Introduzione Alle Antichità Di Ventotene: Ricerche archeologiche nell’isola di Ventotene 1
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Table of contents :
Cover
Title Page
Alla memoria
Indice
Lista delle imagini
Prefazione
G. M. De Rossi
Inquadramento geo-morfologico
S. Medaglia
Storia degli studi e degli scavi
S. Medaglia
Da Pandataria a Ventutere: fonti storiche e dinamiche insediative
S. Medaglia
La topografia archeologica di Ventotene romana
G. M. De Rossi
S. Medaglia
Ricerche e rinvenimenti subacquei
Bibliografia*
Referenze grafiche e fotografiche
Figura 1. Il Presidente della Repubblica Sandro Pertini, accompagnato da Giovanni Maria De Rossi, visita, nel 1983, la Mostra ‘Le isole pontine attraversi i tempi’ a Palazzo Venezia (Roma).
Prefazione
Figura 2. Inaugurazione del Museo Storico Archeologico di Ventotene nel 1989: in primo piano, a destra, il Sindaco Beniamino Verde.
Figura 3. Una suggestiva immagine della ‘Cisterna dei Carcerati’, subito dopo la fine degli scavi e dei restauri, illuminata per le visite guidate.
Figura 4. Una porzione della cisterna nell’‘area dei servizi’ a Punta Eolo, in fase di scavo.
Figura 6. Scavo di un ambiente del settore residenziale della villa a Punta Eolo.
Figura 7. Lo scavo del padiglione residenziale sul promontorio della Polveriera.
Figura 8. Lo scavo della fornace a Cala Rossano.
Inquadramento geo-morfologico
Figura 9. L’arcipelago pontino e un’ampia porzione di costa campano-laziale.
Figura 10. Ventotene vista dall’alto e, in lontananza, le isole di Santo Stefano e Ischia.
Figura 11. Pianta di Ventotene con l’indicazione dei toponimi rilevanti.
Figura 12. Veduta dell’isola da sud-ovest con in primo piano Monte dell’Arco e il promontorio omonimo.
Figura 13. Scorcio dal mare del moderno abitato di Ventotene.
Figura 14. Veduta del settore nord-orientale dell’isola in cui si concentra gran parte dell’abitato moderno.
Figura 15. Ventotene, veduta di Cala Nave con le formazioni di Nave di Terra e Nave di Fuori.
Figura 16. Ventotene, litorale di Cala Battaglia: cedimenti della falesia.
Figura 17. Rilievo 3D dell’edificio vulcanico sommerso di Ventotene con i limiti della caldera, del bordo esterno dell’apparato e dei fronti di frana.
Figura 18. L’apparato vulcanico di Ventotene in una ricostruzione ipotetica.
Figura 19. Stratificazioni ondulate lungo la falesia nei pressi delle località Montagnozzo e Olivi.
Figura 20. Carta geologica di Ventoten tratta da Di Fiore et alii 2015.
Figura 21. Ventotene, stratigrafie geologiche lungo la falesia di Punta dell’Arco.
Figura 22. La formazione tufacea di parata Grande.
Figura 23. L’estremità settentrionale di Ventotene nella Carta geologica di Bellucci et alii 1999.
Figura 24. Ventotene, tagli nel banco tufaceo lungo il versante di Punta Eolo.
Storia degli studi e degli scavi
Figura 25. Pergamena con la concessione in efiteusi dell’arcipelago pontino ai Farnese.
Figura 26. Particolare del ‘Progetto di fortificazione e popolamento dell’arcipelago Ponziano’ con la raffigurazione di Ventotene (XVI sec.). La didascalia recita: «Bentetien m(iglia) 5. Tutta pianura senza arbori e buonissimi terreni è tutta inaccessibil
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Figura 27. ‘Mappa corographica’ dell’‘Isola deserta di Ventotiene o Ventitiana’ (prima metà del ‘700). Si noterà che l’isola è prevalentemente occupata da alberi.
Figura 28. Calco dell’Iscrizione funeraria di Metrobius (CIL X, 6785) ora conservata al Museo Nazionale di Napoli.
Figura 29. Il settore nord dell’isola in una pianta della metà circa del Settecento riferibile ai progetti di fortificazione borbonica e intitolata ‘Plano della torre fortificada en la parte ventajosa del la isla de Ventotiene’. Nella didascalia appare in
Figura 30. Pianta della c.d. ‘Cisterna dei carcerati’ realizzata da A. Winspeare.
Figura 31. Il calidarium delle terme in una pianta del XVIII secolo.
Figura 32. Rovine romane presso Punta Eolo in un disegno di P. Mattej dell’8 luglio 1847.
Figura 33. Rovine romane presso Punta Eolo in un disegno di P. Mattej dell’8 luglio 1847.
Figura 34. Lastra campana con scena di prigioniere barbare su carro, disegno di P. Mattej.
Figura 35. Testa di Iside su un ceppo d’ancora in piombo fotografata nei magazzini del museo di Ventotene prima del trafugamento.
Da Pandataria a Ventutere: fonti storiche e dinamiche insediative
Figura 36. Industria su ossidiana proveniente da Punta Eolo.
Figura 37. Ceramiche in impasto rinvenute da G. Buchner nel 1945.
Figura 38. Ceramiche in impasto rinvenute nelle acque di Cala Rossano.
Figura 39. Posizionamento delle aree con concentrazione di industria litica e ceramica in impasto tra Parata Grande e Punta Eolo.
Figura 40. Pietra forata tronco-piramidale rinvenuta nelle acque di Ventotene (Museo Archeologico Comunale).
Figura 41. Sullo sfondo l’isola di Ischia vista dal porto di Ventotene.
Figura 42. Lucerna fittile di probabile produzione attica (fine IV – prima metà del III sec. a.C.) rinvenuta nelle acque di Cala Rossano (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).
Figura 43. Ventotene, la baia naturale di Cala Rossano ulteriormente protetta ad oriente da moderne strutture portuali.
Figura 44. Ara Pacis (Roma), processione sul lato lungo meridionale. Particolare della figura femminile che dovrebbe potersi identificare con Giulia.
Figura 45. Stucco con recumbente da Punta Eolo. Prima metà del I sec. d.C. (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).
Figura 46. Stucchi della prima metà del I sec. d.C. da Punta Eolo (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).
Figura 47. Lastra campana di coronamento rinvenuta a Punta Eolo con due giovani satiri intenti nella pigiatura dell’uva. Età augustea (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).
Figura 48. Stucco policromo dal settore residenziale della villa di Punta Eolo. Prima metà del I sec. d.C. (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).
Figura 49. Testa in marmo raffigurante l’imperatore Tiberio rinvenuta a Ventotene e conservata nel Museo Archeologico Comunale.
Figura 50. Sesterzio in bronzo emesso da Caligola tra il 37 e il 41 d.C.: d/ Busto di Agrippina Maggiore e leggenda AGRIPPINA M. F. MAT. C. CAESARIS AVGVSTI; r/ carpetum trainato da muli e leggenda S.P.Q.R. /MEMORIAE / AGRIPPINAE.
Figura 51. Busto di Giulia Livilla presso l’Altes Museum di Berlino.
Figura 52. Ritratto di Claudia Ottavia (Roma, Museo Nazionale Romano).
Figura 53. Ventotene, la natatio delle terme di Punta Eolo.
Figura 54. Busto marmoreo, forse raffigurante un satiro, appartenente ad un’erma (I sec. d.C., Ventotene, Museo Archeologico Comunale).
Figura 55. Ventotene, bacino di raccolta a cielo aperto della ‘Cisterna dei Carcerati’.
Figura 56. Ventotene, Punta Eolo. Pianta dei resti appartenenti al settore nobile della villa.
Figura 57. Ventotene, ambienti della peschiera/ninfeo scavati nel tufo al di sotto del faro moderno
Figura 58. Quadro sinottico dei bolli romani su tegole e laterizi rinvenuti a Ventotene.
Figura 59. Bollo C ·LICINI · DON[AC]ỊS (CIL XV, 1244) da Punta Eolo. Fine I – Inizi II sec. d.C. (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).
Figura 60. Ventotene, veduta del porto con i resti dei piloni di tufo appartenenti alla fronte porticata dei magazzini di servizio di età romana.
Figura 61. Lapide funeraria reimpiegata come lastra d’altare in età tardoa-antica (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).
Figura 62. Ventotene, Cisterna dei Carcerati. Graffito parietale.
Figura 63. Ventotene, Cisterna dei Carcerati. Edicoletta votiva, particolare.
La topografia archeologica di Ventotene romana
Figura 64. Carta archeologica di Ventotene.
Figura 65. Ventotene, veduta del settore di nord-est con i principali insediamenti romani.
Figura 66. Un tratto di galleria del portico in un a foto della metà del ‘900.
Figura 67. Ventotene, Cala Rossano: colonna intagliata nel tufo e stuccata.
Figura 68. Ventotene, Punta Eolo: tagli nel tufo per incasso di strutture murarie.
Figura 69. Ventotene, una delle due vasche coperte della peschiera intagliata nel tufo.
Figura 70. Veduta aerea di Punta Eolo.
Figura 71. Il porto artificiale romano in una stampa di P. Mattej (metà secolo XIX).
Figura 72. Il porto artificiale romano in una foto della metà del ‘900.
Figura 73. Ventotene, la tempesta nel mare e la quiete nel porto artificiale romano.
Figura 74. L’area portuale di Ventotene in un particolare di una pianta della metà del XVIII secolo.
Figura 75. Avanzo del compluvio al di sopra della ‘Cisterna dei Carcerati’.
Figura 76. Un tratto di condotto interamente scavato nel tufo.
Figura 77. Particolare dell’interno della ‘Cisterna dei Carcerati’ con tracce pittoriche relative al suo riuso.
Figura 78. Il tratto di costa dalla ‘Cisterna dei Carcerati’ a Punta Eolo.
Figura 79. Le terrazze, intagliate nel tufo, che delimitavano il promontorio di Punta Eolo.
Figura 81. La stessa scalinata oggi.
Figura 82. Lo sbocco, franato, della scalinata sud del lato occidentale di Punta Eolo.
Figura 83. Discesa a mare nel settore sud del lato orientale di Punta Eolo (da un acquarello di P. Mattej, secolo XIX).
Figura 84. La lunga terrazza, intagliata nel tufo, che fiancheggiava la parte inferiore del versante est di Punta Eolo.
Figura 86. Particolare dell’area del porto artificiale romano in una pianta della seconda metà del XVIII secolo.
Figura 87. Veduta aerea di Parata Grande con evidenziati i profondi crolli secolari.
Figura 88. Ipotesi ricostruttiva della baia di Cala Rossano artificialmente attrezzata a porto.
Figura 89. La camera di combustione della fornace a Cala Rossano.
Figura 90. La fronte occidentale delle terme di Punta Eolo.
Figura 91. Le terme di Punta Eolo viste da sud.
Figura 93. Il settore settentrionale delle terme a Punta Eolo.
Figura 94. Il nuovo calidario delle terme a Punta Eolo: qui, secondo Tacito, sarebbe morta Ottavia.
Figura 95. Stucco proveniente dall’area termale di Punta Eolo raffigurante un pugilatore.
Figura 96. Panoramica degli scavi alla Polveriera.
Figura 97. La frattura geologica immediatamente a monte della ‘Cisterna dei Carcerati’ e di quella di ‘Villa Stefania’, in una foto aerea all’infrarosso.
Figura 98. La costa dell’area delle Fontanelle occupata da sepolture a camera.
Figura 100. Veduta aerea dell’area del mausoleo al Montagnozzo.
Figura 99. Due camere sepolcrali alle Fontanelle sezionate dai crolli.
Figura 101. Una tomba a inumazione con cassa di lastre di marmo: all’interno resti dello scheletro, dello scarso corredo e delle aste di legno della lettiga usata per il trasporto della salma.
Figura 103. L’isola, chiamata Pandataria, in una stampa del 1775.
Figura 105. Disegno acquarellato di P. Mattei (metà secolo XIX) con veduta, da Ventotene, di Santo Stefano e Ischia.
Figura 106. Veduta aerea di Ventotene, Santo Stefano e Ischia.
Ricerche e rinvenimenti subacquei
Figura 107. Pietra forata recuperata in località Sconciglie.
Figura 108. Ceppi d’ancora litici e pietre forate in esposizione presso il Museo Archeologico Comunale di Ventotene.
Figura 109. Anfora greco-italica (inv. n. 25697). Ventotene, Museo Archeologico Comunale.
Figura 110. Anfore greco-italiche (a: inv. n. 25701, b: inv. n. 25689, c: inv. n. 25699). (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).
Figura 111. Anfora greco-italica (inv. n. 25702). Ventotene, Museo Archeologico Comunale.
Figura 112. Anfora greco-italica da Cala Rossano con titulus pictus in lettere greche retroverse (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).
Figura 113. Anfora vinaria di Chios (inv. n. 25706). Ventotene, Museo Archeologico Comunale.
Figura 114. Anfora di Cos (inv. n. 25686). Ventotene, Museo Archeologico Comunale).
Figura 116. Ceppo d’ancora in piombo (inv. n. 25725) con iscrizione su un braccio e astragali sull’altro (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).
Figura 117. Ceppo d’ancora in piombo (inv. n. 25725). Particolare dell’iscrizione SALVIA (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).
Figura 118. Il ceppo d’ancora n. 25732 messo in opera su un fusto ligneo ai fini didattici. Ventotene, Museo Archeologico Comunale.
Figura 119. Anfore vinarie Dressel 1B recuperate in diversi siti sottomarini dell’isola (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).
Figura 121. Relitto di Punta dell’Arco: le massae plumbae ancora in situ. Sullo sfondo, a mala pena visibili, i resti lignei dello scafo.
Figura 122. Alcuni lingotti provenienti dal relitto di Punta dell’Arco (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).
Figura 123. Particolare di uno dei cartigli con la stampiglia C. VTIVS C. F. dal relitto di Punta dell’Arco (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).
Figura 124. Particolare dei cartigli con le stampiglie C. FIDVI. C. F. // S. LVCRETI. S. F. dal relitto di Punta dell’Arco (Museo Ventotene Archeologico Comunale).
Figura 125. Istanti precedenti il recupero del dolium di Punta dell’Arco nel 1986.
Figura 126. Anfora tipo Uenze 1 rinvenuta all’interno del dolio a Punta dell’Arco (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).
Figura 127. Piede in bronzo della gamba di una kline dal relitto delle Grottelle (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).
Figura 129. Figura di rivestimento delle gambe cilindriche dei letti delle Grottelle (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).
Figura 130. Relitto delle Grottelle: testine in osso relative ai medaglioni del fulcrum (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).
Figura 131. Relitto delle Grottelle: testina in osso relativa al medaglione del fulcrum (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).
Figura 132. Relitto delle Grottelle: testina in osso relativa al medaglione del fulcrum (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).
Figura 133. Relitto delle Grottelle: testina in osso relativa al medaglione del fulcrum (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).
Figura 134. Ricostruzione del rivestimento osseo di una kline del relitto delle grottelle relativamente alla porzione della gamba superiore e del fulcro con culmen configurato a testa di lince (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).
Figura 135. Set composto da spatulae e ligulae in bronzo dal relitto delle Grottelle (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).
Figura 136. Basetta marmorea dal relitto delle Grottelle (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).
Figura 137. Suole di zoccoli lignei dal relitto delle Grottelle (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).
Figura 138. Cala Rossano. Un archeologo a lavoro nel corso delle indagini del 1990 sul relitto romano.
Figura 140. Bozzello in legno a una via con mozzo in bronzo dal relitto di Cala Rossano (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).
Figura 141. Ago crinale in osso dal relitto di cala Rossano (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).
Figura 142. Manufatti in osso dal relitto di Cala Rossano (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).
Figura 143. Lingotto di stagno frammentario dal relitto di cala Rossano (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).
Figura 145. Tappi fittili delle anfore Dressel 8 e 9 dal relitto di Cala Rossano.
Figura 146. Tituli picti dal relitto di Cala Rossano: a) Firm[ius sive -us] / A[…]; b) Hermet[i]; c) L(uci) Iuni Fe[sti].
Figura 147. Una suggestiva immagine del relitto d’alto fondale rinvenuto dall’Aurora Trust in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica del Lazio presso l’isola di Santo Stefano.
Figura 149. Mortarium del relitto d’alto fondale Ventotene 1. Ventotene, Museo Archeologico Comunale.
Figura 150. Anfore Keay 25 in posizione di carico dal relitto ‘Ventotene 4’ scoperto dalla fondazione Aurora Trust e dalla Soprintendenza Archeologica del lazio.
Figura 151. Anfora Dressel 21-22 tipo 1b (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).
Figura 152. Anfora Gauloise 4 (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).
Figura 153. Anfora Kapitän I frammentaria (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).
Figura 154. Porzione superiore di un’anfora Kapitän I recentemente recuperata poco al di fuori del porto romano.
Figura 155. Dressel 2-4 tarda di produzione campana (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).
Figura 156. Particolare del bollo MVC sul collo della Dressel 2-4 tarda.
Figura 157. Anfore di provenienza sottomarina: a, c) Keay 25 sub type 1; b) spatheion type 1; d) Keay VI / Africana IIC (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).
Figura 158. Anfore LRA similis e Keay LII dai fondali isolani (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).
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Ricerche archeologiche nell’isola di Ventotene 1

Introduzione alle antichità di Ventotene Giovanni Maria De Rossi Salvatore Medaglia

Archaeopress Roman Archaeology 44

Ricerche archeologiche nell’isola di Ventotene 1

Introduzione alle antichità di Ventotene

Giovanni Maria De Rossi Salvatore Medaglia

Archaeopress Roman Archaeology 44

Archaeopress Publishing Ltd Summertown Pavilion 18-24 Middle Way Summertown Oxford OX2 7LG www.archaeopress.com

ISBN 978-1-78969-017-0 ISBN 978-1-78969-018-7 (e-Pdf)

© Giovanni Maria De Rossi, Salvatore Medaglia and Archaeopress and 2018 Cover: Terracotta ‘Campana’ relief discovered in Ventotene with a scene of barbarian prisoners on a cart (Augustan age). From a watercolor drawing by P. Mattej conserved in the ‘Biblioteca Vallicelliana’ of Rome.

All rights reserved. No part of this book may be reproduced, or transmitted, in any form or by any means, electronic, mechanical, photocopying or otherwise, without the prior written permission of the copyright owners. Printed in England by Oxuniprint, Oxford This book is available direct from Archaeopress or from our website www.archaeopress.com

Alla memoria di Beniamino Verde

Indice

Lista delle imagini���������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������ii Prefazione��������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������� 1 G. M. De Rossi Inquadramento geo-morfologico���������������������������������������������������������������������������������������������������������������������� 9 S. Medaglia Storia degli studi e degli scavi�������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������17 S. Medaglia Da Pandataria a Ventutere: fonti storiche e dinamiche insediative�����������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������27 S. Medaglia La topografia archeologica di Ventotene romana�������������������������������������������������������������������������������������������51 G. M. De Rossi e S. Medaglia Ricerche e rinvenimenti subacquei�����������������������������������������������������������������������������������������������������������������90 Bibliografia�������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������113 Referenze grafiche e fotografiche�����������������������������������������������������������������������������������������������������������������120

i

Lista delle imagini

G. M. De Rossi: Prefazione

Figura 1. Il Presidente della Repubblica Sandro Pertini, accompagnato da Giovanni Maria De Rossi, visita, nel 1983, la Mostra ‘Le isole pontine attraversi i tempi’ a Palazzo Venezia (Roma)������������������������������������������������������������������������������������������ 1 Figura 2. Inaugurazione del Museo Storico Archeologico di Ventotene nel 1989: in primo piano, a destra, il Sindaco Beniamino Verde������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������� 2 Figura 3. Una suggestiva immagine della ‘Cisterna dei Carcerati’, subito dopo la fine degli scavi e dei restauri, illuminata per le visite guidate������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������ 3 Figura 4. Una porzione della cisterna nell’‘area dei servizi’ a Punta Eolo, in fase di scavo�������������������������������������������������������������������� 4 Figura 5. Uno degli ambienti in corso di scavo nell’‘area dei servizi’ a Punta Eolo���������������������������������������������������������������������������������� 5 Figura 6. Scavo di un ambiente del settore residenziale della villa a Punta Eolo������������������������������������������������������������������������������������� 5 Figura 7. Lo scavo del padiglione residenziale sul promontorio della Polveriera������������������������������������������������������������������������������������ 6 Figura 8. Lo scavo della fornace a Cala Rossano��������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������� 6

S. Medaglia: Inquadramento geo-morfologico

Figura 9. L’arcipelago pontino e un’ampia porzione di costa campano-laziale���������������������������������������������������������������������������������������� 9 Figura 10. Ventotene vista dall’alto e, in lontananza, le isole di Santo Stefano e Ischia����������������������������������������������������������������������� 10 Figura 11. Pianta di Ventotene con l’indicazione dei toponimi rilevanti������������������������������������������������������������������������������������������������ 10 Figura 12. Veduta dell’isola da sud-ovest con in primo piano Monte dell’Arco e il promontorio omonimo������������������������������������� 11 Figura 13. Scorcio dal mare del moderno abitato di Ventotene���������������������������������������������������������������������������������������������������������������� 11 Figura 14. Veduta del settore nord-orientale dell’isola in cui si concentra gran parte dell’abitato moderno���������������������������������� 12 Figura 15. Ventotene, veduta di Cala Nave con le formazioni di Nave di Terra e Nave di Fuori���������������������������������������������������������� 12 Figura 16. Ventotene, litorale di Cala Battaglia: cedimenti della falesia�������������������������������������������������������������������������������������������������� 12 Figura 17. Rilievo 3D dell’edificio vulcanico sommerso di Ventotene con i limiti della caldera, del bordo esterno dell’apparato e dei fronti di frana����������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������� 13 Figura 18. L’apparato vulcanico di Ventotene in una ricostruzione ipotetica���������������������������������������������������������������������������������������� 13 Figura 19. Stratificazioni ondulate lungo la falesia nei pressi delle località Montagnozzo e Olivi������������������������������������������������������ 14 Figura 20. Carta geologica di Ventotene tratta da Di Fiore et alii 2015����������������������������������������������������������������������������������������������������� 14 Figura 21. Ventotene, stratigrafie geologiche lungo la falesia di Punta dell’Arco���������������������������������������������������������������������������������� 15 Figura 22. La formazione tufacea di parata Grande������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������� 15 Figura 23. L’estremità settentrionale di Ventotene nella Carta geologica di Bellucci et alii 1999�������������������������������������������������������� 15 Figura 24. Ventotene, tagli nel banco tufaceo lungo il versante di Punta Eolo�������������������������������������������������������������������������������������� 16

S. Medaglia: Storia degli studi e degli scavi

Figura 25. Pergamena con la concessione in efiteusi dell’arcipelago pontino ai Farnese��������������������������������������������������������������������� 17 Figura 26. Particolare del ‘Progetto di fortificazione e popolamento dell’arcipelago Ponziano’ con la raffigurazione di Ventotene (XVI sec.). La didascalia recita: «Bentetien m(iglia) 5. Tutta pianura senza arbori e buonissimi terreni è tutta inaccessibile eccetto dove guarda la torre. (Torre) si ha da restaurare. Porticello per barche cavato nel monte»������ 18 Figura 27. ‘Mappa corographica’ dell’‘Isola deserta di Ventotiene o Ventitiana’ (prima metà del ‘700). Si noterà che l’isola è prevalentemente ricoperta da alberi��������������������������������������������������������������������������������������������������������������� 19 Figura 28. Calco dell’iscrizione funeraria di Metrobius (CIL X, 6785) conservata al Museo Nazionale di Napoli������������������������������ 20 Figura 29. Il settore nord dell’isola in una pianta della metà circa del Settecento riferibile ai progetti di fortificazione borbonica e intitolata ‘Plano della torre fortificada en la parte ventajosa del la isla de Ventotiene’. Nella didascalia appare interessante il riferimento al porto capace di accogliere trenta piccoli bastimenti e ai ‘Magazenes antiquos praticados dentro el Monte de tufo’ che non sono altro se non i resti delle infrastrutture porticate romane a servizio del porto������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������ 21 Figura 30. Pianta della c.d. ‘Cisterna dei carcerati’ realizzata da A. Winspeare�������������������������������������������������������������������������������������� 22 Figura 31. Il calidarium delle terme in una pianta del XVIII secolo����������������������������������������������������������������������������������������������������������� 23 Figura 32. Rovine romane presso Punta Eolo in un disegno di P. Mattej dell’8 luglio 1847������������������������������������������������������������������ 24 Figura 33. Rovine romane presso Punta Eolo in un disegno di P. Mattej dell’8 luglio 1847������������������������������������������������������������������ 24 Figura 34. Lastra campana di coronamento con scena di prigioniere barbare su carro, disegno di P. Mattej����������������������������������� 25 Figura 35. Testa di Iside su un ceppo d’ancora in piombo fotografata nei magazzini del museo di Ventotene prima del trafugamento���������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������� 25

S. Medaglia: Da Pandataria a Ventutere: fonti storiche e dinamiche insediative

Figura 36. Industria su ossidiana proveniente da Punta Eolo�������������������������������������������������������������������������������������������������������������������� 28 Figura 37. Ceramiche in impasto rinvenute da G. Buchner nel 1945�������������������������������������������������������������������������������������������������������� 28 Figura 38. Ceramiche in impasto rinvenute nelle acque di Cala Rossano������������������������������������������������������������������������������������������������ 28 Figura 39. Posizionamento delle aree con concentrazione di industria litica e ceramica in impasto tra Parata Grande e Punta Eolo������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������ 29 Figura 40. Pietra forata tronco-piramidale rinvenuta nelle acque di Ventotene����������������������������������������������������������������������������������� 29

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Figura 41. Sullo sfondo l’isola di Ischia vista dal porto di Ventotene������������������������������������������������������������������������������������������������������� 30 Figura 42. Lucerna fittile di probabile produzione attica (fine IV – prima metà del III sec. a.C.) rinvenuta nelle acque di Cala Rossano������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������� 30 Figura 43. Ventotene, la baia naturale di Cala Rossano ulteriormente protetta ad oriente da moderne strutture portuali���������� 31 Figura 44. Ara Pacis (Roma), processione sul lato lungo meridionale. Particolare della figura femminile che dovrebbe potersi identificare con Giulia����������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������� 34 Figura 45. Stucchi della prima metà del I sec. d.C. da Punta Eolo������������������������������������������������������������������������������������������������������������� 36 Figura 46. Stucco con recumbente da Punta Eolo. Prima metà del I sec. d.C.����������������������������������������������������������������������������������������� 36 Figura 47. Lastra campana di coronamento rinvenuta a Punta Eolo con due giovani satiri intenti nella pigiatura dell’uva. Età augustea������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������ 36 Figura 48. Stucco policromo dal settore residenziale della villa di Punta Eolo. Prima metà del I sec. d.C.���������������������������������������� 36 Figura 49. Testa in marmo raffigurante l’imperatore Tiberio rinvenuta a Ventotene e conservata nel Museo Archeologico Comunale.���������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������� 37 Figura 50. Sesterzio in bronzo emesso da Caligola tra il 37 e il 41 d.C.: d/ Busto di Agrippina Maggiore e leggenda AGRIPPINA M. F. MAT. C. CAESARIS AVGVSTI; r/ carpetum trainato da muli e leggenda S.P.Q.R. /MEMORIAE / AGRIPPINAE������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������ 37 Figura 51. Busto di Giulia Livilla presso l’Altes Museum di Berlino���������������������������������������������������������������������������������������������������������� 38 Figura 52. Ritratto di Claudia Ottavia������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������ 38 Figura 53. Ventotene, la natatio delle terme di Punta Eolo ������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������ 39 Figura 54. Busto marmoreo, forse raffigurante un satiro, appartenente ad un’erma (I sec. d.C.)������������������������������������������������������� 39 Figura 55. Ventotene, bacino di raccolta a cielo aperto della ‘Cisterna dei Carcerati’�������������������������������������������������������������������������� 41 Figura 56. Ventotene, Punta Eolo. Pianta dei resti appartenenti al settore nobile della villa�������������������������������������������������������������� 42 Figura 57. Ventotene, ambienti della peschiera/ninfeo scavati nel tufo al di sotto del faro moderno���������������������������������������������� 43 Figura 58. Quadro sinottico dei bolli romani su tegole e laterizi rinvenuti a Ventotene���������������������������������������������������������������������� 44 Figura 59. Bollo C ·LICINI · DON[AC]ỊS (CIL XV, 1244) da Punta Eolo. Fine I – Inizi II sec. d.C.��������������������������������������������������������������� 45 Figura 60. Ventotene, veduta del porto con i resti dei piloni di tufo appartenenti alla fronte porticata dei magazzini di servizio di età romana��������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������� 46 Figura 61. Lapide funeraria reimpiegata come lastra d’altare in età tardoa-antica������������������������������������������������������������������������������� 48 Figura 62. Ventotene, Cisterna dei Carcerati. Graffito parietale��������������������������������������������������������������������������������������������������������������� 48 Figura 63. Ventotene, Cisterna dei Carcerati. Edicoletta votiva, particolare������������������������������������������������������������������������������������������ 49

G. M. De Rossi: La topografia archeologica di Ventotene romana

Figura 64. Carta archeologica di Ventotene�������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������� 52 Figura 65. Ventotene, veduta del settore di nord-est con i principali insediamenti romani��������������������������������������������������������������� 53 Figura 66. Un tratto di galleria del portico in un a foto della metà del ‘900�������������������������������������������������������������������������������������������� 53 Figura 67. Ventotene, Cala Rossano: colonna intagliata nel tufo e stuccata������������������������������������������������������������������������������������������� 54 Figura 68. Ventotene, Punta Eolo: tagli nel tufo per incasso di strutture murarie�������������������������������������������������������������������������������� 54 Figura 69. Ventotene, una delle due vasche coperte della peschiera intagliata nel tufo���������������������������������������������������������������������� 55 Figura 70. Veduta aerea di Punta Eolo����������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������� 56 Figura 71. Il porto artificiale romano in una stampa di P. Mattej (metà secolo XIX)����������������������������������������������������������������������������� 56 Figura 72. Il porto artificiale romano in una foto della metà del ‘900������������������������������������������������������������������������������������������������������ 57 Figura 73. Ventotene, la tempesta nel mare e la quiete nel porto artificiale romano��������������������������������������������������������������������������� 58 Figura 74. L’area portuale di Ventotene in un particolare di una pianta della metà del XVIII secolo������������������������������������������������� 58 Figura 75. Avanzo del compluvio al di sopra della ‘Cisterna dei Carcerati’��������������������������������������������������������������������������������������������� 60 Figura 76. Un tratto di condotto interamente scavato nel tufo����������������������������������������������������������������������������������������������������������������� 61 Figura 77. Particolare dell’interno della ‘Cisterna dei Carcerati’ con tracce pittoriche relative al suo riuso������������������������������������ 62 Figura 78. Il tratto di costa dalla ‘Cisterna dei Carcerati’ a Punta Eolo���������������������������������������������������������������������������������������������������� 63 Figura 79. Le terrazze, intagliate nel tufo, che delimitavano il promontorio di Punta Eolo����������������������������������������������������������������� 63 Figura 80. La scalinata nord del lato occidentale di Punta Eolo prima del crollo del 1997������������������������������������������������������������������� 64 Figura 81. La stessa scalinata oggi������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������ 64 Figura 82. Lo sbocco, franato, della scalinata sud del lato occidentale di Punta Eolo��������������������������������������������������������������������������� 65 Figura 83. Discesa a mare nel settore sud del lato orientale di Punta Eolo (da un acquarello di P. Mattej, secolo XIX)������������������ 65 Figura 84. La lunga terrazza, intagliata nel tufo, che fiancheggiava la parte inferiore del versante est di Punta Eolo�������������������� 66 Figura 85. Il promontorio della Polveriera con l’appendice a mare intagliata per ricavare la peschiera������������������������������������������� 66 Figura 86. Particolare dell’area del porto artificiale romano in una pianta della seconda metà del XVIII secolo���������������������������� 66 Figura 87. Veduta aerea di Parata Grande con evidenziati i profondi crolli secolari����������������������������������������������������������������������������� 67 Figura 88. Ipotesi ricostruttiva della baia di Cala Rossano artificialmente attrezzata a porto������������������������������������������������������������� 69 Figura 89. La camera di combustione della fornace a Cala Rossano��������������������������������������������������������������������������������������������������������� 70 Figura 90. La fronte occidentale delle terme di Punta Eolo����������������������������������������������������������������������������������������������������������������������� 73 Figura 91. Le terme di Punta Eolo viste da sud��������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������� 73 Figura 92. Il settore meridionale delle terme a Punta Eolo ����������������������������������������������������������������������������������������������������������������������� 74 Figura 93. Il settore settentrionale delle terme a Punta Eolo�������������������������������������������������������������������������������������������������������������������� 74 Figura 94. Il nuovo calidario delle terme a Punta Eolo: qui, secondo Tacito, sarebbe morta Ottavia������������������������������������������������� 75 Figura 95. Stucco proveniente dall’area termale di Punta Eolo raffigurante un pugilatore����������������������������������������������������������������� 76 Figura 96. Panoramica degli scavi alla Polveriera���������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������� 81 Figura 97. La frattura geologica immediatamente a monte della ‘Cisterna dei Carcerati’ e di quella di ‘Villa Stefania’, in una foto aerea all’infrarosso���������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������� 82 Figura 98. La costa dell’area delle Fontanelle occupata da sepolture a camera�������������������������������������������������������������������������������������� 83 Figura 99. Due camere sepolcrali alle Fontanelle sezionate dai crolli������������������������������������������������������������������������������������������������������ 84

iii

Figura 100. Veduta aerea dell’area del mausoleo al Montagnozzo����������������������������������������������������������������������������������������������������������� 84 Figura 101. Una tomba a inumazione con cassa di lastre di marmo: all’interno resti dello scheletro, dello scarso corredo e delle aste di legno della lettiga usata per il trasporto della salma�������������������������������������������������������������������������������������������������� 86 Figura 102. L’isola di Ventotene indicata con il nome di Pandotira, nell’iscrizione funebre elogiativa di Metrobio������������������������� 86 Figura 103. L’isola, chiamata Pandataria, in una stampa del 1775�������������������������������������������������������������������������������������������������������������� 86 Figura 104. L’isola, con il nome di Ventoteno, in un a pianta del XIX secolo��������������������������������������������������������������������������������������������� 87 Figura 105. Disegno acquarellato di P. Mattej (metà secolo XIX) con veduta, da Ventotene, di Santo Stefano e Ischia������������������ 87 Figura 106. Veduta aerea di Ventotene, Santo Stefano e Ischia����������������������������������������������������������������������������������������������������������������� 88

S. Medaglia: Ricerche e rinvenimenti subacquei

Figura 107. Pietra forata recuperata in località Sconcigli�������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������� 91 Figura 108. Ceppi d’ancora litici e pietre forate in esposizione presso il Museo Archeologico Comunale di Ventotene.���������������� 91 Figura 109. Anfora greco-italica (inv. n. 25697)�������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������� 92 Figura 110. Anfore greco-italiche (a: inv. n. 25699, b: inv. n. 25689, c: inv. n. 25701)������������������������������������������������������������������������������ 92 Figura 111. Anfora greco-italica (inv. n. 25702)�������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������� 92 Figura 112. Anfora greco-italica da Cala Rossano con titulus pictus in lettere greche retroverse������������������������������������������������������ 93 Figura 113. Anfora vinaria di Chios (inv. n. 25706)�������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������� 93 Figura 114. Anfora di Cos (inv. n. 25686)�������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������� 93 Figura 115. Ceppi d’ancora in piombo di tipo fisso�������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������� 94 Figura 116. Ceppo d’ancora in piombo (inv. n. 25725) con iscrizione su un braccio e astragali sull’altro������������������������������������������ 94 Figura 117. Ceppo d’ancora in piombo (inv. n. 25725). Particolare dell’iscrizione SALVIA������������������������������������������������������������������� 94 Figura 118. Il ceppo d’ancora n. 25732 messo in opera su un fusto ligneo ai fini didattici������������������������������������������������������������������� 95 Figura 119. Anfore vinarie Dressel 1B recuperate in diversi siti sottomarini dell’isola������������������������������������������������������������������������ 95 Figura 120. Relitto di Punta dell’Arco: le massae plumbae ancora in situ. Sullo sfondo, a mala pena visibili, i resti lignei dello scafo����������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������� 96 Figura 121. Alcuni lingotti provenienti dal relitto di Punta dell’Arco������������������������������������������������������������������������������������������������������ 96 Figura 122. Particolare di uno dei cartigli con la stampiglia C. VTIVS C. F. dal relitto di Punta dell’Arco����������������������������������������� 96 Figura 123. Particolare dei cartigli con le stampiglie C. FIDVI. C. F. // S. LVCRETI. S. F. dal relitto di Punta dell’Arco�������������������� 97 Figura 124. Istanti precedenti il recupero del dolium di Punta dell’Arco nel 1986.������������������������������������������������������������������������������� 98 Figura 125. Anfora tipo Uenze 1 rinvenuta all’interno del dolio di Punta dell’Arco������������������������������������������������������������������������������ 98 Figura 126. Piede in bronzo della gamba di una kline dal relitto delle Grottelle������������������������������������������������������������������������������������ 99 Figura 127. Alcune placchette in osso di rivestimento dell’intelaiatura lignea dei letti durante la fase di riassemblamento in laboratorio.����������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������� 100 Figura 128. Figura di rivestimento delle gambe cilindriche dei letti delle Grottelle��������������������������������������������������������������������������� 100 Figura 129. Relitto delle Grottelle: testine in osso relative ai medaglioni del fulcrum������������������������������������������������������������������������ 100 Figura 130. Relitto delle Grottelle: testina in osso relativa al medaglione del fulcrum����������������������������������������������������������������������� 100 Figura 131. Relitto delle Grottelle: testina in osso relativa al medaglione del fulcrum����������������������������������������������������������������������� 101 Figura 132. Relitto delle Grottelle: testina in osso relativa al medaglione del fulcrum����������������������������������������������������������������������� 101 Figura 133. Ricostruzione del rivestimento osseo di una kline del relitto delle Grottelle relativamente alla porzione della gamba superiore e del fulcro con culmen configurato a testa di lince���������������������������������������������������������������������������������� 102 Figura 134. Set composto da spatulae e ligulae in bronzo dal relitto delle Grottelle��������������������������������������������������������������������������� 103 Figura 135. Basetta marmorea dal relitto delle Grottelle������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������� 103 Figura 136. Suole di zoccoli lignei dal relitto delle Grottelle������������������������������������������������������������������������������������������������������������������� 103 Figura 137. Cala Rossano. Un archeologo a lavoro nel corso delle indagini del 1990 sul relitto romano����������������������������������������� 104 Figura 138. Elemento tubolare in piombo probabilmente relativo al meccanismo della sentina����������������������������������������������������� 104 Figura 139. Bozzello in legno a una via con mozzo in bronzo dal relitto di Cala Rossano������������������������������������������������������������������� 104 Figura 140. Contenitore in lamina di piombo dal relitto di Cala Rossano���������������������������������������������������������������������������������������������� 105 Figura 141. Ago crinale in osso dal relitto di Cala Rossano���������������������������������������������������������������������������������������������������������������������� 105 Figura 142. Manufatti in osso dal relitto di Cala Rossano������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������� 105 Figura 143. Lingotto di stagno frammentario dal relitto di cala Rossano���������������������������������������������������������������������������������������������� 106 Figura 144. Dressel 8 dal relitto di Cala Rossano���������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������� 106 Figura 145. Tappi fittili delle anfore Dressel 8 e 9 dal relitto di Cala Rossano��������������������������������������������������������������������������������������� 106 Figura 146. Tituli picti dal relitto di Cala Rossano: a) Firm[ius sive -us] / A[…]; b) Hermet[i]; c) L(uci) Iuni Fe[sti].����������������������� 107 Figura 147. Una suggestiva immagine del relitto d’alto fondale rinvenuto dall’Aurora Trust in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica del Lazio presso l’isola di Santo Stefano.���������������������������������������������������������������������������������������� 107 Figura 148. Alcuni mortaria fittili appartenenti al carico del relitto ‘Ventotene 2’.���������������������������������������������������������������������������� 108 Figura 149. Mortarium del relitto d’alto fondale ‘Ventotene 2’��������������������������������������������������������������������������������������������������������������� 108 Figura 150. Anfore Keay 25 in posizione di carico relative al relitto ‘Ventotene 4’ scoperto dalla fondazione Aurora Trust e dalla Soprintendenza Archeologica del lazio.����������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������� 109 Figura 151. Anfora Dressel 21-22 tipo 1b����������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������� 109 Figura 152. Anfora Gauloise 4������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������ 110 Figura 153. Anfora Kapitän I frammentaria������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������ 110 Figura 154. Porzione superiore di un’anfora Kapitän I recentemente recuperata poco al di fuori del porto romano.������������������ 110 Figura 155. Dressel 2-4 tarda di produzione campana������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������ 110 Figura 156. Particolare del bollo MVC sul collo della Dressel 2-4 tarda������������������������������������������������������������������������������������������������� 111 Figura 157. Anfore di provenienza sottomarina: a, c) Keay 25 sub type 1; b) spatheion type 1; d) Keay VI / Africana IIC������������ 111 Figura 158. Anfore LRA similis e Keay LII dai fondali isolani������������������������������������������������������������������������������������������������������������������� 112

iv

Prefazione Giovanni Maria De Rossi In seguito, per una serie di circostanze legate al fatto che il Museo era oramai diventato una realtà ammirata e frequentata, sia per i contenuti scientifici che per la valenza didattica dell’esposizione, Ventotene fu posta al centro di un’iniziativa concertata tra il Comune isolano, la Regione Lazio e le Soprintendenze di competenza, finalizzata all’utilizzazione di finanziamenti, in primis quelli per gli interventi straordinari per il Mezzogiorno, relativi alla Legge 64/86.

I riflettori sulle potenzialità archeologiche di Ventotene hanno cominciato ad accendersi agli inizi degli anni ‘80 del secolo sorso a seguito di una Mostra sulle isole pontine promossa dall’Istituto di Storia e di Arte del Lazio Meridionale, allora presieduto da A. M. Colini, con il concorso delle Università di Salerno e Roma La Sapienza. L’esposizione, inaugurata nel Giugno del 1983 e onorata, pochi giorni dopo, dalla visita del Presidente della Repubblica Sandro Pertini (Figura 1), aveva avuto una lunga e proficua gestazione, portata avanti da un gruppo di giovani ricercatori, composto da Carla Maria Amici, Giuseppe Berucci, Margherita Cancellieri, Giovanni Maria De Rossi: a quest’ultimo spettò il compito del coordinamento dei lavori.

Le linee guida, sia quelle burocratiche e amministrative che quelle scientifiche furono incanalate sui binari della giusta direzione dal binomio che negli anni precedenti si era formato tra il Sindaco Beniamino Verde e chi scrive. L’amore del primo per l’isola e del secondo per l’archeologia finì per realizzare una forza motrice, diciamo una locomotiva a doppia guida, in grado di formare e trascinare un convoglio i cui vagoni erano composti dagli Amministratori dell’isola, dai cittadini ventotenesi, da studiosi di varie discipline, appassionati e cultori della storia isolana: il treno doveva avere come

Come da programma, una copia della Mostra fu consegnata al Comune di Ventotene perché ne facesse la base per un futuro Museo storico archeologico: e le cose andarono così (Figura 2).

Figura 1. Il Presidente della Repubblica Sandro Pertini, accompagnato da Giovanni Maria De Rossi, visita, nel 1983, la Mostra ‘Le isole pontine attraversi i tempi’ a Palazzo Venezia (Roma).

1

Introduzione alle antichità di Ventotene

Figura 2. Inaugurazione del Museo Storico Archeologico di Ventotene nel 1989: in primo piano, a destra, il Sindaco Beniamino Verde.

destinazione una stazione cui fu dato il suggestivo nome di ‘Parco e Itinerario archeologici come integrazione della fruibilità museale di Ventotene’.

la matassa degli intrecci burocratici che sembravano ogni giorno di più rimandare la partenza alle calende greche, nonostante gli stanziamenti relativi fossero già stati da tempo erogati.

Si trattava ora, partendo dalle cospicue conoscenze derivanti dai contenuti del Museo, figlio, come si è detto, della Mostra dell’83, di individuare e attrezzare, all’interno di un comprensorio archeologico, che andava scavato e quindi riscoperto, un percorso che garantisse la fruizione totale delle emergenze monumentali, note e ancora da evidenziare, di cui poteva disporre l’isola: costante punto di riferimento per la ‘lettura’ di tutto l’insieme sarebbe stato il Museo storico archeologico di Ventotene, destinato a essere continuamente aggiornato in parallelo con l’avanzare delle nuove scoperte.

Fu per questo che la prima campagna di scavo ebbe inizio nel 1990: dopo due anni cominciò la seconda che si protrasse sino al 1996. Dopo un certo intervallo si arrivò alla terza campagna, che durò dal 2001 al 2005. Chi scrive ebbe la direzione scientifica come Ordinario di Topografia antica dell’Università di Salerno, Concessionaria degli scavi per conto del Ministero dei Beni Culturali, ininterrottamente dal 1990 al 2005. Le prime due campagne di scavo furono fruttuose, con risultati di tutto rispetto, sia dal punto di vista della fruizione dei monumenti appena scavati sia relativamente alla valenza scientifica delle indagini.

Il nostro ‘Eldorado’ sarebbe stato, in sostanza, quello di realizzare, nel rispetto totale dell’ambiente, un Parco non stretto da angoscianti quinte urbane ma pacatamente integrato in un contesto naturale, esaltato da percorsi ora inseriti nel verde della macchia mediterranea, ora protesi sui promontori affacciati sul mare, ora a diretto contatto, come nel caso della peschiera e del porto, con il mare stesso.

Le aree indagate riguardarono la c.d. ‘Cisterna di Villa Stefania’, ripulita e restaurata, nella sua parte centrale; la c.d. ‘Cisterna dei Carcerati’, interamente scavata e restaurata; l’area termale del complesso residenziale della villa a Punta Eolo. Le due cisterne, sapientemente illuminate, permettevano, cosa non comune per quell’epoca, le visite sino a mezzanotte, consentendo così, soprattutto per un’isola a prevalente vocazione turistica, anche a chi aveva trascorso la giornata al mare

Ci volle tutta la bravura di Beniamino Verde, indiscussa prima guida della locomotiva di cui sopra, per sbrogliare 2

G. M. De Rossi: Prefazione

di poter visitare i due monumenti: di questi ultimi, la ‘Cisterna dei Carcerati’, per il suo riutilizzo durante i secoli, costituisce tuttora un vero e proprio libro della storia dell’isola, corredato di immagini a colori date dalle pitture, riportate alle forme e alle colorazioni originarie da un attento restauro, tracciate sulle umide pareti da chi, per motivi diversi, aveva spontaneamente o forzatamente soggiornato nella ex cisterna (Figura 3).

raccolta e distribuzione delle acque all’interno del grande complesso residenziale di età imperiale. Le terme costituiranno la parte più corposa di un ulteriore volume che riguarderà i padiglioni residenziali di cui era composta la villa. L’analisi e le conclusioni scientifiche di tutte le parti scavate in queste prime due campagne non sarebbero state possibili senza l’indispensabile contributo frutto del competente e appassionato lavoro di quegli archeologi, o riuniti in cooperativa o singolarmente provenienti dalle Università di Salerno, guidati da chi scrive, e Roma, guidati da Margherita Cancellieri, che si sono succeduti negli anni lungo l’arco temporale degli scavi.

