VIGOUROUX, 144145; WILDE, 63, 66. "

'

42. D soffio di Dio nell'uomo Gen 2,7. PoRPH., Gaur. 11

=

48 Kalbfleisch.

È senza costrizione che il reggitore entra, quando si avanza alla luce la natura insieme con l'opera. Proprio come ho visto anche a teatro: quelli che rappresentano la parte di Prometeo, devono far sì · che l'anima penetri nel corpo, mentre, già formato, giace al suolo: e forse attraverso il mito, gli antichi non volevano insinuare la necessi­ tà di questo ingresso dell'anima nel corp o, ma mostravano soltanto che l' anima è insufflata dopo la gestazione, quando il corpo è stato ormai formato. E sembra che anche il teologo degli ebrei ( 6 'tW'U 'E�Qatwv 8aoMyoç) voglia indicare questo, allorché dice che essen­ do stato formato il corpo ed avendo questo assunto tutta la capacità operativa corporea, Dio ispirò in esso lo spirito, perché avesse un'a­ nima vivente ('\jJUX�V s&crav).

Il t ra ttato al quale app artien e questo brano è stato a lungo attribuito a Galeno. K. KALBFLEISCH, «Die neuplatonische fiilschlich dem Galen zuge-

86

schriebene Schrift 1CQòç raiiQov 1CEQt "toii 1eéòç è�J.'\fl'UXOii"taL "tà l!!J.� Q'UU» , in Abhandl. Kon igl. Akad. Wiss. Berlin, PhiL-hist. 1 (1895), 15-17 ne ha rivendi­ cato la pa ternità porfiriana (in senso contrario B eqtler in RE, 1953, 22, 290; a favore GAGER, 108-109; HULEN, 20-27 ecc.). Questo è l ' unico testo pagano in cui Mosè è definito SaoMyoç mentre tale qualifica gli viene attribuita in PHILO, Mos. 2,115 e Praem. 53. Sul brano qui riportato cf. anche FESTUGIÈRE, Revelation, III, 7-8, 277; J. PÉPIN, «Saint Augustin et le symbolisme néopla­ tonicien de la veture», in Augustinus Magister, Paris 1954, I, '298-299. J.M. MATHIEU, «Remarques sur l ' anthropol ogie plùlosophique de Grégoire de Nazianze (Poemata dogmatica , VIII, 22-32; 78-96) e t Porphyre», in StPatr 17(1982), 1115-1119 ( Gregorio di Nazianzo ha conosciuto l ' eseg esi di Porti­ rio a questo passo biblico e l ' h a utilizzata per la definizione di un a sua an tro ­ pologia). In OR., Cels. 6,52 Cels o critica l'esegesi gn os tica (molto probabil­ mente ofit a) del r acco nt o biblico del soffio di Dio nell'uomo.

43. La creazione di Adamo Gen 2,7. luL., Galil. , fr. 16 = 168,10 Neumann. Il testo è riportato al n. 49.

44.

La vita nel «giardino piantato da Dio» e dopo la caduta

Gen 2,8ss. Cels. ap. OR.,

Cels.

6,49

=

III; 302,21-35 Borret.

Bella sciocchezza anche la loro cosmogonia, e bella sciocchezza anche il racconto della generazione degli uomini: ...il giardino pian­ tato da Dio, e la vita che l'uomo vi condusse inizialmente, e quella che sopravvenne col mutare delle circostanze, quando ne fu .scaccia­ to per il suo errore e insediato in un luogo opposto al giardino delle delizie. Come è stupido tutto ciò ! ... Mosè scrisse cose del genere sen­ za capirci nulla, facendo qualcosa di simile ai poeti della commedia antica che scrissero celiando: «Proitos sposò Bellerofonte, Pegaso veniva dall'Arcadia». Cf. BoRRET, «L'Écritqre», 188; DE LAilRIOLLE, Réaction, 160; GAGER, Moses, 97-98. BuRKE, 241-242 istituisce un confronto testuale tra la LXX e il tipo di testo che Celso poté avere sott'occhio: anche se il p aga n o ebbe la possibilità di utilizzare un trattato marcionita che polemizzav a contro il rac-

87

conto della creazione, quest'ultimo fu pur sempre directly fTom the Greek text of Gen i-iii».

« ..• a

source whlch quoted

45. Dio pianta il paradiso Gen 2,8. IuL., GaliL , fr. 16

=

168,9

Neumann.

Il testo è riportato al n. 49

46. C omand amenti di Dio ad Adamo Gen 2,16-17. Cels. ap. OR., Cels. 4,36

=

Il testo è riportato al n.

II,

274,11-12 B orret.

41 .

Cf. AuBÉ 216; DE LABRIOLLE, Réaction, 137; GAGER, Moses, 100; LE, 510; VIGOUROUX, 144-145. ,

�6 A.

n comandamento di D io

NEST­

ai protoplasti

Gen 2,16-17. lUL., Galil. fr. 14.

Ma perché insomma ha anche dato una legge ed ha proibito qualche cibo? Ha infatti permesso di mangiare da ogni albero, eccet­ to solo che da quello che stava nel centro del giardino. Se non ci fos­ se stata una precisa prescrizione, non ci sarebbe stato peccato. E se Dio è buono, perché ha punito? Il brano non figura nell'edizione del Neumann ma ci deriva da CYR. AL.,

c.

Iul. 3,80B. Cf. MAsARACCHIA, 18, 49-50.

47. Adamo sottoposto a

ter.

Gen 2,16-17. Anonym. ap.

un

comandamento di Dio

AMBROSIAST., quaest. de Vetero Test. 46

=

426,16-18

Perché Adamo, posto nel mondo, accettò il comandamento legge, quando egli stesso aveva il dominio sugli altri? Cf. COURCELLE, 139. 88

Sou­ o

la

48. D comandamento di non mangiare dall'albero

della conoscenza del bene e . del male

Gen 2,17.

PoRPH.,

c.

Christ. fr.

42 ap.

SEVBR., creat.

6

=

PL 56, 487.

Dicono molti, soprattutto coloro che seguono l'empio Porfi.rio, il quale scrisse contro i cristiani e allontanò molti dalla dottrina di Dio, dicono dunque costoro: Perché mai Iddio proibì la conoscenza del bene e del male? Va bene, ha proibito il male; ma perché anche il be­ ne? Dicendo: «non mangiate dell'albero della conoscenza del bene e del male», egli impedisce, afferma Porfi.rio, che si conosca il male. Ma perché deve egli impedire che si conosca anche il bene? Apelle, discepolo di Marcione, nei suoi Sillogismi, aveva svolto una ser­ rata critica al racconto veterotestamentario della vicenda di Adamo ed Eva n e l paradiso terrestre; egli, in particolare, si era soffermato sul fatto che l'uomo, proprio secondo quel che affermano le Scritture, prima della tra­ sgressione, non avrebbe mai p otuto distinguere tra il bene e il male giacché tale conoscenza fu acquisi ta soltanto in seguito alla sua trasgressione; egli sosteneva inoltre che il racconto biblico ci poneva di fronte al seguente di­ lemma : o Dio non aveva previsto la trasgressione delle sue creature, il che non sarebbe stato conforme alla sua potenza; oppure egli ebbe prescienza, ma, in questo caso, perché mai avrebbe dato un comandamento che non sa­ rebbe stato tenuto in debito conto? Le argomentazioni di Apelle sono ora reperibili in AMBR., parad. 28.30-32.35.38.40-41, cf. HARNACK, Marcion, 404*-420*; In., Sieben nette Bruchstilcke der Syllogismen des Apelles, (TU VI), Leipzig 1890; É. JUNoun, «Les attitudes d'Ap elles, disciple de Marcion, à l égard de l'Ancien Testament», in AugLtStiniamun 22(1982), 120-121; M. '

S!MONErn, «Note sull'interpretazione gnostica dell'Antico Testamento», in VetChr 10(1973 ) , 1 09-1 13. Sull'obiezione p orfiriana riportata in questo brano cf. CASTELLI, 86; CoRaraRE, 49; CouRCELLE, Lettres grecques, 196 nota 8; In., «Polemiche anti­ cristiane», 180-1 81;

CRAFER, 100; GRANT,

187-188, 194; HARNACK, 67; HULEN,

5 1 ; LEWY, 273; LOESCHE, 273; NESTLB, 473;

PEZZELLA, 100; ROSTAGNI, 298 no­ 4; RrNALDI, 1 06; In., «Quaestiones», 102 nota 7; RouarER, 73-74; STEIN, «Bibelkritik», 62; VAGANAY, 2569, 2576. Una critica simile è riscontrabile sia

ta

Cels o che in Giuliano che hanno avuto presenti motivi ofiti, cf. i nn. 49 e 62.

in

49. Ancora sui comandamenti ai protoplasti Gen 2,17.

luL., Galil. , fr.

16

=

1 68,5-14 Neumann.

89

E il fatto che dio neghi agli uomini, sue creature, la capacità di distinguere il bene e il male non è il colmo della stranezza? (o'flx. 'ÙJteQ�oÀ.Tjv à,;orcLO:ç ex;aL;). Quale essere più sprovveduto potrebbe infatti esistere di chi non è in grado di distinguere il bene dal male? È chiaro che non eviterebbe l'uno, cioè il male, e non cercherebbe di avere l'altro, cioè il bene. Insomma, dio ha impedito all'uomo di gu­ stare dell'intelligenza, di cui non può esistere bene più prezioso per ' l uomo . Che infatti la capacità di distinguere il bene e il male è pre­ rogativa dell'intelligenza è chiaro anche per gli stolti. Quindi il ser­ pente fu piuttosto il benefattore (e'ÙEQYÉ't'I'JV), che non il nemico del genere umano. E a Dio potrebbe darsi, perciò, nome di geloso (�acr­

xa.voç) . Questo frammento va necessariamente inteso alla luce di altre afferma­ zioni giulianee tra le qu ali quella del fr. 54: «Invidia e gelosia neppure a toc­ care gli uomini migliori, tanto sono lontane da angeli e dèi. Voi invece vi muovete in mezzo a po tenze limitate, che non è errato definire demoniache, vista la loro ambizione e la loro v anagloria, che non sono certo caratteristi­ che degli dèi». Da segnalare lo s tudio del BRox, 181-186 che, partendo da questo brano, esamina l'esaltazione del ruolo del serpente in Giuliano come nella gnosi. In realtà per Giuliano la c ap acità di discernere il bene dal male era considerata l'essenza stessa della sapienza intesa come dono degli dèi e, in particolare, di Atena «la vergine non nata da madre», Galil. fr. 57, cf. altri testi in MALLEY, 50. Per quanto riguarda, p oi , il serpente in quanto «benefat­ tore» nella gnosi vanno tenut e presenti le testimonianze di eresiologi quali ThRT., adv. omn. haer. 2 ed EPIPH., haer. 37,3,1 i quali attestano come presso la setta degli ofiti il serpente dell'Eden era considerato un benefattore del­ l'uomo nel quadro di una rilettura dell'Antico Testam.ento che condannava il Dio «demiurgo» adorato dai giudei. Ricordiamo, tra la vasta bibliografia: G. FILORAMO, L'attesa della fine. Storia della Gnosi, Bari 1983; A. HOENIG, Die Ophiten. Ein Beitrag z ur Geschichte der Jiidischen Gnosticismus, Berlin 1889; H. JONAS, Lo Gnosticismo, tr. it., Torino 1 973, 108-1 1 1 ; J.D . KAESTLI, «L'interprétation du serpent de Genèse 3 dans quelques textes gnostiques et la question de la gnose "ophite"» , in Gnosticisme et monde hellénistique. Ac­ tes Co/l. de Louvain-La-Neuve (11-14 mars 1980), a cura di J. R.IES, Louvain­ La-Neuve 1982, 116-130; H.M. SCHENKE, Der Gott «MeJ'ISCh» in der Gnosis, Gottingen 1962, (spec. p. 75); SIMONETTI, Note sull'interpretazione gnostica. . cit. in nota al bra no n. 61 e la raccolta di saggi edita da B. LAYTON, The Redi­ scovery of Gnosticism, in Proceedings of the Intemational Conference on Gn osticism at Yale, New Haven, Conn., II, Sethian Gnosticism, Leid en 1981 . L'esaltazione del ruolo del serpente e l' accusa di gelosia rivolta a Dio, for­ mulata in termini che ricordano molto da vicino questo brano di Giuliano, si riscontrano anche nel Testimonium veritatis (NHC IX 3, 45ss) dove leggia­ mo, tra l'altro: «Ma di che sorta è codesto Dio? Per prima cosa (egli) proibì ad Adamo di trar nutrimento dall'albero della conoscenza. Secondariamen.

90

te, egli disse: "Adamo, dove s ei ? " . Talché Dio non p ossiede la prescienza p oiché egli non conosceva del tutto ciò. Ed inoltre (egli) disse: "orsù, sia esp ulso da questo luogo, in maniera che non mangi dall'albero della vita e viva per sempre". Sicuramente (Dio) si è dim o s trato un essere invidioso e malvagio. Ma che sorta di Dio è questo ? ... Ed egli disse pure: "Io sono un Dio geloso; io riverserò i peccati dei p a dri sui figli fino alla terz a ed all a quarta ge nerazi one ". E dis se : "Io renderò grasso il loro cuore ed accecherò le loro menti cosicché essi non siano in grado di conoscere o di comprendere le cose che son state dette". Orbene tali cose egli ha detto a coloro che a lui pre stavan o fede e servivano !». Giuliano i n or. 6 (c. Cyn. ), 1 84A aveva affer­ mato che «l ' assimil ars i per quanto è po ssibile al dio non si a altro che l'acqui­ sizione di qu ella conoscenza dell ' essere che è accessibile agli uomini» ; ora, nel brano qui rip ort a to , ravvisa nel dio biblico proprio colui che imp edisce all'uomo il conseguimento di tale traguardo e, pertanto, lo definisce Bt'xu­ xavoç; sul significato di questo termine cf. G .J . M. BARTELINI8oveo6ç) e geloso (�amtavoç) . Nel presentare il brano giulianeo Cirillo afferma che c ostui « . . . quasi a conclusione del suo discorso si esprime in modo t ale che il s erp ente sarebbe un benefattore e non una rovina per il genere umano»; per questa esaltazi o ne al ruolo del serpente cf. le osservazioni in nota al n. 49. Su Eva come cau­ sa di sciagure cf. il n. 50. A proposito di questi eventi dell'Eden, Celso, p iù che sull'invidia e la gelosia di Dio, aveva insistito sulla impotenza a farsi ub­ bidire dalle sue stesse creature, cf. n. 41. Cf. BRAUN, 181; BRox, 181-186; CA STEW, 86; MALLEY, 49ss, 310-312; MASARACCHIA, 18, 37-38, 54; NEUMANN, 1 07; PéPIN, Mythe, 461; STERN, II, 514, 529-530. ­

­

99

67. I

pro genitori scacciati dal paradiso terrestre

Gen

3,23.

Cels.

ap.

Il

=

III,

testo è riportato al n.

74.

OR., Cels. 6,53

Cf. DE LABRIOLLE,

68. I

.

Réaction,

312,25-26 Borret.

127; MElu..AN, 958; NESTLE, 492.

pro genitori scacciati dal paradiso terrestre

Gen 3,28. IUL., GaliL

.

.fr. 16 = 1 67,14

Neumann.

Il testo è riportato al n. 49.

Cf.

BENKO,

1101 ; , BROX,

69.

181-1 86.

La storia di Caino e di Abele

Gen 4,3-7. luL.,

Galil. fr. 84

=

227,6

-

228,20 Neumann.

E non è questo l'unico esempio, ma anche quando i fi gli di Ada­ mo offrivano primizie a b io, > del capo dei coppieri e

129

del capo dei panettieri, e del faraone, e della «spiegazione» grazie al­ la quale Giuseppe venne tratto dal carcere e gli fu dal faraone affid a­ to il seco ndo trono d ' Egitto .' Cf. BoRR:ET, «L' Écriture», 187; GAGER, Moses, 99; MERLAN, 957-958 ' . 960; STERN, II, 227.

112. Benignità di Giuseppe verso i suoi fratelli Gen 42-44. Cel. ap. OR.,

Egli

(

=

Cel. 4,47

=

II,

304,9-12 Borret.

Celso) dice che «colui che era stato vendut o fu benigno

verso i fratelli che lo avevan venduto,

alÌorché costoro furono spinti

dalla fame a cercar le provviste con gli asini», però Celso- non dice in particolare quel che Giuseppe ha fatto. Cf. GAGER, Moses, 99; MERLAN, 957-958, 960.

113. Giuseppe si fa riconoscere dai fratelli Gen 45,1-5. Cel. ap . . OR., Cel. 4,47 Egli

(

=

=

II, 304,12-14 Borret.

Celso) cita quindi «il riconoscimento», ma non si capisce

bene per qual motivo, né che cosa egli trovi «assurdo (&:toxov)» nel­ la scena del riconoscimento .

Cf. BoRRET, «L'É criture», 1 87; GAGER, Moses, 99; MERLAN, 957-958. 960; Rizzo, 159 nota 123 (è assurdo il fatto che il riconoscimento non sia re·

ciproco ma unilaterale).

114. Gli Gen 47,1-5. Cel. ap. OR., Cel. 4,47

ebrei schiavi in Egitto =

II,

366,20-22 Borret.

Il testo è riportato al n. 116.

130

115. Profezia 'del principe discendente da Giuda Gen 49,10.

luL.,

GaiiL

fr. 62

=

211,12 - 212,7 Neumann.

E l'espressione «non verrà mai meno un capo dalla stirpe di Giu­ da, né una guida dalla sua discendenza» non è certamente riferita a

costui (= a Gesù), ma alla dinastia di David eh�, come si sa, è finita col re Sedecia. Ce1tamente la Scrittura può avere un significato am., biguo nel dire «finché giunga quel che gli spetta» (ec.oç eÀ.8TJ ,;à ò.Jto­ xelj.�.eva a-ò,;{i>) , ma voi l'avete falsificata in «finché giunga colui cui spetta» (ec.oç eÀ.8TJ &.:rc6xeL'taL). Ma è chiaro che nessuna di queste esp ressioni riguarda Gesù, perché non appartiene alla stirpe di Giu­ da. Come potrebbe esserlo se, a quanto dite voi, non è figlio di Giu­

seppe, ma dello Spirito Santo? Giuliano aveva nel brano precedente citato la profezia di Dt 18,18 (cf. n. 161). Qui l'imperatore filosofo vuol dimostrare che la profezia di Gen 49,10 si riferisce alla dinastia davidica e non a Gesù in quanto messia; egli, i noltre, fa notare una divergenza tra la traduzione di Teodozione e della Septuaginta ( à:n:oxelf.Leva), che riporta con qualche lieve variante (cf. Ge­ nesis, a cura di J.W. WEVERS nella collana «Septuaginta. Vetus Testamen­ tum Graecum auctoritate Ace. Se. Gottingensis editum», G o ttin gen 1974, I, 460), e quella di Aquila e di Simmaco (à:n:òxet'tat). Sembra strano che sia attribuita ai ciistiani l'utilizzazione di un testo non della Septuaginta, da lo­ ro solitament e adoperata, bensì di traduzioni (Aquila e Simmaco) che a questa si contrapponevano p olemic amen te. A tal proposito ricorderei che la «falsificazione» cristiana condannata da Giuliano è attes tata, però, in Eus., h. e. 1,6,1 e in Diodoro di Tarso, cf. J. DECONINCK, Essai sur la eMine de l'Octateuque, (Bibl. de l'École des Hautes Études 195), Paris 1912, 130. Quest'ultimo testo è particolarmente importante in considerazione dell'a­ spra polemica che intercorse tra l'imperatore pagano e Diodoro di Tarso stesso sulla quale cf. vol. I, pp. 217ss. In. realtà Gen 49,10 costituisce l'unico versetto utilizz ato dai cristiani tra i testimonia antigiudaici al fine di dimo­ strare che il messia era già venuto; il versetto è particolarmente citato dagli apologeti (Giustino, Ireneo, Origene, nella. Demonstratio evangelica di Eu­ sebio ricorre più di quaranta volte), cf. M. liARL, La Bible d'Alexandrie. La Genèse, Paris 1986, 47, 308-309. OR., princ. 4,1,3 riferisce che alla sua epoca i giudei, per evitare un'interpretazione cristologica della profezia, af­ fermavano che i discendenti di Giuda, che questo testo sosteneva non avrebbero dovuto venir mai meno fino all'avvento del messia, erano i pa­ triarchi che allora (III sec. d.C.) governavano i giu de i col béneplacito dei romani. Origene ha buon gioco nel dimostrare l'infondatezza di questa tesi 131

e nell'interpretare in senso cristologico il testo biblico pur n�lle due forme tra loro diverse. Sulle interpretazioni di questa controversa profezia nell'età di Giuliano cf. E. MANGENOT, in D Th C, 1924, VI, 1213-1220; A. PoSNANSKI, Schiloh. Ein Beitrag zur Geschichte der Messiaslehre, Leipzig 1 904 (spei 93ss); M. SiMONB'ITI nella sua introduzione a IPPOLITO, Le benedizioni di Giacobbe, Roma 1982, 18-30; Io., «N o te su antichi commenti alle B enedizioni dei Pa­ triarchi», in A nnali della Facoltà di Lettere, Filosofia e Magistero dell'Uni­ versità di Cagliari 28(1 960), 403-473 e la nota 16 a p. 486 della sua tr. it. di 0RIGENE, I principi, Torino 1 968; E. TEsTA, Genesi (La Sacra Bibbia a cura di S. Garofalo ), Torino 1 974, 600. Per SIMONETII, «Note ... » cit. sopra, 409 nota 26: «L'eco della profezia fu molto vasta n el mondo antico anche al di fuori dell'ambiente giudaico: ne parlano. Ta cito (Hist. 5 , 1 3 ) e Svetonio (Vesp .. 4}. Flavio Giuseppe riferisce a Gen 49,10 a Vespasiano (Bell. lud.

6,5,4) ».

Sul brano di Giuliano qui riporta,to cf. ADLER, 609-611; BICKERMAN, III (Les Hérodiens), 27-28; DEMAROu.E, 43; GAGER, Moses, 108-109; GARDNER, 211; LBWY, «Julian», 74-75; MALLEY, 182-183, 194, 351-352; MAsARACCHIA. 234; MERKEl., 21; NBUMANN, 1 18, 211-212; REGAZZONI, 80; ROKEAH, 163-164: RoSTAGNI, 337 (respinge la lezione 'l!.a'téÀ.'I')f;ev congetturata dal Neumann a favore di 'l!.a'taÀ.fjf;aL cpalve-taL); SIMONETII, 20 nota 26; STERN, II, 525, 541 , 548, 569; VmouROUX, 221; WILKEN, «Jews», 456; WRIGHT, 394 nota 3. Per quantG riguarda le genealogie evangeliche le quali asserivano la discenden­ za di Gesù dai re della Giudea si ricorc:Ji che esse erano state già criticate da Celso, cf. n. 442.

116. Giuseppe ritorna in Palestina · Gen 50,7.

Cel.

ap .

OR.,

Gel. 4 ,47

=

II, 304 , 16 - 305j22 B orret.

Ed ecco che Celso presenta ancora Giuseppe ormai venduto co· me schiavo, ricondotto alla libertà, e che ritorna con grande accom­ pagnamento alla tomba di suo padre e crede di rinvenire un motivo di biasimo · nella Scrittura, perché secondo lui proprio da quest'uo· mo (cioè da Giuseppe) la illustre e divina stirpe dei giudei, cresciu­ ta in Egitto tanto da divenire moltitudine, ebbe l'ordine di risiedere in una parte esterna, e pascolare le sue greggi in luoghi di nessun valore. ·

Cf. BoRRET, «L'É criture», 187; MERLAN, 957-958, 960. l

132

ESODO La tradizione ebraica dell'esodo dall'Egitto, narrata nell'omo­ nimo libro biblico, ha costituito uno dei bersagli più ricorrenti dei polemisti antigiudei specialmente alessandrini sui quali cf. vol. I, pp. 69ss. Ritroveremo questo tipo di accuse, ora dirette contro i cristiani, in Celso, nel II sec. d. C, il quale scrisse: . «i giudei, che sono di stirpe egiziana, abbandonarono l'Egitto, trasferendosi in Palestina e in quella che oggi viene chiamata Giudea, in seguito a una rivolta con­ tro la comunità egiziana e in spregio ai culti praticati abitualmente in Egitto» . Nell'economia del pensiero celsiano questo motivo, inoltre, ha un suo sviluppo e, per così dire, una sua attualizzazione anticri­ stiana; il brano infatti continua: «quel che hanno fatto gli egiziani è stato poi reso loro da chi è passato dalla parte di Gesù credendo in lui come nel Cristo. In entrambi i casi, il motivo del rivolgimento è stata una rivolta contro la comunità» , cf. OR. , Cel. 3,5 e, più sotto, il brano n. 127. La convinzione secondo la quale gli ebrei .sarebbero originari dall'Egitto è ben diffus a tra i pagani; Ecateo di Abdera. {IV-III a C ) sembra il primo scrittorè pagano che attesti la cacciata degli ebrei dall'Egitto, terra dalla quale costoro avrebbero derivato non pochi costumi. Egli si esprime in termini tutto sommato positivi: fu una pestilenza a convincere gli egiziani che si sarebbero dovuti .

.

espellere gli stranieri. Cosi furono allontanati con D anao e Cadmo, i futuri abitanti della Grecia e, con Mosè (v)

è il Primo Dio nei confronti del demiurgo. Colui che è

semina il seme di ogni anima in tutte le cose che parte cipano al suo essere, il demiurgo e il legislatore (vo!J.o0é'&T)ç) pi anta , di s trib uisce ,

trapianta in ciascuno di noi i semi che in precedenza sono stati in­

viati dall'alto; L'espressione 6 IJ.É'V ye èDv qui adoperata da Numenio per indicare la di­ vinità ha fatto pensare che il filosofo pagano abbia tenuto p res en te il testo biblico di Es 3,14 che, nella S eptu aginta, si riferisce a Dio con la nota defini­ zione èydl Btj.LL 6 lbv. Il Dodds, tuttavia, propone di leggere 6 (.LÉ'V yr:. a lbv ( = xpiinoç cl:lv); cf. E.R. D oo o s , «Numenius and Ammonius», in Les sources de Plotin, (Entretiens sur l'Antiquité classique, V), Vandoeuvres-Genève 1957, 15. Su Numenio e la Bibbia sono fondamentali gli studi del Des Places; cf., infatti, DES PLACES, 55, 108; Io., «Numénius et la Bible», 498-499 (con un esa me delle letture di altri studiosi tra cui H. D e Ley, E.R. Dodds, P. Thillet; osserva che l'espressione VOIJ.08É"C1'jç è riferita a Dio anche in Gc 4,12, ma non è sconosciuta alla letteratura greca in generale con questa stessa acce­ zione); lo., «Numénius et Eusèbe», 25; Io., «Platonisme moyen», 435-436; Io., «Les fragments de Numénius d' Apamée dans la Préparation Evangeli­ que d'Eusèbe de Césarée», in CRAI 1971, 455-462; Io., «Du dieu jaloux au

137

nom incollllu ll, nicable», in Iiommages à C. Préaux, Bruxelles 1975, 338-342; EowARDS, 65-67; Io., «Numenius Fr. 13: A note on Interpretation», in Mne­ mosyne 42(1989), 478-482 (l'intero brano è una rielaborazione eli PLATO, Ti­ maeus 41d-42a); F'EsTuomRE, Révélation, III, 44 note 2 e 3; LIFSHITZ, 21 (un'iscrizione giudaica di Pergamo con la formula eeòç; 'X.'ÙQLOç; ò &Jv ef.ç; àe� che riecheggia Es 3, Ì4, e la circolazione eli questa in ambienti sincretistici

giudeo pagani); ST.ERN, II, 215-216; WHITTAKER, Moses, 196-201; Io., «Nume­ nius and Alcinous on the First Principle», ibid. 32(1978), 144-154 (contro le emendazioni del Dodds e del Thillet il quale corregge y� &Jv in yevvéiJv).

119. Es 4,22-23. IuL., GaliL ,

fr.

19

=

Mosè e il faraone

176,4 - 177,6 Neumann.

Mosè dice che l'artefice del mondo ('tòv 1:ou 'X.ÒGj.I.OU è>Tjj.UO\JQ­ yòv) ha scelto il popolo ebraico, che è attento solo ad esso e che di esso si preoccupa, e di lui solo gli attribuisce la cura. Non ha invece assolutamente ricordato, né da quali altri dèi siano governati gli altri popoli, a meno che non si voglia conce!lere che ha assegnato loro il sole e la luna. Ma anche di questo parlerò tra breve. Dirò solo che Mosè e i profeti dopo di lui, Gesù nazareno, IQ.a anche Paolo, che su­ pera assolutamente tutti gli stregoni e gli imbroglioni (y6Tj't'aç xal &:n:a't'e&vaç) che siano mai apparsi, affermano che esso è. dio del solo Israele e della Giudea e che gli ebrei sono il suo popolo eletto. Ascoltate le loro parole e prima di tutto quelle di Mosè: «Tu dirai al faraone: Israele è il mio figlio primogenito; ed ho detto: lascia an­ dare il mio popolo perché possa servirm.i; p:1a tu non hai voluto !a­ sciarlo andare». E poco dopo: }, in ANRW II 1 6.2; 1 978, 1 652�1699; H. DoERGENS, «Apollonius von Tyana in Parallele zu ChriStus», in Th& GL 25(1933), 292-304; M. DZIELSKA, Apollonius of Tyana in Legend and Histo ry Roma 1 986 (spec. sulla fortuna del personaggio nell'antichità e sul dibattito tra i moderni); C.A. EvANs, Jesus and Hi.s contemporaries. Comparativ e Studies, Leiden 1995, 245-250 («Jesus and Apollonius of Tyana»: si è data eccessiva importanza alle affinità con le storie evangeliche che gli episodi della vita di Apollonia presenterebbero); K. GRoss, s.v. «Apollonius von Tyana», in RA C, 1 950, I, 529-533; E. KosKENNIEMI, Apollo­ nios von Tyana in der neutestamentlichen Exegese, Ttibingen 1994; A. MEN­ DELSON, «Eusebius and the posthumous career of Apollonius of Tyana», in Eusebius, Christianity and Judaism; a cura di H.W. ATIRIDGE - H. GoHEL. (Studia Post-Biblica 42), Leiden 1992, 510�522; G. PETZKE, Die Traditionen iiber Apollonius von Tyana und das Neuen Testament Leiden 1970; W. S PEYER «Zum Bild des Apollonios von Tyana bei Heiden und Christen» , in JbAC 17{1974), 47-63. Su Apollonia di Tiana, il suo biografo e hi. confuta­ zione di Eusebio di Cesarea, cf. anche nel vol. I a p. 184 e le note ai brani nn. 8 e 424. Un discorso per certi aspetti simile va fatto pure per Apuleio, al quale Porfiro accenna anche in C. Chri.st. fr. 46 {= Auo., ep. 102,32). La figura di Apuleio, sapiente e mago, fu intesa in senso anticristiano specialmente in Africa e susCitò le preoccupazioni di sant'Agostino del quale cf. le già citate epp. 136 e 138; Civ. 8,14.16.22; 9,3; 10,27. Cf. anche MOMIGLIANO, Saggi, 108109 e C. MoRESCHINt, «Sulla fama d� Apuleio nella Tarda Antichità», in Stu· -

.

