La battaglia di Cassino 8866974765, 9788866974765

Tra le operazioni più importanti e discusse della Seconda guerra mondiale, la battaglia di Cassino, iniziata il 17 genna

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La battaglia di Cassino
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LA BATTAGLIA DI CASSINO

Tra le operazioni più importanti e discusse della Seconda guerra mondiale, la battaglia di Cassino, iniziata il 17 gennaio 1944 e terminata nel maggio dello stesso anno, non fu un semplice scontro, ma una serie di assalti militari condotti dagli Alleati contro i tedeschi. Convinti che l’abbazia di Montecassino fosse utilizzata dall’artiglieria tedesca come punto di osservazione speciale, gli Alleati consideravano strategico aprirvi una breccia per avanzare verso Roma. Gli scontri che si susseguirono si trasformarono presto in un’accanita guerra di posizione che vide, da parte di entrambi gli schieramenti, ingenti perdite. Apice della battaglia fu il discusso bombardamento aereo alleato che distrusse la secolare abbazia. Ricostruita nei dettagli da chi vi prese parte su fronti opposti, La battaglia di Cassino è un documento storico di inestimabile valore e un prezioso strumento per conoscere dall’interno gli eventi, le decisioni e le strategie messe in campo da Alleati e tedeschi.

LA BATTAGLIA DI CASSINO Con resoconti storici di Anthony Farrar-Hockley Rudolf Böhmler Martin Blumenson

Anthony Farrar-Hockley (1924-2006), generale britannico, è stato comandante in capo delle forze alleate della NATO nel Nord Europa. Rudolf Böhmler (1914-1968), è stato colonnello dei paracadutisti e comandante delle truppe tedesche a Montecassino. Martin Blumenson (1918-2005), storico militare americano, è autore di numerosi libri di carattere storico, tra cui la biografia del generale George S. Patton.

ISBN 978-88-6697-476-5 Res Gestae Edizioni

14,00 euro

9 788866 974765

Giano bifronte

Giano bifronte

n. 2

Le grandi battaglie dal punto di vista di fronti opposti Questa collana si pone l’obiettivio di affrontare da un punto di vista storico-militare i più importanti conflitti del Novecento ponendo a confronto le testimonianze e i resoconti di tutte le parti in causa. La storia, come “scienza degli uomini nel tempo”, mira a ricostruire gli eventi, non tralasciando le impressioni, le sensasioni, la mentalità e i punti di vista degli sconfitti o di chi è stato messo al margine degli avvenimenti.

LA BATTAGLIA DI CASSINO Con resoconti storici di Anthony Farrar-Hockley Martin Blumenson e Rudolf Böhmler

© 2024 - Edizioni Res Gestae via Pichi 3, 20143, Milano Collana: Giano bifronte, n. 2 ISBN: 9788866974765

www.edizioniresgestae.it

INDICE

Settembre 1943-gennaio 1944 La ritirata verso Cassino Il punto di vista tedesco Colonnello del corpo dei paracadutisti Rudolf Böhmler

7

Dicembre 1943-gennaio 1944 Verso Cassino Il punto di vista alleato Martin Blumenson

39

Gennaio-febbraio 1944 Battuta d’arresto a Cassino Il punto di vista alleato Generale di brigata Anthony Farrar-Hockley

61

Battuta d’arresto a Cassino Il punto di vista tedesco Colonnello del corpo dei paracadutisti Rudolf Böhmler

93

Marzo-maggio 1944 Cassino. Una vittoria di Pirro Colonnello del corpo dei paracadutisti Rudolf Böhmler

117

settembre 1943-gennaio 1944

LA RITIRATA VERSO CASSINO Colonnello del corpo dei paracadutisti Rudolf Böhmler

Quando gli alleati invasero l’Italia meridionale, Hitler era convinto che essi intendessero soltanto servirsi di quelle regioni come trampolino di lancio per un’invasione dei Balcani. In un primo tempo egli aveva pensato di ritirarsi dall’Italia meridionale e di costituire un’insuperabile barriera difensiva a nord, ma l’abilità con cui Kesselring combatté le sue battaglie difensive e la lentezza degli alleati gli fecero cambiare idea. Il comando dell’intero settore operativo italiano venne affidato a Kesselring che fece affluire uomini e materiali sui rilievi montuosi dell’Italia centrale, e le due parti in lotta presero fiato per l’imminente scontro frontale di Montecassino.

Durante la primavera e l’estate del 1943, mentre la situazione bellica nel Mediterraneo peggiorava per l’Asse, una crescente quantità di truppe tedesche venne trasferita nell’Italia meridionale. La caduta di Mussolini indusse Hitler a spostare divisioni tedesche anche nell’intera metà settentrionale del paese. Le forze settentrionali erano poste al comando del feldmaresciallo Rommel (gruppo di armate B), mentre le truppe tedesche dislocate nell’Italia centrale e meridionale, comprese le forze aeree e navali, erano al comando del feldmaresciallo Kesselring, comandante in capo del settore meridionale. Alla fine della campagna di Sicilia, le formazioni di cui Kesselring disponeva nel sud e intorno a Roma erano costituite da 3 divisioni motorizzate, 3 Panzerdivisionen e 2 divisioni paracadutisti; queste divisioni furono inquadrate nella 10a armata comandata dal generale von Vietinghoff che era articolata nel XIV e nel LXXVI Panzerkorps e nell’XI Fliegerkorps. Le forze della Luftwaffe furono integrate nella 2a Luftflotte del feldmaresciallo von Richthofen, mentre tutte le forze navali vennero affidate all’ammiraglio Meendsen-Bohlken. Nell’Italia meridionale si trovava anche la 7a armata italiana, a cui si aggiungeva, a nord, la 5a armata italiana. Ma né l’una né l’altra di queste due grandi unità poteva essere considerata un serio ostacolo ad un eventuale sbarco alleato. Le divisioni del feldmaresciallo Kesselring erano schierate dall’estrema punta meridionale della Calabria fino al lago di Bolsena, a nord-ovest di Roma: – la Calabria era affidata alla 26a Panzerdivision e alla 29a divisione Panzergrenadier; – della Puglia si occupava la 1a divisione paracadutisti, uscita alquanto indebolita dai combattimenti sostenuti in Sicilia; – sul golfo di Salerno si trovava la 16a Panzerdivision; – a nord di Napoli, la 15a divisione Panzergrenadier e la Panzerdivision Hermann Göring; – intorno a Roma erano schierate la 2a divisione paracadutisti e la 3a divisione Panzergrenadier; – in Sardegna era dislocata la 90a divisione Panzergrenadier e al centro della Corsica la brigata rinforzata Reichsführer. 8

Gli italiani avevano concentrato a Roma una grossa formazione costituita da cinque divisioni in ottimo stato; nel caso che gli italiani avessero deciso di passare dalla parte degli alleati, ciò avrebbe potuto costituire un serio pericolo per i tedeschi che si trovavano più a sud. Sebbene il governo Badoglio avesse più volte ribadito la sua lealtà all’Asse, quanto le forze italiane in generale avrebbero aiutato i tedeschi a resistere a un eventuale sbarco alleato continuava a restare una questione aperta. Ancora il 7 settembre il ministro della marina da guerra italiana, ammiraglio de Courten, assicurava Kesselring che le unità da guerra italiane sarebbero salpate entro pochi giorni per impegnare in battaglia la Mediterranean Fleet. Egli affermava che le unità italiane avrebbero sconfitto quelle inglesi, oppure si sarebbero inabissate con le bandiere spiegate. E in effetti l’8 settembre la squadra italiana salpò – ma non per andare a combattere, bensì per rifugiarsi, all’insaputa dei tedeschi, a Malta. Mentre ancora i combattimenti in Sicilia erano in pieno svolgimento, Kesselring aveva dato per scontato uno sbarco alleato in Calabria. Ma Montgomery non sembrava aver fretta. Solo la mattina del 3 settembre 1943, dopo una massiccia preparazione di artiglieria, egli inviò al di là dello stretto di Messina il XIII corpo d’armata britannico (costituito dalla 5a divisione inglese e dalla la divisione canadese). Lo sbarco sulle spiagge non venne contrastato, e solo dopo che si furono addentrate un poco nell’entroterra le truppe alleate incontrarono l’opposizione della 29a divisione Panzergrenadier. La 5a divisione inglese riuscì a compiere solo modesti progressi su quel terreno montuoso. Nelle prime ore dell’8 settembre la 231a brigata di fanteria inglese sbarcò in prossimità di Pizzo, sulla costa occidentale della Calabria, con lo scopo di tagliare ai tedeschi la via della ritirata. Ma qui la brigata inglese incontrò una tenace resistenza, e non fu assolutamente in grado di minacciare la divisione Panzergrenadier. I canadesi conseguirono invece risultati più rapidi e brillanti: l’8 settembre essi si assicurarono il controllo della parte più stretta della regione, in prossimità di Catanzaro. 9

Quello stesso giorno la 1a divisione aviotrasportata inglese occupò la città e il porto di Taranto. Le truppe erano state trasportate sul posto via mare da 6 unità da guerra alleate, una delle quali – l’inglese Abdiel – incappò in una mina e affondò. Durante gli sbarchi sul continente, come del resto durante i combattimenti svoltisi in Sicilia, le forze da sbarco alleate costituite dalla 5a armata americana e dall’8a armata inglese erano state comandate dal generale inglese sir Harold Alexander, il vincitore della campagna in Africa Settentrionale. Il generale Alexander godeva di grande prestigio tanto tra gli americani quanto tra gli inglesi, e dai tedeschi era considerato uno dei più abili comandanti alleati. Dal 5 settembre in poi i convogli della 5a armata americana salparono dai porti nordafricani e siciliani. Le due divisioni britanniche, la 46a e la 56a, furono imbarcate a Biserta e a Tripoli, la 36a e la 45a divisione americana a Orano e Palermo. L’ammiraglio americano Hewitt, che comandava la formazione da sbarco, riunì le sue unità nel settore meridionale del Tirreno l’8 settembre; 450 navi con a bordo 169.000 soldati e 20.000 veicoli salparono dirette verso la costa meridionale italiana. Il pomeriggio di quello stesso giorno i comandi dei feldmarescialli Kesselring e Richthofen (ubicati a Frascati, vicino a Roma) furono attaccati da grosse formazioni di bombardieri alleati, il cui obiettivo era evidentemente quello di paralizzare il sistema di comando tedesco. Già il giorno precedente, la ricognizione aerea aveva riferito che una formazione da sbarco era in navigazione. Ma dove sarebbero sbarcati gli alleati? Tutti i comandi tedeschi erano ossessionati da questo drammatico interrogativo. Alle 18.30 dell’8 settembre, proprio mentre i comandanti tedeschi erano assillati da questo problema, giunse come un fulmine a ciel sereno l’annuncio radiofonico di Badoglio: la Italia aveva capitolato. Era chiaro che tra la resa italiana e l’imminente invasione esisteva uno stretto legame. Più tardi, quella sera stessa, quando seppe che la squadra da 10

sbarco stava ancora incrociando al largo di Napoli, Kesselring capì che gli alleati stavano per sbarcare non a Roma bensì nell’Italia meridionale – con ogni probabilità nel golfo di Salerno. Kesselring ritenne che l’invasione da parte delle forze anglo-americane sarebbe cominciata quella stessa notte. La situazione si era dunque chiarita. Ma due interrogativi restavano ancora senza risposta: le scarse truppe tedesche sarebbero riuscite a impedire lo sbarco? E come si sarebbero comportati quelli che fino ad allora erano stati alleati, gli italiani? Non appena fu resa nota la decisione italiana di arrendersi, Kesselring diede istruzioni affinché si iniziasse l’attuazione del piano di emergenza “Achse” (Asse). I suoi ufficiali e i suoi soldati cominciarono a disarmare sistematicamente le forze italiane. L’operazione si svolse senza alcun grave incidente. Ma le cinque divisioni italiane dislocate intorno a Roma si disponevano a opporre resistenza ai tedeschi – e Roma era d’importanza cruciale per il comando germanico, dato che attraverso essa passavano tutte le vie consolari che collegavano il nord e il previsto fronte d’invasione nel sud, come pure tutte le linee telefoniche a grande distanza. Mantenere il controllo della situazione intorno a Roma era quindi indispensabile per avere la possibilità di respingere con successo lo sbarco alleato a Napoli. Di conseguenza, durante la notte fra l’8 e il 9 settembre la 2a divisione paracadutisti e la 3a divisione Panzergrenadier si apprestarono a investire la capitale, rispettivamente da nord e da sud. Ma il giorno dopo gli italiani offrirono la resa della città. Le divisioni italiane deposero le armi, e gli uomini se ne tornarono alle proprie case. La via per il golfo di Salerno era aperta. Per loro stessa ammissione, gli alleati si aspettavano che, una volta iniziata l’invasione, gli italiani si sarebbero schierati con loro per combattere contro gli ex-alleati. Ma i soldati italiani si sentirono venduti e traditi quando scoprirono che la famiglia reale e il governo erano fuggiti in gran fretta da Roma durante la notte per cercare rifugio presso gli alleati, nel meridione. 11

Hitler si decide La cosa che più preoccupava i capi tedeschi era come difendere sia i Balcani sia la Italia con il minimo di forze. Era assolutamente impossibile abbandonare tutto il territorio italiano, dato che ciò si sarebbe ripercosso sulla posizione tedesca in Francia e nei Balcani, e nello stesso tempo avrebbe avuto conseguenze negative in campo politico, militare ed economico. La Germania doveva almeno conservare nelle proprie mani la Valle Padana, regione che sperava di difendere su un fronte che correva lungo l’Appennino toscano e una linea che congiungeva Pisa a Rimini passando per Firenze. Ciò era, secondo il feldmaresciallo Rommel, quanto la situazione richiedeva. A giudizio di Kesselring, Hitler (che Kesselring accusava di essere “quasi servile” nei confronti di Rommel) accettò integralmente questo piano. In ogni caso, è chiaro che dal momento dello sbarco alleato a Salerno Hitler fu pronto a rischiare l’esistenza stessa delle forze tedesche schierate nell’Italia meridionale anziché rinforzarle a scapito del gruppo di armate di Rommel. Questo atteggiamento di Hitler è tanto più difficile da spiegare in quanto egli era fermamente convinto che gli alleati intendessero servirsi dell’Italia meridionale soltanto come trampolino di lancio per un’invasione dei Balcani attraverso l’Adriatico. Si trattava di una possibilità che in precedenza egli aveva soppesato anche con Kesselring. Ma ciò che soprattutto preoccupava Kesselring davanti alla prospettiva che gli alleati conquistassero l’Italia meridionale era che essi si sarebbero in tal modo assicurati efficienti basi aeree per intensificare la guerra aerea contro la Germania meridionale, l’Austria e i Balcani. Uomo di aviazione, egli pensava prima di tutto alle ripercussioni che avrebbe inevitabilmente avuto sulla strategia aerea un eventuale controllo alleato dell’Italia meridionale e centrale. Egli sosteneva quindi la necessità di impedire agli alleati di servirsi degli aeroporti italiani, anche di quelli che sì trovavano più a sud. 12

Secondo il piano di Hitler e di Rommel, invece, le truppe tedesche avrebbero dovuto ritirarsi lentamente dall’Italia meridionale e centrale verso la linea appenninica la cui difesa era affidata a Rommel. Allo stesso Rommel sarebbe poi stato affidato il comando supremo delle forze tedesche in Italia, mentre lo stato maggiore del comandante del settore meridionale sarebbe stato sciolto. Tuttavia dopo i combattimenti di Salerno Hitler cambiò idea. Kesselring si era districato con imprevedibile abilità dalla situazione di emergenza creata dalla resa italiana e dall’invasione alleata. Era ora chiaro che gli alleati o non erano ansiosi o non erano capaci di invadere la parte centrale della penisola con una rapida campagna. Hitler finì dunque con l’optare per il piano di Kesselring, nominandolo comandante in capo del settore sudoccidentale (gruppo di armate C) il 21 novembre e affidandogli il comando dello scacchiere italiano. Mentre la battaglia di Salerno era ancora in pieno svolgimento, Kesselring aveva già cominciato a prendere misure per ulteriori operazioni difensive. Egli aveva ordinato che l’avanzata alleata verso Napoli venisse ritardata il più possibile, in modo da guadagnar tempo sufficiente per l’allestimento di posizioni difensive arretrate capaci di rallentare l’avanzata alleata verso Roma; gli alleati dovevano essere temuti lontani da Roma almeno fino alla primavera seguente. Entro il 10 settembre egli aveva già deciso su quali linee dovesse svolgersi l’azione difensiva qualora si fosse rivelata necessaria una ritirata delle forze tedesche dall’Italia meridionale. Il 16 settembre egli informò la 10a armata che la linea del Volturno, a nord di Napoli, e il settore del Biferno, sull’Adriatico, dovevano essere tenuti almeno fino al 15 ottobre. Ancora prima, mentre era in corso la campagna di Sicilia, più a nord-ovest era stata riconosciuta la cosiddetta linea Gustav. Si trattava di una fascia, profonda 12 km nel suo punto più stretto, che correva diagonalmente attraverso la penisola partendo dalla foce del Garigliano e passava per Cassino seguendo il fiume Rapido, scavalcava i monti dell’Abruzzo e 13

Nel corso della loro lenta ritirata dall’Italia meridionale, iniziata inseguito agli sbarchi alleati nel settembre 1943, i tedeschi effettuarono una sistematica

seguiva infine il fiume Sangro fino alla sua foce, nell’Adriatico. Qui l’avanzata alleata doveva essere bloccata, e a tal fine Kesselring inviò nella zona un gran numero di genieri e zappatori che iniziassero immediatamente i lavori di fortificazione della linea Gustav. Davanti alla linea Gustav correva la linea Reinhard, nota anche come linea Bernard e, presso gli alleati, come linea d’inverno. Su quest’ultima i tedeschi intendevano rallentare al massimo l’offensiva alleata, in modo da guadagnare più tempo possibile per l’allestimento della linea Gustav. Il punto centrale della linea Reinhard era costituito dalla stretta di Mignano e dalle due cime che la dominano: il Monte Camino e il Monte Sammucro. Ma non c’era né il tempo né gli uomini necessari per fortificare sistematicamente anche questa linea. 14

opera di demolizione di tutte le attrezzature portuali delle città abbandonate, per impedirne l’impiego alle forze anglo-americane.

Qualora, alla fine, gli alleati fossero riusciti a sfondare la linea Gustav e a premere su Roma, il piano prevedeva che tutte le forze tedesche si ritirassero sistematicamente dall’Italia meridionale e centrale per attestarsi sulla linea Verde (o “linea gotica”, come la battezzarono gli alleati), a cavallo dell’Appennino toscano, per lo scontro decisivo. Prima che gli alleati entrassero in Napoli (1° ottobre), i tedeschi avevano provveduto a distruggere gran parte delle attrezzature portuali e a rendere inservibile il porto affondandovi numerose imbarcazioni. Ma i soldati americani del genio si misero immediatamente al lavoro per rimettere in efficienza il portole a partire dal 4 ottobre esso fu nuovamente in grado di ricevere giornalmente circa 20.000 tonnellate di materiali, ammontare che costituiva il minimo indispensabile per ogni ulteriore avanzata della 5a armata americana verso Roma. 15

Primo obiettivo degli alleati era quello di assicurarsi il controllo del settore del Volturno, e il generale Clark affidò questo compito al VI corpo d’armata del generale Lucas, schierato sull’ala destra. Le grandi unità in prima linea erano costituite dalla 45a divisione del generale Middleton, dalla 34a del generale Ryder e dalla 3a del generale Truscott. Sulla loro sinistra il X corpo d’armata britannico al comando del generale McCreery controllava il settore che si estendeva fino alla costa, disponendo di tre grandi unità per l’attraversamento del fiume: la 56a divisione del generale Templer e la 46a del generale Hawkesworth, e la 7a divisione corazzata del generale Erskine. Di fronte alla 5a armata americana si trovavano le quattro divisioni del XIV Panzerkorps del generale Hube. In particolare, il settore costiero era difeso dalla 15a divisione Panzergrenadier del tenente generale Rodt; alla sua sinistra era schierata la Panzerdivision Hermann Göring del generale Conrath, seguita a sua volta dalla 3a divisione Panzergrenadier del generale Gräser; all’estrema sinistra del fronte si trovava la 26a Panzerdivision del generale von Lüttwitz. 54 km da Cassino La notte del 12-13 ottobre, dopo un intenso fuoco di preparazione di 600 cannoni, la 5a armata balzò in avanti. Le due divisioni sul fianco destro si assicurarono il controllo del Volturno senza troppa difficoltà, ma la 3a divisione si imbatté in una tenace resistenza tedesca a Triflisco, sul fianco sinistro del VI corpo d’armata americano. Nel settore britannico, l’attacco della 56a divisione a ovest di Capua non ottenne alcun risultato, mentre l’avanzata della 7a divisione corazzata veniva arrestata dai contrattacchi della 15a divisione Panzergrenadier. Solo la 46a divisione, che fronteggiava il fianco sinistro del X corpo d’armata britannico, riuscì a far passare al di là del fiume tre battaglioni. 16

Tuttavia la resistenza tedesca si affievolì nel corso della giornata del 14 ottobre, ed entro sera la 5a armata aveva attraversato il basso corso del Volturno lungo tutto il suo fronte. Nei giorni successivi il VI corpo d’armata americano fece buoni progressi. Comunque la 15a divisione Panzergrenadier e la Panzerdivision Hermann Göring riuscirono a rallentare sensibilmente l’avanzata del X corpo d’armata britannico. Entro il 19 ottobre le unità avanzate americane si trovavano già oltre 20 km a nord di Capua, mentre il fianco destro inglese non raggiunse Sparanise che il 25. A questo punto, dunque, la 5a armata si trovava a 54 km da Cassino. Il generale Clark decise allora d’interrompere l’attacco il 25 ottobre in modo da riunire le sue forze e riprendere l’offensiva contro la linea Reinhard il 31. Egli ritirò la 45a divisione americana dal suo fianco destro per schierarla alle spalle della 34a, mentre i “topi del deserto” si schieravano nel settore costiero e la 46a divisione inglese si schierava sulla posizione da essi precedentemente occupata. Anche i tedeschi stavano preparandosi per l’imminente battaglia, rafforzando il loro fronte. La 305a divisione di fanteria venne schierata sulla parte montuosa della linea Reinhard, tra Pozzillo e Castel di Sangro, mentre la 94a occupava il settore sul Garigliano che, in effetti, faceva già parte della linea Gustav. Ambedue queste divisioni erano già state distrutte a Stalingrado e ricostituite poi in Francia, nella primavera del 1943. Dopo la caduta di Mussolini erano state trasferite in Italia e, in autunno, incorporate nella 10a armata. La Panzerdivision Hermann Göring venne invece ritirata dal fronte e la 26a Panzerdivision trasferita più a nord. A cavallo della via Casilina, pronta a sostenere l’urto del previsto attacco, era schierata la 3a divisione Panzergrenadier, mentre la 15a si trovava appena più a sud. Il 31 ottobre la 5a armata americana riprese l’offensiva. Dopo aver rapidamente costretto gli avamposti tedeschi a ripiegare sulla linea Reinhard, la 45a divisione americana conquistò Venafro e la 34a Pozzillo. Il Monte Cesima, situato pro17

prio a nord della via Casilina, correva ora il pericolo di essere attaccato da nord. Ma il 4 novembre la 3a divisione americana sferrò un attacco frontale contro l’altura, bloccandovi i difensori. Il III battaglione del 6° reggimento paracadutisti tedesco contrattaccò immediatamente, ma non riuscì a sloggiare gli americani dal Monte Cesima; entro il 5 novembre i tedeschi avevano definitivamente perso quella zona. A sua volta, il X corpo d’armata britannico riuscì a realizzare solo limitati progressi locali con il suo attacco contro l’imponente massiccio del Monte Camino, cosicché questa cima che sovrasta la stretta di Mignano restò saldamente nelle mani della 15a divisione Panzergrenadier. Intanto con la perdita di Pozzillo e del Monte Cesima, conquistati dagli americani, si era venuta a creare una pericolosa breccia nella linea Reinhard; la situazione peggiorò ulteriormente, quando il VI corpo d’armata americano riuscì a costringere il fianco destro della 305a divisione di fanteria tedesca a ripiegare su di una posizione difensiva che correva su ambedue i versanti del Monte Pantano. Queste infiltrazioni nel fronte difensivo del XIV Panzerkorps imponevano rapide contromisure, e l’8 novembre la 26a Panzerdivision raggiunse sulla destra il settore della 305a divisione di fanteria. Dall’11 al 16 novembre la 29a divisione Panzergrenadier sostituì l’assai malconcia 3a divisione, assumendosi il compito della difesa della stretta di Mignano e del sovrastante Monte Sammucro nel settore centrale. Il X corpo d’armata britannico stava intanto mostrando chiari segni di stanchezza. Dal momento dello sbarco a Salerno le sue divisioni avevano perso circa il 40% degli effettivi. I combattimenti nei pressi della linea Reinhard erano stati accompagnati da piogge incessanti, e la neve cominciava già ad apparire sulle più alte cime dei monti d’Abruzzo. Pianure e vallate erano ricoperte da uno spesso strato di fango, e tutti i fiumi erano in piena. Dopo aver a lungo combattuto in condizioni così sfavorevoli, la 5a armata americana aveva bisogno di una lunga sosta, e il 15 novembre il generale Clark decise di rimandare l’offensiva a tempo indeterminato. 18

L’attacco britannico a tenaglia Dopo la caduta di Foggia, la 1a divisione paracadutisti tedesca, rimasta isolata in Puglia, dovette fronteggiare il XIII corpo d’armata britannico (generale Leese) che avanzava su un fronte di circa 50 km; mentre da Benevento la 29a divisione Panzergrenadier si portava lentamente in suo aiuto, attraversando una difficile regione montuosa. L’attacco britannico si svolse lungo due direttrici: mentre la 78a divisione procedeva in direzione di Termoli attraverso San Severo, la 1a divisione canadese sferrò il suo attacco lungo la direttrice LuceraVinchiaturo-Campobasso. Il 1° ottobre la 78a divisione britannica conquistò Serracapriola; il giorno seguente i canadesi sbucarono fra le montagne a Motta. A questo punto Heidrich ritirò la sua divisione dietro il fiume Biferno. Nel corso dei successivi combattimenti egli si avvide che la minaccia più grave incombeva sulla città e sul porto di Termoli; decise quindi di attaccare con un gruppo di combattimento comprendente artiglieria e genieri. Questa formazione fu però travolta dalla 2a brigata servizi speciali inglese, che fece la sua improvvisa apparizione a Termoli provenendo dal mare. Non appena entrati nella città, gli inglesi si misero rapidamente in contatto con la loro 78a divisione che aveva già formato una testa di ponte al di là del Biferno; il fianco sinistro dei paracadutisti tedeschi fu così gravemente minacciato. Il feldmaresciallo Kesselring decise allora di trasferire in tutta fretta la 16a Panzerdivision dalle sue posizioni sul Volturno a Termoli, in modo da riprendere il controllo della situazione con un efficace contrattacco. Ma la 10a armata tardò troppo ad inviare la divisione, che riuscì a raggiungere Termoli soltanto il 5 ottobre. La notte successiva, la 36a brigata della 78a divisione britannica sbarcò nel porto di Termoli, mentre nello stesso tempo gli inglesi ultimavano la costruzione di un ponte sul Biferno, che li metteva così in grado di attaccare direttamente la 16a Panzerdivision. Il tentativo tedesco di contrattaccare fu così reso vano. 19

Fu questo contrattacco che convinse il generale Alexander, comandante in capo del XV gruppo di armate alleato, che Kesselring si preparava a difendere sistematicamente tutta l’Italia meridionale. La prospettiva di una più decisa resistenza in quel settore significava che sarebbe stato alquanto più difficile raggiungere Roma. Ma la conquista della capitale italiana era qualcosa di più di un ambito obiettivo strategico: per gli alleati, si trattava di una questione di prestigio politico. Churchill, in particolare, stava energicamente sollecitandone la conquista.