Di ben altri colori si poteva fregiare lo scavo del settore termale di Punta Eolo: qui, sotto l’esperta guida di Mariette De Vos e della sua collaboratrice Barbara Maurina, vennero riportate alla luce centinaia di frammenti di intonaci colorati appartenenti alle decorazioni delle pareti e dei soffitti dei vari ambienti: non meno importante si rivelò la grande quantità di stucchi che, pur avendo perso la loro originaria patina colorata, colpivano per la delicatezze delle forme e la varietà dei soggetti. Tutto questo settore, affidato sin d’allora all’esame delle due studiose, costituirà, per intero, uno dei volumi di cui si compone la collana sulle ricerche archeologiche a Ventotene.

Tra il secondo e terzo lotto dei lavori ci fu un lungo intervallo, all’interno del quale trovò purtroppo posto il tragico evento che portò alla scomparsa del Sindaco Beniamino Verde: nel mese di Luglio del 1999 uno schianto sulla strada per Latina, dove, insieme al vice Sindaco Gaetano Montano, si stava recando per perorare l’ennesimo intervento in favore dei suoi isolani, lo portò via, insieme al fidato vice Sindaco.

Le due cisterne saranno inserite in un volume espressamente dedicato all’ampia trattazione sulla

Figura 3. Una suggestiva immagine della ‘Cisterna dei Carcerati’, subito dopo la fine degli scavi e dei restauri, illuminata per le visite guidate.

3

Introduzione alle antichità di Ventotene Fu un colpo durissimo anche per il prosieguo del progetto Parco Archeologico. Il treno si fermò: quella locomotiva, privata della sua guida principale, non ripartirà più.

Come ampiamente previsto da Beniamino, le cose non andarono come si sperava. Una sopravvalutazione delle capacità organizzative di chi scrive, sfortunate coincidenze, un intreccio di cavilli burocratici, una manciata di imprevisti, l’improvviso defilarsi di qualche collaboratore che riteneva concluso il suo impegno proprio di fronte alle difficoltà da affrontare, furono le principali concause che portarono a un crescendo di rallentamenti e di ostacoli, questi ultimi caratterizzati anche da qualche insistito quanto inatteso caso di ‘fuoco amico’. Tra le novità non positive vi fu quella di non poter recuperare, per ragioni, diciamo così ‘burocratiche’, l’equipe archeologica che aveva sino ad allora seguito gli scavi, sostituita, fortunatamente solo in alcuni casi, da un continuo andirivieni di archeologi che operavano solo per brevi periodi sui cantieri: ciò non ha certo favorito la lettura omogenea di alcuni interventi.

Qualche tempo prima della sua scomparsa Beniamino, che nella sua lungimiranza aveva fiutato i rischi burocratici e operativi insiti nella terza fase dei lavori, caratterizzati da un importo considerevole, aveva chiesto espressamente al sottoscritto se si sentiva in grado di coordinare e controllare, con i propri collaboratori, i lavori che si presentavano molto impegnativi, dal punto di vista tecnico, a causa della grande e complessa mole delle operazioni da eseguire. La risposta fu affermativa: nonostante queste rassicurazioni Beniamino pensò bene, di lì a poco, di rafforzare, lo staff direttivo, inserendo l’Ing. Antonio Santomauro, in previsione dei nodi tecnicoamministrativi da affrontare. Nulla di più profetico.

Inoltre, la parcellazione del lavoro e i lunghi vuoti, in cui, comunque, le Ditte non potevano sospendere gli scavi, intercorsi tra l’ufficializzazione di una Concessione e l’altra hanno finito per nuocere all’unitarietà scientifica della ricerca, nonostante la presenza delle Amministrazioni comunali che si sono susseguite dopo la scomparsa di Beniamino, e un ulteriore rafforzamento, in corso d’opera, dello staff tecnico. Da qui la disomogeneità di alcune risultanze

Le prime beghe si manifestarono già con Beniamino ancora sulla breccia: scaramucce burocratiche portarono a un procrastinamento dell’inizio e poi a una sospensione dei lavori, in attesa di una schiarita. Dopo la morte del Sindaco, una doverosa pausa di riflessione fece slittare la data della ripresa dei lavori all’autunno del 2001.

Figura 4. Una porzione della cisterna nell’‘area dei servizi’ a Punta Eolo, in fase di scavo.

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G. M. De Rossi: Prefazione

generali nelle operazioni di scavo, poi sanata in corso di rielaborazione dei precisi dati di cantiere da parte degli archeologi che si sono impegnati nei singoli studi. Al termine delle campagne di scavo, nel 2005, si erano, comunque, portati a termine i seguenti lavori: scavo e restauro di un settore di Punta Eolo, identificabile con ‘l’area dei servizi’ della villa (Figure 4, 5) e di una porzione a ridosso delle terme (Figura 6); scavo e restauro del rudere del ‘Montagnozzo’; indagine della piccola necropoli e dei resti di un padiglione della villa in località ‘Polveriera’ (Figura 7); l’esplorazione della cisterna di ‘Villa Stefania’; scavo della fornace a Cala Nave (Figura 8); l’esame e la pulizia della peschiera; riassetto del Museo. Alcuni interventi, come nel caso della necropoli e della fornace, una volta ultimati gli esami scientifici si sono conclusi con il rinterro delle strutture: altri sono stati invece finalizzati alla fruizione. Alcuni dei monumenti destinati alla fruizione, come ad es. la cisterna di ‘Villa Stefania’ e il rudere del ‘Montagnozzo’, evidentemente per effetto dell’onda lunga degli intoppi burocratici e gestionali che mai hanno smesso di accompagnare i lavori, non sono a tutt’oggi riusciti ad assolvere al compito per il quale erano stati programmaticamente riportati alla luce: basterà però poco per rimetterli a nuovo e offrirli alla fruizione dei visitatori dell’isola.

Figura 5. Uno degli ambienti in corso di scavo nell’‘area dei servizi’ a Punta Eolo.

Dal punto di vista scientifico la paziente ricomposizione del mosaico delle risultanze degli scavi non sarebbe stata realizzabile, a qualche anno di

Figura 6. Scavo di un ambiente del settore residenziale della villa a Punta Eolo.

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Introduzione alle antichità di Ventotene

Figura 7. Lo scavo del padiglione residenziale sul promontorio della Polveriera.

Figura 8. Lo scavo della fornace a Cala Rossano.

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G. M. De Rossi: Prefazione

distanza dall’ultimazione dei lavori, senza la costante e appassionata collaborazione dell’Ing. Antonio Santomauro: quanti tasselli è stato possibile ricollocare al loro giusto posto grazie alle conoscenze, maturate durante il suo coinvolgimento diretto in quasi tutte le campagne di scavo, di Antonio Santomauro e di chi accanto a lui, nell’isola, gli ha dato una mano a partire dai suoi fratelli Claudio e Dario e dal nipote Adriano.

In questo volume introduttivo sulle antichità ventotenesi a Salvatore Medaglia è stato affidato il compito di illustrare brevemente gli aspetti geologici, la storia degli studi e di realizzare alcune riflessioni sugli aspetti generali legati alle dinamiche insediamentali che hanno caratterizzato in antico l’isola, dalla preistoria sino all’età medioevale. In un ulteriore saggio, infine, lo studioso offre un quadro riassuntivo delle scoperte archeologiche a carattere subacqueo effettuate negli ultimi decenni nelle acque che circondano Ventotene. È questo un tema che merita qualche considerazione propedeutica all’esame che seguirà.

Ma rielaborare e scrivere le risultanze scientifiche non bastava: bisognava renderle pubbliche. È qui che entra in scena David Davison, uno dei titolari di Archeopress: con entusiasmo accetta e promuove il progetto editoriale comprendente la pubblicazione di vari volumi tematici più un fascicolo di introduzione. A lui e alla sua struttura la gratitudine di tutti coloro che, a qualunque titolo, hanno partecipato, sul campo e a tavolino, ai lavori archeologici e all’allestimento editoriale.

In una piccola isola il territorio di competenza è il mare che la attornia. In confronto agli insediamenti della terraferma, il tratto di mare che fascia direttamente l’isola è paragonabile, essendo in simbiosi con essa, al centro urbano; quello che si sviluppa a una media distanza equivale alla periferia, mentre il settore che la circonda da molto lontano richiama il territorio regionale.

Nello specifico, relativamente al campo archeologico, di competenza di chi scrive, il più sincero ringraziamento va alle archeologhe e agli archeologi che hanno partecipato ai lavori di scavo. Non potendo ovviamente elencare tutti, ricordo quelli che più a lungo e continuativamente hanno preso parte all’attuazione del progetto.

Nella topografia della terraferma gli itinerari, in un’area di vasta estensione, solcano un territorio nel quale si snodano strade che seguono direttrici diverse: alcune per servire i centri urbani della zona, altre per il solo transito, essendo dirette verso mete lontane. In tutti i casi le frequentazioni delle strade provocano inevitabilmente, nel tempo, ‘incidenti di percorso’ che lasciano tracce materiali.

Per la prima campagna di scavo: Francesco Cifarelli, Luisa Tarabochia, Federica della Ratta Rinaldi, Francesco Boanelli. Per la seconda campagna: Elisabeth Bruchner, Stefania Bove, Angela Gallottini, Roberto Manigrasso. Per la terza campagna: Rossella Zaccagnini, che ha curato in modo particolare l’avvio di questa parte dei lavori, Alessia Savi Scarponi, che ha seguito specificamente le parti iniziali e centrali degli interventi, Valeria Diana, che ha curato, sui cantieri e nei magazzini, la delicata parte finale degli interventi.

Così, per il mare in genere e per Ventotene nello specifico, si avevano rotte che transitavano a notevole distanza, anche se a vista dell’isola, perché dirette altrove e rotte di avvicinamento all’isola, con obiettivo terminale le aree portuali di quest’ultima. Di conseguenza le testimonianze subacquee, frutto anche qui di ‘incidenti di percorso’, sparse nel vasto comprensorio marino che circonda Ventotene, hanno interessato sia le sue aree portuali, ove la permanenza prolungata delle imbarcazioni ha creato i presupposti per una sedimentazione di prove archeologiche, sia la fascia della c. d. ‘periferia’ che ha visto coinvolte le rotte di avvicinamento ai terminali portuali di Ventotene. Più defilate, topograficamente, perché relative a notevoli distanze dall’isola e di conseguenza situate a profondità superiori ai 100 m, e storicamente, perché estranee al processo del ‘divenire’ storico di Ventotene, risultano le testimonianze provenienti da navi che seguivano rotte per lo più non dirette all’isola ma che potevano avere quest’ultima, a distanza, come punto di riferimento nei viaggi di lunga e lunghissima percorrenza.

Un particolare ringraziamento, infine, a Rosina Floris che oramai da anni trasforma, con pazienza e bravura, i miei schizzi topografici in assonometrie, piante e sezioni e ad Armando Taliano Grasso (Università della Calabria), Roberto Petriaggi (già ISCR-MiBACT) e Francesca Rizzo che hanno letto il presente lavoro allo stato di bozze. Una parcellazione è stata necessaria anche nella fase editoriale. Infatti lo stato di avanzamento della preparazione dei testi, per il coinvolgimento di più persone, ciascuna con i propri impegni professionali e di ricerca, si è necessariamente diversificato nel tempo: si è pertanto deciso di far precedere i singoli volumi tematici da un fascicolo che fungesse da presentazione del contesto in cui si è svolto il ‘divenire’ storico e topografico di Ventotene in età romana.

Lo studio di Salvatore Medaglia, che sarà fisiologicamente a macchia di leopardo perché figlio di rinvenimenti per la maggior parte fortuiti, contribuirà in modo incisivo a mettere ordine e a classificare 7

Introduzione alle antichità di Ventotene una quantità notevole di materiali di provenienza sottomarina e a evidenziare, nel contempo, le potenzialità del ‘territorio’ subacqueo di Ventotene che ha sinora restituito solo una minima parte dei suoi tesori archeologici.

vennero sfruttati, modificandosi e differenziandosi nel tempo, come luoghi di approdo. Si spazierà quindi dal porto artificiale, tutto intagliato nel tufo, sino alle cale naturali artificialmente adattate e attrezzate, a partire dalla seconda fase di vita della villa, come sicuri approdi.

Chi scrive conclude il fascicolo con una sintesi storica e topografica, frutto della decennale esperienza di analisi delle componenti archeologiche di Ventotene: al termine si avanza una innovativa proposta anche sul ‘divenire’ del nome dell’isola.

–– Giovanni Maria De Rossi, Le aree sepolcrali. In questo caso, più che mai, le vicissitudini che hanno caratterizzato l’isola nel I secolo d.C., hanno lasciato tracce di differenti utilizzazioni delle aree sepolcrali. Significativa è risultata, con la ufficializzazione di Ventotene a luogo di esilio, prevalentemente per personaggi femminili di rango imperiale, la necessità di destinare un’apposita e adeguata struttura ad accogliere i resti di eventuali esiliate decedute durante la detenzione nell’isola.

La sequenza dei volumi, che avranno il titolo comune ‘Ricerche archeologiche nell’isola di Ventotene’, con i corrispettivi sottotitoli relativi ai vari argomenti, è così prevista: –– Salvatore Medaglia, Il padiglione di servizio della villa imperiale di Ventotene. È questo il più emblematico degli esempi, di cui si è parlato, in cui è stato necessario un paziente lavoro di recupero dei dati di scavo, non sufficientemente assemblati perché frutto di più interventi fra di loro disomogenei. È seguito poi un attento esame delle strutture e dei materiali messi in luce che ha permesso all’autore di avanzare convincenti proposte sulla topografia dell’area, sulla destinazione funzionale del complesso e sulla sua fruizione nel tempo: il tutto corredato da una fedele ricostruzione tridimensionale dell’area indagata.

–– Mariette De Vos, Barbara Maurina, Intonaci e stucchi. In questo volume le due studiose, tra le massime esperte nel settore, illustrano gli intonaci e gli stucchi scavati, sotto la loro diretta supervisione, negli ambienti termali e in altre aree limitrofe. E’ uno straordinario campionario delle potenzialità e capacità decorative che hanno caratterizzato tutto l’arco di vita del complesso residenziale, dalla prima alla seconda fase di vita. –– Giovanni Maria De Rossi (a cura di), Le aree residenziali. In questo volume verranno esaminati i padiglioni della villa ricavati nell’isola, a Punta Eolo e alla Polveriera, nonché le pur scarse testimonianze di un piccolo complesso nell’isolotto di Santo Stefano.

–– Giovanni Maria De Rossi, Raccolta e distribuzione delle acque. Si prende in esame l’aspetto generale del territorio come premessa alla realizzazione di una rete di captazione, raccolta e distribuzione delle acque piovane, le uniche a disposizione dell’architetto romano per realizzare una efficace rete di raccolta e distribuzione in grado di soddisfare le esigenze di un vasto complesso residenziale. Come per tutte le grandi infrastrutture dell’isola, anche in questo caso si deve pensare a due fasi distinte legate alla trasformazione di Ventotene da residenza per l’otium a complesso per la relegatio ad insulam.

Non potrà essere preso in considerazione, per ora, tutto il materiale dell’instrumentum domesticum perché ancora depositato nei magazzini e in attesa di un riordino e di un apposito studio. Non si esclude, tuttavia, la possibilità di pubblicare la parte più cospicua e significativa della ceramica rinvenuta nell’area di Punta Eolo. Al termine di queste righe risulterà chiaro perché il primo scritto sulle ricerche archeologiche a Ventotene sia stato dedicato alla memoria di Beniamino Verde, la cui figura deve ancor oggi costituire un punto di riferimento per chi volesse avere a cuore lo sviluppo, non solo culturale, di Ventotene.

–– Giovanni Maria De Rossi, Le aree portuali. Come si evince dal titolo, vengono qui presi in esame tutti quei punti che, lungo il perimetro della parte dell’isola utilizzata come complesso residenziale,

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Inquadramento geo-morfologico Salvatore Medaglia

Figura 9. L’arcipelago pontino e un’ampia porzione di costa campano-laziale.

Dal punto di vista orografico è caratterizzata da una serie ininterrotta di terrazzi che le danno un profilo vistosamente digradante da sud-ovest verso nord-est. Il Monte dell’Arco, posto all’estremità sud-occidentale, con i suoi 139 metri s.l.m. è il punto più alto dell’isola (Figura 12). Attualmente Ventotene conta una popolazione residente di circa 750 unità e l’area abitata si concentra soprattutto lungo l’estremità nord-orientale laddove l’orografia costiera ha storicamente consentito l’approdo (Figura 13).

L’arcipelago Pontino è composto da un gruppo di sei isole dislocate al largo delle coste del Golfo di Gaeta tra il margine esterno della piattaforma continentale e la scarpata che congiunge questa alla piana abissale del Tirreno. Lo schema tettonico distensivo di tutta l’area, prodotto a partire dal Pleistocene inferiore e non ancora arrestatosi, è segnato da un sistema di faglie con direzione est-ovest, nord-ovest/sud-est e nord-est/sudovest1. Per ragioni dovute sia a fattori geografici che geologici, l’arcipelago va suddiviso in due gruppi distinti: quello di nord-ovest con le isole di Ponza, Palmarola, Zannone e Gavi e quello di sud-est con le isole di Ventotene e S. Stefano2 (Figura 9).

Il profilo costiero è discontinuo: l’incessante susseguirsi di baie e promontori rendono la linea di costa frastagliata e diseguale. Se nella porzione nordorientale, dove insiste la maggior parte del centro moderno e dove è localizzata l’area portuale, la costa assume un profilo non eccessivamente ripido (Figura 14), la restante fascia costiera è invece contrassegnata da scoscese falesie dalle stratificazioni multicolori.

Lunga circa 2800 metri e larga al massimo 800, Ventotene ha una superficie di 1,54 km quadrati e dista circa 25 miglia nautiche da Gaeta e 19 da Ischia (Figure 10, 11). 1  2 

Il litorale è in costante evoluzione per l’effetto inesorabile dell’erosione: questo fenomeno, dovuto

Zitellini et alii 1984. Barberi et alii 1967; De Rita et alii 1986.

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Introduzione alle antichità di Ventotene

Figura 10. Ventotene vista dall’alto e, in lontananza, le isole di Santo Stefano e Ischia.

Figura 11. Pianta di Ventotene con l’indicazione dei toponimi rilevanti.

a molteplici fattori, trova chiara esemplificazione nello scoglio denominato Nave di Terra distaccatosi dal fianco del promontorio della Polveriera, nella baia denominata Cala Nave, ed oggi separato circa

m 10 dall’isola (Figura 15). Nel novero delle cause che innescano la modificazione del profilo costiero bisogna aggiungere anche quelle di natura antropica intervenute negli ultimi decenni. Tra queste un ruolo 10

S. Medaglia: Inquadramento geo-morfologico

Figura 12. Veduta dell’isola da sud-ovest con in primo piano Monte dell’Arco e il promontorio omonimo.

Figura 13. Scorcio dal mare del moderno abitato di Ventotene.

il cui apparato è stato parzialmente smantellato dall’erosione a partire dal Pleistocene superiore3. Questo si erge per almeno 700 metri dal fondo marino e ha un diametro basale di circa 15-20 km. L’isolotto

non secondario giuoca l’azione dell’acqua, sia essa di imbibizione o di scorrimento superficiale, che, rilasciata a scopo agricolo o domestico in genere, col favore dalle pendenze accentuate dei versanti svolge un’azione meccanica sui corpi rocciosi favorendone il distacco (Figura 16).

Sulla geologia e vulcanologia di Ventotene cfr. Barberi et alii 1967; Bergomi et alii 1969, pp. 84-85; Zitellini et alii 1984; De Rita et alii 1986; Segre 1986a; Metrich et alii 1988; De Vivo et alii 1995; Perrotta et alii 1996; Bellucci et alii 1999; Casalbore et alii 2014; Di Fiore et alii 2015; Cuffaro et alii 2016.

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Geologicamente Ventotene rappresenta quanto rimane del versante sud-orientale di un antico vulcano 11

Introduzione alle antichità di Ventotene esplosioni, è stato calcolato che la posizione del cratere si trovava ad occidente dell’isola e alla distanza di circa 2-3 km4. La datazione delle vulcaniti più antiche osservabili a Ventotene è ancora oggetto di discussione da parte degli studiosi. Si tratta di lave basaltiche appartenenti alla serie effusiva, ben evidenti nell’area di località Semaforo, in cui raggiungono uno spessore di circa 50 metri. In questo luogo gli strati sommitali della falesia sono riconducibili ai prodotti delle ultime eruzioni e poggiano su quelli d’età più antica caratterizzati da laminazioni ondulate rossastre relative a paleo-suoli (Figura 19).

Figura 14. Veduta del settore nord-orientale dell’isola in cui si concentra gran parte dell’abitato moderno.

Secondo alcuni l’unità litostratigrafica del Semaforo avrebbe una datazione di circa 1,7 milioni di anni (Villafranchiano)5, secondo altri un’età molto più recente6. Da ultimo, sulla base di analisi radiometriche, è stata stimata una datazione pari a 920.000 anni7. La composizione di questi basalti di colore nero è quella di una trachioandensite a labradorite ed olivina tendente al trachibasalto con struttura porfirica. Oltre che presso il Semaforo, le formazioni trachibasaltiche del Pleistocene inferiore si possono osservare lungo quasi tutta la costiera dell’isola ad eccezione della porzione nord-orientale. Le stratigrafie conservate lungo le pareti delle falesie ventotenesi indicano che nel corso dei millenni, a seguito dell’emersione del vulcano, si sono succedute circa 27 fasi eruttive, sia di tipo esplosivo che eruttivo, intervallate da periodi di stasi in cui è avvenuta la formazione di paleo-suoli per trasformazione dei prodotti vulcanici (Figure 20, 21).

Figura 15. Ventotene, veduta di Cala Nave con le formazioni di Nave di Terra e Nave di Fuori (altrimenti chiamata ‘lo Scoglitiello’).

L’ultimo evento eruttivo va collocato tra 300.000 e 200.000 anni fa. La sezione ove è possibile cogliere nel migliore dei modi la stratificazione formata dai prodotti piroclastici relativi all’ultima eruzione è il deposito, di oltre 30 metri, noto come ‘Tufo di Parata Grande’ (Figure 22, 23). Seguendo la colonna stratigrafica dei tipi litoidi che compongono la seriazione dei prodotti geologici ventotenesi, al di sopra dei basalti, e sempre nell’ambito del Pleistocene inferiore, troviamo le piroclastiti. Si tratta di una serie di ‘tufi policromi pluristratificati’, con tufi sabbiosi giallo ocra e tufi rossi, intercalati sia a strati di pomici chiare e lapilli scuri, sia a livelli di paleosuoli. L’affioramento di queste formazioni si può osservare praticamente quasi ovunque lungo il perimetro dell’isola, dall’area del Cimitero sino a Punta dell’Arco e da questa sino a Cala Nave.

Figura 16. Ventotene, litorale di Cala Battaglia: cedimenti della falesia.

di Santo Stefano, distante circa 1,5 km da Ventotene, costituisce, invece, un cono laterale del medesimo apparato vulcanico, anche in questo caso del tutto eroso (Figure 17, 18). Sulla base di studi recenti condotti sull’osservazione dalle traiettorie balistiche e delle geometrie delle deformazioni lasciate sugli strati d’accumulo di pomici dall’impatto dei blocchi scagliati dalle

Bellucci et alii 1999. Cfr. ad es. Segre 1986a, p. 18. 6  Cfr. ad es. Perrotta et alii 1996. 7  Bellucci et alii 1999, p. 214. 4  5 

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S. Medaglia: Inquadramento geo-morfologico

Figura 17. Rilievo 3D dell’edificio vulcanico sommerso di Ventotene con i limiti della caldera, del bordo esterno dell’apparato e dei fronti di frana.

Figura 18. L’apparato vulcanico di Ventotene in una ricostruzione ipotetica.

Al di sopra dei tufi policromi si ha la formazione dei tufi gialli fonolitoidi stratificati il cui affioramento interessa la gran parte dell’isola. All’interno di questa

formazione troviamo vari inclusi allotigeni tra cui trachiti, fonoliti, andensiti, metamorfiti e granodioriti. 13

Introduzione alle antichità di Ventotene Lungo il litorale nord-orientale dell’isola, laddove le alte pareti a falesia cedono il posto ad una costiera caratterizzata da bassi promontori, si osservano consistenti tracce di attività finalizzate all’estrazione dei ‘tufi gialli’. In particolare, su tutto il fianco litoraneo compreso tra Punta Eolo e Punta di Terra alle alterazioni naturali dovute nel corso dei millenni all’erosione si abbinano dunque anche le modificazioni artificiali – già operate in età romana e poi riprese con vigoria tra XVIII e XIX secolo – finalizzate all’ottenimento di materiale lapideo e/o alla trasformazione a scopi funzionali di porzioni della costa (come nel caso del vasto plateau ove è stato intagliato il porto romano).

Figura 19. Stratificazioni ondulate lungo la falesia nei pressi delle località Montagnozzo e Olivi.

Particolarmente incisiva è stata l’estrazione del tufo sul promontorio di Punta Eolo tanto da alterarne nel tempo il profilo. Vistosi segni di cava, nella fattispecie tagli e tracce lasciati dall’asportazione di blocchi, danno ad alcuni settori della scarpata costiera del promontorio un aspetto gradinato (Figura 24).

L’ultimo prodotto appartenente alla serie del Pleistocene inferiore è quello dei depositi di tephra (tufi e cineriti) presenti nell’area di Monte dell’Arco. Nel settore centro-settentrionale dell’isola, dove si concentra la maggior parte delle abitazioni moderne, al di sopra dei tufi insistono le formazioni del Pleistocene superiore composte da sabbie eolico-litorali con presenza di organismi marini.

Lungo circa 300 m e largo mediamente 90, il promontorio di Punta Eolo si protende nel mare verso nord e si salda a sud con la cala detta ‘Rossano’. Verso occidente presenta una ripida falesia sub-verticale in continua evoluzione a causa di cedimenti delle pareti, mentre ad oriente il bordo presenta un profilo meno ripido e leggermente scarpato.

Depositi litorali con spiagge ciottolose, attribuibili ad età olocenica, sono presenti nella stretta valle che da Cala Nave s’insinua verso l’interno in direzione ovest.

Figura 20. Carta geologica di Ventotene tratta da Di Fiore et alii 2015.

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S. Medaglia: Inquadramento geo-morfologico

Figura 21. Ventotene, stratigrafie geologiche lungo la falesia di Punta dell’Arco.

L’attuale morfologia del promontorio si deve alla sedimentazione di un deposito da flusso (piroclatico e da surge) con laminazione e strutture a dune. Il deposito ignimbritico di Punta Eolo è pertanto caratterizzato da una successione di strati dello spessore di circa 1 metro: alcuni si presentano privi di strutture, altri hanno litici a gradazione diretta e pomici a gradazione inversa. Poiché i depositi di questo genere solitamente si spostano sulla superficie sotto l’azione della gravità e sono pertanto controllati dalla topografia, si deve immaginare che l’area di Punta Eolo fosse prima dell’ultima eruzione una zona depressa nella quale i flussi si sono convogliati finendo per colmarla.

Figura 22. La formazione tufacea di parata Grande.

Figura 23. L’estremità settentrionale di Ventotene nella Carta geologica di Bellucci et alii 1999.

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Introduzione alle antichità di Ventotene La flora isolana rientra appieno nella facies della macchia mediterranea tipica di tutto l’arcipelago pontino9. Pesanti disboscamenti effettuati a partire dalla metà del XVIII secolo, la conversione di parte del territorio a coltivo e lo sviluppo edilizio hanno fortemente impoverito il manto vegetale dell’isola. Questo sopravvive nelle forme originarie nei punti meno accessibili e in particolar modo nell’area di Punta dell’Arco. Lungo la costa le associazioni vegetali sono di tipo litoraneo e presentano formazioni a cespugliato e a fascia erbacea. Più in alto si trova la zona della gariga costiera tra le cui specie più significative si contano il rosmarino, l’enula, la Genistra ephedroides e la ferula. Nella macchia bassa vi sono il mirto, il cisto – nelle varietà Cistus monspeliensis e Cistus salvifolius – e l’euforbia nelle varietà Euphorbia dendroides ed Euphorbia helioscopia. La cenosi a bosco sempreverde è rappresentata principalmente dal Quercetum ilicis, dal lentisco, dal ginepro, dall’Erica arborea e, a Punta dell’Arco, da qualche raro esemplare di Chamaerops humilis10. Lungo le scarpate costiere, o comunque dove l’influenza del mare è consistente, vi sono associazioni a Crhitmum maritimum e a Elichrysum litoreum. Particolarmente interessanti sono gli endemismi tra cui la Centaurea cineraria (fiordaliso delle scogliere) e due varianti delle Plumbaginacee: il Limonium pontium nelle varietà pontium e pandataria11.

Figura 24. Ventotene, tagli nel banco tufaceo lungo il versante di Punta Eolo.

Ventotene e le isole Pontine in genere appartengono alla fascia fitoclimatica della ‘Regione mediterranea’ che comprende la zona litoranea del Lazio con condizioni climatiche tipo caldo-aride. Gli aspetti maggiormente xerici della macchia mediterranea si osservano proprio nell’arcipelago dove si hanno precipitazioni ridotte. Ventotene conta, infatti, una precipitazione media annua di circa 650 mm e una temperatura media delle minime nei mesi freddi intorno ad 8° grazie all’effetto stabilizzatore del mare. Lunghi periodi aridi, con temperature massime intorno a 35° registrate tra luglio e agosto, si concentrano nei mesi estivi8. L’isola non dispone di sorgenti.

Beguinot 1902; Anzalone, Caputo 1975; Segre 1986c, p. 27. Mazzella 1997. 11  Anzalone, Caputo 1975; Mazzella 1997. 9 

8 

10 

Segre 1986b, p. 26.

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Storia degli studi e degli scavi Salvatore Medaglia L’attività di scavo finalizzata alla ricerca di antichità dovette manifestarsi assai precocemente nell’isola di Ventotene, almeno dalla metà del XVI secolo. Nel pubblico atto stipulato il 26 marzo del 1542 in cui Alessandro Farnese, allora Cardinale Commendatario, concesse per enfiteusi l’intero arcipelago al padre, il duca Pier Luigi Farnese, tra le materie convenute vi era «la piena facoltà di potervi trar vantaggio dalle cave di pietra, miniere d’argilla, vetro di rocca, salnitro, oro, ed argento; come pure far scavi per le antiche statue, immagini, e cose preziose, che senza dubbio vi sono sepolte» (Figura 25)1.

In effetti, per tutta l’età medioevale l’occupazione monastica nell’isola di Ventotene fu indissolubilmente legata alle cospicue emergenze architettoniche d’età classica. Così, il monastero di Santo Stefano de insula Ventatere, non altrimenti localizzato e che i documenti del XIII secolo assegnano dapprima alla regola benedettina e poi a quella cistercense, era stato certamente ricavato in una delle tante strutture romane che affollavano il paesaggio isolano3 (Figura 26). L’interesse per l’isola da parte di studiosi e viaggiatori si manifestò assai tardi. Si può senz’altro sostenere che Ventotene, al pari di tutto l’arcipelago, rimase ai margini della ‘letteratura di viaggio’ almeno sino alla metà del Settecento4. I motivi dell’esclusione dai tours allora in voga, che avevano come protagonisti soprattutto gentiluomini stranieri impegnati nella riscoperta dei più suggestivi itinerari del sud della Penisola, vanno da un lato ricercati nella forte capacità d’attrazione che suscitavano le isole del Golfo di Napoli e le vicine località dell’area flegrea, dall’altro nell’isolamento a cui fu soggetto l’intero arcipelago (Figura 27). Quest’ultimo, sin dalla fine del XV secolo, era considerato una meta poco sicura in quanto flagellata dalla piaga della pirateria che non cessò di causare ingenti danni almeno sino alla colonizzazione borbonica. Le isole, del resto, non erano facilmente raggiungibili dalla costa e, nello specifico, il viaggio per mare alla volta di Ventotene era particolarmente disagevole: così il Comte de Caulys, nel suo Voyage d’Italie, intrapreso tra il 1714 ed il 1715, si limerà ad annotare dal Circeo come «… Il y a devant deux ou trois îsles incultes et inhabitées»5.

Figura 25. Pergamena con la concessione in efiteusi dell’arcipelago pontino ai Farnese.

L’unico viaggiatore che fece visita a Ventotene sul finire del XVII secolo fu l’abate Giovan Battista Pacichelli. Questi vi giunse nel 1685 trovandola abitata più che altro da pescatori stagionali di ostriche e spugne. A lui dobbiamo una descrizione di Ventotene concisa ma efficace: «Quest’isola gira poco men di sette miglia, in forma quasi triangolare, volta à Levante, di dove comincia la sua salita à modo di placida collina: si chè dalla parte di ponente, e scirocco si solleverà centocinquanta passi dal mare, ove si bagna dalle sue onde à guisa di scoglio elevato. Pur da Levante hà un porticello murato attorno, quas’in quadro, da dar luogo ad una quindicina di feluche […]»6. Degna di nota è la

È chiaro che nel caso di Ventotene tra i beni estraibili per diritto ebbero un ruolo rilevante soprattutto la cavatura del tufo e la ricerca di anticaglie. La pratica del disseppellimento delle antiche rovine doveva comunque essere diffusa da sempre nell’arcipelago: già alla fine del VI secolo in una lettera scritta da Gregorio Magno al suddiacono Antemio, nella quale si dettavano le regole a cui doveva attenersi la congregatio monachorum che risiedeva nelle pontine, si faceva richiesta dell’invio di un grande quantitativo di piombo che certamente doveva venir estratto dalle antiche costruzioni romane2.

De Rossi 1999a, p. 63. Sul monastero di Santo Stefano vedi infra p. 50. 4  Bon 1984. 5  Comte de Caylus 1914, p. 195. 6  Pacichelli 1685, pp. 18-19. 3 

Tricoli 1885, p. 241. Su tale argomento si veda pure De Rossi 1999a, p. 63. 2  Greg. M. Epist., I, 48 (ed. Ewald, Hartman 1891, I, p. 74). Su questo tema si veda il capitolo successivo. 1 

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Introduzione alle antichità di Ventotene

Figura 26. Particolare del ‘Progetto di fortificazione e popolamento dell’arcipelago Ponziano’ con la raffigurazione di Ventotene (XVI sec.). La didascalia recita: «Bentetien m(iglia) 5. Tutta pianura senza arbori e buonissimi terreni è tutta inaccessibile eccetto dove guarda la torre. (Torre) si ha da restaurare. Porticello per barche cavato nel monte».

teatro»8. In ogni modo, il primo di questi osservatori fu Sir William Hamilton, ambasciatore inglese presso la corte di Napoli, che nella monumentale opera titolata Campi Phlegraei dedicò a Ventotene, e nella fattispecie a Capo dell’Arco, l’unica illustrazione riferibile all’arcipelago pontino9.

testimonianza della via in galleria, oggi scomparsa ma risalente ad età romana, che, già allora in via di progressivo interramento, collegava il porto con l’area soprastante: «Dal detto porto si entra sovra l’isola per un forame di monte aperto, con lo scalpello, lungo presso à cinquanta passi, largo da sei, mà basso in modo, che un huomo di alta statura non vi potrebbe andare in piedi»7.

Il 18 agosto del 1783 Hamilton, a distanza di alcuni anni, si recò per una seconda volta nell’isola10. Di questo breve soggiorno si conserva il resoconto in una lettera pubblica scritta a Sir Joseph Banks e dalla quale si ricavano varie informazioni, alcune assai curiose (come

Nella seconda metà del Settecento Ventotene suscitò finalmente l’attenzione di vari studiosi e viaggiatori, interessati quasi esclusivamente alla geologia vulcanica dell’isola. Già il Mattej si doleva di questo fenomeno e nel 1857 ebbe a scrivere: «D’altra parte taluni Scienziati del passato secolo di nulla più si piacquero, che delle anomalie geologiche, sotto il punto di vista dei sistemi e delle teorie de’ vulcani, di cui quell’Arcipelago è 7 

Mattej 1857, p. 11. Hamilton 1776-1779, plate XXXIV. Kippis, Godwin 1787, p. 101: «The 18th of August I [scil. W. Hamilton] arrived at the island of Ventotiene, about twenty-five miles to Ischia. It is greatly improved since my former visit, seven or eight years ago, when his Sicilian majesty first planted a little colony there».

8  9 

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Pacichelli 1685, p. 19; De Rossi 1999a, p. 23.

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S. Medaglia: Storia degli studi e degli scavi

Figura 27. ‘Mappa corographica’ dell’‘Isola deserta di Ventotiene o Ventitiana’ (prima metà del ‘700). Si noterà che l’isola è prevalentemente ricoperta da alberi.

ad esempio i maldestri tentativi di sciogliere alcuni bolli su tegole), altre più interessanti sul piano archeologico. Tra quest’ultime vi è la notizia secondo cui parte delle tegole impiegate nelle terme furono smantellate per la costruzione della chiesa di Santa Candida (avviata nel marzo del 176911) e dei baracconi dei nuovi coloni12.

Alla figura dell’Hamilton, noto estimatore d’antichità13, è legata una delle pagine più tristi per il patrimonio archeologico dell’isola. Questi, infatti, nella seconda metà del Settecento depredò di marmi e statue la villa di Punta Eolo per arricchire la sua già corposa collezione. I materiali, oggi non più rintracciabili, finirono nel mercato clandestino14.

Tricoli 1885, p. 313. Kippis, Godwin 1787, p. 102: «Give me leave likewise to add, for the information of the curious in antiquities, that, during my stay in the island of Ventotiene, I got out of the ruins of an elegant ancient bath (supposed to have been built for the use of Julia, daugther of Augustus, whilst the was in exile here) a fragment of a tile, on which are stamped the following characters in basso relievo, HACINI IVLIAI AVGUS. F which, according to the interpretation of a celebrated antiquary at Naples, mean Opus Hacini ad commodum Balnei Juliae Augustae factum. I was informed, that several entire tiles, with a like inscription, had been dug up on the same spot, had been made use of in building the church and barracks newly erected in this island. Another fragment of a tile was likewise found here, and given to me, with the following inscription: SAB. API. which the fame antiquary explains, Sabinae Augustae, Piae Imperatrici dicatum Balneum; but, I believe, there is no mention, in ancient authors of Sabina having been

11 

Nel 1777 fece tappa a Ventotene un altro inglese, H. Swinburne, che non senza ironia scrisse: «The destination of Ventotiene is at present somewhat similar to what it was in the time of the Caesars; for it is now inhabited by a considerable number of felons condemned to banishment on this rock, where they are

12 

at Pandataria: of Julia’s banishment to this island there can be non dubt». Sui due bolli citati (riferibili ai tipi CIL X, 8042, 60 e CIL X, 8042, 98) vedi Medaglia 2017. 13  Sulla figura di Hamilton e sulle sue collezioni cfr. Jenkins, Sloan 1996; D’Alconzo 1999, pp. 65-67; Milanese, De Caro 2005. 14  Bon 1984, p. 9; De Rossi 1999a, p. 31.

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Introduzione alle antichità di Ventotene forced to work and improve the scanty soil, in order to form a settlement that may prevent the corsairs of Barbary from rendezvousing here»15. Al vulcanologo Dolomieu si deve, nel 1778, la prima monografia interamente dedicata alla geologia dell’arcipelago pontino. La descrizione dei litotipi di Ventotene risulta molto accurata, così come alcune osservazioni sui fenomeni erosivi che, in particolare, interessano proprio Punta Eolo: «Cette ile continue á être dévorée par la mer, elle l’attaque dans toutes les parties de son contour, où elle trouve peu de résistance, & elle ne cesse de creuser, principalement sous les escarpemens du nord. Il parôit, por les vestiges des antiquités qui sont sur la ponte dite di Nevola [scil. Punta Eolo], que sous l’Empire de César cette Ile avait encore une étendue plus considérable. Il s’y fait journellement des éboulemens….»16. Le notizie di carattere archeologico sono parche e quasi sempre strumentalmente collegate agli aspetti geologici: «La partie dite la Punta di nevola n’ayant pu admettre, par la nature du sol, aucun genere de végétation, rien n’y recouvre une incrustation calcaire très-singuliere, qui repose sur le couche de sable volcanique; […] elle ressemble si parfaitement aux maçonneri es de remplissage & au mortier factice, que l’on ne peut qualquefois que bien difficilement la distinguer des murs & fondemens antiques que l’on trouve sur le plateau un peu convexe de cette pointe; c’est là qu’étoit sans doute le plais de la malheureuse Julie […]»17.

Figura 28. Calco dell’iscrizione funeraria di Metrobius (CIL X, 6785) conservata al Museo Nazionale di Napoli.

Nel novero dei documenti utili per la ricostruzione della storia degli studi e degli scavi, un ruolo assai importante hanno tutta una serie di documenti e planimetrie, datate tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, riguardanti l’assetto dell’isola borbonica prima dei massicci interventi infrastrutturali tesi a garantirne l’urbanizzazione. Da segnalarsi sono almeno due piante (la prima, anonima, con legenda in spagnolo; la seconda dell’ingegnere Winspeare, uno dei progettisti della nuova Ventotene voluto da Ferdinando IV22) dalle quali si ricavano apprezzabili dati sul versante nord-orientale dell’isola e in particolare sulla strutturazione mantenuta dal porto romano sino alla fine degli anni ‘70 del XVIII secolo (Figura 29)23.

Altre osservazioni litologiche ed etnografiche sono condensate nel lavoro dell’abate agostiniano A. Fortis, Osservazioni litografiche sull’isole di Ventotene e Ponza, pubblicato a Padova nel 179418 e in quella, successiva di oltre due decenni, dell’Ultramontain e commerciante svizzero Conrad Haller dal titolo Tableau topographique et historique des Isles d’ Ischia, de Ponza, de Vandotena, de Procida et de Nisida […]19.

Al Winspeare dobbiamo anche Pianta, Spaccato e Prospetto della Grotta detta dei Buoi nell’isola di Ventotene, ovvero della cisterna romana dei Carcerati, realizzata poco prima del 1768, quando questa fu utilizzata come alloggio per i forzati che dovevano edificare la nuova Ventotene24 (Figura 30). Del Settecento è anche un altro prezioso documento anonimo, intitolato Pianta della Stufa Antica che si è trovata nell’Isola di Ventotene, conservato nell’Archivio di Stato di Napoli, indicante l’aspetto che dovevano avere le terme prima dei drastici interventi di spoliazione perpetrati a partire dalla metà del XVIII secolo e finalizzati all’ottenimento di materiale da costruzione25 (Figura 31).

Intanto, sin dalla fine del Settecento, continuarono sull’isola le esplorazioni archeologiche che fruttarono i primi rinvenimenti. Alcuni di questi avvennero in seguito alla costruzione della nuova Ventotene edificata dai Borboni, come nel caso dell’iscrizione funeraria del procuratore Metrobio scoperta presso Cala Nave nel 177120 (Figura 28). Nello stesso anno, come ricorda il Cerulli, citato dal Tricoli, a Punta Eolo «vi scavarono […] il mezzo busto di Giove Ammone ben conservato»21, che poi finì nelle raccolte del Museo di Napoli.

Bisogna attendere la seconda metà dell’Ottocento per poter disporre dei primi dettagliati studi su Ventotene. Il primo di questi si deve a Pasquale Mattej, pittore

Swinburne 1790, p. 76. Dolomieu 1788, p. 52. 17  Dolomieu 1788, pp. 43-44. 18  Fortis 1794. 19  von Haller 1822, pp. 204-210. 20  Mattej 1857, p. 95; Tricoli 1885, pp. 31-32. 21  Tricoli 1885, p. 29. 15 

22  Su questa pianta si veda il capitolo dedicato alla topografia di Ventotene romana. 23  Per una dettagliata disamina di questi ed altri documenti cfr. De Rossi 1999a; De Rossi 2006b. 24  De Rossi 1997. 25  De Rossi 1999a, pp. 38-40.

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S. Medaglia: Storia degli studi e degli scavi

Figura 29. Il settore nord dell’isola in una pianta della metà circa del Settecento riferibile ai progetti di fortificazione borbonica e intitolata ‘Plano della torre fortificada en la parte ventajosa del la isla de Ventotiene’. Nella didascalia appare interessante il riferimento al porto capace di accogliere trenta piccoli bastimenti e ai ‘Magazenes antiquos praticados dentro el Monte de tufo’ che non sono altro se non i resti delle infrastrutture porticate romane a servizio del porto.

particolar modo sulle vestigia di Punta Eolo: «informi macerie reticolate, archi abbattuti, volte sprofondate, indizii di stanze, di soglie, di condotti tubolari e versanti al mare, tracce d’incrostature marmoree, e marmi, e cornici colorate, e quanto poteva costituire il complesso di opulenti edifici obliati poscia, stritolati e agguagliati al suolo, sono gli avanzi che coprono il suolo della squallida contrada della Punta d’Eolo» (Figura 33). Tra i meriti del Mattej vi è quello di aver riprodotto per primo la celebre lastra Campana di coronamento, raffigurante una sfilata di prigioniere barbare su carro, che un contadino gli aveva mostrato nel corso delle sue peregrinazioni. Curiosa, e non priva d’ingegno romantico, è la spiegazione che il pittore diede del manufatto, attribuendolo al viaggio di Giulia e Scribonia verso l’esilio: «Egli è un funebre corteo effigiato in bassorilievo […] che trae ignominiosamente all’esilio due donne di nobile

nativo di Formia, che vi soggiornò dal 5 al 13 luglio del 1847 lasciandoci un breve diario e alcuni disegni (Figura 32). Mattej era mosso dal «desiderio di avere più particolari ed autentiche testimonianze» chiarendo sin dalla premessa di voler prendere le distanze dal «vezzo in oggi prevalso di scrivere su contrade lontane, senza averle mai vedute, e solo ruzzolando sulle altrui tracce, rapsodiando tutto che a dritto o a traverso si trova di tradizionale, o poggiando su false relazioni e pregiudicate opinioni»26. Le impressioni del viaggio del Mattej dapprima vennero pubblicate in una serie di articoli figurati nel Poliorama, e poi furono riunite in un volume stampato nel 1857. Non senza qualche incertezza, il Mattej descrive i principali monumenti dell’isola, soffermandosi in 26 

Mattej 1857, p. 11.

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Introduzione alle antichità di Ventotene

Figura 30. Pianta della c.d. ‘Cisterna dei carcerati’ realizzata da A. Winspeare.

condizione, sedute su di un carro trascinato da vili giumenti, sferzati a disprezzo da un impassibile auriga» (Figura 34)27.

