Il Tao del disordinato. Perché l’ordine non dà la felicità e il disordine sì 9788807890291, 9788858830321

Molto di quello che chiamiamo "disordine" è solamente un ordine più profondo che si manifesta secondo schemi n

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Il Tao del disordinato. Perché l’ordine non dà la felicità e il disordine sì
 9788807890291,  9788858830321

Table of contents :
Indice......Page 138
Frontespizio......Page 3
Presentazione......Page 5
Introduzione......Page 8
L’invito a una danza......Page 12
Dalle profondità dell’universo.........Page 13
...alla nostra vita quotidiana......Page 14
I Cinque Passi del Tao del disordinato......Page 16
2° Passo – La ribellione, l’esperienza del disordine......Page 17
4° Passo – Intelligenza ecologica, la consapevolezza della complessità......Page 18
5° Passo – Oltre i confini, il grande disordine......Page 19
Sicurezza e libertà......Page 20
L’antistatistica e il pollo di Trilussa......Page 23
Tempi moderni......Page 24
La realtà è più avanti......Page 26
Il disordine alla riscossa......Page 29
Ordine versus disordine......Page 32
Parliamo un po’ di noi......Page 36
Il punto della situazione......Page 37
A. Ordine paralizzante......Page 40
C. Ordine generativo......Page 41
E. Disordine dispersivo......Page 42
F. Disordine disgregante......Page 43
Un’apertura su infinite possibilità......Page 45
Che stress uscire dal consueto!......Page 47
La qualità del futuro......Page 49
Senza etichette......Page 51
Pensare a testa in giù......Page 52
Chiedere di più al cervello......Page 54
Il “fuori dall’ordinario” innalza il sistema immunitario......Page 57
Cupido scombina l’ordine......Page 58
Qualcosa sul jazz......Page 60
Hic sunt dracones......Page 62
Disordine e felicità......Page 65
Uno sguardo dentro......Page 68
Il paesaggio interiore......Page 69
Uno, nessuno e centomila......Page 72
Il baricentro della bicicletta......Page 74
Con gli occhi del presente......Page 77
Quando ci sentiamo “fuori posto”......Page 78
Essere di più......Page 80
Il disordine che risveglia alla vita......Page 82
L’ordine che risveglia a se stessi......Page 84
La magia del disordine......Page 88
Oltre la soglia del consueto......Page 89
Degustare l’istante presente......Page 91
Uscire dall’autostrada......Page 92
“Non datemi consigli, so sbagliare anche da me”......Page 95
L’asino di Buridano e il sudoku......Page 97
Gli orizzonti della co-creazione......Page 100
Perdere l’ombrello come opportunità......Page 101
Esplorare le connessioni......Page 102
Una pratica sciamanica......Page 105
Raccogliere i sogni......Page 106
Street Zen......Page 108
Le medicine forti non sono per tutti i giorni......Page 110
Orientarsi nel proprio spazio......Page 112
Montagne di carta......Page 114
Organizzare il disordine......Page 115
Riciclare è più ecologico che buttare via......Page 116
Non lasciare che il sassolino diventi valanga......Page 118
Cercarsi alleati......Page 120
Fare ordine nel proprio tempo......Page 122
Relazioni in primo piano......Page 123
Sano egoismo......Page 126
Mangiare col corpo, non con testa, gola o cuore......Page 127
Coltivare sane abitudini......Page 129
Perché l’ordine non dà la felicità.........Page 131
...e il disordine sì......Page 133
Da sapiens sapiens a sapiens felix......Page 134
Ringraziamenti......Page 137

Citation preview

Marcella Danon IL TAO DEL DISORDINATO Perché l'ordine non dà la felicità e il disordine sì Feltrinelli

© Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano Prima edizione nella collana “Urra Feltrinelli” giugno 2016 Prima edizione nella collana “Universale Economica Saggi” ottobre 2017 ISBN edizione cartacea: 9788807890291

ISBN edizione digitale: 9788858830321 In copertina: illustrazione di Vanni Soru Quest’opera è protetta dalla legge sul diritto d’autore. È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.

PRESENTAZIONE

Mi considero una disordinata felice. Non è stato così sin dall’inizio, questa qualifica me la sono conquistata. La richiesta di scrivere su questo tema mi è arrivata con una telefonata a sorpresa, in un momento molto particolare che ha contribuito alla magia dell’impresa. Ero al convegno internazionale di Ecopsicologia in Grecia e, dopo una conferenza particolarmente coinvolgente, ero uscita sul terrazzo per immergermi nel paesaggio circostante, in cui i segni degli agenti atmosferici e del tempo si intrecciano con episodi di mitologia sugli incontri e gli scontri tra antiche divinità. Il telefono l’avevo acceso solo per quei pochi minuti di pausa mentre ancora risuonavano in me le vicende di Eros e Logos e i diversi ruoli di queste due forze per il nostro equilibrio, per il benessere nostro e del Pianeta stesso. In particolare, mi era rimasto impresso il concetto dei rischi per la psiche e per la terra dovuti al predominio dell’attuale tendenza ordinante, omologante e specializzante, che lascia fuori dalla quotidianità tutto il calore, l’ispirazione e l’amorevole saggezza di Eros. In quel momento, nel cuore della valle di Amari, a sua volta nel cuore dell’isola di Creta, mi è arrivata, a bruciapelo, la proposta di scrivere questo libro. Non ho dovuto pensarci neppure un attimo e la

risposta è stata un potente sì emerso dal profondo. Da disordinata, mi sono sentita chiamata in causa, ho apprezzato la possibilità di facilitare anche ad altri quello che è stato il mio percorso per venire felicemente a patti sia con la mia tendenza centrifuga e caoticizzante sia con la necessità e il gusto di frequentare la polarità opposta. È rassicurante sapere che dopo una navigazione tempestosa è possibile trovare un approdo sicuro e che il grande mare rimane sempre lì a nostra disposizione per essere ogni volta di nuovo solcato ed esplorato. Con questo libro mi rivolgo sia ai disordinati sia agli ordinati. L’intero discorso è nato per i primi, per coloro che vogliono poter vivere a cuor leggero il proprio modo di essere, senza oltrepassare quei limiti per cui il disordine può diventare causa di malessere, ma è subito diventato uno stimolo anche per i secondi, per invitarli a osare un po’ di più nella vita. Uscire da binari rassicuranti è possibile e si può imparare ad avventurarsi, a piccole dosi e ognuno con il suo ritmo, anche oltre i confini del consueto, perché è lì, oltre le colonne d’Ercole, che risiede la possibilità di vivere la felicità per più di pochi effimeri attimi. Così, pur sembrando un tema leggero e superficiale, la riflessione si è andata dirigendo verso orizzonti ben più profondi del dove riporre i calzini per ritrovarseli al mattino o come programmarsi un viaggio al di fuori delle autostrade e ha toccato, inaspettatamente, il tema del senso della vita e di come vivere al meglio questa esperienza misteriosa che è il nostro essere, qui e ora, su questo bel Pianeta. È stato il libro che mi ha preso per mano e mi ha portato lungo un percorso non lineare, coerentemente col suo tema di fondo. È stato Eros la mia musa, per ricordarmi e confermare che la linea più breve tra due punti non è sempre la retta, ma a volte è necessario fare molte circonvoluzioni per arrivare al posto giusto. Disordine? No, ordine complesso, che non segue le logiche della geometria classica. E questo è uno dei temi di fondo del Tao del

disordinato: molto di quello che chiamiamo disordine è soltanto un ordine con leggi così complesse e inafferrabili che lo percepiamo come disordine, ma in realtà segue una sua logica, per quanto imperscrutabile. Dare fiducia all’esistenza di diverse possibili letture della realtà ci permette di vivere con più leggerezza ciò che ci accade e ci sostiene nel dare credito a quello che davvero sentiamo importante nella nostra vita, misurabile in termini di relazioni, affetti, valori e non più di oggetti, riconoscimenti, denaro. E allora ordine e disordine diventano modi di essere che vanno semplicemente arginati o regolati in modo da rendere possibile e facile l’incontro con gli altri, la convivenza, la collaborazione. Nella loro accezione più filosofica, ci ricordano entrambi che, spesso, anche quello che appare come disordine cela in sé un ordine difficile da cogliere a prima vista. È questa considerazione che ci tiene sempre all’erta, aperti a quanto può accadere, curiosi e accoglienti verso il presente, attenti e impegnati verso il futuro. È qui, nel sentirsi parte attiva di un flusso inarrestabile di vita in continua trasformazione, che si rafforza e consolida quello stato di coscienza che viene chiamato felicità.

INTRODUZIONE

In questo libro verrai accompagnato a riconoscere l’importanza e la magia del disordine per entrare con più sicurezza nella danza della vita e per godere della sua destabilizzante presenza e peculiare bellezza come aspetto complementare al senso di rassicurazione e stabilità dato dall’ordine. Troverai una chiave di lettura che ti consentirà di affrontare la tua stessa vita con occhi e spirito nuovi, per accompagnarti a riconoscere, onorare e valorizzare anche le fasi di disordine, come parte integrante di un processo, come sorgenti di infinite possibilità, come opportunità di rinnovamento e miglioramento rispetto al precedente. Imparerai a riconoscere ed esprimere la tua creatività, il tuo punto di vista personale, anche quando diverso da quello degli altri, a riconoscere i segnali della sincronicità, e a coltivare un tuo proprio ordine esterno, a dispetto dei diffusi “si fa” e “non si fa”. Potrai orientarti con mappe che ti permetteranno di entrare attivamente in dialogo con la ricca, disordinata, esuberante molteplicità dei tuoi contenuti interiori e ti aiuteranno a disegnare una rete di interazioni armoniche e funzionali tra gli abitanti del tuo Pianeta Io, scoprendo e attivando la tua sovranità interiore.

Avrai così la possibilità di cogliere, consolidare, tradurre in piccoli e grandi gesti, nella tua vita quotidiana, un diverso tipo di ordine, interiore, dinamico, vitale, più profondamente tuo, al di là delle apparenze. Perché “ordine” non sarà più quello che corrisponde a canoni suggeriti dall’esterno, ma diventerà quello che risponde al profondo richiamo della tua identità, di ciò che sei davvero. E la felicità, la si può trovare... da queste parti. La prima metà di questo libro promuove un ampliamento di visione che porterà a interagire costruttivamente sia con l’ordine sia col disordine. È un invito provocatorio a superare la contrapposizione tra i due e a riconoscere il valore della copresenza e dell’integrazione di queste due spinte entrambe indispensabili nel processo che chiamiamo vita. Viene proposta una mappa che offre una chiave di lettura per l’avvicendarsi di ordine e disordine nei diversi momenti della vita e permette di coordinare entrambe le energie nella quotidianità: la mappa dei Cinque Passi. Il Tao del disordinato è un percorso sulla via che fa emergere un più aperto atteggiamento nei confronti della vita e una maggior predisposizione a danzarla a braccia aperte invece di rinchiudersi in chiusi abitacoli, nell’illusione di proteggersi da un disordine che non solo è inevitabile, ma è anche indispensabile per vivere bene. Incamminarsi su questo percorso vuol dire non sentire più il disordine come qualcosa di sbagliato, ma come l’espressione di una forza potente e vitale con la quale possiamo stringere alleanza, giacché è quella che ci porta oltre i limiti del conosciuto e dell’esplorato, ci fa avanzare nella nostra evoluzione individuale e di specie. Vuol dire vivere con più leggerezza e con la capacità di riconoscere la bellezza nel disordinato intrecciarsi dei fiori spontanei in un giardino abbandonato da anni... e anche nell’improvviso crollo di punti fermi della nostra vita, possibile preludio di una nuova rinascita: il dissolversi del bruco che rende possibile l’emergere della farfalla.

Il cuore del libro ci accompagna a oltrepassare i limiti di una visione superficiale di noi stessi, spesso acriticamente acquisita, e vuole connetterci con la nostra natura più autentica. Il concetto stesso di ordine, quando riferito a un ordine interno, significa aderire a valori, vision e mission che emergono dal profondo di sé, come punto di arrivo di un dialogo che coinvolge e rispetta tutti gli abitanti del Pianeta Io. Grazie alle mappe proposte dall’Ecopsicologia, la complessità interiore di ognuno di noi viene paragonata a quella di un intero pianeta e diventa facile, persino divertente, conoscersi più a fondo: per valorizzare i propri talenti e scoprire di avere un ampio potere personale da utilizzare nella quotidianità. La seconda metà di questo libro è quella che accompagna concretamente nel fare amicizia con l’ordine e amicizia col disordine. Propone esercizi che allenano pratiche proprie dell’emisfero destro e di quello sinistro del cervello per poi combinarle tra loro. L’apertura mentale che ne consegue ci permette di accompagnare la vita nel suo inarrestabile processo di trasformazione e in tutte le sue variabili inaspettate, senza perderci d’animo, senza più sentire ogni cambiamento come una minaccia personale al nostro benessere. Questo allenamento ci aiuta a riconoscere quali valori facciamo nostri, perché emergono dal profondo, e quali invece ci vengono forniti già preconfezionati dalla vorace spinta conformante che oggi viene proposta con insistenza. Il Tao del disordinato diventa così un vero e proprio percorso di crescita personale. La maggior consapevolezza e predisposizione anche nei confronti del disordine si traduce, nella pratica quotidiana, in creatività, resilienza, capacità di improvvisazione e innovazione e rafforza il senso di potere personale nei confronti del reale. Scopriamo così di avere la libertà di dare un senso al nostro essere e al nostro agire, la libertà di creare cose nuove coltivando fiducia nei nostri sogni, la libertà di trovare – al di là di ogni apparente

disordine – un ordine che per noi abbia senso e di cui ci possiamo e dobbiamo assumerci attivamente la responsabilità. Nessuno di noi è troppo piccolo per cambiare le cose, per sé e per la sua comunità di riferimento, famiglia, gruppo di amici, di lavoro, quartiere, città... Pianeta. Questo libro ribalta quel diffuso sentire di docile impotenza – spesso una vera e propria “rassegnazione all’evitabile” – e ci spinge a farci carico del nostro più ampio status di cittadini terrestri, capaci di imparare dalle leggi di questo Pianeta e di viverci bene insieme. Sintonizzarsi col Tao del disordinato vuole anche dire vivere la nostra vita come un dono misterioso, giunto dalle profondità dell’Universo, in cui poter celebrare l’incontro tra ciò che siamo e ciò che possiamo diventare. Vuol dire imparare a intrecciare tra loro causalità e casualità, elemento dato ed elemento ancora da inventare, vecchio e non ancora nato, per trasformare la nostra stessa esistenza in un’opera d’arte in cui esprimere il prorompente anelito celebrato da Spinoza: “Essere ciò che siamo e divenire ciò che siamo capaci di divenire è l’unico scopo della vita”.

1. L’isola di ordine in un mare magnum di disordine

L’invito a una danza Ordine e disordine. Entrambi indispensabili alla vita. Troppo ordine, come in un cristallo di sale, non permette gli scambi necessari per l’attivazione di nuovi processi; troppo disordine, come tra le molecole di un gas rarefatto, non permette il consolidarsi di qualcosa di coerente. La vita sorge sull’orlo del caos, nella danza tra ordine e disordine, in un alternarsi di strutture stabili e in trasformazione, per poter dare forma e consistenza all’immensa e complessa varietà del possibile. Il seme, struttura coerente e ordinata, deve morire per dare vita, dopo una fase di disorganizzazione e riorganizzazione cellulare, al germoglio. L’albero a sua volta dovrà disgregarsi, alla fine del suo ciclo vitale, per potersi trasformare in terra fertile e rendere possibile nuove esistenze. Non possiamo comprendere i processi che rendono possibile la vita se non in termini di continuo alternarsi di ordine e disordine, di chiusura per fissare la forma e apertura per trasformarla. Questa chiave di lettura ci consente di affrontare la nostra stessa vita con occhi e spirito nuovi, imparando a riconoscere, onorare e valorizzare anche le fasi di disordine

come possibilità di scoprire visioni sempre più ampie di noi stessi e del mondo in cui viviamo. Troppo ordine soffoca la nostra connaturata spinta a procedere oltre il conosciuto e riduce lo spazio in cui poter irradiare la vitalità di cui siamo portatori. Troppo disordine non permette al sogno di diventare realtà, all’idea di prendere forma, al germoglio di diventare albero. Siamo parte attiva di un processo in continuo divenire, in cui in ogni istante ci confrontiamo con l’inafferrabile immensità dell’esistenza... niente è sotto controllo. Ordine e disordine sono due polarità, forza centripeta e forza centrifuga, contrazione ed espansione, forma che si consolida e struttura che si trasforma. Nel nostro processo di crescita personale siamo in prima istanza sottoposti a un ordine che ci viene dato dall’esterno. Dobbiamo poi risvegliarci, nascere una seconda volta, e scrollarci di dosso ogni consuetudine e automatismo per contattare una nostra autenticità al di fuori di qualsiasi schema preconfezionato, per ritrovare l’ordine su un piano diverso. Non più un ordine formale imposto dall’esterno, ma un ordine che scaturisce dalle profondità del nostro stesso essere, che crea le forme più adatte a esprimere la nostra unicità. Viene così trascesa qualsiasi dicotomia tra ordine e disordine, che diventano i due passi che si alternano in un’unica complessa danza. A ognuno la sua, con le sue posizioni, le sue varianti, il suo ritmo.

Dalle profondità dell’universo... Secondo una delle tante teorie sull’origine della vita sulla Terra, da una cometa di passaggio sono caduti sul nostro pianeta frammenti della sua coda ghiacciata contenenti molecole organiche. 1 In un evento paragonabile all’antico gesto del contadino che sparge i semi sul campo sono giunti sulla Terra codici coerenti capaci di interagire creativamente

con l’inanimato e si è innescato quel processo dinamico, in cui ordine e disordine si alternano costruttivamente, che chiamiamo vita. Come il miele cristallizzato, che aggrega attorno a sé in forma ordinata quello ancora liquido, questi semi di vita giunti dalle profondità dello spazio hanno attivato un processo sul nostro Pianeta, che mitologie di tutte le tradizioni ancora cantano, ognuna coi suoi personaggi, le sue varianti, la sua storia: Caos e Gea, nella tradizione greca; le forze del cielo e quelle del mare nella tradizione maya; il mondo del ghiaccio e il mondo del fuoco, in quella scandinava; l’incontro tra due forze primordiali, yin e yang , nel taoismo. Ordine e disordine si manifestano sulla Terra come due ben precise energie: nell’ordine si muovono forze diurne, solari, logiche, coerenti, armonizzanti; nel disordine entrano in gioco forze primordiali, profonde, oscure, destabilizzanti. Ancora una volta è il mito a dare nomi, ed entrano in campo Apollo, promotore del Logos, il principio ordinante e regolatore, e Dioniso, il portavoce dell’Eros, la forza vitale, generatrice e distruttrice. Non possiamo godere di un polo senza accogliere e riconoscere e valorizzare l’altro, sarebbe come avere il giorno senza la notte, la sistole senza la diastole, la chioma senza le radici. La legge della vita si sdipana nell’alternanza di polarità e in questo gioco rientrano ordine e disordine, entrambi necessari.

...alla nostra vita quotidiana Come si incontrano e scontrano queste due forze in noi? Come vanno a impattare nel nostro modo di sentire, di atteggiarci, di agire? Con molta forza. E ognuno di noi diventa teatro per una particolare rappresentazione in cui oscilliamo con ampiezze e ritmi diversi tra chiusura e

apertura, contenimento ed espansione, sicurezza e libertà, noto e ignoto, essenzialità e ridondanza. Il Tao del disordinato è una via tracciata abbracciando entrambe le polarità, sino a riconoscerle parti integranti della vita, per potersi arricchire e vivificare coi doni di entrambe. Parlando di noi stessi, sono due le dimensioni da prendere in considerazione, quella esterna e quella interna. Cominciamo con i diversi contesti in cui viviamo e operiamo, e chiediamoci come li sentiamo: quali dominati da rigore e immobilismo e quali da mancanza di regole e imprevedibilità? Quali da sicurezza e stabilità e quali da creatività e brio? Non è importante rispondere ora, è una richiesta anche abbastanza inusuale, basta lasciar aleggiare la domanda come spunto di riflessione. Passiamo ora al nostro mondo interiore... lo sentiamo ordinato o disordinato? Ancora più difficile rispondere, ma sbilanciamoci un attimo oltre i confini delle nostre certezze e apriamo le finestre della mente con domande nuove. Leggere la nostra vita in termini di ordine e disordine ci offrirà una mappa inconsueta per accompagnare e facilitare il nostro processo di evoluzione verso una visione più ampia di chi siamo e di chi possiamo diventare. Con una mappa, diventerà più facile disegnare i percorsi desiderati, ognuno il suo, e predisporci all’allenamento che sentiamo esserci necessario per procedere... verso la felicità. Per coltivare questo dinamico equilibrio interiore, cominciamo ad avvicinarci a questo disordine, spesso così poco compreso e valorizzato. Fare amicizia con il disordine APRIRSI AL NUOVO Per abitudine, ci lasciamo guidare... dall’abitudine. Vedrete come “fare amicizia col disordine” può diventare un processo lento e graduale che permette di ampliare gli orizzonti del vostro vivere, risvegliando una riflessione critica su quali sono le mete, i valori, gli scopi più importanti per voi nella vita. Un viaggio molto lungo che inizia con piccoli gesti e, prima di tutto, col darvi l’intenzione di uscire dalla routine per assaggiare l’inebriante elisir dell’istante presente. Imprevedibile, sorprendente, magico. Come è

magica la vita, anche se spesso ce ne dimentichiamo. Pronti a scoprire, o a riconoscere, questi più ampi orizzonti? Basta poco, per cominciare. Sarà la vostra iniziazione al Tao del disordinato. Scelgo di fare, in questo momento, una cosa che non ho mai fatto prima Mi alzo in piedi e declamo una poesia. Chiudo gli occhi e porto l’attenzione al respiro per almeno sette cicli, accompagnando con gli occhi della mente l’aria nel suo flusso di entrata e poi di uscita. Capovolgo il libro e leggo almeno cinque righe con il testo al contrario. Apro la finestra e mi soffermo sui dettagli di quello che vedo attorno a me per almeno tre minuti. Esprimo un complimento inedito alla prima persona che ho accanto a me o a portata d’orecchi. Canto a voce alta una canzone. Do il nome all’emozione che provo in questo istante, mi alzo in piedi e la esprimo con un movimento che coinvolga tutto il corpo, con una breve danza inventata. Fate una di queste cose, in questo istante, e consideratevi in cammino sul Tao del disordinato. E questo vale sia per gli ordinati, che vogliono aprirsi a una maggior flessibilità di interazione col mondo, sia per i disordinati che vogliono rafforzare la volontà necessaria a contenere la spinta dispersiva, quando supera il limite a loro gradito.

Non è poi così difficile, vero? Di fatto la nostra vita quotidiana è intessuta di piccoli o grandi momenti di disordine che si alternano in strutture di vita più o meno regolari nel loro andamento, in contesti più chiusi o più aperti. Forse non ci siamo mai soffermati prima a leggere la realtà in termini di ordine e disordine, vediamo che cosa ha da offrirci questa mappa.

I Cinque Passi del Tao del disordinato In ogni mappa, per poterla utilizzare, dobbiamo prima individuare dove ci troviamo. Il percorso di evoluzione personale non segue mai una linea retta ma si articola in passi e circonvoluzioni che possono avere un disegno e andamento diversi a ogni giro di danza, ma che ognuno balla e percorre a un suo ritmo personalizzato, a volte in fluidità, a

volte rimanendo bloccato in una sequenza sempre uguale. In questo libro ci saranno diverse mappe che contribuiranno a orientarci nell’esplorazione di ordine e disordine, questa è quella iniziale, che determinerà poi l’obiettivo con cui continuare a leggere e la scelta di quali, tra gli esercizi di volta in volta proposti, mettere in pratica. Cominciamo. La danza del Tao del disordinato ha Cinque Passi. 1° Passo – La partenza, l’ordine precostituito Nel contesto in cui nasciamo e cresciamo ci viene “insegnato il mondo” secondo i parametri della particolare cultura in cui ci troviamo. Impariamo cosa è giusto e cosa è sbagliato, cosa si fa in un modo e cosa in un altro; interiorizziamo queste regole come assolute, perché non ne abbiamo mai avute altre. Un bambino nato in un’oasi del Sahara imparerà a riconoscere dal bramito del cammello se può attraversare la strada davanti a lui oppure no; un altro bambino nato in una città guarderà il semaforo per sapere quando stare fermo e quando muoversi... Col latte materno, o col latte in polvere, a seconda di dove nasciamo, acquisiamo mappe ed etichette per leggere il mondo che ci circonda. È indispensabile per poter avere un sistema condiviso di comunicazione e comportamento, è una prima fase in cui l’ordine ha una funzione regolatrice, crea confini e leggi per poter permettere una vita sociale. 2° Passo – La ribellione, l’esperienza del disordine Nel processo di crescita personale, con la scoperta che c’è anche altro, oltre all’ordine precostituito, arriva la fase del disordine come reazione. Inizialmente è un senso di rivolta, un rifiuto a priori di tutto quanto è stato acquisito acriticamente e può tradursi nel bisogno di sperimentarsi provocatoriamente anche al di fuori delle regole. È l’inizio di

un risveglio che spalanca le porte della mente oltre il conformismo e invita a esplorare altre possibilità. Quando il processo è vissuto bene, con coraggio, senza sensi di colpa e con buon senso, permette di scoprire... l’altra metà del cielo, l’aspetto innovativo e vivificante del disordine. 3° Passo – La seconda nascita, la danza tra ordine e disordine A questo punto, dopo aver assaggiato il disordine, dopo aver cominciato a guardarlo con occhi nuovi, l’ordine può essere ritrovato e reintegrato, non più come acquisizione passiva e acritica, ma come spinta armonizzante scelta consapevolmente, come anelito all’essenzialità, senza ridondanze. È il Terzo Passo, la terza fase, del processo di crescita personale sulla via del Tao del disordinato, quella più importante. È un ordine rinnovato che trova il suo modello all’interno, non più in canoni dettati da altri, che attinge a valori scelti e sentiti con forza, è il consolidamento di una coerenza tra la nostra identità profonda e il nostro agire. Ha un valore immensamente superiore all’ordine del Primo Passo, perché è il punto di arrivo di una ricerca, è espressione di una maturata consapevolezza e traduce in forma visibile e tangibile un anelito interiore. È una tappa così importante che viene definita “seconda nascita” per sottolineare il raggiungimento di una sintesi che supera l’antagonismo tra ordine e disordine, per riconoscerli e ritrovarli entrambi, danzanti, nel mondo dentro e nel mondo fuori. 4° Passo – Intelligenza ecologica, la consapevolezza della complessità Proseguendo in questa direzione con sguardo attento e mente curiosa, la visione stessa della realtà cambia e acquisisce maggior profondità. Dopo aver attraversato

entrambi gli estremi, ordine paralizzante e disordine disgregante, emerge una visione che trascende ogni contrapposizione tra queste due polarità e rivela che dietro a molto disordine si cela un ordine complesso, cioè difficile da cogliere a prima vista o con strumenti consueti. La realtà non può più essere letta in termini di bianco e nero, buoni e cattivi, giusto e sbagliato; lo sguardo si allena a cogliere la fitta e intricata rete di relazioni e interdipendenze che si intersecano e interagiscono nel dare forma a... ecosistemi, perturbazioni meteorologiche, conflitti etnici o successi personali. In tutti i sistemi che vengono oggi, appunto, definiti complessi – ambientale, economico, sociale, interpersonale e persino interiore –, ordine e disordine sono a tal punto intrecciati tra loro da risultare ormai indistinguibili a uno sguardo superficiale. Diventa così necessaria una nuova intelligenza – un’intelligenza ecologica – per esplorare pazientemente tutte le connessioni al fine di poter dire di avere capito davvero qualcosa e di intervenire in ogni diverso ambito, quando necessario, con cautela e saggezza e non con superficialità e col rischio di agire come un elefante in cristalleria. 5° Passo – Oltre i confini, il grande disordine Il nostro percorso di evoluzione personale può anche spingerci oltre l’importante punto d’arrivo della seconda nascita e della scoperta della complessità per farci incontrare il disordine su un suo piano più alto, come espressione dell’inarrestabile flusso della vita. Il Quinto Passo ci vede procedere oltre i confini del conosciuto con animo aperto e curioso, consapevoli del fatto che c’è ancora così tanto da conoscere e da esplorare. È un’apertura incondizionata a tutto ciò che la vita ha ancora da rivelarci di sé. L’ordine, la logica, il razionale diventano strumenti importanti per non perdere la connessione con la percezione diffusa e condivisa della realtà. Non sono più ostacoli e si

mettono al servizio di una predisposizione alla conoscenza, che potrebbe anche rivelare, come nel caso dei sistemi complessi, forme più alte di ordine non ancora riconosciute. Noi... in quale di questi Passi sentiamo di trovarci attualmente? Quali sono stati gli eventi cruciali, nella nostra vita, che ci hanno permesso di passare da ogni fase a quella successiva? In qualsiasi punto di questa spirale ci riconosciamo ora, va bene. Identificarlo ci può aiutare ad apprezzare meglio il punto in cui ci troviamo o a riconoscere i segnali del Passo successivo che ci stimola e sospinge verso un nuovo traguardo. Sempre nel rispetto e valorizzazione di entrambi questi poli, esploriamo ancora ordine e disordine in alcune delle loro sfaccettature ed espressioni.