Soldati tedeschi sistemano per il tiro un mortaio postandolo fra terrapieno e una casa, in modo da assicurarsi una valida protezione dal fuoco nemico

Fu lo stesso generale Montgomery, comandante della gloriosa 8a armata britannica, che non riuscì a sfruttare l’occa20

sione favorevole fornitagli dal felice esito del colpo sferrato contro Termoli. Già il 5 ottobre egli aveva chiesto telegraficamente a Churchill il permesso di sospendere per il momento la sua offensiva lungo la linea Termoli-Campobasso, per poter meglio organizzare l’afflusso dei rifornimenti all’8a armata prima di gettarsi in forze contro la linea Roma, tra Pescara e la capitale. Ma in quel momento le difese tedesche sul versante adriatico erano ancora deboli, e per l’8a armata sarebbe stato facile travolgerle con una rapida ed energica operazione; più tardi, solo dopo aspri combattimenti in condizioni atmosferiche avverse, essa sarebbe riuscita a occupare duella zona. Montgomery approfittò della successiva pausa per raggruppare le sue grandi unità. Nel settore destro del fronte dell’8a armata venne schierato il V corpo d’armata britannico, costituito dalla 78a divisione inglese e dall’8a divisione indiana appena arrivata. A sud si schierò il XIII corpo, comprendente la 5a divisione inglese e la 1a canadese. Di fronte all’8a armata i tedeschi schierarono il LXXVI Panzerkorps, trasferito in quel settore dalla zona del Trigno entro la fine di ottobre. La 16a Panzerdivision aveva la responsabilità del settore costiero, mentre immediatamente più a sud si trovava la 1a divisione paracadutisti. Al di là di questa era schierata la 29a divisione Panzergrenadier, mentre sul fianco destro si trovava quella 26a Panzerdivision che aveva contrastato la 45a divisione americana durante l’attraversamento del Volturno. Montgomery intendeva riprendere l’offensiva alla fine di ottobre, ma i preparativi furono ostacolati da settimane di pioggia incessante – con tutte le conseguenze. Il 27 ottobre la 78a divisione inglese diede inizio ad un attacco lungo la costa, ma fu respinta dall’ostinata resistenza della 16a Panzerdivision. Le cattive condizioni atmosferiche costrinsero il XIII corpo d’armata britannico a rinviare la sua offensiva, e solo la notte del 29-30 ottobre i canadesi poterono attaccare la 26a Panzerdivision; Cantalupo nel Sannio cadde nelle loro mani il 1° novembre. 21

La pioggia continuava a cadere, ma ciò nonostante il giorno successivo il V corpo d’armata britannico riprese l’offensiva. Gli indiani subirono un grave rovescio a Tufillo, ma la 78a divisione inglese attraversò il Trigno e conseguì alcuni notevoli successi. Il 4 novembre occupò la cittadina di San Salvo, contendendola alla 16a Panzerdivision, e il giorno dopo entrò a Vasto. Il LXXVI Panzerkorps si vide costretto a ripiegare sul fiume Sangro. Al di là del Sandro le fortificazioni della linea Gustav erano già state ultimate, e l’8a armata avrebbe dovuto prepararsi in modo estremamente accurato prima di poterle affrontare. Fu pressappoco in quei giorni che Churchill si rassegnò all’idea di abbandonare ogni speranza di poter marciare su Roma entro la fine del 1943. Gli alleati lanciano una nuova offensiva aerea Subito dopo la conquista di Napoli, a Washington i capi di stato maggiore congiunti avevano sollecitato il trasferimento della forza aerea del maggiore generale James H. Doolittle dalla Tripolitania all’Italia meridionale. Già prima, il 17 settembre, in un messaggio al Congresso il presidente Roosevelt aveva annunciato la sua intenzione di creare basi aeree nell’Italia meridionale per attaccare obiettivi situati nella Germania meridionale e orientale. Durante il mese di ottobre, pertanto, il generale Doolittle e i suoi gruppi di bombardieri, ora riuniti nella 13a squadra aerea strategica americana, raggiunsero i campi di aviazione della Puglia, ubicati in prevalenza intorno a Foggia. Grazie a una abbondante profusione di mezzi e a una tecnica ineccepibile, in breve tempo gli americani riuscirono ad allestire efficienti basi aeree che rispondevano a tutte le esigenze dei loro pesanti bombardieri quadrimotori. Eppure la costituzione di questa nuova forza aerea richiedeva una potenzialità di afflusso di rifornimenti di 300.000 tonnellate, in un mo22

mento in cui il XV gruppo di armate alleate stava soltanto iniziando le operazioni. A quanto sembra, chi ebbe più da perdere da questa impresa fu l’8a armata britannica, che in quel momento aveva, sul territorio italiano, soltanto 4 divisioni, contro le 7 o più divisioni di cui la 5a armata americana disponeva nel settore di Napoli. Fu forse questa disparità di forze che indusse Churchill a presentare, il 17 novembre, le proprie rimostranze al comitato dei capi di stato maggiore, sostenendo che il trasferimento di grandi forze aeree strategiche aveva gravemente ostacolato la costituzione in Italia di una forza terrestre di grande entità. Comunque, in quel periodo Doolittle aveva già intrapreso le sue azioni offensive. Il 1° novembre i suoi bombardieri si erano levati in volo dalla Puglia per attaccare le fabbriche di aerei Messerschmitt di Wiener Neustadt, in Austria. Erano seguite poi incursioni aeree sulle fabbriche di cuscinetti a sfere di Torino, sui nodi ferroviari di Genova, Bologna e Innsbruck, e sui campi petroliferi di Ploesti, tutte località molto importanti per la Germania. Più tardi, fu il turno delle fabbriche di aerei di Regensburg e Augusta nella Germania meridionale, dei ponti sul Po e di altri importanti obiettivi. A partire dalla primavera del 1944 le ripercussioni di questi massicci bombardamenti sui tedeschi furono spaventose. Danni particolarmente gravi vennero arrecati alle fabbriche di aerei e di cuscinetti a sfere situate nella Germania meridionale e agli oleodotti provenienti dai Balcani. Nell’estate del 1943 la Germania riceveva ogni mese 220.000 t di petrolio dalla Romania e dall’Ungheria; entro il giugno del 1944, grazie all’attività dei bombardieri pesanti della 15a squadra aerea strategica (che alla fine di maggio disponeva di 850 bombardieri e caccia a lungo raggio), le importazioni di petrolio erano scese a 40.000 tonnellate. Il sensibile rallentamento nella produzione di aerei e le ripercussioni su tutte le armi dovute alla carenza di petrolio influirono in misura decisiva sulla capacità della Germania di prepararsi adeguatamente per l’imminente operazione “Overlord”, riducendo nello stesso tempo la sua potenza offensiva in Italia e sul fronte russo. 23

Sopra: Roccamonfina, in provincia di Caserta, in gran parte distrutta in seguito i combattimenti di cui fu teatro. Sotto: carri armati tedeschi in afflusso verso la linea del Garigliano, durante una sosta per consentire agli equipaggi di rifocillarsi.

Allo scopo di aprirsi la strada verso Roma, nell’ottobre del 1943 la 5a armata americana comandata da Clark e l’8a armata britannica agli ordini di Montgomery sferrarono attacchi massicci contro le posizioni germaniche. Ma la resistenza nemica, unitamente all’impervia natura del terreno che offriva ai tedeschi solide posizioni difensive, oltre alle avverse condizioni atmosferiche, crearono seri ostacoli all’avanzata delle forze anglo-americane. Fu solo nel dicembre 1943 che gli alleati, pagando un altissimo scotto, riuscirono a raggiungere la linea Gustav, dove sarebbero rimasti inchiodati fino a maggio.

Operazione “Raincoat” Il più appassionato sostenitore dell’opportunità di un’avanzata su Roma era il generale Alexander, che si rendeva pienamente conto del significato militare e politico di una tale operazione. Ma in novembre, la 7a divisione corazzata inglese nonché l’82a divisione avioportata americana furono – a eccezione del 504° reggimento paracadutisti – sottratte al suo comando e trasferite in Gran Bretagna e ciò costituì un duro colpo per i suoi piani. In compenso, tuttavia, la 5a armata americana ricevette la 1a divisione corazzata americana e il 1° corpo servizi speciali, formazione particolarmente addestrata per la guerra in montagna. Inoltre lo stato maggiore del II corpo d’armata americano agli ordini del generale Keyes lasciò la Sicilia per unirsi alla 5a armata, mentre per l’inizio del dicembre 1943 era previsto l’arrivo di un contingente di truppe coloniali francesi, la 2a divisione di fanteria marocchina. Il 28 novembre sul basso Sangro l’8a armata britannica diede l’avvio all’offensiva contro il fianco destro della linea Gustav. Gli iniziali successi di Montgomery costrinsero i capi tedeschi a gettare la 26a Panzerdivision nel settore adriatico e a sostituirla sulla linea Reinhard con la 44a divisione di 25

fanteria Hoch und Deutschmeister, formata in prevalenza da truppe austriache. Anche questa divisione era stata annientata a Stalingrado e in seguito ricostituita. La 5a divisione da montagna tedesca, destinata ad operare sulle alte montagne d’Abruzzo, stava pure raggiungendo la zona assegnatale dopo aver combattuto sul fronte di Leningrado. La notte tra il 1° e il 2 dicembre la 46a divisione inglese diede inizio ad un attacco, conquistando dopo una dura lotta Calabritto. Ma l’attacco vero e proprio iniziò solo nel pomeriggio del 2 dicembre, preceduto da un intenso fuoco di preparazione d’artiglieria. Alle 16.30 le artiglierie alleate – che ammontavano a 925 pezzi – aprirono un fuoco serrato sul Monte Camino e sulle alture adiacenti, concentrando il loro tiro soprattutto sulle posizioni del 104° reggimento Panzergrenadier (15a divisione Panzergrenadier). Si trattava del più possente concentramento di fuoco fino a quel momento realizzato nella campagna d’Italia. Nelle giornate del 2 e del 3 dicembre l’artiglieria alleata sparò contro questa montagna ben 207.000 granate, per un peso totale di 4.066 tonnellate! Nelle prime ore del 3 dicembre alcune unità alleate balzarono fuori dalle loro posizioni per intraprendere la scalata del Monte Camino. La 56a divisione inglese attaccò da sud appoggiata da contingenti della 46a e da un reggimento corazzato. Nello stesso tempo unità di Ranger americani e il 1° corpo servizi speciali affrontarono il “massiccio” dal versante orientale. Pure un reggimento della 36a divisione americana entrò in azione. La battaglia infuriò per tutto il giorno. Entro il 6 dicembre gli alleati si assicurarono il completo controllo della montagna, e con ciò il pilastro meridionale della stretta di Mignano era stato eliminato dalla linea difensiva tedesca. L’attacco contro il pilastro settentrionale, il Monte Sammucro, e contro il lungo e stretto Monte Lungo che domina direttamente la via Casilina, fu sferrato l’8 dicembre dal II corpo d’armata americano. All’attacco contro quest’ultima altura prese parte anche il 1° raggruppamento motorizzato italiano (della forza di una brigata) agli ordini del generale Da26

pino – era quella la prima unità italiana che prendeva parte ai combattimenti contro le truppe di Kesselring da quando, il 13 ottobre, Badoglio aveva dichiarato guerra alla Germania1. Ma questa unità, e la 36a divisione americana che le si affiancò nel tentativo di conquistare Monte Lungo, si imbatté nella tenace resistenza della 29a Panzergrenadier, e fu solo il 16 dicembre che italiani e americani riuscirono, preceduti da un intensissimo fuoco di preparazione d’artiglieria, ad assicurarsi il controllo dell’altura. Quello stesso giorno cadde anche Monte Sammucro, conquistato dalla 36a divisione americana appoggiata dal 504° reggimento paracadutisti. Come Monte Lungo, anche Monte Sammucro era stato difeso dalla 29a Panzergrenadier; in ambedue i casi, le unità tedesche avevano resistito a lungo, combattendo senza sosta, contro forze attaccanti numericamente molto superiori. Il punto critico della campagna Le operazioni offensive del VI corpo d’armata americano (comprendente la 34a e la 45a divisione) sul fianco destro della 5a armata, erano considerate più come azioni di appoggio per l’8a armata britannica sul Sangro che non come una parte dell’azione di sfondamento della stessa 5a armata verso la linea Gustav. Il VI corpo d’armata americano non era quindi in condizioni di aggirare il fianco sinistro del XIV Panzerkorps – e, del resto, si trovava alle prese con enormi problemi connessi con la natura del terreno, dato che stava già operando in una zona di alta montagna. Nei primi giorni dell’offensiva esso riuscì a conseguire soltanto progressi molto limitati contro la 305a divisione tedesca. Ma i successi cominciarono a venire quando, il 12 dicembre, la 2a divisione di fanteria marocchina del generale Dody si schierò nel settore della 34a divisione americana. Cinque giorni dopo le truppe maroc1

La partecipazione del contingente italiano alla campagna d’Italia verrà trattata in seguito nel capitolo del colonnello Dino Salsilli: L’esercito italiano nella guerra dì Liberazione. 27

chine strapparono alla 305a divisione tedesca il tatticamente importante Monte Pantano, mentre pressappoco nello stesso momento la 45a divisione americana guadagnava terreno a sud di questo. Ma sul fronte tedesco, la 5a divisione da montagna si portò sulla destra nell’area operativa compresa nel settore della 305a divisione. Le truppe marocchine fecero altri tentativi per sfondare la linea Gustav su ambedue i lati della rotabile Colli-Atina, ma le truppe da montagna tedesche le fermarono poco prima di San Biagio. Ancora più a sud la 45a divisione americana conseguì alcuni progressi contro la 44a divisione tedesca. Il 22 dicembre, infine, gli americani riuscirono a conquistare la cima del Monte Cavallo e a proseguire l’avanzata verso Viticuso. Verso la fine del mese essi furono sostituiti dalla 34a divisione. Il 4 gennaio 1944 il II corpo d’armata americano riprese i suoi attacchi su ambedue i lati della via Casilina, mentre il VI continuava a esercitare una forte pressione. Metro dopo metro, il XIV Panzerkorps fu costretto a ripiegare sulla linea Gustav. La 29a divisione Panzergrenadier fu ritirata dalla linea del fronte, ed entro la metà di gennaio tutti i suoi elementi furono schierati sulla linea difensiva. Con queste operazioni la campagna nell’Italia meridionale giunse al suo punto critico.

RUDOLF BÖHMLER Nato a Stoccarda nel 1914. Entrato nella Reichswehr come aspirante ufficiale, dopo due anni fu promosso tenente. Nel 1938 entrò volontario nelle appena costituite unità di paracadutisti, e dopo lo scoppio della guerra partecipò alle grandi operazioni dei paracadutisti tedeschi in Olanda, a Creta e in Sicilia. Nella primavera del 1944 combatté nella battaglia di Montecassino, e alla fine della guerra egli si trovava al comando del 4° reggimento paracadutisti in Italia. Dopo la guerra scrisse su argomenti militari articoli e monografie. È morto nel novembre del 1968 a Stoccarda. 28

Generale Luigi Mondini* Le contromisure tedesche per opporsi all’invasione alleata dell’Italia meridionale rischiarono di “cadere fra due sgabelli”, per ripetere la pittoresca espressione usata da Liddell Hart a proposito della disparità di vedute fra Rommel e Rundstedt, al momento dello sbarco in Normandia. Ora, il contrasto era fra il maresciallo Kesselring, comandante superiore sud (OBS, Oberbefehlshaber Süd) e lo stesso Rommel, verso il quale – rileva Kesselring – il Führer nutriva una strana soggezione: lo aveva eletto suo consigliere per ogni questione riguardante il Mediterraneo, e gli aveva fatto costituire uno stato maggiore nelle immediate vicinanze del suo comando. Successivamente lo aveva nominato comandante del gruppo d’armate C e Rommel si era arroccato nell’Italia settentrionale, proclamando la necessità di mantenere a tutti i costi il dominio della Valle Padana, per garantire le frontiere meridionali del Reich e assicurare le comunicazioni con la Francia e la Iugoslavia, vitali per la Germania. Aveva ottenuto che le divisioni inviate in Italia dopo il 25 luglio non si spingessero oltre l’Emilia e la Toscana, ed era pronto ad abbandonare tutto il resto della penisola, compresa Roma, pur di non compromettere la difesa della linea appenninica Pisa-Rimini. Kesselring, per contro, si diceva sicuro di poter contenere l’avversario nell’Italia meridionale, in modo da tener lontana il più possibile la minaccia dalla “fortezza Europa”. Egli non riuscì ad ottenere il richiesto rinforzo di due divisioni e casualmente apprese, al momento della resa dell’Italia, che a Rommel era stata conferita facoltà di comando anche su di lui, senza che egli ne fosse stato preavvertito. Tirò ugualmente diritto per la sua strada e Hitler finì col dargli ragione; quindi, il 21 novembre 1943, lo nominò comandante del gruppo d’armate C, cioè comandante supremo in Italia. Il Führer si era finalmente convinto che gli alleati non erano ansiosi di invadere la penisola o che non erano in grado di farlo e questa è anche l’opinione espressa da Böhmler. Questi peraltro è molto sbrigativo nel suo articolo: trascura completamente la fase sbarco alleato e opposizione 29

tedesca, conferma che Hitler era pronto a rischiare le forze di Kesselring pur di non toccare quelle di Rommel, insinua che le divisioni italiane attorno a Roma offrirono subito la resa della città ed evidentemente ignora che lo stesso Kesselring scrisse che a Roma si svolsero lotte violente. A questo proposito non sarà inopportuno rievocare il più sinteticamente possibile quanto avvenne in Italia, nel campo militare, all’atto dell’annuncio dell’armistizio, che colse di sorpresa il governo e gli alti comandi italiani, che lo attendevano per almeno quattro giorni dopo, ritenendo che la data prevista come più prossima fosse il 12 settembre. Lo stato maggiore dell’esercito aveva dato un primo orientamento ai comandi di armata in Italia, in Francia, in Slovenia-Croazia-Dalmazia nel mese di agosto, quando dopo il convegno di Casalecchio (Bologna) fra i generali Roatta e Francesco Rossi (sottocapo di S.M.), da parte italiana, e Jodl e Rommel, da parte tedesca, si comprese perfettamente che l’“alleato” aveva predisposto un piano di intervento in Italia, da attuare non appena questa avesse dovuto desistere dalla lotta. Come si seppe dopo, si trattava del piano “Achse”, edizione aggiornata di precedenti piani d’azione. Il colonnello Bocislav von Bonin, che ricoprì incarichi di stato maggiore nella “Wehrmacht” (fu tra l’altro alle dipendenze di Rommel e poi capo di S. M. del XIV corpo corazzato in Sicilia e nell’Italia meridionale), in una relazione sulla campagna italiana del 1943-1944, redatta per conto della missione militare canadese, afferma che, l’8 maggio 1943, quando egli rientrò dalla Tunisia, non vi era in Italia, isole incluse, una sola formazione dell’esercito tedesco atta a combattere. Ne arrivarono per la difesa della Sicilia, ma la macchina per l’occupazione dell’Italia si mise in moto il 26 luglio e all’8 settembre si trovavano in Italia circa 18 divisioni dipendenti da due gruppi d’armate, quello di Rommel a nord e l’OBS di Kesselring. Erano tutte in piena efficienza, e anche le divisioni di fanteria erano dotate di reparti corazzati. Contro questo forte potenziale nemico non si poteva agire apertamente fin quando non fossero intervenuti accordi con 30

gli alleati, ma questi – e non si può dargli completamente torto – da un lato non avevano fiducia e tennero gelosamente segreti i loro programmi, dall’altro non mostrarono di avere alcuna intenzione di aiutarci concretamente e finirono col lasciarci “cuocere nel nostro brodo”, secondo la cruda espressione di Churchill. All’8 settembre erano iniziate le operazioni – concordate con i tedeschi – per il rientro in Italia della 4a armata dalla Francia e di 3 divisioni dalla Croazia ed erano state diramate le disposizioni in vista della probabile reazione tedesca. Ma ai comandi d’armata mancò il tempo di diramare le predisposizioni ai comandi dipendenti e l’iniziativa venne lasciata ai tedeschi, i quali seppero approfittare di questa situazione. Al momento dell’armistizio, dove erano in minoranza si presentarono col volto dell’amico, pieno di comprensione, chiedendo solo facilitazioni per passare attraverso sbarramenti, allontanarsi, raggiungere altri compagni; dove avevano la superiorità imposero subito la loro volontà, che si estrinsecò in due manifestazioni: disarmo e internamento in Germania. Quando risultarono errati i calcoli e inesistente la superiorità di forza non insistettero, presentarono scuse, addossarono la responsabilità di incidenti a intemperanze di indisciplinati dipendenti, e tornarono non appena acquisita la voluta supremazia; ciò avveniva rapidamente, per la ricchezza di mezzi di cui disponevano e la maggiore mobilità dei reparti, e dove in precedenza avevano dovuto cedere, si vendicarono con mano pesante. Molte pubblicazioni ormai esistono su questi dolorosi avvenimenti; qui desideriamo ricordare i principalissimi, accennando appena alla difesa della base della Spezia, ad opera delle divisioni “Alpi Graie” e “Rovigo”, che consentì alla flotta dì salpare verso il suo destino, prima che ne fosse impedita dalle truppe tedesche; alla resistenza del battaglione alpini “Moncenisio” sul colle omonimo, cessata per ordine superiore (e gli alpini si diedero quasi tutti alla montagna); agli scontri alla stazione di Nizza a colpi di moschetto e bombe a mano; alla liberazione del porto di Bari, impedendo che ve31

nissero distrutti gli impianti e affondati i piroscafi all’ancora; alla salvaguardia della base di Taranto, prontamente utilizzata dagli inglesi; alla lotta iniziata dalla 222a divisione costiera per contrastare il passo alle forze tedesche in marcia su Salerno e alla fucilazione del suo comandante, generale Ferrante Gonzaga, che si rifiutò di ordinare ai suoi soldati di desistere dal combattimento. Non vanno dimenticati quei reparti che combatterono arditamente fra le avanguardie dell’8a armata e la 5a armata, sbarcata a Salerno, e che protessero impianti ferroviari, strade, ponti, viadotti da tentativi di interruzione e di sabotaggio tedeschi. Un corrispondente del Times il 18 settembre scrisse, a proposito dei nostri soldati incontrati a Maratea: “I soldati italiani erano senza dubbio del miglior tipo di truppe che io abbia visto: ben costrutti, intelligenti, manifestamente svelti e sicuri. Erano i primi che incontravamo di questi nostri soccorritori e, da allora, io non ho avuto mai ragione di correggere la prima, lusinghiera impressione”. Su due avvenimenti, in particolare, conviene soffermarci, quelli svoltisi rispettivamente in Sardegna e Corsica e a Roma e dintorni. In Sardegna il comandante superiore generale Basso alla sera dell’8 informò telegraficamente lo stato maggiore a Roma che la 90a divisione corazzata tedesca si accingeva a trasferirsi in Corsica e, poiché non aveva commesso alcun atto di aggressione, egli riteneva di non doverne ostacolare il movimento. Non ebbe risposta e considerò approvato il suo comportamento; ma il mattino del 12 ricevette l’ordine di opporsi al passaggio dei tedeschi in Corsica, di dar loro addosso e di catturarli. L’ordine era tardivo e la pressione dei nostri si esercitò sulle retroguardie delle colonne che raggiungevano i porti di imbarco sulle coste settentrionali dell’isola, senza che si giungesse ad un vero e proprio combattimento generale. Il 18 la Sardegna era completamente sgombra dai tedeschi, che lamentarono la perdita di 150 uomini tra morti e feriti, di 300 prigionieri e di molto materiale bellico. In Corsica il generale Magli, comandante del VII corpo (divisioni “Friuli” e “Cremona”), si trovò a combattere la brigata 32

corazzata SS Reichsführer, poi rinforzata con la 90a divisione proveniente dalla Sardegna. Si ebbe qualche scontro per impedire ai tedeschi di impadronirsi del porto di Bastia nella stessa notte sul 9 settembre, e il generale Magli prese accordi con i partigiani còrsi, ai quali distribuì armi e munizioni. Quando l’11 ricevette dal comando supremo la comunicazione di “considerare nemiche le truppe tedesche e agire in conseguenza”, passò all’attacco. Si combatté furiosamente il 12 a Casamozza, presso Bastia (ove vennero catturati 500 tedeschi e 2 batterie) e il giorno 13 attorno a Vezzani una forte colonna corazzata tedesca riuscì ad aprirsi la strada su Bastia e nello stesso giorno (e non l’11 come è stato pubblicato) reparti francesi sbarcarono ad Ajaccio. La lotta continuò nei giorni seguenti e il 18 vennero conclusi i necessari accordi fra gli alti comandanti italiani e francesi per la riconquista del porto di Bastia, affidando il compito ad un gruppo tattico italofrancese con prevalenza di truppe italiane, mentre altre forze italiane si battevano nell’interno dell’isola per assicurare l’organizzazione dell’azione offensiva. Si combatté duramente in diversi fronti e il mattino del 29 l’88a fanteria “Friuli” attaccava il colle del Taghime, attraversato dalla strada che porta a Bastia. Duramente provato, fu scavalcato da truppe marocchine e il 4 ottobre venne dato l’assalto generale al porto di Bastia, che fu raggiunto da bersaglieri del XXXI battaglione e circa un’ora dopo da reparti francesi. A sera l’isola era completamente liberata dai tedeschi, che avevano subito perdite pesanti; gli italiani, che avevano impegnato 8 battaglioni di fanteria, 1 battaglione controcarro, 16 batterie e reparti minori, ebbero 2.956 perdite tra morti e feriti. A Roma era stato costituito un corpo d’armata motocorazzato con le divisioni corazzate “Ariete” e “Centauro” (questa in via di ricostituzione e ancora scarsamente efficiente), la divisione motorizzata “Piave” e quella di fanteria “Granatieri di Sardegna”; ne aveva il comando il generale Carboni il quale il 18 agosto venne nominato commissario del servizio informazioni militare con lo scopo evidente di ottenere che la stessa persona avesse tutte le necessarie notizie sul probabile nemico e disponesse 33

