In ascolto dei profeti e dei sapienti. Introduzione all'Antico Testamento [Vol. 2, 4 ed.] 8825025459, 9788825025453

L'opera è un'"introduzione" alla lettura della parola di Dio nei libri profetici e sapienziali dell&

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In ascolto dei profeti e dei sapienti. Introduzione all'Antico Testamento [Vol. 2, 4 ed.]
 8825025459, 9788825025453

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Gianni Cappelletto Marcello Milani

In ascolto dei profeti e dei sapienti

G IA N N I CAPPELLETTO M A R C E L L O M IL A N I

IN ASCOLTO DEI PROFETI E DEI SAPIENTI Introduzione a ll’Antico Testamento - II

Mg

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EDIZIONI MESSAGGERO PADOVA

4 a ed izio n e riveduta e am p liata 2 0 1 0

ISBN 978-88-250-2545-3

Copyright © 2010 by P.P.F.M.C. MESSAGGERO DI SANT’ANTONIO - EDITRICE Basilica del Santo - Via Orto Botanico, 11 - 35123 Padova www. edizionimessaggero, it

PREM ESSA

In continuità con il precedente lavoro , si vuole qui introdurre alle altre due parti dell’Antico Testamento seguendo la suddivi­ sione delle bibbie ebraiche: i Nebiim (profeti) e i Ketubim (scrit­ ti). Tra i primi si prenderanno in considerazione alcuni di quelli che la tradizione ebraica chiama «posteriori» e quella cristiana semplicemente «profeti», mentre tra i secondi saranno commen­ tati in particolare quei libri che in ambito cattolico sono denomi­ nati «sapienziali» e che comprendono anche alcuni deuterocanonici. Si è consapevoli che il tralasciare alcuni dei Nebiim e dei Ke­ tubim privi il messaggio biblico veterotestamentario del senso della sua completezza. Motivi editoriali e di contenuto ci hanno indotti a operare una scelta anche per privilegiare la lettura esege­ tica di alcuni testi e aiutare così il lettore-studente all’apprendi­ mento di un metodo di analisi. Si è convinti che i libri biblici si comprendono non perché qualcuno ce ne fa una sintesi, ma per­ ché si ha la pazienza di leggerli con cura e attenzione utilizzando una metodologia per quanto possibile appropriata. Trattandosi poi - per il credente sia ebreo che cristiano - di testi sacri ritenuti vera ed efficace «parola di Dio», l’ascolto di­ retto e personale dei profeti e dei sapienti si fa ancor più urgen­ te: per poter camminare sulle vie indicate da Dio - esperienza che il testo biblico indica come torah - è necessario, infatti, farsi con­ tinuamente attenti alle modalità con cui il Signore stesso si fa pre­ sente negli avvenimenti storici in cui si vive (Nebiim) e nelle scelte della vita quotidiana (Ketubim). In questo, i profeti e i sa­ pienti biblici possono essere non solo dei modelli significativi, ma anche degli autentici maestri, educatori che prendono per mano il loro lettore-ascoltatore per aiutarlo a crescere e a matura­ 1 G. C a p p e l l e t t o , In cammino con Israele. Introduzione all'Antico Testa­ mento, voi. I, Messaggero, Padova 20096.

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re nella fede. Si tratta infatti non semplicemente di sapere chi so­ no i profeti e i sapienti e cosa hanno detto, quanto piuttosto di la­ sciarsi coinvolgere nel loro cammino di credenti. Si cresce nella fede, infatti, nella misura in cui ci si mette alla scuola di persone che hanno saputo viverla in modo maturo e adulto, non per ripe­ tere quanto loro hanno fatto e detto, quanto per poterlo interioriz­ zare rendendolo motivo e ragione delle proprie scelte. Si comprende, così, l’invito del profeta: «Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci indi­ chi le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri» (Is 2,3). Gli fa eco quello del sapiente: «Ascolta volentieri ogni discorso su Dio e le massime sagge non ti sfuggano. Se vedi una persona saggia, va’ di buon mattino da lei, il tuo piede logori i gradini del­ la sua porta. Rifletti sui precetti del Signore, medita sempre sui suoi comandamenti; egli renderà saldo il tuo cuore, e la sapienza che desideri ti sarà data» (Sir 6,35-37). Queste convinzioni - nel presentare al lettore-studente il frut­ to del nostro lavoro - ci rendono consapevoli che lasciarsi educa­ re dai profeti e dai sapienti richiede un continuo rimotivare l’at­ teggiamento di autentico ascolto della parola di Dio. Infine, sia­ mo convinti che il riproporre la loro esperienza di fede a due voci, se può essere segno della ricchezza con cui ci si può accostare ai testi biblici, può anche, in qualche passaggio, creare dissonanze o stonature. Ce ne scusiamo con quanti avranno la bontà di seguirci nel cammino che proponiamo. G.

6

C a p p e l l e t t o - M . M il a n i

PRIMA PARTE

I PROFETI G

ia n n i

C appelletto

u . AMMON

Am.N*bo

AMAL _ECITI

NEGHEB

^ E D O /M

La terra di Canaan dell’Antico Testamento. 8

Per profeti, in ambito cattolico, si intendono sia i quattro libri che le Scritture ebraiche denominano «profeti posteriori»1, cioè Isaia, Geremia, Ezechiele e gli altri dodici riuniti in un unico vo­ lume (Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia), sia i libri di Daniele, Lamentazioni e Baruc collocati dagli ebrei e dai protestanti tra gli Scritti (Ketubim). Citati spesso dal Nuovo Testamento (NT) assieme alla Torah (Mt 5,17; 22,40; Le 16,31; ecc.), i profeti occupano un posto di rilievo nella primitiva predicazione cristiana, convinta che «tut­ ti i profeti, a cominciare da Samuele e da quanti parlarono in se­ guito, annunziarono anch’essi questi giorni» (At 3,24), cioè quelli della morte e risurrezione di Gesù di Nazaret «profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo» (Le 24,19). Ritenuti poi dai cristiani coloro che «liberano il messaggio della Provvidenza da tutte le inutili impalcature e formulano la ve­ ra missione d’Israele» (A. Làpple) e che «delimitano e guidano l’ascensione sicura e certa della vera religione verso l’ideale cri­ stiano» (A. Robert-A. Feuillet), i profeti non godono di uguale prestigio presso gli ebrei che considerano la Torah (Pentateuco) la «parola di J h w h » per eccellenza. Ne può far fede il fatto che nel­ la lettura sinagogale i libri profetici vengono letti nella forma di pericopi aggiunte (haftaroth) alle sezioni della Torah {parashoth). Nel presente lavoro - in cui si seguirà la metodologia espo­ sta nel precedente2- dopo un’introduzione generale al profeti­ smo biblico, ci si metterà all’ascolto di alcuni profeti cercando di porre in risalto il loro messaggio, collocandolo il più possibile nel momento storico in cui è stato annunciato, per coglierne tutte le provocazioni e fame una lettura esistenziale perché il credente di oggi possa a sua volta diventare testimone di quanto ha ascol­ tato e accolto. Nella parte finale si darà uno sguardo anche all’a­ pocalittica.

1Per una sintetica presentazione di quelli che gli ebrei considerano «Nebiim anteriori» e che i cattolici collocano tra i «Libri storici», si veda G. C a p p e l l e t t o , o.c., pp. 311-365; T. R ò m e r , Dal Deuteronomio ai Libri dei Re. Introduzione storica, letteraria e sociologica, Claudiana, Torino 2007. 2 Ivi, pp. 39-42.

9

Bibliografia generale Alla base di ogni comprensione del testo biblico c’è sempre la lettu­ ra personale che può esser fatta in una delle seguenti edizioni della

*

Bibbia in lingua italiana, di cui sono utili pure le introduzioni e le note:

Bibbia Tob, Ldc, Leumann (TO) 2009: versione italiana della Cei e note della «Traduction oecuménique de la Bible»; sarà citata: Tob.

La Bibbia di Gerusalemme, Edb, Bologna 2009: versione uffiiale della Cei («editio princeps» 2008) con note e commenti di «La Bible de Jérusalem» adattati al testo italiano; sarà citata: Bg.

La Bibbia, Piemme, Casale Monferrato (A L) 1995 (citata: Piemme): versione Cei (1971) e commento da parte di biblisti italiani.

La Bibbia. Nuovissima versione dai testi originali, voi. I, Paoline, Cinisello Balsamo (M I) 1991 (citata: Nvb); versione e commento propri.

Parola del Signore. La Bibbia in lingua corrente, Ldc-Abu, Leumann (TO) 20012 (citata: Tilc): traduzione interconfessionale secondo le «equivalenze dinamiche», con attenzine ai lettori d ’oggi.

La Bibbia. Via, Verità e Vita, San Paolo, Cinisello Balsamo (M I) 2009, con versione Cei 2008.

La Bibbia Ancora. La Bibbia Giovane, Ancora, Milano 2009, con ver­ sione Cei 2008. * Per l’introduzione a ogni singolo libro biblico, l’approfondimento di tematiche teologiche e la conoscenza di dati storici possono essere utilizzati i vari dizionari, tra i quali si segnalano i seguenti:

Dizionario enciclopedico della Bibbia, Boria-Città Nuova, Roma 1995; Hkriban J., Dizionario terminologico-concettuale di scienze bibliche e ausiliarie, Las, Roma 2005. Léon-D ufour X . (a cura), Dizionario di teologia biblica, Marietti, Ge­

nova 2001lé. M o n lo u b o u L. - D u B uit F.M . (a cura), Dizionario biblico storico-cri­

tico, Boria, Roma 1987. Rossano P. - Ravasi G . - G ir la n d a A. (a cura), Nuovo dizionario di teo­ logia biblica, Paoline, Cinisello Balsamo (M I) 20017(citato: N dtb); Ryken L. - W ilh o it J.C. - Longman T., Le immagini bibliche. Simboli,

figure retoriche e temi letterari della Bibbia, San Paolo, Cinisello Balsamo (M I) 2006. 10

*

Opere di introduzione al profetismo biblico possono essere:

A A .V V ., Introduzione generale allo studio della Bibbia, Queriniana, Brescia 1996, pp. 402-544.

— Guida alla lettura dell’Antico Testamento, Dehoniane, Bologna 2007, pp. 207-442. A brego de Lacy J.M., I libri profetici, Collana «Introduzione allo studio

della Bibbia 4», Paideia, Brescia 1996. A lb e r tz R ., Storia della religione nell’Israele antico. 1. Dalle origini

alla fine dell’età monarchica; 2. D a ll’esilio ai Maccabei, Paideia, Brescia 2005 (specie 1, cap. 3; 2, cap. 5). A lo n s o S chòkel L. - Sicre D iaz J.L., Iprofeti, Boria, Roma 1989: otti­

ma l ’introduzione e accurato il commento a tutti i libri profetici. Blenkjnsopp J., Storia della profezia in Israele, Biblioteca biblica 22, Queriniana, Brescia 1997 (citato: Blenkjnsopp). B o v a ti P., «Così parla il Signore». Studi sul profetismo biblico, Deho­

niane, Bologna 2008. Brueggemann W., Introduzione a ll’Antico Testamento, Claudiana, To­

rino 2005 (specie pp. 117-124; 175-286). B uber M ., La fede dei profeti, Marietti, Genova 2000; A. H eschel, Il messaggio dei profeti, Boria, Rom a 19932; A. N eher, L ’essenza

del profetismo, Lampi di Stampa, Milano 1998: tre opere particolar­ mente indicate per un accostamento del profetismo dal punto di vi­ sta ebraico. K r a tz R.G., Iprofeti di Israele, Queriniana, Brescia 2006. Levin C., Introduzione a ll’Antico Testamento, Morcelliana, Brescia

2004 (specie pp. 25-65; 75-76; 87-99). M arco n cin i B. e collaboratori, Profeti e apocalittici, Logos - Corso di Studi Biblici 3, Ldc, Leumann (TO) 2007 (citato: Logos). M e r lo P. (a cura), L'Antico Testamento. Introduzione storico-lettera­

ria, Carocci, Roma 2008, pp. 197-240. N obile M ., Introduzione all'Antico Testamento. La letteratura veterote­ stamentaria, Edb, Bologna 1995, pp. 73-127 (citato: Nobile). R e n d to r ff R., Introduzione a ll’Antico Testamento. Storia, vita sociale

e letteratura d'Israele in epoca biblica, Claudiana, Torino 20013: pp. 157-171; 253-318. 11

Savoca G., Iprofeti di Israele, voce del Dio vivente, Edb, Bologna 1995 (citato: Savoca). Sicre D iaz J.L., La spiritualità dei profeti, in A. F a n u li (a cura), La spi­

ritualità dell’Antico Testamento, Boria, Roma 1988, pp. 333-538 (citato: F anuli).

— Profetismo in Israele. Il profeta -1profeti -Il messaggio, Boria, Ro­ ma 1995: con uno stile accessibile, l’autore presenta prima la figura del profeta biblico; traccia poi la storia del profetismo in Israele; ap­ profondisce, infine, una serie di tematiche derivanti dal messaggio dei profeti per fame emergere il valore attuale (citato: Sicre). Spreafico A., La voce di Dio. Per capire i profeti, Studi biblici 33, Edb, Bologna 20032. V o ge ls W ., Iprofeti. Saggio di teologia biblica, Strumenti di Scienze Religiose/Temi 7, Messaggero, Padova 1994 (citato: Vogels). Zenger E. (ed.), Introduzione a ll’Antico Testamento, Queriniana, Bre­

scia 2005 (specie pp. 631-882). * Per comprendere il movimento profetico all’interno dello sviluppo teologico del Primo Testamento si rinvia ancora al nostro In cammino con Israele alle pp. 411-429 in cui vengono pure presentati studi recenti di «teologia dell’Antico Testamento». * Si segnalano inoltre anche le seguenti riviste: «Dizionario di spiri­ tualità biblico-patristica» (Boria); «Il mondo della Bibbia» (Ldc); «Pa­ rola Spirito e Vita» (Edb); «Parole di Vita» (Emp); «Rivista biblica ita­ liana» (Edb). * Per la conoscenza del contesto storico e culturale in cui si sono svolti gli avvenimenti narrati o evocati nei Libri profetici che si prende­ ranno in esame, si rimanda alle opere di M. M e tzg e r, Breve storia di Israele, Queriniana, Brescia 19903 (citato: M etzger); di S. Bock, Breve storia del popolo d ’Israele, Edb, Bologna 1992 (citato: Bock) e di L. M azzinghi, Storia d ’Israele dalle origini al periodo romano, Dehoniane, Bologna 2007. Molto utili sono anche: J. Asurm endi - F. G a rc ìa M a rtìn e z, Studi e istituzioni del popolo biblico, in A A . W . , La Bibbia nel suo contesto. Introduzione allo studio della Bibbia 1, Paideia, Bre­ scia 1994, pp. 101-311; R. Fabris (a cura), Introduzione generale alla Bibbia, Logos - Corso di studi biblici 1, Ldc, Leumann (TO) 20062, pp. 31-124; 177-268 («Bibbia e storia»): M. Liverani, Oltre la Bibbia. Sto­ ria antica di Israele, Laterza, Roma-Bari 2009.

12

* L’esperienza religiosa delle popolazioni del Medio Oriente antico può essere opportunamente accostata in A A .W ., L ’Antico Testamento e le culture del tempo. Testi scelti, Studi e ricerche bibliche, Boria, Ro­ ma 1990; A A . W . , Scritti d e ll’antico vicino Oriente e fonti bibliche, Piccola Enciclopedia Biblica 2, Boria, Roma 1988; M. Cimosa, L ’am­ biente storico-culturale delle Scritture ebraiche, Dehoniane, Bologna 2002; H. N iehr, Il contesto religioso d e ll’Israele antico. Introduzione alle religioni della Siria-Palestina, Paideia, Brescia 2002. * Le citazioni bibliche - salvo diversa segnalazione - sono tratte normalmente da Bg. Anche i Salmi sono citati secondo la numerazione di Bg. In base ad accordi ecumenici il tetragramma Jhw h sostituisce la completa traslitterazione del nome di Dio, Jahvè. Dalla tradizione ebrai­ ca Jhwh è reso di solito nella pronuncia con Adonaj (Signore) o con Hashem (Il Nome). In B g è generalmente tradotto con «Signore», men­ tre «D io» rende il termine ebraico Elohim. Dato il carattere di testo nato dalla scuola, pensato e scritto per la scuola, del presente lavoro, spesso si tralascia intenzionalmente u n’in­ dicazione più dettagliata e precisa nella documentazione scientifica del­ le fonti. Inoltre, la trascrizione dei termini ebraici viene notevolmente semplificata.

A b b r e v ia z io n i e s ig l e

AT

Antico (Primo) Testamento

Bg

La Bibbia di Gerusalemme, E db

C ei

traduzione italiana del testo ebraico, approvata dalla Conferen­ za Episcopale Italiana, presente in B g , Tob, Piemme

DV

Dei Verbum (costituzione dogmatica del concilio ecumenico Vaticano II sulla divina rivelazione; 18 novembre 1965)

Igsb

Introduzione generale allo studio della Bibbia, Queriniana, Brescia 1996

Lxx

traduzione in greco dell’AT ebraico, detta «La Settanta»

NT

Nuovo Testamento

N d tb

Nuovo dizionario di teologia biblica, Paoline 20017

Piemme

La Bibbia, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1995

13

T ilc

Traduzione interconfessionale (della Bibbia) in lingua corrente, L dc -Abu

T ob

versione italiana (Ldc 2009) della Traduction oecuménique de

la Bible Tm

Testo masoretico, testo ebraico vocalizzato dai masoreti ebrei

c. / cc.

capitolo / capitoli

V. / v v .

versetto / versetti

«Una conoscenza senza amore e il sapere senza coinvolgimento e impegno personale sono realtà morte. La Bibbia è destinata a coloro che amano sapere e sanno come amare». 14

C a p it o l o

1

VOCAZIONE E MISSIONE DEI PROFETI

Pur condividendo con le altre culture medio-orientali antiche il bisogno di entrare in contatto con il Trascendente per co­ noscerne il volere, il profetismo biblico si caratterizza in mo­ do tale da incidere profondamente sulla vita religiosa del popolo ebraico e sul suo destino fino a raggiungere una di­ mensione di modello per ogni altra forma di profezia: basti pensare che il Nuovo Testamento presenta la figura dell ’apo­ stolo non con i tratti del sacerdote quanto con quelli del pro­ feta e che l ’lslam vede in Maometto «ilprofeta». E anche og­ gi, in molti casi, si adopera il termine «profeta» avendo sullo sfondo (più o meno consapevolmente) l ’esperienza biblica. Ma se nel nostro contesto culturale «profeta» è generalmente quella persona che, dotata di particolari capacità, predice con una certa precisione il futuro o comunica esperienze non percepibili dai più o rivela e interpreta la volontà del Dio in cui si crede, non solo così sembra essere il profeta del­ l ’Antico Testamento, almeno quello ritenuto modello di rife­ rimento per ebrei e cristiani.

1.

I n f l u s s i d e l p r o f e t is m o e x t r a -b ib l ic o

Se si intende il profetismo come «un modo ispirato di metter­ si in comunicazione con il trascendente o il “ sacro” , finalizzato alla mediazione dei risultati alla comunità» è chiaro che non lo si può affrontare come un fenomeno prettamente «ebraico» perché esso «si risconta nella maggior parte delle società premodeme e moderne di stampo arcaico» con fenomeni di persone che entra­ no in stato di estasi o cadono in trance con lo scopo specifico di «comunicare al popolo la volontà divina nei vari eventi importan­ ti della vita». Esperienza non del tutto da condannare perché 15

espressione diffusa di un bisogno reale dello spirito umano, «alla base del quale, per i credenti, vi è la mano sapiente di Dio che ha posto “ semi di verità” in tutti gli uomini» ( N o b il e 76-77; anche N dtb 1232-1236). Inoltre, gli scavi archeologici e i documenti letterari in nostro possesso hanno messo in luce nel vicino Oriente antico tutta una serie di manifestazioni profetiche che presentano delle affinità con il profetismo ebraico. Pur riconoscendo che i profeti biblici non derivano «la loro fisionomia e l’essenza del loro messaggio dall’una o dall’altra fase del nebiismo antico (corrente estaticointuitiva, culturalismo, divinazione magica, nomadismo sinaiti­ co...), ci pare però molto realistico non considerarli quasi delle meteore discese dal cielo, bensì come dei germogli sorti nel vasto campo della millenaria esperienza religiosa d’oriente, sublimati per un misterioso impulso a nuove dimensioni, a forme più eccel­ se di ispirazione» ( S a v o c a 26). In effetti, la Bibbia non ha il monopolio di questa attività religiosa, ma ne condivide la ricchezza con la maggior parte del­ le religioni, antiche e attuali. In generale, l’esperienza profetica è da collegarsi: - alla natura emotivo-razionale deWhomo religiosus: «chi ha percepito l’esistenza di un Essere trascendente, ha sentito la ne­ cessità di mettersi in contatto con lui e tenersi in ascolto dei suoi eventuali messaggi» (S a v o c a 15); - al senso molto vivo della precarietà dell ’esistenza del Medio Oriente antico: nell’universo che gli serve da quadro di riferi­ mento, quest’uomo si scontra con numerosi problemi insoluti e insolubili, con una serie di mali inevitabili e opprimenti, tanto da guardare al suo destino con una certa inquietudine. Il suo innato e spontaneo senso religioso lo porta alla ricerca, presso la divinità, di una risposta agli enigmi che lo turbano, una gua­ rigione dei mali che lo torturano. L ’uomo si avvicina agli dèi per questuare salute fisica e felicità. E si sforza di ottenere tutto ciò mettendo in atto dei mezzi di persuasione o d’influenza, la cui realtà ed efficienza dipendono dalle sue rappresentazioni sia psicologiche che teologiche. Tra tutti i mezzi ce n’è uno sparso e utilizzato ovunque: con­ siste nello scoprire ciò che Dio vuole dall 'uomo. Infatti, conosce16

re il disegno divino sulla storia e agire in piena conformità ad es­ so significa rendersi favorevole la divinità, è procedere nel senso stesso delle cose, è conciliarsi tutte le fonti del benessere e della felicità, è assicurarsi la vita, è realizzare la propria salvezza. * Per arrivare a conoscere la volontà divina, l’uomo antico di­ spone di specifiche tecniche divinatorie come gli oracoli divini e la magia, la oniromanzia e la necromanzia, tutte esperienze co­ nosciute anche dalla Bibbia (cf. Gn 44,5; Nm 22,23-35; 23,10; Gdc 4,4; ISam 28,3-19; 2Sam 5,24; Is 47,12-14; Os 4,12 e rela­ tive note in Bg, in P ie m m e o in T o b ; S ic r e 15-59). Tecniche particolari molto utilizzate in contesto ebraico sono: - la consultazione dei terafim: sono degli idoli domestici (Gn 31,19.34-35; ISam 18,13), probabilmente delle statuette, di di­ mensioni ridotte, alle quali si chiedevano dei responsi (Ez 21,26; Zc 10,2); - gli urim e i tummim: parole dal significato incerto, designano una pratica divinatoria variamene interpretata, ma che sembra riferirsi alle «21 lettere dell’alfabeto ebraico, che estratte a sor­ te dall'efod davano delle parole significative» ( N d t b 1235); - Yefod: per alcuni era un indumento sacerdotale che conteneva in una tasca gli oggetti sacri (come gli urim e i tummim) che servivano per interrogare il Signore e conoscere la sua volontà (cf. nota in Bg e Es 28,6-30); per altri, invece, si tratta del ve­ stito di una statua divina (non rappresentata) usato per la divi­ nazione: lo si porta e lo si tiene in mano (ISam 2,28; 14,3; 23,6), viene portato davanti a Davide che vuole «consultare J h w h » (ISam 23,9; 30,7). Viene condannato in Gdc 8,26-27 e Os 3,4. L ’utilizzo di queste tecniche, così pure l’interpretazione dei segni che fornivano, erano appannaggio di uno specialista, inca­ ricato di decifrare il disegno di Dio e di renderlo pubblico. Tale persona riceveva nomi diversi secondo le sfumature che ogni contesto aggiungeva alla funzione primaria di conoscere la vo­ lontà divina. Presso gli ebrei, spesso era il sacerdote, altre volte il profeta (cf. Ger 14,18). In Israele, vi fu una opposizione crescente a queste modalità di «cercare J h w h » : 17

Osea vede nzWefod e nei terafim una sorgente di corruzione di cui Israele deve sbarazzarsi (3,4); - Giosia, durante la sua riforma1, «fece scomparire (anche) i ne­ gromanti, gli indovini, i terafim, gli idoli e tutti gli obbrobri, che erano comparsi nella terra di Giuda e a Gerusalemme» (2Re 23,24); - il Deuteronomio rifiuta in blocco tutte queste tecniche, citando in modo particolare la necromanzia (18,9.12). Così, l’indovino diventa un ciarlatano (Dt 18,10-14) e il mo­ dello del profetismo menzognero che ha condotto il popolo alla rovina (Ger 27,9; Ez 13,9.23; 21,28.34; Zc 10,2). * Oltre a queste tecniche divinatorie, ci sono almeno due espe­ rienze profetiche importanti presenti nella cultura mediorientale antica: quella dei profeti mesopotamici e quella degli estatici sirio-fenici ( S ic r e 226-259). a) In Mesopotamia abbiamo: il barn o veggente: vive generalmente presso il tempio e fa par­ te dei suoi ministranti. Sua specialità è di annunciare l’avvenire penetrando nei segreti della divinità attraverso modalità varie fino a giungere alla illuminazione diretta del suo spirito grazie alla comunicazione del suo dio. AH’interao della Bibbia, è conservato il ricordo di uno di loro nei racconti di Balaam (N m 22-24; cf. note in B g ; N dtb 1039 s); - il muhìni o «estatico dotato di visione» ( S a v o c a 18): sembra essere un professionista dell’estasi che ha il compito di comu­ nicare i responsi della divinità. Particolarmente significativa la testimonianza giuntaci dal­ l’archivio del piccolo regno di Mari, archivio scoperto nel 1933 tra le rovine del palazzo reale, forse distrutto da Hammurabi nel 1750 a.C.: circa 20.000 tavolette risalenti al 1800-1770 a.C. e che trattano di questioni della vita ordinaria. Tra di esse, i 52 oracoli profetici riguardano se fare la guerra o no, il costruire la porta di una città o un tempio o una casa, ecc.2. 1Si veda G. C a p p e l l e t t o , o . c., pp. 287ss. 2 Si rimanda a ll’ opera di L. C a g n i , Le profezie di M ari, Paideia, Brescia 1995.

18

L ’oracolo è pronunciato in prima persona a nome della divi­ nità con lo stile del messaggero («Così dice il dio X - Il dio X mi manda per dirti»), la protezione divina («Non temere: io sono con te»), promesse e minacce. b) In Siria-Fenicia-Canaan abbiamo qualcosa di simile e in­ sieme diverso, grazie soprattutto all’introduzione della musica e strumenti affini (= battito di mani, grida, danze, mutilazioni...) come tecniche preparatorie e introduttive all’estasi e al responso divino. Alcuni testi biblici confermano la presenza di simili «pro­ feti convulsionari»: - ciclo di Elia, specie IRe 18,20-40: durante la sfida sul monte Carmelo, i profeti di Baal «gridarono a gran voce e si fecero incisioni, secondo il loro costume, con spade e lance, fino a ba­ gnarsi tutti di sangue. Passato il mezzogiorno, quelli ancora agirono da profeti» (vv. 28-29); - Is 28,7-8 \ si lamenta del comportamento di certi profeti che af­ fermano di trovare nel vino il cammino per l’estasi. * Nonostante le coincidenze strutturali e letterarie esistenti tra i veggenti e i messaggeri extrabiblici e i profeti israeliti, ci sono però delle differenze sostanziali, quali: - la fede in J h w h , Dio unico e personale, creatore del cosmo e Signore della storia; - l’esperienza dell’alleanza (variamente espressa) come base delle relazioni speciali tra il Signore e il suo popolo; - il continuo richiamo alla conversione al Signore come abbando­ no di ogni forma di idolatria, richiamo rivolto a tutto il popolo; - il testimoniare, da parte del profeta biblico, la veridicità e la fondatezza del messaggio trasmesso pagando un prezzo a volte molto alto, quello della propria vita. Concludendo, si può riconoscere «che la profezia in Israele, nelle sue remote origini dei secoli XI e X, presenta dei punti di contatto con quella presente a Mari e in Canaan; e appare persino probabile che è lì che dobbiamo individuare il punto di partenza. Tuttavia i profeti di Israele si allontanano più tardi da quel mon­ do»; e anche se è probabile che «si siano avvalsi di spunti letterari diffusi da altri paesi, questo non toglie originalità al loro messag­ 19

gio, né alla sua attuazione. In definitiva, il problema principale non è quello della relazione tra la profezia israelita e la profezia dell’Antico Oriente, ma quello della relazione tra i primi profeti biblici e i suoi continuatori [...]. Fondamentalmente credo che la differenza essenziale che distingue la profezia d’Israele sia il pas­ saggio da una profezia sollecitata dalla gente a un oracolo dato spontaneamente da Dio, una parola che abbraccia gli ambiti più diversi della vita» ( S ic r e 259).

2.

L ’ id e n t it à d e l p r o f e t a

I termini che i testi biblici adoperano per descrivere il feno­ meno della profezia sono vari e il loro significato non sempre ci è chiaro. Tuttavia, il loro uso in determinati contesti aiuta a com­ prendere in qualche misura la complessa identità del profeta e a precisarne la vocazione e la missione ( F a n u l i 337-350; S ic r e 60-94). II testo ebraico (= TM) adopera più termini: roeh = il veg­ gente (ISam 9,9, lCr 9,22; 26,28) e hozeh = il visionario (2Sam 24,11; 2Re 17,13; Am 7,12; Mie 3,5.7); Ish Elohim = uomo di Dio, usato specialmente nei cicli narrativi di Elia e di Eliseo (IRe 13,1; 20,28); Ish haruah = uomo dello spirito (Os 9,7), però solo dall’esilio il profeta è collegato con lo Spirito di J h w h (cf. Ez; Is 61,1; Gl 3). Ma il termine più adoperato (315 volte come sostantivo e 115 come verbo) è nabi = profeta, il cui significato esatto resta incer­ to. Generalmente lo si fa derivare da parole accadiche che signi­ ficano o «colui che è chiamato» (ipotesi più probabile) oppure «colui che annuncia/proclama» a nome di un altro. Nell’esperien­ za biblica nabi assorbe tutti i significati dei termini precedenti ed è utilizzato in contesti di profezia sia cananea (legata a Baal) che ebrea (legata a J h w h ). Designa poi tutti i profeti classici e anche i falsi profeti (cf. punto 6). La versione in greco dei LXX traduce questi termini general­ mente con la parola pro-fétes (profeta): composta dal verbo femi (dire/parlare) e dalla preposizione prò che può indicare sostitu­ zione (al posto di), luogo (davanti a) e tempo (prima che). Quali­ 20

fica così il profeta biblico sia come il «porta-parola» o «portavo­ ce» di Dio davanti a tutto il popolo, sia come colui che a nome di Dio parla pubblicamente di avvenimenti storici prima che avven­ gano. È in quest’ultimo senso che l’apocalittica intende l’attività profetica, seguita dal NT che a sua volta considera la profezia ve­ terotestamentaria quale rivelazione che annuncia e prepara la ve­ nuta di Gesù di Nazaret, il Cristo. Tenendo conto del possibile significato dei termini utilizzati per indicare l’attività profetica sia in ebraico che in greco e guar­ dando i testi attuali in cui è narrata l’esperienza concreta dei pro­ feti, si può delineare la loro identità concentrandola attorno alla realtà della vocazione (presente in nabi) e della missione (sottoli­ neata dal greco profétes).

La vocazione dei profeti: afferrati dalla Parola Il profeta è prima di tutto un chiamato, cioè una persona coin­ volta da J hw h in un incontro personale talmente profondo e signi­ ficativo da cambiargli radicalmente l’esistenza ( F a n u l i 351-364; S ic r e 95-136). La chiamata è vissuta come una iniziativa libera e gratuita di Dio, non provocata in alcun modo da preghiere o me­ riti particolari dell’uomo: è Dio che si manifesta, afferra, prende, seduce, e sempre in modo sorprendente e diverso da profeta a profeta (Am 3,3-8; 7,10-17; Is 6; Ger 1; Ez 2-3; Is 49,1-7; 61,1 ss; Giona). E non sono neppure richieste, nel chiamato, particolari doti o capacità: Isaia sembra un carattere forte e sicuro (6,8), mentre Geremia appare un timido (1,6); Giona è un caparbio (1,3: 4,2), mentre Osea è molto più duttile (c. 1). Né esistono classi o am­ bienti di provenienza specifica dei profeti: non si fa differenza di sesso dal momento che il testo biblico presenta anche delle profe­ tesse (Maria sorella di Mosè e Aronne; Debora; Culda), di età (Samuele e Geremia sono giovani, gli altri appaiono già adulti), di stato civile (Geremia è celibe, mentre Isaia, Osea ed Ezechiele sono senz’altro sposati), né di salute (Mosè è balbuziente, Eze­ chiele pare ammalato) o di classe sociale (Amos è un contadino, Isaia un nobile, Geremia ed Ezechiele provengono dalle file dei sacerdoti). 21

Tutta la missione dei profeti si basa sull’autenticità della loro «esperienza inaugurale» ( J . L . McKenzie): nessuno di loro si autocandida a essere tale, ma afferrati da Dio a un certo momento della loro vita si rendono disponibili a essere inviati ad annuncia­ re solo quello che Dio ha fatto sperimentare loro. Ne sono chiara indicazione le espressioni: «Come dice il Signore» (Am 1,3.6.9; ecc.); «Oracolo del Signore» (Os 2,15.18; ecc.); «Il Signore mi disse» (Os 1,6.9; ecc.); «Parole che il Signore rivolse a...» (30 volte in Ger e 50 in Ez); «Parola di J h w h » (presente 241 volte nell’AT, in ben 221 casi indica la parola profetica). Anche alcune immagini sono da comprendere in questa direzione: Dio che pone la sua parola sulle labbra del profeta (Is 6,6-7; Ger 1,9), il coman­ do di mangiare il rotolo della parola (Ez 3,1-3), il fatto di essere costituito o come «fortezza e muro di bronzo» (Ger 1,18; 12,20) o come sentinella che trasmette ciò che ascolta da Dio (Ez 3,16­ 21; 33,1-9; Is 21,6-11) o come «messaggero di bene che annun­ cia la salvezza» (Is 52,7-8) o come semplice «voce che grida» (Is 40,1-11) trasformano il profeta in «uomo della parola» (Ger 15,16; 18,18), in testimone che conserva quanto ha sperimentato e ne diventa «segno e presagio per Israele da parte del Signore degli eserciti, che abita in Gerusalemme» (Is 8,16-18). E quando, durante lo svolgimento della missione, qualcuno troverà degli ostacoli o vivrà dei momenti di crisi, sarà invitato da Dio a ricu­ perare il senso della prima chiamata (cf. Ger 1,4-19 e 15,10-21; F a n u l i 358-364).

La missione dei profeti: a servizio della Parola Non è altro che il prolungamento esterno dell’obbedienza a Dio maturata nell’esperienza vocazionale. L ’uomo afferrato da Dio diventa ora servo della parola ( N d t b 1100-1104): accetta di essere il suo portavoce, anche quando questo richiede rinunce (Geremia resta celibe, c. 16), scelte non in linea con un certo buon senso (Osea sposa una prostituta, cc. 1-3), la prospettiva di essere non ascoltati (Is 6) o scacciati (Am 7,10-17) o addirittura messi in prigione e condannati a morte (Ger 36-38). Il suo com­ pito è quello di permettere alla parola di Dio di risuonare nell’og­ gi con tutta la sua efficacia: la parola divina, infatti, non è un con­ 22

cetto astratto quanto un avvenimento storico, sperimentabile sia dal profeta che da chi lo ascolta. La sua efficacia nella storia vie­ ne presentata con immagini vive e percepibili: è un «ruggito» che rende desolata la terra (Am 1,2); è un «fuoco» che brucerà il po­ polo ribelle (Ger 5,14, 23,29) come brucia nell’intimo del profeta (Ger 20,7-9); è forte «come un martello che spacca la roccia» (Ger 23,29), qualcosa che «cade» pesantemente (Is 9,7-10,4); è «gioia e letizia del cuore» (Ger 15,16), «dolce come il miele» per chi ne fa esperienza profonda (Ez 3,3). La sua efficace azione si estende a tutta la storia: è «fischio» che convoca i popoli lonta­ ni contro Gerusalemme (Is 5,26; Ger 5,17-17; 6,22ss); «mano stesa» che giudica tutti i popoli (Am 1-2; Is 13-23; Ger 46-51; Ez 25-32); «pioggia e neve» che feconda di salvezza tutta la terra (Is 55, 10-11).

Uomo di relazione Servitore della parola di Dio, il profeta è uomo di relazione, in quanto deve essere fedele sia a Colui che è all’origine della pa­ rola che riceve come al destinatario al quale la deve comunicare. Fedele a Dio e solidale con i suoi contemporanei, il profeta vive la tensione che spesso si instaura tra questi due poli. Poiché, infat­ ti, il termine ebraico dabar può indicare sia «parola» che «azio­ ne», in quanto servo della parola di Dio il profeta ha il compito di fare in modo che profezia e storia siano sempre in relazione tra loro, che Dio (mandante) e popolo (destinatario) possano en­ trare in dialogo, anche scontrandosi. Pertanto la «parola» che il Signore affida a chi chiama va’ pronunciata (prima che scritta) perché diventi «azione», vale a dire impegno concreto nella vita del chiamato e in quella del popolo. E d’altra parte, la «storia» è il luogo in cui il profeta - alla luce della sua esperienza vocazionale - riesce a «leggere» la presenza di una parola del suo Signore. Non è un visionario come sarà l’apocalittico al quale vengono ri­ velati i misteri non conosciuti ai più (cf. più avanti, c. 5), ma un contemplativo che sa cogliere nei fatti della vita quotidiana (cf. Ger 1,11-19) e negli avvenimenti della storia (cf. Is 7,1-17) uno spessore più profondo, una «presenza» che - conformemente al caso - diventa appello alla conversione (cf. Osea e Geremia), mi­ 23

naccia di castigo (cf. Amos e Sofonia), consolazione nella desola­ zione (cf. Is 40-55 e Ger 30-33), esortazione e intercessione nella necessità (cf. Ger 14,7-9; anche Gn 18,23-32 e Nm 14,13-19).

Servitore fedele fino al martirio Non potendo annullare né la fedeltà a Dio né la partecipazio­ ne al destino del popolo al quale appartiene, il profeta vive il dramma del rifiuto della parola del Signore e quello della vita mi­ nacciata del suo popolo. Infatti, come la parola profetica viene di­ sprezzata perché non presa seriamente (cf. Ez 33,30-33), o derisa perché ritarda a compiersi (cf. Ger 17,15; 19), o sostituita con la ricerca di parole più «piacevoli e allettanti» (cf. Is 30,10), così è del suo «messaggero», il profeta. Può essere disprezzato e rifiuta­ to (cf. Am 7,10-17; Ger 18,18-23), deriso e preso in giro (cf. Ger 20,10), sostituito con altri profeti (cf. Ger 19). E, come il suo po­ polo, anche il servo della parola di Dio soffre nel vedere la pro­ pria e altrui esistenza minacciata da pestilenze o flagelli naturali (cf. Ger 14,17-22), ingiustizie sociali e politiche (cf. Ger 12,7­ 13), guerre e devastazioni (cf. Ger 10,17-25; 13,15-17). Personaggio pubblico e segno di contraddizione, il profeta in quanto servo della parola di Dio sperimenta la verità di quanto affermerà più tardi Gesù di Nazaret: «nessun profeta è bene ac­ cetto nella sua patria» (Le 4,24). Così Amos viene espulso dal re­ gno del Nord (Am 7,12-13), Osea è accusato di vaneggiamento (Os 9,7), Isaia è costretto al silenzio (Is 8,16-20), Geremia è pri­ ma frustato e imprigionato (Ger 20,2) e poi condannato a morire in una cisterna (Ger 38,1-13), Uria viene ucciso di spada (Ger 26,20-24) e Zaccaria lapidato nell’atrio del tempio (2Cr 24,17­ 22). La tradizione biblica prima e quella giudaica dopo sottoli­ neeranno ancor di più il legame tra profezia e martirio : Geremia parla di profeti uccisi di spada (Ger 2,30) e Neemia di profeti eli­ minati perché richiamavano alla conversione (Ne 9,26). Di Isaia viene poi affermato che è stato segato (Ascensione di Isaia 5,1­ 16; Eb 11,36 e nota in Bg) e di Geremia che sia stato lapidato o bruciato vivo in Egitto. Tutto questo si riflette nella «parabola dei vignaioli omicidi» (cf. Mt 21,33-44), nel rimprovero di Gesù agli scribi e ai farisei che innalzano bei sepolcri ai profeti uccisi dai 24

padri (Mt 23,29-32; cf. At 7,52), e nella morte di Giovanni il Bat­ tista (Mt 14,1-12), definito da Gesù «più che un profeta» (Le 7,26), e dello stesso Nazareno, «il santo di Dio» (Me 1,24). E quanto può succedere anche oggi a ogni servitore della parola: può essere accolto «come profeta» (Mt 10,40) o perseguitato «come i profeti» (Mt 5,12). All'interno del servizio alla Parola vissuto come fedeltà al Si­ gnore che chiama e invia e come solidarietà con il popolo a cui appartiene, il profeta è colui che - pur a prezzo della propria vita - sa essere di volta in volta coscienza critica del presente per ac­ crescere la responsabilità di fronte al bene da fare e al male da evitare, uomo che radica l’esistenza del popolo alle solide radici del suo passato, persona aperta al futuro che Dio sta attuando in modo discreto e che sembra nascosto nei sotterranei della storia.

Coscienza critica del presente In ogni situazione, al profeta è richiesta la fedeltà alla missio­ ne affidata: far risuonare nell’oggi della storia a lui contempora­ nea quella parola di Dio che da una parte smaschera i rifiuti con­ tinui della sua presenza salvifica (oracoli di accusa e/o denuncia, di forte richiamo alla conversione) e dall’altra aiuta a leggerne l’efficacia in momenti storici contraddittori (oracolo e/o annun­ cio di salvezza). Così, il profeta è la coscienza critica del presen­ te a nome di Dio; non è al di fuori della storia a lui contempora­ nea, ma vi partecipa a tutti gli effetti leggendola con coraggio e con simpatia a partire dal progetto salvifico di Dio. Infatti, tutto preso dal pathos divino, cioè dall’attenzione viva e dall’interesse appassionato che il Signore ha per il mondo fino a entrare in «simpatia con Dio» (A. Neher), il profeta diventa nell’oggi segno concreto del desiderio di J h w h di continuare la sua opera di sal­ vezza richiamando il popolo eletto alle sue responsabilità stori­ che concrete. Poiché, però, l’esistenza presenta volti sempre di­ versi, anche il contenuto della predicazione profetica si adatterà alla realtà del popolo ebraico senza sminuire l’efficacia della pa­ rola di Dio. Inoltre, di un medesimo periodo storico un profeta può sottolineare ora uno ora l’altro aspetto del vissuto del popolo (cf. sotto, Sviluppo storico della profezia). 25

Uomo della memoria storica Inviato a richiamare il popolo alla serietà e radicalità nel rap­ porto con Dio, il profeta si fa autentico uomo della memoria perché ha il coraggio di indicare qual è la via per un autentico rin­ novamento: ritornare costantemente alle origini della propria fe­ de, ricuperandone le radici e le ragioni in quegli eventi fondanti che hanno caratterizzato la storia dei padri. E questo non per far opera di dietrologia, quando piuttosto per smascherare tutte le attualizzazioni deformanti che della fede si fanno nell’oggi e to­ gliere le incrostazioni che ne diminuiscono la genuinità. Così il profeta è anche l’uomo del passato, di un passato rivisitato per­ ché possa essere stimolo autentico all’impegno di oggi. In parti­ colare, egli invita a fare memoria attualizzante dei fondamenti della fede: la centralità di J hw h il Liberatore rispetto alle forme di idolatria cananea, l’impegno a costruire una fraternità autenti­ ca basata sul diritto e sulla giustizia derivanti dall’essere famiglia di Dio, la connessione tra celebrazioni cultuali e vita concreta. In questi richiami, la relazione jHWH-popolo ebraico - presentata in altri testi e da altre scuole di riflessione con il termine berit (= al­ leanza) - è resa dai profeti in espressioni talmente nuove da ini­ ziare una tradizione che sarà ripresa successivamente: alcuni uti­ lizzano la simbologia matrimoniale (Os 1-3; Ger 2,1-7; 3,11-12; 16; Ez 16, 23; Is 50,1; 54,5; 62,4-5; N d t b 921-922), altri il rap­ porto genitori-figlio (Os 11; Is 1,2; 49,14-15) o vignaiolo-vigna (Is 5; 27; N d t b 764) oppure pastore-gregge (Is 40,11) o vasaioargilla (Ger 18). Ancora, delle antiche esperienze religiose ritenu­ te ormai sacre tradizioni, alcuni profeti richiamano alla memoria quella dell’esodo (Am 2,9-12; 3,1-2; Os 2; Ger 2,1-7; Is 40-55), mentre altri si rifanno a quelle legate a Davide e a Sion/Gerusa­ lemme (Am 9; Is 2,1-5; 7,1-17; 9,1-6; 11,1-9; Mie 5; Ger 23, 1-8; Ez 17; 34; 37; Is 60; 62; 66) o all’esperienza di Abramo (Is 41,8­ 9; 51,2; Ez 33,24).

Persona aperta al futuro di Dio Ancorato al passato per poter vivere l’oggi, il profeta è anche l’uomo della speranza: con lo sguardo aperto sul futuro, riesce non semplicemente a pre-vederlo quanto piuttosto a prolungare in 26

avanti il senso del progetto di Dio compreso oggi e garantito dalla sua realizzazione nel passato. In altre parole, il profeta biblico: - è persona aperta, che crede al cammino della storia e alla sua possibile conversione verso il progetto di Dio; - sa individuare gli orizzonti verso cui Dio sta facendo avanzare la storia presente e le speranze che in esso sono racchiuse; - non si accontenta delle piccole salvezze del quotidiano né si smarrisce di fronte ai fallimenti che, nell’immediato, sembrano smentire le promesse di Dio, ma è l’uomo che rilancia sempre oltre la parola salvifica. Tale prolungamento in avanti fino a un punto x del tempo vie­ ne generalmente denominato escatologia profetica: è « “escatolo­ gica” una profezia che concerne il giudizio finale di Dio nella storia o al di fuori di essa e che mira a portare la salvezza alla sua predeterminata pienezza. Il giudizio di Dio presenta due aspetti: la punizione e la reintegrazione. Tale giudizio può avve­ nire nella storia ed esser legato a una particolare situazione, e si ha un’escatologia intrastorica; questo può avere origine da una precisa situazione storica, ma può diventare una speranza a livel­ lo universale diventando così escatologia ultrastorica; ovvero può essere dissociato da ogni altra situazione contingente ed es­ sere applicato a qualsiasi situazione: si tratta di una escatologia detta “ di modello”». Dal punto di vista letterario, la speranza escatologica è gene­ ralmente indicata con espressioni del tipo «Avverrà in quel gior­ no» (Is 7,18ss; Os 2,18-25), «In quel giorno» (Am 9,11; Is 4,2; 12,1; Mie 4,6), «Ci sarà un giorno del Signore» (Is 2,12), «Allo­ ra»; o il verbo al futuro (Am 5,18-29; Sof 3,9; Is 65); «Verranno giorni» (Am 4,2; 8,11 ), «Alla fine dei giorni» (Is 1,2; Mie 4,1 ). In linea di massima, nei profeti preesilici esse indicano un’escatolo­ gia intrastorica che predice la fine di quella situazione storica specifica (Am 8,7ss; Os 9-10; Is 2,11-22; 34 e Sof); in quelli im­ mediatamente prima dell’esilio, durante questo e dopo, prospetta­ no un’escatologia ultrastorica, che prevede una certa idealizza­ zione della restaurazione proiettata a livello universale. Poiché «la parola di Dio resterà per sempre» (Is 40,8), «la parola profeti­ ca non muore mai, ma si rivolge a ogni generazione successiva nelle circostanze storiche che essa vive, e ogni generazione co­ 27

glie il messaggio che le è rivolto». Svincolata «da una ben defini­ ta situazione storica» e inserita specialmente nella pratica liturgi­ ca della comunità credente, l’escatologia profetica diventa esca­ tologia di modello. «Essa è più una filosofia della storia che può essere riapplicata a ogni situazione contingente simile a quella da cui prese origine; il suo Sitz im Leben è il culto nel tempo, spe­ cialmente nei periodi di tribolazione; ogni generazione sperimen­ ta una parziale realizzazione di questo tipo di profezie, ma anche questo non esaurisce l’ampiezza e la portata del modello che flui­ sce nella coscienza del popolo di Israele esortandolo ad avere sempre fiducia in J h w h , il Dio del futuro». Così, è facile che una profezia escatologica intrastorica venga interpretata in senso ul­ trastorico e poi trasformata in profezia «di modello»: il NT la ap­ plicherà - pur con modalità diverse ( N dtb 465-466) - a Gesù di Nazaret, scorgendone in lui la realizzazione piena3.

3.

S v il u p p o s t o r ic o d e l l a p r o f e z ia b ib l ic a

I profeti dell’AT, pur essendo - nelle bibbie cattoliche - sud­ divisi in «maggiori» (Is, Ger, Ez, Dn) e «minori» (Os, Gl, Am, Abd, Gio, Mie, Na, Ab, Sof, Ag, Zc, MI), vengono oggi presen­ tati dagli studiosi prevalentemente seguendo un criterio storico­ letterario e suddivisi in profeti preclassici (o «profezia orale») e profeti classici (o «profezia scritta»). Facciamo nostro tale sugge­ rimento, pur sapendo che si tratta di una suddivisione di tipo fun­ zionale, che non vuole, cioè, contrapporre i due momenti, essen­ doci continuità nel movimento profetico in quanto a stile di vita delle persone coinvolte, a modi espressivi con cui annunciano la parola di Dio e al contenuto del loro messaggio. Esiste, però, di­ versità nel loro collocarsi dal punto di vista politico e sociale. I profeti non scrittori hanno più a che fare con l’istituzione della monarchia e appaiono, pertanto, come intermediari tra Dio-Re e l’attuale regnante in Giuda o in Israele soprattutto in momenti in cui si fa forte la minaccia di qualche guerra con popoli confinanti 3

Per queste puntualizzazioni ci si è rifatti a P. Grech, Ermeneutica e teologia

biblica, Boria, Roma 1986, pp. 5-39.

28

(cf. Natan e specialmente Elia ed Eliseo; B le n k in so p p 62-81). I profeti scrittori sono, invece, più legati al popolo, minacciato da guerre e deportazioni soprattutto a opera dell’impero assiro (se­ colo V ili a.C.: cf. Amos e Osea, Isaia, Michea e Sofonia) e di quello babilonese (secolo VII e VI a.C.: cf. Geremia, Ezechiele, Deuteroisaia). Essi prendono posizione di fronte al pericolo per scongiurarlo o almeno ritardarlo mediante un forte richiamo alla conversione a Dio, richiesta a tutti e non solo al re. Pur giocando «un ruolo destabilizzante più che convalidante nella vita religiosa dei loro contemporanei» ( B len k in so pp 9), questi profeti sono in­ dubbiamente vicini alla gente comune che, anche se con il senno di poi maturato di fronte alla catastrofe dell’esilio, farà di tutto per riabilitarli, per averli cari come i precedenti (specie Elia) e per conservarne le parole e attualizzarle in nuovi contesti storici, soprattutto nel post-esilio quando i libri che portano il loro nome saranno redatti definitivamente. Diverso è anche il modo con cui le parole profetiche sono giunte a noi. Dei profeti preclassici, infatti si parla da parte di altri autori (o «profeti») specialmente nel libri denominati dalla tradi­ zione ebraica «profeti anteriori»4, mentre quelli classici costitui­ scono il gruppo di libri denominato «profeti posteriori». Ci soffer­ meremo in modo particolare su questi ultimi, per accennare poi alle riletture in senso profetico di alcune personalità fondanti la storia del popolo ebraico (o «profezia retrospettiva») e terminare con la presentazione dell’apocalittica (o «profezia impazzita»).

Profeti preclassici Sono cosi denominati quei profeti che svolgono la loro mis­ sione o prima dell’istituzione della monarchia o durante le prime fasi dell’esperienza monarchica (secoli XI-IX a.C.), ma che non hanno lasciato testi scritti (da qui l’espressione «profezia orale») e sui quali si riferisce nei libri di l-2Sam e l-2Re (cf. B l e n k in ­ sopp

53-81).

4 C f. G. C a p p e l l e t t o , o .c., pp. 311-365. Anche G. T o lo n i, Alle origini della profezia d ’Israele. Iprofeti non scrittori, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI)

1999.

29

Agli inizi del movimento profetico ebraico troviamo delle esperienze singolari, in parte simili ad altre presenti in tutto il Medio Oriente antico e in parte differenti ( N d t b 1232-1236): si pensi al fenomeno dei veggenti dai quali ci si reca per conoscere la volontà di J hw h sui casi della vita (dalla profetessa Debora in Gdc 4,4ss, o da altri veggenti/profeti m ISam 9,6-11; IRe 22,6; 2Re 4,22-25; 22,1 lss), o a quelle delle forme estatiche praticato dai «figli dei profeti» (ISam 10; 19,18-24; IRe 22,10-12; 2Re 4,1; cf. B g nota a ISam 14,41) o di maghi e indovini (proibite in Lv 19,31; Dt 18,9-14). Da segnalare ancora la presenza di forme di contestazione profetica come i recabiti che rifiutano la vita ur­ bana per riproporre l’ideale del deserto (2Re 10,15-24; Ger 35,1­ 11) e i nazirei che con le loro scelte richiamano alla fedeltà a J hw h (cf. nota a Nm 6,1-21 in B g ). La vera profezia inizia con Samuele: vissuto in un momento cruciale della storia ebraica ( B o c k 61-68; M e t z g e r 99-102), svolge la triplice funzione di giudice (ISam 7,6), sacerdote (ISam 7,10; 13) e profeta (ISam 3,19-21) opponendosi in qual­ che misura all’introduzione della figura del re (ISam 8-12). E sintomatico che la profezia (= carisma) nasca con la monarchia (= istituzione) e si attenui con la scomparsa di essa. Durante la prima fase dell’esperienza monarchica si incontra­ no i cosiddetti profeti di corte: «Gad profeta di Davide (ISam 22,5; 2Sam 24,11), Natan presso lo stesso re (2Sam 7,2s; 12,ls; IRe 1,1 ls), Achia sotto Geroboamo (IRe 1l,29s; 14.,2s), leu fi­ glio di Anani sotto Baasà (1 Re 16,7), Elia ed Eliseo sotto Acab e i suoi successori (IRe 17-2Re 13 passim), Giona sotto Geroboamo II (2Re 14,25), la profetessa Culda sotto Giosia (2Re 22,14s), Uria sotto Ioiakìm (Ger 26,20). A questa lista, i libri delle Crona­ che aggiungono Semaia sotto Roboamo (2Cr 12,15; 13,22), Iddo sotto Roboamo e sotto Abia (2Cr 12,15; 13,22), Azaria sotto Asa (2Cr 15,1 s), Oded sotto Acaz (2Cr 28,9s) e alcuni anonimi» ( B g 1669). Spesso appaiono come consiglieri del re negli affari poli­ tici e religiosi, ma più spesso ne criticano le scelte politiche per le conseguenze in campo religioso (come Natan in 2Sam 7; N d t b 369-370). Altre volte manifestano la loro libertà denunciando i peccati dei re a livello umano (ISam 11-12), sociale (IRe 21) e religioso (IRe 18). Di essi, particolare interesse suscitano le azio30

ni di Elia, il «profeta simile al fuoco, la cui parola bruciava come fiaccola» (Sir 48,1): conduce una vita ascetica molto dura (IRe 17,2-6; 2Re 1,8); è difensore accanito della fede in Jhw h contro le divinità cananee (IRe 18), conosce momenti di smarrimento personale, ma anche di intima esperienza di Dio (IRe 19); prende con passione le difese dei poveri (IRe 17; 21). Ampiamente ri­ cordato anche nel NT in varie forme (o in rapporto con Giovanni il Battista come in Mt 11,14 e Le 1,17, o con Gesù di Nazaret co­ me in Le 4,25-26), è significativo che appaia al momento della trasfigurazione come rappresentante della profezia (Mt 17,3 e par.; N d tb 458-462). A lui si rifarà - in epoca cristiana - tutta la tradizione monastica.

Profeti classici Dall’VII al III secolo a.C., si constata nella storia del popolo ebraico la presenza di personaggi singoli chiamati profeti che non solo parlano a nome di Dio ma mettono anche per iscritto la loro parola (per questo vengono anche denominati «profeti scrittori»). Svolgono la loro missione in situazioni storiche ben precise e a volte molto diverse tra loro: è chiaro che, essendo il profeta l’uo­ mo del presente, il contenuto del suo messaggio e la sua inciden­ za nella storia concreta varierà a seconda delle circostanze stori­ che, pur restando ferme alcune costanti di fondo (cf. B lenkinsopp 82-294). Seguendo il criterio cronologico, si possono suddividere in pre-esilici (dal 760 circa al 587), esilici (dalla prima deportazione del 597 al 538) e post-esilici (dal 538 al III secolo a.C.). Vediamo brevemente chi sono e come si configura globalmente l’epoca in cui svolgono la loro attività, lasciando all’esegesi l’approfondi­ mento specifico di alcune parti del loro messaggio ( B g 1676­ 1700; N dtb alle voci dedicate ai singoli profeti). — Pr of et i pre-esi l i ci (760-587 a . C . ) Li troviamo presenti sia nel regno di Israele che in quello di Giuda5. Durante questo periodo prendono sempre più consisten­ 5Per la parte storica, si rimanda a G.

C a p p e l l e t t o , o .c .,

pp.

3

18 - 3 2 0 .

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za in entrambi i regni alcuni cambiamenti già iniziati almeno dal­ l’instaurazione della monarchia. * In ambito sociale: si passa un po’ alla volta da una vita semi­ nomade legata all’esperienza pastorale a una più sedentarizzata legata allo sviluppo dell'agricoltura e del commercio; nasce il latifondismo e si sperimenta un certo benessere, ma cresce anche la divisione tra ricchi e poveri, favorita a volte da un certo malgo­ verno. * In ambito politico : si assiste al passaggio da una struttura che favoriva le autonomie locali delle tribù e dei clan (periodo dei giudici) a una che prevede la centralizzazione del potere decisio­ nale attorno alla figura del re e/o alla corte; inoltre, i due regni ebraici si trovano coinvolti in giochi di politica intemazionale che li portano certe volte a dipendere o dagli imperi mesopotamici (Assiria prima e Babilonia poi) o dall’Egitto e altre volte a ten­ tare la via dell’indipendenza.

In ambito religioso : la prima grande trappola per la fede in J hwh il Liberatore è costituita dal baalismo cananeo che si impo­ ne per il suo legame con la fertilità della terra e del bestiame6ed è favorito in molti casi dalle scelte dei re che devono mantenere la pace tra cananei ed ebrei. Idolatria però è anche tutto ciò che vie­ ne posto in contrapposizione a J hwh (le grandi potenze, il potere militare, la ricchezza) e tutte le modalità con cui si manipola il vero Dio distorcendone il volto emerso dagli eventi fondanti (esodo, alleanza). In secondo luogo, la lontananza storica dall’esperienza eso­ dale non sempre viene colmata da feste e celebrazioni che ne fac­ ciano un’autentica memoria attualizzante che impegni nell’oggi: il culto rischia di diventare un insieme di riti che non incidono nella realtà della vita, specialmente a livello sociale; diventano un semplice tranquillante per la coscienza e una giustificazione del proprio disimpegno. *

In terzo luogo, il concentrare la presenza di J hwh in un luogo sacro (tempio) come facevano i cananei e gli altri popoli, rischia 6Ivi, pp. 29-35

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di far dimenticare che egli si rivela e agisce nella storia concreta degli uomini e in esso richiede una risposta coerente: è nella sto­ ria che risuona la parola di Dio, è nella storia concreta che la si accoglie con fede. Infine, è da tener presente che il re (quello di discendenza da­ vidica che siede in Gerusalemme) è considerato come mashiah = unto/consacrato da J hwh , suo figlio adottivo (2Sam 7; Sai 2) e quindi suo rappresentante in mezzo al popolo. Deve essere il vero pastore che custodisce e protegge il popolo, in particolare deve assicurare il diritto (mispat) e la giustizia (zedaqah) specialmente nei confronti dei poveri (Sai 72). Ma per realizzare il progetto di J hwh - sintetizzabile nel termine shalom = pienezza di vita - de­ ve imparare a vivere secondo il cuore stesso di Dio. È ai problemi suscitati da queste novità che i profeti pongono attenzione, pur con accentuazioni diverse e con sottolineature specifiche. * Cosi, nel regno del Nord, Amos (760-750 a.C.) accusa Israele di violenze e ingiustizie (cc. 3-4; 6-9) e ricorda che il vero culto consiste nel «cercare il Signore» nell’umiltà e nella giustizia (c. 5). Subito dopo (750-725), Osea - riflettendo sulla sua esperien­ za matrimoniale - proclama la misericordia di Dio (cc. 2; 11 ; 14) nel tentativo di far ritornare a J hwh il popolo che si è prostituito ai Baalim (cc. 1-3), al benessere economico e alle potenze straniere (cc. 4ss). * Nel regno del Sud, Isaia (740-701 circa) denuncia sia gli abu­ si nel sociale (cc. 1-5) come la poca fede del discendente di David (cc. 7-8) e invita a sperare in un re fedele (cc. 9; 11), dato che J hwh è il Signore della storia (c. 10). Il suo contemporaneo M i­ chea (730-680 circa) annuncia si un severo giudizio e un castigo contro tutti coloro che calpestano la giustizia sociale e praticano l’idolatria (cc. 1-3; 6-7), ma promette anche per il futuro una con­ solante certezza legata alla figura di un re scelto da Dio (cc. 4-5). Più tardi, Sofonia (660-630), Naum (630-612) e Abacuc (612-598) intervengono in un momento di profonda crisi religio­ sa (cf. Ab 1-2), politica (cf. Na 1-2) e sociale (cf. Sof 1) nonostan­ te la concomitante riforma di Giosia. Essi proclamano che J hwh , Signore del mondo, sta per intervenire con tutta la sua ira (il dies 33

ime di Sof 1,14-18) per distruggere sia le potenze straniere come l’Assiria (Na 2-3; Sof 1-2) sia lo stesso regno di Giuda (Sof 1). Nonostante questo, manifesterà anche la sua bontà e pazienza nei confronti di tutti coloro che si rifugiano in lui (Na 1; Sof 3), specialmente i piccoli, gli umili (Sof 2,3; 3,12) e il giusto che «vivrà per la sua fede» (Ab 2,4). Infine, Geremia (627-585 a.C.) svolge la sua missione nel momento più difficile della storia del regno di Giuda con l’inca­ rico di far comprendere ai contemporanei il senso di quanto sta­ vano vivendo. Fedele alla missione ricevuta (c. 1) nonostante dif­ ficoltà interiori (cc. 11; 15; 17; 18; 20) ed esterne (cc. 36-45), ri­ chiama alla conversione a J hw h (cc. 2-24) e annuncia una trasformazione interiore dell’uomo (cc. 30-34). Come Amos (cc. 1-2) e Isaia (cc. 13-23), anche il profeta di Anatot (cc. 46-51) condanna le nazioni che circondano il popolo ebraico, colpevoli di violenze e ingiustizie, proclamando così J hwh «Signore» della storia. — Pr of et i e s i l i c i (587-538 a . C . ) La gran parte della popolazione del regno di Giuda - special­ mente i suo capi e le personalità più influenti - è stata deportata a Babilonia in due tempi: nel 597 e nel 587 (B ock 99-111; M etz­ ger 153-167). In esilio gli ebrei sembrano destinati alla morte ci­ vile e religiosa, con la scomparsa di tutte le sicurezze precedenti: sono in terra straniera = impura, il re davidico è in prigione, la città santa e il tempio - dimora Dio - sono stati distrutti, J hwh sembra incapace di difendere il suo popolo e comunque appare perdente di fronte al dio dei vincitori. La crisi di fede è profonda e sembra senza sbocco. Un po’ alla volta, però, diventa un vero trampolino di lancio per la formazio­ ne di una nuova coscienza religiosa e di un nuovo orientamento di vita. A ciò contribuiscono da una parte la scuola deuterono­ mistica e la tradizione sacerdotale7 e dall’altra la presenza dei profeti.

1 Ivi, pp. 320-321.

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* Così Ezechiele, se in un primo momento (593-587) giustifica l’esilio come castigo meritato per i peccati commessi - specie l’i­ dolatria (cc. 8-11; 14-16; 20-23) -, dopo l’arrivo della seconda ondata di deportati proclama (586-571 circa) un messaggio di speranza legato alla presenza di J hwh tra gli esiliati (cc. 1-3; 10­ 11) e al suo impegno di rinnovare il loro cuore (cc. 34; 36-37). Per questo descrive anche come saranno il nuovo popolo e il nuo­ vo tempio (cc. 40-48). * Poco dopo (555-539), il profeta anonimo denominato Deuteroisaia (Is 40-55) concretizzerà le speranze di Ezechiele, dei sa­ cerdoti e della tradizione deuteronomistica annunciando l’immi­ nente liberazione grazie alla presenza del persiano Ciro, strumen­ to fedele di J hw h (cc. 42; 45). Dio appare così come il creatore e il liberatore (c. 43) capace di realizzare un «nuovo esodo» più stupendo di quello dell’Egitto (cc. 49; 52). Questo è il messaggio di consolazione che il profeta è invitato a proclamare (c. 40) e di cui sono garanzia la parola di Dio (c. 55) e la presenza di un suo servo, fedele fino alla morte (cc. 42; 49; 50; 53). * A portare, invece, un barlume di speranza a coloro che sono rimasti a Gerusalemme a piangere sulle rovine della città ci pensa l’anonimo autore del libro delle Lamentazioni: quanto è capitato è opera del giudizio di condanna espresso da Dio per i peccati del suo popolo infedele (cc. 1-2; 4); eppure esiste ancora una ragione di speranza (c. 3) legata alla possibilità che egli perdoni le colpe commesse (c. 5). — Prof et i post-esi lici (dal 538 al I I I secolo a. C. ) * La ricostruzione da parte degli esiliati ritornati in patria al tempo della dominazione persiana (B ock 112-120; M etzger 170-180) ha trovato delle difficoltà: contrasti con i residenti e con i samaritani (Esd 4; Ne 2-4; 6); mescolanza con altri gruppi etnici (Esd 9-10); difficoltà nella ripresa del culto al tempio (Esd 3; 5-6); il rinascere di problemi sociali (Ne 5) e di forme di idola­ tria (Is 57; 65). Ma il tempo del post-esilio è caratterizzato per una sempre più crescente importanza della Torah proclamata come «legge del Dio del cielo» (Esd 7,11-26), per la centralità del ruolo dei 35

sacerdoti e degli scribi (gli esperti nell’interpretazione della Torah), per la pratica del culto al tempio di Gerusalemme. La co­ munità si dà una struttura di tipo teocratico tutta centrata attorno al tempio e al culto, all’osservanza della legge e allo zelo per la purità della razza (Esd 7; Ne 8-10). Nasce ufficialmente il giudai­ smo ( N d t b 681-707)8. Durante questo periodo, la predicazione profetica cala di tono e sottolinea principalmente due aspetti: - l’importanza del tempio come criterio di unità della comunità attorno alla dimora del suo Dio e del culto che in esso viene svolto come espressione del servizio autentico: è la cosiddetta profezia del tempio presente in Aggeo, Zaccaria e Malachia; - l’attesa della venuta definitiva del Signore nel suo giorno (il «giorno di J h w h » ) , quando egli stabilirà il suo regno di giusti­ zia e di pace per i buoni, i pii e i giusti e giudicherà con severità gli empi e i peccatori: è la profezia escatologica, preludio del­ l’apocalittica. Così, Aggeo (520-519) invita con appelli accorati a ricostrui­ re il tempio (c. 1) per poter godere della benedizione di Dio il cui arrivo è imminente (c. 2). E Zaccaria (520-518; cc. 1-8), attra­ verso otto visioni, rinnova l’invito di Aggeo e annuncia l’inter­ vento salvifico di Dio (c. 8), attuato anche mediante la presenza del sommo sacerdote Giosuè e del davidico Zorobabele (cc. 3; 4; 6). Da parte sua, Abdia (510 circa) applicando la legge del taglio­ ne prevede il castigo di Edom (w. 1-15) e il giudizio delle nazio­ ni nel giorno in cui J h w h instaurerà il suo regno (vv. 16-21). In questo, è seguito da Gioele (V-III secolo): il «giorno di J h w h » è preceduto da catastrofi terribili (cavallette, siccità, incendi) che dovrebbero indurre al pentimento e ad affidarsi al Signore. Egli, infatti, perdonerà e darà pace al suo popolo pentito inviando su tutti il suo spirito (cc. 1-3), ma castigherà i suoi nemici (c. 4). An­ che Malachia (tra il 520 e il 400) annuncia il giudizio di Dio con­ tro ogni forma di idolatria, di falsità nel culto e di infedeltà alla legge (cc. 1-2), invitando il popolo a prepararsi per l’incontro con il Signore che si farà precedere dal suo messaggero (c. 3). 8 Ivi, pp. 375 -409 .

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Solo la profezia del cosiddetto Tritoisaia (Is 56-66; 538-510 circa) si sofferma sui problemi sociali (c. 58) e suH’idolatria (cc. 57; 65). Cerca anche di infondere coraggio ai rimpatriati, delusi perché le promesse di Dio non si erano attuate (cc. 63-64), an­ nunciando una salvezza ancora più meravigliosa (cc. 60-62; 6 5 ­ 66) a cui parteciperanno anche gli stranieri (c. 56). Attenzione a parte merita il libretto didattico di Giona (V-IV secolo). Con tono ironico vuol senz’altro contestare la pretesa della comunità ebraica di avere Dio e la sua salvezza tutta per sé, contro gli altri popoli rappresentati - nel racconto - dagli abi­ tanti di Ninive. Nazionalismo e integrismo religioso non dovreb­ bero trovare spazio nella comunità credente in J hwh , Dio di tutti gli uomini. Ma soprattutto sembra voler sottolineare la libertà di Dio di fronte alla stessa parola che ha affidato al profeta, il pro­ getto cioè di distruggere i niniviti se non si convertono. Dio con la scelta di rispondere con la misericordia al pentimento sincero e alla preghiera accorata dei pagani, nemici per antonomasia di Israele come erano gli Assiri, smentisce la stessa parola affidata al profeta, mandandolo in crisi! L ’ironia sta nel fatto che mentre i nemici comprendono la portata di tale gesto, il profeta no! Così tra la parola profetica di condanna e la sua realizzazione (attesa dal profeta!) si interpone la libera scelta di Dio di offrire salvezza (invocata dai peccatori di Ninive!). Viene in tal modo aperta la strada a un nuovo modo di intendere l’ufficio profetico, fondato «sulla profonda e semplice convinzione che alla fine la volontà di Dio è quella di salvare. Questa nuova forma, che potrebbe essere chiamata profezia apostolica, ha implicazioni che non abbiamo ancora elaborato o forse neanche pienamente afferrato» (B lenkjnsopp 294).

* Nel periodo ellenistico ( B o c h 120-124; M et zger 181 -206) la comunità giudaica si chiuderà ancor più in se stessa, tutta preoc­ cupata di difendersi dalla nuova mentalità penetrata in Medio Oriente con Alessandro Magno (dal 333 a.C.). Se si eccettua il libro di Baruc (dal III al I secolo a.C.: è un deuterocanonico), in questo periodo si assiste a\Vestinguersi del­ la profezia. Ciò può essere dipeso da diversi fattori: ormai esiste la Torah quale mezzo sicuro per conoscere la volontà di Dio; i 37

profeti del passato vengono reinterpretati come «i “ servi di J hw h ” , che da sempre non hanno fatto altro che spronare all’os­ servanza della sua legge»9; la profezia si è impoverita centrando­ si esclusivamente sulla previsione del futuro (cf apocalittica); so­ no in aumento gli indovini, i maghi, i falsi profeti che gettano di­ scredito sulla profezia autentica (Zc 13,1 -6); «il carisma profetico aveva cambiato forma e si era trasferito sulla figura dello scriba sapiente, leader del giudaismo» (N obile 81). Nonostante questo, si sente la sua mancanza (Sai 74,9; 77,9; Lam 2,9; Ez 7,26; Dn 3,38; IMac 4,46; 9,27; 14,41) e si vive nell’attesa che arrivi il profeta promesso da Dio a Mosè (Dt 18, 15-18).

Riletture profetiche La profezia è stata utilizzata anche come modello sia per in­ terpretare la storia passata (è il caso della cosiddetta «storia deu­ teronomistica»10) sia per ripresentare oggi come profeti alcuni personaggi biblici. Questo sembra essere avvenuto in un momen­ to in cui il profeta aveva un suo ruolo ben specifico in seno al po­ polo ebraico, all’incirca tra l’800 e il 400 a.C. Si spiega così il tentativo di spingere sempre più indietro l’inizio del movimento profetico fino a farlo iniziare con le radici della fede in J hwh , cioè con A b r a m o e M o s è ( « p r o f e z i a r e t r o s p e t t i v a » ) . Così, À b ra m o è denominato espressamente nabi in Gn 20,7; ma anche le esperienze di Gn 12,1 -4a e 15,1-6 vengono presenta­ te con dei modelli presi dalla letteratura profetica. A sua volta, il cammino di M osè è punteggiato da richiami alla profezia: è chia­ mato e inviato (Es 3-4); parla «faccia a faccia» con J hwh (Es 33,11; Nm 12,8); sente il peso della sua missione (Es 5,22; Nm 11,11-15); è considerato il nabi per eccellenza (Nm 12,6-8; Dt 18,15; 34,10-12). Attorno a lui, poi, ci sono persone che ricevono il dono della profezia, anche se solo in modo temporaneo (Nm 11,17.25-30). 9 P.G. B ordone, La profezia nell'antico Israele, «Parole di Vita» 33 (1977), p. 256. 10 Cf. G. C a p p e l l e t t o , o.c., pp. 321-323.

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La stessa profezia è stata reinterpretata: specialmente in epoca post-esilica, i profeti dei secoli VIII-VI a.C. - prima spesso non accolti né compresi - vengono riabilitati e considerati servi di J h w h come Mosè, perché hanno costantemente richiamato il po­ polo ebraico alla conversione (Zc 1,1-6) e all’osservanza della parola del Signore presente nella legge (Zc 7,4-14). Così, in un momento in cui lo spirito profetico sta venendo meno, si ricupera tutto il movimento profetico considerandolo un servizio reso alla legge di Dio (Dt 34,10; MI 3,22-24; cf. B l e n k in s o p p 200-205; 253-257). Si tratta certamente anche di una svalutazione dei profeti, per­ ché visti in stretta dipendenza dalla Torah. Questo spiega l’uso sinagogale che legge i profeti come pericopi aggiunte alle sezioni della Torah, e l'affermazione del Talmud che li considera come un anello della trasmissione della Torah orale e scritta iniziata con Mosè: «Mosè ricevette [la] Torah dal Sinai e la trasmise a Giosuè, e Giosuè agli anziani, e gli anziani ai profeti. E i profeti la trasmisero agli uomini della grande sinagoga»11.

L ’apocalittica Considerata figlia della profezia e della riflessione sapienzia­ le, ha - come vedremo al capitolo 5 - elementi di contatto con il movimento profetico, anche se si distanzia da esso in molti aspet­ ti (è una «profezia impazzita»),

4.

I l lingu aggio della profezia

« Vedi, oggi ti do autorità sopra le nazioni e sopra i regni per sradicare e demolire, per distruggere e abbattere, per edificare e piantare» (Ger 1,10). Queste parole rivolte da Dio a Geremia possono riassumere il compito affidato a ogni profeta e il messag­ gio che è inviato ad annunciare. Le due coppie di verbi sradicare e demolire, distruggere e abbattere richiamano la funzione criti­

11 G.

S te m b e rg e r,

Il Talmud,

Edb,

Bologna 1989, p. 99.

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ca del profeta che si presenta come denuncia molto forte (4 verbi di distruzione) pronunciata sul presente e su parte del passato del popolo ebraico (e delle nazioni straniere). Però il suo compito va oltre l’accusa e la minaccia del castigo, avendo come obiettivo ultimo edificare e piantare (due verbi di costruzione), vale a dire promuovere la conversione, alimentare la speranza, annunciare la salvezza e indicarne le modalità con cui si sta incarnando, co­ struire il futuro. Tutto questo il profeta lo realizza con «parole» e con «azioni».

Le parole Il ministero profetico è stato prima di tutto un servizio orale, poi scritto. Le principali modalità espressive (generi letterari) utilizzate dai profeti sono le seguenti (S icre 151-171). * L’oracolo', ha una forma prevalentemente poetica e si caratte­ rizza per un suo inizio chiaro («Così dice il Signore») e una con­ clusione anche se non sempre esplicita («Oracolo del Signore»), indicando così che il profeta è un semplice messaggero che tra­ smette una parola non sua. Secondo il contenuto, può essere distinto in due tipologie: - giudizio, come la minaccia (Am 3,12-15; Is 3,24-4,1; Ez 6,11­ 14; Sof 3,1-8), il rimprovero (i «guai!» di Is 5,8-30; 10,1-4; Ab 2,5-20), l’avvertimento con invito alla conversione (Is 1,18-20; Os 14,2-4; Gl 2,12-14), l’accusa di un peccato e la condanna corrispondente, secondo la legge del taglione (Am 1-2; Ger 2). - salvezza, quando annuncia il cambiamento della situazione e promette un futuro migliore (Is 35; Ger 31,31-34; Ez 39,25­ 29; Am 9,11-15; Mie 4,1-5). * Il racconto della vocazione: l’incontro fondamentale con Dio viene narrato dai profeti non per tramandare la loro «cronaca spi­ rituale», quanto piuttosto per fondare e legittimare la loro missio­ ne davanti al popolo (Ger 1,4-10; Ez 1-3) e alle altre istituzioni come il sacerdozio (Am 7,10-17) e la monarchia (Is 6). Le forme letterarie utilizzate sono diverse e manifestano il rispetto di Dio verso la realtà di ogni singolo profeta (V ogels 30-39). Così, men­ tre qualcuno sottolinea la forza che ha avuto in lui la parola di 40

J hwh utilizzando uno schema m ilitare (ordine-esecuzione, come

in Gn 12,l-4a; Am 7,14-15; Os 1,2-8; Gio 1,1-3; 3,1-3), altri si presentano come ambasciatori di Dio usando uno schema d ip lo ­ m atico (con entrata in scena di Dio - affidamento della missione - difficoltà - conferma - consacrazione, come in Es 3-4; Gdc 6,12-24; Ger 1,4-10; Ez 2,3-3,11). Altri ancora utilizzano uno schema politico per indicare il ruolo di consiglieri della corte ce­ leste (Is 6). In qualche altro caso si adopera uno schema pedago­ gico per esprimere la gradualità deH’esperienza vocazionale (ISam 3). * La visione: ISam 9,9 afferma che la visione ha sempre ac­ compagnato la profezia; infatti «quello che oggi si chiama profe­ ta (= nabi) allora si chiamava veggente (= roeh)». Ciò non fa del profeta biblico un visionario come lo si intende oggi: la visione profetica infatti è sempre accompagnata dalla parola che la spie­ ga, per cui il profeta è colui che legge la realtà in profondità, è un mistico e un contemplativo. Lo testimonia la forma con cui viene presentata la visione (Am 7-9; Is 6; Ger 1,11-15; Ez 1; 8-11; 37,1-14; 40-48; Zc 1-6). Generalmente, si riscontrano tre elementi: visione -domanda sul senso -risposta interpretativa. Appare evidente che visione e pa­ rola sono strettamente collegate: senza rivelazione, il profeta re­ sta muto (Ez 3,26-27; 24,27; 29,21; 33,22) o è un falso profeta (Ez 13); senza comunicazione, la visione diventa illusione e in­ ganno (Ger 4,10; 6,14; 20,1-6; Ez 13). Questa forma letteraria avrà uno sviluppo particolare nell’a­ pocalittica (N dtb 103). * Il processo (ebr: rib): qualche volta i profeti esprimono il loro oracolo di giudizio attraverso il procedimento che veniva adope­ rato nei tribunali a carico di un accusato, il processo giudiziario (Is 1,2-9.10-20; 3,13-15; 41,1-5.21-29; Ger 2,9-13. 14-19; Ez 22,1-16; Os 2,4-25; 4; Mie 1,2-7; 6,1-8). La struttura - utilizzata con flessibilità - comprende: indizione del processo - richiamo dei benefici compiuti - denuncia delle trasgressioni del popolo emissione della sentenza di condanna e/o riconciliazione tra le parti. 41

Le azioni Oltre che con la parola e con la coerenza della propria vita, il profeta accompagna il suo ministero con delle azioni simboliche. Così, ad esempio, Osea sposa una prostituta per indicare l’amore di J hwh verso il suo popolo (cc. 1-3) e Isaia gira nudo per tre anni per testimoniare come sarà trattata Gerusalemme (c. 20). Gere­ mia deve andare in giro con un giogo sul collo per rappresentare l’imminente schiavitù (c. 27) e restare celibe per segnalare la rot­ tura della relazione tra Dio e il popolo (c. 16). Ezechiele rappre­ senta con vivacità la prossima distruzione di Gerusalemme (cc. 4­ 5) e non fa il lutto per la morte della moglie (24,15-27). Si tratta di azioni reali che non hanno niente di magico. Gli elementi essenziali sono: ordine di Dio -obbedienza del profeta interpretazione dell’azione -impegno di Dio a concretizzare quan­ to simboleggiato dal profeta (S icre 172-192; Bg nota a Ger 18). Con tali azioni il messaggio profetico diventa più comprensi­ bile ai destinatari, che possono vedere attuata quella parola che è stata loro annunciata. Inoltre, esse appaiono dei discorsi in atto, parola agente già da quando viene simboleggiata. Infine, il gesto è anche «più» della parola, perché ha capacità evocative molto più ampie: Osea che sposa una prostituta o che riprende con sé la moglie infedele sono azioni che dicono molto di più che non le semplici affermazioni «il popolo si sta prostituendo» o «Dio ama ancora il suo popolo infedele». Si fa capire così che il miste­ ro di Dio non è semplice flatus vocis quanto piuttosto un’espe­ rienza reale: l’atto simbolico visibilizza «qualcosa» di questa realtà.

5. F o rm a zio n e

dei libri profetici

È un problema alquanto complesso e che - alle volte - dà l’impressione che lo studioso stia facendo una specie di «spez­ zatino biblico» nell’assegnare le singole parti dei testi ad autori vissuti in momenti storici diversi tra loro. Però in più di qualche caso il lavoro dà ottimi risultati, come per il libro di Isaia (cf. più avanli). 42

D all ’esperienza della Parola al testo scritto E opportuno precisare, prima di tutto, il cammino attraverso cui un profeta giunge alla elaborazione scritta di un oracolo12. - Prima di tutto c’è l’esperienza personale del profeta di incon­ tro con Dio mediante la visione (Is 6), o l’ascolto interiore (Ger 1,4-10), o un’ispirazione improvvisa (Is 7,10-17), o una spie­ gazione sulla realtà (Ger 1,11-17); - segue l’interpretazione e la spiegazione da parte del profeta stesso, fatte sempre alla luce della propria fede in Dio; è il mo­ mento dell’integrazione dell’esperienza nel proprio orizzonte di fede e della crescita di quest’ultimo; - il tutto viene elaborato razionalmente per essere espresso con parole comprensibili e viene annunciato oralmente in pubbli­ co, anche se si ritiene che in taluni casi sia stato prima scritto e poi proclamato (si pensa sia il caso di Is 40-55); è facile che il profeta aggiunga spiegazioni appropriate, motivazioni adegua­ te, sottolineature specifiche inerenti alla situazione storica; - parallelamente, si compie anche la struttura artistica che por­ ta a esprimere l’oracolo in quella forma specifica con cui viene poi scritto. Quella che viene proclamata come «parola di J h w h » è, quin­ di, un intreccio di conoscenza comunicata da Dio e di spiegazio­ ne, di interpretazione e di elaborazione profetica. E una parola in­ carnata in una esperienza di fede e plasmata dal linguaggio uma­ no del tempo.

Il «libro profetico» «È un dato ormai acquisito dall’indagine storico-critica che i diversi libri profetici non sono usciti direttamente dalle mani dei profeti di cui portano il nome, ma che si sono formati attraverso una molteplice opera redazionale scaglionata in più secoli, a par­ tire dalla predicazione fatta a viva voce, che è stata poi tramanda­ ta, per lo più oralmente, nella cerchia dei loro rispettivi discepoli.

,2 G. F o h r e r , Strutture teologiche dell'Antico Testamento, Paideia, Brescia 2001 , pp. 62-66.

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S’impone ora a noi il compito di identificare i diversi strati reda­ zionali che si sono man mano sovrapposti nel testo e che erano ispirati dal desiderio di attualizzare, nei momenti storici successi­ vi, la loro parola iniziale»l3. Possiamo sintetizzare nel modo seguente le tappe attraverso le quali - pur con flessibilità - si è formato ogni singolo libro pro­ fetico (S ic r e 193-222). * Una parte dei testi è messa per iscritto dallo stesso profeta (cf. quanto dicono Is 8,16; 30,8; Ger 51,60; Ez 43,11; Ab 2,2). * Altri brani vengono scritti dai discepoli o immediati (cf. Is 8,16; Ger 36,5-7) o distanti nel tempo, ma che condividono la stessa spiritualità del profeta (vedi la «scuola isaiana»). Il loro la­ voro consiste nello stendere testi biografici sul maestro (come Am 7,10-17; Os 3), nel rielaborare alcuni oracoli cercando di at­ tualizzarli (così in Is 14,22-23; 28,5-6; vedi note in B g ), nel crea­ re poemi nuovi (come in Ger 32; cf. nota in B g ). * Infine, in epoca post-esilica, i testi vengono strutturati dai re­ dattori finali non secondo un criterio cronologico, ma stilistico e tematico. Troviamo così raccolte di oracoli rivolti al proprio po­ polo (Am 3-9; Is 1-12; Ger 1-25; Ez 1-24) o alle nazioni straniere (Am 1-2; Is 13-23; Ger 46-51; Ez 25-32); messaggi di consola­ zione e salvezza (Ger 30-33) o visioni sul futuro (Ez 40-48); se­ zioni narrative (Is 36-39; Ger 36-45). Sempre dei redattori finali sembra essere l’attuale ordina­ mento di diversi libri profetici secondo uno schema che prevede aìVinizio gli oracoli di rimprovero e di castigo contro il popolo ebraico (come in Is 1-12; Ez 1-24; Sof 1,2-2,3; 3,1-10), nel mezzo gli oracoli contro le nazioni straniere che devono essere punite per il male fatto a Israele (come in Is 13-23; Ez 25-32; Sof 2,4­ 15), e nella parte finale il messaggio di consolazione (come in Is 28-35; Ez 34-48; Sof 3,11-20). Scopo di simile disposizione è di esprimere la fede dei redattori finali nella possibile restaurazione 13 A. MESSALE, Postfazione, in A. Rofé, Introduzione alla letteratura profe­ tica, Studi Biblici 111, Paideia, Brescia 1995, p. 145; utili per comprendere il processo di formazione dei libri profetici sono le pp. 13-54; 109-133. Si veda nche R.G. K j r a t z , Iprofeti di Israele, Queriniana, Brescia 2006, pp. 47-57. 44

di un Israele libero, mediante la liberazione dai nemici di Dio e del suo popolo. Esempio tipico di tale lavoro redazionale può essere visto nel libro di Amos: il materiale, proveniente in parte dal profeta di Tekoa (almeno le cinque visioni redatte in prima persona: 7,1-8,14; 9.1-6 e il racconto autobiografico di 7,10-17), viene prima rag­ gruppato dai discepoli in raccolte tematiche con l’aggiunta di altri oracoli tramandati oralmente (cc. 1-2: sette oracoli contro le na­ zioni; cc. 3-6: sei oracoli contro Israele; cc. 8-9: cinque visioni) e poi rivisto e attualizzato dal redattore finale, che vi inserisce, per esempio, l’introduzione (1,1-2), l’oracolo contro Giuda (2,4-5), le tre dossologie (4,13; 5,8-9; 9,5-6) e la conclusione (9,11-15). Nel­ la forma ultima e attuale il libro appare così strutturato (cf. cap. 2): 1.1-2: introduzione storica; 1,3-2,16: oracoli contro le nazioni; 3.1-6,14: appelli e ammonimenti rivolti al popolo ebraico; 7,1­ 9,10: cinque visioni; 9,11-15: restaurazione di Israele. ★ All’insieme dei testi, possono essere state aggiunte intere se­ zioni: in Is 1-39 vengono inserite le parti apocalittiche (cc. 24-27; 34-35) o ad esso vengono aggiunti i cc. 40-66. Sembra, comun­ que, che dal 200 a.C. i libri profetici non abbiano subito altre tra­ sformazioni di rilievo. Come spiegare questo lungo cammino nella formazione dei testi? ★ L ’antichità biblica non aveva il senso di «proprietà letteraria» come ce l’abbiamo noi oggi. Trovava quindi normale far passare sotto il nome di un personaggio celebre (come Isaia) testi scritti da altri, specialmente se questi ultimi avevano subito un chiaro influsso dal primo. ★ Inoltre, la storia della letteratura rabbinica dimostra questo: la parola di Dio è sempre stata considerata, presso gli ebrei, come un oggetto di tradizione, cioè parola da tramandare attualizzan­ dola. Così, testi o frammenti di oracoli sono stati completati da brani più recenti che li rendevano più comprensibili, anche se questo comportava il dare loro un senso diverso dal probabile ori­ ginale. I testi ritenuti sacri vengono riletti perché parlino al/del presente di chi li accosta. 45

Se si tiene conto, quindi, «che i vari libri profetici, sia quelli dei cosiddetti “profeti maggiori” (Isaia, Geremia, Ezechiele, Da­ niele), che quelli dei dodici “profeti minori” , sono stati forte­ mente rimaneggiati dalle generazioni successive», ne consegue che (N obile 81-82; 121-122): * «Oggetto della ricerca non è più semplicemente l’autore, inte­ so come la persona originaria che ha prodotto lo scritto, bensì il testo nella sua complessa realtà di corpus letterario in fieri». Così, ci si accorgerà che la parola profetica è stata continuamente meditata e adattata agli eventi contemporanei, specie a quelli che hanno prodotto grandi momenti di crisi nel popolo ebraico. Tra di essi: la scomparsa del regno del Nord nel 722, la distruzione di Gerusalemme nel 587 e l’amara esperienza delPesilio in Babilo­ nia, la fatica della ricostruzione e della ricomposizione della co­ munità dopo il ritorno dall’esilio (dal 538) all’interno dell’impero persiano, la svolta conseguente alle imprese di Alessandro Ma­ gno e l’accentuazione di attese escatologiche nei secoli IV-II1. La parola profetica, globalmente intesa, «ci parla di una storia sa­ cra in movimento verso orizzonti sempre più grandiosi, che tra­ sfigurano via via le immagini delle tradizioni e delle istituzioni d’Israele»; tipico può essere l’approfondimento circa la speranza messianica (cf. più avanti Appendice). * Non è più possibile utilizzare solamente il criterio storico­ cronologico nella lettura e comprensione dei libri profetici, per­ ché «è molto difficile, allo stato attuale delle ricerche, rintracciare con sicurezza i dettagli storici che sono dietro i singoli testi e an­ cor più difficile, se non impossibile, ricostruire una collocazione storica e una biografia dei profeti. Piuttosto, i libri attuali riman­ dano a una redazione complessa tardiva, che ha impresso una cer­ ta uniformità stilistica e teologica ai testi letterari». Da qui la ne­ cessità di una lettura anche di tipo sincronico e canonico che aiuti a «scoprire in questi difficili scritti un’unità più grande di quella che a volte si avverte» (S icre 222), quale può essere il ten­ tativo di delineare con modalità sempre attuali l’identità del po­ polo ebraico, testimone di una speranza per tutta l’umanità, e di favorirne la continua conversione attraverso un esame di coscien­ za che lo porti a rivedere le proprie responsabilità. 46

/ «lib ri profetici»

«Molti e profondi insegnamenti ci sono stati dati nella legge, nei profeti e negli altri scritti successivi e per essi si deve lodare Israele come popolo istruito e sapiente». Così si esprime il nipote di Ben Sira nel prologo al libro da noi conosciuto come Siracide, testimonianza preziosa sulla tripartizione della Sacra Scrittura in uso nelle comunità ebraiche verso il 200-150 a.C. Ma subito do­ po presso !e comunità di lingua greca che utilizzano la traduzione dei LXX viene cambiata la successione delle raccolte, con lo spo­ stamento degli scritti a prima dei profeti. E così la troviamo in uso presso le comunità cristiane. Ecco un grafico riassuntivol4. LXX

BE

BC

T O R A H (insegnamento -- i—*. Legge - — » Il Pentateuco - legge) . Storia — — » I libri storici N E B IIM (profeti) - anteriori

w Poeti

y /

— — ► I libri poetici e sapienziali

- posteriori K E T U B IM (scritti)

Profeti — —* I libri profetici

Chiedendoci quale sia il senso della diversa collocazione dei libri profetici nel testo biblico ancor utilizzato dagli ebrei (e chia­ mato TaNaK, dalle iniziali delle tre parti) e in quello in uso presso i cristiani (denominato da alcuni Primo Testamento) possiamo fa­ re le seguenti osservazionil5. ★ Nel TaNaK (o «canone ebraico») la Torah costituisce la par­ te fondamentale della Scrittura perché consegna alla memoria «“ l’insegnamento” sul perché, sul modo e sul fine per cui esiste, e deve esistere, Israele quale popolo dell’alleanza con Dio» (p. 193). Su di esso poggiano le altre due parti: i Nebiim («profeti»), intesi come commenti della Torah, e i Ketubim («scritti») consi­ 14Si riprende da G. C a p p e ll e t t o , o . c . , p. 12. 15Si sintetizza liberamente da E. Z e n g e r , Il Primo Testamento. La Bibbia

ebraica e i cristiani, Queriniana, Brescia 1997, pp. 183-207.

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derati approfondimenti della stessa Torah (cf. Sai 1,1 -2) e quale sguardo aperto al futuro di Dio per il popolo dopo ogni catastrofe (cf. 2Cr 36,22-23). In particolare, poi, i Nebiim fungono da collegamento tra le tre parti. La Torah, infatti, trova il suo punto culminante nel co­ mando di Mosè al popolo: «Ascolta, Israele, le leggi e le norme che oggi io proclamo ai vostro occhi; imparatele e custoditele per metterle in pratica. Il Signore, nostro Dio, ha stabilito con noi un’alleanza sull’Oreb. Il Signore non ha stabilito questa alleanza con i nostri padri, ma con noi che siamo qui oggi tutti vivi» (Dt 5,1-3). L’ascolto obbedienziale diventa l’atteggiamento fonda­ mentale che porta alla vera felicità, come afferma lo stesso Mosè al termine della sua benedizione: «Te beato, Israele! Chi è come te, popolo salvato dal Signore?» (Dt 33,29). I Ketubim, a loro volta, iniziano ricordando che il compito di ogni uomo sulla terra (e prima di tutto di ogni ebreo) è quello di realizzare il sogno di Dio che ognuno possa essere felice mediante l’ascolto continuo della sua parola: «Beato l’uomo che non entra nel consiglio dei malvagi, non resta nella via dei peccatori e non siede in compagnia degli arroganti; ma nella legge del Signore trova la sua gioia, la sua legge medita giorno e notte» (Sai 1,1-2). Nel mezzo, i Nebiim iniziano con questa raccomandazione di Mosè a Giosuè: «Non si allontani dalla tua bocca il libro di questa legge, ma mèditalo giorno e notte, per osservare e mettere in pra­ tica tutto quanto vi è scritto; così porterai a buon fine il tuo cam­ mino e avrai successo» (Gs 1,8). E terminano con questa speran­ za: «Tenete a mente la legge del mio servo Mosè, al quale ordinai sull’Oreb precetti e norme per tutto Israele. Ecco, io invierò il profeta Elia prima che giunga il giorno grande e terribile del Si­ gnore: egli convertirà il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei figli verso i padri, perché io, venendo, non colpisca la terra con lo sterminio» (MI 3,22-24). Compito dei profeti è aiutare a tenere a mente la Torah che è stata rivelata a Mosè sull’Oreb! La comunità ebraica è costituita, perciò, da «discepoli» che si mettono in ascolto della Legge (cf. Dt 6,4-9 e Ger 31,33) interpretata dai Profeti e incarnata nella vi­ ta quotidiana studiando gli Scritti. Rilievo particolare assume, in tutto questo, Elia, prototipo di ogni profeta autentico, impegnato 48

a far sì che fra padri e figli si stabilisca una autentica relazione di comunione che trova il suo fondamento nell’apprendimento della Torah.

* Nell’Antico o Primo Testamento dei cristiani la disposizio­ ne delle singole parti riceve una struttura quadripartita. La Torah (o “Pentateuco”), cioè il racconto sulla rivelazione originaria fat­ ta da Dio sul Sinai e le relative istruzioni, mantiene il primo po­ sto: il cristiano la accoglie come «proposta di vita» da realizzare alla sequela di Gesù di Nazaret (cf. Mt 22,24-39, alla luce di 5,17-20). Seguono poi tre parti che richiamano lo schema di pas­ sato - presente - futuro. Dapprima l’entrata e la permanenza di Israele nella terra promessa: è il passato di cui si fa memoria nei libri storici (da Giosuè a 2 Maccabei) e che il cristiano accosta come storia dei «fratelli maggiori» e del Dio che è comune a en­ trambi. Poi la proposta di una sapienza che dia sapore e senso alla vita quotidiana: è il presente sul quale si medita, alla luce della Torah, nei libri sapienziali (da Giobbe a Siracide). Infine, la ri­ flessione profetica sulla storia e sul suo orientamento finale per­ venutaci nei libri profetici (da Isaia a Malachia). In modo particolare questi ultimi sono aperti dal testo pro­ grammatico di Is 2,1-5 che prevede (come visione del mondo e della storia umana) l’affluire di tutte le genti a Gerusalemme per partecipare - da autentici discepoli della Torah (= istruzione per la vita) che in essa è presente e che da essa «esce» alla loro ricer­ ca - alla «scuola della pace» il cui maestro è J hwh, il Signore. La conclusione dei libri profetici (che è anche la conclusione del ca­ none del Primo Testamento, non del TaNak\) è ancora MI 3,22­ 24, più volte citato nel Nuovo Testamento (cf. Mt 17,10-13; Me 9,1 lss; Le 1,17), per far comprendere che l’Elia promesso per gli ultimi tempi è Giovanni Battista. Inoltre, il «giorno di J hwh» an­ nunciato al v. 23 trova piena realizzazione in Gesù di cui i Van­ geli ci tramandano la memoria. Il Primo Testamento è, in questa prospettiva, aperto al futuro di Dio, quel futuro che - nell’ottica cristiana - viene pienamente rivelato e realizzato nella persona del Nazareno, il Cristo, nel quale «tutte le promesse di Dio sono “sì” . Per questo attraverso di lui sale a Dio il nostro “Amen” per la sua gloria» (2Cor 1,20). 49

6.

La

FALSA PROFEZIA

Il TM non adopera mai l’espressione «falso profeta»: è infatti la LXX che interpreta in questo modo alcune esperienze guar­ dando sia il contesto storico in cui agiscono le persone che il mes­ saggio da loro proclamato e le qualifica come pseudoprofeti. * La prima esperienza chiara di falsa profezia si ha nel regno del Nord quando la regina Gezabele introduce in modo consi­ stente il culto a Baal (IRe 16,31-33). Così i profeti di Baal sono presenti a centinaia (IRe 18,11-25) e si distinguono dai profeti di J hwh (IRe 18,4). * Il problema si ripresenta nel regno del Sud quasi cent’anni dopo, al tempo dei profeti Michea e Isaia: la distinzione tra veri e falsi profeti non è facile, perché tutti pretendono o asseriscono di parlare in nome di J hwh! (Mie 3,5-6.11; Is 28,7). * Poi, con l’approssimarsi della catastrofe per il regno di Giuda, il problema si fa più difficile: esiste infatti un gruppo di profeti in completo disaccordo con Geremia sul modo di leggere la realtà. Il profeta di Anatot li accusa di «profetizzare nel nome di Baal» (2,8) e di annunciare solo delle menzogne (5,31; 14,13-16; 23,9­ 40). Famoso resterà lo scontro con il profeta Anania (c. 28). Pure Ezechiele, in Babilonia, si scontrerà con i profeti della pace, cioè del falso ottimismo (c. 13). * Zaccaria prevede la scomparsa anche della profezia per gli abusi che se ne faceva (13,2-6)... e pure Gesù in Mt 7,15-23 dirà: «Guardatevi dai falsi profeti»! Come distinguere i veri dai falsi profeti? Guardando l’esperienza di coloro che - magari «dopo» - so­ no stati considerati profeti autentici e tenendo conto delle indica­ zioni offerte da Dt 13,1-6 e 18,15-22 si possono ricavare i se­ guenti criteri che non vanno presi singolarmente come degli asso­ luti, ma applicati in modo convergente e complementare (N dtb 1236; S icre 146-149; V ogels 109-123). * Criteri relativi al messaggio : la vera profezia deve essere in linea con la tradizione (Dt 13,1-4) e deve realizzarsi (Dt 18,21­ 22; Ger 17,15); il vero profeta, poi, deve annunciare fedelmente 50

quello che Dio gli ha affidato (Dt 18,20), senza adattarlo alle at­ tese dei re o del popolo. ★ Criteri relativi alla persona : oltre alla chiara coscienza di es­ sere chiamato e inviato da J hw h e quindi di parlare solo a nome suo (Dt 18,20; Ger 14,14), il vero profeta è disinteressato perché non agisce per desiderio di successo, o per denaro, o per salvare la faccia (Mie 3,5; Ger 15,10); si sforza, poi, di vivere con coe­ renza, in conformità con la parola che annuncia (Ger 15,19-21), disposto ad essere fedele anche a prezzo della vita, pur nella con­ sapevolezza della propria fragilità (Ger 1,6-8). Ogni persona chiamata da Dio ad annunciare la sua parola de­ ve, pertanto, vigilare sulle scelte che fa perché si può essere in­ dotti ad annunciare la propria parola piuttosto che quella del Si­ gnore. Come ogni uomo di Dio, anche il profeta è infatti un Uomo a rischio: può, prima di tutto, lasciarsi sottomettere dal potere po­ litico e/o economico perché dica quello che interessa a determi­ nate categorie di persone (esemplare è lo scontro tra Amos e Amasia in Am 7,10-17). Inoltre, per paura del nuovo e dell’inedi­ to, può risultare incline a un certo immobilismo interpretativo di fronte alla realtà, mancando di coraggio e di realismo, come av­ viene per Anania, incapace di leggere correttamente i segni dei tempi, cosa che invece fa Geremia, anche a costo di non essere creduto o di risultare impopolare (cf. Ger 28). Altro rischio è la tentazione di adeguarsi al sentire comune, confondendo la «vox populi» (voce del popolo) con la «vox Dei» (voce di Dio), come fanno i cosiddetti «profeti della pace» denunciati da Michea (3,5­ 7), Geremia (14,13-16) ed Ezechiele (c. 13), o come stava per fa­ re lo steso Geremia (cf. 15,19-21). Infine, anche l’uomo di Dio deve stare attento a non utilizzare il ministero ricevuto come trampolino per migliorare la propria posizione economica e il proprio prestigio sociale, cosa che facevano alcuni al tempo di Amos (7,12) e Michea (3,5-8). Per completezza, possiamo aggiungere anche i criteri che in­ dica il NT per saper distinguere il vero dal falso profeta: quello dei frutti annunciato da Gesù (Mt 7,15-20: «dai loro frutti li rico­ noscerete»), quello dell’amore proclamato da Paolo (ICor 13,2: «se avessi il dono della profezia, ma non avessi la carità...»). 51

7.

Il

m e ssa g g io

dei

pro feti

Non è facile riassumere il messaggio dei profeti perché abbia­ mo a che fare con delle personalità talmente diverse che sembra impossibile poterle inquadrare dentro schemi fissi, anche se è senz’altro possibile individuare delle linee comuni, come fanno la maggior parte deile attuali introduzioni al profetismo biblico. Inoltre, bisogna prendere coscienza delle idee che già si han­ no o ci si fa sui profeti di Israele e che diventano criteri di lettura (precomprensione): così, per esempio, in ambito cristiano, i pro­ feti hanno sempre goduto di molta simpatia perché considerati gli annunciatori diretti del Messia, cioè di Gesù di Nazaret, il Cristo; mentre per la tradizione ebraica solo ultimamente (con le opere di M. Buber, A. Heschel, A. Neher) stanno godendo di una discreta considerazione. Criteri di lettura dei profeti

Se poi guardiamo a come sono stati interpretati i profeti, notiamo che nell’Ottocento alcuni studiosi (J. Wellhausen, B. Duhm, H. Gunkel e la «scuola liberale») li hanno intesi come co­ loro che hanno rotto con una forma di religiosità naturistica e pro­ posto una religiosità etica (teoria evoluzionista). Altri, poi (H. Wincler, W. Erbt), li hanno presentati come dei «sindacalisti» impegnati nel sociale e nel politico (teoria politi­ co-sociale dell’inizio del Novecento), mentre qualcuno (come M. Weber) li ha posti in opposizione a ll’istituzione (teoria cari­ smatica). Per altri ancora, il profeta è semplicemente colui che presenta e interpreta il piano salvifico di Dio nella storia passata e presen­ te (teoria tradizionalista, come in F. Delitzch, O. Procksh, G. Von Rad). Qualche studioso più vicino a noi li considera come dei pro­ fessionisti del culto (S. Mowinckel), o come degli estatici (J. Lindblom) o dei mistici che partecipano al «pathos» divino e lo testimoniano (A. Heschel, A. Neher). Non mancano le letture psicologiche (G. Hòlscher) special­ mente riguardo la loro esperienza vocazionale o sociologiche 52

(M. Weber, P. Berger, R. Wilson, B. Lang), ricerche interessanti ma bisognose di affinare i loro metodi. In particolare queste ulti­ me tendono a vedere nel profeta una «istituzione della società israelitica statalizzata» che si affiancava a quella del sacerdote, dello scriba funzionario e del re, pur mantenendo con entrambe un rapporto dialettico di critica e spesso di contrasto (N o b ile 79). Nella ricerca attuale si preferisce presentarli o come degli esistenzialisti religiosi promotori di un autentico rapporto del­ l’uomo con il Dio d’Israele «qui-ora» (G. Fohrer, J. Bright, P. Zerafa, F. Raurell) o come dei testimoni dell’assoluto di Dio ai loro contemporanei: partecipano al «pathos» di Dio per l’uomo e di­ ventano testimoni di una «religione della simpatia» (A. Heschel, A. Neher). Su una linea che sintetizza le due posizioni si collocano i re­ centi contributi e studi specifici (come quelli segnalati nella bi­ bliografia generale). Con un esegeta italiano possiamo orientarci come segue: «I profeti sono dei testimoni perché hanno avuto un’esperienza affascinante di Dio e sono stati liberamente assen­ zienti alla chiamata di Dio. Essi testimoniano non tanto la loro fede e la loro esperienza, ma il Dio che ha suscitato la loro espe­ rienza di fede. E hanno “ compreso” Dio perché hanno aderito a lui nella libertà, hanno consentito cordialmente e consapevol­ mente alla sua verità [...]. I profeti fanno “vedere” che non è pos­ sibile testimoniare la verità di Dio senza viverla, soffrirla, gioir­ ne, lasciarla penetrare in tutte le fibre della propria esistenza. Dio è testimoniato davvero solo da chi si lascia da lui “prende­ re” , come dice Amos, e plasmare»16. Principali temi profetici

Lasciando le specificazioni alla presentazione dei singoli pro­ feti, si può fin d’ora segnalare quali sono stati i loro principali centri di interesse o i settori della vita del popolo in cui hanno fat­ to risuonare la parola di Dio. La loro testimonianza, infatti, si in­ serisce a livello di vita religiosa e cultuale, di scelte politiche e di 16 A. B o n o r a , Dibattito attuale sui profeti d'Israele, in Nahum, Sofonia, Abacuc, Lamentazioni, Queriniana, Brescia 1989, p. 30. 53

relazioni sociali, sempre aperta a un futuro che resta comunque

in mano a quel Dio che hanno sperimentato in prima persona nel momento della chiamata (Vogels 27-123).