­

,

,

,

142

dia J.H. Waszink, a cura di W. DEN BoER et Alii , Amsterdam 1 973, 243-248. Le Metamorfosi di Apuleio furono edite da Salustius Crispus, figlio del PUR (383-384 d.C. ) pagano . Salustius Aventius sul quale cf. vol. l, p. 250. Sull'accusa ai. proclamatori del verbo cristiano di essere «gente zotica e miserabile» cf. il brano n. 614 e la relativa nota di commento. È anche da no­ tare che qui Girolamo contrappone a Porfirio l'argomento apologetico della testimonianza dei martiri, cf. P. ANTIN, «Mmiachologie de Saint Jérome», in Racueil sur Saint Jér6me, (Coli. Latomus, 95) , Bruxelles 1 968, 145. Tra i pa­ gani, infatti il martirio dei cristiani suscitava sovente profonda in1pressione e costituiva argomento di conversione; a proposito del martirio di Policarpo di Smime leggiamo in Mart. Pol. 1 9,1 che se ne parlava «in ogni luogo anche tra i pagani (tm;ò ,;&v èHv&v)». Questo frammento di sicura paternità porfiriana nell'accusare gli apo­ stoli di aver estorto soldi alle donne che convertivano, ricorda un'afferma­ zi one di Ammiano Marcellino per il quale i vescovi di Roma della sua epoca accrescevano le loro già ingenti ricchezze con le ablazioni delle ma­ trone, cf. 27,3,14 (su questo brano cf. A. BARZANò, «Tavola e politica in età imperiale» , in CISA 1 [1991]252); sull'accusa di venalità rivolta a vescovi, monaci e resp onsab ili cristiani in generale cf. vol. l, pp. 333ss. Vettio Ago, rio Pretestato, campione del paganesimo nella Roma della seconda metà del sec. IV d.C., durante la sua praefectura Urbis (3 67-3 68 ) , secondo quanto riferisce HIER., c. loh. Hieros. 8 (PL 23, 377), soleva prendere in giro il vescovo di Roma Damaso dicendogli: «nominatemi vescovo � Roma, mi faccio sùbito cristiano ' anch'io». SYMM., reL 21,3 definisce Da­ maso , vescovo della chiesa di Roma. «antistes eius legis». È del 3 0.7 . 370 una legge di Valentiniano che intende arginare l'attività di quei direttori spirituali cristiani che inducevano ricche vedove sottomesse al loro ascen­ d�nte a nominarli eredi d'ogni loro sostanza, cf. CTh 16.2.20. Ma l'afferma­ zione di Porfirio va inserita nel suo contesto e, pertanto essa pone anche il v asto e interessante problema costituito dal valutare i giudizi formulati dai pagani sul conto delle donne cristiane e del loro ruolo nell'àmbito della chiesa. Su questo tema cf. vol. l, c. XII. Nel frammento qui riportato ricorre l'accusa di magia rivolta ai cristiani sulla quale cf. la nota di commento al n. 306. Sul brano qui riportato nella sua generalità, invece, . cf. CouRCELLE , >. «Non uccidere». «Non rubare».

«Non prestare falsa testimonianza». «Non desiderare i beni del tuo vicino». Ma, per gli dèi, all'infu01i di «non adorare altri dèi» e «ricor­ dati del sabato» , quale popolo non crede necessario rispettare gli al­ tri comandamenti, come anche imporre ai trasgressori punizioni ora

più severe, ora simili a quelle prescritte da Mosè, talora infine anche più umane?

Per Celso la morale dei giu dei «è banale (xowòv etvm) e, in confronto a quell a dei filosofi non insegna alcunché di straordinario o di nuovo», cf. OR., Ce/. 1 ,4. A sua volta, secondo un'accusa mossa dal giudeo introdotto a par­ lare da Celso, è l'insegnamento dei cristiani a non contenere niente di nuovo, cf. OR., Cel. 2,5. Tertulliano sembra aver presente uno stesso tipo di obiezione all'insegnamento morale dei cristiani quando riporta le afferma­ zioni di quei pagani secondo i qu ali «le stesse cose . insegnano anche i filo­ sofi e le professano: cioè l'innocenza, la giustizia, la p azi enza la sobrietà, la pudicizia», apol. , 46,2. Sul brano qui rip ort ato cf. ADLER, 597, 604; AzrÙ, 148; BARTELINK, 45; .

.

,

CASTELLI, 85ss; CoRBI�RE, 100; DE LADRIOLLE, Réaction, 402, 418-419; DEMA­

ROLLE, 44, 216; GAGER,

Moses, 105; GARDNER, 210-212; LEWY, «Julian», 76, 78; LOESCHE, 289; MALLEY, 49, 105; NAVILLE, 178-179; NESTLE, 473, 494; NEU­ MANN, 1.1 2; REoAzzoNr, 74-75; RoKEAH, 60, 164; Io., «The Jews», 66; SmRN, II, 5 1 9, 535.

130 A. La «gelosia di dio» Es 20,2.5. luL., GaliL

Il testo

fr.

30

=

189,5-6 Neumann.

è riportato

al

n.

152.

Cf. AoLER, 613: il testo del verso 5 riportato da Giuliano (o'Ò �QOO'?!.vvfl­ OELS BeoLe; è•egoLc;) diffe ris ce da quello della S ep tu a gin t a che invece aderisce alla tradizione manoscritta in ebraico.

149

131. Iddio è geloso e fa pagare ai figli

le colpe dei padri Es 20,5. luL., Galil., fr. 20

=

179,4-6 Neumann.

Non sono forse questi segni di limitatezza: «dio geloso» (�11ÀW"t�ç) (per quali motivi è geloso ?) e «dio che fa scontare ai figli le colpe ( 6.q.t.aQ"ttaç) dei padri»?

Il problema della responsabilità individuale e della relativa giusta rimu­ nerazione che da Dio bisogna attendersi è ben presente nei polemisti anti­ cristiani come s'è già detto nel vol. l, p. 311. PLATO, leges 856C esclude espli­ citamente che le colpe dei padri possano ricadere sui figli. Secondo DOWNEY, «Themistius», 262, 'THEMIST., or. 21 ,25 8 a si riferirebbe sarcasticamente alla dottrina biblica secondo la quale Iddio riversa sui figli le colpe dei padri (Es 34,7; Nm 14,18; Dt 5,9) ritenendola inferiore al precetto platonico già citato. Se questa congettura va accettata bisognerebbe notare che la sensibilità del retore pagano si rivela qui simile a quella dell'imperatore anche se lo «stile» del loro anticristianesimo è diverso poiché diversissima è anche la temperie nella quale i due operarono, cf. LJ. DALY, «In a borderland. Themistius' ambivalence toward Julian», ByzZ 73(1980), 1-1 1. Tra le obiezioni attestate in AMBROSIAST., quaest. Veteris et Novl Test. ben tre ineriscono la nostra pro­ blematica: la n. 13, dove si tratta dei giusti a Sodoma (cf. qui il brano n. 93). la n. 14, dove gli ebrei sono accusati d'aver abusato della promessa fatta da Dio di far pagare ai figli le colpe dei padri (cf. qui i brani nn. 132, 239 e 244) e la n. 36, dove si cita Ez 18,20 a proposito dell'episodio di Achar (cf. qui il brano n. 240). Sullo stesso tema ritorna anche la quaestio trasmessaci in Ps. IusT., qu. et resp. 138 che pure cita Ez 18,20. Il rapporto tra le colpe indivi­ duali (circoscritte nel tempo) e le punizioni divine (ritenute dai cristiani eterne) costituisce un tema ricorrente nella controversia tra pagani e cri­ stiani ed è già attestato in Porfirio (cf. il n. 557). La discussione su temi quali la responsabilità individuale o la teodicea si basa, solitamente, su afferma­ zioni veterotestamentarie come queste o sulla inammissibilità della dottrina cristiana dei castighi eterni. Merita senza dubbio attenzione un'iscrizione se­ polcrale greca del 261-262 d.C. di Kollida, a circa 45 chilometri ad est di Sardi, nella quale la maledizione funeraria sembra invo care la punizione che si trasmette attraverso le generazioni: «se qualcuno profana questa tomba. egli subirà le ire di Apollo e della signora Anaeitis (che si trasmetteranno) sopra i figli dei figli e i nipoti dei nipoti (�Là. 'té"X.va 'té"X.vcov liy ova ày6vcov). cf. P. HERRMANN, Tituli Asiae Minoris, V l , Wien 1981, n. 213. Il Ramsay. a proposito di questa espressione ha pensato ad un pagano influenzato da testi biblici quali Es 34,7 o Pr 17 ,6; la sua tesi è stata acéettata da studiosi au­ torevoli (Frey, Kraabel e, in modo più ipotetico, Buckler e Calder) tra i quali, più recentemente, anche TREBILCO, 73-74. Riserve ha invece espress o

150

STRUBB, 102 facendo rilevare la ricorrenza dell'espressione in testi letterari ed epigrafici greci. In realtà 'TREBILCO, 69-74 riporta 12 epigrafi che conten­ gono l'espressione «Sui figli dei figli» e che provengono tutte da Acmonia. Un caso evidente di utilizzazio ne di frasi e concetti biblici in una maledi­

zione funeraria greca (pagana) è più oltre riportato al n. 165. Sul brano qui riportato

cf. ADLBR, 613; ATHANASSIADI, 163; BRAUN, 182;

CASTELLI, 85-91; GARDNER, 210-21 1; GIGON, 177; MERBDITII , 1142; NAVILLE, 1 78; NEUMANN, 111; RENDALL, 233; RINALDI, «Quaestiones», 120 nota 104; ROKEAH,

127; SCHAUBLIN, 61

nota

19; VIGOUROUX,

219.

132.

Ancora sulla giustizia di Dio ed il rapporto colpa/punizioni

ter.

Es 20,5. Anonym. ap. AMBROSIAST.,

quaest. Veteris et Novi Test. 14

=

39,4 S ou ­

Come mai Dio, che viene definito giusto , promise che avrebbe

fatto ricadere le colpe dei padri sui figli fino alla terza ed alla quarta generazione? L'obiezione qui proposta è tipica della controversia anticristiana, cf. il commento al brano n. 131. L'Ambrosiaster, trattando tale quaestio, riporta altri riferimenti in tono polemico al testo biblico, cf. i nn. 239, 240, 244. Si noti anche la perfetta coincidenza del ragionamento sviluppato qui e da Giuliano nel brano n. 131. Cf. anche CouRCELLE, 141; RINALDI, «Quaestio­ nes», 1 08 nota 38. ·

133. Mosè e i sacrifici 22,20. Iut.. , GaliL

Es

fr.

70

=

217,7-14

Neumann.

(Giuliano) credette che lo ierofante ("ròv tsgotiV&rJv) Mosè sa­ crificasse a dem on i nefandi e abominevoli e contemporaneamente, cosa ancor più intollerabile, ha detto che il legislatore stesso racco­ mandava loro di farlo, p erché noi potessimo cogliere la contraddi­ zione del suo legiferare; ha detto infatti: «Chi sacrifica ad altri dèi sarà sterminato , non chi (sacrifica) al Signore solo» ; S e, come dice lui, sembra avere ordinato di sacrificare secondo il rit o anche a de­ moni abominevoli... Ha detto infatti che egli (Mosè) ha enumerato i modi dei sacrifici.

Cf. GAGER, 99; IJ?., Moses, 1 05-106; NEUMANN, 119; RosTAGNI , 344 nota l. 151

134. «Non maledirai gli dèi» 22,28. IuL., Galil.

Es

fr.

58 = 208,5-6

Il testo è riportato al n.

Neumann.

167.

Lo stesso ragionamento qui sviluppato da Giuliano si ritrova nell'argo­ mentazione anticristiana riportata da Macario di Magnesia più sotto al brano n. 135. Cf. ROKEAH, 128.

135. D monoteismo e alcuni precetti Es

di

Mosè

22,28.

Anonym. ap. MAc. MAGN.,

apocr. 4,23

=

90,6-25

Harnack.

P ç> trei addurti ancora dalla legge altre prove circa quell'insidioso nome di dèi, quando proclama ed ammònisce con molto tatto l'a­ scoltatore: «Tu non insulterai gli dèi e non parlerai male del signore del tuo popolo».nlnfatti non ci parla di altri dèi, tranne quelli da noi riconosciuti e di cui noi sappiamo nelle parole: «Tu non andrai indie­ tro agli dèi»,b e ancora: «Se andrete e adorerete altri dèi».c Che non siano uomini, ma dèi, e quelli da noi tenuti in onore afferma non solo Mosè, ma anche Gesù ( = Giosuè) suo successore, il quale dice alla folla: «E adesso temete lui e servite lui solo e cacciate via gli altri dèi che i padri vostri adorarono»;d e Paolo non è degli uomini ma de­ gli esseri incorporei che dice: «Sebbene vi siano molti così detti dèi e molti signori, sia in terra che in cielo, per noi vi è un s olo Dio e padre da cui tutto deriva».• Perciò commettete un grave errore a credere che Dio sia adirato se un altro è chiamato dio e ottiene lo stesso ap­ pellativo, perché anche coloro che comandano non guardano di mal occhio l'identità di appellativo dei loro sudditi e schiavi: non è giusto quindi credere che Dio sia di mentalità più gretta degli uomini. E questo è sufficiente per quanto concerne l'esistenza degli dèi e il do­ vere di adorarli. •>

Es 22,38". bl Ger 7,6. •> Dt 13,2. dl Gs 24,14. •> 1 Cor 8,5-6. Questo brano sviluppa, con dovizia di citazioni bibliche, lo stesso ragio­ namento avanzato da Giuliano (cf. n. 167) : la credenza cristiana nell'esi­ stenza di un solo Dio (esclusivista, inoltre, e geloso) è infondata poiché la 152

Scrittura afferma (in modo più o meno esplicito) l'esistenza di al tri dèi an­ che se non è di questi che prescriv e il culto. In realtà i p agani tendevano a identificare gli angeli della tradiziona giudaico cristian a con i loro dèi, cf. i nn. 73 e 392. A. I-iilhorst, recens end o il nùo Bib/ia gentium (in JSJ 1 9 90, 275), mi sugg erisce opportunamente di prendere in considerazione il brano di Omelie Pseudo Clementine 16,7; � da ritenere che esso presen ti forti affi­ nità con l'esegesi pagana di Es 22,28 sviluppata da Giuliano e dall'anonimo di Macario di Magnesia, infatti l'autore nella controversia tra Pietro e Simon Mago attribuisce a quest' ultimo proprio una citazione di questo versetto al fin e di dimostrare che le scritture non negano l'esistenza di p iù dèi, anzi ne prescrivono il risp etto . Ancora HILHORST, 83 rileva a proposito delle · asser­ zioni monoteistiche del D euteron onùo : « ...we have to do here with the con­ cept of the incomparability of Yahweh rather than with a strict mono ­ theism», p ertan to, potremmo osservare, l'esegesi di Giuliano qui dvela tratti di modernità anche se, naturalmente, non deliberati né consapevoli. . . Cf. ANASTOS, 435-436; CoRSARO, 9, 14; Io., Quaestiones, 6, 17; CRAFER, 506; Io., Apocriticus, 152 no ta l; Io., «Apologist», 547; HARNACK, Kritik, 90 (osservazioni di critica testuale sulla scorta dei manoscritti biblici) , 99 nota l, 101-102, 126, 129; GI GON , 171-172; HULEN, 53; LOEsCiiE, 278, 281; NESTLE, 492; RINALDl, 103 nota 25, 106; RoKEAH, 128; ROSTAGNI, 342; SALMON, 771; SCHEIDWEILER, 309-310; STEIN, «Bibelkritik», 79; VAGANAY, 2577, 2586; WAELKENS, 36-37.

136. La Legge scritta col dito di Dio Es 31,18. Ano nym .

ap.

OR. , Cel. 1,4

=

I, 86,9-13

Borret.

Ne consegue che nel giudizio di Dio nessuno può trovare scusa, dal mo mento che non esiste nessuno, il qu ale non possegga lo spirito della legge scritto nel suo cuore. E questa còsa ci ha rivelato, quasi in simb olica immagine, la Sacra Scrittura, con quella che i greci riten­ gono una favola, quando racconta che Dio scrisse col suo dito le leggi e le consegnò a Mosè.

137. Le tavole scritte col dito di Dio Es 31,18. Anonym.

ap.

MAc.

MAGN. , apocr.

4,21

=

88,18-19 Harnack. 153

Il testo è

al

riportato

n. 392.

In questo brano il particolare biblico che raffigura Iddio con le dita viene riferito al fine di difendere d agli attacchi dei cristiani il culto p agano delle statue che raffigurano, appunto, gli dèi in forma umana.

138.

Mosè

Iddio

33,11. Anonym. ap. AMBROSIAST., quaest. Veteris et Novi Test. 71

Es

ter.

=

122,20 Sou­

n testò è riportato al n. 223.

139. D Es

digiuno

34,28. Galil. fr. 93

IUL.,

di

=

Mosè

234,19-21

prima di ricevere la legge Neumann.

Ma Mosè dopo quaranta giorni di digiuno prese la legge; Elia dopo un digiuno altrettanto lungo ebbe visioni personali di carattere diVino.• Ma Gesù che ottenne dopo · un cosl lungo digiuno?b •>

1Re 19,8. b) Mt 4,2. Il testo di questa obiezione, insieme ad altri relativi alle tentazioni di Gesù, c�è pervenuto anche in un frammento del C. lul. di Teodoro di Mo­ psuestia (fr. 3} , cf. GUIDA, Teodoro, 81, 130-132. 0. DE LABRIOLLE, Réaction, 412; GAOER, 101; GtJIDA 145. .

,

LEVITICO 140. I sacrifici Lv 3,3ss. Anonym. ap. Souter .

AMBROSIAST., quaest. Veteris et Novi Test. 103

. Il testo è riportato . al .

154

n. 236.

=

22S,lss

141. I sacrifici Lv 3,3ss. Anonym. ap.

AMBROSIAST., quaest. de Vetero Test. 48

=

427,15-16

Sou­

ter.

Il testo è riportato al n. 196.

142. Precetti di Mosè sui .sacrifici Lv

7,20.

luL., GaliL fr. 71

=

2i$,10-13

Neumann.

Ora, che Mosè conoscesse i riti sacrificali. è chiaro da quanto detto. Che poi non li considerò, come voi, un atto impuro, ascolta­ telo ancora dalle sue parole: «La persona che gusti le carni del sacri­ ficio della salvezza, cioè del Signore, e l'impurità sia su di lei, quella persona sarà recisa dal suo popolo» . Così attento era anche Mosè al consumo delle carni del sacrificio. Giuliano aveva precedentemente citato i precetti sacrificati contenuti in Lv 16, cf. n. 145. La polemica sull'abolizione dei sacrifici da parte dei cri­ stiani è particolarmente approfondita da Giuliano; egli scrive a tal propo­ sito: «Perché anche se ci (= noi greci) abbandonate non rispettate la legge dei giudei e non rimanete fedeli alle parole di Mosè? Certamente qualcuno dalla vista acuta dirà: neppure i giudei fanno offerte sacrificali. Ma io pro­ verò la sua straordinaria cecità, in primo luogo perché voi non rispettate nessun'altra tradizione giudaica, poi perché i giudei fanno sacrifici in privato e anche ora mangiano tutte le offerte cultuali, pregano prima di sacrificare e danno la spalla destra (della vittima) come primizia ai sacerdoti, ma, privi del tempio e dell'altare sacrificalé o, come essi dicono, del santuario, non possono offrire a Dio le primizie dei sacrifici. Ma voi che avete inventato questa nuova forma di sacrificio e non avete, credo; bisogno di Gerusa­ lemme, perché non sacrificate? Eppure io vi ho rivolto questa domanda senza necessità, perché l'avevo fatta già all'inizio quando volevo dimostrare che i giudei hanno un comportamento simile a quello dei gentili, eccettuata la loro fede in un unico Dio. Questa è la loro peculiarità, a noi estranea. Quanto al resto però possiamo parlare di comunanza: templi, santuari, al­ tari, purificazioni, alcune prescrizioni che si presentano . o assolutamente identiche o con ben piccole differenze». Su Giuliano e la critica rivolta ai cristiani di non celebrare i sacrifici cf. SJMON, 141-142 e anche i brani nn. 69, 70A, 143, LEWY, «Julian», 75-77 esa­ mina il favore mostrato da Giuliano verso i sacrifici giudaici alla luce delle tradizioni filosofiche della scuola neoplatonica. Sull'accusa rivolta dai pa­ gani ai cristiani di aver abolito i sacrifici in generale cf. il brano n. 160 e la re­ lativa nota di commento. Sul brano qui riportato cf. NESTLE, 514; NEUMANN, 1 19; Ro KEAH, 34; ScrcoLbNE, 74.

155

143. n fuoco che scende dal cielo

a consumare le vittime sacrificali Lv 9,24. IuL., Galil. fr. 83

=

226,16 - 227,6

Neumann .

Voi invece praticate quel che D io ha aborrito fin dall'inizio, sia per bocca di Mosè che dei profeti, e avete smesso di condurre all'al­ tare vittime e di offrirle. Il fuoco infatti, dice, non scende dal cielo a consumare le offerte come avvenne per Mosè. Il fenomeno si veri­ ficò una sola volta per Mosè e di nuovo dopo molto tempo per Elia Tesbite.a Inoltre, mostrerò in breve che proprio Mosè e anche il pa­ triarca Abramo,b prima di lui, credono necessario portare in ag­ giunta del fuoco. •> l Re

18,38. b) Gen 22,6. NESTLE, 514; NEUMANN, 121; ROKEAH, 33-34; SIMON, 141-142 e l'obie­ zione di Porfiriq riportata al n. 150. Cf.

144. La distinzione tra bestie pure e bestie impure 11,3. Iut., GaliL fr. 74 Lv

=

220,14

Neumann.

Il testo è riportato al n. 617.

145. �a legislazione sui sacrifici di Mosè 16,5-8.15-16 . . Iut., Galil. fr. 70

Lv

=

217,14 - 218,7

Neumann.

Sta ancora a sentire cosa dice di quelli che hanno il potere di al­ lontanare il male: «e prenderà due capri tra le capre per espiazione di una colpa e un ariete per un olocausto e Aronne offrirà il gio­ venco per la colpa sua e purificherà se stesso e la sua causa; e pren­ derà i due capri e li porrà davanti al Signore, presso la porta del ta­ bernacolo del patto. E Aronne assegnerà per sorteggio uno dei due capri al Signore e uno all'allontanatore del male»; dice che lo lascia andare nel deserto cosl da farlo uscire come espiazione. Questo è il rito che si esegue per il capro destinato all'allontanatore dei mali. Dell'altro capro dice: «E sgozzerà il capro per la colpa del popolo di­ nanzi al Signore e farà colare il suo sangue all'interno della cortina e 156

il sangue gocciolerà ai piedi dell'altare e purificherà nel luogo sacro d all'imp urità dei figli d'Israele e dalle trasgressioni per tutte le loro

colpe».

Cf. AoLER, 598, 603, 613 (al v. 5 Giuliano parla di "tQéLyot laddove, nella Septuagilita, abbiamo XL�LétQOL che concorda con l'ebraico; il pagano, inoltre, omette le parole iniziali «della congregazione dei figli d'Israele»); AsMus,

8-9; DEMAROLLE, 44; G AGER, Moses, 105; NESTLE, 514; NEUMANN 119; RE­ GAZZONI, 43-44, 77; RosTAGNI, 344 nota 3; S crcoLONE, 74. ,

NUMERI 146. Dio parla con Mosè bocca a bocca 12,8. IuL., Galil. ,

Lv

fr.

6

=

170,12 - 172,2

Il tes to è rip o rtato al n.

Neumann.

25.

Giuliano si riferisce a questa espressione del libro del Levitico nell'àm­

25. Cf. BARTELINK, 45; CRrscuoLo, 283; G. DoruvAL, La Bible d'Alexandrie. Les Nombres, Paris 1 994, 303 (le interpretazioni giulianee di brani del libro dei Numeri, ricordate di volta in volta, in sede di commento ai rispettivi ver­ setti); LOESCHE., 289; NE.UMANN, 109. bito di un paragone tra la cosmogonia platonica e quella di Mosè, cf. n.

147. Una profezia sulla stirpe di Giacobbe Lv

24,17. IuL., Galil. fr. 64

=

212,15

-

213,2

Neumann.

Ma anche nei Numeri è detto: «Sorgerà una stella da Giacobbe e

un uomo da Israele». È chiaro che questa espressione si riferisce a David e ai suoi discen denti, perché David era figlio di lesse. Poiché dunque cercate di provare tutto con questi scritti, tiratene fuori una sola ci t azio n e di fronte alle molte mie.

RosTAGNI, 338, nota 5 spiega il motivo per il quale ha corretto la lezione 'loQa�À. del testo tràdito ed accettato, sia pur con perplessità, dal Neumann

in 'IecrcraL. In quest'ultimo caso Giuliano avrebbe contaminato questa p rofe­ zia con l'altra contenuta in Is l l , lss. Si noli qui l.a consapevolezza di Giu­

liano del fatto che i cristiani cercavano di provare ogni loro affermazione ri­ correndo a citazioni scritturali. Cf. AnLER, 610-614 (Giuliano si allontana dalla Septu aginta che qui aderisce all'originale ebraico); GAOER, Moses, 109;

GARD NER, 211; NESTLE, 494; NEUMANN , 118.

157

148. L'episodio di Fineès Lv 25,1 1.

- 191,15 Neumann. (Negli scritti di Plat on e) dio non appare mai adirato, sdegnato, irritato, pronto a giurare, facile a cambiare atteggiamento, co me dice Mosè nel caso di Fineès. Se qualcuno di voi ha letto il libro dei Nu­ meri, sa quel che dico. Quando Fineès, dice, afferrò e uccise di pro­ pria mano l'uomo che si .era consacrato a Beelfegor e con lui l a donna che lo aveva convinto, co lp endola, dice, all'utero, ferita oscena e dolorosissima, si attribuiscono a di o queste parole : «Fineès, figlio di Eleazar, figlio del sacerdote Aronne, ha all ontanato la mi a ira dai figli d'Israele, nell'infiammarsi della mia stessa gelosia nei loro confronti. Ed io nella mia gelosia non ho distrutto i figli d'Israele». Che cosa vi può essere di più insignifican te della causa per la qual e dio è stato presentato, contro veri tà , in preda all'ira d a chi ha scritto il passo? Che cosa di più insensato se dieci, quindici, ammettiamo pure cento - non diranno mille , ma pure concediamo che una tal e quantità di gente abbia osato trasgredire qualche co­ mandamento divino - era dunque necessario per un solo migli aio di­ struggerne seicentomila? A mio parere è indiscutibilmente meglio salvare un malvagio insieme con mille onesti, piutto sto che far perire i mill e insieme con quell ' un o ... Se infatti è difficile per regioni e città intere resistere allo sdegno anche di un solo eroe e di un oscuro de­ mone, chi avrebbe potuto affrontare l'ira di un dio così potente con­ tro demoni, angeli e uo mini ? IuL., Galil. fr. 33

=

190,5

È significativa la sfilza di aggettivazio ni rifèrite indirettamente al Dio biblico con la quale inizia il framm ento : o-o6a�toii xa1..e:n:atvc.ov 6 eeòç atve­ "aL o"fl&è àyava"i!.'tciiV o"fl&!; ÒQ)'L�Òf.LEVoç otJOI; Òf.LVUC.OV o"fJO'èn:'èt.f.L Àa"tQeilae�.ç;

pertanto la citazione giulia­

nea è da considerarsi «eclettica» nella misura in cui corrisponde alla Sep­ tuaginta ma aggiunge il rafforzativo IJ.ÒVQ>; tale aggiunta la si riscontra, ma in

un altro versetto biblico, anche nel pagano confutato da Macario di Magne­

sia, cf. n. 172. Sul precetto del Deuteronomio e sulla sua utilizzazio ne nella

letteratura patrisnca (e anche in Giuliano) è fondamentale Hn.HORST, 83-91 .

Cf. anche ADLER, 6 1 3 (il testo della Septuaginta, secondo Tischendorf, coin­ cide con quello di Giuliano); MANN, 1 1 9.

158. Israele è Dt 9,13. luL., Galil.

fr. SO =

MALLEY,

un

105, 346-347; MEREDITii, 1 146; Nsu­

popolo «dal collo duro»

201 ,12 Neumann.

Il testo è riportato al

n.

483 con osservazioni

·in

nota.

159. «Adora Iddio soltanto» Dt 13,2. Anonym. ap.

MAc.

MAGN., apocr. 4,23

Il testo è riportato· al

n.

=

90,1 1-12 Harnack.

135.

160. L'Iddio d'Israele chiede le primizie Dt 18,4ss. PoRPH., c. Christ. , fr. 79 ap. Aua., ep. 1 02,16 = 558,10-14 Goldbacher.

