Introduzione alla storiografia romana [Nuova ed., 2. ed.]
 9788843094950, 8843094955

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Massimo Manca Francesca Rohr Vìo

Carocci editore

Manuali

La civiltà romana si fonda sulla memoria; per il cittadino romano il passato defmisce l'identità e l'appartenenza, giustifica gli equilibri politici e gli assetti sociali, costruisce un codice di valori di riferimento condivisi. La connessione tra storia e politica, sempre assai stretta nell'esperienza romana, determina la coincidenza frequente tra storiografi e protagonisti sulla scena, che intendono l'impegno letterario come uno degli strumenti della loro azione politica. Il volume illustra come, al di là del suo evidente apporto informativo in merito al concreto dipanarsi degli eventi storici, la storiografia, nei vari generi in cui si articolò, rappresenti una chiave di lettura imprescindibile per la conoscenza della civiltà romana nelle sue differenti manifestazioni. Questa nuova edizione, interamente rivista, amplia la prospettiva storiografica ai contributi dell'oratoria e della poesia, per ricostruire la coscienza storica del civis nelle sue molteplici manifestazioni testuali. insegna Lingua e Letteratura latina all'Università di Torino. Studia la storiografia allegorica degli exempla in età tardoantica. Tra le sue pubblicazioni, Fulgenzio, le età del mondo e dell'uomo (Alessandria �oo3). insegna Storia romana all'Università Ca' Foscari di Venezia. Studia la politica di età triumvirale e augustea. Tra i suoi saggi: Publio Ventidio Basso (Roma �009) e Fulvia (Napoli �013).

I 1 11111 1

ISBN 978-88-430-9495-0

€ 29,00

9 788843 094950

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Massimo Manca

Francesca Rohr Vio

Introduzione alla storiografia romana Nuova edizione

Carocci editore

2• edizione, marzo 2019 1• edizione, 2010 (7 ristampe) © copyright 2019 by Carocci editore S.p.A., Roma Realizzazione editoriale: Fregi e Majuscole, Torino Finito di stampare nel marzo 2019 da Eurolit, Roma ISBN

978-88-430-9495-0

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione, è vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.

Indice

Premessa alla seconda edizione 13 Premessa 15 1. 1. 2..

La prima codificazione della memoria: la tradizione prestorio­ grafica 19

Il valore della memoria storica in età arcaica, proto e mesorepubbli­ cana 19 Le modalità di codificazione della memoria 2.1 2.1. La storia per verba I 2.2. La storia per imagines I 2.3. La storia per scripta

3. 4.

2. 1. 2..

I vettori della memoria prestoriografica: casi di fruizione complemen­ tare 34 Le peculiarità della tradizione prestoriografica 35 Nota bibliografica 36

La nascita della storiografia romana 39

I rapporti con la storiografia greca tra innovazione e dipenden­ za 39 La nascita della storiografia romana: la riflessione storica di uno stra­ niero 40 2.1. Timeo

Nota bibliografica

3. 1. 2..

41

La prima storiografia a Roma: una memoria nazionale in greco 43

L'annalistica 43 La prima annalistica

44

2.1. Fabio Pittore/ 2.2. Gli annalisti "perduti"

3.

Roma e la realizzazione dell'egemonia culturale

50

3.1. Impegno storiografico e attività politica

Nota bibliografica

4. 1.

51

La prima produzione storiografica in lingua latina Catone

53

53

1.1. Cenni biografici/ 1.2. La produzione storiografica

Nota bibliografica

60 7

Introduzione alla storiografia romana

5. 1. 2.

Storiografia e lotta politica tra II e I secolo a.e. 63

L'annalistica di transizione (età graccana) Autori di memoriali e di monografie 65

64

2..1. L'autobiografia/ 2..2.. La monografia storica

3. 4. 5.

6. 1.

2.

3. 4. 5. 6. 7. 8.

7. I.

2.

3.

67

Roma nell'approccio di un intellettuale greco: Polibio L'annalistica di età sillana 70 Le Historiae del I secolo a.C. 72 Nota bibliografica 75

La monografia storica: Sallustio 79

Cenni biografici 79 Il De Catilinae coniuratione 82 Il Bellum lugurthinum 85 Le Historiae 86 L' Invectiva in Marcum Tullium Ciceronem 88 Le Epistulae ad Caesarem senem de re publica 89 La tradizione manoscritta 90 Caratteristiche della produzione storiografica 90 Nota bibliografica 100

L'antiquaria

105

Un tentativo di definizione 105 La nascita dell'antiquaria a Roma Varrone 106

106

3.1. Cenni biografici/ 3.2.. La scelta del genere antiquario/ 3-3. L'impegno storiografico/ 3.4. Lo stile/ 3.5. La fortuna

Nota bibliografica

II5

8.

La memoria individuale: autobiografia e biografia 119

1.

Le origini del genere biografico La biografia romana 121 Cornelio Nepote 122

2.

3.

120

3.1. Cenni biografici/ 3.2.. La produzione storiografica/ 3.3. La fortuna

Nota bibliografica

9. 1. 2.

3.

I commentarii

124

127

Il genere storiografico del commentarius 127 I commentarii nell'ambito della storiografia romana Cesare 129

128

3.1. Cenni biografici/ 3.2.. La produzione letteraria e storiografica/ 3.3. Il rapporto con la storiografia greca/ 3-4- Le fonti e il metodo di lavoro/ 3.5. La struttura/ 3.6. Moda-

8

Indice lità e tempi di composizione e di pubblicazione dei Commentarii I 3.7. L'attendibilità storica, le finalità, i destinatari dell'opera/ 3.8. Lo stile/ 3.9. I discorsi/ 3,10. I ritratti/ 3.11. Gli interessi etnografici/ 3.12. La fortuna

Nota bibliografica 10. 1.

2..

3.

4. 5.

151

L'oratoria: la memoria storica al seivizio della politica L'oratoria in età arcaica 158 Catone e l'oratoria tra III e II secolo a.C. 159 L'oratoria tra fine II e I secolo a.C. 165 Cicerone 166 Uno sguardo all'oratoria in età imperiale 169 Nota bibliografica 172.

157

1.

Cenni sulla storiografia in lingua greca tra la fine della repubblica e l'inizio del principato 175 Dionigi di Alicarnasso 175

1.1.

Cenni biografici / 1.2.. La produzione storiografica

2..

Diodoro Siculo

11.

176

2..1. Cenni biografici/ 2..2.. La produzione storiografica

Nota bibliografica 12. 1.

2..

3.

177

Tito Livio 179 Cenni biografici 179 Livio a Roma 180 Le "storie" Ab urbe condita

181

3.1. Livio "neoannalista" / 3.2.. Livio e la verità storica / 3.3. Livio "epico in prosa" / 3.4. Livio come letterato

Nota bibliografica 13. 1. 2.

3.

4.

5. 6.

191

La storiografia del I secolo d.C. 193 Gli imperatori come storiografi 193 Due casi di censura: Labieno e Cremuzio Cordo La storiografia di regime: Velleio Patercolo 195

194

3.1. Contenuti della Historia Romana I 3.2.. La Historia Romana come ideologia del!' impero

La biografia di età altoimperiale: Valerio Massimo Fra storia e letteratura: Curzio Rufo 200 Storiografi minori di età imperiale 201 Nota bibliografica 206

199

9

Introduzione alla storiografia romana

14. 1. 2.

3. 4. 5.

Tacito 209 Cenni biografici 209 L'Agricola 211 La Germania 213 Il Dialogus de oratoribus 215 Il grande progetto storico tacitiano: le Historiae e gli Anna/es p. Le Historiae I p. Gli Anna/es

6.

Stile e fortuna 224 Nota bibliografica 225

15.

Svetonio 229 Cenni biografici 229 Svetonio erudito 231 Il De viris illustribus 232 Il De vita XII Caesarum 232

1.

2. 3. 4.

217

4.1. Caratteri della biografia svetoniana/ 4.2.. Le fonti/ 4.3. Lo stile/ 4.4. Storia del testo

Nota bibliografica 16. 1.

237

La storiografia dopo Svetonio 241 Due storici perduti: Mario Massimo elaEnmann-Kaisergeschichte

242

1.1. Mario Massimo/ 1.2.. LaEnmann-Kaisergeschichte 2.

I principali storiografi dopo Svetonio: Floro, Aurelio Vittore, Eutro­ pio 242 2..1. Lucio Anneo Floro / 2..2.. Sesto Aurelio Vittore / 2..3. Eutropio / 2..4. Rufo Festo Aviano

3.

Gli Scriptores Historiae Augustae

250

3.1. Gli autori/ 3.2.. La datazione/ 3.3. Il contenuto/ 3.4. La Historia Augusta e Sveto­ nio/ 3.5. Le fonti/ 3.6. L'ideologia della Historia Augusta

4.

Storici minori

254

4.1. Giulio Ossequente/ 4.2.. Breviari minori

5.

Le storie romanzate

256

p. Giulio Valerio/ 5.2.. L' Jtinerarium Alexandri I 5.3. Lucio Settimio

Nota bibliografica 17. 1.

257

Cenni sulla storiografia in lingua greca di età imperiale: Appiano, Plutarco, Cassio Dione 261 Appiano 261 1.1. Cenni biografici/ 1.2.. La produzione storiografica

10

Indice

2..

Plutarco

2.62.

2..1. Cenni biografici/ 2..2.. La produzione storiografica

3.

Cassio Diane

2.63

3.1. Cenni biografici/ 3.2.. La produzione storiografica

Nota bibliografica

2.6s

18.

Ammiano Marcellino 269

1.

La vita 2.69 Le Res gestae 2.71

2..

2..1. La struttura dell'opera/ 2..2.. Le fonti/ 2..3. Il pensiero storico/ 2..4. Arnmiano fra Tacito e Svetonio/ 2..5. Ammiano e Roma/ 2..6. Arnmiano e Giuliano/ 2..7. L'ultimo storiografo pagano/ 2..8. Note sullo stile

Nota bibliografica

2.80

19.

Cenni sulla storiografia cristiana 283

1.

Echi della storia nella poesia tardoantica

2.83

1.1. Claudiano/ 1.2.. Rutilio Namaziano/ 1.3. Prospero di Aquitania

2..

Le nuove forme della storiografia: atti e passioni dei martiri, itinerari, vite dei santi 2.84 2..1. Atti e passioni dei martiri/ 2..2.. Gli itinerari/ 2.-3- Le vite dei santi

3.

La storiografia cristiana vera e propria: le cronache e le storie della Chiesa 2.89 3.1. Il paradigma della storiografia cristiana: Eusebio/ 3.2.. L'attività storiografica di Gerolamo e Agostino / 3.3. Le Historiae adversus paganos di Orosio: la prima storia universale cristiana

4.

Verso il Medioevo: bizzarrie letterarie e storie dei popoli Nota bibliografica 2.97

20.

Epica e dintorni: poesia e storiografia 301

I.

La fondazione dell'epica storica: Gneo Nevio Ennio, il pater 302. L'epica fra Ennio e Virgilio 304 Virgilio: la storia dentro il mito La poesia storica e l'età imperiale Il più grande epico storico: Lucano 307 Il ritorno a Virgilio: l'età dei Flavi 308 Nota bibliografica 309

2.. 3. 4. S· 6. 7.

2.9s

302.

Indice dei nomi e delle cose notevoli 313 11

Premessa alla seconda edizione

A nove anni dalla pubblicazione del nostro volume Introduzione alla storio­ grafia romana, d'accordo con Carocci editore abbiamo sentito l'esigenza di rimettere mano al testo. La storiografia romana, come le altre discipline del mondo antico, non rappresenta una summa di dati assodati: se molti tasselli di questo complesso mosaico si possono considerare acquisiti e garantiscono la ricostruzione di un quadro coerente, le novità che ancora apportano la filologia, la papirologia, l'epigrafia e il contributo in termini interpretativi dei tanti studi che ogni anno impegnano la critica moderna su questi temi consentono di ampliare continuamente lo spettro delle nostre conoscenze. Proprio nella prospettiva di dar conto delle più recenti ricerche e di valo­ rizzarne gli esiti più incidenti per il nostro discorso, abbiamo messo mano a questo volume, conservandone, tuttavia, immutati il taglio e gli obiettivi. Accanto a integrazioni bibliografiche e circoscritti approfondimenti conte­ nutistici, abbiamo compreso due nuovi capitoli, che nascono dal proposito di sottoporre ali'attenzione dei nostri lettori due categorie di prodotti let­ terari che non si possono ritenere storiografici in senso stretto, ma che con i generi più propriamente classificabili sotto questa etichetta condividono alcuni contenuti e finalità e realizzano plurimi rapporti di interscambio: l'o­ ratoria e la poesia epica. Riteniamo che questi approfondimenti concorrano a una migliore comprensione del soggetto generale di questo volume, ovvero la definizione di come, perché, quando e attraverso quali voci maturò e si sviluppò la memoria storica a Roma. Licenziando questa nuova edizione, teniamo a ringraziare Gianluca Mori, che ha seguito questo lavoro con l'attenzione e la competenza di sempre, e desideriamo rivolgere un pensiero a Claudia Evangelisti, che molto ha dato con grande generosità al progetto nella sua genesi e di cui sempre sentiremo la mancanza. MASSIMO MANCA FRANCESCA ROHR VIO