— La vita religiosa e il culto Partendo dalla loro profonda esperienza di Dio maturata dal momento della vocazione e tenendo presente quanto la tradizione religiosa legata agli eventi dell’esodo cercava di far vivere a tutti, i profeti prima di tutto difendono i diritti di J hwh contro ogni for­ ma di idolatria e/o di sincretismo religioso. Sembra che i profeti pre-esilici (come Elia, Osea, Isaia, Geremia...) siano preoccupati di difendere un monoteismo esistenziale o pratico: anche se esi­ stono più divinità (o elohim) come affermano gli altri popoli, non c’è alcun dio che può stare alla pari di Jhwh, perché solo lui ha liberato il popolo ebraico dalla schiavitù d’Egitto. I profeti esilici, invece, sono i difensori (soprattutto il Deuteroisaia) di un mono­ teismo teoretico, quando affermano che esiste solo un unico Dio per tutti gli uomini, Jhwh, Creatore e Liberatore. In secondo luogo, condannano sia un culto staccato dalla vita concreta perché Dio non può sopportare «delitto e solennità» (Is I,13), sia tutte le forme cultuali che manipolano o sviliscono il vero volto di J hwh perché contaminate dall’idolatria che porta a dimenticare il Dio dell’esodo (cf. Os 2,4-15; 4,1-3). Sono invece testimoni di un Dio capace di donarsi per puro amore e di perdo­ nare costantemente il tradimento del suo popolo (cf. Os 2,16-25; II,1-11; Fanuli 365-386; Sicre 390-411; 440-471). In particola­ re per quanto riguarda il culto, sono soprattutto i profeti pre-esili­ ci a mostrarsi molto critici difronte a pratiche religiose diventate solo riti che non fermentano più il vivere sociale e politico (cf. Am 5,21-27; Os 6,6; Is 1,12-17; Ger 7,21-23). Non si tratta di cri­ tica al culto in quanto espressione della fede adorante il Signore della storia, quanto del culto ridotto a formalismo esteriore e a ri­ to incapace di essere autentico memoriale che attualizza quanto celebra. Ecco perché Dio stesso ammonisce: «Io detesto, respingo le vostre feste solenni e non gradisco le vostre riunioni sacre; anche se voi mi offrite olocausti, io non gradisco le vostre offerte e le 54

vittime grasse come pacificazione io non le guardo. Lontano da me il frastuono dei vostri canti: il suono delle vostre arpe non posso sentirlo! Piuttosto come le acque scorra il diritto e la giusti­ zia come un torrente perenne» (Am 5,21-24). In terzo luogo, la colpa di questo vuoto cultuale viene fatta ricadere soprattutto sui sacerdoti: appartengono a una istituzione che si tramanda di padre in figlio, mentre i profeti godono di una ispirazione carismatica. Proprio a partire da tale fatto questi ulti­ mi condannano il sacerdozio non solo quando i sacerdoti non svolgono in modo corretto il loro compito (come in MI 1,6-2,9), ma anche quando non adempiono fino in fondo la missione loro affidata di educare il popolo trasmettendogli in modo fedele e corretto la Torah/ìegge di Dio (cf. Ger 18,18). A causa di ciò, af­ ferma il Signore, «perisce il mio popolo per mancanza di cono­ scenza. Poiché tu rifiuti la conoscenza, rifiuterò te come mio sa­ cerdote; hai dimenticato la legge del tuo Dio e anch’io dimenti­ cherò i tuoi figli. Tutti hanno peccato contro di me; cambierò la loro gloria in ignominia. Essi si nutrono del peccato del mio po­ polo e sono avidi della sua iniquità. Il popolo e il sacerdote avran­ no la stessa sorte; li punirò per la loro condotta e li ripagherò se­ condo le loro azioni (Os 4,6-9; cf. anche Ger 2,8; 6,13; Mie 3,11; Sof 3,4). Tutte queste accuse e critiche si comprendono se si tiene pre­ sente a cosa mirano i profeti: salvare l’identità del popolo ebraico nato da un evento di liberazione e cresciuto come popolo eletto e alleato di Jhwh. Essi, infatti, credono nell’elezione di Israele in quanto popolo del Signore e la difendono contro ogni forma di compiacimento e di esaltazione nazionalistica (cf. Am 3,2; 5,18­ 20; 9,7). Israele è stato scelto da Dio non per il proprio valore, ma per amore, come testimonia il celebre «canto della vigna» di Isaia (5,1-7)! E grazie a questa scelta che il popolo vive come alleato del Signore e come testimone del suo amore tra gli altri popoli. Il profeta è quindi sentinella che vigila e richiama alla fedeltà all’al­ leanza e alla reciprocità responsabile nella relazione (cf. Ez 3,16­ 21). Se i profeti (almeno quelli pre-esilici come Amos e Isaia) uti­ lizzano poco il termine berit (generalmente tradotto in italiano con «alleanza»), è vero però che ad essa alludono sempre quando invitano tutti a vivere relazioni profonde e autentiche con Dio e 55

con gli altri. Berit = alleanza denota, infatti, una relazione che si stabilisce tra due persone e che prevede degli obblighi reciproci. Nei testi narrativi (cf. Es 19,3-8; il libro del Deuteronomio e Gs 24) la berit viene intesa e presentata in termini politici, come un trattato tra un re (J hwh) e un suo servo (Israele), quindi tra un su­ periore e un inferiore17.1 profeti preferiscono cambiare metafora: da quella signorile del re-servo a quella nuziale di marito-moglie (cf. Os 1-3; Is 54; 62; Ger 3,19-20; Ez 16; 20) e a quella genitoriale di padre/madre-figlio (cf. Os 11,1-9; Is l,2ss; 22,21; 63,16; Ger 31,9.20). Passando dal piano politico a quello familiare, i profeti intendono affermare che la relazione tra Dio e il suo popo­ lo è qualcosa che coinvolge in profondità, che si vive nella esclu­ sività e nella donazione reciproca. Soprattutto vogliono sottoli­ neare l’intensità dell’amore di Dio sposo-padre-madre capace di ricuperare sempre alla relazione autentica chi l’ha infranta o atte­ nuata con il peccato. La nuova alleanza, infatti, consiste proprio nella ri-creazione del cuore delle persone - il loro centro vitale, affettivo ed esistenziale - grazie al perdono liberamente offerto da Dio: «Io perdonerò le loro colpe e non mi ricorderò più dei lo­ ro peccati. Io, il Signore, lo prometto solennemente» (Ger 31,34; T ilc ).

— La scelte politiche Se è vero che i profeti sono coscienza critica del presente, ap­ pare evidente che non possono essere staccati dalle scelte che vengono fatte a livello politico dai re e dagli altri responsabili del bene comune. Prima di tutto sono critici verso l ’istituzione della monarchia: non pensano di sostituirla con altre forme di governo né ritengo­ no opportuno proporre stili di vita alternativi come i Recabiti (cf. Ger 35). Sono convinti, però, che anche i re debbano convertirsi fidandosi più delle promesse di pace e di sicurezza offerte da Dio che di quelle che offrono le potenze umane (F anuli 441-486; Sicre 472-520). Con i loro interventi, i profeti intendono difendere 17

347-348.

56

C f.

G.

C a p p e l l e t t o , o . c .,

pp. 178-179; 266-270; 291-301; 328-330;

il primato di Dio, unico re e signore del suo popolo, e fare in mo­ do che la sua volontà espressa nella legge mosaica non venga soppiantata dal volere e dai decreti del re (cf. IRe 21; Am 7,10ss; Is 7,1-17; ecc.). Nei loro interventi presso i vari re di Sa­ maria e di Gerusalemme, i profeti non appaiono rassegnati di fronte al potere politico né rivoluzionari, ma testimoni disarmati della fede nel Signore tanto da apparire ingenui, esponendosi allo scherno e alla critica di tutti in nome del buon senso. Infatti, salvo alcuni casi (cf. Is 20; 37; Ger 21,9; 29), non offrono quasi mai indicazioni pratiche sul cosa è possibile fare in questa circostanza perché proclamano sempre delle esortazioni belle in se stesse ma alquanto generiche per gli uomini politici. Tipico può essere il se­ guente richiamo di Isaia: «Nella conversione e nella calma sta la vostra salvezza, nell’abbandono confidente sta la vostra forza» (Is 30,15). Bisogna, allora, precisare che compito del profeta è di rivelare il pensiero di Dio e di smascherare i modi con cui di esso non si tiene conto, mentre spetta ad altri tradurre la parola di Dio in piani operativi nella vita personale e in quella pubblica. La parola profetica è, pertanto, debole perché non possiede gli strumenti politici per incarnarla nel vissuto. Questi sono in mano al re che fa progetti senza tener conto dei valori religiosi (cf. Is 7,10ss), al sacerdote che spesso non conosce la legge del Signore (cf. Os 4,6), al popolo che il più delle volte non si mette in ascolto (cf. Is 6,9-10). Critici verso la monarchia, i profeti hanno però riconosciuto che attraverso di essa J hwh stava progettando cose grandi: realiz­ zare la salvezza e la pace definitiva per il suo popolo. Pur senza enfatizzarlo come succederà nelle riletture fatte dai cristiani, i profeti (soprattutto quelli pre-esilici ed esilici) riconoscono l’im­ portanza del messianismo regale davidico, vale a dire della spe­ ranza - certezza che Dio sia capace di realizzare il suo «progetto shalom» (benessere e prosperità, pienezza di vita e felicità, pace e riconciliazione) grazie alla presenza di un re secondo il suo cuo­ re. Con la sua mediazione, pertanto, il Signore porterà a compi­ mento tutte le sue promesse fatte ai padri, secondo l’impegno preso con Davide attraverso il profeta Natan (cf. 2Sam 7,1-17). Più che esaltare il ruolo del re - messia, i profeti sottolineano la 57

potenza del Signore che agisce per suo mezzo, a differenza - per esempio - dei «salmi regali» che invece enfatizzano il ruolo del re (cf. tra tutti i Sai 72 e 110). Si avrà modo di ritornare sul tema (cf. cap. 3 ,1, 3 ove si accostano alcuni testi di Isaia e VAppendice in cui si presenta una breve storia della speranza nel messia re­ gale). — Le relazioni sociali Se i profeti non sono politici di professione, non sono nem­ meno dei riformatori sociali né tantomeno dei sindacalisti «ante litteram». Non hanno alcuna intenzione di occupare il potere pro­ mettendo di fare giustizia. Sono, invece, dei testimoni che annun­ ciano a chiare lettere quello che hanno visto e capito: Dio che è sposo fedele e padre misericordioso non tollera la violenza e l’in­ giustizia tra i suoi figli! Facendo un serio discernimento sulla realtà sociale in cui pure loro vivono, i profeti la giudicano alla luce dell’evento esodale («J hwh ti ha liberato dalla schiavitù d’E­ gitto e ha stretto una relazione profonda con te e con tutti i tuoi fratelli») e ne denunciano tutte le forme che negano il senso di tale evento («Non fai dono agli altri di quanto hai ricevuto gratui­ tamente dal Signore ma tieni tutto per te e sfrutti gli altri»): ingiu­ stizie e soprusi, ruberie e assassini, ricchezza arrogante conqui­ stata con la frode e con la violenza e che è responsabile della po­ vertà che così produce, benessere sfacciato che impedisce di prendersi cura del povero e dell’oppresso (cf. Am 2,6-16; 6,1­ 7). Coscienza critica delle relazioni violente che si sono instaura­ te tra i membri del popolo eletto e con gli altri popoli, i profeti non fanno altro che insistere sulle virtù sociali già presenti nella dottrina dell’elezione e dell’alleanza, grazie alle quali è possibile costruire una «società alternativa», che non segua cioè la logi­ ca della violenza e dell’ingiustizia ma quella della giustizia (zedaqah) e del diritto (mispat), dell’amore (hesed) e della benevo­ lenza (rachamim), della fedeltà (emunah), virtù sociali indispen­ sabili per realizzare quel «progetto shalom = felicità» che da sempre il Signore ha sul suo popolo e sull’intera umanità (cf. Gn 2,4b-3,24) e che i profeti proclamano (cf. Os 2,21-22; 6,6; Is 9,1 6; 11,1-9; ecc.). 58

Alla base del sistema sociale violento e ingiusto ci sta, secon­ do la lettura che ne fanno i profeti, il disprezzo della giustizia e del diritto: «Essi trasformano il diritto (mispat) in assenzio e gettano a terra la giustizia (zedaqah)» (Am 5,7; cf 5,24; 6,12; Is 5,7; ecc.). Queste due virtù sociali che appaiono sempre in coppia «connota­ no il mantenimento di un giusto ordine, di strutture sociali e di procedure giudiziali che rispettano i diritti di tutte le classi. Una società che non rispetta quest’ordine, anche una in cui fiorisce la pratica della religione (cf. Am 5,21-24; Is 1,12-17), non merita di sopravvivere» (B lenkinsopp 11). Alla denuncia radicale (cf. Amos; Os 4,1-3; Is 1-5; Mie 1-3; ecc.) i profeti fanno seguire, pe­ rò, una proposta di possibile rinnovamento sociale perché «come le acque scorra il diritto {mispat) e la giustizia (zedaqah) come un torrente perenne» (Am 5,24), proposta che possiamo riassumere con il celebre detto di Michea: «Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giusti­ zia, amare la bontà, camminare umilmente con il tuo Dio» (6,8). Praticare la giustizia {zedaqah) significa stabilire relazioni sociali che rispettino gli altri a tutti i livelli (politico, economico, giuridico), riconoscendo i diritti dei deboli e proteggendoli spe­ cialmente nei processi giudiziari (cf. 3,1.8; Am 5,7.12.24; 6,12; Is 1,17). Amare la bontà {hesed) impegna ogni persona a vivere la compassione e la solidarietà verso i bisognosi e i poveri e a sosti­ tuire l’appropriazione e l’avarizia con la libera condivisione e la gratuità; impegna, inoltre, a rispondere a Dio con fedeltà, avendo a cuore il suo nome e il suo progetto sulla storia personale e di tutti. Camminare umilmente con il tuo Dio equivale a fare di Dio e della sua parola il fondamento della propria esistenza, ricono­ scendo e accettando di essere creatura in mano al Creatore (umil­ tà). E questo non per dovere imposto dall’esterno, ma come libe­ ra risposta al dono ricevuto dal Signore che consiste nel poter abi­ tare - per l’ebreo di allora - nella terra promessa ai padri, libero e felice (P iemme 2193). Dalla predicazione profetica in ambito sociale emerge, infine, un tema che un po’ alla volta diviene centrale nell’Antico Testa­ mento e troverà un prolungamento nel Nuovo con la proclama­ zione del Regno di Dio ai poveri (cf. Mt 5,3). Si tratta dei «poveri 59

(anawim) di J hwh», vale a dire di coloro che sono socialmente

oppressi e la cui liberazione può giungere solo dal Signore. I pro­ feti difendono i poveri non perché la scelta della povertà sia una bella esperienza (come la ritiene la tradizione cristiana) quanto piuttosto perché è la conseguenza nefasta dello sfruttamento e dell’avidità dei ricchi (cf. Amos). Mettendo così sotto accusa il peccato dei ricchi e dei benestanti, il profeta prende le difese del povero e dell’oppresso, manifestando tutta la sua passione per la giustizia di Dio, vale a dire per la sua scelta di essere difensore del povero e del debole (cf. Sai 12,6; 34,7; 109,31; ecc.). Un po’ alla volta, però, il termine anawim = poveri viene spiritualizzato e indica tutti coloro che, poveri di beni materiali, restano fedeli all’alleanza con il Signore, ne osservano con impegno la legge e attendono da lui la liberazione definitiva da ogni tipo di violenza e di sfruttamento (cf. Sof 2,3). Il Signore, infatti, nel suo amore fedele sarà capace di donare riposo e pace (Sof 3,13), gioia e giorni di festa a coloro che gli sono rimasti fedeli (Sof 3,17-20; PlEMME 2230). — Testimoni della speranza I profeti invitano, infine, a sperare in un mondo nuovo che Dio stesso farà nascere, grazie - per alcuni - alla presenza del suo Messia (F anuli 487-538; Sicre 521-580). Testimoni, per la loro esperienza personale e viva del Signore, di nuove possibilità di vita e di rinnovamento, di rinascita e di risurrezione, i profeti seppero non solo predicare la speranza anche nei momenti più difficili e tragici della storia del loro popolo, quanto soprattutto forgiare attese e sogni. Aprirono, così, la storia del loro popolo e dell’intera umanità a un futuro di liberazione definitiva da tutto ciò che impedisce alla vita umana di esprimersi come vita (guerre e pestilenze; dolore e malattia; violenze e morte). Basandosi sulle grandi esperienze e verità della liberazione dalla schiavitù d’Egit­ to (cf. Am 2,9-11; 3,2), dell’alleanza tra il Signore e il suo popolo (cf. Es 19-24), dell’elezione di Gerusalemme in quanto città santa (cf. Is 1 -9) e della casa di Davide come dinastia eterna (cf. sopra «messianismo regale dinastico»), i profeti annunciano e sperano in un nuovo esodo (come Os 2,4-25 e il Deuteroisaia), una nuova 60

ed eterna alleanza (cf. Ger 31,31-34; Ez 37,36-37), una nuova Gerusalemme (come per Is 52,1-12; 54; 62) e un nuovo Davide che instauri sulla terra il «regno di J hwh» (come per Ez 34,23 ss). Queste sono le speranze che, assieme alle promesse di un nuovo popolo (cf. Is 66,10-14) e di una nuova creazione (Is 66,22), costituiscono le grandi linee dell’escatologia profetica (cf. qui pp. 151-152). Non si tratta, però, per il credente, di sem­ plici utopie, vale a dire di sogni al di fuori della realtà, quanto piuttosto di «eutopie», cioè di «buoni luoghi» nel senso che fondate in Dio - le speranze diventano promesse cui aggrapparsi nella certezza che il presente può un po’ alla volta assumere le caratteristiche di quel «buon luogo» annunciato e prefigurato. Dio, in altre parole, si impegna a realizzare oggi quanto promette per domani. E quel futuro che i profeti annunciano con toni so­ lenni e descrivendolo a volte nei particolari non è la fotografia di quello che succederà, né una specie di cartina geografica della storia che riporta segnati ben bene tutti gli eventi, né tantomeno una tele-visione, cioè una visione a distanza. I profeti non hanno il dono della prescienza, ma vedono in quale direzione Dio, in azione dentro ad eventi specifici, sta guidando la storia del loro popolo e quella dell’intera umanità e lo annunciano come fondato nel cuore stesso di Dio. Testimoniano, così, che i desideri più ge­ nuini di ogni persona riguardanti l’oggi e il domani (prosperità, pace, felicità) sono gli stessi desideri che ha Dio, i cui progetti sono «progetti di pace e non di sventura», per concedere a tutti «un futuro pieno di speranza» (Ger 29,11 ). Appare evidente, al­ lora, come il futuro sperato dall’uomo è iscritto nel futuro deside­ rato da Dio! In quest’ottica, particolarmente significativa risulta allora l’attesa del giorno di J hwh, vale a dire del momento in cui il Si­ gnore prenderà in mano con decisione la storia e - attraverso un giudizio con cui regola i conti con i nemici suoi e del suo popolo - stabilisce finalmente la sua regalità (cf. più avanti, c. 5, I). In quel giorno troverà salvezza in modo particolare il resto fedele, formato da tutti coloro che con pazienza e nella vigilanza hanno atteso l’avvento del regno di Dio vivendo con onestà, giustizia e sobrietà; fedeli all’alleanza con il loro Signore, verranno definiti­ vamente iscritti nel libro della vita (cf. Is 4,2-6; 6,12-13; 11,1; 61

Sof 3,13.19-20). È probabile che i profeti (senz’altro quelli pree­ silici) pensassero che a breve termine Dio garantisse una possibi­ lità di vita dignitosa e sicura a coloro che rispettavano la sua al­ leanza. Un po’ alla volta l’orizzonte si è aperto a una dimensione ultrastorica, facendo riferimento alla salvezza definitiva che Dio avrebbe offerto ai suoi fedeli nel giudizio finale o escatologico (così nei profeti postesilici). In ogni caso, appare chiaro che sco­ po ultimo della speranza profetica è «che il popolo viva», anche nelle proporzioni ridotte di un piccolo resto fedele! Tutto ciò è presente in modo particolare nel testo dei Dodici profeti minori considerati dalla tradizione ebraica come un solo libro (o «rotolo»). Ciò che - nella redazione canonica attuale - li tiene insieme e che ne dà unità non sono solo i criteri letterari (ti­ toli introduttivi; ripetizione degli stessi termini; presenza di visio­ ni, immagini e temi comuni) quanto anche un messaggio coeren­ te che può essere riassunto nella sequenza: peccato del popolo ebraico e degli altri popoli; punizione o castigo, specie dei «po­ poli stranieri»; restaurazione o salvezza e «novità di vita» non so­ lo per Israele ma per l’intera umanità. Il peccato è denunciato par­ ticolarmente da Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona e Michea fa­ cendo riferimento all’alleanza tra Dio e il suo popolo. Il momento della punizione/castigo è centrale specialmente in Naum, Abacuc e Sofonia. Aggeo, Zaccaria e Malachia, infine, fanno sperare nel­ la possibilità della restaurazione/salvezza. Questa successione di momenti diversi ma tra di loro strettamente collegati riguarda, in una «lettura d’insieme» dei Dodici profeti minori, non solo il po­ polo ebraico ma anche l’umanità intera e si realizzerà in modo inequivocabile nel «giorno del Signore». E questa l’espressione e l’esperienza che dà unità all’insieme dei dodici libri profetici e li caratterizza come invito pressante al pentimento e come attesa fiduciosa della salvezza operata da Dio «in quel giorno». Alla cri­ tica della storia presente i profeti minori (al pari dei tre maggiori) fanno seguire la speranza di un intervento radicale del Signore che cambierà in meglio la vita del popolo ebraico e di tutta l’uma­ nità. Anche se dovrà passare attraverso il giudizio (denuncia del peccato) e gravi catastrofi (segno del castigo), la storia umana è orientata - per tutti i profeti - a un incontro salvifico con J hwh, il Signore creatore e liberatore. 62

8.

In

a scolt o di a lc u n i profeti

Accostiamo ora alcuni profeti inserendoli, per quanto possi­ bile, nel loro ambiente storico (lettura diacronica storico-crono­ logica : con i limiti già segnalati, si delineerà il «profeta della sto­ ria»), enucleando i punti qualificanti il loro messaggio e presen­ tando sinteticamente il libro che porta il loro nome (lettura sincronico-canonica che tiene conto della struttura e unità del te­ sto attuale: ci si soffermerà sul profeta quale «personaggio bibli­ co»). Nella lettura esegetica, poi, si cercherà di mettere in risalto prima di tutto la loro esperienza vocazionale (dove ne abbiamo il racconto) per cogliere l’unicità, l’irripetibilità e la novità del­ l’incontro con Dio. Della loro missione si sottolineerà quanto è caratteristico del profeta in esame per comprendere - a contatto diretto con qualche testo - il senso specifico della sua profezia. E questo per accogliere e vivere oggi quella verità su Dio e/o sul­ l’uomo che essi testimoniano. Dove esistono, si accennerà anche alle riletture che ne sono state fatte in ambito cristiano. Nell’accostamento personale e/o di gruppo dei testi profetici (e di ogni brano biblico) non dovrebbe mai mancare l’attenzione al lettore: se sono importanti Yintentio auctoris alla quale presta particolare attenzione il metodo storico-critico (cf. DV 11 ; IBC I, A) e Yintentio operis, preoccupazione prevalente dei nuovi meto­ di di analisi letteraria (cf. IBC I, B), di non minore importanza è 1 ’intentio lectoris (cf. IBC I, E). Infatti, ogni lettore/ascoltatore oltre ad accostare il testo a partire dalla sua realtà attuale {pre­ comprensione) e a fame uno studio accurato con i vari metodi (esegesi), si deve sentire interpellato personalmente dal mes­ saggio del testo biblico (attualizzazione e attuazione) letto nel suo contesto storico-letterario-canonico: la Sacra Scrittura è stata tramandata come «Parola per la prassi» (C. Bissoli), con il com­ pito cioè di stimolare processi di conversione, di rafforzare la propria fede, di sostenere l’impegno di carità, di aprire alla spe­ ranza fondata nell’amore del Dio Trinità (cf. Rm 15,4; 2Tm 3,14-16). Quindi nessun lettore dovrebbe considerarsi neutrale di fronte al messaggio di un testo biblico, ma dovrà lasciarsi coin­ volgere in modo attivo tanto da diventare protagonista perché de­ 63

stinatario della Parola di Dio. Tra le tante modalità che si sugge­ riscono oggi per favorire questo approccio personalizzato18c’è la pratica della «lectio divina». Si tratta di quella esperienza che aiu­ ta non solo a leggere il testo biblico (lectio) guidati dallo Spirito Santo, quanto anche a meditarlo (meditatio), a pregarlo (oratio) e a contemplarlo ( contemplano) per poi praticarlo ( actio). Se praticata con assiduità la « lectio divina» porta a una com­ prensione sempre più profonda della Parola di Dio (scriptum crescit cum legente/orante) e contribuisce a far del lettore/ascoltato­ re «una biblioteca di Cristo» (san Girolamo).

18

Si può vedere l ’ itinerario di interpretazione del testo biblico suggerito in

Come leggere «il libro». Lineamenti di introduzione biblica, M essaggero, Padova 1993 . In forma più sintetica G. C a p p e l l e t t o , o.c., pp. 39 -42 . Preziose anche le osservazioni presenti nella nota pastorale della C ei, La Parola del Signo­ re si diffonda e sia glorificata (2Ts 3,1). La Bibbia nella vita della Chiesa, 18 novembre 1995, specie i nn. 17-23 e 27 -31 , e nel sussidio C e i- U c n i, Incontro alla Bibbia, L e v , Città del Vaticano 1996 , pp. 107- 128. F a n in ,

64

L.

C a p it o l o

2

AMOS E OSEA: GIUSTIZIA E MISERICORDIA

Iprimi profeti scrittori sono Amos e Osea, collocati nella Bib­ bia tra i «minori». Svolgono la loro missione negli anni di in­ dipendenza del regno del Nord, tra il 760 e il 725 a.C., in un periodo di pace e prosperità il primo, di disfacimento politico e religioso il secondo. Entrambi fanno della realtà non una «lettura turistica» che guarda all ’esteriorità e all ’apparenza, ma «profetica»: vi penetrano dentro per cogliere tutte le in­ consistenze e le debolezze. Così, mentre Amos denuncia una società che per godere del benessere deve vivere nell ’ingiusti­ zia continua, Osea accusa i suoi contemporanei di non aver mai fatto esperienza autentica di Dio e di vendersi alle idola­ trie di moda. Duro il primo, tenero il secondo, sembrano due facce di una stessa medaglia: l ’ingiustizia prospera là dove manca un serio incontro con Dio; si sfruttano gli altri perché si è estromesso Dio dall ’orizzonte della propria esistenza.

I - AMOS: IL SIGNORE CHIEDE GIUSTIZIA 1. Il

profeta e il suo ambiente

Il primo dei profeti scrittori (ma terzo dei «minori») è origi­ nario di Tekòa, cittadina della tribù di Giuda, a diciotto chilome­

tri a sud di Gerusalemme, nella regione di Betlemme. Sembra ab­ bia svolto l ’attività di allevatore di bestiame (1,1; 7,14) e di colti­ vatore di sicomori (7,14), frutti utilizzati per l’alimentazione del bestiame. L’origine contadina di Amos apparirà anche nella sua attività profetica: non parla in astratto, ma usa un linguaggio con­ creto, pieno di naturalezza e di forza; non ama le mezze misure, per cui appare spesso duro, energico, tagliente; non pare abbia 65

molta simpatia per la vita urbana di allora. Si pensa, inoltre, che abbia viaggiato molto, perché conosce bene la situazione socio­ politica del tempo, la storia dei popoli vicini, la sapienza popola­ re. Viene «sradicato» (7,15) dalla potenza della parola di Dio (3,3-8) dal suo ambiente d’origine e mandato a svolgere la sua missione nel regno di Israele al tempo di Geroboamo II (787­ 747 a.C.; 2Re 14,23-29), all’incirca tra il 760 e il 750 a.C. Il regno del Nord gode di una buona stabilità interna, di pace con il regno del Sud e di un’espansione territoriale a danno degli aramei di Damasco ( B o c k 87-91; M e t z g e r 134-135; B le n k in sopp 82-106). Ciò favorisce sia l’instaurarsi di un clima di entu­ siasmo e di sicurezza nazionale, sia la ripresa economica grazie al commercio che porta un certo benessere e una discreta «spen­ sieratezza» (6,1.7). Si costruiscono, infatti, palazzi splendidi e lussuosi e si può avere anche la doppia casa (3,15); le sale sono tappezzate d’avorio e addobbate con splendidi divani (3,15; 6,4); si beve vino in abbondanza, ci si dà alla pazza gioia e ci si unge «con gli unguenti più raffinati» (6,6; 4,1). Inoltre, i santuari fun­ zionano a pieno ritmo, con pellegrinaggi, offerte di sacrifici e di decime (4,4-5; 5,21-22). Tutto questo, però, è solo per pochi: la gran parte del popolo vive nella miseria ed è sfruttata. Infatti, i poveri vengono venduti come schiavi, sono calpestati, non rispet­ tati come persone (2,6-8; 8,4); le sentenze nei tribunali possono essere comperate con delle bustarelle (5,10-13.15). I responsabili del popolo badano solo agli affari, anche nei giorni festivi (8,4­ 8), senza curarsi della «rovina di Giuseppe» (6,1-7), istigati in questo anche dalle loro mogli (4,1-3). Vivono in palazzi sontuosi, frutto di «violenza e rapina» (3,9-12). E tra i popoli vicini la si­ tuazione non è certo migliore (cc. 1-2). 2.

I l l i b r o e i l m e s s a g g io d i a m o s

Il libro

La predicazione profetica di Amos è giunta a noi in un libro con una struttura chiara e omogenea, anche se gli oracoli non so­ no posti secondo un ordine cronologico e qualcuno sembra opera di un discepolo (cf. qui pp. 46-47). Ecco una possibile struttura ( N d t b 64-68; Bg 2185ss). 66

★ cc. 1-2: in otto oracoli, tutti strutturati allo stesso modo, ven­ gono denunciati i peccati commessi dai popoli vicini a quello ebraico e dagli stessi Giuda e Israele. Segue il castigo, previsto se­ condo la legge del taglione. Il profeta nel denunciare ipeccati de­ gli altri popoli non si rifà chiaramente all’esperienza esodale co­ me per Giuda (2,4) e per Israele (2,9-11; cf. sotto) quanto piutto­ sto allo ius gentium, a una specie di diritto intemazionale secondo il quale la persona umana ha una sua dignità sempre, prescinden­ do dalla sua condizione etnica, religiosa, sociale o culturale. L’uo­ mo è considerato persona sempre, perché creato a immagine di Dio (cf. Gn 9,5-7), per cui Jhwh osserva, giudica e castiga i com­ portamenti scorretti di ogni persona, anche se non appartiene al popolo ebraico. Amos proclama cosi i diritti fondamentali del­ l ’uomo-. a vivere, anche se sconfitto in guerra (1,3); a restare nella propria patria e non essere venduto schiavo o deportato (1,6); al rispetto dei trattati di fratellanza (1,9); alla pace tra nazioni confi­ nanti (1,11 -12); al rispetto per le donne e per la vita che portano in grembo (1,13); al rispetto verso i morti, anche se nemici (2,1). Inoltre è significativo che venga castigato anche il popolo ebraico (Giuda e Israele): è scelto da Dio, ma deve vivere con coerenza e responsabilità questa sua identità (2,4-16; anche 3,1-2). * cc. 3-6: sono parole infuocate rivolte al regno del Nord, sud­ divise da tre «ascoltate» (3,1; 4,1; 5,1) che si alternano con dei «guai!» (5,7.18; 6,1). Il messaggio presenta due linee che si in­ trecciano continuamente: - da una parte c’è la denuncia (pars destruens) di una società che opprime i poveri (3,9-15; 4,1-3; 5,10-13; 6,1-7; anche 2,6-16 e 8,4-8); ha una religiosità di facciata perché il suo culto è stac­ cato dalla vita (3,13-15; 4,4-12; 5,4-7.14-15.21-27); si masche­ ra dietro sicurezze religiose (5,18-20 e 9,7-10); su ogni situa­ zione denunciata pende minacciosamente un castigo; - dall’altra propone (pars construens) il ritomo a Dio per poter evitare il castigo, un ritorno formulato dai tre verbi «conosce­ re» (3,2), «ritornare» (4,6.8.9.10.11), «cercare» (5,4.6.14) e che si attua «cercando il bene e non il male» (5,14), cioè facen­ do «scorrere il diritto come l’acqua e la giustizia come un tor­ rente perenne» (5,24; anche 4,6-12; 5,4-7.14-15.24-25), 67

★ cc. 7-9: presentano cinque visioni, tra loro collegate, che ma­ nifestano - in crescendo - la fine della nazione colpevole. Mentre le prime due (cavallette e siccità) prevedono l’indulgenza da par­ te di Dio, dalla terza in poi (piombino, canestro di frutta matura e santuario) non c ’è più possibilità di scampo. Ciò è aggravato dal fatto che non ci si può rifugiare neppure presso quanto era ritenu­ to simbolo di sicura protezione (il santuario di Dio). Il tutto sem­ bra essere finalizzato al «cercare il Signore per vivere» (5,6) fin­ ché si è in tempo (8,11-14). ★ c. 9,11-15: brano inserito dal redattore finale, nel tentativo forse di presentare anche una speranza concreta, cosa che i capi­ toli precedenti sembrano escludere (ma cf. 5,15). Le promesse an­ nunciano la restaurazione del regno davidico (v. 11-12, citati da Giacomo in At 15,16-17 secondo la LXX); il benessere materiale (v. 13-14); la permanenza stabile nella terra (v. 15). Segni chiari dell’amore e della sollecitudine di J hwh che non abbandona il suo popolo e lo apre a un futuro di shalom (= pienezza di vita). Il messaggio

Sottolineiamo solo alcuni degli aspetti già emersi. 1. Protondamente convinto che J hwh sia un Dio «giusto», cioè capace di prendere le difese del povero e dell’oppresso, Amos chiede al popolo scelto dal Signore tra tutti i popoli (3,1­ 2) di praticare il diritto e la giustizia. Diritto (mispat) è l’ordine giuridico che proviene dall’alleanza con Dio e che mira a realiz­ zare e conservare il suo progetto {shalom) nella fraternità umana. Giustizia (zedaqah) è il comportamento pratico che corrisponde al mispat, vale a dire è il cooperare fattivo alla crescita nel bene/ shalom della comunità alla quale si appartiene (N dtb 7 M ss). Pur­ troppo - constata il profeta - il diritto è stato trasformato in vele­ no e la giustizia è stata gettata a terra e calpestata (5,7; 6,12). E allora dilaga l’ingiustizia e l’oppressione, indizio chiaro che si è dimenticata la propria identità e le radici della propria fede, os­ sia l’esperienza esodale (2,9-11). Ciò che ha provocato tutto questo è, per Amos, il benessere assolutizzato a scelta che fonda l ’esistenza: questo significa con­ cretamente espellere Dio dall’orizzonte della propria vita, non ri­ 68

conoscere più la sua signoria sulla storia personale e collettiva. E quando si elimina Dio dalla propria esistenza, gli altri diventano concorrenti da eliminare o da sfruttare per i propri interessi. Amos denuncia proprio un benessere frutto di continue ingiusti­ zie a livello sociale: si afferma a scapito dei poveri che crea, si maschera dietro una facciata di legalità, intorpidisce e spegne la fede autentica rendendola pura ritualità. 2. Il culto, infatti, è stato ridotto apura facciata che tranquil­ lizza la coscienza, ma non impegna nella vita. Ecco, allora, la de­ nuncia di Amos: non è contro il culto in sé, quanto contro la sua riduzione a semplice rito esterno. La sua insistenza ha come scopo di riavvicinare il culto alla vita: il culto vero è attuare la giustizia, cioè prendere concretamente le difese del povero e dell’oppresso. Da qui inizia il «ritorno a Dio» (5,14-15). Così, «cercare il Signo­ re» è «cercare l’uomo», favorire i «privilegiati di Dio», quelli per i quali egli si compromette con tutta la sua fedeltà (5,4-7.14-15.21­ 24). Fede matura, allora, non è andare a santuari - per quanto ri­ nomati (5,5)- e fare offerte per mettere a posto la coscienza (5,21­ 23), ma smascherare le forme di ipocrisia che si celano dietro una pratica rituale osservante e scegliere di praticare «diritto e giusti­ zia». Per arrivare a questo, bisogna saper leggere in modo auten­ tico la storia per scorgervi i richiami di Dio alla conversione (4,6­ 12), sia accogliere i profeti che egli invia (2,12; 7,10-17). 3. Questo, però, sembra non avvenire anche perché si difen­ de il proprio stile di vita ricorrendo a delle affermazioni teologi­ che interpretate a proprio vantaggio, per giustificarsi: così si ritie­ ne di essere a posto semplicemente perché si è popolo scelto da Dio (3,1-2 e 9,7; note in B g ) e si pensa che il giorno del Signore (5,18-20) sarà senz’altro salvezza! (cf. note in B g ). Il profeta denuncia queste deformazioni teologiche e invita alla vigilanza e all’ascolto della parola di Dio, finché si è in tem­ po (8,11-14). Se questo non avviene, non resta che prepararsi airinconiro con il Signore (4,12): sarà un giorno di tenebre per­ ché si realizzerà il castigo previsto per l’infedeltà e l’incoerenza di vita (2,13-16; 3,13-15; ecc.). Secondo 9,11-15, però non è pre­ vista la distruzione totale del popolo, quanto della sua organizza­ zione politica, religiosa ed economica. Dio, infatti, «rialzerà la capanna di Davide» (9,11). 69

3.

L e t t u r a e s e g e t ic a

La vocazione di Amos (7,10-17)

Questo episodio dello scontro tra il sacerdote Amasia e Amos è inserito fra la terza (7,7-9) e la quarta visione (8,1-3). Suddiviso in due parti, ognuna delle quali dominata da uno dei due protago­ nisti, è tutto centrato sulla realtà della parola profetica, sulla sua efficacia e sul modo di accoglierla o rifiutarla. * vv. 10-13: la parola profetica è depotenziata della sua effica­ cia prima di tutto perché viene politicizzata. Amasia, infatti, de­ nuncia Amos di congiurare contro il re Geroboamo II. La parola profetica fa paura, ha un potere destabilizzante; il sistema religio­ so - servo del potere monarchico - si difende accusando il profe­ ta Amos di far politica (w. 10-11). In secondo luogo, la parola di Amos viene mercificata, cioè ridotta a semplice mezzo per guadagnarsi il pane. Se il profeta («veggente») vuole continuare a mangiare alla mensa del «san­ tuario del re e del tempio del regno» (v. 13), deve parlare secondo le attese del potere che gestisce il luogo sacro. Altrimenti se ne ritorni pure a casa, al Sud! (w. 12-13). * vv. 14-17: per nulla intimorito, Amos risponde a tono e mo­ tiva il suo intervento a Betel ricordando come è giunto lì. Non apparteneva a gruppi di profeti già costituiti (v. 14); tutto è stato iniziativa libera e sorprendente di Dio. Utilizzando lo schema mi­ litare della vocazione (ordine - esecuzione) Amos ricorda come J hwh sia entrato con potenza («il Signore mi prese = strappò via»: v. 15) nella sua vita di pastore e contadino e lo abbia man­ dato a profetizzare a Israele, suo popolo (v. 15). Egli non ha po­ tuto sottrarsi a quanto gli è stato richiesto (cf. 3,8: «il Signore Dio ha parlato: chi non profeterà?»). Così, la parola di Dio - grazie all’obbedienza del profeta - ir­ rompe in Israele, spazio sequestrato dal potere politico, per ri­ chiamare e contestare, andando anche contro le istituzioni politi­ che e religiose che difendono un sistema oppressivo. E chi custo­ disce gelosamente il suo potere opponendosi alla novità della parola profetica, verrà espulso verso una terra straniera (w. 1670

17). Così Amasia, che non ha saputo riconoscere in Amos il por­ tavoce della parola di quel Dio che «ruggisce da Sion» (1,2), sarà il primo a fare esperienza della sua efficacia. Conclusione. Da questo testo si possono ricavare gli ele­ menti di fondo della vocazione profetica : (1) tutto ha inizio dalla libera iniziativa di Dio che, mediante la sua parola, (2) strappa e sradica dal suo ambiente l’uomo che ha scelto, (3) esigendo da lui un’obbedienza radicale; (4) il profeta è così a servizio di Dio e del suo progetto di far risuonare la sua parola nella storia concreta del suo popolo; (5) restare fedele alla missione ricevuta comporta ac­ cettare sia di scontrarsi con chi detiene il potere, sia di essere frainteso, accusato, scacciato. La missione del profeta (2,6-16)

Perché Amasia ha espulso Amos? Cosa diceva il profeta di tanto scandaloso da essere accusato di far politica e di fare il me­ stierante? La risposta la troviamo leggendo il resto del libro. Può essere significativo soffermarsi su 2,6-16, l’ultimo degli otto ora­ coli contro le nazioni vicine a Israele. Il numero otto, originale o risultato della redazione finale, è molto importante: rompe la se­ rie perfetta (sette) e concentra tutta l’attenzione nell’ultimo ora­ colo perché inaspettato, «fuori serie». Il brano può essere facilmente suddiviso in tre parti: accusa (vv. 6-8.12); motivazione (w. 9-12); castigo (w. 13-16). * w. 6-8: il profeta Amos denuncia sette peccati commessi da Israele: ì. (i creditori) hanno venduto il giusto (colui che è incappato nei debiti senza sua colpa) per denaro (= avidità), 2 . e il povero (il bisognoso che non ha nulla) per (a causa di/in cambio di) un paio di sandali (quantità esigua di denaro = avi­ dità o disprezzo della persona); 3. calpestano come la polvere della terra (con indifferenza e faci­ loneria) la testa dei poveri; 4 . fanno deviare il cammino dei poveri, cioè falsano i processi o riducono i poveri in condizioni economiche difficili, tali da in­ durli a furti per poter sopravvivere; 71

padre e figlio vanno dalla stessa ragazza: è condannata l’umi­ liazione continua a cui sono sottoposte le ragazze di servizio. Si tratta non tanto di un peccato sessuale quanto di una profa­ nazione del nome stesso di Dio: ogni sopruso contro una perso­ na umana, infatti, è anche peccato contro il suo Creatore (cf. Pr 14,31; Mt 25,31-36). 6-7. Al v. 8 si parla dello sfruttamento a volte legalizzato, perché i ricchi se ne approfittano delle vesti avute come pegno e del vi­ no delle decime: le prime alla sera vanno riconsegnate (Es 22,25-26), il secondo è offerto al tempio. I soprusi vengono commessi nella casa di Dio, alla sua presenza: egli non sarà pe­ rò uno spettatore imparziale! * vv. 9-12: Amos fa memoria del passato, vale a dire dei bene­ fìci che Jh w h ha fatto nei confronti del suo popolo. Viene così offerto il quadro di riferimento che motiva la denuncia, cioè l’e­ sperienza della liberazione dall’Egitto. Gli Israeliti ricchi e op­ pressori sono così messi di fronte alla loro identità e alla respon­ sabilità che ne deriva: «Siete nati da un evento di liberazione, perché ora rendete schiavi i vostri fratelli?». * vv. 13-16: il richiamo sembra non avere effetti, anzi lo stesso profeta ha subito il rifiuto (v. 12). Allora non resta che il castigo, presentato nel testo come un terremoto che «affonda» tutto e tutti e di fronte al quale non valgono le qualità fisiche. Conclusione. Dal testo preso in esame si possono enucleare gli elementi che qualificano la missione profetica: - essere (a nome di J hwh) coscienza critica nella vita quotidiana del popolo perché non si adagi, più o meno coscientemente, su situazioni di peccato, ma realizzi il progetto di Dio; - denunciare quanto è in contrasto con la sua identità di popolo libero, nato da11’esperienza esodale, una denuncia non superfi­ ciale ma chiara, precisa, puntuale; - richiamare alla coerenza che si esprime nella responsabilità per una vita socio-religiosa impegnata a ristabilire diritto e giusti­ zia per tutti, specie per i poveri; - prospettare il risultato (castigo) del permanere di certe scelte che pongono in primo piano le nuove idolatrie (potere, denaro, benessere). 5.

72

Bibliografìa B o n o r a A., Amos, il profeta della giustizia, Queriniana, Brescia 1979:

ottima introduzione al profeta, con approfondimento di alcune te­ matiche del libro. B o v a ti P. - M ey n et R., Il libro del profeta Amos, Dehoniane, Roma 1995: commento secondo il metodo dell’analisi retorica. Jèrem ias J., Amos, Paideia, Brescia 2000. Lim burg J., I dodici profeti. Parte prima: Osea, Gioele, Amos, Giona, Abdia, Michea, Claudiana, Torino 2007. N o b ile M., Amos e Osea, Messaggero, Padova 2005: introduzione al profetismo biblico e presentazione dei due libri quali «luogo» lette­ rario e teologico in cui si condensano riflessioni di più generazioni di credenti. S g a r g i G., Gioele, Amos, Abdia, Dehoniane, Bologna 1998: i singoli libri sono interpretati alla luce della grande tradizione ebraica e cri­ stiana. Sim ian -Y ofre H.,Amos, Paoline, Milano 2002: nuova traduzione, intro­ duzione e commento. S o gg in J.A ., Il profeta Amos, Paidea, Brescia 1982.

II - OSEA: IL SIGNORE È MISERICORDIA 1. I l

profeta e il suo ambiente

Di Osea (= J hwh salva), primo tra tutti i «profeti minori» e unico originario del regno del Nord, sappiamo molto poco, al di fuori della sua esperienza matrimoniale (cc. 1-3). Dai suoi scritti appare di animo sensibile, capace di tenerezza patema (11,1-9) e di perdono autentico come marito (2,4-25); legge con acutezza la situazione socio-religiosa del suo tempo utilizzando la sua espe­ rienza umana come profezia per comprendere l’amore di J hwh verso il suo popolo infedele. Ha svolto la sua missione dagli ultimi armi di Geroboamo II a poco prima della caduta di Samaria, cioè dal 750 al 725 circa a.C. Si tratta di un periodo contrassegnato da grande instabilità poli­ tica per i continui colpi di stato (7,3-7) fatti da monarchi effimeri 73

(8,4) e i cambiamenti di alleanze per tentare di difendersi dall’As­ siria che minaccia di assorbire il piccolo regno del Nord (5,13; 7.8-11; 8,8-10; 12,2). Cosi, mentre Zaccaria (regna sei mesi nel 747) è filoassiro, Sallum (un mese nel 747) è pro-egiziano; Me­ nachem (746-737) riannoda l’alleanza con l’Assiria, seguito dal successore Pekachia (742-740). Ma Pekach (740-731) e Osea (731-721) sono anti-assiri (B ock 87-95; M etzger 137-140; 2Re 15.8-31; 17). Dal punto di vista sociale, la situazione non è cam­ biata rispetto al tempo di Amos: «Non c’è infatti sincerità né amore, né conoscenza di Dio nel paese. Si spergiura, si dice il fal­ so, si uccide, si ruba, si commette adulterio, tutto questo dilaga e si versa sangue su sangue» (4,1-2). Ma ciò che preoccupa il pro­ feta Osea è la situazione religiosa: i sacerdoti, ignoranti e negli­ genti, avidi e briganti (4,4-10; 6,9), stanno conducendo - assieme ai notabili e ai re - il popolo alla rovina (5,1-7). Questi, infatti, si abbandona all’idolatria cananea (4,11-14; 8,4-7; 10,1-10; 12,1-2; 13,1-3), con qualche «ritorno» a J hwh inconsistente «come la ru­ giada che all’alba svanisce» (6,1-6) perché il culto reso è falso e vano (4,12-14; 5,1-7; 9,1-7). 2. I l

LIBRO E IL M ESSAGGIO DI O S E A

Il libro

Gli oracoli di Osea, scritti di suo pugno (come 1,2-9 e 3,1-5) o raccolti dai discepoli (come 2,4-25; 5,8-6,6; 8,1-14) e disposti secondo l’affinità di contenuto, sono stati ordinati probabilmente a Gerusalemme dopo la caduta di Samaria (721 a.C.) e sottoposti successivamente a un lavoro di revisione e rielaborazione, fino a raggiungere l’attuale sistemazione durante o immediatamente do­ po l’esilio babilonese (P iemme 2098; B lenkjnsopp 106-116). Sin­ teticamente, dopo il titolo (1,1) abbiamo (cf. Bg): * cc. 1-3: il matrimonio di Osea e il suo valore simbolico. È la parte più nota ma anche più discussa del libro. In particolare, ci si chiede se si tratta di un matrimonio reale o di una semplice alle­ goria; se la donna che Osea sposa è già prostituta o lo sia diventa­ ta dopo; se la donna del c. 3 è la stessa del c. 1. Si può ritenere che 74

si tratti di un matrimonio reale; che la moglie di cui si parla sia sempre la stessa; che essa fosse un’adoratrice di Baal e che si sot­ toponesse liberamente alla pratica della prostituzione sacra. * cc. 4,1-14,1: vengono denunciate vecchie e nuove idolatrie a livello religioso e politico (cc. 5-7; 11-13) e la responsabilità dei dirigenti (c. 4; 8-10), seguite sempre dal castigo ormai prossimo. Lo sguardo del profeta spazia dalla situazione attuale (cc. 4-9) al­ la storia di Israele (cc. 9-13). * c. 14,2-10: è annunciata la conversione sincera di Israele e il suo ritorno definitivo a J hwh. Il messaggio

Prima di tutto, il profeta denuncia la situazione presente defi­ nendolaprostituzione (4,12; 5,4): il popolo ha abbandonato il suo primo marito, J hwh, e si è prostituito sia a livello politico (si ven­ de al potente di turno per tentare di salvarsi, F anuli 494-504), che sociale (si rende schiavo degli idoli del denaro e del benessere, facendone pagare le spese ai poveri, F anuli 365-386) e religioso (si danno alla «prostituzione sacra» e alle orge presso i santuari di Baal, F anuli 426-429). Causa di tutto questo è sia la mancanza di «conoscenza di Dio» (daat = esperienza profonda e coinvolgen­ te: 4,1), sia una certa peccaminosità che Israele si porta dietro fin dai tempi antichi. Osea, infatti, rilegge in modo molto critico al­ cuni episodi della storia passata: 1,4 (massacro da parte di leu della famiglia reale di Acab, giustificato in 2Re 10,30); 9,10-17 (infedeltà di Baal-Peòr e di Gaigaia; vedi i rimandi in B g); 12,3­ 7.13-15 (il patriarca Giacobbe non è certo un esempio edifican­ te!); 13,4-8 (infedeltà nel deserto). Anche 11,1-6 è una rilettura della storia passata (dall’Egitto alla Terra promessa). In secondo luogo, poiché Israele non è più capace di autentica «conversione» (sub = cambiamento di strada, cioè del centro del­ la propria esistenza, intesa come «ritorno a J hwh , ricercarlo»; 7,10), Osea annuncia il castigo ormai imminente (6,1-6; 7,8­ 16; 8,1-2; 9-10; 13). Eppure la sentenza non è senza appello, perché Dio è capace di far ritornare a sé il suo popolo mediante la sua misericordia: il 75

perdono di J hwh è capace di recuperare l’uomo perché supera i peccati del popolo (cc. 11; 14). C’è una speranza concreta di sal­ vezza; per J hwh, infatti, nessuna situazione di peccato è irrecupe­ rabile! E il trionfo della misericordia di Dio, descritta come hesed, cioè amore profondo di benevolenza che parte dal cuore (9,15; 11,1-2; 14,5, N dtb 978), e rahamim (da rehem = viscere, grembo materno), ossia amore di tenerezza viscerale, «come quello di una madre che “non dimentica il suo bambino e si com­ muove per il figlio delle viscere” (Is 49,15)» (N dtb 1053). E l’a­ more di Dio che provocherà la conversione autentica che si esprimerà nella hesed verso il prossimo e nella daat (= conoscen­ za) di Dio (6,6). Il profeta sembra essere arrivato a questa consolante conclu­ sione e a sperimentare che «il cuore di Dio si commuove dentro di lui e il suo intimo freme di compassione» (11,8) riflettendo sulla sua avventura matrimoniale: ripensata simbolicamente, diventa cifra per descrivere il rapporto tra il popolo ebraico (mo­ glie infedele) e J hwh (marito fedele). Così, nei cc. 1-3 «il raccon­ to di un’esperienza personale si trasforma in un “segno e presa­ gio per Israele da parte del Signore degli eserciti” (Is 8,18)» (N dtb 1053).

3. L ettura

esegetica

(cc. 1-3)

Nei primi tre capitoli viene narrata l’esperienza matrimoniale di Osea con valore profetico-simbolico: è la vocazione e missio­ ne del profeta! * 1,2-9: il racconto, suddiviso in quattro momenti dall’espres­ sione «il Signore disse a Osea» (vv. 2.4.6.9) caratterizzati dallo schema ordine-esecuzione, presenta le esigenze di J hwh verso il suo profeta: deve sposare una prostituta (vv. 2-3) e dare dei nomi particolari ai figli (vv. 4-9). La famiglia del profeta risulta imma­ gine reale della situazione religiosa del popolo nel suo rapporto con Dio. La moglie Gomer, infatti, è simbolo dell’infedeltà reli­ giosa del popolo «che non fa che prostituirsi allontanandosi dal Signore» (v. 2). I figli richiamano, con i loro nomi, la situazione 76

di rottura nei rapporti JHWH-Israele: Izreel denuncia le violenze politiche (2Re 10); Non-amata (—Lo-ruhamah) indica che Dio non ama più visceralmente ii suo popolo; Non-mio-popolo (= Lo-ammi) «è la negazione della formula classica dell’alleanza tra Dio e Israele; “ Sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo” (Lv 26,12; Ger 7,23; Ez 11,20; Zc 8,8). Dio ritorna a essere un estraneo che “non è più per voi” (v. 9 ed Es 3,14)» (N dtb 1053). * 2,1-3: promessa di salvezza legata ai nomi dei figli, ripresi in senso positivo (come in 2,24-25; F anuli 501-504; S icre 289­ 290). * 2,4-25: lettura profetico-teologica dell’esperienza matrimo­ niale dei cc. 1 e 3. Osea presenta il rapporto JHWH-Israele non più con termini dell’alleanza politica, quanto di «tenera relazione di due innamorati che si cercano nella gioia e nell’intimità. L’a­ more umano diventa il paradigma per parlare dell’amore di Dio per l’uomo e della risposta umana al Dio che è amore (lGv 4,8.16)» (N dtb 1053). Il testo può essere suddiviso in due parti: w. 4-17 (rib o pro­ cesso giudiziario); vv. 18-25 (rinnovo delPalleanza). vv. 4-17: per comprendere questo brano è necessario tener presente il sistema simbolico che vede coinvolti più protagonisti. O se a : è il m arito fedele che cer­ —»■ J h w h : Dio fedele che cerca di ricuperare a sé Israele che si ca di far ritornare a sé la m oglie prostituisce «p ro stitu ta» G o m er : m o g lie infedele che si —> prostituisce nei tem pli cananei —»

infedele, prostituito ai Baalim cananei

I s r a e le

su cui abita Israele, con­ taminata dall’idolatria.

T erra

Si ponga attenzione ai procedimenti stilistici: ripetizioni di stessi termini, ma con significati diversi (come il senso di deserto ai vv. 5 e 16); accostamenti simbolici (moglie/donna: popolo al v. 4,7; terra al v. 5). Inoltre, il processo giudiziario è basato sulla triplice ripetizio­ ne della schema accusa-castigo. Sinteticamente: 77

accusa — 1) v. 7: La loro madre si è prostituita 2) v. 10: Non capì (jada) che io le davo 3) vv. 12- 15: Seguiva i suoi amanti, mentre dimenticava me!

-------- > castigo vv. 8-9: Perciò, ecco, io ti sbarrerò la strada v. 11: Perciò anch’io tornerò a riprendere vv. 16- 17: Perciò, ecco, io la sedurrò

Suscita meraviglia il terzo castigo: dopo aver giocato d’astu­ zia per indurre la moglie a ritornare (vv. 8-9, in cui quel «ritorne­ rò al mio marito di prima, perché stavo meglio di adesso» indica un ritorno interessato, non un’autentica conversione all’amore; cf. Le 15,15-20) e dopo la decisione di passare alla linea dura del castigo pubblico (vv. 11-15), ci si aspetterebbe il massimo della punizione. Invece l’unico castigo che può far ritornare la moglie/popolo infedele è quello di amarla ancor di più. Solo l’a­ more e il perdono sono efficaci. È proprio vero che «il cuore co­ nosce ragioni che la ragione non conosce»! (B. Pascal). Tutto il movimento del testo (procedimento a onda, con i tre «perciò») si concentra nei vv. 16-17: Dio non lascerà niente di in­ tentato pur di «attirare a sé» (seduzione anche violenta, dolce ma irresistibile) il suo popolo come fa un innamorato pazzo verso la sua donna. «La condurrò nel deserto»: viene qui richiamato lo schema dell’esodo: Egitto - Deserto - Terra. La Terra è ora il nuo­ vo Egitto, per cui è previsto un contro-esodo: dalla Terra al De­ serto, per rientrare di nuovo in essa. Appare chiaro che deserto è prima di tutto segno che la storia della salvezza vissuta finora è annullata perché al popolo è sottratto il dono della Terra, conta­ minata dalla prostituzione all’idolatria cananea. Eppure, è pro­ prio dal deserto inteso come luogo della libertà dalle distrazioni/ tentazioni che nasce la possibilità di rifare l’esodo: è iniziativa di J hwh che prevede il ristabilimento dell’alleanza. Infatti, «là mi ri­ sponderà come nei giorni della sua giovinezza, come quando uscì dal paese d’Egitto». L’Egitto è il luogo della nascita del popolo (11,1), il Deserto quello della giovinezza/fidanzamento, la Terra quello del matrimonio da viversi nella stabilità e nella fedeltà (v. 22). Il canto nel Deserto è la risposta gioiosa a Dio che «parlerà al 78

suo cuore»: esprime non solo un incontro intimo, quanto un ser­ rato e appassionato corteggiamento da parte di Dio del cuore del­ l’uomo, cioè del suo centro decisionale e affettivo, fino a conver­ tirlo alla sua presenza. Infine, è previsto il rientro nella Terra: Dio renderà al suo popolo «le sue vigne» (simbolo della fertilità della terra) e «trasformerà la valle di Acòr», cioè la «valle della sventu­ ra» (Gs 7,26s) in «porta della speranza». vv. 18-25: suddivisi in tre momenti dall’espressione «e av­ verrà in quel giorno/in quel tempo» (vv. 18.20.23), questi versetti sono uno sguardo sul futuro che Dio garantisce. a) Il suo amore, infatti, è capace non solo di ricuperare a sé l’uomo per ricominciare tutto da capo (w. 16-17), ma anche di ricreare il suo popolo/sposa dall’intemo (v. 19): non si rivolgerà più a Dio chiamandolo «Mio padrone» (= Baali ), ma «Marito mio» (= Isshv. Gn 2,23) per indicare che è finita la schiavitù/ido­ latria (v. 18). b) Il rinnovamento del cuore dell’uomo, poi, ha ripercussioni positive sul creato che vivrà un’alleanza di pace/armonia (v. 20; Gn 2,18-23; Is 11,6-8). Il cuore dell’uomo è la fonte della pace e della guerra; le sue scelte e le sue decisioni operano in favore di un’armonica e costruttiva convivenza o contro di essa. E alla moglie/popolo stesso viene ridata la sua identità reale: «Ti farò mia sposa». Per tre volte viene utilizzato il verbo del ma­ trimonio tra un giovane e una ragazza vergine. J hwh quindi «ri­ sposa» Israele come si trattasse delle prime nozze. Ritorna l’intui­ zione che Dio è talmente novità assoluta che anche il matrimonio con una prostituta o con un’adultera è considerato e diviene effet­ tivamente un matrimonio con una ragazza vergine. E questo sarà «per sempre»: è un intervento di Dio gratuito e irrevocabile. Men­ tre, infatti, al Sinai l’alleanza era condizionata alla risposta del po­ polo (Es 19,8; 24,7), in Osea essa è senza condizioni e perenne. I vv. 21-22 sono fondamentali perché è descritta la dote della sposa: non più beni materiali (terra) quanto piuttosto qualità inte­ riori. Diritto (mispat), cioè progetto di Dio quale senso della vita, e giustizia (zedaqah), vale a dire la capacità di realizzare il mi­ spat, sia personale che comunitario. Benevolenza (hesed) e amo­ re (rahamim) quale attuazione pratica del mispat-zedaqah per 79

formare una fraternità autentica basata sull’accoglienza, la bene­ volenza, l’amore viscerale che perdona e rigenera. Fedeltà (emunah), ossia forza per essere fedele nel tempo e stabile nella rela­ zione. Il tutto porta alla conoscenza (ciaat) di J hwh: è l’esperienza profonda e continua del Signore, che coinvolge tutta la persona. c) Nell’ultima parte (vv. 23-25) c’è la sintesi del nuovo ordi­ ne di cose annunciato dal cambiamento dei nomi dei figli del pro­ feta, che da «testimonianza della rottura d’Israele con Dio [...] di­ ventano ora i simboli della comunione con Dio trasformandosi in Ruhamah (“Amata”), in Amni (“Popolo-mio”), in Jizreel il cui valore etimologico è “ seme di Dio”, cioè seme fecondo e bene­ detto (v. 25)» (N dtb 1054). Importante è l’ultima invocazione, Dio mio: è il massimo della relazione JHWH-Israele, relazione che ha conosciuto questi passaggi: Baali (= padrone mio) - Isshi (= marito mio) - Elohi (= Dio mio). * 3,1-5: Osea si riprende la moglie adultera, riscattandola (cf. note in Bg). Conclusione. Due sembrano le novità del messaggio di Osea in questi capitoli. 1. L’uso dell’esperienza matrimoniale come simbolo del rap­ porto Dio-uomo: il matrimonio diventa così testimonianza della misericordia di Dio (N dtb 980-981; 1054); il matrimonio fallito per l’infedeltà di uno dei due coniugi può essere ricuperato se ci si rifà all’amore che Dio ha per la sua famiglia, il popolo eletto. È da Dio che si impara ad amare e perdonare sempre e gratuitamen­ te (N dtb 921-922). 2. La proposta di una logica diversa nel rapporto peccatore­ Dio: non più peccato-conversione-perdono, quanto peccato-per­ dono-conversione. La conversione, cioè, non è condizione o pre­ supposto per ottenere il perdono da Dio, quanto conseguenza e risposta al suo amore misericordioso. Lo stesso concetto è espres­ so in 11,1-9: dopo la triplice dimostrazione d’affetto da parte di Dio e il triplice rifiuto di Israele (vv. 1-4) e l’annuncio del castigo (w. 5-7) viene presentato (vv. 8-9) l’amore gratuito di J hwh, non condizionato dalla conversione del popolo perché - dice il Signo­ re - «sono Dio e non uomo; sono il Santo in mezzo a te e non verrò nella mia ira» (v. 9; F anuli 355-358). 80

Bibliografia B e c k E., Osea-Amos-Michea, Cittadella, Assisi (PG) 1989, pp. 5-59:

commento semplice ma profondo. D a c c ò P. - Sabbioni L., Dalla parte di Dio. Leggere e pregare il libro di

Osea, Paoline, Milano 1996: proposta per momenti di «lectio divi­ na». F a n u li A., Osea. Michea, Queriniana, Brescia 1984, pp. 7- 143: presen­ tazione generale del libro del «profeta dell’amore sempre disposto a innamorarsi», con attenzione al suo linguaggio. Jerem ias J., Osea, Paidea, Brescia 2000: buono e aggiornato commento. Lim entani G., Il profeta e la prostituta. Osea, Paoline (La Parola e le parole), Cinisello Balsamo (MI) 1999: pregevole lettura ebraica del­ la «saggia profezia» di Osea. N o b ile M., Amos e Osea, Messaggero, Padova 2005: dopo l’introduzio­ ne al profetismo biblico, l’Autore commenta i due libri in cui si con­ densano riflessioni di più generazioni di credenti. S im ia n -Y o fr e H., Il deserto degli dèi. Teologia e storia nel libro di Osea, E db, Bologna 1994: alla lettura del testo segue la proposta di una sua interpretazione attualizzata. t u h lm u lle r C., I libri di Amos, Osea, Michea, Naum, Sofonia, Abacuc (La Bibbia per tutti 15), Queriniana, Brescia 1996: agile e semplice commento ai testi dei singoli profeti.

81

C a p it o l o

3

ISAIA E GEREMIA: FEDE E SPERANZA

Con questi due «profeti maggiori» il movimento profetico fa sentire la sua voce anche nel regno di Giuda. Essi svolgono la loro attività in periodi cruciali per l ’esistenza politica del piccolo regno ebraico: Isaia (740-701 circa a.C.) durante l ’avanzata dell ’impero assiro, il quale pone fine al regno di Samaria (721 a.C.); Geremia (627-585 a.C.) quando il neo­ impero babilonese si fa cosi pericoloso da distruggere Geru­ salemme e deportarne la popolazione (587 a.C.). Entrambi proclamano, con tonalità diverse, lo stesso messaggio: aver fede, cioè fondare la propria esistenza su J h w h e sul suo pro­ getto di pace, e saper sperare nella sua presenza di «Diocon-noi» (Isaia), capace di rinnovare il cuore dell ’uomo in profondità con una « nuova alleanza» di perdono gratuito (Geremia). I cristiani si rifanno costantemente a questi due profeti per­ ché li considerano coloro che più direttamente hanno prepa­ rato la strada a Gesù di Nazaret, creduto e proclamato il Messia, cioè il «Dio-con-noi» che predica una religiosità che parte da un cuore rinnovato dal perdono di Dio.

I - ISAIA: SE NON CREDERETE, NON RESTERETE SALDI Premessa

L’attuale libro di Isaia, biblioteca profetica per eccellenza, è il più lungo in assoluto dei libri sacri, con ben 66 capitoli. La critica biblica già da un secolo propone di suddividerlo (per ragioni sto­ riche, letterarie e teologiche; cf. L ogos 110-115; Sicre 202-211) in tre grandi parti, corrispondenti a profeti diversi: 83

1. cc. 1-39: è la sezione in cui sono presenti oracoli che vengono fatti risalire al profeta Isaia che operò neH’VIII secolo a.C., tra il 740 e il 701, a Gerusalemme; è anche detto «Proto (= Primo) Isaia» o «Isaia I»; 2 . cc. 40-55: è la parte attribuita a un profeta anonimo detto «Deutero (= Secondo) Isaia» che operò in esilio a Babilonia nella seconda metà del VI secolo a.C., tra il 555 e il 539; è an­ che citato «Isaia II»; 3. cc. 56-66: sono capitoli assegnati a un profeta anonimo (o più?) del post-esilio denominato «Trito (= Terzo) Isaia» o cita­ to «Isaia III». Appare dunque evidente che l’attuale libro di Isaia non è ope­ ra di un solo autore e che ha subito continue aggiunte, riletture, aggiornamenti tra l’Vili e il IV/III secolo, segno chiaro dell’at­ tualità della parola profetica proclamata da Isaia I. Sembra infatti che si possa ammettere un nucleo originario di partenza detto « memoriale di Isaia » individuato dalla maggioranza degli stu­ diosi in 6, 1 -8, 1 8 (per altri fino a 9,6 o 11 ,9). In esso sono presenti due momenti oracolari che vengono sviluppati in seguito, e cioè (N obile 87-94):

- il giudizio di condanna sul peccato di ingiustizia e di mancan­ za di fede presente in Giuda-Gerusalemme, giudizio esteso poi agli altri popoli idolatrici, in dimensione sia storica che escato­ logica; - la capacità di Dio di salvare il suo popolo (anche se solo un resto) e di convertire a sé tutte le genti (con modalità e tempi diversi) grazie alla presenza di un personaggio regale che assu­ me via via nuovi connotati (è un davidico in Isaia I, ma assume l’aspetto di profeta in Isaia II e III) e nuove prospettive (come quella di profeta sofferente nei «Canti del Servo» e la dimen­ sione escatologica nel Deutero e Tritolsaia). Al di là quindi della genesi e dello sviluppo delle tre grandi sezioni in cui viene comunemente diviso il libro di Isaia (cf. una loro ricostruzione in Piemme 1672-1675), gli studiosi contempora­ nei ’ndividuano un «progetto deliberato» (J. Vermeylen) soggia­ cente al testo canonico attuale, progetto che - proclamato dall’Isaia deH’VIII secolo e rivisto nel secolo VII dalla «rilettura protodeuteronomistica» - ha risentito fortemente prima dell'esperienza 84

esilica (secolo VI, in cui risuonano i cc. 40-55), poi delle fatiche della ricostruzione postesilica (secolo V, specie del tempo di Neemia, di cui si fa eco la terza parte, i cc. 55-66), infine delle forti attese escatologiche maturate al tempo del Cronista (IV secolo), per trovare una redazione definitiva tra il 300 e il 200 a.C. Il collegamento formale tra le parti è dato dalla presenza (cf. Logos 88-89) di: - tematiche comuni, come la gloria del «Santo di Israele» (6,3; 47,4; 48,17; 49,7) che si manifesta su tutta la terra (6,3), su Ge­ rusalemme (35,2), sugli esiliati (40,5; 42,12) e sui rimpatriati (60,1-3; 62,2; 66,18) ora come giudizio (1,4; 5,19.24; ecc.), ora come salvezza (41,14.16.20) e ora come glorificazione (60,9-14); - sviluppi di pensiero, come quello riguardante il Messia: è un re bambino della stirpe di Davide (cc. 7; 9; 11), che assume poi le caratteristiche di profeta sulla linea di Mosè (Dt 18,18) e di profeta sofferente, ma vittorioso e benedetto da Dio (i «Canti del Servo» e 61,1-3); - richiami che scandiscono le tappe dell’intero libro, come il consolare che chiude i primi dodici capitoli (12,1), apre la se­ conda parte (40,1) e alla fine designa Dio stesso come il conso­ latore (51,12; 66,13); o come la presenza di Sion/Gerusalemme nei momenti cruciali del testo (1,8; 12,6; 40,2.9; 52,1-2; 60,14; 62,7.11). L’insieme di questi elementi induce a ritenere che il progetto teologico dell’attuale libro del profeta Isaia parta da «un nucleo originario che si incontra nella pagina che narra l’esperienza di Isaia al momento della vocazione (cf. 6,1-11 [13])» (P ie m m e 1800) che celebra la regalità di Jh w h e la sua santità (cf. più avanti) e si concentri attorno alla dialettica «peccato-castigo/libe­ razione-salvezza» per Sion/Gerusalemme e tutti i popoli (inclu­ sione tra i cc. 1-2 e i cc. 65-66). Tale dinamismo intemo alla sto­ ria umana (presente in 7,1-8,18; cf. più avanti) vede, alla fine, il netto prevalere della «salvezza/redenzione» operata dal «Santo di Israele» attraverso il suo «messia/consacrato» (re-profeta soffe­ rente) e si sperimenta come «giustizia», cioè come perdono del peccato (cf. 1,4.18; 40,2; 55,6-7; 57,17-18; 63,10-16; 64,4-8; 66,24). E questo sia in una prospettiva storica (perché Dio è il 85

«Dio con noi» [8,10], il «tuo redentore» [41,14]; il «padre no­ stro» [63,16]), sia come attesa escatologica perché Dio è anche colui che farà «nuovi cieli e nuova terra» (65,17) - (cf. Piem m e 1675-1676; 1800-1804). Appare così evidente che la «storia del popolo di Jh w h e dell’umanità si sviluppa secondo un piano che trascende i dinamismi delle forze intramondane e, proprio per questo, non riflette solo un progetto umano, ma proviene dal Si­ gnore ed è espressione del suo eterno disegno» (Piem m e 1803). Conclusione. Nell’attuale libro di Isaia si intrecciano, richia­ mandosi e approfondendosi: - azione di Dio negli avvenimenti storici nazionali e intemazio­ nali e prospettiva escatologica (teologia della storia)-, liberazione dal peccato attuale del popolo ebraico (annuncio del perdono) e ri-creazione di tutto il creato (teologia della creazione)-,

- attenzione alla situazione socio-religiosa del popolo ebraico (particolarismo) e apertura a tutti i popoli, chiamati a conveni­ re verso Sion/Gerusalemme {universalismo)-, - centralità di Sion-Gerusalemme e presenza del re, con funzioni salvifiche nazionali e universali (messianismo regale e profeti­ co)-,

- opera salvifica di Dio (redenzione) e apporto dell’uomo inteso come conversione (ascolto della parola) e adesione al suo pro­ getto (esperienza difede autentica), atteggiamenti capaci di su­ perare ogni forma di ingiustizia sociale e politica {giustizia e diritto), di contrastare la propaganda del l’idolatria pagana e di evitare di costruirsi un dio su misura {religiosità fondata in Jh w h ) .

Tutto «questo farà lo zelo del Signore degli eserciti» (9,6) per preparare la via alla venuta del suo Figlio, Gesù di Nazaret, pro­ clamato Messia-Cristo dai cristiani. Può essere applicato in modo specifico a Isaia quanto afferma l’apostolo Pietro dei profeti in genere: «A lui tutti i profeti danno questa testimonianza: chiun­ que crede in lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo nome» (At 10,43). Infatti, «l’intero libro di Isaia, che riporta testi nati dall’VIII al V secolo, è il cuore della Bibbia e l’anello di con­ giunzione fra le tradizioni risalenti all’epoca patriarcale e la pie­ nezza che si realizza in Gesù di Nazaret. Costituisce pertanto la 86

più valida introduzione al mistero di Cristo, intravisto nei molti testi messianici e illustrato dalle numerose citazioni neotestamen­ tarie». La ricchezza di linguaggio, di immagini e di contenuto che emerge dall’insieme del libro del profeta Isaia «costituisce un pressante invito al lettore a rileggere e meditare più volte i testi isaiani, che sono tra le pagine più belle della Bibbia»1. 1.

I sa ia

1-39

La prima parte del libro di Isaia offre un aspetto antologico: attorno a uno schema convenzionale presente anche in Ger ed Ez (parole di giudizio sul popolo ebraico - oracoli contro i popo­ lo stranieri - parole di salvezza) sono stati raccolti scritti che pro­ vengono dal Protoisaia, altri che sono stati aggiunti dai discepoli, mentre alcuni blocchi risalgono a epoche posteriori. Si possono suddividere nel seguente modo (cf. B g e N dtb 761): ì. cc. 1-5: oracoli quasi totalmente del primo Isaia; prevalente­ mente sono dell’inizio della sua attività (740-735 a.C.); di no­ tevole valore letterario, si interessano del problema sociale; 2 . cc. 6-12: sostanzialmente isaiano (eccetto 11,10-12,6), è il «li­ bro dell’Emmanuele»: sono interventi a livello politico che hanno generalmente come sfondo la guerra siro-efraimitica (735-732 a.C.); 3. cc. 13-23: oracoli sui popoli stranieri; di paternità isaiana, pre­ sentano alcuni ritocchi e inserzioni posteriori (come 13,1­ 14,23; 15-16; 19,16-24; 21,1-10); 4. cc. 24-27: sono chiamati la «grande apocalisse», databile a non prima del secolo V a.C.; conosciuto è 25,6-11 (banchetto mes­ sianico); 5. cc. 28-33: poemi su Israele e su Giuda, sostanzialmente isaiani; sono collegati da sei «guai» (28,1; 29,1; 29,15; 30,1; 31,1; 33,1); 6. cc. 34-35: è la «piccola apocalisse», di sapore post-esilico (ini­ zi del V secolo); 1B. M a r c o n c in i , Il libro di Isaia (40-66), Città Nuova, Roma 1996, p . 194. 87

sezione narrativa di sapore deuteronomistico, ri­ prende - con varianti e aggiunte - 2Re 18,13-20,19; si parla dell’assedio di Gerusalemme a opera dell’assiro Sennacherib (701 a.C.). Appare evidente che sono attribuibili a Isaia I la sostanza dei cc. 1-12 (oracoli su Giuda); 13-23 (oracoli sui popoli stranieri); 28-33 (ancora su Giuda e Israele). Il resto, pur non essendo «au­ tentico», non è meno interessante: è sempre «parola di Dio» e si dovrebbe leggerlo in connessione con gli altri capitoli secondo lo schema classico della profezia: accusa e minaccia di castigo (pars destruens) - salvezza presente e/o futura (pars construens: N dtb 763-769). 7.

cc. 36-39:

2. I l

profeta I saia : attività e messaggio

Isaia (= J hw h salva) nasce verso il 760 a.C., probabilmente a Gerusalemme ove svolgerà tutto il suo ministero. Si ritiene fosse di famiglia aristocratica o comunque appartenente alla classe di­ rigente della città. Si sa che era sposato (la moglie è detta «profe­ tessa» in 8,3) e che ha avuto almeno due figli ai quali pone dei nomi simbolici: Seariasùb (= Un resto ritornerà; 7,3) e Mahèr-salàl-cas-baz (= Bottino-pronto-saccheggio-prossimo; 8,1). Il pe­ riodo in cui vive conosce momenti di grande tensione intemazio­ nale: mentre l’Egitto è in decadenza, l’Assiria avanza sempre più minacciosamente; Giuda tenterà di barcamenarsi tra queste due superpotenze del tempo (B ock 93-97; M etzger 133-146; B len kinsopp 125-140). Riceve la vocazione alla morte del re Ozia (740/739; c. 6; cf. sotto). Attività

La sua attività può essere suddivisa in tre momenti. ★ Durante il regno di Iotam (739-735): periodo di pace, di pro­ sperità e di benessere. Isaia scopre e denuncia la mancanza di valori spirituali (1,2-6), l’ingiustizia sociale (1,21-28; 5) e la fal­ sità religiosa (1,10-20); il lusso (3,16-24) e il benessere che por­ tano l’uomo all’orgoglio e al distacco da Dio (2,6-22). Efficace è 88

il «canto della vigna» (5,1-7) che termina con questa accusa: Jhwh «si aspettava giustizia ( mispat) ed ecco spargimento di san­ gue ( mispah), attendeva rettitudine (zedaqah) ed ecco grida di oppressi (zeaqah)». Prospetta il castigo individuato in una inva­ sione militare (1,7-9; 5,26-30).

Nella lettura si tenga presente che anche la profezia di Mi­ chea coincide con questa prima uscita in pubblico di Isaia (B len­ kinsopp 117-124). Il profeta di Morèset, infatti, denuncia - al tempo di Iotam e subito dopo - la mancanza di responsabilità dei capi (profeti inclusi) verso il popolo (c. 3), la corruzione che porta all’ingiustizia sociale (2,1-2), l’idolatria verso altre divinità (5,8-14) e la manipolazione di J hwh nella troppa sicurezza di averlo come alleato certo (3,9-12). In modo più chiaro di Isaia che per ora pensa prevalentemente al castigo, Michea ricorda quanto J hwh si aspetta dal suo popolo (6,8: «praticare la giustizia, amare la bontà, camminare umilmente con il tuo Dio»), e poi an­ nuncia una consolante certezza: pur castigando (c. 1), Dio salverà un resto (2,12-13) che, guidato da un re davidico (5,l-4a), sarà portatore di pace e Gerusalemme diventerà luogo di riunificazio­ ne di tutte le nazioni (4,1-5 che ha un parallelo in Is 2,2-5). * Durante il regno di Acaz (734-727): si fa sentire tutto il peso della minaccia assira sui due regni ebraici che tentano di salvarsi come meglio possono (guerra siro-efraimitica). In Gerusalemme si dubita della capacità di J hwh di essere fedele alle sue promesse sulla città santa e sulla monarchia davidica (2Sam 7). Allora il profeta Isaia interviene denunciando la mancanza di fede e ri­ chiamando alla fiducia in Dio, nella sua parola e nei segni che egli invia (l’«Emmanuele» in 7,14; cf. sotto). I suoi interventi a livello politico - assieme ad altri avvenuti in circostanze diverse (cf. note in B g) - sono raccolti nel «libro dell’Emmanuele» (cc. 6-12). Isaia mette in guardia dalle illusio­ ni nell’affidarsi alle potenze umane che si è sempre tentati di ido­ latrare (sono uno strumento in mano a Dio [10,5ss]) e ravviva la speranza nel progetto di liberazione e di pace che J hwh realizzerà mediante il suo Messia (9,1-6). * Durante il regno di Ezechia (727-698): in un primo momen­ to, quando Ezechia è ancora minorenne (727-715), il profeta 89

mantiene un atteggiamento di riservatezza, assistendo impo­ tente alla progressiva ascesa dell’Assiria e alla capitolazione del regno del Nord. Interviene poi verso gli anni 705-701 sia per mettere in guardia dall’eccessiva speranza che si va nutrendo verso l’Egitto (18,1-6; 20; 30,1-7; 31,1-3), sia per annunciare che l’Assiria stessa «sarà percossa con la verga» (30,31) per esse­ re andata oltre il suo compito storico. L’assedio di Gerusalemme con Sennacherib (nel 701), infatti, non avrà successo (cc. 36-39). L’euforia per l’inaspettata liberazione delude il profeta perché non la si è letta come invito al cambiamento interiore (22,1-14; I,4-9). Isaia sembra terminare la sua attività ponendo tutta la sua speranza solo nel futuro che Dio garantisce al resto di Israele guidato da un re che si affida totalmente al suo spirito (2,2-4; II,1-9; 32,1-5.15-20). Messaggio

Può essere cosi sintetizzato. 1. L’ id e n tità d i J h w h . Per Isaia, Dio è il «Santo d’Israele» (1,4; 5,16.19.24; 6,3; 10,20; ecc.): questo titolo riassume sia la trascendenza e la maestà di Jh w h , il Totalmente Altro, il re dell’u­ niverso, sia la sua immanenza e concretezza («gloria») perché ri­ siede in mezzo al suo popolo per liberarlo e salvarlo (1,24-28; 8,9-10; 9,1-6; 11,1-9). 2. La r e a lt à d e l l ’u o m o . Davanti al «tre volte Santo», l’uomo appare come un peccatore: è salvato e redento nella misura in cui riconosce e accetta questa sua realtà (come fa il profeta in 6,5); è condannato quando non accetta i suoi limiti e monta in superbia pretendendo la sua autonomia da Dio e prendendo le distanze da lui (2,6-22; 3,16-24). Questo avviene sia quando l’uomo sminui­ sce la santità di Dio rendendolo un idolo tascabile da sfruttare a piacimento (allora la religiosità diventa puro rito ipocrita, come in 1,10-20), sia quando non sa leggere fino in fondo i segni che Dio stesso gli invia (allora la religione è usata come maschera della propria incredibilità, come per Acaz in 7,1-17). Conseguen­ za grave del ridimensionamento di Dio e della pretesa autonomia dalla sua azione sono sia il disordine politico (legge del più forte come in 1,21-23; 3,1-15), sia le ingiustizie sociali (come nel c. 5): 90

segni chiari che ci si è costruiti altri idoli come il potere, il dena­ ro, il lusso. Nascono allora gli oppressi, i poveri, gli sfruttati. So­ luzione indicata da Isaia è aver fede: fondare la propria vita su J hwh e sulla sua parola (7,9; 18,4; 30,15; 32,17). 3. La storia : è il teatro di Dio, cioè il luogo in cui J hwh ma­ nifesta la sua «gloria» (= se stesso in azione). Il credente allora è colui che resta dentro la storia per rintracciarvi le azioni di Dio e Dio in azione. E vero profeta chi sa leggere la storia in questo modo. Così, per esempio, l’Assiria è uno strumento in mano a Dio: «verga» che punisce il popolo ebraico per i suoi peccati (10,4-34), ma che sarà a sua volta punita perché si erge superba­ mente a giudice della storia e della vita degli altri popoli in modo autonomo (30,27-33; 31,4-9; F anuli 462-469; Sicre 109-115). Se la storia è in mano a Dio, allora il profeta sa guardare non solo all’oggi, ma anche al domani: nasce la speranza in un progetto di pace che J hwh garantisce e sta realizzando nonostante le appa­ renze (2,2-4; 11,1-9). 4. La stabilità di Sion e del re\ si intende la certezza che la città di Gerusalemme e la casa di Davide sono state scelte da Dio per realizzare il suo progetto salvifico, e perciò stesso godo­ no di una garanzia divina di sussistenza perenne e di vittoria. Questa sicurezza non è qualcosa di magico o incondizionato, per­ ché fondato sul totale affidamento a Dio: «se non credete, non re­ sterete saldi» (7,9). Per comprendere tutto ciò, si deve tener presente: - la teologia legata alla figura del re\ l’AT presenta il re come uomo che gode di una speciale considerazione da parte di Dio e di una «condensazione» su di lui di doni specifici che lo ren­ dono capace di attuare la missione di guida e responsabile del benessere del popolo eletto. In particolare, il re deve garantire due aspetti essenziali della presenza del Signore: il diritto (mispat) e la giustizia (zedaqah). In altri termini, il programma po­ litico del re è quello di J hwh, manifestato nella sua Parola. E la funzione di pastore che ricopre il re, conseguenza del suo esse­ re consacrato = mashiah (unto) (F anuli 487-492; Sicre 522­ 530). - 2Sam 7: in questo testo Dio stipula un’alleanza con Davide, promettendo solennemente di impegnarsi a garantire alla sua 91

dinastia il trono di Gerusalemme2. Poiché è profondamente convinto che J hwh, il Santo d’Israele, è fedele alla sua parola, Isaia afferma categoricamente che Gerusalemme non cadrà in mano nemica perché è la città di Dio (7,1-8) e che si possono riporre speranze concrete sul discendente di Davide, il Messia che realizzerà il progetto di pace del Signore (9,1-6; 11,1-9). 5. Il resto fedele. Anche se la mancanza di fede sta provocan­ do disastri a ogni livello e pur essendo previsto (in linea con altre pagine profetiche) il castigo, Isaia è convinto che quest’ultimo, pur rappresentando la fine della superbia umana, non significa la scomparsa del popolo. Infatti, un resto si salverà! Magari picco­ lo, quello del profeta e dei discepoli (8,16-18), degli umili, dei fedeli, dei poveri. Coloro che vivono una fiducia radicale in Dio saranno depositari di tale speranza (6,11-13; 10,19-21; 28,5-6; cf. nota a 4,3 in Bg). 3. L ettura

esegetica

I testi di Isaia che più hanno inciso nella riflessione cristiana sono senz’altro quelli del «libro delFEmmanuele» (cc. 6-12), col­ legati non solo dalla presenza di questo e altri nomi simbolici (cf. 7,3; 8,1), ma anche da un alternarsi di oracoli di castigo (o «inva­ sione», come in 7,1-2; 7,17-20.23-25; 8,5-8.21-23; 9,7-10,4; 10,28-32) e di salvezza (o «liberazione», come in 7,14-16.21­ 22; 8,1-4.9-10; 9,1-6; 10,5-15; 11,1-9) che prospettano un futuro di pace per tutti (come in 9,1 -6 e 11,1 -9). I cc. 6-12 possono essere così strutturati: - c. 6: esperienza vocazionale del profeta - cc. 7-11 : interventi di Isaia a livello politico - c. 12: inno finale. Eccomi, manda me! (c. 6)

L’esperienza vocazionale di Isaia è narrata al c. 6 secondo lo

schema politico: J hwh è rappresentato come un re circondato dal­

la sua corte (vv. 1-4) e di fronte al quale l’uomo prende coscienza 2 Si veda G. C a p p e l l e t t o ,

92

o . c .,

pp. 338-340; 347-348.

della sua indegnità (v. 5). Mediante un atto di purificazione il profeta viene ammesso al consiglio dei ministri di Dio (vv. 6-7). Qui - dopo essersi dichiarato disponibile - Isaia riceve la missio­ ne (vv. 8-9a) della quale vengono anticipati i risultati immediati (vv. 9b-10) e futuri (vv. 11-13). Abbiamo così tre momenti. * La teofania (vv. 1-5): l’esperienza di Dio («io vidi»: vv. 1.5) è ambientata al tempio di Gerusalemme «nell’anno in cui morì il re Ozia» (740 circa). Jhwh domina tutta la scena (vv. 1.3: riempi­ vano - è piena) con la sua santità {qedushah\ trascendenza) e la sua gloria (kabod; manifestazione concreta). Alla voce di procla­ mazione dei serafini (cf. nota in Bg) si contrappone quella del pro­ feta che sperimenta la sua realtà: prende coscienza della sua iden­ tità di uomo peccatore (dimensione interiore, si oppone alla santi­ tà) che vive sulla terra tra gli altri peccatori (dimensione esterna, in opposizione alla gloria di Dio). Ogni autentica esperienza di Dio porta infatti l’uomo a prendere maggior coscienza di sé. * La consacrazione (vv. 6-7): il tempio terreno si trasforma in corte celeste animata. Isaia viene purificato in profondità e reso degno di stare davanti alla maestà di Dio mediante un gesto (v. 7). Il sincero riconoscimento della propria identità davanti a Dio porta a una trasformazione inaspettata: ora il profeta può sia ascoltare (v. 8a) che dichiarare la sua disponibilità ad essere in­ viato a Dio (v. 8b). * La missione: le parole di Isaia «Eccomi, manda me!» non provengono da un esaltato che si autocandida orgogliosamente; sono frutto dell’ascolto, ossia della partecipazione piena e co­ sciente al progetto di Dio sul popolo. Isaia, infatti, facendo ormai parte della corte (= realtà di Jh w h ), comprende se stesso e la sto­ ria con gli occhi stessi di Dio e fa suo il progetto del Signore di­ chiarando la sua disponibilità (v. 8). Allora gli viene dato l’inca­ rico di farsi portavoce di una parola di Dio efficace nel rendere duro e ostinato il cuore dell’uomo (vv. 9-10), ma perché possa verificarsi il ritorno grazie a un resto santo (vv. 11-13). La paro­ la profetica ha così lo strano compito di accelerare il processo di autodistruzione scelto dal popolo che, una volta toccato il fondo, si ricorderà della stessa parola e - alla sua luce - rileggerà la sto­ ria per incamminarsi verso Dio. 93

Questa «esperienza inaugurale» della vita pro­ fetica di Isaia contiene tutti gli elementi che saranno poi sviluppa­ ti durante la sua missione e nel resto del libro che porta il suo no­ me: (1) percezione della santità e gloria di J hwh, Signore degli eserciti; (2) consapevolezza dell’identità dell’uomo davanti a Dio: è un peccatore che, se non si riconosce tale, diventerà sem­ pre più incallito nel male; (3) necessità di un castigo che l’uomo pagherà sulla propria pelle e si attuerà nella storia concreta; (4) eppure, una volta toccato il fondo, ci sarà la possibilità della rina­ scita grazie a un «resto» che avrà imparato la lezione. Conclusione.

Se non crederete, non resterete saldi (7,1-17)

Il primo impegno di Isaia a livello politico avviene durante la cosiddetta guerra siro-efraimitica. Si è nel 735/4 a.C.: i re di Israele (Samaria) e di Aram (Damasco) vogliono ribellarsi alPAssiria non pagando più il tributo imposto loro da Tiglat Pileser III nel 738/7. Per non essere presi tra due fuochi, invitano Iotam, re di Giuda, a diventare loro alleato, ma egli rifiuta. Alla sua mor­ te (734), gli anti-assiri decidono di intervenire militarmente per occupare Gerusalemme e togliere dal trono il davidico Acaz che continua la politica del padre. Resiste, infatti, alle pressioni sia interne che esterne e chiede aiuto al re assiro contro i due assali­ tori (2Re 16,7). Nell’attesa degli eventi, interviene il profeta Isaia con due forti richiami al re (7,1-17) perché resista senza appoggi esterni, fidandosi unicamente della parola di Dio su Gerusalem­ me e sulla dinastia davidica (2Sam 7). * 7,1-9: dopo l’introduzione storica (vv. 1-3) c’è l’oracolo di salvezza (w. 4-9). Isaia, accompagnato dal figlioletto Seariasub (= un resto [di chi?] si salverà), invita il re a «stare tranquillo, non temere e non abbattersi» (v. 4) perché il progetto di «quei due avanzi di tizzoni fumanti» di salire contro Giuda, devastarlo, occuparlo e mettere come re il figlio di Tabeel non si realizzerà (v. 6; cf. nota in Bg). Questo è quanto promette solennemente Jh w h : ma tutto è condizionato dal credere in Dio. Infatti: «se non crederete (im lo teeminu), non resterete saldi (ki lo teamenu)». Viene usata - nel TM - due volte la stessa ra­ 94

dice ’mn da cui deriva la parola «credere»: aver fede significa es­ sere stabilmente fondati in Dio. Per Isaia questo si esprime in questi termini: «nella conversione e nella calma sta la vostra sal­ vezza, nell’abbandono confidente sta la vostra forza» (30,15). Non è atteggiamento ingenuo, infantile, rinunciatario; ma quello di chi responsabilmente sa giocare tutto sulla parola di Dio, nel­ la consapevolezza che è lui il Signore della storia. Concretamen­ te, per Acaz significa restare indipendente e poggiare sulla pro­ messa di J hwh senza aver paura della lega anti-assira, ma anche senza cercare protezione in Assira. Fede è allora riconoscere che Dio sta realizzando «oggi» il suo progetto all'interno di una sto­ ria piena di contraddizioni: solo questo porta speranza e sicurez­ za dove c ’è paura. Non si tratta di quietismo, ma di riconoscere che in ogni scelta (anche politica) è coinvolta la propria fede-fiducia nella capacità di Dio di portare a compimento quanto pro­ mette. ★ 7,10-17: come nel testo precedente, anche in questa scena abbiamo un’introduzione che presenta i personaggi (vv. 10-13) e un oracolo che annuncia l’impegno di Dio (w. 14-17). Nella prima parte, come risposta al timore e all’incertezza di fronte all’atto di fede, Dio stesso vuol offrire - per bocca del suo profeta - un segno al re Acaz. Come in altri contesti (Es 4,1-7; Gs 6,36-40; ISam 10,2-5), anche qui il segno non è necessariamente un miracolo speciale quanto piuttosto una realtà normale che, let­ ta alla luce della fede, diventa segno chiaro della presenza di Dio. Nel nostro caso, segno che J hwh è già in azione per realizzare quanto promesso dal profeta. Il re Acaz, però, ostentando religio­ sità e rispetto (cf. Dt 6,16 e Nm 17,1-7), rifiuta categoricamente l’offerta di Dio. Infatti, con la sua risposta, il re cerca di impedire che un segno da parte di Dio venga a portare scompiglio nelle sue decisioni. Il profeta reagisce duramente di fronte a tanta ipocrisia e af­ ferma che sarà J hwh stesso a dare un segno. I vv. 14-17 sono dif­ ficili: in essi ogni parola sembra ambigua e suscettibile di diversi significati. Il modello letterario utilizzato è quello di un «annun­ cio di nascita» (cf. Gn 16,1 ls; Gdc 13,7) che presenta i seguenti elementi (N dtb 765; F anuli 501-512): 95

- la nascita: la madre viene presentata nel TM come ha-almah (= la giovane donna) in cui l’articolo indica che si tratta di una persona concreta e conosciuta; l’ipotesi più seguita (cf. nota in Bg) è che si tratti di Abi, la giovane moglie del re che gli parto­ rirà Ezechia (2Re 18,2); - il nome del bambino è Immanu-El (= Dio-con-noi): così viene salutato il nascituro (Ezechia), perché quale erede al trono, è segno chiaro della fedeltà di J hwh alle sue promesse (2Sam 7); risuona come una specie di grido di guerra di fronte al pro­ getto della lega anti-assira di eliminare la dinastia davidica da Gerusalemme; - la dieta del nascituro è un po’ ambigua: finché non avrà rag­ giunto l’uso della ragione (12 anni; v. 16) dovrà cibarsi di latte e miele, il cibo dei superstiti dopo l’invasione del nemico (7,22); - anche il futuro è un insieme di speranza (liberazione dai due re: v. 16) e di minaccia (invasione assira: v. 17). Così il profeta interpreta la storia alla luce del progetto di Dio (F anuli 441-460): nonostante le reali difficoltà, J hwh è fedele al­ la parola data perché è «Dio-con-noi» (8,10). Su questa certezza si deve basare l’atto di fede del re. Conclusione. Le domande che sorgono di fronte a questa let­ tura storica sono almeno due: questo testo è messianico? E corret­ ta la lettura che ne fa Mt 1,22? C’è chi - come la tradizione giudaica - nega decisamente che questo testo sia messianico perché il Messia è sì una figura regale che porta la salvezza, ma con lui dovrebbe anche iniziare l’era fi­ nale di pace e benessere per tutti gli uomini, cosa che qui non sembra avvenire. Infatti, l’Emmanuele è solo segno dell’interven­ to di Dio per essere fedele al suo progetto sulla casa di Davide. C’è chi, invece, afferma categoricamente che non solo il testo sia messianico, ma che - grazie alla versione della LXX che tra­ duce ha-almah con è parthenos (= la vergine) - sia anche una «pre-visione» chiara ed esclusiva di Maria e Gesù di Nazaret (co­ sì la tradizione cattolica che propone una lettura storico-messiani­ ca diretta). Si può obiettare che, secondo il contesto di Is 7, il bambino è segno per il re nel suo presente storico difficile e non 96

riguarda esplicitamente un fatto che capiterà dopo 750 anni! (co­ sa che sa e crede solo il lettore cnstiano). C’è chi sceglie una posizione intermedia e propone un’inter­ pretazione storico-messianica indiretta del testo: inserito, infatti, nel contesto dei cc. 6-12, mediante una lettura sincronica assu­ me un chiaro significato messianico di attesa della liberazione e della pace che Dio realizzerà grazie alla presenza di un bambino (9,1-6), virgulto di lesse (11,1-9). Inoltre, la parola del profeta - in quanto parola di Dio - è una parola aperta, offerta come una «testimonianza» (8,16-20) alle generazioni future: riletta come un memoriale degli impegni di Dio aH’intemo della comunità credente, offre sempre nuove pos­ sibilità di attualizzazione. Così farà la LXX che, pur non parlan­ do esplicitamente di «concezione verginale» perché potrebbe so­ lamente dire che «colei che [ora] è vergine [poi] concepirà e par­ torirà un figlio», sgancia il segno dalla situazione storica di Acaz e lo proietta in un futuro che è in mano a Dio. E quando la comu­ nità cristiana - dopo aver sperimentato in Gesù di Nazaret mor­ to e risorto la realizzazione delle promesse di Dio - rileggerà que­ sto testo, non avrà difficoltà a riconoscerlo come profezia, cioè parola che vede nel tempo il realizzarsi del progetto di Dio. Così, il futuro di quel testo - cioè Gesù Cristo - lo illumina e ne espri­ me tutto il senso. «Non perché Isaia abbia “previsto” il concepi­ mento verginale di Gesù, ma perché il concepimento verginale getta la luce definitiva sulla promessa isaiana»3. E la pace non avrà fine (8,23b-9,6; 11,1-9)

Per messianismo si intende la speranza di un grande cambia­ mento che rinnovi definitivamente l’umanità. Mentre in una pro­ spettiva umana essa è riposta nell’uomo stesso (ad esempio nella tecnica, nel benessere, nella psicologia, ecc.), per la Bibbia essa è attribuita all’iniziativa di Dio che si servirà di una persona a lui «consacrata»4. 3 G. B , Profetismo e messianismo. L'esempio di Is 7 , «Parole di Vita» 33 (1988), p. 285. Ci si rifa a questo articolo per l’impostazione del pro­ blema. o r g o n o v o

97

Le modalità con cui nell’AT viene descritta l’attuazione della speranza messianica sono diverse ( N dtb 937-953). Richiamiamo quelle dei profeti: - messianismo regale davidico: è legato alla figura di Davide e dei suoi discendenti, ognuno dei quali è mashiah = consacrato (Is 7-11; Mie 5,1-4; Ger 23,5; Zc 9,9); - messianismo profetico : legato cioè alla figura di un profeta co­ me in Dt 18,15-18 o come nel Deuteroisaia («Servo di Jhwh » ) e in Is 61; - messianismo apocalittico: prevede un rinnovamento generale di cielo e terra operato direttamente da Dio (come in Is 65-66; Zac 9-14) o mediante un suo intermediario (come il «Figlio dell’uomo» di Dn 7). A proposito del messianismo davidico, si ritiene che «duran­ te il periodo monarchico non esistono oracoli messianici in senso stretto. Soltanto a partire dall’esilio in certi ambienti (non in tutto il popolo) sorge la speranza che Dio restauri la dinastia davidica. Neppure questa speranza è rigorosamente messianica. Ma, col passare del tempo senza che essa si compia, tali aspettative an­ dranno crescendo e trasformandosi nell’attesa di un salvatore escatologico. Allora, testi che in origine non erano messianici fu­ rono riletti e utilizzati per descrivere la persona e l’opera di que­ sto futuro e decisivo salvatore. F quanto fecero diversi gruppi giudei e i primi cristiani» (F an u li 537-538; cf. Appendice). Nei cc. 7-11 di Isaia abbiamo un messianismo legato alla fi­ gura del discendente di Davide. Assieme a 7,1-17, altri due testi sono significativi: 8,23b-9,6 e 11,1-9 ( F a n u l i 512-522; S icre 530-536; 552-555). * 8,23b-9,6. Nel 732 a.C. il re Tiglat Pileser III occupa la Gali­ lea e parte del regno del Nord riducendole a provincia assira (2Re 15,29). Isaia promette agli Israeliti la liberazione e la consolazio­ ne dopo tale disastro militare in occasione della nascita (732/1) o dell’intronizzazione di Ezechia (728/7): le promesse di Dio a Da­ vide si estendono a tutto il popolo ebraico, nonostante sia diviso in due regni. 4 A. R i z z i , Messianismo, in Idem, Terra, paese dell 'uomo. Spiritualità del quotidiano, CENS, Sotto il Monte (BG) 1983, pp. 15-82.

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Il testo è strutturato in tre momenti: - annuncio di salvezza (8,23b-9,2): si tratta di liberazione dopo l’umiliazione subita (8,23b), di luce-vita nelle tenebre-morte (9,1) e di pienezza di gioia (9,2); - motivazioni della gioia: scandite da tre «poiché», sono la fine della schiavitù (9,3) e della guerra (9,4) grazie alla nascita di un bambino (9,5); - qualifiche del bambino', si parla della nascita e delle insegne re­ gali (9,5a), del suo quadruplice nome (9,5b; cf. nota in B g) e del suo futuro di pace (9,6). La pace (= shalom) riguarda sia l’aspetto politico («sul trono di Davide e sul regno») che quello sociale («diritto e giustizia»): si manifesterà come pienezza di vita e di giustizia stabile nel tem­ po, e sarà realizzata dallo «zelo del Signore degli eserciti», cioè dall’amore profondo e intenso che nasce dall’intimo stesso di «J hwh Sebaot» (Signore degli eserciti). * 11,1-9. E un poema parallelo e complementare al precedente, del quale raccoglie vari motivi: il successore al trono, la giustizia, la pace universale, i nomi personali. E difficile datare storicamente questo testo, che per alcuni studiosi sarebbe addirittura esilico o post-esilico. E possibile, pe­ rò farlo risalire agli ultimi anni di Isaia, cioè verso il 701: il pro­ feta, deluso forse anche di Ezechia e della sua politica, pone ora la speranza in un re futuro, ideale, che realizzerà quanto non han­ no saputo fare né Acaz né il figlio. Di fronte all’incapacità dei remessia terreni di realizzare quanto ci si attende da loro, la speran­ za non perde di intensità ma si proietta in un futuro per ora solo intuito possibile perché garantito da Dio stesso. Isaia, quindi, non avrebbe terminato il suo ministero profetico come un solitario de­ luso, ma contemplando un futuro migliore sia nazionale che in­ temazionale. Il testo può essere suddiviso in due parti (N dtb 765). * Il germoglio di lesse e lo spirito del Signore (vv. 1-5). J hwh, nel realizzare il suo progetto di pace, si serve di una

persona umile e fragile (= germoglio, virgulto): le sue origini so­ no insignificanti (cf. Mie 5,1), il tronco della dinastia è tagliato, però una linfa vitale (2Sam 7!) vivifica questo ceppo (v. 1). 99

Il germoglio, poi, si erge come centro dei quattro punti cardi­ nali o dei quattro venti (cf. Ez 37,9), i quali si poseranno su di lui in modo permanente garantendogli la stabilità. La pienezza dei doni dello spirito (4 volte ruah, con tre coppie di attitudini) con­ siste in sapienza e intelligenza per essere pienamente persona umana, consiglio e fortezza per saper governare e combattere, co­ noscenza e timore del Signore per avere una relazione profonda con Dio stesso (v. 2). Se il «germoglio di lesse» si lascerà guidare dallo spirito di Dio, sorgerà un governo giusto: avendo, infatti, come stemma o insegna del suo governo (v. 5) la giustizia (zedaqah) e la fedeltà (emunah) eviterà di giudicare differentemente, a seconda delle persone che ha davanti, ed eliminerà ogni forma di violenza e di sopruso (vv. 3-4). * La pace e la riconciliazione universale (vv. 6-9). La pace tra gli uomini avrà ripercussioni positive anche sul creato intero: na­ sce un nuovo ordine di relazioni nel mondo. Non più violenza ma riconciliazione: per due volte il testo mette insieme tre animali selvatici e tre domestici, sempre con la presenza dell’uomo rap­ presentato da un bambino che si riconcilierà anche con l’animale più diffidente, il serpente velenoso (w. 6-8, con chiaro richiamo a Gn 2-3). Tutto avrà un suo centro significativo: il santo monte, Sion, da cui uscirà la «conoscenza» del Signore per riempire il paese, come in 2,3 «da Sion uscirà la legge [torah] e da Gerusalemme la parola [dabar\ del Signore». Conclusione * La prospettiva di unfuturo positivo per il popolo ebraico è le­ gata, in Isaia, o a un intervento diretto di Dio, o alla presenza del suo Messia. In entrambi i casi si tratta di modalità concrete per­ ché si realizzi il regno di Jh w h inteso come riconoscimento che Dio è «il Signore» della storia e del cosmo e concretizzato come liberazione da ogni forma di schiavitù perché abbondino pace e giustizia (N dtb 413-415; 1296-1322). Shalom, infatti, significa armonia tra gli uomini e tra i popoli (2,4) e con la stessa natura (11,6-8), assenza di malattie (35,5-6) e abbondanza di beni mate­ 100

riali (35,lss), presenza di «cuori giusti» (32,16) e pienezza dello spirito di Dio (11,1-2). Non si tratta di un sogno utopico né di una visione che si rea­ lizzerà al di là della storia: è una nuova visione della storia e della società, che si realizzerà nella storia stessa (escatologia intrastorica) ed è mediata - nei testi presi in esame - dalla presenza del Messia. * Siamo realisti! I nostri occhi guardano la realtà e ci dicono che le attese/promesse di Dio o non si sono avverate storicamente o, se sono diventate realtà, non si sono però estese a tutta l’uma­ nità. E inutile, affermano molti oggi, cullare sogni e farsi illusioni per la nostra storia: le promesse dei profeti o sono delle semplici utopie, o sono promesse che si realizzeranno solo nell’aldilà (per chi ci crede) o - per ben che vada - riguardano la sfera privata o l’intimo; o al massimo qualche piccolo gruppo5. Per rispondere a simili interpretazioni, è necessario: - riflettere sulla natura di questi testi, non esprimono semplice­ mente i desideri del profeta, ma danno voce e contenuto alle stesse attese e speranze di Dio suila storia dell’uomo; il profeta non fa altro che ancorare le attese più belle e profonde dell’uo­ mo alle stesse attese di Dio: l’uomo desidera la pace perché Dio stesso lo fa; questi testi non sono allora utopia, ma «eutopia», cioè «buona cosa» perché fondati su un impegno di Dio; - ritenere il profeta non semplicemente un cantastorie utopico, ma uno che sa andare «oltre» l’immediato, il visibile: sa legge­ re la storia dalla parte del mistero di Dio, quel Dio che sta già ponendo in atto le sue promesse mediante la sua parola; la ve­ rità di ciò che si vede è data dal mistero d’amore (9,6) in cui esso è immerso; - leggere questi testi da cristiani', il vero volto del mistero di Dio è Gesù Cristo; in lui l’amore del Padre è già operante; e «già» e «non ancora» non sono due momenti diversi nel tempo della nostra quotidianità, quanto piuttosto due volti della stessa real­ 5 C. Di S a n t e , Il messianismo. Tra l ’attesa e la realizzazione, «Rassegna di teologia» 31 (1990), pp. 421-432. 101

tà: la salvezza è già in atto nel non ancora di una vita quotidia­ na che fatica a crescere perché soggetta alla libertà dell’uomo oltre che all’impegno di Dio; - leggere questi testi con spirito cattolico (= universale) aperto a tutta la realtà umana, per vederne le realizzazioni - anche par­ ziali - lì dove realmente esistono, e saper sperare ancora! Bibliografia G., C ’è stato dato un figlio. Il libro dell ’Emmanuele (Is 6,1-9, 6): struttura e interpretazione teologica, Dehoniane, Bologna 2007. B o s c h i G.L., Il messianismo nella Bibbia, «Sacra Doctrina» 43 ( 6/ 1998) 59 - 76 : sintetica e puntuale presentazione del tema. C a z e lle s H., Il Messia della Bibbia, Boria, Roma 1981 : pregevole ope­ ra di analisi e di divulgazione. C h ild s B.S., Isaia, Queriniana, Brescia 2005: commento a tutto l’attuale libro profetico. Df. Z a n R., Isaia (capitoli 1-39), Messaggero, Padova 2001: proposta di lectio aivina su nove testi dell’«Isaia di Gerusalemme». G r e l o t P., La speranza ebraica al tempo di Gesù, Boria, Roma 1981: complementare all’opera del Cazelles, presenta le speranze del tar­ do giudaismo e di quello «intertestamentario». K a is e r O., Isaia, voi. I (cc. 1- 12 ), voi. II (cc. 13 -39 ), Paideia, Brescia 1998 e 2002. Benzi

M arco n cin i B., Il libro di Isaia ( 1-39), Città Nuova, Roma 1993: dopo

l’introduzione, l’autore commenta i principali testi di questa parte del libro di Isaia. M on tagn [n i F., Il libro di Isaia. Parte prima (capp. 1-39), Paideia, Bre­ scia 19822con il metodo diacronico, inserisce nella storia ogni ora­ colo del profeta, con buoni commenti. — Isaia 1 -3 9 , Queriniana, Brescia 1990: introduzione chiara e scorre­ vole alla lettura «storica» del profeta. M o t y e r A., Isaia. Introduzione e commentario, GBU, Chieti-Roma 2002 .

102

II - GEREMIA: IL PROFETA IN CRISI

1. Il

libro di

G eremia

* Il libro profetico che porta attualmente il nome di Geremia è strutturato secondo uno schema rintracciabile anche in Amos, Isaia ed Ezechiele: ì. Denuncia dei mali di Giuda e Gerusalemme (1,1-24,13); 2 . Oracoli contro le nazioni (25,14-38; 46-51); 3. Annuncio di salvezza e felicità (26,1-35,19); 4. Racconti biografici sul profeta (36,1-45,5). * La formazione dell’insieme del libro - uno dei problemi più discussi oggi - può essere così sintetizzata. - Nel 605/604 Geremia detta al segretario Baruc parte della sua predicazione. Baruc legge poi il testo davanti al re Ioiakim che distrugge il rotolo. Subito dopo Geremia fa riscrivere il testo dal suo segretario (c. 36): si pensa che si tratti - con qualche eccezione - del materiale attualmente contenuto nei cc. 1-20 e 26-35; sarebbero quindi testi che provengono dalla bocca del profeta (a volte sono chiamati dagli studiosi «tipo A», general­ mente in poesia). - Sembra che il segretario Baruc abbia poi aggiunto molti passi per narrare la vita del profeta: si tratterebbe dei «racconti bio­ grafici» che, posti in un ordine cronologico, permettono - uni­ co caso tra tutti i profeti - di ricostruire la vita di Geremia (si possono leggere in questa successione; 19,2-20,6; 36; 45; 28­ 29; 51,59-64; 34,8-22; 37-44; a volte sono denominati «tipo B», in prosa). - Infine, per molti studiosi è presente anche la scuola deuteronomistica esilica (7,1-8,3; 11,1-14; 17,19-18,12; 21,1-10; 25,3-14; 34,8-22; 35; testi detti anche «tipo C», in stile retorico e ampolloso). - Pare non manchino anche delle aggiunte post-esiliche (cf note in Bg). 103

* Ulteriori problemi, poi, sono posti da un confronto tra testo ebraico e greco. - L’ordine dei capitoli è diverso nei testi: gli oracoli contro le nazioni sono posti alla fine del libro nel TM (cc. 46-51), tra 25,13 e il c. 32 nella LXX (cf. le referenze al margine in Bg). - La LXX presenta, poi, un testo più corto di circa un ottavo (circa 2800 parole in meno, come 17,1-4; 33,12-26; 39,4-13) rispetto al TM che sembra essere un ampliamento di un origi­ nale breve al quale si rifà invece la traduzione greca. * L’insieme dei dati raccolti ci porta a concludere che: - ogni ricostruzione esatta di ciò che ha detto Geremia resta sem­ pre ipotetica, perché molti testi sono delle riletture e non dei resoconti storici; - infatti, le aggiunte rendono parte del libro una collezione «ri­ guardo» a Geremia perché sembrano contenere più ciò che egli avrebbe potuto dire in quella situazione che quanto ha effetti­ vamente detto; si tratta, però, non di invenzioni su Geremia, ma di approfondimenti del suo messaggio che sono entrati nel libro attuale come parola di Dio; - tutto questo, sembra, perché Geremia veniva colto nella sua di­ mensione di segno-sintesi dei richiami che la profezia rivolge­ va in favore della salvezza del popolo e di modello di un pro­ feta che aveva saputo incarnare nella sua esistenza concreta la sofferenza del popolo negli ultimi anni del regno di Giuda. 2. Il

profeta : attività e messaggio

Geremia nasce verso il 650 a.C. in Anatot, villaggio a circa 6 km da Gerusalemme, dal sacerdote Chelkia (1,1). Come per gli altri profeti, nulla sappiamo della sua vita prima della chiamata alla missione profetica avvenuta nel 627 (1,4-10). Questo silen­ zio sui dati biografici è normale per gli scrittori biblici: le perso­ ne, infatti, non sono importanti per se stesse, ma per il ruolo che svolgono nella storia della salvezza. Cosi, la loro biografia co­ mincia con la vocazione, quando vengono chiamate e inviate a servire il progetto di Dio. 104

A t t iv it à

Pur con la prudenza già segnalata, possiamo suddividere l’at­ tività profetica di Geremia in quattro periodi (B ock 97-102; M etzger 147-157; B lenkinsopp 141-153; 163-184). * Durante il regno di Giosia. Ricevuta la vocazione (1,4-10), Geremia inizia il suo ministero di «sradicare e demolire, distrug­ gere e abbattere, edificare e piantare» (1,10). Ma si riesce a datare pochi oracoli in questo periodo segnato dalla riforma di Giosia6. Tra l’altro, non si capisce bene se il profeta sia stato favorevole o meno alla riforma, se vi abbia preso parte diretta o se si sia tenuto in disparte. Per alcuni studiosi, testi di collaborazione rivolti agli ebrei del regno del Sud sarebbero 11,1-14 (richiamo alla fedeltà all’al­ leanza); 17,19-27 (osservanza del sabato); 10,1-5 (contro l’idola­ tria); mentre i cc. 2-6 («sradicare e demolire» le deviazioni reli­ giose che hanno causato l’esilio e richiamo alla conversione) e 30-31 («edificare e piantare» una nuova alleanza) sarebbero stati rivolti agli abitanti dell’ex regno del Nord nel tentativo di ricon­ giungerli al Sud. La delusione per il fallimento della riforma sa­ rebbe espressa in 5,1-9.26-29 (denuncia dell’infedeltà e dell’op­ pressione sociale); 6,13-21 (accusa di non ascoltare J hwh); 7,21 28 (denuncia di un culto senza fedeltà); 8,4-12 (mancanza di con­ versione seria). Per altri esegeti, i cc. 2-6 e 30-31 dovrebbero essere datati negli anni 627-622 ai quali sarebbe seguito un periodo di silenzio da parte del profeta durante la riforma di Giosia (N dtb 574-575).