Montagnozzo (montagnozza di Lancella) e la necropoli di Cala Nave28. Sempre intorno alla metà dell’Ottocento va datata la segnalazione circa la presenza di ruderi di età romana nel vicino isolotto di Santo Stefano ad opera di Luigi Settembrini che, com’è noto, vi fu relegato in stato di prigionia tra il 1851 e il 1858: «Nella parte più alta di Santo Stefano sono alcune rovine di una villa, che serba ancora il nome di Casa di Giulia; e son poche mura di fabbrica reticolata, alcune pareti che serbano vivi i colori onde furon dipinte, qualche pavimento a mosaico, ed una cisterna ancor buona ed usata»29.

Nel 1855 a Napoli fu dato alle stampe la Monografia per le isole del gruppo Ponziano di Giuseppe Tricoli. Si tratta di un altro importante caposaldo per gli studi sulle antichità dell’arcipelago. In un’apposita appendice il Tricoli passò in rassegna tutte le maggiori evidenze archeologiche delle isole fornendo dei particolari di assoluto interesse. Per quanto concerne Ventotene fu il primo, ad esempio, a descrivere la peschiera identificandola con dei bagni, il tunnel in località Parata Grande (grotta la Parata), il rudere in località 27 

Tricoli 1855, pp. 28-32. Settembrini 2005, pp. 33-34. Sulle evidenze archeologiche di Santo Stefano vedi infra, p. 40, nota 110.

28  29 

Mattej 1857, p. 104.

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S. Medaglia: Storia degli studi e degli scavi

Figura 31. Il calidarium delle terme in una pianta del XVIII secolo.

Del 1886 è la scoperta fortuita, nelle acque del porto, di una lucerna bilicne in bronzo con croce monogrammatica incisa30.

ampio quadro della colonizzazione greca del Tirreno31, la piccola Ventotene non è oggetto d’interesse scientifico sino agli anni Trenta del XX secolo.

Eccezion fatta per un breve accenno del Beloch datato alla fine dell’Ottocento in cui si disquisisce del toponimo Pandataria e di un possibile inserimento dell’isola nel più

Nei pressi del porto, nuovi rinvenimenti furono occasionati intorno al 1930 dai lavori per la realizzazione del faro. Come ricorda lo Jacono,

30 

NSA 1886, p. 238. Cfr. infra, p. 48, nota 143.

31 

23

Beloch 1890, pp. 210, 439.

Introduzione alle antichità di Ventotene

Figura 32. Rovine romane presso Punta Eolo in un disegno di P. Mattej dell’8 luglio 1847.

Figura 33. Rovine romane presso Punta Eolo in un disegno di P. Mattej dell’8 luglio 1847.

«tornarono a luce parecchi infranti membri architettonici, colonne, capitelli, […] una testina marmorea d’Iside, col serpente ureus sulla sommità della fronte, ed un frammento d’iscrizione […] PELAGI[…] / […]IS»32 (Figura 35).

disseminata Ventotene ‘una sola villa’ e realizzò le planimetrie del porto e delle strutture di Punta Eolo33. Appare di particolare interesse la descrizione che egli fece dei resti del settore di servizio, a quei tempi ancora ben conservati: «Più a mezzogiorno sono gli avanzi di un edificio semplice, composto di celle intorno ad una corte […]: l’insieme mostra chiaro trattarsi di un alloggiamento o corpo di guardia militare, di contro alla villa, dalla quale è separato per mezzo di una valletta […] il manufatto mi sembra confermi il menzionato luogo di Tacito, ove descrive

Nel 1934, negli Atti del ‘III Convegno Nazionale di Studi Romani’, L. Jacono pubblicò uno studio dedicato al porto, delineando anche un primo quadro topografico dell’isola. In quell’occasione, per la prima volta, lo studioso propose di identificare nei resti di cui era 32 

Jacono 1934, p. 324.

33 

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Jacono 1934.

S. Medaglia: Storia degli studi e degli scavi

innescate dalla conquista di Ventotene da parte degli alleati. Il terreno a nord del cimitero fu completamente spianato da una potente ruspa al fine di ottenere un’area d’atterraggio. Nel corso di questi lavori il mezzo meccanico, appositamente assemblato sul promontorio non essendovi all’epoca strade di collegamento, intercettò le murature degli edifici distruggendone gran parte. All’esito di questa operazione dobbiamo l’attuale stato delle murature del padiglione di servizio con gli elevati livellati tutti alla stessa altezza35. Solo due anni dopo, nel 1945, Giorgio Buchner nel corso di un sopralluogo individuò nei pressi del cimitero le tracce di un insediamento che attribuì alla facies appenninica e di cui pubblicò una breve nota l’anno seguente sulla ‘Rivista di Scienze Preistoriche’36. La scoperta risultò di grande interesse in quanto le evidenze attestanti una frequentazione pre-classica sino ad allora erano state accertate solo per le isole del gruppo pontino di nord-ovest (Ponza, Palmarola e Zannone)37.

Figura 34. Lastra campana di coronamento con scena di prigioniere barbare su carro (disegno di P. Mattej).

Prescindendo da vari studi incentrati più che altro su aspetti geologici, floristici e faunistici38, dopo la segnalazione di Buchner e un lavoro di F. M. Apollonj Ghetti sulla storia dell’arcipelago39 il patrimonio storico-archeologico di Ventotene è nuovamente relegato ai margini del dibattito scientifico sino agli anni Ottanta del XX secolo. Grazie ad un’iniziativa promossa da A. M. Colini, allora Presidente dell’Istituto di Storia e di Arte del Lazio Meridionale, tra il 1975 e il 1983 un gruppo di ricercatori (Carla Maria Amici, Margherita Cancellieri, Giuseppe Berucci, Giovanni Maria De Rossi), aveva avviato una campagna topografica nell’arcipelago al fine di delineare dinamiche e caratteristiche con cui si era svolto il processo insediativo in età antica40. I risultati di questo intenso lavoro costituirono il nerbo di una Mostra sulle isole pontine, promossa dall’Istituto di Storia e di Arte del Lazio Meridionale, che fu inaugurata nel giugno del 1983 nella Sala Barbo di Palazzo Venezia41 (Figura 1). In quello stesso anno, si verificò il furto di alcuni materiali archeologici temporaneamente conservati in un magazzino del Forte-Torre in attesa che venisse allestito il Museo. Tra i materiali sottratti vi erano vari frammenti statuari rinvenuti più che altro nell’area di Punta Eolo. Uno di questi, relativo alla testa dell’imperatore Tiberio, fu rintracciato alcuni anni dopo tra le raccolte del Museo

Figura 35. Testa di Iside su un ceppo d’ancora in piombo fotografata nei magazzini del museo di Ventotene prima del trafugamento.

la povera imperatrice, tenera di venti anni, messa tra centurioni e soldati…»34.

35  Di tale evento non esiste alcuna documentazione; tuttavia, oltre che dalle chiare evidenze accertate dallo scavo archeologico, esso è comprovato da numerose testimonianze orali. 36  Buchner 1946. 37  Friedlaender 1900, p. 676; De Fiore 1920; De Fiore 1921. 38  Cfr. ad es. Zanon 1947; Barbieri et alii 1967; Moltoni 1968. 39  Apollonj Ghetti 1968. 40  De Rossi 2006c, p. 970. 41  De Rossi 2009.

Passati alcuni anni dalla descrizione dello Jacono, l’area prossima al cimitero, e più precisamente quella sulla quale insistono i resti del padiglione di servizio, nel settembre 1943 fu teatro di operazioni strategiche 34 

Jacono 1934, p. 321.

25

Introduzione alle antichità di Ventotene dell’Università di Bochum in Germania e poté fare pertanto ritorno nell’isola42.

Almeno dal 1981 iniziò la devastazione del relitto romano di Cala Rossano46 sino a quando, nel giugno del 1990, la Soprintendenza promosse una campagna di scavo47. Ulteriori trafugamenti interessarono anche l’altro importante relitto d’età romana posto nel canale compreso tra Ventotene e Santo Stefano. Questo, razziato da anni, nel settembre del 1983 fu oggetto di recuperi da parte dei sommozzatori della Guardia di Finanza. Tra i rinvenimenti sottomarini è da menzionarsi anche quello di un grande dolium, attualmente esposto a Ventotene, avvenuto nel 1986 nelle acque antistanti Punta di Capo dell’Arco48.

Nel 1984, per i tipi De Luca Editore, fu pubblicato il volume Ventotene, immagini di un’isola (cfr. Ventotene 1984). Nei vari contributi, che spaziano dall’età antica a quella borbonica, si delineava un primo tentativo di operare una lettura globale del divenire architettonico dell’isola. Nel 1986 fu dato alle stampe il volume Le isole pontine attraverso i tempi, opera con vari contributi specialistici, avente per oggetto un comprensorio che «non era stato sino ad ora, nella sua globalità, oggetto di approfondimento né di sintesi»43 e che ad oggi costituisce l’opera d’insieme più completa sulle antichità dell’Arcipelago Pontino. Intanto nell’autunno 1985 fu ufficialmente creato il Museo storico archeologico di Ventotene all’interno del Forte-Torre. Per l’apertura al pubblico bisognerà però attendere, dopo una lunga fase di restauro e allestimento, il luglio del 1989. Con un finanziamento su fondi per gli Interventi Straordinari per il Mezzogiorno, ex lege 64 del 1986, fu pianificato un progetto per il recupero delle potenzialità archeologiche dell’isola44.

Nel 1990, con una concessione rilasciata dalla Soprintendenza Archeologica del Lazio, si diede avvio nell’area nobile della villa di Punta Eolo al primo lotto di scavi finanziati con un bando del Ministero dei Lavori Pubblici dell’anno prima. Con i fondi erogati dalla Regione Lazio tra il 1992 e il 1996 furono avviati in maniera sistematica i lavori per la realizzazione del Parco Archeologico. Questi hanno previsto lo scavo ed il restauro di vari monumenti dislocati sia nel settore centrale dell’isola (cisterne dell’acquedotto, ruderi del Montagnozzo), sia lungo il fronte nord-orientale, ivi compresa la peschiera (2004)49. Tra il 2001 e il 2006 (con una sospensione nel 2003) sono stati effettuati in estensione gli scavi del padiglione di servizio e dell’area residenziale della villa a Punta Eolo.

Intanto, sin dalla metà degli anni Settanta, proseguivano i trafugamenti di materiali archeologici sommersi disseminati lungo le coste dell’isola. Nel 1975 e poi nel 1977 la Guardia di Finanza aveva sequestrato vari materiali, comprendenti ancore ed anfore45.

De Rossi 2009. Le isole pontine 1986, p. 11. 44  De Rossi 2006b, p. 3; De Rossi 2006c, p. 970. 45  Vedi infra pp. 95 e 108 nota 86.

Cappelletti 1981; Cappelletti, Gianfrotta 1983. Arata 1993; Arata 1994. 48  De Rossi 1999a, pp. 93-94. Cfr. infra, p. 97. 49  De Rossi 2006c, p. 978.

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Da Pandataria a Ventutere: fonti storiche e dinamiche insediative Salvatore Medaglia Le più antiche testimonianze della presenza umana sull’isola di Ventotene risalgono a una fase di passaggio tra il Neolitico finale e il Bronzo iniziale. A questo orizzonte cronologico sono da attribuirsi frammenti di ceramiche in impasto e industria su ossidiana (schegge e lamelle), recentemente individuati in vari punti del pianoro di località Fontanelle1. Tale contrada, ubicata sul versante sud-est, non lontano da Cala Nave, offriva condizioni insediamentali molto favorevoli e decisamente uniche nel panorama isolano, per la presenza di sorgenti oggi prosciugate. Queste contribuivano ad alimentare un corso d’acqua stagionale (il picciol torrente2 noto nella cartografia ottocentesca come Rio di S. Maria3) che dopo aver attraversato un avvallamento sfociava nella rada di Cala Nave.

alcune ricognizioni6, testimoniano l’esistenza di un aggregato capannicolo collegato a due approdi posti nelle rade di Cala Nave e Cala Rossano. La presenza di un sistema d’approdo bipolare è del resto una caratteristica di non pochi insediamenti costieri dell’Italia centro-meridionale della metà del II millennio. Ai fini della valutazione della possibile estensione dell’insediamento protostorico vanno pure considerate le modificazioni del profilo costiero – causate sia dall’erosione naturale sia da interventi artificiali di sbancamento e cavatura del tufo – alle quali è certamente da addebitarsi parte della cancellazione delle testimonianze preprotostoriche7. A conferma dei dati raccolti nel 1945, alla fine degli anni Ottanta del secolo passato sono state censite mediante ricognizioni una serie di aree con concentrazione di frammenti fittili tra il bordo del costone roccioso settentrionale di Parata Grande (località Pizzo di Mamma Bianca) e Punta Eolo. Sia i materiali in impasto recuperati in seguito all’apertura del citato saggio di scavo, sia i materiali provenienti dalle esplorazioni di superficie rientrano appieno nell’orizzonte recente della facies del Protoappenninico B dell’Italia meridionale (Figura 37).

Alla luce di queste scoperte è assai probabile che anche l’industria litica, in selce e ossidiana, rinvenuta in due distinti settori di Punta Eolo – sulla scarpata ad oriente del Cimitero e poco ad est delle terme romane – vada attribuita ad un orizzonte neolitico, sia pure in assenza di ceramiche relative a tale fase4. Assieme agli strumenti sono stati individuati anche diversi scarti di lavorazione dell’ossidiana5. La frequentazione d’età neolitica dell’isola di Ventotene va verosimilmente collegata a una delle rotte commerciali tramite le quali veniva diffuso il prezioso vetro lavico di Palmarola. Col tramite dello scalo ventotenese era infatti possibile raggiungere le isole dell’area flegrea e, da queste, il sud della penisola (Figura 36).

Altri materiali in impasto del Bronzo medio sono stati rinvenuti nel 2009 a seguito di sondaggi stratigrafici condotti dalla Soprintendenza nelle acque di Cala Rossano, confermando il ruolo di questa baia quale approdo naturale dell’insediamento capannicolo8 (Figura 38).

Se i dati sull’età neolitica sono frammentari e bisognosi di ulteriori conferme, ben diverso è lo stato delle nostre conoscenze per il Bronzo medio. In questa fase Ventotene divenne sede di un insediamento stabile che occupava in estensione gran parte dell’estremità settentrionale dell’isola a nord della strozzatura formata dalle cale di Rossano e Parata Grande.

In generale si può sostenere che i manufatti protostorici ventotenesi trovano strettissimi confronti con quelli coevi attestati nell’isola di Vivara e attribuibili all’orizzonte di punta d’Alaca9. Sono pure provati contatti con l’area tirrenica continentale come dimostrano vari manufatti ceramici per i quali possono intessersi una serie di paralleli con la facies di Grotta Nuova (Ischia di Castro, Viterbo)10.

Una serie di rinvenimenti effettuati a più riprese sin dal 1945, e cioè da quando Giorgio Buchner effettuò

Buchner 1946, p. 101. Materiali residuali in impasto dell’età del Bronzo medio sono stati rinvenuti a più riprese anche nel corso degli scavi del complesso romano di punta Eolo. 8  Zarattini et alii 2013, pp. 412-413. 9  Della Ratta-Rinaldi 1992. Sulla facies di punta d’Alaca cfr. Damiani, Di Gennaro 2003. 10  Della Ratta-Rinaldi 1992, p. 31. 6 

Zarattini 2004, p. 108. 2  Cit. tratta da un documento redatto da Afan de Rivera il 18 aprile 1808 e riportato in Broccoli 1953, pp. 314-315. 3  Sul Rio di S. Maria, con riferimenti alla cartografia storica, cfr. De Rossi 1999a, p. 78; De Rossi 2006a, p. 47. 4  L’ipotesi era stata già avanzata in Della Ratta-Rinaldi 1992, p. 32. 5  Della Ratta-Rinaldi 1992, pp. 25, 27 fig. 11, 29-30. 1 

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Introduzione alle antichità di Ventotene

Figura 36. Industria su ossidiana proveniente da Punta Eolo.

Figura 38. Ceramiche in impasto rinvenute nelle acque di Cala Rossano.

Figura 37. Ceramiche in impasto rinvenute da G. Buchner nel 1945.

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S. Medaglia: Da Pandataria a Ventutere: fonti storiche e dinamiche insediative

Figura 39. Posizionamento delle aree con concentrazione di industria litica e ceramica in impasto tra Parata Grande e Punta Eolo.

Come hanno dimostrato le analisi petrografiche compiute sugli impasti isolani, la produzione ceramica era locale e utilizzava il banco d’argilla posto al centro dell’isola in località Le Crete11. L’insediamento di Ventotene (Figura 39), al pari di quello di Vivara, trovò forse le ragioni del suo sviluppo nell’essere inserito appieno in quel complesso quadro di traffici e interrelazioni culturali che caratterizzarono le coste del basso e medio Tirreno nel corso dell’età del Bronzo. Nel Museo Archeologico di Ventotene, del resto, si conservano vari esemplari di ancore litiche recuperate nei fondali dell’isola e per le quali appare non inverosimile una collocazione in età protostorica e un diretto riferimento a naviganti che frequentavano l’isola nel II millennio12 (Figura 40). Allo stato attuale, in ogni modo, l’assenza di evidenze nell’isola riferibili alla facies appenninica va preliminarmente letta come indicativa dell’interruzione dell’occupazione. Dopo il Bronzo medio ebbe inizio per Ventotene una lunga fase per la quale non abbiamo dati né storicoletterari né archeologici. Per il momento non risultano tracce degli intensi contatti che il mondo miceneo ebbe modo di allacciare con le aree costiere del Tirreno e in particolar modo con la vicina area flegrea. Nella fase del Miceneo I e II, grosso modo tra 1550 ed 1425 a.C., nelle isole di Vivara ed Ischia giunsero ceramiche

Figura 40. Pietra forata tronco-piramidale rinvenuta nelle acque di Ventotene (Museo Archeologico Comunale).

Della Ratta-Rinaldi 1992, pp. 30-32. Su tali manufatti vedo, infra, il capitolo dedicato ai ritrovamenti sottomarini.

di tipo Miceneo. La stessa cosa avvenne anche nella fase successiva del Miceneo III A-B (XIV e XIII secolo)

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Introduzione alle antichità di Ventotene soprattutto a Vivara dove la presenza egea andava intensificandosi13. Pure per l’età del Ferro e per la fase iniziale della colonizzazione greca - quando, cioè, va registrata la presenza di un emporio euboico a Pithecusa nel secondo venticinquennio dell’VIII secolo e la successiva fondazione della più antica colonia greca d’Occidente a Cuma14, perdura l’assenza di testimonianze archeologiche sull’isola di Ventotene che, com’è noto, dista solo 19 miglia nautiche da Ischia (Figura 41). Gli scali flegrei costituirono un punto nodale dell’asse commerciale proveniente dall’Egeo nell’ambito delle rotte occidentali volte al reperimento del minerale di ferro tanto nei giacimenti costieri dell’Etruria tanto in quelli della Sardegna15. In un simile contesto fatto di commerci e spostamenti lungo le vie acquatiche del metallo, la marineria micenea prima e quella euboica dopo, seguivano rotte che trovavano nelle isole e nei promontori del Tirreno i principali punti di riferimento e di sosta. L’arcipelago Pontino, al pari di quanto avveniva per altre isole – dall’Elba al Giglio, dalle isole flegree alle Eolie – rappresentò un utile scalo nel corso delle traversate sia per sostarvi in attesa di condizioni climatiche favorevoli, sia per reperirvi acqua.

Figura 41. Sullo sfondo l’isola di Ischia vista dal porto di Ventotene.

Nonostante l’assenza di elementi materiali che attestino la presenza greca d’età coloniale ed alto-arcaica nell’arcipelago, la familiarità dell’elemento ellenico con le isole è certamente indiziata da non trascurabili elementi linguistici e toponomastici di matrice greca che sembrano riflettere aspetti legati alla pratica della navigazione. Se per J. Beloch l’etimologia greca di Pontia e Pandateria pare sufficiente per ipotizzarvi una frequentazione da parte dei coloni installati nella vicina Pithecusa16, è comunque fortemente probabile che la nascita di tali designazioni rifletta un momento assai vicino a quello della più antica colonizzazione greca dell’area17. Il toponimo Ποντία18, derivando dal greco πόντος, potrebbe rimandare ad uno dei variegati modi del mondo ellenico per designare il mare e in particolar modo il concetto nautico di cammino e passaggio, «dove è implicata la consapevolezza della ‘fatica, incertezza e pericolo’ connessi all’attraversamento di uno spazio rischioso, indomabile e talvolta ignoto»19.

Figura 42. Lucerna fittile di probabile produzione attica (fine IV – prima metà del III sec. a.C.) rinvenuta nelle acque di Cala Rossano (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).

quella sfera di toponimi ‘antropogeografici’ che fanno leva sulla percezione o sul significato che un dato luogo o un dato ambiente possono aver assunto nell’ambito delle attività umane in un preciso contesto storico21. Tra V e IV sec. a.C. sembra che l’arcipelago Pontino ricadesse sotto il dominio dell’ethnos volsco22. Questa popolazione controllava un’area assai vasta del Lazio meridionale che doveva comprendere anche le isole Pontine. Livio, infatti, ci informa che prima della deduzione della colonia romana l’isola di Ponza era abitata da genti di stirpe volsca (IX, 28, 7-8): «Volsci Pontias, insulam sitam in cospectu litoris sui, incoluerant». È pertanto immaginabile che a partire dal V secolo, allorché è attestato il caposaldo volsco ad Anzio, le isole principali dell’arcipelago possano essere state utili baluardi navali della potenza marinara anziate, la quale, com’è noto, era particolarmente versata per la

Allo stesso modo il greco Πανδατερία20 – traducibile come ‘dispensatrice di ogni cosa’ – potrebbe rinviare a Su scavi e ricerche nell’isola di Vivara cfr. Marazzi 1999; sullo scalo cfr. Merkouri 2005; Rizio 2005. Ridgway 1984. 15  Gale 1991; Giardino 1999; Giardino 1998. 16  Beloch 1890, p. 439. Cfr. pure Battisti 1932, p. 304. 17  De Rossi 1986a, p. 34. 18  Strabo, II, 5, 19; V, 3, 6; Ptol., III, 1, 69. 19  Poccetti 1996, p. 42. Sul gr. Πόντος cfr. Benveniste 1966. 20  Sulla varianti toponomastiche di Πανδατερία cfr. Scherling 1883; Musti 2001. 13  14 

Sull’argomento cfr. Poccetti 1996, p. 48. Sui Volsci cfr., con ampia bibliografia, Volsci 1992; Quilici, Quilici Gigli 1997. 21  22 

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S. Medaglia: Da Pandataria a Ventutere: fonti storiche e dinamiche insediative

Figura 43. Ventotene, la baia naturale di Cala Rossano ulteriormente protetta ad oriente da moderne strutture portuali.

pirateria23. A sottolineare la valenza strategica di Ponza vi è proprio l’esigenza da parte di Roma di dedurvi una colonia maritima nel 311 a.C.24, solo pochi anni dopo la sconfitta della flotta volsca avvenuta dinnanzi al litorale di Anzio nel 338 a.C.

Non a caso la scelta della sede in cui ubicare la colonia del 311 a.C. ricadde proprio su tale isola che, a differenza di Ventotene, poteva offrire nella cala di S. Maria27 un porto naturale sufficientemente esteso ove ospitare una base navale per il pattugliamento delle coste.

La specifica connotazione marinara dell’insediamento di Ponza si palesa nel 209 a.C., quando, nel quadro della guerra annibalica, l’isola al pari di altre colonie è chiamata in soccorso di Roma offrendo a questa uomini e navi25.

Ciò nulla toglie all’importanza di Ventotene quale luogo toccato da svariate rotte commerciali, talune transmediterranee, che attraversavano il Tirreno. A questo proposito va sottolineato come le uniche testimonianze di età arcaica e medio-repubblicana attestate a Ventotene siano di provenienza sottomarina28 e provengono per lo più da Cala Rossano (Figura 42). Tale rada, riparata dai venti nord-occidentali, costituì senz’altro l’approdo principale dell’isola sino alla costruzione del bacino artificiale presso Punta del Pertuso. Anche quando quest’ultimo funzionò a pieno regime, Cala Rossano continuò ad essere comunque utilizzata come scalo secondario29 (Figura 43). Alcuni sondaggi recentemente condotti dalla Soprintendenza, cui si aggiunge lo scavo del relitto con anfore betiche di inizio I sec. d.C. effettuato nel 1990, hanno tra l’altro dimostrato le enormi potenzialità del fondale di Cala

Le evidenze archeologiche non sono illuminanti riguardo alla fase più antica della romanizzazione ponzese. Bisogna considerare che tra la fine del IV e per tutto il III secolo a.C. l’insediamento non era altro che un piccolo fondaco militare che rivestiva un ruolo esclusivamente strategico e che non necessitava d’infrastrutture di particolare impegno26. Strabo, V, 3, 5. Riguardo alla pirateria anziate cfr. Scevola 1969. Sul ruolo delle isole Ponziane (e di Ponza in particolare) cfr. De Rossi 1986a, p. 34. 24  Liv., IX, 28, 7: «Suessa et Pontiae eodem anno coloniae deductae sunt»; Diod., XIX, 101, 3. 25  Liv., XXVII, 10, 8: «ne nunc quidem post tot saecula sileantur fraudenturue laude sua: Signini fuere et Norbani Saticulanique et Fregellani et Lucerini et Uenusini et Brundisini et Hadriani et Firmani et Ariminenses, et ab altero mari Pontiani et Paestani et Cosani, et mediterranei Beneuentani et Aesernini et Spoletini et Placentini et Cremonenses». 26  De Rossi 1999b, p. 148. 23 

Sul porto di Ponza cfr. Gianfrotta 2002 con bibliografia precedente. 28  Vd. infra, il capitolo dedicato ai ritrovamenti subacquei. 29  Sull’approdo di Cala Rossano, cfr. De Rossi 2007, pp. 10-11. 27 

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Introduzione alle antichità di Ventotene Rossano dove è ancora possibile individuare bacini archeologici dalle stratificazioni intatte al di sopra del paleofondale30.

ampio fenomeno della fioritura delle residenze d’otium lungo le coste e le isole tirreniche33. Precondizione essenziale di questo fenomeno è la messa in sicurezza del Tirreno dalla piaga della pirateria avviata sistematicamente nel Mediterraneo sin dal 67 a.C. con la lex Gabinia de piratiis persequendis e poi proseguita con l’attività di Pompeo Magno. La pacificazione del Tirreno potrà però dirsi perfezionata solo più tardi sia a seguito delle battaglie di Nauloco ed Azio, sia con l’istituzione da parte di Augusto della Classis Misenensis34.

Con la fine delle guerre puniche e il progressivo espansionismo romano nella penisola, il ruolo strategico di Ponza e delle altre isole dell’arcipelago per il controllo del mare dovette forse attenuarsi un po’. Tuttavia, pur in assenza di documentazione storica, è possibile che esse ebbero un qualche ruolo nello scacchiere del Tirreno centrale nel corso delle operazioni di Pompeo finalizzate all’estirpazione della pirateria conclusesi nel 67 a.C.

L’occupazione stabile da parte dei Romani dell’isola di Ventotene è documentabile con certezza non prima della fine del I sec. a.C. La scelta assai tardiva di realizzarvi un insediamento è legata a molteplici fattori, taluni meramente contingenti, come ad esempio l’assenza di sorgenti, talaltri collegabili a vicende di più ampia portata a carattere sia storico che culturale.

In un quadro siffatto, con l’assenza di conflitti particolarmente significativi da un lato e con l’emergere di importanti e ben attrezzati scali portuali lungo il Tirreno dall’altro, si può forse spiegare il silenzio delle fonti sull’arcipelago sino alla seconda metà del I sec. a.C. Venuto meno il ruolo strategico, si aprì una fase in cui l’attenzione delle fonti sembra catalizzarsi sugli aspetti naturali ed ambientali che contraddistinguono l’arcipelago. Varrone nel De Re Rustica ricorda Ponza, Ventotene e Palmarola quali tappe di sosta della migrazione degli uccelli (III, 5, 7): «Hoc ita fieri apparet in insulis propinquis Pontiis, Palmariae, Pandateriae. Ibi enim in prima volatura cum veniunt, morantur dies paucos requiescendi causa itemque faciunt, cum ex Italia trans mare remeant». In un altro luogo si fa menzione della vite che si coltivava a Ventotene. Questa era impiantata, senza il sostegno di pali, a diretto contatto del suolo e per scongiurare il danno causato al buon esito della vendemmia dalla presenza di topi erano piazzate apposite trappole (I, 8, 5): «Ea minus sumptuosa vinea, quae sine iugo ministrat acratophoro vinum. Huius genera duo: unum, in quo terra cubilia praebet uvis, ut in Asia multis locis, quae saepe vulpibus et hominibus fit communis. Nec non si parit humus mures, minor fit vindemia, nisi totas vineas oppleris muscipulis, quod in insula Pandateria faciunt»31.

La mancanza d’acqua di sorgente, cioè di una fonte idrica perenne, è certamente il motivo che ha fortemente vincolato in ogni fase storica la presenza umana sull’isola. Alla possibilità di trovare una soluzione alle problematiche connesse all’approvvigionamento idrico si deve, pertanto, il cruciale passaggio dalla fase legata alla sola frequentazione a quella caratterizzata dallo stanziamento stabile. Così, è possibile che l’assenza d’acqua costituì già in età repubblicana, pur al di là di non trascurabili fattori di tipo geografico e morfologico, l’elemento principale di differenziazione tra le due più grandi isole dell’arcipelago. Se Ponza, dotata di sorgenti e sacche d’acqua formatesi all’interno di sabbie fossili35, fu scelta come luogo dove potervi dedurre una piccola colonia marittima sul finire del IV sec. a.C.36, Ventotene rimase presumibilmente disabitata ancora a lungo. La notizia tramandate da Varrone, cui abbiamo già fatto cenno, a proposito della presenza a Ventotene di vitigni nel corso della prima metà del I sec. a.C.37 sembra potersi conciliare con un tipo di sfruttamento del suolo adatto a un luogo cronicamente carente d’acqua. Per la pratica della viticoltura erano bastevoli interventi stagionali ai quali probabilmente era legata una presenza non stabile dell’uomo. La stessa cosa può

Quest’ultimo passo di Varrone, scritto nel 37 a.C., indica inequivocabilmente la presenza di forme di sfruttamento con finalità agricole del territorio ventotenese già sul finire della Repubblica. Sul modello e sulla conduzione della proprietà non ci si può esprimere, ma è significativo sottolineare come la pratica colturale messa in atto sull’isola, di fatto non comune nell’ambito della ruris scientia latina, rimandi ad un tipo di proprietà «différente du modèle normal»32.

Sull’occupazione delle isole a partire dalla tarda Repubblica cfr. Lafon 2001, pp. 234 ss. 34  Per delle sintesi sul fenomeno della pirateria in età romana cfr. de Souza 1999 e ora Sintes 2016. 35  A parte una serie di vene acquifere note ai pescatori e poste a livello del mare, l’unica sorgente in quota a Ponza è localizzata in contrada Cala dell’Acqua ed è alimentata da infiltrazioni provenienti da sacche di sabbie eoliche fossili a cemento carbonatico: cfr. Gazzetti et alii 2010, p. 241. Sull’approvvigionamento idrico di Ponza in età romana vd. Amici 1986, pp. 57-60; Lombardi 1996; Gallia 2016, pp. 270 ss. 36  Diod., XIX, 101, 3; Liv., IX, 28. 37  Varro, Res Rus., I, 8, 5. 33 

Qualcosa cambiò certamente a partire dalla seconda metà del I secolo a.C. quando ebbe inizio l’importante e Zarattini et alii 2013, pp. 409-413. Sul vitigno ventotenese cfr. Tchernia 1986, pp. 112 nota 215, 180. 32  Lafon 2001, p. 235. 30  31 

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S. Medaglia: Da Pandataria a Ventutere: fonti storiche e dinamiche insediative

dirsi per la pratica dell’uccellagione (un’altra attività che in ogni epoca ha caratterizzato l’economia isolana) e che – anche per via del riferimento varroniano all’avifauna migratoria38 – possiamo immaginare contestuale a quella della vite e anch’essa fortemente connessa alla stagionalità.

tiberiana, costituisce per l’appunto un buon discrimine cronologico quando definisce Pontia e Pandateria, «μιραὶ μὲν οἰκούμεναι δὲ καλῶς (piccole, ma ricche di belle abitazioni)»42. Appare dunque plausibile che il fundus marittimo di Ventotene s’inserisse in un più vasto gruppo di praedia e villae posseduti da Augusto lungo il litorale campanolaziale. A proposito di queste e altre dimore, Svetonio (Aug., 72, 3) racconta come questi le abbellì «non tanto con statue e quadri, quanto con viali e boschetti, o con oggetti notevoli per la loro antichità e la loro rarità».

Come abbiamo già accennato, l’edificazione di un insediamento stabile presuppone però altri imprescindibili elementi a proprio sostegno. Il primo è legato alla proprietà dell’isola; il secondo a quell’ampio e complesso fenomeno che ha alimentato la formazione e diffusione delle dimore d’otium nell’Italia centrale tirrenica tra la tarda Repubblica e la prima età imperiale.

Nel 29 a.C. il futuro imperatore cedette Πιθηκούσσαι/ Aenaria ai Neapoletani in cambio di Capri dove vi costruì una dimora43 e in cui, come ricorda Svetonio nella prosecuzione del passo precedentemente citato, collezionava «[…] grandi resti di belve immani […] detti ‘ossa dei giganti’ o ‘armi degli eroi’». Augusto possedeva, inoltre, ville ad Anzio, Astura, Circeii e Sperlonga44 e vaste proprietà a Gaeta, Formia e Fondi che erano amministrate da Ti. Claudius Speclator Aug(usti) lib(ertus), procurator Formis, Fundis, Caietae45. Lungo il litus maris campano, oltre a una villa con tenuta a Surrentum aveva residenze a Ercolano e Baiae (Suet. Aug., 64), tra cui quella di Cesare; presso Puteoli ebbe la villa di Cicerone e a Bacoli possedette le ville di Lucullo e Ortensio46. Nel 15 a.C. era pure venuto in possesso della dimora di P. Vedius Pollio a Pausilypon47

Circa la paternità dell’attività edificatoria con cui a Ventotene si mise mano a un esteso intervento edilizio finalizzato all’edificazione di un complesso residenziale per l’otium esistono forti indizi che la collegano all’operosità del princeps. Del resto l’isola apparteneva assai plausibilmente al demanio dello Stato quale fundus maritimus. Infatti, nonostante le fonti non facciano nessun accenno diretto al regime della proprietà di Ventotene, è bene sottolineare come la scelta della sede in cui esiliare Giulia dovette essere necessariamente legata alla piena disponibilità di questo luogo da parte del demanio prima del 2 a.C. Non senza verosimiglianza il Sartori sosteneva che Pandataria, al pari di Ischia, in un primo tempo figurasse come possesso di Napoli e che solo in seguito, probabilmente in età sillana, sia passata alle dipendenze di Roma39. Secondo un’ipotesi di Degrassi Ventotene potrebbe essere stata sino ad età augustea un vicus instar municipii40. Comunque sia, appare plausibile che la piccola Pandataria fosse nelle disponibilità del patrimonium Augusti già nel corso degli ultimi decenni del I sec. a.C. quando tra i possedimenti del principe compare la vicina Aenaria41. Si consideri inoltre che, come ricorda Svetonio (Aug., 72, 2), tra i luoghi di ritiro prediletti dall’imperatore figuravano proprio quelli vicino al mare e le isole campane: «Ex secessibus praecipue frequentauit maritima insulasquae Campaniae». Del resto, l’isola di Ventotene in età romana non di rado era percepita come posizionata a largo del litorale campano: Cassio Dione (LV, 10, 14) la definisce «un’isola nei pressi della costa campana» e similmente fa Plinio (N.h., VI, 6, 82) ponendola «dinnanzi al golfo di Pozzuoli».

Oltre a Capri e Ventotene nel demanio imperiale c’era anche Pontia48 e un passo di Svetonio a proposito della vita di Caligola (Cal., XXIX, 1.), sul quale ci soffermeremo più innanzi, lo attesta con certezza. Nell’isola fu relegato nel 29 d.C. Nerone, fratello di Caligola, su ordine di Tiberio49. L’edificazione di sontuose villae a Ponza ebbe inizio in età augustea50 e privilegiò punti particolarmente panoramici del perimetro costiero (località Punta della Madonna, S. Antonio e Padula). Di poco successivo è invece l’intervento datato ad età Strabo, V, 3, 6. Strabo, V, IV, 9 : «Νεαπολῖται δὲ καὶ ταύτην κατέσχον, πολέμῳ δὲ ἀποβαλόντες τὰς Πιθηκούσσας ἀπέλαβον πάλιν, δόντος αὐτοῖς Καίσαρος τοῦ Σεβαστοῦ, τὰς δὲ Καπρέας ἴδιον ποιησαμένου κτῆμα καὶ κατοικοδομήσαντος.». Suet., Aug., 92, 2: «Apud insulam Capreas ueterrimae ilicis demissos iam ad terram languentisque ramos conualuisse aduentu suo, adeo laetatus est, ut eas cum re p. Neapolitanorum permutauerit Aenaria data». Dio. Cass., LII, 43, 2-5: «καὶ τὴν Καπρίαν παρὰ τῶν Νεοπολιτῶν, ὧνπερ τὸ ἀρχαῖον ἦν, ἀντιδόσει χώρας ἠλλάξατο. κεῖται δὲ οὐ πόρρω τῆς κατὰ Συρρεντὸν ἠπείρου, χρηστὸν μὲν οὐδέν, ὄνομα δὲ καὶ νῦν ἔτι διὰ τὴν τοῦ Τιβερίου ἐνοίκησιν ἔχουσα». Sulla tradizione di Augusto a Capri cfr. Federico 2001. 44  Sirago 1978, p. 29. 45  CIL VI, 8583: D(is) M(anibus) / Ti(berio) Claudio Speclatori / Aug(usti) lib(erto) procurator(i) / Formis Fundis Caietae / procurator(i) Laurento ad / elephantos / Cornelia Bellica coniugi / b(ene) m(erenti). 46  Sirago 1978, p. 29; D’Arms 2003, pp. 81-82 47  Dio. Cass., LIV, 23. Sulla vicenda cfr. D’Arms 2003, pp. 82, 217. 48  Beloch 1890, pp. 210-211; Sartori 1953, pp. 58-60. 49  Suet., Tib., LIV, 3. 50  De Rossi 1986b, pp. 84 ss. 42  43 

Il fervore edilizio che interessò nei primi decenni dell’età imperiale le isole Pontine è ben riflesso in un passo dell’opera di Strabone che, redatta in età Varro, Res Rus., III, 5, 7. Sartori 1953, p. 59. 40  Sartori 1953, p. 59. 41  Suet., Aug., XCII, 2; Dio. Cass., LII, 43, 2; Strabo, V, 4, 9. 38  39 

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Introduzione alle antichità di Ventotene tiberiana che riguarda la villa ponzese di località Santa Maria51. Tra i possedimenti insulari ad appannaggio della casata imperiale, secondo un’ipotesi di V. A. Sirago52 è possibile che ci fosse già da età augustea Nisida, ovvero l’insula Luculli53; anche Planasia, dove il primo imperatore vi relegò Agrippa Postumo54, era parte del demanio. La stessa cosa si può supporre per le Tremiti in quanto a Trimerus nell’8 d.C. fu relegata, per adulterio, Giulia Minore che vi rimase per vent’anni sino alla morte55. Nelle Lipari, inoltre, vi erano vasti possedimenti imperiali ereditati alla morte di Augusto da Giulia Augusta e Tiberio56. Le vicende che caratterizzarono le isole Pontine agli inizi dell’età imperiale sono saldamente legate al ruolo che esse ebbero quali sedi coatte ove furono inviati in esilio esponenti di rango imperiale. È proprio con la pratica della relegatio in insulam e con l’intrecciarsi di alterne vicende connesse alla casata imperiale che l’arcipelago per circa un secolo assurse agli onori della cronaca. Nel 2 a.C., in base alla Lex Iulia de adulteriis coercendis57 emanata nel 18 a.C., Giulia, figlia di Augusto e di Scribonia, fu relegata nell’isola di Ventotene ob impudicitiam58. Vi rimase sino al 3 d.C. quando, richiamata a Roma, fu trasferita a Reggio, nei Bruttii, dove morì nel 14 d.C.59. Da Velleio e Cassio Dione sappiamo che nel quinquennio del confino a Ventotene Giulia non fu sola ma fu accompagnata spontaneamente dalla madre Scribonia60. Ciononostante, diversi

Figura 44. Ara Pacis (Roma), processione sul lato lungo meridionale. Particolare della figura femminile che dovrebbe potersi identificare con Giulia.

elementi inducono a ritenere che anche Scribonia patì la relegazione a Ventotene, sebbene tale castigo fosse stato sapientemente camuffato quale atto spontaneo di pietà materna61. In ogni caso quello di Giulia rappresenta il primo caso noto di relegazione insulare del mondo romano62 (Figura 44).

Su tali complessi cfr. Le isole pontine 1986, pp. 84 ss.; De Rossi 1993. Sirago 1978, p. 29. 53  Sulla villa cfr. fonti e bibliografia raccolte in D’Arms 2003, pp. 178179. 54  Tac., Ann., I, 3, 4. 55  Tac., Ann., IV, 71: «Per idem tempus [scil. 28] Iulia mortem obiit, quam neptem Augustus convictam adulterii damnaverat proieceratque in insulam Trimerum, haud procul Apulis litoribus». 56  CIL X2, 7489 (Meligunìs Lipara XII, p. 458 n. 576): Cornelio Ma(n)sueto / procurat(ori) Ti(beri) Caesar(is) / Aug(usti) et Iuliae August(ae) / ex d(ecreto) d(ecurionum) p(ecunia) p(ublica). Sull’iscrizione cfr. Medaglia 2008, pp. 185-186. Le proprietà sotto la curatela del procurator cui fa riferimento l’iscrizione dovettero essere conservate a lungo all’interno del patrimonio imperiale se a Lipari (o in una delle isole dell’arcipelago) vi furono relegati Plautilla e Plauzio, rispettivamente moglie e cognato di Caracalla, nel 205 d.C. (Dio Cass., LXXVII, 6, 3; Herodian., III, 13, 3) ed Attalo per ordine di Onorio agli inizi del V sec. (Philostorgi, XII, 5; Prosp. Aquit., chron.: Patr. Lat. LI, col. 592). Sulla relegazione a Lipari in età tardo-antica cfr. De Salvo 1975-1976. 57  Sulla lex de adulteriis cfr. Andréev 1963; Brockdorff 1977; Rizzelli 1987; Rizzelli 1997; Treggiari 2002. 58  Tac., Ann., I, 53, 1: «Eodem anno [scil. 14 d.C.] Iulia supremum diem obiit, ob impudicitiam olim a patre Augusto Pandateria insula, mox oppido Reginorum, qui Siculum fretum accolunt, clausa». Vd. pure Tac., Ann., III, 24, 2: «Ut valida divo Augusto in rem publicam fortuna ita domi improspera fuit ob impudicitiam filiae ac neptis quas urbe depulit […]». Sull’esilio di Giulia a Ventotene cfr. Amiotti 1995; De Rossi 2000. 59  Suet., Aug., LXV, 7: «Post quinquennium demum ex insula in continentem lenioribusque paulo condicionibus transtulit eam». 60  Vell., II, 100, 5 «Iulia relegata in insulam patriaeque et parentum subducta oculis, quam tamen comitata mater Scribonia voluntaria exilii permansit comes»; Dio Cass., LV, 10, 14: «κἀκ τούτου ἐκείνη μὲν ἐς 51  52 

La decisione di distaccarla nel 3 d.C. ad altra sede che non fosse l’isola maturò anche per via delle incessanti Πανδατερίαν τὴν πρὸς Καμπανίᾳ νῆσον ὑπερωρίσθη, καὶ αὐτῇ καὶ ἡ Σκριβωνία ἡ μήτηρ ἑκοῦσα συνεξέπλευσε». 61  Probabilmente Scribonia fu in qualche modo coinvolta nella repressione delle macchinazioni complottistiche legate alla factio antoniana e addebitate a Iullo Antonio e compagni. Non potendo, infatti, coinvolgerla con Giulia in una poco verosimile accusa di trasgressione e impudicizia sessuale sulla base della Lex Iulia de adulteriis coercendis, in quanto ormai ultrasessantenne, Augusto operò prudentemente con una scelta di facciata anche perché Scribonia era stata la di lui sposa (Braccesi 2014, pp. 152-154). Del resto, solo lo status di prigionia di Scribonia è pienamente compatibile con le misure messe in atto dall’imperatore (cui faremo accenno più avanti) volte a isolare tassativamente la figlia: «Se Scribonia non fosse stata a sua volta una confinata, e se avesse goduto piena libertà di movimento, per accompagnarsi con la figlia a Ventotene e quindi, a suo piacimento, per recarsi a Roma o in qualsiasi altro luogo, Giulia avrebbe mantenuto per tramite della madre i contatti con il mondo esterno» (Braccesi 2014, p. 154). 62  Amiotti 1995, p. 248. Cosa diversa dalla relegatio era, dal punto di vista della giurisprudenza penale romana, la deportatio in insulam la cui prima attestazione, come ricorda Plinio (N.h., VII, 36), avvenne sotto i consoli Publio Licinio Crasso e Gaio Cassio (171 a.C.) e riguardò un caso particolare e cioè l’allontanamento per volere degli aruspici di una ragazza che cambiò sesso divenendo maschio.

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S. Medaglia: Da Pandataria a Ventutere: fonti storiche e dinamiche insediative

richieste del popolo: «Poiché il popolo incalzava pressantemente Augusto affinché facesse ritornare sua figlia dall’esilio, egli rispose che il fuoco avrebbe fatto più alla svelta a mescolarsi con l’acqua che lei ad essere richiamata. E il popolo, allora, gettò molte fiaccole nel Tevere, e se in un primo momento non ottenne nulla, in seguito insistette sino al punto di riuscire almeno a farla trasferire dall’isola alla terraferma»63.

persino dei segni particolari e delle cicatrici di quella persona»70. Sempre a Svetonio dobbiamo inoltre la notizia di un tentativo, soffocato sul nascere ed orchestrato da Lucio Audasio e Asinio Epicado, che avrebbe dovuto portare alla liberazione di Giulia e di suo figlio, Agrippa Postumo, dalle rispettive sedi d’esilio, vale a dire Ventotene e Pianosa71. L’aver optato per Ventotene quale sede dove relegare Giulia nel 2 a.C. indica che l’isola doveva possedere già sufficienti strutture ricettive in grado di accogliere un ospite di tale rango. Non sappiamo se la villa fosse stata già terminata o, come pare più probabile, fosse ancora in via di avanzato completamento. Valutando attentamente le implicazioni e le relative soluzioni giuridiche adottate da Augusto nel processo, che pure poteva avvalersi dello ius occidendi adulterum cum filia72 e che trattò in maniera del tutto dissomigliante i correi di Giulia – taluni esiliandoli, talaltri condannandoli a morte –, si può arguire che alla base del provvedimento, al di là dell’inflessibilità di facciata richiamata in Suet., Aug., LXV, 6, ci fosse una sorta di benevolenza paterna.

