Il sorriso

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Helmuth Plessner

Il sorriso

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Introduzione

L'espressione, il riso. il sorriso di Vallori Rasini

1. L'eccentricità posizionale Che l'uomo abbia la necessità di interpretarsi è cosa nota; l'intera storia della fìlosofìa si può leggere attraverso questo semplice punto di vista: il bisogno umano di definire se stesso, di trovare il senso della propria esistenza e dell'esisten7.a in generale. Dalla propria prospettiva - quella del vivente che è, cosl dotato e cosl esistente - certo non può uscire, né può prescindere. Per questo motivo, una teoria antropologica sembra dover precedere ogni altra considerazione, etica, teoretica o storica. L'impianto fìlosofìco di Helmuth Plessner prende avvio da questa consapevole7..7.a, che egli indaga in ogni suo aspetto 1• Convinto della necessità di rinnovare le fondamenta

1. Filosofo e sociologo di grande profilo, Plessner si è dedicato a lungo anche a studi di carattere scientifico ed è considerato, insieme a Max Scheler e Amold Gehlen, uno dei principali esponenti dell'antropologia filosofica contemporanea. Le sue opere principali sono raccolte in H. Plessner, Gesammelte Schriften, voli. I-X, a cura di G. Dux, O. Marquard e E. Stroker(con la collaborazione di R. W Schmidt, A. Wetterer e M. J. Zemlin), Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1980-198.5 (poi stw, 2003). Per notizie biografiche dettagliate si veda la sua Selbstdarstellung (1975), in Id., Gesammelte Schnften X, cit., pp. 302-341.

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del sapere contemporaneo, Plessner si è fatto promotore di un processo di collaborazione tra differenti aree, sostenendo che la ricerca scientifica e la riflessione filosofica, altrettanto indispensabili per una ricognizione esaustiva della realtà antropologica, dovrebbero procedere verso un reciproco e proficuo completamento2, e a maggior ragione se lo scopo è la rifondazione deIIa «scien7.a deIIa natura umana»3• La natura dell'uomo, oggetto dell'indagine, è un'unità psicofisica, una totalità dalla struttura complessa, insieme biologica e razionale, che palesa una duplicità cosl manifesta da avere depistato per secoli ogni indagine e costituito l'ostacolo maggiore al chiarimento del suo statuto ontologico. La soluzione di questa difficoltà dipende per buona parte dalI'impostazione metodologica del problema e ha come condizione una presa di posizione netta nei confronti del dualismo di origine cartesiana, dominante sia in ambito scientifico sia in ambito filosofico. Constatare che l'uomo appartiene contemporaneamente a una dimensione spirituale e a una dimensione organica non giustifica di per sé uno "smembramento" della sua natura, la riconduzione della sua essenza a due sostanze o principi; al contrario, è necessario individuare un punto di vista unitario, assumere un principio strutturale unico, in grado di condurre alla spiegazione dei diversi aspetti in cui si mostra la complessa e contraddittoria realtà antropologica.

2. Cfr. H. Plessner, Modemer Wissenschaftsbegriff und philosaphische Trodition (1956), in Id., Gesammelte Schriften IX, cit., pp. 325-331. 3. Nel pensiero filosofico della Germania del primo dopoguerra il bisogno di tematizzare la questione della natura umana era particolarmente sentito; si pensi- solo per fare un esempio - alle parole di M. Scheler in Mensch und Geschichte (tr. it., Uomo e Storia, in Id., Lo spirito del capitalisrrw e altri saggi, a cura di R. Racinaro, Guida, Napoli 1988, pp. 2.57-258). Quanto a Plessner, pare fosse sua precisa intenzione proporre una fondazione ex rwoo dell'antropologia filosofica; un proposito che urtò contro il dissenso di Scheler (si veda, di Plessner, la Selhstdarstellung, eit., pp. 329-330).

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L'intenzione di estendere il piano di conoscenza della natura antropologica spiega non solo la varietà degli interessi della ricerca plessneriana - che attraversa i campi più differenti, dalla fisiologia animale e umana ali'estesiologia, dalla gnoseologia alla sociologia e alla teoria politica - ma soprattutto la sua disponibilità ad adottare molteplici strumenti di indagine, metodi appartenenti a correnti e tradizioni differenti, talora affiancati in maniera singolare e rielaborati in funzione di una solida unità prospettica4 • In particolare, per determinare le categorie della natura umana, Plessner predilige inizialmente un approccio di tipo fenomenologico-ermeneutico che poi cederà il passo a una deduzione aprioristica - in un'ottica dialettica che si mantiene tuttavia ancorata empiristicamente. Lo studio dell'uomo come portatore di cultura - capace di organizzarsi in società e di esprimersi creativamente nel linguaggio, nell'arte, nella scien7.a - e la ricerca delle condizioni di possibilità di

4. La vasta opera di Plessner, oltre a contributi sul significato e la funzione della filosofia (Gesammelte Schriften I, Il, IX), comprende studi di ontologia dell'organico e antropologia filosofica (ivi, N, VIII), di ermeneutica dei sensi e teoria dell'espressione (ivi, III, VII), di teoria della società e filosofia della politica (ivi, V, VI, X). La letteratura critica è oramai assai ampia e varia, soprattutto in Germania; si veda l'apposita sezione nel sito della Helmuth Plessner Gcsellschaft: http:/Alelmuth-plessner.deAiteratur/ literatur-zu-plessner. Quanto alla letteratura in lingua italiana, ci limitiamo qui a menzionare alcuni dei primi volumi che hanno contribuito a introdurre il suo pensiero nel nostro Paese: B. Accarino (a cura di), Ratio Imaginis. Uomo e numdo nell'antropologiafilosofica, Ponte alle Grazie, Firenze 1991; S. Giammusso, Potere e comprendere. La questione dell'esperienza storica e l'opera di Helmuth Plessner, Guerini scientifica, Milano 1995; M. Russo, La provincia dell'uomo. Studio su Helmuth Plessner e sul problema di un'antropologia filosofica, La Città del Sole, Napoli 2000; O. Tolone, Honw absconditus. L'antropologia filosofica di Helmuth Plessner, ESI, Napoli 2000; V. Rasini, Teorie della realtà organica. Helmuth Plessner e Viktor von Weizsiicker, SIGEM, Modena 2002; A. Borsari - M. Russo {a cura di), Helmuth Plessner. Corporeità, natura e storia nell'antropologia filosofica, Saveria Mannelli, Napoli 2005.

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simili manifestazioni, devono essere affiancati da un'indagine "verticale" concernente la sua realtà biologica e il confronto con gli altri organismi naturali5• Nell'opera Die Stuferi. des Organischen und der Mensch, del 1928, Plessner determina le fondamenta sulle quali poggia il suo progetto antropologico: «sen7.a una filosofia dell'uomo, nessuna teoria dell'esperien7_.a umana della vita nelle scienze dello spirito. Sen7_.a una filosofia della natura, nessuna filosofia dell'uomo»6 • È quindi necessario partire dalle categorie elementari del vivente, mediante una minuziosa e complessa deduzione dei caratteri essenziali dell'organico, e procedere poi nella ricostruzione dei diversi "gradi" della natura, fino a giungere la dimensione umana. L'intenzione di Plessner non è di approdare a una metafisica dell'organico, ma di tracciare il quadro logico-ontologico delle coordinate strutturali del vivente, funzionali all'elaborazione di una teoria polivalente capace di porsi alla base della spiegazione della realtà comportamentale e storica dell'essere umano. La «teoria dei modali organici» rimane un'operazione unica nel suo genere e fondativa per l'intera produzione filosofica di Plessner7•

5. Cfr. H. Plessner, Die Stufer,, des Organischen und der Mensch. Einleitung indie philosaphische Anthrapolngie (1928); tr. it., I gradi dell'organico e l'uomo. Introduzione all'antrapolngia filnsofica, a cura di V. Rasini, Bollati Boringhieri, Torino 2006, p. 60. 6. lvi, p. 50. 7. L'opera I gradi dell'organico e l'u011W è stata ripubblicata, del tutto invariata, nel 196.5, e ha continuato a rappresentare il trattato generale di filosofia della natura al quale rimandano tutti gli studi di Plessner, di carattere antropologico, sociologico, storico-politico. In particolare, in quest'opera metodo a priori fenomenologico-dialettico e metodo empirico a posteriori mantengono la loro efficacia in un singolare intreccio teoretico: se il carattere della deduzione è rigorosamente aprioristico e la sua validità necessaria e universale, la sua giustificazione (vale a dire la sua verifica) si affida, in ultima istan7.a, al dato esperienziale.

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Il concetto di posizionalità (Positioruilitiit) consente a Plessner di trasformare la «duplicità d'aspetto» in cui si manifesta percettivamente la realtà organica (e in particolare quella umana) in un fondamento categoriale che offre uno statuto unitario al vivente. r:organismo si distingue dal corpo inanimato per una relazione dialettica con se stesso e con il proprio ambiente; una relazione attiva di "posizionamento" che lo rende autonomo e soggettivo. r:ente posizionale costituisce una totalità (Ganzheit) dalla struttura plastica e dinamica, essenzialmente "in sé" e "oltre sé", insieme fissa e duttile, stabile e instabile, regolare e irregolare. Diversamente dal corpo inorganico, che semplicemente "è", il vivente "prende posizione" (anche in senso spaziale e temporale), in quanto sistema organiz7.a.to sottoposto a un processo di sviluppo continuo. Soltanto l'organismo "ha" propriamente un ambiente e un corpo ed è il soggetto di questo "avere". Persino alla pianta appartengono queste determinazioni strutturali: anche un vegetale, in quanto sistema autonomamente organi7.7.a.to e indipendente dall'esterno, è infatti un soggetto "avente" il proprio corpo; ma, diversamente dall'organismo animale, la sua forma strutturale è aperta verso l'ambiente e strettamente vincolata al proprio ciclo vitale; la sua individualità è più formale che reale. Nel grado animale, invece, soprattutto quando compaia un centro di organi72.azione dell'intero in grado di elevarsi al di sopra della totalità corporea, si determina un rapporto di concreta mediazione con l'esterno. Posto nel proprio centro, l'animale agisce e reagisce di fronte all'ambiente, entrando in una relazione riflessa con il proprio corpo; in questo modo può divenire un soggetto cosciente, nella sensazione e nell'azione. Ma soltanto l'essere umano è anche consapevole di tutto ciò, del rapporto di alterità col mondo, della oggettività delle cose, delle singolarità della propria forma di esistenza; soltanto l'uomo è un io, un soggetto totalmente riflesso su se stesso, una

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individualità autocosciente, un ente eccentrico (Exzentrisch) 8• Egli sperimenta continuamente gli effetti e i limiti di questa sua condizione e, benché radicato nel proprio centro esistenziale, lo scavalca, gli si proietta oltre. Per questo, alla natura umana appartiene una profonda frattura, uno iato che tuttavia rende possibile una speciale compattezza: l'uomo - dice Plessner- «vive al di là e al di qua deHa frattura, come anima e come corpo e come l'unità psico6sicamente neutrale di queste sfere»9• Relativamente debole di istinti e non adattato a un ambiente specifico (come invece l'animale), l'uomo è in grado di trasfonnare questo svantaggio in un privilegio: il suo campo d'azione è il mondo intero, un vastissimo orizzonte di possibilità rispetto al quale compiere scelte e fare progetti 10• L'uomo è aperto al mondo, dunque; ciò nonostante rimane vincolato alla natura e alla concrete7..za deHa corporeità. Per questo è vittima dell'antagonismo tra libertà e costrizione, tra l'impulso a una conduzione spontanea deHa vita e la necessità di una guida consapevole e calcolata, neH'affrontare situazioni sempre nuo-

8. Cfr. ivi, p. 312 ss.

9. lvi, p. 316. 10. È la nota tesi di J.G. Herder dell'uomo "invalido" e tuttavia forte della propria invalidità, alla quale si richiama espressamente anche A. Gehlen nel suo Der Mensch. Seine Natur und seine Stellung in der Welt (tr. it., L'uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo, a cura di V. Rasini, Mimesis, Milano 2010, p. 71 e pp. 112 ss). In Plessner questa tematica viene sviluppata in particolare nei saggi: Id., Die Frage nach der Conditio humana (1961); tr. it. Il problema della conditio humana, a cura di M. Attardo Magrini, in I Propilei, voi. I, Mondadori, Milano 1967, pp. 23-97; Id., Der Mensch als Lebewesen (1967); tr. it., L'uomo come essere vivente, in «B@belonline. Rivista di filosofia», n. 5, 2008, a cura di M.T. Pansera, pp. 21-29; Id., Macht und menschliche Natur. Ein Versuch zur Anthropolngie der geschichtlichen Weltansicht (1931); tr. it. Potere e natura umana. Perun'antropolngia della visione storica del mondo, a cura di B. Accarino, manifestolibri, Roma 2006.

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ve e diverse 11 • La sua vita, gestita passo a passo tra progetti e mediazioni, crea bisogni sempre nuovi, sempre più elaborati e complessi, che lo allontanano da una dimensione "originariamente naturale": è per natura non naturale, poiché il suo modo di essere un ente naturale passa attraverso l'artificio. Natura e cultura, sensibilità e spiritualità determinano l'intreccio esistenziale in cui si muove, conformemente alle varie modalità di relazione e compromesso che lo espongono al rischio della perdita di certezze. L'uomo ha la possibilità di oggettivare se stesso, oltre che il mondo; di mettere e di mettersi in dubbio; di viversi come qualcosa di "altro da sé", scoprendo altresl i falsi sentimenti, il pensiero molteplice, la propria abissale debolezza. Posto "dietro" se stesso, l'io perde il radicamento nel presente e trova la via dell'infinito, awertendosi contemporaneamente spaesato, sen7.a luogo e sen7.a tempo; finisce così per considerare la propria esistem.a come posta nel nulla e la sua condizione come votata all'inquietudine 12• Alla radice eccentrica dell'essenza umana appartiene però anche la chance di trasformare l'isolamento dell'io nella partecipazione a una dimensione intersoggettiva e sociale 13• La persona condivide un ambito comune, la sfera delle relazioni intraumane e della spiritualità (la Mitwelt). In questa concezione, lo spirito non è né anima né coscien7.a. L'uomo è anima ed è coscien7.a, e li esperisce come realtà allo stesso modo in

11. Plessner prende distanza dalla posizione sostenuta da M. Scheler e A. Gehlen, secondo la quale l'uomo sarebbe totalmente aperto al mondo e svincolato da legami ambientali; si vedano in particolare, di Plessner, Ober das Welt-Umweltverhiil.tnis des Menschen (1950), in Id., Gesammelte Schriften VIII, pp. 77-87, p. 78; e Id., Il problema della condiHo humana, cit., p. 88. 12. Cfr. H. Plessner, I gradi dell'organico e l'uomo, cit., pp. 343 ss. 13. Sul tema, si veda, di Plessner, Grenzen der Gemeinschaft. Eine Kritik des sozialen Radikalismus ( 1924); tr. it., I limiti della comunità. Per una criHca del radicalismo sociale, a cura di B. Accarino, Laterza, Roma-Bari 2001.

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cui esperisce come reale il suo essere corpo; lo spirito non istituisce invece alcuna realtà; rappresenta una sfera partecipativa soggettivo-oggettivamente neutrale, la cui possibilità dipende dalla struttura posizionale stessa. Partecipe di questa sfera, l'uomo si proietta al di là della contrapposizione tra soggetto e oggetto; e proprio in questo consiste il suo paradosso: soggetto di fronte al mondo e oggetto per se stesso, egli - al contempo e proprio per questo- si sottrae a quella contrapposizione14. Nella concrete7,7,a del vivere, egli interviene nel proprio campo d'azione imparando a gestire un intreccio di dati materiali e spirituali attraverso gli strumenti della comprensione, della comunicazione, dell'espressione mimico-gestuale, conservando una distan7.a - oggettivante, astraente, estraniante - dal complesso dei vincoli soggettivi e intersoggettivi in cui è immerso.

