Intorno a Leopardi
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Friedrich Nietzsche

Intorno a Leopardi testo

originale

a

fronte

Walter F. Otto

Leopardi e Nietzsche A cura di CESARE GALIMBERTI Postfazione

GIANNI

di SCALIA

il m.elangolo

Per il saggio di Walter F. Otto Titolo originale

Leopardi und Nietzsche Traduzione di Gio. Batta Buccio!

I testi e le traduzioni delle opere di Friedrich Nietzsche sono pubblicati per gentile concessione dell'Editore Adelphi Per il saggio di Walter F. Otto Copyright

©

Copyright

Ernst Klett Verlag, Stuttgart

© 1992,

il melangolo s.r.L

16123 Genova - Via di Porta Soprana, 3�1 ISBN 88-7018-182-0

LA SPERANZA NELL'OPERA di Cesare Galimberti

... colla terza parte, il povero Zarathustra càpita davvero nel tetro; tanto che Schopen­ hauer e Leopardi sembreranno null'altro che principianti e novellini nel confronto col suo "pessimismo". Così vuole il piano. Ma per poter fare codesta parte, prima ho bisogno io stesso d'una allegria profonda, celeste: poiché un patetico della più alta qualità mi ri;uscirà solamente quale giuoco. Alla fine tutto diventa luminoso.

FRIEDRICH NIETZSCHE, da una lettera a Peter Gast, 3 settembre 1883 .

L a speranza è nell'opera.

VINCENZO CARDARELLI, Poesie.

De Ciceronis Libris de Republica, Porphyrii Vita Plati­ ni, Discorso sopra la Batracomiomachia: sono tre degli scrit­

ti filologici che Louis de Sinner elenca presentando quattor­ dici Excerpta ex schedis comìtis Iacobi Leopardi ("Rheini­ sches Museum fiir Philologie", 1835). E il lettore di Leopar­ di poeta è tuttora tentato - benché sappia che la sua filolo­ gia conta anche per se stessa1 - di sentirvi i primi impulsi verso tutt'altre prove, dalla canzone Ad Angelo Mai, al Dia­

logo di Platino e di Porjirio e ai Paralipomeni. Dove l'aura

dei secoli scomparsi è divenuta motivo di meditazione così

ricco da suscitare sentenze folgoranti e memorabili cadenze e immagini. Punto d'arrivo esemplare può apparire la canzone del1820. Dal lungo titolo

-

Ad Angelo Mai quand'ebbe trovato i li­

bri di Cicerone della Repubblica -all'encomio del celebre

dotto e all'aprirsi di una digressione che finirà con l'esauri­ re, o quasi, spazio e senso del testo: elogio dei grandi morti, nostalgia di un'età animata dai vitali "errori" della immagi­ nazione, orrore per l'irreparabile progredire delle scienze, stru-

l; Come ha ineccepibilmente dimostrato S. Timpanaro

di Giacomo Leopardi,

Firenze, Le Monnie r

9

,

1 955).

(La filologia

menti perfezionati della ragione che nella vita discoprono il nulla come sola entità "reale e salda". Due facce di un uni­ co pensiero si rivelano il rimpianto per l'antica pienezza vita­ le e la condanna del presente, razionalistico e utilitaristico; o forse di

tutta la storia che non sia remotissima o, meglio,

che non si dissolva nella dimensione del mito (e questo mo­ streranno di lì a poco

Inno ai Patriarchi e canzone Alla Pri­

mavera). D'altra parte, è pensiero - occorre aggiungere subi­ to - che si esprime anche e soprattutto attraverso gure e

quelle fi­ quelle scansioni. Sicché le punte più acute della nichi­

listica meditazione coincidono con i più rapinosi momenti del Canto. Così, sette anni dopo, Plotino e Porfirio sembreranno uscire dalla Vita del maestro scritta dal discepolo o dalla bio­ grafia di questo composta da Eunapio, "il quale aggiunse che Plotino distese in un libro i ragionamenti avuti con Porfirio in quella occasione". 2 Sembreranno riapparire, i due filoso­ fi, per riprendere i colloqui svaniti con quei libri. Di nuovo la passione filologica di Leopardi, nata come lavorio erudito esegetico traduttorio, apre la via

anche a una reinvenzione

del passato, a una personale interpretazione di idee e senti­ menti, attribuiti in modo liberissimo, ma non arbitrario né casuale, agli antichi saggi. E lo scatto emotivo sorto dalla evo­ cazione di quel mondo si prolunga anche qui in vibrazioni stilistiche che arricchiscono o addirittura spostano i signifi­ cati del dialogo. Non, come nella canzone, attraverso gorghi fonici e figure spettrali, ma captando in distaccate lentezze un'eco di sapienza perduta: " ... E credi a me, che non è fa­ stidio della vita, non disperazione, non senso della nullità delle cose, della solitudine dell'uomo; non odio del mondo e di se medesimo; che possa durare assai..." .3 (Quanto infine a� Di­

scorso sopra la Batracomiomachia, potrà esso pure apparire 2. G. Leopardi, Dialogo di Plotino e di Porjirio nelle Operelle morali

(premessa al dialogo tra i due personaggi).

3. lbid., nel conclusivo intervento di Platino.

10

come

un

"primo

tempo"

in un'altra linea

di

ricerca­

invenzione; nella quale rientrano ben tre volgarizzamenti del poemetto distanziati negli anni e da ultimo, con stacco deci­ sivo, la "continuazione" dei

Paralipomeni.)

I lettori di quella presentazione sinneriana non sprovve­ duti di qualche conoscenza di

Canti e Operette morali pote­

vano già da quei cenni sospettare la qualità di Leopardi filologo-poeta, conoscitore dottissimo dell'antichità pronto a trame, anche, slanci inventivi; desideroso non solo di analiz­

zare interpretare tradurre, ma anche - dirà Nietzsche - di

fare: più concretamente, di nmtiv in quel senso assoluto che ha anche in Platone, di fare poesia. 4 Per tale idea larghissi­ ma della filologia come cognizione dell'antico perseguìta co­ me premessa a nuove espressioni, Leopardi apparirà a Nietz­ sche simile al sommo Goethe, prima di ut1a ulteriore, defini­ tiva fase della tensione moderna verso gli antichi, rappresen­ tata da Wagner: artista rivolto tutto e soltanto a rivivere con forza creativa la visione greca della vita

("I

più grandi avve­

nimenti; che abbiano toccato la filologia, sono l'apparizione di Goethe, di Schopenhauer e di Wagner: di qui si può trarre una prospettiva che giunge lontano

*

*

.

.. " )

.