Sicurezza e libertà Tanto è già stato detto, nella nostra cultura contemporanea, sul potere dell’ordine, sul senso di armonia esteriore che si riflette anche all’interno e ci fa stare bene; ora è il momento di scoprire anche il potere del disordine. Per danzare con la vita con tutte le nostre energie a disposizione dobbiamo allenarci ad accettare, valorizzare, cavalcare non solo una ma tutte e due le forze in azione; senza più temere, disprezzare o rifiutare il disordine, la polarità meno facile da capire, quella che mina sì la sicurezza, ma rende possibile la libertà di cambiamento, evoluzione, esplorazione delle infinite varianti del possibile. “Per l’animo avventuroso di un uomo non esiste nulla di più devastante di un futuro certo,” aveva lasciato scritto, nei suoi diari ritrovati in un autobus abbandonato in Alaska, Christopher McCandless, 2 coerente sino alla morte con il suo credo. Un discorso che prosegue con un monito dello psicologo esistenzialista Erich Fromm: “Il compito a cui dobbiamo lavorare, non è di arrivare alla sicurezza, ma di arrivare a tollerare l’insicurezza”, perché “Il reale è sempre

imprevedibile ed è sempre caotico”, aggiunge Osho. La libertà non teme il caos. È l’essenza stessa della natura umana – ancora poco insegnata nelle scuole – che si esprime potenzialmente in libertà da pregiudizi, da credenze disfunzionali, da limiti autoimposti, da una visione troppo ristretta di sé, degli altri e della vita. 3 “Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza,” Dante fa dire a Ulisse nel ventiseiesimo canto del suo Inferno , spalancando le porte all’Umanesimo e al Rinascimento e allo stesso tempo puntando il dito verso un ampio orizzonte, a disposizione di ogni singolo essere umano. Sicurezza e libertà sono i due paletti tra i quali ci muoviamo, alla ricerca ognuno del suo cocktail personalizzato. La sicurezza è uno dei bisogni primari. Senza riferimenti chiari, senza punti di riferimento fissi è difficile consolidare un’identità stabile, una personalità equilibrata; nei casi estremi, è minata la stessa sopravvivenza. La libertà è, invece, un tendere verso nuovi orizzonti, oltre l’ordine prestabilito, al di fuori di percorsi già tracciati; è una porta sempre aperta, è la consapevolezza di possibilità sempre a disposizione. La sicurezza porta stabilità, prevedibilità, rilassamento: va a braccetto con l’ordine. Ma, ad alte dosi, crea assuefazione e si trasforma in schiavitù da abitudine, conformismo, tradizionalismo, legami. La libertà è inebriante, vivificante, sorprendente: cavalca il disordine. Ad alte dosi, può diventare dispersiva, anche distruttiva, quando non è temperata da un’adeguata consapevolezza e responsabilità. L’equilibrio che ognuno di noi si crea tra questi due estremi è un equilibrio dinamico, che può variare in base alle situazioni e ai contesti della nostra vita. Ci sono momenti in cui è più importante la sicurezza, altri in cui è di libertà che abbiamo bisogno. Basta oliare i cardini e saper riconoscere entrambe le necessità come vitali. Se siamo focalizzati solo

su una di queste due polarità non ci sono i presupposti per una vita sana. Un sistema vivente è caratterizzato dall’alternarsi tra apertura e chiusura, scambio con l’esterno, esplosione di energia, estroversione, e raccoglimento verso l’interno, ricarica ricostituente, introversione. Ce lo insegna il ciclo delle stagioni. La nostra cultura contemporanea ha insistito per decenni sull’ordine come valore e come unica via degna di essere percorsa. Il movimento del Sessantotto ha introdotto un forte elemento di rottura con questa visione e la mentalità sta cambiando, ma il vecchio pregiudizio è ancora forte. Fare amicizia con l’ordine UNA BASE DA CUI PARTIRE Troppa libertà, troppa apertura, troppo ricominciare ogni giorno di nuovo, troppo fare sempre e solo di testa propria senza tenere in considerazione la sensibilità propria e altrui può diventare un limite nocivo alla creazione di una vita sentita come costruttiva, alla qualità delle relazioni... alla felicità. Per assicurarvi di fare scelte che onorino il bisogno profondo e innato di sicurezza chiedetevi quali sono, per voi, i cardini di una base sicura, irrinunciabili per stare bene nella vostra vita. Di che cosa ho bisogno per sentirmi al sicuro? Leggendo questa lista, mi segno quali voci corrispondono a fattori che ritengo essere fondamentali, in questo momento della mia vita, per il mio senso di sicurezza. Quali di queste cose voglio coltivare con maggior cura, assicurandomi di non trascurarle? forza fisica vista perfetta denti sani buona digestione salute bellezza casa casa di proprietà documenti di nazionalità diritto di voto libertà di espressione privacy libero mercato presenza delle Forze dell’Ordine non essere in stato di guerra famiglia protettiva

famiglia lontana famiglia presente, non invadente matrimonio convivenza affetti amicizie avere figli lavoro fisso lavoro in solitaria lavoro in équipe lavoro a contatto col pubblico attività libero-professionale attività creativa residenza stabile grande mobilità armonia nelle relazioni intensità nelle relazioni ambiente ordinato stabilità ambiente dinamico, in trasformazione continue novità visione chiara del proprio scopo nella vita interessi extralavorativi grandi ideali gruppi di riferimento religione spiritualità Questo non è un test, è un check-up, come ce ne saranno diversi in questo percorso insieme, è l’occasione per fare il punto della situazione sui vostri bisogni in questo momento della vostra vita e per riflettere sul fatto che altri potrebbero avere riferimenti diversi dai vostri. È anche un invito a non dare per scontato che quello che rende voi sicuri e sereni sia lo stesso anche per le altre persone attorno a voi.

L’antistatistica e il pollo di Trilussa Prima di esplorare gli ampi orizzonti che il disordine ci apre, diamo ancora un’occhiata a uno dei malintesi di fondo su queste due polarità. Il bisogno di fare ordine è sempre stato molto sentito. Quale strumento migliore, per sopravvivere alla marea delle incertezze e alle infinite variabili della vita, dei numeri? Con la nascita della statistica, la matematica entra in campo con grafici e torte

multicolori con la pretesa di interpretare fenomeni collettivi. Il numero ha un effetto rasserenante, fa sempre la sua bella figura, viene accettato come dimostrazione scientifica; ma spesso, opportunamente manipolato, è un’arma impropria. Per spiegare le insidie della statistica, Trilussa, poeta, scrittore e giornalista, in una satira in romanesco la definì “quella scienza per cui se due persone hanno un pollo a testa e uno mangia tutti e due i polli, entrambi hanno mangiato un pollo”. 4 Una considerazione non dissimile da quella più recente, di Des MacHale, emerito professore di matematica presso l’Università irlandese di Cork: “l’umano medio ha una mammella e un testicolo”. La statistica congela persone in numeri e lascia all’individuo un potere di cambiare le cose pari a zero, depauperandolo con interpretazioni riduttive della realtà: la “media” tanto decantata è un valore fittizio, inesistente: “Quando le regole della matematica si riferiscono alla realtà non sono certe, e quando sono certe non si riferiscono alla realtà,” ci ha lasciato come monito Albert Einstein. Con l’affermarsi di una visione complessa della realtà si creano i presupposti per l’antistatistica, scienza ancora da inventare, per ridimensionare le pretese dei numeri, promuovere un’accurata lettura dei fenomeni effettivi, valorizzare l’ampio potere individuale di trasformazione delle cose e per mettere in guardia l’opinione pubblica sulla facile manipolazione a cui siamo tutti soggetti da parte di chi abilmente sa come presentare i dati a suo vantaggio: “Le statistiche sono come i bikini: ciò che rivelano è suggestivo, ma ciò che nascondono è più importante.” 5

Tempi moderni Il bisogno di semplificare, generalizzare, fare ordine è molto forte nell’era contemporanea. Ambienti regolari, quadrati e squadrati vengono disegnati e costruiti secondo il

capriccio di un’immaginazione sradicata da ogni senso di appartenenza alla realtà terrestre, con una mentalità a misura di emisfero sinistro, votata all’ottimizzazione di spazi e tempi nel nome di un efficientismo sfrenato. Siamo nell’era delle macchine, con il loro ordine ripetitivo, funzionale alla produzione e al consumo, non certo al fiorire della vita. Un ordine che Pier Paolo Pasolini, in un verso della sua poesia Il pianto della scavatrice , definisce “spento dolore” 6 . Quando viene automaticamente imposto alla natura, l’ordine crea disequilibrio, malessere, disfunzionamento. Basta pensare ai danni della monocultura, che ha imposto le sue regole al territorio senza preoccuparsi di tutte le conseguenze del suo intervento sull’ecosistema. Freddamente applicato, il rigore geometrico non prende in considerazione né compassione né calore, ma solo efficienza e rapidità. Come quando vengono edificati quartieri dormitorio, centri di accoglienza per profughi o allevamenti, in cui lo spazio per ogni singolo essere è scelto a tavolino senza prendere in considerazione chi ci vivrà, guardandolo negli occhi, riconoscendolo come creatura vivente. La natura è una delle grandi vittime – e ognuno di noi, di riflesso, con essa – dello squilibrio creatosi nel dosaggio ordine/disordine e logos/eros nella società contemporanea. Il bisogno prima, la patologia dopo, del dover controllare e ridisegnare l’ambiente in cui viviamo, ha portato a considerare il fenomeno dell’urbanizzazione come conquista, per cui lasciare la campagna e andare a vivere in città era visto – e in gran parte del mondo è ancora visto – come progresso. Non a caso la parola stessa wilderness , natura selvaggia, nasce e si diffonde come valore a partire dall’Inghilterra del diciannovesimo secolo, quando il degrado di Londra, annerita dai fumi delle industrie e ammorbata dall’inquinamento, inizia a far desiderare la fuga in ambienti naturali incontaminati, una ricerca di cui il Romanticismo emergente si fa portavoce. 7 Il potere armonizzante della

natura incontaminata, infatti, è proprio quello di far risuonare nelle profondità del nostro inconscio ecologico 8 un richiamo... a un più ampio ordine delle cose. Ben lungi dall’essere espressione di disordine, il disegnarsi e svilupparsi degli ambienti naturali è frutto di un ordine complesso che, grazie all’ecologia, oggi viene riconosciuto e studiato. Tutta l’attenzione oggi in crescita per la promozione di un diverso atteggiamento nei confronti della natura – da parte di movimenti ambientalisti, ecologia profonda, ecopsicologia, permacultura, movimento degli ecovillaggi e tanti altri – è frutto del bisogno, sentito ed espresso dai più sensibili tra noi, di ritrovare l’equilibrio tra l’ordine inquadrante messo in atto dall’establishment contemporaneo e il disordine creativo necessario a ogni sistema sano e vitale.

La realtà è più avanti Per quanto cerchiamo di rendere misurabili, regolati, controllati e controllabili i flussi vitali che si esprimono nei bambini, nel nostro organismo, in un fiore che sboccia, nella folla umana che popola il pianeta... i risultati sono scarsi perché nessuna formula matematica può riproporre o anche solo descrivere un processo vitale. Sono rimasta estremamente sorpresa, seguendo la conferenza di un premio Nobel della biologia, nello scoprire che la nostra scienza contemporanea non sa spiegare la vita. La misura, analizza e classifica, ma “che cosa è la vita” ancora non lo sa. Per non soccombere di fronte a tanto mistero è inevitabile cercare di fare ordine. È quello che hanno fatto il mito, prima, le religioni poi, la filosofia, dopo ancora, e la scienza, ora. Tante mappe sono state create, tante mappe sono attualmente in uso presso culture, popolazioni, regioni diverse, ognuna con i suoi presupposti, i suoi codici, la sua

visione del mondo. “La mappa non è il territorio,” ci ricorda uno degli ormai irrinunciabili assiomi della comunicazione, ed è importante tenere sempre presente che la realtà integra ordine e disordine e trascende ogni contrapposizione tra queste due polarità. L’ordine non è nelle cose, è nella lettura che diamo delle cose. Quelle che chiamiamo costellazioni, per esempio, sono gruppi di stelle che non hanno nessuna correlazione tra loro, se non la particolare illusione ottica che rende il loro moto collettivo costante dal nostro punto di vista. Le singole stelle delle costellazioni più conosciute hanno decine e decine di anni luce di distanza tra loro, ma grazie a questa mappa marinai, carovanieri e cavalieri delle migliaia di generazioni che ci hanno preceduto hanno potuto arrivare a destinazione e poi tornare a casa. Non perché le stelle sono ordinate, ma perché qualcuno ha saputo cogliere un ordine nel caos, lo ha insegnato ad altri ed è diventato un linguaggio condiviso. Ecco che si inizia a intravedere una nuova visione per cui ordine e disordine non sono necessariamente concetti assoluti, ma relativi. Quello che può essere ordine per uno, può non esserlo per l’altro e possono esserci tipi di ordine che sfuggono ai parametri convenzionali di catalogazione. Non si può più parlare di ordine e disordine come di due forze contrapposte, ma come di un continuum, in cui da un estremo paralizzante si arriva all’estremo disgregante passando per diverse sfumature, ognuna coi suoi pro e contro. La vita non è ordine. La vita non è neppure disordine. La vita è una danza tra ordine e disordine. 1 La panspermia è una teoria, formulata inizialmente dal filosofo presocratico Anassagora, che suggerisce che la vita sulla Terra sia iniziata con l’arrivo di “semi”, molecole organiche, arrivati dallo spazio. La teoria si è rivitalizzata a partire dall’Ottocento con i fisici Lord Kelvin e Hermann von Helmholtz, il chimico Svante Arrhenius e, più recentemente, con gli astronomi Fred Hoyle e Chandra Wickramasinghe. 2 Giovane viaggiatore statunitense che ricercò la solitudine nelle terre selvagge dell’Alaska nell’aprile del 1992, con poco cibo e scarse attrezzature. Non riuscì a sopravvivere, ma lasciò un messaggio in cui definiva la sua vita

“felice”. La sua vicenda ha ispirato lo scrittore Jon Krakauer che ne pubblicò la storia che è stata poi adattata nel film di Sean Penn, Into the Wild . 3 È la visione della psicologia umanistico-esistenziale che attribuisce al singolo individuo la libertà e responsabilità necessaria a superare condizionamenti e imprinting dell’infanzia per poter tradurre da potenza in atto una propria natura interiore presente sin dalla nascita. 4 “Me spiego: da li conti che se fanno secondo le statistiche d’adesso risurta che te tocca un pollo all’anno: e, se nun entra ne le spese tue, t’entra ne la statistica lo stesso perché c’è un antro che ne magna due.” 5 Citazione di Aaron Levenstein, docente universitario di Economia e commercio. 6 “Ciò che era area erbosa, aperto spiazzo, e si fa cortile bianco come cera [...] chiuso in un decoro ch’è rancore; ciò che era quasi una vecchia fiera di freschi intonachi sghembi al sole, e si fa nuovo isolato, brulicante in un ordine ch’è spento dolore.” Pier Paolo Pasolini, 1956. Da Le ceneri di Gramsci , Garzanti, Milano 1957. 7 Franco Brevini, L’invenzione della natura selvaggia , Bollati Boringhieri, Torino 2013. 8 L’inconscio ecologico è la memoria profondamente iscritta in ognuno di noi del processo della vita che da strutture unicellulari si è evoluta sino agli animali e sino alla nostra specie. È la consapevolezza, attualmente rimossa, dell’indissolubile legame che ci accomuna a ogni altra forma su questa Terra. Marcella Danon, Ecopsicologia. Crescita personale e coscienza ambientale , Urra Feltrinelli, Milano 2006.

2. L’oscillazione vitale tra ordine e disordine

Il disordine alla riscossa Per ritrovare il giusto equilibrio tra questi due poli, cominciamo con l’esplorare in termini nuovi quello meno noto e compreso dei due. “Se una scrivania in disordine è segno di una mente disordinata, di cosa è segno, allora, una scrivania vuota?” ha lasciato provocatoriamente detto, ancora una volta, Albert Einstein, noto per la confusione sul suo tavolo da lavoro e, allo stesso tempo, per la geniale innovazione del suo pensiero. Oggi queste due caratteristiche vengono messe in correlazione, riconoscendo al disordine finalmente delle virtù, proprio quelle più sgradite a sistemi che vorrebbero ogni persona al suo posto, prevedibile e misurabile: la creatività, la capacità di innovare, di trovare nuove soluzioni, nuove strade, nuovi futuri possibili. Le idee innovative non nascono negli antri ordinati e solitari di geni illuminati, ma crescono e si diffondono nel caotico intreccio di relazioni, scambi, connessioni, informazioni, diventando tanto più utili quanto hanno saputo nutrirsi di esigenze e riflessioni sorte in ambienti aperti, di dialogo, in cui diventa possibile la contaminazione tra settori diversi, l’intreccio casuale, la collaborazione, l’errore

fecondo. Le nuove idee nascono nel disordinato laboratorio della quotidianità. 9 Ecco che il disordine inizia a essere esplorato come sintomo di creatività, valore, qualità desiderata e necessaria in quanto capacità di correlare in modo diverso dal consueto dati noti per arrivare a soluzioni prima inesistenti, attingendo al prezioso cassetto dei sogni e guardando oltre gli orizzonti noti. Steve Jobs non ha portato la Apple al successo con un algoritmo matematico, ma trasponendo in una macchina la sua passione per la bella scrittura. Quando era disoccupato e studente inconcludente, quando nessuno avrebbe scommesso un cent su di lui, in un impeto di entusiasmo si iscrisse a un corso di calligrafia, uno tra i tanti originali corsi che tappezzano i pali della luce nella cittadina di Berkeley, dall’altra parte della Baia, di fronte a San Francisco. Fu questa capacità di mescolare funzionalità e capriccio, utilità e passione, precisione e bellezza, che diede ai suoi computer – quando poi si trovò al posto giusto, al momento giusto – una marcia in più. Fare amicizia con il disordine STUZZICARE LA CREATIVITÀ Gli artisti non hanno il monopolio della creatività. Possono essere quelli che più facilmente di altri oltrepassano la soglia della convenzione, ma questa è una potenzialità che ci coinvolge tutti in quanto esseri umani e siete tutti sicuramente molto più creativi di quello che vi siete mai soffermati a credere di essere. Che voto vi date in creatività? Quanto la frequentate? In quali occasioni la mettete in campo? Ecco un’altra riflessione per fare il punto sulla vostra propensione a vivere bene il disordine e a farne un alleato anche nelle piccole cose della vita quotidiana. In quali occasioni esprimo più creatività? Esploro quando e dove mi viene più facile esprimerla. Mi segno le affermazioni che corrispondono al mio vivere e sentire. Mi vesto seguendo il mio gusto e il mio comfort personale, le mode non mi toccano. La cura del mio corpo, viso, capelli, unghie, segue il mio gusto, non quello dettato da altri.

Mi piace cucinare e combinare tra loro ingredienti in modo insolito, esplorando nuove frontiere del gusto. Quando scelgo i regali cerco cose originali o, meglio ancora, le creo io. Nello scrivere biglietti o messaggi di auguri non mi accontento delle formule tradizionali, ci aggiungo sempre qualche cosa di personalizzato. Rifuggo i luoghi famosi per le vacanze e scelgo località o destinazioni che fanno cantare il mio cuore. Ho arredato la mia casa in base al mio gusto e a quello di chi la condivide con me. Investo il mio tempo libero facendo quello che davvero mi piace. Suono uno strumento musicale, oppure canto... va bene anche se solo sotto la doccia. Scrivo poesie o racconti, tengo un diario, gioco con le parole e faccio battute. Danzo, scolpisco o pratico un’altra arte. Non mi accontento di quello che fa il computer, gli faccio fare quello che voglio io: metto mano a programmi e programmazione, costruendo le funzioni di cui ho bisogno. La mia vita è fuori dal comune, la mia creatività l’ho investita disegnandomi uno stile di vita in cui mi sento bene. Elenco altre azioni creative che faccio e che non appaiono su questa lista. Se ci sono meno di tre “sì” in questa lista, forse un pizzico di creatività in più nella vostra vita non guasterebbe. Lasciatevi ispirare dalle voci che vi attraggono di più... e cominciate a mettervi in gioco!

Oggi fioriscono studi che hanno la pretesa di definire come agiscono gli ordinati e come i disordinati. Ferma restando l’aleatorietà e superficialità di molti di questi, emerge comunque una certa sintonia di risultati. All’Università di Groningen, nei Paesi Bassi, hanno notato che situazioni disordinate inducono con più facilità la messa a punto di soluzioni che ristabiliscono l’ordine. Il disordine esterno induce un bisogno di ordine, sostengono i ricercatori, e facilita l’impegno nel raggiungere gli obiettivi atti a ricostruirlo. 10 Di fronte alla confusione, affermano i ricercatori, il cervello tende a semplificare, eliminando le ridondanze e concentrandosi soltanto su ciò che conta. In un altro studio, in cui è stato chiesto a degli studenti di proporre almeno dieci usi alternativi per una pallina da ping pong, i risultati sono stati di gran lunga superiori per coloro

che sono stati messi a svolgere il compito in ambienti disordinati. 11 Gli studi sono tanti, ma alcuni, coerentemente con quanto detto sulla capacità delle statistiche di mettere in evidenza solo ciò che preferiscono, hanno risultati quantomeno grotteschi che si commentano da sé. Basandosi su uno studio fatto su un manipolo di studenti, una rivista scientifica è arrivata a dire che chi sta in un ambiente ordinato preferirà alimentarsi in modo sano e sarà più generoso; un altro studio, condotto in ambito aziendale, ha avanzato la tesi che chi lavora in un ambiente disordinato ha più probabilità di avere uno stipendio più alto.

Ordine versus disordine Al di là di statistiche e di pareri altisonanti, proviamo a riflettere sulla base dell’esperienza soggettiva ma anche di quella di chi abbiamo vicino, tra cui non mancheranno sicuramente né ordinati né disordinati, a diversi gradi di intensità. Cosa possiamo notare, cosa può accomunare o distinguere queste due diverse modalità di interazione col mondo, una più apollinea e l’altra più dionisiaca? Esploriamo insieme le peculiarità di ognuno di questi due campi e le diverse gradazioni con cui queste forze, entrambe vitali, si manifestano nella nostra vita quotidiana. L’ordine, quando è vissuto bene, cosa ci offre? Crea forma, solidifica strutture, crea contesti in cui possono avere luogo processi con una loro coerenza interna, costruisce cadenze ritmate con svolgimento prevedibile, promuove stabilità di fondo, consente di mettere più facilmente a fuoco l’essenziale, semplifica,

è pratico, facilita l’organizzazione, promuove il controllo, viene associato a sicurezza, è preludio di pace, rasserena, rassicura, tranquillizza. Questo vale anche per lo sviluppo di un organismo vivente, che prende forma seguendo il suo codice genetico; per una casa, che viene costruita a partire da un preciso progetto; per una famiglia, che nasce e cresce su valori condivisi. Fare amicizia con l’ordine VALORIZZARE L’ARMONIA Tornando a focalizzarci sulla vita quotidiana, nelle nostre case – per cominciare – fare ordine semplifica l’attività, rende più gradevole l’ambiente, permette di tenere meglio tutto sotto controllo e, conseguentemente, può aumentare il senso di sicurezza e benessere. Fa risparmiare tempo, promuove tranquillità, aiuta a pensare con più chiarezza, facilita la convivenza. Che cosa è importante, per voi, avere in ordine nell’ambito domestico? In quali aspetti della casa l’ordine mi nutre, mi rasserena, mi appaga? Mi chiedo di che cosa ho bisogno per sentire armonica la mia abitazione, il mio spazio di vita e/o di lavoro. Mi segno il grado di importanza che ha per me l’ordine in questi diversi ambiti, con valori: 0 = per nulla, 1 = poco, 2 = abbastanza, 3 = molto. pulizia del pavimento polveri arredamento alle pareti mobilia oggettistica bagno cucina sala stanza da letto studio o altro cantina e garage balconi o giardino relazioni con i coinquilini/conviventi relazioni con i vicini di casa possibilità di ospitare amici spazi per la lettura, il raccoglimento o la meditazione

altro Che cosa posso fare, da subito, per aggiungere un tocco di armonia al mio spazio vitale? Scelgo uno degli ambiti per me cruciali per stare bene e decido di fare un gesto in più per rendere l’ambiente a me piacevole e confortevole. Mi do questa intenzione e mi assumo l’impegno di metterlo in atto entro ventiquattr’ore! Ognuno di voi ha una sua ricetta personalizzata di fattori che vi aiutano a sentirvi bene nel vostro spazio. Saperlo, vi permette di concentrarvi, per cominciare, su ciò che per voi è più importante, curando con maggior attenzione gli spazi che privilegiate.

Certo, stando ancora sulla casa, quando la tensione verso l’ordine viene estremizzata diventa mania, formalismo, tripudio dell’apparenza a scapito della funzionalità dell’abitazione, esercizio di potere sugli altri, imposizione dei propri modelli di vita, senza riconoscere il valore di quelli altrui. In un sistema vivente, un ordine che non prevede novità rispetto alla routine diventa chiusura, mancanza di scambio, incapacità di apprendere dall’interazione con il mondo circostante e quindi di evolvere. Diventa paralisi. Il disordine, invece, quando è vissuto bene, cosa ci offre? Apre le porte a diverse possibilità, obbliga a guardare con più attenzione, fa lavorare di più la memoria, attiva creatività e fantasia per colmare varchi che la logica non sa oltrepassare, mostra diverse possibili risposte, invita alla curiosità, obbliga a esercitare tolleranza, favorisce la creatività, apre alla complessità, rende flessibili, resilienti, stimola la mente, rende possibile il confronto con l’ignoto, crea condizioni per cercare nuove strade. Quando però supera la soglia, una soglia soggettiva e

impalpabile, difficile da definire ma chiaramente percepibile, il disordine può diventare disgregante, può impedire la costruzione di basi e percorsi consolidati, su cui poter scivolare nella vita senza impigliarsi nel groviglio di tante cose accumulate che ormai non hanno più alcuna funzionalità. Cose materiali ma anche idee, opinioni, emozioni ormai inutili e inutilizzate; anche relazioni, attaccamenti, progetti che non corrispondono più al proprio sentire profondo. Anche l’eccessivo disordine può diventare abitudine e avere un effetto distruttivo nella propria vita. Pur manifestandosi con modalità diverse, può imprigionare e causare disagio tanto quanto l’esagerato ordine. Una diatriba antica, quella tra ordine e disordine, che ha ripercussioni concrete nella vita personale di ognuno, soprattutto quando abbiamo a che fare con i rimproveri dei familiari per tenere in ordine i nostri spazi o quando persone con stili opposti si trovano a dover condividere stessi luoghi o strumenti di lavoro. Ci sono quindi situazioni in cui è proprio l’ordine che diventa strategia adatta a un benessere personale e collettivo. Pur riconoscendo che il disordine apre le porte al genio e all’innovazione, va accolto anche il fatto che fare ordine porta maggiore comfort; ma se è vero che troppo disordine impedisce la costruzione di alcunché, non va negato che il troppo ordine porta alla paralisi dei processi vitali. Ecco che la sfida, quindi, è quella di imparare a riconoscere le energie in atto nel proprio modo di agire e interagire, in modo da saper scegliere quale polarità alimentare e quale temperare. Diventa utile una mappa che ci accompagni a collocarci nel continuum ordine-disordine per valutare quanto e quando siamo soddisfatti dal nostro cocktail peculiare e quando e quanto vogliamo acquisire anche qualche virtù della polarità opposta. E come.

Parliamo un po’ di noi Non stiamo più parlando di filosofia, ma di stile di vita. Come ci definiamo, rispetto a ordine e disordine? E come veniamo percepiti dagli altri? Le etichette, come vedremo, sono sempre limitanti e riduttive, soprattutto quando parlano di persone in termini assoluti, invece di limitarsi ai comportamenti, che sono relativi a contesti e situazioni. In realtà non possiamo definire nessuno, e neppure noi stessi, semplicemente con l’attributo di ordinato o disordinato, ma possiamo farci una fotografia che verifichi in quali ambiti tendiamo alla categoria “ordine” e in quali altri siamo invece più rivolti verso quella del “disordine”. L’esplorazione che faremo non ha alcuna funzione inquisitoria o valutativa, vuole invece risvegliare attenzione e consapevolezza sul nostro modo di sentire, di relazionarci e di agire, chiedendoci casomai quanto ne siamo effettivamente soddisfatti, in modo da poter scegliere di allenare anche modalità opposte e complementari, senza dare per scontato che una sia necessariamente meglio dell’altra, ma allenando una capacità di presenza e centratura tale da permetterci di scegliere ogni volta di nuovo in ogni situazione con quale aspetto di noi agire, quale dei due atteggiamenti di base è più opportuno mettere in campo, congruentemente con l’obiettivo che vogliamo raggiungere. Ognuno col suo stile personale. Fare amicizia con l’ordine LA FORMULA PER UNA BUONA CONVIVENZA Tutti noi siamo signori e padroni del nostro modo di fare, abbiamo una connaturata libertà che ci permette di esercitare questo potere, ma è importante, per il quieto vivere, tenere presente che “la nostra libertà finisce dove inizia quella degli altri”, come ci ricordano due grandi come Martin Luther King e Rosa Luxemburg. Come calcolo la mia quota di disordine ottimale in una condivisione di spazi? Ecco, in aiuto, un’equazione per calcolare quanto disordine posso

permettermi (D ottimale ) in una casa, stanza o ufficio condivisi. Il valore da trovare è la media tra il disordine sopportato bene da me (D 1 ) e quello sopportato da chi condivide lo spazio con me (D 2 ).

D1 + D2 = Dottimale 2 Se entrambe le parti in gioco, 1 e 2, sono abbastanza disordinate, non ci saranno problemi, ma il più disordinato dei due dovrà tenere in conto le esigenze di chi ha una leggera tendenza in più verso l’ordine. Lo stesso, invertendo i termini, vale per un abbinamento tra due tendenzialmente ordinati, con un piccolo margine di tolleranza in più verso il polo disordine, nel rispetto del meno ordinato. I problemi sorgono quando si trovano insieme a lavorare o convivere esponenti delle due polarità opposte. In questo caso un grado di adattamento sarà necessario da entrambe le parti, perché il disordine ottimale sarà di grado inferiore rispetto a quello a cui 1 è abituato, ma maggiore di quello in cui 2 si trova bene. Questo vale, naturalmente, se 1 e 2 sono a parità di diritto nello stesso ambiente. Se uno dei due è ospite, dipendente, figlio o allievo, nella stessa formula il numero per cui dividere non è più 2 ma come minimo 4, quindi il disordinato di turno dovrà fare molta più attenzione agli standard richiesti dal padrone di casa. L’ottica proposta è quella di sentirvi bene qualunque sia il vostro modus operandi, senza mai sentirvi “sbagliati” perché non corrispondete ad aspettative altrui. Il Tao del disordinato si propone di arricchirvi della consapevolezza di poter anche cambiare il vostro modo di fare ogni qualvolta necessario o desiderato, anche nel rispetto degli altri. Non è difficile, è solo questione di esercizio. Se siete qui, su queste pagine, siete nel posto giusto per capire come fare.