2. Espressione e creatività La speciale forma di esisten7,a dell'essere umano porta con sé il vincolo alla creatività e all'espressione 15. In quanto realiZ7,a7.ione espressiva, qualunque prodotto della cultura si aggancia all'elemento naturale, ai materiali offerti dal mondo grezzo, ma ottiene il carattere dell'artincialità. Né la forma né il contenuto di queste manifestazioni sono dati a priori; lo è invece il modo in cui si determina il nesso di forma e contenuto, vale a dire la legge generale della modalità di espressione dell'uomo;

14. H. Plessner, I gradi dell'organico e l'uomo, cit., p. 329. Sulle leggi della natura umana nella concezione di Plessner, V. Rasini, L'eccentrico. Filosofia della natura e antropologia in Helmuth Plessner, Mimesis, Milano 2013, pp. 109ss. 15. Cfr. H. Plessner, I gradi dell'organico e l'uomo, cit., p. 344.

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ciò che pertanto è definito non sono le singole manifestazioni concrete, ma il rapporto sussistente tra la configurazione posizionale dell'essere umano e l'espressività come suo modns vitale. A differenza di ogni altro vivente per l'essere umano l'esternazione rappresentativa costituisce una condizione obbligata e un bisogno ineliminabile; la sua vocazione alla socialità e il suo essere "animale politico" dipendono da una caratteristica necessità di comunicazione e di configurazione discendente - appunto - dalla sua natura eccentrica. Essa comporta una composizione dello stato di immanenza coscienziale e del contatto col mondo apparentemente paradossale, definibile in termini di «immediatezza mediata». Secondo questa legge antropologica il soggetto umano si trova con il mondo in un rapporto «indirettamente diretto»: l'eccentricità della posizione - spiega Plessner - si può determinare come una condizione in cui il soggetto vivente sta in relazione indirettamente diretta con il tutto. Una relazione diretta si ha laddove i componenti della relazione sono connessi l'uno con l'altro sen7.a elementi intermedi. Una relazione indiretta si ha laddove i componenti deUa relazione sono connessi attraverso elementi intermedi. Si dice relazione indirettamente diretta queUa forma di connessione neUa quale l'elemento intermedio è necessario per produrre e garantire l'immediate7.7.a deUa connessione. L'indirettamente diretto o l'immediate7.7.a mediata non rappresenta allora un'assurdità, una contraddizione in sé fa11imentare, bensl una contraddizione che si risolve in sé senza annuUarsi, che rimane sensata anche se non può osservare la logica analitica. 16

L'uomo è consapevole di trovarsi in questa condizione: si esperisce come corpo e al contempo come qualcosa che è "contenuto" nel corpo; un corpo che gli risponde e che in ogni caso si distingue da qualunque altro corpo dell'ambiente

16. lvi, p. 347; si veda anche ivi, p. 348.

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circostante. Questo corpo, che pertanto egli "ha" ed "è", rappresenta un limite, un ostacolo e una resisten7.a ma insieme il mezzo, il "modo" della comunicazione con il mondo. Alla duplicità in cui l'uomo si esperisce sta dinanzi l'unità concreta che di fatto egli costituisce; una unità che sul piano esistenziale va continuamente posta in atto, articolata, ricalibrata. Non si tratta della semplice strumentalizzazione del corpo da parte di un soggetto; si tratta invece di una inevitabile mediazione del vivente con se stesso nel commercio con il fuori (e con sé). La complessità di questo rapporto non appartiene alla natura animale; l'animale può fare un uso consapevole del proprio corpo ma non è consapevole di questa strumentalizzazione, poiché non si vede "da fuori". Sollevandosi "sopra" se stesso e la propria esistenza, vale a dire divenendo un io autocosciente, l'uomo sperimenta invece la propria situazione nel mondo come «immediatamente mediata». Chiarisce Plessner: solo attraverso la mediazione del mio corpo, che io stesso vivendo sono (sebbene io lo abbia), l'io è presso le cose, guardando e agendo. L'esistew.a comprovabile di componenti intermedie, come i processi chimici, i contenuti di coscien7.a, le immagini e i processi psichici, interrompe - come ogni analisi - nella nostra comprensione il senso della mediazione, cosl come l'esibizione isolata di singoli suoni interrompe il senso della musica. Nel quadro della mediazione invece esse ottengono il loro senso: sopprimere se stesse per produrre l'immediate7.7.a della relazione tra le componenti. 17

Nel quadro della teoria di Plessner, la legge dell'immediatez7.a mediata rappresenta un fondamento; quel fondamento che rende obsoleto qualunque tentativo di matrice dualistica nella

17. H. Plessner, Lachen urlll Weinen. Eine Untersuchung der Grenzen menschlichen Verhaltens; tr. it., Il riso e il pianto. Una ricerca sui limiti del comportamento umano, a cura di V. Rasini, Bompiani, Milano 2000; poi Giunti, Firenze 2017, pp. 76-77.

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spiegazione della realtà umana. A questa struttura può corrispondere tutto ciò a cui ci riferiamo parlando di Homo faber, le sue attitudini comportamentali e ogni tenden7,a ali'espressione, incluse le varie modalità di manifestazione linguistica, mimica, gestuale 18 •

3. Riso e sorriso Tra le manifestazioni espressive alcune rivestono un ruolo speciale. Il riso, ad esempio, è sen7,a dubbio una delle modalità che da sempre suscita particolare interesse; lo dimostra peraltro una vasta letteratura, di carattere umanistico, psicologico e scientifico 19. A Plessner però interessa un punto di vista differente, quello squisitamente "antropologico"; gli importa cioè di deterrninare quale significato "propriamente umano" assumano le manifestazioni espressive e in quale misura esse rivelino le facoltà di una natura eccentrica. Il riso si può ritenere - non meno del linguaggio verbale - un monopolio specifico della natura umana00; e il sorriso richiama senz'altro questa più decisa e fragorosa espressione, come a indicarne una forma diminutiva o una fase iniziale. Persino la forrnulazione linguistica, in molti casi, sembra attenersi a questa impressione: come per l'italiano "sorridere", anche subridere, sourire, sonrisa, oppure liicheln, osmijeh, buzequeshje ecc.

18. Sul tema, si veda B. Accarino (a cura di), Espressività e stile. La .filosofia dei sensi e dell'espressione in Helmuth Plessner, Mimesis, Milano 2009. 19. Lo stesso Plessner prende in esame alcune teorie sul riso, oggetto di vivace discussione nel corso del Novecento; in particolare si sofferma su quelle di Bergson, Danvin, Piderit, Klages. 20. Cfr. V. Rasini, L'espressione non verbale: il riso e il pianto in Plessner, in «Rivista Italiana di filosofia del Linguaggio», VII, n. 2, 2013, pp. 123-135.

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propongono un chiaro rimando al riso21• Naturalmente, questo fatto non è privo di fondamento: accade spesso che il riso si scateni a partire dal sorriso o che si concluda con un sorriso; oppure si dà che invece di ridere apertamente ci si trattiene fon.atamente in un sorriso, sostituendo dunque quest'ultimo al riso. Ma in queste circostanze ad avere la meglio è soprattutto il fattore mimico; di per sé - sostiene Plessner - il sorriso è un'espressione autonoma, con una propria caratteri72.azione e proprie occorrenze. Soprattutto se - come dicevamo - il punto di vista da cui ci si pone è quello del significato antropologico dell'espressione. Nella prefazione alla seconda edizione del volume dedicato al riso e al pianto Plessner scrive: il sorriso è una modalità espressiva sui generis: 1. è una forma germinale, frenata e di passaggio al riso e al pianto, e perciò è una espressione mimica nell'ambito delle espressioni non mimiche; 2. è espressione mimica "di" e gesto "per" una sterminata quantità di sentimenti, sensazioni, azioni, relazioni e stati, come la cortesia e l'impaccio, la superiorità e l'imbaran:o, la compassione, la comprensione, l'indulgew.a, la sciocche7.7.a e la ragionevole7.7.a, la dolce7.7.a e l'ironia, l'irrilevan7.a e la lealtà, la difesa e la seduzione, lo stupore e il riconoscimento; 3. è gesto di costume (keep smiling dall'Asia orientale ali'America), che dice tutto e nulla, e atteggiamento semplicemente rappresentativo, essendo specchio della eccentricità come distaw.a dell'uomo da se stesso.22

Per questo, una trattazione congiunta del riso e del sorriso gli pare del tutto inappropriata; il riso va trattato invece insieme al pianto, perché come il pianto riveste il significato di manifestazione estrema, di "limite comportamentale" e al contempo

21. Persino la lingua scritta cinese compone la parola "sorridere" utiliZ7.aDdo il carattere per "ridere", preceduto da uno che indica "poco", "piccolo", "minima parte". 22. H. Plessner, Il riso e il pianto, cit., p. 43.

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di superamento di detto limite. Dal punto di vista fenomenico, il liso è una manifestazione violenta e improwisa; potente nella sua irruen7_.a, rumorosa e singolarmente coinvolgente; ma è anche difficilmente controllabile: come se l'intera persona venisse improwisamente trascinata in un processo puramente fisiologico, "profondo" e in qualche modo autonomo. Tutto ciò è sintomo del fatto che il liso costituisce un fenomeno di rottura e di disorganizzazione, una manifestazione dal significato univoco e inequivocabile. Esattamente come il pianto, il liso testimonia l'irrompere di una elisi, un deragliamento dell'uomo dinanzi a una situazione che lo spia7.7,a; denuncia una insanabile (anche se momentanea) deboleZ7,a, lasciando trasparire l'esisten7,a di uno iato nella natura eccentrica dell'uomo2-1. Per questo, il liso rappresenta una "forma limite" del comportamento; una manifestazione che si determina cioè "al limite" della normale condotta. Si presenta quando le possibili risposte, consuete e controllate, dinanzi a una certa situazione appaiono praticamente esaurite. Normalmente - spiega Plessner - l'uomo ha una esisten7.a in cui si orienta, nel senso proprio e in quello figurato del termine. Essa deve essergli familiare o deve poterlo divenire, e deve dargli spazio così che di essa e in essa si possa fare qualcosa.[ ... ] L'uomo ha bisogno di essere sicuro che c'è un certo stato di cose, anche se non sa (e forse non saprà mai) quale. [... ] Essere di fronte a un certo stato di cose significa per l'uomo potersi attenersi a qualcosa perché si tratta di questo e non di quello e poterci avere a che fare: potersi rivolgere a qualcosa in quanto qualcosa, anche al rischio di un contrasto; poter fare qualcosa di qualcosa, anche al rischio che si sottragga all'intervento; far valere qualcosa come qualcosa, anche al rischio che si riveli come qualcosa di diverso. 24

23. lvi, pp. 213 ss. 24. lvi, pp. 214-215.

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Per conseivarsi stabile, il comportamento ha bisogno di familiarità (reale o possibile) con gli elementi delle situazioni che incontra, e la linearità delle correlazioni ha a che far con la "serietà" delle circostanze. Una situazione è seria - in senso Iato - nella misura in cui appare coerente, attendibile e rispondibile. Ogni volta che una situazione si fa "non seria" - per una ragione qualunque - può venire meno la capacità di una risposta equilibrata. Non ha alcun senso ricondurre il riso alla gioia e il pianto al dolore; le due reazioni dipendo non direttamente dai motivi, ma dalle situazioni che si determinano in relazione alla eccentricità umana. Con il suo ritmo, secco e continuativo, il riso ci conduce nella sfera della meccanica corporea, rompe repentinamente con il comportamento ragionevole e dominato. Nel riso manca inoltre un passaggio graduale dalla disposizione d'animo al moto espressivo, un diffondersi progressivo, una irradiazione che denoti un trasferimento dell'emozione dall'interno ali'esterno. L'uomo può ridere (come pure piangere) solo consegnandosi alla manifestazione stessa; si abbandona, al riso, interamente. Lo dimostra anzitutto lo schiatto, l'esplosione che gli dà inizio: «il motivo del riso - dice Plessner - ci assale ed esercita una costrizione»m; e per cercare di reprimerlo dobbiamo mettere in atto una certa violen7.a. Dal riso si viene dunque sopraffatti, e si perde la padronan7..a della condotta; pare che si spe7..zi l'equilibrio tra la persona che noi siamo e la nostra esisten7.a fisica a tutto vantaggio di processi corporei che scuotono e spossano. Ciò nondimeno, il riso costituisce un'autentica risposta, rappresenta una reazione sensata che riesce, in qualche modo, a far fronte alla situazione. Il riso interviene a risolvere dawero una impasse, a porre concretamente rimedio a un fallimento.

25. lvi, p. 109.

23 Si tratta - è vero - di una perdita di controllo, di una consegna alla meccanicità di un processo fisiologico, ma in essa si conserva l'unità della persona. Il corpo - diciamo cosl - si incarica di rispondere al posto della persona26, la quale non scompare, non si annulla, non viene realmente meno: rimane dietro le quinte e sovrintende alla performance. Se ne evince una vera e propria collaborazione tra la persona e il suo corpo, indice - indirettamente - della profonda frattura in cui vive l'essere umano. Questa frattura non contraddice, ma al contrario ratifica, la tesi della unitarietà dell'essere umano. La natura dell'uomo non ha a che vedere con una "composizione", ma con una intricata rete di mediazioni, possibile esclusivamente sulla base della capacità di "prendere distan7.a" specifica di un essere eccentrico.

I motivi che conducono alla crisi del riso possono essere, di fatto, i più diversi (lo scherzo, la comicità, l'imbarazzo, il solletico in qualche parte del coipo ecc.), ma tutti hanno in comune la possibilità di rendere ingestibile la condizione del momento, riescono cioè - in relazione alla specifica sensibilità e alla condizione dell'individuo - a determinare una situazione destabili72.ante, che genera un "corto circuito" comportamentale. Il doppio senso, un significato sfuggente, la confusione tra possibili traiettorie, determinano di per sé effetti differenti ma altrettanto favorevoli ali'esplosione del riso. La tensione che si accumula nell'intrecciarsi delle possibilità di inteipretazione e di reazione avan7,a la pretesa di sfogarsi e l'esplosione del riso le concede soddisfazione. Il sorriso è un fenomeno assai diverso; e se si prescinde dal fatto che talora i processi di civilizzazione li hanno accomunati nella funzione di gesto simbolico o di maschera, il riso e il sorriso hanno ben poco a che vedere l'uno con l'altro; a partire

26. lvi, p. 65.

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dal fatto che la rozzezza del liso sembra male adattarsi all'immagine di un essere che si vuole «padrone di sé e del proplio linguaggio» e che «cerca di affinare la propria esistenza corporea», giacché - come si legge nella Bibbia - «si vergogna della sua nudità»27 • Al contralio del liso, il sorliso costituisce uno strumento espressivo estremamente raffinato, duttile, polivalente, capace di mostrare - attraverso una configurazione solo apparentemente sempre identica- di quali livelli di autocontrollo e padronan7..a di sé sia in grado di disporre la natura umana.

4. L'essenza del sorriso Il sorliso ha lo statuto ermeneutico di una forma espressiva centrale. Deve questa centralità proprio alla sua polivalenza, a quella straordinaria plasticità che ne fa un comportamento mimico capace di trasmettere gli stati d'animo più diversi. «Fra le forme espressive - dichiara Plessner - esso ha il privilegio di essere meno di tutte legato a una particolare emo7.ione»28; un privilegio che, ponendolo al seJVizio di differenti e anche opposte comunicazioni, lo rende al contempo particolarmente faticoso da inquadrare. Il sorliso è cosl adattabile e sfumato da potersi esibire in situazioni che spaziano dall'assenza di consapevolezza (si pensi al sorliso del lattante o a quello che segue l'agonia) alla più piena e circospetta cognizione; dalla rabbia alla complicità; dall'imbarazzo al riconoscimento: uno spettro incredibilmente ampio di applicazioni, dove l'uomo non è "in preda all'espressione", ma piuttosto la esibisce (in genere dominandola).