5

*

La lettura nietzschiana di Leopardi come ultimo filologo­ poeta presuppone peraltro la linea sottile ma intensa di una breve tradizione;6 a partire dal I 823 e fino alla morte una re­

te di rapporti, talvolta d'amicizia e reciproca stima, s'intrec­ cia fra Leopardi e alcuni scrittori e dotti dell'area centroeu­ ropea. Prima i prussiani Bunsen e Niebuhr, poi lo svizzero

4. Cfr. per es. Rsp. 383:

5. 6.

... 7tEPÌ. &cilv À.É'(Etv

Kaì

7tOtEÌv.

F. Nietzsche, Frammenti postumi 1875-1876, in lV l, p.

Se ne occupò per prim�

105.

G. Mestica (11 Leopardi davanti alla criti­

ca, in Studi leopardiani, Firenze, Le Monnier, lare sul contributo di H. W. Schultz.

11

1901),

insistendo. in partico­

de Sinner, quindi August von Platen s'interessano in vario modo alla sua attività filologica e letteraria. Soprattutto Sin­ ner diffonde il suo nome a nord delle Alpi, anche con la ci­ tata pubblicazione destinata a una cerchia di dotti relativa­ mente larga. Le Opere infine, nella edizione curata nel 1845 da Antonio Ranieri e nelle successive ristampe, ampliano certo anche fra i lettori tedeschi interessati alle cose d'Italia la co­ noscenza di Leopardi nella complessità dei suoi scritti. E forse più incisiva poté riuscire, per questo aspetto, la pubblicazione degli Scritti filologici curata da Pietro Pelle­ grini e Pietro Giordani. Che in realtà presentano una varie­ gatissima gamma di testi, a testimoniare la straordinaria na­ tura di un filologo che è stato anche poeta e filosofo: "som­ mo filologo, sommo poeta, sommo filosofo", secondo il la­ pidario elogio giordaniano all'inizio del Proemio alla raccol­ ta. Nel volume, terzo delle Opere, all'ombra di un contro­ frontespizio che riproduce in fac-simile l'autografo de L'in­ finito si susseguono scritti che sono "filologici" nell'accezio­ n� più ampia, se non più vaga, del termine. Più precisamen­ te sono scritti letterari ed eruditi composti, secondo l'indica­ zione dei curatori, negli anni dell'adolescenza 7 (certo da in­ tendersi, latinamente, nel senso di giovinezza). Si passa da "discorsi" (su Mosco, sulla Batracomiomachia, su Orazio) a traduzioni in versi (da Mosco, Esiodo, Omero, Virgilio), dalla evocazione fantastica di un Classico in forma di perso­ naggio (Dialogo di Sallustio e di un lettore di umanità) alla "versione" di un inesistente Inno a Nettuno. E con le Anno­ tazioni alle dieci canzoni pubblicate nel1824 si ripresenta per­ sino un Leopardi commentatore di se stesso poeta civile e me­ tafisico: armato di formidabile preparazione linguistica e re­ torica; anche però - come risulta meglio da qualche dichia­ razione fatta seguire nel 1825 - non schivo dal riveJare di

7. Cfr. p.

V. 12

scorcio il cuore della sua filosofia-poesia: "Sono dieci can­ zoni, e più di dieci stravaganze... quasi tante stranezze quan­ te sentenze. Verbigrazia: che dopo scoperta l'America, la terra ci par più piccola che non pareva prima; che la Natura parlò . agli antichi, cioè gl'ispirò ma senza svelarsi; che più scoperte si fanno nelle cose naturali, e più si accresce nella nostrarirri'­ � la nullità dell'Universo; che tutto è vario airr'ìoin­ òOfu:ot cl'le'il dolore; che il dolore è meglio che la noia... ''. E se la ripresa della Epistola Al Pepoli corredata di varianti riporta a una ragionatissima prova d'invenzione, una esplici­ ta idea della vita è offerta con disperata nonchalance dal Preambolo a "Lo Spettatore fiorentino", giornale progetta­ to da un gruppo di amici che aborrono il nome di letterato, né sono filosofi: ''Non sono filosofi; non conoscono propria­ mente parlando nessuna scienza; non amano la politica, né la statistica, né l'economia pubblica e privata ... "; non mira­ no "né all'aumento dell'industria, né al miglioramento degli ordini sociali, né al perfezionamento dell'uomo" .8 Pensano soltanto, in contrasto col "gravissimo secolo decimonono, che fin qui non è il più felice di cui s'abbia memoria", che "il dilettevole sia più utile dell'utile" e che perciò sia giusto "leg­ gere per diletto, e per avere dalla letteratura qualche piccola consolazione a grandi calamità". *

*

*

Uno scritto come it Preambolo, in apparenza svagato e in realtà fieramente ribelle a cultura e costume dominanti sia neli'età di Leopardi sia neli' età di Nietzsche e oltre,. mostra più nettamente isolata quella componente filosofica che in Canti e Operette s'interseca con emozioni sogni ricordi- e immagi­ ni e ritmi -e più spesso s'identifica con questi moti, anche se a qualcuno poté sembrare che li ostacolasse. In verità la se­ parazione del filosofo dal poeta, avviata poi da De Sanctis 8.

Corsivi nostri. 13

ed esasperata da Croce, non s'incontra, di norma, nei primi lettori di Leopardi. Che non saranno stati dei "critici" nel­ l'accezione più tardi corrente, ma che- da Giordani aGio­ berti e al Ranieri stesso della Notizia premessa al I volume

(quantum mutatus poi, negli infelici Sette anni di sodalizio!) - mostrano di possedere il senso della solidarietà, in Leo­ pardi, di filologia e poesia; e della presenza, accanto alla poe­ sia, della riflessione filosofica. Accanto o anche nella poesia se, oltre che alle probabili suggestioni trasmesse per i tramiti ·ora indicati, si pensa al fascino fortissimo - estetico e spe­ culativo insieme - esercitato su di loro non dallo sconosciu­ to Zibaldone ma dalle Operette, dai centoundici Pensieri, dai

Canti stessi. Dalle prose ai Canti si svolge nel

1858

il percorso di let­

ture leopardiane di Schopenhauer, che nei Supplementi al quarto libro del Mondo consacra l'eccellenza del pensatore, giunto più a fondo di tutti gli scrittori e filosofi moderni nel meditare su "la beffa e la miseria di quest'esistenza", "rap­ presentate... con una tale varietà di forme e di espressioni, con una tale ricchezza di immagini" ,9 che quel tema non vie­ ne mai a noia: conosciute dunque, essenzialmente, con la forza

della poesia, che per via intuitiva giunge alle Idee. 10

Consenso filosofico, commozione, ammirazione s'intrec­ ciano nel giudizio dell'eccezionale lettore. Così come, di cer­ to, nelle parole del dottissimo Erwin Rohde in una lettera dal­ l'Italia a Nietzsche

(1869).1 1

E come nel racconto che fa

Nietzsche stesso di ore trascorse con Gersdorff e Romundt sul lago di Couma: '' ... Leggemmo Le ricordanze e A un vin-

9. J/ mondo come volofl(à e rappresentazione, a cura di A. Vigliani,

Milano, Mondadori, 1 989, p. 1507.