Il punto della situazione Nessuno di noi è completamente ordinato o completamente disordinato. E, anche così, ci sono diversi gradi in cui si esprimono la spinta regolatrice e quella caoticizzante in ognuno. Possiamo anche essere molto ordinati in un ambito e perfettamente disordinati in altri. Proviamo, per gioco, a collocarci nel metaforico continuum tra queste due polarità ipotizzando una scala di diversi livelli, “temperature”, per il nostro modo di fare per quanto riguarda ordine e disordine: dalle temperature molto basse, in cui nessun atomo si muove, sino alla superficie infuocata

del sole dove niente può solidificarsi. Questa esplorazione ci servirà come punto di partenza per valutare quale delle due polarità vogliamo potenziare nella nostra vita e come sviluppare quegli atteggiamenti e abitudini che sentiamo utili per trovare un equilibrio a nostra misura. Nessuno stadio è migliore o peggiore di un altro. La percezione del nostro livello di ordine o disordine è soggettiva anche se spesso sono proprio gli altri a farci diventare più consapevoli del nostro modo di fare, quando andiamo a impattare coi loro spazi. Leggete attentamente le affermazioni qui di seguito – in cui i diversi livelli sono mescolati tra loro – e fate un segno accanto alle frasi in cui vi riconoscete appieno. Alla fine tireremo insieme le somme e vedremo cosa fare del risultato ottenuto. Generalmente compro i biglietti per i miei viaggi col giusto anticipo per trovare buone tariffe. (c) Mi dà molto fastidio quando qualcuno lascia qualcosa in giro. (b) Quando qualcosa non va secondo il mio programma lo sento come un affronto personale da parte della vita. (a) Faccio fatica a organizzarmi e arrivo spesso in ritardo con le scadenze. (e) Non ricordo mai dove lascio le cose. (f) Quando sbaglio strada faccio spesso interessanti scoperte. (d) Non sopporto in alcun modo i cambiamenti. (a) Se non sono sicuro/a del risultato non intraprendo mai qualche cosa di nuovo. (a) So che sono disordinato ma non riesco a farci niente. (f) Ho sempre tante cose interessanti da fare e mettere in ordine va sempre in secondo piano. (d) Non sopporto chi non sa stare al suo giusto posto. (a) Gli imprevisti non mi inquietano più di tanto. (d) Compro più cose di quelle di cui ho bisogno, spesso devo

buttare via del cibo ormai scaduto. (e) Se attorno a me c’è qualche oggetto fuori posto mi sento a disagio. (b) A volte non ricordo dove lascio le cose. (e) Faccio fatica a portare a compimento i progetti. (f) Mi piace seguire tanti progetti allo stesso tempo. (d) Non mi lascio invadere dagli oggetti, so quando è il momento di non acquistarne più. (c) Se si è sempre fatto così, si può sempre continuare a fare così. (a) Mi sento bene quando ogni cosa è al suo posto. (b) Arrivo generalmente in ritardo agli appuntamenti. (f) Mi dicono che sono disordinato e questo mi irrita, perché so che è vero. (e) Passo più di un’ora del mio tempo, al di fuori del lavoro, a riordinare. (b) Quando uso anche solo un bicchiere, subito dopo devo lavarlo, asciugarlo e riporlo al suo posto. (a) Prima di iniziare un compito impegnativo mi piace fare ordine sul piano di lavoro. (c) Mi dicono che sono disordinato/a, ma sento di avere un mio ordine in cui mi ci ritrovo perfettamente. (d) Mi si scarica spesso il cellulare nei momenti meno opportuni. (f) Tendo a essere puntuale con scadenze e appuntamenti. (c) Mi capita di dover rifare due volte la stessa cosa perché non mi ricordo di averla già fatta. (e) Mi perdo spesso, quando devo raggiungere una località, e questo mi angustia. (f) Vorrei che anche gli altri si attestassero sui miei livelli di ordine. (b) Mettere a posto è per me un’attività rilassante. (c) Non sento di avere l’energia per cambiare lo stato delle cose e fare ordine. (f) Anche se sono stanca/o mi alzo in piedi per riporre al suo

posto un libro che ho appena finito di leggere. (b) Mi dimentico di pagare bollette o fatture alla data giusta. (e) Sono orgoglioso/a di poter dire che non cambio mai le mie opinioni. (a) Difficilmente mi si scarica inaspettatamente il cellulare e comunque ho il caricatore sempre a disposizione. (c) Non ho bisogno di rimettere una cosa al suo posto per saperla ritrovare dove l’avevo lasciata l’ultima volta. (d) Cambio ordine alle cose se ho bisogno di trovare una collocazione più funzionale. (c) Quando ho un appuntamento arrivo sempre con un congruo anticipo. (b) Troppo ordine attorno a me mi... intristisce. (d) Il mio motto è: “Non fare oggi quello che puoi fare domani o dopodomani”. (e) Fatto? Ora riguardate le voci che avete scelto. In corrispondenza di ogni frase c’è una lettera. Segnatevi quante risposte dal gruppo delle a, b, c, d, e, f avete totalizzato: ogni gruppo corrisponde a un profilo. Probabilmente non tutte le vostre risposte rientrano nello stesso gruppo e va benissimo così, perché, come vedremo, non siamo fatti tutti d’un pezzo, ma tante diverse sfaccettature convivono più o meno pacificamente in noi. Ecco una chiave per esplorare il vostro peculiare cocktail di ordine e disordine. Leggete i profili relativi ai diversi gruppi in cui rientra la maggioranza delle vostre risposte e segnatevi quello che vi risuona dalle descrizioni corrispondenti, ignorando quello che non sentite adattarsi a voi. Questo non ha la pretesa di essere un test, è semplicemente una bussola. A. Ordine paralizzante Vi sentite bene solo quando tutto attorno a voi procede

come avete programmato e ordinato, secondo schemi regolari e consolidati. È il vostro modo di sentirvi rassicurati nei confronti di una realtà che cambia in modi e tempi che non tengono conto della vostra sensibilità e delle vostre necessità di stabilità. Potreste scoprire che allentando un po’ il controllo tutto diventa più semplice e che, in fondo, nessuno vi obbliga a essere così precisi e diligenti, siete voi stessi il vostro cerbero. Anche relazionarvi con gli altri potrebbe diventare più gratificante, soprattutto quando non esprimete la pretesa che tutti operino secondo le vostre aspettative ed esigenze. Siamo vicini allo zero assoluto: – 273 °C. B. Ordine inquadrante Mettere in ordine, per voi, non è in realtà un piacere, ma un dovere o, meglio ancora una necessità, per tenere a bada tanti elementi, esterni e interni, che tenderebbero forse a farvi prendere direzioni diverse da quelle che avete intrapreso. Se decidete di investire parte del tempo che dedicate a mettere in ordine “fuori” per cercare di conoscere un po’ meglio cosa preme da “dentro” e di cosa avete davvero bisogno, potreste anche cominciare ad alleggerirvi di qualche peso e inserire qualche elemento di maggior leggerezza e piacere nella vostra vita, lasciando in secondo piano i dettagli formali. Il vostro non è un ordine pacato, ma inquieto. La temperatura è quella di un buon congelatore, al di sotto dei – 20 °C. C. Ordine generativo Sapete attestarvi su quel tanto di ordine che vi basta per stare davvero bene e per organizzarvi con più facilità nella vita quotidiana. Mettere in ordine è per voi quasi una pratica meditativa, che vi aiuta a recuperare una visione più chiara e ampia delle cose prima di iniziare ad agire: create armonia

fuori, per poter consolidare serenità dentro. L’ordine è al vostro servizio e non viceversa, questo vi offre la possibilità di scegliere “come” stare in una determinata situazione, senza dover aderire a cliché disegnati da altri. Questa vostra relazione equilibrata con l’ordine diventa elemento facilitante nelle relazioni interpersonali. Siamo ai 4-5 °C di un buon frigorifero, che sa mantenere a lungo la freschezza delle cose. D. Disordine armonico La questione di ordine e disordine non ve la ponete neppure, a meno che non siano gli altri a sollevarla. Non vi percepite come disordinati, perché sapete sempre dove ritrovare quello che state cercando nonostante l’improbabilità della collocazione in cui l’avevate lasciato. Avete una buona memoria visiva, indispensabile per orientarvi e in questa modalità vi trovate proprio bene. La routine vi annoia, i luoghi comuni vi fanno pena, ogni novità è per voi una sorpresa e ogni imprevisto diventa una sfida. E le vostre risposte agli eventi sapranno essere sempre diverse e coerenti alle necessità della situazione. La temperatura comincia a salire, siamo ai 28 °C di una bella giornata estiva, con le funzioni vitali al massimo della loro espressione. E. Disordine dispersivo Ogni tanto la creatività che mettete nel gestire cose e situazioni comincia a divenire un po’ troppo ardita anche per voi. Vi capita di prendere più impegni alla stessa ora con persone diverse, dimenticate le vostre cose in giro e a volte non sapete dove potreste averle lasciate, non riuscite sempre a organizzarvi per arrivare in orario ad appuntamenti o scadenze. La novità vi attrae a tal punto che rischiate di accumulare cose e impegni oltre la soglia della vostra possibilità di gestirli, iniziando qualcosa di nuovo

prima di avere esaurito il vecchio. Nonostante un po’ di dissonanza all’orizzonte, la vostra vita non manca certo di brio e avete la propensione a gioire di ogni suo istante anche se ogni tanto vorreste poter essere meno in continuo movimento. Siamo attorno ai 100 °C, la temperatura di ebollizione dell’acqua, quando il moto delle sue molecole si caoticizza. F. Disordine disgregante Per quanto ricco di pregi e di valori sia il disordine, voi superate il limite in cui questi si possano manifestare al meglio e fate fatica a tenere insieme i pezzi. La mano destra non sa cosa fa la sinistra, quello che fate da una parte rischiate di disfarlo dall’altra. Non percepite più il disordine come alleato, ma come nemico, diventa una forza centrifuga che irrompe nella vostra vita e ne prende il controllo, senza lasciarvi spazio per la benché minima progettazione. Vi sentite sempre in ritardo su tutto e vorreste ritrovare il filo del governo della vostra vita. A volte è semplicemente una questione di mancanza di energia, vorreste mettere a posto ma non riuscite, il vostro disordine vi paralizza... gli estremi si toccano. La temperatura sale, molto, e si avvicina a quella delle stelle, dove tutto si trasforma e dove potrebbe anche esserci l’avvio per una nuova rinascita. Questi sei gruppi sono soltanto una mappa per posizionarci nella scala ordine/disordine. Non esauriscono tutte le sfumature e soprattutto non tutte le diverse possibili combinazioni, che possono variare da persona a persona e anche da periodo a periodo. Probabilmente vi siete riconosciuti in più di un singolo gruppo e va benissimo così. La differenza la fa il vostro grado di soddisfazione in ciò che fate, in come agite, in come vi esprimete nel mondo. Non c’è un gruppo in cui dovete rientrare per forza, ognuno di questi sei livelli ha i suoi vantaggi e svantaggi e potete scegliere di portare nella vostra vita i pregi di entrambe le polarità, anzi,

è proprio questo l’obiettivo del Tao del disordinato, che si focalizza sulla polarità meno nota, conosciuta e valorizzata, non per negare l’altra, ma per svilupparle entrambe. Ordine e disordine sono le polarità nel cui ambito si estrinseca e prospera la vita; servono entrambe. Ogni drastica presa di posizione per l’una o l’altra, necessariamente si priva dei benefici della polarità opposta; c’è bisogno di tutte e due le spinte, ognuna al posto giusto e al momento giusto. Il viaggio continua. A voi trovare quando e come arricchire la quotidianità con un po’ più di ordine e quando con un po’ più di disordine. 9 Steven Johnson, Dove nascono le grandi idee. Storia naturale dell’innovazione , Rizzoli, Milano 2011. 10 B.M. Fennis, J.H. Wiebenga, Disordered Environments Prompt Mere Goal Pursuit , “Journal of Environmental Psychology”, 43, Elsevier, settembre 2015. 11 Kathleen Vohs, in uno studio realizzato presso la University of Minnesota e pubblicato nel 2013 sulla rivista “Psychological Science”.

3. Oltre i confini dell’ordine e dell’ordinario

Un’apertura su infinite possibilità La vita si articola in strutture ordinate, predisposte al superamento – lo chiamiamo evoluzione – dell’ordine stesso. Se non ci fosse questa libertà implicita che si sdipana nel tempo con variazioni nelle forme, il cavallo sarebbe ancora alto quanto un fox terrier, l’eohippus di cinquanta milioni di anni fa, e il nostro corpo sarebbe interamente coperto di peli. Il dis-ordine, inteso come superamento di uno schema definito “ordinato”, è la porta attraverso la quale le infinite possibilità del reale acquistano consistenza e si sperimentano dinamicamente sino a trovare le forme più adatte a una determinata situazione, per poi cambiare ancora. Anche nella nostra esistenza personale ci sono situazioni, relazioni, privilegi, lavori, competenze che rimangono stabili, assodati, inalienabili a volte per tempi lunghi, anni, anche decenni, ma è nell’ordine delle cose che prima o poi questo ordine venga scombinato, trasformato, a volte addirittura sovvertito. Per quanto confortevole, rassicurante e gratificante, almeno per alcuni, la stabilità possa essere, non sarà mai per sempre. I confini che erigiamo per proteggerci dal

cambiamento spesso si rivelano delle prigioni che ci impediscono di vedere, o anche solo di concepire, che oltre quelle mura virtuali che ci siamo costruiti ci sono innumerevoli altre possibilità. La vita non è ordine, ma neppure disordine. È una continua oscillazione tra due polarità che definiscono i confini entro i quali scegliamo di muoverci. Per vivere bene dobbiamo fare amicizia con entrambe, dobbiamo saper cogliere quando è il momento di chiudere, di stare, di consolidare, e quando è il momento di aprire, di cambiare, di avventurarci nello sconosciuto. Molto si è detto dei pregi dell’ordine, che sembra essere, tra i due, il “fratellino buono”, quanto il posato Apollo rispetto all’esuberante Dioniso. Ma il disordine è quello che si gode di più la vita, è la cicala che non segue lo stile della formica. In una variante della celebre favola di Esopo, un impresario teatrale sente la cicala cantare in un pomeriggio d’estate e, riconosciuto il suo talento, la scrittura per una tournée che la fa diventare ricca e famosa. Oltre i rassicuranti confini del consueto e delle routine, come brezza leggera o turbine travolgente, soffia il vento del rinnovamento. È una finestra che si apre su nuovi orizzonti, a volte per scelta, a volte inaspettatamente; a volte come piacevole sorpresa, a volte con drammatica e dolorosa imprevedibilità. Che ci piaccia o no, prima o poi il disordine scompiglia la nostra vita e ci porta verso nuovi orizzonti. Come sarà questo cambiamento? La differenza la faremo noi. Possiamo resistere, con grande dispendio di energie; possiamo arrenderci, rinunciando a ogni sovranità sugli eventi; o possiamo attivare nuove risorse e “collaborare con l’inevitabile”. 12 Non siamo mai inermi davanti a nessuna situazione: la nostra libertà, dice Viktor Frankl – autore del famoso Uno psicologo nei lager –, è una libertà di atteggiamento e sarà proprio il modo in cui decideremo di affrontare gli eventi,

prima di tutto, che determinerà, se non altro, il livello di stress o di entusiasmo che investiremo nella nuova situazione. Sembra facile, nei cambiamenti piacevoli – una promozione, un innamoramento, un figlio che si sposa, un invito in un paese mai visitato prima –, e in quelli meno graditi? Un incidente, un licenziamento, una perdita di qualcosa o qualcuno di caro sono eventi certamente tali da non poter facilmente essere affrontati col sorriso sulle labbra o l’allegra apertura a nuove esperienze... ma proprio quando questi cambiamenti sono inevitabili avremo bisogno di tutte le nostre risorse. Rabbia, disperazione, dolore ci sono e vanno onorati, accolti, espressi, è controproducente negarli; ma allo stesso tempo, è possibile non lasciarsi travolgere da queste emozioni, ma utilizzarle come forza motrice nell’affrontare la realtà, nella sua nuova veste. Non tormentiamoci con la domanda: “Perché mi è successo questo?”, concentriamoci su: “Ora che mi è successo questo, cosa faccio?”. Sicuramente si stanno aprendo nuove porte, nuove possibilità anche se, da vicino, è ancora difficile, molto difficile, scorgerle.

Che stress uscire dal consueto! Negli ultimi settant’anni, nel mondo occidentale, lo stile di vita è cambiato più che nei cinquemila anni di storia conosciuta. Scienza, tecnologia e la sbornia del petrolio, con la possibilità mai avuta prima di utilizzare quantità così alte di energia, hanno ribaltato strutture sociali, lavorative, familiari. Molte cose sono andate perse, molte opportunità si sono aperte. Giusto, sbagliato? Buono, cattivo? E chi può dirlo? Dell’uno e dell’altro, tutto dipende dalla prospettiva, dal punto di vista. Ogni cambiamento ha portato con sé una lunga catena di implicazioni, alcune più immediate, altre più

difficili da cogliere. Nella vita tutto è interconnesso, “non si può cogliere un fiore senza turbare una stella”... Uno degli elementi nuovi che si è imposto a tutti i livelli, è quello della velocità. Non abbiamo semplicemente abbandonato un modello di vita per adottarne un altro, abbiamo preso un andamento – parlo sempre di società urbanizzate, quelle più industrializzate e tecnologiche – in cui il cambiamento stesso è sempre più incalzante e ci obbliga a standard di adattamento che erano impensabili quando molti di noi erano ancora bambini. Abbiamo scritto con penna e pennino per migliaia di anni, la penna a sfera è stata una prima rivoluzione nel mondo della scrittura, ma ha dominato incontrastata per quasi un secolo prima di cedere il passo alle successive novità. Passando dalle tastiere sui telefoni ai touch-screen, si sono susseguiti a pochi anni di distanza diversi modi di scrivere, obbligandoci ogni volta a cambiare manualità, schemi, abitudini. E sicuramente altre invenzioni inonderanno presto il mercato, le nostre case e le nostre menti. Questa accelerazione nel ritmo di trasformazione di strumenti, pratiche, modalità, la troviamo in tutti i campi della nostra vita quotidiana: nel modo di lavorare, di viaggiare, di mangiare, di fare acquisti, di connetterci (parola che solo fino a pochi anni fa quasi non esisteva) con gli amici... una bella sfida per una struttura psicologica ancora settata su stili di vita in cui, per secoli e secoli, il cambiamento più grande nell’arco di un intero anno poteva essere l’incontro inusuale con uno straniero, l’assaggio di cibo esotico o un raccolto particolarmente abbondante. Tutto questo aumento di velocità della vita quotidiana ci obbliga a rivedere i parametri con cui reagiamo e agiamo nei confronti di eventi nuovi e inaspettati, perché il meccanismo dello stress, consolidatosi nell’arco di centinaia di migliaia di anni, nella specie Homo , ha proprio il compito di “entrare in allarme” ogni volta che accade qualche cosa di inusuale,

decodificandolo come potenziale pericolo che richiede la nostra allerta, causando così un gran dispendio inutile di energia. 13

La qualità del futuro Quando il mondo attorno a noi cambia più velocemente di quello che vorremmo, quando il disordine che percepiamo è più di quello che siamo abituati a gestire, per sopravvivere abbiamo bisogno di sviluppare una qualità che ci permetta di mantenere o di ritrovare il nostro equilibrio interno dopo un evento, diciamo trasformativo, per non dire traumatico. Per definire questa qualità necessaria è stato preso a prestito un termine presente sia in ingegneria che in ecologia: resilienza. La resilienza è “la velocità con cui una comunità (o un sistema ecologico) ritorna al suo stato iniziale, dopo essere stata sottoposta a una perturbazione che l’ha allontanata da quello stato”; 14 o, più sinteticamente, “la capacità di un materiale di resistere agli urti senza spezzarsi”. 15 Il termine è diventato sempre di più appannaggio di un’altra scienza, la psicologia, che riporta all’individuo entrambi i concetti espressi da ecologia e ingegneria: la resilienza diventa una funzione psichica, la capacità di superare i momenti critici e le avversità della vita. È un rafforzamento del proprio centro – senso dell’identità, autostima, assertività – che non fa dipendere il senso e il valore della propria vita da circostanze esterne e che quindi predispone a una capacità di riorganizzazione, interna ed esterna, di fronte a eventi inaspettati o disorientanti. La resilienza diventa una qualità indispensabile in un mondo che cambia così velocemente e che richiede continui adattamenti. È la capacità di cogliere nel disordine forme di ordine più complesso, in modo da non destabilizzarsi; è il forte baricentro interiore che sa riportarci in equilibrio

anche dopo una botta; è il senso di leadership personale nei confronti della propria vita. Le persone resilienti conoscono bene i propri talenti e accettano i propri limiti, hanno fatto amicizia con se stesse, cioè con tutte le diverse sfaccettature di sé, e sanno agire con tutte le loro energie in modo compatto. Hanno una visione della vita che riconosce al disordine un posto d’onore, non si spaventano o disperano, quindi, quando questo irrompe inaspettatamente nella loro esistenza, ma cercano di capire come domarlo, come ritrovare, nonostante l’accaduto, una nuova via, un rinnovato senso, inedite possibilità. Fare amicizia con il disordine ALLENARE LA RESILIENZA La resilienza si allena. Con esercizi piccoli, poco impegnativi, che svolti con costanza rafforzano i muscoli, allungano i tendini, elasticizzano la psiche, proprio come la palestra permette di fare col corpo fisico. Ogni qual volta fate qualcosa di diverso dal solito già vi state allenando! I disordinati partono avvantaggiati, hanno una maggiore propensione allo sviluppo della resilienza, perché questa si allena proprio abituandosi al disordine... a dosi omeopatiche. Mi creo opportunità di interazione con lo sconosciuto Molti dei comportamenti umani hanno origini molto antiche. Quando in una tranquilla tribù, di ventimila anni fa, appariva all’orizzonte un gruppo con tatuaggi sul viso di un altro colore, la reazione era di allarme, perché l’arrivo di uno straniero poteva rappresentare una seria minaccia alla soppravvivenza della comunità. I termini “straniero”, “diverso” e “minaccia” sono andati di pari passo per migliaia e migliaia di anni ed è rimasta un’associazione automatica, con tutti i pregi e i difetti degli automatismi, che sono utili in alcune circostanze, ma obsoleti e controproducenti in altre. L’antidoto è proprio quello di essere abbastanza presente a me stesso/a per riconoscere quando entra in gioco un automatismo. Quando una reazione di antipatia e repulsione si manifesta nei confronti di qualcuno o qualcosa che ho appena incontrato, ma di cui in realtà non so ancora nulla, quello che scatta non è una considerazione razionale, ma un comando automatico e atavico che nulla ha a che fare con la realtà dei fatti contingenti. Ecco come allenarmi, in queste situazioni, a oltrepassare i limiti dati dagli automatismi: 1. 2. 3.

faccio un profondo respiro, porto tutta l’attenzione all’interno, al mio sentire, riconosco il pregiudizio che emerge automatico, lo accolgo, ma scelgo di lasciarlo momentaneamente da parte, 4. porto tutta l’attenzione all’esterno,

5. 6.

mi predispongo con attenzione e curiosità a osservare e/o dialogare, offro a colui, o a ciò, che ho davanti la possibilità di manifestarsi per quello che è, 7. valuterò dopo come, effettivamente, mi risuona, che cosa mi dice, come mi fa sentire, cosa mi permette di scoprire, di imparare. Quanto più la vostra vita è regolare, con frequentazioni sempre uguali o dello stesso tipo, senza un confronto tra idee diverse, con rassicuranti certezze che regolano il procedere nell’esistenza, ecco che ogni opinione, comportamento, taglio di capelli diverso suscitano reazioni forti e irrazionali. Quanto più, nella vostra vita, vi mettete in condizione di incontrare persone, situazioni, punti di vista diversi e vi abituate alla complessità del porsi di fronte alla vita, ognuno a modo suo, tanto più vi accorgerete che non c’è alcun apparente ordine prestabilito o corrispondenza matematicamente prevedibile tra colore della pelle e umanità della persona, religione ed eticità di fondo, classe sociale e simpatia, pettinatura e competenza professionale.

Cominciare a riconoscere e accogliere il diverso da sé come parte della vita, anche quando inteso come elemento di disordine rispetto a una propria visione di ordine, rende più tolleranti verso situazioni sconosciute, allena l’adattabilità, l’elasticità mentale, la resilienza.

Senza etichette Sempre la nostra mente più antica, con la migliore delle intenzioni di semplificarci la vita, cataloga e archivia esperienze in un immenso schedario interiore, molto ordinato, in cui a ogni diversa tipologia di persona, nazionalità, etnia, idea politica, professione, corrisponde un’etichetta ben precisa, consolidatasi nel corso dell’esperienza o, peggio ancora, acquisita acriticamente da altri. Quindi a ogni interazione con figure nuove, o diverse, scatta un giudizio preconfezionato che, quando viene schiaffato senza remore addosso alla persona in questione, impedisce ogni possibilità di incontro vero e di dialogo. È solo quando si impara a sintonizzarsi sul presente, sull’esperienza stessa e non su un suo surrogato virtuale, che il pregiudizio viene sostituito da una relazione Io-Tu, 16 dalla capacità di incontrare l’altro, nel qui e ora, notandone

caratteristiche, atteggiamenti, valori che nessuna statistica o etichetta poteva prevedere. Nel pregiudizio “l’altro” viene equiparato a una “cosa”. Nel processo di conoscere un’altra persona – nell’incontrarla come un “Tu” e non come un “Esso” – scopriamo che non è facile ricondurre a una singola etichetta neppure il più incallito dei delinquenti e che qualsiasi definizione diamo di un altro essere umano, per quanto attenta e dettagliata, sarà sempre riduttiva e non esaustiva della sua complessa identità. Con le etichette noi abbiamo una visione monodimensionale degli altri e della realtà: “Tu sei così”. Con l’incontro, l’apertura e la conoscenza, scopriamo che ci sono tante sfaccettature, tante diverse etichette che potremo apporre sulla stessa persona, girandole attorno. Ecco che la visione comincia a diventare multidimensionale, scopriamo che nessuno è monolitico, preludio perfetto per riconoscere che anche noi non siamo tutti d’un pezzo, come esploreremo insieme tra poco. I disordinati sono meno propensi a cadere nell’inganno delle etichette: per natura, non catalogano. Questo si traduce in un modo più disinvolto di affrontare la vita, in cui c’è meno paura del nuovo e del diverso. I disordinati sono ormai abituati agli imprevisti, sono più pronti nell’affrontarli e anche più abili nell’aggirarli, usano strategie imprevedibili, messe a punto nell’istante presente. Spesso, al di fuori di ogni regola.

Pensare a testa in giù Non c’è un unico modo di pensare. È vero che il pensiero è una funzione logico-lineare, propria della corteccia cerebrale, considerata prerogativa dell’emisfero sinistro, quello che analizza, che scompone in fattori primi e che mette in ordine. Ma c’è anche un altro modo, opposto e

complementare, che dà una lettura sintetica della realtà, che coglie l’insieme, persegue vie non ordinarie e arriva a soluzioni inaspettate proprio perché non si muove con ordine, non affronta la realtà per categorie, non si basa sull’esperienza del passato. È il pensiero analogico, detto anche pensiero laterale, 17 perché invece di procedere dall’idea generale ai casi particolari, mette in relazione una cosa con l’altra senza alcuna sequenzialità, cercando analogie tra diversi elementi al di là di ogni ordine spaziale o temporale, sospendendo il giudizio rispetto al possibile e all’impossibile. Guarda la realtà... senza metterle etichette a priori! Il pensiero laterale procede in modo disordinato, mette in discussione presupposti, gira, rigira, inverte, capovolge l’oggetto osservato, la questione esplorata, il problema da risolvere, per guardarlo da diversi punti di vista. Si lascia distrarre da fattori casuali, mette in gioco dettagli irrilevanti, crea confronti improbabili che aprono nuove prospettive. Nascono così gli internet point nelle lavanderie automatiche in Olanda; i virtuosismi calligrafici nei computer ancora agli esordi; la genialata della matita usata dagli astronauti russi in orbita nello spazio, al posto della penna a sfera in grado di scrivere in assenza di gravità, costruita con investimenti esagerati dagli scienziati della Nasa per gli astronauti americani. Fare amicizia con il disordine COINVOLGERE L’EMISFERO DESTRO DEL CERVELLO A volte la soluzione necessaria può essere al di fuori dei confini in cui la si va a cercare, come è accaduto in quella riunione di esperti di marketing a cui era stato chiesto di aumentare le vendite di un noto dentifricio. La leggenda racconta che sia stato il barman che portava loro caffè e acqua a essersene venuto fuori candidamente con un “perché non fate il foro del tubetto più grande?”. Anche nella quotidianità può esservi utile o necessario attivare qualche risorsa in più per affrontare piccole o grandi incombenze. Ecco un po’ di ginnastica. Il pensiero laterale Questo è un test che fa parte di alcuni esami di ammissione per ruoli che

necessitano di grande apertura mentale. Quale numero manca in questa sequenza?

Pensateci un po’. Trovato? Probabilmente sì, ma se non ci siete riusciti e se pensate di non possedere abbastanza abilità con la matematica... provate a capovolgere il libro. Voglio un’altra chance? Eccola: dopo un lungo viaggio, arrivo a casa di parenti che non vedo da tempo. Il cancello si apre, entro con l’auto e la parcheggio in giardino, mi metto il cappotto per uscire e mi accorgo che poco distante, sul prato, ci sono una carota e un berretto. Che cosa ci fanno lì? Se non avete trovato la soluzione, non basterà capovolgere il libro, questa volta. Chiedete aiuto a un bambino, vi saprà sicuramente dare la risposta.

Il pensiero laterale è quello che cerca nuovi punti di vista e guarda oltre a ciò che vedono gli occhi, evita di seguire la strada più evidente, agisce con imprevedibilità. Ecco che i disordinati si trovano a essere a loro agio con questo modo di guardare il mondo e di agire in esso, perché è la loro modalità abituale, altrimenti non sarebbero capaci di ritrovarsi nel loro modo tutto particolare di dare ordine alle cose. Sono sicuramente facilitati nelle attività creative, perché le novità vanno proprio cercate al di fuori dei percorsi abituali.

Chiedere di più al cervello La realtà non si presenta tutta bella ordinata davanti a noi. Né quella interna, né quella esterna. Più ci abituiamo a convivere con l’incertezza, a tollerare che esistono punti di vista molteplici su ogni situazione, ad apprezzare il fatto che la bellezza non è necessariamente abbinata a forme regolari, a riconoscere la diversità non più come minaccia, ma come fattore vitalizzante che risveglia la nostra curiosità, ecco che siamo più presenti alla vita, alle sue leggi, al suo divenire spesso caotico, senza avere la pretesa di ricondurre eventi e persone a regole, leggi e schematizzazioni.

Questo atteggiamento ci predispone a inserirci nel flusso con mosse e decisioni che non sono ispirati necessariamente da un ragionamento logico, ma che provengono da una istintiva e intuitiva capacità di fare esattamente quel passo necessario per raggiungere la nostra meta, anche quando la direzione non sembra essere quella giusta. Come nel labirinto di Chartres o in quello di Guingamp, 18 in cui per avvicinarsi al centro si fanno innumerevoli rotatorie in tutte le direzioni possibili e lo si raggiunge proprio dopo un lungo percorso in direzione opposta che, inaspettatamente, ripiega nella direzione desiderata.

I disordinati, abituati al fatto di essere circondati da situazioni e strutture non lineari, hanno maggior facilità nell’affrontare la vita con tutte le sue circonvoluzioni, hanno un cervello più all’erta, perché deve sempre impegnarsi per focalizzarsi su ciò che sta facendo. Sono più portati a riconoscere l’imprevedibilità degli eventi e non si aspettano, per principio, che le cose vadano come le hanno programmate. Chi è abituato a ragionare in termini di “ogni cosa al suo posto” e di verità bianche o nere ben allineate nei corridoi della mente e pronte per l’uso nella quotidianità,

potrebbe fare più fatica ad adattarsi ai cambiamenti, inevitabili nelle piccole e grandi cose. Chi vive il cambiamento ogni giorno, senza appoggiarsi ogni volta a mappe predefinite, ma costruendole e adattandole volta per volta, è più allenato a trovare ogni volta strategie inedite. Non solo è più sintonizzato sulle leggi della vita ma, anche sotto pressione, sa prendere più facilmente una decisone, perché è abituato a essere lucido nel valutare, ogni volta di nuovo, le situazioni in cui si trova.

Il “fuori dall’ordinario” innalza il sistema immunitario Nel suo lavoro prima di danzatrice e poi di conduttrice di percorsi di crescita personale attraverso la danza, Anna Halprin inserisce un lavoro a coppie in cui si alternano “scultori” e “sculture”. Ognuno modella il compagno in posture non usuali, indirizzandolo verso uno schema di movimento assolutamente al di fuori delle sue abitudini. Dopo questo input, la coppia danza liberamente insieme esplorando figure e sequenze elaborate in un modo nuovo per entrambi. Questa attività, spiega la coreografa californiana, oltre a stimolare la creatività dei danzatori, ha l’effetto collaterale... di innalzare le difese del sistema immunitario. Una scoperta fatta nell’ambito di un progetto di attività corporea e creativa rivolto a un gruppo di pazienti affetti da Aids. Sottoposti a frequenti esami, i suoi allievi avevano riscontrato che dopo ogni sessione di danza il loro sangue registrava una quantità maggiore di linfociti T, che giocano un ruolo rilevante per il funzionamento del sistema immunitario. Dopo questa constatazione casuale il fatto è stato sottoposto a monitoraggio più accurato e ha confermato la connessione. Ogni qualvolta assumiamo una postura diversa dall’ordinario, il sistema immunitario entra in stato di allerta. Poi l’allarme rientra, perché la novità

viene considerata innocua, ma nel frattempo c’è stato esercizio e stimolo delle capacità del corpo di reagire – un po’ come fare frequentemente prove antincendio in una scuola o in una fabbrica – tonificando così l’intero organismo. È verosimile che tale constatazione possa essere espansa da semplici posizioni corporee a ogni azione, attività, frequentazione che esulano dalla norma, dalla routine. Fare cose diverse dal solito fa bene. Confrontarsi con realtà inusuali tiene sulle corde, in allenamento, in stato di allerta e questo stimola il nostro sistema immunitario, lo rende più pronto ad affrontare l’imprevisto, perché è allenato. Naturalmente, a condizione di non eccedere. Il segreto del Tao del disordinato è riconoscere che entrambe le polarità hanno pregi e difetti, vantaggi e svantaggi, e quando eccediamo, sia da una parte, sia dall’altra, si creerà una situazione di squilibrio, che tenderà a ribaltare la situazione. Troppo allenamento, anche nel confrontarsi con l’inaspettato, si traduce, in molte professioni, in burn out , esaurimento che richiede, dopo troppo disordine, un periodo di riposo, di stasi, di estremo ordine, sino al recupero delle forze. Essere disordinati può alzare le difese, senza però superare i limiti dati dal buonsenso o dal proprio margine di tolleranza dell’ignoto: le dosi sono personalizzate, ognuno deve imparare a conoscere i propri limiti e le proprie necessità.