27. H. Plessner, Il problema della conditio humana, cit., p. 83. 28. lvi, p. 86.

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Condotti principalmente con gli strumenti della fìsiologia neurologica, gli studi sul sorriso disponibili tra la fìne dell'Ottocento e l'inizio del Novecento tendevano a metterne in relazione la confìgurazione mimica - le labbra lievemente stirate, la comparsa di piccole fossette ai lati della bocca, l'incavo intorno agli occhi - con un'espressione di piacere e a considerarlo in genere una manifestazione di introduzione al riso, seguendo un metodo e un fìlo conduttore non in linea con l'impianto della ricerca plessneriana29 • Persino Frederik J.J. Buytendijk, neurofisiologo e psicologo animale amico e collaboratore di Plessner, accoglieva sostanzialmente posizioni simili30; la sua concezione aveva tuttavia il pregio di sottolineare - ponendosi dal punto di vista fisiologico - un elemento di paradossalità nel sorriso che in sostanza si avvicinava all'idea che questa manifestazione, nell'atto di esprimere, prende distan7.a dall'espressione stessa. Si tratta di un motivo centrale per cogliere le peculiarità del sorriso: quella «garbata distan7..a» doppiamente mediatrice - verso se stessi e verso ciò a cui il sorriso si rivolge - rappresenta al meglio l'eccentricità umana nel suo complesso. Proprio per questa distanza, l'uomo è in grado di dare forma alle proprie performance mimiche e, facendo del volto il campo di gioco principale delle relazioni 29. Di grande importan:za era ancora il trattato sulla espressione delle passioni di G.-B. Duchenne, Mécanisme de la physionomie humaine, ou Analyse e1ectro-physiologique de l'erpression des passions, Jules Renouard, Paris 1862, che d'altronde aveva costituito una fonte importante anche per il trattato di Ch. Darwin, The Expression of the Enwtions in Man and Animais (1872); tr. it., L'espressione delle emozioni nell'uomo e negli animali, a cura di P. Ekman, Bollati Boringhieri, Torino 1999. Si veda però soprattutto l'interessante lavoro scientifico pluridisciplinare di G. Dumas, Le sourire. Psycho1.ogie et physio1.ogie, PUF, Paris 1948, in particolare pp. 99-100, che si confronta con le principali posizioni del tempo. 30. Si veda infra, p. 65. Il saggio al quale si riferisce Plessner è F.J.J. Buytendijk, Algemene Theorie der menselijke houding en beweging, UtrechtAntwei:pen 1948.

26 comunicative, vi scolpisce i propri sentimenti31 • Questo spiega facilmente anche quel carattere simbolico del sorrtso, quella ineguagliabile potenzialità allusiva - delicata, eppure estremamente pregnante (talora persino violenta) - che, forte del distacco prospettico, sanziona il pieno dominio dell'uomo su di sé e sul mondo. Il sorrtso rappresenta insomma un plastico trastullo della mimica che consente partite di altissimo livello, potendo altresl permettere balzi umorali funambolici all'interno del complicato intreccio umano di mediazioni e riflessioni, di affetti e comunicazioni. L'opinione più "poetica" e corrente ha chiamato il sorrtso la «mimica dello spirito», non con l'intenzione di indicare l'espressione diretta di sentimenti che si diffondono a partire dalle profondità interiori dell'animo, bensl con quella di vedervi la superiorità di un canale comunicativo che attinge a una "eccellenza originaria" della natura umana. La posizione di Plessner, a questo riguardo, è dubitativa e circospetta: una simile definizione deve essere quanto meno precisata in duplice direzione: per un verso, infatti, essa sembra non tener conto di legittime forme semplici e spontanee del sorrtso; per l'altro tende a vincolarlo alla presen7.a di determinati contenuti. Da una parte, dunque, rimane circoscritta al semplice carattere di gesto, dall'altra diviene vittima della peculiare enigmaticità dell'essere umano: due limiti superabili mediante la considerazione del sorrtso dalla prospettiva filosofico-antropologica, che ne rivela - appunto - il carattere mediatico, ambiguo, paradossale. Questa paradossalità - vissuta come «attiva quiete» - ha a che vedere con la dinamica tipica del rilassamento. Già la semplice mimica facciale trasmette un'impressione di allentamento delle tensioni e di rasserenamento; non si tratta però di una

31. Si veda infra, p. 53.

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manifestazione di abbandono; al contrario, il rilassamento è frutto di una gestione dell'emozione (e della muscolatura), resa possibile - come si diceva - dalla distanziabilità eccentrica dell'uomo da se stesso. Questo allentamento porta con sé una certa luminosità e una "attenuazione" degli impulsi, rendendo eloquenti messaggi silenziosi e (almeno apparentemente) pacati. Secondo il parere di certuni, questo sarebbe dovuto a un "difetto", quello di non poter esprimere forti cariche emotive. Il sorriso sarebbe pertanto una manifestazione adatta solamente a trasmettere sentimenti deboli, scarsamente sostenuti dagli impulsi emozionali. Una simile ipotesi non è accreditata da Plessner, che agganciandosi alla teoria dell'espressione di Ludwig Klages (della quale accoglie tuttavia solo alcuni e marginali motivi) sostiene che l'intensità di un sentimento può variare indipendentemente dalla sua forma impulsiva. In particolare, l'intervento della volontà e della consapevolezza circa 1a forza del sentimento provato può mediare l'azione di scatenamento della reazione32• Il sorriso è senz'altro un'espressione "al diminutivo" e certamente non si presenta come derivato da una forte carica emotiva; ma questo non significa che l'intensità dei sentimenti di cui è tramite non possa essere massima. Precisa Plessner: Il sentimento di beatitudine o il rapimento estatico, ad esempio, possono pervadere totalmente, eppure la loro forma impulsiva resta debole, essi cioè non possiedono uno spiccato impulso motorio, o ne possiedono in scarsa misura. Viceversa, una gioia repentina, che possiede un forte impulso motorio, ci fa "esplodere", saltare, dan7.are, esultare. L'intensità di un

32. Di Ludwig Klages si veda Ausdrucksbewegung und Gestaltungskraft. Gnmdlegung der Wissenschaft von Ausdmck, in Id., Siimtliche Werke, voi. VI, Bouvier, Bonn 1964; tr. it., &pressione e creatività, a cura di D. Di Maio, Christian Marinotti Edizioni, Milano 2015.

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sentimento vana indipendentemente dalla sua forma impulsiva; un sentimento debole può avere una forma impulsiva forte, pronunciata, mentre un sentimento forte può averla debole e attenuata.33

Nonostante sia in grado di manifestare anche stati d'animo estremi, il sorriso non si mostra mai "all'estremo": la sua forma mitiga e allenta; non rappresenta un semplice "effetto" (come ad esempio il riso) e non può confondersi con un difetto. Se il riso si mostra al limite del comportamento e concretin;a (nella sottrazione) la duplicità di una natura instabile, il sorriso ne rivela al contrario la complicate7.7..a, ne percorre la pericolosa ambiguità, tutelandola. Confinato nella dimensione della giocosità, il sorriso può concedersi ampi interventi sulle modalità e sulla direzione delle prestazioni e persino sulle regole interne al gioco stesso che conduce; ma non può uscire da se stesso, non può abdicare dal ruolo di specchio dell'eccentricità, e tanto meno dissolversi in un meccanismo corporale. Il medesimo "libero vincolo" che riguarda l'espressione mimica del sorriso si ritrova nella figura artistica dell'attore. Soltanto un essere eccentrico può dedicarsi interamente alla rappresentazione di un altro - di un altro vivente, di un altro carattere, di un'altra persona- senza tuttavia trasformarsi in esso; può «impersonare» chiunque altro sen7..a rinunciare a se stesso14• Libero, dunque, ma altresl 33. Infra, pp. 41, 43. 34. H. Plessner, Zur Anthropologie des Schauspielers (1948); tr. it., L'antropologia dell'attore, in Id, Studi di estesiologia. L'UOfTUJ, i sensi, il suorw, a cura di A. Ruco, CLUEB, Bologna 2007, pp. 77-90. Si veda anche H. Lerch, «Nur Menschen iiffen nach». Helmuth Plessners Anthropologie der Geste, in U. Richtmeyer- F. Goppelsroder-T. Hildebrandt (a cura di), Bild und Geste Figurationen des Denkens in Philosophie und Kunst, transcript Verlag, Bielefeld 2014, pp. 127-148. Il termine tradotto con "impersonare" è "verkorpern", usato da Plessner per indicare in generale una attività di "insomazione" dei sensi e più in generale l'attività corporea di assunzione

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sempre impligionato, equivoco, ambiguo, esposto, il sorliso rappresenta dal punto di vista espressivo l'emblema più azzeccato della condizione antropologica; è la più autentica espressione dell'umanità dell'uomo.

(generazione) e trasmissione di tutto ciò che si ritiene psicologico, razionale, spirituale. Cfr. H. Plessner, Anthropologie der Sinne {1970); tr. it. di M. Russo, Antropologia dei sensi, Cortina, Milano 2008; inoltre, V. Rasini, Estesiologia e natura umana. Il valore dei sensi dell'antropologia filosofica di Helmath Plesmer, in «I Castelli di Yale online», IV, n. 1, 2016, pp. 1-13.

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Nota editoriale

Il saggio Das Liicheln è apparso per la plima volta nel volume collettivo dal titolo Pro regrw, pro sanctuario. Festschrift far G. van der Leeuw, a cura di W.J. Kooiman e J.M. van Veen, G.F. Callenbach, Nijkerk 1950, pp. 365-376; è stato Iipubblicato più volte, all'interno di raccolte di saggi filosofici: H. Plessner, Zwischen Philosophie und Gesellschaft. Ausgewahlte Abhandlungen und Vortrage, Francke, Bem 1953, pp. 193-203 (nuova edizione Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1979, pp. 220-232); Id., Philosophische Anthropologie, a cura di G. Dux, S. Fischer, Frankfurt a.M. 1970, pp. 173-186. Ora si trova in Id., Gesammelte Schriften, a cura di G. Dux, O. Marquard, E. Stroker, Suhrkamp, Frankfurta.M.1980-1985, vol. VII:Ausdmckund menschliche Natur; poi in stw 1630 (2003), pp. 419-434. La presente traduzione, lievemente Iiveduta, era apparsa sulla Iivista «aut aut», 282 (1997), pp. 153-163. Le note al testo sono della traduttrice.

Helmuth Plessner

Das Liicheln

Helmuth Plessner

Il sorriso

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An Vieldeutigkeit alle anderen mimischen Bewegungen des Menschen iibertreffend scheint das Lacheln seine Ausnahmestellung darin zu haben, daB eine Verbindung zwischen Ausdrucksform und AnlaB, die fiir die Gebarden starker Affekte und fiir Lachen und Weinen gilt, bei ihm nicht nachweisbar ist. Angenommen, diese Feststellung bewahrheitete sich, lieBe sich der Mangel geradezu als ein Vorzug auffassen, da dem Menschen im Lacheln ein Ausdruck zu Gebote stiinde, der 7.ll den verschiedensten und selbst gegensat7Jichen Regungen seines Innem paBt. Auf den ersten Blick ist es so. Die Situationen, die Stimmungen, in denen Lacheln auftritt, haben nichts miteinander gemein, das erste Lacheln des Sauglings und das letzte Lacheln nach dem Todeskampf scheinen die Ausdrucksbewegung sogar dem sinngebenden BewuBtsein 7.ll entziehen und an die Grenzen bewuBten Lebens zu veiweisen. Zugleich spiegelt es in un7.ahlbaren Brechungen und Nuancen die Zustande und Haltungen menschlichen Daseins. Die Klugheit lachelt und die Dummheit, der Stolz und die Bescheidenheit, die ùberlegenheit und die Verlegenheit. Wir kennen das freundliche, das abweisende und das zuriickhaltende, das spottende und das mitleidige, das verzeihende und das verachtende Lacheln. Es kann ùberraschung, Einsicht

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La peculiarità del sorriso, che supera in polivalen7.a ogni altro movimento mimico umano, sembra consistere nell'impossibilità di dimostrare il suo legame specifico, in quanto fonna espressiva, con un motivo scatenante; il che vale, per contro, tanto per i gesti provocati da forti affetti quanto per le manifestazioni del riso e del pianto. Ammesso che sia plausibile mantenere questo assunto, si potrebbe considerare tale difetto sotto fonna di pregio: quello di avere l'uomo nel sorriso un'espressione adattabile ai più differenti e contrastanti impulsi interiori. Così a prima vista. Le situazioni, le disposizioni d'animo in cui il sorriso compare non hanno tra loro nulla a che vedere; il primo sorriso del lattante e il sorriso che segue l'agonia sembrano persino sottrarsi alla consapevolezza e rimandare ai limiti della vita cosciente. Nello stesso tempo, esso è in grado di riflettere le condizioni e gli stati d'animo dell' esisten7.a umana attraverso innumerevoli rifrazioni e sfumature. Sorride la saggez7.a come la stupidità, la fìere7.7.a come la modestia, la superiorità come l'imbarazzo. Conosciamo il sorriso amichevole, quello scortese e quello riservato, il beffardo e il compassionevole, il sorriso del perdono e quello sprez7.ante. Può esprimere sorpresa, comprensione,

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und Wiedererkennen, Unverstandnis und Einverstandnis, sinnliches Behagen, Zufriedenheit, aber auch Leid und Bitterkeit ausdrticken. Sieg und Niederlage empfangen gleichermaBen sein Siegel. Das umeinander Wissen der Auguren und die verhaltene Tiefe des Buddha, die stereotype Maske archaischer Figuren, die Ratselhaftigkeit der Gioconda, die siiBe Erlostheit der Inconnue de la Seine, die Skepsis des alten Voltaire und der Weitblick des alten Rembrandt haben aus diesem seltsamen Lichte ihr unveiwechselbares Leuchten.

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riconoscimento, incomprensione, piacere sensuale, soddisfazione, ma anche dolore e amare7.7..a. Successo e sconfitta portano egualmente il suo sigillo. Il sapere complice degli Auguri, la profondità e modestia del Buddha, la maschera stereotipata delle figure arcaiche, l'enigmaticità della Gioconda, la dolce redenzione dell'Inconnue de l,a Seine, la scepsi del vecchio Voltaire e lo sguardo del vecchio Rembrandt ricevono il loro splendore dalla sua singolare luminosità.

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I Was ist sein Wesen? Um beim Eindruck zu bleiben, zweifellos eine Erheiterung und AuHichtung des Gesichts, eine Auflockerung, die freundlichen Anblick und Gelostheit mit sich bringt. Die Erfahrung der Portriitisten und Photographen hat daraus ihren Nut7.en gezogen. Allzuleicht scheint namlich das ausdruckslose Gesicht, wird es im Bilde festgehalten, den Eindruck der Gespanntheit zu machen, die erst im freundlichen Llicheln zur Entspanntheit sich befreit. Die leichte Vertiefung der Falten um Augen und Mund bringt mit der Verstarkung des Reliefs, der Lichter und Schatten, eine Verdeutlichung und Verlebendigung der Ziige ins Bild, eine groBere Warme und Nahe, welche das nie ganz ruhende Mienenspiel im taglichen Leben nur in seltenen Fallen entbehrt. Zu dieser Erfahrung paBt eine mehrfach geauBerte, wiewohl bisher noch unbewiesene und wohl auch sehr schwer korrekt beweisbare Vermutungder Physiologen: daB namlich das Llicheln, abgesehen von den in ihm sich auslebenden Ausdruckstenden7.en, die »leichteste« mimische Bewegungsform darsteUt, in die das Gesicht »von selbst« iibergeht, wenn die gewohnlichen Hemmungen wegfallen. Es lieBe sich denken, da8 die durchschnittliche Gespanntheit der mimischen Muskulatur im Widerschein der Affekte und der Fixierung an die wechselnden Verrichtungen des taglichen Lebens nur einer Enthemmung bedarf, um in Llicheln und nicht, wie man erwarten soUte, in Ausdruckslosigkeit iiberzugehen. Das Llicheln beim Saugling und nach beendetem Todeskampf konnte diese Theorie bestatigen. Wie immer es sich damit verhalten mag, so ist es gewiB im Wesen des Eindrucks, den das Llicheln auf den Llichelnden und seine Umwelt macht, und seiner leichten Hervorrufbarkeit begrundet, daB die Zivilisierung des Umgangs sich gerade dieser vieldeutigen Gebarde bedient. Sie liegt in der gemaBigten Zone zwischenmenschlicher Temperatur.