Dal 609 al 597, il figlio di Gio­ sia cambia radicalmente linea politico-religiosa reintroducendo le forme idolatriche abolite durante la riforma e seguendo una poli­ tica antibabilonese. Geremia riprende l’attività profetica, ora presente prevalente­ mente nei cc. 7-20. In particolare, denuncia la dimenticanza di Dio che si manifesta come rifiuto del profeta (5,12-13; 6,16-17) *

Durante il regno di Ioiakim.

6 Si veda G.

C a p p e ll e t t o ,

o . c .,

pp. 287ss. 105

e della sua parola (6,10); il falso culto (7,21-28) e la falsa sicurez­ za religiosa (7,1-15; 26); l’idolatria (7,16-20.29-34; 19,3-5) e le ingiustizie sociali (9,1-8; 12,1-5) di cui è responsabile il re davi­ dico (22,13-19); le false sicurezze umane (17,5-13). Accusa un po’ tutti come responsabili deH’allontanamento del popolo da J hwh: il re (21,11-12; 22,13-19), i falsi profeti (14,13-16; 23,9­ 32), i sacerdoti (6,13; 23,11). Richiama anche con alcuni gesti simbolici come la cintura inutilizzabile (13,1-11), i boccali di vi­ no fracassati (13,12-14), l’azione del vasaio (18,1-12) e la brocca spezzata (19,1-20,6). Per questi suoi attacchi, Geremia non viene ascoltato dal re che brucia il suo rotolo (c. 36). E accusato inoltre di disfattismo e messo in prigione (20,1-6) perché dopo la sconfitta degli egizia­ ni a Karchemish nel 605 a opera dei babilonesi, predica la sotto­ missione a Babilonia, il «nemico del nord» (20,4-6; 25,1-13). Di particolare importanza sono le cosiddette confessioni di Geremia: circondato da persone ostili (15,17; 16,2) che lo male­ dicono (20,10) e lo perseguitano (26,11 ), torturato e messo in pri­ gione (20,1-2), obbligato da Dio a restare celibe (c. 16), il profeta lascia libero sfogo al dramma che vive interiormente per essere fedele alla missione ricevuta. Il volto dell’uomo Geremia appare in particolare in 11,18-12,6 (è messo sotto accusa e obbligato al silenzio dai suoi compaesani di Anatot); 15,10-21 (crisi della sua attività di profeta); 17,14-18 (è deriso dagli avversari); 18,18-23 (viene perseguitato); 20,7-18 (crisi esistenziale sul senso della vita). Queste cinque «confessioni» hanno molte espressioni in co­ mune con i salmi di lamentazione individuale per cui si deve stare attenti a non esagerare in letture troppo emotive. Geremia si na­ sconde dietro espressioni tradizionali così che l’attenzione è po­ sta sul fatto che J hwh sicuramente lo libererà dalla sua terribile situazione, perché Dio lo ama e si prende cura di lui quando pro­ clama la sua parola. Questo, però, non nega che l’io profondo di Geremia fosse in consonanza con il genere letterario del lamento e che quindi le confessioni possano essere lette - seppur con pru­ denza - come specchio del vissuto interiore del profeta (cf. lettu­ ra esegetica). 106

La prudenza è suggerita dall’orientamento dell’esegesi attua­ le che considera le «confessioni» come delle «creazioni stereoti­ pate del tipo delle lamentazioni» (N obile 96) tendenti a rafforzare l’immagine del profeta quale «modello esemplare» per il popolo stesso che stava per affrontare sciagure e sofferenze molto forti, come la perdita dell’indipendenza politica e la deportazione a Ba­ bilonia. Così la vita del «personaggio Geremia», sul quale si sono depositate riletture esiliche e postesiliche che poco avevano a che fare con il profeta storico, «divenne per il popolo il simbolo dell’agire di Dio nei suoi confronti. In tal senso le confessioni rap­ presentano una specie di azione simbolica, anche se in questo ca­ so tale azione non è un gesto capace di stupire, ma la continua e protratta sofferenza del profeta» (P iemme 1830). * Durante il regno di Sedecia. Dopo la morte di Ioiakim (597), regna per tre mesi il figlio Ioiachin, deportato poi in esilio a Babilonia da Nabucodonosor e sostituito dallo zio Sedecia (597-587). I primi anni di regno di quest’ultimo sono abbastanza tranquilli. Sorge però il problema di come interpretare il fatto che molti sono stati esiliati a Babilonia (prima deportazione nel 597): Dio è capace di difendere il suo popolo? Si risponde dicendo che gli esiliati erano stati puniti per le loro colpe e che i rimasti erano senz’altro i buoni. Geremia contesta questo modo di pensare ca­ povolgendo il giudizio a favore degli esiliati ai cc. 24 (visione dei due cesti di fichi) e 29 (lettura degli esiliati per incoraggiarli). Quando nel 593 Sedecia è tentato di partecipare a una coali­ zione antibabilonese (Edom, Moab, Tiro, Sidone, Ammon), Ge­ remia si oppone con forza (c. 27) scontrandosi duramente con il profeta Anania (c. 28) che invece la sostiene. Il re alla fine desi­ ste; anzi si reca a Babilonia per riaffermare la sua sottomissione, accompagnato da un’azione simbolica di Geremia (51,59-64). Nel 589/8, invece, Sedecia si ribella apertamente ai babilone­ si che, per reazione, stringono d’assedio Gerusalemme: il profeta allora ne annuncia la caduta (34,1-7), invitando a non nutrire inu­ tili illusioni. Arrivano però in soccorso gli egiziani: l’assedio è tolto e si spera nella vittoria. Ma il profeta, oltre che protestare per la revoca della libertà promessa agli schiavi (34,8-20), an­ nuncia la caduta della città (37,3-10). Il gesto, poi, di recarsi ad 107

Anatot viene interpretato come passaggio al nemico: Geremia viene messo in carcere con l’accusa di alto tradimento (37,11­ 21). Quando ritornano i babilonesi, si hanno degli incontri se­ greti tra Sedecia e Geremia (37,17-21; 38,24-28a) che resta co­ munque nell’atrio della prigione (38,1-13; 39,15-18). Ha però an­ cora la forza di compiere un gesto profetico di speranza compe­ rando un campo ad Anatot (cc. 32-33). Dopo l’ultimo colloquio con Sedecia (38,14-23), la città cade in mano ai nemici (metà lu­ glio 587) ed è poi data alle fiamme (metà agosto; 39,1-10) e i cit­ tadini esiliati a Babilonia (seconda deportazione). * Dopo la caduta di Gerusalemme. I babilonesi lasciano al profeta la libertà di scegliere di restare in Giudea o di recarsi a Babilonia: Geremia decide di restare e si reca a Mizpa, residenza del nuovo governatore Godolia (38, 28b-39,14; 40,1-6). Dopo i disordini seguiti all’assassinio di quest’ultimo (ottobre 587; 40,7-41,8), il partito filoegiziano fugge in Egitto, a Tafni, portan­ dosi dietro il profeta che desiderava invece restare (40,7-44,30). In Egitto Geremia si scaglia ancora contro l’idolatria (c. 44); poi scompare silenziosamente. Nel 582 la terza deportazione a opera dei babilonesi pone fine a ogni illusione di autonomia politica da parte degli ebrei. Si può ipotizzare che durante quest’ultimo periodo il profeta stesso (o alcuni discepoli) abbia ripreso in mano gli oracoli di sal­ vezza dei cc. 30-31 e li abbia riutilizzati per il regno del Sud. Messaggio

Da questa ricostruzione della vita di Geremia, possiamo rica­ vare - in sintesi - alcune linee di fondo del suo messaggio, pre­ scindendo «dalla distinzione tra il “pensiero autentico” del pro­ feta e le integrazioni che questo pensiero ha avuto o, meglio an­ cora, suggerito» (Logos 149). Si tiene presente, cioè, più il «libro di Geremia» che il profeta storico, senza negare che vi sia conti­ nuità tra i due: le aggiunte redazionali, infatti, sono considerate dai redattori come congruenti con il dire e l’agire del profeta (cf. anche Piemme 1894-1898). ★ Alla base di tutto sta il volto di Dio sperimentato dal profeta come colui che ha deciso di intervenire nella storia concreta del 108

suo popolo per purificarlo tramite il castigo, inteso come «stop» posto all’infedeltà all’alleanza e alle sue conseguenze. Dio, però, ama talmente il suo popolo da perdonarlo e farlo sperare nella salvezza (cc. 30-34). * All’interno degli eventi storici, quindi, il profeta cerca di co­ gliere quale sia l’azione di Dio: in certi fatti egli legge il richiamo alla conversione (sub) prima che accada l’irreparabile. Cosi la ca­ duta del regno del Nord deve ricordare ai fratelli del Sud la serietà della fedeltà a Dio (3,1-4,4), e la prima deportazione (597) do­ vrebbe segnare una svolta decisiva per il ritorno al Signore. Il te­ ma della conversione (sub) è centrale in Geremia: nella prima parte della vita del profeta (627-597), significa saper denunciare tutte le infedeltà a livello sociale, cultuale e politico per ritornare a Dio. Nella seconda (597-587) è sottomettersi ai babilonesi co­ me segno di accettazione del progetto di Dio: realtà dura, ma uni­ ca via praticabile ora. Il non accogliere questi due inviti o il non viverli con lealtà e coerenza porterà inevitabilmente al castigo. C’è, infatti, un limite anche alla libertà dell’uomo, anche se non ebreo (cc. gli oracoli contro le nazioni nei cc. 46-51). * Ma per essere capaci di fedeltà e coerenza, per vivere la liber­ tà come gioiosa decisione di servire il Signore, afferma Geremia, è necessario avere fede : si esprime nel «circoncidere il proprio cuore» (4,4; 9,25), nell’eliminare il culto vuoto e staccato della vita (7,1-15), nell’accettare il posto in cui la storia ti pone (c. 29), nel saper accettare la storia che Dio sta guidando anche quando essa chiede sottomissione e schiavitù (25,1-14; 27,5-6). Particolarmente significativo è il richiamo alle varie autorità (per la monarchia vedi 21,11-22,30) e istituzioni che Geremia sente ormai scricchiolanti perché vuote di valori spirituali e di senso da offrire al popolo (vedi per i falsi profeti 23,9-40; per i sapienti 8,8-9; 9,22-23). Il peccato che Geremia denuncia è prima di tutto l’idolatria che ha portato gli ebrei all’apostasia e alla prostituzione (specie i cc. 2-6): il popolo, come una moglie infedele, ha tradito e lasciato Dio. Per questo sarà abbandonato in potere dei popoli di cui ado­ ra le divinità (5,18-19). In secondo luogo, peccato è l’incapacità di ascoltare Dio che parla e interpella mediante gli avvenimenti 109

storici presentati dal profeta: in particolare, quando indica Babi­ lonia come lo strumento del castigo del Signore (25,1-11; 27,1­ 22). Il profeta non giustifica un sistema politico oppressore, invi­ ta soltanto a saper cogliere una possibilità di salvezza anche li do­ ve c’è la crudeltà, sapendo che a sua volta sarà eliminata per aver voluto dettare legge a tutti (50,22-40; 51,61-64; F anuli 473-477; Sicre 502-512). * Il messaggio di Geremia è quasi sempre un «demolire e ab­ battere» (1,10), un proclamare «violenza e oppressione» (20,8) specialmente da parte del «nemico del nord» (4,5-8.13; 5,15; 6,22; 10,22) che provocherà «terrore aH’intomo» (= dappertutto; 6,25; 20,3; 46,5; 49,29) tanto che il profeta stesso si meriterà il titolo ironico di «Terrore aH’intomo» (20,10). Eppure, anche quando denuncia qualcosa di male {pars destruens), Geremia ha sempre uno sguardo rivolto al futuro e sa infondere speranza {pars construens). Così, incoraggia gli esiliati della prima depor­ tazione (c. 29) e nel bel mezzo dell’assedio (587) compra un campo al suo paese, Anatot, per far capire che dopo ci sarà ancora vita (c. 32). Soprattutto, rivitalizza la speranza del popolo indi­ cando due modalità con cui Dio interverrà: mediante il germo­ glio giusto (23,5-6; 33,14-15; messianismo regale, Fanuli 526­ 529; Sicre 540-545) e grazie a una nuova alleanza (31,31-34) che riannoderà il rapporto d’amore jHWH-popolo grazie al perdo­ no gratuito di Dio. ★ La cosa che più sorprende in Geremia è che tutto quanto an­ nuncia lo paga a caro prezzo, il prezzo della sua vita: vive sempre «in opposizione a» per significare la realtà di Dio e della sua pa­ rola emarginati dalla vita del popolo (cf. il suo celibato al c. 16); è accusato di tradimento, fustigato e messo in prigione, condannato a morte e condotto in esilio per incarnare la passione di Dio e del­ la sua parola. E, nonostante qualche momento di comprensibile smarrimento (cf. le «confessioni»), resterà sempre sulla breccia, fedele fino all'ultimo a quel Dio che lo aveva «sedotto» (20,7) con la sua parola potente (15, 16). Costituito «saggiatore» del po­ polo (6,7) e sentinella per denunciare l’orgoglio e l’autosufficien­ za umana, incarna quel Dio che desidera far passare al crogiuolo il suo popolo per riannodare ancora una volta la relazione. 110

Proprio per questo il profeta di Anatot diventa simbolo e mo­ spesso accostato a Mosè, sembra essere (per qualche stu­ dioso) l’ispiratore della figura del Servo sofferente del Deuteroisaia. Certamente a Geremia si ispira la tradizione successiva per sostenere il popolo ebraico nei momenti della prova (2Mac 2,1-8; 15,12-16; Sir 49,6-7) e per alimentare le speranze messianiche (cf. Mt 16,14). dello:

3. L ettura

esegetica

Dopo aver accostato l’esperienza vocazionale di Geremia (1,4-19) ne seguiremo gli sviluppi in particolari momenti di crisi (15,10-21; 20,7-18; F anuli 358-364) per terminare con la speran­ za della «nuova alleanza» (31,31-34; N dtb 29-30). Profeta delle nazioni ( 1,4-19)

Presentata con lo schema diplomatico (cf. Es 3-4 per Mosè), la vocazione di Geremia offre le linee essenziali della sua espe­ rienza profetica. Il testo può essere suddiviso in tre momenti, se­ condo lo schema A-B-A’. A) vv. 4-10: non è il resoconto «in diretta» della vocazione (cf. c. 36), quanto piuttosto la presentazione di quello che il pro­ feta aveva già sperimentato della sua identità e della sua missio­ ne; è «dopo», infatti, che quel piccolo fascio di luce iniziale appa­ re in tutta la sua grandezza. Tutto è fatto risalire al progetto di Dio che ha anticipato qual­ siasi presa di coscienza di Geremia: è il momento oggettivo della chiamata, che soggettivamente verrà compresa a un dato momen­ to dal giovane sacerdote di Anatot. Il progetto di Dio (v. 4) allora è quel «prima» (v. 5) che precede con amore (= «ti ho conosciu­ to») il suo concepimento, lo «consacra» rendendolo disponibile alla missione ancor prima di nascere, gli offre un nome solido a portata universale («profeta delle nazioni»). L’obiezione di Geremia («sono giovane», v. 6) non è di pura circostanza: un giovane non poteva pretendere di essere seria­ mente ascoltato prima dei trent’anni! Dio però conferma la sua 111

scelta (w. 7-8) invitando il profeta a non guardare alle sue perso­ nali difficoltà, quanto piuttosto all’autore stesso della chiamata («io sono con te») e a saper accettare con coraggio di essere sem­ plicemente il suo portavoce («andrai e dirai»). Il successivo gesto di consacrazione (vv. 9-10) ha il compito di rendere idoneo Geremia alla missione: avrà una risonanza in­ temazionale («sopra le nazioni e sopra i regni») e, pur esprimen­ dosi prevalentemente al negativo (quattro verbi di distruzione), si proporrà anche come proposta positiva (due verbi di costruzione). B) vv. 11-16: due visioni (= lettura della realtà a partire dal progetto di Dio) specificano ora il senso della missione. La pri­ ma si basa su un gioco di parole (paronomasia): come il mandor­ lo (saqed), primo albero che fiorisce in primavera, «vigila» quan­ do gli altri ancora dormono, così Jhwh si definisce «io vigilo» (= soqed) per realizzare «oggi» la sua parola. La seconda visione specifica il senso del vigilare di Dio: farà in modo che diventi realtà il progetto di castigare il suo popolo mediante l’invasione del «popolo che viene dal settentrione». Infatti, la pentola bollen­ te (= armata che invade), inclinata da nord verso sud, rovescerà il suo contenuto distruttore proprio sul piccolo regno di Giuda. A’) vv. 17-19: a Geremia è richiesta la disponibilità («stringi la veste ai fianchi») ad andare (v. 7), a parlare (w. 7.17), a lavo­ rare (v. 10), a combattere (vv. 8.17), a resistere (v. 18), a fidarsi di Dio (w. 8.17.19). Il Signore non si fa scrupolo di far sapere fin d’ora al suo profeta che la sua missione sarà difficile e che si tro­ verà solo contro tutti. Non gli promette vittoria, trionfi, riposo; l’unica consolazione concessa è la sicurezza che i suoi nemici non avranno l’ultima parola! E sufficiente per lui che riesca a scamparla! (v. 19). Dio non promette successi, ma la costanza della sua presenza (vv. 8.19). Come reagirà il profeta nei momen­ ti di difficoltà e di crisi? La crisi vocazionale del profeta (15,10-21)

E il secondo brano delle «confessioni» di Geremia. Pur essendo diffìcile sapere quale sia la situazione personale del pro­ feta (o del «personaggio Geremia» abbellito dalle varie riletture) 112

che provoca questo lamento, si può parlare di un particolare mo­ mento di crisi desunto dal contesto immediato precedente il bra­ no in esame: Dio afferma di non ascoltare la preghiera del profeta e di aver già deciso di distruggere il popolo (14,11-15,4) median­ te un’azione militare del nemico (15,5-9). Vale la pena continua­ re a fare il profeta di sventura sapendo che non si è ascoltati, o non è forse meglio fare come gli altri profeti che predicano se­ condo le attese della gente (14,13)? * vv. 10-11.15-18: si tratta di un lamento accorato (vv. 15. 18a) in cui il profeta mette sotto accusa sua madre (v. 10), i suoi uditori (v. 10) e Dio stesso che, dopo averlo lusingato con la sua parola (v. 16), sembra ora essersi dimenticato di lui (v. 18). Eppu­ re Geremia è convinto di aver fatto il meglio possibile, sia per non fare del male agli altri e per pregare per loro (vv. 10b-l 1), sia per accogliere con gioia la parola di Dio (v. 16) e le conse­ guenze che ne derivano. Risultato del suo impegno è di ritrovarsi senza amicizie umane (v. 17), privo di affetti più specifici e inti­ mi (16,1-13), abbandonato e tradito da Jhwh percepito come «un torrente infido, dalle acque incostanti» (v. 18; cf. Gb 6,15-24). È da ammirare qui la sincerità e la lealtà del profeta: si mette in tutta la sua nudità esistenziale davanti a Dio, senza negarsi le difficoltà che sta incontrando. Meno l’uomo si nasconde, più Dio lo accoglie e ne copre la nudità (cf. Gn 3,7-11.21). * vv. 19-21: la risposta di Dio non si fa attendere. Non si tratta né di parole dolci per consolare, né di spiegazioni per far com­ prendere, né di un miracolo risolutore. Più esattamente, Jhwh po­ ne sotto accusa il profeta e lo rimprovera perché non è più capace di distinguere «ciò che è vile» (l’opinione della gente) da «ciò che è prezioso» (la parola del Signore). Si tratta di un richiamo forte alla lealtà verso Dio e alla fiducia nella sua costante presen­ za. Geremia, che aveva sempre predicato la conversione agli altri, deve ora lui per primo convertirsi al Signore (quattro volte il ver­ bo sub nel v. 19). Se non annacquerà le parole che deve procla­ mare («tu non devi tornare a loro»), il Signore lo ristabilirà nella sua identità di profeta (vv. 20-21 che richiamano 1,7-8.17-19). Appare chiaro che anche il profeta non è esente da crisi e slittamenti: deve sempre vigilare sulla sua condotta richiamando 113

alla memoria proprio l’esperienza iniziale della vocazione. In questo lavoro, Geremia sembra sperimentare un Dio che se da una parte lo scuote dentro, dall’altra si pone accanto a lui: non lo rifiuta perché ha sbandato o è andato in crisi, semplicemente gli ripropone la proposta iniziale invitandolo con energia alla fedeltà e alla costanza. La crisi esistenziale del profeta (20,7-18)

Diffìcile da datare storicamente (si può però leggere nel suo contesto immediato che vede Geremia in carcere [19,1-20,6] o accostarlo all’esperienza narrata in 37,21-38,13 pur avendo avuto un’origine diversa), questo testo è il più violento e incredibile: può un profeta parlare così al suo Signore? * vv. 7-10: lamento di Geremia per «come» è trattato in quanto uomo e profeta. E stato «sedotto» da Dio che ha usato la forza nei suoi confronti approfittando della sua ingenuità (v. 7a) e lo ha ob­ bligato a proclamare solo «Violenza! Oppressione!» (v. 8); ma il primo a essere stato violentato è proprio lui! Gli altri lo deridono (v. 7b) perché si è messo a servizio di un Dio simile (v. 8b) e lo evitano perché è come il «Terrore» (v. IOa); anche gli amici lo spiano per prendersi la rivincita e denunciarlo (v. lOb). In questa situazione, il profeta ha provato a rinunciare alla sua missione, ma la parola del Signore non lo ha lasciato in pace e gli si è imposta dal di dentro (v. 9). Nessun profeta è riuscito a «scappare» a Dio: né Mosè (Es 3-4), né Elia (IRe 19), né Giona (Gio 2,lss). Geremia si sente come tra l’incudine del fallimento e della de­ risione e il martello di una parola divina che lo ributta continua­ mente nella mischia. Allora si ribella contro Dio perché non ac­ cetta di essere preso in giro da lui (cf. anche 32,16-25). Talora la rivolta diventa disgusto e nausea della vita: è quanto sembra ca­ pitare al profeta nei w. 14-18 (tralasciando per il momento l’inno di liberazione dei vv. 11-13). * vv. 14-18: grido di protesta contro una vita che non ha più alcun senso, visto che è «tormenti, dolore, angoscia» (v. 18). Ge­ remia desidera ardentemente la morte (v. 17) e per questo male­ 114

dice il giorno in cui è nato (v. 14-15; cf. Gb 3). Neppure Dio sem­ bra essere capace di aiutare il suo profeta (v. 16). Geremia ha proprio toccato il fondo della disperazione (cf. Sai 69): tutto è assurdo, a che serve vivere? Meglio non essere mai nati! Di fronte a questo dramma della vita umana, il silenzio e il rispetto sono l’unico atteggiamento possibile. Eppure... a volte, proprio quando si tocca il fondo, si speri­ menta una solidità interiore non fondata su ciò che si realizza, quanto su una presenza silenziosa ma efficace come quella di Dio: può essere il senso dei vv. 11-13, canto della nuova creazio­ ne, della liberazione ottenuta. Ma si ricordi che non tutte le espe­ rienze dell’uomo e dei credenti terminano - dal punto di vista umano - con un canto di liberazione! Infatti Geremia stesso dovrà soffrire ancora: vedrà la caduta di Gerusalemme e la deportazione del suo popolo (cc. 39-40); lui stesso subirà l’esilio in Egitto (cc. 42-45) ove morirà. «Gere­ mia è il profeta che cammina con Dio nella notte, nel silenzio, nella solitudine, su una strada stretta, costeggiata da mura gigan­ tesche, senza abbaini, senza porte, senza sbocco, cioè senza risul­ tati» (A. Neher). C ’è una speranza! (31,31-34)

Nonostante difficoltà, dubbi, crisi; nonostante la missione di proclamare demolizione e distruzione, in Geremia troviamo an­ che belle pagine piene di freschezza, di gioia, di speranza, spe­ cialmente nei cc. 30-33 detti «il libro della consolazione». Per al­ cuni studiosi sarebbero stati scritti durante la prima parte del suo ministero profetico come annuncio di salvezza agli abitanti di Israele (Nord) e poi riadattati per quelli di Giuda (Sud) dopo il 587 (cf. note in B g ). Per altri, invece, provengono dalla fine della vita del profeta o addirittura sono di un discepolo esilico o post­ esilico, pur avendo un fondo geremiano. La cosa più importante è che sviluppano la prospettiva dell’«edificare e piantare» (30,18; 31,4.28.38), una solida speranza (31,17: c’è una speranza!) per ogni credente basata sul fatto che Jhwh è fedele all’alleanza nonostante l’infedeltà del popolo (cf. 30,2-3; 31,2-22). Questa è già una novità: se nell’alleanza antica 115

(cf. un esempio in 11,1-14, di stile deuteronomistico) all’infedel­ tà segue necessariamente il castigo (esilio), in quella nuova Dio ricuce gratuitamente e sovranamente lo strappo nella relazione (berit) mediante il suo perdono. In 31,31-34 le novità della berit hadashah (= nuova alleanza) sono sostanzialmente tre. 1. Prima di tutto, l’iniziativa, da parte di Dio, di perdonare i peccati del popolo (v. 34): veramente Dio perdonerà la colpa di aver violato l’alleanza; l’amore profondo di Dio che ricupera co­ munque l’uomo è la motivazione di fondo che sostiene la nuova relazione. L’opposto di nuova alleanza non è qui «alleanza antica = vecchia, superata» quanto piuttosto «alleanza violata, non os­ servata». 2. In secondo luogo, Dio stesso - e non più Mosè o chi per lui - scriverà questa esperienza nel cuore dell’uomo: si ha cosi l’interiorizzazione della torah che favorisce la «spiritualità del cuore» perché rifà l’intimo dell’uomo (v. 33). L’alleanza sarà «nuova» perché l’uomo, interiormente purificato, obbedirà a una nuova forza che lo porterà ad aderire alla volontà di Dio: ci sarà una relazione nuova tra Dio e l’uomo (berit unilaterale) che favorirà un nuovo rapporto con la legge (torah). Non si tratta, in­ fatti, di una legge nuova, diversa da quella del Sinai. La novità «non consiste né in una modifica delle direttive date al Sinai e degli impegni assunti allora, né in un nuovo culto puramente spi­ rituale: consiste piuttosto nel fatto che le direttive e gli impegni di una volta saranno ormai scolpiti “nel fondo di loro stessi”, nel­ l’essere intimo dell’uomo» (T ob 949, nota m). Si tratta di «una situazione antropologica nuova» (N dtb 30) dell’uomo davanti a Dio e alla sua legge. 3. Infine, grazie alla ri-creazione del centro decisionale e af­ fettivo dell’uomo (v. 33) mediante il perdono gratuito (v. 34) non ci sarà più bisogno di istruzione esterna: si obbedisce alla legge non per dovere inculcato daH’estemo (riforma di Giosia?), ma come adesione libera che nasce dall’intemo stesso dell’uomo. «La struttura della personalità sarà rinnovata a tal punto che ognuno, senza essere istruito da altri, conoscerà e adempirà la vo­ lontà del Signore» (T ob). In altri termini, l’osservanza della legge non sarà più condizione per restare nell’alleanza (berit bilatera­ le), ma sua espressione libera. 116

Sorge, a questo punto, il problema di sapere «quando» si realizzerà quanto annunciato da Geremia. Qualche sottolinea­ tura. * Sia Ger 31,31-34 («alleanza nuova») che 32,39-41 («alleanza eterna») - come pure Ezechiele che parla di «alleanza di pace» (34,25-31), «alleanza di pace ed eterna» (37,21-28) e in Baruc (2,29-35: «alleanza perenne») - prevedono la realizzazione di quanto annunciato nel momento in cui il popolo ebraico sarà fatto ritornare in patria da Jhwh (escatologia intrastorica; cf. 30,2-3.8­ 11; 31,1-22). * Nonostante il ritorno dall’esilio, il cambiamento radicale del­ l’uomo non sembra essersi verificato come previsto (cf. Is 56,10­ 58,14; Ne 5). Non si elimina, però, la speranza, ma la si rimanda sempre «oltre», vivendo nell’attesa (escatologia ultrastorica; N dtb 689-691). * In questo clima in cui le promesse diventano modello di ciò che si attende (escatologia di modello), si inserisce la rilettura at­ tualizzante del NT, secondo due direttrici: - quella del compimento, visto nell’eucarestia (cf. L e 22,20; ICor 11,25); si adopera un criterio qualitativo: un’alleanza (NT) è contenuta nell’altra (AT), ma la esprime come sua pie­ nezza; - quella del superamento in Cristo dell’alleanza «antica» (cf. Gal 3-4; Eb 8-10); si adopera il criterio cronologico del «pri­ ma» (= antico) e del «dopo/ora» (= nuovo) in cui il secondo momento elimina il primo. * Nella storia del cristianesimo verrà sottolineata questa secon­ da linea con la teoria della sostituzione della chiesa cristiana al popolo ebraico, posizione oggi messa in discussione dalla rifles­ sione esegetico-teologica7. 7E. Z e n g e r , Il Primo testamento. La Bibbia ebraica e i cristiani, Queriniana, Brescia 1997. 117

Bibliografia A., Geremia, uomo dei dolori, Gregoriana, Padova 1992: l’au­ tore sviluppa in modo particolare l’esperienza di sofferenza presen­ te nelle «confessioni». F is c h e r G ., Il libro di Geremia, Città Nuova, Roma 1994: dopo l’intro­ duzione generale al libro, l’autore commenta 29 brani biblici sugge­ rendone l’attualizzazione. H e r n a n d e z E.J., Mi hai sedotto, Signore! Le confessioni di Geremia, Grafite, Napoli 1999: lettura delle «confessioni» con la tradizione ebraica e cristiana. M e l l o A., Geremia. Commento esegetico-spirituale, Qiqajon, Magna­ no (BI) 1997. M est ers C., Il profeta Geremia, bocca di Dio, bocca del popolo, Citta­ della, Assisi (PG) 1994: commento al profeta di Anatot nel contesto deH’esperienza della Chiesa latino-americana. M ottu H., Geremia: una protesta contro la sofferenza. Lettura delle «confessioni», Claudiana, Torino 1990: saggio esegetico-spirituale, con proposte di attualizzazione. S a c c h i A., Il profeta delle nazioni. Geremia, Lamentazioni e Baruc, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1999: lettura continua dei tre libri biblici. S t r o b e l A., Geremia. Lamentazioni. Baruc, Cittadella, Assisi (PG) 1989, pp. 5-141: presentazione del ministero e del messaggio di Ge­ remia seguendo un cammino storico. V ir g il i R., Geremia, l ’incendio e la speranza. La figura e il messaggio del profeta, Dehoniane, Bologna 1998: pregevole e appassionata presentazione di Geremia e del suo libro. — Geremia, Messaggero, Padova (di prossima pubblicazione): propo­ sta di lectio divina. W e is e r A., Geremia, 2 voli., Paideia, Brescia 1987-88: un commento ormai classico. B onora

118

C apito lo

4

EZECHIELE E DEUTEROISAIA: ESILIO E RITORNO

Tra le varie voci che, durante l ’esilio a Babilonia (587-538 a. C.), cercano di trovare una spiegazione a ciò che si sta vi­ vendo e di infondere speranza in un possibile ritorno in pa­ tria, è presente anche quella della profezia. Ezechiele, de­ portato fin dal 597, se in un primo momento individua nell’i­ dolatria e nell ’infedeltà all ’alleanza le cause dell ’esilio, in seguito incoraggia gli esiliati indicando nell 'azione dello Spirito del Signore la modalità con cui J hwh ridarà ancora vita e speranza. Il Deuteroisaia, invece, aiuta a leggere nella storia contemporanea, specie nelle imprese di Ciro il Gran­ de, l ’azione di. Dio per liberare il suo popolo e ricondurlo nella terra promessa ai padri. Il primo ha avuto un 'influenza straordinaria anche nel periodo del post-esilio grazie alle sue intuizioni sul ruolo del tempio e del culto. Il secondo godrà di un interesse particolare dagli inizi del cristianesimo: la primitiva comunità cristiana, infatti, comprende il mistero della morte e risurrezione di Gesù di Nazaret alla luce dell ’esperienza del «Servo di J hwh » da lui delineata.

I - EZECHIELE: IL SIGNORE DONA IL SUO SPIRITO 1. I l

libro di

E zechiele

Strutturato secondo uno schema tripartito, il materiale del li­ bro segue abbastanza da vicino lo svolgersi dell’attività profetica di Ezechiele. - cc. 1-24: all’introduzione che presenta la vocazione e la mis­ sione del profeta (cc. 1-3) segue la raccolta di rimproveri e di 119

minacce a Giuda e a Gerusalemme prima dell’assedio della cit­ tà e della sua presa nel 587 a.C. da parte dei babilonesi. - cc. 25-32: oracoli contro le nazioni che hanno partecipato in qualche modo alla caduta della città santa, cc. 33-48: dopo l’arrivo di altri esiliati (seconda deportazione del 587) Ezechiele concentra la sua attenzione sulla possibilità della rinascita del popolo (cc. 33-37), sull’intervento risolutore di J hwh contro i nemici (cc. 38-39) e sulla descrizione di come sarà la nuova comunità dopo che il Signore avrà fatto tornare in patria gli esiliati (cc. 40-48). Mentre i cc. 1-24 riguardano la prima fase dell’attività del profeta (593-587), riassunta nel binomio «accusa-castigo» {pars destruens), gli altri si riferiscono alla seconda (586-571 circa) e sono tutti incentrati sulla speranza del ritorno (pars construens). Si ritiene che gran parte degli oracoli risalgano al profeta stes­ so. Ma non mancano ritocchi e aggiunte da parte dei suoi disce­ poli (o della tradizione P?) in particolare nei cc. 1-3; 25-32 e spe­ cialmente 40-48, mentre i cc. 38-39 sarebbero - eccetto qualche tratto - una composizione posteriore a Ezechiele. La redazione finale viene fatta risalire alla fine del V secolo a.C.: alla stessa re­ dazione sembra si possa attribuire la sistemazione attuale del qua­ dro cronologico del libro (cf. le tredici date presenti in 1,1-2; 8,1; 24,1; 26,1; 29,1.17; 39,20; 31,1; 32,1.17; 33,21; 40,1), quadro «temporale storicamente e teologicamente rilevante» in cui «le date hanno senz’altro un buon fondamento storico, ma non tutti i brani possono essere ricondotti alla stessa data sotto la quale so­ no messi». Appare evidente ai più, perciò, che l’ordine del libro risponda più a un «progetto teologico» che a una preoccupazione storica. Tale progetto consisterebbe nel giustificare la fondazione del tempio e l’instaurazione della nuova torah (cc. 40-48), dopo che il Signore si è impegnato a eliminare il peccato del popolo eletto (cc. 5-24) rinnovando la relazione di alleanza con lui (cc. 33-37) e a distruggere ogni potenza che si oppone al suo progetto (cc. 25-32; 38-39). Tutto ciò «ben risponde sia allo spirito esilico che a quelle esigenze postesiliche di restaurazione d’Israele, dalle quali avranno origine le tardive concezioni escatologiche di rin­ novamento totale e definitivo di tutte le istituzioni» (N obile 102; B lenkinsopp 185-235). 120

Di particolare interesse è il linguaggio del profeta, che ripete formule ed espressioni («mi fu rivolta la parola del Signore»: 50 volte su 113 in tutto l’AT; «così dice il Signore»: 130 volte; «ora­ colo del Signore»: 85 volte; «e si riconoscerà che io sono Jhwh » : 72 volte; «figlio dell’uomo»: 98 volte; «casa ribelle»: 14 volte; il doppio nome «Elohim-Jhwh » : 174 volte) e il suo stile (N dtb 532): è a volte molto prolisso e ripetitivo, di andamento un po’ barocco, con abbondanza di visioni (cc. 1-3; 8-11; 37,1-14), allegorie (cc. 16; 17; 23; 29; 31; 32) e azioni simboliche anche strane (cc. 4-5; 24; 37,15-28) che rendono difficile la lettura. Siamo agli inizi di quello stile che caratterizzerà, nel post-esilio, l’apocalittica. 2. E zechiele :

attività e messaggio

Nato verso il 622 a.C. (1,1), Ezechiele fa parte dei deportati del 597 (2Re 24,10-16: prima deportazione). E destinato, con al­ tri, alla località di Tel-Avìv («colle del diluvio» in babilonese, ma «colle delle spighe» o «della primavera» in ebraico) presso il fiu­ me Chebàr (3,15). Nonostante qualche dubbio, si pensa che abbia svolto la sua missione profetica tra gli esiliati a Babilonia e din­ torni: ridotta all’inattività la tradizionale struttura monarchica (Ioiachìn è in prigione), sono i sacerdoti la classe emergente che tenterà di tenere uniti e di rianimare i deportati. Ezechiele, che ap­ partiene proprio alla classe sacerdotale (1,3), svolgerà così la du­ plice funzione di sacerdote (custodire e istruire sulla tradizione, specie cultuale) e di profeta (aiutare a leggere la storia per sco­ prirvi l’azione di Dio). La sua attività può essere suddivisa in due grandi fasi, con due diversi messaggi: accusa e castigo nella prima (593-587), in­ vito alla speranza nella seconda (586-571). Prima fase: accusa e castigo

Nel 593, dopo l’esperienza che inaugura la sua attività profe­ tica di essere sentinella che avverte e ammonisce (cc. 1-3), Eze­ chiele si rivolge ai giudei che condividono con lui l’esperienza dell’esilio perché non cullino facili illusioni sul ritorno ritenuto da loro ormai prossimo. L’ottimismo era fondato sulla speranza 121

che crollasse il potere di Nabucodonosor, alle prese con rivolte interne ed esterne (596-594). Il profeta, con più realismo, annun­ cia - attraverso delle azioni simboliche - l’assedio di Gerusalem­ me, la fame che si patirà in città, la morte di molti giudei e la de­ portazione di altri (cc. 4-5). La catastrofe incombe non solo sulla città santa, ma anche sui «monti di Israele» (c. 6) e su tutta la terra promessa (c. 7). L’anno seguente, a un gruppo di anziani in esilio recatisi da lui per avere chiarimenti sulle sue previsioni, Ezechiele descrive la vera causa del castigo che si abbatterà su Gerusalemme: l’i­ dolatria e il sincretismo nelle sue varie forme (c. 8), la pretesa di ritenersi a posto e la condanna degli esiliati come «peccatori ca­ stigati da Dio» (11,14-21; cf. Ger 24). Per questo la «gloria di Jhwh» (cioè la sua presenza misteriosa ma reale) abbandona il tempio (10,18-22) e la città santa (11,22-25) e §i trasferisce a Ba­ bilonia tra gli esiliati, veri depositari della speranza. Nel luglio-agosto 591, consultato forse sulla durata dell’esi­ lio, il profeta - a nome di Dio - ricorda la storia delle infedeltà di Israele, che ai benefici del Signore (dono della libertà, della legge, del sabato, della terra) ha sempre risposto con la ribellione e la mancanza di ascolto sincero delle «leggi che danno la vita a chi le osserva» (c. 30). Si possono aggiungere altre celebri requi­ sitorie storiche in cui Ezechiele utilizza la simbologia matrimo­ niale per descrivere lo stato dei rapporti jHWH-popolo ebraico: cc. 16 e 22 (contro Gerusalemme - personificazione di tutta la nazione - per il suo prostituirsi agli dèi stranieri); c. 23 (contro le infedeltà di Gerusalemme e di Samaria, le due sorelle, denomi­ nate rispettivamente Oolibà e Oolà). Appare evidente che il messaggio globale dei cc. 4-24 ruota attorno al tema del castigo di Giuda e Gerusalemme, giustificato da una serie sempre più ampia di accuse. Per il profeta esilico, Israele non ha mai conosciuto momenti di fedeltà a Dio perché tutta la sua storia è segnata dal peccato: si manifesta prima come infedeltà e ribellione (specie durante l’esperienza esodale), poi entrati nella terra - come idolatria che porta il popolo a prosti­ tuirsi agli altri dèi e a vivere il culto a Jhwh in modo esteriore e superficiale. Causa di tutto questo - ma anche suo risultato (14,1-11 ) —è il fatto che il popolo ebraico ha, da sempre, un cuo­ 122

re di pietra, freddo e insensibile, una testa dura, per cui fa fatica a sintonizzarsi con la parola di Jhwh e con l ’invito del profeta a convertirsi.

Infatti, anche tra gli esiliati c’è chi contrasta e annulla l’effica­ cia della denuncia-richiamo del profeta alla conversione al Si­ gnore: o burlandosi di Ezechiele (12,22-27), o ricorrendo alla menzogna come fanno i falsi profeti e profetesse (c. 13), o restan­ do ancora attaccati all'idolatria (14,1-11), o sperando semplici­ sticamente che un po’ di preghiera risolva tutti i problemi (14, 12 - 21 ).

Alla denuncia del peccato del passato e del presente, segue l’annuncio del castigo: tutto questo stato di cose deve scomparire (cc. 4-11), deve essere bruciato (c. 15)! Per questo, Dio si sta ser­ vendo della potenza militare babilonese: sarà come un’aquila che «svellerà dalle radici» la vite del popolo ebraico (c. 17; anche c. 19); o come la spada di Jhwh, «aguzza per scannare, affilata per lampeggiare» (21,1-22). Unico messaggio positivo sembra essere quello rivolto agli esiliati: presso di loro ha trovato rifugio la «gloria di Jhwh» dopo aver abbandonato il tempio di Gerusalemme (10,18-22; 1 1,22­ 25). Ezechiele, allora, tende a dissociare i deportati da quelli ri­ masti in patria, per poterli poi far ritornare quale resto che ha co­ nosciuto il Signore grazie alla sua capacità di trasformare radical­ mente il cuore dell’uomo (6,8-10; 9,4-8; 11,14-21; 12,16; 14,22­ 23; 17,22-24; 20,34-44). Inoltre, il profeta è preoccupato anche di decolpevolizzare gli esiliati per la situazione che stanno vivendo, cercando di elimina­ re quel pericoloso pregiudizio secondo cui «i padri hanno man­ giato uva acerba e i denti dei figli si sono allegati» (18,2). L’esilio è sì castigo per il peccato storico del popolo (solidarietà collettiva nel male), però questo non elimina la responsabilità personale (c. 18; anche 33,10-20 e Ger 31,29-30): solidarietà corporativa non significa necessità o determinismo, perché Dio «non ha pia­ cere della morte del malvagio, ma piuttosto che desista dalla sua condotta e viva» (18,23.30-32). Il passato, quindi, non è fatalità obbligante, perché può essere riscattato e ricuperato mediante il perdono di Dio che porta l’uomo alla conversione (Ndtb 1326­ 1329). 123

Seconda fase: invito alla speranza

Dopo aver denunciato la politica sbagliata di Sedecia (21,23­ 32; 24,1-5.9-10), Ezechiele nei primi mesi del 587 lancia tre ora­ coli contro l’Egitto (cc. 29-31). Nello stesso anno, improvvisa­ mente, gli muore la moglie: il profeta è invitato da Dio a stare in silenzio (3,25-26), ma senza fare il lutto, segno di come si devono comportare gli esiliati perché la città santa e il santuario stanno per essere distrutti (24,15-27). Il profeta resta muto (3,26-27) fino alFarrivo (dicembre 587-gennaio 586) di un fuggiasco che an­ nuncia la caduta avvenuta (33,21-22; cf. nota in Bg). Dal 586 inizia così la seconda fase dell’attività di Ezechiele che terminerà verso il 571 (29,17; cf. nota in B g ). Il profeta, quale vera «sentinella» (33,7) deve ora annunciare la speranza del ri­ torno e della ripresa della vita per il popolo esiliato. * Prima di tutto, sembra che lanci delle violente requisitorie contro i popoli che hanno partecipato o gioito della distruzione della città (cc. 25-32, specie 25; 26; 32). * Poi, si preoccupa per la situazione psicologico-spirituale degli esiliati (cc. 33-37): - denuncia con maggiore chiarezza i colpevoli della situazione attuale (22,23-31 : principi, sacerdoti, nobili, profeti, proprietari terrieri; c. 34: pastori [re] e potenti); - invita ancora i deportati a fare delle scelte personali responsa­ bili (33,12-20, che riprende il c. 18, da alcuni studiosi posto in questo secondo periodo di predicazione); - annuncia la radicale purificazione e il rinnovamento interiore degli esiliati (c. 36), operato da Dio come una liberazione dalla schiavitù dell’esilio (v. 24), dall’idolatria (v. 25) e dal cuore di pietra (v. 26); - rinnova la speranza in un nuovo Davide che saprà ricondurre Israele all’antico splendore (17,22-24; 34,23-24; 37,22.24-25; 45,7-12.17; 46,8-18; N dtb 945 e F anuli 529-532); - ravviva la fiducia del popolo, stanco e deluso per il fallimento di tante promesse e per la situazione di morte in cui si trova: lo Spirito del Signore lo farà rinascere (37,1-14) e riunirà Nord e Sud (37,15-24a); allora Jhwh stabilirà anche una «nuova al­ leanza» e abiterà permanentemente con il suo popolo (36,28; 37,26-27). 124

* Infine, l’annuncio di salvezza tocca il suo vertice e il suo massimo sviluppo con altre due grandi visioni (in parte posteriori ad Ezechiele): - ci sarà un intervento armato di Jhwh contro tutti i nemici rap­ presentati da Gog del paese di Magog (cc. 38-39; cf. nota in Bg): il resto fedele viene liberato e può vivere felice benedi­ cendo il Signore; - il resto tornato in patria abiterà la terra: nei cc. 40-48 Ezechiele presenta il piano dettagliato di come dovrà essere l’Israele del futuro (cf. nota in Bg). La ripresa politica lo vedrà abitare la terra suddivisa di nuovo fra tutte le tribù (47-48; cf. Gs 13-21), quella religiosa lo vedrà capace di riprendere il giusto servizio cultuale animato dai leviti e dai sacerdoti (44-46), aH’intemo di un tempio ricostruito in modo perfetto (40-42; cf. Es 25-31 ; 35­ 40). Tutta la vita ruota attorno a Dio che ha preso stabile dimora nel tempio (43,1-12: la «gloria del Signore» ritoma da Babilo­ nia): da esso, infatti, uscirà l’acqua che renderà feconda la terra o dolce il mare (47,1-13). Gerusalemme prenderà allora il nome di «ÌHvm-shammah = Il Signore è là» (48,35). Questi capitoli, denominati «la Torah di Ezechiele» (Bg 2085), presentano «la radicale riforma del culto, del sacerdozio e delle strutture del tempio futuro» (N dtb 686) a cui si ispirerà il giudaismo post-esilico (N dtb 681-707) e parte della predicazione dei Padri nel presentare l’ideale della chiesa. Possiamo riassumere il messaggio teologico di Ezechiele nel modo seguente (P iemme 2036-2039): il Signore Dio, che si mani­ festa nella sua gloria (kabod) e nella sua santità (qedushah), si sceglie un interlocutore specifico, il profeta (cc. 1-3), per aiutare il suo popolo deportato in esilio: - a rileggere la storia passata come luogo degli interventi posi­ tivi di Dio e della propria risposta negativa (idolatria) per com­ prendere la dura realtà dell’esilio (cc. 4-24); - a sperare nella promessa di un intervento salvifico di Dio che farà ritornare a casa (cc. 33-37) dopo aver eliminato ogni av­ versario storico (cc. 25-32: oracoli contro le nazioni); - a contemplare come possibile la ricostruzione delle istituzio­ ni abbattute (tempio e legge cultuale), realtà attorno alle quali si ricomporrà l’unità del popolo stesso. 125

Se da una parte Ezechiele esalta l’azione soprannaturale di Dio (cosa che induce ad assumere l’atteggiamento di gratitudine e di riconoscenza), dall’altra sottolinea come questa non si realiz­ zerà nella storia senza la cooperazione dell’uomo (da qui l’invito alla conversione, all’apertura e all’accoglienza dello «spirito del Signore»). 3. L ettura

esegetica

Ti ho posto per sentinella alla casa d ’Israele (cc. 1-3)

Il racconto della vocazione profetica di Ezechele è presentato nei primi tre capitoli, nei quali è difficile distinguere quando parla direttamente il profeta e quando invece - come nel capitolo 1 qualche discepolo. Ciononostante, l’esperienza può essere suddi­ visa in tre momenti: teofania (c. 1); vocazione e missione (2,1­ 3,11); conclusione (3,12-21). *

Teofania (c. 1 ): si tratta di una profonda esperienza della pre­

senza reale ed efficace del Signore in esilio, presenza chiamata

«gloria del Signore» (Kebod Jhwh; cf. 10,18-22). Si vuole sotto­ lineare non solo la mobilità di Jhwh (cf. nota in Bg a 1,4-28), non

legato esclusivamente a un luogo perché in cammino con gli uo­ mini, ma anche che l’esilio è la strada che il Signore ha scelto per riportare alla salvezza il suo popolo (cf. 43,1-12: il ritorno della «gloria»; anche Es 25,8; 40,34-35). Sembra che, in un secondo momento, alcuni discepoli ag­ giungano la descrizione del carro (merkabah) di J h w h quale tra­ sposizione del tema dell’arca santa, segno visibile e mobile della presenza del Signore in mezzo al suo popolo. La riflessione giu­ daica e cristiana attingerà abbondantemente da queste descrizioni (Ndtb 533). *

Vocazione e missione (2,1-3,11 ): presentata secondo lo sche­

ma diplomatico (cf. Ger 1,4-10), è scandita dal vocativo «figlio dell’uomo» (= uomo) che, nel suo ripetersi, divide il testo in otto quadretti raggruppabili in cinque scene a struttura concentrica: A (2,1-2); B (2,3-7); C (2,8-3,3); B’ (3,4-9); A’ (3,10-11). 126

AA’: invito all’ascolto (2,1-2; 3,10) e a proclamare ai deportati quanto ascoltato (3,11). BB’: invio a un «popolo di ribelli» (2,3; 3,9), «di fronte dura e di cuore ostinato» (3,7); il profeta non deve temerli (tre volte in 2,6-7; 3,9) perché è reso sicuro e coraggioso dalla pre­ senza del Signore (3,8-9). C: è l’esperienza profonda di Dio che parla anche in una situa­ zione (esilio) di cui la teologia ufficiale dice: «Il Signore lì non parla». Con il gesto simbolico di «mangiare il rotolo» in cui sono «scritti lamenti, pianti e guai» (2,10), infatti, Ezechiele diventa ufficialmente «bocca di J h w h » ; c o s ì si saprà che c’è un profeta in mezzo al popolo (2,5). * Conclusione (3,12-21): dopo un silenzio di sette giorni (3,12­ 15), a Ezechiele viene esplicitata ancora una volta la missione di essere sentinella (3,16; cf. anche 33,1-9) che lancia il grido d’al­ larme perché il peccatore si converta (w. 18-19: prima fase del­ l’attività profetica) e il giusto continui a sperare nella salvezza (w. 20-21 : seconda fase). Il profeta deve essere sempre fedele al­ la missione affidatagli, «ascoltino o non ascoltino» (2,5; 3,11): dovrà, infatti, rendere conto (3,17.20) a Colui che l’ha posto co­ me «segno» perché il popolo sappia che egli è il Signore (24,24.27). Porrò il mio spirito dentro di voi (36,16-38)

Lo «spirito» (ruah) di Dio gioca un ruolo importante in Eze­ chiele: presente al momento della vocazione (2,2.12), riappare in modo particolare negli oracoli della seconda fase del suo mini­ stero. * Tra questi, nella visione delle ossa aride (37,1-14), Ezechiele è invitato a «profetizzare» (sette volte), cioè a rendere una pubbli­ ca testimonianza di quanto ha contemplato: lo «spirito di Dio» (otto volte) che proviene dai quattro venti (v. 9) penetra nel caos del popolo oppresso e sfinito dall’esilio e ne fa rivivere le ossa (otto volte), ridando forma, struttura e senso alla sua storia, aprendolo a una nuova speranza. Non si tratta di risurrezione (ri­ lettura cristiana) quanto di rinascita grazie alla liberazione dalla 127

situazione di morte che è l’esilio e del ritorno in patria: è l’auten­ tica rivitalizzazione del popolo dopo l’esperienza della deporta­ zione (w. 11-14). * Particolarmente suggestivo è anche l’annuncio della restau­ razione (36,16-38). - Nella prima parte (vv. 16-21) si ha un riassunto della storia del popolo (v. 17; cf. cc. 16; 20; 23) per motivare l’esilio come castigo per i peccati commessi (vv. 18-19). Ma anche in esilio gli ebrei hanno profanato il nome di Jhwh, perché i popoli pos­ sono dire che il loro Dio non è stato capace di aiutarli (v. 20)! Allora Dio decide di intervenire per salvare il suo nome (= la sua consistenza reale) e la sua onorabilità. Il Signore decide di riprendere in mano la storia per essere fedele a se stesso (v. 21 ). - Nella parte centrale (vv. 22-32) vengono esposti i motivi, le modalità e le conseguenze del progetto di restaurazione (= sal­ vezza). I motivi sono presentati nei vv. 22-23 e 32 (inclusione) e ruo­ tano attorno al desiderio di Dio di agire «per amore del suo santo nome», per «mostrare la sua santità» davanti agli occhi dei popo­ li, in modo che sia ebrei che pagani «sapranno che egli è J hwh» (v. 36; cf. 37,13-14; anche Es 7-14 in cui P espone il motivo delle piaghe e del castigo presso il mare con gli stessi termini). Questa formula ricorre - pur con variazioni - 72 volte in Ezechiele e sot­ tolinea il fare esperienza diretta del Signore attraverso delle azio­ ni concrete: non si tratta, da parte di Dio, di utilizzare la storia e l’uomo per farsi della propaganda o della gloria personale, ma di permettere al suo popolo e a tutti gli uomini di sperimentarlo co­ me sorgente della salvezza e della vita che essi desiderano e invo­ cano. Nei vv. 24-27 sono esposte le modalità con cui J hwh «santifi­ ca il suo nome» e «si copre di gloria»: - libererà il suo popolo dall’esilio (v. 24): è la trasformazione esterna, che richiama lo schema dell’esodo; - purificherà i rimpatriati mediante una liturgia penitenziale di aspersione (v. 25): è l’eliminazione di ogni forma di idolatria, azione gratuita di Dio (come in Os 2,4-25 e Ger 31,31 -34); 128

trasformerà interiormente l’uomo, grazie alla presenza di tre elementi che si condizionano reciprocamente: un cuore di car­ ne (cioè un nuovo centro decisionale e affettivo, capace di autentica obbedienza) e uno spirito nuovo (ossia una nuova vi­ talità interiore); lo «spirito di Jhwh» ( v . 27), vale a dire la po­ tenza vitale che, donata da Dio, rende l’uomo capace di obbe­ dienza totale al progetto del Signore; la «nuova alleanza» (v. 28: anche se non c’è il termine, vi è la sostanza). Le conseguenze immediate saranno le benedizioni della terra, la sua fertilità (vv. 29-31). * Nella parte finale (vv. 33-38) vengono descritte le prospetti­ ve future della restaurazione: si prevede la fine dell’esilio e la be­ nedizione della campagna e delle città. È una realtà che il profeta vede in lontananza, autentica «eutopia», buon luogo, perché ga­ rantito dalla promessa e dall’impegno del Signore. Conclusione se da una parte Ezechiele manifesta un certo pessimismo nei confronti dell’uomo che si fa da sé (= produce solo il peccato), dall’altra esprime ottimismo fondato sulla consa­ pevolezza che Jhwh sta per entrare nella storia dell’uomo per rad­ drizzarla e ricuperarla. Questa è la sua vera «gloria»! E realizzerà questo progetto mediante il suo Spirito: è la forza posta da Dio all'interno dell’uomo per riorganizzarlo in modo nuovo, con più disciplina e ascolto del Signore, capace di ispirarlo allo stile di Dio e di ricondurlo al progetto iniziale; è il senso della creaturalità e della disponibilità immesso nell’uomo e che provoca la per­ sona a nuove sintonie con il volere di Dio. Vita secondo lo Spirito è così vita spontaneamente obbediente a Dio, di una obbedienza provocata dal Signore nell'intimo stesso dell’uomo (Ndtb 1498­ 1507).

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129

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II - DEUTEROISAIA: È FINITA LA SCHIAVITÙ 1. I l profeta e i l suo ambiente

Si è già accennato (cf c. 3) al fatto che i capitoli 40-55 dell’at­ tuale libro di Isaia appartengono a un profeta anonimo, chiama­ to «Deuteroisaia» (Dtls), vissuto durante l’esilio babilonese. In­ fatti, le parole di consolazione con cui si apre l’insieme dei suoi oracoli (40,1) sono rivolte agli esiliati alle prese non più con gli assiri - come in Is 7ss - ma con i babilonesi. La maggior parte degli studiosi ritiene che il Secondo Isaia abbia svolto la sua missione tra il 555 e il 539 a.C.: sono gli anni dell’ascesa militare e politica di Ciro, re dei persiani, che, dopo aver conquistato la Media e tutti i territori attorno a Babilonia, nel 539 occupa la città (Bock 105-109; Metzger 169-172). Ciro gode di una grande popolarità perché rispetta i vinti, non domina con il terrore ma con la sapienza: sa che i popoli si vincono con la spada, ma si conquistano con i benefici. Così, non impone loro la propria religiosità e rimanda in patria coloro che erano stati de­ portati. Come leggere questi segni? Il profeta, uomo del presente di Dio nella storia, prende posizione testimoniando un messaggio sintetizzabile nei seguenti punti (Blenkjnsopp 222-235). * L’esilio sta per finire: è un castigo, ma non durerà per sempre, perché J hwh è e resta sempre il Goel = Liberatore (17 volte il ter­ mine goel o il verbo gaal). Chiave teologica centrale del Dtls è proprio l’iniziativa di J hwh di mostrare il suo volto di Liberatore: 130

è il parente prossimo del popolo esiliato che è stato da lui creato e formato (43,1.7; 44,2.21). Esiste quindi una solidarietà tra J hwh e gli ebrei, con un carattere sacro, cioè vincolante moralmente. Dio, allora, non solo crea, ma anche libera: e tutto per amore e tenerezza! (41,8-16; 43,1-7; 44,1-5; 49,14-16; 54; N dtb 449­ 450). * La liberazione viene presentata come un nuovo esodo (48,20­ 22)in cui Ciro, re dei persiani, ricopre il ruolo di Mosè: è stru­ mento di Dio per liberare Israele, come Nabucodonosor lo era stato per il castigo. Così, strumento in mano al Signore è anche l’uomo che opera senza averlo conosciuto e senza aver aderito consapevolmente a un suo progetto salvifico (44,28; 48,14-15). Dio salva il mondo attraverso ogni operare umano. Ciro non ha mai saputo che Dio lo ha chiamato (45,4-5), eppure entra nel suo progetto di liberazione (41,1-3). Ciro ha deciso di occupare Babilonia per realizzare un suo disegno di potere, ma J hwh ha de­ ciso con lui e prima di lui di farne il suo giustiziere (41,2) e uccel­ lo da preda (46,11), pastore che soddisferà tutti i suoi desideri (48,28) e messia liberatore (45,1; cf. nota in Bg). E questo sem­ plicemente perché lo ama (48,14; N dtb 828-829; F anuli 479­ 480). * Tuttavia, per vivere in pienezza la liberazione che Dio sta operando, bisogna aprire gli occhi, non essere sordi e ciechi (42,18-25; 43,8). Il profeta infatti parla a un popolo che, nono­ stante la precedente predicazione di Ezechiele, fa fatica a credere a questo Dio, al suo modo concreto di manifestarsi nella storia. Gli esiliati appaiono (Tob, 711): - scoraggiati perché si sentono abbandonati da Dio (40,27; 49,14-15); - insolenti: rinfacciano a J hwh di essere stato ingrato con loro (43,22-28); - scandalizzati, incapaci di capire il modo di agire di Dio (56, 8­ 10.11-13); - alcuni si sono lasciati sedurre dalla religiosità dei vincitori, hanno saltato il fosso abbandonando la fede dei padri e accetta­ to l’idolatria (41,24; 42,17; ecc.); 131

- solo un piccolo gruppo resta fedele : a questi timorati di Dio (50,10) che cercano il Signore (51,1 ) e hanno la legge nel cuore (51,7) il profeta si rivolge per incoraggiarli e consolarli (40,1). A tutti, però, il Deuteroisaia rivolge, a nome di Dio, il pres­ sante invito: «O voi tutti assetati, venite all’acqua; voi che non avete denaro, venite. Porgete l’orecchio e venite a me, ascoltate e vivrete» (55,1-3). Infatti, «è finita la schiavitù» (40,2). Può ri­ suonare, allora, il «vangelo» della consolazione (52,7-12) perché «il Signore riprende le sue funzioni di pastore interrotte dalla ca­ tastrofe del 587 a.C.» (N dtb 769). 2. Il

libro e il suo messaggio

Denominati anche «Libro della consolazione» (nove volte ta­ le termine in 40-55 e sette nei cc. 56-66), gli oracoli del Secondo Isaia possono essere così strutturati, lasciandone da parte alcuni detti «Canti del Servo» che verranno esaminati a parte. A -40,1-11: si tratta di una «cantata a più voci» (Bg, nota) che ha il compito di «consolare» (= permettere di trarre un profondo so­ spiro di sollievo), perché «è finita la schiavitù» (vv. 1-2); viene annunciato, infatti, il ritorno in patria («nuovo esodo») quale ma­ nifestazione della «gloria» di Jhwh (vv. 3-5). Garanzia di tutto è la consistenza della parola di Dio, capace di realizzare quanto proclama (vv. 6-8), cioè di far ritornare in patria il popolo esiliato (w. 9-11 : la «lieta notizia = euanghelia» per Gerusalemme). B - 40,12-48,22: viene sviluppato il tema del ritorno (41,8-20; 48,20-22). Si tratta di una «nuova liberazione»: pur richiamando quella dall’Egitto, in parte la supera (43,16-31; Sicre 168-172). Infatti, se lo schema simbolico esodale resta sostanzialmente identico (Egitto = Babilonia; Deserto; Terra), ci sono delle va­ rianti. Non c’è un passaggio del mare con sconfitta ed eliminazio­ ne fisica dell’uomo-nemico: gli unici a essere annientati saranno gli idoli (40,12-31 ; 41,21 -29; 44,6-20; 46,5-6); pur essendo pre­ vista la caduta di Babilonia (cc. 46-47), la salvezza ha una portata universale (45,14-25). Il deserto, poi, è immaginato come «una strada spianata nella steppa» (40,3), come una specie di paradiso 132

(41,17-19; 43,19-20; 44,3-4) in cui lo stesso J hwh cammina (40,3) per condurre e guidare il suo popolo (42,16); scompare quindi l’idea di deserto come fatica e come prova (cf. Es 16-18). Punto di arrivo del nuovo cammino esodale non è tanto, infine, l’entrare nella terra, quanto un ritornare a un rapporto profondo con J hwh (è il senso del termine «servo-servitore» con cui è chia­ mato Israele, come in 41,8-10; 44,1-5.21-23): ciò si realizzerà quando Gerusalemme sarà completamente rinnovata (44,1-5; 51,17-52,6; 54,1-17). Come già segnalato, sorprende che il mediatore della libera­ zione sia Ciro, un non ebreo perché re dei persiani (41,1-7.25­ 29; 44,24-28; 45,1-13; 48,12-15). Ciò suscita l’incredulità del popolo al quale il profeta deve annunciare con forza: «Non ricor­ date più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, iofaccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accor­ gete?» (43,18-19). Dio si rivela in modo sempre nuovo e sorpren­ dente nella storia, libero anche da schemi teologici cristallizzati dalla riflessione dell’uomo. Ecco, allora, apparire il nuovo volto di J hwh: è il Creatore dell’universo e l’unico Signore della storia (43,8-13; 44,6-8.24-28; 45,9-13.20-25; 48,1-11). Annunciando questo volto di J hwh, il Dtls può essere considerato il primo che proclama in modo esplicito il monoteismo come affermazione teoretica dell’esistenza di un unico Dio per tutto il creato e per tutti gli uomini: «Il monoteismo è affermato dottrinalmente e la vanità dei falsi dèi è dimostrata dalla loro impotenza» (B g 1678). Inoltre, nel Secondo Isaia, creazione e redenzione si ri­ chiamano strettamente: la creazione (sedici volte il termine bara = creare, come in 41,4; 46,4; 48,12) si attua come liberazione e la liberazione diventa nuova creazione (cf. anche la tradizione P del Pentateuco, datata durante l’esilio specie in Gn l,l-2,4a). Il ter­ mine che riassume il volto di Dio è Goel: J hwh è il «parente pros­ simo» non solo del popolo ebraico ma di tutta l’umanità; in virtù di questa solidarietà egli deve intervenire per «liberare - riscattare - redimere» (cf. 41,14; 44,22; 54,5; ecc.). B’ - 49-54: in questa seconda parte - oltre a sottolineare temi già emersi come la gioia del ritorno (49,8-26), l’elezione di Israele (51,1-3) - viene descritto in modo particolare lo scopo e la meta 133

del nuovo cammino esodale: la restaurazione di Gerusalemme che da città/moglie ripudiata diventa «sposa amata» (52,1-12; 54), «poiché tuo sposo è il tuo creatore, Signore degli eserciti è il suo nome; tuo redentore è il Santo di Israele, è chiamato Dio di tutta la terra» (54,5). Il popolo ebraico, ritornato a essere «ser­ vo» di J hwh in una città rinnovata, diventa così «luce» per tutti i popoli (45,14-25; 49,6.12.22-23; 51,4-8): questa è la «volontà» di J hwh, cioè «edificare una società nuova fondata sulla legge (torah): “Poiché egli voleva rendere visibile la sua giustizia, era volontà di J hwh di stabilire un ordinamento sociale (torah) gran­ de e glorioso” (42,21)» (N dtb 828). Questo messaggio sarà par­ ticolarmente sviluppato nei cc. 60; 62; 65-66 dal Terzo Isaia (N dtb 586-589; S icre 371-373). A’ - 55: il «Libro della consolazione» di quello che viene chia­ mato anche «il quinto evangelista», si chiude richiamando la ga­ ranzia del messaggio annunciato, cioè la «parola di J hwh». In esi­ lio Dio, che sembra il grande assente, è presente mediante la sua parola efficace e feconda (vv. 10-11), una parola che manifesta a tutti (w. 1 -3) il suo progetto salvifico nella storia. È richiesta una conversione autentica intesa come abbandono di tutto ciò che non offre senso alla vita (w. 1-3) e come accoglienza di quanto il Signore proclama mediante il suo profeta, per quanto sorpren­ dente possa essere. Infatti, dice J hwh, «i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie» (vv. 8-9). Solo entrando in questa logica si riuscirà ad accogliere il messaggio profetico come «lieto messaggio» (40,9), «messaggio di cose lie­ te» (41,27), «messaggio di gioia e di bene» (52,8), vale a dire co­ me «euanghelia —vangelo = buona notizia» (così traducono i LXX). Questa lettura sincronica (che non deve far dimenticare le dif­ ficoltà di attribuire tutti i testi dei cc. 40-55 a un unico autore; cf. Piemme 1674-75) mette chiaramente in evidenza i nuclei fonda­ mentali del messaggio teologico del Deuteroisaia, cioè: 1. la potenza ed efficacia della Parola di J hwh , parola crea­ trice non solo del passato (universo e storia del popolo ebraico) quanto soprattutto del futuro; è quindi una parola di speranza, ca­ pace di fare cose nuove; 134

2. la liberazione dalla schiavitù babilonese: è questa la sal­ vezza che testimonia la capacità di Dio di essere giusto, cioè fe­ dele alle promesse fatte e alla parola data. Questa salvezza viene realizzata in tempi e con modalità diverse (Logos 152-153): - inizia con Dio che coinvolge il persiano Ciro nel suo progetto salvifico (40,12-42,12): è questo il modo storico-concreto con cui il Signore riscatta (gaal ) il suo popolo (42,13-44,23); - troverà la sua pienezza non solo con il ritorno in patria ma an­ che con la ricostruzione della città santa, Gerusalemme, e il ri­ conoscimento della sovranità universale di J h w h (44,24-49,13: 13 volte appare la radice ja s a ’ = salvezza/salvare): questo an­ nuncio è capace di suscitare speranza nel «qui - ora» dell’esilio e attesa della partenza immediata (49,14-52,12); - tutto si coronerà con il rinnovo deH’«alleanza di pace» (berit shalom), cioè della relazione profonda tra Dio e il suo popolo, relazione presentata in termini di sponsalità e capace di susci­ tare gioia ed entusiamo (54,1-55,6). 3. I l «S ervo

di

J hwh »

Il termine ebed = servo appare ventuno volte nel Dtis: spesso (quattordici volte) designa il popolo ebraico, mentre in alcuni ca­ si (cinque in tutto) non è facile determinarne la vera identità. Nel 1892 l’esegeta tedesco B. Duhm propose di isolare quat­ tro «canti del Servo» che costituirebbero un complesso coerente: non sono stati scritti dal Dtis e non hanno niente a che fare con il loro contesto attuale. Da allora si discute sul numero e sulla delimitazione dei canti, sul loro autore e sulla loro relazione con il contesto, sull’identità del Servo. Su nessun punto discusso si è arrivati a un accordo so­ stanziale. I quattro canti

Prima di affrontare qualche questione specifica, passiamo brevemente in rassegna i diversi canti (cf. B g ; N dtb 770-771; L o­ gos 297-317). 135

1 . 42,1-9: il Servo è presentato qui come profeta incaricato di «portare il diritto (mispàt) alle nazioni» (v. 1) con fermezza (v. 3), ma anche con molto rispetto e in modo pacifico (vv. 2-3). «Chiamato per la giustizia (zedaqah)» è stato «stabilito come al­ leanza del popolo e luce delle nazioni» (v. 6): ha quindi la missio­ ne «di annunziare la legge divina, cioè la rivelazione della volon­ tà del Signore, alle “isole”, all’umanità tutta» (Ndtb 770). 2. 49,1-7: si parla - ispirandosi a Ger 1,5-6 - della vocazione del Servo (Israele, come al v. 3?) in un orizzonte universale. In­ fatti, pur conoscendo momenti di insuccesso (w. 4.7) è inviato a essere «luce delle nazioni» e a portare la salvezza di Jhwh «fino all’estremità della terra» (v. 6). 3. 50,4-11: presentato come un discepolo fedele (w. 4-5), il Servo è sottoposto allo scherno, agli insulti e alle percosse (vv. 6­ 7) che egli sopporta in silenzio, con una fiducia incrollabile nel Signore (vv. 8-9): la non-resistenza non è segno di rassegnazione quanto di speranza posta «nel nome del Signore». Per questo il Servo viene indicato (da Dio stesso?) quale esempio per tutti (w. 10-11). 4. 52,13-53,12: sofferenza e morte vengono riprese in que­ st’ultimo canto e presentate come elementi integranti l’esperienza della fedeltà alla propria missione. Il testo risulta più comprensi­ bile se lo si suddivide in interventi di personaggi diversi (così Tob, 841, notaj): - Dio (52,13-15): annuncia l’esaltazione del suo Servo che è ap­ pena stato umiliato con la sofferenza-morte; - lefolle (53,1 -6): esprimendo sorpresa per tale esaltazione, rico­ noscono che «l’uomo dei dolori» è il «giusto» che «si è carica­ to delle nostre sofferenze, si è addossato dei nostri dolori» (v. 4): eppure - altra sorpresa! - «per le sue piaghe noi siamo stati guariti» (v. 5); - il profeta (53,7-10): continua la riflessione sull’innocenza e pa­ zienza del Servo descrivendo la parte finale della sua vita, vale a dire le sofferenze accettate volontariamente (v. 8), la condan­ na a morte (v. 8) e la sepoltura (v. 9); si augura che Dio renda feconda simile sofferenza con la glorificazione (v. 10); 136

- Dio (53,11-12): il Servo viene riabilitato e reso strumento di giustificazione per «molti» (rabbini : quattro volte nel canto, con senso di «tutte le moltitudini»). Il messaggio di questa esperienza di sofferenza e di morte del Servo può essere riassunto nei seguenti punti. * La sofferenza non sempre è una punizione per i peccati perso­ nali (teoria della retribuzione): nel progetto di Dio può avere un «valore salvifico» per sé e per gli altri. Infatti, ciò che era «di­ sprezzato e reietto dagli uomini» (53,3), è trafitto e percosso a morte «a causa delle nostre colpe e delle nostre iniquità» (53,5.8), ma «a vantaggio nostro». È «il nostro shalom» (53,5), cioè perdono, riconciliazione, pienezza di rapporto vitale con Dio per tutti (53,12). La novità presente in questo testo che suscita la meraviglia di chi si pone di fronte all’esperienza del Servo (53,1) consiste pro­ prio nella capacità di Dio di salvare attraverso la debolezza e la sofferenza. Messaggio che non è esaltazione del dolore in quanto tale, quanto piuttosto «vangelo = buona notizia» che Dio salva nella e attraverso la sofferenza. Appare chiaramente un volto di Dio diverso da quello presentato in altre pagine bibliche: a « J hwh degli eserciti» (Is 9,6), «prode in guerra» (Es 15,3), capace di usare la potenza per liberare il suo popolo (cf. in particolare Es 7-14) viene contrapposto un «Dio debole» che salva attraverso ciò che gli uomini ritengono non abbia senso, cioè la sofferenza e la morte. Jhwh è capace di farsi debole nel suo Servo e di tra­ sformare la sua sofferenza in esperienza salvifica. * Si fonda cosi la teoria della redenzione vicaria: una sola per­ sona assume su di sé la colpa del popolo e dei popoli, pagando al loro posto la pena-castigo prevista ottenendo così la salvezza. La morte cruenta del Servo è vista come «sacrificio di riparazione» (53.10) a vantaggio della moltitudine degli uomini, grazie alla so­ lidarietà con loro ( N dtb 878-879). * L’obbedienza radicale e convinta alla missione affidatagli da Jhwh (53,6.10) ha come risultato non la morte quanto la glorifi­ cazione del Servo: «dopo il suo intimo tormento vedrà la luce» (53.11), «vedrà una discendenza, vivrà a lungo» (53,10). Non si 137

tratterebbe della risurrezione, idea entrata nel pensiero ebraico solo dall’epoca dei martiri maccabei (secolo II a.C.; N dtb 1355­ 1357; ma 1674), quanto piuttosto o della riabilitazione del Servo (52,13-15: farà parte dei «grandi») o degli effetti positivi che la sua morte avrà sul popolo, permettendone la restaurazione e la riuscita: ciò che era semplice «virgulto» e «radice in terra arida» (53,2) diventa ora una «discendenza» feconda (53,10). Alcuni problemi

* Riguardo all’autore dei canti del Servo e alla loro relazione al contesto, mentre in passato si negava che tali oracoli potessero essere del Dtls e si preferiva staccarli dai capitoli circostanti, la tendenza oggi è di ritenerli sostanzialmente opera del Secondo Isaia e di considerarli come parte integrante dei cc. 40-55: sareb­ be cosi descritta un’altra modalità con cui Jhwh sta per realizzare il suo progetto di liberare e ri-creare il suo popolo. Se con Ciro ottiene la liberazione esterna (socio-politica), con il Servo rag­ giunge la profondità della libertà interiore (religiosa) dal peccato che aveva causato l’allontanamento da Dio. * Sull’identità del Servo, le ipotesi possono esser cosi riassunte: - interpretazione collettiva: è l’Israele storico nel suo insieme o nella sua élite (es.: resto fedele), oppure l’Israele ideale; - interpretazione individuale: si tende a vedere o un personag­ gio del passato (Mosè [cosi la tradizione giudaica], Ezechia, Giosia, Geremia), o del presente di chi scrive (Ioiachìn, Ciro, Zorobabele [in questo caso, i canti sono post-esilici]), o lo stes­ so Deuteroisaia; - interpretazione mista: o è un individuo che incarna e rappre­ senta tutto il popolo (personalità corporativa), o si tratta di di­ versi personaggi da collegarsi col contesto (cf. T ob , 712-713): cosi può essere Ciro (I canto), il resto fedele in Babilonia o lo stesso profeta (II canto), il profeta (III canto), il resto fedele o il profeta (IV canto).. * Sulla funzione del Servo, oltre a quella storico-religiosa di essere strumento per la liberazione dal peccato - funzione alla 138

quale oggi si rifa parte della tradizione ebraica - si può segnalare quella messianica sulla quale si innesta l’interpretazione cristia­ na. Si ritiene - anche da parte ebraica - che il Dtls, pur prendendo lo spunto da una figura storica (personaggio-trampolino), descri­ va un personaggio del futuro identificato o avvicinato al Messia. Non è di tipo regale-davidico perché sostanzialmente è un profe­ ta: si tratta del messianismo profetico, sulla linea di Dt 18,15-18. In questo caso, il Servo del Dtls diventa una «figura storica em­ blematica» (A. Bonora): perde i connotati di personaggio storico ben datato per diventare semplicemente «paradigma interpretati­ vo» del rapporto Dio-uomo, credente-popolo di Dio. «Là dove c’è un membro del popolo di Dio, vi può e deve realizzarsi il paradigma del Servo; in ogni tempo e dovunque c’è il popolo di Dio, là si compie e si attua la figura del Servo di J h w h » ( B o n o ­ r a 97). E così aperta la strada all’interpretazione cristiana che ha sempre visto in Gesù di Nazaret la realizzazione piena di questi testi ( N d t b 612). Mt 12,18-21 riferisce a Gesù il primo canto. Mt 8,17; Le 22,38; At 8,32ss; lPt 2,22-24 applicano a Gesù di­ verse frasi del quarto canto: la chiesa apostolica in genere ha con­ siderato Gesù come il «Servo sofferente», e questo perché Gesù stesso ha compreso la sua esperienza storica alla luce della figura del Servo, specie negli annunci della passione (Me 8,31; 9,31; 10,33-34 e par.) e nella formula eucaristica (Me 14,24). «Il Se­ condo Isaia è predizione e prefigurazione di Gesù non nel senso che l’autore pensasse a Gesù mentre scriveva, ma perché - riletto e ricompreso alla luce della fede in Gesù - si presenta come obiettivamente aperto a un compimento di senso, in quanto scrit­ tura sacra del popolo di Dio di Gesù Cristo, che si attua soltanto nella rilettura cristiana di fede da parte della chiesa di Gesù» ( B o ­ n o r a 124). Bibliografìa B onora A., Isaia 40-66. Israele: servo di Dio, popolo liberato, Queri­

niana, Brescia 1988, pp. 7-131: esauriente e aggiornata presentazio­ ne del messaggio del Deuteroisaia. 139

R., Isaia (Capitoli 40-66), Messaggero, Padova 2004: lectio di­ vina su alcuni testi dell’«Isaia di Babilonia» (Is 40-55) e dell’«Isaia della Ricostruzione» (Is 56-66).

D e Z an

P., I canti del Servo del Signore, E d b , Bologna 1983: esame det­ tagliato dei canti del Servo, con attenzione alle riletture ebraiche e cristiane.

G relot

H anson

P.D., Isaia 40-66, Claudiana, Torino 2 0 0 6 .

B., Il libro di Isaia (40-66), Città Nuova, Roma 1996, pp. 5-161: dopo l’introduzione, l’autore suggerisce la lettura di alcuni testi delFanonimo profeta esilico.

M a r c o n c in i

Il Servo del Signore. Lectio divina dei canti del profeta Isaia, Paoline, Milano 1998: «lectio biblica» dei 4 canti.

M a s in i M . ,

C., Missione del popolo che soffre, Cittadella, Assisi (PG) 1982: lettura dei «canti del Servo» nella prospettiva della «teologia della liberazione».

M esters

C., Isaia (cc. 40-66), Paideia, Brescia 1978, pp. 9-351: in­ troduzione ed esegesi dettagliata del testo.

W esterm an n

C., Il profeta del nuovo esodo (Deutero-Isaia), Gribaudi, Tori­ no 1980: agile strumento che presenta i cc. 40-55 di Isaia.

W ie n e r

140

C apito lo

5

ESCATOLOGIA E APOCALITTICA: ATTESA E GIUDIZIO

Profondamente radicati nel presente, i profeti sono anche aperti al futuro delle promesse di Dio. Diventano così autenti­ ci uomini di speranza che attendono l ’intervento con cui Jhwh stabilirà definitivamente il suo regno di pace e di giustizia al­ l ’interno della storia (escatologia). Quel giorno, il «giorno del Signore», si attuerà il giudizio di Dio sulla storia presente e verrà «rinnovata la faccia della terra» (Sai 104,30). Quando in epoca giudaica —specie nel tardo post-esilio — questa attesa viene proiettata in una dimensione ultra-storica, nascerà l apocalittica: prendendo le mosse da un periodo sto­ rico ben definito, di persecuzione e di minaccia per l ’esistenza del popolo ebraico, esprime un giudizio negativo sul presente efa sperare in un interventofinale di Dio capace di cambiare radicalmente la storia e il mondo, creando «nuovi cieli e nuo­ va terra» (Is 65,17).

I - ESCATOLOGIA: ATTESA DEL GIORNO DEL SIGNORE 1. S peranza

nella pienezza della regalità di

J hwh

L ’escatologia dell’Antico Testamento

Nel linguaggio corrente utilizzato in ambito cristiano, escato­ logia è il «discorso (logos) sulle cose ultime (eschata)» riassunte nei quattro «novissimi» (morte, giudizio, inferno, paradiso) letti sempre in chiave messianico-cristologica che ritiene che Gesù di Nazaret sia l’«ultimo», cioè la parola definitiva di Dio all’uomo. A partire da questa prospettiva si interpretano anche tutti i testi 141

biblici che presentano una qualche idea sul futuro dell’uomo e del mondo. Volendo affrontare il discorso sull’escatologia biblica dell’AT è necessario prima di tutto collocare in un secondo mo­ mento la dottrina cristiana sulle «cose ultime», perché il testo bi­ blico non offre nessun logos, cioè discorso sistematico e coeren­ te, né adopera solamente l’ideologia messianica per parlare del futuro del popolo ebraico e del mondo. In secondo luogo, sembra opportuno non rid urre il campo di interesse della speranza dell’AT solamente alle «realtà ultime» o al «dopo» che chiude la storia umana collettiva o individuale: ogni intervento di Jhwh nella storia è un kairòs, cioè momento opportuno di incontro tra la libertà di Dio e quella dell’uomo e rimando esplicito a un suo ulteriore approfondimento e verifica, fino al raggiungimento del telos, della perfezione nella relazione. E importante allora, in ter­ zo luogo, tener presente il concetto di storia tipico della visione biblica ( N dtb 1519-1532): è il tempo in cui Jhwh realizza pro­ gressivamente il suo progetto di salvezza, la sua promessa di sta­ bilire una relazione molto intima e profonda con il popolo ebrai­ co («Io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo»), e questo in funzione di un analogo rapporto con tutta l’umanità. All’intemo della storia esiste, quindi, una forza interiore «che l’apre verso il futuro e che rivela in essa una trascendenza che impedisce a Israele di accontentarsi di un presente che non sia pieno. La pro­ messa, allora, non si adempie totalmente in nessun momento intrastorico, ma spinge sempre oltre, verso il compimento ultimo di tutte le aspettative e si proietta verso la fine, orientando il senso della storia verso Yeschatos (tempo finale, ultimo giorno)»1. La forza interiore che pone nella storia continui kairoi che la orientano verso il suo compimento viene indicata dai testi biblici dell’AT come la regalità di Dio (malkùt Jhwh ): sembra che, fin dall’epoca pre-monarchica, la speranza dell’AT sia animata dal­ l’attesa che Jhwh instauri il suo regno. Affermare «Dio regna» non è, però annunciare l’inizio di una struttura di potere che ren­ de schiavo l’uomo, quanto piuttosto affermare l’intervento salvi­ 1 M. B o r d o n i -N. Bologna 1988, p. 83. 142

G

o la ,

Gesù nostra speranza. Saggio di escatologia, Edb,

fico di J hwh che - mediante la sua autocomunicazione - libera l’uomo da ogni situazione di schiavitù per aprirlo alla giustizia e alla pace come pienezza di vita. Si tratta, quindi, di una regalità «a favore dell’uomo», specialmente del povero, del debole e del­ l’oppresso: Dio, in fedeltà alla sua realtà più intima di creatore e salvatore (goel), interviene per stabilire la sua giustizia (zedaqah) mediante un giudizio (rib), cioè un intervento chiaro nella storia che elimina il male lasciando campo libero al bene (N dtb 413­ 415; 1296-1302). L ’escatologia profetica

In questa prospettiva possono essere collocati gli interventi dei profeti: pienamente inseriti nella loro storia, diventano i testi­ moni di quel Dio che desidera offrire sempre nuove possibilità di vita e di rinnovamento al suo popolo. La speranza che sanno su­ scitare nei loro contemporanei passa attraverso modalità differen­ ti, che suppongono l’idea della regalità di Dio anche quando non è esplicitamente affermata. Eccone alcune. ★ Nel periodo pre-esilico percepiscono chiaramente che il po­ polo non è all’altezza della sua vocazione: gli annunciano allora oracoli di castigo e di sventura perché sappia discemere bene la strada da percorrere per ripristinare la relazione con J hwh. Dopo il giudizio che porterà distruzione e morte, è previsto un nuovo inizio grazie a un «resto fedele» (escatologia intrastorica). Inol­ tre, alcuni prospettano la realizzazione delle promesse di Dio at­ traverso la mediazione del re terreno, il Messia: così, il messiani­ smo regale profetico diventa una modalità con cui J hwh realizza la sua regalità sul popolo ebraico. Altro modo è la certezza di un giudizio per le nazioni stra­ niere: tutti i popoli dovranno riconoscere la sovranità di J hwh as­ saporando sia la sua collera (cf. gli «oracoli contro le nazioni» in Amos, Isaia, Geremia ed Ezechiele; N dtb 1 197s), sia la felicità da lui concessa radunandosi presso la montagna di Dio (Mie 4,1-4; Is 2,2-4). * Durante l’esilio, la speranza cambia radicalmente: si fa espli­ cito annuncio di liberazione con il Deuteroisaia per il quale Dio, re di Israele (40,9-11; 52,7-11), nel suo intervento porterà una 143

salvezza che avrà il sapore di un qualcosa di completamente nuo­ vo: sarà una nuova creazione che trasformerà completamente l’uomo e le cose (41,20; 44,24; 48,6; 51,9-11). Mediatore della liberazione non sarà più un discendente della casa di Davide, ma un messia profeta: il «Servo sofferente di J hwh» (Secondo Isaia) e, più tardi (Terzo Isaia), il profeta sul quale scende lo Spirito del Signore Dio (61,1-11). Particolarmen­ te sviluppate sono anche l’idea del resto fedele (cf. B g nota a Is 4,3) e quella d ell’ apertura universale della salvezza che si estenderà a tutti i popoli (cf. Is 45,14-19 e relativa nota in B g). * Nel post-esilio, verrà esplicitamente affermata l ’estensione a tutti i popoli della regalità di Dio, con l’abolizione di alcuni limi­ ti che rendono troppo «nazionalistica» la sua realizzazione. Per di più, il ruolo del popolo ebraico è concepito sempre più in funzio­ ne del mondo intero: è posto come «luce delle nazioni» (Is 49,6), «testimone fra i popoli» (Is 55,4). Così Is 19,16-25 prevede la «conversione dell’Egitto e la sua riconciliazione con Assur e Israele» (B g 1743, nota); Is 56,6-8; 60,11-14; 66,18-21; Zc 8,20-23; 14,16-19 annunciano il raduno di tutti i popoli a Gerusa­ lemme; Is 25,6-11 descrive questo afflusso come un grande ban­ chetto; Giona prospetta l’estensione della misericordia di J hwh anche ai peggiori nemici (N dtb 1200ss). Inoltre, la mancata realizzazione delle promesse proclamate precedentemente non attenua l’attesa, ma la proietta in una di­ mensione sempre più lontana: si passa a una «escatologia ultra­ storica» per cui l’era nuova riguarda il momento finale della sto­ ria e non più il presente. Anzi, un po’ alla volta si ritenne che il regno di J hwh dovesse riguardare il «mondo futuro»: messia, re­ sto fedele, nuova creazione si realizzeranno «dopo» la fine di questo stato di cose. E la prospettiva dell’apocalittica. 2. A ttesa

del

« giorno

del

S ignore»

Il «kairòs»

La speranza che Dio porti a compimento le sue promesse vie­ ne sempre proiettata in un giorno particolare, detto «giorno del 144

Signore»: si tratta del momento decisivo (kairòs) in cui Dio inter­ verrà per realizzare il suo regno di pace e di giustizia. Previsto entro il tempo di una generazione nei profeti pre-esilici (escatolo­ gia intrastorica), con l’esilio e il post-esilio la sua attesa è sempre più rinviata a un futuro indeterminato (escatologia ultrastorica) fino a diventare prospettiva che va «oltre» la storia con l’apoca­ littica. Inoltre, l’imminenza di cui sono impregnati alcuni testi è più di tipo teologico che temporale: è la certezza che la promessa di Dio si adempirà. Il profeta può dire «oggi - qui» perché è profon­ damente convinto che Dio è fedele alla sua parola; quello che di­ ce a nome di Dio è già in atto, anche se - dal punto di vista tem­ porale - l’uomo ne vedrà la realizzazione «in quel giorno». L’interpretazione cristiana, poi, che ritiene Gesù di Nazaret il centro della storia e il realizzatore di tutte le promesse di Dio, riu­ nificherà le attese previste «in quel giorno» e le leggerà - me­ diante l’allegoria e la tipologia - in una prospettiva messianicocristologica (escatologia di modello), anche se in origine non so­ no legate al Messia. Significato del «giorno di J hw h »

L’espressione «giorno di J hwh» assume, nei profeti, signifi­ cati diversi che possiamo così riassumere. * Nei profeti pre-esilici è generalmente il giorno del giudizio di condanna di Israele e dei popoli per i loro crimini, ma anche il giorno della salvezza per chi «cerca il Signore». In particolare, \mos delude le attese dei suoi contemporanei prospettando il «giorno del Signore» non più come «giorno di luce», ma come «giorno di tenebre» (5,18-20 e relativa nota in Bg; cc. 7-8). Sofonia parla più espressamente di un dies irae (1,14-18): sarà «ama­ ro» per il popolo ebraico, che non vuole ascoltare la voce del Si­ gnore, e per le nazioni straniere, «perché hanno insultato e di­ sprezzato il popolo del Signore» (2,10). Ma sarà anche «riposo» per il resto fedele, cioè per tutti gli umili e i poveri che confidano nel nome del Signore (3,11-13), e «gioia» per Sion che vedrà il ritomo dei figli dispersi (3,14-20). Anche in Isaia è presente que­ sto duplice aspetto del giorno di Jhwh: particolarmente significa­ 145

tiva è la visione del raduno di tutti i popoli in Gerusalemme (2,2­ 5). Consapevoli che «da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore» (v. 3), accettano di salire sul monte del Si­ gnore dopo aver radicalmente cambiato tutti gli strumenti di guerra in strumenti di pace: «spezzeranno le loro spade e ne fa­ ranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra» (v. 4). Naum, invece, annuncia la fine imminente del nemico di turno del popolo ebraico, gli assiri: Ninive, loro ca­ pitale, diventa simbolo di ogni potere umano che Dio condanna perché «sanguinario, pieno di menzogne, colmo di rapine, che non cessa di depredare» (3,1). Per Geremia, oltre che giorno in cui verrà il nemico dal settentrione (1,14; 4,6; 6,1.22; ecc.), il «giorno di Jhwh» sarà il momento in cui Dio realizzerà una «nuo­ va alleanza» (cc. 30-31 ). * Durante l’esilio, il «giorno di Jhwh» - pur mantenendo il suo duplice aspetto di condanna e di salvezza (cf. Ezechiele) - viene prevalentemente inteso come «giorno della consolazione» per il popolo deportato. Per Ezechiele è il «giorno della risurrezione», cioè della rinascita e della riunificazione del popolo grazie all’in­ tervento dello Spirito di Jhwh (c. 37; Ndtb 1356). Perii Deuteroi­ saia è il giorno della liberazione ormai imminente, della salvezza che il popolo ebraico dovrà testimoniare a tutte le genti, ed è an­ che il giorno della «nuova Gerusalemme» (51,17-52,12; 54). * Nel post-esilio si hanno accentuazioni diverse (Blenkinsopp 236-257; 269-287). Il Tritoisaia lo annuncia come giorno in cui Jhwh creerà «nuovi cieli e nuova terra» (65,17) dando inizio a una «nuova comunità» che ha fatto un «esodo spirituale» (cc. 60; 62; 65-66) e all'interno della quale troveranno asilo le genti (cc. 56; 66). Per Gioele è «giorno di tenebra e di oscurità» (2,2) per il popolo ebraico (cc. 1-2) e giorno di giudizio per tutte le genti convocate nella valle di Giosafat, la «Valle della decisione» (c. 4). Ma sarà anche il momento in cui Jhwh «effonderà il suo spirito» sopra ogni credente (3,1-5) e offrirà la prosperità al suo popolo (4,18-21). Zaccaria lo «vede» come giorno di benedizio­ ne da parte di Dio (cc. 1-8) e come giorno in cui verranno giudi­ cate le nazioni (cc. 9-14). Sarà anche il «giorno della gioia» per la 146

venuta del Messia: è un re «giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino. Farà sparire il carro da guerra da Efraim e il cavallo da Ge­ rusalemme e annuncerà la pace alle nazioni» (9,9-10). Infine, an­ che in M alachia sarà giorno di giudizio per tutti coloro che non sono fedeli alla legge del Signore, ma anche «giorno preparato dal Signore» (3,17) per accogliere tutti i «timorati di Dio» (3,16) e giorno in cui egli invierà il suo messaggero (31,1-5), il «profeta Elia perché converta il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei figli verso i padri» (3,22-24). Bibliografia E., I dodici profeti. Parte seconda: Abacuc, Sofonia, Ag­ geo, Zaccaria, Malachia, Claudiana, Torino 2007.

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F.J., Aggeo-Zaccaria, Malachia-Gioele. Profezia e tempio, Cittadella, Assisi (PG) 1989: agile e comprensibile.

Stendebach

147

3.

L e t t u r a e s e g e t i c a : il T r it o isa ia

(Is

56-66)

Tra i tanti testi dei profeti postesilici, prendiamo in considera­ zione quelli attribuiti convenzionalmente al «Tritoisaia», cioè gli attuali cc. 56-66 del libro di Isaia. L ’autore e il suo tempo

Gli studiosi oggi non sono concordi né nell’indicare con il termine «Tritoisaia» un solo autore (alcuni, infatti, ritengono si tratti del ministero di più profeti) né nella sua contestualizzazione precisa (molti preferiscono le date dal 538 al 510, ma altri pensa­ no agli anni attorno al 450, al tempo della missione di Neemia). Certamente si tratta del periodo post-esilico (cf. B ock 111-120; M etzger 160-180), in particolare quando - dopo l’ottimismo ini­ ziale del ritorno dall’esilio - la comunità giudaica di Gerusalem­ me si è scontrata con la realtà di sempre: difficoltà a livello socia­ le, contrasti per la conduzione della comunità, ripresa di un certo sincretismo religioso, difficoltà di relazione con i fratelli rimasti in patria, con quelli in diaspora e con altre popolazioni (T ob 716; B lenkjnsopp 257-269). «Il periodo che il Terzo Isaia inter­ preta è un tempo di delusione, sofferenza, crisi di speranza. È av­ venuto un cambiamento di atmosfera rispetto agli entusiasmi dei primi tempi, quelli del ritorno dall’esilio: a questa situazione i ca­ pitoli intendono dare una risposta» (M arconcini 165). Il libro e il suo messaggio

* Si è già segnalato il perché dell’attribuzione di questi capitoli al Tritoisaia e il collegamento che essi possono avere con il resto del libro di Isaia (cf. Premessa a Isaia, c. 3). Particolarmente si­ gnificativa è Pinclusione tra Is 1-2 (giudizio sul peccato presente in Gerusalemme) e i cc. 65-66 della terza parte (ri-creazione di Sion-Gerusalemme ad opera della tenerezza salvifica di Dio). Da considerare, inoltre, Vaccentuata prospettiva escatologica che tutto il libro di Isaia riceve dai cc. 56-66 (P iemme 1675). Il Protoisaia attuale (cc. 1-39), infatti, parte dal giudizio storico sui mali del popolo ebraico per culminare, attraverso il giudizio sul mondo, con la salvezza di Gerusalemme. Il Deutero (cc. 40148

annuncia la liberazione del popolo che si trova in esilio e la caduta - in prospettiva storico/escatologica - di Babilonia e di ogni forma di idolatria. Infine il Terzo Isaia (cc. 56-66) prevede che Dio, il Santo di Israele (60,9.14), finalmente interverrà per giudicare sia il suo popolo, Israele, sia tutte le nazioni del mondo con una sentenza decisiva e definitiva (66,16.24). * Per quanto riguarda la struttura deli cc. 56-66, al di là di una certa frammentarietà riconosciuta da tutti gli studiosi, è possibile (con la maggioranza degli esegeti) individuare nei cc. 60-62 il nucleo centrale attorno al quale si è poi progressivamente svilup­ pato tutto il resto, raggiungendo una sostanziale coerenza interna, come appare dalla seguente struttura concentrica (B onora 138). A - 56,1-8: stranieri ed eunuchi possono appartenere al popolo di J hwh perché il suo tempio è «casa di preghiera per tutti i po­ poli». B - 56,9-57,21: severo giudizio sulla comunità ebraica, compo­ sta di «figli della maliarda, progenie di un adultero e di una prostituta», dediti all’ingiustizia e all’idolatria. C - 58: la vera pratica religiosa (= digiuno) è «sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppres­ si, dividere il pane con l’affamato, introdurre in casa i miseri, vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti». D -59,1-15: salmo penitenziale di confessione del proprio peccato da parte della comunità, dopo il rimprovero del pro­ feta. E - 59,16-20: J hwh, «rivestito di giustizia», verrà come «retribu­ tore» e come «redentore (goel) per Sion, per quelli di Gia­ cobbe convertiti dall’apostasia». F - a) 60: J hwh è la vera luce che risplende in Gerusalemme: ad essa «verranno in atteggiamento umile i figli dei tuoi op­ pressori». b) 61: vocazione del profeta (o di Gerusalemme?): «consa­ crato con l’unzione per portare il lieto annuncio ai miseri [...] e promulgare l’anno di grazia di J hwh, il giorno di vendetta del nostro Dio», a’) 62: Gerusalemme sarà «una magnifica corona nella mano di J hwh»: «tutte le genti vedranno la tua giustizia». 55)

149

E’ - 63,1-6: giudizio di Dio sui nemici del popolo ebraico, di cui Edom è il «tipo». D’ - 63,7-64,11 : supplica collettiva a Dio, «nostro padre e nostro redentore» (goel), con appello alla sua misericordia perché «squarci i cieli e scenda»! C’ - 65: quelli che si lasciano amare da Dio saranno benedetti, quelli che rifiutano saranno maledetti. B’ - 66,l-18a: nonostante le attuali infedeltà, Dio darà alla «Fi­ glia di Sion» (= Gerusalemme) la possibilità di generare un nuovo popolo. A’ - 66,18b-24: tutte le nazioni saranno «radunate» dal Signore e «condurranno al mio santo monte di Gerusalemme [...] tutti i vostri fratelli»: avranno così inizio «i nuovi cieli e la nuova terra» che «dureranno per sempre davanti a me - oracolo del Signore - come dureranno la vostra discendenza e il vostro nome». Da questa sintetica presentazione si possono enucleare alcune tematiche che costituiscono il messaggio del Tritoisaia (L ogos 201-203):

- il volto di Dio, creatore (65,17) e padre (63,9.16; 64,7), capace di amare con tenerezza materna (66,13), di essere fedele come uno sposo e di ridonare la «verginità» al suo popolo e a Geru­ salemme (N dtb 588-589), presentata come sposa «ricercata dal Signore» (62,12), «suo compiacimento» (62,4) e madre fecon­ da (66,5-18); - la speranza della ricostruzione esteriore e interiore della comu­ nità ebraica postesilica è saldamente fondata su questo volto di Dio, «impegnato con il suo popolo attraverso un’alleanza (59,21) confermata nella storia (63,7-9)» (L ogos 201); perciò è inutile ogni forma di delusione e si deve gioire perché già sal­ vati (60,1.19-22; 62,11-12); - la gratuità della salvezza non dispensa dalla conversione «qui ora»: essa consiste nel ricostruire una vera comunità {esodo sul posto), in cui sia ripristinata l’autentica relazione con Dio eli­ minando ogni forma di idolatria (57,3-13) e si sia capaci di ac­ cogliere il fratello senza sfruttarlo o emarginarlo (cc. 56; 58), aperti ad ogni popolo che accoglie la parola del Signore e il suo giudizio (66,18b-24); 150

- tale annuncio viene fatto a una comunità di poveri, cioè a colo­ ro che hanno il loro unico appoggio in Dio (57,14-19; 61,1-3; 66,2); a questi «poveri» appartiene il «profeta», «mandato a portare il lieto annuncio ai miseri» (61,1-3; 62, 1); molti stu­ diosi riconoscono un rapporto tra questo profeta e la missione del Servo (Is 42,1-3), confermato in Le 4,18-19 nel presentare l’inizio della missione del «servo» Gesù (N dtb 772; 947-949); - la comunità dei poveri-salvati è aperta anche ai popoli stranie­ ri: mentre molti testi profetici presentano la relazione IsrealeNazioni in senso conflittuale perché prevedono la distruzione dei popoli pagani e idolatri (cf. gli oracoli contro le nazioni in Am 1-2; Is 13-23; Ger 46-51; Ez 25-32; ecc.), altri ne annun­ ciano la conversione all’ascolto della parola di salvezza del Si­ gnore (cf. Giona) e altri ancora prospettano una loro assimila­ zione aH’intemo della comunità ebraica credente (come Is 2,2­ 5 e 56,3-7; 66,18b-21). Bibliografia

Oltre ad alcune opere segnalate a p. 102 {Is 1-39) e alle pp. 139-140 (Is 40-66) si vedano: A., Isaia 40-66. Israele: servo di Dio, popolo liberato, Queri­ niana, Brescia 1988, pp. 133-154. M a r c o n c in i B., Il libro di Isaia (40-66), Città Nuova, Roma 1996, pp. 163-194: dopo una breve introduzione, l’autore analizza alcuni testi del Tritoisaia enucleando «motivi di speranza in tempi difficili». S p r e a f ic o A., La comunità dell’amore nel Trito-Isaia, «Parola Spirito e Vita», 11 (1985/1), pp. 69-80. W e s t e r m a n n C., Isaia. Capitoli 40-66, Paideia, Brescia 1978, pp. 353­ 509. B onora

II - APOCALITTICA: IL GIUDIZIO DI DIO SULLA STORIA Esiste oggi - in contesti cristiani - una rinnovata attenzione all’apocalittica sia in ambito teologico (si vedano le «teologie del genitivo» che ad essa si ispirano, come la «teologia della spe­ ranza» di Moltmann e Pannenberg o la «teologia pastorale politi­ 151

ca» di Metz), sia in quello pastorale (si veda il proliferare di «mo­ vimenti apocalittici» come i Testimoni di Geova, gli Avventisti del Settimo Giorno o alcune frange dei movimenti pentecostali e carismatici). Per poter comprendere tale fenomeno, è necessario rifarsi al modello biblico ispiratore. Si vedrà prima l’origine e la natura del movimento apocalittico veterotestamentario, poi la consistenza della letteratura apocalittica, cui seguirà una breve presentazione del libro di Daniele. 1. I l

movimento apocalittico

* Si tratta di quel movimento socio-religioso sviluppatosi in modo particolare dopo l’esilio babilonese, con apogeo dal II se­ colo a.C. al II d.C. Dal punto di vista storico, infatti, nasce e si espande soprattutto in momenti di difficoltà e di crisi politico­ religiosa, quando cioè le cose vanno veramente male e non c’è altro da fare se non «aspettare» tempi migliori. Cosi, il movimen­ to apocalittico conosce il suo massimo sviluppo durante la domi­ nazione seleucida e romana ( B o c k 1 2 0 s s ; M e t z g e r 181 ss): è in tali situazioni che si impone una lettura religiosa della storia (= profezia) per un comportamento coerente nell’oggi (= sapienza). Sembra, infatti, che l’apocalittica: - succeda alla profezia che si sta progressivamente esaurendo, sia perché è venuta meno la dialettica monarchia-profezia (gli ebrei vivono sotto la dominazione persiana, ellenistica e roma­ na), sia perché la nuova religiosità post-esilica che viene quali­ ficata come «giudaismo» (Ndtb 6 8 1 - 7 0 7 ) tende ad approfondi­ re la memoria del passato e regola tutti i contrasti tra istituzione (culto-sacerdozio) e parola di Jhwh (profezia) mediante la torah = legge (il Pentateuco diventa Torah normativa); - maturi a contatto con il movimento sapienziale con il quale condivide l’ansia del discernimento della volontà di Dio nel quotidiano e del senso della storia all'interno della «teoria della retribuzione» (cf. seconda parte del presente lavoro); - sia aperta agli stimoli di altre espressioni culturali contempo­ ranee come la persiana (dualismo bene-male e angeli-demoni; simbolismo numerico; ecc.) e l’ellenistica (dualismo animacorpo, cielo-terra; ecc.). 152

★ In quanto movimento socio-religioso, l’apocalittica cerca - in situazioni di grave crisi politico-religiose e/o di persecuzione - di infondere speranza facendo vedere quello che «sta al di là» del­ l’attuale situazione, quello che «sta nascosto nel mistero di Dio»: è Dio stesso - da qui l’ispirazione per mezzo di sogni e visioni che solleva il velo della storia per far vedere ciò che sta oltre. «Apocalisse», allora, non è sinonimo - come nel lessico popolare oggi - di «catastrofe», perché significa semplicemente «rivelare, svelare», alzare il velo per far vedere ciò che sta al di là di quanto appare. In particolare, viene rivelata la vittoria del bene sul male, di Dio su Satana: il presente è allora vissuto come attesa viva della distruzione delle potenze del male e dell’irruzione del re­ gno di J hwh . Non ci si trova più smarriti nel buio del presente

perché lo si vede illuminato dalla luce che proviene dalla certezza che, nonostante tutto, l’ultima parola sulla storia spetta ancora a Dio e ai suoi fedeli. L’apocalittica si propone allora di tenere viva la speranza e di suscitare il coraggio della perseveranza nella fede, consapevoli che il futuro di Dio sta ormai irrompendo nella storia per giudicarla in modo definitivo. E poiché si è convinti che «que­ sta» storia di difficoltà e disagio non ha futuro, l’escatologia apo­ calittica cambia di significato: non è più la conclusione della sto­ ria, quanto piuttosto la sua condanna grazie all’irruzione del futu­ ro di Dio capace di «creare cieli nuovi e terra nuova». * Caratteristica principale di questo modo di guardare alla storia è il dualismo, ossia l’ammissione dell’esistenza di due principi primi e irriducibili (non semplicemente opposti) che spiegano tut­ ta la realtà e si contendono il dominio su di essa. Così, c’è un dua­ lismo metafisico (Dio-Satana), cosmico (luce-tenebre), spaziale (cielo-terra), teologico (creatore-creatura), fisico (spirito-materia), etico (giusti e buoni-peccatori ed empi), psicologico (bene-male nell’uomo), soteriologico (accettazione-rifiuto della salvezza), escatologico (storia attuale-regno di Dio; presente-futuro). Per il momento, osservano gli apocalittici, il dominio della realtà è in mano a Satana, al male, alle tenebre, ai peccatori; ma la vittoria finale sarà certamente di Dio, del bene, della luce, dei giusti. Il passaggio dal regno presente del male al regno futuro del bene non avviene per superamento progressivo, ma grazie a una «spaccatura» nella storia che porterà alla distruzione del 153

presente: «quel giorno» J hwh farà sorgere un nuovo mondo dalle ceneri del vecchio. La distruzione avverrà grazie a un’immensa battaglia finale tra i due mondi: sarà una battaglia a livello co­ smico, in cui sono coinvolti tutti, dai cieli (regno di Dio e dei suoi angeli) agli abissi (regno di Satana e dei suoi servitori, i demoni), dalla terra con i suoi abitanti divisi tra giusti ed empi al creato in­ tero (sole, luna; terremoti; alluvioni; ecc.). Questa visione del mondo e della storia, da una parte, ha il pregio di infondere nel credente una forte tensione verso il futuro e verso il regno di J hwh: relativizza, infatti, il presente impeden­ done la sua mitizzazione e spinge a un continuo impegno per una sua liberazione verso la pienezza della vita. La fedeltà a questa in­ tuizione porta a una testimonianza di fede nel presente che arriva fino al m artirio e alla speranza che «in quel giorno» J hwh premierà i fedeli e i giusti con la vita oltre la morte, con la risurrezio­ ne, certezza che rende meno amara la vita sotto il dominio del ma­ le e della persecuzione. Dall’altra, però, rischia di suscitare e ap­ provare una visione pessimistica sul presente considerato come condannato e irrecuperabile. Poiché dovrà andare completamente distrutto, è inutile l’impegno nell’oggi; anzi, si dovranno prendere radicalmente le distanze da esso (integrismo). Si vive cosi più nel­ la spasmodica attesa della fine del mondo che in un impegno coe­ rente e responsabile nel quotidiano (alienazione dal presente). * Le caratteristiche dell’apocalittica possono essere così rias­ sunte, distinguendo - con K. Koch - tra elementi formali e conte­ nutistici. Elementi formali. «Ampi cicli di discorsi chiamati visioni, anche se si tratta di sola audizione (cf. Dn 9), relative al destino dell’umanità svelano il mistero finora gelosamente custodito. Il veggente è sconvolto spiritualmente, è invaso da ansia e paura, perde i sensi e trasmette il suo stato d’animo nella durezza dello scritto. La rivelazione del vissuto non ha di mira la manifestazio­ ne della propria personalità, ma intende rivolgere una parenesi ai lettori, una specie di etica escatoligica per sostenere nella prova i fedeli, invitandoli a un’ulteriore costanza, espressa prontamente in fonila diretta, talvolta attraverso racconti edificanti, come av­ viene in Daniele. 154

Per dare autorità ai loro scritti, o meglio, per sottolineare una continuità di pensiero e di tradizione, gli autori si nascondono sotto il nome di un grande personaggio del passato (Adamo, Èva, Enoc, Mosè, Daniele, Esdra), producendo quel fenomeno chiamato pseudonimia, distinta da quella sapienziale che utilizza­ va nomi regi (Salomone, Manasse). L’uso dei simboli, in una va­ rietà e complessità crescente (dalla descrizione dei nemici come bestie pericolose, mostri, alberi vaganti, onde spumeggianti, e del popolo come leone, vite, alle parti del corpo umano, ai colo­ ri), pur riallacciandosi lontanamente a testi profetici (cf. Is 5; Ger 5,6), rende spesso incomprensibile il discorso, soggetto a un pro­ cesso di rimitologizzazione. La difficoltà è aumentata dal carat­ tere composito degli scritti, per l’uso di più lingue, per l’accosta­ mento di tradizioni diverse che provocano contraddizioni e illogi­ cità» (M arconcini 1989, pp. 38-39). Elementi contenutistici. «A queste sei caratteristiche for­ mali che individuano un genere letterario, il Koch aggiunge otto elementi contenutistici che qualificano l’apocalittica come vera corrente letteraria. Una spasmodica attesa della fine del mondo, in seguito a una catastrofe cosmica (caduta di astri o dissoluzione nel fuoco), nel momento prestabilito che è parte di quel tempo universale che viene diviso in periodi fissi dai numeri 4, 7, 12, è provocata dalla ineluttabilità degli eventi che non tolgono la li­ bertà ai singoli individui. Le vicende terrene sono il riflesso di quanto accade nella sfe­ ra sovrumana popolata da angeli e demoni con nomi precisi, in lotta tra loro, che aggregheranno i loro seguaci: i buoni a qualsia­ si popolo appartengano, anche se in una concezione universalisti­ ca meno pura degli ultimi grandi profeti, riceveranno la salvezza, designata come gloria, una fusione totale tra la sfera terrestre e quella celeste con un capovolgimento e un mutamento di tutte le strutture sociali, spesso proiettata in un aldilà descritto con termi­ ni paradisiaci come ritorno al tempo iniziale. La salvezza proma­ na dal trono su cui è fatto salire il Figlio dell’uomo, quando inizierà il regno di Dio, che si sostituirà a questa fase umana pessi­ misticamente considerata. La realizzazione del regno avviene attraverso un intermediario, con funzioni e nomi diversi nei vari scritti (chiamato Messia, Figlio dell’uomo, Eletto), una figura che 155

ha relegato Dio in una lontana trascendenza» ( M arconcini 1989, pp. 38-39). * Risulta chiara, allora, la distinzione tra movimento profetico e apocalittica, come appare nel prospetto sinottico alla pagina se­ guente2. Questo confronto non dovrebbe indurre a considerare l’ a­ pocalittica come un movimento strano, da scartare perché su­ scitatore solamente di alienazioni e di fughe dal presente. Il cre­ dente, giudeo o cristiano che sia, deve tenere in giusta considera­ zione le seguenti intuizioni sottolineate dall’apocalittica, almeno per l’influsso che hanno avuto nella cultura occidentale: - Dio non è per niente indifferente a quanto capita su questa terra, né è incapace di intervenire per ristabilire la giustizia e santificare il suo nome; - ci sono, nella storia umana, momenti e situazioni talmente im­ portanti e decisive in cui il credente si può legittimamente at­ tendere che Dio agisca in modo nuovo e sorprendente per in­ staurare il suo regno; - è necessario credere con fermezza che la vita dell’uomo non è abbandonata in potere del male e del demoniaco, e proclama­ re con fede che la vita ha una prospettiva che va oltre la morte: il martirio (di fede e di amore) non è cosa vana. Anzi, Dio - per fedeltà alle sue promesse - non lascerà soccombere il giusto: è aperta la strada alla risurrezione come fonte di vita per l’oggi; - bisogna testimoniare una fede radicale in Jhw h , Dio della vita e della pace, e rigettare con coraggio ogni forma di violenza e di guerra: il futuro, infatti, è degli «operatori di pace» che spe­ rano in Dio; -il pensiero apocalittico, infine, sottolinea fortemente una attesa appassionata sia del regno di Dio, sia del giudizio che esso esprimerà: condanna per i cattivi e premio per i buoni. È aperta la strada alla riflessione cristiana sia sull’impegno nell’oggi (escatologia intrastorica), sia sull'inferno e sul paradiso (esca­ tologia ultrastorica). 2 Da La tradizione «apocalittica» nell’Antico Testamento, «Il Cantiere» 35, a cura della redazione di «Evangelizzare», supplem. aln. 10, dicembre 1987, p. 13. 156

I PROFETI

GLI APOCALITTICI

azione diretta

Furono uomini di parola e di nei casi concreti della vita d’Israele.

te lo scritto.

