Introduzione a L'origine della geometria di Husserl

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JACQUES DERRIDA

INTRODUZIONE a HUSSERL

L'ORIGINE DELLA GEOMETRIA

a cura di

Carmine Di Martino

di fronte e attraverso

JacaBook

INDICE

Nota cli traduzione Derrida all'origine, cli Carmine Di Martino Jacques Derrida Introduzione a «L'origine della geometria» di Husserl I II III IV V VI VII VIII

9 11

69 73 81

100 112 117 128 141 163 174 180 201

IX X

XI Edmund Husserl La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale Appendice III al § 9· a 7

217

NOTA DI TRADUZIONE

L'obbiettivo che la traduzione si è prefissa di raggiungere è stato la massima fedeltà allo «stile» del testo francese. Talvolta, dunque, una certa spigolosità dell'andamento sintattico si è preferita all'alternativa di un'alterazione troppo consistente. Segnaliamo qui di seguito alcuni problemi non risolti e l'opportunità delle scelte operate. 1) Abbiamo tradotto facticité e factice con «fattualità» e «fattuale». Abbiamo adottato il termine «fattualità» (di cui, in verità, vi è un altro corrispondente francese nel lessico derridiano: factualité) e non quello di «fatticità» per evitare alla radice l'equivoco che si sarebbe presentato in rapporto alla traduzione del termine correlativo factice: esso conserva infatti nel suo equivalente italiano «fattizio» solo qualche lontana assonanza con il senso di: «relativo al fatto», e significa invece, nell'uso, «artificiale, posticcio, falso, fabbricato, ecc»; (la situazione non è molto diversa, del resto, nella lingua francese). Ma si sarebbe così assolutamente confuso il significato che la parola in oggetto riveste nel discorso di Derrida, che è invece precisamente colto dalla traduzione con «fattuale». 2) Si è preferito lasciare nella lingua originale l'espressione question-en-retour, che, come spiega Derrida, traduce la nozione husserliana di Riickfrage. Nessuna parola o combinazione di parole ci è sembrata in grado di renderne in italiano la medesima pluralità di senso, di non occluderne le direzioni di risonanza semantico-concettuale (dr. in proposito le osservazioni di Derrida, pp. 99-100). Avremmo potuto forse usare l'espressione articolata «movimento-di9

Nota di traduzione ritorno», che si avvicina all'arca di signilicato in questione senz'altro più che «indagine retrospettiva10, o «interrogazione a ritroso», o «risalimento» (all'origine), ecc. Ma anch'essa ci è parsa insoddisfacente. 3) Quanto ai riferimenti ai testi husserlinni contenuti nella Introduzione di Derrida dobbiamo segnalare un duplice atteggiamento. a) Relativamente alle citazioni tratte dall'Appendice 111 alla Kriris di Husserl si è scelto di attenersi alla traduzione francese eseguita da Derrida stesso (e di tradurla perciò a nostra volta) invece di fare intervenire la traduzione italiana di E. Filippini. Ciò per rimanere più aderenti al contesto lessicale (che, com'è noto, non gioca affatto un ruolo secondario nella «pratica del pensiero») elaborato da Derrida proprio a partire dal testo di Husserl e dalla sua traduzione. Il lettore potrà però avvalersi della traduzione italiana che viene pubblicata in Appendice al presente volume e operare, per suo conto, un confronto tra le due traduzioni. Nel testo dell'Introduzione i riferimenti a L'Origine della geometria (titolo con cui l'Appendice m al § 9a della Krisis di Husserl è stata pubblicata per la prima volta e separatamente da E. Fink) saranno contrassegnati con la sigla «O.», e l'indicazione del numero di pagina rimanderà di volta in volta alla edizione della traduzione francese curata da Derrida (E. Husserl, L'Origine de la Géométrie, Traduction et lntroduction par J. Derrida, P.U.F. 1962). b) Il comportamento tenuto quanto alle altre opere di Husserl citate nell'Introduzione derridiana è stato invece diverso. Abbiamo preferito, di norma, adottare la traduzione italiana dei passi citati, salvo modificarla qua e là dove nella differente traduzione francese adottata da Derrida era implicato anche uno spostamento concettuale di cui non si poteva fare a meno di tener conto. Il riferimento bibliografico relativamente alle opere husserliane, Origine della Geometria a parte, riguarda perciò sempre le edizioni italiane. Ringraziamo particolarmente la dottoressa Franca Ferrario per aver accettato di discutere pazientemente con noi i passaggi più controversi della traduzione.

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DERRIDA ALL'ORIGINE di Carmine Di Martino

«Introdurre è sedurre. Non il lettore ma il testo ... » 1 Il primo lavoro pubblicato da J. Derrida si annuncia sotto l'apparenza dimessa di una semplice introduzione 2 • Testo minore e inaugurale quindi, senza un titolo proprio, che si mette al riparo del nome sicuro, autorevole, Husserl, e ne segue il varco già aperto: è ciò che, cedendo all'equivoco, si potrebbe essere tentati di credere, pensando cosl di avere a che fare con il primo tentativo, ancora privo di identità, di un brillante sviluppo. Ma non si tratta di questo: altro è ciò che viene implicato fin dall'inizio. È sulla parola «introduzione» che bisogna intendersi. Introduzione non significa qui la maschera timida e cauta di un esordio, o un provvisorio espediente per tutelare la fragilità di ogni inizio, ma allude ad una operazione di tutt'altra portata, che rivela l'orientamento e il procedimento del pensiero di Derrida, un pensiero che non intende abdicare al suo compito più radicale e nemmeno lasciarsi tentare dalle lusinghe dell'ingenuità. Tale operazione risponde ad una riconosciuta e praticata necessità: continuare ad abitare strategicamente una eredità, analizzarla e interrogarla pazientemente, scrupolosamente, introdursi non innocentemente in essa per «sedurla», minacciarla. I testi di Derrida, sotto questo profilo, non faran-

J. Dcrrida, L'arcMo/ogie du frivole, Galiléé, 1973,

J.

p. 74 Derrida, Introduction à l'Origine de la Géométrie de Husserl, P.UF. 1962.

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no che continuamente introdu"e, a partire dall'uno o dall'altro dei suoi portavoce, quella eredità straordinaria, quel formidabile «testo», potente fino al punto di tessersi anche con i fili ostili delle congiure, che reca il titolo generale di «metafisica» o, che è lo stesso, di «cultura e civiltà occidentale». L'introduzione non protegge dunque l'assenza di un «tema» proprio, ma configura l'elemento o il tramite attivo di un certo rapporto, il cui sviluppo costituisce la prospettiva generale del complesso «discorso• di Derrida. Introdursi nel testo della metafisica e, dall'interno, allargarne le crepe, dividerlo, disorientarlo, logorarne la capacità di tenuta, mettere a nudo le decisioni e i desideri che vi si giocano, e perciò anche le censure e le ansie, sorprenderne le trame e sollecitarle fino al limite della rottura, illuminarne l'organizzazione interna e spingerla sull'orlo della paralisi, del non-funzionamento: per tentare un altro orizzonte, tendersi verso un altro destino, altro da quello dominato dalla «metafisica». Operazione audace e ambiziosa dunque, e soprattutto interminabile, come dice spesso Derrida commentando se stesso (il che lascia intuire quanta poca precipitazione o superficiale presunzione vi sia in essa). Ma, anche, unica operazione possibile, cioè plausibile ed efficace, per il pensiero, se pensare significa attendere all'oltre che già si annuncia nella chiusura di un'epoca, quale noi la intravvediamo e i cui «effetti" investono ogni ordine dell'«esperienza» (espressioni equivoche che usiamo, ancora, tra virgolette). In alternativa infatti, se mettiamo in parentesi le posizioni che, a diverso titolo, rassegnano le dimissioni del pensiero celebrandone l'impossibilità e l'impotenza, rimangono le velleità o le pretese di un radicale re-inizio, di un 'salto' a piè pari «fuori" dai confuti della «tradizione metafisica» 3 • Sogni di uno spostamento o di una eterogeneità assoluti rispetto alla propria provenienza, quasi sempre intrecciati alla più grave fra le ricorrenti tentazioni del pensiero: l'empirismo 4• Per il fatto stesso di essere sottomessa al linguaggio e alla scrittura, ogni trasgressione immaginata come pura ha già sempre dovuto attingere le sue risorse lessicali-no2ionaCir. J. Darida, L4 Disslminalion, Le Seui!, p. 235. Si vedano a questo proposito le osservazioni critiche compiute da Derrida in relazione al •pensiero dell'alterità,. di E. Lévinas, contenute nel suggestivo saggio Violenu e 111el11fisic11 nel pensiero di E. Uvinas, in: La scrittura e la differenza, pp. 99-198. 3

4

12

Derrida all'origine

li proprio da ciò che intendeva sospendere

e superare. Essa soggiorna in realtà entro i confini contestati, in quanto ogni risorsa linguistica e concettuale presa a prestito dai materiali disponibili, non essendo mai un atomo, reintroduce l'intera eredità cui appartiene e con cui fa inestricabilmente sistema. Se questa solidarietà sistematica non viene riconosciuta, se gli elementi dell'eredità non vengono colti nella loro interconnessione genetica, «non si sa più di cosa si parla, ammonisce seccamente Derrida, quando si pretende interrompere, trasgredire, eccedere, ecc., la 'metafisica', la 'filosofia', ecc.» 5 • Non si danno quindi, rispetto alla «metafisica», uscite perentorie o tagli netti, e Heidegger sopra tutti lo ha insistentemente mostrato: disertare perciò un certo rapporto con essa significa, semplicemente, frequentarla più ingenuamente, subirla senza sorvegliarne o calcolarne gli investimenti. Ma stiamo già presupponendo e anticipando oltre il dovuto. Fermiamo dunque il cammino. Abbiamo innanzitutto voluto aggirare un equivoco evidenziando il valore attivo e strategico dell'introduzione. È emerso cosi il profilo generale di un orientamento che disegna l'orizzonte proprio dell'opera di Derrida. È ad esso che occorre ora guardare con puntuale attenzione per coglierne in profondità il senso e le implicazioni, poiché è in esso che il testo che ci accingiamo, a nostra volta, a introdurre, recita la sua per nulla trascurabile parte.

Oltre il presente? Disporsi a comprendere Derrida, significa, forse, anzitutto avvertire il senso dell'operazione in cui tutta la sua riflessione è trascinata e alla cui realizzazione sono indirizzati tutti i tentativi esibiti lungo un tragitto oggi non ancora concluso. Di essa non è però importante rilevare soltanto il carattere intrinseco, la sua necessità «storica», i suoi obiettivi, o il suo aspetto, per cosi dire, programmatico (elementi per altro ampiamente, e spesso assai superficialmente, glossati dalla critica filosofica contemporanea), ma la modalità con cui essa viene condotta, e perciò le precauzioni da cui è accompagnata, la vigilanza critica con cui è praticata, la pazienza analitica con cui è ripetuta, e soprattutto la «positiva» consapevolezza dei «limiti» in cui è presa. Tutto ciò la pone a distanza sia dai facili e illusori trionfalismi o otti5