Cupido scombina l’ordine Anche l’amore, non solo la salute, si gioca tra questi due poli cruciali, tra la stabilità indispensabile per trasformare un incontro fortuito in una relazione e la disponibilità a scegliere ogni giorno di nuovo di stare insieme, a rinnovare la complicità, riossigenare l’intimità, senza impantanarsi nell’abitudine, senza mai dare l’altro per scontato, senza

perdere la curiosità di poter ancora conoscere qualche cosa di nuovo dell’altro e con l’altro. Prima ancora di parlare di relazione, arriva la freccia di Cupido che scombina, spesso del tutto inaspettatamente, routine ormai consolidate attraendo due persone in un vortice ricco di potenzialità, come sempre succede quando due mondi si incontrano ed entrano in dialogo. Fare amicizia con l’ordine I PRESUPPOSTI PER UNA RELAZIONE SOLIDA Affinché la passione di un momento acquisisca continuità e spessore entrano in gioco spinte ordinanti che si esprimono in termini di sintonia e sinergia. Il benessere della futura coppia dipende anche dall’accordo su alcuni elementi cruciali e da un ampio margine di dialogo e reciproca accettazione sulle differenze. Anche se queste non sono considerazioni che di solito avvengono a tavolino, vale la pena spenderci un po’ di attenzione per valutare quali e quanti siano i presupposti per avventurarsi in un progetto di vita condiviso. Una verifica su quattro piani Quali sono i diversi piani e quali gli elementi in gioco, importanti da monitorare? Sul piano fisico : attrazione e compatibilità di ritmi. Su quello emotivo : capacità di rispondere ai bisogni reciproci e di gratificarsi vicendevolmente: ascolto, sostegno e rispetto da entrambe le parti. Su quello mentale : similitudine, integrazione o perlomeno compatibilità di idee e interessi. Su quello spirituale o etico : visione condivisa del mondo, dei valori, del senso della vita. Più affinità e complementarietà c’è in tutti questi piani tra le due persone in gioco, più i presupposti sono buoni per creare e far crescere una relazione. Ma, come vedremo... non basta.

L’ordine favorisce il consolidarsi di una storia d’amore tra due persone che scelgono di condividere un pezzo di vita insieme anche in modo più significativo, ma è il disordine che tiene la storia sempre viva. La scintilla irrazionale, disordinante, dell’innamoramento non va pensata come un evento confinato nel tempo, come una prerogativa della sola fase iniziale, deve rimanere protagonista nella relazione, per mantenerla sempre vitale, ricettiva, resiliente. Non a caso si parla di “coltivare” le relazioni, indirizzando

così l’attenzione verso tutte quelle attività che rendono un giardino piacevole e funzionale. E non è difficile, bastano piccoli gesti, piccoli accorgimenti. In primis la gentilezza, che è stata riconosciuta, in uno studio realizzato negli anni novanta sulle coppie di lunga durata, come fattore trasversale principale presente in tutte le situazioni esaminate, nonostante la loro diversità. E poi – ed ecco che ritroviamo l’energia caotizzante di Cupido – la capacità di inserire elementi di novità nella routine quotidiana per non scivolare nell’appiattimento della consuetudine, per mantenere in esercizio il sistema immunitario della relazione. “Per riaccendere il desiderio all’interno della relazione, fai qualcosa di diverso dal solito. Fai qualcosa che il tuo partner non si aspetta. Certo, sarà spiazzato, ma solo cambiando le abitudini riuscirai a riaccendere la passione all’interno della tua relazione”. 19

Qualcosa sul jazz Imparare a convivere e a collaborare col disordine non è solo una questione di atteggiamento interiore – quando viene finalmente riconosciuto come qualche cosa di potenzialmente buono per noi – ma anche di pratica quotidiana. Il disordine non va eliminato, va domato e cavalcato per percorrere in comodità grandi distanze nella vita, rappresenta un’opportunità di evoluzione rispetto allo status quo, un’apertura su infinite possibilità. “Caminante, no hay camino se hace camino al andar” , recita una famosa canzone di Joan Manuel Serrat, in un disco dedicato ad Antonio Machado, il famoso poeta spagnolo autore dei versi: “Il viandante non ha una strada, se la crea camminando la sua strada”. La vita richiede di non fare eccessivo affidamento a routine preconfezionate e di prepararsi a mille eventualità, eseguendo e sperimentando allo stesso tempo, in una negoziazione continua tra ordine e

disordine, tra analisi e sintesi, tra armonia e dissonanza. C’è chi suona solo leggendo lo spartito e chi ha la capacità di improvvisare interagendo sinergicamente con la situazione o con i compagni, come nel jazz. Non è senza regole, questa forma musicale, è oltre le regole. Richiede una grandissima capacità di ascolto, una totale presenza a se stessi, agli altri e all’istante presente, che si traduce in improvvisazione, nella possibilità di lasciarsi agire senza governare il risultato, nel considerare gli errori come opportunità di apprendimento, i presunti difetti come originalità irripetibili. Come in quel concerto in cui, dopo una stecca clamorosa di un suo compagno di band, Miles Davis inserì quella dissonanza nella continuazione del brano, creando qualcosa di nuovo e di inaspettato che finì col rivelarsi un successo. Come lo scultore che trasforma un nodo del legno nel pregio della sua scultura, valorizzandolo invece di nasconderlo. Come Gorbaciov che licenziò l’addetto alla promozione della sua immagine che lo ritraeva solo da angolazioni in cui la sua voglia rossa sulla fronte non si vedeva: “Non hai capito nulla,” gli disse, “questo sono io, è con questa mia peculiarità che voglio presentarmi al mondo”. Il Tao del disordinato non è uno sconsiderato agire senza logica, ma nasce dalla capacità, dopo avere conosciuto le regole, di scegliere quando infrangerle, avendo ben chiara la “visione non negoziabile” e mantenendosi ben ancorati al proprio centro e guardando la situazione non come evento, ma come processo dinamico. Questa presenza si traduce in un “riflettere mentre si avanza”, dando voce a tutte le possibili prospettive, coltivando la fiducia di essere in grado di risolvere ogni questione, in qualche modo. Non a caso la metafora del jazz ben si presta come guida e suggerimento per l’ambito aziendale, in cui flessibilità, cambiamento e innovazione rappresentano sfide quotidiane, e in cui l’invito ad alternarsi negli assolo e a sostenersi a vicenda – invece di indebolirsi tutti con la competizione e la conflittualità – si

rivela sempre più essere una modalità di lavoro funzionale, gratificante e produttiva.

Hic sunt dracones “Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia”, fa dire Shakespeare al suo Amleto, in un monito utile oggi più che mai. Oggi, che grazie alla scienza, alla tecnologia, ai microscopi e ai telescopi abbiamo forse l’impressione di avere indagato tutto quello che c’è da conoscere, è importante ricordare che quello che noi sappiamo della realtà in cui viviamo è ancora molto limitato. L’origine della vita, il senso della nostra esistenza, eventuali realtà parallele, quello che c’era prima e quello ci sarà dopo il nostro passaggio sulla Terra, la presenza o meno di un principio assoluto che con la mente non riusciamo a cogliere... è tutt’ora un mistero. “Misterium tremendum et fascinans” , lo ha definito il teologo tedesco Rudolf Otto, il “totalmente Altro”. Nella cosmogonia tolteca, quella degli sciamani del Centro-America, la dimensione in cui viviamo è limitata alla rappresentazione della realtà che ognuno di noi si fa a partire dai nomi che impariamo a dare alle cose. Quella in cui viviamo non è la realtà nella sua totalità, ma è un’isola, l’isola del tonal , che si erge solitaria immersa in un oceano ben più vasto, nel nagual . “Per il nagual non c’è descrizione, non parole, non nomi”, 20 è tutto ciò che il nostro cervello non è settato per cogliere, è tutto ciò che non vediamo, non sentiamo, di cui non siamo consapevoli; è la realtà che esiste oltre la soglia della nostra percezione, è... il grande disordine. La netta separazione tra il nostro mondo visibile/tangibile e i livelli altri di esistenza invisibili/impalpabili è propria della nostra cultura occidentale contemporanea. Non è sempre stato così e non è così per tutti. Nella tradizione

nativa europea, per esempio quella celtica, l’esistenza di una dimensione incorporea parallela a quella della quotidianità era integrata nella mappa della realtà. Questa dimensione era riconosciuta come potenzialmente accessibile a tutti e la ricerca e il consolidamento di un ordine – sociale, economico, religioso – avveniva in dialogo e in sintonia con questa realtà immateriale. Erano le persone a essa più sensibili che diventavano druidi, gli sciamani europei, che avevano il dono e il compito di orientare le comunità terrene verso il rispetto di un ordine delle cose più ampio. Nelle mappe del Cinquecento, quando solo una parte delle terre emerse era nota, oltre i confini del mondo conosciuto veniva collocata la scritta “hic sunt dracones” , “qui ci sono draghi”, per descrivere il limite oltre il quale dimorava lo sconosciuto. È proprio una questione di mappe, infatti, e di nomi. Solo quando diamo a qualcosa un nome, possiamo includerlo nella nostra visione del mondo e interagire con esso. È bastato che Freud coniasse il termine “inconscio” per legittimare nuovamente la consapevolezza di una dimensione ben più ampia in cui inscrivere la nostra identità, e con il termine “subconscio” ha anche riconosciuto che esiste un territorio di confine in cui il dialogo diventa possibile, quando impariamo ad affacciarci oltre i limiti della percezione ordinaria del mondo in cui viviamo e, soprattutto, del mondo che siamo. Fare amicizia con il disordine LA PREZIOSA COLLABORAZIONE CON L’IGNOTO Provate ad ampliare la vostra mappa di riferimento e offritevi l’opportunità di esplorare maggiori risorse sulle quali poter fare affidamento. Attingere ispirazione in profondità La mia mente ha tante potenzialità ancora inesplorate o poco esercitate. Tra queste la possibilità di attingere a serbatoi di saggezza interiore molto profondi, se soltanto riconosco la loro esistenza, se creo situazioni adatte per potermi connettere con questi livelli di coscienza non ordinaria. Ecco alcuni spunti. La notte porta consiglio Prima di andare a dormire mi concentro su una questione che ho a cuore e sulla quale non so... che pesci pigliare. Mi prendo il tempo di scrivere

qualche frase per formulare con chiarezza il mio dubbio. Carta e penna devono essere pronte anche vicino al letto, nel caso che al mattino, riemergendo dal sonno, ci sia già qualche spunto utile. Rispondere al saluto di un albero La natura è da sempre fonte di ispirazione, luogo in cui è possibile lasciarsi dietro pensieri convenzionali e aprirsi a nuovi punti di vista, a diverse possibili soluzioni. Mi cerco uno spazio e un tempo che posso dedicarmi completamente e, svuotando la mente dai pensieri, mi focalizzo sulla bellezza che mi circonda. Una volta che sento di essermi coinvolto/a al punto giusto sui dettagli del paesaggio, cerco un interlocutore al quale confidare i miei dubbi, le mie domande, il mio sentire. Un interlocutore naturale, che mi ascolterà senza interrompere e che forse avrà anche qualche cosa da dirmi. 21 Il potere della sincronicità Con l’intenzione di trovare consiglio, mi concentro su una questione che mi coinvolge e scelgo un libro a me caro, di qualsiasi tipo di lettura si tratti. Con la situazione bene chiara in mente, apro a caso il libro e cerco connessioni tra il primo paragrafo su cui mi cadono gli occhi e il mio problema. Più serio e concentrato sarà l’intento, più interessante sarà il risultato. Non sono esplorazioni ordinate, né logiche, queste. Ma anche la vita non è iscrivibile in queste categorie e per viverla bene, occorre un pizzico di magia.

Viviamo in un’isola d’ordine che a sua volta è in un oceano la cui natura e le cui regole sfuggono alla nostra comprensione. A cosa ci serve questa inquietante ma anche avvincente considerazione? A “sapere di non sapere”, come diceva il buon Socrate, a non chiudere la nostra mente in rassicuranti risposte, di qualsiasi natura siano – scientifiche, religiose, esoteriche –, ma a mantenere sempre all’erta il sentire e il riflettere. Anche per non sentirsi sbagliati quando si vivono esperienze che esulano dalla cosiddetta normalità, per le quali non ci sono ancora mappe, strumenti adatti, teorie a cui far riferimento. “Gli uomini non conoscono la propria essenza e sono colmi di incredibili risorse che non utilizzano mai,” dice ancora Don Juan. L’importante non è trovare risposte, ma tenere vive le domande. Forse un giorno sapremo orientarci oltre i confini dell’attuale visione del mondo, e potremo dare un senso diverso alla nostra esistenza. Al momento, possiamo solo mantenere la mente aperta e sapere che, oltre all’ordine, esiste anche un inconoscibile caos, che forse attende

soltanto di essere esplorato. Ma non è più il tema di queste pagine.

Disordine e felicità Qual è la connessione tra disordine e felicità? La felicità non è qualcosa di materiale, visibile e quantificabile, non dipende dal codice genetico, dalla famiglia di appartenenza, dalla cultura, dal livello di istruzione o dal conto in banca. Non dipende neppure dagli eventi, ma dal modo con cui scegliamo di rispondere agli eventi, è uno “stato della mente” – la definisce il filosofo Salvatore Natoli –, è proporzionale agli orizzonti della mappa con cui guardiamo la vita, al senso che diamo al nostro esistere e, soprattutto, all’intensità con cui anche gli altri fanno attivamente parte di questo esistere. La felicità è connessa al saper accogliere la vita nel suo dinamico divenire con leggerezza, senza l’attesa che tutto rientri in uno schema predefinito, ma con la capacità di essere completamente presenti all’istante presente, a un presente sentito come ricco di senso in cui non si è solo spettatori ma anche protagonisti. Quello di cui abbiamo tutti davvero bisogno è di essere visti e riconosciuti per ciò che siamo e di poter vivere ed esprimere la nostra identità profonda. Siamo felici quando esprimiamo il nostro potenziale creativo, la libertà di rispondere in modo sempre nuovo, per essere e divenire in sinergia con gli altri, con il mondo. Per raggiungere e consolidare questo stato di coscienza, contribuiscono efficacemente tutte le abilità date dall’allenamento a una pacifica convivenza col disordine. Paradossalmente potremo essere felici quando ci libereremo dalla paura di perdere ciò che ci rende felici, non perché diventiamo rinunciatari, ma perché capiamo che quello che ci rende felici viene da dentro e non da fuori e che

nessuno ce lo potrà mai togliere, anche se nessuno ci potrà garantire per quanto tempo riusciremo a mantenerci in questo stato di grazia. La felicità, intesa come capacità di vivere pienamente e con gioia, può far parte della nostra esperienza per istanti, ore, giorni, mesi o anche anni. O anche per tutta la vita. È una potenzialità che risiede nella nostra complessa e poco conosciuta natura umana. Rientra in quanto di invisibile e intangibile alberga dentro di noi e ci spinge a tradurre in azione ciò che siamo. Si rivela una nuova chiave per la felicità: quando sentiamo di incarnare ciò che siamo, ciò che possiamo diventare, la qualità del nostro sentire fa un balzo quantico e ci porta a un livello diverso di visione della realtà, oltre ogni prevedibile definizione, oltre ogni schema e struttura, oltre ogni ordine prestabilito. Cominciamo quindi col disordinare l’idea stantia e, generalmente, limitata che abbiamo di noi stessi e apriamoci a una visione più ampia di chi siamo. È un buon modo di avviarsi verso la felicità. 12 Roberto Assagioli, medico e psichiatra italiano (1888-1974), fondatore della Psicosintesi, che ha promosso una visione plastica e dinamica dei processi della psiche e la fiducia nell’ampio potere di autodeterminazione che il singolo individuo può imparare ad acquisire sulla propria vita. 13 Marcella Danon, Stop allo stress. Guida pratica per gestire meglio tempo ed energia , Urra-Feltrinelli, Milano 2012. 14 Enciclopedia Treccani. 15 Dizionario della lingua italiana Sabatini Coletti, Rizzoli Larousse, Milano 2005. 16 Il principio dialogico di Martin Buber sottolinea la predisposizione dell’essere umano per l’incontro e la relazione. Due sono le tipologie di relazione possibili. Nella prima (Io-Tu) c’è il dialogo, il reciproco riconoscimento, incontro, scambio, in una posizione di parità; nella seconda (Io-Esso) c’è il monologo, l’incapacità di percepire l’altro su uno stesso piano esistenziale, c’è disincontro. L’uomo non può vivere senza dialogo, secondo Buber, e chi non sa incontrare l’altro come un Tu non è ancora pienamente umano. 17 E. De Bono, Essere creativi. Come far nascere nuove idee con le tecniche del pensiero laterale , Il Sole24Ore, Milano 1998.

18 Nel portico esterno della Basilica Notre Dame de Bon-Secours, Guingamp, in Bretagna, nel Nord-ovest della Francia, c’è un labirinto in granito bianco e nero, realizzato nel 1854, che rappresenta “il cammino tortuoso che porta alla realizzazione della propria ricerca interiore”. 19 Ettore Amato, L’amore non fa soffrire , Uno Editori, Orbassano 2015. 20 Carlos Castaneda, L’isola del Tonal , Rizzoli, Milano 1975. 21 Questa è una delle esercitazioni di Ecopsicologia Applicata che vengono proposte, all’aperto, per esplorare momenti di connessione più profonda con se stessi e con la natura.

4. Chi sono io... davvero?

Uno sguardo dentro Quando lo sguardo si sposta da fuori a dentro, tutti i parametri ordinari si dissolvono, ci affacciamo a un’altra dimensione, poco conosciuta, di cui dobbiamo ancora imparare a conoscere regole e linguaggi. La mente, con la quale tendiamo a identificarci, non abbraccia la totalità del nostro “dentro”, c’è molto di più da conoscere. Fanno parte di noi anche sensazioni fisiche, i messaggi del corpo nell’esercizio delle sue funzioni, nell’interazione col mondo esterno, nella difesa da elementi nocivi per l’ecosistema fisiologico. Ci sono, poi, emozioni, stati d’animo, umori, che hanno una natura più sottile ed evanescente. Dentro di noi, sì, ci sono anche pensieri, ragionamenti, convinzioni utili, inutili o limitanti; cardini dell’intelletto più o meno pronti ad aprirsi e chiudersi in base alle situazioni. Ci sono la nostra visione del mondo e il senso che diamo alla nostra vita – la vision e la mission –, i valori sui quali costruiamo la nostra esistenza. E poi c’è un centro, “il centro”, cardine cruciale del dialogo fra dentro e fuori, il più difficile da riconoscere, il più importante da rafforzare. Acquisire dimestichezza con la variegata e dinamica molteplicità del nostro mondo interiore è un passo

importante nella nostra evoluzione individuale e di specie, perché prepara ad affrontare la vita nel suo dinamismo, riconoscendo nel disordine non un antagonista, ma una componente vitale connaturata al fatto stesso di esistere. Imparare a guardarci dentro non vuol dire mettere in ordine là dove c’è disordine, ma è il primo passo per far emergere una visione d’insieme capace di onorare la complessità del nostro sentire, del nostro essere. Per raggiungere questo obiettivo diventa importante frequentare spesso gli spazi interiori in cui avvengono il dialogo e lo scambio tra tanti diversi piani, per predisporci a conoscere chi siamo, pur sapendo che quello della crescita personale è un processo in divenire, un’impresa che non avrà mai fine. “Fare ordine”, parlando di ciò che siamo e non più di ciò che facciamo, vorrà dire sapersi affacciare a questa dimensione interiore e riconoscere il nucleo della nostra unicità, la nostra ghianda come James Hillman chiama quell’essenza che è nostra sin dalla nascita e che in diversi modi si può esprimere e realizzare nel suo divenire. Quindi “ordine e disordine”, parlando di interiorità, saranno riferiti a quanto siamo coerenti o meno con la nostra natura più autentica. Una natura di per sé sempre degna, magnifica e piena di talenti, dipenderà poi da noi come la tradurremo in azione, giorno per giorno. Come si fa a conoscere se stessi? La mappa non è il territorio, ma una buona mappa può favorire l’orientamento. Mettiamoci in viaggio.

Il paesaggio interiore “Sono immenso, contengo moltitudini, mi contraddico.” In queste poche parole, 22 il poeta Walt Whitman, meglio che in qualsiasi trattato di psicologia, esprime l’essenza inafferrabile del nostro essere nel mondo. La nostra natura interiore è complessa, quanto quella della natura esteriore,

ma questo non vuol dire che sia inconoscibile, vuol soltanto sottolineare che occorre un po’ più di tempo, attenzione e dedizione all’impresa per cominciare a capirci qualcosa. La nostra realtà interiore, l’insieme complesso di tutto ciò che siamo, non può essere racchiuso in qualche semplicistica definizione, né essere liquidato con un paio di sgargianti etichette. Soltanto il multiforme paesaggio di un pianeta vitale, vasto e variegato come la Terra può diventare metafora adeguata alla ricchezza e molteplicità dell’interiorità di ogni singolo essere umano. Nonostante l’assoluta unicità di ogni singolo pianeta, nella “galassia umanità” ogni singolo individuo ha in sé combinazioni diverse di habitat simili: aree selvatiche e aree urbanizzate, fitte foreste e regioni pianeggianti, grotte profonde con probabili tesori sconosciuti e vette immacolate, spesso poco frequentate. Come fare amicizia con il disordine I QUATTRO ELEMENTI DEL PIANETA IO State nella metafora del pianeta col suo paesaggio variegato. Entrate nel gioco! I quattro elementi, di alchemica memoria, si riveleranno un’ottima metafora per descrivere il paesaggio del mondo che siete. Le prime pagine di un atlante interiore 1. Provo a esplorare la qualità di relazione che ho con i diversi elementi – terra, acqua, aria e fuoco – che compongono il pianeta Terra. Quali mi piacciono di più? Con quali di questi entro più facilmente in dialogo? Mi concedo qualche momento di riflessione, prendo qualche appunto scritto sulla mia relazione con ognuno di essi, su come li vivo, su quanto e come sono presenti nella mia vita. 2. Ora sposto l’attenzione su ciò che sono io, su come sento di essere. Come si avvicendano e combinano in me questi quattro elementi: terra, acqua, aria e fuoco? Sto ancora un po’ nella metafora del complesso mondo che sono, del Pianeta Io: qual è il paesaggio del pianeta che sono? Se avete voglia di stare ancora un po’ nel gioco, sbizzarritevi con la fantasia e descrivete – a voce, con chi volete, per iscritto o con un disegno –, come se foste un cartografo esploratore, il paesaggio del vostro multiforme mondo interiore nelle sue diverse combinazioni dei quattro elementi 23 . Questo è un gioco che potete fare con un gruppo di amici o con i vostri figli. Un modo per onorare la vostra unicità.

Esplorando il nostro paesaggio interiore, la mappa dei quattro elementi ci può offrire una chiave di lettura per

comprenderci meglio. Quando descriviamo la relazione che abbiamo con l’elemento terra , spesso è anche del nostro corpo che stiamo parlando. Potremo scegliere di migliorare l’attenzione e il rispetto del nostro corpo facendo amicizia con la terra, riconoscendo che il corpo fisico ha per noi la stessa valenza che l’elemento solido ha per il Pianeta, e viceversa. Cosa succede per l’acqua ? Rappresenta la dimensione emotiva, fluida e vitale, fonte di benessere ed energia quando ben regolata, potenziale fonte di distruzione quando compressa a lungo sino al punto da sfuggire a ogni possibile controllo. Fare amicizia con l’acqua vuol dire lasciarla scorrere quando possibile e contenerla quando necessario. L’aria rinfresca o riscalda, trasporta e diffonde semi, accarezza dolcemente o travolge con la violenza di un ciclone. Può essere pulita o inquinata, profumata o viziata, libera di fluire sul paesaggio o incanalata in correnti distruttive. Il fuoco ravviva, scalda, illumina, trasforma, distrugge e predispone alla rinascita. C’è una scintilla interiore, in ognuno di noi, che rimane sempre accesa a testimonianza della nostra eredità delle stelle; custodita negli anfratti più profondi del nostro essere è pronta a divampare una volta riscoperta e ossigenata. Riappropriarci di questo nostro fuoco può trasformare la vita, può illuminare la nostra strada e scaldare i nostri cuori come nient’altro sa fare, dà un senso più alto a ciò che siamo e facciamo. Come fare amicizia con l’ordine ESPLORARE I QUATTRO PIANI Ora che avete una chiave di lettura per esplorare il paesaggio del vostro Pianeta Io, provate a chiedervi dove vi collocate, nel continuum ordine/disordine, in ognuno di questi piani interiori. A che punto sono? Uso la mappa già esplorata nel capitolo 2 e cerco quale aggettivo sento adatto, allo stato attuale, riferito a ognuno dei quattro elementi del mio mondo interiore. Verifico a quale stadio di ordine/disordine mi sento, attualmente, per ogni elemento.

Chiedetevi se il livello in cui vi trovate, per ogni diverso elemento, vi soddisfa o se vi piacerebbe spingervi e consolidare competenze in una direzione piuttosto che nell’altra.

Uno, nessuno e centomila Il paesaggio interiore è il palcoscenico sul quale si avvicendano gli innumerevoli abitanti del Pianeta Io. Non siamo fatti tutti di un pezzo, ma di tante diverse sfaccettature di personalità. Superman e la piccola fiammiferaia sono in ognuno di noi, insieme a tanti altri, e vedremo che la salute mentale è arricchita e non certo minata da questa molteplicità, a condizione di imparare a coordinarla con intelligenza ecologica, cioè con la capacità di prendere in considerazione anche il contesto in cui ci si trova e l’impatto del proprio comportamento sull’intero sistema. Tutto ciò che di noi stessi conosciamo, lo possiamo controllare, dirigere, trasformare; è quello che non vogliamo vedere, e che non sappiamo riconoscere e accettare, che può prendere inaspettatamente il sopravvento e venir fuori nel

momento e nel modo meno opportuni. Conoscere se stessi non è un’oziosa attività per aspiranti filosofi, è un requisito fondamentale per stare bene con se stessi e con gli altri. Fare amicizia con il disordine GLI ABITANTI DEL PIANETA IO Chi sono questi famosi abitanti, come potete individuarli e cosa vuol dire conoscerli e metterli in dialogo fra loro? È importante assegnare loro un nome. Potete fare riferimento al ruolo che impersonate nelle diverse situazioni: “il genero”, “la suocera” ecc.; ma se volete divertirvi dategli un soprannome spiritoso: il mio abitante “Bastian contrario”, la mia abitante “signorina Rottenmaier” ecc. Ecco come identificarli. Il censimento ha inizio Comincio a costruire il mio elenco, carta e penna alla mano. Quali e quanti abitanti sento più presenti in questo momento della mia vita? Ne faccio una lista, ognuno col suo soprannome. Sarà una lista destinata a crescere e a modificarsi nel corso del tempo, ma è il modo più efficace per orientarmi nel mio mondo interiore, per avvicinarmi a una più ampia e profonda comprensione della complessità del “chi sono io”. Mi accingo a creare una mappa che mi accompagnerà d’ora in poi nel mio dialogo interiore. I ruoli familiari Elenco i diversi ruoli che rivesto in famiglia: figlio, sorella, fratello, madre, padre, suocera, nuora, genero, nonna, cognato... e mi accorgo che a seconda del “cappello che indosso” ho un diverso modo di sentirmi e di comportarmi. Le figure professionali Entrano in gioco i ruoli lavorativi che incarno nei diversi momenti della giornata o dell’anno: insegnante, giudice, idraulico, sindaco, guida di trekking, architetto, amministratore delegato... I ruoli sociali Sono ancora lontano/a dall’avere esaurito tutti i diversi possibili abitanti del mio Pianeta Io, ci sono anche gli svariati posti che occupo durante la giornata e nelle diverse situazioni: pedone, automobilista, contribuente, disoccupato, pendolare, turista, consumatore... Gli hobby Ogni mia occupazione ha un abitante ben preciso che la svolge: pittore, motociclista, suonatore, allevatore di farfalle, collezionista d’arte, lettore di fantasy. Le età Sono ancora vive in me figure connesse alle diverse età della mia vita: il bambino interiore, l’adolescente ribelle, il giovane che si affaccia speranzoso alla vita, l’uomo e la donna ormai maturi e anche il vecchio saggio, anche se non sono ancora... né vecchio/a né saggio/a. I tratti di carattere Il modo con cui mi relaziono con gli altri, mettendo in campo, per esempio, l’abitante simpatico, introverso, seduttivo, cinico, ottimista, “faccio

tutto io”, scaricabarile, lamentoso, avventuroso... la lista può diventare veramente lunga!

Ho scritto questo libro con l’apporto del “grillo parlante”, sempre pronto a mettere i puntini sulle “i”, ma anche con l’aiuto del “bardo”, che ama narrare e condividere. Ha contribuito la “visionaria”, sempre sulle punte dei piedi in cima alla collina per cogliere cosa appare di nuovo all’orizzonte, ed è entrata in gioco la “statista”, perché per scrivere un libro organizzazione e ordine mi sono stati indispensabili. Questi per me, e quelli che ognuno di voi ha ora appena individuato per sé, sono solo “cappelli”, sono ciò che facciamo con ciò che siamo. La nostra identità non si esaurisce in nessuno di questi, neppure in un ruolo importante come quello di madre: io non “sono” mamma, io “faccio” in questo momento della mia vita la mamma. Perché è importante questa distinzione? Perché questi ruoli, così come quelli professionali, non sono legati all’essere, ma al fare, e sono a termine. La nostra identità non riguarda singoli aspetti di noi stessi, ma la totalità di essi, e oltre. Chi per tutta la vita si è definito “un pilota dell’aeronautica militare”, “un ingegnere capo”, “la direttrice della scuola”... quando poi va in pensione o, malauguratamente, perde il lavoro senza essersi preparato adeguatamente, senza avere nutrito altri abitanti pronti a venire alla ribalta, si troverà in seria difficoltà. Ecco che diventa importante, per fare “ordine dentro”, capire qual è il punto fermo, super partes , attorno al quale ruotano tutti i diversi abitanti e in cui si esprime l’essenza della nostra identità.

