Introduzione al pensiero politico di Ketteler 9788869922305

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Introduzione al pensiero politico di Ketteler
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TEMI DEL NOSTRO TEMPO

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a cura di Dario Antiseri

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Comitato scientifico:

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antiseri dario, LUISS Guido Carli (Roma); bazzichi oreste, Pontificia Facoltà Teologica S. Bonaventura – Seraphicum (Roma); Pontificia Università S. Tommaso (Roma); brezzi francesca, Università degli Studi Roma Tre; colonnello pio, Università della Calabria; duque felix, Universidad Autónoma de Madrid; ferrara alessandro, Università degli Studi di Roma Tor Vergata; griffero tonino, Università degli Studi di Roma Tor Vergata; pansera teresa, Università degli Studi Roma Tre; possenti vittorio, Università Ca’ Foscari Venezia; marucci corrado, Pontificio Istituto Orientale di Roma; morin edgar, Direttore emerito di ricerca al CNRS (Francia); viotto piero, Università Cattolica di Milano.

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Alberto Lo Presti

INTRODUZIONE AL PENSIERO POLITICO DI KETTELER

ARMANDO EDITORE

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LO PRESTI, Alberto Introduzione al pensiero politico di Ketteler ; Roma : Armando, © 2017 192 p. ; 20 cm. (Temi del nostro tempo) ISBN: 978-88-6992-230-5 1. Ketteler e la Germania dell’800 2. Liberalismo/Socialismo/Cristianesimo 3. Questione sociale/Etica dello Stato

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CDD 100

© 2017 Armando Armando s.r.l. Piazza della Radio, 14 - 00146 Roma Direzione - Ufficio Stampa 06/5894525 Direzione editoriale e Redazione 06/5817245 Amministrazione - Ufficio Abbonamenti 06/5806420 Fax 06/5818564 Internet: http://www.armando.it E-Mail: [email protected] ; [email protected] 32-00-127 I diritti di traduzione, di riproduzione e di adattamento, totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), in lingua italiana, sono riservati per tutti i Paesi. Fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, comma 4, della legge 22 aprile 1941 n. 633 ovvero dall’accordo stipulato tra SIAE, SNS e CNA, CONFARTIGIANATO, CASA, CLAAI, CONFCOMMERCIO, CONFESERCENTI il 18 dicembre 2000. Le riproduzioni a uso differente da quello personale potranno avvenire, per un numero di pagine non superiore al 15% del presente volume/fascicolo, solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Via delle Erbe, n. 2, 20121 Milano, telefax 02 809506, e-mail [email protected]

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Sommario

Introduzione

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Avvertenze

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Capitolo primo

Ketteler e la Germania del XIX secolo

1 Introduzione 2 Gli «affari di Colonia» 3 Impegno sociale e ministero religioso 4 Le lotte sul fronte politico

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Capitolo secondo

Liberalismo, Socialismo e Cristianesimo 1 Introduzione 2 Contro l’egemonia del sistema di potere liberale 3 L’involuzione del Partito Liberale 4 Il socialismo 5 Questioni comuni e ampie divergenze

37 37 43 51 61 65

Capitolo terzo

La questione sociale 1 Introduzione 2 La questione operaia 3 Le soluzioni 4 L’influenza sulla Rerum novarum

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Capitolo quarto Etica dello Stato 1 Introduzione 2 Il principio di sussidiarietà 3 Stato e democrazia 4 I cattolici nell’Impero Germanico

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Bibliografia 149 163

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Raccolta cronologica dei principali scritti di W.E. Ketteler

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Introduzione

Più che la sua nobiltà, giacché poteva fregiarsi del titolo di barone ed era il discendente di una delle più antiche case nobili tedesche, la figura di Ketteler è singolare, nella storia delle idee politiche del Diciannovesimo secolo, per essere stato il vescovo di Magonza, dal 1850 all’anno della sua morte, avvenuta nel 1877. Potrebbe apparire ardito presentare il pensiero politico di un alto prelato, che scrisse e agì nel secolo dell’originarsi e svilupparsi delle principali correnti ideologiche del mondo moderno. Rispetto ai contributi di Tocqueville, Saint-Simon, Proudhon, Stuart Mill, Marx, cosa aspettarsi da un vescovo tedesco? Realisticamente, prima ancora di esplorare i confini delle sue teorie, verrebbe da dubitare che si tratti di una filosofia politica nostalgica, reazionaria, come quella di un suo famoso predecessore, il vescovo francese Bossuet, che nel Diciassettesimo secolo espresse una dottrina in linea con le aspettative di un cattolicesimo frenante la modernizzazione, che affidava alla Divina Provvidenza il corso della storia e concepiva la politica in modo tradizionalista. Ketteler non rientra in tale quadro teorico. Al contrario, egli fu un “vescovo sociale” (per alcuni, erroneamente, “socialista”), il difensore della causa delle classi subalterne, uno strenuo accusatore delle ipocrisie del liberalismo e delle pericolose strategie del socialismo. Sarebbe perciò errato includerlo fra i reazionari, mentre risulterebbe più congruo collocarlo in un’ideale galleria di personaggi quali Rosmini, Balmes, Vogelsang, O’Connell, 7

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Montalembert, Lacordaire, che interpretarono la modernità senza rimpiangere gli antichi ordinamenti nei quali i preti, i vescovi, i papi, politicamente contavano di più, e la religione cristiana era al centro dei rapporti civili. Così si spiega la situazione paradossale in cui versano le interpretazioni di Ketteler. Egli espresse non solo una teologia morale, ma un pensiero politico in linea con le esigenze più moderne, le quali raccomandavano il costante confronto della riflessione con i dati storici e statistici. Le fonti utilizzate da Ketteler erano i programmi politici dei principali partiti, gli interventi pubblici dei loro capi, i dati statistici riguardanti il mercato del lavoro e i servizi socio-assistenziali, gli andamenti demografici, ecc. In un periodo storico in cui si cominciava a ragionare sulle basi logiche e metodologiche delle scienze sociopolitiche, Ketteler propose argomenti e questioni empiricamente fondati. Eppure il suo ruolo non emerge quanto meriterebbe nella storia delle idee politiche del Diciannovesimo secolo, mentre è più citato nel cristianesimo sociale, anche se le sue visioni e, soprattutto, il suo impegno polemico nell’arena dei rapporti fra liberali, socialisti, massoni, anarchici, ne fanno una figura atipica, singolare, probabilmente irripetibile. Fra l’altro, pur rimanendo nell’ambito della cultura cristiana, che ama di tanto in tanto rievocarne la figura, a volte viene il dubbio che Ketteler sia un autore più citato che letto. Cimentarsi con le sue opere non è facile per due ragioni. La prima è che Ketteler non si prefisse mai di proporre un sistema teorico, nel quale trovassero ordine i concetti, i temi, i princìpi elaborati nei suoi numerosi scritti polemici. Fu sostanzialmente estraneo alle tentazioni speculative: non fu un accademico, per cui non ebbe mai la necessità di presentare organicamente un trattato della sua visione del mondo (l’unica eccezione, forse, è rappresentata dal volume Freiheit, Autorität und Kirche (Libertà, autorità, Chiesa) del 1862). Egli, invece, fu sempre spinto dai problemi contingenti, dalle sfide storiche, dalle dispute ideologiche, che accompagnavano le drammatiche condizioni della povera gente. Ciò significa che per leggere ed approfondire 8

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le sue idee si deve ricostruire l’orizzonte storico-politico nel quale queste si collocano, in particolare la città di Magonza, le condizioni specifiche del lavoro salariato in quel distretto economico, le contese giurisdizionali fra la diocesi, di cui Ketteler era vescovo, e l’autorità locale. Ad un livello superiore, è necessario entrare nel clima storico della Germania dell’Ottocento. Esso era segnato da tre principali tendenze storiche, correlate fra loro. La prima era la questione dell’indipendenza della Germania e la sua unificazione, con le collegate questioni della formazione dello Stato borghese in un contesto politico nel quale i proprietari terrieri (Juncker) continuavano a svolgere un ruolo decisivo per la modernizzazione dello Stato. La seconda riguardava la politica di potenza attuata dalla Prussia e le ragioni della pace e della guerra con le potenze confinanti (Francia e Austria-Ungheria). La terza era la cosiddetta questione sociale, ossia le nuove drammatiche condizioni in cui versavano le classi operaie. Il mondo del lavoro stava subendo profondi cambiamenti e le condizioni delle classi lavoratrici erano peggiorate a tal punto da diventare un problema di grandi proporzioni, condizionante la tenuta stessa degli equilibri sociali. Ketteler affrontò direttamente tali processi storici, senza risparmiare qualche tono acceso e una certa veemenza argomentativa. La seconda ragione che rende Ketteler un autore complesso è strettamente materiale. È difficile entrare in possesso dei suoi libri, o semplicemente consultarli. Essi sono disponibili solo presso buone librerie antiquarie, o nelle biblioteche più rifornite. Mentre esistono delle ristampe di alcune delle sue opere in lingua tedesca e francese, in italiano la situazione è più complicata. Basti pensare che la traduzione della sua principale opera, La questione operaia e il cristianesimo, è stata disponibile per molto tempo, al pubblico italiano, in un’antica traduzione del 1870 (peraltro imprecisa), mentre solo nel 2015 è stata oggetto di una nuova e aggiornata versione (curata dallo scrivente). Per il resto, le traduzioni sono poche e, spesso, risalgono a un secolo fa. Se dai testi di Ketteler si passa agli studi critici sulla sua figura, 9

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la situazione non migliora di molto, tanto nelle principali lingue europee quanto, e forse in modo ancora più grave, in italiano. Ci si può rendere conto dell’insufficiente apparato storico-critico su Ketteler sfogliando le appendici bibliografiche riportate alla fine di questo volume. Questa Introduzione al pensiero politico di Ketteler vuole essere un primo tentativo utile innanzitutto a colmare tale ampia lacuna, e poi a estendere la comprensione del ruolo che egli ebbe nella storia contemporanea. Difatti Ketteler, finora, è stato spesso rappresentato in modo riduttivo, cioè come colui che, scrivendo negli stessi anni in cui Marx si dedicava a Il Capitale, può far superare al cristianesimo il senso di inferiorità in cui le ideologie di destra e di sinistra lo hanno spesso sospinto, rinfacciandogli di essere giunto tardi all’appuntamento con la questione operaia, in considerazione del fatto che la Rerum novarum, cioè il primo pronunciamento ufficiale su di essa, è del 1891. Lungo tale interpretazione, ancora oggi, Ketteler è la via migliore per mostrare che l’esperienza e la competenza del cristianesimo sui problemi economici e del lavoro risalgono ai medesimi anni in cui il socialismo scientifico stava scavando le proprie fondamenta. Se ci si limita a leggere solo La questione operaia e il cristianesimo è chiaro che, probabilmente, si può incorrere in tale equivoco, e finire per concepire Ketteler come una sorta di “Marx del cristianesimo”, utile per una rivendicazione ideologica di matrice religiosa. Se, invece, si allarga l’attenzione alla sua intera produzione politica, allora si comprende come il suo pensiero fu ben più articolato. L’accesa polemica della questione operaia, che ingaggiò contro un sistema sociale che soffocava le masse lavoratrici, fu accompagnata dalla lotta contro il sistema borghese, influenzato dalla massoneria, che aveva mire espansionistiche internazionali, che pretendeva l’egemonia culturale, e che era largamente sovvenzionato dall’emergente ceto industriale. Ketteler aveva conosciuto da vicino le terribili conseguenze dell’industrializzazione e della conseguente riorganizzazione sociale del lavoro quando, da semplice curato di campagna, aveva prestato 10

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la sua opera, e anche parte dei propri beni, per risolvere la miseria dei suoi concittadini. Quanto stava accadendo presso le campagne e le periferie delle più grandi città non era solo il risultato del cambiamento del modo di produzione economico. Più in profondità, e cioè al livello morale, stava avvenendo qualcosa di inedito, i cui effetti sociali erano devastanti. Il dissidio delle nuove tendenze culturali con il cristianesimo stava disgregando la trama dei princìpi etici della convivenza pubblica. Ketteler denunciò più volte, e in numerosi scritti, la natura subdola di tale dissidio. Esso, infatti, si nascondeva dietro un finto accreditamento della religione, ma solo in vista degli scopi del nuovo ordine sociale borghese, che aveva bisogno dei valori del cristianesimo per fornire ai cittadini un minimo di solidarietà indispensabile per la tenuta sociale. Il sintomo di tale processo ipocrita era, agli occhi di Ketteler, la competizione che lo Stato svolgeva nei confronti della Chiesa, tentando di sottometterla ai propri interessi. In qualità di vescovo di una città importante come Magonza, egli fu testimone di numerosi episodi di invasione di campo, nei quali l’amministrazione prussiana cercava di sottrarre alla Chiesa cattolica (la più bersagliata da tali strategie accentratrici in quanto giudicata ultramontana) alcune responsabilità che le erano proprie. Fu durante tali circostanze che Ketteler affermò l’idea di «diritto sussidiario», divenuta un punto fondamentale dello sviluppo delle relazioni fra lo Stato e la società civile negli ordinamenti pubblici attuali. La concezione politica di Ketteler, di conseguenza, fu improntata a un sano realismo cristiano, basato sulla coscienza del pericolo costituito dalla fiducia assoluta ed esclusiva nella ragione umana, quando essa si autoproclamava come fonte universale e assoluta della vita buona. La questione operaia ne era una chiara dimostrazione: le catene metafisiche e teologiche di cui la ragione positiva credeva di essersi liberata erano, in realtà, state addossate alle masse lavoratrici, che vivevano in uno stato di schiavitù nel moderno sistema del lavoro industriale. Ecco perché Ketteler respingeva l’idea moderna secondo la quale l’ordine sociale 11

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potesse essere costruito, ex novo, da una ragione criticamente consapevole di se stessa. Non si governava con l’illusione di fare tabula rasa, cioè dimenticando la storia, la tradizione e la cultura della comunità. Per questa ragione Ketteler si mostrava insofferente in ogni circostanza nella quale i tedeschi guardavano alla vicina Francia per imitarne le soluzioni politiche e istituzionali. La cultura tedesca, a suo avviso, non aveva bisogno di elemosinare esempi e modelli, perché in termini di valorizzazione delle autonomie politiche e di giustizia distributiva, aveva alle sue spalle una ricca storia e delle buone pratiche. Da tale deposito storico e culturale bisognava ripartire per fondare una società giusta. In essa, il diritto alla proprietà privata doveva essere coordinato alla destinazione universale dei beni, e i limiti al potere politico non dovevano essere solo il risultato della divisione dei poteri o della specificazione degli ambiti di competenza dell’azione di governo, ma dovevano essere il risultato della consapevolezza che solo Dio aveva piena sovranità sul mondo e, siccome la esercitava lasciando liberi gli esseri umani, tale libertà doveva essere rispettata dal potere sovrano. È in questa ottica che si spiega il costante riferimento dell’opera di Ketteler alla situazione tedesca. L’unico progresso che poteva concepire per la Germania doveva essere il frutto del divenire storico delle comunità tedesche, se non poteva essere, in ogni caso, il risultato della mente illuminata di qualche legislatore. Per questo le sue principali, e mature, opere di politica, partirono dalle sfide specifiche della Germania: Deutschland nach dem Kriege von 1866 (La Germania dopo la guerra del 1866, pubblicato nel 1867) e Die Katholiken im Deutschen Reiche (I cattolici nell’Impero Germanico, pubblicato nel 1873). Egli descrisse la Germania in relazione alle sfide lanciate dalla sua condizione di pluralità politica e civile, a partire dalla convivenza di visioni etiche e religiose eterogenee (le diverse chiese cristiane, l’ebraismo), dalle istanze particolaristiche (gli Stati tedeschi in cerca di una unificazione che non vìoli le autonomie), dalle concezioni politiche e ideologiche alternative (cristianesimo, socia12

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lismo, liberalismo). Lo Stato non poteva, non doveva, avocare a sé le funzioni di regolazione di ogni differenza. Esso non poteva pretendere di incarnare quel bene superiore capace di inglobare ogni particolare sociale, culturale, civile e religioso. Solo concependo lo Stato come una struttura necessariamente limitata, nel quale le distinzioni si devono armonizzare, ma non fondersi, era possibile pensare un destino della nazione germanica al servizio del progresso generale. In questa sua ferma convinzione, Ketteler entrò in collisione con le concezioni del centralismo statale prussiano: dopo la guerra con l’Austria (1866) pronosticò il recupero della relazione bilaterale, al fine di inglobare ogni cittadino tedesco nella medesima patria tedesca e difendere le prerogative della Chiesa cattolica e di ogni Chiesa cristiana, i cui ruoli non potevano essere al servizio della politica di potenza dello Stato. Nel nuovo Impero Germanico sorto dalla vittoriosa guerra contro la Francia, i cattolici non dovevano essere una forza sovversiva ma, recuperando il tema agostiniano de La città di Dio, dovevano comportarsi come i cittadini migliori, purché ad essi fosse assicurata la libera iniziativa e l’autonomia di espressione nel nuovo ordine politico. Tale sua posizione fu giudicata troppo accomodante da parte del cattolicesimo politico tedesco di allora, rappresentato dal Partito di Centro (Zentrumspartei). Ketteler fu oggetto di critiche, lentamente la sua figura si ridusse a quella di un padre ispiratore delle lotte sociali e politiche dei cattolici tedeschi, ma senza più alcuna presa nella incalzante vita politica e parlamentare. Di là a qualche anno, soprattutto con la fondazione del Volksverein für das katholische Deutschland (1890), e in coincidenza con la pubblicazione della Rerum novarum (1891), la sua visione tornerà in auge, come quella di colui che ha scavato il solco sicuro nel quale il pensiero politico cristiano può ancora oggi ingaggiare le sue battaglie decisive.

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Avvertenze

1. Le principali opere di Wilhelm Emmanuel von Ketteler sono state raccolte e pubblicate, in tre volumi, da Johannes Mumbauer: Wilhelm Emmanuel von Kettelers Schriften. Band I: Religiöse, kirchliche u. kirchenpolitische Schriften; Band II: Staatspolitische und Vaterländische Schriften; Band III: Soziale Schriften und Persönliches. Ausgewählt und herausgegeben von Johannes Mumbauer, Verlag der Jos. Köselschen Buchhandlung, Kempten und München, 1911. 2. Oltre alle fonti di cui sopra, considerando che alcuni dei volumi di Ketteler hanno avuto diverse edizioni (corrette, modificate e ampliate), questo studio ha tenuto presente, in alcuni casi, anche le versioni originali e le successive edizioni. In bibliografia, oltre che nell’apparato delle note, si può consultare l’elenco delle edizioni dei volumi utilizzati. 3. I testi di Ketteler tradotti in italiano sono pochi. Nel 2015 è stata compiuta una nuova traduzione di Die Arbeiterfrage und das Christentum (La questione operaia e il cristianesimo, Città Nuova, Roma), l’opera più conosciuta della sua vasta produzione. Tale traduzione, curata dallo scrivente, ha colmato un vuoto notevole, se si pensa che l’unica edizione italiana disponibile in precedenza risaliva al 1870, stampata a Venezia dalla Tipografia Merlo. Attualmente, oltre a tale edizione de La questione operaia, in italiano vi sono edizioni di Freiheit, Autorität und Kirche. Erörterungen über die großen Probleme 15

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der Gegenwart (Libertà, autorità, Chiesa. Considerazioni sui grandi problemi del nostro tempo, Tipografia di Pietro Fiaccadori, Parma, 1864), il discorso svolto da Ketteler al santuario di Liebfrauen, Die Arbeiterbewegung und ihr Streben im Verhältnis zu Religion und Sittlichkeit. Eine Ansprache gehalten auf der Liebfrauen-Heide am 25. Juli 1869, che è stato inserito nella prima traduzione italiana del 1870 di La questione operaia e il cristianesimo, e poi è stato nuovamente ripresentato, con una migliore traduzione curata da Giuseppe Mencaraglia, nel 1903, stampata dalla Cartoleria Livornese Editrice, col titolo Sul prato di Liebfrauen. Discorso sul movimento degli operai. Esiste una traduzione anche del suo Kann ein gläubiger Christ Freimaurer sein? Antwort an den Herrn Dr. Rudolph Sendel, Privatdozent der Philosophie in Leipzig (Verlag von Franz Kirchheim, Mainz, 1865), col titolo Un cattolico può esser frammassone? (Guasti, Prato, 1866). Si deve anche tener presente il lavoro compiuto da Georges Goyau, il quale ha curato una selezione di scritti di Ketteler riportando la traduzione di alcuni brani dei suoi libri: G. Goyau, Ketteler, Luigi Buffetti Treviso, 1911. 4. Se si eccettua La questione operaia e il cristianesimo, le fonti in italiano sono poche e datate. Le loro traduzioni non poterono avvalersi del consolidamento dei concetti sociali, politici ed economici che avverrà con l’evoluzione del confronto filosofico e ideologico del Ventesimo secolo. Per tale ragione si è qui preferito tradurre dai testi originali in tedesco. Tali traduzioni sono state riportate in infratesto, almeno per i testi più estesi, così da facilitare l’individuazione delle fonti e il loro utilizzo. Si è scelto di presentare le citazioni tratte da La questione operaia e il cristianesimo citando sia il volume in italiano del 2015 sia la corrispettiva fonte dal tedesco. Si ringrazia Christina Roth per la revisione delle traduzioni dei brani di Ketteler dalla lingua tedesca. 16

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Capitolo primo

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Ketteler e la Germania del XIX secolo

1 Introduzione La figura di Wilhelm Emmanuel von Ketteler (Münster, 1811Burghausen, 1877) è spesso accompagnata da alcune etichette che dovrebbero descriverne il ruolo svolto nella storia del Diciannovesimo secolo. Ketteler fu il «vescovo degli operai», il «vescovo sociale» (per qualcuno fu addirittura il «vescovo socialista»), il «riformatore cattolico», l’«amico dei lavoratori», il «precursore della Rerum novarum». Ciascuna di queste definizioni ha un fondamento, tuttavia nessuna di esse è sufficiente per compendiarne l’opera e il pensiero. Bisogna partire dal contesto storico in cui visse per capire la portata della sua azione. In modo singolare, rispetto a quei tempi, e forse pure rispetto all’attualità, l’iniziativa di Ketteler fu ecclesiale e politica nel medesimo tempo. Visse il proprio ministero al servizio dei poveri, facendo propria la causa delle classi sfruttate da un sistemo iniquo e sfidando sul terreno civile e politico i partiti liberale e socialista. Difese le ragioni della Chiesa introducendo nel dibattito etico politico il principio moderno di sussidiarietà. Fissò i limiti dell’azione dello Stato di fronte alle politiche accentratrici della Prussia e alle pretese stataliste della Germania in corso di unificazione. Non fu un teorico, né un filosofo. Quando si cimentò in questioni speculative, lo fece nella prospettiva di chiarire i problemi contingenti, cruciali, per risolvere la miseria dei lavoratori e delle loro famiglie. La sua 17

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figura si staglia in modo eccezionale nella storia del Diciannovesimo secolo, e la sua opera lascia una impronta indelebile nell’evoluzione del pensiero sociale, politico, sindacale del Ventesimo secolo. Rappresentò la punta più avanzata del movimento di riscatto che il cattolicesimo tedesco promosse per non soccombere di fronte ai colpi della secolarizzazione napoleonica prima e del Kulturkampf di Bismarck dopo. In tal senso, il Diciannovesimo secolo tedesco ha forgiato il pensiero e la tempra di Ketteler. La Germania entrò in tale secolo assistendo alla dissoluzione dell’antico impero, nato circa un millennio prima e caduto, dopo una lunga agonia, sotto i colpi delle guerre napoleoniche, che avevano sconvolto la geografia dei territori tedeschi alla sinistra del fiume Reno. Ufficialmente l’impero cessò il 25 febbraio 1803, quando la Deputazione imperiale (Reichsdeputation) promulgò la “Relazione conclusiva” (Hauptschluss). Di fatto, la fine del Sacro Romano Impero coincise con la scomparsa dei principati ecclesiastici in Germania. Il trattato di Lunéville, del 1801, aveva stabilito che i territori a sinistra del Reno divenissero francesi e ai principi tedeschi che li avevano persi venissero offerti i territori ecclesiastici. A seguito di queste decisioni furono espropriati il vescovo di Münster, di Hildesheim e di Erfurt, i cui possedimenti divennero prussiani, e il vescovo di Fulda, che invece cedette i propri all’Assia. A tali provvedimenti seguirono processi istituzionali e politici che portarono alla riduzione dei principati cattolici in Germania. Basti pensare che nella Confederazione del Reno, cioè il sistema di Stati satelliti voluto da Napoleone Bonaparte per controllare la regione germanica (e di cui la Prussia non faceva parte), solo quattro Stati erano cattolici: il Regno di Baviera, i possedimenti del principe di Ratisbona, del principe di Hohenzollern e del Liechtenstein. Dopo il Congresso di Vienna le cose peggiorarono ulteriormente, con la sola Baviera a rimanere cattolica1. Ciò significò che la gran parte della popolazione 1 E.R. Huber, W. Huber, Staat und Kirche im 19. und 20. Jahrhundert, Dokumente zur Geschichte des deutschen Staatskirchenrechts, t. I, «Vom Ausgang des alten Reiches bis zum Vorabend der bürgerlichen Revolution», WBG, Berlin, 1973.

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tedesca appartenente alla Chiesa cattolica, circa un terzo del totale, era governata da prìncipi protestanti. A seguito della secolarizzazione, il cattolicesimo tedesco dovette riorganizzare il proprio ruolo sociale. Ciò avvenne prevalentemente in due direzioni. La prima riguardò il nuovo impulso dato all’iniziativa sociale: cessate le incombenze di tipo amministrativo, la cattolicità poté concentrarsi sulla formazione pastorale e intellettuale e sulle opere di assistenza materiale e spirituale. La seconda avvenne sul piano filosofico e speculativo: quanto era avvenuto appariva come un sopruso, reso possibile dalle concezioni etiche e sociali in vigore, per cui nacque un eterogeneo atteggiamento difensivo rispetto al cosiddetto Zeitgeist, cioè lo spirito del tempo. Le diocesi cattoliche ridefinirono sia i loro confini che i loro compiti. La diocesi di Costanza preparò una «conferenza pastorale» (Pastoralkonferenz), sotto la guida di Karl Theodor von Dalberg, principe-arcivescovo di Magonza (la città che, dopo qualche anno, avrà come vescovo Ketteler) e primate della Confederazione del Reno, e del vicario generale, nonché teologo, Ignaz Heinrich von Wessenberg. Lo scopo era di preparare sia gli ecclesiastici che i laici alle sfide poste dalle pretese egemoniche della cultura protestante e dalle politiche avverse al cattolicesimo. L’iniziativa di queste «conferenze pastorali» si estese rapidamente: nel 1813 a Rottenburg, nel 1823 a Würzburg, nel 1827 ad Augusta, Colonia e Treviri, e in seguito furono adottate da tutte le diocesi tedesche. Attorno a tali «conferenze pastorali» sorsero iniziative editoriali ed educative. Si pubblicarono testi classici e moderni, in nuove traduzioni, come l’Imitazione di Cristo, la Filotea di san Francesco di Sales e raccolte antologiche di scritti dei padri della Chiesa e dei mistici medievali. In questo periodo si segnalarono la rifondazione di alcune scuole teologiche cattoliche, in particolare a Ratisbona, a Tubinga e a Magonza. A Ratisbona agì soprattutto il teologo Johann Michael Sailer, la cui vita era stata segnata dalle controversie religiose e politiche di quegli inquieti anni. Era entrato, infatti, nella Compagnia di Gesù, ma dovette uscirne, a seguito della sua soppressione decretata da papa Clemente XIV nel 1773. Confluito nel clero secolare, insegnò 19

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teologia morale e subì delle incomprensioni per il favore con cui guardava ad alcune tesi illuministe. Insediatosi infine nella famosa cattedra teologica di Ratisbona, divenuto arcivescovo, operò per la riorganizzazione su basi moderne della formazione dei preti e per il riscatto culturale della cattolicità. Fondò una prestigiosa scuola teologica, in Baviera, frequentata da studenti di ogni parte della Germania. Negli stessi anni Johann Adam Möhler riorganizzò la scuola di Tubinga, impostandola su basi differenti rispetto a Sailer, cioè organizzandola in vista della difesa della tradizione cattolica dal pericolo rappresentato dalla cultura illuminista e protestante. Il terzo centro che crebbe di spessore formativo e teologico fu proprio Magonza. Joseph Ludwig Colmar divenne il primo vescovo dopo la secolarizzazione, succedendo a Dalberg. Proveniva da Strasburgo, dove aveva studiato teologia e filosofia, e istituì un nuovo seminario che affidò alla direzione di Bruno Franz Leopold Liebermann, colui che scriverà i cinque volumi delle Institutiones theologiae dogmaticae (1818-1827) e, soprattutto, fonderà, nel 1821, l’importante rivista Der Katholik. Tale rivista svolse un ruolo decisivo per il riscatto del cattolicesimo tedesco. La situazione politica proclamava la priorità della questione franco-tedesca per i territori secolarizzati, e anche la cultura cattolica viveva la medesima sfida. Numerosi testi della letteratura cattolica francese furono tradotti in tedesco e Der Katholik fu il luogo naturale per stabilire il collegamento fra le due chiese. Quanto accadde a Magonza ebbe una ripercussione nelle principali città tedesche e negli anni Venti sorsero diverse testate. Fra esse ricordiamo in particolare le due riviste di Würzburg: Der Religionsfreund für Katholiken (1822) e Athanasius (1827); Zeitschrift für die Geistlichkeit des Erzbistums Freiburg (1829); Kirchenblätter für das Bistum Rottenburg (1830); Katholische Kirchenzeitung (Offenbach-Aschaffenburg, 1831); Zeitschrift für Katholische Theologie (Breslavia, 1832); Theologisch-praktische Monatsschrift (Linz-Rottenberg, 1833); Der Seelsorger (Landshut, 1839), Neue Sion (Augusta, 1845). L’influenza francese sul cattolicesimo tedesco generò anche qualche riserva. La Theologische Quartalschrift di Tubinga (esordì nel 1819), rivista che, rispetto 20

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a Der Katholik, aveva un carattere più teologico che pastorale, contestò l’utilità dell’esperienza dei cattolici francesi per il superamento delle sfide dei tedeschi e ribadì l’autonomia della via tedesca alla soluzione dei rapporti con l’ordine civile. Molti anni più tardi, tale medesima contestazione sarà mossa da Ketteler contro i tentativi politici della Germania di imitare a tutti i costi le svolte istituzionali francesi.

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2 Gli «affari di Colonia» Il 1837 fu un anno di svolta per il cattolicesimo germanico. A seguito degli «affari di Colonia» un moto di indignazione e di protesta pervase la coscienza di tanti cattolici e li sollecitò all’impegno politico. Ketteler fu tra questi. A quel tempo lavorava nella sua città natale, a Münster, in Vestfalia. La Prussia aveva esteso il suo dominio politico su questi territori prevalentemente cattolici e, oltre alla Vestfalia, anche la Renania, includendo Colonia, Coblenza, Treviri e Aquisgrana. Il dissidio fra lo Stato prussiano e la Chiesa cattolica di Colonia, dunque, ha radici lontane, che esploderanno alla fine degli anni Trenta con l’incarcerazione dell’arcivescovo Droste zu Vischering. La materia specifica riguardò l’intrecciarsi di questioni riguardanti i matrimoni misti (cioè fra membri di chiese diverse), e il conseguente problema dell’educazione religiosa dei figli; il reclutamento dei docenti nelle facoltà teologiche; la formazione dei presbiteri nei seminari; processi che lo Stato pretendeva di controllare. Nel 1837 Droste zu Vischering fu invitato dal presidente della provincia renana a dimettersi per l’incompatibilità mostrata con gli interessi statali. Al rifiuto dell’arcivescovo, si provvide alla sua incarcerazione. Senza alcun processo, egli fu condotto nella fortezza di Minden. Il papa Gregorio XVI, in modo inusuale per il clima storico dell’epoca, denunciò siffatto sopruso, ma le polemiche si accesero quando Joseph von Görres, da Monaco, scrisse un libello a difesa dell’arcivescovo, dal titolo Athanasius. Questa pubblicazione, 21

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alla quale ne seguirono altre, era un invito a tutti i cattolici tedeschi a reclamare il rispetto dei diritti politici e religiosi. Gli «affari di Colonia», come da allora furono chiamati, rappresentarono una svolta, e una presa di coscienza e di coraggio, da parte del cattolicesimo tedesco. Essi suscitarono conversioni e vocazioni e sollecitarono un maggiore impegno a sostegno dell’azione della Chiesa. Ricordiamo, fra i tanti casi, il conte Ferdinand von Galen, incaricato d’affari prussiano a Bruxelles, che interruppe la carriera diplomatica in segno di protesta e si dedicò alla vita politica difendendo le ragioni del cattolicesimo. Sarà un deputato del Partito di Centro (Zentrumspartei), negli anni successivi, e uno dei suoi discendenti sarà il «leone di Münster», cioè il vescovo Clemens August von Galen, strenuo oppositore del nazismo di Hitler. Ricordiamo ancora August Reichensperger, il quale dopo «i fatti di Colonia» decise di uscire dalla condizione di cattolico tiepido per vivere un cattolicesimo militante ed impegnato. Reichensperger sarà uno dei fondatori del Zentrumspartei. A quel tempo, Ketteler lavorava presso l’amministrazione civica di Münster, svolgendo il ruolo di Referendar, come frequentemente capitava ai rampolli delle famiglie nobili. Difatti, per garantire l’equilibro istituzionale, il liberalismo tedesco, a differenza di quello francese che sopravanzò annullando la presenza dell’aristocrazia, riuscì a trovare una formula di adattamento degli antichi istituti aristocratici con le esigenze di uno Stato moderno. Ciò avveniva con un’inedita alleanza fra Stato borghese e ceto aristocratico, realizzatasi attraverso il reclutamento progressivo dei figli della nobiltà nei ruoli di comando militare o burocratico. Siccome Ketteler proveniva da studi giuridici, fu introdotto nella carriera amministrativa, e in tale condizioni assistette agli scontri fra lo Stato prussiano e il cattolicesimo. Quest’ultimi furono vissuti e partecipati a Münster con una particolare attenzione. Difatti Münster era la città dove Droste zu Vischering aveva studiato e vissuto a lungo, e di cui era stato vescovo ausiliare. Ketteler aveva, dunque, un posto in prima fila nel teatro in cui si consumarono­ le vicende di Münster, ed è probabile che la sua esperienza di 22

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burocrate statale lo avesse già temprato alla polemica contro le conseguenze della secolarizzazione avvenuta a seguito della fine del Sacro Romano Impero. Ce lo rivela un passaggio apparentemente marginale di Die Arbeiterfrage und das Christentum. Ketteler citò la sottrazione dei beni che lo Stato aveva compiuto a danno della Chiesa cattolica. Si trattava di un patrimonio che era stato incamerato dalla tesoreria dello Stato, attraverso un’iniziativa politica moralmente scorretta. Difatti, se la Chiesa aveva abbandonato ogni pretesa sui suoi possedimenti, era anche vero che dal punto di vista sussidiario, però, i poveri possono reclamare il diritto a questa proprietà ecclesiale. Il bene della Chiesa, infatti, è, secondo il diritto canonico e secondo la volontà dei benefattori, anche proprietà dei poveri. Dunque, per lo Stato sarebbe una sorta di espiazione, se usasse il bene secolarizzato della Chiesa come fondo per i poveri2.

La sua osservazione aveva un rilevante contenuto polemico, come vedremo nel proseguo di questo libro, perché una delle idee che guidava il programma politico del Partito Liberale era che il sistema dei sussidi dello Stato ai poveri costituisse una lesione della dignità degli operai, perché questi avrebbero dovuto trovare le condizioni per raggiungere l’autonomia materiale. In tal senso, dalla cultura liberale si imputava alla Chiesa cattolica di generare l’assistenzialismo e, con ciò, di favorire l’ozio. In ogni modo, l’esito dell’indignazione montata per il caso Droste-Vischering e la disapprovazione per l’impiego dell’amministrazione prussiana dei beni prelevati alla Chiesa, portarono Ketteler a studiare teologia, poi a entrare in seminario dove, nel 1844, all’età di 33 anni, divenne prete. 2 W.E. von Ketteler, Die Arbeiterfrage und das Christentum, Verlag von Franz Kirchheim, Mainz, 1864. Ausgabe von Johannes Mumbauer, Wilhelm Emmanuel von Kettelers Schriften. Band III: Soziale Schriften und Persönliches. Ausgewählt und herausgegeben von Johannes Mumbauer, Verlag der Jos. Köselschen Buchhandlung, Kempten und München, 1911, p. 13; tr. it., La questione operaia e il cristianesimo, Città Nuova, Roma, 2015, p. 45.

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3 Impegno sociale e ministero religioso Ketteler discendeva da un’antica famiglia nobile, della Vestfalia3. Le notizie su questa famiglia risalgono alla metà del XV secolo, quando i Freiherren von Ketteler si distinsero, nel 1440, in tre linee di discendenza: gli antichi Assi (dai quali discendeva Wilhelm Emmanuel), i Neoassi e i Gerkendal (questi ultimi si schiereranno con Lutero, estinguendosi poi nel 1737 con la morte del duca Ferdinand von Ketteler). Il Nostro nacque a Münster il 25 dicembre 1811. L’infanzia e l’adolescenza furono segnate dallo studio, dall’educazione religiosa e da una certa vivace indocilità. A tredici anni entrò all’Istituto dei Gesuiti di Brieg, nel cantone di Wallis in Svizzera, dove rimase per quattro anni, ricevendo una solida formazione intellettuale. Dopo gli studi liceali a Brieg, Ketteler s’iscrisse all’università di Göttingen, nel 1829, per studiare le scienze giuridiche. Risale a quel periodo l’episodio che vide Ketteler duellare con un signore di Brema e riportare una ferita al naso. Il padre gl’impose il divieto di presentarsi a lui se prima non fosse completamente guarito e Ketteler, di conseguenza, si recò a Berlino per sanare la ferita e completare gli studi di diritto. In seguito proseguì gli studi all’università di Heidelberg, frequentò un semestre a Monaco, quindi ritornò a Berlino. Dopo aver compiuto il servizio militare obbligatorio di un anno a Münster, nel 1833, superò tutti gli esami di diritto e si graduò con lode. 3 Per una introduzione alla biografia di Ketteler si vedano O. Pfülf, Bischof von Ketteler (1811-1877). Eine geschichtliche Darstellung, 3 Bände, pp. 403, 418, 441, Verlag von Franz Kirchheim, Mainz, 1899; F. Vigener, Ketteler. Ein deutsches Bischofsleben des 19. Jahrhunderts, R. Oldenbourg, München und Berlin, 1924; K. Löffler, Wilhelm Emmanuel v. Ketteler, in Westfälische Lebensbilder, Bd. 2, Aschendorff, Münster, 1931, pp. 299-318; G. Kranz, Bischof Ketteler. Ein Lebensbild, Winfried-Werk, Augsburg, 1961; E. Iserloh, Kirche – Ereignis und Institution. Aufsätze und Vorträge, Bd. 1: Kirchengeschichte als Theologie, Aschendorff, Münster, 1985; K. Brehmer, Wilhelm Emmanuel von Ketteler (1811-1877) – Arbeiterbischof und Sozialethiker. Auf den Spuren einer zeitlosen Modernität, Verlag Schnell und Steiner, Regensburg, 2009; H-J. Große Kracht, Wilhelm Emmanuel von Ketteler. Ein Bischof in den sozialen Debatten seiner Zeit, Ketteler-Verlag und Lahn-Verlag, Köln und Kevelaer, 2011; R. Marx, Christ sein heißt politisch sein. Wilhelm Emmanuel von Ketteler für heute gelesen, Herder, Freiburg, 2011.

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Dal 1834 al 1838 trovò impiego presso la pubblica amministrazione di Münster. È probabile che la sua avversione per l’organizzazione burocratica e accentratrice dello Stato risalga a questa esperienza. Essa dovette colpire in modo negativo il giovane Ketteler il quale, per storia familiare e tradizione culturale, conosceva il valore delle autonomie locali e i pericoli connessi all’accentramento delle funzioni pubbliche e amministrative. L’indignazione che provò di fronte all’azione ingiusta del governo prussiano culminata negli «affari di Colonia» lo portò a congedarsi dal servizio amministrativo e a tornare a Monaco. Qui iniziò a studiare teologia, ricevendo una solida formazione tomista, che gli sarà utile soprattutto quando dovrà difendere la concezione cristiana dei limiti della proprietà privata rispetto alle teorie liberali e socialiste. Divenne sacerdote il 1° giugno 1844 e svolse nei due anni successivi il ruolo di cappellano a Beckum, un piccolo capoluogo distrettuale della Vestfalia. Fu un periodo significativo per lui: si distinse nell’assistenza all’infanzia bisognosa e ai malati della comunità. Costruì un ospedale che organizzò personalmente, secondo un modello che sarà ripreso dalle principali strutture sanitarie della Vestfalia. Nel 1846, alla morte del parroco di Hopften, Ketteler fu chiamato a sostituirlo. La parrocchia era in un territorio prevalentemente rurale, fra la Prussia e l’Hannover. Continuò a prodigarsi per i più poveri e per l’infanzia, soprattutto in quel periodo in cui i beni di prima necessità subirono un rincaro considerevole, dovuto alla carestia del 1847. Nei momenti di maggiore difficoltà raccolse fondi e beni dal proprio patrimonio familiare, coinvolgendo i suoi parenti, per distribuirli ai più poveri. Fu ancora in prima linea, rischiando il contagio, durante l’epidemia di tifo che si diffuse nel suo territorio. Per tutte le iniziative caritatevoli portate avanti, e per l’impegno con cui curava chiunque, senza distinzioni, Ketteler ricevette attestati di stima da laici, protestanti ed ebrei. Anche per questo fu eletto, nel 1848, a grande maggioranza, deputato dell’assemblea nazionale tedesca a Francoforte. Si trattò di un risultato straordinario se si pensa che la 25

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circoscrizione­elettorale di Tecklenburg, di cui Hopften faceva parte, era prevalentemente protestante. All’assemblea si distinse soprattutto per le discussioni sugli articoli riguardanti le relazioni giuridiche fra la Chiesa e lo Stato, con particolare riferimento all’istruzione scolastica. I lunghi dibattiti teoretici sui diritti costituzionali furono interrotti dalla notizia dell’armistizio con la Danimarca, frutto dell’iniziativa politica prussiana (26 agosto 1848). Seguirono disordini che sfociarono nell’assassinio di due deputati prussiani: il generale von Auerswald e il duca von Lichnowsky. Celebre fu l’orazione funebre che Ketteler svolse durante le esequie di queste due personalità. L’anno 1848 vide Ketteler impegnato sul fronte della questione sociale. In occasione dell’assemblea generale delle associazioni cattoliche tedesche, tenutasi a Magonza fra il 3 e il 6 ottobre 1848, egli condusse una conferenza sulla libertà della Chiesa in relazione alla crisi sociale. Mentre era di ritorno per Hopften, dopo aver lasciato il parlamento constatando l’incapacità di raggiungere il traguardo della costituzione tedesca, il vescovo gli chiese di tenere un ciclo di omelie alla cattedrale di Magonza. In esse esaminò le grandi questioni sociali dell’attualità, toccando il diritto di proprietà, la libertà dei costumi, il destino dell’uomo, il valore della famiglia umana fondata sul matrimonio cristiano, l’autorità della Chiesa e il ruolo dell’autorità e del potere nelle vicende umane4. Tali conferenze ebbero un grande successo. La cattedrale era piena fino all’inverosimile, i fedeli si andavano accalcando all’ingresso già un’ora e mezzo prima dell’inizio previsto. Tra gli uditori vi erano molti non cattolici, addirittura molti ebrei. Ormai Ketteler era divenuto, agli occhi di tanti, il parroco della questione sociale. Alla morte del vescovo Peter Leopold Kaiser, avvenuta nel medesimo anno, si aprì un periodo complesso in vista della successione. La maggioranza del capitolo canonico espresse la candidatura di Leopold Schmid di Gieβen, il quale era però conte4 Pubblicate in Predigten des Hochwürdigsten Herrn Wilhelm Emmanuel Freiherrn v. Ketteler, Bischof von Mainz, herausgegeben von Johann Michael Raich, 2 Bände, Verlag von Franz Kirchheim, Mainz, 1878.