Ousla

e

grammé, p. 42. 13

Carmine Di Martino mismi, sia dai nichilismi rassegnati e «mortiferi» 6 • L'operazione di il nome di de-costruzione della tradizione lluta/isica o, conformemente alle flessioni che quest'ultima assume nella considerazione di Derrida, di decostruzione del logocentrismo, del fonocentrismo, del fallocentrismo, dell'etnocentrismo, propri della civiltà occidentale. Vediamo ora di chiarirne brevemente i termini. Il rapporto tra la «metafisica» e la «decostruzione» della metafisica è necessariamente circolare. E ciò fa sl che non si possa parlare in modo ingenuo o decisionistico di trasgressione. Non si tratta quindi, occorre comprenderlo a fondo, di negare semplicemente la metafisica, di opporsi ad essa e di «criticarla» ipotizzando di aver a che fare con un che di omogeneo, di concettualmente delimitabile e definitivamente riconosàbile, di cui prendere atto per poi passare ad altro. Non si tratta nemmeno, tuttavia, di aderire semplicemente alla metafisica. Invece della negazione che suppone di disarticolare l'edificio senza avvedersi della necessità di usare contro di esso le 'pietre' che gli appartengono, della pura trasgressione che pretenderebbe di poter improvvisamente cambiare campo e parlare d'altro, Derrida propone di «mantenersi al limite», vale a dire un gesto di pensiero-scrittura che metta costantemente a tema il suo stesso statuto, le sue condizioni di possibilità, mentre si costituisce e si effettua, sorvegliando la propria «necessaria,. comunicazione con ciò da cui intende scartarsi. La decostruzione si preoccupa allora dei «concetti fondatori» della metafisica con tutta la fedeltà che è indispensabile per addestrarsi e tradirli; essa ne pensa quindi la genealogia in modo che vengano alla luce i nessi strutturali e sistematici che concorrono a determinarla, non essendovi concetto isolato o a sé stante. Non vi è nessuna unità minimale che, in questo quadro di corrispondenze e rinvii, potrebbe venir neutralizzata «in qualche modo, con una ablazione locale, senza uno spostamento generale dell'organizzazione, cioè senza mettere all'opera il sistema stesso» 7 • Occorre dunque un'attenzione multipla, plurale, rivolta all'elemento concettuale preso di mira (che si vuole sottoporre a «torsione» o spiazzare) «e» al campo generale in cui è preso, cosl che il lavoro compiuto sul primo cui stiamo parlando è nota sotto

6

Per uno sviluppo più ampio e critico di queste considerazioni, rimandiamo a:

C. Sini, «Introduzione• a J. Derrida, J.,z voce e il fenomeno, trad. it. a cura di G. Dalmasso, Jaca Book, Milano 1984, pp. 7-23. 1 Posizioni, p. 90. 14

Derrida all'origine sia coordinato ad un lavoro più esteso riguardante il secondo, per evitare che lo spostamento prodotto venga subito riassorbito dalla forza di resistenza del campo. Per non lasciare le cose come stanno, affinché la decostruzione intervenga, Derrida elabora una 'sorta di strategia generale della decostruzione', che «formalizza le regole» di quel «mantenersi al limite della filosofia», con cui egli definisce il proprio rapporto attivo con la tradizione. Qual è l'orizzonte in cui prende avvio l'operazione decostruttiva e quale ne è la direzione ultima? Cerchiamo di rispondere in sintesi. Occorre prima di tutto riannodare qualche filo con la tradizione: è noto infatti che il gesto decostruttivo nei confronti della «metafisica» è stato inaugurato e reso possibile, secondo una radicalità e una consapevolezza fino ad allora sconosciute, da quella che Derrida stesso definisce «l'inaggirabile meditazione heideggeriana». È nel suo oriz.. zonte che, è necessario ammetterlo, la complicità di altri nomi 1 , tra cui ad esempio quello di Nietzsche, acquista tutta la sua forza critica. Non è affatto da intendere in senso retorico quanto Derrida afferma in proposito: «Nessuno dei miei tentativi sarebbe stato possibile senza l'apertura delle domande heideggeriane» 9 • La Destruktion della ontologia avviata con Sein und Zeit e il tentativo già ivi operante di ridar voce alla differenza ontologica, schiudono il varco a partire dal quale Derrida muove la sua sottile e inquietante requisitoria contro la metafisica. Ciò non significa, ovviamente, appiattire l'uno sull'altro i due pensatori né tantomeno nascondere lo scarto che Derrida tenterà di marcare rispetto al testo di Heidegger. Occorrerebbe in proposito un lungo e minuzioso lavoro, ma è qui giocoforza procedere soltanto per titoli e semplificazioni. Veniamo però ugualmente ai nodi essenziali. Già con Sein und Zeit e con il Kantbuch del '29 viene dissotterrato il perno attorno a cui ruota l'intera «epoca» dell'onta-teologia metafisica, che ne governa da sempre, segretamente, il «funzionamento», e decide della dislocazione di luci e cli ombre, cli primi piani e di sfondi abbandonati. Tale perno ha a che fare col «tempo», con un 1

Anzitutto quelli inevitabili di Husscrl, Hcgel, Freud, fino a giungere o quelli più diretti, appartenenti all'atea culturale francese contemporanea, e cioè Uvinas, Hyppolyite, Bataille, Blanchot, Foucault, Althusscr, Lacan, Merlcau • Ponty e altri. 9 Posilions, I.es Editions dc Minuit, 1972, tfad. it. di G. Sertoli, Posizioni, Bcrtani Editore, Verona 197.5, p. 48.

1.5

Carmine Di Martino certo rapporto fra l'essere e il tempo. Commentando alcuni passi dei due testi hcideggeriani citati, Derrida scrive: «Non si può dunque distruggere l'ontologia tradizionale che individuandone e interrogandone il rapporto al problema del tempo» 10, vale a dire, e qui è Heidegger che scrive, «la determinazione del senso dell'essere come parousìa o come ousla, che, nell'ordine ontologico-temporale, vuol dire 'presenza' (Anwesenheit). L'essente è colto nel suo essere come 'presenza' (Anwesenheit), cioè è compreso in riferimento ad un modo determinato dd tempo, il 'presente' (Gegenwart)» 11 • !!. il privilegio del presente l'istanza ultima cui si riconduce l'intera organizzazione dei concetti capiteli della cultura occidentale, di cui il logos .filosofico è l'espressione più «potente e sistematica» u. «Da Parmenide a Husscrl, il privilegio del presente non è mai stato messo in questione. Non ha potuto esserlo. Esso è l'evidenza stessa e nessun pensiero sembra possibile al di fuori del suo elemento» 13• È nell'orizzonte del privilegio in questione infatti che percezione, intuizione, evidenza, senso, cosl come sono stati intesi dal pensare metafisico, trovano il loro presupposto fondante, che ne garantisce ad un tempo la possibilità generale e, in particolare, quei caratteri (presunti) di 'pienezza' e 'purezza' in virtù dei quali essi hanno potuto giocare un ruolo assolutamente primario nella «storia» dell'episteme, determinandone in partenza il sistema interno delle discriminazioni e delle esclusioni. Sulla autorità attribuita al presente si articola tutta la catena di determinazioni che presiedono alla tessitura del discorso metafisico. Derrida ne offre qua e là, spesso di passaggio o &a parentesi, delle vedute panoramiche: «Presenza della cosa allo sguardo come eidos, presenza come sostanza/essenza/esistenza (ousia), presenza temporale come punta (stigmè) dell'adesso o dell'istante (nun), presenza a sè del cogito, coscienza, soggettività, con-presenza dell'altro e di sè, intersoggettività come fenomeno intenzionale ddl'ego, etc.• 14. Anche la «coscienza» quindi, anello «recente» di una caIO Marges - de I,, philosphie, Lea Editiona de Minuit, 1972, p. 73. Citeremo in futuro questo aggio pubblicato in Marges col suo titolo specifico: Ousla e gram-

mi.

u M. Hcideggcr, Essere e tmpo, traci. it. P. Chiodi, UI'ET, 1969, p. 83. u Posizioni, p. 84, n. 1. Il Ousla e grammi, p. 36. 14 Della g,dl11111a1ologja, Jaka Book, Milano 1969, trad. it. cli R. Balzarotti, F. Bonicalzi, G. Cootri, G. Da!muso, A. C. Loaldi, p. 16. 16

Derrida all'origine tena più che millenaria, versione moderna del fondamento, non è pensabile che nell'ambito della dominazione della presenza: «Il soggetto in quanto coscienza non ha mai potuto annunciarsi diversamente dalla presenza a sé. Il privilegio accordato alla coscienza specuica dunque il privilegio accordato al presente: e anche se la si descrive al livello di profondità cui la descrive Husserl, la temporalità trascendentale della coscienza, è al 'presente-vivente' che si accorda il potere di sintesi e di appagamento incessante delle tracce» JS_ Lo stesso vale per ogni concetto di origine semplice, pura, assoluta, ultima, cioè di origine tout court, poiché «i valori di origine, di ardua, di telos, di escbaton, etc., hanno sempre denotato la presenza» 16 e non sono più concepibili come tali al di fuori di una giurisdizione fondata in ultima istanza sull'eccellenza riconosciuta al presente. «Tutti i nomi del fondamento, del principio o del centro hanno sempre designato l'invariante di una presenza (eidos, arcbé, telos, energeia, ousla ... .aletheia, trascendentalità, coscienza, Dio, uomo, etc.)» 11 • Potremmo continuare lungamente a citare, cercando di illustrare attraverso il testo di Derrida gli anelli restanti della «catena», considerarli a uno a uno e nella loro complicità, e constatarne le ramificazioni o gli effetti, ma il punto di intersezione di questi percorsi non cambierebbe: il privilegio del presente è «l'etere della metafisica» 11, l'architrave dell'edificio della ratio occidentale. Decostruire la metafisica significa dunque interrogare questa «determinazione maggiore del 5enso dell'essere come presenza» 19, sollecitare «questo valore di presenza» 29 , metterne in causa lo statuto e la legittimità, «rendere enigmatico» 21 ciò che si pensa con sicurezza sotto la sua protezione. Ecco come, in poche battute, potrebbe venir definita «l'intenzione

15 La difflrance, pubblicato in M111ges, già cit., tradotto da G. Asccnso, 1A di/ feran-:a, e pubblicato in: Scrittura e rivoluzione, Mazzotta editore, Milano 1974,

pp. 24-25. 16 Ibid., p. 16. 17 La scrillura e la 4if/erenu, trad. it. di G. Pozzi, Einaudi,

360-361. 11 La differ11nu, p. 25. 19 Posi:ioni, p. 46. 20 La differ11nza, p. 25. 21

Del/4 grammatologia, p. 79. 17

Torino 1971, pp.

Carmine Di Martino ulùma-. 22 dell'opera di Derrida. Ma, in realtà, proprio qui iniziano tutti i problemi. 1) Come è possibile porre in questione precisamente ciò a partire da cui ogni questione si formula, cioè l'elemento stesso dell'unico logos di cui disponiamo per porre le nostre domande? 2) E ancor prima (problema questo più semplice, forse), come è potuto accadere che (oppure: cosa è dovuto accadere perché) la necessità stessa della questione emergesse? Partiamo dal secondo degli interrogativi proposti, cercando di preparare il terreno alla considerazione del primo e più decisivo di essi.