(I cristiani) biasimano i riti dei sacrifici, le vittime, i grani d'inaltre cerimonie osservate nel culto dei nostri templi, men­ tre lo stesso culto ebbe inizio da essi o dal dio da essi adorato fin dai tempi antichi, poiché viene narrato che dio ebbe bisogno di primizie.

censo, le

L'epistola 1 02 di Agostino ci riporta sei obiezioni a varie dottrine cri­

stiane di un autore pagano che dimostra di conoscere le Scritture. Le altre cinque riguardano i seguenti argomenti: la risurrezione dei corpi (cf. n. 514), il ritardo della v enu ta di Gesù (cf. n. 519), il rapporto tra colpa e castigo (cf. n . 557), la possibilità da parte di Dio di avere un figlio (cf. n. 213), la vicenda di Giona (cf. n. 285). Su questo dossier agostiniano cf. vol. I, pp. 298ss. Nella risposta a questa obiezione, che non ho riportato, Agostino af­ ferma che il pagano avr ebbe derivato la sua perplessità dall'episodio di 165

Caino e Abele (Gen 4,1-16). La stessa obiezione pagana ricorre in Au o. , C. Faust. 22,17. Questa stessa obiezione ricorre, col n. 83, tra quelle apparte­ nenti alla raccolta delle Quaestiones et responsiones ad Orthodoxos, sulla quale opera cf. BARDY, «Quaestiones», 1933, 217. Lo strettissimo legame tra la fedeltà allo stato, la vera pietà e la pratica dei sacrifici è ben enunciata da Lucio Anneo Cornuto (filosofo stoico di età giulio-claudia) il quale nel suo Compendio della teologia dei greci, afferma, a proposito del culto degli dèi, che tutto ciò che in loro onore è debitamente fatto dev'essere in conformità al costume tradizionale; soltanto cosl i giovani sono spinti alla pietà e non alla superstizione, e sono ammaestrati a cele­ brare sacrifici, a pregare e a giurare correttamente, nei tempi e secondo la disciplina che è convenzion�e (c. 35). Di conseguenza tra le accuse anticri­ stiane più ricorrenti v'è quella d'aver abolito la pratica dei sacrifici: i pagani di Smirne accusano ad alta voce il martire Policarpo per aver insegnato a non celebrare sacrifici, Mart. Pol. 12,2; Celso fa affermare al giudeo da lui introdotto per confutare il cristianesimo che «Gesù ha osservato tutti i no­ stri costumi, non esclusi i riti sacrificali», OR., Ce/. 2,6; l'accusa dei pagani ri­ portata in TERT., apol. 10,1 si basa sull'astensione dei cristiani dai sacrifici; sempre nello stesso testo (21,2) l'apologeta riferisce le accuse rivolte dai pa­ gani ai cristiani per aver alterato le consuetudini alimentari, le celebrazioni dei giorni sacri e per aver abolito la circoncisione. Anche altri apologeti ci trasmettono l'assunto delle critiche dei pagani: ATHENAG., leg. 13; Eus., d. e. 1 ,10 e l'intero settimo libro dell'Adversus nationes di Arnobio. I neoplatonici contro i quali p Òleroizza Auo., co11S. evang. 1,16,24 affer­ mano che Gesù non comandò mai di abbandonare i sacrifici, mentre i suoi seguaci si resero colpevoli di tali omissioni; nel 406 i pagani di Roma teme­ vano che il sacco della città da parte del barbaro (pagano) Radagaiso non si sarebbe potuto evitare poiché costui sacrificava agli dèi mentre i cristiani avevano abolito i sacrifici, cf. Auo., civ. Dei 5,23,19. In Auo., ep. l36,2 ab­ biamo, tra le critiche rivolte dal pagano Volusiano ai cristiani, anche la ricor­ rente obiezione relativa all'abolizione dei sacrifici: «. . . perché questo Dio, che si afferma essere anche il Dio dell'Antico Testamento, abbia disprez­ zato gli antichi sacrifici e si sia compiaciuto di nuovi. (Volusiano) asseriva che non è lecito correggere se non ciò che si potesse dimostrare essere stato fatto male precedentemente e che in nessun modo si sarebbe dovuto mutare ciò che una volta è stato fatto bene. Affermava che le cose fatte bene non possono essere mutate se non ingiustamente, tanto più che un simile muta­ mento potrebbe far accusare Dio d'incostanza». Anche in AMBROSIAST.. quaest. Veteris et Novi Test. 103 ci si interroga sulla validità delle pratiche sa­ crificati proprio sulla scorta di questi brani del Levitico, cf. il n. 236. Su Giuliano e la critica rivolta ai cristiani di non celebrare i sacrifici cf. i brani nn. 69, 70A, 142 e 143. Sono note le differenze dottrinali a proposito della pratica dei sacrifici tra i vari esponenti di quella corrente neoplatonica che, nei secoli III e IV, rappresenta il più consapevole fronte anticristiano. Porfirio sia nel De abstinentia che nella Lettera ad Anebo dichiarò la pratica sacrificale superata per quegli uomini giusti e saggi che riuscivano a realiz166

zare una più intima e diretta unione con Dio. In ciò egli si dimostra buon al­ lievo di Plotino (cf. Po RPH. , v. Plot. 10,60; ep. Mare. 23). Di altro parere fu­ rono Giamblico, Giuliano e Salustio filosofo, per limitarci a questi nomi. Costoro, infatti, perseveravano nella pratica dei sacrifici e la raccomanda­ vano pur insegnando che non erano certo gli dèi ad aver bisogno delle of­ ferte o delle vittime immolate, bensì il sacrificante stesso era destinato a trame beneficio al fine. di realizzare una più stretta unione con gli dèi. Para­ dossalmente la concezione più spirituale di Porfirio in tale materia incontrò il favore dei padri della chiesa. Tornando ora alla quaestio qui esposta, se essa va attribuita a Porfirio andrà conseguentemente intesa non come una difesa dei sacrifici, ma come il tentativo di cogliere i cristiani in contraddi­ zione con le Scritture giudaiche da loro pur ritenute normative. La dichiara­ zione sui sacrifici del pagano confutato da Macario di Magnesia nel brano . qui al n. 392 («i sacrifici offerti agli dèi non significano tanto un tributo d'o­ nore verso di essi, quanto una dimostrazione della devozione dei fedeli e della loro gratitudine nei riguardi di essi») s'inserisce pertanto nel secondo filone dei ne;oplatonici e ci lascia pensare che anche qui il testo pagano te­ nuto presente da Macario contenga argomentazioni non porfiriane. Su Por­ firio e i sacrifici cf. anche il n. 218. Sul brano qui riportato cf. BARNES, 430 nota 9; BENorr, 562; CoRBIÈRE, 143; CouRCELLE, «Propos antichrétiens», 162-163; Io., Lettres grecques, 197; DE LAll RIOLLE, R éaction, 441-442; GEFFCKEN, 63; Io., Zwei griech. Apol. , 298; GIO ON, 172; LOESCHE, 269; NESTLE, 514; PEZZELLA, «Note», 303; lo., «Pro­ blema», 94; RrNALDI, 10 6 , 109 nota 61; Io., «Quaestiones», 1 11-112, 118; Ro­ KEAH, 30 nota 42; VAGANAY, 2578; VOEOELS, 10 nota 2.

161. Mosè predice la venuta di un profeta Dt 18,18. luL., Galil. fr. 62

=

21 0, 10 - 211 ,12 Neumann.

Poiché essi ( = i cristiani) dicono di distinguersi dai giudei di e di essere dei perfetti israeliti secondo le indicazioni dei loro profeti (xa'tà 'to'Ùç JtQo> , in Antike Kunst 1 5 ( 1 972 ) , 1 22-124 pensa a u n a derivazione da

un

ciclo alessandrino ispirato alla Septuaginta, così anche K. ScHUBERT, >, in The Synagogue in Late Antiquity, a cura di L.l. LEVINE, Phi­ ladelphia 1 987, 1 83- 1 88 osserva che in questo affresco pompeiana Salomone è affiancato da due giudici assistenti in conformità alla letteratura rabbinie> ,

del Rostagni.

186. Il fuoco scende dal cielo a consumare le vittime sacrificali 1 Re 18,38. luL. , Galil. fr.

83 = 227,1-3

Neumann.

Il testo è riportato al n. 143.

179

187. Elia digiuna quaranta giorni 1Re 1 9,8. lUI . , GaliL fr. 93 .

=

234,19-21 Neumann.

Il testo è riportato al n.

139.

Cf. GAGER, Moses, 108; GUIDA, Teodoro, 80, 130-132.

1

CRONACHE .

.

188. Le generazioni da Davide alla cattività babilonese 1Cr 3. Anonym. ap. AMBROSIAST., quaest. Veteris et Novi Test. 85 = 146,1-6 Souter.

Il testo è 1iportato al n. 323.

ESDRA 189. Esdra e Mosè Iux.. ,

GaliL fr. 34

=

237,21-22 Neumann.

(Giuliano) ora dice che lo ierofante Mosè avrebbe parlato di dio in modo più demagogico che vero, esatto o congruente alla natura divina e ora pretende che Esdra avrebbe fatto alcune aggiunte di propria iniziativa.

Cf. GOULET, «Porphyre et la datation», 155; STEIN, «Bibelkritik», 78-79 e il n. 20 dove l'anonimo pagano confutato da Macario di Magnesia asserisce che le opere di Mosè furono incendiate insieme al tempio giudaico e che. pertanto, quel che gli viene attribuito fu scritto, in realtà, da Esdra e da al­ cuni suoi collaboratori.

GIOBBE

189 B. D vindex dies di un pagano giudaizzante Gb 19,25.

CIL 180

VIII

23,245

=

Le Bohec n. 9.

Parentes dicunt: Aeheeu! Miseros nos et infelices, qui duo lumina tam c[l]ara perdidimus! .Se[d] quid aliu[d] fieri nisi naturae serviendum? Se[d] veniet utique vindex ille noster dies, ut securi et expertes mali iaceamus. Si pariter, sopietur .dolor; si saeparatim, maior cruciatus superstiti relinquetur. Cupidi tamen sumus morti[s] , ut in illum puriorem secessum profugiamus. Homines enim quo innocentiores, eo infeliciores. Si tratta di un lamento funerario scolpito su pietra alta cm 41 e larga cm

7 1 . L'epigrafe proviene dal mausoleo di

Q. Aurelius Saturninus trovato

verso la fine del secolo scorso in Africa a Henchir Djouana, nella Byzacena; essa viene datata tra il II mi

è

e.

il III sec. d.C.

Per la pregnanza delle espressioni

sembrato opportuno riportarla nella sua lingua originale.

Saturninus compose questo carmen in onore di due suoi figli prematura­ mente scomparsi; conosciamo il nome di uno di questi due, P. Aurelius Feli­ cianus, grazie ad un'altra iscrizione qui in esame: D.

M. S. 1 P.

(CIL VIII 23,243)

Aurelius Felicianus

trovata vicino a quella

1 h(ic) s(itus) e(st) , vixit

an ( n is) (undeviginti) , m(ensibus) (novem); parentes, erudito et piissilmo

fi­

lio fecerunt. Fu dapprima

P. MoNCEAUX, «Paiens judaisants. Essai d'explication d'une jnscription africaine», in Revue archéologique 41 (1902), .208-226 che,

dopo aver rilevato il carattere indubbiamente pagano del mausoleo e delle iscrizioni ivi contenute, ravvisò nel nostro testo non pochi riecheggiamenti

di motivi e luoghi veterotestamentari. Successivamente F.

fragment de sarcophage judéo-paYen», in

CuMoNT, «Un

Revue archéologique

2(1 916), 9

nota 4 ritenne di poter ricondurre a influenze stoiche alcuni di questi motivi.

Da ultimo il De B ohec ha accettato -le conclusioni del Monceaux inserendo il documento tra i testi di pagani giudaizzanti d'Africa.

Il documento va per­

tanto ora studiato alla luce delle influenze giudaiche esercitate nella Byza­

cena a più livelli; basti pensare, oltre ai testi raccolti dal De B ohec, alla pre­ senza di vocaboli ebraici nelle

Sousse;

cf.

tabelle defixionum

di Hadrumetum ( =

Auoou.ENT, nn. 270, 271 , 284) e alle forti propensioni per il giu­

daismo del vescovo di Tusuros

(=

Tozeur) l'improverato da Auo.,

ep.

196.

Sarebbe forse anche il caso di ricordare la diffusione nella regione della setta dei «Caelicolae» che adoravano la dea Caelestis e osservavano le pre­

scrizioni giudaiche; cf. Auo.,

ep. 44,6 e PHILASTR., haeres. 15.

F'ELDMAN,

357-

358 ricorda la legge CTh 16.8.19 che menziona questi ultimi e afferma che

corrispondono a coloro che nel Talmud sono chiamati «yirei-worshipers».

L'amara riflessione alla l. 9 richiama versetti biblici tra cui Sal 72,3 ss;

Eccl 7,16; Ger 12,1 ecc. oltre che, principalmente, la trama stessa del libro di Giobbe. Ma è in particolare l'attesa del vindex dies attestata nella l. 4 che

181

sembra offrire un valido riferimento alla Scrittura. Sempre il Monceaux, in­ fatti, nota che la corretta traduzione dell'ebraico g�'el in Gb 19,25 costituiva argomento di dissenso tra giudei e cristiani. Per questi ultimi, fondati sulla Septuaginta e sulle loro convinzioni cristologiche, si poteva parlare di un vindex in senso personale (da identificare con Gesù) come, del resto, in­ tende la Vulgata di san Girolamo. Per i giudei il riferimento era, invece, lungi da ogni richiamo al Gesù dei cristiani, ad un vindex dies, proprio come nell'iscrizione qui riportata.

SALMI Avvertenza: la numerazione dei Salmi qui adottata è quella della Septuaginta.

190. Gesù figlio di Davide o di Dio?

ter.

Sal 2,7. Anonym. ap. AMBROSIAST., quaesL Veteris et Novi TesL 54 Il testo è riportato al n.

191.

=

99,12 Sou­

601.

Dio ba cura delle bestie

Sal 8,7. Anonym. ap. MAc. MAoN., apocr. 3 32 ,

Il testo è riportato al n.

=

62,8-10 Harnack.

661.

192. I cieli proclamano la gloria di Dio Sal 18,2. SIMPL., comm.

in ArisL

de coelo 1,3

=

VII, 90 1-5,13-18 Heiberg.

Se infatti la luce del cielo e il suo splendore, che di tanto sono superiori a quelli terreni, non avessero n e presso di noi gli stessi nomi, egli ( = Filopono) non avrebbe osato affermare che la luce del cielo si trova anche nelle lucciole e nelle scaglie dei pesci. . . ma per un va­ naglorioso desiderio di rivalità non si accorse che disponeva tutto il

182

contrario di Davide, che egli aveva in onore; che infatti non ritenesse le cose celesti della stessa natura delle cose che stanno sotto la luna, lo dimostra dicendo che il cielo narra la gloria di Dio e il firmamento annunzia l'opera delle sue mani: ma non dice lo stesso delle lucciole e delle scaglie dei pesci. Cf. STBRN, II, 686-687.

193. n sole come tabernacolo di Dio Sal 18,5. SIMPL. comm.

in Arisf. de coelo 1,3

=

VII, 141,26 - 142,3 ·Heiberg.

Del resto anche D avide, il profeta dei giudei, parlando di Dio, dice: «Nel sole pose il suo tabernacolo» . E non pensa che Dio voglia inabitarvi solo per qualche tempo, come mostra dicendo: «Egli che pose le fondamenta della terra, perché non vacilli nei secoli dei se­ coli» [Sal 103,5] . Ed è chiaro che, anche se spesso adopera l'espres­ sione «nei secoli» invece di «per molto tempo», assume d'altra parte l'espressione «nei secoli dei secoli» nel senso di «etemo»: e se tale ( cioè eterna) è la terra è chiaro che tali sono anche il cielo e il sole. Cf. RINALDI, «Quaestiones», 117; STERN, II, 686-688. Cf. anche Ps. Iusr., qu. et resp. 63 (90-92 O tto). Sulla controversia tra pagani e cristiani in merito all'eternità del cosmo, che è alla base del brano qui riportato, cf. il n. 656 con la relativa nota.

194. n cavallo e il mulo hanno intelletto? Sal 31,9. Anonym. ap. Souter.

AMB�osiAST.,

quaest. Veteris et Novi Test. 38

=

65,21-22

Se il cavallo e il mulo non hanno intelletto, tanto più la terra è

una cosa senza coscienza. Come mai, dunque, è detto che la terra be­ nedice Iddio?• 11 Dn

3,74. Cf. CoURCELLE, 144. 183

195. Dio ha cura delle bestie?

ter.

Sal 35,6. Anonym. ap. AMBROSIAST., quaest. de Vetero Test. 41

=

423,23-24 Sou­

Cosa vuol dire che nel salmo: «Farai salvi - dice - gli uomini e i giumenti» e al profeta Giona dice: «Non perdonerò la città nella quale abitano centoventimila uomini e molti capi di bestiame», ed invece l'Apostolo afferma: «Dio ha forse cura dei buoi?». La seconda citazione è da Gen 4,1 1; quella dell'apostolo Pa ol o è in 1 Cor

9,9. Cf. CouRCBLLE, 155. Il tema della provvidenza divina in merito alle be­

stie è attestato anche nelle quaestiones pagane a cui risponde Macario di Magnesia, cf. il n. 661.

196. I sacrifici Sal 39,7. Anonym . ap. AMBROSIAST., quaest. de Vetero Test. 48

427,17-18 Sou­

=

ter.

Perché nella legge fu ordinato allo stesso Aronne di offrire olo­ causti in espiazione dei suoi peccati, mentre Davide dice: «In espia­ zione dei delitti non chiedesti olocausti» e in brani seguenti: «Non ti compiacerai degli olocausti». Come mai Dio ha comandato che gli venga offerta una cosa di cui non si compiace? La richiesta di sacrifici ad Aronne è in Lv 3,3ss mentre l'ultima citazione è da Sal 50,18. Cf. COURCELLE, 158.

196 A. Davide celebra i suoi misfatti Sal 50. Anonym. ap AMBR., apoL proph. David altera 3,6

=

150 Schenkl.

Il testo è riportato al n. 179 A.

197. Dio non si compiace dei sacrifici Sal 50,18. Anonym. ap. AMBROSIAST., quaest. de Vetero Test. 48 Il testo è riportato al 184

n. 196.

=

427,19 Souter.

198. Una contraddizione tra Davide e Gesù Sal 69,4. A nonym. ap. AMBROSIAST., quaest. de Vetero Test. 73

= 467,9-10 Souter.

Come mai D avide dice: «Siano confusi e arrossiscano quelli ch é dicono "bene, bravo"», e il Signore, invece, dice «Bravo, servo buono e fedele»• con quel che segue? Quelle parole che Davide prese come oltraggio e offesa, il salvatore le mostra come lode ap­ propriata di azioni meritorie? •l Mt 25,21.

Cf. COURCELLE, 160.

·

199. Sull'esatta citazione di un salmo di Asaf Sal 77,2. PORPH., c. Christ. fT. 10

ap. HIER.,

tract.

de psalmo LXXVII = 66,72-73

Morin. Il testo è riportato al n. 370.

. 200. n «pane degli angeli» Sal 77,25. luL. , Galil. , fr. 20

=

178,3-4 Neumann.

E li senti gridare: «l'uomo ha mangiato

il pane degli angeli».

La citazione è fatta da Giuliano in un contesto nel quale si ironizza sui privilegi di cui avrebbe goduto esclusivamente il popolo d'Israele (cf. brano n. 635 ) . L'imperatore cita dalla Septuaginta questo testo che nei manoscritti ebraici non presenta «angeli»,. bensì «p o ten ti» . Lo stesso frammento ci è pervenuto anche tramite la confut azion e di Giuliano scritta da Teodoro di M op sues ti a (fr. 1 ) : «Per quale motivo Dio invi ava ai giudei in abbondanza lo spirito profetico e Mosè e il s acerdozio e i pro feti e la legge e gli incredibili prodigi dei loro miti - ecco infatti quanto p roclamano : "l'uomo mangiò il pane degli angeli" - e alla fin e (bt� ,;éÀO'IJS) mand ò loro anche Gesù?». Cf. GAOER, Moses, 110 nota 70; GUIDA, Teodoro, 59, 70-71 (Giuli ano qui ricorre anche al motivo della tarda venuta di Gesù; le p eculiarit à della risposta teo­ dorea che qui attinge da Origen e ed Eusebio da Ces are a) ; NEUMANN, 1 1 0; STERN, Il, 517, 532. Cf. anche il n. 129 dove si trova assurdo che gli angeli, pur essendo esseri spirituali, si sarebbero nutriti con la manna. 185

201. La terra come entità eterna Sal 103,5 (= 104,5 del testo ebraico). SIMPL., comm. in Arist. de caelo 1 ,3 =

vn, 141

Heiberg.

n testo è riportato al n. 193.

202. Nessun vivente sarà trovato giusto Sal 142,2.

Anonym. ap. AMBROSIAST., quaest.

de

Vetero Test. 23

=

48,17-20

Souter.

n testo è riportato al n. 294.

203. L'Eterno protegge i proseliti Sal 145,9. Iuv., 14,103

=

1 76 De Labriolle - Villeneuve.

Il testo è riportato al n.

'

15.

H.J. RosE, «Juvenal XIV. 103-104», in CR 45(193 1), 127 ravvisa in que­ sto verso di Giovenale un'allusione al salmo biblico; questa ipotesi, tuttavia, mi sembra molto fragile, come nel caso del n. 205; cf. anche GAGER, Moses, 86-87.

PROVERBI 204. IuL.,

GaliL

Un giudizio sul libro dei Proverbi fr. 54

=

203,6-10

Neumann.

n sapientissim.o ( ao cb'ta,;oç) Salomone è forse paragonabile ai greci Focilide, Teogni de, Isocrate? E come? Se dunque si mettessero a confronto le esortazioni di Isocrate con i proverbi di quello, si tro­ verebbe, lo so bene, il figlio di Teodoro superiore a quel sapientis­ sim.o re.

Cf. ADLER, 607; 0AGER, Moses, 103-1 04; MAU.EY, 34-35; MASARACCHJA. NEUMANN, 116, 203; ROSTAGNI, 329 nota 3 ..

228-229;

186

205. Non condividere la tua acqua Pr 5,15-17.

Iuv., 14,104 = 176 De Labriolle - Villeneuve.

Il testo

è

riportato

al

n. 15.

H.J. RoSE, Juvenol XIV. 103-104, in CR 45(1931), 127 ravvisa in questo vers o di Giovenale un'allusione al libro dei Proverbi; questa ipotesi, tutta­ via, mi sembra molto fragile, come nel caso del n. 203; cf. GAGER, Moses, 8687.

206. «Sapientia aediticavit sibi domum» Pr 9,1. Anonym. ap. AMBROSÌAST.,

Souter.

Se Cristo

è

quaest. Veteris et Novl Test.

52

=

98,10-13

nato per opera dello Spirito Santo, cioè per tramite

suo diventò carne da Maria, perché è s tato detto: «La Sapienza» che è senz'altro Cristo, «edificò a se stessa una dimora>>? Cf. CoURCBLLE, 147.

206 A. L'invito della sapienza Pr 9,2-3. Corp. Herrn. 4,3-4

= 50, vol.

l,

50, Nock - Festugière.

«Perché dunque, o padre, Dio non distribul a tutti gli uomini l'in­ telletto?».

«Volle, o figlio, che esso fosse presentato alle anime come un premio da guadagnare». «E dove lo ha posto?». «Ne ha riempito un grande cratere che ha mandato sulla terra, e ha nominato per questo un messaggero, ordinandogli di annunziare ai cuori degli uomini queste parole: "Immergi te stesso, tu che lo puoi, in questo cratere, tu che credi di risalire fino ·a colui che ha in­ viato il cratere quaggiù, tu che sai perché sei nato". Quanti dunque si radunarono ad ascoltare il messaggio e si immersero, questi furono resi partecipi della conoscenza e divennero uomini perfetti, poiché avevano ricevuto l'intelletto; quanti invece non si curarono del mes­ saggio, questi furono dotati di sola ragione, poiché non ricevettero l'intelletto, e adesso ignorano per quale fine sono nati e da chi ... ».

187

CAMPLANI, 410-411; A.J. FESTUGIÈRE, Ermetismo e mistica pagana, tr. it., Genova 1991, 112ss («L'immagine dell'araldo che invita gli uomini a bere da un crater.e per ottenere l'iniziazione perletta si trova già nella traduzione greca dei Proverbi 9,1-6; da qui è poi passata in tutta la mistica ellenistica in­ fluenzata dall'ebraismo per divenire infine uno dei più diffusi luo ghi comu­ ni», 303 nota 9 (la traduzione dei Settanta di questo brano biblico ha presen­ te tratti specifici dei misteri greci ai quali intende opporsi); S corr 140-141 (l'immagine dell'immersione nel cratere è un'allusione polemica al battesi­ mo cristiano; pertanto il nostro testo proclama la superiorità di una purifica­ zione d'ordine intellettuale-spirituale su quella liturgico-sacramentale dei cristiani). ,

207. n Pr 10,27. Anonym. ap. Souter.

destino degli empi

ArvmRosrAST., quaest.

Veteris et Novi

Test.

33

=

61,15-16

Salomone disse: «Gli anni degli empi saranno diminuiti», mentre non pochi empi longevi.

intanto vediamo

Cf. COURCELLE,

144.

208. Pr 18,17. Anonym. ap. Souter.

«lustus prior accusator sui»

AMBROSIAST.,

quaest. Veteris et Novi Test. 30

=

57,20-21

Nei proverbi: «Il gius to si dice - è a ccusa�ore di se stesso sin dal principio del (suo) discorso»: come mai è giusto se è peccatore? -

144.

Cf. COURCELLE,

209.

La guida divina per il sovrano

Pr 21,1. or. 7,89d

'I'HEM. ,

188

=

I, 135,16-20 Downey

.

Ed io una volta ebbi ad avvedermi che proprio questo stesso principio era elegantemente dichiarato anche nei libri degli Assiri ('trov 'Aacru QLrov 'YQO.!J.!J.L' èvù:n:vLa, laddove il testo ebraico non fa alcun cen­ no ai sogni); AsMus, 38; P. BRoWN, Il culto dei santi, tr. it., Torino 1983, 15; DE LABRIOLLE, Réaction, 420 (afferma erroneamente che Giuliano ha ag­ giunto «de son cru» f>L' èvù:n:vLa; tale espressione, in realtà, si trova già nel te­ sto della Septuaginta); GARDNER 215·216; JuooE, 21-22; MrssoN, 77; NAVJL­ LE, 1 86; NESTLE, 478; NEUMANN, 121; REGAZZONI, 47-48; RINALDI, «Sognato­ ri», 25-30; RosTAGNI, 352 nota 3. Cf. anche il n. 393.

233 A. ll cielo è il trono di Dio, la terra il suo sgabello Is 66,1 .

IuL., Galil. , 208

fr. 12.

Ma gli ebrei, egli (Giuliano) dice, nell'esprimere la loro opinione sul cielo, dicono che esso è il trono di dio e che la terra ne è lo sga­ bello. Il verso biblico è citato anche dal pagano confutato in MAc. MAGN., 4,7 ( = n. 228) per dimostrare l'incompatibilità dell'attesa della fine del mondo dei cristiani con questa concezione veterotestamentaria del cielo che, in quanto trono di dio, viene ad essere partecipe della sua eternità. Questa testimonianza su Giuliano non figura nell'ed. del Neumann ed è de­ s unt a da CYR.. AL., c. Iul. 2,72 B. D'altro canto in Galil. , fr. 1 1 , Giuliano cita la credenza ebraica del cielo come trono di dio in quanto prova della sua eternità e stabilità: «Tutti vedono infatti che tutto ciò che è nel cielo non di­ minuisce né cresce, non si trasforma né è soggetto a disordine, ma si muove di moto armonico in un ordine ben proporzionato ; che le fasi della luna sono regolari e che il sorgere e il tramontare del sole si verificano sempre in tempi determinati,, e che di conseguenza hanno considerato il cielo dio o trono di dio ... » . È ìl cielo, infatti, che con la regolarità dei suoi movimenti rivela l'esi­ stenza del divino e la manifesta tramite Helios e gli altri corpi celesti, imma­ gini viventi degli . dèi, cf. MAI.LEY, 37-39.

apocr.

234. D cielo è il trono di Dio ls 66,1 . Anonym. ap. MAc. MAGN., apocr. 4,7

=

78,27-28 Harnack.

Il testo è riportato al n. 228.

GEREMIA 235. · Si tratta, in realtà, del tempio di

264. La vittoria del re del nord Dn 1 1 , 15-16. PORPH., c. Christ. ap . HIER., Glorie.

in Dan.

3,11 ,15-1 6

= 909,1 084 - 910,1101

Effettivamente Antioco (III) il Grande volle recuperare la Giu:. dea e la Siria e moltissime città. Nei pressi delle sorgenti del Giorda­ no, dove ora è stata fondata la città di Panea, fin dall'inizio della bat­ taglia mise in fuga Scopa, generale di Tolomeo (V), e con diecimila armati assediò la fortezza di Sidone. Tolomeo (V) , allora, per liberar­ la dall'assedio inviò i gloriosi capitani Eropo, Menoclea e Damosse­ no, ma l'assedio non riuscl a spezzarlo, finché Scopa, finito dalla fa­ me, si arrese e venne lasciato in libertà nudo assieme ai suoi seguaci. L'espressione: «porterà materiale da fortificazione» , allude ap­ punto al fatto che con l'appoggio dei giudei e per parecchio tempo attaccò il presidio di Scopa nella fortezza di Gerusalemme, e la occu­ pò assieme ad altre città della Siria, della Cilicia e della Licia che per l inn anzi erano tenute dai partigiani di Tolomeo (in quel tempo, in­ fatti, vennero occupate Afrodisia, Soli, Zefirio, Mallo, Anemurio, Selino, Coracesio, Corico, Andriace, Limira, Patara, Xanto e per ul­ '

tima Efeso. Tutti questi romana) .

fatti sono i:iportati dalla storia sia ·

greca che

Questa interpretazione è attribuita a Porfirio in FGrHist II �. 1 930, n. fr. 46, p. 1224. Cf. il commento ibid. , II C, 1 930, 881; Étud. Épigr. et Hist. Graec. III, 318, 331 (Porfirio collie intermediario tra Polibio e s ru:i. Girolamo a proposito delle imprese di Antioco IV sulla costa meridionale dell'Asia minore); BICKERMAN, Il, (La charte séleucide de Jérusalem), 49-50.