Torino-Venezia, estate 2018

13

Premessa

Per i moderni, scrivere storia significa compiere un'operazione scientifica volta a ricostruire il passato indagandone gli avvenimenti e analizzandone le dinamiche. La scrittura storica rientra nel campo della saggistica, con pretesa di obiettività, e non in quello della letteratura, dove il principio di realtà è sostituito dagli artifici del patto narrativo e dalla suspension ofdisbe­ lief. Uno storico contemporaneo che non associ alla sua attività scientifica quella di romanziere difficilmente gradirebbe essere considerato uno "scrittore". Per i Romani, invece, la storia è un'impresa oratoria, opus oratorium maxi­ me, secondo la definizione che ne dà Cicerone nel De legibus; e l'oratore, secondo la celebre formula catoniana, è un vir bonus dicendi peritus, un cit­ tadino che assomma in sé la dirittura morale e l'abilità nella parola; dun­ que, la storia, lungi dal ridursi a fredda disamina del passato, si configura sempre, anche negli autori che ostentano il loro distacco dalla parzialità e dalla malevolenza (ira e studium), come il massimo impegno letterario e civile. Nel corso della loro lunga storia, i Romani provvidero con grande cura all'elaborazione e alla trasmissione della memoria. La ricostruzione del passato assolveva a diverse funzioni: consolidare i legami all'interno di un popolo nato dal sinecismo tra differenti etnie; codificare un sistema di valori condivisi e individuare modelli esemplari attraverso cui normare la vita civica; legittimare l'assetto sociale e politico e premiare l'élite al potere che nei secoli aveva garantito la grandezza di Roma mantenendo il possesso delle cariche politiche e dei comandi militari; infine, giusti­ ficare presso i popoli amici e alleati - ma anche di fronte ai nemici - le ambizioni imperialiste della res publica. Questo processo di conservazio­ ne e divulgazione del passato si articolava in una pluralità di strumenti, utilizzati singolarmente o in sinergia, che si avvalevano delle potenzialità della comunicazione non solo scritta, ma anche orale, gestuale e visiva,

lii

Introduzione alla storiografia romana

e si rivolgevano a un pubblico assai eterogeneo. A partire dal 111 seco­ lo a.C., la storiografia rivestì un ruolo importante in questo disegno di preservazione della memoria culturale, acquisendo lo status di strumento privilegiato dell'autorappresentazione della classe dirigente, in un primo tempo in uno spirito di celebrazione collettiva e in seguito, soprattutto in età tardorepubblicana e imperiale, divenendo la cartina di tornasole sia del consenso sia della fronda al regime. Il legame, sempre strettissimo a Roma, tra politica e storiografia, conseguente alla tipologia dei temi trattati, alla vocazione didascalica di molti scritti storici, alla frequente coincidenza tra autori e protagonisti della scena pubblica, rese la narra­ zione storiografica un potente strumento politico, e fa sì che per lo stu­ dioso moderno essa sia oggi un prezioso indicatore per la ricostruzione delle dinamiche dei fatti storici e delle modalità della vita politica, spesso descritte dall'interno. Questo lavoro, oltre ad assolvere, speriamo onestamente, alla sua funzione pragmatica di manuale universitario, invita a leggere la produzione storio­ grafica romana sia come espressione politica, sia come manifestazione lette­ raria o, più in generale, culturale di una civiltà che, acquisita l'esperienza della ricerca-historia greca, seppe elaborare soluzioni narrative proprie, sperimentare generi e opzioni espressive originali, divenire un momento imprescindibile delle vicende di Roma antica e della sua storia evenemenziale e letteraria. Scopo di questo volume è mostrare come i Romani abbiano saputo riflettere su sé stessi e la propria storia; lo spazio destinato a scrittori in lingua greca che si occuparono di Roma, alcuni dei quali capisaldi della storiografia antica come Polibio o Plutarco, qui solo cursoriamente avvicinati, è senz'altro assai inferiore a quanto essi avrebbero meritato (segnaliamo l'esistenza in questa stessa collana del volume Introduzione alla storiografia greca a cura di Marco Bettalli). Si intende qui ripercorrere le vicende della storiografia romana in forma sintetica, seguendo a grandi linee la scansione cronologica, nella consa­ pevolezza dei limiti di questo approccio, soprattutto per alcune epoche (l'alternativa della trattazione per generi avrebbe significato spesso do­ ver frazionare singoli autori in diverse sezioni del testo, generando, forse, qualche disorientamento nel lettore); eventuali approfondimenti spe­ cifici sono delegati ai rimandi bibliografici, piuttosto selettivi (e molto selettivi, con inevitabile arbitrarietà, per gli autori maggiori), in cui si è tendenzialmente privilegiata la produzione più recente e in lingua italia­ na. Si è scelto inoltre di dare la parola, ove possibile, agli autori antichi stessi, riportando in traduzione italiana brevi passi significativi dei loro scritti; il riferimento in bibliografia alle principali edizioni italiane vuole 16

Premessa essere un invito alla lettura per esteso delle principali espressioni della storiografia romana, alcune delle quali, proprio per l' intrinseca lettera­ rietà del genere, si possono leggere ricavandone la medesima Spannung di un romanzo. MASSIMO MANCA FRANCESCA ROHR VIO

Venezia, gennaio 2010

Il testo di questo volume è stato integralmente letto e discusso da entrambi gli au­ tori; si precisa tuttavia che sono da attribuirsi a Massimo Manca le pp. 179-2.60 e 2.69-3 12. e a Francesca Rohr Vio le pp. 19-178 e 2.61-8. Ove non altrimenti indicato, le traduzioni sono del curatore del capitolo; le abbreviazioni bibliografiche sono quel­ le dell'Année Philologique. Gli autori desiderano ringraziare Marco Bettalli per i contatti con la casa editrice e, per i preziosi consigli e per la lettura critica del volume o di parti di esso, Giovannella Cresci Marrone, Paola Dolcetti, Paolo Mastandrea, Clementina Mazzucco, Raffaella Tabacco. Un grazie di cuore, infine, a Maria Teresa Casolaro e a Frida Marangoni.

17

1

La prima codificazione della memoria: la tradizione prestoriografica

Il valore della memoria storica in età arcaica, proto e mesorepubblicana

1.

La storiografia romana nasce nel III sec. a.e. a opera di Timeo di Taurome­ nio (l'odierna Taormina), che per primo pone le vicende della res publica, ovvero dello stato romano, al centro della sua narrazione. La scrittura storica prende, quindi, corpo a cinque secoli di distanza dalla fondazione di Roma e per mano non di un cittadino romano, bensì di un greco di Sicilia il quale descrive la potenza che si sta affacciando sulla scena internazionale dalla prospettiva di uno straniero. Nonostante tale sviluppo tardivo ed "esterno" della testimonianza storica per scripta, fin dall'età arcaica l'elaborazione e la trasmissione della memoria sono state avvertite in Roma come esigenze prioritarie. A esse si riconoscevano, infatti, molteplici e posi­ tive finalità. Roma nacque nell'v1II sec. a.e. attraverso un processo di sinecismo che fuse due comunità in precedenza indipendenti, l'una latina, l'altra sabina. Nel VII sec. a.e. nella nuova città si affermò come predominante w1a terza componente, quella etrusca, e Roma, portando a compimento un processo che la tradizione attribuisce nella sua prima attuazione a Romolo, assunse le caratteristiche di città multietnica, con significative presenze latine, sabine, etrusche e anche greche in conseguenza di contatti culturali ed economici nel tempo sempre più importanti. Per garantire a tale eterogenea compagine sociale i tratti di stato unitario si imponeva l'individuazione di elementi di coesione. L'elaborazione di una tradizione storica che valorizzasse gli aspetti comuni del passato e che quindi risultasse condivisa favoriva il maturare presso i cittadini romani di un senso di identità nazionale e di comune appartenenza. La classe politica elaborò una concezione originale di grande significato: l'organizzazione politica della comunità romana non era l'esito dell'azione di un solo individuo, di un'unica etnia o di un periodo in particolare, ma il portato di uno sforzo condiviso di più soggetti, in dimensione sincronica, prodotto, in prospettiva diacronica, da molte generazioni attraverso i secoli. In quest'ottica la storia familiare era intesa quale tassello di 19

Senso di identità nazionale

Introduzione alla storiografia romana una storia collettiva e l'azione del cittadino, ridimensionata ogni prospetti­ va individualistica, si configurava come apporto al lungo percorso della Ro­ mana historia e acquisiva il suo significato nell'identificazione, ispirata da un forte spirito nazionalistico, del proprio destino nelle sorti di Roma.

Egli [scii. Catone] era solito dire che la nostra città superava nella costituzione tutte le altre per questo, perché in quelle erano stati generalmente dei singoli individui che avevano ordinato ciascuno il proprio stato con proprie leggi ed istituzioni [ ... ], mentre per contro il nostro stato non fu ordinato dalla genialità di uno solo, ma di molti, e non nello spazio di una sola vita umana, ma di alquanti secoli e generazioni (Cicerone, De republica 2, 1, 2, trad. it. L. Ferrero, N. Zorzetti 1974'). Legittimazione dell'oligarchia

Elaborazione di un codice di riferimento

La memoria storica rappresentava la legittimazione dell'oligarchia nell'eserci­ zio monopolistico del suo potere. Nella Roma repubblicana il potere politico era detenuto da una ristretta cerchia di famiglie, la nobilitas senatoria. Tale élite aveva guadagnato saldamente la supremazia attraverso un percorso non lineare: aveva superato le tendenze accentratrici e pertanto escludenti della monarchia dei Tarquini; aveva fatto tesoro della temporanea apertura alla condivisione del potere di Servio Tullio e si era infine ridefinita in occasione della lunga contrapposizione tra patrizi e plebei che determinò la fine del pa­ triziato e la nascita di un'aristocrazia mista patrizio-plebea, la nobilitas, appun­ to. In età repubblicana poche famiglie (legentes) monopolizzavano le cariche politiche, gli honores, ammettendo solo in termini di eccezionalità nuovi sog­ getti, gli homines novi, accolti attraverso la pratica della cooptazione e pertanto graditi agli esponenti della classe dirigente perché "introdotti" da padrini ga­ ranti. La giustificazione principale a fondamento di tale esercizio del potere in termini esclusivi era l'ereditarietà di padre in figlio delle capacità di governo e di comando, quasi rientrassero in un patrimonio genetico. Chi apparteneva a casate che nel passato avessero concorso alla grandezza della res publica acqui­ siva credibilità presso gli elettori per la carriera degli honores perché la sua ascendenza era garanzia certa di determinate abilità e, quindi, della buona ge­ stione della magistratura. Di qui l'importanza primaria della codificazione del passato e dell'interpretazione dello stesso, ovvero della memoria storica. In assenza di una legislazione articolata che fungesse da parametro di riferi­ mento, ma anche di un credo religioso eticamente normativo che individuas­ se distintamente bene e male, i codici di comportamento sia in ambito priva­ to che pubblico si definivano per il cittadino sulla base del mos maiorum, ovvero di quel costume degli antenati che si era nel tempo progressivamente codificato e di generazione in generazione veniva tramandato attraverso la memoria storica familiare e collettiva. Il mos maiorum diveniva così un valore riconosciuto in ogni tempo nella società romana in termini di assoluta tra­ sversalità, risultando naturalmente vincolante per uomini e donne, giovani e anziani a prescindere dalla classe sociale di appartenenza. Esso definiva i 20

1.

La prima codificazione della memoria: la tradizione prestoriografica

comportamenti esemplari, i modelli, la topica e così indirizzava le scelte e gli atteggiamenti civili e morali. Se tutto ciò che risultava antico era pregiudi­ zialmente ritenuto positivo, per converso, quanto tradiva i tratti della novità era accostato con sospetto, tanto che l'espressione res novae copriva nel con­ tempo i significati di "novità" e di "sovversioni politiche". Infine, alla storia si riconosceva la funzione di magistra vitae ( Cicerone, De oratore 2, 35), maestra di vita: insegnava al cittadino-politico l'arte del governo e della guerra; al cittadino-soldato il senso di appartenenza alla patria che in quanto patrimonio condiviso doveva essere difesa attraverso la guerra, i valori e il modello di società da tutelare con le sue armi; al cittadino-elettore l'opportunità di una scelta di voto al fine di garantire la perpetuazione del sistema. 2. Le modalità di codificazione della memoria Diversi furono gli strumenti sperimentati allo scopo di formulare e rappresen­ tare il sistema di valori riconosciuto come fondante l'identità romana: ritua­ li, cerimonie, giochi, spettacoli ecc. In questo contesto, prima del III sec. a.C., ma anche dopo l'affermazione della pratica storiografica, l'elaborazione della memoria venne riservata a occasioni e strumenti diversi, di natura pubblica e privata. Fu l'aristocrazia a presiedere a questa tradizione, che si può definire prestoriografica e che produsse una codificazione della memoria per verba, ovvero attraverso l'oralità, per imagines, ovvero mediante l'iconografia e la gestualità, per scripta, ovvero grazie alla scrittura, in prevalenza epigrafica. Questi strumenti di elaborazione della memoria vennero utilizzati talvolta singolarmente, più spesso in relazione reciproca, concorrendo in forma com­ plementare alla trasmissione di uno stesso messaggio presso un medesimo re­ ferente o presso interlocutori diversi, alfabetizzati o non alfabetizzati, romani o stranieri, aristocratici o espressione dei ceti subalterni. 2.1.