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stato da chi lo reputava una figura eccessivamente dipendente dalle direttive della Chiesa di Roma. Le polemiche suscitate da tale situazione giunsero, sotto forma di relazioni contrastanti, a Pio IX, il quale invitò Schmid a rinunciare alla candidatura. Tale rinuncia non avvenne e, di conseguenza, a Pio IX non rimase che respingere l’esito dell’elezione e a concederne un’altra. La diocesi di Magonza si trovò nell’occhio del ciclone, perché ormai la questione non era più solo di pertinenza dell’autorità e della gerarchia della Chiesa, ma aveva investito il dibattito pubblico e culturale. Alcuni giornali, per esempio il Frankfurter Zeitung, difesero Schmid, mentre altri, come il Mainzer Zeitung, polemizzarono con le sue posizioni. Alla fine, il 5 febbraio 1850, il capitolo canonico giunse alla risoluzione unanime di proporre al Papa tre candidati, nessuno di Magonza. Questi candidati erano: Freiherr Wilhelm Emmanuel von Ketteler, nel frattempo divenuto prevosto di S. Edvige a Berlino, Heinrich Förster, canonico della cattedrale di Breslavia e Anton Dehler, canonico della cattedrale di Rottenburg. Il papa ricevette questa lista il 5 marzo e, lo stesso giorno, nominò il prevosto Ketteler vescovo di Magonza. Divenuto vescovo, Ketteler non ridusse il suo impegno sociale e politico. Intervenne in diverse circostanze con omelie, discorsi, articoli su giornali e pubblicazioni. La sua iniziativa ebbe spesso come obiettivo il pensiero liberale e massonico, il quale muoveva alla diffusione del proprio progetto etico-politico screditando, con tutti i mezzi necessari, le chiese cristiane. In connessione a tale proposito, Ketteler ravvisava l’inganno perpetrato da tali forze politiche ai danni delle classi lavoratrici, oggetto di una strumentalizzazione finalizzata politicamente al rafforzamento del proprio potere. In tale direzione più volte si trovò a denunciare la collusione esistente fra gli interessi del Partito Liberale e alcuni organi di stampa, dai quali provenivano campagne screditanti e calunniose nei confronti di alcuni esponenti cristiani. Un caso emblematico fu quando il consiglio comunale di Magonza, restio ad accettare la presenza dei gesuiti in città, armò una diffamazione­ nei confronti di un gesuita al quale Ketteler aveva affidato una 27

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importante canonica. La stampa (Hessische Landeszeitung) diede notizia di un’operazione nella quale tale canonico sembrasse aver approfittato della bontà di una ricca signora per convincerla a lasciare i propri averi alla Chiesa. Ketteler replicò chiedendo conto delle accuse formulate, le quali erano rimaste anonime e non specificavano identità e situazioni. A seguito della caduta dell’impianto accusatorio, Ketteler a sua volta ebbe modo di svelare l’intreccio perverso fra politica e informazione al servizio di un piano di esclusione della Chiesa dal dibattito pubblico. Agli inizi degli anni Cinquanta, Ketteler si scontrò con la diffusione delle dottrine di Johannes Ronge, l’iniziatore del deutschkatholische Bewegung, un movimento scismatico dei cattolici tedeschi, che volevano la fondazione di una Chiesa nazionale, organizzata su base sinodale. Attraverso lettere apostoliche e discorsi pubblici, Ketteler mostrò le contraddizioni interne, di natura teologica quanto sociale, di un movimento siffatto e, nella lettera quaresimale del 1852, fissò il corretto rapporto che deve intendersi fra la Chiesa e il potere dello Stato basandosi sull’insegnamento paolino della Lettera ai Romani (13,1). Nel 1866 si aprì la guerra fra Austria e Prussia. Dal pulpito e con numerose lettere pastorali, Ketteler mise più volte in evidenza l’assurdità del conflitto, che metteva tedeschi contro tedeschi e aumentava la miseria e la sofferenza delle popolazioni povere5. Il 16 luglio 1866 si recò di persona sul campo di battaglia di Aschaffenburg, per dispensare sostegno materiale e spirituale. Lo stesso accadde durante la guerra franco-prussiana del 187071. Magonza era collocata in un punto strategico delle operazioni militari e la città era attraversata dai feriti e dai morti ritirati dal fronte, così come dai soldati trasferiti in prima linea. Ketteler curò in modo particolare le strutture ospedaliere e accolse i feriti di entrambi gli eserciti senza distinguerne l’appartenenza. Una parte consistente del suo impegno politico fu speso per la libertà della Chiesa cattolica. Ketteler denunciò più volte la 5 Cfr. R. Pezzimenti, Il pensiero politico del XX secolo. La fine dell’eurocentrismo, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2013, p. 558.

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paradossale situazione per cui i diritti e le libertà proclamati durante i moti del 1848 erano negati alla Chiesa, come se fosse l’unico soggetto a non poter vantare un rapporto di pari dignità con le altre parti della società civile. Nel 1862 uscì il suo famoso volume Freiheit, Autorität und Kirche. Erörterungen über die großen Probleme der Gegenwart (Libertà, autorità e Chiesa. Considerazioni sui grandi problemi del nostro tempo). Ad esso devono essere associati altri opuscoli di denuncia delle indebite ingerenze dello Stato nella vita della Chiesa. Il suo irriducibile avversario fu, ancora, il Partito Liberale, il quale agì per escludere la Chiesa dagli accordi con le autorità politiche, in relazione al riconoscimento del suo ruolo pubblico. Nel 1864 diede alle stampe la sua opera più conosciuta, Die Arbeiterfrage und das Christentum (La questione operaia e il cristianesimo). L’opera inaugurò il filone del pensiero sociale della Chiesa, perché il vescovo di Magonza non si limitò a elaborare la concezione morale cristiana rispetto ai drammi sociali in atto. Egli entrò nel dibattito politico, analizzando le teorie liberali e socialiste, mostrando l’inadeguatezza delle loro proposte e utilizzando, a tal fine, dati statistici ed economici. Per questa ragione, tale opera segnò l’esordio del moderno pensiero sociale della Chiesa e la sua influenza sulle encicliche sociali dei decenni a venire è evidente. Dopo la guerra con l’Austria, pubblicò Deutschland nach dem Kriege von 1866 (La Germania dopo la guerra del 1866), un volume nel quale è rappresentato l’orizzonte etico-politico del suo pensiero. Oltre ad alcuni temi di natura teorica sul potere e la rappresentanza politica, tale opera contiene anche un bilancio degli errori commessi dalla politica tedesca nel XIX secolo e alcune considerazioni sui percorsi da compiere in vista dell’instaurazione di una pace duratura. Nel 1868 diede impulso al giornale Christlich-soziale Blätter, il quale esprimeva il pensiero e l’azione delle iniziative sociali sorte in seno alla cristianità. L’anno seguente organizzò il congresso cattolico di Düsseldorf, poi la conferenza di Fulda. In quest’ultima si radunarono i vescovi tedeschi. Il tema trattato fu il problema del lavoro e la situazione della classe operaia e le decisioni 29

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adottate si espressero in una lettera del 23 agosto 1869, nella quale si decise di far entrare la questione sociale nella formazione nei seminari tedeschi. Tale iniziativa si estese immediatamente anche ai seminari belgi e austriaci. Un altro risultato importante della conferenza di Fulda fu il consenso attorno all’ammissione di membri di altre chiese nelle associazioni cattoliche operaie. Ketteler fondò numerosi istituti socio-assistenziali. Alcuni di loro sopravvivono ancora oggi, gli sono intitolati, ne perpetuano la memoria in modo efficace e concreto. La portata della sua azione fu vasta e si inscrive in un contesto storico nel quale nei decenni precedenti gli istituti di carità cattolici furono oggetto di soppressioni e inibizioni. Le guerre di religione che avevano attraversato la Germania nei secoli precedenti avevano lasciato, dietro a loro, molte macerie e fra queste si devono annoverare gli ospedali, gli orfanotrofi, i ricoveri, gli ospizi dell’una o dell’altra Chiesa. L’assolutismo politico fu un fattore altrettanto distruttivo, soprattutto per la Chiesa cattolica, considerata ultramontana e dunque avversa alle ragioni del potere sovrano. Significativo fu quanto accadde durante il periodo del cosiddetto giuseppinismo, cioè la peculiare forma della monarchia asburgica nel Diciottesimo secolo (in particolare dal 1740-1792). Attorno al significato del giuseppinismo esistono diverse interpretazioni6. Le principali oscillano fra due poli. La prima (Reformkatholizismus) sostiene che Giuseppe II d’Asburgo-Lorena avocò a sé i poteri ecclesiastici perché animato dalla volontà di completare la riforma della Chiesa cattolica, ancora attardata rispetto ai princìpi tridentini. Si trattava, in pratica, di rilanciare in Austria ciò che era già avvenuto in Francia, col gallicanesimo. L’altra interpretazione, invece, sottolinea soprattutto l’interesse politico sottostante: l’imperatore centralizzò il potere per sottrarre il cattolicesimo dall’influenza romana e per rilanciare un modello di sviluppo analogo a quello delle potenze protestanti che cominciavano a competere per 6 Per un’ampia introduzione al giuseppinismo si veda Storia del cristianesimo. Le sfide della modernità (1750-1840), volume 10, (edizione originale francese a cura di B. Plongeron, edizione italiana a cura di B. Bocchini Camaiani), Borla/Città Nuova, Roma, 2004, pp. 25-33.

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l’egemonia dell’Europa centrale, in particolare la Prussia. In ogni caso, il processo di cambiamento causò un restringimento delle iniziative socio-assistenziali della Chiesa cattolica romana, poste di fronte al dilemma circa la loro statalizzazione o chiusura. Di riflesso, il mondo tedesco al di fuori della Prussia ebbe verso le istituzioni cattoliche il medesimo atteggiamento. L’assolutismo politico non poteva fare sconti, non poteva lasciare alla Chiesa cattolica, considerata ultramontana in Prussia, l’importante funzione della solidarietà sociale. Giuseppe II escogitò, e diffuse, le «Confraternite dell’amore del prossimo» (Bruderschaften werden umgestaltet und mit der neuen eingeführten Bruderschaft der tätigen Liebe des Nächsten vereinigt), una sorta di iniziativa statale filantropica su base burocratica. Non ebbero successo e tali esperienze si spensero con gli anni. In contrasto con tale tendenza, la cultura cattolica tedesca più vicina alla francese, cioè Magonza e Strasburgo, si impegnarono per diffondere in lingua tedesca la figura di san Vincenzo de’ Paoli, e fra il 1807 e il 1843 furono ben cinque le biografie dedicate al santo dei poveri. L’inizio del Diciannovesimo secolo registrò difatti una ripresa delle iniziative sociali cattoliche. Ketteler diede un importante contributo, fondando numerosi istituti per l’assistenza ai bisognosi. Fra tutti ricordiamo l’orfanotrofio S. Maria a Neustadt, nell’Odenwald; una nuova scuola per adolescenti a Magonza, gestita da alcuni docenti venuti appositamente dall’Alsazia, su chiamata di Ketteler, per tale iniziativa; l’istituto S. Giuseppe per i bambini abbandonati a Kleinzimmern, presso Dieburg; un asilo per le inservienti senza un’occupazione presso le Suore Francescane dei Poveri, a Magonza.

4 Le lotte sul fronte politico Gli ultimi anni della vita di Ketteler coincisero con l’ascesa di Bismarck e dell’Impero Germanico, quale nuova potenza in grado di cambiare gli equilibri politici continentali. Ketteler fu 31

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critico nei confronti della Realpolitik di Bismarck, ma al tempo stesso era pronto a riconoscere che la Germania aveva un’identità propria, e doveva assolvere a un ruolo specifico nella civilizzazione europea. È probabile che l’aver studiato a Berlino, nei primi anni Trenta, sotto la guida di Friedrich Carl von Savigny, il fondatore della scuola storica del diritto, gli abbia trasmesso due cose: 1) il senso del pericolo connesso all’illusione che la ragione potesse risolvere le questioni sociali attraverso la formulazione di norme perfette; 2) l’idea che il bene della Germania dovesse passare per il rispetto del suo diritto comune, tramandato storicamente, rivelatore delle virtù del popolo germanico (das allgemeine Recht)7. Il suo pensiero, perciò, non era influenzato dal nazionalismo, a quel tempo assai diffuso fra i tedeschi, ma impostato sulle solide ragioni della scuola storica del diritto. Per tale ragione Ketteler era insofferente rispetto alla fiducia che le soluzioni politiche potessero essere una merce d’importazione. L’idea che ciò che funzionava in altri Paesi fosse applicabile in Germania non solo gli era estranea, ma la trovava teoricamente infondata. In particolare, era infastidito dai progetti politici che si lasciavano influenzare dalle svolte francesi, e dai progetti socio-economici che tentavano di emulare quanto avveniva nel mondo britannico. Attribuire a queste realtà il compito di segnare l’avanguardia della modernità per tutti i popoli europei gli appariva un errore. Anche perché la Germania aveva tradizioni e culture in grado di imprimere alla modernità tedesca una prospettiva propria, specifica. Tale suo atteggiamento si rivelò già ne La questione operaia e il cristianesimo. Nel trattare la proposta liberale di Franz Hermann Schulze-Delitzsch dell’«auto-mutuo sostegno» (soziale Selbsthilfe), che analizzeremo nel terzo capitolo, egli si dichiarò sorpreso che un «filantropo» dovesse spiegare ai tedeschi che il coordinarsi socialmente presentava dei vantaggi, perché nessun popolo come quello germanico 7 In W.E. Ketteler, Die Arbeiterfrage und das Christentum, cit., p. 63; tr. it., p. 86, «un altro sicuro fattore che influisce sulla determinazione del diritto di proprietà è il carattere nazionale il quale, ovviamente, agisce in modo più generale sull’idea di giustizia di tale popolo».

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poteva vantare una storia di traguardi raggiunti attraverso la collaborazione sociale8. In modo significativo, intervenne in difesa del sistema politico tedesco quando trattò delle riforme del sistema della rappresentanza politica: La rappresentanza politica è legata profondamente e intimamente con la natura dei popoli germanici: il governo assoluto è una forma di potere sconosciuto ai tedeschi e ai loro antenati. La forma con cui si realizza la rappresentanza della nazione, cioè di coloro che godono della piena libertà e titolarità giuridica, deve basarsi sulla reale condizione del popolo. Questo significa che essa sarà tanto più completa quanto corrispondente alle concezioni intellettuali e giuridiche nazionali, mentre più se ne allontana e più risulta parziale e ingiustificata. In tal senso, si deve riconoscere che la forma più perfetta di rappresentanza politica fu quella germanica antica, per via della strutturazione ordinata dei ceti sociali9.

Non si poteva in alcun modo cedere alla tentazione di importare dalla Francia i presupposti teorici del rinnovamento del sistema politico tedesco. L’errore avrebbe portato a conseguenze pericolose. Incapsulare il modello francese alla realtà tedesca avrebbe destabilizzato il tessuto sociale e attivato la competizione fra classi dirigenti e burocratiche per la conquista del potere10. Guglielmo I era già salito al trono (1861) e di lì a qualche anno tale anticipazione di Ketteler trovò conferma. La politica di Bismarck favorì l’ascesa degli Junckers e scompaginò le vecchie classi dirigenti. I liberali romantici, che avevano creduto che gli ideali di libertà e indipendenza sostenuti nel 1848 alla Dieta di Francoforte potessero sostenere l’unificazione, compresero la debolezza del proprio progetto. I conservatori, che avevano osteggiato la possibilità di una guerra con l’Austria, si trovarono spiazzati 8

W.E. Ketteler, Die Arbeiterfrage und das Christentum, cit., p. 45; tr. it., p. 72. Ivi, p. 79; tr. it., p. 98. 10 Ivi, p. 82; tr. it., p. 101. 9

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dall’audacia vincente della strategia di Bismarck. La Prussia, che era stata la culla della filosofia dell’idealismo, del pronostico dell’affermazione dello spirito di libertà, si mostrava come una potenza militare, organizzata burocraticamente. Le idee servivano a poco, se non erano accompagnate dalle armi. Le astratte visioni giusnaturalistiche della nazione come prodotto della volontà generale cedevano il passo al modello di Machtstaat. Ketteler non rimase estraneo a questo dibattito. Nel 1867 diede alle stampe Deutschland nach dem Kriege von 1866 (La Germania dopo la guerra del 1866), nel quale si confrontò con gli argomenti della libertà, del destino del popolo tedesco, del costituzionalismo, all’indomani dei successi di Bismarck. A guidarlo in tale impresa furono «l’amore per la verità e l’amore per la Germania»11, fra loro intimamente collegate, perché la verità rende liberi, e gli ideali di libertà non dovevano essere rimossi dal destino della nazione tedesca. In quegli anni di ripensamento delle basi idealiste della ricerca filosofica e storica, Ketteler espose il suo punto di vista. Il pensiero è il valore più alto, la parte nobile dell’animo umano, perché può rivolgersi a Dio e ricevere, da questo, luce e verità. È nel pensiero e nella morale, perciò, che s’annida la vera potenza di un popolo, e non nell’esercito, come invece pretendeva la politica di Bismarck. Ma per quanto tale pensiero possa cercare di innalzarsi verso le vette più alte e luminose, e possa tentare di arrivare a una comprensione piena, a una perfezione morale, a una felicità appagante, si rimane legati a una condizione terrena, contingente, che domanda al pensiero di trasferire quegli alti significati in essa12. Questo è il compito della politica. Ogni idea ha bisogno di un corpo adeguato, e viceversa. Ogni progetto politico deve essere sostenuto da un reale e adeguato contesto culturale. Ketteler osservò come il caso della Rivoluzione francese rappresentasse l’errore implicito in quei progetti politici che credono di potersi realizzare astraendo dalla 11 W.E. Ketteler, Deutschland nach dem Kriege von 1866, Verlag von Franz Kirchheim, Mainz, 1867, p. IV. 12 Ivi, pp. 2-3.

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storia e dalla cultura di un popolo. La polemica non era nuova, considerando che fin da Burke si era criticata la tabula rasa con cui i rivoluzionari seppellirono la storia e la tradizione francesi13. Rispetto a Burke, però, il punto di vista di Ketteler poteva ispirarsi ai risultati principali della scuola storica del diritto: Alla base di tutti i rapporti civili e governativi ci sono concetti finalizzati a concretizzarsi al loro interno. Sono concetti provenienti da Dio, di cui abbiamo conoscenza nelle sfere più elevate della nostra anima. Quando questi concetti tendono a realizzarsi senza una giusta forma, senza tener conto della storia, dello sviluppo giuridico, del piano e della guida della provvidenza, della volontà e della legge di Dio, si trasformano in elementi deterioranti. È altrettanto dannoso se le forme giuridiche, insieme alle istituzioni civili e governative, una volta perduta la loro vera essenza ideale, perdurano sotto forma di imposizione, che aveva legittimità solo finché rappresentavano la concretizzazione di un concetto divino. In tal modo, l’intero apparato governativo incomincia a perire e a putrefarsi, diventa artefatto, ingannevole14.

Lungo tale percorso Ketteler giunse alla contestazione della via costituzionalista della Germania. Difatti le ragioni del costituzionalismo erano state utilizzate dalla Prussia per fondare un insanabile antagonismo con l’assolutismo austriaco. L’Austria assolutista non poteva più proporsi quale guida del mondo tedesco, tale ruolo doveva essere ormai svolto dalla Prussia, la quale aveva invece intrapreso la strada costituzionale. Ad avviso di Ketteler, però, il costituzionalismo tedesco conteneva un elemento pericoloso, se utilizzato come fattore di distinzione dalla tradizione cattolica della casa austriaca. Esso avrebbe potuto indurre il Reich a sottovalutare il patrimonio spirituale dei tedeschi, il quale affondava le sue radici nella tradizione cristiana. 13

E. Burke, Reflections on the Revolution in France, James Dodsley, Pall Mall, London,

1790. 14

W.E. Ketteler, Deutschland nach dem Kriege von 1866, cit., pp. 4-5.

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La concordia fra le diverse comunità dell’Impero Germanico doveva essere il risultato dell’impegno comune fra le «legittime confessioni cristiane»15. La costituzione avrebbe dovuto tenerne conto, attraverso l’inserimento di specifiche norme nel suo apparato. Soprattutto i cattolici dovevano essere fermi nell’esigere tale scelta. Difatti, il nuovo Impero Germanico era sorto sulle ceneri di una guerra fra la confederazione prussiana, a maggioranza protestante, e l’Austria, perlopiù cattolica. La domanda su quale sarebbe stato il destino dei cattolici tedeschi, dunque, era pertinente. In gioco c’era il vero significato della libertà politica. Nel 1873, con la Zentrumsfraction, Ketteler divenne deputato alla sesta circoscrizione elettorale del Baden, nel primo Reichstag tedesco. In parlamento lavorò soprattutto per il progetto di legge sulle corporazioni socio-economiche. A suo avviso era la soluzione per superare lo scontro fra le classi sociali e fondare il bene comune sulla collaborazione fra comparti produttivi diversi. La sua proposta di legge non passò. Alcuni esponenti dei partiti di centro non vi aderirono. In quello stesso anno diede alle stampe la sua ultima grande opera politica, Die Katholiken im Deutschen Reiche (I cattolici nell’Impero Germanico), nel quale condusse una riflessione sul ruolo dello Stato nella vicenda pubblica, soprattutto in relazione al principio del laissez-faire, indicato da Ketteler come causa della miseria delle classi lavoratrici. Esso contiene il programma per i cattolici nell’Impero Germanico, una sorta di testamento politico riepilogativo del suo pensiero, ampiamente trattato nel capitolo 4.

15 W.E. Ketteler, Die Katholiken im Deutschen Reiche, Verlag von Franz Kirchheim, Mainz, 1873. Ausgabe von Johannes Mumbauer, Wilhelm Emmanuel von Kettelers Schriften. Band II: Staatspolitische und Vaterländische Schriften, cit., p. 153.

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Capitolo secondo

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Liberalismo, Socialismo e Cristianesimo

1 Introduzione Gli anni in cui Ketteler pensa, opera e scrive sono fra i più accesi del Diciannovesimo secolo. I cambiamenti storici, le contrapposizioni ideologiche, le svolte politiche, fanno della storia europea di quegli anni, e della Germania in particolare, un laboratorio politico nel quale si osservano i processi principali di quell’epoca. In quei pochi anni si concentrano lo sviluppo delle teorie di Marx ed Engels, l’affermazione della borghesia e del pensiero liberale, l’oscillazione degli imperatori tedeschi fra liberalismo e assolutismo, il ruolo del ceto possidente (Junkertum) e le strategie di Bismarck, la nascita di un partito cattolico (Zentrumspartei), la guerra con l’Austria e con la Francia, il Syllabus di Leone XIII, solo per citare i fattori più noti. Di fronte a tali cambiamenti, e alle sfide portate, Ketteler avrebbe potuto rifugiarsi nella sagrestia del proprio palazzo vescovile, e da lì tirar fuori le migliori perle della tradizione cattolica, senza lasciarsi troppo coinvolgere dalle cronache convulse di quel tempo. Ci fu anche chi reagì così, alla modernità; ma non Ketteler. Il suo pensiero si confrontò con le concezioni politiche del tempo e le sue analisi furono lucide e scientificamente fondate. Particolarmente dura fu la polemica contro il Partito Liberale. Egli ne vide la minaccia per la giustizia sociale ed economica. Le cause di tale avversione sono diverse, alcune le abbiamo già menzionate nel 37

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capitolo precedente. Altre fanno riferimento a circostanze singolari, che videro montare l’indignazione di Ketteler a seguito di iniziative liberali che egli considerava arroganti verso il cristianesimo. È il caso di quanto avvenne con la pubblicazione, da parte di Franz Hermann Schulze-Delitzsch, leader del Partito Liberale, delle sei conferenze svolte presso la cooperativa operaia di Berlino. Esse furono raccolte in un volume, ad avviso di Ketteler, dal titolo intenzionalmente provocatorio: Capitel zu einem deutschen Arbeiterkatechismus, cioè Capitolo di un catechismo tedesco per gli operai. Si trattava, appunto, di una sorta di programma etico e politico nel quale il liberalismo tedesco, per bocca del suo più prestigioso esponente, entrava nella questione operaia, offrendo princìpi teorici e soluzioni concrete. Ketteler svelò l’intenzione polemica che il Partito Liberale attuava rispetto alla Chiesa. I liberali proponevano un «catechismo» per sostituirsi all’iniziativa diffusa e capillare che il cristianesimo svolgeva per le masse lavoratrici. Descrisse una serie di iniziative attuate da tale partito ispirate a un programma di rimozione della coscienza cristiana nei lavoratori, al fine di sostituirvi un credo liberale, materialista, funzionale solo al dominio del capitale. Tutto ciò accadeva l’anno prima che Ketteler scrivesse, e poi pubblicasse, la sua opera più conosciuta, cioè La questione operaia e il cristianesimo, del 1864. In effetti fra le pagine del suo libro troviamo giudizi molto severi contro il Partito Liberale. Esso è «illuminato e anticristiano […] e massone»1, sostenuto dai «massoni e dai rappresentanti del grande capitalismo»2, cioè da una classe «ben lontana dal cristianesimo», che «muove il Partito Liberale, lo paga e da esso riscuote»3. Si tratta di un «liberalismo miscredente»4, «anticristiano»5, che produce «farneticamento teoretico»6, collocato in un orizzonte filosofico che Ketteler 1

W.E. von Ketteler, Die Arbeiterfrage und das Christentum, cit., p. 17; tr. it., p. 49. Ivi, pp. 19-20; tr. it., pp. 51-52. p. 128; tr. it., p. 136. 4 Ivi, pp. 36, 113; tr. it., pp. 65, 125. 5 Ivi, p. 38; tr. it., p. 69. 6 Ivi, p. 48; tr. it., p. 74. 2

3 Ivi,

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etichetta come «abietto materialismo»7, imperniato su una concezione della felicità intesa solo come «appagamento delle cose terrene»8, da cui «non ci si può aspettare nulla di buono»9, e difatti «propone vuote illusioni»10. Non solo: esso «diffonde e propaganda divertimenti sconvenienti […] depravazione […] atti a distruggere il matrimonio cristiano e la famiglia cristiana»11 e i suoi capi «ingannatori del popolo»12, «farebbero bene a tacere, vergognandosi»13, perché il loro programma politico è la principale causa della miseria degli operai. In un volume successivo, Die Katholiken im Deutschen Reiche (1873), prefigurando i punti programmatici di un partito politico d’ispirazione cattolica in Germania, sottolineò come su di essi dovevano convergere non solo i cattolici, ma «tutti i tedeschi di buona volontà […] con l’esclusione solo del liberalismo moderno con la sua ingiustizia profondamente radicata, col suo odio per ogni autentica confessione cristiana, con la sua totale incapacità di tollerare, tutelandone la libertà, ogni parere all’infuori del suo»14. Nel volume La questione operaia e il cristianesimo, Ketteler non si limitò a contestare il liberalismo, ma si occupò anche dei princìpi teorici e delle soluzioni avanzate dal Partito Radicale, guidato dal socialista Ferdinand Lassalle. Non risparmiò critiche neanche al socialismo, ma fu più indulgente perché, come vedremo successivamente, la sua comprensione degli errori socialisti partiva dalla considerazione che essi erano effetti secondari e perversi delle dottrine liberali. La frequenza degli attacchi polemici contro il Partito Liberale, e il costante riferimento all’opera di Schulze-Delitzsch, sembrano giustificare la considerazione per cui fra le cause de La questione operaia e il cristianesimo si deve 7

Ivi, 29, 30, 35, 36; tr. it., pp. 59-60, 65, 103. Ivi, p. 113; tr. it., p. 125. 9 Ivi, p. 123; tr. it., p. 133. 10 Ivi, p. 107; tr. it., p. 120. 11 Ivi, p. 103; tr. it., p. 117. 12 Ivi, p. 8; tr. it., pp. 40-41. 13 Ivi, p. 54; tr. it., p. 79. 14 W.E. Ketteler, Die Katholiken im Deutschen Reiche, cit., p. 138. 8

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ascrivere anche il moto di reazione di Ketteler all’uscita del Catechismo di Schulze-Delitzsch. Sul piano politico le principali accuse erano due. La prima si concentrava sul sistema di potere instaurato dalle forze liberali. La seconda era l’impostazione anticristiana della sua concezione del mondo. Rispetto alla prima, Ketteler usò argomentazioni che, negli anni a venire, daranno vita al filone della critica del ruolo della classe politica e delle élite di potere. Il Partito Liberale, sottolineò fin dalle prime pagine de La questione operaia e il cristianesimo, aveva occupato gli spazi della rappresentanza politica, dell’informazione giornalistica e dell’insegnamento accademico, creando un sistema di controllo dell’opinione pubblica che era al servizio degli interessi del capitale e ingannava le masse operaie. Nonostante non fosse questo lo scopo del libro, Ketteler si cimentò con efficacia nella valutazione dei meccanismi di dominio instaurati dalle forze liberali. Parlò di «esigua minoranza» che traeva «il più grande vantaggio possibile»15 dalle vicende politiche. L’inganno perpetrato dal Partito Liberale nei confronti delle masse era evidente: La massa viene ingannata dai partiti politici; soprattutto, e con ciò sarò più esplicito, dalle forze liberali al governo. Esso ribadisce sempre che ogni sua disputa politica è condotta dal puro amore per le masse mentre, in realtà, i veri interessi del popolo sono danneggiati da esse. È facile, per tale via, proclamarsi amici del popolo: basta darsi da fare nelle aule parlamentari, usare abilmente la penna in riviste e giornali di tendenza. Il vero amico del popolo lo si riconosce dalle sue opere, ha detto Gesù Cristo. Oggi, invece, i presunti amici del popolo si riconoscono per le loro vane promesse e parole. Attraverso l’influenza esercitata nelle Camere e sulla stampa, costoro tentano di convincere che rappresentano i veri interessi del popolo. In realtà, si tratta di un 15

W.E. Ketteler, Die Arbeiterfrage und das Christentum, cit., pp. 6-7; tr. it., p. 39.

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rapporto di sfruttamento del consenso popolare, ottenuto attraverso l’influenza esercitata sulle Camere e sulla stampa, contraffatta per massima benevolenza verso la causa popolare. Quante personalità illustri del Partito Liberale devono a questa vuota immagine di facciata la loro gloria sul suolo tedesco mentre, in realtà, non hanno fatto niente per promuovere il vero benessere del popolo!16

Qualche anno prima, nel dicembre del 1861, nella prefazione al volume Libertà, autorità, Chiesa (pubblicato nel 1862), aveva già svolto questa denuncia, mettendo in risalto il potere politico degli organi di stampa. Non era il governo a influenzare la stampa, ma viceversa, perché il favore o la disapprovazione con cui la stampa metteva in risalto l’azione del governo liberale era decisivo per orientarne le scelte. Tale meccanismo, perciò, produceva una grande ingiustizia, perché statisticamente «più della metà degli abitanti della Germania appartengono alla Chiesa romana» eppure loro sono esclusi dal circuito dell’informazione, dunque non hanno modo di intervenire nel dibattito pubblico facendo sentire la propria voce17. Ketteler si accorse presto che all’opera c’era una élite di potere in grado di raggiungere i propri obiettivi economici attraverso l’impiego di risorse diverse. Occupava gli scranni del parlamento con rappresentanti che invece di fare gli interessi del popolo erano piegati a quelli occulti dei grandi capitalisti, dei grandi commercianti e dei massoni. Al loro servizio avevano gli intellettuali. Riuscivano a controllare le nomine nelle cattedre delle università, tentando di sfavorire gli intellettuali cattolici. Ancora in Libertà, autorità, Chiesa, ebbe modo di ricordare come pochi mesi prima, l’università di Königsberg, tradizionalmente protestante, si fosse 16

Ivi, p. 8; tr. it., pp. 40-41. W.E. Ketteler, Freiheit, Autorität und Kirche. Erörterungen über die großen Probleme der Gegenwart, Verlag von Franz Kirchheim, Mainz, 1862, p. VI; tr. it., Libertà, autorità, Chiesa. Considerazioni sui grandi problemi del nostro tempo, P. Fiaccadori, Parma, 1864, p. XVIII. 17

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occupata della possibilità di ammettere, nel corpo docente, cattolici ed ebrei: «uno dei professori dell’università, reputato per le sue tendenze liberali, aveva sostenuto l’opinione che si potevano senz’altro ammettere giudei, ma non i cattolici, in considerazione del fatto che la libertà scientifica sarebbe assente presso di loro»18. Aggiunse a tale episodio quello ben più clamoroso registrato all’università di Tubinga, dove fu contestato il diritto del vescovo cattolico di verificare le credenziali dei docenti della facoltà di teologia cattolica19. Dal punto di vista morale i liberali veicolavano una cultura decadente, al servizio della degradazione dei costumi morali, al fine di diffondere la brama di consumo e l’appagamento dei beni materiali. Il loro principale scopo era il «dominio del capitale»20, il quale perseguiva due scopi: accrescere il numero di individui ridotti a lavorare per il salario giornaliero, cioè diminuendo il lavoro autonomo e indipendente con meccanismi di concentrazione dei mezzi di produzione, e governare il sistema dei costi di produzione, dunque disponendo della forza lavoro come di una risorsa manipolabile arbitrariamente. Di qui si può comprendere un passaggio veemente della critica di Ketteler il quale, dopo aver esaminato alcuni punti della teoria di Schulze-Delitzsch, esplose osservando che quei grandi oratori liberali, che si fanno passare per salvatori degli operai dalla miseria, farebbero bene a tacere, vergognandosi. Avrebbero tanti motivi per andare a nascondersi, piuttosto che darsi arie di declamatori boriosi con i quali non fanno che ingannare e danneggiare gli operai21.

18

Ivi, p. 23; tr. it., p. 20. Ivi, pp. 23-24; tr. it., pp. 20-21. Sui rapporti fra lo Stato e le facoltà teologiche in Germania si veda K.-E. Lönne, Politischer Katholizismus im 19. und 20. Jahrhundert, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main, 1986 (tr. it., Il cattolicesimo politico nel XIX e XX secolo, il Mulino, Bologna, 1991, pp. 137ss.). 20 W.E. Ketteler, Die Arbeiterfrage und das Christentum, cit., p. 24; tr. it., p. 55. 21 Ivi, p. 54; tr. it., 79. 19

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La seconda critica al liberalismo riguardava l’attacco che esso effettuava contro la concezione cristiana dell’ordine sociale. La libertà rivendicata dalle forze liberali non era solo un concetto sospinto dall’esigenza di emancipazione dai vincoli feudali e premoderni. Essa, in realtà, assolutizzando l’individuo e le sue prerogative, mirava alla soppressione di ogni legame sociale che poteva avanzare un primato sulla volontà individuale (famiglia e Chiesa in primis). Per costruire una società a misura di individuo, bisognava rimuovere tutti i processi che impedivano la scomposizione del corpo sociale in atomi. In quest’ottica era possibile comprendere il conflitto mosso dalla cultura liberale alle istituzioni sociali ispirate al cristianesimo. Queste due motivazioni critiche al liberalismo si collocavano sull’esperienza storica degli «affari di Colonia». Ketteler aveva toccato con mano le conseguenze che, sul piano dei rapporti civili, erano determinate dalla dottrina liberale. Scoprì fin da allora che l’idea di libertà sostenuta era inconciliabile con l’idea di libertà cristiana, e s’impegnò nel corso degli anni successivi a denunciare la falsità delle tesi liberali, a rivendicare i diritti dei cattolici nei territori tedeschi e, soprattutto, pose le basi per la futura organizzazione del partito politico di centro (Zentrumspartei).

2 Contro l’egemonia del sistema di potere liberale Ketteler era estraneo alla ricerca teorica fine a se stessa. Era un vescovo, non un professore universitario. Il suo obiettivo era sollevare le condizioni sociali degli uomini e delle donne di cui quotidianamente misurava lo stato d’indigenza. Non aveva cioè alcuna ragione professionale per esplorare teorie e approfondire quadri concettuali, a meno che ciò non portasse qualche beneficio alla sua reale esigenza: occuparsi dei lavoratori e delle loro famiglie. Di conseguenza non troviamo nel suo pensiero una teoria sistematica della classe dirigente. Ciononostante nelle sue opere 43

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politiche sono rilevabili un gran numero di denunce condotte contro i tentativi egemonici messi in atto dai partiti politici e, in particolare, dal Partito Liberale, allora al governo. Messosi al riparo dietro una presunta e ingannevole idea di democrazia, il Partito Liberale tedesco al governo stava estendendo il proprio controllo sui diversi apparati della vita pubblica. La questione operaia, dunque, rivelava a Ketteler anche il problema democratico della rappresentanza delle masse operaie. Egli osservò come a decidere le sorti delle classi lavoratrici fossero gruppi e ceti che non vi appartenevano. Citò il caso di un Congresso degli Economisti Tedeschi, svoltosi nel settembre del 1863, chiamato a pronunciarsi sulla questione operaia, individuandone alcune piste di soluzione. Su 137 partecipanti iscritti, solo 2 erano operai22. Questo dato contrario alle esigenze della moderna democrazia era anche in palese contraddizione (come si vedrà più avanti) con un postulato fondamentale della concezione liberale dei rapporti socio-economici. Difatti la principale idea politica sostenuta dal liberalismo tedesco verso la questione operaia consisteva nell’affermazione del diritto e dovere di ogni classe sociale di provvedere da sé alle proprie necessità materiali, riuscendo a trovare le condizioni per l’auto-sostentamento, senza ricorrere a meccanismi redistributivi o assistenziali. Ketteler osservò più volte l’ipocrisia contenuta in questa visione politica. Gli operai avrebbero dovuto badare a loro stessi senza ricorrere ad aiuti esterni – dal punto di vista materiale – ma a decidere questo, a progettare il loro futuro, erano membri dell’alta borghesia e capitalisti. Insomma: i borghesi consideravano immorale assistere economicamente gli operai, e nel farlo si ergevano a giudici di quale fosse il loro bene. In parole ancora più semplici: non avevano soldi per loro, ma tanti buoni consigli. Il difetto democratico non era da imputare a un assetto ancora acerbo del sistema politico liberale. Ketteler evidenziò che il liberalismo affermato dalle classi borghesi ed imprenditoriali si 22

Ivi, p. 75; tr. it., pp. 95-96.

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poteva affermare solo fondando un’élite di potere. Per realizzare i propri scopi doveva ordire un imbroglio sistemico («il governo è appannaggio, in realtà, di un partito cospiratore, unito da un legame occulto, che sotto il manto della volontà popolare cerca di imporre i suoi piani, di realizzare i suoi interessi, i suoi ideali, la sua volontà»)23, stabilendo una connessione forte con il sistema dell’informazione24, il quale era al loro servizio e, in stretta connessione, operava con effetti manipolatori evidenti («la massa viene ingannata dai partiti politici; soprattutto, e con ciò sarò più esplicito, dalle forze liberali al governo»25). La causa era da imputare al fatto che la politica era soggiogata al «dominio del capitale»26. Si trattava di una forza che trascinava con sé processi sociali disgreganti. Infoltiva le masse lavoratrici perché riduceva il numero dei piccoli proprietari e degli artigiani che lavoravano in proprio. La velocità di queste trasformazioni era direttamente proporzionale alla quantità di capitale impiegata per vincere la sfida. Il capitale era una forza che riduceva le mani dei suoi possessori. Il sistema era registrato sulle esigenze di una classe economica imprenditoriale, dalla quale era scaturita una classe dirigente liberale, che si serviva degli strumenti della stampa moderna per influenzare il sistema sociale, piegandolo ai propri scopi. In tale frangente, le parole di Ketteler non erano molto diverse da quelle scritte da Marx ed Engels nelle prime pagine del Manifesto del Partito Comunista del 1848. C’era solo una differenza sostanziale, utile a comprendere la differenza fra il marxismo e la visione cattolica di Ketteler. Il vescovo di Magonza non usò mai il concetto di borghese e di borghesia (Bürger, bürgerlich, bourgeois). A suo avviso la questione operaia non era il prodotto di una storia il cui epilogo doveva, necessariamente, essere la rivoluzione. Non si trattava dell’eterna lotta fra ceti, gruppi e classi, che il proletariato 23

Ivi, p. 82; tr. it., p. 100. Ivi, pp. 6-7; tr. it., pp. 39-40. 25 Ivi, p. 8; tr. it., p. 40. 26 Ivi, p. 24; tr. it., p. 55. 24

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aveva il compito di risolvere una volta per sempre. L’antidoto, in altre parole, non era l’abbattimento dell’ordine borghese ordito dalle classi operaie. La soluzione che proponeva Ketteler, e che analizzeremo in dettaglio più avanti, procedeva ugualmente da una lettura della storia universale, ma arrivava a traguardi diversi. Se per Marx la storia delle società era una storia di lotte di classe, per Ketteler la storia delle società aveva mostrato che i progressi reali potevano essere raggiunti solo in modo pacifico, quando si fondavano i presupposti per il riscatto morale della società. In questa visione il cristianesimo assumeva un ruolo importante, decisivo, che Ketteler indicò costantemente nelle sue opere. Per esempio egli citò più volte come il superamento dell’iniquità del sistema basato sulla schiavitù sia stato possibile per le iniziative di emancipazione e di affermazione della dignità della persona operate dal cristianesimo. Esattamente il contrario di quanto Marx ed Engels, invece, sostennero quando introdussero la religione come una sovrastruttura al servizio dello sfruttamento sociale, di cui la borghesia si sarebbe dapprima servita, per poi superarla: «[la borghesia] ha messo lo sfruttamento aperto, spudorato, diretto e arido al posto dello sfruttamento mascherato d’illusioni religiose e politiche»27. Su un aspetto particolare Ketteler era d’accordo con Marx. Anche se non arrivò ad usare le espressioni dirette del Manifesto28, Ketteler osservò, fra le righe della sua trattazione, che era il capitale a portare con sé una forma di dominio volta a fare sistema, trasformando ogni ostacolo incontrato in un fattore utile alla propria espansione. Tale dinamica non era stata ancora colta in tutta la sua gravità, per cui negli «Stati moderni […] coloro che governano, spesso lo fanno solo alla stregua del freno che tenta di dirigere il carro mentre scivola lungo la scarpata»29. Era una critica 27

K. Marx, F. Engels, Manifesto del Partito Comunista, Einaudi, Torino, 1948, p. 103. «[La borghesia] si crea un mondo a propria immagine e somiglianza», Ivi, p. 105. 29 W.E. Ketteler, Die Arbeiterfrage und das Christentum, cit., p. 26; tr. it., p. 57. Si osservi che, su questo brano, la traduzione italiana del 1870 è incomprensibile (W.E. Ketteler, La questione operaia e il cristianesimo, Tipografia Merlo, Venezia, p. 23). 28

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che Ketteler muoveva a un contesto non solo tedesco, giacché era al corrente di come le correnti liberali si stavano propagando in Francia e nel Regno Unito. Il sistema fondato sul dominio del capitale tentava di assoggettare ogni spazio sociale, di qualsiasi natura. Perfino lo spazio religioso, se si pensa – denunciò Ketteler – che i programmi del Partito Liberale prevedevano sessioni formative e di intrattenimento durante le festività cristiane: «così questi architetti sfasciano la Chiesa di Cristo e, al suo posto, edificano un nuovo tempio che, sulle basi di un programma educativo, è dedicato al materialismo»30. La polemica di Ketteler contro il ruolo svolto dalle élite politiche era singolare, rispetto alle teorie fondative dell’elitismo moderno. Ketteler non si propose di confutare i presupposti democratici dei meccanismi parlamentari, svelando i segreti dell’illusoria coltre democratica dello Stato moderno. Questi erano i temi tipici, per esempio, di Gaetano Mosca, il quale aveva insistito sul distacco esistente fra il programma ideale della democrazia moderna e la condotta reale delle forze politiche. Si ricorderà che per Mosca era lo stesso sistema parlamentare a favorire la corruzione. Un sistema che egli non esitò a qualificare come «camorra»31, capace di inghiottire qualsiasi buona intenzione, o proposito eticamente fondato. Per far funzionare tale ipocrisia politica c’era bisogno di confezionarle un profilo dignitoso, ed era quanto le classi dirigenti s’impegnavano a fare con la «formula politica», cioè un criterio di legittimazione del potere acquisito, spesso di natura legale o morale. In tal modo, l’inganno perpetrato ai danni della maggioranza disorganizzata, da parte di questa minoranza organizzata, era compiuto. I toni di Ketteler non furono molto diversi da quelli di Mosca, però la sua concezione dell’élite di potere non si limitò a svelare gli inganni della vita parlamentare, ma si estese anche ai meccanismi di influenza sociale e culturale. Egli intendeva mettere 30 Ivi,

p. 43; tr. it., p. 70. G. Mosca, Teorica dei governi e governo parlamentare, Loescher, Torino, 1884; ora in G. Mosca, Scritti politici, Utet, Torino, 1982, vol. I, pp. 378-379. 31

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in luce l’azione della classe dominante nella società civile, oltre che nelle aule rappresentative. Mentre Mosca era stato, per quasi dieci anni, un funzionario della Camera dei Deputati, e aveva conosciuto da vicino le vicende politiche nelle aule e nei corridoi, Ketteler proveniva da tutt’altra esperienza. Prima di essere eletto all’Assemblea nazionale di Francoforte, nel 1848, aveva conosciuto da vicino l’inefficacia delle politiche pubbliche per debellare la miseria delle classi sociali emarginate. Aveva lavorato per l’amministrazione prussiana, rimanendovi deluso e oltraggiato per la vicenda dell’arcivescovo Droste zu Vischering. Aveva anche potuto rilevare l’indebita pressione esercitata sulla Chiesa locale e sulla Santa sede in occasione della sua nomina a vescovo di Magonza. Dunque aveva sperimentato l’influenza esercitata dal potere dominante in ogni aspetto della vita associata. «Guai al popolo» che si affida esclusivamente al Parlamento, osservò. Perché il partito al potere era, in realtà, espressione di una forza cospiratrice, la quale fondava un dominio basato su un «legame occulto». Il sistema rappresentativo, in tal senso, era un’idea legittima ma «in ampio contrasto con la realtà esistente». Tale realtà manifestava una strategia d’influenza politica i cui protagonisti non sono solo i parlamentari, ma i «professori, espressione di alcune società segrete». Si trattava di un «governo occulto» che aveva il potere di influenzare il sistema elettorale, di polarizzare il voto e dominare la stampa attraverso il potere finanziario32. In un opuscolo successivo, dedicato alla massoneria e alla sua compatibilità con il cristianesimo, ebbe modo di usare maggiore chiarezza rispetto alla trama occulta che stava invadendo ogni aspetto del vivere sociale. La massoneria perseguiva ideali apparentemente nobili, ma svuotati di ogni verità. Credeva di poter produrre da sé i significati profondi dell’amore sociale, della condivisione e della solidarietà. Tuttavia siccome tali valori non erano radicati nella coscienza della salvezza cristiana, ma erano 32 W.E.