260,

265. Le gtJerre sostenute dal re del nord Dn 1 1 ,17-19. PORPH., c. Christ. ap. HIER., in Glorie.



Dan.

3,11,17-19

=

911,1115 - 912,1145

A proposito di 1 1 ,17a: Antioco (III il Grande) aveva in animo di impossessarsi non soltanto della Siria e della Cilicia e delle altre pro-

229

vince che erano state della fazione di Tolomeo, ma di estendere il s uo regno anche in Egitto. Fidanzò pertanto sua figlia Cleopatra (I), tramite Eucle di Rodi, con Tolomeo (V Epifane) ancora adolescente al suo settimo anno di regno, e al tredicesimo anno la fece sposare dandole a titolo di dote tutta la Celesira e la Giudea. Chiamandola >, in TRE, 1 976, l, 635-640; GRANT, 1 90-1 92; A. HARNACK, «Die Sammlung der Briefe des Origenes un d

sein Briefwechsel mit Julius Africanus», in SAB

( 1 925 ) , 41ss; H.P.

ScHLOS­

SER, «Die Daniel- Susanneerzahlung in Bild und Literatur der Christlichen

Friihzeit», in « Tortulae». Studien zu altchristlichen und byzantinischen Mo­ numenten, hrsg. von W.N. ScHUMACHER, Roma-Freiburg Br. 1 966, 243-249.

OSEA 281. Il profeta Osea sposa la prostituta Gomer Os 1 ,2ss. P oRPH ., c. Christ. fr. 45 ap. HIER. , in Osee 1 , 1 ss

=

9 , 1 1 8- 1 20; 14,302-307

Adriaen.

Se poi qualche spirito polemico, specialmente tra i gentili, rifiu­ terà di vedere in ciò una figura allegorica e si prenderà gioco di un profeta che si accoppia ad una prostituta, obiettiamogli . . . Se poi qualche interprete polemico

(contentiosus interpres) rifiu­

terà di ascoltare quanto abbiamo detto e vorrà intendere che la me­ retrice di nome Gomer, figlia di Deblaim, generò due maschi - il pri ­ mo e il terzo - e una femmina, la secondogenita, pretendendo che la Scrittura vada intesa secondo la lettera ( volens scriptura sonare quod

legitur),

ci risponda allora in che modo. . .

L'unione del profeta con u n a prostituta causava difficoltà agli stessi let­ tori cristiani, cf. A uo . , doctr. christ. 3,12,18. Cf. BENOIT, 556; DE LAB RIOLLE. Réaction, 265; DEN BoER, «Pagan historian», 200; lo., «Porphyrius>>, 85 : HARNACK, 74; HULEN, 5 1 ; PEZZELLA, , 100; RINALDI, 107; SODA ­ N O , 14; VAGANAY, 2568, 2576; WILKEN, Christians, 143.

242

282. Israele tratto dall'Egitto Os

11,1.

I u L , Galil. fr.

101

=

237,27-29

Neumann .

Quel c h e è stato scritto d i Israele, l 'evangelista Matteo lo attri­ bu isce a Cristo, per ingannare l'ingenuità dei gentili che avevano creduto.

(ut simplicitati. .. illuderei)

Qui Giuliano ha presente Mt 2,15 (cf. il n . 337). L'obiezione c'è stata conser­

vata da HtER., in Os. 3 , 1 1 . Cf. D E LABRIOLLE, Réaction, 4 1 1 -4 1 2; GAGER, Moses, 1 1 0 nota 70; MALLEY, 24; NEUMAN N , 1 36, 237.

282 A. Iddio è l'unico salvatore Os

13,4.

luL, Galil. fr.

65

=

214, 20-25

Neumann.

Il brano è riportato al n. 1 69. L'espressione >

Mt 6,12-14. Quero lus sive Aulularia.

A.NoNYM.,

=

58,4 Ranstand.

Perdona e rimetti (ignosce ac remitte), questa è la vera vittoria. L'accostamento al testo biblico è proposto da mica», 530.

CoRSARO,

«Garbata pole-

354. Gesù allontana alcune persone che cacciano i demoni in suo nome Mt 7,22. Cel. ap.

OR.,

CeL 1 ,6

=

l,

92, 17-24 Borret.

I cristiani sembrano dotati di poteri ottenuti invocando i nomi di taluni demoni. Anche Gesù riuscl a: compiere i miracoli a lui attribui­ ti in forza di arti magiche; e prevedendo che anche altri, in possesso di analoghe cognizioni, avrebbero potuto fare altrettanto e vantarsi di farlo per un potere divino, li cacciò dal proprio stato. Se è giusto che li scacci, è un personaggio spregevole, essendo egli stesso re­ sponsabile delle identiche colpe; se invece comportandosi cosl non è spregevole, non lo sono neanche quelli che agiscono come lui.

Cf. LANATA, 182; J.C.M. VAN 'wiNDEN, «Notes on Origen, Contra Cel­ in VigChr 20(1966), 203-204. Lo stesso tipo di critica all'intolleranza di Gesù verso altri facitori di miracoli è nel brano. n. 579. Sull'accusa di prati­ care la magia rivolta a Gesù cf. il n. 306. Il pagano Volusiano (sul quale cf. a p. 464) affermò che gli esorcismi non sono una esclusiva prerogativa dei cri­ stiani: « .. ,i demoni scacciati {larvalis purgatio) dagli invasa ti, gli infermi gua­ riti, i morti risuscitati, se si pensa che sono opere compiute anche da altri taumaturghi. son tutte piccole cose per un dio», cf. Auo., ep. 135,2. SUlll» ,

355.

«L�scia i morti seppellire i loro morti»

Mt 8,21-22. IUL., GaliL fr. 81

=

226#,5 Neumann.

(Giuliano) aggiunge poi che, poiché un discepolo diceva: «Signo­ re, lasciami prima andare a seppellire mio padre», egli disse: «segui­ mi e lascia che i morti seppelliscano i loro morti» . n pagano cita questa frase di Gesù perché vuol dimostrare che anche ad essa contraddica la pratica di venerare le tombe dei martiri. Questo ragiona287

mento segue immediatamente quello riportato al n. 393 che riguarda Mt 23,27. Cf. DE LABRlOLLE, Réaction, 419-420; REGAZZONI, 47. Sui martiri cri­ stiani e il loro culto cf. i nn. 587 (Celso), 233, 393 (Giuliano) e nel vol. I alle pp. 355ss.

356.

I venti e il mare obbediscono a Gesù

Mt 8,27. IuL., Galil.

fr. 50

=

2 0 1 1 4 Neumann.

Il testo è riportato

357.

,

al n.

483.

Gesù libera due indemoniati

Mt 8,28. Anonym. ap. MAc. MAoN., apocr. 3,4

Il testo è riportato al

h.

==

34,16 Harnack.

429.

Cf. DE LABRIOLLE, Réaction, 269; HARNACK, 76-78.

358.

Gesù guarisce l'emorroissa

Mt 9,20-22. Anonym. ap. MAC. MAGN;, apocr. I.

n primo libro dell'Apocriticus di Macario di Magnesia è smarrito. HAR­ NACK, 78 sulla scorta di una citazione contenuta negli 'AvtLQQ1'J"t:L?toL di Nice­ foro I patriarca (la cui composizione è collocata tra 1'818 e 1'820), congettura che Macario si sarebbe occupato di questo miracolo in relazione ad obiezio­ ni del suo avversario pagano, cf. PrrnA, 332. L'ipotesi di Harnack, il quale giunge ad includere questa citazione tra i frammenti del trattato anticristia­ no di Porfiiio col n. 50, sembra però infondata; cf., infatti, le riserve di MER­ CATI, 65. Cf. anche CORSARO, Quaestiones, 18; CRAFER, 386.

359.

La figlia di Iairo

Mt 9,24. Anonym. ap. MAc. MAGN., apocr. 2, argomento �

'

=

66 Mercati.

Che cosa significano le parole di Gesù: «La fanciulla non è morta ma dorme»? ·

288

Cf. GRANT, «Stromateis», 291 (OR., fr. 15 [239-240 Raner] allegoric a) ; Io., Miracle, 74; MERCATI, 67-68.

propone un'e­

segesi

360.

«Non sono venuto a portare pace, ma spada»

Mt 10,34-38. Anonym . ap. MAc. MAGN.,

apocr.

2,7

=

79 Harnack.

Tutti costoro che la spada salvatrice divise dagli altri, e fu come se li separasse, senza ferirli, in una unica dimora. Essa recide infatti i sentimenti e non lascia lividure ... non sono i corpi che essa taglia. Il testo de ll obiezi one pagana è andato p erduto ; tuttavia, dalla risp osta dell'apologeta qui riportata, l'HARNACK, 79-80 deduce che essa si basava sul testo di M t 10,34-38; in tal caso s areb b e possibile congetturare che il pagano abbia rimp roverato ai cristiani di introdurre con la loro azione missionaria la separaz ione e la conflittualità non soltanto nella società, ma nell'àmbito delle stesse famiglie. Questa ipo tesi riceve conferma da quanto si legge nel brano n. 361. L accusa di attentare all'unità e alla pace delle famiglie è rivol­ ta al cristianesimo in maniera esplicita da Giuliano, cf. il n. 491; essa appare rivolta ai giu dei in TAc., hist. 5,5. Accuse del genere p otevano ben apparire confermate da episodi quali quello narrato in Pass. Perp. et Felic. , 5-6, dove il padre pagano è disperato per la determin azione al martirio della figlia Perpetua, o nella Passio di sant'Ireneo di Sirmio dove (c. 3 ) l ostinazione del martire e i tentativi dei familiari per indurlo a cedere imp ressionano il go­ vernatore Probo (età dioclezianea) . Atteggiamenti di tal genere conferma­ vano negli osservatori pagani l opinione che i cristiani fossero privi di attac­ camen to sia alla famiglia che all a società. Cf. CoRSARO, «R� azione», 191-192; CRAFER, 364-365, 386, 390, 503; Io., Apocriticus, 32-33; Io., «Apologist», 549-550; DEMAROLLE, «Un aspecb>, 121; HARNACK, Kritik, 111; HuLEN, 51; NESTLE, 510; PEZZELLA, >, 408; DE LAB RIO LLE; Réaction, 257-258, 287; DELLAOIACOMA, 214-215; DEMAROLLE, «Un aspect», 120-121 , 123; F'RAssiNBTTI, 44; GouLBT, 450; HARNAcK, 54-55; ID., Kritik, 52-54, 97 no­ ta 1, 1 0 1 , 1 19; HULBN, 51; LAURIN, 47, 50; LOBSCHE, 281; MERCATI, 70 -7 1 ; NasTI.B, 429-430; PEZZELLA , «Note», 3 04; ID., «Problema», 90; RINALDI, «So­ gnatori»; 14-15, 28-29; SCHEIDWEILBR, 304-306, 311; SCHROEDER, 198-199; VA­ G ANAY, 2571-2574; VOULGARAKIS, 251; WABLKBNS, 33-35.

379 A. Mt i7,2. PORPH., v. Plot. 1 3 ,68 =

La trasfigurazione 33

Cilento.

n suo ( = di Platino) parlare era tutto una rivelazione d'intelli­ genza a tal segno che perfino il suo volto splendeva di quella luce (li:x;QL 'tOU 3tQ OOOm:ou a'Ò'tOU 'tÒ roç è3tLÀ.6.j.1.3tOV'tOç) ...

JERPHAGNON, 44-45 ravvisa qui una notevole affinità di lessico con l'e­ spressione i!il.afJ.'V ev ,;ò :rtQ6ao:rtoov a'Ò,;oii di Mt 17,2: Porfirio avrebbe avuto presente il brano evangelico e avrebbe voluto opporre alla trasfigurazione di Gesù quella del suo maestro Platino che aveva luogo in un contesto razio. nale. Cf. SODANO, 3-4.

380.

Un fanciullo lunatico è guarito da Gesù

Mt 1 7 , 15 .

Anonym. ap. MAc.

MAGN.,

apocr. 2, argomento L '

=

66 Mercati.

Che cosa significano le parole:. «Pietà di mio figlio perché ha il mal di luna». Cf. HARNACK, Kritik, 21;

381.

MERCATI,

68.

La · fede che «muove le montagne»

Mt 17,20. Anonym. ap.

MAc. MAGN.,

apocr. 3,17

=

50,5-13

Harnack.

Considera questo detto simile a quello e che segue ad esso .. «Se avete fede quanto un granello .di senape, in verità vi dico: voi direte a questa montagna: "muoviti e gettati nel mare" , e nulla vi sarà impos­ sibile». È ovvio dunque che chiunque sia incapace di rimuovere un a

298

montagna, secondo questo precetto, non è degno di essere conside­ rato della famiglia dei fedeli (tflç twv mcrtwv . . . cjHltQtaç) . Cosl voi siet e chiaramente respinti, perché non solo non è considerato fra i fedeli il resto dei cristiani, ma neppure uno dei vostri vescovi o pre­ sbiteri (twv èm0"?

Eb 6,18. Questo testo appartiene al Commentario a Giobbe di Didimo Alessan­ drino, trovato tra i papiri di Tura ne11941; cf. L. MoRALDI, «Opere esegeti­ che di Didimo il cieco nei papiri di Tura», in Athenaeum 48(1970), 401-407. Esso ci restituisce il senso di un'obiezione por.liriana relativa, molto proba­ bilmente, all'affermazione di Gesù in Mt 17,20. ll filosofo parte dal presup­ posto, tipicamente pagano, secondo il quale l'onnipotenza di Dio non è da intendersi in senso assoluto. Abbiamo attestazioni di questa convinzione pa­ gana, fatta valere contro il racconto biblico, in Galeno (cf. n. 21) ed in Giu­ liano (n. 26) e, come sembra a PID>IN, Théologie, 444-457, anche in Porfirio stesso (cf. n. 514 a proposito della risurrezione di Lazzaro). MAc. MAGN., apocr. 3,17 (= n. 382) riporta un'obiezione pagana proprio a questa affer­ mazione biblica della fede che muove le montagne. Ritengo che la testimo­ niànza di Didimo tenga presente lo stesso testo porfiriano riflesso, per altra via, in Macario. A quest'ultimo apologeta dobbiamo anche la conservazione di un brano pagano che contiene una serrata critica alla dottrina cristiana della risurrezione della carne, la quale trae le sue motivazioni filosofiche proprio dal presupposto tutto pagano, del quale si diceva· che l'onnipotenza di Dio è sempre circoscritta entro i limiti della natura. Si tratta di Apocr 4,24 che Harnack incluse nella sua edizione del Contra Christianos di Porfi­ rio come frammento n. 94 e che qui ho riportato in nota al brano n. 514 al quale rimando. La sovranità delle leggi della natura è fatta valere contro ••

300

l'insegnamento cristiano anche nel brano n. 705,p ure di Macario. Abbiamo motivo di ritenere che tali ragionamenti derivino da Porfirio. I trattati esegetici di Didimo ci hanno restituito altre due obiezioni por­ fidane (cf. vol. I, p.140) e non è da escludersi che un'analisi più approfondi­ ta di questi testi possa rivelarcene altre tracce. Su Didimo esegeta in genera­ le cf. W.A . BrNERT, A llego r ie und Anago ge bei Didymos dem Blinden von Alexandrien, Berlin 1972; J. TrGCHLER, Didyme l'Aveugle et l'exégèse allégo­ rique, Nijmegen 1977; S rM ONETII, 204-216; Io., «Lettera e allegoria nell'ese­ gesi veterotestamentaria diDidimo)),in-VetChr20(1 983), 329-340. Sul brano qui riportato in particolare cf. il commento ad loc. nell'edizione di Didimo citata; BARNES, 427; SeDANO, 14 nota 21; WILKEN, Christians, 161 e, princi­ palmente, lo studio specifico di D, HAGEDORN- R. MERKELBACH, «Ein neues Fragment aus Porphyrios "Gegen die Christen"», in VigChr 20(1966),86-90.

383. Gesù paga il tributo solo per sé e per Pietro Mt 17,27. Anonym. ap. AMBROSIAST., quaest. Veteris et Souter.

Novi Test.

79

=

133,17-20

Perché il Salvatore pagò la doppia dramma soltanto per sé e per Pietro, non anche per tutti gli altri apostoli, dal momento che tutti quanti lo avevano segulto dopo aver abbandonato tutte le loro cose? Cf. COURCELLE, 148-149; R.rNALDI, «Quaestiones»,110; SOUTER,190-191;

cf. anche il n. 561.

384. Precetti sul perdono Mt 18,15.21. ANoNYM., Quaerolus sive

Il testo è riportato al

.Aulularia n.

=

58,4 Ranstrand.

353.

L'accostamento al testo biblico è proposto da CoRSARO, «Garbata pole­ mica», 530-531 .

385. Mt 1 8 ,22. Anonym. ap.

Un'esortazione al perdono

MAc. MAGN., ap o cr.

3,20

=

54,11-12 Hamack.

301

Che Pietro sia accusato di molti falli è II\anifesto pure da quel passo in cui Gesù gli dice: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette tu perdonerai la colpa a colui che erra». Ma seb­ bene avesse ricevuto tale ordine perentorio, egli recide l'orecchio al servo del sommo sacerdote, che nessun male aveva commesso, e compie un'azione vituperevole sebbene quello non avesse per nulla peccato. Infatti in che senso mancò se egli andò per comando del pa­ drone all'attacco che allora si muoveva a Gesù? Per la ferita inferta al servo del sommo sacerdote cf. Gv 18,10. La stessa obiezione ricorre tra quelle a cui risponde l'AMBROSIASTER, cf. il n. 468. Sul brano qui riportato cf. ANAsTos, 430; BARnY, 100; BENOIT, 599; CoR­ SARO, 7, 1 1 nota 14; In., Quaestiones, 6, 11; CRAFER, 499; DE LABRIOLLE, Réaction, 257; DEMAROLLE, «Un asp ec t», 122; GouLET, 450; GRAN T, «Stro­ mateis», 291; HARNACK, Kritik, 54, 104, 120, 133; LAURIN, 50; LOESCHE, 281

(OR., Matt. comm. 14,5 respinge l'interpretazione letterale del pr:ecetto di Gesù sul perdono); MERCATI, 70-71; NESTLE , 480; PEZZELLA, «Note», 304; In., «Problema», 99-100; ScHEIDWEILER, 306; ScHROEDER, 197-199; WAEL­ KENS, 35; ZAHN, 1005.

385 A. Perdonate settanta volte sette Mt 18,22. Anonym. ap. MAc. MAGN., apocr. 3,21

Il testo è riportato al

386.

n.

=

56,1-4 Harnack.

610.

Matteo contraddice Mosè

Mt 19,5.

PORPH., c. Christ. ap. PACATUS , c. Porphyrium, fr. 1 = 269 Harnack, «Neue Fragmente».

Le parole che Mosè attribuisce ad Adamo,a Matteo testimonia che le pronunciò il Signore: «Ora questa è ossa de lle mie ossa e car­ ne della mia carne; perciò l'uomo lascerà padre e madre ecc.». •>

Gen 2,23-24. Riporto la risposta dell'apologeta a questa obiezione pagana per ren­ dern e p iù chiaro il senso: «Le parole del Signore concordano con quanto di­ ce Mosè: perché Adamo, pres tando la propria opera, profetò per ispirazione divina, Mosè riferisce che fu lui a pronunciare quella frase; ma fu Dio che, per m�zzo d ell 'ispirazion e divina, formò queste parole nel cuore di Adamo:

302

giustamente allo r a il Si gnore riferisce che le pronunciò Dio stesso. Fu infatti che emise questa pr ofezi a e giustamente vien detto che la emise il padre che la ispirò» . Sulla co nfut a zio ne dell'opera anticristiana di Porfirio da parte di Pacato e sulla maniera tramite la quale ci è pervenuto questo frammento cf. vol . I, pp. 139ss. Cf. CORBIÈRE, 154. Il testo qui riportato è an­ che in FUNK, 288; PG 5, 1025-1026; PL 68, 359.

Adamo

387. Mt 19,21 . Anonym.

Le ricchezze e

ap MAc. MAGN., apocr.

il

regno dei cieli

2,5 = 40,29-30

Harnack.

Il testo è riportato al n. 388.

388. I Mt 19,24. Anonym. ap. MAc.

ricchi e

il

MAGN., apocr.

regno dei cieli 3,5

=

40,10-11

Harnack.

Esaminiamo un'altra espressione più incomprensibile di queste, quando dice: «È più facile per un cammello passare attraverso un ago che per un ricco entrare nel regno dei cieli».a Se per caso dunque chi è ricco, quantunque si sia tenuto lontano dai peccati della vita, come assassinio, latrocinio, adulterio, veneficio, giuramento empio, profanazione di tombe .e ignominia di sacrilegio, non è ammesso nel così detto regno dei cieli (etç -cTjv À.eyoJ.tévrrv �am1etav O'ÒQavrov), che vantaggio vi è per i giusti a operare secondo giustizia, se per caso si è ricchi? E che male v'è per il povero a compiere ogni atto di scel­ leratezza? Poiché non è la virtù che solleva l'uomo al cielo, ma la po­ vertà e l'indigenza, Infatti, se la ricchezza tiene il ricco lontano dai cieli, per contrasto la povertà v'introduce i poveri. E diviene legale, una volta appresa una tale lezione, non curarsi affatto della virtù, ma senza impedimento aggrapparsi alla sola povertà (nevtaç ùè J.tÒVllç... exeo8m) e alle cose più basse, poiché la povertà è capace di salvare il povero, mentre la ricchezza tiene il ricco lontano dalla dimora senza macchia. Quindi mi sembra che queste non possano essere le parole del Cristo, se egli diede le norme di verità, ma di qualche povero che desiderava, con questo vano parlare, di sottrarre ai ricchi le loro so­ stanze. Del resto non più tardi di ieri, leggendo a donne di nobile na­ scita (yuvaL!;tv e-ò ox1w .o O'L) queste parole: «Vendi tutto ciò che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro jn cielo»,b le persuasero a distribuire 303

ai poveri tutte le sostanze e i p oss essi che avevano e, venute esse stesse in povertà, a mendicare (èQa.vt�eoEla.L), passando da uno st a­ to di libertà a un disdicevole accattonaggio (etç &.oe!J.VOV èL:rta.t'tT)­ mv), dalla prosperità alla con d izi on e pietosa, e infine, cos tret te ad andare per le case dei ricchi (e questo è il primo o piuttosto l'ulti­ mo stadio della tracotanza e della disgrazia, perdere i propri beni col miraggio della santità) (e'Òoe�eta.ç) e bramare gli altrui sotto la spin ta del bisogno. Onde mi s embra che queste siano parole di una donna in miseria. Mt 19,24. bl Mt 19 ,21. I precetti di Gesù sulla ricchezza avevano sconcertato anche Celso (cf. i nn. 576, 577) e Giuliano (cf. il n. 455 ) . U til i ant ologie sul problema dei beni materiali nel pensiero pa tristico sono quelle di M. G. MARA, Ricchezza e po­ vertà nel cristianesimo primitivo, Roma :a1991 e di M. Tonn B A. PIERI, Retto uso della ricchezza nella tradizione patristica, Milano 1985. L'Apocalisse di Pietro, un testo che l'autore di questa obiezione conosceva e- probabilmen­ te - riteneva considerato dai cristiani canonico (cf. il n. 715) , riserva le più crudeli pene per «i ricchi che !!(>nfidarono nelle loro ricchezze», Apo c. Petr. (fr. Akhmim) , 30; M. HENG EL, Eigentwn wtd Reichtum in der frii.hen Kirche, S tu t tgar t 1973, 55-56 me tte in evidenza come in questo testo crist iano gli apostali siano stati inviati soltanto ai poveri e debbano esplicitamente tra­ scurare i ricclù. AMM. MARC., 27,3,1 descrive gli avidi vescovi di Roma della sua epoca dicendo che erano tanto sicuri «U t ditentur oblationibus matrona­ rum». Anche se Porfirio aveva accusato i predicatori cristiani di svolgere la loro attività «lucri causa... ut divitias acciperent a divitibus mulierculis» (cf. il n. 123) la critica del pagano desumibile dal brano di Macario qui riporta to presuppone una certa avanzata diffusione della pratica dellà rinuncia dei be­ ni tra i cristiani; l'enfasi con la quale si accennR; alle donne eli nobile nascita potrebbe far piu ttosto pensare a quegli ambienti romani nei quali il proposi­ tum monast ico è acce tt ato nelle sue forme radicali proprio da esponenti di sesso femminile dei più vetusti e nobili ceppi gentilizi, cf. vol. I, p. 404. Se quanto detto corrisponde al vero allora abbiamo un argomento in più per credere nel carattere composito delle obiezioni pagane confluite nell'Apo ­ criticus di Macario e per ritenere che esse non siano derivate sic et simpliciter da Porfirio, che scriveva in un'epoca in cui il monachesimo non aveva anco­ ra alcuna vistosa rilevanza sociale, ma abbiano potuto veicolare argomenti desunti da situazioni successive nella storia della chiesa del tipo di quelli che sostanziano la polemica antimonastica di cui si è parla to nel vol. I, pp. 319ss. Sull ' applicazione di questo precetto tra gli asceti cristiani cf. BARONI ADESI. 183-186. Sul b rano qui riport ato cf. ALLARD, III, 116 nota 4; ANASTOS, 438-439: BARDY, 103-104, 109; BENorr,.566; CORSARO, 7, 9, 12, 16-17; In;, «Quaestio· nes», 14, 16; Io., «Reazione», 178 nota 13, 180 nota 18, 189; CRAFBR, 366, 503: Io., «Apologist», 363; DB LABRIOLLE, Réaction, 278-280, 285; DBMARoLLE. •l

-

304

«Un aspec b> , 121 -123; Io., «La Chrétien té », 51; Io., «Les femmes», 44-45; FRASSINBTI'I, 44, 47, 55; F'RBND, 12; GRANT, «Stromateis», 291 (OR., Matt. comm. 15,20 allegorizza il precetto di Gesù); GUIDA, Teodoro, 1 64-165; HARNACK, 82-83; Io., Kritlk, 40-42, 98 nota 1, 109, 1 1 6-1 1 7; Juoa:e, 18; LAu­ RIN, 47, 50; l..o:ESCH:E, 279-281; MERCATI, 69-70; N:ESTL:E, 480, 485, 5 13 ; SCH:EID­

WEIL:ER, 307; SooANO, 12 nota 18; VAGANAY, 2570, 2578; WA:ELK:ENS , 32, 34, 40, 44.

389. La morte di Giovanni Mt 20,23. PORPH., c, Christ. ap. PACATUS, «Neue Fragmente».

c. Po1phyrium, fr.

2

=

269 Hamack,

Per mezzo di un tal calice (Gesù) vuol indicare la passione, e in­ fatti noi sapp i amo che Giacomo doveva terminare la vita col marti­

rio, mentre suo fratello Giovanni sarebbe trapassato senza martirio, sebbene dopo aver sopportato afflizioni (afflictiones plurimas) ed esilii in gran numero.

Cf. D:e LABRIOLL:E, Réaction, 254 (Porfirio ignorerebbe la tradizione, at­ testata in TERT., praescr. 36,3, del castigo inflitto a Giovanni a Roma in una c a ldaia d'olio bollente. Ma questa osservazione non mi sembm ben fondata: l'autore, infatti, ricorda le «affectiones plurimas» di Giovanni il quale, inol­ tre, usci illeso dalla caldaia per essere relegato a Patmos); HARNACK, «Nach­ triige», 835; Io., «Neue Fragmente», 269, 272-273; HULEN, 52; VAGANAY, 2571. Il testo qui ripor tato è edito anche in F'uNK, 288-289; PG 5, 1025-1026; PL 68, 359. 390. Gesù maledice un fico che non produce frutto Mt 21 ,19. Anonym. ap. MAC. MAGN.,

apocr.

1, argomento

e

l

=

63 Mercati.

Che cosa significano le parole pronunciate sotto (flnò) il fico:

«Mai più nasca frutto da te per sempre»?

MERCATI, 65 ritiene che l'flnò che s i legge nel codice venga fuori «O per sonnol enza o per un'inesatta lettura del compendio di 'lta:tci prob abilmen­ te». Cf. la not a al n. 378.

391. La fede che sposta le montagne Mt 21,21.

305

PoRPH., c. Chrlst. fr. Hurst - Adriaen.

3

ap.

HIER.,

comm. in Matth.

3,21,21

=

191 , 1441-

:1444

Latrano contro di noi i cani dei gentili coi loro libri, che lasciano

a memoria della loro empietà, e affermano che gli apostoli non ave­

vano fede perché non riuscirono mai a spostare le montagne.

Cf. PEZZELLA, «Problema», 92. Il VAGANAY, 2568 aveva affermato che la paternità porfiriana di questa obiezione è soltanto probabile; contro tale scetticismo va t1,1ttavia osservato che il motivo della fede che sposta le mon­ tagne ricorre tra le obiezioni 'trasmesseci da Macario di Magnesia (che, co­ me sembra, poté avvalersi di argomentazioni risalenti a Porfirio). Va osser­ vato, inoltre, tra i papiri di Tura, scoperti nel corso della seconda guerra mondiale, un brano di Didimo Alessandrino che attribuisce esplicitamente a Porfirio una critica agli insegnamenti biblici secondo i quali tutto è possibile a Dio e a chi crede. Cf., pertanto, i nn. 381 e 382. �

391 A. La fede che «muove le montagne» Mt 21,21. Anonym.. ap. MAc MAoN., tipocr. .

n testo è rip ortato al n.

3,1 7

=

50,5-13

Harnack.

381.

392. La natura degli angeli Mt 22,29-30. Anonym. ap. MAc. MAoN., apocr.

4,21

=

86,11 - 88,24

Harnack.