Smascheramento del sogno. L'insidia della di/-/erenza. Già l'insistenza sulla parola «privilegio» (della presenza), che abbiamo prelevato tra le altre di significato analogo adottate da Derrida, insinua, o rivela, che ciò che è in gioco, ciò su cui siamo condotti a riflettere, ha il carattere di una (si liberi l'espressione che segue da ogni sorta di fantasma soggettivo) «decisione», la cui necessità non è inscritta in alcun topos noetos, non è «caduta dal cielo» (come usa di-. re spesso Derrida in riferimento ad altre questioni), ma è «storica» e perciò inninsccamente «finita». Essa nasconde e al tempo stesso tradisce la cospirazione di un «desiderio» e di una «paura», né accidentali né arbitrari: desiderio della presenza, oppure, desiderio di dominio, di possesso, di auto-assicurazione, etc., e paura di tutto ciò che riveste la forma di un pericolo o di una minaccia della presenza. Il «privilegio» è dunque, in realtà, l'altro nome o l'altra faccia di una repressione, di una rimozione, di un deprezzamento di tutto ciò che attenta alla presenza. (Si badi bene: «Rimozione e non dimenticanza; rimozione e non esclusione» 23 ; precisazioni essenziali di cui sarà indispensabile tener conto). Diciamo meglio, allora, quanto abbiamo già più volte sottolineato: la razionalità metafisica insorge propriamente a partire da una rimozione. Ma occorre subito proseguire, con Derricta(ectè qui il passo ulteriore che dovremo considerare): «Rimozione non riuscita: in via di decomposizione storica. t questa decomposizione cliec1fritèressa, è·questa nonriuscita· èlieconferisce al suo divenire una certa leggibilità 12 21

lbid. La scrillura t la dif/trtnz;i, p. 2'5. 18

Derrida all'origine questa non riuscito. che conferisce al suo divenire una certa leggibilità e ne limita l'opacità storica» 24 • Aggiungiamo: non riuscita in quanto, ultimamente, impossibile-cioè soltanto desiderabile. Si è dovuta attendére però quella che Derricia definisce altrove una «certa trasformazione totale» 25 perché si rendessero più chiaramente visibili e si offrissero alla lettura i «sintomi» (termine che Derrida utilizza non senza una certa diffidenza) della rimozione operata, malgrado essi fossero già da sempre presenti e rintracciabili nel testo metafisico stesso sotto forma di contraddizioni e incongruenze. In realtà, cioè, la metafisica, fin dal testo platonico~, ha sempre dovuto riammettere, obliquamente, indirettamente, contraddittoriamente, tutto quello che si -proponevadr espellere fuori di sé, di subordinare, di tenere a bada,

potere si sia potuta concepire e fondare la presenza a sé del soggetto 99 • La solidarietà logos-phoné ha «dovuto» già da sempre procedere, per garantirsi, alla esclusione dall'originario di tutto ciò che costituiva una minaccia o una limitazione della purezza del logos e di quella sua vitalità propria che è la phoné e che veniva a interrompere, ritardare, travagliare la piena presenza del significato e la sua prossimità a sé nella voce. In breve, la centralità del logos e della phoné pretendono la lateralità della scrittura, del testo, della traccia. «L'epoca del logos abbassa dunque la scrittura pensata come mediazione di mediazione e caduta nell'esteriorità del senso. A quest'epoca apparterrebbe la dif. ferenza rra significato e significante, o almeno lo strano scarto del loro 'parallelismo' e l'esteriorità, estenuata quanto si vuole, dell'uno rispetto all'altro» 100 • ·Se la voce è già mediazione, ma discretissima e «narurale», del logos, «stoffa» ideale e diafana, la scrittura rappresenta mvece una mediazione seconC1a, opaca e ingombrante, dìe trasana con sé proprio ciò che deve essere tenuto a distanza: il mondo, lo spazio, la matena, il corpo. La scrittura introcluce quindi la morte e la corro• zionenella vita dd logos, l'opacità nellatrasparenza,roglie alla vita la continuità e la purezza del suo respiro «spll'ituale». «Intrusmne della tecnica ardliciosa, effrazione di una specie del tutto originale, violenza archetipica: irruzione del fuori nel dentro, che intacca l'interiorità dell'anima, la presenza vivente dell'anima a sé nel logos vero, l'assisten· za che la parola porta a se stessa» 101 •

.:~:---·-·· «L'operazione del 'sentirsi-parlare' ~ un'auto-affezione di tipo assolutamente unico... Questa auto-affezione è forse la possibilità di ciò che si chiama soggettività ... La voce ~ l'essere accanto a sé nella forma dell'universalità, come coscienza. La voce è la coscienza,., (La voce e il fenomeno, pp. 118-120). 100 Della grammatologia, p. 16.

99

101

Ibid., p. 39. 37

Carmine Di Martino L'esteriorità della scrittura al logos implica, come diceva poco sopra Dcrrida, la esteriorità ultimamente irriducibile del significante a1 significato, cioè «l'idea stessa di segno», con tutto ciò che fa sistema con essa, e innanzitutto la differenza capitale tra sensibile e intelligibile, corpo e anima. L'epoca logocentrica è l'epoca del segno, dell'opposizione e dell'estraneità del significante al significato. «L'evidenza rassicurante con cui ha dovuto organizzarsi e deve vivere ancora la tradizione occidentale sarebbe dunque questa: l'ordine del significato non è mni contemporaneo, al più esso è il rovescio o il parallelo a un livello leggermente inferiore--il tempo di un soflio----) che Demda non ba mancato dJ 10ttolinearc in alcune pagine di Della uammaJologia (dr. pp.

,3-,,).

'4

Derrida all'origine invita a ripensare e a sovvertire attraverso le sue analisi sulla costituzione dell'oggettività, ed è un tale capovolgimento che la «lettura» di Derrida intende prendere di mira per cominciare a metterlo in opera nella sua potenzialità dirompente e trasgressiva. Derrida replica dunque alla 'trascrizione' di Frnk ribadendo i termi• ni della scoperta husserliana: «ora, Husserl vi insiste: finché non può essere detta e scritta, la verità non è pienamente oggettiva, vale a dire ideale, intelligibile per chiunque e indefinitamente persistente. Poiché questa persistenza è il suo senso stesso, le condizioni della sua sopravvivenza sono implicate in quelle della sua vita. Senza dubbio essa non deriva mai la propria oggettività o la propria identità ideali da tale o talaltra incarnazione linguistica di fatto, e resta 'libera' nei riguardi di ogni fattualità linguistica. Ma questa libertà non è precisamente possibile che a partire dal momento in cui la verità può in generale essere detta o scritta, cioè a condizione che lo possa. Paradossalmente è la possibilità grafica che consente la liberazione ultima dell'idealità. Si potrebbero dunque quasi invertire i termini della formula di E. Fink: la non-spazio-temporalità non accade come senso che per la sua incorporabilità linguistica» (p. 144). Non vi è dunque, e proprio Husserl ci istigherebbe a pensarlo, semplice anteriorità del senso in rapporto al linguaggio e alla scrittura, costituzione preventiva di una verità al di qua del linguaggio. La insorgenza di un senso che, come tale, sia comprensibile, ripetibile e comunicabile non si lascia facilmente concepire a prescindere dal dire o dallo scrivere, anzi non si lascia concepire affatto. Un senso non articolato, senza «segni», assolutamente puro da ogni linguaggio e virtualmente presente come tale nell'interiorità è, in verità, ancora nulla. Derrida aveva già richiamato l'attenzione sul fatto che «quando Husserl affermava che una produzione di senso ha dowto presentarsi prima come evidenza nella coscienza personale dell'inventore, quando pone la questione della sua oggettivazione ulteriore (in un ordine cronologico fattuale)» egli fa ricorso ad una «sorta di finzione», poiché non vi è «evidenza geometrica che 'a partire dal momento in cui' essa è evidenza cli una oggettività ideale» (p. 115), e quest'ultima non è tale, come abbiamo visto, che attraverso il linguaggio e la scrittura. Scrivere, dice altrove Derrida in un suggestivo riferimento alle acquisizioni dell'Introduzione in esame, «è sapere che ciò che non è ancora prodotto nella lettera non ha altra dimora, non ci attende come prescrizione in qualche -r61tot; oupat\Mt; o in qualche intelletto divino. Il sen-

"

Carmine Di Martino

so deve attendere di essere detto o scritto per abitare se stesso e divciitarc quello che è differendo dasr -È q;;ello che Husserl ci insegna a pensare ne L'Origine della geometria» 125 • Dobbiamo ora mette.re in luce, come è avvenuto a proposito del linguaggio, una «difficoltà» (p. 146) interna al discorso sulla scrittura che ne ostacola la comprensione. Vale a dire: ciò che è in gioco qui, ancora una volta, è una scrittura «costituente» e non una scrittura «costituita», la pura possibilità e la necessità di una iscrizione in generale e non di questa o quella iscrizione fattuale o mondana. «La verità, aggiunge quindi Derrida, dipende dalla pura possibilità del dire e dello scrivere, ma è indipendente dal detto e dallo scritto in quanto essi sono nel mondo» (p. 147). Si tratta perciò di distinguere una scrittura come movimento di iscrizione, gesto o operazione istitutiva e originaria, quale possibilità di costituzione e di apparizione del senso e, d'altro canto, la scrittura come esemplare sensibile e fattuale o come «dispositivo estrinseco», secondo l'espressione adottata da Husserl nelle Ricercbe Logiche e richiamata da Derrida. Le analisi husserliane de L'Origine mantengono però, nota Derrida, «questi due temi» (cfr. p. 146, n. 127), con l'ambiguità o l'ambivalenza conseguente. In essa, vedremo, si annidano in realtà le difficoltà e i misconoscimenti necessariamente connaturati alle presupposizioni stesse della fenomenologia trascendentale. Fermiamoci ancora un istante sul primo lato della ambivalenza accennata, ossi.a sul significato di una scrittura costituente. Il carattere inaugurale della scrittura (e del linguaggio), ciò per cui essa viene descritta da Husserl come una condizione necessaria della costituzione delle oggettività ideali, non ha anzitutto nulla a che vedere con una sorta di inversione dei rapporti tra il segno, cioè il signi:ficante scritto (e fonico), e il significato, inversione che stabilisca tout court qualche priorità del primo sul secondo. Ciò sarebbe del tutto privo di senso e assolutamente fuori luogo, almeno finché si continua ad operare con i concetti tradizionali di significante e significato (Derrida lo mostrerà puntualmente in Della grammatologia). La lettura di Derricla non mira dunque a celebrare «attraverso» il testo husserliano una rivalutazione della scrittura nella sua accezione empirica, ma a circoscrivere l'originarietà del passaggio costituente che essa nomina, la cui necessità è stata «riconosciuta» da Husserl con una profondità fino ad allora sconosciuta senza «poter» tuttavia essere accolta nelle

ilsenso:

m L4 1&rillur11 e la di/lertnu, p, 14.

Derrida all'origine sue conseguenze teoriche. Che l'identità ideale e oggettiva del senso e della verità sorga a partire dal gesto di scrittura, grazie al movimento dell'incorporabilità, in virtù della mediazione del segno, ecco ciò che il testo de L'Origine lascia in consegna alla riflessione e che Derrida cerca di porre in rilievo. Occorre allora disporsi propriamente a pensare la necessità del passaggio attraverso la scrittura, vale a dire le implicazioni e le ripercussioni più radicali del riconoscimento pieno e filosoficamente pregnante del senso di tale necessità. Possiamo avviare ora una rapida serie di considerazioni che ci permetteranno di afferrare meglio il carattere di ciò che, visto soprattutto nella prospettiva di uno sviluppo futuro dell'opera derridiana, si trova al centro di questa lettura de L'Origine.

«L'Assoluto è il passaggio» (p. 210)

Le pagine che Derrida dedica 'di fatto' ed esplicitamente alla «scrittura» coprono pressapoco lo spazio di un lungo paragrafo e formano insieme a quelle dedicate al linguaggio una parte non prevalente della Introdu:r.ione, che si preoccupa di seguire l'intero percorso dell'Appendice. Esse costituiscono nondimeno, a nostro avviso e per ragioni che vorremmo ora ampliare e approfondire, il cardine principale della composizione. Derrida stesso, del resto, retrospettivamente lo conferma più volte in Poshioni, per esempio in un passaggio riguardante l'esclusione della «scrittura» da parte della tradizione meta.fisica: «mi sia concesso ricordare che il primo testo che ho pubblicato riguardava proprio il problema della scrittura come condizione della scientificità» 126• Ma in che cosa propriamente queste pagine rappresentano un «cardine», sia in rapporto all'orizzonte determinato dell'Introduzione sia a quello, più ampio, del lavoro di Derrida? Anticipiamo il senso complessivo della risposta per scorgerne successivamente i motivi: ciò che si lascia pensare «nella» necessità della scrittura, «attraverso» il testo husserliano, è l'istan:r.a di una differen:r.a originaria. ~ ciò che pure lascia intendere implicitamente Derrida, ancora in Posizioni (con una affermazione che potremo qui esplicitare solo in parte), quando ripercorre d'un sol tratto il profilo essenziale di questa sua prima opeta:. «in es-