Ketteler, Die Arbeiterfrage und das Christentum, cit., pp. 84-85; tr. it., pp. 102-103.

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frutto esclusivo di logiche di appartenenza associativa, finivano per dividere gli individui, e portare pochissimi (i frammassoni) a decidere chi fosse degno del messaggio della massoneria e chi no. Di qui la segretezza attorno a tale appartenenza, da cui si produceva una cospirazione dannosa per la convivenza pubblica. Difatti: crediamo di aver notato che in molti luoghi, a prescindere dalle reali capacità, gli impieghi più importanti sono affidati soprattutto ai massoni. Di frequente si affidano a loro anche i ruoli nevralgici nel settore delle relazioni pubbliche, soprattutto con altre città, così da riuscire ad aumentare la loro influenza e il loro prestigio, nonostanta la scarsa attitudine. Costoro finiscono per essere onorati dalle persone notabili delle città vicine, e che ugualmente appartengono alla massoneria; godendo il vantaggio di essere membri della medesima affiliazione33.

Non c’era dubbio, ad avviso di Ketteler, che la massoneria fosse diffusa soprattutto fra i ceti più ricchi. È un dato di fatto che, nella maggior parte dei paesi, la massoneria sceglie sempre i suoi membri nelle classi ricche ed agiate, specialmente nell’alta borghesia […]. Ella, perciò, non è la società dei buoni per eccellenza, ma soprattutto la società delle persone più ricche e dei funzionari più alti34.

Si osservi che nel programma redatto diversi anni dopo, nel 1873, per i cattolici tedeschi impegnati in politica, l’ultimo punto cita il «divieto giuridico delle società segrete, in particolar modo 33 W.E. Ketteler, Kann ein gläubiger Christ Freimaurer sein? Antwort an den Herrn Dr. Rudolph Sendel, Privatdozenten der Philosophie in Leipzig, Verlag von Franz Kirchheim, Mainz, 1865, p. 82 (ne esiste una vecchia traduzione in italiano, col titolo Un cattolico può esser frammassone?, Guasti, Prato, 1866. Il brano indicato è a p. 96, qui è stato tradotto direttamente dall’edizione originale in tedesco). 34 Ivi, p. 88 (nell’edizione italiana citata, con una traduzione differente, è a pagina 102).

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dell’ordine dei frammassoni come associazione segreta»35. Combattere le tesi distorte del liberalismo e lottare contro la massoneria era, praticamente, per Ketteler, un’unica sfida. Il liberalismo, dunque, aveva tradito e capovolto l’ideale di libertà che tentava di diffondere nel mondo. Tale errore era da imputare all’impostazione anticristiana del suo pensiero. Nel 1862 aveva già affrontato tale tema, mettendo in risalto come la modernità si fosse appropriata di concetti e princìpi morali che il cristianesimo aveva prodotto, disconoscendone tuttavia la radice religiosa. Il pensiero moderno, perciò, stava commettendo un grave errore di presunzione, perché concepiva i concetti di libertà, uguaglianza, progresso e fraternità, come risultati del proprio genio, e non come una trasmissione pervenuta dalla tradizione cristiana. Il costo, osservò Ketteler, si traduceva come una minaccia per l’ordine civile, perché rimanendo nelle coscienze degli individui, senza alcun riferimento trascendente all’ente divino, quei valori erano utilizzati dagli uomini per sopraffarne altri. La sua considerazione, dunque, partiva allora da un motivo teologico, per approdare sul terreno delle relazioni politiche. La presunzione di poter produrre da sé le ragioni di fondo della convivenza pubblica disponeva qualcuno sul piedistallo della sovranità e, da tale posizione, egli poteva estorcere consenso e acquiescenza negli altri. In nome della libertà si produceva un regime che sistematicamente la negava. Il cristianesimo, invece, impostava la comunità in modo diverso. Nessun uomo poteva reclamare il titolo di elargitore delle verità espresse nei princìpi di libertà e uguaglianza, dunque non potevano formarsi rapporti di subordinazione politica, rispetto a essi. La fonte di tali princìpi, ad avviso di Ketteler, era Dio, inteso come padre di tutti, che immetteva dunque ciascuno in rapporto di fraternità con gli altri. Il trittico della Rivoluzione francese, in tal senso, era già scritto nel cuore della civilizzazione cristiana e averlo 35 W.E.

Ketteler, Die Katholiken im Deutschen Reiche, cit., p. 141.

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estirpato dal suo naturale alveo era un errore di cui si intravedevano i risultati negativi nelle lotte ideologiche scatenatesi sulla miseria dei lavoratori.

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3 L’involuzione del Partito Liberale La storia della Germania negli anni successivi a La questione operaia e il cristianesimo sembrò conferire un successo indiscutibile al nuovo corso intrapreso dal regime politico guglielmino. L’inedita, in Europa, alleanza fra i liberali e l’aristocrazia terriera (Junkertum) funzionò in relazione agli scopi di una Germania unificata e con un ruolo egemone in Europa, dopo le guerre del 1864 (Danimarca), del 1866 (Austria) e del 1870-71 (Francia). L’esito fu l’Impero Germanico (Deutsches Kaiserreich). I nuovi traguardi raggiunti dalla Germania sembrarono convalidare la via di sviluppo del liberalismo tedesco, il quale era nato con una forte impronta idealista e aveva, invece, raggiunto i suoi traguardi più importanti, cioè l’unificazione, attraverso la Realpolitik attuata da Bismarck36. Questo successo portò con sé il peggioramento delle relazioni fra il sistema politico tedesco e il cattolicesimo. Il Kulturkampf, cioè la lotta politica e culturale fra lo Stato e la Chiesa cattolica, era ormai alle porte. In quegli anni i cattolici tedeschi diedero impulso a iniziative importanti, con le quali intesero superare la condizione di emarginazione che stavano subendo. Particolarmente efficaci furono le giornate organizzate dell’«Assemblea generale delle Associazioni cattoliche tedesche» (Generalversammlung des katholischen Vereins Deutschlands). Note anche come Katholikentage, erano occasioni nelle quali le diverse correnti del cattolicesimo tedesco 36 Il concetto di Realpolitik compare, probabilmente per la prima volta, nel titolo del libro di Ludwig August von Rochau, Grundsätze der Realpolitik, angewendet auf die staatlichen Zustände Deutschlands, K. Göpel, Stuttgart, 1853. Per una introduzione al tema si veda F. Troncini, L’invenzione della «Realpolitik» e la scoperta della «legge del potere». August Ludwig von Rochau tra radicalismo e nazional-liberalismo, il Mulino, Bologna, 2009.

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si confrontavano e i principali esponenti presentavano le proprie iniziative. La questione sociale fu menzionata in tutte le edizioni, fin dalla prima, tenutasi a Magonza nel 1848, organizzata da Adam Franz Lennig. Il problema delle masse operaie ricorreva, allora, con il titolo di «pauperismo», e fu August Reichensperger a trattare il problema, illustrando l’opera compiuta da Federico Ozanam in Francia, con la fondazione delle Conferenze di Carità di San Vincenzo de’ Paoli, e auspicando che tali iniziative potessero presto diffondersi anche in Germania. In quell’anno il contributo di Ketteler al Katholikentag fu circoscritto alla raccolta di fondi, a cui invitò tutti i partecipanti durante un banchetto ufficiale, per soccorrere i poveri di Magonza. L’evento del 1851 ebbe come tema principale la violazione della festività domenicale perpetrata dal sistema industriale, che obbligava anche al lavoro festivo. I partecipanti del Katholikentag, riuniti a Magonza, prepararono una petizione indirizzata ai governi della Confederazione germanica affinché, attraverso una legge, vietassero tale abuso. In quella circostanza fu Kolping a svolgere una delle relazioni principali, illustrando la sua «Associazione dei garzoni» (Gesellenverein). L’anno di svolta del Katholikentag fu il 1871, quando il cattolicesimo decise di affrontare la questione operaia non solo dal punto di vista sociale ed economico, ma anche dal profilo ideologico e politico. D’altronde l’uscita de La questione operaia e il cristianesimo aveva spinto in avanti il dibattito, e il tema del confronto con il liberalismo e il socialismo non era rinviabile. Fra l’altro, la propaganda politica del liberale Schulze-Delitzsch e del socialista Lassalle aveva cominciato a far breccia nella coscienza degli operai cattolici. Liberalismus, Sozialismus und Christentum37 fu il titolo della relazione tenuta da Ketteler al Katholikentag del 1871, quell’anno ritornato ancora una volta a Magonza. Polemizzare col liberalismo trionfante non era facile, eppure Ketteler non solo riprese i temi anti-liberali già sostenuti nel volume del 1864, ma andò 37 W.E. Ketteler, Liberalismus, Sozialismus und Christentum, Verlag von Franz Kirchheim, Mainz, 1871. Ausgabe von Johannes Mumbauer, Wilhelm Emmanuel von Kettelers Schriften. Band III: Soziale Schriften und Persönliches, cit., 1911.

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oltre, mostrando l’inconsistenza filosofica e politica del pensiero liberale tedesco e i danni che stava producendo nella società. Fra questi danni, uno era il socialismo, che definì «figlio bizzarro»38 del liberalismo, rinviando al mittente la critica che il cristianesimo, con la sua concezione della proprietà privata di impronta tomista, fornisse una base etica alla teoria socialista. La Chiesa si trovava nel turbine della lotta. Come affrontare quei tempi difficili? In apertura della sua relazione, Ketteler fugò ogni dubbio sull’eventuale possibilità di concepire una Chiesa arroccata su posizioni reazionarie e conservatrici. Le dottrine teologiche e i princìpi etici dovevano essere al servizio dell’interpretazione dei segni dei tempi, e andavano applicati alle nuove sfide che la storia avanzava alla cristianità. Colui che si muoveva solo nella sfera dei princìpi, ribadì Ketteler, «sferra i suoi colpi nell’aria e sopra le teste dei suoi contemporanei»39. In altre parole, era politicamente inefficace, socialmente sterile, senza alcuna speranza di intervenire su quanto stava avvenendo. Il cattolicesimo, commentò, troppo spesso era incorso in questo errore. Ecco perché era necessario approfondire le dottrine filosofiche e politiche del liberalismo e del socialismo. Il punto di partenza delle riflessioni di Ketteler fu sempre il liberalismo, considerato il centro nevralgico di tutte le distorsioni della questione sociale. Chi non vorrebbe essere libero? Tutto dipendeva, osservò Ketteler, dalla comprensione che si aveva del principio di libertà. La definizione di questo valore era etica, non scientifica. Essere liberale doveva significare essere generoso, giusto, privo di pregiudizi, lavorare per il progresso, desiderare cioè la libertà nel suo più alto significato. Invece, spesso si intendeva per liberale qualcosa che non corrispondeva alla sequenza di tali valori. A volte, osservò Ketteler, ne era perfino contrario. Il giudizio di Ketteler sul liberalismo tenne in considerazione le mutazioni che esso subì in quegli anni. Ketteler distinse due 38 39

Ivi, pp. 244, 245, 257. Ivi, p. 243.

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periodi: il primo era quello del 1848, mentre quello che gli stava di fronte, nel 1871, ne era un prodotto peggiorato. Egli indicò tre grandi differenze fra il primo e il secondo liberalismo. Innanzitutto il liberalismo del 1848 si manifestò come una lotta contro l’assolutismo che, dal XVI secolo, s’era propagato in tutta Europa. L’attuale liberalismo, invece, era un sistema che puntava a un ruolo egemone, tanto quale sistema di pensiero che come programma politico. Soprattutto, esso pretendeva il monopolio della verità, fatta coincidere con la ragion di Stato, e chiunque dissentiva da tale credo – per esempio i cristiani, che non potevano sostituire lo Stato a Dio – erano considerati in errore, «stolti e ultramontani». Tale sistema si fondava sull’assunto che l’«atto supremo della ragione» non poteva che riconoscere in questo tipo di liberalismo la fonte di ogni verità e giustizia. La seconda differenza faceva riferimento al fatto che il primo liberalismo anelava all’abbattimento del regime di polizia instaurato dalla monarchia assolutista, dunque rivendicava una piena libertà per tutti. Il secondo liberalismo, invece, affermava se stesso negando la libertà agli altri, in particolare al «popolo cristiano». Entrambi, ad ogni modo, possedevano un concetto di libertà approssimativo e limitato. Non si poteva essere superficiali nel trattare l’idea di libertà. Per una definizione approfondita era necessario esaminare il suo principio sotto molteplici aspetti. Uno fra questi era l’aspetto religioso. La libertà, infatti, era un valore fra i più alti, dunque doveva essere collocato nell’orizzonte più elevato, cioè quello religioso. Così non fecero i liberali del 1848, influenzati com’erano dal pensiero francese, che li condusse a una visione di libertà circoscritta «al possesso di pochi diritti politici». Agli occhi di Ketteler tale definizione era assai modesta, rispetto alla reale portata del concetto: essa «non era che un misero brandello della totalità del concetto di libertà». Se l’idea di libertà era parziale per entrambi, il modo di applicarla era differente. Il primo liberalismo ne faceva una bandiera da attuare in ogni circostanza e per ogni soggetto sociale. Il secondo liberalismo no. Quest’ultimo viveva ancora del successo riscosso dal primo, e 54

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tanti gli attribuivano un merito che, ormai, non aveva più. Costoro ignoravano che, nel frattempo, tale liberalismo aveva cambiato posizione politica. Difatti, il presente liberalismo pretendeva che il proprio sistema venisse accettato da tutti, e non consentiva concezioni alternative. Se il primo liberalismo si era scagliato contro gli strumenti di repressione utilizzati dall’assolutismo per produrre un ordine politico a esso confacente, il presente liberalismo era tornato ad usare «le catene e le camicie di forza» per sopprimere chiunque non si adeguava al suo programma politico. L’ultima differenza individuata da Ketteler era anche la più polemica. Riguardava il rapporto che il liberalismo del 1871 intratteneva con quella «grande potenza che possiede milioni da offrire allo Stato, ma a condizione che gli consentano di guadagnare sempre nuovi milioni a spese delle masse»40. Il riferimento era al capitale (mai citato direttamente). Il liberalismo del 1848 non aveva questo impegno, mentre l’attuale sì. Quest’ultimo era legato alle forze economiche e doveva rispondere ai suoi interessi. E se era già accaduto tante volte, nella storia, che le idee politiche erano influenzate dagli interessi economici, il fenomeno del liberalismo attuale sovrastava ogni pregressa esperienza per dimensioni e importanza. La libertà avanzata aveva quale scopo interiore l’«assoluto dominio del denaro» e a tale risultato si doveva giungere con l’assoggettamento a tale disegno di tutte le forze contrarie a tale impostazione etica: il cristianesimo per primo. Il risultato a cui giungeva il pensiero liberale era compendiato da Ketteler nella seguente sequenza: Lo Stato senza Dio Lo Stato che rappresenta Dio La lotta contro il vero Dio per mezzo dello Stato41.

Ad avviso di Ketteler, per comprendere come abbia potuto, la cultura tedesca, arrivare a tali distorsioni, era sufficiente guardare­ 40 41

Ivi, p. 249. Ivi, p. 250.

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alla filosofia dello Stato di Hegel. In diverse circostanze, e su altri argomenti (la massoneria, per esempio), Ketteler prese le distanze dal filosofo tedesco. In linea con le motivazioni del suo impegno intellettuale, indifferenti alle controversie accademiche, Ketteler non entrò nel sistema hegeliano per invalidarne le basi speculative, ma si limitò a mostrarne l’incompatibilità con la dottrina della Chiesa cattolica. Il problema centrale della concezione dello Stato hegeliana coincideva con il programma generale della sua filosofia dello spirito: il progressivo dispiegarsi e organizzarsi della libertà come razionalità che realizza (oggettiva) e garantisce, istituzionalizzandosi, se stessa. In Hegel, lo Spirito, inteso come razionalità autocosciente, cioè coscienza che trova in se stessa la propria effettualità e il proprio fondamento, diviene libero nella misura in cui si riconosce nelle sue produzioni: cioè nella storia. Il compito della filosofia, allora, non è di prescrivere allo Stato il suo dover essere, ma di illustrare il modo affinché venga riconosciuto come universo etico. In tale orizzonte si può comprendere da una parte l’avversione di Hegel per le costituzioni costruite a tavolino e, dall’altra, la concezione dello Stato fondata sulla eticità di un popolo, cioè nel suo carattere nazionale e nella sua storia. Ora, è probabile che la conoscenza che Ketteler avesse di Hegel risalisse ancora agli anni della sua formazione giuridica, e poi agli anni dei suoi studi teologici. I corsi di filosofia del diritto tenuti da Hegel a Berlino a partire dal 1818 esercitarono una certa influenza nella costruzione della filosofia politica tedesca. Ma il breve passaggio che gli dedicò nella conferenza del 1871 è rivelatore anche di una delle sue ricorrenti preoccupazioni in ordine all’egemonia che il liberalismo stava conseguendo nella cultura tedesca. Nella conferenza Liberalismus, Sozialismus und Christentum, egli citò l’espressione hegeliana per cui «lo Stato è il Dio presente nel mondo»42. Probabilmente tale circostanza deve aver sostenuto la 42 Ibid. Si osservi che tale espressione hegeliana non appartiene all’edizione originale del 1821 di Grundlinien der Philosophie des Rechts (Lineamenti di filosofia del diritto). Essa, infatti, è una delle aggiunte compiute da Eduard Gans (su appunti da lui presi durante le

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convinzione in Ketteler che la macchina dell’egemonia liberale era ben rodata, aveva ormai occupato i ruoli nevralgici del mondo accademico, e il sistema liberale estendeva i suoi tentacoli rafforzando i significati filosofici dei suoi maestri. Era ovvio, commentò Ketteler, che l’idea dello Stato di Hegel relegasse la Chiesa ai margini dell’ordinamento civile. Se lo Stato era «Dio presente», la Chiesa poteva essere al massimo una sua componente. Dunque il liberalismo controvertiva l’ordine delle cose. Aveva messo lo Stato al di sopra di tutto: al di sopra del popolo, della Chiesa, e pretendeva di essere adorato più di qualsiasi altra cosa. Il banco di prova più duro per contrastare le mire dello Stato moderno fu la costituzione dell’Impero Germanico, successivo alla guerra franco-prussiana. In uno dei capitoli del suo Die Katholiken im Deutschen Reiche (I cattolici nell’Impero Germanico), del 1873, trattò del ruolo e del destino dell’Impero. Per essere all’altezza della sua missione, esso doveva stabilire la «vera libertà», e non la contraffazione di essa che il liberalismo e lo Stato moderno proponevano. L’assetto di ogni Stato, infatti, era il delicato risultato di un equilibrio fra il potere politico e le libertà personali. Il rapporto che intercorreva fra tali due fattori era, al tempo stesso, di stretta necessità e di antagonismo. La necessità nasceva dal fatto che l’unica libertà certa era politica, cioè era assicurata dagli strumenti che un ordine pubblico, fondato sulla legge, garantivano. L’antagonismo, invece, era il risultato di una storia che aveva visto spesso uno dei due termini prevalere sull’altro, violare l’equilibrio, e con ciò creare sistemi politici distorti, incapaci di esaltare la dignità della persona umana. Il fine, difatti, era proprio la persona, e in tal senso costituiva un grave lezioni berlinesi) e inserite nelle edizioni del 1833 e del 1840, dopo i paragrafi e le annotazioni: G.W.F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, Laterza, Roma-Bari, 1979, p. 430 (aggiunta di Eduard Gans al § 258). Il brano completo è il seguente: «Lo Stato in sé e per sé è la totalità etica, la realizzazione della libertà; ed è finalità assoluta della ragione che la libertà sia reale. Lo Stato è lo spirito che sta nel mondo e si realizza nel medesimo con coscienza […]. L’ingresso di Dio nel mondo è lo Stato; il suo fondamento è la potenza della ragione che si realizza come volontà».

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errore mettere sullo stesso piano l’esigenza del potere e la libertà personale. Essi erano coessenziali, ma non alla pari: Lo Stato è stato creato per l’uomo, per tutelargli le libertà e i diritti, e non all’inverso, cioè l’uomo è per lo Stato. Stato e potere politico non hanno mai uno scopo autarchico, fungono per l’uomo soltanto come strumenti per conservare e sviluppare le forze conferitogli da Dio. Perciò è un errore valutare la condizione di una nazione basandosi solo su forza e fama del potere politico. Spesso si riscontra nella storia che l’aumento di forza e fama del potere politico è stato in stretto rapporto con il calo della qualità morale e del benessere del popolo43.

L’assolutismo, in tal senso, si manifestava come l’abuso perpetrato dal potere politico a scapito delle libertà personali. Di conseguenza esso generava sempre il suo esatto opposto, cioè l’uso smodato del libero arbitrio, l’istinto di ribellione, e favoriva l’emergere dei populismi demagogici. Per questo Ketteler sostenne la necessaria correlazione fra l’assolutismo e la rivoluzione: ogni abuso generava il suo opposto, così come il socialismo era figlio del liberalismo attuale, cioè quello degli anni Settanta (Ketteler sottolineava ancora che «il liberalismo […] ha visto giorni migliori», facendo riferimento al 1848). Il liberalismo costituzionale in vigore aveva assunto una forma più pericolosa dell’assolutismo monarchico, perché si proponeva ideologicamente come il difensore della libertà, quando ne costituiva esso stesso una minaccia. Difatti, «il suo profilo costituzionale apparentemente liberale cela allo sguardo frettoloso la sua natura sfavorevole alla libertà». Esso anteponeva il potere dello Stato a ogni cosa, di conseguenza considerava il cittadino come un mero strumento per realizzare gli obiettivi statali. Con parole severe, Ketteler sottolineò come il sistema liberale stava impostando l’«assolutismo perfetto», perché esso si proponeva a 43

W.E. Ketteler, Die Katholiken im Deutschen Reiche, cit., p. 155.

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una società nella quale era stato indebolito il sentimento religioso. Essendo il cristianesimo l’unico baluardo possibile contro le pretese del potere assoluto, il venir meno del primo aveva reso più grave la diffusione del secondo. Difatti, se si ammetteva che l’unica fonte di legalità e libertà era lo Stato e la sua legge, s’impediva alla coscienza il diritto di giudicare liberamente basandosi sulla legge di Dio. L’unico giudizio ammissibile chiamava in causa la legge statale e l’uomo disponeva solo dei diritti e delle libertà che lo Stato gli concedeva. Lo Stato moderno, in tal senso, si poneva in rottura con l’organizzazione politica delle antiche forme tedesche per il ruolo attribuito alle libertà personali e di coscienza. Tale organizzazione non era nemica del potere politico, ma era inconciliabile con i tentativi di espansione di esso, volti a violare il «diritto originario della libertà personale». Dava a Dio ciò che era di Dio, e allo Stato ciò che gli spettava, senza tentennamenti. Non si fermava alla libertà dell’individuo astratto, come faceva il liberalismo, ma riconosceva la trama delle connessioni sociali di ogni singola persona, che la immettevano nelle molteplici relazioni di natura religiosa, spirituale, morale, politica ed economica, dalla quale la persona trovava giovamento per il perfezionamento di sé. Ecco perché la libertà individuale era concepita da Ketteler solo come l’inizio di un discorso sulla vera libertà, che doveva implicare la libertà della famiglia e dell’educazione, la libertà dell’istruzione, la libertà della comunità, e in generale le libertà per tutte le realtà associative in cui l’uomo vive ed è costretto a stare per soddisfare i suoi bisogni spirituali e materiali. Ketteler, in questo volume, stava configurando il piano d’impegno del cattolicesimo tedesco in politica. Esso doveva difendere a ogni costo la libertà personale e comunitaria, in ogni ambito della vita privata e pubblica, soprattutto contro la deprecabile oppressione posta in essere dal dispotismo liberale. In questo modo, i cattolici potevano diventare una forza autenticamente patriottica, perché l’avversione al dispotismo e all’assolutismo, e l’amore per le libertà personali e comunitarie, erano «l’eredità più preziosa della stirpe teutonica». 59

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La questione politica sulla quale applicare la riflessione sull’assolutismo liberale era, per Ketteler, l’organizzazione dell’istruzione nell’Impero Germanico. Difatti attraverso la scuola si formavano le coscienze, la cultura, che influenzavano gli stili di vita e le comprensioni del mondo e della storia. Apparentemente il liberalismo avanzava un’idea di libertà d’insegnamento, ma in realtà sosteneva le ragioni di un sistema pubblico dell’istruzione assoggettato esclusivamente allo Stato. Il monopolio dello Stato in campo scolastico «è la più deprecabile forma di tirannia esercitata da uomini su altri uomini». Anche in questo frangente, però, una cosa era contestare il monopolio statale, un’altra era invalidare qualsiasi ruolo statale nell’organizzazione del sistema scolastico. La formula di Ketteler era «non una libertà di insegnamento e di apprendimento assoluta e illimitata, piuttosto una ordinata, vale a dire una forma in cui sono salvaguardati i diritti dell’autorità governativa e la libertà in uguale misura»44. La costituzione prussiana del 1850, che su tale specifico punto era ancora in vigore, andava, a suo avviso, nella direzione di un «monopolio moderato dello Stato sull’istruzione». L’insegnamento della conoscenza aveva due limiti precisi: la verità intrinseca e l’interesse impellente dello Stato, e riconosceva – all’interno di tale quadro – la pluralità del sistema pubblico della formazione scolastica, cioè consentiva anche a strutture non statali di impartire insegnamenti. Il reale problema, allora, era la gestione dell’autonomia delle scuole, in particolare delle scuole cristiane, rispetto al controllo dello Stato. Ketteler si rendeva conto che il vertice della contesa era nella risposta a tale quesito. Siccome sulla Terra non esisteva alcun diritto assoluto dell’uomo sulle cose e sulle persone, allora si doveva ritenere che ogni pretesa assoluta fosse, di per sé, illegittima. Tanto il diritto assoluto della scuola a provvedere all’istruzione senza alcun vincolo pubblico, quanto il diritto dello Stato di imporre un’unica progettualità scolastica, come pure il diritto assoluto dei genitori a disporre dell’educazione dei figli 44

Ivi, p. 155.

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se lo credono, sono indebiti (è in tale frangente che Ketteler propose l’ idea di «diritto sussidiario»). In misura concreta, Ketteler riconobbe allo Stato il diritto di esigere che gli insegnanti di qualsiasi scuola, privata o pubblica, avessero i requisiti necessari, fossero forniti dell’abilitazione etica e scientifica. Oltre questo limite, lo Stato non doveva avanzare altre pretese. In particolare gli appariva quanto mai inadeguata la struttura normativa che regolava le professioni. L’obbligo di frequentare le università statali per poter accedere agli incarichi pubblici era limitante, perché non entrava nel merito delle competenze, ma si fermava a ciò che era organico agli interessi dei poteri del momento.

4 Il socialismo Il socialismo ha spesso usato Ketteler come una sorta di convertito alla rovescia, cioè di un testimone che, dal campo avversario, ha simpatizzato con le tesi socialiste, valorizzandole, allean­dosi in diverse circostanze con i lavoratori per muovere contro l’ordine borghese e capitalista45. È innegabile che Ketteler abbia usato un metro di valutazione più indulgente col socialismo e più duro verso il liberalismo. Ciò destò qualche perplessità anche nel mondo cristiano. Il vescovo di Magonza era divenuto, per qualcuno, quel pensatore che, come tutti i pionieri che si muovono su un terreno inesplorato, ha affrontato i rischi del confronto con ideologie nascenti, o in corso di sviluppo. Lungo tale errata linea interpretativa, la maggiore clemenza per il socialismo non deve essergli imputata come una colpa, perché i tempi erano ancora immaturi per una 45 Per esempio, nel suo volume dedicato al socialismo cattolico, F.S. Nitti dedica un intero capitolo (il quinto) a Ketteler, il cui socialismo fu «trascinato dalla calda e audace propaganda di Ferdinando Lassalle»: F. Nitti, Il socialismo cattolico, L. Roux e C., Roma-Torino-Napoli, 1891, p. 110. Cole, autore dell’imponente Storia del pensiero socialista, si scusa per non aver trattato il socialismo dei precursori tedeschi Lassalle e Ketteler (H.D. Cole, Socialist Thought: The Forerunners (1789-1850), Macmillan, London, 1953; tr. it., Storia del pensiero socialista. I precursori, Bari, Laterza, 1967, vol. 1, p. VI). Sulla figura di Ketteler come di un convertito al socialismo da parte di Lassalle, si veda: W.H. Dawson, German Socialism and Ferdinand Lassalle, Swan Sonnenschein, London, 1888, pp. 165-166.

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posizione solida e ortodossa rispetto al conflitto ideologico in atto. D’altronde bisognerà aspettare la Rerum novarum, la famosa enciclica di Leone XIII del 1891 sulla questione operaia, per sottolineare gli errori e precisare la visione cristiana dei problemi sociali. Dal punto di vista ermeneutico, questo modo di avvicinarsi all’opera e al pensiero di Ketteler costituisce un grave fraintendimento. Intanto non bisognava attendere la Rerum novarum per leggere i pronunciamenti della Chiesa verso il socialismo e il comunismo. Basti pensare che la prima denuncia risale al 1846, quindi prima ancora del Manifesto di Marx ed Engels. Non era inserita in un documento minore, ma in una enciclica, la prima di Pio IX, programmatica del suo pontificato: Qui pluribus (9 novembre 1846). Fra gli errori del tempo, dopo il razionalismo, il fideismo e le sette segrete, il pontefice citò il comunismo, considerato una «nefanda dottrina […] massimamente avversa allo stesso diritto naturale; una volta che essa sia ammessa, i diritti di tutti, le cose, le proprietà, anzi la stessa società umana si sconvolgerebbero dal fondo»46. Il papa ribadì il medesimo concetto nel 1849, dopo le rivoluzioni dell’anno precedente, associando il sistema socialista e comunista come «contrario principalmente al diritto ed alla stessa ragione naturale»47. Sempre nello stesso anno, mise in guardia i vescovi italiani perché operassero per la verità cristiana, incompatibile con le false dottrine comuniste e socialiste, ritenute uno sconvolgimento dell’ordine naturale48. Si devono ricordare anche i temi dell’enciclica Quanta cura (8 dicembre 1864), e dell’annesso Syllabus, contro gli errori del secolo. Anche stavolta la principale critica nei confronti del socialismo era costituita dalla sottrazione della famiglia dall’ambito della legge naturale. Non c’è ragione di credere che Ketteler non conoscesse tali pronunciamenti. Il Syllabus, poi, fu oggetto di un suo specifico e rilevante commento, inserito in una delle sue ultime opere di politica, cioè Deutschland nach dem Kriege von 1866 (La Germania dopo la guerra del 1866, ancora 46

Pio IX, Lettera enciclica Qui pluribus, 9 novembre 1846. Pio IX, Allocuzione Quibus quantisque, 20 aprile 1849. 48 Pio IX, Lettera enciclica Nostis et Nobiscum, 8 dicembre 1849. 47

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non tradotto in italiano). Dunque, se Ketteler si fosse davvero disposto in modo accondiscendente verso il socialismo, dovrebbe averlo fatto consapevole del rischio che la Chiesa non reputava tale pensiero compatibile con quello cristiano. In realtà, le cose stavano in modo molto diverso. La ragione del differente trattamento che Ketteler riservò al liberalismo e al socialismo è nelle seguenti tre cause. La prima consiste nel fatto che il Partito Liberale era al governo, dunque era chiamato direttamente ad attivare politiche per risolvere la miseria della classe lavoratrice. Il Partito Radicale, invece, non solo non aveva alcuna possibilità di governare, ma non era neanche adeguatamente rappresentato, in considerazione di una legge elettorale voluta dal Partito Liberale che emarginava le masse lavoratrici. L’interesse principale di Ketteler, è bene ripeterlo, era di tipo politico, soprattutto in relazione alla drammatica esistenza delle masse lavoratrici. La responsabilità del Partito Liberale al governo era superiore a quella del Partito Radicale, dunque il baricentro della polemica pesava soprattutto su di esso. La seconda ragione risiedeva nell’ipocrisia con cui il liberalismo concepiva la questione sociale. Esso fingeva di occuparsi degli operai, quando in realtà rispondeva solo agli interessi del capitalismo moderno. Tale ipocrisia era una grave colpa perché fondava un sistema di condizionamenti e di manipolazioni che, per trionfare, aveva anche bisogno dell’annullamento dell’azione della Chiesa, considerata da Ketteler l’ultimo baluardo della verità. Il Partito Radicale, in tal senso, era immune da tale ipocrisia, per il semplice fatto che non rispondeva a nessuna forza occulta, ma intendeva occuparsi esclusivamente del bene degli operai. La terza ragione era che, agli occhi di Ketteler, liberalismo e socialismo non erano due dottrine politiche che, in modo indipendente, stavano minacciando la civiltà europea. Il rapporto fra loro era stretto e conseguente. Come spiegò nella conferenza Liberalismus, Sozialismus und Christentum, il socialismo era un prodotto diretto del liberalismo. Dunque, se si voleva andare in profondità alla ricerca delle cause della crisi, bisognava soffermarsi sul liberalismo. Ecco perché ogni volta che si cimentò nell’analisi degli errori del 63

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socialismo,­Ketteler finì sempre per tornare sui problemi del liberalismo. D’altronde l’aver reciso il legame religioso nella concezione della vita politica aveva significato per i liberali espellere il ruolo dei princìpi etici frutto della rivelazione divina. Se le cose erano ormai solo nelle mani del ragionamento umano, se il riferimento alla legge naturale era passato di moda, per ogni enunciato liberale si poteva produrre un corrispondente, e contrario, enunciato socialista. Ecco perché gli errori delle dottrine liberali partorivano gli errori delle dottrine socialiste. Entrambe si ingannavano quando consideravano possibile edificare la società perfetta, realizzata secondo i desideri astratti dei cittadini. Il cristianesimo, invece, non poteva cadere in tale inganno, cosciente com’era che la perfetta felicità non poteva essere il frutto di una pianificazione politica. In questo senso era possibile ordinare secondo corrispondenze antagoniste le tesi dei liberali e dei socialisti. Per esempio, il liberalismo produceva un’idea di Stato associata all’irruzione di Dio nella storia (Hegel). E poi, in secondo ordine, assegnava uno spazio anche alla cristianità. Ma questo è un controsenso. A che serve parlare di religione cristiana quando lo Stato è divenuto Dio? Difatti, i socialisti traducevano tutto ciò con la professione di ateismo. Il liberalismo concepiva il matrimonio privo di significati religiosi, quantunque ne voleva conservare l’istituto nella forma civile. Il socialismo partiva da qui per contestare qualsiasi regolamentazione della vita coniugale. Se neanche Dio aveva ordinato il matrimonio, perché esso doveva acquisire la forma che gli uomini gli conferivano? Il liberalismo negava l’esistenza delle leggi eterne, divine. L’unica legge assoluta era quella promulgata dallo Stato. Non esisteva alcuna autorità al di fuori, o prima, dello Stato. Dunque, replicava a ciò il socialismo, sarà attraverso il potere dello Stato che la maggioranza del popolo tedesco, costituita da operai, cambierà la legge sulla proprietà privata e sul diritto di successione. Il liberalismo si fondava su una concezione materialista della vita. Non credeva che poteva darsi alcun tipo di appagamento sul 64

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piano spirituale, ma concepiva la dignità della vita misurandola con i beni e le ricchezze accumulate. Non si faceva scrupolo che esistessero masse di indigenti, perché le giudicava colpevoli di non essere state artefici di un proprio diverso destino. Al che i socialisti intervenivano aderendo all’impostazione materialista della condizione umana e risvegliando nelle masse operaie l’ardore rivoluzionario, così da essere autenticamente artefici del proprio destino. Il liberalismo voleva l’uguaglianza fra gli individui, e per tale ragione aveva teoricamente abolito il sistema dei privilegi nobiliari. In realtà aveva di fatto ristabilito un sistema perverso di disuguaglianze, fondato sulla proprietà dei mezzi di produzione. Il socialismo, conseguentemente, si proponeva di rendere vero ed effettivo l’anelito all’uguaglianza di tutti, che si doveva tradurre non solo in una parità formale, ma in una uguaglianza materiale. Insomma, gli errori del liberalismo e del socialismo dovevano essere letti nel medesimo quadro ermeneutico. Ketteler ne offrì una chiara esemplificazione in La questione operaia e il cristianesimo, quando a proposito della dialettica fra i capi dei partiti liberale e socialista, sentenziò con ironia che «Lassalle ha ragione riguardo a Schulze-Delitzsch, e Schulze-Delitzsch ha ragione riguardo a Lassalle. Entrambi sono nel giusto quando criticano l’altro, invece si trovano nel torto quando avanzano le rispettive proposte per risollevare le condizioni degli operai. Entrambi sono dalla parte del giusto quando negano, entrambi si sbagliano quando asseriscono»49. Una volta negata l’etica cristiana, i princìpi di libertà ed uguaglianza diventavano mere illusioni e il potere politico si mostrava inadeguato ad occuparsi del bene comune.

5. Questioni comuni e ampie divergenze La questione operaia offrì numerosi punti di incontro fra il socialismo e il cristianesimo. Ketteler li riconobbe nella medesima 49

W.E. Ketteler, Die Arbeiterfrage und das Christentum, cit., p. 55; tr. it., p. 80.

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analisi condotta sulle cause della miseria dei lavoratori salariati e delle loro famiglie e nella comune denuncia contro le iniquità commesse dal capitalismo borghese. Un altro aspetto in cui le due dottrine si sfioravano riguardava la soluzione da adottare per risolvere la questione operaia. Entrambe convergevano sul fatto che era necessario mettere gli operai in condizioni di diventare proprietari delle imprese, superando così (in tutto o in parte) la condizione di salariati. Sui modi per arrivare a tale traguardo, tuttavia, la differenza fra il cristianesimo e il socialismo era grande. Essa richiamava il modo stesso di intendere i rapporti civili. Dentro tale differenza c’erano i principali motivi di inconciliabilità fra la concezione cristiana della vita associata e quella socialista. C’era un solo modo per migliorare la situazione dei lavoratori salariati. Su questo punto concordavano anche i liberali, oltre che i socialisti e i cristiani. Bisognava che i lavoratori spezzassero il circuito che li vedeva in balia del proprio salario giornaliero, cioè dipendenti da un mercato del lavoro di fatto indifferente alle loro reali necessità materiali. L’unica possibilità era di entrare in qualche modo nella proprietà delle imprese, mettendoci i capitali necessari, così da ricevere una remunerazione frutto sia del salario che dei dividendi dei profitti dell’impresa. Come era possibile procurare tale capitale di partenza? Le differenze fra il socialismo e il cristianesimo partivano da tale domanda. Siccome lo Stato era saldamente nelle mani della classe borghese e dell’aristocrazia terriera, non c’era da aspettarsi nessun provvedimento legislativo che portasse tali classi sociali a penalizzare i propri membri, redistribuendo la loro ricchezza. Di conseguenza era necessario adottare misure straordinarie per rendere possibile ciò che appariva impossibile. I socialisti credettero di aver trovato la giusta misura con la presa del potere, attraverso l’allargamento della base elettorale e l’estensione del suffragio, cioè con la democratica costruzione di una classe politica che in Parlamento avrebbe davvero fatto gli interessi della maggioranza della popolazione, espropriando i ricchi e fornendo ai lavoratori salariati i mezzi per 66

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entrare nell’organizzazione e nella proprietà delle industrie. Queste misure erano, come vedremo fra breve, ritenute sbagliate da parte di Ketteler. Esse, infatti, violavano i princìpi fondamentali della concezione cristiana dei rapporti sociali e politici, basati sulla legge naturale. Le misure straordinarie proposte invece da Ketteler chiamavano in causa l’azione della Chiesa per diffondere il senso di solidarietà cristiana, al fine di trovare le risorse per costituire le «associazioni produttive» degli operai. Ketteler si faceva forte dei grandi cambiamenti che la storia aveva subito per iniziativa del cristianesimo. Fu il cristianesimo a permettere il superamento del sistema della schiavitù, senza ordire alcuna rivoluzione, ma attraverso la conversione dei cuori e la divulgazione dei princìpi di dignità della persona umana. La carità cristiana aveva consentito la costruzione di opere importanti come città, cattedrali, ospedali, ricoveri. Era un dato sociologico che la persona nutrita di valori cristiani donasse liberamente il proprio superfluo agli scopi della giustizia sociale, in modo migliore e più efficace rispetto al cittadino costretto da uno Stato esoso a devolvere parte dei suoi averi per le tasse. Il problema non era solo la maggiore efficacia della proposta cristiana rispetto a quella socialista. Quest’ultima, infatti, doveva essere considerata illegittima e pericolosa. Poteva il potere politico arrogarsi il diritto di disporre della proprietà a piacimento? La risposta di Ketteler era negativa. Tale iniziativa costituiva una violazione del diritto naturale, dunque era destinata a generare conflitti sociali. Attorno al problema della proprietà privata, la sua legittimazione e i suoi limiti, il pensiero di Ketteler era solidamente impostato. La fonte era Tommaso d’Aquino. Nella Summa Theologiae, Tommaso aveva sostenuto il diritto di proprietà contro coloro che ne mettevano in discussione la legittimità. Tuttavia l’Aquinate non assegnava un valore assoluto a tale diritto. Dopo aver passato in rassegna le fonti e le posizioni favorevoli e contrarie alla questione, egli giustificava la proprietà privata dei cosiddetti «beni esterni», cioè dei beni materiali, specificando che «non debet 67

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homo habere res exteriores ut proprias, sed ut communes: ut scilicet de facili aliquis ea communicet in necessitates aliorum»50. L’uomo non ha un diritto assoluto sulle cose, sui beni materiali, giacché questi devono provvedere al benessere di tutti, per cui chi ne dovesse avere di più dovrebbe restituirne a chi, invece, vive nella necessità. Il diritto naturale decreta la comunanza dei beni ma ciò non implica che la proprietà privata sia illegittima. Essa è diritto naturale secondario, cioè non si rivela in modo diretto e immediato come legge di natura, ma scaturisce dall’applicazione della ragione al diritto naturale, e necessita della regolamentazione dei pubblici poteri in funzione delle circostanze storiche51. Ketteler usò l’argomentazione tomista per colpire a destra e a sinistra. Da una parte svuotò il progetto liberale di assolutizzazione della proprietà privata, dall’altro ridimensionò l’idea socialista per cui la proprietà privata era un’usurpazione da abolire. Si mosse attualizzando il pensiero di Tommaso, adattandolo alle sfide ideologiche del XIX secolo. Rispetto a Tommaso, il quale aveva concepito la proprietà privata come un diritto naturale secondario, derivato dall’esercizio della ragione umana applicato alla legge di natura, affermò con risolutezza l’appartenenza della proprietà privata al diritto naturale, così da rimuovere ogni possibile confusione fra la visione cristiana e quella socialista. Lo stesso farà la Rerum novarum, nel 1891. Ma, se il socialismo sbagliava nel considerare la proprietà privata un’usurpazione, il pensiero liberale riusciva a fare di peggio, ad avviso di Ketteler. Contraddicendo la visione cristiana, assolutizzava il diritto alla proprietà privata, ma così facendo, paradossalmente, la indeboliva gravemente. Difatti il costo di tale assolutizzazione era il rifiuto del riferimento al diritto naturale. Ma senza il diritto naturale, osservò Ketteler, la proprietà privata diventava solo un diritto confezionato dagli uomini, dunque essa poteva essere cambiata da una maggioranza di cittadini chiamati a esprimersi attorno alla sua 50

Summa Theologiae, II-II, q. 66, a. 2. Cfr. R. Pizzorni, Il diritto naturale dalle origini a S. Tommaso d’Aquino, Edizioni Studio Domenicano, Bologna, 2000, p. 527. 51

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statuizione. Siccome la maggioranza dei cittadini apparteneva alle classi povere, il liberalismo non aveva argomenti validi per impedire l’abolizione della proprietà privata e la sua socializzazione. Il liberalismo giungeva a tale contraddizione autolesionista inseguendo la sua politica anticristiana. Scardinare l’influenza del cristianesimo nelle vicende politiche e assegnare il primato alle deliberazioni della maggioranza costituiva una contraddizione grave, potenzialmente aperta al successo delle idee socialiste di Lassalle. Anche stavolta, l’errore commesso dai liberali e dai socialisti doveva essere letto in modo speculare. La concezione tomista della proprietà privata riusciva efficacemente nell’intento di offrire un solido fondamento teorico alla posizione cristiana dell’economia politica. Ketteler e Montalembert, praticamente negli stessi anni, il primo con le sue prediche nella cattedrale di Magonza il secondo nei suoi discorsi parlamentari, ne avevano aggiornato la definizione per adeguarla alla questione operaia. Per Ketteler, la visione tomista era al servizio della presentazione dei princìpi della destinazione universale dei beni e dell’opzione preferenziale per i poveri. Per Montalembert, coincideva con l’invito rivolto ai poveri di tenersi lontani dalla ricchezza altrui, così come la sollecitazione ai ricchi a fare altrettanto con la propria, cioè a essere disponibili a distaccarsi dai propri beni per favorire le necessità materiali dei meno abbienti52. Non c’è dunque alcuna ragione per sostenere una simpatia di Ketteler per il socialismo. La questione operaia aveva portato il cristianesimo a calpestare il medesimo terreno sul quale il socialismo aveva attivato la propria lotta contro il capitalismo. Le analisi degli eventi, dei processi e delle cause coincisero, le soluzioni individuate si assomigliavano, ma nei punti sostanziali il pensiero di Ketteler divergeva profondamente da quello di Lassalle. Anzi, il merito del vescovo di Magonza fu di aver sfidato il socialismo sul suo stesso campo. La teologia cristiana si muoveva spesso su altre latitudini, che oggi possiamo senza 52 Il discorso è contenuto in Montalembert, Discours, Jacques Lecoffre et Cie, Paris, 1860, vol. 3, pp. 73-74.