La storia per verbo

Le /audationes funebres (elogi funebri) Si tratta dei discorsi commemorativi che venivano pronunciati nel contesto del funus, ovvero del funerale. Onore riservato inizialmente solo agli uomini patrizi, la laudatiofunebris fu poi estesa ai plebei e, quale ricompensa per il loro aiuto alla comunità in mo­ menti di pericolo, anche alle matrone, secondo parte della tradizione già nel IV sec. a.C., ma nella testimonianza di altre fonti dalla fine del II sec. a.C. Tradizionalmente tali discorsi erano elaborati in forma scritta, quantomeno nella struttura di un canovaccio, e successivamente pronunciati dal figlio o da colui che veniva identificato come il più illustre membro vivente dellagens del defunto. L'orazione era declamata nel foro dai rostri, una sorta di podio destinato ai discorsi pubblici. 21

Storia magistra vita

Introduzione alla storiografia romana

Polibio, descrivendo la civiltà romana al suo pubblico greco, nel II sec. a.C. illustrava le modalità del funerale, momento assai importante nella vi­ ta delle gentes romane. La testimonianza di Polibio è particolarmente significativa, perché lo storico analizzava la realtà romana attraverso la pro­ spettiva di un intellettuale che già aveva assimilato le teorizzazioni sullo stato e sugli ordinamenti elaborate dalla cultura greca nel corso di secoli. Inoltre, Polibio si avvaleva di un "osservatorio" privilegiato: trattenuto co­ me "ostaggio-ospite" presso la famiglia degli Scipioni, significativa espres­ sione della dirigenza romana del II sec. a.C., aveva avuto modo di verificare dall'interno il funzionamento dello stato nelle sue multiformi manifesta­ zioni, ovvero nelle dinamiche della vita politica, nelle implicazioni sociali, nei contesti bellici. Quando si celebra in Roma il funerale di un cittadino illustre, questi è portato con ogni pompa nel foro presso i rostri, per lo più in piedi, raramente supino. Alla pre­ senza di tutto il popolo un suo figlio maggiorenne, se esiste e si trova in città, o altrimenti il suo parente più prossimo, sale sulla tribuna e parla del valore del morto e delle imprese che egli ha compiuto durante la vita (Polibio 6, 53, trad. it. C. Schick 1955).

Storia della laudatio funebris

Struttura e contenuti

Le laudationes funebres nascevano dalla precedente esperienza delle neniae, le prime lamentazioni funebri che ricordavano le virtù del defunto nel cor­ so del lutto. La tradizione individua come prima laudatio funebris nota quella di Lucio Giunio Bruto, fondatore della repubblica nel 5 10/509, pro­ nunciata dal console collega Valerio Publicola. Verso la fine del III sec. a.C. alcune laudationes vennero pubblicate; il loro testo circolava ancora in età ciceroniana. La prima laudatio funebris pervenuta risale al 2.21 a.C.; fu pro­ nunciata da Quinto Cecilio Metello per il padre Lucio, console nel 2.51 e nel 2.47 e rappresenta una sintesi del sistema di valori della classe dirigente romana. Non esisteva una forma fissa per la laudatio, che variava a seconda delle epo­ che e del sesso del defunto e in ragione delle circostanze della sua vita. Il testo rispondeva, tuttavia, ad alcune regole: prevedeva sempre il riferimento agli antenati, la menzione analitica della carriera ufficiale, il racconto degli eventi salienti della vita pubblica, l'enunciazione delle virtù, i dettagli relati­ vi alla vita privata e in particolare al patrimonio, l'espressione del dolore per la scomparsa del defunto. L'oratore incaricato della lode funebre, dopo aver parlato del morto, ricorda le im­ prese e i successi dei suoi antenati cominciando dal più antico; così la fama degli uomini valorosi, continuamente rinnovata, è fatta immortale, mentre la gloria dei benefattori della patria viene resa nota a tutti e tramandata ai posteri (Polibio 6, 54, trad. it. C. Schick 1955). 22

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La prima codificazione della memoria: la tradizione prestoriografica

Le laudationesfunebres possono essere considerate il genere precursore della biografia. Come l' encomion greco, la laudatio ha carattere celebrativo e com­ memorativo. Indirizzate a tutto il corpo civico, le laudationesfunebres assolvevano a una funzione pedagogica: insegnavano ai cittadini che nel foro assistevano ai funerali la storia di Roma attraverso quel segmento costituito dalle vicende della famiglia del defunto. Non è possibile per un giovane dabbene e amante della fama assistere a uno spettaco­ lo più nobile e splendido di questo; quale infatti potrebbe essere più bello del vedere tutte insieme, quasi vive e spiranti, le immagini degli uomini che hanno ottenuto la fama col loro valore ? [ ... ] Quel che più conta, i giovani vengono incitati ad affronta­ re qualsiasi sacrificio a difesa della patria per ottenere la gloria che spetta ai valorosi (Polibio 6, 53, trad. it. C. Schick 1955).

I carmina conviva/io (canti del banchetto) Molte famiglie aristocratiche, fin dai tempi più antichi e assimilando una tradizione etrusca, custodivano il ricordo dei loro antenati, patrimonio nazionale ed eredità morale. Tali tradi­ zioni in questo periodo si eternavano, come si vedrà, attraverso l'iconografia, la scrittura epigrafica, ma anche mediante l'oralità. I carmina convivalia erano poemetti epici destinati alla recitazione nel con­ vivium, ovvero nel banchetto, con l'accompagnamento del flauto; celebrava­ no i miti relativi alle origini delle città e anche gesta illustri degli esponenti delle famiglie aristocratiche. Indirizzati all'ambito ristretto dellafamilia e della gens, i carmina conviva­ Lia trasmettevano la storia per mantenere vivo il senso di identità del grup­ po ed erano funzionali a educare la classe dirigente all'amministrazione dello stato. Anche il contesto della loro esecuzione riveste un significato importante: l'adozione dell' istituto del banchetto, come già presso Greci ed Etruschi, certificava l'appartenenza dell'aristocrazia romana al novero delle élites internazionali e il riconoscimento di tale status a livello sovra­ nazionale. I nostri avi durante i conviti cantavano accompagnandosi col flauto le illustri im­ prese dei loro antenati per rendere i giovani più desiderosi di imitarle. Che cosa ci sarebbe potuto essere di più nobile, che di più utile di questo certame? I giovani tributavano ai vecchi l'onore loro dovuto, i vecchi accompagnavano, alimentandoli, gli entusiasmi di coloro che si affacciavano alle soglie di una vita operosa (Valerio Massimo, Facta et dieta memorabilia 2., 1, 10, trad. it. R. Faranda 1971). La pratica dei carmina convivalia sembra risalisse a Numa Pompilio. Veni­ vano cantati dai convitati stessi o da ragazzi (pueri modesti) addestrati allo scopo appartenenti alle famiglie presso cui aveva luogo il banchetto.

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Genere

Funzione

Introduzione alla storiografia romana Catone, testimone di grandissima autorità, nelle Origini affermò che i nostri antenati osservavano nei banchetti il costume che i convitati cantassero a turno al suono del flauto le lodi delle virtù degli uomini illustri ( Catone, Origines, ed. Cugusi, Sblen­ dorio Cugusi 2.001, 4, pp. 2.90-1, trad. it. P. Cugusi, M. T. Sblendorio Cugusi 2.001). Ed io ripresi: «Hai pienamente ragione, o Bruto. E volesse il cielo che rimanessero ancora quei carmi che, stando a quanto ci dice Catone nelle Origini, i singoli convi­ tati cantavano nei banchetti in onore degli uomini illustri, parecchi secoli prima di lui ! » (Cicerone, Brutus 75, trad. it. G. Norcio 1976"). 2.2.

Nell'atrio della domus aristocratica

La storia per imagines

Le imagines maiorum (immagini degli antenati) Nei processi di codificazione della memoria ali' interno delle domus, le abitazioni dell'aristocrazia, le tradi­ zioni orali dei carmina convivalia erano oggetto di una fruizione comple­ mentare alla tradizione visiva delle imagines degli antenati. Le famiglie ari­ stocratiche godevano del ius imaginum, ovvero del diritto di far raffigurare i membri defunti della propria gens e di esibire i relativi busti. Il luogo privile­ giato per tale esposizione era l'atrium della domus. Si trattava di un luogo pubblico all'interno di un'abitazione aristocratica privata: attraversate le fauces, ovvero le porte di accesso sulla strada, l'ospite veniva accompagnato nell 'atrium, destinato alla frequentazione dei membri della famiglia e appunto di estranei quali ospiti e clienti. Le pareti dell'atrio potevano ospitare anche l'albero genealogico familiare. Negli atri erano, inoltre, disposte lungo le pareti perimetrali, presumibilmen­ te riposte all'interno di armadi a muro di legno (armaria), ma talvolta an­ che pubblicamente esibite, le maschere di cera con cui gli schiavi sfilavano durante il funerale (funus) impersonando ciascuno un antenato illustre. Tali maschere erano state realizzate sul volto del defunto e riproducevano i suoi tratti fisiognomici. Da qui il realismo della prima ritrattistica romana. Esse consentivano alle famiglie la conservazione per imagines della memoria fa­ miliare. Ho spesso udito narrare che Q Massimo, P. Scipione e altri personaggi insigni della nostra città solevano dire che nulla accendeva l'animo loro a egregie cose quanto la vista dei ritratti degli avi. Non era la cera né le effigi a provocare quella emozione ma la memoria delle imprese; essa alimentava in petto a quei magnanimi una fiamma che non si estingueva se non quando con i propri meriti avevano eguagliato la fama di quelli (Sallustio, Bellum lugurthinum 4, 5-6, trad. it. L. Storoni Mazzolani 1976). Dopo la sepoltura e le cerimonie di rito, l'immagine del morto viene posta nel luo­ go più in vista della casa, in un sacrario di legno. L'immagine è una maschera di cera molto somigliante al defunto nelle sembianze e nel colorito. In occasione dei 24

1. La prima codificazione della memoria: la tradizione prestoriografica sacrifici pubblici i Romani espongono queste immagini e le onorano solennemente; quando muore qualche altro personaggio illustre della famiglia, le fanno partecipare alle esequie ricoprendone persone simili al morto nella statura e in tutta la taglia del corpo (Polibio 6, 53, trad. it. C. Schick 1 955). Come si è visto, secondo Polibio, a Roma i cortei funebri (pompaefunebres), Nella pompa unitamente alle processioni trionfali, rappresentavano momenti pedagogici funebris per eccellenza. Secondo la riflessione di Polibio, è attraverso funerali e trionfi che il popolo, la plebs urbana in primo luogo, veniva istruito, ovvero messo a parte della storia di Roma, o meglio dell'interpretazione che la classe dirigente voleva eternare di quel passato, in un processo di trasmissione della memoria che coinvolgeva nel contempo il vettore visivo, quello verbale, quello epigrafico, cioè della scrittura esposta. Tanto nei funerali quanto nei trionfi, infatti, venivano "esibite" le grandi famiglie della nobilitas senatoria, artefici delle conquiste e quindi garanti delle crescenti ricchezze che affluivano a Roma, e raccontate le res gestae, ovvero le imprese, dei grandi condottieri, quelle im­ prese che rendevano l'Urbe una potenza e giustificavano il consenso espres­ so dal popolo ali' indirizzo dei fautori dell'imperialismo romano. Il trionfo, celebrazione suprema della vittoria militare, vedeva così sfilare lungo la via sacra, a Roma, prigionieri sconfitti, bottino conquistato, truppe che dileggia­ vano il loro comandante, tavole che attraverso il linguaggio iconografico ed epigrafico illustravano l'ubicazione geografica della conquista e le modalità della campagna vittoriosa; ma prevedeva anche la presenza del dux imperator, ovvero il comandante vittorioso rappresentato nelle vesti di Giove (ornatus lovis), affiancato dai suoi figli: questa è l'immagine che il popolo doveva me­ morizzare e richiamare alla mente al momento delle elezioni magistratuali. Quando i figli del comandante trionfatore avessero sollecitato il voto per ac­ cedere alla dirigenza di Roma, il popolo elettore avrebbe rammentato i meriti del padre e, data l'ereditarietà delle virtù belliche e della capacità di governo, senza esitazioni avrebbe espresso il suo favore all'indirizzo di quei candidati, per garantire un futuro prospero alla comunità. I funerali assolvevano una funzione analoga. Anche nel loro contesto vi era chi comunicava oralmente, chi elaborava un testo scritto che avrebbe avuto poi codificazione epigrafica e storiografica, chi trasmetteva un messaggio con la sua semplice evidenza fisica. Come si è rilevato, il corteo che accompagna­ va il defunto dalla casa al foro vedeva sfilare, accanto ai parenti ancora in vita, gli schiavi: essi indossavano le maschere di cera, erano abbigliati con la toga identificativa della più alta carica ricoperta dal defunto e sedevano sulla sella curule, lo sgabello riservato ai magistrati, ostentando così gli status symbol dell'eccellenza sociale acquisita dagli avi che avevano lasciato un segno nella storia di Roma. Erano gli antenati con le proprie benemerenze ad aprire la strada ali' affermazione dei propri discendenti: l'appartenenza a quella gens, a