Ricevevano incarichi e rivela­ zioni principalmente attraverso la parola interiore: inessi la visione aveva un’importanza del tutto se­ condaria.

Ricevono rivelazioni quasi esclusivamente in visioni e sogni, anche se sovente queste visioni non sono esperienze reali, ma un genere letterario.

Parlano e comunicano median­

Furono coinvolti personalmen­ Si elevano a una missione co­ te nella politica d’Israele. smica di annuncio che non tanto la politica quanto l’intervento di Dio potrà rinnovare il mondo. I profeti preesilici si rivolgeva­ Si rivolgono a un popolo vio­ no a un popolo ancora libero e lentemente oppresso, senza liber­ responsabile, perciò minacciava­ no Israele poiché era ancora in suo potere evitare il giudizio di Dio. La cosa da fare, a cui i profe­ ti spingono il popolo, è la conver­ sione.

tà e quindi senza responsabilità di decisioni collettive, a un popolo posto di fronte al dilemma: o apo­ stasia o morte. L’unica cosa da fare per loro è quella di restare saldi nella fede e attendere con certezza il Giorno del Signore.

Parlano del Giorno del Signore Vedono il Giorno del Signore in cui Dio avrebbe fatto scendere come un contrasto fra tenebre e le tenebre sui malvagi e la vittoria luce assai più marcato che presso i profeti. sui giusti. Lo scontro tenebre-luce nel Vedono lo scontro tenebre-lu­ Giorno Del Signore avviene so­ ce a livello cosmico-universale. prattutto all ’interno di Israele. Videro nella dolorosa situazio­ ne del mondo presente la possibi­ lità per il popolo di convertirsi e di consentire così la realizzazione del mondo nuovo.

Non vedono altra cosa da fare che attendere che il Regno di Dio irrompa dai cieli aperti nel mondo attuale privo di possibilità di sal­ vezza. 157

2. L a

letteratura apocalittica

I testi

Tra i testi canonici dell’AT sono da considerare di stile e con­ tenuto apocalittico i seguenti. * Ez 38-39; 40-48: considerato il padre dell’apocalittica, Eze­ chiele presenta la «definitiva vittoria del bene sul male nei mitici paesi di Gog e Magog (cc. 38-39)» (Ndtb 686) e il radicale cam­ biamento della struttura del tempio e delle espressioni religiose (culto, sacerdozio, cc. 40-48). * Gioele: questo profeta, il cui scritto «è apocalittico solo par­ zialmente» (U. Vanni), legge in chiave religiosa un’invasione di cavallette (2,1-10) che mette a soqquadro la vita tranquilla del po­ polo e la interpreta sia come un forte richiamo alla conversione (2, 13-18), sia come anticipazione di quanto si attuerà nel «giorno del Signore», quando Jhwh rinnoverà e rivitalizzerà il popolo grazie all’effusione del suo Spirito (c. 3) e giudicherà tutti i popoli (c. 4). * Is 24-27 (la «grande apocalisse»), databile dal V secolo a.C. e Is 34-35 (la «piccola apocalisse»), ancor più recente (cf. note in Bg e Ndtb 768): con molte immagini simboliche e con carattere chiaramente escatologico descrivono sia la distruzione di quanto appartiene al male e si oppone a Dio, sia la capacità del Signore di capovolgere radicalmente la storia dell’uomo: «Eliminerà la morte per sempre. Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto» (25,8). * Zaccaria: nella prima parte (cc. 1-8, non da tutti considerati apocalittici), attraverso otto visioni spiegate dall’angelo del Si­ gnore desidera infondere coraggio ai rimpatriati perché sappiano dare vita a una vera comunità. Nella seconda parte (cc. 9-14, ge­ neralmente assegnati a un profeta anonimo del tardo post-esilio detto «Deuterozaccaria»; Ndtb 1688), con una simbologia apo­ calittica (Dio guerriero, sconvolgimenti cosmici, ecc.) presenta la liberazione e il ritorno di Israele (cc. 9-11 ) e il suo avvenire do­ po il grande intervento divino (cc. 12-14). * Daniele: è senz’altro il testo apocalittico più chiaro e più co­ nosciuto (cf. più avanti). 158

Accanto ai testi canonici, ce ne sono altri che non sono entrati nella Sacra Scrittura, ma che sono importanti per conoscere sia il movimento apocalittico che le attese di parte del popolo ebraico nel periodo del tardo giudaismo veterotestamentario. Fanno parte di quella che viene definita «letteratura intertestamentaria»3. Tra di essi sono da ricordare il Libro di Enoc e quello dei Giubilei, il Testamento dei XII Patriarchi e l’Assunzione di Mosè, vari testi ritrovati a Qumràn e altri che - appartenendo all’epoca del N T sono di intonazione sia giudaica che cristiana (cf. N dtb 98-101). Le caratteristiche

Ne segnaliamo solo alcune tra le tante. * Narrazione: l’apocalittico ha il gusto del racconto, a volte an­ che un po’ intricato, versatile, geniale. In pratica, generalmente si tratta di una messa in scena in forma narrativa di un’intuizione: «l’apocalittica racconta dei significati con il linguaggio della nar­ rativa» (P. Stancari). Non si tratta, allora, di storia vera, ma di rac­ conto che dice il vero perché rappresentazione scenica di signifi­ cati. Nascono così, per esempio, gli atti dei martiri (come in Dn 3; 6, 13) e altri racconti edificanti o parenetici (come in Dn 1-2, ecc.). * Visione: è il modo concreto con cui spesso viene presentato il contenuto, anche spiegato dall’intervento di un angelo del Signo­ re. Nella maggioranza dei casi la visione è un artifizio letterario che l’autore adopera sia per sottolineare l’origine divina del mes­ saggio che desidera trasmettere, sia per guadagnare autorità e prestigio ed essere così ascoltato e creduto. * Sogno: nella mentalità antica rappresenta una forma di rivela­ zione (cf. Gn 37,5-10, Gb 4,12-21; ecc.) che ha bisogno di essere interpretata da un sapiente illuminato, cioè guidato da Dio. Qual­ che volta assume connotazioni psicologiche e sconfina con stati psichici pretemormali, di gioia effervescente, di terrore, di incu­ bo, ecc. 3 M . C im o s a , La letteratura intertestamentaria, E d b , Bologna 1992, specie le pp. 21-94; G . A r a n d a P é r e z - F. G a r c ìa M a r t ìn e z - M . P é r e z F e r n à n d e z , Lette­ ratura giudaica intertestamentaria, Paideia, Brescia 1998. 159

* Pseudonimia: l’autore apocalittico si nasconde dietro a un grande personaggio del passato sia per far circolare più facilmen­ te il suo messaggio in momenti di persecuzione politico-religiosa senza destare sospetti, sia per rendere più credibile agli occhi de­ gli ascoltatori l’invito alla perseveranza: oggi si avverano antiche profezie già presenti nella vicenda di personaggi stimati per la lo­ ro pietà e per il loro coraggio. E poiché non è possibile denunciare apertamente il tiranno di turno oggi, allora l’apocalittico proietta la situazione presente nel passato. Presenta così tiranni ben conosciuti dal popolo (come Nabucodonosor) e crea attorno a essi situazioni non certo stori­ che, ma significative ed evocative per il lettore: com’è crollato il loro potere, così cadrà anche quello del tiranno attuale; come a quel tempo ci furono dei credenti che resistettero fino al martirio, fiduciosi nell’intervento di Dio, così dovrebbe avvenire oggi. Simbolismo: si tratta di quel «linguaggio in codice» che spesso costituisce il motivo dell’incomprensione dei testi apoca­ littici per la nostra mentalità occidentale abituata alla realtà scien­ tifica, alla precisione, alla deduzione logica e matematica. Si trat­ ta però di un linguaggio altamente evocativo, allusivo e non de­ scrittivo: desidera impressionare esagerando i contorni, vuol suscitare entusiasmo di fede più che dare descrizioni scientifiche. I principali simboli riguardano ( N dtb 103; 148ss): - gli animali: capri = malvagi ed empi; pecore = buoni e giusti; agnello = mansuetudine e sacrificio; drago = male; leone = re­ galità; bue = forza; aquila = velocità, acutezza; ali d’aquila = protezione divina; pantera-orso-leone = segni di voracità e sfruttamento; corno = potenza; - le parti del corpo umano : mani = potenza; occhi = conoscenza; bocca = oracolo divino; gambe = stabilità; braccio destro = po­ tenza e stabilità; capelli bianchi = eternità (anche vecchiaia); - l ’abbigliamento: veste lunga = dignità sacerdotale; cintura d’o­ ro = potere regale; anello = regalità; scettro e corona = potere; - i colori: bianco = vittoria, purezza; nero = morte, empietà; ros­ so = assassinio e violenza, sangue dei martiri; rosso scarlatto = lusso; *

160

- i numeri : 3 = perfezione, divinità; 3 e mezzo (o 42 mesi, o 1260 giorni, o un tempo + due tempi + la metà di un tempo) = metà di sette, cioè tempo limitato e imperfetto; 4 = cosmo, uni­ verso, storia umana; 6 = imperfezione; 7 = perfezione, definiti­ vità; 10 = una certa quantità; 12 = tribù, pienezza del popolo; 1000 = quantità considerevole, tempo tra la fine della persecu­ zione e quella del mondo [cf. millenarismo]; 144.000 = nume­ ro completo per eccellenza (12 x 12 x 1000). Bibliografia

G., Il medio giudaismo. Per una storia del pensiero giudai­ co tra il terzo secolo a.e.v. e il secondo secolo e.v., Marietti, Genova

B o c c a c c in i

1993: presentazione delle attuali tendenze storiografiche sul perio­ do in questione. «Credereoggi», 80 (2/1994): L ’apocalittica: vari autori presentano il movimento apocalittico sia biblico che storico in relazione con le attese contemporanee di fine millennio. D e l c o r M., Studi sull’apocalittica, Paideia, Brescia 1987: origine e svi­ luppo dell’apocalittica, con analisi di alcuni testi. K o c h K.., Difficoltà dell’apocalittica, Paideia, Brescia 1977: tentativo serio di riscoprire l’apocalittica per capire il presente. M a i e r J., Il Giudaismo del secondo Tempo, Paideia, Brescia 1991 : ope­ ra aggiornata su storia, letteratura e religione dell’età che va dal ri­ torno da Babilonia fino alla distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C. M a r c o n c in i B., Apocalittica. Origine, sviluppo, caratteristiche di una teologia per tempi difficili, L d c , L e u m a n n (TO) 1985: co m p le to e a c c e ssib ile , o ra sostituito da L o g o s 217-269. S a c c h i P., L ’apocalittica giudaica e la sua storia, Paideia, Brescia 1990: opera di seria divulgazione, impegnativa. — Storia del secondo tempio. Israele tra VI secolo a. C. e I secolo d. C.,

Torino 2002: visione storica globale sul giudaismo postesilico. T e r r i n A.N. (a cura), Apocalittica e liturgia del compimento, Messag­ gero, Padova 2000: interessanti, nella «parte seconda», i contributi di P. Sacchi (Le «teologie» giudaiche al tempo di Gesù) e di C. Nar­ di (Il millenarismo nel cristianesimo primitivo. Cronografia e scan­ Se i,

sione del tempo). 161

3. I l

libro di

D aniele

Problemi introduttivi

* Il libro di Daniele, considerato «il vertice dell’apocalittica dell’AT» (U. Vanni), è collocato tra i Ketubim (= Scritti) nelle Scritture ebraiche, mentre per i cattolici fa parte dei Nebiim ed è posto tra i «profeti maggiori», dopo Ezechiele. * Il testo utilizzato nelle bibbie cattoliche è scritto - nell’origi­ nale - in lingue diverse: in ebraico (l,1.24a; 9.12), in aramaico (2,4b-7,28), in greco (3,24-90; 13-14). Ebrei e protestanti consi­ derano canoniche solo le parti scritte in ebraico e aramaico, men­ tre quelle in greco sono accolte come ispirate dai cattolici e chia­ mate deuterocanoniche. * La pubblicazione dei cc. 1-13 viene fatta risalire all’epoca della rivolta maccabaica (167-164 a.C.; cf. Bock. 124ss; M etzg e r 198ss) scoppiata in seguito al tentativo di Antioco IV Epifane (175-164 a.C.) di ellenizzare la Giudea obbligando i suoi abitanti ebrei a rinunciare alla propria fede e alle sue espressioni religiose. Viene proibito il sabato, la circoncisione, le osservanze legali sui cibi; il tempio è profanato e al suo interno viene collocato un al­ tare in onore di Zeus Olimpo («l’abominio devastante», 11,31) per fare dei sacrifici pagani. Alcuni giudei accettano questo stato di cose, altri lo sopporta­ no per paura, mentre altri ancora si ribellano apertamente: questi costituiscono il gruppo degli Hasidim (= fedeli). Parte di essi sce­ glie la lotta annata dando origine alla rivolta maccabaica, mentre alcuni preferiscono una specie di resistenza non violenta accet­ tando la morte (= martirio) piuttosto di abiurare la propria fede, rinnovando la speranza in un intervento ormai prossimo di Jhwh , capace di giudicare i nemici del suo popolo e di donare la salvez­ za (= risurrezione) ai suoi fedeli. In questo periodo di persecuzione trovano spazio i racconti che fonnano il libro di Daniele, anche se le parti in greco posso­ no essere state aggiunte verso l’anno 100 circa: l’autore (o gli autori) si nascondono (= pseudonimia) sotto il nome di un perso­ naggio leggendario, Daniele (= Dio giudica), un sapiente famoso (Ez 14,14.20) al quale venivano collegati molti racconti edifican162

ti. È probabile, infatti, che almeno parte delle narrazioni dei cc. 2­ 6 e 13-14 appartenesse a questo ciclo di leggende popolari. I no­ stri autori le utilizzano per mandare un messaggio di speranza ai loro contemporanei: pur parlando, infatti, di avvenimenti risalenti al passato (corte babilonese del VI secolo a.C. per i cc. 1-5 e 7-8; quella persiana per i cc. 6; 9-10; 14), fanno riferimento alla situa­ zione che sta vivendo il lettore sotto Antioco IV (il passato diven­ ta simbolo o tipo del presente). Contenuti del libro

Il Libro di Daniele può essere suddiviso - nella sua forma at­ tuale - in tre parti a forma chiastica, precedute da un’introduzio­ ne ( L o g o s 255ss): Introduzione (c. 1) A - Racconti in prosa (cc. 2-7) B - Visioni (cc. 8-12) A’ - Racconti in prosa (cc. 13-14) * Introduzione (c. 1): Daniele e altri tre giovani alla corte di Nabucodonosor, sottoposti a leggi alimentari particolari, invitano i loro compatrioti ebrei alla resistenza contro Antioco IV, che aveva soppresso i divieti alimentari della legge giudaica per elle­ nizzare con forza il popolo (cf. 2Mac 6,18-25; 7,lss). * A - Racconti (cc. 2-7): il libretto aramaico si presenta strut­ turato in forma concentrica. A (c. 2): sogno della statua da parte di Nabucodonosor e spiega­ zione data da Daniele. La professione di fede finale del re esclude la persecuzione. B (c. 3): Nabucodonosor chiede l’adorazione della statua d’oro, ma i tre giovani ebrei (del c. 1) si rifiutano di farlo: aggiunta del «Cantico di Azaria nella fornace» e del «Cantico delle creature» da parte dei tre giovani. C (c. 4): Nabucodonosor racconta il sogno del grande albero in­ terpretato poi da Daniele come giudizio di Dio sul potere del re. C’ (c. 5): banchetto di Baldassàr, con apparizione di una scritta misteriosa letta solo da Daniele; dietro Baldassàr si può intra­ vedere il re Antioco IV e la fine del suo regno decretata dal Signore. 163

B’ (c. 6): Daniele nella fossa dei leoni per essersi rifiutato di ri­ volgere atti di adorazione al re Dario; Daniele è salvo, e il re fa la sua professione di fede nel Dio degli ebrei. A’ (c. 7): sogno delle quattro bestie, del vegliardo e del «figlio dell’uomo»: la fine del regno di Antioco IV è assicurata dalla rivelazione di Dio a Daniele. Come si vede, si tratta di sei racconti edificanti che, con un linguaggio simbolico, si prefiggono sia di far capire che la reli­ gione ebraica è superiore a tutte le proposte pagane, sia di susci­ tare e irrobustire la fede del lettore in Jhwh capace di soccorrere e liberare i suoi fedeli in ogni circostanza, anche la più drammatica. Il genere letterario di questa parte (come anche dei cc. 13-14) è quello midrashico di tipo haggadico: si tratta di racconti non sto­ rici ma storicamente ambientati per dare loro uno spessore di cre­ dibilità e di ascolto. Loro scopo è quello di trasmettere un deter­ minato messaggio mediante il racconto («teologia narrativa»). * B -Visioni (cc. 8-12): servendosi di tre visioni e utilizzando il genere letterario apocalittico, l’autore vuol dimostrare come la storia umana, nonostante gli sconvolgimenti operati dagli uomi­ ni, sia in mano a Dio e sia orientata verso la pienezza del suo re­ gno. Dopo il periodo della grande tribolazione, infatti, ci sarà il regno dei «santi dell’Altissimo»: è un regno di pace e di giustizia definitiva al quale parteciperanno tutti coloro che sono stati capa­ ci di perseverare nella fede giudaica mediante la pratica della leg­ ge. L’invito al lettore è allora quello di essere capace di affrontare con coraggio il momento della persecuzione, accettando anche il martirio al quale seguirà una risurrezione gloriosa quale segno della giustizia che Dio rende ai suoi fedeli. la visione (c. 8): visione del montone e del capro ambientata al tempo di Antioco IV, di cui si annuncia in modo inequivoca­ bile la caduta, con allusione probabile alla presa di Gerusa­ lemme da parte di Giuda Maccabeo (autunno del 164). 2a visione (c. 9): è la celebre profezia delle settanta settimane, un’interpretazione midrashica di Ger 25,11-12; 29,10 che po­ ne la fine dell’esilio dopo 70 anni o cicli sabbatici. «La spiega­ zione considera i settanta anni non nel senso di dieci periodi sabbatici (sette anni), ma in quello di periodi giubilali (quaran­ 164

tanove anni) o di settimane di anni, ponendo il termine dopo quattrocentonovanta anni, che raggiungono il II secolo (ini­ ziando o dalla caduta di Ninive [612] o dal regno di Nabucodonosor)» (L ogos 259), cioè il tempo di Antioco IV: è assicu­ rata così la fine della persecuzione! (cf. note in B g o in T ob). 3a visione (cc. 10-12): è presentata una rilettura della storia, più dettagliata per il periodo di Antioco IV (11,21-45): al tempo della persecuzione seguirà una vita eterna con Dio (12,1-3). (c. 13-14): sono narrati (solo in greco) tre rac­ conti edificanti, il primo dei quali (c. 13: la «casta Susanna») mette in evidenza il premio che Dio riserva alle persone fedeli al­ la legge e ingiustamente perseguitate, mentre gli altri due (c. 14: Bel e il drago) sono una satira per ridicolizzare l’idolatria. *

A ’-Racconti

4. L ettura

esegetica : il

F iglio

dell ’ uomo

(Dn 7)

Dn 7 riporta la visione più importante del libro: costruita ad arte con una molteplicità di simboli, ha uno scopo consolatorio. Intende, infatti, ravvivare la fede e la speranza di coloro che sono perseguitati da Antioco IV: anche il suo potere, come tutti gli im­ peri che si sono succeduti nella storia umana, cesserà presto gra­ zie alla prossima venuta del regno di Dio. J hwh, infatti, attraverso il «Figlio dell’uomo», entra decisamente nella storia per inaugu­ rare un’era completamente nuova in cui vivranno i «santi dell’Al­ tissimo» mentre gli empi saranno eliminati (L ogos 359-376). Il testo può essere suddiviso nel modo seguente4: A - Introduzione (v. 1 ) B - Visione di Daniele (vv. 2-14) B’ - Spiegazione della visione 1) prima spiegazione (w. 16-18) 2) completamento della visione (w. 19-22) 3) completamento della spiegazione (vv. 23-27) A’ - Conclusione (v. 28) 4 AA.VV., Alla scoperta della Bibbia. Voi. I: L ’Antico Testamento, Ldc, Leumann (TO;) 1985, p. 237. 165

AA’: Daniele dal 165-164 a.C. ributta indietro al tempo di Baldassar «re di Babilonia» (non fu mai re, ma principe governa­ tore affiancato al re Nabonide, verso il 550) la visione (A) che gli provoca un grande turbamento (A’).

c’è prima la visione delle quattro bestie (vv. 2-8) che uscendo dal mare (simbolo delle potenze ostili a Dio) impongono successivamente il loro dominio sulla terra. Si tratta (vv. 17-18) dei babilonesi (leone), dei medi (orso), dei persiani (leopardo) e dei greci: l’attenzione si sofferma particolarmente su questa «quarta bestia», «diversa da tutte le altre» (v. 7) perché ha dieci coma (i successori di Alessandro Magno). Il corno che ne abbatte tre è Antioco IV Epifane (175-164 a.C.), il re seleucida persecu­ tore dei giudei. Questo corno diventa «il tutto» della bestia e Da­ niele lo vede non solo bestemmiare Dio, ma anche andare contro i suoi fedeli cambiando i tempi (cf. calendario e feste) e le leggi (sul sabato e sui cibi; si leggano i w. 19-27). Segue la visione del «vegliardo» (vv. 9-12). Si tratta di Jhwh presentato come «il perennemente giovane» (non solamente «il vecchio»), l’antico di giorni, l’Eterno che viene a dire la parola «basta!». Infatti, è scritto nei libri di Dio (v. 10) che è giunto al termine il tempo della persecuzione (vv. 11.26) ed è arrivato il momento in cui «il regno, il potere e la grandezza dei regni che sono sotto il cielo saranno dati al popolo dei santi dell’Altissimo, il cui regno sarà eterno e tutti gli imperi lo serviranno e obbedi­ ranno» (v. 27). Dio quindi ha già da tempo formulato il suo giu­ dizio sulla storia: conoscerlo è motivo di fiducia e di perseveran­ za nella prova. Qui si innesta la visione del figlio dell’uomo (vv. 13-14): l’e­ spressione «figlio di» in ebraico significa «del genere di», quindi «simile a un figlio di uomo» significa semplicemente «simile a un uomo». Forse Daniele pensa a un angelo con sembianze uma­ ne: per alcuni, sale dalla terra (sembianze umane), e va verso il mondo divino (nubi del cielo) per essere intronizzato; per altri, invece, appartiene alla sfera divina (nubi del cielo), ma ha sem­ bianze umane. La descrizione è molto vaga per cui si presta a ul­ teriori sottolineature e approfondimenti. Sembra comunque che nel nostro testo questo essere «simile a un figlio di uomo» sia la BB’:

166

rappresentazione simbolica del regno dei «santi dell’Altissimo». Ha quindi un significato collettivo (personalità corporativa) per­ ché rappresenta i giudei fedeli ai quali viene consegnato il regno di Jh w h . Conclusione. Da questo brano, il più famoso del libro di Da­ niele, si possono ricavare alcune indicazioni. * Appare chiaro che l’autore apocalittico dimostra una maturità di fede che lo rende capace di leggere la vicenda attuale del popo­ lo ebraico alla luce del progetto di Dio sull’intera storia dell’uma­ nità. Questa, pur essendo terreno di scontro tra le forze negative che derivano la loro origine dal demoniaco e le forze positive che provengono dal mondo divino, ha una sua fine ben specifica: l’instaurazione del regno di Dio, novità talmente assoluta, defini­ tiva e sorprendente da rappresentare una ri-creazione totale del­ l’esistenza umana e del mondo. Si tratta di un cambiamento così radicale da far scomparire «questo» mondo contrassegnato dal male e dominato dagli empi per lasciare il posto a un «altro» mondo, tutto segnato dal bene e dominato dai giusti, i fedeli di Jhwh. Questo «nuovo mondo» sta per fare irruzione nel «vec­ chio» per giudicarlo e condannarlo alla distruzione. La consape­ volezza che tutto questo non è una pia invenzione consolatoria, ma «ciò che è scritto» nei libri di Dio già da molto tempo (traspo­ sizione nel passato) fa guardare con ottimismo oltre l’orizzonte di ciò che si sta vivendo e infonde speranza a chi si trova nel momento della prova o della persecuzione: il regno di Dio non è una illusione, ma una realtà oggettiva stabilita fin dalle origini. * Nel futuro di Dio trovano un posto privilegiato i giusti fedeli, i «santi dell’Altissimo» simboleggiati da quel misterioso «figlio di uomo». Questa espressione - già utilizzata da Ezechiele per in­ dicare semplicemente l’uomo nella sua creaturalità - passerà più tardi a indicare una persona singola e diventerà una figura mes­ sianica. Nello scritto apocrifo di Enoc (I secolo a.C.) indica, in­ fatti, una persona singola, denominata anche «Messia», di natura celeste e trascendente, alla quale è affidata la funzione di giudice finale che condanna gli empi e salva i giusti. Questa evoluzione permetterà a Gesù di Nazaret di autodesignarsi come il «Figlio dell’uomo» (69 volte nei sinottici e 13 in 167

Giovanni): con questa espressione «Gesù richiama l’attenzione dei suoi interlocutori sulla sua missione e sul suo destino in un contesto di tensione e di conflitto, che alla fine sono superati dal­ l’appello o rimando all’intervento decisivo di Dio» (N d tb 617; anche 950). La tradizione cristiana, poi, con l’espressione “Fi­ glio dell’uomo” «ha trascritto la sua fede cristologica che procla­ ma Gesù nel suo ruolo di mediatore unico e definitivo, sottoli­ neando la sua duplice relazione con il mondo storico umano e con Dio» (N d tb 617). Bibliografia

J. - K u r t F e n z A., Ezechiele -Daniele, Cittadella, Assisi (PG) 1989, pp. 137-145: introduzione al libro ed esposizione del suo messaggio. C o r t e s e E., Tra escatologia e apocalittica. Da Gioele a Daniele, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1999: introduzione e presentazione dei due libri profetici. Di L e l l a A.A., Il libro di Daniele (1-6), Città Nuova, Roma 1995: com­ mento esegetico-spirituale ai primi 6 capitoli del libro. — Il libro di Daniele (7-14), Città Nuova, Roma 1996: l’autore com­ pleta il suo commento esegetico-spirituale a Daniele. G r e l o t P., La speranza ebraica al tempo di Gesù, Boria, Roma 1981. M a r c o n c in i B., Daniele, Queriniana, Brescia 20012: introduzione e pre­ sentazione del contenuto del libro, con sintesi teologiche. — Daniele, Paoline, Milano 2004: nuova versione, introduzione e commento. R a v a s i G., Daniele e l ’apocalittica, E d b , Bologna 1990: presentazione brillante e accessibile. S e tte m b r in i M., Sapienza e storia in Dan 7-12, Pib, Roma 2007: studio accurato del genere letterario e del suo senso per l’interpretazione del testo. S ib l e y T o w n e r W ., Daniele, Claudiana, Torino 2007. V i r g i l i R., Daniele, Messaggero, Padova (di prossima pubblicazione): proposte di lectio divina. B eck er

168

A ppendice

L A SPERA N ZA NEL M ESSIA R E G A L E D I ISRAELE. BREVE S T O R IA 1

La figura del Messia, alla fine, giunge ad avere un posto importante nella comprensione di Israele del piano di Dio per il suo futuro. Questa esposizione, necessariamente breve, dipende implicitamente dall’esege­ si di importanti ma controversi testi dell’Antico Testamento: per mag­ giori dettagli è necessario consultare dei commentari sui rispettivi libri biblici o dei lavori sul messianismo. Ciò cui si mira è che l’interpreta­ zione presentata sia ragionevole e comprensiva di opinioni largamente sostenute. La parola «messia» viene dalFaramaico mesihà, collegato all’ebrai­ co màsiah, «unto»; la parola greca è christós, da cui «Cristo». In questa esposizione sarà fatta una distinzione tra il «Messia» (con l’iniziale maiuscola) e i «messia» o figure salvifiche. Il giudaismo conobbe una galleria di personaggi, che si aspettava sarebbero apparsi al momento dell’intervento definitivo di Dio in aiuto di Israele: per esempio Elia, il Profeta-come-Mosè, il Sacerdote Unto e, probabilmente, il Figlio del­ l’Uomo. Queste figure possono vagamente essere definite messianiche. Il termine «Messia», con la maiuscola, è invece meglio delimitato in un concetto delineato con precisione, vale a dire l’unto re della dinastia da­ vidica che avrebbe stabilito nel mondo il regno definitivo voluto da Dio per Israele. Il fatto che Dio abbia mandato capi e profeti a liberare il po­ polo eletto (Mosè, i Giudici, Neemia, Esdra) è un luogo comune nella comprensione teologica che Israele ha della propria storia, ma il messia­ nismo, così come lo illustreremo, è implicato insieme a una liberazione fornita nella struttura di un’istituzione: la monarchia. Una tale nozione del Messia è il prodotto di un lungo sviluppo nel quale si possono indi­ viduare tre stadi.

1R. B r o w n , Introduzione alla Cristologia del Nuovo Testamento, Querinia­ na, Brescia 1995, pp, 153-159. Questa Appendice riformula materiale presente in Nuovo Grande Commentario Biblico, Queriniana, Brescia 1997, pp. 1722-1725 (l’edizione originale inglese è del 1990). 169

1.

P rim o st a d io : pr im a d e l l ’ V ili

secolo

a

.C.

Nei primi giorni della monarchia davidica (X secolo a.C.), in Giuda, chi veniva unto re (messia) era considerato un capo e un liberatore man­ dato da Dio al popolo. Non c’è, nell’Antico Testamento, un chiaro se­ gno di una simile sublimazione della regalità del Nord in Israele. Proba­ bilmente la prima memoria letteraria del carattere messianico della dina­ stia davidica si trova nell’oracolo di Natan, conservato in tre redazioni (2Sam 7; Sai 89; lCr 17). Gli studiosi non concordano su quale sia la più primitiva e nessuna di esse sembra conservare l’oracolo originale immodificato. La redazione più famosa è 2Sam 7,11-16, a cui si fa rife­ rimento come sfondo per l’annuncio a Maria della condizione davidica di Gesù (Le 1,32-33). Nel Sai 89,20-38 si possono distinguere i seguenti elementi: l’elezione di Davide da parte di Dio; le promesse di vittoria e di ampio dominio; l’adozione di Davide e dei suoi successori come fi­ gli; l’alleanza di Dio con Davide e con la sua casa; la promessa di una dinastia eterna, non condizionata dalla fedeltà dei successori di Davide a Dio. Questo oracolo trova un’eco anche nel Sai 132,11-12. L’oracolo non parla di alcun successore individuale, né guarda al futuro escatolo­ gico; è una semplice assicurazione che la dinastia durerà, in quanto è mediazione umana scelta per la liberazione operata da Dio nella storia. Ciò che deve essere compiuto da Davide e dalla sua casa, qui, non va oltre la vittoria politica conseguita dal re. La benedizione di Giacobbe per Giuda (Gn 49,9-12) probabilmente viene dalle origini della monarchia e allude implicitamente al regno di Davide. Comunque questa benedizione sia interpretata, sembra assicu­ rare la permanenza della dinastia di Davide. I «Salmi regali» (specialmente Sai 2; 72; 110) potrebbero anche es­ sere considerati appartenenti a questo primo stadio di messianismo. An­ che se alcuni di essi possono aver avuto origine nel X secolo, gli studio­ si hanno abbandonato l’interpretazione tradizionale per cui sarebbero stati composti dallo stesso Davide, che cantava di un futuro messia. Una tale attesa non è attestata in questo periodo e presumibilmente an­ cora non esisteva. Piuttosto, questi salmi erano composizioni applicabili a qualunque monarca davidico e possono essere stati recitati in occasio­ ni importanti nella vita del monarca, come l’incoronazione. I riferimenti a una nascita divina del re (Sai 110,3) e a una filiazione divina (Sai 2,7) - un tempo considerati riferimenti a Gesù - erano parte di un linguaggio di corte simbolico (Hofstil) usato per descrivere il re come rappresentan­ te di Dio. Il sacerdozio eterno «secondo l’ordine di Melchisedek» (Sai 110,4) promesso al re era probabilmente parte del titolo ereditario dei re 170

cananei di Gerusalemme, esemplificato nel sacerdote-re Melchisedek di Gn 14,17-24. Il regno eterno universale del re - nel passato considerato un riferimento letterario a Gesù - era, in parte, un forte desiderio di una lunga vita e di molte vittorie e, in parte, un riflesso della permanente grandezza promessa alla dinastia davidica. I pii desideri nel Sai 72 possono essere l’espressione più chiara del­ l’idea del re salvatore. Il re ideale governa con la giustizia che si addice a un governatore ed è il salvatore del povero e del bisognoso. È vittorio­ so sui suoi nemici che sono anche i nemici del suo popolo; è il liberatore del suo popolo dai pericoli provenienti dall’estemo. Durante il suo re­ gno la benedizione di Dio apporta fertilità alla terra. In nessun luogo, nel salmo, il re è presentato come un futuro liberatore escatologico. E il successore di Davide idealizzato e l’erede delle promesse, derivanti dall’alleanza, fatte a Davide.

2.

S econdo d a l l ’V

III

stadio :

secolo

a .C.

fino a l l ’esilio babilonese

Negli scritti dell1Vili secolo c’è uno sviluppo nel messianismo re­ gale. Re perversi e inetti, come Acaz, avevano offuscato la gloria della linea davidica, nonché la speranza ottimistica che ogni re sarebbe stato un salvatore del suo popolo. Isaia, in particolare, dà voce a un’attesa più sfumata: ci sarebbe stata un’irruzione del potere di Dio, che avrebbe fat­ to rivivere la dinastia e ne avrebbe assicurato la permanenza. Dio susci­ terà presto un successore di Davide, che sarà degno del nome di re davi­ dico; sarà un esempio di potere carismatico, proprio come lo era stato Davide, quando fu istituita la linea regale. Is 7,14-17; 9,5-6, in termini poetici, annuncia che l’erede al trono nascerà durante il tempo di Isaia (735 a.C.); probabilmente sarà figlio del perverso Acaz e di una ben co­ nosciuta fanciulla della corte2. Il bambino dovrà essere un segno che

2 La traduzione greca di Is 7 ,14 (lì secolo a. C .?) si riferisce a questa donna come a «la vergine»; il riferimento originario ebraico a lei implica che non è spo­ sata. Implicitamente, i quella cultura, ella avrebbe molto verosimilmente dovuto essere una vergine, ma non c ’ è enfasi su questo aspetto nel testo ebraico. Questo passo non dà origine a ll’ idea del concepimento verginale di G esù: piuttosto la tradizione cristiana del concepimento verginale ha interpretato il passo in modo che, con uno sguardo posteriore, il piano di Dio per Gesù potesse essere colto in esso. C f Mt 1,2 2 -2 3 e B B N 14 5 -14 9 . 171

Dio è ancora con il suo popolo (Emmanuele), nella persona del re da­ vidico. Questo erede stabilirà la giustizia, costruirà un vasto impero e gli darà pace e sarà degno dei titoli tradizionalmente ricevuti a corte dal monarca (9,5[6]): «Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace». Benché Isaia possa aver creduto che le sue attese si sarebbero compiute nel buon re Ezechia, il successore di Acaz, i passi di Is descrivono un ideale di restaurazione piuttosto che una real­ tà, e questo ha permesso che essi fossero usati da successive generazio­ ni che pure attendevano con ansia un rinnovamento divino della mo­ narchia. Il passo 11,1 ss può provenire da un periodo successivo al tempo della vita di Isaia; gli studiosi sono divisi. Esso guarda a un futuro più remoto rispetto ai passi appena discussi. É chiaramente affermato il po­ tere carismatico del governante modello atteso: infatti lo spirito resterà su di lui e gli accorderà le qualità di un governante modello. Salverà il regno dall’ingiustizia interna e dalla minaccia esterna. A confronto con gli scritti incontestati di Isaia, l’elemento insolito in Is 11,1 ss è il ritorno delle condizioni di paradiso che il dominio di questo re realizzerà. La pace universale sotto il suo regno è cosmica, poiché essa deriva dalla «conoscenza di Dio [ J h w h ] » da parte di tutti (cioè: l’esperienza della realtà personale di Dio attraverso una rivelazione). Questa conoscenza può essere comunicata al mondo solo mediante Israele. Queste due idee (la restaurazione della dinastia di Davide e lo scopo universale e religio­ so della salvezza di cui la dinastia di Davide è il mezzo) probabilmente appaiono qui combinate per la prima volta nell’Antico Testamento. Che la speranza di una rinascita della dinastia sotto un nuovo sovra­ no ideale non fosse limitata a Is, si vede in Mie 5,1-6: un contemporaneo di Isaia, Michea, vede un nuovo Davide che viene da Betlemme per dare al suo popolo sicurezza contro la minaccia degli Assiri. Altre e succes­ sive allusioni alla restaurazione della dinastia di Davide fanno eco a questi primi motivi con piccole modificazioni. Il «ramo» o «germoglio giusto» di cui parla Geremia (23,5) sarà il re-salvatore il cui nome affer­ merà la giustizia (cioè: la volontà di salvezza) di Dio. La restaurazione della dinastia appare anche in Ger 30,9.21. La dinastia di Davide è il ramoscello di cedro che Ezechiele vede piantato da Dio (17,22) e nel nuovo Israele Davide sarà ancora una volta re (34,23; 37,24). Ezechiele tuttavia non enfatizza la funzione del re come salvatore; questa esitazio­ ne può riflettere gli eventi storici a lui contemporanei, vale a dire la ca­ duta della nazione e l’esilio del re davidico. La monarchia appare in Ezechiele semplicemente perché è un’istituzione israelita, senza la qua­ le il profeta non può concepire Israele. Parecchi interpreti si sono chiesti

172

se un ritomo di Davide in persona non sia implicato in questi passi di Ezechiele, ma una tale implicazione non è immediatamente ovvia; il no­ me infatti può designare la dinastia.

3. T erzo stadio : d all ’ esilio AI TEMPI DEL NUOVO TESTAMENTO Lo sviluppo postesilico del messianismo è difficile da rintracciare a causa della difficoltà di datare con sicurezza le testimonianze scritte at­ traverso le quali potremmo disegnare una traiettoria. Dobbiamo riempi­ re il periodo tra l’attesa che si può rinvenire al tempo dell’esilio (587­ 539 a.C.) e quella attestata nel Nuovo Testamento (I secolo d.C.) rico­ struendo - sulla base di un insieme di opere, precisamente attraverso gli ultimi libri dell’Antico Testamento - quegli scritti giudaici chiamati Apocrifi che non sono stati accettati nel canone, e i rotoli del Mar Morto. Il fatto che, per quanto noi ne sappiamo, la linea davidica non ha più regnato dopo l’esilio (o almeno dopo il governo di Zorobabele) determi­ nò una profonda differenza nel messianismo. Prima dell’esilio il re idea­ le, che avrebbe restaurato il vigore della linea davidica, poteva sempre essere pensato nei termini della generazione successiva di una dinastia regnante. Ora però non poteva esserci un re ideale fino a quando il trono davidico non fosse restaurato. Così le aspettative cominciano a orientar­ si verso il futuro indefinito; piuttosto che centrarsi su un monarca in una linea continua di sovrani, queste aspettative vanno a centrarsi su un re supremo, che rappresenta l’intervento definitivo di Dio per salvare il suo popolo. E in questo periodo che possiamo cominciare a parlare del «Messia» in senso stretto (benché, in realtà, il titolo non si incontri con grande frequenza fuori del Nuovo Testamento3). Antiche Scritture (Sal­

3

Leggendo le storie dei tempi del N uovo Testamento, si potrebbe avere l’ im ­ pressione che molti personaggi pretendessero di essere il M essia e, in realtà, Me 1 3 ,2 1 - 2 2 mette in guardia contro il sorgente di falsi M essia. Certamente dalle Antichità di Giuseppe, una storia dei giudei e di Israele in venti volum i, scritti in greco nel 94 d.C. circa, apprendiamo di sedicenti re, profeti e ingannatori che operavano o promettevano segni e di capi banditi nel I secolo a.C. e nel I d.C. Ciò nonostante, prima del leader rivoluzionario giudeo Simon bar Kochbà (ben Kosibah) nel 13 0 d.C ., che può essere stato identificato come il M essia da Rabbi A qiba, non conosciamo nessun giudeo che storicamente abbia mai preteso di es­ sere il M essia o sia stato chiamato M essia, eccetto Gesù di Nazaret. In Giuseppe christos ricorre due volte, entrambe riferite a G esù (Antichità, 18, 3, 3, 63-64: 20, 9, 1,2 0 0 ) .

173

mi regali, Isaia) venivano ora rilette con questa nuova comprensione messianica nella mente. Se il carattere definitivo dell’azione del Messia è chiaro, il carattere escatologico è solo parzialmente discernibile. Non c’è alcuna testimo­ nianza chiara che il Messia fosse pensato come una figura trascendente la cui missione sarebbe andata oltre la realtà della storia. La sua opera sarebbe stata una manifestazione definitiva del potere di Dio, che avreb­ be reso superfluo ogni ulteriore atto salvifico di Dio. Questa azione sal­ vifica non sarebbe stata opera di normali forze storiche, ma quel tipo di visibile travolgente potere di Dio nella storia già sperimentato nell’eso­ do. Per quanto sappiamo, comunque, si aspettava che quest’irruzione e questa liberazione si compissero in circostanze storiche, anche se a volte l’anticipazione del Messia può aver assunto alcune connotazioni apoca­ littiche. In certi passi veterotestamentari tardivi il concetto del re-salvatore ha subito un’interessante trasformazione. Nell’ultima parte di Zaccaria (9,9ss: scritta nel IV secolo?) spariscono i tratti guerrieri e il suo regno porta pace universale. Egli è lo strumento della salvezza di Dio, ma la salvezza è opera di Dio stesso. Il re ha anche perso le connotazioni della regalità. Comunque questa non è una visione universalmente accettata del Messia; infatti nell’opera apocrifa molto posteriore (I secolo a.C.), I Salmi di Salomone, c’è una forte mescolanza di politico e di spirituale nel rappresentare un Messia che porterà i Gentili sotto il suo giogo. Dalla frequenza e dalla spontaneità con cui la questione del Messia appare nel Nuovo Testamento (Me 8,29; 14,61; Gv 1,20; 4,25; ecc.), nonché dalla testimonianza di antichi scritti giudaici, siamo sicuri di po­ ter ritenere che, nel periodo intertestamentario, l’attesa del Messia dove­ va essere nota alla maggior parte dei giudei, la condividessero o no. L’ultima frase è necessaria, in quanto dal I secolo d.C. molti avevano perso la fede nella dinastia davidica, che non aveva governato per cin­ quecento anni. Di fatto c’erano libri giudaici che trattavano questioni escatologiche senza neppure menzionare il Messia. Spesso inoltre l’at­ tesa del Messia era accompagnata da alcune delle altre aspettative pre­ cedentemente menzionate. Per esempio, a Qumran i membri della setta aspettavano la venuta del profeta, del messia davidico («il Messia d’I­ sraele») e del Sacerdote unto («il Messia di Aronne»). In realtà può es­ serci stato un amalgama, in una figura composita, del Messia con altre figure salvifiche, per esempio con il Figlio dell'Uomo. Certamente questo accadeva nella descrizione cristiana di Gesù, ma le testimonianze sono abbastanza incerte per determinare se questo ac­ cadesse nel giudaismo pre-cristiano. La combinazione di Messia, Figlio

174

dell’Uomo, Prescelto o Eletto di Is si verificò nella sezione di «Parabo­ le» di 1 Enoc; ma questa sezione della letteratura enochica, presenta un’esasperante difficoltà per la datazione e si discute molto per stabilire se sia stata composta o solo edita da redattori cristiani. Fino a qui non abbiamo una chiara testimonianza di una descrizione precristiana di un Messia sofferente (il giudaismo posteriore presenta un Messia, discen­ dente da Giuseppe, che è una vittima). Il lettore cristiano deve guardarsi da un’istintiva tendenza a interpretare l’attesa giudaica del Messia alla luce della vicenda e della persona di Gesù. In realtà il concetto giudaico di Messia doveva subire considerevoli modificazioni prima che potesse essere applicato a Gesù4; da qui la riluttanza di Gesù ad accettare il titolo senza precisazioni. La modalità dell’avvento del Messia era un motivo di speculazione nel giudaismo primitivo. Come lo avrebbe riconosciuto il popolo? In al­ cuni passi del Nuovo Testamento (Mt 2,4-6; Gv 7,42) possiamo coglie­ re l’aspettativa popolare secondo cui sarebbe nato a Betlemme, la città di Davide, e la sua nascita sarebbe stata nota a tutto Israele. Ma in altri passi (Gv 7,27; 1,31, Me 8,29) emerge l’idea che il Messia sarebbe stato nascosto, poiché la gente non poteva sapere quando sarebbe venuto e lui avrebbe potuto stare in mezzo a loro senza essere riconosciuto - un at­ teggiamento nei confronti del Messia attribuito anche all’antagonista giudeo nel Dialogo con Trifone (8,4; 110,1), un’opera di Giustino del II secolo d.C. *

*

*

Ricapitolando: nel corso di mille anni, il messianismo israelita si sviluppò fino al punto in cui l’attesa del Messia incarnava una delle principali speranze in un intervento di Dio per salvare il suo popolo. Da­ to che questo re-salvatore, quasi per definizione, avrebbe offerto una li­

4

In particolare: benché la speranza giudaica del M essia fosse altamente idea­ lizzata, non c ’ era l’ attesa di un M essia divino nel senso in cui Gesù è professato Figlio di Dio. Inoltre non mancò mai un tono nazionalistico in tutti gli stadi dello sviluppo pre-cristiano del pensiero m essianico, tanto più che lo stesso concetto veterotestamentario di salvezza fu svestito di aspetti terreni o nazionalistici. E poco accurato e ingiusto dire che i giudei del tempo di G esù avevano corrotto l ’ idea del M essia come salvatore spirituale rendendolo secolare e nazionalistico, e che Gesù aveva ristabilito il concetto ripristinandone il significato originario. La com prensione cristiana di un M essia spirituale, con un regno che non è di questo mondo, ha rappresentato un cambiamento più che una restaurazione un cambiamento che i cristiani credevano portasse lo sviluppo dell’ attesa m essia­ nica a una feconda realizzazione, ma, nonostante tutto, un cambiamento.

175

berazione politica, lo avrebbe fatto solo in virtù del carisma e del potere di Dio: perciò le sue azioni salvifiche non sarebbero mai state meramen­ te politiche. Nel suo regno avrebbe portato a Israele il governo ideale di Dio stesso. Il fatto che la salvezza mediata dal Messia abbia uno scopo al di fuori di Israele è meno frequentemente menzionato ed è spesso vi­ sto sciovinisticamente.

176

SE C O N D A PARTE

I SAPIENTI M arcello

M il a n i

C apito lo

1

Q U A D R O STORICO. D A L L ’ESILIO B AB ILON ESE AL N U O V O TESTAMENTO

Queste brevi pagine com pletano il quadro s to rico fin o al Nuovo Testamento. Vengono sottolineati soltanto alcuni pun­ ti essenziali 1 riguardanti soprattutto i movimenti culturali che hanno informato il ritorn o d a ll’esilio, la restaurazione della com unità ebraica postesilica (nasce il giudaism o) e l ’impatto con l ’ellenismo, che determinò reazioni diverse: accoglienza (soprattutto nella diaspora) e con flitto nella «te r r a » fin o allo scontro con i M accabei e l ’arrivo dei rom a­ ni. La logica della storia ebraica si prolunga fin o al 135 d.C. (sconfitta di Bar Kochbà), ma ciò è lasciato al Nuovo Testa­ mento. Riconosciam o un giudaismo variegato, in cui emer­ gono la riscoperta della sapienza e la rilettura della tradizio­ ne p e r V attualizzazione feconda.

1.

Il

*

Fonti: Esdra e Neemia (Cronache), Aggeo e Zaccaria.

r it o r n o

* Fatti a) La deportazione o gói"„ Il termine assume un significato pro­ gressivo, che rispecchia l ’autocomprensione di Israele e rivela l’ideologia: indica i giudei in esilio: la comunità degli esuli (Esd 1,11; 2,1, cf. Ger 29); - i rimpatriati: bene ha-gólà (Esd 4,1; 6,19s; 8,35; 10,7.16), qehal ha-gólà (10,5.8; 9,4); - il popolo riunito e legittimo rappresentante di Israele (Ne 10).

1

Per una bibliografia generale, si vedano le indicazioni alla fine della secon­ da parte di questo capitolo, pp. 18 3 -18 4 .

179

Appare la tensione tra due gruppi rivali, la diaspora in Babi­ lonia, che si ritiene l’erede legittima della tradizione religiosa, e i residenti nella terra. La diaspora è con il re: è la fine della monar­ chia, ma Geremia è per i deportati, il re è ritenuto legittimo (cf. 2Re). La tensione si accentuerà al rientro dall’esilio, mentre si svilupperà una nuova definizione degli appartenenti alla comuni­ tà: gli osservanti della legge (cf. Trito-Isaia e i proseliti). La co­ munità avrà due poli stabili, Gerusalemme o la terra e la diaspora. b) Il ritorno. Il testo dell’editto di Ciro (538 a.C.) presenta dati contrastanti in Esd 1 e 6,3-5 (aramaico). Viene emesso dopo la vittoria di Ciro su Nabonido, ultimo re babilonese (539). Le liste dei rimpatriati contengono l ’idea di purezza o l’intento di definire i puri appartenenti alla comunità; il numero dei rimpatriati dovet­ te essere modesto. Due figure emergono: Sheshbatzar e Zorobabele (discendente di Davide), la cui relazione non è ben definita; entrambi erano «governatori» di Giuda e ricostruttori del tempio. I testi parlano anche degli oppositori alla ricostruzione: il gruppo dei sincretisti (lotta contro i puri, vengono perciò squalificati: Esd 4,1-6, cf. 2Re 17,24ss) e il governatore della regione transeufratica (Esd 5,3ss). c) Fatti nuovi verso il 520: esterni (campagna di Cambise contro l’Egitto; vi partecipano anche ebrei, che si rendono conto della situazione disagiata di Gerusalemme) e interni (tre forze conver­ genti: profetica con Aggeo e Zaccaria, sacerdotale con Giosia, ci­ vile con Zorobabele). Inizia la ricostruzione del tempio: dal 6° mese del 520 (2° anno di Dario) all’inizio del 515.

* Ideologia alla base della ricostruzione - Separatismo : appare particolarmente in Esdra. Si avverte il bi­ sogno di definire l’identità per paura dell’assimilazione. La co­ scienza degli esiliati esigeva autonomia (molti erano sposati con straniere); i rimasti in patria erano più facili alla conviven­ za (cf. Ag 2,10ss il «popolo impuro»). - Attese escatologiche (Ag e Zc) raffigurate nel regno di Dio e nel Messia, che si svilupperanno poi progressivamente nella apocalittica (cf. DeutZc, G l, alcune parti di Is e Intertestamento). 180

- Due situazioni: diaspora e patria, con il problema dei rapporti tra rimpatriati e residenti; vi si aggiungevano la presenza di al­ tre popolazioni e forti tensioni sociali (cf. Trito-Isaia, Esd, Ne).

2. L a

ricostruzione :

E sdra

e

N eemia

Malachia e il Tritoisaia denunciano abusi (culto e matrimo­ ni misti, M al 2,13-16; ingiustizie e nuove forme idolatriche, Is 58) e formulano promesse (cf. Mal 3). Inizia la ricostruzione del­ le mura (cf. Esd 4,7-2). Esdra e Neemia (cf. anche il libro delle Cronache) operano la ricostruzione religiosa e politica. Ambedue provengono dalla diaspora (Babilonia e Susa). Cronologia. Esdra giunge a Gerusalemme nel 7° anno di Artaserse = 458 a.C. (Esd 7,7s); Neemia nel 26° anno di Artaserse (Ne 1,1; 2,1). Ma si presenta il problema dell’ordine tra le due missioni. Le ipotesi degli studiosi considerano tre possibilità: 1) Esd-Ne; 2) Ne-Esd; 3) Ne-Esd-Ne (due missioni per Neemia? cf. Esd 7,14). *

Esdra e la riforma religiosa

- Titolo. In Esd 7,5 - 6.11 è detto: «sacerdote e abile scriba (sof e r ) della legge del Dio del cielo». E ufficio a nome di Artaser­ se (7,12-26). Scriba significa qui un incaricato per gli affari re­ ligiosi a nome del re di Persia. Poi verrà considerato lo «scri­ ba», nel senso comune di interprete della legge, in base a Ne 8. - Attività. Essenzialmente si cura del ritorno dei giudei in Giuda e di alcune disposizioni finanziarie. Ma soprattutto compie l’i­ spezione sui m atrimoni misti, ordinandone la rescissione (cf. Esd 9), cura il culto e l’osservanza della legge che diviene leg­ ge di stato (7,25-26 e 14; cf. la lettura pubblica della legge e la «sinagoga», Ne 8). Nasce il giudaismo fondato sulla osservan­ za della torah, che regola tutta la vita.

*

Neemia e la riforma politica e civile.

- «Coppiere» a Susa, diviene «governatore» (pehah). La sua opera è più vasta di quella di Esdra, ricostruisce Gerusalemme in tutti i sensi. 181

- Attività : ricostruzione delle mura (Ne 2-7); « sinecismo » (porta in città un decimo degli abitanti della campagna, creando lega­ mi di parentela tra le due parti, 11,1-3); remissione dei debiti e della schiavitù; osservanza della legge: il sabato, proibizione dei futuri matrimoni misti (contrasto con il sacerdote Eliashub, che viene cacciato), obbligo tributario verso il tempio. - Valutazione d e ll’opera. Opera su un territorio esiguo (Gerusa­ lemme e dintorni, cioè Giuda, donde popolo «giudaico», giu­ dei, giudaismo), ma determina un ordinamento giuridico am­ m inistrativo (culto e legge, 13,10.14.28) e soprattutto dà u n ’impronta alla vita quotidiana e sociale (osservanza della legge), che diventerà punto di riferimento per il giudaismo po­ steriore. Mantenne equità e indipendenza dalle fazioni. Non si conosce la sua fine. Siracide lo elogia, mentre dimentica Esdra (Sir 49,13).

3. L ’ e l l e n i s m o :

c o n v iv e n z a e s c o n t r o c o n

il g iu d a is m o

* I fatti: - Verso il 300 a. C. Alessandro M agno conquista l’Oriente Anti­ co. G li succedono i Diadochi che si spartiscono il territorio (Antigono, Seleuco, Tolomeo). Si impone una nuova cultura universalistica, l’ellenismo. - In Israele avviene lo scisma samaritano e il libro del Cronista rivela l ’atteggiamento nei loro confronti: esclusività di Gerusa­ lemme, omette ogni stima per il Nord, centralità del tempio e del suo culto, la gola è depositaria delle tradizioni. - I Tolom ei sono i primi dominatori: gli ebrei in «Palestina» go­ dono di autonomia; sacerdoti e nobili sono opposti agli hasidim; in diaspora: inizia la traduzione della Bibbia in greco, la L X X ; lingua, nomi e cultura greci; vincolo con il tempio, universalizzazione del giudaismo. - I Seleucidi e il conflitto maccabaico (l-2Mac). Scoppia con Antioco IV Epifane che vuole imporre l ’ellenismo. Rivolta maccabaica: Giuda «maccabeo» è l’eroe principale. Seguono Gionata, Simone, Giovanni Ircano. Sorge la dinastia degli 182

«Asmonei»: Salome Alessandra e il figlio Alessandro Ianneo che accoglie l ’ellenismo, in opposizione a farisei e sadducei. Persegue l ’indipendenza politica, mentre gli altri partiti si ac­ contentano della pace religiosa; sacerdozio e regalità sono as­ sunte nelle mani della stessa famiglia, che però non è in diretta linea sadokita. Valutazione sugli Asmonei: da antiellenisti con gli hasidim, a filoellenisti; prevale la linea politica. Saranno soppiantati dalla famiglia di Erode. * La vita spirituale (cf. M movimenti:

etzger)

è caratterizzata dai seguenti

- riscoperta della sapienza (Qo, Sir, Sap), che attua un confronto critico con la nuova cultura; la sapienza è personificata e iden­ tificata con la legge; - insorgere dell’apocalittica (Dn e apocrifi dell’AT); - interpretazione della Scrittura: interpretazione autoritativa nel­ le sette (il maestro di giustizia a Qumràn), midrash e struttura della sinagoga; appartenenza alla comunità in base alla legge; incontro con le nuove culture; - fiorire delle sette: farisei, sadducei, esseni (Qumràn).

B ib liogra fia

R., Storia della religione nell’Israele antico, v o i. 1: Dalle ori­ gini alla fine dell’età monarchica; v o i. 2: D a ll’esilio ai Maccabei (Introduzione allo studio della Bibbia 23-24), Paideia, Brescia 2005.

A lbertz

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H erm ann

183

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C a p ito lo 2 LA SAPIENZA

Si descrive dapprima la sapienza nei suoi aspetti generali: metodo e oggetto, mondo ed espressioni, caratteri e fon ti. P o i si affrontano alcuni testi e temi teologici tipici: il rappor­ to tra conoscenza e tim or di D io o cultura e fede, la personi­ ficazione della sapienza e la rivelazione p e r mezzo del mondo creato (appare un nuovo «m e d ia to re » di rivelazione), le p r o ­ blematiche presenti nei lib ri di Giobbe (il dolore e la figu ra di D io ) e di Qohelet (critica della sapienza). Chiude la serie la presentazione delle due op ere «d e u te ro c a n o n ic h e » o «a p o c r ife »: Siracide e Sapienza, interpreti di una sapienza collegata a ll’esperienza storica di Israele, e del Cantico dei cantici, in cui, nella linea profetica di Osea e Geremia, l ’a­ m ore umano assurge a sim bolo dell 'amore tra D io e il suo p op olo (alleanza). I saggi ci insegnano la fatica e la bellezza della ricerca, la verifica permanente e la positiva coscienza del limite.

I - CONCETTI G E N E R A LI

Saggi in Israele Geremia 18,18 ne attesta la presenza come istituzione: «il con­ siglio non verrà meno ai saggi». La loro funzione è il consiglio, soprattutto politico e militare, ma non solo; in particolare, quello degli anziani, i «presbiteri», cui è riconosciuta una capacità «cari­ smatica» (cf. N m 11,25). Per essi tutto il mondo (vita e creazione) è sacro e contiene i segni di Dio, anche il quotidiano, non solo gli

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eventi della storia (profeti) o il tempio e la torah (sacerdoti). Ten­ teremo di definire la sapienza in maniera descrittiva, in base al metodo, alle forme letterarie, ai caratteri che essa assume1.

Definizione di sapienza Per sapienza si intende il complesso di valori che pervadono la vita di ogni popolo, lo tengono unito e ne determinano l’iden­ tità. Si manifestano nella cultura, nelle correnti di pensiero, nella fede e nella vita morale di ogni comunità. Essa si propone come via per il raggiungimento di una vita equilibrata, armonica e sod­ disfacente; mira allo sviluppo di tutto l’uomo in tutte le sue di­ mensioni (cfr. Pro 2,1-22). Lo scopo è dunque di conoscere e do­ minare la complessità delle cose, scoprirvi regole, onde permette­ re un loro uso razionale ed efficace, trame dei valori che diano significato e ordine all’esistenza umana. Il metodo è induttivo. Parte dal basso, dall’uomo, dal suo de­ siderio di conoscere (cf. Sir 14,20-27), parte dall’esperienza, os­ sia dalla riflessione sulla vita e la realtà. Oggetto di indagine so­ no: l’individuo nella sua vita, morte, educazione, dolore; elemo­ sina, uso della lingua, banchetti, amore, am icizia, donna, famiglia...; i temi dell’uomo, del cosmo, della cultura2. Nella consapevolezza, tuttavia, che la realtà rimane spesso misteriosa e indecifrabile, enigmatica e sfuggente a una piena comprensione (cf. Gb 28). Una nuova esperienza può contraddi­ re, invalidare o relativizzare le altre. E necessaria dunque una lunga osservazione, una verifica a lungo termine, per più genera­ zioni, prima di individuare una regola o una «legge».

1Per informazioni più ampie, rimandiamo alle indicazioni bibliografiche al termine di questa prima parte (pp. 200-201). 2«Il mondo umano, in tutte le sue multiformi espressioni individuali e socia­ li, il mondo degli animali e delle piante, l’awicendarsi delle stagioni, insomma tutta la mutevole e complessa scena della vita e della storia e del cosmo diventa oggetto dell’attenzione, dello sforzo di intelligenza, della riflessione razionale e impregna di sé le scelte del saggio», A. B o no ra , Il metodo «educativo» sapien­ ziale, «Parole di Vita» 31 (1/1986), p. 31. 186

Generi letterari o forme espressive della sapienza3 I «princìpi» ritrovati mediante l ’osservazione della realtà era­ no tradotti e sintetizzati in detti e testi letterari per facilitare la trasmissione e la comunicazione della cultura. Per introdurci leg­ giamo i primi versi del libro dei Proverbi (Pro 1,1-7; cf. anche Sir 1,1-10). Accanto a termini di tipo pratico e intellettuale, incon­ triamo qualità morali, come giustizia, probità e rettitudine (sedeq, mispat, mesarfm). Il testo conclude con l’aspetto religioso, quin­ di precisa il compito del saggio: comprendere proverbi (mas al) e allegorie (melisàh), le massime dei saggi e i loro enigmi (hidót, «le cose nascoste»). Queste espressioni ci introducono ai «generi letterari», che tentiamo di elencare4.

Il masal-proverbio E la forma più frequente. L ’origine e il significato del termine ebraico, masal, sono discussi; il greco traduce con paroimiai (che potrebbe essere reso anche con «parabola», «similitudine») e il latino con proverbia. Si riferisce comunque a detti o sentenze brevi, ben costruite, talora condite di arguzia (il proverbio inse­ gna scherzando, cf. Pro 26,13-15), di facile memorizzazione, in

3Purtroppo, a eccezione del masal-proverbio, i generi sapienziali non sono stati studiati come altri; un’omogenea ed esauriente classificazione è ancora lon­ tana dall’essere realizzata. Una classificazione è in L . A lonso S ch ò kel - J. V il ch ez L ind ez , / Proverbi, pp. 79-81 : il masal, detti popolari-detti colti, sentenze e consigli; cf. anche G. V on R a d , La sapienza in Israele, pp. 31-53.1 seguenti ap­ punti riproducono parte del mio articolo, M . M ilan i , Metodi eforme espressive della sapienza, «Parole di Vita» 33 (1988), pp. 334-344. Cf. anche J .L . C r e n s haw , Wisdom, in J.H . H a y e s , Old Testament Form Criticism, S. Antonio (U s a ) 1974, pp. 225-264, sintetizzate nella sua introduzione alla sapienza: I d em , Old Testament Wisdom. An Introduction, London-Atlanta 1982; V . M o rla A sen sio , Libri sapienziali e altri scritti, Paideia, Brescia 1997, pp. 55-68; F. D a l l a V e c ­ c h ia , Le forme del linguaggio sapienziale, «Parola Spirito e Vita» 48 (2003), pp. 9-19. 4La terminologia non va intesa in senso tecnico. Il significato dei termini era variabile, anche se la loro presenza è costante. L’accumulo di nozioni serve a suggerire la dimensione del concetto, la ripetizione costante definisce un ambito, crea un linguaggio. Israele non si è preoccupato di elaborare concetti rigorosi. Con la tecnica del «parallelismo dei membri» faceva convergere termini sinonimi per indicare il proprio pensiero. 187

cui è sintetizzata l’esperienza o l’osservazione. Spesso la sinteti­ cità della formula sfugge a un’interpretazione precisa, il suo si­ gnificato rimane aperto a seconda dei contesti in cui è inserito. Non contiene solo descrizioni, sovente esprime un giudizio di valore, del tipo: «è bene, non è bene, è meglio, beato, è abomine­ vole», riconoscendo con ciò nell’uomo libertà e consapevolezza. Il sacrificio degli empi è in abominio al Signore, la supplica degli uomini retti gli è gradita. La condotta perversa è in abominio al Signore, egli ama chi pratica la giustizia (Pro 26,8-9, cf. Sai 11,5-7). Quanto alla forma possiamo distinguerli anzitutto in base al tono dei verbi: incontriamo sentenze o detti in forma assoluta e consigli o pareri (esortazioni). Quanto alla complessità, andiamo dalle forme più semplici e popolari a quelle più elaborate e artisti­ che. Normalmente il proverbio è composto di una frase in due stichi paralleli, spesso ben elaborata, rivelatrice di un’attività arti­ stica complessa, come la seguente, che contiene un incastro a chiasmo: Rigetta da te falsità di bocca, e deviazione di labbra allontana da te (Pro 4,24). * Il parallelismo può essere sinonimo o sintetico se i due mem­ bri ripetono la stessa cosa o rivelano una gradazione: il secondo stico contiene lo sviluppo di un’idea. Il falso testimone non resterà impunito, chi diffonde menzogne non avrà scampo (Pro 19,5). Il saggio assale una città di guerrieri e abbatte la fortezza in cui essa confidava (21,22). Morte e vita sono in potere della lingua, quella che scegli mangerai (Pro 18,21). * Il parallelismo antitetico, invece, rappresenta due situazioni opposte: La condotta dello stolto è diritta ai suoi occhi, ma chi ascolta il consiglio è sapiente (Pro 12,15). Il Signore conosce il cammino dei giusti, ma la via degli empi andrà in rovina (Sai 1,6). 188

* I proverbi comparativi implicano una valutazione del tipo, «è meglio, vale di più»: Meglio abitare su un angolo del tetto, che con una moglie litigiosa in una grande casa (Pro 21,9). Meglio un amico vicino che un fratello lontano (Pro 27,10). Meglio poco con il timor di Dio che un gran tesoro con l’inquietudine (Pro 15,16).

* Talora si accostano esperienze contrapposte. Rivelano la complessità della realtà. Il comando appare un invito a considera­ re la varietà delle circostanze, i diversi aspetti. Il saggio non dà risposte scontate, ma esorta, suggerisce, insegna, fa pensare, met­ te a confronto esperienze. Classico è l’esempio di Pro 26,4-5: Non rispondere allo stolto secondo la sua stoltezza per non divenire anche tu simile a lui. Rispondi allo stolto secondo la sua stoltezza perché egli non si creda saggio.

* In tale direzione vanno comprese anche le domande. Rifletto­ no l ’attività didattica, servono a provocare l ’intelligenza e la ri­ flessione. Talora la risposta è scontata come in Amos 3,1-5, che richiede un evidente «no», a indicare l 'ineludibilità della voca­ zione profetica, o in Pro 17,16 e 20,9: A che serve il denaro in mano allo stolto? Forse a comprar la sapienza se egli non ha senno? Chi può dire: «Ho la coscienza pulita?, sono mondo dal mio peccato?».

Talora servono a introdurre un insegnamento come in Sir 7,22-28 sulla famiglia e il bestiame, e 10,19ss sulla stirpe umana. Particolarmente efficace è Pro 23,29-35 sull’ubriacone: la do­ manda si allarga in risposta, descrizione colorita, esortazione e discorso diretto dell’interessato che... riprende a bere. La domanda fa parte anche di lunghi discorsi, come in Giob­ be, dove Dio presenta la sua autodifesa accumulando interrogati­ vi (Gb 38-42). La risposta non è immediata, pone in crisi le pre­ cedenti affermazioni di Giobbe. L ’ironia che le avvolge complica l ’interpretazione e ottiene l’effetto di far pensare. 189

* Ricordiamo, infine, i proverbi numerici, che forse sono la ri­ sposta a un indovinello in forma di domanda. Essi esprimono una volontà ordinatrice di cose identiche secondo un certo aspetto, ma nettamente differenti (ad es. l’enigma), e attirano l’attenzione sull’ultimo elemento (cf. Pro 30,15-33 e Ben Sira 25,1-2.7-11; 26,5-6.28).

Enigmi, allegorie, comparazioni La realtà complessa è afferrata con accostamenti di cose di­ verse a prima vista separate. L ’enigma (hidd) è qualcosa che si­ multaneamente informa e nasconde mediante un linguaggio ci­ frato. Dovette essere un gioco intellettuale particolarmente prati­ cato nelle corti per stimolare l’intelligenza. Salomone si rivela abile nello sciogliere tutti gli enigmi della regina di Saba (IR e 10.1-3). Anche Sansone affronta i suoi avversari giocando anzi­ tutto di astuzia con enigmi o indovinelli: Dal divoratore è uscito il cibo e dal forte è uscito il dolce (Gdc 14,20).

La risposta è: Che c’è di più dolce del miele? che c’è di più forte del leone? (Gdc 14,14.18).

Di fronte alla soluzione carpita con l ’inganno, Sansone repli­ ca con una allegoria designante la moglie: Se non aveste arato con la mia giovenca, non avreste sciolto il mio indovinello (ivi).

L ’immagine contiene un aspetto comune che avvicina le due realtà accostate: moglie e giovenca. Classici esempi sono Pro 5,15-23 sulla fedeltà coniugale: la donna è una «cisterna» da cui si beve acqua che dà vita (cf. anche le immagini in Sir 26 sulla donna buona o cattiva, e la descrizione della vecchiaia di Qo 12.1-8). Possiamo accostare a queste forme i paragoni o le com­ parazioni per somiglianza, antitesi o sinonimia. Le analogie rico­ nosciute hanno una funzione noetica. Si va da semplici accosta­ menti (cf. Pro 27,8; Sir 36,28[31]) a paragoni più elaborati. Pen­ siamo alle metafore, tra le quali è da porre anche la parabola (cf. 190

la parabola di Natan a Davide sulla «pecorella- moglie», 2Sam 12,1-12, e il Vangelo).

Dialoghi e discorsi, racconti didattici L ’arte della retorica, del dialogo per convincere sono essen­ ziali nell’arte politica e nella vita quotidiana. Il libro di Giobbe è costruito sui dialoghi-dispute tra i diversi attori del «dramma» e termina con due discorsi di autodifesa di Dio. Un bell’esempio di disputa politica è offerto dai due consiglieri di corte, Chusai (infiltrato di Davide) e Achitòfel (2Sam 17), il cui discorso Dio rende folle per far cadere la sciagura sul ribelle Assalonne (v. 14). Un discorso «parabolico», arguto ed efficace, è tenuto dalla donna «saggia» di Tekoa, in 2Sam 14, per convincere Davide a riaccogliere il figlio Assalonne. Non vanno dimenticati i discorsi della sapienza personificata in Pro 1,22-32; 8; 9,1-6; Sir 24. Come racconto didattico segnaliamo la «cornice» di Giobbe, in prosa, e la «storia di Giuseppe» (Gn 37-50) il cui scopo è di trasmettere un «insegnamento»: l’esaltazione del giusto innocen­ te perseguitato e la provvidenza divina: «D io mi ha mandato qui [...] per assicurare a voi la sopravvivenza nel paese e per salvare in voi la vita di molta gente» (45,7). Il racconto intero è articolato sulla «parola» e attorno ad alcuni discorsi: i fratelli non si parlano in pace / riprendono a parlare in pace; la terapia della parola con cui Giuseppe fa prendere coscienza ai fratelli del loro peccato; il discorso a tempo debito di Giuda in favore di Beniamino; G iu ­ seppe da parlatore a vanvera diventa saggio parlatore di fronte al faraone e ai fratelli5.

5 Tra le altre forme espressive sapienziali dobbiamo ricordare gli inni alla S (cf. Gb 28; Sir 24) e a Dio che si rivela nella creazione, e il mito, in quanto tenta di fissare le categorie fondamentali dell’uomo e della realtà. Ricordiamo poi le liste di nomi (geografici, di famiglie, di alberi, ecc.), per catalogare la realtà; i racconti autobiografici o confessioni: l’autore impegna la propria esperienza (cf. Qo); i poemi alfabetici (Pro 31 e Sir 51,13ss: alla sapienza sposa); le preghiere: suppli­ ca per la S (Sap 9); preghiere diverse in Ben Sira: supplica (36,lss), inni (42,15­ 43,33), lode (51,1-12), dossologie (39,32ss; 43,27-33). Infine, sono da segnalare i midras storici in Ben Sira (Inno ai Padri, 44-50) e sapienza (rilettura dell’Esodo e delle origini, 10-19). 191

Il mondo della sapienza e i suoi rappresentanti Ambiente sapienziale è anzitutto la famiglia, che custodisce e trasmette la sapienza «popolare» con le sue tradizioni e detti. Un esempio può essere colto nella istruzione di Tobi al figlio (Tb 4,5ss). Si tratta di esortazioni riguardanti la propria sepoltura, ma poi anche dell’onore dovuto alla madre, l’elemosina, l ’onestà, la rettitudine, la scelta della moglie, l ’amore dei fratelli, il giusto salario. Per concludere con la «regola d ’oro» in forma negativa («Non fare ad altri quello che a te non piace», v. 15), l’aspetto religioso e l’ammonizione finale: «tieni a mente tutti questi avvi­ si, fa’ che non si cancellino mai dal tuo cuore» (v. 19). M a il tipico mondo sapienziale è formato dalla scuola e dalla corte reale. La ragione è impegnata e provocata nella sua capacità di selezione e decisione. La scuola trasmette cultura, offre gli strumenti essenziali della conoscenza, insegna a osservare il mondo, sia essa collegata all’ambiente sacerdotale (Mesopota­ mia) o a quello regale (Egitto). Corte e sacerdozio sono i due am­ bienti che maggiormente riflettono, anche in Israele, una cultura raffinata ed estesa. Si pensi all’opera di Ezechiele e alla redazione del Pentateuco di ambiente sacerdotale, o alla raccolta dei Pro­ verbi da parte dei funzionari del re Ezechia. Nel percorso formativo assume particolare importanza la fi­ gura e il ruolo del maestro che diventa «padre» nei confronti del discepolo, come dimostrano le numerose sezioni didattiche che iniziano con «figlio m io», soprattutto in Proverbi e Siracide6. Egli esercita una specie di autorità patema, perché nell’opera di insegnamento egli «genera» il giovane discepolo, aiutandolo a diventare adulto, capace di discernimento, giudizio e scelte. Allo­ ra questi potrà accostarsi con sapienza a tutte le discipline, com­ presa la Scrittura che leggerà con intelligenza e originalità, inter­ pretandone e attuandone il senso. Nel suo ruolo, il maestro si pre­ senta anzitutto come testimone di docilità alla sapienza ed esige per sé ascolto e obbedienza da parte del discepolo. Si ritiene an­

6 Cf. M. G il b e r t , A l ’école de la sagesse. La Pédagogie des sages dans l'an­ cien Israel, «Gregorianum» 85 (1/2004), pp. 20-42; I d em , La pedagogia dei sag­ gi nell’antico Israele, «La Civiltà Cattolica» 155 (2004, III), pp. 345-358. 192

che interprete di una sapienza superiore. Perciò, nel suo insegna­ mento Pro 1-9 introduce tre interventi della sapienza stessa che si rivolge direttamente a tutti gli uomini con un messaggio di stile profetico e sapienziale; in tal modo il maestro rivendica a sé la stessa autorità della Torah ed esige la medesima attenzione e ob­ bedienza. Siracide offre un quadro articolato del rapporto discepolo­ maestro. Egli stesso considera come suo ideale non operare per se stesso, ma comunicare la sapienza, diffonderla lontano, nello spazio e nel tempo, a quanti cercano l ’istruzione e trasmetterla in tutta la sua ricchezza. Si ritiene un testimone degno di fede e un modello per i discepoli (cf. le sezioni autobiografiche): si è fatto discepolo della sapienza (Sir 24,28-34), più ancora, si è in­ namorato di lei (51,13-21), perché essa possa giungere per suo mezzo ai discepoli. Alla fine, esorta tutti gli inesperti a rivolgersi a lui e a dimorare nella sua scuola, la «casa dell’istruzione» ( bét midrash ), per acquistare gratuitamente la sapienza con la quale si immedesima (51,23-27). Per diventare saggio occorre avere pa­ zienza e costanza: con cura scegliere un maestro e affidarsi a lui, seguirlo con zelo, alzarsi presto al mattino, attenderlo, fre­ quentarlo ogni giorno, «fino a consumare la soglia» della sua ca­ sa, sottomettersi a lui e attuare i suoi consigli (Sir 6,18-37); accet­ tare l’inevitabile prova, usando i mezzi per superarla (2,1-18; cf. 4,11-19), e la disciplina - il «giogo» - che per mezzo di lui la sa­ pienza impone (6,18-31, cf. 51,26); infine, meditare assiduamen­ te e con sapienza la Torah, i suoi precetti, o il timore di Dio (6,37). In primo piano è l’ascolto: diventa cosi importante che Ben Sira invita i discepoli a frequentare gli anziani saggi per ascoltare (6,23.34-35) 1. In tal modo, potranno realizzare la vita umana e spirituale. Il libro della Sapienza si rivolge ai potenti (Sap l,2ss), figure fittizie per indicare i giovani delle famiglie borghesi affidati all’e­ ducazione. La figura del maestro è rappresentata implicitamente

7 C f. J.L. C ren sh aw , The Primacy o f Listening in Ben Sira ’s Pedagogy, in M.L. Barr^ (a cura), Wisdom, You are My Sister. Studies in Honor o f Roland E. Murphy, Washington D.C. 1997, pp. 172-187.

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in Salomone adulto che riflette su come nella sua giovinezza egli abbia ottenuto la sapienza, perché anche i giovani ottengano la regalità della sapienza: il re è il saggio (cf. Pro 4,9; Sir 4,15; 6,30-31). La corte reale è il luogo della diplomazia e della politica, do­ ve operano i consiglieri dai quali dipende il buon governo e an­ che l’esito felice o meno della guerra, e dove avviene la raccolta delle tradizioni nazionali, dei poemi o anche della sapienza popo­ lare. Tra le figure dei «saggi» emerge quella del re, soprattutto la figura di Salomone (cf. IR e 3,4-15; 5,9-14; 10,1-13), al quale furono attribuiti i libri di Proverbi, Qohelet e Cantico dei cantici, e, più tardi, il libro «deuterocanonico» della «sapienza di Saiom one»8.

Hàkam9 I termini «sapienza» e «saggio» derivano dal latino sapere, percepire, comprendere e assaporare, che corrispondono al greco sophia e sophós\ in ebraico i termini più frequenti sono Hókmàh e Hàkam. Hàkam assume diversi significati e forme. - Come aggettivo predicativo viene tradotto con «saggio», ma contiene altre sfumature: «competente, abile, al corrente» in un certo settore o in un suo atteggiamento; connota destrezza, maestria e perizia, ossia doti di abilità pratica. In antitesi sono: stolto, sciocco, ignorante, dissennato, incapace, inesperto, in­ sensato, impudente, orgoglioso, beffardo, insolente.

8A. L em a ir e , Le scuole e la formazione della Bibbia nell 'Israele antico, Pai­ deia, Brescia 1981; I dem , Sagesse et école, «VT» 34 (1984), pp. 270-281; cf. la critica di J .L . C r en sh a w , Education in Ancient Israel, « J B L » 104 (1985), pp. 601-615, e la discussione in J. B len kin so pp , Sapiente, sacerdote, profeta (Studi biblici 146), Paideia, Brescia 2005, pp. 47-49. 9E il termine più comune: ricorre 135 volte nella Bibbia; il verbo corrispon­ dente, «essere saggio», ricorre 126 volte, mentre il sostantivo hokmà 147 volte con la variante hobnót (4 volte). Oltre la metà delle ricorrenze è contenuta in Proverbi, Giobbe e Qohelet, in parallello con bin, nabon, bina, tebunà, da 'at, yàda ’ (comprendere, intelligente-saggio, intelligenza/saggezza, conoscenza/co­ noscere). Cf. anche Siracide hàkam, verbo: 13 volte, 20 volte l’aggettivo; hokmà 26 volte, hokmót 3 volte. 194

- Come aggettivo sostantivato , «il saggio», indica semplicemen­ te un comportamento, opposto allo stolto, oppure designa delle istituzioni di tipo politico (saggi sono il re e i suoi consiglieri, accanto ai sacerdoti e ai profeti, cf. Ger 18,18; Pro 11,14: 20,18; 24.4-5) o didattico (persone dedite all’insegnamento o alla compilazione di proverbi didattici: il «maestro», l’erudito, l ’intellettuale, la cui parola è «come pungolo, come chiodi piantati», con compito pedagogico, cf. Qo 12,11).

Ben Sira offre un quadro ideale del «saggio» e della sua atti­ vità (Sir 39,1-11). Riassume diverse attività e dimensioni, inte­ grando l’aspetto religioso: - attività pedagogica: è lo scriba che tramanda e attualizza la tra­ dizione religiosa e civile; - attività intellettuale, conforme al metodo della sapienza clas­ sica; - attività politica e di governo, dimensione internazionale (i viaggi); - profonda sensibilità religiosa. Ne derivano fama perenne e gloria, sia che viva a lungo sia che viva poco; importanti sono la sapienza e il nome glorioso (vv. 9-11). E pensabile che Ben Sira offra un quadro della sua personale esperienza, che tende a riunire l’aspetto razionale con la rivelazione (cf. anche Sir 44,1-11 e 24,1-32).

Caratteri della sapienza Johann Marbòck distingue tre modelli o movimenti di pensie­ ro nella riflessione sapienziale. In Proverbi il movimento è dall’e­ sperienza e dall’osservazione alla formulazione delle regole per vivere con successo in fedeltà al buon ordine delle cose, come in­ vestite in sapienza e articolate dalla figura della sapienza donna. Giobbe e Qohelet chiamano in causa l’insegnamento sistematiz­ zato di Proverbi sulla base di esperienze opposte. I libri posteriori di Ben Sira e Sapienza, ciascuno secondo il proprio punto di vi­ sta, tentano di mediare le tensioni tra osservazione, riflessione e confessione. Siracide riafferma la connessione (intramondana) 195

tra fatto-effetto, sottolineando la trascendenza di Dio di fronte a ogni pensiero umano al riguardo, mentre il Libro della Sapienza assume la dottrina della vita dopo la morte come chiave per trat­ tare con istanze di una retribuzione (in)giusta, dovuta ma non presente in questa vita10. In uno sguardo complessivo, per materia e stile, sembra utile la descrizione di alcuni caratteri comuni: la dimensione intema­ zionale, l ’attenzione all’individuo e, quanto al contenuto, la di­ stinzione che Di Leila propone riguardo a Ben Sira tra sapienza pratica e sapienza teorica e teologica11.

*

Dimensione internazionale. La sapienza non è solo di Israe­ le. Testi sapienziali si sono trovati ovunque, soprattutto in Egitto e Babilonia. Era una cultura che si muoveva e comunicava. Di m olti testi e pensieri si trova eco nel libro dei Proverbi (es. 22,17-24,22), anche se non si può esattamente parlare di una di­ pendenza diretta. Si tratta di affinità che sottintende un comune humus sapienziale. Del resto, nella sapienza antica si cercano in­ vano i temi dominanti della tradizione religiosa ebraica: esodo, elezione di Israele, alleanza, culto, legislazione mosaica, racconti patriarcali, governo divino della storia... Sembra un altro mondo, tanto che alcuni studiosi hanno parlato di un corpo estraneo alla Bibbia. Ma a torto, perché la sapienza sempre ha interpretato il dato religioso. I testi sapienziali di Israele fanno riferimento a saggi non israeliti: Agur, Ahiqar, Lemuel. Lo stesso Giobbe non appartiene a Israele, ma è descritto come «il più grande tra tutti i figli orien­ tali» (Gb 1,3), a indicare forse l’origine araba (?). La sapienza dunque, come la corte, ha una dimensione intemazionale. Sem­

10J. M a r b ò c k , Zwischen Erfahnmg, Systematik und Bekenntnis. Zu Eigenart und Bedeutung der alttestamentlichen Weisheitsliterature, in J.A. L oad er -H.V . K je w e l e r (a cura), Vielseitigkeit des Alten Testaments'. Fs fiir Georg Sauer zum 70. Geburtstag (Wiener Alttestamentliche Studien 1), Peter Lang, Frankfurt am Main 1999, pp. 121-136. 11 Cf. P.W. S kehan - A. A. Di L e l l a , The Wisdom o f Ben Sira (The Anchor Bible 39), New York 1987, pp. 3lss, che distingue tra sapienza pratica o Recipe Wisdom, che si manifesta soprattutto a livello di clan, e sapienza teoretica o Existential Wisdom. 196

mai con il tempo essa assunse in Israele un carattere particolare a contatto con la fede in J h w h 12. ★ Interesse per l’individuo (uomo e donna), i suoi problemi quotidiani e gli ambienti. Possiamo intendere la sapienza come «umanesimo» nel senso che è l’attitudine e il metodo che portano all’autorealizzazione dell’uomo nella sfera privata e professiona­ le 13. Egli deve saper ragionare, discemere, trarsi d ’impaccio, tro­ vare significati e regole di vita, vedere, udire, agire. Non si tratta di regole necessariamente morali, ma di vita equilibrata, né le motivazioni sono di carattere religioso, sempre però razionali, lo­ giche; necessitano di essere comprese da tutti. * Quanto al contenuto, emergono due aspetti: sapienza pratica e sapienza teorica e teologica. a) La sapienza pratica: suo messaggio, valore e limiti La suafunzione è prevalentemente pedagogica. Ha per ogget­ to atteggiamenti, costumi, credenze che fanno parte dell’eredità letteraria e religiosa di Israele. Implica la ricerca di vivere in ar­ monia con se stessi e il mondo. Se ne ricavano alcune conseguenze ed esigenze, come l’abili­ tà e la competenza, che equivale a «saper vivere, saper agire», la moralità: saggio è il giusto, si oppone a malvagio (cf. Sai 1). A tale scopo sono richieste diverse doti.

- Coscienza critica (bina nabon), che nasce da riflessione (me-

zimmà) e accortezza ( ‘orma), contro la banalità e la superficia­ lità: l’ingenuo {peti) e lo stupido ( ’ewil) si fanno del male e fanno male. Comporta la capacità di verifica e un severo tiroci­ nio o disciplina (musar). - Ricerca di globalità, ossia di una visione sempre più completa e ampia della realtà, attenta alla complessità, capace di indivi­ duare ambiguità, contraddizioni e potenzialità, di considerare i

12Testi sapienziali fuori di Israele si possono trovare in A A .W ., Scritti del­ l'Antico Vicino Oriente efonti bibliche (Piccola enciclopedia biblica 2), Boria, Roma 1988; M. G il b e r t , Sapienza, NDTB, coll. 1429-1431; G . R a v a si (presen­ tazione), L'Antico Testamento e le culture del tempo, Boria, Roma 1991. 13Cf. V. M o rla A se n sio , Libri sapienziali e altri Scritti, Paideia, Brescia 1997, p. 34. 197

tempi e le circostanze. Ricerca, riflessione, ascolto costituisco­ no la richiesta fondamentale del maestro al discepolo, perché divenga ragionevole e interiormente convinto, responsabile e ponderato nelle decisioni. D om inio p e r umanizzare, che si esprime nelle relazioni umane correttamente impostate, nella solidarietà e nella ricerca del be­ ne comune. Talora possiamo ravvisarvi eccessiva cautela, ma il saggio cerca di individuare le regole del comportamento umano. E il concetto di saddiq, colui che sa «integrarsi» nella comunità e ne favorisce il buono sviluppo. La malvagità è in­ capacità di integrazione con l’uomo e il mondo. Corrompe la vita personale e quella della comunità. Sai 1, di stile sapienzia­ le, rappresenta con efficacia la contrapposizione tra giusto ed empio nelle immagini dell’acqua e dell’albero da una parte e del vento e della pula dall’altra, cioè della vita e della morte, della consistenza o inconsistenza, del ritrovamento della co­ munità o del dissolvimento nel nulla e nell’isolamento. - Utopia e realismo. F, capacità di far progetti con gradualità, va­ lutando le possibilità (cf. anche la parabola del previdente co­ struttore e del re che deve affrontare un esercito più forte, Le 14,28-32; il calcolo è la rinuncia a tutti i beni per divenire di­ scepoli di Gesù). E pazienza (in Pro si condannano spesso gli impazienti-irosi, «i corti di respiro!»), ricerca del «possibile», progressione umile e appassionata attraverso il mistero. Si obietterà: sono troppo umani e limitati! Non si può negare talora l’impressione di una cultura superata. Ma bisogna valoriz­ zare anzitutto il metodo e lo stile. Il pensiero dei saggi si fa sem­ pre più complesso, riflessivo e impegnato su diversi fronti, per accogliere i problemi senza scansarli con autosufficienza, fatto che nasconde spesso la paura o l’incapacità di affrontarli! I saggi ci insegnano la fatica e la bellezza della ricerca, la verifica perma­ nente e la positiva coscienza del limite. b) La sapienza teorica e teologica Essa tenta di dare significato ai grandi problemi in cui l’uomo è immerso, per dare senso alla vita: disastri naturali, dolore, mor­ te e dopo morte, ordine del cosmo e governo del mondo da parte di Dio o teodicea, base della moralità, valore della vita e capacità 198

di discernimento, sofferenza dell’innocente e prosperità del per­ verso. Non si può accettare l ’assenza di senso, l ’assurdo o la mancanza di speranza. Continua il metodo sapienziale che parte dalla massa di esperienze e integra sapienza e fede mediante do­ mande reciproche. Emerge una nuova figura di «saggio», che usa il metodo sa­ pienziale applicandolo ai dati di fede. Nasce il sofer, «scriba». Egli « cerca D io » (Sai 14,2) e ama la sapienza, stabilisce con essa una relazione d ’amore, la fa sua sposa (cf. Pro 31; Sir 6; 51; Sap 8,1-16), se l ’«acquista» gradualmente mediante un se­ vero tirocinio fatto di indagine sulla realtà e sulla tradizione, di riflessione sulla Torah e i suoi precetti (Sir 6,37; 39,1-3; Sai 1, 2), di preghiera (Sir 39,5; Sap 9). - Riflette sui dati di fede e li giustifica razionalmente (cf. Qo 4,17-5,2): è una prassi religiosa consapevole e critica. Concen­ tra la sua attenzione sul «mistero» del mondo e di Dio (Gb, Qo e Sir). - Si interroga sull’origine della sapienza. Diviene carismatica, ossia una rivelazione divina, dono speciale di Dio per conosce­ re il mondo e, nei suoi segni, Dio stesso (= rivelazione «natu­ rale»). Emergono nuovi aspetti della sapienza. - E attributo divino. D io è il Saggio, l’unico saggio (Sir 1,8-9; 15,18; Pro 8,21-30): crea e governa il mondo con sapienza (Is 31.1-2; Gb 12,13; 38-40; Ger 10,12; Sai 104,24; Sir 15,18; Sap 9; ecc.), dona sapienza a ll’uomo (Sir 1,1; Gn 41,16.39; Es 31.1-11; 35,30-35; Dan 1.7; 5,14), anzitutto al re (Is 11,2; IRe 3,4-15), la diffonde su tutte le creature (Sir 1,9; 24,lss). - Personificazione della sapienza (Pro 1; 3; 8; Sap 8; Sir 51 ;6). È la «sposa» del saggio, testimone e collaboratrice di Dio nella creazione e nel governo del mondo e dell’ordine sociale. Di ri­ torno, impegnandosi nel mondo e contemplandolo, l’uomo può scoprirvi i segni della sapienza di Dio. Il mondo non è «neutrale», ma si rivolge a ll’uomo, gli parla, lo interroga e istruisce. Anzi le creature del mondo sono veicoli di salvezza (Sap 1,13-16; 2,21-24) e combattono per il giusto contro il malvagio (Sap 5,14-23; 19,1 Oss). 199

—La sapienza e la Torah (Sir 24,23; Bar 4,1-4). La tradizione re­ ligiosa di Israele è autentica sapienza (cf. anche Dt 6,6). Non in contraddizione, ma premessa alla sapienza e sua epressione più alta, rappresentazione della sapienza stessa di Dio. Viene cosi inclusa nella sapienza la tradizione religiosa e storica di Israele (cf. Sir 44-50). Salomone è considerato il saggio per eccellenza (cf. Sap 7-9) a partire dalle affermazioni di 1Re 3,14-15 (sogno di Gabaon); 5,9-14 (la sua cultura); 10,1-13 (l’incontro con la regina di Saba). Il Nuovo Testamento continuerà l’opera di personificazione, ravvisando in Gesù la «Sapienza incarnata» di Dio, creatrice e ri­ velatrice, educatrice (Gv 1 = lògos; M t 11,19.28; Le 7,35). La Sapienza divina si rivela nella sua persona, nelle sue opere e nelle sue parole (miracoli, parabole, discorsi), nella sua «Legge». La sua morte e risurrezione è sapienza e potenza di Dio (cf. ICor 1,18-31; 2,1-16)14. B ib liogra fìa A A .W ., / Salmi egli altri Scritti (Piccola enciclopedia biblica 5), Borla, Roma 1991. B o n o r a A. - P r io t t o M. (a cura),

Libri Sapienziali e altri scritti (Logos

Corso di studi biblici, 4), Elle Di Ci, Leumann (TO) 1997. C r e n s h a w J.L.,

Old Testament Wisdom. An Introduction, John Knox

Press, Atlanta 1981. D u e s b e r g H. - F r a n s e n I.,

Les scribes inspirés, Editions de Maredsous,

Paris 19662. G i l b e r t M .,

La sagesse de l Ancien Testament (BETL/Bibliotheca Ephe-

meridum Theologicarum Lovaniensium LI), Leuven University Press - Uitgeverij Peeters Leuven, Leuven-Louvain 19902.

— Sapienza, in Nuovo Dizionario di teologia biblica, Paoline, Cinisello Balsamo (M I) 1988, pp. 1427-1442.

— La sapienza del cielo. Proverbi, Giobbe, Qohèlet, Siracide, Sapien­ za (Parola di Dio - Seconda Serie, 53), San Paolo, Cinisello Balsa­ mo (M I) 2005 (ed. francese du Cerf, Paris 2003).

14 Cf. J. T r u b l et (a cura), La Sagesse biblique. De TAncien au Nouveau Te­ stament (Lectio Divina 160), Cerf, Paris 1995; A A .W ., Sapienti e Sapienza, «Parola Spirito e Vita» 48 (2003). 200

1 libri sapienziali, in P. M e r l o (a cura), L ’Antico Testamen­ to. Introduzione storico-letteraria, Carocci, Roma 2008, pp. 163­

M il a n i M .,

196 e 319-322 (bibliografia). — La produzione sapienziale in Italia negli ultimi 25 anni, «Studia Pa­

tavina» 45 ( 1998), pp. 85-97. M o r l a A s e n s io V., Libri sapienziali e altri scritti (Introduzione allo stu­ dio della Bibbia, 5), Paideia, Brescia 1997 (ed. spagnola, Editorial Verbo Divino, Estella 1994). M u r p h y R.E., L ’albero della vita. Una esplorazione della letteratura sapienziale biblica (Biblioteca biblica, 13), Queriniana, Brescia 1993 (ed. inglese, Doubleday, New York 1990). Preub H.D., Einfiihrung in die alttestamentiche Weisheitsliteratur (Urban-Taschenbucher, 383), Kohlhammer, Stuttgart-Berlin-KòlnMainz 1987. T a b e t M., Introduzione alla lettura dei libri poetici e sapienziali del­ l ’A ntico Testamento, Università della Santa Croce, Roma 20062. V a n e l A., Sagesse (courant de), in «DBS», XII ( 1986), coll. 4-58. Von R a d G., La sapienza in Israele, Marietti, Torino 1975 (ed. tedesca, Weisheit in Israel, Neukirchener Verlag, Neukirchen-Vluyn 1970). Z e n g e r E. (ed.), Introduzione a l l ’A ntico Testamento, Queriniana, Bre­ scia 2005 (ed. tedesca, Einleitung in das Alte Testament, Kohlham­ mer, Stuttgart 20055), pp. 495-629.

II - I LIBRI SAPIENZIALI

I.

T

e m i e m o t iv i s a p ie n z ia l i p r e s e n t i n e l c a n o n e

La sapienza non è un mondo a sé. Le sue tracce sono presenti un po’ dovunque nella Bibbia. I profeti Riconosciamo in Isaia esempi di attività didattica con do­ mande e risposte (cf. Is 40,12 con Pro 24,4). Soprattutto Is 9,6; II,2 .9 (che riflette passi liturgici) e 28,23-29; 31,2 (passi non li­ turgici) fanno enfasi su sapienza e conoscenza. E un libero uso 201

del vocabolario sapienziale, specialmente riguardo all’agricoltura e all’insegnamento. Anche Amos usa la forma del masal e rivela dimestichezza con i saggi. Esprime soprattutto la sapienza popo­ lare del clan. Ugualmente in Geremia incontriamo diverse rifles­ sioni sapienziali (cf. 17,5-11; 9,22-23, ecc.). Anche Giona rivela un intento didattico: una domanda conclude il racconto.

I libri storici 2Samuele 9-20 e 1Re 1-2 furono attribuiti a uno scrittore sa­ pienziale che si prefisse di illustrare l’insegnamento di vari pro­ verbi narrando una storia in cui trova fondamento un’eterna fidu­ cia. La sapienza offre l’impulso narrativo al materiale storico15. Ugualmente la tradizione Jahvista nel Pentateuco: cf. Genesi 2­ 3 e la storia di Giuseppe; ma tutti i capitoli di Genesi 1-11 riflet­ tono un atteggiamento sapienziale. Così il libro di Ester e il libro di Tobia (deuterocanonico o apocrifo) riflettono il pensiero della retribuzione a chi unisce sa­ pienza e integrità. Il primo narra la liberazione del popolo dal­ l’oppressore Amman a opera di Ester nipote di Mardocheo e mo­ glie del re Assuero. Il secondo è un «romanzo storico» ma fittizio del III-II secolo a.C., con scopo apologetico, che unisce la rigida osservanza giudaica a un profondo afflato spirituale, una grande pietà a una onestà intransigente. Ambientato nell’esilio (i prota­ gonisti abitano a Ninive e a Ecbàctana), il libro celebra la sapien­ za e la fede di due coppie: Tobi e Anna, Tobia e Sara. La sapienza è percepibile nei proverbi e nelle raccomandazioni del padre al figlio, perché Dio rende conto delle opere; la fede è attestata dalle buone opere e dalle frequenti preghiere, soprattutto «benedizio­ ni» e dossologie. Singolare è la figura di Raffaele-Azaria: è « l’an­ gelo custode» che presenta a Dio le preghiere, prova la fede, libe­ ra dal male e accompagna più che lungo la strada, verso la guari­ gione e la felicità.

15 1968. 202

Cf. R.N. W h y b r a y , The Succession Narrative (STB 9), SCM, London

Il libro di Rut, che precede il Cantico nella Bibbia ebraica, presenta la moglie ideale (cf. Pro 31,10-31), prepara il tema del­ l’amore e si inserisce nella linea delle promesse. Così Giuditta e il racconto di Susanna (Dn 13), sotto apparenze storiche, sono di­ dattici e hanno legami con i midrashim.

I Salmi I salmi «sapienziali» o didattici (cf. Salmi) celebrano la Torah (Sai 1; 19B; 119), danno semplicemente delle istruzioni (37; 91; 112; 127) o riflettono sul destino dell’uomo, la brevità della vita, il senso del limite (49; 73; 90).

2.

I LIBRI SAPIENZIALI

Esiste un corpus di libri che la tradizione chiama «sapienzia­ li». Li elenchiamo con brevi note e una essenziale bibliografia, rimandando alle introduzioni i problemi relativi. Appartengono al gruppo che la Bibbia ebraica pone tra i ketubim (scritti) e sono nell’ordine: Salmi, Giobbe, Proverbi, Rut, Cantico, Qohelet, La­ mentazioni, Ester, Daniele (apocalittico), Esdra, Nehemia e Cro­ nache. Un particolare significato acquistano le meghilloth (Rut, Ct, Qo, Lam, Est), i cinque libri letti nelle feste giudaiche, rispet­ tivamente a Pentecoste, Pasqua, Capanne, 9 del mese di Av (di­ struzione del tempio), Purim.

I Proverbi È una raccolta di «detti» che riflettono epoche e ambienti di­ versi, taluni non ebraici (es. Agur, Lemuel). La raccolta intende radunare tutta la sapienza antica come testimone e riferimento e tracciare l'itinerario di ogni uomo che intende agire per convin­ zione personale. In Pro 1-9 si susseguono dieci discorsi didattici: (1,8-19; 2,1­ 22; 3,1-20; 3,21-35; 4,1-9; 4,10-19; 4,20-27; 5,1-23 [6,1-19]; 6,20-35; 7,1-27); a questi si aggiungono tre interventi della stessa Sapienza personificata che si rivolge a tutti gli uomini e interpella ciascuno con un messaggio di stile (e autorità) profetico-sapien-

203

ziale, ma anche in termini amorosi. In tal modo il maestro si ritie­ ne interprete di una sapienza superiore con la quale mette in con­ tatto16. Pro 10,1-31,9 contiene la parte centrale del libro, organizzata in sette collezion i che sembrano richiamare le «sette colonne» scolpite dalla Sapienza quando costruisce la sua casa (Pro 9,1). Due sono le raccolte maggiori, entrambe attribuite a Salomone: 10,1-22,6 e 25,1-29,27. Nella prima raccolta (Pro 10,1-22,16) confluiscono alcune tra le più antiche sentenze. Gli autori vi di­ stinguono due sezioni: 10-15; 16,1-22,16; nella seconda, al capi­ tolo 16, che costituisce il centro attuale del libro, si concentrano due tematiche: sentenze sul Signore (16,1-9) e sul re (16,10-15). Seguono due collezioni «dei saggi» in forma di «consigli» per un retto comportamento (22,17-24,22; 24,23-34), la prima delle quali, nella prima metà (22,17-23,1 1), è ispirata all’insegnamento di un saggio egiziano, Amenémope, collocabile tra il 1000 e il 600 a.C. circa. Nella seconda raccolta, per opera degli «uomini di Ezechia» (25-29), i capp. 25-27 si distinguono da 28-29.1 primi contengo­ no i proverbi più belli e puri per stile e contenuto, che si rifanno a paragoni atmosferici o cosmici; i secondi riflettono un intento re­ ligioso con allusioni al Signore e all’osservanza della Legge (cf. 28,4.7.9; 29,18). Seguono tre brevi collezioni: proverbi di Agur (Pro 30,1-14), proverbi numerici (30,15-33), parole della madre al re Lemuel (31,1-9). Il libro si conclude con l’elogio della «donna-moglie perfet­ ta» (Pro 31,10-31) che nel testo ebraico è in stretto contatto con le parole della madre di Lemuel (31,1-9). Questa infatti esorta il figlio a evitare vino e cortigiane, elementi che turberebbero il giusto giudizio, e a scegliersi una moglie adeguata che gli sia di sostegno e aiuto, il ritratto della quale è descritto appunto nel poema finale acrostico (31,10-31 ).

16 Su questi capitoli, cf. M. S ignoretto , Metafora e didattica in Proverbi 1-9 (Studi e Ricerche), Cittadella Editrice, Assisi (PG) 2006, in specie, schema sinte­ tico a p. 259; S. P into , «Ascolta, figlio»: autorità e antropologia dell’insegna­ mento in Proverbi 1-9 (Studia Biblica), Città Nuova, Roma 2006.

204

Giobbe Il problema della sofferenza del giusto e l’immagine di Dio. Il tema è: come parlare di Dio nella sofferenza. Giobbe, consapevo­ le della sua innocenza, giunge ad accusare Dio per la sofferenza ritenuta ingiusta. Alla fine, «in mezzo alla tempesta», Dio inter­ viene a ricordare a Giobbe i limiti dell’umana conoscenza e pote­ re. Scosso, Giobbe si inchina e rimane in silenzio. Il libro offre la visuale israelitica di un problema universale e mantiene questo suo carattere, perché Giobbe non è un israelita, ma un orientale (1,3).

Qohelet La «vanità universale» e i problemi posti al giudaismo dalla nuova cultura greco-ellenistica. E uno dei libri più moderni e pro­ vocatori della Bibbia per il tono che assume e per le questioni esi­ stenziali che solleva. La tesi generale è che «tutto è vanità» (hebel), la realtà è sfuggente e precaria. A dispetto dell’indagine e del dire del saggio, l’ordine e il significato delle cose e della vita stessa sono al di là dei limiti della ragione umana. Tuttavia, « l’i­ dea della morte non relativizza la gioia, anzi la giustifica e la raf­ forza» (N. Lohfink). Dio non ci opprime con il pensiero della morte e Qohelet invita al distacco che relativizza una realtà in­ consistente, per affermare il primato del timor di Dio.

Libri deuterocanonici o apocrifi Siracide, ossia il recupero delle tradizioni per una risposta at­ tuale ai problemi e alla crisi interiore provocata dal mutamento culturale. Contiene i temi comuni alla sapienza; insegna il doppio aspetto della realtà, valida «a suo tempo». Il saggio Ben Sira si propone come «canale» della sapienza incarnata nella storia di Israele, la cui opera è a servizio delle generazioni future diffuse nelle diverse regioni della «diaspora». Il nipote, traducendo l ’o­ pera in greco, la porrà a disposizione di questa. Sapienza, detta di Salomone. È l ’integrazione tra la cultura greca e le tradizioni giudaiche. L ’autore fa l ’elogio della sapien­ za, segno di «vita eterna», confermando il lettore con esempi trat­ ti dalla storia di Israele. 205

La linea sapienziale si prolunga, tra gli altri, a Qumran, in Pirqé Abòt (giudaismo), in Giacomo e nei Padri apostolici (Didaché, ecc.: sapienza cristiana). Cantico dei cantici Il titolo indica un superlativo, «Il Canto per eccellenza». Can­ ta l ’amore umano, che diviene riflesso dell’alleanza, immagine della relazione sponsale tra Dio e il suo popolo B ib liogra fìa

Segnaliamo anzitutto le buone presentazioni nei volumi della collana LoB (Leggere oggi la Bibbia) della Queriniana, nella Nuovissima Versione della Bibbia delle Paoline, nella T o b (Traduction GEcuménique de la Bible) e nella Bibbia Piemme. I P ro verbi , Boria, G. B e llia - A . P a s s a r o , Libro d ei P ro verb i. Tradizione, redazione, teologia, Piem m e, Casale Monferrato (A L ) 1999 (pubblicazione degli atti di un convegno di Palermo, con interessanti apporti e discussione sulle principali te­ matiche); L. M azzinghi, Il libro dei P roverbi (G uide spirituali al­ l ’Antico Testamento), Città Nuova, R om a 2003. Per una presenta­ zione generale, cf. anche II libro dei Proverbi, «Parole di V ita» 48 ( 1/2003); cf. anche gli studi di M . S ig n o r je t t o , Metafora e didattica in P roverbi 1-9 (Studi e Ricerche), Cittadella Editrice, Assisi (PG) 2006; S. Pinto, «Ascolta, fig lio » : autorità e antropologia d e ll’inse­ gnam ento in P ro verb i 1-9 (Studia B ib lica ), C ittà N uova, R om a

P roverb i: Rom a

L . A l o n s o S c h ò k e l - J. V i l c h e z L i n d e z ,

1988

(ed. spagnola

1984);

2006. G iobbe: P. Fedrizzi, Giobbe, Marietti, Torino 1972; A . Weiser, Giob­ be, Paideia, Brescia 1975; C. D uquoc - C. F lo ris ta n (a cura), Giob­ be e il silenzio di Dio, «C o n ciliu m » 9/ 1983; L. A lo n s o S chòkel J.L . Sicre D iaz, G iobbe, Boria, R o m a 1986 (ed. spagnola 1983); G. R avasi, Giobbe, Boria, Rom a 1984; A. B o n ora, Il contestatore di Dio. Giobbe, Marietti, Torino 1978; I d e m , Giobbe. Il tormento di credere, Gregoriana, Padova 1990; B. M aggioni, G iobbe e Qohelet. La contestazione sapienziale nella Bibbia, Cittadella, Assisi (PG) 1989; H. Gross, Giobbe, M orcelliana, Brescia 2001 (ed. tedesca, Echter Verlag, W urzburg 1988); W . V ogels, Giobbe. L'uom o che ha parlato bene di Dio, San Paolo, C inisello Balsamo (M I) 2001 (ed. francese Cerf, Paris

206

1995):

essenziale ma originale commento

che mette in risalto il valore letterario e linguistico, e soprattutto i vari linguaggi convergenti nel libro; J.G. J a n z e n , Giobbe (Strumen­ ti 15, Commentari), Claudiana, Torino 2003 (or. ingl. J o b , John Knox Press, Atlanta 1985); AA.VV., Il libro di Giobbe, «Parole di Vita» 48 (2/2003); G. C a p p e l l e t t o , Giobbe. L 'uomo e Dio si incon­ trano nella sofferenza, Messaggero, Padova 2005. Qohelet: L. Di Fonzo, Ecclesiaste, Marietti, Torino 1967; G. R avasi, Qohelet, Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1988; A. B on ora, Il libro di Qoèlet, Città N uova, R om a 1991; V. D ’A la r io , Il libro di Qohe­ let. Struttura letteraria e retorica (Suppl. R iv B ib lt 27), Dehoniane, Bologna 1992; N. Lohfink., Qohelet, Morcelliana, Brescia 1997 (ed. tedesca 1980: commentario con interpretazione positiva d ell’auto­ re); J. V ilc h e z Lindez, Ooèlet, Boria, R o m a 1997 (ed. spagnola 1994: il più sviluppato commentario esistente in italiano; posizione interpretativa m edia, con am pia panoram ica delle interpretazioni dei singoli versi); R. L a v a to ri - L. Sole, Qohelet. L'uom o dal cuore libero, Edb, Bologna 1997; G. B e llia - A. Passaro (a cura), Il libro del Qohelet. Tradizione, redazione, teologia, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2001 ; L. M azzinghi, Ho cercato e ho esplorato. Studi sul Qohelet, Edb, Bologna 2001 ; AA.VV., Il libro di Qohelet, «P a­ role di V ita» 48 (3/2003).