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problemi etichettare come anti-storiche. Per correggere quel sistema economico perverso, c’era chi riproponeva il sistema delle corporazioni, opportunamente modificato per l’industria moderna, nel quale le gilde e le maestranze offrivano uno spettro di garanzie minime ai lavoratori, e c’era chi invece anelava alla riproposizione della severa proibizione del prestito ad interesse, com’era in vigore nell’antico diritto sostenuto dalla Chiesa, considerato come un provvedimento in grado di opporre una diga insormontabile allo sviluppo del capitalismo. Ma c’era anche chi denunciava il regime di libera concorrenza economica come contrario all’etica cristiana. Il caso più rilevante fu uno scritto di Nikolaus Schüren53 del 1860. Due repliche in contrapposizione furono un saggio di Franz Hettinger54 e, soprattutto, quello di Charles Périn, dell’Università Cattolica di Lovanio, che nel 1861 diede alle stampe De la richesse dans les sociétés chrétiennes55. In esso, egli affermò che la libertà economica era un principio derivato dall’impostazione cristiana dei rapporti sociali, e che dell’economia liberale andava combattuto non il principio della competizione fra soggetti libero ma il materialismo, estraneo all’orizzonte etico del cristianesimo. Ketteler citò «il pensiero sviluppato in modo profondo dall’eccellente Périn, professore di economia politica a Lovanio, nella sua opera su ricchezza e povertà»56, riguardo alla necessità di formare tanto gli operai quanto gli imprenditori a una mentalità economica non corrotta dall’avidità, ma ispirata dai princìpi del sacrificio di sé e della solidarietà. La citazione di Périn è una delle poche che Ketteler fa nella sua principale opera. Conosceva il suo pensiero, dunque, e lo condivideva. Non reputava la libertà economica il problema dei suoi tempi, non immaginava un’ipotesi diversa da quella concepita dal sistema delle libertà economiche. Non poteva essere avvicinato al socialismo neanche in questo senso. 53

N. Schüren, Zur Lösung der sozialen Frage, Wengler, Leipzig, 1860.

54 F. Hettinger, Apologie des Christentums, Herdersche Verlagshandlung, Freiburg, 1863-67. 55 C. Périn, De la richesse dans les sociétés chrétiennes, Librairie Jacques Lecoffre, Paris, 1861. 56

W.E. Ketteler, Die Arbeiterfrage und das Christentum, cit., p. 94; tr. it., p. 111.

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Uno degli ultimi scritti di Ketteler nacque da una lettera pervenutagli da un operaio cattolico, il quale gli chiedeva un consiglio circa la possibilità di una sua adesione al Partito Socialista. Ketteler ne approfittò per fare un bilancio, l’ultimo prima di morire, della questione operaia. In apertura di questo suo inedito e incompleto scritto, egli dichiarò che i pochi anni che lo separavano da Die Arbeiterfrage und das Christentum (1864) avevano visto apparire sulla scena nuovi processi storici, i quali richiedevano l’aggiornamento delle interpretazioni fra il cristianesimo e il socialismo: Quanto avevo espresso allora non è più adeguato per valutare la condizione attuale, e sarebbe addirittura sbagliato se uno volesse applicare al presente le cose espresse all’epoca57.

In particolare, due anni prima di questo scritto, nel 1875, si era costituito, a Gotha, nella Turingia, il Partito Socialdemocratico dei Lavoratori (Sozialdemokratische Arbeiterpartei Deutschlands). Esso era il risultato del confluire delle due principali correnti socialiste tedesche. La prima era nata nel 1863, quando Lassalle aveva fondato il Allgemeiner Deutscher Arbeiterverein (Associazione generale degli operai tedeschi), la quale rappresentava l’organizzazione socialdemocratica del socialismo. La seconda nacque nel 1869, quando Wilhelm Liebknecht e August Bebel, in modo alternativo a Lassalle e ispirandosi alle teorie di Karl Marx, diedero vita alla Sozialdemokratische Arbeiterpartei Deutschlands (Partito socialdemocratico dei lavoratori). Il programma di Gotha fu un compromesso fra le due differenti concezioni socialiste. Mentre Lassalle era convinto che fosse possibile realizzare il socialismo attraverso la via democratica, con l’estensione del suffragio, per Marx non era possibile affidare alle istituzioni parlamentari, espressione degli interessi borghesi, la capacità di sov57 W.E. Ketteler, Kann ein katholischer Arbeiter Mitglied der sozialistischen Arbeiterpartei sein? (Manuskript, unbeendet, 1877). Ausgabe von Johannes Mumbauer, cit., Band III: Soziale Schriften und Persönliches, “Christentum und Sozialdemokratie”, p. 168.

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vertire i rapporti di forza. Se qualche concessione alla visione di Lassalle fu inserita, in generale il programma di Gotha fu articolato secondo la teoria marxista (anche se Marx ed Engels mossero delle polemiche contro tale risultato)58. Ketteler intravide la novità programmatica di questo evento. L’obiettivo del nuovo Partito non era più, solamente, il miglioramento delle condizioni sociali della classe operaia. Pretendendo di estendere la propria azione al livello internazionale, aveva di fatto dichiarato l’intenzione di mirare alla riorganizzare dell’intera struttura sociale, nella quale la distribuzione delle risorse materiali e l’assetto politico complessivo erano collegati alla concezione socialista dei rapporti civili. Gli obiettivi pratici, cioè la questione del giusto salario, il diritto al riposo settimanale, i ricoveri per i lavoratori infortunati, per esempio, passavano in secondo piano. Erano obiettivi transitori, in vista della realizzazione del socialismo su scala internazionale. Non v’erano dubbi, in Ketteler, che tale evoluzione del programma politico del socialismo tedesco si stava traducendo in un imbroglio contro gli stessi lavoratori: La questione operaia, che è profondamente giusta, rischia di essere trascinata in correnti rivoluzionarie che creano disordini. In questo modo rischia di provocare una reazione contraria, ossia che non vengano prese in considerazione le richieste legittime. Espone gli operai al rischio di essere ingannati da chi li dirige59.

Dunque, osservò Ketteler, per rispondere al quesito circa l’appartenenza di un operaio cattolico al Partito Socialista, bisognava distinguere fra le legittime, le dubbiose e le illegittime aspirazioni di tale forza politica. Gli obiettivi legittimi erano quelli pratici, cioè quelli che erano passati in secondo piano e, difatti, occupavano solo l’ultima 58 Su questo argomento, si veda H.J. Steinberg, Il socialismo tedesco da Bebel a Kautsky, Editori Riuniti, Roma, 1979. 59 W.E. Ketteler, Kann ein katholischer Arbeiter Mitglied der sozialistischen Arbeiterpartei sein?, cit., p. 170.

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parte del programma di Gotha. Erano di tre tipi: 1) la necessità di una funzionale organizzazione degli operai; 2) la richiesta di un corretto sostegno delle associazioni operaie da parte dello Stato; 3) l’esigenza di tutela legale del lavoro e degli operai contro ogni forma di sfruttamento. All’origine di tali bisogni fondamentali c’era il peccato originale del liberalismo60, il quale aveva disciolto i legami sociali e, con ciò, aveva sospinto l’operaio all’isolamento. In tale solitudine era indifeso, privato di tutele, rispetto ai processi economici e sociali del capitalismo. La situazione nel quale era stato cacciato non poteva essere risolta, stante le proposte del socialismo marxista, se non con la rivoluzione: «perdurerà il pericolo di un’esplosione violenta, sull’esempio di una pentola che esplode quando il vapore viene compresso al suo interno»61. A meno che, osservò Ketteler, non si lavorasse per la ricostruzione dei legami sociali. Affinché fosse adeguata allo scopo di risolvere la situazione degli operai, essa doveva partire dalla rea­ltà e non dalla sua mistificazione. Per ricostruire i legami sociali bisognava fondarli sui rapporti naturali che si stabiliscono fra gli uomini, e non dovevano essere asserviti agli obiettivi strategici dei partiti politici. Non era possibile, osservò Ketteler, che pochi slogan confezionati in una segreteria del Partito Liberale o Socialista, dovessero guidare i lavoratori alla conquista del proprio avvenire. I reali interessi del popolo non dovevano essere strumentalizzati per fini diversi da quelli del miglioramento delle sue condizioni socio-economiche. Nel riflettere sulla natura di questi legami, Ketteler osservava come essi, prima di ogni cosa, impostavano la trama dei diritti e dei doveri della società. La loro specificità era di natura etica, non politica. Legami solidi producevano un diffuso senso dell’onore e una morale basata sulla reciproca assunzione di responsabilità. Nessun cittadino doveva essere escluso da tale trama etica. 60 Ketteler adoperò un gioco di parole significativo, per mostrare il vero volto di questo liberalismo: invece del suo titolo ufficiale Nationalliberalismus, lo etichettò come Geldliberalismus, cioè liberalismo del denaro. Ivi, p. 173. 61 Ivi, p. 175.

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Le esigenze che dettavano la necessità dei legami sociali avevano caratteri economici e commerciali. Di qui l’importanza di riflettere sulle organizzazioni sindacali. Ad avviso di Ketteler, erano incomprensibili le ragioni della loro costituzione in vista della rivoluzione politica generale. Al contrario, i sindacati avrebbero dovuto formarsi attorno a spazi di esistenza e d’azione ben circoscritti, di natura professionale e territoriale, così da svolgere al meglio la propria funzione di sostegno e promozione dei concreti bisogni dei lavoratori. Vicini ai propri lavoratori, i sindacati avrebbero potuto lottare per proteggere la classe operaia industriale dallo sfruttamento, dai maltrattamenti, dalla tirannia, impedendo il lavoro alle donne quando queste avessero avuto ruoli materni, impedendo il lavoro minorile, ecc. Gli obiettivi dubbi, che finivano per essere illusori, riguardavano in particolare la valorizzazione del lavoro. In competizione con gli altri lavoratori e con le macchine industriali, il lavoro umano era soggetto alle implacabili leggi del mercato e, di conseguenza, era continuamente deprezzato. Essendo l’unica ricchezza a disposizione dell’operaio, il valore troppo basso del lavoro dava origine a tutti i suoi problemi. Il socialismo credeva di riuscire a risolvere il problema attraverso la socializzazione dei mezzi di produzione e la distribuzione su base egualitaria delle risorse. Questo modo era dubbio, agli occhi di Ketteler, perché tradiva la reale natura del lavoro umano, il quale era un dovere, non solo un diritto, e un mezzo per il proprio sostentamento. La ripartizione socialistica dei beni non riusciva a rendere conto della piena eticità del lavoro umano e, in effetti, le sue applicazioni avevano mostrato la debolezza di tale proposta. Le aspirazioni illegittime, deprecabili, erano riconducibili al progetto rivoluzionario. Capovolgere il sistema produttivo era un obiettivo temibile per la violenza che avrebbe generato, e irrealizzabile senza fondare uno stato di guerra permanente: come si poteva pensare che i proprietari rinunciassero pacificamente alla proprietà in cambio di un pacchetto di beni di prima necessità? In più, tale obiettivo allontanava dal progetto socialista i pochi 74

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buoni scopi che invece lo contraddistinguevano. Per Ketteler era evidente che la lotta contro la servitù del capitale borghese avrebbe generato, con la vittoria del socialismo, un’altra forma di asservimento: la schiavitù rispetto alle mire di uno Stato che si arrogava il diritto di misurare e disporre della libertà dei suoi cittadini. Per tutte queste ragioni, gli operai cattolici avrebbero fatto bene a tenersi alla larga dal Partito Socialista e a lavorare per la ricostruzione di una società fondata sulla giustizia cristiana.

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Capitolo terzo

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La questione sociale

1 Introduzione I temi della povertà hanno, in ogni epoca, caratterizzato la missione della Chiesa nella società. Attorno ad essi era possibile ispirarsi direttamente agli insegnamenti evangelici, degli apostoli, delle grandi figure della cristianità1. La cultura cristiana poteva vantare un primato storico di rilievo sulle iniziative a sostegno dei poveri, dei malati, degli emarginati, e poteva avvalersi di valide interpretazioni teologiche sulla dignità e il diritto degli «ultimi» nelle società. Nel Diciannovesimo secolo, tuttavia, le nuove emergenze poste in essere dall’industrializzazione avevano accelerato i processi di impoverimento delle classi lavoratrici, causando effetti degradanti, acuti e diffusi. La povertà non sembrava più il frutto di comportamenti individuali improntati all’insensibilità per i bisogni altrui, o all’egoismo rapace, o alla scarsa determinazione a vivere in modo solidale i rapporti economici. Essa, invece, era la logica conseguenza di un sistema di produzione economico basato sul profitto del capitale finanziario. Le misure per contrastare la povertà fino a quell’epoca adottate si rivelarono insufficienti a opporre un argine efficace al dilagare delle sofferenze. I nuovi problemi 1 Su tutti, si veda I. Giordani, Il messaggio sociale del cristianesimo, Città Nuova, Roma, 2003 (I edizione 1960).

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istigarono il conflitto sociale e ideologico: la cristianità sembrò perdere terreno a favore della divulgazione delle nuove idee socialiste, le quali apparivano più idonee alla rappresentazione del bisogno di giustizia del proletariato. In Europa nacquero diverse correnti che, in seno al cristianesimo, affrontarono la questione sociale con una ricchezza di progetti e di iniziative di solidarietà e con adeguati strumenti teorici. Ricordiamo in questa sede i cristiano-sociali in Germania e Austria, la sezione di economia sociale dell’Opera dei Congressi in Italia, l’Opera dei circoli cattolici operai in Francia, l’Unione cattolica di studi sociali fondata a Friburgo. Gli indirizzi sviluppati non erano sempre del tutto unanimi. Attorno alla concezione della proprietà, alla natura del capitalismo, al ruolo dello Stato e delle corporazioni e alla confessionalità delle associazioni operaie, le opinioni oscillavano fra coloro che partivano da una valutazione irrimediabilmente negativa «delle cose nuove» (rerum novarum), ad altri che concepivano il mutamento sociale in modo meno drastico. Se, per esempio, non c’era molto da discutere attorno alla condanna della pratica dell’usura e della competizione che il moderno sistema industriale fondava tra il lavoratore e la macchina, sui problemi relativi alla restaurazione del sistema delle corporazioni si davano posizioni eterogenee, soprattutto attorno al ruolo dello Stato come ente regolatore. Come è noto, i fermenti confluirono nelle proposizioni dell’enciclica Rerum novarum, che Leone XIII promulgò nel 1891. Tale enciclica portò a compimento un percorso che il mondo cristiano aveva compiuto nei decenni precedenti, e di cui Ketteler fu uno dei principali esponenti, soprattutto in relazione alla cosiddetta «questione operaia». Egli ne presentò i caratteri peculiari nel 1869, all’assemblea dei vescovi tedeschi riuniti a Fulda, nell’est dell’Assia. La questione sociale non poteva essere sottovalutata dalla Chiesa cattolica. Non era uno dei tanti problemi a cui bisognava dedicarsi, ma l’importante sfida di quei tempi. Aveva un evidente e rilevante risvolto etico e costituiva una minaccia alla cristianità. Le filosofie politiche 78

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che erano sorte attorno ad essa attaccavano direttamente la religione cristiana, o mostrandone il contenuto ideologico, come faceva il marxismo, cioè concependo il cristianesimo come una sovrastruttura correlata al dominio del capitalismo (l’«oppio dei popoli»), o mettendo in risalto l’inadeguatezza della sua visione etica, come facevano i liberali. La questione sociale, spiegò Ketteler ai vescovi, nasceva a seguito del prevalere del capitale nelle relazioni sociali ed economiche. Favorito dall’abolizione delle barriere doganali, sostenuto dal libero scambio, dalla libertà d’iniziativa economica e dalla libertà di circolazione dei lavoratori, attraverso il sistema delle macchine e la conseguente divisione del lavoro, usufruendo anche del miglioramento del sistema dei trasporti e delle comunicazioni, il capitale s’imponeva agli artigiani, ai piccoli proprietari, ai piccoli commercianti e ai salariati, affermando la propria razionalità e costringendo, di fatto, la classe media, a precipitare nelle classi subalterne2. Per i lavoratori salariati, tutto questo si traduceva in un’esistenza regolata non più da princìpi morali, ma da leggi piegate alla logica materialistica, basata sul profitto. La loro dignità era quotidianamente calpestata dal gioco al ribasso delle condizioni di impiego suscitato dalla competizione con gli altri operai e dalla competizione con il lavoro delle macchine industriali. Il risultato era che il salario scendeva al livello minimo di sopravvivenza, e spesso anche al di sotto. Il lavoratore era senza alcuna garanzia, in caso di malattia o di disoccupazione. La sua esistenza si sviluppa in un contesto in cui non c’era posto per la speranza di miglioramento delle proprie condizioni. Egli era in balìa di forze estranee, sprigionate dal moderno sistema industriale. Ai vescovi riuniti a Fulda, Ketteler non risparmiò i contorni di uno scenario preoccupante. Il cristianesimo rischiava di 2 W.E. Ketteler, Bischöfliches Referat für die Konferenz der hochwürdigsten Bischöfe Deutschlands zu Fulda im September 1869. Tale relazione fu pubblicata nei Christlich-soziale Blätter, 1869, n. 10. Ora in Johannes Mumbauer, Wilhelm Emmanuel von Kettelers Schriften. Band III: Soziale Schriften und Persönliches, cit., p. 146.

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soccombere di fronte alle istanze culturali implicite nel capitalismo. Bisognava aggiornare i modi con cui esso arrivava a portare conforto e sostegno alle cause dei più deboli3. Ma prima ancora, osservò Ketteler anticipando i temi sull’alienazione, bisognava ri-umanizzare tali masse, per poterle poi cristianizzare. La Chiesa cattolica era una fra le istituzioni più legittimate a intervenire per risolvere la questione sociale. A Fulda, Ketteler elencò sette ragioni a sostegno della sua tesi. 1) Da sempre la Chiesa si era occupata della questione sociale, in ogni epoca e in ogni contesto; 2) la questione sociale toccava il depositum fidei, perché essa si manifestava con teorie e fatti apertamente in contraddizione con la legge naturale, proponendo un sistema sociale e politico inaccessibile al cristianesimo; 3) tale inaccessibilità si rivelava nel fatto che mentre nel mondo antico il padrone poteva trattare il proprio schiavo come una persona, nel mondo moderno, formalmente libero, il datore di lavoro non intratteneva alcun tipo di rapporto sociale con il salariato, anzi spesso lo identificava al pari di una mera risorsa produttiva, in modo impersonale; 4) gli operai erano dunque sull’orlo del baratro, perché tali circostanze gli impedivano di riconoscere nelle verità del cristianesimo i mezzi per la loro salvezza; 5) trovandosi in tale massimo pericolo, la Chiesa doveva avere una speciale premura nell’andare loro incontro offrendo la propria carità e un sostegno adeguato; 6) la salvezza che la Chiesa proponeva all’umanità era la salvezza della classe operaia, per cui mancare tale sfida avrebbe significato il fallimento della missione della Chiesa; 7) se la Chiesa non si occupava dei lavoratori salariati, allora essi saranno persi per sempre, attratti dalle sirene dei partiti politici anticristiani, liberali o socialisti4. Ketteler trattò la questione sociale lungo gran parte della sua vita intellettuale. Già nelle Predikten tenute alla cattedrale di Magonza nel 1848 s’era soffermato sulla questione del diritto di proprietà e sui doveri della carità cristiana. Riprese e ampliò tali 3 Ivi, 4

pp. 149-154. Ivi, pp. 162-166.

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temi in Libertà, autorità, Chiesa, del 1862, e soprattutto nella sua opera più conosciuta, cioè La questione operaia e il cristianesimo, del 1864.

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2 La questione operaia Quando chiesero a Ketteler il permesso di tradurre Die Arbeiterfrage und das Christentum in italiano, i curatori poterono citare la risposta ricevuta in data 5 febbraio 1870, nella quale «Mons. Vescovo […] acconsentiva con piacere a questa Pubblicazione, aggiungendo il desiderio di vedere annesso a questa versione un suo ultimo Discorso sullo stesso argomento da lui recitato nello scorso Settembre ad una numerosa e plaudente Assemblea di operai delle Fabbriche di Offenbach, dove sono recati nuovi lumi sulla grande Questione, secondo gli ultimi nuovi progressi fatti da essa»5. Dunque fu lo stesso Ketteler a indicare La questione operaia e il cristianesimo e il Discorso sulla natura e le aspirazioni del movimento operaio in relazione alla religione e alla morale come i due contributi importanti per comprendere la sua posizione attorno alla questione sociale. Tali scritti nacquero in circostanze diverse, e furono elaborati in vista di obiettivi altrettanto differenti. Già è stato messo in rilievo come il primo, del 1864, rispondeva all’esigenza di Ketteler di porre rimedio alle invasioni di campo attuate dal liberalismo tedesco e dalle pericolose, quanto attraenti, soluzioni socialiste. Il secondo è datato 25 luglio 1869, e fu una conferenza svolta agli operai e ai loro familiari, convenuti presso un santuario della diocesi di Magonza. Si trattava di presentare ai lavoratori la posizione del cristianesimo rispetto alle loro esigenze e alle loro rivendicazioni legittime. Se il primo scritto affrontava la questione operaia dal punto di vista etico ed economico, sostenuto in conflitto con le principali forze politiche, il secondo, cioè 5 Nota riportata dai traduttori in W.E. Ketteler, La questione operaia e il cristianesimo, Tipografia Merlo, Venezia, 1870, p. 4.

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il discorso agli operai, scendeva sul piano delle rivendicazioni sociali puntuali. In La questione operaia e il cristianesimo, Ketteler formulò cinque proposte per la soluzione della questione operaia. Le prime tre non erano originali: gli istituti di assistenza ai poveri; la famiglia cristiana; la formazione umana e professionale degli operai. Le ultime due, trattate nel paragrafo successivo, erano invece specifiche: le associazioni di categoria e le associazioni produttive. In relazione alla prima proposta, gli istituti di assistenza ai poveri, Ketteler osservò che gli istituti di soccorso organizzati dal Partito Liberale non riuscivano neanche lontanamente a offrire un servizio pari a quello delle organizzazioni ispirate dalla carità cristiana. D’altronde, occuparsi degli strati infimi della società non era facile. A suo avviso, era necessaria una motivazione profonda, sostenuta dall’intenzione di donare la propria vita per uno scopo superiore, ideale, che la religione cristiana poteva assicurare, mentre il Partito Liberale no. Al massimo i liberali potevano offrire una remunerazione e, in tal senso, appena l’impiegato preposto all’assistenza avesse trovato un posto di lavoro migliore, meglio pagato o più decoroso, se ne sarebbe andato. Di conseguenza, a quel tempo gli istituti nati sotto l’egida dello Stato finivano spesso per reclutare personale poco motivato, o in attesa di una migliore occupazione. Il livello della prestazione era basso. Ketteler citò i casi che ebbe modo di conoscere direttamente, nei quali rilevò la scarsa efficienza delle strutture gestite dallo Stato: «molte di loro si trovano in uno stato di trascuratezza, dove da un lato regnano sudiciume, svogliatezza e sregolatezza, dall’altro si rimane indifferenti verso tutta questa mancanza»6. Gli istituti cristiani, invece, riuscivano con efficacia a curare gli operai inabili. Avevano una lunga esperienza alle spalle, perché le iniziative e le opere di carità e di mutuo soccorso che il cristianesimo aveva generato potevano risalire ancora ai secoli precedenti. Il personale, 6

W.E. Ketteler, Die Arbeiterfrage und das Christentum, cit., p. 97; tr. it., p. 113.

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poi, non aveva solo la professionalità, ma la vocazione a quel genere di lavoro. Osservò Ketteler che potevano impiegare, nell’esercizio della propria mansione, una motivazione addirittura superiore a quella dei parenti più stretti dei pazienti, i quali spesso si ritraevano davanti alla difficile e degradata situazione del congiunto, mentre l’infermiere cristiano vedeva nelle sofferenze di quel prossimo la ragione specifica della sua missione religiosa. Per queste ragioni sarebbe stato meglio puntare sulla Chiesa per provvedere alle necessità dei bisognosi, mentre il Partito Liberale agiva in direzione opposta. Esso, difatti, sottraeva risorse alla Chiesa, sequestrava i suoi beni riservati agli istituti di assistenza, cioè i ricoveri e gli istituti sanitari, rendendo ancora più precarie e difficili le condizioni della classe operaia. Ketteler ricordò il tentativo effettuato da una sezione del Partito Liberale per denigrare le suore cattoliche e le loro opere di assistenza, in particolare a Vienna, ad Augusta e nella sua Magonza, dove fu «testimone oculare» dell’ingiustizia commessa, le cui conseguenze erano state pagate soprattutto dai poveri. La famiglia, al centro della seconda proposta, era un altro fattore decisivo per la situazione della classe operaia. Ketteler non trattò la famiglia dal punto di vista teologico e catechetico, ma ne esplorò il quadro sociologico. In linea con la formazione aristotelico-tomista, aveva una concezione organicistica della società, nella quale l’individualità era immersa in una serie di legami sociali da cui si ricavavano benefici materiali, affettivi e spirituali. Recidere tali legami significava, perciò, gettare l’individuo in una situazione peggiore, precaria, sprovvista degli elementari benefici che si potevano ricavare dalla vita comunitaria. La famiglia, in questo senso, era la comunità più importante. Ketteler osservò come le politiche liberali ne stavano svuotando il significato religioso, trascendente, per farne un consorzio qualsiasi, piegato all’arbitrio umano, fondato sull’assoluta libertà di contrarre e sciogliere il matrimonio. Il risultato era che la stabilità del rapporto umano veniva misurata esclusivamente in funzione del principio di utilità, il quale era connesso, nella concezione 83

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materialistica della filosofia liberale, alla percezione di uno stato di felicità circostanziato, estemporaneo. Indebolire la famiglia, di conseguenza, significava sottrarre a ciascuno dei suoi membri le possibilità di regolare la propria esistenza contando su una rete di relazioni capace di attenuare i rischi dell’esposizione individuale ai cambiamenti sociali in atto. I benefici di una famiglia sana erano evidenti, per Ketteler. La famiglia era sorgente di moderazione dei costumi, e ciò produceva anche benefici sociali ed economici. Era al servizio della formazione delle nuove generazioni, e ciò portava a generare socialità e a trasmettere cultura e valori ai cittadini dell’avvenire. Era un’unità economica dove si valorizzavano le risorse economiche e se ne faceva un’oculata gestione. Il misero salario era custodito in una famiglia cristiana in modo più avveduto rispetto a situazioni più disordinate, senza i punti di riferimento della famiglia naturale. Indebolire la famiglia significava disgregare la società e favorire la dissipazione delle risorse a disposizione degli operai. Lungi dall’avere una posizione meramente moralistica sull’argomento, Ketteler sollecitò in diverse circostanze gli operai a vivere con morigeratezza le relazioni affettive. Le sregolatezze di una vita sessuale spesa al di fuori dell’ordine naturale della famiglia cristiana producevano dissipazione economica e promiscuità, a cui seguivano problemi di carattere medico-sanitario accertati. Conosciamo i particolari del degrado nel quale gli operai vivevano la propria vita sessuale dalle pagine di Engels de La situazione della classe operaia in Inghilterra. La precarietà della vita economica, la fragilità dei rapporti familiari, la scarsa educazione dei giovani, la mercificazione di ogni rapporto sociale, abbandonavano gli operai e le operaie in una situazione di promiscuità sessuale aggravata da fattori moltiplicatori incontrollabili. Engels descrisse ogni cosa con dovizia di particolari7, osservando come la riduzione intellettuale e civile dei membri della classe 7

F. Engels, La situazione della classe operaia in Inghilterra, cit., pp. 132ss.

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operaia «al livello della bestialità»8 implicava la vacuità di ogni considerazione sulla loro responsabilità morale. Ketteler parlò della «purezza dei costumi» come di un fattore decisivo per la salute degli operai, al pari di un’alimentazione adeguata, un’aria salubre e un alloggio confacente ai bisogni reali. La sregolatezza sessuale, portata al livello istintuale, conduceva gli uomini, e l’intero popolo, verso l’abiezione e favoriva la trasmissione sessuale di malattie pericolose. E non era – ribadì – la natura a determinare la maggiore propensione alle perversità o la maggiore moderazione degli appetiti sessuali, perché gli unici fattori da tenere in considerazione per spiegare le differenze nel comportamento sessuale dovevano essere di tipo culturale, educativo, morale, non di razza, di etnia, di ceto o di classe. Si tenga presente che esisteva all’epoca il pregiudizio per cui il controllo delle passioni fosse più evoluto in alcune culture e nazionalità, mentre ne erano privi alcune razze e gruppi sociali. È probabile, al contrario, che Ketteler, durante gli anni spesi al servizio delle famiglie povere della sua Chiesa, sia stato testimone delle nefandezze a cui si abbandonavano i membri delle classi superiori, i quali sfruttavano le miserie dei poveri anche dal punto di vista sessuale. Il monito che lanciò agli operai radunati a Liebfrauen-Heide, in tal senso, era chiaro: non dovete tollerare che nelle fabbriche i dirigenti abusino della loro posizione per indurre le operaie al vizio. Dovete guardarvi bene dal diventare, per il vostro tornaconto o per timore di perdere il lavoro, complici delle malefatte di tali capi senza scrupoli. Spesso una parte degli operai è a conoscenza della meschinità di questi dirigenti, ma è difficile trovare qualcuno con il coraggio di affrontarli. E così un individuo depravato e immorale può continuare, indisturbato, a corrompere persone innocenti9. 8

Ivi, p. 102. W.E. Ketteler, Die Arbeiterbewegung und ihr Streben im Verhältnis zu Religion und Sittlichkeit. Eine Ansprache gehalten auf der Liebfrauen-Heide am 25. Juli 1869. Ausgabe von Johannes Mumbauer, Wilhelm Emmanuel von Kettelers Schriften. Band III: Soziale Schriften und Persönliches, cit., p. 208. 9

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La sua raccomandazione indicava l’ampiezza di un fenomeno che era già stato denunciato da altri, in particolare da Engels, il quale nella sua inchiesta sulle condizioni della classe operaia in Inghilterra ebbe modo di osservare che «sotto altri aspetti l’operaio è lo schiavo del suo padrone. Se al ricco signore piace la moglie o la figlia dell’operaio non ha che da disporne; basta un cenno, ed essa sarà costretta a offrirgli la sua bellezza»10. Il profilo economico di tale questione non era limitato solo alla facilità con la quale la depravazione portava a sciupare i propri soldi. Ketteler mise in evidenza i caratteri primordiali di quella che oggi verrebbe chiamata “industria del porno”, cioè la produzione di un apparato di beni inerenti al consumo sessuale. Si deve ricordare che, nel Diciannovesimo secolo, una delle piaghe sociali era la diffusione della prostituzione, e difatti anche Engels mise in evidenza, nella ricerca citata in precedenza, che i quartieri proletari diventavano i postriboli della classe borghese. Quanto dice Ketteler, però, è più elaborato e non si limita alla piaga della prostituzione: Si aggira uno spirito assai impuro nel mondo. Tanti sono i giornali al suo servizio, divulgati a un popolo ancora prevalentemente cristiano. Quotidianamente si propongono alla gente divertimenti sconvenienti e, addirittura, sono gli stessi organi del Partito Liberale che li esaltano come mezzi per ottenere il più sublime piacere della vita. I loro racconti sono spesso elogi della depravazione e di tutte quelle infrazioni nel campo della morale atte a distruggere il matrimonio cristiano e la famiglia cristiana. Nei teatri delle grandi città, dove presumibilmente si dovrebbe propagare la cultura, nei romanzi eleganti scritti per queste classi sociali, fino ai piccoli giornali popolari che vengono diffusi e 10 F. Engels, La situazione della classe operaia in Inghilterra, cit., p. 213. La letteratura su tale argomento è ampia. Si segnalano, solo per il caso inglese, considerato singolare per via del contrasto col perbenismo dell’epoca vittoriana, i seguenti: J. Walkowitz, Prostitution and Victorian Society, Cambridge University Press, Cambridge, 1982; P. Levine, Prostitution, Race and Politics, Routledge, London, 2003.

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distribuiti, vengono esposti frequentemente indecenza, lascivia e addirittura adulterio11.

La strategia del capitalismo era evidente. L’appagamento dei desideri materiali era al servizio dell’asservimento dell’operaio alle passioni egoistiche, al disfacimento dei suoi legami naturali, in primis la famiglia, all’isolamento sociale. Si trattava di una macchina che faceva soldi alimentando se stessa. Vendeva agli operai facili piaceri, i quali lo destabilizzavano socialmente e culturalmente, lo isolavano, e lo rendevano vulnerabile rispetto alle politiche di sfruttamento del capitale. Nel discorso del 1869, Ketteler tornò abbondantemente su tale questione. Fra le rivendicazioni legittime degli operai indicò il divieto di impiegare minori, donne, madri e ragazze in fabbrica. Servendosi anche delle parole di Jules Simon, un filosofo e statista francese che, qualche anno prima, aveva scritto un volume sulla condizione dell’operaia nelle fabbriche moderne12, Ketteler collegò l’indigenza della famiglia operaia con l’occupazione delle madri in fabbrica. Il fenomeno aveva un effetto distruttivo per la famiglia intera. La prole cresceva senza controllo e priva di educazione, il nucleo familiare non aveva un perno in grado di gestire l’economia quotidiana. Le descrizioni di Simon per i distretti industriali francesi coincidevano con quanto stava avvenendo in Germania. Ketteler poté concludere, con Simon, che «ogni aumento del salario è infruttuoso per gli operai, se non si provvede al loro progresso morale, e che ogni progresso morale dipende, in ogni caso, dal miglioramento della condizione della vita familiare»13.

11

W.E. Ketteler, Die Arbeiterfrage und das Christentum, cit., p. 103; tr. it., p. 117. J. Simon, L’ouvrière, Hachette, Paris, 1862; tr. tedesca, Die Arbeiterin, E. Kiesling, Zürich, 1862. 13 W.E. Ketteler, Die Arbeiterbewegung und ihr Streben im Verhältnis zu Religion und Sittlichkeit. Eine Ansprache gehalten auf der Liebfrauen-Heide am 25. Juli 1869, cit., p. 194. 12

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Per quanto concerneva il lavoro minorile, di fronte agli operai di Liebfrauen-Heide, Ketteler usò parole di ferma condanna ma anche di comprensione per quelle istanze, frutto della miseria, che ammettevano la sua possibilità. Il cristianesimo, ad ogni modo, sosteneva l’abolizione del lavoro minorile, mentre lo Stato liberale, a seguito di alcune precise denunce, ne aveva solo limitato alcuni aspetti. Le denunce erano state condotte da Friedrich Wilhelm Fritzsche, capo del sindacato dei lavoratori dei sigari, il quale aveva potuto esporre le condizioni dei minori in fabbrica a partire dalla propria esperienza personale, che lo vide fin da bambino impiegato in fabbrica. Le descrizioni delle condizioni terribili e di corruzione morale che vivevano i minori erano ben conosciute da Ketteler, che le confermò. Le parole di Ketteler a proposito del lavoro minorile furono dure: «un’atroce infamia del nostro tempo»14. La funzione della famiglia era decisiva nel migliorare le condizioni della vita degli operai e, in essa, il ruolo della madre era nevralgico. In Germania, poteva dire Ketteler nel 1869, il fenomeno del lavoro femminile in fabbrica non aveva ancora raggiunto l’ampiezza dei casi inglese e francese. Tuttavia proprio da quelle esperienze si dovevano trarre gli insegnamenti necessari per evitare le conseguenze negative. Oltre alla questione strettamente morale, la presenza delle donne incideva anche sul salario complessivo. Ketteler coglieva con precisione il meccanismo per cui la valutazione inferiore delle necessità delle donne portava a un divario salariale fra operai e operaie che, di fatto, abbassava, nel regime concorrenziale del lavoro, anche il salario degli uomini. Paradossalmente, come era accaduto in Inghilterra, si producevano situazioni nelle quali gli uomini rimanevano a casa ad accudire i figli, mentre le donne, lavoratrici con un salario inferiore, andavano in fabbrica. La terza proposta chiamava in causa la «vera formazione degli operai». Essa era quella che il cristianesimo poteva fornire, 14

Ivi, p. 201.

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con i suoi insegnamenti e la sua storia. Queste sono le pagine più filosofiche de La questione operaia e il cristianesimo. Era evidente che le culture etiche e politiche promosse dalle filosofie liberali e socialiste non erano in grado di migliorare la situazione degli operai. Il riscatto sociale delle classi lavoratrici passava per il progresso morale degli operai. La sfida formativa, dunque, era prevalentemente etica ed essa non era circoscritta alle masse lavoratrici, ma allo sviluppo civile dello stesso mondo occidentale. La questione operaia, in altre parole, era la questione di una civilizzazione che stava smarrendo i propri punti di riferimento. I princìpi etici e sociali che la modernità avanzava erano il risultato di una concezione dell’uomo che il cristianesimo aveva rivoluzionato. Libertà e uguaglianza erano pressochè sconosciuti al paganesimo antico, e l’ellenismo e il mondo romano non riconoscevano al resto dell’umanità una dignità pari alla propria (per non parlare della concezione della donna nel mondo greco). Il mondo moderno avrebbe dovuto riconoscere che i suoi valori politici erano il portato di una concezione antropologica cristiana, e dunque invece di combattere il cristianesimo sarebbe dovuto partire proprio da lì. Ecco il grande rammarico di Ketteler, il quale osservò come le cose buone che la modernità proponeva erano direttamente collegate alla dottrina cristiana. Con una differenza, però: la concezione cristiana era in grado di dare un fondamento e una giustificazione teologica ai princìpi sociali mentre le altre concezioni non potevano riuscirvi, una volta che avevano divorziato dalla religione cristiana. Al fianco della dignità e dei diritti della persona, il cristianesimo prefigura anche un corredo di doveri, fra i quali anche quello di sviluppare le proprie attitudini. Solo in questo quadro complessivo era possibile sollecitare gli operai a superare le sfide impiegando ogni goccia del proprio sudore, non certo col generico, e ripetuto «fino all’estrema noia»15, invito dei liberali a cavarsela con le proprie forze (Selbsthilfe). La differenza stava 15

W.E. Ketteler, Die Arbeiterfrage und das Christentum, cit., p. 111; tr. it., p. 123.

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nel riferimento esclusivo del liberalismo al paradigma utilitaristico, che ad avviso di Ketteler era incapace di affrontare la questione operaia, di giustificare l’ingiustizia sociale, di fornire agli operai una ragione per non ribellarsi. Il modello di vita felice che sosteneva era contraddittorio. Basato solo su presupposti materiali, gettava in una perenne disperazione i lavoratori salariati. Se il fine ultimo era l’appagamento dei bisogni materiali, se il fine della convivenza pubblica era la soddisfazione individuale, come poteva l’operaio giustificare la propria situazione? Fu in tale frangente che Ketteler accompagnò spesso il liberalismo con l’aggettivo “miscredente”. Esso, infatti, aveva screditato il cristianesimo, organizzato la società su basi edonistiche, avanzato un’idea di felicità intesa come soddisfazione delle cose terrene. Esso propagandava fini consumistici a cui gli operai erano esclusi. Non solo, con la loro miscredenza, i liberali privavano gli operai degli unici ideali in grado di dare un senso alla loro sofferenza, cioè quelli dell’etica cristiana. Il risultato era doppiamente negativo. L’etica liberale non poteva condurre a nulla di buono e giustificava la rivoluzione politica anelata dai socialisti.

3 Le soluzioni Le prime tre proposte, famiglia, educazione e solidarietà, appartenevano alla struttura principale degli insegnamenti sociali del cristianesimo. La loro connessione con la teologia morale era evidente. La loro validità rimaneva inalterata, perché in qualsiasi posto, a qualsiasi livello dello sviluppo socio-economico, la difesa dell’istituto familiare, la formazione ai princìpi cristiani, il dovere di solidarietà, erano parte del messaggio sociale del cristianesimo. Le ultime due proposte, invece, nascevano proprio come misure specifiche per la questione operaia nel Diciannovesimo secolo. Entravano nel vivo di uno Stato di diritto che formalmente 90

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assicurava pari opportunità ai propri cittadini, in un contesto però irrimediabilmente destinato a divaricare la forbice fra ricchi e poveri. In sintesi, tali proposte erano le associazioni di categoria (quarta proposta) e le associazioni produttive (quinta proposta). In entrambi i testi che lo stesso Ketteler ci ha suggerito di considerare per entrare nel suo punto di vista sulla questione operaia, cioè La questione operaia e il cristianesimo e il Discorso sulla natura e le aspirazioni del movimento operaio in relazione alla religione e alla morale, i discorsi si intrecciano in una trama teorica e pratica che fonda la concezione della Chiesa sul sindacato, lo sciopero e la lotta dei lavoratori. Il punto di partenza era l’associazione. Sul versante liberale, l’affermazione dell’autosostegno (Selbsthilfe) e l’auto-mutuo sostegno (soziale Selbsthilfe) aveva complicato ciò che, invece, era assai chiaro alla concezione cristiana. Vivere in società era una legge di natura, osservò Ketteler in linea con la concezione sociale aristotelica e tomista, e ciò significava che anche i lavoratori avevano il diritto di associarsi, per difendere meglio la propria causa. Il timore dei liberali era che gli operai pretendessero che qualcosa (lo Stato) o qualcuno (i capitalisti) provvedessero alle loro necessità attraverso la violazione dei princìpi di libertà economica e politica. Ketteler osservò che tale timore era infondato in un sistema sociale concepito secondo l’etica del cristianesimo: se l’operaio e l’associazione operaia si sostengono da loro fino a quanto gli è possibile, cioè non usufruiscono di aiuti esterni che possano alimentarne la pigrizia, allora hanno il diritto naturale e ragionevole di accettare l’aiuto da dovunque arrivi, dove gli fosse offerto legittimamente e servisse al rafforzamento dei loro scopi16.

In tale passaggio si può leggere una primordiale enunciazione del principio di sussidiarietà (che approfondiremo nel capitolo 16

Ivi, p. 118; tr. it., p. 129.

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successivo). Nel quadro del diritto naturale, in linea con l’idea di sussidiarietà, la filosofia cristiana concepiva la trama di relazioni sociali fra le persone, i gruppi e le comunità più grandi, come caratterizzata dalla solidarietà economica. Ecco perché il cristianesimo non solo doveva tollerare l’associazione degli operai, ma «plaude con gioia al sostegno delle associazioni operaie e ne incentiverà le iniziative»17. D’altronde, il cristianesimo credeva che la realtà associativa fosse un modo per la persona di procedere al perfezionamento di sé, dunque aveva particolarmente a cuore le organizzazioni sociali. Rispetto alle altre, la filosofia cristiana concepiva l’associazione non solo come un legame fra individui in vista del conseguimento di un interesse comune. Essa, in realtà, assolveva al bene di ciascun consociato, al tempo stesso ciascuna persona operava finalizzando al bene comune le proprie scelte. La visione organicistica del cristianesimo utilizzava la metafora del corpo per spiegare l’equilibrio fra il tutto e le parti, nell’ottica del bene di ciascuno e dell’insieme. In La questione operaia e il cristianesimo l’excursus compiuto è di carattere teorico, e furono citati due esempi di associazioni cristiane realizzate secondo tale programma teorico: le “Associazione degli artigiani” e le “Associazioni dei garzoni” di Kolping. Nel discorso a Liebfrauen-Heide, di fronte agli operai, Ketteler utilizzò argomenti di fattura strettamente politica. Qual era la risposta dell’etica cristiana rispetto all’esigenza dei lavoratori di associarsi? L’associazione era un passaggio reso necessario dalle dinamiche socio-economiche in atto, e il cristianesimo doveva benedire e accompagnare tale passaggio, al fine di impedire che la classe lavoratrice finisse per essere manipolata da interessi diversi dai propri. Associarsi era necessario perché non c’era altra strada per difendersi, sottolineò Ketteler. I princìpi dell’economia politica, difatti, si basavano sulla concezione assoluta di libertà, la quale si manifestava come una forza che aveva gettato nella miseria l’operaio, isolandolo da tutti i legami 17

Ibid.

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sociali stabili. L’operaio era divenuto, cioè, un individuo che disponeva di un’unica risorsa, la forza lavoro, e munito solo di essa si era trovato di fronte al potere economico del capitalismo. Quest’ultimo, invece di disgregarsi secondo la dinamica che aveva colpito l’operaio, si era concentrato, rafforzandosi, per cui il conflitto sociale che ne nacque ha visto puntualmente le classi operaie soccombere: I princìpi della moderna economia politica acuirono il contrasto tra la forza lavoro dell’operaio e il potere economico del capitalista […] L’operaio rimase isolato, mentre il potere economico si concentrò. La massa operaia fu dissolta in singole unità, ogni individuo ridotto all’impotenza; il potere economico, invece, non subì lo stesso destino, dividendosi in piccoli possessori del capitale, al contrario si concentrò in aggregati via via più grandi […] I legami fra gli uomini vennero recisi, e al loro posto prese il sopravvento un’alleanza monetaria in spaventosa espansione. Da questo nacquero, laddove poterono svilupparsi senza alcun freno, le situazioni più disastrose per gli operai18.