dei mezzi per fronteggiarlo. Nelle vicinanze della capitale si trovavano le divisioni “Piacenza” – impropriamente chiamata autotrasportabile – e “Sassari”, destinata all’ordine pubblico, entrambe disperse in innumerevoli piccoli presidii, prive di armi controcarro e scarsamente dotate di automezzi. Erano in arrivo le divisioni “Cacciatori delle Alpi” dalla Francia e “Re” dalla Croazia, ma la sera dell’8 erano giunti in zona solo due battaglioni della prima e uno della seconda, tutti con forza ridotta, non superiore ai 600 uomini ciascuno. I tedeschi disponevano della 3a divisione Panzergrenadier e della 2a divisione paracadutisti; la prima, dislocata nella zona Bolsena-Montefiascone-Viterbo-Vetralla-Tarquinia, in aggiunta ai propri organici aveva trattenuto i battaglioni carro destinati alle 4 divisioni dislocate nell’Italia meridionale e incorporato i relativi complementi, raggiungendo la forza complessiva di 24.000 uomini con 600 mezzi motocorazzati di ogni genere; la seconda, giunta improvvisamente dalla Francia via aerea, fra il 28 luglio e il 1° agosto, nella zona Pratica di Mare-Fiumicino-Frascati e successivamente rinforzata, raggiungeva la forza di 14.000 uomini, con alcune decine di mezzi corazzati e cingolati; le nostre divisioni “Ariete”, “Centauro” e “Sassari” disponevano complessivamente di 236 mezzi motocorazzati in tutto. Annunciato l’armistizio, le truppe tedesche serrarono sulla capitale, e anche perché da Brindisi non era stato ancora diramato l’ordine di considerarli come nemici, si ebbe l’illusione che i tedeschi si sarebbero ritirati dall’Italia. La situazione non tardò però a manifestarsi in tutta la sua tragica realtà, perché la 2a divisione paracadutisti sorprese i reparti costieri e li disarmò; si impossessò di viveri, carburanti e materiali e premette da sud contro una linea di capisaldi delia “Granatieri di Sardegna”, e la 3a divisione Panzergrenadier si avvicinò alla capitale. Ne seguirono violenti scontri a cavallo delle vie Cassia e Claudia a nord di Roma e della Ostiense a sud, e reparti della “Re” respinsero un attacco di paracadutisti a Monterotondo. Esula dallo scopo di questa nota narrare minutamente le vi34

cende del corpo d’armata motocorazzato, avviato dapprima su Tivoli, poi richiamato a Roma e mai impiegato riunito; la situazione era confusa, gli animi smarriti, ma i reparti erano ordinati e in mano agli ufficiali. Alla Magliana, alla Cecchignola e a Monterosi gli scontri furono favorevoli agli italiani e i tedeschi costretti a segnare un tempo d’arresto. Episodi di valore scrissero i difensori di Roma, specialmente i “Granatieri di Sardegna” e i “Lancieri di Montebello”, in tutta la giornata del 9 e nella notte seguente. Alle 5.30 del 10 venne ordinato di cessare il fuoco a partire dalle 6.30 perché erano in corso trattative per un armistizio; ma i tedeschi, impiegando forze sempre crescenti, continuarono ad attaccare, e la linea difensiva fu fatta arretrare alla Cecchignola – Esposizione 42 e poi all’obelisco di Axum – piramide di Caio Cestio-Testaccio, mentre ai combattimenti partecipavano un gruppo di squadroni di “Genova Cavalleria”, un battaglione del 4° carristi, elementi racimolati nei depositi e, a Porta S. Paolo, cittadini. La battaglia proseguì fino alle 16.30, quando fu dato l’ordine di cessare le ostilità essendo intervenuto l’accordo con i tedeschi. Il maresciallo Caviglia la sera del 9 aveva assunto il governo “in attesa che la situazione permettesse al titolare capo del governo di rientrare nella capitale”, chiedendone telegraficamente autorizzazione al re (ma la risposta affermativa non gli venne recapitata). Alle 14 del 10 il generale Calvi di Bergolo gli portò l’ultimatum di Kesselring da accettare entro le ore 16, in caso contrario sarebbero stati distrutti gli acquedotti già minati e bombardata Roma con 700 aerei. Le condizioni erano: scioglimento delle divisioni attorno a Roma, onore delle armi agli ufficiali, occupazione da parte germanica della propria ambasciata, della centrale telefonica tedesca, della radio. Caviglia considerò che non c’era che da chinare la testa e consigliò a Calvi di accettare, come fu fatto. I tedeschi violarono subito i patti occupando completamente la capitale dichiarata città aperta, e il 23 la divisione “Piave”, che avrebbe dovuto presidiarla, fu proditoriamente catturata dai tedeschi. Pochi ufficiali riuscirono a sfuggire alla prigionia e costituirono il gruppo partigiani “Piave”. 35

Da questi rapidi cenni risulta quanto sia stato sbrigativo il Böhmler nell’affermare che “durante la notte fra l’8 e il 9 le divisioni tedesche si apprestarono ad investire la capitale, ma il giorno dopo gli italiani offrirono la resa della città […]. La via per il golfo di Salerno era aperta”. In effetti, come annota Kesselring nelle sue Memorie di guerra, soltanto “il 10 settembre un primo scaglione della 3a divisione poté iniziare il trasferimento verso il sud, ma il resto poté partecipare ai combattimenti soltanto fra il 13 e il 14 del mese”. Il Böhmler trascura completamente la fase sbarco degli alleati e sarebbe stato opportuno mettere nella dovuta evidenza come la tenace difesa tedesca sia nata e si sia irrigidita grazie all’intelligente iniziativa del generale Vietinghoff, da poco comandante della 10a armata, sostenuto dalla volontà di Kesselring. La reazione allo sbarco fu pronta, quasi spontanea, agevolata dalla lentezza delle truppe sbarcate, quasi tutte prive di esperienza bellica; fu proseguita tenacemente fino a Napoli, mentre da parte tedesca veniva continuato efficientemente l’apprestamento di tre successive posizioni di resistenza, prima sulla linea Volturno-Biferno, poi su quella che faceva perno alla stretta di Mignano, infine su quella Garigliano-Cassino-Rapido-Sangro, la famosa linea Gustav. Nella progressione degli attacchi crebbe e si sviluppò nel comando alleato l’idea di proseguire la battaglia verso l’Italia settentrionale. Il 1° ottobre Eisenhower nutriva la speranza di arrivare a Roma entro sei, otto settimane, tanto che rimase ad Algeri e non portò il suo comando a Napoli per evitare un altro immediato trasferimento; ma realisticamente si convinse della necessità di raggiungere Roma, perché erano preziosi i suoi aeroporti (sempre nella strategia americana l’aviazione ha avuto parte di protagonista), anche se il raggiungimento di una linea a nord della capitale richiedeva il superamento di notevoli difficoltà. Così le armate alleate si trovarono prese nell’ingranaggio di una dura lotta in terreno difficile e si aggiunge l’ordine – già ricordato – di inviare in Gran Bretagna 7 divisioni, unità navali e mezzi da sbarco, destinati alla “Overlord”. Non si può 36

non pensare con profondo rammarico alla parte che avrebbe potuto essere affidata in quel momento all’esercito italiano. Ma agli italiani toccò purtroppo un ruolo secondario, più che marginale, e inascoltate rimasero fe ripetute invocazioni di Badoglio perché venissero impiegate truppe italiane, e ne esistevano in piena efficienza, nell’Italia meridionale e in Sardegna. Vogliamo ricordare il commento, pieno di humour, del generale Lucas: “Le guerre dovrebbero essere combattute in paesi più adatti di questo”. Le truppe italiane lo conoscevano quel paese e su quei terreni erano state addestrate a manovrare e combattere. Ma sul contributo militare italiano in questa prima fase della campagna, oltre alla già rievocata liberazione della Sardegna e della Corsica, e alla modesta azione di Monte Lungo del 1° reggimento motorizzato (che però ebbe grande significato morale), sono da ricordare la possibilità fornita agli alleati di disporre subito dei porti di Bari e di Taranto, quella di rifornire dalle coste ioniche l’8a armata, che faticosamente e lentamente risaliva dalla Calabria, con notevoli difficoltà logistiche e il vantaggio di raggiungere rapidamente i campi d’aviazione di Grottaglie e di Foggia. Aggiungiamo ancora la preziosa collaborazione dei reparti lavoratori e delle salmerie, nonché l’aiuto spontaneo offerto dalle popolazioni con informazioni e assistenza diretta alle truppe alleate. Troppo poco per quello che si sarebbe potuto dare, ma l’Italia doveva pagare il suo “biglietto d’ingresso” e non le si dava la possibilità di acquistarlo. Si alzava il sipario sulla tragedia di Cassino, quando fu conclusa la prima fase della battaglia del Garigliano durata dal 6 al 18 dicembre, e contrariamente a promesse e speranze, gli italiani non erano stati liberati né dall’invasione tedesca né dagli orrori della guerra.

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Luigi Mondini (Siracusa, 1895 – Torino, 1988) è stato militare e storiografo. Sottocapo di Stato maggiore della 11ª Armata, svolse opera di mediazione tra i civili greci e l’occupante tedesco, riuscendo a salvare molti ebrei destinati alla deportazione. 37

dicembre 1943-gennaio 1944

VERSO CASSINO Martin Blumenson

Nel dicembre del 1943 gli alleati ripresero l’avanzata verso Roma, ma la nuova offensiva subì lo stesso destino di quella dell’ottobrenovembre. La resistenza tedesca contenne gli attacchi nemici, e con il sopraggiungere del nuovo anno le forze anglo-americane vennero a trovarsi di fronte alle possenti fortificazioni della linea Gustav, imperniate su Cassino.

La battaglia combattuta dalla 5a armata americana a nord del Volturno e dall’8a armata inglese a nord di Foggia protrattasi per un mese, aveva ricacciato indietro i tedeschi: nel settore adriatico il LXXVI Panzerkorps era trincerato sulla linea Gustav, che per un tratto correva parallela al fiume Sangro; nel settore tirrenico, il XIV Panzerkorps aveva dovuto abbandonare la linea Barbara ed entro la metà di novembre era schierato sulle posizioni difensive della linea Bernhard, nei pressi di Mignano. Ma la lotta sostenuta sulle montagne era stata così estenuante che le unità alleate erano ormai decimate ed esauste. La difficoltà di avanzare attraverso le impervie regioni dell’Italia meridionale aveva da lungo tempo suggerito l’idea di una manovra anfibia. L’invio di truppe via mare alle spalle del fronte tedesco avrebbe potuto indebolire l’azione dei difensori e consentire progressi più rapidi e meno faticosi. Ma gravi ostacoli si frapponevano all’attuazione di una simile idea. Non solo i tedeschi avevano predisposto difese atte a sconsigliare uno sbarco – campi minati al largo della costa e forti difese costiere nei punti che più si prestavano a uno sbarco – ma le forze alleate non disponevano di truppe e unità navali sufficienti per effettuare una grossa operazione anfibia. I capi di stato maggiore congiunti (CCS) avevano dato disposizione ad Eisenhower, comandante supremo alleato, affinché

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Novembre 1943: soldati americani avanzano in direzione di Cassino. Quando il progetto di Eisenhower di effettuare uno sbarco anfibio ad Anzio alle spalle delle forze tedesche divenne attuabile, Clark ordinò alle sue truppe di avanzare oltre la linea Gustav verso Frosinone, al fine di assicurare alle truppe alleate impegnate in quella operazione un rapido ricongiungimento.

trasferisse in Gran Bretagna 7 divisioni e un considerevole numero di unità navali e di mezzi da sbarco per l’imminente azione sulla costa francese della Manica. Poiché i mezzi disponibili sul fronte italiano avevano subito una così notevole riduzione, in Italia gli alleati avrebbero potuto effettuare soltanto piccole e brevi incursioni anfibie che ben difficilmente sarebbero riuscite a trasformare in misura decisiva una campagna praticamente statica in una guerra essenzialmente di movimento. Roma appariva irraggiungibile nell’immediato futuro. E non vi era alcuna speranza di riuscire a raggiungere entro la primavera del 1944 la linea Pisa-Rimini, quell’obiettivo cioè ritenuto indispensabile perché le forze alleate operanti nel teatro del Mediterraneo potessero appoggiare l’attacco sulla Manica, mediante una simultanea invasione della Francia meridionale. Per superare questi ostacoli Eisenhower chiese ai capi di stato maggiore congiunti il consenso di trattenere in Italia un numero di unità navali sufficiente per una operazione anfibia, e accelerò la costituzione di unità combattenti in Italia. Le forze alleate giunte in Italia durante gli ultimi tre mesi del 1943 risolsero solo parzialmente il problema degli effettivi. La 1a divisione corazzata americana aveva bisogno di un terreno più adatto ai suoi mezzi per poter essere impiegata in modo efficace. Le forze messe a disposizione dal governo italiano – il 1° raggruppamento motorizzato dell’entità di una brigata – era al di sotto del livello richiesto per le truppe alleate sia per addestramento sia per armamento ed equipaggiamento. Il 1° corpo servizi speciali composto da truppe americane e canadesi scelte e particolarmente addestrate per le operazioni in montagna, era poco più numeroso di un reggimento. Truppe di gran lunga migliori erano quelle delle forze francesi riequipaggiate e riaddestrate in Nord Africa. Gli Stati Uniti stavano ricostituendo 11 divisioni che si diceva avrebbero svolto una parte attiva nel teatro di guerra europeo. Soprattutto interessati a liberare la Francia, i francesi erano anche ansiosi di combattere. Due divisioni erano pronte, e secondo quanto se ne sapeva doveva trattarsi di 43

truppe particolarmente idonee a combattere in montagna. Nonostante la carenza di trasporti nel settore mediterraneo, la 2a divisione marocchina e la 3a algerina furono inviate in Italia. Entrambe erano per la massima parte costituite da nordafricani comandati da ufficiali francesi. Un gruppo di ufficiali francesi era inquadrato nello stato maggiore alleato come sezione del comando della 5a armata americana, mentre un comando denominato base 901 riceveva le unità e provvedeva ai servizi logistici. Tali unità dipendevano direttamente dal comando del corpo di spedizione francese, comandato dal generale Alphonse Juin che, sebbene più anziano e dotato di maggiore esperienza di quasi tutti i comandanti alleati, si sottomise volontariamente alla gerarchia di comando esistente. Juin avrebbe poi dimostrato lealtà, dedizione e competenza. Le ambulanze francesi erano guidate da donne. Poiché in Italia le strade in prossimità del fronte erano in pessime condizioni e spesso soggette al fuoco nemico, un americano suggerì che i reparti ambulanze venissero impiegati soltanto nelle retrovie. Di fronte a questa proposta un comandante francese esclamò indignato: “Come gli uomini, anche le donne di Francia sono orgogliose di morire per il loro paese!”. In Italia giunse anche il comando del II corpo d’armata americano agli ordini del maggiore generale Geoffrey Keyes, il quale schierò le sue truppe nella parte centrale del settore di competenza della 5a armata americana. Inserito tra il corpo d’armata britannico di McCreery operante sulla costa e il VI corpo d’armata americano di Lucas operante sulle montagne, il II corpo d’armata americano avrebbe sopportato il maggiore peso dei combattimenti dal dicembre 1943 al gennaio 1944. Quando Eisenhower ricevette dai capi di stato maggiore congiunti il permesso di trattenere temporaneamente le unità e i mezzi da sbarco da lui chiesti, l’idea di un’operazione anfibia divenne una cosa possibile. L’8 novembre egli impartì istruzioni ad Alexander, comandante delle forze di terra alleate, affinché le sue unità continuassero ad eserci44

tare la massima pressione possibile sui tedeschi e conquistassero Roma. Nella sua direttiva era implicita l’idea di un attacco anfibio. Alexander impartì le sue direttive quel giorno stesso. Egli voleva che l’8a armata britannica superasse il Sangro e avanzasse in direzione di Pescara per poi minacciare Roma da est. La 5a armata americana doveva risalire le valli del Liri e del Sacco, minacciando Roma da sud. Dopo aver raggiunto Frosinone, circa 80 km sotto Roma, la 5a armata americana doveva effettuare uno sbarco anfibio ad Anzio, circa 50 km a sud della Città Eterna. Circa 80 km separavano Mignano da Frosinone. Era chiaro che l’avanzata sarebbe stata lenta e difficile. Raggiungere Frosinone avrebbe significato sfondare sia la linea Bernhard sia la linea Gustav, e sferrare poi un lungo attacco su per la valle del Liri. Ma la conquista di Frosinone era una condizione pregiudiziale per lo sbarco anfibio ad Anzio: in caso contrario, infatti, la 5a armata americana si sarebbe venuta a trovare troppo lontana da Anzio per assicurare un ricongiungimento abbastanza rapido con le forze sbarcate. E se non fosse stato possibile garantire un rapido ricongiungimento, la testa di sbarco ad Anzio si sarebbe trovata isolata e in grave pericolo. Lo sfondamento delle linee Bernhard e Gustav e la conseguente avanzata fino a una zona abbastanza vicina ad Anzio furono gli obiettivi degli attacchi alleati sferrati nell’Italia meridionale durante i mesi di dicembre e di gennaio. Queste divennero le principali preoccupazioni del generale Clark, comandante della 5a armata americana. La via d’accesso a Roma In dicembre l’obiettivo immediato di Clark era quello di raggiungere la valle del Liri, la via d’accesso a Frosinone e a Roma. L’imbocco della valle si trovava 20 km più avanti, al di là della linea Bernhard, un alto ed intricato dedalo di 45

cime e di dorsali munito di possenti fortificazioni e che in quel momento i tedeschi difendevano con grande abilità. Per sfondare la linea Bernhard sarebbe stato necessario conquistare i Monti Camino-la Defensa-Maggiore (un gruppo di rilievi spogli che si elevavano a circa 1.000 metri sopra il livello del mare e attraversati solo da mulattiere e sentieri), Monte Lungo e Monte Sammucro, due cime ugualmente pericolose; e infine, avanzare di slancio su un terreno alquanto accidentato. Ma tutto non sarebbe finito lì: per entrare nella valle del Liri la 5a armata americana avrebbe dovuto sfondare la linea Gustav in prossimità di Cassino. Dopo una settimana di azioni preparatorie – con attacchi diversivi lungo la costa, bombardamenti da parte dell’incrociatore inglese Orion e di quattro cacciatorpediniere, e incursioni di cacciabombardieri (274 missioni il 1° dicembre, 612 il 2) – la 56a divisione inglese, che in novembre aveva combattuto un’estenuante battaglia per il Monte Camino, durante la notte del 2 dicembre si gettò in avanti in un ennesimo tentativo. Dopo aver fatto eccellenti progressi durante le ore di oscurità, le truppe attaccanti raggiunsero la cima della montagna prima che facesse giorno. Ma nel corso della mattinata il fuoco tedesco costrinse il battaglione di testa ad arretrare, e il combattimento proseguì con esito incerto fino al 6, quando infine gli inglesi occuparono definitivamente la cima più alta. Il II corpo d’armata americano iniziò l’attacco sui Monti la Defensa e Maggiore con un tiro di preparazione cui presero parte 925 pezzi d’artiglieria, tra i quali nuovi obici da 203 mm impiegati per la prima volta in un combattimento prolungato. Ai tedeschi, la preparazione di artiglieria seguita ai bombardamenti aerei apparve di una violenza senza precedenti. Benché le truppe si trovassero in gran parte al sicuro nei loro ricoveri in roccia, esse furono completamente isolate dal resto del mondo da questo bombardamento, e lasciate completamente a sé stesse; le piccole riserve tattiche ancora disponibili non potevano essere fatte affluire nella zona, e l’invio di rifornimenti dovette essere completamente sospeso. 46

Arrampicandosi per tutta la notte lungo gli insidiosi pendii del Monte la Defensa, disperdendo ed eliminando piccoli gruppi di tedeschi che tentavano di sbarrare loro la via, gli uomini del 1° corpo servizi speciali canadese e americano raggiunsero la cima prima dell’alba. Anche qui si sviluppò un combattimento incerto, nel quale ambedue le parti dovevano lottare non solo contro il nemico, ma anche contro le pessime condizioni atmosferiche, la limitata visibilità e difficilissimi problemi connessi ai rifornimenti e all’evacuazione dei feriti. Il vento tagliente, la nebbia fredda che sembrava penetrare fin nelle ossa, la pioggia incessante, la mancanza di ripari, la carenza di coperte, il cibo freddo, il terreno roccioso e il preciso tiro dei mortai tedeschi rendevano la vita insopportabile ai soldati canadesi e americani. “Tutti gli uomini sono esausti” riferì il comandante. “Sono necessari come minimo tre giorni di sosta prima di poter scendere dal monte”. Ma quando gli inglesi si impadronirono del Monte Camino, i tedeschi cominciarono a ritirarsi dal Monte la Defensa, e nel pomeriggio dell’8 dicembre la resistenza cessò. Intanto la fanteria della 36a divisione americana aveva risalito i pendii del Monte Maggiore e, benché in mezzo ad analoghe difficoltà, si era assicurata il controllo di quel vitale rilievo. Nel frattempo il VI corpo d’armata americano aveva continuato ad avanzare lentamente valicando montagne quasi insuperabili: suddivise in piccole unità, due divisioni americane si battevano per strappare al nemico, uno dopo l’altro, alture, rilievi e colline che non erano né decisivi né simbolici. La 34a e la 45a divisione americana avanzarono per poco più di 1,5 km in una settimana, e per ottenere un così scarso risultato quest’ultima subì 800 perdite. Essa fu costretta ad abbandonare la prima linea e fu sostituita dalla 2a divisione marocchina. Immediatamente al di là dei Monti Camino-la DefensaMaggiore si ergevano, bloccando la strada per Cassino, Monte Lungo e Monte Sammucro; sul versante meridionale di quest’ultimo si trovava il villaggio di San Pietro Infine. 47

1. Macchi-Castoldi MC-205 “Veltro” Derivato dal Macchi-202 e dotato di un motore in linea da 1.250 CV costruito dalla Fiat su licenza della Daimler-Benz, il MC-205 fu il miglior caccia italiano della seconda guerra mondiale. Entrò in linea soltanto alla fine della primavera del 1943, quando era ormai troppo tardi perché potesse influire sull’andamento delle operazioni aeree sui fronti dove erano impegnate forze italiane. Ne furono costruiti soltanto 262 esemplari che continuarono a operare anche dopo l’armistizio, sia al nord sia al sud. Velocità massima: 642 km/h; Autonomia: 985 km Tangenza pratica: 10.800 m Armamento: due cannoncini da 20 mm e due mitragliere da 7,7. (Esistevano anche versioni con due da 12,7 e due da 7,7, oppure con un cannoncino da 20 e quattro da 12,7).

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2. FIAT G-55 “Centauro” Questo caccia, progettato dall’ingegner Gabrielli, aveva lo stesso motore del Macchi-205 e come quello era dotato di caratteristiche brillanti, e lo superava nell’armamento. Prima dell’armistizio poté essere dato in dotazione soltanto a una squadriglia e non poté quindi fornire una misura esatta delle sue possibilità. Ne furono costruiti in tutto 105 esemplari, gran parte dei quali vennero impiegati dopo l’armistizio dai reparti da caccia dell’aviazione della RSI. Velocità massima: 620 km/h Autonomia: 1.650 km Quota tangenza: 13.000 m Armamento: tre cannoncini da 20 mm e due mitragliatrici da 12,7, oppure un cannoncino da 20 e quattro da 12,7, oppure cinque cannoncini da 20.

3. Reggiane RE-2002 “Ariete” Anche questo cacciabombardiere dotato di buone caratteristiche entrò in lizza troppo tardi e fece in tempo a intervenire con il 5° e il 50° stormo soltanto durante lo sbarco alleato in Sicilia, dove i due reparti subirono gravi perdite. Furono compiuti esperimenti per impiegarlo come aerosilurante e come aereo d’attacco imbarcato sulle portaerei in allestimento. Fu prodotto in una cinquantina di esemplari. (Dopo il 2002 le Reggiane costruirono anche il caccia Re2005 “Sagittario”, in grado di salire a 12.000 m e di raggiungere la velocità di 628 km/h). Velocità massima: 538 km/h Autonomia: 950 km Armamento: una bomba da 200 kg e due mitragliere da 12,7.

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4. Piaggio P-108 Fu l’unico quadrimotore impiegato dall’aviazione italiana durante la seconda guerra mondiale. Progettato dall’ingegner Casiraghi prima del conflitto, entrò in linea nel 1942 con la 274a squadriglia da bombardamento a grande raggio e operò su Gibilterra, Orano, Algeri e, infine, anche in Sicilia. Un esemplare fu dotato sperimentalmente di un cannone da 102 mm che però non fu mai impiegato in azione. Ne furono costruiti complessivamente 162 esemplari. Velocità massima: 420 km/h Autonomia: 3.520 km. Peso totale al decollo: 30 t Armamento: sette mitragliatrici da 12,7 mm, delle quali quattro telecomandate, oppure un cannone da 102 mm e 3.500 kg di bombe.

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A sinistra: la linea tedesca Bernhard a sud di Monte lungo: i tedeschi avevano liberato il campo di tiro abbattendo tutti gli alberi, mentre gli spezzoni dei tronchi e il terreno minato creavano imprevedibili ostacoli “goum” del corpo di spedizione francese. I soldati nordafricani, specializzati nei combattimenti sulle montagne, erano particolarmente idonei a operare nel preappennino campano e laziale. Sotto: uomini appartenenti a unità americane, impegnati nello sminamento di una strada nell’abitato di San Pietro Infine.