10. Cfr. ibid., pp. 1293-1 294:

..

L'intenzione che il poeta persegue, quan­

do mette in moto la nostra fantasia, è quella di svelarci le idee, ossia di mo­ strarci mediante un esempio che cosa sia la vita e che cosa sia il mondo".

l l. Citata da G. Gabetti (Nietzsche e Leopardi, in "Il Convegno",

1 923, p. 442, n.).

14

citare nel pallone. La sera era divinamente limpida e chia­ ra... Una giornata indimenticabile... " 1 2 Divinamente chia­ .

ra, quella sera d'estate del

1873,

come le sere evocate ne Le

ricordanze, come la notte che avanza ne La sera del dì di fe­ sta e nel Sabato del villaggio o .che si dilegua ne L 'ultimo canto di Saffo e nel Tramonto della luna. Si avverte nelle parole di Nietzsche il senso di un incontro perfetto tra esperienza vissuta e operante memoria della poesia leopardiana. Nella quale egli coglie certo, attraverso le immagini, una tensione conoscitiva; forse, attraverso quel lume di crepuscolo, uno specchio della "chiara notte del nulla" .13 E non a caso l'an­ no dopo, nel meditatissimo attacco della seconda Inattuale si avvertirà l'eco anche delle Ricordanze e del Vincitore. *

*

*

Siamo, a questo punto, più che a un secondo momento a un secondo aspetto dell'avvicinamento di Nietzsche a Leo­ pardi. Dalla esaltazione di quella filologia apertissima si enu­ clea l'ammirazione per il pensatore-poeta "sovrastorico", si­ mile a chi "sa mettersi a sedere sulla soglia dell'attimo di­ menticando tutte le cose passate .. . capace di star ritto su un punto senza vertigini e paura come una dea della vittoria

";14

paradossalmente capace, pertanto, d i conoscere l a felicità e di fare qualcosa che renda felici gli altri. Nella memoria del filologo-filosofo si rifrangeva l'onda de L 'infinito samente ricordato poi in un appunto del

1880

-

-

espres­

e de La vita

solitaria:

12. lbid. 13. All'immagine heideggeriana (cfr. Che cos'è la meta)tsica?, tr. di E. Paci, Milano, Bocca, 1942, pp. 8 1 sgg.) rinviò Giovanni Amelotti inter­

pretando il "notturno" che apre La sera del dì di festa (Filosofia del Leo­ pardi, Genova, Fabris, 1937, pp. 328-329) .

. 14. Sull'utilità e il danno della storia per la vita (qui a p. 35). La pri­ ma parte della Il Inattuale è tutta concepita e condotta come un silenzioso (non sempre!) dialogo con Leopardi: si veda il commento da p. 119 a p. 128.

15

Talor m'assido in solitaria parte, Scivra un rialto, al margine d'un lago Di taciturne piante incoronato... Tien quelle rive altissima quiete; Ond'io quasi me stesso e il mondo obblio Sedendo immoto ...

Situazioni estatiche, queste di certi Canti, raggiunte co­ me "in un impeto", per il subitaneo brillare di un "barlume d'allegrezza" 1 5 Ma anche frutto di un senso della conoscen­ za mitica riconquistato attraverso i Greci, come più chiara­ mente mostra la canzone Alla Primavera, o delle favole anti­ che (''inno filologico" è stata giustamente definita): dove l'e­ pifania dell'Altro è presentata con l'intensità di uno sguardo originario, quasi il fittissimo tramite culturale si fosse, d'im­ provviso, totalmente rarefatto: .

... e il pastorel ch'all'ombre Meridiane incerte ed al fiorito Margo adducea de' fiumi Le sitibonde agnelle, arguto carme Sonar d'agresti Pani Udì lungo le ripe; e tremar l'onda Vide, e stupì, che non palese al guardo La faretrata Diva Scendea ne' caldi flutti...

È uno stato di conoscenza simbiotica, su cui Leopardi ha già meditato, ventenne, in un rapita pagina del Discorso di un 15. G. Leopardi, Zibaldone di pensieri, ediz. critica di G. Pacella, Mi­ Garzanti, 1992; ..... la poesia sta essenzialmente in un impeto" (435(); agosto 1828); . quantunque chi non ha provato la sventura non sappia

lano,

....

nulla,

è certo che l'immaginazione e anche la sensibilità malinconica non ha

forza senza un'aura di prosperità; e senza un vigor d'animo che non può

stare senza un crepuscolo un raggio un barlume ·di allegrezza'' gno

1820).

16

(136; 24

giu­

Italiano intorno alla poesia romantica (rimasto inedito fino

all906!), trattando del modo d'essere dei fanciulli, solo pa­ ragonabile oggi a quello degli antichi: " ... lmperocché quel­ lo che furono gli antichi, siamo stati noi tutti, e quello che

fu il mondo per qualche secolo, siamo stati noi per qualche anno ... ; quando il tuono e il vento e il sole e gli astri e gli animali e

le

piante e le mura de' nostri alberghi, ogni cosa

ci appariva amica o nemica nostra, indifferente nessuna, in­ sensata nessuna; quando ciascun oggetto che vedevamo ci pa­ reva che in certo modo accennando, quasi mostrasse di vo­ lerei favellare ... " .16 Il punto di vista pare già quello di un frammento nietzschiano del 1875: "L'apparire di dèi in car­ ne ed ossa, come nel caso di Afrodite, all'invocazione di Saf­

fo, non deve essere inteso come licenza poetica: si tratta di frequenti allucinazioni..."; perché, "rispetto agli altri popo­ li, i Greci si presentano come il genio. Natura fanciullesca, credula" .17 Illusione fanciullesca che le cose in certo modo accenni­ no e vogliano parlarci, favole antiche nate dal senso di una

Natura tutta animata e immaginazione poetica simile a uno stato di frenesia convertuntur nelle pagine del Discorso di un Italiano e nel Canto del '22. E un atteggiamento non diffor­

me resisterà in Nietzsche fino agli anni estremi: " . n con­ ..

cetto di rivelazione, nel senso di qualcosa che, subitamente, con indicibile sicurezza e sottigliezza si fa visibile, udibile, qualcosa che ci scuote e sconvolge nel più profondo, è una semplice descrizione dell'evidenza di fatto. Si ode, non si cer­ ca; si prende, non si domanda da chi ci sia dato; un pensiero brilla come un lampo, con necessità senza esitazioni nella for­

ma- io non ho mai avuto scelta. Un rapimento, la cui enor-

16. In G. Leopardi, Poesie e prose, a cura di M.A. Rigoni e R. Da­ miani, con un saggio di C. Galimberti, vol. Il, pp. 359-360, Milano, Mon· dadori, 1988. Accennano, gli oggetti, come l'oracolo di Delfi nel fr. DK 93:

" ... non dice né nasconde, ma accenna" (gr. OllJ.laiVEl. Tr. di G. Colli, La

sapienza greca, lll, Eraclito, Milano, Adelphi, 1980, p. 21).

