Indovinare il mondo. Le cento porte del destino

147 96 5MB

Italian Pages [240] Year 2021

Report DMCA / Copyright

DOWNLOAD FILE

Polecaj historie

Indovinare il mondo. Le cento porte del destino

Citation preview

Intersezioni

a Patrizia, sui tuoi occhi noi vediamo neve, tu vedi luce

Giulio Busi

Indovinare il mondo Le cento porte del destino

il Mulino

I lettori che desiderano informarsi sui libri e sull'insieme del!� attività della Società editrice il Mulino possono consultare il sito Internet: www .mulino.it

ISBN

978-88-15-29260-5

Copyright © 2021 by Società editrice il Mulino, Bologna. Tutti i dirit_ ti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere fo_ tocopiata, riprodotta, archiviata, memorizzata o trasmessa in qualsiasi forma o mezzo - elettronico, meccanico, reprografico, digitale - s� non nei termini previsti dalla legge che tutela il Diritto d'Autore. P�.r altre informazioni si veda il sito www.mulino.it/fotocopie Redazione e produzione: Edimill srl - www.edimill.it

Indice

LA DEA

' IL GRAN TEATRO DELL ANIMA

p.

7 15

Grammatica simbolica della divinazione. - Sette demoni per Dumuzi. - Come sguardo di sposa no­ vella.-Perdita di controllo.-L'imperatore si mette a leggere.-Noi fuggirem l'imaginata caccia.-I bottoni dorati. -Il parco giochi. - Sottoterra. -Ergastolo. -La lettera notturna. - Mosche. - Il sorpasso. - L'eclis­ se. - La linea rossa. - Odore di cera. - King David. ' L ORA OSCURA

113

Gusci di tartaruga. - Il sogno di Achille. - Nar­ ciso. - Rebecca ha un'anfora. - Lo sposo bandi­ to. - Fuoco nero su fuoco bianco. - La porta del nulla. -Il pittore di nessun dipinto. - Sabbia- sab­ bia - sabbia. - La Scrittrice.

RIFRAZIONE DIVINATORIA

173

Eudemo torna a casa. - La donna e il giardinie­ re. - Malvasia. - La disfatta austriaca a Caporet­ to. - Marcel Proust non si è ucciso. - Una scarpa dentro l'altra.-Uno di tre. - Scambio di persona. -Il trasportatore di botti.

LE CENTO PORTE DEL DESTINO

223

Un ricordo e molti ringraziamenti

231

5

La Dea

ll re Egeo, imponente, barbuto, non è abituato ad attendere. Ma la dea Temi, perfetta nel suo profilo, lontana, irraggiungibile, non degna il sovrano nem­ meno di uno sguardo. I suoi occhi, la sua mente sono rivolti alla ciotola fatale. E, al di là della ciotola, al futuro. Il destino che il re aspetta e desidera, Temi lo vede, lo sente. Guardatela, questa indovina senza tempo, del tempo signora. Da più di due millenni è raccolta in silenzio, e non si è ancora stancata di scrutare i segni che solo a lei appaiono perentori, sicuri, fatali. Dove è la dea? Da quale angolo del cosmo le ba­ lena ciò che non è ancora divenuto ? Quale lingua parlano gli eventi che nessun mortale ha potuto at­ traversare? La scena è ritratta su di un vaso del V secolo a.C . , trovato a Vulci, nella Maremma laziale, e ora a Berlino1• Non fosse per i nomi dei due protagonisti, scritti a chiare lettere, sarebbe difficile intuire che quella raffinata figura femminile non appartiene a una profetessa in carne ed ossa. La dea in persona si è scomodata per dare una risposta al re, giunto al santuario di Delfi con il bastone e i calzari del vian ­ dante. L'antefatto lo conosciamo dalla Medea di Eu­ ripide2. Egeo, sovrano nobile e possente quant'altri mai, è angosciato. Non può avere figli . Perché? E come rimediare? Il viaggio verso Delfi, dove gli dei 9

La Dea

schiudono ai mortali il destino, gli pare breve, tanta è l ' ansia che lo pervade. Il pittore vascolare mostra il momento cruciale dell 'oracolo . Tutto è sospeso, ogni sguardo, ogni respiro dipendono dagli occhi di Temi. Sono i riflessi dell'acqua, ad assorbire tutta la sua attenzione? O forse la dea ha gettato qualche pie­ truzza nel bacile, e sta contemplando l'esito del lan­ cio, prima di dare il proprio responso? Da Euripide sappiamo che Egeo se ne andrà da Delfi confuso, con un vaticinio che non è in grado d'interpretare . Ma a noi interessa il momento di sospensione, l 'istante eterno, inesplicabile, in cui la dea non-è-qui. La dea Temi, con il suo mistero millenario, c'in­ troduce al mondo arcaico della divinazione. È dav­ vero così antiquato, questo universo fatto di presagi, domande, intuizioni e delusioni? L'abbiamo dietro di noi, chiuso nel ripostiglio della storia, o può ancora dirci qualcosa, lanciarci una sfida, suscitare un bri­ vido d'inquietudine? Per parlare di veggenti e d'in­ dovini, senza censure e senza apologie, ho scelto la via del racconto. Dalla dea Temi a Narciso, dalla pe­ riferia di Bucarest agli scantinati di Milano. E poi un parco giochi del Piemonte, l'Israele antico e quello contemporaneo, una /inca del Costa Rica, la circon ­ vallazione di Catania. Sono le cornici - occasionali, esemplari, irripetibili - di brevi, intensi incontri con l'inesplicabile . È un viaggio tra mito, narrazione e quotidianità, tessuto con ricordi di amici, confessioni di scrittori, visioni, collage emotivi. Sono «sedute» di­ vinatorie vere e proprie, o semplici presentimenti, che infilo secondo la casualità delle letture e del capric­ cio degli eventi. E della mia curiosità. Una curiosità che so condivisa da molti, viva, assidua. Basta toclO

La Dea

care l'argomento, lanciare una domanda, sollecitare un ricordo, e ciascuno di noi ha qualcosa da dire e da raccontare. «Sai, è capitato anche a me . . . ». Dopo questa frase, un po' impacciata, si schiude un vaso di Pandora, variopinto, sorprendente. A seconda della stoffa in cui è tagliato l'interlocutore, viene alla luce un vissuto vivido oppure pauroso, accettato con entu­ siasmo o respinto con scetticismo. Sono attimi unici, ripercorsi nella memoria, in cui il divenire s'arresta, si fonde, si plasma, nell'intimità tra chi chiede di sapere e chi sa, o pretende di vedere oltre le apparenze. Oltre ai casi rievocati da altri, o alle pagine lette e rilette, porto qualche mia personale esperienza. O forse, sarebbe meglio dire, qualche esperimento, senza p retese di completezza. Non perché questo possa convincere nessuno della veridicità o attendi­ bilità di una qualsiasi forma di divinazione. Non si tratta qui di verità o di superstizione. Quello che im­ porta è il come. Ricordatevi di Temi. Dov'è la dea, veramente? In quale mondo si fissa il suo sguardo, a chi appartiene la sua assenza? Per quale porta escono dalla «realtà» le persone - normali, anormali, inva­ sate, confuse, lucide - che popolano i fatidici «sai, è capitato anche a me»? Dove si sono dislocate, e in che modo? Esiste un'apertura nascosta verso il dive­ nire? Si schiude in modo sempre simile, o gira su car­ dini diversi, a seconda del momento, della situazione, del nostro essere individuale? Va da sé che l'argomento è scivoloso, tortuoso, infido. Di ciarlatani è pieno il mondo, e per un vati­ cinio azzeccato se ne possono trovare mille e ancora mille che vanno a vuoto, illudono, danneggiano chi vi presti fede. Contro i falsi presagi mettono in guar11

La Dea

dia già i testi sumerici del III millennio a.e.v. 3 • Ma quella sola p rofezia che si avvera, può svelarci una dimensione insondata dell'animo umano? O è frutto del caso, un'insignificante eccezione, che conferma la regola di fredda razionalità e d'imperscrutabilità del nostro destino? Assieme alle storie e agli incontri, ecco dunque, nelle p agine che seguono, la riflessione sui mecca­ nismi simbolici della divinazione, sui suoi metodi , sugli stati di coscienza. Passeremo per il Gran Teatro dell'Anima, attraverso i labirinti del sogno e le an ­ ticipazioni, frammentarie e spaesanti, di un vissuto ancora nascosto, lontano, neppure nato. Ci lasceremo poi avvolgere dall ' Ora oscura, quando i contorni delle cose si dissolvono, i confini del significato si slab ­ brano e , proprio per questo, la visione interiore si acuisce all'estremo. La terza tappa sarà quella della rz/razione divinatoria , con il gioco incessante delle metamorfosi, dei fraintendimenti, delle sovrapposi­ zioni che popolano l'esperienza divinatoria. La meta? Cento porte del destino, così si chiama la conclusione del volume: dove trovarli, questi ingressi, come var­ carli? «Indovinare» è, allo stesso tempo più, e meno di «comprendere» razionalmente. Possiamo capire una lezione, in un'aula universitaria o nella vita, tenerla a mente, ripeterla, trasmetterla. Qualcuno di noi, tal ­ volta, può invece «indovinare» l a sorte propria o al­ trui, presentirla, vederla come in una nebbia. Videmus nunc per speculum in aenigmate, «al presente vediamo infatti come attraverso uno specchio, in maniera con­ fusa», dice l ' apostolo Paolo4• È lo sguardo, incerto eppure penetrante, con cui scrutiamo il futuro che ci 12

La Dea

aspetta, o scopriamo, d'improvviso, il passato ignoto che grava sul nostro destino. La dea Temi è paziente. Ha tutta l'eternità a disposizione, per aiutarci a com­ prendere il suo segreto. Siamo noi ad avere fretta. Il futuro è vicino, vicinissimo. Anzi, il futuro è già quasi esaurito. Se solo riuscissimo a svelarlo, a incontrarlo da qualche parte. Partiamo subito, per questo luogo introvabile - sfuocato, pericoloso, attraente. Andia­ mogli incontro, in fretta, costi quel che costi. Indovi­ niamo il mondo, finché abbiamo tempo per farlo, e parole per dirlo.

Note 1 Berlin, Antikensammlung, inv. nr. F25 3 8 ; la decorazione attribuita al pittore di Kodros, c. 440-4 1 0 a.e.v. da J.D. Beaz­ ley, Attische Vasenmaler des rot/igurigen Stils, Tiibingen, 1 925 , nr. 425 .2; Id., Attic Red-Figure Vase-Painters, II ed., Oxford, 1 963 , nr. 1269.5 , 1 689; A. Furtwangler e K. Reichhold, Griechische Vasen­ malerei, Miinchen, 1 904-32, fig. 140 (A, B, 1). 2 Euripide, Medea, vv. 658-683 , in Eschilo, Sofocle, Euripide, Tutte le tragedie. Testo greco a fronte, a cura di A. Tonelli, Milano, 201 3 , pp. 1510- 15 1 1: «EGEO Salve a te, Medea ! l È questo il modo migliore di salutare gli amici appena li si incontrano. l MEDEA Salve anche a te, Egeo, figlio del saggio Pandione ! Da dove vieni? l EGEO Dall 'antico oracolo di Apollo. l MEDEA Che cosa ti ha spinto ad andare all'ombelico profetico della terra? l EGEO Volevo sapere che cosa devo fare per avere figli. l MEDEA Per gli dei ! Non ne hai ancora avuti? l EGEO No, è questa la sorte che mi ha de­ cretato il dio. l MEDEA Hai moglie, o non hai mai fatto esperienza del letto nuziale? l EGEO Conosco il vincolo del letto nuziale. l MEDEA E che cosa ti ha detto Apollo, riguardo ai figli? l EGEO Parole troppo sapienti, perché mortale possa capirle. l MEDEA E mi è lecito conoscere il responso del dio? l EGEO Certamente: ci vuole proprio una mente saggia. l MEDEA Che cosa ha vaticinato? Dim­ melo, se mi è concesso sentirlo. l EGEO Di non sciogliere il piede è

13

La Dea

che sporge dall'otre prima . . l MEDEA Prima di fare che cosa? O di giungere a quale terra? l EGEO prima di avere fatto ritorno al focolare paterno. l MEDEA E con quale intenzione ti sei imbarcato per venire qui? l EGEO Vi è un certo Pitteo, sovrano di Trezene. l MEDEA Figlio - così dicono - di Pdope, e assai rispettoso degli dei. l EGEO Voglio informarlo del responso divino. l MEDEA È uomo sapiente, e di cose del genere se ne intende. l EGEO Ed è anche il più caro dei miei ospiti. l MEDEA Buona fortuna! E che il tuo desiderio sia esaudito». 3 Cfr. M. Worthington, Ea's Duplicity in the Gilgamesh Flood Story, London-New York, 2020, pp. 3 08-3 10, 3 87 -3 92. 4 l Lettera ai Corinzi, 1 3 , 12; blepomen gar arti di'esoptrou en ainigmati, nell'originale greco. .