126

Op. cii., p. 36. '57

Carmine Di Martino sa veniva già posta la problematica della scrittura come tale, collegata alla struttura irriducibile del 'differire' nei suoi rapporti con la coscienza, la presenza, la scienza, la storia e la storia della scienza, la scomparsa o il ritardo dell'origine» m_ Le analisi husserliane de L'Origine comprendono e descrivono la storicità propria della verità e del senso, vale a dire di ciò che per il suo senso d'essere «è» indefinitamente trasmissibile e anni- o sovratemporale (o anche in-temporale); in esse si annuncia la storicità profonda dell'idealità: essa si chiama scrittura, cioè possibilità dell'incorporazione, passaggio per la deviazione del segno. Il senso, per diventare se stesso, per costituirsi in oggetto assolutamente ideale, vale a dire per fare «letteralmente» il suo ingresso nella storia, deve poter costituirsi come segno, accettare la sua iscrizione o incisione: esso, come abbiamo visto, non ha altra dimora all'infuori di questa, non abita altrove né prima. Ma allora, ed è qui che Derrida porta il discorso husserliano alle sue estreme conseguenze, nella necessità della mediazione del segno è essenzialmente «inscritta» la necessità di differire da sé per essere sé del senso, della verità, o, più in generale, del logos. Il logos, diceva già Derrida in una conferenza pronunciata nel '59, csi costituisce in storia della ragione attraverso la deviazione di una scrittura. Si differisce così per riappropriarsi. L'Origine della geometria descrive la necessità di questa esposizione della ragione nell 'iscrizione mondana» 121• Nella necessità della scrittura si annuncia dunque l'irriducibilità di un originario differimento da sé del logos, vale a dire l'istanza di una deviazione verso l'altro da sé. L'identità del senso si costituisce «storicamente» in questo movimento di alterazione, di distrazione da sé, di esteriorizzazione: l'identità ideale si libera lasciandosi insidiare dal suo altro. Se la scrittura è inaugurale, se il senso, come dice altrove Derrida, non si trova già pronto alle sue spalle ma rappresenta •innanzitutto il suo avvenire» 129 , è perché questa differl!ll28 e questa alterazione sono inaugurali. A patto perciò di pensare radicalmente, come intrinseca, la necessità della scrittura, occorre ammettere che all'inizio non vi è alcun logos puro e raccolto in sé, che si esteriorizzerebbe poi, implicandosi col suo altro, per una «nccessi-

127 l2l 129

Op. cit., p. 45. La scrittura e la difftrenu, p. 215. Ibidem, p. 14. 58

Dcrrida all'origine tà» estrinseca e, al di qua di un certo punto, «evitabile,. o insignificante.

La scrittura (il linguaggio) non coglie di sorpresa e dall'esterno il logos, poiché esso non ha mai potuto accadere e manifestarsi che ricorrendo al suo altro, costituendosi come rapporto al fuori di sé. La presunta purezza o interiorità del senso è una illusione che sorge (ed è, direbbe Derrida, quasi strutturale) solo tardivamente, sopraggiunge «a cose fatte», a partire da ciò che il movimento della differenza e del rinvio ha già costituito. Se vi è logos, se vi è senso, vi è scrittura, cioè alterazione, mediazione, passaggio, e perciò vi sono articolazioni, relazioni, comunicazioni, segni, tratti, diflerenze. E la materialità della scritrura, del segno, la sua «esteriorità-corporea», che, dice Derrida, «non costituisce il segno come tale, senza dubbio, ma in un senso che occorre chiarire, gli è indispensabile» (p. 149), marca proprio il motivo originario dell'eteron nel logos, attestando l'impossibilità del puro e semplice raccoglimento presso di sé del logos. Vediamo quindi annunciarsi qui, in una riflessione sulla scrittura, uno scuotimento dei rapporti e delle opposizioni rassicuranti tra il dentro e il fuori, l'interiorità e l'esteriorità, il puro e l'impuro, l'intelligibile e il sensibile, e farsi avanti l'urgenza di ripensarne l'accreditata originarietà. Se le cose stanno come sono emerse a partire dall'istanza di una scrit· tura costituente, allora i riferimenti all'originarietà del passaggio, della mediazione, minacciano di secondarietà le distinzioni assolute appe· na accennate (sulle quali, è apparso a suo tempo, si regge l'impianto concettuale della tradizione) e la gerarchia che in esse si osserva, contrastando e smascherando cosl quella che potremmo chiamare, se ci è concesso andare al di là del lessico derridiano, la «psichicizzazione del mondo» implicita nella concettualità metafisica. li fuori, cioè lo spa• zio, la materialità, il mondo, il segno, la morte, non è più pensabile come una pura accidentalità rispetto al dentro della vita, della coscienza, del logos, del «tempo»: l'irruzione dell'uno nell'altro, il passaggio, è già sempre avvenuto, sta all'origine (il che significa, come abbiamo già avuto modo di sottolineare, che non vi è più «origine» semplice). Una non-coincidenza, una esteriorità irriducibile si introduce costituti• vamente nella «vita presente a sé del logos», facendone vacillare la sovranità indiscussa: ecco ciò che apparirebbe attraverso una meditazio• ne sul senso di necessità attribuito alla scrittura. t questo dunque, visto simmetricamente, anche il motivo dell'«abbassamento» della scrittura praticato dalla tradizione filosofica, della concezione estrinseca e strumentale con cui se ne è sempre pensato soltanto «il fatto» neutra59

Carmine Di Martino lizzando e obliterando cosl il senso della «operazione» ongtnaria che vi si cela, operazione che porta inscritta, come vedremo, la possibilità desùnete della morte. Proprio l'intreccio e la solidarietà delle «conseguenze» rapidamente indicate rendono dunque le pagine derriclianc sulla problematica della scrittura nel testo de L'Origine un punto di partenza nodale e irrinunòabile di tutto il suo itinerario futuro e ne fanno qui il perno effettivo dell'intera «lettura» in questione. Ma proprio queste conseguenze, d'altra parte, lo si sarà compreso, Husserl non ha e non avrebbe «potuto» accogliere, dati i presupposti stessi della fenomenologia. Egli avrebbe «dovuto» cioè rinunciare alla purezza della identità a sé della coscienza e, correlativamente, alla originaria presenza a sé del senso nella coscienza, alla presenza in persona della cosa stessa, vale a dire al «principio di tutti i principi» della fenomenologia, fondato in ultima istanza sulla originarietà del presente-vivente quale «punto» sorgivo e forma ultima della temporalità della coscienza trascendentale. Precisamente in rapporto a tale questione strategicamente decisiva della temporalità, Derrida si preoccupa di mostrare poi, nella Introduzione a L'Origine (cfr. specialmente i paragrafi x e XI) e soprattutto ne La Voce e il fenomeno, come nella descrizione husscrliana dd presente-vivente, al di là di ogni dichiarazione contraria, si annunci costitutivamente proprio il movimento del differire e dell'alterazione, in modo cosl essenziale e ineludibile da vietar di parlare di una semplice identità dd presente e da mettere in discussione tutta la fenomenologia nelle sue fondamenta.

Il primato della Geisligkeil L'impossibilità di Husserl a perconere sino in fondo la via di una meditazione sul segno che egli stesso ha contribuito ad aprire, è messa in luce criticamente e nei suoi motivi da Derrida, a partire dalla posizione husserliana a riguardo della possibilità di «scomparsa» del senso, che dovrebbe risultare «radicale» se la necessità della scrittura venisse pensata nella sua originarietà mentre tale non risulterà per Husserl. Vedremo dunque ora apparire quel duplice volto del rapporto Derrida-Husserl, cui abbiamo acceMato in precedenza, che scava lo scarto tra il riconoscimento di fatto e l'affermazione di principio, individuando ciò che trattiene Husserl al di qua delle sue scoperte e del60

Derrida all'origine le sue stesse descrizioni. Riprendiamo ancora a seguire il testo dell' Introd u:r.ione. Se l'incorporazione nel segno è una «esposizione indispensabile» alla costituzione del senso essa resta anche, d'altra parte, in quanto tale, «minaccia del senso da parte del fuori del segno» IJO' possibilità della perdita e della decadenza, cioè momento «critico» di un sempre possibile «obllo» del senso e della verità. «In effetti, osserva Derrida, non appena, come gli è prescritto, il senso è raccolto in un segno, quest'ultimo diventa la residenza mondana ed esposta di una verità non pensata» (p. 147). Nel segno si annodano dunque il compimento e la minaccia, la possibilità della costituzione e del pericolo, secondo quell'ambiguità o quella doppia natura che gli è propria e che abbiamo già avuto modo di notare. Derrida riprende dunque il senso di tale ambiguità, richiamando anzitutto il valore essenziale della «virtualità» consentita dalla scrittura: «che la verità possa perdurare senza essere pensata in atto o di fatto, è ciò che la emancipa radicalmente da ogni soggettività emp1nca, da ogni vita fattuale, da ogni mondo reale» (p. 147). Per raggiungere la assoluta oggettività e traclizionalità occorreva, lo si ricorderà, sospendere ogni aderenza all'hic et nunc mondano e psichico, alla fattualità di un soggetto e all'attualità di una evidenza e di una comunicazione all'interno di una determinata comunità linguistica. «Ma poiché, -dice Derrida-per sfuggire alla mondanità, il senso deve prima poter raccogliersi nel mondo e deposiiarsi nella spazio temporalità sensibile, gli è necessario mettere in pericolo la sua pura idealità intenzionale, vale a dire il suo senso di verità». Ecco quindi l'osservazione che aspettavamo: «Si vede cosl apparire all'interno di una filosofia che, almeno per alcuni suoi motivi, è il contrario di un empirismo, una possibilità che, fin qui, si accordava solo con l'empirismo e con la non-filosofia: quella di una scomparsa della verità. ( ... ) Determinare il senso di tale 'scomparsa' della verità, questo è il più difficile dei problemi posti da L'Origine e da tutta la filosofia husserliana della storia» (p. 147). Se l'incorporabilità nel segno è essenziale al costituirsi oggettivo della verità o del senso occorre disporsi a considerare che proprio attraverso il segno, in virtù della sua esteriorità e corporeità, si apre la possibilità di una morte del senso, una possibilità co-originaria e corIJO

La scrittura e la differenza, p. 245 61

Carmine Di Martino relaùva a quella della sua insorgenza. Il segno può sempre infatti es• su distrutto e, in un11 comunicazione a distllilZll tra Te ·umanitàele qioéhè, non giungere destinazione, o perdersi per via. -~In un tal iàso, si potrebbe innanzitutto che-·nòn-essendo il senso per Husserl né un in-sé né una pura interiorità spirituale ma, da parte a pane, 'oggetto', l'ob/lo conseguente alla distruzione del segno guardiano dell'oggettività non passerebbe, come in un 'platonismo' o in un 'bergsonismo', alla superficie di un senso senza intaccarlo. Esso non soltanto lo dissimulerebbe: lo annienterebbe nell'essere-al-mondo specifico al quale è stata affidata la sua oggettività» (pp. 148-149). Ma è proprio in relazione allo sviluppo coerente di questa conse• gucnza che affiora il limite della posizione husserliana, a partire dal quale la scrittura resta identificata con uno «strato secondario» della costituzione del senso, che ha a che fare con una dimensione di «storicità esterna dd mondo storico-sociale» (p. 244), per riprendere una formula che Husserl usa in nota ne L'Origine. Attendiamo ancora un momento. e L'ipotesi della distruzione fattuale non interessa affatto Husscrl. Pur riconoscendo la terrificante realtà del rischio corso, egli negherebbe ad essa ogni significato pensabile, cioè filosofico» (p. 149). Cerchiamo di comprenderne le ragioni. Insiste Derrida: « ... la minaccia di una distru• zione intrinseca per via del corpo del segno» non può assolutamente riguardare l'identità pura, la verità. «Senza dubbio essa sarebbe modificata, mutilata, sconvolta di fatto, forse scomparirebbe di fatto dalla superficie del mondo, ma il suo senso-d'essere e di verità, che non è nel mondoné in questo mondo, né in un altro-resterebbe in se stesso intatto. Esso conserverebbe la sua propria storicità intrinseca, le sue proprie con• catenazioni e la catastrofe della storia mondana gli rimarrebbe estra• nea• (p. 149). La mone, dunque, colpisce «il fatto» e non il «s~~o». Ma in vir• tù di che esso si sottrae allo sconvolgimento della fattualità, persino ad una eventuale 'catastrofe mondiale'? Se la distruzione fattuale è considerata indifferente è perché vi è una storicità intrinseca del senso e della verità, che ne fonda la costituzione e la permanenza prima o al di qua dell'ingresso nella storia del mondo. :B grazie a questa stori• ,;j_~~intrimeca opposta ad una storicità estrinse-;;-(i.n -ci.iioppaiono costitutivamente il linguaggio, la comunicazione, la scrittura ecc.) che ~ è inattaccabile. Sarebbe vano opporre a questa clistinzioneliusserlian·a ;ché-la--storicità o l'essere-nella-storia è precisamente la pos•

-a-

-pensare-

senso

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Derrida all'origine sibilità d'essere intrinsecamente esposta all'estrinseco, perché si mancherebbe-- (V. F., p. 35). Questi rapidi riferimenti lasciano forse meglio intendere la trama ricca e complessa, ambivalente, della lettura derridiana del testo di Husserl e fanno almeno intravvedere la decisività degli «appoggi» che essa vi attinge «criticamente». Muovendo da essi, la rIBessione sulla scrittura, e sulle istanze trasgressive che questa trascina con sé, si avvia a subire quella serie straordinaria aperta di dilatazioni e di spostamenti che si dispiega nel lavoro testuale di Derrida fino alle ultime opere.