17. In Frammenti postumi 1875-1876

17

(IV l,

127).

me tensione si scarica talvolta in un torrente di lacrime; che ora fa precipitare inconsapevolmente il passo, ora lo rallen­ ta; un totale esser-fuori-di-sé ... La involontarietà dell'imma­ gine, del simbolo è il fatto più strano... Sembra veramente, per ricordare una parola di Zarathustra, come se le cose si avvicinassero e si offrissero come simbolo ... Questa è la mia esperienza della ispirazione; non dubito che si debba tornare indietro di millenni per trovare qualcuno che possa dirmi «è anche mia»''.18 In verità, Leopardi aveva già parlato in mo­ di non discordi della condizione del poeta lirico, ma in pagi­ ne a quel tempo ancora segrete; per esempio in un pensiero dello Zibaldone del 5-6 ottobre 1821: "... Quante grandi il­ lusioni concepite in un momento di entusiasmo, o di dispe­ razione o insomma di esaltamento, sono in effetti le più reali e sublimi verità o precursore di queste, e rivelano all'uomo come per un lampo improvviso, i misteri più nascosti, gli abis­ si più cupi della natura, i rapporti più lontani e segreti... Chi non sa quali altissime verità sia capace di scoprire e manife­ stare il vero poeta lirico, vale a dire l'uomo infiammato del più pazzo fuoco, l'uomo la cui anima è in totale disordine, l'uomo posto in uno stato di vigor febbrile, e straordinario (principalmente, anzi quasi indispensabilmente corporale), e quasi di ubbriachezza. . " .19 E quei "misteri più nascosti", quegli "abissi più cupi della natura" non saranno le ultime tracce di una vita che si è sottratta al nostro sguardo ma che un tempo appariva presente nelle piante, nel cielo, nelle ac­ que? Perché .

Vissero i fiori e l'erbe, Vissero i boschi

un

di. Conscie le molli

Aure, le nubi e la titania lampa Fur dell'umana gente ...

18. Ecce Homo. Come si diventa ciò che si è, a cura di .R. Calasso,

Milano, Ade!phi. 1969, pp. 105-106. Il secondo corsivo è nostro. 19. Zib., 1856-1857.

18

Certo, in questi versi della canzone Alla Primavera il sen­ so dell"'eterno presente" si affaccia a Leopardi come espe­ rienza perduta, che la memoria dell'uomo moderno può ap­ pena rimpiangere. E i momenti stessi di sublime smemora­ tezza presentati da lui come .ricorrenti (Sempre... , Talor . .) sono subito circoscritti dall'intervento di un intelletto sma­ gato; fuorché, forse, nel solo Infinito, Canto eccezionale per ogni aspetto. Mentre Nietzsche finirà, dopo la pausa più di­ staccata degli anni intorno a La gaia scienza, col bruciare in un solo rogo pensiero, scrittura e vita. (Si tratta di un punto di divergenza su cui non bisogna sorvolare, se non si voglio­ no annegare Leopardi, Nietzsche e tanti altri nell'oceano di un pensiero estetico che dalla nozione platonica di f..Hlvia ar­ rivi alle poetiche delle avanguardie). Eppure dalla visione di una grecità popolata da uomini in costante comunione con la natura un simpatetico moto sembra nascere nell'autore della Nascita della tragedia e nel Leopardi del Discorso e della Primavera. Quella immagine scaturisce da una simile frequentazione dei classici, analizza­ ti con acribia e nel contempo ascoltati (per usare la mirabile espressione nietzschiana)20 con spirito ansioso di percepire, attraverso quei testi, voci perdute, suoni sepolti. Questo te­ stimoniano già le Annotazioni leopardiane alle canzoni: "An­ ticamente correvano parecchie false immaginazioni apparte­ nenti all'ora del mezzogioruo; e fra l'altre, che gli Dei, le nin­ fe, i silvani, i fauni e simili, aggiunto le anime de' morti, si lasciassero vedere e sentire particolarmente su quell'ora: se­ condo che si raccoglie da Teocrito, Lucano, Filostrato, Por­ firio, Servio ed altri... " .21 Da siffatti dati, riferiti con preci­ sione quasi pedantesca e immediatamente sottoposti alla cen­ sura della ragione (''false immaginazioni"!), già Leopardi trae un decisivo impulso a definire la prima forma della sua filo.

20. Cfr. Frammenti postumi (1875-1876), cit. p. 90. 2 1 . Si cita ancora dagli Studi jìlologici, cit., p. 246.

19

sofia, fondata sul convincimento di una radicale diversità tra antichi e moderni nel sentire e nel vivere. Anche se Nietzsche vagheggia, si sa, una grecità arcaica e Leopardi una grecità, se si può dire, indefinita. *

*

*

Leopardi è uno di quei poeti che, come Goethe , "tra l'al­ tro hanno anche dei pensieri " , afferma Nietzsche nel

1875.22

La dichiarazione esige una lettura attenta. I "pensieri " dei

poeti autentici sono contrapposti a "ciò che la gente chiama musicale" (per esempio in Morike) e che è, in realtà, tutt'al­ tra cosa dalla musica vera. D'altra parte, accanto a Leopardi è indicato come lirico esemplare Pindaro, poeta che si muo­ ve nella sfera del mito, e che è lontanissimo sempre, anche quando sentenzia, dal formulare con ordine i pensieri. Irri­ ducibile a un discorso chiaro e distinto è il suo procedere per "giustapposizioni e intersecazioni veementi ed estrose''.23 E, del resto, Leopardi prosatore ("il più grande prosatore del secolo"!) è parso a Nietzsche simile a Demostene, cioè al me­ no composto e geometrico degli oratori greci. I pensieri che Nietzsche trova in Pindaro, Goethe, Leopardi sono dunque -sembra lecito indurre- pensieri-visioni, tendono (conser­ vando e anzi rafforzando la loro carica speculativa) a coinci­

dere con un discorso arditamente poetico e, nel senso pro­ fondo del termine, musicale. E a Chopin, il musicista più appassionato dell'età roman­

tica, che ha affidato la passione a un esattissimo calcolo sti­ listico e in esso l ' ha intensificata, Nietzsche accosta Leopardi nella Gaia scienza, nella tappa più "illuministica" , "settecen­ tesca" , "francese" del suo pensiero estetico. Di Leopardi lo incanta ora la perfetta sintesi di rigore formale -e passione­ pensiero, la capacità di danzare in catene regalmente appro22. Cfr_ nel presente volume, PP- 64-65_ 23. A_ Lesky, Storia della letteratura greca, tL it., Milano, Il Saggia­ t ore, 1962, vol. Il, p. 271.