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Introduzione alla storiografia romana

quella famiglia che tanti meriti aveva acquisito nella storia di Roma mediante i suoi esponenti, legittimava le ambizioni di potere dei discendenti, in primis di colui cui era affidato il compito di pronunciare l'elogio funebre, venendo a rappresentare la famiglia di fronte al populus, alla collettività, agli elettori. La storia dipinta e scolpita I prodotti dell'arte figurativa, pittorici e sculto­ rei, concorrevano in proporzioni consistenti a divulgare e conservare la me­ moria di eventi decisivi. Era usanza degli Etruschi e dei Romani dipingere pitture celebrative degli avvenimenti storici. La Tomba François di Vulci è decorata da affreschi, ascrivibili alla fine del IV sec. a.C., di terna prevalentemente micologico, ma anche storico; vi è de­ scritta per immagini la lotta tra città etrusche, o all'interno di città etrusche, attraverso la rappresentazione di combattenti identificati nominalmente da didascalie esplicative. Nell'ambito di cali scontri è ricordata la contrapposi­ zione tra gli etruschi Celio Vibenna e Mastarna, il futuro Servio Tullio, da un lato e il romano Tarquinio dall'altro, segmento importante della storia mo­ narchica di Roma che portò ali' insediamento nell' Urbe del re riformatore. La raffigurazione pittorica perduta della vittoria del 2.63 su Cartagine, nel­ la Curia Hostilia, e della vittoria di Lucio Cornelio Scipione Asiatico, fra­ tello del trionfatore della seconda guerra punica, su Antioco III di Siria nel 190 a.C. rientravano nella medesima categoria. Ma la dignità della pittura crebbe a Roma, come ritengo, soprattutto a partire da Manio Valerio Massimo Messala che per primo, nell'anno di Roma 490 [2.63], fece esporre su un lato della Curia Ostilia un quadro che rappresentava la battaglia in cui aveva vinto in Sicilia i Cartaginesi e lerone. Ugualmente fece anche Lucio Scipione ed espose nel Campidoglio un quadro con la sua vittoria asiatica; tramandano che il fratello Africano se la prese a male, e non senza ragione, dal momento che in quella battaglia suo figlio era stato fatto prigioniero (Plinio il Vecchio, Naturalis Historia 35, 2.2., trad. it. R. Mugellesi 1988). Lo stesso Fabio Pittore, il primo storiografo romano, deve il suo cognomen, cioè il suo soprannome, a un antenato che aveva provveduto ali'apparato iconografico del tempio di Salus, Salute, affrescato con un ciclo pittorico di ampio respiro, che forse si dispiegava lungo tutte le pareti interne del tempio e la cui cronologia è fissata con sicurezza al 304-303. Anche gli uomini illustri, contentandosi di modesti riconoscimenti, mostrarono di desiderarla [scii. la fama] : ad esempio, che altro volle per sé Caio Fabio, cittadino di nobilissima condizione, il quale, dipinte le pareti del tempio di Salute, consacrato da Caio Giunio Bubulco, vi scrisse il proprio nome? Alla sua famiglia, celebrata per consolati, sacerdozi e trionfi, mancava, infatti, solo questo titolo di gloria. Ma il suo ingegno, pur dedicandosi ad una banale attività, non volle che la sua fatica fosse can26

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cellata dal silenzio: in ciò seguendo l'esempio di Fidia, che inserì il proprio ritratto sullo scudo di Minerva, in modo tale che, se esso ne fosse tolto, tutto l'insieme del gruppo avrebbe perduto la sua unità (Valerio Massimo, Facta et dieta memorabilia 8, 14, 6, trad. it. R. Faranda 1971). Anche presso i Romani la pittura ebbe onore presto, se è vero che l'assai famosa gente dei Fabi derivò da questa il cognome di Pittore ed il primo che portò questo cognome dipinse il tempio della Salute nell'anno di Roma 450 [304]. Questa pit­ tura durò fino ai nostri tempi poiché il tempio bruciò sotto il principato di Claudio (Plinio il Vecchio, Naturalis Historia 35, 7, trad. it. R. Mugellesi 1988). La famiglia di Fabio Pittore era dunque attiva nella trasmissione e conserva­ zione della memoria storica prima della nascita della storiografia attraverso uno degli strumenti comunicativi più diffusi nel suo tempo, la pittura, e suc­ cessivamente, quando alla comunicazione per imagines si affiancò il linguag­ gio della parola scritta, mediante la storiografia. Analogamente alla pittura, anche la scultura concorreva alla codificazione e alla diffusione della memoria storica. La città era infatti arricchita dalle statue dei protagonisti dell'epoca ma anche, in una sorta di trasposizione pubblica della realtà privata custodita negli atri delle domus, di coloro che in passato avevano reso grande Roma con le loro imprese, in un disegno comu­ nicativo che nelle statue dei summi viri del Foro di Augusto, rappresentazio­ ne iconografica attraverso figure esemplari dell'intera storia di Roma, troverà la sua più compiuta realizzazione. 2.3-

La storia per scripta

Gli archivi familiari Ciascuna famiglia di estrazione elevata ospitava ali' in­ terno della propria abitazione, nel tablinum, un archivio, ove erano deposita­ te le redazioni scritte delle laudationesJunebres, i testi dei carmina convivalia nonché altri documenti di carattere storico e amministrativo riguardanti le vicende passate della famiglia stessa. Valerio Massimo, trattando della volubi­ lità della fortuna, racconta la carriera di Quinto Metello; il passaggio è stato interpretato come la probabile trasposizione scritta della laudatio Junebris, conservata nell'archivio della gens dei Metelli e poi confluita nell' elogium epigrafico del personaggio: Vediamo dunque per quanti gradi di benefici la fortuna, senza concedere mai pausa alla propria generosità, abbia fatto giungere Quinto Metello, dal primo giorno della sua nascita fino agli ultimi momenti della vita, al culmine della felicità. Volle che egli nascesse nella città regina della terra, gli diede nobilissimi genitori, vi aggiunse ecce­ zionali doti d'animo e forze fisiche per poter esser pari alle fatiche, gli fece ottenere come sposa una donna segnalata per pudicizia e prolificità, gli largì l'onore del con27

Introduzione alla storiografia romana

solato, la carica di generale, l'ornamento di un prestigioso trionfo, fece sì che vedesse nello stesso tempo tre figli consoli, uno anche censore e trionfatore, un quarto pretore, che collocasse in matrimonio tre figlie e ne ricevesse tra le braccia i loro pargoli. Tanti parti, tante culle, tante toghe virili, tante faci nuziali, tante cariche civili e militari, grandissima copia, insomma, di motivi di rallegramenti: e intanto nessun lutto, nes­ sun pianto, nessun motivo di dolore. Contempla il cielo e a stento vi troverai una simi­ le condizione se è vero che vediamo i più grandi poeti assegnare lutti e pene anche agli dei. Una vita trascorsa così felicemente fu conclusa da una morte ad essa confacente: spentosi serenamente in tardissima età tra i baci e gli abbracci dei suoi carissimi con­ giunti, fu trasportato a spalla per la città e quindi posto sul rogo dai suoi figli e dai suoi generi (Valerio Massimo, Facta et dieta memorabilia 7, 1, 1, trad. it. R. Faranda 1971). Gli elogia (elogi) Le imagines ospitate nell'atrio della domus aristocratica erano accompagnate ciascuna da un elogium, iscrizione intesa a ricordare per scripta in sintesi e con tono celebrativo quanto ciascuna familia, attraverso i suoi membri, aveva contribuito alla grandezza di Roma. Tali iscrizioni, in versi, erano composte secondo uno schema prefissato con il nome del personaggio, quello del padre, il cursus honorum, gli onori militari ricevuti, le qualità (stere­ otipe) del defunto. Gli esempi più celebri di elogia conservati fino a noi sono quelli della famiglia degli Scipioni, incisi sul relativo sepolcro. Esemplificativo dei valori morali riconosciuti nel III sec. a.C. è l'elogio di Lucio Cornelio Sci­ pione Barbato, console del 298 durante la terza guerra sannitica. Lucio Cornelio Scipione, figlio di Gneo, / uomo forte e saggio, il cui aspetto fu in tutto pari al valore, / fu console, censore, edile presso di voi. / Prese Taurasia e Cisauna nel Sannio, assoggettò tutta la Lucania e ne portò ostaggi (A. Degrassi, lnscriptiones Latinae Liberae Rei Publicae, l, n. 309 ). L'uso degli elogia risale almeno alla fine del 111 sec. a.C. I primi destinata­ ri del messaggio erano i clientes. Uno dei cardini della società romana, fin dall'età arcaica, era il legarne difides, di fedeltà, liberamente contratto tra due cives romani, ovvero tra due individui liberi, entrambi dotati della cittadi­ nanza romana, uomini e maggiorenni, diversi solo in relazione alla rispettiva condizione economica. Sempre, infatti, tale rapporto coinvolgeva da un lato un ricco aristocratico, il patronus, e dall'altro individui, i clientes, che si tro­ vavano in situazione di indigenza e pertanto dipendevano, per la sussistenza loro e dei loro familiari, dalla generosità del patronus. A rticolato sul princi­ pio del vantaggio reciproco, il rapporto clientelare prevedeva che i clientes ricevessero dal patrono un sostentamento economico e, all'occorrenza, assi­ stenza giudiziaria. Ogni mattina, infatti, il cliens si recava a far visita al patro­ nus, che lo accoglieva nell'atrio della propria domus e gli offriva la sportula, in origine un cestino di prodotti alimentari per soddisfare le esigenze della 28

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giornata, in seguito una modesta somma di denaro, adeguata alle necessità del cliens. Da parte loro i clientes contraccambiavano offrendo collaborazione nelle attività domestiche, agricole e commerciali gestite dalla famiglia del pa­ tronus e soprattutto con l'appoggio politico in sede elettorale. Ogniqualvolta il patrono o gli esponenti difactiones ("partiti" si direbbe oggi) a questi legate si facevano promotori di proposte legislative o azioni giudiziarie oppure pa­ trocinavano candidature proprie o altrui nell'ambito delle elezioni magistra­ tuali, i clientes dovevano appoggiare con il loro voto l'iniziativa, concorrendo al buon esito della stessa. Fino alla metà del II sec. a.C. tale sistema dimostrò una indiscutibile efficacia e si tradusse in uno strumento imprescindibile nel­ le mani dell'oligarchia al potere per monopolizzare le cariche e in tal modo mantenere in sicurezza, in un ambito ristretto e stabile, la gestione esclusiva della vita politica. In questo contesto la storia passata era funzionale ad accre­ scere il credito del patronus agli occhi dei suoi clientes. Gli elogia non sono immuni da distorsioni autocelebrative con finalità di propaganda. Riflette su questo aspetto Livio, che ne fece uso per la ricostru­ zione storica: Non è facile scegliere tra le varie versioni e i vari autori: io ritengo che la nostra tra­ dizione storica sia viziata dagli elogi funebri e dalle iscrizioni poste socco i busti, in quanto ciascuna famiglia cercava di trarre a sé la gloria delle imprese e delle cariche con menzogne che possono trarre in inganno. Di qui certamente proviene la con­ fusione circa le gesta dei singoli e la documentazione pubblica degli avvenimenti, né esiste alcuno scrittore contemporaneo di quei facci, su cui ci si possa basare con maggior sicurezza (Livio 8, 40, 4-5, trad. it. Perelli 1979 ).

Nondimeno, gli elogia rappresenteranno una fonte importante per gli sforzi prosopografici della storiografia antica, cioè per la ricostruzione della storia di individui e famiglie illustri. Essi sono dunque una forma di comunicazione orale che nella codificazione della memoria familiare volta a divenire memoria collettiva, si tramuta in co­ municazione scritta su supporto epigrafico, mantenendo, presumibilmente, quelle convenzioni espressive funzionali in origine nel contesto delfunus alla memorizzazione del testo da parte dell'oratore e ora all'interno della domus alla memorizzazione del testo da parte del lettore spesso scarsamente alfabe­ tizzato. Gli annales maximi (annali massimi) Si tratta di registrazioni cronachisti­ che finalizzate alla costituzione della memoria collettiva. Ogni anno, i pontefici redigevano su una tavola bianca (album, da cui l'e- Redattori spressione tabulae dealbatae) la cronaca dei principali fatti, rivolgendo l' atten- e tematiche zione soprattutto agli avvenimenti di interesse sacrale e ricordando in forma meno esauriente aspetti della vita civile, politica e militare. La selezione degli 29

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argomenti prevedeva che si annotassero tutti gli eventi ritenuti di importanza tale per la comunità da meritare una registrazione a uso dei contemporanei e dei posteri (digna memoratu). Ciascuna tavola si apriva con la menzione dei magistrati, elemento datante. Consisteva in una produzione di memoria di­ retta, breve, specializzata, redatta in forma paratattica e stile essenziale. Tali documenti rimandano all'ambito delle funzioni sacerdotali. La storia infatti non era altro che una compilazione di annali; per questo, affinché si conservasse il ricordo di ogni pubblico avvenimento, dall'inizio dello stato romano fino al pontificato di P. Mucio, il pontefice massimo registrava tutti gli avvenimenti di ogni anno, trascrivendoli su una tavola bianca, che esponeva nella sua casa, perché il popolo potesse prenderne visione. Vengono chiamati Massimi ( Cicerone, De ora­

tore 2., 5 2., trad. it. G. Norcio 19761).