Chiudere aprendo Vorremmo allora avviarci a concludere semplicemente ricordando un «nodo» essenziale emerso lungo il cammino, che rappresenta una

*

Ci riferiremo d'ora in avanti a Lz voce e il fenomeno con la sigla «V. F.• e

direttamente in parentesi.

Carmine Di Martino tra le linee di intersezione più profonde tra il testo di Derrida e il testo di Husserl e, d'altro canto, tra questa prima opera di Derrida e le sue diramazioni successive (come documentano gli ultimi lavori di Derrida, per esempio La carte postale). Ce ne offrono, per cosl dire, il «pretesto» le ultime pagine dell'Introduzione derridiana a L'Origine che ripresentano conclusivamente, in una prospettiva ormai già sbilanciata in avanti veno sviluppi ulteriori, le nozioni di differenza, di ritardo e di Riukfrage, nella loro irriducibile continuità e relazione reciproca. Esse entreranno poi, nelle opere successive di Dcrrida, in un rapporto di concatenazione e di sostituzione con la «scrittura». Soffermiamoci in particolare sulla nozione di Ruckfrage. Le proposizioni che chiudono l'Introduzione risuonano a questo proposito come un segnale significativo; dopo aver evocato il «movimento» del Ritardo e della Differenza, Derrida esclama: «Questa strana processione di una Ruckfrage, tale è il movimento tracciato ne L'Origine. È anche in ciò che questo scritto detiene, come dice Husserl, 'un significato esemplare'» (p. 215). Il dinamismo originario del ritardo, della differenza e della scritturll, si lascia cogliere in un nesso profondo con quello della questionen-retour. «Come nel suo sinonimo tedesco--spiegava Derrida in un passaggio già citato--la question-en-retour è segnata dal riferimento o dalla risonanza postale ed epistolare di una comunicazione a distanza. Come la Riickfrage, la question-en-retour si pone a partire da un primo invio. A partire dal documento ricevuto e già leggibile, mi è data la possibilità di interrogare di nuovo e en-retour... » (p. 99). Il Pensiero stesso come Discorso è preso in questo 'movimento-cliritomo', configurandosi perciò, costitutivamente, come Ritardo. Il Pensiero sorge cioè a partire da un 'primo invio', da un già non-riducibile e la Parola è sempre un 'farsi carico' di ciò che si è inteso e ricevuto, una responsabilità, vale a dire è già sempre in posizione di risposta. «Senza dubbio-afferma Derrida--occorre che l'Essere si sia sempre già dato da pensare, nella pre-sunzione-che è anche una ri-assunzione-- lll. o ancora, al termine della critica d'una teoria empirista dell'origine della geometria: «Non si deve filosofare e psicologizzare dall'esterno intorno al pensare e all'intuire geometrico, ma piuttosto attuarli nel vivo e determinarne il senso immanente sulla base di analisi dirette. Può essere 41 Cfr. in particolare Idee ... 1, (S 1, n. 1, pp. 15 e 16), dove sooo •escluso al tempo stesso l'origine storica e la storia come scienza dello spirito. Per quanto riguarda le scienze dello spirito, è «provvisoriamente lasciata in sospese• la questione cli sapere se esse sono «scienze: della natura o scienze d'un tipo C55C& zialrncnte nuovo». Beninteso, è in quanto /atti e non in quanto normt che i «dati• storici sono posti tra parentesi. Domandandosi «a quale scienza» la fenomenologia •possa attingere,. in quanto è essa stessa «scienza delle "origini"•, e quali scicozc debbano esserle «interdette», Husscrl scrive: «Va da ~ che con la neutralizzazione del mondo naturale, delle sue cose, dei suoi animali, dei suoi uomini, sono escluse dal nostro campo giudicativa anche rune le oggettivitl individuali che vi si costituiscono grazie alle funzioni valutative e pratiche, rotte le specie di formazioni culturali, i prodotti delle belle arti, della tecnica, delle scienze (in qU4nto

sumo considerati non come unità di valore, ma appunto come fatti di cultura), (corsivo nostro), i valori estetici e pratici di ogni sorta. Noncht! realtl come Stato, costume, diritto, religione. Con questo, risultano neutraliuate ed ,se/use dalla sfera del nostro giudizio ltllte le scienze naturali e quelle dello spirito, con l'in• tero loro patrimonio conoscitivo, scienze che si fondano sull'atteggiamento natu• raie», Idee ... 1, S .56, p. 125. 40 Cfr. le definizioni della storia come scienza empirica dello spirito ne La /i· losofia come scienza rigorosa, in particolare pp. 101-102, della trad. fr. di Q. Laucr. Ibid., p. 103.



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Jacques Derrida

che noi abbiamo ereditato delle disposizioni conosat1ve dalle cono-

\

scenze delle generazioni passate; ma per la questione del senso e del valore delle nostre co11osce11:z:e la storia di queste eredità è tanto indifferente, quanto lo è, per il valore del nostro oro, la storia delle sue-,, 51 •

In verità, la continuità e la coerenza del discorso sono notevoli: occorre dapprima ridurre la storia-dei-fatti per rispettare e far apparire l'indipendenza normativa dell'oggetto ideale rispetto ad essa, poi, e allora soltanto, evitando in tal modo ogni confusione storicista o logicista, far apparire la storicità originale dell'oggetto ideale stesso. :t a motivo di ciò che q~este prime riduzioni della storia fattuale non saranno mai tolte, tantomeno ne L'Origine... La questione è che, ne LA filosofia come sden:z:a rigorosa, si trattava ài reagire contro uno storicismo che riduceva la norma al fatto; è nelle Idee ... I, di situare esemplarmente la geometria tra le scienze pure d'essenza, che erano immediatamente affrancate da ogni fattualità perché in esse nessuna tesi di esistenza (Daseinsthesis) era necessaria né permessa. Nessuna figurazione sensibile nel mondo reale 52 , nessuna esperienza psicologica, nessun contenuto evenemenziale avevano, in quanto tali, senso fondante. L'eidos geometrico si riconosceva in quanto resisteva alla prova dell'allucinazione. cCi sono 'pure' scienze di essenze, come la logica pura, la matematica pura, le dottrine pure del tempo, dello spazio, dd moto, ecc. Esse, in tutti i loro passaggi, sono libere da qualunque posizione di dati di fatto; ovvero, che è lo stesso, in esse nessuna esperienza, in quanto coscienza che coglie e quindi pone un'esperienza cioè una realtà, un'esistenza, può avere una funzione fondamentale. Se in esse l'esperienza ha una qualche funzione, non funge come esperienza. Il geometra, ad es., che disegna le sue figure sulla lavagna, produce delle linee esistenti di fatto sulla lavagna pure esistente di fatto. Ma tanto la sua produzione fisica quanto la sua esperienza di tale produzione oon costituiscono nessun fondamento per la sua visione (e il suo pensiero) delle essenze geometriche. Pertanto è indifferente che egli ldu... 1, S 25, p. ,2. Il conivo ~ nostro. L'inutilità CS5CDZiale e la cinadeguat=a dell'illustrazione,. sensibile sono glA 10ttolinea1c nelle Richerch, logich, (lrad. it., G. Piana, Milano, Il Saggiatore, 1968, t. n, l' parte, p. 332. Rimanderemo d'ora in avanti a R. L.), in un passo In cui Husscrl richiama la distinzione cartesiana tra l'imaginatio e l'intell,clio a proposito del chiliogono, e annuncia in modo molto preciso la teoria della «ideallz. zazionc. geometrica che oonscrvcril. ne L'Origine... 51

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Inuoduzione a «L'origine della geometria» di Husserl sia o non allucinato e che, invece cli disegnarle realmente, immagini le linee e le costruzioni in un mondo fantastico. Del tutto diversamente' procede il naturalista» 53 • Idt!t! ... I,§ 7, p. 24. Questa autonomia della verità matematica rispetto alla percezione e alla realtà naturale, in cui essa non pouebbe essere fondata, è descritta qui solo in modo negativo. 1?: la non-dipendenza che è sotrolincata. Il fondamento positivo della verità non è ricerefto per se stesso. A partire da un'analisi del «fo• nomcno,. matematico, o al fine di meglio isolarne il «senso&, si riduce semplicemente qucl che viene indicato, in questo senso, come ciò che non può attualmente essere considerato a titolo di fondamento. 1?: in rapporro all'alludna,Jont che Husserl misura l'intangibilità cidetica del senso matematico. Nel Tttttto (190, b) Platone era ricorso al sogno. Lo sviluppo huss,,rliano si situa sul medesimo piano e riveste il medesimo stile dell'analisi cartesiana dell'evidenza matematica prima dell'ipotesi dcl Genio Maligno, nella Prima Meditazione: «Ma (non concluderemo male ... se diciamo che) l'ariunetica, la geometria e le altre scienze di ·questa natura, che non trattano se non di cose assai semplici e assai generali, senza darsi molta pena se siano nella natura o non vi siano, contengono qualche cos.a di certo e d'indubitabile: poiché, che io vtgli o cht dorma, due e tre uniti insieme formeranno sempre il numero cinque, e il quadrato non avrà mai più di· quattro lati; e non sembra possibile che delle verità cosl chiare e cosi evidenti possano essere sospettate di falsità o incert=• alcuna•. 1?: solo dopo questa fenomenologia dell'evidenza matematica che, con l'ipotesi del Genio Maligno, si porrà per Cartesio la qucsiooe critia o giuridia del fondamento che garantisce la verità di un'evidenza. ingenua, la rui descrizione stessa e il cui valore 41naturale» non saranno d'aluondc mai rimessi in causa, al Io. ro livello proprio. Il fondamento originario di queste verità costituite, il cui modo di apparirc ~ cosl chiaramente riconosciuto sarà delegato a un Dio verace e creatore di verità eterne. Husscrl, dopo un~ tappa descrittiva analoga, lo ricercherà in atti storici di fondazione originaria (Ur1ti/tung). A questo proposito, il Dio cartesiano, come quello dei grandi razionalisti classici, non sarebbe che il nome dato ad una storia nascosta e «funzionerebbe• cotne la riduzione ntCCSsaria della storia empirica e del mondo naturale; riduzione che appartiene al senso di questc scien2c. Vedremo però che, malgrado questa straordinaria rivoluzione che fonda la verità assoluta ed eterna senza· il soccorso di Dio o d'una Ragione infinita, e che sembra svelare e ridiscendere cosi verso una certa finitudine originariamente fondatrice pur evitando l'empirismo, Husserl ~ meno lontano da Cartesio di quanto sembri. Questa storia nascosta acquisterà il suo senso nell'orizzonte di un Tclos infinito che Husserl non esiterà a chiamare Dio nei suoi ultimi scritti inediti. l! vero che questo infiniro, che tormenta già sempre· 1e origini, non ~ un infinito positivo cd attuale. Esso si dà come una Idea in senso kantiano, come un «indefinito,. regolatore la cui negatività lascia alla storia i suoi diritti. Non soltanto la moralità ma anche la storicità della verità stessa verrebbe salvata qui da questa «falsificazione» dell'infinito attuale in un indt/inito o in un all'-infinito, falsificazione di cui Hcgel accusava Kant e Fichte.