.•.

14

Il Gran Teatro dell'Anima

C ' è un magazziniere solerte nel profondo della mia anima. È sempre all'opera, senza concedersi un minuto di riposo. Immagazzina con cura le cose ve­ dute, sentite, toccate. Le ordina, anche se io non so bene come, affinché si possano richiamare, passare in rassegna, riutilizzare. Il magazziniere è molto ge­ loso delle proprie prerogative. Dove mette i singoli pezzi è affare suo, è il suo segreto p rofessionale, e guai a fargli troppe domande. A volte, i ricordi riaf­ fiorano a fatica. Sono confusi, ingarbugliati, insen­ sati. Ho l'impressione che il magazziniere si diverta a farmi dispetti. Incontro una persona, sono sicuro d' averla già vista, frugo nella mia testa per trovare il suo nome. Niente, non c'è verso di ricordarmi come si chiami. Figuriamoci poi il nome di sua mo­ glie, buio totale. Appena il tizio se n'è andato, ecco che l'etichetta salta fuori da sola. Roberto , Alessio , Riccardo , o chissà che diavolo - perché non ci ho pensato prima? Lui, il magazziniere indisponente, se la sta certo ridendo alle mie spalle. Fosse solo il pas­ sato, a darmi problemi. I dispetti più innervosenti me li fa con il futuro. Sul più bello, una folata di vento apre una certa porticina e, trasognato, vedo qualcosa, sento un profumo, tocco una superficie. L'ho già vi­ sta, respirata, toccata? No, sono sicuro di no. Non l'ho ancora vissuta, quella situazione. Eppure mi ap­ partiene, anche di questo ho una certezza profonda, 17

Il Gran Teatro dell'Anima

intuitiva, indelebile. Ci risiamo. Il magazziniere si di­ verte a scompigliare l'ordine di cui pure è maniaco. È lui che ha messo le mie sensazioni fuori posto. È colpa dei suoi imbrogli, se ho l'impressione di vivere adesso quello che mi deve ancora succedere. Forse il nostro conflitto nasce da un malinteso. Io credo che sia un magazziniere e invece fa il tro­ varobe. Procura i costumi e gli oggetti per la scena. Lavora anche lui per il Grande Teatro dell 'Anima, anzi ne è un componente indispensabile. Il suo com­ pito ? Fornire tutto quello che serve, perché la rap ­ presentazione sia vivace, suggestiva, indimenticabile. Non importa da dove vengano le robe. Basta che lui le trovi, che funzionino, che ogni dettaglio sia curato. Altro che inserviente. È un artista coi fiocchi, capace di tirar fuori oggetti mai visti . Io pretendo che mi sciorini sull'unghia nomi e circostanze, ma lui, l'im­ pareggiabile trovarobe, ha un compito ben più im ­ portante. Il Gran Teatro dell'Anima è sempre aperto e gli attori non possono mica starsene senza costume, con la scena vuota. Quello che serve non è ancora sul palco ? Il trovarobe si affanna, corre da una parte e dall'altra, sgraffigna dove può, rovista in ogni angolo. Passato, futuro , presente, che differenza fa? Presto, che si va in scena ! Il Gran Teatro dell'Anima è affollato di comparse diafane. Pullula di attori senza età, che recitano per un attimo e subito si dileguano furtivi, come colpe­ voli in fuga. Da qualche parte della mia mente, ben oltre la so­ glia della coscienza, c'è una ribalta sempre allestita. È quella che mi appare durante i sogni, con scene prese a prestito dovunque capiti . Frammenti di passato, 18

Il Gran Teatro dell'Anima

lembi di futuro, dolori dimenticati, piaceri che mi at­ tendono. n dopo che si trasforma nel prima e il prima che fa una capriola nel poi. L'autore della commedia gioca coi doppi sensi , si diverte a stupire, a pren ­ dere in giro, a impaurire, a lusingare. È uno scrittore consumato, sempre sopra le righe. Sono i casi miei, privatissimi, che vanno in mostra. Lo scrittore sono io. n pubblico? Ancora io. Il passato è il mio. E mio è anche il futuro, rivisto, travisato, fatto a brandelli, quasi irriconoscibile. Mentre sogno, nessuno ha accesso alla mia inte­ riorità, o così credo. L'unico spettatore dei miei sogni sono io . In prima fila godo i frutti della mia fatica di autore. Mi applaudo , mi agito, mi pento , provo piacere. Un'intera compagnia di professionisti è qui per me e non ha altro scopo se non quello d'intrat­ tenermi. Anche adesso, mentre sono sveglio, e vivo la mia vita «normale», il teatro è in piena attività. Si fanno le prove della p rossima rappresentazione, ci si prepara per una nuova notte di recite. Per que­ sto motivo , almeno una porticina rimane sempre aperta. Un po' per permettere il via vai degli addetti ai lavori, e poi perché io stesso possa fare un salto in platea, appena ho un minuto libero. Basta che sia soprappensiero, mi distragga un poco, fantastichi a occhi aperti, ed ecco che m 'infilo al mio posto, mi siedo davanti al palcoscenico, ammutolito, ammirato, pieno di nostalgia. Immaginate che qualcuno passi davanti al Gran Teatro dell'Anima, veda la porta aperta, s'intrufoli senza tante cerimonie. Bisogna che sia lesto, furbo, addestrato. Sensibile, o sensitivo, direbbe qualcuno. L'intruso si siede un po' in disparte, ma non perde 19

Il Gran Teatro dell'Anima

una battuta. Ammira la commedia di quello che sono stato e di quello che sarò, s'immedesima nelle mie azioni passate e nella girandola delle percezioni a ve­ nire. Degli incontri che farò, dei terrori che mi visi­ teranno, dei godimenti in cui mi tufferò. Tutto sotto in su, naturalmente, travestito di allegorie, incrostato di simboli. Ricordatevi che l'autore del libretto è un gran sapiente e un burlone ancora più grande. È per questo che l'intruso non ha scelta, deve immedesi­ marsi nello stile lambiccato del mio animo. Se vede, come vedo io in sogno, spezzoni ancora da vivere, li vede specchiati, deformati, capovolti. Spettatori at­ tenti si nasce. L'intruso, se è dotato, uscirà dal Gran Teatro con impressioni tenaci, brani di racconto , del mio personalissimo racconto, che io stesso - qui oggi, ora, da cosciente - non so, non ho ancora speri­ mentato. Il mio vissuto, la trama delle mie percezioni si fonde in ep isodi allusivi , inaspettati , pieni di tur­ bamento . E come se ci fossero due grandi ceste di costumi e di attrezzi teatrali, entrambe sotto la giu­ risdizione dell'abilissimo, sfrontato trovarobe che vi ho appena presentato . Da una parte le impressioni raccolte durante la veglia, dall 'altra i travestimenti utilizzati per la rappresentazione onirica. n trovarobe, chiamiamolo per comodità l'inconscio , attinge da entrambe le ceste. Una sola non basterebbe, per so­ stenere la sua arte. In ogni momento, anche quando sono perso nel labirinto onirico, so che quella gi­ randola di esperienze e di percezioni riguarda me, e nessun altro. È il principium individuationis, su cui tanto si affaticavano i filosofi della scolastica. Poco importa che io sogni o sia vigile. Mi basta sapere che 20

Il Gran Teatro dell'Anima

tutto questo mi appartiene, che la successione inces­ sante di sogno e veglia, di reverie e di vigile assenna­ tezza costituisce il mio racconto, privato ed esclusivo. Ho descritto un teatro interiore , su cui va in scena la precognizione. Mi sono accorto che, per alle­ stire lo spettacolo, non basta il librettista, e nemmeno sono sufficienti gli attori. C'è bisogno anche del tro­ varobe, piegato su ceste misteriose, piene di oggetti variopinti, indispensabili, inafferrabili. Indagando, riflettendo, discutendo, mi sembra di avere trovato un indizio importante. Ciascuno di noi si porta dentro tutto il patrimonio delle proprie espe­ rienze sensoriali, e delle tracce che tali esperienze su­ scitano nella mente, nella coscienza e nell'incoscienza. Che questo sia vero per il passato, lo possiamo am­ mettere senza dubbi. Ciò che siamo stati, i paesaggi che abbiamo veduto, le mani che abbiamo stretto, i corpi di cui abbiamo respirato l'odore, ogni dettaglio è racchiuso nel segreto del nostro io. Dove esatta­ mente, non lo sapremmo dire . È come una caccia al tesoro . Qualcosa lo possiamo ritrovare in fretta, parecchio altro, la maggior parte del flusso immane d'informazioni, è sopito, quasi irrimediabilmente se­ polto. All'improvviso, quando meno ce lo aspettiamo, ecco una memoria vivida, uscita chissà da dove, che bussa alla nostra coscienza. La riconosciamo subito, l'accogliamo con trepidazione, come si fa con un co­ noscente che non vediamo da anni. Oppure la scac­ ciamo imbarazzati. I ricordi possono essere ospiti importuni, da far sloggiare il p rima possibile, che se ne tornino in fretta da dove sono venuti. In ogni attimo della nostra vita, il flusso del vissuto scorre, s'ingrossa, crea mulinelli di attenzione e di oblio. Alla 21

Il Gran Teatro dell'Anima

fine, quando avremo raggiunto l' omega dell'esistenza, nell'ultimo nostro istante, questo fiume sfocerà in un grande, indistinto oblio, come raggelato nella rigidità della fine. Silenti i suoni, immobile la superficie della coscienza. Nemmeno la più piccola oscillazione vitale. Da lì in poi, toccherà ad altri calcare la scena dell'es­ sere, a nuovi «io», sotto cieli che non ci potranno mai appartenere. Fino a quell' omega, il nostro io ha diritto di muoversi, di colonizzare la realtà, di speri­ mentare. In ogni istante facciamo la spola tra qui e il futuro. Progettiamo, prevediamo, proiettiamo. Il divenire è il nostro mestiere, e non potremmo certo vivere senza il riverbero di tutti i domani possibili. So che il passaggio successivo è più sottile, e molto più incerto . Una cosa è convivere con la di­ mensione interiore del passato. Tutt'altro è accettare che ci sia, dentro di noi, anche un luogo in cui è im­ magazzinato il futuro. Immaginiamo di essere giunti all' omega, di guardarci indietro e di assistere, rapi­ dissimamente, a tutto il racconto della nostra vita. Una vecchia idea, antica di millenni, può aiutarci . La legge di proporzionalità tra macro e microcosmo è un'intuizione tenace, che attraversa le culture più diverse e c'insegna come le armonie del corpo e della mente imitino la struttura dei cieli, l'equilibrio che regola l'intero universo. Sappiamo oggi, perché ce lo dice la scienza, che nel grande cosmo gli accadimenti trascorsi e quelli futuri possono fondersi, sovrapporsi, svaporare l'uno nell'altro. «La differenza fra passato e futuro - fra causa e effetto, fra memoria e speranza, fra rimorso e intenzione - nelle leggi elementari che descrivono i meccanismi del mondo non c'è». Sono parole di Carlo Rovelli, in un suo aureo libretto, I:or22

Il Gran Teatro dell'Anima

dine del tempo1 • Non è il mio mestiere, districarmi tra formule e calcoli matematici. Per abitudine, e per vocazione, mi occupo di simboli, di parole, del sedimento delle età trascorse. Ma questo richiamo alle riflessioni scientifiche contemporanee mi sem ­ bra illuminante. Non perché io sappia risolvere, con due battute, l'enigma dell'inabissarsi dei tempi l'uno dentro l'altro. Piuttosto, mi affido all'antica metafora della lampada. Più si alza il lume della mente, mag­ giore è l'oscurità che percepiamo attorno a noi, più limitata ci pare la nostra sfera di visione. Cito ancora da Rovelli: La differenza fra passato e futuro si riferisce alla no­ stra visione sfocata del mondo. È una conclusione che lascia esterrefatti: possibile che questa mia sensazione così vivida, elementare, esistenziale - lo scorrere del tempo - dipenda dal fatto che non percepisco il mondo nel suo minuto dettaglio?2

«Non percepisco il mondo nel suo minuto det­ taglio», mi dice lo storico della scienza . Ma cosa succederebbe, se riuscissi a contemplare il dettaglio veramente minimo? Una simile intuizione dell'infi­ nitamente labile non è forse il tema, la scommessa dell ' atto divinatorio ? Cosa c'è di più sfuggente, di più effimero di una premonizione? Cosa c'è di più immateriale dei cerchi che il futuro disegna nel mio animo? Il microcosmo della mente sembra compor­ tarsi proprio come l'immenso universo. Indifferente alla distinzione tra passato e futuro, la mia interiorità segue un filo proprio, slegato dall'ora e dal qui. Non sempre, non coscientemente, per un azzardo che mi 23