Il problema che Ketteler mise in rilievo era un altro. Cosa avrebbe implicato l’adesione dei lavoratori cristiani alle associazioni sorte per difendersi dal capitalismo? Tutto dipendeva dalle reali intenzioni dei capi di tali associazioni. Da quale punto di vista etico si facevano portavoce degli interessi degli operai? Per esempio, erano mossi da interessi particolari? In tal caso, non c’era scampo. Osservò Ketteler che al di fuori dell’etica cristiana, era facile che prevalessero i giochi egoistici. La riprova era nel fatto che i leader sindacali erano spesso in disaccordo fra loro su quale fosse il bene dei lavoratori «e si rimproverano reciprocamente l’egoismo che fino a poco prima avevano rinfacciato 18 W.E. Ketteler, Die Arbeiterbewegung und ihr Streben im Verhältnis zu Religion und Sittlichkeit. Eine Ansprache gehalten auf der Liebfrauen-Heide am 25. Juli 1869, cit., pp. 187-188.

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ai capitalisti»19. La preoccupazione di Ketteler non era lontana da quella di Marx, il quale metteva in guardia la classe operaia di non cedere alle lusinghe provenienti dagli espulsi dal mondo borghese che si facevano portavoce degli interessi dei lavoratori, perché questi erano probabilmente mossi dal desiderio egoistico di recuperare le posizioni perdute. Il problema, ovviamente, riguardava una classe operaia che non era in grado di esprimere, da sé, i propri capi, in considerazione delle precarie, se non impossibili, situazioni in cui i suoi membri avevano potuto ricevere una qualche istruzione intellettuale, necessaria per difendere con competenza le cause del proletariato. Per tali ragioni, il problema della formazione dei capi delle associazioni dei lavoratori era avvertito come un’emergenza e un pericolo. Ketteler lo risolse eticamente. In gioco vi erano interessi e conflitti che contrappongono i più poveri ai più ricchi, depotenziare il conflitto e favorire la soluzione della classe operaia era l’obiettivo principale. Esso non poteva essere perseguito con l’egoismo di posizioni personali, né con l’egoismo di classe. Ricordiamo quanto Ketteler aveva precisato in La questione operaia e il cristianesimo, e che faceva parte della generale concezione cristiana attorno al bene comune: ogni organismo sociale è preposto affinché il bene del tutto sia mutuamente coordinato al bene delle parti. Ne conseguiva l’impossibilità di avanzare egoismi personali o egoismi di classe, che soddisfacessero cioè gli interessi delle masse lavoratrici a danno di qualche altra forza sociale. L’analisi di Ketteler delle dinamiche che giustificavano ed esortavano l’associazionismo operaio era suffragata dall’esperienza inglese, la quale aveva mostrato l’utilità delle trade unions. Esse rispondevano a un movimento che era «legittimo e benefico, anzi necessario»20. Negli anni Sessanta del Diciannovesimo secolo, dunque, la dottrina cristiana è interpretata da Ketteler in modo da approvare, sostenere e raccomandare le associazioni operaie costituite 19 20

Ivi, p. 189. Ivi, p. 188.

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in vista della difesa degli interessi, e non solo come organizzazioni di mutuo soccorso, ma come realtà atte a difendere e promuovere i diritti dei lavoratori. Tale posizione, espressa con chiarezza teorica e giustificata storicamente da Ketteler, non era comune a tutte le voci in seno alla cristianità. C’era chi mostrava ostilità verso i sindacati, perché temeva che finissero, in ogni caso, ad alimentare la lotta di classe, e dunque a fare il gioco del socialismo. Altri ancora erano pessimisti circa la possibilità che un sindacato cristiano potesse sottrarsi dai meccanismi di violenza che s’innestavano durante le manifestazioni di rivendicazione e protesta21. Ma non era solo all’interno del mondo cristiano che si avanzavano dubbi sulla presenza e l’azione dei sindacati. Le organizzazioni sindacali faticarono ad ottenere un riconoscimento giuridico. Alla metà del Diciannovesimo secolo vigevano ancora, nella maggior parte degli Stati europei, legislazioni sociali influenzate da una sorta di pregiudizio secondo il quale l’associazione dei lavoratori rappresentava una minaccia per l’ordine pubblico22. Spesso tali leggi muovevano da presupposti differenti, eppure giungevano alle medesime conclusioni: era di fatto impedita l’associazione dei lavoratori e severamente sanzionato lo sciopero. Ricordiamo, ad esempio, che la legge Le Chapelier fu promulgata in Francia nel 1791, sull’onda rivoluzionaria. In nome del principio della liberté du travail, essa metteva nelle mani del lavoratore la sua forza lavoro, sottraendola al governo delle realtà corporative, considerate come istituti superati che frenavano le ambizioni individuali. L’intenzione di ostacolare la formazione delle corporazioni, attraverso il «delitto di coalizione» previsto dalla legge Le Chapelier, ebbe come risultato, nel Diciannovesimo secolo, il divieto delle organizzazioni sindacali. Tale legge verrà 21 L.R. Sanseverino, Il movimento sindacale cristiano, Zuffi, Roma, 1950, Introduzione e cap. 1, parte II. 22 Un classico su questo argomento è L. Chevalier, Classes laborieuses et classes dangereuses à Paris pendant la première moitié du XIXe siècle, Libraire Plon, Paris, 1958; tr. it., Classi lavoratrici e classi pericolose. Parigi nella Rivoluzione industriale, Laterza, RomaBari, 1976.

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abrogata, in Francia, solo nel 1864, la data de La questione operaia e il cristianesimo. L’inglese Combination Acts, al contrario, fu predisposto per impedire le derive rivoluzionarie avvenute in Francia. Lo spirito della legge era di sfavorire il raggruppamento degli interessi dei ceti umili, il cui esito poteva risultare dannoso per gli equilibri sociali in atto. Le punizioni contro chi si associava col fine di rivendicare un salario più alto o di interrompere l’attività di lavoro (sciopero) erano particolarmente dure. Tale legge sorse nel 1799 e cessò di esistere nel 1824, mentre nel 1817 fu promulgata la Coercion Act, contro i raggruppamenti operai, volta a reprimere le violenze durante le manifestazioni dei lavoratori. In Germania, nel 1878, Bismarck promulgò le Sozialistengesetze, che vietavano le organizzazioni sindacali e gli scioperi e, in generale, le iniziative riconducibili al socialismo tedesco23. Il discorso di Ketteler attorno alle ragioni dell’organizzazione sindacale e alla posizione della Chiesa rispetto ad esse contenevano, dunque, delle novità rilevanti. La misura di tale novità è maggiore se si pensa che nel medesimo discorso Ketteler accennò anche allo sciopero, citando l’effetto benefico che da esso si poteva ricavare. Tale considerazione partiva dalla constatazione dei risultati conseguiti in Inghilterra dalle interruzioni del lavoro, al fine di ottenere gli aumenti salariali: Lo strumento principale adottato dalle trade unions contro il capitale e i grandi imprenditori furono gli scioperi. Si è sovente commentato che tali scioperi producono più danni che benefici agli operai, perché comportano ritardi nella produzione e provocano la decurtazione del salario nei lavoratori che fermano il lavoro. Ciò non è vero, sotto ogni aspetto. Come ebbe modo di dimostrare con efficacia l’inglese Thornton, gli scioperi favorirono l’incremento dei salari. Negli ultimi quarant’anni, cioè da quando le trade unions cominciarono la loro attività, il salario è 23 H. Bartel, W. Schroeder, G. Seeber, Das Sozialistengesetz. 1878-1890 Illustrierte Geschichte des Kampfes der Arbeiterklasse gegen das Ausnahmegesetz, Dietz, Berlin, 1980.

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salito in alcuni settori del 50%, in altri dal 25 al 30%, e complessivamente almeno del 15%. Thornton sottolineò come l’adesione allo sciopero degli operai accusò all’inizio lo svantaggio della diminuzione della paga, ma che a seguito della loro iniziativa furono concessi, ovunque, aumenti del salario, a conferma che quello svantaggio era solo apparente. Seguendo l’esempio delle trade unions, si formarono anche in Germania tali associazioni, a cui non pochi di voi aderiscono24.

Lo sciopero era uno dei pochi mezzi a disposizione per ottenere qualcosa dai padroni. Era l’arma che i più deboli potevano impiegare per non soccombere di fronte alla potenza economica. Il clima politico era tale, probabilmente, da non consentire a Ketteler un approfondimento del diritto allo sciopero, ma il passaggio svolto era comunque chiaro. Lo sciopero era ammissibile e doveva essere considerato come un’opzione per l’iniziativa operaia. Attraverso di esso, gli operai potevano ottenere un aumento del proprio salario. Ketteler osservò come questo fosse un caposaldo della concezione cristiana del lavoro. Esso non andava calcolato come un qualsiasi bene sul mercato, regolato dalla legge della domanda e dell’offerta, calibrato cioè sulle minime condizioni di sopravvivenza del lavoratore, ma esso doveva essere misurato «in proporzione al vero valore del lavoro»25. Come sarà sottolineato dal pensiero sociale cristiano nel Ventesimo secolo, tale «vero valore» deve essere concepito a partire dal fatto che il lavoro è compiuto dall’uomo. Significa, per usare le parole di Ketteler, «restituire al lavoro umano e all’operaio la dignità che gli era stata sottratta»26, una volta che il suo lavoro era invece entrato in competizione con quello della macchina27. 24 W.E. Ketteler, Die Arbeiterbewegung und ihr Streben im Verhältnis zu Religion und Sittlichkeit. Eine Ansprache gehalten auf der Liebfrauen-Heide am 25. Juli 1869, cit., pp. 190-191. 25 Ivi, p. 191. 26 Ibid. 27 La dottrina sociale cristiana approfondirà tale concetto distinguendo il senso soggettivo del lavoro da quello oggettivo. Cfr. Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Laborem exercens, 14 settembre 1981, 6.

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Fino a che punto era lecito rivendicare un salario maggiore? In linea con l’impostazione dell’etica cristiana, Ketteler osservò come su questo terreno bisognava avere la giusta misura. Difatti il salario non poteva arbitrariamente essere più di quanto la redditività del lavoro implicava. Su questo aspetto incombeva il pericolo di rimanere intrappolati nelle lotte ideologiche, che portavano alcuni capi sindacalisti a oltrepassare ogni misura, solo per destabilizzare l’ordine borghese, visto come un ostacolo da abbattere. «Il fine non deve essere la lotta fra il padrone e l’operaio, ma il raggiungimento di un legittimo accordo fra loro»28. Lo stesso dicasi per le altre due rivendicazioni operaie, considerate da Ketteler nel suo discorso a Liebfrauen: la riduzione dell’orario di lavoro e la concessione di un giorno di riposo. Era evidente che il nuovo sistema economico produceva delle conseguenze negative per l’operaio se lo metteva in competizione con la macchina industriale. Quest’ultima poteva lavorare 24 ore al giorno per 7 giorni la settimana, dunque godeva di possibilità precluse al lavoratore. Nel caso della riduzione oraria, Ketteler non ne fa una questione solo relativa al necessario riposo dal lavoro, ma ne vede l’utilità anche in relazione alla vita familiare, alla quale l’operaio e l’operaia non possono essere sottratti. Per quanto concerne invece il giorno di riposo, Ketteler svelò l’oltraggio della cultura borghese, teso a soffocare la partecipazione religiosa dei lavoratori. Denunciò le capziosità del pensiero liberale, che amava divulgare il profitto complessivo che si poteva trarre da una organizzazione del lavoro svolta senza interruzioni settimanali, e si mostrava ipocritamente rammaricato per le opportunità che non poteva dare ai lavoratori per via dei precetti festivi del cristianesimo. Peggio, aveva cercato di sostituire alla domenica cristiana il cosiddetto blauer Montag, cioè un lunedì di riposo senza alcun riferimento religioso. Erano occasioni, osservò Ketteler, nelle quali le osterie si riempivano e i traffici immorali si 28 W.E. Ketteler, Die Arbeiterbewegung und ihr Streben im Verhältnis zu Religion und Sittlichkeit. Eine Ansprache gehalten auf der Liebfrauen-Heide am 25. Juli 1869, cit., p. 194.

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moltiplicavano, andando a derubare l’operaio dei pochi risparmi disponibili. L’ultima proposta riguardava le «associazioni produttive». Ad avviso di Ketteler, attraverso di esse si potevano portare gli operai alla partecipazione alla proprietà dell’impresa. In tal modo, la loro remunerazione sarebbe dipesa da una parte dal salario e dall’altra da una porzione degli utili aziendali. La principale sfida era raccogliere i capitali necessari per fondare aziende di questo tipo. Non c’era da confidare nella solidarietà delle classi ricche, osservò Ketteler, perché erano irrimediabilmente corrotte dall’individualismo liberale, né si poteva proporre allo Stato di finanziare tali imprese, come invece proponevano i socialisti che anelavano alla conquista del potere per rendere operativa tale scelta politica. Come fare allora a trovare il capitale per creare le «associazioni produttive»? Ketteler si rese conto che tale idea non era facile da realizzare. Nonostante la critica abbia spesso visto in tale suo progetto un sogno che coltivò senza avere il senso della realtà, le pagine de La questione operaia e il cristianesimo sono, in realtà, piene di coscienti dubbi e di speranze. La sua idea era che, attraverso il cristianesimo, bisognava muovere le donazioni volontarie. Ne intravedeva la possibilità per una ragione di carattere etica. La questione operaia era il nuovo fronte d’impegno sociale del cristianesimo. C’era da trasformare l’iniquità sociale, così com’era avvenuto con l’abbattimento della schiavitù nel mondo romano. Se in quei tempi antichi, ad abbattere la schiavitù fu la diffusione dell’etica cristiana presso i nobili romani, allo stesso modo il cristianesimo avrebbe dovuto muovere la coscienza dell’uomo moderno affinché si prodigasse per la causa degli operai, donando denari per le «associazioni produttive». A sostegno delle sue tesi, egli ricordò il pensiero di Victor Aimé Huber, uno tra i fondatori del partito conservatore tedesco. Era di fatto vicino alle idee liberali, ma coniugava concettualmente l’autosostegno (Selbsthilfe) in modo diverso da Schulze-Delitzsch, arrivando a concepire lo sforzo degli operai come rivolto alla fondazione di imprese finanziate in parte da loro stessi, in parte dalle offerte 99

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volontarie, raccolte per tale scopo29. Ketteler rinforzò tale posizione con l’osservazione che il sistema di imposizione fiscale organizzato dallo Stato era assai meno efficace del sistema di raccolta dei fondi prodotto dalla generosità delle coscienze cristiane. Bastava guardare alle imponenti opere di ogni genere che il cristianesimo aveva realizzato in tutta Europa. Era evidente che tentare di togliere al cittadino i soldi con la forza pubblica era diverso dal muovere la coscienza del cittadino alla elargizione gratuita e spiritualmente motivata: Supponiamo che la carità cristiana riuscisse a raccogliere i mezzi necessari per avviare un’impresa, e di conseguenza spronasse gli operai a lavorare presso di essa, a condizione, però, che una parte del profitto, non necessaria per l’azienda e per il fondo di riserva, gli fosse assegnata nello spirito del cristianesimo. Il successo sarebbe grande. Forse si riuscirebbe, con ciò, a debellare definitivamente l’azione malvagia, esercitata da un sistema industriale separatosi da Dio, sui nostri europei30.

Ketteler riponeva le sue speranze sulle «associazioni produttive» e, rendendosi conto della difficoltà di realizzarle, credeva si dovesse partire dai comparti industriali nei quali non erano necessari fondi ingenti per far partire un’impresa31. Tentò egli stesso di farsi promotore di tali aziende. Lo sappiamo da un famoso scambio epistolare che ebbe col socialista Lassalle. Era il 16 gennaio 1864 e Ketteler, senza rivelare la propria identità («il posto, che occupo, mi crea quasi l’impossibilità di dirvi il mio nome»32), scrisse a Lassalle per sottoporgli l’idea delle «associazioni produttive». Era entrato in possesso di 50.000 fiorini e avrebbe voluto finanziare cinque «associazioni produttive» di piccole dimensioni: 29 V.A. Huber, Das Wesen der Genossenschaft und ihre Bedeutung für die Innere Mission, in «Fliegende Blätter aus dem Rauhen Hause», Hamburg, 1862, pp. 353-365. 30 W.E. Ketteler, Die Arbeiterfrage und das Christentum, cit., p. 133; tr. it., p. 140. 31 Ivi, pp. 133-134; tr. it., p. 140. 32 Lo scambio epistolare è riportato in G. Goyau, Ketteler, Luigi Buffetti, Treviso, 1911, p. 254.

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una di operai che producono sigari, una di operaie impegnate in piccoli lavori manuali, una di giornalieri e le altre due di operai impegnati nell’industria meccanica. La lettera di Ketteler conteneva una richiesta specifica: qual era il pensiero di Lassalle circa l’iniziativa del mittente; se Lassalle poteva redigere il progetto di tali aziende o indicare qualcuno che aveva le competenze per farlo. Appaiono pretestuose tali richieste, perché era assai probabile che Ketteler avrebbe potuto trovare in altri modi le persone competenti a guidare e sostenere quel suo progetto. In realtà, il vescovo di Magonza iniziò tale corrispondenza per portare all’attenzione del leader socialista le sue soluzioni alla questione operaia. Forse si era posto come obiettivo anche quello di attrarre Lassalle alla sua causa, fatto sta che la risposta di Lassalle (21 gennaio 1864) non poté dilungarsi nel trattare la questione con Ketteler per via dell’anonimato della lettera ricevuta («la mia posizione mi obbliga alla prudenza più estrema»33). A Fulda, di fronte ai vescovi tedeschi radunati in assemblea, Ketteler specificò che non era compito della Chiesa promuovere le «associazioni produttive», né dirigerle. Ciò che la Chiesa poteva, e doveva, fare era di sostenere tali progetti, mostrando verso di loro interesse e fiducia. Soprattutto, la Chiesa avrebbe dovuto incoraggiare la classe operaia, sostenendola materialmente e spiritualmente, attivando una specifica formazione del clero alla questione sociale, «il quale è lento ad occuparsene», commentò Ketteler. Infine, con notevole lungimiranza se si pensa che la dottrina sociale della Chiesa non aveva ancora impostato le sue basi epistemologiche e critiche, Ketteler concluse che la questione operaia non può venire omessa nel corso di filosofia e nella preparazione del clero giovane al suo ministero. – Sarebbe assolutamente desiderabile che certi ecclesiastici venissero incaricati di studiare l’economia sociale34. 33

Ivi, p. 256. W.E. Ketteler, Bischöfliches Referat für die Konferenz der hochwürdigsten Bischöfe Deutschlands zu Fulda im September 1869. Tale relazione fu pubblicata nel Christlich-soziale 34

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Il titolo di precursore del pensiero sociale cristiano, a seguito di quest’ultima osservazione mossa all’interno di un consesso importante come la riunione dell’episcopato tedesco, appare più che giustificato.

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4 Influenza sulla Rerum novarum Nel 1891 uscì la prima enciclica sociale, la Rerum novarum di Leone XIII, esplicitamente dedicata alla questione operaia. In essa confluirono i percorsi di ricerca e di azione che avevano qualificato l’intervento del cristianesimo sui nuovi problemi sociali. Che ruolo vi ebbero gli scritti di Ketteler? Il testo dell’enciclica è privo di riferimenti ai protagonisti del secolo Decimonono. Oltre alle fonti bibliche, essa cita il pensiero di Tertulliano, di Gregorio Magno e, soprattutto, di Tommaso d’Aquino. Di Ketteler non c’è traccia, così come non compaiono altri importanti precursori di tale enciclica, come Giuseppe Toniolo, Karl Vogelsang, il cardinal James Gibbons, ecc. Sappiamo, da una testimonianza diretta di Gaspar Decurtins, che Ketteler fu definito da Leone XIII suo «illustre precursore»35. L’espressione «illustre precursore» lascia intendere che, probabilmente, fra le fonti che sostennero la redazione dell’enciclica furono annoverate anche le teorie di Ketteler, ma non sappiamo niente di più. Sulle modalità con cui, nei mesi precedenti al 1891, si giunse alla redazione finale, e sulle sollecitazioni che arrivarono alla Santa sede, negli anni appena precedenti, da alcune parti del mondo industrializzato per formulare una proposta cristiana alla questione sociale, siamo invece in grado di dire qualcosa. Ma Ketteler morì nel 1877, dunque collegamenti evidenti con l’enciclica non ve ne sono. Blätter, 1869, n. 10. Ora in Johannes Mumbauer, Wilhelm Emmanuel von Kettelers Schriften. Band III: Soziale Schriften und Persönliches, cit., pp. 162-163. 35 R. Aubert, Monseigneur Ketteler, évêque de Mayance et les origines du catholicisme social, «Collectanea Mechliniensia», vol. XXXII, fasc. 5, agosto-settembre 1947, pp. 534-539 (citazione tratta da G. Antonazzi – G. De Rosa (a cura), L’enciclica Rerum novarum e il suo tempo, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 1991, p. 9).

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Il documento di Leone XIII ebbe una genesi articolata. Per molti anni, l’ipotesi alla quale si diede un credito rilevante fu quella formulata dal cardinal Eduardo Soderini, il quale fu testimone diretto di quanto avvenne nella preparazione del documento. Egli spiegò che fu il pontefice a incaricare il cardinal Tommaso Zigliara affinché proponesse un primo testo. Il risultato fu ritenuto teorico, rispetto agli scopi che il pontefice si era prefisso, di conseguenza egli affidò ai monsignori Gabriele Boccali e Alessandro Volpini, suoi segretari, il compito di provvedere a una nuova versione36. Più tardi, nelle interpretazioni sulla genesi redazionale dell’enciclica, entrò in gioco la figura del gesuita Matteo Liberatore, al quale si attribuì un ruolo determinante per la nascita del testo così come poi fu promulgato37. Per quanto riguarda, invece, le sollecitazioni ricevute affinché i temi della Rerum novarum centrassero gli obiettivi di un cristianesimo capace di porsi in dialogo con le autentiche sfide economiche e sociali del momento, dobbiamo a Gabriele De Rosa il merito di aver ricostruito la fitta corrispondenza intercorsa fra alcuni vescovi e Leone XIII negli anni immediatamente precedenti. Se ne evince un percorso nel quale emergono, in particolare, i contributi dell’arcivescovo di Baltimora James Gibbons e dell’arcivescovo di Westminster Henry Edward Manning. Gibbons, in particolare, ebbe un ruolo importante. Nel 1887 egli era a Roma, e presentò al pontefice un doppio problema: da una parte, l’associazione dei cattolici denominata Cavalieri del Lavoro, la quale aveva degli scopi sindacali. Essa era stata oggetto di discussione e votazione nella Conferenza degli arcivescovi degli Stati Uniti, la quale l’aveva approvata, dopo averla studiata con particolare attenzione. L’altro problema chiamava in causa un’opera che riscosse molta attenzione 36 Tale ipotesi fu formulata dal cardinal Soderini, che fu testimone dei momenti preparatori dell’enciclica. Cf E. Soderini, Per la genesi della «Rerum novarum» nel suo venticinquesimo anniversario, «Nuova Antologia», 51 (1916), pp. 2015-215, anche in E. Soderini, Il pontificato di Leone XIII, Mondadori, Milano, 1932, vol. I, pp. 404-406. 37 In particolare, si veda G. Antonazzi – G. De Rosa (a cura), L’enciclica Rerum novarum e il suo tempo, cit.

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anche presso i cattolici statunitensi. Il suo autore era Henry George, e il titolo Progress and Poverty38. Nel suo articolato pensiero economico si trovavano misure fortemente disincentivanti la proprietà privata della terra, la quale doveva essere soggetta a un regime fiscale severo, penalizzante il diritto alla proprietà. Gibbons temeva che un atteggiamento troppo prudente, timido e circospetto verso la questione sociale, avrebbe disorientato i cattolici statunitensi. Nelle lettere che inviò successivamente a Roma, osservò che negare l’utilità del sindacato, mettere all’indice volumi e pensieri che non avevano alcuna attinenza con il marxismo, non avrebbe in alcun modo facilitato il compito della Chiesa statunitense in quegli anni39. Dal punto di vista dottrinale, ad avviso di Goyau fu il cardinal Gaspard Mermillod, quale espressione dell’Unione di Friburgo, a indirizzare la Rerum novarum verso determinate prese di posizione, in particolare imprimendole una visione corporativista. Un’ipotesi alternativa è quella per cui si deve attribuire al Comitato Romano di Studi Sociali, creato appositamente da Leone XIII nel 1882, il ruolo di fucina delle idee che confluirono nell’enciclica40. A presiedere tale Comitato fu il cardinale Ludovico Jacobini, il quale aveva svolto un’intensa attività diplomatica, per conto della Santa sede, nei paesi di lingua tedesca, in particolare a Vienna, negli anni in cui Ketteler divulgava le proprie idee. Tale circostanza potrebbe giustificare un ponte ermeneutico, oltre che storico, fra gli scritti di Ketteler e la Rerum novarum. Per tale via, però, non si può che rimanere nel campo delle ipotesi, in assenza di indicazioni rilevanti. È più agevole procedere comparando i temi dell’enciclica con i punti principali del cristianesimo sociale di Ketteler. Le concordanze sono evidenti. Non nella prima parte, nella quale l’enciclica leonina è attenta 38

H. George, Progress and Poverty, Appleton, New York, 1881 (1879).

39 G. De Rosa, «L’enciclica nella corrispondenza dei vescovi con il papa», in G. Antonazzi

– G. De Rosa, L’enciclica Rerum novarum e il suo tempo, cit., pp. 12ss. 40 G. Jarlot, Les avant-projets de «Rerum Novarum» et les «Anciennes Corporations», in «Nouvelle Revue Théologique», 91, 1959, pp. 60-77.

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a rimuovere ogni possibilità di confusione fra la posizione­del cristianesimo e le soluzioni socialiste alla questione operaia. Nella seconda parte, però, e in particolare nei paragrafi conclusivi (§§ 30-35), sono trattati i rimedi posti in essere dalla Chiesa. Le concezioni esposte ricalcano il percorso teorico di Ketteler: la natura dell’associazione privata e le sue prerogative rispetto allo Stato, nel quadro dell’armonizzazione degli interessi particolari col bene comune; i limiti dell’azione dello Stato in relazione alle associazioni che si prefiggono «fini onesti»; la constatazione della moltiplicazione delle associazioni dei lavoratori e la preoccupazione che esse possano essere manipolate da capi portatori di interessi occulti e ostili al cristianesimo; il costante riferimento, nella propria iniziativa, al bene comune; la necessità e l’utilità di organizzare i lavoratori in associazioni preposte alla difesa dei loro interessi vitali. Un punto marcante una differenza è il riferimento allo sciopero. Come abbiamo visto, Ketteler ne intravedeva la positività nel quadro del diritto all’autodifesa, e non mancò di sottolineare come in Inghilterra solo attraverso gli scioperi fu possibile ottenere gli aumenti salariali. Contestò la convinzione che, in qualunque caso, il ricorso allo sciopero portasse un danno sia per gli imprenditori che per gli operai41. Invece, la Rerum novarum partì proprio da tale considerazione. Lo sciopero causava un danno ai padroni, agli operai, al commercio e al bene comune, e le violenze che lo accompagnano erano spesso un pericolo per l’ordine pubblico e la pace sociale42. Bisognerà attendere il 1965 perché nella costituzione apostolica conciliare Gaudium et spes si possa leggere che «lo sciopero può tuttavia rimanere anche nelle circostanze odierne un mezzo necessario, benché estremo, per la difesa dei propri diritti e la soddisfazione delle giuste aspirazioni dei lavoratori»43. 41 W.E. Ketteler, Die Arbeiterbewegung und ihr Streben im Verhältnis zu Religion und Sittlichkeit. Eine Ansprache gehalten auf der Liebfrauen-Heide am 25. Juli 1869, cit., p. 191. 42 Leone XIII, Lettera enciclica Rerum novarum, 15 maggio 1891, 31. 43 Costituzione apostolica Gaudium et spes, 8 dicembre 1965, 68.

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Come mai il diritto allo sciopero faticò ad affermarsi nello sviluppo del pensiero sociale cristiano? Per quale ragione Ketteler ne affermò con tale anticipo la liceità? Il sindacalismo rivoluzionario concepiva lo sciopero come un’arma da brandire con violenza contro il mondo borghese. La paralisi della civiltà borghese doveva essere il risultato delle serrate e degli scioperi selvaggi intrapresi dalle masse proletarie. Georges Sorel ne aveva impostato la concezione filosofica ed etico-politica44. In gioco non c’era solo l’ordine pubblico, ma un sistema basato sulla libera convivenza degli individui. D’altra parte non si poteva negare che la filosofia cristiana, basandosi sul diritto naturale, non poteva non scorgere che lo sciopero era un’opzione legittima del lavoratore. L’operaio, che il mondo liberale aveva finalmente liberato dagli obblighi del vecchio sistema corporativo, era padrone del proprio lavoro. Così come il borghese dedito al commercio poteva ritirare la sua merce dal mercato nelle circostanze in cui comprendeva che non era vantaggioso offrirla, allo stesso modo l’operaio aveva il diritto di fare altrettanto con la propria forza lavoro. Dunque il ragionamento finiva nelle capziosità della contraddizione logica sulle libertà propugnate dallo stesso sistema liberale. Un articolo del 1880 de La civiltà cattolica, quindi di poco successivo alla conferenza di Ketteler a Liebfrauen, riuscì con efficacia a districarsi nell’intricata questione della giustificazione del diritto di sciopero, utilizzando i medesimi strumenti concettuali della dottrina liberale45. Se la dimensione teorica implicava l’emersione della contraddizione liberale, sul piano pratico le elaborazioni filosofiche cedevano il passo alle condizioni difficili in cui versavano i lavoratori, con scarso o nessun potere di negoziazione con il mondo delle imprese. Tuttavia proprio tale disperazione era la principale causa della imprevedibile condotta della massa degli scioperanti 44 G. Sorel, Réflexions sur la violence, Rivière, Paris, 1906; tr. it., Riflessioni sulla violenza, in G. Sorel, Scritti politici, Utet, Torino, 2006. 45 La quistione tra i padroni e gli operai, in «La civiltà cattolica», Anno trigesimoprimo, 22 settembre 1880, pp. 20-28.

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in manifestazione di protesta. Di qui la complessa, e tentennante, posizione della Chiesa attorno al diritto di sciopero. Anche Leone XIII mise in evidenza la negatività dello sciopero, ma nella consapevolezza degli elementi di ingiustizia che lo scatenavano. Il suo discorso aveva come premessa la considerazione per cui le condizioni assai gravose del lavoro operaio e il salario scarso «porgono non di rado all’operaio motivo di sciopero»46. Se lo Stato doveva prevenire gli scioperi, l’ingiustizia che li generava andava comunque risolta.

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Leone XIII, Rerum novarum, 31.

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Capitolo quarto

Etica dello Stato

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1 Introduzione Le battaglie di Ketteler coincisero con gli anni più difficili del cristianesimo tedesco nel Diciannovesimo secolo. In particolare il cattolicesimo fu progressivamente relegato ai margini della vita pubblica, nonostante i cattolici fossero una parte cospicua della popolazione generale (circa 1/3). La guerra contro l’Austria (prevalentemente cattolica) del 1866, decretò l’aggravarsi della situazione. Sul fronte politico, gli sviluppi del liberalismo e del socialismo sembravano offrire risposte nuove, e più efficienti, alle crisi sociali ed economiche in atto. Il terreno dello scontro era la modernità. C’era ancora posto per la vita religiosa nel mondo moderno e capitalista? Molti intepretarono la modernità come un’epoca inconciliabile con il cristianesimo. I principali esponenti di tale corrente furono Franz von Baader (1765-1841) e Adam Heinrich Müller (1779-1829). Il loro pessimismo filosofico esprimeva un giudizio severo nei confronti delle dottrine illuministe, ritenute colpevoli di aver escluso la religione dalla vita sociale e politica. Estromettere l’etica religiosa dalla vita sociale significava generare la mercificazione delle relazioni umane, di cui il capitalismo e il socialismo erano una conseguenza, e la miseria delle classi lavoratrici la patologia1. 1 In relazione alla questione sociale, di Baader si vedano: Über das durch die Französische Revolution herbeigeführte Bedürfnis einer neueren und innigeren Verbindung der Religion mit

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La concezione della storia di Ketteler era cristianamente completata dall’idea di provvidenza, per cui riuscì a sfuggire alla tentazione del pessimismo politico. Tale concezione provvidenziale non si traduceva in una visione deterministica, nella quale il libero arbitrio era annullato dall’intervento divino nelle vicende umane. In linea con la filosofia cristiana, Ketteler concepiva l’azione della provvidenza come inserita nello stesso scorrere delle cose, cioè come una forza diffusa che guidava le circostanze verso un fine superiore, per esempio sollecitando i fattori collegati ai fini benefici, oppure permettendo, o frenando, tutto ciò che invece volgeva al male. La provvidenza consentiva il male quando da esso si poteva trarre qualche insegnamento positivo; per esempio, viste le conseguenze dell’azione moralmente errata, che si poteva trarre da essa la raccomandazione a perseguire sempre e solo il bene. Dio, perciò, non era mai causa del male, ma si poteva servire del male per eliminare gli ostacoli che si frapponevano al bene2. Questa teoria della provvidenza implicava due considerazioni di tipo politico. La prima era che la libertà non si dava come una forza alternativa alla provvidenza. In nome della libertà, l’uomo poteva volere il male e usare mezzi negativi per perseguire i suoi obiettivi malvagi. Tuttavia la provvidenza era anche concepita come una forza capace di trasformare i risultati negativi, frutto di scelte sbagliate, basate sul male, in qualcosa di buono: È proprio dell’amore eterno trasformare in strumenti della sua misericordia ciò che non ha potuto contrastare senza distruggere nell’uomo il suo più grande bene, cioè il fattore che lo fa più simile a Dio: la libertà3. der Politik, Egelsbach, Köln, 1992; Grundzüge der Societätsphilosophie: Ideen über Recht, Staat, Gesellschaft u. Kirche, Ann Arbor, Michigan, 1980; Vom Sinn der Gesellschaft, Hegner, Köln, 1966. Sul suo pensiero sociale, con introduzioni alla sua figura, si vedano: E. Hinder, Das christlich-soziale Prinzip bei Franz von Baader, Lang, Frankfurt am Main, 2001; W. SchmidtBiggemann, Politische Theologie der Gegenaufklärung, Der Akademie Verlag, Berlin, 2004. In italiano, si veda C. De Pascale, Tra rivoluzione e restaurazione. La filosofia della società di Franz von Baader, Bibliopolis, Milano, 1983. Di Müller si veda A. Müller, Elemente der Staatskunst. Sechsunddreißig Vorlesungen, J.G. Hoof Verlag, Berlin, 2013. 2 W.E. Ketteler, Deutschland nach dem Kriege von 1866, cit., pp. 8-12. 3 Ivi, p. 10.

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La seconda considerazione, però, aggiungeva che non per questo era possibile scambiare il bene col male. Dal fatto che l’ordine provvidenziale fosse in grado di volgere al bene anche le azioni malvagie, non si poteva in alcun modo produrre una confusione fra bene e male. Chi faceva così cadeva nella trappola del principio di utilità, il quale era disinteressato alla verità e alla giustizia, ma ragionava solo in termini di vantaggio acquisito ed era pronto a giustificare ogni cosa con l’idea per cui i fini giustificavano i mezzi. Questo excursus filosofico servì a Ketteler a chiarire il suo atteggiamento nell’intervenire nelle vicende sociali e politiche del suo tempo. Non servivano atteggiamenti lamentosi e inerti, ma reattivi, pronti cioè a cogliere il senso a volte nascosto degli accadimenti storici, a leggere nella trama delle molteplici vicende umane, il disegno provvidenziale che poteva condurre al bene. Tale lettura doveva essere il contributo che i cattolici davano al mutamento storico-sociale. In tal senso, tale consapevolezza: ci preserverà dal pessimismo, da quella triste concezione del mondo che paralizza ogni energia positiva, e crede che il mondo sia giunto alla fine ogni qual volta Dio non asseconda le nostre miopi umane idee4.

Ketteler fu un censore severo delle vicende politiche tedesche di quegli anni, ma lo spirito con cui denunciava e correggeva ciò di cui era testimone non fu mai cinico. I temi ai quali era più sensibile sono stati elencati: la questione operaia, il sostegno ai nuclei familiari, il diritto della Chiesa cattolica, gli errori del socialismo, le trame del liberalismo, la guerra della Germania contro l’Austria. Uno fra i denominatori comuni di questi temi era la critica ad alcuni aspetti dello Stato liberale, in particolare i pericoli connessi alle sue pretese accentratrici. Sono state già messe in evidenza le ragioni biografiche della sua avversione alla Germania organizzata attorno allo Stato prussiano. Ketteler proveniva 4

Ivi, p. 11.

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da una famiglia di antico lignaggio, per cui era ostile all’idea che un sistema politico centrale potesse soffocare le autonomie territoriali. Egli avvertì tale suo sentimento come caratteristico dello spirito tedesco: È legittima la profonda repulsione del popolo tedesco per una centralizzazione generale del potere. Nulla risulta più tedesco dei sentimenti particolaristici, sia al livello conscio che inconscio. Il tentativo di spazzare via tutte le antiche abitudini e disposizioni legali, compresa l’autonomia amministrativa, per sovraintendere tutto dal centro, ferisce e indigna l’anima tedesca nel suo essere più profondo e legittimo5.

I tentativi del liberalismo di occupare ogni spazio pubblico, e del socialismo di sfasciare tutto, gli avevano fatto comprendere come uno Stato onnipotente fosse pericoloso. Bisogna tenere presente queste premesse per comprendere la svolta concettuale realizzata da Ketteler con l’introduzione del principio di sussidiarietà. Ketteler è stato fra i primi a darne una formulazione politica moderna e un’indicazione terminologica appropriata: se fosse lo Stato ad abusare di questo diritto che vorrei chiamare sussidiario, saremmo di fronte alla più dura forma di assolutismo, una sorta di schiavitù dello spirito e dell’anima6.

Così scrisse nel 1873, in occasione della pubblicazione di Die Katholiken im Deutschen Reiche. Se tale primato gli è, oggi, generalmente riconosciuto, la critica non è tuttavia concorde nel descrivere il modo attraverso il quale vi giunse. Diversi suoi interpreti hanno infatti sottolineato come Ketteler, nel corso della sua attività, sia stato costretto ad ammorbidire le sue posizioni intransigenti attorno al ruolo dello Stato. La sussidiarietà sareb5 6

W.E. Ketteler, Die Katholiken im Deutschen Reiche, cit., p. 147. Ivi, p. 162.

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be l’arrivo di un percorso travagliato, segnato da alcune sconfitte. Nella prima parte della sua vita, dal 1837 («affari di Colonia») al 1864 (La questione operaia e il cristianesimo), egli era sicuro di poter affrontare il problema della miseria della classe lavoratrice con gli strumenti della solidarietà cristiana, dunque senza coinvolgere lo Stato. Questo, invece, era quanto voleva il Partito Radicale, che si ispirava al socialismo, attuando un programma pericoloso, basato sulla redistribuzione della proprietà privata. In pratica, una volta salito democraticamente al potere, cioè avendo portato le grandi masse di lavoratori al governo, lo Stato avrebbe dovuto sottrarre le proprietà ai capitalisti per redistribuirle ai lavoratori, fondando il conflitto sociale e politico. Ketteler, come abbiamo visto nel capitolo precedente, indirizzò la sua proposta all’organizzazione di «associazioni produttive», nelle quali gli operai diventassero, in tutto o in parte, proprietari dell’impresa. Questo traguardo doveva essere raggiunto senza alcun intervento statale, senza perciò minacciare la pace civile, ma con la sollecitazione etica alla generosità cristiana, alla solidarietà economica, che avrebbero potuto trovare le risorse per sostenere la partecipazione degli operai all’impresa. Ketteler si lanciò in questa avventura, che non avvertiva affatto come utopica, in quanto la storia aveva più volte suffragato tali svolte. Ma non ottenne risultati importanti e furono numericamente irrilevanti le «associazioni produttive» fondate sul suo modello. Secondo quegli interpreti che sottolineano il mutamento della sua concezione teorica7, Ketteler, deluso da tali risultati, preferì 7 Naturalmente, la critica socialista è la più convinta dell’esistenza di un “primo” e “secondo” Ketteler, perché dimostrerebbe la tesi favorevole per cui l’inadeguatezza delle soluzioni cristiane abbia spostato Ketteler verso posizioni socialiste. Su tutti, cito F.S. Nitti, Il socialismo cristiano, cit., pp. 96ss. Ma vi sono altre interpretazioni sottolineanti la doppia fase del pensiero di Ketteler. Per citare le più significative: A. De Gasperi, I tempi e gli uomini che prepararono la “Rerum novarum”, Vita e Pensiero, Milano, 1984 (ed. originale 1931), pp. 7ss.; L. Riva Sanseverino, Il movimento sindacale cristiano, cit., pp. 29ss.; E. Ritter, Die Katholisch-soziale Bewegung Deutschlands im neunzehnten Jahrhundert und der Volksverein, Verlag von J.P. Bachem, Köln, 1954; tr. it., Il movimento cattolico sociale in Germania nel XIX secolo e il Volksverein, Edizioni Cinque Lune, Roma, 1967, p. 168; R. Marx, Christ sein heißt politisch sein. Wilhelm Emmanuel von Ketteler für heute gelesen, Herder, Freiburg im Breisgau, 2011, pp. 39ss.

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rivolgere il proprio sguardo altrove, e iniziò a concepire l’intervento dello Stato nell’organizzazione sociale ed economica. Iniziò così la seconda fase di Ketteler. Se in precedenza aveva sostenuto la necessità di non assegnare allo Stato compiti invasivi della vita sociale per dare risposta alla questione operaia, negli ultimi anni del suo impegno politico arrivò al ribaltamento di tale posizione: lo Stato non può disinteressarsi delle classi operaie. La teoria del lasciar fare e del lasciar passare è fallita; essa ha portato la società sull’orlo dell’abisso. Di fronte agli operai lo Stato ha una duplice missione: deve aiutarli a riorganizzarsi in associazioni corporative, e protegger essi e le loro famiglie contro ogni iniquo sfruttamento. Abbandonato alle sole sue forze, l’operaio è in balia di tutte le fluttuazioni economiche, di tutti i vizi di padroni senza cuore e senza coscienza. La sua libertà è un’illusione, perché egli non ha scelta che tra il sottomettersi e il morir di fame. Solo l’associazione è capace di modificare tali condizioni; e spetta allo Stato render possibili le associazioni operaie8.

Un’evoluzione del pensiero di Ketteler è sicuramente avvenuta, come è normale che sia, tenendo in considerazione il mutare dello scenario nazionale e internazionale, le guerre succedutesi, i cambiamenti sociali intercorsi. Ma impostare una contrapposizione fra il primo e il secondo Ketteler appare eccessivo. La sua traiettoria teorica è più coerente di quanto tale critica pensi. Per valutare tale coerenza è necessario ricostruire il quadro d’insieme della sua articolata elaborazione del principio di sussidiarietà.

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W.E. Ketteler, Die Katholiken im Deutschen Reiche, cit., p. 86.

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2 Il principio di sussidiarietà Il principio di sussidiarietà ha una genesi moderna. Le sue radici sono nel problema della pacificazione delle società europee dopo le lotte intestine nella cristianità, risalenti alle trasformazioni occorse dalle riforme protestante e cattolica del Sedicesimo secolo. Il mondo precedente era tenuto assieme dal riferimento a un unico universo etico e simbolico, costituito dal cristianesimo. Venuta meno l’unicità di tale universo, il nuovo ente promotore dell’equilibrio e della convivenza pubblica divenne lo Stato. Nel nuovo ordine venutosi a creare, anche le chiese, le confessioni, le fedi religiose, gli dovevano essere subordinati. Nacque il problema di come limitare il potere sovrano, affinché rispettasse la vita dei cittadini, delle associazioni, dei corpi intermedi della società. Da una parte si trattava di una questione centrale per l’autonomia delle chiese e delle associazioni religiose, dall’altra essa chiamava in causa la ricostruzione dei rapporti politici fra le autonomie locali di stampo medievale e il potere centrale statale, burocratico e razionale. Di qui, si produsse, e maturò nel tempo, il problema della sussidiarietà, connesso all’edificazione di ordinamenti civili che riconoscevano diritti al cittadino e alle organizzazioni sociali. In questo senso, l’idea di sussidiarietà si è sviluppata attorno a una triplice esigenza di difesa: 1) difendere un certo livello di autonomia locale dalle pretese egemoniche dello Stato burocratico; 2) difendere la coscienza umana dalle pretese egemoniche del potere politico (cuius regio eius religio); 3) difendere l’autonomia dell’azione educativa e sociale della Chiesa dalle ingerenze dello Stato. È evidente la consonanza fra tale triplice esigenza e i temi particolarmente a cuore al pensiero politico di Ketteler. Si capisce, perciò, perché fu proprio lui il primo a formulare, in modo compiuto, il principio di sussidiarietà. Si comprende anche perché tale principo si sia sviluppato nel contesto del cristianesimo, e del cattolicesimo in particolare. Quella cattolica era ritenuta 115

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una Chiesa che guardava a Roma, seguiva gli insegnamenti di un pontefice spesso straniero, per cui lo Stato, che doveva riassumere tutto a sé per garantire la pace sociale, guardava con particolare diffidenza al cattolicesimo. Non si dimentichi che, proprio per tale ragione, Locke, nella sua A Letter concerning Toleration, escludeva la confessione cattolica dalla tolleranza9. In altre parole, il principio di sussidiarietà divenne centrale per assicurare alla Chiesa cattolica la libertà di esistenza e di azione. Dal punto di vista filosofico e teologico, il suo fondamento era nella considerazione per cui la persona umana fosse anteriore a qualsiasi formazione sociale, in particolare allo Stato. Da ciò derivava che lo Stato non poteva e non doveva avanzare alcuna pretesa nei confronti dell’individuo che non fosse in ordine alla sua piena realizzazione. In altre parole, lo Stato doveva essere al servizio dei cittadini; mai il viceversa. Se il principio che giustificava l’intervento sulla persona era l’apporto alla sua piena realizzazione, allora bisognava riconoscere che prima ancora dello Stato, prima ancora di qualsiasi associazione o istituzione, la famiglia aveva un primato indiscutibile e svolgeva un ruolo unico. Ne La questione operaia e il cristianesimo, Ketteler pose al centro del suo discorso le famiglie degli operai. Aveva fatto esperienza diretta, da semplice prete, delle condizioni disperate in cui versavano i nuclei familiari dei lavoratori salariati: «il povero operaio, di cui stiamo parlando, è un padre di famiglia»10. Come abbiamo già visto nel capitolo precedente, egli considerava la famiglia come una unità sociale ed economica indispensabile per risolvere la questione operaia. I benefici sociali ed economici portati dalla famiglia erano evidenti. Lo Stato avrebbe dovuto giovarsi di tali funzioni e non contrastarle, come stava avvenendo nel regime liberale. Indebolire la famiglia significava disgregare la società e favorire la dissipazione delle risorse a disposizione degli operai. 9

J. Locke, Lettera sulla tolleranza, Laterza, Roma-Bari, 1994, p. 45. W.E. Ketteler, Die Arbeiterfrage und das Christentum, cit., p. 131; tr. it., p. 139.