20

priandosi gli schemi di una regolatissima tradizione.24 (For­ se, anche, di danzare come Zarathustra, librandosi al diso­ pra di ogni peso). Anche questo sembra dire un appunto che, senza nomi­ nare il poeta, ne rivive un supremo momento contemplativo.

È

una notazione del 1879,25 di pochi anni precedente all'a­

forisma della Gaia scienza. Alludendo a un Canto che- si noti- in quel punto non trasmette alcun messaggio ma ri­ solve in nitidissima forma un pensiero che è più-che-pensiero,

Nietzsche ha colto, meglio che in qualsiasi giudizio, il tempo

di tranquilla forza26 della poesia leopardiana più grande. Ma nella quasi-parafrasi del Sabato egli raggiunge anche il più straordinario risultato, forse, che la lettura di un testo poeti­ co gli abbia suggerito. Rivivendolo, sembra intuire per un istante il senso dell'eterno ritorno vagheggiato poi dal suo pro­ prio pensiero nella fase finale: "Il pomeriggio del sabato si deve passare per un villaggio, se si vuoi vedere sui volti dei contadini la vera quiete del dì di festa: allora essi hanno an­ cora indelibata davanti a sé la giornata di riposo e si indu­ striano a far ordine e pulizia in suo onore con una specie di piacere anticipato, quale non sarà raggiunta dal piacere stes­ so. La domenica è già quasi lunedì". 27 *

*

*

24. Cfr., qui, pp. 70-71 e il relativo commento. 25. Cfr. qui, pp. 72-73. 26. Zib., 258 (3 ottobre 1820): " ... per l'invenzione dei soggetti for­ mali e circoscritti, ed anche primitivi (voglio dire per la prima loro concezio­ ne) ed originali, non ci vuole, anzi nuoce, il tempo dell'entusiasmo, del ca­ lore e dell'immaginazione agitata. Ci vuole un tempo di forza, ma tran­ quilla... ". 27. Cfr. W.F. Otto, Leopardi e Nietimiglianza. Solo l'immaginazione e il sentimento, spiega Leopardi , "sono atti a concepire, creare, formare, perfezionare un sistema filosofico, metafisica, po­ litico che abbia . . . il più possibile di simile al vero". "Le grandi verità . . . non si scuoprono se non per un quasi entusiasmo della ragione" , è detto altrove (Zib. 3 3 8 3 sgg . , cfr . anche 1 3 83). E già in passi dello Zibaldone redatti più indietro nel tempo leggiamo con stupore: "Pare un assurdo, e pure è esat­ tamente vero che tutto il reale essendo un nulla, non v'è al­ tro di reale né altro di sostanza al mondo che le illusioni" (Zib. 99) . E, improvvisamente, altre riflessioni vengono if.I­ terrotte dall'esclamazione: ' 'Oh infinita vanità del vero ! ' ' (Zib. 69) . Ciò che la ragione non può definire se non " illusione" è dunque posto sul piano più alto. Esso appartiene al conte­ sto della natura, e per suo tramite questa s ' apre non tanto .

1 70

alla ragione meccanica quanto alla viva immaginazione uma­ na. Per Leopardi , "Il poeta non imita la natura: ben è vero che la natura parla dentro di lui e per la sua bocca" ; e, va'­ riando leggermente i bei versi del Purgatorio dantesco (XXIV 52) "I' mi son un che, quando l Amor mi spira, noto, e a quel modo l Ch'e' ditta dentro vo significando" , parafrasa: "I' mi son un che quando Natura parla" , e afferma che que­ sta è la "vera definizione del poeta" (Zib. 43 72; IO settem­ bre 1 828). Con questa natura, ripete Leopardi continuamen­ te, l' uomo viveva, nel suo stato più originario, in armonia, prima di spingersi a cercare la verità con la ragione meccani­ ca e con l' artificiosità; perciò era, in altissimo grado, creati­ vo nel conoscere e nel plasmare; della qual capacità testimo­ niano gli antichi (Zib. 49 1 -494) . Qui si evidenzia l'affinità di atteggiamento spirituale con Nietzsche giovane e in pari tempo s' impongono, in tale con­ testo, le parole holderliniane: Voli Verdienst, doch dichterisch wohnet der Mensch auf dieser Erde (6, 25) , "Pieno di meri­ to e tuttavia poeticamente abita l' uomo su questa Terra" . Ma, se in ciò sta l' essenza, il significato delle nostre "illusioni " , dei nostri ideali , allora comprendiamo anche l 'origine di una nuova felicità, che vi è congiunta, di quella sublime gioia che splende oltre il dolore e il buio del destino: a quel punto le illusioni e gli ideali rivelano d ' essere il compimento della no­ stra esistenza. Ma da dove deriva il fatto - si domanda già nel suo "diario" (Zib. 259 sgg.) il ventiduenne Leopardi, più di mezzo secolo prima di Nietzsche - che l'oscurità dell' es­ sere anzi la sua totale nullità manifesti nelle opere di genio, "quando anche dimostrino evidentemente e facciano sentire l' inevitabile infelicità della vita, quando anche esprimano le più terribili disperazioni" , "una certa bellezza e grandezza che riempie l'anima" ? "E lo stesso spettacolo della nullità, è una cosa in queste opere, che par che ingrandisca l' anima del lettore, la innalzi , e la soddisfaccia di se stessa e della pro­ pria disperazione" . Quindi, per Leopardi, il poetico si congiunge infine col filosofico. Anzi egli osa affermare (Zib. 338 3 , settembre 1 823) 171