Il Gran Teatro dell'Anima

frastorna, intuisco spezzoni di vita che vivrò . «Nel suo minuto dettaglio», il mondo fluttua, sul palcosce­ nico del Gran Teatro dell'Anima. Penso per un attimo al povero intruso. Chi gliel'ha fatto fare d'intrufolarsi in una commedia al­ lestita da un estraneo, geloso ed egocentrico? Corre il rischio di scoprire fatti imbarazzanti e d'impicciarsi di vicende che non lo riguardano. Se si è messo in un guaio simile, è perché questo è l'unico modo per dilatare i tempi, per studiare il divenire nel suo mi­ nuto dettaglio. Quello che il divinante scorge è il ri­ flesso - fugace, incompleto, enigmatico - di un altro tracciato esistenziale. Nei momenti di premonizione, mi balenano fulminee schegge di futuro. Non è un futuro astratto, universale. È il mio futuro, imbastito di percezioni che mi appartengono, cucito con il filo inconfondibile del mio io. Un futuro in soggettiva, che mi ruota attorno, che un giorno solcherò, come una nave dalla rotta già tracciata. Proprio questa stessa rotta, il rollio del fasciame, il beccheggio delle mie impressioni sensoriali , è la traccia che appare anche all'intruso, al divinante, all'indovino. Sono im­ pressioni tattili , olfattive, visive che scatenano l'in­ tuizione di ciò che accadrà. Possiamo coglierli noi stessi, simili spunti. Oppure possono rivelarsi ad altri, che con noi siano in contatto . Mi viene da pensare che il divinante abbia in qualche modo accesso a tale sfera percettiva, che sia capace di afferrare, con sensi­ bilità particolarmente acuta, l'aura sensoriale che pro­ mana dal divinato. Sopra ho usato l'immagine della porta, che conduce alla scena interiore delle nostre sensazioni/premonizioni , e che rimane talora soc­ chiusa, accessibile all'esterno. Ecco, parlare di tracce 24

Il Gran Teatro dell'Anima

sensoriali è un altro modo per alludere allo stesso fenomeno. Alla necessità, cioè, di afferrare spunti, consonanze, indizi che aprano un livello ulteriore di consapevolezza, e consentano la precognizione. Pe­ raltro, quello della traccia è un percorso reversibile, proprio come una porta può essere attraversata nelle due direzioni, in entrata e in uscita. C ' è una multidimensionalità del pensiero , che possediamo intuitivamente ma su cui raramente ri­ flettiamo. Le cose visualizzate nella precognizione hanno un'estensione tangibile, un ingombro di cui avvertiamo con lucidità limiti e proporzioni. È questa un 'altra pagina da aggiungere al nostro dossier. Lo possiamo chiamare «il foglio delle mi­ sure». L'evento divinatorio vive di una doppia di­ mensione. Da una parte , la materia deve sfaldarsi, diventare evanescente, fino quasi ad annullarsi. Ma a questa impalpabilità, di cui parlerò ancora diffu­ samente nella parte dedicata all ' Ora oscura , deve pur corrispondere un ' aggiunta, un surplus di per­ cezione mentale. I riflessi sullo specchio sono solo uno schermo, una protezione. Sollevato il velo delle apparenze, oltre il fumo e le ombre, la precognizione si fa vivida, colorata, solida. Ho parlato di attori dia­ fani, che recitano sul palcoscenico interiore . Ma è solo una mezza verità. Gli straordinari saltimbanchi del nostro animo riescono a far miracoli, pur senza avere un corpo in carne e ossa. Sono pallidi , sì, ma di un pallore di biacca, come i guitti della commedia dell'arte. Pensate a Pierrot, che ha il volto infarinato eppure si fa intendere, eccome, e riesce a muovere e commuovere lo spettatore con grazia impareggia­ bile. Allo stesso modo, le nostre premonizioni, pur 25

Il Gran Teatro dell'Anima

immateriali, sono cangianti, verosimili, toccabili. «Il foglio delle misure» mentali non si esprime in metri, centimetri, capienze di volume. A matita, accanto alle immagini divinate , sono scritti numeri diversi, più precisi, più fini . Sono cifre emotive, presentimenti di altezze e di p rofondità toccabili solo in visione. Non sarebbe possibile avere presagio del futuro senza l'ausilio di questa sensorialità espansa, trasposta, mol­ tiplicata. Se parlate con chi ha il dono, occasionale o pro­ tratto, di vedere spezzoni del futuro , vi troverete di fronte a una confessione abituale . La preveggenza «da coscienti» è quasi sempre rivolta verso un altro. È molto difficile che un divinante veda, in stato di veglia, riflessi del suo futuro personale. Nei molti rac­ conti che ho raccolto si parla quasi sempre di sogni premonitori in proprio , oppure di preveggenze, da vigili, «in relazione» . Divinante e divinato costitu­ iscono una comunione, temporanea ma imprescin­ dibile, e il futuro che si rivela al primo è quello in serbo per il secondo. È un futuro sognabile, nel senso che ha i crismi del simbolismo onirico, ed è sotto­ posto agli spostamenti semantici e alle trasposizioni tipiche dei sogni . Di questi scarti, degli slittamenti di senso, delle preveggenze «sbagliate» discuto più avanti, nella parte sulla Rz/razione divinatoria. L'ho annunciato già nelle prime battute del libro, quando eravamo a tu per tu con la dea Temi: questa è una raccolta di storie, in cui il mistero della divinazione viene avvicinato attraverso voci che narrano, s'inter­ rogano, si stupiscono, dubitano e temono. Le narra­ zioni, pur fluide e spontanee, cercano un ordine, un vincolo, un principio che le tenga assieme e le regoli. 26

Il Gran Teatro dell'Anima

È una pretesa troppo ambiziosa? Si può mai scrivere una grammatica della divinazione? C'è un commedio­ grafo abbastanza saggio, o sufficientemente folle, da tentare di spiegare regole e trucchi del Gran Teatro dell'Anima? Chi sa già la risposta, e non crede alle grammatiche, salti pure il capitolo che viene. Per tutti gli altri, ecco invece un brevissimo galateo divinato­ rio, da usarsi con parsimonia , senno e preveggente moderazione.

Note 1 C. Rovelli, L'ordine del tempo, Milano, 2017, 36.

pp.

27-28.

2 Ibidem, p.

27

Grammatica simbolica della divinazione

Pedante, metodico, saccente quanto basta. Cos'al­ tro può mai esser un grammatico? Ci aspettiamo che si esprima con proprietà e che ci dica chiaro e tondo come dobbiamo comportarci con parole, verbi, pre­ posizioni e subordinate. Norme, regole da seguire, divieti e consigli di bello stile, ecco cosa vogliamo da lui, e in cambio siamo disposti a sopportare tutto o quasi, saccenteria compresa. Passi per una lingua che, per quanto sia astrusa, arzigogolata e rara, è pur sempre fatta per comunicare . Ma una grammatica di sogni evanescenti, di premonizioni vaghe, di divi­ nazioni ambigue, che speranza ha mai d'imporsi, di convincere? Chi potrà dimostrare che siffatta gram­ matica sia, oltre che popolare, anche veritiera, azzec­ cata, affidabile? Oltretutto, di manuali dell'inconscio è piena la cultura dell'ultimo secolo. Non che di divi­ nazione si sia scritto poco in passato, ma dalla grande rivoluzione freudiana in poi, l'irrazionale è uno dei domini più scandagliati, in lungo e in largo, a propo­ sito e a sproposito, di quella che anticamente e con ingenua approssimazione si chiamava psyché, ovvero, in greco, l'anima come soffio vitale, ciò che muove, alimenta, sostiene la vita di tutti noi, umanamente e animalmente mortali. L'onesto grammatico comincerà spiegando cosa non può, e nemmeno vuole fare. Nel caso mio, non voglio né posso cercare, oltre alle regole, un grande 29

Il Gran Teatro dell'Anima

significato finale. Non intendo lanciarmi in una spie­ gazione dei perché della divinazione. Ci sono ottime introduzioni all'uso storico e politico della previsione del futuro, che fanno luce sulle strumentalizzazioni, sugli abusi, i fraintendimenti di pratiche vecchie come l'uomo, o quasi, e fatalmente adatte a essere usate come arma di sopraffazione e di p otere. Né voglio andare in cerca di un sistema dell'inconscio. Lo hanno già fatto legioni di psicologi e di psichiatri, con risul­ tati vari, vitali e infidi come i flutti del mare . Non sarei in grado di eguagliarli. E non credo neppure ne varrebbe la pena. Questo volume parte da una premessa diversa. So bene, e mi è stato ripetuto dai pochi, cari, acuti amici con cui ho condiviso il farsi di queste pagine, che dopo aver letto il titolo, e ma­ gari qualche pagina, a molti verrà in mente un sottile déjà-vu. «Ah, ma Freud è pieno di queste cose». Op­ pure: «Ah sì, interessante, hai letto La sincronicità di Jung?». È per questo, per tutelare il mio onore gram­ maticale, che confesso di averli letti, i due grandi, e anche una folla di minori. E dopo averli letti, di averli provvisoriamente messi da parte. A costo di sempli­ ficare in maniera eccessiva, quello che propongo non è un libro a tesi. Non sono in cerca di pulsioni, di ri­ mozioni, di archetipi, che mi offrano appiglio nel mi­ sterioso mondo della premonizione. Sembrerà strano dirlo, visto il territorio in cui ci stiamo inoltrando, ma questo è un archivio di percezioni sfasate, sì, ma acute e concrete, d'incontri sognati eppure reali, di visioni che si trasformano in fatti . Anche quando derivano da testi letterari, gli esempi che uso declinano aspetti simbolici esemplari, ci mettono sotto gli occhi il farsi del presagio, le sue contraddizioni, tra realtà temporali 30

Grammatica simbolica della divinazione

che danzano, s'intrecciano, si respingono. Le premo­ nizioni qui raccolte non sono generate da archetipi in­ consci, per quanto grandi, diffusi, misteriosi essi siano. Provengono dalla sensorialità e alla sensorialità tor­ nano, ma lo fanno per vie oblique e senza rispettare le precedenze. Per tracciare un confine, tra questa mia grammatica della divinazione e altri, autorevoli espe­ rimenti, voglio citare un passo di Cari Gustav Jung: Le potenze operanti (numinose) dell'inconscio sono gli «archetipi». L'enorme maggioranza dei fenomeni spontanei di sincronicità che ho avuto occasione di osservare e di analizzare lasciavano intravedere senza difficoltà il loro rapporto diretto con un archetipo. L'archetipo rappresenta di per sé un fattore impalpabile, psicoide dell'inconscio collettivo [ . ] L'inconscio collettivo non può essere lo­ calizzato perché lo si può trovare in ogni individuo, e in linea di principio nella sua totalità, oppure è identico dap­ pertutto e rintracciabile dovunque1. .

.

Questa non è la strada che intendo percorrere. I destini che s'incrociano nelle pagine di questo libro sono sempre specifici, determinati , riconoscibili. E anche le regole simboliche generali, che pure mi pare si possano ravvisare nella divinazione, non sono né «impalpabili», come in Jung, né «psicoidi». Assomi­ gliano piuttosto ai segreti di un bravo artigiano, o di un pittore di buona scuola, che sa come preparare i colori, come stenderli, come fissarli. Sa come sce­ gliere la luce e come renderla al meglio, con gli stru­ menti di cui dispone. Ammiro Jung per quel «senza difficoltà» con cui intravede gli archetipi. Il mio pit­ tore-divinante di difficoltà ne ha molte, e proprio su questo, sulla capacità di affrontare gli impedimenti 31

Il Gran Teatro dell'Anima

e di inglobarli nel proprio mestiere, si gioca la sua sfida. L'unica regola che viene sempre violata in que­ sto libro è la consecutio temporum, la bella, vecchia, solida norma delle versioni in classe di latino e greco. Sono i tempi a essere messi a soqquadro, non la psy­ ché, che funziona come può e come sa. Ovvero li­ bera, gioiosa, luminosa, oscura, spergiura, irriverente, incurante degli scopi che vorremmo imporle. Come il grammatico impartisce precetti per l'uso della lingua, così Indovinare il mondo è un progetto in situazione. Operativo, concreto, realistico. I tempi, quelli sì, sono sottosopra. Veniamo a sapere prima quello che non abbiamo ancora vissuto. Scopriamo dopo quello che pure abbiamo già patito. Tutto il resto, però, ha una sua, individualissima, verità. Vere le premonizioni, reali le paure, minuziosi i presentimenti. Sapete qual è l'incubo ricorrente di ogni grammatico ? Trovarsi una mattina in un cantiere edile, con un viavai con­ tinuo di operai, intenti ai loro mille mestieri. E sco­ prire con orrore di essere capitato nella fabbrica della Torre di Babele , in mezzo al deserto torrido, dove nessuno comprende più nessuno, perché il buon Dio si è arrabbiato e ha mescolato , per omnia sae­ cula saeculorum, lingue, favelle, grammatiche, sintassi, fonemi , lessemi, sillabe e sillabari, così che gli uo­ mini espiino la loro alterigia e lo temano. Il povero grammatico corre da un angolo all' altro del cantiere con il suo inutile fascicolo di regole, redatte con tanta precisione, le brandisce come un 'arma, le sventola minaccioso per placare la babelica zuffa di vocaboli a casaccio. Ma nemmeno lui ci capisce più un'acca, finché non si risveglia, tutto sudato, e s 'accorge che era solo un sogno. 32