Difatti i pontefici hanno la facoltà di riportare su tavole la storia degli eventi: si dà n loro il nome di Annali, e precisamente "massimi in quanto redatti dai pontefici massimi (Macrobio, Saturnalia 3, 2., 17, trad. it. N. Marinone 19771). Così si compilavano gli annales: il pontefice massimo ogni anno disponeva di una tavola sbiancata, sulla quale, posti all'inizio i nomi dei consoli e degli altri magistrati, era solito annotare i fatti degni di memoria verificatisi in pace e in guerra, per terra e per mare, con cadenza quotidiana. Le loro cure sollecite riunirono gli antichi com­ mentari annuali in So libri e li chiamarono Anna/es maximi dal nome dei pontefici massimi che ne curavano la stesura. Alcuni sostengono che il termine annales deriva da Enea, perché anch'egli era sacerdote ed era chiamato pontefice dal poeta (Servio Danielino, Commentarius in Vergi.lii Aeneidos librum I, 373).

Luogo e modalità di archiviazione ed esposizione

Gli annales venivano conservati nella Regia, dimora del pontefice massimo. Date le dimensioni dei documenti e del luogo che li doveva ospitare, sembra probabile che il contenuto di queste centinaia di tavole sia stato via via tra­ scritto su un registro, presumibilmente allo scopo di fornire al pontefice mas­ simo un manuale di precedenti religiosi di più agile consultazione, utile nell'eventualità che si presentassero situazioni inattese. Durante il sacco di Roma del 390, quando i Galli di Brenno occuparono e incendiarono la città, la Regia venne bruciata e con essa gli annales: Ho esposto nei primi s libri quei fatti, guerre esterne e agitazioni interne, che av­ vennero in Roma dalla fondazione della città fino alla sua presa, dapprima sotto i re, poi sotto i consoli, i dittatori, i decemviri e i tribuni consolari: fatti oscuri sia per la troppa antichità, che li rende simili a quelle cose che per la grande distanza nello spazio a malapena si possono discernere, sia perché in quei tempi scarni e rari erano i documenti scritti, unici sicuri custodi della tradizione storica, e per di più anche le notizie che erano contenute negli annali dei pontefici ed in altri documenti pubblici

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e privati per la maggior parte andarono perdute nell'incendio della città (Livio 6, 1, 1-2., trad. it. L. Perelli 1979 ). Forse frammenti della copia su registro sopravvissero al sacco gallico, anche se non è certo. Vero è, comunque, che Livio afferma come uno dei primi com­ piti dei pontefici dopo l'incendio gallico fosse il recupero e la ricostruzione degli annales e in tale operazione svolsero probabilmente un ruolo importan­ te le fonti orali. L'obiettivo risiedeva nella ricostituzione di una memoria na­ zionale ufficiale, che sarebbe andata altrimenti perduta. Fra il 140 e il 120, ad opera di Publio Muzio Scevola che fu pontefice nel 130, gli annales vennero pubblicati in forma letteraria in 80 libri e in questo mo­ do divennero fonte accessibile agli storici che si interessassero ali'età monar­ chica e ai primi anni della repubblica. È la fine della storiografia pontificale. In occasione di tale pubblicazione gli annales furono integrati con materiali tratti sia dalla leggenda delle origini sia da avvenimenti storici in precedenza trascurati di carattere politico, civile, militare che si affiancarono alle nota­ zioni, prima prevalenti, di carattere religioso. Per noi perduti, gli annales maximi sono noti solo grazie a testimonianze letterarie successive; non pochi autori, infatti, si avvalsero di tali documenti come fonte. Un esempio in questo senso è Livio: sulla base di parametri stili­ stici si circoscrivono, infatti, le citazioni, probabilmente testuali, incluse dal­ lo storico patavino nella sua opera. Ecco alcuni esempi: Pur dopo queste vittoriose imprese, non vi era ancora la pace né nel Sannio né in Etruria: infatti dopo il ritiro dell'esercito del console per istigazione dei Perugini era stata ripresa la guerra, e i Sanniti erano scesi a saccheggiare parte del territorio di Vescia e Formia, parte nella regione di Isernia e nella valle del Volturno. Contro di loro fu mandato il pretore Appio Claudio con l'esercito di Decio. Fabio, tornato in Etruria in seguito alla ripresa delle ostilità, uccise quattromilacinquecento Peru­ gini e ne fece prigionieri circa millesettecentoquaranta, i quali furono riscattati al prezzo di trecentodieci assi ciascuno: tutto il resto del bottino fu lasciato ai soldati [... ]. Furono uccisi sedicimilatrecento Sanniti, fatti prigionieri duemilasettecento; dell'esercito romano caddero duemilasettecento uomini. Quell'anno fu fortunato sui campi di battaglia, ma funestato da una pestilenza e turbato da prodigi; infatti fu annunciato che in molti luoghi era piovuta terra, e che nell'esercito di Appio Clau­ dio parecchi soldati erano stati colpiti dal fulmine; perciò furono consultati i libri sibillini. In quell'anno Quinto Fabio Gurgite, figlio del console, condannò a una multa alcune matrone riconosciute colpevoli davanti al popolo di adulterio, e col denaro ricavato fece costruire il tempio di Venere che sorge vicino al Circo Massimo (Livio IO, 31, 1-4 e 7-9, trad. it. L. Perelli 1979 ). Prima di allora a Roma non c'erano mai stati processi per avvelenamento. La cosa fu considerata come un prodigio, e parve opera di menti uscite di senno più che

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Dopo il sacco galli,

Testimoni degli annales

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scellerate: perciò, essendo ricordato negli annali che un tempo durante le seces­ sioni della plebe era stato piantato un chiodo dal dittatore, e che le menti umane uscite di senno per la discordia con quel rito espiatorio erano tornate in sé, fu de­ ciso di nominare un dittatore per piantare il chiodo (Livio 8, 18, 11-12., trad. it. L. Perelli 1979 ). Gli annali raccontano che, quando Annibale assediava Casilino, un topo fu venduto per 2.00 denari, che il venditore morì di fame e il compratore invece visse (Plinio, Naturalis Historia 8, 2.2.2., trad. it. E. Giannarelli 1983). La storia degli aruspici e di questo senario giambico è scritta negli Annali massimi, libro undicesimo, e nel primo libro dei Fatti memorabili di Verrio Fiacco ( Gellio, Noctes Atticae 4, s, 1-6, trad. it. G. Bernardi-Perini 1992.).

Fasti consulares

Fasti triumpha/es

Fasti

Le liste ufficiali dei magistrati Liste ufficiali dei magistrati di Roma vennero stilate a partire dal 510/ 509, anno in cui fu istituita la repubblica. La principale tra tali liste sono i Fasti consulares, ovvero l'elenco dei magi­ strati supremi che si succedettero al vertice dello stato romano a partire dal 509: coppie consolari, dittatori e loro magistri equitum, tribuni militari con potere consolare, censori. In età repubblicana i Fasti consulares potevano es­ sere consultati nel tempio capitolino di Giunone Moneta, ove ne era conser­ vata una riproduzione su rotoli di lino (libri lintei). Tra le liste di magistrati di notevole rilievo sono anche i Fasti triumphales, elenco di quanti ottennero l'onore del trionfo. Si trattava, come si è detto, della solenne parata con cui il comandante in capo che con le sue imprese avesse garantito un decisivo ampliamento dell'impero sfilava sul carro lungo le vie dell' Urbe, preceduto dal bottino di guerra, dai prigionieri, dalle iscri­ zioni, dalle tavole dipinte che descrivevano la conquista nonché dal suo eser­ cito che in quel giorno si prendeva la libertà di sbeffeggiarlo. Per ogni trionfo, nei Fasti erano ricordati il protagonista attraverso la sua onomastica completa, la data in cui aveva avuto luogo la cerimonia, il nome dei popoli sconfitti in battaglia. Nel 30 venne compilata una lista comprensiva dei Fasti consulares e dei Fasti triumphales redatta su lastre di pietra e affissa nelle edicole interne all'arco trionfale innalzato in onore di Augusto: si tratta dei Fasti capitolini. Quan­ do l'arco venne ampliato da uno a tre fornici, i Fasti furono integrati con le coppie consolari che si insediarono tra il 30 e il 2.0. I calendari religiosi, le leggi, i testi dei trattati Si tratta di documenti pubblici redatti su supporto epigrafico. Fino alla riforma cesariana del 46 i Romani utilizzarono un calendario (fasti) lunare articolato in 355 giorni, introdotto a Roma dagli Etruschi. Se ne pos­ sono ricostruire le caratteristiche attraverso i Fasti Antiates, calendario dipin-

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1.

La prima codificazione della memoria: la tradizione prestoriografica

to pregiuliano del I sec. a.e., rinvenuto in frammenti di intonaco ad Anzio nel 1915: poiché il calendario appartiene alla sfera sacrale, molto conservati­ va, i Fasti Antiates devono nella sostanza riprodurre l'originale calendario etrusco. Il calendario per un lungo periodo rimase segreto e custodito dalla classe sa­ cerdotale; in tal modo il patriziato, attraverso i suoi esponenti sacerdoti (fino al 300 il pontificato non era accessibile alla componente plebea della società romana), aveva facoltà di gestire a suo piacimento la vita pubblica della co­ munità: il calendario scandiva, infatti, le fasi della vita giudiziaria, politica, economica della città, distinguendo i giorni infasti, durante i quali ogni at­ tività era lecita grazie al benestare degli dei (fas), nefasti, in cui nessuna atti­ vità politica, giudiziaria o economica era consentita, endotercisi, ovvero per la metà della giornatafasti e per l'altra metà nefasti, comitiales, cioè destinati alle assemblee dei cittadini. Nel 304, Gneo Flavio pubblicò presso il foro il calendario e le procedure giu­ diziarie (Ius Flavianum ), sottraendo così la vita pubblica ali'assoluto arbitrio della classe dirigente. Dai giuristi di età repubblicana è ricordata la promulgazione di leggi in epoca regia, ad opera di Romolo, Numa Pompilio o Anco Marzio. Nei loro contenuti essenziali tali provvedimenti sarebbero stati recepiti dalle Leggi delle XII tavole del v sec. a.C. Queste ultime, elaborate da una commis­ sione decemvirale in due fasi, tra il 451 e il 449, vennero approvate dai comizi centuriati. Incentrate sul diritto privato, sul diritto pubblico, ma anche per­ tinenti a norme concernenti l' igiene, costituivano una legislazione assai con­ servativa, espressione di una società rurale. Pare fossero state originariamente dipinte su pannelli di legno separati e in una fase successiva incise su bronzo ed esposte nel foro. Non sono pervenute, ma fino al I sec. a.e. furono argo­ mento di studio per i giovani Romani, che le imparavano a memoria come primo esercizio scolastico.

Leggi

Tu sai quel che segue, ché da fanciulli imparavamo a memoria le dodici tavole come un carme in programma; ma ormai quasi più nessuno le studia ( Cicerone, De legibus 2, 23, 59, trad. it. L. Ferrero, N. Zorzetti 19742) . Le fonti antiche riconducono all'età regia e protorepubblicana la sigla di trattati e la stesura degli stessi su materiale durevole, codificazione ufficiale della memoria. Ed affinché non sussistesse più in loro alcun timore per il futuro, né dubitassero che le concessioni fatte non si sarebbero mantenute stabilmente [scii. Tarquinio il Superbo] scrisse i termini in base ai quali i Gabii si sarebbero trovati in un rappor­ to di amicizia con i Romani e li ratificò immediatamente davanti all'assemblea e li confermò con giuramenti prestati sulle vittime. Esiste in Roma una testimonianza

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Trattati

Introduzione alla storiografia romana

di questi giuramenti e si trova nel tempio di Zeus Pistios che i Romani chiamano Sancos: si tratta di uno scudo ligneo avvolto dalla pelle del bue che fu sgozzato in quell'occasione per prestare i giuramenti e sul quale furono incisi con caratteri anti­ chi i termini del trattato stipulato (Dionigi di Alicarnasso, Antiquitates romanae 4, 58, 4, trad. it. F. Cantarelli 1984).