Se infatti voi (cristiani) dite che gli angeli ( ò.yyé'J...ouç) stanno vici­ no a Dio, che non sono soggetti a passioni e a morte e sono incorrut­ tibili nella loro ·natura ( ò.:n;a9e'Lç ?tat Mav6:t:ouç ?tat ,;t]v cpuow ò.cp0aQ't:O'Uç), e noi, per il fatto che essi sono tanto vicini alla divinità, li chiamiamo dèi, perché disputare intorno a un nome, o tenere in conto semplici differenze di nomenclatura? Infatti quella che è chia­ mata dai greci Atena i romani la chiamano Minerva, gli egizi, i siri e i traci le attribuiscono altri nomi. Eppure nell'invocazione alla divini­ tà nulla è mutato o perduto per la diversità dei nomi. Che si chiami­ no dèi o angeli, la differenza non è molta se la loro natura divina è attestata, quando Matteo scrive. cosl: «Ma Gesù rispose loro: "Voi v'ingannate non intendendo le Scritture né il potere di Dio. Alla ri­ surrezione infatti né s'ammoglieranno né si mariteranno, ma saran306

no come angeli nel cielo"».8 Poiché egli ammette che gli angeli parte­ cipino alla natura divina, quelli che tributano agli dèi la dovuta vene­ razione non pensano che il dio sia nel legno, nella pietra o nel bron­ zo, di cui è fatta l'immagine (&.yaÀ.!W:toç), né giudicano che se una parte della statua viene tagliata si sottragga qualcosa al potere della divinità. Perciò le statue e i templi ('tà sòava 'X.at 6 vaot) furono co­ struiti dagli antichi per ricordo, affinché coloro che vi si recavano giungendo potessero venire a cono�cenza del dio o fermandosi e pu­ rificandosi di tutte le colpe passate potessero rivolgere preghiere e suppliche, chiedendo a lui quello di cui ciascuno ha bisogno. E infatti se un uomo dipinge il ritratto di un amico, certo non deve pensare che l'amico sia in esso o che le membra del suo corpo siano racchiuse nelle varie parti del quadro, ma che per mezzo del quadro si dimostri la deferenza verso l'amico. Ma i sacrifici offerti agli dèi non significa­ no tanto un tributo d'onore verso di essi, quanto una dimostrazione della devozione dei fedeli e della loro gratitudine nei riguardi di essi. È giusto che l'aspetto della statua sia ad immagine dell'uomo, poiché l'uomo è ritenuta la più bella delle creature e immagine di Dio, e questo concetto può attingersi da un altro passo, che asserisce che Dio possiede dita con cui scrive, dicendo: «Ed egli diede a Mosè le due tavole di pietra che erano scritte col dito di Dio»:b del resto an­ che i cristiani, imitando l'erezione dei templi, elevano enormi costru­ zioni (!-Leytcrto'\Jç o'LXO'\Jç) in cui essi si riuniscono a pregare (euxov­ tm), sebbene nulla impedisca di f�re questo nelle proprie case, dal momento che il Signore per certo ode da ogni posto. •l

F.

Mt 22,29-30.

bl

Es 31,18.

SoKOLOWSKI, «Sur le culte d'angeles dans le paganisme grec et ro­

main», in HThR 53(1960), 225-229 raccoglie un'interessante bibliografia sul­ l'attribuzione dell'epiteto «angelo» a divinità pagane (spec. Beate, Ermes) e sul rapporto che il fenomeno presenta con la tradizione veterotestamenta­ ria, cf. anche A. FERRUA, «Angeli del paganesimo», in La Civiltà Cattolica 18(1947), 51-58 e A.R.R. SHEPPARD, «Pagan cults of Angels in Roman Asia Minor>>, in Talanta 12-13(1982), 77-101 che raccoglie iscrizioni pagane atte· stanti il culto di angeli non come ambasciatori ma come esseri soprannatura­ li. D'altro canto l'angeologia giudaica ha potuto influenzare alcuni ambienti pagani come dimostra, per citare solo un esempio, la figura dell'«angelus bonus» nell'ipogeo di Vibia e di suo marito Vincentius, sacerdote di Giove Sabazio, sull'Appia antica, cf. vol. l, nota 81 a p. 55. Sulla demonologia di Porfirio siamo informati da Agostino il quale, in più luoghi del suo De civita­ te Dei, ingaggia, appunto, una controversia con il filosofo pagano. Sappia­ mo, pertanto, che il filosofo «distingue gli angeli dai demoni: a questi asse­ gna i luoghi aerei e a quelli gli eterei o empirei e ammonisce che non si de-

307

ve fare amicizia con alcun demonio perché nessuno, dopo la morte, può me­ diante il loro aiuto sollevarsi dalla terra. Poiché, afferma, la via per arrivare ai celesti consorzi degli angeli, è tutt'altra» ( 10,9 ) ; e inoltre: «(Porfirio)... non difendeva apertamente il culto del vero dio contro il culto dei molti dèi. Affermò, infatti, che altri sono gli angeli che discendevano ad annunciare le cose divine ai teurgi, altri quelli che scendevano sulla terra a narrare le cose del Padre, e a manifestare la sua infinita gradezza» ( 10,26) . Sempre dalla stessa fonte (9,19) apprendiamo che l'erudito pagano Cornelio Labeone so­ steneva, tra molti altri «cultori del �emonio», che gli angeli (dei -cristiani) erano in realtà i «demoni buoni» della tradizione religiosa pagana. In un oracolo proveniente dal santuario di Apollo a Clara, trasmessoci con qual­ che variante in LAcr., div. inst. 1,71,1 e n,ella Theosophia di Tubinga (fr. 13) gli dèi pagani sono definiti come «angeli» (cioè messaggeri o ministri) della divinità trascendente che sovrasta il panteon, cf. H.W. PARKB, The Orac/es of Apollo in Asia Minor, London 1985, 164-168; il testo dell'oracolo c'è tra­ smesso anche in un'iscrizione ubicata nella cinta muraria ellenistica di Enoanda la quale intorno alla metà del III sec. d.C. era caduta in disuso e pertanto era diventata luogo di culto dell' «>, in StPatr 11(1972), 278-281 e la nota al n. 160. Nell'àm.bito delle controversie tra pagani e giudei o cristiani la dottrina degli angeli ha conosciuto una notevole utilizzazione come dimostra in ma­ niera più chiara di altri proprio questo brano. Celso polem.izza a lungo sul ruolo degli angeli nella religione dei giudei; egli trova inammisisib le che co­ storo venerino questi «angeli-messaggeri» mentre non :rjconoscano un cara t· tere divino ai corpi celesti i quali, secondo un ben diffuso motivo platonico (testi in LANATA, 216 nota 4), costituiscono, invece, gli autentici messaggeri della divinità. Il pagano ha in mente le rivelazioni di cui gli angeli si rendono tramite nei racconti veterotestamentari e continua la sua serrata critica do· mandandosi come possano i giudei ritenere ispirate queste apparizioni, che sono avvenute in situazioni oscure, e disprezzino, poi, i messaggeri celesti che, invece, pubblicamente ed eternamente largiscono a tutti i segni della presenza del divino: «Orbene, la prima cosa che fa meraviglia nei giudei è che essi da un lato venerano il cielo e i messaggeri che vi si trovano, e dali'al­ tro lato ne respingono le parti più venerabili e potenti, il sole, la luna e le al­ tre stelle, sia fisse che erranti. Questo, come se fosse ammissibile che il tutto sia Dio, e le sue parti non siano divine, o che siano oggetto di venerazione gli

308

esseri che appaiono, si dice, alle persone accecate, in qualche luogo tenebro­ da una magia perversa o tendenti a vedere in sogni fantasrrù indistinti; mentre gli esseri che fanno a tutti profezie così chiare ed evidenti, che rego­ lano le piogge, le calure, le nubi, i tuòni venerati dai giudei, i fulrrùni, i frutti e tutto ciò che nasce, gli esseri ad opera dei quali si rivela loro il Dio e che sono i più chiari araldi delle cose di lassù, gli autentici messaggeri ( &.yyé­ }..ouç) celes ti; vengono considerati pari a zero», OR., CeL 5,6. In realtà anche un cristiano come ARisT., apol. 14 mette sullo stesso livello, di fatto, i giudei e i politeisti poiché attribuisce ai prirrù il culto degli angeli cosl come trovia­ mo in Celso secondo OR., Cel. 1,26. Per BARNARD,178-179 il decimo capito­ lo della Legatio di Atenagora, con il suo insistere sulla molteplicità degli an­

so,

geli in quanto rrùnistri di Dio, sembra rappresentare una concessione nella direzione che sosteneva Celso a proposito dell'esistenza di un dio supremo· reggitore dell'universo e di molti suoi satrapi ( dèi della tradizione) al suo seguito. D egli an geli Porfirio parl a in Ep. Mare. 21: «Clù crede che Dio esi­ ste... ha appreso che... ci sono angeli di vini demoni bu oni (t1yyeÀo L 0ei:OL ,;e =

xat &.ya0oL èìaltJ.civeç) i qu ali vedono ciò che facciartJ.o; ai quali non è p ossibi­ le neppure rin1anere nascosti»; pe r SonANO, 97 qui «la nozione degli "angeli divini " pu ò essere venuta dalla Bibbia, naturalmente trasposta in contesto polerrù co» . Giuliano aveva ravvis a to nei «figli di Dio» menzionati in Gen 6,2-4 un riferimento agli angeli da Mosè equiparati, a suo avviso, agli dèi del paganesimo, cf. il n. 73; tu ttavia, commentando Gen 1,2, n el brano qui al n. 28, aveva rimproverato Mosè di non aver fornito alcun chiaro insegnamento sulla genesi e la natura di qu esti spiriti . L'identificazione degli angeli con gli dèi del paganesimo, che pervade un po' tutta la tradizione controvers isti ca

anticristiana (cf. NESTLE, 491-492 ) sopravvive al grande attacco di Giuliano ed è attestata anche da Auo., ep. 102,20 il qu ale, secondo Retract. 2,31, po­ trebb e qui restitUirei un'obiezione di Porfirio ancora circolante alla sua epo­ ca: «l pagani affermano di sacrificare alle potenze superiori del cielo, che non sono demoni, e pensano ch e tra il nostro culto e il loro ci sia solo diffe­ renza di denominazione, in quanto essi danno il nom e di dèi a qu elli che noi chiamia mo angeli»; cf. anche Io., in Ps. 96,12,41. Per tal motivo ritengo che la quaestio posta in 'IìiDT., affect. 3,87 rispecchi una obiezione concretanlen­

te posta dai pagani dell'epoca: «Anche voi (cristiani) dite che esistono certe potenze invisibili che chiamate Angeli e Arcangel i e denorrùnate Principati e Potestà e Signorie e Troni, e poi ancora sapete che altre si chiamano con norrù ebraici Cherubini e Serafini. Perché d unqu e vi sdegnate con noi (paga­ ni), se do o l'essere eterno e immutabile ammettiamo e veneriamo certi dèi secondari e certamente inferiori a lui?». La difesa del culto delle inlmagini nel brano sopra riportato è in piena sintonia con la tesi centrale del trattato Sulle immagini di Porfirio, al quale non sono estranee intenzioni anticristiane. Tuttavia il particolare, contenuto in questo brano, secondo il quale i cristiani son soliti elevare «enorrrù costru­ zioni» mi persuad e ulteriormente d ella natura eclettica delle argomentazio­ ni pagane riportate da Macario; l'affermazione, infatti, rrù sembra riflettere

p

309

una situazione post-costantiniana piuttosto che dell'epoca di Porfirio; di contrario avviso è J.P. KIRSCH, « Gli edifici sacri cristiani nell antichità» , in G.R PALANQUE et Alii, Storia della Chiesa, III.2. Dalla pace di Costantino, alla morte di Teodosio (313-395), tr. it., Torino 3 1972, 763. Sulle critiche pa­ gane al culto aniconico dei cristiani cf. il brano 11. 35 e la relativa n ota. Sul brano qui ripo rtato, che è il n. 76 nella raccolta dei frammenti del Contra Christianos di Porfirio curata da Harnack, cf. ANAs�os, 435-436; '

.

107-108; BENOIT, 562; COOK, 241; CORSARO, 8-9; ID., Quaestiones, 6, 17, 20; In., «Re azione» , 181; CRAFBR, 367-368, 379, 387, 500, 506; Io., Apocri­ ticus, 145-146; ID., «Apologist», 419; DE LABRIOLLE, Réaction, 273, 282-283; DEMAROLLB, «Un asp ect», 119, 121-122, 124; DODDS, 116-117; F'RASSINETn, 44, 54; GBFFCKBN, 209 nota 14; GIOON, 171-172; HARNACK, 92-93; Io., Kriti/c, 86-88, 99 nota 1, 102 n o ta 1, 108, 125; P. HAooT, Porphyre et Victorinus, Pa­ ris 1968, 393-398 (gli angeli secondo Porfirio); HUJ..EN, 53; JUDOB, 17; LAURIN, 51; LEWY, «Julian», 95 nota 115; LOESCHE1 278, 281; H. LBWY, Chaldean Ora­ cles and Theurgy, Le Caire 1956, 14 nota 31 (la dottrina degli angeli); NEST· LB, 472; RlNALDI, 106; Io., «Quaestiones», 1 1 9-120 (paragone con la quaestio in !UST., qu. et resp. 142) ; ROKBAH, 30 nota 42; ROSTAONI, 300, 354; SCHEID· WBILBR, 308-309; SCHROBDER, 198; SeDANO, 9 nota 9; VAOANAY, 2577-2578; . WABLKENS, 37.

BARDY,

393. Gesù paragona scribi e farisei

a sepolcri imbiancati

Mt 23;1.7. lUL., Galil.

fr. 81

=

225,8 - 226,1

Neumann.

Ma questo male ha avuto origine da Giovanni. Chi potrebbe de­ testare colìle merita l'uso che avete poi inventato di introdurre il cul­ to di molti nuovi morti accanto a quello dell'antico morto? Avete riempito il mondo di tombe e sepolcri ('t6.rov xat j.L'VTJj.L6.'1:rov), eppu­ re non è stato detto mai presso di voi di rivoltarvi tra le tombe e ono­ rarie. Siete giunti a tal punto di depravazione da non credere neces­ saria a qttesto proposi(o .neppure l'obbedienza alle parole di Gesù Nazareno. State dunque a sentire quel che egli dice dei sepolcri: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, simili a sepolcri imbiancati. Al­ l'esterno il sepolcro sembra splendido, ma all'interno è p i en o di ossa di mo r ti e di ogni impurità». Se dunque Gesù ha detto che i sepolcri sono pieni d'impurità, come fate ad invocare Dio su di essi? Il «male» di cui parla l'autore all'inizio del brano è la dottrina cristiana che in Gesi:t riconosce Dio incarnato, cf. il n. 487 dove Giuliano si scaglia contro le «innovazioni» dei cristiani . Qui il pagano prende di mira un'altra innovazione, una «degenerazione» dell'insegnamento di Gesù, e passa ad

310

attaccare il culto delle reliquie dei martiri tanto diffuso alla sua epoca. In realtà sia il martirio, sia la venerazione per i corpi dei martiri hanno costitui­ to traclizionalmente argomento di perplessità e di critica per i pagani. Nei polemisti dei secoli II e III le obiezioni vengono rivolte all 'atte ggi amen to del martire; soltanto in quelli più tardi, testimoni di un fenomeno più recen­ te, vengono prese di mira le devozioni per le ·reliquie. Celso rimprovera a Gesù di non essere in grado di proteggere i devoti che muoi ono per lu i (OR., Cel. 8,39), ai martiri di abbandonare alla tortura il loro corpo con tutto il suo valore (ibid. 8,49.54) o di suscitare inc oscien temente le ire dei magistrati (ibid. 8,65). È n o ta la satira che Luciano di Samosata fa nel De morte Pere­ grini del martire cristiano raffigurato come un teatrale esibizionista. I pagani di Nicomedia, all'epoca di ·Diocleziano, cercano di impedire ai cristiani di venerare, alla stregua di divinità, le reliquie dei martiri, cf. Eus , h. e. 8,6,7. Ammiano Marcellino, la cui posizione verso il cristianesimo non è aprioristi­ camente faziosa, sa distinguere tra i martiri che «Sopportarono tremende pe­ ne e affrontarono, senza macchiare la loro fede, una morte gloriosa» (22,11,10) e il loro culto praticato, ad esempio, da un Sabiniano, magister eqttitum, il quale, invece di impegnarsi contro i parti, si attardava «per Edes­ sena sepulcra» come se, fatta la pace con i morti, non avesse più nulla da te­ mere, 18,7,7, ma cf. anche 19,3,1. La stessa devozione è rimproverata da CLAuo., carm. min. SO al magister equitum I ac obus che, all'epoca di Stilico­ ne, fidava nelle reliquie miracolose per la difesa dell'impero dai barb ari Tra i pagani che attaccarono il culto dei martiri vanno ricordati Libanio, sia nelle orazioni (17,7; 1 8,122.282), çhe m ille epistole (607; 731). Il retore antiocheno ravvisa, giustamente, i principali sostenitori di questo culto nei monaci che definisce tout court «coloro che stanno presso i sep olcri», or. 62,10. Massimo di Madaura che espone le sue obiezioni ad Agostino d'lppona, cf. Aua., ep. 16; Io., civ. Dei 8,26-27. Eunapio di Sardi il quale ben conosce la dottrina cri­ stiana del beneficio della preghiera presso la tQmba del martire che è repu­ tato un mediatore tra i fe d eli e Dio, cf. v. soph. 424 Wright. Per tutti costoro costituiva argomento di particolare sconcexto il fatto che le tombe dei marti­ ri cristi ani si moltiplicavano, attiravano folle sempre più numerose causan­ do, cosl, la diserzione dei templi e la loro r ovina. Era questa l'epoca in cui i monaci promuovevano, specialmente in oriente, la sistematica distruzione dei templi pagani sulle cui rovine andavano inse dian dosi appunto, chiese cristiane in onore dei martiri, cf. G. FowoBN, «Bishops and Temp les in the Eastern Roman Empire A.D. 320-435», inJThSN.S. 29(1978), 53-78; R.P.C. HANSON, «The Transformation of pagan temples into churches in the Early Christian centuries», in Io., Studies in Christian Antiquity, Edinburgh 1985, 347-358 e il brano n. 10 di questa raccolta con il relativo commento. È signi­ ficativa a tal proposito, per quanto riguarda la terra d'Egitto, la profezia del­ l'Asclepius: «tempo verrà in cui apparirà che invano l'Egitto abbia con in­ stancabile religiosità on ora to piamente la divinità... dalla terra, infatti, la di­ vinità si ritirerà al cielo e abbandonerà l' Egitto ... Allora questa terra santis­ sima sede di sacrari e di templi sarà pienissima di sepolcri e di morti», 24b Scott; cf. DE LABRlOLLE, Réaction, 357; MOMIGLIANO, Saggi, 158-159. .

.

,

311

In particolare Giuliano, da ragazzo, era rimasto colpito dalla venerazio­ ne per le vittime della persecuzione dioclezianea (Soc., h. e. 3,12) e dalle ba­ siliche in onore dei martiri ( GREG NAz., or. 4,25). Tuttavia, dopo la sua svol­ ta filopagana, il culto dei martiri e delle reliquie (,;à À.el'ljlava) ha costituito uno dei temi più ricorrenti della sua polemica come attesta l'ep. 114,438c, nella quale si afferma che chi ha lasciato il culto degli dèi per quello dei mor­ ti e delle reliquie è castigato dalla sua stessa empietà. È noto l'episodio del­ l'allontanamento delle reliquie di san Babila dal tempio di Apollo a Dafne, presso Antiochia (misop. 361bc) sul quale cf. G. DowNEY, «The Shrines of St. Babyll\s at Antioch and Daphne», in Antioch-on-Orontes, II, The E.t­ cavations 1933-1936, a cura di R. STILLWELL, Princeton N.J., 1938, 45-48. D'altro canto le ostilità espresse da Giuliano nel brano riportato sopra, nel quale cita M t 23,27, furono condivise dalla popolazione pagana: in Palestina vengono profanate le reliquie dei profeta Elia e di Giovanni Battista (PHI­ LOST., h. e. 7,4), ad Emesa si dà fuoco alle «tombe dei galilei» (Timoo., h. e. 3,3). Sulle obiezioni dei pagani al culto dei martiri e delle reliqui e, nel più ampio contesto della polemica antimonastica cf. vol. I, pp. 355ss. Sul brano qui riportato cf. BOUFFARTIGUE, 161-162;.BRAUN, 184; CoR­ Bil�RE, 103; DE LABRIOLLE; Réaction, 419-420; NEUMANN, 121; PENATI 338; WRIGHT, 415-417. BARDY, «Qliaestiones», 1933, 216 istituisce un parallelo tra questo bran o di Giuliano e la quaestio n. 28 contenuta nell'opera Quae­ stiones et responsiones ad Orthodoxos (cf. vol. I, p. 308), in quest'ultimo bra­ no, infatti, ci si domanda perché mai Gesù ha toccato la bara del figlio della vedova di Nain (Le 7,14) e il cadavere della figlia di Iairo (Le 8,54) se tombe e cadaveri sono da considerarsi impuri ed egli stesso, poi, paragona i farisei a «sepolcri imbiancati», cf. RINALDI, «Quaestiones», 117. A proposito, poi, dell'espressione giulianea riportata nel nostro testo « ...non è stato detto mai presso di voi di rivoltarvi tra le tombe e onorarie», cf. anche il n. 233 dove Giuliano, citando un brano d'Isaia, rimprovera ai cristiani la pra tica dell'in­ cubazione presso le tombe dei martiri. .

,

394. La venuta dei falsi messia M t 24,5-6 . Anonym. ap. MAc. MAGN , apocr. 4,5 :

=

76,7-9 Harnack.

Vi è da illustrare un'altra espressioncella ambigua, quando Cri­ sto dice: «Badate che nessuno v'inganni. Molti infatti verranno nel nome mio, dicendo: "Io sono il Cristo" e inganneranno parecchi». Ma vahl sono passati trecento anni o anche più e nessun uomo siffat­ to è mai apparso. A meno che non vi riferiate ad· Apollonia di Tiana. uomo adorno di ogni sapere filosofico. Ma voi non ne troverete un altTo. Ed inoltre non di uno solo ma di molti egli dice «sorgeranno»."

312

a)

Mt

24,11.

L elogio di Apollonia di Tiana ricorre nel trattato anticristiano di Hie­ '

rocle (cf. la nota al n. 424 e vol. I, p. 184), uno dei temi centrali di quest'ope­ ra, era infatti il p aragone tra il taumaturgo-filosofo pagano e Gesti.. Si tr atta di un motivo ricorrente nella polemica anticristiana che, nella sua forma esplicita, è attestato per la prima volta in Porfirio, cf. il n. 123. Sul ritardo della parusia di Gesti. nelle critiche dei pagani cf. NESTLE, «Apologetik», 118-119. Sul brano qui riportato in particolare cf. BARDY, 105; In., «Quaestiones», 1933, 216; CoRSARO, 17; In., Quaestiones, 1, 16, 25; In., «Reazione», 182; CRAFER, 382, 508; DE LABRIOLLE, Réaction, 254, 265; DEL­ LAGIACOMA, 212; FORRAT, 46-47, 51; F'RASSINETTI, 43, 51 nota 2; GEFFCKEN, 209 nota 14; F'REND, 12; GOULET, 449; GRANT, 195; HARNACK, Kritik, 16, 108109; NESTLB, 483 nota 83, 498; PEZZELLA, «Problema», 90, 98; RINALDI, «Quaestiones», 117 nota 85; VAGANAY, 2570, 2572, 2577-2578.

395. I «segni della fine» Mt 24,5. IuL.,

Galil. fr. 92 = 234,15-16 Neumann.

Ma simili fenomeni si sono verificati e si verificano spesso; e co­ me possono essere segni della fine del mondo? L'obiezione ci perviene anche tramite THEon. MoPs., c. IuL fr. 7 sul qua­ le cf. GUIDA, Teodoro, 94-91 171-173; Cf. NEUMANN, 128, 234. ,

396. La diffusione del Vangelo e la fine dei tempi Mt 24,14. Anonym. ap. MAc.

MAoN.,

apocr. 4,3

=

74,14-16

Hamack.

Noi dobbiamo altresì ricordare quello che Matteo affermò, di­ cendo alla stregua di uno che è obbligato a stare alla macina: «E il Vangelo sarà predicato in tutto il mondo e allora verrà la fine», poi­ ché ogni strada del mondo abitato ha esperienza del Vangelo e tutti i confini e i termini delle terre lo posseggono per intero e non vi è fine né vi sarà mai. Così questo detto sia pronunciato in un cantuccio. Cf. CoRSARO, 7, 12; In., «Reazione», 183; CRAFER, 508; DE LABRIOLLE, Réaction, 254, 282; DELLAGIACOMA, 211; DEMAROLLE, «Un aspect», 121; ID., «La Chrétienté», 50; DEN BoER, 32; F'RAsSINE'ITI, 44; GouLET, 450; HARNACK, 50; In., Kritik, 14; JUDGE, 17; LAURIN, 47-48, 51; NESTLE, 500; PEZZELLA, «Pro-

313

blema», 92; VAGANAY, 2570, 2577, 2579; WAELKENS, 33. Per quanto riguarda la disputa tra pagani e cristiani sull'eternità del mondo, che è a fondamen to di questa obiezione, cf. la nota al n. 656. Questo brano costituisce il fr. n. 1 3 d e l Contra Christianos di Porfirio (ed. Harnack).

397. Un detto escatologico di Gesù Mt 24,20. Anonym.. ap. AMBROSIAST., quaest. de Novo Test. 62

=

457,17-18 Souter.

Perché il Salvatore dice: «Pregate affinché la vostra fuga non avvenga d'inverno o di sab ato» , dal momento che il tempo di questa persecuzione non potrà essere differito, secondo quanto dice l'Apo­ stolo: «Il quale rivelerà a suo tempo».a E negli Atti degli Apostoli di­ ce: «Definendo i tempi e i termini della loro abitazione». h E perché non dovrà esser lecito fuggire d'inverno o scappar via di sabato? •l 2Ts 2,6. b) At 17,26. HIER., ep. 121,4 risponde àlla domanda postagli da Algasia sul significa­ to della fuga durante il sabato. Cf. anche Auo., de cons. evang. 2,77,151 ; COURCELLE, 151.

398. «D cielo e la terra passeranno ...» 24,35. Anonym. ap. MAc.

Mt

MAGN. ,

apocr. 4,7 = 78,11-12 Harnack.

Il testo è riportato al n. 228.

399. Contraddizioni tra Gesù e Davide Mt 25,21. Anonym. ap. AMBROSIAST., quaest. de Novo Test. 73 = 467,11-12 So uter.

Il testo è riportato al n. 198.

400. L'unzione del capo di Gesù Mt 26,10-1 1 . Anonym. ap. 314

MAc. MAoN.,

apocr. 3,7 = 44,13-15 Harnack.

Poiché dunque abbiamo trovato un'altra espressioncella strana pronunziata da Cristo ai suoi discepoli, abbiamo tosto deciso di non rim anere in silenzio neppure su questa. È quando egli dice: «l po­ veri li avete sempre, ma non sempre avete me» .8 Il movente di tale affermazione è questo: una donna portava un, vaso di alab astro pie­ no di unguento e lo versava sul suo capo; poiché quelli guardavano

e mormoravano sull'inopportunità del fatto, egli disse: «Perché in­ quietate quella donna? Ella ha compiuto un'opera buona nei miei riguardi: i poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me» .b Poiché essi borbottavano non poco per il fatto che l'un­ guento non fosse stato piuttosto venduto a gran prezzo e il ricavato offerto ai poveri affamati perché lo spendessero, come conclusione di questo inopportuno ciarlare fece questa strana dichiarazione, di­ cendo che egli non sempre era con loro , sebbene altrove avesse af­ fermato con sicumera e detto loro: «lo sarò con voi fino alla fine dei secoli» .c Ma quando fu infastidito per l'unguento , egli negò di essere sempre con loro. D) Mt 26,11 (e i paralleli Mc 14,17; Gv 12,8 ) . b) Mt 26,10-11. c) Mt 28,20. Cf. CORSARO, 4, 7-8, 11, 21; CRAFER, 381, 503; ID., «Apologisb>, 553; DE LABRIOLLE, Réaction, 253; DEMAROLLE, «Un aspect», 121; HULEN, 51; GRANT, «Stromateis», 291 ( OR., ser. 77 rifiuta l'interpretazione letterale dell'affer­ mazione di Gesù); HARNACK, 84; ID., Kritik, 44, 102 nota 1, 106, 117, 135-136, 1 98-199; VAGANAY, 2571, 2582; WAELKENS, 33.

401. Gesù teme la morte Mt 26,39. Cel. ap. OR., Cel. 2,24 = I, 348,3-6 Borret. Perché dunque (Gesù) grida e si lamenta, e supplica di poter sfuggire al timore della morte più o meno in questi termini «Padre, se questo calice potesse allontanarsi ! » .

L a citazione biblica d i Celso (non letterale) è l a seguente: '�'Q 1ttl'tEQ, et Mva'tCLL ,;b 1tO't'f]QLOV ,;oiho 1tCLQEÀ.0e'Lv. Sulla paura di Gesù al Getsemani di fronte alla morte cf. anche le critiche di Giuliano qui al n. 469. Il particolare del «calice» che Gesù chiede al Padre di non bere è riferito anche da Mc 14,36 e Le 22,41. Cf. AUBÉ, 231; B ARD Y , «Quaestiones», 1933, 217 nota 7; B ENKO, 1102; BORRET, «L' É criture», 178; FREND, 6; GRANT, Lives, 74; CORSARO, «Reazio­ ne», 189; CRAFER, 385-395; GEFFCKEN, 102 nota 79; GLOVER, 249; GUIDA, Teo­ doro, 173-174; LEBRETON - ZEILLER, 413; LODS, 19-20; LOESCHE, 278; NESTLE, 485; RINALDI, «Quaestiones», 113 nota 64; VAGANAY, 2580; WILLIAMS, 87.