che "il vero poeta è sommamente disposto ad esser gran fi­ losofo, e il vero filosofo ad esser gran poeta, anzi né l' uno né l'altro non può esser nel gener suo né perfetto né grande, s'ei non partecipa più che mediocremente dell'altro genere" . Il che dimostra come Leopardi continui la grande tradi­ zione del Rinascimento e, dunque, dell'antichità classica. Ma Nietzsche appartiene ad altro àmbito. I grandi di cui è continuatore sono i rivoluzionari dello spirito come Rous­ seau, Kant, Schiller, Fichte, mentre Goethe (è Nietzsche stes­ so ad affermarlo) conclude la tradizione del Rinascimento . Malgrado tutto, in un certo senso si può quindi annoverare tra i suoi affini anche Richard Wagner. Ma tale affinità si prolunga a ritroso fmo a giungere al riformatore Lutero, an­ zi fino all' apostolo Paolo e al fondatore stesso del Cristiane­ simo . Ora, qualcuno potrà stupj.rsi di tali affermazioni , ma chi ha l'orecchio capace di captare l' intima cadenza del lin­ guaggio, non le troverà assurde. Negli spiriti riconducibili al Rinascimento, all' antichità classica, come nel caso di Leopardi e di Goethe, la parola decisiva è Natura. Essa è l' eterna potenza buona e sapiente, racchiudente in sé l' uomo con tutto ciò ch' egli è e può ; e le cose più grandi di cui egli è capace nei pensieri e nelle azioni sono, in verità, sempre e solo la sua epifania. Nell' àmbito in cui si muove Nietzsche un'altra potenza sta in primo pia­ no: Volontà. Nell'àmbito antico, umanistico e . goethiano il tempo è sospeso: la natura eterna, le forme eterne, l'uomo eterno , l'eterno primigenio sono l' oggetto sacro della contem­ plazione, l 'origine e il fine d' ogni pensare e formare. Nell' al­ tro àmbito, invece, di primaria importanza è il momento tem­ porale. In quest'àmbito si pretende un'inversione radicale, un nuovo divenire; al passato , che dev 'essere superato , si o�pu­ ne qui un futuro vittorioso. Eppure entrambe le posizioni s'in­ contrano in un punto più alto . Con ciò è anche detto che Nietzsche non può mai esser definito pessimista nel vero senso del termine. Il fondo se­ greto della negazione della vita, che crediamo di cogliere nel 1 72

tono leopardiano, non vale in alcun modo per Nietzsche. E quel bilancio di gioia e dolore del vivere, diventato famoso grazie a Schopenhauer, in lui rimane aperto. È molto significativo il fatto che la frase dell'amico di Goethe, Merck19, "la brutta pretesa di felicità . . . corrompe tutto al mondo' ' , venga intesa da Nietzsche in modo com­ pletamente diverso che da Schopenhauer. Mentre questi in­ tende che, in certo qual modo, ci si può sentir appagati an­ che nelle modeste pretese, Nietzsche volge quel detto contro la questione della felicità in senso assoluto; e la posizione cen­ trale assunta dal problema della felicità nella più tarda filo­ sofia greca è per lui segno evidente ài decadenza. Il suo pro­ blema era in fondo lo stesso di Leopardi: se e come possia­ mo esser grandi. E se la nostra volontà d'esser grandi possa avere un significato per il mondo o debba esser considerata solo una cieca fantasticheria di fronte all'essere delle cose. Quando conobbe Leopardi, Nietzsche ammirò in lui (e in ciò era in sintonia con tutto il sùo ambiente culturale) il rappre­ sentante del pessimismo lodato da Schopenhauer. Ma più tar­ di, guardando retrospettivamente, considera il pessimismo dei suoi primi scritti, influenzati da Schopenhauer, come un pes­ simismo della colma pienezza e lo distingue da quello passi­ vo, stanco e decadente di Schopenhauer. E come avrebbe mai potuto accogliere seriamente la freddezza, la disperazione, la negazione della vita del pessimismo schopenhaueriano dal mo­ mento ch'egli stesso si trovava allora immerso nell' ebbrezza della musica wagneriana e mutuava pensieri decisivi sull'u­ manità e il mondo dall'orgiastico senso della vita potenzia­ ta? Perciò la forma espressiva della Nascita della tragedia oscilla tra la schopenhaueriana volontà universale che è solo dolore e illusione, e un'altra, imperscrutabile in tutt'altro senso e che è gioia indicibile e infinita. E quindi è solo apparente­ mente giusto affermare che anche dalla fonte prima della gioia sgorga una vita piena d' orrore e d'implacabile disordine. Nietzsche stesso negli anni tardi ha sottoposto a critica inesorabile Ja sua opera prima. Ma è rimasto fiero di un suo pensiero. Ossia dell' affermazione che l'esistenza del mondo 1 73

è giustificabile soltanto come "fenomeno estetico" . L' idea del bello e dell'arte ha quindi per lui lo stesso valore che ha per Leopardi. Anche per lui questo è il miracolo cui aspira l'u­ mana esistenza e in cui solamente è possibile provare qualco­ sa della vera felicità. Egli concorda con Leopardi anche nel ritenere che gli ideali abbiano radice nell'essenza della natu­ ra stessa, che la natura per il loro tramite ci voglia mantene­ re vivi e che l' uomo, quando li distrugge, ingaggi una triste lotta con la vita stessa. Se però Leopardi, malgrado questa convinzione, defini­ sce infelice la vita che dobbiamo realmente vivere e rimane pessimista pur credendo nell'ideale, Nietzsche intende del tutto seriamente l' assunto secondo cui l'esistenza è giustificata dalla bellezza e dall' arte. 11 discepolo di Schopenhauer scorge al fondo dell' esisten­ za l' infinita sfera selvaggia del terrore e dell' autodistruzione. Ma osa individuare nella bellezza e nell 'arte un nesso segre­ tamente necessario con l'essere del profondo . Solo perché han­ no visto nell'oscurità più a fondo di tutti gli altri , ai Greci sono apparse - pensa Nietzsche - le meravigliose figure ce­ lesti dei loro dèi . Solo perché ha sofferto infinitamente, Dio­ niso poté esser reso infinitamente felice dal sorriso di Arian­ na. La tanto decantata serenità greca è la vittoria dei cuori più eroici e più capaci di sofferenza. Quindi il bello, l' ideale, e con ciò la nostra felicità più grande, sono, malgrado tutto, un' epifania dello spirito stesso del mondo e della vita, una realizzazione cui spinge l' essere stesso con la sua essenza. La nascita della tragedia nietzschiana, se letta in sincro­ nia con gli scritti e le annotazioni del periodo di Basilea, ri­ vela una decisiva critica al punto di vista schopenhaueriano . Con meraviglia vediamo Nietzsche procedere sulla medesima via di Leopardi . Egli ritiene del tutto arbitraria la tesi secon­ do la quale le nostre rappresentazioni non avrebbero nulla in comune con l'essere delle cose come sono in sé. Tutta la nostra immaginativa, e quindi il nostro pensare, non si fon­ da forse sugli organi di senso (anch'essi opera della natura e ad essa appartenenti) e, in particolare, sull 'occhio? Infatti , 1 74