S irac id e: H. Duesberg - I. F ransen, E cclesiastico, M arietti, Torino 1966; G.L. P ra to , Il problem a della teodicea in Ben Sira. Compo­ sizione dei contrari e richiamo alle origini (Analecta Biblica 65), Pont. Istituto Biblico, R om a 1975; A . M inissale, La versione greca del Siracide (Analecta B iblica 133), Pont. Istituto Biblico, R om a 1995; Idem, Siracide. Le radici nella tradizione (LoB 1.17), Q ueri­ niana, Brescia 1988; A. N icacci, Siracide o ecclesiastico. Scuola di vita p e r il popolo di Dio (La B ibbia nelle nostre mani, 27), San Pao­ lo, Cinisello Balsamo (M I) 2000 (sintetica presentazione del libro); N. Calduch-Benages, Un gioiello di sapienza. Leggendo Siracide 2 (C a m m in i nello Spirito, B ib lica 45), Paoline, M ilan o 2001; A A . W . , Il libro del Siracide, «Parole di V ita» 48 (4/2003); M .C . P a l­ misano, «Salvaci, Dio d e ll’universo!». Studio d e ll’eucologia di Sir 36H J -17 (Analecta Biblica 163,) Pib, Rom a 2006.

Sapienza: P. Bizzeti, Il libro della Sapienza (Suppl. RivBiblt 11), Pai­ deia, Brescia 1984; M . P rio tto , La prim a Pasqua in Sap 18, 5- 25. Rilettura e attualizzazione (Suppl. RivBiblt 15), Edb, Bologna 1987; J. V ilchez Lìndez, Sapienza, Boria, Roma 1990; L. Mazzinghi, Notte di paura e di luce. Esegesi di Sap 17, 1- 18,4 (Analecta Biblica 134), Pont. Istituto Biblico, Roma 1995; M . G ilb e r t, La

207

sapienza dì Salomone, Adp, Rom a 1995 (divulgativo, ma con otti­ me osservazioni di un competente); cf. Idem, Sagesse de Salomon (ou liv re d e la Sagesse), « D B S » X I ( 1986 ), pp. 5 8 - 119 ; G. Scarpat, Libro della Sapienza, 3 voli, Paideia, Brescia 1 989 . 1994.1999 (vo­ lum inoso com m ento che contiene m olti testi di confronto con il m ondo ellenistico, soprattutto con Filone; l ’autore sposta la data d ell’opera molto in alto, a ll’epoca cristiana); A. Schenker, Il libro della Sapienza (Guide spirituali a ll’Antico Testamento), Città N u o­ va, R o m a 1 9 9 6 ; L. M a z z i n g h i , Il libro della sapienza (La B ibbia nelle nostre m ani), Paoline, Cinisello Balsam o (MI) 1 9 9 7 ; M .V. Fabbri, Creazione e salvezza nel libro della Sapienza. Esegesi di Sap 1, 13- 15, Armando, Rom a 1998 ; A A . W . , Il libro della Sapien­ za, «Parole di V ita» 48 (2 0 0 3 5); G. B e llia - A . Passaro (a cura), Il libro della sapienza. Tradizione, redazione, teologia (Studia B ib li­ ca 1), Città Nuova, R om a 2 0 0 4 .

Ili - TESTI, T E M I, P R O B L E M I D E L L A S A P IE N Z A 17 A) C O N O SC E N ZA E T IM O R E DI D IO Il tema implica il rapporto tra fede e ragione, fede e cultura. La ragione esige una sua emancipazione o valore. Qual è allora il suo rapporto con la dimensione religiosa? Quali problemi in­ contra nella sua ricerca del vero, del buono, del vivere saggio? Quali limiti deve accettare e affrontare? Cosa significa la frase: «Veramente J h w h concede sapienza; dalla sua bocca provengono conoscenza e intelligenza» (Pro 2,6)? Il rapporto fede e ragione rivela diverse impostazioni, a seconda delle preoccupazioni e delle situazioni culturali e storiche. Una delle formule più tipiche pone e imposta il problema. So­ stanzialmente può essere così sintetizzata: «Inizio della sapienza è il timor di Dio». Sembra una nozione tipica di Israele. La tradi­ zione sapienziale conosciuta fuori di Israele ignora un suo radica­ mento quasi programmatico nel timore di Dio. 17

Nella scelta dei temi si fa riferimento al volume di V on R a d , La sapienza in

Israele, riservandoci l’esegesi con sottolineatura dei temi teologici. 208

1. Le

fo rm u le

Pro 1,7:

Il timore

di Jhwh è inizio della conoscenza (re ’s it da ’at) sapienza (hokmà) e disciplina (musar) gli stolti disprezzano.

Pro 9,10:

Inizio della sapienza (fh illa t hokmà) è il timore di Jhwh e conoscenza del Santo (da ’at qedósim )n è intelligenza (bina). Pro 15,33:

Il timore di Jhwh è educazione19 alla sapienza (musar hobnà) e davanti alla gloria sta l’umiltà ( 'anàwà). Sai 111,10:

Inizio della sapienza (resti hokmà) è il timore del Signore, ha una sana ragione chiunque la pratica; la sua lode dura per sempre. Gb 28,28:

E disse [Dio] all’uomo: Ecco: il timore del Signore è sapienza (hokmà) ed evitare il male è intelligenza (bina). Sir 1,14.16.18-19.20 G: Inizio della sapienza (arché sofias) è temere il Signore,

essa fu creata con i fedeli nel seno materno. Pienezza- apice (plesmoné) di sapienza è temere il Signore, essa ine­

bria di frutti i propri fedeli. Corona (stéfanos) di sapienza è temere il Signore; essa fa fiorire pace e buona salute. Radice (riza) di sapienza è temere il Signore, e i suoi rami sono abbondanza di giorni. 18(Tdósìm è plurale excellentiae per indicare «il Santo» per eccellenza (cf. 30,3: «la conoscenza del Santo [non] conosco»; Os 12,1; Is 6,3; Sai 99). 19Testo discusso: L X X sembra leggere musar wehokmà cf. 1,7 e 1,3 che hanno però i termini invertiti: hokmà iimùsar, Bhs propone mùsad hokmà cf. Is 28,16 o mósad hokmà cf. Pro 8,29, «fondamento, base» della sapienza. E prefe­ ribile il testo originale, intendendo con musar «insegnamento, educazione, scuo­ la» (cf. Von Rad: «insegnamento della sapienza» o Alonso-Vilchez: «scuola di saggezza»).

209

2.

A n a lis i e s ig n ific a t o

Le formule sottolineano il significato religioso della sapien­ za. «T im o re del Signore», y i r ’at J hw h , non implica un significato negativo come di «terrore, paura», o emotivo di «timore». Al contrario, sta a indicare la riverenza, l’onore, il rispetto dovuti a Dio, vale a dire il senso religioso, l’atteggiamento di fede, l’obbe­ dienza alla sua volontà. Esprime dunque un concetto positivo, che contiene l ’idea di «fiducia»20. Si avvicina al nostro «attacca­ mento» e «conoscenza» di Jh w h . Apre l’uomo a Dio, dando a lui il posto decisivo. Pro 1,7. La prima espressione occupa un posto programmati­ co. « Il breve enunciato assume u n ’importanza particolare in quanto si trova collocato alla fine della serie» (Alonso-Vilchez). Dopo aver elencato e accumulato termini diversi per designare un ambito (vv. 1-6), l ’autore giunge al fondamento o risale al grande principio, che intravede nel «timore del Signore». Pro 9,10. Il contesto passa dal piano sapienziale-etico a quel­ lo religioso. I versi precedenti affermano che non si dà saggezza senza onestà. Il nostro verso aggiunge che non si dà saggezza senza il senso religioso: l’inizio ( tehillà ) di tutto è il timore del Signore; atto di intelligenza è riconoscere il Santo, cioè la pro­ gressiva scoperta della santità di Dio. In qualche modo unisce esercizio e risultato21. Pro 15,33 segue a tre proverbi che hanno in comune la parola musar, «correzione, disciplina, educazione». Il vertice dell'edu­ cazione-correzione è il timore del Signore (per musar cf. anche vv. 5.10: la correzione è rifiutata dagli stolti). Non solo il timore è inizio della sapienza, è anche una scuola sicura e suprema, u n ’educazione perenne; offre infatti una visione e un rapporto equilibrati con il mondo e con Dio. Il fatto sembra sottolineato

20Cf. L. A lonso S c h ò kel , ^Terrier o respectar a Dios?, «Cultura Biblica» 33 (1976), pp. 21-28. 21 Si può vedere anche il contesto di Pro 2,5. La protasi inizia in 2,3, l’apodosi duplice (2,5.9) indica le conseguenze della ricerca della sapienza sul piano religioso e morale. Il punto di approdo sarà il timore-conoscenza di Dio e la retta condotta.

210

dal secondo euristico: la precedenza dell’umiltà o moderazione o misura ( ‘anàwà, da intendersi come virtù religiosa, in parallelo con «timore del Signore») sulla gloria (cf. Pro 18,2). La medesi­ ma cosa sembra affermare Sai 111,10, che considera gli effetti: quanti mettono in pratica il timore del Signore acquistano una sa­ na ragione e una gloria stabile, nel senso di una continua capacità di misurarsi e di riconoscere il proprio posto di fronte a Dio. La gloria è il risultato del proprio equilibrio (cf. anche la lode del saggio e degli uomini probi in Ben Sira, Sir 39,1 -11 ; 44,1 -11 ).

Gb 28,28. Il verso conclude l ’inno alla sapienza (= ordine o senso del mondo), che solo Dio conosce. L ’autore pone in risalto il valore dell’uomo religioso su quello tecnico e su quello econo­ mico. Rinuncia a definire «sapienza» le attività umane, per quan­ to abili e preziose, perché non raggiungono la sapienza nascosta di Dio. Non identifica sapienza e timore di Dio, ma afferma che essa consiste in un atteggiamento giusto di fronte a Dio e in un retto atteggiamento morale (star lontano dal male). La soluzione è pratica non teoretica.

Sir 1,14-20 sembra voler riassumere l’insieme dei dati. Nel capitolo centrale (Sir 24) egli offre l’interpretazione globale del suo pensiero. Ma sin dall’inizio (c. 1) unisce i dati tipicamente sapienziali (sapienza cosmica) con quelli religiosi (sapienza sto­ rica e tradizione di Israele). Per immagini afferma che il timore del Signore è inizio (v. 14 arche), pienezza (v. 16 plesmonè), co­ rona (v. 18 stéfanos) che porta frutti e guarigione nell’uomo, ra­ dice (v. 20 riza) o fondamento della sapienza. In qualche modo, egli tende a concentrare tutti i possibili significati di r e ’sit. La formula è premessa a tutto il discorso che l’autore svilupperà nel corso del libro. Suo contrario sono la superbia e l’insolenza (g a ’àwà e zadón). E il peccato, in quanto allontanamento da Dio. Inizio della superbia è l ’uomo potente; dal suo creatore si allontana nel suo cuore; poiché fonte di insolenza è il peccato e la sua sorgente effonde malizia. Perciò Dio riempie il suo cuore di piaghe e lo colpisce fino alla distruzione (killeh) (Sir 10,12-13). 2 11

Il messaggio è concentrato sul tema del «cuore ostinato», op­ posto al «cuore saggio». È un processo che conduce alla morte per la falsa condotta religiosa (superbia come empietà) e morale (peccato, malizia). L ’effetto continua nei vv. 14-17, nella dimo­ strazione storica: le «radici» (rizas ) dei popoli sono strappate. Mentre la sapienza inizia dal timor di Dio, pone radici, produce rami e frutti (cf. 24,12-17) e offre all’uomo il successo, la super­ bia con il suo corteo di violenza, vendetta e insolenza, allontana da Dio e produce morte. Ambedue i brani hanno nel «timor di Dio» il culmine del ragionamento. Conclusione. «Inizio» è espresso in ebraico con due parole: r e ’sit (Pro 1,7) e tehillà (9,10, che si può supporre anche in Sir 1,14, dal confronto con 10,12). Il secondo termine sembra dare al primo il significato di ciò che «inizia», «introduce»22 alla sa­ pienza, designa la funzione più che l’«essenza» della sapienza, anche se re ’sit potrebbe contenere tale significato; né ha il signifi­ cato di «compendio» o «prim izia»23. «La formula significherà quindi che il timore di Dio conduce alla sapienza. Esso dispone ad acquistarla e la insegna»24. Pro 15,33, nel TM, sottolinea che il timore di J h w h non è solo il punto di partenza, esso educa alla sapienza: musar indica l’educazione, la paideia (attività costante). Affrontare il tema del timor di Dio significa anche porre il problema ultimo dell’educazione alla sapienza. E una realtà che precede in valore ogni sapienza, ne è la condizione, vi conduce e la insegna. La formula pone dunque una questione di principio, il fondamento ultimo della sapienza: Israele attribuisce alla fede in Dio una funzione essenziale per la conoscenza umana. D i conseguenza, ogni conoscenza di sé e ogni conoscenza umana sfociano nel problema delFesperienza e conoscenza di Dio. «Solo la conoscenza di Dio e del suo regno riusciva a porre l’uomo in un giusto rapporto con gli oggetti della sua conoscenza e lo rendeva capace di porre con più competenza i problemi, di

22Cf. re ’sìt in Pro 8,22: «Dio mi ha acquistata/generata, qanani, come inizio delle sue opere». 23 Diversamente, su Pro 1,7, Alonso-Vilchez: «Si tratta del principio o ele­ mento principale, che è inizio e ricapitolazione, cifra e sintesi». 24 V o n R a d , o . c . , p. 68.

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scoprire con più perspicacia i veri rapporti tra esseri e cose, di co­ noscere meglio la realtà»25. Nel senso che: a) rivolgersi a J h w h facilita la delicata distinzione tra il giusto e l ’ingiusto (ambito m orale); b) la fede non impedisce la conoscenza, al contrario, la emancipa (ambito epistem ologico ), le permette di giungere cor­ rettamente all’oggetto e le mostra la posizione esatta nel campo delle numerose e svariate attività umane. Altrimenti: «I saggi sa­ ranno confusi [...]. Hanno rigettato la parola del Signore. Quale sapienza possono avere?» (Ger 8,9). Ben Sira supera ogni separazione della sapienza dalla rivela­ zione, e sottolinea la centralità del timor di Dio come espressione privilegiata della sapienza. Le due realtà nella pratica possono coincidere, si implicano vicendevolmente (c f 19,20; 21,11). Egli aggiunge perciò sin dall’inizio: «Ogni sapienza è da Dio e rimane sempre presso di lui» (1,1). La si acquista attraverso l’osservanza dei comandamenti, allora Dio la concede come dono (1,26-27). Valore e limite dell’espressione. E importante per la sua formulazione significativa, cioè per l’interesse teorico in mezzo a tante pratiche particolari, per il suo concentrarsi su una que­ stione di principio. La sapienza, di fatto, ha sempre interpretato il dato religioso, la formulazione di quel patrimonio resta in qual­ che modo sempre legata a una qualche sapienza. Tuttavia, la ten­ sione tra i due poli, fede e sapienza, permane. Da parte sua la fe­ de indica alla ragione il senso ultimo e la spinge a cercare e fon­ dare le ragioni della fede. La presenza della sapienza nella fede determina una dialettica che da un lato favorisce una recezione universale del dato religioso storico, dall’altro ne consente una giusta comprensione critica, ne riconosce anche i limiti. Il pro­ blema può essere trasportato nell’ambito della tradizione teologi­ ca cristiana, contribuendo a definire i termini del dibattito dei rapporti tra ragione e fede, ma dovrebbe anche essere giudicato (ir)risolvibile26. 25Ivi, p. 69. 26Cf. G.L. P r ato , sapienza fondatrice e sapienza ermeneutica: componente dialettica essenziale dell'Antico Testamento, in M . M ilani (a cura), La via “sa­ pienziale " e il dialogo interreligioso (Pubblicazioni dell’Istituto di Scienze Reli­ giose di Trento, 23), Edb, Bologna 1996, pp. 11-39, spec. p. 37.

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B) LA R IV E L A Z IO N E D A L M O N D O E L A SAPIEN ZA PERSONIFICATA Analizziamo alcuni testi, forse i più noti, che sono serviti per un’ulteriore interpretazione nel NT, per comprendere il significa­ to e il messaggio che gli autori intendono trasmettere e l’ambito (o gli ambiti) culturale che li ha ispirati: Gb 28; Pro 8; Sir 24.

1.

L a S a p ie n z a im m a n e n t e n e l m o n d o . E s a m e d e i testi

Giobbe 28: inaccessibilità della sapienza Autenticità. I commentatori discutono su ll’autenticità di questo capitolo, se appartenga o meno allo stesso autore del poe­ ma o si tratti di un inserto. Infatti ha poco a che fare con il «pro­ logo» del poema e si avvicina di più ai discorsi finali di Dio. Solo il verso finale (v. 28) accenna a «temere Dio, schivare il male». E perciò considerato da taluni autori, come Von Rad, un’aggiunta al capitolo. Gb 28 appare a molti come un «masso erratico», il cui linguaggio riflette, forse, qualche concezione mitologica. Tuttavia Nicacci ne rivendica il legame con il contesto: è parte della replica finale di Giobbe ai suoi interlocutori ed è coerente con l’ultima sua dichiarazione nel primo ciclo di dialoghi27. Funzione. Più importante è cogliere la funzione del capitolo nel contesto attuale del poema. E un interludio o intermezzo liri­ co alla fine del terzo atto del dramma, recitato da un solista o dal coro28. Esso riduce al silenzio gli amici di Giobbe che pretende­ vano di avere la soluzione in forza della loro sapienza tradiziona­ le sulla vita umana, mentre rivela a Giobbe la frustrazione del­ l’uomo che indaga per una soluzione, riconoscendo in proposito l’ignoranza dello stesso abisso, del mare e persino del regno dei morti. In uno stile che si compiace di accumulare parole, il poema 27 Cf. A. N ic a c c i , Giobbe 28, «LASBF» 31 (1981), pp. 29-58; I d em , Ma la sapienza, da dove giunge? (Gb 28), in Logos 4, Ldc, Leumann (TO) 1997, pp. 281-287. 28 Si veda lo schema generale del libro, alla pagina 239.

214

esprime l’inaccessibilità della sapienza. L ’uomo si inchina al m i­ stero (cf. la diversità con Pro 8). Struttura. Il poema è composto di tre strofe separate da un ritornello (vv. 12.20). Ciascuna presenta un’analoga successione di motivi: luogo, limitazione, attività. Il TM, diverso da L X X , ri­ vela all’analisi un buon ordine: - l a strofa, vv. 1-11: l'homo faber, che equivale all'homo sa­ piens. Sapienza è anzitutto «abilità, saper agire» (cf. «introdu­ zione»), Nella sua audacia egli esplora le miniere, scava galle­ rie, porta alla luce ciò che è nascosto, misterioso, prezioso. Ma la sapienza rimane fuori della sua portata: «da dove viene, dov ’è?» (cf. Rit. v. 12). - 2a strofa, vv. 13-19: l'homo ceconomicus. Per ottenerla tenta un’altra strada, acquistarla. Offre tutto quanto possiede (cf. la domanda di Salomone in IRe 3,9-10), ma essa non ha prezzo. Né l’abisso più profondo, né il mare e neppure il regno della morte (cf. 3a strofa) possono dire di possederla o di conoscerla. - 3a strofa, vv. 21-28: risponde alla domanda del ritornello. Sol­ tanto Dio la conosce, ne conosce il luogo (v. 23) perché egli la pose e la domina (v. 27). La conclusione è che l’uomo si deve inchinare al mistero. Il v. 28 aggiunge una correzione, che av­ vicina Gb 28 alla sapienza tradizionale: ciò che è impossibile all’uomo faber ed ceconomicus è possibile all 'homo religiosus. Esegesi *

l a parte: l ’uomo tecnico e la sapienza (vv. 1-11).

w . 1-2: «Vi sono...». La frase assume la forma di un prover­ bio. Argento e oro anticipano l’uomo economico (2a strofa), ferro e rame richiamano l’uomo faber o tecnico. Questi metalli proven­ gono dalla terra come l’uomo. vv. 3-4: l’uomo (sembra il soggetto del testo ebraico) con il lavoro fruga e mette in luce le cose più nascoste e sconosciute. Il v. 3 richiama l’opera di Dio al terzo giorno (Gn 1,3-4). I «pozzi» sono le gallerie delle miniere. Il v. 4b è molto diffìcile (cf. nota in Bg). Alcuni intendono «[pozzi o gallerie] dimenticate dal vian­ dante»; altri «stranieri [perforano] i pozzi» (Bg), con allusione agli schiavi usati nelle miniere (cf. Es lss). 215

vv. 5ss: il v. 5 pone in risalto il contrasto tra i due piani della terra. Sopra, terra del pane, pacifica e feconda; sotto, terra agitata, sconvolta dal fuoco. Anche questa l’uomo sconvolge e attacca con capacità, e quindi sapienza, superiore a quella degli animali: cf. ai vv. 7-10, il contrasto tra il leone che non «batte» le strade né le attraversa e l’uomo che porta la mano, attraversa scoprendo; tra l’uomo che posa l’occhio e l ’aquila che non scorge. Già nel du­ plice uso della terra l’uomo scopre una sapienza enigmatica, che vede ma non sa spiegare. Al v. 9 la «radice delle montagne» se­ gnala l’ingresso allo Sheol (cf. UT 51, V ili, 1-9). v. 11 : chiude la l a strofa ripetendo in ebraico le «radicali» dei vv. 1 e 5: «fa uscire-libera» e il motivo deH’oscurità. «Quel che vi è nascosto porta (lett. fa uscire) alla luce», ossia le sorgenti oscu­ re, nascoste, dei fiumi. Alle «sorgenti dei due fiumi, in mezzo ai corsi dei due abissi» abitava il dio E1 di Ugarit (UT 51, IV, 20). Il verso esprime la gioia e l’esaltazione per la scoperta e rivelazio­ ne, premio dell’impegno e dell’attività dell’uomo. È l’entusiasmo per le capacità tecniche e il progresso umano che supera i confini del mondo. v. 12: Rit., cf. v. 20. Oltre le capacità tecniche rimangono de­ gli enigmi. E quanto esprime la domanda insidiosa sull’origine o «sorgente» («donde viene») e sul luogo della sapienza e intelli­ genza (cf. v. 1). Il progresso tecnico non risponde alle domande più profonde dell’uomo. *

2a parte: l’uomo

economico e la sapienza (vv. 13-19).

La sapienza non ha «prezzo». Cambiano stile e linguaggio ri­ spetto alla prima strofa. Si accumulano mercanzie preziose nello sforzo di acquisto, al centro è il contrattare. Si accumulano frasi negative in contrasto con il tono affermativo della strofa prece­ dente. vv. 13-14: alla domanda del Rit. l ’uomo risponde negativa­ mente. La sapienza non è sulla superficie terrestre («terra dei vi­ venti», cf. v. 5a), né nell’abisso dell’oceano primordiale sopra il quale emerge la terraferma, né nel profondo del mare (mondo sotterraneo, cf. v. 5b). Il contrasto con l’entusiasmo del v. 11 è netto. Ogni progresso è relativizzato. 216

vv. 15-19: la sapienza non ha prezzo. L ’atteggiamento è molto diverso da Pro 3 e 8. Là la sapienza è accessibile all’uomo, anzi essa stessa riempie i forzieri di quanti la possiedono (8,18­ 19.21; cf. IR e 3, preghiera di Salomone) e prende l’iniziativa, perciò l’uomo la può incontrare. Sir 14,20-15,10 presenta l’attivi­ tà reciproca tra saggio e sapienza fino all’incontro. *

3a parte: Dio conosce e possiede la sapienza (w . 21-28)

vv. 21-22: dopo la ripetizione della domanda-ritornello (v. 20) si concludono le risposte negative. L ’Abisso (Abaddon , D i­ struzione) e la Morte completano i piani dell’universo, «quanto è sotto la volta del cielo» (v. 24b). Nel corso del poema incontria­ mo il cielo degli uccelli (vv. 7 e 21 b), la montagna (v. 9), la terra dei vivi (w . 21a e 13b), della vegetazione (v. 5a), degli animali (v. 8), il mondo sotterraneo delle miniere e degli «inferi» (vv. 4.5b.l0s.l4.22). L ’esclusione è totale e prepara l’attenzione alla trascendenza divina creatrice dell’universo che in esso pose la sa­ pienza. vv. 23-27: Dio domina la Sapienza, ne conosce la via e il luo­ go. Può rispondere, lui solo, alla domanda (vv. 12.20), in forza del suo sguardo universale (v. 24) e della sua azione creatrice e ordinatrice (cf. «conosce la via», v. 23; «impose la via», v. 26b)29. v. 28: corregge la prospettiva. A ll’uomo religioso sono rico­ nosciute nuove possibilità che Dio stesso gli conferisce. Illum i­ nato da Dio può riconoscere o, meglio, intuire la sapienza nasco­ sta e inaccessibile, cioè il «senso» misterioso posto da Dio nel mondo. Rispettando-temendo Dio ed evitando il male, l’uomo raggiunge la sua qualità di saggio (cf. Bar 3,10-4,4). La soluzione è pratica, non teorica. L ’autore indica come si ottenga un atteg­ giamento sapienziale accettando i propri limiti.

Interpretazione. I dati. La sapienza è creata e sottomessa a Dio che ne conosce il luogo, l’ha misurata e stabilita. E oggetto del29 Diversi sono i contatti con altri testi biblici: v. 24 cf. Sai 65,6; v. 25 cf. Is 40,12-14; 36,27-33; v. 26 cf. Sir 1,8-9.19.

217

l ’atto divino, non suo aiuto nella creazione. La sua età risale al­ l ’imposizione dell’ordine nella creazione. Non è Dio dunque, né un suo attributo, e neppure una personificazione. D i quale sapienza si tratta? - Si tratta dell’ordine del mondo o del suo «senso» che rimane misterioso. Non è la sapienza uma­ na tradizionale che riflette sulla vita, ma una sapienza cosmica, trascendente, che supera l’uomo, di cui l’uomo non può disporre né impadronirsi, nonostante tutti i suoi sforzi. Si tratta della sa­ pienza divina dispiegata nell’azione creatrice: ne farà riferimento Dio stesso nei discorsi ai cc. 38-42 che vengono in qualche modo anticipati (cf. Pro 8: Dio crea per prima la sapienza, poi la utilizza riversandola nelle sue opere e la comunica all’uomo). Non si oppone alla sapienza umana. M a le è superiore e per­ ciò inaccessibile. Così mentre l’uomo trova una strada per posse­ dere tutte le ricchezze, non trova la via che lo porta al mistero del­ la creazione: essa incarna il «mistero» delle vie di Dio. Va cercata nel cosmo, ma nello stesso tempo è a una certa distanza dalle opere della creazione30. Nessuna può contenerla o spiegarla. Perciò rinuncia a definire «sapienza» le attività umane, per quanto abili, perché non rag­ giungono la sapienza nascosta di Dio.

Insegnamento del poema. Il poema insegna l’inaccessibile «m i­ stero» della sapienza, dell’ordine del mondo, che Gb e gli amici indagano. E la cosa più preziosa, ma il mondo non concede il suo segreto. L ’uomo, per quanto indaghi, non può trovare «la via» che lo porta al mistero della creazione (tecnica) né può venirne in possesso in modo da esserne padrone (economia). Quest’im­ presa sembra possibile all’uomo «religioso», ma in modo pratico. Rispettando Dio ed evitando il male, l ’uomo raggiunge la sua qualità di homo sapiens : intuisce che Dio ha un piano sul mondo e accetta il proprio limite (cf. Gb 42,1-6).

30 «Questa “ sapienza” , questa “ ragione” ? dev’essere in qualche modo il “senso” che Dio ha introdotto nella creazione, essa deve significare il suo segre­ to, il suo mistero creatore; tuttavia, bisogna ricordare che il poema pensa meno a una realtà ideale che a qualcosa di materiale» (G. V o n R a d , o . c . , p. 137).

218

Proverbi 8: discorso della Sapienza31 Contesto. Pro 8-9 chiude la prima parte del libro, il «Prologo» (Pro 1-9), che comprende una serie di «discorsi» sotto forma di «raccomandazioni» del padre al figlio. La Sapienza è personifica­ ta come in Pro 1,20-32. Essa pronuncia un discorso-invito, pre­ sentandosi con caratteri opposti alla «donna straniera» di Pro 7,4ss e offrendo i suoi beni. Appare come «maestra di vita».

Struttura Introduzione : vv. 1-3, presentazione dell’oratore. I. Invito all ’ascolto :

vv. 4-5, i destinatari delle sue parole; w . 6-11, difesa della propria credibilità. II. Autoelogio della sapienza: A) w . 12-21, sezione terrena: sapienza regale; B) vv. 22-31, sezione cosmica: sapienza e creazione. C onclusione : w . 32-36, esortazione con forme antitetiche. Esegesi Introduzione

(w . 1-3)

La Sapienza è presentata come donna: richiama Pro 5 e 31, che vedono nella donna saggia, oltre che un ideale femminile o la moglie (la donna della giovinezza), l’immagine della sapienza stessa. Essa parla in pubblico al contrario della «straniera» (cf. 7,8ss), di giorno, a voce alta, nei vari luoghi strategici della città, cosicché tutti la possano ascoltare: in cima alle mura, nei luoghi di passaggio, tra le vie, presso le porte. Il v. 3 dà tre designazioni

31 Cf. R.N. W h y b r a y , Proverbs Vili 22-31 and Its Supposed Prototypes, «VT» 15 (1965), pp. 504-514; P .W . S k e h a n , Structures in poems on Wisdom. Proverbs 8 and Sirach 24, «CBQ» 41 (1979), pp. 365-379; M . G il b e r t , Le discours de la Sagesse en Proverbes, 8. Structure et cohérence, in M. G il b e r t (ed.), La sagesse de 1’Ancien Testament ( B etl 51), Louvain 19902, pp. 202-218 (pp. 414-415: nota addizionale), che seguo nelle linee essenziali; P. B ea u ch a m p ,

La personificazione della sapienza in Proverbi 8,22-31: genesi e orientamento, in G . B ell ia -A. P a ssa r o , Libro dei Proverbi, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1999, pp. 191-209.

219

dello stesso luogo come il v. 2: siamo nella piazza, davanti a una delle porte nella parte alta della città, fuori delle mura. Sono i luo­ ghi di incontro, del commercio, della giustizia, della piccola poli­ tica. Essa parla all’uomo dove egli vive in società. Lo stile richia­ ma il venditore ambulante o il venditore d ’acqua, che propone la sua mercanzia (cf. Pro 1,20 e Is 55,lss). I n v i t o a l l ’ a s c o l t o (vv. 4-11) Notiamo la caratteristica «io-voi», con insistenza su quest’ul­ timo. a) vv. 4-5: destinatari. Parla a tutti gli uomini, inesperti: non si tratta, forse, di una categoria precisa, i giovani. Non per ingannar­ li, come la donna antagonista, ma per istruirli o renderli assenna­ ti; si offre come salvezza, insegna a vivere (cf. sotto, il savoir/ai­ re). b) vv. 6-11: la Sapienza presenta i motivi di credibilità dei suoi detti, vanta le sue qualità morali, non solo pratiche. Sinceri­ tà, verità, giustizia si oppongono a tortuosità, inganno e seduzio­ ne, caratteristiche dell’antagonista. Non è dimostrazione, si ap­ pella bensì all’esperienza (v. 9). Il valore di tali qualità si rivela quando sono accolte e praticate. I vv. 6-8 insistono sugli organi della parola: labbra, palato, bocca. I vv. 10-11 affermano la superiorità della Sapienza (c f Gb 28,25-29 e Pro 3,13-15; 16,16). A u to e lo g io della sapienza

(vv. 12-31)

* vv. 12-21: sezione terrena. La Sapienza regale: sono dieci versetti divisi in due strofe di cinque versi ciascuna. a) vv. 12-16: dopo aver giustificato il valore dei suoi detti (vv. 4-11), la Sapienza descrive se stessa. - Appare come il consigliere regale per eccellenza: non è que­ stione di potere, ma di Sapienza con qualità etiche; i vv. 15-16 ricordano il buon governo di Salomone. - Essa possiede la sintesi delle virtù (vv. 12.14), come il Messia di Is 11,2 (cf. anche la sintesi di Pro 1,2-6), escludendo ogni vizio contrario (v. 13, sono virtù etiche). 220

Significato: si tratta di una Sapienza «universale» umana, con virtù «pratiche», oltre che riflessive: è consigliere regale, possie­ de il savoir fa ire, buon senso o accortezza, prudenza, consiglio, potenza (vv. 12.14). Prevede anche un ordine morale (v. 13bc). Siamo verosimil­ mente in un contesto di non contestazione del potere regale: lo si suppone consigliato da, ed espressione della Sapienza (ideologia regale). b) w . 17-21 : la Sapienza descrive il risultato della sua azione. - v. 17, relazione personale (cf. Pro 2,10-11 e Sir 4.11-19): è uno scambio d ’amore. - v. 18, ricchezze e tesori che essa porta e offre (cf. IRe 3; Sap 7,7-12): gloria, ricchezza, benessere o stabilità ed equità o or­ dine. Forse nei tesori di v. 21 si indica ciò che essa stessa è: savoir fa ire, validità, ecc. (vv. 12.14). * vv. 22-31 : sezione cosmica. La Sapienza e la creazione: sono due strofe eguali (vv. 22-26.27-31), in cui la Sapienza appare nel­ la duplice dimensione di tempo e spazio. E oltre il tempo e ab­ braccia tutti gli spazi. Essa si presenta come primogenita e media­ trice: si muove tra Dio creatore nominato all’inizio, e gli uomini che appaiono alla fine (v. 31); essa è nominata al centro (v. 22). Tale funzione si realizza in quattro tempi: - Sapienza prima e anteriore (w . 22-23), - anteriore al mondo qual è (cosmologia, vv. 24-26), - presente all’organizzazione del mondo (cosmogonia, vv. 27­ 29), - ruolo: legame tra Dio e gli uomini (vv. 30-31). La Sapienza è considerata nelle varie tappe della nascita: con­ cepita, intessuta, generata, bambina. a) vv. 22-26. Tempo: 10 volte si ripete in vario modo il «pri­ ma» primordiale; spazio: prima si parla genericamente di attività, opera, poi di terra, acque, monti, cioè natura inerte; quindi degli abissi, infine delle «zolle», che suppongono l’attività umana. v. 22. La Sapienza si dichiara «generata/concepita» o «crea­ ta». Preferiamo il primo significato per la coerenza della sequen­ 221

za dei verbi32. Appare come la primogenita', tema che offrirà lin­ guaggio e simbolo alla cristologia. Traduzione: «M i ha generata primizia/inizio (r e ’Sit) della sua opera». vv. 24-26, non si tratta, sembra, di una «cosmogonia» (crea­ zione del mondo), quanto di una semplice descrizione rudimenta­ le del mondo, «cosmologia». La Sapienza è anteriore a questo mondo presente, che l’uomo vede e che è il suo. b) vv. 27-31 : « cosmogonia ». Dio organizza il cosmo (in Gn 1 Dio crea e organizza). La narrazione evidenzia gli schemi di tem­ po e spazio. Tempo: i sei «quando» indicano i momenti dell’atti­ vità divina. Ugualmente lo spazio viene definito dall’attività ordi­ natrice di Dio che stabilisce i limiti, assegna i posti, cominciando dai cieli e terminando con la terra. Tutto è sistemato secondo un progetto architettonico. w . 27-29. C ’è una sola frase che conclude con la principale: «là io c’ero» (ebr. sam ’am, 27a). Dio stabilisce i limiti: fissa (o determina, posa, stabilisce) la volta celeste sopra l ’abisso già esi­ stente (v. 27), rinforza il cielo e le sorgenti dell’abisso per resiste­ re al peso della volta celeste che è posata sull’abisso (v. 28), pone un limite al mare e alle acque (v. 29ab, mantiene forse una remi­ niscenza della lotta contro il mare), sistema, o intaglia, le fonda­ menta della terra (v. 29c). vv. 30-31: ruolo della Sapienza. Non sembra prendere parte attiva come «artefice» o «architetto» (cf. Cei che segue Lxx e Pro 3,19-20). È piuttosto testimone gioiosa dell’attività divina, e perciò conoscitrice di tutto: è presso D io come «prediletta» ( ’amùn 33). Dio, a sua volta, si diletta guardandola mentre crea il

32 A qananì del TM corrisponde in L X X éktisen (creò) e in Peshitto bara : Aquila, Simmaco, Teodozione hanno ektésato (acquistò), che richiama «acqui­ starsi un figlio», come Caino, il figlio «acquistato da Dio» (Gn 4,1), quindi «ge­ nerare». La sequenza diviene la seguente: qananì, «mi ha generata» (da qanah, 21a), nissakti, «intessuta» (sakak; non yasak, stabilire, v. 23a, cf. Sai 139,13), holalti «mi ha partorita» (24a.25b); al v. 30 la Sapienza appare bambina, che gioca e si diverte con il mondo. 33 II contesto e le immagini sembrano alludere a un fanciullo che si diverte, «danza» o gioca con (o su) il globo terrestre: mesdheqet lepanayw può significare «colei che: 1) gioca, si diverte; 2) danza in pubblico o in una danza cultuale, cioè

222

mondo. In un secondo momento (v. 31), la Sapienza afferma la sua funzione mediatrice presso gli uomini: sua delizia è stare con essi. E Sapienza infusa da Dio in loro, li aiuta a cogliere la Sapienza nel mondo e a riconoscervi il segno della Sapienza di­ vina creatrice. Conclusione-esortazione finale

(vv. 32-36)

La Sapienza trae le conclusioni riprendendo l’esortazione: «e ora... ascoltate» (cf. v. 6). Si delinea nuovamente il suo ruolo di «maestra di vita»: «vegliare alla porta» sembra riflettere la ricerca zelante del maestro da parte del discepolo descritta in Sir 6,36-37 (cf. 33[36], 16-18 riferito allo stesso Siracide) e in Sap 6,12-16. La Sapienza si rivolge a tutti (i figli) e a ciascun uomo con due «beatitudini». Comunicandosi, comunica vita e favore da Dio. Il contrario è danno o «violenza» contro se stessi, morte. Così la mediazione della Sapienza termina nella sfera religiosa34.

Chi è la Sapienza di Pro 8? «Figura femminile anzitutto. Figlia primogenita di J h w h , co­ stituisce la sua felicità. Anteriore al cosmo, essa è presente presso J h w h al momento della sua organizzazione. Assicura presso gli uomini l’ordine nelle loro relazioni. Per gli uomini essa è «veri­ tà», «giustizia», «diritto»; odia la menzogna e il male in generale. Non si può dimenticare dunque questo triplice rapporto della sa­ pienza con Dio, il mondo e gli uomini» (M. Gilbert).

fa festa davanti a lui». «È la primogenita, piccolo bambino che gioca e apprende vedendo suo padre operare, divertendosi e divertendolo; il suo gioco è di propor­ zioni cosmiche. Poi (v. 31), passa a livello degli uomini per dividere con loro l’affetto: se essa è la “ delizia” del creatore, gli uomini sono la sua “ delizia” e “ gioia” » (Alonso). Si può dunque leggere l’ebraico ’amón (v. 30) come ’amiin, «fanciullo prediletto», «bambino che è oggetto di educazione», interpretazione sostenuta dalla versione di Aquila con tithenouméne, «fanciullo adottato, predi­ letto». L X X harmózousa corrisponde ad ’ammon, «architetto», «capo dei lavori» (= Volgata). 34 Per antitesi simili, cf. Pro 1,32-33; 3,32-35; sulla scelta tra vita e morte, cf. Dt 30,15b-30, maledizioni e benedizioni; Sir 15,17.

223

Q ual è l ’ origin e d e ll’ im m a g in e ? Nei vv. 22-31 gli studiosi hanno ravvisato nelle qualità della Sa­ pienza affinità con la Maat egiziana, intesa come il «diritto», la «giusti­ zia», l’«ordine primordiale». E figlia del sole, discesa tra gli uomini dal «tempo delle origini» come ordine perfetto di tutte le cose. Si presenta con discorso solenne in prima persona. Il Dio suo padre si fa abbracciare da lei, la bacia, dopo essersela posta «sul suo naso». Il parallelo con Pro 8,22-31 è sorprendente. Il testo biblico, personificando, riprende lo stile di proclamazione (vv. 22-29) e la concezione egiziana di una divinità innamorata della verità (vv. 30-31). Però rivela una sua originalità. La Sapienza non ha una condizione divina, né è un attributo di Dio perso­ nificato; è creata con una funzione da compiere tra gli uomini. Ha una posizione a parte: è distante dal mondo, ma ad esso immanente; è la pri­ mogenita, la creatura che supera le altre creature. Una particolare interpretazione è data da B. Lang nell’edizione in­ glese di Frau Weisheit. Si concentra sulla personificazione della Sapien­ za nella ricostruzione del «monoteismo» dell’AT (un tema oggi molto discusso). Egli afferma che il giudaismo postesilico è monolatrico, non monoteistico, e ha un passato politeistico. In questo contesto esisteva una «dea della scuola» simile a Nisaba (Sumeri) e Seshat (Egitto). L ’e­ ditore di Proverbi demitizza questa dea ed essa diviene un espediente retorico e poetico35. Possiamo aggiungere, con A lonso36 (Proverbi, pp. 36-38), che il piccolo sostantivo è cresciuto fino a diventare un’impressionante perso­ nificazione poetica. Tale visione racchiude un potenziale significativo non attualizzato che, entrando a sua volta in interazione con nuove con­ cezioni e scoperte, può liberare le valenze significative depositate nel testo in forma non tematizzata, lontana dall’enunciato esplicito e inten­ zionale. Questa capacità si rivelerà a contatto con i fatti e le concezioni del Nuovo Testamento.

Coerenza delle argomentazioni di Pro 8 Il discorso è pubblico: si indirizza a tutti e deve essere perce­ pito da tutti. In un primo tempo la Sapienza invita all’ascolto con 35 B. L a n g , Wisdom and thè Book o f Proverbs. An Israelite Goddes Redefined, Pilgrim, New York 1986, p. 136. Egli ritiene perciò superate sia la teoria delFautorivelazione della creazione (Von Rad, però non ci sembra in contraddi­ zione), che quella dell’ipostasi (F. Webster) e del mito (Bultmann). 36 A lonso S chókjel - V ilchez L ind ez , / Proverbi, pp. 36-38.

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insistenza: essa prova che chi l’ascolta, mediante la sua educazio­ ne, troverà rettitudine, nella «verità» e «giustizia». In un secondo tempo essa dimostra che effettivamente l’ordi­ ne esistente dipende da essa: essa agisce come consigliere per ec­ cellenza presso i grandi; s’impegna per un ordine giusto anche verso i poveri e i deboli. Cioè i rapporti tra gli uomini, quando sono giusti e veri, sono opera della Sapienza. In un terzo tempo tenta di provare che essa è abilitata a mag­ gior ragione a realizzare quest’ordine tra gli uomini perché pri­ mogenita: sorta da Dio per «prima», presente presso Dio al m o­ mento della creazione. In altre parole, l’ordine del mondo non è indipendente dalla Sapienza.Essa assicura, inoltre, una specie di legame tra Dio e gli uomini: è mediatrice. La sola condizione, continuamente formulata, è di ascoltarla, accoglierla, amarla. L ’uomo vi troverà la vita.

Siracide 24: discorso della Sapienza37 Il capitolo 24 del Siracide o Ben Sira o Ecclesiastico, essen­ ziale per una teologia della Sapienza, costituisce il culmine del libro. La Sapienza non è più oggetto di insegnamento, ma una persona, soggetto vivo, che parla ai suoi interlocutori: «loda se stessa», «si gloria» (cf. Pro 1-9). E un artificio letterario per pre­ sentare la parola di Dio, prima manifestazione della sua Sapienza nella creazione e nella rivelazione della legge. Il NT assumerà questi simboli per parlare di Cristo, parola di Dio creatrice e rive­ latrice; Giovanni riprenderà lo schema dell’esodo della Sapienza per descrivere l’incarnazione del Logos (cf. Gv 1).

37 Cf. O. R ic k e n b a c h er , Weisheitsperikopen bei Ben Sira, Gòttingen 1973, pp. 14-15, 123-124; J. M a r b ò c k , Weisheit im Wandel. Untersuchungen zur Weisheitstheologie bei Ben-Sira, Bonn 1971, pp. 34-96; I d em , Gottes Weisheit unter uns; Sir 24 als Beitrag zur biblischen Theologie, in Verbum Caro factum est (Fest. A. Stòger), Wien 1984, pp. 55-65; M . G il b e r t , L ’éloge de la Sagesse. Siracide XXIV, «RTLouv» 5 (1974/3), pp. 326-348; A. F ournif. r - B idoz , L'arbre et la demeure: Siracide XXIV 10-17, «VT» 34 (1984), pp. 1-10; C.T.R. H a y w a r d , Sirach and Wisdom ’s Dwelling Place, in S.C. B arton (a cura), Where

shall Wisdom Be Found? Wisdom in thè Bible, thè Church and thè Contemporary World, T. & T. Clark, Edinburgh 1999.

225

Struttura. È discussa. Riteniamo quella di Gilbert, non assoluta, cercando di individuare soprattutto le immagini: Introduzione : vv. 1-2;

I.

Parla la Sapienza : vv. 3-21: - origine della Sapienza dalla bocca di Dio e suo «e s o d o » at­ traverso il cosmo fino a prendere possesso di un popolo (funzione cosmica e storica). Movimento di concentrazione ed espansione spaziale e temporale: w . 3-8.9-12; - crescita ed espansione o diffusione della Sapienza in tutto Israele: vv. 13-14.15.16-17 (18); immagini vegetali: albero, aroma, frutti;

- invito agli uomini: banchetto e memoria: vv. 19-22; II. Parla il saggio : vv. 23-34: - parla della legge: w . 23-29; - parla di se stesso: vv. 30-34; immagini acquatiche : canale, fiume, mare; e delle stagioni.

Esegesi - Introduzione

(w . 1-2)

La Sapienza parla al suo popolo (in terra) e nell’assemblea dell’Altissimo (in cielo? cf. v. 22 che indica l’assemblea cultuale terrena). Qualche autore ritiene che si tratti di un discorso pro­ nunciato nel tempio dove sta il trono di Dio. Effettivamente i se­ gni cultuali in questo brano sono numerosi. — Parla

la S a p i e n z a

(vv. 3-21)

* O rigine della Sapienza, sua funzione cosmica (creazione) e storica (in Israele): vv. 3-8.9-12. Il testo procede con un movi­ mento di concentrazione ed espansione spaziale e temporale. In un movimento spaziale di discesa e concentrazione, la Sapienza esce dalla bocca di Dio (cf. Gn l,3ss) fino ad abitare e prendere possesso di Giacobbe-Israele come eredità (vv. 3-8). Ne deriva una duplice funzione cosmica, creatrice e dominatrice o sovrana, resa visibile dal suo percorrere il mondo, che nella formulazione giuridica era un indice di potere.

226

Il v. 3 richiama la parola creatrice che esce dalla bocca di Dio di Gn 1,1 -3 e ricopre come nube la terra (cf. Gn 2,6). Essa discen­ de per «posare la sua tenda» (kataskenó, w . 4.8) nelle quattro di­ mensioni del cosmo: cielo-abisso (verticale), mare-terra (orizzon­ tale, vv. 5-6a). La Sapienza non si ferma in cielo, ma cerca dimo­ ra nel regno degli uomini (v. 7) e riceve dal Creatore l ’ordine di stabilirsi in Israele (v. 8). v. 4b la colonna di nubi era nell’esodo segno della «gloria» di Dio che proteggeva e accompagnava il popolo in cammino. L ’indicazione temporale (v. 9) fa da cesura: uno sguardo al pas­ sato e uno al futuro con espansione all'infinito; fino all’eternità non vien meno. Essa è la prima creatura (cf. Pro 8 e Sir 1) e anche l’ul­ tima. Si delimita quindi (vv. 10-12) il luogo di residenza della Sa­ pienza allargando progressivamente lo sguardo in un movimento di espansione: il tempio o Sion (v. 10), la città di Gerusalemme (v. 11), il popolo (v. 12). Il «radicarsi» e l’espansione anticipano le im­ magini vegetali che seguiranno (w . 13ss). Siamo qui a livello sto­ rico. L ’elezione di Gerusalemme è una conclusione storica: in forza del popolo unificato da Davide, dell’arca depositata nel tempio. La Sapienza assume a livello storico due funzioni, eredità e culto. - vv. 7b.8.12b, prende «possesso della sua eredità». E termine teologico frequentissimo che definisce la «terra» per il popolo e il popolo per Dio: il popolo riceve in eredità la terra, il popolo è eredità di Dio. La Sapienza dopo il suo «esodo» attraverso il cosmo riceve in eredità la terra e il popolo di Israele (v. 7), vi stabilisce la sua dimora (vv. 8.10), per riversarvi se stessa. - Assume poi la funzione liturgica. E presente nel culto del popo­ lo (v. 10, «ho officiato»), che nella terra promessa, nella città eletta, nel tempio, risponde all’elezione divina. Il culto esprime la perfezione, è segno di sapienza, è codificato nella legge. Se­ condo Hayward, qui Siracide dà la risposta alla domanda di Giobbe 28: il luogo della Sapienza è in Gerusalemme e nel tem­ pio considerato il centro del mondo (cf. Ez 38,12). Il tempio di Gerusalemme è autentico perché vi abita la Sapienza che è più antica dell’universo e dà ordine e disciplina a tutto quanto esiste. Sapienza e popolo compiono dunque cammini paralleli: eso­ do, eredità della terra, culto.

227

* Im m agini vegetali - crescita, aroma e fru tti della Sapienza : vv. 13-17. Si accumulano in questi versi paragoni di ordine vege­ tale, già anticipati al v. 12 («ho posto le radici»): è un verso cer­ niera con i due motivi, eredità-porzione e immagine vegetale. Si riconoscono tre piccole unità (vv. 13-14.15.16-17) che sviluppa­ no in altre immagini le due funzioni storiche della Sapienza. - vv. 13-14: Sapienza albero-sua crescita-Israele «p a ra d i­ s o ». N ell’elenco delle sei specie di alberi tra i più prestanti (cf. Is 2,13; 37,24; 14,8; 9,9; 41,19; 44,14), l ’«abitare» della Sapien­ za è concepito non come conclusione, ma come un nuovo inizio di crescita ed espansione: cf. tre volte il verbo «sono cresciuta». L ’immagine ricalca il movimento dei vv. 10-12. Le indicazioni geografiche stanno a indicare le frontiere del paese occupato da Israele dove la Sapienza ha posto le sue radici (v. 12): è un altro modo per indicare la «presa di possesso». Ne risulta una specie di parco o «paradiso» esteso a tutto il paese. «Come la gloria del Si­ gnore trasforma il deserto in paradiso (sette specie di piante in Is 41,18; 49,19), così la Sapienza trasforma in paradiso l’eredità del Signore» (Alonso). - v. 15: Sapienza aroma - sua funzione cultica-Israele tem­ pio. Ritorna il tema cultico del v. 10 (cf. nota in Bg). Il verso pa­ rafrasa successivamente Es 30,23-25.34. Cinnamomo, balsamo, ecc., sono aromi impiegati nella composizione dell’incenso, usati dunque nel culto. L ’aroma dell’incenso diletta e placa Dio, l’un­ guento consacra. In certo qual modo si afferma che tutto il terri­ torio di Israele, dove la Sapienza sparge il suo aroma d ’incenso, diventa un tempio, il tempio. Del resto, seguire la Sapienza è dar culto a Dio (cf. Sir 4,14; 39,14). Il verso lascia intendere che la Sapienza procura un certo piacere, simile a quello che si prova aspirando un gradevole profumo (cf. 2Cor 2,15). - 16-17: Sapienza terebinto e vigna - suoi frutti. Prima il di­ scorso insisteva sulla crescita, ora sui rami, fiori e frutti; frutti della Sapienza sono gloria e ricchezza (cf. Pro 3,16 e 8,18). Il te­ rebinto è caratteristico dei luoghi sacri (cf. Es 15,13-17; Sai 78,54; 114,2), comprese le «alture» pagane (Is 1,29-31; Dt 12,2). In Is 6,13 e Esd 9,2 rappresenta il popolo di Israele. Anche la vite è un classico simbolo del popolo: Is 5,1 ss; 27,2-6; Ez 17,8; Sai 80,9-17. 228

In conclusione, la Sapienza nel suo «radicarsi» in mezzo al popolo estende e comunica se stessa e i suoi doni38. *

Invito al banchetto, offerta dei frutti', vv. 19-22.

«Venite, saziatevi dei frutti»: nell’offerta dei frutti continua l ’immagine e il tema dei vv. 16-17. Paradossalmente i frutti della Sapienza saziano e creano fame, soddisfano e rendono insaziabi­ li. Due sono i temi, il «ricordo» e il «banchetto». - Il ricordo o memoria, che si attua ripetendo il nome, è tema fre­ quente in Ben Sira. La Sapienza trasmette una «memoria» ed «eredità» dolce, al contrario la memoria dell’adultera è in ma­ ledizione (Sir 23,26). Essa mantiene la tradizione viva del po­ polo, la trasmette in eredità alle diverse generazioni. La legge, letta nelle assemblee, manifesta e rende viva la coscienza di Israele (va ricordato che tutto il libro del Siracide è impegnato a convincere della validità della tradizione giudaica). - Il banchetto della Sapienza (cf. Pro 9,1-6; Sir 15,3). Il contesto sembra attribuire alla Sapienza le «benedizioni» che la Torah riserva a chi l ’osserva; in particolare, i due verbi al v. 21, «ascoltare» e «compiere», sono riferiti abitualmente alla legge. L ’uomo custodisce e pratica od osserva la legge. Obbedienza e compimento della Sapienza liberano l’uomo dal peccato e dal fallimento nella vita. Essa dà il pieno «successo» o riuscita. Si prepara cosi, mediante un accostamento indiretto, il tema che segue: identificazione tra legge e Sapienza (v. 22); forse nel banchetto è ravvisabile anche un riferimento alla «parola-pa­ ne» di Dt 8,3; Is 55,lss. - P a r l a il s a g g i o (Ben Sira stesso: vv. 23-34) *

I l saggio parla della legge : w . 23-29. 23: identificazione Sapienza-legge. Si tratta dell’insieme

della legge («il libro della alleanza del Dio Altissimo»), inteso non come «codice» di leggi (aspetto legalistico; non si fa apppello ad alcun precetto), bensì come libro della «rivelazione» divina, segno della Presenza storica di Dio in mezzo al suo popolo, letto

38 II testo greco lungo aggiunge i vv. 18 e 24. Ulteriori varianti sono nella Vulgata latina. 229

nelle assemblee liturgiche («eredità», cioè possesso tramandato, delle assemblee sinagogali di Giacobbe). Esso mostra come Dio crea il mondo e l ’uomo, elegge e libera concedendo a Israele una terra al cui centro è il tempio in cui si celebra la liturgia di J hwh e donde proviene la legge, la parola di J h w h . Tutto questo è la sa­ pienza. - 25-29: la legge trabocca di Sapienza-acqua-attività c o ­ stante. Ritorna una nuova immagine del «paradiso». Ai fiumi dell’Eden (Gn 2,10ss) si accostano due fiumi della storia del po­ polo: Nilo e Giordano. Sono i due fiumi dell’esodo che segnano l’uscita dall’Egitto e l’entrata nella terra. I dati stanno forse a in­ dicare tutta l’ampiezza della terra promessa: essa è il paradiso (cf. vv. 13-14). Là la «sapienza-legge» fa abbondare «sapienza», dà fecondità (cf. Sai 1). - I fiu m i perenni, che assicurano a ogni stagione, primavera, mietitura e vendemmia, in cui si celebrano le tre grandi feste di «pellegrinaggio», abbondanza di acqua, rappresentano l’attività costante della Sapienza. Mare e abisso (vv. 28-29) allargano ulte­ riormente il raggio della sua azione, ne sottolineano l’inesauribilità e l’insondabilità. *

I l saggio parla di sé (vv. 30-34).

Il riferimento autobiografico è stile frequente in Ben Sira al termine o all’inizio dei suoi insegnamenti (cf. 34,9-12; 39,12­ 15; 50,27-28; 51,1 ss). Ora egli si proclama discepolo e maestro di sapienza, canale e fiume. Continua l’immagine acquatica. La legge è la Sapienza che fa abbondare come un fiume la sa­ pienza nell’uomo. Ben Sira che vi attinge non è che un canale (al­ trove dice di essere l’ultimo saggio, l’epigono, «come spigolatore dietro i mietitori», 33,16). Egli stesso però cresce fino a diventare fiume e mare39 e trova nel tempio e nel culto il suo punto di par­ tenza. Lo scriba, il maestro di Sapienza, diventa profeta, successore dei profeti (v. 33), il cui messaggio si prolunga nello spazio (vv.

39 L’immagine richiama la sorgente di Ez 47, che zampilla dal fianco orien­ tale del tempio, forse facendo appello alla fonte di Gihon (anche Ben Sira è di Gerusalemme, Sir 50,27). Essa rende fertile tutta la terra di Giuda e del Giordano risanando anche le acque del Mar Morto (cf. Sir 24,24-25 .29). 230

32-34) e nel tempo. Esso è diretto probabilmente a tutta la dia­ spora , alla quale il libro tornerà utile accolto nella versione del nipote. In conclusione, Ben Sira si ritiene l’ultimo rappresentante di una lunga tradizione sapienziale e considera se stesso un succes­ sore dei profeti: profezia è la rilettura attualizzante della Torah. Suo compito è trasmettere alle successive generazioni ciò che egli stesso ha appreso. In tal modo realizza l’ideale di essere non «saggio per sé», ma «saggio per il popolo» (cf. 37,16-26).

Conclusione - Sir personifica la Sapienza: è soggetto che invita; il saggio ne è l ’interprete «profetico». Il processo di personificazione si estende ad altre pericopi (4,11-19; 14,20-15,10: Sapienza madre e sposa) fino al canto finale di 51,13-22, un poema alfabetico ispirato a Pro 31, che celebra, con l’entusiasmo del Cantico dei cantici, l’amore e la scoperta della Sapienza sposa. - La identifica con la legge, la rivelazione di Mosè, che egli considera la forma migliore della Sapienza e che abitualmente veniva letta nelle assemblee liturgiche. La Sapienza non si rivela solo nella creazione, nel cosmo (vv. 3-6), ma anche, e special­ mente, nella storia del popolo di Dio (cf. cc. 44-50). - Sottolinea il carattere cultico della Sapienza: la sua osser­ vanza e adempimento è offerta gradita a Dio, ricca di frutti e por­ tatrice di successo. Chi «serve/venera» la Sapienza è ministro del santuario («servire» è termine cultico, cf. Sir 4,14; 49,14). Cosi, cercare la Sapienza è, in pratica, cercare Dio (cf. Sir 4,11-19). - Di conseguenza: a) integra il dato religioso (sapienza e cul­ to, tempio e Dio) con quello storico (esodo) e intellettuale (sa­ pienza umana); b) trasforma il saggio in profeta per il popolo e dà alla sapienza un aspetto «carismatico», ispirato. Questo aspet­ to verrà ulteriormente sottolineato nel libro della Sapienza: rifles­ so, specchio e immagine di Dio, «entrando nelle anime sante, for­ ma amici di Dio e profeti» (Sap 7,26-27); c) la «nazionalizzazio­ ne» della Sapienza ha lo scopo di «universalizzare»: egli rivendica alla tradizione e cultura di Israele un posto nella cultura intemazionale. 231

Confronto e interpretazione dei testi

Altri testi parlano di una forza ordinatrice che Israele ha per­ cepito presente nel mondo. E questa la nuova formulazione di una realtà già percepita implicitamente, l’interpretazione rinno­ vata di un’idea antica. Si veda ad es. l’inno didattico di Sai 104,24: «Tutte le tue opere, hai fatto con Sapienza», a indicare «destrezza e abilità, perizia e maestria, talento e mano esperta» (cf. Ger 10,12; Sai 136,5). In Pro 3,19-20: con sapienza e intelli­ genza J hw h ha fondato la terra, stabilito i cieli, scavato gli abissi, per la sua scienza le nubi stillano rugiada40. Così Sir 1,9-10: «Dio ha diffuso la Sapienza in tutte le sue opere; / la divise tra i viventi secondo la sua generosità; / la donò a coloro che lo amano». La creazione è Vopera d ’arte di Dio: in Gn 1 egli contempla l’insie­ me e riposa soddisfatto, perché ogni opera è perfetta (tób). L'or­ dine saggio è dunque qualità del mondo, realtà inserita da Dio nella creazione. Il fatto nuovo è lapersonificazione', l’ordine si rivolge all’uo­ mo come una persona. Non è quindi qualità di Dio, attributo di­ vino oggettivato, ma una «qualità del mondo, cioè questo miste­ rioso elemento per mezzo del quale l’ordine cosmico si volge verso l’uomo per ordinare la sua vita»41. È una personificazione solo figurata: per dire che si rivolge all’uomo, lo provoca e porta in sé un messaggio per lui, l’elemento personale diventa indi­ spensabile. I tre brani esaminati comportano tre accentuazioni: Gb 28 sottolinea l’aspetto razionale dell’ordine cosmico; Pro 8 l’aspetto mediatore ed estetico (la Sapienza, «prediletta» di Dio, ne fa le «delizie», «gioca» e il suo «diletto» è stare con gli uomini); Sir rivela l’aspetto storico-religioso', il suo schema mostra un legame con Gv 1. Ravvisiamo due aspetti tipici, la chiamata e l’amore spirituale. 40 Può essere attributo divino, ma anche una qualità della terra: è creata nello stato di sapienza o razionalità da Dio. Pro 3, 19-20 è inserito nella pericope 3, 13­ 26 : vv. 13-18 esaltano la sapienza; nei vv. 21 -26 è una nuova chiamata a seguirla; il centro, vv. 19-20 , considera la funzione della sapienza alle origini. 41 V o n R a d , o .c ., p. 144.

232

2. L a

c h ia m a t a

e

l ’a m o r e

s p ir it u a l e

42

Il tema della Sapienza che chiama appare in diversi testi, in parte già ricordati. Oltre a Pro 8,1.4, ritorna in l,20s; 9,3; e in Ben Sira 24 e 4,11-14. La Sapienza 1) invita, promette doni e ri­ sultati (una vita riuscita, buon governo), la vita (8,35); 2) si rivol­ ge a tutti, non a persone privilegiate; invita mediante le sue ancel­ le o essa stessa grida nei luoghi pubblici. Il fatto sta a significare che l’uomo è interpellato dalla crea­ zione, da una volontà ordinatrice a cui non può sfuggire; il mon­ do ha un messaggio per l’uomo, una rivelazione. In quanto opera d’arte compiuta, la creazione interpella l’uomo in tre modi. - Domanda una contemplazione disinteressata e gioiosa, che prorompe nella lode (cf. Sai 104; 8; Sir 42,15.24.25). - Chiede la collaborazione dell’uomo (cf. Sai 8; Gn 2,15). - Si presenta con autorità, esige rispetto e obbedienza, sottomis­ sione a sé come alla volontà di Dio e denuncia il disordine umano (Sai 104,35). In particolare, la Sapienza nella creazione sollecita e obbliga l’uomo a tre livelli. - Nella vita personale: è la motivazione e la fonte del comporta­ mento etico (cf. i frutti della Sapienza: equità, giustizia, rettitu­ dine, Pro 8.5ss; 2,9-20; Sir 4,15; 15,7-10 con 10,6ss; è contra­ ria all’arroganza e alla falsità). - Nella vita sociale: regola e fonda le relazioni; per suo mezzo governano i potenti (Pro 8,15s); è la fonte del possesso della verità di tutti i popoli (Sir 24,6). - Comprende anche la natura: essa è sovrana sul mondo (sapien­ za cosmica), gli dà le regole. Il fatto appare in Pro 8,22ss e so­ prattutto Sir 24,3-6. Vi è anche la malaugurata possibilità che si allontani dall’uo­ mo. Non è sempre a sua disposizione, può diventare muta per chi la rifiuta. La sua perdita avrà conseguenze disastrose: è una spe­ cie di suicidio. Il testo di Pro 1,24-31 è significativo in questo senso (ma si veda anche la finale di Pro 8): 42Cf. ivi, pp. 145ss; 153ss.

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Poiché vi ho chiamati, ma avete rifiutato... anche io riderò delle vostre sventure... Mi chiameranno, ma non risponderò, mi cercheranno sin dall’aurora, ma non mi troveranno.

In Proverbi 1-9, Siracide e sapienza incontriamo una partico­ lare sottolineatura nelle relazioni tra la Sapienza immanente nel mondo e l’uomo. La Sapienza non solo interpella e chiama, ma ama l’uomo. Si presenta come donna, e invita gli uomini a entra­ re in casa (Pro l,20ss; 8,lss e 9,lss). Pro 9 descrive il duplice invito al banchetto della Sapienza (vv. 1-6) e della stoltezza o follia (w. 13-18), con effetti opposti. Al fondo della stoltezza sta l’Abisso o la casa dei defunti, cioè la disfatta totale e la morte (v. 18; è un ritornello frequente, cf. 2,18; 5,5; 7,27). Il suo discorso ha partico­ lari riferimenti sessuali: «l’acqua rubata, il pane clandestino» (v. 17), a indicare ciò che è illegittimo, fraudolento. Al contrario, mangiare e bere l’acqua del «proprio pozzo o cisterna» (5,15) de­ signa la moglie legittima. A sua volta la Sapienza invita: «Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che ho preparato» (Pro 9,5). È la vera compagna. Il duplice simbolo femminile sembra rappre­ sentare la continuità o la devianza culturale e religiosa43. L’idea, sia pur collegata alla Maat egiziana o a precedenti ca­ tegorie culturali, è sviluppata da Israele in modo originale. I mae­ stri affermano che la ragione, quando si apre al mondo, avverte un fatto straordinario: l’ordine del mondo sta di fronte all’uomo e gli parla (la «voce»), è già in cammino per andargli incontro e darsi a lui come una sposa. Da questo fatto nasce il linguaggio amoroso. L’uomo deve cercarla come un innamorato, il saggio tenterà di farla sua fidanzata e sposa (sarà la vera sposa), vorrà abitare alla sua ombra. Descrizioni dell’incontro e confessioni autobiografiche della ricerca della Sapienza ritornano soprattutto in Ben Sira e sapien­ 43 II medesimo significato sembrano avere la «donna della giovinezza» di Pro 5, 15ss opposta alla meretrice, 5, 1- 14.20-23 , e la «buona moglie» di Pro 31,1 Oss.

A ll’ amore cattivo è opposto quello buono della moglie-sapienza. Cf. anche Pro 29,3 , che oppone l’amore della sapienza all’ amore per le prostitute: «Chi ama la sapienza (hokmà) rallegra suo padre, ma chi frequenta le prostitute dissipa la sua fortuna».

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za. Splendido il canto d’amore di Sir 51,13-20, che assume la for­ za del Cantico. Ero giovane, prima di viaggiare, sin dalla mia giovinezza desiderai la sapienza e la cercai. Essa mi venne appresso e io la seguii fino a casa [...]. Decisi di amarla [...] fremetti di gioia senza pentirmi. Arsi di desiderio per lei [...]. La mia mano apri la sua porta, da lei sono entrato e l’ho contemplata. Tesi le mie palme verso di lei e la trovai integra. Le ho concesso la mia vita e mai più mi ritirerò da lei [...]. Le mie viscere ardevano come un forno nel contemplarla; perciò l’ho acquistata, fu un buon acquisto (passim).

Culmine della ricerca è il matrimonio (acquisto, dono della vita) e la contemplazione e «conoscenza» della sposa. Gli fa da contrappunto Sap 8,2-16, che si conclude in modo equivalente. E un matrimonio spirituale, che esige obbedienza e docilità inte­ riore ed esteriore (cf. Sap 6,18), una scelta esclusiva al di sopra di tutti i beni (Sap 7,10). Da parte sua la Sapienza è uno spirito che ama gli uomini (Sap 6,1; 7,23: filànthropon, che significa bene­ volenza, clemenza, moderazione, misericordia). Si traccia con ciò l’ideale del saggio che conosce e cerca la Sapienza, si sotto­ pone a una vera paideia e accoglie il suo «giogo» (Sir 6,18ss; 14,20-27), ma poi si accorge di essere cercato (15,2-4: Sapienza «madre e sposa»; Sap 6,12-16). Sviluppo dell’idea

Le radici sono antiche (cf. P«inno», che cantava le lodi di Dio nel cosmo). Ma ora la Sapienza diventa un Io che si rivolge al­ l’uomo, all’individuo, in modo personale, e gli offre la vita. Essa dipende non solo da un atteggiamento saggio, ma dall’aver «tro­ vato la sapienza»; essa mette in ordine tutta la vita di fronte a Dio (per mezzo suo l’uomo trova il «favore di J h w h » , Pro 8,35). L’e­ sistenza dell’uomo aperto alla conoscenza nel mondo è nel segno di un rapporto amoroso con il mistero dell’ordine. Ne riceve in 235

dono i beni della salvezza: ricchezza, onore, rettitudine e prote­ zione della vita, conoscenza di Dio e riposo. Un passo decisivo è operato dal libro della Sapienza, dove la Sapienza è concepita come presenza di Dio, anima del mondo. Si annuncia una teologia pneumatologica e cristologica che troverà sviluppo nel NT. In conclusione, amore e chiamata della Sapienza: 1) afferma­ no il bisogno di farsi trovare dalla Sapienza che è nel mondo, di accoglierla; 2) rivelano che il mondo non è neutro, ma è favore­ vole all’uomo, ha in sé una volontà benefica; 3) occorre guardar­ lo con atteggiamento di amore, contemplazione e collaborazione. La personificazione non è mitizzazione, ma diviene uno stru­ mento utile per esprimere le sensazioni dell’incontro con l’ordine primordiale, nel sentirsi provocati da esso. L’ordine primordiale rimane nell’ambito della creazione. Appare un nuovo mediatore nella rivelazione, il cui destina­ tario non è Israele, ma l’uomo, ogni uomo, personalmente come individuo. Va oltre la storia di Israele, è tema più universale, an­ che se la dimensione storica è recuperata da Ben Sira (cf. Sir 24 e l’elogio dei Padri, Sir 44-50) e nel libro della sapienza (rilettura dell’Esodo e della Pasqua, come «opera della Sapienza», Sap 10-19). Israele «ha scoperto il mistero di un mondo rivolto verso di lui per aiutarlo, che si trova già in cammino per incontrarlo, è già seduto alla sua porta e l’attende»44. E la coscienza di essere a casa propria nel mondo, anche se questo porterà spesso a delle grosse problematiche (cf. le pagine seguenti). C) FIDUCIA E PROBLEMATICHE DELLA SAPIENZA, GIOBBE E QOHELET 1. F id u c ia

e risposte a l d o l o r e

Il primo atteggiamento dei saggi nei confronti della realtà, pur nella coscienza dei limiti, era una fondamentale fiducia: si tratta­ 44 V o n R a d , o . c ., p. 161.

236

va di indicare ciò che serviva o distruggeva la vita. I motivi di tale fiducia erano due: la fiducia in Dio, espressa in modo diretto da talune sentenze (cf. Pro 3,5; 14,26; 16,3.20; 18,10; 28,25; 29,25), e il riconoscimento di alcune regole valide in base alla lunga esperienza e osservazione, all’evidenza maturata in più genera­ zioni. La tradizione didattica riconosce un reale ordine che pre­ siede la vita, come nel binomio condotta-remunerazione; e rico­ nosce in esso la volontà ordinatrice e garante di Dio stesso (cf. Gb 8,8; 15,17-18; 20,4-5). Al problema del dolore i maestri rispondevano con alcune teorie45, che partivano dalla massa di esperienze, senza una visio­ ne globale del mondo (sistema), portandosi piuttosto sul terreno delle circostanze della vita. Notano le esperienze contraddittorie, senza perciò porre in crisi la fede. - Peccato-sofferenza', non è sufficiente, ne è l’unica possibile spiegazione. - Educazione salutare o correzione (vicina all’idea di prova) at­ traverso la sofferenza: Dio persegue intenti positivi agendo al­ l’interno di sofferenze non provocate da colpe facilmente rico­ noscibili (cf. Gb 33,15-16.19ss). In tal modo l’uomo «ritorna» a Dio purificato mediante la confessione cultuale; ristabilisce cioè la precedente comunione con Dio (cf. gli amici di Giobbe - Elifaz in 5,21 -26). In Sir 4,17-18, dapprima la sapienza si na­ sconde all’uomo, lo conduce per un cammino tortuoso, lo tor­ menta con la sua disciplina, lo prova con le sue esigenze, poi lo riconduce sul cammino retto e gli rivela i suoi segreti. Anche Giuseppe legge le vicende della famiglia e la sua sofferenza come via per la salvezza di molta gente (Gn 45,7). - Un’ulteriore istanza è la capacità di attendere, di «sperare in J h w h » . Emerge il tema della «fine» o «avvenire», ’aìfriv. non si può giudicare la vita secondo l’apparenza del momento, oc­ corre considerare l’esito globale, il termine di un processo nel quale si pone una certa speranza. Il tema è presente in Proverbi e in Siracide. 45 Cf. anche J.M . Me Bologna 1990, pp. 37ss.

D e rm o tt,

La sofferenza umana nella Bibbia

(P b t

Edb,

237

9),

a) Pro 24,19-20: Non adirarti per i malvagi; non invidiare gli empi (cf. Sai 37,1); poiché per il malvagio non ci sarà avvenire ( ’alfrit, cf. Sai 37,38) e la lampada degli empi si spegnerà (cf. Gb 18,5; 18,6; 21,17; Pro 13,9).

Il testo richiama una serie di passi paralleli. Il problema viene inquadrato nella prospettiva dell’esito finale, senza però determi­ narne il contenuto. Sembra una prospettiva non escatologica, ma storica. b) Ben Sira al termine della pericope 1 l,10cd-28, esortando alla fedeltà, ribadisce a suo modo il pensiero, culminante nel­ l’attenzione alla «fine»: Non ammirare le azioni del perverso, confida nel Signore e spera nella sua luce, perché è facile agli occhi del Signore, in un momento, all’improvviso, arricchire un povero... (v. 21 H). Perché è facile per il Signore nel giorno finale rendere all’uomo secondo la sua condotta (v. 26 Gr). Un tempo di sventura cancella il piacere e la fine (swp) di un uomo lo manifesta (vv. 27.25c H). Prima della morte non proclamare felice nessuno, poiché alla fine (be’aìfrìtó) si riconosce un uomo (v. 28cd). Non proclamare beato un uomo prima di esaminarlo, poiché alla sua fine (be[a 'ha]ntó) un uomo potrà esser dichiarato felice (v. 28ab)46.

L’autore concentra l’attenzione sull’esito finale della perso­ na, nel caso, la morte. La morte- ‘aharit-fme-futuro esercita un giudizio retrospettivo da dare su tutta la vita di una persona. Solo allora si potrà dichiarare «beato», riuscito, un uomo47. 46 II testo ebraico (H) al v. 21 è completato con le versioni, soprattutto Greca (Gr). V. 26 è solo in Gr, ma contiene il testo originale, come sostiene la maggior parte degli autori. Vv. 27 .25c dovette essere l’ ordine originale. V. 28 ha due re­ censioni: 28ab sarebbe la più recente contenuta nella versione Siriaca; 28cd = Gr sembra più logica; quest’ultima interpreta ’a l f r i t , «fine», futuro, con allusione alla morte (almeno dal contesto), con en tébiois, «nei figli», cioè «posterità, di­ scendenza»: la discendenza, che prolunga il nome e la personalità del «padre», sarà un segno per qualificare la sua persona, offrirà un quadro globale su di lui. 471 vari sensi di 'aharit sono studiati da V. Hamp, Zukunft und Jenseits im

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Il problema viene riproposto nei tre Salmi: 37; 49; 73 a partire dalla dialettica empio felice-giusto sofferente. Essi pure si con­ centrano sullafine come soluzione del problema. Tuttavia il sen­ so di ’alfrìt non è facilmente definibile. In conclusione, se qualche testo può anche alludere alla spe­ ranza in un aldilà, sembra che il mondo della Bibbia sia interessa­ to a illuminare, in contesto logico, la vita precedente alla morte; a cercare l’esperienza che giustifichi e dia senso alla sofferenza e a un agire coerente. La risposta più complessa resta lo sguardo al futuro ( ’alfrìt ) come apertura a un significato dell’esistenza non esauribile in facili assiomi. In questo tentativo si inserisce la cri­ tica di Giobbe prima e di Qohelet più tardi. 2.

G

io bb e

Premessa

Giobbe è il rappresentante di una inquietudine sulla vita del­ l’individuo, che tenta soluzioni nuove e proprie. Il rapporto con Dio si fa complesso. Egli rifiuta la soluzione semplicistica di eli­ minare Dio o l’uomo per risolvere il problema del rapporto tra i due, cioè il dilemma: o Dio domina e l’uomo scompare, o Dio non esiste e solo allora l’uomo è libero. - Gb si ribella a Dio e si sottomette allo stesso tempo, non lo nega. Lotta contro i difensori della limpidezza delle vie di Dio, gli amici, venuti per consolarlo secondo una tradizione che si ri­ vela insufficiente, ma lo angustiano ulteriormente. - Tutti, amici e Gb, sperano in una risposta da parte di Dio, che avviene, ma in modo oscuro (Gb 38-42), perché il taglio del discorso è ironico e richiede interpretazione. Buche Sirach, B b b 1 ( 1950), pp. 86ss: «fine, distruzione, futuro, morte». Egli nega ogni idea di retribuzione con la speranza nell’aldilà in Ben Sira. Alcuni pas­ si hanno posto il problema, ad es. 1, 13; 2 , 3 ; 7 ,36 ; 9, 11; 11,26-28 ; 16, 12; 17,23 ; 18,24 . La soluzione appare più chiara nell’edizione greca lunga, presente nel Ms 248 (Gr II), ma anche nella versione del nipote; nel frattempo il dibattito si fa esplicito. Dobbiamo però chiederci anzitutto se all’autore primitivo interessava quel problema o avesse altre prospettive, e quale metodo argomentativo abbia voluto scegliere e condurre fino in fondo, cioè il metodo sapienziale, che parte dall’esperienza.

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Contenuto e forma

- Schema del libro (dialogo poetico in 4 atti) Prologo: cc. 1-2 (prosa) Preludio: c. 3 atto I: cc. 4-14: primo giro di interventi con i tre amici (Elifaz, Bildad, Zofar) atto Ih cc. 15-21: secondo giro di interventi (NB: c. 19 è atto di fede di Gb) atto III: cc. 22-27: terzo giro di interventi interludio (solista o coro): c. 28 (elogio della sapienza) atto IV: cc. 29,1-42,6: I parte: parla Gb = lamento (cc. 29-30) e apologia di sé (c. 31); in­ serzione (cc. 32-37): uno spettatore sale sul palcoscenico (Elihu) II parte: parla Dio = due discorsi (cc. 38,1-42,6), Gb si inchina al mistero epilogo: c. 42,7-11 (prosa)

- S t i l e e f o r m e (generi) Il libro è articolato in prosa (cornice: inizio e conclusione) e poesia; vi appare un duplice Gb contrapposto: paziente e ribelle. - Prosa: è un racconto didattico. Una voce fuori scena intro­ duce (e poi conclude) il dramma e rivela la pietà disinteressata del protagonista. Indirettamente, Gb avverte che Dio è «garante» per lui di fronte al «tentatore», satàn 48(lo sa il lettore, Gb non lo sa!). Egli rifiuta di «maledire» il suo Signore, accetta la prova. - Poesia: è un dramma con discorsi e dialoghi. Al c. 28 ab­ biamo anche un «inno», ma i brani ricordano i salmi di lamenta­ zione con parti di fiducia. - Dramma: presenta in tensione i tre protagonisti, Gb, gli amici e Dio. La prima parte è posta tra due lamenti: c. 3 la conso­ lazione si tramuta in contesa; cc. 29-31 è l’ultimo appello di Gb a Dio perché scenda a giudizio con lui. 48 II termine non ha il significato corrente; indica semplicemente colui che nel consiglio divino (cf. 1,6) ha il compito di mettere alla prova la virtù di Gb, una specie di accusatore, che riceve libertà di azione; è creatura a servizio di Dio, non a lui ribelle.

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- Salmi di lamentazione', è l’elemento dominante, che rivela l’aggressività, ma anche la fiducia (cf. Gb 3,9-31); è lamentazio­ ne diversa da quella per le persecuzioni dei nemici o per il lutto. Diviene linguaggio giuridico, vi appartiene anche l’accusa a Dio presente in tutti i lamenti del protagonista: è accusato e arbitro in­ sieme, colui che deve decidere nella contesa con gli amici. - Discorsi : rappresentano la parte centrale del poema, ma mancano di progressione; sono a cerchi concentrici, in un quadro intellettuale circoscritto (praticamente gli interlocutori continua­ no a ripetere la loro tesi, senza recepire il contraddittorio dell’av­ versario). Si susseguono tre serie di dialoghi (cc. 5-14; 15-21; 22-27: a ogni intervento degli avversari Giobbe replica con le sue tesi); nel 4° atto si inserisce, dopo l’ultima lamentazione di Giobbe, il discorso di Elihu (quasi un libero intervento dalla pla­ tea, che di fatto intende mediare tra le varie posizioni)49; i due «discorsi» divini, che racchiudono la tesi dell’autore, concludono il dramma.

49 Sembra inserito posteriormente per assumere una posizione mediana (e tra­ dizionale) tra le varie tesi. Gli autori discutono sull’ autenticità. E molto ampollo­ so nell’ introduzione e barocco nelle argomentazioni. Il discorso divino finale non lo degna di attenzione. Interessanti osservazioni sulla struttura generale del libro attuale sono riportate da V. M o r l a A s e n s io , o .c ., p. 125. Il libro di Giobbe consta di tre parti corrispondenti agli elementi fondamentali di una narrazione in genere o del racconto popolare in particolare: esposizione ( J h w h affligge Giobbe), com­ plicazione (Giobbe accusa J h w h ; J h w h accusa Giobbe) e scioglimento ( J h w h be­ nedice Giobbe). Lo scioglimento ha luogo dopo che Giobbe, accusato falsamente da Dio, ritira la propria denuncia contro quest’ultimo. Forse più interessante ri­ sulta lo schema della metafora giuridica (con Habel): A . Anticipazione ( 1, 6-11 ; 22, 1-6); B. Possibilità di ricorrere in tribunale (capp. 1-9); C. La parola all’accu­ satore (cap. 13); D. Annuncio di un giudice ( 16, 18-21 ; 19,21-29); E. Testimo­ nianza dell’accusato (capp. 29 -30); E ’ . Giuramento e parola all’accusato (cap. 31 ); D ’ . Verdetto di un giudice (capp. 32 - 37 ); C ’ . L a parola a ll’ accusato (38,lss; 40 ,6ss); B ’ . Si rinuncia a ricorrere al tribunale (42, 1-6); A ’ . Assoluzione (42 , 7-9). L ’autore propende con validi argomenti per ravvisare come genere let­ terario la controversia o disputa legale. D ’altra parte, prevalgono gli elementi sapienziali: la tradizione sapienziale offre l’ ispirazione generale (possibilità di una religione disinteressata, causa della sofferenza, problema della teodicea) e gran parte del vocabolario.

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Significato e contenuto dei dialoghi

Tesi comune

a) La sofferenza è da Dio, in qualche modo lo coinvolge. b) La sofferenza ha un significato. Ma quale? Nasce lo scon­ tro, che si esplica in due diversi generi letterari: confessione sacra (amici); lamentazione (Gb). Gli amici

Sono rappresentanti della tradizione. Partono dal presupposto di percepire delle regole, delle leggi nel rapporto uomo-Dio. Pre­ suppongono un Eloah (il titolo più frequente di Dio in Gb) incon­ testato e incontestabile; non può commettere ingiustizia. Essi af­ fermano: - Nessun uomo è senza peccato, perciò tutti devono soffrire (cf. Gb 32,1); è un pensiero comune in Israele. - La ribellione è peccato: l’uomo non può far domande a Dio. La sua «vanità» e il suo peccato non lo permettono. Dio punisce il peccatore, cioè la retribuzione è una regola di vita fondamentale stabilita da Dio (cf. sopra: fiducia). Da que­ sta premessa derivano le indicazioni pratiche: a) arrenditi al castigo di Dio ed evita la ribellione; b) convertiti e confessa il peccato. Richiedono la «confessione sacra», che riconosce la sofferenza come giudizio salutare. Allora Dio sospenderà il processo contro Gb, forse ritornerà in grazia e sarà reintegrato nella comunione. Giobbe

Non accetta di «confessare», ma risponde con il lamento, che apre (c. 3) e chiude (cc. 29-31) i dialoghi. Diviene querela davan­ ti (per essere difeso dalle accuse dei nemici) e contro Dio (diven­ ta accusa contro di lui in quanto creatore del mondo e dell’uomo, cc. 9-IO50). Riconosce il «giudizio» divino, ma reagisce diversa­ mente: 50 Cf. C. W e s t e r m a n n , Il doppio volto di Giobbe, «Concilium» 9/ 1983, pp. 33-48 . Gb loda il creatore, ma non lo comprende. Al c. 9, lodando il creatore del

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la sua innocenza (tummà). È Dio che ha rotto la rela­ zione, che egli sentiva molto personale51. - Propone la necessità di un dialogo e confronto con Dio (cf. Gb 31). Lo chiama in giudizio, si appella a lui come ultima istanza, accusandolo e rimettendo la causa interamente nelle sue mani. - Ma ritiene il confronto impossibile, poiché egli avverte la li­ bertà di Dio come «arbitrarietà»: non si cura dell’appello uma­ no e stabilisce da sé il proprio diritto; non può essere citato in giudizio, perché non vi può essere un arbitro tra lui e l’uomo. Risultato, se Dio non vuole, l’uomo è impotente.

- Protesta

Anche se avessi ragione, non potrei rispondergli, al mio giudice dovrei implorare pietà. Se lo chiamassi perché mi dia risposta non credo che presterebbe ascolto alla mia voce; mi travolgerebbe nella tempesta, mi caricherebbe di ferite senza motivo (9,15-17).

Nasce perciò un dissidio più grande che all’inizio con i suoi interlocutori. A differenza dei suoi amici, è insopportabile per Gb un Dio che si scaglia contro il giusto, che lo tormenta a piace­ re (cf. Gb 16,9-17). Nella sofferenza egli prova la «collera» di Dio in modo nuovo. Il punto di crisi è dunque un Dio che diviene problematico; non è più il «Dio per me», «difensore e salvatore», dell’esperien­ za secolare di Israele, ma un Dio libero e terribile, arbitrario e ter­ rorizzante. Gb usa perciò tutti i mezzi a sua disposizione per co­ stringere questo Dio a uscire dall’ambiguità; vuole riconoscerlo mondo (vv. 4 - 13) per cui nessuno può essere giusto di fronte a lui, ritoma sull’ a­ zione distruttrice del Signore (vv. 5- 7 . 12- 13). Nel c. 10, riconoscendo la libertà divina, ne manifesta il potere terrificante: è un tiranno che può distruggere l’ uo­ mo. Nei cc. 12-14 si rivolge direttamente a Dio con una citazione giudiziaria: con quale diritto agisce cosi colui che è il Signore della storia? Gb fa rimostranze, espone il suo caso; al c. 14 manifesta il desiderio di morire, rivela però l’ incondi­ zionata fedeltà nonostante le accuse (vuole un po’ di pace prima di morire). Il punto cruciale è ai cc. 15-21, che rivelano però anche i momenti più alti di fede: Dio è accusato di essere il suo «nemico». I cc. 22-23 e 24-27 non hanno un’ accu­ sa chiara; c. 31 contiene il lamento conclusivo con il «giuramento di innocenza» e l’ invocazione: «che Dio ascolti!» ( 31,35-37). La risposta avviene nei cc. 38-41 . 51 Non si ritiene impeccabile, ma non avverte in sé un peccato così grave da spiegare l’ eccesso di sofferenza e l’ aggressione di Dio.

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ancora come il «suo» Dio, ritrovare la sua protezione, entrare in dialogo con lui a qualunque costo52. Esige una risposta nonostan­ te tutte le premesse; tale pretesa diviene accorata nella perorazio­ ne finale (31,35-37). La risposta divina (e dell’autore) avviene nei discorsi finali. Gb ha un’esperienza nuova e saprà di essere stato esaudito; il suo appello è stato accolto. Il suo lamento si pla­ ca. Si tratta di interpretare quei discorsi. La risposta di Dio nella tempesta. Sottomissione di Giobbe (38,1-42,6)

La risposta tanto attesa alla fine viene. Dio deve rispondere perché Gb l’ha accusato e potrebbe sembrare che si possa impu­ nemente offenderlo; d’altra parte è stato chiamato in causa diret­ tamente, non potrà essere neutrale. Interviene per dirimere la que­ stione e rispondere alle diverse attese, degli amici e di Gb (forse anche dei lettori!). Gli uni si attendono un fulmine che faccia ta­ cere lo spergiuro (cf. 20,23-28), l’altro invoca un incontro dram­ matico (la tempesta fa da ottima cornice), per stabilire la propria innocenza e di conseguenza la colpa di Dio53. Ma questi respinge le accuse di Gb e confuta le tesi degli amici sulla retribuzione, ri­ conoscendo l’innocenza di Gb. Il testo è articolato in due discorsi (cc. 38-41) e nell’atto di sottomissione da parte di Gb (42,1-6). Dio nella tempesta, segno della sua potenza e sovranità, non travolge l’interpellante come questi temeva (cf. 9,17). Lo stile è ironico, con ripetute domande, difficile da decifrare. E forse aperto a più interpretazioni legitti­ me. Ci lascia con molte delle nostre domande, ma nello stesso tempo conduce e invita a una ricerca più profonda, oltre lo scon­ tato. Il discorso è concentrato a partire dalle due domande inizia­ li, che suonano come rimprovero a Gb: 38,2(3) [la risposta in 42,3 = 38,2a considera come unità i cc. 38-41] e 40,8. 52 Cf. V o n R a d , o .c ., p. 200 . 53 Alonso afferma che anche il lettore e il commentatore hanno forse preso parte per Gb o per Dio, sia pure con dubbi ed eccezioni; in un’ ambiguità indecisa. Lo confermano le molteplici interpretazioni di queste pagine, riportate dall’auto­ re nel commentario, cf. L. A l o n s o S c h ò k . e l - J.L . S i c r e D i a z , Giobbe, Boria, Ro­ ma 1985, pp. 598-600 .

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I discorso: la Sapienza creatrice. Dio elenca la creazione del mondo con tutti i suoi elementi, dal cielo alla terra. La creazione e conservazio­ ne degli esseri con la conoscenza di quanto è a loro necessario. Gb ac­ cenna a una prima risposta in 40,3-5. II discorso: Dio controlla tutte le forze, anche le più potenti e nega­ tive. Particolarmente spettacolare la descrizione di behemót [plurale di «bestia», «bestiame», la bestia per eccellenza, a indicare una realtà «mostruosa» di forza straordinaria], identificato in Ugarit con l’elefante 0 con un mitico bufalo e qui con P«ippopotamo», e dei mostri marini, particolarmente leviatan, un mostro del caos primitivo, qui identificato con il «coccodrillo». La risposta finale di Gb è in 42,1-6.

1 discorso: Gb 38,2-3 Chi è costui che denigra il mio piano {mizeh mahsik ‘esa) con parole senza conoscenza? Cingiti i fianchi se sei uomo: 10 t’interrogherò e tu mi renderai conto.

11 discorso continua con la serie di domande che dovranno li­ berare Gb dalla pretesa di conoscere tutto e confutare le sue accu­ se. Dio afferma di avere dei «piani» sulla creazione e respinge l’accusa di arbitrarietà (cf. 10,13-17). Anche se Gb aveva confes­ sato che ogni piano appartiene a Dio (12,13), in un certo modo aveva negato ogni retribuzione e il piano della creazione (cf. c. 3): hasak, «oscurare», fa forse appello al caos primitivo (Gn 1,2). Gb ha «oscurato», «denigrato» Dio, si è permesso di fare delle illazioni «senza ragione», con insipienza e sconveniente­ mente sulle cose che riguardano Dio. Alla fine, pentito, egli ri­ prenderà con la stessa frase di 38,2 nella risposta: Chi è il senza conoscenza, che può denigrare il tuo piano {ma ‘Um ‘esà: 42,3)?

Il primo discorso si conclude con un’ulteriore domanda di Dio e una prima risposta di Gb: il silenzio. Si sente impotente più che convinto. Replicò J hwh a Giobbe e disse: Vuole il censore contendere con Shadday (Onnipotente)? Chi accusa Dio, risponda! Giobbe rispose al Signore e disse:

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Ecco mi sento piccolo, che cosa posso replicare? Pongo la mia mano davanti alla bocca. Una volta ho parlato, non replicherò, due volte, ma non insisterò (40,1-5).

II discorso: Gb 40,8

Dio trae le conseguenze del primo discorso e lancia la sfida a Gb. Il nuovo discorso prolunga il dibattito, affrontando il proble­ ma del male. Gb aveva ottenuto una prima vittoria: aveva fatto intervenire Dio senza essere fulminato. La risposta divina lo ha ammutolito. Ma Dio ha ancora dell’altro da fargli comprendere e ammettere. Ora affronta un problema giuridico: ha ’ap taper mispati/ tarsi'eni lema ‘an tisdaq Osi violare il mio decreto (o annullare la sentenza), condannare me per essere tu assolto?

Si tratta di un processo, dove Gb aveva capovolto il ruolo: aveva accusato di ingiustizia il Dio giudice, perché senza motivo lo castigava. La proclamata innocenza di Gb esige la colpevolez­ za di Dio? Dio respinge questa impostazione, introduce nei vv. 9­ 14 l’elemento del malvagio e propone a Gb di prendere il suo po­ sto, lo sfida a governare meglio di lui: prenda le redini del mon­ do, appaia in una teofania e annienti i malvagi. Sarebbe una solu­ zione, una vittoria? Di fatto, Dio non elimina gli animali nocivi, behemót e leviatan (vv. 15ss), né ha eliminato satàn. Gb vuole farlo, sarebbe possibile, ne uscirebbe vincitore? Il culmine dell’i­ ronia è al v. 14; Gb farà da Dio e Dio gli canterà un inno di lode: «Allora anch’io ti darò lode: “ la tua destra ti ha dato vittoria!”». Perciò continua la perorazione della propria causa e dei propri «decreti» come giusti. Alla fine Gb si sottomette (42,1-6). Rico­ nosce l’onnipotenza di Dio: per questo egli può tollerare anche il male; confessa la propria ignoranza e presunzione e accetta di aver detto cose senza senso negando un piano divino sulla crea­ zione; aggiunge la sua nuova esperienza di Dio raccolta nei due verbi: dalla conoscenza per «aver sentito» all’esperienza perso­ nale, «vedere». Non spiega, contempla. Per sentire d’orecchio ti ho conosciuto, ma ora i miei occhi ti vedono (v. 5).

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Nella teofania e nella parola Gb si è incontrato con il Signore, lo ha compreso più profondamente. Nel lungo intervento il Si­ gnore ha descritto la sua potenza e la sua tenerezza nei confronti di tutta la creazione allentando l’angoscia di Gb. Il mistero persi­ ste, ma ora egli ha il coraggio di affrontarlo e di addentrarvisi: «Solo un uomo in ricerca può avere la lealtà di riconoscere che, pur non comprendendo appieno, si è potuto affacciare sull’abisso del mistero»54. Perciò rifiuto e sono consolato su cenere e polvere (v. 6 )55.

La conclusione finale esprime la duplice esperienza antitetica del rifiuto della sua situazione, che lo gettava nel lutto, e della consolazione, perché sa che, nonostante tutto, Dio è dalla sua par­ te. Il lettore lo sapeva sin dall’inizio, ora anche Gb ne è consape­ vole. La coscienza che Dio gli è vicino è più grande della malattia. NeWepilogo (42,7-17) l’autore ha voluto riprendere i dati tra­ dizionali del racconto antico e rispondere ad alcune questioni ri­ maste in sospeso. I vv. 7-9 rappresentano la sentenza del proces­ so, sentenza assolutoria per Gb, non per gli amici, nei riguardi dei quali Dio chiede al protagonista di diventare «intercessore» soli­ dale (v. 10) per liberarli dal male: esige da lui un ultimo sforzo, rinunciare a ogni rancore e assumere la loro causa davanti a lui. Gb infatti aveva detto la nekónà, «cose valide, ben fondate», nei confronti di Dio, aveva cioè assunto un atteggiamento corretto, quello del credente che non si rassegna al non senso di Dio. La sua passione veemente e i suoi discorsi paradossali non erano do­ minati da volontà di rottura, ma intendevano affermare la «giusti­ zia» di Dio. Gli amici invece, non avevano detto cose altrettanto valide. Non erano in causa le loro parole, tratte dalla tradizione, quanto piuttosto Vintenzionalità dei loro discorsi: avevano parla­ to a favore di Dio contro l’uomo, si erano situati accanto a Dio 54 G. B o r g o n o v o , La notte e il suo sole. Luce e tenebre nel Libro di Giobbe. Analisi simbolica (Analecta Biblica 135), Pib, Roma 1995, p. 82 . 55 B o r g o n o v o , o.c., p. 83, traduce: «Perciò detesto polvere e cenere, ma ne sono consolato». Più frequente è l’ interpretazione che vede qui un atto di penti­ mento e penitenza. Gb ritratta, ossia respinge le parole e l’ atteggiamento interiore precedenti: «Perciò mi ritratto e mi pento su polvere e cenere» (cf. L. A l o n s o S c h ó k e l , Giobbe, Boria, Roma 1985, p. 669).

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per meglio accusare Gb. In questo avevano irritato Dio; era una caricatura e un attentato alla sua giustizia. L’ultima parte dell’epilogo (vv. 10-17) conclude il libro con la restituzione dei beni. Non si tratta della semplice ripetizione della teoria tradizionale. Infatti, Dio rende i beni a Gb dopo aver­ lo qualificato come «intercessore» e dopo che lo stesso Gb ha ri­ conosciuto che esistono «cose meravigliose più grandi di me» (nipla ’ót mimmenni). La restituzione è un atto della divina bontà, della sua fedeltà e generosa gratuità. L’iniziativa infatti non viene da Gb, ma da Dio «che decide di non restare adirato con i suoi amici, di fare intervenire Giobbe, di avere riguardo per lui, e infi­ ne di gradire l’olocausto degli amici unicamente a causa dell’in­ tercessione di Giobbe»56. Interpretazione

Il volto di Dio

Il problema che assillava Gb era il volto di Dio, su cui aveva dibattuto con gli amici. Qual è questa nuova esperienza? Il discor­ so divino rappresenta il punto cruciale dell’opera. Rivela la tesi dell’autore e il volto di Dio. Riteniamo utili in proposito le osser­ vazioni di Alonso che parte dalle attese di Gb nel corso del libro. a) Voleva incontrare Dio (Gb 13,15s; 23,3). Dio si manife­ sta e Gb lo riconosce: «i miei occhi ti vedono» (42,5). Giunge all’incontro, in compagnia di Dio. Richiama Sai 73: Dio invita ad ascendere per intravedere in lontananza il destino dei malvagi, ma soprattutto invita il salmista all’incomprensibile e incompara­ bile compagnia di Dio. Anche in Gn 32 Giacobbe vede ed è sal­ vo; il fatto ripetuto con Gb è già un’importante giustificazione. b) Voleva discutere con Dio, dialogare direttamente con lui: lo sfida e accusa (13,20-24). Dio non risponde all’accusa («quan­ ti sono i miei peccati»), ma, contro gli amici (42,7-8), riconosce 56 J. L e v e q u e , L ’épiloguedu livredeJob. Essai d ’interprétation, in F. M ie s (a cura), Toute la sagesse du monde. Hommage à Maurice Gilbert, s.j., pour le 65c anniversaire de l’exégète et du recteur (Le livre et le rouleau, 7), Editions Lessius, Bruxelles 1999, p. 48 (articolo, pp. 37-55); Ide m , Job etson Dieu, Gabalda, Paris 1985.

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valido il giuramento di innocenza di Gb. Rimprovera solo di cen­ surare il piano divino senza comprenderlo57. c) Chiedeva una tregua dal dolore prima di morire (Gb 10,20). La ottiene pienamente. Il tono ironico e condiscendente di Dio mostra che non vi è ostilità. A Dio è sufficiente un tono persuasivo e capace di rasserenare. E una fermezza comprensiva che a noi suona patema. La felice tregua lascerà il passo a una tappa di ristabilimento. Gb trova in Dio la compassione, la com­ prensione, le ragioni persuasive, che chiedeva agli amici (6,14.24-25). d) Chiedeva la colpevolezza del rivale per ricevere la propria giustificazione e assoluzione (40,6-14, spec. v. 8). Questa impo­ stazione Dio rifiuta: la proclamata innocenza di Gb non esige la colpevolezza di Dio. Respinge il dilemma: - va condannato l’uomo per giustificare Dio = la sofferenza è ca­ stigo; è il tema degli avvocati di un Dio senza misericordia (le­ gato a leggi meccaniche); - o va condannato Dio per giustificare l’uomo = la tesi di Gb. Nella replica Dio presenta la relazione in modo più comples­ so. L’impostazione «giuridica» va usata con cautela. Come prin­ cipio generale è ingiusta contro Dio e contro l’uomo. Anche fra gli uomini il diritto reciproco è soddisfacente come unica impo­ stazione? Nelle relazioni con Dio non vi sono altre impostazioni come la lode, la fiducia e l’amore, la misericordia, la gratuità? Il doppio volto di Giobbe

Westermann affronta il problema del «doppio volto di Giob­ be»58. Mentre il «dramma poetico» è imperniato sulla «lamenta­ 57Von Rad, a sua volta (o.c., pp. 203ss), osserva che Dio afferma l’esistenza di un suo piano nel mondo, ma rinuncia a dire qualcosa che lo spieghi. Tuttavia, non esige da Gb un’assoluta rassegnazione né provoca agnosticismo, ma ne sol­ lecita la riflessione. Rispondendo con domande che partono dalla creazione, pre­ senta dei fatti quotidiani: «E la creazione che fornisce a Dio la possibilità di ren­ dersi testimonianza». Essa testimonia la serenità di Dio nel volgersi verso un mondo che sfida tutti i criteri della razionalità umana. Dovrebbe aiutare l’uomo a ritrovare la propria serenità di fronte alle aporie insolvibili. 58 W estermann,

o . c .,

pp. 33-48.

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zione», il racconto sottolinea la fiducia di Gb «pio e paziente». Tuttavia, nonostante la tensione e la non convergenza delle due unità, il redattore dovette ritenere possibile la connessione tra il racconto preistorico (cf. Ez 14,14.20) e il dramma. Nel racconto scopriamo che Dio mette alla prova Gb (come Abramo e Isacco, Gn 22): egli unisce sofferenza e fedeltà (indi­ rettamente, come dice Von Rad, egli coglie la protezione e il pen­ siero di Dio); è un pio esemplare. Anteponendo il racconto, il re­ dattore vuole mostrare che Gb era un uomo pio, timorato di Dio; desidera che il Gb ribelle non dia una falsa impressione: è sempre il Gb fedele. Il poeta era convinto che i due atteggiamenti erano del tutto possibili in una stessa persona. Infatti, esaminando la querela fatta a Dio, Gb continua a lodare Dio anche se non lo comprende (cf. cc. 9-10); e la fiducia permane, anche se il motivo è poco usato (16,19-21 e 19,25-27). In conclusione. Dio accetta anche il linguaggio della dispera­ zione di un sofferente che dubita della divina giustizia, se questi continua a tenersi saldamente a lui legato. Pio e ribelle sono la stessa persona, possono coesistere. Gb è ribelle contro gli amici: Dio tacendo sembra stare dalla loro parte, ma egli risponde. L’au­ tore offre il suo messaggio in un tempo di sconvolgimenti, non mette assieme la teoria del Dio che benedice e maledice con la teoria della retribuzione. Per Gb tale dottrina non è realistica; egli rimette in questione che significa affermare Dio di fronte alla sof­ ferenza incomprensibile e inspiegabile. 3.

Q o h e le t o E c c le s ia s t e

Introduzione Autore e ambiente

Il titolo - Qohelet - è nome femminile (da qahal, «assem­ blea»), ma con significato maschile, a indicare probabilmente la professione dell’autore (maestro di scuola) o la lettura in comuni­ tà, oppure si tratta di un soprannome, «colui che riunisce», per indicare il fondatore di un circolo o di una scuola filosofica. Se­ condo Lohfink Qohelet «è il libro più mediterraneo dell’AT e su­ 250

bisce il fascino dell’ellenismo»59, intendendo con il termine la cultura dei grandi autori e dei filosofi, come Omero, Eschilo e Sofocle, Platone e Aristotele, recepita a livello popolare. «Il libro di Qohelet può essere inteso solo come un tentativo di ricavare dall’interpretazione greca del mondo quanti più elementi possibi­ le, senza costringere la sapienza israelitica a rinunciare contem­ poraneamente alla sua autonomia. Da un lato infatti l’antica sa­ pienza di Israele, anzi dell’Oriente, costituisce nel libro lo sfondo ovvio, per contenuto e forma; dall’altro il discorso prende le mos­ se dalla nuova realtà così come essa si è ormai imposta, e l’ispi­ razione proviene chiaramente dalla cultura greca»60. Infatti, nello stile, sembra citare proverbi antichi per vagliarli criticamente, as­ sentire o dissentire o ironizzare nei loro confronti. Per quanto riguarda la lingua, l’autore scrive in un ebraico tardivo, vicino a quello della Mishnd, un ebraico sui generis che presta attenzione all’idioma del popolo, che parlava aramaico (numerose sono infatti le parole aramaiche), e sviluppa concetti filosofici a partire dal linguaggio commerciale (cf. salario, van­ taggio, ecc.). Sintassi greca e stereotipi del linguaggio della cul­ tura greca penetravano allora nell’ebraico, come oggi molte paro­ le in inglese. La data di composizione dell’opera sembra perciò da porsi, più logicamente, nell’epoca ellenistica, verso la fine del terzo se­ colo (220-200 a.C.), a Gerusalemme: qui si può comprendere meglio il fatto che il libro sia scritto in ebraico61. 59N. L o h f in k , Qohelet, Morcelliana, Brescia 1997 (ed. ted. Echter Verlag, Wiirzburg 1980), p. 9. Nel suo commento sottolinea particolari aspetti, come l’at­ mosfera intemazionale della sua filosofia, il radicalismo esistenzialistico, l’ango­ scia dell’uomo ricco per il futuro e le lacrime dei poveri, la corruzione politica, la gioia dei sensi, la bellezza del linguaggio e la potenza della retorica - ma soprat­ tutto il timore di fronte al mistero ultimo e, appena accennato, l’amore nascosto per Dio (cf. p. 10).

g h i,

60Ivi, p . 17. 61Tuttavia, data e luogo sono ancora discussi. Per il problema, cf. L. M a z z in lo ho cercato e ho esplorato. Studi sul Qohelet, E d b , Bologna 2 0 0 1 , pp. 6 7 ­

La data prospettata dagli autori va dal periodo persiano al periodo ellenistico: l’ambiente sociologico e antropologico non è ancora ben studiato; due termini sono certamente derivati dal persiano indicando un periodo postesilico, mentre la presenza di frammenti a Qumran impedisce di scendere oltre il li secolo a.C. 76.

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L’ambiente d’origine, anche dal ricorso alle citazioni, rivela il mondo della «scuola» e quello della borghesia mondana aperta, tipica del periodo tolemaico, con lingua e stile di vita greci, pre­ senti anche a Gerusalemme. L’autore del libro di Qohelet è dunque un filosofo ebreo del III secolo a.C. che tenta un dialogo tra la fede e la cultura giudai­ ca con la filosofia greca soprattutto popolare, cinica, stoica, epi­ curea, scettica. Genere letterario

Per il genere letterario gli autori hanno proposto diverse ipo­ tesi. «Testamento regale» diffuso in Egitto (Von Rad, seguito da Moria Asensio), unito attorno ad alcune nozioni fondamentali, ed es. «vanità», «inseguire il vento», «pena», «parte», ecc. «Diario di riflessioni» o «pensieri»: «nessun giorno il tema è prestabilito, nessun tema impone uno sviluppo prefissato; un tema può ritor­ nare in variazioni e metamorfosi, senza escludere interferenze te­ matiche» (Alonso)62. «Diatriba fdosofica dei cinici»: riconosce il duplice influsso ideologico-formale della filosofia popolare (cini­ ca, cirenaica, scettica e, in parte, anche stoica ed epicurea) unita al principio della disposizione simmetrica, eredità della retorica semitica e biblica (Lohfink); più che un genere indica un procedi­ mento. Il fatto mostra la difficoltà di classificare il materiale. For­ se il «diario» corrisponde all’impressione più comune; l’autore prende del materiale già esistente e, da buon maestro esigente, lo sottopone alla critica per considerarne la consistenza o la «va­ nità». Il problema si riflette sulla struttura. Per il luogo, R. M urphy (Ecclesiasles [Word Biblical Commentary 23A], Dallas 1992, p. X X II) sostiene che non esiste una prova conclusiva in base al testo; la tesi di una provenienza nordica, siro-fenicia (M . D ahood, Qohelet and thè Nortwest Semitic, «Bib» 43 [1962], pp. 349-365; Idem, Phoenician Background of Qohelet, «Bib» 47 [1968], pp. 264-282, tesi ripresa da Bellia-Passaro, in base a un approccio socio-antropologico, cf. Bibliografia), è contestata, in base a uno studio linguistico, da A. Schoors, Words Typical o f Qohelet, in Id e m (a cura), Qohelet in thè Context o f Wisdom (B e tl 136), Louvain 1988, pp. 17-40. 62 L. A lo n s o Schòkel, Eclesiastes y Sabiduria, Madrid 1974, pp. 14-15, ac­ colto da B o nora, o.c., pp. 50-51; J. V ilch ez Lindez, Qoèlet, Boria, Roma 1997, pp. 60ss: è vicino al concetto di «pensieri» che comportano pluralità di generi.