Agli americani ambedue i rilievi sembravano a portata di mano: Monte Lungo era dominato dal Monte Maggiore, mentre, almeno per il momento, il Sammucro non pareva tenuto dai tedeschi. Animato da grandi speranze e in formazione sparsa, il raggruppamento italiano attaccò Monte Lungo l’8 dicembre1. Accolti da un improvviso e intensissimo fuoco tedesco e nonostante episodi di grande eroismo individuale, entro tre ore gli italiani, ormai demoralizzati, furono decimati. Dei 1.700 uomini partiti all’attacco poco più di 700 tornarono alla base – ma molti, rimasti isolati dalle loro unità, rientrarono più tardi. (I dati finali relativi alle perdite subite dagli italiani in quell’azione furono: 84 morti, 122 feriti e 170 dispersi2). Le pattuglie americane spintesi in ricognizione verso San Pietro Infine non avevano suscitato reazioni di grande rilievo, ma quando venne lanciato un attacco su larga scala, le truppe americane si imbatterono in una ben più dura resistenza e subirono gravissime perdite. Il Monte Sammucro, contrariamente alle supposizioni, era fortemente presidiato dai tedeschi, specialmente in corrispondenza del villaggio. La decisione tedesca di difendere San Pietro Infine era stata presa in seguito a circostanze del tutto particolari. Lemelsen, comandante della 10a armata, era giunto alla conclusione che San Pietro Infine era indifendibile, e Kesselring si era dichiarato d’accordo. Ma prima di dare il suo consenso a una ritirata, Kesselring decise di consultare l’alto comando tedesco, in quanto non sapeva ancora “se il Führer avrebbe dato il suo consenso”. In attesa di istruzioni, egli disse a Lemelsen: “Vi permetterò di fare qualsiasi cosa della cui giustezza riusciate a convincermi”. 1 2

Il fatto d’arme sarà trattato in un successivo capitolo, unitamente agli altri avvenimenti relativi alle formazioni italiane inquadrate nelle grandi unità alleate. Questi dati contrastano però con quelli forniti ufficialmente dallo SM dell’esercito (v. cap. citato). 55

Poche ore dopo egli comunicò: “Il Führer ci ha dato mano libera per quanto riguarda San Pietro Infine”. Lemelsen ordinò allora al reggimento che presidiava l’abitato di ritirarsi. La manovra era appena iniziata quando dal comando di Kesselring giunse una telefonata nel corso della quale Lemelsen si sentì dire: “L’ordine che ci dava mano libera è stato annullato, a quanto pare per ragioni politiche”. Hitler si stava riservando il diritto di decidere in merito all’abbandono della zona di San Pietro Infine. Le truppe dovevano essere tenute su quella linea, anche se Kesselring definì quel compito “estremamente spiacevole”. Sulla qual cosa Lemelsen si disse perfettamente d’accordo. La difesa di San Pietro Infine da parte dei tedeschi provocò uno dei più aspri combattimenti svoltisi nell’Italia meridionale; si protrasse per 10 giorni e impegnò un’intera divisione di fanteria americana con l’appoggio diretto di una compagnia di carri armati. Il combattimento finì poi con il decidersi altrove, poiché americani e italiani, quando riuscirono ad aprirsi la via lungo i pendii di Monte Lungo e ad assicurarsene la sommità, minacciarono di isolare i tedeschi attestati a San Pietro Infine. A questo punto i tedeschi si ritirarono, lasciandosi alle spalle un villaggio completamente distrutto, non più abitabile, che non valeva più neppure la pena di ricostruire3. La mattina del 17 dicembre le truppe americane attraversarono, in un silenzio quasi soprannaturale, quel cumulo di rovine, muovendosi con cautela, in quanto coloro che avevano combattuto per il villaggio avevano subito più di 1.500 perdite. Arresto a Cassino L’abbandono di San Pietro Infine indusse i tedeschi che fronteggiavano il VI corpo d’armata americano a riorganizzare le loro difese, e la 45a divisione americana e la 2a marocchi3

In realtà il paese è stato ricostruito in altra posizione, verso valle. 56

na poterono improvvisamente spingersi avanti per circa 11 km prima di riprendere contatto con il nemico. La 45a divisione, ormai quasi completamente spossata, fu sostituita dalla 3a divisione algerina. Il corpo di spedizione francese di Juin assunse il comando di quella parte del fronte, lasciando libero in tal modo il comando del VI corpo d’armata americano di Lucas per l’operazione anfibia che avrebbe dovuto essere lanciata in gennaio. Con le unità del II corpo d’armata ormai esauste, le battaglie di dicembre si conclusero – se si eccettua un’audace operazione effettuata nella zona del X corpo d’armata. Un’unità di commando effettuò un’incursione via mare al di là della foce del Garigliano, mentre un contingente di Scots and Coldstream Guards attraversava improvvisamente e di slancio il fiume – si trattava dì un’incursione avente lo scopo di catturare prigionieri, ottenere informazioni e mantenere i tedeschi sul chi vive. L’operazione, effettuata nelle prime ore del 30 dicembre, ottenne, grazie all’elemento sorpresa, un completo successo: gli attaccanti si mossero liberamente lungo la riva opposta del Garigliano, fecero strage dei difensori e si ritirarono dopo aver catturato 20 prigionieri. Alla fine del 1943 i generali Eisenhower e Montgomery lasciarono lo scacchiere mediterraneo per recarsi in Gran Bretagna, dove dovevano presiedere ai preparativi per l’attacco oltre Manica previsto per la primavera. Fu nominato comandante in capo del Mediterraneo il feldmaresciallo sir H. Maitland Wilson, mentre il tenente generale sir Oliver Leese assumeva il comando dell’8a armata britannica. Poco dopo la fine dell’anno venne presa una decisione definitiva in merito all’esecuzione degli sbarchi ad Anzio – e poiché la data dell’operazione venne fissata al 22 gennaio, per la 5a armata americana s’impose ancora con maggiore urgenza la necessità di assicurarsi il controllo delle vie d’accesso alla valle del Liri. Quanto più vicino a Frosinone Clark fosse riuscito ad arrivare entro il giorno degli sbarchi, tanto più rapidamente avrebbe poi potuto ricongiungersi con le forze sbarcate. 57

La 5a armata americana era intanto praticamente penetrata attraverso la linea Bernhard. Mentre il II corpo d’armata americano procedeva faticosamente nelle operazioni avviate in dicembre (Keyes stava tentando di conquistare gli ultimi chilometri di terreno che dominavano la strada statale n. 6 a sud di Cassino), il X corpo d’armata britannico svolgeva un’intensa attività di pattugliamento lungo l’alto corso del Garigliano, alla ricerca del punto più adatto per l’attraversamento, e i francesi, a loro volta, effettuavano ricognizioni nel loro settore per permettere a Juin di individuare la migliore direttrice di avanzata sulle montagne prive di strade del suo settore operativo. Il 16 gennaio, quando Keyes conquistò il Monte Treccino, l’ultima altura prima del fiume Rapido, per Clark era giunto il momento di tentare di sfondare la linea Gustav e di raggiungere la valle del Liri. L’imboccatura della valle del Liri è sbarrata dalla quasi ininterrotta linea d’acqua formata dai fiumi Rapido, Gari e Garigliano. Appena al di là dei fiumi, Montecassino a nord e le alture intorno a Sant’Ambrogio sul Garigliano a sud costituiscono i bastioni che dominano l’accesso alla valle del Liri. Clark sperava che gli inglesi riuscissero ad attraversare il Garigliano e a conquistare il bastione meridionale, e che i francesi si impadronissero del bastione settentrionale. Se le cose si fossero svolte in questo modo, egli avrebbe inviato le sue truppe al di là del Rapido affinché aprissero un varco che consentisse al grosso delle forze destinate all’inseguimento di lanciarsi verso Frosinone e infine collegarsi con la testa di sbarco di Anzio. Egli intendeva conseguire tre scopi sulla linea Gustav: impegnare i tedeschi, impedendo loro di trasferire truppe ad Anzio; far convergere altre forze sulla linea Gustav, ed in particolar modo quelle dislocate nei pressi di Roma; infine, sfondare le difese e raggiungere la valle del Liri. Ma nessuno si faceva illusioni in merito alle difficoltà connesse ad un’operazione di questo genere. Da parecchi mesi, e con crescente preoccupazione, gli ufficiali del servizio informazioni osservavano l’attività che i tedeschi stavano svol58

gendo nell’area di Cassino. Essi consideravano i fiumi “un ostacolo notevole e una naturale linea di difesa”, e si aspettavano che tutti i ponti venissero demoliti e le valli allagate. Dai prigionieri di guerra, dai civili e dai piloti della ricognizione era giunta voce che i tedeschi stavano costituendo intorno a Cassino ingenti depositi di rifornimenti, mentre dai rapporti relativi ai movimenti delle autocolonne tedesche si poteva facilmente arguire che nella zona era in corso un concentramento di truppe su vasta scala. Da ogni fonte giungevano notizie sulle fortificazioni tedesche. Tutti si aspettavano una dura lotta. Ed avevano ragione.

MARTIN BLUMENSON È stato uno storico militare americano che ha prestato servizio come ufficiale storico presso la Terza e la Settima Armata durante la Seconda guerra mondiale. Tra le sue opere più note la biografia del generale George S. Patton, Patton: The Man behind the Legend, 1885-1945. 59

gennaio-febbraio 1944

BATTUTA D’ARRESTO A CASSINO Il punto di vista alleato Generale di brigata Anthony Farrar-Hockley

Nel gennaio 1944 i generali alleati davanti a Cassino erano risoluti a compiere il primo tentativo in forze per sfondare la linea Gustav, ricongiungersi alle divisioni che dovevano sbarcare più a nord, ad Anzio, e conquistare Roma. Ma tutti gli attacchi frontali attraverso il Rapido vennero respinti nel corso di accaniti combattimenti, e a metà febbraio gli anglo-americani furono costretti a riconoscere la loro temporanea sconfitta e a rinunciare al proseguimento della battaglia di Cassino.

Nel gennaio 1944 i comandanti alleati in Italia erano pronti a lanciare l’operazione “Shingle”, un’operazione anfibia che avrebbe dovuto aggirare la linea Gustav con uno sbarco ad Anzio, sulle coste laziali. Militarmente il loro obiettivo era di superare in questa maniera le profonde difese della linea invernale sulla quale i tedeschi erano attestati, riducendo le difficoltà di superarla, e soprattutto di sfondare la linea Gustav con un attacco frontale. Inoltre avevano bisogno del complesso dei campi d’aviazione situati nella zona di Roma per le forze aeree tattiche e da ricognizione. Politicamente, la conquista di Roma sarebbe stata la prova evidente del buon esito della campagna e avrebbe dimostrato ai sovietici che gli anglo-americani combattevano con tutto l’impegno contro i tedeschi, dimostrazione che a quanto risulta stava più a cuore a Churchill che a Roosevelt. Il compito essenziale delle armate alleate in Italia, considerato nei suoi effetti a lunga scadenza, era di attirare nella penisola il maggior numero possibile di forze tedesche, distogliendole sia dal fronte orientale sia, nell’imminenza dell’operazione “Overlord”, dalla Francia. Perciò un’offensiva anfibia avrebbe assunto molta importanza se fosse riuscita a costituire una seria minaccia per il nemico durante i mesi invernali. Malauguratamente i mezzi da sbarco sarebbero potuti rimanere a disposizione nel settore del Mediterraneo soltanto fino al 22 gennaio, perché dopo quella data la maggior parte sarebbe stata impiegata per l’operazione “Overlord”. Nel novembre 1943 gli alleati avevano nutrito buone speranze che la 5a armata americana superasse la linea Gustav entro la fine dell’anno, ma le solide difese della linea Bernhard e il maltempo avevano ritardato l’avanzata al di là del Volturno. I tentativi di trattenere i mezzi da sbarco nel Mediterraneo sino alla fine di gennaio fallirono, sicché il 22 il grosso delle unità combattenti della 5a armata statunitense dovette necessariamente attaccare la linea Gustav, sia per attirare su di sé le riserve tedesche presenti nel settore di Roma, sia 62

per consentire l’immediato congiungimento delle forze di terra con quelle anfibie. Per buona sorte, il poco tempo disponibile per i preparativi al centro non fu avvertito sui fianchi. Le truppe coloniali francesi all’attacco Nella parte settentrionale del settore della 5a armata statunitense il corpo di spedizione francese del generale Juin aveva preso posizione nella zona più montuosa del fronte operativo. Le sue due divisioni, la 2a marocchina e la 3a algerina, erano composte in prevalenza da truppe esperte nei combattimenti in montagna, e inoltre erano fresche e ansiose di conquistarsi una fetta di gloria. Nel settore meridionale il X corpo d’armata britannico del generale McCreery aveva avuto più di un mese di tempo per riposare e riconoscere i punti di attraversamento del Garigliano. Una terza divisione, la 5a, stava per unirsi alle altre due – la 46a e la 56a – e le formazioni corazzate del corpo d’armata avevano avuto la possibilità di concentrarsi e di provvedere alla revisione e alla riparazione dei veicoli. Quindi i due corpi d’armata schierati sui fianchi si trovavano in una situazione abbastanza favorevole per sferrare un attacco immediato contro la linea Gustav. Era notizia recente che i francesi avevano già ripreso spontaneamente l’avanzata; poco dopo essersi assestati nel loro settore, avevano sopraffatto le posizioni tedesche e conquistato buona parte del Monte Santa Croce, un monte a forma di “T”. La vittoria locale dei francesi non sarebbe potuta giungere più opportuna. Il piano del generale Clark era di attaccare quanto prima possibile su entrambi i fianchi, facendo convergere simultaneamente verso l’interno il X corpo britannico e le unità francesi: McCreery in direzione nord-ovest, attraverso i monti Aurunci verso la valle del Liri, Juin in direzione ovest verso Atina, lungo la strada secondaria per Roma. Il II corpo d’armata americano del 63

generale Keyes, schierato al centro, ebbe l’ordine di attraversare il Rapido e di gettarvi un ponte, in maniera da consentire alla 1a divisione corazzata statunitense di portarsi sull’altra sponda. La 46a divisione del X corpo d’armata britannico doveva attraversare il Garigliano all’altezza di Sant’Ambrogio per coprire il fianco sinistro del II corpo d’armata americano durante l’attraversamento e consentirgli di congiungersi con il X corpo d’armata britannico. La conquista di Cassino e delle alture immediatamente sovrastanti il fianco destro sarebbe stata affidata alle sole forze del generale Keyes, che avrebbero agito in stretta cooperazione con le divisioni di Juin. Ottimismo al comando della 5a armata Due fattori, l’abbandono del Monte Trocchio, dal quale i tedeschi si ritirarono il 14 gennaio, e l’avanzata iniziale dei francesi, contribuirono a rafforzare in una certa misura l’ottimismo che regnava al comando della 5a armata. Il 16 gennaio il personale addetto al servizio informazioni riferì che i tedeschi manifestavano segni di cedimento, dovuti alle perdite, alla stanchezza e probabilmente alla demoralizzazione. Vi è motivo di dubitare che il nemico riesca a mantenere saldamente la linea difensiva di Cassino, resistendo a un attacco ben coordinato. Dato che questo attacco precederà l’operazione “Shingle” [l’operazione anfibia ad Anzio] è molto probabile che questa seconda minaccia, una volta che il nemico si sarà reso conto delle proporzioni della nostra operazione, lo induca a ritirarsi dalle posizioni sulle quali è attestato.

Questo giudizio ottimistico nasceva più dalle speranze e dalle impressioni locali che da quanto si era potuto apprendere dalle dichiarazioni dei prigionieri e dalle fotografie aeree e peccava di due errori di valutazione, poiché non teneva conto delle fortissime difese naturali della posizione di Cassino e dell’abilità dei tedeschi nello sfruttare a proprio 64

favore i vantaggi del terreno. Tuttavia, almeno per qualche giorno, gli avvenimenti parvero dare ragione agli ottimisti. Il X corpo d’armata britannico, senza perdere tempo, aveva predisposto accuratamente l’attraversamento del fiume, effettuando minuziose ricognizioni per esaminare gli approcci e le alte sponde. Il grosso del lavoro era toccato ai genieri inglesi, i quali avevano dovuto bonificare le rive dalle mine, stabilire i punti più favorevoli per l’attraversamento e preparare imbarcazioni e materiale per gettare i ponti mobili. I preliminari dell’operazione si svolsero in tutta segretezza: gli oliveti della zona servirono a celare l’ammassamento dei materiali e delle munizioni che venivano portate sul posto durante la notte e la 5a divisione britannica, arrivata da poco dal settore adriatico, fu fatta entrare in linea soltanto il 15 gennaio. La sera del 17 l’artiglieria del X corpo d’armata britannico aprì il fuoco contro la riva opposta, mentre le navi che si trovavano alla fonda al largo del golfo di Gaeta bombardavano le vie attraverso cui le divisioni tedesche ricevevano i rifornimenti dalle retrovie. I cannoni e i mortai del nemico cominciarono a rispondere. Ma il bombardamento e il tiro di controbatteria non si equilibravano. Nel settore settentrionale la 46a divisione britannica attraversò il fiume un po’ più a monte delle rimanenti formazioni del corpo d’armata; mentre eseguiva questa mossa per assicurarsi il settore di Sant’Ambrogio sul Garigliano e la confluenza dei tre fiumi (Liri, Garigliano e Gari), fu appoggiata da una parte dell’artiglieria del II corpo d’armata americano; tuttavia il terreno accidentato a ovest del Garigliano impediva la vista di gran parte degli obiettivi. I tedeschi, al contrario, possedevano tutta una serie di ottimi posti di osservazione che dominavano le due rive del fiume. Due brigate della 56a divisione britannica attaccarono al centro del fronte tenuto dal X corpo d’armata, appoggiate durante l’attraversamento dalla sua artiglieria. Per un certo tempo i cannoni di medio calibro degli inglesi ridussero 65

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Elementi del 141° reggimento di fanteria americano fanno fuoco con un mortaio da 81 mm contro le posizioni tedesche nei pressi del Rapido. Alcune unità del li corpo d’armata americano effettuarono l’attraversamento del fiume nella notte del 26 gennaio 1944, dopo sei giorni di disperati tentativi.

al silenzio parecchie postazioni di batterie tedesche; ma a un tratto numerosi mortai nemici schierati a Castelluccio, che fino a quel momento non erano intervenuti e quindi non erano stati localizzati, cominciarono a rovesciare una pioggia di bombe su entrambe le rive nel punto in cui il fiume, incassato fra le colline, sbocca in un’ampia valle; questa prima reazione fu seguita subito da altri mortai tedeschi postati più a valle. La 5a divisione britannica attaccò silenziosamente attraverso lo stretto estuario con una breve manovra aggirante dal mare, eseguita con mezzi da sbarco oltre la foce del Garigliano. Non appena si fece buio, i primi reparti del X corpo d’armata occuparono i punti prescelti sulla riva del fiume, approntando le imbarcazioni e calandole in acqua per le colonne di soldati che sbucavano dagli oliveti, senza far rumore. Cominciò a scendere la nebbia, dapprima sul mare e poi sulle rive del fiume. La 46a divisione tentò il traghettamento nei pressi di Sant’Ambrogio sul Garigliano, ma il tentativo fallì: le imbarcazioni furono spinte più a ovest dal tiro nemico e dalla corrente, in quel punto molto forte, e si dispersero a causa dell’oscurità e della nebbia. Le cose andarono meglio per la 5a e la 56a divisione, nonostante la scarsità di reparti del genio – inconveniente che si verificava regolarmente quando si trattava di attraversare un fiume – richiesti con urgenza da ogni parte per sgomberare le rive dagli ostacoli e per allestire ponti e traghetti. Per di più alcune compagnie registrarono un numero rilevante di morti e feriti e per un certo tempo perdettero il contatto con un numeroso gruppo che era sbarcato, secondo le previsioni, poco lontano, nel golfo di Gaeta. La riva tenuta dai tedeschi e gli sbocchi erano ovunque minati; per fortuna alcuni battaglioni di fanteria erano accorsi in rinforzo dei genieri e riuscirono ad aprirsi la strada. All’alba del 18 tutte le unità della 5a e della 56a divisione avevano stabilito teste di ponte e due brigate erano già avanzate di un chilometro e mezzo al di là del fiume e avevano occupato 69

Sopra: bombardamento effettuato il 7 febbraio 1944 dall’artiglieria a lunga gittata della 34a divisione americana contro le alture sovrastanti l’abitato di Cassino. I ripetuti tentativi americani di ricacciare i tedeschi da Cassino risultarono vani e il 12 febbraio i soldati statunitensi, decimati ed esausti, furono sostituiti dalla 4a divisione indiana. Sotto: l’abate e i monaci di Montecassino vengono evacuati dalle autorità militari tedesche in seguito al massiccio bombardamento aereo alleato del 15 febbraio 1944.

le prime pendici montuose, dopo avere ricacciato alcune compagnie della 94a divisione tedesca. Nonostante il tiro di preparazione, la 94a divisione tedesca venne colta di sorpresa e richiese l’invio immediato di rinforzi, lanciando, nell’attesa, contrattacchi che in genere non la portarono alla riconquista delle posizioni perdute, ma furono abbastanza violenti da ritardare il consolidamento delle teste di ponte stabilite dal X corpo d’armata. Tuttavia la minaccia britannica fu tale da impensierire il generale von Vietinghoff, il quale rimandò la partenza per la Francia della Panzerdivision Hermann Göring e trasferì la 90a divisione Panzergrenadier, che si trovava nel settore adriatico sugli Aurunci. Inoltre spostò qui, da Roma, la 29a divisione Panzergrenadier, fiducioso che queste tre grandi unità avrebbero resistito all’attacco del X corpo d’armata britannico e avrebbero tenuto la linea sui monti, rendendo superfluo il rafforzamento della linea a nord di Cassino e quello della linea del Rapido a sud. Nel frattempo il II corpo d’armata americano era stato attivamente impegnato nel lavoro di bonifica dei campi minati lungo i sentieri che conducevano al fiume e aveva portato più avanti, verso la riva, le imbarcazioni, il materiale per i ponti e le munizioni, limitando i propri movimenti lungo il Rapido o nelle sue immediate vicinanze esclusivamente alle ore notturne, perché chi si muoveva durante il giorno era esposto al tiro persistente delle artiglierie e dei mortai. I pochi che rimanevano nella zona dopo l’alba, per sorvegliare i punti di attraversamento, trovavano un riparo occasionale in case o stalle abbandonate. A volte le cannonate tedesche minacciavano di sfondare il tetto e di far rovinare il piano superiore sopra la loro testa. I muri esterni erano crivellati dal tiro delle mitragliatrici postate sulla riva opposta, che nei pressi del villaggio di Sant’Angelo in Theodice si ergeva per 12 metri e costituiva una posizione dominante. La notte del 20 la bonifica dei campi minati era ancora lontana dall’essere terminata e molti dei segnali indicatori piantati dal genio 71

erano stati asportati o distrutti dall’ininterrotto fuoco dell’artiglieria nemica. Quella notte fu occupata la riva sinistra, senza troppe difficoltà, ma nel giro di poche ore, quando si trattò di calare in acqua le imbarcazioni e tentare l’attraversamento, la situazione cambiò, trasformandosi in un incubo. Nell’avvicinarsi alla riva, uomini e veicoli si smarrirono per l’assenza dei segnali indicatori e molti finirono sui campi minati e saltarono in aria. I tedeschi, intuendo che si preparava un attacco – o forse avvertiti dalle piccole pattuglie che la notte riuscivano a insinuarsi tra le linee alleate passando il fiume – iniziarono ben presto il tiro di sbarramento su tutte e due le rive, mentre le mitragliatrici sparavano d’infilata sull’acqua, a monte e a valle. L’ordine di attraversare il fiume era stato impartito alla 36a divisione americana Texas. C’è da stupire che i due reggimenti impegnati nel primo attacco, composti ciascuno di tre battaglioni, persistessero nell’impresa, date le condizioni in cui si svolgeva. Coloro che riuscivano ad arrivare ai punti stabiliti per l’imbarco senza smarrirsi venivano caricati sulle imbarcazioni, un quarto delle quali era stato crivellato durante il giorno da schegge di granata – quindi calati in acqua. Poi scomparivano nella nebbia che si stava addensando e attraverso la quale si udiva lo sciabordio dell’acqua e il crepitare rapido delle mitragliatrici tedesche MG-42, che sparavano d’infilata. Molte imbarcazioni affondavano prima di essere arrivate a metà percorso, ma ogni tanto una o due raggiungevano la sponda opposta e gli occupanti vi si arrampicavano faticosamente. Fu una notte infernale, quella, per i texani. Gli americani sconfitti sul Rapido La mattina successiva, quando la nebbia si diradò, il generale Keyes e il comandante della divisione, generale Fred L. Walker, poterono rendersi conto della triste real72

tà. A sud di Sant’Angelo in Theodice il I battaglione del 143° reggimento di fanteria era riuscito a far attraversare il fiume a tre plotoni, i quali tenevano la riva mentre alcune compagnie del genio di corpo d’armata si affannavano a costruire due passerelle per operare il congiungimento. Quando le ebbero gettate, anche il resto del battaglione passò sull’altra sponda. Ma in capo a pochi minuti i tedeschi contrattaccarono violentemente, mentre una intensa pioggia di granate si abbatteva sulle passerelle, sulla riva sinistra e sul punto di ancoraggio, su quella destra. Quando i sopravvissuti della prima ondata ricevettero l’ordine di ripiegare, scoprirono che una delle passerelle era stata distrutta e l’altra così gravemente danneggiata che non avrebbe potuto reggere il loro peso. Il III battaglione non era riuscito a conquistare neppure una posizione stabile sulla riva tenuta dai tedeschi. A nord di Sant’Angelo in Theodice due compagnie del 141° reggimento di fanteria avevano stabilito una piccola testa di ponte, ma fu impossibile farvi pervenire la terza, perché tutte le loro radio portatili erano state colpite durante il combattimento e quindi non poterono né chiedere l’appoggio dell’artiglieria né sapere quali erano i piani per il rinvio di rinforzi il giorno successivo. Il convoglio che trasportava le truppe che dovevano effettuare lo sbarco anfibio, intanto, stava dirigendo alla volta di Anzio e il generale Clark disse perciò al generale Keyes che era assolutamente necessario ripetere l’attacco. Il 21, a mezzogiorno, il generale Walker ricevette l’ordine di far attestare quanto prima possibile il 143° reggimento di fanteria sulla riva opposta e di mandare rinforzi alle compagnie del 141°. Dopo la guerra alcuni hanno criticato il comando del corpo d’armata e quello di divisione, accusandoli di aver diretto la battaglia con eccessiva rigidità, dato che nessuno dei comandanti e dei loro stati maggiori aveva mai conosciuto in precedenza la zona dei combattimenti. Le critiche non sono del tutto prive di fondamento, ma non si possono neppu73

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Un aereo americano sorvola Cassino nel corso di uno dei numerosi bombardamenti che nel febbraio del 1944 ridussero la cittadina a un ammasso di rovine. Il possesso delle alture intorno a Montecassino era di vitale importanza per gli alleati, in quanto avrebbe assicurato loro il controllo della via Casilina, l’unica rotabile attraverso la quale i tedeschi potevano far giungere rifornimenti alle forze schierate sul fronte di Cassino.