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I Qual è l'essenza del sorriso? La prima impressione è che si abbia a che fare con un rasserenamento e un'illuminazione del volto, con un rilassamento' che porta con sé un'aura di serenità e liberazione. È da questo che la pratica dei ritrattisti e dei fotografi ha tratto i propri vantaggi. Troppo spesso, però, ci si attiene all'idea che il volto fermato in un'immagine, senza particolari espressioni, susciti un'impressione di tensione della quale si libera solo mediante la distensione apportata dal sorriso. Il lieve incavo delle rughe intorno agli occhi e alla bocca, con l'accentuarsi del rilievo, delle luci e delle ombre, rischiara e vivifica i tratti nell'immagine, produce un effetto di più intenso calore e di maggiore vicinanza, che raramente mancano nella mimica della vita quotidiana, mai del tutto a riposo. A questa esperien7.a si abbina l'ipotesi della fisiologia - frequentemente formulata, benché sinora non comprovata scientificamente, e del resto difficilmente comprovabile - secondo cui il sorriso, indipendentemente dalle tendenze espressive che in esso si estrinsecano, rappresenterebbe la "più semplice" forma di movimento mimico, a cui il volto darebbe "spontaneamente" luogo al venir meno delle comuni inibizioni. Si dovrebbe cioè pensare che alla tensione media della muscolatura mimica, nel riverbero degli affetti e delle loro fissazioni alle variabili faccende della vita quotidiana, basti una semplice disinibizione per passare al sorriso e non, come ci si dovrebbe forse aspettare, a un'assen7.a di espressione. Il sorriso nel lattante e quello che segue l'agonia parrebbero avallare questa teoria. Comunque sia, l'idea secondo cui il sorriso riguarda colui che sorride nel rapporto col suo ambiente e che si appiglia alla facilità con cui viene suscitato, motiva il fatto che il processo di civilizzazione dei rapporti si sia molto servito di questo polivalente gesto, un gesto che si colloca nella temperata zona intraumana.

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Verbindlich-unverbindlich halt sie hoffichen Abstand zur eigenen Regung und zum Anderen, durch den sie geweckt ist und an den sie sich wendet. Die AuHichtung teilt sich dem Anderen mit und wird ihm mitgeteilt, ohne ihn direkt auf eine Reaktion festzulegen. Ob stilisierte Ceste oder unwillkiirlicher Ausdruck, meidet das Lacheln die Extreme der affektgeladenen Grimasse und der explosiven Katastrophenreaktion des Lachens und Weinens. In den Ziigen des Schreckens, der Angst, der Wut, der Gier, des Hasses und der Freude malen sich die Erregungen unverkennbar. In den Explosionen des Lachens und Weinens malt sich zwar nicht die Erregung, aber manifestiert sich der Verlust der Selbstbeherrschung als Bruch zwischen der Person und ihrem Korper. So oder so tritt der Erregte seiner Umwelt gegeniiber, zwingt sie zum Eingehen auf ihn, zur Abwehr, zu Mitleid und Mitfreude, zum Mitlachen und Mitweinen. Die malende Gebarde des Affekts, die explosiven Reaktionen des Lachens und Weinens schaffen fiir das Miteinandersein eine unausweichliche Lage, wie sie fiir gewohnlich solcher Lage entstammen und auf sie antworten. Ein Witz, eine Beleidigung, Streit und Zank, Konflikte, Zwischenfalle, Unfàlle, au&rgewohnliche Begegnungen rufen derartige Lagen hervor. Sicher ist das Lacheln von beiden Ausdrucksformen unterschieden. Ihm fehlt die Explosivitat. Es ist lautlos und gedampft, ein Ausdruck im Diminutiv. Ihm fehlt auch die grobe Affektladung. In seiner Gebarde kann eine starke Erregung nicht ausgedriickt werden. Aber man muB sich hiiten, daraus den SchluB zu ziehen, daB Lacheln die Ausdrucksform nur schwacher Erregungen sein konnte. Mit dem Klagesschen Begriff der Antriebsform der Gefiihle la.Bt sich die Schwierigkeit beheben. Das Gefiihl der Seligkeit, der seligen Entriicktheit z. B. kann uns vollig ausfiillen, doch bleibt seine Antriebsform schwach, genauer gesagt, es besitzt keine oder nur wenig ausgepragt motorische Impulswerte.

41 Vincolante o liberatorio, il soniso mantiene una garbata distan7.a dalla propria emozione e dall'altro; da ciò che lo suscita e da ciò a cui si rivolge. Il suo effetto luminoso comunica con ]'altro e viene da questi recepito, senza necessariamente vincolare a una reazione. Gesto stiliZ7.ato o espressione involontaria, il soniso evita sia le accentuate smorfie a cui inducono le forti emozioni, sia le reazioni esplosive caratteristiche del riso e del pianto. Nei tratti dello sgomento, dell'ansia, della collera, della brama, dell'odio e della gioia sono inequivocabilmente dipinte le rispettive eccitazioni. Nell'esplosione del riso e del pianto non si manifestano invece le eccitazioni, ma la perdita dell'autocontrollo, una frattura tra la persona e il suo corpo2. Nell'un caso e nell'altro, l'eccitato affronta il proprio ambiente, lo fou_.a a prestarsi e a resistergli, a condividere la sofferen7.a, la gioia, il riso e il pianto. I gesti segnati dagli affetti, come le reazioni esplosive del riso e del pianto, creano un'inevitabile situazione di reciprocità, da cui sono generalmente originati e a cui rispondono. Uno scherzo, un'offesa, dispute e liti, conHitti, contrattempi, incidenti, incontri insoliti suscitano simili situazioni. Il soniso si distingue senz'altro da entrambe le forme di espressione. A esso manca ]'esplosività; è silenzioso e sfumato, un'espressione al diminutivo. È privo di una forte carica affettiva e nel suo gesto non può esprimersi un'eccitazione violenta. Ci si deve tuttavia guardare dal concludere che il soniso possa essere una forma espressiva adatta solo a eccitazioni deboli. Mediante l'introduzione del concetto klagesiano di forma impulsiva del sentimento è possibile risolvere questa difficoltà3• Il sentimento di beatitudine o il rapimento estatico, ad esempio, possono pervadere totalmente, eppure la loro forma impulsiva resta debole, essi cioè non possiedono uno spiccato impulso motorio, o ne possiedono in scarsa misura.

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Eine jahe Freude dagegen wilI uns »zersplingen« lassen, wir springen, tanzen, jubeln; ihr motorischer Impulswert ist groB. Die lntensitlit eines Gefiihls variiert unabhangig von seiner Antriebsform. Ein schwaches Gefiihl kann eine starke, d. h. ausgesprochene, ein starkes Gefiihl eine schwache, unausgesprochene Antriebsform haben. Der Satz, daB dem Lacheln die grobe Affektladung fehlt, bedarf mithin einer zusatzlichen Erlauterung. Lacheln kann kein Ausdruck von Affekten mit ausgesprochener Antriebsform sein. Die Gedampftheit der Ausdrucksform sagt also nichts iiber die Starke oder Ausgesprochenheit der sich in ihr manifestierenden Erregung. Es gibt auch hier eine Angleichung der Gebarde an das Gefiihl oder, umfassender gesagt, an die seelische Bewegung. Die Zartheit, der diminutivische Charakter des Uichelns korrespondiert mit der Zartheit der Empfindung, Stimmung, Erregung oder wie immer man den jeweiligen Zustand des Erlebens glaubt benennen zu miissen. Ein triumphierendes, ein seliges, ein friedliches Lacheln ist seinem Gefiihl nicht weniger adaquat als ein siiffisantmalizioses, ein ironisches, ein bitteres Uicheln. Ober die GroBe, Starke, Fiille und Echtheit des Gefiihls ist damit nichts gesagt. Es braucht nicht darum schwacher, kleiner, oberHachlicher oder gar unecht zu sein, weil es sich in 1.arter Gebarde auBert. Es kann in reinster und kraftigster Entfaltung lebendig sein und erfiillt sich doch in dieser und keiner andem Ausdrucksform. Wir nannten sie lautlos und gedampft, einen Ausdruck im Diminutiv. Dieses Wort ist gefahrlich, da es der Suggestion nachzugeben scheint, die von den Bezeichnungen des Uichelns in einigen Sprachen ausgeht. Lacheln, soulire (subridere), glimmlachen benennen es vom Lachen her, als ob es seine anklingende Anfangsform oder seine verkleinerte Andeutung ware, und auch da, wo das Uicheln einen Namen mit eigener Stammform hat (z. B. smile), gehen die Bezeichnungen fiir Lachen und Uicheln ineinander iiber. Natiirlich ist das nicht

43 Viceversa, una gioia repentina, che Possiede un forte impulso motorio, ci fa "esplodere", saltare, danzare, esultare. L'intensità di un sentimento varia indipendentemente dalla sua forma impulsiva; un sentimento debole può avere una forma impulsiva forte, pronunciata, mentre un sentimento forte può averla debole e attenuata. L'idea secondo cui al sorriso mancherebbe una forte carica affettiva ha dunque bisogno di un chiarimento supplementare: sorridendo non si esprimono affetti attraverso forme impulsive pronunciate. Di fatto, l'aspetto sfumato della forma espressiva non dice nulla sulla fo17.a e sull'intensità delle eccitazioni che in essa si manifestano. Anche qui si ha un adattamento del gesto al sentimento, più in generale, al moto interiore e la delicatez7.a del carattere diminutivo del sorriso corriSpDnde alla delicate7..7.a della sensazione, dello stato d'animo, dell'eccitazione o comunque si voglia denominare la condizione vissuta. Un sorriso trionfale, un sorriso beato o pacifico non è meno adeguato al suo sentimento di quanto lo sia un sorriso sufficiente o malizioso, un sorriso ironico o amaro. Non è in gioco l'entità, la fo17.a, la piene7..7.a o l'autenticità del sentimento; non è necessario che esso sia più debole, più breve, superficiale o addirittura inautentico per il fatto che si manifesta in un gesto delicato. II sentimento può esibirsi nel modo più vivido e puro, e tuttavia reali7..7.arsi in questa e nessun'altra forma. Lo abbiamo detto silenzioso e sfumato, un'espressione al diminutivo. Un termine pericoloso, che sembra cedere alla suggestione che parte dalla denominazione del sorriso in alcune lingue. Uicheln, sourire, subridere richiamano il riso, come se ne accennassero alla fase iniziale o ne fossero una piccola traccia; e anche laddove il sorriso prende un nome dalla radice autonoma (ad esempiosmile) le designazioni del riso e del sorriso trapassano le une nelle altre. Tutto ciò, naturalmente, non è

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aus der Luft gegrtffen. Sehroft entwickelt sich das Lachen aus einem Lacheln oder klingt darin aus. 0ft bemiiht man sich mit einem Lacheln, wo ein Lachen am Platz ware. Ein alter, ein fader Witz, billige Komik konnen uns mehr nicht entlocken. Aber auch die Gebarden selbst, abgesehen davon, daB die eine als Anfangs- oder Endphase der anderen auftritt, haben Gemeinsamkeiten, weshalb es nicht auffallt, wenn ein Lacheln das Lachen vertritt oder (wie man dann sagt) sich nicht zum Lachen entfaltet. Der Funke glimmt, solange als er nicht zur vollen Flamme entfacht ist. Lacheln kann Anfangs- und Endphase des Lachens sein, es kann auch Lachen vertreten. Eine Vertretung in umgekehrter Richtung freilich ist unmoglich, und diese Unumkehrbarkeit laBt sich wiederum am einfachsten durch die Auffassung des Lachelns als eines verkiirzten, verkleinerten, keimhaften Lachens begreifen. Das Entwickelte, Ausfiihrliche, GroBe kann nun einmal das Unentwickelte, Ski.72.enhafte, Kleine nicht vertreten oder andeuten. Nur etwas, das noch Raum und Durchblick laBt, vermag dies von sich aus und bietet sich von selbst als Ersatz an. So verhalt sich denn das Lacheln zum Lachen wie das Liebeln zum Lieben: es hat etwas davon, es tut so als oh, es ist seine Vollform in der Verkiirzungund Andeutung. Die fluchtige Ahnlichkeit der Gebarden geniigt der Sprache jedenfalls, an dieser Analogie und- sitvenia verbo-mikrologischen Deutung des Lachelns festzuhalten. In Wirklichkeit verhaltes sich anders. Wir konnen unerortert lassen (was tatsiichlich auch noch nicht untersucht ist), oh Lacheln ein stets wiederkehrendes Anfangsstadium des Lachens sein muB. Schwerer als diese mimische frage wiegt die Einsicht, daB Lacheln von sich aus nicht zum Lachen hinstrebt. Es tritt oft (aber keineswegs immer) an seine Stelle, es wechselt auch wohl mit ihm ab, aber es hat sein eigenes unverwechselbares W esen, seine spezifìsche Angemessenheit, es ist eine Ausdrucksform sui generis.

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senza fondamento: sovente il liso si scatena a partire dal sorriso o si conclude con esso; spesso ci si trattiene in un sorriso mentre si vorrebbe ridere. Una bar7.elletta vecchia o insulsa, una comicità spicciola, non possono strapparci il liso. Eppure, a prescindere dal fatto che compaiano come fase iniziale o finale di qualcos'altro, i gesti stessi hanno un tratto in comune, che il sorriso supplisca a una risata o - come si diceva - non esploda in liso. La scintilla biilla, sino a che non accende una vera e propria fiamma. Il sorriso può dunque rappresentare la fase iniziale o finale del riso e persino sostituirlo, mentre una sostituzione del sorriso con il riso appare impossibile, cosa che viene semplicisticamente spiegata con l'idea del sorriso come qualcosa di abbreviato, di ridotto o germinale. E qualcosa di sviluppato, di ampio e ingente, non può certo essere indice o sostituto di qualcosa che è ancora in nuce, piccolo e appena accennato. Solo ciò che è in grado di permettere ancora un'apertura o uno spazio può offrirsi come surrogato. Ed è questo il modo in cui il sorriso è in relazione al liso, lo stesso in cui lo è l'amoreggiare all'amore: esso "ha a che fare", si propone "come se", ne rappresenta la forma compiuta nella diminuzione e nell'allusione. La superficiale somiglian7..a dei gesti è sufficiente al linguaggio,

che si attiene a questa analogia e -sit venia verbo - al significato micrologico del sorriso. In realtà, le cose stanno altrimenti. Se il sorriso costituisca necessariamente un ripresentarsi dello stadio iniziale del riso (cosa di fatto non ancora studiata) è questione della quale possiamo anche non occuparci. Più seria di questa questione prettamente mimica è quella riguardante il fatto che il sorriso, da sé solo, non sfocia nel liso. Spesso (ma non certo sempre) si presenta al suo posto o si trasforma in riso, ma ha una sua propria, inconfondibile essenza e una sua specifica occorren7..a: è una forma espressiva sui generis.