Il baricentro della bicicletta Uno, nessuno e centomila è un classico della letteratura italiana. Luigi Pirandello e Roberto Assagioli si conoscevano e questo romanzo è citato in uno dei testi base della

Psicosintesi proprio parlando del nostro animo molteplice. Siamo “uno”, perché così ci sentiamo, siamo “centomila” perché le sfaccettature di personalità che ci contraddistinguono sono davvero tante e siamo “nessuno” perché il nostro centro è impalpabile quanto il baricentro di una bicicletta. Questo centro lo sperimentiamo in tantissimi momenti della nostra vita: ogni qualvolta ci sentiamo completamente presenti a una situazione, quando assaporiamo a fondo qualcosa, facciamo una scelta sentita e non automatica, ci mettiamo in discussione, ci chiediamo che cosa è giusto fare in una determinata situazione, siamo molto attenti a quello che stiamo facendo, pratichiamo uno sport, siamo coinvolti in qualcosa da cui dipende la sicurezza nostra o altrui, in un’attività creativa che ci assorbe completamente. In questo centro si manifesta la magia del nostro essere senzienti, presenti, consapevoli, potenzialmente liberi dalle costrizioni dell’istinto, artefici di buona parte del nostro destino, dotati del potere di creare e del dovere di essere responsabili per ciò che facciamo. È qui che si esprime la peculiarità dei sapiens , la capacità di autodeterminarci, come individui e, conseguentemente, come specie. Una componente importante, quindi, del nostro essere, che possiamo imparare a conoscere e potenziare per governare il Pianeta Io, noi stessi. Possiamo coordinare funzionalmente i nostri diversi abitanti proprio come fa un direttore d’orchestra, che non è “nessuno” degli strumenti musicali e non emette nessun suono che gli sia proprio, ma che fa un lento, progressivo, indispensabile lavoro di conoscenza, valorizzazione e integrazione della molteplicità di suoni sotto la sua guida, dando ritmo, forma e sequenza alle possibili combinazioni musicali, in diversi contesti. Rientrando nella metafora del Pianeta, in cui si esprime la nostra esuberante personalità, stiamo parlando del Signore/Signora del Pianeta Io, del leader.

Fare amicizia con l’ordine IL CENTRO COORDINATORE DEL PIANETA IO Non è facile, a parole, descrivere il centro, questa inafferrabile parte dell’essere, cardine tra mondo interno e mondo esterno. Non si vede, non si sente, non ha forma, ma agisce. È la capacità di non identificarvi con manifestazioni transitorie di voi stessi – pensieri, emozioni, situazioni specifiche, singoli abitanti –, di avere una chiara e distaccata visione della situazione in cui vi trovate, nell’istante presente, e delle sue possibili evoluzioni. È quel punto misterioso da cui entra in gioco la volontà. Mi centro! Per allenare la centratura, la capacità di focalizzare la mia attenzione sul qui e ora, sull’istante presente, bastano pochi minuti al giorno, ma occorre molta costanza. L’esercizio prevede cinque tappe, possibilmente sempre in questo ordine, in modo da interiorizzare la pratica e far sì che la centratura si attivi quando necessario. 1. 2.

Attenzione al respiro – Quale profondità, quale velocità? Attenzione al corpo – Quali sensazioni fisiche? Quali messaggi dall’organismo? 3. Attenzione alle emozioni – Quale stato d’animo? Quale umore? 4. Attenzione ai pensieri – Quale stato mentale? A cosa sto pensando? 5. Attenzione al centro – Da dove ho osservato gli altri piani? Dove sento ora il mio centro? Mi focalizzo sulla sensazione di radicamento, forza, stabilità. Sperimentate già il vostro centro decine di volte nell’arco della giornata. Questo allenamento è solo per consolidare il movimento interiore e per poter richiamare, al bisogno, tutta la presenza interiore e la capacità di scegliere come rispondere agli eventi. Per non andare più in automatico, ma per scegliere ogni volta la risposta più consona al contesto e a ciò che volete realizzare.

Il nostro centro è quel fulcro di libertà responsabile che siamo chiamati a riconoscere e rafforzare in questo stadio evolutivo dell’umanità. È quello che ci permette di superare il condizionamento da fattori interni – istinto, impulsi automatici, credenze limitanti – ed esterni – mode, convenzioni, condizionamenti – per diventare protagonisti della nostra vita, per riconoscere di essere immersi in un mare di possibilità, capaci di dare risposte nuove agli eventi, senza più la paura di uscire dai binari del conosciuto e del prevedibile. Siamo centrati quando seguiamo come faro il senso che abbiamo scelto di dare alla nostra esistenza,

quando siamo consapevoli di poter modellare le circostanze con le nostre azioni. In alcuni ambiti è chiamato coscienza, testimone, osservatore; qui: centro. È il saper valutare cosa devo piantare oggi per far nascere l’albero che voglio domani, è spostare l’attenzione da ciò che è stato a ciò che può ancora diventare. Il leader del Pianeta Io ha visione prospettica, è consapevole delle ripercussioni di ogni parola, di ogni gesto, e lo fa senza fatica, è il suo compito, la sua vocazione. Fa questo per noi se glielo lasciamo fare, se ci alleniamo a sentirlo, a riconoscerlo in azione e a dargli il suo giusto posto. È questo il lento, paziente ed entusiasmante lavoro che dobbiamo fare in questi tempi come antidoto al senso di rassegnazione e passività che rischia di bloccare l’evoluzione umana davanti alle inevitabili maree distruttive da affrontare.

Con gli occhi del presente Quando cominciamo a praticare la nobile arte del “guardarci dentro” ci mettiamo in cammino per rafforzare la nostra leadership personale. La sfida è quella di sviluppare quell’attenzione al qui e ora, quel senso di centratura e presenza che permette di affrontare la realtà non secondo copioni prestabiliti, ma ogni volta con occhi nuovi. La centratura è un antidoto ai dischi rotti, a suggeritori malevoli ormai automatizzati che ci fanno operare a partire da affermazioni interiorizzate tempo fa e mai aggiornate, che sono la principale causa di malessere e disordine interiore. Il suo obiettivo è accompagnarci ad aggiornare ogni volta la visione di ciò che siamo e della realtà che stiamo vivendo a partire dall’osservazione dei fatti dal punto di vista del presente e non più del passato. Fare amicizia con il disordine I DONI DELLE FERITE

Spesso ciò che turba un ordine consolidato è associato a esperienze sgradevoli, dolorose, difficili. Non siamo allenati a conoscere e riconoscere il cambiamento come una forza della vita, come un elemento importante e prezioso nell’esperienza che viviamo su questa Terra, come un’opportunità e non come una disgrazia. Difficile fare questa considerazione a caldo, ma è possibile e interessante rivedere, a distanza di tempo, cosa ogni grosso cambiamento ha portato nella nostra vita di nuovo, in termini materiali ma soprattutto in termini immateriali di conoscenze, competenze e consapevolezze. “Che cosa mi hanno portato di buono proprio quegli eventi che, a suo tempo, mi hanno fatto male?” Di buono? Proprio nulla, mi viene da dire! Ma provo lo stesso, fiducioso/a, a fare questa esplorazione. Porto l’attenzione ad alcuni dei grossi cambiamenti, proprio quelli indesiderati, che si sono abbattuti, nel passato, sulla mia vita. Prendo carta e penna e ne faccio un elenco, incolonnandoli. Rifletto ora su quali cose ho, sono o conosco oggi che non ci sarebbero, se non si fossero verificati quegli eventi. Uno per uno, mi segno i doni che, a distanza di tempo, mi sono stati lasciati da ognuna di quelle esperienze. Questa è una ginnastica mentale per ampliare la visione, per innalzare la vostra attenzione qualche istante, a volo d’uccello, oltre le occupazioni e preoccupazioni contingenti e per rimettere a fuoco, periodicamente, quei valori e serbatoi di energia che vi potranno essere di aiuto quando dovrete confrontarvi con situazioni diverse dal previsto.

Quando ci sentiamo “fuori posto” “Un giorno credi di essere giusto, e di essere un grande uomo, in un altro ti svegli e devi cominciare da zero.” Così canta Edoardo Bennato, descrivendo una situazione interiore che spero abbiate già provato. Perché è proprio quando non sentiamo più di corrispondere a quello che gli altri vogliono da noi, quando ci sentiamo fuori posto, quando non abbiamo più chiaro chi siamo, cosa vogliamo, dove stiamo andando e quando ci sentiamo sbagliati su tutti i fronti che possiamo, grazie a questo disordine interiore, guardare con più attenzione e sincerità dentro di noi. Fare amicizia con l’ordine IL CORAGGIO DI STARE

State col disordine interno, riconoscete il disagio, sostenete la sgradevole sensazione di malessere, di non adeguatezza. Questa è la più grande medicina in queste situazioni: fermarsi e stare. Prendetevi il tempo per lasciare che si ristabilisca spontaneamente un ordine. Mi fermo e mi ascolto Non è intuitiva come mossa. Di solito quando sto male cerco di distogliere l’attenzione e di fare altro. Ma ci sono situazioni in cui posso dedicarmi un po’ più di tempo e allora mi fermo e mi accingo ad ascoltare quello che provo. Accolgo incondizionatamente il mio turbolento mare interiore, osservandolo con distacco, così come si guardano le nuvole in cielo, e prendo nota se emergono delle forme coerenti dal mio marasma interiore che mi aiutino a capire che cosa mi sta succedendo: una frase detta o ricevuta, un tono di voce che mi ha urtato o che io stesso ho usato inappropriatamente, un gesto scortese, dato o ricevuto, un bisogno inespresso, un desiderio proibito, un anelito emergente, una speranza dimenticata... Guardo, sento, ascolto, non giudico, non interpreto. Permetto a ciò che ho dentro di manifestarsi liberamente. Ci siamo solo io e uno dei miei abitanti del Pianeta Io che non sta bene. Non importa il perché, forse non lo saprò mai. Ma, da magnanimo e benevolo leader, lo accolgo e ne ascolto le rimostranze, senza giudizio, senza rimproveri. Sarà già importante. Dopo, probabilmente, staremo meglio entrambi. Offrite questo spazio di attenzione e accoglienza al vostro malessere. Non nascondetelo subito sotto a un tappeto, dietro un libro, in un film, con una risata al bar. Lasciatelo vivere... e, probabilmente, si dissolverà. I nostri stati d’animo, come bambini feriti, vogliono prima di tutto sentirsi visti e accettati. E magari anche un pochino coccolati.

È un’esperienza ricca e coinvolgente guardarsi dentro. Forse romanzi e telenovelas hanno tanto successo perché abbiamo tutti bisogno di confrontarci con la moltitudine di emozioni e sentimenti, e quando non siamo più capaci di connetterci con i nostri, deleghiamo ai vissuti altrui la possibilità di farci vibrare e risuonare, di farci sentire vivi come solo le emozioni sanno fare. Non c’è una bacchetta magica che permetta al malessere di dissolversi, anche se a volte una forte scarica emotiva – un pianto, una risata, uno scoppio d’ira, una danza, un disegno, una lettera liberatoria – può in un tempo molto breve disperdere i nuvoloni neri e rasserenare il cielo, in altri casi la paziente osservazione da sola innescherà il processo di rasserenamento, anche se ci sarà bisogno di ore, giorni, forse mesi, se quanto osserviamo è aggrovigliato e impenetrabile. Non siamo abituati a “stare” col malessere,

col dolore, col disordine dentro. La tendenza è quella di sfuggire il sentire, quando è sgradevole, con la distrazione, l’alcol, gli analgesici. Ma il dolore non viene per farci dispetto o per punirci, è un prezioso alleato della salute, ci segnala dove c’è qualcosa che non va, ci fa notare dove il margine di disordine in atto sta superando quello necessario al nostro benessere, a livello cellulare, organico, psicologico o spirituale. Il dolore ci fa capire che dobbiamo cambiare qualcosa, che è necessario un intervento trasformativo rispetto a quanto stiamo facendo. Se impariamo a coglierlo dai suoi primi segnali diventerà un prezioso alleato per il nostro benessere; se lo ignoriamo, continuerà incompreso, come una spia antincendio che, inascoltata, finisce divorata dall’incendio stesso. L’importante non è capire cosa un disagio, un malessere, un dolore vogliono dirci, ma comprenderli, riconoscerne la presenza, includerli nel novero di ciò che siamo, come dovremmo accogliere un profugo spaurito prima ancora di chiedergli le generalità, rispettando e onorando prima di tutto il suo bisogno immediato di calore, di conforto... il suo diritto a esistere. Dal latino cum prehendere , prendere qualcosa con sé, protendendo non la mente, ma le braccia e tra le due c’è di mezzo il cuore. Questa è la medicina: comprendere ciò che ci sta succedendo, ampliare l’idea di noi stessi, riconoscere la nostra vulnerabilità, accettare il contingente momento di disordine. Non diventeremo più deboli, ma saremo anzi più forti, una volta che ci saremo concessi il permesso di essere “anche”... imperfetti.

Essere di più Il nostro paesaggio interiore è in continua evoluzione e interazione con eventi esterni; quell’“uno” che siamo, è una realtà dinamica, in cui ordine e disordine si susseguono senza tregua alla ricerca di equilibri adatti di volta in volta

alle circostanze. L’ordine interno non è quello che va nella direzione di criteri stereotipati proposti o imposti dall’esterno, è quello che invece aderisce alla nostra natura individuale, alla ghianda che ci contraddistingue. “Se progetti deliberatamente di essere meno di quello che sei capace di essere, allora ti avviso che sarai infelice per il resto della tua vita,” ricorda Abraham Maslow, il padre della psicologia umanistica. Quello cui dobbiamo tendere è una capacità di gestire ordine e disordine in armonia, come nei passi di una danza, in un brano jazz, in un prato di montagna in fiore, in un’opera architettonica di Gaudí. Il garante di un buon altalenante equilibrio è proprio il nostro centro che, come il baricentro della bicicletta, deve sempre fare una buona sintesi tra peso e forma della carrozzeria, tipo di strada, velocità, vento ecc., per poter stare sempre in piedi. La nostra identità si esprime nel trovare forme, situazioni, occasioni per onorare tutti i diversi abitanti, congruentemente con ciò che vogliamo o, perlomeno, con ciò che possiamo. Nella nostra cultura contemporanea non c’è ancora la consapevolezza di questa molteplicità interiore, si confonde la coerenza con la rigidità sulle proprie posizioni, l’identità nel suo insieme con l’identità parziale di uno degli abitanti, l’essere con il fare. Il salto di qualità è verso il riconoscimento del nostro “essere molto di più”. Fare amicizia con l’ordine VISION, SLOGAN E MISSION Provate a entrare in dialogo con questo vostro centro, coi valori che vi animano in profondità. Ecco, questa volta, una mappa in... aziendalese. Chiarisco la mia vision Come facilmente deducibile, anche per chi non sa l’inglese, è l’insieme dei valori e delle convinzioni che sono alla base del mio modo di vedere il mondo. Elenco affermazioni, credi, opinioni che mi appartengono, che coltivo in questo momento della mia vita, elementi propositivi che rivelano e rafforzano la visione che mi spinge avanti. Affermo il mio slogan Dal gaelico “grido di battaglia”, lo slogan è l’espressione della mia identità, è quello che di me stesso/a voglio gridare al mondo... oggi. Traendo

ispirazione dalle frasi appena riepilogate formulo uno slogan incoraggiante, adatto al momento che sto vivendo. Definisco la mia mission Qual è il senso che do alla mia vita? “Che cosa sono qui a fare?” Questa è la mission , la capacità di vedere oltre la soddisfazione dei miei desideri immediati per riconoscere le cose che mi danno un senso di gioia più grande. Mi pongo la domanda e mantengo l’apertura necessaria per cogliere la risposta che emerge, ora o in un momento più in là. Riconosco che è proprio quando includo anche altri, o altro, nella mia vita che questa si arricchisce di senso e valore ai miei occhi. Sintetizzate le riflessioni in tre affermazioni potenti e trascrivetele su bigliettini che distribuirete nei luoghi che frequentate di più: la vostra agenda, il comò, lo specchio del bagno, il cruscotto dell’auto, la schermata di apertura del computer.

Il disordine che risveglia alla vita Fino a quando siamo profondamente identificati solo con una parte limitata di noi stessi, non siamo ancora nati davvero. Che si tratti di frequentare e valorizzare soltanto gli abitanti più ordinati del nostro Pianeta Io o, al contrario, di averli ripudiati per dare energia solo a quelli più ribelli e imprevedibili, abbiamo ancora un po’ di lavoro da fare su noi stessi. Andiamo per gradi. Nascere davvero implica, prima di tutto, lasciare quel rifugio rassicurante in cui ogni cosa è al suo posto, crediamo di sapere chi siamo, chi sono gli altri e cosa vogliamo dalla vita. La nostra evoluzione personale ci richiede necessariamente di affacciarci oltre i confini della nostra isola d’ordine e di affrontare il mare di disordine che ci circonda. È un passo che può venir fatto per scelta, per sete di avventura o per noia, oppure può essere un evento forte e dirompente quello che ci obbliga a guardare al di là degli schemi acquisiti: la rottura di una relazione, la perdita di un lavoro, una malattia, un lutto, un evento traumatico... è il disordine che irrompe nella nostra quotidianità per darci l’opportunità di ricostruire un ordine più nostro dentro di noi. Spesso siamo come chi, in un cubicolo di cemento, ben

arredato, nella giungla amazzonica, crede di essere al sicuro perché lo spazio attorno a sé è conosciuto e confortevole, ma non potrà ignorare in eterno che, fuori dalla porta, esiste un mondo ancora inesplorato e tutt’altro che rassicurante, a prima vista, in cui sembra regnare il disordine più totale. Eppure, quando usciremo spinti dalla fame o dal bisogno disperato di compagnia, scopriremo che così ostile questo mondo esterno non lo è, e che non è neppure il regno del caos, perché ogni ambiente, naturale o no, una volta conosciuto rivela delle sue leggi intrinseche, complesse, non lineari. Per conoscere sistemi complessi – una foresta, la vita, un’altra persona – occorrono attenzione, ascolto, voglia di comunicare davvero, oltre le etichette e i ruoli. Una volta fuori dal nostro cubicolo di cemento potremo scoprire di avere doti prima a noi sconosciute, potremo rivelarci cantori, e aggiungere la nostra voce ai suoni della foresta, oppure cercatori di piste, capaci di trovare la strada verso un habitat più adatto, o raccoglitori o cacciatori. A questo punto, siamo pronti per fare un altro passo, sul Tao del disordinato, e nasciamo davvero, per la seconda volta. Scopriamo di non essere soltanto il manager di successo, la studentessa modello, la madre perfetta o il maritino amorevole, ma di essere molto di più, di avere anche altri abitanti, oltre a quello che abbiamo impersonato a volte per anni senza tregua. Quando usciamo dal nostro rifugio/prigione e affrontiamo l’ignoto della foresta, innumerevoli altre opportunità si offrono a noi e cominciamo a vivere come persone intere e non come parodie di noi stessi. Fare amicizia con il disordine NASCERE PER LA SECONDA VOLTA La nascita è un processo che si prepara con una lunga gestazione e poi avviene all’improvviso, in un lasso di tempo relativamente breve. Forse siete già nati e non ve ne siete ancora accorti e non state ancora sfruttando appieno le potenzialità che offre questa nuova situazione... e allora, aprite gli

occhi e godetevi l’esperienza della vita! Mi apro alla vita In quale momento della mia storia personale, dopo quale episodio, colloco la mia “seconda nascita”? Qual è stato quell’istante in cui ho scoperto di non vivere in una fiaba col finale già scritto o in un film di guerra senza via di scampo? Quando ho, per la prima volta, avuto la chiara percezione che posso agire al di fuori di un copione preconfezionato o di quello che gli altri si aspettano da me? E che posso scegliere in quale direzione procedere, anche senza sapere dove questa direzione mi porterà? Prendetevi il tempo per assaporare la domanda e lasciarla riecheggiare dentro di voi. Non è facile e forse non risponderete subito, va bene lo stesso. Tenete la domanda con voi, in sottofondo, e magari quando meno ve lo aspetterete affiorerà la risposta.

La nostra identità non è un concetto statico, come non è statica l’identità di un pianeta. Come un pianeta, ha comunque una sua peculiarità, una sua unicità, un suo modo di essere, tutto suo. Quando ci permettiamo di affrontare il disordine dentro e fuori di noi, cominciamo a “fare amicizia con noi stessi”. Ci affacciamo così a immensi orizzonti con davanti a noi un mare di possibilità e il nostro divenire dipenderà da quello che sceglieremo di fare o di non fare, momento per momento. Il modo migliore per procedere nella foresta della vita è con una grande apertura all’ascolto, più propensi a permetterci la meraviglia che a ricercare certezze, a riconoscere quello che c’è invece di sfuggire le circostanze, a entrare in sintonia con gli altri senza isolarci in noi stessi, a giocare col disordine al posto di rifugiarci in prigioni di ordine.

L’ordine che risveglia a se stessi Come una cellula, che se è troppo chiusa soffoca, ma se è troppo aperta si disintegra, anche nella gestione del nostro Pianeta Io possiamo cercare quell’equilibrio dinamico tra l’aprirci al nuovo e il consolidare quello che c’è, tra l’avventurarci oltre le colonne d’Ercole e il tornare a casa. Nascere per la seconda volta vuol dire consolidare il dialogo costruttivo tra ordine rigenerante e disordine creativo.

Nella civiltà contadina, l’autunno è il momento del raccolto e l’inverno è il momento delle giornate passate in casa, della riparazione di strumenti di lavoro, della progettazione per la stagione a venire, ma anche del raccontarsi attorno al fuoco, del cantare e ballare, per celebrare la stagione del riposo. Nello stesso modo, seguendo un ciclo interno assolutamente personale, ci sono momenti in cui ognuno di noi ha bisogno di fermarsi e di verificare se la rotta in corso coincide con valori, desideri e aneliti. Non procediamo in modo lineare e costante verso le nostre mete, a volte la vita persegue cammini labirintici per portarci nei posti buoni per noi. Proprio perché c’è un processo, conscio e inconscio, che si mette in moto in risposta a ogni nostra aspirazione, è importante ribadire, periodicamente, le intenzioni sottostanti alle nostre azioni, un po’ come verificare la nostra bussola interiore... o come fare, ogni tanto, ordine sulla nostra scrivania, giusto per assicurarci che non stiamo perdendo di vista qualcosa di importante per noi, sommerso dalle troppe urgenze, o che non dimentichiamo di avere acquisito una nuova competenza, anche se ancora poco usata, come un pullover comprato l’anno prima e poi dimenticato in fondo all’armadio. Fare amicizia con l’ordine PICCOLO CHECK-UP PERIODICO In un momento tranquillo e con un foglio e una penna a disposizione, prendetevi qualche appunto, in risposta agli stimoli proposti. 1. Quali sono i valori che mi contraddistinguono? Faccio un elenco di tutti quei valori che per me sono importanti, scrivendoli a ruota libera. Poi metto in ordine di priorità: ai primi posti quelli per me fondamentali, su cui non c’è margine di contrattazione. Sono sincero/a con me stesso/a, non devo dimostrare niente a nessuno, mi dico la verità. Per ognuno dei valori che ho messo ai primi tre posti, annoto almeno tre episodi nelle ultime settimane in cui li ho messi in atto. Se non trovo gli episodi, c’è qualcosa da modificare nel mio modo di agire. Mi progetto azioni coerenti con i valori enunciati o modifico la lista in modo più autentico. 2. Con chi entro in risonanza? Mi chiedo, e annoto, quali sono le persone con cui, in questo periodo, mi

sento più a mio agio. Cosa mi piace nella loro compagnia o collaborazione? Cosa apprezzo di più in loro? Cosa mi permettono di esprimere di me stesso/a? Tutto questo racconta di me, ne prendo atto. 3. Chi mi sta antipatico? In questo secondo elenco mi segno invece le persone che in questo periodo non sopporto, che mi mettono a disagio, con cui non sto volentieri. Cosa non mi piace nelle situazioni che si creano con queste persone? Cosa non mi piace in loro? Cosa fanno emergere in me, quale abitante del Pianeta Io? Anche tutto questo racconta di me. In alcuni casi mi permette di mettere a fuoco sfide da affrontare, etichette da sfatare o anche, semplicemente, situazioni tossiche da evitare. 4. Cosa mi piace e mi fa star bene? Quali sono le attività, le frequentazioni, le letture, i luoghi, i cibi, che in questo periodo mi danno maggiormente piacere, relax e gioia? Posso scegliere di non farmi mai mancare, nella mia quotidianità, elementi che vivo come positivi e gratificanti. 5. Quale sento essere la mia vocazione? Tra i piaceri della vita, quello che dà maggior soddisfazione è la possibilità di esprimere le mie capacità, i miei talenti, la mia propensione a creare qualcosa... che prima non c’era. In quali campi, in quale tipologia di attività sento che si esprime meglio il mio potere creativo nella vita? 6. Come vorrei essere ricordato/a? Quando non ci sarò più, o perlomeno non sarò più qui, cosa vorrei che gli altri ricordassero di me? Cosa mi piacerebbe che fosse scritto sul mio epitaffio? Ricordare che il mio tempo su questa Terra non è infinito mi può essere di grande aiuto per vivere bene il momento presente, per valorizzare tutto ciò di cui ora dispongo, per dare il giusto spazio alle cose e alle persone per me davvero importanti. 7. Che cosa sono venuto/a a fare in questa vita? Faccio finta che ognuno di noi scelga di nascere dove è nato, con un compito preciso da svolgere nella sua vita. Lo faccio per gioco, non ho nessun bisogno di crederci davvero, la riflessione mi sarà utile comunque: quale, in questo momento della mia vita, sento essere l’apporto che posso dare all’ambiente, sociale e/o naturale, che mi circonda? Qual è il contributo che posso portare nella vita degli altri? In quali termini definisco oggi la mia mission e che cosa sto già facendo di coerente con essa?

Questo riepilogo non ha alcun obiettivo valutativo, vuole essere di stimolo per inserire nella quotidianità riflessioni, attività, atteggiamenti che ci facciano sentire in armonia. Un’armonia non necessariamente formale, esterna, ma una coerenza interna paragonabile a quella di un’orchestra in cui c’è buona sintonia tra i suonatori, il direttore d’orchestra e il compositore. Fare ordine dentro, in quest’ottica, è assicurarci di star suonando le musiche più adatte a noi, nel

rispetto della nostra identità profonda. Quando c’è una buona relazione tra il leader del Pianeta e i suoi abitanti questo saldo e dinamico ordine interno ci permette di affrontare, senza mai perderci d’animo, qualsiasi disordine esterno. 22 La sequenza di queste tre parole, nella raccolta Foglie d’erba, non è esattamente questa, ma mi sono presa la libertà di riformulare la traduzione italiana, a fini formativi, mantenendone intatto il senso da lui voluto: “Do I contradict myself? Very well, then I contradict myself, I am large, I contain multitudes ”. 23 L’esercizio è tratto da Ecocentering , percorso di green coaching , che accompagna nella mappatura del proprio mondo interiore.

5. Trucchi di disordine creativo per ordinati

La magia del disordine Quando riconosciamo che in molto di quello che chiamiamo disordine si muove semplicemente un ordine troppo complesso per essere colto, diventa più facile accettarlo come qualcosa che è... nell’ordine delle cose e va bene così. È il Quarto Passo del Tao del disordinato, quando cominciamo a sentire il disordine come parte integrante della vita, ormai consapevoli del fatto che in essa c’è parecchio che ancora non conosciamo e non comprendiamo. Fare amicizia col disordine può così rivelarsi una pratica con utili ripercussioni sul proprio modo di affrontare l’esistenza: rende più flessibili, tolleranti, resilienti e capaci di approcciare il cambiamento senza più sentirlo come una minaccia. Quando comincia a diventare a pieno titolo parte della nostra quotidianità, può anche promuovere senso dell’umorismo, leggerezza, buon umore, saggezza. Il disordine ha in sé “magia” proprio perché magia è il nome che diamo a quello che succede quando tra due eventi non riusciamo a vedere la catena di causa-effetto. Molto apparente disordine è in realtà un ordine difficile da cogliere a causa dell’alto numero di elementi in gioco. Oggi sappiamo, per esempio, che le condizioni atmosferiche di

ogni diverso momento della giornata non sono casuali ma dipendono da un numero talmente alto di fattori in interazione tra loro che è impossibile prevedere con precisione il tempo che farà. Questo non vuol dire che nell’atmosfera i diversi fattori si muovano in modo disordinato, per quanto caotico il risultato finale a noi possa sembrare. Giacché non potremo mai e poi mai prendere in considerazione tutto quello che contribuisce a dare forma alle nostre giornate e alle nostre vite, questo intrecciarsi e amalgamarsi di fattori inafferrabili può anche essere definito magia, con tutto quel senso di fascino e poesia che il termine porta con sé. Il disordine diventa così una traccia, un filo conduttore per avvicinarsi a un modo altro di vivere la vita, senza più la pretesa di dover capire e controllare tutto, ma con l’apertura necessaria per godersi appieno quello che c’è, senza doversi necessariamente misurare e confrontare con l’aspettativa di quello che, secondo canoni convenzionali, dovrebbe invece esserci. Ecco che si inizia a intravedere come e perché il disordine apre le porte alla felicità, intesa come una disponibilità nei confronti della vita a trovare gioia e bellezza in ogni suo aspetto. La felicità non risiede nell’evento che si vive, nelle cose conquistate, nel riconoscimento prestigioso ricevuto, la felicità è una predisposizione d’animo a riconoscere quello che si sta sperimentando come momento irripetibile e gratificante, a celebrare la propria esistenza, per un lasso di tempo più o meno lungo, come... magia.

Oltre la soglia del consueto Si fa presto a parlare di magia del disordine, quando questo è stato considerato per tutta una vita come qualche cosa di sbagliato, da debellare, da non frequentare. Per avvicinarsi a questa nuova vitalizzante visione del Tao del

disordinato occorre procedere per piccoli passi e imparare ad avere a che fare con l’antagonista dell’ordine in un’ottica positiva, con un approccio a piccole dosi. Prima ancora di cominciare, bisogna essere sicuri di volerlo fare. Qual è la vostra motivazione? Che cosa vi sta spingendo a intraprendere questo percorso inusuale per introdurre il disordine creativo nella vostra vita quotidiana? Fare amicizia con il disordine FARE QUALCOSA MAI FATTO PRIMA Fate la vostra affermazione, la dichiarazione di intenti per quanto riguarda la vostra relazione col disordine. Vi aiuterà nei momenti in cui sarete tentati di lasciar perdere. Vi farà da bussola per non perdere la direzione. Scrivetela da qualche parte, anche qui, sul margine di questa pagina del libro, o in nota da qualche parte, se state leggendo su un dispositivo elettronico. Un primo passo nel Tao del disordinato Decido di fare oggi qualche cosa che non ho mai fatto prima. Non importa cosa. Le possibilità che mi offre la vita come palestra per fare qualche cosa di inconsueto sono davvero infinite. Può essere qualche cosa di molto semplice che posso fare in questo momento (se ora è notte... domani): mi alzo mezz’ora prima e poi esco a piedi, o con i mezzi, invece che in auto; bigio, come si faceva ogni tanto a scuola, per vivere qualcosa di emozionante; saluto il mio vicino di casa, se di solito non lo faccio; sorrido a un collega che ho sempre ignorato o lo invito a bere un caffè; comincio la giornata dicendo qualcosa di inaspettatamente gentile a chi mi è accanto; se sono in viaggio, scelgo di guardare il paesaggio invece del telefono & Co; oppure guardo la gente; do una moneta al primo questuante che incontro e lo faccio col sorriso. La lista potrebbe allungarsi all’infinito. Se non trovate qui il primo passo adatto, ipotizzate voi un evento sfida ideale per inaugurare il vostro sodalizio col disordine.

In un’affollata via di Milano un giorno in cui ero di buon umore ho risposto gentilmente a un ragazzo di colore dallo sguardo non propriamente rassicurante che, come cento altri, provava a vendermi paccottiglia. Semplicemente

guardandolo negli occhi gli ho detto, con un sorriso: “Grazie caro, non ho bisogno di nulla”. Dopo pochi minuti è tornato indietro e mi ha regalato un braccialetto di fili colorati intrecciati... “Nessuno mi risponde, nessuno mi sorride, nessuno mi parla neppure, in questa città,” mi ha detto. “Permettimi di regalarti questo, so che non è molto, ma per me è stato importante sentirmi trattato come un essere umano.” Oh. L’esperienza mi ha colpito, mi ha risvegliata da quel torpore automatico in cui ci richiudiamo nelle metropoli anche per non farci invadere dalle innumerevoli sollecitazioni, ma ogni tanto fa bene svegliarsi dall’incantesimo di protezione e riaprire occhi, mente e cuore su ciò che facciamo, soprattutto quando coinvolge anche altri.