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Un soldato appartenente alla 2a divisione marocchina presidia un posto avanzato nella zona di Cerasuolo, a nord-est di Cassino. Vicino a lui, un soldato tedesco ucciso nei precedenti scontri. Esperti di combattimenti in montagna, i soldati marocchini e algerini, inquadrati nel corpo di spedizione francese del generale Juin, riuscirono, con rapide e abili azioni, a strappare importanti posizioni alle forze tedesche sui fronte di Cassino.

re accettare come indiscutibili. Una ricognizione del luogo avrebbe dimostrato che non esisteva un solo tratto, su tutta la riva tenuta dagli americani, che non fosse spazzato dal tiro di almeno tre pezzi di artiglieria tedeschi. Si avevano scarse informazioni sulle difese nemiche perché era mancato il tempo necessario per raccoglierle e la scelta di un numero relativamente ridotto di varchi nei campi minati era stata imposta dallo stesso motivo: la mancanza di tempo per realizzarli. Una volta attraversato il fiume, i comandanti di reggimento e di battaglione avrebbero avuto una maggiore libertà d’azione; però il problema era quello di riuscire ad attraversarlo. Il 143° reggimento, che sferrò un secondo attacco alle 16.00 del 21, fu appoggiato da un’azione di preparazione d’artiglieria eccezionalmente intensa, che venne ripetuta tre volte e che consentì a un totale di cinque compagnie di stabilire, nell’oscurità, una testa di ponte poco profonda. Ma la stessa oscurità impedì l’ulteriore appoggio ravvicinato delle artiglierie più potenti, come ad esempio il Long Tom, il cannone da 155 mm e, in mancanza di questo, la testa di ponte non tardò a dover sopportare una forte pressione nemica, perché i tedeschi avevano rinforzato il settore con quattro battaglioni della riserva del corpo d’armata. Prima dell’alba del 22 la testa di ponte aveva cessato di esistere. Questo significava che elementi di sei compagnie fucilieri del 141° reggimento di fanteria erano rimasti sulla riva occidentale, e nelle retrovie si affrettarono a rappresentarli sulle carte topografiche con segni convenzionali. Ma un ideogramma sulla carta non corrisponde sempre nella realtà a una compagnia con organici al completo, e infatti il pomeriggio del 22 nessuna delle sei disponeva di effettivi superiori a quelli di un plotone. La notte precedente e durante qualche ora del mattino successivo era stato possibile ristabilire il collegamento radio e perfino, per breve tempo, una linea telefonica; ma nel pomeriggio avevano cessato nuovamente di funzionare. Sulla riva sinistra si stavano effettuando preparativi per trasportare 79

Fronte di Cassino, febbraio 1944. A sinistra: cannone semovente italiano, impiegato dalle forze tedesche, esce da una chiesa distrutta per effettuare un’azione di fuoco. I Panzergrenadier, che tenevano il settore centrale e meridionale del fronte, sfruttarono gli edifici come altrettanti rifugi, dai quali i carri

dall’altra parte del fiume un reggimento di riserva – il 142° – e uno degli ultimi messaggi trasmessi al 141° reggimento fanteria comunicava l’ordine di non cedere terreno in attesa della sostituzione. Passò mezzogiorno e poi passò il pomeriggio. Verso il crepuscolo, sulla riva sinistra si cominciò a notare che il tiro di sbarramento nella testa di ponte stava diminuendo d’intensità. Non vi era ancora alcun segno del reggimento della riserva e dopo che fu scesa l’oscurità non si udì più alcun rumore di spari, eccettuato quello delle mitragliatrici tedesche che avevano ripreso a 80

e i semoventi agivano indisturbati contro le posizioni alleate. A destra Goum nordafricani, appartenenti al corpo di spedizione francese, si avviano in linea nel settore montuoso a nord-est di Cassino.

sparare d’infilata sul fiume, a monte e a valle. Finalmente 40 uomini del 141° reggimento di fanteria ricomparvero sulla riva tenuta dagli alleati, a gruppetti di due o tre per volta. Il tentativo di attraversare il Rapido venne abbandonato, lasciando come unico ricordo i crateri ancora fumanti aperti dalle granate su tutt’e due le rive e cadaveri e macerie impigliati qua e là fra gli alberi e i cespugli ai bordi dell’acqua. Nel settore meridionale la 46a divisione britannica era stata trasferita più a valle dal punto del suo fallito tentativo 81

di attraversamento nei pressi di Sant’Ambrogio sul Garigliano, per effettuare il congiungimento con le altre due divisioni del X corpo d’armata. Sull’ala sinistra la 5a divisione aveva raggiunto l’imbocco della valle dell’Ausente. La 56a, che stava combattendo sulla destra nel tentativo di conquistare Castelforte, aveva bisogno di aiuto. Le tre divisioni tedesche di rinforzo erano arrivate e si erano unite alla 94a e tutta la linea tedesca che fronteggiava il X corpo d’armata britannico passò al contrattacco, favorita dal cielo coperto che impediva, purtroppo, l’attività aerea alleata, particolarmente nel settore tenuto dalla 94a divisione. Le navi alleate che appoggiavano l’operazione non erano più in grado di sostituire il mancato intervento dell’aviazione perché erano state spostate a nord, verso la zona di sbarco di Anzio. Ma nel momento in cui la testa di sbarco alleata aveva cominciato ad ampliarsi, anche una parte dei rinforzi tedeschi era stata ritirata più a nord. Il X corpo d’armata britannico contenne quasi tutti i contrattacchi e, quando il numero dei tedeschi diminuì, passò nuovamente all’offensiva. Una trentina di chilometri più a nord, il Monte Santa Croce era stato teatro di un insuccesso francese: con un attacco notturno i tedeschi avevano costretto gli uomini del generale Juin a ritirarsi sull’altro versante. Tuttavia il giorno seguente le truppe coloniali francesi rioccuparono tutte le posizioni perdute e si spinsero più avanti, verso un’altura di quota minore. Da qui il generale Juin avrebbe avuto la possibilità di avanzare direttamente su Atina, ma lo scacco subito dalla 36a divisione americana lungo il Rapido ebbe come effetto un’inevitabile modifica dei suoi ordini. La 34a divisione del generale Keyes, schierata sulla destra, ebbe l’ordine di attraversare il Rapido a nord di Cassino, di valicare le alture e di aggirare la cittadina alle spalle, mediante una conversione a sud, per scendere quindi lungo la strada statale numero 6 (la Casilina); nel frattempo, un reggimento avrebbe dovuto occupare Cassino, allo scopo di aprire alle formazioni corazzate quel tratto della Casilina che correva ai piedi della montagna. Le due divisioni del 82

generale Juin dovevano compiere una conversione a sudovest, per agire di conserva con la 34a divisione americana e scendere, parallelamente a questa, verso la strada statale n. 6, sulla quale avevano l’ordine di attestarsi saldamente, sotto il villaggio di Piedimonte San Germano. La cosa straordinaria è che l’operazione, nonostante le formidabili difese da superare, per poco non si concluse con un successo. Il Rapido non era un ostacolo facile da superare a nord di Cassino, benché il suo letto fosse poco profondo. I tedeschi avevano demolito l’argine di protezione sotto Sant’Elia Fiumerapido, provocando l’allagamento della valle, dove la profondità dell’acqua variava, secondo i punti, da 45 a 120 centimetri. Sotto la superficie dell’acqua, i fossi di drenaggio si erano trasformati in veri e propri trabocchetti, nei quali gli uomini correvano continuamente il rischio di cadere e perfino, se l’equipaggiamento era pesante, di annegare. Il fondo dei sentieri che attraversavano la valle allagata era cedevole e anche nei punti in cui era coperto da soli 30 centimetri d’acqua, non reggeva a un peso superiore a quello di una jeep senza sprofondare. Ma la fascia allagata e il letto del fiume erano soltanto i primi ostacoli che gli attaccanti dovettero superare. Più avanti si trovavano i campi minati e gli sbarramenti di filo spinato ed infine i ripidi versanti dei monti. Nei punti d’avvicinamento e lungo i pendii delle montagne, i tedeschi avevano scavato gallerie ed eretto ostacoli in cemento armato e acciaio, avevano posato mine, teso filo spinato e disseminato il terreno di trappole esplosive. La 34a divisione americana sferrò l’attacco la sera del 24 gennaio e quasi subito uno dei suoi battaglioni finì sopra un campo minato. Altri quattro, sguazzando e scivolando sul terreno allagato, raggiunsero il fiume, dove per un paio di giorni tentarono ripetutamente di stabilire una testa di ponte. Alla mezzanotte del 26 un plotone del 133° reggimento di fanteria riuscì a mettere piede sulla riva opposta, di fronte alle ex caserme italiane, e questo piccolo, primo successo segnò per la 34a divisione l’inizio di una lenta e faticosa avanzata. 83



Alla metà di gennaio del 1944 le forze della 5a armata americana tentarono di sfondare la linea Gustav, mentre il VI corpo d’armata americano del generale Lucas si preparava ad aggirarla con uno sbarco anfibio ad Anzio. L’obiettivo dei comandanti alleati, considerato nei suoi effetti a lunga scadenza, era di attirare nella penisola il maggior numero possibile di forze tedesche, distogliendole sia dal fronte orientale sia, nell’imminenza dell’operazione “Overlord”, dalla Francia. L’obiettivo immediato era invece quello di allontanare le divisioni tedesche da Roma. Secondo il concetto operativo del generale Mark Clark, il X corpo d’armata britannico al comando del generale McCreery e il corpo di spedizione francese del generale Juin, dopo avere sviluppato un attacco contro le difese tedesche sui fianchi, avrebbero dovuto convergere simultaneamente verso l’interno: McCreery in direzione nord-ovest, attraverso i monti Aurunci verso la valle del Liri; Juin in direzione ovest verso Atina, lungo la strada secondaria per Roma. Contemporaneamente, il II corpo d’armata americano del generale Keyes, schierato al centro, ricevette l’ordine di attraversare il Rapido e di gettarvi un ponte, in modo da consentire alla 1a divisione corazzata americana di portarsi sull’altra sponda. Alle fulminee azioni sui fianchi fece contrasto l’insuccesso degli americani al centro. Qui, dopo che i reggimenti 141’’ e 143’’ fallirono nel tentativo di attraversare il Rapido, la 34 divisione americana riuscì, il 26 gennaio, a guadagnarne la riva destra. Ma questa divisione si trovò allora impegnata, a fianco dei francesi, in accaniti combattimenti sulle alture intorno a Cassino, dove i tedeschi, in possesso di ottime posizioni difensive, riuscirono ad arrestare l’avanzata alleata.

Fronte di Cassino, febbraio 1944. Prigionieri tedeschi, catturati dai britannici, si riparano da un bombardamento sferrato dalle forze germaniche. Il 4 febbraio, dopo la conquista di Colle Sant’Angelo e di Quota 593, gli americani si

Americani e francesi continuano a battersi Dietro la fanteria, i genieri avevano posato le grelle (elementi di lamiera d’acciaio perforata uniti ad incastro), per consentire il passaggio del DCCLVI battaglione corazzato attraverso la valle allagata. Vi erano passati sopra sei carri armati, ma due erano scivolati finendo vicino al letto del fiume e più tardi, quando era spuntato il giorno, erano stati 86

trovarono a meno di 900 metri dall’abbazia. Ma un improvviso contrattacco tedesco li respinse proprio nel momento in cui stavano per cogliere il successo, e i loro ripetuti attacchi per riprendere le posizioni perdute risultarono vani.

messi fuori combattimento tutti e sei dai cannoni controcarro tedeschi, postati vicino alle caserme. Il 27 gennaio il 168° reggimento fanteria, che si trovava più a nord, a monte del 133° reggimento, mandò all’attacco due battaglioni ai quali si unirono, nel corso della mattinata, quattro carri armati. Però gli altri, che avanzavano dietro di loro, bloccarono questa seconda strada e i tedeschi contrattaccarono, distruggendo l’uno dopo l’altro i carri armati di testa e re87

spingendo uno dei battaglioni di fanteria fin sull’argine del fiume. Dopo che il comandante del battaglione ebbe riorganizzato le sue forze, l’avanzata riprese. Il 29 gennaio altre due strade erano state aperte per i mezzi corazzati e tutte e tre le compagnie del DCCLVI battaglione stavano operando ai piedi delle montagne. Il 135° reggimento fanteria era arrivato nei pressi di Cassino, rinforzato da un altro battaglione, e aveva occupato le caserme e le collinette immediatamente retrostanti. Restavano da conquistare le alture. Il generale Juin aveva effettuato un’altra rapida avanzata: il 25 aveva attraversato la strada per Atina e conquistato il Colle Belvedere; il 26 si era impadronito del Colle Abate. Ma per affrettare l’avanzata aveva aggirato il Monte Cifalco, un’altura massiccia una parte della quale dominava adesso le spalle della nuova posizione sul Colle Abate dove i tedeschi lo attaccarono il 27, costringendo gli algerini a battere in ritirata, ma senza riuscire a ricacciarli dal Colle Belvedere. Il generale Keyes, comprendendo la difficoltà della situazione, aveva distaccato il 142° reggimento fanteria, che non aveva preso parte all’azione sul Rapido con la 36a divisione americana, affinché si unisse alla 34a, e l’arrivo in prima linea dei tre battaglioni, che si attestarono fra il 168° reggimento di fanteria e l’ala sinistra del corpo di spedizione francese, fu quanto mai tempestivo, perché rese possibile la ripresa dell’avanzata. Il 142° reggimento, nonostante la stanchezza degli uomini dopo una marcia forzata attraverso Sant’Elia Fiumerapido, ebbe l’ordine di occupare la fattoria Manna, mentre gli algerini ricominciavano ad arrampicarsi lungo il versante del Colle Abate, con la loro bizzarra andatura dondolante. Il 135° reggimento conquistò la Quota 771 e il Colle Maiola, mentre il 168° reggimento fanteria avanzava dal villaggio di Caira. La conquista di queste varie alture – villaggi, punti trigonometrici e montagne – portò gli americani e i francesi sul gruppo di cui faceva parte Montecassino. Il Monte 88

Cairo, situato a ovest, a una distanza di poco superiore a 3 chilometri in linea d’aria, con i suoi 1760 metri dominava tutte queste alture, la cui altezza era molto inferiore e variava dai 450 ai 900 metri. Il 2 e il 3 febbraio il 135° e il 168° reggimento andarono all’attacco su un terreno completamente roccioso, da un’altura all’altra, sotto la pioggia e in mezzo alla nebbia, l’uno spingendosi a sud, verso l’abbazia, l’altro in direzione di Colle Sant’Angelo. Sotto di loro il 133° reggimento conquistò un’altra strada a nord di Cassino, appoggiato dal tiro dell’artiglieria della 1a divisione corazzata americana, che attendeva impaziente il momento di irrompere lungo la strada statale n. 6. Il 4 febbraio il 135° reggimento conquistò Quota 593, il punto più alto di quella che gli americani avevano battezzato “Snake’s Head Ridge” (“cima a testa di serpente”) e Quota 445. La distanza che li separava dall’abbazia era inferiore ai 900 metri e il 168° reggimento, che si trovava sul suo fianco destro, prese Colle Sant’Angelo, dal quale si poteva vedere, in basso, la strada statale n. 6. A questo punto i tedeschi sferrarono il contrattacco. Il fuoco dei cannoni e dei mortai si riversò sugli americani nel momento in cui stavano per cogliere il successo, mentre si trovavano fra pareti rocciose in cui era impossibile scavare trincee. I due battaglioni ripiegarono sulla destra, abbandonando Colle Sant’Angelo e Quota 593. Rifiutarono però di darsi per vinti. Il 5 tentarono nuovamente di riconquistare l’altura del monastero, con attacchi diurni e notturni, e un plotone riuscì ad arrivare fino al margine, dove catturò 14 prigionieri che si trascinò dietro fino a Quota 445. Il 6 ritentarono la conquista di Quota 593, ma si dovettero accontentare di fare alcuni prigionieri, pagando l’impresa a prezzo di considerevoli perdite. Dai tedeschi catturati, i quali appartenevano a unità arrivate di recente su questo fronte, gli americani appresero che con loro era arrivato di rinforzo anche il 3° reggimento paracadutisti, trasferito dal settore adriatico.

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Il generale Keyes chiese alla 34a divisione un ultimo sforzo per la conquista di Cassino e del monte omonimo sul quale sorgeva l’abbazia. Dietro la valle del Rapido – così dissero ai reggimenti attaccanti – vi erano i neozelandesi e la 4a divisione indiana, pronti a intervenire per consolidare la loro vittoria. L’11 febbraio i battaglioni uscirono ancora una volta dai ripari offerti dai massi rocciosi sparsi e avanzarono sotto la pioggia dirotta. Ma il nemico che stavano affrontando era più numeroso di loro. Dopo che ebbero percorso 270 metri, il fuoco dell’artiglieria tedesca li fermò. E questa fu la fine dell’offensiva. Il giorno successivo la 4a divisione indiana avanzò per dare il cambio alla 34a americana. Mentre gli indiani si avvicinavano ai piedi delle alture, udirono le esplosioni di un violento tiro di artiglieri: erano i tedeschi che stavano attaccando. Ben presto le granate cominciarono a colpire anche l’unità indiana che attendeva in basso. All’alba del 13, allorché si disponeva ad avanzare, arrivò un contrordine: impossibile effettuare il cambio nelle ore di luce. La brigata di testa cominciò ad arrampicarsi soltanto nel tardo pomeriggio. Quando gli uomini arrivarono in cima trovarono il terreno disseminato di morti e di feriti. Gli americani sopravvissuti erano acquattati, esausti, negli avvallamenti del terreno o dietro bassi muriccioli eretti qua e là per difesa. Molti erano letteralmente paralizzati, intorpiditi dal freddo e sfiniti dall’intensità dei combattimenti al punto da essere incapaci di camminare. Li dovettero trasportare a braccia. I portaferiti inglesi e indiani si prodigarono nell’assistenza ai loro alleati, trasportando a valle i feriti, molti dei quali giacevano allo scoperto, da due giorni, ossia da quando avevano lanciato l’ultimo attacco, non perché gli americani li avessero trascurati per pigrizia o per insensibilità, ma perché non erano abbastanza numerosi da poter provvedere alla difesa notturna e al ricupero dei commilitoni colpiti che si trovavano a maggiore distanza. Il I Royal Sussex, che era il battaglione avanzato della 4a 90

divisione indiana, si attestò su una posizione tenuta fino a quel momento dai superstiti di due reggimenti di fanteria, il 135° e il 168°: 840 uomini sui 3.200 che avevano sferrato l’attacco. La prima fase si era così conclusa e stava per cominciare la seconda.

ANTHONY FARRAR-HOCKLEY È stato un ufficiale dell’esercito britannico e uno storico militare che ha combattuto in numerosi conflitti. Ha ricoperto diversi alti comandi, concludendo la sua carriera come Comandante in Capo delle Forze Alleate della NATO in Europa del Nord. Durante i suoi quarant’anni nell’esercito ha parlato in modo chiaro e, sia prima che dopo il suo pensionamento – nel 1982 – ha scritto sui conflitti che aveva vissuto e sulla Seconda guerra mondiale 91

BATTUTA D’ARRESTO A CASSINO Il punto di vista tedesco Colonnello del corpo dei paracadutisti Rudolf Böhmler

Nessuna soluzione adottata dagli alleati avrebbe potuto rivelarsi più favorevole ai tedeschi di quella di concentrare gli attacchi contro Cassino anziché contro il fianco settentrionale o quello meridionale. Le alture intorno a Cassino consentirono ai paracadutisti tedeschi della 10a armata di respingere gli attacchi sferrati dagli alleati in gennaio e febbraio, senza bisogno di chiedere rinforzi o appoggio di emergenza. Rudolf Böhmler, il quale partecipò alle battaglie di Montecassino, ci presenta la versione tedesca degli avvenimenti.

Il 15 gennaio 1944 il II corpo d’armata della 5a armata americana al comando del generale Clark conquistò il Monte Trocchio, a sud-est di Cassino. Dalla vetta gli alleati potevano tenere sotto controllo il settore tenuto dai Panzergrenadier e dalla 44a divisione tedesca, fino alla valle del Liri, la porta d’accesso a Roma. Il generale Clark doveva agire rapidamente, adesso, perché lo sbarco ad Anzio, a sud di Roma e molto più a nord del fronte tedesco a Cassino, previsto per il 22 gennaio, era ormai imminente. Era inoltre necessario che entro quella data la battaglia sul fronte di Cassino fosse in pieno svolgimento, allo scopo di costringere i tedeschi a ritirare da Roma le loro riserve. Ma per gli alleati era ancora più importante penetrare quanto prima attraverso la valle del Liri, per operare al più presto il congiungimento con il VI corpo d’armata americano ad Anzio. Perciò il generale McCreery aveva incominciato l’offensiva sul Garigliano con il suo X corpo d’armata fin dal 17 gennaio. La 5a divisione britannica era stata trasferita pochi giorni prima dal settore adriatico a quello tirrenico affinché si unisse alla 46a e alla 56a divisione, che si trovavano già inquadrate nel X corpo d’armata.

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L’attacco di McCreery ebbe inizio la sera, preceduto da un pesante tiro di preparazione dell’artiglieria. Il primo attacco della 5a divisione, schierata sul fianco sinistro, respinse le unità tedesche avanzate al di là del Garigliano; il giorno seguente la sua 13a brigata superò il fiume a nord della via Appia e conquistò successivamente Minturno e Tufo. Anche l’attacco della 56a divisione britannica, sferrato più a nord, cominciò sotto buoni auspici: la fanteria riuscì a superare il Garigliano senza eccessive difficoltà e il 18 era penetrata in profondità nelle posizioni del 276° reggimento granatieri tedesco; la sera anche i primi carri armati si portarono sull’altra riva del fiume. La 46a divisione britannica era stata meno fortunata. Il suo compito era di attraversare il Garigliano nel settore di Sant’Ambrogio ubicato sulla riva destra e di coprire quindi il fianco sinistro del II corpo d’armata americano, il quale doveva tentare di penetrare direttamente nella valle del Liri mediante un attacco sull’alto Rapido, il 20 gennaio. Ma tutti i tentativi di attraversamento, compiuti in vari punti, dalla 46a divisione, furono respinti e il 18 gennaio si rese necessario sospendere temporaneamente l’attacco. Ciò nonostante, i successi riportati dalla 5a e dalla 56a divisione britanniche avevano posto la 94a divisione tedesca in una situazione critica. Infatti il primo giorno della battaglia essa era stata respinta dalle sue posizioni e costretta a ritirarsi su alture spoglie e prive di ripari e qualsiasi altra avanzata del X corpo d’armata avrebbe comportato, per il XIV Panzerkorps, l’inevitabile pericolo di uno sfondamento alleato nella valle del Liri da sud-ovest e quindi il crollo di tutto il fronte di Cassino. Per sventare la minaccia erano necessarie truppe fresche, ma né il XIV Panzerkorps né la 10a armata tedesca disponevano di riserve sufficienti. Li avrebbe potuti aiutare soltanto il gruppo d’armate C, ossia Kesselring. Il feldmaresciallo era all’erta, poiché si aspettava un’offensiva alleata da un momento all’altro, ma comprese immediata95

Il Monte Trocchio, a sud-est di Cassino, illuminato, nel cuore della notte, dallo scoppio delle granate americane durante la preparazione di artiglieria effettuata dagli obici da 105 mm. La conquista di questa altura venne effettuata il 15 gennaio 1944.

mente la gravità della minaccia che incombeva sul fianco destro della 10a armata tedesca sul Garigliano. Un’ulteriore penetrazione del X corpo d’armata britannico avrebbe potuto essere decisiva per l’esito di tutta la campagna. Perciò Kesselring si preoccupò innanzitutto di eliminare il pericolo da questa parte; se poi gli alleati avevano veramente l’intenzione di sbarcare nei pressi di Roma, gli sarebbe rimasto ugualmente il tempo per affrontare quest’altro rischio. Kesselring decise quindi di mandare sul Garigliano lo stato maggiore del corpo d’armata paracadutisti del generale Schlemm, che era stato costituito in Italia nell’autunno precedente, in maniera da rettificare la posizione con un contrattacco. A questo scopo pose al comando di Schlemm la riserva del gruppo d’armate composta dalla 29a e dalla 90a divisione Panzergrenadier, che fino a quel momento era dislocata nei pressi di Roma. 96

Se il X corpo d’armata britannico fosse avanzato a nord, attraverso la valle dell’Ausente, e avesse conquistato il Monte Maio, era prevedibile che gli alleati sarebbero riusciti a sfondare nella valle del Liri. Perciò, in base a questa considerazione, il generale Schlemm distaccò il 276° reggimento granatieri e il 194° reggimento artiglieria della 94a divisione presso la 29a divisione Panzergrenadier e lanciò un contrattacco contro la 56a divisione britannica che stava avanzando su Ausonia. I Panzergrenadier entrarono in azione il pomeriggio del 20 gennaio. Il loro primo attacco respinse la 56a divisione britannica a est, oltre Castelforte, cogliendola in un momento particolarmente scabroso, mentre la sua artiglieria stava cambiando lo schieramento per assumerne uno avanzato che consentisse di dare ulteriore appoggio alla fanteria, la quale si trovò così esposta, priva di protezione, al contrattacco tedesco. Per il momento l’azione della 29a divisione Panzergrenadier aveva allontanato il pericolo dal fianco destro dello schieramento tedesco, tanto più che adesso era comparsa nel settore anche la 90a divisione Panzergrenadier. Queste due unità riuscirono a opporre uno stabile fronte difensivo alla 5a divisione britannica, nei pressi di Minturno, tuttavia non poterono impedire che i britannici conquistassero il Monte Natale a nord-ovest di Minturno. Inoltre la 46a divisione, servendosi dei punti di attraversamento della 56a, riuscì a superare il Garigliano e a conquistare il Monte Iuga, nonostante la resistenza opposta dalla 90a Panzergrenadier. Nel frattempo il VI corpo d’armata statunitense del generale Lucas era sbarcato ad Anzio nelle prime ore del mattino del 22 gennaio, con due divisioni rinforzate alle quali era stato assegnato il compito di guadagnare terreno a nord e di bloccare la via Casilina – la linea di rifornimento tedesca per il fronte di Cassino – nei pressi di Valmontone. Lo sbarco del generale Lucas incontrò scarsa resistenza, poiché la riserva del gruppo d’armate tedesco era impegnata nel settore del Garigliano. 97

I generali tedeschi Kesserling (a destra) e Vietinghoff, incaricati da Hitler della difesa del fronte italiano. La flessibilità e l’intelligenza con cui seppero adattarsi alla situazione del momento causarono agli alleati gravi difficoltà in questo settore.