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Zur Malice, zur Ironie, zum Humor, vor allem wenn er sich verschmitzt gibt, pa8t allenfalls ein sehr zurtickhaltendes Lachen, besser die Lautlosigkeit des Llichelns. Fiir andere Regungen wie Mitleid, Melancholie, Verzeihung, Scham, Einverstandnis, Ciite ware Lachen nicht weniger deplaciert. Hier zeigt sich manchmal eine merkwiirdige Diskrepanz zwischen Feingefiihl und Nuancierungsvermogen der Mimik. Zarter besaitete Naturen, Menschen von groBerer Distinktion (es sind nicht immer Leute von reicherem Wissen oder, sofern es das noch gibt, guter Erziehung) werden in entsprechenden Lagen eher lacheln als lachen. Scharfe Cren7..en bestehen jedoch nur fiir die sublimen Regungen der Entrticktheit, der Abgeschiedenheit, der Verschwiegenheit und Verinnerlichung und weiterhin iiberall da, wo der Akzent auf das Sublime, Zarte und Feine der Regung fallen soll. Es gibt ein gutmiitiges Lachen und ein gutmiitiges Llicheln. Soweit sie Cebarden der Cutmiitigkeit sein wollen, unterscheidet sich das Hoho des Ersten nicht von dem angedeuteten Schweigen des Zweiten. Aber dieses »sagt« mehr. Es wahrt Abstand im Ausdruck zum Ausdruck. Mit dem echten Lachen hat das Llicheln, von gewissen AuBerlichkeiten vielleicht abgesehen, nichts zu tun. Aber mit der Ceste des Lachens steht es anders. Sie ist auch mit der explosiven Reaktion auf Komik und Witz nicht zu verwechseln. Als Ceste bleibt sie der Verfiigungsgewalt des Einzelnen unterworfen, der sich mit ihr der gesellschaftlichen Konvention anpa8t. Sie kann das Llicheln ebensogut ersetzen wie das Llicheln umgekehrt die Ceste des Lachens, gewiB nicht iiberall und nur innerhalb der eben erwahnten Cren7.en; aber der Stil spielt hier sicher eine erhebliche Rolle. Das maskenhafte Llicheln des Asiaten und das burschikose »Lachen« des Yankees, so verschieden sie auch sind, schaffen ein bestimmtes gesellschaftliches Klima. Da8 sie es schaffen konnen, beruht jedoch auf der Erkenntnis von der weitgehenden (wenn auch nicht durchgangigen) Ersetzbarkeit

47 Alla malizia, all'ironia, all'umorismo, specie se scaltro, è conforme solo un riso molto riservato; un silenzioso sorriso è ancora più adatto. Per altre disposizioni d'animo, come la compassione, la malinconia, il perdono, il pudore, il consenso, la bontà, il riso non sarebbe meno inopportuno. Talora si manifesta, in questi casi, una rilevante discrepanza tra la raffinatez7,a del sentimento provato e la capacità di renderlo attraverso l'espressione mimica. Una natura particolarmente sensibile, persone capaci di grande discernimento (e non si tratta necessariamente di persone di grande cultura o, se ancora ne esistono, di buona educazione) in simili situazioni sorridono, piuttosto che ridere. Confìni netti esistono tuttavia solo per sentimenti sublimi come l'estasi, la solitudine, la discrezione, l'intimi7.7,azione, e in genere ovunque venga accentuato il carattere sublime, delicato e raffinato del sentimento. Esiste un riso indulgente, ed esiste un sorriso indulgente. Nella misura in cui li si voglia considerare gesti che esprimono bonarietà, il fragore del primo non si distingue dal tacito alludere del secondo. Ma quest'ultimo "dice" di più. Nell'esprimere, esso preserva una distanza dall'espressione. Se si prescinde da certi aspetti esteriori, il sorriso non ha nulla a che vedere con il vero riso. Per quanto riguarda il gesto del riso - da non confondere con la reazione esplosiva alla comicità o allo scherzo - le cose stanno invece altrimenti. In quanto gesto, esso rimane soggetto al potere decisionale del singolo che se ne serve per conformarsi alle convenzioni sociali. Può sostituire il sorriso allo stesso modo in cui il sorriso può rimpiw2,are il gesto del riso; certo, non sempre, e solo entro i limiti già menzionati. Ma, qui, è lo stile a giocare un ruolo importante. Il sorriso da maschera degli asiatici e il "riso" spigliato degli yankee, pure cosl differenti tra loro, creano un determinato clima sociale. E alla base di questo è la consapevole7.7,a dell'ampia (anche se non cosl frequente) sostituibilità

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des Uichelns durch die Ceste des Lachens, welche die Distanziertheit des Uichelns, den Umstand, daB es im Ausdruck zum Ausdruck Abstand wahrt, nachdriicklich bestatigt. »An sich« ist Uicheln keine kiinstliche Ceste, sondem eine natiirliche Ceba.rde, zu bestimmten Regungen passend. Aber von gewissen Crenzfallen abgesehen, Ia.Bt sich die natiirliche Ausdrucksgebarde durch die kiinstliche Ceste des freundlich jovialen, des frohlichen usw. »Lachens« erset7.en. Diese Ersetzbarkeit ist im gan7.en Umkreis der mimischen Ausdrucksbewegung sonst unbekannt. Sie weist auf den eigentiimlichen Charakter des Uichelns, den wir seine Distanziertheit, Verschwiegenheit, Verhaltenheit nannten: daB es im Ausdruck zum Ausdruck Abstand wahrt.

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del sorriso mediante il gesto del liso, che conferma decisamente il distanziamento carattelistico del sorriso, il fatto che esso nell'espressione mantiene una distanza dall'espressione. "In sé" il sorriso non è un gesto culturale, ma un atteggiamento spontaneo adatto a certi sentimenti. A parte certi casi limite, tuttavia, l'espressione gestuale spontanea si lascia sostituire dal gesto culturale del "riso" gioviale, amichevole ecc. Una sostituibilità di questo genere non si Iipresenta nell'intero restante ambito dell'espressione mimica: un indice di quel peculiare carattere del sorriso che abbiamo chiamato il suo distanziamento, la sua Iiservate7.7,a e il suo contegno, il suo preservare un distacco dall'espressione nell'espressione stessa.

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II Nichts sprtcht deutlicher fùr die Sonderstellung des Lachelns unter den mimischen Ausdrucksformen als die mit seiner Lautlosigkeit, Cedampftheit und Verhaltenheit gegebene Unmoglichkeit, scharf die Crenzen anzugeben, in der seine natiirliche Cebarde in andeutende Ceste, die verhiillende Maske iibergeht. Die leichte Auflockerung des Cesichts, in der sich offenbar alle Erregungen mit schwacher, unausgesprochener Antrtebsform spiegeln, insofern sie dem Erregten das Gefùhl der Lockerung vermitteln, bietet sich ihm selbst als Spielfeld dar. Sagten wir, daB Lacheln im Ausdruck 7.llm Ausdruck Abstand wahrt, d. h. den Eindruck einer gewissen Distanz hervorruft, so erlebt das der Lachelnde selbst als »ein Verhaltnis zu« seinem Ausdruck, zu seinem Cesicht. In den Affekten mit starker Antrtebsform und in den explosiven Reaktionen des Lachens und Weinens sind wir ganz hingenommen und gehen unmittelbar im Ausdruck auf, allenfalls mit Anspannung darauf bedacht, uns nichts anmerken 7.ll lassen und uns nicht bloBzustellen. 1st dagegen bei eventuell starker und ausgesprochener Regung die Antrtebsform schwach, dann merken wir die sich ergebende, die sich von selbst einstellende Lockerung als ein spielendes Ceschehen, dem wir auf alle moglichen Weisen iibertreibend oder dampfend, aber stets andeutend und 7.ll verstehen gebend nachhelfen. Warum? Weil wir die Unausgesprochenheit der mimischen Motortk, die 7.UT Schwache der Antrtebsform paBt, als inadiiquat 7.UT Qualitat und Intensitat der Regung selbst erleben. Lacheln entfaltet somit ein symbolisches Mienenspiel, das mit seinem Ausdruck spielt. Erstes Ergebnis: ein Reichtum an motortschen Nuancen, die 7.ll einer uniibersehbaren Vielfalt von Regungen passen bzw. an sie angepaBt werden. Zweites Ergebnis: im Ausdruck ist die Crenze zwischen natiirlicher Cebarde und andeutender Ceste HieBend. Natur wird - Kunst. Die spontane Symbolik des Leibet wird 7.UT Allegorie.

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II Quanto alla speciale posizione ricoperta dal sorriso tra le forme di espressione mimica, nulla è più significativo dell'impossibilità, insita nel suo carattere silenzioso, delicato e composto, di determinare con precisione i limiti entro cui l'atteggiamento spontaneo del sorriso si trasforma in gesto allusivo, una maschera di copertura. Il lieve rilassamento del volto, in cui le eccitazioni si riflettono attraverso una forma impulsiva debole, non pronunciata, che fornisce ali' eccitato la sensazione di un rilassamento, si offre come il campo di gioco del sorriso. Dire che il sorriso nell'esprimere mantiene un distacco dall'espressione signinca che esso richiama l'impressione di una certa distan7..a, vissuta da colui che sorride come un "essere in relazione" alla propria espressione e al proprio volto. Quando abbiamo a che fare con affetti dalla forma impulsiva forte o con reazioni esplosive come quelle del riso e del pianto siamo totalmente presi dall'espressione e assorbiti in essa, magari impegnati a dissimularla e a non comprometterci. Quando invece la forma impulsiva dei sentimenti, anche intensi e molto pronunciati, è debole awertiamo l'allentamento spontaneo che ne risulta come un semplice accadere, che sosteniamo in ogni modo, esagerandolo o smor7,andolo, sempre però in una forma accennata e allusiva. Per quale motivo? Perché il non detto della motricità mimica che si adatta alla debole7.7,a della forma impulsiva viene da noi awertita come inadeguata rispetto alla qualità e all'intensità del sentimento provato. Il sorriso attiva cosl una mimica4 simbolica che gioca con la sua stessa espressione. Abbiamo un primo risultato: un'abbondanza di sfumature motorie che si adattano, o meglio vengono adattate, a una molteplicità sterminata di sentimenti. E un secondo risultato: nell'espressione, il confine tra atteggiamento spontaneo e gesto allusivo è fluido. La natura diviene arte. La simbolica spontanea del corpo diviene allegoria.

52 In den Grimassen der Affekte mit starker Antriebsform wie Angst, Schrecken, Gier, Wut, HaB, jahe Freude malt »sich« die Erregung ab. In den Explosionen des Lachens und Weinens malt sich zwar nicht die auslosende Erregung, wohl aber der Bruch zwischen Leib und Person im Verlust ihrer Selbstbeherrschung. Im Uicheln schlieBlich malen wirunsere Regung, geben ihr Ausdruck im Spielfeld des Gesichts. Dies erklart zugleich die Ungenauigkeit des Begriffs, der die unwillkilrliche Aufheiterung der Freundlichkeit, Sympathie, Zufriedenheit und des Behagens ebenso deckt wie die Gebarde des Spotts, der Siiffisance, der Verachtung, der Schamhaftigkeit oder der Verlegenheit, die, jede fur sich, ihre Ersatzform in einer entsprechend getonten Ceste des Lachens haben kann oder in ursprunglich sich einstellender Form in abgewandelter Mimik die Lockerung hindurchscheinen la.Bt. Sein Spiel mit den Mienen der Lockerung bedient sich deshalb haufìg der Asymmetrie, in der nicht nur der auHockernde, leichte, unbeschwerte und schwebende Charakter der Regung, der Abstand des Erregten zu sich und der Umwelt, sondern oft auch die Ambivalenz und Vieldeutigkeit der Sache, das Schiefe, Riskante einer Situation angedeutet werden soli. Die »Sprache« der Mundwinkel, Augenbrauen, Lider geht sehr gern in diese Richtung; vom einseitig zugekniffenen Auge nicht zu reden. Sie gehort, strenggenommen, nicht mehr zur Mimik des Uichelns als einfacher Aufhellung des Gesichts, schlie8t sich jedoch zum Zweck der Nuancierung des Ausdrucks haufìg daran an, iibertreibend oder dampfend, stets ins Bedeuten hebend, den Anderen zugewandt, doch nicht weniger: sich selbst. Durch seine Distanziertheit gewinnt das Uicheln Bedeutung als Mittel und Ausdruck der Kommunikation. Man gibt sich Iachelnd zu verstehen: gemeinsames Wissen um etwas, Gemeinsamkeit iiberhaupt, auch in der

53 Nell'espressione degli affetti con fonna impulsiva forte, come paura, sgomento, brama, collera, odio, improvvisa gioia, le emozioni "si" dipingono nella deformazione dei tratti del volto. Nell'esplosione del riso e del pianto non si manifestano le emozioni che la provocano, mala frattura tra corpo e persona causata dalla perdita del dominio su se stessi. Nel sorriso noi stessi scolpiamo i nostri sentimenti, diamo loro espressione nel campo di gioco del volto. Questo spiega, contestualmente, l'inesatte7.7.a dell'idea secondo cui il rasserenamento involontario che accompagna la gentilez7.a, la simpatia, la soddisfazione o il piacere avrebbe una funzione di occultamento, alla stregua dei gesti di scherno, suffìcien7.a, disprezzo, vergogna o imbarazzo, ciascuno dei quali può avere un surrogato in una scrosciante risata oppure lasciar trasparire un rilassamento mimico di vario tipo, spontaneo e originario. Il gioco instaurato dal sorriso con la mimica del rilassamento si serve spesso dell'asimmetria, in cui vengono tratteggiati non solo il carattere allentato, leggero, libero e sospeso del sentimento, oltre alla distan7.a da se stesso e dal proprio ambiente di colui che è affetto dal sentimento, ma sovente anche l'ambiguità e la polivalen7.a della cosa, l'obliquità e rischiosità della situazione. Lo favorisce il "linguaggio" dell'angolo della bocca, delle sopracciglia, delle palpebre; per non parlare degli occhi parzialmente socchiusi. Tale linguaggio non appartiene più, in senso stretto, alla mimica del sorriso come semplice rasserenamento del volto, ma contribuisce spesso al fine di sfumare l'espressione: accentuando o mitigando; sempre mettendo in luce un significato, rivolto all'altro, come pure a se stesso. Proprio per il suo distanziamento il sorriso ottiene il valore di mezzo ed espressione di comunicazione. Sorridendo ci si fa intendere: su qualcosa di condiviso o risaputo, anche nella

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Form des Getrenntseins wie Triumph und Niederlage, Oberlegenheit, Verlegenheit, Demut. Das Lacheln reagiert auf die Situation und bestatigt zugleich sich selbst und dem Anderen, daB man die Situation begreift und insofern ihre Bindungwieder gelockert hat. Es wird durch Lagen ausgelost, aber es bezieht sich zugleich auf sie, doch gedampft. Dabei bleibt es den Beteiligten und der Nuancierungiiberlassen, obdie Dampfung einen mildernden oder verscharfenden Sinn hat. Ein Zucken um die Mundwinkel kann verletzen, ein breites Haha und Hoho versohnen. Als Reaktion auf und Zeichen von Begreifen und Nichtbegreifen irgendeiner Sache, als Symbol des Ich hab's oder des Ich hab's nicht bekundet das Lacheln nicht weniger die Begegnung mit einer Situati on als es entsprechende Ausdrucksformen der Scham, Bescheidenheit, Unschuld, des Erstaunens und der Verbliiffung, des Wiedererkennens und des Zweifels usw. vermogen. Natiirlich braucht die Gebarde nicht immer etwas zu besagen. Das irre und blode Lacheln beruht vielleicht auf rein physiologischen Mechanismen, die nur noch einen ungewollten Ausdruckssinn mit sich fiihren. Das Spiel der Gelostheit auf dem Gesicht des Sauglings, der Adel friedlicher Heiterkeit in den Ziigen des Toten sind ebensowenig gewollt. Doch kiinden sie. Sein allegorischer Charakter, d.h. seine bewuBte Symbolik und Fahigkeit, die natiirliche Gebarde zur Gebardensprache und Geste spielend zu verwenden, gibt dem Lacheln die Funktion beredten Schweigens. Es hat damit den gleichen Hintergrund wie die Sprache, es gibt zu verstehen, besagt und bedeutet, wiewohl in verhaltener, verhiillter, unausgesprochener Form. Darum kann es ebensogut nichtssagend und leer wie vielsagend und schlieBlich unerschopffich, unergrundlich sein und mehr ausdriicken als alle Worte sagen konnen. Die Vieldeutigkeit des Schweigens und des Lachelns sind einander verwandt, aquivalent und im strengen Sinne aquivok. Unterbricht das Schweigen den Strom der Rede,