Degustare l’istante presente Pensate ai percorsi che fate abitualmente: casa-lavoro, casa vostra-casa di parenti, città-fuori città, o viceversa. Lasciatemi indovinare: fate sempre la stessa strada? Certo, è più semplice, viene automatico, ormai è un’abitudine. Benissimo, è facile e divertente allenarsi a disorganizzare le abitudini proprio partendo dalla “questione strada”: ogni tanto cambiatela e basta. Esplorate altre possibilità, meglio se imboccando una strada laterale mai presa prima, cercando come raggiungere la vostra meta anche da un altro percorso. Ci metterete di più, è probabile, ma state facendo i compiti a casa, è parte della vostra formazione per convivere con l’incertezza, con l’attenzione all’istante presente, indispensabile quando si affrontano strade nuove. Liberarsi dalla schiavitù del dover sempre per forza impiegarci il meno tempo possibile è un altro bell’obiettivo di questa formazione per fare amicizia con il disordine. Quando trasformiamo il mezzo – il percorso, il viaggio in sé – in un fine, ecco che

ampliamo il possibile margine di felicità a nostra disposizione. L’arrivo è un punto, la strada è una linea. Se ci predisponiamo a goderci il percorrere una linea abbiamo molto più tempo a disposizione per provare piacere! È solo una questione di atteggiamento interiore, per superare l’abitudine di considerare alcuni momenti di serie A e altri di serie B nella nostra quotidianità. Ampliate la vostra presenza all’istante presente e vedrete quante belle piccole e grandi sorprese incontrerete. Cominciate a degustare la vita come si fa con un bicchiere di vino. Se lo tracannate senza osservarlo, annusarlo, prima di farlo roteare in bocca per scaldarlo e permettergli di effondere tutte le sue sfumature di sapore, vi perderete sicuramente la parte più importante dell’esperienza. Suonerebbe alquanto folle se qualcuno vi dicesse: “Sì, ma così ci metti di più a berlo”, non è vero? E allora chiedetevi, qual è il fine e qual è il mezzo, in ogni istante presente, nella vita nel suo insieme? Chi vede nelle cose, nei momenti vissuti, nelle persone accanto a sé, solo dei mezzi, difficilmente scoprirà che cosa è la felicità. Perché felicità è l’abilità appresa di guardare il mondo con occhi nuovi ogni momento e di vivere con pienezza quanto ci capita di dover vivere. E allora... tutti fuori dall’autostrada! Almeno ogni tanto. Via da quella di asfalto e autogrill, per vivere l’esperienza di anonime strade secondarie – in cui però si celano trattorie, oasi, paesini, campi coltivati, paesaggi nuovi –, via da quella di abitudini consolidate, le autostrade del nostro pensare, del nostro agire, strade più rapide, forse, ma che ci fanno perdere tante sfumature, dettagli, gesti, toni della voce, sguardi, che sono poi gli elementi preziosi della nostra vita. Prima ce ne accorgiamo, prima li possiamo includere, valorizzare e... degustare.

Uscire dall’autostrada

La creatività si allena. Fa parte delle nostre potenzialità di sapiens , è una delle frontiere evolutive più utili nella situazione socio-economico-ambientale contingente che avrà bisogno di molte buone idee per affrontare e risolvere i problemi attuali. Un primo passo verso l’essere più creativi per trovare nuove strade, nuove idee, nuove soluzioni, sta proprio nell’uscire dai binari della consuetudine, nel non essere schiavi delle abitudini, come pratica di vita. Le abitudini sono automatismi, nascono per farci risparmiare tempo ed energia, archiviano comportamenti abbinati a situazioni, fanno emergere emozioni in risposta a stimoli, rispondono a bisogni che a volte non esistono neppure più. Alcune nascono casualmente, senza che neppure ce ne accorgiamo: assumere una determinata posizione per riflettere, per esempio, o comprare sempre la stressa marca di biscotti senza mai sperimentarne altre, accendere la televisione non appena entriamo in casa, bere il caffè sempre alla stessa ora... Molte abitudini sono addirittura indotte dall’esterno, in risposta a un messaggio pubblicitario, a un impulso imitativo, al desiderio di fare quello che tutti gli altri fanno. Alcune si consolidano in risposta alla soddisfazione di un piacere o in sostituzione a un bisogno di altra natura. Rientrano in questo gruppo bere, fumare, sgranocchiare dolci, mangiare più del necessario, fare shopping compulsivo. Ci sono poi abitudini invece deliberatamente costruite, con una scelta consapevole, come atto di volontà: lavarsi i denti prima di andare a dormire, dire grazie quando è il caso, prepararsi i vestiti per il giorno dopo, fare yoga al mattino, andare in palestra, prendersi tempo per giocare con i propri figli, farsi il programma delle cose da svolgere, leggere qualcosa prima di addormentarsi, scriversi i sogni al risveglio. Non siamo abituati a mettere in discussione le nostre abitudini, spesso non le conosciamo neppure. Non c’è nulla che non vada bene nell’abitudine in sé, ma c’è qualcosa che

non funziona nel ripetere abitudini inutili o addirittura dannose, soprattutto per quanto riguarda gli atteggiamenti: essere ipercritici, con se stessi o con gli altri, rispondere in modo sgarbato, dire sempre di sì (o sempre di no), passare più tempo davanti alla televisione o al computer che con amici o familiari, esprimere giudizi anche su cose che non si conoscono bene, parlare male dei colleghi o dei parenti, lamentarsi, attribuire la colpa agli altri dei propri errori. Facile riconoscersi, in almeno qualcuna di queste voci... cosa fare allora? È possibile cambiare le abitudini che si rivelano moleste o dannose al nostro benessere? Certo che è possibile. Si tratta prima di tutto di guardarle, di riconoscerle, di elencarsele e poi di decidere quali sono utili, quali innocue e quali invece, pur nel loro ordinato reiterarsi, non aggiungono nulla alla qualità della nostra vita ma, anzi, ci tolgono tempo ed energia. Fare amicizia con il disordine RIPROGRAMMARE LE ABITUDINI Prendete carta e penna, se il tema vi coinvolge, per fare il punto della situazione sul tema “abitudini” e provate a elencare quelle che avete accumulato negli anni. Uso l’immaginazione creativa per... reinventarmi Ripercorro con la memoria le diverse tappe della mia giornata elencando gli atti che ripeto uguali ogni giorno. Mi chiedo quali di queste abitudini voglio o posso mantenere e quali invece vorrei eliminare e sostituire. Evidenzio le abitudini che voglio modificare e scelgo da quale cominciare. Mi concentro sul prossimo episodio concreto in cui presumibilmente le rimetterò in atto. Rifletto su quale vorrei che fosse il mio atteggiamento o comportamento al posto di quello abituale. Chiudo un attimo gli occhi e rifletto su tutti i vantaggi del comportamento nuovo che pianifico di adottare. Ipotizzo una scena in cui metto in atto il comportamento prescelto: immagino nei dettagli il mio abbigliamento, la situazione, il mio sentire, il tipo di reazione di chi mi sta intorno. Assaporo le sensazioni. Immagino, poi, che qualcuno si congratuli con me per il cambiamento avvenuto.

Proseguo con questa fantasia, immaginando di ascoltare la conversazione tra due persone che commentano con soddisfazione di aver notato il cambiamento avvenuto in me. Dopo questa preparazione interiore, che può anche essere ripetuta più volte, procedo con la nuova azione. 24 Pur mantenendovi, sullo sfondo, l’elenco intero, fate il lavoro di riprogrammazione delle abitudini procedendo con una alla volta. Prendete nota dei risultati, più tempo e attenzione investirete nella pratica e maggiori soddisfazioni vi darà.

Le persone più ordinate di solito hanno più abitudini e potrebbero avere maggiori difficoltà nell’andare oltre gli schemi prestabiliti e affidarsi all’esplorazione di nuove possibilità. Ma anche scegliere di fare ogni giorno qualcosa di diverso dal solito può diventare... un’abitudine! Una buona abitudine. D’altra parte, le persone tendenzialmente disordinate potrebbero trovarsi in difficoltà con la seconda fase del processo, col consolidarsi di uno schema nuovo. Come si crea, volontariamente, un’abitudine? Mettendo in atto con costanza il nuovo comportamento, atteggiamento, posizione, attività, e ripetendolo abbastanza volte da... generare un automatismo. Lo vedremo insieme nel prossimo capitolo, quando saremo nel territorio degli ordinati.

“Non datemi consigli, so sbagliare anche da me” Anche gli errori non sono da scartare, sono tentativi che non hanno sortito l’effetto sperato, che hanno sovvertito l’ordine delle nostre aspettative, ma potrebbero aver portato qualche cosa di inaspettato che ha comunque un suo valore: “Esiste un’isola di opportunità all’interno di ogni difficoltà,” ricordava Demostene. Ci sono situazioni in cui l’errore non solo è inevitabile, ma è parte del processo di apprendimento per raggiungere la soluzione più adatta; reclamiamo, quindi, a testa alta la

responsabilità dei nostri insuccessi! “Chi fa, falla” recita un proverbio tradizionale, che invita a non rimanere bloccati in attesa di trovare la soluzione giusta, perché a volte questa apparirà solo per “tentativi ed errori”. “L’insuccesso fa inevitabilmente parte del rischio e della sperimentazione. A onor del vero è spesso la via che conduce alla scoperta, soprattutto nell’ambito di culture altamente sperimentali e innovative.” 25 Questo è il messaggio che formatori innovativi usano per contrastare una cultura di rifiuto dell’errore, in ambito aziendale, che si traduce spesso nella sua mancata segnalazione per paura di ripercussioni negative, che può portare a fallimenti o addirittura tragedie. L’estetica dell’imperfezione deve diventare non solo possibile, ma anche necessaria, permettendo di riconoscere che non tutti gli errori sono frutto di negligenza e disattenzione, a volte possono essere un coraggioso tentativo per ampliare i confini di ciò che fino a poco prima era ritenuto possibile, o sono da imputare a un processo sistemico e non a un singolo evento o individuo. Quanta energia e quanto benessere sprecati, nelle situazioni lavorative, per la patetica caccia al colpevole ogni volta che qualche cosa va storto! Gli errori turbano la routine, violano le aspettative, ma aprono nuovi orizzonti a chi sa cogliere, oltre all’apparente disordine, nuove opportunità. Lee De Forest, inventore e produttore cinematografico statunitense, partendo dal presupposto errato che la fiamma a gas fosse in grado di rilevare le onde radio, inventò nel 1906 il triodo, tubo elettronico che invece di avere solo due elettrodi ne ha un terzo e ha fatto fare un balzo in avanti allo sviluppo della radiotecnica e dell’elettronica. Sono nate per errore le patatine fritte, create da George Crum, un americano di colore che stava lavorando nell’estate del 1853 come cuoco in un ristorante. Indispettito da un cliente difficile che gli rimandò indietro un piatto di patate perché troppo spesse,

molli e insipide, gli preparò per dispetto delle patate fritte a fettine sottilissime, dure, croccanti e abbondantemente innaffiate di sale. Con sua sorpresa, l’invenzione provocatoria fu un successo e questo lo portò poi a mettersi in proprio e a generare nel mondo un business di miliardi negli anni a venire (purtroppo per lui, non brevettò la ricetta). Anche il cono gelato è nato dalla disorganizzazione di uno standista che non aveva calcolato bene il materiale necessario. Alla fiera mondiale di Saint Louis, nel 1904 (antenata dell’Expo), uno stand di gelati – una novità a quei tempi – si trovò a corto di piattini. Il gelataio si guardò attorno e vide un pasticcere persiano poco distante da lui che vendeva piccoli dolci conici fatti di cialda, li acquistò tutti e cominciò a servire il gelato dentro ai coni. Fare amicizia con il disordine PERMETTERSI DI FARE ERRORI Ogni errore, opportunamente esplorato, può rivelare risorse insospettate. È questo atteggiamento mentale quello che vi permetterà di non limitarvi a piangere sul latte versato, ma di procedere. Riuscite a identificare qualche episodio in cui qualche cosa non è andato secondo la programmazione prevista ma ha portato risultati determinanti per la vostra vita attuale? Provate a pensarci e scoprirete che forse il disordine è già molto più presente e molto più ben accetto di quanto pensiate. Scoperte per sbaglio Mi creo un elenco composto da errori reputati o imputati tali, che ho collezionato nel tempo, piccoli e grandi. Segno accanto a ognuno di loro i benefici che hanno apportato: qualche cosa che ho, che sono o che ho imparato. Questa riflessione vi sarà di aiuto per proseguire nell’impresa di farvi amico il disordine e di aprirvi alle immense e inaspettate possibilità che offre.

L’asino di Buridano e il sudoku Per cogliere le opportunità offerte da tutto quello che non procede secondo programma, occorre sviluppare l’attitudine a dialogare col caso, con l’inaspettato, con il fuori programma. È questa l’essenza della serendipità, concetto

ispiratosi alla fiaba persiana dei tre principi di Serendip che ogni giorno uscivano di casa senza una meta precisa e incorrevano sempre in incontri interessanti, ed è diventato, nel linguaggio corrente, la capacità di mantenere la mente aperta a diverse possibili combinazioni, nuove direzioni di ricerca, strade mai imboccate e di fare per caso scoperte inattese. Cristoforo Colombo ha scoperto l’America mentre cercava una nuova via per le Indie; Fleming scoprì la penicillina a partire dall’osservazione di una muffa che causalmente – la leggenda vuole che provenisse da un ananas dimenticato in laboratorio – era caduta su una coltura di batteri, inibendone lo sviluppo; il Didò, la plastilina colorata per bambini, è nato per caso dal tentativo di riciclare colla per tappezzeria prodotta da una fabbrica in fallimento; il post-it, venuto così per sbaglio, ma sulla cui funzionalità qualcuno ha creduto; i neuroni specchio, che si attivano sia quando un individuo compie un’azione sia quando osserva la stessa azione compiuta da altri, scoperti in laboratorio dal neuroscienziato Giacomo Rizzolatti mentre mangiava una banana davanti a una scimmia e l’elettroencefalogramma di questa si è attivato nonostante lei fosse immobile. Lasciarsi guidare dalla curiosità e dalla predisposizione alla meraviglia è possibile giacché è una dote che da bambini tutti possediamo, anche se poi, spesso, la perdiamo per strada. Tra gli abitanti del Pianeta Io è proprio il bambino interiore che, più di ogni altro, può esserci di aiuto nel recuperare una buona relazione col disordine e nel riaprire le porte alla felicità nella nostra vita. Quanto spazio gli lasciamo? Gli permettiamo di fare errori, di cadere e poi rialzarsi per imparare a fare affidamento sulle sue forze, di vedere draghi nelle forme delle nuvole in cielo, di trasformare due sedie con una coperta sopra in un castello? È proprio di questa capacità che, anche da grandi, abbiamo bisogno per vivere bene. Possiamo andare oltre la fissità di percezione della realtà che toglie poesia e possibilità alle

cose, per scoprire le innumerevoli e insospettate possibilità del divenire. Il futuro si sdipana momento per momento, prendendo strade a volte funzionali, a volte meno, a seconda dei punti di vista, ma abbiamo appena visto che anche gli errori hanno una loro importanza se sappiamo accoglierli e valorizzarli; possiamo procedere nel nostro cammino senza lasciarci opprimere dal senso di colpa, ma facendo leva sulla nostra voglia di riprovare e sulla nostra fiducia di poterlo fare in un modo diverso. Davanti a un bivio, incerti in quale direzione procedere, non facciamo come l’asino di Buridano che, non sapendo scegliere da quale di due mucchi di fieno mangiare, morì di fame nell’indecisione. Focalizziamoci invece sulla nostra intenzione, sulla meta che vogliamo raggiungere e, se con la riflessione non riusciamo ad arrivare a nessuna decisione, seguiamo casualmente una delle due vie senza troppo indugiare, sarà il percorso stesso poi a farsi chiaro, cammin facendo, e a permetterci di perfezionare la nostra scelta con maggior cognizione di causa. Fare amicizia con il disordine ESERCITARE LA SERENDIPITÀ Per diventare amici del caso, bisogna coltivarlo. A cominciare dalle piccole cose. Provate a ordinare, in un ristorante etnico, una pietanza che non conoscete, a scegliere un libro in biblioteca o in una libreria, che normalmente non avreste mai preso, acquistate un paio di calzini di un colore diverso dal solito, fatevi un regalo assurdo, qualcosa di assolutamente inutile, che terrete a portata di mano come lasciapassare per il dialogo con l’elemento alogico della quotidianità. Una bacchetta magica, direbbe il vostro bambino interiore, una chiave per aprirvi a diverse possibilità non solo di leggere, quanto di scrivere la realtà. Senza programmare nulla Ogni tanto mi prendo un tempo e uno spazio in cui procedere lungo una strada, meglio se a piedi, con modalità assolutamente casuale. Posso usare questo momento come una piccolissima vision quest 26 e dedicare l’uscita a un problema da risolvere. Ma la mia attenzione sarà rivolta all’esterno, a quello che succede attorno a me, a quello che vedo, a frammenti di frasi che colgo dai passanti che incrocio, agli slogan pubblicitari che leggo. Ognuno di questi elementi potrà essere spunto, usando il pensiero laterale, per farmi fare un passo avanti nell’affrontare e risolvere la questione che ho a cuore.

Siete per caso degli aficionados del sudoku? Quel gioco enigmistico che la leggenda vuole inventato da un manager giapponese stufo di non poter fare i cruciverba sulle riviste straniere durante i suoi viaggi? Quando ci si cimenta con un sudoku ad alta difficoltà, ci sono momenti in cui sembra impossibile procedere. Se non si vuole lasciar perdere, si può provare a inserire in una posizione dubbia un numero a caso tra quelli possibili, cerchiandolo, per poter poi ritrovare il filo se l’ipotesi non si rivelasse quella giusta. Come per incanto, ecco che anche il quadro più ostico trova un suo completamento dopo pochi tentativi in cui proprio l’errore permette di eliminare una eventuale strada inesatta, riducendo le ipotesi a disposizione e facilitando l’identificazione di quella corretta.

Gli orizzonti della co-creazione La realtà esterna non è soltanto un mondo da esplorare, è un’immensa tavolozza, con alcuni tratti già dipinti, con la quale possiamo interagire scegliendo di lasciare un segno con le nostre pennellate. Nulla è già dato e preordinato, nulla è ancorato a un destino immutabile. Siamo in un continuo processo dialogico con le circostanze esterne e un nostro gesto, una nostra parola, possono cambiare l’evolvere di una situazione. Siamo tutti non solo spettatori, ma anche protagonisti del mondo di cui siamo parte. La nostra partecipazione ai processi in atto nella quotidianità, a livelli micro e macro, si chiama co-creazione. Più siamo consapevoli del nostro margine di potere d’azione nell’interazione col reale, meno affidiamo ad altri la possibilità di fare delle scelte che riguardano anche il nostro futuro; che si tratti di quale miele comprare (con cui sosteniamo un apicoltore locale o una multinazionale estera), di quale sindaco votare (più o meno coerentemente con gli ideali in cui crediamo e con i progetti del candidato) o di quali ricerche o progetti finanziare (quelli che sostengono gli interessi di pochi o quelli che vengono incontro ai bisogni di molti). Fare amicizia con il disordine IL POTERE DEI PICCOLI GESTI

Con ogni vostro gesto cambiate il mondo, ogni volta che vi lavate le mani sterminate intere colonie di batteri, con un sorriso ribaltate l’umore della giornata a uno sconosciuto. Non saprete mai tutte le conseguenze delle vostre azioni, ma potete scegliere di agire comunque, non per il risultato, ma per il piacere di incidere sulla realtà circostante. Lo penso, lo dico, lo faccio Quante volte mi è capitato di vedere una carta per terra, un quadro storto in una sala di aspetto, un collega che ha l’etichetta del pullover che spunta inopportunamente da dietro, uno straniero che guarda con occhi ansiosi la mappa della linea metropolitana, una signora anziana coi pacchi della spesa che sale a fatica le scale, una donna che si affanna con passeggino e due bambini urlanti per scendere da un autobus affollato... e non ho fatto niente? Quante volte sono entrato al lavoro o in un negozio senza salutare, ho parcheggiato senza preoccuparmi di lasciare uno spazio decente all’auto a fianco, ho fatto fare popò al cane sul marciapiede senza poi raccoglierla col sacchetto, ho visto mio figlio su internet e non mi sono preoccupato/a di sapere se navigasse in acque sicure... L’ignavia è un’abitudine, una pessima abitudine, una di quelle da sostituire. Posso cominciare con un piccolo gesto. Più è salda la boa interiore, più è forte il vostro centro, più mantenete vivo il dialogo interno su chi siete, cosa volete, meglio potrete disordinare il vostro consueto modo di fare senza timore di perdervi, ma con la consapevolezza che proprio col vostro operato potete trasporre nella realtà materiale qualche cosa di ciò che sentite essere importante e valido per voi.

Certo che a questo ampio margine di libertà riconosciuto – quello di poter dare una propria direzione al flusso dinamico degli eventi – deve corrispondere una forte responsabilità nei confronti del proprio agire, deve esserci una ponderata considerazione sulle implicazioni per gli altri e per il mondo. Non è un peso facile da portare, quello della libertà, e neppure quello di poter interagire col disordine, ma è questa la nostra attuale sfida evolutiva: consapevolezza.

Perdere l’ombrello come opportunità Dai massimi sistemi, torniamo alla nostra pratica quotidiana e continuiamo ad allenare la nostra capacità di co-creazione con l’imprevedibile, l’inafferrabile, l’imponderabile... con la vita di tutti i giorni. Il disordine creativo può diventare pratica quotidiana grazie all’inserimento di piccoli episodi in cui l’azione non emerge

da un’abitudine consumata, ma è scelta volta per volta in base alle diverse possibilità offerte dal reale. Il ritardo di qualcuno che stiamo aspettando può lasciarci il tempo di terminare un lavoro lasciato in sospeso; un ombrello dimenticato a casa di amici crea l’occasione per tornare a trovarli; la bocciatura a un esame si trasforma nello stimolo a studiare di più la prossima volta, oppure nella seria riflessione se è proprio quello il nostro corso di studi, ma può anche diventare una sfida che mette alla prova la nostra determinazione; il frigorifero quasi vuoto ci obbliga a inventare ricette con quello che c’è, scoprendo spesso ottime combinazioni a base di avanzi. A volte il margine di libertà d’azione che abbiamo di fronte a un evento è molto ridotto e si limita al fatto di potergli dare un senso piuttosto che un altro. Questa è una libertà che nessuno potrà mai toglierci, ma che ci consentirà di vivere anche una malattia come un momento di riposo, un’ingiustizia subita come uno stimolo all’impegno attivo per la difesa dei nostri diritti; un licenziamento come opportunità per reinventarci la vita. Ogni istante co-creiamo la nostra realtà dando letture a tinte rosa o a tinte fosche a quanto ci succede, scegliendo di leggere una fortuna o una sfortuna in quanto ci accade. Più ampia è la nostra capacità di leggere nel disordine – rispetto alle nostre aspettative – una possibilità che la vita ci offre, più energia avremo per trovare una nostra maniera di far fronte agli eventi. In questo stimolo della creatività, dell’intraprendenza, del generare risposte nuove, matura il contesto giusto per la felicità, che non si consolida tanto nello stare con la nave saldamente ancorata in porto, quanto nello scoprire di poter affrontare tempeste senza affondare.

Esplorare le connessioni Mitakuye oyasin , dicono i Lakota per salutarsi, “siamo

tutti fratelli” o “tutto è connesso”. Le culture native, di tutti i tempi e di ogni dove, hanno in comune questa visione ecologica della realtà per cui sono chiare le connessioni che legano tra loro ambiti diversi che, per la nostra mentalità analitica, non hanno nulla a che fare tra loro. È così che nascono pratiche, che noi occidentali non capiamo, che connettono eventi sincronici: il volo degli uccelli e il successo di una battaglia, le parole pronunciate prima di somministrare una medicina e il suo risultato. La sincronicità è parte integrante di concezioni del mondo che riconoscono non solo la dimensione materiale, ma anche un campo più vasto di realtà che interagisce col visibile e tangibile secondo logiche al di fuori delle leggi causa/effetto (il nagual della visione tolteca, per esempio). Una visione più ampia che noi oggi possiamo soltanto definire magica ma che forse avrà prima o poi riscontro anche scientifico e con gli studi della fisica quantistica in atto sul fenomeno dell’entanglement – la corrispondenza di alterazione istantanea riscontrata tra particelle anche lontanissime tra loro nello spazio – potremmo anche non essere lontani da quel giorno. Ci è voluto uno studioso del calibro di Jung per ridare attenzione al fenomeno e al pensiero induttivo-analogico: “La sincronicità è un tentativo di porre i termini del problema in modo che, se non tutti, almeno molti dei suoi aspetti e rapporti diventino visibili e, almeno spero, si apra una strada verso una regione ancora oscura, ma di grande importanza per quanto riguarda la nostra concezione del mondo”. 27 Fare amicizia con il disordine INNER ROUTER, UNA BUSSOLA PER LA SINCRONICITÀ Allenatevi a cercare le sincronicità, è un ottimo modo per fare amicizia col disordine! Nell’ambito della pratica dell’Ecopsicologia in Italia è stato inventato un gioco 28 che facilita questo risultato. Inner vuol dire “interiore”, router è quell’apparecchio che consente di condividere la connessione internet tra diversi computer in un unico locale, l’ inner router permette di esplorare le coincidenze significative nell’ambito della vostra vita attuale.

Crea una mappa visibile, oltre la linearità della logica, per scoprire quali dei vostri progetti in campo potrebbero essere connessi tra loro, suggerendo così nuovi spunti per potenziarli. È un bel gioco che può essere fatto ognuno per sé oppure in gruppo, magari a Capodanno, quando fate il bilancio dell’anno passato e vi predisponete con aspettativa nei confronti dell’anno entrante. Il gioco ha inizio Mi procuro il materiale necessario: un foglio formato A3 a testa (il doppio del normale foglio da fotocopia), un piatto, coperchio o compasso per tracciare un ampio cerchio su ogni foglio, pennarelli colorati e post-it. 1.

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Con il piatto, o con quello che ho a disposizione, disegno un cerchio sul foglio di carta; un cerchio appena più piccolo del foglio stesso, deve rimanere qualche centimetro per scrivere attorno al bordo superiore e inferiore. Sui post-it, uno per foglietto, scrivo un progetto, attività, interesse, sogno, speranza attualmente importanti per me. Da un minimo di quattro-cinque a un massimo di venti, ma non è un limite tassativo. Conto i biglietti creati e segno sul perimetro del cerchio tante tacche, più o meno equidistanti, quanti sono i biglietti. Ripiego i post-it in modo che il loro contenuto non sia più riconoscibile, lasciando la parte adesiva verso l’esterno. Li mescolo e li distribuisco in corrispondenza di ogni tacca all’esterno della circonferenza, come tanti piccoli raggi di sole. Con i pennarelli colorati disegno delle linee, all’interno del cerchio, che connettono tra loro casualmente i diversi biglietti. Le linee possono essere rette, curve, arzigogolate, come preferisco. Ogni linea inizia o finisce necessariamente in corrispondenza di una tacca. Non tutte le tacche devono essere coinvolte e da uno stesso biglietto si possono dipartire più linee. Questa è la parte più analogica del gioco: posso sbizzarrirmi come credo connettendo punti diversi tra loro. L’effetto grafico è piacevole, ecco perché è bello avere a disposizione pennarelli colorati. A questo punto posso procedere con l’apertura dei biglietti e prendo nota delle connessioni emerse. Cosa è collegato a cosa? Quale relazione tra il successo di una impresa e il coinvolgimento di uno o altri campi a me cari?

Qui si apre spazio per una riflessione che potete fare da soli o, se il contesto lo consente, potete condividere a due a due o con tutto il gruppo. Sempre con la regola del massimo rispetto e non giudizio. Un consiglio: scrivete la data e tenetevi da parte l’ inner router realizzato; potrete poi rifarlo periodicamente, aggiornando i progetti e notando le nuove serie di possibili connessioni. Può valere la pena, per conservarlo, ricopiare sul foglio principale ogni voce, giacché l’adesivo dei post-it non regge a lungo.

Una pratica sciamanica L’allenamento continua. A volte è più facile diventare ordinati piuttosto che allentare la serratura di idee consolidate sulla realtà per scoprire che è molto più vasta – e disordinata – di quanto avremmo mai immaginato! La flessibilità percettiva è un’altra delle doti fondamentali per cominciare a sentirsi a proprio agio nel fluire della vita e aperti alla possibilità di lettura alternative a quelle convenzionali: è la capacità di guardare le cose non solo attraverso un’unica mappa, ma anche da diversi punti di vista. È una delle doti dei creativi, degli inventori, degli strateghi, è una delle capacità da sempre contemplate nell’apprendistato degli sciamani, che vivono nell’ordinario, ma sanno connettersi con lo straordinario. I bambini hanno questa capacità innata e la mettono in atto ogniqualvolta si soffermano a dare un nome a macchie casuali su una tovaglia, a giochi del ghiaccio sulla superficie dell’acqua, ai solchi sulle cortecce.

Fare amicizia con il disordine LEGGERE IL FONDO DELLA TAZZA DI CAFFÈ Trovare forme di senso, ordinate, in un contesto casuale, disordinato, allena la flessibilità percettiva, vi prepara a cogliere significati laddove sembra l’ultimo posto al mondo in cui andare a cercarli, dà fiducia alla possibilità che avete di dare una vostra lettura della realtà. Non indovino... nomino il possibile Le incisioni sul fianco rugoso di una montagna, i giochi di luce su un tessuto spiegazzato, i volumi da zucchero filato delle nuvole, i paesaggi del fondo delle tazze di caffè... sono palestre perfette per allenare la mia flessibilità percettiva. Stimolano la mia immaginazione, la fantasia e la capacità di vedere anche “altro” in una scena ordinaria. Quello che di solito vedo è legato all’abitudine, al nome che ho imparato a dare alle cose, quando mi impegno per andare oltre mi si spalancano immense possibilità non solo di lettura del reale, ma anche di facilitazione del divenire. “Nominatori/nominatrici” diventano coloro che sanno infondere tanta convinzione nel loro parlare, da facilitare la trasformazione della parola in realtà. Un potere che molti già sanno di avere – comunicatori, pubblicitari, politici, leader carismatici – ma che è diffuso anche al di fuori di ambiti professionali specifici. Diventate consapevoli di questo vostro potere, soprattutto per scegliere di utilizzarlo solo in positivo, per voi e per gli altri.

Occorre una grande centratura e presenza per leggere in modo altro il circondario. È quella che i greci antichi chiamavano akroasis , “ascolto del mondo”, e che oggi ha un suo valore per aiutarci a contattare contenuti, speranze, desideri e, perché no, anche intuizioni che emergono dal profondo di noi stessi. Perché il significato che diamo a ciò che vediamo non è nella cosa stessa, è dentro di noi, prima di tutto! Allenarsi in questa pratica ci rende più attenti, più ricettivi, più sensibili, tutte doti che entrano a far parte della resilienza, sulla quale stiamo lavorando insieme.