Ma Kesselring fu rapido a muovere nuovamente le sue pedine. Prese svariate contromisure, fra cui quella di spostare immediatamente sul fronte di Anzio il comando del I corpo d’armata paracadutisti e quello della 29a divisione Panzergrenadier. In ogni modo pareva che il pericolo si fosse allontanato, almeno temporaneamente, dal fronte del Garigliano, dove il XIV Panzerkorps aveva ripreso in mano la situazione. Tuttavia l’offensiva del X corpo d’armata britannico era stata soltanto il preludio alla prima battaglia di Cassino, ed aveva preannunziato ulteriori tentativi di sfondamen98

to nella valle del Liri da parte della 5a armata americana, il cui II corpo d’armata, a questo punto, era pronto a sferrare un altro colpo. Il generale Clark progettava di irrompere nella valle con un attacco frontale sferrato dalla 36a divisione (Texas) al comando del generale Walker, a sud di Cassino. Dietro a questa si trovava pronta ad avanzare la 1a divisione corazzata americana. La divisione di fanteria avrebbe attraversato l’alto Rapido a nord e a sud di Sant’Angelo in Theodice e sarebbe avanzata fino all’altezza di Pignataro Interamna; quindi la divisione corazzata avrebbe fatto irruzione attraverso la valle del Liri fino a Frosinone. Formazioni della XII forza aerea tattica americana avevano bombardato fin dalle prime ore del mattino del 20 gennaio le posizioni e le vie di comunicazione della 15a divisione Panzergrenadier, che nel pomeriggio furono sottoposte al tiro dell’artiglieria pesante campale del II corpo d’armata americano e di quella della 34a e della 36a divisione. Alle 20 il 141° reggimento fanteria statunitense, appoggiato dal tiro dell’artiglieria pesante, incominciò l’attraversamento del Rapido a nord di Sant’Angelo in Theodice. Ma i tedeschi non tardarono ad accorgersi della manovra e ben presto gli attaccanti si trovarono sotto il violento tiro di sbarramento del 104° reggimento Panzergrenadier e soprattutto del relativamente poderoso fuoco del 71° reggimento mortai. Gli americani lamentarono ingenti perdite in uomini e in materiali per l’attraversamento del fiume. Il I battaglione del 141° reggimento americano riuscì a fare passare sulla riva destra del fiume due compagnie, nonostante la violenza del tiro tedesco, ma questo fu tutto. Anche il I battaglione del 143° reggimento tentò di attraversare il Rapido a sud di Sant’Angelo in Theodice, superando la tenace resistenza del CXV battaglione esplorante tedesco, ma sotto il fuoco dell’artiglieria fu costretto a fermarsi e quindi riguadagnare la sponda opposta.

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I generali Keyes e Walker non si lasciarono scoraggiare da queste difficoltà. Sul tardo pomeriggio del 21 gennaio il 143° reggimento tornò all’attacco a sud di Sant’Angelo in Theodice, riuscì ad attestare il suo III battaglione sul Gari (il tratto meridionale del Rapido) e a portarvi successivamente anche il II battaglione. Gli americani guadagnarono circa 360 metri di terreno sulla riva destra, ma furono costretti a cederlo e a riattraversare il fiume, lasciando un gran numero di prigionieri nelle mani dei tedeschi, quando il 129° reggimento Panzergrenadier passò al contrattacco. Nel frattempo il 141° reggimento aveva attraversato il Rapido a nord di Sant’Angelo in Theodice con due dei suoi battaglioni. Neppure questi, però, riuscirono a stabilire una testa di ponte, perché i punti di attraversamento si trovavano sotto il tiro ben aggiustato dei cannoni tedeschi. E senza queste teste di ponte la 36a divisione statunitense non poteva far passare sull’altra sponda né i mezzi corazzati né le armi pesanti, sicché anche gli uomini del 141° reggimento subirono la stessa sorte dei loro compagni del 143°: il pomeriggio del 22 gennaio il 104° reggimento Panzergrenadier sferrò il contrattacco e i due battaglioni furono respinti di là dal Rapido, con gravi perdite. Così, dopo tre giorni di inutili combattimenti, la 36a divisione americana fu costretta a rinunciare al tentativo di portarsi sulla riva destra del Rapido e del Gari. Nel suo libro Calculated Risk1 il generale Clark fa ammontare le perdite subite dagli americani in queste battaglie a non meno di 1.681 uomini, di cui 141 morti, 683 feriti e 875 dispersi. Queste cifre furono un duro colpo per il popolo americano. Clark sostenne più tardi che l’attacco della 36a divisione americana attraverso il Rapido era stato necessario, poiché aveva costretto i tedeschi a ritirare le loro riserve dal settore di Anzio nel momento più critico dello sbarco e poiché le 1

M.W. Clark, Calculated Risk, Harper, New York 1950 (2ª ed. 1980). 100

operazioni sul Rapido avevano ridotto le perdite durante lo svolgimento di quella anfibia, permettendo quindi agli alleati di stabilire più facilmente una testa di sbarco. Ma in realtà le cose erano andate diversamente. La 15a divisione Panzergrenadier aveva respinto l’attacco della 36a divisione americana con l’artiglieria già disponibile sul fronte di Cassino. L’impiego delle riserve del XIV Panzerkorps non era stato necessario, come non era stato necessario l’intervento della 3a divisione Panzergrenadier, che si teneva pronta ad Arce, non lontano dal teatro delle operazioni. Ma non un solo soldato tedesco fu trasferito dal fronte di Anzio sul fronte di Cassino per contenere l’attacco della 36a divisione. Per valutare esattamente le cause della disfatta subita sul Rapido dalla 36a divisione è necessario tenere presente che intorno a Cassino si combatteva una guerra di montagna. E in una guerra di montagna è regola inderogabile che colui che controlla le alture controlla anche le valli. Nel caso dell’attacco sferrato dalla 36a divisione, ciò significava che era destinato al fallimento fintanto che Montecassino, il settore montuoso a nord e a ovest e il Monte Maio si trovavano nelle mani dei tedeschi. In questi punti essi avevano stabilito i posti di osservazione dell’artiglieria, e del 71° reggimento mortai, da dove dominavano tutto il settore della 36a divisione e ampie zone delle retrovie del II corpo d’armata americano. L’attacco successivo della 5a armata americana fu sferrato a nord di Cassino con l’obiettivo di penetrare attraverso la valle del Liri passando per i versanti settentrionali. Il piano prevedeva che il corpo di spedizione francese sfondasse la linea Gustav a ovest di Sant’Elia Fiumerapido prendendo il Monte Cairo, quindi, con una conversione a sud, bloccasse la via Casilina nelle vicinanze di Piedimonte San Germano. Simultaneamente il II corpo d’armata americano si sarebbe dovuto aprire la strada attraverso la linea Gustav a sud di Caira, per compiere successivamente una conversione a sud e conquistare Montecassino da nord. 101

Il generale Freyberg, a cui l’11 febbraio venne affidato l’incarico di conquistare Montecassino, chiese che ne fosse bombardata l’abbazia dove, secondo lui, erano postate truppe ed armi tedesche, responsabili del fallimento dei precedenti attacchi americani. I comandanti delle truppe alleate in linea erano di parere discorde, per cui il bombardamento venne approvato solo dopo che il generale sir Maitland Wilson – comandante in capo alleato – sorvolata l’abbazia insieme al suo vice-comandante, affermò di avere scorto all’interno truppe

La difesa della linea Gustav era affidata, nel tratto che va da Cassino alla valle inferiore del Rio Secco, alla 44a divisione tedesca di fanteria – la Hoch und Deutschmeister – con tre reggimenti granatieri schierati, da nord a sud, in quest’ordine: il 131°, il 134° e il 132°. Alle loro spalle si trovavano forti unità di artiglieria, la cui potenza di fuoco 102

tedesche e antenne radio. Il 15 febbraio ben 142 “fortezze volanti” B-17 lasciarono cadere più di 350 tonnellate di bombe ad alto esplosivo sull’abbazia che, ad eccezione delle solidissime mura perimetrali, fu completamente distrutta. Ma all’interno e nelle immediate vicinanze non si trovava neppure un soldato tedesco, per cui il bombardamento, dovuto ad un gravissimo errore di valutazione, risultò inutile e controproducente.

era aumentata notevolmente dalla presenza del 71° reggimento mortai. La sera del 24 gennaio le forze del generale Juin sferrarono l’offensiva con la 3a divisione di fanteria algerina, attestata ai due lati di Sant’Elia Fiumerapido. L’attacco era guidato dal 4° reggimento di fanteria tunisino, che su103

però il Rapido con ammirevole slancio e andò all’assalto del ripido versante orientale del Colle Belvedere, alto 921 metri: il pomeriggio del giorno successivo questa scabra vetta era nelle sue mani. Il 26 la divisione algerina occupò il Colle Abate nei pressi del villaggio di Terelle, arrivando a portata di mano del Monte Cairo, alto 1.669 m. Ma non riuscì a portarsi più avanti, inchiodata dal fuoco massiccio dei cannoni nemici. Fu in questa situazione che la 3a divisione algerina dovette sostenere il contrattacco dei tedeschi. Il 27 gennaio il 200° reggimento Panzergrenadier, che nel frattempo si era unito al contrattacco della 90a divisione Panzergrenadier, riconquistò il Colle Abate ricacciando i tunisini. Nel fronte tedesco era rimasta aperta ancora un’ampia breccia, fra questa collina e il Monte Castellone, ma il 191° reggimento granatieri della 71a divisione provvide rapidamente a colmarla. Nel corso dei giorni successivi gli algerini tentarono ripetutamente di rioccupare il Colle Abate, ma l’altura rimase nelle mani dei tedeschi. Il 1° febbraio il generale Baade, comandante della 90a divisione Panzergrenadier, assunse il comando delle operazioni contro gli algerini. Intanto la 34a divisione americana del generale Ryder aveva sferrato un attacco parallelo a quello degli algerini, fra Cassino e Caira. Aveva attraversato il Rapido il 25 gennaio, preceduta da un intenso tiro di sbarramento, e il suo 133° reggimento di fanteria era riuscito a penetrare nella posizione del 134° reggimento granatieri tedesco, ma non aveva potuto insediarsi saldamente e aveva dovuto ritirarsi, riattraversando il fiume. L’attacco del 135° reggimento fanteria, subito a nord di Cassino, si era concluso con un insuccesso analogo. Fino al 30 gennaio la divisione del generale Ryder aveva conseguito pochi successi, ma quel giorno il 168° reggimento fanteria superò finalmente l’ostacolo del Rapido, quindi occupò Caira e le alture circostanti: l’incantesimo era spezzato. Il generale Keyes distaccò il 142° reggimento fanteria della 36a divisione presso il comando di Ryder, non per at104

taccare, come ci si sarebbe potuti attendere, il Monte Cairo, bensì per avanzare su Montecassino da nord, movendo dal Colle Belvedere. Intanto la provatissima 44a divisione di fanteria tedesca aveva ricevuto altri rinforzi: il 211° reggimento granatieri della 71a divisione di fanteria (alla quale era stata affidata la difesa della città di Cassino) e il 190° reggimento artiglieria della 90a divisione Panzergrenadier. Nel settore del progettato sfondamento, compreso fra Caira e il Colle Belvedere, il generale Ryder schierò tre reggimenti per un attacco in direzione sud, con Montecassino come obiettivo. Gli americani ripresero l’offensiva il 1° febbraio e nonostante le ingenti perdite riuscirono a guadagnare terreno. Il loro 142° reggimento fanteria s’impadronì di un’altura dominante, Monte Castellone, e più a sud-est, il 168° reggimento fanteria arrivò fino a mezzo chilometro da Quota 593, posizione tattica chiave del “massiccio” di Montecassino. Il 5 febbraio un reparto d’assalto del 135° reggimento fanteria avanzò direttamente verso le mura della famosa abbazia. Quel giorno la 34a divisione americana si trovò a soli 5 chilometri dalla via Casilina. Quindi il 133° reggimento fanteria prese d’assalto, risalendo la valle del Rapido, la città di Cassino e Quota 193 (Rocca Ianula), che la domina. Tuttavia le truppe statunitensi non riuscirono a vincere. Durante la notte dal 5 al 6 febbraio il 168° reggimento, schierato sulle montagne, attaccò Montecassino direttamente da nord, ma si trovò imbottigliato in una gola profonda sotto il pesante fuoco incrociato dei tedeschi e fu costretto a ritirarsi. Simultaneamente i loro commilitoni del 135° si assicurarono un successo molto ambito dagli americani conquistando Quota 593, il Monte Calvario, che domina Montecassino. Essi perdettero la loro recente conquista in seguito a un contrattacco tedesco, ma la rioccuparono il 9 febbraio. I tedeschi, intanto, avevano stabilito la loro linea difensiva tra le alture a nord-ovest di Montecassino e avevano ricevuto rinforzi di truppe fresche: il 361° reggimento della 105

90a divisione Panzergrenadier e il gruppo Schulz, composto dal 1° reggimento paracadutisti e da altri due battaglioni della 1a divisione paracadutisti. A questo punto i tedeschi erano attestati sull’ultima catena di alture prima della Casilina. Se gli americani fossero riusciti a impadronirsene, avrebbero controllato la strada, d’importanza vitale per i tedeschi, e sia Cassino sia l’abbazia sull’altura omonima sarebbero cadute ai loro piedi come frutti maturi. Ed entrambe le parti avversarie si sarebbero risparmiata quell’ecatombe che fu la lotta per il possesso di Montecassino. Ma nel frattempo il comando del settore, precedentemente tenuto dalla 44a divisione di fanteria, era passato nelle abili mani del generale Baade, comandante la 90a divisione Panzergrenadier. La difesa di Montecassino venne affidata al battaglione mitraglieri della 1a divisione paracadutisti. Il III battaglione del 3° reggimento paracadutisti che apparteneva, come i mitraglieri, al gruppo Schulz, il 10 febbraio riconquistò Quota 593.

Paracadutisti tedeschi nell’abitato di Cassino. I massicci bombardamenti aerei effettuati dagli alleati e con i quali essi avevano pensato di assicurarsi l’immediato possesso di Cassino, si volsero a loro danno, in quanto i tedeschi trasformarono in ottime posizioni difensive i cumuli di macerie e gli edifici distrutti.

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Due giorni dopo il generale Baade tentò di riconquistare anche Monte Castellone, con il 200° reggimento Panzergrenadier, ma il contrattacco fallì. In questo periodo truppe fresche furono fatte affluire sul campo di battaglia a fianco della 5a armata americana. Il generale Alexander aveva fatto trasferire dal settore adriatico la 2a divisione neozelandese e la 78a divisione britannica e le aveva riunite con la 4a divisione indiana in un corpo d’armata al comando di un neozelandese, il generale Freyberg. Secondo il progetto originario, il corpo d’armata di Freyberg avrebbe dovuto risalire la valle del Liri fino a Frosinone, una volta che il II corpo d’armata statunitense avesse conquistato Cassino e l’abbazia. Ma era evidente che il II corpo d’armata stava per arrivare al limite delle sue forze. Gli obiettivi dei suoi attacchi continuavano a restare nelle mani dei tedeschi e il corpo d’armata di Freyberg fu costretto ad aprirsi per conto suo “la strada per Roma” prima di potere avanzare attraverso la valle del Liri. L’11 febbraio il generale Freyberg ricevette l’ordine dalla 5a armata di prendere Montecassino con la 4a divisione indiana e di formare successivamente, a sud della città, una testa di ponte sul fiume Rapido, con l’aiuto della divisione neozelandese. 1 suoi uomini diedero il cambio a quelli del II corpo d’armata americano, che lo stesso giorno avevano ripetuto l’ultimo, inutile tentativo di conquistare Monte Calvario e Montecassino. Il settore della 34a divisione americana passò alla 4a divisione indiana agli ordini del generale Tuker, mentre nella valle sottostante la 2a divisione neozelandese del generale Parkinson dava il cambio alla 36a divisione americana. I preliminari alla fase successiva delle operazioni furono costituiti dalle discussioni relative all’opportunità di bombardare l’abbazia di Montecassino. Gli avvenimenti che esponiamo si basano sulla relazione del generale Clark nel suo libro precedentemente menzionato, Calculated Risk. Secondo quanto egli dice, il generale Freyberg aveva chiesto 107

formalmente alla 5a armata, fin dal 12 febbraio, di bombardare l’abbazia prima di intraprendere un nuovo tentativo contro Montecassino. A parere suo il fallimento dei precedenti attacchi americani su questo fronte dipendeva dal fatto che l’abbazia era occupata dalle truppe tedesche, le quali dirigevano da lì il tiro delle loro artiglierie. Il generale Tuker, comandante della 4a divisione indiana, condivideva la sua opinione. Il generale Clark e i suoi comandanti delle truppe in linea non erano invece dello stesso parere e il generale Keyes, in particolare, si oppose risolutamente, sostenendo che il bombardamento dell’abbazia era superfluo. Poiché si trattava di una decisione di grande importanza, il generale Clark preferì sottoporla ad Alexander, il quale rispose di bombardare l’abbazia se Freyberg avesse insistito. Più tardi il generale Juin scrisse che Clark aveva accettato la decisione di Alexander con molta riluttanza, mentre nelle Memorie di Churchill si legge che Clark, pur contro la propria convinzione, aveva ottenuto il consenso di Alexander, che si era preso la responsabilità del bombardamento. In ogni caso è chiaro che non si può attribuire la responsabilità soltanto ad Alexander. La decisione finale venne presa nelle sfere alleate ad altissimo livello: infatti la distruzione dell’abbazia non costituiva unicamente un problema militare ma anche uno politico, poiché implicava le reazioni che avrebbe suscitato in Vaticano. I capi militari alleati nello scacchiere del Mediterraneo non presero il problema alla leggera. Il generale sir Maitland Wilson, comandante in capo alleato e il suo comandante in seconda, il generale americano Jacob Devers, sorvolarono personalmente l’abbazia a bordo di un aereo da ricognizione. Scorsero – o credettero di scorgere – truppe tedesche e antenne radio, sicché l’opinione di Freyberg parve giustificata. In realtà, all’interno dell’abbazia e nelle sue immediate vicinanze non si trovava neppure un solda-

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to tedesco quando gli alleati presero la decisione di bombardarla la prima volta. La città di Cassino era stata bersaglio dei bombardamenti alleati sin dal settembre 1943 e le prime grandi incursioni aeree avevano portato all’evacuazione della popolazione civile, di cui una gran parte era corsa a cercare rifugio nell’abbazia. Le incursioni su Cassino erano continuate durante tutto l’autunno e l’inverno del 1943-44, ma l’abbazia aveva subito i primi danni soltanto all’inizio del nuovo anno, quando la 5a armata aveva incominciato ad avanzare, e non a causa dei bombardamenti aerei, bensì dell’artiglieria del II corpo d’armata statunitense. A metà febbraio i tedeschi che si trovavano sul monte stavano ancora tentando di convincere l’abate e i monaci ad allontanarsi, ma il lo febbraio, quando gli alleati effettuarono il primo bombardamento deliberato sull’abbazia, la comunità monastica si trovava ancora lì al completo. Ben 142 “fortezze volanti” B-17 lasciarono cadere sull’abbazia più di 350 tonnellate di alto esplosivo e di bombe incendiarie, distruggendo la basilica e gli edifici all’interno, ma lasciarono intatte le massicce mura esterne, simili a quelle di una fortezza. Fu l’inizio della distruzione della gloriosa abbazia. Due giorni dopo la prima incursione, l’abate e i monaci furono evacuati dalle autorità militari tedesche e condotti a Roma. Evidentemente gli alleati avevano trascurato di coordinare questo bombardamento aereo con le successive operazioni terrestri e il generale Tuker ignorava l’ora precisa stabilita per l’incursione. Perciò l’intervento della sua 4a divisione indiana si ridusse a ben poca cosa – fra l’altro, le bombe degli aerei avevano colpito anche alcune delle sue posizioni – e invece di lanciarla all’assalto delle rovine dell’abbazia con un’azione immediata, si limitò a far uscire un’unica compagnia della 7a brigata, all’attacco non di Montecassino ma di Monte Calvario, distante circa 1 chilometro.

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Il 16 febbraio le rovine dell’abbazia furono oggetto di un secondo attacco da parte di cacciabombardieri e nel corso della serata il battaglione Sussex della 7a brigata compì un tentativo, non riuscito, di prendere Montecassino. Il giorno seguente la 7a brigata ripeté l’attacco che fallì, respinto dal tiro dell’artiglieria e dei paracadutisti tedeschi, come fallì un nuovo attacco contro Monte Calvario. Neppure il corpo d’armata neozelandese ebbe migliore fortuna. La sera del 17 febbraio il XXVIII battaglione Maori della 2a divisione attraversò il Rapido e occupò la stazione ferroviaria. Ma il giorno seguente arrivò sul posto il 211° reggimento Panzergrenadier e i Maori furono respinti e costretti a riattraversare il fiume. Una volta di più gli alleati avevano impiegato forze insufficienti e avevano pagato caro l’errore. Di fronte a questa serie di rovesci, il generale Alexander diede ordine di cessare i combattimenti. Era il 18 febbraio. La battaglia di Cassino sarebbe stata ripresa dopo un periodo di adeguata preparazione, o – per esprimerci con le sue parole testuali – “dopo un bombardamento degno di questo nome”.

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Generale Luigi Mondini La visione onirica di una folgorante vittoria che aprisse alle armate anglo-americane la via di Roma si era appannata durante l’avanzata della 5a armata dalla testa di sbarco di Salerno alla piana di Nocera e successivamente al Volturno e al Garigliano, mentre l’8a armata faticosamente risaliva dalla Calabria alle Puglie, per arrestarsi al fiume Sangro. La visione svani del tutto davanti alla resistenza di quella che divenne la “linea invernale”, sulla cui efficienza il comando degli alleati non ebbe che tardivamente idee precise, purtroppo suggerite dagli iniziali sanguinosi insuccessi. Eppure, un giornalista inglese che partecipò all’impresa quale ufficiale di fanteria, in una minuziosa narrazione ha scritto che se i comandanti alleati si fossero presi la briga di chiedere ad un ufficiale superiore italiano in che luogo i tedeschi avrebbero organizzato la difesa a sud di Roma, si sarebbero sentiti rispondere, senza esitazione: “A Cassino, naturalmente”. Infatti quella “bretella” era stata campo di infinite esercitazioni con le truppe e con i quadri. Ma quella domanda non fu fatta. I ricordi personali, di solito, portano a dar risalto ai particolari e crediamo non superfluo, dopo la lettura dei resoconti che precedono questa nota, cercare di dare una visione riassuntiva d’insieme della campagna d’Italia. Durante la Seconda guerra mondiale le grandi linee fluviali non hanno costituito impedimento insormontabile al procedere di eserciti preparati e addestrati: il Don, il Dnepr, il Dnester, la Vistola, la Mosa, il Reno e, per dare un esempio in Estremo Oriente, l’Irrawaddy, in Birmania, sono stati forzati anche ripetutamente; le montagne invece hanno conservato in misura notevole un valore d’ostacolo e, con distinte zone di impercorribilità e di facilitazione, chiaramente delimitano i settori attivi di operazioni; talvolta appaiono come i bastioni di una fortezza e i corsi d’acqua che scorrono ai loro piedi assolvono la funzione dei fossati delle antiche fortificazioni e accentuano la com111

partimentazione dei settori operativi. Gli alleati, durante le prime fasi della campagna d’Italia, diedero grande importanza ai fiumi, ed erano spesso corsi d’acqua assai modesti, e non valutarono a dovere gli ostacoli montani e ciò spiega perché dovettero segnare il passo davanti alla linea del Garigliano. In realtà, fin da quando si era delineata l’ineluttabilità di sgomberare la Sicilia, l’alto comando tedesco del sud, l’Oberbefehlshaber West (OB West), ottenuta l’autorizzazione del Führer di difendere ad oltranza l’Italia meridionale, aveva scelto quella linea, vi aveva iniziato lavori di fortificazione e gli alleati cozzarono, quindi, non contro una linea improvvisata o risultante da fluttuazioni di precedenti operazioni, bensì contro una posizione geograficamente forte, liberamente scelta dai difensori e da tempo in via di approntamento. Il rallentamento imposto all’avanzata degli alleati dopo Salerno diede ai tedeschi un paio di mesi di tempo per mettere a punto le previste linee difensive prima che venissero sottoposte a un attacco di seria entità. Si usa la parola “linea” per comodità di linguaggio, ma si tratta di fasce profonde in qualche tratto alcuni chilometri, che sfruttavano le caratteristiche morfologiche del terreno e costituite da capisaldi vicendevolmente appoggiantisi col fuoco, collegati da opere intermedie e organizzati in modo da consentire il gioco delle forze mobili e, cioè, il pronto ed efficace intervento delle riserve di fanteria o di reparti corazzati, accompagnati dal tiro di artiglieria. I tedeschi avevano predisposto tre linee difensive: la più avanzata denominata Gustav, successivamente la Adolph Hitler e la Kesselring. Soffermiamoci sulla prima, che era la più forte, sia perché la natura del terreno si prestava ottimamente, sia perché quando si lavora contemporaneamente all’apprestamento di più linee successive fatalmente le cure e i mezzi maggiori vengono dedicati alla più esterna, destinata a ricevere il primo urto. La linea Gustav cominciava, a nord, sul gruppo del Monte Cairo che sovrasta Cassino, scendeva nella valle del Liri 112

e risaliva sul massiccio dei monti Aurunci, cospicuo per altitudine e dominio sul terreno antistante; il corso dei fiumi Rapido, Gari e Garigliano faceva da fossato; nella parte meridionale, per meglio sfruttare la struttura degli Aurunci, che presentano ripidi pendii nel versante sudorientale e degradano più dolcemente verso nord-ovest, la “linea” ripiegava in direzione di Formia, abbandonando la breve piana di Minturno. In corrispondenza della bassa valle del Liri, la posizione presentava una larga porta in cui solidi cardini erano costituiti da Monte Cairo, con le propaggini di Montecassino a nord, e dal gruppo Monte Maio-Monte Faito a sud. Il settore operativo era alimentato da due ottime strade consolari, la Casilina, che attraversa la Ciociaria e raggiunge Cassino per poi proseguire verso Napoli, e l’Appia, che corre lungo la pianura pontina e passa a poca distanza da Anzio. Fra le due vie si interpongono i Monti Lepini, che hanno andamento da nord-ovest a sud-est e sono separati dai Colli Albani dall’ampia sella pianeggiante di Valmontone, che collega il pianoro di Pomezia all’Appennino Centrale. Chi soprattutto soffriva per l’arresto dell’avanzata degli alleati era Churchill; egli teneva all’occupazione di Roma per molteplici ragioni: militari, specialmente per l’uso degli aeroporti dei dintorni della capitale; di politica estera, perché nella sua giusta visione globale della guerra e del dopoguerra voleva tenere impegnate forze tedesche in Italia e non aveva abbandonato l’idea di prevenire i russi nell’Europa danubiano-balcanica; di politica interna, perché il Parlamento e l’opinione pubblica britannici volevano quella soddisfazione. Il 19 dicembre telegrafò ai capi di Stato maggiore: “Non v’è alcun dubbio che il completo ristagno delle operazioni sul fronte italiano sta diventando scandaloso”. Fu sua l’idea di sbloccare la situazione con una consistente operazione anfibia e ne parlò alla conferenza di Teheran, incontrando l’ostilità di Stalin e di Roosevelt, motivata con la solita necessità di dedicare tutte le disponibilità alla “Overlord”; inoltre, gli americani non 113