55 lontananza dall'altro, come nel trionfo o nella sconfitta, nella superiorità, nell'imbarazzo o nell'umiltà. Il sorriso reagisce a una situazione, confermando tanto a chi sorride quanto all'altro, un'awenuta comprensione e un allentamento del legame con la stessa. Il sorriso è contemporaneamente causato da certe condizioni e correlato a esse, ma sempre in forma mitigata. Spetta all'interessato conferire a questa mitigazione, mediante la giusta sfumatura, un senso acuito o sminuito. Un fremito dell'angolo della bocca può ferire, un largo e aperto sorriso riconciliare. In quanto "reazione a" e "indice di" una comprensione o un'incomprensione, in quanto simbolo per un "ho inteso" o "non ho inteso", il sorriso riesce, allo stesso modo, a mostrare l'incontro con una situazione e a dare espressione a stati emotivi come quelli del pudore, della modestia, dell'innocen7.a, come la meraviglia e lo sconcerto, il riconoscimento e il dubbio. Naturalmente, non è necessario che i comportamenti gestuali dicano sempre qualcosa. Il sorriso insensato e stupido si fonda probabilmente su meccanismi esclusivamente fisiologici dal significato espressivo involontario. E altrettanto involontari sono il gioco di contrazioni e rilassamenti sul volto del lattante e la nobile serenità nei tratti della morte. Eppure fanno capire qualcosa. Il suo carattere allegorico, vale a dire il suo consapevole simbolismo e la sua facoltà di trasformare, come per gioco, un atteggiamento naturale in un linguaggio comportamentale e gestuale, conferisce al sorriso la funzione di eloquente silenzio. Il suo retroterra è il medesimo del linguaggio: fa intendere, dice e significa, sebbene in forma trattenuta, velata, inesplicita. Può essere altrettanto insignificante e vuoto, quanto significativo; in fondo inesauribile e imperscrutabile e persino più eloquente di qualunque parola. La polivalen7.a del silenzio e quella del sorriso sono reciprocamente affini, equivalenti e, in senso stretto, equivoci. Il silenzio interrompe il flusso del discorso

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um ihn unterirdisch weitergehen zu lassen oder abzubrechen und mit der Stille das Gesagte zu begrenzen, zu vertiefen, ins Unsagbare zu lieben oder ausklingen zu lassen, setzt es ihm, gleich der Pause im Spiel der Tone, Lichter auf, so leistet das Lli.cheln dasselbe. Es lctindet auf seine Weise schweigend das Schweigen, das verbergende und behiitende ebenso wie das gelaste, das allen Besitz und alles Wissen hinter sich gelassen und die Welt iiberwunden hat. Aber sein Kiinden bedarf nicht mehr einer Umwelt, an die es gerichtet ist. Auch das Lli.cheln der Andacht, Entriicktheit, Verziicktheit, Erlostheit gibt nichts mehr »zu verstehen«. Es ist weitabgewandt, bedeutet nicht mehr, sondem la.Bt wie die lachelnden Gebarden einfacher Zustande die Lockerung ausklingen. Nur seine Luziditat verrat seine Hohe, den Ade] der Menschheit.

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per lasciarlo proseguire in modo sotterraneo oppure per spez7..arlo e, nella quiete di quanto detto, limitare, approfondire, scavare nell'indicibile o lasciarlo smor7..are; come fa la pausa nel gioco dei toni, mette in Iisalto; così pure il sorliso. Esso dice, silenziosamente e a modo proprio, il tacito, l'occulto, il trattenuto come il dissolto, ciò che ha abbandonato dietro sé ogni possesso e ogni sapere e superato il mondo. Il suo dire non ha più bisogno di essere rivolto a un ambiente. Anche il sorliso del ricordo, del rapimento, dell'estasi, della redenzione, non ha più nulla da "far capire". È migrato dal mondo, non pronuncia qualcosa; come l'atteggiamento sorridente nelle condizioni più semplici, fa svanire il rilassamento. Solo la sua lucidità tradisce la sua altez7.a, la nobiltà dell'uomo.

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III Die vetwirrende Vieldeutigkeit des Uichelns, sein Auftreten bei Anlassen, die nichts miteinander gemeinsam haben, seine uniibersehbare Mannigfaltigkeit in affektiver Tonung verleiht ihm eine Sonderstellung im Gebiete mimischen Ausdrucks. WuBte die Wissenschaft bisher keinen Rat mit ihr, zu einseitig festhaltend an dem schon durch die sprachliche Bezeichnung suggerierten Gedanken, Uicheln sei ein Lachen im Kleinen oder in statu nascendi, auch wohl durch Lachen in gewissen Grenzen ersetzbar, daher im Annex zu ihm zu studieren und gesonderter Behandlung nicht wert, so belehrt uns genauere Analyse doch eines Besseren. Uicheln ist eine Ausdrucksform sui generis, passend fiir und anzupassen an Regungen der verschiedensten Art und Starke, doch schwach ausgepragter Antriebsform. Als Gebarde der Auffockerung bei entsprechenden Anlassen von selber sich einstellend, bietet es Moglichkeiten mit ihr zu spielen, zumal wenn das Mi.Bverhaltnis 7.wischen der Ausgesprochenheit von Art und Starke der Regung und der Unausgesprochenheit ihrer Antriebsform dazu anreizt, der Cebarde nachzuhelfen. So entfaltet sich Uicheln in vielen Lagen, will es etwas andeuten und zu verstehen geben, die fliichtige Regung festhalten oder von sich absetzen, zu einem bewuBt symbolischen Mienenspiel - mit seiner eigenen Gebarde. Unmerklich gleitet der Ausdruck aus natiirlicher Gebarde in die gewollt bedeutende Ceste und wandelt sich die spontane Symbolik zur sublimen Allegorie des beherrschten Leibes. Nennen wir daher das Uicheln die Mimik des Geistes, so bedarf dieses Wort zugleich der Einschrankung und der Etweiterung. Nahe liegt es namlich, um allein das Spie] mit der natiirlichen Symbolik der Auflockerung als geistige, geistreiche Gebarde zu bezeichnen, die spontanen Formen aber des Behagens, der Freundlichkeit und Erheiterung, sowie die nicht weniger spontanen Gebarden

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III La sconcertante polivalen7.a del sorriso, il suo comparire in

situazioni che non hanno nulla in comune tra loro, la sterminata varietà delle sue tonalità affettive conferiscono al sorriso una posizione speciale tra le espressioni mimiche. La scienza, sino a ora, non è riuscita a prowedere a una spiegazione e si è attenuta all'idea, già suggerita dall'uso linguistico, secondo cui il sorriso non sarebbe che una riduzione del riso o un riso in statu nascendi e da questo, entro certi limiti, eventualmente sostituibile. Il sorriso sarebbe dunque da studiare congiuntamente al riso, mentre una sua trattazione autonoma risulterebbe priva di interesse: di questo un'analisi più approfondita ci fa ricredere. Il sorriso è una forma di espressione sui generis, adeguata e adeguabile ai sentimenti più diversi per genere e intensità, ma dotata di una forma impulsiva debole. Come atteggiamento di rilassamento diversamente calibrato a seconda dell'occasione, il sorriso lascia spazio a un gioco, soprattutto quando la sproporzione tra il tipo e l'intensità del sentimento e il non esplicitarsi della sua forma impulsiva invita a dare aiuto al gesto. Il sorriso si presenta cosl in molteplici circostanze, per accennare a qualcosa e offrire una comprensione, per trattenere un sentimento sfuggente o sottrarvisi, grazie a un gioco mimico cosciente e simbolico col suo stesso gesto. L'espressione naturale scivola impercettibilmente nel gesto meditato e significativo, mentre il simbolismo spontaneo si trasforma nella sublime allegoria del dominio sul corpo. Se consideriamo il sorriso la mimica dello spirito, la definizione ha bisogno sia di una restrizione sia di un ampliamento. Per indicare come atteggiamento spirituale il gioco in atto con il naturale simbolismo del rilassamento sembra necessario doverne escludere le forme più spontanee di piacere, di serenità e divertimento, cosl come atteggiamenti non meno spontanei

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der Seligkeit, Entrlickung, Andacht und des Friedens davon auszunehmen. Oderaber aufden Inhalt der Cebarde zu achten und dann die erst genannten Spontanformen als A.uBerungen bloBer Stimmungen und vitaler Zustande davon auszuschlieBen. Beide Auffassungen sind zu eng, da sie entweder nur den Charakter der Ceste (die »Ceist« in sich tragt) oder gewisse geistige Inhalte im Auge haben. Umgekehrt: weil Llicheln als natiirliche Cebarde bereits im Ausdruck zum Ausdruck Abstand wahrt, driickt es die Distanziertheit des Menschen zu sich und seiner Umwelt aus, die wir seine Ceistigkeit nennen, kraft deren er sich einer geistigen Welt verbunden wei8. Weil Lacheln eine Lockerung verrat, deren das Tier durch seinen Mangel an Distanz zum eigenen Leib und dem ihm entsprechenden Umfeld nicht teilhaftig werden kann, hat es fiir den Lachelnden jenen spielerischen Zug, der zum Spie} mit ihm, zum Mienenspiel verlockt; wird es zum Bedeutungstrager par excellence, zum Spiegel nicht nur sehr vieler und nuancierter Cefiihle, sondern geradezu der menschlichen Position. Wir meinen hiermit gewi8 nicht, daB jedes Lacheln »im Crunde« ein Lacheln iiber sich selbst sei. Von dieser Oberschatzung des Humors und der Ironie sind wir weit entfernt. Aber seine Reaktionsfahigkeit auf Regungen, deren Antriebsschwache in keinem Verhaltnis zu ihrer Art und Starke steht, beweist, daB in jedem Lacheln, unabhangig von seiner Transponierung in die Ceste oder Maske, abgesehen auch von dem Inhalt, den es hat, jene spezifìsche Distanz zum Vorschein kommt, welche allen menschlichen Monopolen, nicht zuletzt der Sprache, zugrunde liegt. Lacheln ist Mimik des Ceistes. Wir konnen auch sagen: Mimik der menschlichen Position. Wie aber steht es dann mit Lachen und Weinen? Steht das Urteil nicht in Widerspruch zu unserer eigenen These, da8 Lachen und Weinen Monopole des Menschen sind, Ausdrucksweisen seiner exzentrischen Position? Zunachst sind beide iiberhaupt keine mimischen Cebarden,

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di gioia, di assenza di raccoglimento e tranquillità. Oppure si guarda al contenuto dei gesti e vi si includono esternazioni cosiddette spontanee di semplici inclinazioni e stati vitali. Entrambe le concezioni sono in realtà limitate, avendo esse di mira o soltanto il carattere del gesto (che abbia in sé lo "Spirito") oppure certi contenuti spirituali. Le cose stanno all'opposto: poiché già come atteggiamento naturale il sorriso nell'esprimere prende distanza dall'espressione, manifesta l'essere distanziato dell'uomo da se stesso e dal proprio ambiente - ciò che chiamiamo la sua spiritualità - e in fo17..a di questo l'uomo viene a sapersi legato a un mondo spirituale. Poiché il sorriso rivela un rilassamento - estraneo all'animale, impossibilitato a prendere distanza dal proprio corpo e dall'ambiente5 - esso ha per chi ride quel tratto ludico che seduce l'uomo nel gioco mimico: diviene portatore di senso par excellence e specchio non solo di molti e sfumati sentimenti, ma della stessa posizione umana6 • Con questo non intendiamo dire che "in fondo" ogni sorriso non è che un sorriso su se stessi: siamo ben lontani da una soprawalutazione simile dell'umorismo e dell'ironia. Ma la sua capacità di reazione, la cui debolezza impulsiva non è in relazione alcuna con il genere e l'intensità dei sentimenti, dimostra che ogni sorriso, indipendentemente dalla sua trasposizione nel gesto stili7.7..ato o nella maschera e a prescindere dal contenuto manifestato, comporta quella specifica distan7.a che sta alla base del monopolio umano, non per ultimo del linguaggio. Il sorriso è la mimica dello spirito. E possiamo anche dire: la mimica della posizione umana. Ma come stanno le cose con il riso e il pianto? Non c'è forse una contraddizione rispetto alla nostra tesi secondo cui sono il riso e il pianto il monopolio specifico della realtà umana, le modalità di espressione della sua posizione eccentrica? Anzitutto, riso e pianto non sono propriamente atteggiamenti mimici,

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sondem Katastrophenreaktionen an Grenzen menschlichen Verhaltens. Als Ausbriiche ziehen sie auch die Mimik in Mitleidenschaft, jedoch durch Verlust unserer Selbstbeherrschung und damit auch unserer Herrschaft iiber den eigenen Korper. Dieser Verlust trifft den Menschen in Situationen, auf die er keine Antwort wei.6, da sie durch ihre Mehrdeutigkeit oder Unvermitteltheit zugleich an sein Verstandnis appellieren und ihn der Mittel berauben, ihrer Herr zu werden. Ein Wesen ohne Verstandnis, ein ungeistiges Wesen konnte demnach seiner Inkongruenz mit der Situation nicht gewahr werden. Nur ein geistiges Wesen vermag auf solches Mi.Bverstandnis entsprechend, d. h. in diesem Falle mit einem Bruch zwischen sich und seinem Leib zu reagieren. Lachen und Weinen sind unbeherrschte und gebrochene Antworten auf Situationen, welche beherrschte, auf geordnetem Verhaltnis der Person zu ihrem Leib beruhende und solches Verhaltnis wahrende Antworten unmoglich machen, doch die Person zugleich zur Antwort zwingen. Wenn die Formel erlaubt ist: sinnvolle Fehlreaktionen mit Hilfe eines Bruchs zwischen Mensch und Korper. Die Distanziertheit der menschlichen Person wird als Bruch im Verlust ihrer Selbstbeherrschung sichtbar. Ein physischer Automatismus tritt an die Stelle artikulierter, von der Person selbst ausgehender Antworten. Ein Wesen ohne Distanz, ohne Exzentrum kann nicht objektivieren, nicht begreifen, kennt weder Sinn noch Unsinn und vermag darum weder zu lachen noch zu weinen. Es vermag, da es nicht »iiber sich« steht, auch nicht »unter sich« zu fallen. Nur wer Selbstbeherrschung besitzt, kann sie verlieren. In ihrem Verlust wird die Distanziertheit, die Geistigkeit manifestiert. 1hr explosiver und desastreuser Ausdruck rei.Bt auch die Mimik mit sich, laBt aber der Person gerade keine Freiheit zu ausdriickender Gebarde mehr. Sie ist das katastrophale Ende aller Mimik, wiewohl darin ein Zeugnis menschlicher Distanz und ein Monopol des Menschen.

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ma reazioni catastrofiche ai limiti del comportamento umano. Sono accessi che coinvolgono la mimica, ma nella perdita dell'autocontrollo, cioè del dominio sul proprio corpo. Una perdita che colpisce l'uomo in situazioni a cui egli non è in grado di dare una risposta, di divenirne padrone attraverso atteggiamenti polivalenti o immediati, appellandosi alla razionalità o sottraendovisi. Un essere privo di ragione, un essere non spirituale, non si accorge della propria incongruenza alla situazione. Solo un essere spirituale è in grado di corrispondere a una situazione equivoca e di reagirvi; in questo caso, ponendo una frattura tra sé e il proprio corpo. Riso e pianto sono risposte incontrollate e di netta cesura con situazioni che rendono impossibile una compassata risposta fondata sul regolare rapporto della persona al corpo, una risposta che tuteli detto rapporto; e tuttavia la persona è costretta a rispondere. Se la formula è consentita: riso e pianto sono eloquenti reazioni difettose che introducono una rottura tra uomo e corpo. Che la persona umana sia distanziata da se stessa diviene qui manifesto sotto forma di frattura e di perdita dell'autocontrollo; un automatismo fisico compare al posto di un'articolata risposta della persona. Un essere incapace di distan7.a, privo di eccentro7, non può obiettivare, non può comprendere, non conosce senso né non senso, e non può ridere, né piangere. Esso non è "oltre sé", né può cadere "sotto di sé". Solo colui che possiede il dominio di se stesso può perderlo. In questa perdita si manifestano l'essere distanziato e la spiritualità. L'espressione esplosiva e disastrosa della perdita trascina con sé la mimica, sen7a lasciare più alla persona libertà alcuna sui gesti espressivi: rappresenta quindi la fine rovinosa di qualunque mimica, sebbene sia testimonianza dell'essere distanziato e del monopolio dell'uomo.