Grammatica simbolica della divinazione

Smaltita la paura della Torre, cerchiamo di riassu­ mere i rudimenti grammaticali del mestiere d'indovini del mondo. Innanzitutto , il grammatico raccoglie, ordina, scheda, ammassa, registra. Nel gergo filologico, co­ struisce un corpus, che gli serva di base per le proprie riflessioni. Il primo corpus, una fenomenologia della premonizione, lo trovate in questa parte, nerbo narra­ tivo dell'impresa. Il Gran Teatro dell'Anima ha appena aperto i battenti. Mettetevi comodi, perché di futuri possibili ci sarà solo l'imbarazzo della scelta. Dopo aver raccolto racconti ed esempi, il gram­ matico si mette a imbastire regole, e a cucire le ecce­ zioni e le contro eccezioni. La parte più propriamente normativa la troverete nella seconda sezione, intitolata L'ora oscura. Fumo, ombre, riflessi su di uno specchio, la mantica opera ai margini dell'essere. Il divinante ha bisogno di realtà tenui, sfaldate, sfuggenti, altrimenti la sua visione non può nemmeno cominciare. Senza incoerenza, laddove la materia è spessa, ben coesa, il futuro tace, impal­ lidisce, fugge. Smontate, sfarinate il significato, de­ costruite, oscurate, questo il consiglio p rincipe del meticoloso grammatico. Per dirla in forma stringata, la regola prescrive la decostruzione semantica. Più il coefficiente del significato si assottiglia, meglio è. Le porte della p remonizione si aprono nell'incertezza, quando la lingua, la visione, l'udito affinano la loro intensità, fino quasi al grado zero. Prendete un testo pieno di senso, eloquente, in discutibile e ingarbuglia­ telo, cancellatelo , apritelo a caso. Oppure guardate fissamente una scena, fino al punto da non riuscire a distinguere più alcunché, tanto avete aguzzato gli oc33

Il Gran Teatro dell'Anima

chi. Ascoltate una frase musicale non una, ma dieci, cento, mille volte. Avrete alla fine solo un suono in­ distinto, vi sarete persi, confusi, immedesimati chissà dove. Ecco, lì, ai margini del senso, si spalanca la compresenza, vige il sovrapporsi dei tempi, è pos­ sibile vedere. Il grammatico lo sa, anche se non vi potrebbe dare una spiegazione fredda, cristallina. Del resto, dove il significato si dilegua e fugge, il cristallo della ragione va, felicemente, in frantumi. La terza sezione è dedicata alla rifrazione divi­ natoria. Preparatevi a racconti in cui qualcosa, pa­ recchio andrà storto. Storto come il manico di un cucchiaio immerso in un bicchiere. D'argento, d'oro, d'acciaio, comunque bello diritto quando lo tengo in mano, il cucchiaio mi sembra irrimediabilmente pie­ gato mentre è immerso nel liquido. Le premonizioni possono essere precise quanto volete, ma le vedremo storte, e dovremo cercare di capire perché. Avevo promesso di non invocare pulsioni e desi­ deri, e di non chiamare in aiuto gli archetipi. Nella cassetta degli attrezzi ho infilato solo qualche vecchio strumento del mestiere. Ombre, fumo e specchi per decostruire, e un paio di cucchiaini per far capire la rifrazione. Se son d'oro, i cucchiai, è meglio, durano di più. E se saranno per sempre storti, pazienza. Vuoi dire che ce ne faremo un 'altra ragione.

Note 1 C.G. Jung, La sincronicità, traduzione di S. Daniele, in Id., L'analisi dei sognz; Gli archetipi dell'inconscio collettivo, La Sin­ cronicità, Torino, 2 0 1 1 , p. 243 (ed. or. in C.G. Jung e W. Pauli, Naturerklà"rung und Psyche, Ziirich, 1 952 ) .

34

Sette demoni per Dumuzi

Egli si mette a dormire, egli si mette a dormire; il pastore si mette a dormire. Quando il pastore si mise a dormire, cominciò a sognare. Egli si svegliò: un sogno! Egli biascicò: un sogno! Egli si strofinò gli occhi: era terrorizzato! «Portatem� portatemz; portatemi mia sorella! Portatemi la mia Gdtinanna, portatemi mia sorella! Portatemi colei che conosce la scrittura, portatemi mia sorella! Portatemi colei che conosce il significato dei cantz> portatemi mia sorella! Portatemi l'acuta giovane che conosce il significato delle parole: portatemi mia sorella! Portatemi la mia saggia donna che conosce i misteri dei sognz> portatemi mia sorella! Io voglio riferire a lei il mio sogno!». «Un sogno, mia sorella! Un sogno [ho visto]! Nel mio sogno: Giunchi venivano tagliati per me; giunchi crescevano per me! Una canna solitaria piegava la testa verso di me; una canna gemellare - l'una veniva rimossa da me; alberi grandi nella foresta si sradicavano da soli per me! Acqua fu versata nel mio puro focolare; il coperchio della mia pura zangola fu rimosso; la mia pura coppa per bere fu staccata dal chiodo a cui era appesa! 35

Il Gran Teatro dell'Anima

Il mio bastone da pastore mt' venne tolto! Un 'aqut'la ghermì un agnello dalla casa delle pecore, un falco catturò un passero tra le canne/ t' mt'et' caproni spazzavano con le loro barbe di lapt'slazzuli la polvere per me/ t' miei montoni calpestavano la terra con le loro solide zampe per me! Le mie zangole giacevano di lato: nessun latte veniva versato/ le coppe per bere giacevano di lato: Dumuzt' non viveva [più!]» Ge'Stt'nanna rispose a Dumuzt': «0 mio fratello, t'l tuo sogno non è [di] buon [auspt'doL esso mt' è molto chiaro! O Dumuzt', t'l tuo sogno non è [di] buon [auspt'do]/ esso mt' è molto chiaro! I giunchi tagùatt' e che crescevano per te: sono banditi nascosti nel roveto, che st' scagliano contro di te! La canna solitaria che piegava la testa verso di te: è tua madre che tt' ha partorito, [e] che scuote la testa per te! Le canne gemelle, di cui una è stata rimossa da te: Io e te - uno solo viene rimosso! Gli alti alben· nella /oresta che st' sradicano da sé per te: sono gù uomini cattivi che tt' danno la cacda nel [tuo luogo] segreto! [Il /atto che] l'acqua viene versata sul tuo puro focolare, [significa:] l'ovt'le diverrà una casa del st'lenzt'o per te! [Il /atto che] t'l coperchio della tua pura zangola viene rimosso da te, [st'g nift'ca:] l'uomo cattivo lo prenderà t'n mano! 36

Sette demoni per Dumuzi

[Il /atto che] la tua coppa pura per bere è stata staccata dal chiodo a cui era appesa, [sigmfica:] che tu cadi dalle ginocchia di tua madre che ti ha partorito.' [Il fatto che] il tuo bastone da pastore è scomparso da te, [significa:] il piccolo demone lo darà alle fiamme.' [;aquila che ha ghermito un agnello nell'ovile: l'uomo cattivo che ti colpirà sulle guance.' Il falco che ha cacciato il passero nel canneto: il grande demone che scende dal recinto contro di te.' [Il /atto che] le zangole giacciano, e il latte non venga versato, che le coppe da bere giacciano, [sigmfica:] Dumuzi non vive più e l'ovile è stato esposto al vento.' Le tue mani saranno legate e le tue braccia incatenate.' [Il /atto che] i tuoi caproni spazzino la terra con la barba di lapislazzuli per te, [sigm/ica:] la mia chioma svolazzerà in cielo per te.' [Il /atto che] i tuoi montoni calpestino la terra con le loro solide zampe, [significa:] io mi graffierò le guance con le unghie della mano, come fosse un pettine, per te.'»1 Tra la fine del III e gli inizi del II millennio a.e.v. , il paese di Sumer ferve di vita . I campi sono fertili , l ' acqua ben diffusa e regolata, i magazzini pieni, le città affollate, i templi imponenti. Gli dei non disdegnano le offerte degli uomini. Né rifug­ gono dal loro amore. O almeno questo è quello che accade alla bellissima e sensuale !nanna, che si uni­ sce in nozze con il p astore Dumuzi. È vero che, in Dumuzi, le due dimensioni, divina e umana, si fon37

Il Gran Teatro dell'Anima

dono. Non sappiamo bene dove collocarlo , questo pastore amato e odiato , se nel cielo inarrivabile o sulla terra dei mortali. O forse la verità è che Du­ muzi conduce una vita doppia, in movimento, sfug­ gente, arcana, bello come un dio e fragile come un uomo. A Inanna lo lega un vincolo d'interesse e di passione, giacché non è solo aitante ma rappresenta pure un ottimo partito, grazie ai pingui armenti di cui dispone. Peccato che, un brutto giorno, Inanna si metta in testa di scendere agli Inferi e resti im ­ prigionata là sotto . Solo un espediente la può libe­ rare da un'esistenza d'eterno cordoglio: deve trovare qualcuno che la sostituisca, che ne prenda il posto nel mondo dei morti. In cerca di chi si p resti al poco invidiabile compito, Inanna s'imbatte in quel leggerino di Dumuzi , che se la spassa senza alcun rispetto per la dipartita della sua divina compagna. Adirata, anzi furiosa, ordina di acciuffare il malca­ pitato e di sbatterlo sottoterra. Ecco la materia del sogno, la tenebra con cui è intessuto l'incubo che avvolge Dumuzi. Il sognatore ha sognato . Dumuzi, libero e orgo­ glioso, il pastore che tanto si fida della propria gio­ vinezza, ha attraversato le porte del sogno. E ora, al risveglio, è in preda al terrore. Non riesce nemmeno a parlare, ma biascica il proprio smarrimento. L' af­ fascinante Dumuzi ha bisogno di consiglio. Cerca, invoca la sapienza di una donna . I sogni non sono affare per lui. Certo, ha intuito cosa l ' attende. Ma non sa decifrare la successione degli eventi, non si raccapezza nel linguaggio cifrato della visione. Solo chi possieda il segreto dei segreti può penetrare le immagini ambigue , nate al riparo del sonno. Sua 38

Sette demoni per Dumuzi

sorella Ge8tinanna è l'unica in grado di soccorrerlo. Ge8tinanna la Scriba, colei che sa il canto. Portatemi

la mia saggia donna che conosce i misteri dei sognz> portatemi mia sorella !2, è l 'invocazione dell ' altero Dumuzi. C'è da credere che questo sia il più vetusto sogno dell' umanità. Non il primo a venir sognato, naturalmente. Ma il più antico a esser messo per iscritto . L' amorevole Ge8tinanna scende nel pozzo delle premonizioni e ne risale con la funesta p ro ­ fezia: O mio fratello, il tuo sogno non è (dt) buon (auspicio); esso mi è molto chiaro ! . Il registro sim­ bolico è qui triplice. lnnanzitutto , vi è il piano di­ vino. La dea ha deciso, l ' amante irriguardoso, che l'ha offesa con la sua superficialità, deve pagarla. E !nanna non è dea che minacci a vuoto. Il suo editto verrà realizzato in fretta, senza deroghe. Poi vi è il piano del sognatore, il bello e improvvido Dumuzi, tanto pieno di energia vitale quanto sprovvisto di cultura. Dumuzi non possiede l'arte della scrittura, non conosce il difficile e p aziente mestiere dello scriba. Il p rimo sogno di cui abbiamo notizia let­ teraria è dunque frutto del tradimento di un uomo e dell'ira di una dea. La prima divinazione onirica proviene invece da una donna . Non una qualsiasi , bensì Ge8tinanna, la sorella che Dumuzi ama e che ammira. Fratello e sorella resteranno per sempre uniti dal vaticinio di morte, che cala su di loro come un sudario . Mentre Dumuzi dorme e sogna, i de­ moni sono già sulle sue tracce. Sono in sette, fedeli servitori di !nanna e suoi sicari implacabili . Il bel pastore ha i giorni contati, statene certi.