315

401 A. «Allontana da me questo calice» Mt 26,39. An o nym ap. .

Come mai ce» .

MAc. MAGN.,

è detto:

«Se

apocr.

3,2

=

69 Mercati.

è p ossibile passi oltre (da me questo) cali-

Il pagano co nfutato da Macario cita questa invocazione sulla scia di CeJ. so (cf. n. 40 1) e, come apprendiamo dal brano n. 565, per accusare Gesù di ess ere caduto in contraddizione: qui, infatti, teme la morte, mentre altrove aveva esortato a non temere coloro che uccidevano il corpo. Giuliano aveva sviluppato un'articolata critica al racconto dell'agonia di Gesù nel Get· semani al quale ap partiene questa citazione, cf. il n. 469.

401 B. Un discepolo di Gesù recide l'orecchio ·del servo del sommo sacerdote Mt 26,51. Anonym. ap. Il testo

è

MAc.

MAGN., apocr: 3 ,20

riportato

=

54,13-14

Harnack.

al n. 385.

GRA.NT, «Stromateis», 291 osserva che OR., Matt. ser. 101 di fronte alla stranezza d ell ep iso dio ritiene che si tratti di un mysteriwn. L'obiezione ri· corre anche nel repertorio dell'Ambrosiaster, cf. il n. 468. '

402. Gesù condanna l'uso della spada Mt 26,52. ANotmvr., quaest. Veteris et Novi Test. 104 = 228,4 Souter.

Il testo

è

riportato al n.

468.

403. Particolari relativi alla crocifissione e alla risurrezione di Gesù Mt 27 - 28. Cels. ap. OR., Cels. 2, 55

316

=

l, 414,11 -

416,25

Borret.

Ma il punto è questo, se veramente qualcuno dopo la sua morte

è mai risorto col suo stesso corpo. Oppure voi credete che quelle

che si raccontano degli altri siano e appaiano semplici favole, men­ tre voi avete escogitato una soluzione del dramm a più speciosa che convincente: le sue parole sulla croce ('t'IÌv è:n:t 'toii crx6Ào:n:oç a'Ò'toii cprov�v), al momento di spirare, e il terremoto e la tenebra ('tÒV creL­ OJ.I.ÒV xat 'tÒV crx6'tov)? Ma chi l'ha visto? Una donna invasata (:n:a­ QOLO"tQoç), come dite voi stessi, e qualche altro partecipe della stes­ sa stregoneria: sia che per sua inclinazione tendesse a sognare a oc­ chi aperti, sia che a suo piacimento si abbandonasse a fantasie det­ tate da convinzioni sbagliate, come è accaduto a tantissimi, sia piut­ tosto che con questi racconti mirabolanti, abbia voluto sbalordire gli altri e per mezzo di questa menzogna offrire un'occasione ad al­ tri imbroglioni». Per il «grido» di Gesù sulla croce cf. Mt

menzione del terremoto figura soltanto in Mt

27,46; Mc 15,34; Le 23,46. La 27,51 e per questo motivo ho

inserito questo brano nella parte riguardante tale Vangelo. Per le «tenebre»

cf. Mt 27,45; Mc 15,33 ; Le 23,44 (cf. il n. 413 con relativo commento).

Il principale bersaglio di questo brano è costituito dalla dottrina cristia­ na della risurrezione e, più in particolare, quella della risurrezione di Gesù.

Il polemista pagano, che qui fa parlare un interlocutore ebreo, ha presente

alcuni brani evangelici dei quali denuncia l'assurdità («segni

di

tortura», «mani trafitte», sui quali cf.

il n.

di

alcuni particolari

538); quindi prende di

mira Maria Maddalena, in quanto prima e principale testimone della risur­ rezione di Gesù, che viene definita

:n:6.QOLO"tQOç.

Se in questo vocabolo biso­

gna. ravvisare un riferimento a Mc 16,9 (« ... apparve prima a Maria Maddale­ na, dalla quale aveva cacciato sette demoni»), ciò vorrebbe dire che il paga­

no aveva attinto, in un modo o nell'altro, alla chiusura «lunga» del Vangelo

di Marco; come nel caso del pagano con cui polemizza Macario di Magnesia:

nel brano n. 436. Celso vuol cosl scardinare la fede nella risurrezione di Ge­ sù non adducendo motivi d'ordine filosofico o, per così dire, «Scientifico» come riscontriamo in tutti gli altri polemisti anticristiani, bensl caratteriz­ zando in maniera estremamente negativa coloro che «storicamente» sono

considerati i testimoni dell'evento, cioè Maria Maddalena e gli apostoli sui

quali, inoltre, grava l'accusa di essere stati visionari e sognatori. In particola­ re il termine :n:6.QOLO'CQOç deriva da :n:aQOLO'CQ6.co, che è connesso al vocabolo· o'tcrtgoç (un particolare tipo di piccolo insetto), ed è ricorrente, con tutte le

sue voci derivate, nel lessico medico; esso

è

tuttavia confluito nel linguaggio

comune per indicare chi è colpito da una insana passione, da un assillo, da

un'agitazione morbosa. Cf. P. CHANTRAINE, Dict. étymoL de la la11gue grec­ que. Hist. des mots, Paris 1974, III, 787; H. F'RisK, Griechisches etymologi­ sches Wlirterbuch, a cura di K. LATIB, Hauniae 1 966, II, 746; PHom PA-

317

TRIARCHAB, Lexicon, a cura di S.A NABBR, Lipsiae 1 935, II, 64. In Platone il vocabolo appare attestato più volte nelle sue varie forme, cf. D.F. Asnus, Lexicon platonicwn, B erlin 1908, Il, 426; di queste forme alcune mi sembra­ no significative per il nostro discorso: in Leges 9, 854b esso è riferito all'em­ pio che compie azioni sacrileghe come depredare i templi; in Resp. 9, 577a all'anima eli chi è schiavo; in Phaedr; 240d; 251 d all'amante che è lontano dall'oggetto della propria passione. In Corp. Herm. 13,4,1 sta ad indicare lo stato di confusione mentale eli chi non ha più una chiara percezione di se stesso. È interessante notare che in IuL., ep. 89b �CXQOLCTCQét.ro è riferito ai martiri cristiani che, vessati da demoni malvagi, sono presi da un folle desi­ derio di morire. In ATHAN. ALEX., de incarnat. 2,5 o'LCITI'U.LCX significa mcita­ mento demoniaco. A proposito di questa denigrazione della Maddalena è interessante ricordare un testo apocrifo della stessa epoca di Celso, il Vange­ lo di Maria, la cui seconda parte, restituitaci da un papiro di Ossirinco (P. Ryl. 3,463), contiene un alto elogio di Maria Maddalena, destinataria di una particolare visione ( lS QCXIJ.CX) di Gesù risorto, in grazia della quale può eccel­ lere in virtù e conoscenza sugli apostoli stessi; bibliografia e trad. it. in ER­ BB'ITA, 1.1, 293-296. Su Maria Maddalena e le devozioni che le si collegano in testi canonici ed extracanonici cf. C. RicCI, Maria di Magdala e le molte altre. Donne sul cammino di Gestì, Napoli 1991, 154-158. Celso, quindi, articola in maniera più complessa la sua accusa di «Visio­ nari» mossa ai testimoni della risurrezione. Costoro - se�pre secondo il filo­ sofo pagano - o furono predisposti, per la loro stessa natura a tal genere di visioni fallaci, oppure, deliberatamente, intesero ingannare gli altri ricorren­ do alla simulazione. Nel brano qui riportato, dunque, la Maddalena è accu­ sata di aver tradotto in r e altà l'oggetto del proprio desiderio, vittima di una morbosa passione. Ad alcuni studiosi è sembrato legittimo congetturare che Celso abbia potuto definire in tal maniera la Maddalena sulla scorta di quei brani evangelici che ne raccontano la liberazione da sette demoni ad opera di Gesù, cf. Le 8,2 e Mc 16,9; cf. BoRRBT, «L'Écriture», 180-181 e GRANT, Li· ves, 75-76. Per Loos, 22-26, che ha studiato l'opera di Celso in rapporto al pensiero giudaico, l'obiezione rivolta all'attendibilità della testimonianza della Maddalena è, appunto, eli derivazione giudaica. Celso, poco dopo, ri­ torn a sul tema dei testimoni della risurrezione: «È mai successo che uno mandato come messaggero, con il compito di annunciare gli ordini ricevu ti, si nasconda? O forse quando era in carne ed ossa e nessuno gli credeva, egli diffondeva il suo messaggio a tutti senza restrizioni; invece qJlando, con la sua risurrezione, avrebbe potuto rinsaldare la fede, apparve di nascosto a un'unica donnicciola (�vt IJ.ÒVQ> yuvcxl.cp) e ai propri seguaci. Quand'era tor· turato dunque fu visto da tutti, dopo la risurrezione da una persona sola; mentre avrebbe dovuto succedere proprio il contrario», OR., Cels. 2,70. In seguito i polemisti pagani elaborarono questo tema della meschinità dei te· stimoni della risurrezione di Gesù facendo notare, ad esempio, come Apol· .

318

Ionio di Tiana, dopo aver risp osto con fierezza alle inquisizioni di Domizia­ no, sia apparso ben visibilmente a Pozzuoli a molte persone; cf. il n. 585. Celso ha altrove esposto altre considerazioni contro la dottrina della ri­ surrezione; rivolgendosi ai giudei cosl argomenta: «Ed è stupida da parte lo­ ro ( =: dei giudei) anche la convinzione secondo cui una volta che Dio, a mo' di cuoco, avrà appiccato le fiamme, tutto il resto della stirpe uman!l andrà arrosto, e sopravvivranno soltanto loro, e non solo i vivi, ma anche quelli morti da tempo immemorabile, che risorgeranno dalla terra con la loro car­ ne di un tempo: pura e semplice speranza da vermi. Quale anima umana, in­ fatti, potrebbe continuare a desiderare un corpo putrefatto? Questo, quan­ do una dottrina del gen ere non è neanche condivisa da taluni di voi e da ta­ luni cristiani e, disgustosa com'è, essa è al contempo repellente e indimo­ strabile. Quale corpo completamente decomposto potrebbe, difatti, tornare alla sua natura originaria e alla stessa condizione primitiva antecedente alla sua dissoluzione? No n aven do nulla da rispondere essi ricorrono alla scap­ patoia totalmente assurda secondo cui a Dio tutto è possibile», OR., Cels. 5,14; si noti che qui il pagano è consapevole delle diverse. opinioni sulla ri­ surrezione (e anche sulle sue negazioni, cf. 1 Cor 15,12) diffuse tra ebrei, sa­ maritani, cristiani .e gnostici, cf. LANATA, 216. Altrove Celso rileva la con­ traddittorietà della speranza dei cristiani di ripossedere il proprio corpo e la loro facile disposizione a distruggerlo attraverso il martirio, cf. OR., Cela. 8,49. Sulle critiche dei pagani alla dottrina della risurrezione cf. il n. 514. Sul bra,no qui riportato in generale cf. AUBÉ, 226; ANDRESBN, 48-49, 51; BENKO, 1102; BORRET, « L É criture», 180-1 81; Q. CATAUDELLA, «Celso e l'e­ picureismo», in ASNP 50(1943) , 22 (dalle accuse di «Visionario» deduce in­ fluenze epicuree su Celso in base anche a un noto brano di Lucrezio [1 ,132135] sulle visioni dei simulacri); CRAFER, «Apologist>>, 408; Da LABRIOLLE, Réaction, 131, 256-257; GALLAGER, 131-140; GRANT, Lives, 75-76; A. HAM­ MAN, «La résurrection du Christ dans l'antiquité chrétienne», in RSR 49(1975), 312-318; HAUCK, 240 (Celso rimprovera ai cristiani un tipo di co­ noscenza della divinità mediata dai sensi, alla maniera stoica); LANATA, 195; LEBRETON - ZEILLER, 413; LODS, 22-24; LOESCHE, 278, 280; MERKEL, 9-10; R.I­ '

NALDI, «Sognatori», 15-18, 27-28; ROKEAH, 108; SODAN0, 1 9-20; VERMANDER,

210;. VIGOUROUX, 157;

WHALE,

121 ;

WILLIAMS,

88;

WITIAKER,

180-1 81.

404. La morte di Giuda il traditore Mt 27,1-10.

Anonym. ap. Cf. il n.

MAc. MAGN., apocr.

605. 319

405. Gesù schernito prima della crocifissione Mt 27,27-3 1 . Anonym. ap. MAc. MAGN., apocr. 3 , 1

=

3:?,,3-15 Harnack.

· Il testo è riportato al n. 587.

406. Gesù viene deriso Mt 27,28-29.

Cel. ap. OR.,

Cel. 2,34 = I, 366,2

- 368,33

B orret.

Si prenda quel che dice il Bacco di Euripide: «!l'Dio stesso mi li­ bererà, quando vorrò» ... Quanto a lui ( = Gesù), nemmeno chi lo condannò ebbe a subire qualcosa di simile a Penteo, colpito dalla follia o fatto a brani ... e netnmeno quelli che lo schernirono, che gli fecero indossare un mantello di porpora e cingere una corona di spi­ ne, e gli misero in mano una canna. La citazione euripidea è da

Baccanti 49 8. Qui la sorte

di Ponzio Pilato,

che condannò Gesù, è paragonata a quella di Penteo il quale, per aver con­ trastato il culto di Dioniso fu reso folle e sbranato dalle seguaci del dio. Cf.

BADER, 20; BORRET, «L'Écriture», 179; FREND, 6; GLOVER, 249-250; LANATA, 1 94 («Celso dunque non conosceva la leggenda secondo cui Pilato, giudicato da Tiberio, si sarebbe suicidato o sarebbe stato crocifisso»).

407. A Gesù in croce vien dato da bere fiele Mt 27,34.

Cel. ap. OR.,

Cel. 4,22 = II, 234,1-5 Borret.

E i cristiani aggiungendo altre ragioni a quelle esposte dai giudei. affermano che il figlio di Dio è stato già mandato a causa delle colpe dei giudei, e che i giudei hanno attirato su di sé l'ira (x6'A.ov) di Dio per aver torturato Gesù e averlo dissetato col fiele (xo'A.i]v). Rilevo l'assonanza nell'ultima frase tra xoA.'i] {= fiele, bevanda amara) e x6A.oç ( = ira) che costituisce un ironico ed efficace gioco di parole. Cf. BoR­

RET,

320

«L'Écriture», 186; CHADWICK, 1 98; RoKEAH, 179; WILDE, 65.

408. A Gesù in croce vien dato · da bere Mt 27,34.

Anonym. ap.

MAc. MAGN. , apocr. 2,12

=

22,8-10 Hamack.

Il testo è riportato al n. 591.

409. L'eclissi di sol� alla morte di Gesù Mt 27,45. PoRPH., c. Christ. fr. 14 Hamack ap. HIER., in Math. 4, 27,45 1754 Hurst - Adriaen.

=

273,1751-

Coloro che hanno scritto contro gli evangelisti suppongono che i discepoli eli Cristo, a causa della loro ignoranza (ob imperitiam. ), ab­ biano riferito. alla risurrezione del Signore una eclissi eli sole che si verifica in periodi certi e definiti. È evidente che qui si confonde la morte di Gesù con la sua risurrezione. In ogni caso questa testimonianza s'inserisce tra le non poche riguardanti le critiche mosse dai pagani al racconto evangelico dell'oscuramento del sole al momento della crocifissione. Cf. il brano n; 413 e la relativa nota di com­ mento. Cf. DE LABRIOLLE, Réaction., 213-214; GRANT, «Stromateis», 291; NEsT­ LE, 477, 499; PEZZELLA, «Problema», 100; SCHROEDER, 197; VAGANAY, 2568 (non è certo che l'obiezione derivi da Porfirio).

410. L'ora della · crocifissione Mt 27,45. Anonym. ap. AMBROSIAST., quaest. Veteris et Novi Test. 65 Souter.

=

114,7-10

Il testo è riportato al n. 433.

411. Una esclamazione di Gesù sulla croce Mt 27,46. Anonym. ap. MAc.

MAGN.,

apocr. 2,12

=

22,11-13 Harnack.

Il testo è riportato al n. 591. 321

412. D terremoto avvenuto aiJa morte di . Gesù Mt 27,51. Cel. ap. OR., Cel.

2,55

=

I; 414,15

n testo è riportato al n.

Borret.

403.

413. D terremoto e le tenebre alla morte di Gesù Mt 27,51. Cels. ap. OR., Ce/s.

2,59

=

I, 422,1-2 Borret.

Egli ( = Celso) crede che il terremoto (Q'?o!.Ò'tov) siano una storia di fantasia.

(oeLO!lòv) e le

tenebre

Sulla critica di Celso e di Porfirio ai particolari del terremoto e delle tene­

bre che ebbero luogo alla morte di Gesù cf. rispettivamente- i nn. 403 e 409. Il racconto evangelico dell:'oscuramento del sole avvenuto al momento della passione di Gesù ha costituito per i pagani un arsenale per molteplici e svariate obiezioni. Possiamo grosso modo dividere queste obiezioni in due categorie: l. Si trattò di una normale eclisse solare, di una coincidenza che gli evangelisti vollero sfruttare per magnificare la storia di Gesù; 2. Il rac­ conto evai).gelico è puro parto della fantasia poiché al momento in cui Gesù morl (luna piena), secondo le conoscenze astronomiche, non poteva aver luogo alcuna eclissi. Se con �·una e con l'altra ipotesi si perviene ad un ugua­ le discredito del raccOnto biblico, diverse sono però le vie che conducono a tale conclusione: la seconda argomentazione, infatti, presuppone nozioni di astrononii a e, pertanto, va attribuita ad ambienti più colti. Essa mi sembra possa inserirsi anche nel dossier di argomentazioni antibibliche che traggo­ no argomento dal mondo delle conoscenze astrologiche a quel tempo anco­ ra ndn sempre b en distinte da quelle astronomiche. Forse una particolare lezione del testo di Luca ha potuto offrire più diret­ tamente materia di discussione ai contraddittori pagani più attenti. In Le 23,45, infatti, si vuoi rendere ragione dell'oscuramento solare (lo cm6-coç; del versetto immediatamente precedente). Nel testo biblico abbiamo l'espressio­ ne xaUcmo-cl.a8l'J 6�;\.wç; (Alexandrinus, Bezae Cantabrigensis, W, Cod. Cori­ cleto, f\ f13, etc.) oppure -coii ftÀtou �ÀIJtÒVl:oç; (P45, Sinaiticus, Ephraemi re­ scriptus ed altri più tardi elencati negli apparati critici del NT ad loc. ), che oggi sembra una inserzione esplicativa che ha sostituito la prima, più semplice le­ zione, cf. TCGNT, 182. Origene, che si rendeva conto dell'impossibilità di una eclisse solare nel periodo della Pasqua in cui Gesù fu ucciso, di fronte ai mano­ scritti del secondo tipo che sembravano parlare più esplicitamente di una «eclissi», ritenne che i nemici della chiesa (insidiatores Ecclesiae Christi) aves­ sero alterato il testo biblico per insinuare l'idea di una eclissi che prestava il

322

fianco a critiche, cf. OR., comm. in Mt 35 (PG 13, 1782); B.M. METzGER, «Ex­ plicit references in the works of Origen to variant readings in the New Testa­ ment», in Historical and Literary Studies. Pagan, Jewish and Christian, (New Testament Tools and Studies VIII), Leiden 1968, 95-96. L'obiezione pagana del primo tipo, cosi come abbiamo più sopra indica­ to, è attestata in: TERT., apoL 21,19 («In quell'istante il giorno scomparve mentre il sole era ancora a metà del proprio corso. Ritennero certamente trattarsi di un'eclissi, quelli che non sapevano ciò che era stato profetizzato intorno a Cristo: non comprendendo la ragione negarono il miracolo . »); Amrc., chron. 18 (PG 10, 89); CHRYS,, in Matthaeum hom. 88 (PG 58, 775); Porfirio (o comunque gli scrittori pagani fTonteggiati da Girolamo nel n. 409) e un testo pseudo-origeniano inserito nel commentario a Mt di que­ st'ultimo («Affinché nessuno affermi che si trattò di una semplice eclisse, l'avvenimento ebbe luogo il quattordicesimo giorno [della luna], in un mo­ mento in cui è impossibile che avvenga una eclisse») cf. PG 17, 309. Anche Auo., civ. Dei 3,15, nel contesto di un paragone tra l'eclissi di sole alla morte di Romolo e quella alla crocifissione, sembra riportarci il senso di un'obie­ zione pagana al racconto evangelico secondo la quale l'eclissi di cui questo parla sarebbe un normale fenomeno determinato dal corso degli astri. L'obiezione del secondo tipo, quella più dotta, è attestata nel già citato OR., comm. in Mt 35 (PG 13, 1782): « ... dicono che l'eclissi solare non ha po­ tuto aver luogo se non nelle condizioni in .cui è (scientificamente) possibile che questa possa prodursi: un'eclissi, infatti, si verifica quando la luna si frappone tra la terra e il sole; ora la Pasqua si celebra nel momento in cui la luna è pienamente illuminata dal sole e brilla tutta la notte; come dunque immaginare un'eclissi nel periodo della luna piena?»; a questa obiezione, sempre secondo la testiw-onianza di Origene, i cristiani rispondevano che si trattava non di una normale eclissi, bensl di un fenomeno straordinario, al che i pagani incalzavano facendo osservare che nessuno storico dell'epoca aveva tramandato la memoria di questo evento tanto spettacolare, cf. ad es. Auo., ep. 199,34. È, inoltre, per rispondere a questa seconda argomentazio­ ne che autori quali Origene e Giulio Africano ritengono di poter addurre la testimonianza di autori pagani quali Flegonte e Talla su un oscuramento del sole avvenuto all'epoca di Tiberio. M. GoGUEL, «Un nouveau témoignage non-chrétien sur la · tradition évangélique d'après M. Eisler», in RHR 98(1928), 1-12 ha affermato che Trulo conobbe la tradizione evangelica e la interpretò in chiave razionalistica. Cr·r. GurGNEBERT, Jesus, London 1935, 13 ha invece ipotizzato, più prudentemente, che lo storico conobbe il racconto relativo alla morte di Gesù dalla viva voce dei cristiani; dello stesso avviso è F.F. BRUCE, Jesus and Christian Origins outside the New Testament, Grand Rapids 1982 (rist.), 29-30. Va ricordato che di Talla non si conosce con esat­ tezza la cronologia (circa 52 d.C.), né si è sicuri se sia stato un pagano o un samaritano; cf. C.R. HoLLADAY, Fragments from Hellenistic Jewish Authors. I: Historians, Chico 1 983, 343-369 e S cHORER III l, 543-545. La stessa incer­ tezza circonda la testimonianza di Flegonte di Tralle su una eclisse di sole , totale avvenuta al tempo di Tiberio; su questo problema cf. CARRARA, 75-79; . .

323

DE LABRI OLLE , Réaction, 204-220 e P. PruGENT, «Thallos, Phlégon et le Testi­ monium Flavianwn témoins de Jesus?», in Fs. M. Simon, 329-334. I n AR­ NOB., nat. 1 ,53-54 si ricorda l'irrisione di quegli increduli secondo i quali il terremoto e le tenebre connesse alla crocifissione sarebbero inammissibili in quanto fenomeni contrari all'ordine naturale; secondo CoURCBLLE, «Polemi­ che anticristiane», 172 nota l, l'apologeta, per questa obiezione, avrebbe avuto tra le mani un trattato anticristiano. Più immediato è l'argomento avanzato da quei non credenti i quali facevano notare che nelle cronache de­ gli storici non v'è traccia alcuna di questa eclissi, cf. OR., Com m. in Math. , 27,45 (272 Klostermann). Cf. GRANT, «Stromateis», 291 (OR., ser. 134 sostiene che non si trattò di un'eclissi ordinaria); G. S oHERru , «Eclissi di sole alla passione? .Una nota sull'impulsività origeniana e sulla cronologia di due opere», in Origeniana Seamda, (Quaderni di Vetera Clui.stianorum 15), Roma 1980, 357-362; S. XEREs, «L'oscuramento del sole durante la passione di Cristo nelle fonti cri­ stiane e pagane dei primi due secoli», in Contributi dell'Istituto di Storia An­ tica 'dell'Universitd del Sacro Cuore, a cura di M. SoRDI, 15, 1989, 219-226. Cf. anche i nn. 403 e 409. ·

414. La ricchezza di Giuseppe d'Arimatea M t 27,57. Anonym. ap. AMBROSIAST., quaest. Veteris et Novi Test. 69 = 463,4-6 Souter.

Il testo è riportato al n. 458 .

415. Gesù risorto appare a Maria, madre di Giacomo M t 28,1-10.

Anonym. ap. MAc. MAGN., apocr. II 14

=

26,!;>-1 1 Harnack.

Il testo è riportato al n. 586.

416. Gesù viene adorato dopo la risurrezione Mt

28,9. Anonym. ap. AMBROSIAST., q uaest. de Novo Test. 70

n testo è riportato al

324

n.

5�7.

=

463,22-23 Souter.

417. Comandamenti di Mt 28,19. Galil. fr. 67

IuL.,

=

Gesù ai discepoli

216,10-15 Neumann.

Come dunque si può attribuire a Gesù nei Vangeli questo co­ mando: «Andate e istruite tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo», se è vero che dovevano «lui solo servire».• E voi la pensate nello stesso modo quando insieme al padre tributate onori divini (0eoÀoyei:'te) al figlio. a)

Dt 6,13; 10,20. Il Rostagni, nella sua traduzione, rende il aeoA.oye'i:,;e dell'ultima frase

con «teologate». Giuliano qui contrappone il comandamento di Gesù al mo­ noteismo insegnato da Mosè in Dt 6,13; 10,20, cf. n. 157. Cf. BARTELINK, 44; MERBDlTH, 1146; NEUMANN, 1 19; S�� 211; WRIGHT, 403 nota 4. Sulle criti­ che di Giuliano al battesimo cristiano cf. il brano n. 651.

·

418.

« .. .

· Andate e pr edicat e. . .»

Mt 28,19-20. Anonym. ap. MAc. MAGN., apocr. l , argomento

11

'

=

62 Mercati.

Che cosa significa ciò che fu detto agli apostoli d'insegnare a tut­ to il mondo, e (Gesù) come volle curare. Pietro, il corifeo (,;òv KOQU­ cj>ai:ov) del suo rinnegamento ('tfjç à.Qvi)creroç). Cf. MERCATI, 62, 65. La critica del pagano all'episodio del rinnegamento di Pietro viene esposta in MAc. MAGN., apocr. 3,19 ( = n. 379).

419. Gesù promette ai discepoli la sua presenza Mt 28,20. Anonym. ap. MAc. MAGN., apocr. 3,7 Il

=

44,20 Harnack.

testo è riportato al n. 400.

325

MARCO

420. Mc 1,1. Anonym. ap.

Gesù è chiamato «figlio di Dio» AMBROSIAST., quaest. de Novo Test. 28 = 437,15

Souter.

Il tes to è riportat o al n. 344.

421. . Mc 1,2.

Un errore di Marco nel citare Isaia

PoRPH., c. Christ. fr. 9A ap. HIER., tract.

Morin.

iJ; Marci Evang. 1,2 = 452,30-36 ·

Di questo passo evang elico discute nel quattordicesimo libro quell'empio Porfirio che ha polemizzato con noi e in molti libri (multis voluminibus) h a versato la sua rabbia, dicendo: «Gli evange­ lis ti furono uomini così inesperti (imperiti), non soltanto nelle scien­ ze profane ma anche delle scritture divine, che attribuirono a un pro­ feta ciò che è stato scritto da un altro». al

Qui Girolamo ricorda l'obiezione porfiriana n. · 422 al quale si rimanda per il commento

422.

riferita più espliCitamente e la bibliografia.

L'evangelista Marco attribuisce ad Isaia un brano di Malachia

Mc 1,2.

PoRPH., c. Christ. fr. 9B = HIER., in Matt. 1,3,3 = 16,229 - 17,237 Hurst ­

Adriaen.

Porfirio confronta questo passo con l'esordio del Vang elo di Mar­ co, nel quale sta scritto: «L'inizio del Vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio, come è scritto nel profeta Isaia: "ecco, mando il mio angelo da­ vanti a te per preparare la tua via". Voce di uno che grid a n el d es ert o : " p rep ar ate la via ai Signore, spianate i suoi sentieri"». Siccome qui la testimonianza di Malachia è intre cciat a a quella d'Isaia, Porfirio si chiede in qual modo s'è potuto attribuire al solo Isaia il passo.