Raccogliere i sogni La realtà nella quale siamo immersi non è solo quella materiale – solida, visibile e tangibile –, ne entrano a far parte tante componenti interiori meno facilmente individuabili, ma non per questo meno determinanti nel corso degli eventi e quindi della nostra vita: emozioni,

credenze, intenzioni, soprattutto. Quando andiamo a dormire, quando ci immergiamo nel mondo dei sogni, entriamo nel regno dell’interiorità in cui tutto è mescolato e confuso, in cui si sovrappongono riflessioni, preoccupazioni, speranze e anche soluzioni, che possiamo cogliere solo quando ci sintonizziamo consapevolmente con questo immenso serbatoio interiore, il subconscio, e a volte anche con lo stesso inconscio. Anche qui c’è un allenamento preciso, di difficoltà appena superiore al precedente. Fare amicizia con il disordine ALL’ALBA DEL GIORNO Non appena suona la sveglia, non appena aprite gli occhi, aspettate qualche minuto, qualche minuto soltanto, e crogiolatevi nella memoria degli ultimi fotogrammi del sogno che ricordate. Scrivere i sogni è un’ottima pratica per sviluppare flessibilità percettiva e per fare amicizia col disordine, ma cominciate col raccogliere i frammenti di sogno che ricordate, pochi attimi prima di alzarvi... come schiumare il latte crudo per raccogliere la panna che galleggia. Al confine tra due mondi Non do più per scontato che, al risveglio ogni mattina, dal nulla passo alla realtà. Divento sempre più consapevole che dal grande disordine approdo ogni volta di nuovo alla mia isola di ordine. Nei sogni, spazio, tempo, distanza e logica hanno un significato diverso che nel regno della veglia. Si mescolano allegramente tra loro considerazioni sul vissuto recente, sensazioni fisiche, ricordi lontani, presagi futuri... Per imparare a conoscere questo linguaggio scelgo di fare un po’ più di attenzione a quel breve e particolare lasso di tempo che è la transizione tra il sogno e la veglia. Cerco di trattenere qualche immagine o suggestione particolarmente interessante, di riportare l’attenzione su una scena o su un messaggio. Non importa se poi, una volta del tutto svegli, non ricorderete più queste impressioni. L’esercizio è quello di acquisire sempre più familiarità con questa dimensione immateriale in cui passiamo tutti quasi un terzo della nostra vita, una dimensione in cui regna il grande disordine.

Quando alle scuole elementari portarono per la prima volta la nostra classe in biblioteca, quello mi parve come un regno magico, in cui c’era la risposta a tutti i quesiti. Mi feci subito indicare dove era l’enciclopedia e quando ebbi modo di consultarla in autonomia, andai alla voce che più mi interessava: sogni. Quale sorpresa, e quale delusione, scoprire che la risposta era... un gran punto di domanda. E

tuttora non ci sono risposte univoche da parte della scienza sulla reale natura del sogno. Oggi questa considerazione, ben lungi dal deludermi, è invece di grande stimolo, come poteva esserlo, pochi secoli fa, il non sapere dove erano le foci del Nilo o cosa mai ci fosse oltre i ghiacci del Baltico: territori ancora da esplorare.

Street Zen Ci sono monaci zen che scelgono di percorrere le vie più affollate delle città o di attraversare centri commerciali brulicanti di frenetica attività in stato meditativo, seduti o camminando lentissimamente tra la folla. Lo fanno con l’intenzione di agire come elemento di dissonanza rispetto al contesto e quindi di promuovere riflessione e consapevolezza, almeno per i più ricettivi. Andare oltre la fissità di percezione, oltre la convinzione radicata che le cose possano essere lette soltanto in un modo e che ce ne sia soltanto uno corretto è un importante traguardo nel processo di crescita personale. Per procedere con gioia nella vita, riconoscendo la collaborativa danza tra ordine e disordine, è necessario dissolvere l’illusione di avere già capito tutto e scoprire che c’è ancora molto da esplorare, dentro e fuori. Entusiasmante avventura. Fare amicizia con il disordine ANDARE CONTROCORRENTE Può diventare una pratica quotidiana, anche solo di pochi minuti. Chiedetevi, prima di mettervi a correre come forsennati per prendere un autobus, un treno o anche un aereo: è davvero così importante? È davvero così importante? Anche qui, la ginnastica richiesta è di pochi minuti al giorno. Quel tanto che basta per trattenere l’automatismo dell’affannarmi solo perché tutti lo fanno o perché è ora di punta; o da diventare scorbutico/a perché ho fretta. Scelgo di diventare un elemento di disordine in un contesto in cui l’ordine delle cose è fare quello che tutti fanno... comincio a prepararmi al fatto che c’è un ordine fuori e uno dentro e che, spesso, per affrontare con facilità il disordine fuori mi occorre prima un buon ordine dentro: un allineamento tra

testa, cuore e corpo, tra essere e agire. Nei momenti di maggiore stress e tensione, quindi, scelgo di centrarmi, 29 ricordo a me stesso/a quale è il senso profondo di ciò che faccio, mi focalizzo sulle priorità e metto in campo i comportamenti che mi servono, non quelli che tutti gli altri hanno. Non prendetevi il rischio di scivolare sui binari attraversandoli di corsa solo per non perdere un treno, come ho visto succedere davanti ai miei occhi nella piccola stazione di Osnago... tragedia sfiorata solo per un pelo. Oppure di rovinarvi, e rovinare ad altri, la giornata perché trattate male chi vi sta vicino quando siete nervosi. Oh, vi hanno fatto uno sgarbo... è davvero “così importante”?

Chi segue il Tao del disordinato non è refrattario all’ordine ma all’irrinunciabile status quo , al monotono susseguirsi di gesti preordinati, alla routine esasperante, alle strade sempre uguali senza margine di variazione. Ecco che, compreso questo, si apre un nuovo capitolo nei confronti dell’ordine nello spazio e nel tempo che può permettere anche ai disordinati più incalliti, se sono davvero “sulla via”, di trovare un loro modo di fare i conti con l’ordine. La spinta può essere il desiderio di una pacifica convivenza con gli altri, o anche con se stessi, quando il grado di caoticità raggiunto supera il comfort considerato necessario. Un limite quindi assolutamente personale, oltre il quale anche il disordinato si arrende e si dice: “Va bene, scelgo di mettere un po’ a posto”. 24 Esercizio ispirato a quanto proposto da Roberto Assagioli in Principi e metodi della psicosintesi terapeutica , Astrolabio, Roma 1973. 25 Frank J. Barret, Disordine armonico. Leadership e jazz , Egea, Milano 2013. 26 “Ricerca della visione”. Pratica della tradizione nativa americana per trovare risposta a domande o quesiti interiori attraverso momenti di solitudine e ispirazione in natura, in cui ogni evento o segnale verrà letto come significativo. 27 Carl Gustav Jung, Wolfgang Ernst Pauli, Naturerklärung und Psyche , Rascher, Zürich 1952. Il saggio sulla sincronicità scritto da Jung insieme al fisico Pauli. 28 Inner router è stato inventato dal matematico Bruno Gentili ed è già stato utilizzato in decine di percorsi formativi. 29 Vedi il capitolo 4 di questo libro. Per approfondimenti: Marcella Danon, Stop allo stress , Urra-Feltrinelli, Milano 2012.

6. Trucchi di ordine rigenerante per disordinati

Le medicine forti non sono per tutti i giorni Mettere in ordine è una medicina potente. Qualcuno sceglie di farne uso tutti i giorni, col rischio di assuefazione e di perdita della naturale capacità di stare bene anche nel disordine; qualcun altro preferisce farvi ricorso solo quando ne sente davvero il bisogno. Riordinare i propri spazi, consapevolmente e non in automatico, è un’occasione preziosa per rivedere le priorità, le esigenze, i desideri e i valori che sono più attuali e per decidere che cosa mantenere nella propria sfera di vita e che cosa invece può o deve essere lasciato andare. L’atto di eliminare un oggetto dalla propria sfera d’azione personale ha un valore simbolico che esula dal semplice fare ordine negli armadi o nei cassetti, diventa un ribadire “chi sono io” oggi, a quali parti di me posso e voglio dare più spazio in questo momento della mia vita. Le pulizie di primavera possono essere considerate una medicina forte, un vento rivitalizzante che attraversa i nostri spazi e, come un vortice, porta via quello che non serve più. Ma si può anche attuare un po’ di prevenzione in modo che la cura non sia troppo choccante, si può diluire l’atto di fare ordine attorno a sé in tante piccole tappe che, a dosi

omeopatiche, possono permettere al disordine di mantenersi contenuto entro i limiti adatti alla propria sensibilità personale. Fare amicizia con l’ordine DARSI UN RITMO I disordinati non amano fare ordine. Forse per esperienze dell’infanzia e dell’adolescenza, quando sono stati forzati a farlo in famiglia, forse per tipologia caratteriale. Rientrate anche voi in questo gruppo? Mettendo a posto le cose vi sembra di tradire un voto fatto chissà quanti anni addietro? Se siete soddisfatti di come gestite oggi i vostri spazi, saltate pure questo box, se invece volete contenere leggermente la vostra spinta centrifuga provate a dare un’occhiata per vedere se c’è qualche dritta che potrebbe esservi utile. Cinque minuti al giorno di follia ordinante È incredibile quanto posso fare in soli cinque minuti di spietata determinazione. Metto il timer, ormai quasi ogni telefono ne è fornito, oppure prendo quello della cucina. Prima scelgo a quale ambiente dedicherò questi cinque minuti, tengo sottomano tutto il necessario, se voglio anche pulire qualcosa, e faccio partire il timer. Quando suona: stop. Ripeto la cura ogni giorno, ogni volta su un ambiente diverso. In questo modo scopro che ci vuole molta meno energia a mettere una cosa al posto più adatto che a rimuginare dentro di me che dovrei metterla via, ogni volta che me la trovo tra i piedi! Se entrate nel gioco della follia ordinante vi sarà più facile affrontare una pratica che sinora avevate catalogato come noiosa e alienante. Se dedicate anche solo cinque minuti al giorno ai vostri spazi vi sarà più facile affrontarli con leggerezza, quando arriverà il momento di interventi regolatori più impegnativi. Prevenite il superamento della soglia critica attestandovi sul livello di ordine/disordine adatto a voi.

Non esiste un ordine assoluto, un ordine univoco, un unico modo di fare ordine, gli stili sono tanti quanti siamo noi e diversi per ogni singolo giorno. Per un disordinato dire “basta, così non riesco ad andare più avanti, voglio dare un ordine diverso a tutto ciò che ho accumulato”, è un momento prezioso che verrebbe perso o invalidato se l’ordine a cui sottostare fosse deciso da altri o da schemi convenzionali. Fare ordine è un processo estremamente personale, che richiede tutta la nostra attenzione e stato di allerta. Quando ordiniamo diamo un senso agli spazi e costruiamo dei confini simbolici che hanno senso prima di tutto per noi; nessuno può farlo al posto nostro. Il trucco sta nel trovare l’abitante

del Pianeta Io adatto a questo ruolo.

Orientarsi nel proprio spazio Fare ordine serve agli ordinati. Ogni tanto serve anche ai disordinati. Il disordine è un diverso tipo di ordine, non semplice ma complesso, che segue altre logiche. “Ogni cosa al suo posto” non è l’unico modo di affrontare l’organizzazione degli oggetti, soprattutto se questo “suo posto” è rigorosamente dentro un armadio, un cassetto, una scatola ben chiusa. Ci sono oggetti che utilizziamo decine di volte nell’arco della giornata e rimetterle a posto ogni volta diventa un dispendio di tempo ed energia inutile. La funzionalità a volte può avere il sopravvento sull’ordine: un cucchiaio di legno sempre a disposizione vicino ai fornelli, un bicchiere pronto all’uso sul lavandino, una penna sulla testiera del letto... fuori posto, secondo alcuni, al loro giusto posto secondo altri. Chi ha ragione? Ognuno per sé, perché l’ordine è un concetto soggettivo. Quando la memoria visiva non aiuta più a ritrovare gli oggetti di uso sporadico o, peggio ancora, quelli di uso quotidiano, è il momento di intervenire sui diversi strati geologici della propria scrivania, sul magma contorto nei propri armadi, sui cumuli indistinti accumulatisi negli angoli di casa. Quando affrontato con l’animo giusto – come avventura, come esperienza liberatoria – e non come noiosa ma doverosa incombenza, il processo del riordino diventa un momento esaltante anche per chi tendenzialmente ordinato non lo è proprio. Ordinare è il mezzo, non il fine. È il mezzo per riappropriarsi di una visione più chiara di “chi sono”, “cosa voglio” e “cosa posso imparare da quello che è stato”. Non dobbiamo mai dire a un disordinato che deve fare ordine, lo spaventiamo. Dobbiamo suggerirgli, o suggerirci, semplicemente di riportare il suo spazio a quel livello di

caoticità che gli serve in questo momento; inferiore rispetto a quello attuale, quando è necessario. Fare ordine nello spazio vuol dire avere a che fare col tempo. Quello che è più attuale va in primo piano, a portata di mano, facilmente visibile e raggiungibile. Quello che non serve più, se è ormai uscito dalla nostra vita, può essere eliminato: la carta d’imbarco di un aereo preso l’anno prima, un biglietto da visita che non ricordiamo più neppure di chi, un monile etnico rosicchiato dalle tarme, l’alimentatore del primo telefono... Oppure può essere archiviato, se non puo’ essere eliminato, come la documentazione fiscale che va conservata per dieci anni, o se ci teniamo emotivamente: un regalo inutile ma di una persona cara, un quaderno di quando andavamo alle elementari, la mappa di una località visitata dieci anni prima... Fare amicizia con l’ordine QUI SÌ, LE ETICHETTE! Il problema, per i disordinati – e non solo –, sorge con quella ampia e indistinta classe di cose che “potrebbero servire”, ma che se chiudete in una scatola non vi ricorderete mai di avere e quando ne avrete bisogno non saprete più dove andare a ritrovare. E, per questi casi, c’è un prezioso, complesso ma economico computer organico che può aiutare. Non consuma energia elettrica, non si attacca alla presa, lo potete avere sempre a portata di mano e collegare a una stampante portatile, anche lei economica ed ergonomica: mani, carta e penna. Il tutto potenziato con un po’ di nastro adesivo. Il segreto è sotto alla scatola Quando archivio qualcosa, in un posto probabile o improbabile, scrivo sulla scatola, bene in vista, che cosa c’è dentro, prima di riporla in cantina, in cima a un armadio, nelle profondità di una cassapanca o di un armadio. Do un numero, un nome, un colore alla scatola in questione e poi ne riporto nome e contenuto in un quaderno che mi assicuro di ricordare dove sarà conservato. Se la scatola è posta in alto, ricopio anche su un post-it il contenuto e lo appiccico sul fondo della scatola, così, dal basso, lo leggerò facilmente sollevandola un po’, prima di decidere se è proprio quella di cui ho bisogno.

Quando poi sarà il momento giusto, potremo scegliere di liberarci definitivamente di quello che non ci serve più; questo sarà contemporaneamente causa ed effetto di un più radicale cambiamento fuori e dentro: preparerà spazio al

nuovo.

Montagne di carta Nonostante dovremmo andare al risparmio con la carta e alla base di molte delle email lavorative appaia l’invito “pensa prima di stampare questa email”, chiunque faccia un’attività che implica raccolta di scontrini e ricevute, ricevimento di lettere o progetti, bozze e proposte, si trova molto rapidamente invaso da fogli di carta. Questa è la bestia nera dei disordinati, più delle stoviglie di cucina o degli abiti, perché se un pullover disperso prima o poi salta fuori e così anche la tazza in porcellana della zia Evelina, un foglio di carta importante ha la capacità di infilarsi in luoghi in cui mai e poi mai verrebbe cercato. La carta richiede un occhio di riguardo, perché spesso è connessa ad attività lavorative o burocrazie inevitabili. Come orientarsi in questo marasma di cellulosa? Fare amicizia con l’ordine IL CASSETTO DELLE QUESTIONI IN SOSPESO Sceglietevi un posto ben a portata di mano in cui posizionare i documenti che ancora devono essere processati: una bolletta da pagare, una ricevuta da inserire in contabilità, il tagliando di un pacco da ritirare in posta, una lettera a cui rispondere. Può essere un cassetto, un cestino, una scatola senza coperchio; quando cercherete un pezzo di carta per voi importante, potrete trovarlo lì. Questa è solo una fase di transizione prima di mettere ogni pezzo di carta dal cassetto generico al suo giusto posto. Benedette cartelline colorate Se devo mettere a posto, devo farlo divertendomi, altrimenti mi faccio prendere dallo sconforto. Scelgo cartelline, o scatole, di colori diversi e, soprattutto, definisco per loro un posto adatto in casa; poi do a ognuna un nome, evidenziandolo bene. Contabilità e/o burocrazia : una cartella o un faldone ad anelli con tante cartelline trasparenti diverse può essermi utile per tutto ciò che riguarda documenti che serviranno prima o poi, oppure no, ma che devo tenere. Documenti importanti : uno spazio privilegiato è per quei documenti che magari servono una volta ogni vent’anni, ma che devo sempre

sapere dove sono: passaporto, atti notarili, esami medici, ricevute dell’assicurazione, contratti, diplomi. Appunti e articoli : uno spazio per materiale relativo alla mia attività professionale o hobby che, letto o non letto, un giorno mi potrebbe servire. Periodicamente, vuotate questo cassetto delle questioni in sospeso e se sono rimaste cose né urgenti né importanti, archiviate tutto il contenuto in una busta con l’anno ben evidenziato, come suggerito nel paragrafo successivo.

Per quante categorie faremo ci sarà sempre qualcosa che sfugge alla classificazione, e per queste cose c’è un’idea utile che si ispira... a un dialetto casalingo.

Organizzare il disordine Non sarà mai possibile, con le carte, mettere sempre ogni cosa al suo posto, perché le categorie possono rinnovarsi giorno dopo giorno e ci sarà sempre qualcosa che non rientra in nessuna delle cartelline create o disponibili. È qui che entrano in gioco le briciole, i fargui . È una parola divertente e versatile che ho imparato da un caro amico di Carpi. Quando dopo una lauta merenda a base di torta rimaneva ancora qualcosa nel vassoio, lui mi raccontava che a casa sua si usava il termine fargui per descrivere quell’avanzo sbriciolato. Ho sempre usato il termine sbagliato... avevo memorizzato sfargui e mi suonava proprio bene, per cui la cartellina degli sfargui , per me, è ormai da tantissimi anni quella in cui vanno tutti i fogli di carta & Co che non rientrano in nessuna delle precedenti categorie, ma che decido comunque di tenere, archiviandoli anno per anno: i disegni della figlia dei miei vicini di casa, una multa pagata, una lettera arrivata per posta, una poesia copiata da un libro, gli estratti conto bancari. Anche ciò che rimane dal cassetto delle questioni in sospeso, vuotato periodicamente, va in questa busta, sempre evidenziando bene l’anno. La cartellina degli sfargui è un “non luogo”, un’isola di

disordine in uno spazio che vuole trovare un suo ordine. Va contro ogni logica, sembra cartaccia che andrebbe buttata via... ma quante volte mi ha tolto dai pasticci l’aver ritrovato in questa cartella proprio quell’improbabile foglio di carta necessario anni dopo! Senza parlare della comodità di avere sempre un posto in cui sistemare quello che altrimenti non saprei dove infilare e mi troverei tra i piedi. Non c’è bisogno di tenere gli sfargui a oltranza. Arriva il momento che tutto quello che era difficile buttare o catalogare anni prima, trova naturalmente la sua collocazione nel cesto della carta da riciclare o in pattumiera (gli scontrini, per esempio, non sono riciclabili, vanno proprio cestinati). Da buttare tutto in una volta o passando rapidamente al vaglio pezzo per pezzo, se proprio si ha voglia di ritrovare l’aroma dell’anno in questione, prima di archiviarlo definitivamente. Anche qui non c’è un unico metodo, ognuno deve trovare come adattare spunti e idee al proprio stile.

Riciclare è più ecologico che buttare via Se fossimo intasati solo di carte, il problema non si porrebbe. Viviamo invece in un’epoca in cui l’atavico istinto raccoglitore viene stimolato e iperstimolato continuamente. Siete mai andati a fiere, convegni, manifestazioni culturali con in bella vista tanto materiale in carta patinata da portarsi via? Spesso vengono fornite apposite borse di tela, così possiamo allegramente fare man bassa di tutto quanto viene messo a disposizione. Materiale informativo che puntualmente – se siamo anche solo appena appena un po’ disordinati – appoggeremo da qualche parte e andrà a costruire un ennesimo cumulo. Il consumismo è in agguato e non ci portiamo a casa soltanto dépliant distribuiti gratuitamente, ma anche una marea di oggetti, capi di abbigliamento, prodotti alimentari, gadget, utensili per la

casa o per il tempo libero, acquistati non per reale necessità, ma soltanto perché abbagliati dalla confezione, dall’offerta speciale, dall’esposizione irresistibile. Negli Stati Uniti, dove questa piaga della spreconeria è nata e si è diffusa prima che altrove, hanno avuto il tempo di elaborare una soluzione molto intelligente, che piano piano inizia a diffondersi, anche se ancora su scala molto limitata, qui da noi: i garage sale . Periodicamente, davanti alle casette stile Topolinia, ogni quartiere inaugura la stagione dell’apertura dei garage intasati di cose e la vendita di oggetti usati. Vengono stesi panni colorati sul marciapiede ed esposte merci – vestiti, mobili, elettrodomestici –, spesso ancora in ottimo stato, a prezzi ridicoli. È un modo ecologico di disfarsi del superfluo consentendo ad altri di dare una seconda vita all’oggetto ormai inutilizzato. Perché il gioco funzioni, il prezzo deve essere davvero irrisorio, praticamente deve invogliare il passante o la giovane coppia che vuole mettere su casa con poca spesa ad acquistare quello che al proprietario non serve più, evitandogli un viaggio in discarica. Fare amicizia con l’ordine CHE COSA SONO GLI SWAP PARTY? Qui le strade non hanno gli ampi marciapiedi di Berkeley, ma stanno cominciando a diffondersi mercatini del baratto e swap party tra amici, feste in cui ognuno porta qualcosa che non usa più e che potrebbe essere utile a qualcun altro. Volete organizzarne uno? La festa del baratto È il momento del cambio di stagione? Apro gli armadi e non mi piace più quello che ci trovo dentro? Oggi basta poco per allertare la mia rete di amici e conoscenze, fisso un posto, un orario, preparo un aperitivo o una tisana calda coi biscotti e chiamo a raccolta tutti gli abiti indesiderati. Ognuno interverrà al party con abiti di cui vuole disfarsi (di volta in volta ci si potrà focalizzare su categorie diverse di oggetti: libri, dischi, scarpe, utensili, bigiotteria ecc.). I capi di abbigliamento – portati già lavati – vengono esposti in bella vista, un locale deve essere adibito a camerino. Se organizzo io, le regole le faccio io: possiamo, per esempio, estrarre a sorte numeri per definire chi sceglierà per primo e possono esserci più giri. Non importa se qualcuno di voi porta a casa più cose e un altro no, fa parte del gioco. Le varianti sul tema sono infinite, costante è solo il piacere

di stare insieme divertendosi. Tutto quello che rimane viene donato a chi ne ha bisogno.

La moda del riciclo si sta diffondendo anche on-line ed esistono siti e portali che si dedicano esclusivamente allo scambio di oggetti; denaro rigorosamente bandito. Contemporaneamente, aumenta il numero di negozi dell’usato che consentono di risparmiare e, allo stesso tempo, di non buttare. Da non dimenticare gli innumerevoli centri raccolta per le missioni o per le fasce meno abbienti della popolazione che sono sempre alla ricerca di abbigliamento, utensileria e mobilia. È vero che buttare via ha un effetto liberatorio, ma lo stesso effetto si ottiene regalando a chi potrebbe averne bisogno quello che a noi non serve più. Un modo per dare ancora più valore alla nostra necessità di alleggerirci del superfluo.

Non lasciare che il sassolino diventi valanga Per spiegare i principio della Teoria del caos, il chimico Edward Lorenz ha tenuto, nel 1972, una famosa conferenza dal titolo Può, il batter d’ali di una farfalla in Brasile, provocare un tornado in Texas? , per evidenziare come piccole variazioni nelle condizioni iniziali producano grandi variazioni nel comportamento a lungo termine di un sistema. Nonostante il contesto in cui è avvenuta questa disquisizione sembri molto lontano dalla vita quotidiana, il concetto è invece molto attuale per chi col caos ha ormai dimestichezza e sicuramente non farà fatica nel riconoscere una grande verità in questa deliziosa metafora. Il disordine, nei nostri spazi, cresce con logica esponenziale. Quando un oggetto viene abbandonato nel primo posto che capita – un calzino blu a pallini rossi finisce sul divano – apre le porte alla possibilità che anche un altro capo di abbigliamento, o un altro oggetto qualsiasi, venga colà accatastato, catalizzando una caoticizzazione crescente dell’ambiente in questione.

Credo che molti disordinati ormai esperti annuiranno sorridendo a questo punto. Se questo non ci reca danno né disturbo, e lo stesso dicasi per chi condivide lo stesso spazio con noi... che male c’è? Si lascia che il disordine cresca sino al punto in cui si raggiunge la soglia di tolleranza personale e poi si affronta la catasta. Conoscere la propria soglia di tolleranza è fondamentale per il benessere. Perché si può vivere serenamente la confusione, senza colpevolizzarsi, sapendo che ci sarà il momento in cui si rimetteranno a posto le cose. Si tratta di darsi, con gentilezza e furbizia, dei limiti. Con gentilezza, perché l’abilità sta nel fare amicizia col nostro abitante disordinato, dimostrando di apprezzarlo e non recriminando ogni momento per il suo modo di fare, ma dandogli limiti chiari entro i quali può agire indisturbato, con l’accordo che quando quei limiti saranno superati interverrete con un altro abitante. Con furbizia, perché occorrerà trovare quello giusto, usando molta fantasia: il regolatore, l’inquisitore, lo sterminatore. Con diplomazia, giacché l’abitante ordinato di solito è abbastanza pigrotto in quei Pianeti Io in cui il disordine è bene accetto, ma si potrà sempre trovare il modo per compensarlo del suo intervento: “dopo andiamo a mangiarci un gelato, metto la mia musica preferita a palla e danzo nel rimettere a posto le cose, o faccio finta di mettere a posto il mondo come piace a me e tiro fuori la grinta necessaria!”. Fare amicizia con l’ordine LA MAGIA NEL QUOTIDIANO Ancora siete convinti che fare ordine sia una noiosa attività imposta dall’esterno? Ecco un modo decisamente originale di affrontare la cura della casa, che ho imparato in un centro oggi chiamato Nazaré Uniluz, tra San Paulo e Campinas, in Brasile, che ha cambiato per sempre la qualità del mio modo di affrontare pulizie e riordino. Coltivare cura amorevole Così come quando mi sveglio al mattino e mi prendo cura del mio viso e del mio corpo, posso abituarmi a fare lo stesso per quella che è l’estensione

del mio corpo, lo spazio in cui risiedo per gran parte del tempo. Non mi metto nell’ordine di idee di “fare le pulizie”, ma di “armonizzare l’ambiente”, perché a volte il nome che diamo alle cose influenza l’atteggiamento con cui le affrontiamo. Mi predispongo dunque a prendermi cura del mio spazio invece di sentirmi obbligato/a a farlo, e lo faccio dando piena e amorevole attenzione a ogni gesto, invece che accontentarmi di pochi atti meccanici e impersonali. Nello svolgere l’attività ringrazio oggetti, strumenti e ambienti per il loro contributo al mio benessere. Non è tanto importante quanto vi occupate di riordinare e pulire i vostri spazi, ma come. L’atteggiamento con cui fate le cose diventa parte integrante dell’ambiente stesso che vi costruite attorno, l’amore che mettete in quello che fate vi tornerà moltiplicato, vi preparerà a vivere ogni istante come straordinario... come di fatto lo è davvero!

Spesso scopriremo che, una volta preso per il verso giusto, il nostro abitante ordinato – presente anche nel più incallito dei disordinati! – ci prende pure gusto. Non esistono persone ordinate e persone disordinate, esistono atteggiamenti ordinati o disordinati che mettiamo in campo in situazioni, contesti, momenti diversi. Conoscersi meglio... può rivelarsi utile.

Cercarsi alleati Quando il disordine supera la soglia di tolleranza personale, per i disordinati è un momento critico. Il disordinato dispersivo rischia di diventare disordinato disgregante, perché mollando completamente le redini il vortice delle cose sfugge al suo controllo. Quando il caos attorno a sé aumenta e il disordinato non sente di avere l’energia sufficiente per contrastarlo, può subentrare un senso di impotenza che porta alla paralisi. Non sapendo più dove mettere le mani e da che parte cominciare... lascia tutto così com’è, e la situazione non può che peggiorare. In questo caso, l’importante è non perdersi d’animo. La prima cosa che può essere di aiuto è sdrammatizzare: stare un po’ nel caos non fa poi così male, si può tranquillamente sopravvivere. “Solo dal caos può nascere una stella danzante,” recita Nietzsche su una serie di magliette in

circolazione. La seconda cosa da fare è cercarsi alleati. Quelli più immediatamente disponibili sono proprio dentro di noi. Andiamo a cercare un abitante che possa venirci in soccorso. Non è detto che sia l’ordinato; quando la situazione esterna è troppo choccante, di solito lui si nasconde per benino. Dovremo sbizzarrirci per capire chi, in questa situazione, ci può dare una mano, quale sfaccettatura della nostra personalità – forse l’esteta, l’organizzatore o il creativo, oltre a quelli più originali citati precedentemente – può entrare in campo impegnandosi su un obiettivo contenuto. L’intenzione non deve essere quella di rimettere a posto tutto... è troppo, in una volta sola. Basta cominciare da un tavolo ingombro di carte o da un divano ormai sommerso da cappotti e vestiti, o liberando il passaggio del corridoio togliendo quella valigia che è lì da un mese. Dandosi obiettivi piccoli, ma gratificanti, si può attivare l’effetto sassolino-valanga al contrario: ci si concentra su un dettaglio, ma poi... l’appetito vien mangiando e così anche la voglia di ricreare un po’ più di ordine attorno a sé. A volte anche questo non basta ed è qui che possono entrare in gioco alleati esterni. Amici, parenti o addetti ai lavori (collaboratori familiari, consulenti del riordino, life coach ) che ci affianchino nell’impresa, rassicurandoci che non siamo soli. A volte basta davvero pochissimo per riattivare il processo che farà pendere nuovamente la bilancia verso una situazione più equilibrata. Mi sono trovata in una situazione come questa con il mio giardino. Piccolo, ma non abbastanza da non riuscire a ospitare decine di specie selvatiche, piante, arbusti e alberi, spesso arrivati in maniera spontanea, disseminati dagli uccelli, che testardamente ho voluto accogliere tutti in questo piccolo spazio, forse nell’illusione di ricreare quella selvaticità che tanto vorrei attorno a me. Per un po’ è andato tutto bene e i vicini di casa sorridevano alla mia eccentricità. Ma negli ultimi due anni, complice la mancanza di tempo necessario da dedicare alla cura di una creatura vivente,

quale è un giardino, tutto è cresciuto a dismisura, andando a impattare anche con spazi confinanti, raggiungendo un livello di complessità che mi ha spaventato, proprio come ho descritto prima, e nei cui confronti sono rimasta paralizzata per mesi, guardando impotente il disordine crescere. Mi è bastato percorrere i quindici metri di lunghezza del mio spazio in compagnia di un giardiniere capace di sintonizzarsi sulla mia idea di giardino, concordando un suo intervento nel mese successivo, per ridarmi la carica e la forza di rimetterci mano in prima persona. Mi è bastato – ma non è poco! – sapere di non essere più sola nell’impresa, di poter contare su un aiuto professionale, per sbloccare l’impasse, con la rassicurazione che per quello che non saprò fare da sola ci sarà chi lo farà per me e, soprattutto, con me. Ho parlato di giardino, ma lo stesso meccanismo scatta anche quando l’aiuto viene cercato per riordinare uno spazio interiore. E molti psicoterapeuti, psicologi, counselor e coach potranno raccontare di loro pazienti e clienti che già dopo aver soltanto fissato un primo appuntamento telefonico hanno iniziato a prendersi in mano più attivamente e a fare grandi passi verso la risoluzione di quanto li aveva spinti a cercare supporto.