che cosa sarebbe il pensare senza l' occhio e la luce? L' occhio non è solo il ricettore della luce, l ' organo della rappresenta­ zione del luminoso. " L ' occhio - afferma Goethe - deve la sua esistenza alla luce. Di indifferenti organi ausiliari ani­ mali la luce fa un organo che sia il suo pari , e così alla luce si forma l ' occhio in funzione della luce, affinché la luce in­ tema incontri l ' esterna" . 20 Il nostro pensare, in un certo sen­ so, trova già il suo modello nella costruzione dell ' occhio , nel­ l' esistenza della luce (del sole) . E improvvisamente, pur fon­ dandosi sull' occhio, sulla luce e sulla vista, dovrebbe sorgere nell ' uomo una vuota illusione, sciolta dalla vera essenza del­ le cose, senza incidenza nella totalità del mondo? Ciò signifi­ cherebbe strappare l' uomo dal contesto della natura, signifi­ cherebbe credere la natura capace di produrre, con l ' uomo, una creatura che giri a vuoto con la sua attività più viva e finisca nel nulla con ciò per cui appunto è uomo . Qui si evidenzia l'atteggiamento fondamentale di Nietz­ sche. La sua volontà non è volta alla contemplazione, alla teoria, bensì , come quella di Leopardi , alla creazione. La natura è creatrice. Noi stessi apparteniamo alla na­ tura. Essa continua in noi creando, con le sue forze e forme, anche nelle nostre rappresentazioni e nei nostri pensieri . Quan­ do siamo creativi come artisti, è sempre la forza creatrice della natura che agisce, conferendo forma, nel mondo intero, dal­ le stelle agli atomi. Il nostro agire procede sulla stessa via della sua attività, perennemente viva. Il mondo visibile è creazione della stessa volontà primi­ genia, che con la forma, ossia con la bellezza, si solleva sulla sua gravità e oscurità. La volo ntà, fondamento primo di tut­ te le cose, e per Schopenhauer desiderio eternamente senza meta e conforto, è in realtà "l'artista primigenio del mon­ do " . E l 'artista umano, il genio, è colui che "nell'atto della procreazione artistica si fonde con l'artista primigenio del mondo " . Anzi , la creazione che si compie nell' uomo è la più alta, e con essa !"'artista primigenio " sale all'altezza che giu­ stifica il mondo . L' affinità tra i pensieri di Leopardi e quelli di Nietzsche 1 75

giovane (al tardo Nietzsche si accennerà p i ù avanti) è eviden­ te. E tuttavia che differenza ! Leopardi, chiamato alla grande poesia, cerca di chiarire i suoi pensieri in solitudine e ci sor­ prendt: con la profondità delle sue vedute e l' acutezza del suo argomentare. Ma, s e lo spirito lo pervade e gli detta le paro­ le primigenie , allora tutti gli ideali e i voli che danno valore alla vita si rivelano progenie del grande amore, affine aila morte , che ch iama o gni vita dalla nullità di questo mondo alla s u a s acra quiete . In Nietzsche parla i n vece una incredibile volontà. I do­ lori della vita, che Leopardi degna di u n dolente sorriso , so­ no per Nietzsche la grandiosa s fera selvaggia dell 'orrore, da cui la stessa forza prima che creò il caos dell' autodist ruzio­ ne, estrae alla luce le figure degli dèi e ii bello come epifania finale . E in forza di questa volontà esige, con la severità del riformatore , ch e tutto quanto possono lo Stato e l a società debba servire a preparare il cammino al genio, inteso come la più alta mani festazi one della volontà pri m a . Qui il pessimismo , bench é qualcosa ricordi Schopen­ hauer , è totalmente s uperato . Di fronte alla volontà assoluta e al suo fine universale nessun desiderio di felicìtà può ac­ campare pretese. Di fronte a questo ideali smo p rettamente tedesco Leopardi ci appare - anzi , in generale si potrebbe dire, ogni vero poeta - come una fioritura di bellezza, av­ volta dalla mort e : malinconicamente lieta, secondo le parole h olderliniane:

Traurigfroh, wie das Herz, wenn L iebend unterzugehen, In die Fluten der Zeit sich wirft.

es,

sich selbst (3, 56

ZII

schon,

(Heidelberg] ) .

allegro di tristezza ,

come un cuore che troppo per sé bello

si · getta amando alla

marea del tempo.

1 76

(TL eli E. Mandruzza! D).

Per condudere, un cenno al tardo Nietzsche. Dopo i l ru­ de distacco da Wagner e dall ' ebbrezza della musica wagne­ riana, dopo la severa autoeducazione degli anni seguenti , la volontà nietzschiana

è diventata veramente creativa e ha op­

posto al n o schopenhaueriano il più sublime si alla vita. Con la t rasva!utazi one d' ogni valore, con la sopportazione e il su­ perarnento del nichilisrno nasce l'idea di un uomo nuovo : l ' i­ dea della volo11tà di potenza, dell' Ubermensch - l ' oltre-uomo

- e dell ' eterno ritorno , con il nuovo "imperativo categori­ co " : Vivi ogni attimo

(di

q ualsiasi tipo) in modo laie . da po­

ter desiderare d i viverlo per tutta l ' eternità sempre alla stessa guisa. L ' i ntuizione dell' eterno ritorno dell' identico: quest ' intui­ zione Nietzsche h a potuto annunciarla ai suoi amici solo sot­ tovoce , come sconvolgente epi fania. A prescindere da come egii stesso abbia potuto definirla, Nietzsche ne venne conqui­ stato impetuosamente (ancora si indica il blocco di roccia dove la rivelazione avvenne, a Sils-Maria) . Il fi loso fo divenne p ro­ feta : Zarath ustra. La volontà onnipossente di dire sì a ogni esistente, la gioia infinita d ' abbracciare l a vita anche nel do­ lore ha generato il nuovo mito nell' entusiasmo di una eterni­ tà splendente. Paragonata a q uest ' i mpeto dello spirito, la serenità del­ la poesia leopardiana appare riservata e rassegnata. Tuttavia racchiude un elemento affine. I conoscitori delle li riche leo­ pardiane ricordano le toccanti immagini della vita e del co­ mune operare riaffiorante lungo i secol i . Anche qui spira aria d ' eternità , anche qui siamo presi dal fascino di un eterno ri­ torno dell ' identico , ed è q uesto il motivo per cui quelle im­ magi ni ci comm uovono: come se udissimo la misteriosa me­ lodia della vita stessa.

È

l' eternità di Omero , testimoniata dalle

similitudini dell' Iliade e dell ' Odisseo. Qui ogni singolo esistente scompare come un' onda nel mar dell ' essere . La volontà di potenza, i nvece , si conqu ista l ' eternità e risolve il contrasto di gioia e dolore, di essere e div enire nel miracolo dionisiaco del dire sì . " Dolore

è anche gioia" , dice Zarathustra . " Diceste mai 1 77

sì a una gioia? Oh, amici miei, allora diceste sì anche a ogni dolore . . . oh, allora amaste il mondo, - Voi eterni, amatelo sempre e in eterno : e anche al dolore dite: passa, ma ritorna! Perché ogni gioia vuole - eternità ! " . 2 1 (Trad. di Gio. Batta Buccio!)