erano tanto favorevoli a un’azione giudicata divergente e si giunse al colmo che, quando nel Natale 1943 si tenne una riunione a Cartagine per definire i particolari dell’operazione, il generale Clark, che doveva dirigerla, non intervenne per imprecisati motivi. Le speranze di Churchill su quello sbarco, denominato operazione “Shingle”, erano grandi, tanto da fargli ritenere che le truppe in Italia sarebbero dovute rimanere ferme circa sei mesi dopo la liberazione di Roma, in attesa della “Overlord” già fissata per la fine di maggio. L’operazione “Shingle” fu iniziata alle ore 2 antimeridiane del 22 gennaio e preceduta, il 12, da un’offensiva della 5a armata, che avrebbe dovuto rompere sul fronte di Cassino e prontamente collegarsi con le truppe della testa di sbarco. Sappiamo che il tentativo di sfondare la linea Gustav tallì sanguinosamente, mentre pienamente riuscì l’impresa ad Anzio, dove, senza incontrare alcuna apprezzabile resistenza, sbarcarono una divisione americana e una britannica, oltre ad altri reparti, al comando del generale americano Lucas e Churchill, confondendo le sue speranze con la realtà, telegrafò ad Alexander di essere felicissimo che “procediate rapidamente e puntiate in profondità invece di soffermarvi a consolidare la testa di ponte”. Era invece proprio quel che stava accadendo, poiché Lucas, per suo temperamento (era uno sfiduciato, malandato in salute) e per direttive ricevute da Clark, faceva sbarcare uomini e materiali (si ebbe la media di un autocarro per meno di quattro uomini, compresi autisti e meccanici) e si rafforzava non lontano dalla spiaggia, spingendo solo qualche pattuglia in avanti, una delle quali arrivò alle Frattocchie, non lungi da Roma. Un reggimento di paracadutisti americani, il 504°, trattenuto apposta in Italia, ed una brigata pure di paracadutisti britannici, anziché essere aviolanciati in avanti, sbarcarono dalle navi e vennero impiegati come semplici fanterie. La sordità della testa di sbarco alle sollecitazioni a procedere arditamente, velocemente, in profondità, dipese esclusivamente dall’in114

staurarsi del “complesso di Salerno” e, avvenuto lo sbarco, si attendeva con apprensione e diciamo pure con timore l’immancabile contrattacco tedesco. In effetti, Kessel ring si riebbe prontamente dalla sorpresa e corse ai ripari applicando il piano preparato fin da dicembre, quando aveva previsto che gli alleati sarebbero ricorsi certamente ad operazioni anfibie (egli attribuiva all’avversario mezzi più di quanto in realtà non ne avesse e lungo sarebbe ricordare quale lotta aveva dovuto sostenere Churchill per trattenere 18 LST, destinati a operazioni in Birmania). Il piano tedesco d’emergenza, predisposto con somma cura, indicava le truppe, le formazioni, gli itinerari, i tempi relativi, i compiti, le possibili zone di sbarco ed entrava in attuazione con la diramazione della frase convenzionale: “Caso Riccardo”. In realtà, scrive il generale Westphal, capo di stato maggiore del maresciallo Kesselring, la maggior parte dei reparti, nonostante le strade coperte di neve e di ghiaccio dell’Appennino, arrivò in anticipo sugli orari fissati. Nel giro di 48 ore l’equivalente di due divisioni tedesche senza toccare le forze impegnate a Cassino era in grado di contrastare la testa di sbarco; alla lentezza di Lucas aveva fatto riscontro la fulminea reazione di Kesselring e Churchill telegrafava ad Alexander, il 28 gennaio, che approvava la decisione di Clark di recarsi a visitare la testa di sbarco e aggiungeva: “Sarebbe assai spiacevole se le nostre truppe venissero bloccate presso la costa e se il grosso dell’esercito non potesse avanzare da solo”; ma così infatti avvenne. Con uno dei soliti interrogativi, ai quali non è possibile dare una plausibile risposta, è da chiedersi che cosa sarebbe successo se il corpo d’armata di Lucas si fosse lanciato alla conquista dei Colli Albani; li avrebbe certamente occupati, ma dopo? Come si sarebbe svolta la battaglia in campo aperto fra le truppe tedesche, addestratissime e di provata efficienza, e quelle alleate? C’è da tener presente che i reparti americani erano pressoché nuovi alla guerra e quelli britannici erano abituati alla guerra nei grandi spazi del deserto, dove gli scontri di mezzi coraz115

zati avevano le caratteristiche delle battaglie navali. Kesselring attaccò ad Anzio e la testa di ponte, da predella di lancio di un’offensiva, divenne una posizione da difendere e fu salvata dal valoroso comportamento dei soldati, dalla soverchiante aviazione, dai cannoni della flotta, dall’affluire di continui rinforzi, mentre ancora invertendo i relativi compiti, da Cassino fu tentata, il 15 febbraio, una seconda offensiva di sfondamento per accorrere in aiuto della testa di sbarco; ma con esito negativo. Gli anglo-americani (ai quali si erano aggiunte truppe coloniali francesi, neozelandesi, indiane, polacche) s’incaponivano nel tentativo di far saltare i chiavistelli della porta del Liri, mentre era necessario distruggere i cardini. Solo i reparti coloniali francesi e in buona parte i polacchi erano addestrati alla guerra in montagna e per le altre vale quanto già detto per le truppe sbarcate ad Anzio e, come rilevò il maresciallo Smuts, Anzio anziché salvarsi con Cassino era divenuta una sacca isolata, priva di connessione col fronte principale meridionale ed oggetto di assedio. L’abbazia di Montecassino fece le spese di quell’imprevista situazione e il 15 febbraio subì un pesante bombardamento aereo e oltre 450 tonnellate di bombe la ridussero in rovine. Fu un avvenimento che provocò discussioni accalorate, tanto più che fu provato che nel monastero non vi erano truppe tedesche e la sua distruzione si rivelò inutile, anzi dannosa, perché i resti delle solidissime mura costituirono un valido riparo per le truppe tedesche prontamente accorse a presidiarle. A volere perentoriamente quella distruzione era stato il generale neozelandese Freyberg, che aveva rilevato come le sue truppe fossero ossessionate dalla vista di quel massiccio edificio che da posizione dominante ne osservava e ne controllava la vita. Alla fine di febbraio, mentre imperversava il maltempo, la porta di Cassino resisteva e, per ripetere la nota frase di Churchill, sulla testa di sbarco di Anzio invece di un gatto selvatico pronto a scattare giaceva una balena arenata.

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marzo-maggio 1944 CASSINO UNA VITTORIA DI PIRRO Colonnello del corpo dei paracadutisti Rudolf Böhmler

Per tre mesi l’avanzata alleata era stata contenuta a Montecassino e ogni attacco infranto dalla tenace resistenza dei paracadutisti tedeschi. Ma fu indispensabile un ulteriore, vano, attacco frontale per convincere il comando alleato che l’abbazia doveva essere aggirata e non conquistata con la forza. Una volta presa questa decisione, l’abbazia cadde facilmente. In queste pagine l’ultimo comandante delle difese tedesche a Cassino contesta la necessità di quelle sanguinose battaglie.

Dopo la fine della prima battaglia per Cassino, cominciarono a cadere insistenti piogge che trasformarono le valli in acquitrini. Prima di poter riprendere l’offensiva, gli alleati dovevano quindi attendere un miglioramento delle condizioni atmosferiche. Tuttavia, durante quel periodo piovoso i tedeschi modificarono lo schieramento

delle loro forze. Il 20 febbraio la 1a divisione paracadutisti del generale Heidrich cominciò a sostituire la 90a Panzergrenadier. Anche i reggimenti della 71a divisione fanteria furono ritirati dal fronte e restituiti al loro comandante di divisione, il generale Raapke. Questa divisione fu schierata in un settore dei monti Aurunci, a nord della 94a. La 44a mantenne il controllo soltanto di una stretta striscia di terreno da una parte e dall’altra di Terelle, mentre la 5a divisione da montagna, ora agli ordini del generale Schrank, restava sulle vecchie posizioni. Il 26 febbraio il generale Heidrich assunse il comando del settore, ampio 13 km, la cui difesa era affidata ora alla 1a divisione paracadutisti. L’incarico di difendere la città e Montecassino era affidato al 3° reggimento paracadutisti al comando del colonnello Heilmann. Quando giunse sul fronte di Cassino, la 1a divisione paracadutisti non si era ancora ripresa dopo i duri combattimenti sostenuti nei pressi di Ortona. La forza media dei suoi battaglioni era di soli 200 uomini, e si trattava di soldati che dopo la battaglia di Salerno non avevano avuto un solo momento di tregua. Dall’altra parte il generale Alexander si preparava a sferrare un nuovo possente colpo. Il comandante in capo delle forze aeree alleate nel Mediterraneo, generale Eaker, aveva ricevuto l’ordine di impiegare in questo teatro tutti i bombardieri disponibili in modo da aprire la prossima offensiva con un’azione imponente. A tal fine gli ufficiali dei servizi logistici della 5a armata statunitense avevano messo insieme 600.000 bombe d’aereo. I comandanti alleati proposero di cominciare l’attacco spezzando il fronte tedesco ai piedi di Montecassino con la più massiccia concentrazione di artiglieria e di potenza aerea mai impiegata nella campagna d’Italia. Il generale Freyberg pensò di impiegare sia la 4a divisione indiana sia l’intera 2a divisione neozelandese in una ristretta zona d’attacco. I neozelandesi avrebbero dovuto impadronirsi di Cassino e di Quota 193 (Rocca Ianula); raggiunto 118

quel primo obiettivo, gli indiani avrebbero dovuto avanzare di slancio su per i ripidi pendii di Montecassino e conquistare l’abbazia dalla stessa direzione, e cioè dalla vallata. Infine, la 78a divisione inglese avrebbe attraversato il Rapido su ambedue i lati di Sant’Angelo in Theodice per spingersi avanti nella valle del Liri. La notte tra il 14 e il 15 marzo 1944 Freyberg ritirò le sue truppe qualche chilometro dietro Cassino, al fine di evitare che la loro incolumità fosse messa in pericolo dai bombardamenti che sarebbero stati effettuati sulla città. I tedeschi non si accorsero di questa manovra e furono quindi presi completamente alla sprovvista. L’attacco aereo cominciò alle 8, quando il primo gruppo di bombardieri sganciò il suo carico di bombe sopra Cassino. Un’ondata dopo l’altra, il bombardamento durò complessivamente quattro ore. In totale vi presero parte 775 aerei: 200 tra caccia e cacciabombardieri, il resto tra bombardieri medi e pesanti. Su Cassino e sulle immediate vicinanze, un’area di circa 400 x 1.400 metri, vennero sganciate 1.250 tonnellate di bombe ad alto esplosivo; il generale Eaker parlò addirittura di una cifra doppia rispetto a questa. I ponti, i pezzi d’artiglieria e i centri di rifornimento tedeschi furono bombardati con precisione dai cacciabombardieri alleati, che oltre a sganciare il loro carico di bombe facevano anche fuoco con le mitragliatrici di bordo. Alle 12.30, nel momento stesso in cui l’ultima bomba cadeva su Cassino, l’artiglieria alleata aprì contro l’abitato e il monte un massiccio tiro di preparazione al quale presero parte 748 pezzi di diverso tipo e calibro. L’azione dell’artiglieria sulla città di Cassino durò fino alle 15.30, ma sulle rovine dell’abbazia si protrasse fino alle prime ore del 16 marzo. Il consumo di munizioni da parte alleata fu straordinariamente elevato. Secondo fonti attendibili, tra le 12.30 e le 20 del 15 marzo, le artiglierie alleate spararono non meno di 195.969 granate. Il II battaglione del 3° reggimento paracadutisti, che presidiava l’abitato rinforzato da una compagnia e da un gruppo d’artiglieria controcarro, subì tutto il peso dell’attacco. Dei 119



L’abitato di Cassino sotto l’azione del massiccio attacco aereo alleato, sferrato alle ore 8 del 15 marzo 1944. I ponti, gli schieramenti d’artiglieria e i centri logistici tedeschi furono bombardati da una forza di 775 aerei, che sganciò su Cassino e sulle immediate vicinanze 1.250 tonnellate di bombe ad alto esplosivo.

300 uomini che lo componevano almeno 160 furono uccisi, feriti o sepolti sotto le macerie durante il solo bombardamento aereo; la sorte peggiore toccò a quanti si trovavano nella zona più a nord. Anche il successivo tiro di preparazione mieté le sue vittime. Poiché, però, l’intera popolazione aveva abbandonato la città alcune settimane prima, nessun civile rimase ucciso. La compagnia di riserva del II battaglione, la 4a, fu salvata dalla prontezza di decisione del comandante del battaglione, capitano Foltin. Fino al momento in cui ebbe inizio il bombardamento la compagnia era acquartierata nella parte inferiore di un grande edificio. La mattina del 15 marzo, non appena la prima ondata di bombardieri ebbe sganciato il suo carico di bombe su Cassino, Foltin approfittò della successiva breve pausa per trasferire la compagnia in una vicina cantina che ospitava anche il suo comando avanzato. Questa mossa si dimostrò poi di importanza decisiva per i combattimenti difensivi che ebbero luogo più tardi. Il corpo d’armata neozelandese, con i suoi numerosi carri armati, cominciò ad attaccare alle 15.30. Obiettivi immediati della 2a divisione neozelandese erano la parte settentrionale di Cassino e Quota 193. Ma non appena si avvicinò alle rovine di Cassino, la 5a brigata di fanteria si imbatté nell’imprevisto e intenso fuoco aperto dai paracadutisti superstiti. Gli alleati non avevano previsto questa possibilità. Nessuno immaginava che i tedeschi fossero ancora in grado di organizzare un’azione difensiva dopo gli attacchi aerei e di artiglieria cui erano stati sottoposti. Si pensava che anche quei pochi difensori che non erano rimasti sepolti sotto le macerie fossero così scossi nel morale da essere incapaci di qualsiasi ulteriore resistenza. I neozelandesi fecero quindi scarsi progressi. Entro sera il loro XXV battaglione era penetrato di soli 200 metri nella parte settentrionale della città, e soltanto dopo una dura lotta era riuscito a conquistare Quota 193. Il XXVI battaglione tentò di entrare nella città passando a sud della via Casilina, ma non riuscì a piegare la tenace resistenza opposta dalla compagnia di riserva del capitano Foltin, che operava specialmente dall’Hotel Excelsior. I neozelandesi spinsero in prima linea anche il 123

XXIV battaglione, ma neppure così riuscirono a cacciare i paracadutisti dall’albergo. Evidentemente, l’attacco della fanteria neozelandese risentiva della mancanza di un adeguato appoggio di carri armati: fin dall’inizio apparve chiaro che i loro mezzi corazzati non erano in grado di seguirli. Era stato lo stesso attacco aereo americano a creare un ostacolo insuperabile: le rovine delle case di Cassino formavano mucchi alti come montagne, mentre le strade e i campi intorno alla città erano costellati di profondi crateri. Alcuni tentativi alleati di aprire dei passaggi per i carri armati con i bulldozer furono efficacemente ostacolati dal fuoco dell’artiglieria tedesca, e non approdarono ad alcun risultato di rilievo.

Sergente appartenente alla 5a brigata neozelandese conduce l’attacco contro il II battaglione paracadutisti tedeschi, che nel marzo 1944 presidiava le posizioni difensive di Cassino. I neozelandesi diedero inizio al loro attacco per impadronirsi di Cassino e di Quota 193 alle ore 15.30 del 15 marzo, ma furono ostacolati dall’imprevista azione difensiva.

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Fino alla sera del 15 marzo il comando tedesco non ebbe nessuna chiara idea in merito alla situazione esistente a Cassino. Tutti i collegamenti a lunga distanza che facevano capo alla città erano interrotti. Ma l’enorme impiego di materiale bellico da parte degli alleati dimostrava chiaramente che essi stavano per lanciare un attacco in grande stile. Il generale Heidrich, comandante della 1a divisione paracadutisti, che per caso quella mattina si trovava al posto comando avanzato del suo 3° reggimento, decise di concentrare intorno a Cassino il tiro della sua artiglieria e quello del 71° reggimento mortai: questa mossa ebbe l’effetto di paralizzare l’attacco del corpo d’armata neozelandese. Particolarmente efficace si dimostrò l’attività del reggimento di mortai e di un distaccamento di cannoni contraerei da 88mm situato nei pressi di Aquino. Nonostante questo concentramento di fuoco difensivo, entro la sera del 15 marzo, due terzi di Cassino erano nelle mani dei neozelandesi. Ma fintantoché i difensori continuavano a controllare il centro della città e la stazione ferroviaria, per essi la partita non era ancora perduta. Durante la notte successiva ingenti rinforzi tedeschi raggiunsero la città e costituirono una salda linea difensiva lungo la via Casilina fino alla stazione. L’intera difesa di Cassino venne affidata al capitano Rennecke. Nel frattempo la 4a divisione indiana era scesa in campo, concentrando i suoi sforzi contro lo stesso Montecassino. Durante la sera del 15 marzo i cannoni alleati sottoposero l’altura e l’abbazia a otto ore di tiro di preparazione. Grazie a questa copertura, il battaglione Essex della 5a brigata indiana poté raggiungere Quota 193, già conquistata dai neozelandesi, e impadronirsi a sua volta di Quota 165. Questa manovra aprì un ampio varco nelle difese di Montecassino in quel momento affidate al I battaglione del 3° reggimento paracadutisti, l’unità che io comandavo. La 2a compagnia del battaglione, che aveva difeso Quota 193 ed era ora impegnata in questa zona, fu completamente annientata: solo un soldato riuscì ad aprirsi un varco e a rifugiarsi nell’abbazia. 125

I Rajputana della 5a brigata indiana tentarono invano di occupare Quota 236, subendo gravi perdite. Ma il I battaglione del 9° reggimento di fanteria Gurkha sfruttò il varco aperto nelle difese tedesche per attaccare verso sud: durante la notte i suoi uomini scalarono la rocciosa Quota 435, che gli alleati denominavano “Hangman’s Hill” (“collina del boia”). Muovendosi alle spalle dei difensori di Cassino, i Gurkha erano così riusciti a portarsi a meno di 400 metri dall’abbazia. Ma il loro tentativo di raggiungere la costruzione fu altrettanto vano di quello dei paracadutisti tedeschi di ricacciarli con un contrattacco da Quota 435. Giù, in città, il 16 marzo tutti i tentativi neozelandesi di portarsi a sud della via Casilina passando in prossimità dell’Hotel Excelsior furono respinti. Ma il giorno seguente il XXVI battaglione si infiltrò nella parte orientale della città e conquistò la stazione ferroviaria, che si trova al di fuori. A questo punto Cassino era pressoché accerchiata. Il varco che i tedeschi mantenevano ancora aperto tra la stazione e Quota 435 era largo solo 1.100 m, e il 18 marzo un contrattacco tedesco contro la stazione fallì. Ma la 6a brigata di fanteria neozelandese schierata a est della stazione non riuscì a spingersi a ovest e completare così l’accerchiamento occupando la via Casilina a sud della città. Gli alleati si lasciarono così sfuggire una favorevolissima occasione. I tedeschi si stavano infatti preparando a chiudere il varco creatosi nel loro fronte in corrispondenza di Quota 193. A tal fine, la notte tra il 18 e il 19 marzo tra le rovine dell’abbazia venne costituito il I battaglione del 4° reggimento paracadutisti. Approfittando dell’oscurità, i suoi uomini scesero furtivamente il pendio e all’alba attaccarono la Quota e i ruderi sovrastanti. Pur subendo gravissime perdite, i paracadutisti riuscirono a occupare la posizione, ma poi furono costretti a ritirarsi. Comunque, il varco era stato posto sotto controllo, almeno per quanto riguardava le ore diurne, e i Gurkha attestati su Quota 435 erano iso126

lati, per cui il generale Freyberg fu costretto ad approvvigionarli mediante un ponte aereo. Da parte sua, il generale Heidrich era deciso a costringerli alla resa sottoponendoli a un fuoco di artiglieria concentrato, ma i Gurkha non avrebbero ceduto. L’attacco dei paracadutisti contro Quota 193, Rocca Ianula, ebbe un altro aspetto positivo. Esso colse la 5a brigata indiana proprio nel momento in cui il suo battaglione Essex stava preparandosi a collegarsi con i Gurkha per sferrare unitamente ad essi, il 19 marzo, un attacco da Quota 435 contro l’abbazia. Nello stesso tempo una compagnia del 20° reggimento carri neozelandese avrebbe dovuto avanzare nella zona montuosa a nord-ovest di Montecassino e attaccare l’abbazia. Senza dubbio, ignorando quanto era accaduto sulla Rocca Ianula, 17 carri armati leggeri neozelandesi il 19 marzo avanzarono attraverso le montagne per attaccare Montecassino. Poiché i tedeschi avevano pensato che su un terreno così accidentato non avrebbero potuto avventurarsi carri armati nemici, l’attacco li colse completamente alla sprovvista. Nonostante ciò, essi riuscirono a distruggerli uno dopo l’altro a colpi di cannone o in combattimento ravvicinato prima ancora che avessero raggiunto Montecassino. Né i neozelandesi riuscirono a procedere oltre nella città di Cassino: i paracadutisti resistevano saldamente. Per quanto leali, i combattimenti di questa fase furono assai duri. Il 19 marzo gli alleati annunciarono che a partire dal 15 marzo solo 51 soldati tedeschi erano stati fatti prigionieri. Questo sviluppo degli eventi indusse il primo ministro Churchill a chiedere al generale Alexander, il 20 marzo, perché mai l’offensiva alleata non avesse realizzato alcun progresso. Nella sua risposta Alexander sottolineò che il disastroso bombardamento aveva gravemente ridotto la possibilità di impiego di carri armati nella città. Inoltre egli rese omaggio alla notevole efficacia della resistenza opposta dai paracadutisti tedeschi, i quali aveva127

no resistito a un tiro di preparazione di artiglieria di una violenza senza precedenti e a un bombardamento al quale avevano preso parte tutte le forze aeree alleate disponibili nel teatro italiano. Molto ammirato, Alexander scrisse di dubitare che esistesse al mondo un altro gruppo di uomini capaci di uscire vivi da un’esperienza come quella subita dai paracadutisti tedeschi a Cassino, e addirittura, di battersi poi con tanto accanimento. Il 21 marzo Alexander convocò a rapporto i comandanti delle unità impegnate in prima linea per considerare l’eventualità di sospendere immediatamente l’operazione. Freyberg si oppose, sostenendo di essere ancora in grado di operare uno sfondamento sul fronte di Cassino. Il 22 marzo il corpo d’armata neozelandese sferrò quindi nuovi attacchi. Ma in nessun punto riuscì ad avanzare, e questo ulteriore fallimento convinse Alexander dell’opportunità di sospendere la battaglia quello stesso giorno. Era ormai chiaro che le forze di cui disponeva la 5a armata americana erano insufficienti per aprire una “via d’accesso a Roma”. Se voleva raggiungere questo obiettivo prima della fine della primavera, il comando alleato avrebbe dovuto prendere provvedimenti di maggiore portata. Il primo di questi provvedimenti fu l’operazione “Strangle”, iniziata dalle forze aeree alleate nel marzo del 1944 e proseguita poi per parecchi mesi. Suo obiettivo era quello di interrompere le vie di rifornimento che congiungevano le truppe tedesche con l’Italia settentrionale e con la stessa Germania. Il generale Eaker, comandante in capo delle forze aeree alleate nel Mediterraneo, inviò ogni giorno formazioni della 1a forza aerea tattica inglese e della 12a statunitense ad attaccare nodi ferroviari, ponti e passi montani dell’Italia centrale. I caccia venivano impiegati per mitragliare i treni merci e le colonne di rifornimento motorizzate, mentre i bombardieri pesanti concentravano i loro sforzi contro i passi alpini e i maggiori centri di comunicazione del nord. Gli attacchi aerei alleati si rivolsero anche contro i porti marittimi. 128