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Im Llicheln dagegen bewahrt er seine Distanz zu sich und zur Welt und verrnag sie, mit ihr spielend, zu zeigen. Lachend und weinend ist der Mensch das Opfer seines Geistes, lachelnd gibt er ihm Ausdruck.

In seiner lehrreichen Auseinandersetzung mit den Auffassungen Duchennes, Spencers und Dumas' vom Mechanismus des Lachelns kommt Buytendijk (Alg. Theorie der menschelijke houding en beweging, Utrecht-Antwerpen 1948), wiewohl am iiblichen Gedanken festhaltend, Llicheln sei Einleitung des Lachens, Ausdruck der Freude (S. 347 f.), zu dem treffiichen Satz, seine Paradoxie bestiinde in der Spannung einer Muskelgruppe, welche Spannung als Entspannung einer aktiven Ruhehahung erlebt werde. Diese bilde zugleich die Vorbedingung fiir die Entwicklung einer ausdrucksfahigen Innerlichkeit, somit fiir die Erscheinung des Llichelns als echter Ausdrucksbewegung. Hierrnit ist physiologisch fixiert, was wir Abstand im Ausdruck zum Ausdruck nannten. Sicher trifft auch seine Zeichnung der Genese etwas Richtiges, die er als Entwicklung aus einer puren Reaktion auf ein passiv erlebtes ambivalentes Lustgefiihl, den Kitzel, zu einem aktiven Llicheln, einem Suchen nach expansivem Gefiihl- wir sprechen von Lockerung-sieht. Das Llicheln wird dann Ausdruck einer Vmwegnahme und zugleich Reaktion auf eine sinnlich bestimmte Empfìndung, die sensorische Verlegenheit. Freilich scheint mir die Entfaltung des ausdriicklichen Llichelns hier zu stark an ein sinnliches Anfangsstadium gebunden und seiner Emanzipationsrahigkeit zu wenig Rechnung getragen. Selbst wenn das erste Llicheln des Kleinkindes Reaktion auf kit:7,elnde Reize ware, brauchte seine weitere AusbildungzumAusdruckder Lockerung nichtan Verlegenheitund strukturell verwandte »Freuden« gebunden oder daraufbezogen zu sein. Hier macht sich auch fiir die Entwicklungspsychologie des Phanomens die einseitige Auffassung als Einleitung des Lachens und als Ausdruck der Freude storend bemerkbar.

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Con il sorriso, invece, l'uomo conserva la distan7,a da sé e dal mondo e, giocando con essa, la mostra. Nel riso e nel pianto l'uomo è vittima del suo spirito; sorridendo gli dà espressione. Nel suo interessante confronto con le concezioni sul meccanismo del sorriso di Duchenne, Spencer e Dumas, F.J.J. Buytendijk8, sebbene si attenga aUa consueta idea secondo cui il sorriso non è che un'introduzione al riso e un'espressione di piacere0, giunge a sostenere il principio della paradossalità del sorriso, consistente nella contrazione di un gruppo di muscoli vissuta sotto forma di distensione come attiva quiete. Esso costituisce insieme il presupposto per una concezione dell'interiorità espressiva e del sorriso come autentico movimento di espressione, sostenendo dal punto di vista fisiologico ciò che abbiamo chiamato la distanza dall'espressione nell' espressione. Indovinata è anche la descrizione della sua genesi, che egli concepisce come sviluppo di un sorriso attivo, come la ricerca di una sensazione espansiva - noi abbiamo parlato di rilassamento-, a partire dalla semplice reazione a un'ambigua sensazione di piacere vissuta passivamente, il solletico. Il sorriso diviene cosl espressione di un'anticipazione e, contemporaneamente, reazione a una precisa sensazione, un imbarazzo sensibile. Mi sembra, però, che venga troppo accentuato il legame del sorriso con l'idea di uno stato sensibile iniziale e trascurata la sua capacità di emancipazione. Se pure il primo sorriso del bambino fosse una reazione a un simile stimolo, non ci sarebbe alcun bisogno di vincolare o di rimandare il formarsi di un'espressione di rilassamento all'imbarazzo e a "piaceri" strutturalmente affini. Una simile interpretazione, limitata all'idea del sorriso come momento introduttivo del riso ed espressione di piacere sembrerebbe piuttosto sconveniente anche per una psicologia dello sviluppo del fenomeno.

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Wie fiir die Genese des Lachens und Weinens hat auch fiir die Genese des Llichelns der methodische Grundsatz zu gelten, daB man erst den vollentwickelten Ausdruck in seinem vollen Sinn verstanden haben muB, will man seine Keimforrnen richtig taxieren. Nur dann wird die Gefahr der ùberbestimmung ebenso wie der Unterbestimmung eines Ausdrucksphanomens verrnieden. Das Diffuse in den kindlichen Reaktionen kann erst zum Ansatz eines Studiums gemachtwerden, wenn ihre entwickelten Endstadien bekannt sind, so aufschluBreich auch der erinnernde Riickblick aufihre Keimforrnen bleibt. Die Forrnel: Llicheln ist Ausdruck des Geistes, scheint das Phanomen viel zu hoch und einseitig im Hinblick auf gewisse Forrnen des Llichelns beim Erwachsenen zu nehmen, fiir die einfachen Freuden des sinnlichen Wohlseins und Behagens und fiir die entsprechenden Gebarden des Kleinkindes dagegen verfehlt. Nirnmt man sie freilich in verengter Bedeutung, als Gebardensprache und Sinnbeziige andeutendes Gebaren, dann fallt das sinnlich-reaktive und vitale Llicheln aus dem Bereich der Formel. Jedoch auch das »nicht mehr« andeutende und zu verstehen gebende Llicheln des Friedens, des Erlostseins und der Entriickung, das sich bisweilen auf dem Antlitz des Toten malt, gehorte dann nicht mehr dazu. Wird Llicheln Ausdruck, dann driickt es in jeder Forrn die Menschlichkeit des Menschen aus. Nicht nur so wie jede Expression bei ihm, auch die ungehemmteste der starken Affekte, noch etwas Menschliches durchscheinen laBt, nicht wie Lachen und Weinen, die als seine Monopole in spezifìschen Formen eines Verlusts seiner Selbstbeherrschung rum Vorschein kommen, sondern in aktiver Ruhehaltung und beherrschtem Abstand. Noch in den Modifìkationen der Verlegenheit, Scham, Trauer, Bitterkeit, Verzweiflung kiindet Llicheln ein Dariiberstehen. Das Menschliche des Menschen 7.eigt sich nicht zufallig in leisen und gehaltenen Gebarden,

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Come per la genesi del riso e del pianto, deve infatti valere anche per la genesi del sorriso il principio metodologico di comprendere anzitutto l'espressione nel suo completo sviluppo e pieno significato per poi valutare correttamente le sue forme germinali. Solo così è possibile evitare il pericolo di una sopradeterminazione o di una sottodeterminazione del fenomeno espressivo. La reazione infantile del sorriso può costituire l'inizio di uno studio se se ne conoscono anche le successive fasi di pieno sviluppo; solo in questo modo il ritorno alle forme germinali è proficuamente informativo. La formula secondo cui il sorriso è l'espressione dello spirito sembra soprawalutare il fenomeno, limitarne la considerazione a certe forme di manifestazione nell'adulto; e al contrario non essere adatta per semplici forme di gioia, di piacere sensibile, di soddisfazione e dei corrispondenti comportamenti infantili. E se pure se ne restringe il significato a quello di linguaggio gestuale e comportamento allusivo, le manifestazioni del sorriso più attinenti a stati vitali e sensibili non rientrano nella suddetta formula. Come non vi rientrano il quieto sorriso che lascia intendere o allude al "non più", o il sorriso estatico e liberatorio che talvolta si dipinge sul volto del morto. Il sorriso è espressione e, in ogni sua forma, esprime l'umanità dell'uomo. Non solo come lo fa ogni altra espressione, fosse anche il più libero e intenso degli affetti: esso lascia tralucere qualcosa di propriamente umano. E non nella forma in cui lo possono il riso e il pianto, che rivelano il monopolio umano secondo specifiche modalità di perdita dell'autocontrollo, ma come attiva quiete e controllata distan7--a. Anche nelle tonalità dell'imbarazzo, del pudore, della tristezza, dell'amarezza, della disperazione, dal sorriso traspare uno "stare oltre". Non a caso l'essenza dell'uomo si mostra in atteggiamenti silenziosi e riservati;

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sein Ade] in Lockerung und Spie]; wie eine Ahnung im Anfang, wie ein Siegel im Ende. Dberall, wo es aufscheint, verschont sein zartes Leuchten, als trage es einer Gottin KuB auf seiner Stirn.

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la sua nobiltà nella mitigazione e nel gioco: come un presagio al principio, un sigillo sulla fine. Ovunque esso compaia, la sua tenera luce risplende come portasse in fronte il bacio di una dea.

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Note

I termini Aujlockerung e Lockerung. tradotti a seconda dei casi con rilassamento, allentamento o mitigazione, rimandano all'idea di un effetto di mediazione dell'emozione caratteri7.7.ato da un distanziamento (Distanzierung). 1.

2. Il rapporto tra io e corpo si determina nella forma dell'autocontrollo (Selbstbeherrschung) che, lungi dal denotare una condizione di stabilità o di equilibrio (l'uomo è anzi privo di equilibrio, sia nei confronti dell'ambiente sia rispetto a se stesso; è un essere inquieto e instabile), rimanda alla caratteristica strutturale dell'esse07.a umana, l'eccentricità. L'uomo propriamente "ha" un corpo e un'individualità che è in grado di gestire secondo precise modalità, ed egualmente "ha" un ambiente col quale si confronta, perché "sa" di se stesso e dell'altro da sé; e ogni sua azione e ricezione soggiace a uno stato di autocoscien7.a. Si parla dunque di autocontrollo nel senso di una "costrizione", in qualunque circostan7.a, a valutare il complesso sistema di oggettivazioni e interrelazioni concernenti il proprio corpo (vissuto come tale e dunque Leib, non semplice Korper) e la propria soggettività (che nel massimo grado di auto-mediazione assume le caratteristiche dell'io eccentrico). Il termine persona (Person) indica l'io come soggetto-oggetto di se stesso, che nel riso e nel pianto manifesta una momentanea "perdita" della capacità di fronteggiare una situazione; a essa viene data una risposta in cui una frattura si sostituisce a una mediazione controllata o razionale e un meccanismo si incarica di quietan7.arla.

72 3. Si tratta dell'Antriebeform, con cui Ludwig Klages (1872-1956) indica una fo17.a (una variante della Triebhaft) che accompagna il sentimento (Geftihl) determinandone la capacità affettiva. Cfr. L. Klages, Ausdrocksbewegung und Gestal,tungskraft. Grondlegung der Wissenschaft van Ausdrock, in Id., Siimtliche Werke, voi. VI, Bouvier, Bonn 1964, p. 178 (tr. it., Espressione e creatività, a cura di D. Di Maio, Christian Marinotti Edizioni, Milano 2015).

4. Il termine usato qui da Plessner non è Mimik, ma Mienenspiel (che si potrebbe tradurre alla lettera con "gioco mimico"), probabilmente per sottolineare che quel gioco che si attiva nel sorriso, tra il sorridere (in quanto gesto spontaneo, naturale) e il significato simbolico che viene a esprimere - quel gioco di mediazione e di presa di distan7.a che ne fa l'arte dell'allusione-, ha la sua radice già nell'atteggiamento naturale, esso stesso "gioco gestuale" capace, in quanto tale, di rivelarsi distanziatore e distanziabile da se stesso.

5.

Diversamente dall'uomo, che ha una relazione complessa e plurimediata con l'ambiente (Umwelt) e che anzi propriamente si muove in un mondo (Welt), l'animale, definito da Plessner "centrico" (zentrisch), benché avverta la separazione dal proprio ambiente (Umfeld o Umgebung) si trova con esso in uno stretto rapporto di reciprocità, chiuso all'interno del circuito vitale prodotto dalla loro relazione. 6. L'espressione menschliche Position rimanda alla teoria della posizionalità (Positional,itiit), elaborata da Plessner nell'opera Die Stufen des Organischen und der Mensch (tr. it., I gradi dell'organico e l'uomo, a cura di V. Rasini, Bollati Boringhieri, Torino 2006), del 1928, sotto forma di deduzione aprioristica dei caratteri d'essen7.a della natura organica. Individuata nel "principio posizionale" la base logico-ontologica per la definizione della realtà vivente - che "si pone", "prende posizione" rispetto a sé e all'altro da sé, in opposizione alla realtà fisica, che semplicemente "è" -, il sistema della graduazione ha il proprio culmine nell'eccentricità dell'uomo, il quale, trovandosi nella condizione di massima mediazione con se stesso e con il mondo circostante, è contemporaneamente il più presente a se stesso e il più lontano da sé (posto "dietro" di sé, in un "punto di fuga"). È chiaro, dunque, perché il sorriso rappresenti lo specchio della posizione umana: rende manifesta quella distanziabilità (riflessività infinita) caratteristica della sua essen7.a.

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7. Eccentro (Exzentmm) è termine correlato a Exzentrizitiit, il carattere posizionale dell'uomo, e indica l'oltre-il-centro, la proiezione al di là di sé possibile alla natura umana. 8. Con F.J.J. Buytendijk, fisiologo e studioso di psicologia animale, Plessner aveva scritto nel 1925 il saggio Die Deutung des mimischen Ausdrocks {ora in H. Plessner, Gesammelte Schriften VII, cit., pp. 67-130); dietro invito di Buytendijk, Plessner, esule dalla Germania nazista, fu ospite e collaboratore dal 1934 dell'Istituto di Fisiologia di Groninga. Qui Plessner si richiama allo scritto Algemene Theorie dermenselijke houding en beweging, Utrecht-Antwerpen 1948. 9. lvi, pp. 347 ss. (l'indicazione al saggio di Buytendijk è fornita dallo stesso Plessner).

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Nota biografica

1892. Helmuth Plessner nasce a Wiesbaden il 4 settembre, figlio di un medico che dirige una clinica privata. Cresce in un ambiente ricco di stimoli e di interessi scientifici. 1910-1912. Appassionato alle scienze naturali e della vita, si iscrive alla facoltà di Medicina dell'Università di Freiburg, dove frequenta le lezioni del noto fisiologo Johannes von Kries e stringe amicizia con il botanico Albrecht Reuber. Dopo soli due semestri si trasferisce a Heidelberg, per dedicarsi alla zoologia, inizialmente sotto la guida di Otto Biitschli, poi di Curt Herbst e Wolfgangvon Buddenbrock (entrambi pionieri nel campo della zoologia sperimentale) e infine del più noto esponente del neovitalismo contemporaneo, il biologo Hans Driesch. Contemporaneamente, avendo maturato un considerevole interesse per la fìlosofia, Plessner segue i seminari del neokantiano Wilhelm Windelband e frequenta ambienti dove si incontrano fìlosofi e sociologi affermati. 1913. Prosegue le ricerche zoologiche e, anche se con notevoli perplessità, rifiuta la proposta di Windelband di presentare come dissertazione universitaria un lavoro squisitamente filosofico. Compare la sua prima pubblicazione di rilievo, Die wissenschaftliche Idee. Ein Entwurf iiber ihre Form (ora in

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Gesammelte Schriften I, pp. 7-141), ispirato a un recente saggio di Driesch.