39

Il Gran Teatro dell'Anima

Note 1 Mitologia sumerica, a cura di G. Pettinato, Torino, 2 0 1 3 , pp. 457 -46 1 (I ed. 200 1 ) . Testo sumerico e traduzione inglese in B. Alster, Dumuzi's Dream: Aspects o/ Ora! Poetry in a Sumeri­ an Myth, Copenhagen, 1 972 (cfr. Id. , A new Source /or Dumuzi's Dream, in «Revue d'Assyriologie», 69 ( 1 975 ) , pp. 97 - 1 08); Id. , Notes brèves, i n «Revue d'Assyriologie», 76 ( 1 982 ) , p . 1 9 1 ; J.W. Heimerdinger, Sumerian Literary Fragments /rom Nippur, Phila­ delphia, 1 979, tavv. 4-6, 1 1 , 82 , 124; ].-M. Durand, Sumerica, in «Revue d'Assyriologie», 84 (1990) , pp. 37- 139. Versioni in italiano anche in J. Bottéro e S.N. Kramer, Uomini e dèi della Mesopota­ mia, Torino, 1 992 , pp. 3 14-327 (ed. or. Lorsque les dieux faisaient l'homme, Paris, 1 989); Canti sumerici d'amore e morte. La vicenda della dea Inanna/Ishtar e del dio Dumuzi/Tammuz, a cura di P. Mander, Brescia, 2005, pp. 1 65 -174 (traduzione parziale) . 2 um-ma-sà-ma-mu-da-zu-mu tum-mu-un-zé-en nin9-mu tum­ mu-un-zé-en (Alster, Dumuzi's Dream, cit., p. 54, linea 24) .

40

Come sguardo di sposa novella

CASSANDRA

Ormai l'oracolo non sarà più come sguardo di sposa novella, che occhieggia dai velt� ma come vento che soffia, nitzdo, si slancerà contro il sorgere del sole, e come onda solleverà alla luce una sventura ancora più grande di questa. Non parlerò più per enigmi. E voi siatemi testimoni concordi che sto fiutando la traccia di crimini antichi. Non abbandona mai queste stanze un coro di voci, compatto, ma non piacevole a udirsi: non dice parole benigne. E dopo avere bevuto sangue di mortali per trarne maggiore ardimento, rimane in attesa dentro casa, la turba sfrenata delle Erinni legate alla stirpe. È dzf/icile cacciarle fuori Appostate nelle stanze, intonano inni all'accecamento originario, e a turno sputano orrore sul letto del fratello, funeste a chi lo violò. Sbaglio, o colpisco nel segno come un arciere? O forse sono un falso pro/eta, che bussa alle porte per spendere ciarle? Sii mio testimone, e giura che sto riconoscendo le scelleratezze di questa casa, tramandate dall'antichità 41

Il Gran Teatro dell'Anima

CORO

E come potrebbe recare rimedio il patto leale di un giuramento? Piuttosto, mi meraviglio che tu, cresciuta al di là del mare, possa parlare di una città straniera come se /ossi stata presente agli eventz1.

Cassandra, scesa dal carro che, dalla nave, l'ha condotta ad Argo, deve compiere pochi passi. L'at­ tende un tragitto brevissimo verso il palazzo regale, dove tutto è pronto per accogliere Agamennone, di ritorno dai lunghi anni della guerra di Troia. Sono pochi metri, è vero, ma durano un tempo infinito. È un'esperienza di follia divinatoria lunga, intensa, rit­ mata con cadenza ipnotica. Un abisso senza speranza e senza riscatto. Cassandra, lei, non è folle. Non si butta a terra, non urla fuori di senno, non trasgredi­ sce alle norme sociali. Folle è la vita, folle è l'ambi­ zione umana, folle è il rancore degli dei. Cassandra sa. Sa perché vede. Sa perché un dio la conduce per mano. Sa perché la morte, la sua morte, è predispo­ sta di fronte ai suoi occhi, sin nel minimo dettaglio. Quello di Cassandra è il corteo di una sposa. Di una sposa dell 'Ade, come chiamavano i greci le ra­ gazze che morivano prima di potersi maritare e che venivano sepolte con l'abito delle nozze. Cassandra ha due mariti , entrambi forieri di disgrazia. Il suo primo sposo è Apollo , che l' avrebbe voluta per sé. Lei ha finto di concedersi e poi s'è rifiutata. E questa è la sua prima condanna. Il secondo sposo è Aga­ mennone, che l'ha scelta come schiava e come con­ cubina . Un marito acheo, impossibile per lei, figlia della gente vinta di Troia. Ecco la seconda condanna di Cassandra. Per di più , anche Agamennone è in 42

Come sguardo di sposa novella

punto di morte. Lui e Cassandra stanno per essere sgozzati assieme, uniti nel rito macabro di uno spo­ salizio di sangue, celebrato da Clitemestra, moglie legittima di Agamennone. Ormai l'oracolo non sarà

più come sguardo di sposa novella, che occhieggia dai veli. Cassandra, la sposa votata alla morte, si strappa di dosso il proprio velo nuziale, lo getta a terra. Ri­ nuncia a coprirsi e a coprire la sorte . Come vento che soffia, nitido, il discorso di Cassandra si slancia contro il sorgere del sole, e come onda solleva alla luce una sventura. Non parlerò più per enigmi, af­ ferma orgogliosa. La sposa che va a morire è libera, la sua parola è inarrestabile come il vento. E, come il vento, la premonizione di Cassandra spazia in ogni direzione. Cassandra vede tutto attorno a sé e lo di­ pinge con le parole, nel tono alto solenne del metro lirico. Vede la maledizione del passato, l'atroce ban­ chetto in cui Atreo, padre di Agamennone, ha ser­ vito al fratello Tieste la carne dei figli di quest'ultimo. Una faida macabra, senza possibilità di perdono, un orrore familiare che si trascina da una generazione alla successiva. Cassandra lo sa e lo dice, tanto che il coro, costretto a piegarsi a questa sua forza mantica, esclama: Mi meraviglio che tu, cresciuta al di là del

mare, possa parlare di una città straniera come se /ossi stata presente agli eventi. Come il vento, l'oracolo di Cassandra scompiglia il presente, turbina sul corteo dell 'inganno, con cui è condotta a morte. Come il vento, la sua premonizione raggiunge il futuro. Cas­ sandra enuncia la sciagura che incombe, l' agguato preparato da Clitemestra, per vendicare Ifigenia, la fi­ glia sua e di Agamennone, sacrificata da quest'ultimo per permettere la partenza delle navi verso Troia. Il 43

Il Gran Teatro dell'Anima

vento della profezia giunge ancora più lontano, fino a evocare Oreste, che farà vendetta di Agamennone, uccidendo a sua volta la propria madre, Clitemestra: Moriremo. Ma non invendicati dagli dèi. Altri verrà, che a sua volta farà vendetta di noi, germoglio che uccide sua madre, vendicatore del padre. Esule, errante, bandito da questa terra, tornerà per porre fine a queste sventure per i suoi [cari [ .. .] E lo guiderà il corpo supino del padre stramazzato2•

La sposa sta per avvicinarsi al macabro talamo nuziale, all' altare su cui verrà sacrificata. Con il suo discorso di lucida follia, Cassandra c'insegna la forza terribile della visione, che scompiglia ogni angolo, che con un soffio solo, una folata inarrestabile, pe­ netra nel fondo del passato e giunge al futuro più remoto. li messaggio della sposa dell'Ade è sapiente, disincantato, umile. Quando i tempi si contraggono, si accavallano, si congiungono, lo spazio riservato ai mortali si stringe fino a un 'ombra sottile, a un dise­ gno che si cancella con un tratto rapido: 16 vicende dei mortali ! Se c'è felicità un 'ombra può mutarla; se sventura, un colpo di spugna umida cancella il disegno, e questo mi suscita maggior pietà di quello3 •

Note 1 Eschilo, Agamennone, vv. 1 1 79- 1 20 1 , in Eschilo, Sofocle, Euripide, Tutte le tragedie, a cura di A. Tonelli , Milano , 2 0 1 3 ,

44

Come sguardo di sposa novella

pp. 3 00-3 01. Sulle «spose dell'Ade» vedi R. Seaford, The Tragic Wedding, in «The Journal of Hellenic Studies��, 107 (1987 ) , pp. 106-130: 106; cfr. anche Id. , Wedding Ritual and Textual Criticism in Sophocles' «Women o/ Trachis» , in «Hermes», 114 (1986), pp. 50-59. Il parallelo tra il simbolismo funebre della sposa e il per­ sonaggio di Cassandra nell'Agamennone eschileo è stato proposto da I. Levy, Brides o/ Death, Brides o/ Destruction: The Inverted Wedding in Aeschylus' Agamemnon , in «Persephone», 2 (2017 ) , pp. 18-28. Da ricordare anche la splendida analisi della profezia di Cassandra da parte di B. Knox, Word and Action: Essays on the Ancient Theater, Baltimore-London, 1979, pp. 42-55 ; S.L. Schein, The Cassandra Scene in Aeschylus' «Agamemnon», in «Greece and Rome», 29 (1982) , pp. 11-16. 2 Eschilo, Agamennone, vv 1279-1286, pp. 306-307 . 3 Ibidem, vv 1328-1331, pp. 3 08-309. Ho mutato la traduzio­ ne del v. 1330, rispetto ad «a maggior pietà», proposto da Tonelli. Cfr. Aeschylus Agamemnon, a cura di E. Fraenkel, 3 voli. , Oxford, 1962 , vol. III, p. 622 (l ed. 1950); G. Rudberg, Glomskans ve, in Cava och krav: Skri/ter tilliig nade Man/red Bjorkquist, Stockholm, 1934, pp. 285-293 . .

.

45

Perdita di controllo

Il saggio Valmikr avanzò con ponderazione, guar­ dandosi attorno, verso la grande foresta. Nelle vici­ nanze, vide aggirarsi una deliziosa coppia di gru1, che cantavano aggraziate. Mentre le osservava, un caccia­ tore tribale, nemico degli abitanti del bosco, uccise il maschio. La femmina, vedendo/o stramazzare e contor­ cersi a terra, con il corpo coperto di sangue, si straziava in lamenti. Il saggio aveva un cuore equo, e l'uccisione compiuta dal cacciatore lo mosse a pietà. Pieno di compassione, pensò che quell'atto fosse profondamente ingiusto. Mentre la femmina non ces­ sava di gemere, egli pronunciò queste parole: «Hai ucciso uno dei due uccelli nel momento in cui era in preda alla passione. Per questo, cacciatore del malo augurio, il tuo ricordo sarà dannato in eterno»2. Poi rz/letté a lungo e si chiese tra sé: «Che /rase ho mai detto, quando ero così scosso per l'uccello ?». Dopo avere rigirato ancora nel cuore le proprie parole, il sag­ gio per/etto giunse a comprendere. Da dotto qual era, disse al discepolo che lo accompagnava: «> proprio non ce la farebbe. Gli amicz� che armeggiano tutto il giorno con le moto vere, la prendono in giro, per quella bicicletta col motore, come la chiamano loro. A lei va bene cosz: e anzi i pedali le danno un senso di sicurezza. Tranne la volta che si è piegata troppo in curva, ha toccato l'asfalto col pedale, e ha /atto un bel capitombolo. Per fortuna andava piano e se l'è cavata con uno strappo ai jeans e un ginocchio scorticato. Va sempre piano, Francesca, quello è il suo passo nella vita. Mentre solleva il portone del garage, pensa alla flemma che la accompagna. Si prende tutto il tempo che le serve, ecco la verità, o almeno così le sembra quando si vuole bene. Ci sono invece giorni in cui è furiosa con sé stessa. Con tutto il tempo che ci mette prima di deciders� si vivrebbero due vite e mezza. Ac­ celerare, darsi da /are, smettere di rimandare - scrive il programma su di un foglietto, lo impara a memo­ ria, lo accresce e lo ingrandisce fino a sera. Il giorno dopo l'ha già dimenticato. Straccia il pezzo di carta, si prende mezza giornata libera e torna al suo ritmo naturale. «Quello che non avviene, conviene» - il pro­ verbio preferito di sua nonna le torna spesso in testa. Francesca ha imparato che ogni occasione mancata ha 203