Se la giustificazione ‘ufficiale’ che spinse Augusto a esiliare la figlia va cercata nella dissolutezza degli incontri adulterini ambientati presso il Foro e i rostra64, luogo dai quali oltretutto suo padre aveva promulgato proprio la legge de adulteriis65, i veri motivi furono certamente di ordine politico. Questi rientravano in attività volte ad ordire una congiura che Giulia, con alcuni uomini illustri, tra cui Iullo Antonio, architettava ai danni dello stesso princeps66. A loro volta tali macchinazioni non erano estranee al più ampio scontro per la successione di Augusto che vedeva come opposte fazioni coloro che sostenevano Lucio e Gaio Cesare, figli di Giulia e Agrippa (Giuliani), e coloro che invece candidavano Tiberio Claudio, figlio di prime nozze della seconda moglie dell’imperatore, Livia Drusilla, con Tiberio Claudio Nerone (Claudiani)67.

La scelta di Pandataria, evidentemente preferita ad altre sedi isolane (anche nello stesso arcipelago), potrebbe suggerire «un qualche coinvolgimento pregresso di Giulia con Ventotene»73 volto ad offrirle una sorta di ‘arresti domiciliari’74. Non è forse un caso, proprio alla luce del supposto rapporto privilegiato di Giulia con Ventotene, che l’isola ospitò anche sua figlia (Agrippina Maggiore) e la figlia di questa (Giulia Livilla): dunque tre generazioni di donne apparentate tra di loro in maniera diretta e lineare. L’indiscutibile sontuosità delle architetture e la magnificenza delle decorazioni appartenenti all’area residenziale della domus ventotenese di età augustea non lasciano spazio alcuno a ipotesi circa un soggiorno di Giulia privo delle agiatezze più raffinate e che avesse avuto luogo, come pure è stato scritto, in «[…] un’isola selvaggia […] che ospitava unicamente un presidio militare […] e povere capanne di pescatori, neppure in muratura. Il soggiorno, al di là delle misure restrittive, doveva essere persino meno accogliente che in tempi recenti, quando l’isola divenne confino politico, prima borbonico e poi fascista. […] Al suo confronto [scil. di Giulia], il Napoleone di Sant’Elena risiedeva in un vero e proprio paradiso»75. A smentire un quadro così fosco e desolato sarà per il momento sufficiente richiamare i cicli decorativi ventotenesi (crustae marmoree, stucchi, pitture parietali e lastre

Alle varie sanzioni a cui Giulia andò incontro una volta condannata – tra queste vi era sia il divorzio da Tiberio68 sia l’interdizione alle di lei spoglie d’essere accolte nel mausoleo di famiglia69 – figurano anche pesanti restrizioni da attuarsi direttamente sul luogo di confino. Svetonio ci informa che Augusto «le proibì l’uso del vino e di ogni raffinatezza, e non consentì che nessun uomo la avvicinasse, libero o schiavo, se non dopo che ne fosse stata fatta richiesta a lui personalmente, e dopo essersi minuziosamente informato dell’età, del colore e della statura e Dio Cass., LV, 13, 1. Va ricordato che anche Tiberio, dall’esilio di Rodi, perorò senza riuscirci la causa della moglie Giulia inviando frequentibus litteris ad Augusto: Suet., Tib., XI, 4: «Comperit deinde Iuliam uxorem ob libidines atque adulteria damnatam repudiumque ei suo nomine ex auctoritate Augusti remissum; et quamquam laetus nuntio, tamen officii duxit, quantum in se esset, exorare filiae patrem frequentibus litteris et uel utcumque meritae, quidquid umquam dono dedisset, concedere». 64  Dio Cass., LV, 10, 12. 65  Sen., De ben., VI, 32, 1: «Divus Augustus filiam ultra inpudicitiae maledictum inpudicam relegavit et flagitia principalis domus in publicum emisit: admissos gregatim adulteros, pererratam nocturnis comissationibus civitatem, forum ipsum ac rostra, ex quibus pater legem de adulteriis tulerat, filiae in stupra placuisse, cottidianum ad Marsyam concursum, cum ex adultera in quaestuariam versa ius omnis licentiae sub ignoto adultero peteret». Sulla dissolutezza di Giulia tratta dalle fonti cfr. Salsa Prina Ricotti 1992, pp. 202 ss. 66  Braccesi 2014, pp. 115-145. 67  Sulla lotta per la successione tra le fazioni di ‘Giuliani’ e ‘Claudiani’ cfr. Pani 1991, pp. 220 ss. 68  Suet., Tib., XI, 4. Vd. supra nota 63. 69  Suet., Aug., CI, 4: «Iulias filiam neptemque, si quid iis accidisset, uetuit sepulcro suo inferri»; Dio Cass., LXVI, 32, 4. 63 

Suet., Aug., LXV, 6. Suet., Aug., XIX «Audasius atque Epicadus Iuliam filiam et Agrippam nepotem ex insulis, quibus continebantur, rapere ad exercitus». 72  D., 48, 5, 21. 73  De Rossi 2000, p. 181. 74  De Rossi 2000, p. 180. 75  Braccesi 2014, p. 152. 70  71 

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Introduzione alle antichità di Ventotene

Figura 45. Stucchi della prima metà del I sec. d.C. da Punta Eolo (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).

Figura 47. Lastra campana di coronamento rinvenuta a Punta Eolo con due giovani satiri intenti nella pigiatura dell’uva. Età augustea (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).

Figura 46. Stucco con recumbente da Punta Eolo. Prima metà del I sec. d.C. (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).

Figura 48. Stucco policromo dal settore residenziale della villa di Punta Eolo. Prima metà del I sec. d.C. (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).

Campana76) per i quali, nell’ambito dell’età augustea, sono stati intessuti, in termini qualitativi, simmetrie con complessi urbani di assoluto rilievo quali la Farnesina, gli Horti Sallustiani e la villa di Livia a Prima Porta77 (Figure 45, 46, 47, 48).

la possibilità che «[…] la villa di Ventotene fosse originariamente di proprietà diretta di Agrippa o, in subordine, indirettamente (nel senso di una sua realizzazione per conto di Augusto) da lui sfruttata. Saremmo di fronte, in ultima analisi, ad una residenza estiva di Agrippa e di Giulia, forse diventata ufficialmente di loro proprietà (se già non lo era) in occasione delle loro nozze, celebrate il 21 a.C.» 78 . In uno scenario siffatto, anche se la villa di Ventotene appartenne sin dall’inizio ad Agrippa è comunque immaginabile un suo successivo assorbimento nei beni di Augusto mediante il noto lascito testamentario dello

Alla luce di queste considerazioni – e nel novero delle varie ipotesi sostenibili – non va sottaciuta Sulle lastre campana ventotenesi vedi Tortorella 2007; per gli intonaci e gli stucchi vedi de Vos, Maurina cds (a); de Vos, Maurina cds (b). 77  Come ha ben scritto Gabriella Amiotti (1995, p. 258) «[…] è opportuno mettere in rilievo che la gradevole scenografia naturale di Pandataria, il probabile soggiorno in una villa non solo confortevole, ma addirittura lussuosa e la affettuosa presenza della madre Scribonia, oggettivamente, fin dall’inizio, temperassero la pena in cui era incorsa Giulia, trasgredendo una lex pubblica. Alla luce di queste considerazioni, l’insistenza di Svetonio e di Tacito sull’eccessiva severità di Augusto, sono a mio avviso, ancor più da ridimensionare». 76 

78 

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De Rossi 2000, p. 182.

S. Medaglia: Da Pandataria a Ventutere: fonti storiche e dinamiche insediative

stesso Agrippa del 12 a.C. 79. A questo proposito, e alla luce dei complessi lavori ingegneristici volti alla realizzazione del porto ventotenese, non pare improbabile richiamare proprio la figura di Agrippa quale progettista di fiducia dell’amico Augusto. Il bacino portuale dell’insula Pandataria, interamente artificiale e frutto dell’escavazione di diverse decine di migliaia di metri cubi di roccia, rappresenta un’opera che difficilmente può essere immaginata come funzionale alla sola villa per l’otium. A prescindere dai mezzi letteralmente illimitati dei personaggi di cui stiamo discorrendo, pare opportuno ritenere che la creazione di un bacino artificiale di tal fatta possa aver avuto anche scopi militari finalizzati ad accogliere unità navali per il pattugliamento delle rotte tirreniche che raggiungevano la Sardegna, la Spagna e l’Africa. Del resto è noto l’apporto in termini di acume progettuale e ingegneristico che Vipsanio Agrippa ebbe nella riorganizzazione della flotta e nella creazione dei vicini scali di Portus Iulius e Misenum80. È stato giustamente riconosciuto come «L’articolazione del complesso infrastrutturale di cui si dotano in età augustea le Isole Pontine si può ascrivere […] al particolare interesse prima militare e successivamente residenziale dell’arcipelago, in cui è possibile ipotizzare un diretto intervento di maestranze militari specializzate, con un programma che doveva prevedere una progettazione unitaria su vasta scala»81. Anche in virtù di questa componente ‘militare’ dell’isola si può meglio comprendere la scelta di Ventotene quale luogo atto ad accogliere in assoluta sicurezza la figlia dell’imperatore.

Figura 49. Testa in marmo raffigurante l’imperatore Tiberio rinvenuta a Ventotene e conservata nel Museo Archeologico Comunale.

Nel 29 d.C., le isole Pontine furono nuovamente designate dall’imperatore di turno, Tiberio, come sedi di confino (Figura 49). A Pontia fu relegato il già ricordato Nerone, fratello di Caligola, che vi morì di stenti nel 31 d.C.82; a Ventotene fu invece esiliata Agrippina Maggiore, figlia di Giulia e Vipsanio Agrippa. Sappiamo che Tiberio, una volta comunicatole la notizia dell’allontanamento coatto da Roma «poiché essa protestava, la fece percuotere da un centurione che le cavò un occhio. E volendo essa lasciarsi morire di fame, diede ordine di aprirle a forza la bocca e di costringerla a prendere il cibo»83.

Figura 50. Sesterzio in bronzo emesso da Caligola tra il 37 e il 41 d.C.: d/ Busto di Agrippina Maggiore e leggenda AGRIPPINA M. F. MAT. C. CAESARIS AVGVSTI; r/ carpetum trainato da muli e leggenda S.P.Q.R. /MEMORIAE / AGRIPPINAE.

Roma, risalendo il Tevere, con una bireme sulla quale aveva issato le sue insegne». In loro onore istituì anche un sacrificio annuo e «per sua madre anche dei giochi e un carro nella processione del circo»84. A ricordo dell’evento rimane la serie di sesterzi coniata da Caligola in onore di Agrippina con la scena del carpetum finemente decorato e trainato da asini85 (Fgura 50).

Agrippina Maggiore e Nerone finirono i loro giorni nelle rispettive sedi d’esilio e nel 37 d.C., non appena divenne imperatore, Caligola si recò nelle due isole «a cercare le ceneri di sua madre e del fratello, imbarcandosi nonostante il tempo orribile per meglio far risaltare la pietà filiale». Le spoglie furono trasportate in pompa magna ad Ostia «e poi fino a

Nel 39 d.C. Caligola esiliò due delle sue sorelle, Agrippina e Giulia Livilla, nelle «isole di Ponza» accusandole di

De Rossi 2000, pp. 181-183. Cfr. Anche Amiotti 1995, p. 255. 80  Chioffi 2013. 81  Mengarelli et alii 2016, p. 239. 82  Suet., Tib., LIV, 3. 83  Suet., Tib., LIII. 79 

84  85 

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Suet., Cal., XV. Per la serie cfr. RIC I, 55; Foss 1990, pp. 59, 60 n. 9.

Introduzione alle antichità di Ventotene

Figura 52. Ritratto di Claudia Ottavia (Roma, Museo Nazionale Romano). Figura 51. Busto di Giulia Livilla presso l’Altes Museum di Berlino.

identificare con M. Emilio Lepido, marito di Drusilla, le cui ceneri, come detto, erano state portate nell’isola, allora avremmo la conferma che Agrippina sia stata relegata a Ponza e che, conseguentemente, Ventotene ospitò Giulia Livilla91 (Figura 51). Solo due anni dopo, nel 41 d.C., l’imperatore Claudio decretò la liberazione di Livilla e di Agrippina92.

condotta dissoluta86. Con ‘Ποντίας νήσους’ Cassio Dione certamente intendeva far riferimento sia a Ponza che a Ventotene. Da un passo di Svetonio relativo alla vita di Caligola sappiamo che questi «relegatis sororibus ‘non solum insulas habere se, sed etiam gladios’ minabatur»87: in questo luogo non solo si ha conferma dell’appartenenza delle isole al patrimonio imperiale, ma si ha anche certezza del fatto che le sedi di prigionia fossero due. Cassio Dione inoltre ci informa che durante il viaggio verso la sede dell’esilio fu ordinato ad Agrippina di portare con sé le spoglie di Lepido entro un’urna88. Marco Emilio Lepido era il defunto marito di Giulia Drusilla (altra sorella dell’imperatore) e presunto amante di Agrippina minore89. Curiosamente proprio la translatio delle spoglie di Lepido potrebbe fornire un indizio su quale delle due sorelle sia stata relegata a Ponza. Nell’iscrizione frammentaria CIL X, 677490, rinvenuta nell’Ottocento a Pontia, sono attestati i nomi di Caio Ponzio Nigrino (cos. 37 d.C.) e di un tal M( ) Lepidus. Ipotizzando che quest’ultimo si possa

Trascorso un ventennio circa, nel 62 d.C. Nerone, su istigazione di Poppea, esiliò la prima moglie Claudia Ottavia inviandola a Ventotene (Figura 52). Prima di allora era stata relegata in Campania, militari custodia, con l’accusa di aver amoreggiato con lo schiavo Eucero, flautista di Alessandria93. Dopo solo pochi giorni dacché si trovava nell’isola, «le viene recato l’ordine di morire […]. Stretta in catene, le si aprono le vene in tutte le membra; e poiché il sangue, ristagnando a causa dello spavento, tardava a scorrere, viene finita coi vapori di un bagno caldissimo. E una barbarie più atroce si aggiunge alle altre: le si tagliò il capo e portato a Roma, dove Poppea lo vide»94 (Figura 53). Nel 95 d.C. Flavia Domitilla, nipote di Domiziano, era stata accusata assieme al marito Flavio Clemente,

86  Dio Cass., LIX, 22, 8 «τάς τε ἀδελφὰς ἐπὶ τῇ συνουσίᾳ αὐτοῦ ἐς τὰς Ποντίας νήσους κατέθετο, πολλὰ περὶ αὐτῶν καὶ ἀσεβῆ καὶ ἀσελγῆ τῷ συνεδρίῳ γράψας· καὶ τῇ γε Ἀγριππίνῃ τὰ ὀστᾶ αὐτοῦ ἐν ὑδρίᾳ ἔδωκε, κελεύσας οἱ ἐν τοῖς κόλποις αὐτὴν διὰ πάσης ὁδοῦ ἔχουσαν ἐς τὴν Ῥώμην ἀνενεγκεῖν». 87  Suet., Cal., XXIX, 1. 88  Dio Cass., LIX, 22, 8. 89  Su M. Aemilius Lepidus cfr. Rohden 1893; PIR I, 371. 90  CIL X, 6774: Pontio Nigrino c(onsule) / M( ) Lepidus.

De Rossi 1986a, p. 38; Cifarelli 1996 p. 431. Dio Cass., LX, 4: «καὶ τοὺς ἐκπεσόντας ἀδίκως ὑπ’ αὐτοῦ, τούς τε ἄλλους καὶ τὰς ἀδελφάς, τήν τε Ἀγριππῖναν καὶ τὴν Ἰουλίαν, καταγαγὼν τὰς οὐσίας σφίσιν ἀπέδωκεν». Sulla figura di Agrippina cfr. Barrett 1996. 93  Tac., Ann., XIV, 60. 94  Tac., Ann., XIV, 64. 91  92 

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S. Medaglia: Da Pandataria a Ventutere: fonti storiche e dinamiche insediative

Figura 53. Ventotene, la natatio delle terme di Punta Eolo.

cugino dell’imperatore e console di quell’anno, di ateismo e giudaismo. La persecuzione comportò per Flavio Clemente la condanna a morte, mentre a Flavia Domitilla fu concesso l’esilio a Pandataria95. L’altro decisivo fattore che ha fortemente influenzato l’occupazione romana dell’isola ha implicazioni di ampia portata e va ricollegato alla proliferazione delle dimore d’otium lungo le coste e le isole tirreniche96. Com’è noto il fenomeno della villa d’otium risale, nella sua manifestazione iniziale, alla prima metà del II sec. a.C. quando, parallelamente, andava delineandosi anche la genesi della villa rustica a conduzione schiavistica97. Questo ampio processo dapprima interessò le coste del Lazio meridionale e della Campania estendendosi in breve tempo anche al Lazio settentrionale e alla Toscana98. I domi nobiles della tarda repubblica e della prima età imperiale, ispirati dai concetti di voluptas ed amoenitas, quasi in una gara al lusso sfrenato realizzarono ardimentose costruzioni in calcestruzzo colonizzando il litorale campano-laziale (Figura 54). In particolare, il tratto costiero e paracostiero dell’area flegrea, definito enfaticamente da Cicerone crater ille delicatus99, divenne Dio Cass., LXVII, 13-14. Sul concetto di otium vd. Andrè 1966. Sulla villa schiavistica cfr. Carandini, Ricci 1985; Carandini 1988; Carandini 1989. 98  Sulle ville d’otium cfr. Romizzi 2001. 99  Cic., ad Att., II, 8, 2. 95  96  97 

Figura 54. Busto marmoreo, forse raffigurante un satiro, appartenente ad un’erma (I sec. d.C., Ventotene, Museo Archeologico Comunale).

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Introduzione alle antichità di Ventotene tra l’età ciceroniana e quella flavia luogo privilegiato di villeggiatura da parte dell’aristocrazia e di un vasto ceto di possessores che amavano risiedere in villae suburbanae e in villae maritimae a seconda che queste si trovassero rispettivamente nei pressi dalla città o in posizione panoramica lungo il litorale100.

due siti d’incerta interpretazione, di cui uno con presenza di strutture in opera reticolata107. A Sorrento, la cosiddetta villa denominata ‘Bagni della Regina Giovanna’ della prima metà del I sec. d.C., prevedeva un padiglione edificato sull’isoletta antistante108. Il caso di Capri, poi, non ha certo bisogno di essere commentato: basterà ricordare che stando a Tacito l’imperatore Tiberio «l’aveva compresa tutta entro l’ambito e sotto i nomi di dodici ville grandiose»109.

Il modello della villa maritima legato al mondo insulare si diffuse a partire dalla seconda metà del I sec. a.C., non appena si realizzarono le condizioni favorevoli per risiedervi dopo l’eliminazione della pirateria dai mari. In effetti, l’audacia costruttiva di queste dimore trovò nelle isole gli esempi più eclatanti anche in considerazione dello sforzo economico necessario per la loro costruzione che era evidentemente attuabile esclusivamente da uomini potenti e danarosi. Tra l’altro, gli oneri economici sottesi alla realizzazione di dimore nelle piccole isole, spesso poste ad una distanza considerevole dalla costa, erano cospicui anche in virtù del fatto che a differenza di quanto a volte poteva avvenire sulla terraferma, dove anche le villae più lussuose prevedevano all’intorno terreni produttivi, esse il più delle volte non garantivano il fructus per l’assenza di ampi spazi da destinare alla rendita agricola101.

Nell’arcipelago pontino tra l’età augustea e quella tiberiana furono edificate dimore anche nelle isole minori di S. Stefano110 e Zannone111. All’incirca nel medesimo lasso cronologico, nell’ arcipelago Toscano Lafon 2001, p. 235. Mingazzini, Pfister 1946, n. 31, pp. 134-142, 194 ss.; De Caro, Greco 1993, pp. 102-105; Romizzi 2001, pp. 107, 183-184. 109  Tac., Ann., IV, 67, 3. Sulla topografia di Capri romana, cfr. Federico, Miranda 1998. 110  Il vicino isolotto di Santo Stefano dista da Ventotene solamente 1500 metri circa. Qui si conservano diverse vestigia di età romana attribuibili a una villa maritima sincrona con quella ventotenese (cfr. Mengarelli et alii 2016, pp. 239 ss.). Sulle specifiche architettonicoplanimetriche di questa villa non è possibile pronunciarsi per lo stato assolutamente deficitario delle conoscenze archeologiche a nostra disposizione: non sarà però azzardato ritenere che similmente a Ventotene essa fosse del tipo a padiglioni i cui blocchi edificati sfruttavano al meglio, e con finalità scenografiche, l’orografia isolana e quindi, in subordine, il superbo paesaggio costiero. Le evidenze più consistenti di Santo Stefano sono ubicate in vocabolo Vaccheria Vecchia (noto anche come Villa Giulia) e cioè sulla sommità meridionale dell’isola. Proprio a queste evidenze rimandano i riferimenti del Settembrini (cfr. supra, p. 22) e poi del Mattej che, nello specifico, osserva: «i resti speciosi di una villa antica romana nella quale veggonsi tuttora vestigi di intonaco marmoreo colorato a liste e pezzi di pavimento a musaico, ma appena si mostrano i scompartimenti delle mura […]» (Mattej 1857, p. 89). In effetti nell’area della Vaccheria Vecchia si notano murature cementizie in laterizio, reticolato e blocchetti di tufo; è inoltre presente una cisterna in reticolato ampiamente rimaneggiata in età moderna (la «cisterna ancora buona ed usata» del Settembrini). Da quest’area proviene pure una tegola recante il bollo entro cartiglio rettangolare Q AEMILI / PHILOTAE (AE, HI, AE in nesso; l’ultima I di Aemili e la O sono nane e in apice). Si tratta di un tipo di I sec. d.C. noto in area campana e precisamente a Ercolano, Cuma e Stabia. Di questo marchio, non censito nel CIL, si conoscono due varianti con il testo disposto su una o su due righe (Ercolano: Della Corte 1958, 246 n. 32, 248 n. 54, 276 nn. 461 e 464, 279 nn. 492-493, 281, n. 533, 282 n. 557; Pagano 1990, 167; Pagano 1996, 243, nota 91; Cuma: Pagano 1990, 167; Stabiae: Magalhaes 2006, pp. 137-138). L’esemplare di Santo Stefano trova un preciso confronto con una delle varianti ercolanesi editata dal Della Corte (1958, 282 n. 557). Il Philota(s) menzionato nella stampiglia sembra essere di estrazione servile (cfr. Solin 2003, pp. 957-598). In Mengarelli et alii 2016 (pp. 240, 241 fig. 5) il bollo è letto e sciolto in maniera errata Q. Aemilio L(epid)o e si tenta un temerario accostamento al tipo CIL X, 8042, 66 e al cos. del 21 a.C. Sul bollo in oggetto vd. ora Medaglia 2017, pp. 52-53. Ritornando alle antiche vestigia presenti sull’isolotto, nel settore meridionale a ridosso del mare è ubicato il complesso noto come la cosiddetta ‘Vasca di Giulia’. Si tratta di una sorta di piscina circolare interamente intagliata nel banco tufaceo di lave fonolitiche e collegata al mare da due canali che ne consentivano il ricambio d’acqua. Immediatamente al di sopra della vasca, che si raggiunge mediante una scalinata anch’essa incisa nella roccia, la falesia precipite è stata regolarizzata al fine di ottenere dei percorsi gradonati e un’area rettangolare munita di incassi circolari per pali, forse destinata ad ospitare dei velaria (Mengarelli et alii 2016, pp. 241242). È stato ipotizzato un suggestivo accostamento della piscina di Santo Stefano con le strutture circolari che corredavano le sontuose villae di Planasia (presso i Bagni) e di Agrippa Postumo a Sorrento (Mengarelli et alii 2016, pp. 241-242). 111  Sulle evidenze di Zannone cfr. De Rossi 1986d, pp. 207 ss. 107  108 

È con l’età augusteo-tiberiana che la proliferazione delle dimore insulari raggiunse il suo apice. Nel Tirreno meridionale abbiamo gli esempi dell’arcipelago delle Eolie con le evidenze di residenze a Lipari, Salina e Basiluzzo che furono edificate a cavallo tra la fine del I sec. a.C. e l’inizio del secolo successivo102. Lungo la costa campana, sul versante meridionale della Penisola Sorrentina, vi sono le testimonianze di murature in reticolato degli isolotti di Isca103 e del Gallo Lungo104; più a nord, dinnanzi Pausilypon, quelle di Gaiola105; sull’isola di Punta Pennata, presso Miseno, si hanno i resti di una villa marittima la cui prima fase impiegava il reticolato106. A Ischia conosciamo almeno Su questo tema, legato al golfo di Napoli, cfr. D’Arms 1977. Si veda a questo proposito la celebre affermazione di Cicerone a proposito della necessità che avevano taluni proprietari di sontuose ville dei territori cumano e puteolano di acquistare fundi agricoli nell’interno così da trarne una rendita con la quale poter mantenere le dimore costiere e il tenore di vita lussuoso: «Neque istorum pecuniis quicquam aliud deesse video nisi eius modi fundos quorum subsidio familiarum magnitudines et Cumanorum ac Puteolanorum praediorum sumptus sustentare possint» (Cic., De Leg. Agr. II, 78). Nonostante ciò, valutando caso per caso sulla base delle testimonianze archeologiche, in alcuni casi la villa maritima – sia essa edificata sulla terraferma o su isole – poteva comprendere all’interno della proprietà terreni abbastanza estesi da mettere a frutto o fundi maritimi da cui trarre risorse ittiche mediante la pesca e l’acquacoltura. Su questa tematica, cfr. Marzano 2010. 102  Sulle ville dell’arcipelago delle Eolie cfr. la bibliografia riportata in Medaglia 2008. A Salina sono attestate iscrizioni onorarie dedicate ad Augusto e Tiberio: Meligunìs Lipara XII, pp. 457-458 nn. 752, 753. 103  Mingazzini, Pfister 1946, n. 35. 104  Mingazzini, Pfister 1946, n. 34. 105  Pagano 1981. 106  Borriello, D’Ambrosio 1979, n. 128; Lafon 2001, p. 398. 100  101 

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S. Medaglia: Da Pandataria a Ventutere: fonti storiche e dinamiche insediative

furono corredate di villae l’Elba112, Giannutri113 e Pianosa114. È dunque in questo quadro, pur con le dovute specificità, che s’inserisce l’occupazione dell’isola di Ventotene secondo una pianificazione architettonica di ampio respiro che sin da principio investì l’isola nella sua totalità. In fase progettuale l’architetto romano certamente intese sfruttare al meglio le caratteristiche naturali dell’isola a partire dalla natura del tutto peculiare della morfologia del sito. L’isola, molto allungata e in costante pendio da sud-ovest a nord-est, presentava la sola estremità nordFigura 55. Ventotene, bacino di raccolta a cielo aperto della ‘Cisterna dei Carcerati’. orientale adatta a ospitare un complesso residenziale. Quest’ultimo destinata alla produzione agricola. Sul fianco orientale, settore, infatti, mostra un profilo che digrada dolcemente tra Cala Battaglia e Cala Nave, in prossimità della sino al mare e in genere è privo delle ripide falesie che falesia fu invece collocata una vasta necropoli. La marcano la restante costiera. Al termine del terrazzo zona interessata dalle evidenze riferibili al complesso formato da depositi di trachiti e fonoliti, il litorale di residenziale, compresi i servizi (come ad esempio il questa porzione dell’isola è contornato da un banco porto), copre dunque una lunga fascia di terreno che tufaceo, talvolta molto esteso, afferente alla cosiddetta da località Polveriera giunge sino a Punta Eolo. Si ‘Formazione di Punta Eolo’. Questa piattaforma, tratta di corpi edificati che pur presentando tra di essi conformata in terrazzi, divenne il basamento sul quale un’evidente soluzione di continuità vanno senz’altro i costruttori romani, non senza un paziente lavoro di riferiti ad un unico complesso. modellazione, eressero le architetture della villa. In questo settore di Ventotene, inoltre, si situano sia la La villa maritima di Ventotene appartiene a un modello lunga appendice di Punta Eolo, sia l’approdo naturale architettonico molto diffuso nel mondo romano che può di Cala Rossano. La prima, bagnata dal mare su tre essere definito ‘a padiglioni’115. Tale tipologia, attestata lati, offriva una spettacolare quinta scenografica e sin dalla fine del II sec. a.C., derogando dai più canonici al contempo un ampio basamento naturale sul quale tipi ad atrio e a peristilio, è originata dalla necessità posare senza troppe difficoltà uno dei corpi principali primaria di trovare soluzione a ben precise esigenze, della villa; la seconda, quando ancora non era stato prima tra tutte quella di adattare il piano edificato alla realizzato il vicino porto artificiale, giuocò un ruolo di difficile conformazione del terreno. Non è certo un caso importanza primaria nella fase cantieristica dell’intero che lo schema planimetrico ‘a nuclei’ (o padiglioni) complesso. costituisca di gran lunga quello maggiormente adottato Fatta salva la necessità di eleggere a luogo dove nelle piccole isole. In ambito litoraneo, infatti, per la ospitare il nucleo residenziale quasi esclusivamente cronica carenza di spazi, si ha spesso l’obbligatorietà la porzione nord-orientale di Ventotene, il progetto di costruire su suoli scoscesi e lungo coste frastagliate dovette prevedere, sin dalle prime battute e secondo a picco sul mare. Bisogna tuttavia sottolineare come una pianificazione organica degli spazi, la dislocazione la scelta di edificare lungo le coste debba essere letta nella restante porzione degli altri inderogabili servizi anche alla luce di un altro fattore, per nulla secondario, che abbisognavano all’insediamento. Sfruttando nel e cioè dell’apposita ricerca di terreni declivi e costoni migliore dei modi la pendenza naturale del suolo, rocciosi al fine di godere di rilevanti effetti scenografici. le cisterne che alimentavano l’acquedotto furono In genere il tipo a nuclei è composto da singoli collocate nella parte mediana dell’isola (Figura 55); blocchi aventi ciascuno una funzione specifica. Stante nell’ampia porzione di terreno, frapposta tra i serbatoi questa differenziazione, non sempre però è possibile dell’acqua e la zona urbanizzata, trovava spazio l’area Casaburo 1997. Cavazzuti 1998; Rendini 2003. 114  Zecchini 1971, pp. 101-103; Romizzi 2001, pp. 163 ss. (con altra bibliografia); Pisani Sartorio 2001-2002.

115  Sul tipo ‘a padiglioni’ cfr. principalmente Romizzi 2001, pp. 102 ss. Lo stesso tipo, con diverse soluzioni nella nomenclatura, è trattato anche in Mielsch 1990 (‘a nuclei sparsi’) e in Lafon 2001 (‘villas dispersées’).

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Introduzione alle antichità di Ventotene

Figura 56. Ventotene, Punta Eolo. Pianta dei resti appartenenti al settore nobile della villa.

individuarne il carattere funzionale per via dello stato di conservazione che di norma versa in cattive condizioni proprio perché questi blocchi erano collocati in punti della costa in costante evoluzione geotettonica dovuta, in prima analisi, a implacabili fenomeni erosivi. Sulla

base di quanto finora noto, tra le funzioni specifiche o ‘prevalenti’ di questi settori all’interno delle ville maritimae distinguiamo, quando è possibile, nuclei residenziali con funzione di rappresentanza, edifici di servizio, impianti produttivi, infrastrutture, settori 42

S. Medaglia: Da Pandataria a Ventutere: fonti storiche e dinamiche insediative

Figura 57. Ventotene, ambienti della peschiera/ninfeo scavati nel tufo al di sotto del faro moderno.

a padiglioni costituisce un unicum116. È infatti difficile, se non impossibile, accostare un complesso ad un altro proprio per la notevole differenziazione delle soluzioni planimetriche di volta in volta adottate (Figura 57).

termali, padiglioni di vario genere, terrazze belvedere e giardini porticati, ninfei, quartieri portuali, ecc. (Figura 56). Dal punto di vista topografico, i singoli blocchi possono avere o non avere lo stesso orientamento e disporsi anche a notevole distanza gli uni dagli altri. Con funzione di raccordo tra i vari corpi c’erano strade e viali alberati, tunnel tagliati nella roccia, aree giardinate (con o senza porticati e criptoportici), rampe, scale e ponti.

Come abbiamo diffusamente ricordato, per tutto il I sec. d.C. l’isola di Ventotene ospitò, in maniera discontinua, donne della casata imperiale. Fu un secolo nel quale si concentrarono praticamente tutti gli sforzi edificatori attribuibili alla presenza romana nell’isola. Da villa pensata per una comoda residenza estiva, dalla frequentazione esclusivamente stagionale, si passò ben presto – e per ragion di Stato – ad un complesso funzionalmente confacente ai lunghi soggiorni. Interventi manutentivi e continue trasformazioni – in parte dettati anche dai sofisticati gusti delle prigioniere di turno – si susseguirono proprio nell’arco di tempo in cui Ventotene funse da luogo di confino. Con l’epilogo del I sec. d.C. e con la dipartenza dell’ultimo ospite di rango, sull’isola cala nuovamente il silenzio delle fonti. Una recente disamina dell’instrumentum bollato isolano, comprendente tegulae e laters impiegati in

La capacità adattiva dei progetti alle diverse condizioni morfologiche si traduceva inevitabilmente nell’esasperata ricerca da parte dell’architetto di un equilibrio tra il paesaggio e le necessità dettate tanto dalle convenzioni architettoniche, tanto dall’estrosità della committenza. In questo senso non bisogna sottacere che la collocazione extra-urbana di tali complessi non essendo legata ad alcun tipo di emergenza preesistente poteva liberamente articolarsi nello spazio senza impedimenta di sorta. Ne consegue, in pratica, che ogni soluzione accolta in fase progettuale dai diversi costruttori per la realizzazione di una villa

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Romizzi 2001, p. 104.

Introduzione alle antichità di Ventotene

Figura 58. Quadro sinottico dei bolli romani su tegole e laterizi rinvenuti a Ventotene.

ambito edilizio, ha evidenziato come la maggioranza di essi sia assegnabile proprio tra l’età proto-augustea e quella tiberiana a dimostrazione di come la gran parte dell’attività costruttiva sia avvenuta a Ventotene in questo lasso temporale117. Pochi sono i bolli attribuibili con sicurezza alla seconda metà del I sec. d.C. e tra questi l’ultimo in ordine di tempo è il tipo CIL XV, 1244 (C ·LICINI · DON[AC]ỊS) che si data tra la fine del I e, 117 

forse, l’inizio del secolo successivo.118 (Figure 58, 59). A partire dal II secolo circa, fatti salvi sporadici interventi nel settore posto immediatamente a monte del porto, non solo non registriamo nell’edilizia nuovi interventi a carattere monumentale, ma notiamo un progressivo disgregamento e depauperamento dell’impianto generale. Non è difficile immaginare che venute meno le funzioni di villa d’otium e di dimora coatta, i

Medaglia 2017.

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Medaglia 2017, pp. 38, 58.

S. Medaglia: Da Pandataria a Ventutere: fonti storiche e dinamiche insediative

Un documento epigrafico a carattere funerario rinvenuto a Ventotene presso Cala Nave nel 1771, ed attualmente conservato nel Museo Nazionale di Napoli, ricorda un certo Metrobio, Aug(usti) lib(ertus), il quale per lungo tempo prefuit all’isola (qui designata con la variante Pandotira) e «concesse al popolo leggi sagge e più giuste»121 (Figura 28). Si tratta di un procuratore che curava i beni imperiali e per il quale è stata evocata una qualche similarità con quello ricordato in CIL X, 7494 a proposito delle isole di Malta e Gozo122. Sulla datazione dell’attività del liberto imperiale Metrobius permangono tuttavia alcune incertezze pur recando l’iscrizione la menzione dei consoli L. Arr(un)tius e T. Flavius Bassus. Il Degrassi ha proposto, pur con alcune riserve, una datazione al II sec. d.C. sebbene non si possa escludere una data più antica, al I sec. d.C., per via della mancanza, inconsueta dopo l’età di Nerone, del cognomen di L. Arr(un)tius123. Nell’ambito della gens degli Arruntii conosciamo un L. Arruntius console nel 22 a.C. e un altro L. Arruntius che fu console nel 6 d.C.124.

Figura 59. Bollo C ·LICINI · DON[AC]ỊS (CIL XV, 1244) da Punta Eolo. Fine I – Inizi II sec. d.C. (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).

beni appartenenti al patrimonio imperiale presenti nell’isola continuarono comunque ad essere tutelati e gestiti da apposite figure. Talune infrastrutture dovettero rimanere in piena efficienza e tra queste vi doveva essere anche il porto che, posto in un quadrante marino assai trafficato («Inter Italiam et Siciliam» secondo l’Itinerarium maritimum), non di rado dovette fungere da refugium per navigli che veleggiavano lungo il Tirreno centrale119 (Figura 60). Va da sé che per la piena efficienza del porto e del quartiere ad esso annesso anche i rami dell’acquedotto che transitavano a nord per Cala Rossano e a sud per l’Infermeria (Polveriera) fossero mantenuti pienamente efficienti, cosa, questa, non sostenibile con certezza per il ramo che transitava per Parata Grande raggiungendo Punta Eolo (Figura 64).

Gli elementi storico-archeologici al momento disponibili sull’occupazione dell’isola in età medio e tardo-imperiale non sono molti, almeno se confrontati con la messe di dati riguardanti il I sec. d.C. Al progressivo contrarsi dell’abitato (di fatto accertato nell’area di Punta Eolo) dovette forse seguire una diminuzione della popolazione isolana residente. I dati, solo parzialmente editi, riguardanti la cultura materiale di Ventotene romana, dimostrano però che la vita continuò quantomeno nel settore nord-orientale a ridosso del porto, dell’area del Faro e dell’attuale Piazza Castello. In quest’ultimo sito e in alcuni settori del porto interessati da recenti indagini sono stati individuati lembi di stratificazioni assegnabili alla media età imperiale con ceramiche d’importazione africana. Nell’area del Faro – Polveriera, inoltre, tra II e III sec. d.C. fu realizzato un intervento finalizzato alla creazione di una conserva idrica al di sopra di alcuni lembi livellati di un precedente edificio monumentale della prima età imperiale125. In questa fase continuarono ad essere attive le aree funerarie poste lungo il perimetro costiero delle località di Cala Battaglia e Fontanelle (Figura 64).

È comunque assai verosimile che il progressivo decadimento e abbandono della residenza spostò il baricentro dell’interesse dalla voluptas o delectatio legati all’uso della villa d’otium al fructus o utlilitas del fundus. Gran parte del settore meridionale dell’isola, lo ricordiamo, fu da sempre destinato a coltivo120 ed è possibile che vi sia stata una sostanziale intensificazione dello sfruttamento proprio a partire dall’età antonina. Un conductor o procurator stava a capo di quel che rimaneva della familia un tempo incaricata di svolgere gran parte delle attività connesse alla conduzione del complesso residenziale. Ben inteso, la figura del procurator patrimonii dovette essere sempre stata presente nell’isola, anche nei lunghi intervalli che separavano partenza ed arrivo degli esiliati.

In termini di bilancio, a proposito delle attuali conoscenze della fase medio-imperiale va sottolineato CIL X, 6785: Reliquiae cineris tumulo man/data quiescun(t) Aug(usti) lib(erte) sacro hoc tibi Metro/bie huic non dura colu Clotho decrevit in / annis ter decies quinos degere quem voluit / praefuit hic longum tibi Pandotira per aevom(!) / providaque in melius iura dedit populo / plena bono mens aequa fuit non aspera lingu(a) / inculpata fides innocuusque pudor / nullus fulgorem valuit decerpere livor / constit(it) ad finem ultimaque hora nitor / te tua natorum deflet pia turba tuorum / conse(n)suque pari turba piata gemit / esse tibi credas omnes de morte parentes / usque adeo aequalis maeror in ora fuit / eminet in luctus prima omnium Iulia coniunx / per quem si fas est vivis in Elysium / decessit X K(alendas) Decem(bres) L(ucio) Arr(un) tio T(ito) Flavio Basso co(n)s(ulibus). 122  Sartori 1953, pp. 59-60; Bruno 2004, pp. 51-52. 123  Degrassi 1952, p. 113. Cfr. pure Syme 1978, p. 16. 124  Sui due personaggi cfr. PIR2 A 1129-1130. 125  Mengarelli 2015, p. 1740. 121 

Nello specifico: «insula Pandateria a Tarracina stadia CCC» (Itin. mar., 515, 6). Cinque relitti d’alta profondità rinvenuti di recente all’intorno dell’isola – e che vanno ad aggiungersi a quelli già noti – dimostrano in maniera alquanto chiara come diverse rotte commerciali transitavano proprio in questo quadrante del Tirreno, tenendo probabilmente a vista l’arcipelago. Sulle testimonianze archeologiche sommerse di Ventotene, vedi infra pp. 90 ss. 120  De Rossi 1999b, p. 156. 119 

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Introduzione alle antichità di Ventotene

Figura 60. Ventotene, veduta del porto con i resti dei piloni di tufo appartenenti alla fronte porticata dei magazzini di servizio di età romana.

sia quelli nord-africani come le Tripolitane III che possono attardarsi sino al V sec. d.C. Particolarmente abbondanti sono le attestazioni di produzioni in D1 e in D2. Alla prima sono da assegnarsi i rinvenimenti di scodelle tipo Lamboglia 52B (fine IV-inizi V sec. d.C.), Hayes 58B, n. 11 (290/300-375 d.C.) e Hayes 107 (prima metà del VII sec. d.C.); alla seconda le scodelle Hayes 104A (530-580 d.C.), Hayes 101 (550-600 d.C.), le coppe Hayes 99A nelle varianti 1, 7-8, 12 (510-540 d.C.) e i vasi a listello Hayes 91C, nn. 21, 23 (530-600 d.C.).

come la cultura materiale di Ventotene ascrivibile al IIIII secolo trovi chiare analogie con quella ponzese dove negli ultimi anni sono emerse abbondanti testimonianze ceramiche e anforarie di produzione nord-africana126. Nell’area del Faro e nello scavo di località Casa Rosa le anfore e le ceramiche rinvenute oltrepassano la media età imperiale e sembrano giungere, senza soluzione di continuità, sino alla fine del VI secolo d.C. Presso la Polveriera, in particolare, sono attestate ceramiche in sigillata africana, come le forme semi-chiuse tipo Atlante I, tav. XLIII, n. 6 prodotte in D, databili tra la fine il 580/600 e il 660 d.C., e le coppe tipo Atlante I, tav. LI n. 9 fabbricate in D2 che si datano tra il 360/440 e il VI sec. d.C. Sempre dalla Polveriera, zona Casa Rosa, le sigillate sono attestate con le produzioni in D1 della scodella Hayes 95, n. 3 databile nella prima metà del VI sec. d.C.

Proprio nella zona della Polveriera è stato individuato un edificio che presenta un paramento in opera listata che si data tra la fine del IV e gli inizi del V secolo127. Le ragioni della prolungata occupazione di quest’area vanno probabilmente cercate nella posizione del sito a controllo del sottostante porto artificiale. A tale nucleo insediativo va pure collegata una piccola area di necropoli, composta prevalentemente di tombe a cassone di tegole, senza corredi, individuata nel corso dei recenti scavi a ridosso del ciglio orientale del promontorio della Polveriera.

È soprattutto l’area del Faro, però, che sembra particolarmente vitale in età tardoantica: sono presenti sia contenitori da trasporto di produzione orientale nei tipi LR1 (IV-VII sec. d.C.) e LR2 (400-650 d.C. circa) 126 

Mengarelli 2015.

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Mengarelli 2015, p. 1745.

S. Medaglia: Da Pandataria a Ventutere: fonti storiche e dinamiche insediative

I dati cronologici desumibili dalle ceramiche e dai contenitori da trasporto di età tardoantica ci permettono di contestualizzare meglio la notizia sulla presenza d’insediamenti, in particolare monastici, nelle isole pontine tra V e VI secolo128. In una lettera scritta da papa Gregorio Magno al suddiacono Antemio nel 591 apprendiamo, infatti, dell’esistenza di una congregatio monachorum che abitava vari monasteria dell’arcipelago (‘in insulis’)129. Nella missiva si fa esplicito riferimento a un’«insula quam appellant Eumorphiana», e poi a «Palmaria aliisque insulis». Se Palmaria va certamente identificata con Ponza e le ‘aliisque insulis’ genericamente con il gruppo pontino, più ardua è l’identificazione dell’insula Eumorphiana per la quale è stata proposta Zannone130.

Se la prima fase della colonizzazione monastica delle pontine fu ad appannaggio di eremiti, ad essi ben presto si aggiunsero i cenobiti. Almeno nella fase più antica i monaci trovarono rifugio tra le rovine degli edifici romani, senz’altro ancora ben conservati in alzato, adattandoli alle modeste esigenze della vita religiosa. La già illustrata notizia del reperimento di metallo ai danni di vecchi fabbricati dimostra quanto fossero vitali per i monaci proprio le vestigia romane in abbandono. La presenza monastica era non solo incoraggiata dalla Chiesa, ma era fortemente alimentata anche dal culto dei Santi che avevano avuto stretti rapporti con le isole dell’arcipelago e nelle cui agiografie i monaci trovavano fonte d’ispirazione134. Nelle Pontine un posto di prim’ordine ebbero i culti di papa S. Silverio e delle due Flavia Domitilla. Della Domitilla relegata a Ventotene perché ritenuta cristiana abbiamo già detto; l’altra Domitilla secondo Eusebio di Cesarea (che a sua volta riprende la notizia dallo storico e cronografo Bruttio) sarebbe stata nipote di Flavio Clemente per parte di sorella. Anche lei fu relegata a Ponza assieme a molti altri cristiani nel quindicesimo anno del regno di Domiziano135. La venerazione della Santa è già testimoniata sul finire del IV secolo da S. Girolamo che ricorda come Paola, diretta in Oriente, fece scalo a Ponza nel 385 visitando «le cellette in cui quella aveva trascorso un lungo martirio»136.

A parte le difficoltà topografiche dovute alla gestione del corredo toponomastico, nel documento a firma di papa Gregorio Magno vi sono preziose indicazioni circa le regole a cui dovevano attenersi i monaci: tra queste la proibizione di accogliere giovani che avessero un’età inferiore ai diciotto anni e l’allontanamento delle donne rifugiatesi con le proprie famiglie. La presenza di laici ad Eumporphiana (circostanza che senza difficoltà possiamo estendere anche alle altre isole) è verosimilmente da collegarsi a flussi migratori di rifugiati provenienti dai centri rivieraschi dirimpettai all’arcipelago che intendevano sfuggire alle incursioni longobarde131. Nella missiva, a proposito della già citata isola Eumorphiana (in cui aveva sede un oratorio dedicato a Pietro, principe degli apostoli – «in qua situm oratorium beati Petri principis apostolorum esse dinoscitur»), il Papa lamentava la presenza di «multos virorum cum mulieribus suis diversorum patrimoniorum illic pro necessitate feritatis barbaricae refugisse». Giudicando la cosa inopportuna, il pontefice si chiedeva «ut dum alia refugiorum loca vicina sint, cur ibidem cum monachis debeant mulieris habitare?»132.