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L’orizzonte etico nel quale disporre la famiglia, la società civile, la Chiesa, lo Stato, era determinato da una visione organicistica della vita associata. Ketteler considerava la società al pari di un corpo, le cui membra erano reciprocamente necessarie per il funzionamento di ciascuna e del tutto. Il principio di associazione, questa forza meravigliosa che porta a unire tanto gli uomini quanto la materia, agisce ovunque in natura, nelle piante, negli animali, in tutto il genere umano, nell’intero universo. Ha la sua ultima ragione nell’eterna intelligenza, nell’eterna potenza e nell’eterno amore di Dio e si presenta qui sulla terra sotto due forme. La prima è quella puramente meccanica, che agisce esteriormente sulle cose; la seconda è di tipo organico, che accoglie e lega le cose internamente, unendole. Il principio moderno di associazione vorrebbe costringere l’umanità nella prima forma, mentre Dio unifica gli uomini organicamente, e tutte le società che erano nate prima erano strutturate in questo modo organico11.

Le conclusioni che ne traeva erano che: 1) la persona non poteva svilupparsi da sola; 2) nessuna associazione, piccola o grande che fosse, poteva realizzare i propri scopi in modo autonomo. Questi elementi sono i presupposti, non le conclusioni, del pensiero di Ketteler. Sono i pilastri su cui si fonda la filosofia tomista, che Ketteler conosceva bene. In tal senso, credere che la sussidiarietà sia frutto di una sua virata filosofica verso un maggiore impegno dello Stato nella questione operaia, dopo aver visto fallire le sue «associazioni produttive», appare incongruo. Fra l’altro, proprio in La questione operaia e il cristianesimo, l’opera emblematica del supposto “primo” Ketteler, al fianco dell’ipotesi contraria al progetto socialista di coinvolgimento dello Stato, c’era anche l’irriducibile critica contro il principio dell’autonomia materiale degli operai, avanzato dai 11

Ivi, p. 49; tr. it., p. 75.

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liberali. Si tratta del già citato concetto del Selbsthilfe, il quale esprimerebbe, secondo Schulze-Delitzsch, una nuova etica sociale, fondata sulla concezione per cui la dignità dell’operaio doveva passare per la capacità di provvedere a sé contando solo sulle proprie forze. Gli argomenti usati da Ketteler contro tale concezione furono severi. Egli ne smascherò l’inutilità, la fallacia logica e l’ipocrisia. L’inutilità: il principio di provvedere a se stessi contando solo sulle proprie forze, che i liberali proclamavano «fino alla nausea»12 come una loro novità, non era affatto nuovo. «Mangerai il pane col sudore della fronte», ricorda Ketteler citando il versetto del libro della Genesi, rende inutile sottolineare che il dovere di lavorare per mantenersi è una prescrizione etica cristiana, non certo una scoperta del liberalismo. E il cristianesimo l’ha sostenuta in tempi difficili, quando il lavoro era concepito come un’azione degradante da riservare agli schiavi. Fra l’altro, osserva con sarcasmo Ketteler, tanti di questi liberali che esaltano il lavoro, non hanno mai speso un’ora di lavoro in fabbrica, nella loro vita. È difficile da sostenere l’alta dignità del lavoro umano se poi non la si conosce. La fallacia logica: è evidente che il principio dell’auto-sostegno si applicava al livello individuale. A tale livello, la dignità dell’operaio si affermava nell’autosufficienza e nell’autonomia con cui era capace di realizzare le proprie aspirazioni. Tuttavia le condizioni del lavoro salariato avevano anche un risvolto collettivo. Il Partito Liberale, allora, ne estendeva l’applicazione al livello sociale, come auto-mutuo sostegno (soziale Selbsthilfe). Tale estensione affermava che la classe operaia doveva attivare al proprio interno i meccanismi di solidarietà, i loro membri aiutarsi reciprocamente, senza contare su altri gruppi sociali o istituzioni civili. Ketteler evidenziò che il passaggio dall’autotutela individuale alla mutua autotutela al livello associativo era illogico. Se la dignità del lavoro operaio consisteva nella capacità di 12

Ivi, p. 32; tr. it., p. 62.

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cavarsela con le proprie forze, in una visione che assegnava un grande valore all’iniziativa individuale, allora anche la mutua assistenza di classe, espressione comunque di una organizzazione sociale, avrebbe scalfito tale dignità. L’ipocrisia: Ketteler dimostrò come il principio dell’auto-sostegno fosse il risultato di un ragionamento capzioso, utile solo al ceto imprenditoriale. Difatti esso considerava l’autosufficienza economica come fondamento della dignità dell’operaio. Tale autosufficienza, però, non era rispettata in campo storico ed etico. Le classi ricche si credevano in diritto di sapere quale dovesse essere il bene delle masse lavoratrici, e si proclamavano tutori del loro destino. Nei programmi politici del partito liberale comparivano specifiche iniziative per la formazione dei lavoratori, perfino per curare il loro svago nel tempo libero. Di conseguenza se si trattava di sostegno materiale, di sussidi e di supporti economici, gli operai avrebbero dovuto fare da soli, per affermare la propria dignità. Per tutto il resto, invece, dovevano dipendere dagli imprenditori, soprattutto in termini di valutazione di quale dovesse essere il loro avvenire. Non solo: la classe borghese violava sistematicamente il principio di autosufficienza che voleva insegnare agli operai. Basti citare, osservò Ketteler, prendendo a prestito il pensiero di Lassalle (senza nominarlo direttamente), i numerosi sussidi statali percepiti dagli industriali per avviare le loro imprese. E non vale l’argomento che, in quel caso, in gioco c’era l’interesse nazionale in vista dello sviluppo industriale. Ketteler notò come sarebbe stato assai difficile dimostrare che impiantare un’industria fosse più utile all’interesse nazionale che risollevare le condizioni dei lavoratori salariati. L’intransigenza di Ketteler contro il liberalismo si spiegava, come già ripetuto, con l’insofferenza con cui assisteva all’invasione di campo tentata dal Partito Liberale tedesco. Il liberalismo non stava semplicemente elaborando un programma politico, ma stava lanciando un nuovo sistema di etica sociale, un nuovo «catechismo per gli operai» (Arbeiterkatechismus) laico, liberale, 119

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moderno, che avrebbe dovuto soppiantare il vecchio catechismo dei cristiani. Il volume del suo leader Schulze-Delitzsch, Capitel zu einem deutschen Arbeiterkatechismus (uscito l’anno precedente di Die Arbeiterfrage und das Christentum), raccoglieva le conferenze che aveva svolto alla cooperativa operaia di Berlino. Le prime due affrontavano questioni generali: il capitale e il lavoro, lo scambio, il valore e la concorrenza; mentre le ultime quattro entravano nel dettaglio dei «mezzi utili per l’innalzamento della sorte delle classi operaie»13. Se ne ricavava uno schema di proposte liberali in cui convivevano i princìpi generali afferenti all’economia politica, le applicazioni giuridiche concernenti i diritti individuali, le istanze organizzative dei comparti produttivi. Alla base della concezione di Schulze-Delitzsch c’era una teoria sociale. L’uomo aveva ricevuto dalla natura i mezzi per risolvere il problema delle sue necessità materiali. Di conseguenza, egli doveva assumersi la responsabilità di riuscire a sopravvivere senza pesare sugli altri: lo scopo del lavoro consiste nella soddisfazione delle necessità umane, ciò si ottiene con l’uso ragionevole delle forze conferite dalla natura all’uomo. Così troviamo la prima norma per la disposizione del singolo verso la società umana concernente la questione del sostentamento: il dovere dell’autosostentamento, il richiamo a ogni individuo di provvedere a se stesso. Questa asserzione cita “La natura ha legato la tua esistenza alla soddisfazione delle tue necessità, ma la stessa natura ti ha conferito delle forze per soddisfare il tuo bisogno, ammesso che vengano usate nel modo adeguato. Di conseguenza il tuo destino è per buona parte nelle tue mani, devi assumerti la responsabilità sia nei confronti di te stesso sia nei confronti dei prossimi, a cui non dovrai addossare il peso delle tue richieste, perché tutti si trovano come te nella condizione di provvedere a se stessi”14. 13 F.H. Schulze-Delitzsch, Capitel zu einem Arbeitercathechismus, Ernst Keil, Lepizig, 1863, p. 2. 14 Ivi, pp. 5-6.

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Da qui si doveva produrre, ad avviso di Schulze-Delitzsch, una trama di doveri e diritti reciproci che costituiva la società, assicurava il progresso, configurava lo sviluppo. La condizione necessaria era l’affermazione del principio di libertà individuale, il quale si manifestava soprattutto nel lavoro: La realizzazione della vita sociale degli uomini e dell’unità nazionale si fonda sulla capacità del singolo di assumersi la responsabilità delle proprie azioni e di rendere pubblicamente conto di esse, nonché sul fatto che ognuno si addossa le conseguenze delle proprie scelte senza scaricare il peso sugli altri. Una comunità governata da leggi morali e politiche, una reciprocità nelle relazioni economiche e civili a vantaggio di tutti, è fattibile soltanto fra persone che sono coscienti delle proprie azioni e del fatto che l’impegno vale per tutti. Accennare a questa responsabilità delle proprie azioni, cioè all’autosostentamento sociale, proprio mentre l’uomo si procaccia il necessario per sopravvivere, dove la parte animalesca insita in ognuno trova comunque la sua oscura linea di confine, significherebbe introdurre nel campo del lavoro la guerra di tutti contro tutti. Ma proprio in questo campo occorrono pace e sicurezza come presupposti per un prosperare. Anzi questa responsabilità delle proprie azioni presuppone come complemento necessario la libertà nel lavoro, la concessione che l’operaio si muova liberamente mentre usa tutte sue forze e mezzi per procurarsi il sostentamento15.

Dunque nel pensiero liberale la questione del lavoro umano assumeva un connotato etico-politico. La struttura dei diritti decretati dalla modernità si ergeva sull’unico dovere dell’autosostentamento, del provvedere a se stessi contando solo sulle proprie forze. Nell’interpretazione di Schulze-Delitzsch esso rappresentava l’esatto convergere delle idee di uguaglianza e di libertà, perché metteva insieme la considerazione della parità dei mezzi in dotazione 15

Ivi, p. 6.

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all’individuo per superare la sfida materiale e l’arbitrio con il quale tali mezzi potevano essere responsabilmente adoperati. L’affermazione del capitalismo, con ciò, rappresentava l’esaltazione della libertà instaurata dall’ordine borghese, nel quale l’affermazione dei diritti individuali aveva abbattuto le vecchie barriere che imprigionavano il lavoro e ne bloccavano la produttività. Gli ultimi tre capitoli di Capitel zu einem Arbeitercathechismus erano dedicati all’insieme dei princìpi avanzati dal liberalismo. Secondo SchulzeDelitzsch, era dal loro pieno compimento che l’operaio avrebbe dovuto attendersi la soluzione dei suoi problemi. Il principio liberale dell’autosufficienza materiale, da procurarsi attraverso il lavoro, aveva sollevato una polemica evidentemente giusta contro il ceto dei possidenti e dei redditieri, ma al tempo stesso implicava delle conseguenze fatali per le classi operaie, e minava alla base le ragioni dell’etica cristiana. L’affermazione per cui ciascuno dovesse essere artefice del proprio destino conteneva, implicitamente, l’argomento secondo il quale chi viveva nell’indigenza fosse, almeno in parte se non interamente, responsabile della propria condizione. Estremizzando il discorso, la miseria era anche una colpa. Le iniziative della solidarietà cristiana dovevano essere considerate non solo inutili, ma addirittura lesive della dignità degli operai. Il fattore che faceva la differenza fra l’etica liberale e l’etica cristiana era l’idea di sussidiarietà. Già nel 1864, in La questione operaia e il cristianesimo, a conclusione della critica al principio liberale dell’autosufficienza materiale, Ketteler ne abbozzò la formulazione: se l’operaio e l’associazione operaia si sostengono da loro fino a quanto gli è possibile, cioè non usufruiscono di aiuti esterni che possano alimentarne la pigrizia, allora hanno il diritto naturale e ragionevole di accettare l’aiuto da dovunque arrivi, dove gli fosse offerto legittimamente e servisse al rafforzamento dei loro scopi16. 16

W.E. Ketteler, Die Arbeiterfrage und das Christentum, cit., p. 118; tr. it., p. 129.

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Questo «diritto naturale», come lo definì Ketteler, conteneva in nuce il principio di sussidiarietà, che dunque Ketteler aveva proposto prima della definizione di «diritto sussidiario», avvenuta nel 1873 in Die Katholiken im Deutschen Reiche. Concepire l’azione dello Stato in un quadro di sussidiarietà, perciò, non era un’idea dell’ultima ora. Addirittura, se si fa qualche ulteriore passo indietro nel tempo, nel 1848 Ketteler aveva sottolineato come l’intervento dello Stato non dovesse in nessun caso sovrapporsi all’azione di soggetti sociali come la famiglia o la municipalità: finché la famiglia e il comune possono raggiungere il loro scopo naturale, bisogna lasciarli operare in autonomia […] Il popolo cura da sé i propri affari17.

La circostanza di tale richiamo ai limiti dell’azione statale fu uno scambio epistolare avvenuto con il commissario di giustizia Bernhard Thüssing, a proposito dell’ingerenza dello Stato nei programmi d’istruzione scolastica. Pur riconoscendo che il problema dell’istruzione fosse di rilevanza pubblica e di interesse generale, Ketteler considerava l’intervento dello Stato necessario solo in mancanza della capacità di svolgimento del compito da parte della famiglia e della municipalità, cioè gli enti deputati primariamente all’assolvimento di tale funzione. Nello spiegare a Thüssing le ragioni della sua posizione riguardo ai limiti dell’intervento statale nell’istruzione dei giovani, egli offrì un’idea di Stato coordinata al principio di sussidiarietà: Non concepisco lo Stato come una macchina, ma come un organismo vivo con membra viventi, ciascuna delle quali con il proprio diritto, la propria funzione e protesa alla realizzazione della 17 W.E. Ketteler, Offenes Schreiben Kettelers als Deputierter der deutschen Nationalversammlung an seine Wähler. Frankfurt, 17. September 1848, in Wilhelm Emmanuel von Kettelers Schriften. Band I: Religiöse, kirchliche u. kirchenpolitische Schriften, cit., p. 403.

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propria libera vita. Tali membri sono l’individuo, la famiglia, la comunità […] Ogni membro inferiore si muove liberamente nella propria sfera e gode del diritto alla più libera autodeterminazione e autogoverno. Solo quando il membro inferiore di questo organismo non è più in grado di raggiungere da solo i propri fini o di far fronte da solo al pericolo che minaccia il suo sviluppo, entra in azione in suo favore il membro superiore18.

La sussidiarietà scaturiva da una concezione sociale organicistica. Tale concezione, che poteva perlomeno esser fatta risalire a Tommaso d’Aquino, fu sostenuta da Ketteler per demarcare l’idea cristiana da quella liberale, basata invece su «concetti del tutto meccanici, razionali», frutto di una filosofia che «rappresenta l’applicazione della scuola del materialismo al genere umano»19. Tali princìpi erano lontani dalla condizione degli individui, sospesi in una visione disincantata della realtà, frutto di una filosofia astratta. In questi passi sembravano riecheggiare alcuni temi della Die Deutsche Ideologie di Karl Marx e Friedrich Engels (scritta fra il 1845 e il 1846, ma pubblicata solo nel 1932, in Unione Sovietica). Ma la consonanza maggiore era con le Reflections on the Revolution in France di Edmund Burke (1790). Anche Burke intervenne e scrisse in concomitanza di problemi politici e sociali precisi. Entrambi rifiutarono l’idea che si potesse costruire un sistema politico dal nulla, cioè dalla distruzione delle forme civili precedenti. In particolare considerarono dannosa la pretesa di dedurre, da alcuni princìpi generali e astratti, la sistemazione dello Stato e gli equilibri fra le sue parti. Per Burke questo era l’errore più grande della Rivoluzione francese; per Ketteler, questa era l’ipocrisia più dannosa che stava sviluppando il Partito Liberale tedesco. Si capisce che, in tale polemica contro il ruolo delle visioni astratte nel dibattito politico, Ketteler fosse animato anche da un’altra ragione. Egli cercò di allontanare il persistente pregiudizio 18 Ibid. 19

W.E. Ketteler, Die Arbeiterfrage und das Christentum, cit., p. 29; tr. it., p. 60.

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per cui la Chiesa s’accosterebbe alle questioni sociali e politiche procedendo da una visione spiritualista, celestiale, dunque sostanzialmente non idonea ad affrontare le sofferenze delle masse lavoratrici. Ketteler ribaltò l’accusa, mostrando come il cristianesimo avesse scienza ed esperienza fondate e importanti. La sua dottrina non era improvvisata, ma costruita nei secoli, soprattutto egli citò la lunga e solida esperienza della Chiesa nel campo dell’assistenza e della solidarietà ai poveri. L’obiettivo era il Partito Liberale perché le sue proposte erano frutto di una concezione dei rapporti sociali incapace di distinguere gli individui per il loro dato umano, culturale, spirituale. Ridotti ad «atomi», a «numeri»20, a entità cioè scomponibili e ricomponibili a piacimento, l’economia politica poteva applicare su di loro i programmi perfetti, elaborati a tavolino. In modo illusorio, il Partito Liberale credeva di poter costruire la società idonea alla salvaguardia di ogni interesse. Tale opera di ingegneria sociale poteva realizzarsi solo se gli individui erano ridotti a unità indifferenti sulle quali si applicavano le astratte leggi della meccanica razionale.

3 Stato e democrazia Consapevole dei meccanismi plutocratici diffusi nell’organizzazione sociale tedesca, Ketteler non nutriva troppe speranze sulla democrazia quale soluzione di tutti i mali politici. Tuttavia, pur non avendo una posizione trionfalistica nei suoi riguardi, non la osteggiò, né rimpianse forme di organizzazione politica del passato. Questo è un passaggio chiave del suo pensiero, che si rivelò fin dalle prime battute di Libertà, autorità, Chiesa: Primieramente i cattolici e la stampa cattolica debbono evitare tutto ciò che potrebbe far credere che vi hanno secondo noi, 20 W.E. Ketteler, Die Arbeiterfrage und das Christentum, cit., p. 29; tr. it., pp. 59-60.

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nel passato certe istruzioni, certe forme politiche e sociali, che sfuggono ad ogni specie d’ulteriore perfezionamento, sì che i nostri sforzi tendano a lodarle senza eccezioni e a raccomandarle alla generazione futura come l’unico mezzo di salute. Le verità cristiane che abbiamo enunciate hanno senza dubbio per oggetto immediato il progresso morale dell’uomo; ma da esso dipende pure il progresso sociale e politico, e non possiamo prevedere quale trasformazione civile e sociale lo spirito del Cristianesimo opererà nell’umanità, quando avrà penetrato tutto colla sua influenza21.

Dunque, non c’era da preparare un ritorno al passato o sperare che la modernità passasse di moda e si ritornasse alla perfezione delle istituzioni antiche, sorrette dall’impianto culturale cristiano. Anzi, in concomitanza di una diffusione degli ideali cristiani destinata a estendersi, c’era da aspettarsi, osservò Ketteler, che le trasformazioni sul piano morale avrebbero implicato ugualmente delle trasformazioni sul piano politico, per cui volgere la propria attenzione al passato era contraddittorio. Se egli non poteva concepire un sistema politico e istituzionale perfetto in sé, non migliorabile, non poteva neanche considerare la democrazia l’ultimo traguardo da conquistare per le società umane. Ecco perché egli guardò alla democrazia in modo disincantato. A suo avviso il principale quesito politico non era chi fosse chiamato a decidere le sorti di una comunità, ma su cosa un governo avrebbe potuto deliberare22. Che si tratti di un sovrano, di un gruppo dirigente costituitosi attorno al monarca, o del popolo riunito in assemblea, la prima domanda da formularsi era: qual è la fonte della legge? E di conseguenza: qual è l’ambito su cui un governo può regolamentare la vita delle persone? In ultimo: qual è il limite della deliberazione politica? La forma di governo era, dunque, solo un aspetto da tenere in considerazione. La democrazia non poteva dare alcuna garanzia 21 22

W.E. Ketteler, Freiheit, Autorität und Kirche, cit., pp. 8-9; tr. it., p. 9. W.E. Ketteler, Die Arbeiterfrage und das Christentum, cit., p. 69; tr. it., p. 91.

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di una politica adeguata al bene di tutti i cittadini. I socialisti, difatti, avrebbero voluto usarla per espropriare i ricchi, statalizzare l’attività economica e assegnare la comproprietà delle imprese ai lavoratori. Questa è l’ennesima contraddizione alla quale giunge la miope filosofia politica dei liberali. Ostentano la democrazia come fosse la soluzione a ogni problema politico, se ne servono per pianificare il proprio dominio e, così facendo, pongono le basi per l’abuso che le masse lavoratrici (la maggioranza), potranno perpetrare ai loro danni una volta raggiunto democraticamente il potere. Un abuso, per Ketteler, rimaneva tale, a prescindere se a commetterlo fosse stato un potere assoluto o un potere democraticamente eletto. L’abuso prendeva corpo quando il potere politico entrava nel terreno della legge naturale. Era lì che la volontà degli uomini doveva arrestarsi e il potere politico fare un passo indietro. Quello era il limite invalicabile. Il diritto di proprietà faceva parte di questo ambito, che non poteva essere violato. La legge di natura era la manifestazione della lex æterna, promulgata dall’intelligenza divina. Essa, perciò, doveva concepirsi come disposizione sulla quale poteva fiorire la vita umana, per aspirare alla felicità. Neanche la «finzione» della volontà generale poteva arrogarsi il diritto di manipolare a piacimento la legge naturale. Tutto ciò era posto da Ketteler non solo a difesa della concezione politica cristiana, ma a tutela della libertà del cittadino. Il suo discorso non era teologico, o meramente etico, ma politico. Riconosceva il fondamento del rapporto civile fra lo Stato moderno e i cittadini nel senso del limite che il primo doveva programmare, nella sua azione, al fine di non invadere le libertà personali. Le premesse teoriche erano le medesime che spinsero il liberalismo tedesco alla sua battaglia contro l’assolutismo politico ma, a differenza di esso, Ketteler giunse a conclusioni differenti. Il liberalismo tedesco poteva imperniare la propria concezione dello Stato sulla dottrina di Kant. La filosofia pratica 127

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kantiana­distingueva fra l’ambito della legalità, intesa come pura e semplice conformità di un’azione alla legge, e l’ambito della moralità, nella quale la conformità si esprime al livello dell’idea di dovere, collegata alla legge, che costituiva il vero motivo dell’azione. Allo Stato apparteneva l’ambito della legalità, esso perciò doveva vigilare sulla conformità esteriore delle azioni alle leggi. Non aveva alcun potere rispetto alla sfera della moralità, giacché questa si collocava nella coscienza individuale e non poteva essere soggetta ad alcuna autorità esterna. Da qui il liberalismo faceva teoricamente derivare i limiti del potere politico e i rapporti fra la legge e libertà. Lo Stato, di conseguenza, doveva concepirsi come un’impresa puramente giuridica. Svolgeva una funzione di tutela delle libertà individuali, ma non le produceva, non le generava. Il diritto pubblico tedesco si contraddistinse per questo aspetto limitante le pretese dello Stato sulla realtà individuale. I filosofi liberali tradussero la dottrina di Kant nella prospettiva di un individualismo antistatale. Fichte, per esempio, relegò lo Stato al ruolo di gendarme, cioè a custode della proprietà, la quale era anteriore alla formazione statale. Si deve ascrivere però a Wilhelm von Humboldt il ruolo di principale esponente dell’individualismo politico (Saggio sui limiti dell’attività dello Stato, del 1792, anche se fu pubblicato postumo nel 1851). Ketteler fece suo il senso del limite nell’attività dello Stato, ma lo inquadrò nel contesto della dottrina cristiana. Era lontano dalla visione per cui la libertà dell’uomo si esprimeva laddove non c’era l’obbligazione giuridica, cioè dalla regola per cui il confine fra l’intervento dello Stato e le prerogative del cittadino fosse il passaggio dall’obbligazione giuridica a quella morale. Al contrario, osservava che «gli obblighi della carità cristiana valgono e pesano quanto quelli della giustizia civile»23. A proposito dell’ingiustizia fra ricchi e poveri, per esempio, ricordava come fin dai primi secoli cristiani si concepiva il ricco che non faceva 23

Ivi, p. 71; tr. it., p. 92.

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l’elemosina al pari di un ladro. La sfera etica non era solo importante quanto quella giuridica, ma storicamente era più efficace nel risolvere i problemi sociali. Ketteler recuperò spesso alcuni esempi storici a dimostrazione di come le iniziative eticamente fondate abbiano avuto più successo delle medesime iniziative giuridico-politiche. Il tributo riscosso da un funzionario statale che tassa un contribuente era un risultato inferiore rispetto alla donazione gratuita, volontaria, frutto magari dell’esame di coscienza condotto da un cittadino facoltoso turbato dalla miseria a lui circostante. Gli ospedali, gli orfanotrofi, i ricoveri edificati per la generosità dei fedeli erano, di gran lunga, opere migliori di quanto lo Stato fosse mai riuscito a realizzare. L’approdo del percorso teorico di Ketteler, dunque, non poteva essere l’individualismo antistatale, né la dispersione della collettività in unità slegate dal punto di vista civile, che finalmente disponevano del proprio arbitrio senza freni esterni. Esattamente al contrario, Ketteler credeva che dove finisse lo Stato iniziasse il vero legame sociale, quello eticamente fondato, capace di realizzare istituzioni rilevanti, durevoli, superiori. Da questi presupposti si può comprendere la specifica posizione di Ketteler nei confronti della democrazia. Abbiamo definito il suo sguardo come disincantato, nel senso che non credeva che l’etica di un sistema politico fosse semplicemente il frutto del cambio della sua forma di governo, cioè non credeva che l’instaurazione della democrazia avrebbe risolto tutti i problemi sociali. Tuttavia non era indifferente alla domanda di maggiore rappresentatività politica proveniente dalle masse lavoratrici della Germania. Per lui, tale quesito era valido solo se iscritto nella principale questione riguardante su cosa, chiunque si trovasse al governo (sovrano, aristocrazia, popolo), poteva legiferare. In linea con la visione cristiana, la risposta implicava una concezione politica fondata sul senso del limite. La discussione sulla forma di governo doveva procedere dal criterio formulato sui limiti del potere pubblico. E su questo terreno, osservava, non c’era da fare né scuola, né teoria, perché in realtà esso era il terreno di scontro 129

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fra due mondi – il liberalismo e il socialismo – che prima di qualsiasi considerazione sul bene della Germania, erano mossi dalla sete di dominio politico. Ecco perché Ketteler non assegnò una illimitata fiducia al progresso democratico, ne affidò a un futuro nel quale il popolo potrà dire la sua nelle aule rappresentative, il compito di pacificare la società. Comprendeva che il progetto democratico rispondeva solo agli interessi contingenti dei partiti politici. Difatti, tutta la questione attorno alla democrazia si risolveva nella sfida attorno alla legge elettorale. In quel quadro storico, la questione della legge elettorale rispondeva a esigenze specifiche. Non si trattava di individuare il sistema elettorale più idoneo ad assicurare alcune minime condizioni di stabilità e di governabilità a una classe politica. I sistemi politici erano, piuttosto, impegnati su altri interrogativi: quale classe sociale, quale ceto economico, doveva essere premiato da una legge elettorale? Questa domanda era preceduta da un’altra: da chi dipendeva il destino della Germania? Poteva dipendere dai comunisti, che propugnavano un’idea di rivoluzione internazionale, basata sulla solidarietà di classe dei proletari di tutto il mondo? O doveva continuare a basarsi sul ceto possidente, gli Juncker? E la borghesia, che ruolo doveva avere? Queste domande polarizzarono la discussione sulla legge elettorale e il sistema rappresentativo, in Germania, nella seconda metà del Diciannovesimo secolo e fino alla Repubblica di Weimar (basti ricordare le pagine importanti che Max Weber dedicò a tale questione nel 191724). Agli occhi di Ketteler le reali motivazioni che animavano lo scontro erano evidenti. Il Partito Liberale stava impiantando una democrazia fondata su una concezione elitaria di rappresentanza politica. I socialisti, al contrario, desideravano il rafforzamento della democrazia, da realizzarsi 24 M. Weber, Wahlrecht und Demokratie in Deutschland, in «Der deutsche Volkstaat. Schriften zur inneren Politik», collana diretta da W. Heile e W. Schotte, Hilfe, Berlin, 1917; ora in M. Weber, Gesammelte politische Schriften, a cura di J.F. Winckelmann, Tübingen, Mohr (Siebeck), 1958; tr. it., “Diritto elettorale e democrazia in Germania”, in M. Weber, Parlamento e governo nel nuovo ordinamento della Germania e altri scritti politici, Einaudi, Torino, 1982.

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attraverso l’allargamento della base sociale, al fine di portare la maggioranza del popolo, costituito da operai e contadini, alla superiorità parlamentare, per sovvertire i rapporti di forza politica e redistribuire la proprietà privata. Ketteler affrontò questo tema quasi controvoglia, trascinato dalla polemica politica che stava suscitando25. Ne approfittò, però, per criticare il tentativo di emulazione che le istituzioni tedesche stavano attuando in riferimento al caso francese. Era, a suo avviso, un errore macroscopico, soprattutto se si pensava che, per quanto riguardava la rappresentanza politica, l’esperienza tedesca poteva dirsi superiore a quella francese. L’antica rappresentanza dei ceti economici era un meccanismo collaudato e giusto, adatto al sistema di stratificazione sociale in vigore nei territori tedeschi. Aver ceduto alle lusinghe francesi stava snaturando il sistema civile tedesco, e si stavano moltiplicando le conseguenze dannose dei particolarismi territoriali, ai quali seguivano lotte e antagonismi. A dimostrazione di ciò bastava guardare al complesso sistema elettorale tedesco, evidentemente costruito a tavolino, frutto di una ragione illuminista, consapevole di poter imprimere alla storia l’idea di perfezione che portava in sé. Tale sistema elettorale era basato su due criteri: il primo era il censo, il secondo il luogo di residenza26. L’effetto complessivo era di 25 W.E.

Ketteler, Die Arbeiterfrage und das Christentum, pp. 79-80; tr. it., p. 98. Che si trattasse di un sistema contorto, non c’erano dubbi. Esso era sostanzialmente un sistema a due gradi: nella prima fase tutti i cittadini che pagavano una qualche forma di imposta diretta, suddivisi in tre classi, votavano per scegliere degli elettori che poi si trovavano tra loro una o due settimane dopo per eleggere il deputato del collegio alla Camera prussiana. La suddivisione dei voti era fatta su base comunale, mentre il collegio elettorale comprendeva più comuni. Si prendeva il gettito delle imposte dirette di un comune e lo si divideva per tre; poi si partiva dal contribuente più alto e si sommavano tutti quelli necessari per arrivare alla somma del primo terzo; così si faceva col secondo e col terzo. Ovviamente, in vari casi anche un solo contribuente poteva coprire l’intero primo terzo. In alcuni casi eccezionali, uno solo poteva anche coprire la prima e la seconda classe. Poiché ogni classe aveva diritto ad esprimere uno o due elettori di secondo grado per la propria circoscrizione, pochissime persone della prima e seconda classe ne nominavano, per esempio, quattro, mentre la gran massa della terza classe ne nominava due. Il sistema era ovviamente poco democratico: considerando i dati su base dell’intero territorio prussiano fra il 1849 e il 1913 la prima classe raccoglieva dal 3 al 5% dei votanti, la seconda dall’11 al 16%, la terza dall’80 al 86%. Ulteriore elemento di confusione, per questo sistema, era che l’appartenenza alle classi 26

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impedire, sostanzialmente alle masse lavoratrici di entrare nel meccanismo della rappresentanza. Perciò, sulla legge elettorale, il Partito Liberale ordiva un’altra contraffazione. Esso partiva dal postulato teorico per cui in Parlamento si doveva riprodurre l’immagine della reale composizione del popolo tedesco. Tale postulato era necessario per poter concepire la deliberazione della maggioranza in Parlamento come l’autentica e legittima espressione della volontà popolare. Da una parte, però, il Partito Liberale riusciva a influenzare il popolo con strategie manipolatrici, attraverso il sistema occulto di occupazione dei ruoli centrali nell’organizzazione sociale. Dall’altra, aveva impostato una legge elettorale a proprio uso e consumo, per nulla rispondente all’esigenza di riprodurre in Parlamento la distribuzione delle opinioni presenti nella società tedesca. Era, perciò, doppiamente colpevole: professava vicinanza alle istanze popolari e si comportava in modo esattamente opposto. A pagare il costo maggiore di tale contraffazione erano le masse cristiane, marginalizzate «grazie alla scaltrezza politica di quel partito, i membri del quale hanno il monopolio della parola ed esercitano il pieno dominio»27. «Quel partito», come osservava Ketteler, era il Partito Liberale: «abbiamo la convinzione che l’attuale sistema elettorale, in connessione con dipendeva dal luogo di residenza: si poteva avere un reddito notevole e votare nella terza classe se si viveva in un comune dove c’erano molti grandi ricchi, così come si poteva essere membri della prima classe con un reddito abbastanza basso se si risiedeva in un comune di campagna dove il tenore di vita era poco elevato. Si aggiunga che lo stesso sistema di voto era fatto per abbattere ogni forma di possibile protesta: si votava in pubblico, tutti gli elettori riuniti insieme in assemblea, secondo una chiamata per classe (dalla terza alla prima), con un sistema di accettazione immediata dell’investitura da parte dell’«elettore». Ovviamente questo non invogliava la partecipazione: in Prussia all’inizio del nuovo secolo la partecipazione alle elezioni per la Camera prussiana interessava appena il 30% circa degli elettori, mentre alle elezioni nazionali partecipava oltre il 75%. L’esito di un siffatto sistema fu di privilegiare quasi costantemente le forze liberali, espressione della borghesia e dei proprietari terrieri. Le masse operaie non avevano possibilità di entrare nel meccanismo della rappresentanza. Si vedano P. Pombeni, Partiti e sistemi politici nella storia contemporanea, il Mulino, Bologna, 1994, p. 368; O. Büsch, M Wölk, W. Wölk, Wählerbewegung in der deutschen Geschichte 1871-1933, Colloquium, Berlin, 1978; T. Kühne, Handbuch der Wahlen zum Preußischen Abgeordnetenhaus 1867-1918, Droste, Düsseldorf, 1993. 27 W.E. Ketteler, Die Arbeiterfrage und das Christentum, cit., p. 85; tr. it., p. 102.

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il parlamento rappresentativo, sia destinato a consegnare le assemblee rappresentative nelle mani di quel partito che supera ogni altro in pericolosità ed operosità»28. Ketteler non aveva dubbi: fra la presente legge elettorale, deprecabile e insulsa, e la proposta di estensione del suffragio avanzata dal Partito Socialista, era meglio scegliere quest’ultima29. Era cosciente del pericolo costituito dai demagoghi. Si rendeva conto che le masse potevano essere manipolate e indirizzate verso scopi estranei al bene comune, ma tale esito era già in atto, stante la strategia del Partito Liberale di occupare ogni spazio di iniziativa pubblica. Dunque, meglio portare il popolo a esprimere la propria volontà politica in libere elezioni democratiche.

4 I cattolici nell’Impero Germanico In Deutschland nach dem Kriege von 1866, Ketteler raccontò un particolare significativo della propria storia personale. Era il 1848 e la discussione politica si concentrava sul progetto di dare un fondamento costituzionale alla nascente Germania. A quel tempo era parroco a Hopften, nella sua Vestfalia. La fiducia degli abitanti di quella località lo indussero ad accettare di diventare deputato. Alla circoscrizione elettorale apparteneva anche la contea prussiana di Tecklenburg, la cui maggioranza della popolazione era luterana. Durante un’assemblea con tutti i candidati, svolta proprio a Tecklenburg, si esaminò in modo particolare quali fossero i programmi che il deputato avrebbe dovuto difendere a Francoforte, riguardo alla questione costituzionale. Un personaggio assai in vista, oggetto della stima di tanti concittadini, sentenziò con sicurezza che fosse compito del Parlamento allargare i confini della Prussia fino al Meno, costituendo così una monarchia al nord della Germania sotto la corona prussiana. La sua richiesta voleva indurre Ketteler ad agire per raggiungere 28 29

Ivi, p. 85; tr. it., p. 103. Ivi, p. 86; tr. it., p. 103.

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tale obiettivo. Ketteler, ovviamente, rifiutò di appoggiare tale richiesta, e nel libro scrisse: Come avrei potuto immaginare che sarei stato più tardi, in veste di vescovo di Magonza testimone oculare della realizzazione di questo piano, cioè dell’ampliamento dei confini prussiani fino al Meno? Quante volte ho ricordato quel signore di Tecklenburg, la cui affermazione testimonia quanto i fatti attuali fossero preparati a livello universale e da lungo tempo. Non ho più dubbi che quel signore non avesse espresso il suo pensiero personale, ma che l’avesse assunto in quella società segreta che è sede di ciò che chiamiamo prussianesimo30.

In effetti nel periodo che va dal 1848 al 1873, Ketteler assistette all’affermazione della Prussia e alla costituzione dell’Impero Germanico. Egli avrebbe desiderato un epilogo diverso per la formazione dell’Impero, e cioè che non si fosse eretto sulle macerie di una guerra vinta contro l’Austria. All’indomani della guerra franco-prussiana, nel redigere il programma dell’azione politica dei cattolici nel neonato Impero, aprì il suo volume prendendo le distanze dalle strategie messe in atto da Bismarck: Non posso approvare i mezzi adoperati per creare l’Impero Germanico, ad eccezione di quanto avvenuto dopo la dichiarazione di guerra della Francia. Significherebbe dimenticare i princìpi di giustizia e tributare un riconoscimento alla teoria del profitto. Lo scopo non giustifica mai mezzi illeciti, e questo vale tanto per la vita pubblica che per quella privata31.

La sua critica fu una delle poche voci in dissenso che si elevarono al di sopra del trionfalismo che accompagnò il successo tedesco. Dopo la guerra per i ducati dello Schleswig-Holstein (1864), la Prussia mosse contro la stessa Austria (alleandosi con 30 31

W.E. Ketteler, Deutschland nach dem Kriege von 1866, cit., p. 34. W.E. Ketteler, Die Katholiken im Deutschen Reiche, cit., p. 141.

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l’Italia, per la sua Terza Guerra d’Indipendenza), conseguendo una vittoria dalla quale si formò la Confederazione Germanica del Nord. Questa era una formazione che, dal punto di vista geopolitico, rompeva gli equilibri impostati dal Congresso di Vienna, perché l’Austria era estromessa da ogni influenza sul mondo tedesco. Dalla successiva guerra franco-prussiana, conseguente alle nuove condizioni createsi, si formò l’Impero Germanico il quale si propose in Europa come una nuova e moderna forza militare ed economica. L’eccezione a cui Ketteler fa riferimento riguardava il noto episodio che vide il sovrano prussiano Guglielmo subire un tentativo di intimidazione da parte francese. Alla successione al trono spagnolo, rimasto vacante dopo il rovesciamento dei Borbone a seguito della Gloriosa Rivoluzione del 1868, l’ipotesi che fosse un esponente degli Hohenzollern, e parente di Guglielmo, a succedere al trono, creò preoccupazione in Francia. Guglielmo retrocesse da tale opzione, ma questo non bastò a Napoleone III, il quale volle fare ulteriore pressione sul re di Prussia affinché s’impegnasse a non intromettersi nella questione spagnola anche per l’avvenire. In gioco c’era una supremazia che la Francia intendeva ostentare, e questa confliggeva con le aspirazioni tedesche. Lo sviluppo degli eventi, a partire dal noto Dispaccio di Ems, fu magistralmente orchestrato da Bismarck per produrre l’aggressione francese alla Prussia. Nessuno può dire se la politica del cancelliere fosse concentrata, fin dagli inizi, all’epilogo bellico, o se abbia semplicemente sfruttato le circostanze dello scontro diplomatico volgendole a proprio favore; fatto sta che Ketteler difese le prerogative della corona prussiana nell’episodio citato. Tuttavia, egli avrebbe preferito un altro risultato, cioè la costituzione di un impero tedesco inglobante anche l’Austria. Si tenga in considerazione che la Chiesa cattolica tedesca, dopo la guerra contro l’Austria, si venne a trovare in una condizione di minorità nel nuovo Impero (Ketteler citò una proporzione per cui i cattolici, senza l’Austria, erano, nel mondo tedesco, 1/3 dei cristiani). 135

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Egli osservò come l’aver preferito sviluppare la linea dinastica della casa prussiana avesse, di fatto, reso vano ogni possibile accordo con la casa austriaca, e in tal senso: «un Impero Germanico storpiato a favore dell’interesse dinastico non rappresenta il mio ideale». Ma neanche la Confederazione Germanica poteva rappresentare il suo ideale, perché essa era, di fatto, una costruzione artificiale, senza anima, unita solo da interessi materiali e da una comune esigenza di convivenza territoriale. Essa non aveva alcuna corrispondenza con lo spirito e le tradizioni tedesche. Ciò nonostante, Ketteler non denunciò né l’Austria né la Prussia, ma si rese conto che la prima non era minimamente in grado di crea­ re le condizioni per una nuova e più alta unificazione dei popoli tedeschi, e la seconda non poteva accettare uno status quo che la vedeva in condizioni di minorità: Nella Prussia le condizioni amministrative erano molto più vigorose, sane e ordinate, quindi risultava difficile sia lasciarsi dominare dalla forma inattiva della confederazione sia sottomettersi all’Austria in un grande Impero Germanico32.

L’analisi che fece della situazione austriaca fu particolarmente severa. L’Austria era afflitta da un patriottismo decadente, attraversata da visioni politiche differenti, incapaci di offrire un’unica prospettiva ai tedeschi, ai boemi e agli ungheresi. Il liberalismo, ancora una volta, fu menzionato per il suo carattere corruttore dello spirito civile del popolo, quale «veleno che da tempo rende l’Austria priva di potere e forze»33. Lo spirito viennese è definito da Ketteler con parole caustiche: era un genio da «pollo arrosto» (Ketteler usò un termine specificatamente viennese: Backhändel), indicando con ciò la vacuità di una partecipazione ai destini nazionali che si manifestava prevalentemente nelle feste altolocate (Redouten) 34. Era impossibile, 32

Ivi, p. 143. Ibid. 34 Ibid. 33

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in queste condizioni, riuscire a resistere a uno spirito pugnace come quello di Bismarck. Pur considerando l’Impero Germanico come un obiettivo raggiunto in modo non ideale, Ketteler riconobbe che era meglio sia della Confederazione sia del vecchio Sacro Romano Impero. Purché si fosse riconosciuto che esso avrebbe dovuto coordinare il proprio programma politico in vista dell’interesse generale dei tedeschi, e non si replicassero al suo interno le contrapposizioni egoistiche fra le fazioni sostenitrici dei casati nobiliari di ogni singolo Stato. Solo in questa prospettiva era possibile ammettere che gli Hohenzollern fossero gli unici in grado di realizzare il progetto unitario: «nonostante ci addolori la separazione dall’antica casa imperatrice e da tante comunità tedesche, dobbiamo accogliere questo rinnovamento con spirito arrendevole»35. In considerazione di tutto ciò, i cattolici nell’Impero dovevano agire muniti innanzitutto di due punti programmatici: da una parte, il riconoscimento del nuovo assetto di potere e, in conseguenza, «il dovere di compiere in virtù dell’amore devoto alla patria, ogni sforzo per il suo rafforzamento e potenziamento»36. In questo, ad avviso di Ketteler, il partito cattolico non doveva essere secondo a nessuno. Il secondo punto, invece, riguardava l’impegno politico di agire affinché l’Impero Germanico stringesse un’alleanza con l’Austria, di natura «talmente serrata da presentare un carattere più nazionale che internazionale»37. La sfida principale che il nascente Impero doveva risolvere era il superamento dei particolarismi. I popoli tedeschi erano indissolubilmente legati ai propri sovrani, anche se negli ultimi decenni, a seguito delle vicende conseguenti alla secolarizzazione, tale adesione era divenuta più fragile. Questi sentimenti, ad avviso di Ketteler, non nuocevano all’edificazione di un sentimento patriottico imperiale, anzi ne costituivano la necessaria premessa. Difatti, c’era da ricostruire il senso della comunità, 35

Ivi, p. 145. Ibid. 37 Ivi, p. 146. 36

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dell’identificazione­culturale munita di una storia e una tradizione comuni. Le ripartizioni dei nuovi confini non avevano seguito le antiche configurazioni territoriali, ed erano stati creati degli Stati che non rappresentavano più le comunità che vivevano entro quegli specifici confini. Servivano solo a soddisfare gli interessi dei ceti nobili, che cercavano indennizzi alle penalizzanti trasformazioni in atto. Per questo il particolarismo fu spesso additato come causa della faticosa costruzione dell’unificazione sociale dei tedeschi, dimenticando che esso fu aggravato dalle politiche di spartizione territoriale basate sul disegno delle frontiere fatto a tavolino. Anche questa era una perversione del liberalismo, il quale per realizzare i propri disegni aveva bisogno di ridurre le autonomie e centralizzare la funzione politica. In questo frangente, per spiegare la posizione dei cattolici in merito a tale istanza, Ketteler fece perlopiù riferimento alla propria esperienza. Egli, come abbiamo già mostrato, non concepiva la sovranità piena e illimitata dei governi aristocratici tedeschi. Allo stesso tempo, era diffidente delle soluzioni autonomiste, perché considerava la storia tedesca come un percorso che legittimava il diritto di vivere uniti sotto un unico imperatore. Ciò significò che il cattolicesimo tedesco doveva riconoscere pienamente lo Stato e, al tempo stesso, l’autonomia dei singoli territori tedeschi, per quanto riguardava l’azione legislativa e amministrativa, purché ciò non fosse a nocumento dell’interesse generale. Nello stilare tale programma, Ketteler formulò 13 punti d’azione e d’ispirazione38: Programma I.