Ma nonostante questi sforzi massicci, il generale Eaker non riuscì a interrompere le vie di rifornimento del gruppo di armate di Kesselring. Gli stati maggiori tedeschi avevano già preso misure di emergenza, prevedendo che in ogni caso con la fine dell’inverno e l’arrivo della bella stagione sarebbe stato logico aspettarsi un’intensificazione della guerra aerea. Ma entro la primavera del 1944 la Luftwaffe in Italia aveva subìto perdite così gravi da non poter mettere insieme formazioni di caccia in grado di neutralizzare l’operazione “Strangle”, e l’onere della difesa ricadde necessariamente sull’artiglieria contraerea. I comandanti tedeschi ritenevano che l’operazione “Strangle” fosse il preludio a una battaglia decisiva sulla linea Gustav. Ma non potevano fare altro che formulare congetture sul quando e dove Alexander avrebbe lanciato la nuova offensiva. Kesselring pensava a uno sbarco alleato su vasta scala, forse a nord di Roma, in prossimità di Civitavecchia, o addirittura più a nord, vicino a Livorno. Tenendo conto che la Luftwaffe era molto debole e che i tedeschi non disponevano di alcuna forza navale, non sarebbe stato possibile effettuare alcun serio tentativo di sventare la mossa alleata, né durante la fase di avvicinamento delle navi alla costa, né durante lo sbarco vero e proprio. Un’operazione di questo genere avrebbe anche offerto agli alleati una buona occasione per bloccare i passi dell’Appennino toscano prima che le restanti truppe tedesche schierate lungo la linea Gustav e nei pressi della testa di ponte di Anzio potessero abbandonare l’Italia meridionale e centrale. Kesselring pensava che se gli alleati non avessero tentato uno sbarco in forze, ci si sarebbe dovuti aspettare un ampio e profondo attacco nei settori meridionale e centrale del fronte di Cassino da parte della 5a armata americana e dell’8a armata britannica. Tuttavia egli si chiedeva con una certa perplessità se Alexander avrebbe appoggiato l’offensiva con massicci aviosbarchi nella valle del Liri. In ogni caso, egli supponeva che il punto focale dell’im129

minente battaglia sarebbe stato rappresentato dai Monti Aurunci e da Montecassino. Ma solo il futuro avrebbe potuto dire quale sarebbe stato il punto cruciale dell’offensiva. Avendo un’alta stima della capacità di combattimento del corpo di spedizione francese, Kesselring pensò di poter trarre qualche deduzione in base al suo nuovo schieramento. Poiché nel frattempo questa formazione era stata ritirata dalle precedenti posizioni, egli diede istruzioni alla 10a armata affinché gli riferisse il più presto possibile la nuova posizione. Durante queste settimane anche lo schieramento della 10a armata tedesca subì alcune modifiche. La 15a divisione Panzergrenadier fu ritirata dal fronte e passata in riserva, mentre il suo posto veniva preso dal Kampfgruppe Bode, una formazione costituita soprattutto da elementi della 305a divisione di fanteria. Il comando generale del fronte dalla costa tirrenica fino al Liri fu affidato al XIV Panzerkorps, mentre le divisioni schierate tra il Liri e Alfedena furono poste agli ordini del LI corpo d’armata da montagna del generale Feuerstein. La difesa della posizione chiave intorno a Cassino era ancora nelle mani della 1a divisione paracadutisti, ma mentre ora il 4° reggimento paracadutisti presidiava la città e il monte, il reggimento Heilmann si collegava con esso a nord-ovest. Alla sua sinistra si trovava il Kampfgruppe Ruffin, posto alle dipendenze della 1a divisione paracadutisti e costituito da due battaglioni da montagna. Il 1° reggimento carri, a cui ora vennero assegnati in rinforzo due battaglioni Panzergrenadier, sarebbe rimasto nelle retrovie come riserva di divisione. Anche il XV gruppo di armate alleato stava preparandosi per lo scontro decisivo. Il corpo di spedizione francese era stato trasferito in corrispondenza del corso superiore del Garigliano, dove aveva assunto il controllo della testa di ponte del X corpo d’armata britannico. Il settore comprendente le alture a nord di Cassino dove era stato schierato in precedenza fu affidato al II corpo d’armata polacco del generale Anders, mentre il II corpo d’armata americano, che 130

ora comprendeva l’85a e l’88a divisione, si schierava sul basso corso del Garigliano. Il corpo d’armata neozelandese fu sostituito dal XIII corpo d’armata britannico, alle cui spalle venne dislocato il I corpo d’armata canadese; il X corpo d’armata britannico era stato spostato sull’alto Rapido. La maggior parte dell’8a armata britannica era così riunita nel settore di Cassino e solo due divisioni restavano nel settore adriatico. I mutamenti apportati allo schieramento tedesco erano stati praticamente ultimati quando, nella tarda serata dell’11 maggio, il XV gruppo di armate alleato diede il via alla sua possente offensiva. 21 divisioni alleate a ranghi completi e perfettamente equipaggiate, affiancate da 11 formazioni ciascuna della forza di una brigata, scesero in campo per impegnare 14 divisioni tedesche uscite malconce dalle precedenti battaglie, appoggiate da 3 formazioni, ciascuna dell’entità di una brigata. A un segnale trasmesso da Londra dalla BBC, alle 23 l’artiglieria alleata aprì il fuoco con 2.000 pezzi d’artiglieria lungo tutto il fronte, da Acquafondata, sull’alto Rapido, fino al Tirreno. Fu verso mezzanotte che gli uomini della 5a e dell’8a armata cominciarono ad avanzare. Quando spuntò l’alba, aerei alleati attaccarono obiettivi situati sul fronte e nelle retrovie nemiche: il comando della 10a armata tedesca, ad Avezzano, e quello del XIV Panzerkorps furono spazzati via da massicce incursioni aeree. In quel momento cruciale il comandante in capo della 10a armata, generale von Vietinghoff, e il comandante del XIV Panzerkorps, generale von Senger und Etterlin, si trovavano ambedue in permesso in Germania, da dove furono frettolosamente richiamati al fronte. Ma quando vi arrivarono il dado era già stato tratto nel settore occupato dal corpo di spedizione francese, i cui effettivi erano stati aumentati a 4 divisioni. La notte dell’11-12 maggio le truppe di Juin sferrarono un violento attacco contro le posizioni della 71a divisione fanteria tedesca schierata sull’alto Garigliano. Durante quella stessa notte la 2a divisione di fan131

LA LOTTA INTORNO A CASSINO 15 marzo 1944: gli aerei alleati sganciano su Cassino oltre 1.250 tonnellate di bombe: a ciò fa seguito un pesante fuoco di artiglieria. Alle ore 15.30 la 2a divisione neozelandese attacca, ma incontra una resistenza tenacissima e, dopo una breve avanzata conclusasi con la conquista di Quota 193, è costretta a fermarsi. Quella stessa sera la 4a divisione indiana attacca e conquista Quota 165. 16 marzo: tutti i tentativi di avanzata vengono frustrati. 17 marzo: i neozelandesi riescono a penetrare nella parte orientale di Cassino e a conquistare la stazione ferroviaria, ma non riescono a completare l’accerchiamento dell’abitato. 19 marzo: un contrattacco tedesco fallisce nel tentativo di riconquistare Quota 193, ma ottiene l’allentamento della morsa alleata. Alcuni carri armati neozelandesi lanciatisi all’attacco dell’abbazia vengono distrutti. 22 marzo: il corpo d’armata neozelandese sferra ulteriori attacchi, che però si rivelano completamente infruttuosi. Alexander decide di sospendere gli attacchi frontali. 11 maggio: il XV gruppo d’armata alleato inizia l’offensiva volta ad aggirare l’abbazia. 12 maggio: il corpo di spedizione francese conquista il Monte Faito, ma la 51a divisione polacca non riesce ad assicurarsi il controllo di Colle Sant’Angelo. 13 maggio: i francesi conquistano il Monte Maio e Castelforte, aprendo così la strada per Roma. Si preparano quindi ad avanzare sui Monti Aurunci. Il II corpo d’armata americano conquista Santa Maria Infante, mentre la 4a divisione britannica comincia ad ampliare la sua testa di ponte al di là del Rapido. 14 maggio: i francesi sfondano le linee tedesche in corrispondenza dei Monti Aurunci, mentre il XIII corpo d’armata britannico prosegue la sua offensiva. 15 maggio: la 78a divisione inglese raggiunge la strada Cassino-Pignataro Interamna e la 1a divisione francese entra a San Giorgio a Liri. 17 maggio: poiché i francesi si trovano ormai ben 40 km al di là della linea difensiva tedesca. Kesselring ordina l’evacuazione di Cassino. 18 maggio: il I corpo d’armata canadese raggiunge Pontecorvo, sulla linea Adolf Hitler. Il 12° reggimento polacco Podolski prende d’assalto le rovine di Montecassino. 25 maggio: il II corpo d’armata americano si ricongiunge con la testa di sbarco di Anzio.

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teria marocchina si assicurava il possesso del Monte Faito, importantissimo dal punto di vista tattico. Questo successo aprì la via per Monte Maio, il pilastro meridionale della “via d’accesso a Roma”. I marocchini se ne impadronirono il pomeriggio seguente. A nord dei marocchini, la 1a divisione motorizzata francese, una formazione appena arrivata in Italia, al comando del generale Brosset, si apprestò ad avanzare nella valle del Liri. Nella giornata del 13 maggio occupò Sant’Andrea di Vallefredda, Sant’Ambrogio sul Garigliano e Sant’Apollinare, raggiungendo il Liri a nord di questi centri. Anche le divisioni più a sud avevano riportato successi. Un’altra nuova formazione, la 4a divisione da montagna marocchina, si era infiltrata con la 3a divisione algerina al di là della linea Gustav, riuscendo a ricacciare la 71a divisione di fanteria tedesca dalle sue posizioni ben fortificate. Castelforte, un centro situato in posizione elevata nella valle dell’Ausente e quindi in grado di controllarne l’accesso, era nelle mani della 3a divisione di fanteria algerina.

Sopra: soldati alleati avanzano con difficoltà tra le case distrutte di Cassino nel marzo del 1944. 133



Il bombardamento alleato di Cassino portò la distruzione sull’abitato e sulle alture circostanti, ma non riuscì a disorganizzare la difesa tedesca. Anzi, creò un ostacolo imprevisto alle stesse forze alleate: gli alti cumuli di macerie e i crateri scavati nel terreno dalle bombe causarono difficoltà alle truppe neozelandesi e indiane nell’impiego dei carri armati che avrebbero dovuto appoggiare il loro attacco. Gli alleati aprirono un varco nelle difese tedesche, ma senza riuscire a conquistare Montecassino. La propaganda tedesca fu pronta a sfruttare a suo vantaggio il fallimento alleato. “I monti e le valli dell’Italia assolata vogliono vedervi”, dice il volantino a destra, in cui Montecassino e le alture vicine sono rappresentati come mostri enormi ed affamati, pronti ad inghiottire nelle loro fauci spalancate centinaia di soldati alleati, sacrificati inutilmente lontano dalla patria.

Sopra: Cassino, marzo 1944: soldati di fanteria britannici effettuano il rastrellamento delle case conquistate per eliminare eventuali elementi tedeschi isolati. A causa del fallito tentativo alleato di operare uno sfondamento sul fronte di Cassino, il 22 marzo il generale Alexander ordinò che venisse sospesa l’offensiva. Sotto: truppe polacche lanciano bombe a mano prima di assaltare una posizione tedesca. Nel maggio del 1944, in seguito ai mutamenti apportati nello schieramento alleato, al II corpo d’armata polacco del generale Anders era stato affidato il compito di aprire un varco sulle alture a nord di Cassino e conquistare l’abbazia.

Il generale Juin si rese conto di avere a portata di mano una grande occasione. Mentre gli algerini avanzavano verso la valle dell’Ausente, puntando sulle postazioni di artiglieria tedesche che vi si trovavano, e la 4a divisione da montagna marocchina si preparava a sferrare un colpo decisivo muovendo in diagonale attraverso i Monti Aurunci, egli attaccò immediatamente il fianco della 71a divisione di fanteria tedesca da sud. Sulla costa il II corpo d’armata statunitense stava facendo progressi più lenti dei francesi. L’85a e l’88a divisione, appena arrivate dagli Stati Uniti, non avevano alcuna esperienza di guerra. L’88a divisione fu impegnata soprattutto nei pressi del villaggio di Santa Maria Infante, nel settore della 94a divisione tedesca. Nonostante il notevole aiuto rappresentato dalla rapida avanzata dei francesi, gli americani non riuscirono a impadronirsi di questa posizione prima del 13 maggio. Il giorno seguente, in realtà, i successi francesi costrinsero la 94a divisione di fanteria tedesca ad abbandonare il territorio fino a quel momento occupato e a ripiegare su una linea più arretrata. I risultati conseguiti dal corpo di spedizione francese costituirono un valido aiuto anche per gli sforzi offensivi del XIII corpo d’armata britannico del generale Kirkman. la cui missione era quella di attraversare sia il Rapido sia il Gari e avanzare nella valle del Liri. Sul suo fianco sinistro l’8a divisione indiana al comando del generale Russell attraversò i due corsi d’acqua senza incontrare resistenza; alle sue spalle i genieri allestirono immediatamente due ponti, permettendo così a un reggimento carri canadese di seguirla il 13 maggio. Meno fortuna ebbe la 4a divisione inglese del generale Ward, che aveva sviluppato un attacco attraverso il Rapido a sud di Cassino. Dopo un massiccio tiro di preparazione, due sue brigate (la 10a e la 28a) riuscirono ad assicurarsi una stretta striscia di terra sull’una e sull’altra riva del Rapido, ma nello stesso giorno la seconda di queste brigate fu respinta al di qua del fiume da un contrattacco tedesco. Il 13 maggio, tuttavia, la 10a bri137

gata riuscì ad allargare in misura considerevole la testa di ponte, e anche qui, nel corso della notte seguente, genieri inglesi gettarono un ponte attraverso il Rapido. Di fronte a questo sviluppo generale della situazione sul fronte di Cassino, la 10a armata tedesca si vide costretta a gettare in combattimento, senza altri indugi, tutte le riserve disponibili. Alcuni contingenti della 90a divisione Panzergrenadier erano già impegnati in combattimento dal XIII corpo d’armata britannico. Altri elementi della 305a divisione fanteria furono fatti affluire in tutta fretta dal settore adriatico. Sul campo di battaglia arrivarono due battaglioni della 114a divisione di fanteria leggera, nonché riserve di altre divisioni. Le truppe tedesche erano messe in grave difficoltà soprattutto dagli intensi attacchi aerei alleati che non solo logoravano la resistenza dei difensori e ne distruggevano le armi, ma impedivano ai comandi di effettuare alla luce del giorno qualsiasi movimento di truppe, in prima linea o nelle retrovie. Il XIII corpo d’armata britannico proseguì i suoi attacchi nella giornata del 14; la 78a divisione proseguì la sua avanzata verso ovest raggiungendo la strada Cassino-Pignataro Interamna il 15 maggio, lo stesso giorno in cui la 1a divisione francese entrava a San Giorgio a Liri, nel tratto meridionale della valle del Liri. Questi successi inglesi e francesi misero in difficoltà il fianco destro del LI corpo d’armata da montagna tedesco, schierato al di là del Liri. L’8a armata britannica si affrettò a sfruttare la nuova occasione favorevole gettando in battaglia, sul suo fianco sinistro, il I corpo d’armata canadese agli ordini del generale Burns, con il compito di conquistare Pontecorvo. Il 16 maggio il generale Burns attaccò; il 18 le sue truppe si trovavano davanti a Pontecorvo, sulla linea Senger-Riegel o, come la chiamavano gli alleati, linea Adolf Hitler. Questa linea, che aveva richiesto vari mesi di sistematici lavori di allestimento, correva da Terracina, sulla costa tirrenica, fino a Monte Cairo, passando per Pico e attraversando 138

la valle del Liri. La sua funzione era quella di contenere ogni eventuale sfondamento alleato sul fronte di Cassino. Mentre nel settore meridionale dell’offensiva le unità del XV gruppo di armate avevano già percorso molto cammino nella loro avanzata verso ovest, il II corpo d’armata polacco del generale Anders non era ancora riuscito ad aprire una breccia nelle posizioni tedesche a nord della città e a conquistare Montecassino, come gli era stato ordinato. Anders aveva a sua disposizione per questo attacco due divisioni e una brigata corazzata; inoltre durante le ultime settimane i genieri avevano approntato per i suoi carri armati una strada che si spingeva fin sulle alture a nord-ovest di Montecassino. L’attacco della 5a divisione polacca ebbe inizio la notte tra l’11 e il 12 maggio, avendo come obiettivo Colle Sant’Angelo. Da qui la divisione avrebbe poi dovuto avanzare fino al Monte Cairo. Ma l’attacco, ostacolato soprattutto dall’artiglieria tedesca, fallì, e la sera del 12 maggio, avendo subito gravi perdite, il generale Anders si vide costretto a far ripiegare la divisione sulla linea di partenza. Analoga sorte toccò alla 3a divisione polacca. All’inizio dell’attacco la 15a brigata della divisione Carpatica era riuscita a conquistare di sorpresa Quota 593 (Monte Calvario), un’altura tatticamente importantissima situata a nord-ovest di Montecassino. Ma per tutta la giornata del 12 maggio i paracadutisti tedeschi attaccarono ripetutamente i polacchi spintisi sulla collina, e al quarto attacco, nonostante la disperata resistenza nemica, la riconquistarono. Con quanto coraggio il battaglione polacco si fosse battuto in difesa del Monte Calvario si può desumere con chiarezza dalle perdite subite: entro il mezzogiorno del 12 maggio solo un ufficiale e sette uomini erano ancora in grado di resistere. Il generale Anders si vide quindi costretto a ritirare anche la sua 3a divisione già alla fine del primo giorno. I polacchi attaccarono di nuovo e per ben quattro volte il 13 e il 14 maggio, ma senza successo. A sventare 139



Carro armato “Sherman” tra le rovine dell’abitato di Cassino. L’altura di Montecassino fu occupata dalle forze polacche il 18 maggio 1944, dopo che la 1a divisione paracadutisti tedesca, minacciata d’accerchiamento, ebbe ripiegato a ovest, sulle montagne.

i loro tentativi non fu soltanto la tenace resistenza opposta dai paracadutisti e dal Kampfgruppe Ruffin; anche l’artiglieria tedesca, la cui attività era resa ancora più efficace dal terreno roccioso e scoperto, mieté un gran numero di vittime tra i polacchi. Gli artiglieri tedeschi erano inoltre avvantaggiati dal fatto che i loro posti di osservazione, situati sulla sommità del Monte Cifalco (poco meno di 1.000 metri di altezza), dominavano da nord l’intero settore offensivo del II corpo d’armata polacco. I polacchi tentarono, è vero, di ridurre la possibilità di osservazione delle vedette tedesche con cortine fumogene, ma questo espediente si dimostrò solo saltuariamente efficace. Per il momento, dunque, la minaccia rappresentata dal II corpo d’armata polacco sembrava essere stata annullata. Ma gli sviluppi sul fianco destro della 1a divisione paracadutisti, fronteggiata dal XIII corpo d’armata britannico che stava avanzando, erano estremamente preoccupanti. Il 17 maggio la 78a divisione inglese occupò Piumarola e ancora più a nord la 4a divisione avanzò a ovest di Cassino fino alla via Casilina. Questi sviluppi minacciavano gravemente le comunicazioni nelle retrovie dei reggimenti della 1a divisione paracadutisti. Ancora più seria era però la situazione sul fianco destro della 10a armata tedesca. Qui il 13 maggio il generale Juin aveva raccolto una forza d’attacco di 12.000 uomini, mettendo insieme elementi della 4a divisione da montagna marocchina e dei Goum, reclutati tra i montanari nordafricani; essa disponeva tra l’altro di 4.000 animali da tiro. Il generale Guillaume, comandante di questa forza, il 14 maggio sferrò un attacco avente lo scopo di sfondare le linee tedesche e raggiungere i Monti Aurunci. Suo primo obiettivo era il Monte Petrella, un’altura di circa 500 metri di quota situata in posizione dominante molto di là dalla linea Gustav. Senza curarsi di quanto stava accadendo sui suoi fianchi, la forza d’attacco attraversò di slancio l’impervia e quasi invalicabile catena montuosa, conquistando il Monte Petrella il 16 maggio. Poi i marocchini avanzarono di slancio sul Monte Revole e riuscirono a conquistarlo quello stesso giorno. (A questo punto ricevettero rifornimenti per via aerea.) Ma il loro attacco non si arrestò qui.

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Entro la sera del 17 maggio Guillaume aveva conquistato il Monte Faggeto e controllava quindi la strada Itri-Pico, una rotabile importantissima per il XIV Panzerkorps. Anche l’ala destra del corpo di spedizione francese realizzò buoni progressi. Vicino a Castelnuovo Parano, la 3a divisione di fanteria algerina respinse il CXV battaglione esplorante tedesco e con l’aiuto di alcuni contingenti della 2a divisione di fanteria marocchina occupò Ausonia, punto di notevole importanza tattica. Gli algerini proseguirono poi verso Esperia, ma furono temporaneamente contenuti da un contrattacco del 200° reggimento Panzergrenadier della 90a divisione. Comunque il 17 maggio essi riuscirono a conquistare Esperia, mentre quello stesso giorno la 1a divisione francese si assicurava il controllo del Monte d’Oro. Il 19 maggio, infine, i francesi si ritrovarono appena a sud di Pico. La violentissima azione di sfondamento effettuata dai francesi, guidati con straordinaria abilità, aveva in realtà già assicurato la vittoria agli alleati nel momento stesso in cui era caduto il Monte Petrella. Il XIV Panzerkorps era stato praticamente annientato. Il 20 maggio il generale von Senger und Etterlin, ritornato dalla Germania tre giorni prima, sostituì la 71a divisione fanteria, ormai decimata, con una formazione fresca, la 26a Panzerdivision. Ma a questo punto neppure questi uomini avrebbero potuto mutare il corso degli eventi. Anche la 94a divisione di fanteria era sull’orlo della disfatta. Continuamente minacciata sui fianchi e alle spalle dai francesi in rapida avanzata, essa sostenne una disperata lotta contro il II corpo d’armata americano. Il 17 maggio gli americani conquistarono la città costiera di Formia. Poco più tardi raggiunsero Itri e il 19 maggio il Monte Grande, un’altura situata in posizione dominante a ovest della strada ItriPico. Una settimana dopo gli uomini del II corpo d’armata americano potevano abbracciare i loro compagni del VI corpo d’armata che da tempo li attendevano nella testa di ponte di Anzio. 144

Montecassino era ormai l’ultimo pilastro della linea difensiva tedesca. Il 17 maggio, mentre le truppe marocchine del generale Guillaume si trovavano già 40 km al di là del fronte, il generale Anders riprese gli attacchi contro la 1a divisione paracadutisti. In un combattimento che infuriò per dieci ore, le due parti si contesero con particolare violenza il possesso del Monte Calvario. Ancora una volta i coraggiosi polacchi subirono perdite altissime e non riuscirono a raggiungere il loro obiettivo. Ugualmente vani furono tutti i tentativi della 4a divisione inglese di piegare la resistenza del 4° reggimento paracadutisti tedesco e di impadronirsi della città di Cassino. Ma Montecassino aveva ormai perso da lungo tempo la sua importanza tattica. Dopo lo sfondamento in profondità operato dal corpo di spedizione francese e dal II corpo d’armata americano, la 10a armata tedesca era ormai minacciata di accerchiamento da sud. Per evitare questo pericolo, il 17 maggio il feldmaresciallo Kesselring ordinò che l’intero fronte di Cassino venisse evacuato e durante la notte seguente la 1a divisione paracadutisti cominciò a ripiegare verso ovest sulle montagne. Nelle prime ore del mattino del 18 maggio il 12° reggimento polacco Podolski prese d’assalto le rovine dell’abbazia di Montecassino. Ma non vi trovò neppure un solo paracadutista in grado di combattere. Tutto ciò che scoprì fu un gruppo di feriti che i loro compagni non erano riusciti a evacuare. Uno speciale annuncio alleato comunicò al mondo che dopo quattro mesi di combattimenti Montecassino era stato conquistato. Ma per questo successo gli alleati avevano pagato un prezzo quanto mai elevato. Secondo il generale Clark, dal 15 gennaio 1944, data d’inizio della battaglia di Cassino, fino al 4 giugno, giorno dell’occupazione di Roma, la 5a armata americana aveva perduto, tra morti, feriti e dispersi, 107.144 uomini. A questa cifra si devono aggiungere i 7.835 uomini dell’8a armata britannica, compreso il II corpo d’armata polacco, registrati come persi durante la terza battaglia di Cassino. 145

Sopra: gli attacchi sferrati il 15 marzo 1944 dalla 4a divisione indiana e dalla 2a divisione neozelandese per la conquista di Cassino e di Montecassino portarono gli alleati molto vicino all’obiettivo, mettendo per la prima volta in serie difficoltà le posizioni tedesche su quel settore del fronte. Il 16 marzo, con la conquista di Quota 435 e della stazione ferroviaria di Cassino, la città era pressoché accerchiata. Ma i tedeschi riorganizzarono prontamente le loro difese, e i ripetuti attacchi sferrati dagli alleati sino al 19 marzo non conseguirono ulteriori risultati.

A destra: vista l’impossibilità di conquistare Montecassino d’assalto, l’11 maggio 1944 il XV gruppo d’armate alleato sferrò un attacco su tutto il fronte. Il corpo di spedizione francese del generale Juin, dopo avere operato un rapido sfondamento della linea Gustav a sud di Cassino, il 16 maggio conquistò il Monte Petrella e proseguì obliquamente dietro le linee tedesche fino al Monte Faggeto, da cui poteva controllare la strada Itri-Pico, una rotabile importantissima per il XIV Panzerkorps. Nello stesso tempo il II corpo d’armata americano avanzò verso Formia e Itri e il XIII corpo d’armata britannico attraversò il Rapido e si spinse, a nord del Liri, sino a Pontecorvo. Solo a Montecassino i tedeschi riuscivano

a contenere gli attacchi delle forze polacche. Ma ormai, dopo lo sfondamento in profondità operato dagli alleati a sud, Montecassino aveva perso la sua importanza tattica, e il 18 maggio, dopo il ritiro delle forze tedesche, l’abbazia benedettina era finalmente in mano alleata.

Annidate tra le rovine dell’abbazia di Montecassino, truppe paracadutisti tedesche si preparano a rispondere agli attacchi sferrati dagli alleati nel maggio del 1944.

Neppure oggi è possibile determinare con esattezza l’entità delle perdite tedesche, anche se naturalmente anch’esse furono molto pesanti. Un’indicazione approssimativa è fornita dal cimitero militare tedesco di Cassino, dove giacciono i resti di 20.002 caduti. Ma si deve tenere presente che qui si trovano sepolti anche soldati tedeschi morti a Salerno, nei combattimenti preliminari alle battaglie di Cassino e nel settore Adriatico.

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Erano veramente necessarie quelle battaglie? Per quanto riguarda la questione se le battaglie di Cassino fossero strettamente necessarie per gli alleati, si può dire quanto segue. Se il comando alleato avesse saputo prendere la decisione di sfruttare l’estesa zona costiera italiana per effettuare operazioni di sbarco su vasta scala, alle loro armate sarebbe stata risparmiata la faticosa e costosa marcia da Napoli a Roma. Le sanguinose battaglie combattute per la conquista di Montecassino e della “via d’accesso a Roma”, battaglie che costarono così care ad ambedue le parti, non sarebbero mai apparse negli annali della guerra. Quei sacrifici sarebbero forse stati giustificabili se, dopo la vittoria di Cassino, gli alleati avessero proseguito fino ai Balcani per proteggere quei paesi dall’avanzata comunista. Ma nonostante l’insistenza di Churchill i politici alleati decisero altrimenti, lasciando a Stalin mano libera nella penisola balcanica e tenendo le loro armate in Italia. Nella primavera del 1944, alcune delle loro migliori divisioni furono addirittura ritirate da questo fronte per essere inviate a prendere parte all’invasione della Francia meridionale prevista per la metà di agosto, un’operazione caldamente sollecitata da Stalin, che non ebbe altro risultato che quello di tenere le potenze occidentali lontane dai Balcani. Viste sotto questa luce, le battaglie di Cassino hanno una certa aria di tragedia. Tutti gli studiosi dell’argomento non possono scacciare l’impressione che gli alleati si siano guadagnati l’alloro di Cassino e di Roma soltanto per farne omaggio a Stalin.

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L’abitato di Montecassino, come appariva nel maggio 1944, dopo la fine dei combattimenti tra le forze alleate e quelle tedesche. Il prezzo pagato dagli alleati per la conquista della posizione fu altissimo. Si calcola che dal 15 gennaio 1944, data d’inizio della battaglia di Cassino, al 4 giugno, giorno

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dell’occupazione della città di Roma, al 5a armata statunitense e l’8a britannica (compreso il II corpo d’armata polacco) abbiano perso, tra morti, feriti e dispersi, circa 115.000 uomini.

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Giano bifronte Le grandi battaglie dal punto di vista di fronti opposti

1.

Ivan V. Parotkin, Helmuth Weidling, Alan Bullock, John Keegan, La battaglia di Berlino

Finito di stampare nel mese di febbraio 2024 da Digital Team - Fano (PU)