Papa Silverio fu invece relegato in Pontias nel 537 d.C. al termine di una macchinazione orchestrata da Belisario e Vigilio. Morì in quello stesso anno di stenti ed il suo corpo non fu traslato a Roma ma rimase nell’isola137. Valore esclusivamente leggendario hanno invece le notizie ricavate dalla passio dei martiri Nereo ed 134  Sui culti cristiani attestati nell’arcipelago e le annesse problematiche agiografiche cfr. Caraffa 1986 con bibliografia. Per Ponza vd. ora Lacam, Quadrino 2016. 135  Eus., Hist. eccl., III, 18, 4. 136  Hier., Epistula ad Eustochium, 108, 7: «Delata est ad insulam Pontiam, quam clarissimae quondam feminarum sub Domitiano principe pro confessione nominis christiani Flaviae Domitillae nobilitavit exsilium, vidensque cellulas in quibus illa longum martyrium duxerat». Sulla condanna di Flavius Clemens e sulla controversa questione delle due Domitille la bibliografia è vastissima. Limitandoci a quest’ultimo argomento c’è da dire che l’esistenza di due Domitille è tutt’altro che condivisa tra gli studiosi. A favore di due distinte dame si sono pronunciati, tra gli altri, De Rossi 1865, p. 19; Allard 1885, p. 100 ss.; Sordi 1960, p. 6 ss.; Pergola 1978, p. 418 ss.; Keresztes 1973, p. 19 ss.; Sordi 2004, p. 82; Lacam, Quadrino 2016. Tale tesi è stata recentemente avversata da N. Biffi (2012, in partic. pp. 29-32) a cui si rimanda per la bibliografia precedente. 137  Liber Pontificalis, I, 1886, p. 293 (ed. Duchesne): «[…] Quem suscepit Vigilius archidiaconus in sua quasi fide, et misit eum in exilio in Pontias, et sustentavit eum panem tribulationis et aqua angustiae. Qui deficiens mortuus est, et confessor factus est. Qui et sepultus in eodem loco XII kl. Iul., ibique occurrit multitudo male habentes et salvantur. […]». Nella versione di Liberato Diacono (ivi, p. 295 nota 21) l’esilio sarebbe avvenuto nell’isola di Palmaria: «[…] Ita Silverius traditus est duobus Vigilii defensoribus et servis eius; qui in Palmariam insulam adductus, sub eorum custodia defecit inedia».

Molto interesse desta pure la notizia della consegna di 1500 libbre di piombo, tratte dallo smembramento di antiche rovine, all’abate Felice per la costruzione di un edificio religioso nell’isola Eumorphiana («Praesentium itaque latori Felici abbati mille quingentas libras plumbi, de quo in eadem insula reiacere dinoscitur, dare non differas, quod postmodum, cum totius quantitatis ratio noscitur in tuis rationibus imputetur. Ita ergo fac ut tu ipse provideas, si in ejusdem insulae fabrica expendi utiliter valet»)133. Sul fenomeno del monachesimo insulare tirrenico vd. Biarne 2000; Mazzei, Severini 2000; Stasolla 2015 (cfr. in partic. p. 635). Per un focus sulle Ponziane cfr. De Minicis 1986. 129  Greg. M, Epist., I, 48 (ed. Ewald, Hartman 1891, I, p. 74). Su tale argomento vd. pure Apollonj Ghetti 1968, pp. 85-87. 130  Cfr. Apollonj Ghetti 1968, p. 68 con bibliografia. Più recentemente Quadrino 2016, p. 134 sembra propendere, pur dubitativamente, per Ponza. 131  Savino 2005, p. 195. 132  Greg. M, Epist., I, 48 (ed. Ewald, Hartman 1891, I, p. 74). Quadrino 2016, p. 134. 133  Greg. M, Epist., I, 48 (ed. Ewald, Hartman 1891, I, p. 75). 128 

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Introduzione alle antichità di Ventotene Achilleo, databile al VI secolo, secondo cui sarebbero stati exules in Pontiana insula cum S. Domitilla prima di essere condotti a Terracina dove avrebbero trovato la morte138. Assieme alle venerazioni di Santi che effettivamente frequentarono da esiliati le isole, vanno aggiunti almeno altri due culti ‘autentici’ importati dall’Africa romana nel corso della prima metà del V sec. d.C. in seguito alla trasmigrazione verso le isole del Mediterraneo occidentale di cattolici romani che fuggivano dall’occupazione vandalica. Si tratta di S. Montano, martire a Cartagine nel 295 d.C., le cui reliquie furono trasportate a Ponza, e di S. Candida, attuale protettrice di Ventotene, martirizzata anch’essa a Cartagine sotto l’imperatore Massimiano139.

Figura 61. Lapide funeraria reimpiegata come lastra d’altare in età tardoa-antica (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).

Sebbene non si faccia esplicito riferimento a Ventotene nella lettera inviata da Gregorio Magno ad Antemio, la presenza di una colonia di monaci nell’isola tra V e VI sec. d.C. va senz’altro ritenuta verosimile. La capacità adattiva dei monaci ad una vita di privazioni, la mancanza per le fasi più antiche di un’architettura specifica e le difficoltà di attribuire loro instrumenta domestica caratterizzanti, sono elementi indicativi di quanto sfuggente sia dal punto di vista della documentazione materiale l’individuazione di tracce assegnabili in maniera incontrovertibile ad eremiti o, parimenti, ad una piccola colonia cenobitica. Fortunatamente un chiaro indizio dell’esistenza di un cenobio o monastero è dato dal rinvenimento, forse avvenuto nelle acque di Cala Rossano, di una lapide funeraria romana in marmo riutilizzata, tra VI e VII secolo, come lastra d’altare. Questa reca sul retro un’incisione composta da una croce greca posta entro un medaglione circolare effigiato con un motivo ad intreccio140 (Figura 61).

Figura 62. Ventotene, Cisterna dei Carcerati. Graffito parietale.

(Figura 62) e un’edicoletta votiva con tracce di decori colorati molto probabilmente d’età tardo-antica (Figura 63). Del resto una comunità cristiana doveva esistere a Ventotene già da tempo e ad essa va assai probabilmente ascritta la lucerna in bronzo bilicne con croce monogrammatica, della tarda età imperiale, rinvenuta sul finire del XIX secolo nelle acque del porto143.

Qualora il luogo di rinvenimento fosse confermato si potrebbe ritenere che l’edificio religioso a cui apparteneva la lastra d’altare vada cercato proprio nei dintorni di Cala Rossano e, plausibilmente, nei pressi di Punta Eolo da dove sarebbe scivolata finendo in mare. Pur con la dovuta prudenza, altre evidenze presenti nell’isola possono forse riferirsi alla stessa fase cronologica della lastra e dunque testimoniare la presenza dei monaci. Nella cosiddetta Cisterna dei Carcerati, un tempo denominata ‘grotta dei buoi’ e luogo dove soprattutto nel Medioevo trovarono rifugio i monaci dalle incursioni saracene141, si notano un crittogramma a forma di ancora graffito sulla roccia142

La presenza monacale nelle isole dovette terminare già sul finire dell’VIII secolo a causa delle continue 143  NSc 1886, p. 238: «Nello scorso maggio tu trovata da un marinaro, nelle acque del porto di Ventotene, una lucerna cristiana di bronzo, che fu aggiunta alle raccolte del Museo nazionale di Napoli. Il direttore di quell’ istituto, il prof. de Petra, la descrisse nel modo seguente: ‘L’antica lucerna di bronzo ritrovata nelle acque di Ventotene è bilione. I becchi terminano in fori stellati. Per l’olio che alimentava la lampada, vi è nel corpo della lucerna un buco munito di coperchio, fissato con cerniera. Il manico ha la forma di collo di grifo, con barba caprina, becco d’avoltoio e dorso cristato. Sorge tra le orecchie la croce monogrammatica †. Sulla testa del grifo, e in corrispondenza dei due becchi, sono legate tre catenelle, che si riuniscono in alto ad un ferro in forma di uncino, il quale serviva a tener sospesa la lucerna ed a smoccolarne i lucignoli. L’oggetto è eseguito con arte squisita, e degna dei migliori tempi dell’impero’».

AASS, mai. III, pp. 6-13 (sull’esilio a Ponza, vd. p. 9). Caraffa 1986, p. 225. 140  Inv. n. 25735. De Rossi 1999a, pp. 58, 99. 141  Sulle devastazioni saracene alle Pontine cfr. Apollonj Ghetti 1968, pp. 84 ss. 142  Cfr. De Rossi 1997, pp. 7-8 (dove s’interpreta l’ancora come chrismon). 138  139 

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S. Medaglia: Da Pandataria a Ventutere: fonti storiche e dinamiche insediative

sono indicati i beni oggetto della cessione su cui il nuovo possidente poteva esercitare in perpetuo piena proprietà: «con tutte le accessioni, diritti di caccia e pesca, percepirne ogni frutto, e con facoltà di riabitarle per colonia, e governarle personalmente, o farle amministrare da altri, e con quelle forme, e regole che stimava; presidiarle, e garentirle dai pirati, e come distaccate esse isole dal ducato, poteva donarle, cederle, e commendarle a chicchessia da lui, suoi eredi e successori»148. In particolare, tra questi beni sono elencati «piscarie seu et silbis cum kampis, et pascuis vel pratis cum aquis et paludibus, puteis, fontibus, cisternis et criptibus […] cum calas coturnicarias»149. Oltre alla menzione di pozzi e cisterne vale la pena di rimarcare nel documento i riferimenti alla pratica dell’uccellagione alle quaglie (calas coturnicaria) e, soprattutto, il rimando alla presenza di strutture romane reimpiegate (cisternis et criptibus).

Figura 63. Ventotene, Cisterna dei Carcerati. Edicoletta votiva, particolare.

scorribande piratesche dei saraceni che in luoghi così isolati e lontani da ogni forma di controllo militare furono senz’altro assai virulente. Ciò del resto si deduce da una lettera inviata a Carlo Magno nell’anno 812 da parte di Papa Leone III che, nel descrivere le scorrerie saracene che investirono Ponza, parla all’imperfetto della comunità colà un tempo stanziata: «ubi monachi residebant et praedaverunt eam»144.

Nel 1071 l’isola di Ventotene (e l’intero arcipelago) passò nuovamente di mano in quanto Sergio, figlio del nobile Campolo, la cedette alla diocesi di Gaeta150. Successivamente, la bolla di papa Adriano IV del 1158, quae confirmat et declarat iuristictionem Caietanae Diocesis, menziona anche la nostra Pontatera che, come appunto afferma il pontefice, assieme alle altre isole dell’arcipelago «in gaietane ecclesie parrochia perpetue decernimus permanere»151. Tale lascito sarà ulteriormente confermato nella bolla di papa Alessandro III del 1170152.

Ciononostante, come dimostra il caso di Zannone145, già sul finire del X scolo, nel momento in cui l’arcipelago era controllato dai duchi di Gaeta, i monaci dovettero tornare in pianta stabile nella maggior parte delle isole conducendovi vita eremitica146. Nel 1019 i duchi Giovanni e Leone cedettero al nobile Campolo, figlio di Docibale, Ventotene (Pontuteris) e la vicina S. Stefano (Dominus Stefanus)147. Nell’atto

Nella prima metà del XIII secolo è attestato nell’isola di Ventotene («Insula Parva, que Ventuter vulgariter maneat potestates; Insuper repromittimus nos qui supra leo domini gratia consul et dux; et nostris posteris successoribus; et heredibus nostris; vobis suprascripto kampulus; et ad vestris heredibus, omnia supradictum quodcumque michi pertinet ex nostro ducatum in suprascripte insule pontuteris. et insula qui dicitur de domnus stefanus; quem vobis donabimus; et concessimus. una cum omnibus sibi pertinentibus; antestare et defendere ab omnibus hominibus et in omnibus temporibus; In eo vero tenore. ut amodo et usque in sempiternum quomodo superius legitur in vestra et heredibus vestris maneat potestates. unde tribuimus vobis licentiam et potestates. iure quietos. habendi. tenendi; fruendi. possidendi; donandi. commutandi. alienandi. vestrisque heredibus relinquendi; etiam vendendi; vel omnia quodcumque exinde facere iudicareque. volueritis. quomodo superius legitur in vestra et heredibus vestris maneat potestates; [….]». 148  Tricoli 1855, p. 131. 149  Cod. Dipl. Caiet., I, 1887, p. 260 n. CXXXV. 150  Cod. Dipl. Caiet., II, 1891, p. 105 n. CCXLV. 151  Cod. Dipl. Caiet., II, 1891, pp. 282-285 n. CCCXLV: «[…] Insulas quoque maris. palmariam. pontiam. senonem. pontateram. in eiusdem gaietane ecclesie parrochia perpetue decernimus permanere. ex quibus; pontateram in iure proprietario ipsius ecclesie semper haberi censemus. sicut a bone memorie Sergio qui dicebatur de domino campo. per testamentum ex antiqua sedis apostolice concessione donata est. […]» (p. 284). 152  Cod. Dipl. Caiet., II, 1891, pp. 293-295 n. CCCLI.

Patrologia Latina 98, p. 540. 145  Cod. Dipl. Caiet., I, 1887, p. 127 n. LXX. 146  De Minicis 1986, p. 227. 147  Cod. Dipl. Caiet., I, 1887, pp. 260-261 n. CXXXV: «† In nomine domini dei salvatoris nostri ihesu christi; Temporibus domini iohannis Gloriosi Consuli et duci infra hetate positus. Anno videlicet septimo; Nec non temporibus domni leoni similiter gloriosi consuli et duci. anno vero quarto; Mense aprelis. indictione secunda kaieta; Qua de re nos leo domini gratia consul et dux; deo regente istius suprascripte civitatis; Ab hanc itaque die et omnem phuturum tempus. pronam et spontaneaque nostra voluntate. placuit mihi dodare. tradere. concedere. largire; atque inrevocabiliter transcrivere. vobis videlicet kampulus filius domni docibile bone memorie; habitator huius predicte civitatis; Idest. dono. atque concedo vobis de presenti die. ex nostro publico; omnia quantum michi pertinet ex nostro ducatum. de ipsa insula pontuteris; et in insula qui dicitur de domnus stefanus; una cum omnibus ad easdem insule pertinentes. hoc est. pescarie; seu et silbis. cum kampis. et pascuis vel pratis. cum aquis. et paludibus. puteis. fontibus. cisternis. et criptibus; etiam et cum omnes calas coturnicarias; et cum quantumcumque ibidem pertinet vel pertinentes fuerit. Quodcumque homo proprio nomine nominare potest; et cum omnibus finis et cunctis vocabulis suis. de omnia et in omnibus. permaneat ad vestras possessiones et de vestris heredibus. amodo et semper; ita ut in vestra et heredibus vestris 144 

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Introduzione alle antichità di Ventotene appellatur») un monastero intitolato a Santo Stefano e a cui Papa Gregorio IX, il 7 ottobre 1232, concedette di uniformarsi «secundum Beati Benedicti reagulam»153. Pochi anni più tardi, come si legge in un documento di Innocenzo IV del 27 aprile 1249154, questo medesimo monastero fu sottomesso a quello di Santo Spirito di Zannone («de insula Sennon»). Le ragioni di questa sottomissione a un cenobio che tra l’altro apparteneva a un ordine diverso («sub Cisterciensis ordinis») erano dovute, secondo quanto si legge in un altro documento

di Inncenzo IV, posteriore al primo di pochi giorni, ad una condotta non irreprensibile dei monaci di Ventatere, i quali «sub incerta regula degentes»155. L’ultima testimonianza nota di questo monastero è datata all’ottobre del 1292 quando in una trascrizione di documenti notarili redatta da Iacobus broncusula Gaiete notarius è menzionato l’abbate Monasterii sennonensis de insula Ventatene a proposito di una disputa intercorsa con Bartolomeo, Episcopus Caietanus156.

Reg. de Greg. IX, I, 1896, p. 539, n. 888. Reg. d’Innocent IV, IV, 1911, pp. 80-81 n. 4532 (Lyon, 27 aprile 1249): «Eisdem. Conversatio vestra, etc., usque: favoribus et etiam donis specialibus honoremus, in eo precipue paterna vobis diligentia providentes, ut sic indigentie vestre per nostre liberalitatis beneficia consulatur quod possitis ampliatis domus vestre facultatibus congrue sustentari. Eapropter devotionis vestre supplicationibus benignum impertientes assensum et vestris necessitatibus apostolice munificentie dexteram extendentes, insulam Ventutere cum pertinentiis, Insulane diocesis, sitam in mari, vobis vestrisque successoribus, ut eam de cetero tamquam vestram auctoritate propria intrare, tenere ac possidere licite ipsaque uti libere valeatis, de mera et specali gratia, presertim cum regnum Sicilie, quod est speciale [Sedis] Apostolice, rege ad presens careat, duximus concedendam, dummodo predicta insula non pertineat ad aliquem in devotione Romane Ecclesie persistentem. Nulli ergo, etc. Dat. ut supra.».

153  154 

155  Reg. d’Innocent IV, IV, 1911, p. 99 n. 4618 (Lyon, 8 maggio 1249): «Eisdem. Cum a nobis petitur, etc., usque: effectum. Significastis siquidem nobis quod olim… prior et fratres Sancti Stephani insule parvule Ventatere, sub incerta regula degentes in ipsa, et cupientes Domino famulari sub Cisterciensis ordinis institutis, se ac locum ipsum cum omnibus bonis suis diocesani loci accedente consensu vestro monasterio subjecerunt, suscipiendo hujusmodi instituta, prout in litteris inde confectis dicitur contineri. Nos igitur, vestris supplicationibus inclinati, quod per eos provide factum est in hac auctoritate apostolica confirmamus et presentis scripti patrocinio communimus. Nulli ergo, etc. Dat. Lugduni, VIII idus maii, anno VI.». 156  Cod. Dipl. Caiet., II, 1891, pp. 412-417 n. CCCCXXIV.

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La topografia archeologica di Ventotene romana Giovanni Maria De Rossi La topografia di Ventotene (Figure 64, 65) non va letta come un’istantanea ma come una serie di fotogrammi di una pellicola su cui sono rimaste impresse, ora nitide ora sbiadite, le immagini di un ‘divenire’ storico.

La predisposizione dell’entourage di Augusto, nel quale Agrippa rivestiva un ruolo tecnicamente predominante, per le residenze marine, e campane in particolare, ci è nota dalle fonti. Svetonio5 ci racconta di come l’Imperatore prediligesse proprio le isole campane, e l’arcipelago pontino era allora in questo territorio6, e di come Giulia, sua figlia, fosse abituale frequentatrice dei possedimenti imperiali a Baia7. Dione Cassio8 ci fa sapere che, in un crescendo di rincorsa allo sfarzo, Augusto, una volta ricevuta in eredità da Vedio Pollione una sua villa sul litorale napoletano, la fece abbattere e ricostruire sfarzosamente per uso personale. Non può sfuggire come tutto ciò si svolgesse nel più ‘legale’ disprezzo verso le direttive emanate dallo stesso Augusto contro il proliferare delle costruzioni di lusso9.

Il ‘ciac’ iniziale di questo film va individuato nel momento in cui dalla frequentazione si passa a uno stanziamento. Si devono aspettare gli albori dell’Impero per vedere la valorizzazione dell’isola e assistere così all’inizio di una presenza prolungata, ancorché periodica, dei Romani, che richiederà la realizzazione di strutture adeguate. Si può ipotizzare che fosse spettato ad Agrippa, genero di Augusto e marito di Giulia, figlia dell’Imperatore, il merito di aver dato il via alla costruzione di un impianto residenziale nell’isola1, poco tempo dopo che questa era stata incamerata nel demanio imperiale, insieme a Capri2, evidentemente nell’ ambito di un’oculata operazione tesa all’acquisizione di località idonee per la costruzione di ville marittime3. All’esistenza di ville nell’arcipelago pontino alluderà chiaramente Strabone4 quando ricorderà come di fronte al litorale tra Formia e Terracina «sorgono, al largo, le due isole di Pandataria e Ponza, piccole ma ricche di belle abitazioni».

Non è escluso che quanto capitato per la villa di Vedio Pollione si sia ripetuto, in scala minore e con modalità diverse, per Ventotene nei confronti di una preesistente modesta residenza di uno sconosciuto personaggio, nel momento in cui l’isola passò tra i possedimenti imperiali. Come si vedrà, da un punto di vista architettonico ci troviamo di fronte a un non indifferente sforzo progettuale ed esecutivo che dovette certamente trarre sostegno dalle già collaudate esperienze campane, incentrate nell’utilizzazione delle isole antistanti la costa e, soprattutto, sulla realizzazione di imponenti opere, quali l’eccezionale traforo, noto come crypta neapolitana, scavato nella collina di Pozzuoli; le gallerie che univano il lago di Averno, fatte scavare da Agrippa nel 37 a.C.; i serbatoi d’acqua presso Miseno, la c. d. piscina mirabilis; le innumerevoli ville sparse su tutto il litorale flegreo e lungo le coste della penisola sorrentina10.

Proprio il connubio di sangue tra Augusto, Agrippa e Giulia fa pensare a un intervento diretto di Agrippa quando ancora era felice sposo di Giulia: la disponibilità ‘familiare’, conseguenza del legame matrimoniale con Giulia, di una piccola ma incantevole isola, ideale, a differenza di Ponza, per le sue ridotte dimensioni a essere sfruttata in toto per un’unica ma articolata residenza, dovette essere alla base dell’avvio dello sfruttamento stanziale di Ventotene. Saremmo di fronte, in ultima analisi, a una residenza estiva di Agrippa e Giulia, forse divenuta ufficialmente di loro proprietà, se già non lo era, in occasione delle nozze, celebrate nel 21 a.C.

Tutte queste esperienze sembrano essere state perfettamente recepite e calate a piene mani nella progettazione del complesso residenziale di Ventotene, soprattutto in rapporto alla capacità di plasmare il tufo traforandolo, svuotandolo e

E’ molto probabile che esistesse già nell’isola un nucleo residenziale, una piccola villa marittima, che dovette fungere da punto di partenza per la rimodulazione globale ad opera di Augusto e Agrippa.

Suet., Aug., LXXII, 5. Dio Cass., IV, 10; Plin., N.h., VI, 6. 7  Siet., Aug., LXXII, 5. 8  Dio Cass., LIV, 23, 5. 9  Hor., Carm., II, 15, 1; III, 24, 1; Sat., 2, 3, 307. 10  Le isole pontine 1986, p. 36 (con bibliografia precedente). Per un riesame dei lavori di escavazione, in area campana, eseguiti nella seconda metà del I sec. a.C., vd. Busana 1997, passim. 5  6 

Su questa ipotesi v. De Rossi 2000, pp. 81 ss. Suet., Aug., XCII, 92, 2. 3  Su questo fenomeno v. Lafon 2001, pp. 234 ss. 4  Strabo, V, 3, 6. 1  2 

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Introduzione alle antichità di Ventotene

Figura 64. Carta archeologica di Ventotene.

modellandolo a seconda elle più svariate esigenze costruttive (Figure 60, 66-69). E’ in questo contesto che dovette prendere corpo anche a Ventotene un piano di sviluppo e strutturazione che tenesse conto,

prescindendo da quanto già vi poteva esistere, delle richieste della committenza, in questo caso la stessa famiglia imperiale: disponibilità quindi illimitata di uomini e mezzi. 52

G. M. De Rossi: La topografia archeologica di Ventotene romana

Figura 65. Ventotene, veduta del settore di nord-est con i principali insediamenti romani.

Al di là del fatto che si sia in presenza di una proprietà diretta o indiretta di Agrippa, quello che preme sottolineare è che ben si sarebbero conciliate con le capacità di Agrippa stesso la progettazione e la realizzazione di un complesso residenziale come quello di Ventotene. Vi si possono infatti riconoscere la sapiente suddivisione del territorio, la modellazione architettonica della massa tufacea, la padronanza nella perforazione funzionale dei banchi rocciosi, la capillare e articolata raccolta e distribuzione delle acque, tutte conoscenze tecniche che sappiamo Agrippa aveva dimostrato di possedere sin già dalle sue esperienze campane, prima dell’avvento di Augusto. A ciò si deve aggiungere la documentata predisposizione di Agrippa verso la ricerca di un raffinato gusto figurativo. Dice al proposito Plinio11: «… ma fu Cesare il dittatore ad attribuire il più grande prestigio ai quadri… e dopo di lui Marco Agrippa». Furono queste le premesse storiche e topografiche che favorirono il passaggio dalla frequentazione allo stanziamento: quest’ultimo va inteso come stabile per la presenza di una struttura ricettiva attrezzata ma periodico relativamente alla fruizione della struttura stessa, destinata all’otium, quindi utilizzata normalmente per un breve periodo dell’anno12. Figura 66. Un tratto di galleria del portico in un a foto della metà del ‘900.

11  12 

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Plin., N.h., XXXV, 26. Sulle ville d’otium vd. Romizzi 2001.

Introduzione alle antichità di Ventotene

Figura 67. Ventotene, Cala Rossano: colonna intagliata nel tufo e stuccata.

Solo così possiamo capire il perché di una apparentemente rischiosa scelta, da parte dell’architetto romano, di distendere il ‘cuore’ della villa su di un promontorio che, e lo sa bene chi ancora oggi vive nell’isola, è per buona parte dell’anno flagellata dal vento e dalle onde (Figura 70). Ma era proprio in quello spicchio temporale, scelto tra la tarda primavera – tarda estate, che la villa ospitava i proprietari per brevi e piacevoli soggiorni. Era quello il periodo in cui il calore, pur intenso, era attenuato, naturalmente, da una costante ventilazione e, artificialmente, da opportuni impianti, alimentati dall’acqua dei serbatoi, ricavati nel complesso termale: allora lo scenario dell’isola appariva straordinario in tutta la sua selvaggia natura, solo sapientemente

Figura 68. Ventotene, Punta Eolo: tagli nel tufo per incasso di strutture murarie.

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G. M. De Rossi: La topografia archeologica di Ventotene romana

Figura 69. Ventotene, una delle due vasche coperte della peschiera intagliata nel tufo.

dimora. Le relative strutture da realizzare dovevano ovviamente essere calibrate sulle finalità cui erano destinate: quindi porto di limitate dimensioni ma di completo affidamento e captazione e distribuzione idrica sufficiente per le esigenze dell’utilitas e dell’amoenitas legate all’acqua15.

piegata e modellata, grazie al tenero tufo, secondo le esigenze dell’architetto romano. In assoluto, la constatazione della pericolosità delle condizioni meteomarine, che potevano comunque limitare i movimenti in avvicinamento e allontanamento dall’isola, indussero l’architetto a prevedere e progettare un approdo sicuro, non solo per l’agibilità ma anche per l’ ormeggio al suo interno, che prescindesse dalla temporanea disponibilità della grande rada naturale situata a Cala Rossano13.

Ci si dovette subito rendere conto della pericolosità e quindi, in ultima analisi, dell’impossibilità di costruire un porto con la fronte avanzata sul mare (Figure 71, 72), e ciò per la forza dei marosi, devastante soprattutto sotto la spinta del Maestrale.

Egualmente, per garantire l’approvvigionamento idrico, necessario a soddisfare le esigenze di una villa d’otium, prescindendo dalla durata della sua frequentazione, si dovette escogitare un sistema di raccolta e distribuzione dell’acqua, basato pressoché esclusivamente sull’apporto delle piogge14.

Nel grande banco tufaceo che si protendeva a mare come prosecuzione del margine sud-orientale della baia naturale di Cala Rossano fu intagliato un bacino artificiale ottenuto asportando quasi 100.00 mc di roccia: il risultato, solo in parte oggi verificabile a seguito delle sistematiche alterazioni apportate dai Borboni16, sembra apparentemente opera di una violenta grande cucchiaiata all’interno del banco roccioso ma, in realtà, è frutto di un programmato lavoro di lenta modellazione, tra vuoti e ‘risparmi’, nella grande massa tufacea. Ne risultò un bacino, profondo in media 3 m,

Furono questi i due primi e fondamentali impegni che misero alla prova le capacità inventive e tecniche dell’architetto impegnato nella programmazione e nell’esecuzione dei lavori finalizzati a rendere possibile il soggiorno nell’isola all’interno di una confortevole 13  14 

Per gli approdi nell’isola vd. De Rossi cds (b). Per l’approvvigionamento idrico a Ventotene vd. De Rossi cds (a).

15  16 

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De Rossi cds (a). De Rossi cds (b).

Introduzione alle antichità di Ventotene

Figura 70. Veduta aerea di Punta Eolo.

Figura 71. Il porto artificiale romano in una stampa di P. Mattej (metà secolo XIX).

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G. M. De Rossi: La topografia archeologica di Ventotene romana

Figura 72. Il porto artificiale romano in una foto della metà del ‘900.

delimitava il bacino lasciando aperti due soli varchi: uno, di ridotte dimensioni, a nord-est, per limitare l’insabbiamento e uno, più grande, a sud-est, per consentire l’entrata e l’uscita. Alle spalle di questa bocca venne scavato, modellando il tufo a ferro di cavallo, una piccola insenatura che poteva fungere, nel contempo, da efficace ‘vasca assorbente’ per frenare, specialmente con mare molto mosso, l’impeto delle onde e, quando necessario, da rimessaggio per le imbarcazioni. Possiamo quindi ben dire che l’architetto romano abbia tenuto presente, nel progettarlo e realizzarlo, buona parte dei dettami che Vitruvio andava allora codificando nel suo trattato di Architettura, esprimendosi con questi suggerimenti da seguire per la costruzione di un porto17: «È chiaro che saranno particolarmente adatti quei porti che godono di una buona posizione naturale, dotati di sporgenze e promontori le cui propaggini sul mare formino curve e gomiti naturali verso l’interno. Tutt’intorno vanno costruiti porticati e arsenali con l’accesso agli empori e innalzate dall’una e dall’altra parte del molo d’ingresso delle strutture turrite da cui poter tendere per mezzo di argani le catene».

completamente circondato, e quindi protetto, dalla roccia. Un porto anomalo, quindi, non tanto proteso in mare quanto tenacemente aggrappato alla terraferma, quasi timoroso e presago della tremenda forza dei marosi che l’avrebbero incessantemente flagellato per secoli, strappandone brandelli, senza spezzare però l’orditura (Figura 65). Mirabile e razionale, nei limiti del consentito dalla forza del mare, la disposizione dell’impianto generale e degli elementi accessori. L’imboccatura del porto, rivolta a est, consentiva l’accesso anche in condizioni di tempo cattivo, con venti di Maestrale e Libeccio. La conformazione interna del bacino, parallelo alla linea di costa in direzione nord-sud, offriva una validissima protezione contro tutti i venti; solo venti forti da sud-est, soprattutto il Levante, potevano provocare all’interno una leggera risacca, noiosa ma mai pericolosa. Nei lati del banco tufaceo che delimitava il bacino furono sagomati, da un lato, le banchine e le crepidini, con quote differenziate; i portici; i ridotti spiazzi liberi; un grande vano, coperto da una volta ‘risparmiata’ nel banco tufaceo, che consentiva l’accesso al tunnel stradale. Dall’altro lato, a est, il bordo perimetrale che

Di quest’ultimo accorgimento si parlerà più avanti. 17 

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Vitr., V, 12.

Introduzione alle antichità di Ventotene

Figura 73. Ventotene, la tempesta nel mare e la quiete nel porto artificiale romano.

Gran parte di questo geniale ordito portuale è ancora oggi visibile e la sua valenza si può verificare direttamente tuttora, nei frequenti giorni di burrasca (Figura 73).

nord, per l’ancoraggio anche a lungo termine; uno, a sud, per il collegamento diretto con la parte superiore dell’isola (Figura 74). Le secolari manomissioni, che presero il via a partire dall’inizio dell’età post classica, sono dovute principalmente all’incessante bisogno, da parte dei pochi abitanti dell’isola, di disporre, con facilità e quindi nei punti più abbordabili sia per l’estrazione che per il trasporto, di materiale tufaceo. Questo intervento, finalizzato alla realizzazione di manufatti abitativi,

Non altrettanto può dirsi, purtroppo, per le architetture tufacee, banchine, terrazze e cavità sapientemente ritagliate nel banco roccioso, che caratterizzavano la strutturazione dell’impianto differenziandolo, con quote diverse, in tre settori distinti: uno, al centro, destinato alle operazioni di scarico dalle navi; uno, a

Figura 74. L’area portuale di Ventotene in un particolare di una pianta della metà del XVIII secolo.

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G. M. De Rossi: La topografia archeologica di Ventotene romana

ancorché ridotti nel numero e nelle dimensioni, si è rivelato un’inezia in confronto agli effetti conseguenti all’attuazione del progetto di colonizzazione borbonica dell’isola, poco dopo la metà del XVIII secolo, che portò a un livellamento omogeneo e generale della banchina occidentale, finendo per cambiarne completamente i connotati. Ne ebbe a soffrire tutta la topografia originale dell’impianto romano che proprio in questo settore trovava il proprio epicentro funzionale: da qui, infatti, partiva il tunnel, eliminato a seguito degli interventi borbonici, scavato nel vivo del banco tufaceo, che si inerpicava, grazie a un piano di partenza ben più elevato rispetto a quello attuale, sino a una quota da cui si irradiavano percorsi viari per i vari padiglioni della villa e per alcune infrastrutture18.

compluvio, da cui partiva un condotto principale che a sua volta alimentava varie diramazioni. Lo smistamento dell’acqua era affidato a una capillare rete di cunicoli, a seconda delle esigenze e delle quote scavati interamente o parzialmente nel tufo o costruiti in superficie: a essi andavano aggiunti, soprattutto in prossimità dei terminali, condotte in terracotta o in piombo.

Oggi è stato possibile ricomporre il mosaico topografico di questo vitale settore dell’isola grazie a preziose carte topografiche, precedenti gli interventi borbonici, e alle prolungate indagini topografiche sul terreno.

Uno schema così semplice, in grado di garantire l’ acqua necessaria per i brevi periodi annuali in cui la villa d’otium veniva frequentata, era, in sintesi, basato su di un unico grandissimo serbatoio iniziale di circa 600 mq., detto poi ‘Cisterna dei Carcerati’ (Figure 55, 77) a seguito del suo riutilizzo in epoca borbonica come luogo provvisorio di detenzione per i galeotti, scavato interamente nel tufo e collocato necessariamente a valle della frattura geologica di cui si è già detto; di un condotto principale che raggiungeva il ‘cuore’ della villa a Punta Eolo (Figura 78) e di diramazioni che servivano il porto, la baia naturale di Cala Rossano, il promontorio della Polveriera, nella cui estremità orientale era ricavata una peschiera.

Per aumentare notevolmente la quantità d’acqua raccolta nel serbatoio iniziale, lungo i condotti si susseguivano abbinamenti formati da compluvi di superficie e cisterne sottostanti: era in tal modo possibile riempire periodicamente con acque piovane le singole cisterne fornendo così ai condotti acqua sempre disponibile per approvvigionare i rispettivi terminali.

Per quanto riguarda l’acqua, risorsa di cui l’isola era praticamente priva se si eccettua il lieve flusso di filtrazione che scendeva dal medio versante orientale sino a Cala Rossano lungo un pendio incavato naturalmente nel tufo, l’architetto dovette ricorrere a espedienti noti e ben collaudati nel mondo romano e suggeriti dallo stesso Vitruvio in situazioni analoghe: sfruttare l’acqua piovana per captarla, conservarla e distribuirla nei terminali di fruizione. Scriveva al proposito l’autore latino19: «Se tuttavia il terreno risulta duro e se le vene d’acqua sono troppo in profondità, allora bisognerà raccogliere l’acqua proveniente dai tetti o dai luoghi elevati in costruzioni realizzate in signino». Quindi abbondante uso di compluvi, naturali e artificiali, per la captazione e robuste cisterne per la conservazione.

Acquedotto, villa e porto erano stati realizzati basandosi sulle caratteristiche geomorfologiche dell’isola: questa si presentava come un lungo piano inclinato che dall’estremità sud, a quota 133 m s.l.m. andava a finire a mare disponendosi con una fronte rocciosa che si allungava a ventaglio, intercalata da insenature più o meno ampie delimitate da promontori (Figura 65). In conseguenza, come si è visto, furono realizzati il porto, scavato artificialmente nel tufo, il percorso dell’acquedotto, che sfruttava la metà inferiore del pianoro, il ‘cuore’ della villa sul promontorio di Punta Eolo, lambito, d’estate, dalle onde e flagellato dai marosi negli altri mesi dell’anno, quando questa parte della villa non era frequentata.

Un lavoro teoricamente semplice ma che, in pratica, a Ventotene dovette richiedere un intervento articolato e sperimentato attraverso lunghe e pazienti osservazioni sia sulla natura del terreno, sia sulla dislocazione degli impianti residenziali e delle infrastrutture, sia, soprattutto, sull’apporto, stimato mediamente su base annua, delle acque meteoriche. L’unico vantaggio era dato dal fatto che l’isola presentava un naturale profilo inclinato, da sud a nord. Quasi a metà vi era un gradino orografico, causato da una frattura geologica, che divideva in due l’isola, lungo l’asse est-ovest: proprio a valle di questo dislivello l’architetto romano concentrò gli impianti residenziali e le principali infrastrutture. Le componenti dell’impianto dovevano essere compluvi (Figura 75), cisterne e condotti (Figura 76). La sintesi di tutto questo portò alla realizzazione di un grande serbatoio iniziale, rifornito da un esteso duplice 18  19 

Non ci pensò due volte l’architetto romano, considerando quanto sopra detto sulla stagionalità e brevità dell’utilizzo delle ville d’otium, ancor più ridotte nelle piccole isole molto discoste dalla terraferma, a scegliere il promontorio più scenografico, ancorché più aperto perché allungato per quasi 300 m in mare aperto (Figura 70), per realizzarvi il nucleo principale della villa, conscio del fatto che i fruitori non avrebbero mai conosciuto gli spiacevoli e fastidiosi effetti dell’azione combinata del vento e del mare sulle pareti rocciose e sulle soprastanti strutture abitative allungate sulla fettuccia tufacea: una comune manutenzione ordinaria

De Rossi cds (b). Vitr., VIII, 6, 14.

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Introduzione alle antichità di Ventotene

Figura 75. Avanzo del compluvio al di sopra della ‘Cisterna dei Carcerati’.

avrebbe provveduto a cancellare le tracce di questi inconvenienti restituendo, al momento opportuno, ai proprietari della villa una residenza così come l’avevano lasciata, vale a dire gradevole da vedere e confortevole da vivere.

specifiche strutture destinate all’amoenitas21; a nord le terme, le aree di rappresentanza e di residenza e un belvedere semicircolare, nell’estremità nord del promontorio, affacciato sul mare22. Lungo il perimetro del promontorio fu ritagliata nel banco tufaceo, a quota intermedia tra il pianoro e il livello del mare, una sorta di viale per il passeggio che doveva molto probabilmente costeggiare anche l’estremità nord in modo da consentire un percorso continuo ai piedi del nucleo superiore della villa (Figura 79): sarebbe stato così in grado di garantire sempre, vista la posizione del promontorio con asse longitudinale nord-sud, la possibilità, nei mesi estivi in cui la villa era frequentata, di utilizzare alternativamente, mattina e sera un percorso ombreggiato, mentre di sera, con il fresco, sarebbe stato possibile passeggiare sia a est che

Schematicamente la villa, del c.d. tipo ‘a festone’ proprio perché comprendente settori che si allungavano, snodandosi a padiglioni, su una lunga superficie, della quale per lo più rispettava la geomorfologia, era divisa in tre zone, imposte nella loro disposizione dall’andamento orografico del promontorio. A sud, un’area recentemente scavata20 era destinata al supporto logistico della villa con l’immagazzinamento di derrate alimentari volta per volta trasportate dagli horrea dell’isola; al centro, sfruttando un declivio naturale, due impianti autonomi, uno per l’approvvigionamento delle terme e un altro per 20 

21 

Su questo settore si veda Medaglia cds.

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60

De Rossi cds (a). De Rossi cds (d).

G. M. De Rossi: La topografia archeologica di Ventotene romana

promontorio della Polveriera, immediatamente a sud del porto (Figura 85): poteva essere utilizzato come Solarium vista la sua esposizione a est e sud. Completava il complesso una peschiera intagliata nel tufo ricavata ai piedi del versante orientale del promontorio: come si vedrà, le due strutture avranno una particolare valorizzazione e fruizione nella seconda fase di vita della villa23. Questo schema base, composto dalla residenza di Punta Eolo, dal porto, dal Solarium della Polveriera, con annessa peschiera, e dal capillare impianto dell’acquedotto era integrato e reso funzionale da una viabilità essenziale che univa i vari padiglioni del complesso residenziale e le infrastrutture. Si dovette creare poi una viabilità specifica, di servizio, per collegare fra di loro le singole componenti, compluvi e cisterne, che formavano l’ossatura dell’impianto dell’acquedotto, nonché i vari cunicoli di quest’ultimo. Questa capillare rete viaria, necessaria per tenere sempre in efficienza l’impianto di approvvigionamento idrico, si snodava per tutta la metà settentrionale dell’isola, vale a dire dall’inizio dell’acquedotto sino ai vari terminali dislocati sui promontori e sulla fronte a mare. Nella parte meridionale dell’isola un’altra viabilità serviva le aree sepolcrali e gli appezzamenti destinati alla produzione agricola. Figura 76. Un tratto di condotto interamente scavato nel tufo.

Le tombe, nella prima fase di vita della villa, si dovevano comporre prevalentemente, se non esclusivamente, di sepolture a camera incavate nel tufo: l’area doveva essere quella di Cala Battaglia, che si estendeva dall’interno sino alle propaggini della falesia affacciata sul ciglio orientale di questa porzione dell’isola: la posizione della necropoli era stata opportunamente scelta immediatamente a monte del punto di partenza dell’acquedotto che, come si è visto, segnava anche l’inizio del settore abitativo e residenziale disteso nella metà settentrionale dell’isola24.

a ovest usufruendo di un lungo e piacevole tragitto. Scalinate, anch’esse intagliate nel tufo, vincevano il dislivello tra le terrazze e il pianoro soprastante consentendo così rapidi e comodi spostamenti da un versante all’altro (Figure 80-82). Coerentemente con la costante ricerca della scenografia e adattandosi alla conformazione del promontorio, l’architetto romano ricavò due accessi a mare. Uno, il principale, fornito di una caletta intagliata nel tufo, che fungeva da vero e proprio imbarcadero, si trovava nello spigolo nord orientale di Cala Rossano. Consentiva di accedere a un camminamento intagliato nel tufo (Figura 83) che costituiva, in sostanza, il raccordo con l’inizio della terrazza orientale del promontorio: proprio nel punto di incontro fu realizzata una scalinata che, partendo da un vestibolo, dava accesso alla villa distesa sulla parte superiore del promontorio. Il secondo permetteva a piccole barche di attraccare per poter raggiungere direttamente dal mare la terrazza orientale della villa (Figura 84). Le strutture promontorio ‘cuore’ della di supporto

Per quanto riguarda lo sfruttamento delle risorse naturali, di primaria importanza risultava il taglio delle alberature, qui abbondanti e in grado di assicurare il legname sia per la carpenteria, sia per la nautica, sia per l’alimentazione degli impianti di riscaldamento delle terme. È da immaginare pertanto un percorso adeguato, tale cioè da consentire l’uso di carri, che doveva essere pressoché rettilineo nella metà meridionale, sgombra da edifici, e a linea spezzata nella metà settentrionale dove si doveva fare i conti soprattutto con il reticolo dei rami dell’acquedotto e relativi compluvi di superficie. Spetterà poi ai Borboni, una volta scomparse le presenze romane di superficie, realizzare un’unica spina rettilinea, l’attuale via Olivi, che dall’estremità sud dell’isola, Punta

distese sulla parte settentrionale del di Punta Eolo possono considerarsi il villa mentre un padiglione residenziale fu ricavato nella parte mediana del

23  24 

61

Su quest’area si veda De Rossi cds (d). De Rossi cds (c).

Introduzione alle antichità di Ventotene

Figura 77. Particolare dell’interno della ‘Cisterna dei Carcerati’ con tracce pittoriche relative al suo riuso.

dell’Arco, portava direttamente all’imbocco della strada per il porto, favorendo così il trasporto dei tronchi d’albero sia per uso interno all’isola sia per la spedizione nel continente: come noto, fu proprio questa la causa del rapido disboscamento nell’isola, pressoché concluso tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo (Figura 27).

concentrato nella metà settentrionale dell’isola, non fu tracciato adattandosi a una scacchiera urbana ma districandosi in un’area che, pur presentandosi pressoché libera da ingombri edilizi, era intasata da ampi spazi utilizzati per ospitare gli estesi compluvi che scandivano, con intervalli il più delle volte regolari, i percorsi del condotto principale e dei vari rami dell’acquedotto.

Non dobbiamo immaginare per Ventotene un sistema viario regolare, legato cioè a un impianto di tipo urbano, con percorsi orientati sui volumi dei fabbricati. Qui il reticolo stradale, articolato e, come si è detto,

Comunque, le varie componenti di questa viabilità facevano capo, come le dita di una mano, al polso, da 62

G. M. De Rossi: La topografia archeologica di Ventotene romana

Figura 78. Il tratto di costa dalla ‘Cisterna dei Carcerati’ a Punta Eolo.

Di questo tunnel non è rimasta traccia, se non nella cartografia della metà dell’ottocento (Figura 86) a seguito dei drastici interventi borbonici che hanno

individuarsi, nel caso specifico, nel tunnel stradale che collegava la parte superiore dell’isola al porto, e viceversa.

Figura 79. Le terrazze, intagliate nel tufo, che delimitavano il promontorio di Punta Eolo.

63

Introduzione alle antichità di Ventotene

Figura 80. La scalinata nord del lato occidentale di Punta Eolo prima del crollo del 1997.

Figura 81. La stessa scalinata oggi.

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G. M. De Rossi: La topografia archeologica di Ventotene romana

finito per alterare l’aspetto originario dell’area portuale, creando i presupposti per una viabilità completamente diversa da quella romana. Pertanto, i riferimenti per stendere il reticolo della viabilità erano offerti dalle direttrici dei condotti e cunicoli dell’acquedotto, con i rispettivi punti di raccolta complementare dell’acqua, caratterizzati dai binomi compluvi – cisterne. Proprio per queste ultime istallazioni, che costituivano la linfa vitale dell’approvvigionamento idrico di tutta l’isola, dovevano essere controllate, e quindi facilmente raggiungibili di giorno e di notte, per consentire, con appropriati e rapidi interventi, coordinati mediante segnalazioni a distanza, la movimentazione delle saracinesche al fine di equilibrare il rifornimento e la ripartizione dell’acqua in occasione delle piogge, specialmente se copiose. Doveva trattarsi di una rete di sentieri, intagliati per lo più nel tenero tufo di superficie, che dovevano intersecarsi per consentire la fruizione delle varie postazioni, tra di loro ravvicinate, sia longitudinalmente che latitudinalmente in rapporto alla loro disposizione lungo i tracciati dei rami dell’acquedotto.