Pieno riconoscimento del potere politico tedesco all’interno dei suoi confini giuridici.

II. Solida alleanza nazionale con l’Austria, il regno orientale della Germania. 38

Ivi, p. 139-141.

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III. Riconoscimento ufficiale dell’autonomia dei singoli Stati appartenenti all’Impero Germanico, fin dove la necessaria unitarietà dell’Impero lo consente, e in base alle leggi vigenti. IV. Sia all’interno dell’Impero che nei singoli stati, la religione cristiana dovrà essere posta come base della libertà religiosa in ogni ambito che riguarda l’esercizio della religione.

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V.

Le confessioni cristiane riconosciute dispongono e amministrano i loro affari autonomamente, e mantengono la proprietà e l’uso delle strutture e dei fondi che sono stati messi a disposizione dei loro scopi culturali, didattici e benefici.

VI. Un Impero Germanico esige una legge tedesca e una libertà tedesca, nel senso di una legislatura sicura per garantire la libertà sia personale che sociale, in contrasto alla libertà ingannevole dell’assolutismo e del liberalismo, che invece annienta la libertà dell’individuo come quella delle associazioni. VII. In stretta relazione col punto precedente, si esige la libertà di insegnamento a livello superiore, medio e inferiore, sotto la funzione di controllo esercitata dallo Stato, e l’istituzione della scuola statale non secondo l’arbitrarietà delle autorità politiche, bensì secondo le condizioni reali, religiose, spirituali e morali del popolo. VIII. Un Impero Germanico richiede norme costitutive tedesche in ogni ambito, non solo riguardo alla costituzione nazionale e regionale, piuttosto anche attinente alla costituzione sociale del popolo per ogni sua necessità. Richiede un’organizzazione corporativa, in opposizione alle forme costitutive meccaniche del liberalismo, autogoverno come antitesi di un regime di funzionari.

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IX. In particolar modo, si sostiene la necessità di una costituzione regionale, comunale e provinciale interna, conforme a tali princìpi. X. Estensione della costituzione nazionale:

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1. con un apparato sovragiuridico; 2. con una corte suprema come baluardo inviolabile di tutta la giurisdizione tedesca, per la tutela del diritto pubblico e per il controllo giudiziario dell’amministrazione nazionale e regionale. XI. Regolamentazione del debito pubblico, diminuzione dei costi del governo, compensazione delle tasse. Mezzi per realizzarli: 1. tassazione del mercato azionario; 2. imposta sul reddito per enti privati e fondazioni; 3. funzionamento delle ferrovie a spese dello Stato; 4. diminuzione dell’onere militare; 5. abolizione delle tasse per le necessità imprescindibili. XII. Riorganizzazione corporativa della classe operaia e degli artigiani. Tutela legale di figli e mogli degli operai contro lo sfruttamento del capitale. Salvaguardia degli operai con leggi su orari di lavoro e riposo domenicale. Tutela legale di salute e morale degli operai nei luoghi di lavoro. Impiego di ispettori per il controllo delle leggi emesse a tutela degli operai. XIII. Divieto giuridico delle società segrete, in particolar modo dell’ordine dei frammassoni come confederazione segreta.

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Si osservi come tale programma riproduca gli obiettivi che il pensiero e l’iniziativa politica di Ketteler avevano costantemente perseguito. In esso troviamo espresse la questione operaia, la tutela delle autonomie locali, il principio di sussidiarietà, le istanze democratiche, la centralità della persona e della famiglia, il rispetto delle minoranze e la libertà religiosa e d’insegnamento, l’autentica visione di una cultura tedesca al servizio della civilizzazione continentale, perfino la negazione delle società segrete e della massoneria in particolare. Che impatto ebbe tale suo scritto con il comportamento e le strategie dei cattolici tedeschi nella politica del Reich? Nonostante la sua vita e la sua opera abbiano costantemente indicato le ragioni della distinzione fra ciò che compete allo Stato e ciò che, invece, compete alla Chiesa e alle libere associazioni, il suo programma incontrò una certa diffidenza. Difatti, quel primo punto recitante il «pieno riconoscimento del potere politico tedesco all’interno dei suoi confini giuridici», fu usato per mettere in rilievo una presunta svolta filo-prussiana e filo-imperiale del vescovo di Magonza. D’altronde, il suo programma calò in un contesto politico nel quale il partito di riferimento, il Zentrumspartei, viveva alcune divisioni al proprio interno e, in aggiunta, il Kulturkampf attuato da Bismarck cominciava a pesare nelle relazioni civili. Non mancarono adesioni e valutazioni positive dell’indirizzo programmatico del vescovo di Magonza. L’importante periodico Germania, per esempio, riportò le parti più importanti del Die Katholiken im Deutschen Reiche, distribuendole in 5 articoli, dal febbraio 1873, assieme ad alcuni commenti positivi ed entusiastici. Qualcosa di simile fece anche la Kölnische Volkszeitung, manifestando la piena adesione al trattato di Ketteler. Tuttavia, dal punto di vista politico e strategico, il suo piano fu disatteso. Ormai la vicenda di Ketteler stava volgendo all’epilogo. Accettò di entrare in Parlamento quale rappresentante del collegio di Walldürn-Tauberbischofsheim, nel 1871, ma lasciò tale incarico appena dopo un anno, a seguito della scarsa accoglienza 141

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che riscosse, in seno al suo stesso partito, una sua proposta di legge in campo sociale. In essa convergevano le tesi esposte a Liebfrauen, di fronte agli operai e alle loro famiglie, due anni prima, il 25 luglio 1869. La proposta conteneva i termini di una nuova riorganizzazione del diritto del lavoro e implicava il largo intervento dello Stato in materia. Si ribadiva la necessità di vietare il lavoro dei fanciulli al di sotto dei 14 anni e delle donne sposate al di fuori del proprio domicilio; il divieto del lavoro domenicale e nelle festività religiose; l’istituzione di un ispettorato del lavoro. Tale iniziativa legislativa non sopravvisse neanche all’approvazione degli organi direttivi del Zentrumspartei, il partito al quale apparteneva. La direzione del partito chiese all’economista Lujo Brentano di esprimere un parere sulla proposta del Ketteler; siccome questo fu negativo, l’iniziativa legislativa si fermò lì. Anche Bismarck rimase pressoché indifferente alle sue richieste di includere nella costituzione tedesca le norme relative alla collocazione delle Chiese cristiane nell’ordinamento pubblico. Su questo specifico punto, fra l’altro, ingaggiò una battaglia solitaria, giacché l’esponente emergente del Zentrumspartei, Ludwig Windthorst, muoveva da una concezione maggiormente federalista, che assegnava ai singoli Stati dell’Impero Germanico il compito di regolare i rapporti fra l’istituzione statale e le proprie Chiese. I dibattiti politici e parlamentari, negli anni Settanta, non favorirono lo sviluppo dei temi sociali elaborati da Ketteler. Questo per tre ragioni: la prima era che lo stesso mondo cattolico, che avrebbe dovuto rilanciare il pensiero programmatico di Ketteler, si trovò invece impegnato soprattutto sul versante delle prospettive emerse dalla pubblicazione del Syllabus, il quale trattava solo marginalmente la questione sociale. La seconda erano le particolari circostanze nelle quali l’Impero Germanico ebbe modo di formarsi. L’agenda delle forze politiche parlamentari era concentrata principalmente sui temi costituzionali, in particolare sul problema di come regolare la decentralizzazione e l’autonomia amministrativa, su quali strategie economiche potevano produrre 142

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una diminuzione della pressione fiscale, come organizzare le forze armate e ridurre la ferma militare, sul destino delle scuole confessionali, sulle libertà d’insegnamento, ecc. Su tale terreno, il cattolicesimo tedesco s’impegnò per tutelare l’istituto del matrimonio cristiano, per una più equa distribuzione delle risorse tributarie, anche in base ai princìpi di solidarietà verso le fasce più vulnerabili della società. Ecco perché la spinta propulsiva alla questione sociale, impressa da Ketteler negli anni precedenti, perse energia. La terza riguardava la strategia politica messa in campo dal Zentrumspartei. Onde evitare ogni possibile accusa di collateralismo con le idee socialiste, Ludwig Windthorst, succeduto nel 1874 a Hermann von Mallinckrodt alla guida del partito, attenuò l’impegno del partito d’ispirazione cattolica sul tema delle lotte sociali, e la figura, il pensiero e l’opera di Ketteler finirono in secondo piano39. Ketteler morì il 13 luglio 1877. Pochi mesi prima, il 19 marzo, il partito presentò al Reichstag la cosiddetta “proposta von Galen”. Finalmente, essa affrontava i temi della questione sociale (Ferdinand von Galen, fra l’altro, era il nipote di Ketteler). Tale proposta avanzata in un Parlamento diviso fra conservatori, liberali e socialisti, non trovò particolari dissensi di natura ideologica. Ad animare un dibattito parlamentare difficile furono, invece, le contrarietà generate dallo stile apologetico, intransigente, avanzato da von Galen. Ad ostacolare i parlamentari tedeschi non furono, perciò, le differenti convinzioni politiche, ma soprattutto le divisioni confessionali. La proposta di legge chiedeva di portare a compimento un’indagine conoscitiva sulla condizione delle classi lavoratrici (operai e artigiani) avanzata in precedenza, e di presentare in una successiva sessione parlamentare una legge a modifica del “Regolamento delle arti e dei mestieri” (Gewerbeordnung), risalente al 1869. Tali modifiche erano evidentemente coerenti con l’impostazione di Ketteler delle soluzioni alla questione operaia, 39 Su questa parte della storia del Zentrumspartei, si veda E. Ritter, Il movimento cattolico-sociale in Germania nel XIX secolo e il Volksverein, cit., pp. 181ss.

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espresse chiaramente sia ne La questione operaia e il cristianesimo, che nel discorso di Liebfrauen. Vertevano, difatti, su: 1) le tutele della vita religiosa e morale delle classi lavoratrici, con il collegato punto (molto discusso) del riposo domenicale; 2) le tutele del ceto artigiano, mediante la limitazione della libertà nelle arti e nei mestieri; 3) l’ordinamento delle occupazioni dei garzoni e degli apprendisti; 4) il sostegno e lo sviluppo delle cooperative di produzione; 5) le normative specifiche per la tutela dei lavoratori in fabbrica; 6) il divieto del lavoro ai minori di 14 anni; 7) la limitazione delle libertà di circolazione nel mercato del lavoro. La calendarizzazione dei lavori parlamentari fissò la discussione della «proposta von Galen» al 16-18 aprile successivi. Nel frattempo, le altre forze politiche avanzarono le loro proposte alternative. I conservatori produssero un impianto normativo sulla regolamentazione dell’apprendistato, i nazional-liberali proposero l’istituzione di tribunali arbitrari professionali, i progressisti (Fortschrittspartei) contribuirono con un loro pacchetto di proposte e, ovviamente, i socialdemocratici proposero un’articolata revisione normativa riguardante il lavoro nei suoi diversi aspetti. Quest’ultima forza parlamentare disponeva solo di dodici seggi, dunque gli mancavano tre voti per poter presentare una proposta. Fra coloro che intervennero per aiutare i socialdemocratici, ci furono pure due esponenti del Zentrumspartei: August Reichensperger e Franz Rußwurm. Tale clima collaborativo durò poco. La discussione si fece subito accesa e, in quel clima, mentre Windthorst era indisponibile perché malato e Schorlemer-Alst era impegnato altrove, Galen si trovò a difendere con veemenza le ragioni della concezione cattolica della vita associata, aumentando le divisioni con gli altri partiti politici. Al suo ritorno in aula, Windthorst tentò di riportare equilibrio nel dibattito, accogliendo alcune istanze provenienti dalle altre forze politiche (in special modo i socialdemocratici). Ma ormai la “proposta von Galen” era compromessa. A sostenerla erano rimasti solo i deputati cattolici e i conservatori, la commissione per la politica sociale la respinse. 144

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Un ruolo cruciale fu svolto dal ministro Karl von Hofmann, in rappresentanza del governo, il quale interpretò la posizione del Zentrumspartei come ostile alla politica di Bismarck. Difatti, la proposta “von Galen” non nascondeva il giudizio negativo riguardante l’inefficacia delle misure governative per migliorare la condizione dei lavoratori salariati. Essa entrava in collisione con il sistema bismarckiano anche su un altro punto sensibile: il riposo domenicale e durante le festività religiose. Bismarck era intransigente su questo specifico punto: in gioco non c’era solo l’organizzazione della settimana lavorativa ma la sua capacità di imporre il bene dello Stato al di sopra delle visioni etiche e religiose particolari. Nelle tortuose vicende del cattolicesimo tedesco fino ai primi anni del Ventesimo secolo, la figura di Ketteler sembrò, a volte, sospinta all’angolo dalle incalzanti vicende scandite dal Kulturkampf, dall’insorgere del nazionalismo, dal primo conflitto mondiale. Gli anni immediatamente successivi alla sua morte lo videro, a volte, citato più per la sua adesione all’Impero Germanico – il primo punto del programma in Die Katholiken im Deutschen Reiche – che per le sue strenue battaglie sulla questione sociale. Essere cattolici nel periodo imperiale, d’altronde, non era solo un’opzione confessionale. L’Impero era, di fatto, una vicenda storica che aveva portato la protestante Prussia a sovvertire i rapporti di forza, per l’egemonia del mondo tedesco, con la cattolica Austria prima e la cattolica Francia dopo. Inoltre, il carattere interconfessionale del Zentrumspartei era considerato, da Bismarck, come l’anticamera di un possibile ruolo di amalgama che il partito avrebbe potuto svolgere presso tutti i suoi oppositori. Non erano ancora sopiti i fermenti dei cattolici in Baviera, in Alsazia e la stessa Polonia era una minaccia al disegno prussiano. Si deve tener presente che la consistenza parlamentare del Zentrum era ragguardevole, per questo Bismarck temeva che essa potesse intralciare la realizzazione dei suoi programmi politici. Il clima, nelle aule parlamentari, divenne particolarmente divisivo. Bismarck si riferì più volte ai membri delle forze politiche parlamentari distinguendoli fra Reichstreue (fedeli allo Stato) e 145

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Reichsfeindliche (nemici dello Stato): essere contro il governo significava non avere a cuore il destino della Germania, ostacolare la sua azione voleva dire puntare alla distruzione della patria tedesca. Anche per queste ragioni, la questione operaia non era più la questione principale per il cattolicesimo tedesco. Il leader del Zentrumspartei, poi, cioè Ludwig Windthorst, ex ministro dell’Hannover, era nutrito di sentimenti di diffidenza verso l’egemonia assunta dalla Prussia e impiegò le sue abilità politiche ingaggiando una lotta dura contro Bismarck. Le grandi questioni sociali del tempo scivolarono in secondo piano. Il cattolicesimo tedesco aveva di fronte la sfida costituita dall’Impero. Sul modo di affrontare tale sfida, Ketteler e Windthorst avevano visioni diverse e si narra che ciò fu causa di un contrasto personale40. Ad ogni modo, nel 1890 fu ristampata La questione operaia e il cristianesimo, arricchita da una introduzione di Windthorst, il quale ebbe parole di riconoscimento del ruolo fondativo di Ketteler per l’ispirazione e l’azione dei politici tedeschi. La ristampa del volume coincise con la nascita del Volksverein für das katholische Deutschland, cioè l’organizzazione voluta da Windthorst per la formazione intellettuale alle concezioni religiose e sociali del popolo tedesco. A quel tempo, si prospettava un allentamento del Kulturkampf e si rendeva necessario riproporre il pensiero dei grandi tedeschi che, nei decenni precedenti, avevano tracciato il solco del cattolicesimo e che, in quegli anni, erano passati in secondo piano. Gli scritti di Ketteler non erano più disponibili, se non nelle librerie antiquarie, e rimanevano solo le pagine delle storiche riviste «Katholik», «Historisch-Politische Blätter», «Christlich-soziale Blätter» a ricordare i Katholikentage, le figure di Kolping, Ketteler e Reichensperger, e le dispute ideologiche degli anni Sessanta e Settanta41. La ripresa dei temi e la presentazione del pionieristico lavoro svolto da Ketteler per la questione sociale riportò al giusto posto la sua figura. Nel 1891, la Rerum novarum mostrò l’attualità dell’impostazione data dal 40

E. Ritter, cit., nota p. 180. p. 332.

41 Ivi,

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vescovo di Magonza alla questione sociale e ai rapporti con i mondi liberali e socialisti. La figura di Ketteler attraverserà il Ventesimo secolo, giungendo fino ai nostri giorni, per la tenacia con cui avanzò le sue tesi moderne ed eticamente ispirate, e per aver indicato la strada per il superamento delle contrapposizioni ideologiche, prevedendone l’eclissi, riportando al centro della riflessione sulle condizioni per la convivenza sociale il diritto e la dignità della persona.

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Opere di e su Schulze-Delitzsch AA.VV., Hermann Schulze-Delitzsch und die Konsum –, Produktiv – und Wohnungs-genossenschaften, Books on Demand GmbH, Norderstedt, 2008. A.D. Bernstein, Schulze-Delitzsch. Leben und Wirken, Hansebooks, München, 2016. U. Birnstein, G. Schwikart, Friedrich Wilhelm Raiffeisen Hermann Schulze-Delitzsch: Zwei Banker gegen die Not, Wichern Verlag, Berlin, 2014. H. Schulze-Delitzsch, The People’s Banks of Their Organization Under the Recent Law, Forgotten Books, London, 2015. H. Schulze-Delitzsch, Die Abschaffung des geschäftlichen Risikos durch Herrn Lassalle. Ein neues Kapitel zum deutschen Arbeiterkatechismus, Hansebooks, München, 2016. H. Schulze-Delitzsch, Die Entwicklung des Genossenschaftswesens in Deutschland, Nabu Press, Charleston, 2011. H. Schulze-Delitzsch, Capitel zu einem Arbeiterkathekismus. Sechs Vorträge vor dem berliner Arbeiterverein, Ernst Keil, Leipzig, 1863. H. Schulze-Delitzsch, Die Arbeitenden Klassen und das Associationswesen in Deutschland als Programm zu einem Deutschen Congress (1863), Kessinger Publishing, Whitefish (Montana), 2010. F. Thorwart, Hermann Schulze-Delitzsch: Leben und Wirken, Berlin, Walter de Gruyter, 1913.

Altre opere citate e consultate E. Alexander, Church and Society in Germany. Social and Political Movements and Ideas in German and Austrian Catholicism 1789-1950, in J.N. Moody (ed.), Church and Society, Catholic Social and Political Thought and Movements 17891950, Arts Inc., New York, 1953, pp. 325-583. 156

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G. Antonazzi, G. De Rosa (a cura), L’enciclica Rerum novarum e il suo tempo, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 1991. M. Antonioli (a cura), Per una storia del sindacato in Europa, Bruno Mondadori, Milano, 2012. F. von Baader, Über das durch die Französische Revolution herbeigeführte Bedürfnis einer neueren und innigeren Verbindung der Religion mit der Politik, Egelsbach, Köln, 1992. F. von Baader, Grundzüge der Societätsphilosophie: Ideen über Recht, Staat, Gesellschaft u. Kirche, Ann Arbor, Michigan, 1980. F. von Baader, Vom Sinn der Gesellschaft, Hegner, Köln, 1966. H. Bartel, W. Schroeder, G. Seeber, Das Sozialistengesetz. 18781890 Illustrierte Geschichte des Kampfes der Arbeiterklasse gegen das Ausnahmegesetz, Dietz, Berlin, 1980. C. Bauer, Deutscher Katholizismus, Josef Knecht, Frankfurt a. M., 1964. C. Bauer, Politischer Katholizismus in Württemberg bis zum Jahr 1848, Herder, Freiburg, 1929. O. Büsch, M Wölk, W. Wölk, Wählerbewegung in der deutschen Geschichte 1871-1933, Colloquium, Berlin, 1978. L. Chevalier, Classes laborieuses et classes dangereuses à Paris pendant la première moitié du XIXe siècle, Libraire Plon, Paris, 1958; tr. it., Classi lavoratrici e classi pericolose. Parigi nella Rivoluzione industriale, Laterza, Roma-Bari, 1976. I. Cervelli, Liberalismo e conservatorismo in Prussia 1850-1858, il Mulino, Bologna, 1983. H.D. Cole, Socialist Thought: The Forerunners (1789-1850), Macmillan, London, 1953; tr. it., Storia del pensiero socialista. I precursori, Laterza, Bari, 1967. A. De Gasperi, I tempi e gli uomini che prepararono la “Rerum novarum”, Vita e Pensiero, Milano, 1984 (ed. originale 1931). C. De Pascale, Tra rivoluzione e restaurazione. La filosofia della società di Franz von Baader, Bibliopolis, Milano, 1983. G. De Ruggiero, Storia del liberalismo europeo, Laterza, Bari, 1945. 157

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W. Reinhard, Geschichte der Staatgewalt, Verlag C.H. Beck, München, 1999; tr. it., Storia del potere politico in Europa, il Mulino, Bologna, 2001. E. Ritter, Die Katholisch-soziale Bewegung Deutschlands im neunzehnten Jahrhundert und der Volksverein, Verlag von J.P. Bachem, Köln, 1954; tr. it., Il movimento cattolico sociale in Germania nel XIX secolo e il Volksverein, Edizioni Cinque Lune, Roma, 1967. G. Ritter, Die Deutschen Parteien 1830-1914, Vandenhoeck und Ruprecht, Göttingen, 1985. L. Riva Sanseverino, Il movimento sindacale cristiano, Zuffi, Roma, 1950. L.A. von Rochau, Grundsätze der Realpolitik, angewendet auf die staatlichen Zustände Deutschlands, K. Göpel, Stuttgart, 1853. R.J. Ross, Beleaguered Tower: the dilemma of political catholicism in Wilhelmine Germany, Notre Dame University Press, Notre Dame, 1976. J.C.G. Röhl, Der Ort des Kaiser Wilhelms II in der deutschen Geschichte, Oldenbourg, München, 1991. W. Schmidt-Biggemann, Politische Theologie der Gegen­ aufklärung, Der Akademie Verlag, Berlin, 2004. N. Schüren, Zur Lösung der sozialen Frage, Wengler, Leipzig, 1860 J.J. Sheehan, German Liberalism in the 19th Century, Methuen, London, 1982. J. Simon, L’ouvrière, L. Hachette, Paris, 1862; tr. tedesca, Die Arbeiterin, E. Kiesling, Zürich, 1862. E. Soderini, Il pontificato di Leone XIII, Mondadori, Milano, 1932. G. Sorel, Réflexions sur la violence, Rivière, Paris, 1906; tr. it., Riflessioni sulla violenza, in G. Sorel, Scritti politici, Utet, Torino, 2006. W. Spael, Das katholische Deutschland im 20. Jahrhundert. Seine Pionier- und Krisenzeiten (1890-1945), tr. it., La Germania cattolica nel XX secolo. 1890-1945, Cinque Lune, Roma, 1974. H.J. Steinberg, Il socialismo tedesco da Bebel a Kautsky, Editori Riuniti, Roma, 1979. 160

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F. Troncini, L’invenzione della «Realpolitik» e la scoperta della «legge del potere». August Ludwig von Rochau tra radicalismo e nazional-liberalismo, il Mulino, Bologna, 2009. M. Valente, Diplomazia pontificia e Kulturkampf. La Santa Sede e la Prussia tra Pio IX e Bismarck (1862-1878), Studium, Roma, 2004. J. Villain, L’enseignement social de l’Église, Paris, Spes, 1953; tr. it., L’insegnamento sociale della Chiesa, Centro Studi Sociali, Milano, 1961. A.M. Voci, Il Reich di Bismarck. Storia e storiografia, Storia e Letteratura, Roma, 2009. K. Vondung, Das wilhelminische Bildungsbürgertum. Zur Sozialgeschichte seiner Ideen, Vandenhoeck und Ruprecht, Göttingen, 1976. J. Walkowitz, Prostitution and Victorian Society, Cambridge University Press, Cambridge, 1982. M. Weber, Wahlrecht und Demokratie in Deutschland, in «Der deutsche Volkstaat. Schriften zur inneren Politik», collana diretta da W. Heile e W. Schotte, Berlin, Hilfe, 1917; ora in M. Weber, Gesammelte politische Schriften, a cura di J.F. Winckelmann, Mohr (Siebeck),Tübingen, 1958; tr. it., “Diritto elettorale e democrazia in Germania”, in M. Weber, Parlamento e governo nel nuovo ordinamento della Germania e altri scritti politici, Einaudi, Torino, 1982.

Testi del magistero sociale Pio IX, Qui pluribus, 9 novembre 1846. Pio IX, Quibus quantisque, 20 aprile 1849. Pio IX, Nostis et Nobiscum, 8 dicembre 1849. Pio IX, Quanta cura, 8 dicembre 1864. Leone XIII, Diuturnum, 29 giugno 1881. Leone XIII, Immortale Dei, 1 novembre 1885. Leone XIII, Libertas, 20 giugno 1888. 161

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Leone XIII, Rerum novarum, 15 maggio 1891. Pio XI, Quadragesimo anno, 15 maggio 1931. Giovanni XXIII, Mater et magistra, 15 maggio 1961. Paolo VI, Gaudium et spes, 8 dicembre 1965. Paolo VI, Populorum progressio, 26 marzo 1967. Giovanni Paolo II, Laborem exercens, 14 settembre 1981.

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Raccolta cronologica dei principali scritti di W.E. Ketteler (con traduzione in italiano di ogni titolo)

1848 Leichenrede, gesprochen am Grabe der am 18. September zu Frankfurt a. M. gewaltsam Ermordeten und der im Kampfe gegen die Aufständischen Gefallenen, Leipzig. [Orazione funebre tenuta sulla tomba delle vittime dell’atroce assassinio commesso il 18 settembre a Francoforte sul Meno e dei caduti nella lotta contro i ribelli, Lipsia]. Vier Briefe über das Verhältnis von Kirche, Schule und Staat (Korrespondenz mit Justizkommissar Thüssing), Von Thüssing herausgegeben, Warendorf [Quattro lettere sulla relazione tra Chiesa, Scuola e Stato (Corrispondenza con il commissario di giustizia Thüssing)]. Reden gehalten auf der ersten Versammlung der katholischen Vereine Deutschlands zu Mainz 4. und 5. Oktober. Amtlicher Bericht. “Verhandlungen usw…” S. 51, 86. Mainz. [Orazioni svolte nella prima assemblea delle associazioni cattoliche tedesche a Magonza il 4 e 5 ottobre. Relazione ufficiale. “Trattative ecc…”, pp. 51, 86, Magonza]. 1849 Satzungen des katholischen Vereins in Hopften, Anonym, Theissingsche Druckerei, Münster [Statuti dell’associazione cattolica di Hopften]. 163

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Die groβen sozialen Fragen der Gegenwart. Sechs Predigten. Erschien 1878 bei Kirchheim in Mainz in zweiter Auflage mit einem Anhange: Leichenrede gehalten zu Frankfurt am Grabe des Fürsten Lichnowski und des Generals von Auerswald. [Le grandi questioni sociali del presente. Sei omelie. Pubblicato in seconda edizione nel 1878 da Kirchheim a Magonza con un’appendice: Orazione funebre tenuta a Francoforte sulla tomba del principe Lichnowski e del generale von Auerswald]. 1850 Hilferuf zur Errichtung eines katholischen Krankenhauses in Berlin (anonym), Berlin [Appello per sostenere la costruzione di un ospedale cattolico a Berlino (anonimo)]. Hirtenbrief vom 25. Juli 1850 zum Antritt des bischöflichen Amtes, Münster [Lettera pastorale del 25 luglio 1850 all’inizio dell’episcopato] Beschreibung des festlichen Empfangs und der feierlichen Konsekration des hochwürdigen Bischofs von Mainz. Nebst allen dabei gehaltenen Reden und dem bischöflichen Hirtenbriefe, Mainz. [Descrizione della festosa accoglienza e della solenne consacrazione dell’eccellentissimo vescovo di Magonza. Comprese tutte le orazioni del caso e la lettera pastorale vescovile]. 1851 Hirtenbrief an die Geistlichkeit und die Gläubigen seines Kirchensprengels bei dem Anfange der Fastenzeit, Vom 23. Februar 1851 (über den Deutschkatholizismus), Mainz. [Lettera pastorale al clero e ai fedeli della sua diocesi all’inizio della Quaresima. (Sul cattolicesimo tedesco). Reden gehalten bei Gelegenheit der fünften Generalversammlung der katholischen Vereine Deutschlands zu Mainz am 7. und 8. Oktober 1851. Amtlicher Bericht, S. 29, 138, Mainz. [Orazioni svolte in occasione della quinta assemblea generale delle associazioni cattoliche tedesche a Magonza. Relazione ufficiale, pp. 29, 138]. 164

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Wilhelm Emmanuel Bischof von Mainz an die gesamte hochwürdige Geistlichkeit der Diözese, 6. Januar 1852 (über die Pflichten des priesterlichen Wandels), Münster. [Wilhelm Emmanuel vescovo di Magonza a tutto l’insigne clero della diocesi (Sugli obblighi della condotta clericale)]. Hirtenbrief… bei dem Anfang der Fastenzeit. 4. Februar 1852 (Deutschkatholizismus und Freiheit der Kirche), Mainz. [Lettera pastorale… per l’inizio della Quaresima. (Cattolicesimo tedesco e libertà della Chiesa)]. Den Bau der Aureuskapelle auf dem katholischen Anteil des Mainzer Gottesackers betreffend (ein Aufruf an die Gläubigen vom 1. Juli 1852), in “kathol. Sonntagsblätter” 4. Juli 1852, Nr. 27. [Riguardo alla costruzione della cappella di Aureus nella parte cattolica del territorio di Magonza appartenente alla Chiesa]. Öffentliche Erklärung des Bischofs von Mainz in Betreff eines angeblich katholischen Glaubensbekenntnisses, Mainz. [Dichiarazione pubblica del vescovo di Magonza riguardo a una presunta professione di fede cattolica]. Hirtenbrief (vom 1. Oktober 1852) zur Verkündigung des von Sr. Heiligkeit dem Papste Pius IX. am 21. November 1851 ausgeschriebenen allgemeinen Gebetes. [Lettera pastorale (1 ottobre 1852) per l’annuncio della Preghiera Universale indetta da Sua Santità Papa Pio IX il 21 novembre 1851]. 1853 Hirtenbrief bei dem Anfange der Fastenzeit 25. Januar 1853 (über das Gebet), Mainz. (Alle Schriften hinfort, bei welchen nichts Besonderes angegeben ist, sind in Mainz gedruckt oder sonst vervielfältigt). [Lettera pastorale per l’inizio della Quaresima (Sulla preghiera)]. An ein höchstes Groβh. Ministerium des Innern der Bischof von Mainz. (Offenes Schreiben vom 16. Juni 1853 über die kirchlichen Verhältnisse des Groβherzogtums). [Il vescovo di Magonza a un illustre Ministero degli Interni del Granducato. (Lettera aperta sulle condizioni ecclesiastiche del Granducato)]. 165

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Hirtenbrief vom 11. November 1853 (über den Kirchenkonflikt in Baden). [Lettera pastorale dell’11 novembre 1853 (sul conflitto della Chiesa nel Baden)]. 1854 Hirtenbrief vom 19. Mai 1854 (über die Feier des Geburtsfestes des Landesherren). Lettera pastorale del 19 maggio 1854 (sulla celebrazione del compleanno del governante). Das Recht und der Rechtsschutz der katholischen Kirche in Deutschland, mit besonderer Rücksicht auf die Forderungen des Oberrheinischen Episkopates und den gegenwärtigen kirchlichen Konflikt. 30. Mai 1854 (5 Auflagen). [Il diritto e la protezione giuridica della Chiesa cattolica in Germania, con particolare riguardo per le richieste dell’episcopato dell’Altarenania e l’attuale conflitto ecclesiale]. Hirtenbrief vom 31. Oktober über die Feier des allgemeinen Gebetes. [Lettera pastorale del 31 ottobre sulla celebrazione della Preghiera Universale]. 1855 Hirtenbrief bei Gelegenheit der Säkularfeier des hl. Erzbischofs und Martyrers Bonifatius (5 Juni). [Lettera pastorale per gli undici secoli dalla morte dell’arcivescovo e martire san Bonifacio]. Hirtenbrief vom 1. November 1855 bei Gelegenheit der Feier der Dogmatisation der unbefleckten Empfängnis der allerheiligen Jungfrau Maria (nebst Übersetzung der Bulle der Definition vom 8. Dezember 1854). [Lettera pastorale del 1 novembre 1855 per la celebrazione del dogma della Immacolata Concezione della Santissima Vergine Maria (compresa la traduzione della bolla dell’8 dicembre 1854)]. 1856 Verordnung über den Hausstand der Geistlichen, vom 29. Mai 1856. (Handschriftlich verbreitet). [Decreto sull’economia del clero]. 166

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1857 Hirtenbrief vom Anfange der Fastenzeit, 2. Febr. 1857 (Sonntagsheiligung). [Lettera pastorale dell’inizio della Quaresima, 2 febbraio 1857 (Santificazione della Domenica)]. Wilhelm Emmanuel… an die Bewohner der Stadt und Diözese Mainz (Aufruf vom 13. Juli 1857 über die Wiederherstellung und Vollendung der Kathedrale und den Mainzer Dombauverein. Flugblatt). [Wilhelm Emmanuel… ai cittadini della diocesi di Magonza. (Appello del 13 luglio 1857 sul ripristino e perfezionamento della cattedrale e sull’associazione addetta ai lavori della cattedrale. Volantino). 1858 Hirtenbrief beim Anfange der Fastenzeit, 4. Febr. 1858 (über den Religionsunterricht). [Lettera pastorale dell’inizio della Quaresima, 4 febbraio 1858 (riguardante l’insegnamento della religione)]. Der Religionsunterricht in der Volksschule. Ein Hirtenbrief. (Wieder-Abdruck des vorigen mit einem Nachtrag gegen die Angriffe von Dr. Diesterweg). [L’insegnamento religioso nella scuola primaria. Lettera pastorale (ristampa della lettera precedente con un’appendice contro gli attacchi del dr. Diesterweg)]. Hirtenbrief vom 18. Oktober 1858 bei Gelegenheit des von Sr. päpstl. Heiligkeit ausgeschriebenen allgemeinen Gebetes. [Lettera pastorale del 18 ottobre 1858 in occasione della Preghiera Universale redatta dal Santo Padre]. Wilhelm Emmanuel, Bischof von Mainz, an die Bewohner von Mainz, 21. Dezember 1858 (wegen öffentlicher Verhöhnung der Franziskaner beim Cäcilienfest der Liedertafel). [Wilhelm Emmanuel, vescovo di Magonza, ai cittadini di Magonza, 21 dicembre 1858 (riguardo alla denigrazione pubblica dei francescani durante la festa di santa Cecilia della Liedertafel)].

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1859 Hirtenbrief beim Anfange der Fastenzeit, 23 Febr. 1859 (Unterstützung der frommen und wohltätigen Anstalten der Diözese). [Lettera pastorale dell’inizio della Quaresima, 23 febbraio 1859. (Sostegno degli istituti pii e caritatevoli della diocesi)]. Wilhelm Emmanuel… an die katholischen Eltern in der Stadt Mainz, 1. Mai 1859 (über die Sonntags-Christenlehre). Wilhelm Emmanuel… ai genitori cattolici di Magonza, 1 maggio 1859. (Sulla dottrina cristiana domenicale)]. Ausschreiben zur Verkündigung des vom Papste am 27. April angeordneten Gebetes um den Frieden. 17. Mai 1859. (Mahnung zum Gebet.) [Comunicato per l’annuncio della Preghiera per la pace indetta dal Papa per il 27 aprile. 17 maggio 1859. (Ammonimento per la preghiera)]. 1860 Hirtenbrief beim Anfange der Fastenzeit, 2. Febr. 1860 (Notlage des hl. Vaters). [Lettera pastorale dell’inizio della Quaresima, 2 febbraio 1860. (Sulla difficile situazione del Santo Padre)]. Des Christen Glaube und Trost bei den gegenwärtigen Angriffen auf die Kirche und ihr Oberhaupt. Ein Hirtenbrief. (NeuAbdruck des vorigen.). [La fede e le consolazioni del cristiano durante gli attuali attacchi alla Chiesa e al suo sommo capo]. Una lettera pastorale. (Ristampa della lettera precedente)]. In Christo allein ist Heil. Sechs Predigten für unsere Zeit von Dr. F. Künzer, Kanonikus und Domprediger in Breslau. Mit einem Vorworte des Hochw. Herrn Wilhelm Emmanuel Freiherrn v. Ketteler, Bischof von Mainz (2. Februar.) [Solo in Cristo è la salvezza. Sei omelie per il tempo attuale di Dr. F. Künzer, canonico e predicatore della cattedrale di Breslavia. Con una prefazione dell’emm. Wilhelm Emmanuel Freiherr v. Ketteler, vescovo di Magonza]. Ausschreiben von Geldsammlungen für den hl. Vater 19. März 1860 (Kirchliches Amtsblatt Nr. 2.) [Avviso per le raccolte di fondi per il Santo Padre 19 marzo 1860 (Bollettino ufficiale della Chiesa n. 2)]. 168

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Ausschreiben zur Hilfeleistung für die bedrängten Christen in Syrien, 30. August 1860 (K.A. Nr. 9). [Proclama per sostenere i cristiani della Siria in difficoltà, 30 agosto 1860 (Bollettino Ufficiale della Chiesa n. 9)]. Hirtenbrief vom 27. November 1860 (über die Bedrängnisse des hl. Vaters). [Lettera pastorale del 27 novembre 1860 (sulle difficoltà del Santo Padre)]. Hirtenbrief beim Anfange der Fastenzeit, 2. Febr. (Erläuterung der päpstlichen Allokution vom 17. Dezember 1860). [Lettera pastorale dell’inizio della Quaresima, 2 febbraio. (Illustrazione dell’allocuzione del Santo Padre del 17 dicembre 1860)]. Soll die Kirche allein rechtlos sein? Ein Mahn- und Hirtenwort an die Gläubigen der Diözese Mainz, zugleich eine Abwehr ungerechter Anschuldigungen. 27. März 1861. (2 Auflagen.) [Soltanto la Chiesa deve essere senza diritti? Una parola di monito ai fedeli della diocesi di Magonza, allo stesso tempo un respingimento di accuse ingiustificate]. 1862 Hirtenbrief beim Anfange der Fastenzeit, 14. Febr. 1862 (über die Ereignisse des letztvergangenen Jahres). [Lettera pastorale dell’inizio della Quaresima, 14 febbraio 1862 (sugli eventi dell’anno precedente)]. Freiheit, Autorität und Kirche. Erörterungen über die groβen Probleme der Gegenwart (Vorrede vom 29. Dezember 1861) (7 Auflagen). [Libertà, autorità e Chiesa. Considerazioni sui grandi problemi del nostro tempo]. Der Bischof von Mainz an Herrn von Moy in Innsbruck über die Religionseinheit in Tirol (2. April 1862). Sonderabdruck aus den “Tiroler Stimmen”, Innsbruck. [Il vescovo di Magonza al Sig. von Moy a Innsbruck sull’unità religiosa nel Tirolo]. Hirtenbrief vom 27. Juni 1862 (über des Bischofs Romreise, Mitteilung der päpstlichen Allokution und der Abreise der Bischöfe mit Bezug auf die weltliche Herrschaft). [Lettera pastorale del 27 giugno 1862 (sul viaggio del vescovo a Roma, 169

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comunicazione dell’allocuzione papale e della partenza dei vescovi con riferimento al governo terreno)]. Hirtenbrief vom 20. Dezember 1862 an die Bewohner von Ildenstadt und die Katholiken in der Wetterau über die Ver­ ehrung des hl. Gottfried von Kappenberg. [Lettera pastorale del 20 dicembre 1862 ai cittadini di Ildenstadt e ai cattolici della Wetterau relativa alla venerazione di san Goffredo di Kappenberg]. 1863 Warum liebt der Katholik seine Kirche? Hirtenbrief beim Anfange der Fastenzeit, 2. Februar 1863. (Von 1863 an wurden die Fas­ ten-Hirtenbriefe stets sofort als Broschüren auch im Buchhandel herausgegeben, Vgl. Kirchl. Amtsblatt, 1863, Nr. 1). [Perché il cristiano ama la sua Chiesa? Lettera pastorale dell’inizio della Quaresima, 2 febbraio 1863 (Dal 1863 le lettere pastorali della Quaresima furono subito pubblicate come opuscoli nelle librerie. Vedi anche Bollettino ufficiale della Chiesa 1863 n. 1). An die Bewohner der Stadt und Diözese Mainz (Offenes Schrei­ben vom 15. Januar 1863 in Betreff der Schmähschrift “Schwester Adolphe”). [Ai cittadini della diocesi di Magonza. (Lettera aperta del 15 gennaio 1863 riferita al testo diffamatorio “Suor Adolphe”)]. Mandement en faveur de l’érection d’une paroisse catholique dans la ville de Hombourg-ès-monts, Mayence, le 13. Février 1863. [Appello a favore dell’erezione di una parocchia cattolica nella città di Hombourg-ès-monts]. Kein wahres Wort. Verteidigung der katholischen Moral gegen deren Verdächtigung im Frankfurter Journal (anonym). Mit einem Vorworte herausgegeben von Christoph Moufang (6. März). Sonderabdruck aus dem “Mainzer Journal”. [Non una parola vera. Difesa della morale cattolica contro la diffamazione del Frankfurter Journal (anonimo). Edito con una prefazione da Christoph Moufang (6 marzo). Estratto da “Mainzer Journal”]. 170

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Hirtenbrief vom 19. März 1863 über Gründung eines Knabenrettungshauses für die Diözese Mainz. [Lettera pastorale del 19 marzo 1863 sulla fondazione dell’istituto per la salvezza del fanciullo per la diocesi di Magonza]. Adressen und Proteste gegen das von der zweiten Kammer der Stände zu Darmstadt beschlossene Kirchengesetz. 19. Juni 1863. Mainz. (Ein Schreiben des Bischofs v. Ketteler S. 103106.) [Indirizzi e proteste contro la legge ecclesiastica indetta dalla seconda camera governativa di Darmstadt (Scritto del vescovo v. Ketteler, pp. 103-106)]. Ausschreiben an die Geistlichkeit vom 5. August 1863 (Verschiedenes) K.A. Nr. 7. [Comunicato al clero del 5 agosto 1863 (Varie) Bollettino Ufficiale della Chiesa n. 7]. Ansprache zur Begrüβung des Kaisers Franz Joseph von Österreich in Mainz am 21. August 1863 Mainzer Abendblatt 1863 Nr. 194 [Discorso di saluto all’imperatore Francesco Giuseppe d’Austria a Magonza 21 agosto 1863]. Rundschreiben an die Mitglieder des Vereins zu Ehren der hl. Familie, 3. November 1863 (lithogr.), Stellung des Bischofs zum Verein. [Circolare ai membri dell’associazione in onore della Sacra Famiglia, 3 novembre 1863 (litografia)]. Verkündigung der Exkommunikation gegen den abgefallenen Priester Michael Biron, 10. Dezember 1863. [Annuncio della scomunica verso il sacerdote decaduto Michael Biron]. 1864 Hirtenbrief beim Anfange der Fastenzeit, 24. Jan. 1864 (über verschiedene Anliegen der Diözese). [Lettera pastorale dell’inizio della Quaresima, 24 gennaio 1864 (riguardante diverse esigenze della diocesi)]. Die Arbeiterfrage und das Christentum (3 Auflagen, eine vierte Auflage erschien 1890 “Mit empfehlender Einleitung Sr. Exzellenz Dr. Ludwig Windthorst, Staatsminister a.D.”). [La questione operaia e il cristianesimo (3 edizioni, una quarta edizione fu stampata nel 1890 “con introduzione benevola di sua eccellenza Dr. Ludwig Windthorst, statista a riposo”)]. 171