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Struttura e contenuto

La struttura è dibattuta. È difficile stabilirla dato il carattere dell’opera stessa e l’intreccio dei temi. L’intero libro è percorso della tecnica della Leitwort, che trova corrispondenza nell’Antico Oriente. Essa fa sì che tutto sia intrecciato insieme con il tutto in una misteriosa rete, e ogni interprete che cerchi un procedimento lineare del pensiero, sarebbe senza speranza di salvezza, immi­ schiato in questo sottile mondo linguistico. Tuttavia l’insieme ha una sistemazione63. Nei dodici capitoli tutto confluisce verso una struttura ciclica dell’opera. E la sapienza degli opposti che si esprime per antitesi e polarità : la logica di Qohelet non è dimostrativa, ma «dialettica» (stile della diatriba: cinica?). Due sono i temi dominanti: il senso dell’agire umano, del suo affaticarsi; il valore della sapienza inte­ sa come capacità di riflessione e come sapienza tradizionale. Quattro poemi attirano l’attenzione sulle problematiche del li­ bro: a) 1,4-11 (cosmo e uomo); b) 3,1-8 (i tempi); c) 7,1-8 (ciò che è meglio, tób); d) 11,7-12,7 (vecchiaia e malattia o morte). Si possono riconoscere due parti con corrispondenze stilistiche e tematiche64. 1,1.2-3: titolo e motto di un autore anonimo che intende tramandare i detti di Qohelet: hebel habalìm hakkol hebel - quale vantaggio dall’affannarsi dell’uomo?

I - 1,4-6,9: ricerca di ciò che è bene per l’uomo e senso del suo agire A) 1,4-3,15: Io (le esperienze del protagonista alla ricerca della feli­ cità).

Cosmologia (1,4-11), antropologia e teologia (1,12-2,26); tempi (3,1-15). Di fronte al dominio della morte ogni possibilità e riuscita

65Cf. N. L o h f in k , Introduzione. 64 Mi ispiro alle proposte di V. D ’A la r io , Il libro di Qohelet (Supplementi alla Rivista Biblica 27), Edb, Bologna 1992, che si appella a Lohfink, o.c., e a P. Rousseau, Structure de Qohelet 1,4-11 et pian du livre, «VT» 31 (1981), pp. 200-217: Qo 1,4-11 costituisce una premessa sviluppata nel libro in una struttura ciclica. Alcune note sono anche in J. Coppens, La structure de l'Ecclésiaste, in M.G ilb e r t (a cura), La sagesse de 1'Ancien Testament. Nouvelle édition (B e tl LI), Louvain 1990, pp. 288-292, che tratta più delle varie fasi o motivi della com­ posizione.

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si rivelano hebel\ sotto il profilo teologico, la felicità umana è già do­ nata da Dio all’uomo, questi non la crea da sé. Tutto ciò che accade è agire di Dio, opera perfetta, eterna, ma l’ordine del mondo è al di là della conoscenza umana. A ll’uomo rimane il timore di Dio che lo mette in sintonia con l’azione divina e gli fa accogliere, di volta in volta, il dono ricevuto e riconoscere il suo limite, perché la totalità del mondo gli resta impenetrabile. L’azione umana da sola è puro fal­ limento (hote’, 2,24-26), ma la gioia non è irraggiungibile, è parte dell’agire bene (3,12). B) 3,16-6,9: tób - ciò che è bene per l ’uomo. Qohelet esamina il mondo, se c’è il bene. È approfondimento critico a partire dal sociale. L ’analisi è severa: corruzione del diritto, oppressione delle classi in­ feriori, concorrenza spietata tra i ricchi, solitudine dei potenti, volubi­ lità della piazza, intricata burocrazia impiegatizia, fallimenti nel com­ mercio, destino da schiavi di chi un tempo era ricco. E riconferma dello hebel e del timore di Dio. In una specie di «intermezzo» (4,17-5,6), vi è anche la critica della religione che denuncia le forme esteriori di una religiosità solerte, ma non vissuta seriamente, alla quale Qohelet contrappone il timore del Signore. Il -7,1-11,6: la sapienza tradizionale 6 , 1 0 -1 2 : passaggio (cf. gli interrogativi al centro)

B ’) 7,1-9,6 (7,1-8: tób -«è meglio»): critica dell'ideologia e sapien­ za tradizionale per vagliarla criticamente, soprattutto riguardo al prin­ cipio di retribuzione: condotta buona equivale a felicità lunga; con­ dotta malvagia comporta infelicità e morte prematura. Per Qohelet non c’è una sentenza immediata (8 , 1 1 ), anche se i giusti e i saggi e le loro opere sono nelle mani di Dio (9,1). L ’uomo rimane esisten­ zialmente costretto a vivere il singolo momento e ad accettare il bene o il male dalle mani di Dio finché piomba su di lui la morte. A ’) 9,7-11,6 (11,7-12,7: vecchiaia e malattia): etica e antropologia. E invito alla gioia, accettandola da Dio (9,7-9), e insieme a operare con efficacia finché si hanno le forze. Accentua aspetti che la sapien­ za classica non descriveva o trascurava o giudicava erronei, come il ruolo della persona colta in mezzo a una classe politica dirigente reclutata, a dire il vero, secondo criteri diversi da quelli della compe­ tenza oggettiva (cf. 9,13ss), e la cura del patrimonio personale, all’in­ terno di una collettività divenuta incontrollabile e perciò non più in grado di sostenere l’esistenza del singolo ( 1 1 , 1 ss).

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12,8-14: Epilogo. Un anonimo redattore presenta ai lettori attività e testi di Qohelet che la tradizione ha identificato nel re Salomone, ideale di sapienza.

Interessante è l’esortazione che precede la descrizione della vecchiaia e della malattia, ché la giovinezza passa presto. Il testo è sintetizzato nei due imperativi: «rallegrati» e «pensa o ricorda il tuo Creatore» (11,9-12,1). Se un uomo vive anche molti anni, se li goda (sàmah) tutti, ma ricordi (zdkar) i giorni oscuri, che saranno molti. Tutto quello che viene è effimero/inconsistente (hebel). Rallegrati (semah) giovane, nella tua giovinezza, agisci bene (mantieni buono il tuo cuore) nei tuoi anni giovanili! Va’ dove ti porta il cuore e verso ciò che vedono i tuoi occhi, Ma sappi che Dio ti chiamerà in giudizio (bammispàt) per tutto questo. Mantieni il tuo animo libero dalla collera e proteggi il tuo corpo dalla malattia; poiché la gioventù e l’aurora (della vita? i capelli neri?) sono un soffio. E ricorda (zekor) il tuo Creatore (bòre ka) nei tuoi anni giovanili, prima che vengano i giorni della malattia, e giungano gli anni di cui dovrai dire: non mi piacciono ( 11 ,9 - 12 , 1).

Rallegrati è collegato all’impegno, la gioia all’assunzione di responsabilità. Qohelet non è un epicureo gaudente e spensierato, ma un saggio che raccomanda di approfittare deltempo, dicon­ trollare la propria persona, curare la salutee goderei momenti di gioia, senza dimenticare che si dovrà~rendere conto a Dio (cf. 2 ,2 6 ; 3 ,15; 12,14). Ogni principio di retribuzione non è assente in Qohelet65. Si dovrebbe dire piuttosto che egli ritiene impossi­ 65 Diversamente, per P. Sacchi, Ecclesiaste (NVB), Paoline, Roma, Qohelet è essenzialmente rivolto a indagare sulla legge che governa l’alternarsi dei mo­ menti: unica legge è il volere-mispat di Dio (3,17). Manca il principio di retribu­ zione. Se infatti esistesse una legge interna alla storia non vedremmo mai lo scambio fra ingiustizia ed equità. L ’uomo non ha alcuna scelta, perché non sa quale sarà la successione dei «momenti». Di conseguenza, il «timor di Dio» non illumina niente, non porta alcun guadagno, non apre nessuna prospettiva.

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bile quantificarlo o inutile definirlo; resta oltre l’uomo come l’or­ dine del mondo. Egli rifiuta risposte semplicistiche e introduce un ragionare «dialettico», per insegnare ad affrontare la realtà complessa, senza semplificazioni. Anche se, a dire il vero, il pen­ siero è abbozzato più che compiuto e, talora, contiene più doman­ de che risposte. Ricorda il Creatore aiuta a ritenere che tutto il bene che si po­ trà sperimentare sarà comunque dono, non frutto della tua «fati­ ca», in sé deludente e destinata al fallimento (cf. 2,24-26)66: que­ sto significa «temere o rispettare Dio». Ciò comporta una risposta pratica, con l’impegno ad agire bene, e l’accoglienza della gioia gustata come frutto del proprio lavoro, considerandola dono di Dio. Egli non si rassegna al «fato», ma appella alla liberto. Così, nel giorno lieto si deve stare allegri e nel giorno amaro riflettere : Dio li ha creati entrambi perché l’uomo non trovi nulla di ciò che verrà dopo di lui (7,14). L’atto di fede non è «fideismo», ma ca­ pacità di accogliere l’opera di Dio, che è comunque sempre all’o­ pera, mettersi in sintonia con il suo agire e attendere da lui l’espe­ rienza della gioia (8,12); perché «la vita del giusto e del saggio e le sue opere restano nelle mani di Dio» (9,1). In sintesi, il libro è finalizzato a cercare «ciò che è bene» nella vita di un uomo. Esso consiste nel vivere gioiosamente, sapendo gustare la vita come dono, nel ricavare soddisfazione dal proprio lavoro e nell'operare il bene, agendo secondo il principio del ti­ more del Signore. Sorretti dal timore di Dio e coscienti del pro­ prio limite, bisogna allenarsi ad accettare i «tempi» inevitabili del nascere e del morire, della malattia e della guarigione (3,1­ 8), a vivere con gioia e distacco, sapendo che tutte le realtà uma­ ne sono inconsistenti, cioè hebel. Tuttavia, alcune cose non risul­ tano hebel: il timore di Dio, fare il bene e gustare la gioia, l’ami­ cizia solidale. Paradossalmente potremmo dire che per Qohelet tutto è hebel e insieme dono.

66 Dio «Creatore» - bòrè’kd (12,1) fa assonanza con bór, «cisterna», imma­ gine del mondo dei morti (12,6): appellando al Dio Creatore, il testo ricorda al­ l’uomo la sua sorte legata alla morte (cf. L o h f in k , in loco).

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Tematiche fondamentali e interpretazioni di Qohelet

La difficoltà di una dottrina non conclusa, e forse anche i pre­ giudizi del lettore, non facilitano l’interpretazione di un autore come Qo. A cominciare dalla parola chiave, hebel, che taluni tra­ ducono «vuoto» (Ravasi, quasi sempre) o «assurdo» (Fox), ma che forse potremmo tradurre, in senso meno negativo, con «sof­ fio», cioè realtà impalpabile, senza una precisa consistenza, che subito sfuma ed è votata a una veloce dissoluzione (cf Ravasi su 11,10). Raccogliamo le tre linee interpretative67. Il primato della «vanità del tutto» sulla «gioia del vivere»

Von Rad rappresenta una prima linea di lettura condivisa da buona parte degli studiosi. Indica bene lo scacco della ragione o della sapienza di fronte alla vita, al tempo, al mondo. Qo, benché risponda positivamente al senso della vita, ha perduto per l’autore la capacità di dialogo tra uomo e mondo (per lui il mondo è muto; l’uomo non è padrone della vita) e tra uomo e Dio (manca, rispet­ to a Gb, ogni slancio verso Dio, sia pure aggressivo). - La vita è vanità. L’analisi razionale non riesce a trovarvi un senso che regga: a) le strutture sociali non lasciano spazio alla speranza; regna l’ingiustizia (3,16): un uomo è superiore all’al­ tro, inutilità di onestà e rettitudine perché tutti sono eguali di fronte alla morte; b) opacità del futuro', è imprevedibile, la morte è il destino (mikreh) comune (12,2-6; 3,19, come gli animali); c) la sapienza è dubbia, anche se superiore alla stoltezza: fa soffrire (1,16-18), rimane inutilizzata (9,13-16). - Il tempo è determinato. Dio determina ogni evento, ma l’o­ ra non è conosciuta, il mondo e quanto vi capita restano impe­ netrabili. Perciò l’uomo è totalmente soggetto al tempo; non gli resta che adeguarvisi il più possibile. 67 Oltre a Von Rad (pp. 207-208), mi riferisco alla sintesi di A. B o n o r a , o.c., pp. 55-62; per la sua parte, anche a L o h f in k , Oohelet. Contro l’interpretazione ottimistica di Bonora e Lohfink è F. F e s t o r a z z i, In margine a un libro su Qohe­ let, «RivBiblt» 36 (1988), pp. 67-72: non bisogna stemperare la dialettica, che serve a purificare la fede. Altrettanto è, mi pare eccessivamente, G. R a v a s i, Qo­ helet, Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1998.

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- L'uomo non può conoscere l’opera di Dio nel mondo. Il tempo è fissato per ogni atto (3,9-11); non può adattarvisi né di­ fendersi. Cieco e incosciente, come le bestie che si gettano nella rete, è improvvisamente assalito dalla «disgrazia», dal «tempo cattivo» (9,12). - Ne derivano inquietudine e tormento creati dalla frontiera invalicabile alla volontà di conoscere dell’uomo. L’uomo, so­ prattutto quello attivo, non riesce a padroneggiare la propria vita; il «vantaggio» (yitrón) del suo impegno-affaticarsi è solo la tribo­ lazione, non può mai afferrare l’opera di Dio (3,9-11). Gli resta una possibilità: la disponibilità ad accogliere ciò che Dio gli garantisce. Approva perciò la letizia (cf. 7,14-15; 8,14-15). In altre parole, ciò che dà senso alla vita è la possibilità di riconoscere una volontà di Dio favorevole all’uomo. L’uomo può rallegrarsi di questo: può cogliere la gioia (9,7.8.9-IO)68. E lo scacco di fronte alla morte, l’inconoscibilità di Dio, l’ar­ bitrarietà del cosmo e di Dio, la mancanza di un dialogo dell’uo­ mo con Dio, la mancanza di un senso ultimo soddisfacente, l’as­ senza di certezze e sicurezze. In questo contesto la «gioia di vive­ re» non ha valore decisivo. Il «giusto mezzo» o / ’«aurea mediocritas»

Sono le interpretazioni di Buzy e di Sacchi: l’uomo religioso ideale non dev’essere né troppo giusto né troppo malvagio. Ma Qo 7,16-18, riportato da Sacchi, può essere interpretato diversa­ mente. Qo ironizza sulle tendenze religiose del tempo, fanatiche della legge. L’affermazione, che l’autore considera nell’introdu­ zione: «il giusto prospera, il malvagio perisce» (7,15), non trova conferma nell’esperienza. Consiglia perciò: 68 Su questa linea è W . Z im m e r li, The Place and Limit o f thè Wisdom: in thè Framework o f thè Old Testament Theology, «The Scottish Journal of Theology» 17 (1964), pp. 156-159: «Qo impedisce alla sapienza di varcare i confini per an­ dare alla ricerca del significato delle azioni della vita». Cf. anche C r e n s h a w e J.T. W a l s h , Despair and Theological Virtue in thè Spirituality o f Ecclesiastes, «Bi­ blical Theological Bulletin» 12 (1982), pp. 46-49: Qo sceglie di accettare rasse­ gnatamente la mancanza di un senso ultimo della vita; è «disperazione», tuttavia pacificante.

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Non essere troppo giusto (saddiq, legato alla legge) né farti troppo saggio (hithakam): perché vuoi rovinarti? Non essere troppo malvagio (ras a) e non essere sciocco (sakal): perché vuoi morire anzitempo? (7,16-17)

Il testo è problematico. Non essere troppo giusto equivale a «non legarti troppo alla legge», e malvagio a «trasgressore della legge» (Lohfink)? In 8,5 al posto di saddiq si ha «colui che custo­ disce il precetto». A conclusione Qo suggerisce il criterio fonda­ mentale di discernimento: il timore di Dio (v. 18). Occorre evita­ re il legalismo o il semplice appello alla propria coscienza. Avere sempre dinanzi agli occhi la concezione di vita data dal timore di Dio e scegliere, di volta in volta, con attenzione al momento che si vive. Interpretazione positiva: rabbinica e sinagogale

E sostenuta da pochi autori moderni: Lohfink, Gordis, Whybray, Johnston, Bonora, ma comune nei commenti rabbinici anti­ chi e medievali e nella liturgia sinagogale. Essa recupera la carica critica senza fare di Qo uno scettico. Egli vuole insegnare l’arte di vivere: la vita è una questione di grazia comune. Se è un dono, va goduta! E una disgrazia vivere nel non-senso, ma anche illudersi. Perciò tutto sottopone a esame critico: alla fine l’unica cosa che conta è il timore di Dio! Non è questo fideismo? Forse, ma in Qo non viene mai meno il dialogo tra ragione e fede, esperienza e rivelazione. Rimangono in tensione dialettica fino a una fede totalmente purificata in forza dell’esperienza e della ragione (Festorazzi). Bonora sottolinea, usando la teoria di I. Mancini del «pensare dialettico», che l’au­ tore sembra invitare soprattutto a non semplificare la realtà, a su­ perare i luoghi comuni; apre ulteriormente. Giustamente, ma la dialettica dovette divenire talvolta inso­ stenibile (cf. Festorazzi); esigendo, per la forza delle contraddi­ zioni, ulteriori passi, che l’autore tuttavia non sembra ancora compiere. 259

(Qo 3,1-15) Il tema dei «tempi» e del «tempo» è uno dei più affrontati da­ gli studiosi di Qo. Lo stesso tema è presente in un altro autore, affrontato con metodo e significato diversi, Ben Sira (Sir 39,12ss). Che cosa intende l’autore quando parla di un tempo per ogni cosa? Vi è un tempo per ogni cosa

Testo 1Per tutto c’è un tempo (zeman), un tempo ( ‘et) per ogni faccenda sotto il cielo:

2un tempo per nascere -un tempo per morire, un tempo per piantare -un tempo per sradicare,

3un tempo per uccidere - un tempo per guarire, un tempo per distruggere - un tempo per costruire,

4un tempo per piangere - un tempo per ridere, un tempo per far lutto - un tempo per danzare,

5un tempo per gettare pietre - un tempo per raccogliere pietre, un tempo per abbracciare - un tempo per astenersi dall’abbraccio,

6un tempo per cercare -un tempo per perdere, un tempo per custodire -un tempo per gettare,

7un tempo per stracciare -un tempo per cucire, un tempo per tacere - un tempo per parlare,

8un tempo per amare -un tempo per odiare, un tempo per la guerra - un tempo per la pace.

9Quale vantaggio trae chi lavora, da ciò per cui si affatica? 10Ho considerato (ra ’itì) la fatica che Dio ha imposto ai figli degli uomini per affaticarli:

11tutto egli ha fatto bello a suo tempo (be 'ittó); anche ha ‘ólam ha imposto nel loro cuore, senza che l’uomo possa scoprire l’opera che ha compiuto Dio dall’inizio alla fine.

12Ho compreso (yada ‘tf) che non vi è bene più grande di questi: gioire e compiere il bene nella propria vita;

13e anche (che) ogni uomo che può mangiare e bere e godere il bene di tutta la sua fatica è dono di Dio.

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14Ho compreso (yada ‘ti) che qualunque cosa Dio faccia, essa è eterna (le ’ólam), non vi è nulla da aggiungere, nulla vi è da togliere; e (che) Dio ha operato perché ci sia il timor di lui.

15Ciò che è stato era già, ciò che sarà già c’era; ma Dio ricerca ciò che fu ingiustamente procacciato.

Contesto e analisi - interpretazione

Un primo problema è l’entità della pericope. Si può ritenere 2,24-26 come conclusione parallela alla precedente pericope (2,1 1-2369). Sembra logico considerare 3,1-8 come la «prova del tempo», una raccolta dei dati, che introduce il tema; 3,9-15 è la riflessione sui dati dell’esperienza appena presentata: introduce una domanda, seguono il «vedere-osservare-constatare» (ra ’ftf) e il «giudicare» («ho compreso», yada ‘tf), che oppone l’opera di Dio al conoscere e all’operare umano. Nell’opera di Dio, «a suo tempo», tutto è «bello», «eterno», ma rimane misterioso. L’uomo invece opera «a tempi» e la sua conoscenza è limitata. 3,1 pone la tesi universale: «tutto», «ogni faccenda» (lakkol, Fkol-hepesX 3,9 la riassume in una domanda retorica: quale van­ taggio deriva all’uomo per il suo affannarsi a cambiare il mondo se ciò non dipende da lui? La domanda richiama 1,3: «Quale van­ taggio viene all’uomo per tutto il suo affanno ( ‘amalo), che lo af­ fatica sotto il sole?». Una risposta era già data in 2,11 : «Mi sono rivolto a esaminare tutte le opere delle mie mani e all’affanno in cui mi sono affaticato. Ed ecco, tutto è vanità (hebel) e soffio di vento; non vi è alcun vantaggio sotto il sole». Il risultato era ne­ gativo. 69 II collegamento tematico tra 2,24-26 e 3,11-15 è indubitabile per il tema del dono: gustare i beni, retribuzione con il dono della sapienza e gioia o fatica: «Non c’è uomo più fortunato (tób) di chi mangia e beve / e gusta (lett. fa gustare alla sua vita [gola?]) i beni della sua fatica. / Anche questo, io ho constatato (ra'iti), / proviene dalla mano del Signore. / Infatti, chi può mangiare e chi può go­ dere fuori di lui? / Infatti, all’uomo che gli è gradito (tób) / egli concede (natati) sapienza e conoscenza e gioia, / ma al fallito (hóte’) impone (natan) la fatica ( ’inyàn) / di raccogliere e accumulare / per darlo a chi è gradito a Dio (tób). / Anche questo è vanità e soffio di vento» (2,24-26).

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3,1-8 raccoglie le opposizioni in una serie di 14, a indicare la totalità (7 + 7). Vi convergono aspetti diversi: individuali e collet­ tivi, di sentimento e azione, di attività o passività dell’uomo. In comune hanno il carattere polare - estremi od opposizioni - e lo sviluppo nel tempo. All’inizio sono gli estremi della vita in cui si inseriscono tutti gli altri: nascita e morte. Dall’inizio alla fine la vita umana è posta sotto il controllo e lo scorrere del tempo; l’uo­ mo non può fare che una cosa alla volta. E dopo di lui scorre un’altra generazione (cf. 1,4): «una generazione va e un’altra vie­ ne»70. Il testo presenta alcuni termini di significato incerto e di diffi­ cile interpretazione. * Anzitutto la categoria di «tempo»: ‘et, che corrisponde al kairós greco. E il «tempo opportuno», «tempo fissato», «momento», ma anche, in senso più largo, «la possibilità, l’occasione». La vita è fatta di occasioni; tra la vita e la morte ognuno, più o meno, le incontrerà. L’uomo deve saperle riconoscere e accogliere quan­ do capitano. La possibilità di riuscita dipende dall’istante favo­ revole. L’esperienza conferma che nulla ha valore assoluto: l’elenco pone il problema della dipendenza enigmatica di ogni evento dal «tempo opportuno» (e l’autore sembra indicare che l’uomo non è in grado di prevederlo in anticipo). Il tema è frequente nella sa­ pienza dell’Antico Oriente. Lo scopo dell’insegnamento sapien­ ziale era in gran parte quello di conoscere il tempo giusto, il luo­ go giusto, la misura giusta dell’azione umana. Un esempio signi­ ficativo è in Ben Sira 39,12ss; ma anche l’idea dell’albero che porta frutto «a suo tempo» (Sai 1; Sir 24: i frutti della sapienza), gli uccelli che emigrano «al loro tempo» (Gb 5,26; Ger 8,7 cf. Gn 31,10), il tempo per le nozze della ragazza (Ez 16,8).

70 Ben Sira ha un tema simile sullo scorrere delle generazioni: «Come cresco­ no le foglie su un albero frondoso, / una muore e l’altra spunta, / cosi le genera­ zioni di carne e sangue: / una muore e l’altra nasce»; e conclude con uno stile degno di Qo: «Tutte le sue azioni imputridiscono, / ciò che le sue mani hanno guadagnato se ne andrà con esse» (Sir 14,18-19).

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* Alcune opposizioni risultano oscure. «Uccidere», si può in­ tendere «lasciar morire», riferito forse alla guerra o a sentenze di condanna a morte. «Gettar “pietre” - raccogliere “pietre”» (v. 5), può contenere delle glosse (cosi «allontanarsi “ dall’abbrac­ cio”»). Una tradizione esplicativa giudaica suppone qui un’allu­ sione alla relazione sessuale; in tempo di guerra si riempiva un campo di pietre, rovinandolo (2Re 3,19.25); si allude al tumulo? o si tratta di un’eco dei vv. 2b.3b: piantare-svellere, distruggerecostruire, con riferiento alla casa? «Strappare-ricucire» (v. 7) al­ lude probabilmente all’inizio e alla conclusione del lutto (cf. v. 4b: lamento e danza). «Cercare-disperdere» (v. 6) allude all’atti­ vità economica, intendendo fortuna o sfortuna? * Dio ha dato all’uomo ha ‘ólam (v. 11). Il termine è oggetto di discussione tra gli autori. Von Rad rende con «eternità». Il signi­ ficato è «tempo lontano». Di per sé indica ciò che è «oscuro», perché antico o perché futuro; infatti, alla fine si parla di ciò che Dio «ha fatto dall’inizio alla fine», cioè tutto. Loretz riporta le di­ verse interpretazioni71; Dahood mi sembra tradurre bene con 71 O. L o re tz , Qohelet und der Alte Orient, Freiburg im Breisgau 19 64, pp. 2 8 1-2 8 3 , nota 27 7: mondo (Ew ald, V olz, Alonso cf. V g, Girolam o); eternità (Pe­ dersen, Robinson, M cN eile, W ildeboer, Hertzberg, G alling, cf. anche Lohfink); un aspetto d ell’ eternità (Siegfried); con l ’ausilio di una mutazione di vocalizza­ zione si trovano i significati di: coscienza (Hitzig), mistero (Allgeier, M offat), il nascosto (das Verhiillende, Haupt), il segno (J.E .C . Schmidt), cercarre (A . Ehrlich); desiderio di trovare ciò che è nascosto (B ickell); ignoranza (C overdale, Graetz, Barton, Dahood); ‘ mi, «fatica, affanno», intendono B h , M acD onald e Ginsberg. Loretz interpreta a sua volta: Dio ha posto nel cuore dell’ uomo non il desiderium ceternitatis, ma il «tempo durevole», cioè il desiderio di gloria e nome duraturi (cf. IR e 10 ,24 e G er 3 1 ,3 3 ) (ivi, p. 284). Infine, il «mistero del tempo» per L. M azzinghi, Il mistero del tempo: sul termine ‘òlàm in Qo 3,11, in R. Fab ris (a cura), Initium Sapientiae (Suppl. R iv B ib lt 36), Edb, Bologna 2000, pp. 14 7 ­ 1 61 . V . D ’ A la r jo , Qohelet e l'Apocalittica. Il significato del termine ‘ólam in Qo 3,11, in A . C a sa le g n o (a cura), Tempo ed eternità. In dialogo con Ugo Vanni, San Paolo, C inisello Balsam o (M I) 20 02, pp. 73-88, suggerisce che il termine connoti il senso di totalità-, in opposizione alla concezione apocalittica della sto­ ria, Qohelet nega la possibilità di comprendere la storia dall’ inizio alla fine; è Dio che ha posto ‘ ólam nel cuore d ell’ uomo senza, tuttavia, che egli possa possederla. Perciò è necessario il «timore del Signore» ( 3 ,1 4b) ossia la piena consapevolezza del limite umano di fronte alla grandezza di Dio.

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«ignoranza»72. L’uomo di fronte all’opera «eterna» di Dio è se­ gnato dal «tempo» e vinto da una «invincibile ignoranza». Il pro­ blema è epistemologico non teologico. * Problematico è anche l’ultimo stico: weha’elohim yebaq-qes 'et nirdap. Accanto a: «Dio fa tornare il passato»73, si può inten­ dere: «Dio ricerca-punisce ciò che è stato ingiustamente procura­ to» (Loretz74). Un’analoga espressione è in Sir 5,3 ebraico: kCyy' mebaqqes nirdàpim, che le versioni greca («Dio sicuramente pu­ nirà») e siriaca («Egli è un vendicatore per tutti gli oppressi») in­ terpretano come punizione per gli ingiusti. Lo stico risponde a Sir 5,3a che ammonisce a non confidare nella propria potenza. Si può supporre un significato analogo in Qo 3,15. Ogni azione-fa­ tica umana (3,10) ritorna davanti a Dio per essere vagliata e giu­ dicata, anche se l’uomo non riesce a percepire tutta l’opera divi­ na. La risposta di Qo sull’impegno dell’uomo non sembra essere del tutto negativa. L’opera umana deve, però, porsi in sintonia con l’opera divi­ na. Ciò è attuato mediante il timore di Dio: esso è frutto della contemplazione dell’attività divina e della constatazione del limi­ te dell’uomo. Da parte sua, Dio rivela una volontà benefica nei confronti dell’uomo; il segno è il «dono» di poter usufruire dei frutti (il «bene») della propria attività e fatica. Conclusione. Qo oppone l’attività dell’uomo all’opera di Dio. L’uomo è legato al «tempo», a cose che si susseguono, non può fare che una cosa alla volta. Deve attendere il tempo, l’occa­ 72M. D a h o o d , QoNWSP, «Biblica» 43 (1962), p. 35. 73Alonso traduce: «Lo que fue ya habi'a sido, lo que sera ya fue, pues Dios da alcance a lo que huye». E una visione ciclica (cf. 1,3-6): come sole, vento e acqua hanno i loro cicli, cosi anche gli eventi ritornano ripetutamente. Questo sembra difficile all'uomo, ma Dio può dare capacità a ciò che fu per farlo ritornare (cf. Sir 5,3). Dalla sua impotenza l’uomo impara a «temere Dio». Lohfink intende che niente va perduto di quello che è passato: «Dio ritroverà quanto è stato perduto, ciò che è passato». La frase conclusiva, un probabile proverbio antico e noto, è da comprendere ora nel quadro della teologia di Qo. Non si tratta del senso e della durata dell’uomo o per l’uomo, ma di partecipazione dell’uomo al senso e alla durata che provengono da Dio come tutto il cosmo. 74O . L o r e t z , o.c., pp. 200-201, nota 288.

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sione propizia, e l’opera di Dio gli resta nascosta. Al contrario, ogni opera di Dio è eterna e perfetta, anche se si rivela e manife­ sta «a suo tempo». Nulla lascia passare, ma tutto ricerca e giudi­ ca. Così, per ogni cosa c’è il suo tempo di fronte a Dio (3,1). All’uomo rimane una possibilità per superare il limite delle sue azioni: il «timore di Dio». Con esso riconosce le opere di Dio e si pone in linea con il suo agire. In tal modo tutto ciò che compie riottiene in dono (natan) da Dio, e dono rimane. Temere Dio equivale a far fruttificare l’attività e impegno-fatica nel mon­ do, «a suo tempo». E operare perché il kairós si realizzi non in forza della sola fatica umana, ma del dono di Dio. L’impegno dell’uomo, da solo, diventa affanno inutile, frustrazione. Ritorna il tema di Qo 2,26 che oppone il «buono» al «fallito» (hóte non significa qui «peccatore») con diverso risultato: costui ammassa e si affatica inutilmente, mentre il «buono», cioè chi è gradito a Dio, riceve il dono di poter gustare i propri beni. L’ultima parola rimane a Dio, sperimentato mediante il suo «timore»: questo è l’argomento risolutivo delle opposizioni o polarità in cui la vita umana è costretta a vivere. D) BEN SIRA. UN LIBRO ALLA FRONTIERA DEL CANONE75 Ben Sira o Siracide è l’unico libro dell’Antico Testamento di cui conosciamo l’autore, ricordato nel prologo del nipote (riga 6) e alla fine dell’opera. Molto probabilmente il suo nome fu Ge­ sù76. Ben Sira è dunque un appellativo - nome patronimico o no­ me di famiglia - che in greco viene letto «Sirach», donde la de­ nominazione di Siracide. La tradizione antica lo chiamava Eccle­ siastico, forse per la sua lettura in «comunità», la scuola o la comunità religiosa. Il libro ebbe varie vicende. Stimato e letto 75Riprendo e rielaboro il mio intervento su «Parole di Vita» 48 (4/2003), pp. 4-14. 76II testo greco scrive: «Insegnamento di... Gesù (detto) figlio di Sirach, di Eleazaro, da Gerusalemme» (Sir 50,27); il testo ebraico invece ha: «Insegnamen­ to (o sapienza) di Simeone figlio di Gesù, figlio di Eleazaro (detto) Ben Sira’ (= figlio di Sira’)»; cf. anche Sir 51,30e-f ebraico; manca nel testo greco.

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nell’antichità e citato dalla tradizione giudaica (una copia fu tro­ vata tra i libri degli zeloti di Masada e alcuni frammenti a Qumràn), non fu inserito nel canone ebraico mentre rimase in quello greco. Fu la tradizione cristiana a tramandarne il testo, l’originale ebraico andò perduto e per lungo tempo rimase sconosciuto. In pratica fu un libro «alla frontiera del canone»77. D’altra parte, proprio Ben Sira ci ricorda la presenza nel suo tempo di un grup­ po di libri «sacri», anche se non è possibile delincarne l’ampiezza e i contenuti precisi: «Legge, Profeti e altri scritti o libri» che mo­ strano come Israele sia un popolo ricco di dottrina e di sapienza (Prologo 2.10.25). Un nipote «sponsor» dell 'opera del nonno

Il prologo al libro di Ben Sira mette in risalto lo scopo educa­ tivo dell’opera, fornendoci nel contempo qualche carattere della personalità dell’autore. L’opera è destinata a «coloro che, all’e­ stero (ebrei della Diaspora), desiderano istruirsi per conformare il proprio stile di vita secondo la legge» (Prologo 34-36). Il tra­ duttore, consapevole del suo impegno - vi ha dedicato molte ve­ glie e studi - esorta a leggerlo con benevolente attenzione, supe­ rando i limiti della traduzione, perché, nonostante l’impegno, «sembrerà che non siamo riusciti a rendere la forza di certe espressioni. Infatti, le cose dette in ebraico non hanno la medesi­ ma forza quando sono tradotte in altra lingua» (cf. 15-26). Questo avveniva «nell’anno trentottesimo del re Evergete», quasi certamente Tolomeo VII Evergete Fiscone che regnò dal 170 al 117 a.C. Siamo dunque nel 132 a.C., in Egitto, probabil­ mente ad Alessandria, centro ellenistico e sede di una vivace co­ munità ebraica che dovette partecipare attivamente ai movimenti culturali del tempo. 77 C f. M . G i l b e r t , L ’Ecclésiastique: Quel texte? Quelle autorité?, « R B » 94 (19 8 7 ), pp. 2 3 3 -2 5 0 ; H.-P. Ri'GER, Le Siracide: un livre à la frontière du canon, in J.-D . K a e s t l i - 0 . W e r m e lin g e r (a cura), Le canon de TAncient Testament. Sa formation et son histoire, Genève 19 84, pp. 47-69; H.M . O r l i n s k y , Some Terms in thè Prologue to Ben Sira and thè Hebrew Canon, « J B L » 1 1 0 ( 19 9 1) , pp. 483­ 490; N. C a l d u c h B e n a g e s , Ben Sira y el Canon de las Escrituras, «G regoria­ num» 78 (19 9 7 ), pp. 359 -370 .

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1.

C h i e r a B en S i r a 78?

Ben Sira dovette esercitare la sua attività a Gerusalemme (co­ me è indicato nella sottoscrizione, Sir 50,27), circa 50 anni prima del nipote, verso il 190-180 a.C. (mantenendo una data ampia, tra il 200 e il 175). Raccolse le sue lezioni nell’opera che ci è stata tramandata, per trasmettere il suo insegnamento alle successive generazioni. La data è confermata dal clima che traspare dal libro in cui non v’è traccia del grave conflitto con l’ellenismo al tempo dei Maccabei79. La figura che possiamo cogliere dal libro è quella di una per­ sona complessa che dovette operare in diversi ambiti, dalla scuo­ la alla politica, con molteplici interessi. È l’immagine di un tipico saggio giudeo del tempo, descritto in Sir 39,1-11 con tratti auto­ biografici. Infatti, più volte il suo insegnamento è confermato da testimonianze personali (i brani «Io») che sembrano segnare del­ le cesure nell’organizzazione del libro (apertura o conclusione) e certamente rappresentano un fatto importante nello stile che mira a coinvolgere il lettore. Scriba e maestro

Egli fu anzitutto uno «scriba» intento a leggere con metodo sapienziale e ad attualizzare profeticamente la Torah e la tradizio­ ne giudaica (Sir 39,1 -3)so. A questo scopo egli istituì una «scuo­ 78Una esaustiva presentazione dell’autore, dei testi e della loro storia è in M. Siracide, «DBS» XII (Fascicule 71), Paris 1996, coll. 1389-1437; ag­ giornamenti in M. G il b e r t , The Hebrew Texts ofBen Sira a Hundred Years after Their Discovery, «Proceedings of thè Irish Biblical Association» («PIBA») 20 (1997), pp. 9-23, e P.C. B een t jes (a cura), The Book ofBen Sira in Modern Re­ search (BZAW 255), Walter de Gruyter, Berlin-New York 1997. Un aggiorna­ mento sugli studi recenti è in N. C a l d u c h -B e n a g e s , La situación actualdels estudis sobre el libre del Siràcida (1996-2000), «RCT» 26 (2001), pp. 391-398. 79Cf. A. S ist i , Riflessi dell’epoca maccabaica nell’Ecclesiastico, «RivBiblt» 12(1964), pp. 215-255. 80Cf. H. S t a d e l m a n n , Ben Sira als Schriftgelehrter, Tubingen 1980, che se­ gue il testo greco. L’autrice lo ritiene anche sacerdote, ma non vi sono indizi co­ genti per affermarlo. Potrebbe aver amato la liturgia e venerare il sacerdozio e la Torah senza essere sacerdote. D’altra parte, si vedano anche i suoi accenti profe­ tici nel trattare il tema del culto (34,18-35,24). G

il b e r t ,

267

la» («casa dell’istruzione») nella quale invitava a prendere dimo­ ra chi era senza istruzione, per acquistare sapienza (51,23-30). Nell’appello a farsi suoi discepoli, egli sembra identificarsi con la sapienza stessa (con richiami a Is 55,1-3 e Pro 1,20-13; 8,1-6). Da buono scriba cita poche volte la Bibbia alla lettera, ma tratta in maniera originale l’antica istruzione per adattarla ai suoi uditori in un’epoca ormai aperta a tutti gli influssi stranieri. In po­ chi versi talora concentra testi e motivi dell’Antico Testamento con una straordinaria capacità sintetica e interpretativa; attingen­ do alla tradizione sapienziale, invia un messaggio ai contempora­ nei, applicando le sentenze alla storia del suo tempo (cf. Sir 5 passione e ricchezza; 10-11 sul potere, con allusione ai Tolomei). Egli si ritiene erede e continuatore della linea sapienziale (33[36],16-18) e di quella profetica (24,32-33, cf. 39,8). Perciò il sapiente riceve lo spirito da Dio (39,6). Ben Sira rilegge la tra­ dizione profetica attribuendo alla sapienza ciò che i profeti dice­ vano dello Spirito81. Saggio per il popolo

Il ritornello finale di Sir 24,34 e 33,18 rivela l’entusiasmo di Ben Sira per la sapienza e l’intento ideale di essere saggio mae­ stro del suo popolo. I testi ribadiscono il compito educativo del­ la sua opera che traspare sin dal prologo: divenuto competente per la lunga consuetudine alla «lettura della legge, dei profeti e degli altri libri dei nostri padri,... fu indotto a scrivere qualche co­ sa su ciò che riguarda la dottrina e la sapienza, perché gli amanti del sapere, assimilato anche questo, possano progredire sempre più nel vivere in uno stile di vita conforme alla legge» (Prologo 6-14). Lo stesso nipote infatti ritiene giusto «che gli studiosi con la parola e con gli scritti si rendano utili a tutti gli altri» (Prologo 5­ 6). Queste parole anticipano il ritratto del saggio che Ben Sira fornisce in 39,1-11. Subito dopo, sentendosi «pieno» di sapienza, 81 L ’insegnamento è in piena evoluzione. A ogni passo Ben Sira è costretto a dare spiegazioni attualizzanti. G. V on R a d , La sapienza in Israele, lo definisce «esecutore testamentario» (p. 216, cf. pp. 216-234).

268

egli offrirà un esempio del suo insegnamento in un «inno didatti­ co» (39,12-35). L’ideale non consiste nell’essere «saggio per sé», ma «per il popolo» (37,19-26). Egli mette il suo sapere a servizio di tutti, effonde la sua istruzione redigendo un libro. L’intento nasce dal senso stesso della vita: il nome di questo saggio sopravviverà alla sua morte, perché gli viene quella lode e memoria positiva e uni­ versale, che ne perpetua la presenza in mezzo al suo popolo (la ekklesia) e tra i popoli (37,25-26; 39,8-10). Membro del governo e viaggiatore

Personalità eminente di Gerusalemme, Ben Sira sembra esse­ re stato membro del governo o consigliere dei capi della sua città. Oltre all’azione educativa, l’impegno politico e di governo è un tipico compito del saggio. Se altre categorie, con il lavoro ma­ nuale e artistico, contribuiscono a consolidare e costruire la città e il mondo (Sir 38,32.34), il saggio siede nel consiglio del popolo o nel seggio del giudice e svolge il suo compito tra i capi (39,4ab). L’apertura alla cultura intemazionale è concentrata nei viaggi fra i popoli stranieri. Ben Sira vi dà importanza, perché permet­ tono il confronto culturale, indagando il bene e il male (Sir 39,4cd). Egli stesso afferma di averne compiuti (34[31 ],9-13; 51,13a). I viaggi sembrano costituire quasi una logica conse­ guenza dell’approccio alla sapienza, un elemento necessario per completare la propria formazione. L’uomo di esperienza viag­ giando aumenterà la sua conoscenza e perizia, anche se dovrà af­ frontare prove e pericoli mortali. Essi aiutano a riflettere sulla ve­ rità della Torah, senza fughe nei sogni che fanno deviare dalla realtà (34[31 ], 1-8). A questo proposito, è interessante il rapporto di Ben Sira nei confronti della cultura greca. Più che assumere un tono apologe­ tico a difesa della tradizione giudaica, egli ne offre una positiva presentazione, collegandosi però al quadro della cultura ellenisti­ ca (si pensi al tema dei banchetti, 31 [34], 12-32[35], 13, o alla va­ lutazione del medico, Sir 38,1-15). Egli denota fedeltà ai valori biblici e apertura alla cultura greca. «L’ellenismo non è lo spau­ 269

racchio, ma il discernimento avviene nel riferimento alle tradizio­ ni bibliche»82. L’integrazione con i nuovi elementi serve a ribadi­ re la propria identità. Intellettuale credente

Infine, l’ideale del saggio in Ben Sira è la sintesi tra fede e ragione, tra teologia e cultura, come a dire che egli intende la sa­ pienza in senso religioso. Il saggio sin dall’aurora rivolge a Dio la sua mente e prega, perché la sapienza è un dono che occorre im­ petrare dal Signore, carisma che introduce nei misteri di Dio (Sir 39,5-8). Ciò non significa che tutto sia comprensibile; egli con­ fessa, come Qohelet, la impossibilità di decifrare il modo di agire di Dio nella varietà delle situazioni in cui l’uomo cerca la felicità. Ci sono delle cose che non possono essere affermate, l’opera del­ l’uomo e di Dio restano entrambe oscure a loro modo. Tuttavia, Ben Sira canta e afferma la fede. Per lui le prove non si possono riconoscere senza la fiducia in Dio che salva. Perciò, sapienza, Torah e timore del Signore sono strettamente collegati, al punto che in qualche caso praticamente coincidono o sono interscam­ biabili. Il timore del Signore aderisce alla Torah e l’adempie (19,20; 21,11; 1,15-16; 23,27), ma anche tutta la sapienza impli­ ca l’osservanza della Torah (19, 20; 33,2). Tutta la sapienza è timore del Signore e in ogni sapienza è la pratica della legge (19,20).

Due temi diventano significativi: il valore del timore del Si­ gnore e il legame tra sapienza e Torah. 82 M. G ilb e rt, Siracide, «D B S » XII, p. 1407. Sul rapporto con l ’ ellenismo, cf. R. P a u tr e l, Ben Sira et le Stoicisme, « R S R » 51 (1963) 535-549; U. W ickeR e u ter, Ben Sira und die friihe Stoa: Zum Zusammenhang von Ethik und dem Glauben an eine gòttliche Providenz, in R. E g g e r - W e n z e l (a cura), Ben Sira’s

God: Proceedings o f thè International Ben Sira Conference Durham-Ushaw College 2001 (B Z A W 321), de Gruyter, Berlin-N ew Y o rk 2002, pp. 268-281; J.T San d ers, Ben Sira and Demotic Wisdom ( S B L M onograph Series 28), Chico, California 1982; M . L ic h t h e im , Late Egyptian Wisdom Literature in thè Interna­ tional Context. A Study o f Demotic Instructions (O BO 52), Academ ic Press, Frei­ burg (Schw eiz) - Vandenhoeck & Ruprecht, Gòttingen 1983.

270

Il timore del Signore™

Il «timore del Signore» caratterizza tutta la relazione tra uomo e Dio. È uno dei temi centrali del libro. Per Ben Sira è «vita» (Sir 50,29 ebraico) o «forza» (ivi, greco), è il valore che lo ha salvato da pericoli mortali (34,13-17), è «inizio e culmine, corona e radi­ ce» della sapienza (1,16-20). Non c’è sapienza senza timor di Dio. Il concetto classico (obbedienza e rispetto della volontà di Dio) acquista in lui nuovi accenti ed emotività, è materia di espe­ rienza con coscienza, sentimenti, volontà. E un valore interiore: cerca Dio, è orientato a lui, lo ama (2, 15-16), confida in lui, si abbandona al suo volere e fugge il male (26,6-11; 32,14-15). I suoi frutti, pace e salute, scienza e cono­ scenza intelligente, lunga vita e benedizione nel giorno della morte (1,14-20), danno pieno valore e significato alla vita. Il timore del Signore è gloria e vanto, gioia e corona di esultanza. Il timore del Signore allieta il cuore e dà contentezza, gioia e lunga vita. Per chi teme il Signore andrà bene alla fine, sarà benedetto nel giorno della sua morte (1,11-13).

Anche se dovrà attendersi delle prove (2,1-18), chi possiede il timore del Signore vivrà serenamente (34,9-10), sarà onorato (6,15-16) e godrà dell’affetto degli amici (6,15-16), soprattutto riceve in dono la sapienza (14,20-15, IO)84. E dunque il bene più grande.

83 Cf. J. H a s p e c k e r , Gottesfurcht bei Jesu s Sirach. Ihre religiose Struktur und ihre literarische und doktinàre Bedeutung (Analecta Biblica 30), Pontificio

Istituto Biblico, Roma 1967, che lo ritiene il valore più alto; ma la Sapienza resta per Ben Sira l’aspetto sommo. ME interessante notare come nel primo capitolo 1,11 -30, Ben Sira usi 12 vol­ te l’espressione «il timore del Signore» o il suo equivalente (circa il 20 per cento delle ricorrenze) e sette volte (13 per cento delle ricorrenze) «sapienza», numeri significativi nella Bibbia, per sottolineare la connessione tra i due ed enfatizzare che «il timore del Signore è sapienza e disciplina» (l,27a), cf. A . A. Di L e l la , F ea r o f thè Lord as Wisdom: Ben Sira 1, 11-30 , in P.C. B e e n t je s (a cura), The B o o k o fB e n Sira in M odem Research (BZAW 255), pp. 132-133.

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Quanto è grande chi ha trovato la sapienza, ma nessuno supera chi teme il Signore; il timore del Signore è superiore a ogni cosa; chi lo possiede a chi potrà essere paragonato? (25,10-11, cf. 40,26-27).

Sapienza e Torah 85

La sapienza resta la via maestra verso Dio e un autentico cul­ to (Sir 4,11-19). Il Siracide la identifica con la Torah, nel senso che la considera Vespressione privilegiata della sapienza divina. Per Torah intende la rivelazione storica data da Dio al popolo eletto o la presenza di Dio nella storia di Israele e consegnata nel «libro» sacro. E la sapienza di Dio offerta al suo popolo. Il saggio vi fa riferimento perché vi scopre una funzione specifica nell’am­ bito della sapienza: la Torah rappresenta l’interprete originaria dell’ordine della creazione (24,3-6); e i grandi eventi o le opere di Dio arricchiscono le riflessioni del saggio in una specie di filo­ sofia della storia (Sir 44-50 e 16,7-10; 16,26-17,14). Ben Sira prosegue così una tradizione già presente in Dt 4,6-8 e Esd 7,14.2486: la Torah è autentica sapienza. A sua volta la Torah definisce e interpreta la nozione di timor di Dio nel senso che, per il suo tempo, la volontà di Dio si espri­ me per mezzo della Torah. Ma il timor di Dio non è provocato esclusivamente dalla riflessione e meditazione sulla Torah: nasce anche dalla riflessione e dalla contemplazione del mondo (c. 43). 85Sul rapporto tra sapienza e Torah, cf. M . G i l b e r t , Spirito, Sapienza e Leg­ ge secondo Ben Sira e il libro della sapienza, «Parola Spirito e Vita» 4 (1981), pp. 65-73; M . M i l a n i , Rilettura sapienziale della Legge nel recupero dell'«iden­ tità nazionale» di Israele, in S. B a r b a g l i a (a cura), Deuteronomismo e sapienza: la riscrittura dell'identità culturale e religiosa di Israele. Atti del XII Convegno di Studi Veterotestamentari (Napoli, 10-12 settembre 2001), Ricerche Storico B i­ bliche 1/2003, pp. 109-131 (con bibliografia). 86Nel libro di Esdra, in un documento che Artaserse invia al sacerdote «scri­ ba», il re utilizza in parallelo due espressioni: «la legge del tuo Dio, che hai nelle mani» e «la sapienza del tuo Dio, che hai nelle mani». E Baruch identifica la sapienza donata a Giacobbe suo servo, a Israele suo diletto, con «il libro dei de­ creti di Dio, la legge che sussiste nei secoli; quanti si attengono ad essa avranno la vita» (Bar 4,1, cf. 3,37-4,1).

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In primo piano è la figura del saggio, lettore contemplativo. Così Ben Sira argomenta non a partire dalla Torah, ma dalla sa­ pienza: legge la Torah con gli occhi del saggio, la legittima e in­ terpreta sulla base del pensiero sapienziale; così l’azione del let­ tore prolunga la verità della Scrittura e la attualizza. E quando tratta dei precetti, mantiene lo stile sapienziale dell’insegnamen­ to, dimostrando che è cosa saggia osservarli. In definitiva, egli re­ sta un saggio che fa appello all’esperienza e alla lunga tradizione di osservazione della realtà complessa del mondo, dell’uomo e di Dio. 2.

L ’o p era le t t e r a r ia

di B e n

S ir a

Scopo e metodo Il libro di Ben Sira, con i suoi 51 capitoli, si ispira al libro dei Proverbi e riflette, nella struttura generale, il curriculum di uno studente di sapienza. Come in Proverbi, il primo capitolo presen­ ta la sapienza, e l’ultimo capitolo conclude con il poema acrosti­ co sulla ricerca della sapienza (Sir 51,13-30, cf. Pro 1-9 e 31,10­ 31). Nel suo progetto pedagogico intende aiutare a riconoscere un ordine nascosto nel mondo, scopo della sua attività è la signo­ ria del contingente che si presenta ambiguo e sfugge a classifica­ zioni. Come metodo oppone la realtà polare o bivalente del creato per operare il discernimento. Poiché le cose scivolano costante­ mente tra il bene e il male, occorre riconoscere il loro valore in ogni tempo e situazione: Ben Sira insegna la difficile arte di tro­ vare e scegliere ogni volta il giusto aspetto. Perciò si porta al pia­ no dell’esperienza e indaga il «duplice aspetto» della creazione e la funzione del tempo (33,7-15 e 39,16-35). Polarità e alternanza creano comprensione e possono essere ricondotte alla comune origine in Dio87.

87 Per l'analisi particolareggiata della pericope, cf. G.L. della teodicea in Ben Sira, pp. 22-33.49-61.

P ra to ,

Il problema

273

Il duplice aspetto della creazione (Sir 33,7-15) Accanto al male sta il bene E accanto alla vita la morte; accanto al buono è il malvagio e accanto alla luce sono le tenebre. Contempla tutte le opere di Dio, tutte a due a due, l’una di fronte all’altra (33,14-15).

Il v. 14 è descrittivo e raccoglie le realtà polari cosmiche e antropologico-storiche. Il v. 15 opera la sintesi della pericope (33,7­ 15): contemplare le opere di Dio, due a due, una di fronte all’al­ tra, dopo aver considerato che tempi e uomini, uguali per origine, sono diversi tra loro per destino e situazione. Le differenze non sono ontologiche, ma preferenziali e funzionali, e sono legate alla libertà di scelta dell’uomo (buono e malvagio hanno un valore morale; gli uomini sono divisi in base alle loro scelte e responsa­ bilità, cf. 15,11-20). In tale visione nulla è inutile, tutto va collo­ cato nella sua funzione. Va però rilevato che l’elemento negativo della polarità non ha lo stesso valore di quello positivo88. Diver­ samente si esprime Qohelet: Considera l’opera di Dio: chi potrà raddrizzare ciò che è storto? Nel giorno fortunato sii contento, nel giorno sfortunato considera: anche questo uno di fronte all’altro ha creato Dio; sicché l’uomo non possa trovare nulla di quanto viene dopo di lui (Qo 7,13-14).

Egli cerca una soluzione per ciò che appare «storto»: l’uomo non può dare una risposta specifica, ma solo tener presente che gli aspetti negativi e positivi non si distinguono quanto a origine, perché tutto ha creato Dio, e accogliere momento per momento ciò che Dio dà. L’opera dell’uomo e quelle di Dio, a loro modo, sono entrambe oscure. La funzione ermeneutica del tempo (Sir 39,16-35)

Siracide indaga la funzione ermeneutica del tempo nella fun88Cf. G.L.

274

P r a t o , o . c ., p. 60.

zionalità bivalente della creazione. Intende mostrare come Dio diriga gli avvenimenti, e aggiunge che questa direzione è valida in ogni circostanza: «Tutto è buono a suo tempo» (vv. 16.21.30cd-31.33). Egli non interpreta l’azione di Dio global­ mente, a partire da una norma definita, ma dall’analisi delle cir­ costanze, a partire dall’esperienza differenziata, per risalire alle origini e ritrovare l’unità. La bontà non è colta in base a un siste­ ma di valore o grazie a uno schema interpretativo, ma partendo dall’istante in cui un fenomeno si manifesta e dalla sua necessità. Perciò fenomeni in apparenza negativi sono buoni a suo tempo. Il termine «tempo» nel testo greco (kairós come momento fa­ vorevole) ricorre 60 volte. La nozione è molto importante in Ben Sira e fondamentale per conoscere i fenomeni: l’uomo saggio ri­ conosce il tempo. In questo quadro sapienza e stoltezza si oppon­ gono come opportunità e inopportunità. Occorre ricordarsi della funzione che il tempo assume ed esservi preparati. Egli introduce una novità: è Dio che accorda all’uomo il «suo tempo». E un di­ scorso teologico, non la semplice esperienza del cambiamento. In definitiva, egli crede che tutto abbia un senso a suo tempo e che non ci sia un tempo superiore, migliore o peggiore di un altro (39,12a). Con Qohelet anch’egli afferma che Dio agisce al «tem­ po opportuno» (il concetto di tempo - kairós - è il medesimo89); ambedue confessano l’impossibilità di decifrare il modo di agire di Dio nella varietà delle situazioni in cui l’uomo cerca la sua fe­ licità. Ci sono delle cose che non possono essere affermate. Tut­ tavia, diversamente da Qohelet, che riflette come se Dio non gli fosse vicino, Ben Sira canta la fede. Perciò, può affermare quanto appartiene alla tradizione religiosa. Egli non raggiunge la profon­ dità drammatica di Qohelet, ma da buon maestro di sapienza rie­ sce a «conciliare quanto non può essere affermato perché oscuro e misterioso con quanto invece è affermabile in base alla tradizio­ ne religiosa israelitica»90.

89Cf. M. G i l b e r t , Il concetto di tempo ( ‘t) in Oohelet e Ben Sira, in G . B e l l i a - A. P a s s a r o (a cura), Il libro del Qohelet (Cammini nello spirito - Biblica, 44), pp.69-89. 90G.L. P r a t o , Il problema della teodicea in Ben Sira, p. 102.

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Contenuto e struttura

Storia del testo L’opera di Ben Sira è giunta a noi attraverso una complicata tradizione. 1. Il testo ebraico (Hb) ci è pervenuto per due terzi dell’insieme attra­ verso tre gruppi di frammenti. - Manoscritti dell’XI secolo rinvenuti nel 1896 alla Genizah della sinagoga del Cairo appartenente al movimento qaraita. La scoperta ne suscitò altre. Attualmente possediamo sei manoscritti, classificati con le lettere dell’alfabeto: A B C D E F. I primi due sono i più ampi, mentre il terzo è un’opera antologica. Gli altri contengono brevi brani con testi nuovi o integrazioni che aiutano il confronto. - Frammenti rinvenuti a Qumran (prima del 69 d.C.): 2Q 18 con Sir 1,19-20; 6,14-15.19-31; HQPsa Sir 51,13.20b.30b e a Masada (prima del 73 a.C.): Sir 39,27-32; 40,10-19.26-30; 41,1 -44,71. - Citazioni nelle opere dei Tannaim, Amoraim e altre antiche auto­ rità giudaiche. 2. La traduzione greca (Gr) è pervenuta in due recensioni: - la breve è quella dei grandi unciali Sinaitico, Vaticano e Alessan­ drino (Gr I); - la lunga è nel manoscritto minuscolo 248 (Gr II). 3. La Vetus Latina, adottata poi nella Vulgata, si rifà a Gr II. La tradu­ zione dovette avvenire in Africa del nord per opera di cristiani della seconda metà del II secolo. 4. Infine, la Peshitta Siriaca (S) è basata sul testo ebraico. In pratica, possiamo dire che Ben Sira scrisse in ebraico a Gerusa­ lemme (cf. Sir 50,27) tra il 190-180 a.C., probabilmente in più tappe (Hb I). Disgraziatamente quel testo non fu trasmesso e l’attuale perve­ nutoci rivela delle aggiunte; gli autori distinguono perciò due recensio­ ni, Hb I e Hb II91. Nel 132 a.C., in Egitto, il nipote intraprende la traduzione in greco per gli ebrei della diaspora (cf. Prologo): Gr I. Dall’80 o 60 a.C. (A.A.

91 Un tentativo di decifrare la composizione del libro è in W. Fuss, Tradition und Composition im Buche Jesus Sirach, Diss. Tubingen 1963, cf. «ThLZ» 88

( 1 963) 948-949; le due recensioni sono state particolarmente studiate da F. V. Rei«Urtext» und Ubersetzungen. Sprachstudie iiber Sir 44, 16-45,26 als Beitrag zur Sirachforschung (Arbeiten zu Text und Sprache im Alten Testament 12),

te re r,

Ottilinien 1980.

276

Di Leila) o, più genericamente, dal primo secolo a.C. (G.L. Prato) ci fu­ rono delle aggiunte (Hb II) la cui origine è discussa. Tra il 150 e il 200 d.C. avvenne la traduzione di Gr II basata sul nuovo testo Hb II (dovette avvenire prima di Clemente d’Alessandria che cita le aggiunte di Sir 1,2la, 22a; 19,5b e 26,22). La Vetus Latina sembra testimoniare questa seconda edizione, ma ha aggiunte proprie. La Vulgata contiene dei pas­ saggi che potrebbero essere di origine cristiana. Nel testo greco vi è l’inversione dei capitoli 33,25-33,16a e 33,16b36,16a. É posteriore alla versione latina che conserva l’ordine dell’e­ braico (mss B e E); questo, anche per la sua coerenza, deve ritenersi ori­ ginale92.

Struttura

Nel libro appare una duplice sapienza, pratica e teorica9*. Nella prima, l’intento è prevalentemente pedagogico-pratico con i temi classici della tradizione: ricchezza e povertà, vera e falsa sapienza, vero e falso onore, vera e falsa vergogna, l’educazione, la famiglia con il rapporto tra uomo e donna o tra padre/madre e figlio/a, l’amicizia, la moderazione e il dominio della passione e della lingua, il comportamento pubblico e privato, l’umiltà, il po­ tere e la superbia, ecc. sono i capisaldi su cui ritorna il saggio. 92II testo di Ben Sira è in F. V a t t i o n t , Ecclesiatico. Testo ebraico con appa­ rato critico e versioni greca, latina e siriana (Pubblicazioni del seminario di Semitistica. Testi I), Istituto Orientale di Napoli, Napoli 1968. La versione greca è nelle edizioni di A. R a h l f s , Septuaginta, voi. II, Stuttgart 1935 (ristampa anasta­ tica in un volume 1979) e J. Z i e g l e r , Sapientia lesti F ilii Sirach (Septuaginta. Vetus Testamentum Graecum Auctoritate Scientiarum Gottingensis editum XII/ 2), Gòttingen 19802(riporta anche la recensione lunga). Il testo ebraico è anche in P.C. B e e n t je s , The Book o f Ben Sira in Hebrew. A Text Edition o f all Extant He­ brew Manuscripts and Synopsis o f all P arallel Hebrew Ben Sira Texts (Supplements «VT» 68), Brill, Leiden 1997 e in Z . B e n H a y y m (a cura), Il libro di Ben S ira ’ . Testo, concordanza e analisi del vocabolario (Dizionario storico della lin­ gua ebraica), Accademia della lingua ebraica e tempio del Libro, Gerusalemme 1973 (in ebraico); una edizione diplomatica del codice ambrosiano della versione siriaca è in N. C a l d u c h - B e n a g e s - J. F e r r e r - J L ie s e n , La sabiduria del escriba Wisdom o f thè Scribe (Biblioteca Midràsica 26) Editorial Verbo Divino, Estella (Navarra) 2003. 93Cf. A.A. Di L e l l a , in P.W. S k e h a n - A. A. Di L e l l a , The Wisdom o f Ben Sira (Anchor Bible 39), Doubleday, New York 1987, pp. 31-39, egli preferisce parlare di Recipe Wisdom ed Existential Wisdom.

277

Nella seconda prevale una riflessione di tipo filosofico e teologi­ co, in cui sono affrontati i grandi problemi dell’esistenza e della storia. Nello stile, il libro raccoglie serie di proverbi, che hanno alla base la forma del distico, accumulandoli per argomento', sono questi a determinare la struttura del libro. Le istruzioni alternano spesso esortazioni al negativo e al positivo; vi intervengono an­ che i proverbi numerici o i confronti di valore tendenti a mettere in risalto l’ultimo e culminante, spesso il «timore» o rispetto di Dio. Fa uso anche della strofa, ma in modo vario e mobile94. Ele­ mento interessante è il frequente riferimento autobiografico, in cui l’autore interviene coinvolgendosi in prima persona, soffer­ mandosi a narrare la sua esperienza; essa diventa parte dell’argo­ mentazione come l’esempio storico. Sovente l’insegnamento è introdotto da domande che mettono in risalto le antinomie pre­ senti nella realtà cosmica o antropologica. Una particolare fun­ zione nella struttura del libro acquistano i canti alla Sapienza, spesso personificata e identificata nella funzione di educatrice, moglie o madre. Inoltre, ampie sezioni risultano collegate per sti­ le, tema o procedimenti analoghi nell’argomentazione95. Una serie di studi ha tentato di cogliere la struttura organica del testo e la sua origine. L’organizzazione dei proverbi secondo tematiche determina la struttura del libro che, tuttavia, nell'insie­ me resta complessa. Si è ancora lontani da un accordo nel defini­ 94Sulla poesia di Ben Sira, cf. A. A. Di L e l la , The Poeti-y o f Ben Sira (Fs H. O rlin sk y), «Eretz-Israel» 16 (1982), pp. 26*-32*; e nel commentario P.W . Skeh a n - A. A. Di L e l la , The Wisdom ofBen Sira, pp. 63-74; W. R o th , On thè Gnomic-discursive Wisdom o f Jesus Ben Sirach, «Sem eia» 17 (1980), pp. 59-79; W. B a u m g a rtn e r, Die literarische Gattungen in der Weisheit des Jesu s Sirach, «QAW» 34 (1914), pp. 161-198; S. M ow in ckel, Die Metrik bei Jesu s Sirach, S T 9 (1955), pp. 137-165; F. Bòhmisch, Die Textformen des Sirachbuches und ihre Zielgntppen, «Protokolle zur Bibel» 6 (1997), pp. 87-122. Sugli aspetti les­ sicali, in specie nomi e verbi, cf. A. H u rvitz, The Linguistic Status ofBen Sira as a Link between Biblical and Mishnaic Hebrew: Lexicographical Aspects, in T. M oltraoka - J.F . E w o ld e (a cura), The Hebrew o f thè Dead Sea Scrolls and Ben Sira: Proceedings o f a Symposium held at Leiden University 11-14 December 1995 (STDJ 26), B rill, Leiden/New York/Cologne 1997, pp. 72-86. 95In questa linea si collocano J. H a s p e c k e r , Gottesfurcht bei Jesus Sirach, e G.L. P r a t o , Il problema della teodicea in Ben Sira.

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re la logica globale dell’opera probabilmente redatta in più tappe. Il libro risuona però di armonie di una grande coerenza. Buona parte degli studiosi, partendo da Roth96, ha individua­ to otto sezioni, ponendo l’accento sui poemi alla sapienza. Talora si considerano due grandi sezioni, ciascuna divisa in quattro uni­ tà, oppure se ne riconoscono tre, dando un posto speciale all’ulti­ ma: la gloria delle opere del Signore nella creazione e nella storia di Israele (42,15-43,33; 44,1-50,29)97. Utili indicazioni sono con­ tenute nella rassegna di Marbòck, utile per il panorama dell’opera e per individuare ampie unità tematiche e stilistiche: la ricerca ha concentrato l’attenzione su alcuni modelli e caratteristiche tema­ tiche e letterarie fondamentali, come le pericopi sulla sapienza, la tendenza a più ampie e più compatte unità verso la fine (da 38,24), l’enfasi sulla storia di Israele al centro (c.24) e alla fine (cc. 44-50), la lode della sapienza e di Dio, la centralità di Sir 24. Mi limito a segnalare ampie sezioni per far emergere i temi ricorrenti98. 96W. Roth, On thè Gnomic-Discursive Wisdom o f Jesus Ben Sirach, «Semeia» 17 (1980), pp. 59-79, che resta forse il migliore studio sul testo di Ben Sira. F. seguito, ad es., da A. Niccacci, Siracide o Ecclesiastico. Scuola di vita p e r il popolo di Dio (La Bibbia nelle nostre mani, 27), San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2000, che considera il c. 51 parte integrante del libro, non appendice; ogni sezione è introdotta da un poema sulla sapienza i cui passi introduttivi sono in parallelo: (1) 1,1-29; con il (5) 24,1-32; (2) 4,11-19 con il (6) 32,14-33,18; (3) 6,18-37; con il (7) 38,24-39,35; (4) 14,20-15,10; con l’(8) 44,1-50,24; cf. anche J.D. Harvey, Toward a D egree o f O rder in Ben S ira 's Book, «ZAW» 105 (1993), pp. 52-62. Da parte sua, G. Sauer, Jesu s Sirach / Ben Sira (ATD Apokryphen Band I), Vendenhoeck & Ruprecht, Gòttingen 2000, articola cosi il suo commento: 1) due capitoli introduttivi (Sir 1-2); 2) Sir 3-23; 4) Sir 24; 5) Sir 25,1­ 42,14; 6) 42,15-50,26; 7) Sir 50,27-51,30. P.W. Skehan - A.A. Di Lella, o.c., afferma che «non vi è un particolare ordine della materia trattata o una coerenza ovvia», ma suddivide la materia in otto parti: 1) 1,1-4,10; 2) 4,11-6,17; 3) 6,18­ 14,19; 4) 14,20-23,27; 5) 24,1-33,18; 6) 33,19-38,23; 7) 38,24-43,33; 8) 44,1­ 50,24; conclusione (50,25-51,30). 97Cf. A. M i n i s s a l e , Siracide (Ecclesiastico) (Nuovissima Versione della Bibbia 23), Roma 1980, articola il suo commentario in tre parti; N. P e t e r s , Das Buch Jesu s Sirach oder Ecclesiasticus iibersetzt und erklàrt (Exegetisches Handbuch zum Alten Testament 25), Miinster in West. 1913, propone due sezioni sim­ metriche [A, B], articolate ciascuna in cinque parti. 98Cf. J. M a r b ò c k , Structure and Redaction History o f thè Book o f Ben Sira. Review and Prospects, in P.C. B e e n t j e s ( a c u r a ) , The Book o f Ben Sira in M odem

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1.1-2,18: i primi due capitoli possono essere considerati il portale intro­ duttivo del libro: A. La sapienza in Dio, nel mondo e nell’uomo (timor di Dio 1,1-10 e 1,11-30). B. Ma la prova che purifica attende inevitabilmente il discepolo che deve confidare nel Signore (2,1-18)". 51.1-30: epilogo o conclusione che trova corrispondenza con l’introdu­ zione in forma di chiasmo. B’. Ringraziamento per la liberazione da una calunnia: è il supera­ mento delle prova prevista all’inizio; A ’, elogio acrostico della sa­ pienza, a cui Ben Sira si è dedicato e legato come a una sposa (51,1 12.13-30); cosi il saggio profeta avverte il compito di effonderla nel cuore dei suoi discepoli che invita alla sua «casa dell’istruzione» identificandosi praticamente con la sapienza stessa (w. 23-30). Egli ha realizzato la sua missione e il suo ideale: non ha lavorato per se stesso, ma per tutti coloro che cercano la sapienza. 3.1-4,10: all’introduzione segue un primo insegnamento sulle relazioni soprattutto familiari (3,16.30-31; 4,10): la parola chiave è «padremadre» (3,1; 4,10). 1. 4,11-6,17: al poema sulla sapienza maestra di vita, che impone fati­ ca e prove a chi la cerca (4,11 -19), segue un’ampia unità sul duplice aspetto (4,20-6,17). L ’insegnamento si conclude con una positiva esposizione su\Vamicizia (6,5-17).

Research (BZAW 225), Berlin 1997, pp. 61-79, offre un’ampia panoramica cri­

tica sui tentativi e sui metodi usati per cogliere l’unità globale del libro e di alcune ampie sezioni. Originali sono le osservazioni di W. J u n g l i n g , D er Bauplan des Buches Jesu s Sirach, in J. H a i n z - H.-W. J i ' n g l i n g - R. S e b o t t (a cura), «Den Armen eine fr o h e Botshaft» (Fs F. K a m p h a u s ) , Knecht, Frankfurt am Main 1997, pp. 89-105: dà particolare valore alle note autobiografiche che ritiene «ini­ zi» di sezione, cosa non sempre convincente, soprattutto ai cc. 24 e 51 in cui l’appello autobiografico di Ben Sira è conclusivo, e divide il libro in tre parti, ciascuna formata di due sezioni: Prologo', I. p a r t e 1,1-24,29: a) 1,1-16,23; b) 16,24-24,29; II. p a r t e 24,30-39,11: a) 24,30-33,15; b) 35,16-39,11; III. p a r t e 39,12-50,26: a) 39,12-43,33; b) 44,1-50,26; Epilogo : 50,27-29 (Sir 51 ). Sui passi in prima persona, cf. anche J. L ie s e n , First-Person passages in thè Book o f Ben Sira, «PIBA» 20 (1997), pp. 24-47 (esamina Sir 24,23-29 in unione con la sa­ pienza che parla in prima persona e le note autobiografiche di Ben Sira stesso; e Sir 31,1 OHb con 34,1 OGr). 99 Su questo capitolo, cf. N. C a l d u c h - B e n a g e s , Un gioiello di sapienza. Leg­ gendo Siracide 2 (Cammini nello Spirito, Biblica 45), Paoline, Milano 2001; at­ tinge alla sua tesi: En el crisol de laprueba. Estudio exegético de Sir 2, 1-18 (Associación Biblica Espanda 32), Editorial Verbo Divino, Estella (Navarra) 1997.

280

2.

6,18-14,19: accanto al timore del Signore (6,37; 7,29; 9,16; 10,19­ 24) vengono i temi della transitorietà della vita e della morte (7,17.36; 10,9-11; 11,25-26; 14,11-19) in relazione alla superbia e all’arroganza. Sir 6,18-37 inizia con la ricerca e apprendimento del­ la sapienza. La sezione conclusiva ritorna al tema della ricchezza e amicizia (avarizia e solidarietà: beneficare Vomico, 14,3-10.11-19).

3.

14,20-15,10: il poema sul legame tra saggio e sapienza (madre e sposa) è premessa alla lunga sezione sulla teodicea, 15,11-18,14. L’autore assume due possibili obiezioni di un discepolo: la prima ritiene Dio responsabile del peccato dell’uomo (15,11-16,14); la se­ conda nega la provvidenza o giustizia di Dio, che non si cura dell’agire buono o cattivo dell’uomo (16,16-17,14). Nella risposta, Ben Sira afferma la libertà umana, appellandosi all’intenzione di Dio manifestata sin dalle origini e al suo sguardo che giudica e retribui­ sce castigando i colpevoli (15,11-20; 16,17-17,23). Quindi argo­ menta richiamando la posterità inutile degli empi, la storia e il giu­ dizio di ricompensa (16,1-16). Dopo le questioni di principio o dot­ trinali (il ricorso alle origini), per evitare la disperazione dell’interpellante, parla della misericordia divina ed esorta alla con­ versione (17,15-18,14). La lezione si conclude esortando alla generosità e alla previdenza (18,15-29), al dominio delle passioni, in particolare quella sessuale (18,30-19,3), e con una ulteriore sezione su\Yamicizia (cautela e di­ scernimento nel parlare, 19,4-19, cf. 5,1-6,4 e 6,5-17). 4. 19,20-23,27: il tema sapienza-legge e timor di Dio è articolabile in tre grandi sezioni (indizio stilistico: «è meglio» come giudizio di valore in 19,24; 20,31; 23,27). A) 19,20-20,31: il principio «tutta la sapienza è il timor di Dio e in ogni sapienza è la pratica della leg­ ge» ( 19,20-24) riprende 1,1-10.25-30 e sviluppa il tema della vera sapienza opposta al comportamento stolto, specialmente nel parlare (20,1-8.9-17.18-26.27-31; 19,20 fa inclusione con 20,31 sul tema sapienza; particolarità di questa sezione sono anche i detti «c’è chi»)100; B) 21,1-22,26: dopo avere stabilito il senso del peccato, il­ lustra il timore di Dio e la legge (21,1-10.11), sapienza e follia (21,12-22,18), e conclude con un’altra pericope sull "amicizia (22,19-26); C) la terza sezione contiene i due temi dell’uso deprava­ to della parola e della passione sensuale, con una duplice preghiera 100 Per l’ unità del brano cf. P.C. B eentjes, «Full Wisdom is F ea r o f thè Lord». Ben Sira 19, 20- 20,31 : Context, Composition and Concept, «EstBib» 47 ( 1989), pp. 27-45 . -

281

(22,27-23,6) e l’istruzione sull’uso della parola e sull’adulterio (23,7-15.16-27). 5.

24,1-32 è il centro del libro, solenne conclusione di quanto precede e apertura della nuova parte101: l'inno alla sapienza-legge, ossia alla rivelazione consegnata nella Bibbia che rappresenta il culmine della sapienza. Essa non cessa di offrire se stessa, come i frutti della terra nella loro stagione, e rende possibile l’accesso all’albero della vita impedito in Gn 3,22: chi accoglie la rivelazione si apre alla vita. 25,1-32,13: la sezione potrebbe essere catalogata come istruzione antitetica su ciò che fa vivere o danneggia'02. A) 25,1-26,18 e 26,19-28,26 prima serie, in due riprese che iniziano con i proverbi numerici (25,1-2 e 27,19); centro tematico: la buona e la cattiva mo­ glie, l’uso della parola (parlare falso e vero 27,19-27,3 + 27,4­ 10.11-29, la persona pia opposta all’ingannatore, con considerazio­ ni degli effetti sull'amicizia: svelare i segreti la rovina irreparabil­ mente); B) 27,30-30,13: collera, vendetta e perdono (27,30-28,26); uso del denaro: generosità e cautela nel prestito, elemosina e ospi­ talità (29,1-28); educazione e disciplina dei fig li (30,1-13103); C) 30,14-32,13 la salute: riflessione generale (30,14-25), buono o cat­ tivo uso del denaro (31,1-11), equilibrio e uso gioioso del cibo, spe­ cie nei banchetti (31,12-30; 31,31-32,13). 6 . 32,14-38,23. Sir 32,14-33,19 sembra iniziare una nuova serie con il timore del Signore - legge e amore per la sapienza (32,14-33,6, cf. 101 Sir 24 fa inclusione con l’ inizio del libro ( 1, 1- 10. 11-30) mediante il ricor­ do delle origini della sapienza e la sua relazione con la creazione, ed è collegato con Sir 51 per la ricerca della sapienza considerata la meta fissa dell’ agire umano (in ambedue segue l’ invito ad accostarsi alla sapienza). Tra questi due archi, Ben Sira mostra sempre la natura e il significato della sapienza: essa, che sta all’ inizio del mondo e della creazione, vive in molti luoghi e percorre il mondo (Sir 1), trova il suo luogo stabile nel tempio di Gerusalemme (Sir 24 ) e indica, alla fine, a coloro che la cercano, il futuro (G. S a u e r , o.c., p. 180). Il capitolo è inserito tra le pericopi 22 ,27 - 23,27 e 25 , 1-11 ben collegate per temi e parole chiave (cf. 23 , 16. 22-23 e 25 , 1. 2.7 inclusi i proverbi num erici; temi e parole chiave: 23 , 19.27 con 25 , 6 . 1; 23,16 e 25,2 , 23,23 c e 25 ,2d, 23, Ib e 25 ,4 b.5b, 22, 27d e 25 , 7b.8b, 23 ,2° e 25 , 5b); ci sono legami tra 23 ,25-26 e 24 , 12. 16.20 e tra 23,12 e 24 , 8 .23 . 102G. S a u e r , o.c., p. 187, classifica Sir 25, 1-42,14 come «insegnamento sul comportamento, in modo particolare come membri del popolo e nella storia». 103II tema dei figli è ripreso in 3, 1- 16; 7, 27s; 22, 3-6 ; cf. anche 16, 1-5; 23 ,24s; 40 , 15- 17; 41 , 15-17 malvagità e discendenza: l’utilità dei figli si ha nel caso della buona fama, la speranza nei figli è possibile se hanno le stesse buone qualità del padre.

282

1.1-30), seguita dall’istruzione sul «duplice aspetto» del creato (33,7-15). L’appello di Ben Sira alla propria esperienza (33,16-19) apre a quat­ tro istruzioni: A) La famiglia (amministrare il patrimonio e trattare la servitù, 33,20-33); B) L'autentica esperienza religiosa che deve guidare l’esistenza (34,1-36,17), non i sogni, ma la legge e l’espe­ rienza (i viaggi) guidate dal timore del Signore; C) Discernimento del cibo, della donna, degli amici, dei consiglieri (36,18-20.21-27; 37.1-6.7-15); conclude con l’esortazione alla preghiera (37,15); D) Vera efalsa sapienza - vero e falso saggio (37,16-26), salute (cau­ tela nei cibi, 37,27-31, il medico, 38,1-14) e il lutto per il morto (38,16-23) che sembra anticipare i temi della sofferenza e della morte. 7. 38,24-42,14: la preferenza per l’impegno del saggio rispetto ai lavo­ ri manuali (38,24-39,11) è seguita dall’inno didattico sulla tunzionalità bivalente della creazione (39,12-35). In sintonia con questa bivalenza seguono: A) le antitesi dell’afflizione umana (40,1-17), il confronto dei beni per cercare quello superiore (40,18-27) e una istruzione sulla mendicità; B) l’antitesi sulla buona o cattiva morte (41,1-13) e sulla vera e falsa vergogna (41,14-42,8); chiude la serie l’istruzione sull’educazione di una figlia (42,9-14). 8 . 42,15-50,26: le due grandi parti hanno un identico tema, celebrare

le opere del Signore nella creazione (42,15-43,33) e nella storia (44,1-50,26). In uno sguardo di speranza e universalità, Ben Sira collega i Padri a un unico piano di salvezza dell’umanità; la lode ai Padri ha come scopo ultimo la glorificazione delle grandi opere di Dio nella storia più che l’encomio dei grandi eroi del passato; il poe­ ma è diviso in due parti che si concludono entrambe con un invito a lodare Dio (45,25e-26 e 50,22-24)l04.

3. La

s a p ie n z a

Ricerca e sequela della sapienza costituiscono il tema centrale del libro. Per Ben Sira resta l’ideale più alto, perciò ne sintetizza i 104

Cf. A. N ic a c c i, La lode dei Padri. Ben Sira tra passato e futuro, in R. (a cura), Initium Sapientiae, Fs. F. F e s t o r a z z i, E d b , Bologna 2000 , pp. 199- 225 . Sir 44 , 1-14 ha molti contatti con il ritratto ideale del saggio in 39, 1- 11. F a b r is

283

vari aspetti ereditati dalla tradizione. La sapienza è anzitutto qua­ lità divina, impenetrabile: Dio la possiede eternamente (1,1-3) e la concede agli uom ini, solo a quelli che lo temono o l’amano (1,10), dei quali Ben Sira si ritiene parte, e si identifica in pratica con il timore di Dio. È dunque creatura di Dio e suo dono. Egli la effonde nel mondo come ordine primordiale, primogenita di ogni creatura (1,4-9; 24,9; cf. Pro 8,22-31): «esce» dalla bocca di Dio con una funzione creatrice e sovrana nel cosmo, e una funzione rivelatrice e cultuale nella storia; nella tenda ha officiato, ha posto la sua dimora stabile e si è radicata in Sion e in Israele (24,1-8.12­ 17) ed è effusa in abbondanza e in modo costante come l’acqua dei fiumi del paradiso terrestre e dell’Esodo e i frutti della buona stagione (24,23ss). Essa diventa allora la fonte inesauribile e in­ sondabile, «l’albero di vita» il cui accesso, impedito in Gn 3,22, diviene possibile: chi accoglie la rivelazione si apre alla vita. L’antica idea dei saggi di Proverbi che la sapienza rappresenti l’ordine nel mondo e nelle relazioni umane (cf. Pro 8,1-31) per Ben Sira si manifesta anche nella rivelazione di Dio presente nel­ la storia di Israele e consegnata nella Bibbia, la Torah (Sir 24). Essa rappresenta l’espressione più alta e migliore della sapienza e ne è l’autentica interprete nella creazione e nella storia. Perciò, egli legge anche la storia di Israele dal punto di vista della sapien­ za e del saggio (cf. Sir 44-50), aprendola a dimensioni universali. La sapienza si rivolge a ll ’uomo come persona, come madre e amante (Sir 15,2) e come educatrice (4,11-19): in questo ruolo gli parla, esige docilità e sottomissione, gli impone un severo tiroci­ nio, perché si entra gradualmente in suo possesso. Il maestro in­ dica perciò le condizioni per cercare e trovare la sapienza. Chi la desidera, egli avverte fin dall’inizio, deve prepararsi all’inevitabi­ le prova (2,1-18), avere il coraggio di seguirla su percorsi impra­ ticabili, affrontando le difficoltà che essa pone sulla sua strada (4,17-19), ma alla fine diventa liberante (15,1-6; in 51,1-12 Ben Sira mostra che concretamente la sapienza lo salvò dalla calun­ nia). Il folle non la raggiunge, perché ritiene troppo ardua la fati­ ca, mentre l’accoglie proficuamente il fedele (6,18-22). Occorre una docilità attiva : farsi incontrare, accettare il suo giogo, amarla e cercarla con assiduità, tenacia e perseveranza (6,23-31). Per conquistarla il discepolo deve possedere l’abilità del cacciatore e 284

la passione dell’amante (14,20-15,10). In concreto, chi vuole di­ ventare saggio deve cercare la compagnia dei saggi, scegliersi un maestro da seguire ogni giorno con zelo e passione, quindi riflet­ tere lungamente sulla Torah secondo il metodo sapienziale (6,18­ 37), contemplare il mondo (42,15-43,33), osservare i precetti (è mettere in pratica la sapienza, 19,21) e pregare fin dal mattino perché essa è dono di Dio (39,5ss, cf. Sap 9). In tal modo si ac­ quista il favore di Dio. Ma c’è qualcosa di più grande: amare e cercare la sapienza è amare e cercare D io, diventa un atto liturgico. Non si può pene­ trare il mistero del Dio che si rivela e ci chiama a sé se non me­ diante una attenzione amorosa continua. Ci incoraggia non solo il pensiero che Dio al termine si rivelerà totalmente, ma anche che fin dai primi passi la sapienza di Dio si fa nostra compagna (Sir 4,17-18). Il saggio è quindi assimilato alla sapienza stessa che «ha officiato nella tenda santa» (Sir 24,10) e riceve la gloria del sommo sacerdote: i legami della sapienza diventano una cintura di porpora violetta (6,29-31) e riflettono le vesti sacerdotali (cf. Es 28,39; Sir 45,7-13). Allora si conoscerà la pienezza della gioia nell’unione perfetta con la sapienza di Dio. Tutto ciò che poteva sembrare un giogo o un ostacolo al nostro cammino, è in realtà ciò che costruisce la nostra dignità', il cammino, per quanto au­ stero, non è un percorso da schiavi, bensì da sacerdoti che rendo­ no a Dio il culto dovuto105. Ben Sira ci comunica l’ esperienza personale della sapienza in termini di passione, scoperta, stupore. Il poema alfabetico fina­ le dedicato alla sapienza (Sir 51,13-22) mostra come egli stesso sia stato preso dalla sapienza, l’abbia perseguita come un inna­ morato e si sia legato a lei con fedeltà. Allora, dandole voce e identificandosi in un certo modo con essa, egli avverte il compito di invitare alla sua scuola quanti la cercano per prolungarne l’in­ segnamento (51,23-30)l06. Così, divenuto un saggio eminente e un modello per i discepoli, realizza il suo ideale di lavorare non 105Cf. M. G ilb e rt, La sequela della sapienza. Lettura di Sir 6, 23-31 , «PSV» 2 ( 1980), pp. 53- 70, in specie, p. 70 . 106II tono con cui si rivolge ai discepoli richiama la sapienza di Sir 24, 19ss e Pro 8 , 1- 3 ; riflette anche il linguaggio profetico di Isaia 50, 1-3 .

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solo per sé, ma anche per quanti cercano la sapienza e l’istruzione (24,34; 33,18; 39,6-8.12-13). Offrendo ai discepoli la sua istru­ zione, insegnando loro le condizioni per accedere alla sapienza e le caratteristiche di colui che la scopre, egli giunge allo scopo ul­ timo della formazione: la gioia di lodare Dio107. Pericopi sulla sapienza108 A illustrazione del pensiero di Ben Sira sono selezionate alcu­ ne pericopi da leggere con Sir 24 già trattato nell’ambito del te­ ma: «La rivelazione del mondo e la sapienza personificata». Sapienza e timor di Dio: Sir 1,1-10

I primi due capitoli, che fungono da «portale» di tutto il libro (Sir 1,1-2,18), sono un esempio di sintesi della tradizione sapien­ ziale confluente in Ben Sira. La sapienza è descritta secondo tre coordinate: in riferimento a Dio, al cosmo, all’uomo. E presso Dio, che la possiede eternamente: «Ogni sapienza viene dal Signore e con lui rimane per sempre» (1,1); è la sapien­ za di Dio stesso, il solo saggio, qualità divina assolutamente in­ sondabile con cui egli crea e governa il mondo (vv. 2-3.6-9). E il problema dell’origine della sapienza. La risposta dell’uomo è il timore del Signore con cui la sapienza è in stretto rapporto (w. 11-21 che può considerarsi un commento a Pro 1,7). E nel mondo, ne costituisce l’ordine primordiale (vv. 4-9). E la primogenita di tutte le creature (cf. Pro 8,22ss), Dio l’ha vista, misurata e diffusa in tutte le creature, anche negli animali, ma so­ prattutto nell’uomo. E mediante la sapienza che Dio crea e gover­ na il mondo: in Sir 24 si proclama «uscita» dalla bocca di Dio con 107Cf. M. G ilbert , A Fècole de la Sagesse. La pédagogie des sages dans l'ancient Israel. «Gregorianum» 85 ( 1/2004), pp. 20-42 ; per Ben Sira, pp. 32­ 38 ; I dem , La p edagogia dei saggi n e ll’antico Israele, «La Civiltà Cattolica» 155 (2004/111), pp. 345- 358. 108Hanno studiato le pericopi in questione: O. R ickenbacher , Weisheitsperikopen bei Ben Sira (Orbis biblicus et orientalis 1), Universitatsverlag Freiburg/ Schweiz - Vandenhoek & Ruprecht Gòttingen 1973; J. M arbòck , Weisheit im Wandel. Untersuchungen zur Weisheitstheologie bei Ben Sira (B B B 37), Bonn 1971; ora in BZA W 272, de Gruyter, Berlin 1999: .

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forza creatrice e con potere regale su ogni realtà del cosmo e su ogni popolo e cultura (vv. 3-6); la identifica poi con la Torah, la rivelazione di Dio al suo popolo (v. 23), in mezzo al quale assu­ me una funzione cultuale e di possesso (eredita Israele, Israele eredita la sapienza come sua tipica eredità). È sapienza umana, di ordine diverso dall’ordine primordiale: corrisponde all’atteggiamento umano di fronte a Dio, il timore del Signore (vv. 10.11-30l09). La sapienza maestra di vita: Sir 4,11-19

La pericope, che introduce una nuova sezione (4,20-6,18), contiene il primo discorso della sapienza: essa invita il saggio a ricercarla con amore e costanza, perché solo dopo la prova essa si rivela e si consegna a lui. Nel contesto assume la funzione di «maestra di vita» come in Pro 8. Dopo l’introduzione (v. 11), seguono tre versi in forma enun­ ciativa con l’esortazione del maestro (vv. 12-14); segue il discor­ so della sapienza (w. 15-19 Hb in prima persona; Gr prosegue in terza persona). v. 11: parla il maestro. Si rivolge ai suoi figli) cioè ai disce­ poli che già conoscono la sapienza: essa istruisce ed esorta o sti­ mola riguardo alla vita pratica, non propone un insegnamento teorico. vv. 12-14: il cammino verso la sapienza. Il maestro enuncia i passi che guidano i discepoli verso la sapienza. Iniziano e termi­ nano nel segno dell’amore: coloro che la amano, amano la vita; di riflesso, Dio ama coloro che la amano (w. 12b.l4b). La si acco­ sta anzitutto con l’amore o l’interesse: mette in moto la ricerca, quindi la costanza (aderire, ritenerla) e il «servizio» stabile che richiama la liturgia del tempio. Infatti, «coloro che la servono so­ no come coloro che prestano servizio nel santuario o al (Dio) Santo (mesharté qódesh)»: è un servizio liturgico, sacerdotale. Il risultato è pure progressivo: la vita e il favore del Signore (cf. Pro 109 Sir 1, 11-30 è poema alfabetico? Lo presuppone A .A . Di L e lla , F ea r o f thè L o rd as Wisdom: Ben Sira 1, 11- 30 , in P. B eentjes (a cura), The Book o f Ben Sira in M odem Research, pp. 113- 133, ma è ancora da dimostrare.

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8,32ss), la gloria e la benedizione stabile (riposa nella benedizio­ ne, testo Hb), l’amore di Dio. La sapienza appare la via maestra verso Dio.

vv. 15-19: parla la sapienza. Il v. 15 introduce appellando ai risultati: il retto giudizio in tribunale (cioè un corretto rapporto sociale; o allude al tribunale sacro?) e la dimora nei suoi «atri» (testo Hb, che allude probabilmente al tempio, mentre il Gr è ge­ nerico: «dimorerà sicuro»). Il motivo si incontra in alcuni salmi, ma in Sir 24,10-11 la sapienza stessa parla della sua abitazione e azione privilegiata nel tempio e nel culto, al quale indirettamente accenna anche in 24,15 (gli elementi usati per l’incenso). Viene dunque sviluppato il concetto precedente dei vv. 13-14: la sa­ pienza è via a un autentico culto. vv. 16-18.19 sviluppano il discorso in due parti, positiva e ne­ gativa. La prima riflette i caratteri dell’Esodo: l’itinerario verso la sapienza è una marcia nel deserto con accompagnamento discreto nello stile di Dio, con i «segni» («di nascosto camminerò con lui»), con prove e tentazioni, ma anche con la guida e le rivelazio­ ni, come insegna Dt 8,2-5 sul cammino del popolo di Dio. Così il percorso del saggio diventa un cammino spirituale che si svolge in parallelo con il percorso di Israele (in Sir 24 la sapienza stessa compie un «Esodo»). Il v. 19 minaccia il ripudio («lo respinge­ rò») e la prigione (è allusione all’esilio?), il rigetto e la rovina. La terminologia richiama la predicazione deuteronomica sulla legge. In questo poema incontriamo diverse risonanze che ritorne­ ranno nel corso del libro: il legame tra l’Esodo e la sequela della sapienza, il rapporto tra la sapienza e la legge (non solo nella di­ chiarazione del suo valore sapienziale, come in Dt, ma nel pre­ sentare gli stessi effetti legati all’osservanza-sequela o al rifiuto che altrove sono collegati alla legge). Emerge un concetto reli­ gioso della sapienza: è la via maestra verso Dio e un autentico culto, la via essenziale verso la libertà (cf. Sir 15,10-20). Ricerca della sapienza: Sir 6,18-37

E un secondo discorso sull’apprendimento della sapienza. Il testo ebraico presenta lacune e difficoltà. Formalmente la perico288

pe può essere divisa in strofe di tre distici (18-19.20-22.23-25.26­ 28.29-31.32-35.36-37), raccolte in tre unità, che iniziano con la formula «figlio mio» e rivelano una struttura simmetrica: 1) vv. 18-22 (6 vv. x 2 strofe); 2) vv. 23-31 (9 vv. x 3 strofe); 3) vv. 32-37 (6 vv. x 3 strofe). 1 . I due quadri opposti: il saggio e lo stolto (vv. 18-22). - La ricerca della sapienza si estende a tutta la vita, dalla gioventù alla vecchiaia (v. 18). Il saggio la ricerca con compito responsabile, mentre lo sciocco e insensato (lett. «senza cuore») la rifiuta come una imposizione insopportabile. Il saggio si avvicina come arato­ re e mietitore (la sapienza appare come un seme o una pianta, cf. Sir 24,12-16; 14,26; Gc 5,7): deve coltivarla, come la legge, il cuore e la vita morale (cf. 27,6; 37,18), ma riceve frutti abbon­ danti e a breve termine (Hb «domani»). Per lo stolto è invece «fa­ ticosa» («una via impercorribile»?): non riuscendo ad adattarvisi, mal la sopporta come una grossa pietra di cui disfarsi, «perché la disciplina {musar) è come il suo nome», alla massa non si mani­ festa (il testo gioca su «2«sar-disciplina e miistar-nascosto?), «non a tutti è facilmente percorribile o diritta» (v. 22). 2. Durezza e impegno d e ll’apprendimento: il giogo della sa­ pienzer110 (vv. 23-31). - 1 vv. 23-25 attingono alPimmagine dello schiavo o prigioniero in catene (cf. Aboth 3,6; Ger 2,19b-20; i vv. 23-24 mancano in Hb), per segnalare la docilità alla sapienza e la fatica, ma anche l’alleanza: porre i piedi sul ceppo, sottoporre il collo al giogo, curvare le spalle per portarla, non rifiutare le sue catene (Hb lacci-legami). Si tratta dei legami dell’alleanza, del giogo dell’insegnamento, in una sottomissione libera: è servizio non asservimento. Anche Sir 51,26 dà il medesimo consiglio: Sottoponete il collo al suo giogo, accogliete l’istruzione (51,26).

Matteo 11,29 riferisce l’immagine a Cristo: «Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite e umile di cuo­ re». Ma già Lamentazioni suggerisce che «è bene per l’uomo por­ tare il giogo fin dalla giovinezza» (Lam 3,27). Il giogo dell’inse­ 110Cf. M.

G ilb e r t,

La sequela della sapienza. Lettura di Sir 6, 23 -31 , «PSV»

2 ( 1980), pp. 53-70 .

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gnamento e della paideia-disciplina (musar) è pesante solo per l’insensato che non capisce e pensa di riuscire meglio facendo di testa sua: Ceppi ai piedi è la disciplina per l’insensato e come manette nella sua destra (Sir 21,19).

Gli stessi strumenti, visti oltre la prova, saranno tramutati in un giogo di gloria (vv. 29-31 ). -

la sua rete-lacci diverrà una fortezza (Gr potente protezione); le sue catene o i suoi ceppi diverranno vestiti dorati; il suo «giogo» (‘ólah) è un ornamento d’oro - una collana111; i suoi «legami» (mósroteha che fa eco forse a musar) una cintura di porpora: La indosserai come una veste splendida (lett. «di gloria») e come di corona con diadema ti incoronerai.

Le immagini, più che gli ornamenti regali, riflettono le vesti (cf. Es 28,39; Sir 45,7-13: Aronne con la cintura di porpora e il diadema con inciso il nome di Jh w h , v. 12 ): il saggio riceve la gloria del sommo sacerdote e diventa simile alla sapien­ za stessa che «ha ufficiato nella tenda santa» (Sir 24,10). «Z, ’ac­

sacerdotali

cettazione della sapienza e la pratica delle sue istruzioni sono un autentico atto liturgico, poiché la sapienza non è altro che la rive­

lazione di Dio stesso, e la vera liturgia che piace a Dio consiste, secondo i profeti (cf. Is 1,10-17 [cf. anche Sir 35, ndr]), nel rea­ lizzare ciò che egli ci chiede» “2. D’altra parte, la sapienza è un onore, aderirvi avrà come frut­ to l’ornamento: Il suo giogo era per me un onore (Sir 51,17). Porrà sul tuo capo un diadema intarsiato o grazioso, una corona splendente ti darà in dono (Sir 4,9). E saranno [savoirfaire e riflessione] vita per la tua gola, ornamento per il tuo collo (Pro 3,22).

I w. 26-28 inculcano l’atteggiamento personale di ricerca at­ tiva in immagini di caccia che richiedono abilità e passione113. I 111 II testo greco legge erroneamente ‘aléh: «è su di essa». 112M. G i l b e r t , o.c., p. 68. 113«Questa strofa inculca l’ attitudine personale, e l’ immagine sembra attinta

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verbi richiamano la ricerca della Parola come midrash. È soprat­ tutto ricerca amorosa. 26A v v ic in a ti,

segu i il cam m in o [= le sue tracce]; cerca (d a ra s ) e sc a v a , in segui (b iq q e s ) e trova;

27afferrala e non lasciarla. 28P oich é dopo potrai trovare

riposo presso di lei e si trasform erà p er te in piacere.

v. 28 anticipa gli aspetti positivi sviluppati nei vv. 29-31 e ri­ flette il tema della sapienza sposa nel libro della sapienza (8,2­ 16): riposo, dolcezza e gioia (Sap 8,2-16). In conclusione, occorre sottomettersi liberamente a ciò che sembra un collare da schiavi e il cui cammino è disseminato di ostacoli. Il discepolo nella ricerca deve possedere la pazienza del contadino, l’abilità del cacciatore e la passione dell’amante: non si può penetrare il mistero del Dio che si rivela e che ci chia­ ma a sé, se non mediante un’attenzione amorosa continua. Ci in­ coraggia il pensiero che fin dai primi passi la sapienza di Dio si fa nostra compagna (Sir 4,17). Allora conosceremo la pienezza del­ la gioia nell’unione perfetta con la sapienza di Dio. Tutto ciò che poteva sembrare un giogo o un ostacolo al nostro cammino, era in realtà ciò che costruisce la nostra dignità', il cammino percor­ so, per quanto austero, non è percorso come schiavi, bensì come sacerdoti, rendendo a Dio il culto che gli è dovuto114. 3. Libertà e scelta della sapienza (vv. 32-37). - Il maestro appella alla libertà del discepolo perché si decida (vv. 32-33). Come nei riguardi della legge occorre scegliere e impegnarsi (cf. 15,14-17). Quindi esorta richiamando i generi letterari sapienzia­ le, spiegazioni e proverbi (v. 35)115: il linguaggio è tipicamente sapienziale (cf. Pro 1,1-6). dalla caccia: ricercare, braccare, inseguire, catturare. Il discepolo ha assunto pie­ namente l’ iniziativa e consegue il suo obiettivo» (L. Alonso Schòkel). 114Cf. M. G i l b e r t , o .c ., p. 70. Benché Ben Sira abbia una grande ammirazio­ ne per il sacerdozio (cf. la descrizione del sacerdote Simeone, Sir 50), rivendica qui un sacerdozio universale esercitato dal saggio. 115II v. 34 che manca in Hb, disturba la costruzione strofica e ripete in parte v. 36, è aggiunta?: «Frequenta l’assemblea (lett. “ folla” , ma in 7,7 il termine greco plethos traduce l’ebraico “ assemblea” ») degli anziani, e se c’ è un saggio, unisci­

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Conclude indicando due vie concrete e collegate per ottenere la sapienza. La compagnia e la scuola dei saggi che insegnano la sapienza: è l’attività dello stesso Ben Sira nella sua bét midrash, la sua scuola (cf. 51,23); la tradizione ebraica invita a cercarsi pri­ ma un solo maestro. Di conseguenza, dopo aver appreso una let­ tura sapienziale, riflettere sul timor di Dio e meditare i comanda­ menti (cf. anche Sir 24,25ss): Guarda chi è intelligente, cercalo sin dall’alba; il tuo piede consumi la sua soglia. Rifletti (fatti saggio) sul timore dell’Altissimo (Gr i comandamenti) e medita sempre i suoi precetti; ed Egli renderà perspicace (Gr saldo) il tuo cuore-mente e come tu desideri ti renderà saggio (w. 36-37).

Il timor di Dio resta il punto culminante della ricerca della sa­ pienza e si identifica praticamente con i comandamenti, fatti og­ getto di riflessione, ossia di attività sapienziale. La sapienza resta un dono di Dio per chi la cerca con sincerità e costanza; e dono rimane superando ogni buona volontà e sforzo umano. Ritrovia­ mo, mediante diverse allusioni, un parallelo tra sapienza, Legge e timor di Dio. Ma occorre mettere in atto una lettura sapienziale della Legge che ne prolunghi la verità (medita, hàgàh, cf. Sai 1,2: è attività che dà senso, impulso e ritmo alla vita). E il lettore, illuminato da Dio, che dà valore al testo e ne manifesta il senso profondo. La sapienza madre e sposa (Sir 14,20-15,10)

In questo poema di 18 versi, dedicati alla lode e alla ricerca della sapienza, ritorna l’accostamento tra Legge e sapienza. Parla il maestro. Le due parti descrivono Vattività reciproca tra saggio e sapienza. Questa appare come donna, madre e sposa. - 14,20-27: attività del saggio = i vv. descrivono la ricerca della sapien­ za da parte del giovane discepolo; ti a lui (Vg “ e alla loro saggezza aderisci” , recepito da Ziegler)»; sembra ispirato a 8,9 : «Non disprezzare le tradizioni degli anziani / che essi hanno ricevuto dai loro padri; / con esse tu acquisterai intelligenza, / per replicare una risposta, quan­ do sia necessario».

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15,1 : il timor di Dio = al centro: è un verso cerniera tra quanto precede e quanto segue; - 15,2-9: attività della sapienza = i versetti celebrano e lodano i benefici della sapienza (posit.-negat.: 2-6.7-9); 15,10: finale = raccomanda l’attività del saggio (inclusione e affer­ mazione positiva).

1 . Ricerca della sapienza - attività del saggio (14,20-15,1). — Il maestro inizia con una beatitudine, come in Pro 3,13 e in Sai 1: il termine ha una connotazione teologica. E dichiarato «beato» co­ lui che medita e ricerca, quindi dimora e abita presso la sapienza. Con il brano precedente questa pericope ha in comune il tema della ricerca della sapienza (le sue vie e i suoi sentieri: è sequela) e l’immagine della sapienza albero (la sapienza è «albero di vita», vv. 17-18, cf. 24,12ss). Con Sai 1 considera la legge come sapien­ za e usa lo stesso verbo «meditare» (v. 2); l’immagine dell’albero in Sai 1 (come in Ger 17,8) è però riferita all’uomo. La sapienza donna - sposa e madre - richiama Pro 31,10-31: là si parla della buona moglie, la sposa ideale, della quale si de­ scrive l’attività (cf. anche Pro 9,1-6); qui dopo la corte assidua del giovane alla «sposa-sapienza», essa riversa la sua attività nei suoi confronti. L’attività di ricerca amorosa della sapienza da parte del sag­ gio, fatta di riflessione e sequela, è sviluppata in diverse immagini concomitanti. 11 discepolo cerca e trova asilo nella sapienza «tem­ pio» e «albero», che lo ospita tra le sue foglie e i suoi rami. L'esploratore o investigatore: segue le tracce, spia ogni en­ trata (v. 22, cf. Gdc 18,2, 2Sam 10,3: i due verbi potrebbero rife­ rirsi anche alla caccia, cf. 6,27); ma chi origlia dietro alla porta e osserva dietro la finestra è anche l’innamorato del Cantico (cf. 2,9). Quindi pianta la tenda, tende i picchetti e si accampa (vv. 24-25). Accanto alla casa in muratura (il tempio?116) c’è la tenda. Anche la sapienza pianterà la sua tenda nelle varie parti del mon­ do e in Israele (Sir 24,3-8.10-18). 116 In Dt 12 ,5 seken designa la dimora di Jhwh (tempio o tenda); forse anche Ben Sira vi allude. Tanto più se prendiamo a riferimento per le immagini Sir 24: la sapienza pone la tenda e pianta radici (= albero).

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L’immagine dell 'albero continua il tema dell’abitazione, nella tensione tra abitare e dimorare-trovare rifugio (vv. 26-27) che fa riferimento contemporaneamente al tempio e alla sapien­ za-albero. La scena finale allude al tempio dove si pratica il culto e il di­ ritto di asilo; sapienza e culto sono riassunti nella Legge (Sir 24,10.15.23). L ’ultima immagine può orientare le precedenti nel­ la linea dell’arca con la Legge che trova dimora nel tempio. In v. 27b, anziché «nella sua dimora» (= Hb), il testo greco ha doxa, «g lo ria ». E una falsa lettura, oppure si tratta di una interpretazio­ ne voluta inerente al tempio dove abita la «gloria» del Signore, celebrata nel culto e narrata nel Pentateuco. Un riferimento alla gloria del Signore e al tempio era anche in Sir 4,12-14: servire la sapienza è servire nel tempio e ricevere la Gloria del Signore. La «dimora» stabile resta per l’ebreo nomade la speranza che troverà il suo compimento in Dio. Qui Ben Sira applica il tema alla sa­ pienza, che si manifesta nel culto, nella Torah, nella tradizione di Israele. 15,1. Il testo ebraico è chiaro: la conquista della sapienza si ottiene, in concreto, nel timore del Signore e mediante l’osser­ vanza della Legge: chi prende in mano la Torah raggiunge la sa­ pienza. Questa prepara l’azione della sapienza nei confronti del saggio, il quale, di conseguenza, imparerà a leggere la vita e la stessa Legge con sapienza (cf. pane di buon senso e acqua di pru­ denza, v. 3). 2. Attività della sapienza madre e sposa della gioventù (15, 2-10). - L ’autore sottolinea meno l’affettività rispetto alla sicu ­ rezza : non vacillerà, non si vergognerà, in casa e nella società, in risposta a\Vappoggiarsi e al confidare (n is'a n , v. 4). La perso­ nificazione della sapienza sposa con accentuazione affettiva ap­ pare in Sir 51 : Ben Sira innamorato la cerca e la incontra. Positivamente, la sua attività è riassunta nei verbi', gli va in­ contro e l’accoglie, lo nutre e disseta con le sue qualità (buon sen­ so e prudenza), lo sostiene e lo esalta. È il tema di Pro 5,18 e 31,1 Oss; Sir 24. Essa si prende cura dello sposo dentro la casa; gli procura lode, fama e gioia fuori (nell’assemblea e tra i suoi compagni) e nel tempo mediante un nome duraturo e una memo­

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ria positiva (cf. Sir 39,9-10; 44,13-15). Negativamente, essa si ri­ fiuta ad alcune categorie di uomini: falsi, arroganti, cinici, ingan­ natori, cioè a ogni malfattore (vv. 7-9), che rappresentano l’oppo­ sizione alla sapienza e al timor di Dio (cf. ad es. 10,6ss). I vv. 9-10 concludono la pericope con un’antitesi nel segno della lode. Il v. 9, alludendo al v. 1, ribadisce che la sapienza è dono di Dio a chi possiede il timore del Signore e, in concreto, osserva la legge. E negata perciò al malvagio che non può esaltar­ la perché non la possiede. Chi si è legato alla sapienza ne canta la lode e la insegna agli altri (v. 10). Il verso, che forma inclusione con l’inizio della pericope, è come la firma di Ben Sira, come in Sir 24 dove l’autore fa appello all’esperienza personale: legge profeticamente la Torah e la tramanda nel tempo e nello spazio (24,32-34). II testo, nella sposa e madre, accentua Vefficacia, accompa­ gnando l’immagine della tenda-dimora-tempio e dell’albero: il saggio pianta la tenda (14,24-27) - la sapienza lo accoglie in casa (15,2ss). Le immagini anticipano un raccordo con Sir 24: alla sa­ pienza che ha posto la tenda e si diffonde come albero in Israele, il saggio chiede protezione e sostegno, ponendo la sua tenda ac­ canto alla sua casa nel tempio e cercando rifugio tra i suoi rami. Rimane il problema di identificarla. Sir 15,1 inizia l’accosta­ mento tra la sapienza diffusa nel mondo (cf. Sir 1) e la sapienza presente nella Torah (Sir 24). In 17,11 Ben Sira farà un accosta­ mento tra legge, sapienza e creazione. Quale è il loro rapporto? Presupponendo i cc. 24 e 51, unire legge e creazione significa ri­ conoscere alla legge una funzione e un valore «originali»: poiché risale alle origini (è la prima creatura, Sir 24,8; 1,4), è considerata la vera interprete della sapienza nella creazione e nella storia. Appare così l’intento dell’ultima parte del libro: dopo aver lodato la sapienza nella creazione e nella storia (42,15-43,33; 44-50), conclude con la grande celebrazione del sacerdote Simeone e con l’inno alla sapienza fidanzata e sposa (Sir 51). Anche i rabbi­ ni uniranno sapienza, Torah e creazione, forse riflettendo Pro 8,22-31: «Dio guardò alla Torah e creò il mondo»117. 117 Cf. V. H a m p , Das Buch Sirach oder Ecclesiasticus (Echter Bibel), Echter Verlag, Wùrzburg 1959, su Sir 1,4.

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E) IL L IB R O D E L L A S A P IE N Z A 1.