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Jacques Dcrrida

Qui l'ipotesi dell'allucinazione assume il ruolo assegnato alla finzione in generale, «elemento vitale della fenomenologia» 54 , nella determinazione eidetica. Ma se l'allucinazione non intacca l'eidos dell'oggetto ideale costituito, perché l'eidos in generale e l'oggetto ideale in particolare sono degli «i"eali»--benché non siano affatto delle realtà fantastiche--, se proprio essa li rivela come tali; se, d'altra parte, l'eidos e l'oggetto ideale non sono, come in un platonismo, preesistenti ad ogni atto soggettivo; se quindi hanno una storia, allora essi devono rapportarsi, come al loro fondamento originario, a delle proto-idealizzazioni, sul substrato di un mondo reale effettivamente percepito. Ma essi devono farlo attraverso l'elemento d'una storia originale.

L'alluànazione ~ dunque complice della verità solo in un mondo statico di significazioni costituite. passare al fondamento e alla costituzione originaria della ~ricl, occorr~ ritornare ad-iin'espcrienzà creatrice a partire dal mondo reale. Anche fosse unica e sepolta, questa esperienza rimane primaria, di diritto come di fatto. Si riconosce allora che, nella sfera del senso, il vero contrario dell'allucinazione, come dell'immaginario in generale, non è immediatamente la percezione, ma la storia; o, se si preferisce, la coscienza di storicità e il risveglio delle origini. f; quindi solo al livello e nel momento segnati da Idee ... I che Husserl raggiunge Kant nella medesima indifferenza ad una storia che sarebbe soltanto estrinseca ed empirica. Quindi, non appena si tratterà per Husscrl di render conto della genesi della geometria e di oltrepassare questa tappa preliminare, ci si potrebbe attendere di veder togliere pUiamcnte e semplicemente le riduzioni eidetica e trascendentale, per tornare ad una storia costituente in cui la presa in considerazione del fatto come tale diventerebbe indispensabile 55 perché in questo caso, per la prima volta, in quanto origine storica singolare, il

Per-

ldu... r, S 70, p. 151. ~ VCtlO una oonclu,ione di questo tipo che ~ fortemente orientata l'interpretazione di Trin-Duc-Thao Phénoménologie e/ matérialisme dia/ectique, 1951). Al termine ddl'itinerario hu.sscrliano, il ritorno alle «forme tecniche ed economiche della produzione. (vale a dire, in linguaggio husserliano, il ritorno alla causalità reale, fattuale cd estrinseca, al di fuori di ogni riduzione) sembra inevitabile a questo autore, il quale pcma che Husscrl vi si fosse «oscuramente» risolto al momento dc L'Origine della Geometria: «!! d'altronde ciò che Husscrl OSC\l• ramente prc,cntiva quando cercava, nel celebre frammento su L'Origine della 51

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Introduzione a «L'origine della geometria» di Husserl fatto fondatore sarebbe insostituibile, quindi invari4bile. L'invarianza del fatto, vale a dire di ciò che in quanto tale non può mai essere ripetuto, prenderebbe di diritto, in una storia delle origini, il posto dell'invarianza eidetica;-vale a dire di ciò che può essere a volonir'e indefinitamente ripetuto. La storia fondatrice saréìibe il luogo profonclodeITTndissbc[ahl.Ild1 ··ae1_ senso_~_Q~'essere, del fatto e defCl.iriuo. La nozione di «origine», o di genesi, non potrebbe più esservi accolta nella pura accezione fenomenologica che Husserl ha distinto con tanta ostinazione 56 • Invariabile il fatto totale che segna l'istituzione della geometria lo sarebbe perché ha il carattere che, agli occhi di Husserl, defutlsce il fatto, esistenza singolare ed empirica: l'irriducibilità di un hic et nunc. Husserl dice proprio che il sorgere della geometria lo interessa qui in quanto ha avuto luogo «un giorno» (dereins), «per la prima volta» (erstmalig), a partire da una «prima acquisizione» (aus einem ersten Erwerben) (0., 17.5-7). Ora, ciò che autorizzava l'interpretazione dell'essenza della geometria costituita e nella geometria costituita, era la possibilità di far variare immaginativamente l'hic et nunc naturale delGeometria, di fondare la verità geometrica sulla praxis umana. (op. cit., p. 220) ... «L'esplicitazione fenomenologica si orientava rosl verso la determinazione delle condizioni r~ali in cui si genera la verità» (p. 221 ). Benché non abbia mai «vuto il senS che per il senso è essen:r.ialmente individuato dalla pon:r.io11e 1paùerltm-j parale, mentre diciamo i"ea/e ogni determina:r.ione che è si fonda/11 p,..,. il 1110 comparire spa:r.io-temporale sullo specificamente· reale, mll che può comparire in diverse reoltiJ come identic11 e non meramente simile». (Conivo di Husserl). Si può cosl esplicitare il rapporto tra l'idealità e la realtà in tutte le oggettualità culturali, e anzitutto in tutte le arti. Ciò è relativamente agevole per l'opera letteraria. Cosi, «Il Faust di Goethe compare in quanti che simo libri reali (prendendosi la parola "libro" come libro prodotto da uomini e destinato ad esser letto: già in se stesso, esso non è puramente rosale, ma determinazione di significato!), i quali si dicono esemplari del Faust. Questo senso spirituale che determina l'opera dell'arte o la formazione spirituale come tale è di certo

d)icia-ì

•incarnato• nel mondo reale, ma non è individuato da questa sua inc:amazionc. Cosi anche la stessa proposizione geometrica può essere espressa quante volte si

voglia; ogni enunciato reale ha qui lo stesso senso,. (ibid., p. 299). Ma come determinare l'idealità di un'opera cbe non ha che una sola incorporazione spazio-tcmporale alla quale è legata la sua proto-individualizzazione? come fare apparire la ma idealità mediante la variazione degli esemplari fattuali, poich~ questi non posche imitare una fattualità e non esprimere o «indicare• un senso ideale, che ne è, in breve, dell'idealità delle arti plastiche, dell'architettura? e della musica il cui caso è ancora più ambiguo? Benché la ripetizione sia qui d'una natura diversa che richiede in ogni caso un'analisi appropriata e prudente, essa non è per questo 1000

meno possibile di principio e fa cosi apparire una incontestabile idealità: «Un oggetto ideale come la Madonna di Raffaello, può non avere di /11110 che un'unica ,.istenza mondana e non essere di fatto riproducibile in sufficiente identità {che è quella del pieno contenuto ideale). Ma per principio quest'ideale è tuttavia ri~ tibile, quanto il Faust di Goethe. {ibid., p. 300). Vi è dunque sin dalla prima percezione di un'opera d'arte plastica come tale,

145

Jacgues Derrida

«incall!1111l11» alla fattualità, ma esserlo anche secondo delle forme e delle modalità diverse e tutte originali. Inoltre, il rapporto degli «eSl!mplari» all'unità archetipale è, senza dubbio, di un genere unico tra le riproduzioni delle altre formazioni culturali, quelle delle arti non letterarie in particolare. Infine, il volume e la durata propria del libro non sono né dei fenomeni puramente sensibili, né dei noumeni puramente intelligibili. La loro specificità pare irriducibile. G. Bachelard chiama «bibliomeno» questo «essere del libro», questa «istanza del pensiero stampalo» «il cui linguaggio non è naturale» ""'. Già nelle Ricerche logiche Husserl aveva riconosciuto l'importanza e la significazione difficile di questa mediazione della scrittura che egli illumina più direttamente ne L'Origine 127 • La difficoltà della descrizione dipende qui dal fatto che la scrittura accusa e compie l'ambiguità di ogni linguaggio. Movimento dell'incorporabilità esserudale e costituente, esso è anche il luogo dell'incorporazione fattuale e contingente per

il rui valore idcaJc è originariamente e intrinsecamente radicato in un evento, una ,oru di riduzione immediata della fattualità, che permette in seguito di neutralizzare l'imperfezione necessaria delle riproduzioni. Non ~ questa la sede per prolungare tali analisi dclla percezione e dell'idealità estetiche. Husscrl si accontenta di >ituarnc il campo e di definire le indispensabili distinzioni preliminari. F.g[i propone delle distinzioni analoghe nella sfera culturale del politico, e si sforza di mettere in luce al tempo stesso l'idealità della costituzione dello stato, ddla volontà natale, ad es=pio, e l'originalità del suo «incatenamento» alla lattualità d'un territ.orio, di una nazione, etc. all'interno dei quali essa pu~ es. sere iodcfinitameote riperuta nell'idealità del suo valore (ibid., pp. 320-321). 11'6 L'ddjvj/é r,/ionaliste de I,, physique contemporaine (1951), pp. 6-7. W Cir. R. L, S 6, p. 31. «La scienza possiede uno status obbiettivo solo nella sua letter:atu.n: solo nella forma delle opere scritte essa ha un'esistenza autonom2, pur nella ricchezza dei suoi riferimenti all'uomo ed alle sue attività intdlettua.li; in questa forma ,i riproduce attraverso i millenni e sopravvive agli individui, alk generazioni e alle nazioni. Essa rappresenta perciò una somma di istiruziooj estrinseche che, non appena ,i sono formate a partire dagli atti conoscitivi

di molti individui singoli, possono nuovamente trapassare negli atti conoscitivi di innumerevoli altri individui, in modo facilmente comprensibile, ma che richiede, per essere esattamente descritto, analisi minuziose». (Corsivo nostro). A quelivello dell'analisi, che deve soprattutto liberare l'autonomia oggettiva dei significati, si tratta proprio di ~istituzioni estrinreche•: esemplari sensibili da cui non ruperulono né l'idealità di senso, né l'intenzione chi,zra della conoscenza. Ma ciò sto

non vieta né contraddice affatto il tema ulteriore della scrittura come posribilitò e come condizione intrinseca degli atti di conoscenza oggettiva. L'Origine mantiene questi due temi. t! la difficoltà che ci sforziamo qui di chiarire. 146

Introduzione a «L'origine della geometria» di Husserl ogni oggetto assolutamente ideale, cioè per la verità; quest'ultima, inversamente, ha la sua origine in un puro diritto alla parola ed alla scrit• tura, ma una volta costituita, condiziona a sua volta l'espressione come un fatto empirico. Essa dipende dalla pura possibilità dd dire e dello scrivere, ma è indipendente dal detto e dallo scritto in quanto sono nel mondo. Se è dunque nel suo linguaggio, per esso, che la verità soffre di una certa labilità, la sua decadenza sarà più che una caduta verso il linguaggio una degradazione all'interno del linguaggio. In effetti, non appena, come gli è prescritto, il senso è raccolto in un segno "11 , quest'ultimo diventa la residenza mondana ed esposta di una verità non pensata. L'abbiamo visto: che questa verità possa perdurare senza essere pensata in atto o cli fatto è ciò che la emancipa radicalmente da ogni soggettività empirica, da ogni vita fattuale, da ogni mondo reale. Nel contempo, l'essere-in-comunità dell'umanità «mpera una nuova tappa» (0., 186): essa può, infatti, presentarsi come comunità trascendentale. L'atto di scrittura autentico è una riduzione trascendentale operata mediante e in direzione del noi. Ma poiché, per sfuggire alla mondanità, il senso deve prima poler raccogliersi nel mondo e depositarsi nella spazio-temporalità sensibile, gli è necessario mettere in pericolo la sua pura idealità intenzionale, cioè il suo sen• so di verità. Si vede cosl apparire all'interno di una filosofia che, almeno per alcuni suoi motivi, è il contrario di un empirismo, una possibilità che, fin qui, si accordava solo con l'empirismo e con la non-filosofia: quella di una scomparsa della verità. :B di proposito che usiamo la parof;-ambigua ··scomparsa\ ·clò -che scompare è ciò che si annienta 11!.3.~· che ciò che cessa, in modo intermitt~nt~· -~ definitivo, cli apparire di fatsènza· tuttavia essere colpito nel SU() ,;_J suo senso d'essere. Deteroiinare il senso di tale «scompàrsa·;, cfeilà- verità; ques1-o è_il più I' diflicile de.i problemi posti da L'Origine e da tutta la filosofia hu~serlia~a della storia. Non ci è parso d'altra parte possibile trovare in HusserCuna. risposta senza equivoco a una questione che non fa altro che capovolgere quella della fenomenologia stessa: qual è il senso dell'apparire? questo equivoco rivelerà al tempo stesso quanto l'autore del-