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Ausschreiben an die Geistlichkeit über den Maria-Hilf-Verein, 21. März. [Comunicato al clero sull’associazione MariaHilf]. Ausschreiben an die Geistlichkeit über Vereine zur Unterstützung der Kranken, Religionsunterricht, Firmreisen usw. 5. April. [Comunicato al clero sulle associazioni per il sostegno degli ammalati, l’insegnamento della religione, i viaggi in occasione delle cresime ecc.] 5 aprile. Beleuchtung des gemeinderätlichen Kommissionsberichtes über die Verhältnisse des Vinzenz-Hospitals zu den Ortsfremden und den städtischen Hospizien (anonym). Sonder-Abdruck aus dem “Mainzer Abendblatt”. [Illustrazione della relazione della commissione del Consiglio comunale sulle condizioni dell’ospedale S. Vincenzo nei confronti dei forestieri e degli ospizi statali (anonimo). Estratto da “Mainzer Abendblatt”]. Die Jesuiten in Mainz und die Beschwerden des Gemeinderates bei den hohen Ständen gegen deren Aufenthalt in der Pfarrwohnung zu St. Christoph. Ansprache an seine Diözesanen. [I gesuiti a Magonza e le rimostranze del Consiglio comunale presso i superiori riguardo alla loro permanenza nella casa canonica di S. Cristoforo. Discorso ai diocesani]. Ein zweites Wort über die Jesuiten in Mainz. Beleuchtung des Berichtes des Referenten der zweiten Kammer über die Beschwerde des Gemeinderates. Nebst dem Rechtsgutachten französischer Juristen vom 3. Juni 1845 über die Erlaubtheit nicht autorisierter religiöser Genossenschaften und anderen diesen Gegenstand betreffenden Aktenstücken. [Una seconda parola sui gesuiti a Magonza. Illustrazione del rapporto del referente della seconda Camera sulle rimostranze del Consiglio­ comunale. Allegata perizia legale di giuristi francesi del 3 luglio 1845 sulla legalità di associazioni religiose non autorizzate e altri atti concernenti questo argomento]. 172

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1865 Hirtenbrief beim Anfang der Fastenzeit. Über die Enzyklika vom 8. Dezember. [Lettera pastorale dell’inizio della Quaresima. Sull’enciclica dell’8 dicembre]. Kann ein gläubiger Christ Freimaurer sein? Antwort an den Herrn Dr. Rudolph Sendel, Privatdozenten der Philosophie in Leipzig (5 Auflagen). [Può un cristiano essere frammassone? Risposta al Sig. Dr. Rudolph Sendel, docente privato di filosofia a Lipsia]. Ausschreiben an die Geistlichkeit vom 14. März 1865 über Sammlungen für das heilige Grab. [Comunicato al Clero del 14 marzo 1865 sulla raccolta di fondi per il sacro sepolcro]. Ausschreiben an die Geistlichkeit vom 10. Mai 1865 über die Pflege der verschiedenen Bruderschaften in den Pfarreien. [Comunicato al Clero del 10 maggio 1865 sulla cura delle varie confraternite nelle parocchie]. Ausschreiben an die Geistlichkeit vom 12. August 1865 über den Schulkampf in Baden [Comunicato al Clero del 12 agosto 1865 sulla lotta per le scuole nel Baden]. Hirtenbrief vom 7. September 1865 über die Jubiläumsfeier. [Lettera pastorale del 7 settembre 1865 sulla celebrazione del giubileo]. 1866 Die St. Josephs-Knabenanstalt in Klein-Zimmern für die Diözese Mainz (16. Januar 1866). [Il collegio maschile S. Giuseppe a Klein-Zimmern per la diocesi di Magonza]. Hirtenbrief bei Anfang der Fastenzeit, 24. Januar 1866, über die Verweigerung des kirchlichen Begräbnisses. [Lettera pastorale dell’inizio della Quaresima, 24 gennaio 1866, sul rifiuto della sepoltura religiosa]. An die Redaktion der hessischen Landeszeitung, 29. Januar 1866. [Alla redazione del hessische Landeszeitung, 29 gennaio 1866]. Zur Charakteristik der Jesuiten und ihrer Gegner. Eine offene Erklärung. 14. Februar 1866 [Riguardo agli aspetti 173

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caratteristici­dei gesuiti e dei loro avversari. Una dichiarazione aperta. 14 febbraio 1866]. Ausschreiben an die Geistlichkeit, 25. Februar 1866. Mitteilungen der Allokution des Papstes an die Pfarrer von Rom, 8. Februar 1866. [Comunicato al Clero, 25 febbraio 1866. Informazioni sull’allocuzione del Santo Padre ai parroci di Roma, 8 febbraio 1866]. Ist das Gesetz das öffentliche Gewissen? Frankfurt a. M. [La legge rappresenta la coscienza pubblica?]. Hirtenbrief über die Pflichten des Christen in gegenwärtiger Kriegszeit, am 9. Juli 1866. [Lettera pastorale sui doveri del cristiano nell’attuale periodo di guerra, 9 luglio 1866]. Die Verhandlung in der Ersten Kammer der Stände zu Karlsruhe am 17. März 1866 über das Gewissen, Mainz. [L’udienza della Prima Camera a Karlsruhe il 17 marzo 1866 sulla coscienza]. Ausschreiben vom 2. Juli 1866 an die Pfarrer der Provinz Rheinhessen über die Gedenkfeier am 50. Jahrestage der Vereinigung dieser Provinz mit dem Groβherzogtum Hessen-Darmstadt. [Comunicato ai parroci della provincia Rheinhessen del 2 luglio 1866 sulla commemorazione del cinquantesimo della congiunzione di questa provincia con il Granducato Hessen-Darmstadt]. Beleuchtung eines Pamphletes, des Treibens und Charakters des von der Kirche abgefallenen, nunmehr rongeschen Predigers Biron. Neuer Beitrag zur Charakterisierung der Jesuiten und ihrer Gegner (Gedruckt, aber nicht veröffentlicht.) [Illustrazione di un libello, delle azioni e della personalità del predicatore Biron, separato dalla Chiesa, oramai appartenente al Rongeanismo. Nuovo contributo per la caratterizzazione dei gesuiti e dei loro avversari. (Stampato ma non pubblicato)]. Rongeanische Waffen und Leute. Katholische Antwort auf die Inkriminationen des Herrn Michael Biron (anonym). [Armi e personaggi del Rongeanismo. Risposta cattolica alle imputazioni del sig. Michael Biron (anonimo)]. Hirtenbrief vom 14. September 1866 über die Verehrung des allerheiligsten Altarsakramentes. [Lettera pastorale del 14 settembre 1866 sull’adorazione del Santissimo Sacramento]. 174

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Ausschreiben vom 19. September 1866 an die Geistlichkeit über die regelmäβige Beteiligung bei den Priester-Exerzitien. [Comunicato al clero del 19 settembre 1866 sulla regolare frequentazione degli esercizi spirituali]. 1867 Rundschreiben an die Mitglieder des Vereins zu Ehren der heiligen Familie, 7. Februar 1867 (lithograph.), Wahl einer neuen Präsidentin betreffend [Circolare ai membri dell’associazione in onore della Sacra Famiglia, 7 febbraio 1867 (litografia), riguardante l’elezione di una nuova presidente]. Rundschreiben an die Mitglieder des Vereins zu Ehren der heiligen Familie, 25. April 1867. Ernennung der Präsidentin wegen Resultatlosigkeit der Wahl [Circolare ai membri dell’associazione in onore della Sacra Famiglia, 25 aprile 1867. Nomina della presidente a causa dell’elezione senza esito]. Ausschreiben vom 11. Februar 1867 an die Geistlichkeit über das Studium pädagogischer Werke. [Comunicato al Clero dell’11 febbraio 1867 sullo studio di testi pedagogici]. Hirtenbrief bei Beginn der Fastenzeit, 15. Februar 1867, über die gemischten Ehen [Lettera pastorale dell’inizio della Quaresima, 15 febbraio 1867, sui matrimoni misti]. Deutschland nach dem Kriege von 1866 (6 Auflagen) [La Germania dopo la guerra del 1866]. Erklärung vom 25. Februar 1867, Professor Dr. Michelis betreffend. “Kölnische Blätter”, 1867, Nr. 57 [Dichiarazione del 25 febbraio 1867 riguardo al Prof. Dr. Michelis, da “Kölnische Blätter”, 1867, n. 57]. Hirtenbrief vom 4. Juni 1867 bei Gelegenheit der römischen Säkularfeier des Martyrertodes der hl. Apostelfürsten Petrus und Paulus [Lettera pastorale del 4 giugno 1867 per la commemorazione romana della morte per martirio dei santi apostoli Pietro e Paolo]. Ausschreiben vom 13. August 1867 an die Gläubigen der gröβern Pfarreien über Ausspendung des vom Papst verliehenen 175

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Segens und Ablasses [Proclama del 13 agosto 1867 ai fedeli delle parrocchie più grandi sull’impartizione della benedizione e dell’indulgenza da parte del Papa]. Ausschreiben an die Geistlichkeit vom 24. August über die gemeinschaftliche Lebensweise der Geistlichen. [Comunicato al Clero del 24 agosto sulla loro vita comunitaria]. Hirtenbrief vom November 1867 über die gegenwärtige Lage des hl. Vaters [Lettera pastorale di novembre 1867 sulla situazione attuale del Santo Padre]. Die politische Lüge. Öffentliche Erklärung vom 17. Dezember 1867, Mainzer Journal 1867 Nr. 293-298. [La menzogna politica. Dichiarazione pubblica del 17 dicembre 1867, in “Mainzer Journal”, 1867, nn. 293-298]. 1868 Die öffentliche Beschimpfung der katholischen Kirche auf der Bühne. Ein Appell an alle, welche Sinn für Gerechtigkeit und Ehre haben und mit ihren katholischen Mitbürgern auf Grund gegenseitiger Achtung in Frieden leben wollen (5 Auflagen). [L’oltraggio pubblico alla Chiesa cattolica sul palcoscenico. Un appello a tutti coloro che conservano il senso della giustizia e dell’onore e intendono convivere con i loro concittadini cattolici sulla base di reciproca stima e pacifismo]. Die politische Lüge. Öffentliche Erklärung vom 15. Januar 1868. Mainzer Journal 1868 Nr. 13 und 14. [La menzogna politica. Dichiarazione pubblica del 15 dicembre 1868, in “Mainzer Journal” 1868 nn. 13 e 14]. Die wahren Grundlagen des religiösen Friedens. Eine Antwort auf die von Herrn Prälaten Dr. Zimmermann und der evangelischen Geistlichkeit Hessens erhobene Anschuldigung wegen “Verunglimpfung des evangelischen Glaubens”, Februar 1868. [Le vere basi della pace religiosa. Una risposta all’accusa avanzata dal prelato dr. Zimmermann e dal clero luterano dell’Assia di “denigrazione della fede luterana”. Febbraio 1868]. 176

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Stellung und Pflicht der Katholiken im Kampfe der Gegenwart. Festrede beim 25jährigen Jubiläum des hochw. H. Erzbischofs Hermann v. Vicari, 25. März 1868, Freiburg. [Posizione e dovere dei cattolici nella lotta del presente. Discorso ufficiale per il 25esimo giubileo dell’ecc. Arcivescovo Hermann v. Vicari, 25 marzo 1868, Friburgo]. Antwort auf die Artikel der Kreuzzeitung zur Kritik seiner Schrift “die wahren Grundlagen des religiösen Friedens.” Schreiben vom 1. Mai 1868. Neue Preuβische Zeitung, 1868, Nr. 107. [Risposta agli articoli del Kreuzzeitung con la critica del suo scritto “Le vere basi della pace religiosa”]. Nachtrag zur Antwort auf die Artikel der Kreuzzeitung. Schreiben vom 6. Mai 1868. Neue Preuβische Zeitung 1868 Nr. 111. [Poscritto alla risposta agli articoli del Kreuzzeitung]. Das Recht der Domkapitel und das Veto der Regierungen bei den Bischofswahlen in Preuβen und der oberrheinischen Kirchenprovinz. [Il diritto dei canonici e il veto dei governi per le elezioni del vescovo in Prussia e nella provincia pontificia dell’Alta Renania]. Die Pflichten des Adels. Eine Stimme aus den Tagen des hl. Thomas von Aquin. Dem gesamten christlichen Adel Deutschlands gewidmet. Vorrede vom 9. Oktober 1868 zu Dr. Bones Übersetzung. [I doveri dell’aristocrazia. Una voce dai tempi di san Tommaso d’Aquino. Dedicato a tutta l’aristocrazia cristiana tedesca. Prologo del 9 ottobre 1868 alla traduzione del dr. Bones]. 1869 Ausschreiben vom 15. Februar 1869 an die Geistlichkeit über die Zunahme der gemischten Ehen (Einblatt-Druck). [Comunicato al Clero del 15 febbraio 1869 riguardo all’aumento dei matrimoni misti. (Stampa su foglio singolo)]. Die Gefahren der exemten Militär-Seelsorge. Als Manuskript gedruckt. (Veröffentlicht im Archiv für kathol. Kirchenrecht 1887, LVIII, 434). [I pericoli dell’assistenza spirituale militare. Stampato come manoscritto]. 177

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Die Angriffe gegen Gurys Moral-Theologie in der “Main-Zeitung” und der zweiten Kammer zu Darmstadt. Zur Beleuchtung der neuesten Kampfesweise gegen die katholische Kirche für alle redlichen und unparteiischen Männer. [Gli attacchi contro la teologia morale di Gury nel “Main-Zeitung” e nella seconda Camera a Darmstadt. Per l’illustrazione dei nuovi sistemi di lotta contro la Chiesa cattolica riservata a tutti gli uomini retti e imparziali]. Die Verhandlungen der Regierungen der oberrheinischen Kirchenprovinz mit dem Heiligen Stuhle über die Bischofswahlen. Kritische Bemerkungen zu dem Referate in dem “Theologischen Literaturblatt” von Dr. Reusch und in der “Kölnischen Volkszeitung” über die betreffenden Schriften von Dr. Hermann, Professor in Heidelberg, und Dr. Schulte, Professor in Prag. (anonym). [Le negoziazioni dei governi della provincia pontificia altorenana con la Santa Sede riguardo alle elezioni del vescovo. Osservazioni critiche sulla relazione del dott. Reusch nel “Theologisches Literaturblatt” e gli scritti inerenti lo stesso argomento del dott. Hermann, professore di Heidelberg e del dott. Schulte, professore di Praga (anonimo)]. Rundschreiben an die Mitglieder des Vereins zu Ehren der heiligen Familie, 25. Mai 1869, über den Luxus. [Circolare ai membri dell’associazione in onore della Sacra Famiglia, 25 maggio 1869, riguardo al lusso]. Das allgemeine Konzil und seine Bedeutung für unsere Zeit (5 Auflagen). [Il Concilio generale e il suo significato per il nostro tempo]. Fürsorge der Kirche für dienstlose weibliche Dienstboten. Referat vom 20. Juli 1869. Referate für die bischöfliche Konferenz zu Fulda 1869, S. 35. [Assistenza della Chiesa agli inservienti femminili privi di impiego. Relazione del 20 luglio 1869. Relazioni per la conferenza episcopale a Fulda 1869]. Über das Verhalten der Kirche gegen die geheimen Gesellschaften. Referat vom 20. Juli 1869. Referate usw. S. 23-34. Auf Wunsch der deutschen Bischöfe beim Vatikanischen Konzil als Denkschrift überreicht in der etwas vermehrten Übersetzung. 178

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[Sull’atteggiamento della Chiesa verso le associazioni segrete. Relazione del 20 luglio 1869. Su desiderio dei vescovi tedeschi consegnato durante il Concilio Vaticano come memoriale nella traduzione aumentata]. Qua via Ecclesia contra Societates secretas procedere valeat, Moguntiae, 1869. Fürsorge der Kirche für Gesellen und Lehrlinge, Referat vom 24. Juli 1869. Referate für die bischöfliche Konferenz zu Fulda 1869, S. 18. [Assistenza della Chiesa a lavoratori e apprendisti. Relazione del 24 luglio 1869. Relazioni per la conferenza episcopale a Fulda 1869]. Fürsorge der Kirche für Fabrikarbeiter. Referat vom 26. Juli 1869. Referate für die bischöfliche Konferenz zu Fulda 1869, S. 10-17. Christlich-soziale Blätter 6. Nov. 1869 Nr. 10. [Assistenza della Chiesa agli operai delle fabbriche. Relazione del 26 luglio 1869. Relazioni per la conferenza episcopale a Fulda 1869, pp.10-17. Da “Christlich-soziale Blätter” 6 novembre 1869 n. 10. Tradotto in italiano in appendice a La questione operaia e il cristianesimo, Tipografia Merlo, Venezia 1870]. Die Arbeiterbewegung und ihr Streben im Verhältnis zu Religion und Sittlichkeit. Eine Ansprache gehalten auf der LiebfrauenHeide am 25. Juli 1869. (4 Auflagen) [Il movimento operaio e le loro aspirazioni in relazione a religione e morale. Discorso tenuto sul prato di Liebfrauen il 25 luglio 1869]. Ausschreiben vom 9. November 1869 an die Geistlichkeit, Religionsunterricht und Kommunionausteilung betreffend [Comunicato al Clero del 9 novembre 1869, riguardo alle lezioni di religione e alla distribuzione dell’Eucarestia]. Hirtenbrief bei der Abreise zu dem allgemeinen Konzil, 12. Nov. 1869. [Lettera pastorale alla partenza per il Concilio Generale, 12 novembre 1869]. Ausschreiben vom 16. November 1869 an die Geistlichkeit. Definitive Ernennung Dr. Heinrichs zum Generalvikar. [Comunicato al clero del 16 novembre 1869. Nomina definitiva del Dott. Heinrich a vicario generale]. 179

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Ausschreiben vom 19. November an die Geistlichkeit, die Bruderschaft vom allerheiligsten Altarsakrament betreffend. [Comunicato al Clero del 19 novembre, riguardante la confraternità del Santissimo Sacramento]. 1870 Aufruf des bischöflichen Komites zur Gründung einer katholischen Universität an die Katholiken Deutschlands, betreffend die Gründung einer katholischen Akademie zu Fulda. (Von den vier beteiligten Bischöfen unterzeichnet Oktober 1869.) [Appello del comitato episcopale ai cattolici tedeschi per l’istituzione di un’università cattolica, riguardante l’istituzione di un accademia cattolica a Fulda. (Firmato nell’ottobre 1869 dai quattro vescovi partecipanti)]. Was hat Herr Professor Nippold in Heidelberg bewiesen? Eine Entgegnung auf dessen Schrift: “Ein Bischofsbrief vom Konzil und eine deutsche Antwort.” Zugleich eine Beleuchtung moderner Geistesrichtungen. [Cosa ha dimostrato il Prof. Nippold a Heidelberg? Una risposta al suo elaborato: “Una lettera episcopale dal Concilio e una risposta tedesca”. Nel contempo un’illustrazione di moderne linee spirituali]. Erklärung vom 3. Februar… auf die Veröffentlichung des Herrn Stiftspropst v. Döllinger in der Allg. Ztg. vom 27. Januar 1870. Katholik 1870 I, 252. [Dichiarazione del 3 febbraio in risposta alla pubblicazione del prevosto von Döllinger sul “Allgemeine Zeitung” del 27 gennaio 1870. Da “Katholik” 1870 I, 252]. Erklärung des hochw. Herrn Bischofs von Mainz vom 19. Februar 1870 gegen die Unwahrheiten der Allg. Zeitung Mainzer Journal. 23. Febr. 1870 Nr. 45. [Dichiarazione dell’ecc. vescovo di Magonza del 19 febbraio 1870 contro le menzogne del “Allgemeine Zeitung”, in “Mainzer Journal” 23 febbraio 1870 n. 45]. Die Deutschen im römischen Heere. Offenes Schreiben. Mainzer Journal 4. März 1870, Nr. 52. [I tedeschi nell’esercito romano. Lettera aperta, in “Mainzer Journal”, 4 marzo 1870, n. 52]. 180

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Postulat an die Präsidenten des Vatikanischen Konzils, 9. Februar, über Einschärfung der Pflichten die Bischofswahlen betreffend. (Collectio Lacensis VII, 883 d.) [Postulato ai presidenti del Concilio Vaticano, 9 febbraio, concernente la trasposizione dei doveri nelle elezioni vescovili (Collectio Lacensis VII, 883 d.)]. Entwurf zur Konstitution de Sancta Ecclesia Catholica, an die Väter des Konzils verteilt 8. März. (Friedrich, Documenta ad illustrandum Concilium Vaticanum II, 404). [Bozza per la costituzione de Sancta Ecclesia Catholica, distribuita l’8 marzo ai padri del Concilio (Friedrich, Documenta ad illustrandum Concilium Vaticanum II, 404)]. Bemerkungen über das Schema zum Zusatzkapitel des Dekrets de Romani Pontificis primatu, eingereicht 15. März (Friedrich, Documenta II, 216. «Rmus Pater qui secundo loco est»). [Osservazioni sullo schema per il capitolo aggiuntivo del decreto de Romani Pontificis primatu, consegnato il 15 marzo (Friedrich, Documenta II, 216. «Rmus Pater qui secundo loco est»)]. Protest-Eingabe vom 8. Mai, gegen die Umstellung der Beratungsordnung, von 71 Bischöfen unterschrieben (Collect. Lac. VII, 980 d.). [Lettera di contestazione dell’8 maggio, contro la modifica dell’ordine consiliare, sottoscritta da 71 vescovi (Collect. Lac. VII, 980 d)]. Die Unwahrheiten der römischen Briefe vom Konzil in der All­ gemeinen Zeitung (3 Auflagen). [Le menzogne delle lettere romane dal Concilio nel “Allgemeine Zeitung”]. Erklärung des Hochwürdigsten Herrn Bischofs von Mainz vom 5. Juni 1870 gegen die Unwahrheiten der Allgemeinen Zeitung. Katholik 1870 I, 766. [Dichiarazione dell’ecc. vescovo di Magonza del 5 giugno 1870 contro le menzogne del “Allgemeine Zeitung”. Da “Katholik”, 1870, I, 766]. Wilhelm Emmanuel… an unsere geliebten Bistumsangehörigen zunächst in der Stadt Mainz und deren Umgebung. 10. August 1870. Über das aus Rom mitgebrachte Bild “Unserer Lieben 181

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Frau von der immerwährenden Hilfe.” [Wilhelm Emmanuel… ai nostri cari diocesani della città di Magonza e dintorni, 10 agosto 1870. Riguardo al ritratto “Nostra amata Signora dal sostegno eterno” portato da Roma]. Ausschreiben vom 20. August 1870 an den Klerus der Diözese Mainz. Beistimmungs-Erklärung zu dem Erlaβ des Erzbischofs Melchers von Köln vom 16. August 1870 gegen den “Rheinischen Merkur”. [Comunicato al Clero della diocesi di Magonza del 20 agosto 1870. Dichiarazione di consenso al decreto dell’arcivescovo Melcher di Colonia del 16 agosto 1870 contro il “Rheinischer Merkur”]. Die Minorität auf dem Konzil. Antwort auf Lord Actons Send­ schreiben an einen deutschen Bischof des vatikanischen Konzils. [La minoranza al Concilio. Risposta alla missiva di Lord Acton a un vescovo tedesco del Concilio Vaticano]. Die Gewalttat gegen den Hl. Vater und die Anliegen unseres Vater­landes. Hirtenbrief vom 15. Oktober. [L’atto di violenza contro il Santo Padre e le richieste della nostra patria. Lettera pastorale del 15 ottobre]. 1871 Das unfehlbare Lehramt des Papstes nach der Entscheidung des vatikanischen Konzils. [Il ministero infallibile del Santo Padre dopo la delibera del Concilio Vaticano]. Rundschreiben an die Gläubigen der Diözese vom 20. Januar 1871 über die Seelsorge für die im Felde stehenden Hessischen Soldaten nach den Berichten des Pfarrers Sickinger. [Circolare ai fedeli della diocesi del 20 gennaio 1871, riguardante la cura spirituale dei soldati assiani impiegati nei campi di guerra, secondo le relazioni del parroco Sickinger]. Wilhelm Emmanuel… an die Priester und Gläubigen seiner Diözese 13. Februar 1871 über die bevorstehenden Reichstagswahlen. [Wilhelm Emmanuel… ai sacerdoti e fedeli della sua diocese, 13 febbraio 1871, riguardo alle imminenti elezioni del Reichstag]. 182

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Hirtenbrief vom 20. Februar über “die Erwählung des hl. Joseph zum Patron der Kirche”. [Lettera pastorale del 20 febbraio su “ L’elezione di san Giuseppe Patrono della Chiesa”].  Ausschreiben an die Wähler vom 14. März. Pfälzer Bote, 1871, Nr. 33. [Comunicato agli elettori del 14 marzo, in “Pfälzer Bote”, 1871, n. 33]. An die Redaktion der Germania. Erklärung vom 26. März gegen die Norddeutsche Allg. Ztg. Germania, 1871, Nr. 71. [Alla redazione di “Germania”. Dichiarazione del 26 marzo contro il “Norddeutsche Allgemeine Zeitung”, in “Germania”, 1871, n. 71]. Antwort an Professor Bluntschli in Leipzig 15. April 1871, in “Germania”, 1871, Nr. 87. [Risposta al Prof. Bluntschli di Lipsia, 15 aprile 1871, in “Germania”, 1871, n. 87]. Die ehrlichen Liberalen. Antwort des Bischofs von Mainz an die “Kölnische Zeitung”. Kölnische Volkszeitung, 1871, Nr. 113, 114, 115. [Liberali onesti. Risposta del vescovo di Magonza al “Kölnische Zeitung”, in “Kölnische Volkszeitung”, 1871, nn. 113, 114, 115]. Ausschreiben vom 27. Mai 1871 an die Geistlichkeit, den Eichstätter Hirtenbrief der Bischöfe und das Papstjubiläum betreffend. [Comunicato al Clero del 27 maggio 1871, concernente la lettera pastorale dei vescovi di Eichstätt e il giubileo del Papa]. Ausschreiben vom 29. Juni 1871 an die Geistlichkeit. Öffentliche Gebete um günstige Witterung. [Comunicato al Clero del 29 giugno 1871. Preghiere pubbliche per le condizioni meteorologiche favorevoli]. An die Redaktion der Germania. Offenes Schreiben vom 30. Juli 1871 über die angebliche Desavouierung des Zentrums durch Kardinal Antonelli, “Germania”, 1871, Nr. 146. [Alla redazione di “Germania”. Lettera aperta del 30 luglio 1871 sulla presunta umiliazione del Centro attraverso il Cardinale Antonelli, in “Germania”, 1871 n. 146]. Liberalismus, Sozialismus und Christentum. Rede gehalten auf der XXI. Generalversammlung der katholischen Vereine 183

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Deutschlands. Reden, gehalten bei Gelegenheit der XXI. Generalversammlung der katholischen Vereine Deutschlands zu Mainz am 11. und 14. Sept. 1871. “Verhandlungen usw.” Mainz. S. 72. 306. Dasselbe in Christlich-Soziale Blätter 1. Oktober 1871 Nr. 13. [Liberalismo, socialismo e cristianesimo. Discorso svolto alla XXI assemblea generale delle associazioni cattoliche tedesche, in «Discorsi, svolti in occasione della XXI assemblea generale delle associazioni cattoliche tedesche a Magonza l’11 e 14 settembre 1871», in “Verhandlungen usw.”, pp. 72, 306, Magonza. Pubblicato anche in “Christlich-Soziale Blätter”, 1 ottobre 1871 n. 13]. An die Redaktion der Germania. Schreiben vom 26. Oktober 1871 über eine unrichtige Angabe und die allgemeine Haltung der “Genfer Korrespondenz”, “Germania”, 1871, Nr. 246. [Alla redazione di “Germania”. Scritto del 26 ottobre 1871 riguardante una notizia inesatta e l’atteggiamento generale di “Genfer Korrespondenz”, in “Germania”, 1871, n. 246]. Rundschreiben vom 18. November an die Geistlichkeit und die Gläubigen der Diözese, Berlin. Aufforderung zu Gebet und Andacht des Adventes (Einblatt-Druck). [Circolare del 18 novembre al Clero e ai fedeli della diocesi, Berlino. Sollecito alla preghiera e alla meditazione dell’avvento (Stampa su foglio singolo)]. Erklärung vom 25. November gegen Behauptungen in der Rede des Abgeordneten Fischer in der Reichstagssitzung vom 23. November, Berlin (Zweiblatt-Druck). [Dichiarazione del 25 novembre contro affermazioni emerse nel discorso del deputato Fischer durante la seduta del Reichstag del 23 novembre, Berlino (Stampa su due fogli)]. 1872 Fastenhirtenbrief vom 23. Januar 1872 über die Tagespresse. [Lettera pastorale quaresimale del 23 gennaio 1872 riguardo alla stampa giornaliera]. Die Zentrumsfraktion auf dem ersten Deutschen Reichstag. [La Zentrumsfraktion al primo Reichstag Tedesco]. 184

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Das Reichsgesetz vom 4. Juli 1872, betreffend den Orden der Gesellschaft Jesu und die Ausführungsmaβregeln dieses Gesetzes. [La legge del Reich del 4 luglio 1872, concernente l’ordine della Compagnia di Gesù e le regole di applicazione di questa legge]. Ausschreiben vom 19. August an die Geistlichkeit. Belobung wegen der Kundgebungen aus Anlaβ des Jesuiten-AusweisungsGesetzes. [Comunicato al clero del 19 agosto. Lode per le denunce fatte per la legge di espulsione dei gesuiti]. An Groβh. Ministerium des Innern der Bischof von Mainz. Eingabe vom 13. August 1871 über die Richt-Anwendung des Jesuitengesetzes auf die Ordenspriester bei St. Christoph in Mainz. [Il vescovo di Magonza al Ministero degli interni del Granducato. Petizione del 13 agosto 1871 sull’applicazione della legge sui gesuiti ai sacerdoti di S. Cristoforo a Magonza]. An Groβh. Ministerium des Innern der Bischof von Mainz. Zweite Eingabe in derselben Angelegenheit vom 15. August, 1872. [Il vescovo di Magonza al Ministero degli Interni del Granducato. Seconda petizione per lo stesso argomento, 15 agosto 1872]. Hirtenbrief vom 4. Oktober über die Anordnung öffentlicher Gebete zum hl. Herzen Jesu für die Anliegen der Kirche in Deutschland. [Lettera pastorale del 4 ottobre sull’ordine di preghiere pubbliche al Sacro Cuore di Gesù per i bisogni della Chiesa in Germania]. Unwahrheiten der “Provinzial-Korrespondenz”. Offene Erklärung vom 21. Oktober 1872, “Germania”, 1872, Nr. 242. [Menzogne della “Provinzial-Korrespondenz”. Dichiarazione aperta del 21 ottobre 1872, in “Germania”, 1872, n. 242]. Öffentliche Erklärung über die Ausweisung der Jesuiten, durch den Bischof selbst von der Kanzel des Domus verlesen, 17. November, “Mainzer Journal”, 1872, Nr. 265. [Dichiarazione aperta sull’espulsione dei gesuiti, letta dal vescovo in persona dal pulpito della cattedrale, 17 novembre, in “Mainzer Journal”, 1872, n. 265]. 185

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Der Kampf gegen die Kirche. Predigt bei Eröffnung des allgemeinen Gebetes für die Anliegen der Kirche im Dome zu Mainz am Sonntag nach Allerheiligen. [La lotta contro la Chiesa. Omelia tenuta nella cattedrale di Magonza all’apertura della Preghiera Universale per i bisogni della Chiesa, la domenica dopo Ognissanti]. 1873 Die Katholiken im Deutschen Reiche. Entwurf zu einem politischen Programm. [I cattolici nell’Impero Germanico. Bozza per un programma politico]. Die Trennung der Schule von der Kirche. Fastenhirtenbrief vom 15. Februar. [La separazione della scuola dalla Chiesa. Lettera pastorale quaresimale del 15 febbraio]. Die preuβischen Gesetzentwürfe über die Stellung der Kirche zum Staate. [Le proposte di legge prussiane sulla posizione della Chiesa nei confronti dello Stato]. Ein Brief des H… Bischofs von Mainz über die von Dr. Friedrich und Dr. Michelis am 9. Februar 1873 in Konstanz gehaltenen Reden, 4. März, Freiburg. [Una lettera del vescovo di Magonza sulle allocuzioni svolte dal dott. Friedrich e dal dott. Michelis il 9 febbraio 1873 a Costanza, 4 marzo, Friburgo]. Die moderne Tendenz-Wissenschaft. Beleuchtet am Exempel des Herrn Professors Dr. Emil Friedberg. [Le moderne tendenze della scienza. Illustrata sull’esempio del Prof. Dott. Emil Fried­ berg (è un testo sulle mistificazioni della scienza moderna)]. Eine alte und eine neue Unwahrheit. Erklärung vom 24. Mai 1873 gegen Behauptungen des Dr. Friedberg. “Germania”, 1873, Nr. 117. [Una vecchia e una nuova menzogna. Dichiarazione del 24 maggio 1873 contro le affermazioni del dott. Friedberg, “Germania”, 1873, n. 117]. Ausschreiben vom 29. Mai 1873 an die Priester und Gläubigen über die Weihe der Diözese Mainz an das göttliche Herz Jesu. [Comunicato del 29 maggio 1873 al Clero e ai fedeli sulla consacrazione della diocesi di Magonza al cuore divino di Gesù]. 186

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Öffentliche Erklärung vom 16. März 1873 gegen unwahre Behauptungen in der Herrenhausrede des Fürsten Bismarck vom 10. März, “Germania”, 1873, Nr. 65. [Dichiarazione pubblica del 16 marzo 1873 contro le affermazioni false del principe Bismarck nell’orazione tenuta a palazzo il 10 marzo, in “Germania” 1873 n. 65]. Brief an die Redaktion der “Kölnischen Volkszeitung”, 6. Februar. Dementi einer falschen Nachricht der “National-Zeitung”. “Kölnische Volkszeitung”, 1873, Nr. 39; “Germania” 7. Febr. Nr. 31. [Lettera alla redazione del “Kölnische Volkszeitung”, 6 febbraio. Smentita di una notizia falsa del “NationalZeitung”, in “Kölnische Volkszeitung”, 1873, n. 39 e in “Germania” 7 febbraio n. 31]. Öffentliche Erklärung über die Fabel von der Taufe Lassalles, “Germania”, 15. Februar Nr. 39. [Dichiarazione pubblica sulla favola del battesimo di Lassalles, “Germania”, 15 febbraio n. 39]. Hirtenbrief vom 8. September über das vom Hl. Vater ausgeschriebene allgemeine Gebet. [Lettera pastorale del 8 settembre sulla Preghiera Generale indetta dal Santo Padre]. Ausschreiben an die Geistlichen vom 25. Oktober. Empfehlung der Schrift: “Der Görresverein zur Massenverbreitung guter Volksschriften”. [Comunicato al clero del 25 ottobre. Raccomandazione del testo: “L’associazione di Görres per la più ampia diffusione di saggi popolari validi”]. Guilelmus Emmanuel… omnibus quorum interest 4. November 1873. Errichtungsurkunde der Pfarrei Neustadt im Odenwald (Einblatt-Druck). [Guilelmus Emmanuel… omnibus quorum interest 4 novembre 1873. Atto di fondazione della parrocchia Neustadt nell’Odenwald (Stampa su foglio singolo)]. 1874 Fastenhirtenbrief vom 3. Februar über “ die gemeinsamen Schulen”. [Lettera pastorale quaresimale del 3 febbraio su “Le scuole in comune”]. 187

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Hirtenschreiben vom 11. April 1874 über die Andacht zum göttlichen Herzen Jesu. [Lettera pastorale dell’11 aprile 1874 per la meditazione sul cuore divino di Gesù]. Festrede zur Feier des Prager Bistumsjubiläums, 31. August 1873 zu Prag. Im Auszug mitgeteilt im Gedenkbuch des neunhundertjährigen Jubiläums usw. Von Anton Frind, Prag, 1874, S. 37. [Discorso ufficiale per la celebrazione del giubileo della diocesi di Praga, 31 agosto 1873, Praga. Pubblicato in forma di riassunto nel memoriale del novecentesimo giubileo ecc. da Anton Frind, Praga 1874, p. 37]. Die Anschauungen des Kultusministers Herrn Dr. Falk über die katholische Kirche nach dessen Rede vom 10. Dezember 1873. [Le considerazioni del Ministro alla cultura Dott. Falk sulla Chiesa cattolica dopo il suo discorso del 10 dicembre 1873]. Kann ein Jesuit von seinem Obern zu einer Sünde verpflichtet werden ? Korrespondenz mit dem Präsidenten des Groβh. Hessischen Ministeriums des Innern Freiherrn v. Starck. [Può un gesuita essere obbligato dal suo superiore a commettere peccato ? Corrispondenza con il presidente del Ministero degli interni del Granducato dell’Assia Freiherr v. Starck]. Worte der Belehrung und Ermahnung an alle christlichen Eltern über ihre Pflichten bei der Vorbereitung ihrer Kinder zur ersten hl. Kommunion. [Parole di istruzione e ammonimento a tutti i genitori cristiani riguardo ai loro doveri nella preparazione dei figli alla Prima Comunione]. Ausschreiben an die Pfarrer der Dekanate Dieburg, Seligenstadt, Heppenheim und Bensheim vom 18. August 1874 über die päpstliche Ablaβbewilligung für den Wallfahrtsort Dieburg vom 9. Juni 1874. [Comunicato ai parroci dei decanati Dieburg, Seligenstadt, Heppenheim e Bensheim del 18 agosto 1874 sulla concessione dell’indulgenza da parte del Santo Padre del 9 giugno 1874 per il Santuario Dieburg]. Der Kulturkampf gegen die katholische Kirche und die neuen Kirchengesetzentwürfe für Hessen. [Il Kulturkampf contro la Chiesa cattolica e i nuovi disegni di diritto canonico per l’Assia]. 188

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Ausschreiben vom 19. August 1874 an die Geistlichen, die Sedans­ feier betreffend. “Mainzer Journal”, 1874, Nr. 194. [Comunicato al Clero del 19 agosto 1874, riguardo alla celebrazione di Sedan, in “Mainzer Journal”, 1874, n. 194]. Die Stellung der Katholiken zu den Hessischen Kirchengesetzentwürfen. Sonderabdruck aus dem Mainzer Journal. [La posizione dei cattolici nei confronti dei disegni di legge di diritto canonico dell’Assia. Estratto dal “Mainzer Journal”]. An Groβh. Staatsministerium in Darmstadt. Eingabe vom 24. September 1874 in Sachen der hessischen Kirchengesetzentwürfe. [Al Ministero di Stato del Granducato di Darmstadt. Petizione del 24 settembre 1874 riguardo ai disegni di legge di diritto canonico dell’Assia]. Ausschreiben vom 24. November 1874 an die Priester und Gläubigen über Vorbereitung der Kinder zur ersten hl. Kommunion. [Comunicato del 24 novembre 1874 ai sacerdoti e ai fedeli concernente la preparazione dei bambini alla Prima Comunione]. 1875 Der Bruch des Religionsfriedens und der einzige Weg zu seiner Wiederherstellung. [La scissione della pace religiosa e l’unica via per il suo ripristino]. Fastenhirtenbrief von Mitte Januar über die hessischen neuen Kirchengesetze. [Lettera pastorale quaresimale di metà gennaio riguardo al nuovo diritto canonico dell’Assia]. Rundschreiben an die Mitglieder des Vereins zu Ehren der hl. Familie vom 26. Januar 1875 über die vom Papst dem Verein gewährten Gnadenbewilligungen und die Wünsche des Papstes. [Circolare ai membri dell’associazione in onore della Sacra Famiglia del 26 gennaio 1875 concernente le indulgenze concesse all’Associazione dal Santo Padre e i desideri del Papa]. Ausschreiben vom 9. März 1875 an die Geistlichen. Verkündigung des Jubiläums. [Comunicato del 9 marzo 1875 al clero. Annuncio del giubileo]. 189

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Ausschreiben vom 25. Mai an die Geistlichen. Erneuerung der Weihe an das göttliche Herz Jesu. [Comunicato del 25 maggio al clero. Rinnovo della consacrazione al cuore divino di Gesù]. Predigten zur Feier des fünfundzwanzigjährigen Bischofsjubiläums des hochw. Bischofs von Mainz … gehalten am 25. und 26. Juli 1875 von dem hochw. Bischofe von Speyer Dr. Daniel Bonifatius von Haneberg und Pfarrer Dr. F.J. Holzwarth, nebst der Ansprache des hochw. Bischofs von Mainz bei Auf­ richtung des Kreuzes auf dem Ostturme des Domes. [Omelie per la celebrazione del venticinquesimo giubileo vescovile dell’ecc. vescovo di Magonza… tenute il 25 e 26 luglio 1875 dall’ecc. vescovo di Spira Dott. Daniel Bonifatius von Haneberg e parroco Dott. F.J. Holzwarth, oltre all’allocuzione dell’ecc. vescovo di Magonza per l’innalzamento della croce sulla torre est della cattedrale]. Öffentliche Erklärung vom 28. Juli. Danksagung für die bei Gelegenheit des Bischofsjubiläums bewiesene Teilnahme, “Mainz Journ.”, 1875, Nr. 174. [Dichiarazione pubblica del 28 luglio. Ringraziamento per la partecipazione mostrata in occasione del giubileo vescovile, in “Mainzer Journal”, 1875, n. 174]. Erklärung vom 4. August 1875 wider die über die Stellung der deutschen Bischöfe zum Vatikanischen Konzil verbreiteten Unwahrheiten. Mainzer Journal 1875 Nr. 179. [Dichiarazione del 4 agosto 1875 contro le menzogne diffuse riguardo alla posizione dei vescovi tedeschi verso il Concilio Vaticano, in “Mainzer Journal”, 1875, n. 179]. Offener Brief vom 13. Oktober 1875 an den Kgl. bayerischen Staatsminister v. Lutz über die Königliche Tadelsäuβerung wegen einer zu Oggersheim in der bayerischen Pfalz gehaltenen Predigt. Mainzer Journal, 1875, Nr. 240. [Lettera aperta del 13 ottobre 1875 al ministro di stato bavarese v. Lutz sull’ammonimento del re riguardo a un’omelia tenuta a Oggersheim nella Pfalz bavarese, in “Mainzer Journal”, 1875, n. 240]. 190

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1876 Fastenhirtenbrief von Mitte Februar über die christlichen Tugenden in ihrem Verhältnis zum Wohlstand des Volkes. [Lettera pastorale quaresimale di metà febbraio sul rapporto tra virtù cristiane e benessere del popolo]. Die Gefahren der neuen Schulgesetzgebung für die religiös-sittliche Erziehung der Kinder in den Volksschulen. Ein Wort der Belehrung und Ermahnung an die Eltern. [I pericoli della nuova legislazione scolastica per l’educazione dei bambini delle elementari sotto il profilo religioso e morale. Una parola di istruzione e di ammonimento ai genitori]. Erklärung vom 19. Januar 1876 über den Erlaβ des Oberpräsidenten v. Kühlwetter an den Magistrat der Stadt Münster. Westfälischer Merkur, 1876, Nr. 20. [Dichiarazione del 19 gennaio 1876 sul decreto del presidente supremo v. Kühlwetter al magistrato di Münster. Dal “Westfälischer Merkur”, 1876, n. 20]. Warum können wir zur Ausführung der Kirchengesetze nicht mitwirken? [Perché non possiamo cooperare all’attuazione delle leggi della Chiesa?]. Ausschreiben vom 6. Juni 1876 über die Feier des Papstjubiläums. [Comunicato del 6 giugno 1876 sulla celebrazione del giubileo del Papa]. Ausschreiben vom 18. September 1876. Bittgesuch um Unterstützung des Knabenwaisenhauses zu Klein-Zimmern. [Comunicato del 18 settembre 1876. Petizione per il sostegno all’orfanotrofio maschile di Klein-Zimmern]. 1877 Fastenhirtenbrief vom 1. Februar über die christliche Arbeit. [Lettera pastorale quaresimale del 1 febbraio riguardo al lavoro Cristiano]. Rundschreiben an die Mitglieder des Vereins zu Ehren der hl. Familie, 1. Februar 1877 (Kleinmut im Gebet). [Circolare ai membri dell’associazione in onore della Sacra Famiglia, 1 febbraio 1877 (pusillanimità nella preghiera)]. 191

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Das 900jährige Jubiläum des hl. Konrad, gefeiert zu Konstanz vom 25. November bis 3. Dezember 1876. Eine Festschrift … von G. Brugier, Münsterpfarrer, Freiburg 1877. (Enthält vier Festpredigten Bischof v. Kettelers, S. 9. 55. 102. 177). [Il novecentesimo giubileo di S. Corrado, celebrato a Costanza dal 25 novembre al 3 dicembre 1876. Un elaborato ufficiale… di G. Brugier, parroco di Münster, Friburgo 1877. (Contiene quattro omelie solenni del vescovo v. Ketteler pp. 9, 55, 102, 177)]. Die tatsächliche Einführung des bekenntnislosen Protestantismus in die katholische Kirche. [L’introduzione effettiva del protestantesimo senza confessione nella Chiesa cattolica]. Ausschreiben vom 18. März 1877. Danksagung für die für KleinZimmern eingegangenen Gaben. [Comunicato del 18 marzo 1877. Ringraziamento per le offerte giunte per Klein-Zimmern]. Erklärung gegen die Behauptungen der Norddeutschen Allg. Ztg. “Germania”, 1877, Nr. 70. [Dichiarazione contro le affermazioni del “Norddeutsche Allgemeine Zeitung”, in “Germania”, 1877, n. 70]. Die Pflichten der Eltern und des Elternhauses unter den modernen Schulverhältnissen. Vier Predigten. [I doveri dei genitori e della famiglia nella situazione scolastica moderna. Quattro omelie].

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