Rzfrazione divinatoria

un significato, un segreto, una ragione. E che la ca­ tena degli eventi ha anelli larghi, allungati, inspiega­ bilmente intrecciati. Il portone a bilanciere si solleva senza sforzo. Qualcuno deve avergli dato l'olio, perché ieri era quasi impossibile smuover/o. Francesca infila il motorino accanto alla macchina di suo padre. Spegne la luce, comincia a salire le scale. Al secondo pianerottolo, le viene l'impulso di tornare sui suoi passi. Ha dimen­ ticato in garage un paio di scarpe. Lì certo non possono stare. È uno spazio comune, e non si devono lasciare le cose proprie in giro. E poi qualcuno le prenderebbe di sicuro, se restassero tutta la notte accanto al moto­ rino. Francesca le ha davanti agli occhz� scamosciate, rosse anch'esse, una dentro l'altra. Si /erma interdetta davanti al Sì. Le scarpe non ci sono. Non le aveva con sé quando è arrivata. Adesso che ci pensa bene, non ha mai posseduto calzature di quel tipo. Cosa le è venuto in mente di scendere? E poz� una dentro l'al­ tra ? Avrebbero dovuto essere di due misure diverse, per poter incastrarsi a quel modo. Non ha comprato le scarpe rosse, non le ha dimenticate nel garage, non le ha infilate una nell'altra. Adesso Francesca è salita in casa. Il tempo di una doccia ed è a cena, nella bella sala confortevole, con le tappezzerie chiare e, oltre la finestra, il mare che le sorride. Il giorno seguente è il suo compleanno. Una gior­ nata tranquilla, con un 'amica che viene a trovar/a. Tutto quz� non ha voglia di uscire. La discoteca ? Di giovedì non c'è nulla, e poi mica bisogna ballare per forza, per sentirsi felici. Mariangela viene un po' prima delle sette, così hanno tutto il tempo per cucinare, chiacchierare e dopo, magar� /are ancora due passi sul lungomare. Lamica suona, Francesca scende per aprirle 204

Una scarpa dentro l'altra

il garage. Mariangela è tutto il contrario di lei. Sem­ pre di /retta, in movimento, sottosopra. Molti ragazzz� un 'infinità d'impegni, il volontariato, due lavori. Ma­ riangela è un motoscafo di contrabbandiert� lanciato a tutta velocità. Francesca è una nave a vela, sicura, posata, leale. Per questo si piacciono, si attraggono, si completano. Mariangela si fida, Francesca si diverte, le ore assieme passano sempre in un lampo. Natural­ mente l'amica non sa aspettare nemmeno questa volta. Mentre sono ancora in garage, le dà il regalo, in una bella carta arancione. E in garage, accanto al motorino, Francesca apre il pacco. Sono due scatole elegant� d'un rosso sgargiante, una dentro l'altra. La più grande con­ tiene la più piccola, la copre, la nasconde. Francesca sorride, abbraccia l'amica. Eccole, le due scarpe finte, trasformate in scatole vere. Torna tutto: il luogo, il co­ lore, la disposizione. Anche il dettaglio surreale delle due calzature infilate inutilmente l'una nell'altra ha ora una spiegazione. Ecco perché ieri è tornata sui suoi passz� fino al motorino. Che poi abbia avuto una vi­ sione, una preveggenza, per un paio di scatole colorate, la /a sorridere. E la consola. Mariangela è un 'amica vera. Mentre salgono in casa, non la smette un attimo di raccontarle incontri, scontri, meraviglie, tradimenti e amori. Altro che due, per contenere tutte le peripezie di Mariangela ci vorrebbero cento scatole, sempre più grandi, magicamente impilate, incastrate, sovrapposte. Una premonizione corretta, quella di Francesca. No anzi, sbagliata. «Un paio di scarpe ho sognato, due scatole mi hanno regalato», potrebbe essere una filastrocca, tanto è bizzarra la sostituzione tra l' og­ getto reale e quello previsto. Francesca, ridendo, mi 205

Rifrazione divinatoria

dice che adesso capisce come siano nate le leggende sui demoni dispettosi. Quale spiritello ha inventato lo scambio tra le calzature rosse e il regalo dell'amica? Lo vorrebbe proprio avere sottomano, quel signore poco serio che l'ha presa in giro. Prima le ha fatto vedere qualcosa, poi l'ha sostituito con qualcos'altro, tanto era solo una faccenda senza peso e senza im­ portanza. O meglio, il regalo l'ha ricevuto con grande gioia, ma averlo previsto non l'ha certo scossa più di tanto . Intrigata, stupita, questo sì. Eppure, tra i due casi c'è una evidente aria di famiglia. Scarpe che s'impilino come scatole sono certo improbabili nella realtà, ma l'affinità, il nesso simbolico tra le due si­ tuazioni lo intuiamo facilmente. Che quello corrispon­ desse a questo è immediatamente saltato agli occhi di Francesca. E l'ho intuito anch'io, mentre ascoltavo il racconto, senza tanti giri di pensiero. Piccolo divertis­ sement di diavoletti annoiati, lo scambio delle scarpe con le scatole è uno splendido esempio di rz/razione divinatoria, per di più piena di humor. Ma chi è lo spiritoso, in questa storia? Mi viene da pensare a un lapsus , anche se, detta la parola, vedo già avanzare l'ombra austera e sapiente del buon vecchio Freud, con la sua Psicopatologia della vita quotidiana sotto braccio . Che Freud si fermi subito, per carità. Que­ sto delle scarpe metamorfizzate in scatole sarà pure un lapsus. Ma un lapsus che si avvera? Un lapsus da mettere nell'armadio, riempire di oggetti, chi l'aveva mai visto prima?

206

Uno di tre

Una giornata tersa. Mi verrebbe da dire gloriosa, se l'aggettivo non suonasse retorico, fuori dal mio re­ gistro abituale. Ma Venezia, agli inizi di settembre, è proprio così. Gloriosa, opulenta nelle sue lucz� nella laguna ingioiellata di marmi. A immalinconirmi ci penserà l'autunno. Oggi mi godo il fulgore della città. A una certa ora del pomeriggio, di punto in bianco, la mia serenità svanisce. Sono a due passi da casa, in campo del Ghetto Nuovo, tra le voci dei turistt� qui più assennati e discreti che altrove. Basta /are trecento metri, e imboccare Strada Nuova, per venire sommersi dalla fiumana dei volti e dal tripudio degli schiamazzi. Ma tra queste pietre, nel «mio» angolo di Cannaregio, perché un simile senso fisico di malessere? Passo in rassegna il pranzo. Nulla di eccessivo, le solite cose, non può essere un 'indigestione. Mi siedo a un ca//è, provo a mettere a fuoco il mio disagio. Da dove viene? Da dentro, mi dico. È un torpore insistente, un senso di oppressione senza volto, lo spavento per qualche sventura a cui non so dare un nome. Il cameriere si aspetta che gli ordini qualcosa. Mi conosce, sa che non sono un «foresto» che cerca solo di approfittare del ta­ volino, ma la consumazione è obbligatoria anche per me. Un caffè non è certo una buona idea, considerato il senso di nausea che provo, eppure non saprei cosa altro chiedere. Sulla tazzina c'è il logo di una torre­ fazione di provincia, che si trova solo da queste parti. 207

Rt/razione divinatoria

Mentre leggo meccanicamente la scritta, mi balena alla mente la soluzione. «Qualcuno sta morendo - mi dico - ed è uno di tre». Di più non riesco a cavarne, dalla mia premonizione. Ripenso la /rase, la rigiro da tutte le parti. Cosa mai vorrà dire, «uno di tre» ? È stata la mia mia voce, a sussurrarmelo, o quella di un altro? E perché ho la certezza che sia questa, l'agonia distante di «uno di tre», la ragione del mio malessere? Arrivo in qualche modo a sera, sebbene il senso di oppres­ sione non mi abbandoni per un solo istante. La mat­ tina successiva devo partire. Sono eccitato, indaffarato, e l'angoscia è quasi del tutto svanita. Giunto a Gerusa­ lemme, ricevo una telefonata. Un mio parente stretto è morto nella notte. Non sapevo nulla della sua malattia. I nostri rapporti si erano interrotti da tempo. Qualche piccola incomprensione, sfociata in una distanza di cui ora mi pento. Era il più giovane di tre fratelli. «Uno di tre», mi ripeto, mentre riaggancio. Gerusalemme è calda, scura, vitale, percorsa da grida eccitate, trafitta dal suono di sirene. Nel riandare con la mente a quella giornata ve­ neziana, mi accorgo di un dettaglio, a cui allora non diedi molta importanza. Durante tutto il pomerig­ gio, mentre lottavo contro un senso di opprimente sventura, mi sforzai di capire a chi si riferisse il mio presentimento . Cercavo un volto, un nom e , una voce. Ma non vedevo nulla. Nessuna immagine, e nemmeno un suono, che mi mettessero sulla strada giusta. Anche quando mi fu chiaro che si trattava di un messaggio di morte, non seppi a chi si riferisse. O meglio, l'unico indizio che avevo , e che mi rigi­ rava continuamente in testa, era la definizione «uno 208

Uno di tre

di tre». Credo che molti abbiano p rovato, almeno una volta, un simile senso di disagio. Ci àffiora alla mente un dettaglio enigmatico, mentre il nocciolo della questione ci sfugge, si allontana, si nasconde. È come vedere una scena di scorcio, senza poter met­ tere mai a fuoco l'insieme. Quando ci si trova in un mare così agitato, ogni aiuto sembra provvidenziale. Mi aggrappavo a quell'«uno di tre» con la rassegna­ zione di un naufrago, pur di non affogare nel mio malessere. Solo adesso, dopo tanti anni, mi chiedo perché le precognizioni sembrino scritte da un editor dispettoso, che vuoi giocare a rimpiattino con noi. Perché il mio intuito non mi rivelava il nome di chi stava per morire, di chi forse mi chiamava, misterio­ samente, durante la propria agonia ? Non sarebbe stato più semplice e , in fondo, più leale? Per quale motivo scegliere quella via indiretta, per quale ra­ gione propormi, anziché un messaggio eloquente, un rompicapo di difficile soluzione? Il giorno seguente, quando ricevetti la notizia per telefono, la mia mente percorse in un istante l'intero processo ermeneutico. Quell' «uno di tre» , che mi aveva tenuto in scacco per ore, mi divenne subito chiarissimo. Troppo tardi, però, almeno a ripensarci adesso. È il topos della pro­ fezia sibillina, tanto vaga da poter essere compresa solo a posteriori. Lo troviamo ripetuto infinite volte nella mitologia classica. Sia il vaticinio che riguarda il re Egeo sia quello relativo a Narciso, che ho discusso sopra, prevedono proprio questa impasse conoscitiva. Più di uno studioso ha sostenuto che, nell'antichità, il responso oracolare fosse appositamente formulato in termini imprecisi, così da rimanere indecifrabile e prestarsi poi, post eventum, alle più svariate circo209

Rifrazione divinatoria

stanze. Non volete sbagliare una previsione? Restate nel vago e, a cose fatte, sembrerà che l'abbiate az­ zeccata, o almeno così crederanno gli ingenui. Un simile scetticismo può essere giustificato quando si analizzano le grandi macchine templari greco-romane, che sfomavano vaticini pubblici, spesso di grande im­ portanza politica. Maggiore la posta in gioco, più ve­ rosimile il ricorso a tecniche di tutela di una presunta infallibilità delle prestazioni oracolari. Ogni mezzo è buono, si dirà, pur di convincere, e confondere, i potenziali clienti. Nel chiuso del mio animo, tuttavia, sul piano personalissimo della mia premonizione ve­ neziana, perché il mio io divinante avrebbe dovuto ricorrere a un inganno di questo tipo? Come mai anche le precognizioni individuali, quelle che coin­ volgono solo il soggetto che le prova, obbediscono ai medesimi travisamenti, alle ambiguità che affliggono i vaticini celebri? Più rifletto e meno credo all'ipotesi di un autoinganno. E nemmeno penso che l' «uno di tre» fosse un falso indizio, una traccia superflua, inu­ tile. Mi sembra anzi una sorta di sigillo di verità, che fa uscire la premonizione dal vago, e la lega indisso­ lubilmente a un marcatore semantico. È come se la mia mente mi desse una prova anticipata di quello che avrei vissuto, dei pensieri che mi avrebbero assa­ lito nel momento in cui quella morte, da presentita, fosse diventata per me certa, biograficamente esperita e conosciuta. Cerco di spiegarmi meglio. Quando ricevetti la telefonata, il fatto che fosse morto uno di tre fratelli divenne per me molto importante. Il secondo fra ­ tello, l'unico che a quel punto rimanesse i n vita, m i era carissimo. Anzi, fu proprio lui a darmi l a notizia. 210

Uno di tre

Per quanto più enigmatico di un nome, che avrebbe reso la mia premonizione immediatamente decifrabile, quell' «uno di tre» non era un dettaglio insignificante. Per essere più esatto, funzionò male come preavviso, ma ebbe poi, nella mia esperienza in situazione, un ruolo di rilievo. Anziché partire dalla mia premonizione, pren­ diamo le mosse dalla telefonata, in cui il fratello di mezzo mi mise al corrente, con la voce rotta, della morte del minore (il maggiore era già mancato da tempo) . Se scomponiamo la scena, e la proiettiamo all'indietro, verso il giorno precedente, «uno dei tre» assume il valore di uno spezzone importante di realtà. In altre parole, la premonizione non si può spiegare con sé stessa, ma ha bisogno, per essere capita, di congiungersi all'evento a cui si riferisce, giacché è questo che la genera. La premonizione non obbedi­ sce a un criterio di comprensibilità da parte di chi viene informato, preventivamente, di cosa gli accadrà. Piuttosto, i dettagli emergono dall'evento realmente vissuto, ne esprimono la coloritura emotiva, restano impigliati nell'animo nel momento in cui le cose suc­ cedono e sono sperimentate dal soggetto. È il vissuto che influenza il presentito, e non viceversa. Le emo­ zioni e i collegamenti mentali, che mi è sembrato di rivivere dopo averli presentiti, sono in realtà la stoffa del mio presentimento . Semplicemente - e so bene come l' aggettivo suoni azzardato - semplicemente, quanto ho vissuto a Gerusalemme, il messaggio che «uno di tre» mi ha comunicato circa la scomparsa del suo fratello minore, era già registrato, depositato in un luogo del mio animo, a cui ho avuto accesso confusamente, senza immagini e senza audio, soltanto 211

Rifrazione divinatoria

per aenigmate - il giorno prima che tutto questo ac­ cadesse davvero. Ho pensato per anni di aver pro­ vato e capito solo dopo quello che avevo presentito, in maniera offuscata, prima. Con tanta vita trascorsa in mezzo, credo invece oggi che una scheggia della telefonata gerosolimitana, un frammento emotivo sia rimbalzato all'indietro, e abbia raggiunto la mia giornata precedente. Prima ho vissuto e poi, il giorno precedente a tale prima, ho p resentito . Tutto ciò, e molto altro, sta nella distanza - infinita , indicibile, brevissima - che separa Venezia da Gerusalemme, il sogno dalla follia, l'oggi dal mai più.