D e s t in a t a r i - D a t a - A m b ie n t e

In questo libro il giudaismo parla greco: la hokmà ebraica va assumendo i caratteri della sofìa greca. La sapienza è personifica­ ta per «esprimere l’azione di Dio nel mondo, la sua presenza nel­ l’universo, nell’uomo e, in particolare, nei giusti»11S. Preparato in scuola («esercizio scolastico»), fu destinato ai giovani giudei per condurli alla regalità della sapienza mediante l’amore e la sua pratica: Salomone è «giovane» (Sap 7-9) e la regalità fittizia, il re è il saggio, che giudica i popoli (cf. 3,8; 5,16; 6,20). Nasce in ambiente ellenistico, che l’autore ben conosce (parla e pensa in greco, mostra di conoscere le correnti culturali, in par­ ticolare epicureismo e stoicismo); probabilmente ad Alessandria, centro culturale tra i più rinomati, in cui confluivano tutte le cor­ renti filosofiche contemporanee. E databile all’epoca di Augusto (dopo il 30 a.C.): conosce be­ ne i LXX, ha affinità con il NT e gli apologeti cristiani, non risen­ te l’influsso di Filone. Inoltre, 14,22 forse indica la pax romana', termini come sébasma (14,20) e threskéia ( \4,lS)-threskeuó (14,16) sono sconosciuti nel periodo da Erodoto ad Augusto (cf. Gilbert).

2. G e n e r e l e t t e r a r io : e l o g io o e n c o m io

Non è un discorso deliberativo né giudiziario, ma epidittico: spinge ad ammirare e a praticare una virtù o a sviluppare una qua­ lità. Si tratta di un encomio, diviso in tre parti, secondo l’ordine prescritto nella retorica.

118 M . G i l b e r t , Sagesse de Salomon (ou livre de la Sagesse), « D B S » (1986), p. 108; Ide m , Sapienza di Salomone, in I Salmi e gli altri Scritti (Piccola enciclopedia biblica 5), Boria, Roma 1991, pp. 324-355; cf. anche J. V ilc h e z L in d e z , Sapienza, Boria, Roma 1990; G . S c a r p a t , Libro della Sapienza, voi. I, Pai­ deia, Brescia 1989: propone una datazione molto alta, I secolo dell’era cristiana.

296

XI

- Esordio :

invito e breve presentazione del tema; validità del discorso, con opposizioni; breve descrizione del tema (cf. 6 ,2 2 : origine, natura, attività). - Elogio + preghiera (sapienza in sé e in Salomone). - Synlcrisis: paragone, per confermare con esempi noti, con digressioni. - Conclusione, breve: ricapitola-trae la lezione morale-ultimo attacco agli avversari-conclusione (19,22).

Originalità di questo elogio * La portata religiosa: la storia non è un insieme di opere umane, ma opera di salvezza di Dio in favore del suo popolo. Gli esempi sono dati in forma di inno, l’autore si rivolge conti­ nuamente a Dio come nella preghiera (c. 9) e nell’ultimo verso del libro: occorre invocare la sapienza, come Salomone (cf. IRe). * Presenza del midrash : in senso largo, cioè un commentario del testo biblico per fame l’attualizzazione. * La sinkrysis acquista forme caratteristiche ebraiche: - implica l’analogia tra peccato e castigo (cf. 11,16); - castigo-benefìcio avvengono con lo stesso strumento (11,5); - il cosmo, luogo e attore del combattimento, combatte per il giusto.

3. S t r u t t u r a e c o n t e n u t o

I parte: 1,1-6,21 = esordio - ruolo della sapienza nel destino umano. E indirizzata ai potenti della terra (1,1). La sua struttura è concentrica come diversi autori hanno dimostrato. a) 1 , 1 -1 2 : esortazione ai potenti e descrizione della sapienza come ven­ dicatore; b) 1,13-2,24: progetto degli empi (= la vita secondo gli empi); discorso degli empi: vita gaudente-persecuzione del giusto; c) 3-4: dittico : tre tipi di giusto e tre tipi di ingiusto; b’) 5,1-23: bilancio degli empi: secondo discorso degli empi nell’altra vita; a’) 6 , 1 -2 1 : esortazione', nuovo indirizzo ai potenti, descrizione dei be­ nefici della sapienza; piano del resto del discorso.

297

Alle estremità si trova un ’esortazione rivolta direttamente ai potenti della terra: a cercare Dio, che si fa trovare dal fedele; a cercare la sapienza, che si fa trovare da coloro che danno prova di zelo; si ricordino che il loro potere non è assoluto, che essi stessi saranno soggetti a un’inchiesta divina; non cerchino la morte: la sapienza conviene alla regalità e conduce all’incorrutti­ bilità. Esortazione necessaria contro un altro modo di concepire e vivere l’esistenza: perseguitare e uccidere il giusto, mentre Dio non vuole la morte, ma ha creato l’uomo per l’incorruttibilità. La verità è percepibile dal credente, non è controllabile quaggiù, ma è vera: Dio è giusto con il povero giusto, prenderà le armi per punire gli empi; la creazione che Dio aveva fatto per l’esistenza e la vita fornirà le armi del combattimento finale vittorioso contro gli empi. Al centro l’autore espone in tre dittici il suo punto di vista di credente nell’aldilà su tre situazioni sconcertanti dell’esistenza: la morte del giusto sofferente abbandonato dagli empi; la sterilità virtuosa in contrasto con una progenie nata da adulterio; la morte prematura del giusto, mistero per i folli empi. II parte: 6,22-8,21 +9 la sapienza = elogio Sviluppa il tema annunciato nell’introduzione (6,22-25): la sapienza in sé e in Salomone, sua natura, origine e attività. Al centro è l’elogio propriamente detto. La natura spirituale della sa­ pienza è tratteggiata in una serie di 21 attributi o qualità: la sua purezza è assoluta, essa penetra tutte le cose e solo cerca di fare il bene. Per giustificare queste attribuzioni l’autore mostra che es­ sa è un riflesso, uno specchio, una perfetta immagine di Dio; la sua origine è da Dio. Di conseguenza essa governa l’universo e rende gli uomini amici di Dio e profeti. 6,22-25: introduzione a) 7,1-6: origine di Salomone simile a quella di ogni uomo. b) 7,7-12: ma ha implorato da Dio la sapienza a preferenza di ogni altro bene; essa li genera tutti. c) 7,13-22a: Dio ha comunicato a Salomone un sapere «enciclopedi­ co».

298

d) 7,22b-8,l: elogio della sapienza: natura, origine, funzione (21 attri­ buti). c’) 8,2-8: Salomone decide di prendere in sposa la Sapienza; essa porta ogni genere di beni, sua superiorità su ogni virtù, b’) 8,9-16 (discorso interiore di Salomone): con la sapienza egli diviene un grande re come giudice e in guerra, a’) 8,17-21: la sapienza, sebbene Salomone sia di nobile origine, deve essere richiesta come dono; egli si decide a domandarla (annuncio della preghiera).

La preghiera per la sapienza (Sap 9) Costruita secondo lo stile concentrico, non fa parte della se­ conda sezione. Posta al centro materiale del libro, ne costituisce il punto culminante. L’inizio parla della creazione e del progetto creatore, come nella prima parte, alla fine tratta della salvezza già accordata, di cui si parlerà nei capitoli seguenti (Sapienza nella creazione / Sapienza e salvezza). È suddivisa in tre strofe. La prima e la terza si corrispondono, ma con i temi in ordine inverso: fragilità umana (9,5-6; 9,1317a), dono della sapienza, conseguimento del fine dell’uomo (in 9,2a e 9,18c si trova l’impiego di «con/per» la sapienza, ma nel primo caso si allude all’atto creatore, nel secondo si tratta della salvezza: rapporto tradizionale tra creazione e salvezza). La stro­ fa centrale pone al centro la domanda ripetuta della sapienza, do­ manda che ritorna a ogni strofa (9,4.10.17bc: i tre versi hanno in comune «dare» e «inviare»). E dunque così costruita: a) 9,1-6: Vumanità in generale creazione (per dominare)-dono della sapienza-fragilità umana; b) 9,7-12: Salomone a a’ = re, giudice, costruttore: vocazione (9,7-8)-successo (9,12); b b’ = la sapienza in Dio (9,9) e in Salomone (9,10ab); c c ’ = domanda ripetuta della sapienza (9,10ab); a’) 9,13-18: l'umanità fragilità umana-dono della sapienza-sa/vezza.

Ili parte: 10-19 la sapienza nella storia = synkrisis E una rilettura della storia delle origini dell’uomo e di Israele: da Adamo all’Esodo.

299

10: inizia richiamando brevemente i principali eroi del libro di Genesi, ma senza nominarli. Essi devono la loro salvezza alla sapienza, chi invece l’aveva abbandonata è perito (cf. Sir 44-50; IMac 2,51-64; Eb 11). 11-19: dal c. 11 la struttura del libro è complicata. Gli autori vi distinguono un sistema-sette e un sistema-cinque, secondo due linee: la prima separa tutti i paralleli descrittivi delle piaghe e del­ le benedizioni (sistema sette), la seconda congiunge i due tipi di piaga-insetti con le ultime due (l’intervento della creazione). Tre princìpi sembrano guidare la descrizione: 1) gli stessi ele­ menti furono per gli uni castigo, per gli altri benedizione (11,5; 19,9); di conseguenza, tutta la creazione combatte per il giusto (cf. 16,17; 19,10-12.18-21); 2) le realtà adorate divengono stru­ mento di castigo per gli idolatri (11,16; 12,23); 3) clemenza e pe­ dagogia divina (11,15-12,27). 19,10-22 serve da conclusione. I. II.

1 : 11,6-14: acqua del fiume-acqua della roccia;

2:

3: III. 4: IV. 5: V. 6: 7:

11,15-16,14: 11,15: presentazione [11,15-12,27; 13-15: due digressioni]; 16,1-4: rane-insetti-quaglie; 16,5-14: mosche e cavallette-serpente di bronzo; 16,15-29: tempesta e grandine (fuoco)-manna; 17,1-18,4: tenebre-\\ice\ 18,5-19,9: 18,5: presentazione; 18,6ss: morte dei primogeniti-Israele risparmiato; 19,1-9: annegamento nel Mar Rosso-passaggio.

Sostanzialmente, senza seguire letteralmente la storia dell’E­ sodo, l’autore pone in contrasto le piaghe che colpiscono gli egi­ ziani con la benedizione di Israele. L’ultimo verso (19,22) ricorda che Dio in innumerevoli modi, in ogni tempo e luogo, ha glorifi­ cato, cioè liberato, il suo popolo. Il racconto è interrotto da due lunghe digressioni: 11,15­ 12,27; 13-15. La prima mostra la somiglianza tra quanto avvenne agli egiziani ( 11,15-12,2) e ai cananei ( 12,3-18) e trae da ciò una lezione per Israele (12,9-22): le piaghe con insetti degli egiziani e la punizione dei cananei mediante calabroni o vespe indicano la clemenza di Dio.

300

La seconda (13-15) si sofferma sull’adorazione delle creatu­ re: del mondo e dei suoi elementi (naturismo, 13,1-9); degli idoli (13,10-15,13); degli animali (15,14-19). Sono i tre principali tipi di religione praticata dai pagani contemporanei; l’ultima, secola­ re in Egitto, è la deviazione peggiore e più degna di biasimo. Per­ ciò D io usa ciò che g li egiziani adorano p e r punirli.

4.

I n t e r p r e t a z io n e e t e o l o g ia

Giusti ed empi I destinatari del libro sono i fratelli di Israele. Il testo riflette un conflitto interno alla comunità giudaica: gli empi non sono pa­ gani ma ebrei rinnegati. La mentalità che li qualifica è anzitutto il significato della vita. Essi hanno abbandonato la tradizione ebrai­ ca (2,12) per Vepicureism o, secondo il quale la vita umana è pu­ ramente terrestre, la morte dissolve tutto: è oblio assoluto. E ne­ gazione di ogni giudizio nell’aldilà. Si aggiunge la persecuzione del giusto, che consiste nella de­ risione e in un giudizio di valore sull’Israele fedele: il debole è inutile, solo la forza è norma di diritto (è la perdita del senso del­ la persona). Con sarcasmo anzi mettono in dubbio la stessa veri­ tà religiosa del giusto, per il quale la vita appare un paradosso: gli uomini di Dio soffrono, sono sterili anziché benedetti nei fi­ gli, muoiono prematuramente anziché avere una vita lunga e di­ gnitosa. La risposta dell’autore si rifà all 'escatologia. Risalendo al progetto iniziale del creatore (Gn 1-3, creazione e immortalità, cf. 1,13-15 e 2,23-24), presenta le due diverse condizioni dei giusti e degli empi. Ig iu s t i n e ll’aldilà-, godranno l ’incorruttibilità di Dio per cui sono creati. I tre paradossi non sono fallimento: la morte del giu­ sto sofferente non è una catastrofe, perché Dio prova i suoi fedeli; la beatitudine non si fonda sulla fecondità, ma sul criterio della purezza e fedeltà al Signore, sulla virtù (3,13.15); la morte pre­ matura del giusto è un trapasso dell’anima immortale, la canizie vera è la sapienza. *

301

La loro riuscita si fonda dunque sulla fedeltà a Dio, sulla vir­ tù e sulla sapienza (3,11; 4,17; 3,15 e 4,9) e si percepirà nell’al­ dilà, dove il giusto vivrà la prossimità di Dio: «Coloro che sono fedeli nell’amore {en agàpe u9) dimoreranno presso Dio» (3,9b, cf. 6,19). Ammessi nel numero dei figli di Dio, essi condivide­ ranno la sorte dei santi (= gli angeli, 5,5), riceveranno dal loro Re il potere sui popoli e la corona (3,8; 5,16). La loro beatitudine (3,13) non sarà solamente un giusto salario della loro virtù, ma una grazia da parte di Dio (3,9; 4,15). Dio li visiterà (3,7.9.13; 4,15) e saranno integrati nella sua corte (5,5) al rendiconto finale (4,20). * Gli empi oltre la morte : saranno giudicati. Rifiutando ogni pensiero di un’altra vita hanno fatto un patto con la morte (1,16): la credono inoffensiva, puramente fisica, mentre è morte spirituale (1,1 ld )120. Tale patto si manifesterà al tempo della «vi­ sita» di Dio alla fine della loro vita terrena121. Magia nel soggior­ no in terra lo spirito della Sapienza conduce un ’inchiesta tra gli uomini (1,6-7). Risaliti dall’Ade, verranno tremando, essi un tempo così arroganti (4,20; 5,2.8), per l ’ultimo confronto con il giusto glorificato: i loro stessi crimini li accuseranno (4,6.20). Al­ lora il verdetto sarà pronunciato (3,18), saranno precipitati e co­ nosceranno la decadenza totale nel dolore (4,19). Si realizza dun­ que per loro la teoria da essi sostenuta: la vacuità e inconsistenza della esistenza (5,9-14).

119Si noti la duplice funzione di en agape: durante la vita terrena e nell’aldilà. 120La morte stessa dipende dal peccato perché Dio ha creato le creature «sa­ nanti» (soterioi). Sap 2,24 identifica per la prima volta, a nostra conoscenza, il serpente di Gn 3 con il diavolo: i suoi partigiani sono gli empi che «fanno espe­ rienza della morte» intesa in senso spirituale, cui fa da sfondo la morte fisica. La dottrina prepara l’insegnamento di Paolo, che aggiunge: 1) tutti hanno peccato; 2) vi è un legame tra peccato di Adamo e peccato dei suoi figli. 121La visita assumerà la forma di una grande battaglia (combattimento co­ smico finale, 5,17-23). Dio stesso, usando le forze della creazione come armi, combatterà per il giusto contro l’empio; ridurrà il cosmo allo stato di deserto (5,23, cf. Is 24,1, contrasto con Gn 1,2?) a causa della iniquità. La regalità terre­ stre sparirà e rimarrà solo quella dei giusti con Dio (5,16).

302

121 attributi della Sapienza

(7,22b-26)

* Natura e attività della sapienza. L ’autore sembra ricercare dei termini che definiscono il «pneuma » superiore al mondo materia­ le con un’attività anche di ordine morale122. - Natura. E una realtà oggettiva stabile in massima relazione con Dio: relazione coniugale (8,3), effluvio (àtmis), emanazione (apórroia), riflesso (apaugasma), specchio (ésoptron), imma­ gine (eikón) (7,24-26)... Ne deriva l’attività = universale presenza. E attestata fin dall’i­ nizio (1,7); è lo Spirito del Signore che riempie l’universo e as­ sicura la coesione e l’ordine del cosmo (7,24; 8,1). L’autore at­ tinge alla nozione stoica di pneuma spiritualizzandolo. L ’eco si avverte soprattutto nella lode della Sapienza: Per la sua purezza penetra e riempie ogni cosa (7,24). Si stende vigorosa da una estremità all’altra della terra e governa bene ogni cosa (8 , 1 ).

Ne sottolinea il ruolo attivo nella creazione (cf. 9,2); creatrice nel cosmo, penetra ovunque. E l’«artefice» di ogni cosa (technitis: 7,22; 8,4-6) e la madre (generis, 7,12) di tutti i beni. È la pre­ senza di Dio nel mondo, anima del mondo, intronizzata presso di lui (pàredron, 9,4). Nell’uomo (Salomone) procura i beni esterni, ma soprattutto la sua azione è interiore : è principio di vita religiosa e morale (7,27-30); è la via-sposa che conduce all’amicizia con Dio e ren­ de profeti (7,27-8,1); assicura l’immortalità (8,17, cf. 6,17-19). È

il culmine dell’esperienza umanam . 122Sono stati paragonati con la definizione del «bene» dello stoico Cleante (cf. E. D es P l a c e s , Épithètes et attributs de la "Sagesse ”, «Bib» 57 [1976], pp. 414-419); G. S c a r p a t , Libro della Sapienza, voi. 2, pp. 112-113. 123Avviene cosi la identificazione tra Sapienza e Spirito: sono entrambi il principio interno della vita fisica e morale, compiono le stesse azioni (9,17 per conoscere il disegno di Dio; 7,17 entrando nelle anime la Sapienza forma amici di Dio e profeti, ciò che in campo profetico era attribuito allo Spirito), sono inter­ scambiabili (1,4-6; 9,17; 7,22-24, principio di vita dei giusti, penetra in essi), mo­ stra e comunica le virtù, le produce (7,27; 8,7cd, 9,18; 6,25). Sapienza e Spirito nell’azione cosmica (= natura divina): 7,22 azione cosmica dello Spirito, già ab­ bozzata in 1,4-7, come la Sapienza.

303

* Accessibilità e ricerca -Condizioni: - E accessibile a tutti. Chiunque la desidera deve però implorarla (c. 9). - La amartia impedisce alla sapienza di entrare nell’uomo (l,4ss). Tuttavia, non è totalmente impotente di fronte al pec­ cato. - Essa stessa prende l’iniziativa, si fa trovare (6,12-21, cf. Pro 1; 8; 9; Sir 15,2ss) e non si rifiuta a chi la cerca. Quando un uomo la desidera e la accoglie (6,16) si avvicina a Dio, ottiene ogni bene, in specie, l’eternità (6,18-19; 8,17). La sua attività nel mondo non può che dare bene alle persone. Le opere della Sapienza Nella terza parte il libro intende provare con esempi cono­ sciuti che il saggio è nel giusto quando ricerca la sapienza e che Dio usa le forze del cosmo combattendo per il giusto contro i suoi nemici. a) L ’Esodo fu opera della Sapienza (11-19). L’autore mostra co­ me gli elementi cosmici combatterono in favore di Israele, cioè per il giusto (= Dio per mezzo del cosmo): cf. 16, 17.24 la gran­ dine sul raccolto egiziano / la manna per gli ebrei; così ripete alla fine dell’opera (19,18-21). Ne consegue che quando all’inizio (5,17-23) l’autore afferma che Dio usa le forze dell’universo co­ me armi per la sua «visita», la sua fede può essere giustificata dal fatto che ciò accadde al momento in cui Israele fu fondato. Il pas­ sato serve ad annunciare il futuro (cf. 19,22): gli eventi dell’eso­ do confermano la speranza dell’autore e la visione delle ultime realtà e spingono i lettori a cercare la Sapienza evocata. b) Le digressioni. Servono a porre in risalto la «filantropia» di Dio e la critica all’idolatria. La filantropia (11,15-12,27) fa emergere la pedagogia divina. Clemenza e castigo proporzionato : il peccatore è castigato in proporzione del suo peccato. Dio agisce in modo da condurre il peccatore alla conversione (11,23; 12,10) e alla fede (12,2). Se il peccatore rifiuta di convertirsi, malgrado i segni che Dio dà del­ la sua potenza (12,17b), e se l’uomo si indurisce totalmente, egli attua il castigo fino al castigo supremo della morte (12,27d). La

304

moderazione o misericordia non è impotenza o ignoranza o timo­ re di uno più grande (11,17-20; 12,9-14), ma manifestazione del­ la misura di Dio, perché ha tutto stabilito con misura (11,20d), ivi compreso il castigo (12,22a). Insegnamento della moderazione (12,19-22): se Dio agisce così verso i pagani, tanto più si regolerà con Israele. Ne deriva un duplice insegnamento: da una parte Israele deve agire con la stes­ sa moderazione e bontà verso tutti i peccatori; d’altra parte quan­ do pecca deve sperare nella misericordia divina che concede la conversione. La critica delle religioni pagane (13-15). Interessante è so­ prattutto l’argomentazione contro la religione cosmica (13,1-9). Il Dio della rivelazione, «Colui che è» (Es 2,14 Lxx), è lo stesso che i filosofi chiamano l’Artigiano o l’Artefice. Il loro errore non riguarda l’esistenza di Dio ma la definizione della sua natura. L ’errore dipende dal non aver applicato la loro teoria àoW^analogia di proporzionalità» nella ricerca del divino; avrebbero evi­ tato di divinizzare il cosmo. E il primo caso conosciuto del ricor­ so all’analogia in teodicea nella storia del pensiero.

F) IL CANTICO E IL «DECALOGO» DELL’AMORE Il Cantico dei cantici. Il titolo è un superlativo: «il più bel cantico», «il canto per eccellenza». E un intreccio di canti d’amo­ re. L ’amore, infatti, è il tema che dà unità all’attuale composizio­ ne, opera di un redattore postesilico. L ’amore come forza origina­ ria, che attrae e impegna, dona gioia e crea sofferenza, nella ricer­ ca di una unione totale. L ’amore concreto di due giovani, che affronta ostacoli e sfida pericoli, fosse anche la morte: «Lui e lei, senza un vero nome, sono tutte le coppie della storia che ripe­ tono il miracolo dell’amore» (L. Alonso Schòkel). E la forza del­ la creazione, che opera il superamento della solitudine come pe­ ricolo mortale ed esige un «aiuto/alleato» adeguato che sia la vera controparte. Per questo uomo e donna tendono a unirsi e ad af­ frontare un medesimo destino, una medesima storia, divenendo «una sola carne» (cf. Gn 2, 18-25).

305

Il libro fu attribuito a Salomone, in base a una finzione lette­ raria fondata sulla notizia della sua sapienza (cf IRe 5,12), così come Proverbi e Qohelet (e, più tardi, il libro della sapienza). Fu ritenuto il saggio ideale, anche nell’arte dell’amore. Nei tre libri egli rappresenterà le tre età della vita: la giovinezza e le canzoni d’amore (Ct), l’età adulta e le massime di vita che nascono dall’e­ sperienza (Pro), la vecchiaia che riconosce la vanità delle cose (Qo). La lettura ha avuto diverse interpretazioni. Senza assolutizzare l’una o l’altra, ci sembra che si possano unire due lettu­ re. Anzitutto occorre partire daWamore umano, pensare al para­ digma dell’amore tra marito e moglie. Poi, senza mai dimenticar­ lo, entrare nella dimensione simbolica, già insita nell’amore umano, e riconoscervi il segno dell’amore di Dio per l’uomo. L’amore attinge infatti la sua potenzialità simbolica dal concreto, dalla realtà vissuta. L ’amore stesso di Dio, che già il redattore probabilmente legge sullo sfondo (segno dell’Alleanza), si svela a partire da una coppia che si ama. Allora il Cantico apparirà «il manuale della Rivelazione sull’affetto, sull’amore e sulla sessua­ lità» (G. Krinetzki). Come orientamento per la lettura del libro e la recezione del suo tema, ci sembra utile ricordare lo schema, la ricchezza dei simboli, le caratteristiche dell’amore che tentiamo di riassumere in una specie di «decalogo» per fame risaltare le sfumature e le potenzialità.

Bibliografia ragionata e interpretazioni Il Cantico dei cantici continua a raccogliere interesse anche nella produzione italiana, secondo una molteplice lettura. Si va dall’interpre­ tazione (1) letterale o naturalistica-antropologica (G. C e r o n e t t i , Il Cantico dei cantici, Adelphi, Milano 19752), che si rifà al paradigma dell’amore umano, a quella (2 ) mistico-simbolica o allegorica, che cele­ bra l’alleanza tra Dio e Israele, Dio e l’anima, Cristo e la chiesa (cf. D. B a r s o t t i , Meditazione sul Cantico dei cantici, Queriniana, Brescia 1980; E. B i a n c h i , Lontano da chi? Lontano da dove? Introduzione e

commento ai cinque volumi biblici: Cantico, Ruth, Lamentazioni, Qohelet, Ester, Gribaudi, Torino 1977, pp. 23-75; A. C h o u r a q u i , Il Cantico dei cantici, Città Nuova, Roma 1980: è un canto alla gloria del­

306

l’amore puro, celebra le nozze dell’anima con Dio e un’allegoria che descrive i compimenti escatologici di Israele), a quella (3) letterale tipi­ ca o intertestuale, per un significato ulteriore derivante dall’inserimento nel nuovo contesto della Bibbia secondo la quale l’autore biblico vede sullo sfondo l’invito a cercare l’amore autentico, che è anzitutto l’amore di Dio per Israele (D. Colombo, LoB e Nuovissima Versione della Bib­ bia; T. Lorenzin): cosi il Cantico è letto nella linea sponsale dell’allean­ za presente nei profeti e nel NT. La rassegna di altre interpretazioni è in M.H. Pope, Song ofSongs (Anchor Bible 7C), Doubledav & Company, New York 1977, pp. 89-229. A lcuni titoli: G. G a rro n e - H. G o llw itz e r, Il poema biblico dell’a­ more tra uomo e donna. Il Cantico dei cantici, C la u d ia n a , Torino

20042: interpretazione letterale senza escludere quella simbolico-allegorica dell’amore di D io per l ’umanità; L. A lo n s o S chòkel (traduzione di B. C o s ta c u rta ): Cantico dei cantici. La dignità dell'amore, Piemme, Casale Monferrato (A L ) 1993; D. B e rg a n t, Il Cantico dei cantici, Città Nuova, Rom a 1998; E. Bosetti, Cantico, San Paolo, Cinisello Balsamo (M I) 1999; T. Lorenzin, Cantico dei cantici. Introduzione e commento, Messaggero, Padova 2001 (Lectio divina)', due i registri fondamentali, amore umano e amore divino, privilegiando quest’ultim o come punto di arrivo; A . L u z z a tto , Una lettura ebraica del Cantico dei cantici, Giuntina, Firenze 1997: la protagonista è una sola, la donna; il suo so­ gno, contenuto in un ritornello (cf. 2,7; 3,5; 8,4), è che l ’amore deve co­ ronare un desiderio, non essere un atto cerimoniale formale. Tre opere antiche interessanti: J. Guyon, Commento mistico al Can­ tico dei cantici, Marietti 1820, Genova 1997 (a cura di Lisa Ginzburg), riflette il misticismo seicentesco in declinazione quietistica; Rashi (Rab­ bi Shelomò ben Jizchaq) di Troyes, Commento al Cantico dei cantici, Qiqajon 1997 (Introduzione, traduzione e note a cura di A. Mello): ri­ porta l’esegesi del grande maestro ebraico medievale in chiave filologi­ ca e allegorica (primo innamoramento ma anche segno della «vedovan­ za», cf. Chouraqui); L. de Leon, Commento al Cantico dei cantici, Città Nuova, Roma 2003: originale commentario spagnolo, filologico ed ese­ getico, poetico e mistico, della 2a metà del ’500. Commentari attuali: G . G arbini, Cantico dei cantici, Paideia, Bre­ scia 1992: una lettura soprattuttofilologica tesa a ricostruire il testo; so­ stiene essersi avverata un’opera de-erotizzante allo scopo di cantare il rapporto amoroso tra Dio e Israele; rileva il rapporto con il poeta greco Teocrito; G. Ravasi, Il Cantico dei cantici. Commento e attua lizzazione, Edb, Bologna 1992: dopo il commento divulgativo: Cantico dei cantici, Ed. S. Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1985 (19904), lavoro più

307

complesso, assumendo l’interpretazione letterale e simbolica, ma scon­ finando talora in quella allegorica, offrendo una «miniera» di materiali che vanno dalla poesia moderna ai Padri; interessante appendice sulla vita del Cantico nelle tradizioni cristiana e giudaica, letteraria e liturgi­ ca; G. B arblero, Cantico dei cantici (I libri biblici, Primo testamento 24), Paoline, Milano 2004: introduzione essenziale con commentario dettagliato e ben documentato; Idem, Non svegliate l ’amore. Una lettu­ ra del Cantico dei cantici, Paoline, Milano 2007; V. M o r la , Poemi d'a­ more e desiderio. Cantico dei cantici, Boria, Roma 2006: interpretazio­ ne letterale.

1. A rticolazione

del libro

Nonostante numerosi tentativi, rimane difficile individuare uno schema preciso del Cantico (del resto è possibile ingabbiare la libertà dell’amore?). E qui offerta una visione d’insieme del­ l ’attuale testo articolato in due parti e una conclusione124; in ogni parte si realizza l’unione. 1,1 Titolo: Cantico dei cantici (superlativo) I Parte: I.

1,2-5,1.

1,2-2,7: Prologo - incontro A - 1,2-4 - desiderio e sogno: tenerezza dei baci (mi introduca // 8,1-4). B- 1,5-17 1’amore apre al mondo - sguardo e abbraccio: la ra­ gazza prende coscienza di sé: 1,5-11: Esterno (Io) - ricerca tra le tende dei pastori («esci»): tema unicità; 1,12-2,3: Interno (Eccoti, bella) / (Io) - in casa, sul divano, nel contesto di un simposio: tema intimità; A ’ - 2,4-7: Conclusione (mi ha introdotto).

II. 2,8-3,5 avvicinamento (= 2,8-17 - mattutino + 3,1-5 notturno: si

intersecano voce e movimento [«viene-vattene»], rito e parola, assenza e riunificazione);

124 Come sequenza di scene convergo sostanzialmente con G. Barbiero. Nelle precedenti edizioni, lo schema di Luis Alonso Schòkel (La Bibbia, Marietti) met­ teva in risalto l’andamento dialogico e drammatico delle scene.

308

3,6-11 conclusione: il corteo nuziale con invito: «uscite, vedete,

figlie di Sion!»; il mondo vitale è coinvolto. III. 4,1-5,1 bellezza: (Eccoti, bella) contemplazione del corpo e de­

siderio riassunto nel dialogo: «vieni-sono venuto»; nel grido conclusivo: «mangiate, amici, bevete!», il mondo vitale è ancora coinvolto. II Parte: 5,2-8,7.

È dominata dai canti del corpo: 1) 5,10-16 Lei vede lui; 2) 6,4-12 Lui vede Lei; 3) 7,1-17 il corpo di Lei nella danza (coro). I poemi si con­ cludono con la discesa nel giardino-corpo della ragazza o la salita. I.

5,2-6,3 dialogo (domanda e risposta- Io) con l’amore perduto e ritrovato; contemplazione del corpo maschile; l’azione si conclu­ de con il diletto che «scende» nel suo giardino: emerge l’unicità e il dono reciproco (6,3).

II. 6,4-12 A. visione del corpo femminile dall’alto al basso; azione:

«sono sceso»; 7,1-11 B. visione del corpo femminile dal basso all’alto (nella danza); azione: «salirò», con desiderio e ulteriore dono di sé (7,11). III. 7,12-8,7: Epilogo - i luoghi deH’amore:

Dal desiderio-sogno alla realizzazione dell’incontro con scene tra esterno e interno, campagna («uscire») e casa («entrare-introdurre»): è l’esodo della coppia (cf. Gn 2,18-23); continua il dono nel ripetuto verbo natan-dare. Ct 8,1-4 fa inclusione con 1,2-4 (assonanza tra verbi in ebraico: baciare-attirare-dar da bere o irrigare). 8,5-7: L’amore sopito si risveglia e si imprime (sigillo e fuoco amore forte come la morte).

Conclusione: l’amore maturo 8,8-10: Coro e ragazza: la vigna incustodita diventa «città fortifica­ ta», ma pacifica e aperta al diletto. 8,11-14: L ’amore non si compera; le questioni economiche (la dote) sono superate nella libertà («fuggi»). Avviene il passaggio da un tempo a un altro, da un luogo a un altro e da un attore a un altro, cioè dalla relazione tra «te» e «tua madre» a «te» e «me», in cui la figura del «sigillo» marca l’identità nuova. Tut­ to è centrato sul desiderio', l’autore articola progressivamente i due amanti in una coppia, cioè una «totalità», «che è unità di desiderio,

309

che suppone la strabiliante riuscita della tensione tra il desiderante e l’alterità del desiderio». Allora «il desiderio, tensione lancinante del­ l’attrattiva di una congiunzione sempre differita, esplode con poten­ za. Esso diviene la forza invincibile che fa esplodere ogni spirito di possessività, sia nell’ordine sociale delle proprietà dei proprietari che nell’ordine dell’unione degli amanti»125.

2. I l

sim bolism o

L ’amore si circonda di simboli per dare significato alla realtà, per esprimere alludendo, per coinvolgere. Tutto il cosmo diviene partecipe del mondo interiore dell’uomo: esso si affaccia al mon­ do e lo carica di significato. L ’amore prende forma nelle realtà, grandi o piccole, che la vita sperimenta. Rileviamo alcuni schemi o campi semantici. 1. Il linguaggio dell’amore, con cui i due amanti si chiama­ no e invocano. Più vario lui, più ripetitiva ma non meno profonda la ragazza. In ambedue un possessivo, che indica reciprocità: «mio/mia». Lui: sei affascinante, incantevole; mia amata, mia so­ rella, mia sposa, mio tesoro, amore dell’anima mia, mia unica. Lei: amato mio o mio diletto; io sono sua, egli è mio. Per arrivare al «noi». 2. Il linguaggio del corpo: ogni parte riceve significato; cia­ scuno non ha il suo corpo, bensì è il suo corpo. Talora appare il corpo nel suo insieme, nudo o vestito: stringe e abbraccia, intrec­ cia le mani, danza, è ben piantato (le gambe del giovane son «co­ lonne di alabastro», «magnifico come i cedri», 6,15) o slanciato come palma (soprattutto la ragazza, nella flessuosità della danza, 7,8). Più volte si manifesta l’esigenza di un’analisi accurata, che contempla tutte le parti, accarezzandole ed esaltandole in uno

125 Cf. L. P e r r in , Lecture du Contigue des Cantiques, «Sémiotique et Bible» 108 (2002), pp. 3-20, cf. p. 19. Egli propone sette poemi: I: Ct 1,1-2,7 (centrato sugli attori, cf. i pronomi); II: 2,8-17 (volpe e colomba, indicativo-ingiuntivo); III: 3,1-11 (spazio/letto-tempo/notte); IV: 4,1-5,1 (spostamento); V: 5,2-6,3 (spa­ zio costruito tra un interno e un esterno, in tensione); VI: 6,4-7,10 (idem, ma emerge la «città», come Gerusalemme, con l’appello a ciò che è «celeste»); VII: 7,1-8,14 (la figura del «risveglio» ossia il passaggio).

310

sguardo entusiasta come nella carrellata di un fotografo o nella pennellata di un artista che ne fa risaltare plasticamente i contor­ ni. E sguardo senza vergogna e senza paura. Come nell’Eden l’uomo e la sua donna «erano nudi e non ne provavano vergo­ gna», così nel Cantico l’amata avverte verso di sé lo sguardo e la «brama» dell’amante e si sente sua. Emergono, via via, il volto (la bocca e la voce, le labbra, la lingua, i denti, il palato; il naso, le guance, gli occhi, i capelli e il color della pelle), poi il collo con i gioielli, i seni e i fianchi, il bacino e il ventre, le gambe forti e slanciate; quindi l’interno: il cuore rapito e fremente, vegliante anche nel torpore degli occhi, carico di gioia o teso nel timore. È la sublimazione dei sensi: odorato e gusto, tatto e contatto, vista. 3. Il simbolo cosmico, che inserisce nelle vicende personali il palpitare del mondo. La luna e il sole; le aurore, le notti e il giorno; il vento e le piogge, la rugiada. Le stagioni, soprattutto la primavera che fiorisce e si esalta, dà vita ai giardini e ai frutteti (gli amanti si immergono tra viti e alberi, fiori e frutti). Tutto il mondo vegetale partecipa e commenta la vicenda dell’amore. Così la vita animale: pecore e caprioli, tortore e colombe, cerbiat­ ti e gazzelle... Infine, anche la morte, che l’amore non teme: «for­ te come la morte è l’amore». E il contrappunto universale a quan­ to avviene nell’intimo: solitudine e ricerca, attesa e scoperta, per­ dita e ricongiungimento, gioia e sofferenza. 4. Anche la vita quotidiana ritma le diverse fasi degli incon­ tri: le città o i villaggi con le strade, le case, le porte, le guardie; il mondo pastorale con le tende, i pascoli e le soste; i vestiti e le feste, i cortei e le grida di gioia. 3.

I l « deca lo g o »

d ell ’ am ore

Dal mondo simbolico emerge la forza dell’amore, intimo e concreto, con le sue sfumature e potenzialità, che tentiamo di qualificare nel seguente modo. 1. E amore che scopre e unisce. Si tratta della misteriosa scoperta dell’altro cui ci si dà senza perdersi, realizzando la pie­ nezza dell’unione: Io sono del mio diletto, lui è mio.

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È lo strano uscire da sé, estasi, per incontrare l’altro; avvertire se stessi attraverso l’altro, lui o lei (cf. 4,1-5,1). Così i due amanti divengono i protagonisti unici di tutto il libro. 2. E forza creatrice, potere fecondo rappresentato nelle im­ magini. Il Cantico non tratta direttamente della fecondità dell’a­ more (cf. anche Gn 2,18-25), vi allude come cosa ovvia nelle me­ tafore di sorgenti e di rivi, di giardini, germogli e frutti (4,12­ 14.15-16; 6,2). La sposa è «fontana che irrora i giardini, pozzo d’acque vive e ruscelli sgorganti dal Libano», è «vigna» (8,11 12) simbolo della fecondità (cf. Sai 128,1-3). I suoi germogli so­ no «un giardino di melograni» (segno di fertilità) con profumi inebrianti (4,13s), e, d’altra parte, il giovane scende nel giardino dei noci (allusione evidente all’atto coniugale) «per vedere il ver­ deggiare della valle, / per vedere se la vite metteva germogli, / se fiorivano i melograni» (6,11). La donna è svegliata dall’amante sotto il melo, «là dove ti concepì tua madre, là dove la tua geni­ trice ti partorì» (8,5), forse allusione a una maniera primitiva di dare alla luce e alla speranza di una maternità. Si ricorda il profu­ mo delle mandragore (7,14 dùdà’im , che ricorda l’amore dódfm) alle quali erano attribuite qualità afrodisiache e di fecondità (cf. Gn 30,14-16). 3. E sfida dei tempo, sapore di eternità: nell’estasi dell’a­ more gli amanti sembrano raggiungere l’istante eterno. E deside­ rio e piccola esperienza, ma esigenza e intuizione profonda, come quella di Mosè che desidera «vedere» il Signore: è impossib le, ma nel passare fuggitivo di Dio, nel breve volgere di un istante, avrà la sensazione della presenza; nell’oscurità del mistero ottie­ ne una intensa esperienza (cf. Es 33,18-23). Forte come la morte è l’amore, tenace come gli inferi la passione. Le sue vampe son vampe di fuoco, una fiamma inestinguibile (lett. fiamma del Signore). Le grandi acque non possono spegnere l’amore, né i fiumi travolgerlo (8,6-7).

4. E vittoria sul timore. Il cantico sembra anticipare la pri­ ma Lettera di Giovanni: «Nell’amore non c’è timore, al contrario, l’amore perfetto scaccia il timore» (4,18). La «brama» vicende­

312

vole non è più occasione di possessività che strumentalizza la persona, come avvenne nell’Eden (Gn 3,16: è frutto del peccato), ma di gioia e donazione gratuita. Il clima può essere colto nella serena fiducia del dialogo seguente: Venga il mio diletto nel suo giardino e ne mangi i frutti squisiti [dice la sposa. Lui risponde:] Son venuto nel mio giardino, sorella mia, sposa, e raccolgo la mia mirra e il mio balsamo... (cf. 4,16-5,1).

5. È amore personale, esclusivo e liberante. Al centro sono i dialoghi e le persone dei due amanti, che scoprono la «recipro­ cità» dell’amore e della fedeltà. Amore della mia anima (= amore mio, 1,7; 3,4); unica è la mia colomba, la mia perfetta (6,9); giardino chiuso, sorgente sigillata (4,12); portami con te... vieni a me, il mio amato è mio e io sono sua, 10 sono del mio diletto e la sua brama (tésuqà) è verso di me (7,11, cf. 2,16; 6,3).

Esprime l’impegno, la donazione; fa eco alla formula dell’al­ leanza tra Dio e il suo popolo: «Io sono il vostro Dio, voi siete il mio popolo; non avrete altri dèi». La prevalenza dei «possessivi» sottolinea l’esclusività della relazione: la donna è «giardino chiu­ so, sorgente sigillata». E, nell’esaltazione di questa consapevo­ lezza, i due si scoprono «re» e «regina». 6. È amore totale, corporeo. Il Cantico crede nel corpo, lo contempla estasiato e, nel contemplarlo, gli dà significato. Si pos­ sono leggere i seguenti brani: 7,1-9, lo sposo contempla la sposa; 5,10-16, la sposa contempla lo sposo. Al centro, l’esclamazione entusiasta: Quanto sei bella e graziosa, o amore, figlia di delizie! (7,7).

11 corpo è presenza della persona! La relazione d’amore si esprime nella tenerezza dell’abbraccio: La sua sinistra è sotto il mio capo e la sua destra mi abbraccia (8,3, cf. 2,6). Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio (8 ,6).

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L ’ultima immagine sottolinea la fedeltà: non si tratta di un ge­ sto saltuario, di sollazzo e appagamento momentaneo, ma di co­ municazione stabile che lascia il segno, diviene «sigillo» impres­ so «nel cuore». Non nasconde il desiderio (7,11), sovente indica­ to nei profumi inebrianti o nelle bevande aromatiche: «Ti farei bere vino aromatico, del succo del mio melograno» (8,2), o nella potenza del fuoco segno di passione inestinguibile (8,6-7). Essa non è, tuttavia, forza irrazionale: è piuttosto scelta di vita che non si può comprare per denaro (come la S: Pro 8,10-11) e non si lascia travolgere dalle difficoltà, ma resiste anche alla morte e alla forza delle acque (come Gerusalemme, cf. Sai 46). 7. E unione che trasfigura il mondo, elevandolo a congiun­ gimento dell’amore umano: primavera, stagione dell’amore (4,4­ 5), in cui gli amanti si invitano a uscire nei campi (7,12-14), fron­ de, fiori e frutti, boschi e giardini, uccelli, valli, montagne. L ’a­ more li nomina e, nominandoli, li rende concentrici a sé. Così le diverse ore del giorno. Il fascino della notte : nel buio si cerca e incontra l’amato (3,1-5), si aspira libertà (7, 11), si nu­ tre timore e desiderio (5,2-8). L 'aurora primaverile invita a uscir nei campi e nelle vigne: con lo sbocciar delle gemme e del giorno fiorisce l’amore... «là ti darò le mie carezze» (7,13). Le ore del mezzogiorno ardenti e luminose, ore di pausa per il gregge, sono occasione di fervidi e costanti incontri tra gli amanti (1.7-8)126. 8. Amore che sintetizza i piaceri, soprattutto aromi e sapo­ ri. Aromi di boschi e di giardini, di viti e fichi in fiore, di melo­ grani, frutti e vino, profumi di mirra e incenso. Sapori: gusti di frutti, di uva, mele, datteri... Le tue tenerezze son più dolci del vino (1,2); il profumo del tuo respiro come di mele (7,9); c’è miele e latte sotto la tua lingua e il profumo delle tue vesti è come il profumo del Libano... i tuoi germogli sono un giardino di melograni con i frutti più squisiti, 126 Gli ebrei leggono questo libro a Pasqua e durante la successiva settimana degli Azzimi, per celebrare le nozze (= alleanza) tra Dio e il suo popolo, e la pri­ mavera che in quel periodo esplode in tutto il suo splendore. Così l’amore fecon­ do e liberante dell’alleanza divina si incontra con l’esultanza della natura. 314

alberi di Cipro con nardo, nardo e zafferano, cannella e cinnamomo con ogni specie d’alberi da incenso; mirra e aloe con tutti i migliori aromi (4,11.13-14).

9. Amore che vive l’ansia e la gioia, l’attesa e la ritualità. L ’amore umano non riesce a superare ogni ansietà e residuo di timore, o qualche turbamento: «Distogli da me i tuoi occhi: il loro sguardo mi turba» (6,5). Esso rimane essenzialmente ricerca, pro­ prio perché portato a superarsi, a vincere limiti e ostacoli. L ’atte­ sa è proiezione verso ciò che sta oltre. La ritualità è tendenza alla novità nel quotidiano. Una voce, il mio diletto... (2,8).

Nella descrizione che segue (2,8-14) notiamo i reciproci se­ gnali: lo «sguardo» di lui dalla finestra o dietro il «nostro» muro, la «voce» di lei prima di mostrare il viso. Io dormo, ma il mio cuore veglia. Un rumore! È il mio diletto che bussa (cf. 5,2-8).

Segue una ricerca affannosa, che fa parte della ritualità, e si conclude con il ritrovamento e l’abbraccio... per non lasciarlo più (3,1-4)! 10. Quest’amore umano concreto, che nel suo limite rivela il desiderio di un amore senza limiti, può assurgere a simbolo; ele­ varsi, senza perdere di intensità, a una dimensione universale, per abbracciare tutti gli uomini: è Gesù Cristo, «fatto carne», che ama la Chiesa, sua sposa, con amore perenne e redentivo. Perciò san Paolo, nella lettera agli Efesini (5,31), legge Genesi 2,24: «I due saranno una carne sola». Non nega il senso reale e immediato; ne aggiunge un altro, confessando che questo mistero è grande. Se poi l’uomo - non solo gli sposi - può partecipare a questo amore intensissimo, abbiamo il miracolo dell’amore cristiano (in greco agàpe, c f 1 Cor 13,lss). Questa capacità sarà rivelata come dono nel Nuovo Testamento.

315

C a p it o l o 3

I SA LM I

Due brevi parti introduttive offrono alcuni spunti per un av­ vicinamento al mondo dei salmi (in particolare descriviamo il metodo del nostro procedere). La terza parte, più sviluppa­ ta, offre una serie di salmi inquadrati per «famiglie» (i gene­ ri) tenendo conto non solo dell ’analisi storico-critica, ma di quella linguistica e letteraria, con particolare attenzione alle allusioni liturgiche e al mondo dei simboli, che permette di reinvestire nell ’oggi le immagini antiche (lettura attualizzan­ te alla luce del NT). I Salmi, «parola di Dio e poesia», ci of­ frono una grammatica e una lingua per renderci oranti «creativi»; ci insegnano che la vera preghiera è sempre co­ rale: per quanto personale, essa si fonde con il coro della co­ munità e della tradizione.

I - NOTIZIE GENERALI Nome Ebraico tehillim (halal), cf. tehillah, lode; greco psalterion, dallo strumento di accompagnamento. Attori e linguaggio a) Tre sono gli attori nei salmi. - Dio, «il Santo», trascendente, «separato», ma riconosciuto vi­ cino; santità è il suo amore (santità etica): santità aperta verso l’umanità, dialogica. Perciò il salmista può nominarlo, invocar­ lo, chiamarlo in causa.

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- L ’uomo: deve essere santo (eticamente, cf. Lv 11,45; 17,1; 19,2; 22,32). Emerge la fiducia e consonanza con Dio. Spesso anche la tensione con lui, con gli altri (i nemici) e con se stesso (sofferenza e tenebre): esprime «il dramma». - Il cosmo: rappresenta la coreografia e lo spazio dell’incontroscontro tra Dio e l’uomo; commenta spesso la situazione uma­ na (consonanza o avversità). Il cosmo «santificato» esprime la santità delle realtà terrestri (Sion, Gerusalemme, la «terra», e anche oltre: Madian, Sinai, ecc.). La tensione insorge con ciò che è alienazione, male, peccato, nemico. b) Linguaggio o lessico della preghiera. Si passa dal settore sacro liturgico, al coinvolgimento di tutta la vita, adeguandosi ai pro­ blemi vitali dell’uomo, gioia e drammi (lode e supplica). Sarà esplicitato nelle singole parti. Generi letterari Le classificazioni non sono sempre omogenee negli autori, ma sostanzialmente possiamo riconoscere una prima grande divi­ sione: preghiera del singolo («io») o della comunità («noi»). In secondo luogo, si rivelano due grandi atteggiamenti: lode e sup­ plica1.

Lode : a) inni: al creatore o salvatore nella storia; a J hwh re di Sion; b) ringraziamento (per i benefici ricevuti: personale e co­ munitario); c) fiducia (può essere compreso nella lode, una mani­ festazione di fede sicura e serena nel Signore). Supplica-, a) struttura elementare con gli attori: Dio, il nemi­ co, io; b) personale: del perseguitato (imprecazione), del malato, funebre; del mediatore e intercessore (cf. Mosè, Geremia); c) na­ zionale o comunitaria. Salmi regali: a) per l’intronizzazione del re; b) preghiera del re, preghiera per il re; c) canti in onore del re o attribuiti al re. 1 S i veda anche la classificazione di P.L. S a b o u r in , «Sc.Eccl.» 1 (1964), pp. 23-58 e The Psalms. Their Origin andMeaning, Alba House, New York 1974, e di L. M o n l o u b o u (cf. E. Lipinski), Salmi, in / Salmi e gli altri Scritti, Boria, Ro­ ma 1991, pp. 39-59.

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Salmi di liturgia: a) ingresso; b) penitenziali; c) pellegrinag­ gio («delle ascensioni»). Salmi sapienziali o di Torah o didattici. I salmi e il culto La liturgia è lo sfondo costante di quasi ogni salmo, il suo am­ biente naturale (cf. il «linguaggio» nel genere salmi liturgici). - Alcuni salmi seguono i diversi momenti della liturgia e, quindi, la presuppongono (cf. Sai 118; 100; 15; 24 = entrata; ma an­ che Sai 95 [94] è salmo liturgico: venite, accostiamoci = entra­ ta; venite, prostrati adoriamo = nel tempio; ascoltate, oggi, la sua voce = oracolo con invito ad ascoltare la «parola» di Dio: è un’attualizzazione liturgica, il momento della catechesi nella sinagoga?). Sono dei riti da compiersi, con molta probabilità nel recinto del tempio (cf. Sai 48; 65; 95; 118); accompagnano taluni riti (cf. Sai 20; 26; 27; 66; ecc.). - Altri accennano al pellegrinaggio al tempio (cf. Sai 84; 120­ 134). - Taluni esprimono o sottendono una liturgia penitenziale (es. Sai 50-51 da leggere insieme: requisitoria divina [50] e confes­ sione di Israele o del penitente in prima persona [51]). - Altri rivelano adattamenti liturgici, come le aggiunte di benedi­ zioni (125; 128; 129; 131). - Molti salmi contengono nel titolo indicazioni musicali o litur­ giche. - Inoltre si nominano gli autori o i cantori che li eseguivano nel tempio, nelle feste e durante i sacrifici, con danze e cori accom­ pagnati da strumenti musicali (i figli di Core, Asaf, Davide, ecc.). Autori e data Davide appare come il riferimento ideale, senza che ne sia il vero autore (cf. Salomone per la sapienza); altri autori: Asaf, i fi­ gli di Core furono autori o esecutori. Furono composti in ogni epoca, spesso è impossibile stabilirla; il loro uso rivela adatta­ menti o aggiunte.

319

Formazione

Fu lenta, cf. 3-41 e 42-72 = due gruppi «davidici», Asaf, Co­ re, Hallel, Salomone. L ’attuale composizione divide il salterio in cinque libri, ciascuno dei quali termina con una dossologia: 1-41; 42-72; 73-89; 90-106; 107-150. Con quale criterio? Un midrash su Sai 1 dice: «Come Mosè ha dato a Israele i cinque libri della legge, così Davide ha dato a Israele cinque libri dei Salmi: il libro dei Salmi intitolato Beato l ’uomo (Sai 1,1), il libro intitolato Per la guida: Maskil (Sai 42,1 ), il libro Un salmo di A saf (Sai 73,1 ), il libro Una preghiera di Mosè (Sai 90,1), e il libro Dicano i redenti del Signore (Sai 107,2)». L ’ordine e la composizione del Salterio sono tardivi e rispon­ dono all’esigenza della preghiera personale. La Parola di Dio ivi contenuta è considerata «come spada» nelle mani dei «poveri del Signore» per nutrire la speranza di Israele (Sai 149,6-7). In parti­ colare, i Salmi 1-2 rappresentano il grande «portale» con le «due vie» e l’appello all’alleanza impersonata dal re. I salmi regali so­ no distribuiti in punti strategici con l’evidente funzione di soste­ nere la speranza. La numerazione dei Salmi Nelle citazioni si segue la numerazione ebraica (H). Questa infatti si scosta da quella greca dei LXX e latina della Vulgata (Vg), seguita nei libri liturgici e che gli studiosi e le Bibbie pon­ gono in genere tra parentesi. Ciò dipende dallo sdoppiamento o dalla unificazione di alcuni salmi. Ecco in sintesi le varianti: Sai 1-8 H = LXX Vg; Sai 9-10 H = 9 LXX Vg; Sai 11-113 H = LXX Vg un numero in meno; Sai 114 H = 113A LXX Vg; Sai 115 H = 113B LXXX Vg; Sai 116 H = 114-115 LXX Vg; Sai 117-146 H = LXX Vg un numero in meno; 147 H = 146-147 LXX Vg; 148­ 150 H = LXX Vg. Inoltre la Bibbia H contiene 150 salmi, mentre LXX ne ha 151 (il testo H di tale salmo è stato scoperto a Qumran) e la ver­ sione Siriaca ne contiene 155 (i due ultimi sono pure stati ritrova­ ti in H a Qumran).

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II - GETTIAMO UN PONTE Si tratta di stabilire un contatto tra il testo antico e il lettore moderno. Elemento specifico e irriducibile per superare le diffi­ coltà rimane il legame che i Salmi hanno con la storia della sal­ vezza. Sono opera di uomini mossi dallo Spirito, lungo la storia da lui guidata secondo un unico disegno di salvezza. Il Dio sem­ pre uguale impegna tutte le generazioni umane in una esperienza che fa loro vivere il cammino di Israele. Non abbiamo dunque so­ lo un legame antropologico. Difficoltà Ce ne sono in abbondanza. «Il ruolo dell’avvocato del diavo­ lo nel processo ai Salmi è facile. Chi non ha acquisito, a forza di studi e ragionamenti, un certo numero di riflessi correttivi, prova necessariamente un certo disagio a pregare i salmi»2. Elencare al­ cune difficoltà è facile: espressioni lontane per contenuto e lin­ guaggio; formule già preparate e...sorpassate; deficienze dottri­ nali e morali (fede nella risurrezione, immagine di Dio, maledi­ zioni, ecc.). Cavarsela con allegorie o sensi accomodatizi o, peggio, con tagli di fronte a testi difficili o scandalosi? Il realismo moder­ no esige che i Salmi siano accettabili nel loro senso letterale e storico. Il principio di ogni soluzione

I Salmi sono preghiera di Cristo e della chiesa. Resta il fatto che Cristo e la chiesa primitiva li hanno usati come preghiera. * Maria e il «Magnificat». Maria «esalta» il Signore ed «esul­ ta» per il messaggio angelico con parole tratte dai Salmi. Rie­ cheggia infatti il «cantico di Anna» (ISam 2) e Sai 89; 98; 107 e 111. «Il Magnificat porta in se stesso l’attesa e il compimento. La voce di Maria risuona frammista al coro di Israele. Ella non reci2 R. L ack, Nuovo dizionario di spiritualità, pp. 1 360ss; in questa parte seguo sostanzialmente le sue suggestioni.

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ta, ma, nutrita dalla tradizione biblica, intesse di reminiscenze la sua preghiera. Usa i salmi come una lingua rispettosa delle regole e nel contempo sovranamente creatrice» (Lack). Infatti, i Salmi, prima che formule offrono una grammatica per far pregare; ci fanno entrare in profondità nella relazione tra Dio e l’uomo. Inol­ tre, ci insegnano che la vera preghiera è sempre corale. Per quan­ to essa sia personale, si fonde con il coro della comunità e della tradizione. * Gesù - Li ha pregati e... vissuti. Per es. i «salmi delle ascensioni» o di pellegrinaggio (Sai 120-134), quando saliva a Gerusalemme; al termine dell’ultima cena, i salmi dello Hallel (113-118, cf. Mt 26,30: «dopo aver cantato l’inno»); al Getsemani (Sai 42­ 43: «la mia anima è triste», Mt 26,38, cf. Gv 12,27) e sulla cro­ ce (Sai 22: «Dio mio, Dio, mio...», cf. Mt 27,46; Me 15,34; Sai 31: «Padre, nelle tue mani...», cf. Le 23,46). - Li ha interpretati con autorità. Le 24,44: «Bisogna che si com­ piano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Pro­ feti e nei Salmi»; Sai 110, cf. Mt 26,64; riferimenti e allusioni: Mt 5,4 = Sai 37,11 ; Mt 5,35 = Sai 48,3, ecc. *

La chiesa

- Gli apostoli andavano ogni giorno nel tempio a pregare (At 2,46; 3,1; Le 24,52). - Inoltre convalidavano la loro predicazione con testimonianze scritturistiche. Il Salmo 22 divenne la chiave di lettura della passione e risurrezione. Inizia con: «Dio mio... perché mi hai abbandonato?», e diventa: «ma io vivrò per lui, lo servirà la mia discendenza» (v. 31). Altre citazioni servivano a mostrare la solidarietà di Cristo con ogni sofferenza umana: «Egli ha preso le nostre infermità» (Mt 8,17). - I Salmi poi son divenuti preghiera rivolta a Cristo. La chiesa ha la tradizione di riferire a Cristo passi del salterio. Perché lodare Cristo è lodare Dio. E un’usanza autorizzata dal NT: Eb 1,3 = Sai 104,29s; Ef 4,8 - Sai 68,19; lPt 2,3 = Sai 34,9. Del resto, Gesù stesso ha considerato rivolte a Dio le acclamazioni rivolte alla sua persona (Mt 21,16, cf. Sai 8,3).

322

Concludendo, la ragione decisiva per cui i Salmi rimangono la preghiera della chiesa, è il posto che occupano nella coscienza di Cristo e nella predicazione della chiesa apostolica. Sono un mezzo di espressione privilegiata. Sono preghiera di Cristo e pre­ ghiera rivolta a lui e, attraverso di lui, a Dio stesso. Obiezione. - E i salmi di imprecazione, li lasciamo cadere? Esiste la possibilità di non censurarli semplicemente. «I salmi di imprecazione sono là per ricordarci che in ogni tempo e in ogni luogo si elevano verso il Signore grida simili, scaturite da un ec­ cesso di sofferenza. Il cristiano, lungi dal turarsi le orecchie, ripe­ terà quelle imprecazioni non per rivolgerle verso Dio, bensi per dirigerle verso la propria coscienza. Si domanderà in che misura ha contribuito a provocarle con le sue mancanze e con i suoi com­ promessi con un mondo oppressore. Cercherà di unirsi a ogni azione che tende a restaurare un ordine di giustizia. Quando quel­ le imprecazioni avranno cessato di risuonare sulle labbra degli uomini, allora sarà tempo di cancellarle anche dal libro dei sal­ mi» (Lack)3. La sofferenza è anche tentazione per il giusto (Sai 49; 73). Le provocazioni degli empi che attentano alla vita, sono tentazioni che mettono in crisi l’adesione a Dio. Non riposi lo scettro degli empi sul possesso dei giusti, perché i giusti non protendano le loro mani verso il crimine (Sai 125,3)

Il testo fa eco al libro dei Proverbi che chiede di avere ogni giorno il necessario per vivere. Eccessiva ricchezza o povertà comportano due tentazioni, autosufficienza e presunzione che rinnegano e rifiutano l’autorità del Signore, o ribellione fino a of­ fendere e profanare il suo nome. Due cose ti domando, non negarmele prima che io muoia (= durante tutta la vita): falsità e parola menzognera tieni lontano da me, povertà e ricchezza non darmi, fammi mangiare il mio pane quotidiano 3 Cf. anche P. B e a u c h a m p , Salmi notte egiorno, Cittadella, Assisi (PG) 1983, pp. 27-33.

323

(= la razione di cibo necessaria). Che io non diventi sazio e ti rinneghi e dica: «chi è il Signore?», oppure, ridotto all’indigenza, non rubi e abusi del nome del mio Dio (Pro 30,7-9).

Inoltre, invocare vendetta è chiedere giustizia (il linguaggio è giuridico) e nel contempo affidare a Dio la propria causa, consa­ pevoli che la vendetta umana tende alla violenza, e che il perdono rimane dono di Dio. Storia dell’interpretazione dei Salmi4 L’interpretazione dei Salmi è stata e resta un momento impor­ tante negli studi biblici. Perché essi contengono un testo vivo che ha accompagnato e accompagna la preghiera personale e liturgica di tanti secoli, di tante chiese e anche delle sinagoghe. L ’interpre­ tazione ha preteso talora di entrare nell’intenzione dell’autore, ma a noi interessa anzitutto il testo poetico per realizzare e con­ frontare un’esperienza simile o equivalente, la nostra. In questo senso i Salmi rappresentano una preghiera fruibile, un repertorio accessibile; possiamo appropriarcene inserendoli nel nostro oriz­ zonte, essi rivivono in noi. Perciò, prima di entrare nel merito della scelta del nostro metodo di analisi, valido soprattutto per cogliere il valore di ogni singolo salmo, ci sembra utile offrire una breve indicazione sulla storia dell’interpretazione. Nell’epoca patristica sono state cinque le linee di interpreta­ zione. 1) storica : ricerca di contestualizzare ogni componimento in una situazione storica di Davide, anche se già Teodoro di Mopsuestia riconosceva in molti salmi situazioni a lui posteriori; 2) profetica : sono considerati profezia di Cristo e della chiesa, in base al loro rapporto con il NT; 3) tipologica : due avvenimenti sono avvicinati tra loro per somiglianza, come figura - typos - e realtà, rappresentata sempre da Cristo e dalla chiesa; presuppone

4 Cf. L . A l o n s o S c h ò k e l - C . C a r n it i ,1 Salmi, voi. I, Boria, Roma 1992, pp. 11-87; L . M a n i c a r d i , Salterio, in Grande enciclopedia illustrata della Bibbia, voi. II, Piemme, Casale Monferrato (AL), pp. 255-256; T. L o r e n z in , I Salmi, Paoline, Milano 2000, pp. 570-580.

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il senso storico; 4) allegorica : personaggi ed eventi diventano simboli di realtà del NT; 5) prosopologica : i Salmi sono pronun­ ciati ekprosopon Christou / ex persona Christi; è Cristo che parla e prega nei Salmi, se ne appropria nei vari momenti della sua vita o li recita in persona ecclesiae, come capo del suo corpo, come ricorda sant’Agostino. L ’esegesi medievale è dominata dalla dottrina dei quattro sensi ereditati dai Padri: letterale, allegorico (che afferma Cristo come centro della storia), tropologico o morale, anagogico o escatologico. Nella Scolastica i Salmi vengono usati per le dispu­ te teologiche. Ma vanno ricordati anche i grandi commentari ebraici di Abraham Ibn Ezra, Rashi e Kimchi, le cui opere, tuttora edite, sono attente alla lettura filologica e grammaticale del testo, al senso letterale. Con l ’affacciarsi dell’umanesimo fiorisce una rinnovata at­ tenzione agli strumenti di lavoro (grammatiche, dizionari, testi). Nell’epoca moderna, merita la nostra attenzione anzitutto F. Delitzsch, che abbina l’abilità del filologo all’afflato spirituale: egli pone al centro della sua interpretazione la categoria del messiani­ smo. In secondo luogo, H. Gunkel adotta come metodo sistema­ tico di interpretazione il «genere letterario», che pone in risalto il contesto vitale o la situazione di origine e di uso dei Salmi, so­ prattutto il culto; egli vi cerca le situazioni sociali tipiche, ripeti­ bili. Da parte sua, il norvegese S. Mowinckel con molti altri ri­ vendica il valore del culto e il radicamento cultuale e liturgico dei Salmi. Nelle nuove ricerche, accanto alla lettura per generi letterari (tra gli altri, cf. il commentario di G. Castellino) che continua con rettifiche e precisazioni (talora frantumazioni), gli autori pre­ stano attenzione all’organizzazione interna di ogni poema, visto nella sua individualità. Procedono perciò allo studio sincronico, letterario retorico o poetico (J.N. Aletti), fanno attenzione all’a­ nalisi delle strutture (M. Girard, P. Auffret), al linguaggio delle immagini e dei simboli (L. Monloubou, cf. anche G. Ravasi), alle formule (Culley), al funzionamento linguistico e all’analisi poeti­ ca e stilistica (R. Lack e L. Alonso Schòkel). Alonso Schòkel cer­ ca di coprire anche un campo aperto, quello di delineare le conce­ zioni teologiche, i sentimenti e i linguaggi. «Sempre più si presta

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attenzione all’esperienza religiosa, personale e collettiva, veico­ lata dai salmi» (L. Manicardi). Il metodo rivela la sua validità anche per cogliere la dimen­ sione teologica e spirituale dei Salmi. Questa attenzione emerge in alcune buone introduzioni e in H.-J. Kraus, che nel suo grande commentario dedica un volume alla « Teologia dei Salmi»5. Altri studiosi, infine, dedicano attenzione all’edizione del sal­ terio, cioè al salterio come libro, inteso come unità di composi­ zione, arricchendo così ulteriormente la teologia del Salterio (cf. i lavori di Wilson, Howard, Lohfink, Fiiglister, Zenger, Barbiere, Lorenzin, ecc.); oppure cercano di seguire la vita dei Salmi nella storia', nel NT, nelle interpretazioni patristiche, nelle utilizzazioni liturgiche (Holladay)6. Risalta così in modo concreto come il sal­ terio resti un libro vitale che continua a nutrire la vita spirituale dei credenti lungo i secoli. L ’apporto delle scienze umane Affrontiamo qui il problema del metodo di lettura dei Salmi, in modo teorico e con un’esemplificazione pratica. Tre cause contribuiscono alla formazione di un’opera lettera­ ria: l’autore, l’ambiente culturale, l’aspetto antropologico, che appartiene a ogni uomo (è l’«etemo umano»). Circa i salmi sap­ piamo poco o nulla del primo fattore. Concentreremo perciò l’at­ tenzione soprattutto sugli altri due. Inoltre occorre riconoscere un elemento specifico: i Salmi so­ 5 Cf. in italiano, A V . V V . , Salmi e altri Scritti, Boria, Roma 1991, e V .

M o r-

Salmi e altri Scritti, Paideia; Brescia 1997; H.-J. K r a u s , Teologia dei Salmi, Paideia, Brescia 1989. Si vedano anche i contributi di M . G i l b e r t , 1Salmi, in La spiritualità dell'AT, Boria, Roma 1988; G . R a v a s i, La spiritualità del Sal­ terio, in La spiritualità dell’AT, E d b , Bologna 1987; R. L a c k , Salmi, in Nuovo dizionario di spiritualità, Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1979. l a A s e n s io ,

6Cf. Bibliografia. Un’interessante rassegna con esemplificazioni delle di­ verse tendenze attuali di ricerca sui Salmi è in K . S e y b o ld - E. Z e n g e r , Neue Wege der Psalmenforschung (H b s 1) Herder, Freiburg im Breisgau-Basel-Wien 1994. Per la lettura del salterio come libro, cf. T. L o r e n z in , I Salmi (bibliografia) e la sua recensione di E. Z e n g e r , Die Nacht wird leuchten wie der Tag. Psalmenauslegungen, Akzente, Herder, Freiburg-Basel-Wien 1997, «Studia Patavina» 47 (2000) 275-277; e lo stesso E. Z e n g e r , The Composition and Theology of thè Fifth Book ofPsalms: Psalms 107-145, «JSOT» 80 (1998) 77-102.

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no preghiera ispirata, cioè parola di Dio. Partendo dunque dalla constatazione che essi sono «poesia e preghiera ispirata», artico­ liamo i tre punti della trattazione: generi letterari, funzionamento linguistico, lettura cristiana. / generi letterari Sono funzionali, offrono una tecnica, lo schema, una gram­ matica perché la comunità si esprima. Riflettono anche gli ele­ menti culturali, consentono perciò di ricostruire Vambiente so­ cio-religioso in cui i Salmi sono nati, i bisogni che hanno spinto alla loro composizione, le caratteristiche letterarie che ne deriva­ no. Offrono dunque un primo punto d’incontro tra la nostra vita e il passato. Il primo ad applicare in modo sistematico l’analisi dei generi letterari alla Bibbia e, in particolare, ai Salmi è stato H. Gunkel (1862-1932)7. Egli enumera tre criteri per riconoscere un genere letterario: - una situazione specifica nella vita di un popolo (Sitz im Leben)', - un patrimonio comune di formulazioni o schemi e di motivi (ambiente letterario); - un’atmosfera spirituale identica. Gli appelli, che partono dalla vita, creano e modellano tutta la produzione letteraria (per l’elenco dei generi letterari, cf. sopra).

Il funzionamento linguistico a) I Salmi sono preghiera e poesia. L ’affermazione opera un im­ portante accostamento. Indica un metodo. La preghiera chiama in causa tutto il nostro essere umano: sensi, sensibilità o estetica, fantasia che le immagini rendono sollecita. Il messaggio poetico attira l’attenzione sull’wso delle parole prima di condurre al sen­ so, così la preghiera deve passare attraverso la «contemplazio­ ne», che coinvolge intelletto e corpo, per raggiungere il suo mes­ saggio. 7 Si veda il suo commentario tuttora molto valido: Die Psaìmen, Gòttingen 1926, aggiornato poi da Begrich, H. G u n k e l -J. B e g r ic h , Einleitung in die Psalmen. Die Gattungen der religiòsen Lyrik Israels, Gòttingen 1933.

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b) Di conseguenza, se i Salmi sono poesia e preghiera, dobbia­ mo mettere in opera le tecniche poetiche di analisi. L ’analisi lin­ guistica e poetica pone in risalto Veterno umano, ciò che è comu­ ne a ogni uomo e che la poesia esprime. Essa è dunque un secon­ do strumento di comunicazione tra lettore antico e moderno. In particolare, la tecnica poetica ci rivela le tre forme e funzioni del linguaggio con cui l’uomo si esprime ed emette un messaggio: - La lirica, in cui l’uomo esprime se stesso, i suoi desideri: pre­ vale l’io. - Il dramma, in cui l’uomo si affronta e confronta, si sollecita con il suo simile: prevale il dialogo, io-tu. Tale forma ha per oggetto i comportamenti. - Infine, l’epica, nella quale l’uomo racconta, riferisce: prevale la terza persona, egli. Suo oggetto è il racconto, l’informa­ zione. L ’applicazione di queste informazioni al linguaggio (= parole e immagini) dei Salmi ci offre un primo risultato. Esprimono i sentimenti (lirica): fiducia, umiltà, speranza, timore, ecc. La pre­ ghiera è anche lotta drammatica, che mette l’uomo alle prese con Dio: da una parte l’uomo in tensione tra fede e dubbio, accetta­ zione e ribellione; dall’altra Dio, la cui voce si fa via via pressan­ te, invitante, minacciosa. E un dialogo colto nel vivo di un dram­ ma in pieno svolgimento. Infine, i Salmi hanno un aspetto narra­ tivo: il popolo racconta le gesta di Dio e le comunica, quasi si trattasse di un «vangelo», alle nuove generazioni. c) Concretamente, le tecniche poetiche tendono a valorizzare linguisticamente il messaggio, a tradurlo in immagini. Per es. Isaia 11, non si limita ad annunciare il messaggio di pace, lo rive­ ste di immagini: l’acqua, lo spirito, la giustizia e soprattutto gli animali ammansiti, la vipera innocua e giocosa. Il linguaggio poetico non si riduce a trasmettere informazioni, ma ritorna in­ cessantemente su se stesso. La ripetitività costituisce, infatti, l’es­ senza del discorso poetico, che riceve spessore attraverso l’accu­ mulazione di equivalenze. La chiave interpretativa consiste dunque nel fare l’inventario di tutti i fenomeni di ricorrenza (o stilistici: le ripetizioni, le anti­ nomie, le rotture di modelli o schemi, ecc.) e nell’esaminare co­

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me essi nel loro insieme costituiscano un sistema organico; cioè nell’interpretare le varie immagini mettendole in relazione. d) Salmo 131 (130): esemplificazione8. 1Canto delle «ascensioni». Signore, non si inorgoglisce il m io cuore e non si leva con superbia il m io sguardo; non vado in cerca di cose grandi, superiori alle mie forze. 2 Io sono tranquillo e sereno come un bim bo svezzato in braccio a sua madre, come un bim bo svezzato su di me è l ’anima mia. 3 Speri Israele nel Signore, ora e sempre.

Il salmo, sebbene in traduzione, permette già dei rilievi. È di­ viso in tre versi, con una conclusione a opera dello stesso autore o, forse, aggiunta per adattarlo all’uso liturgico: si applica la fidu­ cia filiale a tutto Israele. Dal punto di vista del genere, è collocato da un titolo tra i salmi delle «ascensioni» o pellegrinaggio. Più specificamente, i commentatori moderni lo pongono tra i salmi di fiducia. Castel­ lino afferma: «Il salmo è un tenue sospiro di uno spirito umile e mite davanti a Dio [...]. Siamo lontani dalle lamentazioni, come dalla preghiera che loda Dio per ottenerne benefici e anche da una preghiera secondo canoni troppo fissi... La spiritualità si è andata affinando nel crogiolo dei disastri nazionali...Un senso in­ timo della dolcezza e della grazia di Dio... un balenio improvviso della sua luce divina, il salmista ha sperimentato, vale più che non le ricchezze e i piaceri. È cosi una religiosità tutta nuova che si fa strada in qualche spirito migliore, come un fermento che pervade la massa». L’autore pone in risalto l’esperienza per­ sonale e la dimensione comunitaria. Similmente Weiser: «Salmo di fiducia, un piccolo canto meravigliosamente tenero e spiritua­ le, di trasparente pietà [...]. Senza pretese e tuttavia piena di toc­ cante interiorità filiale, questa preghiera si innalza a Dio da un petto che, dopo esigenti aspirazioni dovute alla passionalità gio­ 8 Cf.

R.

Lack,

o.c., p. 1360.

329

vanile e dopo dure lotte nelle tempeste della vita passata, adesso ha trovato la pace nella comunione con Dio» (voi. II, pp. 853­ 854). Queste annotazioni permettono di riconoscere nell’orante un «povero di Dio» nella sua maturità, forse anche una madre (v. 2). Possiamo tentare forse un accostamento con la vedova del vange­ lo, che sale al tempio per offrire il suo obolo di due spiccioli, ma che «nella sua povertà ha messo tutto quello che ha, tutto quanto aveva per vivere» (Me 12,39; Le 21,1-4). La struttura poetica rivela un primo paradigma o schema. Appaiono quattro termini in relazione: cuore -sguardo -«non va­ do in cerca» (equivalente di «piede») -anima. Lo schema di cui il salmista si serve è la costituzione dell’uomo: schema antropo­

logico. Il movimento parte dall’intimo: cuore, sede della riflessione (Dt 29,3; Pro 10,8). Giunge agli occhi, frontiera tra l’esterno e l’interno, attraverso i quali il soggetto si apre al mondo, si infor­ ma, è influenzato nel giudizio e nella decisione (cf anche Gn 3,1­ 7). Il cammino/piede indica l’attuazione esterna (in Gn 3 è la ma­ no: «lo prese... e ne mangiò»). Nella Bibbia il cammino è sinoni­ mo di condotta morale. Dopo la riflessione e il giudizio, ecco dunque l’azione. Il salmista nega di essersi lasciato andare a qual­ che atto sconsiderato di vanità e di orgoglio. Non ha oltrepassato i limiti, si accetta con umiltà. Al contrario di Èva, che non si ac­ cetta e diffida di Dio, il salmista è misurato interiormente e nei gesti esterni. A questo punto il movimento inverte la direzione e ritorna verso l’intimo, il centro de\Vanima: equivale alla coscien­ za psicologica, al cui livello si succedono pensieri e sentimenti, che non intaccano l’equilibrio profondo. In definitiva, i quattro elementi sono le parti di un tutto. Indi­ cano la persona del salmista sotto i diversi aspetti del pensiero, del giudizio, dell’azione e della riflessione unificante. E la descri­ zione di un’esperienza riflessa e matura. Sinteticamente, il salmi­ sta parla della pace spirituale, che risulta dall’unità interiore della persona. L ’immagine del bambino «svezzato» lascia intuire che tale unità e fiducia sono frutto di una crisi superata, non acquisita senza lotte. Profondamente riconciliato con i propri limiti, l’uo­ mo rimane nella sua situazione di creatura. Infatti il salmo co­

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mincia e temiina con la menzione di J h w h -Signore. Tutto lo sfor­ zo di unificazione si è svolto sotto lo sguardo del Signore. Nasce l’«infanzia spirituale»: l’uomo accolto dalla presenza «materna» di Dio. Cosi, mentre Castellino e Weiser operavano una ricerca nell’ambito sociale e storico, qui emerge lo schema antropologi­ co: persona, bambino, madre. Nel salmo appare anche un secondo sistema di termini, che quadra perfettamente con il primo, il paradigma dell’orgoglio: inorgoglirsi - levarsi - grandi cose - superiori. Il nemico della pace è l’orgoglio. Essere se stessi davanti a Dio, ecco la felicità. Una volta reperiti con l’analisi gli elementi determinanti che sorreggono il movimento del testo, il salmo riprende vita nella meditazione attualizzante. Il lettore moderno, dimenticando la formulazione precisa e arcaica, avanza nella propria riflessione lungo gli assi di significato, che il salmo gli ha fornito, e traduce le immagini. Questi forniscono il punto di connessione, cioè i contenuti, superando le parole antiche. Chi ha letto attentamente il salmo non trova difficoltà ad arricchire i termini chiave incon­ trati con nuovi significati, a reinvestire le immagini traducendole per l’oggi. Sono possibili domande sollecitate dalla vita: ad es. quali sono le tentazioni che oggi gettano l’uomo fuori misura e gli fanno perdere la sua identità?

Lettura cristiana, cristologica ed ecclesiologica Elemento specifico dei Salmi è il fatto di essere parola di Dio. Sono nati da un’esperienza di preghiera che li sottrae alle pure leggi umane; partecipano di un più ampio progetto. Infatti, nella successione dei tempi, Israele (e la chiesa) ha percepito lo svilup­ po coerente di un disegno. I Salmi sono le parole con cui Israele ha cercato di leggere la storia e di dialogare con Dio. Il NT è la trasposizione e la trasfigurazione dell’AT. Possia­ mo allora rileggere i Salmi alla luce di quest’ultimo. Anzitutto, arricchendo i termini chiave reperiti nell’analisi, col senso da essi rivestito nel NT (utile un dizionario biblico). Cuore: «dal cuore provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adulteri» (Mt 15,19s); la bocca parla dall’abbondanza del cuore (Le 6,45); «beati i puri di cuore perché vedranno Dio» (Mt 5,8). Gli occhi : 331

«Il Dio del Signore nostro Gesù Cristo...vi dia uno spirito di sa­ pienza e rivelazione... possa egli davvero illuminare gli occhi del vostro cuore» (Ef 1,17-18). Dal giudizio all’azione, il cammino: la vita cristiana è chiamata «cammino» o «via» (At 9,2; 18,25; 24,22), di cui Cristo è la guida. 'L'unità interiore : «La pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vo­ stri pensieri» (Fil 4,7). Per il tema dell’orgoglio basti citare Le 1,51: «Ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore». Riguar­ do al bambino, cf. Mt 18,3-4; 19,3. Inoltre il cristiano si dice «figlio» del Padre. Ma dal Padre prendono nome e somiglianza altre paternità e maternità: Cristo chiama i suoi discepoli «figlioli» [come del resto ogni antico maestro di sapienza] e promette di non lasciarli orfani. La chiesa riceve da Cristo una missione materna, e Maria, tipo e madre del­ la chiesa, offre pure la sua maternità al cristiano; e lo educa al­ l’abbandono e alla fiducia (Alonso). Nel Magnificat Maria appare la perfetta realizzatrice e inter­ prete di questo salmo per la coscienza serena della debolezza umana e la visione piena di stupore della grandezza divina. An­ che se non ci sono dirette dipendenze letterarie, i due testi si ricol­ legano in un medesimo mistero di fede. Ecco perché i Padri della chiesa hanno saputo unire le pagine più disparate.

Bibliografia Ci limitiamo a fornire una scelta di sussidi utili. *

Introduzioni (oltre ai commentari e introduzioni generali)

G ilbert M., ISalm i, in AA.VV., La spiritualità dell’Antico Testamento

(Storia della spiritualità 1), Boria, Roma 1988, pp. 540-580. L ack R., Salmi, in Nuovo dizionario di spiritualità, Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1979 (a cura di S. D e F iores -T. G offi). M onloubou L., I Salmi, in AA.VV., I Salmi e gli altri Scritti (Piccola enciclopedia biblica 5), Boria. Roma 1991. R avasi G ., I canti di Israele. Preghiera e storia di un popolo, E db , Bo­ logna 1986. — La spiritualità del Salterio, in AA.VV., La spiritualità dell’Antico Testamento (Storia della spiritualità 1), E d b , Bologna 1987, pp. 275-327.

332

*

Introduzioni con intento esemplificativo

B eauchamp P., Salmi notte e giorno, Cittadella, Assisi (PG) 1983.

Cox D., I Salmi, incontro con il Dio vivente, Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1986. M annati M ., Per pregare con i Salmi (Bibbia-Oggi, strumenti per vive­

re la Parola 7), Gribaudi, Torino 1978. M asini M ., I Salmi. Preghiera di un popolo in cammino, Queriniana,

Brescia 1982. R avasi G., Salmi, Ancora, Milano 1975 (riedizione 1986). W estermann C., Salmi. Generi ed esegesi, P iemme , Casale Monferrato

(AL) 1990.

*

Commentari

A lonso S chòkel L., Salmi, Marietti, Torino 1981 (sintetico, ma prezio­

so per la sensibilità poetica, la cultura biblica, l’avviamento alla let­ tura «gustosa» e cristiana del testo). A lonso S chòicel L. - C arniti C., ISalmi, voi. I-II, Boria, Roma 1992-93

(scientifico). — Salmi e cantici, Boria, Roma 1996 (commento sintetico che racco­ glie la traduzione e l’essenziale dei due volumi precedenti). B eaucamp É., Dai Salmi al «Pater». Commento teologico-spirituale al

Salterio, Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1991. C astellino G., Libro dei salmi (La Sacra Bibbia), Marietti, Torino

1963/5 (ancora valido filologicamente). D eissler A., I Salmi, Città Nuova, Roma 1986 (ed. ted. 1966). H olladay W.L., La storia dei Salmi. Da 3000 anni poesia e preghiera,

Piemme, Casale Monferrato (AL) 1998 (ed. inglese: The Psalms through Three Thousand Years, Augsburg Fortress, Minneapolis 1993). Lack R., Mia forza e mio canto il Signore. I Salmi e i cantici di lodi e vespri, Paoline, Roma 1981 (un gioiello nel suo genere per metodo e sensibilità poetica e pastorale). L ancellotti A., Salmi (N vb 18), 3 voli., Paoline, Roma 1977-1980. L orenzin T., ISalmi (I Libri biblici, Primo Testamento 14), Paoline, Mi­

lano 2000 (segue il Salterio come opera, recepita in unità). M ello A., Leggere e pregare i Salmi, Qiqajon, Magnano (BI) 2008.

333

Q uesson N., Il messaggio dei Salmi, 2 voli., Boria, Roma 1980 (procede

secondo il triplice schema: lettura con Israele, con Gesù, con il no­ stro tempo). R a v a s i G., Il libro dei salmi, 3 voli., E d b , Bologna 1981-84; - I Salmi (Bur L601), Rizzoli, Milano 1986. Tra i Padri della chiesa: M. S imonetti (a cura), S. Agostino. Commento ai Salmi, Fondazione Valla-Mondadori, Milano 1989. W eiser A., I Salmi, 2 voli., Paideia, Brescia 1984 (ted. Die Psalmen, 1966). * Teologia K

raus

H.-J., Teologia dei Salmi, Paideia, Brescia 1989.

Ili - LETTURA: I SALMI TRA NOI In questa parte offriamo degli esempi di lettura pratica di sal­ mi scelti secondo le seguenti coordinate: 1. genere letterario : elenco dei salmi appartenenti al genere, de­ scrizione del genere, giustificazione deirinserimento del salmo prescelto nel genere descritto, eventuali notizie storiche; 2. sistema e movimento del pensiero del salmo: struttura, analisi per parti e visione d’insieme (immagini, simboli, pensiero do­ minante); 3. lettura cristiana (cristologica, ecclesiologica, spirituale). A) LA LODE Il linguaggio - halal, yadah = lodare, ringraziare; sir, barak = cantare, bene­ dire; - sabah, rum, gadal = celebrare, esaltare, magnificare; - sipper, nagad, yada ', zakar - narrare (le mirabilia Dei); cono­ scere, riconoscere, far conoscere; far «memoria», ricordare; - gii, pazah = gioire, gridare di gioia, cf. anche: zamar, nagan; ranan e sahaq = inneggiare (con strumenti); danzare; - rùa \ terùa: ’alas, sahal = acclamazione entusiasta; - salam (nedarim) = adempiere i voti.

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1.

G li

inni

Gli inni vengono sottodivisi in tre sottogeneri. l.Inni propriamente detti (I): 8, 19, 29, 33, 100, 104, 104, 111, 113, 117, 135, 136, 145, 146, 148, 149, 150. 2. Inni a J hwh Re (YR): 47, 93, 94, 96-99. 3. Canti di Sion (CS): 46, 48, 76, 84, 87, 122, 132, 134 (cf. 23, 42, 43, 125, 137, 126 canto dei rimpatriati). Struttura dell’Inno9 *

Modulo essenziale:

invitatorio spesso in tono coortativo-imperativo; con apparato musicale (lira, cetra, tamburo, cf. Sai 150); con apparato rituale (applauso, prostrazione, canto); corpo dell'I : aperto da un ki (poiché): motivazione della lode; indirizzato a Dio: tu (canti recenti), egli (canti antichi); lode: descrittiva generica, narrativa su precise azioni divine; conclusione della lode spesso con inclusione con l’invitatorio.

* Duplice motivazione della lode: - al Dio creatore (teofania, storicizzazione della creazione; aper­ ti a diverse dimensioni, es. Sai 8: Dio-uomocosmo): la lode che sale dal tempio diventa cosmica, il cosmo si concentra nel tempio (cf. «I. cosmico al creatore», Ravasi); al Dio salvatore nella storia (esodo, cf. 77, 105, 106; festa del­ l’alleanza? Weiser; «I. storico al salvatore», Ravasi): la base comune è la certezza della hesed eterna di Dio (cf. Sai 136; 106,1-2). YR

Esaltano la signoria universale di J hwh , ricorrendo anche a elementi tipici della liturgia e dei CS. Ricordiamo le diverse in­ terpretazioni: mitologica (Gressmann), cultuale (Mowinckel), 9 G. R a v a s i , I canti di Israele. Preghiera e storia di un popolo, E d b , Bologna 1986, pp. 90-92; I d e m , Il libro dei salmi, voi. 1, E d b , Bologna 1981.

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escatologica (Gunkel, Lagrange, Féuillet, Schnackenburg, Coppens), storico-escatologica (Von Rad). Elemento caratteristico è l’acclamazione J h w h malak, « J h w h diventa re», o « J h w h esercita la sua regalità» (senso dinamico). L ’accento è posto sul soggetto, J h w h , per cui il senso globale è: «E J h w h che regna e nessun al­ tro» (Kòhler). CS Esaltano Sion «città, tempio e monte di Dio», che sostituisce la sacra montagna del Sinai. Gerusalemme concentra in sé le lodi di Israele, gli atti di culto e la protezione divina. Vi possiamo an­ noverare i salmi di «pellegrinaggio» (o «delle ascensioni») e «di entrata» al tempio, con le allusioni frequenti alla liturgia, perché a Sion, cuore spirituale di Israele, convergono gli atti di culto (cf. Sai 122 e «l’intronizzazione dell’arca» in Sai 132). Caratteri: invocano o celebrano la protezione dai nemici della città «incrollabile»; esaltano la sekinah -presenza di Dio in mezzo al suo popolo. Egli appare con i titoli di «santo, altissimo e tre­ mendo (soprattutto contro i nemici), grande, fedele e misericor­ dioso», accoglie i fedeli, ma li invita alla conversione (cf. Sai 15). Riportano anche motivi arcaici, mitici e preisraelitici; assu­ mono un tono escatologico. Cf. anche Is 2,2-5 = Mie 4,1-5; Is 26,1-3 e 25,6-12; Tb 13,2­ 16; Sir 36. Salmo 8: inno al Creatore (Dio-Uomo-Cosmo)

Genere letterario Il salmo è un inno a Dio creatore (cf. inizio e corpo). Un I ori­ ginale che pone in rapporto Dio-uomo-cosmo, con alternanza tra solista e coro (rit. all’inizio e alla fine). Ha ovunque paralleli mo­ derni e antichi, religiosi e non, ma soprattutto riflette Gn 1. Forse allude a una liturgia notturna, v. 4 (cf. Sai 134,1; Is 30,29; lCr 9,33). Jacquet lo considera messianico, davidico, ma il salmo ap­ plica piuttosto la regalità a ogni uomo (cf. Gn l,26s). La datazione è controversa, si riscontrano paralleli con la let­ teratura ugaritica, ma sembra recente per il rapporto con Gn 1.

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Sistema e movimento del pensiero -

St r ut t ur a Antifona liturgica, v. 2a = acclamazione del nome: mah 'addir; vv. 2b-5: universo-uomo/concentrazione-contemplazione e lode; vv. 6-9: uomo-universo / espansione-dominio. Antifona liturgica, v. 10 = acclamazione, atto di fede: mah 'addir.

Nota bene - Cf. i tre mah, esclamativo (vv. 2.10), interrogativo (v. 5). Dio è quasi sempre soggetto; impostazione triangolare: Dio-uomocosmo. II nome di Dio è agli estremi, l’uomo al centro, mediatore tra Dio e il cosmo. -

Esegesi

v. 2a: mah ’addir simkà, «quanto è grande il tuo Nome». E l’antifona liturgica che proclama il Nome divino (vv. 2a.l0), la sua «gloria e splendore» (Sai 76,2-4; 93,4); analogamente si dice dei re e principi (Sai 136,18; Gdc 5,13). «Su tutta la terra»: è una specie di teodicea (Sap 13,5-9), dal cosmo al creatore e dal crea­ tore al cosmo.

Iscena: dall’universo a ll’uomo (vv. 2b-5: contemplazione)10. - v. 2b: apertura con invito alla lode (testo corretto). Adora la maestà di Dio «sopra i cieli»: Dio è oltre il baluardo, che è il firmamento, segno della trascendenza (cf. Ez 1). - vv. 3-4: lode e sguardo (labbra e occhi). 3a: «con labbra di bambini e di lattanti». È balbettio, ma an­ che spirito di infanzia: scoperta, stupore, simpatia, lode e gioia. In Sap 10,21 la sapienza apre la bocca dei muti, scioglie la lingua degli infanti. 3b: Dio pone le fondamenta di una fortezza ( oz) a difesa dai nemici definiti «i nemici e il ribelle». Quest’ultimo, mit-naqqem, designa un vendicativo e aggressivo; sono coloro che pretendono

10 V. 2b TM ’aser tenah, leggere: 1) ’asfrah-nah, «voglio cantare» la tua maestà lassù nei cieli (Ravasi), balbettando come fanciullo e lattante (Alonso); o 2) ’asartannah da sarat, «servire, adorare, render culto»: «voglio servire, ado­ rare, esaltare la tua maestà sopra i cieli» (Dahood). - V. 3b. Trad. «Hai fondato una fortezza contro i tuoi nemici, per reprimere il nemico e il ribelle».

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di usurpare il potere di Dio e far giustizia nel mondo (Castellino). La fortezza è «sopra i cieli», cioè oltre il raqia ', il «firmamento», a indicare la trascendenza. Il salmista sembra contrapporre bimbi e ribelli (cf. il gioco di parole in ebraico sorerimi/'olelfm [nemi­ ci, bambini], yoneqim/mit-naqqem [lattanti, ribelle]). 4: «Quando (ki temporale) vedo». Verso i cieli l’uomo con­ templa. Accanto alla bocca (lode) emergono gli occhi. La luna e le stelle sono «opera delle dita» (connotazione artistica) e «fissa­ te» (connotazione di stabilità). - v. 5: mah interrogativo, «che cosa?». È il centro e lo speci­ fico del salmo: l’interrogativo dell’uomo e sull’uomo. La doman­ da, che sorge da uno sguardo trascendente, è rivolta a se stesso. Pone l’uomo come intermediario, forse ambiguo: contempla le opere (v. 4), domina e usa (vv. 6ss). «Uomo», due espressioni: ’enós, connota fragilità, caducità, indica il limite creaturale; ben ’adam, connota terrenità, l’origine dalla terra ( ’adamà), indica un appartenente alla specie umana, nato da donna, nella sua sto­ ricità. Due verbi caratterizzano l’attenzione divina: zakar, «ricor­ dare», è azione divina (Gn 8,1: Dio si ricorda di Noè, è segno di salvezza) e umana (l’uomo celebra nella memoria, soprattutto nelle feste, le opere del Signore); paqad, «visitare», in senso po­ sitivo, «prendersi cura». Perché Dio si interessa dell’uomo (cf. Sai 144,3; Gb 7,17-19)?

IIscena: dall’uomo all’universo (w . 6-9: dominio). - v. 6: l’uomo «immagine di Dio»; stico negativo/positivo. Perii contenuto cf. Gn 1,26-28; Sir 16,24-17,16; Sap 2,23. «Poco meno di un dio»; «angeli» (= LXX); in ebraico è ’elohim, sinoni­ mo di «essere divino», indica la «corte celeste», i bene ’elohim sono esseri divini demitizzati. «Poco meno degli esseri divini/di un dio» è democratizzazione della regalità, ogni uomo è re. An­ che «gloria e splendore» (kabód, hadar + incoroni) sono qualità di Dio e del re, del Messia. Ogni uomo è reso «signore». Il conte­ nuto è specificato nei vv. seguenti. w . 7-9: la signoria dell’uomo (masal, «dominare», «sotto i piedi») si estende a tre ambiti: terra, cieli, mare (cf. Gn l,28ss; 9,2).

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v. 10: conclusione. L ’uomo ritorna a Dio nella lode e pro­ fessione di fede. «L ’esclamazione finale, apparentemente identi­ ca all’esclamazione iniziale, assume una portata più ricca, non avendo cessato la terra, per l’intromissione dell’uomo, di attirare il cielo, se ci si permette di esprimerci così»11. — S i nt esi r i f l e s s i v a *

Sai 8 e l’Antico Testamento. a) Il parallelo immediato è Gn 1, che ha in comune la serie di termini: cielo, terra, mare, luna, stelle, dominare, uomo, fiere, pe­ sci, vedere (Samaym, ’eres, yam, yareah, kokabìm, masal, ’adam, behemót, daggim, ra 'ah). Gn 2-3 può essere colto solo per allu­ sione. b) Sir 16,24-17,14 è riflessione sapienziale sull’uomo nel co­ smo. c) A questo salmo si ispira Sai 144,3 (in contesto diverso). Gb 7,17-19 ritorce la frase contro Dio: meglio sarebbe se Dio non si occupasse dell’uomo, l’attenzione di Dio, il suo sguardo, è insopportabile (cf. 14,6 e Sai 39,14). d) Si opera talora una trasposizione etica del dominio umano sulle bestie: è chiamato a dominarle; il peccato, come fiera acco­ vacciata, va dominato (Gn 4,8); immagine di uomo-bestia nei Salmi e Dan 7: «imbestialirsi» dell’uomo. *

Simbologia o schemi a) Lo spazio è suddiviso in tre piani: cielo, terra, mare. E dif­ ferenziato con due preposizioni: ‘al, «sopra», luogo di Dio; tahat, «sotto», ambito dell’uomo. Riflette Sai 115,16: «I cieli sono i cie­ li del Signore, ma ha dato la terra ai figli dell’uomo». b) Attori: Dio, l’uomo, il cosmo. Il salmo celebra Dio e l’uo­ mo nella loro relazione al cosmo. Se Dio è Creatore e Signore, l’uomo ne partecipa in qualche modo le dimensioni e riassume in sé qualità del mondo e del cielo. Appare come intermediario tra i due. 11 P. Auffret, (1984), pp. 265.

Essai sur la structure littéraire du Psaume Vili, «VT»

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Dio. Il suo nome è sulla terra, la sua maestà nei cieli, a indica­ re la signoria universale unica; è caratterizzato per le dita (v. 4) e le mani (v. 7), segno della sua attività creatrice. Infatti è soggetto di quasi tutte le azioni che sono otto: hai fondato, hai fissato, ti ricordi, ti prendi cura, lo hai fatto, lo hai coronato, gli hai dato potere, hai posto. Il primo è verbo di fondazione, il secondo an­ nuncia l’istituzione (in forma di gerundio è espressa la repressio­ ne dei ribelli). Due verbi hanno per oggetto l’uomo: zàkar, paqad; esprimono una relazione personale. Stelle e animali sono cose «fatte»; dell’uomo Dio «si ricorda» e «si prende cura». L ’uomo non ha valore in sé, ma per l’interesse di Dio. I quattro verbi successivi articolano questa cura di Dio, sottolineandone iniziativa. È una specie di rito di investitura: hasar (rendere infe­ riore), ‘atar (coronare), masal (dominare), sit (porre). Rende l’uomo partecipe della propria gloria e regalità. L ’uomo è al centro del salmo. Alcuni schemi ne precisano ruolo e possibilità. a) Il corpo riassume le sue azioni. È caratterizzato per la boc­ ca (loda), gli occhi (guarda-contempla), i piedi (tutto è posto sotto i suoi piedi, terra e cielo, rappresentati nei loro abitanti; è reso mosel-« dominatore», partecipando della signoria divina, della sua gloria e splendore). Congiunge così le due estremità del co­ smo (cielo e terra) e del salmo: si vedano, stilisticamente signifi­ cativi, i due mah (esclamativi) riferiti a Dio all’inizio e alla fine del salmo (ritorno a Dio) e il mah (interrogativo) al centro riferito all’uomo. b) Il movimento. Va dai cieli all’uomo e dall’uomo ai cieli, nella duplice direzione di concentrazione ed espansione mediante la contemplazione e la lode, la domanda, il dominio, lo stupore e la confessione di fede (mah 'addir). L ’uomo fa dunque converge­ re in sé il movimento grande-piccolo, alto-basso. La sintesi è l’uomo. Fa parte della terra (ben- ’adam), ma sale al cielo. c) Le età. L ’uomo è colto nelle due età più costruttive, come fanciullo e adulto. L ’infanzia apre lo sguardo fresco e meraviglia­ to sulle cose; l’età adulta domina e assoggetta il mondo, partecipa delle qualità divine.

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d) Emergono due atteggiamenti contrapposti: bimbi e ribelli. Sembrano esistere due classi di uomini (v. 3 l2): chi si sostituisce a Dio e ne usurpa il potere con aggressività e chi, invece, presta il servizio della lode, fatica a parlare, ma è capace di stupore e do­ mande, accetta con semplicità e riconosce, sa gioire della scoper­ ta. L ’uomo può essere un «Prometeo» ribelle o un bambino che loda.

Lettura cristiana Il NT cita più volte Sai 8. Mt 21,16 descrive l’entrata messia­ nica di Gesù a Gerusalemme citando il v. 3 di questo salmo. La fede che gli rifiutano i farisei gli viene accordata, con vivacità e spontaneità, dai fanciulli. In Eb 2,6.10; ICor 15,26-27; Ef 1,22 è citato il v. 7 per affermare la regalità universale di Gesù Cristo, capo e modello dell’umanità riscattata. Quando Pilato presenta ai Giudei il Cristo oltraggiato, coperto di sudore e di sangue, dice loro: «Ecco l’uomo!» (Gv 19,6). E questa forse la più bella defi­ nizione di Cristo. Lui, e soltanto lui - perché anche Dio - è l’uo­ mo vero. In Gesù Dio è entrato a far parte della storia dell’umani­ tà e, come uomo, è divenuto il suo «soggetto», uno dei miliardi e, in pari tempo, Unico (Lack). La creazione, soprattutto il cielo stellato, rivela Dio e obbliga l’uomo a porsi domande su se stesso. L ’uomo è precisamente questa terra ( ’adam) capace di guardare e comprendere il cielo, questa coscienza inquisitiva. Il salmo, che ci presenta l’uomo che si interroga, lascia aperta la domanda: «Che cosa è l’uomo?». Il cristiano, che ripete la sua lode in forma di domanda, può dare la risposta: l’uomo è immagine di Cristo, al quale si sottomette tutta la creazione, perché egli la sottomette al Padre (Alonso Schòkel).

12 Normalmente si oppongono ribelli-sottomessi, nemici-amici, vendicativiclementi, bimbi e lattanti-adulti e anziani. Questa opposizione è l’aspetto origi­ nale del salmo.

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Salmo 29: teofania e gloria di YR nel tuono

Genere letterario E un inno a Y R (vv. 2.10) con teofania celeste e cultica (cf. Sai 18; 68; 77,14-20 e Dt 33; Ab 3). Elementi innici: inizia con 4 imperativi (manca il motivo della lode); il corpo dell’inno esal­ ta il Dio signore della natura (cf. Sai 104), la sua potenza e gloria significata nel settuplice tuono. La simbologia è arcaica. Inno cananeo (Gingsberg, Dahood)? Esempi e paralleli sono stati individuati nella letteratura antica (Babilonia, Ugarit). Israele compie un adattamento liturgico: mu­ tazione del nome e demitizzazione; il tuono diviene «voce di J h w h », con allusione alla liturgia del tempio (w . 2.9c.l 1).

Sistema e movimento del pensiero — S t r u t t ur a Introduzione: 1-2 (imperativi; 4 volte J hwh ) corpo: 3-9 - inno al settuplice tuono (10 volte J hw h ) movimento spaziale: cielo-nord-sud 3-4: acque oceaniche 5-6: monti del Libano 7-9: deserto epilogo-. 10-11 (popolo-tempio, Y R , forza/pace, 4 volte J hwh ).

A ll’invito (vv. 1-2) segue la «gloria» manifestata (3-9) e la reazione reciproca (gloria dal popolo, benedizione e pace da Dio). 18 volte ritorna il nome di J hwh (cf. le 18 benedizioni usate dalla Sinagoga). — Esegesi Introduzione (vv. 1-2) - Contesto cultuale. Forma innica con ripetizioni = parallelismo ripetitivo: ABC, ABD, ABE, vv. 1 ab-2a. E tornare indietro per un ulteriore passo, risonanza pro­ lungata come nel «tuono» (cf. vv. 3.5.8.10). 1 : i 4 imperativi danno un tono particolarmente solenne. Un anonimo liturgo invita gli esseri celesti, «figli di Dio» (bené ’elim ): anticamente divinità minori del mondo cananeo (cf. UT

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51:111:14), ora demitizzate per indicare la corte celeste (cf. Sai 89,7; Dt 32,8 «figli di Israele»), Si fa, forse, riferimento alle stel­ le, cf. UT 76:1:3-4 bn il ! hr kkbm [assemblea delle stelle]; Gb 38,7: «quando le stelle del mattino cantano / e i figli di Dio esul­ tano di gioia». La «g loria » è la manifestazione esterna di Dio. La «potenza» si rivela nel tuono. 2a: la «gloria del suo Nome (seni)»: se ’elohim sembra indica­ re la «natura» divina, il «Nome» (è Jhw h) indica la persona. Tutto il salmo ripete instancabilmente il Nome di Dio per 18 volte; alla fine lo acclama con il titolo di «Re» (v. 10). 2b: al canto segue l’adorazione. «Prostratevi» è la reazione di fronte a YR. «In santi ornamenti» (Cei), ebr. haderat (cf. v. 4 qól J hwh behadar), è riferito ai paramenti sacri usati nel culto. I sette tuoni (vv. 3-9) - Il poeta cerca di ricreare una tormenta come segno della teofania: nell’uragano l’uomo esperimenta la presenza di D io fo rte. Egli riduce al mondo familiare ciò che non è esprimibile per farlo sperimentare e comunicare. A questo genere di tentativo simbolico si possono assimilare Sai 19 (il so­ le); Sai 65 (il muratore cosmico); Ab 3 (il guerriero); Gb 38ss. La descrizione è fortemente stilizzata. - Nella sonorità: concentra la sua forza in «7 tuoni», qól J hwh, che si succedono irregolarmente. L’autore crea un effetto ono­ matopeico, come l’eco che si propaga; prevale il suono impo­ sto da qól, voce-tuono, che si diffonde in molteplici echi. - Nel movimento geografico simbolico o immaginativo: parte dall’oceano («le grandi acque», riferito al Mediterraneo, o al­ l’oceano celeste, cf. mabbul, v. 10; si forma dal mare o dal cie­ lo), invade poi la terra (Libano con le montagne e i cedri), fino al deserto di Kades e ai boschi (Bashan o il centro). E un movi­ mento nord-sud, che abbraccia tutta la terra di Canaan (nell’al­ lusione al Mediterraneo si intravede anche il movimento ovestest). Il fragore dei tuoni raggiunge i luoghi più remoti, a signi­ ficare che Jhw h prende possesso della terra. - Negli effetti: sono resi con alcune immagini della natura scon­ volta. L ’uragano determina vibrazioni, tronca, contorce, scuo­ te. La sua energia sembra distruttiva. Le scene sono vuote di

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animali (querce o cerve?, v. 9) e di uomini. Solo alla fine si ode il grido dell’assemblea che celebra la «gloria» del Re. w . 3-4: la voce di J hwh sulle acque. La voce è il tuono, cf. Sai 18,8-16: teofania e tuono; Es 19,16-19; Sai 68,34; 46,7; 77,18; Am 1,2; Ger 25,30, ecc. UT 1 Aqht: 46, «la pioggia con la voce di Baal»; 51,V:70, «emette la sua voce dalle nubi». Ebla: Dagan, il capo del pantheon, è invocato come tì-lu ma-tìm, «ru­ giada del paese», il nome sembra significhi «nube o pioggia». La teologia jahvista demitizza l’antica concezione. Le acque oceaniche o cosmiche, che potrebbero contenere un antico riferi­ mento mitico - la lotta di Baal contro le acque caotiche (Baal e Yamm) - danno una connotazione cosmica. Il v. 4 opera un cre­ scendo sonoro: l’esplosione potente unita al bagliore accecante del fulmine. w . 5-6: i cedri del Libano-Sirion. Il Sirion è lo Hermon per i fenici (Dt 3,9; Sai 89,13; UT 51 :VI:20-21: si marcia «fino al Li­ bano e i suoi alberi / fino al Syrion, ai suoi cedri più maestosi»). «Balzare» o «danzare» indica lo scuotimento dei monti, il terre­ moto. Si ravvisa un’allusione antiidolatrica: vitello e toro sono simboli di Baal, mentre sui monti avvengono i culti idolatrici; sul Syrion vi era un santuario di Baal. Sarebbe una rilettura jahvi­ sta con rimando al «vitello d’oro» (cf. Es 32,34). vv. 7-9: il deserto di Kades. Il v. 7, «lancia frecce di fuoco», allude probabilmente alle raffigurazioni delle divinità orientali, munite di un arsenale di fulmini: Baal (Ugarit), Hadad (Siria: Arslan Tash) il dio mesopotamico della tempesta, Zeus. Si veda Is 29,6: la terra «è visitata con tuoni, rimbombi e rumore assordan­ te, con uragano e tempesta e fiamma di fuoco divoratore». La let­ teratura rabbinica leggerà allegoricamente il passo vedendovi la descrizione della Parola di fuoco, mentre esce dalla bocca di Dio e incide sulle tavole di pietra la legge divina (Mekhiltà su Es 20,18). v. 8: la steppa (midbar) di Kades è a sud. La tormenta teofanica si proietta su tutta la terra di Israele, a significare che Dio è il Signore di tutto il paese; anche nel deserto semina il «tremore». L ’antico salmo cananeo, legato originalmente a raffigurazioni mitiche, viene riletto nella comunità ebraica e storicizzato, ripor­ tando all’esperienza dei Padri nel deserto.

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v. 9: le foreste. Il terrore di Dio si estende alla natura che si «contorce»: ’élót, «terebinti» (TM ’ayyalót, «cerve», «fa partori­ re/contorcere») e yesarót, «querce» o «boschi». I grandi alberi, qui e al v. 5, possono essere simbolo degli orgogliosi nemici di Dio (cf. Is 2,13; 10,18.33, ecc.). L ’immagine completa la rasse­ gna geografica. Epilogo-nel tempio (vv. 9c-l 1) - Quattro volte, come nel­ l’introduzione, si ripete il Nome di Jh w h costruendo una cornice simmetrica. v. 9c: nel tempio. Riprende il prologo, con la risposta all’invi­ to iniziale. Al mondo celeste si unisce il tempio terreno (alcuni ritengono, però, che si tratti ancora del tempio celeste: Dahood, Von Rad, Kraus, Jacquet). Gli esseri celesti e gli adoratori della terra riconoscono e acclamano insieme la «Gloria» di Dio, che è il tema portante del salmo. v. 10: Dio Re siede sul trono. Alcuni autori, partendo da que­ sta affermazione, parlano di una «festa dell’intronizzazione di J h w h » , nell’ambito della quale sarebbe sorto o recitato il salmo, ma è da dimostrare. Dio siede re «per sempre» sul mabbul (cf. «il diluvio» in Gn 6-9), cioè l’oceano cosmico sopra il firmamento. Significa che è dominato da J h w h ; egli perciò appare l’onnipo­ tente ed «eterno» Signore del mondo. v. 11 : conclusione liturgica, israelitica. Si tratta di invocazio­ ne o asserzione: Dio conceda (o concede) forza e pace al suo po­ polo, questi lo riconosce e invoca. Forza (cf. lb) equivale a vitto­ ria: ciò che il Signore riceve in termini di lode lo dona come par­ tecipazione. Pace, salóm, è la conseguenza della vittoria, segue alla tormenta: oltre la tempesta è salóm, l’intima relazione. Cosi si conclude il salmo che celebra la gloria dell’unico sovrano del mondo. — S i nt esi r i f l e s s i v a Il salmo è caratterizzato dal movimento (schema geografico): la Gloria di J h w h va dal santuario dei cieli al santuario della terra (Lack). Al movimento geografico corrisponde la lode, dai «figli di Dio» alla comunità liturgica.

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- La glorificazione inizia dai «figli di Dio», la corte celeste de­ mitizzata, le stelle, nelle sfere superiori: non più oggetto di adorazione, essi riconoscono J h w h . D ’altra parte, il Signore tuona anzitutto sulle acque (= l’oceano celeste), parla da sovra­ no (teofania, cf. Es 19,18s). - Dai cedri del Libano al deserto di Kades: nord-sud, dalla mon­ tagna alla pianura, al deserto, alla foresta. Il territorio dominato dal Panteon cananeo è ora dominio di J hw h (v . 10). - «Nel tempio tutti dicono: “gloria”» (v. 9). La gloria è ricono­ sciuta non più nelle luci sfolgoranti, ma nella liturgia e nell’ac­ clamazione del popolo. - La potenza è comunicata al popolo (v. 1la), l’uragano si con­ clude con la pace (v. 1lb). Il dato della lode è restituito in be­ nedizione. Cielo e terra sono uniti in una comune liturgia.