Figura 82. Lo sbocco, franato, della scalinata sud del lato occidentale di Punta Eolo.

Figura 83. Discesa a mare nel settore sud del lato orientale di Punta Eolo (da un acquarello di P. Mattej, secolo XIX).

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Introduzione alle antichità di Ventotene

Figura 84. La lunga terrazza, intagliata nel tufo, che fiancheggiava la parte inferiore del versante est di Punta Eolo.

Figura 86. Particolare dell’area del porto artificiale romano in una pianta della seconda metà del XVIII secolo.

Figura 85. Il promontorio della Polveriera con l’appendice a mare intagliata per ricavare la peschiera.

Si può ben dire che la filigrana dei percorsi dei cunicoli del sistema acquedotto consente di leggere, in controluce, il reticolo della viabilità che, per quanto si è detto, era prevalentemente di servizio.

Era sostanzialmente questa la scacchiera topografica progettata dall’architetto per farvi muovere, allora in piena libertà, pedine di rango imperiale, a partire dal tempo di Augusto. Si è già detto dell’ipotesi che l’artefice del progetto possa essere stato Agrippa, genero dell’Imperatore, che già aveva provveduto, a Roma, proprio in occasione delle nozze con Giulia, figlia di Augusto, a creare l’allestimento della sfarzosa villa posta nell’attuale Lungotevere della Farnesina26. Ecco perché non si può escludere, anche alla luce di quanto avvenuto, come si vedrà, nel 2 a.C., che la villa di Ventotene, sorta ex novo o impostata su strutture preesistenti, fosse originariamente di proprietà di Agrippa, o direttamente o indirettamente, nel senso,

La pur ridotta viabilità primaria era data da tre tunnel, scavati nel tufo, che mettevano strategicamente in comunicazione le principali infrastrutture dell’isola: uno, il più importante, saldava il porto con la parte alta dell’isola; un altro univa le due baie contrapposte di Cala Rossano e Parata Grande (Figura 87); il terzo saldava il bacino di alaggio con Cala Nave, consentendo così una comunicazione diretta tra l’area portuale e il versante sud est di Ventotene25. 25 

De Rossi cds (b).

26 

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Cfr. Sanzi de Mino 1998.

G. M. De Rossi: La topografia archeologica di Ventotene romana

Figura 87. Veduta aerea di Parata Grande con evidenziati i profondi crolli secolari.

in quest’ultimo caso, di una realizzazione per conto di Augusto e sfruttata da sua figlia e da suo genero, a partire dal 21 a.C., data delle nozze di questi ultimi.

ritirato spontaneamente in solitudine a Rodi: questo atteggiamento aveva finito per mettere a repentaglio i delicati equilibri politici legati all’adozione dell’erede designato alla successione al trono di Augusto28. Il comportamento di Giulia, al di là delle forzature aneddotiche di alcune fonti letterarie circa una sua esasperata dissolutezza, era di aperta contestazione verso la forte sterzata moralizzatrice impressa dal padre. Seneca29 stigmatizza il fatto con queste lapidarie parole messe in bocca a Giulia: ‘mio padre dimentica di essere Cesare e io mi ricordo di essere la figlia di Cesare’. Palese era pertanto il riferimento a un’esigenza, da parte di Giulia, di un modus vivendi adeguato al suo rango, che non escludesse, di conseguenza, il lusso e una certa libertà di comportamento.

Qualora la proprietà della villa fosse stata direttamente di Agrippa, è facilmente immaginabile il suo passaggio nei beni di Augusto a seguito del testamento di Agrippa, stilato nel 26 a.C.: da Dione Cassio27 sappiamo, infatti, che egli lasciò all’Imperatore ‘ la maggior parte dei suoi beni e alcuni fondi’. Quello che non possiamo sapere con certezza è se la villa fosse stata già ultimata al momento della morte di Agrippa o se i lavori fossero ancora in corso per completare le varie parti dell’articolato progetto. È certo, comunque, che il complesso residenziale fosse fruibile, sullo scorcio del I secolo a C quando un evento politico straordinario e inaspettato fece salire alla ribalta il nome dell’isola, allora chiamata Pandataria.

In realtà, come è oramai risaputo30, il coinvolgimento di Giulia va inserito in un più vasto contesto politico caratterizzato dalle mosse in atto per la scelta della successione ad Augusto. Il tutto incentrato nello scontro fra due opposte fazioni: da un lato i ‘Giuliani’, che sostenevano Gaio e Lucio Cesare, figli di Giulia e Agrippa, e dall’altro i ‘Claudiani’, Livia in testa, che sponsorizzavano Tiberio Claudio, figlio di Livia, allora seconda moglie di Augusto.

Era accaduto che Giulia, figlia di Augusto e della sua prima moglie Scribonia si fosse inimicata la corte imperiale con una condotta disinvolta, dal punto di vista morale, che, nel caso specifico, includeva anche la colpa di adulterio nei confronti del pur assente marito, il futuro Imperatore Tiberio che si era da tempo 27 

Cfr. Pani 1991, pp. 220 ss. Sen., De Ben., VI, 32. 30  Cfr. Pani 1991, p. 223. 28  29 

Dio Cass., LIV, 29, 45.

67

Introduzione alle antichità di Ventotene Per le accuse ricevute Giulia fu condannata, nel 2 a.C., all’esilio proprio nell’isola di Ventotene31. Questa soluzione ‘politica’, ben più lieve della pur possibile condanna a morte prevista per il reato di adulterio, fu individuata in un risvolto della legge, che era stato specificamente introdotto al momento della stesura, nel 18 a.C., della Lex Iulia de adulteriis et de pudicitia: ci si riferisce alla possibilità di condannare chi avesse contravvenuto alla legge non alla pena capitale ma alla relegatio ad insulam. Evidente appare quindi la volontà di formulare la legge in modo, a seconda della convenienza politica, da poter punire alla lettera, cioè con la morte, i colpevoli più scomodi e di avere la possibilità di correggere il tiro, sempre però nel rispetto giuridico della legge, nei confronti dei colpevoli per i quali non fosse opportuna, anche per motivi non solo politici, l’eliminazione fisica: così avvenne per Giulia.

costante manutenzione, senza cioè poter aspettare l’arrivo della nuova stagione, di fronte all’usura e ai guasti causati dalle condizioni ambientali, soprattutto l’azione combinata del vento, pioggia e salsedine. Se aggiungiamo l’ipotesi di un complesso non ancora del tutto ultimato, si può dire che il soggiorno di Giulia servì, sotto questo aspetto, a mettere in evidenza le immancabili inadeguatezze di una residenza nata per l’otium e troppo repentinamente trasformata, senza la possibilità di necessarie modifiche, in una struttura per continue e prolungate permanenze, per di più forzate.

Per quanto sinora detto sui rapporti pregressi tra Giulia, suo marito Agrippa e l’isola, non deve sorprendere la scelta di Augusto di relegare la figlia a Ventotene, trasformando, di fatto, l’allontanamento da Roma e l’isolamento in una sorta di ‘arresti domiciliari’, con tutte le implicazioni positive che ciò comportava. Per garantire e sottolineare, di fronte all’opinione pubblica, la massima sicurezza, cosa irrilevante in rapporto alla commutazione della pena di morte con l’esilio, Augusto in persona si affrettò a emanare regole severissime per il soggiorno di Giulia a Ventotene. Le misure appaiono chiaramente dettate più che altro dalla propaganda di regime, proprio perché irrealizzabili, e comunque incontrollabili, nella realtà dei fatti, soprattutto in rapporto al contesto topografico. Così le ricorda Svetonio32: «Quando Giulia venne relegata, (Augusto) le impedì l’uso del vino e di ogni delicatezza di vita, e non consentì che alcun uomo la avvicinasse, sia esso libero o schiavo, se non dopo che ne fosse stata fatta esplicita richiesta a lui in persona, e dopo essersi scrupolosamente informato sull’età, sul colore, sulla statura e persino sui segni particolari e sulle cicatrici di quella persona…».

Forte di questa esperienza, l’imperatore Tiberio dovette pensar bene di inserire stabilmente l’isola nel novero di quelle residenze utilizzate per l’esilio di personaggi di rango imperiale, visto il buon risultato dell’esperienza di Giulia: le fonti ci indicano, come si è visto, che il filone femminile fu quello privilegiato, quasi un’esclusiva, per Pandataria.

Ora ‘il dado era tratto’ e l’isola aveva retto, bene o male, all’impatto conseguenza del cambio di destinazione, gettando le basi e indicando le linee guida per una sua riutilizzazione, specifica e ufficiale, connessa alla relegatio ad insulam.

Si è parlato delle fonti: al proposito è opportuno sottolineare, anche se gli autori antichi non lo ricordano, che è probabile che l’isola, insieme a tante altre, venisse sfruttata non solo per l’esilio di personaggi di rango imperiale ma anche di figure di secondo e terzo piano legate al sottobosco della corte e della politica. I lavori per la radicale trasformazione degli impianti, infrastrutture e aree residenziali, dovettero probabilmente occupare gran parte dell’arco di tempo compreso tra il 14 d.C., elezione di Tiberio, e il 29 d.C., anno dell’esilio a Ventotene di Agrippina Maggiore: bolli di mattone dell’età tiberiana in strutture nevralgiche come quelle della rinnovata cisterna sul pianoro di Punta Eolo33, sembrano confermare come in quest’epoca fossero già avviati i lavori di ristrutturazione della villa.

Come noto, Giulia, relegata insieme a sua madre Scribonia, lasciò l’isola nel 3 d.C. per completare il proprio esilio a Reggio, dove morì nel 14 d.C.

Con l’improvviso e non preventivato esilio di Giulia si era potuto constatare che alcuni ambienti o interi settori dei padiglioni, realizzati a suo tempo per una fruizione intensa ma breve in cui erano coinvolti, come consuetudine per le ville d’otium, tutti i componenti della familia proprietaria della villa, si erano rivelati ora, per l’esiliata e il suo ristretto entourage, sovradimensionati sia architettonicamente che funzionalmente. Basti pensare ai grandi impianti delle terme, frigidari e calidari, per il cui funzionamento, esteso a tutto l’anno, sarebbe occorsa adesso, volta per volta, una gran quantità di acqua e di legname, insostenibile di trasformare ufficialmente l’isola in

Per la prima volta il complesso residenziale fu tenuto attivo non per pochi giorni l’anno ma per 5 anni consecutivi. In questo lungo lasso di tempo le condizioni di soggiorno dell’esiliata e del suo entourage dovettero essere messe a dura prova non tanto dalle rigide ma teoriche regole di comportamento, che abbiamo visto dettate da Augusto, e dalla valenza strutturale e funzionale dei singoli edifici e dei vari padiglioni della villa, quanto dalla necessità di una continua e 31  Sui rapporti tra l’esilio di Giulia e l’isola di Ventotene v. De Rossi 2000, p. 181 ss. 32  Suet., Aug., LXV, 6.

33 

68

Cfr. Medaglia cds.

G. M. De Rossi: La topografia archeologica di Ventotene romana

Figura 88. Ipotesi ricostruttiva della baia di Cala Rossano artificialmente attrezzata a porto.

se ridotto rispetto a quello normalmente utilizzato nel palazzo imperiale.

un luogo per l’esilio per le disponibilità dell’isola. Pertanto, a seguito di questa decisione, quegli stessi edifici, con le rispettive infrastrutture di supporto, si rivelarono assolutamente inadeguate in rapporto al numero dei fruitori e alla continuità d’uso.

Le prime infrastrutture su cui intervenire furono quelle legate agli approdi e all’acquedotto. Si doveva fare in modo che ora nell’isola potessero arrivare in qualunque momento navi con persone, derrate e materiali: queste stesse imbarcazioni non solo dovevano essere in grado di rimanere ormeggiate a lungo ma, insieme alle barche stabilmente ancorate nell’isola, dovevano essere sempre efficienti, pronte a salpare per qualsiasi evenienza. In più, trattandosi adesso di un’isola destinata ufficialmente alla relegazione, occorreva prevedere e mettere in atto le più elementari misure di sicurezza per evitare tentativi di evasione, certamente più organizzati di quello, abbozzato in maniera maldestra, come ricorda Svetonio34, da due oscuri figuri, tali Audasio ed Epicado, per liberare Giulia, vagheggiando di far scoppiare, dopo l’eventuale avvenuta liberazione, addirittura una rivolta a Roma.

L’architetto romano risolse il problema ridistribuendo le utenze: da un lato vennero realizzati appositamente ex novo, per l’uso personale dell’esiliata di turno, un calidarium e una natatio di piccole dimensioni, dall’altro furono restaurati e adeguati i vecchi grandi impianti legati all’uso dell’acqua calda e fredda, destinandoli ora all’uso collettivo dell’entourage, con o senza la presenza dell’esiliata. Ma anche tutti gli altri impianti dell’isola si mostrarono, a una semplice verifica, insufficienti per il nuovo compito cui sarebbero stati chiamati. La scacchiera topografica da riprogettare avrebbe dovuto tenere conto dell’accresciuto numero di persone destinate a risiedere a Ventotene. Non solo era previsto che ora dimorasse stabilmente il numeroso personale addetto alla manutenzione ordinaria del complesso residenziale ma si doveva contemplare il soggiorno della relegata di turno, di rango imperiale, con tutto il suo seguito, adeguato per una lunga permanenza, anche

Al fine di esaudire queste necessità furono realizzate strutture apposite. Per aumentare la possibilità di far attraccare nell’isola navi, anche di dimensioni medio grandi, si dovette attrezzare la baia di Cala 34 

69

Suet., Aug., IXX.

Introduzione alle antichità di Ventotene Rossano (Figura 43), l’unica, per le sue naturali dimensioni, in grado di rispondere a questa esigenza. Furono così realizzate, modellando il perimetro tufaceo, banchine per l’attracco e di delimitazione della cala (Figura 88): alle spalle di quest’ultima si realizzò, in un ampio spazio pianeggiante, un’area attrezzata per lo stoccaggio delle merci. Proprio a ridosso di quest’area, verso nord, è stata individuata e scavata, negli interventi degli anni 2001/2005, una fornace35 di cui rimaneva solo la camera di Figura 89. La camera di combustione della fornace a Cala Rossano. combustione (Figura 89) essendo stata quella soprastante di cottura stradale così da consentire le comunicazioni, compreso completamente demolita nel tempo e sostituita da un il trasporto di merci, tra i due punti: il risultato fu quello cascinale, che ha, almeno, favorito la conservazione di ottenere un unicum infrastrutturale, particolarmente delle strutture sottostanti. strategico per l’accesso all’isola in qualunque condizione meteomarina. La scelta del luogo era strategica in quanto la fornace si veniva a trovare a contatto con il più grande bacino Per garantire il rimessaggio e la manutenzione costante portuale dell’isola, in un punto in cui una diramazione delle imbarcazioni si dovette allargare e approfondire dell’acquedotto consentiva adeguati rifornimenti, la rientranza scavata originariamente alle spalle della necessari in un impianto per la lavorazione e produzione bocca del porto artificiale, così da ottenere un vero e dei laterizi; in più, sarebbe stato agevole sia smistare, proprio bacino di alaggio. via terra o con chiatte, i prodotti nei vari padiglioni dell’isola, sia stoccarli nella vicina area alle spalle della La bocca del porto artificiale fu munita di una torre baia. dalla quale era possibile manovrare, secondo i già ricordati dettami di Vitruvio (v. p. 57), delle catene per La presenza di una fornace, adibita prevalentemente sbarrare l’accesso al bacino portuale: l’impianto, che alla produzione di laterizi di ogni tipo, mattoni, tegole, avrebbe consentito anche di illuminare con un apposito coppi e tubazioni, garantiva all’isola un’autonomia punto luce ricavato sulla sommità, e quindi controllare sufficiente per poter realizzare piccole nuove strutture anche di notte, le manovre in entrata e in uscita36. La o per far svolgere al personale addetto le manutenzioni struttura doveva fungere più che altro come deterrente, ordinarie e straordinarie nei singoli padiglioni del considerando che, in sostanza, non sarebbe stato facile complesso residenziale. predisporre una fuga dal piccolo porto di Ventotene senza dare nell’occhio a coloro che erano incaricati di Per aumentare la possibilità di raggiungere comunque sorvegliarlo. l’isola, anche in presenza di venti contrari, dovette essere realizzato un punto di attracco nel versante opposto a L’impegno maggiore per l’architetto romano incaricato Cala Rossano, verso ovest, nell’insenatura naturale di della rimodulazione del complesso residenziale dovette Parata Grande, il cui limite a mare doveva allora essere essere certamente quello di adeguare il quantitativo di notevolmente più avanzato rispetto a quello attuale, acqua da raccogliere, conservare e infine distribuire come indicano chiaramente ancora oggi i segni di per le esigenze dei nuovi, numerosi e in gran parte secolari crolli e cedimenti, non ancora terminati: anche pressoché stabili inquilini dell’isola. qui si dovette intervenire modellando banchine e terrazzamenti tagliando il tufo, particolarmente tenero Potendo contare anche questa volta sulla sola al punto di favorire nel tempo gli smottamenti di cui si risorsa delle piogge, all’architetto non rimaneva è parlato. che l’espediente di aumentare i punti di raccolta, cercando così di captare la maggior quantità possibile Approfittando della ridotta distanza tra le due cale d’acqua. Le carte vincenti di questa sfida furono due: opposte, poco più di 300 m, si scavò nel tufo un tunnel 35 

Cfr. De Rossi cds (b).

36 

70

Cfr. De Rossi cds (b).

G. M. De Rossi: La topografia archeologica di Ventotene romana

aumentare il numero dei grandi serbatoi iniziali di raccolta, dislocandoli strategicamente nell’isola così da garantire, ai settori di maggiore densità residenziale e alle principali infrastrutture, risorse autonome da aggiungere a quelle di base, già esistenti; moltiplicare, e di molto, i compluvi lungo le direttrici del condotto principale e delle varie diramazioni, abbinandoli a vecchie cisterne o creando nuovi abbinamenti compluvio-cisterna37.

il serbatoio mentre sul sovrastante piano di campagna si realizzò il compluvio. Se del serbatoio, franato quasi completamente a mare insieme al sovrastante compluvio, si potevano cogliere sino ad alcune decine di anni fa tracce sulla fronte della falesia, del sistema di alimentazione idrica che partiva dall’impianto si rintracciano ancora oggi significative testimonianze di condotti, compluvi e cisterne. Egualmente, i vari padiglioni residenziali, opportunamente rimodulati in questa seconda fase di vita della villa (v. oltre) avevano bisogno, per venire incontro alla loro aumentata fruibilità annuale, di un’autonoma alimentazione idrica che integrasse quella, ora più ridotta perché maggiormente frazionata per tutta l’isola, legata all’originario impianto dell’acquedotto. In questa ottica vanno visti il raddoppio del serbatoio iniziale dei ‘Carcerati’, la realizzazione ex novo di un altro a Piazza Castello, al disotto della Fortezza Borbonica che ha finito per inglobarlo: questi enormi conserve, in aggiunta ai numerosissimi compluvi dislocati lungo i rami della rete idrica dell’isola contribuirono non solo ad aumentare la quantità d’acqua disponibile ma anche a garantirne la fruizione per tutto l’anno senza soluzione di continuità.

Per quanto riguarda i serbatoi, la prima mossa fu quella di raddoppiare la vecchia cisterna, detta poi dei ‘Carcerati’, scavando egualmente nel banco tufaceo un altro grande contenitore, distante 300 m da quello preesistente e ad esso collegato mediante un condotto scavato nel tufo: anche questo secondo serbatoio fu dotato di un compluvio la cui superficie era in grado di raccogliere 2400 mc di acqua piovana. In tal modo si ottenne, automaticamente, il raddoppio della quantità d’acqua da immettere nel condotto principale da cui, oltre alle vecchie diramazioni, si irradiavano ora nuovi cunicoli diretti in più punti dell’isola. I due grandi serbatoi, ancora ben conservati e scavati tra gli anni 1990 e 2005, sono entrati nella storia dell’isola con i nomi di ‘Cisterna dei Carcerati’, quello originario, e di ‘Villa Stefania’: quest’ultimo nome è dovuto alla costruzione, agli inizi del XX secolo, di una palazzina intitolata alla moglie, Stefania, del costruttore dell’edificio, l’ing. Luigi Iacono.

Un sistema così articolato, concepito quasi in modo da avvolgere e racchiudere in una sorta di ‘cordone idraulico’, con all’interno un reticolo di condotti, tutta l’area della villa, sembra da mettersi in relazione con una duplice esigenza. Da un lato l’opportunità di moltiplicare le eventuali utenze, per lo più mediante pozzi e cisterne, lungo i tracciati e dall’altro la necessità di poter sempre avere in funzione almeno una diramazione dell’acquedotto in occasione di singoli, o plurimi e concomitanti, guasti o interruzioni che obbligavano a interventi di manutenzione straordinaria. In fase di realizzazione dell’intero impianto, riveduto e ampliato in previsione di una utilizzazione continuata della residenza come luogo di esilio, le esigenze di approvvigionamento idrico, praticamente per i soli cantieri allora operanti nell’isola, vennero assolte dal serbatoio originario dei Carcerati che poteva garantire acqua a sufficienza.

Particolarmente strategica fu la scelta di collocare altri serbatoi iniziali in rapporto diretto con le aree portuali e il promontorio della Polveriera, dove, come si è visto, era ricavato un padiglione della villa con sottostante peschiera. Il porto artificiale, la baia attrezzata di Cala Rossano e quella contrapposta di Parata Grande formavano ora un’unica grande infrastruttura per gli approdi e gli ormeggi, anche di lunga durata, nell’isola: la prima e la seconda struttura erano affiancate, così da essere funzionali l’una per l’altra; la seconda e la terza potevano essere complementari l’una all’altra essendo collegate tramite un tunnel che sfociava nell’area portuale attrezzata, alle spalle di Cala Rossano. Non dovendovi mai mancare l’acqua, vista la loro importanza, si era reso necessario creare un apposito serbatoio, rifornito da un grande compluvio, che assolveva al compito di alimentare, tramite apposite condutture, i terminali idrici, vasche e fontane, inseriti sulle fronti delle aree portuali. La scelta cadde sul pianoro sovrastante Parata Grande, allora molto più esteso di quello odierno perché il limite della cala doveva, come si è detto, essere notevolmente più avanzato rispetto a quello attuale: all’interno del banco tufaceo venne ricavato 37 

Sin qui si è parlato di un sistema di alimentazione idrica basato su di un acquedotto che con le sue varie articolazioni serviva tutte le aree residenziali e le infrastrutture dell’intero complesso demaniale imperiale. A ciò si devono aggiungere delle risorse idriche autonome, sempre però al servizio delle pertinenze imperiali: ci si riferisce a impianti di raccolta, conservazione e distribuzione delle acque meteoriche dislocati in punti strategici che, favoriti dalla particolare geomorfologia e topografia dei luoghi, erano in grado di sfruttare declivi e terrazzamenti

Cfr. De Rossi cds (a).

71

Introduzione alle antichità di Ventotene naturali, artificialmente attrezzati mediante appositi livellamenti e muri di contenimento, sia per sostruire le aree che per sfruttarle come ideali compluvi.

quelle termali; in seconda istanza venivano poi l’apparato abitativo e i giardini ad esso connessi. Muovendosi con destrezza tra le quote del pianoro e del successivo avvallamento che precedevano le aree termali e residenziali, l’architetto finì per ricavare un vastissimo compluvio destinato ad alimentare un sottostante invaso artificiale che terminava proprio a ridosso dei servizi degli impianti termali39.

Il tutto rientrava nel quadro programmatico, quasi ossessivo, che imponeva di disperdere la minor quantità possibile di acqua, arrivando ad accumulare riserve idriche, apparentemente in esubero, da utilizzare nei momenti di scarsa piovosità. Naturalmente i luoghi privilegiati erano quelli situati all’interno dei complessi residenziali, in primis a Punta Eolo, e, a seguire, alla Polveriera.

Non indifferente dovette essere anche la rimodulazione dei padiglioni residenziali veri e propri. Per Punta Eolo, oltre a una rivisitazione generale degli edifici preesistenti, con probabili interventi di consolidamento delle strutture, si dovette provvedere a integrare l’ordito architettonico con ambienti ora calibrati sulla nuova realtà incentrata su di una fruizione continuata.

Per capire questo atteggiamento non si possono non prendere in considerazione le parole di Plinio il Giovane38 che in una lettera si lamentava che, a causa della mancanza di acqua corrente assicurata da una sorgente, la sua villa al Laurentino era carente sia nelle esigenze legate all’utilitas, vale a dire al fabbisogno della casa, quindi cucina, orti, terme, latrine, ecc., che in quelle relative all’amoenitas la quale coinvolgeva tutto ciò che afferiva alla sfera della bellezza e del piacere, come fontane, euripi, ninfei, giochi d’acqua, ecc.. Per dirla con Plinio, quindi, utilitas e amoenitas dovevano convivere e compenetrarsi nell’arredo ambientale di una villa: i due elementi dovevano essere previsti programmaticamente in qualunque progetto di edilizia privata, figurarsi poi in quella imperiale. Ne derivava, pertanto, che l’acqua per l’utilitas, cioè per la fruizione legata ai bisogni quotidiani, era assolutamente necessaria, mentre quella per l’amoenitas, destinata al piacere materiale ed estetico sia per i proprietari che per gli ospiti, non poteva, comunque, mancare in una villa d’otium degna di questo nome.

L’attuale stato di fatiscenza di gran parte dei resti della villa non consente oggi di cogliere l’ossatura di questi interventi, se si eccettua parte del settore termale (Figure 90, 91), dove gli scavi degli anni ‘90 del secolo scorso hanno permesso di individuare la successione di più fasi (Figure 92, 93). Sia per il calidario che per il frigidario i resti scavati hanno testimoniato la volontà dell’architetto di inserire nel preesistente mosaico topografico nuovi tasselli che venissero incontro alle necessità di luxuria personale per le esiliate di turno. Ecco quindi per il settore del calidario il rifacimento di un precedente grande impianto con piscina calida, fruibile anche per tutto il seguito residente nella villa, e l’aggiunta di un piccolo calidario (Figura 94), munito di alveus riscaldato da un’apposita adiacente caldaia, destinato all’uso personale dell’esiliata. E’ probabilmente qui che nel 62 d.C. trovò la morte Ottavia moglie di Nerone, inviata a Ventotene in esilio principalmente per le insistenze e le pressioni di Poppea, amante dell’Imperatore, sotto l’accusa, mai provata, di adulterio con Aniceto, ammiraglio della flotta di Miseno. Poco tempo dopo l’arrivo nell’isola, Poppea, non paga, istigò Nerone a decretare la morte di Ottavia. Così Tacito40 racconta la sua fine: «…Trascorsi pochi giorni, le viene significato l’ordine di morire. Non vale protestare… Viene avvinta nei lacci: in ogni parte del corpo sono recise le vene; poiché il sangue, ristagnato nel gelo del terrore, lento colava, è fatta morire nel bollore del caldissimo bagno».

Da qui non si scappava, per cui, a Ventotene, l’architetto si mise al lavoro per individuare nelle pieghe del tessuto geomorfologico dell’isola tutti quei punti in grado di consentire la raccolta di acqua meteorica da immettere in apposite cisterne: il tutto al di fuori e a complemento dell’approvvigionamento idrico affidato alla rete ufficiale dell’acquedotto. Proprio nel ‘cuore’ dell’area residenziale, a Punta Eolo, l’architetto dovette dare il meglio di se puntando alla massima funzionalità sfruttando le potenzialità naturali dell’area: per ottenere ciò assecondò la naturale geomorfologia dei luoghi, anche a costo di rinunciare, una volta tanto, alla ricerca di una scenografia architettonicamente modulare e rigorosamente schematica.

Anche nell’area del frigidario l’architetto romano ritagliò un apposito spazio, che per l’esistenza di precedenti strutture risultò di un’anomala forma trapezoidale, in cui inserire una piccola natatio (Figura

In questo caso, relativamente alle esigenze dell’utilitas, si trattava di accumulare la maggior quantità possibile di acqua meteorica da destinare alle fruizioni principali e più bisognose di acqua, che erano, nello specifico, 38 

39 

Plin., Epist., II, 17, 25.

40 

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De Rossi cds (a). Tac., Ann., XIV, 64.

G. M. De Rossi: La topografia archeologica di Ventotene romana

Figura 90. La fronte occidentale delle terme di Punta Eolo.

Figura 91. Le terme di Punta Eolo viste da sud.

73

Introduzione alle antichità di Ventotene

Figura 92. Il settore meridionale delle terme a Punta Eolo.

Figura 93. Il settore settentrionale delle terme a Punta Eolo.

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G. M. De Rossi: La topografia archeologica di Ventotene romana

Figura 94. Il nuovo calidario delle terme a Punta Eolo: qui, secondo Tacito, sarebbe morta Ottavia.

53): anche in questo caso le dimensioni la indicano come destinata a uso personale. È da ipotizzarsi che, come per il settore del calidario, anche qui esistesse una piscina molto più ampia destinata a più persone, verosimilmente le ancelle al seguito, con o senza l’esiliata di turno: tracce non sono più riscontrabili dato che tutta la parte occidentale di questo settore degli impianti termali è, nel tempo, precipitata a mare a seguito del progressivo cedimento della linea di costa.

Sir William Hamilton depredò sistematicamente le vestigia dell’isola, in particolare quelle di Punta Eolo, asportando numerosissime opere d’arte, quasi tutte poi disperse. E’ possibile, comunque, tracciare un profilo generale della disposizione dei vari settori della villa distesi sul promontorio di Punta Eolo. Schematicamente l’impianto può essere suddiviso in tre zone distinte ma architettonicamente legate fra loro così da configurare un unicum scenografico. Una zona, a sud, a ridosso dell’attuale cimitero, utilizzata come ‘area dei servizi’ (vedi p. 60); una, a nord, sulla fettuccia avanzata del promontorio, ove fu disegnato il ‘cuore’ della villa; una, intermedia, inserita in un avvallamento naturale

Gli stessi crolli, le secolari devastazioni e i dissennati sterri ottocenteschi hanno prodotto la rovina e la spoliazione dei resti monumentali della parte settentrionale della villa. Soprattutto dannosa si è rivelata la seconda metà del secolo XVIII, allorquando 75

Introduzione alle antichità di Ventotene

Figura 95. Stucco proveniente dall’area termale di Punta Eolo raffigurante un pugilatore.

quantità di frammenti di intonaci e stucchi (Figura 95) spettanti all’arredo decorativo dei vari ambienti41.

e composto da specifici e autonomi impianti per la raccolta dell’acqua piovana destinati a strutture legate all’utilitas e all’amoenitas.

Al di là delle risultanze del rigoroso esame scientifico di questi reperti, ci si può cullare nella suggestione che la loro diversificazione, cronologica e tipologica, sia da considerarsi in qualche modo figlia della innata raffinatezza delle esiliate di turno e della loro necessità di adeguare i gusti personali alle mode dell’epoca.

Gli scavi degli anni 1990-2005 hanno interessato le parti più conservate del complesso, vale a dire il settore termale e quello dei servizi: le altre aree, il cui sfaldamento prosegue anche oggi, sono state rilevate e studiate negli anni ‘80 del secolo scorso, quando ancora la loro ‘lettura’ topografica era più agevole.

Chi erano queste donne esiliate di rango imperiale che seguirono, nella sventura, le orme di Giulia?

È nel corso di questi scavi, prevalentemente nell’area delle terme, che si è potuta recuperare una gran

41 

76

Cfr. De Vos, Maurina cds (a).

G. M. De Rossi: La topografia archeologica di Ventotene romana

Secondo le fonti ufficiali la prima a mettere piede nella residenza di Pandataria, da poco attrezzata per venire incontro ufficialmente alle esigenze di soggiorni prolungati, fu Agrippina Maggiore, nel 29 d.C. In quell’anno l’imperatore Tiberio, su pressione di Seiano, come racconta Svetonio42, fece condannare all’esilio Agrippina Maggiore, figlia di Agrippa e Giulia, nonché moglie di Germanico, accusata di insubordinazione. Morì nell’isola nel 33 d.C.: neppure la notizia del suo decesso placò l’animo di Tiberio, che anzi accusò la defunta di aver condotto vita dissoluta anche durante l’esilio.

anche della sola corte imperiale: nel caso specifico, vista l’adesione di Flavia Domitilla al Cristianesimo risultava più difficile ricorrere alla solita accusa, per cui questa volta si escogitò un inedito binomio religioso-politico. Ventotene dovette mantenere comunque l’esclusiva, o quasi, come sede per l’invio in esilio di donne di rango imperiale. Nel primo clamoroso caso, quello di Giulia, le accuse di immoralità, facili da provare anche se in parte inesistenti, avevano fatto da accertare a motivazioni politiche, non sempre semplici da provare, finendo per creare un valido mix di motivazioni giuridiche; per le altre donne, viceversa, il solo ricorso alle stesse accuse di impudicitia costituiva palesemente un pretesto, sufficiente per condannare e proseguire nella tradizione della relegatio ad insulam, ovviamente a Pandataria.

Come si vedrà, una riabilitazione di Agrippina si avrà nel 37 d.C. ad opera di suo figlio, Caligola, appena eletto Imperatore. Questo atto filiale contrasterà, di lì a poco, con l’inspiegabile invio, nel 39 d.C., nell’esilio di Ventotene di una delle sue sorelle, Livilla. Secondo quanto riporta Cassio Dione43, la sventurata era stata accusata, ancora una volta secondo il solito cliché, di condotta immorale. Fu richiamata dall’esilio nel 41 d.C. per volere di Claudio, subito dopo la sua proclamazione: fu poi fatta uccidere l’anno dopo dallo stesso Imperatore con l’accusa di aver preso parte a una fantomatica congiura di palazzo44.

Specchio di contesti storici mutati può quindi essere l’esilio di Flavia Domitilla: qui, di fronte a seri motivi legati a problemi di governabilità di Roma e di delicati equilibri politici, Domiziano dovette seguire due vie diverse. Prima condannò a morte suo cugino, Flavio Clemente, ritenuto poco fedele alla causa dell’Imperatore e direttamente coinvolto nella rete di una congiura di Palazzo, poi relegò sua moglie a Pandataria: come già accennato, in questo caso risultando non facile trovare prove di condotta immorale in una persona sospettata di appartenenza, o quanto meno di simpatia, verso il Cristianesimo, si ricorse all’accusa di adesione a questa nuova religione per condannarla. Ora si trattava non di due amanti, come, al tempo di Augusto, per Iullo Antonio e Giulia, ma di due coniugi inseriti ufficialmente nell’apparato imperiale e ritenuti, per ragione di Stato, passibili di condanna. Le pene furono, come era già avvenuto per Iullo (fatto ‘suicidare’) e per Giulia (esiliata a Ventotene), diversificate. La partecipazione di Clemente a una congiura di Palazzo, basata, come ricordano le fonti (Suet. Dom. 15, 1), su di una tenuissima suspicio, e forse proprio per questo non ritenuta sufficiente, fu supportata da un’accusa di ‘ateismo’, impietas come la chiama Dione Cassio (Dio. Cassio, 67, 14, 1). Questo mix, sapientemente confezionato, valse a Clemente la condanna a morte. Per la moglie Flavia Domitilla46, l’unica accusa avanzata, cioè quella di vicinanza al Cristianesimo, anche qui solo sospettata, consentì all’Imperatore, come era già accaduto per Giulia, in quel caso in quanto figlia di Augusto, di mitigare la pena alla sola relegatio ad insulam, richiamandosi a legami di parentela con la dinastia, dato che Flavia Domitilla era nipote di Domiziano. In conclusione anche in questo caso a perdere la vita fu l’uomo, comunque pericoloso per la stabilità politica, mentre la donna, per espiare la sua colpa, tutto sommato più manipolabile, per la

Solamente dopo poco più di venti anni le fonti ufficiali45 tornano a ricordare un’altra donna di rango imperiale esiliata a Ventotene: si trattava di Ottavia, relegata nell’isola nel 62 d.C.: della sua fine s’è già detto. Addirittura dopo circa trenta anni la storiografia ufficiale ci fa conoscere il nome di un’altra donna dell’entourage imperiale inviata in esilio a Ventotene. Si trattava di Flavia Domitilla, inviata nell’isola nel 95 d.C. per volere di Domiziano (Dio Cass., LXVII, 23). L’Imperatore, per allontanare da Roma sua nipote, Flavia Domitilla, moglie di Flavio Clemente, questa volta aveva preso a pretesto l’accusa di ‘ateismo e giudaismo’, sinonimi, rispettivamente, di empietà nei confronti della religione di Stato e di adesione al Cristianesimo: l’accusa si andava ad aggiungere al sospetto che i due, marito e moglie, avessero preso parte a una congiura di palazzo ordita da altri componenti della famiglia imperiale. Dal resoconto degli avvenimenti riportati dalle fonti si possono dedurre alcune considerazioni. Innanzitutto sembra evidente che fosse andato progressivamente scemando l’utilizzo delle accuse di immoralità per sbarazzarsi degli avversari: o direttamente, se donne coinvolte in prima persona, o indirettamente, se donne in qualche modo compromesse perché legate a personaggi pericolosi per la stabilità Suet., Tib., LIII. Dio Cass., LIX, 22, 8. 44  Cfr. Garzetti 1960, p. 120. 45  Tac., Ann., XIV, 63. 42  43 

46 

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Sulla figura di Flavia Domitilla v. da ultimo Biffi 2012.

Introduzione alle antichità di Ventotene scelta della pena, da parte del potere centrale, come già era avvenuto per Giulia, rispetto alla congiura, fu inviata in esilio nella piccola isola. Questi eventi, in cui si mescolavano ragioni di Stato, leggi congiura, e motivi ideologici-religiosi, leggi adesione al Cristianesimo, ben si armonizzavano con il mutamento storico verso cui si era avviata la politica di Domiziano che puntava ora su un effettivo ‘stato d’equilibrio’ fra le varie componenti dell’aristocrazia romana47: non si potevano pertanto tollerare incrinature, né politiche né ideologiche, all’interno della cerchia imperiale, pena la morte per i diretti interessati e l’esilio per i parenti dei colpevoli.

come garanzia di veridicità storica, in cui campeggia il nome di Giulia: secondo queste ricostruzioni di comodo si è sempre voluto legare direttamente e unicamente alla sventurata figlia di Augusto monumenti pur palesemente contrastanti tipologicamente e cronologicamente con l’epoca di Giulia50. Questo escamotage storico, semplice e comodo per condensare acriticamente in un solo nome personaggi ed eventi che hanno attraversato nel corso dei secoli la storia di un luogo, non si è fermato qui per Ventotene. Se per l’epoca romana prevalse la suggestione, per cui i principali monumenti presero il nome della prima esiliata dando vita a ‘Villa Giulia’ e al ‘Bagno di Giulia’ a Punta Eolo e ‘Vasca Giulia’, a Santo Stefano, per le epoche successive ci si è appoggiati a testimonianze concrete verificabili e perpetuate nel tempo. Basti pensare quanto, in epoca moderna e contemporanea, si è verificato e continua a verificarsi, per il ricordo, nello stesso ambito di Ventotene allargato all’isolotto di Santo Stefano, di fenomeni di prigionia legati a singoli personaggi simbolo che hanno colpito, più di altri, l’immaginario perché, mentre maturavano la condanna si erano particolarmente impegnati per il superamento delle ingiustizie di cui erano vittime. Così Luigi Settembrini, che testimoniò le brutalità di un regime carcerario come quello borbonico51 instaurato nell’Ergastolo di Santo Stefano e Altiero Spinelli che, durante il confino fascista, delineò, a Ventotene, un’idea di unità fra le nazioni europee in grado, mediante la pacifica e costruttiva intesa fra i popoli, di scongiurare i rischi di un’altra catastrofe bellica52. Ancora oggi questi due personaggi continuano a incarnare e simboleggiare le schiere di vittime, note, meno note, volutamente ignorate o anonime, che hanno patito la stessa dolorosa condizione a Ventotene e nell’adiacente isolotto di Santo Stefano.

Flavia Domitilla non morì a Ventotene ma tornò a Roma. Non siamo in presenza, pertanto, a differenza della ipotizzata omonima relegata a Ponza e poi uccisa per la sua fede cristiana a Terracina48, di una martire ma di una donna che molto probabilmente fu la prima persona che portò, e forse lasciò, un segno della nuova religione a Ventotene. Fu certo solo una fiammella: si dovranno attendere circa tre secoli prima che il Cristianesimo trovi nell’isola il suo faro di riferimento, cioè Santa Candida di origine cartaginese, e poco importa se il racconto del suo martirio, che la legherà a Ventotene, risulta fra quelle narrazioni agiografiche considerate palesemente false49. Quali furono le conseguenze della presenza di tutte queste esiliate sulla topografia e sulla storiografia di Ventotene? Si è già detto della necessità di rimodulare tutto il complesso residenziale e si è altresì sottolineato che le donne ricordate dalle fonti dovrebbero considerarsi solo l’impianto del telaio storico in cui dovevano essere inserite, con molta probabilità, figure di secondo e terzo piano, nemmeno sfiorate dalle citazioni delle fonti. Quest’ultimo aspetto non deve sorprendere perché rientra nella logica della sintesi storica. Molto spesso un personaggio, quello ritenuto il più indicativo o il più suggestivo, viene scelto come simbolo di un fenomeno, nel nostro caso l’esilio e la prigionia, da tramandare alla Storia come emblema di un evento che, con altre figure, si è riproposto nel tempo coinvolgendo centinaia di persone: nel grande libro della Storia alcune di loro sono state riportate in maiuscoletto, altre in caratteri normali, altre in minuscolo e altre, in genere in gran numero, non trascritte affatto.

Le donne di rango imperiale, ricordate dalle fonti, con le rispettive schiere di cortigiane costrette a soggiornare a Ventotene e le altre persone, di cui i testi antichi tacciono, esiliate nello stesso luogo, hanno contribuito a cambiare l’originaria facies abitativa dell’isola. Repentinamente Ventotene vide aumentare il numero delle persone, questa volta non per un breve soggiorno ma per una residenza stabile. Oltre alla ristretta cerchia di inservienti e ancelle che accompagnava l’esiliata di turno, e che quindi variava di volta in volta di numero, si deve considerare la quantità di uomini e donne che mandava avanti la vita e l’amministrazione nell’isola. Ci si riferisce al numerosissimo personale che curava la manutenzione ordinaria e straordinaria delle residenze e delle infrastrutture dell’isola; agli incaricati alla sicurezza e al controllo della linea di costa e dell’intera

Per Ventotene, il solo nome di Giulia è sempre bastato per condensare in un solo personaggio fatti e misfatti che nel I secolo d.C. videro l’isola di Ventotene al centro di esili imperiali, alcuni conclusi tragicamente. Basti pensare quanti monumenti, soprattutto sulla scia di tradizioni erudite dei secoli XVIII e XIX, vengano ancora oggi indicati nell’isola con l’emblematica targhetta, spacciata Garzetti 1960, pp. 249 ss. Sulla veridicità o meno di queste narrazioni cfr. da ultimo Lacam, Quadrino 2016, pp. 131 ss. 48  Le isole Pontine 1986, pp. 223 ss. 49  Le isole Pontine 1986, p. 225. 47 

Tricoli 1885, pp. 26-27; Mattej 1857, pp. 100-106. Settembrini 1962. 52  Gargiulo 2009. 50  51 

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G. M. De Rossi: La topografia archeologica di Ventotene romana

isola, con particolare attenzione agli approdi; agli addetti alla produzione e allo sfruttamento del territorio per le risorse agro alimentari; all’apparato amministrativo che aveva giurisdizione, per conto dell’Imperatore, sull’isola e su tutte le persone a qualunque titolo residenti o presenti, pro tempore, a Ventotene. Per quest’ultimo aspetto si possiede un documento archeologico dato da un’iscrizione funeraria trovata nell’isola nel 1771, ora conservata nel Museo di Napoli53. Si ricorda un tal Metrobio, liberto imperiale, che sovrintese ai possedimenti di Pandataria. Pur nell’incertezza data dal termine praefuit, evidentemente legato al tono celebrativo ed elogiativo dell’iscrizione, si può ritenere che si sia in presenza di un Procurator patrimoni, incaricato dell’amministrazione dell’isola in quanto proprietà privata dell’Imperatore. È questa una carica, svolta sempre da liberti, che viene ricordata in iscrizioni legate ad altri luoghi, specificamente isolani: così dicasi ad esempio per Capri54.

così composti: abitanti liberi, cioè gli ex coloni per il periodo borbonico e i residenti abituali per l’epoca fascista; abitanti relegati, vale a dire i galeotti per il periodo borbonico e i confinati politici per il fascismo; presenze militari, cioè guardie carcerarie e guarnigione stabile per il periodo borbonico, miliziani e guardie carcerarie per il confino fascista; ristretta cerchia di funzionari, cioè Governatore e apparato amministrativo per il periodo borbonico, Podestà e Direttore della colonia confinaria per l’epoca fascista. Certo, in epoca romana erano ben diverse le condizioni di vita delle esiliate: per loro si può parlare, se non proprio di ‘esilio dorato’ almeno di ‘arresti domiciliari’, in una dimora di tutto rispetto: per loro, come si è visto dalle fonti, l’imponderabile poteva venire dal mutevole atteggiamento di chi le aveva relegate che, improvvisamente, o per scelta personale o a seguito di insistenti suggerimenti interessati, vedi l’esempio di Ottavia, poteva portare alla decretazione della pena di morte. Normalmente, come sembrano suggerire alcune delle parole contenute nella già ricordata lapide di Metrobio, la convivenza dell’eterogeneo gruppo di persone residenti a qualunque titolo a Pandataria, doveva scorrere sui binari della tranquillità, nel rispetto dei ruoli che la ragion di Stato aveva tracciato: ben altra cosa, come testimoniato dalle pagine di Luigi Settembrini (v. nota 53), sarà la cupa atmosfera che aleggerà in epoca borbonica nell’ergastolo di Santo Stefano, allora centro del regime carcerario ventotenese, o il grigiore generale del confino fascista, che avvolse in quegli anni gli specifici padiglioni confinari e il resto dell’isola.

L’iscrizione trovata a Ventotene offre lo spunto per una singolare considerazione. Gli abitanti di Pandataria, come ricorda la lapide, mostrano di nutrire una sincera riconoscenza e ammirazione verso Metrobio che aveva «concesso al popolo leggi sagge e più giuste» e che aveva recato ‘benefici’ all’isola55. Ne esce un quadro sociale caratterizzato dalla presenza di serenità e riconoscenza, sentimenti che contrastano con un’atmosfera di rigidità e grigiore che ci saremmo aspettati in un luogo in cui la ragione di vita era circoscritta all’ esilio forzato. Possiamo quindi ipotizzare che l’ambiente naturale e specifiche doti umane di chi era preposto al governo dell’isola abbiano finito per coinvolgere in una serena convivenza anche le donne esiliate, stemperando la durezza di una lontananza dagli agi della corte imperiale.

La ‘cittadella’ di Ventotene, brulicante di persone impegnate in ben precisi compiti, dovette adeguare a questa nuova realtà anche la quantità delle risorse necessarie alla sopravvivenza e in particolare rivedere la frequenza e le modalità dei rifornimenti alimentari, acqua compresa.