2 12

Scambio di persona

A destra le auto private, a smzstra taxi e tram. Letizia ha un attimo d'indecisione, perché la coda al semaforo è già lunga e lei è in ritardo. Poi prevale il senso di disciplina, e s'incolonna ordinatamente. Ar­ meggia con la radio, cambia stazione, getta un'occhiata distratta alla vetrina della Coin. Tre rossz� ed è final­ mente il suo turno. Ha già superato l'incrocio quando scorge Eleonora. Un po' curva, con una borsa per ogni mano, con un cappottino blu sfiancato. È di spalle e cammina con il suo tipico passo svelto, nonostante il peso. Mentre la supera, si guarda attorno per decidere dove fermarsi. È tanto che non si vedono, Eleonora è scomparsa dalla circolazione, o forse è colpa sua, ulti­ mamente s'è buttata a preparare gli esamz� ha saltato qualche giro di amiche. Mette la freccia all'ultimo mi­ nuto e si prende naturalmente la suonata di clacson di rito. Parcheggia davanti a un passo carraio, tanto è questione di un minuto, solo il tempo di dire ciao. Scende, rincorre Eleonora, che intanto è avanzata di una decina di metri. Le tocca la spalla. Mentre l'altra si volta, capisce di essersi sbagliata. Non è lez� anche se le assomiglia come una goccia d'acqua. Stessi capell� stesso naso, simili anche le labbra. Solo gli occhi sono diversi. Quelli della sconosciuta sono neri. Eleonora è invece famosa per i suoi occhi azzurro-grigi. Intanto che Letizia balbetta una scusa, la signora con il cap­ potto blu ha già ripreso la sua marcia. «Niente, niente, 2 13

Rifrazione divinatoria

si figuri», e via. Letizia risale in macchina e, mentre riparte, decide che in serata proverà a telefonare a Eleonora, per raccontar/e quel buffo malinteso e per chiederle come stia. Poi la sera passa in un soffio e si dimentica la telefonata. Chiamo domanz� pensa prima di addormentarsi. Ma domani è troppo tardi. A metà mattinata, un 'amica comune la cerca un paio di volte, e alla fine riesce a parlarle. «Sa� sembra che non stesse bene da un po', ma non l'aveva detto a nessuno. Eleo­ nora è morta ieri, nel pomeriggio. J;ho saputo anch'io adesso, te l'ho voluto dire subito. Se puoi, ci vediamo giovedt' al funerale». Letizia va in bagno, si guarda allo specchio. Le lacrime scendono silenziose, una dopo l'al­ tra, lentamente.

«È venuta a salutarci» , così un ' amica, p arecchi anni fa, ha commentato il sorriso - dolce, improvviso, inaspettato - di una persona in agonia da qualche giorno, che assieme accudivamo . La frase, e il sor­ riso, le porto nel cuore. Che ci possa essere un ultimo commiato , un saluto a distanza, nella forma di un pensiero, di un 'apparizione, di una coincidenza, mi è stato ripetuto più volte, durante gl'incontri da cui è nato questo libro . Nel sorriso sul letto di morte c'è un mistero che non so penetrare. Ancor più im­ penetrabile è l 'apparizione, o meglio, il fraintendi­ mento vissuto da Letizia. Questo scambio di per­ sona, l'errore a poche ore dalla morte, o forse nello stesso momento in cui questa avveniva, mi paiono un "messaggio nella bottiglia " , lasciato cadere nel mare dell'oblio. E se lo sono, un messaggio, perché il travi­ samento? Come spiegare la rifrazione, che attribuisce alla ragazza morente la fisionomia di un'altra, simile 2 14

Scambio di persona

in tutto tranne che nel colore degli occhi? Un sorriso, lo capiamo e lo ricordiamo. Uno scambio di persona ci rende l'ambasceria della fine ancor più enigmatica, distante, struggente.

2 15

n trasportatore di botti

La volta della cantina ha i mattoni a vista. Semico­ lonne, anch 'esse di mattoni, salgono ai latt� slanciate, di bella proporzione. Gérard non ha freddo. Avvolto da una gradevole sensazione di tepore, si mette a ispe­ zionare le pareti del locale. Tra mattone e mattone, nota fughe più scure. Quando si avvicina al muro per osservar/e meglio, si accorge che non sono in malta o in stucco ma in legno. Sembrerebbe noce, come in una libreria all'antica. Ora ne è sicuro, sono proprio le modanature di una libreria, pronte ad accogliere gli scaffali. In un angolo, in lontananza, i ripiani sono già montati e i primi libr� in disordine, devono ora essere messi diritti e collocati per autore o per soggetto. Po­ chi volumi si sistemano in /retta. Se però si dovesse riempire tutto lo spazio a disposizione, ci vorrebbe tantissimo tempo per raccapezzarsi, forse mesi o addi­ rittura anni. Le pareti si stendono a perdita d'occhio, le semicolonne si allineano fino dove può vedere, e presumibilmente continuano anche nell'oscurità, che circonda la zona centrale di quell'immenso ambiente sotterraneo. «È meglio che io resti qui» - pensa «sotto la luce della grande lanterna a olio, perché po­ trebbe venire qualcuno e, non trovandom� resterebbe deluso». Alza lo sguardo verso il lume, con i suoi vetri smerigliati. Il lucignolo ha qualche sussulto, forse l'olio sta per finire e bisogna rabboccarlo. Mentre si muove per andare in cerca di una scala, con cui arrampicarsi

2 17

Rz/razione divinatoria

fino alla lanterna, sente qualcuno scendere dal piano di sopra. Si apre una botola in /erro, che non aveva notato prima, e un congegno invisibile /a calare, lenta­ mente e con parecchi cigolii, una rampa inclinata, che si /erma proprio davanti ai suoi piedi. Lungo lo scivolo avanza un carretto, spinto da un tizio alto, dall'aria gioviale. Gérard lo riconosce subito, anche se è sorpreso che il suo professore, di solito così compassato, indossi una vistosa camicia a scacchz; con le maniche arrotolate sulle braccia robuste. Ha l'aria entusiasta, il profes­ sore, e mentre avanza gli magnifica il contenuto della botte. Gérard non ne ha mai visto una simile, oblunga, con gli angoli smussatz; sembra una palla da rugby ma molto più grande e con le doghe in legno. È lo stesso legno stagionato della libreria, con /iammature disposte a raggiera e un 'aria solida. Il professore non la smette di parlare. A sentir luz; il vino è di qualità superlativa, molto migliore del Barolo di annata, solo meno caro. Gérard non capisce bene il nome del vitigno, gli sem­ bra una parola in dialetto, che il professore pronuncia con grande naturalezza, come se avesse sempre disqui­ sito di vigne e di vendemmie. Se Gérard annuisce, è più per farlo contento che per altro. Di vini non capisce nulla, e poi gli dispiace che la cantina, appena trasfor­ mata in biblioteca, torni a ospitare botti, anche se di fattura così insolita. Il professore deposita la botte sul pavimento e riesce abilmente a farla rimanere in equi­ librio, senza che rotoli verso la zona buia del locale. «Anche questo sarebbe un disastro», pensa Gérard, «andrebbe persa senza che n essuno potesse mai più ritrovar/a». Ha appena il tempo di stringergli la mano, e lo studioso in maniche di camicia si dilegua con il suo carretto vuoto, chiudendosi la botola alle spalle. 218

Il trasportatore di botti

Il venerdì successivo al sogno, Gérard è in aero­ porto. Si vede che Natale è vicino. Le code agli imbar­ chi sono più lunghe del solito, ma i passeggeri si met­ tono in /ila di buon umore. Tornano a casa, per una settimana o due, lontano da Berlino, dal lavoro, dalle angustie. E lontani dal grigiore del noni o almeno così sperano. Seduto al gate, chi ti vede? Il professore, que­ sta volta in tenuta da intellettuale, con il suo bravo laptop sulle ginocchia e il cellulare appoggiato sulla se­ dia accanto. Non è la prima volta che s'incontrano per caso, senza essersi dati appuntamento. Entrambi pere­ grinano abitualmente tra i due paesi, e i volz; in fondo, non sono poi così tanti. È un'ottima occasione per fare due chiacchiere e magari per lanciarsi in qualche di­ scussione, zeppa di nomi e di citazioni colte. Gérard cerca sempre di /are bella figura, agli occhi di quello che, oltre che un maestro, è per lui una guida e un amico. Un sentimento ricambiato, questo dell'amicizia e della stima. Anche il mondo dell'università ha, di tanto in tanto, calde, accoglienti isole felici. Una volta imbarca# il professore, con la sua solita parlantina, riesce a convincere una gentile e rassegnata signorina a cedergli il posto. Cosz: uno vicino all'altro, possono parlare fitto per tutto il viaggio. A mano a mano che s'infervorano nella discussione, il sogno della botte /a capolino nella memoria di Gérard. Gli tornano in mente i particolari della cantina, che ora vede sotto una nuova prospettiva, sebbene debba stare attento alle parole che fluiscono veloci, e non riesca a /issare la propria attenzione solo sui suoi ricordi onirici. Alcuni dettaglz: però, s'in/rammezzano alla situazione che sta vivendo, così che gli schienali dei seggiolinz: che ha davanti a sé, e i muri del sotterraneo-biblioteca s'inter2 19

Rifrazione divinatoria

secano, o meglio si sovrappongono senza confondersi. I seggiolini sono reali, la cantina è invece sottzle, un velo di luce leggero leggero. E la botte? Eccola, a metà del volo. Naturalmente è un libro. Un volume tutto nuovo, ancora da scrivere, che pubblicheranno assieme. Gérard /issa l'altro negli occhi. Glielo sta proponendo davvero, di scriverlo assieme, e anche disegna per aria, con le sue mani nervose, le due parti, chi si occuperà di un aspetto e chi dell'altro. Non è una botte ovale di pseudo-Barolo. E non ha un nome dialettale. È un libro con un grande editore, che vale per Gérard enor­ memente di più di qualsiasi quantità di vino prelibato. Per lui è una grande occasione, e sembra che anche il professore ne sia entusiasta, tanto la magmfica. Stanno già scendendo su Milano, quando il capitano annun­ cia che lo scalo di Malpensa è stato appena chiuso per neve. l}aereo atterrerà a Verona e poi dovranno arran­ giarsi da soli. Gérard quasi non si accorge del cambio improvviso di destinazione, tanta è l'eccitazione per il nuovo libro e per il mutamento profondo della sua esistenza che potrà seguirne. Chi non viva di pagine scritte, probabilmente non capirà perché si agiti tanto. Del resto, se dipendesse da lui, non si venderebbe nemmeno una goccia di Barolo. Per fortuna la botte del sogno si è trasformata in un libro, altrimenti non avrebbe proprio saputo cosa farne. All'aeroporto di Ve­ rona, il professore scappa in /retta, alla ricerca di una macchina a noleggio. Gérard si avvia lentamente verso il bus per la stazione ferroviaria. Ha tutto il tempo che vuole, a Natale manca ancora una settimana. Se la botte si trasforma in un libro, che cosa di­ venta la cantina? La risposta è facile. Lo spazio im220

Il trasportatore di botti

menso del sotterraneo, che nel sonno intimorisce e impensierisce Gérard, corrisponde all'aereo stipato di persone. Tanto è ampia la cantina quanto è angusto il velivolo, in virtù di un bizzarro contrappasso. Solo i due protagonisti rimangono gli stessi, anche se la tra­ sformazione del professore in facchino costituisce una bella rivalsa onirica sulla realtà. A Gérard era sem ­ brato da subito che il sogno contenesse un annuncio personale, rivolto a lui. Ma un annuncio da parte di chi? Sarebbe bello poterlo trovare, un giorno, il bu­ rattinaio dei sogni, che ci fa agire come marionette in vista di uno scopo superiore. O forse no, a pensarci bene preferirei di non venirlo mai a sapere, il nome di questo oscuro personaggio, che tira le fila dei miei sonni. Se i p rofessori fanno i bottai, vorrà dire che assaggeremo il loro vino, senza fare troppe domande.