to

~sereo

ua Prendiamo questa parola nel senso ampio di segno-significante o «segno-cspressionc• (grafico o vocale) nell'accezione che Husscrl dà a questo termine opponendolo ol segno «indicativo• (R. L., t. u, R. I, SS da I a ,). Si potrebbe, a par•: tirc da qucstn distinzione, interpretare il fenomeno di crùi-!]le salverebbe la sua Leib/ichkeit da un disastro corporale? Husserl non immobilizzerà la propria analisi io questa ambiguitJ~ che è ai suoi occhi solo una confusione prowisoria e fattuale delle regioni. Il fenomenologo deve dissiparla se non vuole ridursi alJ'equivoco, scegliere il silenzio o precipitare la fenomenologia nella filosofia. Husserl mantiene dunque l'ana!ìcs!_ di!Jsocj!!!va, e disarticola l'am~ità. Per cogliere la natu-

corpo essa _

ma

1.52

Introduzione a «L'origine della geometria" di Husserl

ra del pericolo che minaccia la verità stessa nella sua parola o nella sua scrittura costituente, per non uscire dalla storicità «interna", egli andrà alla ricerca dell'intenzione di scrittura (o di lettura) in se stessa e nella sua purezza; isolerà in una nuova riduzione l'atto intenzionale che cos_!ituisce il Korper in LeÌb -~ Io mantiene nella sua Leiblichkeit, nel suo senso vivente di verità. Una tale analisi non ha più bisogn-o del -KB~p~~ c~~e · t"ale. ~ n~Ìla dimensione intenzionale del cotpo proprio animato, della geistige Leiblichkeit, più precisamente nella Geistigkeit del Leib, ad esclusione di ogni corporeità fattuale, che il senso è intrinsecamente minacciato. Benché nella parola, Korper e Leib, corpo e carne, siano numericamente, di fatto, un unico e medesimo essente, i loro sensi sono definitivamente eterogenei e niente può venire a questa da quello. L'oblio della verità stessa non sarà dunque mai altro che il fallimento di un atto e l'abdicazione ad una responsabilità, un venir meno più che una disfatta. Non si potrà farlo compatire in persona che a partire da una storia intenzionale. Perciò, se resta, in quanto scomparsa della verità intersoggettiva e come dicevamo più sopra, una categoria storica, l'oblio può nondimeno essere descritto come un fenomeno dell'ego, come una delle sue «modificazioni» intenzionali. In quanto senso intenzionale, rutto può e deve essere descritto solo come una modificazione dell'ego puro, a patto di rispettare prudentemente il senso di ogni modificazione, come Husserl tenta di fare ad esempio a proposito della cllilicile costituzione dell'alter ego. Si vede anche che, per la stessa ragione, l'oblio non sarà mai radicale, per profondo che sia, e il senso potrà sempre essere-di principio e di diritto--riattivato. Nella Logica formale e tras~~nàentole, poi nella Krisil, l'oggettivazione linguistica e la simbolizzazione matematica erano presentate come l'occasione dell'alienazione tecnica e oggettivista che degradavano la scienza ad arte o a gioco •JS. L'accusa, ripresa ne L'Origine, è più particolarmente rivolta contro l'insegnamento puramente metodologico e operatorio delle matematiche. Si apprende a servirsi di segni il cui senso originario--che non è il senso logico sempre sedimentato e accessibile ad una diluciàazione-si dissimula, si potenzializza sotto delle sedimentazioni. Queste, che non sono altro che le intenzioni e i 1lS Cfr. in particolare K., S 9 f. Sui «segni sprovvisti di significato> e sul «significato di gioco», cfr. R. L., t. 11, r, § 20. Sui vocaboli e i segni reali come «portatori» di idealità significate, dr. Esperienza e Giudizio, § 65.

153

Jacques Dcrrida sensi intenzionali messi a tacere, non si sovrappongono solamente nel divenire interno del senso, ma si implicano nella loro totalità, più o meno virtualmente, ad ogni tappa o ad ogni piano (la nozione di «Stufe» che ha ne L'Origine un senso al tempo stesso strutturale e genetico, , può tradursi sia con «piano» che con «tappa»). L'immagine geologica della «sedimentazione» traduce efficacemente lo stile di questa implicazione. Essa riunisce--sempre virtualmente-l'immagine del livello, dello strato che una invasione o una progressione depositano dopo la novità radicale di una irruzione o di un'insorgenza: ogni avanzata, ogni pro-posizione (Satz) di un senso nuovo è nello stesso tempo un bal:r.o {Satz) e una ricaduta sedimentaria (satzartig) del senso; immagine anche della permanenza sostanziale di ciò che è in seguito supposto, di ciò che risiede sotto la scorza dell'evidenza attuale; immagine della presenza dissimulata eh~ un'attività di scavo può sempre ti-produrre alla luce come la fondazione, essa stessa fondata, di stratificazioni superiori; tutto ciò nell'unità strutturale e interna di un sistema, di una «regione-.. entro la quale tutti i depositi, solidali ma distinti, sono all'origine diretti da una archi-tettonica. Di fronte al senso sedimentato, il pericolo è in primo luogo la passività. Ne L'Origine, Husserl insiste più sull'accoglimento ricettivo dei segni-in primo luogo nella lettura-che sull'attività tecnica o logica di secondo grado che, non solamente non è contraddittoria con questa prima passività, ma al contrario la presuppone. Nel suo primo momento, la sintesi che risveglia il segno alla significazione è di fatto necessariamente passiva e associativa ll9_ J,.a possibilità di abband_onarst~-q~-

OP Questo tema della sintesi passiva è abbondantemente esplicitato in Esperienza e Giudivo e nelle M. C; ma è ancora una volta nella L. F. T. che esso è particolarmente orientato, come ne L'Origine, dal problema del segno e della sedimentazione delle oggettualità ideali. Cfr. in particolare l'Appendice II, pp. 383-401. Sul senso delle attività e delle passività in una fenomenologia della lettura, quale è abbozzata ne L'Orgine, vedi anche L. F. T., S 16. ( Beninteso, i temi della passività e della sedimentazione, cioè della potenzia' Jità del senso, derivano tutta la loro gravità dall'essersi imposti ad una filosofia dell'evidenza attu4le il cui ~principio dei princlpi» è la presenza immediata e in . allo del senso stesso. Se la riattivazione è preziosa. e urgente, è perché essa può !I ricondurre all"evidcnza ..attuale attiva un• senso che si recupera cosl soprà - la -----•• . ·- • - - - . ·-•· I virtualità storica. Se, in apparenza, la fenomenologia si è lasciata convocare fuo; ri di" si d2lla storia, Cli& ha cosl trovato nella riattivazione il medium della sua 'fedeltà.

I

e

154

Introduzione a «L'origine della geometria. di Husscrl sta prima attesa del senso è un pericolo permanente. Ma soltanto una libertà può lasciarsi minacciare cosl; noi siamo sempre -liberi di ridestare il senso passivamente ricevuto, cli rianimare tutte le su~ virtualità. e di «convertirle 'en retour'» nella «atti~ità · co~ispondente,. (O., 186). Que~ta libertà è «la facoltà di ria.ttivazioi,é, o;igi~ariam~nte propria di ogni uomo in quanto essere parlante» (0., 186). Per mezzo di questa riattivazione che, precisa Husserl, non è «di fatto» la «norma», e senz~J-~. quale una certa comprensione è sempre possibile, io ri-produco attivamente l'evidenza originaria; mi rendo piename~te responsabile e cosciente del senso di cui mi faccio carico. La &aklivierung è, nd campo delle oggettualità ideali, l'atto stesso cli ogni Veranlwortung e di ogni Besimtung, nei sensi definiti precedentemente. Essa permette di mette· re al vivo, sotto le scorze sedimentarie ddle acquisizioni linguistiche e culturali, il senso nudo dell'evidenza fondatrice. Questo senso è rianimato in quanto io Io restituisco alla sua dipendenza rispetto al mio atto e Io riproduco in me come è stato la prima volta prodotto da un altro. !3_eninteso, l'attività della riatf!1!_azio11e__~_!CCOl_!Èl!· Ciò che essa mi restituisce è l'intuizione donatrice originaria, quella ddla formazione geometrica per esempio, che è nel contem_po_ un'attività e una_passività. ~ ~!'.a_tti_vità __fotitttt (conivo nostro), e del compito possibile e necessario di una Ein/iihl11•.< ""'\f'l'N'O· aiva nei confronti delle società primitive che sono -senza stori.-. (its,N.-NJ,-,. no preservati e «conservati» dalla «analisi intenzionale» della fenomtOOl,.'ljlÌt tttsccndentalc. ISf

"""I"""''

167

Jacques Derrida nunciassc agli apnon storici scoperti attraverso la variazione immaginaria, riconoscendo che In fenomenologia pura della storia doveva attendere del contenuto delle scienze empiriche, dall'etnologia in particolare, non soltanto degli esempi. .t specialmente la lettura che ne ha proposto M. Merleau-Ponty:

«In una lettera a Lévy-Bruhl, che è stata conservata, Husserl sembra ammettere che non è inutile che i fatti scuotano l'immaginazione, come se l'immaginazione lasciata a se stessa non ci mettesse in grado di rappresentarci le possibilità di esistenza realizzate da differenti culture ... Husserl si avvede che non ci è forse possibile, a noi che viviamo in certe tradizioni storiche, pensare, con il solo sforzo della variazione immaginaria, il possibile storico dei primitivi di cui parla LévyBruhl• 156• O ancora:

cli relativismo storico adesso non è più dominato d'un solo tratto o domato da un pensiero che avrebbe le chiavi della storia e sarebbe in grado di tracciare il quadro di tutti i possibili storici prima di ogni inchiesta sperimentale. Al contrario, occorre che il pensatore che vuole dominare cosl la storia si metta alla scuola dei fatti ed entri nei fatti ... L'eidetica della storia non ci dispensa più dalla investigazione storica. La filosofia come pensiero coerente e che mette capo ad una classificazione dei fatti secondo il loro valore e la loro verità continua ad avere, agli occhi di Husserl, la sua funzione d'istanza ultima, ma le occorre cominciare dal comprendere tutte le esperienze 157 • (Sottolineatura nostra). ~ giustificata una tale interpretazione?

Il relativismo al quale Husserl riconosce un diritto è quello che si applica ai «fatti» storico-antropologici in quanto tali e nella loro fattualità. Questo diritto, Husserl non l'ha mai contestato, neppure nella Filosofia come scienza rigorosa. Gli apriori storici ai quali ha sempre fatto appello---e &empre più, preci&ament~non sono mai stati pre~

156

c'f:. I.es sciences de rhDtnme el /11 phlnomino/ogie (C. D. U.), p . .51. La

stes-

sa inlu_prctazionc è presentata in un articolo di M. Merlcau-Ponty, «Le philosophc et la sociologie», in Cahim inlernationaux de Sociologie (1951), pp. 50 scgg. (ripreso in Signes, trad. it., Segni, a cura di A. Bonomi e G. Alfieri, il Saggiatore, Milano 1967, p. 146). 151 Ibid., p. 52.

,.