3. I vettori della memoria prestoriografica: casi di fruizione complementare Tutte queste forme di veicolazione della memoria storica, ciascuna per le sue specificità indirizzata a un preciso referente, in alcuni contesti vengono utilizzate in termini di complementarità, per un duplice fine: potenziar­ ne l'impatto presso un destinatario in grado di decodificare parimenti un messaggio orale, visivo e scritto ed estenderne la funzione dalla dimensione sincronica dell' hic et nunc a quella diacronica intesa a eternare la memoria. Così, ad esempio, il funus publicum era l'occasione per la definizione della memoria individuale attraverso il vettore orale della laudatio, ma anche per una rivitalizzazione della tradizione familiare mediante l'ostentazione visiva delle imagines degli antenati. Un sistema integrato di definizione e trasmis­ sione della memoria trovava applicazione anche nella domus aristocratica, ove alla codificazione per verba dei carmina convivalia era complementare la tradizione per imagines delle maschere di cera degli antenati, nonché quella per scripta tanto degli elogia quanto degli archivi atti a ospitare i testi delle laudationesfunebres. La rievocazione della memoria familiare, che nelfunus si esauriva nell'orizzonte temporale della cerimonia, si protraeva invece nel tempo nell'organizzazione iconografica dell'atrio delle domus aristocratiche. In queste ultime, se gli spazi privati, come le aree tricliniari sedi del banchet­ to, erano riservati alla frequentazione dei familiari e degli ospiti di pari rango, e quindi erano destinati alla comunicazione orizzontale tra esponenti della leadership, l'atrio assumeva, invece, carattere pubblico, era il contesto in cui il patronus riceveva i visitatori e in particolare i propri clientes. La frequenta­ zione dell'atrio della domus da parte del cliens ogni giorno per la pratica della salutatio matutina si configurava come un momento pedagogico nella sua formazione, al pari della partecipazione ai funerali della famiglia del patrono. Ma anziché sentire enumerare le imprese degli antenati dalla voce del patro­ no e veder sfilare le immagini dei suoi avi nel corteo funebre, il cliente aveva modo di osservare i busti degli antenati del patrono, le imagines, e di leggere gli elogia. Di qui l'incidenza del ius imaginum nella perpetuazione del si­ stema aristocratico ai vertici della res publica Romana. La storia passata ac­ cresceva il credito del patrono agli occhi dei suoi clientes, laddove gli homines novi, esclusi da tale privilegio, non beneficiavano di siffatta opportunità nella necessaria costituzione di un proprio seguito.

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La prima codificazione della memoria: la tradizione prestoriografica

4. Le peculiarità della tradizione prestoriografica Quattro sono le caratteristiche della tradizione romana precedente la nascita della storiografia. Essa ha una connotazione decisamente aristocratica. Senatori erano i pontefici che stilavano gli annales maximi sulle tabulae dealbatae; senatorie erano le famiglie che avevano interesse a preservare il ricordo degli antenati attraverso elogi funebri e iscrizioni commemorative; produzione aristocra­ tica destinata a una fruizione da parte dell'élite erano i carmina convivalia; l'aristocrazia al governo aveva stilato i primi testi scritti (testi di leggi,fasti ecc.). È una tradizione fortemente politicizzata I contenuti di questi documenti (liste di magistrati eletti, resoconti dei principali avvenimenti politico-mili­ tari, elogi dei personaggi di spicco del tempo ecc.) avevano, come si è detto, carattere sacrale, ma soprattutto politico-militare. Non è espressione di singole personalità, ma della collettività. Questa cronaca preletteraria aveva per lo più carattere ufficiale, statuale. Anna/es, liste di magistrati, leggi, calendari sono documenti pubblici e rappresenta­ no vettori della memoria collettiva costituitasi attraverso l'apporto non di singoli autori bensì di funzionari e sacerdoti per lo più anonimi che, in virtù delle loro cariche, erano investiti del compito di rappresentare la comuni­ tà e definirne la memoria storica. Le stesse produzioni non ufficiali, che si configurano come la trasposizione in sede privata dei medesimi processi di codificazione della memoria attivati in ambito pubblico, non nascevano da singoli individui, ma dagentes che sottolineavano i meriti dei loro esponen­ ti nei confronti dello stato, avendo quindi sempre presente la dimensione pubblica. Ha carattere solo parzialmente attendibile. Se i documenti ufficiali posso­ no essere considerati fededegni, la tradizione costituita da laudationesJune­ bres, carmina convivalia, imagines, elogia e archivi familiari si configura come assai poco affidabile in ragione dell'evidente tendenza all'enfatizzazione e alla falsificazione a scopo elogiativo. Di questi [scii. elogi funebri] se ne conservano parecchi: infatti le stesse famiglie li conservavano come titoli di onore e documenti storici, perché fossero utilizzati per la celebrazione di qualche loro defunto e nello stesso tempo servissero a tramandare la gloria e la nobiltà familiare. Purtroppo la storia del nostro paese è stata deturpa­ ta da simili elogi. In essi sono registrati dei fatti che non sono mai avvenuti: falsi trionfi, un numero di consolati superiore al reale, persino false genealogie e passaggi al ceto plebeo, quando uomini di bassa origine volevano mescolare la propria stir­ pe con un'altra che portava il medesimo nome (Cicerone, Brutus 16, 62., trad. it. G. Norcia 1976").

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Introduzione alla storiografia romana

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1.

La prima codificazione della memoria: la tradizione prestoriografica

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2

La nascita della storiografia romana

1.

I rapporti con la storiografia greca tra innovazione e dipendenza

La storiografia romana delle origini presenta numerosi punti di contatto con la storiografia greca; infatti si configura, almeno in parte, come sua mutuazione ed evoluzione. È per influenza della storiografia greca che la storiografia a Roma diviene un genere letterario, connesso alla dominazione dell'Urbe nel bacino del Mediterraneo. Legami assai stretti si possono individuare in primo luogo nei temi affrontati. Le azioni dei Greci e dei Romani sono raccontate, infatti, sia da storici greci che romani. Scrittori greci come Timeo di Tauromenio, Polibio, Dionigi di Alicarnasso, Diodoro Siculo, Plutarco, Appiano, Dione rivolgono la loro attenzione, pur in proporzioni diverse, alle vicende di Roma; per contro, storici di lingua latina, come ad esempio Cornelio Nepote, Pompeo Trogo, Curzio Rufo, si interessano a personaggi e ad avvenimenti della Grecia. Anche la lingua utilizzata rappresenta un elemento comune: i primi storiografi a occuparsi della storia di Roma scrivono infatti non in latino ma in greco, e anche autori successivi optano per la stessa soluzione espressiva. Nonostante tali punti di contatto, la storiografia romana maturò aspetti di decisa originalità e indipendenza rispetto al modello greco. Così, mentre la prospettiva di analisi nella storiografia greca è il presente e l'universale, nella produzione romana l'attenzione è rivolta prevalentemente al passato e incentrata sulla sola Roma. Sia per l'identità degli autori che per i temi trattati, la storiografia romana palesa una stretta connessione con il potere politico; è letteratura destinata alla celebrazione e alla giustificazione di Roma, animata da intenti elogiativi e propagandistici. La storiografia greca, invece, in larga parte è esposizione di un rapporto critico dell'individuo con l'ambiente politico di appartenenza, divenendo spesso una storiografia del dissenso. La storiografia romana gravita intorno all'Urbe, unico centro di elaborazione culturale nell'impero; la storiografia greca matura presso realtà geografiche e politiche molteplici. La storiografia romana è spesso espressione di cittadini municipali e non di nativi di Roma; invece la grande storiografia greca è in prevalenza opera di Ateniesi. 39

Elementi condivis

Elementi di novità

Introduzione alla storiografia romana

Rispetto alle espressioni prestoriografiche di codificazione della memoria, con la nascita della storiografia il racconto, meno sintetico e frammentato, si distende in una narrazione continua che accorda uno spazio più ampio alle vicende narrate, ambisce a una forma di veridicità, mette in luce le connes­ sioni tra gli eventi, in particolare in termini di nessi causali. 2. La nascita della storiografia romana: la riflessione storica di uno straniero

.e ragioni lel mutamento

Storia siciliana e Su Pirro

Il primo resoconto di storia romana di cui siamo a conoscenza venne com­ posto all'inizio del 111 sec. a.C. da Timeo di Tauromenio, cinque secoli do­ po la fondazione di Roma e due secoli dopo la nascita della storiografia in Grecia. I contatti tra Roma e il mondo greco risalivano addirittura all'età fondativa. Solo dalla fine del IV e soprattutto nel corso del III sec. a.C. tali rapporti, tuttavia, si intensificarono sotto il profilo quantitativo e si approfondirono in termini qualitativi. In questo periodo, Roma si confrontò con realtà eteroge­ nee, espressione della grecità: con colonie greche sul Tirreno, come Napoli, in occasione delle guerre sannitiche; con poleis, cioè città greche, sullo Ionio, come Taranto nel corso del conflitto contro il re dell' Epiro Pirro; con altre comunità della Magna Grecia e di Sicilia in particolare in occasione della prima guerra punica; poi nuovamente con l' intero mondo greco d' Italia già sottomesso a Roma ma in parte in aperta ribellione nello scontro annibalico, e con quello delle città greche dello Ionio e dell' Egeo dalla prima guerra illi­ rica alle prime due guerre macedoniche e alla guerra siriaca. In questi fran­ genti, nel mondo greco si acquisì consapevolezza che Roma stava diventando parte del mondo riconosciuto come civile. Maturò così presso i Greci un'at­ tenzione nuova per le vicende e le tradizioni romane. 2.1. Timeo Il primo resoconto di una certa estensione relativo alla storia di Roma arcaica è composto non da un aristocratico romano, bensì da un greco di Taormina, Timeo, nel III sec. a.e. Dopo le guerre contro Pirro, chiamato a combattere in Italia da Taranto, Taormina divenne teatro dello scontro tra Romani e Cartaginesi. In quel tempo Timeo viveva esule ad Atene, dopo essere stato allontanato dalla pa­ tria dal tiranno Agatocle di Siracusa intorno al 315. Rimasto ad Atene per molti anni, forse rientrò in Sicilia dopo la morte di Agatocle, avvenuta nel 2.89, e lì soggiornò fino alla sua dipartita, intorno al 2.60. Accanto a non meglio precisati studi sulle cronologie, due sono le opere storiografiche attribuite a Timeo: la Storia siciliana in 38 libri, che estendeva la narrazione dai tempi del mitico re Kokalos fino alla morte di Agatocle; lo scritto Su Pirro, che raccontava l'avventura del re Pirro in Italia e Sicilia, spin­ gendosi fino all' inizio della prima guerra punica, nel 2.64.

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2. La nascita della storiografia romana Di tale produzione rimangono solo frammenti, conservati in prevalenza da Polibio. Rispetto alla precedente storiografia Timeo innova nel terna, riservando un'attenzione centrale, oltre che alla Sicilia, a Cartagine e alla Grecia, alle vicende che vedevano Roma protagonista. La scelta tradisce l'acuta visione politica di Timeo, consapevole delle potenzialità del nascente impero mediterraneo, tanto da postulare la contemporaneità di fondazione tra Roma e Cartagine nell'814 e in tal modo da equiparare l'Urbe alla fiorente città punica. La grandezza di Roma, tuttavia, nell'interpretazione dello storico di Taormina non si configura come antitetica al primato della grecità: come altri storici di lingua greca che in quegli anni raccontavano le vicende della Penisola, Timeo comprende Roma nell'ambito della civiltà greca occidentale, ritenendo l' Italia una seconda e più grande Grecia, la Magna Grecia appunto. La storia dell' Italia e della Sicilia nel III sec. a.C. composta da Timeo risulta essere, quindi, ancora una storia dell'ellenismo. Timeo Siculo, in base a non so quale sistema cronologico, pone la colonizzazione della città, o fondazione o in qualunque altro modo debba essere chiamato questo processo, trentotto anni prima della prima Olimpiade, in un'epoca contemporanea alla fondazione di Cartagine (Dionigi di Alicarnasso, Antiquitates Romanae 1, 74, 1, trad. it. F. Cantarelli 1984).

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Introduzione alla storiografia romana Studi specifici su aspetti problematici M. A. LEVI, La critica di Polibio a Timeo, in Miscellanea di studi alessandrini in me­ moria di A. Rostagni, Torino 1963, pp. 195-202; R. VATTUONE, Su Timeo F 29]acoby, n in "RSA , 11, 1981, pp. 139-45; M. SORDJ, //.fi: 29jacoby di Timeo e ia lettura augustea di n un passo di Filisteo, in "Lacomus , 43, 1984, pp. 534-9; v. LA BUA, Due note su Timeo, n in "MGR , 9, 1984, pp. 89-103; P. DE FIDIO, Il canone di Timeo e il sincronismo Roma­ n Cartagine, in "RAL , 9, 1998, pp. 395-432; G. MARASCO, Timeo, la Sicilia e la scoperta n delle Baleari, in "Sileno , 30, 2004, pp. 163-74; A. KOPTEV, Timaeus o/Tauromenium and Early Roman Chronology, in c. DEROUX (ed.), Studies in Latin literature and Roman history, xv, Bruxelles 2010, pp. 5-48; D. MIANO, «Tychai» o/Timoleon and n Servius Tullius: A hypothesis on the Sources, in "ASNP , 4, 2012, pp. 365-78; G. M. D 'A­ LESSANDRO, Didone e la verita nascosta di colei che s 'ancise amorosa: la Cartaginese, ilfalso storico e la Didonis quaestio, in "Appunti Romani di Filologia: Scudi e Comu­ nicazioni di Filologia, Linguistica e Letteratura Greca e Latina", 18, 2016, pp. 45-59.