1914-1915. Decide di approfondire gli studi di filosofia e si reca a Gottingen, dove insegna il fondatore della scuola fenomenologica, Edmund H usserl, e si dedica in modo particolare allo studio di Kant. 1916. Dopo che Husserl ebbe lasciato Gottingen per Freiburg, Plessner si trasferisce a Erlangen, dove insegna un allievo di Windelband, Paul Hensel. Qui si laurea in filosofia, con uno scritto che verrà ampliato e pubblicato nel 1918 con il titolo Krisis der Transzendentalen Wahrheit im Anfang (ora in Gesammelte Schriften I, pp.143-310). 1920. Con Hans Driesch e Max Scheler, consegue a Koln l'abilitazione alla libera docenza, presentando un lavoro dal titolo Untersuchungen :zu einer K.ritik der Philosophischen Urteilskraft (ora in Gesammelte Schriften II, pp. 7-321) e una relazione orale sulla teoria dell'origine del linguaggio di Johann Gottfried Herder. 1923. Pubblica l'opera Die Einheit der Sinne. Grundlinien einer Asthesiologie des Geistes (ora in Gesammelte Schriften III, pp. 7-315) una sorta di "critica dei sensi" che affianca filosofia trascendentale kantiana e metodo fenomenologico. Comincia a pensare a un ampio progetto di indagine antropologica, di carattere filosofico ma in stretto contatto con le scienze contemporanee. 1924. Dopo appena un anno, appare Grenzen der Gemeinschaft. Eine Kritik des sozialen Radikalismus (ora in Gesammelte Schriften V, pp. 7-133), la prima opera in cui vengono trattate questioni di carattere etico-sociale. Ha inizio l'amicizia con il fisiologo olandese Frederik J.J. Buytendijk, conosciuto in casa Scheler.

77 1925. Esce il primo numero di «Philosophischer An7.eiger. Zeitschrift fiir die Zusammenarbeit von Philosophie und Einzelwissenschaft» (ne appariranno complessivamente 4 volumi, tra il 1925 e il 1930), una rivista interdisciplinare curata da Plessner in collaborazione con alcuni dei maggiori esponenti della cultura fìlosofìca e scientifica del tempo. Tra gli altri vi è Georg Misch, attraverso il quale Plessner si avvicina al pensiero di Wilhelm Dilthey. In questo primo numero della rivista, Plessner pubblica il saggio, scritto in collaborazione con Buytendijk, Die Deutung des mimischen Ausdrucks. Ein Beitrag zur Lehre vom Bewufltsein des anderen Ichs (ora in Gesammelte Schriften VII, pp. 67-130). 1928. Plessner pubblica il suo capolavoro di fìlosofìa del-

la natura e dell'uomo, Die Stufen des Organischen und der Mensch. Einleitung in die philosophische Anthropowgie (ora in Gesammelte Schriften IV). L'opera, in cui presenta in forma sistematica la teoria dei modali organici, introduce la maggior parte dei concetti chiave del suo pensiero antropologico. 1931. Esce il volume dedicato al rapporto tra antropologia e politica Machtundmenschliche Natur. Ein Versuch zur Anthropowgie der geschichtlichen Weltansicht (ora in Gesammelte Schriften V, pp. 135-2.34). 1932-1933. A causa delle disposizioni razziali del regime hitleriano, Plessner, di padre ebreo, deve lasciare l'insegnamento a Koln. Si trasferisce dapprima in Turchia; qui riceve l'invito dell'amico Buytendijk a recarsi a Groningen, presso l'Istituto di Fisiologia da lui diretto. 1934-1951. Plessner parte per l'Olanda nel gennaio del 1934. A questo periodo pare risalga la redazione di Lachen und Weinen. Eine Untersuchung der Grenzen menschlichen Verhaltens (ora in Gesammelte Schriften VII, pp. 201-387), ma il saggio uscirà solo nel 1941. Da alcune conferen7.e tenute all'Università di Groningen ha origine il saggio, pubblicato

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nel 1935, Das Schicksal deutschen Geistes im Ausgang seiner bargerlichen Epoche, ristampato nel 1959 con il titolo Die Verspiitete Nation. Ober die Verfegbarkeit burgerlichen Geist (ora in Gesammelte Schriften VI, pp. 7-223). Dopo i primi due anni di soggiorno a Groningen, ottenuto un sostegno finanziario dalla Fondazione Rockefeller, Plessner diviene docente di sociologia. Sarà costretto a lasciare la cattedra con l'occupazione tedesca e a trasferirsi prima a Utrecht, poi ad Amsterdam. Ritorna a Groningen solo nel 1946, dopo la liberazione, e vi resterà fino al 1951 come docente universitario di filosofia. 1952-1961. Nel 1952 viene chiamato dall'Università di Gottingen per ricoprire la cattedra di sociologia. Plessner accetta l'incarico a condizione di potersi occupare anche di filosofia. L'anno successivo pubblica la raccolta di saggi dal titolo Zwischen Philosophie und Gesellschaft. Ausgewahlte Abhandlungen und Vortrage (Franke, Bern 1953), contenente anche il saggio Das Uicheln, pubblicato per la prima volta nel 1950 in un volume collettivo. Si occupa della situazione delle università tedesche, una questione alla quale dedica anche alcune pubblicazioni. Durante il periodo di rettorato universitario, tra il 1960 e il 1961, contribuisce alla promozione di un programma di istruzione per adulti e favorisce i rapporti interuniversitari. 1962. Per un anno, è professore alla «New School far Social Research" di New York. 1963-1976. Successivamente si stabilisce nei pressi di Zurigo, dalla cui Università sarà invitato a tenere lezioni e seminari. Nel 1964 riceve la laurea honoris causa in filosofia dall'Università di Groningen e nel 1972 il medesimo riconoscimento dall'Università di Zurigo. Tra la seconda metà degli anni Sessanta e la seconda metà degli anni Settanta, quando ancora la sua attività intellettuale è feconda, escono alcune raccolte di saggi: Diesseits der Utopie. Ausgewahlte Beitrage zur Knùur-

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sozioÙJgie (Diederichs, Diisseldorf-Koln 1966); Philosophische Anthropologie (Fischer, Frankfurt a.M.1970); Die Frage nach der Conditio humana. Aufsiitze zur philosophischen Anthropowgie (Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1976). 1980-1985. Nel 1980, l'editore Suhrkamp di Frankfurt a.M. inizia la pubblicazione delle Gesammelte Schriften, in 10 volumi. Il 1985, l'anno in cui escono gli ultimi due volumi, è anche quello della scomparsa di Plessner.

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Nota bibliografica

Opere di Helmuth Plessner Plessner, H., Gesammelte Schriften, Herausgegeben von Giinther Dux, Odo Marquard und Elisabeth Stroker unter Mitwirkung v. Richard W. Schmidt, Angelika Wetterer und Michael-Joachim Zemlin, Suhrkamp-Verlag, Frankfurt a.M. 1980-1985 (poi in stw 1624-1633, 2003): Band I. Friihe philosophische Schriften 1 Die wissenschaftliche Idee. Ein Entwurf aber ihre Fonn (1913) Krisis der transundentalen Wahrheit im Anfang (1918) Band Il. Friihe philosophische Schriften 2 Untersuchungen ZU einer K.ritik der phuosophischen UrteiÙ;kraft (1920) Kants System unter dem Gesichtspunkt einer Erkenntnistheorie der Phflosophie (1923) Kants K.unstsystern der enzyklopiidischen Propiideutik (1976)

82 Band III. Anthropologie der Sinne Die Einheit der Sinne. Grondlinien einer Asthesiologie des Geistes (1923) Anthropologie der Sinne (1970) Band N. Die Stufen des Organischen und der Mensch Die Stufen des Organischen und der Mensch. Einleitung in die philosophische Anthropologie Band V. Macht und menschliche Natur Grenzen der Gemeinschaft. Eine Kritik des sozialen Radikalismus (1924) Macht und menschliche Natur. Ein Versuch zur Anthropologie der geschichtlichen Weltansicht (1931) Ober das gegenwiirtige Verhiiltnis zwischen Krieg und Frieden (1939/1949) Die Emanzipation der Macht (1962) Band VI. Die Verspatete Nation Die vers-piitete Nation. Ober die Verfohrbarkeit biirgerlichen Geistes (1933/1959) Deutschlands 'Znkunft (1948) » Kannitverstaan. « Hollands V erhiiltnis zu Deutschland (1952) Analyse des deutschen Selhstbewuj3tseins (1960) Die Legende van den zwanziger Jahren (1962) Ein Volk der Dichterund Denker? (1964) Wie rnuj3 der deutsche Nation-Begriff heute aussehen? (1967) Band VII. Ausdruck und menschlicher Natur 'Znr Geschichtsphilosophie der bildenden Kunst seit Renaissance und Refonnation (1913) Ober die Moglichkeit einer Asthetik (1925) 'Znr Phiinomenologie der Musik (1925) Die Deutung des mimi.schen Ausdrucks. Ein Beitrag zur Lehre vom Bewuj3tein des anderen Ichs (1925)

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Sensibilité et raison. Contribution à la philosophie de la

musique (1936) Mit deutscher 'ZA.Lsammenfassung: 'Znr Anthropologie der

Musik (1951) Lachen und Weinen. Eine Untersuchung der Grenzen menschlichen Verluùtens (1941) 'Znr Anthropologie der Nachahmung (1948) 'Znr Anthropologie des Schauspielers (1948) Das Liicheln (1950) Ausdruck und menschliche Existenz (1957) Der imitatorische Akt (1961) 'Znr Hermeneutik nichtsprachlichen Ausdrucks (1967) Die Musikalisierong der Sinne. 'Znr Geschichte eines mo-

demen Phiinomens (1972) Band VIII. Conditio humana Die physiologische Erkliinmg des Verhaltens. Eine Kritik an der Theorie Pawlows (1935) Die Aufgabe der Philosophischen Anthropologie (1937) Mensch und Tier (1946) Oberden Begriff der Leidenschaft (1950) Oberdas Welt-Umweltverhi1ltnis des Menschen (1950) Mit anderen Augen (1953) Ober Menschenverachtung (1953) Ober einige Motive der Philosophischen Anthropologie (1956)

Die Frage nach der Conditio humana (1961) Elemente menschlichen Verhaltens (1961) Immernoch Philosophische Anthropologie? (1963) Ein Newton des Grashalms? (1964) Der Mensch als Naturereignis (1965) 'Znr Frage der Vergleichbarkeit tierischen und menschlichen Verhaltens (1965) Ungesellige Geselligkeit (1966) Der Mensch im Spiel (1967)

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Der Mensch als Lebewesen (1967) Das Probl,emder Unmenschlichkeit (1967) Der kategorische Konjunktiv. V ersuch iiber die Leidenschaft( 1968) Homo absconditus (1969) Trieb und Leidenschaft (1971) Der Aussagewert einer Philosophischen Anthropologie (1973) 7nr Anthropo"logie der Sprache (1975) Band IX. Schriften zur Philosophie Vital,ismus und iirztliches Denken (1922) Ober den Real,ismus in der Psychologie (1922) Ober die Erkenntnisquellen des Arztes (1923) Das Probl,em der Natur in der gegenwiirtigen Phi"losophie (1930) Geistiges Sein. Ober ein Buch Nicolai Hartmanns (1930) Die Frage nach dem Wesen der Philosophie (1934) Phiinomeno"logie. Das Werk Edmund Husserl.s (1938) 7nm gegenwiirtigen Stand der Frage nach der Objektivitiit historischer Erkenntnis (1944) Gibt es einen Fortschritt in der Phi"losophie? (1947) Levensphi"losophie en Phaenomeno"logie (1949) Ober die Beziehung der Z,eit zum Tode (1952) Deutsches Phi"losophieren in der Epoche der Weltkriege (1953) Das Identitiitssystem (1954) Das Argemis des Denkens. 7nm Thema: Schuùl, und Auf gabe der Philosophie (1955) Modemer Wissenschaftsbegriff und phi"losophische Tradition (1956) 7nm Situationsverstiindnis gegenwiirtiger Phi"losophie (1958) Bei Husserl in Gottingen (1959) Husserl in Gottingen (1959)

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Holland und die Philosophie (1966) Das gegenwiirtige Interesse der Philosophie an der Sprache (1966) Was bedeutet Untersuchen in der Philosophie? (1968) Band X. Schriften zur Soziologie und Sozialphilosophie Zur Soziologie der11Wdernen Forschung (1924) Die Utopie in der Maschine (1924) Abwandlungen des Ideologiegedankens (1931) Die Entzauberung des Fortschritts (1936) Over het object en de beteekenis der Sociologie (1938) Aspekte sozialer Gesetzmiiftigkeit (1949) Nachwort zum Generationsprobl,em (1949/1966) Soziologie und Anthropologie (1950) Ober Elite und Elitenbildung (1955)

Die Funktion des Sports in der industriellen Gesellschaft (1956)

Zur Lage der Geisteswissenschaften (1958) Zur Frage menschlicher Beziehungen in der 11Wdernen Kultur (1959) Der Weg der Soziologie in Deutschland (1960) Das Probl,em der Offentlichkeit und die Idee der Entfremdung (1960) Saziale Rolle und menschliche Natur (1960) Wissenschaft und 11Wdeme Gesellschaft (1961) Universitiitund Erwachsenenbildung (1962) Ober die gesellschaftlichen Bedingungen der 11Wdernen

Malerei (1965) Selbstentfremdung, ein anthropologisches Theorem? (1969) Technikund Gesellschaftin GegenwartundZukunft (1969) Selbstdarstellung

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Plessner, H. (a cura di), «Philosophischer Anwiger. Zeitschrtft fùr die Zusarnrnenarbeit von Philosophie und Einzelwissenschaft», Bonn 1925-1930, Jg. 1-4. Plessner, H. (a cura di), Das Umweltprobl,em, in Symphilosophein. Bericht iiber den Dritten Deutschen Kongrefl far Philosophie in Bremen 1950, Lehnen, Miinchen 1952. Plessner, H., Anthropologie philosophique, in R. Klibansky (a cura di), Philosophy in the mi.d-century. A Suroey- La philosophie au milieu du vingtième siècl,e. Chroniques II, La Nuova Italia, Firenze 1958, pp. 85-90. Lessing, H.-U. - Mutzenbecher, A. (a cura di), Briefwechsel J. Konig - H. Plessner, Alber, Freiburg 1994. Plessner, H., Politik, Anthropologie, Philosophie. Aufsiitze und Vortrage, a cura di S. Giammusso, H.-U. Lessing, Fink Verlag, Miinchen 200 I. Plessner, H., El,emente der Metaphysik, Eine Vorlesung aus demwintersemester 1931/32, a cura di H.-U. Lessing, Akademie Verlag, Berlin 2002.

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Plessner, H., Potere e natura umana. Per un'antropologia dell,a oisione storica dell'uomo, a cura di B. Accarino, Manifestolibli, Roma 2006. Plessner, H., L'uomo: una questione aperta, a cura di M. Boccignone, Roma, Armando, Roma 2007. Plessner, H., Studi di Estesiologia. L'uomo, i sensi, il suono, a cura di A. Ruco, CLUEB, Bologna 2007. Plessner, H., Antropologia dei sensi, a cura di M. Russo, Cortina, Milano 2008. Plessner, H., Antropologiafilosofica, a cura di O. Tolone, Morcelliana, Brescia 2010.

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Saggi su Helmuth Plessner

Indichiamo qui una selezione dei principali scritti sul lavoro di Helmuth Plessner, con particolare riguardo al tema in questione e alle pubblicazioni in lingua italiana. Per una bibliografia completa e aggiornata è possibile consultare il sito della Helmuth Plessner Gesellschaft al seguente indiri7..zo: http:// www.helmuth-plessner.de.

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Indice

Introduzione

L'espressione, il riso, il sorriso

di Valimi Rasini

p.9

Nota editoiiale

p.31

Helmuth Plessner Das Liicheln

p.34

Helmuth Plessner

Il sorriso

p.35

Nota biografi.ca

p. 75

Nota bibliografìca

p.81