1 78

NOTE

l . Il grande etnologo (Berlino 1873 Lago Maggiore 1 938), conoscito­ re sommo delle civiltà africane. 2. Lo Zibaldone di pensieri fu pubblicato - com ' è noto - tra il 1898 e il 1900 col titolo di Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura (Firen­ ze, Le Monnier); il Discorso di un Italiano intorno alla poesia romantica, nel 1906 (in Scritti vari inediti dalle Carte napoletane, ibid.). 3 . ... nessuno ha trattato così a fondo e così esaurientemente questo soggetto come, ai giorni nostri, Leopardi . Egli ne è tutto pervaso e compe­ netrato . Il suo tema è ovunque la beffa e la miseria di quest'esistenza . . " . (11 Mondo come volontà e rappresentazione, a cura d i A . Vigliani, intr. di G. Vattimo , Milano, Mondadori , 1989, p. 1507). 4. Le Operette morali e i centoundici Pensieri, che Schopenhauer lesse nella ediz. fiorentina del 1856 ( . . . ne fu entusiasta e, dopo due mesi dedi­ cati agli scritti in prosa, decise di affrontare l'opera poetica, come sappiamo dalla lettera del 7. 1. 1859, indirizzata a Otto Lindner " . A. Vigliani, ibid . , nota a p. 1 682). 5 . Nietzsche affermò, com 'è noto, di conoscere le Operette grazie a un amico che gliene aveva Ietti e tradotti alcuni passi . Nel 1878 ricevette in dono da Maria Ba�mgarten le opere di Leopardi tradotte da Pau! Heyse. 6. Zibaldone 4 190; l agosto 1826: ' ' Concordanza delle antiche filoso­ fie pratiche (anche discordi) nella mia; per esempio della Socratica primiti­ va, della cirenaica, della stoica, della cinica, oltre l 'accademica e la scettica ec. " . In una lunga serie di annotazioni fissate tra il 1827 e il 1829 si ritrova poi l'indicazione: "Pel manuale di filosofia pratica" (cfr. 4249 sg. , 4259 sg. , 4266 sg. , 4274, 4502, 45 18). E nei Disegni letterari s i legge questo appunto, del febbraio 1 829: "Manuale di filosofia pratica: cioè un Epitteto a mio mo­ do" (in Prose, ed. · ci t . , p. 12 17) . Otto rinvia al Leopardi di Cari Vossler (Miinchen, 1923) . Cfr. la nota a p . 146 del presente volume. -

"

.

''

1 79

7. È tradunone letterale del ted . pfliigen (N.d.T.). 8 . Con la sottolineatura si vuoi anche alludere, forse, al titolo del ca­ polavoro storiografico di Jacob Burckhardt, collega di Nietzsche a Basilea (Die Kultur der Renaissance in ltalien,

1 860) .

9. "Amore del Tasso per la morte: lettera del 1 587" (N. d.A.). Un lungo elogio della morte si legge nella lettera a Dorotea Geremia ne­ gli Albiti, del gennaio 1 587 (Cfr. T. Tasso, Prose, a cura di F. Flora, Milano­ Roma, Rizzoli, 1 935, pp. 836 sgg.). A p. 727 dello Zib. Leopardi medita sul volgersi dei poeti nel mondo moderno, "divenuto filosofo " , dalle im­ magini "all'affetto, al sentimento, alla malinconia, al dolore" e si riferisce a Dante, Petrarca, Tasso . 10. Il personaggio è Porfirio nel Dialogo di Platino e di Porjirio ( 1 827) nelle Operette morali. Il leopardiano "mi occorre" vale, Iatinamente, "mi viene incontro, mi càpita". 1 1 . Nel Discorso di u n Italiano intorno alla poesia romantica ( 1 8 1 8) Leo­ pardi parla dell' immaginazione poetica come fonte di "diletti incredibili e celesti " e, rievocando fantasie fanciullesche, afferma che, "se fosse conce­ duta a noi così fatta vita, questa già non sarebbe terra ma paradiso, e alber go non d'uomini ma d' immortali" (in Prose, ed. cit . , pp. 357, 360). In Zib. 44 1 8 (30 novembre 1 828) definisce poi gli oggetti "in certo modo doppi " per l'uomo "sensibile e immaginoso, che viva . . . sentendo di continuo e d immaginando " , e conclude: "Trista quella vita . . . che non vede, non ode, non sente se non che oggetti semplici, quelli soli di cui gli occhi, gli orecchi e gli altri sentimenti ricevono la sensazione" . 1 2 . Nel novembre 1 822 Leopardi poteva - com'è noto --" lasciare fi­ nalmente la casa paterna e il "natio borgo selvaggio" . i 3 . A Luigi de Sinner. 1 4 . Mit q>ùvm -ròv linavta vt- l K� ì..6yov · tò 6', en:&i q>avij, l 13iivm K&i:S&v 68ev 7t&p ii-I K&t, 7tOÀ.Ù 6&\J-r&p o v , wc; TUX,lOt(l. ( 1 225- 1228): " Non veder mai la luce l vince ogni confronto, l ma una volta venuti al mondo l tornare subito là donde si giunse l è di gran lunga la miglior sorte" (tr. di F. Ferrari) . Holderlin prepose come epigrafe questi versi al Volume se condo dell' Hyperion. 1 5 . Dal LXV I I dei Pensieri : " Poco propriamente si dice che la noia è mal comune. Comune è l'essere disoccupato, o sfaccendato per dir me­ glio; non annoiato. La noia non è se non di quelli in cui lo spirito è qualche cosa. Più può Io spirito in alcuno, più la noia è frequente, penosa e terribi­ le . . . "; dal LXVI I I : "La noia è in qualche modo il più sublime dei sentimen­ ti umani . . . il non potere essere soddisfatto da alcuna cosa terrena, né, per dir così, dalla terra intera; considerare l'ampiezza inestimabile dello spazi� . il numero e la mole maravigliosa dei mondi, e trovare che tutto è poco e piccino alla capacità dell 'animo proprio; immaginarsi il numero dei mondi infinito , e l'universo infinito, e sentire che l'animo e il desiderio nostro sa­ rebbe ancora più grande che sì fatto universo; e sempre accusare le cose d'in­ sufficienza e di nullità, e patire mancamento e voto, e però noia, pare a me

1 80

il maggior segno di grandezza e di nobiltà, che si vegga della natura uma­ na . . . " . Sulla condanna del mondo come "nemico del bene" , pronunciata per la prima volta da Cristo, vertono invece i Pensieri LXXXIV e LXXXV. 1 6 . Fanny Targioni Tozzetti . 1 7 . A . Ranieri, Notizia intorno agli scritti, alla vita ed ai costumi di Giacomo Leopardi, premessa al I vol . delle Opere di Giacomo Leopardi, Firenze, Le Monnier, 1 845 , p . XXVII . L' episodio della visita del poeta alla scuola napoletana di Basilio Puoti è raccontato da Francesco De Sanctis nel cap . I de La giovinez