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La prima storiografia a Roma:

una memoria nazionale in greco

La storiografia nasce a Roma pressoché in concomitanza con l'affermazione di altre espressioni letterarie. I primi scritti dedicati da cittadini romani alla storia di Roma sono in versi e si inseriscono nel genere epico. Autori di tale poesia di argomento storico, e anche di tragedie pure esse incentrate su que­ stioni di attualità, sono nel III sec. a.C. Nevio, con il Bellum Poenicum ("La guerra punica" ) in saturni, e nel II sec. a.C. Ennio, con gli Annales ("Annali" ) in esametri, che privilegiano gli stessi temi: le origini mitiche di Roma e gli even­ ti della contemporaneità. Come si è rilevato, la memoria prestoriografìca è espressione di una collettività sia nei documenti ufficiali stesi da magistrati e sacerdoti sia nei contesti pri­ vati, manifestazione delle gentes e dellefamiliae, strutture di base della società romana. Diversamente la storiografia, pur saldamente ancorata alla dimensione della res publica, è espressione di singole individualità. Nondimeno, permane la vocazione celebrativa nei confronti di Roma e l'ambizione di elaborare un codice di valori etici fondante per il senso di identità nazionale. 1. L'annalistica L'annalistica (annales) è la prima forma di storiografia elaborata da cittadini ro­ mani. In prosa, racconta il passato di Roma anno per anno (appunto ab an­ no), individuando nella successione delle coppie consolari il criterio di seg­ mentazione del racconto. Già nella struttura è evidente la dipendenza dagli annales dei pontefici, utilizzati come fonte principale. Con il termine "annalisti" (auctores annalium) si indicano gli autori che adottarono la forma letteraria annalistica, da Quinto Fabio Pittore, il primo Romano a scrivere la storia della sua città, a Elio Tuberone. Tutte le opere degli annalisti sono incentrate sulla storia di Roma e risalgono alla fondazione (con l'eccezione di quelle di Celio Antipatro, Sempronio Asellione, Claudio Quadrigario). La materia permetteva di oscillare tra la cronaca interna e la politica estera (domi militiaeque) . È noto come cali opere rappresentassero fonti importanti soprattutto per la ricostruzione dell'età arcaica e a questo scopo se ne fossero avvalsi gli storici della 43

Peculiarità dell'annalistica

Gli annalisti

I contenuti

Introduzione alla storiografia romana

tarda età repubblicana e della prima età imperiale, come Dionigi di Alicar­ nasso e Livio. Della produzione annalistica non è sopravvissuto praticamente nulla. L'an­ nalistica conosce tre momenti: la prima annalistica, in lingua greca; l'anna­ listica di transizione (o di mezzo), che si produsse in età graccana, in lingua latina; l'annalistica dell'età di Silla, anch'essa in latino. 2.

ngua e obiettivi

La prima annalistica

La prima annalistica romana venne scritta in lingua greca: così Quinto Fa­ bio Pittore, Lucio Cincia Alimento, Aulo Postumio Albino, Gaio Acilio, Publio Cornelio Scipione. Le traduzioni in latino furono assai precoci, co­ me testimoniano i casi attestati di Pittore e di Acilio, il primo egli stesso pro­ babile autore della versione latina della sua opera, il secondo tradotto in lati­ no da un Claudio, forse Quadrigario. L'opzione in favore della lingua greca non è conseguente alla inadeguatezza del latino di III sec. a.C. alla trattazione di tematiche storico-letterarie, ma si configura come una scelta motivata e rispondente agli obiettivi primari di tale produzione. Scrivendo in greco, Fabio Pittore non solo intese inserire la sua opera nella tradizione storiografica greca, adottandone la metodologia di ricerca e di esposizione, ma si propose di offrire ai lettori grecofoni una lettura della storia di Roma dal punto di vista di un Romano. In questo pe­ riodo l'Urbe operava nel Mediterraneo già come una potenza ed entrava in contatto con i popoli che fino ad allora si erano reciprocamente scontrati per imporre la loro influenza in Occidente, in particolare Greci e Cartaginesi. Storici quali Filino di Agrigento, Sosilo di Sparta, Sileno di Calatte, Che­ rea attraverso la loro memoria storiografica offrivano una lettura degli av­ venimenti palesemente partigiana nei confronti dei Punici. Roma avvertiva, quindi, la necessità di contrapporre a tale polemica denigratoria animata al suo indirizzo da intellettuali spesso culturalmente assai accreditati una in­ terpretazione ftloromana della storia. Così Polibio ( 1, 14, 1), ad esempio, testimonia esplicitamente come in riferimento alla prima guerra punica Fi­ lino di Agrigento garantisse la saggezza, la correttezza e il valore propri della condotta dei Cartaginesi, e di converso Fabio Pittore desse una interpretazio­ ne del tutto antitetica del loro operare. In queste fasi il mondo mediterraneo si esprimeva in greco, divenuto una sorta di lingua internazionale, ma certo non conosceva il latino. Per raggiungere un pubblico "sovranazionale", dun­ que, scrivere in greco e inserirsi in una tradizione culturale riconosciuta era decisivo per legittimarsi come testimone storico. Oltre che a questa importante finalità, connessa alle problematiche della po­ litica estera, la prima annalistica rispondeva a un altro obiettivo, esito delle vicende recenti della politica interna. Dopo il lungo e lacerante conflitto che, tra il v e il III sec. a.C., aveva diviso il corpo civico romano tra patrizi e plebei,

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3. La prima storiografia a Roma: una memoria nazionale in greco si avvertiva ora come pressante l'esigenza di individuare valori che favorisse­ ro la coesione civica. L'annalistica contribuiva a realizzare una storia nazionale in senso fortemente autocelebrativo, che privilegiava l'apporto assicurato alla grandezza di Roma dalle gentes, espressione della nobilitas senatoria, ma in cui tutte le compagini sociali potevano identificarsi e trovare ragione di concor­ dia nel presente. La formazione bilingue latino-greca della classe dirigente romana consentiva, del resto, un'agevole fruizione degli annales in greco an­ che all'interno dei confini della res publica. Si può supporre che i primi annalisti avessero accesso a quattro tipi di fonti. • Fonti romane: la fonte principale per i primi annalisti sono gli annales maximi, come si rileva soprattutto dallo stile, dall'organizzazione del materiale anno per anno, dal contenuto delle opere. La consultazione dei documenti originali doveva risultare preclusa dopo l'incendio della Regia ad opera dei Galli di Brenno del 390; pertanto la storia elaborata dai primi annalisti si fondava in prevalenza sulla ricostruzione dei materiali perduti promossa subito dopo il sacco della città. Utilizzarono anche i Fasti consulares, i Fasti triumphales, le liste dell'esercito, gli elenchi dei caduti in guerra, ma anche gli archivi delle grandi famiglie e, accanto a tali fonti scritte, si giovarono anche di testimonianze orali. Non esiste presso di loro [scii. i Romani] nessuno storico o logografo; pure ciascuno dei loro storici ha ricavato qualche notizia dagli antichi racconti conservati nei libri sacri (Dionigi di Alicarnasso,Antiquitates Romanae 1, 73, 1-2., trad. it. F. Cantarelli 1984). • Fonti greche: dal V-IV sec. a.C. i Greci cominciarono a occuparsi dell'I­ talia, considerandola in termini unitari. Dal III sec. a.C., storici greci come Diocle di Pepareto, Filino di Agrigento, Eratostene iniziarono a interessarsi specificamente di Roma. Anche tale produzione dovette essere utilizzata dagli annalisti. • Storiografia locale: gli annalisti sembrano utilizzare fonti etrusche, sabine e cumane di diversa tipologia e per noi perdute, a cui attingere un punto di vi­ sta esterno. La storiografia etrusca, redatta in greco o in etrusco, ci è nota solo attraverso il nome di uno dei suoi autori, Promathion, di cui è conservato un solo frammento. Scriptores Tusci sono menzionati dall'imperatore Claudio, stu­ dioso di storia etrusca, nel discorso riportato dalla Tavola di Lione ( CIL XI I I 1668 = ILS 2 12). • Esperienza personale: un apporto decisivo alla documentazione dei pri­ mi annales sembra garantito dalla partecipazione dell'autore agli eventi o dalla sua visione diretta di avvenimenti raccontati nell'opera. Così, come si vedrà meglio in seguito, negli Anna/es di Fabio Pittore sembra rimanere traccia del viaggio compiuto dall'autore a Delfi nel corso della guerra annibalica e nell'opera di Cincio Alimento pare venisse descritta la sua prigionia presso i Cartaginesi.

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Fonti

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Cenni biografici

La produzione storiografica

2.1. Fabio Pittore Il fondatore della prima annalistica fu Quinto Fabio Pittore. Fabio Pittore apparteneva a un ramo cadetto della gens dei Fabi, espressione del più illustre patriziato romano, quello dei Fabi Pittori. Derivò il cognome, Pittore, da un antenato che nel 304-303 aveva dipinto il tempio di Salus, Sa­ lute. Un aristocratico, quindi, impegnato, come il suo discendente, nella tra­ smissione della memoria storica, benché attraverso strumenti diversi. Fabio Pittore svolse un'intensa attività politico-militare. Combatté contro i Liguri nel 233; partecipò alla guerra contro i Galli, fermati nel 225 a Talamone e nel 222 a Casteggio. Descrisse da contemporaneo, e forse da protagonista, la battaglia del Trasimeno del 217, nel corso della quale Annibale sconfisse i Romani. Nel 216, dopo la bruciante disfatta patita a Canne, probabilmente nelle vesti di pretore fu inviato a Delfi a interrogare l'oracolo di Apollo; Fa­ bio sarebbe stato scelto per tale missione perché già noto per la conoscenza del greco e della cultura ellenica. Nessuna notizia a lui attribuita si riferisce a fasi successive al 216. La sua mor­ te, quindi, potrebbe essere avvenuta a poca distanza da questa data. Non è attestato con sicurezza il titolo dell'opera di Pittore, nota come Anna­ les, Resgestae, Historia. Gli Annales di Pittore risalgono all'ultimo quarto del 111 sec. a.C. Raccon­ tano la storia di Roma dalle origini presumibilmente fino al 217 a.C., data della sconfitta del Trasimeno. Roma stava combattendo contro Cartagine una guerra decisiva per le proprie sorti e la situazione appariva assai com­ promessa; in quel clima di emergenza negli Annales, di coloritura decisamen­ te patriottica, Pittore descriveva propagandisticamente la sua patria come città grande e civile. Gli Annales dovevano soffermarsi in particolare sui miti di fondazione e sulle origini di Roma, passando poi direttamente (forse con richiami molto sintetici a periodi intermedi) alle vicende contemporanee e in particolare alla prima e alla seconda guerra punica. L'estesa dimensione assegnata alla sezione delle origini e all'età contemporanea, con una sensibile contrazione del racconto in merito alle fasi mediane, si configura come ripresa dei moduli caratteristici della pratica storiografica el­ lenistica, ma la storiografia di Pittore risente di buona parte dell'esperienza greca dei logografi, di Erodoto, di Tucidide. La struttura degli Annales di Pittore, certo condizionati da tali precedenti greci, tuttavia era influenzata anche da altre circostanze: in primo luogo, ri­ spondeva al gusto del pubblico, che prediligeva gli avvenimenti coevi; in seconda istanza si adeguava allo stato della documentazione, ricca per la fondazione (in primis grazie a Diocle di Pepareto) e le origini (attraverso Ti­ meo), scarsissima per le età intermedie, e ampia, anche grazie a fonti dirette e all'esperienza personale, per la storia contemporanea; infine, faceva propria la propensione degli autori a ospitare nella loro opera approfondimenti au­ tobiografici, valorizzando i fatti di storia politica e militare di cui per i loro incarichi erano stati protagonisti o testimoni autoptici. 46

3. La prima storiografia a Roma: una memoria nazionale in greco

Il primo che, per quanto io sappia, si è occupato della storia romana antica è lo sto­ rico leronimo di Cardia, nella sua opera sugli Epigoni. Dopo di lui abbiamo Timeo di Sicilia, che ha esposto la parte più antica delle varie storie in una storia generale, tranne le guerre di Pirro, trattate a parte in un'opera specifica. Oltre a questi anche Antigono e Polibio e Sileno e molti altri tentarono in diversi modi, ma ciascuno di essi si impegnò poco e con metodo non rigoroso, registrando dati desunti da raccon­ ti occasionali. Opere analoghe tramandano anche alcuni Romani che scrissero le più antiche vicende della città in lingua greca. I più antichi furono Q Fabio e L. Cincio: entrambi vissero al tempo delle guerre puniche e narrarono con grande rigore, grazie all'esperienza, i fatti cui avevano assistito, scorrendo solo per sommi capi la parte antica successiva alla fondazione (Dionigi di Alicamasso, Antiquitates Romanae 1, 6, 2., trad. it. F. Cantarelli 1984). Timeo aveva raccontato le vicende del bacino del Mediterraneo fino alla vigi­ lia della prima guerra punica. Fabio si pone così come il primo continuatore di Timeo e individua una propria collocazione nel sistema greco di succes­ sione storiografica nel quale di volta in volta un nuovo autore riprende la narrazione della storia lì dove un predecessore riconosciuto come autorevole aveva fermato il suo racconto. L'organizzazione del materiale segue il criterio annalistico, ovvero dispone gli argomenti secondo una scansione determinata dal succedersi delle coppie consolari, valorizzando la tradizione romana degli annales maximi. Gli argomenti posti in primo piano dovevano essere di carattere politico, mi­ litare, giuridico, sia per l'influenza degli annales maximi sia per la natura politico­ militare dell'esperienza di Pittore stesso. La sua opera comprendeva certamente, infatti, pagine autobiografiche, in ragione soprattutto della doppia natura di storico e politico attivo dell'autore. Q Fabio Pittore fu inviato a Delfi a chiedere all'oracolo con quali preghiere e pub­ bliche supplicazioni potessero placare gli dèi e quale fine mai avrebbero avuto tanto grandi sventure (Livio 2.2., 57, 5, trad. it. P. Ramondetti 1989 ). Il particolareggiato racconto liviano sembra dipendere da Pittore stesso, evidentemente propenso ad accogliere nella sua opera dati autobiografici. Poiché l'opera di Pittore ci è nota solo da ridottissimi frammenti, è difficile appurare a quali fonti attinse per il suo lavoro. Certo dovette fare riferimento agli annales maximi. Aristocratico e politico attivo, Pittore, la cui opera rac­ contava avvenimenti militari e politici, oltre a descrivere costumi e cerimonie religiose di Roma, doveva avere familiarità con chi redigeva questi documenti e di conseguenza dimestichezza con essi. L'appartenenza all'aristocrazia senato­ ria probabilmente gli consentì anche l'accesso agli archivi familiari delle grandi gentes, nonché agli atri delle domus ove erano esposti imagines ed elogia. Forse utilizzò anche fonti greche. In questo senso sembra si debba interpretare la no-