Con lo sviluppo e i cambiamenti dovuti agli interventi strutturali della seconda fase di vita dell’isola, iniziati con Tiberio, Ventotene si trasformò da un impianto pensato e finalizzato per una villa d’otium a una sorta di ‘cittadella’, a fruizione urbana, in cui ogni singolo gruppo presente svolgeva la propria attività in comparti distinti ma sempre funzionali alla fruibilità del territorio.

Dell’approvvigionamento idrico si è già detto. Le quantità di vettovaglie che dovevano ora essere importate necessitavano di un luogo capiente e sicuro per la conservazione, in attesa delle calibrate distribuzioni ai singoli settori del complesso residenziale.

Il volano che aveva generato tutto questo va identificato nella nuova destinazione d’uso dell’isola, divenuta ora luogo ufficiale per l’esilio di personaggi di rango imperiale. Nel fenomeno vediamo in controluce quello che sarà il DNA dell’isola per i secoli futuri: Ventotene, come si è già accennato, sia nell’epoca borbonica che durante la parentesi fascista si ritaglierà addosso, pur con le dovute diversificazioni figlie dei tempi, uno specifico modus vivendi incentrato nella coesistenza e convivenza, ancorché forzata, tra gruppi eterogenei

Si dovettero, pertanto, creare dei grandi magazzini ufficiali, gli horrea, in cui stoccare le tipologie alimentari, come grano, cereali, vino, olio, che maggiormente dovevano temere la calura e l’umidità, elementi che dominavano nell’isola per gran parte dell’anno. L’area più idonea, teoricamente, doveva trovarsi a non molta distanza dal porto, punto obbligato di arrivo delle derrate nell’isola, e a quota tale da godere, con le opportune precauzioni, dei venti non caldi, utili per la ventilazione, e da sfuggire all’umidità marina56.

Le isole Pontine 1986, p. 39. Federico, Miranda 1998, 306, 307. 55  Cfr. De Rossi 1999, p. 99. 53  54 

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79

De Rossi cds (b)

Introduzione alle antichità di Ventotene L’accertata presenza, a seguito di lavori di movimentazione terra, di estese strutture murarie, conservate a circa quattro metri di profondità, in un’area compresa tra l’attuale campo sportivo e il luogo in cui sorgevano, durante il periodo fascista, i casermoni dei confinati, induce a ipotizzare qui, postazione che avrebbe risposto ai requisiti di idoneità di cui si è detto, l’esistenza degli horrea: la valenza funzionale del luogo sembrerebbe avvalorata dal fatto che in questa stessa area anche i Borboni realizzarono i magazzini per il grano, come testimonia il superstite nome di ‘via dei Granili’57.

dell’Asia, e che spesso viene preda, senza distinzione, delle volpi e degli uomini. E se ivi la terra produce dei topi, la vendemmia è più scarsa, a meno che non vengano disseminate trappole per tutta la vigna, come si fa nell’isola di Pandataria»59. La parte meridionale di Ventotene, in forte pendio e pressoché priva di strutture abitative, doveva essere prevalentemente disseminata di boscaglie. Il legname, che doveva essere ancora abbondante nell’isola fino all’inizio dell’epoca borbonica (Figura 27), era di fondamentale importanza sia per l’edilizia che per la nautica. Ancora più necessaria dovette essere la sua disponibilità, soprattutto nella seconda fase di vita della villa, per ricavare combustibile a sufficienza per il funzionamento, divenuto prolungato per molti mesi l’anno, degli impianti termali: legname, per lo più resinoso, doveva poi servire per i vari punti luce disseminati in più zone della linea di costa60.

Come già detto, una volta stoccate, le derrate venivano smistate nei principali luoghi di utilizzo, nelle quantità calibrate sulle singole esigenze. Certamente il deposito di riferimento più importante era quello relativo al ‘cuore’ della villa a Punta Eolo. Sul tratto iniziale del promontorio, a sud, fu ricavato, livellando il terreno, un vasto complesso di circa m 60 x m 45, articolato in più ambienti affacciati su di una corte centrale58: la struttura, che riutilizzò molto probabilmente, a partire da Tiberio, un impianto preesistente, era autonomo potendo contare sull’apporto idrico della conduttura principale dell’acquedotto che vi transitava accanto. Vi dovevano essere riposte le riserve calibrate sul tempo reale del loro smaltimento, che non doveva protrarsi molto data l’esposizione dell’impianto al caldo e alla salsedine.

Relativamente ai padiglioni residenziali, la permanenza prolungata nell’isola impose una rimodulazione anche nella selezione delle aree da sfruttare stagionalmente in maniera diversificata. Si è già detto che nella prima fase l’area residenziale costituiva, pur nella sua disposizione a ‘festone’, un unicum strutturale incentrato nel ‘cuore’ della villa a Punta Eolo e nel Solarium sul promontorio della Polveriera: il tutto da fruirsi nello stesso breve periodo dell’anno in cui era utilizzata la villa d’otium, senza incorrere quindi nei rischi dell’infuriare, invernale e autunnale, dei marosi sulla lunga fettuccia di Punta Eolo.

L’isola, oltre alle derrate di importazione, poteva contare su di una produzione locale basata sullo sfruttamento dei radi pianori e degli avvallamenti, protetti dal vento, che si trovavano nel settore centrale. Nei primi si potevano coltivare legumi e ortaggi, nei secondi alberi da frutta, oliveti e vitigni per la produzione del vino. Nello specifico, negli appezzamenti, in pianura o in lieve pendio, che in varie parti dell’isola non interferivano con il reticolo della viabilità, che abbiamo visto legato all’acquedotto, o con ingombri edilizi, come ad es. nella zona delle Fontanelle, sul versante orientale, si potevano concentrare le coltivazioni di legumi e ortaggi mentre negli avvallamenti, come ad es. alle spalle di Cala Rossano, o in zone protette dal vento, come ad es. i pendii che fiancheggiavano il canalone che dalle Fontanelle arrivava a Cala Nave, si potevano impiantare delle vigne. Alla presenza di queste ultime allude esplicitamente Varrone a proposito di un particolare modo di disporre i filari. Lo scrittore latino ricorda infatti, a proposito della coltivazione della vite fatta, forse per l’eccesso di ventosità, senza il sostegno dei pali, che «la vigna più economica è quella che produce un acratoforo (vaso da vino di media dimensione) di vino senza bisogno che si piantino pali a giogo. Di questa esistono due specie. Una è quella in cui la terra serve di appoggio ai grappoli, come in molte zone

Con la seconda fase fu giocoforza attrezzare il padiglione della Polveriera in modo che fosse in grado di ospitare almeno l’esiliata di turno con il minimo indispensabile del seguito personale. Qui, nei secoli, tutte le strutture sono state demolite e il materiale riutilizzato per le costruzioni dell’isola; in più, in epoca borbonica i pochi resti superstiti sono stati inglobati in fortificazioni61. Gli scavi degli anni 2001/2005 (Figura 96) hanno restituito le sole fondazioni che hanno permesso di riconoscere un’area di circa m 60 x 30 caratterizzata, a est e a ovest, da due ali abitative contrapposte: al centro una corte con pozzo collegato a una sottostante cisterna. L’impianto doveva consentire agevolmente di ricavare un alloggio per l’esiliata e un altro per la servitù da utilizzare soprattutto prima e dopo l’estate: l’esposizione permetteva di godere dei tiepidi raggi del sole d’inverno e in autunno e di sfuggire, nello stesso periodo, alle sferzanti raffiche dirette del maestrale. Forse non il massimo, ma certamente molto meglio della ventosità e dell’umidità di Punta Eolo. Varro, Res Rus., I, 8, 5 (trad., UTET, Torino 1974, pp. 615 ss.). De Rossi cds (b). 61  De Rossi 2006a. 59 

Cfr. De Rossi 1999, fig. 37, nr. 17, p. 80. 58  Medaglia cds. 57 

60 

80

G. M. De Rossi: La topografia archeologica di Ventotene romana

Figura 96. Panoramica degli scavi alla Polveriera.

in occasione di questo viaggio che dovette maturare nella mente dell’Imperatore l’idea di realizzare sulla fronte orientale del promontorio un tempio in onore di Iside, in un contesto topografico favorevole, perché naturalmente predisposto all’erezione di un sacello per una divinità protettrice dei naviganti e, soprattutto, ideale per assecondare la sua suggestiva e ossessiva ricerca di luoghi idonei all’abbinamento dei culti isiaci all’acqua e alle rappresentazioni sceniche63.

Nell’estremità orientale del promontorio della Polveriera, quando già la scacchiera topografica dell’isola era stata ridisegnata e adeguata alle nuove esigenze, si aggiunse un altro tassello che contribuì a rendere centrale, per la vita religiosa degli isolani, questo spicchio di tufo affacciato sulla sottostante peschiera, ricavata nello stesso banco roccioso. Tutto dovette cominciare a seguito di un inaspettato, visto il personaggio, atto di amore filiale da parte di Caligola. Da poco eletto Imperatore, si recò a Ventotene per recuperare le ceneri di sua madre Agrippina, morta nell’isola, come si è visto, nel 33 d C.

Da un lato la posizione a ridosso dell’imboccatura del porto, che ben si adattava al posizionamento di un tempio dedicato a Iside, assimilata a Venere nella sua particolare accezione di protettrice dei naviganti: questi ultimi, nello specifico, ogni volta che uscivano da quella bocca portuale si affidavano alla divinità nella speranza di vedersi garantito il ritorno e, viceversa, un a volta rientrati si rivolgevano alla stessa dea per ringraziarla di poter essere rientrati sani e salvi.

Approdato dopo una traversata caratterizzata da una furibonda tempesta, sopportata, a dire dello storico Svetonio62, con fermezza e serenità, nell’evidente intento di esaltare pubblicamente il proprio amore verso sua madre, Caligola ebbe cura di deporre personalmente le ceneri di Agrippina in un’urna. Risalito su di una bireme adornata con un gran baldacchino, al di sotto del quale stava lui stesso con in mano l’urna, arrivò a Ostia e di lì, risalendo il Tevere giunse in pompa magna a Roma.

Dall’altro, la presenza di una terrazza naturale a ridosso del tempio, affacciata sulla sottostante peschiera, avrebbe consentito di abbinare aspetti scenici e l’uso di vasche con pesci, secondo rituali isiaci personalmente sponsorizzati da Caligola. Proprio in questa occasione la peschiera dovette essere attrezzata, nei suoi ambienti coperti, come ninfeo o comunque come ambiente utilizzabile, quando occorreva, per i riti

Caligola doveva essere già allora in preda ai suoi incontrollabili fanatismi religiosi nei confronti dei culti egizi, quello isiaco in particolare. E’ probabilmente 62 

Suet., Cal., XV.

63 

81

Ghini 2013, pp. 237 ss.

Introduzione alle antichità di Ventotene isiaci, che vedevano acqua, pesci e rappresentazioni sceniche al centro di molte specifiche cerimonie. Tracce del tempio sono state individuate, all’inizio degli anni ‘30 del secolo XX, in occasione di lavori per la costruzione del nuovo faro: furono rinvenuti capitelli ed elementi architettonici in marmo e, soprattutto, una testa di Iside. Nei recenti scavi degli anni 2001/2005 sono stati scoperti, a ridosso del lato di nord-est del faro, avanzi di ambienti la cui strutturazione potrebbe essere compatibile con dei vani legati alle cerimonie dei culti isiaci64. Si può ipotizzare che l’idea di costruire in questo punto un luogo di culto isiaco sia nata nella mente di Caligola nell’intervallo intercorso fra il suo attracco nell’isola, nel 37 d.C., e la ripartenza, avvenuta verosimilmente dopo una breve sosta, necessaria per il recupero dei resti della madre e per impostare anche il progetto della realizzazione di un mausoleo in onore di Agrippina (v. oltre).

Figura 97. La frattura geologica immediatamente a monte della ‘Cisterna dei Carcerati’ e di quella di ‘Villa Stefania’, in una foto aerea all’infrarosso.

figura di Caligola e famiglia in controluce, così come d’altronde, questa volta però in grande, aveva fatto l’Imperatore per altre località più famose, in primis fra tutte Nemi66.

Il via ai lavori fu forse dato l’anno successivo, il 38 d.C. Era stato questo un anno particolare per Caligola, funestato dalla morte della sorella prediletta, Giulia Drusilla che, subito dopo la morte, era stata deificata ed equiparata a Venere. Da questo momento fu un crescendo di proliferazione di templi dedicati a Iside che portò come conseguenza alla moltiplicazione di cerimonie, anche nuove, collegate allo stesso culto65: nel 38 d.C. si dovette passare dal santuario più grande, l’Isaeum nel Campo Marzio, al più piccolo, quello di Ventotene.

Ma il piccolo santuario di Ventotene aveva, in rapporto alle ridotte dimensioni dell’isola, una valenza particolare. Almeno per questa fase di vita non si conoscono infatti altri luoghi di culto nell’isola, a dispetto delle suggestive e fantasiose interpretazioni ottocentesche che avevano etichettato come tempio di Eolo i cospicui e allora ancora maestosi ruderi di Punta Eolo67.

Certo, il legame affettivo con l’isola, nato a seguito del recupero dei resti di sua madre, dovette in qualche modo influire nella scelta di Caligola. Non sappiamo in quale misura vi entrasse la figura della sorella Drusilla, da poco assimilata a Venere e quindi presente idealmente in ogni sacello isiaco: sicuramente durante le fasi costruttive del tempio doveva fisicamente essere presente nell’isola Giulia Livilla, altra sorella di Caligola, inviata, come si è detto, in esilio a Ventotene nel 39 d.C.

Il percorso del ‘divenire’ storico topografico di Ventotene si materializza, in maniera sintetica ma precisa, nello sviluppo, scandito in tre fasi distinte, delle aree sepolcrali. Inizialmente, al momento del passaggio dalla frequentazione allo stanziamento, ancorché stagionale, era fisiologico che nell’isola esistessero delle semplici sepolture, da utilizzarsi volta per volta per le necessità di chi stazionava nell’isola per la manutenzione delle strutture del complesso residenziale.

Si stava pertanto prospettando una sorta di piccolo feudo religioso, con il culto di Iside al centro e la 64  65 

De Rossi cds (b). Garzetti 1960, pp. 90-91.

66  67 

82

Ghini 2013, pp. 211 ss. Tricoli 1885, p. 26; Mattej 1857, p. 106.

G. M. De Rossi: La topografia archeologica di Ventotene romana

Figura 98. La costa dell’area delle Fontanelle occupata da sepolture a camera.

Si trattava di tombe a camera con deposizioni miste, incinerazione e inumazione, caratterizzate pertanto dalla presenza di nicchie e loculi lungo il perimetro interno.

Si trattava di tombe a camera scavate nel banco tufaceo, del tipo ben documentato per la vicina Ponza68: a differenza di queste ultime le sepolture di Ventotene hanno lasciato scarsissime testimonianze, oggi pressoché scomparse. L’area prescelta fu ovviamente quella completamente al di fuori o ai margini del settore sfruttato per i padiglioni della villa e gli altri ingombri edilizi e infrastrutturali.

Se nella prima fase il quantitativo di tombe doveva essere ridotto, rapportato cioè al numero delle presenze, nella seconda fase il quantitativo aumentò enormemente: fu così che si creò un vero e proprio sepolcreto che, irradiandosi dall’originario nucleo di Cala Battaglia, si diffuse a macchia d’olio nei declivi circostanti per estendersi poi, come un lungo nastro, a poca distanza dal ciglio roccioso del versante orientale dell’isola, dalla località Fontanelle sino a Cala Nave. Quest’ultima disposizione ha causato, con i progressivi crolli della falesia, i suggestivi sezionamenti delle tombe, ancor oggi visibili dal mare (Figura 100).

Il discrimine topografico era dato dalla frattura geologica che, come si è visto, divideva in due l’isola (Figura 97): a valle di questa linea di demarcazione i due serbatoi iniziali dell’acquedotto che davano il via alla metà ‘urbanizzata’ di Ventotene; immediatamente a monte si sviluppava invece un altopiano tufaceo, in località Cala Battaglia, che si estendeva sino al ciglio orientale di questa porzione dell’isola, nell’area oggi detta Fontanelle, che fu scelto per incavarvi le tombe (Figura 98).

Ma il cambiamento più significativo, sotto l’aspetto funerario di Ventotene, si ebbe in conseguenza del prolungato soggiorno delle esiliate: abbiamo visto che tra di loro ci fu chi poté tornare sul continente (Giulia, Livilla, Flavia Domitilla), chi morì per decesso naturale (Agrippina Maggiore) e chi vi fu giustiziata (Ottavia). Comunque fosse finita la loro storia, si trattava pur sempre di personaggi di rango imperiale: pertanto con l’inizio della seconda fase di vita l’isola si dovette attrezzare adeguatamente per venire incontro alla possibilità di dover trovare degna sepoltura a chi,

I continui riusi, le asportazioni per uso di cava e i non ancora cessati crolli della linea di costa hanno finito per ridurre ai minimi termini le testimonianze (Figura 99), fatte di grotte in cui dissennati e incontrollati interventi dell’uomo hanno finito per azzerare i rivestimenti con intonaci e stucchi decorativi, lasciandone, ancora sino a qualche decennio fa, sbiaditi frustuli. 68 

Le isole Pontine 1986, pp. 63-83.

83

Introduzione alle antichità di Ventotene

Figura 99. Due camere sepolcrali alle Fontanelle sezionate dai crolli.

Figura 100. Veduta aerea dell’area del mausoleo al Montagnozzo.

delle esiliate, avesse trovato la morte a Ventotene. Il luogo prescelto doveva essere posizionato, pur sempre nell’ambito della vecchia area sepolcrale, in un punto

appartato ma eminente, così da essere facilmente riconosciuto: la scelta, data anche la necessità di concludere in fretta la costruzione, cadde su di una 84

G. M. De Rossi: La topografia archeologica di Ventotene romana

struttura preesistente, forse una torre belvedere o di avvistamento, situata su quella parte del pianoro di Cala Battaglia, detto emblematicamente ‘Montagnozzo’ (Figura 100), che dominava tutta la parte settentrionale dell’isola, cioè quella in cui si erta andato sviluppando l’intero complesso residenziale.

Alcuni settori dell’articolata residenza di Punta Eolo, in particolare quelli più vicini alla terraferma e quindi meno avanzati sul mare e gran parte del padiglione della Polveriera, sia per la loro posizione vantaggiosa, sia per la sopravvivenza di cospicue strutture ancora utilizzabili, vennero trasformati in piccoli nuclei abitativi autonomi.

Fu così che una struttura già esistente venne adeguata alle nuove esigenze e trasformata in un mausoleo. I recenti scavi, degli anni 2001/2005, hanno consentito di rimettere in luce i pochi resti superstiti, inglobati parzialmente in un moderno edificio, e di cogliere gli aspetti strutturali e architettonici. Si sono potuti così distinguere più fasi costruttive legate alla volontà di migliorare l’aspetto architettonico della tomba, con il preciso intento di trasformarlo da sepulcrum in mausoleum. Questa trasformazione dovrebbe specificamente collegarsi alla volontà di Caligola di riscattare la memoria di sua madre con uno maestoso cenotafio che ricordasse per sempre la sua figura e le tragiche vicende che ne avevano caratterizzato gli ultimi anni di vita69.

Se per Punta Eolo sono ancora visibili tracce di riutilizzo70, diversa è la situazione della Polveriera. Qui, nella parte alta, il radicale intervento borbonico ha cancellato le testimonianze di un probabile insediamento, mentre in quella inferiore, nel declivio a ovest dell’attuale faro, si conservano strutture con evidenti tracce di continuità di vita anche dopo il I secolo d.C. A metà del declivio del promontorio è stata indagata, nelle campagne di scavo 2001/2005, la parte superstite di una necropoli, da riferirsi, cronologicamente, con molta probabilità alla fase immediatamente successiva all’abbandono della villa e, topograficamente, a uno o eventualmente a due piccoli insediamenti, di cui si è detto, posti a nord e a sud della necropoli.

Va da sè che in questa fase tutto il settore occupato dal mausoleo e dalla necropoli usufruì di una specifica e autonoma rete viaria, fatta di percorsi e raccordi, qui facilmente realizzabili perché l’area non era vincolata né da strutture abitative né da compluvi legati all’acquedotto.

Si sono scavate otto tombe a inumazione in fossa, quasi tutte del tipo ‘alla cappuccina’, tranne una, la più importante, caratterizzata da un sarcofago formato da lastre marmoree provenienti dalla spoliazione di un edificio della villa (Figura 101). Nella realizzazione delle tombe appare chiaro il riuso di materiale di risulta dai resti dei vari padiglioni del complesso residenziale. Il pur scarso corredo delle sepolture ha consentito di ipotizzare una datazione nell’ambito del II secolo d.C.

Il binomio mausoleo-tombe a camera durò per tutto il I secolo d.C., fintanto, cioè, che la funzione di isola per l’esilio rimase in vigore, tenendo di conseguenza in vita le infrastrutture e le necropoli.

Per completare la scacchiera dei padiglioni che componevano il grande complesso residenziale, l’architetto romano aggiunse una struttura per la fruizione dello straordinario isolotto di Santo Stefano. Nelle recenti indagini degli anni 2001/2005 sono state individuate murature romane, soprattutto spezzoni di pareti in laterizio e reticolato, inseriti nelle strutture borboniche della ‘vaccheria vecchia’.

Alla fine del I secolo d.C., con l’allontanamento dell’ultima esiliata, Flavia Domitilla, comincia il lento ma progressivo declino dell’isola: impossibile ora tenere in vita un complesso di notevoli dimensioni fine a se stesso, senza cioè più uno scopo preciso, quello di residenza ufficiale per esiliate, pur sempre funzionale alla sicurezza dell’Impero. È verosimilmente a partire dal II secolo d.C. che si assisterà a un progressivo ridimensionamento che culminerà poi nello smembramento dei singoli padiglioni dell’impianto generale: da qui all’abbandono pressoché totale il passo sarà breve.

Un excursus toponomastico Fin qui si sono citati i nomi di Pandataria (Figure 102, 103) e Ventotene (Figura 104), con rispettive varianti lessicali: essi costituiscono gli estremi, iniziale e terminale, di un percorso glottologico che è facilmente seguibile nel tempo attraverso progressive mutazioni (v. p. 30 ss.).

È altresì da immaginare che nelle pieghe iniziali di questo processo di sfaldamento abbiano trovato posto fenomeni di ‘sopravvivenza’ abitativa legata a quelle persone, fra il numeroso ed eterogeneo gruppo che si è già detto aver caratterizzato la popolazione dell’isola, intenzionate a prolungare la propria permanenza a Ventotene, a dispetto di quegli eventi, più grandi di loro, che avevano decretato la fine di un’epoca. 69 

Ma è proprio il punto di partenza che lascia perplessi e suscita molti interrogativi. Il termine Pandataria, comprese le sue varianti lessicali71, è inteso 70 

De Rossi cds (c).

71 

85

Medaglia cds. Musti 2001.

Introduzione alle antichità di Ventotene

Figura 102. L’isola di Ventotene indicata con il nome di Pandotira, nell’iscrizione funebre elogiativa di Metrobio.

Figura 101. Una tomba a inumazione con cassa di lastre di marmo: all’interno resti dello scheletro, dello scarso corredo e delle aste di legno della lettiga usata per il trasporto della salma.

comunemente come ‘dispensatrice di ogni bene’, attribuendo, in pratica, alla piccola isola capacità e risorse naturali tali da poter essere autosufficiente, garantendo la permanenza di eventuali abitanti. Alla luce delle conoscenze, confermate dagli studi che qui si presentano, è evidente come il termine e la sua interpretazione siano assolutamente stonati, a partire proprio dalla pressoché assoluta mancanza di acqua e dalla difficoltà di individuare e sfruttare aree coltivabili; per non parlare poi della impegnativa e limitata accessibilità che non la rendeva certo appetibile.

Figura 103. L’isola, chiamata Pandataria, in una stampa del 1775.

Mediterraneo72. Per creare nuovi toponimi si basavano quasi sempre su assonanze con i nomi che appendevano in loco: solo così sembra possibile giustificare le risultanze di alcuni toponimi greci, altrimenti non comprensibili se rapportati con la realtà ambientale di provenienza. Sicuramente quando non trovavano spunti per la paronomasia si limitavano a coniare loro stessi toponimi, basandosi sulle peculiarità geografiche e naturalistiche che caratterizzavano la località: come si è detto non poteva essere questo il caso di Ventotene. Dovremmo quindi essere di fronte a una delle tante ricostruzioni fatte ‘a tavolino’ dagli storici e geografi greci per tradurre con un senso compiuto, prescindendo però da qualunque corrispondenza con la locale realtà

Si deve pertanto ritenere che si sia di fronte a una delle tante parole greche coniate sul suono di un termine indigeno, cioè straniero: questo fenomeno, detto filologicamente paronomasia, realizzava quello che normalmente si chiama ‘calco linguistico’. È noto che i naviganti provenienti dalle varie parti della Grecia erano soliti trasformare, per loro comodità linguistica, i nomi delle località che incontravano lungo gli itinerari nautici che seguivano nel mar

72 

86

Semerano 2010, p. 493.

G. M. De Rossi: La topografia archeologica di Ventotene romana

Figura 104. L’isola, con il nome di Ventoteno, in un a pianta del XIX secolo.

Figura 105. Disegno acquarellato di P. Mattej (metà secolo XIX) con veduta, da Ventotene, di Santo Stefano e Ischia.

ambientale, un toponimo foneticamente compatibile con uno preesistente in loco e quindi anteriore al momento della proliferazione della navigazione greca nel Mediterraneo, datata, come noto, a partire dall’VIII secolo a.C.

È in questa fase che i Greci arrivano a Ischia e adattano subito al toponimo locale una parola greca composita che, in maniera suggestiva ma non credibile, suonava come ‘isola delle scimmie’. Più avanti questa evidente forzatura apparirà inaccettabile agli storici romani 87

Introduzione alle antichità di Ventotene

Figura 106. Veduta aerea di Ventotene, Santo Stefano e Ischia.

che si affretteranno, con Plinio73, a proporre una definizione dal greco ‘pithos’, vaso, con riferimento alla produzione di ceramica, ben documentata nel mondo antico nell’isola.

Mettendo da parte gli estremismi che caratterizzano le posizioni contrapposte, si vuole qui fare riferimento, riutilizzandole ai fini di una semplice ipotesi di lavoro, alle teorie di Semerano, forse da lui avanzate con eccessivo assolutismo, secondo le quali naviganti, di ceppo semitico ma differenziati culturalmente e linguisticamente, avevano lasciato una loro impronta in denominazioni di popoli, luoghi e cose, poi rielaborate dalle successive ondate di viaggiatori greci.

Pressoché contemporaneamente al loro arrivo a Ischia i Greci dovettero mettere piede, vista la vicinanza, a Ventotene (Figure 105, 106). Anche qui trovarono un toponimo che subito rimodellarono nella loro lingua, rispettando nel limite del possibile l’assonanza: ne venne fuori una parola più accattivante rispetto a quella creata per Ischia, perché rivolta tutta agli aspetti positivi della natura, ma egualmente inverosimile, proprio in rapporto al contesto ambientale che tanto si voleva esaltare.

Così Capri deriverebbe dall’accadico ‘Qahru’ = cavità, grotta, con evidente riferimento alle suggestive grotte dell’isola74, e Pitecussa dai termini accadici ‘Pithu’ = pozzo, eu = piccolo, ‘usau’ = scaturire75: in quest’ultimo caso le definizioni si riferivano alla presenza di numerose cavità, assimilabili a pozzi naturali, da cui scaturivano salutari vapori e benefiche acque, tutte cose che ancor oggi fanno la fortuna dell’isola.

In ambedue i casi dovremmo essere in presenza di fenomeni di paronomasia, a seguito dei quali i Greci, nei casi specifici, rimodellarono, prescindendo, se c’era, dal significato originario, voci indigene: queste ultime, a loro volta, potevano aver risentito di un un’antichissima impronta fonetica lasciata in eredità da quei navigatori, venuti dal Vicino Oriente, che già nel II millennio a.C. solcavano il Mediterraneo.

Con la stessa chiave di lettura si potrebbe quindi ipotizzare, con tutte le opportune cautele di cui si è detto e accontentando solo una parte degli Studiosi, una nuova origine del termine tramandato dai Greci. Si potrebbe trattare di un’assonanza con i termini accadici ‘pandu’ = costa rocciosa76 e ‘taru’ = che gira intorno77, con il significato complessivo, quindi, di luogo caratterizzato nel suo perimetro da un’alta

Da questo momento si entra in un campo minato, in cui Scuole di pensiero continuano a scontrarsi, a volte senza esclusione di colpi, rivendicando, sull’argomento, la validità delle proprie teorie e demonizzando quelle opposte. 73 

Semerano 2010, p. 521. Semerano 2010, pp. 524 s. 76  Semerano 2010, pp. 512, 775. 77  Semerano 2010, pp. 515, 645, 759, 790, 809, 823. 74  75 

Plin., N.h., III, 82.

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G. M. De Rossi: La topografia archeologica di Ventotene romana

roccia a picco sul mare, definizione quindi che ben si sarebbe adattata a Ventotene. I Greci, sentendo in loco o trovando trascritto in qualche testo geografico questo termine lo hanno riplasmato in Pandataria, avvicinandosi foneticamente ma stravolgendo completamente il significato.

Di contro, esiste pur sempre la possibilità che i Greci si siano imbattuti in un toponimo indigeno, sorprendentemente assimilabile foneticamente al termine accadico di cui si è detto, svincolato da qualunque rapporto con influssi linguistici recepiti da naviganti medio orientali del II millennio a.C.

Secondo questa ipotesi sarebbe dall’eco di antiche voci mediterranee, pre-greche, che dovremmo tentare di rintracciare le linee guida per una più plausibile interpretazione del nome dell’isola. Alla Pandataria dei Greci non spetterebbe quindi la primogenitura: il termine greco dovrebbe essere considerato il secondo anello della lunga catena del ‘divenire’ lessicale di quell’isola che oggi, dopo secoli, chiamiamo Ventotene.

In conclusione, di fronte a nomi di persone e luoghi per i quali non esisteva una forma greca originale, bisognava crearli o traslitterarli. Nel caso specifico di Ventotene sarebbero da preferirsi la probabile trasposizione di un termine accadico o la possibile derivazione da una parola indigena, comunque sorprendentemente simile a quella accadica, piuttosto che la non più sostenibile creazione di un termine greco rapportato esclusivamente a inesistenti risorse naturali dell’isola.

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Ricerche e rinvenimenti subacquei Salvatore Medaglia

Il patrimonio archeologico subacqueo ventotenese è assai ricco. Ciò non toglie che potrebbe esserlo ancora di più se non fosse stato oggetto negli ultimi decenni, soprattutto tra gli anni Sessanta e Ottanta del XX secolo, di un’indiscriminata attività di rapina legata a recuperi fraudolenti. Com’è facilmente immaginabile, la già modesta sorveglianza esercitata dagli enti di tutela sui beni culturali sommersi presenti lungo le coste italiane diviene nelle piccole isole, lontane dal continente, ancora più aleatoria. Gli indiscriminati saccheggi dei relitti romani de ‘Le Grottelle’, di ‘Cala Rossano’ e di ‘Punta dell’Arco’, perpetratisi per molti anni, costituiscono esempi manifesti dei danni subiti dal patrimonio archeologico subacqueo isolano. In termini scientifici, un quadro siffatto si traduce in un’emorragica perdita di dati che, come vedremo, non sempre consente un’adeguata ricostruzione dei contesti archeologici. A tutto ciò si aggiunga che molti dei materiali sporadici appartenenti alle collezioni museali sono del tutto privi di indicazioni circa la loro provenienza e le modalità di ritrovamento. Fortunatamente, grazie alla realizzazione del locale Museo1, del Parco Archeologico e soprattutto all’istituzione, con Decreto Ministeriale del dicembre del 1997, dell’Area Marina Protetta “Isole di Ventotene e S. Stefano” le cose stanno mutando velocemente e la vigilanza è divenuta assai meno discontinua.

ansa sormontante attribuibili a momenti che spaziano dal Bronzo medio al Bronzo medio-finale2 (Figura 38). A un orizzonte protostorico sono probabilmente da assegnare alcune ancore litiche, di foggia diversa, attualmente esposte al pubblico nel locale Museo3. Questo strumentario nautico rudimentale è contraddistinto da pietre più o meno sbozzate (a ciambella, tronco-piramidali, informi) in cui erano praticati uno o più fori per farvi passare delle cime e/o degli elementi lignei che fungevano da marre per scongiurare che l’attrezzo arasse sul fondale. Le ‘pietre forate’ ventotenesi sinora recuperate, tutte in maniera sporadica, sono sette. Fatta eccezione per un esemplare in basalto di circa 70 kg4 rinvenuto nell’agosto del 1975 alla profondità di 16 metri presso l’isola di Santo Stefano, non lontano dall’approdo ‘La marinella’, e ora in collezione privata, il Museo ne custodisce altri sei: quattro (di cui due in basalto) con un solo foro5 (Figura 107), un attrezzo tondeggiante con due fori6 e, infine, un elemento, più complesso degli altri, troncopiramidale, con tre fori di cui quello apicale utilizzato per assicurare una cima7 (Figura 40). Nel novero dei manufatti riconducibili all’instrumentum navis, le acque isolane hanno restituito anche tre ceppi sporadici di ancore in pietra. Sebbene di dimensioni diverse, essi presentano la classica forma più o meno semi-lunata, con i bracci che tendono a rastremarsi verso le estremità e un incavo centrale dove andava alloggiato il fusto ligneo. Molto diffuse in ambito

Le più antiche testimonianze archeologiche di provenienza sottomarina recuperate nelle acque che circondano Ventotene sono da riferirsi all’occupazione dell’isola nel corso del II millennio quando questa era sede di un insediamento capannicolo che utilizzava l’approdo naturale di Cala Rossano o, in alternativa quello, meno sicuro e più esposto, di Cala Nave. Proprio nelle acque di Cala Rossano, nel corso d’indagini stratigrafiche preventive effettuate dalla Soprintendenza nel 2009, sono state rinvenute, ad una profondità di 3,5 m e a circa 50 m dalla costa, alcune ceramiche in impasto che mostrano strette analogie con quelle provenienti dal contiguo insediamento sviluppatosi sulla terraferma. In specie, si tratta di due frammenti di olle e di una coppa con orlo estroflesso e

Zarattini et alii 2013, pp. 412-413. Senza un preciso contesto, la datazione di questi manufatti è assai ardua. Poiché si tratta di attrezzi dalla foggia molto semplice, il loro impiego, quantunque accertato sin da età protostorica, è perdurato in alcune marinerie tradizionali sino quasi ai nostri giorni. Pietre a più fori, ad esempio, sono attestate ancora in contesti ellenistico-romani (come nella vicina Gaeta, per fare un esempio geograficamente pertinente: Di Bartolomeo 1986, p. 210, tav. XIIc) e medioevali. Su questo argomento ci limitiamo a citare il contributo di A. Raban (2000, pp. 260-272) con ampia bibliografia. Nonostante ciò, la presenza del vicino insediamento dell’età del Bronzo rende non troppo peregrina l’ipotesi circa una possibile attribuzione di questi manufatti a un orizzonte protostorico. 4  Cm 75 x 57; diam. foro cm 10. 5  Inv. n. 140.691: cm 27 x 26; spess. medio cm 7,5; diam. foro cm 5; inv. n. (?): cm 65 x 62; spess. max cm 28; diam. foro cm 17 (a forma di ciambella); inv. n. 140.692: cm 28 x 21; spess. max cm 12; diam. foro cm 4,5 su una faccia e cm 2 sull’altra (di forma tronco-piramidale); inv. n. 25730 recuperata in località Sconcigli: cm 70 x 63 x 38; spess. max cm 28; diam. foro cm 13 (di forma tronco-piramidale). 6  Inv. n. 25728?: cm 55 x 46; spess. max cm 18; diam. fori cm 8/9 e 11. 7  Inv. n. 140.690: alt. max cm 42; largh. alla base cm 32; spess. max cm 10; diam. fori cm 3,5. 2  3 

Sulla sezione marittima del Museo di Ventotene, vedi Arata 1999; De Rossi 1999a, pp. 93 ss. Voglio esprimere gratitudine nei confronti di Dario e Antonio Santomauro per le preziose informazioni che mi hanno concesso su molti dei materiali sottomarini recuperati a Ventotene. Nei confronti dell’ing. Antonio Santomauro sono debitore anche di molte riprese fotografiche e di una lunga serie di misurazioni che egli, con molta disponibilità, ha condotto direttamente nei locali del Museo ventotenese.

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S. Medaglia: Ricerche e rinvenimenti subacquei

esemplari, in basalto il primo e in tufo il secondo, di dimensioni progressivamente inferiori di 2009 e 11510 cm di lunghezza (Figura 108). Bisogna sottolineare come questi attrezzi litici al momento costituiscano le uniche testimonianze di età arcaica e classica legate alla frequentazione dell’isola e/o del suo spazio marittimo. Anche se sporadici, la presenza di tali manufatti appare non trascurabile se si pensa che Ventotene sin da età alto-arcaica si trovava in un quadrante marittimo intersecato dalle rotte dell’emporia euboica e dell’approvvigionamento dei metalli che collegavano la costa tirrenica con la Sardegna. Del resto lo stesso toponimo Pandataria/Pandateria, di matrice spiccatamente ellenica, difficilmente potrà essere considerato estraneo alla precoce presenza greca nell’area manifestatasi dapprima col fondaco di Pithekuossai nella vicinissima Ischia e poi con l’insediamento di Cuma sul continente. Cronologicamente più recente risulta invece una serie di rinvenimenti sottomarini recuperati nelle acque dell’approdo naturale di Cala Rossano a dimostrazione di come l’isola, anche in assenza di un insediamento stabile, fosse ampiamente frequentata nel corso dell’età medio-repubblicana e cioè in una fase in cui le fonti registrano nell’arcipelago il passaggio dall’influenza volsca, risalente al V sec. a.C., a quella romana manifestatasi definitivamente con la deduzione coloniaria di Pontia. Dal seno di mare di Cala Rossano provengono una lucerna di probabile produzione attica di IV-III a.C. (Figura 42) e due bacini emisferici, con orlo inspessito a fascia, diffusi in area etruscolaziale tra V e III sec. a.C.11.

Figura 107. Pietra forata recuperata in località Sconcigli.

Diverse sono invece le anfore greco-italiche rinvenute nel corso degli anni nelle acque di Ventotene senza che di esse si conosca l’esatta localizzazione. Fanno eccezione tre esemplari di cui è accertata la Figura 108. Ceppi d’ancora litici e pietre forate in esposizione presso provenienza da Cala Rossano: un il Museo Archeologico Comunale di Ventotene. tipo che richiama quelli del relitto eoliano della Secca di Capistello del primo ventennio del III sec. a.C.12, un ulteriore mediterraneo, ancore lignee di tal fatta, armate di ceppi contenitore assegnabile al tipo MGS V di III sec. a.C. d’appesantimento in pietra, si datano generalmente recuperato nel 200913 e, infine, il collo di un’anfora tra VII e V/IV sec. a.C. Il ceppo più grande, ottenuto con una pietra calcarea, misura in lunghezza 207 cm e fu recuperato nel 1988 dalla Guardia di Finanza alla profondità di 39 metri sui fondali della secca dello scoglio di Capri, a nord-ovest di Punta Eolo, presso gli scogli denominati ‘Sconcigli’8; seguono due

Inv. n. (?): lungh. tot. cm 200; alt. max cm 15; spess. max cm 15,5; largh. max cm, 29; largh. max incasso centrale cm 14,5. Inv. n. 25724: lungh. tot. cm 115; alt. max cm 18; largh. max. incasso centrale cm 11. Su quest’ultimo ceppo cfr. Gianfrotta 1986, pp. 213 (fig. 363), 214. 11  Per la lucerna cfr. Arata 1993, p. 151, nota 117 e fig. 29; per i bacini (recuperati nel 2009) vd. Zarattini et alii 2013, pp. 411-413. 12  Accenni a quest’anfora in Arata 1993, p. 151, nota 117. Sulle anfore di Capistello cfr. Cavalier 1985a. 13  Zarattini et alii 2013, pp. 411-413. 9 

10 

Inv. n. (?): lungh. tot. cm 207; alt. max cm 30; spess. max cm 15,5; largh. max incasso centrale cm 16. Accenno in Arata 1993, p. 151, nota 117.

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Introduzione alle antichità di Ventotene

Figura 109. Anfora greco-italica (inv. n. 25697). Ventotene, Museo Archeologico Comunale.

Figura 111. Anfora greco-italica (inv. n. 25702). Ventotene, Museo Archeologico Comunale.

Figura 110. Anfore greco-italiche (a: inv. n. 25699, b: inv. n. 25689, c: inv. n. 25701). (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).

recante sul collo il titulus pictus EH in lettere greche retroverse che fu recuperata sul fianco sud-orientale della cala e che morfologicamente richiama i tipi del relitto de Le Formiche di Panarea14 (Figure 109-112).

di cui si conserva il corpo affusolato desinente in un aguzzo puntale15 (Figura 113). Sempre dalle acque di Cala Rossano proviene una macina rotatoria manuale in pietra lavica, completa di catillus e meta, recuperata a seguito di indagini della Soprintendenza del 200916; stando a quanto noto, macine di questo tipo sono presenti sui relitti solo a partire dalla metà circa del II sec. a.C.17.

Di IV sec. a.C. è invece un’anfora vinaria di produzione chiota recuperata a largo dell’isola con reti da pesca e Per le anfore del relitto de Le Formiche di Panarea, vedi Cavalier 1985c, p. 70, fig. 57. Nel complesso le greco-italiche presenti nelle collezioni museali ventotenesi antecedentemente al 2009 sono le seguenti: inv. n. 25689 (alt. cm 55, integra; vicina ai tipi della Secca di Capistello databili all’inizio del III sec. a.C.: cfr. Cavalier 1985a); inv. n. 25697 (alt. max cons. cm 79, priva di parte del puntale: vicina al tipo attestato nel relitto della Secca del Bagno a Lipari (fine III-inizi II sec. a.C.): cfr. Cavalier 1985b, pp. 65, fig. 48, 66, fig. 49.4); inv. n. 25699 (alt. max cons. cm 68, priva del fondo); inv. n. 25701 (alt. max cons. cm 54,6, priva del puntale. Simile a inv. n. 25689 cui si rimanda per un confronto. Su quest’anfora vd. pure Gianfrotta 1986, p. 214, fig. 364); inv. n. 25702 (alt. max cons. cm 60,5 con lacune all’orlo e priva del puntale; simile a inv. n. 25689 e n. 25701). Il contenitore recante il titulus pictus, di cui non conosco il n. d’inv., è stato recuperato da Dario Santomauro.

14 

A completamento della rassegna dei rinvenimenti sporadici effettuati a Cala Rossano bisogna rammentare un’anfora di Cos che si data intorno al 50 a.C. e che trova paralleli con un esemplare proveniente dal relitto di Inv. n. 25706; alt. max cons. cm 68; largh. max pancia al di sotto delle spalle cm 29; diam. collo cons. cm 9. Frammentaria, lacunosa dell’orlo e delle anse. Per un confronto Finkielszejn 2001, pl. A, 1. 16  Zarattini et alii 2013, pp. 410, 411 (fig. 3). 17  Beltrame, Boetto 1997, pp. 168-169. 15 

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S. Medaglia: Ricerche e rinvenimenti subacquei

Figura 112. Anfora greco-italica da Cala Rossano con titulus pictus in lettere greche retroverse (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).

Figura 113. Anfora vinaria di Chios (inv. n. 25706). Ventotene, Museo Archeologico Comunale. Figura 114. Anfora di Cos (inv. n. 25686). Ventotene, Museo Archeologico Comunale).

Anticitera, in Grecia18 (Figura 114). Si tratta di un’anfora vinaria evidentemente reimpiegata, come dimostrano le tracce di una sostanza colorante visibili lungo le pareti interne ed esterne.

come nome proprio di triere e quadriere della flotta romana20. A loro volta tali designazioni di navi dovevano rifarsi in qualche modo al culto della divinità Navisalvia a noi noto attraverso tre iscrizioni devozionali21 che riecheggiano la nota vicenda miracolosa che vide come protagonista l’eroica vestale Quinta Claudia allorché disincagliò nel Tevere la nave che nel 204 a.C. trasportava da Pessinunte a Roma il simulacro di Cibele (Ov., fast. IV, 249-348)22.

Le acque ventotenesi hanno restituito nel corso degli ultimi decenni diversi ceppi d’ancora in piombo, tutti del tipo fisso con cassetta centrale munita di perno (Figura 115). Anche per quasi tutti questi attrezzi, in genere inquadrabili all’incirca tra II sec. a.C. e II sec. d.C., dobbiamo registrare la perdita di dati a causa di recuperi, spesso fortuiti, effettuati da pescatori o da turisti (sommozzatori). Tra i ceppi più significativi spicca quello con l’iscrizione SALVIA (con S retroversa) su un braccio e con quattro astragali e un delfino (?) sull’altro19 (Figura 116). Il nome apposto sull’ancora, secondo un costume assai diffuso, doveva certamente replicare quello della nave a cui essa apparteneva (Figura 117). Salvia, infatti, compare in cinque iscrizioni

Un altro ceppo, rinvenuto nel 1975 1,5 miglia a sud del Faro di Ventotene23, mostra in rilievo quattro conchiglie allineate su un braccio e quattro astragali sull’altro nella combinazione vincente del colpo di 20  CIL VI, 3094; CIL X, 3532; CIL X, 3580, CIL X 3600; Eph. Ep. VIII, 429; AE 1974, 248. 21  CIL VI, 492, 493, 494. 22  Cfr. Coarelli 1982, pp. 42-46; D’Alessio 2008; Vilogorac Brčić 2012. 23  Inv. n. 25726; lungh. cm 167; bracci cm 74 x 6,5 x 10,5 e 73,5 x 6,5 x 10,5; cassetta ext. cm 18,5 x 26,5; cassetta int. cm 19 x 13,5; alt. max cm 18. Sul ritrovamento, cfr. Sabap-Lazio, prot. 493/26 del 17-05-1975. Cfr. Gianfrotta 1986, pp. 217-218, figg. 375-376.

Inv. n. 25686: alt. max cons. cm 96; diam. max pancia cm 36; diam. orlo ext. cm 11,5; diam. bocca cm 9,5; integra. Cfr. Hesnard 1986, p. 76, fig. 2a, n. 2. 19  Inv. n. 25725; lungh. cm 137; bracci cm 60 x 5 x 12; cassetta ext. cm 23 x 17,5; cassetta int. cm 17 x 13; alt. max cm 20. Cfr. Gianfrotta 1986, pp. 217-218, figg. 377-378. 18 

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Introduzione alle antichità di Ventotene

Figura 115. Ceppi d’ancora in piombo di tipo fisso (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).