326

Qui Porfirio fa rilevare che Marco attribuisce erroneamente ad Isaia il brano di Ml 3,1 che cita. Questa stessa difficoltà era stata esaminata da OR., Io. 6,24 e in un'omelia sul Vangelo di Marco falsamente attribuita a Giovan­ ni Crisostomo, cf. nell'ed. Fronto�;�. du Due, vol. II, P aris 1614, 968. Girola­ mo, inoltre, vi ritorna nel Tract. in Marci evang. 1,2 ( = n. 421) ed in ep. 57,9 (= n. 302). n brano qui riportato andrebbe tenuto presente per una ricerca sul testo biblico utilizzato da Porfirio come del resto s'è detto per il n. 370. Nel Cod. Alexandrinus, nei manoscritti della Famiglia 13, nel Cod. Freer (W) e in altri manoscritti posteriori, a posto di àv ,;é{l "Haliq. ,;é{l :n;go'fi"&'Q tro­ viamo àv ,;oi.ç :n;goi),;a�ç, ma questa lettura costituisce certamente un'armo­ nizzazione introdotta successivamente per eliminare la difficoltà, cf. TCGNT, 73 . Tuttavia, secondo la testimonianza del vescovo nestoriano Isho' dad di Merev (IX sec.), nel Diatessaron di Taziano si sarebbe già ri­ scontrata quest'ultima lezione, cf. J.F. STBNNING , s.v. «Diatessaron», in HDB, Extra Vol., 454a. n CRAFER, 496-497 osserva: «Questo costituisce for­ se il migliore esempio dell'attenzione con Ja quale Porfirio ha studiato il vangelo al fine di trovarvi argomenti di polemica. È evidente che egli aveva sott'occhio la lezione più antica. Possiamo ritenere che .proprio questa sua obiezione abbia esercitato una qualche influenza nella storia del testo?». D'altro canto è stato ipotizzato che l'espressione tratta dal libro di Malachia costituisca una glossa antic;hissima; essa, tra l'altro, non deriva dalla Sep­ tuaginta, come quella d'Isaia, ma da una versione ebraica, cf. L. PIROT - A. CLAMER, La Sainte Bible, Paris 21950, IX, 404; C.C. ToRREY, The Fourth Go­ spels. A New Translation, London s.d., 298 (la citazione di Malachia non fi­ gura nell ' original e ma è un' antica interpolazione da Mt 1 1 ,10). Su questa obiezione di Porfirio cf. ANASTOS, 426; BENOIT, 557; A. BE­ NOIT, 265-266; DE LABRIOLLB, Réaction, 252, .497; DEN BOER, «Pagan histo­ rian», 200; F'REND, 11; HARNACK, 48-49; GRANT, 195; HULEN, 46; MBREDITH, 1128-1130, 1136; MBRKBL, 16-17; RlNALDI, 108 nota 57; Io., «Quaestiones» , 106; SeDANO, 18; VAGANAY, 2569-2570, 2573, 25 84; WILKBN , Christians, 146. Com'è noto la stessa obiezione viene tratta anche dall ' Ambrosiaster, cf. il n. 423 ed in Bus., qu. Marin., Suppl. min. 2 (PG 22, 1007 ) . ·

423. Marco attribuisce erroneamente a Isaia un

brano di Malacbia

Mc 1,2. Anonym. ap . .AMBROSIAST., quaest. Veteris et Novi Test. 57 = 1Q3,20-21 Souter. n testo è riportato al

n.

291.

Cf. anche il n . 422 (obiezione porfiriana); DE LABRIOLLE, Réaction, 497; RINALDI, «Quaestiones», 110.

327

424. Ges ù di fronte ·a Giovanni Battista Mc 1 ,9. PHILOSTRAT.,

�· Apoll. 4,18

=

I,

386 Conybeare.

Egli {Apollonia) però disse ... che ora si doveva attendere ai riti sacri, e che pure lui voleva essere iniziato. Ma lo ierofante si rifiuta­ va di ammetterlo al rito, dicendo che non avrebbe mai iniziato un mago e un ciarlatano, né avrebbe aperto Eleusi a un uomo che non era puro nei suoi rapporti con la divinità. Apollonia, senza perdere affatto in questa circostanza il suo contegno, «Non hai ancora det­ to», replicò, N B oER, «Pagan historian», 201; In. , «Porphyrius», 87 e la biblio­ grafia relativa al n. 328.

441

A. Gesù cresce

in

statura e saggezza

Le 2,40.

luL., or. 8 (c. Heracl. ) 219c = Rochefort, 63.

.

Si dice che Eracle sia stato fanciullo, che il suo divino corpo si sia a poco a poco accresciuto; si narra che abbia frequentato maestri, che abbia lottato e dappertutto abbia trionfato, ma che il suo corpo ebbe anche provato il patire. Per B oUFFARTIGUE, 166-167 la biografia di Eracle tracciata in questa orazione da Giuliano costituisce «camme une réplique du texte de Luc». Lo studioso evidenzia i seguenti parallelismi: Gesù sbalordisce i sapienti nel tempio - Eracle fanciullo uccide i serpenti. Gesù soggiorna nel deserto Eracle è messo alla prova dalla mancanza di cibo e dalla solitudine. Gesù cammina sull'acqua - Eracle attraversa il mare su una coppa d'oro. Cf. an­ che il n. 571 A e M. SrMON, Hercule et le christianisme, Paris 1955.

442.

La genealogia di Gesù

Le 3,23-38. Cel. ap. q R., Ce!. 2,32 = I, 364,9�13 Borret.

Sono dei puri millantatori quelli che fanno risalire la genealogia di Gesù al primo nato e ai re dei giudei: la moglie del carpentiere, se avesse appartenuto a una stirpe cosl illustre, non l'avrebbe certo ignorato. A proposito di questa negazione della discendenza di Maria da Davide, basata sulla mancanza di valore di queste genealogie evangeliche, ricordo

338

IUL., GaliL fr. 62 ( = n. 115) et Novi Test. 86 (= n. 438). Cf. AUBÉ, 228; BENKO, 1102; BORRET, «L'Écriture», 178-179; Dooos, 105 nota 11; LANATA, 193; Loos, 3 nota 6, 8-9; RrNALDI, «Quaestiones», 106; Rrz­ zo, 103; ROUGIER, 239-240; SPEYER, 1242; WESTCOTT, 405 nota 2.

che essa è a ttes ta ta anche in Bus., qu. Steph. 1;

ed

AMBROSIAST., quaest. Veteris

443. Discordanza tra Luca e Matteo ·

sul padre di Giuseppe

Le 3,23. Galil. fr. 62 = 212,7-12 Neumann.

IuL.,

Il tes to è riportato al n. 318.

444. Il padre di Giuseppe nelle genealogie evangeliche Le

3,23. Galil. fr. 90 = 234,4-6 NeUI11 ann.

IUL.,

Il tes to è riportato al

n.

319.

445. La genealogia di Gesù:

discordanza sul padre di Giuseppe Le

3,23.

Anonym.

ap.

AMBROSIAST., quaest. Veteris et

Souter.

Novi Test. 56 = 101,1-4

Il testo è riportato al n. 320.

446. Gesù nel deserto tentato dal diavolo Le 4,2. Anonym.

ap. MAc.

MAGN., apocr.

1, argomento & ' = 62 Mercati. l

Che co s a significa: «E Gesù se ne stava nel deserto e veniva messo alla prova dal diavolo»? 339

Obiezioni pagane all'episodio delle tentazioni di Gesù nel deserto tra­ smesseci sempre da Macario di Magnesia sono al n. 549; qui notiamo che M t 4,1 e Le 4,2 presentano «dal diavolo», mentre in Mc 1,13 leggiamo «da Sata­ na». Per le serrate critiche di Giuliano all'episodio evangelico cf. i nn. 139, 187, 343 A, 345, 548; per gli altri aut ori cf. la nota al n. 342 A.

447. La c �restia al tempo del profeta Elia Le 4,25.

Anonym. ap. MAC. MAGN., apocr. 2, argomento et.

'

:=:

66 Mercati.

Che cosa significa «Furono sbarrate le porte del cielo per tre anni e sei mesi» ? Cf. MERCATI, 67.

448. Gesù comanda agli spiriti Le 4,36. IuL. , Galil. fr. 50

:=:

201 ,13 Neumann.

Il testo è riportato al n. 483.

449. I discepoli lasciano estemporaneamente tutto

per seguirlo

Le 5,1-28. ter.

Anonym. ap. AMBROSIAST., quaest. Veteris et Novi Test. 79

Il testo

è

:=:

133,17 S ou­

riportato al n. 383.

Questa obiezione viene solitamente associata a quella avanzata da Por­ fido e Gi ulian o , cf. il n. 561.

450. . La missione di Gesù tra i peccatori Le

5,31-32.

Anonym. ap. MAc. MAGN., apocr. 4,1 0

340

:=:

82,2-19 Harnack.

Conviene esaminare un altro caso ancor più ragionevole, parlo per antifrasi, di questo: «Non hanno bisogno del medico i sani, ma gli infermi».a Così ·cristo cianciava circa il suo soggiorno in terra. Se dunque fu per i deboli, come egli stesso dice, che combatté i peccati, non erano deboli i nostri padri e non furono i nostri progenitori am­ malati di peccati? Se i sani non hanno bisogno del medico ed egli «Non venne a chiamare i giusti ma i peccatori a penitenza»,b onde Paolo dice: «Gesù Cristo venne al mondo per salvare i peccatori, di cui io sono il primo»,c se le cose quindi stanno così e colui che si è smarrito è chiamato e chi è amm alato è guarito e l'ingiusto è chiama­ to, il giusto non è chiamato, colui che non fu chiamato né ebbe biso­ gno del medico dei cristiani sarebbe un uomo dritto e giusto: infatti chi non ha bisogno di medicina si trova ad esser rivolto lontano dal verbo dei fedeli e quanto più- si volge lontano da esso, tanto più è giusto sano, dritto. al Le

5,31. bl Le 5,32. cl 1 Tm 1,15. In questo testo l'autore pagano dapprima rimprovera a Gesù la sua tar­ da comparsa nel corso della storia: se egli è venuto per i deboli, allora per­ ché non è comparso prima visto che di «deboli» n·ena storia ve ne sono stati sempre? Su questo aspetto cf. il n. 519 e la relativa nota. Quindi si passa a un'ostentazione di disprezzo per il carattere popolare della religione cristia­ na. Tale aspetto della polemica pagano-cristiana è attestato anche in più brani di Celso; cf. OR., Cels. 1,27 («La dottrina cristiana è rozza, e per la sua rozzezza e la sua debolezza nelle argomentazioni ha conquistato solo perso­ ne rozze» (t5LW'tWV f.LÒVwv); 1,28 ( = n. 324: le umili origini dei genito�i di Gesù); 1,62 (Gesù ha legato a sé «dieci o undici uomini screditati, pubblicani e marinai dei più miserabili», cf. GALLAGER, 82-87); 3,44 {alcuni cristiani in­ giungono: «non osi accostarsi nessuna persona colta, o sapiente, o accorta, perché tutto questo noi lo consideriamo un male; ma se uno è ignorante, se è stolto, se è incolto, se è puerile, venga avanti arditamente»); 3,50 (i cristiani prediligono «i ragazzi, o un assembramento di schiavi o una massa di citrul­ li»); 3,55 (i cristiani evangelizzano ignoranti, schiavi e gente d'infima estra­ zione) ; 3,75 («il maestro della dottrina cristiana ['tà 'X.QLcrtLa.vLcrf.Loi:i 5LMcr­ 'M.OV'ta.] fa più o meno la stessa cosa di chi promette di risanare i corpi, ma dissuade dal rivolgersi ai medici che sanno il loro mestiere perché potrebbe­ ro dimostrare la sua ignoranza. E cerca rifugio presso i bambini o i contadini più stolidi dicendo loro: "State alla larga dai medici. State attenti. che nessu­ no di voi si impadronisca della scienza, perché la scienza è un male: la cono­ scenza fa perdere agli uomini la salute dell'anima. Più d'uno è stato rovinato dalla sapienza! Rivolgetevi a me: io solo vi salverò l"»); 3,78 (i cristiani atti­ rano «Subdolamente ... gli uomini malvagi e per convincerli a disprezzare le persone migliori insinuano che se si terranno lontani da esse, sarà meglio per loro»); 6,13-14 («i cristiani... espongonò i segreti della sapienza divina al-

341

le persone più incolte, agli schiavi o agli ignoranti ... evitano accuratamente le persone più sofisticate, perché poco disposte a farsi ingannare, e adescano invece gli zotici»). È molto significativo quel brano di Celso nel quale ven­ gono messi a confronto gli alti requisiti morali richiesti a chi si candida all'i­ niziazione ai misteri e l'indegnità dei catecumeni cristiani; cf. ibid. 3,59 e an­ che il n. 649. Ricordiamo anche le parole pronunciate dal pagano Cecilia se­ condo quanto riferisce Minucio Felice: «(i cristiani) con una accozzaglia di gente ignorante, reclutata tra la feccia del p opolo e di donne credule, facili a esser sedotte a cagione della debolezza del proprio sesso, mettono insieme una masnada di empi congiurati», MIN. FEL. 8,14. TAT., orat. 33 ricorda un'accusa diffusa tra i pagani della sua epoca secondo la quale i cristiani avrebbero reclutato proseliti solo tra donne, ragazzini e vecchi. Ancora nel­ l'inoltrato secolo IV d.C., Saturninus Secundus Salustius, maestro e collabo­ ratore dell'imperatore Giuliano, autore di un «catechismo» pagano, la cui portata anticristiana è a mio avviso notevole anche se non immediatamente evidente, insiste in via preliminare sugli alti requisiti morali e intellettuali che si richiedono a coloro che intendono apprendere la verità intorno agli dèi, cf. De diis et de mundo 1,1; su quest'opera e il suo significato nel conte­ sto della reazione giulianea cf. vol. l, pp. 228ss. Sulla critica di Giuliano alla bassa estrazione sociale dei cris'tiani cf. il n. 614. Sul brano qui riportato in particolare cf. ANASTOS, 43 9; BARDY, 105, 108; BENOIT, 565; CoRSARO, Quaestiones, 17; CRAFER, 376, 504; DE LABRIOLLE, Réaction, 278; DEMAROI.LE, «Un aspect» , 121-123; In., «La Chrétienté», 52; GEFFCKEN, 65; HARNACK, Kritik, 82, 99 nota 1, 124; HULEN, 52; LAURIN, 48; LOESCHE, 279; NESTLE, 505; ROSTAGNI, 308; VAGANAY, 2571, 2577-2578, 2583; WAELKENS, 40. Cf. anche il n. 614 e la relativa nota di commento.

451. Gesù è accusato

di violare il sabato

Le 6,1-4. Anonym. ap. AMBROSIAST., quaest. Veteris et Novi Test. 61 = 10 9, 1 ss Soutèr.

Che cosa vuol dire che poiché i giudei accusavano i discepoli per­ ché violavano il sabato sfregando le spighe con le màni e mangian­ dole, il Salvatore proponeva l'esempio di Davide. Costui mangiò i pani che non era lecito mangiare se non ai sacerdoti; ma non sembra che siano giustificati mediante questo esempio. Al contrario sembra­ no diventar colpevoli insieme con D avide, specialmente poiché Davide non fece ciò di sabato. ·

·

L'episodio del diverbio tra i farisei e Gesù a proposito delle spighe rac­ colte di sabato è riferito in Mt 12,1-8; Mc 2,23-27 e Le 6,1-5. Nell'obiezione qui riportata si afferma che i discepoli di Gesù sfregavano con le mani le spi-

342

ghe; questo particolare è ricordato soltanto nel racconto di Luca al quale, pertanto, mi sembra probabile qui ci si riferisca. Cf. CoURCELLE , 157.

452. Pregate per i vostri nemici Le 6,28.

Anonym. ap. A1-mROSIAST., quaest. Veteris et Novi Test. 68 = 117,11-12

S outer

·

.

Il testo è riportato al

n.

714.

452 A. Porgi l'altra guancia Le

6,29. Cel. ap. OR., Cel. 7,18

Il testo

è

=

riportato al

IV, 54,14 Borret.

n.

576.

453. Gesù fa grazia al centurione Le

7,10.

Anonym. ap. AMBROSIAS�., quaest, de Novo Test. 33 = 439,18 Souter.

Il testo è riportato al

n.

376.

454. Donne ricche al seguito di Gesù Le 8,3. Anonym. ap. AMBROSIAST., quaest. Veteris et Novi Test. 69 Souter.

Il testo

454

è

riportato al

463,9-10

458.

A. La moltiplicazione dei pani e dei pesci

Le 9,14. luL., Galil. lib. Il

n.

=

testo

è

2 ap. THDR. MoPS., adv. lul.

riportato iù

n.

=

149-150 Guida.

430.

343

454 B. Non bisogna preoccuparsi del cibo Le

·

12,24. OR. , Cel. 7,18 = IV, 54,12-14 B orret.

Cel. ap.

n tes to è

riportato al

n.

576.

454 C. Non bisogna preoccuparsi del vestire Le

12,27. OR. , Cel. 7,18 = IV, 54,12-14 Borret.

Cel. ap.

Il testo è riport at o al n. 576.

455. Un precetto di Gesù sui beni terreni Le 12,33.

IuL., Galil. fr. 100 = 237,5-13 Neumann.

Ascoltate una bella e civile r accomandazione : «Vendete i vostri beni e dateli ai poveri; procuratevi ricchezze che non si deteriora­ no». Chi può pronunziare un ordine più civile di questo? Se infa tti ti dessero ascolto tutti, Gesù, chi potrebbe essere il compratore ? Chi pu ò approvare una simile raccomandazione che, una volta im­ postasi, non lasc�rebbe possibilità d'esistenza a nessun popolo, a nessuna città, e nemmeno a un a sola famiglia? Come infatti, se si vende tutto, può esistere una famiglia? È poi chiaro anche senza dirlo che, se in una città vendono tutti insieme , non si potrebbe tro­ vare un compratore. Giuliano allude con disp.rezzo al precetto evangelico sulla povertà an­ che nell'ep. 115; in quest'ultimo brano, infatti, per punire gli ariani di Edes­ sa, colpevoli di violenze ai danni dei valentiniani, confisca i loro beni eccle­ siastici e allude, appunto, a questo brano evangelico con pesante ironia: «Dunque, poiché la loro legge più degna di ammirazione impone loro di ri­ nunciare a quello che possiedono per poter seguire più facilmente la strada che porta al regno dei cieli, per questo, alleandoci ai loro santi, ordiniamo che siano confiscate tutte le ricch:'ezze della chiesa di Edessa . . . ». L'obiezione

344

giulianea è attestata anche in un brano della confutazione eli Teodoro eli Mopsuestia riportato nella catena al Vangelo di Luca del Cod. Vat. Palat. gr. 20 (sec. XIII) studiato da GUIDA, «Rinunzia», 277-287; cf. anche GUIDA, Teodoro, 90-95. Il Guida fa no tare che questo s tesso precetto evangelico sul­ la povertà è criticato anche dal pagano al quale risponde Macario di Magne­ sia (che probabilmente attingeva da Porfirio; cf. qui il n. 388 dove si cita Mt 19,21); ora, mentre la critica di quest'ultimo si basa su un tipo di ironia che vuol colpire atteggiamenti individuali, quella formulata dall'imperatore è conforme alle preoccupazioni eli carattere sociale e politico che hanno ispi­ rato i suoi programmi di riforma. In realtà Giuliano ha davanti ai suoi occhi, oramai abbastanza ben diffuso specialmente intorno alla sua Antiochia, il fenomeno del monachesimo, che proprio da questi brani sulla rinuncia ai beni traeva il suo manifesto per un cristianesimo radicale. I risvolti economi­ ci del monachesimo (sui quali cf. M. MAZZA, «Monachesimo basiliano: mo­ delli spirituali e tendenze economico-sociali nell'impero romano del IV se­ colo», in StStor 21 [1 980] , 31-60) sono ben presenti nelle obiezioni al mona­ chesimo stesso formula te dai pagani; queste, per così dire, oscillano tra due estremi: da un lato la derisione della radicale povertà evangelica praticata dagli asceti, dall'altro la denuncia dell'accumulo delle proprietà da parte dei monasteri. I testi agiografici danno grande rilievo all'attuazione dei precetti evangelici relativi alla rinunzia totale dei propri beni al fine di conseguire la perfezione cristiana, cf. G. BARDY, s.v. «Dépouill ement», in DicSp 3, 1 957, 455-464. Il già citato pagàno ricordato da Macario denuncia quei cristiani che, citando Mt 19,21, avevano persuaso donne di nobile nascita «a distri­ buire ai poveri tutte le sostanze e i possessi che avevano e, venute esse stesse in povertà, a mendicare, passando da uno stato di libertà a un disdicevole ac­ cattonaggio, dalla prosperità a una condizione penosa, e infine, costrette ad andare per le case dei ricchi... perdere i propri beni col miraggio della santità .e bramare gli altrui sotto la spin,ta del bisogno» ( = n. 388). Anche in Africa, nell'età di Agostino, i pagani dichiarano stolti e deridono i monaci che si so­ no privati d'ogni cosa in ottemperanza ai precetti evangelici, cf. Auo., in Ps. 136,9,30-33. Come ho già affermato nel vol. I, pp. 321ss, alle quali rimando per un' analisi più approfondita; osservazioni di tal genere sono sullo sfondo della critica giulianea agli «apotactiti» ( = rinuncianti) cristiani dall'impera­ tore messi alla berlina nel discorso Contro il cinico Eraclio, cf. luL. , or. 7, .224a-c. Ma le obiezioni giulianee al monachesimo mi sembra che riflettano una pratica della rinunzia ai beni più arcaica che, cioè, prevede il passaggio dei beni stessi da chi se ne priva direttamente ai poveri, senza alcuna media­ zione del cenobio. Un tipo diverso e più evoluto di economia monastica mi sembra che sia riflesso nelle critiche dei pagani che scrissero più tardi. La povertà evangelica viene infatti ora realizzata tramite la devoluzione dei propri beni al monastero il quale diventa, agli occhi degli oppositori del cri­ stianesimo, una istituzione che accumula ricchezza. Questi incameramenti sono denunziati da Libanio per il quale i monaci si appropriano di terre sot­ tratte ai templi o ai contadini col semplice dichiararle «sacre» (01� 30,1 1) e, 'in seguito, in . modo ancora più aderente alle mutate situazioni, da Zosimo

345

per il

quale i monasteri «si sono appropriati di molta terra e con il pretesto di distribuirla ai poveri, hanno resi poveri quasi tutti», 5,23,4; un' analisi più approfondita del monachesimo cristiano nel giudizio dei pag ani è nel vol. I alle pp. 319ss. Il frammento giulianeo qui ri p ort a to è p ervenuto in PHoT., quaest. Am­ phiL 101 in PG 101, 616-617, su questo brano cf. ALLARD, m, 1 1 6 nota 4; CoRBIÈRE, 103; DE LABRIOLLE, Réaction, 412-413; GuiDA, 148; NEUMANN, 134, 237; REGAZZONI, 82; RoKEAH, 32-33.

456.

Gesù prescrive di rivolgersi agli emarginati

Le 14,12. PORPH., c. Christ. ap. PACATUS, c. Porphyrium fr. 4 = 270 HARNACK, «Neue Fr agm ente» .

(Gesù) presçrisse che dobbiamo invitare al banchetto non gli amici, ma tutti quelli che hanno qualche infermità; per cui, se uno zoppo o un altro qualsivoglia tra loro ci è amico, senza dubbio un si­ mile individuo non deve essere affatto invitato, in considerazione dell'amicizia. Per cui è evid ente che i precetti sono contraddittori. Infatti se non si debbono invitare gli amici, ma gli zoppi e i ciechi e càpiti che essi siano anche amici, non li dovremmo invitare. · Cf. DE LABRIOLLE, Réaction, 287-288; GRANT, «Stroinateis», 291 (OR.,

Luc. fr. 6 8 insiste

nell'interpretare

il precetto di Gesù in senso allegorico);

HARNACK, «Neue Fragmente», 270-272; HùLEN, 52; SPEYER, 1242; VAGANAY, 2571. Su questo frammento e la fonte da cui proviene cf. nel vol. I a p. 134. Il testo è anche in FuNK, 290; PG 5, 1025-1026; PL 68,· 3 60.

457, L'amore verso Gesù e quello verso il proprio genitore

Le 14,26 .

Anonym. ap.

MA.c.

MAciN.; apocr. 2, argomento ç = 66 Mercati. ·

Che cosa significa la frase: «Se qualcuno mi segue e non rinunzia a suo padre ed a se stesso non è . degno di me»? Cf. GRANT, «Stromateis», 291 (OR., Luc. fT. 29 sostiene che la frase di

Gesù

deve

intendersi allegoricamente); MERCATI, 68.

458. Le 14,33.

Gesù e la ricchezza

Anonym. ap. AMBROSIAST., quaest.

346

de Nova Test. 69

= 463,1-11 Souter.

Dice il Salvatore: «Chi non lascerà tutte le cose sue», cioè la casa,

il campo e il resto, «non può essere mio discepolo»• e al contrario l'e­

vangelista dice: «Venne Giuseppe di Arimatea, uomo ricco, che era anch'egli discepolo di Gesù, e aspettava il Regno di Dio»;b come si spiega che l'evangelista dichiara discepolo colui che il Salvatore ne­ gò che lo fosse? Infatti anche Zaccheoc era ricco e il centurione Cor­ neliod lo era, e le donne• che dalle proprie sostanze gli davano di che vivere. •> Le 14,33. b) Mt

27 57. •l Le 19 2 d) At 10,1 . •l Le 8,3. Cf. CouRCELLE, 150; MERKEL, 157. Sulle o]:>iezioni di Giuliano ai precetti di Gesù sulle ricchezze cf. il n. 455. ,

,

459.

ter.

.

Gesù e la legge

Le 16,16. Anonym. ap. AMBROSIAST., quaest. Veteris et Novi Test. 60 =

108,1 Sou­

Se «La Legge ed i Profeti ebbero vigore fino a Giovanni», come mai il Salvatore invia ai sacerdoti affinché si offrano doni per la puri­ ficazione della lebbra?0 •l Mt 8,4; Le 5,14.

Cf. COURCELLE, 156-157; HULEN,

460.

Gesù e la legge

Le 1 6 , 1 6 . Anonym. ap. AMBROSIAST.,

Souter.

Il testo

42.

.

quaest. Veteris et Novi

Test. 69

= 118,18-19

è riportato al n. 348.

461. D

battesimo di Giovanni

Le 16,16. Anonym. ap. AMBROSIAST.,

'

quaest. de

Novo

Test. 18

= 435,1

Souter.

Se «La Legge e i profeti ebbero vigore fino a Giovanni», dal quale fu predicato il regno dei Cieli - egli è infatti l'iniziatore della nuo347

va predicazione - perché poi il suo battesimo cessò di essere prati­ cato?

462.

Gesù guarisce un lebbroso strart.iero

Le 17,14-18. Anonym. ap. AMBROSIAST., quaest. de Novo Test. 33

=

439,19 Souter.

Il testo è riportato al n. 376.

463 n ..

Le

perdono concesso a cbi ba fede

18,13. saturn. 336b

luL.,

=

70-71 Lacombrade.

Costantino, invece, non rinvenendo in mezzo agli dèi il modello della propria vita, vedutosi presso la Lussuria, corre incontro a quel­ la. Ed' essa, accoltolo teneramente, gettategli le braccia al collo, or­ natolo di vesti femminili a vari colori, lisciatolo tutto, lo porta al­ l'Empietà: dove, avendo egli trovato Gesù, che pure si aggirava da quelle parti e predicava: «chi è corruttore, chi assassino, chi maledet­ to e ributtato da tutti, venga qui fiducioso; con quest'acqua lavando­ lo lo renderò in un attimo puro. E quand'anche ricada nelle medesi­ me colpe, purché si batta il petto e percuotasi il capo, gli concederò di divenire puro», gli andò incontro con giubilo traendo via dal con­ sesso degli dèi, insieme con sé, anche i propri figli. SrHLER, 214 ravvisa qui una parodia della parabola del fariseo ·e del pub­ blicano che si pente e nota come per Giuliano l'odio per Costantino si fonda con quello per il Vangelo. Giuliano, in realtà, considerava Costantino un in­ sensato (t)À.L9Lov, cf. or. 7 [c. Heracl.], 233b) dedito alla lussuria (-rgucj>t), Sa­ tum. 329a), all'avidità di ricchezze (ibid. 33Sb) e, ancor più, colui che aveva avviato l'impero romano ad un processo di decadenza religiosa e politica. Già al momento della sua rottura con Costanzo, Giuliano apertamente af­ fermò che Costantino si era reso colpevole di innovazione e di sconvolgi­ mento «priscarum legum et moris antiquitus recepti», cf. AMM. MARe., 21,10,8. Su quest'aspetto cf. J. VooT, «Julian Uber Konstantin», in Historia 4(1955), 339-352. n Lacombrade a p. 70 nota 2 della sua edizione dei Satur­ nalia è dello stesso avviso dello Shiler, ma cita anche altri brani biblici (Mc 16,16; At 2,38; 22,16) dei quali questo testo, a.suo avviso, costituisce una pa­ rodia. Secondo alcuni qui Giuliano ha probabilmente presente un brano di Celso, trasmessoci in OR., Cel. 3,59.62.64.65, nel quale si istituisce un para-

348

gone tra i candidati alle iniziazioni dei misteri, ai quali sono richiesti precisi requisiti morali, e i proseliti ai quali si rivolgono i banditori del messaggio cristiano: «Quelli éhe invitano ad altri tipi di iniziazione dichiarano preventi­ vamente qualcosa come: "Se uno ha le manf pure e la parola sagace ... "; "Se uno è puro da ogni contaminazione, se la sua anima non conosce alcun male e se ha vissuto onestamente e secondo giustizia ... "». Ecco le dichiarazioni preventive di coloro che promettono la purificazione dall'errore. Sentiamo ora a chi rivolgono i loro inviti costoro ( = i cristiani): «Se uno è peccatore (cf. M t 9,13), se è incapace di capire, se è puerile, se, in una parola, è un di­ sgraziato, il regno di Dio lo accoglierà». Forse voi non chiamate peccatore l'ingi�sto, il ladro, lo ·scassinatore, lo spacciatore di filtri, lo spogliatore di templi, il violatore di tombe? Che altri tipi di persone convocherebbe un pi­ rata con un suo bando? ... Dicono che Dio è stato inviato ai colpevoli. E per­ ché non a chi è senza colpa? ... Affermano che Dio accoglierà l'ingiusto, pur­ ché si unùlii per la propria perversità (cf. M t 23,12), e non accetterà il giusto, se avrà levato lo sguardo verso di lui secondo virtù fin dall'inizio ... Perché dunque questa sorta di preferenza per chi è proclive all'errore? .. . I cristiani dicono cose del genere per incoraggiare chi è colpevole, visto che non rie­ scono ad attirare nessuna persona realmente onesta e giusta; per questo spa­ lancano le porte agli uomini più empi e più depravati. Eppure dovrebbe es­ sere chiaro a tutti che chi è incline per natura e per di più è abituato a sba­ gliare non può essere cambiato interamente nemmeno con la punizione e tanto meno con la compassione; infatti è difficilissimo mutare completamen­ te la natura, ma le persone esenti da errori sono compagni di vita più grade­ voli». Celso, in realtà, aveva inoltre messo in ridicolo la penitenza dei cristia­ ni affermando che tra costoro «chi si umilia deve abbassarsi in modo sconve­ niente e disonorevole, buttandosi a terra sulle ginocchia e prosternandosi, vestito di stracci e coperto di cenere» OR., CeL 6,15. Un discusso brano di Epitteto riguarda i «battesinù» che solevano praticare i pagani intenzionati aèl aderire al giudaismo (o, secondo alcUIÙ studiosi, al cristianesimo); il filo­ sofo rivolge ai suoi lettori un appello alla coere:ç�za prendendo lo spunto da quegli elleni che ostentano atteggiamenti ebraici e contrapponendo a costo­ ro la scelta radicale di chi, attraverso il rito con l'acqua ed una adesione non superficiale, acquisisce anche nel concreto la qualifica di giudeo, cf. EPIT., dissert� 2,9,19-21 e le osservazioni di CARRARA, «Epitteto». Critiche pagane alle virtù rigeneratdci del battesimo sono attestate anche in GREo. NYss., or. catech. 33,1 sul quale btano cf. vol. l, p. 314, e dal pagano a cui risponde Ma­ cario di Magnesia, cf. il n. 652. Auo., in Ps. 101,10 riferisce le obiezioni dei pagani (paganorum approbium) della sua epoca all'istituto cristiano della penitenza: «Voi corrompete l'educazione e depravate i costumi del genere umano. Vi rendete responsabili offrendo agli uomini la possibilità di pentir­ si, promettendo loro l'impunità per tutti i delitti: gli uomini fanno il male ap­ punto perché sono sicuri che, non appena convertiti, tutto viene loro perdo­ nato»; per CouRCELLE, , 121-122, 124; DEN BOER, FGrHist, II B, 1929, 1220; II C, 1 930, 884; FRASSINETTI, 47, 49, 51, 5354; GEFFCKEN, Zwei griech. Apol. , 302 nota 1 (contro la paternità porfiriana: LE,

29-30;

Porfirio e l'anonimo di Macario citano esempi di antropofagia del tutto di­ versi; quest'ultimo, inoltre, appare più indulgente verso i mitici esempi di cannibalismo, laddove Porfirio, nel

De abstinentia, è più radicale in merito);

GouLET, 450; GRANT, «Stromateis», 291 (Origene più volte insiste sulla ne­ cessità di intendere le affermazioni di Gesù in senso allegorico, cf., ad es.,

!oh. comm. 32,24; Lev. hom. 7,5) ; HARNACK, 88-89; ID., Kritik, 47-48, 97 nota l, 1 18, 130, 135; ID., Missione, I, 105ss; A. HENRICHS, «Human sacrifice in Greek Religion: three case studies», in Le sacrifice dans l'Antiquité, (Entre­ tiens sur l'antiquité classique XXVII), Vandoeuvres-Genève 1981, 1 95-242 (dietro questa critica a Gv 6,53 bisogna collocare le ben diffuse accuse di omicidio rituale e di cannibalismo rivolte ai cristiani ancora nel

III sec. d.C.); Pluralità,

HULEN, 52; LAURIN, 47-48; MERCATI, 69,7 1 ; MERKEL, 15-16; ID.,

XIX

(«I testi propri ed esclusivi di Giovanni sono essi pure per Porfirio so­

spetti a p riori» ) ; NEUMANN, 21 (le obiezioni al «mangiare la carne di Gesù» qui riportate ci riconducono al Porfirio autore del

IIeet à:rtoxiiç èj.L'\jruxrov):

NESTLE, 470 nota 25; 512-513; PÉPIN, 235; PEZZELLA, «Problema», 93-94;

378

Ro-

STAGNI, 347; SALMON, 769-770; SCHEIDWEILER, 307-308, 311; VAGANAY, 2570, 2572, 2578, 2580; WAELKENS, 32, 42, 44. Questo brano costituisce il frammen­ to n. 69 dell'edizione del Contra Christianos curata da Harnack.