Fare ordine nel proprio tempo A volte il disordine patito non è, o non è soltanto, quello nello spazio, ma è quello nella gestione del proprio tempo. Mille sono le incombenze che ci attendono ogni giorno – telefonate, email, commissioni, cura della casa e molto altro – e il tempo sembra non bastare mai. A volte si investono ore in dettagli e ci si accorge quando ormai è sera che si sono trascurate cose ben più importanti, stando dietro a tutte quelle urgenti o presunte tali. Fare amicizia con l’ordine DISTINGUERE TRA IMPORTANZA E URGENZA

Questi due concetti di “importanza” e “urgenza” sono proprio quelli che, in una classica mappa usata sul lavoro ma applicabile anche nelle incombenze quotidiane, possono aiutare a orientarvi nell’uso del vostro tempo. L’elenco giornaliero Faccio un elenco di tutte le cose da fare nella giornata, meglio ancora se lo preparo la sera prima per l’indomani. Le classifico in base alla loro importanza e alla loro urgenza (bastano una I o una U accanto a ogni impegno, qualche voce le avrà entrambe). Si creano così 4 gruppi: I U – quelle importanti e urgenti, che saranno le prime a essere prese in considerazione; I – quelle importanti ma non urgenti, che sono al secondo posto ma non oltre, per non rischiare di lasciarle indietro; U – quelle urgenti, ma non importanti, al terzo posto; – quelle né importanti, né urgenti, che vanno in coda. Alla fine della giornata, non solo cancello gli impegni assolti – questo trucco l’ho imparato da un collega formatore – ma anche quelli non ancora risolti, che andranno riportati in una nuova lista per l’indomani. È importante, sul piano del vostro sentire, che li cancelliate tutti. Vi lascerà la piacevole sensazione che avete fatto tutto quello che vi eravate proposti. Anche se non siete riusciti ad arrivare alla fine della lista, questo gesto vi obbliga a dedicare comunque tempo e attenzione anche a quanto avete rimandato all’indomani, smorzando la frustrazione del mancato raggiungimento di tutti gli obiettivi, traguardo spesso assai improbabile da conseguire.

Comunque vada organizzata la gestione del proprio tempo, è fondamentale rifuggire l’illusione di poter incasellare ogni singolo istante della giornata in un impegno o nell’altro. Non dobbiamo cedere all’illusione e al fanatismo di dover ordinare ogni istante della nostra vita. Ci saranno – dovranno esserci! – momenti di divagazione, trastullo, perdita di tempo (bisogna, poi, capire “perdita” in relazione a che cosa) e distrazione, perché sono l’indispensabile ricarica per poter poi funzionare bene in fase attiva.

Relazioni in primo piano Proviamo a fare il punto della situazione anche con ambiti più immateriali della nostra vita, quello delle nostre frequentazioni, per esempio. Spesso accumuliamo impegni,

dedichiamo tempo e investiamo affetto ed energie in situazioni e frequentazioni in cui stiamo ancora soltanto per abitudine. Fare ordine tra i propri amici, conoscenti, persone con cui passiamo parte del nostro tempo è finalizzato a evidenziare quali sono le relazioni che ci nutrono, che sono importanti per noi, in cui ci sentiamo riconosciuti, rispettati, accolti e valorizzati, in modo da dedicare loro una qualità di attenzione particolare, assicurandoci di non lasciarle in secondo piano anche quando il tempo è poco e gli impegni sono tanti. Quello che da una relazione ci arriva è proporzionato a quanto anche noi ci mettiamo, e questo vale nella coppia, in famiglia, con gli amici, sul lavoro e anche nella relazione con gli sconosciuti e col mondo. Ecco perché, nel fare ordine nella propria agenda, è importante segnarsi momenti generosi da dedicare a quell’irrinunciabile disordine che è il mondo delle relazioni, ai valori immateriali degli affetti, dell’amicizia, del piacere di condividere spazi e tempi nelle reciproche vite. Oggi la rete di contatti e connessioni, anche lontani nel tempo e nello spazio, è molto più ampia che in passato, ma il numero di amici su facebook non corrisponde certo a quelli che col cuore in mano consideriamo davvero tali. Di fatto, è proprio da realtà come i social network che questa riflessione sui diversi livelli di vicinanza e intimità viene stimolata, quando ci viene chiesto di settare la privacy creando diverse cerchie. È anche questo un modo per fare ordine nelle relazioni. Fare amicizia con l’ordine COLTIVARE RELAZIONI ECOLOGICHE A qualsiasi livello si collochi, una relazione si crea necessariamente in due e possiamo scegliere di essere noi quello o quella dei due che dà il “la” su una lunghezza d’onda di una qualità relazionale ecologica: armonica, dialogica, rispettosa. Ecco qualche idea, qualche spunto, qualche consiglio pratico per la creazione e il mantenimento di uno scambio creativo, costruttivo e dinamico con gli altri nella nostra vita. Fare attenzione all’altro e farglielo sentire Abbiamo tutti bisogno di essere visti. E a tutti fa piacere ricevere

attenzione. Mi prendo quindi il tempo di guardare cosa fanno, come stanno, come sono oggi le persone a me care e do segni concreti di averle non solo guardate, ma anche viste. Ascoltare quello che viene detto A volte credo di ascoltare, ma in realtà quando gli altri parlano penso ad altro, mi impantano in giudizi, aspetto un varco in cui potermi inserire attivamente nel discorso... l’ascolto è una conquista. Eppure è semplice: scelgo di zittire per qualche istante la testa e decido di dare tutta la mia attenzione a quello che l’altro mi sta dicendo. Rispettare l’altro così com’è Cercare di cambiare qualcun altro è una missione persa in partenza. È un consiglio che da millenni sagge nonne danno a nipoti innamorate di qualche scapestrato. Per porre una base ecologica in una relazione, che si tratti di partner, figli, amici o colleghi, la prima regola è far passare questo messaggio: “Vai bene così come sei”! Onorare il sentire, proprio e altrui Rispetto e non giudizio valgono anche nei confronti di quello che sento io. Riconosco, accetto e ascolto quello che una situazione o una persona mi suscita. Non devo necessariamente esternare il mio sentire o tradurlo in azione, ma posso accettarlo, per cominciare. Posso così diventare più accogliente anche nei confronti del sentire altrui. Essere autentici Se una relazione per me è importante, qui sì posso condividere il mio sentire, posso esternare il mio punto di vista, posso esprimere un mio bisogno. Essere autentici può far maturare una relazione verso una maggior solidità o far emergere incompatibilità di fondo... e allora, meglio prima che poi! Venirsi incontro ed essere gentili Faccio sentire a chi ho a cuore che ci sono, che lo prendo in considerazione e lo posso fare in innumerevoli modi diversi, anche con piccoli, piccolissimi gesti significativi. E se ci aggiungo anche la gentilezza, uno degli atteggiamenti fondamentali nel mantenere vivo a lungo ogni tipo di relazione, ancora meglio.

Le relazioni non sono soltanto uno degli aspetti della nostra vita quotidiana, sono il perno attorno al quale si gioca la nostra felicità. Quando sappiamo dedicare a coloro che abbiamo a cuore tempo, attenzione, affetto e impegno, scopriamo che è proprio da qui che provengono le gioie e le soddisfazioni più grandi. “Gli uomini vivono momenti di felicità nello starsi accanto [...] Nel reciproco affidarsi agli uomini capita di pervenire alla beatitudine. È proprio l’affidamento reciproco che nutre le profonde e grandi amicizie.” 30

Sano egoismo “La solitudine non è mica una follia, è indispensabile per star bene in compagnia,” cantava Giorgio Gaber. Se non ci prendiamo del tempo per stare bene noi, prima di tutto, non sapremo davvero essere accoglienti, disponibili e gentili con gli altri. Non è il “senso del dovere” la bussola giusta per stare con gli altri, va attivato il “senso del piacere”! E per poterlo fare dobbiamo prima essere sicuri di saperci accogliere, ascoltare, coccolare, gratificare, così da avere tutti i sensi all’erta anche nel cogliere i bisogni reali di chi ci sta di fronte, un aspetto fondamentale nella creazione di relazioni ecologiche. Fare amicizia con l’ordine APPUNTAMENTI CON SE STESSI Non dimenticate, parlando di gestione del tempo, di mettere in agenda appuntamenti con voi stessi. Rigorosamente almeno trenta minuti ogni giorno, mezza giornata alla settimana, una giornata al mese... prescrizione da adattare secondo il proprio bioritmo. Da non sottovalutare l’impatto psicologico di segnare questi tempi per sé in agenda, dando loro, come minimo, la stessa dignità che date a impegni presi nei confronti di altri. In particolare riservate a voi stessi le ore o le giornate che arriveranno dopo momenti che già sapete essere particolarmente impegnativi. Un tempo e uno spazio per me Che cosa mi piace fare? Che cosa mi rilassa? In quali situazioni recupero energia? Mi pongo queste domande e mi assicuro di infarcire la mia agenda di opportunità quotidiane e settimanali dedicate a queste attività. Non sottovalutate questa proposta apparentemente birichina. Prendersi bene cura di voi stessi è il primo passo per saper prendervi cura anche di chi avete a cuore, persone, progetti e iniziative.

Nella nostra cultura contemporanea c’è spesso un malinteso riguardo al senso dell’io, come se mettersi in mostra, soddisfare un proprio capriccio o prendersi tempo per sé fosse qualcosa di sbagliato. Certo, pensare sempre e solo a sé prima di tutto, può diventare un atteggiamento egoistico e antisociale... come in tutte le cose, è questione di equilibrio, di giusta dose, di buonsenso.

Mangiare col corpo, non con testa, gola o cuore Parlando di automatismi, di abitudini, di comportamenti appresi nell’infanzia, quelli legati all’alimentazione occupano un posto speciale. Giacché legati alla sopravvivenza, sono spesso profondamente radicati senza mai essere rivisti e aggiornati. “Come mangiamo” e “cosa mangiamo” è un tema molto ampio che coinvolge diversi aspetti: razionali : credenze e convinzioni sulla salubrità o nocività di un particolare cibo, affettivi : compensazione di bisogni immateriali, tradizionali : abitudini familiari o locali, sociali : comportamenti diffusi nei propri gruppi di appartenenza, religiosi : prescrizioni alimentari, spirituali : valori etici. A volte, quindi, si mangia “con la testa”, con quello che un medico, una dieta, una tradizione ci hanno insegnato essere il modo giusto di mangiare, con ciò che si pensa o con ciò in cui si crede. A volte si mangia “con la gola”, il palato, la lingua, tutto ciò che è connesso al momentaneo godimento di un sapore, del piacere stesso di mangiare, quello che nel linguaggio colloquiale definiamo golosità. C’è poi un mangiare – o non mangiare – “con il cuore”, con la sfera delle emozioni: colmando di cibo un bisogno di affetto, traducendo in ciccia un bisogno di protezione dai colpi della vita, gratificando con qualcosa di buono il peso di una frustrazione, o negandosi cibo per rifiutare in realtà altre cose. Credo di non aver detto niente di nuovo e immagino che quasi tutti abbiamo dei momenti in cui è uno di questi impulsi a determinare cosa mangiare. Esiste anche un’altra possibilità, quella ottimale, che può essere ritrovata, giacché è quella che abbiamo in dotazione quando nasciamo: mangiare “con il corpo”, capaci di

comprendere di che cosa necessitiamo per l’equilibrio del nostro organismo e il suo buon funzionamento. Quando i sapori sono troppo forti – salato, dolce, piccante – finiscono col plagiare le papille gustative e annullare l’innata capacità di riconoscere e assecondare i bisogni autentici del nostro corpo, permettendo così a testa, gola o cuore di intromettersi in un ambito che non spetta loro. Rischiamo così di perderci, e di perdere la salute, nei contorti meandri dei... disordini alimentari. Fare amicizia con l’ordine RITROVARE L’ISTINTO Provate a “centrarvi” per qualche istante, prima di mangiare, e chiedetevi prima di tutto se avete davvero fame o se state sedendovi a tavola solo perché l’orologio dice che è ora di pranzo o perché così stanno facendo tutti. Allenatevi a riconoscere quando mangiate per appetito e quando per convenzione sociale. Un piacere in ogni boccone Ho imparato due piccoli trucchi, che hanno cambiato il mio modo di mettermi a tavola, adatti a ogni dieta e a ogni credo. Prima di tutto, tra un boccone e l’altro, appoggio la forchetta sul piatto. Mastico e assaporo ogni boccone. E soltanto dopo averlo mandato giù, riprendo in mano la forchetta e passo al successivo. Il secondo trucco viene dalla macrobiotica: proprio quando, mangiando un cibo, arrivo al maggior godimento, è il momento giusto per smettere. Se si tratta di uno spuntino, prima di mettere automaticamente qualcosa in bocca, cercate di cogliere e analizzare con maggior precisione il bisogno. Non è che forse... avete sete? Spesso il sintomo della sete viene erroneamente codificato come appetito, col risultato di non placare il bisogno originario e di far accumulare chili che potrebbero senza alcuno sforzo essere evitati.

Mangiare in modo ordinato trascende qualsiasi dieta, è un atteggiamento interiore, nasce dalla capacità di ritrovare la connessione col nostro corpo, di dare ascolto ai messaggi che provengono da questo livello del nostro Pianeta Io e di dare loro attenzione e ascolto. È un lavoro lento e paziente che ci porterà a comprendere che cosa ci piace e che cosa no, che cosa ci fa bene e che cosa no. Vale per il cibo, vale per la vita.

Coltivare sane abitudini Procedere sul Tao del disordinato significa liberarsi dagli automatismi per ritrovare la capacità di cogliere il fluire della vita nel suo processo di incessante trasformazione, è un allenamento alla presenza, alla centratura, a quella che oggi viene chiamata mindfulness . Ma giacché anche noi siamo creature in equilibrio tra ordine e disordine, non possiamo ignorare che è forte in noi la tendenza ad automatizzare gesti, funzioni, reazioni, è un vero e proprio meccanismo di sopravvivenza. Non buttiamolo via, sfruttiamolo per scegliere consapevolmente quali azioni, atteggiamenti, comportamenti vogliamo coltivare e promuovere nella nostra vita, al punto da volerli trasformare in sane abitudini. Sembra una contraddizione, ma in realtà una cosa è essere soggetti ad automatismi indotti dall’esterno e un’altra è scegliere cosa vogliamo inserire nel nostro repertorio quotidiano di interazione facilitata col mondo. Cominciamo dal più difficile e dal più importante: la centratura può e deve diventare una pratica messa in atto in automatico. La capacità, cioè, di prevenire giudizi, pregiudizi, atteggiamenti non funzionali all’evoluzione desiderata della situazione, di attivare visione prospettica per scegliere come rispondere a una determinata situazione... è una conquista. Va allenata a poco a poco e può diventare parte integrante del modo di affrontare la vita, momento per momento. Questa è la pratica più importante, diventa un automatismo che ci aiuta a tenere sempre in ordine il mondo dentro, dove per “ordine” si intende l’adesione incondizionata alla propria identità profonda. Ma possiamo crearci automatismi anche per tenere in ordine fuori, quel tanto che per noi è necessario. Fare amicizia con l’ordine LA REGOLA DEI 21 GIORNI Fate fatica a trovare ogni volta le chiavi di casa o dell’auto? Passate le

mezze ore a cercare dove avete lasciato il telefono? Perdete di vista le email importanti? Buttate via una quantità esagerata di cibo perché vi va a male in frigorifero o rimane nascosto per mesi in fondo all’armadio sino a oltre la data di scadenza? Questo esercizio fa per voi. Automatismi scelti Scelgo una situazione in cui non sono soddisfatto/a delle conseguenze della mia mancanza di ordine. Identifico con precisione l’abitudine sostitutiva che voglio consolidare: dove riporre, ogni volta allo stesso posto, le chiavi o il telefono, come evidenziare le email che non voglio perdere d’occhio, che collocazione dare al cibo fresco ecc. Lavoro su una cosa alla volta, perché il processo di automatizzazione, per innescarsi, ha una sua tempistica precisa: 21 giorni. Per 21 giorni dovrò concentrarmi sull’intenzione di svolgere quella determinata azione in un certo modo e dovrò farlo davvero. Posso mettermi dei bigliettini sullo specchio del bagno, degli avvisi sul telefono, un appunto in agenda. All’inizio il processo mi richiederà attenzione e impegno. Ma sto consolidando una nuova abitudine che poi diventerà automatica, di cui vivrò di rendita. Dopodiché, a risultato raggiunto, potrete proseguire con il lavoro, seguendo lo stesso processo, per ogni altra situazione su cui vorrete intervenire.

E a questo punto, siamo pronti per gestirci in autonomia il percorso sulla via del Tao del disordinato, un percorso a spirale, con diversi passi, che include, accoglie, integra e trascende ogni dicotomia tra ordine e disordine. Un percorso che diventa una scelta di vita, una porta aperta verso uno stato di coscienza che ci appartiene come potenzialità intrinseca della specie umana, ma ancora poco frequentato: la felicità. 30 Salvatore Natoli, La felicità di questa vita , Mondadori, Milano 2009.

7. Navigare attrezzati sull’orlo del caos

Perché l’ordine non dà la felicità... L’ordine può dare tranquillità, serenità, sicurezza. Facilita la gestione della vita quotidiana, rende più pacifica la convivenza, semplifica la lettura del reale. Crea uno spazio armonico in cui ritemprarsi, riposarsi, abbassare la guardia, almeno per qualche momento. L’ordine è indispensabile per dare forma alla vita, è la forza centripeta, organizzatrice, armonizzante che permette alla materia, animata e inanimata, di addensarsi attorno a un progetto dotato di senso e direzione. Quello che farà la differenza, per il nostro benessere personale e per quello di chi ci vive accanto, sarà il suo livello di espressione – paralizzante, inquadrante o rigenerante – e la sua capacità di integrarsi e venire a patti con l’inevitabile disordine implicito nell’esistenza stessa. L’ordine può anche fare da parafulmine alla paura di affrontare questa disordinata esistenza di cui siamo protagonisti, può creare nicchie in cui avere per qualche tempo l’illusione di avere tutto sotto controllo, situazioni sottoposte a regole, monitorate da statistiche, contenute da leggi. In una delle espressioni del nostro mondo occidentale consumista, l’ordine si traduce direttamente e indirettamente in una pressione sociale a omologarci, a

uniformarci a stili di vita decisi da altri. Viviamo in una società che ipnotizza la libertà individuale, promuove la rassegnazione all’evitabile, va a braccetto col concetto di efficienza ed è molto amica delle macchine. Sì, è proprio questo il punto, l’ordine può diventare il motore di meccanismi automatici che si ripropongono sempre uguali, con scelte standardizzate, convenzionali, indifferenti alla realtà delle cose, alle esigenze della corporeità, ai valori della convivialità, alla poesia dell’anima, alle leggi della vita... al concetto stesso di felicità. Portata all’estremo, l’ossessiva ricerca di un ordine formale è tossica, allontana dalla natura, dalla capacità di ragionare in termini di calore, scambio e gioia, si affida solo ai numeri, ai grafici, al Prodotto interno lordo. Oh... ci ricorda qualcosa, questo? È il “mondo storto” in cui viviamo, 31 in cui di felicità ce n’è ancora poca. Nel World Happiness Report del 2015 – ebbene sì, c’è chi ha avuto l’idea di andare a misurare quanta felicità c’è in ogni diversa nazione, anno per anno – l’economista americano Jeffrey Sachs tira le orecchie all’Italia, che nel 2015 si trova solamente al 50° posto in classifica nell’indice globale della felicità: “Avete disinvestito dal capitale sociale, quel capitale che è fatto di fiducia reciproca, di relazioni solidali”. Questo Rapporto sulla felicità si inserisce in una nuova tendenza emergente a cercare una “misurazione meno grossolana e distorta del progresso” 32 che prenda in considerazione quello che davvero ci fa star bene. Per essere felici non è di “cose” che abbiamo davvero bisogno, ma di sensi e di senso: di sentire che sappiamo chi siamo, di sentirci parte attiva e co-creativa nella vita, di sentire calore umano e gioia di vivere attorno a noi, di sentire la brezza che carezza la pelle, il profumo degli aranci in fiore o del bosco dopo la pioggia, di sentirci vivi; e poi di inscrivere tutto questo in un quadro valoriale più ampio, di sentirci utili, di sentirci parte, di sentirci in evoluzione verso

orizzonti ancora da esplorare. Ecco che l’immateriale, l’imprevedibile, lo sconosciuto entrano necessariamente a far parte della nostra ricerca della felicità. L’ordine crea una bella isola, ma la felicità non si accontenta, vuole oltrepassarne i confini. “Il compito dell’arte,” diceva Theodor Adorno, il filosofo, “è mettere caos nell’ordine”, avviciniamoci, allora, un po’ di più all’arte di essere felici.

...e il disordine sì Vittima delle leggi del logos, della dittatura del parallelepipedo, delle esigenze della logica e del bisogno di tenere tutto sotto controllo, il disordine ha spesso il ruolo della pecora nera e viene associato a tutto ciò che di meno desiderabile ci può essere in una società. Viene spesso nominato soltanto in relazione alle sue espressioni più estreme, quelle disgreganti, distruttive, violente: disordini durante le manifestazioni, disordini sociali, disordini alla frontiera, disordini alimentari. Ed è vero, il disordine, forza centrifuga, rompe gli schemi, oltrepassa ogni regola, disattende qualsiasi logica, nella sua espressione più estrema porta alla distruzione. Ma così come l’ordine non è solo paralizzante ma, a dosi opportune, è rigenerante, anche il suo polo complementare alle dosi giuste è altrettanto importante per il processo della vita, quella con la V maiuscola e quella nostra individuale. È proprio nella sua capacità di oltrepassare il consueto che questa forza permette l’evoluzione, l’esplorazione di nuove forme, nuove strade, nuove idee. Nella vita personale diventa coraggio di essere diversi, di uscire dai binari, di non fare quello che tutti fanno o di fare cose che altri non fanno, di accettare che nella vita tutto è in continua trasformazione. Promuove atteggiamenti che creano terreno fertile per rendere possibili le più sorprendenti potenzialità della specie umana su questa Terra: creatività, resilienza, innovazione, fiducia di

poter incidere sul reale, arte di vivere. Ordine e disordine sono concetti relativi, sono diversi gradi di temperatura su un unico continuum, il disordine che dà la felicità è un disordine che include necessariamente anche l’ordine, come parte integrante del processo della vita, in cui entrambe le polarità danzano insieme in forme di ordine complesso, che appare disordinato, ma risponde invece a leggi troppo difficili da ritracciare per poterle cogliere a prima vista. L’ordine che “non” dà la felicità è quello che, invece, esclude il fratellino più discolo! La felicità è uno stato di coscienza, uno stile di vita, è il sentire che si sta usufruendo appieno delle potenzialità che offre l’esperienza della vita nel suo alternarsi delle due polarità. Non ci sono corsi per raggiungere la felicità, ma passi e tappe che possono creare i presupposti per far scattare la scintilla e far sedimentare – a poco a poco per alcuni, come esperienza dirompente per altri – questo modo più aperto e gioioso di vivere la vita, accettata nel suo intrinseco disordine fuori, affrontata con uno stimolante ordine dinamico, dentro. Oltrepassare i limiti di una riduttiva e banalizzante conoscenza di sé per affacciarsi alla complessità del mondo esterno e interno è una buona via per preparare il terreno alla felicità, è per questo che al “Chi sono io davvero?” è stato dedicato il capitolo centrale di questo libro, per facilitare quella ginnastica interiore che rende più elastici, flessibili, duttili, i muscoli della consapevolezza. La felicità è consapevolezza in espansione.

Da sapiens sapiens a sapiens felix La qualità della vita si coltiva attorno a sé come un giardino fiorito attorno alla propria casa. La felicità è una conquista che attende al varco ogni singolo individuo, è una sfida evolutiva per passare da una definizione della nostra

specie che fa riferimento solo al polo del logos a una che includa anche l’eros nella sua stessa identità. Ci siamo definiti, con fare altisonante, sapiens sapiens , ma in questi termini abbiamo scelto di sottolineare solo – ottimisticamente, peraltro – le nostre potenzialità legate alla saggezza, alla conoscenza, alla capacità di dare ordine alle cose. È arrivato il momento di arricchire il nostro orizzonte evolutivo con la polarità complementare, che valorizza la dimensione relazionale, il senso di appartenenza e di responsabilità attiva nei confronti degli altri esseri e la capacità di convivere e di interagire con l’inevitabilità del disordine, senza dover sempre per forza controllare tutto. Nell’amore, nelle relazioni, nella felicità, non c’è ordine che tenga, ma anche il disordine da solo non è sufficiente, ci sono entrambi in sinergia e dialogo. Il fulcro della felicità è proprio nel sentirci in relazione. “Nella felicità si diviene intimi al mondo,” ci ricorda ancora Salvatore Natoli, “l’uomo tanto più si espande quanto più diviene intimo alle cose, le accoglie, le custodisce. E si impoverisce se le asservisce, se le annichilisce: in tale crescita l’unica cosa che cresce è il deserto.” 33 Ed ecco che torniamo al mondo e il mondo... non è ordinato, nonostante la forte spinta al contenimento e alla regolamentazione di una modernità meccanicistica che ci sta spingendo in un vicolo cieco dell’evoluzione. Conosciamo davvero il mondo quando ne accettiamo la sua natura complessa, difficilmente prevedibile, sorprendente. E quando ci permettiamo di danzare, in un’alternanza di ordine e disordine, quando accettiamo di non conoscere ancora le leggi che davvero regolano la vita e oltre le quali molto apparente disordine emergerebbe in nuova luce: “Nel caos c’è un cosmo e in ogni disordine c’è un ordine segreto,” ha lasciato detto ancora Jung, grande conoscitore dell’animo umano che tante persone ha accompagnato ad attraversare il disordine per aiutarle a ritrovare un loro ordine

personalizzato. Come conciliare allora, concretamente, queste due spinte, ordine e disordine, non solo nella vita quotidiana, ma nel concetto stesso di essere umano? Forse possiamo imparare qualcosa dai gatti, i meno “produttivi” tra gli animali domestici, sicuramente più capaci di noi di godersi la vita in un equilibrio invidiabile tra punti fermi e insaziabile bisogno di novità, forse potremmo scegliere di cambiarci la categoria tassonomica da sapiens sapiens a sapiens ... non proprio felis , ma felix 34 . Sì, felici nel presente, felici accettando l’impermanenza, felici imparando i passi in cui si esprime la vita, per sentirci sempre più parte attiva di essa e per accoglierla ogni istante a braccia aperte pur senza sapere quello che porterà. “Vi chiederanno come si attraversa la vita. Rispondete: come un abisso su una corda tesa, in bellezza , con cautela e oscillando.” 35 31 Parafrasando un classico di Mauro Corona, La fine del mondo storto , Oscar Mondadori, Milano 2010. 32 Federico Rampini, L’età del caos , Mondadori, Milano 2015. 33 Salvatore Natoli, op. cit. 34 Felis è il nome dato da Linneo al genere di cui fa parte anche Felis catus , il gatto comune. Felix , in latino, vuol dire “felice”. 35 Maestro Morya, Foglie del giardino di Morya , Agni Yoga Society, 1953 (testo originale del 1924).

RINGRAZIAMENTI

Ho avuto bisogno di aiuto per scrivere questo libro e aiuto ho ricevuto. Ringrazio mia cugina Paola De Miranda per avere letto le prime bozze e per avermi saputo orientare verso un maggior equilibrio nell’affrontare le due polarità... si comprendeva fin troppo bene da quale parte stavo, mi ha fatto subito notare. Ringrazio Salvatore Irrera che, dalla Sicilia, ha voluto dedicarmi tutto il tempo necessario per leggere il testo in elaborazione, fornendo spunti e osservazioni preziose per migliorare l’insieme. Grazie a mia sorella Nicoletta Danon che ha letto alcuni capitoli evidenziando dei passaggi poco chiari e ancora troppo di parte. Grazie al mio compagno Bruno Gentili che mi ha ascoltata per ore in tutte le mie elucubrazioni sul tema, nei miei momenti giù e in quelli su, durante la stesura. Grazie a tutti gli amici che, per incredibili sincronicità, mi hanno girato citazioni e aforismi adatti a questo libro. E grazie a Francesca Cappennani, editor Feltrinelli, che mi ha accompagnata, orientata e sostenuta nel percorso di scrittura e che mi ha chiamata... al momento giusto, dandomi così la possibilità di accettare questa sfida. Gracias a la vida, perché scrivere e condividere visioni e riflessioni che promuovano consapevolezza e gioia di vivere è proprio la mia mission ed è per me ogni volta una rinnovata fonte di... felicità.

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Frontespizio Presentazione Introduzione 1. L’isola di ordine in un mare magnum di disordine L’invito a una danza Dalle profondità dell’universo... ...alla nostra vita quotidiana I Cinque Passi del Tao del disordinato

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Sicurezza e libertà L’antistatistica e il pollo di Trilussa Tempi moderni La realtà è più avanti 2. L’oscillazione vitale tra ordine e disordine Il disordine alla riscossa Ordine versus disordine Parliamo un po’ di noi Il punto della situazione

20 23 24 26 29 29 32 36 37

3. Oltre i confini dell’ordine e dell’ordinario Un’apertura su infinite possibilità Che stress uscire dal consueto! La qualità del futuro Senza etichette Pensare a testa in giù Chiedere di più al cervello Il “fuori dall’ordinario” innalza il sistema immunitario Cupido scombina l’ordine Qualcosa sul jazz Hic sunt dracones Disordine e felicità 4. Chi sono io... davvero? Uno sguardo dentro Il paesaggio interiore Uno, nessuno e centomila Il baricentro della bicicletta Con gli occhi del presente Quando ci sentiamo “fuori posto” Essere di più Il disordine che risveglia alla vita L’ordine che risveglia a se stessi 5. Trucchi di disordine creativo per ordinati La magia del disordine Oltre la soglia del consueto Degustare l’istante presente Uscire dall’autostrada “Non datemi consigli, so sbagliare anche da me” L’asino di Buridano e il sudoku Gli orizzonti della co-creazione

45 45 47 49 51 52 54 57 58 60 62 65 68 68 69 72 74 77 78 80 82 84 88 88 89 91 92 95 97 100

1° Passo – La partenza, l’ordine precostituito 2° Passo – La ribellione, l’esperienza del disordine 3° Passo – La seconda nascita, la danza tra ordine e disordine 4° Passo – Intelligenza ecologica, la consapevolezza della complessità 5° Passo – Oltre i confini, il grande disordine

A. Ordine paralizzante B. Ordine inquadrante C. Ordine generativo D. Disordine armonico E. Disordine dispersivo F. Disordine disgregante

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40 41 41 42 42 43

Perdere l’ombrello come opportunità Esplorare le connessioni Una pratica sciamanica Raccogliere i sogni Street Zen 6. Trucchi di ordine rigenerante per disordinati Le medicine forti non sono per tutti i giorni Orientarsi nel proprio spazio Montagne di carta Organizzare il disordine Riciclare è più ecologico che buttare via Non lasciare che il sassolino diventi valanga Cercarsi alleati Fare ordine nel proprio tempo Relazioni in primo piano Sano egoismo Mangiare col corpo, non con testa, gola o cuore Coltivare sane abitudini 7. Navigare attrezzati sull’orlo del caos Perché l’ordine non dà la felicità... ...e il disordine sì Da sapiens sapiens a sapiens felix Ringraziamenti

101 102 105 106 108 110 110 112 114 115 116 118 120 122 123 126 127 129 131 131 133 134 137