Lettura cristiana La voce di Cristo impone silenzio al mare tempestoso (Mt 27,46-50; Me 15,37), la sua voce potente sulla croce è descritta come teofania (Mt 14,39). La voce del Padre proclama dal cielo: «Questi è il Figlio mio prediletto» (Mt 3,17). E anche la voce del­ lo Spirito nel giorno della Pentecoste (At 2,1-11). E, infine, la vo­ ce dell’Apocalisse: «Avendo posto il piede destro sul mare e il sinistro sulla terra, gridò a gran voce come leone che ruggisce. E quando ebbe gridato, i sette tuoni fecero udire la loro voce» (10,2-3). Risponde la voce dei credenti e dei salvati con acclamazioni o dossologie di carattere liturgico: «Tu sei degno, o Signore e Dio nostro, di ricevere la gloria, l’onore e la potenza» (4,11; cf. 5,12; 19,1). «Queste voci ci invitano ad acclamare la gloria e la potenza del Signore; ma ci insegnano anche ad ascoltare nella tempesta l’eco e la risonanza della potenza del Signore» (Alonso). L’incarnazione è il movimento che conduce dal santuario dei cieli al santuario della terra. Come già la sapienza cosmica scen­ deva dal cielo e compiva il suo esodo per posare la sua tenda in Dio e prendere possesso della terra e del popolo di Israele (Sir 24), cosi si muove il «Verbo fatto carne». Egli è il tempio vivente di Dio (Gv 2,11). Prima della passione esclama: «Padre, glorifica

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il tuo Nome» (Gv 12,28). Nella Pasqua dà ai discepoli la pace (20,20-21) promessa (15,27). I Padri del medioevo vedevano nel salmo l’immagine dei set­ te doni dello Spirito. Bellarmino quella dei sette sacramenti della nuova alleanza. Salmo 46: Sion città di Dio. Jhw h rifugio e liberatore13

Genere letterario E un CS. Infatti pone al centro Sion, «città di Dio» (v. 5), san­ ta dimora, giardino di Dio con acque feconde (linguaggio mitico per indicare la fonte di Gihon e il canale di Siloe). Vi avviene lo scontro decisivo tra Dio e i nemici suoi e del suo popolo, 1'«Al­ tissimo» trionfa ed estende il dominio e la pace su tutta la terra. Ne deriva un quadro escatologico. Sfondo storico. Con Sai 48 e 76 allude, come Isaia 7-12, al­ l’assedio di Sennacherib (701 a.C.) o alla guerra siroefraimitica (635/34). Celebra liturgicamente la liberazione, appena avvenuta, iniziando con la «narrazione» dell’evento, seguita da una proces­ sione rituale (cf. Sai 46,9; 48,13s; 76,3-7). L’episodio è sublimato: diviene simbolo della battaglia e vit­ toria escatologica di J hwh sui «popoli». Caratteristici sono il mo­ tivo della distruzione delle armi (simbolo inverso della guerra), il linguaggio mitico nella descrizione della battaglia e il sottofondo delle tradizioni isaiane. Gli autori hanno sottolineato diversi elementi con differenti interpretazioni o accentuazioni: la tinta messianico-escatologica (Gunkel); il carattere cultuale, non escatologico, con linguaggio mitologico (Kraus); l’universalità della vittoria di J hwh (M o winckel); i motivi degli oracoli della guerra santa (Airoldi); l’a­ spetto metaforico (Weiss) e protologico (Kelly).

13 Cf. M. M ilani, Salmo 46. Uno studio strutturale sulle immagini di guerra e di giudizio, «Studia Patavina» 28 (1980), pp. 513-537.

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Sistema e movimento del pensiero — S t r u t t ur a Due parti separate da un ritornello ( w . 8.12) I.

II.

due scene antitetiche: vv. 2-8 (narrazione ) a) vv. 2-4: visione mitico-cosmica ribellione/insidia-maremoto ( Chaoskampf)] b) vv. 5-7: visione idealizzata («surrealista»), Sion-battaglia contro i popoli; visione epico-drammatica: w . 9-11 (processione rituale), armi di­ strutte-pace messianica.

v. 2, introduttivo, fa inclusione con vv. 8.12 (ritornello). An­ nunciano e riassumono il tema: la fede in Dio rifugio e liberatore (qualche autore ripete il ritornello anche dopo il v. 4, cosa proba­ bile nella celebrazione liturgica). I vv. 3-4.5-7.9-11 descrivono l’azione. — Esegesi

Iparte (vv. 2-8): Narrazione Terra e mare insidiano la stabilità del cosmo (maremoto, lin­ guaggio mitico), i popoli minacciano la tranquilla sicurezza di Sion. Dio in persona assume il compito della difesa e del contrat­ tacco: «tuona» richiama l’urlo di guerra (è guerra santa). Stile: terza persona; «terra, popoli, regni, monti» sono senza articolo; predominano i verbi di movimento: mur (tremare), mùt (vacillare), hamah (fremere), hamar (gonfiarsi), ra ’as (tuonare), mùg (sgretolarsi). v. 2: è l’atto di fede che sostiene il salmo. «Dio rifugio e for­ tezza (immagine di edificio), liberatore ( ‘azar) dagli assedi (im­ magine del guerriero)». Viene ripreso nel ritornello: «Il Signore degli eserciti è con noi, nostro rifugio è il Dio di Giacobbe». E il Dio della guerra santa, impegnato a rovesciare la guerra contro i potenti. vv. 3-4: visione cosmica - linguaggio mitico. La «Chaoskampf.» contro l’oceano primordiale (cf Baal e Yamm). E il pe­ ricolo di un ritorno al caos. Terra-'eres è allusione al mondo in­ fernale, la città di Mot-Morte. Il Mare rappresenta le forze ostili personificate.

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vv. 5-7: visione «surrealista» - Sion città ideale-battaglia con i popoli. Dagli elementi mitici della strofa precedente si pas­ sa alla idealizzazione di Siloe e Gihon (cf. Is 8,5ss). Lo scenario è ora storico ma idealizzato, umano, con qualche allusione mitica e la sovrapposizione delle due battaglie, dei popoli e del mare. Il fenomeno infatti è descritto mediante la ripetizione degli stessi verbi e sostantivi: «vacillare» detto dei monti (v. 3b) e dei regni (v. 7) contrapposto alla città che «non vacilla» (mùt); «fremere» è detto delle acque (v. 4) e dei popoli (v. 7a); la sconfitta dei popoli è nel... «tremare» di «terra» (vv. 7 e 3a), cioè nella forma del ter­ remoto. vv. 4-5: sospensione, nel simbolo opposto dell’acqua: di­ struttiva prima, serena e vitale poi. Si noti la sequenza dei termini nei vv. 3-7: terra, monti, ac­ que/città/popoli, regni, terra. Tutto ruota e si agita attorno alla cit­ tà caratterizzata, per contro, da termini di riposo: dimora, abitare, non vacillare. Sion è il centro cosmico14.

II parte (w . 9-12): Processione rituale Lo stile è epico-drammatico. Si passa dalla narrazione al dia­ logo, nello sfondo di un’azione liturgica (probabile allusione a una processione, v. 9, cf. Sai 48,13s). Ritorna l’orizzonte univer­ sale: alla battaglia segue la pace universale segnata dall’interven­ to divino (genera stupore, v. 9), la vittoria (v. 10, simboli guerrie­ ri infranti), il trionfo e l’autoproclamazione di J hwh ( v . 11). Il dialogo tra Dio e il suo popolo è indiretto: si incontrano nella pre­ ghiera, parlando ai pagani o dei pagani.

14 La medesima idea è espressa in Sai 48 nelle allusioni ai 4 punti cardinali, in corrispondenza con le quattro strofe: nord (Gerusalemme è l’estremo nordsapón, luogo classico semitico per indicare la dimora divina, allusione al monte Safon, 3c); est (il vento orientale, lett. «in fronte», 8a); sud (la tua destra, 1ld); ovest (la generazione futura, lett. «dietro, posteriore», 14c). 1punti cardinali ve­ nivano designati rivolgendo il volto verso il sorgere del sole: di fronte (est); die­ tro (occidente); a destra (sud); a sinistra (nord). Cf. Gb 23,8-9: «Se vado avanti (est), egli non c’è, se vado indietro (ovest), non lo sento. A sinistra (nord) lo cer­ co, non lo scorgo, mi volto a destra (sud) e non lo vedo».

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v. 9: «Venite, vedete le mip ‘alót (opere) e sammót (prodigi o portenti)». E l’invito liturgico a constatare, per fame memoria, l’intervento liberatorio di J h w h . Rivolto all’assemblea, di fatto ha come obiettivo gli avversari perché riconoscano la vittoria di J h w h ( v . 11).

v. 10: oggetto dello «sguardo» è la fine della guerra simbo­ lizzata nella distruzione delle armi (cf. Os 1,5; 2,20; Ger 49,35; Mie 5,9-13; Zac 4,6; Sai 76,4 e anche Is 2,7s; 9,lss; Gdt 16,2), che riprende il motivo profetico della polemica antimilitarista. Tutte le anni divengono inutili. Dietro l’annientamento delle ar­ mi si intravede un grande ordine, la pace messianica, preceduta dall’intervento di J h w h nei più lontani recessi della terra (v. IOa), là dove abita una forza nemica (cf. Is 2,3 = Mie 4,3; Is 9,1­ 6; 11,6-9). Solo le armi sono oggetto di distruzione. Dio propone se stesso come unico rifugio e fortezza; intende eliminare il biso­ gno di altre fortezze. Il suo intervento diviene giudizio contro ogni violenza (cf. Gl 4,19-21). Sai 76,3-4, che contiene lo stesso motivo, accentua il senso giocando sull’assonanza salem-salóm (pace): Dio fa abitare il suo Nome (sem), là (sam), a Salem (cf. Gerusalemme, ‘ir salóm, «città di pace» in Sai 122). v. 11: nuovo invito rivolto ancora all’assemblea e ai popoli. impone il silenzio e invita a riconoscerlo e a proclamarlo Dio di tutti i popoli («esaltato tra le genti, eccelso sulla terra»). La giustizia si attua dunque in un duplice momento: distruzione delle armi ed esaltazione di Dio. Emerge lo schema del «resto» profetico (purificazione-restaurazione), ma applicato ai popoli: la vittoria diventa celebrazione della salvezza universale. Il salmo mira al superamento della violenza e della disgregazione per una superiore unità escatologica, nel riconoscimento dell’unico Dio, creando ovunque le condizioni della «città di Dio». J hwh

— Si nt e s i a) Edificio-spazio/persona-dinamismo - Due schemi rappre­ sentano Dio. La fortezza, schema di edificio: pone in risalto la stabilità; e il guerriero, schema antropologico: pone in risalto il dinamismo, l ’azione-movimento, che libera e vince (vv. 6.7.9.10: aiuta, libera; grida; stupisce; spezza le armi). Il primo

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si accorda all'immagine della città «che non vacilla» (vv. 5-6), il secondo si allinea con la battaglia, che privilegia lo scontro e il dinamismo. Troviamo dunque un duplice sistema opposto nella linea stabilità/movimento. _______ guerriero_______ azione liberante -battaglia

rocca città liberata

Città e battaglia richiamano rocca/guerriero, edificio/persona. La tensione della metafora dipende dall’enunciato: Dio è una for­ tezza vivente, una fortezza che cammina o fortezza mobile. Scon­ figge il nemico, ne distrugge le armi e lo insegue fino ai confini della terra. In questo fatto percepiamo anche l’allargamento dello spazio di Sion fino ai confini della terra. In un certo senso, tutto lo spazio viene ora occupato dalla città di Dio. Uguale corrispondenza incontriamo nel campo avversario: «terra» e «popoli». La ’eres-terra è la forza distruttiva contrappo­ sta alla «rocca» e città di Dio. Ha una duplice valenza: spaziale (nel linguaggio reale, ultima strofa: denotazione) e personale (nel linguaggio mitico, vv. 2-4; il fatto è confermato dal parallelo terra-popoli al v. 7: connotazione). La ere? rappresenta inoltre la forza antagonista di Dio; essa tenta di conquistare lo spazio della città per distruggerla. In conclusione, notiamo una tendenza alla personificazione, non solo nell’esercito dei popoli, ma anche nel­ la metafora del caos, rappresentato come la mitica «città di Mot­ Morte», il dio degli inferi. Lo schema delle opposizioni si com­ pleta: rocca guerriero

città di Mot/ di Dio aggressione/liberazione

ritirata/vittoria tremore/esaltazione

acqua caotica/Siloe tumulto/gioia

_________distruzione/stabilità_________ terra sottomessa-riconoscimento di Dio

Nell’ultima equivalenza l’antagonismo è superato, nasce un nuovo equilibrio. Tra i due schemi, di edificio e antropologico, si inserisce quello di spazio. b) Movimento - Lo spazio comporta il movimento. Esso è anzi­ tutto convergente: verso la città di Dio, segna lo scontro. Segue un movimento divergente: ai confini di 'ere* nella traiettoria del­

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la conquista divina, che realizza dovunque le condizioni ideali della città nella pace universale. Vi corrisponde un movimento verticale e orizzontale a partire dalla città, posta al centro del cosmo. E «il centro mitico-geografico della creazione od ombelico dell’universo: qui è il punto ver­ ticale di contatto dove VAltissimo supera Vabisso caotico; oriz­ zontalmente questo è il punto dove le nazioni della terra sono vinte e la pace è stabilita fino ai confini della terra»l5. c) Schema temporale - Il salmo contiene un unico avverbio di tempo (v. 6), a indicare l’intervento favorevole di Dio, al momen­ to opportuno e con sicurezza (cf. Es 14-15). Su tale convinzione è fondata la fede del salmista e del popolo orante. Il fatto storico diventa atto di fede, l’avvenimento contingente rivela una costan­ te che va al di là del tempo e prospetta una condizione stabile, definitiva. Del resto, l’uso dei verbi (continuo passaggio dal perfetto al futuro) dà l’impressione che il tono sia atemporale, tipico di una sentenza o di un atto di fede. Tutto è proiettato verso un futuro escatologico. «La prova di Israele si prolungherà ben al di là di una semplice invasione, quella di Sennacherib in particolare. Co­ sì per sostenere la fede in una vittoria finale che si fa attendere, si sentirà il bisogno di sottolineare che le distruzioni, sempre pre­ senti sotto gli occhi, costituiscono il primo pannello dell’opera di J hwh (v . 9b) e che il seguito non tarderà a venire» (Beaucamp). d) Carattere simbolico della guerra - Un primo elemento che risalta dal salmo è il rapporto guerra-giustizia. Il potenziale guer­ riero si riversa nell’azione della giustizia divina. Esso appare, in­ direttamente, nella pace messianica, nella distruzione delle armi, nella centralità di Dio e nel titolo: «Dio sebaót», che nel contesto richiama gli interventi in favore della giustizia (più diretto è l’ac­ costamento nei paralleli Sai 48 e 76). Nella mente dell’autore una traduzione esistenziale e concreta della battaglia può diventare l’impegno per la giustizia. Ogni intervento «bellico» del Dio guer­ riero sta a significare la «lotta» per la giustizia verso i «poveri» 15 S. K e l l y , Psalm 46. A Study in Imagery, «JBL» 89 (1971), p. 309 (mie le sottolineature).

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della terra. Anzi, se vogliamo cogliere l’elemento dinamico, ogni suo intervento è l’indicazione della via da percorrere per realizzar­ la. La presenza di Dio nella sua «dimora» e «rocca» di Sion è un appello a «camminare» con lui per promuovere la giustizia. Un secondo elemento, che sottolinea il carattere simbolico della terminologia bellica, è il linguaggio mitico o cosmico e li­ turgico. Suppone la ricerca di un tono epico nel cantare le salvez­ ze storiche, tende a idealizzare e universalizzare. L ’autore comu­ nica delle esperienze spirituali attraverso immagini che attinge dalla tradizione, usandole per il suo scopo. La concentrazione su Gerusalemme, salvata e liberata, ha lo scopo di rendere credibile Vescatologia a p artire dalla sua anticipazione localizzata. La promessa vale per tutti i poveri, la minaccia concerne tutti i re della terra. Dio fortezza-guerriero è presente in ogni angolo della terra, là dove un povero invoca liberazione e giustizia. Va ricordato un terzo particolare: il risultato della battaglia prepara e realizza la pace universale. Il concetto di «resto» è ap­ plicato ai popoli! Di conseguenza, il motivo della «guerra santa» pone in risalto l’inconciliabilità tra J h w h e la prepotenza umana. Spezzando la guerra egli trionfa su ogni ingiustizia : è questa la risposta che il salmo offre a una domanda esistenziale. Lettura cristiana

La vita cristiana è tradotta in immagini di «lotta» e vita mili­ tare (lTm 1,18; 2Tm 2,3-5; 4,7; 1Cor 9,7.24-25; 2Cor 10,3-4, cf. Rm 7,14-25; 15,30; Fil 1,30; Col 1,29; 2,1; 4,12; Ef 6,10-20; Eb 10,32; 12,4). Lungi dal concepire in senso reale tali immagini, il cristiano ne apprenderà il significato simbolico: lotta interiore contro la legge del peccato e gli spiriti del male; impegno per la fede, la solidarietà e la giustizia; talora dovrà affrontare anche i contrasti familiari e l’ostilità universale per le scelte collegate alla fede (Le 22,36-38; 12,51-53, cf. Mt 10,34-36). Le sue armi sono: verità, giustizia, zelo, fede, parola di Dio (Ef 6,10-17). L ’ultima e decisiva lotta, che segna la vittoria sul mondo di peccato (Gv 16,33) e la disfatta e condanna del principe di questo mondo (16,11), è stata ingaggiata da Cristo nella passione (Le 22,53; Gv 14,30-31).

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2.

Salm i

di fid u c ia

Elenco La distinzione in salmi di fiducia individuali e comunitari non ha gran valore. Nell’io è la coscienza di tutta la comunità. Vi ap­ partengono alcuni tra i salmi più noti. Sai 4: canto notturno di fi­ ducia («in pace mi corico e subito mi addormento»); 11 : fiducia incrollabile in J hw h rifugio del giusto; 16: J hw h «unico bene», «eredità e calice», «gioia piena», «dolcezza senza fine» del fede­ le, «nelle tue mani è la mia vita»; Sai 23: Dio «pastore e ospite»; 27: misto tra la fiducia trionfale (inno, vv. 1-6: si guarda a Dio, sicurezza) e la supplica (7-11: si guarda all’uomo di fronte a Dio, timore); 62: Dio unica speranza e riposo, «rupe e salvezza»; 63: esperienza profonda di Dio mediante la liturgia; 121: sguardo al vigile «custode» di Israele; 125: il Signore «cinge» Israele, sta­ bilità perenne di chi confida in lui; 131: fiducia del bimbo svez­ zato in braccio alla madre.

Struttura Non esiste uno schema rigoroso, facilmente sconfina in altri generi. Ricaviamo piuttosto alcune costanti, in particolare: l’e­ sperienza esistenziale di fiducia e un’adesione libera e spontanea a Dio; una fede fortemente personale, pur nell’uso della terza per­ sona. Li distinguono l’atteggiamento e il linguaggio, che rivelano fede matura, speranza e attesa, desiderio e abbandono, intimità. È la gioia di credere. «L’orante non sollecita da Dio alcun bene par­ ticolare, ma esprime semplicemente la sua fiducia in Dio solo, fonte di quiete e gioia» (Lipinsky). Salmo 23: Dio pastore e ospite

Genere letterario È uno dei salmi più conosciuti, usati nella pietà popolare, nel­ le raffigurazioni e nella musica. Un canto di fiducia, «forse desti­ nato ai pellegrini a causa del viaggio e dell’approdo a Sion e al culto nel tempio» (Ravasi, p. 112). È espressione di una fede tranquilla e interiore che traspare dalle immagini (pastore e ospi­

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te), dalle motivazioni («a motivo del suo nome», v. 3; «poiché tu sei con me», v. 4) e dalla serenità delle affermazioni («non manco di nulla», v. 1; «non temo alcun male», v. 4; «felicità e grazia... abiterò», v. 6). Sono 9 versi (distici o tristici) suddivisi in due strofe, composti nel ritmo della qinà (accenti 3 + 2), sviluppati in simboli elementari.

Sistema e movimento del pensiero -

Strutt ura Due parti costruite attorno a due simboli:

I.

D io pastore - cam m ino e pascolo: vv. 1-4;

II. D io ospite - abitazione e banchetto: vv. 5-6. Il salmo passa dalla terza persona (professione di fede) alla seconda (dialogo personale), per ritornare, infine, alla terza. Il centro è il v. 4, che segna il passaggio alla seconda persona e l ’inizio della nuova immagine.

-

Esegesi

Iparte (vv. 1-4): Dio Pastore - Il salmo inizia con il titolo di­ vino: «Il Signore è il mio pastore». E la professione di fede del salmista davanti alla comunità con appello all’alleanza («mio», cf. Sai 100,3: «Egli è il nostro Dio, noi il suo popolo»).

Tema del pastore - Nell’AT è riferito a Dio e al capo (Davide pastore, cf. 2Sam 7; Sai 78,70-72), collegato soprattutto alle tradizioni dell’esodo e del nuovo esodo: il Signore è il pastore che guida il suo popolo attraverso il deserto (cf. Sai 77; 100,3; 107; Is 40, ecc.). Al con­ trario, per i malvagi Mot-Morte è loro pastore nello Sheol, li conduce alle acque di morte (Sai 49,15, cf. UT 52,8). - Per il NT basti ricordare Gv 10 e 21; At 20,28-29; lPt 5,2-4. - E presente in tutta l’area culturale orientale per indicare «il ca­ po» (il re pastore). Nel piano antropologico, l’uomo «addomestica» l’animale: «Gli era cresciuta in casa insieme con i figli, mangiando il pane di lui, bevendo alla sua coppa e dormendo sul suo seno» (2Sam 12,3). Nel salmo l’uomo si dichiara perfettamente «addomesti­ cato» da Dio, cioè in relazione intima con lui.

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Sviluppo della metafora La metafora è sviluppata nel salmo con immagini elementari, captando alcuni momenti privilegiati e selezionando alcuni verbi precisi e concreti: il verde dei pascoli, le fonti per riposare e risto­ rarsi, il giusto cammino. E, poi, il cammino e il riposo sereno: mi conduce, mi guida, vado/tu vieni; mi fa riposare, ristora le mie forze, con la connotazione dei pascoli erbosi, delle acque tran­ quille e del bastone-sostegno che dà conforto. L ’ultima immagi­ ne («non temo alcun male») supera anche la paura del pericolo più temibile, l’oscurità. «Il piano immaginativo si fonde con il piano reale a un livello profondo di esperienza religiosa pacifica. Il tema unitario, la pre­ sentazione rapida delle immagini, il tono emotivo convergono in un significato simbolico profondo» (Alonso). Precisazioni terminologiche e stilistiche'. - napsiyesóbeb: «mi ristora o fa ristorare», fa riferimento alla «gola» (nepes) per indicare poi tutta la persona. Altri traduco­ no: «Mi raccoglie o raduna». L ’acqua disseta, i pascoli sazia­ no, il riposo offre sollievo. - Interessanti sono le motivazioni della fiducia, v. 1 contiene una semplice affermazione: «non ho alcun bisogno», v. 3 appella al Nome, cioè alla persona, all’onore e fama di Dio: «per far onore al suo nome» connota la hesed, fedeltà di Dio all’alleanza, v. 4 appella alla presenza di Dio che accompagna: «perché tu sei con me». In considerazione dei verbi di movimento l’espressio­ ne contiene un senso dinamico: mi conduce, mi guida, vado, mi accompagni. E tutta la vita sotto lo sguardo e la compagnia di Dio. Dio è pastore e guida, ristoratore e compagno di viaggio. - begé’ salmawet, «in valli oscure». Il secondo nome è compo­ sto, «ombra di morte», in cui l’espressione mawet, «morte», è intesa da Dahood con funzione superlativa e traduce: «sebbene io cammini in mezzo a una totale oscurità». Il termine allude allo Sheol, il regno dei morti per indicare situazioni umane ne­ gative (cf. Gb 10,12; 12,22; 24,17; 28,3; 38,16-18; si veda an­ che Is 9,1; Ger 13,16; Am 5,8; Sai 107, 10.14; 44,20, ecc.)16; 16 Cf. N. T ro m p , Primitive Conceptions o f Death and thè Nether World in thè Old Testament (Biblica et Orientalia 21), P ib , Roma 1969, p p . 142-143. 356

- v. 4b è di transizione: unito a quanto precede per le immagini, si accompagna a quanto segue per la seconda persona.

IIparte (vv. 5-6): Dio ospite - Al v. 5 si delinea una nuova im­ magine con mensa e calice (banchetto), olio (profumo e clima di festa, in una cultura definita), l’abitare (casa/tenda, focolare). So­ no i segni delVospitalità, che danno sicurezza di fronte agli av­ versari. Dalla generica oscurità si passa alla descrizione di un pe­ ricolo concreto, mentre nella metafora si sovrappone un piano più spirituale («bontà e fedeltà»). La nuova scena è comprensibile in due contesti, nomade e re­ ligioso. Il contesto nomade fa pensare che oltre la tenda è il deser­ to, la morte; l’ospitalità offre asilo e salvezza, come la guida del pastore protegge dall’«ombra di morte». Ma è soprattutto il tem­ pio che offre il contesto dell'immagine: l’orante vi trova rifugio dal nemico che attenta alla sua vita (cf. Sai 11 e l’ordinamento delle città rifugio alle quali il tempio è equiparato, Es 21,13; Nm 35,16-34; Gs 20,1; IRe 2,20-34), partecipa al banchetto sacro, ri­ ceve l’unzione che lo consacra, fa festa con la comunità. Il tema dell’ospitalità connota la compagnia o comunità, sia per l’abitazione che per la «bontà e fedeltà» che «seguono» il cre­ dente per tutta la vita. La nuova immagine è pure sviluppata in simboli elementari: il banchetto, la festa con unzione e aroma, la casa con la compa­ gnia e il focolare. Nel v. 6 è in primo piano la figura di Dio; il verso sembra rias­ sumere i temi precedenti nell’immagine dell’andare e del riposo (abitare). - 6a: «bontà e fedeltà»17, tób wehesed sono qualità divine perso­ nificate (cf. Sai 43,3; 85,14-15). Divengono la scorta del salmi­ sta, guida e protezione. Forse è un adattamento del motivo dei due paggi che accompagnavano la divinità (cf. Ab 3,5), o un dignitario. Esse «seguono» il fedele: se unito al v. 5, «davanti a me» (la mensa), sembra emergere lo schema dell’esodo, dove Dio fa da avanguardia e retroguardia18: 17Si può intendere la «tua» bontà e fedeltà (cf. LXX) o «sua», se unito a 6b. 18Cf. anche Is 35,10, che descrive il ritorno dall’esilio: «verranno a Sion con giubilo, letizia perenne alla loro testa, gioia e letizia li seguiranno».

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- 6b: tutta la vita è «abitare» nel tempio del Signore. Si notino le due espressioni temporali: «tutti i giorni, per lunghi giorni». Il nome divino che apre il salmo, ritorna alla fine per dare il senso di questa continua presenza19. Il riferimento al tempio («casa di J h w h » ) appella alla liturgia di pellegrinaggio che si conclude con il banchetto e una nuova coscienza. È spiritualizzazione: la bontà e la fedeltà di Dio saran­ no compagne di cammino del credente, per tutta la vita, oltre il tempio; ciò equivale a una vita lunga e tranquilla. Corrisponde forse al contenuto della benedizione con la lunga vita, dono divi­ no ai giusti. Il concetto centrale è, dunque, che tutta la vita, rias­ sunta nell’andare e nel riposare, nel cammino e nell’abitare, è sot­ to la protezione di Dio. -

Sintesi e simboli

a) Movimento e riposo - I due schemi si intersecano nelle im­ magini. Nella prima parte prevale il movimento, il cammino, ma non viene meno il clima del riposo attorno alle fonti e nel verde dei prati: è un movimento tranquillo e sereno, con le pause che ristorano e danno vita. Nella metafora dell’ospitalità, accanto al tema della dimora, ritorna il cammino con la garanzia e la protezione della bontà e fedeltà divina. È il cammino per «tutti i giorni della mia vita». Tutta la vita è cammino e riposo all’ombra del Signore. Emerge tensione e integrazione tra l’abitare nel tempio e la condotta di vita, oltre il tempio, ma non meno, per questo, sotto lo sguardo e la presenza di Dio. b) L ’esodo - Attorno a questo simbolo si possono radunare le due immagini ritrovate. E guidato da un medesimo modello men­ tale (Alonso). - Dio guida il popolo nel deserto, procurando acqua e cibo (cf. Sai 77,21 : «guidasti come un gregge il tuo popolo»). - Giunto alla terra lo riceve come ospite, proteggendolo e pian­ tandolo (cf. 2Sam 7); «lo conducesti...alla tua santa dimora» (Es 15,13); e il tuo popolo abitò nel paese (Sai 68,11). 19 Secondo Dahood, questo sarebbe l’indizio dell’adattamento di una più an­ tica composizione non israelitica.

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Nella tradizione sacerdotale l’esodo è pellegrinaggio verso la terra. Così è per il Secondo Isaia il ritorno dall’esilio a Gerusa­ lemme. Nelle Cronache l’esodo continua fino alla costruzione del tempio. c) Il pellegrinaggio - Anche questo schema è espressivo di tutto il salmo inserito tra i «canti delle ascensioni» (120-134); d’altra parte, pellegrinaggio ed esodo hanno assunto nella storia elemen­ ti comuni. Già Weiser nota che l’ambiente vitale del salmo va ri­ cercato in una esperienza liturgica particolarmente interiore. Ag­ giungiamo, con Ravasi, che le due metafore possono richiamare il santo viaggio al tempio (pastore) e la celebrazione del sacrificio di comunione con il banchetto comunitario (ospite). Il pellegrinaggio appare il luogo del cammino comunitario (cammino di gregge, salita delle tribù, Sai 122), della comune e fraterna (Sai 133) celebrazione nella «casa» del Signore, unico ri­ fugio di fronte a tutti i nemici (Sai 11 e 26,4-5). La tensione tra abitare e camminare si risolve nella vita come appare in Sai 84 che equipara «coloro che abitano» nel tempio (v. 5) a «coloro che passano» (vv. 6-7): non si tratta di abitare sem­ pre nel tempio, né di camminare sulla via di Gerusalemme, ma su quella che conduce alla perfezione (w . 12-13). Lo scopo ultimo del pellegrinaggio è di maturare la coscienza di una vita condotta sotto la guida e lo sguardo, cioè la protezione di Dio, nell’alter­ nanza di movimento o riposo.

Lettura cristiana Il contesto sacro del salmista facilita la trasposizione al conte­ sto sacro cristiano. Essa si articola nella serie di immagini o sim­ boli archetipi: l’acqua, la mensa, l’unzione, il calice, la casa. A questo livello di simboli archetipi il nostro salmo si incontra con i sacramenti della nuova alleanza, simboli di salvezza nella «pa­ storale» di Cristo: le «acque tranquille» del battesimo, il rinfran­ carsi nella confermazione, la «mensa» e il «calice» dell’eucari­ stia, l’unzione del sacerdozio, accompagnano e guidano il cristia­ no per il giusto cammino, verso la «casa del Signore, per lunghissimi anni» (cf. Gv 10) (Alonso). 359

Anche il tema del tempio può essere sviluppato: è Cristo il tempio vivo, che invita ad andare da lui; è la fonte che invita a bere; è il pane di vita eterna che ci viene donato (Gv 6).

3.

S a lm i d i r in g r a z ia m e n to

Raccolgono la gratitudine del fedele per la «grazia ricevuta»: liberazione dai nemici, dalla malattia, da un pericolo grave, spes­ so di tipo giudiziario. Rispetto all’inno hanno presente la situa­ zione negativa passata, anche se espressa talora in termini generi­ ci. Al centro è la narrazione del passato tragico e del presente po­ sitivo. Il genere era molto diffuso in tutto l’Antico Oriente.

Divisione ed elenco Si distinguono in «individuali» e «nazionali» o comunitari, anche se non sempre tale distinzione è soddisfacente: - ringraziamento individuale: 9, 10, 30, 32, 34, 40,2-12, 41, 92, 107, 116, 138 (si aggiungono anche: 18, 57,1-11; 63, 111, 126); - ringraziamento collettivo: 65-68, 118, 124.

Struttura tipo Invitatorio-, appello alla lode in contesto spesso liturgico: - assemblea ufficiale di Sion; - assemblea privata per un sacrificio di todah a Sion; - assemblea dei «pii» (hastdim); - assemblea cosmica (mondo, pagani, avversari...). Corpo dell’inno: la vicenda della liberazione - passato amaro e presente gioioso; - appello alla «solidarietà», annuncio nell’assemblea; - libera manifestazione della gioia. Conclusione con sacrificio (Sai 116,17), scioglimento dei voti o sempli­ ce lode.

Esiste un intimo legame di questi salmi con l’inno e la suppli­ ca: quest’ultima termina con il ringraziamento anticipato (un par­ ticolare sviluppo in Sai 22,23-27; Giona 2,3-10; Is 38). Particola­ 360

re è il «ringraziamento del re»: parla a nome della comunità nella forma dell’«io». Sai 18, posto in bocca a Davide in 2Sam 22, è un ringraziamento regale che impersona tutta l’assemblea (cf. anche Is 25,1-5, collegato all’azione storica di Dio, ora attualizzata per Israele). A tale gruppo possono essere assegnati anche Sai 66, 67; 85,2-4; 118, 124, 126 e, forse, 111.

Le benedizioni Si dovrebbe parlare piuttosto di «formule di benedizione». Sono inno e ringraziamento insieme. Genere molto diffuso nella preghiera quotidiana (precede i pasti e molte azioni rituali e fami­ liari, le «18 benedizioni» della liturgia sinagogale e il trattato tal­ mudico berakót), è un motivo frequente nei salmi, particolarmen­ te nelle conclusioni, come risposta oracolare dopo il rito. La benedizione-berakà è la sua caratteristica. Il suo Sitz im Leben privilegiato resta il culto (cf. Sai 26,12; 2Cr 20,26). La berakà è collegata con la fecondità, donde, per estensione, alla prosperità, al successo e alla felicità. E Dio che benedice (cf. Gn 1,28; 9,1.7) - benedizione costitutiva -, rappresentato dal pa­ dre o dal sacerdote (cf. la benedizione dei Padri per la continua­ zione della famiglia: Gn 17,2.6.16.24; 25,11; 28,3; 35,9-11; 47,27; 48,3-4; Es 1,7; sui giusti, Sai 5,13, e sui progetti umani, Dt 28,12; sugli animali, Gn 1,22, e sui campi, Gn 27,22). L’uomo risponde proclamando «benedetto»-òarwA: il Signore, in segno di ringraziamento e lode, esplicitati nelle motivazioni. E la benedizione dichiarativa. «Al “ calice della benedizione” (lCor 10,16), che porta in sé il dono di Dio, corrisponde il “cali­ ce del ringraziamento” umano (Sai 116,13)» (Ravasi). Un esempio delle due benedizioni è il Sai 134 che Gunkel de­ finisce «breve liturgia di benedizione». Un primo coro invita i le­ viti a «benedire il Signore»: tributo umano di riconoscenza a no­ me di tutto il popolo, che nella notte riposa, nell’atto delle mani protese verso il santuario, in gesto di offerta e disponibilità (cf. 34,2). Risponde un secondo coro con la benedizione divina, azio­ ne fecondatrice, efficace, in nome di colui che «ha fatto cielo e terra» e ha benedetto l ’uomo e la donna (Gn 1,28). 361

Per completezza si devono aggiungere la benedizione nuziale (Gn 24,60; Tb 8,5-8, cf. anche la benedizione dichiarativa in 8,15-17) e la benedizione-maledizione, che è un aspetto di quella costitutiva (Dt 27,14-26; 28; Gn 9,25-26; Sai 5,11, cf. 35,4-6; 40,15). Ogni trattato di vassallaggio comprendeva una serie di maledizioni o benedizioni. Sono simili alle «imprecazioni» pre­ senti nelle suppliche, espressione di un animo esacerbato. Salmo 30: ringraziamento per la guarigione

Genere letterario È un salmo di ringraziamento individuale per la guarigione da una malattia mortale (cf v. 3). I vv. 8ss sembrano alludere anche a una colpa: dimenticanza del favore divino nella prosperità. La situazione sembra la seguente. Un lungo periodo di prosperità ha ingenerato l’illusione e la presunzione di una sicurezza inde­ fettibile (v. 7) attribuita alle proprie forze anziché alla benevolen­ za di Dio. Una malattia ridona all’orante la coscienza dei propri limiti. Egli invoca pietà. Il perdono e la guarigione determinano il ringraziamento. Vi riconosciamo gli elementi caratteristici dell’azione di gra­ zie: la tódà (ringraziamento) gioiosa con l’esposizione del caso a due riprese (vv. 2-4.7-12) e il vocabolario innico: esaltare (rum, v. 3), cantare inni (zumar, vv. 5.13), il memoriale (con allusione al sacrificio: zeker, v. 5; altra allusione al v. 12), proclamare (v. lOb) e, soprattutto, celebrare o rendere grazie (yadah, tódà, vv. 5b. 1Ob. 13). Prevale la prima persona, eccetto ai vv. 5-6. Ambiente. Il titolo fa allusione alla festa della Hanukkà o De­ dicazione del tempio, che sembra confermata dal trattato talmudi­ co Soferim (18,2). Tuttavia, l’inciso deve essere stato aggiunto al titolo più antico, «Salmo, di Davide». In precedenza fu usato in altre circostanze.

Sistema e movimento del pensiero — St r u t t ur a Il salmo si può dividere in due parti quasi parallele: azione di grazie e pace ritrovata. 362

a) Azione di grazie (vv. 2-6): w . 2-4: il salmista esorta se stesso a lodare, esponendo il suo caso (lode, supplica, liberazione); - vv. 5-6: invito a ll’assemblea. -

b) -

Pace ritrovata (vv. 7-13): w . 7-8: il caso = presunzione-umiliazione; vv. 9-11: invocazione (cf. vv. 3.9) con motivazione (v. 10); w . 12-13: preghiera esaudita (cf. v. 4), lode (cf. vv. 2.5).

I vv. 7 e 13, che formano inclusione mediante le‘olam, «in eterno», segnano il passaggio dalla presunzione alla lode: «io non vacillerò in eterno» / «Jhwh, mio Dio, ti loderò in eterno». Il v. 8 rammenta il passato doloroso ormai superato, ma nei vv. 9-11 ritorna la supplica: può essere evocazione dell'invocazione passata, il cui esaudimento avviene in v. 12, ma anche nuova im­ plorazione per non ricadere nella medesima situazione (cf. Sai 126,4).

Esegesi I parte: azione di grazie (vv. 2-6) - La motivazione (vv. 2-4) precede l’invito alla lode (vv. 5-6) contrariamente all’uso cor­ rente. - w . 2-4. La lode del Signore è motivata con: «mi hai libera­ to» (dalah, lett. «trarre il secchio [deli] dal pozzo»). Il verbo pre­ para l’immagine dello scendere e del risalire dal regno dei morti (v. 4). Il plurale «i nemici» è da intendere probabilmente (con Dahood) come un plurale excellentiae, a indicare «il Nemico», cioè la Morte, l’ultimo nemico a essere sconfitto (ICor 15,26). Infatti, «ho gridato», «mi hai guarito» (i due verbi nei salmi di ringraziamento ricorrono al passato mentre nelle suppliche sono invocazioni al presente) sembrano alludere a una malattia grave con pericolo di morte. Il dato è confermato dai richiami alla di­ mora dei morti: lo Sheol (gli «inferi») e «Fossa» (ebr. bór, v. 4, cf. anche v. 10). - vv. 5-6. Invito all’assemblea per la lode e il banchetto: - v. 5: «cantate inni» (zammerù), «ringraziate» (hódù) sono tipi­ ci verbi della lode. «Al suo santo nome», lett. «alla memoria 363

della sua santità» o «alla sua santa memoria»: zeker è la «me­ moria», che avviene mediante l’invocazione del «Nome», cioè della persona stessa di Dio. - v. 6: motivazione della lode, «perché la sua collera è un istante, una vita il suo favore». Il contesto sottolinea la brevità della prova: è solo momentanea, mentre la benevolenza dura una vi­ ta. È la legge del perdono (cf. Is 54,7; Es 34,6; Sai 86,15; 103,8 = 145,8; Gl 2,3; Giona 4,2). Il pensiero è ribadito nell’opposi­ zione sera/mattino: l’angoscia umana scompare appena sorge il sole. L’alba è il momento degli interventi salvifici di Jh w h (cf. Es 15; Sai 46,6; 90,14; Lam 3,23; Is 17,14). IIp a rte : pace ritrovata (w. 7-13).

- vv. 7-8: presunzione-prova. Il pensiero cambia. Il salmista ora ricorda il passato, quando la prosperità (salew, situazione di tranquillità) aveva creato l’illusione di una stabilità incontrollata, senza però riconoscervi il favore divino (v. 7). La prova quindi genera sgomento: «Nella tua bontà, Signore, mi avevi posto sul mio monte sicuro (forte); hai nascosto il tuo volto sono stato sconvolto» (v. 8). Il ritiro dello sguardo di Dio («nascondere il volto») è interpretato come punizione. La pace ritrovata ridona la coscienza del dono o favore (ra§on, cf. 6b) e della misericordia divina (hanan, vv. 1la). - vv. 9-11 : supplica. È fondata sulla coscienza di un Dio che è «aiuto» e «misericordia» (v. 9.11). Si aggiunge una motivazio­ ne ulteriore per indurlo al soccorso (v. 10), che contiene tre rife­ rimenti allo Sheol: morte (lett. «sangue»), fossa ( sahat = tomba e Sheol), polvere Capar, come simbolo di morte, cf. Gn 3,18; Sai 7,6; 18,43; 22,16.30, ecc.). È il luogo dove regna il silenzio, sen­ za comunità cultuale e riti di ringraziamento e gioia (cf. Sai 6,6; 88,1 ls; 115,17; Gb 22,3; Is 38,18; Sir 17,22-23[26-27]). Il salmi­ sta soffre per l’impossibilità di partecipare alla lode del Signore, caratteristica del culto di Israele. Con la sua morte però Dio stes­ so si priverebbe di un cantore della sua gloria. La fede nell’al-dilà appare esitante, tuttavia è in primo piano la supplica per la gua­ rigione. 364

- w . 12-13: preghiera esaudita. Ritorna la lode. - v. 12: «hai mutato» (cf. v. 4.6b). I segni di lutto, lamento (ebr. misped, «battersi il petto») e vestito di sacco, si mutano in gioia: danza, parte integrante del rito di ringraziamento, e abito da festa (cf. Ger 31,13, per l’inverso cf. Lam 5,15); - v. 13: canto senza posa, lode perenne (cf. vv. 2.5). La presun­ zione è superata nella dossologia che riconosce Dio come colui che guarisce (v. 3) e fa vivere (v. 4), usa misericordia (8a.l 1), ritira la collera (6a.8b). — Si nt esi e s i m b o l o g i a (cf. La ck ) Il salmo colpisce per la serie delle antitesi. Per dire che si è salvato, il poeta concentra la nostra attenzione su una serie di ter­ mini negativi annullati dai loro contrari positivi. Il tutto si con­ centra attorno a due espressioni, morte e vita, precisate sin dal v. 4: «Mi hai fatto risalire dallo Sheol, mi hai fatto vivere perché non scendessi nella Fossa». Lungo questo asse semantico possia­ mo raccogliere i termini opposti, che rivelano una corrisponden­ za tra il quadro fisico, spirituale e cosmico: Morte Vita

discesa nello Sheol risalita dalla Fossa

pianto della sera (tenebre) gioia del mattino (luce)

inferi monte

collera di un istante bontà per tutta la vita lamento danza

sacco abito di gioia

La malattia è stata una discesa agli inferi. Tomba (Sheol), col­ lera, pianto, sera, lamento e sacco compongono il paesaggio fisi­ co e spirituale di questa dannazione. Invece la guarigione è una risalita dallo Sheol, celebrata all’alba nascente con danze e grida di gioia. Il poeta parla in simboli. Evoca Dio attraverso la perce­ zione che ha del mondo e il mondo diviene concentrico all’uomo. Tali corrispondenze tra realtà cosmica e spirituale sono universali (cf. anche il Cantico dei cantici). Abbiamo bisogno di trovare la continuità della nostra situazione spirituale nel reale, nel cosmo. In effetti, l’universo non è realmente se stesso se non quando tut­ te le cose sono diventate riflessi e immagini. 365

Il movimento del salmo è dunque il seguente: la vita umana conosce alternanze estreme di sofferenza e di gioia (già la nascita ci inserisce in questo ritmo di vita e di morte). Esse non sono se­ gno di un destino capriccioso e incontrollato, ma si inseriscono nel quadro di un disegno coerente e positivo. Tuttavia, quel che la vita comporta di negativo rivela il proprio valore soltanto dopo che la crisi è stata superata.

Lettura cristiana Il tema fondamentale della morte e della vita, la notte e il mat­ tino, fiducia e sgomento, lutto e festa, permettono di trasportare questo salmo nel momento culminante di questa opposizione, quando la morte giunge all’estremo della sua audacia, e la vita al­ l’estremo della sua esaltazione: nella morte e risurrezione di Cri­ sto. Nella Pasqua egli ha superato e riconciliato morte e vita nel­ l’unico mistero della risurrezione. Tutta la vita di Cristo (i «misteri» della sua vita) diviene ritmo della vita del credente. Infatti, egli ha preso su di sé la vita umana nelle sue antitesi più acute: gioia estatica e tristezza mortale. Non esiste stato della coscienza o del corpo che non possa essere vis­ suto in Cristo. Il cristiano che vive «in lui», partecipa con lui di questo lutto e festa, che formano il ciclo liturgico e l’essenza del­ la nostra vita in Cristo. B) LA SUPPLICA Nasce dall’esperienza del male e del limite, del dolore e della povertà. E la preghiera più frequente, forse la più sentita. Si pre­ senta in molteplici forme e sottoforme.

Linguaggio - sa’al, daras, baqas = domanda (consultazione oracolare), ri­ cerca amorosa del volto di Dio; - sawa sa ‘aq = grido, grido implorante; vi si può accostare anche ’anah e sa ’ag - il sospiro e gemito amaro. Prossimi a questi: 366

- hamah, bakah, safak, ’anaq = fremere (dell’animo, inquietudi­ ne); piangere e versar lacrime; lamento quasi animale; - siah, hagah, hagag = riflessione e dialogo o il discorrere riflet­ tendo; sussurrare meditando; - paga = avanzare per la richiesta; halah = accarezzare il volto, placare la collera; hanan = richiesta di misericordia.

Struttura elementare - Invocazione o appello, specificato dal contenuto. - Oggetto : è molto vario, da cose più materiali (salute, vittoria, liberazione) ad altre più spirituali (liberazione dalla passione, salvezza, ecc.). Attesta in ogni caso la sincerità dell’orante. - Motivo : si appella alle qualità divine (bontà, misericordia, fe­ deltà, Nome), alle sue promesse e agli interventi storici di libe­ razione (le «mirabilia», le «gesta», la «destra»).

Attori Sono tre. - Il nemico: spesso si tratta del male e della sofferenza perso­ nificati, soprattutto la morte (il Nemico); è dunque un compendio simbolico di queste realtà. Si tratta di una malattia mortale, con­ siderata segno di maledizione (cf. il talora semplificato concetto di retribuzione: delitto-castigo, giustizia-premio), o di un peccato che fa sperimentare il silenzio di Dio, di una tragedia nazionale o di persecuzioni di avversari (nemici, falsi testimoni, amici rinne­ gati, descritti come incarnazioni demoniache) o del popolo stesso che ripudia l’interessato (cf. Geremia e le «confessioni»), F rap­ presentato in simboli negativi teriomorfi (mostri, leoni, tori, bufa­ li, cani) o bellici (cf. Sai 22). - Dio: è chiamato in causa come in un processo con appello o sfida o atto di accusa protestando la propria innocenza (cf. Gb; Sai 6,4; 35,17) oppure con appello alla sua misericordia e fedeltà, al suo «buon nome» e agli interventi passati. - L’orante, il singolo fedele o la comunità, si appella al pas­ sato felice e al tragico presente, alla speranza per il futuro. Que­ st’ultimo atto esprime la certezza della liberazione (perfetto pre367

cativo), anticipando il ringraziamento (sciogliere i voti). La sup­ plica, anche la lamentazione più angosciata, rimane perciò aperta alla speranza.

Supplica individuale (o lamentazione) — Elenco 3, 5, 6, 7, 17, 22, 25-26, 28, 31, 35, 36, 39, 42-43, 51-57, 59, 61, 63-64, 69-71, 77,2-11; 86, 88, 94, 102,2-12.24-28, 109, 120, 130, 140, 141, 142, 143. Si vedano anche 62, 85, 86, 125-126, 139. Fuori del salterio: Es 32,11-13 con Dt 3,23-26; 9,25-29 (Mosè intercede per il popolo); Lam 3; Tb 3,11-15; Sir 22,27­ 23,1-6.

Supplica nazionale Protagonista è l’intera comunità (talora sottintesa nell’«io» personale) colpita dall’abbandono di Dio o da un esercito nemico o da calamità naturali (siccità, cavallette, terremoti), in cui vede un segno di Dio e un richiamo alla fedeltà all’alleanza. Ricono­ scendo il castigo e operando l’espiazione collettiva, con funzione pedagogica e liberatoria (cf. Dt 8,2-5), «ritorna» a Dio.

— El enco 12, 44, 58, 60, 74, 77, 79, 80, 83, 85, 90, 106. Anche questi formulari sono rintracciabili un po’ in tutta la Bibbia; lo schema non esiste allo stato puro. Un esempio è il la­ mento di Israele schiavo in Egitto (Es 2,23-34). Ci sono modelli in cui il re implora a nome della nazione (IRe 8,33-34: Salomo­ ne; 2Cr 14,10: Asa; 2Cr 20,6-12: Giosafat), oppure il profeta (Mie 7,7-20; Ez 9,8; Is 26,7-13 e 51,9-11). A ll’epoca giudaica appartengono la preghiera retorica e battagliera di Giuditta (9,2­ 14), la supplica di Giuda (2Mac 15,22-24) e quella di Siracide per Gerusalemme e le genti (36,1-17). Esempi di preghiera nella sic­ cità o altre calamità naturali sono in Gioele (1-2) e in Geremia (14,1-18, i w . 19-22 suppongono anche la sconfitta militare e la fame conseguente). 368

Le Lamentazioni sono elegie nazionali. Lam 1 rappresenta la città desolata, che «nessuno consola». In Lam 4 un sopravvissuto narra l’assedio e la caduta di Gerusalemme con la deportazione dei cittadini, la fuga e la cattura del re; una imprecazione contro Edom e una benedizione per Sion concludono la composizione (vv. 21-22). Lam 5 è una supplica in occasione di una calamità nazionale (la cosiddetta «preghiera di Geremia»): dopo la rievo­ cazione della sofferenza e delle sue cause (vv. 1-18), l’invocazio­ ne e il lamento (vv. 19-21.22) concludono aprendo alla speranza.

Sottoforme (o varianti della supplica) a) La supplica del perseguitato. Inserita in uno sfondo di incubo, assume spesso il tono giuridico (tentativo di condanna dell’oran­ te, cf. le «confessioni» di Ger) e contiene le proteste d’innocenza; sconfina spesso con l’imprecazione. b) La supplica del malato. Alla base è il concetto di retribuzione. L’orante implora perdono o professa la sua innocenza chiedendo la guarigione. Cf. Ezechia in 2Re 20,3; Is 38,18-19 o Sai 6 e 7 (implorazione nella prova e dichiarazione di innocenza); 38 (il lebbroso); 41-43 (il malato e l’esiliato); 22 (l’innocente abbando­ nato da Dio e dagli uomini). I nemici sono «malfattori» od opera­ tori di iniquità-vanita. Sono iettatori? Certamente sono ironici contro la sua fiducia in Dio; forse freddi spettatori del male, riten­ gono l’orante un «maledetto» da Dio per la malattia che lo tor­ menta. c) Il lamento funebre. La morte è il grande nemico (cf. Mot nei miti, ma anche Sap 11,26; ICor 15). Solo i vivi partecipano alla liturgia di lode della comunità. La fede nell’aldilà è esitante. Lo She ’ol, il luogo dei morti, è il regno delle tenebre e del silenzio, ove il rapporto con Dio è meno chiaro. Taluni autori, tuttavia, ad es. Dahood, difendono con vigore la tesi di una fede nell’aldilà. La cosa rimane discussa; certo solo in salmi tardivi il tema si po­ ne in termini più problematici. Fra i testi di questo genere, cf. Lam 1-2.4 (canti funebri su Gerusalemme distrutta); 2Sam 1,19­ 27 (per la morte di Saul e Gionata); forse anche Is 52,1-12 (sul defunto servo di Jh w h ). 369

d) La supplica del voto e del segno. È una preghiera che si impe­ gna con un particolare gesto, un sacrificio o un atto liturgico, ri­ velando una visione quasi «economica» nella domanda rivolta a Dio; rivela però anche la fiducia in Dio. Tale particolare è presen­ te alla fine dei salmi di ringraziamento: l’orante si impegna a sciogliere i suoi voti. Esempi sono in Sai 61,6; 56,13, ma anche Gn 28,10-22 (Giacobbe: contiene una condizionale, «se», unita alla richiesta, il voto e il suo contenuto - offerta della decima e una caparra - la stele - che anticipa la costruzione del futuro santuario); Num 21,1-3 (voto con promessa di un herem, cioè di distruggere, offrendolo a Dio, tutto il bottino di guerra); ISam (preghiera di Anna che chiede un figlio con la promessa di consa­ crarlo a Dio come nazireo). La ricerca del segno non è negativa. E il sigillo offerto spontaneamente da Dio o a lui richiesto per una garanzia nel proprio agire. E un elemento portante nelle vocazio­ ni profetiche: cf. Is 6,1-12; Gdc 6,11-24 (Gedeone). e) La supplica del mediatore e dell’intercessore. Il terzo carme del servo è un «lamento del mediatore». Il grande mediatore è Mosè (cf. anche Num 11,10-15); è la funzione del profeta e del servo di Jh w h . Implorano in favore del popolo, ma sono oppressi dalla missione che genera dramma e angoscia fino a maledire il giorno in cui sono nati (cf. Ger 20,14-18 e il clima delle «confes­ sioni»), La situazione di «sentinelle» (Ez 3 e 33) rende talora la vita insopportabile, l’angoscia si traduce in supplica accorata. Ma è concetto comune che il «giusto» è intercessore per i pecca­ tori: così Abramo (Gn 18,22-33 e 20,7), Mosè (Es 32,31-33), il sacerdote (Eli per Anna, ISam 1,17; Samuele 7,8-9; 12,19.33; i sacerdoti: Gl 2,17), il profeta (Ger è la figura classica dell’inter­ cessore, è l’«amico dei suoi fratelli», cf. 2Mac 15,14; così altri profeti, es. Am 7,2.5). Oggetto di intercessione sono il giusto e il popolo, i nemici (per condannarli o salvarli), i defunti (tardiva­ mente, cf. 2Mac 12,42s). f) La supplica dell’innocente. L ’interessato proclama davanti a Dio la propria innocenza nella ricerca di ascolto. Tipica è la pre­ ghiera di Giobbe, soprattutto la sua ultima perorazione (31,1-40). Nei salmi, cf. Sai 7; 17,3-5; 26; 71 e 138. 370

g) La supplica imprecatoria. È senz’altro la più problematica di fronte al perdono evangelico, ma assai diffusa (anche nel «mite» Geremia, cf. 11,20; 12,3; 17.18; 18,21.23). È espressione di ani­ mi esacerbati, che meritano attenzione. Riflette una forte esigen­ za di giustizia, intesa e attuata anche nel programma della «mitez­ za» del Cristo. Le imprecazioni vanno quindi superate, ma non dimenticate, ascoltate e rivolte alla propria coscienza. Rivelano la sofferenza umana, che è sempre degna di rispetto, anche se espressa in atteggiamenti che non condividiamo. Possiamo anche considerare che le provocazioni degli empi sono tentazioni con­ tro l’adesione a Dio stesso. Ciascuno deve scegliere tra adesione e solidarietà od opposizione e denuncia, impedendo alla violenza di nascondersi dietro l’indifferenza o le sue molte maschere. h) La supplica penitenziale. La liturgia penitenziale celebra la misericordia divina e segna l’itinerario della conversione: confes­ sione del peccato (talora preceduta dall’accusa divina, che rivela le cause del male, cf. Sai 50), richiesta di perdono e grazia, asso­ luzione e riconciliazione. Rivela il senso e il peso del peccato. Il Salterio e la Bibbia si muovono costantemente in questa coscien­ za legata al credo storico dei benefici di Dio dimenticati o di­ sprezzati. La supplica penitenziale sembra essere fiorita soprat­ tutto nel periodo postesilico (cf. Gl 1-2). I testi rivelano atti sin­ goli e comunitari. Famosi sono i Sai 51 e 130. Sai 50 e 51 riflettono il rito penitenziale: l’accusa divina (50) e l’umile (ma anche gioiosa e consolante) confessione della colpa (51), che de­ termina una «nuova creazione», nel cuore. L ’assoluzione e ricon­ ciliazione, non esplicite, sono presupposte. Salmo 22: dalla solitudine alla solidarietà

Genere letterario È supplica individuale, riflette però l’esperienza di tutto il po­ polo (v. 5). Presenta una minaccia, ma in termini generici. La ter­ za parte assume carattere escatologico messianico allargando la dimensione del dramma. Lo schema della supplica è evidente nell’invocazione, nella contrapposizione tra l’esperienza passata positiva e il presente angoscioso, nella descrizione dei nemici, 371

nella finale, con la certezza di essere esaudito e la promessa dei voti (riferimento al rituale di ringraziamento). Datazione incerta. La tradizione giudaica sembra aver ricono­ sciuto nel salmo Israele stesso (v. 23) schiacciato e morente, ma che ritoma a vivere e lodare Dio davanti a tutti i popoli. Il salmo, riletto in epoche diverse, fu reinterpretato e completato con ag­ giunte attualizzanti: l’esperienza individuale divenne emblemati­ ca, tipica di ogni giusto e di tutto Israele. L ’evento vissuto dal singolo manifesta una verità per tutto il popolo. - Il poema ha offerto motivo di fiducia a Israele in esilio. - La restaurazione postesilica ha aggiunto l’indirizzo alle nazio­ ni (vv. 28-29) riconoscendo nella liberazione la potenza di Jh w h .

- Il giudaismo pio (husidfm) raccoglie l’insegnamento e, nella visione di uno Jahvismo più spirituale, polarizza l’attenzione sulla persona dei «poveri di J h w h » , compagni ed emuli del «servo» sofferente e trionfante di Isaia (vv. 30-32). Incarnano l’ideale religioso: l’abbandono in Dio; la loro fedeltà affretta l’avvento del regno di Dio; scoprono il ruolo provvidenziale della prova; sperimentano la virtù escatologica di una sofferen­ za accettata e offerta per arrestare la collera di Jh w h . Il salmo acquista una portata messianico-escatologica (sotto questa for­ ma alimentava ancora la pietà dei fedeli di Qumràn). L’avven­ tura trova il suo ultimo stadio pedagogico nel familiarizzare gli israeliti con il duplice mistero: delle sofferenze del giusto tolle­ rate da Dio; dell’eco inaudita della liberazione con cui Dio be­ nefica a suo tempo il fedele (cf. Is 52,13-53,12). - Il NT assimila il dramma di Gesù a quello del salmista nella rilettura liturgica, applicando le metafore e i dati trasformati (vv. 10.11.17c.27.30.32) od oggettivati (vv. 7-9. 17ab. 18.19.28.29) nella sua storia, al suo livello di Figlio unigenito di Dio, restauratore e modello insieme dell’uomo riscattato. Mette in luce la portata messianica del salmo: Gesù, posto nel rango degli scellerati, offre volontariamente la sua morte come sacrificio espiatorio; condensa e completa in sé tutta l’espe­ rienza religiosa di un mondo pieno di enigmi, intrapresa dai profeti e dai salmisti. 372

Sistema e movimento del pensiero -

Strutt ura

Il salmo si compone di due parti e un’aggiunta: - lamento-supplica: vv. 2-22; - ringraziamento o todah : vv. 23-27; - aggiunta attualizzante (prospettiva messianico-escatologica): vv. 28-32. -

Esegesi

Lamentazione-supplica: solitudine/solidarietà (vv. 2-22). E organizzata sull’angoscia per il «Dio lontano» (vv. 2.12. 20): i vv. 2-3.12.20-22 (inizio, centro, fine) sono in stretto contatto te­ matico e verbale. Nell’abbandono di Dio ogni lotta è vana e di­ sperata, quando Dio è lontano l’angoscia è vicina (v. 12). All’abbandono divino si aggiunge quello degli uomini: ostili­ tà e dubbio sull’innocenza o sul suo compito (v. 9) pesano sul sal­ mista. Il fatto provoca disagio, solitudine, isolamento: è l’espe­ rienza di Geremia. Tuttavia, la lontananza non impedisce il grido senza posa per la salvezza, fondato sulla passata esperienza posi­ tiva, dei padri, prima (vv. 4-6), e personale, poi (w . 10-11: im­ magine della levatrice e del padre). Possiamo distinguere due blocchi: vv. 2-12.13-22. - Il primo si conclude con una rinnovata invocazione al «Dio lontano». E un dialogo drammatico tra il «tu» di Dio che salva e fa nascere (vv. 4-6.10-11) e l’«io» deluso e abbandonato al suo destino (vv. 2-3.7-9). Il culmine del lamento è la scoperta di es­ sere nati per un destino di frustrazione (elemento psicologico). - Il secondo blocco o quadro (vv. 13-22) si caratterizza per una duplice simbologia evocatrice di morte. - Simbologia teriomorfa, che si trasforma in scena di caccia (v. 17). L’immagine ha probabili risvolti demoniaci, rappresenta quasi l’incarnazione storica delle forze malefiche. Nei w . 13­ 14 i nemici sono come animali feroci; ugualmente, ma in ordi­ ne inverso, nei vv. 17.21.22: tori ( 13), leoni (14), cani ( 17), malvagi ( 17) = descrizione spada (21), cane (21 b), leone (22), bufalo (22) = invocazione. 373

- Simbologia corporea. La morte si introduce a poco a poco nel coipo devastandolo e togliendo ogni protezione. Appare una duplice simbologia dell’acqua: riduzione allo stato acquoso, prenatale (l’essere scompare, si discioglie), o aridità desertica (scompare l’acqua, l’elemento vitale): 15 Sono come acqua versata - le ossa slogate cuore fuso come cera in mezzo alle viscere arido come coccio il vigore lingua incollata al palato (cf. v. 3 grido senza parole) su polvere di morte deposto mani e piedi forati - ossa contate divisione delle vesti (= corpo nudo, assenza di protezione). Mancano gli occhi nella simbologia corporea del paziente. In primo piano sono quelli degli avversari (v. 18b: mi guardano, mi osservano). Egli non vede, «è visto», oggetto di sguardo senza difesa. E un corpo disfatto e senza vita, cadavere nudo, ferito nel­ la sua dignità, in balia dei nemici. Concludendo, alla nascita (e accoglienza, vv. 10-11) si oppo­ ne la morte fisica e sociale. Perciò l’invocazione al v. 21 : «Libera la mia anima/vita dalla spada, dalla zampa del cane la mia unica», cioè la mia unica vita, o, forse, la mia vita isolata, rimasta unicasola. Il problema del salmista è la solitudine mortale dalla quale deve assolutamente uscire. L ’uomo, nato per vivere in relazione (vv. 10-11: petto della madre, riconoscimento del padre, cf. anche Gn 2,18), è caduto nella frustrazione della più amara solitudine: lamento senza ri­ sposta, assenza di riposo, abbandono e silenzio di Dio «lontano», privazione di ogni aiuto, scherno degli uomini. Abbandono e iso­ lamento prevalgono sulla stessa aggressione. E solitudine insop­ portabile, che culmina nella dissoluzione. Rimane solo la forza di implorare ancora: «Dio non stare lontano, rispondimi!» (v. 22). L’ultima espressione è anche professione di fede, che prepara il ringraziamento: «Tu mi hai risposto». Ringraziamento o todah : comunità ritrovata (w . 23-27). ...E avviene il miracolo! La solitudine è superata e la solidarietà ritro­ vata. L ’orante è accolto dall’assemblea dei credenti. L ’assemblea 374

è definita con una serie di termini positivi: fratelli, timorati, fede­ li, poveri, quanti cercano il Signore, dove può «narrare» che Dio l’ha ascoltato e non ha tenuto nascosto il volto (25): è tornato vi­ cino. La supplica si muta in ringraziamento (23-27) e inno (28-32). Sullo sfondo dei vv. 23-27 si intravede il rito liturgico «eucaristi­ co»; - dialogo tra solista e coro: la «narrazione-lode» pubblica (soli­ sta: 23.26), davanti all’assemblea dei fedeli, che risponde con il canto (coro: 24-25); - adempimento dei voti (26); - sacrificio e banchetto di comunione (27). Inno a Y R - aggiunta attualizzante (vv. 28-32). La prospettiva escatologico-messianica (postesilica e pietistica degi hasidfm) esalta la regalità di Jh w h in un panorama universale, che supera le frontiere dello spazio (tutti i confini, tutti i popoli, 28-29), della vita (quanti scendono nella polvere, 30) e del tempo (le genera­ zioni successive, 31-32). Gli ultimi versi propongono la dimensione catechetica ed esperienziale: la tradizione trasmette di padre in figlio l’opera, cioè gli interventi salvifici del Signore, che dovranno alimentare la speranza, oltre le crisi momentanee. -

Si nt esi

Il tema di fondo del salmo è la solitudine e la solidarietà con Dio e gli uomini. L’abbandono e il silenzio di Dio gettano nello sconforto: con Dio lontano l’angoscia è vicina, con Dio vicino l’angoscia si allontana. A livello umano la sofferenza è acuita dall’assenza di ogni aiuto, dallo scherno e incomprensione che gettano il dubbio sulla missione e innocenza del salmista, dalla persecuzione. La duplice solitudine è superata nella preghiera. La comunità dei fedeli è il luogo del superamento della crisi. La solidarietà ri­ trovata nell’esperienza concreta diventa «tradizione» di fede che si trasmette alle diverse generazioni. L’insieme offre uno schema antropologico raccolto nelle diverse età dell’uomo: nascita -mor­ te -risurrezione. 375

Particolarmente significativo è lo schema di tempo. Si avver­ tono tre momenti. - Il passato: fonda e alimenta la speranza; giustifica l’invocazio­ ne, testimonia la vicinanza di Dio. - Il presente', è prova di fede; la disperazione non impedisce l’in­ vocazione. Oltre il silenzio di Dio si attende una risposta, si cerca una presenza. - Il futuro: è già presente come promessa; l’esperienza passata e le scelte attuali lo illuminano; induce la lode.

Lettura cristiana Il NT ha letto in questo salmo il paradigma della passione di Cristo. Numerose citazioni interpretano il suo atteggiamento di fronte alla morte: superata in un atto di fede l’angoscia dell’ab­ bandono, il Cristo «trafitto» si offre al Padre e rientra festosamen­ te tra gli uomini, che riconosce come fratelli (Eb 2,12), per cele­ brare la vittoria sulla morte. In lui il credente affronta il paradosso della sofferenza e della gloria: - abbandono filiale nella sofferenza (Mt 27,46.47; Me 15, 34); - la sofferenza: «La mia anima è triste fino a morire» (Me 14,34 e parr.); «Ho sete» (Me 15,36 e parr.; Gv 19,28-29; cf. w . 15­ 16); - Le 23,46: «Rimetto la mia anima nelle tue mani», è tratta da Sai 36,6, ma riflette i vv. 20-22; - la derisione dei passanti e dei magistrati (vv. 8-9; cf. Mt 27,39­ 43 e parr.); - la divisione dei vestiti (v. 19; cf. Mt 27,35s; Gv 19,23s); - solidarietà del sofferente con i fratelli riscattati mediante la prova (Cristo «fratello», Eb 2,10-12; cf. v. 23). La tradizione cristiana ha perciò riletto il salmo come «mes­ sianico»: Giustino ( Diai. con Trifone 97-106), Agostino (PL 33, coll. 558ss; 36, coll. 167ss; 41, col. 551). Contro questa interpre­ tazione è Teodoro di Mopsuestia.

376

C) SALMI REGALI

Elenco 2, 18, 20, 21, 45, 72, 89, 101, 110, 132, 144. Struttura e schema Al centro è la figura del re, la sua funzione nella storia di Israele e neH’alleanza. Ruotano, perciò, attorno a elementi ideo­ logici e teologici tipici, taluni comuni ad altri popoli. * L’alleanza davidica, cf. 2Sam 7 commentato in Sai 89 e 132. La promessa della stabilità dinastica è collegata alla storia della salvezza. La figura del re è al centro delle promesse, è il rappre­ sentante qualificato del popolo, il mediatore dell’alleanza, in par­ ticolare relazione con Dio («figlio», 2,7; 89,27-28), da lui «con­ sacrato» (masiah) ed «eletto» (bahar) per essere il suo luogote­ nente (il vero unico Re rimane Jh w h ). * Si evoca il protocollo regale con l’intronizzazione, la procla­ mazione «profetica» (oracolo) della investitura e i titoli ideali ad esso connessi (cf. Is 9,5-6). * La dimensione escatologica. Lo «stile di corte», encomiastico e iperbolico, rischia la caricatura: re universale, governo perfetto di giustizia e diritto, sovranità eterna, re liberatore e salvatore. Ma è occasione per proiettare l’attesa verso una dimensione escatolo­ gica. La promessa dinastica si orienta sempre più verso il futuro, verso un re ideale, che verrà alla fine, per inaugurare il regno di Dio: il «Messia» o «Cristo» porterà a compimento le promesse di Davide e realizzerà l’alleanza perfetta e definitiva. Dopo la cadu­ ta della monarchia i salmi regali continueranno il clima «messia­ nico»: «Più che il re, che non è più, si celebra il futuro figlio del re Davide. Egli è oggetto solo di speranza»20. * Si incontrano diversi modelli o generi: salmi di intronizzazio­ ne (2; 72; 110), centrati sul «decreto» di filiazione divina; canti del re, da lui pronunciati (18,32-35; 144 ringraziamenti pubblici; 60,11-12 supplica nazionale; 27,1-6 preghiera di fiducia del re?; 20 C f.

H.

C a z e lle s , Il Messia della Bibbia,

Boria, Roma 1981, pp. 151ss.

377

51 uso regale di tale salmo?); canti al re (20 per la campagna mi­ litare; 21 e ISam 2 augurio di vittoria; Sai 45 canto per le nozze del re; 101 ritratto del sovrano ideale; 72; 89; 132 rilettura dell’o­ racolo di Natan); canti perii re (acclamazioni, cf. 20,10; preghie­ ra più sviluppata in 132; 72,lss; 84,9-10; 61,7s; 99,2-5.20-38). Salmo 2: intronizzazione dei Re-Messia

Genere letterario Il salmo ha per sfondo il rituale di intronizzazione e di consa­ crazione di un re davidico, celebrato con titoli ideali. In tale am­ bito è da ricercare, pertanto, l’occasione della composizione. L ’e­ lemento più caratteristico è l’ideale rapporto del re con la divini­ tà: depositario della promessa e dell’alleanza, re per grazia di Dio, consacrato con l’unzione, protetto e garantito dalla parola profetica pronunciata su di lui. E un rapporto di pratica identità. Nella forma si presenta come un «oracolo profetico», che sfrutta il motivo letterario, comune a tutto l’oriente, della ribellione dei popoli, impersonati nel loro re, al potere superiore che li aveva sottomessi, approfittando di un interregno. Tale motivo si presenta di solito con il seguente schema: a) annuncio della ribellione (cf. w . 1-2); b) parole di ribellione in forma diretta (cf. v. 3); c) dichia­ razione del fallimento del tentativo («invano», v. 12I). Dall’ambito profetico la formulazione si è trasferita a quello liturgico. Si tratte­ rebbe di un oracolo «ideale» più che storico, che riassume il com­ plesso degli sviluppi della dinastia davidica, di cui Davide era con­ siderato il prototipo. Una occasione storica, tuttavia, non è da escludere, anche se il linguaggio iperbolico ha portato a valorizza­ re la dimensione messianica (cf. in parallelo Sai 110). La datazione rimane difficile, molti dettagli sono ritenuti sim­ bolici. Tuttavia, sembra che la monarchia sia insediata, mentre il carattere arcaico e le formulazioni stereotipe lo farebbero ritenere antico e hanno fatto pensare a una composizione di origine cana­ nea con adattamenti. D ’altra parte, diversi motivi richiamano 2Sam 7 e Is 7,l-922. 21 C f . C a s t e l l i n o , o . c .,

pp. 588-589, con esempi.

22Diversamente, Sai 110 fonda l’ideologia regale sulla figura di Malkisedeq, 378

Per meglio comprendere i riferimenti del salmo è opportuno premettere qualche nota sul rituale di intronizzazione23. -

R i t u a l e di i n t r o n i z z a z i o n e

* Il quadro: il santuario - Il re si avviava al santuario, la cerimo­ nia aveva luogo in un quadro dal carattere sacro: è «re per grazia di Dio» (cf. IRe 2,15; lCr 28,5; per la scena cf. IRe 1,32-48 e 2Re 11,14; 23,3; 2Cr 6,13; 23,13). Nel tempio gli era riservato un posto speciale. * Il rituale (cf. IRe 1,32-48; 2Re 11,12-20) - Avviene in due momenti, nel tempio e nel palazzo reale.

Nel tempio, con le seguenti fasi. - Imposizione delle insegne: a) il diadema (2Re 11,12, nezer = consacrazione), fissato alla corona (cf. Sai 132,18: «il nezer fiorirà»); b) le « testimonianze» o insegne ( ‘ediit, 2Re 11,12) o «legge» (2Cr 23,11 parallelo a 2Re) o «decreto» (hoq) di Jh w h (Sai 2,7). Appartengono al vocabolario della legge o alleanza. Richiamano l’alleanza davidica a Hebron (2Sam 5,1-4). Vi si riferiscono Sai 2,7-9; 89,20-38; 21,4; 110; 132, 11-12. - Unzione. Compiuta dal sacerdote (IRe 1,39 Sadoq per Saiomone; 2Re 11,12 Ioiada per Ioas), è la cerimonia essenziale. Significa che il re partecipa della santità di Jh w h , riceve il suo spirito. È costituito «vassallo» del Signore, è il suo «Unto». Nei primi tempi erano dei profeti a compiere tale rito (Samue­ le, Eliseo). - Acclamazione (cf. IRe 1,34.39-40; 2Re 11,12-14; 9,13). Si proclamava: «Il tale è Re!», con applausi e acclamazioni: «Vi­ va il re!», suono del corno o della tromba (2Re 11,12). È la ra­ tificazione del popolo.

cf. Gn 14, 17-20. Sembra riflettere l’epoca postesilica, in cui il sacerdote assume anche le funzioni del re (cf. Zc 6,9-14 e il sacerdote Giosia con la corona e la piena pace tra sovrano e sacerdote). 23 Cf. R. D e V a u x , Le istituzioni d e ll’Antico Testamento, Marietti, Torino 19722, pp. 109- 113. 379

Nel palazzo reale. Il corteo trionfale accompagnava il re ver­ so il palazzo dove avevano luogo gli altri due momenti della ce­ rimonia. - Intronizzazione (cf. IRe 1,46; 2Re 11,19). È la presa del pote­ re, l’inizio del regno, con l’insediamento in trono e la consegna dello scettro (segno del potere e arma): «Il tuo trono sarà stabi­ le per sempre» (2Sam 7,16). Siede sul trono, riceve lo scettro, è proclamato figlio (Sai 110, cf. Is 9,5). Il trono regale è il «trono di J h w h » (lCr 29,23; 28,5; Sai 89,15; 97,2). - Omaggio dei notabili e dei rappresentanti dei popoli alleati o vassalli (cf. IRe 1,47; 2Sam 5,1-13; lCr 11,1-5). Sistema e movimento del pensiero — S t r u t t ur a Il salmo si compone di quattro strofe nelle quali si intravede un rigoroso parallelismo: A-B/B’-A’. Al centro è il v. 7a, attorno al quale tutto il salmo è organizzato. «Annuncerò il decreto del Signore» introduce la proclamazione del decreto stesso, il «pro­ tocollo», con l’oracolo costitutivo del nuovo re. A. w . 1-3: rib ellio n e e co m p lo tto dei re co n tro il «M essia»; B. w . 4-6: reazio n e d iv in a - co stitu isce/u n g e il «m io re»; v. 7a: in tro d u zio n e al « decreto del S ignore»; B ’. w . 7b-9: o raco lo di investitura - il re «figlio»; A’, vv. 10-12: riv o lta sedata - in v ito -m in accia ai re.

— Esegesi A. Ribellione dei re (w . 1-3) - Il salmista si stupisce che qual­ cuno voglia contestare la sovranità universale di Jh w h e del suo re (concezione teocratica): sono destinati al fallimento («invano», v. 1, cf. 10-12: atto di sottomissione). La lotta contro il re è di fat­ to una lotta contro il Signore-Re (cf. salmi a YR); il suo «Messia» (allusione alla «consacrazione» nel tempio) incarna concreta­ mente la salvezza che Dio va realizzando nel corso della storia (v. 2b). E una pratica identificazione, che rischia la caricatura. Ma questa dialettica tra ideale e reale ha sviluppato la speranza messianica escatologica. I «re della terra» (v. 2a) erano all’origine, forse, i vassalli del­ 380

la «regione» sottomessi alla dinastia davidica, che nell’interregno tendevano all’indipendenza. L ’espressione acquistò un senso co­ smico (cf. v. 8; Sai 72,7: da un oceano all’altro; testi egiziani, ba­ bilonesi, assiri). È il «linguaggio di corte» (Hofstil24; cf. Sai 89,28; 2Sam 7,9-11: fama eguale ai massimi della terra, libera­ zione da tutti i nemici). B. Reazione del Signore (w . 4-6) vv. 4-5: Dio interviene «dai cieli», dove ha il suo trono (cf. Sai 9,8; 11,4; 29,10; 102,13; Is 18,4, ecc.). - La «risata» (cf. Sai 37,13; 59,9) è segno di superiorità rispetto all’arroganza umana. - L ’ira segna il giudizio contro il peccato e la ribellione, ossia il tentativo di impedire il piano di salvezza. - La sua parola fa «tremare» (cf. Sai 76,9): è il primo effetto. v. 6: Dio elegge e costituisce il re davidico: secondo effetto della sua parola. «Mio sovrano» è appello all’alleanza; è sovrano in suo nome, per sua grazia. L ’elezione ha luogo in Sion, il monte santo, nel tempio dove avviene anche la consacrazione. v. 7a: «Annuncerò» è l’introduzione alla lettura del protocol­ lo o decreto di intronizzazione, che il re stesso o un profeta pro­ clama ufficialmente. B ’. II decreto (vv. 7b-9) - Comprende l’adozione, la promessa di una signoria cosmica e della vittoria sui nemici, v. 7b: adozione. «Sei mio figlio» (cf. Sai 89,21.28; 2Sam 7,13s e anche Ugarit: CTA 16 = UT 125,11.10-11 Krt è figlio di ’El e Qds oltre che dei suoi genitori). È una nuova elezione divi­ na, che attualizza, «oggi», nell’ambito di un’azione liturgica (cf. Sai 95,7), l’elezione di Davide. Un simile pensiero è in Is 9,5: «Un figlio ci è stato donato» (allusione alla nascita dell’erede al trono o all’intronizzazione); sulle spalle ha il segno della sovrani­ tà; i nomi-titoli caratterizzano la regalità e lo pongono in speciale relazione con Dio. Esigeva la fedeltà all’alleanza, di cui il re di­ veniva simbolo, mediatore e garante. Perciò la tradizione Deuteronomistica giudica i re in base alla fedeltà all’alleanza. 24 Cf. H. Gressmann,

Der Messias, Gòttingen

1929, pp. 7ss.

381

v. 8: signoria cosmica sulle nazioni e i confini della terra. La «domanda»: «chiedi a me», è formula del rituale regale giudaico. Occorre invocare, come Salomone prega per ottenere la sapienza (IRe 3,5, cf. Sap 8,21-9,18). Il potere supera i confini storici di Giuda verso un orizzonte illimitato. L ’iperbole diviene speranza e illusione del popolo, costituirà la grande speranza e attesa spiri­ tuale di coloro che attendono il regno di Dio. E la verità adempiu­ ta in Cristo, soprattutto a partire dalla risurrezione (Rm 1). v. 9: promessa di vittoria sui ribelli. Lo scettro di ferro (cf. Sai 110,3) è segno di giustizia e potere (Is 11,3-5), ma anche arma con cui spezzare gli avversari. Il salmo allude forse a un rituale di esecrazione compiuto durante l’intronizzazione, consistente nell’infrazione di una brocca su cui erano scritti i nomi dei nemici (in Ger 19 il gesto è rivolto contro Giuda). A ’. Appello ai re (vv. 10-12) w . 10-12ab: il salmista si rivolge ai re e ai softé ’ere§, «i go­ vernanti della terra» (cf. v. 2), perché «saggiamente» si sottomet­ tano. La ribellione rientri con l’atto di omaggio al re «figlio». In caso contrario la minaccia dell’ira (divina) pende su di loro. Nota bene - vv. 11-12 a è una crux interpretum. T M ‘ibdit ’et-jHWH beyir’à wegfhi bir'adà. nass’eqù-barpen-ye’enap, «11. S erv ite J h w h co n tim o re e g io ite con trem ore. 12a. B aciate il figlio, che non si a d i­ ri...». « B aciare» i piedi del n u o v o re «figlio di D io» è seg n o di so tto m is­ sio n e e o m ag g io . D ue sono le soluzioni più frequenti: a) « b aciate i piedi con trem o re» = nasqù bera-glayw b ir ’adà (A. B ertholet: sposta le p a ro ­ le e tag lia il T M ); b) 1 l b «esultate con trem o re» , 12a «b aciate il figlio (o “ il p u ro ” , d a U gar. brr, “ b rilla re ” , titolo regale, C azelles)».

v. 12c: «Beati tutti coloro che si rifugiano in lui» (= Dio). Lo stico è un’aggiunta liturgica che supera il quadro dell’organizza­ zione strofica. Tende a unire Sai 1-2 considerandoli come intro­ duzione a tutto il salterio (12c: «beati», fa inclusione con Sai 1,1). Nella forma lo stico richiama il frequente motivo delle benedizio­ ni o maledizioni, rispettivamente promesse all’obbediente o mi­ nacciate all’ostinato. L ’accostamento dei due salmi è significati­ vo. Il primo presenta le due vie opposte del giusto e del malvagio; il secondo l’alleanza o ribellione al re Messia. 382

— Si nt esi Nello svolgimento del salmo riconosciamo gli atti del rito di intronizzazione: l’unzione, il decreto di investitura, equivalente alla «testimonianza» data a Ioas (2Re 11,12) e all’«alleanza» conclusa con la stirpe di Davide (2Sam 7,8-16), l’omaggio dei re e governatori vassalli. Interagiscono tre attori: Dio, il Messia, i re della terra. Si in­ tessono le relazioni orizzontali e verticali. - Orizzontali: re della terra-re di Sion. Sono caratterizzate da antìtesi tra movimento e stabilità espresse nei verbi «congiurare, cospirare» (movimento). I ribelli sono invitati a sottomettersi in forza della relazione verticale del re con Jh w h , che «siede» (sta­ bilità) sul trono celeste. - Verticali. Negativa tra Dio e i popoli. Allo scetticismo del­ l’incredulo si oppongono il riso e l’ira «dal cielo», la parola effi­ cace di Dio. All’agitarsi dei popoli, che diviene sgomento (v. 5) e sconfitta (v. 9), si oppone la stabilità di Dio, che «siede» e domi­ na dall’alto. Positiva tra Dio e il re: Dio insedia, genera («fi­ glio»), fa erede il suo Messia; questi domina e spezza (vittoria) in suo nome e con la sua forza. La stabilità dell’uomo non è do­ vuta alle sue energie fisiche e spirituali, ma all’inserimento nel piano divino. Il salmo riporta all’essenziale. Il progetto umano opposto al piano divino è fragile. Solo un atteggiamento di fede, che si inserisca nel piano divino e si ponga a sua disposizione, può accordare stabilità alle imprese umane (cf. Is 7,9b).

Lettura cristiano-messianica Il titolo di «Messia» riferito al re è applicato in tempi diversi al sacerdote o altri personaggi. Nel giudaismo una attestazione si­ cura dell’uso messianico di Sai 2 è in Qumran nel cosiddetto «Florilegio» 4Q 174, dove è abbinato a 2Sam 7,11-14. Sai 2,1-2 è riferito all’assalto escatologico dei popoli «alla fine dei giorni... contro gli eletti di Israele» (che, naturalmente, sono i membri del­ la setta). Altri riferimenti in senso messianico a Sai 2 sono in Tal­ mud bab. Sukkah 52a (cf. v. 7) e, forse, nel midrash sui Salmi, Tehillim. L’interpretazione messianica è tipica del NT, che sotto­ linea la natura spirituale del regno messianico, continuando l’in­ 383

terpretazione profetica più che quella dominante nelle sette giu­ daiche del tempo: - vv. 1-2. At 4,25-26, nella preghiera degli apostoli durante le persecuzioni, cita i due versi ascrivendoli a Davide. «I re e i principi» sono identificati con Erode e Pilato, i congiurati del­ l’epoca escatologica, appena iniziata, contro Dio e il suo Unto Gesù. - v. 7. At 13,33b riporta il verso applicandolo a Gesù risuscitato. Le 3,22, Cod D, lo riferisce al battesimo di Gesù. Eb 5,5 con esso afferma la superiorità di Cristo sul sommo sacerdote: egli ha ricevuto la propria dignità direttamente da Dio; vengono qui accostati Sai 2 e 110, collocandoli nella medesima prospettiva messianica. Eb 1,5 e lClem 36,4 riferiscono il verso a Gesù contro la pretesa superiorità degli angeli. - v. 9. Ap 12,5 (il figlio della «donna»); 19,5 (la parola di Dio inizia la campagna escatologica contro i pagani) e 2,26-27 (il premio del vincitore), interpretano messianicamente il verso. Con la venuta di Gesù Cristo questo salmo acquista il suo pie­ no significato, fino allora in germe e in simboli non chiarificati.

D) SALMI LITURGICI Questi salmi sono imparentati con i CS. Riflettono la liturgia del tempio dove i pellegrini salgono ad adorare e «cercare il vol­ to» del Signore, nell’ambito dei diversi rituali, come processioni, sacrifici, acclamazioni.

Linguaggio -

palai (cf. tefillà, preghiera), incidere, giudicare, pregare; sarat, ‘abad, servire, ministero liturgico in particolare; ‘azar, sht, sacrificare, sgozzare per sacrificio; qara . invocare; hawah, prostrarsi (forma histafel), sala’= inchinarsi.

-

Elenco

a) Possiamo ascrivere a questa categoria, anzitutto i salmi in­ titolati «Canti delle ascensioni» (ma ‘alót, «salita» a Sion-Gerusa384

lemme), ossia «di pellegrinaggio»: 120-134; 42, 84, 91. Sono composizioni brevi con forte carica emotiva e spirituale, nei quali possiamo riconoscere alcuni elementi del rituale. - Sai 122,1-2 descrive l’entusiasmo della partenza e dell’am'w, mentre Sai 84,7-8 abbozza il cammino. - Seguivano la salita processionale, il rito di accoglienza da par­ te del sacerdote - che esaminava le intenzioni degli oranti (Sai 15; 24) e ammetteva all’ingresso -, i sacrifici e le preghiere (Sai 84; 91; 118). - Particolari sentimenti accompagnavano il rito: desiderio e gioia (Sai 84), fiducia e speranza (soprattutto degli umili, dei poveri, dei perseguitati, 123-125; 126-127; 131), implorazione per il perdono dei peccati (130), serenità e cordialità per l’incontro con i fratelli (133). Emerge una pietà serena, dolce e penetran­ te, ricca di teologia, fede e tensione morale. b) Tipiche sono le liturgie di ingresso: Sai 15 e 24, presenti, in forma più o meno schematica o con allusioni, in altri salmi e testi: Sai 118; Ger 7,1-15; Is 33. Sai 134 è il commiato all’inizio della veglia notturna, con benedizione.

Struttura E semplice e dialogica: - il fedele domanda di accedere al tempio; - il coro sacerdotale risponde con le condizioni di accesso: «chi cammina con integrità, pratica la giustizia...». La condizione previa non è la purità rituale, ma quella etica ed esistenziale.

Esempi Sai 15. Alla domanda rituale la risposta elenca una serie di precetti positivi e negativi sullo stile del decalogo. Si tratta di 11 enunciati riguardanti il prossimo (vv. 2-5ab). L ’ultimo (v. 5cd) è riassuntivo: «Chi fa questo non vacillerà mai». Il simbolismo cor­ poreo usato conferisce concretezza al discorso. Sai 24. L ’azione liturgica prevede due cori: un gruppo si av­ vicina in processione alle porte del tempio, l’altro lo accoglie e apre le porte. 385

- Il salmo inizia con un inno: è il canto della processione. - Giunti alle porte si interroga sulle condizioni per entrare. L’in­ caricato (cf. Ger 7,1 ss) risponde riassumendo in quattro condi­ zioni (due positive e due negative) l’atteggiamento morale che deve accompagnare l’azione liturgica: mani innocenti = opera­ re; cuore puro = intenzione; lingua sincera («non pronuncia, non giura»). E purezza morale di fronte a Dio, se stessi, il pros­ simo. - v. 6 deve essere la presentazione che il gruppo fa di sé: vengo­ no a «cercare Dio», «il suo volto-presenza» nei segni del culto. - Segue un duplice dialogo tra la folla e i sacerdoti (vv. 7-8.9­ 10), forse con allusione all’entrata dell’arca nel tempio, che rammenta i titoli «guerrieri» legati alla «guerra santa»: maesto­ so, Dio guidava il popolo e sconfiggeva il nemico; sull’arca siede, invisibile, la maestà di Dio. Sai 118. È il salmo che chiude il grande hallel (Sai 113-118): una liturgia di ringraziamento al «Salvatore di Israele», che scan­ disce i diversi momenti della celebrazione. Il ringraziamento ap­ pare nell’introduzione (invito alla lode), nella presentazione del caso negativo superato, nel rito di ringraziamento (21-25) seguito dalla preghiera (25-26). - vv. 1-16: accoglienza-narrazione. Accompagnata da una pro­ cessione, una persona importante (solista, forse il re) viene a rendere grazie per la liberazione e la vittoria (espresse in termi­ ni generici), nell’ambito di una festa (le capanne, cf. vv. 15­ 16.25.27). Il racconto si alterna con gli interventi del coro: lo­ de (vv. 1-4), professione di fede, testimonianza e insegnamen­ to per l’assemblea (8-9), acclamazione (15-16). - vv. 17-25: rito di entrata, alla porta-dialogo. L ’orante invita ad aprire la porta; i custodi del tempio espongono le condizioni per entrare. Il solista inizia il ringraziamento proclamando Dio «mia salvezza» (19-20); il coro riprende a celebrare il Dio vit­ torioso (22-25); 25a: hosia'-na «salvaci», equivale al nostro hosanna. - vv. 26-29: entrata processionale. Il coro dei sacerdoti accoglie («benedetto») colui che entra invocando il nome del Signore; poi «benedice» i gruppi dei fedeli (26, cf. la benedizione di 386

Aronne, Num 6,25) e proclama Dio «nostra luce». La guida in­ vita la processione ad avanzare (27); questa prosegue nella danza alternando il dialogo con il solista (28-29).

E) SALMI SAPIENZIALI O DIDATTICI I salmi sapienziali o didattici sono qualificati dall’«insegnamento» (torah) e dalla riflessione. E preghiera meditativa, che coinvolge la visione dell’uomo e della vita. Preghiere di questo tipo sono presenti in altre pagine della Bibbia. Pro 30,7-9 esprime equilibrio e sensatezza. Si considerino anche le preghiere di Ben Sira: 23,1-16 (contro la tentazione; mette in risalto i limiti uma­ ni); 34,18-35,10 (sul culto e la vita); 36,27-37,24; 39,16-35; 42,15-43,33 (ricalcano l’inno; attingono al cosmo per celebrare il «Creatore»).

Elenco Vi appartengono i seguenti salmi di torah o didattici: Salmo 1: la via della vita e la via della morte, con la discriminante della «legge»; il salmo è una meditazione sulle opzioni fondamentali ed evoca nei simboli lo scenario dell’esistenza umana: terra, ac­ qua, vento (= spazio); giorno, notte, stagioni (= tempo); pianta­ gione, frutto, foglie, pula (= le manifestazioni della vita); infine, il cammino, simbolo di opzione e progressività. I salmi acrostici o alfabetici: 34 (sapienziale con elementi di azione di grazie), 37 (riflessione sulla sorte dei giusti e dei malva­ gi), 111, 112, 119, 145 (con invito alla lode e descrizione dell’on­ niscienza divina). Salmo 49 è una meditazione sapienziale sul de­ stino di morte riservato a poveri e ricchi, oppressori e oppressi: sono incapaci di salvarsi; superamento della crisi nell’esperienza religiosa della salvezza.; Salmo 73 riflette sulla retribuzione dei buoni e dei cattivi: il bene è stare presso Dio; il 90 medita sulla brevità della vita, supplica per l’equilibrio e la gioia; 133 (canto e riflessione sull’amore fraterno); 139: «tu mi scruti e mi cono­ sci» è un inno alla saggezza e onniscienza divina. Numerose sfumature sapienziali sono presenti anche in altri salmi. 387

Struttura Non si danno precise strutture formali, quanto delle temati­ che.

- La torah nel senso generico di «insegnamento» o in senso pro­ prio: la legge, come rivelazione e scuola di vita. - «Beatitudini o macarismi» ( ’asré) rivolti al giusto che vive se­ condo la legge, benedetto da Dio: sguardo positivo e ottimista sull’uomo. I limiti della vita umana (sguardo negativo) con il nonsenso e la sofferenza. La preghiera diventa protesta, lotta, persino sfida quasi blasfema a Dio (cf. Gb7,16-21; 9,34-35; 14,6.13-15, che tuttavia si conclude con l’incontro, cc. 38-42). Particolarmente dolorosi sono Sai 37 e 49 con l’angoscioso tema della morte e del trionfo scandaloso del perverso. Sai 39 e 90 sottolineano l’inconsistenza radicale dell’esistenza umana: il primo criterio di saggezza è perciò prendere coscienza dei propri limiti con cuore rassegnato (90,12). - I canti alfabetici o acrostici contengono molti temi sapienziali, anche se non organici. Sai 119 è l’esempio più tipico e sviluppato: inno e insieme meditazione sulla «legge» e la «parola» del Signore. Inizia con due beatitudini (vv. 1-2; ’alep = ’asré). Ogni strofa è composta di 8 distici, ognuna delle quali inizia con una lettera alfabetica. È l’aspirazione alla totalità, perfezione e ordine. L ’artificio lette­ rario «significa la pienezza: daWalef al tau, dal principio alla fi­ ne, l’autore recita e ama i comandamenti. Ciascuna delle ventidue strofe ha 7 + 1 versetti, il che significa la perfezione consu­ mata. Ogni strofa o lettera enumera otto sinonimi di legge: precetti, decreti, mandati, comandamenti, parole, consegne, leg­ gi, volontà» (Alonso). Limitato dall’acrostico il salmo non svi­ luppa organicamente un tema; raggruppa frasi di diverso genere talora ispirate a formule più antiche, talora coniate per l’uso im­ mediato. Lo stile sconfina in altri generi letterari.

388

C

o n c l u s io n e

I salmi non esauriscono la nostra sete di preghiera, né l’inven­ tiva. Sono piuttosto una «via» tracciata, una pista aperta, da per­ correre insieme con Dio e con gli altri credenti. Per i cristiani so­ no «profezie» che diventano attuali alla luce di Cristo Gesù e del­ lo Spirito. Perciò non si vergognano di riprenderli in mano, ma colgono in essi il palpitare della vita e dell'esperienza religiosa, cercandovi nuovi echi. In tal modo, unendosi alla preghiera di Israele, non compiono una usurpazione né un passo indietro, ben­ sì un tentativo di vitalizzarli perché la profezia (e la grammatica) in essi presente divenga nuovamente compresa. Si porranno nello spirito dei discepoli, le cui menti nel Cenacolo furono aperte da Gesù alla «intelligenza delle Scritture», cioè della Legge di Mo­ sè, dei Profeti e dei Salmi (Le 24,44-45), i quali, dopo l’Ascen­ sione, «dopo averlo adorato, tornarono a Gerusalemme con gran­ de gioia; e stavano nel tempio lodando Dio» (24,52-53). Da quel tempio, dove il Vangelo di Luca inizia e conclude, nasce anche la nostra gioia e lode divina accompagnati dalla voce del Padre che ci chiama, di Cristo che ce la rivela e rende visibile, dello Spirito che ce la insegna oggi e la rende nuova.

389

IN D IC E

Premessa.............................................................................................

pag.

5

- La terra di Canaan dell'Antico Testamento (cartina)................

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8

- Bibliografìa generale.....................................................................

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10

- Abbreviazioni e sigle....................................................................

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13

Capitolo 1 VOCAZIONE E MISSIONE DEI P R O F E T I....................................

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15

1. Influssi del profetismo extra-biblico..............................................

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15

2. L ’identità del profeta..................................................................... La vocazione dei profeti: afferrati dallaP arola ...........................

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20 21

La missione dei profeti: a servizio dellaParola............................. Uomo di relazione.......................................................................... Servitore fedele fino al m artirio ................................................... Coscienza critica del presente....................................................... Uomo della memoria storica......................................................... Persona aperta al futuro di D io ...................................................

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22 23 24 25 26 26

3. Sviluppo storico della profezia biblica.......................................... Profeti preclassici.......................................................................... Profeti classici.............................................................................. Riletture profetiche........................................................................ L ’apocalittica................................................................................

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28 29 31 38 39

4. Il linguaggio della profezia............................................................. Le p a ro le ....................................................................................... Le azioni.........................................................................................

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39 40 42

5. Formazione dei libri profetici......................................................... D all’esperienza della Parola al testoscritto .................................

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42 43

Il «libro profetico» ........................................................................ I «libri profetici».................................................................

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43

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47

PRIMA PARTE

I PROFETI (G ianni C appelletto)

391

6. La falsa profezia............................................................................

pag. 50

7. Il messaggio dei profeti.................................................................. Criteri di lettura dei p ro fe ti......................................................... Principali temi profetici...............................................................

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52 52 53

8. In ascolto di alcuni profeti.............................................................

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63

Capitolo 2 AMOS E OSEA: GIUSTIZIA E M IS E R IC O R D IA .......................

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65

I - A mos: il Signore chiede giustizia.................................................

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65

1. Il profeta e il suo ambiente.............................................................

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65

2. Il libro e il messaggio di Amos....................................................... Il libro ............................................................................................. Il messaggio..................................................................................

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66 66 68

3. Lettura esegetica............................................................................ La vocazione di Amos (7,10-17)................................................... La missione del profeta (2,6-16)...................................................

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70 70 71

- Bibliografia .....................................................................................

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73

II - O sea: il Signore è misericordia...................................................

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73

1. Il profeta e il suo ambiente.............................................................

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73

2. Il libro e il messaggio di O se a ....................................................... Il libro ............................................................................................. Il messaggio..................................................................................

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74 74 75

3. Lettura esegetica (cc. 1-3).............................................................

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76

- Bibliografìa .....................................................................................

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81

Capitolo 3 ISAIA E GEREMIA: FEDE E S P E R A N Z A ..................................

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83

I - I saia: se non crederete, non resterete s a ld i ............................ Premessa.......................................................................................

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83 83

1. Isaia 1-39.......................................................................................

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87

2. Il profeta Isaia: attività e messaggio.............................................. A ttività ........................................................................................... M essaggio .....................................................................................

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88 88 90

3. Lettura esegetica............................................................................ Eccomi, manda me! (c. 6)............................................................. Se non crederete, non resterete saldi (7,1-17).............................. E la pace non avrà fine (8,23b-9,6; 11,1-9)..................................

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92 92 94 97

- Bibliografia .....................................................................................

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102

392

II - Geremia: il profeta in c risi.........................................................

pag.

1 03

1. Il libro di Geremia..........................................................................

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103

2. Il profeta: attività e messaggio....................................................... A trività ........................................................................................... M essaggio .....................................................................................

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104 105 108

3. Lettura esegetica............................................................................ Profeta delle nazioni ( 1,4-19)....................................................... La crisi vocazionale del profeta (15,10-21)................................ La crisi esistenziale del profeta (20,7-18).................................... C ’è una speranza! (31,31-34).........................................................

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111 111 112 114 115

- Bibliografìa.....................................................................................

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118

Capitolo 4 EZECHIELE E DEUTEROISAIA: ESILIO E R IT O R N O ........................................................................

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119

I - Ezechiele: il Signore dona il suo spirito ....................................

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119

1. Il libro di Ezechiele........................................................................

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119

2. Ezechiele: attività e messaggio....................................................... Prima fase: accusa e castigo......................................................... Seconda fase: invito alla speranza ..............................................

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121 121 124

3. Lettura esegetica............................................................................ Ti ho posto per sentinella alla casa d'Israele (cc. 1-3)...............

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126 126

Porrò il mio spirito dentro di voi (36,16-38)................................

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127

- Bibliografìa .....................................................................................

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129

II - D euteroisaia: è finita la schiavitù ............................................

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130

1. Il profeta e il suo ambiente.............................................................

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130

2. Il libro e il suo messaggio.............................................................

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132

3. Il «Servo di Jhwh» .......................................................................... I quattro canti..................................................................... Alcuni problem i............................................................................

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135 135 138

- Bibliografìa.....................................................................................

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139

Capitolo 5 ESCATOLOGIA E APOCALITTICA: ATTESA E G IU D IZIO ......................................................................

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141

I - Escatologia: attesa del giorno del Sig n o r e ............................

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141

1. Speranza nella pienezza della regalità diJ h w h ............................... L ’escatologia dell'Antico Testamento.......................................... L ’escatologia profetica..................................................................

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141 141 143

393

2. Attesa del «giorno del Signore»..................................................... Il «k airòs» .......................................................................... Significato del «giorno di J hwh» .................................................

pag. 144 » 144 » 145

- Bibliografia .....................................................................................

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147

3. Lettura esegetica: il Tritoisaia (Is 56-66)...................................... L 'autore e il suo tempo.................................................................. Il libro e il suo messaggio...................................................

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148 148 148

- Bibliografìa .....................................................................................

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151

II - A pocalittica: il giudizio di D io sulla storia.............................

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151

1. Il movimento apocalittico...............................................................

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152

2. La letteratura apocalittica............................................................... I te s ti.................................................................................. Le caratteristiche..........................................................................

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158 158 159

- Bibliografìa .....................................................................................

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161

3. Il libro di Daniele............................................................................ Problemi introduttivi.................................................................... Contenuti del lib ro ........................................................................

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162 162 163

4. Lettura esegetica: il Figlio dell’uomo (Dn 7 ) ................................

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165

- Bibliografia .....................................................................................

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168

Appendice LA SPERANZA NEL MESSIA REGALE DI ISRAELE. BREVE STORIA.......................................................

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169

1. Prima dell’V ili secolo a.C...............................................................

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170

2. Dall’V ili secolo a.C. fino all’esilio babilonese..............................

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171

3. Dall’esilio ai tempi del Nuovo Testamento....................................

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173

Capitolo 1 QUADRO STORICO. D A LL’ESILIO BABILONESE AL NUOVO TESTAMENTO...........................................................

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179

1. Il ritorno.........................................................................................

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179

SECONDA PARTE

I SAPIENTI (M arcello M ilani)

2. La ricostruzione: Esdra e Neemia...................................................

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181

3. L ’ellenismo: convivenza e scontro con il giudaismo.....................

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182

- Bibliografia .....................................................................................

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183

394

Capitolo 2 LA SAPIENZA..............................................................................

pag. 185

I - C oncetti generali.......................................................................... Saggi in Israele........................................................................ Definizione di sapienza........................................................... Generi letterari o forme espressive della sapienza................... Il mondo della sapienza e isuoi rappresentanti.............. Caratteri della sapienza ...........................................................

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185 185 186 187 192 195

- Bibliografìa.....................................................................................

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200

II - I LIBRI SAPIENZIALI.......................................................................... 1. Temi e motivisapienziali presenti nel canone................................. I profeti..................................................................................... I libri storici.............................................................................. I Salmi........................................................................................

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201 201 201 202 203

2. I libri sapienziali............................................................................ I Proverbi ................................................................................. Giobbe ..................................................................................... Qohelet..................................................................................... Libri deuterocanonici o apocrifi............................................... Cantico dei cantici....................................................................

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203 203 205 205 205 206

- Bibliografia.....................................................................................

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206

III - Testi, temi, problemi della Sapienza ........................................

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208

A) Conoscenza e timore di D i o .....................................................

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208

1. Le formule.......................................................................................

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209

2. Analisi e significato........................................................................

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210

B) La rivelazione dal mondo e la Sapienza personificata...............

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214

1. La Sapienza immanente nel mondo. Esame dei testi..................... Giobbe 28: inaccessibilità della sapienza ................................ Esegesi..................................................................................... Proverbi 8: discorso della Sapienza ........................................ Esegesi..................................................................................... Siracide 24: discorso della Sapienza........................................ Esegesi..................................................................................... Conclusione.............................................................................. Confronto e interpretazione dei testi........................................ 2. La chiamata e l’amore spirituale..................................................... Sviluppo dell’id e a ....................................................................

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214 214 215 219 219 225 226 231 232 233 235

C) Fiducia e problematiche della Sapienza, Giobbe e Qohelet.................................................................................... 1. Fiducia e risposte al dolore.............................................................

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236 236

395

2. G io b b e ...........................................................................................

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239

Premessa..................................................................................

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239

Contenuto e form a....................................................................

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240

Significato e contenuto dei dialoghi........................................

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242

La risposta di Dio nella tempesta. Sottomissione di Giobbe . . .

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244

Interpretazione..........................................................................

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248

3. Qohelet o Ecclesiaste......................................................................

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250

Introduzione ............................................................................ Tematiche fondamentali e interpretazioni di Qohelet...............

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250 257

Vi è un tempo per ogni cosa (Qo 3,1-15)................................

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260

D) Ben Sira. Un libro alla frontiera del canone ...........................

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265

1. Chi era Ben Sira?............................................................................

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267

Scriba e maestro ......................................................................

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267

Saggio per il popolo..................................................................

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268

Membro del governo e viaggiatore..........................................

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269

Intellettuale credente...............................................................

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270

2. L ’opera letteraria di Ben Sira.........................................................

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273

Scopo e metodo........................................................................

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273

Contenuto e struttura...............................................................

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276

3. Lasapienza

...................................................................................

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283

Pericopi sulla sapienza.............................................................

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286

E) Il libro della Sapienza...............................................................

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296

1. Destinatari - Data - Ambiente.........................................................

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296

2. Genere letterario: elogio o encomio...............................................

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296

3. Struttura e contenuto......................................................................

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297

I parte: 1,1-6,21 = esordio.......................................................

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297

II parte: 6,22-8,21 +9 la sapienza = elogio ..............................

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298

III parte: 10-19 la sapienza nella storia = synkrisis.................

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299

4. Interpretazione e teologia .............................................................

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301

Giusti ed e m p i..........................................................................

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301

I 21 attributi della Sapienza (7,22b-26).....................................

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303

Le opere della Sapienza...........................................................

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304

F) Il Cantico e il «decalogo» dell’am ore......................................

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305

1. Articolazione del libro....................................................................

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308

Conclusione: l’amore maturo...................................................

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309

2. Il simbolismo..................................................................................

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310

3. Il «decalogo» dell’amore...............................................................

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311

396

Capitolo 3 I SALM I........................................................................................

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317

I - N otizie generali............................................................................

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317

Nome ....................................................................................... Attori e linguaggio....................................................................

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317 317

Generi letterari..........................................................................

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318

I salmi e il culto........................................................................

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319

Autori e d a ta ............................................................................

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319

Formazione.............................................................................. La numerazione dei S a lm i.......................................................

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320 320

II - G ettiamo un ponte ......................................................................

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321

Difficoltà.................................................................................. II principio di ogni soluzione...................................................

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321 321

Storia dell’interpretazione dei S alm i........................................

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324

L ’apporto delle scienze um ane.................................................

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326

- Bibliografia ....................................................................................

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332

III - L ettura: i salmi tra noi.............................................................

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334

A) La lode.......................................................................................

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334

linguaggio ..................................................................

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334

1. Gli in n i..........................................................................................

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335

Struttura dell’Irm o .................................................................... Y R ...........................................................................................

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335 335

C S ............................................................................................. Salmo 8: inno al Creatore (Dio-Uomo-Cosmo)....................... Salmo 29: teofania e gloria di Y R nel tu o n o ........................... Salmo 46: Sion città di Dio.Jhwh rifugio eliberatore..............

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336 336 342 347

2. Salmi di fiducia.............................................................................. Salmo 23: Dio pastore e ospite.................................................

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354 354

3. Salmi di ringraziamento................................................................. Salmo 30: ringraziamento per la guarigione...........................

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360 362

B La supplica................................................................................ Salmo 22: dalla solitudine alla solidarietà................................

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366 371

C) Salmi regali.............................................................................. Salmo 2: intronizzazione del Re-Messia..................................

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377 378

D) Salmi liturgici............................................................................

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384

E) Salmi sapienziali o didattici.....................................................

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Conclusione.........................................................................................

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389

Il

397

Finito di stampare nel mese di marzo 2010 Villaggio Grafica - Noventa Padovana, Padova

Gianni Cappelletto, francescano co n­ ventuale, licenziato in esegesi biblica pres­ so il Pontificio Istituto Biblico di Roma, at­ tualmente è ministro provinciale dei frati minori conventuali. Ha scritto e pubblicato numerosi libri.

Marcello Milani, presbitero della dio­ cesi di Padova, è dottore in Sacra Scrittura presso il Pontificio Istituto Biblico di Rom a docente di esegesi dell'Antico Testamento alla Facoltà teologica del Triveneto e pres­ so l'Istituto superiore di scienze religiose di Padova. Tra le ultime pubblicazioni se­ gnaliamo: A immagine del Cristo «paziente); (2005).

In copertina: Profeti (part.), di Giusto de' Menabuoi (1382): Cappella dei santi Filippo e Giacomo, Basilica di Sant'Antonio. Padova.

wtmedizionimessaggero.I

In ascolto dei profeti e dei sapienti La

presente

introduzione

Testamento, prosecuzione

all’A n tico del volum e

di Gianni Cappelletto In cammino con Israele dedicato all’introduzione generale, al Pentateuco e ai libri storici, vuole aiu­ tare a superare le difficoltà che si incon­ trano affrontando i libri profetici e quelli sapienziali. Per i profeti ci si sofferma su Am os, Osea, Isaia, Geremia, Ezechiele e il Deuteroisaia, gli apocalittici e in particola­ re Daniele. Per i libri sapienziali l’attenzione si concen­ tra su pagine scelte e aspetti caratteristici dei principali libri, da Giobbe a Qohelet, dai Proverbi alla Sapienza e ampio spazio è dedicato ai Salmi. Q u e st’opera non ha la pretesa di sostituir­ si all'ascolto diretto della parola di Dio, ma intende invece predisporre a tale ascolto e facilitarlo. Gli autori affermano: «non si tratta semplicemente di “sapere” chi sono i profeti e i sapienti e che cosa hanno detto, quanto piuttosto di lasciarsi coin­ volgere nel loro cammino di credenti».