507. Gesù alla festa delle capanne Gv 7,8.10. PORPH., c. Christ. fr. 70

ap. HIER.,

adv. Pelag. 2,17

=

PL 23, 553.

Gesù disse che non sarebbe andato, ma poi fece diversamente da come aveva detto. Porfirio abbaia accusandolo di incostanza e volu­ bilità (inconstantiae ac mutationis), poiché ignora che tutti gli scan­ dali debbono essere attribuiti all a carne. Questa obiezione ricorre anche in autori successivi: CI1RYS., hom. in Io. 48,2 (PG 59, 271 ) ; Aua., ser. 83 ,2 e ser. 26 (Dolbeau, sul quale cf. la nota al n. 678); EuCHERIUS, instntct. 1,4 ( CSEL 31, 115,8-24) e tra le quaestiones alle quali risponde l'Ambrosiaster, cf. il n. 508. Sul brano qui riportato in parti­ colare cf. CoRBIÈRE, 46-47; CRAFER, 488, 502; DE LABRIOLLE, Réaction, 253, 497-498; HARNACK, 89; HULEN, 29-30; LAURIN, 47; LOBECK, 85; MEREDITH, 1 134, 1136; MOFFATI, «Great attacks», 76; SCHROEDER, 199; SooANo, 19; VA­ GANAY, 2571; VIGOUROUX, 189.

508. Gesù alla festa delle capanne Gv 7,8.10. Anonym. ap. AMBROSIAST., quaest. Veteris et Novi Test. 74 = 126,12 Sou­ ter.

Si legge nel Vangelo di Giovanni che il Salvatore, pur avendo detto che non sarebbe andato alla festa, poi vi andò. Questo sembra essere il comportamento di una persona incostante (in.constantis). . Ques ta obiezione era stata posta da Porfirio, cf. n. 507. Cf. CouRCELLE, 150; DE LABRIOLLE, Réaction, 497-498; RINALDI, «Quaestiones», 109-110.

508 A. Gesù e il fato Gv 7,30. Anonym. ap.

Aua., tract. in !oh. 37,8 = 771

Vita.

«E nessuno lo arrestò, perché non era ancora giunta la sua ora» . Taluni, al sentire questo, credono che Cristo Signore fosse soggetto al fato, e dicono «Ecco qui la prova».

379

Per ragioni affini a quelle esposte in nota al brano n. 496, ritengo che questa argomentazione sia di origine pagana, formulata in ambienti di se­ guaci dell'astrologia. Poco prima, indltre, Agostino aveva abbinato tale quaestio all'altra (qu are non ante venit Christus?) che sappiamo derivare da Porfirio, cf. il n. 519. Cf. CouRCELLB, «Propos antichrétiens», 159.

509. L'effusione dello Spirito Santo Gv 7,39.

ter.

Anonym.

ap. AMBROSIAST.,

quaest. Veteris et Novi Test.

93

=

162,7 Sou­

C'è da chiedersi se gli Apostoli ebbero lo Spirito Santo nel tem­ po in cui furono col Signore, perché, tra molte altre cose, l'Evangeli­ sta dice pure: «Lo Spirito Santo non ancora era stato dato, perché Gesù non era stato ancora onorato» ,• e in un altro passo: «Se mi amate - dice - osservate i miei precetti, ed io pregherò il Padre, ed Egli vi darà un altro Paracleto, affinché sia con voi in eterno, lo Spi­ rito di verità, che il mondo non può accogliere, perché non lo vede e non lo conosce; voi lo ve dete e lo conoscete, perché rimane presso di voi ed è con voi». b Che significa ciò? Dice che lo Spirito non era sta­ to dato prima della passione, ma promette che pregherà il Padre per­ ché lo mandi e parimenti soggiunge che era con loro e rimaneva presso di loro, e poi, invece, dopo la risurrezione si legge che soffiò e disse: «Ricevete lo Spirito Santo»" e poi nella Pentecoste si legge che · lo Spirito Santo discese sugli apostoli. •> Gv 7,39. b) Gv 14,15-17. •> Gv 20,22. Questa obiezione relativa al momento dell'effusione dello Spirito Santo Viene ricordata anche in HIBR. , ep. 120,9. Cf. anche CouRCELLB , 163-164; HULEN, 42.

510. Gesù afferma che i giudei increduli

hanno come padre il diavolo

Gv 8,41.43-44. ap. MAc. MAaN.,

Anonym.

apocr.

2,16

=

28,25 - 30,22 Hamack.

Orsù, dunque,_ poniamo attenzione a quell'espressione teatrale rivolta contro i giudei che dice: «Voi non potete sentire la mia paro­ la, perché avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro».• Spiegaci dunque chi sia il diavolo (6 l>L6.�oÀ.oç) padre dei giudei: poiché quelli che compiono il volere del padre lo fanno 380

giustamente, sottomessi alla sua volontà e rispettosi di lui; e se il pa­ dre è malvagio, l'accusa di malvagità non può essere applicata ai fi­ gli. Chi è dunque quel padre, facendo la cui volontà non ascoltavano Cristo? Poiché quando i giudei dicevano: «Noi abbiamo Dio come unico padre»,b egli invalida questa affermazione col dire: «Voi avete per padre il diavolo», cioè «Voi siete il diavolo». Chi è allora quel diavolo e dove si trova e chi calunniando egli ottiene questo appella­ tivo? Poiché non sembra che egli abbia avuto questo nome come ori­ ginario, ma in seguito a qualche avvenimento; ciò che apprendiamo noi lo conosceremo come si deve: infatti se si chiama diavolo in se­ guito ad una calunnia, tra chi apparve e compì l'azione vietata? An­ che in questo infatti quello che subisce la calunnia apparirà tolleran­ te, il calunniato (apparirà) il più oltraggiato. Ma si vedrà che non era il diavolo stesso che era in colpa, ma quello che poneva il pretesto per la calunnia. Come infatti è colui il quale nella notte pianta un pa­ lo sulla via che è responsabile, e non colui che cammina e vi inciam­ pa, ed è l'uomo che lo ha piantato che viene accusato, così è quello che ha posto sulla via un'occasione di calunnia che è più in torto, non colui che la subisce e la riceve. E dimmi anche questo: il calunniatore è o no soggetto agli affetti umani? Se non lo fosse, non avrebbe mai calunniato; se lo è, deve ottenere perdono: poiché nessuno che sia tormentato dai mali fisici è giudicato alla stregua di un malfattore, ma trova pietà presso tutti, come assai provato da dolore. •l

Gv

8,43-44. b)

Gv

8,41 .

Cf. BARDY, 100, 107; CORSARO, 9, 12; Io., Quaestiones, 26; CRAFER, 365, 370, 382, 503; DEMAROLLE, «Un aspect», 121; HARNACK, 89-90; Io., Kritik, 2830, 97 nota 1, 1 14, 135; LAURIN, 47; MERCATI, 67; RosTAGNI, 335-338; SCHEIO­ WEILER, 308; SPEYER, 1243; VAGANAY, 2570, 2572-2573, 2583; WAELKENS, 3940, 42.

510 A. I giudei figli del diavolo Gv

8,41 .43-44.

Anonym. ap. MAC MAGN., apocr. 2, argomento .

t.ç

'

=

67

Mercati.

Cosa significa: «Voi avete come padre il diavolo»? Il contesto dell'argomentazione è al n. 510.

511. Gesù guarisce un cieco Gv

9,6-7.

Anonym. ap. AMBROSIAST., quaest. de Novo Test. 43

=

442,2 Sout er

.

381

Che significa che, mentre il Salvatore aveva curato quasi tutti con la sola parola, tuttavia al cieco rifece gli occhi per mezzo di fan­ go formato con lo sputo?

Cf.

COURCELLE, 149.

512. Gesù e i profeti antichi Gv 10,7-8. Anonym. ap. AMBROSIAST., quaest. de Novo Test. 71

=

465,1-2

Souter.

Che significa quello che dice il S alvatore: «lo sono la porta; quelli che vennero prima di me sono ladri e ladroni»? Questa espressio­ ne sembra colpire i profeti. Cf. COURCELLE, 158.

513. I giudei chiedono a Gesù di proclamare la sua messianicità Gv 10,23-24. Cel. ap. OR., Cel. 1 ,67

=

I, 264,3-9 Borret.

Gli antichi miti che attribuivano una stirpe divina a Perseo, An­ fione, Baco , Minasse (e non abbiamo mai creduto neanche a questi) per lo meno ne mostravano le azioni grandi e mirabili e veran1ente sovraumane, per non sembrare poco plausibili; ma tu ( = Gesù) co­ s'ha.i fatto di bello o di meraviglioso, coi fatti o a parole? A noi non hai mostrato nulla, benché nel tempio ti abbiamo invitato a fornire un segno inequivocabile del tuo essere figlio di Dio.

L'argomentazione è posta da Celso sulle labbra del giudeo che egli in­ troduce nella prima parte della sua opera a contrastare le pretese di Gesù. A proposito di Perseo è interessante un confronto con quanto l'ebreo Trifone afferma secondo IusT., dial. 67,2: «Del resto nelle favole dei greci si narra che Perseo è nato da Danae, che era vergine, dopo che su di lei era sceso quello che loro chiamano Zeus sotto forma di pioggia d'oro. Dovreste vergognarvi di andar raccontando le stesse cose dei greci! Per voi sarebb e meglio riconoscere che questo Gesù è un uomo nato da uomini e, se anche dimostraste in base alle Scritture che egli è il Cristo, che è stato giudicato de­ gno di essere scelto come Cristo in forza di una condotta irreprensibile e conforme alla Legge, e non avere la sfrontatezza di inv"entare prodigi, se non

382

volete passare per dementi come i greci!», cf. A.D. NocK nella recensione allo studio dell'Andresen su Celso in JThS N.S. 6(1956), 316 nota 4. Certo i confronti tra miti greci e tradizioni evangeliche dovevano essere ricorrenti negli scontri tra pagani e cristiani. Giustino martire, per rendere più accetta­ bile la nascita verginale di Gesù, ricorre proprio al mito di Perseo, cosl come ricorre a Mercurio («verbo della divinità») e ad Esculapio che «ha risanato storpi, paralitici ed ammalati dalla nascita e risuscitato morti». Egli, tuttavia, ritiene che la favola di Perseo sia nata da una impostura ordita dai demoni sulla base della profezia di Is 7,14, cf. I Apol. 22,5 e 54,8. Il testo di Celso qui riportato fa riferimento all'episodio evangelico cosl com'è narrato da Giovanni; lo rivela il particolare secondo il quale la richie­ sta dei giudei viene avanzata nel tempio. Secondo Mt 26,63 (e paralleli Mc 14,61 e Le 22,66-67), infatti, l'episodio avrebbe avuto luogo nel Sinedrio. Anche Giuliano accuserà Gesù di non aver compiuto alcuna opera partico­ larmente egregia, cf. il n. 307. Cf. ANDRESEN, 53-54, 365; BORRET, «L'Écriture», 175; DANIÉLOU, 96; DE LABRIOLLE, Réaction, 147; DRA.SEKE, 139-155; G!GON, 153; LANATA, 189; Loos, 6, 28; LOESCHE, 283; MERKEL, 10; MERLAN, 96 1; A.D. NocK, ree. ad Andresen in JThS 7(1956), 517; REYNOLDS, 700b; ROKEAH, 99; VIGOUROUX, 157; WILLIAMS, 84. Cf. anche S. SCHMUTZ, «Christus und die Gottersohne der Heiden. Alte Antwort auf alte und neue Anklange», in BenMschr 22(1946), 202-210; L. TROIANI, «Celso, gli eroi greci e Gesù», in Ricerche Storico Bibli­ che 1 (1992), 65-76 e il brano n. 286.

514.

La risurrezione di Lazzaro

Gv 11,1-44. PORPH., c. Christ. fr. 92 ap. bacher.

Auo.,

ep. 102,2

=

545,17 - 546,12

Gold­

Alcuni incontrano difficoltà nel cercare di risolvere il problema se la risurrezione che ci è stata promessa sarà simile a quella di Cri­ sto o à quella di Lazzaro. «Se rassomiglierà a: quella di Cristo, obiet­ tano, come può corrispondere a quella eli nati da germe umano la ri­ surrezione di Cristo, nato dalla Vergine (qui nulla semini condicio ne natus est)? Se invece si dice che corrisponde a quella 'eli Lazzaro, neppure questa sembra confarsi alla nostra, in quanto la risurrezione di Lazzaro si compl in un corpo non ancora del tutto putrefatto, nel corpo, cioè, per cui quell ;inclividuo si era chiamato Lazzaro; la no­ stra risurrezione invece verrà fuori, per cosl dire, dopo tanti secoli, da un miscuglio di elementi. Se, in secondo luogo, dopo la risurrezio­ ne si attuerà lo stato di beatitudine, ove non sarà più alcuna lesione del corpo, né alcun bisqgno di sfamarsi, cosa vuol dire il fatto che

383

Cristo prese del ciboa e mostrò le ferite?b Ora, se fece questo per convincere un incredulo, ricorse ad una .finzione (finxit); se invece era vero quanto mostrò, vuoi dire che nella risurrezione rimarranno le ferite ricevute» . •>

Le 24,42-43; Gv 21,13. b) Le 24,39-43. La più compiuta esposizione della critica pagana alla dottrina cristiana della risurrezione c'è pervenuta alla seguente pagina nell'Apocriticus di Ma­ cario di Magnesia: «È da discutere ancora della risurrezione dei morti. Per qual motivo infatti Dio farebbe questo e capovolgerebbe in tal modo alla cieca il corso degli eventi (tv yeyoJ.L�rov l haa ox;ijv) onde stabill che le stir­ pi fossero conservate e non giungessero alla fine, e ciò sebbene fin dall'inizio egli abbia posto tali leggi e formato così le cose? Le cose che sono state una volta determinate da Dio e preservate per sì lungo tempo devono essere eterne e non devono essere condannate (J.Lirce xa'taywcbcntecr0aL) da lui che le fece e distrutte come se fossero state fatte da qualche uomo e ordinate co­ me cose mortali da un mortale. Quindi è assurdo che quando tutto è distrut­ to segua la risurrezione, o che egli faccia risuscitare uno che è morto, se capi­ ta, tre anni prima . della risurrezione e insieme con lui Priamo e Nestore, quelli morti mille anni prima e al-tri che vissero prima di quelli all'inizio della stirpe umana. E se qualcuno è disposto a considerare anche questo troverà che tale fatto della risurrezione è pieno di sciocchezze: molti infatti sono spesso periti nel mare e i loro corpi furono disfatti dai pesci, mentre molti furono divorati dalle fiere e dagli uccelli: com'è possibile che i loro corpi ri­ sorgano? Orsù esaminiamo attentamente quanto è stato affermato: per esempio un uomo fece naufragio, quindi le triglie gustarono il suo corpo; po­ scia esse furono prese e mangiate da qualche pescatore che fu ucciso e divo­ rato dai cani; quando i cani morirono, corvi e avvoltoi banchettarono soavis­ simamente. Come dunque ti ricostituirà il corpo del naufrago consumato at­ traverso tanti esseri viventi? E ancora, supponi che un altro sia stato consu­ mato dal fuoco e un altro sia finito ai vermi, come è possibile ritornare al­ l'essenza iniziale? Tu però mi dirai che questo a Dio è possibile: ciò non è vero: non tutto infatti è possibile: egli non può per nulla far sì che Omero non sia mai stato poeta o che Troia non sia caduta: neppure quindi egli può far sì che due per due che fanno quattro si contino per cento, anche se que­ sto a lui dovesse sembrare opportuno. Né Dio può mai diventare cattivo, an­ che se lo volesse, ma neppure, essendo per natura buono, potrebbe peccare: se dunque egli non può peccare né diventare cattivo, questo non accade a lui per debolezza: infatti quelli che hanno per natura disposizione e inclinazio­ ne verso qualche cosa, quando sono impediti dal farlo, è chiaro che sono hn­ pediti dalla loro debolezza, ma Dio è buono per natura e non è impedito dall'essere cattivo: tuttavia, anche se non è impedito, non può diventare cat­ tivo. Considerate anche quel punto: come è assurdo se il creatore consentirà che il 'cielo, di cui nessuno cqncepì più meravigliosa bellezza, si sciolga e le stelle cadano e la terra perisca, mentre egli farà risorgere i marci e corrotti corpi degli uomini, alcuni appartenenti ad uomini mirabili, ma altri già pri-

384

ma della morte senza bellezza e armonia e che offrivano lo spettacolo più sgradevole. Inoltre se anche egli potesse farli risorgere facilmente in belle forme sarebbe impossibile per la t erra contenere tutti quelli che sono morri dall'inizio del mondo, nel caso che risuscitassero», 4,24 ( = PoRPH., c. Chr. fr. 94). Al pagano autore di questo brano sembra particolarmente assurdo il fatto che possa tornare in vita un corpo i cui elementi sono stati, nel corso del tempo, continuamente trasformati a causa di vari eventi naturali; su que­ st'ultimo brano cf. BARDY, Conversion, 189; CoURCELLE, «Les Sages», 270; CRAFER, 368, 506; CoRBmRE, 61-62; DE LABRIOLLE, Réaction, 276; DEN BOER, 30-31; GOULET, 450-451; HARNACK, 101-102 (l'espressione CTÙV XÒUf.lQ> JtQÉ­ JtOVtL riecheggerebbe 1 Cor 1 5 ,38ss) ; NESTLE, 498, 501, 504, 506, 515; PEZZEL­ LA, «Problema», 96-97, 102. R.M. GRANT, «Patristica», in VigChr 3(1949), 225 nell'attribuire l'obiezione a Porfirio, ipotizza che costui, autore di 'Of.11lQLXà t'l'Jt'fUJ.ctta, abbia elaborato l'immagine degli animali che divorano parti del corpo umano ispirandosi a HoM., Od. 15,133-135. Auo., civ. Dei 22,20 tenta di rispondere al tipo di argomentazioni contro la risurrezione qui avanzate dal pagano contro cui poleroizza Macario. Dalla tavola delle quae­ stiOites a cui rispose Macario nei libri perduti del suo Apocriticus sappiamo che il suo avversario pagano formulò anche una critica al racconto giovanneo della risurrezione di Lazzaro, cf. il n. 516. È interessante notare che, nel II sec. d.C., i persecutori pagani dei mar­ tiri di Lione si accanirono a disperderne tutte le ceneri nel Rodano affin­ ché venisse meno . la speranza della risurrezione, cf. Bus., h. e. 5,1,63. Si tratta dello stesso procedimento che, paradossalmente, verrà nei secoli suc­ cessivi messo in atto a danno degli eretici condannati dai tribunali dell'In. quisizione! È ben noto che la dot trin a della risurrezione dei corpi è stata giudicata dai pagani tra le più assurde di quelle insegnate dai cristiani. Possiamo co­ gliere una primissima eco di queste critiche già nel Nuovo Testamento: cf. A t 17 ,32, che intende riportarci negli ambienti dell'Atene «intellettuale», e le argomentazioni paoline in 1Cor 15 che vanno collocate sullo sfondo della pagana Corinto. Forse anche Tacito ebbe in mente la speranza di risurrezio­ ne diffusa in circoli giudaici quando scrisse: «(i giudei) credono che le anime dei morti in guerra e nei supplizi siano eterne e quindi amano avere dei figli e disprezzano la morte», Hist. 5,5. Le argomentazioni del pagano Cecilia contro la risurrezione, riportate nell'Octavius di Minucio Felice, sono già ben articolate: i cristiani p rocl am an o il giudizio incombente sull'intero co­ smo e il suo incendio, mentre promettono «a loro stessi, morti e putrefatti, la vita eterna», eppure il cosmo è sempre osservato nella sua immutabilità mentre l'esperienza universale attesta che noi uomini nasciamo per poi scomparire nella morte! Segue, poi, un'osservazione molto simile a quella che troveremo nel p agano confutato da Macario: i cadaveri sono natural­ mente destinati a «disfarsi nella terra col volger degli anni» o ad esser dila­ niati dalle belve, inghiottiti dai mari, consumati dal fuoco, ecc. L'ultimo mo­ mento dell'argomentazione di Cecilia ricorda, invece, il brano di Porfirio ri­ portato sopra: «Permettete però che vi domandi se (voi cristiani credete di ·

385

risuscitare) con dei corpi e con quali corpi, con gli stessi o con dei nuovi si ri­ sorga. Senza corpo? Ma allora, che io sappia, non vi sarà né spirito, né ani­ ma, né vita. Con lo stesso corpo? Allora è un nuovo essere che nasce, non quello di prima che viene ricostituito. Del resto dopo il lungo tempo che è trascorso, dopo i secoli innumerevoli che si succedettero, un solo uomo è forse ritornato dagli inferi anche al modo di Protesilao ... ? Tutte queste in­ venzioni di una mente malata e queste inette consolazioni sono immaginate dai poeti per rendere dilettevoli i loro canti e voi, gente meravigliosamente credula, le avete vergognosamente rimaneggiate per attribuirle al vostro dio», c. 11. Anche le argomentazioni pagane contro la risurrezione tenute presenti in 'I'ERT., apol. 48 sembrano far leva su argomenti del tipo di quelli riportati nel nostro testo; ecco perché l'apologeta afferma: «risorgerai, in qualunque posto il tuo corpo sia stato dissolto; qualsiasi la materia che l'ab­ bia distrutto, inghiottito, assorbito, ridotto a nulla, essa lo restituirà!». L'ampia portata di questa controversia spiega la composizione di tanti trattati patristici De resw1ectione di cui mi sembra utile ricordare i principa­ li. Dall'ultima parte della Supplica per i cristiani (c. 36) di Atenagora abbia­ mo notizia di uno scritto sulla risurrezione che tale autore avrebbe compo­ sto. Possediamo, infatti, un trattato llegt àvacnacrewç vexgéi>v restituitoci da un codice di Areta del 914 (il noto Parisinus graecus 451) tra le opere dell'a­ pologeta; esso è stato da taluni ritenuto spurio e attribuito ad un autore si­ riace attivo negli inizi del IV sec. d.C. (cf. ad esempio, R.M. GRANT, «Athe­ nagoras or Pseudo-Athenagoras», in HThR 47[1954], 121-129) mentre di re­ cente si è ritornati a riconsiderare le ragioni dell'attribuzione ad Atenagora. In realtà il testo riproduce una conferenza tenuta espressamente per un pubblico pagano. È, infatti, proprio la puntuale contestualizzazione degli ar­ gomenti avanzati in questo trattato in difesa della risurrezione, che sono di tipo filosofico piuttosto che dommatico o scritturistico, con gli argomenti dei pagani del II sec. d.C. (Celso, Luciano, gli anonimi in Minucio Felice e Ter­ tulliano) che è stata fatta valere da B. PouDERON, >, in Essays on the Trinity and the Incamation, a cura di A.E.J. RAw­ LINSON, London 1928, 105-108; A. 0EPKE, s.v. . Secondo A. CASAMASSA, «L'accusa di "hesterni" e gli scrittori cri­ stiani del II secolo», in Angelicum 20(1943), 184-194 la novità della venuta di Cristo e della religione da lui fondata non avrebbe costituito argomento di controversia fino alla metà del II secolo. Va tuttavia notato che già la defini­ zionè del cristianesimo.come «Superstitio nova» in SuET., Nero 16,2 contiene una implicita condanna, cf. vol.. I, p. 98. Abbiamo in ogni caso chiare attesta­ zioni della circolazione di questa accusa tra i pagani nella letteratura apolo­ getica dalla seconda metà del II secolo, specialmente laddove si cerca di di­ mostrare l'anteriorità di Mosè nei confronti dei saggi greci e, in particolare, nei confronti di Omero, cf. IusT. I apol. 44,1-9; dial. , 7,1; 32,1; 44,8, 59-60; .

393

orat. 31,1-3; 36,1 ; 38,1; THEoPH., Auto !. 3; Giulio Cassiano ap. CLEM. ALEx., strom. 1 ,21; TERT., apol. 19. D ' altro canto un imperatore che non ave­ va simpatie per i cristiani, Marco Aurelio, nelle sue Meditazioni s'era vanta­ to di non essere an1ante delle novità (1,16). Dalla seconda metà del II sec. sembra che all'accusa di novità rivolta al­ la fede cristiana abbia fatto seguito, specialmente in ambienti più colti, quel­ l à , più specifica rivolta alla dottrina secondo la quale Iddio si sarebbe «incar­ nato» (in Gesù) soltanto di recente. Ne riscontriamo una prima formulazio­ ne in Celso, il quale faceva osservare in margine ad un testo cristiano che egli riporta e che qui inserisco tra virgolette all'interno della citazione celsia­ na: «"Non perché abbia bisogno di essere conosciuto per se stesso, ma per la nostra salvezza Dio vuole fornirci una nozione di sé affinché chi l'ha accetta­ ta diventi migliore e si salvi, chi non l 'ha accettata, dimostrando così la pro­ pria malvagità, sia punito". Solo ora dopo tanto tempo, Dio si è ricordato di giudicare la vita degli uomini, mentre prima non se ne curava?», OR., Cel. 4,7. Che qui Celso abbia citato un testo cristiano è opinione di Keim e di La­ nata (cf. commenti ad loc.), di contrario avviso BADER, 14; sulla sua argo­ mentazione cf. DE LABRIOLLE, 6 -7 . Altrove il filosofo paragona l'invio estemporaneo e tardivo di Gesù tra gli uomini a quelle scene del teatro co­ mico greco in cui Zeus spedisce all'improvviso Hermes a far da messaggero agli uomini: «Se Dio, come lo Zeus della commedia svegliatosi da un lungo sonno, voleva veramente s;ùvare il genere umano dal male, perché mai avre,bbe mandato questo soffio di cui parlate in un unico angolo della terra? Avrebbe dovuto, invece, insufflare allo stesso modo altri corpi, e mandarli per tutta la terra abitata. Il poeta comico, per suscitare il riso degli spettato­ ri, scrisse che Zeus, una volta sveglio, mandò agli ateniesi e agli spartani Hermes: e tu non pensi che sia una cosa ancor più ridicola essersi inventato il figlio di Dio mandato ai giudei?» O R . , Cel. 6,78. Altri brani nei quali Celso insiste sul carattere recente del cristianesimo sono OR., Ce/s. 1,26; 6,10. Il ri­ tardo della venuta di Cristo costituisce anche uno degli argomenti ai quali s'interessa il pagano Diogneto che, secondo il Marrou, è da identificare con Claudius Diognetus, procuratore ad Alessandria intorno al 200 d.C.; ciò è attestato nell'Epistola a Diogneto, cf. 1,1; 9 , 1 - 6. J. SCHWARTZ,