22 1

Le cento porte del destino

Un teatro , dove la scena è sempre allestita. Un antico tempio, pervaso dal fumo dei sacrifici. Più di una cantina, qualcuna immensa e inesplorabile, qual­ che altra ingombra e ben nota. Ma anche una vec­ chia casa coloniale, un incrocio intasato di traffico, una stanza di Parigi, il parco giochi di_ una frazione di montagna, un caffè all ' aperto di Venezia. Sono solo alcuni dei luoghi attraversati da questo volume. È un catalogo eterogeneo, che raccoglie spazi meta­ forici, come il teatro dell'anima, siti reali e altri solo sognati. Che la divinazione possa accadere in ambiti specifici, destinati a questo scopo, lo sappiamo fin dall'età più antica. Il nostro viaggio non è forse co­ minciato a Delfi, dove il re Egeo giunge per sapere se potrà generare un figlio? Abbiamo visto il sovrano restare imbarazzato in piedi, al cospetto della dea Temi, mentre attende con timore il responso. Nella Grecia classica, monarchi e notabili indirizzavano i loro passi verso la sede della profetessa delfica, si­ curi che lì, nel precinto sacro, il fato non si sarebbe negato loro. La prosperità di questo e di altri templi celebri si basava insomma su di una «istituzionaliz­ zazione» del legame tra spazio geografico e presenza oracolare. Sono i casi in cui, secondo la tradizione, il futuro decide dove rivelarsi, in quali circostanze e per mezzo di chi. In altre occasioni, quelle desunte dalla vita quotidiana o inscenate in testi letterari, mi 225

Le cento porte del destino

è parso invece che il luogo della premonizione fosse scelto a caso, come un fon dale, allestito all ' ultimo minuto dal capriccio degli eventi. Ma siamo davvero certi di questa casualità ? Se torniamo ai p rocessi mentali, alle circostanze che precedono e preparano la premonizione, ci accorgiamo di quanto il contesto in cui questa emerge sia importante. È fondamentale come si entra nello spazio divinatorio, per che vie, attraverso quali porte. È come se dovessimo trovare un ingresso nascosto, occultato nella parete. La porta c'è, è lì da sempre ed è lì per noi. Il problema è in­ dividuarla, magari toccando a tentoni. E, una volta scovata, la sfida è aprirla e varcarla. Il muro che la nasconde è quello delle nostre esperienze sensoriali, fitto d'impegni, d'interazioni, di sensazioni, di ob ­ blighi. Vi ricordate l'annuncio sul ritardo del treno, che a poco a poco si è trasformato in una stringa di lettere e numeri , apparentemente insensata? La ragione di simili esercizi di oscuramento è sempre la medesima. Sono modi per cercare l'ingresso occulto, per uscire dalla vita comune, zeppa di senso ma po­ vera di tempo, e insinuarci in un altro territorio, po­ vero di senso ma saturo di tempi, che s'incrociano e s'accavallano. A proposito del Gran Teatro dell'Anima mi è ve­ nuta spontanea, scrivendo, l'immagine di una folata di vento, che di colpo apra una piccola porta intima, così da farci assistere allo spettacolo dei nostri destini futuri. Ma non sempre il vento dell'interiorità soffia docile, o nella direzione giusta. Molto spesso , l'ac­ cesso all a camera segreta ci rimane precluso. La porta nascosta è introvabile, per quanti sforzi facciamo per localizzarla. Di questa introvabilità, o inaccessibilità, 226

Le cento porte del destino

ci racconta il mito, e ci rende conto l'arte. Dove sono le porte del destino? A chi è concesso varcarle? L' antro della Sibilla di Cuma, nel sesto libro dell'Eneide, è una struttura immensa e immensamente equivoca. Tutto è pensato per incutere timore, per confondere, per sovrastare l'umano con la forza non soggiogabile del divino. La Sibilla vorrebbe resistere ad Apollo e pure, alla fine, deve inchinarsi alla vo ­ lontà del dio. Le sue predizioni awengono sottoterra. Donna-luogo, la profetessa s'identifica con la grotta della rivelazione, fino a confondersi con essa e a for­ mare un tutt'uno con le sue pareti inviolabili. L'immenso fianco della rupe euboica s'apre in un [antro vi conducono cento ampi passaggi, cento porte; di lì erompono altrettante voci, i responsi della [Sibilla. [ ] E già le cento grandi porte della casa s'aprono spontanee , e portano nell ' aria i responsi della [veggente1 • .

.

.

C'è una sapienza occulta dietro questi versi

dell'Eneide? Le cento porte di Cuma possono forse insegnarci qualcosa, condurci alla divinazione per una strada non ancora battuta? Se soppesiamo con attenzione le immagini, ci accorgiamo che le miste­ riose aperture hanno uno statuto equivoco. Paiono spalancarsi e offrire un varco, ma è un'impressione fallace. Le cento grandi porte della casa s'aprono spon­ tanee, scrive Virgilio - spante sua, in latino. Nessun mortale riuscirebbe a dischiuderle. Solo quando la profetessa emette l'oracolo, soltanto nel momento in 227

Le cento porte del destino

cui il destino è pronto per essere udito, i pertugi si allargano per far passare la voce mantica. Sono porte ermetiche, che obbediscono a una volontà nascosta. Cento porte sono molte. Possibile che non si riesca a violarne nemmeno una? ll messaggio mitico, rielabo­ rato da Virgilio, è indubitabile. Talora, il fato schiude il proprio segreto. Ma non perché noi lo vogliamo. Il manifestarsi del destino ha due direzioni, proprio come le porte si affacciano sui due lati dell'antro. Da una p arte, gli ingressi sono sbarrati. Dall'altra, ogni movimento è possibile. La voce che rivela il futuro proviene dallo spazio inaccessibile, dall'oscurità pri­ mordiale in cui aleggia il divino, ed è inaudibile fino al momento in cui le cento grandi porte si aprono da sole e la rendono ascoltabile . Chiusi dall'esterno, i battenti del destino sono docili e pronti, se a solleci­ tarli è, dall'interno, il dio. A confronto della magniloquente macchina sim­ bolica dell'Eneide, l'ingresso stretto che conduce alla premonizione interiore appare defilato, sobrio . La nostra età disillusa deve forse avvicinarsi al destino un po' alla buona, senza grandi pretese ? E ancora, questi scampoli di preveggenza possiamo forse aprirli da soli, schiudendo, dalla nostra parte, il recinto dei presentimenti e delle visioni? Sono partito seguendo uno sguardo . Ho scru­ tato gli occhi della dea Temi, a sua volta assorta, fissa sulla ciotola del presagio. Temi vede nel riflesso dell' acqua, e io vedo il suo volto , che vede. Al di là dell'acqua lustrale, oltre lo sguardo della dea, si aprono le cento porte del destino. I loro cardini sono pesanti, il metallo che le protegge è brunito, cesellato con disegni sconosciuti. 228

Le cento porte del destino

Note 1 Virgilio, Eneide, traduzione di L. Canali, introduzione di E. Paratore, Milano, 1 985 , VI, vv. 42 -44 , 8 1 -82 , pp. 200-203 (l ed. 1 978 - 1 983 ) : «Excisum Euboicae latus ingens rupis in antrum, l quo lati ducunt aditus centum, ostia centum, l unde ruunt totidem voces, responsa Sibyllae [ . . . ] Ostia iamque domus patuere ingen­ tia centum l sponte sua vatisque ferunt responsa per auras». Del valore ambiguo delle aperture dell'antro cumano (aditus centum, ostia centum) , che al tempo stesso danno accesso e ostacolano, scrive già il grammatico Servio nel suo commento all 'Eneide: «non sine causa et aditus dixit et ostia: nam Vitruvius qui de architecto­ nica scripsit, ostium dicit per quod ab aliquo arcemur ingressu, ab obstando dictum, aditum ab adeundo, per quem ingredimur» (Servii grammatici qui /eruntur in Vergilii Carmina Commentarii, recensuerunt G . Thilo et H . Hagen, vol. Il: A eneidos librorum vi-xii, commentarii recensuit G. Thilo, Leipzig, 1 884, p. 12, ad v. 43 ) ; cfr. P. Vergilius Maro, Aeneis Buch VI, edizione critica a cura

di E. Norden, III ed. , Stuttgart-Leipzig, 1 929, pp. 134-135; R.C. Monti, The Identi/ication o/ Vergil's Cave o/ the Cumaean Sibyl in «Aeneid» 6, in «Vergilius», 40 ( 1 994) , pp. 19-34.

229

Un ricordo e molti ringraziamenti

Nei giorni in cui io finivo il libro, la neve della morte si è posata su Patrizia, dopo una malattia ra­ pida, impietosa. Patrizia Pozzi, che per anni è stata mia ottima collega all'Università di Milano, ha affron­ tato l'ultima prova con lo stesso coraggio dolce che l'ha accompagnata per tutta la sua esistenza d'inse­ gnante, di figlia, di madre. Mi piace pensare che, ol­ tre la porta che ha attraversato così presto, ad atten ­ derla ci fosse una luce calda, meridiana, la sua luce.

Indovinare il mondo non sarebbe mai nato senza l'intelligenza e la pazienza di Alessia Graziano, che ha evocato gl'indovini dal loro sonno e li ha accompa­ gnati passo passo. A lei va la mia riconoscenza. Luigi Attademo, finissimo musicista, ha poi svolto la sua parte, non piccola, nel farli muovere, questi sognatori di futuro, e così ha aggiunto un altro debito ai molti che già nutro nei suoi confronti. Ancora una volta, Silvana mi è stata consigliera, critica, confidente. Parecchie idee sono sue, come del resto sono suoi molti dei miei pensieri. O forse tutti. Raphael e Laura hanno confortato e rifocill ato più di un divinante che si era smarrito, rimettendolo per strada, e indicandogli il cammino. 23 1

Un ricordo e molti ringraziamenti

Le storie di premonizioni, di sogni e d'incontri, che riempiono queste pagine, mi sono venute in dono da tanti amici e, ancor più, da meravigliose amiche. Presentire è incontrare. Non s'indovina da soli, così come da soli non si vive. Ho cambiato, per discre­ zione, i nomi e i luoghi. La mia gratitudine, quella, non muta.

232

Finito di stampare nel mese di maggio 202 1 presso la Tipografia Casma, Bologna Stampato su carta Arena Natura! di Fedrigoni S.p.A., prodotta nel pieno rispetto del patrimonio boschivo

Intersezioni

Ultimi volumi pubblicati 5 3 8 . Maurizio Bettini, Hai sbagliato foresta. Il furore dell'identità 5 3 9 . Fabio Paglieri, La disinformazione /elice. Cosa ci insegnano le bufale

540. Michele Morgante, I semi delfuturo. Dieci lezioni di genetica delle piante

54 1 . 542 . 543 . 544 . 545 . 546. 547 .

Rosalia Cavalieri, Gastronomia consapevole. Istruzioni per l'uso Piero Boitani, Ovidio, storie di metamorfosi Giulio Guidorizzi, So/ocle, l'abisso di Edipo Carlo M. Cipolla, Moneta e civiltà mediterranea Hubert Heyriès, La breccia di Porta Pia. 20 settembre 1 870 Alessandro Vanoli, Autunno. Il tempo del ritorno John D. Barrow, 1 + 1 non /a (sempre) 2. Una lezione di matematica

548. Franco Cardini, Praga. Capitale segreta d'Europa 549. Dacia Maraini - Chiara Valentini, Il coraggio delle donne 550. Ada Ottolenghi, Ci salveremo insieme. Una famiglia ebrea nella tempesta della guerra

55 1 . 552 . 553 . 554. 555 . 556. 557 .

Massimo Montanari, Bologna, l'Italia in tavola Marco Lupis, Hong Kong. Racconto di una città sospesa Stefano Pivato, La felicità in bicicletta Umberta Telfener, Primi amori. Uno, nessuno, centomila Claudio Ferlan, Venerdì pesce. Digiuno e cristianesimo Vittorio Criscuolo, Ei /u. La morte di Napoleone Tommaso Braccini, Miti vaganti. Leggende metropolitane tra gli antichi e noi

558. Carlo Galli, Platone. La necessità della politica 559. Stefano Massini, Manuale di sopravvivenza. Messaggi in bot­ tiglia d'inizio millennio

560. Giulio Busi, Indovinare il mondo. Le cento porte del destino