168

Introduzione a «L'origine della geometria» di Husserl scntati, pare, come delle «chiavi della storia», o come un «quadro di tutti i possibili storici prima di ogni inchiesta sperimentale». Siccome ' la storia e i possibili storici, di cui parla M. Merleau-Ponty, rappresentano il contenuto materiale e determinato delle modificazioni storiche, cioè il possibile fattuale che si è realizzato in tale o talaltra società, cultura, epoca, etc., questo significherebbe attribuire a Husserl la pretesa di dedurre a priori la fattualità stessa. Non ci si può arrestare ad una simile ipotesi che contraddice le premesse stesse della fenomenologia. Senza dubbio Husserl pensava che tutti i possibili determinati della storia dovessero conformarsi alle essenze aprioriche della storicità concernenti ogni cultura possibile, ogni linguaggio possibile, ogni possibile tradizione. Mai però egli si è sognato di prevedere, mediante ; qualche deduzione cidetica, tutti i fatti, tutti i possibili particolari che devono conformarsi a questi apriori della storicità universale. ) Ma non dedurre a priori la fattualità, è «mettersi alla scuola dei fatti»? Neppure, se ciò significa che si debba abbandonare l'intuizione eidetica-fosse anche provvisoriamente-e utilizzare i fatti altrimenti che a titolo di esempio, in una variazione immaginaria. La tecnica-~~~i~ipne _m:lla lettura eidedca 11_011_ Ila_ m?!_ avut~-~ ~I:_di ~!U· rireJ~ _II!_o!t~plidtà delle possibilit~_ fa!_tu_aJ.!: -~-!l!.li~~~_a!__co_!!• trario, il privilegio di poter operare su__W!o s_olo d!__911~_ti___po.ssibiµ Ì!1 l!!l_a ~~~~c:i~~a di esempio. _!>er2ò,_ ~s"--~~- h_a m~ avu!o I~ lllission~ di «dispensarci dall'investigazione storicq»; o almeno, _se lo fa, non__ ~ l!!~~~dc;ncl_q di sostituire all'ip.d]!esta storic.1, prevenend?_ i fatti, la «riflessione solitaria dello storico» 151 ; semplicemente essa _prcc~c di ~!ogni investigazione storica materiaÌe e no~ bisogno d~ _fa_tti tal{ per rivelare allo storico_H_s~so apriorico d«:!!_a s~ ~tt}".!_tà edef su~i oggetti .. P~r dcterminaré questo· senso,si tratta cosl poco pet Husserl di «cominciare dal comprendere tutte le esperienze», di abbandonare o di limitare la tecnica della variazione immaginaria, che quest'ultima è esplicitamente e frequentemente prescritta ne L'Origine, considerabile come uno degli ultimi scritti di Husserl. Essa resta ai suoi occhi «il metodo» secondo il quale otteniamo

ha

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co~~

«un apriori del mondo storico che sia universale e, in questo, fisso e per sempre autenticamente originario».

UI

Ibid., p.

,2. 169

Jacqucs

Dcrrida

Più avanti: c ... noi siamo e ci sappiamo anche in grado di poter far variare in tutta libertà, mediante il pensiero, mediante l'immaginazione, la noso:a esistCll28 umana storica ... E precisamente nell'atto libero di questa variazione e di questo percorso degli immaginari del mondo della vita, appare, nel rilievo di un'evidenza apodittica, una componente di universalità essenziale, che persiste effettivamente attraverso tutte le varianti ... Noi ci siamo allora sciolti da ogni vincolo con il mondo storico, nel suo senso di fattualità, mondo considerato esso stesso come una delle possibilità del pensiero» (0., 209).

Senza dubbio la variazione immaginaria e la riduzione prendono qui ancora una volta, di fatto, il loro punto cli partenza nella fattualità. Ma qui, di nuovo, esse non trattengono del fatto che la sua esemplarità e la sua struttura di essenza, la sua «possibilità» e non la sua fattualità. Se la scoperta delle strutture aprioriche e delle invarianti della storicità universale è metodologicamente e giuridicamente primaria, essa non ci insegna nulla--è evidente, e innanzitutto agli occhi di Husserlsulla specificità di ogni società o di ogni momento storico_ reale p;~2_0sti all'attività del sociologo o dello storico. Per questo non ne è mai esistito il problema;-oome -nèppw:e -- - cdi costruire, mediante una variazione semplicemente immaginaria delle proprie esperienze ciò che costituisce il senso delle altre esperienze e delle altre civiltà» u,_

Se tuttavia io «costruissi.,. cosl «il senso delle altre esperien:r.e e delle altre civiltà», sarebbe allora per scoprire ciò per cui esse sono

°'

M. Merleau-Ponty, cli filosofo e la sociologia•, in Segni, p. 146. Commentando ICIDPfC la stessa lettera, M. Merleau-Ponty scrive: «Egli (Husscrl) sembra ammettere qui che il filosofo non può raggiungere immediatamente un univerule di semplice riflessione e che non ~ in grado di fare a meno dell'esperienza antropologica, né di costruire, mediante una variazione semplicemente immagina• ria ddle proprie esperienze, cil> che costituisce il senso delle altre esperienze e dcllc altre civilth. Nclla Fenomenologia della Percezione, tutto l'ultimo periodo del pensiero husscrliano era gil interpretato come una «rottura tacita con la filosofia delle essenze», rottura mediante la quale Husserl «non faceva che esplicitare e tematizzare dei procedimenti di analisi che egli stesso applicava da tempo• (p. 93, n. 44). 170

Introduzione a «L'origine della geometria& cli Husserl

anche delle esperienze e delle civiltà e non ciò per cui esse sono altre.

Per giungere a questo senso cli ogni civiltà o cli ogni esperienza, mi sarà stato prima necessario ridurre ciò che vi è di mio (nel senso fattuale, beninteso), nell'esperienza e nella civiltà dalla ·quale, di fatto, io parto. Una volta che questo senso dell'esperienza o della civiltà in generale sarà stato chiarito, potrò legittimamente tentare cli determinare la differenza tra fatti di civiltà e di esperienza determinati. Il che non vuol dire che dovrei, a partire da quel momento, abbandonare ogni atteggiamento eidetico. All'interno di una più grande determinazione fattuale, altre riduzioni sono ancora possibili e necessarie, che occorre articolare con prudenza secondo il loro grado di generalità, di dipendenza, etc., rispettando sempre, come precisa Husserl ne L'Origine, la regola della «sussunzione» stretta del singolare sotto l'universale. Man mano che si incrementa la determinazione materiale, il «relativismo• estende i propri diritti, ma siccome esso è dipendente al massimo grado, non sarà mai, precisa Husserl nella stessa lettera, «l'ultima parola della conoscenza scientifica». Il lavoro dello storico, del sociologo, dell'etnologo, etc., costituisce,' certo, nell'incontro della differenza fattuale, una sorta di variazione immaginaria realizzata; si può utilizzarlo direttamente per accedere alle componenti concrete e universali della socialità o della storiàtà. Siccome queste invarianti non mi insegneranno nulla sulla specificità di questa società o di quest'epoca, è a questo punto che io dovrò--in particolare---«einzu/iihlen», come diceva Husscrl a LévyBruhl. Ma questa Einfiihlung, in quanto determinazione fattuale della differenza, non può appunto istituire la sdenza cli diri_tto. Non è essa stessa possibile che ill'interno -~ in -virt~ delle ;trutture aprioriche universali della socialità e della storicità. Essa presuppone una immediata comunità trascendentale della totalità delle umanità storiche e la possibilità di una Einfiihlung in generale. Nella determinazione materiale delle storicità, la Einfiiblu11g è d'altra parte strettamente conforme al metodo di ogni fenomenologia storica, poiché essa penetra i significati storici dall'interno e fa dipendere l'inchiesta esterna dall'intuizione inl~rna. ,; Ma come conciliare allora l'affermazione secondo la quale la storicità è una struttura di orizzonte essenziale ad ogni umanità, come pure ad ogni comunità, e l'allusione alla «non-storicità» (Geschichtlosigkeil) di certe società arcaiche 160? Sembra che questa non-storicità non abbia, 160

Lettera già citata.

171

Jacqucs Derrida agli occhi di Husscrl, un significato puro e assoluto; essa non verrebbe che a modificare empiricamente, materialmente, la struttura apriorica della storicità universale dell'umanità; essa non sarebbe che la forma di storicità propria delle società finite, rinchiuse nei loro «orizzonti sbarrati», ancora inaccessibili all'irruzione dell'Idea «europea» del compito e della tradizione infiniti. La loro «stagnazione» non sarebbe ~ semplice vacanza _c!i_~o_!'itjt~ !JlB la fuùtucllii~ nd progetto e nel raccoglimento del senso. :t dunque . solamente nel raffronto -con la storicità i.n.6oita e p~;;-ddl'eidos e~ro~ che le società ~r~~chc paiono «sen:uJ storia». Nella Krisis, Husserl riconosce d'altronde solo un tipo empirico a tutte le società che non partecipano all'Idea europea. La non storicità sarebbe allora solo il modo-limite inferiore della storicità empirica. Si ritrova nuovamente qui l'ambiguità di un esempio che è al tempo st~ ~--~~;;;p;;;,;;-q~al~iasi e un modello -Ì:el~Ì~gioo. fu~ primo senso, si può dire infatti, con Husserl, che ognTco~wÌ.ità è nella storia, che la storicità è l'orizzonte essenziale dell'umanità, nella misura in cui non vi è umanità senza socialità e senza cultura. Da questo punto di vista, qualsiasi società, europea, arcaica, o altro, può servire come esempio in un riconoscimento eidetico. Ma d'altra parte, l'Europa ha il privilegio di essere il buon esempio, poiché incarna nella sua purezza il Telos di ogni storicità: universalità, onnitemporalità, tradizionalità infinita, etc.; prendendo coscienza della possibilità pura e infinita della storicità, essa ha rivelato la storia nel suo proprio fine (nella sua propria fine). Perciò, in questo secondo senso, la storicità pura è riservata all'eidos europeo. I tipi empirici delle società non europee sono allora solo più o meno storici; al limite inferiore, essi tendono verso la non-storicità. Husserl è cosl portato a distinguere l'originalità di diversi livelli all'interno dell'eidos più universale della storicità. In un frammento molto breve, la cui ispirazione è molto vicina a quella de L'Origine, Husserl determina tre tappe o tre piani di storicità. Man mano che ci si eleva in questa gerarchia o che si progredisce in questo diverure, la storicità prende maggiormente possesso della sua essenza. Vi sarebbe dapprima la storicità nel senso più generale, come essenza di ogni esistenza umana in quanto essa si muove necessariamente nello spazio spirituale di una cultura e di una tradizione. Il livello immediatamente superiore sarebbe quello della cultura europea, del progetto teoretico e della filosofia. Il terzo livello sarebbe infine segnato dalla «con172

Introduzione a «L'origine della geometria» di Husserl

versione della filosofia in fenomenologia» 161 • Cosl, ad ogni tappa, la ) rivoluzione che sconvolge il progetto anteriore mediante una iniin.itiz- ! zazione non è che la presa di coscienza di un'intenzione nascosta. (Si può d'altra parte stabilire come norma fenomenologica l'equivalenza ! di ogni presa di coscienza ad una infinitizzazione). D'altro canto, poiché questi tre momenti sono delle strutture stratificanti di altezze diverse, non si escludono di fatto: non solamente coesistono nel mondo, / ma una stessa società può farli coabitare in sé, nell'unità dilferenziata j' di una simultaneità organica. È dunque proprio verso le invarianti eidetiche e teleologiche assolute della storicità che è risolutamente orientata la riflessione husserliana. La differenziazione interna e dinamica di queste invarianti non deve farlo perdere di vista; essa è appunto il segno che si tratta proprio delle invarianti della storicità, delle essenze del divenire. Si potrebbe allora essere tentati da un'interpretazione diametralmente opposta a quella di M. Merleau-Ponty e sostenere che Husserl, lungi dall'aprire le parentesi fenomenologiche alla fattualità storica sotto tutte le sue forme, lascia più che mai fuori la storia. Si potrebbe sempre dire che, per definizione e come tutte le condizioni di possibilità, le invarianti della storia cosi ostinatamente ricercate da Husserl, non sono storiche in se stesse. Si concluderà cosl, come fa W. Biemel, che «i tentativi di Husserl per cogliere tematicamente la storicità possono essere considerati coml!__dei falli"!enti» 1".

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161 Gradi della storicità. Prima storicità, 1934, App. XXVI, in K., PP• 529-5}(). Husserl scrive altrove nel medesimo senso: «La vita umana è nec=ammenic storica, in generale e, in quanto vita culturale, lo è con una particolare pregnanza. Ma la vita scientifica, la vita degli scienziati nell'orizzonte degli altri scienziati, comporta una nuova storicità» (1935, App. xxvn, in K., p. 535. Ved