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Introduzione alla storiografia romana tizia secondo cui Fabio Pittore avrebbe attinto la narrazione delle origini di Roma a Diocle di Pepareto, un greco che avrebbe in precedenza assicurato veste letteraria a una tradizione specificamente romana fino ad allora trasmessa solo attraverso l'oralità e in ambito popolare. L'esperienza diretta dell'autore rivestì certo un ruolo importante per i segmenti finali dell'opera. Gli Anna/es di Pittore furono composti in greco, per le motivazioni cui si è fatto cenno. Ammettiamo pure, ripeto, che queste siano leggende immaginarie, e a esse aggiun­ giamo anche il sogno di Enea, che, come ben sai, negli Annali scritti in greco da Fabio Pittore è narrato in modo che tutto ciò che fu poi compiuto da Enea e che gli accadde corrisponda esattamente alle cose a lui apparse mentre era immerso nel sonno (Cicerone, De divinatione 1, 21, 43, trad. it. S. Timpanaro 1991'). Probabilmente, furono presto tradotti in latino, forse, come si è accenna­ to, dallo stesso autore. A questa conclusione orientano le citazioni in latino presenti nelle fonti successive ( in particolare Livio e Plinio) e una puntuale testimonianza di Gellio. Stavamo seduti un giorno, io e il poeta Giulio Paolo, uno tra i maggiori eruditi che possiamo ricordare, in una libreria al mercato dei Sigillari; c'erano esposti lì gli Annali di Fabio, in manoscritti di buona e genuina antichità, che il venditore assicurava essere esenti da mende. Ma un grammatico, e dei più famosi, incaricato da un acquirente di esaminare i libri, diceva d'averne trovata una nel quarto libro ; e il libraio a scom­ mettere qualunque cosa se si trovava uno sbaglio anche in una sola lettera. Il gram­ matico mostrava che nel libro quarto c'era scritto: « Perciò allora per la prima volta uno dei due consoli fu eletto tra la plebe, nel!' anno ventiduesimo, duovicesimo, dalla presa di Roma per opera dei Galli » . «Bisogna scrivere - egli diceva - non duovicesimo ma duoetvicesimo. Che vuol dire duovicesimo?» (Gellio, Noctes Atticae 5, 4, 1-4, trad. it. G. Bernardi-Perini 1992). Tanto l'attribuzione all'opera da parte di Gellio del titolo in latino Anna/es, quanto il riferimento a un presunto errore nel testo riportato in latino sug­ geriscono che la copia in possesso dell'erudito fosse redatta in lingua latina. Nello spirito peculiare della prima annalistica, gli Anna/es di Fabio si doveva­ no configurare come replica alla lettura antiromana e filocartaginese che dei fatti dell' Occidente aveva divulgato Filino di Agrigento.

Lucio Cincio Alimento

2.2. Gli annalisti "perduti" Degli altri annalisti attivi tra il III e il II sec. a.C. si hanno poche notizie. Lucio Cincio Alimento fu senatore plebeo. A sua volta impegnato nella carriera politica, fu pretore nel 210 e, tra il 209 e il 208, incaricato di comandare in Sicilia i soldati che si erano dati alla fuga dal cam­ po di battaglia a Canne. Venne catturato dai Cartaginesi e liberato dopo la 48

3. La prima storiografia a Roma: una memoria nazionale in greco vittoria romana. La notizia, riportata da Livio, sembrerebbe derivare da un affondo autobiografico della sua stessa opera storica. Circa la consistenza delle truppe di Annibale alla sua venuta in Italia, non c'era asso­ lutamente accordo fra gli storici [... ]. L. Cincio Alimento, che scrive di essere stato preso prigioniero da Annibale, darebbe le maggiori garanzie, se non confondesse le cifre comprendendovi anche i Galli e i Liguri (Livio 2.1, 38, 2., trad. it. P. Ramondetti 1989).

Dello scritto di Alimento, che trattava la storia di Roma dalle origini alla guerra annibalica, non si conosce il titolo. Publio Cornelio Scipione, augure nel 18 o, si dedicò interamente all'attività storiografica, con l'obiettivo polemico di ridimensionare il ruolo attribuito da Pittore ai Fabi nella storia di Roma e di valorizzare per contrapposizione l'apporto dei Corneli. Non è noto se la sua opera si configurasse come storia universale, dalle origini all'età contemporanea, o piuttosto si esaurisse in un approfondimento della guerra annibalica vinta da suo padre, Scipione l'Afri­ cano, e di cui egli stesso doveva essere stato testimone. Gaio Acilio fu senatore plebeo; nel 155 accolse nella curia la delegazione dei filosofi ateniesi a Roma e nel 146 fu membro della commissione romana che si recò in Grecia per la ridefinizione dell'assetto giuridico del territorio dopo la vittoria militare romana. Fu autore di un'opera, pubblicata nel 141, che trattava le vicende comprese tra la fondazione di Roma, città considerata gre­ ca, e la metà del II sec. a.C. e che venne forse tradotta in latino da Claudio Quadrigario. Fu fonte per Dionigi di Alicarnasso, Strabone, Livio e Plutarco. Aulo Postumio Albino, a sua volta esponente di una famiglia senatoria ple­ bea, nel 1 68 combatté con Emilio Paolo, vincitore a Pidna, come legatus. Nel 155 assunse la pretura e poi il consolato nel 151. Con Acilio fu interlocutore dei filosofi greci a Roma e successivamente si recò in Grecia. Sacrosanto e ben azzeccato è il rimprovero mosso, si dice, da Marco Catone ad Aulo Albino. Albino fu collega nel consolato di Lucio Lucullo e scrisse una storia romana in lingua greca. All'inizio della sua Storia si trova enunciato questo pensiero: nes­ suno se la dovrebbe prendere con lui per eventuali svarioni o pecche stilistiche ri­ scontrabili nei suoi libri «perché - dice testualmente - io sono un romano, nato nel Lazio, e la lingua greca ci è completamente estranea » ; e perciò egli richiedeva venia e immunità da censure nel caso di errori. Lette queste dichiarazioni, Marco Catone disse: «Ma tu, Aulo, sei un beli' ipocrita: hai preferito scusarti d'una colpa piuttosto che andarne esente. Di solito si chiede venia dopo aver sbagliato inavvertitamente o dopo avere peccato per forza maggiore. Ma te, scusa tanto, chi t'ha costretto a commettere una cosa di cui chiedi perdono prima ancora di farla ?». Questo si trova scritto nel libro tredicesimo Sugli uomini illustri di Cornelio Nepote ( Gellio, Noctes Atticae 11, 8, 2., trad. it. G. Bernardi-Perini 1992.).

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Publio Cornelio Scipione

Gaio Acilio

Aulo Postumio Albino

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L'appartenenza al rango senatorio e la compartecipazione all'attività di go­ verno degli autori ascrivibili alla prima annalistica determinò alcune caratte­ ristiche del genere storiografico: un approccio aristocratico alle questioni trattate; un interesse prioritario per gli aspetti politici; un'indiscutibile competenza negli ambiti politico-istituzionale, militare, giuridico. Tutti costoro condivisero uno spiccato fdoellenismo, che si tradusse in un atteg­ giamento culturale, ma anche in ben precisi orientamenti politici.

3. Roma e la realizzazione dell'egemonia culturale Dal III sec. a.C., quando nacque la storiografia romana, fino al I sec. d.C., Roma, sede del potere politico, rappresentò anche l'unico centro di elabora­ zione e diffusione della cultura letteraria nell'impero. Decisiva in questo sen­ so fu la capacità della classe dirigente di promuovere la funzione dell' Urbe di assorbimento e di compenetrazione delle diverse culture che la conquista aveva acquisito alla civiltà romana, attraverso un atteggiamento di apertura. L'obiettivo di siffatta politica era la coesione di quanti politicamente face­ vano parte della res publica attraverso la condivisione di un sistema di valori codificato e divulgato attraverso la cultura letteraria. In ciò si veniva riprodu­ cendo la situazione della Roma monarchica multietnica. 3.1. Impegno storiografico e attività politica Come si è osservato, tra il III sec. a.C. e il I sec. d.C. la storia romana venne scritta per lo più non da cittadini di Roma, bensì da immigrati, provenienti da altre aree, prima dell' Italia e poi dell'impero. Nell'esperienza romana di questo periodo, gli intellettuali non costituivano una categoria sociale riconosciuta, destinata a una sua funzione specifica; l 'at­ tività culturale e in particolare la codificazione della memoria storica al pari del diritto rientravano nelle mansioni della classe politica. Se la pubblicazio­ ne delle Leggi delle XII tavole nel v sec. a.C. e la divulgazione delle norme di procedura giudiziaria verso la fine del IV sec. a.C. sottrassero all' élite la gestione in termini di monopolio e segretezza della cultura giuridica, la sto­ riografia rimase invece più a lungo ambito esclusivo dell'aristocrazia. Fino alla produzione neoterica, la nobilitas disdegnava di dedicarsi direttamente alla poesia, esclusiva di liberti e clienti, ma riservava a sé lo scrivere storia. Per i Romani, infatti, la storiografia rappresentava un aspetto della politica, ovvero la sua prosecuzione con altri strumenti, in modo simile ali'oratoria. La sto­ riografia era intesa come azione politica promossa con armi diverse perché la costruzione della memoria del passato rappresentava un'operazione tute' al­ tro che neutrale, della cui rilevanza ideologica la nobiltà romana fu subito consapevole. Così, i primi storici romani, come Quinto Fabio Pittore, Lucio Cincio Alimento, Gaio Acilio, Aulo Postumio Albino, furono politici attivi, ma non di primo piano. Anche in seguito, del resto, se si prescinde da opere 50

3.

La prima storiografia a Roma: una memoria nazionale in greco

autobiografiche e da commentarii di vario genere, quasi mai le opere storiche furono scritte da personaggi politici di spiccato profilo. Quando, invece, la stesura di scritti storiografici si dovette a nomi illustri, l'impegno letterario ebbe luogo solo una volta conclusa l'esperienza di politica attiva: un'attività pubblica intensa e importante e un lavoro impegnativo di storico non risul­ tavano facilmente conciliabili, e poiché nella mentalità romana res gerere, ov­ vero intervenire in prima persona nella realtà, era comunque più importante che res gestas scribere, codificare il ricordo di quegli avvenimenti, in genere l'uomo politico romano che avesse qualche vocazione di storico rimandava il lavoro letterario agli intervalli di tempo libero, l' otium, e alla vecchiaia, riservando il proprio impegno prioritario a un'azione politica destinata alla pubblica utilità, il negotium; talvolta, ci si dedicava ali'attività storiografica nell'ozio forzato, se si era costretti ad abbandonare la vita politica. Catone, ad esempio, scrisse le Origines ormai anziano, quando il suo impegno politico si era fortemente ridimensionato; sono ben noti, inoltre, i casi di Sallustio e di Asinio Pollione, che si dedicarono alla storia dopo il ritiro dalla vita politica.

Nota bibliografica Sugli Annales di Fabio Pittore (Jacoby 809, Peter LXIX-e) Fabius Pictor, Der erste romische Annalist, Koln 1950; A. MOMIGLIANO, Linee per una valutazione di Fabio Pittore, in "RAL", 15, 1960, pp. 310-2.0; D. TIMPE, Fabius Pictor und die Anfange der romischen Historiographie, in ANRW I, 2., Berlin-New York 1972., pp. 92.8-69; N. HORSFALL, Q Fabius C.filius Pictor: Some New Evidence, in "1cM•: 1, 1976, p. 18; H. B. MATTINGLY, Q Fabius Pictor, Father ofRoman History, in "1cM", 1, 1976, pp. 3-7; E. MONTANARI, Roma. Momenti di una presa di coscienza cul­ turale, Roma 1976; G. P. VERBRUGGHE, Three Notes on Fabius Pictor and His History, in M. J. FONTANA, M. T. PIRAINO, F. P. RIZZO (a cura di),