Figura 116. Ceppo d’ancora in piombo (inv. n. 25725) con iscrizione su un braccio e astragali sull’altro (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).

contromarra a tre fori25 (Figura 118); mentre altri ceppi sono stati recuperati nel tratto di mare antistante Punta dell’Arco e in quello tra Ventotene e Santo Stefano26. Ceppo: inv. n. 25732; lungh. cm 130; bracci cm 57 x 7,5 x 5; cassetta cm 21 x 15; alt. max cm 13. Contromarra: inv. n. 25733; lungh. sup. cm 57; lungh. inf. cm 47,5; largh. cm 9,5; alt. cm 7; fori cm 6,3 x 11,5/12,5. Sul ritrovamento, cfr. Sabap-Lazio, prot. 665/26 del 23-05-1977. 26  Sabap-Lazio, prot. 7831 del 5-09-1966 (recuperata a 35 metri di prfondità) e Sabap-Lazio, prot. 8031 del 23-08-1971 e prot. 3914 del 28-08-1973. Quest’ancora potrebbe essere quella con inv. n. 25720 (lungh. cm 150; bracci cm 66,5 x 9 x 5,5; cassetta ext. cm 22 x 17; cassetta int. cm 11,5 x 10; alt. max cm 13). Vd. inoltre Sabap-Lazio, prot. 4153 del 12-10-1973 e Sabap-Lazio, prot. 3406 del 17-05-1977. Dimensioni degli altri ceppi presenti in Museo: inv. n. 25721 (lungh. cm 167; bracci cm 77 x 7 x 5; cassetta cm 25 x 19,5; alt. max cm 15); inv. n. 25719 (lungh. cm 132; bracci cm 57 x 6,5 x 11 e 55 x 6,5 x 12; cassetta cm 24 x 20; alt. max cm 17); inv. n. 25727 (lungh. cm 172); inv. ? (lungh. cm 145,5; bracci 65 x 8 x 6; cassetta cm 22 x 15,5; alt. max cm 15); inv. ? (lungh 202,5; bracci cm 92 x 10 x 5 e 89 x 9,5 x 5; cassetta cm 26 x 15; alt. max cm 20). A Mino Santomauro si deve la recente scoperta in località La Secchitella, a nord-ovest di Punta Eolo e su un fondale di 48 metri, di un ceppo in piombo di grandi dimensioni, non ancora recuperato, con cassetta quadrangolare (lungh. cm 200; bracci cm 85 x 11 x 9; cassetta ext. cm 35 x 29; cassetta int. cm 25 x 19; alt. max cm 22). 25 

Figura 117. Ceppo d’ancora in piombo (inv. n. 25725). Particolare dell’iscrizione SALVIA (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).

Venus che si otteneva quando durante il gioco essi si disponevano mostrando ciascuno una faccia diversa («Cum steterit nullus vultu tibi talus eodem…»)24. Nello specchio di mare antistante Cala Battaglia nel 1977 furono recuperati un ceppo in piombo e una Mart., Ep., XIV, 14. Per le altre fonti sullo iactus Venerius cfr. Bianchi 2015, pp. 76-77.

24 

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S. Medaglia: Ricerche e rinvenimenti subacquei

provenienti dalle miniere di Carthago Nova: ciò lascia ipotizzare che la nave per giungere lungo le coste italiche non seguì né la consueta rotta settentrionale che dopo aver superato le Baliares insulae transitava attraverso il Fretum Gallicum (Bocche di Bonifacio), né quella meridionale che costeggiava la Mauretania e risaliva per la Sicilia30, bensì una rotta mediana che dal sud-est spagnolo, incrociando a meridione delle Baleari e doppiato il sud della Sardegna, raggiungeva le coste tirreniche tenendo a vista l’arcipelago pontino (Figura 120). Ai sistematici trafugamenti sono scampati solo tredici massae del peso di 30 kg ciascuna (Figura 121): un esemplare con il doppio bollo C. FIDVI C. F. // S. LVCRETI S. F.31 e i restanti dodici con impresse tre stampiglie rettangolari sul dorso: delphinus // C(aius) VTIVS C(ai) F(ilius) // caduceus32 (Figura 122). Quest’ultimo personaggio, concessionario di miniere di piombo argentifero nell’area di Carhago Nova, appartenne a una famiglia forse originaria della Lucania interna33

Figura 118. Il ceppo d’ancora n. 25732 messo in opera su un fusto ligneo ai fini didattici. Ventotene, Museo Archeologico Comunale.

Nel corso del I sec. a.C. nelle acque contigue all’isola naufragò una nave oneraria che trasportava anfore vinarie di produzione italica Dressel 1B. Purtroppo nulla sappiamo circa l’entità del carico e la localizzazione del relitto. Di questi contenitori, prodotti tra l’ultimo quarto del II sec. e l’ultima decade del I sec. a.C. da atélier tirrenici, nelle collezioni museali sono presenti diversi esemplari che sono il frutto di un sequestro operato dalla Guardia di Finanza nell’ottobre del 197527 (Figura 119). Altre Dressel 1B spettanti alle raccolte del museo facevano invece parte del carico, ampiamente saccheggiato, di un relitto individuato a 42 metri di profondità presso Punta dell’Arco, il promontorio che costituisce l’estrema propaggine sud-orientale dell’isola. Lo scafo della nave, limitatamente a quanto resta della parte inferiore dell’opera viva, è ancora sul posto al di sotto del manto sabbioso in attesa d’essere indagato28. All’attrezzatura di bordo va assegnato un contenitore quasi sferico di piombo, inferiormente piatto, la cui funzione rimane incerta29. Oltre alle anfore vinarie, il carico navale comprendeva dei lingotti di piombo ispanico

Figura 119. Anfore vinarie Dressel 1B recuperate in diversi siti sottomarini dell’isola (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).

Gianfrotta 1986, p. 214. Parker 1992, p. 351, n. 932. La nave trasportava, quale parte del carico secondario, anche chiodi di cui erano colme alcune anfore (devo l’informazione alla cortesia di Fausto Paglici che ringrazio). 29  Su questo tipo di recipienti, abbondantemente attestati su relitti di età romana (fine II sec. a.C. – I sec. d.C.), si veda Beltrame 2002, pp. 58-60. Il recupero del manufatto è opera di Dario Santomauro e Fausto Paglici. Per un altro contenitore similare, proveniente dal relitto di Cala Rossano, vedi infra fig. 140. 27  28 

Domergue 1965, pp. 24-25; Gandolfi 1986, p. 84 e nota 19. Inv. Mus. n. 62 cm 47 x 9 x 9; cartigli: 1) cm 1,6 x 9,4; 2) cm 2 x 9,8. 32  Inv. Mus. n. 63 (complessivo per tutti gli esemplari): cm 46 x 9 x 9; cartigli: 1) cm 2 x 4,5; 2) cm 2 x 10,5; 3) 2 x 4,5. Sui lingotti vd. Gianfrotta 1986, p. 216; Gianfrotta 1994, p. 593, nota 5; De Rossi 1999a, p. 98. 33  Stefanile 2014, pp. 71-73. 30  31 

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Introduzione alle antichità di Ventotene

Figura 122. Particolare di uno dei cartigli con la stampiglia C. VTIVS C. F. dal relitto di Punta dell’Arco (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).

Ercolano, Pompei, Stabia, Nocera)36. Il nome di C. Utius (o quello di altri personaggi omonimi appartenenti alla gens degli Utii) è associato a diverse massae plumbeae rinvenute in altrettanti relitti (Punta Falcone, Capo Testa B e Mal di Ventre A in Sardegna, Bajo de Dentro presso Cabo de Palos (Murcia), Madrague de Giens presso il Dipartimento del Var)37. Sono attestati tre diversi tipi di bolli riferibili a C. Utius: quello di Punta dell’Arco cui sì è fatto cenno (e che è del tutto similare ai lingotti del relitto di Bajo de Dentro), quello C.VTI.C.F.MENEN in cui compare il riferimento alla Menen(ia tribu) e, infine, la variante C.VTI.C.F // delphinus.

Figura 120. Relitto di Punta dell’Arco: le massae plumbae ancora in situ. Sullo sfondo, a mala pena visibili, i resti lignei dello scafo.

Anche il bollo C. FIDVI C. F. // S. LVCRETI S. F., pure appartenente al carico di Punta dell’Arco (Figura 123), è egualmente connesso con le miniere della zona di Cartagena e oltre che a Ventotene è stato rinvenuto in due esemplari all’interno del relitto Escombreras II, dell’80 a.C. circa, assieme ad altri lingotti ispanici dei Planii e degli Aquinii 38. Da sciogliere C(ai) Fidui C(ai) f(ili et) S(puri) Lucreti S(puri) f(ili) attesterebbe una sorta di societas tra due negotiatores (o possessores) metallorum non Domergue et alii 1974, p. 130. Per i relitti sardi cfr. Bigagli 2002 con bibliografia; per il relitto di Bajo de Dentro cfr. Domergue 1966; Parker 1992, pp. 65-66, n. 81; Alonso Campoy 2009, pp. 43-44; per quello della Madrague de G. cfr. Laubenheimer 1978, pp. 70-71, pl. XXIV, I. Tra le attestazioni subacquee di lingotti di Caius Utius va annoverato anche quello rinvenuto nel fiume Stella (Precenicco, Udine) e che, più che al carico di una nave, era forse pertinente alle riserve di bordo: Buora 1988, p. 113; Capulli 2017, p. 217. L’associazione di Dressel 1B e massae plumbeae di C. Utius su relitti è attestata sulla Madrague de Giens, a Mal di Ventre (A) e a Capo Testa (B). A proposito della diffusione delle testimonianze legate agli Utii va ricordato, per mera completezza e senza alcuna attinenza diretta, che di un più tardo C. Utius Sp(uri) f(ilius), evidentemente dedito ai commerci marittimi e che di se stesso dice mult[a per]agratus ego terraque marique, è nota una stele funeraria da Salona con incisa una navis oneraria in rilievo. Sull’iscrizione vd. da ultimo Demicheli 2014, pp. 33-35. 38  Alonso Campoy 2009, p. 43. Per altri autori, che però non sembrano prendere atto dei risultati delle indagini sistematiche condotte nel 1998 e poi negli anni compresi tra il 1997 e il 2002 (per tutti Poveda Navarro 2000, pp. 294, 304 ss. e Díaz Ariño 2008, pp. 282-283) i lingotti in oggetto sarebbero da assegnare al relitto Escombreras III di età augustea. Il pecio Escombreras II era un piccolo vettore di redistribuzione che oltre alle massae plumbeae trasportava merci assai diversificate tra cui anfore tirreniche (anche del tipo Dressel 1B) e adriatiche (Alonso Campoy 2009, p. 43). 36  37 

Figura 121. Alcuni lingotti provenienti dal relitto di Punta dell’Arco (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).

che, come altre provenienti dal suolo italico e di cui è rimasta eco nelle fonti, si arricchì immensamente con le concessioni statali allo sfruttamento delle miniere spagnole34. L’iscrizione alla tribù Menenia in virtù della quale gli Utii ottennero la cittadinanza romana all’indomani della Guerra Sociale35 lascia tuttavia supporre che la gens possa essersi successivamente impiantata in uno dei centri dell’area del Golfo di Napoli dove tale tribus era particolarmente diffusa (Sorrento, 34  35 

Cfr. a questo proposito i passi di Diod., V, 35-38 e Strabo, III, 2, 9 ss. Gandolfi 1985, p. 321; Gandolfi 1986, p. 84; Bigagli 2002, p. 163.

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S. Medaglia: Ricerche e rinvenimenti subacquei

2000 litri44 (Figura 124). Nel recuperare il dolium alla profondità di 54 metri al suo interno furono rinvenute tre anfore delle quali due sono attualmente distinguibili tra i numerosi reperti sottomarini delle raccolte museali45. Il primo dei due contenitori recuperati dovrebbe potersi identificare con un’anforetta a fondo piatto, di non chiara identificazione, contenente ocra rossa46; il secondo contenitore è invece un’anfora di piccola taglia47 che ricorda una variante delle Dressel 1 (Figura 125). Le caratteristiche morfologiche generali di quest’ultima anfora, tra cui il corpo ovoide, le anse leggermente flesse e le dimensioni ridotte, consentono di ricondurla ai tipi Uenze 148 attestati nel relitto B di Sant’Andrea (Isola d’Elba)49 e in quello di Cap Sicié a La Seyne-sur-Mer (Var)50. Il dolio di Punta dell’Arco va ad aggiungersi alle numerose segnalazioni di dolia sporadici di provenienza sottomarina di cui alcuni anni fa F. Pallarés ha messo a punto una mappatura relativa al Tirreno e al Mar Ligure51. Sebbene vi sia da supporre che il dolio non contenesse liquidi al momento del naufragio in quanto al suo interno sono state trovate le anfore, non si possono non richiamare, almeno suggestivamente, simili manufatti rinvenuti nei relitti a dolia che, databili per lo più tra l’età augustea e la prima metà circa del I sec. d.C. (Grand Ribaud D, La Giraglia, Ile Rousse, Diano Marina, Ladispoli, Petit Conglué), trasportavano vino sfuso il cui mercato era egemonizzato da alcune famiglie tra le quali spiccavano i noti Piranii originari di Minturnae52. Si può cautamente supporre che il vino sfuso contenuto nel dolio di Punta dell’Arco al momento dell’affondamento della nave fosse stato già smerciato. In ogni modo è da ritenersi credibile che il dolio in questione non debba essere considerato un manufatto sporadico. È probabile, piuttosto, che appartenga al relitto romano di Punta dell’Arco da cui distava al momento della scoperta circa 100 metri. È possibile, infatti, che esso sia stato gettato in mare in un momento precedente il naufragio della nave al fine di alleggerirne il peso o, più plausibilmente, che sia stato coinvolto nella dinamica dell’affondamento e che una volta giunto sul fondo si sia separato dallo scafo e dal resto del carico rotolando lungo il fondale che in quell’area è accentuatamente declive.

Figura 123. Particolare dei cartigli con le stampiglie C. FIDVI C. F. // S. LVCRETI S. F. dal relitto di Punta dell’Arco (Museo Ventotene Archeologico Comunale).

apparentati39. La gens Lucretia ricordata nella stampiglia non era nuova a imprese commerciali consociative come indicano le massae plumbeae marcate da socii membri della stessa famiglia: Societ(atis) // S(purii et) T(iti) Lucreti(orum) dai dintorni di Basilea e S(purii) Lucreti(orum) // Soc[ietatis] dalla zona di Cartagena (CIL XIII, 10029, 26)40. Anche per i Fiduii e i Lucretii è da supporre un’origine campana: per i primi è stata proposta la provenienza da Cales e per i secondi quella da Pompeii41. Stante la penuria di dati, la datazione del relitto di Punta dell’Arco è quanto mai oscillante42; di recente è stato tuttavia proposto un affinamento della cronologia al secondo quarto del I sec. a.C.43. Nelle acque di Punta dell’Arco è stato rinvenuto nel settembre del 1986, apparentemente isolato, anche un grande dolio alto 142 cm e con una capacità di circa Domergue 1990, pp. 256, 258, 265, 326. Su questi bolli cfr., con bibliografia precedente, Díaz Ariño 2008, pp. 282-283. 41  Stefanile 2014, pp. 68-71; Stefanile 2015, pp. 174-175 (per i soli Fiduii). 42  I sec. a.C.: De Rossi 1999a, p. 98; Ritondale 2014, p. 28; prima metà del I sec. a.C.: Parker 1992, p. 351, n. 932; inizi I sec. a.C.: Brown 2011, p. 209 n. 18; metà circa del I sec. a.C.: Gianfrotta 1986, p. 216. 43  Stefanile 2014, p. 74; Rothenhoefer et alii 2016, p. 130. Non è tuttavia da scartare l’ipotesi che la data del naufragio possa essere collocata nell’ambito del primo venticinquennio del I sec. a.C. considerando sia la cronologia dell’Escombreras II, sia l’ipotesi a suo tempo formulata dal Domergue secondo cui le stampiglie riferibili a Caius Utius senza l’indicazione della tribù Menenia (come nel caso di Ventotene) vadano poste prima dell’89/88 a.C. ovverosia in data antecedente all’ottenimento della cittadinanza romana da parte della gens (Domergue et alii 1974, pp. 131-132; Bigagli 2002, p. 163). È chiaro che una simile ipotesi può essere ritenuta in linea di massima valida solo se l’Utius attestato nelle diverse versioni dei bolli è sempre lo stesso personaggio o, nel caso contrario, che ci si trovi dinnanzi a omonimi della stessa famiglia. 39  40 

Inv. n. 25734. De Rossi 1999a, pp. 93-94, fig. 62. Per una cronaca ‘sensazionalistica’ del recupero vd. l’articolo apparso su Repubblica del 24 settembre 1986 (riedito in De Rossi 2009, p. 82). Maggiori e più precise informazioni le debbo a Fausto Paglici che effettuò il complesso recupero. A lui vanno i miei ringraziamenti. 46  Inv. n. 25717. Frammentaria: si conserva la parte superiore sino all’altezza della spalla (alt. max. cons. cm 16) e un’ampia porzione del fondo (alt. max cons. cm 16). 47  Inv. n. 25688: integra; alt. max cm 78; diam. max pancia cm 33; diam. orlo ext. cm 17; diam. bocca cm 13. 48  Uenze 1958, tav. 3,4, type 1. 49  Sulle anfore del relitto Sant’Andrea B vedi Maggiani 1982, pp. 75, fig. 51 c, 76 fig. 52 e Corsi 1988, p. 159, n. 3. 50  Tchernia 1969, pp. 482, fig. 33, 483. 51  Dell’Amico, Pallarés 2005, pp. 82, fig. 10, 83, tab. II. 52  Per i relitti a dolia si vedano i dati riassuntivi offerti in Dell’Amico, Pallarés 2005 e Marlier 2008. 44  45 

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Introduzione alle antichità di Ventotene Un carico misto comprendente vinarie Dressel 1B lo ritroviamo anche in un altro relitto naufragato intorno alla metà del I sec. a.C. su un fondale di circa 42 metri nel tratto di mare che separa le isole di Ventotene e Santo Stefano. Denominato de ‘le Grottelle’ (o anche di ‘Santo Stefano’), come il precedente subì continui trafugamenti sino a quando, nel 1983, i subacquei della Guardia di Finanza procedettero al recupero di alcune centinaia di reperti, vale a dire di quanto era sfuggito ai clandestini53. Se però tale operazione riuscì a salvaguardare almeno parte del carico navale, essa, non contemplando la presenza di operatori scientifici, comportò l’inesorabile perdita di dati per l’assenza di un’adeguata documentazione a supporto dell’intervento di recupero54. Ciò nulla toglie al rilevante interesse archeologico del relitto cui sono da associare manufatti non comuni e strutturalmente pertinenti a klinai in osso e in bronzo. Queste, destinate al commercio, erano imbarcate smontate per poi essere assemblate in un secondo momento. L’intelaiatura portante di questi letti era lignea (con verghe di rinforzo in ferro) ed impreziosita da appliques in bronzo o in osso che fungevano da rivestimento delle singole componenti (torus/telaio, fulcrum/ poggiatesta e gambe). Molte porzioni dei letti nella versione bronzea versano purtroppo in cattivo stato di conservazione, ma tra quelle che non hanno subito danni figurano parti di piedi e di gambe che talvolta presentano all’interno ancora tracce dell’anima lignea (Figura 126). La maggior parte dei reperti recuperati sul fondale delle Grottelle pertiene però a centinaia di elementi del rivestimento di letti in osso la cui origine va ricercata in tipi ellenistici in bronzo caratterizzati da fulcra con medaglioni e culmini con protomi ad altorilievo. Le klinai in osso tipologicamente vicine a quelle delle Grottelle sembra abbiano avuto un uso quasi esclusivamente funerario e la loro diffusione, a giudicare dalla mappatura dei rinvenimenti noti, parrebbe concentrata nell’Italia centrale interna e orientale55. Dopo una faticosa opera di restauro e ricomposizione dei vari elementi in osso possiamo farci un’idea complessivamente dettagliata dei letti ventotenesi56 (Figura 127).

Figura 124. Istanti precedenti il recupero del dolium di Punta dell’Arco nel 1986.

Le gambe mostrano un cilindro figurato in cui campeggia una figura nuda ad altorilievo compresa tra due restringimenti a forma di coni contrapposti e uniti per le basi (Figura 128). Al di sopra delle gambe il torus presenta, a seconda dello spessore, uno o due registri con motivi a foglie rovesce di acanto e di loto. Le facce Non è ben chiaro se il relitto in questione sia quello menzionato nell’Archivio Sabap-Lazio, prot. 1898 del 26-03-1968 a proposito di riprese effettuate da un club di subacquei di Baia (Bacoli) assieme alla Rai Tv a nord-ovest di Santo Stefano sul relitto di una nave carica di anfore. 54  De Rossi 2005, p. 21. 55  Letta 1984; Bianchi 2010, pp. 51-52. 56  Sulle klinai delle Grottelle si vedano le sintesi di De Rossi 2005 e Diana 2008. 53 

Figura 125. Anfora tipo Uenze 1 rinvenuta all’interno del dolio di Punta dell’Arco (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).

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S. Medaglia: Ricerche e rinvenimenti subacquei per facilitarne l’assemblaggio e fulcra caratterizzati da diversi tipi di protome (a testa di cavallo, mulo e anatra)61. All’incirca dello stesso periodo sono altri due relitti con klinai: il relitto tunisino di Mahdia (circa 80-70 a.C.) in cui figurano tipi con culmen a testa di cavallo e medaglioni con busto di Artemide62 e quello greco di Anticitera del secondo quarto del I sec. a.C. con culmini zoomorfi e medaglioni dalle protomi antropomorfe o zoomorfe63. Dalla mobilia di bordo di un relitto della fine del I sec. a.C. rinvenuto a largo di Ladispoli proviene invece parte di un poggiatesta di letto ligneo con culmen a protome di anatra e medaglione a disco64. Appartenevano al relitto delle Grottelle anche un set di sette strumenti chirurgici e/o di cosmesi in bronzo (spatulae uncinate e ligulae), probabilmente trasportati all’interno di un theca vulneraria in legno andata perduta65 (Figura 134), un punteruolo in legno da impiombatura, alcune monete, una basetta marmorea modanata che in origine forse costituiva il piedistallo di una statuina (Figura 135), un paio di suole di zoccoli lignei di piccola taglia dotati di listelli nella parte inferiore e di un foro passante per legacci di cuoio ad infradito66 (Figura 136), alcune ceramiche di bordo frammentarie (del tipo a pareti sottili e d’uso comune). Al medesimo relitto potrebbe, infine, essere assegnata anche un’ancora in ferro non ancora recuperata67. Un’altra importante testimonianza archeologica sottomarina ventotenese è quella del relitto di Cala Rossano, investigato nel giugno del 1990 dall’allora Soprintendenza Archeologica per il Lazio con la collaborazione di F. P. Arata ed E. Pantanella. Tali ricerche furono avviate tardivamente malgrado che dal 1981 fossero pubblicamente noti i saccheggi a cui era sottoposto il giacimento sommerso68 e quantunque nel corso degli anni successivi comparissero allarmati appelli sulla stampa e su pubblicazioni scientifiche69. Nonostante tutto, le succitate ricerche permisero di individuare e documentare, in un’area di circa 50 mq, quel che era scampato alle razzie dei trafugatori. Le testimonianze archeologiche erano disseminate alla profondità di circa m 3,50 non lontano dal fianco meridionale di Punta Eolo su un fondale prevalentemente sabbioso con qualche scoglio affiorante (Figura 137). Dello scafo della

Figura 126. Piede in bronzo della gamba di una kline dal relitto delle Grottelle (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).

laterali dei fulcra assumono la consueta sagoma a S e sono bordate da cornicette modanate che delimitano un campo rivestito da placchette lisce. Sulle estremità basse dei fulcra vi erano i medaglioni con figure femminili rappresentate a mezzo busto (Figure 129, 130, 131, 132), mentre il culmen era configurato a testa di lince (Figura 133). Le klinai in osso di Ventotene hanno uno sviluppo complessivo in altezza di 92 cm (puntale escluso) e trovano varie analogie in termini di apparato decorativo con letti funerari da Ancona57, Norcia58 e dall’Abruzzo59 (tra i quali degno di nota è quello da Collelongo nella valle di Amplero)60. La presenza di letti all’interno di relitti, sebbene non comune, non è da considerarsi isolata: l’esempio meglio noto è quello della Formigue C (80/75-60 a.C.), naufragata nel Golfe Juan in Provenza, che trasportava diversi lecti Deliaci in bronzo con lettere in greco

Baudoin et alii 1994, p. 31 ss. Faust 1994. 63  Palaiokrassa 2012. 64  D’Atri, Gianfrotta 1986, pp. 205-206, 207 figg. 10-11. 65  Sulle dotazioni mediche all’interno di relitti d’età romana cfr. Beltrame 2002, pp. 87 ss. 66  Tre suole di zoccoli da marinaio sono stati rinvenuti nel corso degli scavi delle navi di Pisa: Grandinetti, Rossi 2000, pp. 307, 310 (figg. 1-4), 312 (nn. 188-190). 67  Gianfrotta 1986, p. 216. 68  Cappelletti 1981. 69  Gianfrotta 1983; Cappelletti, Gianfrotta 1983; Gianfrotta 1986, pp. 216-217. 61  62 

Brizio 1902, pp. 445 ss., figg. 8, 9, 17. Costamagna 2014, p. 118, fig. 8. d’Ercole, Martellone 2010, p. 44. 60  Letta 2014, pp. 6-7, figg. 1-2. 57  58  59 

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Introduzione alle antichità di Ventotene

Figura 127. Alcune placchette in osso di rivestimento dell’intelaiatura lignea dei letti durante la fase di riassemblamento in laboratorio.

Figura 129. Relitto delle Grottelle: testine in osso relative ai medaglioni del fulcrum (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).

Figura 128. Figura di rivestimento delle gambe cilindriche dei letti delle Grottelle (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).

Figura 130. Relitto delle Grottelle: testina in osso relativa al medaglione del fulcrum (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).

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S. Medaglia: Ricerche e rinvenimenti subacquei

attrezzature della nave spettano diversi manufatti restaurati e attualmente conservati all’interno del Museo Archeologico di Ventotene: alcune parti di una pompa di sentina del tipo ‘a bindolo’ comprendenti un frammento di tubazione cilindrica in piombo (Figura 138) e quattro dischetti lignei relativi al dispositivo di aspirazione71, due bozzelli in legno a una via con mozzo in bronzo (Figura 139), un anello in piombo forse usato per la riduzione delle velature o come appesantimento per reti da pesca, un contenitore in piombo dalla forma grosso modo globulare (Figura 140) e alcuni elementi ben conservati di cime di canapa a due o tre legnoli. A questi manufatti si devono aggiungere una coticula in basanite72, due acus crinalia in osso con capocchia ovoidale (Figura 141) e altri elementi lavorati, sempre in osso, di non chiara interpretazione73 (Figura 142). Purtroppo trafugato e noto soltanto attraverso fotografia è invece un louterion in marmo con piedistallo quadrangolare, probabilmente utilizzato per scopi cerimoniali74. Alle dotazioni di bordo vanno assegnate ceramiche da fuoco e da cucina, alcuni frammenti di ceramiche a pareti sottili (tra cui un boccalino monoansato tipo Atlante II, tipo I, 30 / Marabini XV) e tre frammenti di Dressel 20 di cui uno con incisa una M prima della cottura75.

Figura 131. Relitto delle Grottelle: testina in osso relativa al medaglione del fulcrum (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).

Il carico del relitto di Cala Rossano era misto e si componeva di lingotti di stagno e di anfore spagnole contenenti prodotti derivati dalla lavorazione del pescato. Le massae di stagno − in totale quindici − sono caratterizzate da due diverse forme: tredici hanno foggia tronco-conica con alla base un codolo aggettante e pesano ciascuna mediamente kg 6,750; una soltanto (kg 8,840) ha la più consueta sembianza di lingotto e ha all’estremità un codolo trilobato (Figura 143). Sulla base di uno dei lingotti tronco-conici si conservano tre punzonature che ripetitivamente ripropongono il marchio IVN(i)76. L’altra mercanzia stivata a bordo dell’oneraria di Cala Rossano era composta da anfore betiche ascritte da P. F. Arata ai tipi Dressel 8 / Beltran I, 11 e Dressel 9 / Beltran I, 20-22 (Figure 144, 145). Esse, per lo più in

Figura 132. Relitto delle Grottelle: testina in osso relativa al medaglione del fulcrum (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).

71 

nave, a cagione della bassa profondità e dell’esiguità dello strato sabbioso che in quel punto presenta una potenza oscillante tra 30 e 70 cm, non si è conservato nulla fuorché alcuni «minuti frammenti del fasciame, alcune linguette di fissaggio delle ordinate con relative caviglie e un elemento ligneo cilindrico con un tenone rettangolare ad un’estremità»70. Centoventisei sono invece i chiodi in rame di varie dimensioni recuperati – sia con fusto a sezione quadrata (119 unità), sia a sezione tonda (7 unità) – che in origine concorrevano all’assemblaggio degli elementi lignei dello scafo. Alle 70 

ss.

Sulla pompa di sentina di Cala Rossano vd. De Rossi 2007, pp. 19

Cm 13 x 7 x 3: cfr. De Rossi 2007, pp. 13 ss. Si tratta di un lotto di materiali in osso recuperati fortuitamente dopo la campagna di scavo e che a seguito della consegna effettuata nel 1995 furono restaurati. 74  Cappelletti 1981, p. 110 (foto), Arata 1993, p. 148. 75  Arata 1993, pp. 134, 148-149 (fig. 27). 76  Il gentilizio Iunius compare sui lingotti di piombo, prodotti dai Minucii e contromarcati da AP. IVN / ZETH, che furono recuperati all’interno del relitto di età tiberiana Sud-Lavezzi 2. L’Appius Iunius Zethus menzionato è un affrancato della famiglia degli Iunii Silani e nella fattispecie di Caius Appius Iunius Silanus che fu console ordinario nel 28 d.C. e poi governatore della Spagna nel 41 d.C.; questi non rivestiva solo il ruolo di mercator ma anche quello di navicularius come dimostrerebbero i ceppi delle ancore in piombo appartenenti al relitto in cui ricorre il suo nome inciso: Liou, Domergue 1990; Rico 2011, pp. 46-47. 72  73 

Arata 1993, p. 131.

101

Introduzione alle antichità di Ventotene

Figura 133. Ricostruzione del rivestimento osseo di una kline del relitto delle Grottelle relativamente alla porzione della gamba superiore e del fulcro con culmen configurato a testa di lince (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).

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S. Medaglia: Ricerche e rinvenimenti subacquei

Figura 134. Set composto da spatulae e ligulae in bronzo dal relitto delle Grottelle (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).

Figura 135. Basetta marmorea dal relitto delle Grottelle (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).

Figura 136. Suole di zoccoli lignei dal relitto delle Grottelle (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).

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Introduzione alle antichità di Ventotene

Figura 137. Cala Rossano. Un archeologo a lavoro nel corso delle indagini del 1990 sul relitto romano.

Figura 138. Elemento tubolare in piombo probabilmente relativo al meccanismo della sentina. Lungh. cm 35; diam. cm, 5,6 (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).

frammenti, conservano diversi tituli picti in cui figurano le specifiche delle derrate contenute nelle anfore e/o i nomi di vari mercatores che le commercializzavano. Sulle Dressel 8 compaiono i mercanti L. Iunius Festus, Firmu(us sive -anus), Rutili(us sive -anus) e C. Annius Senecionis; sulle Dressel 9 M. Achivius ed Aemilianus Acivius77 (Figura 146). I tituli restituiscono anche altre poche lettere di nomi di origine servile che potrebbero aver avuto un qualche ruolo nel corso delle operazioni produttive o commerciali. Riguardo alle specifiche merceologiche dei prodotti a base di pesce, le iscrizioni fanno riferimento a LVM(pa, -pha, -phatum) e a G(ari) Sc(ombri) F(los) o solamente G(ari) F(los) − vale a dire ‘garum di sgombri di prima qualità’ o ‘garum di prima qualità’. Dall’interno di alcune anfore ventotenesi contenenti salsa nella qualità LVM( ) provengono acini e raspi d’uva ad indicare che forse il liquame di pesce era mescolato con uva78; in un caso, inoltre, sappiamo Figura 139. Bozzello in legno a una via con mozzo in bronzo dal relitto di Cala Rossano (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).

Per l’interpretazione epigrafica e prosopografica dei tituli del relitto di Cala Rossano si veda Arata 1993; Arata 1994. 78  Arata 1993, p. 146. 77 

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S. Medaglia: Ricerche e rinvenimenti subacquei

Figura 140. Contenitore in lamina di piombo dal relitto di Cala Rossano (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).

Figura 141. Ago crinale in osso dal relitto di cala Rossano (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).

Figura 142. Manufatti in osso dal relitto di Cala Rossano (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).

Ad indagini sistematiche d’alto fondale condotte tra il 2008 e il 2009 dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio in collaborazione con l’Aurora Trust – un’organizzazione no profit che opera nell’ambito della ricerca sul patrimonio culturale sommerso – si debbono altre importanti e sensazionali scoperte sottomarine. Con l’impiego di un Side Scan

che la salsa LVM( ) iberica contenuta in una Dressel 9 era stata sottoposta ad un invecchiamento di tre anni (trium annorum) che le conferiva maggiore pregio79. 79 

Il relitto di Cala Rossano proveniva dunque dalla Betica, provincia in cui avveniva la lavorazione e la conservazione della salsa di pesce presente all’interno delle anfore. È ragionevole pensare che anche lo stagno fosse iberico e che, estratto forse nella regione dell’Estrameadura o in Galizia, raggiunse la costa betica per essere imbarcato assieme ai contenitori da trasporto. Non è dato sapere se il carico fosse destinato a Pandataria o se la nave, intendendo andare altrove, tentò forse di ripararsi nella baia andando incontro all’affondamento. Sulla base di diversi e convergenti indicatori archeologici provenienti dall’analisi dei materiali rinvenuti, il naufragio è ascrivibile al secondo trentennio del I sec. d.C.

Arata 1993, p. 141, n. 16.

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Introduzione alle antichità di Ventotene

Figura 143. Lingotto di stagno frammentario dal relitto di Cala Rossano (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).

Figura 144. Dressel 8 dal relitto di Cala Rossano (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).

Figura 145. Tappi fittili delle anfore Dressel 8 e 9 dal relitto di Cala Rossano.

Sonar e di un R.O.V. sono stati sistematicamente indagati i fondali prospicienti l’isola consentendo in tal modo l’individuazione di ben cinque relitti. Nel 2010 tre di questi giacimenti sono stati oggetti di sopralluoghi diretti da parte di subacquei tecnici80. 80 

Il primo relitto, da datare nel corso del I sec. d.C., è stato scoperto in prossimità dell’isola di Santo Stefano e misura m 15 x 5; ad esso è da attribuire un carico di anfore dalla Betica appartenenti alle tipologie Dressel 7-11, Beltran II A e Haltern 7081 (Figura 147). A eccezione

Gambin et alii 2010, pp. 337-338; Ritondale 2014, pp. 28-29.

81 

106

Gambin et alii 2010, p. 338; Ritondale 2014, p. 31.

S. Medaglia: Ricerche e rinvenimenti subacquei

occupa un’area di fondale di m 18 x 5 e che risulta composto da anfore vinarie Dressel 1 C, Lamboglia 2 e da contenitori adriatici di produzione brindisina che contenevano olio di oliva82. Il relitto ‘Ventotene 2’ trasportava invece un carico misto composto da mortaria fittili ancora impilati gli uni negli altri (Figure 148, 149) e da anfore vinarie Dressel 2-4 di origine italica, forse campana. Il giacimento, di m 13 x 4 circa, è diviso in due tronconi ed è databile al I sec. d.C.83. Un altro carico misto era quello del relitto ‘Ventotene 3’ che s’‘inquadra tra I e II sec. d.C. L’area di dispersione del carico è di m 20 x 5 e comprende anfore assegnabili ai tipi Dressel 2-4 e Forlimpopoli, nonché frammenti di vetro84. Figura 146. Tituli picti dal relitto di Cala Rossano: a) Firm[ius sive -us] / A[…]; b) Hermet[i]; c) L(uci) Iuni Fe[sti].

L’ultimo dei relitti ventotenesi d’alta profondità, il ‘Ventotene 4’, è anche il più tardo. Proveniente dalle

Figura 147. Una suggestiva immagine del relitto d’alto fondale rinvenuto dall’Aurora Trust in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica del Lazio presso l’isola di Santo Stefano.

di quest’ultimo tipo di contenitore utilizzato anche per il trasporto del defrutum e forse del vino, di norma tali anfore erano legate alla commercializzazione di prodotti derivanti dalla lavorazione del pescato.

Gambin et alii 2010, p. 338; Ritondale 2014, p. 31. Gambin et alii 2010, pp. 338-340; Ritondale 2014, pp. 31-32. 84  Gambin et alii 2010, pp. 338, 340; Ritondale 2014, p. 32. Alcuni manufatti cilindrici di natura metallica presenti all’interno del giacimento sono da considerarsi moderni e forse connessi con attività di pesca più o meno recenti. Questo è quanto sembra potersi ricavare sulla base di un recente sopralluogo effettuato sul sito da Dario Santomauro (che ringrazio per l’infiormazione) alla profondità di 140 metri. 82  83 

A un altro relitto, denominato ‘Ventotene 1’, è da assegnare un carico databile tra II e I sec. a.C. che 107

Introduzione alle antichità di Ventotene

Figura 148. Alcuni mortaria fittili appartenenti al carico del relitto ‘Ventotene 2’.

coste nord-africane, è stato attribuito al IV sec. d.C. e di esso sul fondale, a 124 metri di profondità, si conserva un cumulo di m 4 x 12 composto da anfore Keay 25 disposte ancora seconda l’originaria posizione di carico85 (Figura 150). A conclusione di questa rapida rassegna sulle testimonianze archeologiche recuperate nelle acque di Ventotene, vanno almeno ricordate alcune anfore incamerate nel corso degli anni all’interno delle raccolte museali e per le quali la documentazione è assai lacunosa. Si tratta, infatti, di vecchi recuperi fortuiti o di sequestri, presumibilmente legati all’attività della pesca, di cui si ignora per lo più l’esatto luogo di provenienza. La scarna documentazione d’archivio riferisce di ritrovamenti lungo i litorali di Parata Grande, Cala Nave e Punta dell’Arco, ma nonostante ciò risulta arduo, all’atto pratico, rintracciare e isolare i singoli manufatti86. Non è improbabile che alcuni di questi contenitori possano provenire proprio dai relitti d’alta profondità a cui abbiamo fatto cenno poc’anzi. Gambin et alii 2010, p. 338; Ritondale 2014, p. 32. Per alcune anfore appartenenti a questo relitto vd. infra, p. 111. 86  Vd. ad es. Sabap-Lazio, prot. 1072/26 del 25-08-1977 (recupero di tre anfore presso la spiaggia di Parata Grande); Sabap-Lazio, prot. 1032/26 del 16-08-1977 (sequestro di tre anfore a bordo di un motopeschereccio a nord-ovest di Capo dell’Arco: potrebbe trattarsi di Dressel 1B); Sabap-Lazio, prot. 1819 del 6-10-1975 (con riferimento a diverse anfore recuperate anni addietro nelle acque dell’isola e poi trasportate presso il Museo di Sperlonga); Sabap-Lazio, prot. 8898 dell’11-08-1972 e prot. 10071 del 25-08-1973 (ritrovamento di un’anfora a 5 metri di profondità presso Cala Nave); Sabap-Lazio, prot. 899/26 del 7-10-1975 (sequestro di due anfore romane rinvenute in località Parata Grande). 85 

Figura 149. Mortarium del relitto d’alto fondale ‘Ventotene 2’. Ventotene, Museo Archeologico Comunale.

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S. Medaglia: Ricerche e rinvenimenti subacquei

Figura 150. Anfore Keay 25 in posizione di carico relative al relitto ‘Ventotene 4’ scoperto dalla fondazione Aurora Trust e dalla Soprintendenza Archeologica del lazio.

La prima delle anfore in discorso è una Dressel 21-22 tipo 1b, di produzione tirrenica, forse siciliana. Mancante del fondo, si datata al I sec. d.C. ed era utilizzata per il trasporto del pesce87 (Figura 151). Un’altra anfora, anch’essa frammentaria del fondo, è classificabile come una Pelichet 47 / Gauloise 4. Impiegata per il trasporto del vino, era prodotta nel sud della Francia (per lo più nella Gallia narbonese) tra la metà del I e la fine del III sec. d.C.88 (Figura 152). Nei magazzini del Museo compaiono anche due contenitori vinari tipo Kapitän I89 (Figura 153); un terzo contenitore della stessa classe è stato fortuitamente recuperato di recente da un pescatore circa 60 metri a largo del porto romano90 (Figura 154). Di 87  Inv. n. 17550 (inv. Museo n. 25704): alt. max cons. cm 49; diam. max pancia cm 25; diam. orlo ext. cm 17; diam. bocca cm 14. Su questa classe di anfore vedi Botte 2009. 88  Inv. 17549 (inv. Museo n. 25705: alt. max cm 53; diam. max pancia cm 38; diam. orlo ext. cm 13; diam. bocca cm 10. Su questo tipo di anfora vedi Peacock, Williams 1986, pp. 142-143. 89  Inv. n. 25691: alt. max cons. cm 82. Mancante delle anse e del collo/ orlo; inv. n. 25698: alt. max cons. cm 81. Mancante di parte del fondo puntuto, di parte delle anse (di cui si conservano le attaccature sulla spalla) e del collo/orlo. 90  Info cortesia di A. Santomauro. Dell’anfora in oggetto si conserva solo la porzione superiore, senza anse, fratturata all’altezza delle spalle.

Figura 151. Anfora Dressel 21-22 tipo 1b (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).

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Introduzione alle antichità di Ventotene

Figura 152. Anfora Gauloise 4 (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).

Figura 155. Dressel 2-4 tarda di produzione campana (Ventotene, Museo Archeologico Comunale). Figura 153. Anfora Kapitän I frammentaria (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).

produzione egeo-microasiatica, le Kapitän I compiono nei mercati tirrenici di Roma ed Ostia in età antonina/ tardo-antonina e sono ben attestate nel corso di tutto il III secolo91. Italica è invece una Dressel 2-4 tarda di produzione campana (II-III sec. d.C.) i cui atelier erano diffusi in un’area che comprendeva l’ager Falernus, la baia di Neapolis e il distretto vesuviano92 (Figura 155). Sul collo dell’anfora compare un bollo entro cartiglio rettangolare, parzialmente ricoperto da incrostazioni marine, che mi pare possa essere letto MVC93 (Figura 156). Per Ostia si veda ora Rizzo 2014, pp. 327-328; per Roma, a livello esemplificativo, vedi Rizzo 2003, p. 183; Marucci 2006, pp. 60, 87; Peña 1999, p. 86; Contino, D’Alessandro 2014, pp. 325, 329, 331 fig. 13, 333 fig. 15. 92  Inv. n. 25690: alt. max cons. cm 85; diam. max pancia cm 27; diam. orlo ext. cm 15; diam. bocca cm 11; cartiglio bollo cm 2,8 x 1,2; lacunosa del fondo. Limitandoci ai soli rinvenimenti sottomarini, Dressel 2-4 tarde sono attestate nel relitto Ouest Embiez 1 (baia di Sanary, dipartimento del Var) datato tra II e III sec. d.C: cfr. Bernard et alii 2007, pp. 221, fig. 24, 222. Su questo tipo di contenitori si veda Rizzo 2014, pp. 114-115. 93  Ho potuto esaminare il bollo solo attraverso una fotografia e pertanto la lettura proposta non è certa. La stampiglia MVC compare 91 

Figura 154. Porzione superiore di un’anfora Kapitän I recentemente recuperata poco al di fuori del porto romano.

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S. Medaglia: Ricerche e rinvenimenti subacquei

recuperate in passato con reti da pesca dal relitto d’alto fondale ‘Ventotene 4’97 (Figura 157). Tra i contenitori più tardi provenienti dalle acque ventotenesi figurano un tipo globulare assegnabile alla famiglia delle LRA 298 realizzate tra il IV e la metà del VI d.C. nel Mediterraneo orientale e una Keay LII che com’è noto era un piccolo contenitore vinario prodotto soprattutto nei Bruttii, ma anche lungo la costa orientale della Sicilia (Naxos), tra la metà del IV e il VI/VII sec. d.C.99 (Figura 158). Riguardo a quest’ultima anfora, recuperata fortuitamente con le reti da pesca, non è da escludere che possa provenire dal relitto d’alto fondale Zannone A100, anche se non va taciuto che sulla base delle poche immagini disponibili tali contenitori

Figura 156. Particolare del bollo MVC sul collo della Dressel 2-4 tarda.

Figura 157. Anfore di provenienza sottomarina: a, c) Keay 25 sub type 1; b) spatheion type 1; d) Keay VI / Africana IIC (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).

paiono essere più sfilati e con un collo allungato che richiamano il sous-type 1 a suo tempo isolato da Bonifay e Piéri101.

Tra le anfore di produzione nord-africana presenti in Museo segnaliamo uno spatheion type 1 databile al V sec. d.C.94, una Keay VI / Africana IIC databile tra la fine del III e il IV sec. d.C. 95 e due Keay 25 sub type 1 (Africana III A), databili al IV sec. d.C.96, che furono

integra. Sui tipi si veda Bonifay 2004, pp. 118-119, 122 (amphore type 27). 97  Su questo giacimento (vd. supra, p. 108). Un altro relitto d’alto fondale con Keay 25 è stato rinvenuto nelle acque di Zannone (Ritondale 2014, p. 33). 98  Inv. 25707; alt. max cm 48; diam. max pancia cm 36; diam. orlo ext. cm 7; diam. bocca cm 6; integra ad eccezione di sbrecciature sull’orlo. 99  Inv. 25703; alt. max cm 48,5; diam. max pancia cm 27; diam. fondo cm 9; diam. orlo ext. cm 11,5; diam. bocca cm 8; integra. Sulle Keay LII cfr. Arthur 1989; Pacetti 1998. 100  Ritondale 2014, p. 33, fig. 10. 101  Bonifay, Piéri 1995, pp. 114 ss.

al Testaccio in collari amphorae (come nel nostro caso): cfr. CIL XV, 3214. 94  Inv. n. 25693; alt. max cons. cm 105. Integra ad eccezione del puntale mancante. Cfr. Bonifay 2004, pp. 124, fig. 67, 125 (amphore type 31). 95  Inv. 25692; alt. max cons. cm 93; diam. max pancia cm 28; diam. orlo ext. cm 11,5; diam. bocca cm 7,5; lacunosa del fondo. Sul tipo vd. Bonifay 2004, p. 113, fig. 61, 114-115. 96  Inv. 25694; alt. max. cm 110; diam. max pancia cm 26; diam. orlo ext. cm 12,5; diam. bocca cm 9; integra. Inv. 25708; alt. 108;

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Introduzione alle antichità di Ventotene

Figura 158. Anfore LRA similis (A) e Keay LII (B) dai fondali isolani (Ventotene, Museo Archeologico Comunale).

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